Missing Moments

di moira78
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Georges ***
Capitolo 2: *** Cascata ***
Capitolo 3: *** Adozione ***
Capitolo 4: *** Anthony ***
Capitolo 5: *** Albert manda Candy a Londra ***
Capitolo 6: *** Londra ***
Capitolo 7: *** Archie e Stair: la pioggia ***
Capitolo 8: *** Albert scopre che Candy è scappata da Londra ***
Capitolo 9: *** Candy parte per New York ***
Capitolo 10: *** Albert si taglia i capelli ***
Capitolo 11: *** Di aquiloni e profumi ***
Capitolo 12: *** Ricordi ***
Capitolo 13: *** Ritorno della memoria. Primo: avvisare Georges ***
Capitolo 14: *** Dopo l'inganno di Neil: una notte all'aperto. ***
Capitolo 15: *** Stair ***
Capitolo 16: *** Addio ***
Capitolo 17: *** Ritratto ***
Capitolo 18: *** Il Principe della Collina ***
Capitolo 19: *** Poupee ***
Capitolo 20: *** Diario ***
Capitolo 21: *** Il party dei Lagan ***
Capitolo 22: *** Le parole non servono... ***
Capitolo 23: *** Terry legge il giornale ***
Capitolo 24: *** Il matrimonio di Annie ***
Capitolo 25: *** Luna di miele ***
Capitolo 26: *** Il quadro di Slim ***



Capitolo 1
*** Georges ***


Georges
 
1896

Ti guardo da lontano, sapendo già che infliggerò al mio cuore una sofferenza indicibile. Ti osservo mentre parli con quel gentiluomo che ha rubato il tuo e che guardi come fosse l'unica gioia per te.

Insieme a tuo fratello, ovviamente.

Tra gli uomini della tua vita io non figuro, sono come un fantasma assieme al quale vivi e a cui riservi sorrisi e gesti gentili. Ma la strada che mi porterebbe a essere qualcosa in più per te non esiste, è interrotta da lui e dal sorriso luminoso che ti rivolge.

"Chi è quel signore che parla con Rose, Georges?", mi chiede il giovane William avvicinandosi e facendomi trasalire.

Il giardino delle rose è in piena fioritura. Il profumo è così intenso da apparire come l'espressione tangibile dell'amore struggente che riempie il mio essere.
Proprio come una marea.

Il mare. Il mare che ti sta portando definitivamente via da me.

"È il marinaio Brown", rispondo ponendo una mano sulla spalla di questo ragazzino che, senza saperlo, ha già una responsabilità enorme.

"Un marinaio?!", dice lui ammirato e vedo che spalanca gli occhi incredulo: "Come quelli che guidano le navi dei pirati?".

Gli scompiglio i capelli biondi in una carezza, rendendomi conto di quanto incredibilmente somigli alla sorella. "Qualcosa del genere".

Io però non potrò combattere contro quest'uomo come un pirata, perché lui ha già conquistato ciò che non avrò mai: il cuore di Rosemary.

1902

Sono andati tutti a dormire. Ma io non posso.

Il piccolo Anthony ha pianto fino a cedere al sonno tra le braccia della bambinaia. Ma io non posso.

William si è chiuso nella sua stanza dopo i tuoi funerali. Ma io non ho potuto, dovendomi occupare degli ospiti assieme a una distrutta signora Elroy. Ho udito Vincent singhiozzare sommessamente dietro la porta dello studio, la bottiglia di whisky tintinnare contro i bicchieri, ma a me non è stato concesso di annebbiare la mente.

Ora sono solo nella mia camera buia e potrei finalmente piangere o bere, ma è come se il mio cuore fosse congelato. Sbatto le palpebre nell'oscurità e vedo mille volte il tuo viso sorridente e dolce: mentre mi chiami per nome, mentre fissi tuo marito con uno sguardo che non hai mai avuto per me, mentre parli a Anthony con estrema dolcezza.

Le immagini sono così vivide, che mi illuminano gli occhi fino ad accecarli. Ma... no, sono solo le lacrime, che infine mi raggiungono e bruciano le palpebre, bruciano le guance, bruciano l'anima. Da quando William senior mi ha portato in questa casa ho capito subito che saresti stata speciale per me, ma che avrei dovuto tacere: lui mi voleva bene, sì, ma non ero alla tua altezza. Come avrei potuto sognare di meritare un essere meraviglioso come te? Io, un ex vagabondo sporco e affamato che vagava per le vie di Parigi. Potevo illudermi che una specie di reietto, che stava appena cominciando a redimersi, avesse il diritto di toccare un angelo?

E anche se un giorno lontano ti avessi meritato almeno un po', non avrei avuto comunque il tuo cuore. Un caro amico; un porto sicuro; un pilastro a cui appoggiarti. Questo ero per te e sono stato orgoglioso di esserlo fino alla fine.

"Abbi cura del mio Anthony e del piccolo Bert... come se fossero parte di te".

Lo sono, Rose, lo sono da quando sono nati, perché fanno parte di te. Ma ho annuito, incapace di proferire parole così importanti mentre mi stavi dicendo addio, prima di lasciare l'ultimo saluto a tuo marito, l'unico che avesse il diritto di condividere con te quel momento così intimo.

Da domani sarò di nuovo la roccia, il tronco solido e le braccia accoglienti che il piccolo Anthony e il giovane William meritano, te lo giuro. Domani. Perché stasera sono solo un uomo che ha bisogno di piangere la donna amata. Poi il dolore sarà rinchiuso per sempre nei recessi della mia anima, come è stato per l'amore che provavo per te: la chiave è già tra le mie dita, pronta per essere usata. Ma non oggi, non stanotte. Lascia che versi per te ancora lacrime amare, amore mio, fammi lavare via il dolore.

Da domani sarò di nuovo l'efficiente e imperturbabile Georges Villers.

Domani...

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Capitolo 2
*** Cascata ***


Alcuni dialoghi di queste one-shot sono ripresi dal manga. Tuttavia, non ne detengo i diritti e li uso senza scopo di lucro.

 
- § -
 

Cascata

Il fuoco scoppiettava già da un po' e, nonostante la temperatura mite, Albert avvicinò le mani per scaldarle, controllando al contempo che la zuppa e i pesci che aveva pescato fossero pronti. Poupee gli strofinò il musetto sul ginocchio e d'istinto le fece una carezza sul capo. Nel giro di pochi istanti, anche il daino e i conigli si accostarono a lui in cerca di coccole e, ridacchiando, riservò a ognuno un gesto d'affetto.

"Calmi, ce n'è per tutti!", scherzò sedendo a gambe incrociate, divertito da quel tenero assalto.

Di colpo, raddrizzò il capo, in ascolto: se l'era sognato? O era il richiamo lontano di un uccello notturno? Il rumore della cascata alla sua destra copriva quasi del tutto gli altri e Albert si convinse che non fosse nulla d'importante. Tornò a girare la zuppa di legumi e verdure con un vecchio mestolo, controllando la stabilità della rudimentale struttura in legno che aveva creato per sostenere la pentola con un gancio, e di nuovo la sua attenzione fu attirata verso la cascata.

Non me lo sono sognato, è un grido d'aiuto!

Senza perdere un istante, corse verso l'argine del fiume, in tempo per vedere una piccola barca precipitare dall'alto e un corpicino minuto sbalzato fuori. Tentando di restare lucido, afferrò una corda e la assicurò all'albero dietro di sé, legandosi l'altra estremità in vita, diviso tra la necessità di essere veloce e quella di stringere bene la fune per evitare di essere trascinato a sua volta dalla corrente.

Dopo essersi tolto con gesti fluidi la giacca e gli stivali entrò in acqua e, per fortuna, la vide quasi subito e la trascinò fuori dal fiume: era solo una ragazzina.

E ha anche qualcosa di familiare...

La stese accanto al fuoco, asciugandola con un asciugamano pulito e accertandosi che non avesse bevuto. Accostò l'orecchio alle sue labbra e lei emise un verso, sputando via un fiotto di acqua, ma non aprì gli occhi. Albert valutò, dal suo respiro sempre più regolare, che non aveva bisogno di rianimazione e le sedette accanto per osservarne le reazioni, rabbrividendo e concedendosi qualche minuto per asciugarsi un poco prima di rimettere la giacca e gli stivali.

Questa ragazza...

Al collo aveva qualcosa, incredibilmente la forza della corrente non le aveva strappato la catenina con i due pendenti. Albert aggrottò le sopracciglia, scrutando i due oggetti: uno era una croce dorata, mentre l'altro...

Non è possibile! Ma allora è proprio lei!

I capelli biondi, i riccioli, quelle piccole lentiggini sul naso... no, non si era sbagliato! La conferma arrivò quando poté vedere gli smeraldi riflessi nei suoi occhi: erano annebbiati dallo sfinimento per quell'avventura e Albert si affrettò a tranquillizzarla, dicendole che era al sicuro.

Ma guarda un po' che incontro! La bambina delle lumache che strisciano... qui?

La mente volò a quel giorno di tanti anni prima, su quella splendida collina, dove una ragazzina che non poteva avere più di sei anni aveva dato sfogo al suo dolore o alla sua rabbia piangendo ad alta voce. Dentro di sé, nonostante fosse in fuga da una realtà che a malapena stava cominciando ad accettare, Albert aveva sentito il bisogno di fare qualcosa per lei e aveva cominciato a suonare la sua cornamusa. Era come se il destino gli avesse bisbigliato all'orecchio, prima di uscire di casa di nascosto, che era giusto restare vestito con il kilt di famiglia portando lo strumento. Non era più un atto di ribellione, era mutato in un modo per cancellare il pianto della bambina e vedere il suo splendido sorriso: e Albert ne era stato contagiato.

A distanza di anni, poteva dire che la forza e la determinazione con le quali era andato avanti da quel giorno in poi avevano ricevuto una spinta proprio da quel sorriso sincero.
E ora, lei era di nuovo lì, davanti a lui, e forse le aveva appena salvato la vita.

Scosse la testa, ancora incredulo, coprendola con la coperta più pesante che trovò nello zaino e slegando la fune dall'albero, per poi riporla.

La seconda volta che aprì gli occhi, prima ancora di mormorare il suo ringraziamento, lo guardò con più attenzione e gridò.

Gridò e svenne.

Albert rimase perplesso: le aveva dunque fatto così paura? Certo, non si radeva da quando aveva deciso di allontanarsi da casa, tuttavia...

Poupee si avvicinò di nuovo, cominciando a emettere brevi squittii come se gli stesse parlando. Quasi comprendendola, o solo dando voce ai suoi stessi sospetti, Albert le rispose: "Lo so che sono un po' cambiato da quando avevo diciassette anni, ma non ti sembra una reazione esagerata comunque?".

Non capì la risposta della sua piccola puzzola, ma non gli parve affatto gentile e la liquidò con un gesto. Decisamente, da quando si era auto esiliato aveva imparato il linguaggio degli animali molto meglio di quello degli uomini.

Finalmente, la ragazza parve riprendersi del tutto e Albert colse l'occasione per chiederle, senza giri di parole: "È la mia faccia che ti fa paura? Devo essere orrendo se svieni per questo!". Lei rimase rannicchiata sotto la coperta, mettendosi a sedere, e Albert le porse una ciotola. "Tieni, è una minestra calda".

"È... è stato lei a salvarmi?", chiese con voce tremante, accettandola.

"Sì, però... perdere i sensi appena hai visto la mia faccia...". Cercando di comprendere le ragioni della ragazzina mentre si grattava la barba sul mento, Albert decise di sollevare gli occhiali scuri sopra la testa e mostrarle quantomeno il suo sguardo.

Come se eliminare quella barriera avesse sancito la fine di ogni spavento, la bambina si azzardò a dirgli, con tono titubante: "Farebbe meglio a non mettere quegli occhiali... credevo che fosse un pirata!".

Trattenendo a stento l'impulso di ridere per non farla sentire presa in giro, Albert le chiese di non dargli del lei e le presentò anche Poupee. Dopo un primo momento di panico, la ragazzina fece conoscenza con il piccolo animale e con tutti gli altri che, pian piano, cominciarono ad attorniarla.

Sentono di potersi fidare di lei. Chissà come è finita quaggiù...

"Io mi sono presentato, vuoi dirmi come ti chiami?", le chiese cominciando a raccogliere la pentola e le coperte.

"Mi chiamo Candice, ma tutti mi chiamano Candy".

Albert le sorrise: aveva davvero un nome molto dolce. "Vorresti venire a casa mia, Candy? Ti prometto che non mi trasformerò né in un pirata, né in un lupo mannaro, ma tu hai bisogno di stare al caldo e il fuoco non è sufficiente per asciugarci del tutto".

"Abiti qui vicino?", domandò lei alzandosi in piedi con Poupee in braccio e aiutandolo a mettere le stoviglie nella sacca.

"In un certo senso...", tergiversò.

Quando arrivarono alla capanna, Albert accese il fuoco, servì della cioccolata calda e la sua nuova amica si mise persino a pulire la casa. Di certo non le mancavano lo spirito d'iniziativa e anche una buona dose di vivacità: a dire il vero, non gli parve molto diversa dalla bambina chiacchierona che lo aveva scambiato per un extraterrestre sette anni prima.

Da extraterrestre a pirata... è già un miglioramento.

Sorridendo tra sé, ascoltò la sua storia. A quanto pareva serviva in casa Lagan, per questo era così brava con le pulizie. Ma la cosa che lo sconvolse fu sapere che era felice di aver incontrato qualcuno senza casa come lui, quando le riferì che la capanna non era sua, ma degli Ardlay.

Quella notte, Albert si sistemò con una coperta sul pavimento, lasciandole il letto per riposare. Tuttavia, riuscì a prendere sonno molto tardi, perché quella ragazzina aveva toccato nel proprio cuore corde che credeva sopite da tempo: i suoi occhi, così sinceri e luminosi, seppure di colore diverso, gli ricordarono quelli di Rosemary.

La sua spontanea freschezza, la sua sincerità così schietta... come ha fatto una ragazza come lei a finire dai Lagan?!

Ma fu la mattina dopo che quello stupore mutò rapidamente in indignazione. Mentre preparava la colazione, Candy gli raccontò, con una tranquillità disarmante, che dormiva nelle stalle. Pur non mostrando i suoi reali sentimenti, Albert si irrigidì e nella mente cominciò a prendere forma il desiderio ardente di proteggerla. Di renderla felice.

Come una moderna Cenerentola, però, sembrava a proprio agio con quella vita scomoda e il suo sorriso parve illuminare la capanna come nemmeno il sole ormai alto riuscì a fare. Nel momento in cui Candy dichiarò che per lei era ora di tornare, Albert desiderò tenerla con sé e non lasciarla più andare. Ma capì che non poteva, perché di fatto non era che un vagabondo costretto a nascondersi e non era sicuro che quella vita si addicesse a lei più di quella che faceva in casa Lagan.

Perlomeno io le darei sempre un riparo per riposare...

Con la morte nel cuore, le spiegò che strada prendere dalla collina per tornare all'inizio del fiume e quando lei gli chiese come avrebbe potuto rivederlo rimase piacevolmente sorpreso. A dire il vero, si sentiva più tranquillo sapendo che si sarebbero tenuti in contatto, così le spiegò che le sarebbe bastato mettere un messaggio in una bottiglia perché arrivasse fino a lui quando avesse soffiato il vento del sud.

Vedendola andare via correndo e salutandolo come se si conoscessero da sempre, Albert si sentì felice. Davvero felice. Forse era perché aveva appena trovato uno scopo nella propria vita, oltre a quello di nascondersi in attesa di tempi migliori; forse fu perché, come diceva Candy, erano simili e si erano ritrovati; o forse per quel sorriso eterno che sfoggiava nonostante le ingiustizie della vita, un po' come quello che cercava di avere sempre anche lui.

Hai ragione, Candy. In qualche modo siamo simili. E io mi prenderò cura di te in ogni modo possibile, perché sei una ragazzina speciale e meriti di sorridere sempre.

"Adoro i tuoi sorrisi, piccola Candy", mormorò voltandosi e tornando verso la capanna, con Poupee che squittiva saltandogli sulla spalla.
 

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Capitolo 3
*** Adozione ***


Adozione

"In Messico?! Ma sono impazziti, forse? Ha solo... quanto, tredici anni?". Incredulo, Albert alzò lo sguardo dalla lettera a Georges, che lo osservava contrito dalla porta d'entrata.

Da quando lo aveva raggiunto in quella modesta pensione nella quale si era recato dopo la fuga dai boschi di Lakewood, non si era mosso da lì.

"Proprio così, signorino William". Anche se era in piedi e sembrava compìto come al solito, si vedeva che era davvero teso.

Albert sospirò, passandosi le mani tra i capelli e posando la lettera sul tavolino al quale si era seduto. Guardò per un istante fuori dalla finestra, giocherellando con la lunga barba con il pollice e l'indice, ripercorrendo gli eventi da quando aveva ricevuto il messaggio nella bottiglia da Candy.

Quella sera, chiuso nella capanna con i suoi animali, non aveva creduto ai propri occhi e aveva sperato che la ragazzina avesse solo esagerato, magari dopo essere stata minacciata dai Lagan. Ma il fatto che non avessero esitato a mandarla a dormire in una stalla gli aveva subito fatto scartare quell'ipotesi: Candy era stata tutt'altro che eccessiva nel descrivere le sue vicissitudini negative. Anzi, sembrava trovare il lato positivo persino nel fatto di poter condividere il proprio spazio con due animali che adorava.

Sono contenta di aver incontrato uno come me!

Sì, anche lui era solo e adorava la compagnia degli animali. Candy aveva proprio ragione.

Dopo aver ricevuto la sua lettera, aveva già deciso che avrebbe contattato Georges per discutere di quell'evento che sembrava imminente, ma poi le cose erano precipitate ed era dovuto fuggire in fretta e furia. Così, ne aveva approfittato per rifugiarsi dove il fidato braccio destro potesse trovarlo e il suo arrivo, pressoché immediato, con un fascio di lettere da parte di Anthony, Archie e Stair non aveva fatto che confermare la storia di Candy.

I Lagan erano davvero crudeli.

"C'è un modo legale perché entri a far parte della nostra famiglia?", chiese lentamente, dando voce a un'idea che aveva già cominciato a formarsi nella mente da quando l'aveva salvata alla cascata e riconosciuta.

"Io penso...".

"Siediti, per favore", lo pregò interrompendolo e quindi fissandolo in attesa che parlasse.

Georges prese una sedia e si posizionò di fronte a lui, nello spazio angusto della cameretta: "Potrebbe adottarla, diventandone tutore legale, e lei sarebbe una Ardlay a tutti gli effetti".

Albert spalancò gli occhi, trattenendo il fiato. Adottarla?! Ma se aveva solo ventiquattro anni! Certo, per tutti lui era il vecchio prozio William, non un giovane da poco maggiorenne, tuttavia...

Si grattò un lato della fronte, pensieroso, fissando Georges che inarcava un sopracciglio: "Il prozio William è troppo anziano per avere una figlia adolescente, ma la realtà è che io non sono abbastanza vecchio da avere una ragazza dell'età di Candy". Era quasi divertito da quelle prospettive opposte. "Senza contare che, essendo scapolo, potrebbero esserci dei problemi".

L'uomo annuì, comprensivo: "Certo, è per questo che ho parlato di tutoraggio da parte sua e della famiglia. Non si tratterebbe di un'adozione nel senso più stretto del termine. Di fatto, lei non diventerebbe un vero padre adottivo. Ne devo comunque parlare con i nostri avvocati: se la sente di fare un passo così importante e prendersi questa responsabilità, signorino William?".

Quella domanda lo colse alla sprovvista e gli fece comprendere quanto quella decisione avrebbe significato nella vita di Candy: la responsabilità legale sarebbe ricaduta sulle proprie spalle fino a che non fosse diventata maggiorenne, perché dubitava che la prozia Elroy si sarebbe fatta carico di colei che considerava una sorta di dama di compagnia di Eliza o, peggio, una serva.

Se conosceva bene sua zia, non avrebbe reagito certo con gioia a quella disposizione. Ma cos'altro poteva fare? Non aveva intenzione di rivelarsi prima del tempo e poteva solo confidare nella protezione che i suoi nipoti, che aveva ben compreso essere molto affezionati a lei, potevano offrirle.

E non solo loro. Lo stesso Georges poteva osservarla non troppo da lontano.

Prese un respiro profondo e Poupee, addormentata sulle sue ginocchia, alzò il musetto per guardarlo con un piccolo squittio. Anche lei sembrava in attesa di una risposta: "Fai tutto ciò che è necessario, allora, ma fallo al più presto. Se ho ben capito il trasferimento dovrebbe avvenire entro pochi giorni".

Georges annuì: "Farò tutto il possibile, mi attiverò subito. Ci tiene molto a quella ragazzina, non è vero?".

Albert gli restituì il lieve sorriso che gli increspava i baffi: "Almeno quanto mio padre teneva a te", ribatté. L'uomo chiuse gli occhi e quello fu l'unico cenno di emozione che manifestò, ma lui lo colse e ne fu toccato. "Sai", proseguì, "quando l'ho incontrata per la seconda volta alla cascata e l'ho portata alla capanna, i suoi occhi mi hanno ricordato Rosemary, anche se sono di colore diverso. Hanno la stessa luminosità decisa dettata dalla gioia di vivere... non so spiegartelo bene, ma è come se mia sorella mi stesse comunicando che devo prendermi cura di lei".

Il suo braccio destro e confidente riaprì gli occhi e ad Albert parve di veder brillare delle lacrime represse: d'altronde, aveva appena nominato due persone importanti non solo nella propria vita, ma anche in quella di Georges e capiva molto bene la sua commozione: "Ha detto che era la seconda volta che la incontrava...". La voce era ferma e le palpebre si socchiusero in un'espressione perplessa.

Grattando la testolina di Poupee per indurla a riaddormentarsi, Albert rispose a quella domanda inespressa: "Ti ricordi il giorno che sono scappato di casa indossando il kilt, durante quella festa?".

"E come potrei dimenticarlo?", proruppe Georges corrugando la fronte. "Ho perso dieci anni di vita per la preoccupazione".

E se la ricordava quella preoccupazione: aveva solo diciassette anni e aveva visto Georges crollare come gli era capitato solo alla morte di suo padre e di Rosemary. Il senso di colpa lo aveva invaso: sapeva di essere importante per lui e non certo perché chi lo aveva salvato dalla strada e accolto in casa gli aveva, in un certo senso, affidato il suo unico figlio maschio.

L'affetto che Georges aveva sviluppato nei suoi confronti era pari a quello di un fratello maggiore o proprio di un padre e Albert lo aveva sempre ricambiato totalmente. Aveva giurato che non lo avrebbe più fatto preoccupare e, da quel momento in poi, pur perseguendo i propri ideali di libertà, aveva fatto sempre in modo che Georges conoscesse i suoi spostamenti.

Albert inclinò il capo in un gesto di comprensione: "Lo so e ti chiedo di nuovo scusa. In realtà la incontrai quel giorno per la prima volta: poteva avere sei anni ed era molto triste. Io l'ho fatta ridere suonando la cornamusa".

L'uomo parve davvero colpito da quella rivelazione: "Io non l'ho vista, però. E come fa a essere sicuro che si trattasse proprio della signorina Candice? Dopotutto sono passati sette anni...".

Ridacchiò, scuotendo il capo: "Non l'hai vista perché quando mi hai riacciuffato io ero fuggito dal lato opposto della collina. Per rispondere alla tua domanda, beh... non è che sia cambiata molto. Ha le stesse identiche lentiggini e i suoi capelli sono inconfondibili".

"L'ha osservata molto bene", commentò lui senza ironia.

Albert annuì: "Sì, non ho mai dimenticato quella bambina: mi ha colpito per la sua indole libera che le permetteva di esprimersi senza timori, cosa che io non ho mai potuto fare neanche alla sua età". Scosse la testa, non volendo soffermarsi su quell'argomento. "Inoltre, ricordi la spilla che ho perso proprio quel giorno?".

Georges annuì.

"Bene, la conferma che fosse lei, semmai ne avessi bisogno, l'ho avuta perché ce l'aveva addosso, attaccata a una catenina assieme a una piccola croce. Deve averla trovata e conservata come un caro ricordo". Provava un'immensa dolcezza nel ricordare quel particolare. Era impossibile non affezionarsi a una ragazzina come Candy, capiva davvero perché i nipoti tenessero a lei: era pura e cristallina come acqua di sorgente.

"Significa che anche quel ragazzo, vestito in modo che alla signorina deve essere apparso strano, ha colpito la bambina. Immagino sia rimasta affascinata dal suono della cornamusa". Georges appariva interessato e divertito mentre cercava di indovinare cosa fosse accaduto.

Senza poterselo impedire, scoppiò a ridere facendo fuggire via Poupee, ricordando quello che era successo, e gli confessò le buffe osservazioni di Candy che pensava lui arrivasse dallo spazio. Gli riferì anche il paragone che aveva fatto tra il suono del suo strumento e una fila di lumache che strisciavano: persino Georges cominciò a ridacchiare, seppure in maniera più composta.

"Non sapevo che le lumache potessero fare un suono simile a quello di una cornamusa", disse.

"A dire il vero neanche io", ammise alzandosi in piedi. Divenne di nuovo serio e il suo fidato amico si alzò a sua volta mentre gli diceva: "Devi avere cura di lei ogni volta che ti sarà possibile, Georges. Quella ragazza ha sofferto molto: anche lei è orfana e non ha mai avuto dei genitori che l'amassero davvero. In qualche modo, sento di essere l'unico a comprenderla profondamente e poterla aiutare, seppure da lontano".

L'uomo annuì, sembrava pronto a congedarsi ma, quando fu di nuovo sulla porta, chiese: "Ciò significa che non le chiederà di restituirle la spilla?".

Albert espirò piano, passandosi la mano tra i capelli: "Per ovvi motivi non mi ha riconosciuto e non sarò io a rivelarmi rischiando di farle venire dei sospetti sulla mia provenienza. Immagino che ci saranno altri eventi che richiederanno la presenza del kilt e Candy potrebbe collegare quello strano ragazzo agli Ardlay se vedesse lo stemma di famiglia".

Con la mano già sul pomello, Georges si volse a guardarlo: "Se procederemo ad adottarla, prima o poi lo verrà comunque a sapere. Sono sicuro che sarà lieta di ritrovare in lei l'amico dei boschi di Lakewood e lo strano ragazzo sulla collina".

"Può darsi. O può darsi che rimangano tutti inorriditi nello scoprire che il prozio William non è altri che un ribelle vagabondo che una volta è persino scappato di casa. Ma questo eviteremo di raccontarlo ai miei nipoti, vero?", concluse facendogli l'occhiolino.

"La mia bocca è cucita, signore. Tornerò quanto prima con i documenti da firmare".

Quando se ne andò richiudendosi la porta alle spalle, Albert si mise a cercare Poupee e la trovò rannicchiata sotto al letto: "Sicura di voler rimanere lì? Staresti molto più comoda sopra...".

L'animaletto lo fissò con gli occhietti vispi e luminosi e uscì dal nascondiglio improvvisato saltando senza esitazioni al centro esatto del materasso logoro e ingiallito.

"Non hai perso tempo, eh?". Sedette accanto a lei, carezzandole il pelo morbido, ricordando come Candy avesse fatto subito amicizia sia con Poupee che con gli altri animali.
Nel suo cuore, si sentiva spaventato e sollevato allo stesso tempo: poter salvare quella ragazzina così spontanea e speciale da una vita di stenti in Messico era magnifico. E tuttavia, temeva di vincolarla a una famiglia che avrebbe potuto imporle delle regole che andassero in contrasto con la sua libertà.

Avrebbe dovuto indurla a studiare come a breve avrebbero fatto Archie, Stair e Anthony, mandandola con loro a Londra? E se non fosse stata d'accordo e lo avesse odiato per questo? Albert era sempre stato convinto che una donna dovesse avere le medesime possibilità di un uomo di costruire il proprio futuro e, se aveva inquadrato bene Candy, il suo era uno spirito indipendente che poco si sarebbe accordato con le esigenze della società che voleva le donne dedite solo a fare un matrimonio di convenienza.

"Non l'ho ancora adottata e già mi metto a pensare come un padre, povero me...". Rise di se stesso, scuotendo il capo.

No, non avrebbe imposto nulla a Candy, se non gli studi di base per potersi poi dedicare a ciò che avesse preferito. Sarebbe stata libera di lavorare o innamorarsi dell'uomo che preferiva e non sarebbe stato certo lui a infrangere i suoi sogni.

Il percorso della propria vita era obbligato e, in una certa misura, persino quello dei nipoti.

Ma per Candy il discorso era diverso: una volta maggiorenne sarebbe stato lieto di lasciare che mantenesse il nome Ardlay, però non sarebbe stata legata come gli altri componenti della sua famiglia.

"Vivrò la mia libertà attraverso te, ragazzina. Ti proteggerò e farò sempre in modo che tu sia felice", disse alla stanza vuota, meritandosi un'occhiata incuriosita da Poupee.

Sì, rendere felice Candy sarebbe stata la sua missione da quel momento in poi.
 

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Capitolo 4
*** Anthony ***


Anthony

L'impulso di raggiungerli era stato forte, ma Albert era rimasto nascosto, accampandosi lontano dal luogo in cui si stava svolgendo la caccia alla volpe e dai sentieri che sarebbero stati battuti. Con una smorfia di disappunto, lasciò cadere la legna che aveva raccolto per cominciare ad accendere il fuoco per la sera: non era orgoglioso della decisione che aveva preso, tuttavia sapeva che era una tradizione di famiglia e che se avesse scelto di dare un ballo per la presentazione di Candy, la zia Elroy avrebbe avuto da ridire.

Raccolse un mucchietto di foglie secche tinte dei colori autunnali e le sparpagliò sulla catasta. Non gli dispiaceva dormire all'aperto, però a breve la temperatura sarebbe stata troppo rigida e avrebbe dovuto cercare un altro riparo. Alla pensione dove aveva soggiornato brevemente stava rischiando di attirare troppo l'attenzione, visto che Georges lo andava a trovare spesso per parlare della famiglia e di lavoro. Tuttavia, ormai non poteva più tornare nemmeno alla capanna, o avrebbe davvero rischiato di lasciare gli Ardlay senza patriarca prima ancora di prenderne il comando: l'ultima volta gli avevano persino sparato addosso. Oltretutto, Georges gli aveva accennato ad alcuni affari che avrebbero dovuto seguire a Londra con l'anno nuovo e doveva entrare nell'ottica che i suoi giorni per i boschi di Lakewood erano ormai agli sgoccioli.

I passi sull'erba lo allertarono prima ancora che avesse tempo di tirare fuori i fiammiferi dalla sacca e Albert guardò nella direzione del rumore per capire se avrebbe avuto tempo di far sparire la legna, cancellando le proprie tracce. Ma quando guardò nella luce arancione del tramonto, fu stupito nel vedere che si trattava di una sagoma nota.
Poupee emise uno squittio sommesso e lui l'accolse fra le mani quando gli saltò in braccio: era la prima volta che gli sembrava spaventata vedendo Georges e il cuore accelerò nel petto. Aumentò il ritmo quando vide il capo chino, le spalle leggermente curve e il passo stanco di qualcuno che non abbia più nulla da perdere.

Con orrore, tentando di deglutire, Albert si rese conto che era lo stesso Georges di quando era morta Rosemary e, in parte, il medesimo che lo aveva ritrovato sulla collina quando aveva diciassette anni. Prostrato, distrutto, disperato, rassegnato: gli occhi erano asciutti ma rossi, quando infine gli fu davanti.

Nessuno dei due ebbe il coraggio di proferire parola.

Candy... è successo qualcosa a Candy! Dev'essersi fatta male, oppure...

"Signorino William". Quella non era la voce di Georges. Era spezzata e colma di dolore.

"Cosa è successo?". Aveva cominciato a tremare senza accorgersene e Poupee corse via.

"Il... il signorino Anthony... è...".

Anthony?!

"Cosa? Cosa è successo ad Anthony?!", chiese con voce urgente, posandogli le mani sulle spalle, trattenendosi a stento dallo scuoterlo.

"Mi dispiace, mi dispiace tanto". Scosse la testa, soffocando un singhiozzo. "È caduto da cavallo durante la caccia alla volpe e.... è morto".

E tutto si fermò.

Il vento, il mondo, persino il proprio respiro. Gli parve che anche quel Georges che piangeva silenziosamente prendendo lunghi sospiri per ricomporsi non fosse reale. Perché nel mondo reale erano già morte tante persone a lui care e Anthony aveva solo quindici anni. E poi lui e Candy avevano stretto un legame speciale, da quel che aveva saputo, quindi si aspettava che un giorno il nipote gli chiedesse la sua mano. Magari tra qualche anno, quando entrambi avessero terminato gli studi e lui fosse già stato a capo...

"Signorino William? Va tutto bene?".

Albert sbatté le palpebre, come risvegliandosi da un sogno. Georges era lì, era reale e si stava asciugando gli occhi con un fazzoletto, fissandolo preoccupato.

"Come è successo?", chiese in un sussurro che non seppe se avesse udito.

"Il cavallo si è impennato, forse a causa di una tagliola nascosta nell'erba, e il ragazzo è stato sbalzato a terra con violenza. Quando siamo accorsi, udendo le grida della signorina Candy, era già troppo tardi".

Lei era lì! Dio onnipotente, era lì e ha visto tutto!

Di colpo, davanti agli occhi gli passarono le immagini di Rosemary con Anthony appena nato in braccio. Il viso scavato, sofferente, ma un sorriso che avrebbe illuminato la stanza più buia mentre se lo stringeva al petto.

"Ora ho due tesori, Bert. Te e il mio piccolo Anthony". Così aveva detto e aveva dedicato gli ultimi anni della propria vita a loro, quasi sempre da sola perché Vincent era spesso lontano.

Perdonami, Rose. Non sono riuscito a proteggerlo... ora è tornato da te... Darei la mia vita per riavere la sua.

La consapevolezza che Anthony non fosse più in quel mondo lo colpì lentamente ma in modo inesorabile, come una mano impietosa che lo sospingesse verso un baratro senza fine. E Albert indietreggiò, quasi fuggendo da quella realtà che non voleva e non poteva accettare. Si allontanò fino a sbattere la schiena contro il tronco di un albero e allora si arrese e si lasciò

precipitare

cadere. Poggiò i gomiti sulle ginocchia e abbassò il capo, intrecciando le dita sulla nuca, tra i lunghi capelli. E aveva di nuovo otto anni e suo padre era morto lasciandolo orfano. E ne aveva quattordici e Rosemary aveva appena esalato l'ultimo respiro chiamando il suo bambino.

E tornarono, le lacrime, dopo tanti anni in cui aveva potuto non versarne, tornarono e a lui sembrò di affogarvi. Le sentiva, calde e implacabili, che gli rigavano il viso e cadevano da qualche parte sull'erba, mentre le sue spalle si scuotevano e Poupee emetteva una sorta di miagolio che sembrava un pianto.

Immerso in una sofferenza che gli sembrava densa e cupa, sopraffatto da un senso di colpa che non sapeva se avrebbe mai superato, Albert sentì una mano sulla spalla e seppe che stavolta era quella confortante di Georges. Con il corpo intorpidito, rialzò piano la testa, passandosi un braccio sul viso, e gli chiese di Candy.

"La signorina si è sentita male, ma so che sta riposando e che Archibald e Alistair sono con lei".

Albert annuì più volte, come riflettendo. Avrebbe voluto dire a Georges di accertarsi che lei stesse bene e che avesse tutto il sostegno necessario. Avrebbe desiderato correre a casa per presenziare ai funerali di Anthony e per chiedere personalmente perdono a Rosemary, sulla sua tomba. E avrebbe voluto persino consolare la zia e i nipoti, anche se questi ultimi non lo conoscevano. Ma, soprattutto, avrebbe voluto aver avuto più tempo per stare con Anthony, che doveva aver incontrato l'ultima volta quando aveva sette anni e lui stava per partire per l'università.

Dio, quanto è ingiusta la vita!

Il tempo parve dilatarsi all'infinito, laddove poco prima sembrava immobile. Gli sembrò di essere rimasto lì seduto, con i gomiti sulle ginocchia, per ore o per anni, tentando di inghiottire le lacrime per tornare a essere forte. Ma ogni volta che pensava di esserci riuscito, i volti di Rose e Anthony riapparivano fino a riempirgli la mente e lui credette di morire con loro.

"Ho chiesto al guardaboschi di occuparsi dei terreni più a est. Può ritornare alla capanna, se vuole: la notte è molto fredda".

Albert alzò finalmente il capo: "Grazie, Georges, lo apprezzo molto. Lì... avrò un po' di tempo per pensare". Pensare? No, aveva bisogno di tempo per ricostruirsi, per superare quello che era il lutto più doloroso perché inaspettato: aveva visto suo padre consumarsi nel lutto della propria solitudine e nel lavoro; Rosemary lottare contro la malattia come una guerriera. Ma Anthony... Anthony era forte e in salute e, soprattutto, era felice e pieno di vita.

"Tornerò tra qualche giorno per vedere se necessita di qualcosa", disse la voce lontana di Georges, mentre lui si rimetteva lentamente in piedi. "Vuole che l'aiuti?", chiese accennando alla legna.

Scosse la testa: "Preferisco fare da solo. Finché le mie mani saranno impegnate e potrò tenere anche la mente occupata, il dolore non potrà sopraffarmi. Vai, ora... torna da loro. Hanno bisogno di te".

Georges lo guardò intensamente per alcuni istanti: i suoi occhi sembravano dire che anche lui aveva bisogno di qualcuno. Ma no, non era così. Era stato solo a lungo, con gli animali e i libri come unici compagni e avrebbe affrontato quel dolore nel medesimo modo, da uomo.

Non sarebbe stato facile, lo sapeva, né era sicuro che sarebbe mai stato in grado di accettarlo o di perdonarsi. Tuttavia era necessario andare avanti, perché la vita continuava per lui come per Candy, Archibald, Alistair e la zia Elroy. Lui era il prozio William e doveva essere una roccia.

Salutò Georges con un cenno mesto della mano, vide le sue labbra tremare come se stesse per dirgli qualcosa e poi tacere e sentì il peso leggero di Poupee che si arrampicava lungo la schiena per atterrargli sulla spalla. Meccanicamente, l'accarezzò traendo conforto dalla sua piccola amica cominciando a camminare col passo stanco di un vecchio. Un vecchio prozio.

Sentì la presenza di Georges alle proprie spalle a lungo, prima di ricordarsi che aveva lasciato la legna esattamente dov'era prima: aveva importanza? Non credeva, sarebbe ritornato il giorno successivo per riprenderla e usarla nel caminetto della capanna. Ora voleva solo allontanarsi da lì e restare solo.

E, soprattutto, non voleva voltarsi per mostrare le sue lacrime a Georges.
 

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Capitolo 5
*** Albert manda Candy a Londra ***


Alcuni dialoghi di queste one-shot sono ripresi dal manga. Tuttavia, non ne detengo i diritti e li uso senza scopo di lucro.

- § -

Albert manda Candy a Londra
 
"Albert, quando potrò rivederti?".

"Quando tornerai a sorridere, Candy".

Albert smise il movimento con il coltellino affilato sul legno, guardando la sua opera: cosa stava cercando di intagliare? Un albero? Una rosa? Non lo sapeva ancora, ma quel semplice gesto creativo, con un materiale così vicino alla natura, lo rilassava anche se si trovava in un freddo ufficio del centro di Chicago, bilanciato su una sedia su cui si dondolava, i piedi puntellati sulla scrivania come quando si trovava nella capanna.

Era come se non se ne fosse mai andato dai boschi di Lakewood.

"...ora che è morto con cosa lo ricambi? Con una faccia piagnucolosa e una tristezza inconsolabile?".

Con un sospiro frustrato, appoggiò il lavoro sul piano della scrivania e vi poggiò i gomiti, il mento sulle dita intrecciate. Sapeva di essere stato piuttosto duro con lei, ma aveva bisogno d'indurre velocemente la vecchia Candy, combattiva e forte, a uscire dal suo bozzolo. E, in effetti, aveva appena avuto il tempo di ribadirle che doveva essere felice solo per aver incontrato un ragazzo come Anthony.

Poi era dovuto andare via e da allora non l'aveva più rivista.

Ricordava ancora il momento in cui aveva varcato la soglia del cancello: Candy era lì a terra, che piangeva, con il suo abitino nero da lutto. Albert aveva dovuto raccogliere tutto il proprio coraggio per dissimulare la ferita ancora fresca che aveva ricominciato a sanguinare in quell'esatto istante.

E le aveva sorriso, tentando di infonderle quel coraggio che sembrava sfuggirgli a ogni lacrima che solcava il volto di Candy. L'aveva accolta fra le sue braccia, tremante, mentre singhiozzava senza consolazione. Quella stretta era stata benefica anche per lui, ne aveva tratto un enorme conforto. Perché senza che lei ne sapesse nulla, stavano condividendo un dolore comune, un pianto che sarebbe durato forse per sempre.

Il calore di quell'abbraccio l'aveva legato ancora di più a quella ragazzina che, senza esserne cosciente, stava consolando anche lui.

Si alzò dalla scrivania e andò alla finestra per osservare la neve che volteggiava in aria come un improbabile stormo di farfalle. Il mondo candido al di là dei vetri gelidi sembrava cristallizzato e silenzioso nonostante fosse quasi mezzogiorno.

Forse ora è il momento adatto.

Natale era passato nel lutto, la zia Elroy non aveva voluto organizzare alcuna festa, neanche intima, e lui era andato a trovarla solo una volta per vedere come stesse. Sembrava invecchiata di dieci anni in un solo colpo.

Il vetro gli rimandò l'immagine della sua barba folta e comprese che anche lui sembrava molto più vecchio dei suoi ventiquattro anni, specie da quando aveva ricevuto l'ennesima triste notizia della sua vita.

Dovrò tagliarla, prima di partire: ormai non ha più senso che la tenga così.

La morte di suo padre lo aveva colto di sorpresa, considerando che aveva solo otto anni; quella di Rosemary era stata quasi annunciata dalla sua malattia, eppure lo aveva sconvolto nel profondo; ma quella di Anthony, così improvvisa e violenta, lo aveva devastato. Non era la prima volta che quel pensiero affliggeva la sua mente, quasi a sottolineare la gravità di quella fine, di una giovane vita spezzata.

Non sapeva con quale forza fosse riuscito a elaborare abbastanza il dolore e il senso di colpa opprimente da mostrarsi a Candy senza crollare, facendo finta di nulla. Il giorno in cui Georges si era presentato da lui, con gli occhi arrossati e il viso devastato dalla sofferenza, aveva compreso prima ancora che parlasse.

I giorni successivi erano stati come invasi dalla nebbia più fitta. Aveva pregato, aveva pianto, si era sentito prostrato nel corpo e nel fisico ma, come al solito, si era dovuto ricostruire pezzo per pezzo per andare avanti.

Per i suoi nipoti, per Candy, per la famiglia. E per se stesso.

I fiocchi di neve aumentarono di numero e intensità e desiderò poterli toccare: aprì la finestra e sporse una mano, accettando con un brivido gioioso la sensazione del freddo sul palmo.

Anche il ghiaccio si scioglie a contatto con il calore.

Albert aveva dovuto sopportare un peso enorme sulle proprie spalle e cercare dentro di sé e nel sostegno incondizionato di Georges il calore di cui aveva bisogno per essere il punto di riferimento che tutti si aspettavano: l'ineffabile prozio William, che aveva ordinato ad Archie e Stair di andare a studiare a Londra; Albert, l'amico vagabondo di Candy che aveva asciugato le sue lacrime.

Strinse la mano a pugno e la ritirò, chiudendo la finestra e tirando fuori dalla tasca interna del panciotto l'orologio: Georges sarebbe arrivato a minuti. Quasi sorrise al pensiero che il suo amico e braccio destro era spesso obbligato a riacciuffare i più giovani durante le loro fughe.

Certo, quella di Candy verso il Messico non era stata una fuga, ma l'imposizione di una famiglia che ancora stentava a credere potesse far parte del clan. Quando Archie e Stair si erano messi in testa di raggiungerla subito dopo la morte di Anthony, però, in qualche modo gli era costato di più riportarli indietro.

Georges gli aveva riferito di aver dovuto impedire loro di raggiungerla alla Casa di Pony e Albert aveva appoggiato in pieno la sua decisione estemporanea nel vederli andare via di nascosto. C'era più di un motivo per il quale si era visto d'accordo e ci aveva riflettuto con molta attenzione: in primo luogo non voleva che fuggissero da casa, dando altre preoccupazioni alla zia Elroy; in seconda battuta, desiderava che Candy si prendesse il suo tempo nel posto che più le era familiare per riprendersi dal dolore; infine, aveva pensato che mandarli a Londra per primi avrebbe potuto essere d'aiuto anche a loro a superare il lutto.

Un lutto che lui aveva vissuto quasi in completa solitudine, osservando Vincent Brown da lontano, mentre sostava nel giardino delle rose su cui stava già cadendo la prima neve. Avrebbe voluto abbracciarlo, condividere quella sofferenza enorme. Chiedergli perdono come aveva fatto sulla tomba di sua sorella. Ma non poteva, così si era dovuto abbracciare e perdonare da solo.

Un discreto bussare lo riscosse da quei ricordi tristi e invitò Georges a entrare. L'uomo si tolse il cilindro pieno di neve e sbottonò il cappotto nero, avvicinandosi un poco al caminetto acceso quando gli fece un gesto.

"Ha cominciato a preparare i bagagli, signorino William?", chiese strofinandosi le mani e mettendo i guanti in tasca.

Albert si strinse nelle spalle: "Non ho molto da portare con me. Sai già perché ti ho chiesto di venire, vero?". Lo raggiunse davanti al camino, avendo lui stesso bisogno di scaldarsi un po'.

Georges annuì. "Vuole che vada a prendere la signorina Candy alla Casa di Pony, vero?".

"Sì, per favore. Fallo per prima cosa subito dopo la mia partenza. Ha avuto... un po' di tempo per se stessa e ha passato il Natale con le persone che ama. Ma entro Capodanno vorrei fosse già in viaggio".

"Sarà fatto come desidera. Oh, a proposito, i signorini Cornwell hanno inviato una lettera da consegnarle, ritengo che potrebbe essere utile a convincerla a partire". Cercò nell'altra tasca e gliela mostrò.

Albert la soppesò tra le mani, certo che contenesse parole di conforto e gliela restituì: "Falle capire che è un'opportunità importante per lei. Studiare le darà modo di costruirsi un futuro".

"Naturalmente".

Si voltò, tornando alla scrivania e riflettendo per lunghi istanti. "Forse dovrei andare a trovare la zia, prima di partire".

Georges si tolse il cappotto per metterlo sull'appendiabiti vicino all'entrata e lo raggiunse: "La signora è ancora molto provata e dice di non voler più tornare a Lakewood. Vederla le farà di certo bene. Prima di partire, però, le suggerisco di...".

"...tagliarmi la barba, lo so. Ci avevo già pensato, ma avrei voluto farlo al mio arrivo a Londra. Al momento funziona meglio di qualsiasi sciarpa", scherzò accarezzandola.
"Lo faccia per la signora", ribatté Georges in tono gentile ma con una sfumatura di supplica che non gli sfuggì.

Albert ridacchiò: "Va bene, va bene. Provvederò questa sera, avvisala che domani sarò da lei per il tè".

"Bene. Ha bisogno di altro?".

Scosse la testa: "No, puoi andare nel tuo ufficio a occuparti dei biglietti per la nave. Tu e Candy potete viaggiare in prima classe, ma per me, ti prego...".

"La seconda classe è sufficiente per farla sentire a suo agio?", indovinò subito lui.

In realtà aveva riflettuto a lungo sulla possibilità di chiedere addirittura la terza, ma temeva che la lunga traversata invernale senza il minimo riscaldamento sarebbe stata troppo ardua persino per lui, che dormiva sotto le stelle fino ad autunno inoltrato: voleva arrivare a Londra in salute e senza problemi per poter seguire il progetto che suo padre aveva lasciato in sospeso tanti anni prima.

"Vada per la seconda", acconsentì con un sorriso.

Quella sera, davanti allo specchio con il rasoio in mano e il lavabo pieno di schiuma, Albert osservò il proprio viso sbarbato per metà e si ritrovò quasi a ridere di se stesso: da un lato c'era la vecchia vita da vagabondo, che non era del tutto terminata; dall'altro, quella del pragmatico zio William che avrebbe dovuto presentarsi in società a breve. Era da quando aveva compiuto la maggiore età che si faceva crescere la barba e si sentì quasi nudo e inerme di fronte al mondo.

Mentre apriva il rubinetto scuotendo la testa per quel pensiero assurdo, ripensò alla piccola Candy che stava appena diventando adolescente e già aveva affrontato dure prove nella sua breve esistenza: in qualche modo, avrebbero fatto insieme quel percorso di crescita.

Lei studiando alla Saint Paul School e lui impegnandosi nel proprio lavoro prima di un'ultima, grande fuga. Era strano pensare all'Africa mentre fuori la neve ammantava Chicago, eppure se chiudeva gli occhi poteva quasi avvertirne il calore sulla propria pelle.

Sì, dopo Londra sarebbe andato in quelle terre selvagge a fare il pieno di sole e di libertà prima di rinchiudersi nella sua gabbia dorata di patriarca.

E, chissà, magari Candy avrebbe già deciso cosa fare nella sua vita.

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Capitolo 6
*** Londra ***


Alcuni dialoghi di questa one-shot sono ripresi dal manga. Tuttavia, non ne detengo i diritti e li uso senza scopo di lucro.
 
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Londra

Albert si tolse la giacca logora e si lasciò cadere sul letto senza neanche sfilarsi le scarpe: l'albergo nel quale alloggiava era molto piccolo e senza pretese, però era pulito e fungeva magnificamente da base per il suo duplice lavoro.

Quello allo zoo e quello di uomo d'affari.

Pensando che un giorno si sarebbe sbagliato e avrebbe indossato il completo elegante per andare a curare gli animali suscitando lo stupore generale, aveva preferito lasciare ogni vestigia della vita da signor William nell'ufficio del centro, dividendo letteralmente in due la propria esistenza.

La luna era alta fuori dalla finestra e lui voleva solo dormire dopo la serata intensa che aveva appena vissuto, ma aveva bisogno di una doccia e di abiti puliti. Così, si costrinse ad alzarsi per procedere, andando con la mente alle ore precedenti: come potevano accadere così tante cose in poco tempo?

Lo zoo aveva chiuso alle diciotto come ogni sera e, visto che aveva voglia di camminare, aveva deciso di tornare in albergo a piedi. In uno dei vicoli meno frequentati aveva udito i rumori inequivocabili di una rissa e si era sporto un poco per capire se potesse intervenire in qualche modo.

Quello che aveva visto lo aveva sconvolto: il ragazzo non poteva avere più di quattordici o quindici anni

l'età che aveva Anthony

e veniva tenuto fermo per le braccia da qualcuno molto più robusto di lui, mentre altri due si occupavano di prenderlo a pugni in viso e nello stomaco. Tre contro uno, che vigliacchi!

Aprendo l'acqua e facendola scorrere sulle membra stanche mentre cercava il sapone, Albert si accorse che gli pizzicavano le nocche. Aveva colpito quel tanto che bastava per difendere il poveretto che aveva detto di chiamarsi Terence, però doveva aver picchiato forte.

Accompagnarlo alla Saint Paul School gli aveva evocato ricordi della sua gioventù e lo aveva fatto pensare a Candy, che di certo riposava in una di quelle stanze.

"Sei sicuro di potercela fare da solo? Vuoi che chiami un medico?", aveva domandato al ragazzo, che barcollava evidentemente ubriaco. Non condivideva affatto il suo comportamento, considerando che studiava in una delle scuole più prestigiose di Londra, tuttavia sperava che avesse imparato la lezione.

"No, non voglio che scoprano che sono uscito di nascosto. Ho già il mio bel da fare di giorno con queste gentili... signore". Albert aveva inarcato un sopracciglio, divertito: non sapeva se sentirsi più empatico verso le suore o verso di lui. "Non so come ringraziarti per avermi aiutato, sei un angelo caduto da cielo".

Aveva riso forte: "Oh, no, non sono affatto un angelo: chiamami pure Albert. Lavoro allo zoo Blue River, se vuoi puoi venirmi a trovare un giorno di questi, così ci facciamo due chiacchiere tra uomini".

Il ragazzo aveva sorriso, si era asciugato del sangue secco al lato del labbro ed era sparito dietro il muro di cinta, saltando con un'agilità che non aveva creduto possibile viste le sue condizioni.

Era stato mentre tornava verso il centro e decideva di bere qualcosa in un bar prima di tornare in albergo che il destino ci aveva messo lo zampino.

Si avvolse in un asciugamano, strofinando con vigore i capelli con un altro, e frugò nel piccolo armadio in cerca del pigiama. Una goccia gli scivolò da una delle ciocche e gli cadde su una mano, ricordandogli le lacrime di Candy quando lo aveva rivisto.

Lei era inconfondibile e si era precipitato in strada riconoscendola dai folti capelli biondi legati in due code, credendo di avere le allucinazioni: cosa ci faceva in quel posto, in piena notte?! Aveva appena fatto in tempo a chiamare il suo nome, attirandosi la sua ira.

E il momento in cui si era voltata fino a riconoscerlo, con grande emozione, era rimasto impresso nella propria memoria.

Candy non era solo più alta ed evidentemente cresciuta. Il suo viso mostrava già i tratti che avrebbe assunto da adulta, pur rimanendo giovane, e il suo abbraccio sincero prima che la facesse volteggiare lo aveva riempito di una gioia tanto profonda che pensò di non averla mai provata prima.

Non era stato l'abbraccio dell'amico vagabondo già adulto alla piccola Candy piangente, maltrattata dai Lagan e devastata dalla morte del suo Anthony. Era stato quello di due amici con diversi anni di differenza, ma così simili in quella gioia gloriosa che avrebbero potuto passare quasi per coetanei.

"Cosa c'è di sbagliato, in me?", si domandò mentre tirava fuori il pigiama e si apprestava a indossarlo.

"Lasciati guardare, sei diventata bellissima!".

"Anche lei signor Albert!".

"Bello io? Grazie del complimento!".

Albert si lasciò cadere sul letto con un sospiro, il braccio destro ripiegato sugli occhi chiusi. E, dietro alle palpebre, il viso sorridente punteggiato di lentiggini lo guardava piantandogli nei propri due occhi di un verde brillante dove sembravano riflettersi le stelle.

Ora capiva il vecchio detto che affermava che gli occhi sono lo specchio dell'anima. Quella di Candy era pura, semplice, sensibile eppure forte. Era una bambina divenuta donna sotto ai colpi implacabili della vita che ancora aveva molta strada da fare.

E su quella strada, lui sperava di poterla incontrare sempre.

Si tolse il braccio dal viso, spalancò gli occhi nella semioscurità e rise di se stesso. Oh, no, non era certo come pensava, vero? Non si stava davvero infatuando

innamorando

di un'adolescente che tra l'altro aveva fatto adottare dalla sua famiglia e di cui era tutore legale! Era tutta un'illusione nella testa e nel cuore, esacerbata dalla solitudine. Forse avrebbe dovuto innamorarsi seriamente di una donna della propria età: peccato che, con la vita che stava facendo, era pressoché impossibile. Nella migliore delle ipotesi, ci avrebbe pensato la zia Elroy a presentargli delle signorine in età da marito quando si fosse infine mostrato alla famiglia.

Albert rabbrividì all'idea.

Non c'è paragone, non ci sarà mai paragone. Perché io sono molto più simile a Candy che non alle esponenti dell'alta società.

"Ah, accidenti!", esclamò mettendosi a sedere di scatto. Lo aveva fatto di nuovo, aveva pensato a Candy in maniera sbagliata! Candy non sarebbe mai potuta diventare la sua fidanzata per più di un motivo e lui cominciò a sentirsi davvero a disagio, soprattutto per la differenza di età.

Torna in te, Albert! Non essere immorale!

Ma, immorale o no, mentre tentava di prendere sonno sdraiandosi ancora e girandosi su un fianco, il volto più maturo e sorridente di Candy lo accompagnò fin nei propri sogni.
 

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Capitolo 7
*** Archie e Stair: la pioggia ***


Questo breve missing moment è ispirato all'episodio del manga nel quale Archie sta per confessare i suoi sentimenti a Candy e Annie li ascolta e fugge via. Mentre la cercano, comincia a piovere e Stair dice ad Archie che l'acqua laverà via la loro pena, ovvero il loro amore segreto per Candy. Grazie a Sonietta74 per avermi ispirata a scriverla e, ovviamente, per la betalettura di tutte queste one-shot!
 
- § -
 
Archie e Stair: la pioggia

Archie si tamponò i capelli con un asciugamano grande, rabbrividendo nonostante il bagno caldo: "Ti conviene farne uno anche tu se non vuoi ammalarti", disse rivolto a Stair, seduto sull'ampio davanzale della finestra con i vestiti asciutti e il proprio asciugamano avvolto sul capo come un turbante.

"Sto bene così, grazie", ribatté con un sospiro e un lieve sorriso.

Archie aggrottò le sopracciglia, perplesso: "C'è qualcosa che non va, forse?". Doveva essere lui quello provato, perché a quanto pareva la pioggia aveva lavato via solo in parte i propri ricordi. Annie era il suo presente, ma avvertiva il passato giusto a un passo dietro di sé. E gli riportava il dolce respiro di Candy.

"Mi ha detto che sto meglio senza occhiali. E me l'ha fatto sapere solo oggi".

Sulle prime, Archie non capì, tuttavia realizzò nel giro di pochi istanti che parlava proprio di lei. Fece un sospiro, gettando l'asciugamano sul letto e avvicinandosi al camino per aggiungere legna: "Quindi hai fatto la predica a me e poi sei tu il primo a fare dei passi indietro, fratello?".

"Io non faccio mai passi indietro". Il tono era altezzoso e con quella sorta di turbante storto mentre lo guardava l'effetto era esilarante. Senza poterselo impedire, cominciò a sussultare per le risate represse. Possibile che, tutto sommato, la pioggia avesse in parte funzionato? O era solo la sensazione di condividere lo stesso segreto con Stair? "Vorrei tanto sapere che hai da ridere", s'imbronciò lui togliendosi gli occhiali e pulendoli.

"Sei molto divertente vestito da arabo", ribatté alzandosi in piedi.

"Oh...". Con un gesto distratto si tolse l'asciugamano dal capo e gli occhiali caddero per terra. Si chinarono nello stesso istante per raccoglierli e le loro teste sbatterono una contro l'altra. Fu Stair a ridacchiare, mentre se li rimetteva: "Mi è accaduto qualcosa di simile con Patty, alla festa".

Archie gli sorrise, mettendosi le mani in tasca: "Siete molto affiatati, nonostante tutto, no?".

"Beh, anche tu e Annie lo siete, sei tornato così fradicio che hai creato una pozzanghera nella stanza. Lei ti ha abbracciato e tu non ti sei tirato indietro, vero?".

Sbatté le palpebre, perplesso: "E tu come lo sai?".

"Quindi è vero?", ripeté con un sorrisetto malizioso.

"Anche tu eri fradicio e il motivo è molto semplice: eravamo tutti sotto l'acquazzone senza ombrello! Non credo che Candy ti abbia...".

"No, non l'ha fatto", negò subito con una punta di quella che gli parve per metà rabbia e per metà delusione. Archie riprese a respirare normalmente. "Mi ha solo detto che senza occhiali..". Non terminò e si accucciò davanti al camino, rabbrividendo leggermente.

Archie lo emulò: "Sai una cosa, fratello? Avevi ragione. Lei ci vede come cari amici, dobbiamo accontentarci di guardarla da lontano. Non sarà il nostro estremo fascino a farla capitolare".

Stair si voltò per fissarlo con un sopracciglio inarcato: "Estremo fascino?".

"Certo, quello che rende me irresistibile agli occhi di Annie e te... immagino a quelli di Patty", rispose riavviandosi i capelli umidi.

"Tu sei proprio matto", rise Stair scuotendo il capo e allungandogli un pugno scherzoso sul braccio.

"E tu hai ancora i capelli bagnati. Magari quando si asciugano il tuo incantesimo comincerà a funzionare".

"Magari sì".

Restarono davanti al camino in silenzio finché il temporale non si placò e l'umidità divenne solo un ricordo. E in lui cambiò davvero qualcosa: decise che sarebbe stato sciocco continuare a illudersi e che, alla fine, restare accanto ad Annie gli avrebbe donato quella serenità di cui aveva bisogno.

"Guarda, l'arcobaleno! Questo mi dà l'idea per una nuova, coloratissima invenzione!", dichiarò Stair davanti alla finestra, battendo un pugno sul palmo della mano.

"Le vedo, le tue catastrofiche rotelle che girano per concepire l'ennesimo disastro".

Lui si voltò, oltraggiato, con le mani sui fianchi: "Hai osato inserire le parole 'catastrofiche' e 'disastro' nella stessa frase parlando delle mie invenzioni?".

E rise, Archie. Rise e lo prese ancora un po' in giro. Perché quello era il loro modo di non pensare a un amore impossibile ed era anche il loro modo di rafforzare un legame fraterno così speciale che non si sarebbe disciolto neanche con un milione di piogge.

Si sporse per guardare l'arcobaleno con Stair, mentre lui ciarlava di un multi-pennello automatico che avrebbe creato dipinti bellissimi in pochi minuti e che invece, secondo lui, avrebbe solo pasticciato dei quadri astratti degni di nota.

Sì, la pioggia aveva lavato via almeno l'amarezza.

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Capitolo 8
*** Albert scopre che Candy è scappata da Londra ***


Albert scopre che Candy è scappata da Londra
 
Autunno

Le sponde del lago Turkana erano immerse nella luce arancione del tramonto e Albert si sentì, come ogni sera, quasi il padrone del mondo. Era maestosa quella terra. Selvaggia e incontaminata, rappresentava quasi uno scorcio della sua stessa anima.

Come vorrei restare qui per sempre...

Si trattava di un pensiero che gli attraversava spesso la mente, anche in quel momento, mentre sedeva sull'erba secca e ammirava i raggi sfiorare e incendiare la superficie delle acque. La gestione degli animali e i compiti che svolgeva al villaggio erano profondamente diversi da quello che faceva al Blue River, soprattutto considerando che aveva imparato anche ad avere a che fare con gli esseri umani. Ora sapeva ascoltare il battito del cuore di un bambino piccolo tanto quanto sapeva controllare lo stato di salute di un elefantino appena nato. Ovviamente si trattava di rudimenti che gli erano utili per allertare veterinari e medici professionisti, ma che gli consentivano di verificare che tutto fosse nella norma.

Albert fece un respiro profondo, riempiendosi i polmoni dell'aria umida e salmastra: avrebbe desiderato studiare veterinaria o medicina e rendersi più utile per il prossimo. Tuttavia, sapeva bene che anche ricoprire il ruolo meno entusiasmante di patriarca controllando azioni e freddi numeri poteva dare delle soddisfazioni ed essere d'aiuto a tante famiglie. Non che fosse la stessa cosa, certo...

Non respirerò mai la stessa libertà, lo stesso senso di utilità...

Chiuse gli occhi e non li riaprì nemmeno quando sentì dei passi dietro di sé: poteva essere Meredith, l'infermiera che gli ricordava tanto Candy, oppure uno dei suoi colleghi dell'ospedale che aveva bisogno di aiuto, così li riaprì e si volse.

Fu stupito di vedere, invece, il capo villaggio con una lettera in mano. Possibile che Georges avesse qualcosa di urgente da comunicargli? Da quando era arrivato aveva ricevuto solo una missiva nella quale lo erudiva sui numerosi mal di testa della zia Elroy e altre questioni meramente legate agli affari.

"È arrivata in città con la posta di stamattina, ma l'abbiamo ricevuta solo adesso", spiegò l'uomo nel suo inglese un po' stentato.

Albert confezionò il suo sorriso più sincero, considerato che una punta di preoccupazione gli stava crescendo nel petto, e ringraziò nella lingua locale tentando di emularne al meglio la pronuncia: "Asante!".

L'uomo annuì, allontanandosi con discrezione, e lui si ritrovò a fissare la busta che riportava molteplici timbri e francobolli, ma la grafia inconfondibile di Georges. La aprì, tirò fuori il foglio e scattò in piedi alle prime righe.

Con gli occhi fuori dalle orbite, rilesse una seconda e persino una terza volta, camminando sulla riva del lago senza curarsi del rischio di finirci dentro, vista la concentrazione con cui si imprimeva a fuoco ogni singola parola.

La signorina Candice ha lasciato la scuola e ne ho perse le tracce. La direttrice suor Gray mi ha comunicato che si è verificato uno sgradevole equivoco quando è stata vista nelle stalle con il signorino Granchester in piena notte. L'intenzione della direttrice era quella di espellerla dalla scuola, ma Terence Granchester si è assunto la colpa dell'accaduto e ha deciso di abbandonare gli studi: pare che la notte dopo questa notizia, la signorina sia fuggita. Mi consenta di puntualizzare che suor Gray ha accennato a una presunta lettera scritta da terzi che avrebbe incastrato i due giovani, purtroppo non ne so molto di più. La direttrice mi ha fatto avere anche il diario che la signorina Candice ha lasciato al prozio William, lo conservo per lei sottochiave nell'ufficio di Chicago. Assieme al diario c'è un breve messaggio nel quale ringrazia di cuore la famiglia Ardlay per averla adottata, tuttavia fa sapere che vorrebbe trovare la sua strada da sola. Sappia che mi sono mosso fin da subito per avere sue notizie e le prometto che le scriverò di nuovo non appena ci saranno novità.

Georges Villers

"Santa pazienza, Candy!", proruppe con un sospiro spazientito, quasi lei fosse lì davanti a sé. Abbassò la mano nella quale stringeva la lettera e si passò l'altra tra i capelli, che si stavano schiarendo in maniera impressionante e sembravano quasi gli stessi di quando era bambino.

È stata vista nelle stalle con il signorino Granchester in piena notte...

Preferiva non soffermarsi su quella parte

ma Terence Granchester si è assunto la colpa dell'accaduto

oppure avrebbe attraversato l'oceano a nuoto per affrontare quello che gli era sempre sembrato un ragazzo scapestrato ma in fondo nobile di cuore, domandandogli cosa diavolo gli passasse per la mente.

Una presunta lettera scritta da terzi che avrebbe incastrato i due giovani...

Assieme alla certezza che, in fondo, non fosse accaduto nulla di scandaloso, prendeva forma anche il sospetto di chi avesse scritto quelle righe. Peccato che non potesse farci niente e che ormai la frittata fosse fatta.

Pare che la notte dopo questa notizia, la signorina sia fuggita.

Passeggiò per un po' avanti e indietro, riflettendo. Doveva aspettarselo da una come lei, pronta a scappare persino da una punizione per partecipare alla festa di maggio: anzi, era stato proprio lui a suggerirglielo con i vestiti che le aveva mandato! Per non parlare delle volte in cui lo aveva fatto per andarlo a trovare allo zoo insieme a Terence e ai suoi nipoti...

Tuttavia, mentre tentava di calmarsi fissando un punto lontano della savana, Albert dovette ammettere che non credeva si sarebbe spinta così in là dopo meno di un anno di scuola. Con amarezza, si rese conto che quella che credeva una decisione adatta a lei si era rivelata quanto mai sbagliata: aveva cercato di mettere in gabbia una gazzella e non appena ne aveva avuto l'occasione lei era scappata.

Sperava solo che non ci fossero leoni affamati nelle vicinanze e che la sua... protetta

la mia Candy

fosse sana e salva, ovunque fosse fuggita.

"Cosa devo fare, adesso?", chiese al sole che si tuffava nel lago, schermandosi con il dorso della mano. Una parte di sé voleva partire subito, l'altra stava lavorando a pieno regime per capire dove se ne fosse andata Candy.

A cercare Terence. Alla Casa di Pony. Negli Stati Uniti. Le cose potevano coincidere oppure no: se fosse andata alla ricerca del ragazzo a cui teneva doveva per forza sapere dove vivesse. Le origini erano inglesi, quindi poteva darsi che non fosse andata tanto lontano. Ma se davvero voleva trovare la famosa strada senza aiuti... allora significava che gli somigliava più di quanto non avesse mai immaginato.

Quel pensiero ebbe il magico potere di calmarlo e di farlo pensare più lucidamente. Sedette di nuovo, incrociando le gambe e ripiegando la lettera: anche lui se n'era andato di casa da giovanissimo, ma era comunque maggiorenne e aveva terminato gli studi. Inoltre, alle spalle c'era sempre il contatto con la propria famiglia. Persino in quel momento, in cui si trovava all'altro lato del mondo, Georges sapeva come comunicare con lui.

Candy aveva solo quattordici anni e, nonostante il nome che si era premurato di darle per proteggerla e accudirla, nessuno sapeva dove fosse.

Albert si coprì il viso con le mani, sopraffatto: certo, era una ragazza in gamba e né i muri, né le strade deserte di Londra, tantomeno una soffitta l'avevano mai fermata. Ma era pur sempre un'adolescente esposta a pericoli di ogni genere. Con un brivido, ripensò all'uomo che la stava conducendo al confine con il Messico per volere dei Lagan e dal quale Georges l'aveva in pratica strappata via.

Si alzò in piedi bruscamente, tornando a grandi passi nella sua capanna per scrivere una lettera di risposta, indicando al suo braccio destro le mete che aveva in mente e dove poteva cercare Candy. Dedicò saluti quanto mai affettati e frettolosi ai suoi colleghi e si mise subito alla scrivania rudimentale che aveva realizzato con le proprie mani.

Eppure, mentre finiva di scrivere, si rese conto che la mente di Georges avrebbe dovuto essere molto più veloce dei servizi postali e dell'inverno che sarebbe arrivato entro poco più di due mesi. Non dubitava che lui fosse in grado di arrivare da solo a quelle conclusioni e di nuovo pensò che forse era il caso di partire subito.

E se invece, in quelle settimane, mentre la lettera era ancora in viaggio l'avesse già ritrovata? Oppure fosse in procinto di farlo? Avrebbe dovuto lasciare tutto quello che stava costruendo con quelle persone sapendo che non avrebbe potuto fare molto, una volta rientrato?

Per la prima volta in vita sua, Albert si ritrovò nell'impasse di non sapere cosa fare di preciso. Candy era una sua responsabilità e teneva a lei, tuttavia decise di dare fiducia sia a Candy che alle capacità di Georges, così imbustò la lettera per spedirla e si diede una scadenza.

Avrebbe atteso un mese, massimo un mese e mezzo, e poi avrebbe deciso se ripartire.
 
- § -
 
Primavera

Albert immerse le mani nell'acqua e se la portò al viso: la sensazione di fresco fu impagabile e rise quando vide i bambini giocare sulle sponde schizzandosi a vicenda.
Uno dei più grandi gli si avvicinò e ingaggiò con lui una sorta di piccola lotta, cui rispose regredendo a sua volta all'età di dieci anni. Da ragazzino non poteva giocare con nessuno e quel periodo in Africa a volte gli pareva una sorta di riscatto dal passato.

Certo, non erano mancati i momenti difficili, perché la vita in quei luoghi era dura e spietata e non sempre si potevano salvare uomini e animali feriti. Tuttavia, avrebbe ricordato finché fosse vissuto il viaggio sino in Egitto in groppa a un cammello, quando si era ritrovato di fronte alla maestosità delle Piramidi, o il sorriso di Meredith quando avevano fatto nascere insieme un neonato che sembrava destinato a non farcela.

Quel giorno, la giovane infermiera aveva pianto, abbandonando per un istante la sua professionalità e lui, commosso a propria volta, l'aveva accolta fra le proprie braccia come avrebbe fatto con Candy.

Che le somigliava tantissimo.

E che, per fortuna, aveva inviato allo zio William e al suo amico Albert alcune lettere nelle quali parlava del suo ritorno in America, anche se per sommi capi.

Alzando le mani per chiedere una tregua al bambino ridente che sembrava voler riversare solo su quello strano uomo bianco l'intero contenuto del lago, Albert ricordò quanto si fosse sentito sollevato quando, a meno di due mesi dalla comunicazione della fuga, aveva potuto appurare che Candy stava tornando alla Casa di Pony.

Quel giorno mi è sembrato che un macigno mi fosse stato tolto dalle spalle.

Quando tornò al campo base, vestiti e abiti erano già praticamente asciutti e, anzi, Albert cominciò ad avvertire il caldo anche più di prima. Entrò nella propria capanna per verificare le provviste per il pranzo e vide che qualcuno gli aveva lasciato una busta sul tavolo.

Sedette riavviandosi una ciocca dalla fronte e vide che era di Georges.

Signor William, spero stia bene.
Le scrivo perché ho ricevuto una richiesta molto particolare dalla signorina Candice: pare che abbia deciso di studiare per diventare un'infermiera.

Albert spalancò le palpebre, stupito. Solo alcuni mesi prima le aveva scritto dicendole che lì con lui c'era un'infermiera americana di quasi vent'anni che le somigliava... e ora Candy voleva intraprendere proprio quella carriera? Di certo si trattava di una mera coincidenza, era sicuro che ci fossero stati ben altri motivi per convincerla a prendere una decisione simile.

Tuttavia, non poté impedirsi di sorridere immaginandola con la divisa, intenta a praticare fasciature o a fare iniezioni. Con un sospiro, procedette con la lettura.

Chiede pertanto al prozio William se può avere il permesso di recarsi presso l'Istituto Mary Jane di Chicago dove la direttrice, una vecchia amica di Miss Pony, le consentirà di formarsi per poter poi conseguire il diploma.

Posò la lettera aperta sulla scrivania e si alzò, guardando fuori dalla piccola finestra, preda di sentimenti contrastanti fra loro. Era fiero di Candy e da un certo punto di vista la invidiava persino: lei poteva scegliere davvero cosa fare della propria vita, perché non aveva vincoli ed era libera come il vento.

E l'ammirava, l'ammirava perché in un mondo ideale e privo di pregiudizi, lei sarebbe stata la sua metà perfetta. Il completamento della propria anima.

Albert serrò le palpebre, quasi potesse in quel modo tenere lontano da sé un sentimento che, invece di regredire, stava esplodendo in tutta la sua forza proprio in quel momento, confermando che ci aveva visto giusto.

Candy era speciale. La sua vita così difficile fin da piccola l'aveva forgiata e ne aveva fatto una donna indipendente che sapeva quello che voleva e non esitava a conquistarlo.

È per questo che io... che io...

Si volse di scatto, chiudendo forte i pugni, cercando di concentrarsi sulla risposta da scrivere e non sul proprio cuore che sembrava voler uscire dal petto attraversando le costole.

Scrisse a Georges di comunicare a Candy che approvava la sua decisione, nonché di fargli avere sue notizie non appena si fosse diplomata. Aggiunse anche di non preoccuparsi, perché lui stava bene e stava seguendo i progetti che si era prefissato.

Fu mentre la imbustava che capì che doveva fare qualcosa anche lui, prendendo esempio da quella piccola, ammirevole donna. Doveva sciogliere quel legame, spostarsi troncando ogni rapporto con la sua famiglia, per un po'. Voleva mettersi in gioco seriamente e non con il paracadute allacciato.

Candy, infermiera a Chicago. Io, libero qui in Africa.

Voleva crederci davvero, Albert, e gettarsi nel futuro a mani basse. Sarebbe stato anche un modo per sentirsi più vicino a lei.

Forte di quella decisione, Albert uscì di nuovo nel sole e decise che la nuova tappa della sua vita sarebbe iniziata di lì a pochi giorni. Se la sarebbe cavata, dimostrando a se stesso che poteva farcela.

Non c'era nulla che potesse andare storto.

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Capitolo 9
*** Candy parte per New York ***


Chi desiderasse leggere la mia interpretazione dello spazio temporale tra il capitolo precedente e questo, ovvero il viaggio di ritorno di Albert, se non l'ha ancora fatto può vedere la mia mini-fic in 3 parti "Ritorno" che si trova qui: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3993263&i=1
Attenzione, però, mentre nei Missing Moments cerco di rimanere estremamente fedele ai personaggi e alla storia di Nagita, qui mi sono concessa qualche piccola libertà della mia immaginazione su Albert e se la leggerete capirete a cosa mi riferisco.
Se l'avete già letta o non vi interessa, beh... buon proseguimento con il prossimo missing moment!


Candy parte per New York

Candy si allontana quasi saltellando di gioia sulla neve fresca. Il suo cappotto rosso ondeggia a ogni movimento ed è un miracolo che il cappellino non le scivoli via.

Albert stava lavando lo stesso piatto da quasi cinque minuti e, per fortuna, se ne accorse prima che lo facesse qualcun altro, domandandogli cosa diavolo gli prendesse.

Già, cosa mi prende?

Ripose il piatto in cima a una pila ordinata che cominciò ad asciugare con gesti meccanici, la mente che volava di nuovo lontano, suo malgrado.

A quest'ora è sul treno a guardare fuori dal finestrino il paesaggio che scorre via, contando le ore e i minuti. E ogni attimo che passa si allontana più da me.

Per poco la stoviglia non gli cadde di mano e fu lesto a riafferrarla. Fece un respiro profondo e s'impose di concentrarsi prima di combinare qualche guaio irreparabile, anche se dubitava ci fosse qualcosa di più irreparabile di ciò che gli stava accadendo.

Mi sto... innamorando di Candy.

Si bloccò, risucchiando aria tra i denti e stringendo forte lo straccio e l'ennesimo piatto, rischiando di romperlo con la forza che vi aveva impresso. Come era arrivato dal desiderare un futuro sereno accanto a lei, a costo di non recuperare mai la memoria, a portare a livello cosciente qualcosa di così grande?

No, non andava affatto bene!

Candy era la sua infermiera, aveva di certo parecchi anni meno di lui e, soprattutto, il suo cuore apparteneva a Terence.

Con un sospiro profondo, Albert tentò di chiudere a chiave il proprio cuore e i propri pensieri, terminando di lavorare. Concentrandosi sul colore immacolato dei piatti, sulla schiuma che aveva creato nel lavabo e persino sui fili di stoffa che spuntavano dal panno un po' consunto col quale li stava asciugando. Tutto, pur di non formulare più un concetto simile.

Il peggio arrivò quando dovette salutare i suoi colleghi e rimandarli al giorno dopo; quando dovette fare la strada del ritorno sapendo che non si sarebbe dovuto fermare sotto a un lampione in attesa che Candy tornasse dall'ospedale; quando dovette rientrare in una casa vuota. E quando dovette preparare una cena solitaria.

Albert! Che profumino, sei proprio bravo a cucinare!

Quella sera si era limitato a una zuppa di verdure molto semplice e a un pezzo di pane raffermo, trattenendosi a stento dall'apparecchiare per due.

Da quando era uscito dall'ospedale, Candy era stata la sua costante e persino quando lavorava di notte Albert cucinava per due lasciandole in caldo la colazione per il giorno dopo. Gli unici momenti solitari di cui aveva memoria erano stati solo quelli successivi all'incidente: già in ospedale la presenza di quella giovane infermiera aveva reso più sopportabile la ripresa fisica e soprattutto morale.

Eppure aveva cercato di andarsene per non esserle di peso, ma lei non glielo aveva permesso.

Ora gli era diventata più necessaria dell'aria stessa.

Posò sul tavolo l'ultimo pezzo di pane, riflettendo confusamente che il giorno dopo sarebbe stato immangiabile. Ed era un peccato sprecare il cibo. Così, si risolse a terminare la sua cena solitaria, sparecchiando e lavando il proprio piatto prima di andare a dormire.

Albert entrò nella stanza e si fermò a guardare il letto superiore, ben rifatto, ma con il cuscino un po' storto sotto le coperte.

"Sei sempre la solita sbadata, vero, Candy?", mormorò con un sorriso, sistemandolo e inalando il profumo di lei che emanava. Rose, vaniglia e un leggero sentore di disinfettante.

Un brivido gli corse lungo la schiena e si domandò se fosse in dirittura d'arrivo o se avesse già riabbracciato il suo Terence. L'unico che avesse il diritto di inebriarsi del suo aroma, di guardarla con occhi innamorati, di... baciarla.

Scuotendo la testa e rimproverandosi con un grugnito di disappunto, Albert si infilò sotto le coperte, non prima di aver regolato la sveglia per il giorno dopo.

Potrebbe non tornare più, anche se ha promesso che lo avrebbe fatto.

Era sicuro che Patty, Annie e gli altri sarebbero andati a trovarlo presto e non aveva certo intenzione di farsi trovare pensieroso o persino depresso! Avrebbe offerto loro un tè e dei dolci per ricambiare la gentilezza e si sarebbe comportato come al solito.

Niente sarà più lo stesso.

Strinse forte gli occhi, imponendosi di dormire, tentando di far cadere su di sé un sonno benefico e ristoratore che non arrivò. Le immagini di Candy sorridente che lo salutava, lo abbracciava e cercava di cucinare senza successo gli invasero i pensieri quasi fino all'alba, quando crollò sussurrando: "Buona fortuna, piccola Candy".

D'altronde, nulla era più importante della sua felicità, anche se per lui avrebbe rappresentato un addio.

 

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Capitolo 10
*** Albert si taglia i capelli ***


Albert si taglia i capelli

Albert spazzava energicamente il pavimento, con un senso di frustrazione che andava via via aumentando a ogni colpo di scopa. Smise per un attimo e volse lo sguardo verso il tavolo vuoto, le sedie giacevano solitarie, quasi desiderassero esse stesse un occupante. Con decisione, lasciò la propria un po' scostata e avvicinò il più possibile l'altra al bordo. Sarebbe rimasta così per un bel po'.

Appoggiato alla scopa, guardò la finestra. Quella stessa finestra dalla quale l'aveva vista andare via pochi giorni prima e da cui si affacciava solo la mattina per aprirla e la sera per richiuderla, quasi temesse di rivedere il film di Candy che si allontanava ripetuto all'infinito.

Chiuse gli occhi e riprese a pulire il pavimento: i suoi turni di lavoro erano lunghi e in casa non c'era mai nessuno, quindi l'appartamento brillava. Niente vestiti gettati alla rinfusa in camera o padelle sporche nel lavabo, né tazze di caffè abbandonate sulla mensola del camino.

Era tutto pulito, sì, ma mancava davvero un'anima.

Albert si diede dello sciocco e si riavviò i capelli: continuavano ad andargli davanti al viso quando si chinava e si rese conto che doveva trovare una soluzione. Senza pensarci troppo, si recò in camera e titubò davanti al comodino di Candy per qualche istante: voleva prendere in prestito uno dei suoi nastri o solo tenerlo tra le dita per qualche istante per sentirla vicina? E anche ammesso che lo avesse usato, davvero si sarebbe presentato al ristorante con una coda stretta in un fiocco colorato?

Quell'idea lo fece ridere di cuore e desistere dal suo intento. Richiuse la porta e decise che era ora di darci un taglio. In tutti i sensi. Visto che era il suo giorno libero, mise il cappotto e la sciarpa e si avviò verso la bottega del barbiere che aveva visto all'angolo della strada, a un paio d'isolati dal ristorante.

"Vuole un taglio classico o alla moda?", gli chiese l'uomo alle proprie spalle, mentre lui si guardava con occhio critico allo specchio.

"Eh? Oh, non lo so, l'importante è che siano corti", rispose con un'alzata di spalle.

Mentre il barbiere sforbiciava facendolo sentire più leggero, nel cuore si depositava invece un senso di pesante ineluttabilità. Sì, Candy gli mancava. L'infermiera che aveva dovuto rincorrerlo e convincerlo a restare se n'era andata dal suo fidanzato e lui sperava davvero che in quel momento, mentre le ciocche bionde dei suoi lunghi capelli cadevano a terra, fosse felice.

Peccato che la felicità di Candy, che desiderava con tanta sincerità, lo rendesse così malinconico.

"Fatto".

Albert spalancò gli occhi, catapultato fuori dai suoi pensieri, e si ritrovò a fissare un ragazzo che pareva persino più giovane del magro smemorato che aveva visto riflesso sui vetri di una finestra d'ospedale. Si chiese se nella sua vita precedente avesse mai portato i capelli così e si ripromise di chiederlo a Candy quando fosse tornata.

Se tornerà... Oh, Candy...

"Signore?".

"Scusi... diceva?".

"Le chiedevo se le piace o se preferisce che li tagli più corti".

Albert scosse la testa: "No, così può bastare, grazie".

Pagò e uscì, avvolgendo meglio la sciarpa intorno al collo perché senza i capelli aveva freddo. Era strano sentirsi così scoperto.

Potrei dire lo stesso del mio cuore. Devo seppellire questo sentimento dentro di me, ricoprendolo come il manto bianco della neve ha fatto con le strade e gli alberi.

Sì, si disse, il taglio di capelli avrebbe coinciso con il ritorno alla ragione e l'obiettivo di recuperare al più presto la memoria. Per quel che ne sapeva, anche se era un vagabondo poteva esserci qualcuno, là fuori, intento a cercarlo disperatamente.

Ed era ora di recuperare il passato e fuggire da un futuro impossibile.

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Capitolo 11
*** Di aquiloni e profumi ***


Nota dell'autrice: Questa OS mi è stata ispirata dalla tavola del manga nella quale si vede Candy fare il bucato e Albert dietro di lei che le mostra perplesso una maglietta con un aquilone attaccato sopra...

Di aquiloni e profumi.

Candy rigirò fra le mani la maglietta ormai asciutta, pronta a rammendarla per l'ennesima volta: avrebbe voluto comprargliene una nuova, ma non aveva ancora abbastanza soldi da parte per fare un regalo ad Albert. Forse, però, ci sarebbe riuscita con la paga del mese successivo, magari facendo qualche guardia notturna in più...

Con questi pensieri in testa, accarezzò il tessuto grezzo ricordando ancora la sensazione che le aveva trasmesso quando lo aveva toccato prima di lavarlo. Laddove adesso il profumo del sapone con cui l'aveva strofinato le arrivava delicato alle narici, allora aveva colto l'aroma di Albert.

Quell'aroma così maschile, diverso da qualunque altro le fosse mai capitato di sentire.

Aprì l'armadio, si chinò e aprì un cassetto da cui trasse il cestino del cucito: scelse un ritaglio di stoffa che fosse uguale al precedente applicato nella parte inferiore qualche tempo prima e verificò la misura poggiandolo all'altezza della manica destra. Doveva ritagliarlo un pochino perché la zona da coprire era più piccola e rifletté che quella strana maglietta bicolore non poteva più andare bene per lavorare.

Certo, Albert prestava servizio nelle cucine di un ristorante, non a contatto con il pubblico, ma per un attimo si sentì come una mogliettina che mandi il proprio marito in ufficio con le toppe di colore diverso dal resto degli abiti.

A quel pensiero, il volto le si scaldò come se avesse la febbre.

E, di nuovo, il ricordo del profumo di quella maglietta prima ancora che fosse lavata le inondò i sensi come se lo stesse annusando in quel preciso momento.

Terence aveva un sentore di fumo di sigaretta sempre presente: nonostante l'armonica che gli aveva regalato, anche l'ultima volta che lo aveva visto era certa che non avesse smesso del tutto.

Albert lasciava dietro di sé una scia che era un miscuglio della sua lozione alla menta, delle arance che amava mangiare e di legna.

Ed era inebriante.

Quella mattina, prima di riuscire a immergere la maglietta nel lavabo dove stava facendo il bucato, non aveva resistito all'impulso di portarsela al naso con entrambe le mani, aspirandone l'odore.

Si vergognava ancora adesso di aver fatto un gesto tanto intimo e forse ne aveva avuto il coraggio solo perché sapeva che Albert non era in casa: se l'avesse trovata per sbaglio in quell'atteggiamento, si sarebbe sotterrata all'istante.

Il profumo degli aromi della cucina... le spezie... le arance che tanto adora, un pizzico di lozione dal tono pungente... e leggero, molto leggero e affatto sgradevole, un velo di sudore per la fatica cui ogni giorno è sottoposto. Un lieve afrore che apre tutti i miei sensi...

Il profumo della sua pelle.

Esattamente come aveva fatto quel giorno, Candy allontanò da sé la maglietta come se scottasse, come se davvero stesse abbracciando il corpo di Albert senza quel capo. Era come se avesse appena invaso la sua sfera privata solo per averne ricercato il profumo.

Si diede un piccolo pugno in testa, cercando di riportare sotto controllo il battito accelerato del cuore e il respiro tremolante, chiedendosi perché reagisse in quella maniera.
Era cresciuta alla Casa di Pony, dove aveva avuto a che fare con il bucato di tutti i bambini, femmine e maschi che fossero. Le era capitato di cavalcare e stare a stretto contatto, anche se per pochi istanti, sia con Anthony che con Terence. Era stata persino vicina a Stair, quando le aveva dato un passaggio su quella sua macchina scassata: aveva avuto così paura, quando avevano cominciato a perdere i pezzi, che gli si era aggrappata come una bambina spaventata.

Ma mai, mai si era sentita così attratta da un profumo come stava avvenendo con Albert.

Albert, che viveva con lei e tante volte l'aveva accolta fra le braccia, immergendola in quell'odore confortante; Albert, che a differenza di tutti gli uomini che aveva conosciuto era di certo più adulto; Albert, con il quale aveva stabilito che almeno il bucato lo avrebbe fatto lei, visto che cucinare e pulire la casa era quasi del tutto suo onere.

Candy si era accorta che, senza mai dire nulla, aveva però sempre provveduto personalmente alla propria biancheria e gliene era stata segretamente grata: credeva anche altrimenti sarebbe morta di vergogna, lei, un'infermiera. Si era riproposta di assumersi quella piccola responsabilità domestica proprio per evitare che i propri abiti, più o meno intimi, finissero tra le mani del suo più caro amico, ma non aveva riflettuto sul contrario.

Era stato in quel momento, in quella discreta suddivisione che lui aveva predisposto, che si era resa conto, in maniera più importante, che erano comunque un uomo e una donna che vivevano sotto lo stesso tetto pur non essendo sposati. Anzi, un uomo e una ragazza.

E lei era stata così ardita da annusare la sua maglietta non ancora lavata!

Preparandosi a prendere ago e filo con mani tremanti, Candy benedì per la prima volta il fatto che, seppure ne soffrisse ancora, fosse separata da Terence. Pensava che non avrebbe più potuto guardarlo in faccia, altrimenti.

A malapena sono stata in grado di farlo con Albert, quella sera, dopo aver steso i panni.

Mentre infilava il filo nell'ago al terzo tentativo, si sorprese persino a riflettere che si sarebbe ritrovata a fare il paragone tra il profumo netto di Terence e quello più variegato di Albert.

Un uomo con il vizio delle sigarette che fa l'attore e non è immerso nei fumi di una cucina e un altro che lavora duramente.

Era sconvolta da quei pensieri che si stavano facendo strada nella sua testa e si sedette sul letto quasi schiacciando il piccolo aquilone che avevano comprato qualche giorno prima. Lo prese tra le mani sorridendo, mettendo per un attimo da parte l'ago con il filo e la maglietta di Albert.

Era stato il giorno della fiera: avevano mangiato lo zucchero filato, le mele caramellate e si erano divertiti come ragazzini tra le bancarelle. Una di queste vendeva aquiloni e lei aveva sgranato gli occhi: ricordava di averne avuto uno da bambina, che aveva fatto volare alla Casa di Pony, e le sarebbe tanto piaciuto poterne far volare un altro ora

con Albert

anche se si trovava in città. Magari al parco, in un giorno ventoso.

Lui doveva aver visto la sua espressione, perché aveva tirato fuori il portafogli dalla tasca e si era quasi sentita in colpa: "No, aspetta! Fammi vedere se ho un po' di soldi io!".
Si erano messi a contare i cents ed erano riusciti a prenderne uno molto piccolo unendo i loro risparmi.

Candy rifletté che non avrebbe certo comprato una maglietta nuova per lui, con quei pochi spiccioli, ma ora aveva tra le mani un oggetto che era per metà suo e per metà di Albert. Ne seguì i contorni con l'indice e si sorprese ad annusare persino l'aquilone.

Cosa diavolo ho che non va, ultimamente?

Il sentore di zucchero dei dolci che avevano mangiato era leggero, ma permaneva ancora sulla stoffa tesa.

Candy pose con attenzione la toppa sul buco e afferrò l'ago tra due dita cercando di smetterla di pensare a cose senza senso logico. Non voleva certo pungersi e macchiargli la maglietta di sangue!

Eppure, forse per il silenzio che aleggiava in casa, i suoi pensieri ripresero a vagare mentre eseguiva i gesti meccanici che aveva fatto spesso. Ago nella stoffa, fuori, poi di nuovo dentro un poco di fianco. Ago che esce sul lato opposto e di nuovo tutto da capo.

L'indomani Albert avrebbe avuto il giorno libero e lei il turno di notte, il che significava che la mattinata e parte del pomeriggio sarebbero stati per loro. Poteva essere davvero il momento giusto per far volare l'aquilone!

Si alzò di scatto mollando il suo lavoro sul letto e precipitandosi nella sala principale, dove prese il giornale che avevano lasciato sul tavolo quella mattina: il trafiletto dedicato alle previsioni meteo dichiarava che per Il giorno successivo c'era un'alta probabilità di pioggia a Chicago.

Candy schioccò le dita con una smorfia di disappunto e sperò ardentemente che si sbagliassero.

Fece una deviazione in cucina dove verificò che il lavabo fosse sgombro, perché dopo aver cucito la maglietta di Albert voleva di nuovo fare il bucato prima che lui tornasse. Con un sorriso, si rese conto che l'amico non solo aveva lavato le tazze della colazione, ma le aveva anche riposte a testa in giù perché si asciugassero prima: la A e la C erano rovesciate ma le trasmisero comunque una piacevole sensazione di calore.

Adorava quelle tazze, così come adorava le nuove tendine e i pigiami a righe che aveva preso coordinati. Lei... adorava vivere con Albert. Era stato lui ad asciugare le sue lacrime dopo l'addio a Terry. Lui a darle quel conforto quando pensava di non avere più possibilità di essere felice. Lui che l'aveva incoraggiata a uscire di nuovo per godersi la fiera del quartiere. Lui che l'aspettava al rientro dall'ospedale e le faceva trovare la tavola apparecchiata.

Tornando in camera sua per finire il lavoro di cucito, Candy rifletté che la sua amicizia con Albert era sempre stata forte, ma mai come in quel periodo in cui condividevano davvero di tutto, persino il bucato e un letto a castello. Lo stesso dove era appena risalita per finire di rammendare una sua maglietta.

Continuava a inserire l'ago nella stoffa della manica ma i suoi pensieri erano di nuovo lontani: la ferita dovuta all'allontanamento da Terence era ancora aperta e le avrebbe fatto male a lungo. Ma il calore, i sorrisi, le braccia e persino il profumo di Albert erano i punti fermi e confortanti che l'aiutavano ad andare avanti con coraggio.

Se l'era sempre cavata da sola, ma ora si sorprendeva a considerare quell'uomo la sua roccia. Le era apparso smarrito e addirittura fragile mentre si trovava in ospedale, senza memoria, appena giunto dopo un viaggio di migliaia di miglia vissuto nel delirio.

E per lui era stata forte. Ora i ruoli erano nuovamente scambiati, anche se Albert non ricordava il loro passato.

Di nuovo, toccò il tessuto della maglietta di Albert, domandandosi se lo stesso profumo lo avrebbe ritrovato nel suo cuscino, sul letto inferiore perfettamente rifatto che era poco sotto di lei. Le sarebbe bastato scendere la scaletta e avvicinare un poco il naso per scoprirlo...

Ma no, non l'avrebbe fatto, sarebbe stato davvero troppo!

Se non fosse che era impegnata con l'ago in un passaggio difficile, si sarebbe data un altro pugno sulla testa, accidenti a lei!

Decise che voleva solo sbrigarsi, se voleva riposare un poco prima che tornasse Albert a casa: il suo turno mattutino era stato abbastanza complicato, con quel ferito che aveva dovuto subire un'operazione d'urgenza.

Le palpebre divennero pesanti senza che se ne accorgesse e, prima di rendersene conto, la sua coscienza cominciò a svanire. Si stava per addormentare con un ago in mano! Forse doveva solo posarlo un attimo e riposare gli occhi per qualche minuto.

Quando li riaprì, la luce che proveniva dalla finestra le indicò che si era addormentata: "Accidenti, è quasi il tramonto!", saltò su di scatto. La maglietta giaceva ancora in un angolo del suo letto, con l'ago conficcato sulla manica: bastavano solo pochi punti per terminare, ma decise che si sarebbe prima portata avanti con il bucato.

Albert sarebbe tornato entro poco e voleva almeno sbucciare le patate per la cena, ma aveva bisogno del lavabo per farlo. Corse in bagno per prendere la bacinella con gli abiti da lavare e, con decisione, scacciò dalla propria testa la balzana idea di individuare un altro capo di Albert di cui sentire il profumo, rovesciando tutto il contenuto nel lavandino con un gesto secco.

Non aveva più tempo per quelle assurdità.

Aprì l'acqua e cominciò a strofinare il sapone su uno dei propri abiti per cominciare a formare della schiuma. Era immersa in essa fino ai gomiti e aveva creato persino qualche bolla che era sfuggita dall'acqua quando Albert rientrò.

Il rumore della porta che si apriva le fece battere forte il cuore.
"Ciao, Candy!", la salutò affacciandosi all'ingresso della cucina.

Lei si volse con un sorriso: "Bentornato, Albert! Dammi solo qualche minuto per liberare il lavandino e mi metto a pelare le patate".

La sua risata spontanea le riempì il cuore, come era sempre stato: "Non preoccuparti, Candy, posso farlo io sul tavolo. Magari posso lavarle in bagno così tu puoi finire con calma".

Candy arrossì: "Mi dispiace, stavo mettendo una toppa sulla tua maglietta, prima, e devo essermi appisolata, così sono un po' in ritardo. Però bastano ancora pochi punti e almeno quella è fatta!", concluse con orgoglio.

"Grazie di cuore, sei un angelo", ribatté facendole l'occhiolino e allontanandosi.

Perché si sentiva il viso caldo? Forse perché stava strofinando con vigore i panni, non certo per l'occhiolino di Albert, neanche fosse la prima volta che faceva un gesto simile!
Forse la separazione da Terence le aveva fatto più male di ciò che aveva pensato e ora era diventata ipersensibile, oppure era solo la stanchezza della giornata.

"Ehm... Candy?". Per poco non lasciò scivolare il sapone dalla mano quando udì la voce di Albert di nuovo dietro di sé.

"Cosa c'è?", chiese guardandolo da sopra la spalla.

Lui non disse nulla, ma le mostrò la maglietta che stava ricucendo tenendola per le maniche: dal lato della toppa stringeva quello che sembrava proprio il loro aquilone, quello che avrebbe voluto far volare nel parco il giorno dopo, se non avesse piovuto.

Sapeva che era vicino a lei mentre cuciva, ma non si era accorta che uno dei lembi era finito nei punti che aveva dato, accidenti a lei e alla sua eterna distrazione!

L'espressione perplessa di Albert la costernò: "Mi dispiace, non so come sia successo! L'aquilone era accanto a me e devo averlo cucito per sbaglio sulla manica!". Tirò fuori la lingua, schernendosi.

Lui riabbassò le braccia, sorridendo: "Non fa niente, basta scucire questa parte e dovrebbe essere a posto. Lo farò io".

Candy si voltò del tutto, senza riflettere: "Oh, no, io ho fatto il danno e io rimedierò!", disse senza indugio.

Albert guardò lei e poi spostò gli occhi verso terra: "Temo che tu ne abbia appena fatto un altro, di danno", dichiarò indicando ai suoi piedi.

"Eh? Oh, no!". Le sue mani bagnate stavano gocciolando e creavano una piccola pozza. Si affrettò a voltarsi rimettendole nel lavandino.

Albert rise di nuovo e bastò quel suono a rasserenarla: ciononostante, pensò che era davvero un disastro su tutta la linea.

Aprì bocca per dirgli che avrebbe asciugato non appena avesse finito, ma Albert era già chino dietro di lei con uno straccio tra le mani. In poche mosse, il pavimento era di nuovo asciutto.

"Ecco fatto, ora provvederò a sistemare la maglietta. Quando hai finito qui avvisami, perlomeno potremo stendere i panni insieme". Mentre si rialzava in tutta la sua altezza, Candy si sentì davvero grata di vivere con un uomo così paziente. Un altro si sarebbe come minimo infuriato: lui, invece, non solo rispondeva ai guai con un sorriso, ma l'aiutava persino!

Rimasero per brevi istanti così, uno accanto all'altra, lei per metà voltata con le mani immerse nell'acqua e Albert a pochi passi dalla sua schiena. Senza poterselo impedire, prese un respiro profondo per cogliere il suo odore e, non seppe come, riuscì a individuarlo nonostante quello più forte del sapone.

Lo distinse ancora di più quando le si accostò, ponendole le mani sulle spalle per chiederle se andava tutto bene perché aveva il viso rosso. Non hai per caso la febbre? E le metteva la mano sulla fronte e nelle sue narici penetrò l'aroma della sua traspirazione mista al profumo di menta e legno, con quella nota leggera di arance.

Chiuse gli occhi, mormorando un tremolante: "Sto bene" e voltandosi di scatto per strofinare in modo così energico che pensò avrebbe strappato il tessuto.

Riprese il controllo a malapena, quasi si fosse appena ubriacata annusando un buon vino, solo quando Albert uscì dalla cucina.

Lavare i panni la riportò in uno stato di calma e rilassamento apparente.

"Albert, ma tu sai anche cucire?", gli chiese poco dopo, mentre riponeva il cestino del cucito nell'armadio e notava la maglietta rammendata stesa nella cuccetta inferiore.

Lui annuì: "Sì, pare che mi venga naturale come cucinare. D'altronde, se come mi hai detto vivevo da solo vagabondando da un luogo all'altro, avrò pur dovuto imparare a fare le cose più semplici, no?".

"Già, immagino di sì", ribatté, chiudendo le ante dell'armadio. "E sono certa che non facevi i disastri che combino io", aggiunse imbarazzata.

"Oh, beh, questo non possiamo saperlo. Ora, ad esempio, ho dimenticato che avevamo delle patate da sbucciare", disse avvicinandosi a lei.

"Le patate!", esclamò portandosi le mani alla bocca.

"Se cominciamo subito e le tagliamo in piccoli pezzi, facciamo ancora in tempo per la cena", suggerì senza scomporsi e il sorriso le nacque spontaneo.

Lei poteva perdersi in un bicchier d'acqua, a volte, ma ad Albert bastavano due parole per sistemare le cose in un battibaleno. Adorava quel lato di lui.

Adorava... Albert.

Candy, cosa stai pensando, adesso?!

Per fortuna, con la scusa di doversi sbrigare a raggiungere la cucina per lavare e sbucciare patate, poté allontanarsi abbastanza da lui perché non notasse il suo volto di nuovo arrossato.

Dopo cena, gli parlò della sua intenzione di far volare l'aquilone nel parco, se non fosse venuto a piovere sul serio. Albert posò il tovagliolo sul tavolo e si alzò, dirigendosi verso la finestra. Senza dire una parola, l'aprì e scrutò fuori per qualche istante, poi si volse verso di lei: "Vieni a vedere, Candy".

Lo raggiunse e seguì la direzione del suo dito teso: "Vedi quelle nuvole?", continuò lui. "Se sono così vicine ora può darsi che piova stanotte o al massimo domattina presto. Adesso il vento è caduto, se non si alza di nuovo a portarne altre forse domani pomeriggio potremo farlo".

Candy ci rifletté su un attimo: "Hai proprio ragione! Caspita, parli proprio come se sapessi prevedere il tempo!".

Albert rise: "Beh, non ci vuole molto a ragionare su certe cose. Potrebbe essere che fossi abituato anche a questo: per dormire sotto le stelle magari dovevo accertarmi che non venisse a piovere".

"Che sciocca, non ci avevo pensato! Chissà come facevi quando pioveva... beh, per un periodo sei stato in una capanna nei pressi delle proprietà degli Ardlay, ma poi sei andato via e...". S'interruppe, Albert si era portato di nuovo una mano al capo e sembrava sofferente.

"Non... mi ricordo...", articolò a fatica.

Gli afferrò quella mano, posandogli l'altra sulla spalla: "Non sforzarti più, se non ricordi non fa niente. Succederà quando sarà il momento! Già è tanto che tu abbia delle reminiscenze di ciò che devi aver fatto nel tuo passato".

La guardò con occhi seri, con un'intensità che le riportò, in modo assurdo, alla mente il profumo che aveva potuto annusare sulla sua maglietta prima di lavarla. E quello che aveva apprezzato direttamente da lui mentre era al lavabo della cucina.

Legna e arance... e un pizzico di quella lozione che usa al mattino quando si rade...

Quando l'abbracciò, sprofondò proprio in quell'aroma e i sensi ne furono travolti. Ricambiò la sua stretta aspirando quel profumo rassicurante

e seducente

volendogli trasmettere il proprio affetto.

"Grazie, Candy. Sei sempre tanto buona con me". La voce le arrivò come una vibrazione attraverso il petto, nel quale si mescolava anche il suono del battito del suo cuore.

"Non devi ringraziarmi: vorrei poter fare di più, in realtà, e sono io a doverti essere grata per essermi sempre vicino". Sentì le lacrime bruciarle sotto le palpebre chiuse e l'emozione avvolgerla, intensa quasi come il suo odore. Tranquillizzandola, rasserenandola.

Sperò che per lui fosse lo stesso, che avvertisse perlomeno l'intenzione di aiutarlo, anche se combinava qualche pasticcio.

"Promettimi una cosa, Candy", lo sentì dire più tardi, la voce bassa nella notte imminente.

Candy si sporse un poco dalla cuccetta per guardarlo: la luce della luna era fioca perché alcune nuvole di passaggio la coprivano a tratti. "Cosa?", domandò.

Con un sorrisetto divertito, il capo poggiato sulle braccia incrociate dietro la nuca, Albert disse: "Se domani ti viene in mente si rammendare qualche altro vestito non farlo vicino all'aquilone, o rischiamo di far volare anche magliette e abiti nel parco".

"Oh, Albert, smettila di prendermi in giro!", si accigliò lei tirandogli il proprio cuscino.

Lui lo prese al volo e lo rilanciò: "Dai, stavo solo scherzando!", ridacchiò.

"Però potrebbe essere divertente!", ribadì lei lasciandosi andare all'ilarità, lanciandogli ancora una volta il cuscino. "Te lo immagini un aquilone con una lunghissima coda di vestiti attaccati dietro?!".

Risero insieme cominciando a lanciarsi i cuscini come due bambini indisciplinati. E, a pensarci bene, era da quando aveva otto anni e si trovava alla Casa di Pony che non ingaggiava una lotta simile.

Farlo con Albert, circa dieci anni dopo, le fece passare persino il sonno.

In quella specie di battaglia improvvisata, un cuscino le arrivò dritto sulla faccia, stordendola per un attimo. Ma non fu il colpo a lasciarla senza parole.

Il suo profumo. Di nuovo... oh, povera me! Ma che diavolo mi prende, oggi?!

Non si era forse chiesta, quel pomeriggio, se anche il cuscino di Albert avrebbe avuto il suo odore? Non solo era così, ma le parve persino più forte, con un sentore del sapone che usava per lavarsi i capelli sotto la doccia.

"Dai, ora dormiamo, altrimenti domattina non ci alzeremo abbastanza presto per controllare il tempo e organizzare il nostro giorno libero!", disse lui riscuotendola.

Stringendosi il cuscino al petto, lo vide mettersi sdraiato su un fianco, sistemandosi sotto le coperte e affondando il viso sul proprio guanciale, che forse non si era accorto di avere scambiato col suo.

Oddio, domani anche il mio cuscino profumerà di Albert!

E lei? Aveva ancora addosso l'odore del disinfettante o quello del fumo del caminetto e lui ne sarebbe stato disgustato? Da come sorrideva mentre chiudeva gli occhi non pareva, così richiuse la bocca e lasciò che lo usasse.

Lo ha fatto apposta o sono io che viaggio con la fantasia?

"Buonanotte, Candy", mormorò con voce stanca.

"Buonanotte, caro Albert", ribatté con lo stesso tono, respirando il suo profumo.

Il sonno l'avvolse in quell'odore familiare e fu come se Albert la stesse tenendo stretta nel sonno.
 
 

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Capitolo 12
*** Ricordi ***


Ricordi

La nausea era passata e il dolore alla testa si era attenuato, riducendosi a un pulsare costante a livello delle tempie. Era come un'emicrania che a ogni battito cardiaco gli restituiva un ricordo, costringendolo a socchiudere gli occhi per non rimanerne ferito o abbagliato.

E le ferite erano numerose.

Lo sguardo azzurro e severo di suo padre, che gli ricordava di essere educato con la zia Elroy e non farla preoccupare con le sue fughe; quello più dolce di sua sorella, che avrebbe volentieri preso il suo posto per non caricarlo di una responsabilità troppo grande per lui; e quello pieno di dolore di Georges, mentre gli riferiva che Anthony era morto.

Ma, mentre camminava senza meta con le mani affondate nelle tasche, chiedendosi se il peso dei ricordi lo avrebbe travolto, Albert, o meglio William Albert Ardlay, si rese conto anche di tutto ciò che di meraviglioso aveva vissuto.

Il suo viaggio in Africa si era trasformato in una sorta di fuga precipitosa a causa della guerra imminente; tuttavia, prima di restare vittima dell'esplosione del treno aveva raggiunto il punto più alto della libertà agognata. Nei cieli sterminati del deserto. Nella savana dove gli animali non sarebbero mai stati messi in gabbia. Nelle albe tinte di rosso fuoco e nei tramonti roventi sul lago Turkana che lo stupivano e lo commuovevano al contempo. Tutto ciò sarebbe rimasto impresso nei suoi occhi e nel suo cuore per sempre.
Adorava Lakewood e i suoi boschi, ma l'Africa sarebbe stata sempre il suo sogno più grande e in quel momento Albert desiderò tornarvi per rimanere.

Quando entrò nel parco, però, lasciò fluire nel cuore l'unico sentimento che aveva tentato di arginare prima che divenisse un fiume in piena e che in realtà era già impetuoso. Un fiume agitato in cui si gettava una cascata.

La stessa cascata che aveva unito il suo destino con quello di Candy. Anche se non era corretto, perché quella bambina l'aveva già incontrata anni prima, su una collina. E ora si rendeva conto, con un sorriso stupito, che lui non era altri che... il suo Principe della Collina, il proprietario di quel medaglione che gli aveva mostrato tante volte alla Casa della Magnolia.

Sopraffatto dagli eventi recenti, Albert si lasciò cadere sull'erba profumata, sdraiandosi con le gambe incrociate e le braccia dietro la nuca: la prima cosa che gli era venuta in mente, nel retrobottega del ristorante, non era stata l'Africa. Né suo padre o sua sorella.

Era stata Candy, con il suo sorriso e le sue lentiggini.

Candy infermiera che uno strano destino gli aveva permesso di rincontrare grazie a una bomba messa su un treno in Italia, rischiando la vita. Candy ragazza determinata che in quello stesso parco l'aveva inseguito e convinto a restare. Candy donna che gli aveva detto di considerarlo come un fratello.

Albert sospirò a fondo, domandandosi cosa avrebbe fatto d'ora in poi.

Era partito da Londra quando quel sentimento nel proprio cuore era ancora in stato embrionale e la lontananza da lei lo aveva persino alimentato, suo malgrado. Perdere la memoria e quindi se stesso era stato come abbattere ogni barriera, ogni filtro: senza quasi rendersene conto, si era innamorato.

Innamorato perdutamente. Nonostante lei fosse più giovane e amasse un altro uomo che aveva dovuto lasciare.

Lui era il suo tutore legale, una specie di padre adottivo... Dio, era tutto così complicato! La cosa più giusta da fare sarebbe stata parlarle subito, rivelarle la propria identità e andarsene prima che scendesse un'altra notte, continuando a occuparsi di lei da lontano.

Si mise a sedere di scatto, fissando la superficie dell'acqua increspata da un leggero alito di vento. Il solo pensiero di andare via gli stringeva il cuore in una morsa e gli faceva salire un groppo in gola. Non voleva, non voleva affatto separarsi da Candy e lasciare la vita che stavano conducendo!

Ma poteva ingannarla? Restare senza rivelarsi avrebbe equivalso a dirle una bugia a fin di bene? Il bene di chi? Il suo o il proprio?

Albert si afferrò la testa fra le mani con un gemito, sentendo l'emicrania aumentare. Avrebbe dovuto pensare a Georges e alla zia Elroy che da più di due anni non avevano sue notizie! Invece il suo problema maggiore era Candy, da sola in quell'appartamento, con la ferita ancora aperta di Terence, i sorrisi che sapeva essere frutto di grande sforzo.

Sì, sarebbe rimasto ancora un po' per lei. Ma avrebbe contattato Georges quanto prima per tranquillizzare la sua famiglia, questo doveva farlo. La mente volò a Stair, che aveva conosciuto appena e stava rischiando la vita in Europa.

Avvertendo sulle spalle il peso delle proprie responsabilità ma anche una grande determinazione, Albert cominciò a dirigersi verso casa. L'accogliente, calda e luminosa casetta dove Candy lo aspettava. Come una moglie.

Scosse la testa, sorridendo a quel pensiero: no, ovviamente Candy non era sua moglie, eppure il modo in cui si occupavano insieme della casa e pianificavano le spese...
Albert pensò con amarezza che avrebbe preferito risvegliarsi da quella sorta di lungo sonno sapendosi povero e senza un impero da mantenere. Avrebbe lavorato come e più di prima. E magari, col tempo, con gli anni, lui e Candy...

Si fermò quasi in mezzo alla strada, rischiando di farsi investire di nuovo e si affrettò ad attraversare fino al marciapiede opposto. Stava facendo pensieri egoisti e questo non era da lui. La sua priorità era sempre stata il bene di Candy e non l'avrebbe certo aiutata continuando a stare con lei sotto allo stesso tetto! Aveva già perso il lavoro e come zio William poteva redimerla. Diamine, avrebbe potuto darle un reddito mensile e una casa più grande, ma era certo che lei non li volesse. D'altronde aveva già espresso, in passato, il desiderio di non essere più una Ardlay per seguire la propria strada.

Cosa doveva farne, dunque, di quella sua identità ritrovata? Sotto alla finestra illuminata nella sera ormai imminente, Albert esitò, forse per la prima volta in vita sua. Diviso tra il desiderio ardente di restare con Candy e quello di essere sincero.

Fu dopo aver salito le scale con la schiena quasi curva e aperto la porta che capì che doveva rimanere, anche se il suo cuore si stava spezzando in mille pezzi.

Perché Candy era lì, addormentata o svenuta in mezzo ai giornali dove si parlava di Terence, gli stessi che aveva nascosto perché non li trovasse. Poteva vedere sul suo bel viso punteggiato di lentiggini le tracce delle lacrime e, mentre la portava sul proprio letto perché riposasse meglio, carezzandole il volto senza riuscire a impedirselo, mormorò: "Vorrei tanto vederti felice".

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Capitolo 13
*** Ritorno della memoria. Primo: avvisare Georges ***


Ritorno della memoria. Primo: avvisare Georges

Georges Villers parcheggiò l'auto vicino all'indirizzo che gli era stato indicato; le mani erano diventate bianche e gelide, tanto aveva stretto il volante. In realtà, il cuore gli martellava nel petto da quando aveva ricevuto quel semplice messaggio in banca e non avrebbe creduto alla firma apposta sotto finché non lo avesse visto con i propri occhi.
William Albert Ardlay, che ormai aveva perso le speranze di rivedere vivo.

E lo misero a fuoco, i suoi occhi, mentre era ancora lontano e appoggiato con la schiena a un muro in atteggiamento noncurante, le braccia incrociate e una gamba ripiegata: sembrava un ragazzo qualunque in attesa di un amico o della fidanzata.

I capelli dorati erano di una tonalità più chiara di quanto ricordasse e tagliati corti, ma gli sembrava in forma, rilassato. Georges dovette sbattere le palpebre per schiarire la vista che si era appannata a causa di alcune lacrime di sollievo traditrici e respirò a fondo. Nonostante ciò, quando si avvicinò e William si rivolse a lui con un sorriso sincero, la voce uscì incrinata: "Eravamo tutti molto preoccupati".

Lui si raddrizzò, ponendogli una mano sulla spalla: "Lo so, mi dispiace. Come sta la zia?".

Georges dovette reprimere l'impulso mai provato prima di abbracciarlo per sincerarsi che il ragazzo, che considerava come un figlio e che in realtà ormai era un uomo, fosse vero. "Sta bene, nonostante i pensieri".

Se fosse stato davvero suo padre e William più giovane, lo avrebbe rimproverato con durezza e forse persino scosso fino a fargli confessare che diavolo gli fosse passato per la testa, per sparire dalla circolazione per più di due anni. Diamine, se fosse stato ancora un bambino lo avrebbe sculacciato a dovere!

William tacque e si passò le mani tra i capelli in un gesto nervoso, voltandosi a mezzo busto come se si vergognasse. Il suo linguaggio del corpo gli indicò che stava cercando le parole giuste, ma Georges sentì per la prima volta la propria pazienza vacillare.   

Ti sei perso nel deserto? La nave che hai preso al ritorno è naufragata su un'isola deserta nel bel mezzo dell'Oceano Atlantico?! Oppure hai messo su famiglia e ora non sai come dircelo? Dannazione, William, sono invecchiato dieci anni quando ho scoperto che avevo perso le tue tracce!

Il tumulto di domande e sentimenti rimase ben celato dietro a un volto che sperava composto e Georges si augurò di avere presto spiegazioni, prima che solo una di quelle emozioni trapelasse. Si accorse che, nonostante tutto, stava stringendo i pugni ed era teso come una corda di violino.

"Sono partito dall'Africa dopo circa un anno dal mio arrivo", cominciò a raccontare. "Ma quando ho deciso di tornare indietro perché ho avuto le prime notizie della guerra... è successo qualcosa". Si era messo a camminare lungo la stradina stretta che costeggiava il basso caseggiato e lui lo seguì.

"Cosa è accaduto, signorino William?", chiese fermandosi nella speranza di indurlo a fare altrettanto. D'improvviso, aveva bisogno che lo guardasse negli occhi e non gli desse le spalle mentre gli parlava.

Lui sembrò afferrare il messaggio, perché si volse con aria smarrita incontrando di nuovo il suo sguardo: "Ho avuto un incidente mentre ero in Italia: il treno su cui viaggiavo ha subìto un attentato. A seguito dell'esplosione di una bomba ho perso la memoria, sono riuscito a tornare in America per puro miracolo e grazie all'aiuto di persone gentili". La sua voce era arrochita, remota. Georges sentì il sangue gelarsi a ogni parola. "Quando sono arrivato a Chicago pensavano che fossi una spia che viaggiava su quel treno e mi hanno relegato in una stanza del Santa Johanna dove, se non fosse stato per lei...". Si interruppe, guardando a terra.

Era difficile assorbire tutte quelle informazioni e rimanere calmo, ma Georges doveva sapere, così lo incoraggiò con gentilezza: "Lei, signor William...?".

Le iridi azzurre dell'uomo, più chiare ma comunque così simili a quelle della dolce Rosemary, si riempirono di una tenerezza infinita che difficilmente poteva essere scambiata per un sentimento diverso dall'amore: "Candy mi ha salvato la vita. Ha incrociato il mio cammino e si è presa cura di me fino a che non ho recuperato la memoria, pochi giorni fa. Attualmente viviamo insieme... fingendo di essere fratelli".

Georges accolse quella notizia con un misto di gratitudine, stupore e timore mescolati assieme: la signorina Candice era stata l'infermiera del signor William? E ora vivevano sotto lo stesso tetto?   

"Vivete assieme, ha detto?". Georges non sembrava in grado di fare altro che ripetere le sue affermazioni a mo' di domanda, William doveva pensare che si fosse rincitrullito.

"Ti prego, non dirmi che pensi male di noi... tu non sei la zia Elroy", si affrettò a spiegare.

No, non lo sono, anche perché se lo fossi qui ci sarebbe almeno una persona tramortita a terra: lei svenuta o tu ucciso dal suo sguardo assassino.

"No, non volevo insinuare questo...", ma era troppo tardi, la lingua aveva pronunciato quella domanda prima che potesse controllarsi. E sì che Georges era sempre stato il controllo fatto persona. Tutte quelle emozioni insieme dovevano averlo davvero sconvolto.

William sospirò e gli diede le spalle, mettendosi le mani nelle tasche dei pantaloni color sabbia: indossava abiti dozzinali e comodi come aveva sempre amato, ma quell'immagine lo colpì in due modi totalmente opposti. Da un lato era dispiaciuto per lui, perché poteva permettersi molto di meglio; ma dall'altro vedeva l'uomo che sarebbe potuto essere se fosse stato un semplice cittadino. Magari un marito e un padre di famiglia in procinto di tornare a casa da sua moglie

Candy

di lì a poco.

"Ti capisco, sai? La società in cui viviamo non vede di buon occhio un uomo e una donna che condividono un appartamento. Se non fosse stato per l'intervento di Archie e Stair...". S'interruppe, come se si fosse reso conto di aver detto qualcosa di troppo.

"Ha incontrato i suoi nipoti?", chiese infatti sgranando gli occhi. Non che fosse un gran danno, visto che ormai la presentazione ufficiale avrebbe dovuto tenersi a breve. O, almeno, era quello che sperava.

Lui si riappoggiò al muro, gettando la testa all'indietro, la frangia che gli copriva gli occhi. Di nuovo, Georges si stupì di quanto apparisse a suo agio a vivere come stava vivendo. O con chi...

"Sì, ma non sanno chi sono. Pensano che io sia un amico di Candy e basta. E nessuno di loro sa che ho recuperato la memoria".

"Immagino che ora glielo riferirà. Sono certo che la signorina Candy ne sarebbe molto felice, specie se l'ha aiutata come mi ha raccontato".

William tacque per lunghi istanti e lui colse il suo sospiro profondo solo dal modo in cui le spalle e il petto si sollevavano. Le mani si chiusero a pugno. Prima ancora che parlasse, aveva già capito. Era una conferma, dopotutto, ma non poté fare a meno di sconvolgerlo.

"Non... sono pronto a separarmi da lei. Glielo dirò, prima o poi. Ma lasciami ancora qualche tempo per abituarmi all'idea che non vivrò più con Candy". Il tono era fermo e composto, ma trasudava una tristezza così grande che Georges ne avvertì il dolore come se fosse il proprio.

Chiuse gli occhi. Dio onnipotente, quindi alla fine era accaduto! William si era innamorato di Candy, colei di cui era tutore legale. Il suo cuore gli suggeriva che non poteva essere altrimenti, perché erano due anime affini e di certo la felicità era alla loro portata se avessero condiviso le rispettive vite. Ma la ragione vedeva un percorso irto di ostacoli e malelingue che rischiava di rendere il futuro un vero inferno.

"Di quanto tempo ha bisogno?", domandò temendo la risposta.

Ancora una pausa. Una pausa così lunga che Georges percepì con chiarezza la lotta che si stava consumando dentro di lui: doveva decidere un crudele conto alla rovescia per dare l'addio all'unica donna che avesse mai amato. Perché era certo che William non si fosse mai innamorato di una donna, visto quanto lo era della libertà e della natura.

"Non lo so", soffiò infatti con un filo di voce. "Solo... dammi un po' di tempo, va bene? Ti prometto che non fuggirò di nuovo, ma fammi godere ancora del calore di quella casa, della possibilità di condividere con lei un pasto o i racconti della giornata. Di... della sua vicinanza così allegra e spensierata".

Ora poteva vedere il suo sorriso pieno e i suoi occhi sognanti. Dire che era innamorato significava usare un eufemismo: William adorava Candy, era una parte di sé.

Oh, siamo nei guai! In guai seri...
 
                                                                                        

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Capitolo 14
*** Dopo l'inganno di Neil: una notte all'aperto. ***


Dopo l'inganno di Neil: una notte all'aperto.

Candy socchiuse gli occhi, sentendo una folata gelida sulla guancia destra. Doveva essersi addormentata con la finestra aperta, eppure era strano che sentisse freddo solo sul viso.

La parte sinistra del corpo era avvolta da un gradevole tepore, come se le coperte l'avvolgessero soprattutto da quel lato, anche se persino la spalla e il fianco destri erano al caldo.

Il refolo la sfiorò di nuovo e Candy decise che doveva alzarsi per chiudere la finestra o anche Albert avrebbe sentito freddo. Chissà se lui era coperto abbastanza...

Girò un po' il capo, senza risolversi ad aprire gli occhi, e avvertì il battito regolare e forte di un cuore. Un petto caldo e solido.

Il petto di Albert.

Il bisbiglio che sentiva non era quello del vento, ma del respiro regolare di lui, che le solleticava i capelli e la fronte.

D'improvviso, Candy ricordò tutto: la trappola di Neal, la fuga tra i boschi e l'incontro con Albert quasi come un segno del Cielo. Avevano diviso il suo mantello e si erano addormentati appoggiati al tronco di un albero. Le era bastato voltare il viso verso il corpo di lui per sentirne il calore e il profumo che le ricordava la natura stessa.

Legna, erba fresca, muschio.

Si rese conto che aveva alzato un poco il capo per guardarlo nella luce appena accennata dell'alba e sorrise. Così addormentato sembrava proprio un bambino. Il capo era reclinato verso di lei e la nuca poggiata al tronco come se, anche nel riposo, volesse proteggerla. E ne era conferma il braccio destro che l'avvolgeva sulla vita: la sera prima l'aveva stretta per le spalle, ma durante la notte, quando il sonno lo aveva vinto, doveva essere scivolato un po' più giù.

Candy avvertì un lieve rossore salirle alle guance mentre, ancora una volta, ammirava quel viso così virile e angelico al contempo, dai tratti che sembravano cesellati o dipinti da qualche artista rinascimentale.

Che Albert fosse bello fuori almeno quanto lo era nell'animo non era una novità, lo aveva appurato già quando lo aveva riconosciuto all'ospedale un paio di anni prima, senza barba e occhiali scuri. Ricordò che persino Stair aveva detto qualcosa a proposito di nascondere dei lineamenti molto belli.

Eppure, mentre il frinire dei grilli veniva sostituito dal cinguettio degli uccellini, Candy non sentì vergogna o timore per essere stretta in quell'abbraccio. Era tutto così giusto e naturale, che non osò più fare il minimo movimento per timore di interrompere quel momento.

Non era la prima volta che lo osservava dormire, anche se era molto raro che si svegliasse prima di lui. Di solito la mattina Albert era già vestito di tutto punto e arzillo mentre la induceva a sbrigarsi a fare colazione prima di recarsi al lavoro.

Ma in quel momento si beò della visione quasi vulnerabile di un Albert arreso al sonno, che a tratti russava leggermente a causa di certo della posizione poco comoda nella quale si trovava.

Candy non poté fare a meno di ricordare un altro abbraccio, l'ultimo che aveva ricevuto da Terence tanto tempo prima, sulle scale di un ospedale. Un abbraccio tra le lacrime e la disperazione di entrambi, un abbraccio nel quale non c'era la protezione ma l'addio. Un abbraccio senza volto.

In quell'abbraccio, come in tanti altri che aveva condiviso con Albert, Candy si sentì quasi riscattata da quel gelo e dalla delusione provata la sera precedente nello scoprire che Terry non era davvero lì per lei.

Spalancando gli occhi per la sorpresa, comprese di colpo che non aveva bisogno di Terence se poteva avere accanto la presenza confortante di Albert.

Richiuse le palpebre, prendendo un respiro, impedendosi di approfondire troppo quei sentimenti che la inducevano a fare pensieri così strani o, come le era capitato mesi prima, a mettersi ad annusare i vestiti di Albert o il suo cuscino.

Il suo cuore era ancora ferito e tuttavia Albert le era sempre stato accanto nei momenti più bui della sua esistenza. Aveva una capacità quasi magica di apparire proprio quando ne aveva più bisogno, salvandole addirittura la vita. Era accaduto l'ultima volta da qualche ora e continuava ad accadere mentre si muoveva nel sonno stringendola ancora di più a sé.

Candy non ci pensò due volte e allungò il braccio per risalire lungo la sua spalla e drappeggiare meglio il mantello che gli era scivolato, avvolgendolo a sua volta in un abbraccio. Dovette reprimere l'impulso folle di carezzargli il viso dove un accenno di barba fine cominciava a spuntare, solo per accertarsi che non avesse freddo. E magari di piantargli un bacio sulla guancia...

Diamine, perché invece gli stava fissando le labbra? Sì, erano ben fatte come tutto il resto del viso e persino carnose per essere quelle di un uomo. Eppure c'era qualcosa di estremamente virile in quella forma ben delineata e decisa, come d'altronde lo erano anche la mascella e il naso dritto e...

Due spicchi di cielo comparvero gareggiando e vincendo contro quello che si andava schiarendo sopra le loro teste: era una lotta impari, gli occhi di Albert avevano una sfumatura unica.

Solo allora Candy si rese conto che lo stava fissando con insistenza da troppo tempo e che forse lui, pur addormentato, aveva sentito quello sguardo su di sé. Sbatté le palpebre, confuso: "Candy...?", mormorò con voce assonnata.

"Io... io stavo solo...". Che doveva dirgli? Che lo stava ammirando, neanche fosse un quadro in una galleria d'arte altrimenti spoglia?

Mentre stava ancora lottando col proprio imbarazzo, però, lui si mosse e staccò la mano dal suo fianco, facendole di nuovo avvertire il freddo. "Perdonami, non volevo! Devo essermi addormentato e...".

Si stava scusando per averla stretta nel sonno? E lei che voleva essere abbracciata di nuovo! Quel pensiero la sconvolse ma non le impedì di rannicchiarsi contro il suo petto per ritrovarne il calore: "Va tutto bene, Albert, ho dormito benissimo, sei un materasso davvero comodo!", ridacchiò per dissipare l'imbarazzo.

Avvertì la sua tensione dissolversi un poco e il braccio si riabbassò per posarsi sulla spalla, stavolta. "Oh, bene, quindi sono stato promosso a materasso?".

Risero insieme, guardandosi divertiti. Candy lo vide sbadigliare portandosi l'altra mano davanti alla bocca e gli chiese, emulandolo all'istante: "Ma tu sei stato scomodo, il tuo unico appoggio era il tronco di questo albero!".

Albert sorrise: "Non mi hai forse detto che spesso dormivo sotto le stelle? E poi anche io...". S'interruppe, come se si fosse reso conto che stava per dire qualcosa di sbagliato. Possibile che le guance si fossero anche un po' arrossate?

Ma lui voltò il capo guardandosi intorno e Candy non poté appurarlo: "Vuoi dire... che anche io ti ho fatto da materasso?".

Lui si girò per guardarla ancora, i lineamenti distesi in un'espressione serena: "Diciamo che è stato come abbracciare un cuscino, visto che sei tu ad aver dormito su di me".
Candy pensò che il volto le sarebbe andato a fuoco, sia per la sua affermazione riguardo il cuscino che rispetto al fatto che lei gli avesse praticamente dormito addosso.

"Grazie per avermi protetta, Albert", mormorò inclinando il viso perché non la vedesse arrossire.

Fu lui a sciogliere il loro abbraccio, alzandosi in piedi e stirandosi con un grugnito soddisfatto, come un felino nella savana. Sospettò che i leoni africani, che lui aveva di certo visto durante il suo ultimo viaggio, facessero qualcosa di molto simile.

S'impose di alzarsi anche lei, scuotendo il capo come a scacciare quelle riflessioni.

"Ti proteggerò sempre, Candy, se tu me lo permetterai", disse all'improvviso senza staccare gli occhi dal lago di fronte a loro che brillava ai primi raggi del sole.

Lei ne fu commossa e si accostò desiderando abbracciarlo di nuovo: "Anche io voglio proteggerti e voglio aiutarti a recuperare la memoria!", dichiarò allungandogli un lembo del mantello. "Hai freddo?".

Albert rimase per un attimo a fissarla con uno sguardo grave, l'espressione seria e le sopracciglia un po' aggrottate. Gli occhi, di solito limpidi come quel cielo mattutino, sembravano scuri e tormentati.

Di colpo, si voltò del tutto verso di lei e le afferrò la mano che teneva il mantello. Gliela strinse prima di prendere il capo e adagiarlo di nuovo sulle sue spalle come se stesse coprendo qualcosa di pregiato: "No, io sto bene. Copriti tu, piuttosto, l'aria della mattina è molto fresca. Grazie, mia piccola Candy".

Lei rimase immobile a guardarlo, desiderando che la baciasse sulla fronte come aveva fatto la sera prima: aveva di nuovo bisogno di quell'amuleto, ma non per scacciare i cattivi pensieri e il ricordo di Neal.

Le mani di Albert le scivolarono un poco sulle spalle, come se volesse sistemarle meglio il mantello, e lui si inclinò un poco come se le stesse davvero per posare le labbra sulla fronte, ma si ritrasse all'ultimo istante: "Dobbiamo tornare indietro e cercare un passaggio", disse con voce profonda, un tono che non gli aveva mai sentito.

Candy gli sorrise e lo seguì, stringendosi nel mantello e non avvertendo comunque lo stesso calore che aveva provato fra le sue braccia, i piedi che affondavano nell'erba umida di rugiada.

Guardando la sua schiena ampia, mentre la precedeva sul leggero pendio che portava alla strada principale, comprese che lui era la sua roccia, la sua certezza incrollabile e che forse, quando aveva deciso di aiutarlo per ricambiare tutto quello che aveva fatto per lei, in realtà stava assecondando il proprio bisogno di sentirlo vicino.

Albert era la sua costante da quando era caduta nella cascata, c'era sempre stato nei momenti difficili o in quelli in cui necessitava di sostegno. Le allungò una mano per aiutarla a salire e, anche se ce l'avrebbe fatta da sola, accettò con gioia quel supporto e quel contatto.

Quel contatto di cui non poteva più fare a meno.

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Capitolo 15
*** Stair ***


Stair

Il dottor Martin rimosse con cura l'ultima benda dal torace di Albert e controllò i segni paralleli completamente cicatrizzati passandoci sopra le dita tozze.
"Molto bene, ragazzo, pare che la tua infermiera ti abbia curato bene! Non ti rimarranno che i segni sbiaditi". Concluse la frase dandogli un'affettuosa quanto discreta pacca sui pettorali e voltandosi per consentirgli di rivestirsi.

Albert sussultò appena e rise: "Mi avete curato entrambi molto bene, non ho proprio di che lamentarmi!", si schernì cominciando a infilarsi la maglietta restando seduto sul letto.

"Oh, sono certo che tu abbia preferito le attenzioni di Candy alle mie", dichiarò mentre frugava in un cassetto alla ricerca di qualcosa.
Il sorriso si spense sulle sue labbra e la mascella si contrasse. Le braccia si abbassarono, infilate nelle maniche come se non trovassero la strada per far entrare la testa nel colletto.

Le attenzioni di Candy.

Appena si era ricordato di lei ed era tornato nel loro appartamento, la prima cosa che aveva trovato era stata una ragazza in lacrime su una pila di giornali che parlavano di Terence. Sentendo il cuore spezzarsi in mille frammenti, Albert l'aveva adagiata sul letto, asciugato le sue lacrime e desiderato con tutta l'anima farsi carico di almeno metà di quel dolore, purché non lo provasse lei.

Le avrebbe preso a mani nude la luna o anche il sole, se fosse servito a darle la felicità. Diamine, le avrebbe dato il cuore di Terry solo per vederla sorridere.
Anche se avesse significato disintegrare definitivamente il proprio.

Candy era sempre dolce e amorevole con lui e gliele riservava, le sue attenzioni, a cominciare dal giorno in cui gli aveva chiesto di poter rimanere al suo fianco per guarirlo. Si preoccupava delle sue ferite, le disinfettava ogni mattina e controllava che le fasciature fossero sempre pulite e in ordine. Ogni volta che lo toccava per medicarlo doveva cercare di concentrarsi su qualcos'altro per ignorare i brividi che gli correvano lungo la schiena e su tutto il corpo.

Ma ciò non aveva lenito ferite ben più profonde e invisibili: quelle sanguinavano senza sosta, silenti come lacrime notturne soffocate nel cuscino.

Essere trattato come quel fratello che non aveva, per Albert era talvolta persino peggio che essere ignorato.

Certo, ora che aveva recuperato la memoria era ben conscio del fatto che le cose dovessero rimanere così, ma la ragione difficilmente comanda sui sentimenti. Il risultato era che vedeva Candy struggersi per Terence, che non avrebbe mai avuto, e non solo la comprendeva meglio di chiunque altro, ma viveva quella stessa sofferenza moltiplicata centinaia di volte.

Si sentiva come un'eco infinita che ripeteva sempre le stesse parole.

Ti amo, ma non posso averti. Ti amo, ma non posso averti. Ti amo, ma...

"Ehi, hai bisogno di una mano o di un'infermiera?". Quella del dottor Martin, di mano, gli sventolava davanti alla faccia.

"Eh?", fece lui ripiombando nella realtà. "Oh, no, grazie, faccio da solo", rispose infilandosi finalmente la maglietta.

Ringraziando ancora una volta il buon medico, Albert uscì dalla Clinica Felice e respirò a fondo l'aria umida di quella primavera non ancora sbocciata: il cielo era nuvoloso, ma non sembrava dovesse piovere. Non per il momento, almeno.

Con le mani affondate nelle tasche, il bavero del cappotto alzato e la schiena un po' curva, si diresse verso una strada secondaria che usava spesso come scorciatoia. Voleva arrivare a casa in tempo per preparare a Candy uno dei suoi pranzetti speciali.

Stava cercando disperatamente di ignorare l'urgenza che lo tirava in direzione della sua famiglia, ora che aveva recuperato la memoria, concentrandosi solo sul benessere egoistico e così simile alla felicità completa che era rappresentato dal vivere con lei.

Quasi come una coppia sposata.

Illudendosi che Candy si stesse innamorando di lui, che lo cominciasse a guardare con occhi diversi nonostante la malinconia che poteva leggervi, quando di certo pensava al suo amore perduto.

Non ha senso, se il suo ricordo le provoca ancora malinconia non può provare per me ciò che io provo per lei...

Forse era ora di tornare davvero ai suoi doveri, lasciandosi alle spalle quell'illusione e prepararsi per dirle la verità. Da lontano, come tutore, come patriarca degli Ardlay.
Come evocata dai suoi pensieri, la figura di Georges si materializzò d'improvviso dietro un angolo delle viuzze deserte: era ora di pranzo e le uniche persone che aveva incrociato si erano infilate alla spicciolata negli usci delle case o stavano chiudendo le botteghe.

Qualcosa nello sguardo del suo braccio destro, amico e quasi padre, gli comunicò con chiarezza che era accaduto un evento grave. Quelli erano gli stessi occhi tristi che avevano visto morire William C. Ardlay, Rosemary e Anthony.

Lo stomaco di Albert si contrasse e il cuore gli salì in gola: per quanto anelasse come un disperato di sbagliarsi, seppe che purtroppo non era così.
 
- § -
 
Si era alzato il vento e le nuvole sembravano foriere di pioggia imminente. Ciononostante, non un muscolo si mosse per alzare gli occhi al cielo in cerca di un segno del cambiamento meteorologico o per accomodarsi meglio su quella fredda panchina del Parco Naturale di Chicago.

Georges sentiva le fronde degli alberi sussurrare e poi gemere più forte sopra di loro e il richiamo di alcuni uccelli prima che un forte sbattere di ali passasse sulle loro teste. Ma rimase con la schiena dritta e lo sguardo composto fisso verso William Albert Ardlay che, con i gomiti sulle ginocchia, stringeva forte i lembi di quel telegramma cominciando a impallidire in modo visibile. La prima volta che lo aveva letto aveva spalancato gli occhi per lo stupore e aperto la bocca, ma non ne era uscito nessun suono.
Ora, prostrato e piegato in avanti, sembrava stesse finalmente assorbendo il senso di quelle tragiche parole.

Anche lui era stato costretto a rileggerlo più e più volte: non poteva credere che la disgrazia si fosse di nuovo abbattuta su di loro. Aveva impiegato lunghi minuti per ricomporsi quanto bastava e decidere di uscire di casa così da raggiungere innanzitutto il patriarca.

Sapeva che a quell'ora doveva essere di ritorno dalla Clinica e che quel vicolo era la sua scorciatoia preferita, quella dove di solito si incontravano: con un po' di fortuna, sarebbe accaduto anche quel giorno.

E così era stato.

"Hanno...". La voce di William uscì roca, profonda, e lui se la schiarì senza abbandonare quella postura sconfitta. "Hanno rimandato indietro almeno i suoi effetti personali?", chiese.

Georges si concesse di rilassare finalmente la schiena e di appoggiarsi alla spalliera della panchina, come se il fatto che il patriarca avesse metabolizzato la notizia fosse sufficiente a fargli abbassare per un po' la guardia.    

Si sentiva esausto, molto più vecchio dei suoi anni.

"Sì, li ho messi sottochiave in un cassetto della villa. Signorino William, forse dovrebbe essere lei a dirlo a sua zia, l'ho cercata apposta per riportarla a casa", disse studiando le sue reazioni.

Lui rimase ancora per un istante con il foglio spiegato davanti agli occhi, come se potesse cogliervi una menzogna, come se potesse cancellare, dopo il nome di Alistair Cornwell, le frasi 'caduto in guerra' e 'corpo non rinvenuto'.

Scosse la testa, lentamente: "Archie e i Cornwell...".

"Hanno ricevuto il medesimo telegramma, ma non ho ancora avuto modo di incontrarli, appena ho avuto la notizia sono uscito subito per venire da lei", rispose alla domanda implicita.

William abbassò le braccia, come svuotato di ogni forza, il telegramma frusciò nella sua mano destra all'ennesimo soffio di vento e, mentre glielo porgeva, si appoggiò anche lui allo schienale della panchina, chiudendo gli occhi.

Georges lo osservò paziente, mentre deglutiva un paio di volte e aggrottava le sopracciglia in una composta smorfia di dolore: "Devo tornare da Candy, adesso. Lei ha bisogno di me", disse in un bisbiglio appena percettibile.

Avrebbe voluto protestare, dirgli che anche la sua famiglia aveva bisogno di lui, che sua zia avrebbe necessitato del suo sostegno, nonché di sapere che era vivo e vegeto e non ancora disperso in Africa. Faceva sempre più fatica a nascondere una verità così grande alla matriarca degli Ardlay.

Ma Georges si limitò ad annuire, di nuovo conscio di quanto, per William, Candy significasse qualcosa di più rispetto al passato. E non credeva c'entrasse il fatto che lo avesse letteralmente salvato mentre aveva l'amnesia.

"Come desidera, signorino William", rispose chiudendo gli occhi e facendo un cenno affermativo e deferente col capo.

Lui riaprì i suoi, puntandoli sul cielo, il capo reclinato all'indietro: "Quando ci saranno i funerali?".

"Tra due giorni". E con una bara vuota, concluse nella mente, non osando dirlo ad alta voce.

"Voglio esserci, ma non mi farò vedere. Pregherò per lui da lontano".

Profonde rughe stavano solcando la fronte di William e nei suoi occhi lucidi poté scorgere tutta la sofferenza che tentava di reprimere.

"Farò in modo di venirla a prendere per tempo", assicurò con un tremore appena percettibile nella voce.

Si alzò, pronto a congedarsi, rimettendo il telegramma nella tasca interna della giacca di lana nera. Titubò e si fermò a osservare ancora quel ragazzo che era come un figlio per lui, per essere certo che potesse restare solo con quel dolore.

Si sentì catapultato di colpo a qualche anno addietro, quando gli aveva comunicato il terribile incidente occorso al signorino Anthony e non aveva potuto fare altro che lasciarlo solo. Anche quella volta.

William si era sempre rialzato nonostante i colpi della vita, ma non significava che lui non dovesse stargli accanto per dargli sostegno.

"Puoi andare, Georges. Adesso torno a casa da Candy, suppongo che l'abbia saputo anche lei e... devo esserci". Si alzò anche lui, guardandolo con il piglio deciso che lo caratterizzava.

Georges annuì, un po' più sollevato, preparandosi mentalmente per parlare con la signora Elroy. Non sarebbe stato altrettanto facile darle quella notizia, anche se era una donna tutta d'un pezzo, sapendo che un altro dei suoi nipoti era morto e che il suo discendente più diretto era ancora disperso.
 
- § -
 
Candy piangeva fra le braccia di Archie maledicendo al contempo la sua incapacità di consolare il ragazzo. Nonostante la presenza di Annie al suo fianco, pensò che avrebbe dovuto essere di maggior sostegno per lui, invece si ritrovava a essere lei quella che cercava conforto.

Eppure lì, nel cortile dell'ospedale dove le foglie vorticavano intorno a loro, la sofferenza le aveva attanagliato il cuore con una violenza inaudita e non aveva potuto fare a meno di crollare miseramente.

Prima Anthony, che aveva amato con tenerezza. Ora Stair, l'amico speciale che le aveva regalato un carillon della felicità prima che partisse per incontrare l'ennesima beffa del destino. In realtà, entrambi avevano fatto un viaggio che li aveva portati fra le braccia dei rispettivi destini: l'unica differenza era che Stair era morto e non sarebbe più tornato.
Candy sentì il petto di Archie sollevarsi e abbassarsi ritmicamente, scosso a sua volta dai singhiozzi, e lo strinse più forte cercando di trasmettergli un po' di calore nel gelo che era sceso in lei. Poteva sentire Annie piangere piano aggrappata al braccio del ragazzo, che si ritrovava così avvolto da quello che sperò essere un duplice conforto.

Restarono per lunghi minuti così, ad abbracciarsi piangendo la perdita di una amico, di un fratello, di una persona che meritava di vivere ancora per tanti anni ma la cui vita era stata spezzata in maniera impietosa da una guerra che si era sempre rifiutato di accettare.

Mentre si staccava dalle braccia di Archie, asciugandosi gli occhi con il pugno chiuso, Candy desiderò ardentemente gettarsi fra quelle di Albert. Lui era il suo porto sicuro, la sua consolazione, l'aveva trascinata fuori dalla sua disperazione quando era tornata da New York e aveva asciugato le sue lacrime innumerevoli volte.

D'improvviso, Candy realizzò quanto Albert fosse... importante per lei.

Non che prima non lo fosse, ma in momenti come quello rappresentava la sua ancora di salvezza, la certezza che aveva qualcuno a cui aggrapparsi e con cui condividere la tristezza. Lui l'avrebbe aiutata a ritrovare il sorriso, ne era certa, o perlomeno la serenità in quella tragedia.

Desiderò trovarsi già a casa, col viso affondato sul suo petto, respirando il confortante aroma di muschio e legna fresca che aveva il magico potere di anestetizzare la disperazione, al pari della sua voce dolce e gentile.

E si sentì in colpa, Candy, perché mentre vedeva Archie tamponarsi gli occhi rossi con un fazzoletto seppe che quei pensieri erano egoistici, in qualche modo. Toccata dalla sofferenza del ragazzo, gli accarezzò una guancia con tenerezza, mormorandogli di essere forte, che Stair avrebbe voluto così.

"Patty lo sa?", chiese realizzando di colpo che sarebbe stata distrutta.

Annie fece un cenno col capo: "Sì, siamo passati prima da lei e hanno dovuto chiamare un medico. Oh, Candy, ha gridato ed è svenuta, io non so se sarà in grado di sopportare tutto questo!". Fu Annie ad affondare il viso nel fazzoletto e Candy la strinse a sé, mentre Archie si allontanava di qualche passo tirando su col naso.

"Le staremo vicino, la sosterremo noi. Ma tu devi dare conforto anche ad Archie, ora più che mai ha bisogno di te", si raccomandò cercando di ricacciare indietro le proprie lacrime.

Lei annuì, voltandosi verso il fidanzato che si era appoggiato con la schiena a un albero, osservandolo per qualche istante prima di dirle: "Vieni in macchina con noi, Candy, ti diamo un passaggio fino a casa".

Casa. Albert. Candy chiuse gli occhi, anelando la sua vicinanza come mai le era accaduto in passato.
 
- § -
 
Coprì la tavola con un telo di cotone leggero e non per fare scena come le altre volte. La sua intenzione era solo quella di mantenere il cibo abbastanza caldo prima che lei arrivasse: era in ritardo, ma Albert sapeva perché.

Di sicuro, Archie o Patty l'avevano raggiunta in ospedale per darle la notizia e sarebbe entrata distrutta da quella porta.

Senza più un briciolo di energia, Albert si accasciò sul divano, in una postura molto simile a quella che aveva assunto quando quel maledetto telegramma gli era arrivato fra le mani. Infilò le dita tra i capelli, come nei momenti in cui aveva tentato di ricordare inutilmente il suo passato, e si concesse finalmente di piangere da solo per quel nipote perduto che era stato più un amico, un confidente.

Stair e Archie, assieme a Candy e alle altre ragazze,  lo avevano tirato fuori, con le loro cure e le loro risate, dalla spirale di depressione che lo aveva stretto nelle sue maglie mortali quando non sapeva chi diavolo fosse e da dove provenisse di preciso.

Stair lo aveva incoraggiato innumerevoli volte, aveva inventato gli arnesi più bizzarri per fargli tornare la memoria. Il suo finto treno che emetteva fumo e suoni. Il suo martello di gomma che lo aveva colpito impietoso durante un pic-nic.

Stair, che diceva di odiare la guerra e che poteva scherzare ma anche essere serio e immolarsi a una causa che credeva sua.

Stair, il cui corpo giaceva sepolto in fondo al mare insieme ai resti dell'aereo su cui stava volando e sul quale i genitori e gli amici non avrebbero mai pianto.

Restavano il suo ricordo, qualche oggetto e una cassa di legno vuota e fredda che difficilmente sarebbero stati di conforto alla famiglia.

Quella consapevolezza gli lacerò il cuore e, mentre l'aria nei suoi polmoni usciva in singhiozzi silenziosi e le lacrime gli solleticavano le guance dopo tanto tempo, ad Albert parve di perdere di nuovo Anthony, suo padre, sua sorella.

Per un istante desiderò essere di nuovo senza memoria per non ricordare tutte le perdite che aveva subito nella vita e che ora sembravano amplificate da quella del povero Stair. Nel momento in cui i ricordi erano tornati, qualche tempo prima, non era stato facile venire a patti con quelle verità amare come il fiele: era stata proprio l'immagine di una ragazza bionda con le lentiggini sul viso a dargli la forza di affrontarle di nuovo.

Albert prese un respiro profondo e si raddrizzò, quindi andò in bagno per sciacquarsi il viso abbastanza a lungo da non farsi trovare in quelle condizioni da Candy. Doveva fingere di non sapere nulla ed essere di nuovo la sua roccia, non poteva permettersi di lasciarsi andare troppo a lungo al proprio dolore.

Per sua fortuna, la resilienza era una di quelle caratteristiche della sua indole che lo aveva sempre aiutato ad andare avanti nella vita e nel giro di qualche minuto Albert ebbe di nuovo le emozioni sotto controllo.

Guardò dalla finestra giusto in tempo per vederla, mentre camminava a testa china e si asciugava gli occhi cominciando a salire le scale esterne.

Povera, piccola Candy.

Quando entrò, lui fu pronto ad accoglierla fra le sue braccia. E la strinse, la strinse a lungo.
 

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Capitolo 16
*** Addio ***


Addio

Albert rilesse il messaggio che aveva scritto e capì che non poteva osare più di quello. Se avesse permesso al suo cuore di prendere il comando, avrebbe aggiunto parole che non andavano dette, né fatte salire a livello cosciente.

No, meglio rimanere un po' freddo, un po' distante. Titubò per qualche istante prima di lasciarle alcune banconote e decise che non poteva fare male: le spese erano davvero tante e sapeva bene quanto potesse essere difficile arrivare alla fine del mese, specie ora che lui non avrebbe più contribuito. Inoltre c'era stata anche la riparazione di quella finestra per la quale aveva dovuto ordinare un vetro nuovo e l'affitto del mese era imminente...

Si portò due dita agli occhi, stropicciandoli per ricacciare indietro le lacrime che già stavano premendo per uscire: Dio, quanto era difficile lasciare Candy!

E non era per il fatto che non l'avrebbe più rivista. Era certo che sarebbe di nuovo accaduto, ma non sarebbe mai stato lo stesso. Mai più. Quella complicità, la semplicità delle loro giornate, il loro essere spontanei e spensierati proprio come una coppia.

Altro che fratelli...

Quella era la storia che avevano raccontato, ma per lui era diventato quasi impossibile dormire a pochi pollici di distanza da lei senza desiderarla. E quello non andava affatto bene. Era riuscito a spingere a lungo nei recessi del suo essere quella tentazione continua che rappresentavano la presenza di Candy e il suo profumo in ogni angolo di quella casa. Ma pensava che avrebbe continuato a sentirselo addosso a lungo anche una volta uscito di lì.

Candy, la sua Candy. Così nobile, così altruista, così fragile eppure forte. Così bella...

Con un sospiro tremante, si alzò dalla sedia e socchiuse un poco la porta per guardarla un'ultima volta. Il cuore gli fece così male che lo sentì spezzarsi distintamente: era sdraiata su un fianco mostrandogli il suo bel viso addormentato nella luce tenue dell'alba nascente.

Sarebbe stato così facile sfiorarle le lentiggini con un dito, per poi saggiare la consistenza morbida della guancia e quella delle labbra rosse che anelava solo baciare...
E perdersi, perdersi nel suo calore, nel suo odore di rose, le mani affondate nei capelli d'oro. Essere in lei, nel suo delicato profumo di fiori. Fino all'estasi.

L'amore lo portava alla dissoluzione e all'indecenza! Candy era ancora la sua figlia adottiva, la sua protetta. Per i padroni di casa erano fratelli. Per il mondo, paziente e infermiera.

Doveva porre fine a tutto perché già l'aveva compromessa abbastanza.

Si riempì gli occhi della sua immagine rilassata, per portarla sempre con sé, immaginando già quando l'avrebbe rivista. Sarebbe stata arrabbiata? Delusa? Indifferente?
Per Albert, però, la cosa importante era che fosse felice. Con o senza di lui. Avrebbe dato parte della sua vita per vederla sorridere, non si sarebbe mai perso nel desiderio egoistico di averla.

"Addio, mia dolce Candy. Grazie di tutto...".

Amore. Amore mio, urlò la sua mente. Amore...

Albert s'impose di chiudere la porta con cautela per non fare rumore e lottò con il proprio respiro agitato per i singhiozzi trattenuti. Attraverso il velo delle lacrime, guardò per l'ultima volta la tavola su cui aveva messo la colazione preparata per lei assieme al biglietto, strinse la sacca in una mano e se ne andò.

Fuori, la nebbia del primo mattino lo fece rabbrividire, entrandogli fin nelle ossa, congelando un cuore già freddo. Si voltò a guardare la finestra che aveva riparato un paio di settimane prima, chiedendosi se lei si sarebbe affacciata da lì per tentare di scorgerlo, dopo aver letto la sua lettera, proprio come aveva fatto lui la mattina che se n'era andata a New York.

Il pensiero improvviso delle provviste lasciate in casa lo fece quasi tornare sui propri passi: aveva deciso di andarsene così in fretta che non aveva pensato di controllare se ci fosse rimasto un po' di pane per il pranzo o gli ingredienti per una zuppa... Candy sapeva essere una cuoca terribile, alle volte, magari sarebbe stato meglio cucinarle anche un pasto per mezzogiorno. E i panni stesi ad asciugare! Forse stava per piovere e...

Una voce, dentro di sé, gli ricordò che lui ormai non faceva più parte di quella vita e le gambe, che si stavano muovendo già contro la propria volontà, tornarono sui passi giusti.

Candy se la sarebbe cavata da sola, come sempre d'altronde.

Un giorno, si sarebbero rivisti. E allora, lui sarebbe stato pronto ad andare in Paradiso o all'Inferno, o ovunque avesse desiderato condurlo.

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Capitolo 17
*** Ritratto ***


Ritratto

Georges stava controllando che tutti i fogli con l'accordo che avrebbe sancito la collaborazione tra la Ardlay Corporation e la Ford Motor Company fossero firmati, quando bussarono alla porta.

"Avanti", disse William senza alzare lo sguardo da altri documenti sparsi sulla scrivania: era incredibile quanto lavoro si fosse accumulato negli anni in cui il patriarca era stato assente. Eppure, dalla sua presentazione erano trascorsi già parecchi mesi.

Probabilmente ce ne vorranno tanti altri per recuperare...

Con un sospiro, si volse per guardare la cameriera entrare con un pacchetto di carta marrone: "Mi perdoni, signor William, è arrivata la cornice che ha ordinato la settimana scorsa. L'ebanista l'ha appena portata".

Lui, che era rimasto concentrato fino a che non si era aperta la porta, alzò la testa di scatto e le andò incontro: "Oh, bene, grazie Nancy!", disse prendendola di persona, cominciando a scartarla.

"Bene, se non ha bisogno di altro mi ritiro".

"Certo, vai pure".

Georges lo osservò con un sopracciglio inarcato, alzandosi a sua volta dal tavolino al quale si era seduto per controllare i documenti. Si trattava di una cornice rettangolare argentata piuttosto piccola, col lato più lungo che a occhio e croce arrivava a circa *dodici pollici.

"Immagino dalle rifiniture minuziose che debba contenere una foto di grande valore", commentò cercando di essere discreto.

William gli rivolse un sorrisetto di traverso e tornò alla scrivania dove la appoggiò con molta cura, prima di mettersi a frugare in un cassetto in basso: "Veramente si tratta di un disegno e a dirla tutta mi sarebbe piaciuto costruirne una io, con le mie mani. Ma purtroppo non ho molto tempo libero, come vedi".

E tutti i ritagli di tempo li usa per andare alla Casa di Pony, pensò divertito.

Georges s'impose di tornare con lo sguardo ai documenti, ma era davvero curioso di capire che tipo di disegno fosse così meritevole di essere appeso addirittura in una cornice d'argento. Come se gli avesse letto nel pensiero, William disse: "Vuoi vederlo?".

"Se posso, signore", azzardò dirigendosi piano verso di lui.

William allargò le braccia: "Non la smetterai con tutta questa formalità neanche quando sarò vecchio sul serio, vero Georges?", chiese con una punta di esasperazione.

"Penso di no, signore", ribatté senza scomporsi.

Quando infine vide ciò che era raffigurato sul foglio bianco dovette usare tutto il suo autocontrollo per non mostrarsi sorpreso.

"Beh, che te ne pare?". Il tono di William era serio, ciononostante poteva avvertire netta la punta di divertimento che gli conferiva un leggero tremolio. Infatti, quando alzò gli occhi su di lui, le labbra erano incurvate in quello che era un sorriso trattenuto.

Il suo silenzio carico di aspettativa, però, lo indusse a rispondere in fretta e per la prima volta Georges non seppe quanto potesse sbilanciarsi con una risposta sincera. Si schiarì la voce, sperando di non dire una parola di troppo: "Si tratta di un regalo... di uno dei bambini dell'orfanotrofio?", chiese.

William scoppiò a ridere rovesciando la testa all'indietro e Georges rilasciò quasi un sospiro di sollievo: anche se aveva sbagliato, non lo aveva offeso.
"In effetti, non ci sei andato molto lontano, Georges, ma l'autrice non è più una bambina... da tempo", concluse in tono più pacato.

E capì. Capì che il suo capo e amico non avrebbe dedicato tempo ed energie per incorniciare qualcosa che non avesse per lui un valore reale. E non quello economico.

La signorina Candice...

Ciononostante, non poté fare a meno di notare che, pur essendo una persona eccezionale sotto molti punti di vista, la protetta di William non fosse molto abile con la matita, per usare un eufemismo...

"Il... soggetto...", cominciò temendo di mettersi a ridere persino lui che non era avvezzo alle dimostrazioni emotive.

"Sono io", rispose William asciutto, prendendolo in mano e ammirandolo come se si trattasse della Gioconda di Leonardo.

Sbatté le palpebre, tentando di immaginare come in quell'omino dalla bocca troppo carnosa e gli occhi tondi come biglie, la signorina potesse identificare William Ardlay.
Con gesti attenti, stava ponendo il disegno dentro la cornice, raddrizzandolo più volte finché non fu centrato e Georges non osò dire altro, certo che gli avrebbe raccontato lui stesso la storia di quel disegno così poco ortodosso.

"Quando ho deciso di andarmene dall'appartamento che condividevamo", iniziò infatti, "Candy ha cominciato a cercarmi. Poco dopo le ho inviato un vestito primaverile da Rockstown, ti ricordi?".

Certo che se lo ricordava e annuì in risposta. Non avrebbe mai dimenticato la lotta interiore che era trapelata dai suoi lineamenti normalmente composti, quando aveva deciso di indicarle il luogo in cui si esibiva il signorino Granchester con quel teatro itinerante.

"Devo lasciarle la possibilità di scegliere e questa potrebbe essere l'ultima", aveva mormorato guardando fuori da una finestra dell'albergo nel quale soggiornavano.

"Per trovarmi più in fretta", proseguì allungando le braccia per ammirare meglio il risultato, "ha cercato di disegnare il mio ritratto mostrandolo a tutte le persone che incontrava".

"Non mi sorprende che non sia riuscita nel suo intento", gli sfuggì prima che potesse impedirselo.

William rise di nuovo: "Beh, a dire il vero ho scoperto che il dottor Martin è molto più bravo di Candy. Il suo ritratto era davvero somigliante, ma non è questo il punto". Sospirò e Georges cominciò a capire dove volesse arrivare.

"Il punto è che Candy cercava me e mi ha cercato anche a Rockstown. E questo disegno", lo girò perché lo vedesse nella sua cornice, "è la conferma di quanto fosse disperata a causa della mia partenza".

Il suo tono era triste ma accorato.

"Bene, allora possiamo dire definitivamente che si tratta di un capolavoro dal valore inestimabile", disse senza indugio.

"È così", rispose lui con voce carica di emozione. Georges era sicuro che, a breve, le cose fra i due sarebbero cambiate. Tutto sarebbe cambiato, eppure sarebbe rimasto uguale a prima.

Quando William gli aveva chiesto di rapire una giovane Candy prima che arrivasse in Messico, non aveva avuto dubbi sulle sue intenzioni di proteggere una ragazzina innocente dalle angherie della famiglia adottiva. Non era stato facile, a soli ventiquattro anni, prendere una decisione simile, assumendosi di fatto una responsabilità così grande come l'adozione di una ragazza poco più giovane di lui.

Eppure, non aveva esitato un istante.

Gli aveva raccontato di averla salvata da una cascata e di aver appreso quanto i Lagan fossero stati crudeli con lei.

E, come lui, era rimasto stupefatto dal modo comunque allegro e propositivo di quell'adolescente orfana di affrontare la vita. William aveva ragione: anche se in modi diversi, entrambi erano stati plasmati dalla solitudine e avevano sviluppato una resilienza che consentiva loro di cogliere il lato bello delle situazioni e delle persone.

Man mano che il tempo passava e il ragazzo maturava, però, Georges si era reso conto che la sua anima diventava tormentata. Non dubitava che il suo desiderio di andarsene in Africa, pur maturato da tempo, includesse in qualche modo un allontanamento volontario dalla signorina Candy.

Non che lui glielo avesse mai rivelato apertamente, ma qualcosa era cambiato di certo e aveva intaccato la sua solita serenità. Il destino, però, ci aveva messo lo zampino e, mentre lui e la signora Elroy si disperavano credendolo disperso o persino morto, lui era stato ricondotto dal fato proprio da colei che una volta aveva salvato.

Erano stati, in tempi e modi differenti, l'una il sostegno e la salvezza dell'altro. Tuttavia non aveva creduto mai, neanche per un minuto, che fra loro fosse nata una semplice gratitudine. Certo, Candice era stata per un periodo legata al figlio del conte di Granchester, ma ora...

"Puoi chiedere di portarmi chiodi e martello, per cortesia?", disse William spezzando il filo dei suoi pensieri. Lo vide appoggiare il disegno al muro, in una posizione dalla quale potesse scorgerlo dalla propria scrivania voltando solo un poco il capo a sinistra. "Pensi che starà bene qui?".

Georges sorrise, grato alla vita per aver dato al suo ragazzo l'opportunità di incontrare una donna tanto speciale. In fondo, lo considerava da sempre come un figlio: "Credo sia meglio un po' più in alto", rispose allontanandosi per fare quanto richiesto.

D'altronde, un capolavoro non poteva che essere appeso in una posizione privilegiata.



 
* circa 30 centimetri, ho immaginato un foglio A4 di oggi

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Capitolo 18
*** Il Principe della Collina ***


Il Principe della Collina

La stringeva fra le braccia, ancora commosso nel profondo per ciò che avevano appena vissuto. I suoi capelli gli solleticavano il naso, inebriandolo con il loro profumo leggero.
Ormai tutto era stato confessato, ogni maschera caduta e la reazione di Candy era andata oltre ogni sua più rosea aspettativa. Di certo, l'emozione che l'aveva colta era ben diversa da quella che aveva potuto vedere in lei quando si era presentato come prozio William!

Il che lo riempiva di gioia e di prudenza al contempo.

Sapeva che Candy gli voleva bene e tra loro c'era un legame davvero profondo che affondava le radici nel tempo, ma Albert non aveva ancora la certezza che i sogni romantici di una ragazzina fossero sovrapponibili a quelli più adulti che stava facendo lui.

Aveva percorso più di metà della strada che lo separava da lei, ma c'era ancora molto da chiarire e, anche se moriva dalla voglia di donarle il proprio cuore, sapeva che doveva andare piano con Candy. Per troppo tempo aveva sofferto per un altro uomo, anche se era quasi certo lo avesse superato, e non era affatto sicuro che si sentisse pronta ad aprirsi di nuovo all'amore.

Quello che era certo, era che tutto il nervosismo della mattina lo stava abbandonando man mano che i singhiozzi di Candy si placavano. Si era sentito come un adolescente al primo appuntamento, il che era quasi ridicolo, ma era anche la prima volta che si metteva a nudo di fronte a una donna.

In realtà, era la prima volta che si apriva così a qualcuno in tutta la propria vita.

Nascondersi e non mostrare sentimenti erano state le prime cose che aveva imparato sin da piccolo. Solo con sua sorella aveva osato far trapelare il vero Albert, ma d'altronde era davvero giovane quando lei era morta.

Aveva capito che Candy era speciale e simile a lui quando l'aveva salvata dalla cascata e scoperto che non aveva una famiglia: la loro solitudine e la loro resilienza li accomunavano senza ombra di dubbio.

Quasi quindici anni prima, su quella collina, aveva incontrato una bambina piangente che lo aveva stupito con la sua spontaneità e per la quale aveva quasi provato invidia. A lui non era stato concesso di versare nemmeno una lacrima quando aveva perso suo padre e Rosemary.

Ora, invece, aveva tra le braccia una donna alla quale non si vergognava di mostrare le proprie emozioni e debolezze.

Era uno dei motivi per cui l'amava, ogni giorno di più, e desiderava condividere con Candy la sua intera vita.

Alzò il viso su di lui asciugandosi gli occhi e Albert s'impose di aiutarla in quell'operazione, limitandosi a sfiorarle la pelle solo con le dita e non con le labbra. Se fosse stata già sua, le avrebbe passate sulle palpebre umide, sulle gote punteggiate di lentiggini, sulle guance rosee... e sulla bocca schiusa in un sorriso.

Senza rendersene conto, stava già contravvenendo alle sue intenzioni di gentiluomo avvicinando il volto a Candy e socchiudendo gli occhi.

Non devo baciarla ma... oh, accidenti, sto proprio per farlo!

Come poteva impedire al proprio corpo di fare ciò che il cuore anelava ma la mente razionale gridava fosse sbagliato?

Fu il suono del clacson a spezzare l'attimo in cui anche Candy sembrava disposta a imitare quel gesto, non ritraendosi, ma anzi sporgendosi verso di lui.

Forse l'ho solo sognato... e forse ho sognato anche che stavo per baciarla.

"Chi può essere?", domandò lei in tono curioso.

Non era arrossita e sembrava tranquilla, il che gli confermò che forse Candy non si aspettava nulla di più che un bacio sulla fronte come era già accaduto in un'occasione.

Ripetendosi che era meglio così, che l'avrebbe spaventata bruciando le tappe, Albert rispose allontanandosi un poco da lei: "Credo sia Georges, abbiamo un appuntamento di lavoro. Non lo aspettavo così presto, però".

Stava per voltarsi quando Candy lo afferrò per le braccia, con urgenza: "Quando potrò rivederti?", chiese guardandolo negli occhi.

Il tempo si fermò.

Perché vuoi rivedermi, Candy? Per questa amicizia profonda che ci lega? O perché ti sei appena resa conto che sono il tuo Principe della Collina e sei innamorata di questa immagine che hai costruito nel tempo?

Sapeva che l'altra faccia della medaglia sarebbe stato il dubbio che Candy potesse idealizzarlo invece di considerarlo il solito Albert di sempre, ma non sarebbe mai tornato sui suoi passi.

"Tornerò ogni volta che mi sarà possibile e continuerò a scriverti. Tu mi risponderai?", le chiese inclinando il capo per accompagnare la domanda.

"Certo, certo che ti risponderò!", gridò con veemenza. Poi si frugò in tasca e tirò fuori ciò che le aveva chiesto di restituirgli solo pochi minuti prima.

La campanella sulla spilla tintinnò mentre Candy se la portava prima al cuore e poi gliela porgeva con un sorriso di pura gioia: "Questa è tua, principe. Te la restituisco".
Albert prese un respiro profondo, sapendo che aveva poco tempo e che Georges lo stava aspettando dietro la collina con il motore acceso, pronto ad andare via. Ma voleva comunque che Candy comprendesse quanto valore avesse quel momento per lui.

Prese la spilla, guardandola brevemente: quante volte gliel'aveva mostrata, mentre era senza memoria? E quanta emozione aveva provato quando, una volta recuperati i ricordi, si era reso conto che era stato il primo amore di Candy quando lei aveva solo sei anni!

D'impulso, emulò il gesto di lei portandola al cuore, quindi tese la mano perché la prendesse: "Adesso è tua. È sempre stata tua". Come il mio cuore, avrebbe voluto aggiungere, ma sperava che lei lo avesse compreso.

E, infatti, mentre la riprendeva con mano tremante, non staccò gli occhi spalancati dai suoi, l'espressione stupita. Ne era felice? O era spaventata dall'implicazione di ciò che aveva appena fatto?

Un altro colpo di clacson lo fece quasi imprecare, ma riuscì a mantenere la compostezza offrendole il braccio: "Mi accompagni alla macchina?".

Candy sorrise e rimise in tasca la spilla, afferrando il suo braccio e stringendosi a lui. Il tragitto fino alla strada fu troppo breve per i suoi gusti e lei si staccò poco prima di arrivare, come fosse in imbarazzo.

Salutò Georges con la solita allegria, anche se con meno entusiasmo delle volte precedenti. Albert la capiva benissimo: aveva cercato di scegliere un giorno in cui avrebbe avuto tempo sufficiente a farle quell'importante confessione, ma rifiutare il tè di Miss Pony e salire quasi subito sulla collina non era bastato.

Il suo braccio destro aveva pure origini francesi, ma la sua puntualità era davvero svizzera.

"Mi dispiace, signore, ma hanno anticipato l'appuntamento", disse l'uomo a mo' di scuse. Doveva essersi reso conto che aveva interrotto un momento importante, suo malgrado.

"Non preoccuparti, va tutto bene, Georges", rispose scuotendo la testa e sperando di essere abbastanza gentile e bravo a mentire.

Si volse un'ultima volta verso Candy che aveva di nuovo gli occhi lucidi e per un attimo si vide mandare all'aria gli affari, i viaggi di lavoro e tutti i piani commerciali solo per poter restare accanto a lei.

"Non lavorare troppo, Albert, cerca di riposare ogni tanto. Attenderò con ansia le tue lettere". La voce era già incrinata e lui resistette a malapena all'impulso di abbracciarla.
"Te l'ho promesso e te lo prometto di nuovo, Candy".

Uno scambio di sguardi, di sorrisi, il battito del cuore che gli rimbombava nelle orecchie. E Albert dovette voltarle le spalle per salire in macchina.

Vide Georges salutarla con un leggero inchino e lei muovere la mano per ricambiare. Lo fece anche lui, abbassando il finestrino, guardando la figura della donna che amava allontanarsi sempre di più e correre agitando la mano in aria e gridandogli un "arrivederci, Albert" che gli fece solo venir voglia di saltare giù dall'auto in movimento.

Stava portando l'altra mano alla tasca? Stava riprendendo la sua spilla per portarsela al cuore? Accidenti, non la vedeva quasi più!

"A presto, mia piccola Candy", mormorò, le parole portate via dal vento.

Un giorno, Candy... un giorno parleremo, io e te. Forse, questa distanza che oggi dobbiamo sopportare ti aiuterà a fare chiarezza nel tuo cuore. Tu mi attenderai e io farò lo stesso con te. Ora le mie speranze sono molto più forti che in passato.

Appoggiandosi allo schienale del sedile posteriore, Albert chiuse gli occhi, pervaso da una nuova serenità.
 
- § -
 
Candy guardò in direzione della strada finché la macchina non fu un puntino lontano e non la scorse più. Corse di nuovo sulla collina, stringendosi al cuore la spilla del principe e si arrampicò sull'albero fino al ramo più alto che poté, come aveva fatto quando Annie era andata via.

L'auto era una macchia nera indistinta sulla strada circondata dal verde.

Nuove lacrime le scesero sulle guance mentre prendeva un respiro tremulo e profondo. Ma erano lacrime consapevoli, piene di gioia.

Nel profondo del suo animo, Candy sentì che un cerchio importante era stato appena chiuso e ora, tenere la spilla al petto equivaleva a stare fra le braccia di Albert. La staccò un poco da sé con un misto di emozione e imbarazzo e la guardò.

"Albert... il mio prozio William. E il mio Principe della Collina", mormorò stringendola fra le dita.

Come potevano, in un solo uomo, convivere personalità così diverse eppure così simili tra loro? Un ragazzo con lo spirito libero; un benefattore che le aveva salvato la vita e le era stato accanto nei momenti più difficili; il sogno della sua infanzia.

Albert era il suo stesso destino, realizzò in un ansito, e quell'implicazione le smorzò il fiato. Era stato l'unica, vera costante nella sua vita da quando aveva solo sei anni e ora non riusciva più a fare a meno della sua presenza.

Quanto era stata felice di ritrovarlo a Londra! E quanto aveva desiderato stargli vicino nel momento in cui era tornato a Chicago, fragile e senza memoria! E che sofferenza sapere che era andato via, all'improvviso, dopo più di due anni di convivenza!

In quel periodo, nonostante avesse inizialmente sofferto per la perdita della sua relazione con Terry, aveva trovato una deliziosa stabilità nella quotidianità che condividevano.
Albert lo smemorato gentile che lavorava in un ristorante e cucinava per lei.

Candy, l'infermiera che tentava di fargli recuperare la memoria.

Fratello e sorella. Infermiera e paziente. Amici. Eppure, in cuor suo, Candy sentiva che il loro rapporto aveva una profondità speciale, che diventava sempre più marcata man mano che il tempo li univa. Lo percepiva in lui e in se stessa. E ora...

L'ultima svolta dell'auto elegante l'aveva fatta sparire in via definitiva dalla sua vista, ma la solidità del piccolo oggetto che aveva in mano era la prova tangibile che Albert era lì, con lei. E ci sarebbe sempre stato.

E lei desiderava solo che continuasse a essere così per sempre.
 

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Capitolo 19
*** Poupee ***


Poupee

Albert firmò l'ultimo foglio con un movimento veloce del polso, concedendosi un piccolo svolazzo sull'ultima lettera. Batté la punta della penna sulla scrivania e mise da parte il documento per consegnarlo a Georges la mattina dopo.

Fece appena in tempo a scoccare un'occhiata all'orologio in ottone lavorato sul caminetto per scoprire che erano già le dieci di sera, quando bussarono alla porta.
E Albert seppe subito che, dopotutto, non avrebbe dovuto aspettare il mattino per consegnare il documento.

Georges entrò vestito di tutto punto come fossero indietro nel tempo di dodici ore: in mano stringeva una lettera. "Mi perdoni, signorino William, ma credevo fosse importante e siccome ho visto la luce provenire dallo studio ho pensato di portargliela subito".

Inarcò un sopracciglio: "Da quando consegnano la posta anche di notte?", chiese perplesso.

L'uomo si strinse nelle spalle: "L'ufficio postale ha fatto sapere di aver previsto una consegna straordinaria perché la lettera è stata accidentalmente dimenticata, stamane".

Albert allungò una mano per prenderla mentre Georges si avvicinava e gliela porgeva: "Immagino che se non avessero visto a chi era indirizzata non si sarebbero disturbati tanto", osservò con una punta di fastidio. Nonostante fosse comodo ricevere la posta a ogni ora del giorno, continuava a mal sopportare che lo trattassero in maniera diversa solo perché apparteneva a una famiglia importante e influente. Tuttavia, quando vide il mittente un nodo gli strinse la gola: "Viene dall'Africa", mormorò e riconobbe il nome del capo del villaggio keniota in cui aveva passato gli ultimi mesi prima di iniziare il viaggio di ritorno.

Georges dovette avvertire il cambio brusco nel suo tono, perché sentì i suoi passi fermarsi prima di arrivare alla porta per congedarsi: "Brutte notizie?", s'informò discretamente.

Con il cuore che accelerava nel petto perché già sapeva la verità, Albert aprì la lettera con mani gelide. Non credeva che avrebbe fatto così male: non dopo aver dato l'addio al caro Stair solo poco tempo prima. Eppure, quando ebbe la conferma che la sua adorata Poupee era morta serenamente di vecchiaia in mezzo ai membri del villaggio che l'amavano tanto, sentì gli occhi riempirsi di lacrime.

"Signorino William?", la voce allarmata di Georges lo costrinse a deglutire e stringere le palpebre per controllarsi.

"Ti ricordi di Poupee, Georges? La mia piccola puzzola che ti avevo detto di aver lasciato in Africa?", riuscì a rispondere con voce incrinata.

Teneva gli occhi incollati sulla lettera, come se potesse nascondere lì la sua sofferenza. Udì l'uomo fare un respiro profondo e dire, in tono comprensivo: "Certo che me la ricordo. Mi dispiace tanto, so che era molto affezionato a quell'animaletto. Mi sembrava davvero intelligente".

"Lo era", rise lui un po' rauco, tirando su col naso e asciugandosi un angolo dell'occhio. "Penserai che sono uno sciocco sentimentale, no?", si schernì.

"Non lo penso affatto", sembrava quasi urtato da quel pensiero, non era una frase di circostanza. "Penso solo che l'amicizia vera non abbia confini di età, né di razze. E lei ha sempre amato molto gli animali, signorino William".

Albert annuì, le immagini di lui e Poupee gli riempivano dolorosamente la testa. "Grazie Georges, davvero. Ah, qui c'è il documento che dovevo controllare, se vuoi domani stesso puoi portarlo in banca. Direi che è ora che andiamo... cosa stai facendo?", domandò vedendolo andare al mobile bar e tirare fuori del whisky scozzese.

"Sto facendo quello che abbiamo fatto tutte le volte che un membro della famiglia ci ha lasciati. Non ne ha forse bisogno?", domandò inarcando un sopracciglio come a sottolineare la domanda.

Albert annuì, alzandosi: "Mi farai compagnia anche se non era esattamente amica tua?", chiese cercando di stirare le labbra nel fantasma di un sorriso.

Georges versò due dita di distillato in ogni bicchiere. "Anche se sono certo che la signorina Candy sarebbe stata più adatta di me, sa bene quanto io sia affezionato a lei, signorino William. Il suo lutto è anche il mio lutto".

Alla menzione di Candy, Albert sussultò un poco, ma si avvicinò all'uomo con gratitudine per alzare il bicchiere in un piccolo brindisi: "A quella che è stata la mia fedele compagna per tanti anni, ovunque vagabondassi".

I due bicchieri si accostarono con un lieve tintinnio e Albert mandò giù un sorso ricordando il primo incontro con Poupee, alla casetta nel bosco: era solo un ragazzino e quello era il suo rifugio, lo stesso dove qualche anno dopo gli avrebbero persino sparato addosso scambiandolo per un barbone abusivo.

Era piccola Poupee, poco più di un cucciolo, e Albert si era subito sentito attratto da lei: entrambi erano, in modo diverso, incompresi. Lei per essere un animaletto che suscitava disgusto anche senza motivo, lui perché voleva semplicemente vivere la sua vita senza doversi nascondere.

"Da oggi saremo alleati: io, almeno finché non me ne darai motivo, non ti dirò che hai un cattivo odore. Tu non mi giudicherai per i miei colpi di testa come fa la zia Elroy, va bene?". La ricettività e l'intelligenza della bestiolina l'avevano colpito fin da subito.

Da allora, si era tanto abituato ad averla sulla spalla per la maggior parte del tempo che, anche se aveva lasciato l'Africa da un bel po', gli sembrava sempre di sentirne il peso leggero ma confortante. Lasciarla lì gli era costato, ma col senno di poi era sollevato che non fosse stata coinvolta nell'incidente ferroviario col rischio di perire prematuramente.

"Bene, col suo permesso io mi ritiro", disse Georges distogliendolo dai suoi ricordi.

Albert fissò il suo bicchiere vuoto e il proprio ancora mezzo pieno e si rese conto di aver perso per un attimo la nozione del tempo: "Ah, sì, certo. Grazie ancora di cuore, Georges. Sapevo che tu mi avresti compreso".

Mentre si congedava, rifletté che in realtà non si era aspettato un'empatia così totale da lui, anche se era ben consapevole dei suoi buoni sentimenti. Non era da tutti risultare comprensivi davanti a un uomo adulto che si commuove per la perdita di una puzzola adottata quale animale domestico. Ma quel modo di fare così spontaneo e affettuoso di Georges gli indicò, ancora una volta, quanto lui fosse quello che di più vicino a un padre devoto avesse nella vita.

Albert si ripromise che, semmai fosse stato padre anche lui un giorno, avrebbe cercato di essere altrettanto presente e comprensivo per i suoi figli.

Nonostante il dolore per la perdita di Poupee, mentre ripiegava la lettera con cura e la riponeva in un cassetto, alzandosi per uscire e andare in camera sua, non poté fare a meno di sorridere immaginando tanti bambini biondi, con delle lentiggini sul naso e magari una puzzola come animale di compagnia.
 

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Capitolo 20
*** Diario ***


Diario

La giostra delle emozioni non si era ancora fermata.

Questo pensò Candy mentre entrava nello studio del prozio Willam. Là, dove aveva scoperto che altri non era che il suo caro amico Albert: tutto era proprio come se lo ricordava.

L'ampia scrivania in mogano, con la poltrona alta dal cui schienale non aveva potuto scorgere il suo benefattore di sempre, se non una mano adagiata sul bracciolo.
La finestra, subito dietro, a illuminare i suoi giorni di lavoro.

E quel tavolino da tè un poco a sinistra, accanto alla parete su cui erano appesi i dipinti degli antenati e di Rosemary. Rosemary, quella dolce sorella perduta che lo chiamava piccolo Bert.

Nelle orecchie risuonavano ancora le note della canzone scozzese che Albert aveva cantato mentre si recavano a Lakewood in macchina. Sul viso poteva ancora sentire le tracce delle lacrime che aveva versato nella radura dove era morto Anthony. E, intorno al corpo, avvertiva ancora le braccia calde e confortanti di Albert che la lasciava piangere sulla sua camicia, mormorandole il proprio dolore.

Era stato come tornare indietro di qualche anno, quando aveva abbracciato Albert il vagabondo al Cancello delle Rose subito dopo la morte di Anthony. Chissà, allora, mentre la stava consolando per una perdita che aveva creduto solo sua, quanto stava soffrendo!

In quella stanza pareva tutto immutato, eppure qualcosa di diverso c'era, perché gli occhi lo avevano visto ma il cuore non voleva crederci: il suo diario, quello che aveva affidato a Georges perché lo consegnasse al prozio William, era sulla scrivania.

Le lettere d'oro con cui erano stati incisi il suo nome e i suoi due cognomi brillavano ai raggi del sole che filtrava dai vetri, nonostante fossero un po' sbiadite dal tempo.

"Te lo restituisco, Candy, è tuo", disse la voce dolce di Albert, una mano poggiata sul piano di lavoro. Le dava le spalle ma si era voltato per sorriderle.

"Perché?", riuscì solo a chiedere lei, senza fiato.

"Perché questo... è per te qualcosa di prezioso", mormorò in apparenza sereno, guardando fuori dalla finestra.

Candy fece qualche passo, ricordando tutto quello che aveva scritto in quelle pagine: un senso d'inquietudine la pervase. Lì dentro c'erano le sue emozioni legate al periodo trascorso alla Saint Paul School, i racconti legati alle insegnanti, ad Annie, a Patty. E anche ad Albert e a... Terry. Soprattutto a Terry.

Alzò gli occhi per fissare le spalle rilassate di Albert, che guardava un punto lontano dell'orizzonte e il cuore batté più forte.

Cosa pensava davvero? Credeva che fossero preziosi i suoi ricordi oppure che lo fosse Terence? In tasca aveva ancora la spilla del Principe: nonostante avesse scherzato sul fatto di restituirgliela gliel'aveva lasciata volentieri, quel meraviglioso giorno sulla collina.

Era come... se Albert le avesse lasciato tra le mani il suo cuore assieme al proprio sentimento dolce e infantile che l'aveva accompagnata per più di dieci anni.

E quel diario che rappresentava il suo, di cuore, poteva riprendersi anche quello? Non era forse il suo passato? Aveva bisogno di sfogliarlo ancora, di guardarsi indietro?
La risposta le arrivò così ovvia che fu davvero tentata di non prenderlo.

Invece lo fece, ringraziandolo in un sussurro e stringendoselo al petto. Non rinnegava nulla di ciò che aveva vissuto in quelle pagine, faceva parte di lei: era anche grazie a quel passato che ora stava vivendo un presente luminoso e felice.

Poi, di colpo, si rese conto di ciò che aveva scritto a un certo punto del diario, mentre era ancora alla Saint Paul School, poco dopo il bacio di Terry: stava ripensando ad Anthony, chiedendosi cosa sarebbe accaduto se lei non fosse stata mai adottata e non fosse mai stata organizzata la caccia alla volpe. Non erano forse le stesse parole di Albert nella radura, che si prendeva entrambe le responsabilità? E, tuttavia, erano giunti alla conclusione, pur tra le lacrime, che nessuno avesse colpa e che si era trattato solo di un tragico incidente.

"Io ti sono grata... sono grata allo zio William per avermi adottata", si sentì dire d'istinto, anche se ormai gli doveva essere chiaro. E si voltò, quello che era stato il misterioso zio William, sorridendole mentre la comprensione calava sul suo viso. Sì, Albert aveva compreso che stava chiudendo anche il cerchio riferito a quella frase che mai le era apparsa più infelice, la frase di una Candy ancora ragazzina che non voleva essere d'ingratitudine, ma solo di dolore.

La luce del sole che poco prima aveva illuminato la scritta sulla copertina, ora si rifletteva sull'oro dei capelli di Albert e a Candy parve significativo come un segno divino. L'intera figura di quell'uomo che un giorno le aveva salvato la vita le apparve come immersa in una luce speciale.

E non era solo quella del sole.

Un giorno, non troppo lontano, quel diario sarebbe tornato fra le sue mani. Glielo avrebbe restituito di nuovo, ne era certa.

Allora, sarebbe stato il momento in cui avrebbero affrontato la vita mano nella mano.
 
- § -
 
Albert approfittò del fatto che Candy fosse salita in camera a cambiarsi per la cena per sistemare dei vecchi documenti nel suo ufficio.

Accartocciò quelli inutili e organizzò in una pila ordinata quelli che poteva riportare a Chicago. Aprì un cassetto in basso a sinistra e ne estrasse una cartellina con la copertina in pelle marrone.

Proprio come...

La tirò fuori, fissandola come se potesse d'improvviso trasfigurarsi in quel diario che le aveva appena restituito, magari rimpicciolendosi un poco e mostrandogli di nuovo quelle pagine.

Sorrise di se stesso e scosse la testa, riponendo i fogli nella cartellina ma senza riuscire a impedirsi di ricordare.

Aveva letto quel diario anni prima, quando ancora era il fantomatico prozio William e Candy una ragazzina fuggita da scuola. Non avrebbe mai dimenticato i sentimenti contrastanti che gli avevano attanagliato il cuore mentre scopriva quanto in fretta lei stesse diventando donna. E come si stesse innamorando di Terence, proprio come aveva subodorato prima di partire per l'Africa.

Eppure... eppure aveva anche raccontato a quel diario dei suoi incontri con il signor Albert. Di quanto fosse felice di averlo ritrovato, a sorpresa, proprio a Londra.
Appoggiò la schiena alla poltrona, chiudendo gli occhi e giungendo le mani davanti alle labbra.

A quell'epoca, aveva degli affari da seguire lì, ma per mantenere la sua copertura si era messo a lavorare allo zoo Blue River. Si era goduto la vicinanza degli animali, lavorare con loro era sempre un piacere per lui, anche se preferiva vederli liberi nelle savane africane piuttosto che rinchiusi nelle gabbie.

Era stato divertente vedere Candy e Terence insieme, scoprendo quanto le loro strade si fossero intrecciate per un apparente capriccio del destino: prima aveva salvato il ragazzo da un'aggressione e poi aveva aiutato, senza saperlo, Candy a trovare una farmacia per medicarlo.

Nonostante sapesse che lei era alla Saint Paul School, perché si era occupato personalmente di mandarla a studiare lì, non credeva che l'avrebbe incontrata. E di notte, per giunta! E, volendo essere precisi... grazie a Terence.

Aveva aiutato lui a rientrare, anche se poi il ragazzo si era ritrovato nell'ala sbagliata della scuola, e lo stesso aveva fatto con Candy, che era saltata oltre il muro di cinta come se non avesse fatto altro nella vita fino a quel momento. D'altronde, non era lei quella che fuggiva dalle soffitte e si arrampicava sugli alberi? C'era poco da stupirsi...
Candy era molto più simile a lui di quanto pensasse, nonostante avesse chiamato lei e Terence 'ragazzi problematici'.

Quella consapevolezza, poco prima che maturasse la decisione di partire per l'Africa, lo aveva quasi travolto. Si stava rendendo conto che, man mano che Candy maturava, i propri sentimenti cambiavano allo stesso modo e non era sicuro che fosse un bene.

Lui era il suo tutore, per legge sovrapponibile quasi a un padre adottivo.

Era sbagliato, era tutto sbagliato. Questo gli gridava la sua morale rigida, nonostante l'istinto invece urlasse, forte e chiaro, che era solo un pezzo di carta a sancire quel legame.

Nella realtà, lui era Albert, allora aveva venticinque anni e Candy quattordici. Undici anni di differenza per una ragazza adolescente potevano ancora sembrare tanti, a quel tempo... ma adesso...

"Adesso sei diventata una donna, Candy", mormorò abbassando le mani e alzandosi in piedi. Fissò la porta, come se le stesse parlando. "Lo eri già quando ti sei presa cura di me e io non mi ricordavo nulla. Allora, l'unica cosa che poteva dividerci era la mia mancanza d'identità. Eppure è stata quella che ci ha uniti".

Si voltò, perdendo ancora una volta lo sguardo nella fila di alberi dietro alla quale il sole filtrava con i suoi ultimi raggi: quel verde luminoso gli ricordava gli occhi pieni di lacrime di Candy.

Aveva pianto fra le sue braccia, incolpandosi della morte di Anthony e lui aveva creduto di morire a sua volta.

Non aveva mai sopportato la sua sofferenza. Persino da smemorato aveva un bisogno quasi fisico di renderla felice a ogni costo. Ma sentirla sobbarcarsi una responsabilità di cui solo lui poteva farsi carico lo aveva straziato nel profondo.

Le aveva detto quello che aveva sempre tenuto in un angolo del proprio cuore, quasi tentasse di proteggersi da una verità che poteva ferirlo a morte. Ma, accanto a lei, aveva raccolto il coraggio di portare a livello cosciente quel senso di colpa.

E si era perdonato perché lei lo aveva fatto.

Aveva apprezzato le parole che gli aveva rivolto Candy quando lo aveva ringraziato per averla adottata, gli era ben chiaro che si fosse ricordata solo in quel momento di quel particolare passaggio del suo diario. Un passaggio che gli aveva tolto il sonno per svariate notti e che lo aveva indotto, in maniera inconscia, a ripetere quasi le stesse parole di Candy per indicarle quanto la responsabilità, semmai esistesse, fosse da attribuire a lui solo.

La morte di Anthony non era stata che un tragico incidente e nel pianto di Candy aveva trovato anche la propria redenzione. Conscio che se fosse stato ancora vivo, forse ora sarebbero stati insieme e probabilmente non ci sarebbe stata speranza né per Terence, né tantomeno per lui.

Le aveva restituito il diario con la consapevolezza che Candy avrebbe sempre deciso della propria vita. Poteva riaprirlo oppure riporlo in un cassetto, recuperare parte di quei sentimenti o lasciarseli alle spalle.

L'importante era che fosse felice.

Albert aveva fatto la sua parte ridandole ciò che le apparteneva, quel pezzetto della sua vita raccontato al prozio William. Cadute tutte le maschere, non gli rimaneva che chiudere quel cerchio e attendere.

Attendere che il cuore di Candy fosse sgombro da nubi e incertezze, semmai ce ne fossero state. Attendere che ciò che stavano costruendo giorno dopo giorno diventasse una nuova storia da scrivere. Attendere che il destino, che li aveva sempre fatti ritrovare, li dividesse o li unisse per sempre.

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Capitolo 21
*** Il party dei Lagan ***


Il party dei Lagan

Candy si affacciò dalla terrazza mentre, alle sue spalle, la musica continuava. Tuttavia gli ospiti erano pochi. Non sapeva se fosse per i fiumi di champagne o per l'aria veramente umida e calda: mancava mezz'ora alla mezzanotte, eppure c'erano solo metà delle persone che aveva visto a inizio serata. Molti se n'erano già andati.

Le vennero in mente gli eventi che si erano tenuti qualche volta a Chicago o a Lakewood e non poté fare a meno di metterli a paragone con l'apertura di quel resort: innanzitutto, la zia Elroy non aveva mai avuto una nevralgia così invalidante e Archie non aveva cercato scuse per non partecipare.

Nonostante ciò, la sontuosa festa per celebrare il nuovo albergo dei Lagan a Miami doveva apparire noiosa davvero a tutti. O quasi.

E lei perché aveva accettato l'invito della signora Lagan? Se lo chiese mentre guardava le stelle e la luna sovrastare il cielo sopra a quel mare. Sarebbe apparso quasi nero nell'oscurità se non fosse stato per i loro riflessi che parevano adagiati sull'acqua.

Sono come il mare...

Albert le aveva chiesto di presenziare a quel ballo. Senza pretenderlo, domandandolo come se la invitasse a un altro evento qualunque della famiglia.

E lei aveva seguito la sua luce, rispecchiandosi in essa. Dirgli sì era stato così naturale, che aveva realizzato solo dopo che stava per andare a una festa indetta dai Lagan, dove di certo non l'avevano invitata davvero loro, ma il patriarca William Ardlay.

Lo stesso che aveva imposto a Sarah Lagan di scagionarla davanti a tutti.

Candy chiuse gli occhi sentendosi quasi rabbrividire nel suo abito leggero, nonostante la temperatura estiva. Era accaduto meno di due ore prima ma era ancora sconvolta. Le sembrava di risentire nelle orecchie la voce composta della madre di Eliza e Neal che si scusava pubblicamente per aver creduto che un giorno la giovane Candice le avesse sottratto dei costosi gioielli di famiglia.

Era rimasta in un angolo, preda di un'emozione violenta a metà strada tra la gratitudine e lo stupore, ad ascoltarla mentre spiegava che aveva sbagliato e che, in realtà, lei era sempre stata una ragazza corretta ed educata.

D'istinto, aveva lanciato uno sguardo ad Albert e le era quasi parso così imponente e lontano dal solito ragazzo spensierato, da sconvolgerla. Ritto in piedi, nel suo abito estivo color crema, la cravatta coordinata allacciata in maniera impeccabile, la testa alta e la mascella serrata nonostante il lieve sorriso: quello era William e Candy aveva sentito il cuore sussultare.

Alla meraviglia del momento si erano intrecciati altri sentimenti che forse aveva già provato quando si era presentato in maniera ufficiale, in occasione del mancato fidanzamento con Neal e aveva usato un tono fermo con la prozia. Erano gli stessi sentimenti che si agitavano in lei anche quando le capitava di vederlo in veste ufficiale o al lavoro.

Elegante, impeccabile, bello...

Era arrossita in quel momento? Sperava di no, ma aveva fatto uno sforzo notevole per rimanere concentrata sul discorso di Sarah. Quando, poco dopo, si era avvicinata per ringraziarla, le aveva confermato ciò che aveva sospettato: era stato lo zio William a darle ordini precisi e lei aveva eseguito il suo desiderio.

Lo zio William... il mio padre adottivo, o tutore legale, ancora per poco. E il mio Principe della Collina...

Eppure era sempre lui, lo stesso che sembrava un vagabondo e l'aveva salvata da una cascata; che l'aveva abbracciata per consolarla decine di volte; che aveva preso in affidamento una tartaruga e che aveva visto fragile e sperduto senza memoria. Che l'accoglieva a casa quando tornava dal lavoro con la tavola apparecchiata e che le raccontava di Georges commuovendosi senza vergogna.

Potevano convivere tanti uomini in uno solo? E poteva lei... volere bene a tutti, indistintamente?

"Sì, posso", confermò a bassa voce, chiudendo gli occhi alla leggera brezza marina che le colpì il viso.

"Puoi cosa?". La voce alle sue spalle la fece quasi urlare e riuscì a contenere il gridolino di stupore a malapena mentre si girava.

Candy si sentì come quando era piccola e Miss Pony la beccava a rubare la marmellata.

Cercò di fare una faccia infuriata ma, mentre Albert rideva di gusto tenendo in mano due flute di champagne e gliene porgeva uno, non poté fare a meno di meravigliarsi ancora una volta.

Lei doveva avere i capelli crespi e spettinati per via del caldo e dei balli, il vestito spiegazzato e si sentiva accaldata come se avesse corso una maratona ed eccolo lì, lui, fresco come una rosa!

Se con quella giacca e con la cravatta annodata sembrava così a suo agio forse lo doveva alla sua permanenza in Africa?

"Niente, niente, parlavo tra me e me", rispose bevendo un sorso dal bicchiere e sperando che non le desse troppo alla testa.

Lui alzò un sopracciglio, perplesso, e Candy si domandò come fosse riuscito a uscire senza che nessuno lo seguisse.

Anzi, nessuna...

Diamine, persino Eliza si era quasi messa in fila per poter ballare con lui! Avrebbe dovuto essere abituata al fatto che, a ogni ricevimento, ogni singola donna in età da marito facesse carte false per avvicinarlo. Ricordava che, in un'occasione, una aveva fatto persino finta di inciampare cadendogli quasi fra le braccia, guarda caso mentre l'orchestra stava per attaccare un valzer.

William Ardlay attirava le donne come fossero api sul miele, ma lei non era certo gelosa!

Io ho vissuto con lui quando faceva il lavapiatti e indossava sempre la stessa camicia logora. E quando l'ho conosciuto aveva una barba così folta che sembrava più vecchio di almeno dieci anni!

Eppure, con la sua bontà, il suo altruismo, la sua risata fresca e sincera e... sì, anche il suo fascino naturale, Albert era sempre stato magnetico. Non sapeva da dove le venisse quel termine, ma era esattamente ciò che le suscitava ora, mentre le si avvicinava piantandole addosso i suoi occhi limpidi e preoccupati.

"Non ti senti bene, Candy?".

"Eh? Oh, no, non ti preoccupare, è che fa un gran caldo! Non so come fai a sembrare così a tuo agio vestito di tutto punto!", balbettò dandosi della stupida e prendendosi a immaginari pugni sulla testa.

Pensava forse che avesse alternativa?

Lui fece un grugnito di disappunto e portò una mano proprio al nodo della cravatta, tirandolo nervosamente: "Hai toccato il tasto dolente! Non so che darei per smetterla di fare l'impiccato e tuffarmi fra quelle onde laggiù", borbottò.

Prima che la mente potesse restituirle l'immagine di Albert tra le onde marine, Candy sospirò: "Beh, ma alla fine mi pareva ti stessi divertendo, o sbaglio?".

Accostandosi a lei e poggiando i gomiti sulla balaustra con il suo bicchiere in mano, si voltò a guardarla con un sopracciglio inarcato: "Divertendo? Direi che non è la parola esatta, Candy".

Lei fece roteare il proprio flute osservandone il liquido per non perdersi negli occhi

magnetici

chiari di Albert: "Quando mi hai proposto di fare la foto accanto a te e ai Lagan mi sembravi divertito, anche se io alla fine ho preferito farla con Mary e Stewart. E anche mentre ballavi con... quella signorina... la figlia di quel magnate del petrolio, come si chiama?".

La risata di lui era così contagiosa e sincera che Candy per poco non lo imitò, prima ancora di capire perché gli fosse sgorgata facendogli sussultare le spalle. Tuttavia, un lieve sorriso le si disegnò sulle labbra.

"Non me lo ricordo neanche io, Candy. L'unica cosa che mi ha fatto davvero divertire è stato lo sguardo che ti ha lanciato Neal a un certo punto e la tua espressione in risposta: lui sembrava uno cui sia stato sottratto un giocattolo e tu... beh, penso di aver sentito il brivido lungo la schiena al posto tuo". La sua espressione, invece, era a metà tra il serio e il faceto e, come al solito, era difficile indovinare con esattezza i sentimenti che lo agitavano.

Proprio come quando le aveva confessato che preferiva che la considerassero più grande e non piccola come una sua sorellina.

Cosa c'è nel tuo cuore, Albert? Eri divertito o... geloso...? E io...?

Candy fece un sospiro, sorseggiando il suo champagne: "Forse non è carino dirlo, ma sono lieta che Neal ed Eliza stiano avendo molto da fare qui in Florida. Spero di tutto cuore che la loro catena di alberghi fiorisca sempre di più. D'altronde Raymond ha lavorato bene e...".

"E non ce li ritroveremo più a Chicago o a Lakewood troppo spesso", concluse Albert scolando il resto dello champagne in un sorso. Posò il bicchiere in equilibrio precario sul corrimano della balaustra e le tese un braccio, portando l'altro dietro la schiena: "Mi concedi questo ballo?", chiese inclinando un poco il capo verso l'interno dal quale
arrivavano le note di un valzer.

Candy sbatté le palpebre, sentendo il cuore aumentare i battiti: "Ma, Albert, qui...?". Era tutta la sera che sognava di ballare con lui, ma c'era riuscita in una sola occasione e davanti a tutti. La prospettiva di un valzer con il suo Principe della Collina le riempiva il petto di emozione.

Lui si strinse nelle spalle: "Qui fuori è più fresco e abbiamo una vista stupenda".

Senza attendere un suo cenno, le tolse il flute di mano e lo posizionò accanto al suo con attenzione. Quando la prese fra le braccia inchiodando su di lei lo sguardo, il tempo cessò di scorrere per Candy.

C'era solo la sua mano intorno alla vita, che sfiorava il cotone leggero color acquamarina del vestito all'altezza della schiena. C'era l'altra, intrecciata nella propria per seguirlo in quel ballo. C'erano le balze della gonna che cadevano in diagonale lungo le gambe e sbattevano in un fruscio contro quelle di Albert. E c'erano i loro corpi vicini che si sfioravano al ritmo di tre quarti con movimenti sapienti che li portavano a toccarsi e ad allontanarsi, toccarsi e allontanarsi...

Il profumo del mare si mescolava con quello maschile e deciso di Albert e il sapore dello champagne era ancora netto sulle proprie labbra.

Senza che potesse impedirselo, a Candy venne in mente la Festa di Maggio durante la quale Terence le aveva rubato un bacio e tutto era finito, invece, con degli schiaffi. Per molto tempo, dopo quell'episodio e quando era ancora innamorata di lui, aveva cercato di evocare il sapore di quella bocca premuta sulla propria, per sentirne di nuovo il calore.

Ora non era che un ricordo sfocato, giovanile, perso nei meandri di un sentimento bellissimo che una volta era stato uno dei punti fermi della sua vita e ora era solo una reminiscenza dolceamara.

In quel preciso istante, Candy desiderò sostituirlo con qualcosa che potesse diventare una traccia indelebile e si sorprese a fissare le labbra di Albert, scoprendo che non le aveva mai scrutate con tanta attenzione. O forse sì, qualche volta...

Carnose e delineate, erano comunque molto virili e completavano in modo delizioso la linea decisa della mascella, poco sotto al naso dritto e proporzionato.

Quasi gridò di sorpresa quando la suddetta bocca si aprì per chiederle, con voce bassa e roca: "Ho qualcosa sulla faccia?".

"No!", disse d'istinto, "no, è che...". Il movimento improvviso con cui si ritirò da lui, come scottata, le fece urtare la balaustra, i bicchieri caddero sul manto erboso dall'altro lato con un rumore di frantumi.

Candy si sciolse dall'abbraccio portandosi le mani al viso, costernata.

"Due in meno nel servizio buono", commentò Albert alzando le spalle con noncuranza.

"Mi dispiace tanto, Albert... è che stavo ripensando alla Festa di Maggio e...". E si diede dell'idiota quando incontrò il sorriso di lui affievolirsi in maniera impercettibile.
Nel diario aveva scritto cosa era accaduto alla Festa di Maggio e, anche se lo zio William glielo aveva restituito, di certo aveva letto anche quel passaggio.

Allora, aveva confessato a Terry di ricordare un valzer simile ballato con Anthony e aveva scatenato in lui quella reazione. Ora non stava accadendo nulla di molto diverso con Albert...

Terry le aveva rubato un bacio di rabbia. Albert invece era rimasto in silenzio, distogliendo lo sguardo.

Spiegargli come mai si fosse messa a pensare a quell'episodio per poi confessargli che era concentrata sulle sue, di labbra, era fuori discussione. E come avrebbe potuto farlo se neanche lei si capiva a fondo, da qualche tempo a quella parte? Le cose tra lei e Albert stavano cambiando.

Sempre di più, in maniera inesorabile.

E non voleva che ci fossero più punti d'ombra fra loro, tanto per cominciare.
 
- § -
 
Albert guardò Candy con un misto di tenerezza, aspettativa e trasporto.

Era così bella in quell'abito che gli ricordava il colore del mare! Sembrava quasi che la natura fosse tutta concentrata su di lei: l'acquamarina del vestito; il verde degli occhi; il candore della pelle che gli ricordava le nuvole in un cielo terso; il leggero rossore sulle guance simile al sole timido dell'alba.

L'aveva tenuta fra le braccia mentre ballavano e già gli sembrava distante mille miglia. E solo per aver nominato la Festa di Maggio.

Ricordava benissimo quasi ogni singola riga del diario che le aveva restituito e sapeva cosa fosse accaduto in quell'occasione. Il prozio William le aveva dato la possibilità di partecipare sotto mentite spoglie e lei si era avvicinata ancora di più a Terry. Aveva accennato a un bacio rubato. A un sentimento agrodolce. Al desiderio di tornare a vivere e amare dopo la morte di Anthony, a seguito di quella dannata caccia alla volpe...

Albert colse il momento in cui anche il sorriso di Candy si spegneva, mentre il proprio sguardo si perdeva di nuovo verso l'orizzonte.

"Voglio dire...", continuò lei come se quel momento di pausa non ci fosse mai stato. "Sono molto grata al prozio William per avermi dato l'opportunità di partecipare, altrimenti sarei dovuta rimanere in punizione! Però non ho potuto vedere il signor Albert...". Con il suo tono ironico, e nello scindere ancora quelle due persone come se non fossero sempre lui, Albert colse il suo tentativo di alleggerire l'atmosfera. E lo colse anche in quel suo insistere con 'prozio' e 'signor Albert', come se ormai non si dessero del tu da un mucchio di tempo.

"Non devi giustificarti con me, Candy, sono i tuoi ricordi e sono preziosi. Per questo ti ho restituito il diario", disse con lo stesso tono sereno che aveva utilizzato quel pomeriggio nel suo studio.

E perché diamine Candy doveva giustificarsi, poi?

"Non voglio che tu pensi... che tu creda...". Le mani, che aveva portato sulla balaustra per ammirare l'orizzonte, strinsero la presa senza che potesse impedirselo.

Cosa stai per dirmi, Candy? Posso osare sperare che tu...?

"Albert, il mio cuore è guarito. Pensare al mio passato con Terence mi evoca dolcezza ma non dolore. Sono felice di aver ballato con te, oggi, non rimpiango la Festa di Maggio, anche se la conserverò sempre tra i miei ricordi più preziosi".

Col respiro corto e il cuore che gli batteva più veloce nel petto, Albert si volse a guardarla, la bocca socchiusa per lo stupore: "Candy...". Cosa stava per dirle? Quando era successo che lui era diventato quello insicuro e lei una donna?

"Non devi più temere di ferirmi se parliamo di Terence e non hai più bisogno di nascondermi i giornali che parlano di lui", ridacchiò riferendosi a quello che aveva fatto alla Casa della Magnolia, tempo prima. "Sono felice di sapere che è al fianco di Susanna, col senno di poi sono certa che siano fatti davvero l'uno per l'altra. Le loro anime sono così simili! Un po' come...".

Candy s'interruppe, il rosa delle guance divenne più acceso e una mano le salì alle labbra come se avesse parlato troppo.

Potrei semplicemente baciarla, ora... se solo non fosse ancora così presto... oh, Candy...

"Volevi dire... come le nostre?", terminò per lei sforzandosi di mantenere ferma la voce, quasi sussurrando nel tentativo.

Lei annuì, distogliendo gli occhi e appoggiandosi di nuovo alla balaustra guardando in basso: "Certo che sono il solito disastro!", si schernì tirando fuori la lingua come una ragazzina.

No, non sei un disastro. Sei la donna più incredibile che abbia mai conosciuto. Davanti alla tua spontanea schiettezza, ognuna delle dame con cui sono stato costretto a ballare stasera scompare.

E, d'improvviso, Albert si rese conto che non poteva immaginare al suo fianco nessun'altra che non fosse Candy. La bambina che voleva far sorridere; la ragazzina che voleva proteggere, allora, come un vera sorellina; la donna che oggi avrebbe voluto...

"Vuoi che vada a prendere dell'altro champagne? Stavolta però lo berremo prima di ballare, eh?", le chiese per interrompere il suo stesso flusso di pensieri. Inoltre, voleva ballare di nuovo con lei e aveva potuto chiederglielo con una certa nonchalance.

Candy rise: "Basta con lo champagne, per stasera! Altrimenti non oso pensare a cos'altro potrei rompere in questo magnifico hotel!".

"Bene, allora direi di riprendere da dove avevamo lasciato. Sarai di nuovo felice di ballare con me prima che venga qualcuno a interromperci?". Allargò le braccia, voltandosi verso di lei, pronto ad accoglierla. Dalla sala principale, la musica era cambiata e ora era una struggente melodia jazz con un assolo di sassofono che faceva venire la pelle d'oca.

Lo avrebbero ballato come un lento, ancora più stretti, e Albert tremò al pensiero di averla così vicina.

Potrò abbracciarla senza che si renda conto di quanto sono intensi i miei sentimenti? Le basterebbe sentire quanto batte il mio cuore, per capirlo..

Ma Candy accettò il suo abbraccio e quel ballo con un sorriso e, dal rossore sulle guance, capì che stavano condividendo le stesse emozioni.

Ormai era questione di poco tempo. Avrebbe avuto pazienza per attendere che, alfine, Candy diventasse solo sua?

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Capitolo 22
*** Le parole non servono... ***


Le parole non servono.

Aveva affrontato tanti momenti difficili nella sua vita.

Perdite di persone care, problemi di lavoro, viaggi avventurosi, incluso quello di andata e ritorno in Africa. Era sopravvissuto a un'esplosione su un treno e persino all'attacco di un leone in piena città.

Ma, mentre si aggiustava la cravatta davanti allo specchio come se dovesse presenziare a una riunione con il clan, Albert si ritrovò a pensare che quello che stava per fare avrebbe cambiato la propria vita per sempre.

Tutto dipendeva da una risposta a una sua domanda.

Una risposta per segnare un destino. Suonava quasi come il titolo di un romanzetto da quattro soldi. Un romanzetto nel quale, magari, il Principe azzurro di turno andava dalla sua bella per vedere se la scarpetta di cristallo calzava al suo piede, oppure... oppure la baciava per svegliarla da un lungo sonno.

Si congelò di fronte alla propria immagine.

Capelli corti ben pettinati, la frangia di solito indisciplinata accuratamente lisciata da un lato. Il completo color antracite di fattura italiana come le scarpe nere lucide, la cravatta in tono e il panciotto coordinato.

Dove ho la testa?!

Di certo non sulle spalle, o comunque il troppo lavoro doveva aver inficiato sulla memoria come aveva paventato il dottor Martin.

Davvero sto per andare da lei conciato così?! E in giro per i boschi di Lakewood, per giunta?

Con un gemito di frustrazione, si slacciò i bottoni del gilet e si spogliò con gesti secchi girando per la camera con i pantaloni slacciati e la camicia penzoloni frugando in cassetti e armadi, finché non trovò quello che cercava.

Era talmente abituato a trasformarsi in William Ardlay che aveva dimenticato che lei lo amava anche solo come Albert.

Mi ama? Davvero? Gliel'ho mai chiesto?

Si bloccò mentre infilava la camicia nera con il colletto risvoltato, lasciando cadere le braccia. Stava per chiederle di sposarlo e non aveva ancora domandato a Candy se fosse veramente innamorata di lui.

Lo aveva dato per scontato, perché era ciò che si urlavano a gran voce da tempo in quelle lettere e nei loro comportamenti recenti, l'uno verso l'altra. Ma non avevano mai esplicitato quel sentimento.

E lui, che aveva affrontato savane inospitali e leoni, si sentì di nuovo insicuro: c'era davvero bisogno di dirlo ad alta voce o era un certezza simile a quella che portava a cercare sempre il sole a est la mattina e la stella polare a nord di notte?

Dal cassetto, tirò fuori quella lettera, l'ultima che si erano scambiati e ricordò ancora la sensazione che aveva provato dopo averla letta.

"Ringrazio i miei genitori per avermi abbandonata alla Casa di Pony, perché così ho potuto incontrare te".

Alla luce della lampada, nel suo albergo di San Paolo, Albert aveva sentito un calore diffondersi nel petto, mentre il cuore accelerava sollevandogli le labbra in un sorriso che si era spento quasi subito, mentre rifletteva più a fondo su quelle parole. L'implicazione di quella frase gli parve enorme e ne avvertì il peso tra le sue stesse mani: Candy non aveva parlato di Miss Pony o Suor Lane, pur se era certo del suo amore incondizionato per loro, né di Annie o di altre persone.

Aveva parlato di lui.

Aveva benedetto un momento triste e tragico come quello dell'abbandono perché i suoi genitori, nell'istante in cui avevano segnato per sempre il suo destino, le avevano permesso di incontrare il signor Albert.

Gli occhi gli si erano riempiti di lacrime e avrebbe voluto essere con lei per abbracciarla forte. Donarle almeno parte di quella felicità che le aveva promesso. Sperava di non essersi sbagliato, perché quel sentimento altruistico verso Candy era diventato sempre più egoistico: la sua stessa felicità era legata a lei, adesso.

Con un sospiro, chiuse gli occhi a quel ricordo, sentendosi profondamente commosso come ogni volta che la rileggeva. Portò alle labbra quella lettera avvertendo il profumo di Candy sulla carta e la rimise con cura al suo posto.

Finì di vestirsi imponendosi di tornare padrone di se stesso e di smettere di tremare come un ragazzino, per l'amor di Dio! A malapena riuscì a chiudere tutti i bottoni della camicia.

Infilò i pantaloni color crema e un paio di scarpe comode, quindi fece per allontanarsi dallo specchio imponendosi un minimo di calma.

Mentre era con la mano sulla porta, si ricordò di qualcosa di fondamentale che aveva lasciato nella tasca degli altri pantaloni e rovesciò la testa all'indietro risucchiando aria tra i denti con un sibilo di disappunto.

Si insultò da solo e recuperò ciò che gli serviva, facendolo scivolare nella tasca giusta, quindi ci ripensò e tornò allo specchio. Socchiuse le palpebre, guardandosi critico, quindi passò una mano tra i capelli spettinandoli abbastanza da darsi un'aria più spensierata.

Annuì verso se stesso, sentendosi un po' sciocco, e mormorò: "Così va meglio".

Ora sì che Candy lo avrebbe riconosciuto!

 
- § -
 
 
Candy lo stava aspettando da quasi mezz'ora.

La prossima volta che qualcuno mi dice che siamo noi donne a far aspettare gli rido in faccia!

Sapeva che Albert aveva un impegno di lavoro e che molto probabilmente lo stava portando a termine, ma proprio non riusciva a stare ferma mentre lo attendeva!

Il suo ultimo viaggio era durato più di un mese e si erano a malapena visti la sera prima a cena, dandosi la buonanotte sotto gli sguardi attenti della zia Elroy e con la servitù intorno.

E lei voleva stare da sola con Albert.

Incapace di rimanere ferma, decise che poteva arrampicarsi sull'albero al quale aveva poggiato la schiena, seduta sull'erba fresca di fronte al lago. I movimenti, fluidi e automatici, la portarono in breve su uno dei rami più alti, che saggiò per accertarsi che potesse sostenere il suo peso.

Ormai non aveva più sei o dieci anni, ma era una donna. Una donna con un cuore e un nuovo sogno da realizzare.

Sarà mai possibile?

Albert le aveva restituito il suo diario di gioventù, quello in cui confessava i propri sentimenti al prozio William. Quelle pagine erano piene di Terry, ma contenevano anche i suoi sogni spezzati con Anthony.

Rappresentavano il suo passato.

Quel passato che lui aveva voluto restituirle come fossero ricordi preziosi da tenere sempre accanto. Ma che lei conservava già nella memoria e nel cuore: non aveva bisogno di quelle pagine, perché se era diventata quel che era lo doveva anche a tutte le esperienze dolorose.

Grazie a quel dolore aveva scoperto di avere la cosa più preziosa al proprio fianco, anche quando non era fisicamente con lei.

Grazie a quel dolore oggi comprendeva quanto fosse riuscita ad andare avanti, sì, con le proprie forze, ma anche grazie al sostegno continuo di Albert.

La consapevolezza la colpì come un vento impetuoso, mentre si raddrizzava sul ramo e sentiva dei passi sull'erba.

I suoi passi.

Col cuore in gola, Candy si mosse in maniera scomposta cercando di scendere sul ramo più basso per tornare giù e volare fra le sue braccia, ma il rumore del legno che si spezzava le indicò che stava per precipitare.

 
- § -
 
 
Restò per qualche istante in mezzo agli alberi, guardandosi intorno con aria interrogativa, finché non sentì un fruscio fra le foglie di una quercia alle sue spalle. Incuriosito, e con un sospetto che cominciava a farsi strada nella mente, Albert si girò di scatto e guardò in su.

Ebbe appena il tempo di spalancare gli occhi in un'espressione di stupore e orrore, che udì il grido di Candy. D'istinto, allargò le braccia e si preparò a prenderla al volo, ma non aveva fatto i conti con l'altezza alla quale doveva essersi arrampicata, perché lei caracollò giù a una velocità tale che fu sbalzato a terra.

Cadde di schiena e l'aria gli uscì dai polmoni violentemente, in un verso strozzato di dolore, col peso di Candy che gli schiacciava le costole e gravava su di lui.

Quando non cade dagli alberi è più leggera...

Restò per un attimo stordito, chiedendosi se non si fosse rotto qualcosa nel tentativo di attutire il colpo a lei e se anche Candy fosse illesa.

Gli ci vollero alcuni istanti per appurare che, a parte forse qualche livido, lui era tutto intero e lei solo spaventata. E ce ne vollero solo una manciata in più per prendere coscienza del suo piccolo e ora leggero corpo tremante rannicchiato contro il proprio.

Volevo chiederle la mano e me la ritrovo praticamente addosso. Da capogiro...

Candy alzò piano la testa per guardarlo, gli occhi sembravano enormi mentre li spalancava e Albert desiderò solo baciarla, tanto era bella tutta piena di foglie fra i capelli spettinati e quasi del tutto sciolti.

"Oh, Dio, Albert! Stai bene?! Rispondimi, ti prego!". Si puntellò con le mani sul suo petto senza dare accenno di volersi spostare da quella posizione e lui chiuse gli occhi.

Li riaprì, fissandola e alzando un poco il busto per poggiarsi sui gomiti, quindi le chiese con l'aria più seria che poté: "E tu chi sei?".

La faccia di Candy si trasformò in modo così repentino che dovette reprimere a fatica l'impulso di ridere: sembrava disperata e la bocca si spalancò: "Oh, no! Albert, sono io, sono Candy! Hai di nuovo perso la memoria per colpa mia?! Mi dispiace! Ti prego, guardami, mi riconosci?".

Riconoscerla? E perché avrebbe dovuto darle cenno di riconoscerla quando era così preoccupata da prendergli il viso tra le mani, avvicinando il suo a distanza di bacio? E tutto senza spostarsi neanche di un pollice dalla sua posizione.

Albert pensò che avrebbe potuto mandare avanti il gioco ancora per un bel po', ma era innanzitutto un gentiluomo e pensò che, se fossero rimasti così a lungo, la sua memoria avrebbe potuto davvero difettare facendogli dimenticare la ragione. E mandando a benedire ogni regola di buona creanza.

Rispettava Candy, ma era pur sempre un uomo in carne e ossa con una donna sdraiata addosso. E innamorato, per giunta.

Così, a malincuore, decise di mettere un po' di sana distanza tra loro, scostandosi e rispondendo con un occhiolino: "Beh, magari con un bacio potrei anche ricordare qualcosa". Sapeva di aver esagerato e di essersi spinto già oltre il loro limite consueto, ma la sua uscita servì a far scendere Candy da lui, facendogli provare un misto di sollievo e disappunto.

Lei si accigliò, ritirando anche le mani dal suo volto: "Albert!", lo rimproverò e finalmente poté scoppiare a ridere. "Non è divertente!", s'infuriò lei, "ero davvero preoccupata! Non si scherza su queste cose!".

Il suo sollievo più grande fu che non fosse arrabbiata per aver osato nominare un bacio.

"Scusami, Candy, volevo solo giocare con te! Stai bene, piuttosto? Mi sei letteralmente volata fra le braccia stavolta!", chiese sorridendo e mettendosi seduto accanto a lei, che si stava sistemando i capelli.

"Io sì, ma tu hai preso un colpo molto forte! Fammi vedere la schiena e la testa, per favore". L'infermiera stava già prendendo il sopravvento.

"Non preoccuparti, sto bene. Non ho niente di rotto", dichiarò mostrando il muscolo del braccio.

"Poche storie, girati e non fare il bambino!". Senza attendere oltre, si posizionò alle sue spalle e gli sollevò la camicia, cominciando a toccargli la schiena nuda per cercare qualcosa di rotto o forse solo qualche muscolo irrigidito.

Per la prima volta, Albert si sentì a disagio.

Ancora non le ho chiesto di sposarmi e prima mi cade praticamente fra le braccia, poi mi tocca con disinvoltura. E io che avevo paura di non essere un gentiluomo!

Quando gli aveva fasciato la ferita causata del leone non si era sentito così in imbarazzo, anche perché non erano soli e si trovavano a un punto della loro relazione mille miglia lontano da quello attuale.

Ora, il tocco delle sue mani gli fece solo desiderare di stringerla fra le braccia e non lasciarla più andare.

Candy si ritrasse, dichiarando che avrebbe dovuto mettere un po' di ghiaccio su un livido, appena rientrati. Le sue dita avevano indugiato su quel punto poco sotto la scapola destra mandandogli brividi lungo tutta la schiena e sperò che non si fosse accorta che aveva la pelle d'oca.

Ringraziandola per la sua puntuale diagnosi, Albert la indusse ad appoggiarsi al tronco assieme a lui.

 
- § -
 
 
Toccare la pelle di Albert, seppure con occhio clinico, le aveva trasmesso emozioni che non aveva mai provato.

Candy sentì che qualcosa tra loro era cambiato, modificandosi in maniera lenta ma inesorabile ogni volta che si vedevano. Persino le loro lettere erano permeate da sentimenti nuovi, ai quali ancora non aveva osato dare un nome.

Ma era così evidente che le cose fossero diverse!

A partire da quel momento sulla Collina di Pony, quando il cerchio si era chiuso e aveva ritrovato in Albert il suo principe di quando aveva sei anni. No, non era corretto: il cambiamento era iniziato mentre vivevano assieme, alla Casa della Magnolia.

Spalancando le palpebre, con la schiena appoggiata al tronco, Candy si sorprese a fissare Albert negli occhi, il quale le restituì un'occhiata perplessa: "Cosa c'è? Ho qualcosa in faccia?", domandò lui toccandosi il viso.

Mi ha fatto una domanda simile a Miami, allora stavo fissando le sue labbra...

Con la bocca socchiusa dal proprio stupore, Candy scosse la testa e si sorprese a tornare sempre più indietro con i ricordi.

Albert era sempre stato speciale per lei. Fin da quando era una bambina, ma ciò che provava per lui somigliava quasi al fragile bocciolo di un fiore che, negli anni, si era schiuso fino a diventare ciò che era oggi.

Pensava davvero di aver amato Terence? Persino mentre il suo cuore batteva per lui si ritrovava felice di potersi recare al Blue River per visitare il suo amico di sempre e quando aveva ricevuto la sua lettera dall'Africa aveva provato una fitta di nostalgia mentre lo raccontava allo stesso Terry.

C'era stato un momento, nella sua vita, in cui la distanza dal ragazzo ribelle che le aveva fatto superare la morte di Anthony l'aveva indotta a fuggire da scuola. Ma aveva sempre saputo che, a muoverla in modo così deciso, non era stato tanto il desiderio di riunirsi a lui in America, quanto quello di proseguire la vita con le proprie forze.

Certo, mentre decideva che voleva fare l'infermiera aveva desiderato davvero poter ritrovare Terence e aveva sofferto quando il destino era parso accanirsi contro di loro per non farli incontrare.

Ma poi la sua priorità era tornata ad essere Albert. Albert, trasportato senza memoria nell'ospedale dove lavorava. Albert, così fragile come non lo aveva mai visto. Albert, che l'aveva indotta a diplomarsi con maggior impegno. Albert, che ora le stava portando una mano al viso con aria interrogativa.

"Stavo solo pensando... a quanto sono cambiate le cose, in questi ultimi anni", rispose sincera. Non osò spiegargli di più, d'altronde quante cose non dette si erano già confessati? Non era stato Albert stesso, solo pochi minuti prima, a chiederle un bacio come se fosse lo scherzo più naturale del mondo? E lei non si era scomposta più di tanto.

Perché il suo cuore già sapeva.

Sapeva ciò che le parole avrebbero ribadito divenendo superflue. Eppure, Candy si ritrovò a desiderare una conferma. Proprio lì, in quel momento così intimo nel quale il pollice di Albert si muoveva in leggeri tocchi sullo zigomo, il palmo caldo premuto dolcemente sulla guancia.

Oh, come vorrei che mi baciasse, ora!

Voleva davvero unire le proprie labbra alle sue e d'istinto se le leccò con la punta della lingua, ma voleva anche sentirlo pronunciare quella frase mai detta di cui ora anelava il suono.

Avrebbe dovuto dirlo prima lei? E se si fosse sbagliata? No, non era possibile, però non poteva nemmeno fare il primo passo.

Gli occhi di Albert si restrinsero un poco, sembravano quasi più scuri e la sua espressione divenne così seria che lei smise di respirare.

Sta per baciarmi o per parlarmi?

Dentro di sé, Candy si ritrovò quasi a supplicarlo di fare una delle due cose, qualsiasi cosa che non fosse restare in silenzio. E, allo stesso tempo, si sentì così calamitata verso le sue belle labbra piene e maschili che si mosse senza accorgersene, in maniera impercettibile, verso di lui.

Il respirò accelerò come il cuore e sentì anche quello di Albert, tiepido e irregolare, arrivarle sulle labbra. Erano così vicini! Le sembrava di fluttuare nel cielo eppure sentiva tutta la solidità della sua presenza.

Quando Albert parlò, con una voce vibrante di emozione che gli aveva sentito solo alla confessione di essere il suo Principe della Collina, Candy avvertì le lacrime salirle agli occhi.

Perché sapeva di aspettarselo, ma sentirlo pronunciare quel "ti amo Candy", in modo tanto dolce e appassionato, la fece esplodere di gioia sublime.

Emise un risolino mentre le lacrime cadevano sulle guance e lui le raccoglieva con le dita, premuroso e tenero. Portò la mano sulla sua, che non le aveva lasciato il viso e lo guardò dritto negli occhi, rispondendo in modo semplice: "Ti amo anche io, Albert, tanto!".

E, finalmente, le labbra di lui si incurvarono in un sorriso sincero e, sospettò, liberatorio. Temeva forse che non lo ricambiasse? Era davvero così felice che i suoi occhi azzurro cielo stavano cominciando a brillare come se anche lui stesse per piangere?

Candy non poté scoprirlo, perché si ritrovò stretta nel suo abbraccio, affondò il viso nel petto ampio dove il cuore le martellava contro l'orecchio e allacciò le proprie braccia attorno alla schiena di Albert.

Lo udì prendere un lungo respiro tra i suoi capelli, come se si stesse inebriando del loro profumo, ma non disse nulla. Lei stessa non aveva altre parole: quelle più importanti, seppure in parte scontate, erano appena state dette e non occorreva aggiungere altro oltre quell'abbraccio.

Candy lasciò fluire le proprie emozioni, sorridendo nel pianto, e le vide riflesse sul volto di Albert e nei suoi occhi un po' arrossati e umidi quando si staccò per guardarla.
Si sorrisero, le braccia ancora strette intorno ai rispettivi corpi, prendendo coscienza di quel sentimento reciproco alfine svelato con tanta semplicità. Le fronti si unirono e i nasi si sfiorarono giocosamente.

Di nuovo, non ci fu bisogno di parlare. Con uno sguardo, capirono che era arrivato il momento di suggellare quell'amore come volevano entrambi. Albert le portò, stavolta, entrambe le mani alle guance, inclinando un poco la testa mentre le accarezzava piano.

Candy chiuse gli occhi e prese un respiro tremulo, godendosi quel momento sospeso, ma li riaprì quasi subito per trasmettergli con uno sguardo la sua piena partecipazione.
Lui parve capirla perché schiuse le labbra in un gesto così sensuale che le parve d'improvviso un uomo maturo e diverso dal solito Albert. Eppure era lo stesso di quasi quindici anni prima. Eppure non era cambiato fino a pochi istanti fa.

Ma il confine era appena stato tracciato e Candy varcò il successivo con glorioso abbandono, inclinando anche lei il capo, abbassando le palpebre e incontrando finalmente la morbidezza della sua bocca.

Era il suo primo bacio.

Sì, quello che le aveva rubato Terry quasi non lo ricordava ed era stato più una costrizione improvvisa che un gesto d'amore. Lei non aveva affatto partecipato.

Le labbra di Albert erano morbide e tiepide, leggermente umide, chiuse sulle proprie in una carezza che divenne una pressione più esigente quasi subito. D'istinto, e nello stesso momento in cui lo fece lui, aprì la bocca per sentirle meglio e fu travolta da un'ondata di sensazioni così forti e nuove che dovette aggrapparsi alle sue braccia per non cadere, nonostante fosse seduta.

Le loro bocche si aprirono e si chiusero una sull'altra un paio di volte, prima che Albert prendesse un respiro tremulo e sporgesse la punta della lingua fino a sfiorarle il labbro inferiore. Gemendo per la sorpresa, si irrigidì un solo istante e lui si ritrasse come se si fosse scottato.

"S... scusami Candy, io... mi sono lasciato trasportare...", fece un risolino affettato passandosi la mano tra i capelli e lei capì che doveva rassicurarlo.

Ma come dirgli che la sensazione era stata così elettrizzante che desiderava ripetesse quel gesto ardito? Poté solo portarsi una mano al petto, dove il cuore sembrava voler volare via e librarsi in aria.

"Non scusarti", rispose solamente, prendendogli una mano fra le sue.

L'espressione di Albert si ammorbidì mentre usava il dorso dell'altra mano per accarezzarle il viso: "Candy, lo so che forse sto affrettando un po' le cose perché abbiamo appena confessato i nostri sentimenti. Ma sento che è inutile attendere oltre: mi hai confermato che i nostri cuori erano uniti ancor prima che parlassimo".

Candy chiuse gli occhi, stringendo tra le proprie le dita di Albert: "Allora non indugiare oltre. Non stai affrettando le cose. Io... io sono pronta", mormorò protendendo il volto verso di lui, sentendo le guance prendere quasi fuoco sotto al calore del sangue che ribolliva.

Nonostante lo conoscesse da tanti anni, si sentì in imbarazzo a concedersi così sfacciatamente. Ma voleva... oh, Dio, anelava un altro bacio da Albert! E che riprendesse esattamente da dove lo aveva interrotto. Aveva ragione a dire che era inutile attendere ancora.

Sentì il respiro di lui spezzarsi all'improvviso, poi la mano che la stava sfiorando ricadde e le foggiò a coppa il volto, facendole schiudere ancora le labbra d'istinto.

Stavolta l'unione fu subito profonda ed entrambi rilasciarono l'aria dal naso per riprenderla una nella bocca dell'altro, lasciando uno spazio appena sufficiente a farla penetrare.
Quindi non ci furono più spazi, ma solo l'invasione calda e umida della lingua di Albert che, con discrezione le carezzava la propria posizionandosi ora sulle labbra, ora nella parte interna delle guance.

E lei lo emulò, inebriandosi di quel sapore maschile che aveva un leggero retrogusto di caffè.

Come avrebbe potuto farne a meno, adesso? Era un tripudio di sensazioni diverse che passavano per tutti e cinque i sensi: il gusto, il tatto, l'odorato, l'udito che coglieva il sussurro dei respiri e delle labbra in movimento e la vista, che le restituì la visione degli occhi annebbiati dall'amore di Albert quando li socchiuse per guardarlo.

Si divisero per riprendere fiato e si ripresero, brevemente, ma lui non lasciò mai la presa delicata e ferma sul suo volto.

La testa le girava, non avrebbe mai smesso.

Era tutto nuovo e tutto così giusto che sorrise, provocando la medesima reazione sul viso di Albert. Quel viso bello e virile che ora era a una certa distanza ma teneva lo sguardo fisso su di lei, lasciando ricadere la mani solo per prendere le proprie e baciarle, con devota dolcezza.

"Ti amo, Candy. Credo che adesso non riuscirò più a finire di ripeterlo. Per tanto tempo mi sono chiesto se lasciare che il mio cuore si riempisse di questo sentimento fosse corretto, e mi sono reso conto che non era comunque una cosa che potessi controllare. È accaduto e basta. Nonostante scherzassi sul fatto che tu fossi... mia figlia o la mia sorellina. Non ti ho mai considerata tale. Beh, l'ho fatto quando eri solo una bambina. Allora volevo proteggerti, rendere serena e felice la tua esistenza. Ma poi ti ho vista diventare donna e io... io non avrei mai potuto essere davvero tuo padre". Albert parlava con voce bassa e appassionata e Candy capì quanto gli fosse costato orientarsi in quell'amore che alla società poteva quasi apparire come proibito.

Stringendo a sua volta le mani di lui nelle proprie, cercò le parole per spiegarsi: "Neanche io ti ho mai visto come prozio William, anche perché... beh, non lo sapevo!". Risero insieme. "E quando l'ho saputo non mi capacitavo che il mio benefattore, che credevo anziano e con i capelli bianchi, fosse invece un giovane affascinante di poco più grande di me. Ma soprattutto, che si trattasse della stessa persona che è stata una costante nella mia vita. Penso che il nostro percorso sia stato molto simile e ci siamo trovati a metà strada ora che sono cresciuta: anche tu per me eri quasi un fratello maggiore, un amico fidato. Tuttavia il cuore di una donna vola più avanti e la mia prima cotta col Principe della Collina risale ai miei sei anni. Per questo posso dirti, senza vergogna, che a modo mio ti ho sempre amato, Albert, anche se ora è un sentimento più maturo e consapevole".

I lineamenti di Albert si rilassarono e poté vedere nella sua espressione felice quanto fosse toccato da quella confessione.

"Quindi, non pensi che io sia troppo... grande per te?", domandò come se volesse sentire da lei anche quell'ultima conferma.

Lei scosse la testa con vigore, portandogli una mano al viso: "Oh, no! Non sarà l'età anagrafica a dividerci! Albert, ci separano solo undici anni e ora sono molto meno evidenti. Tu sembri più giovane della tua età, casomai sono io a non essere abbastanza... signora per te", concluse guardando in basso.

Lo sentì ridacchiare piano: "Sciocchina, se fosse così non avrei avuto l'ardire di baciarti in quel modo. In realtà temevo di spaventarti, ma mi sembra che tu abbia risposto proprio come una donna. Una donna innamorata".

Candy rimase scioccata e imbarazzata da quelle parole: credeva di spaventarla precorrendo i tempi con un bacio vero? E lei che credeva si facesse scrupoli solo per via della loro confessione troppo recente!

"Allora, da oggi in poi facciamo un patto, signor Albert!", dichiarò diventando solenne e usando apposta quell'appellativo solo per vedere la sua espressione divenire quasi sconvolta. "Io non scherzerò più firmandomi 'figlia adottiva' o chiamandoti prozio. Ma tu dovrai trattarmi come una vera donna senza più vedermi come una bambina indifesa. Ho compiuto ventuno anni, la maggiore età, e non sono più sotto la tua tutela diretta già da un po', se non sbaglio".

Albert annuì: "Direi che è una richiesta più che legittima. Sarò felice di assecondarla", dichiarò facendole un baciamano elegante ben lontano dal bacio vero di poco prima.
"Ma consentimi di chiamarti Principe della Collina". E di baciarci ancora come abbiamo fatto, avrebbe voluto aggiungere, ma non trovando altro coraggio.

Gli occhi si spalancarono mentre era ancora chinato sulla mano e le labbra la sfioravano mandandole piacevoli scosse lungo il braccio. Alzò su di lei le iridi chiare con espressione perplessa: "Devo proprio?".

Candy mise il broncio: "Davvero non ti piace tanto da farti venire i brividi?", chiese citando le sue parole in una delle lettere. Da allora non avevano più toccato quell'argomento.

Albert parve rifletterci per qualche istante, poi sospirò inarcando un sopracciglio: "Preferirei essere definito con termini più concreti da te, Candy. Un principe può esistere in una favola, mentre io voglio essere con te qui, in questa meravigliosa realtà. Come fidanzato, come... marito". Il suo sguardo era così intenso che Candy arrossì.

Le cose stavano accelerando in maniera deliziosamente vertiginosa.

"Hai ragione, ma lascia che lo faccia, solo ogni tanto... sì?", lo pregò.

Lui rise piano: "E va bene, ma che non diventi un'abitudine", la ammonì alzando un dito.

Candy scosse la testa: "Te lo prometto, e per dimostrarti che ti vedo proprio come hai detto tu... vorrei finalmente riconsegnarti una cosa che non voglio più tenere". Prima che lui potesse ribattere, si alzò in piedi spazzolandosi la gonna con le mani e disse: "Aspettami qui, tornerò in men che non si dica!".

Corse via, sapendo che lui l'avrebbe aspettata. Non doveva fare altro che andare nella propria stanza, aprire il cassetto del comodino e consegnarglielo.

D'ora in avanti, sarebbe stato fra le mani di Albert. Totalmente.

 
- § -
 
 
Albert attese il ritorno di Candy giocherellando con uno stelo d'erba. Lo girava e lo rigirava tra pollice e indice senza staccare gli occhi dal suo oscillare ipnotico.

Fin da quando era piccolo adorava sdraiarsi sui prati e sentire il sussurro del vento tra i fiori e l'erba, gli evocavano sempre una sensazione di calma che gli colmava l'anima.
A quanto pare non aveva perso questa abitudine, ma quel giorno, mentre aspettava che lei ritornasse dalla villa dove era andata a prendere qualcosa di molto importante, a sua detta, si ritrovò a tormentare quello stelo come se potesse imprimervi tutte le emozioni che traboccavano dal suo cuore.

Era felice. Era ansioso. Era indeciso. Era impaziente. Era trepidante!

Un insieme di sentimenti che non gli consentivano certo di rilassarsi. Confessarle il proprio amore era stato liberatorio, ma ascoltare la sua risposta era stato catartico.
Aveva mai pianto di gioia, in vita sua?

Da quel che ricordava, le poche volte che gli era capitato di piangere era stato solo a seguito di eventi luttuosi e, dopo gli otto anni, rigorosamente di nascosto.
Candy era stata l'unica a cui si era permesso di mostrare le sue emozioni, quelle negative e quelle positive. E non si vergognava di certo di essersi commosso con lei dopo la dichiarazione reciproca, così come era accaduto sulla loro collina.

E baciarla... assaporare alfine quelle labbra che aveva spesso creduto proibite era stato come aver avuto sempre sete nel deserto africano e bere calmando un'arsura altrimenti inestinguibile.

Sospirò quando lo stelo d'erba, che aveva cercato di annodare, si spezzò tra le dita.

Decise di assumere la sua solita postura rilassata, sdraiandosi con le mani intrecciate dietro alla nuca e ripensò al secondo bacio.

Stava per darle l'anello che aveva in tasca, esprimendo i suoi dubbi, cercando di comunicarle che forse non era troppo presto per loro... invece lei si era detta pronta a incontrare di nuovo le sue labbra.

E chi era lui per deludere le sue aspettative?

Indovinando i suoi desideri che erano lo specchio dei propri, si arrese a una fervente esplorazione reciproca, consegnandole il cuore il quel gesto d'amore e ricevendo altrettanto.

Sublime. Delizioso. Non aveva termini corretti per descriverlo meglio: se fosse stato un poeta o uno scrittore non era comunque certo di poterlo definire. Se fosse stato un pittore non avrebbe avuto sulla tavolozza colori sufficienti a rappresentarlo. Se fosse stato uno scultore non avrebbe saputo ricreare le medesime linee morbide.
Quel bacio era il preludio a una vita che lo abbagliava solo a immaginarla, tanto era intenso il sole che vi splendeva.

Fece un sospiro soddisfatto, certo che il momento dell'anello sarebbe arrivato: di sicuro, la reazione di Candy aveva già cancellato ogni dubbio in merito.
La sentì tornare correndo, i suoi passi frettolosi sull'erba erano inconfondibili.

Si mise a sedere mentre lei faceva altrettanto con il fiato corto per la corsa e, quando vide cosa aveva in mano, capì di aver immaginato bene.

Mi aveva scritto che voleva restituirmelo, ma con questo gesto è come se si chiudesse un altro cerchio.

Il cuore prese a battergli ancora più forte.

Candy gli sorrise, carezzando la copertina in pelle marrone con una mano: "Ho ricevuto questo regalo dal mio prozio William, qualche anno fa", cominciò con voce un po' tremante. "E vi ho scritto tutto quello che mi accadeva, quasi ogni giorno. La maggior parte delle pagine è dedicata a un vecchio amore che per me è stato molto importante e che mi ha aiutata a capire molte cose".

Prese un respiro profondo, chiudendo gli occhi e smettendo di accarezzarlo. Albert non osò interromperla, rimanendo in religioso silenzio, osservandola.

"Non ho mai avuto bisogno di rileggerlo nemmeno una volta, neanche quando il prozio me lo ha restituito, dichiarando che per me era qualcosa di molto importante. Perché aveva ragione! Lo era così tanto che potrei quasi recitarlo a memoria. Ogni singolo pensiero, ogni singola sensazione, ogni singolo giorno". Fece una pausa, come raccogliendo i pensieri.

Poi continuò.

"Penso di essere maturata proprio in quel periodo in cui ho provato un'attrazione violenta per Terence. Innamorarmi di lui mi ha fatto comprendere i limiti della vita".
Era una stilettata ghiacciata che gli aveva appena attraversato l'anima? Albert sapeva che Candy non aveva ancora finito di esprimersi e che le lacrime nascenti nei suoi occhi raccontavano di una sofferenza ormai terminata, ma sentirla parlare di Terence non gli fu affatto indifferente. D'altronde, anche lui era umano...

E un nuovo sentimento che riconobbe subito come gelosia gli annodò le viscere, facendolo sentire sciocco eppure giustificato.

"Ho capito che nella vita le persone care spesso ci devono lasciare, morendo come il caro Anthony o allontanandosi come Terry", riprese Candy inclinando un poco il capo e sfiorando di nuovo la copertina per ogni nome che pronunciava. Una lacrima tracciò una scia sulla sua guancia e Albert dovette reprimere l'impulso di asciugarla con le dita per non interromperla.

Un nodo gli strinse la gola.

"Ma ho anche capito che spesso si è ciechi senza volerlo". Il sorriso le riaffiorò sulle labbra e lui sentì un peso che gli veniva tolto dalle spalle. "In molte delle pagine in cui racconto al prozio William di Terence compare Albert. Di come l'ho incontrato a Londra, una notte, sentendomi sorpresa e felice. Di come fossi scappata dalla scuola solo per andarlo a trovare allo zoo dove lavorava. E di come fossi rimasta delusa nel sapere che non l'avrei rivisto per molto tempo, perché era partito per l'Africa: ricordo che quel giorno mostrai la lettera persino a Terry".

Albert continuò a tacere, assorbendo il senso di ciò che Candy stava dicendo come fossero stille dell'ambrosia più dolce che esistesse. Prese un respiro tremulo, in attesa che continuasse.

E lo fece, voltandosi a guardarlo negli occhi, tendendogli il diario perché lo prendesse: "Il resto della storia non te lo racconto, lo abbiamo vissuto assieme giorno dopo giorno fino ad oggi", disse sbattendo le ciglia e facendo cadere altre lacrime. "Questo è il mio vecchio cuore racchiuso in un diario, mentre questo", aggiunse chiudendo gli occhi e portandosi una mano al petto, "è il mio cuore nuovo di zecca che ti appartiene da qui all'eternità".

Di nuovo, lo fissò tra le lacrime e finalmente Albert allungò un braccio per toccarle con le dita: "Prendili entrambi, sono tuoi", terminò sorridendo mentre piangeva.
Lui fece come le chiedeva.

Prese il diario con una mano, mentre l'altra era ancora impegnata ad asciugarle il viso e lo strinse al proprio, di cuore. Si accertò che Candy lo guardasse mentre lo faceva.

Io, William Albert Ardlay, accetto il tuo cuore di ragazzina, perché è parte di te. E lo amo e lo rispetto.

Lo posò sull'erba come fosse una reliquia preziosa per avere entrambe le braccia libere e abbracciò il suo corpo tremante.

E accetto con gioia te, Candy, con questo cuore innamorato che ora batte assieme al mio.

Mentre lei singhiozzava piano in quell'abbraccio, Albert affondò il viso tra i suoi capelli, ubriacandosi del loro profumo come aveva sognato di fare tante volte.

E le sussurrò in un orecchio: "Ora anche io devo darti una cosa, Candy...". Si separò con delicatezza da lei, premurandosi di asciugarle prima le ultime lacrime e mise una mano in tasca, tirandone fuori l'anello che voleva darle fin dall'inizio.

"Vuoi diventare mia moglie?".

Candy non gli disse subito di sì, ma la sua reazione gli confermò, ancora una volta, che le parole, tra loro, erano davvero superflue.

Quello che contava erano i gesti, gli abbracci, i baci e le lacrime di felicità.  
 
 
Attenzione, i missing moments non sono finiti! Ce n'è ancora qualcuno per le prossime settimane ;-)

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Capitolo 23
*** Terry legge il giornale ***


Terry legge il giornale
 
Terence abbassò il giornale e si passò una mano sul viso, stropicciandosi gli occhi in un gesto stanco. Lasciò ricadere il capo all'indietro, sul bracciolo del divano del suo salotto stile Luigi XIV e allungò le gambe dal lato opposto per stirare le membra.

Quante volte aveva riletto quell'articolo, da quando l'aveva scoperto quella mattina?

Se ci ripensava, avvertiva di nuovo il cuore cominciare a battergli dietro le costole come un tamburo, mentre rallentava il passo davanti all'edicola e afferrava il quotidiano con gli occhi spiritati fissi su quella prima pagina del New York Times.

"Il giovane magnate degli Ardlay annuncia il suo fidanzamento con la sua ex figlia adottiva".

Il testo era stato registrato dal suo cervello una frazione di secondo dopo aver visto la foto di Candy e Albert che si tenevano per mano guardando davanti a loro come se si trovassero innanzi a una folla.

Certo, erano al ballo del loro fidanzamento! A Terence era parso di aver ricevuto un pugno allo stomaco.

Albert era William Albert Ardlay, ma quello già lo aveva scoperto tempo prima da un altro articolo. Allora, il caffè gli era andato di traverso e aveva rischiato di morire soffocato. Da lì a comprendere che il famoso prozio William di Candy non era altri che Albert, il passo era stato breve.

E aveva cominciato a ridere, a ridere istericamente tenendosi addirittura la pancia.

Il suo vecchio amico che lo aveva salvato da una rissa in strada quando ancora studiava alla Saint Paul School era il patriarca di una delle famiglie più in vista degli Stati Uniti; il vagabondo che vestiva con abiti logori e girava il mondo con una puzzola sulla spalla era ricco sfondato; l'amico smemorato che Candy aveva accolto in casa per aiutarlo a recuperare i ricordi era... il suo tutore legale!

In quel periodo, Susanna era già malata e il calvario che avrebbe portato alla sua morte era già iniziato. Non era riuscito a concedersi più di pochi minuti di risate e stupore, che aveva condiviso con lei perché lo aveva sentito ridacchiare come un invasato.

Ma ora...

Aveva subodorato che le cose tra loro stavano cambiando solo da articoli come quello. In uno stavano partecipando a un ballo in Florida, in occasione dell'apertura di una catena di alberghi nientemeno da parte della famiglia di Eliza; in un altro la foto riportava Albert intento a parlare con alcuni uomini che dovevano essere potenziali investitori e Candy si trovava sul fondo della sala e sembrava intenta a guardarlo da lontano: l'aveva riconosciuta subito, nonostante i capelli fossero sciolti sulle spalle. Ne aveva tracciato la linea del corpo come se la stesse davvero accarezzando, mormorando dopo tanti anni quel nomignolo con cui amava chiamarla.

"Mia Tarzan Tuttelentiggini, sei diventata una donna bellissima...", aveva sussurrato rivolgendosi alla foto. Era stato quell'ennesimo incontro fittizio con il suo primo amore a fargli decidere di scriverle. Aveva perso il conto dei fogli stracciati e gettati via, non trovava davvero le parole adatte, per la prima volta dopo tanto tempo.

D'altronde, il loro era stato un addio e Candy sembrava davvero interessata ad Albert. Gli erano bastate un paio di foto sul giornale per veder brillare nei loro occhi una luce intensa, che dal vivo doveva essere abbagliante. E, anche se nella seconda era solo Candy a rivolgere lo sguardo su di lui, la sua postura era quella di una donna che non desideri altro che avvicinarsi all'uomo dei suoi sogni.

Mentre ancora rifletteva sulle parole giuste da riversare sul foglio bianco, aveva aggrottato le sopracciglia: possibile che fosse tutta opera della propria fantasia? Il risultato del suo timore di perderla o il desiderio di vederla felice in egual misura? Il prodotto di tanti anni sulle scene che gli faceva vedere cose che ad altri sarebbero risultate invisibili?
Aveva conservato quelle foto e riguardate più volte, in special modo quella in cui ballavano insieme. Lo sguardo di Albert sfiorava l'adorazione e non era certo quello che un tutore riserverebbe alla propria figlia adottiva o a una sorella. Candy, dal canto suo, bellissima nell'abito che le fasciava il corpo, sembrava emanare luce propria come un astro e, anche se l'immagine era in bianco e nero, non gli sfuggì il rossore sulle guance. Dubitava si trattasse di fard.

Eppure quel giorno, leggere l'articolo che aveva tra le mani la prima volta lo aveva lasciato col dubbio che i giornalisti avessero fantasticato sulla loro storia: del resto, quante volte lo avevano fatto con lui e con gli altri colleghi della compagnia?

Mentre lo leggeva per la seconda, aveva realizzato che la testata era una delle più attendibili dello Stato: davvero William Ardlay avrebbe lasciato che il New York Times inventasse frottole sul suo imminente matrimonio senza intervenire?

Alla terza rilettura, Terence si era convinto che lì c'era scritta la verità. Magari raccontata per sommi capi, magari resa più interessante dalla penna di un abile giornalista. Ma la verità.

Candy e Albert si conoscevano fin da giovanissimi e si erano ritrovati da poco. Lui stesso era stato testimone del fatto che non conoscesse l'identità dell'uomo fino a un certo punto della sua vita.

Ora aveva la conferma a tutti i propri sospetti e ripensò a quello che, alla fine, aveva deciso di scriverle nella lettera che aveva indirizzato alla Casa di Pony e che non sapeva se le fosse mai arrivata. A modo suo, voleva comunicarle che aveva atteso un tempo adeguato dalla morte di Susanna ma che non poteva più tacere. Tuttavia, non poteva dirle chiaramente quanto ancora l'amasse, non con il sospetto che il suo cuore fosse di un altro uomo o che si stessero persino frequentando di nascosto ai media. Così aveva usato una frase un po' sibillina sperando che lei lo capisse.

Per me non è cambiato niente...

Il silenzio di Candy, la sua non risposta erano stati più che eloquenti: la immaginava, stringersi al petto quella lettera e cercare il modo per fargli sapere che era felice anche senza di lui, ma senza ferirlo.

In quel momento, Terence era contento per lei ma la ferita c'era e sanguinava suo malgrado.

Molto prima che Susanna avesse l'incidente, quando aveva sognato di comprarle quel biglietto di sola andata per Broodway, Candy gli aveva confessato di vivere con Albert. E non aveva mai nutrito il seppur minimo dubbio sull'onorabilità dell'amico. Mai.

Perciò, quando era accaduto? Possibile che lui avesse abbassato la guardia proprio perché era senza memoria e si fosse innamorato di colei che aveva adottato?
La loro storia era identica a quella di un romanzo di qualche anno prima, dove il benefattore e la ragazzina sotto tutela si innamorano. Terence non era rimasto colpito tanto dal loro legame familiare, quanto dal rapporto che all'inizio credeva esclusivamente di quella natura. O, al massimo, pari a una bella amicizia: ricordava bene con quanto trasporto Candy gli avesse parlato, a Londra, di Albert che l'aveva salvata e consolata più di una volta.

E non era stata neanche la differenza di età a sconvolgerlo: anzi, a dirla tutta era sempre stato convinto che Albert avesse molti meno anni, seppure più grande di lui e Candy.
A sconvolgerlo era stata la facilità con la quale Candy aveva rispettato la sua parte di promessa. In quell'ultima foto, sembrava non solo felice: era raggiante. Persino un bambino avrebbe notato l'amore e la gioia che emanavano i loro occhi.

E quello non era un amore che nasceva in pochi mesi. Quello sembrava un amore che affondasse le radici in un lontano passato.

Eppure, Terence sapeva che Candy era stata innamorata di lui, che era preda di una silenziosa ma atroce sofferenza mentre la raggiungeva su quelle scale, in quella notte nevosa.

Ma di certo, a casa, aveva trovato Albert ad aspettarla.

Era stato a seguito di quella convivenza che anche lei aveva iniziato a guardarlo con occhi diversi?

"Oh, al diavolo! Ora vorrei solo spaccarti la faccia, William Albert Ardlay! E poi ti ringrazierei...", mormorò guardando la foto con il fantasma di un sorriso. Certo, lo avrebbe ringraziato per aver fatto tornare la felicità sul volto di Candy: se gli occhi non lo ingannavano, le lentiggini erano ancora al loro posto, forse un po' meno visibili.

Si alzò dal divano e andò alla finestra.

Ora capiva perché Candy non aveva risposto alla sua lettera. Diamine, se solo avesse immaginato che era innamorata di un altro uomo non si sarebbe esposto in quel modo! E, a dirla tutta, era rimasto volutamente criptico.

Cosa sperava? Che Candy non fosse andata avanti con la propria vita come le aveva fatto promettere lui stesso? Che tornasse sui suoi passi, ora che non c'era nulla che lo impedisse? I sensi di colpa lo affliggevano anche ora che Susanna era morta da più di due anni, ma cosa poteva fare? Non poteva dire di essere stato totalmente infelice al suo fianco, anzi: aveva riscoperto una donna forte e determinata che si era reinventata pur non potendo più recitare.

Forse, se il tempo glielo avesse concesso, alla fine avrebbe anche potuto innamorarsi di lei. Forse, avrebbe davvero potuto dimenticare del tutto Candy. Ma ora si ritrovava solo, con lo spettro di una donna che non era più in vita e un'altra che non era più sua.

"Sii felice, mia Tarzan Tuttelentiggini", mormorò al tramonto incipiente.

D'altronde, se c'era un uomo che poteva renderla felice, forse era proprio il suo amico Albert...

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Capitolo 24
*** Il matrimonio di Annie ***


Il matrimonio di Annie

Candy sistemò il velo con attenzione spiando l'immagine di Annie riflessa nello specchio. Scoccò un'occhiata preoccupata a Patty alla sua sinistra e fece un sospiro.
"Annie, abbiamo richiamato indietro la truccatrice tre volte. Pensi di farcela ad arrivare almeno all'altare senza piangere di nuovo?", le chiese con un tono dolce che stava diventando sempre più impaziente.

"Io... io...". A ogni 'io', gli occhi appena truccati di Annie con un accenno di matita nera si inumidivano di più e Candy cominciò a disperare. Il solletico non andava bene perché l'avrebbe comunque fatta lacrimare. Le barzellette non la facevano ridere perché era talmente tesa che non le capiva.

Che fare, dunque?

"Chi ha da fare non ha tempo per le lacrime!", esclamò d'improvviso Patty, in tono urgente e stentoreo. Sembrava così accorata che Annie spalancò gli occhi per guardarla dal riflesso nello specchio.

Candy cercò di recuperare, nei recessi della propria memoria, dove avesse udito quella citazione, ma per quanti libri le facesse leggere la zia Elroy, proprio non riusciva a ricordarlo.

"Lord Byron, giusto?", disse Annie con un sorriso, le lacrime ormai dimenticate.

"Esatto, brava! Se vuoi ne ho a decine da proporti e tu potrai indovinarle tutte!", si propose Patty.

"Non c'è un altro metodo? Così mi metterete in imbarazzo... io ho a malapena memorizzato l'albero genealogico degli Ardlay dal secolo scorso fino a oggi!", si lamentò Candy con un gemito di disappunto.

"Beh, Candy, sarà un buon metodo per ripassare e anche tu arriverai al gran giorno ben preparata! La zia sarà orgogliosa di te", le rispose Patty facendole l'occhiolino.

"No so se lo sarà mai...", mormorò con voce triste.

Ma che diavolo sto facendo?! Concentrati, Candy! Non è ancora il giorno del tuo matrimonio, pensa ad Annie!

"Mi dispiace, ti sta mettendo sotto torchio perché sarai la nuova matriarca, vero?", domandò Annie.

"Sì, e ha ragione! Devo essere impeccabile per stare al fianco di Albert durante gli eventi pubblici", si riprese dandosi un piccolo colpo al petto come per farsi coraggio.
"Ti ci vedo, sai? Impeccabile ai balli di gala ma pronta a saltare sul primo albero non appena la serata finisce!", rise Annie sollevandole il morale.

Perlomeno per un po' non piangerà più...

Un leggero bussare alla porta le fece voltare tutte e tre nello stesso momento, interrompendo la risata.

Quando entrò una cameriera con il bouquet, Patty si affrettò a prenderlo fra le mani e, mentre la porta si richiudeva sull'inchino della donna, lo porse ad Annie, che si era alzata.

Candy l'ammirò: era davvero bellissima con quell'abito sontuoso che le scendeva in uno strascico lungo, sotto al corpetto finemente decorato con motivi floreali e le trasparenze nei punti giusti. E il velo! Patty la stava giusto aiutando a metterlo davanti al viso, perché Archie potesse scoprirlo una volta al suo fianco...

Il mio vestito sarà più semplice... e non voglio nascondere il volto, anche se l'effetto è suggestivo. Voglio che Albert mi veda. Che veda quanto sono raggiante mentre cammino verso di lui per unire la mia vita alla sua...

"Candy...? Sei molto gentile, ma non c'è bisogno che tu pianga al posto mio", disse Annie in un sussurro tremolante.

"Eh?!". Accidenti! Si era commossa nel vedere la sua amica a un passo dall'altare e a immaginare il proprio giorno più bello! "Scusa, sai... è che mi sembra ieri che correvi strillando nel mio letto della Casa di Pony perché fuori c'era il temporale e avevi fatto un brutto sogno!".

"Oh, Candy...".

Mentre Annie si stringeva a lei in un abbraccio fraterno colmo di emozioni, udì a malapena la voce di Patty che, in un gemito, diceva: "E ora mi tocca richiamare la truccatrice per tutte e due!".

 
- § -
 
 
Albert era nervoso come se il matrimonio fosse il suo e non quello di Archie e Annie: si sentiva un po' come se fossero le prove generali. La chiesa, i fiori, gli invitati e persino l'emozione. Non mancava proprio niente.

Scoccò un'occhiata ad Archie che, di certo mille volte più nervoso di lui, si stava allentando la cravatta come se lo stesse soffocando, neanche fosse un cappio. Poco prima, nella stanza dove si stava preparando assieme al sarto c'era stato tempo per la gioia, per le battute e anche per la malinconia.

"Darei dieci anni della mia vita perché oggi mio fratello fosse qui. Ma sono felice di avere il mio zio e amico al fianco: non sai quanto significhi per me e Annie che tu e Candy siate i nostri testimoni". Così gli aveva detto suo nipote mentre si controllava la giacca allo specchio.

Aveva scorto l'inconfondibile luccichio delle lacrime nei suoi occhi e, inghiottendo un groppo in gola, aveva cercato di sviare il discorso su toni più leggeri: "Zio William e futura consorte al vostro servizio!", aveva detto con un leggero inchino.

Archie aveva ridacchiato: "Un onore senza precedenti!".

Albert si era avvicinato e aveva stretto il ragazzo in un abbraccio fraterno, mormorandogli vicino all'orecchio: "Sono certo che lui vi guarda ed è felice come tutti noi. Veglierà su questa unione perché sia doppiamente benedetta".

Archie aveva annuito tirando un po' su col naso: "Lo so".

"Bene", si era schiarito la voce, "ora che ne dici di andare a sposare la tua fidanzata?", aveva concluso facendogli l'occhiolino.

Allungò un poco il collo per vedere finalmente Candy che entrava e prendeva posto accanto a loro, in attesa della sposa. Con il suo abito rosa antico che le cadeva in balze asimmetriche sul corpo, sembrava l'immagine stessa dell'amore. Se Archie sembrava teso come una corda di violino pronta a spezzarsi in due, a lui accelerarono non poco i battiti cardiaci: entro pochi mesi, quei posti sarebbero stati ribaltati.

La sposa entrò al braccio di suo padre con il viso coperto dal velo, ma Albert poté vedere il suo sorriso luminoso riflesso in quello di Archie.

E in quello della sua Candy, che si portò una mano davanti alle labbra come se non avesse visto la sua amica solo pochi minuti prima.

L'incontro fra i due sposi fu toccante e Albert pensò che non aveva mai visto Archie guardare Annie con tanta dolcezza e devozione. Il suo sguardo era totalmente concentrato su di lei, mentre le alzava il velo e le sorrideva sfiorandole una guancia. Una lacrima cadde sulle gote di Annie e lui la carezzò con due dita, prima di indurla a voltarsi per ascoltare finalmente le parole del sacerdote.

Albert tentò di concentrarsi sulla cerimonia e sull'emozione che vibrava nei voti degli sposi, ma non poté fare a meno di lanciare occhiate piene d'amore a Candy scoprendo, con dolce sorpresa, che lei faceva proprio lo stesso.

Quando vide le lacrime brillare nei suoi occhi, nel momento in cui ci fu lo scambio degli anelli, capì che stavano pensando la stessa cosa: quel giorno era di sicuro uno dei più belli che avessero mai vissuto da fidanzati, ma il loro giorno... oh, quello sarebbe stato memorabile!

Gli sposi si baciarono e le note della "Marcia nuziale" riecheggiarono ancora una volta, prima del tripudio di congratulazioni, dei baci, degli abbracci, del lancio del riso fuori della chiesa.

E, finalmente, poté abbracciare Candy attirandola un poco a sé, incontrando solo per un istante lo sguardo di rimprovero della zia Elroy. Ricambiò inarcando le sopracciglia in un gesto innocente e lei volse il capo altrove, chiudendo gli occhi con una leggera stizza.

Sapeva che non apprezzava le manifestazioni in pubblico, ma sentire di nuovo la pelle calda di Candy contro di sé non aveva prezzo.

"È stato così emozionante, non è vero?", chiese Candy alzando il viso per guardarlo.

Lui ricambiò con dolcezza: "Sì, lo è stato".

Il ricevimento fu sontuoso. Troppo sontuoso. Nonostante Albert comprendesse le motivazioni delle famiglie Cornwell e Brighton per rendere unico quell'evento, non riusciva a togliersi dalla testa che lui e Candy non sarebbero mai arrivati a quei livelli.

Perché non era ciò che desideravano.

Il loro sogno era quello di una cerimonia con il numero più limitato possibile di invitati, lontana dal centro della città e magari con un'ostentazione molto meno marcata delle ricchezze degli Ardlay.

Non biasimava suo nipote o la moglie per la loro scelta, ma temeva che la zia Elroy volesse, per il patriarca, una cerimonia che superasse quella che stava avvenendo nella villa in quel momento. Aveva affidato a lei i preparativi maggiori, perché il lavoro non gli consentiva di intervenire troppo, ma sperava che Candy riuscisse a farla avvicinare il più possibile alla loro idea di matrimonio.

L'auto li stava riportando alla villa e Candy sembrava felice come se la gioia degli sposi che salutavano gli ospiti l'avesse invasa fin dentro l'anima: Albert la capiva benissimo, era come vedere loro due proiettati nell'immediato futuro.

Forse era arrivato il momento di farle quella domanda che da tempo si rigirava nella mente. Ora, che il passato era definitivamente esorcizzato e parlare di lui per Candy equivaleva a nominare un vecchio amico dell'adolescenza, poteva ben chiederle se voleva invitarlo al loro matrimonio.

 
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Quando Albert le chiese se desiderava mandare un invito a Terence, Candy si rese conto di quanto la sua stessa felicità l'avesse offuscata a tal punto da farle dimenticare quasi del tutto di lui.

Terence, che aveva amato con tutto il cuore; Terence, la sua bruciante passione di gioventù; Terence, che aveva rincorso e sognato per anni prima di rendersi conto di essere stata cieca e sorda all'amore vero che aveva davanti, votandosi a un sogno che ormai era terminato da tempo; Terence, che le aveva scritto e la cui lettera l'aveva lasciata muta e perplessa in una giornata di pioggia, alla Casa di Pony.

Il signor Marshall si stava allontanando con il suo ombrello nero e la fedele borsa a tracolla, un braccio alzato a mo' di saluto e la schiena un po' china per gli anni che cominciavano a pesargli sulle spalle. E, tra le sue mani, quella busta di semplice carta bianca bruciava come se fosse un tizzone del camino.

Quando Susanna era morta, più di due anni prima, le cose tra lei e Albert non erano ancora arrivate così lontano, ma era chiaro che in loro stavano maturando i sentimenti che li avrebbero portati a unirsi. Era stato con la solita complicità che li univa che Candy aveva pianto fra le sue braccia quella morte ingiusta e lui l'aveva accolta come suo solito.
Solo alla fine, in un mormorio costernato, aveva menzionato la sua preoccupazione per Terry. Le mani di Albert, che erano sulle proprie spalle, si erano strette in maniera impercettibile ma anche lui aveva espresso il dolore per l'amico di un tempo.

"Vuoi che gli scriviamo insieme una lettera? Oppure... magari potremmo farlo separatamente...". E l'aveva colto il conflitto interiore di Albert, oh, sì! In quella domanda c'era tutto un mondo. Le stava chiedendo se voleva che fossero insieme o divisi. Se Terence dovesse avere il sentore che loro stessero diventando qualcosa di più che amici o meno. Se quel ragazzo ribelle per cui un giorno aveva pianto fino a perdere i sensi era ormai nel suo passato o le bruciava ancora nel cuore.

Ora capiva che la sua risposta non aveva fatto altro che aumentare il dubbio in Albert, anche se poi avevano avuto modo di oltrepassare la linea di confine fra l'amicizia e l'amore senza quasi accorgersene.

"Io... io preferirei non fare nulla, per ora. Vorrei aspettare".

E aveva aspettato tanto che era stato Terence a scriverle. Poche parole, vergate su un foglio a stento come se lui avesse esitato e strappato la lettera più volte prima di decidersi. Aveva atteso un tempo che gli era parso sufficiente dalla morte della sua fidanzata e voleva farle sapere che per lui non era cambiato nulla, era sempre lo stesso.

Che vuol dire, Terry? Significa che continuerai per la tua strada come hai promesso, calcando le scene? O significa... che mi ami ancora?

Persa in quel dilemma, non aveva avuto il coraggio di parlarne con Albert, visto che ormai era chiaro come la luce del sole quanto le cose fossero avanzate fra loro.

"Perché non me l'hai detto?", le chiese Albert riportandola di colpo al presente, come se seguisse il filo dei suoi stessi pensieri mentre gli raccontava tutto in poche parole. "Temevi che fraintendessi?".

Candy scosse la testa: "Un po' sì, lo ammetto. Ma non era utile a nessuno che tu sapessi di quella lettera. Ho avuto il sospetto che lo stesso Terence si sia pentito di averla spedita. Ancora oggi non so cosa volesse comunicarmi davvero. Forse non sa nemmeno che mi è arrivata, magari pensava di non trovarmi più alla Casa di Pony. Oh, Albert, spero che tu mi capisca!".

Con suo grande sollievo, Albert stirò i lineamenti in uno di quei sorrisi che avevano il potere di disarmarla: "Ma certo che ti comprendo, amore mio. Però se ne fossi stato a conoscenza non ti avrei neanche chiesto se volevi invitare Terence alla cerimonia".

Candy abbassò gli occhi sulle sue mani intrecciate con quelle del fidanzato, il movimento dell'auto che li stava riportando a casa che la cullava dolcemente.

"A differenza di me, che ho chiarito cosa c'era nel mio cuore molto, molto tempo fa, Terence deve aver mantenuto... non so, forse una flebile speranza o quella che presumo sia una nostalgia del passato. Sospetto che abbia visto le nostre foto sui giornali e sia stato frenato anche un po' da quelle. Forse ha capito... Ma sono certa che lo supererà, grazie al suo lavoro. Più avanti gli manderemo una lettera, magari, per fargli sapere che siamo sempre suoi amici e lo pensiamo, che ne dici? E la scriveremo insieme". Calcò su quel termine, a ribadire quanto il concetto fosse indissolubile.

Albert la guardò con un'intensità che le fece solo venire il desiderio ardente di baciarlo, ma si trattenne perché capì che stava cercando le parole adeguate per esprimersi: "Nonostante io abbia superato i miei dubbi, mi colpisce molto sentirti parlare di Terence in questi termini: si vede che gli vuoi bene ma sei affezionata a lui in modo diverso da un tempo. E sai una cosa? Anche io voglio che sia felice, proprio come se fosse parte della famiglia. D'altronde, in qualche modo è stato anche mio amico. Sì, gli scriveremo quella lettera. Insieme!", acconsentì baciandole la punta delle dita. 

 
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Albert si lasciò cadere sul letto di schiena, con un sospiro stanco.

Candy dormiva a qualche stanza dalla sua e il pensiero lo fece sorridere da un orecchio all'altro. Era incredibile come, nonostante fosse sfinito, potesse gioire con tanta intensità ed energia solo sapendola accanto a lui.

E sua, soprattutto sua.

Non lo avrebbe mai confessato a nessuno, nemmeno a Candy, ma ogni volta che si parlava di Terence in lui si accendeva un campanello di allarme che metteva in moto tutte le sue insicurezze. Col tempo, questa sensazione si era affievolita quasi del tutto, fino al momento in cui era stata spazzata via dal suo "sì" alla richiesta di matrimonio.
Se per Candy parlare di Terence era diventato naturale e non era più fonte di sofferenza, lui ci aveva messo un po' di più per convincere il suo cuore che doveva lasciar andare quello che, ora lo capiva, era unicamente un suo problema.

E, infatti, Candy aveva continuato a essere felice accanto a lui nonostante quella strana lettera, anzi, se n'era quasi dimenticata finché non ne avevano parlato!
Voltò un poco la testa verso la finestra, mettendosi una mano sotto la nuca per scrutare l'ultimo quarto di luna che usciva dalle nubi.

Il ricordo delle giornate alla Casa della Magnolia lo colpì mentre i suoi occhi si fissavano sulla falce bianca appesa in cielo: allora lui era senza memoria e Terence era sempre presente fra loro, pur non essendoci fisicamente.

Era nei pensieri e nei discorsi di Candy, nelle sue risate, nelle sue speranze... e poi nelle sue lacrime, nella sua sofferenza, nei suoi ricordi dolorosi. La mente tornò al giorno in cui l'aveva trovata svenuta sulla pila di giornali che aveva nascosto sotto al letto ripromettendosi di gettarli via alla prima occasione.

Allora, Albert aveva creduto che sarebbe morto di dolore insieme a lei. Aveva recuperato la memoria e compreso che non poteva rimanerle accanto ancora a lungo, ma quel dilemma lo straziava. Inoltre, non sopportava di vederla così triste e disperata, era qualcosa che lo lacerava dentro ancor più di non poterla avere.

La sua gioia più grande sarebbe stata sempre vederla felice, anche a costo del proprio benessere.

E glielo aveva mormorato, mentre la adagiava con tutto il suo amore nel letto che di solito occupava lui e le asciugava il viso con carezze delicate.

Ora, non gli pareva vero che il cuore di quella ragazza straordinaria gli appartenesse, era come se la vita lo volesse riscattare mille volte di tutte le perdite che aveva subito da giovane. Dio aveva guidato i suoi passi fino a Chicago quando aveva rischiato di morire a miglia di distanza, in un altro continente addirittura. E l'aveva guidato da lei: si erano sostenuti e protetti in momenti diversi e adesso si sarebbero sposati.

Una parte di sé era dispiaciuta per Terence, poteva solo immaginare quanto potesse stare male se davvero era ancora innamorato di lei. Gli augurava di tutto cuore di trovare la sua pace e la sua serenità, fosse anche solo nel proprio lavoro. Neanche per lui doveva essere stato facile perdere due donne nel giro di pochi anni.

Nonostante quei pensieri, Albert non poté fare a meno di sentirsi al settimo cielo come di rado lo era stato.

Fece un respiro profondo, affondando un braccio sotto al cuscino e spegnendo la lampada sul comodino con l'altra mano. Era stanco, ma non vedeva l'ora di addormentarsi per sognarla e di risvegliarsi per vederla, baciarla, toccarla.

Candy era innamorata di lui e di lui solo, e si sentiva l'uomo più fortunato della Terra.
 
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Vorrei comunicare che mancano solo due missing moments alla conclusione. Arriveranno martedì 23 Agosto e li pubblicherò entrambi, perché successivamente non avrò accesso al PC per alcuni giorni.
 

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Capitolo 25
*** Luna di miele ***


Ero molto, MOLTO indecisa se scrivere questa parte in una serie di missing moments che cercano di ripercorrere in maniera fedele le parti non raccontate del romanzo e del manga. Per come li conosciamo, i personaggi di Nagita sono davvero d'altri tempi e qualunque riferimento a temi scottanti come il sesso appare davvero fuori luogo e lontanissimo da Candy e Albert. Tuttavia, avevo l'esigenza di renderli reali come cerco sempre di fare, ma a differenza che in una fanfiction il lavoro qui è stato arduo. Perché non c'è creatività o fantasia che tenga, dovevo davvero attenermi alla storia originale, senza alcun evento da me inventato al fine di rendere il loro incontro plausibile. Qui, per come la vedo io, loro hanno flirtato con le lettere e poi idealmente si sono sposati (e neanche ne sono tanto sicura), quindi la loro notte di nozze è avvenuta poco dopo l'ultima lettera del romanzo, mese in più o anno in meno. Sono ancora molto titubante sull'averli resi fedeli agli originali, ma visto che mi è costato lacrime di sangue, pubblico anche questo missing: potete decidere se fermarvi al momento romantico/immaginato o fare i guardoni e andare oltre ;-p
 
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Luna di miele



Sera

Candy si ritrovò sola nella stanza, con il ronzio del proprio sangue che le rimbombava nelle orecchie, il cuore che martellava nel petto e una sensazione strana alla bocca dello stomaco che dovevano essere le famose farfalle di quando si è innamorati. E sì, lei lo era, e molto anche. D'altronde, aveva appena sposato l'uomo che amava, il suo principe della collina, il suo compagno di sempre, l'amico fidato, il fratello e il sostegno di una vita. E entro poco, l'amante.

Candy intrecciò le mani, respirando a fondo: non avevano voluto servitori nella loro casetta di campagna in mezzo ai boschi, quella di cui ignorava l'esistenza e della quale Albert le aveva parlato in tono casuale proprio poco prima di sposarsi.

"Sai, è una proprietà molto simile alla mia vecchia capanna, ma un po' più grande. Ho pensato... che per iniziare la luna di miele ti sarebbe piaciuta". Era un lieve rossore quello sulle sue guance? Oh, aveva ben capito che Albert si riferisse in particolare alla prima notte di nozze! E lei aveva accettato, felice come non mai di potersi sentire lontana da tutto e da tutti con lui, per affrontare meglio quel momento delicato.

Tuttavia, ora che si sedeva sul letto sfiorando la coperta leggera, non riusciva a risolversi a togliere l'abito da sposa per indossare la camicia da notte che aveva scelto con Annie e la sua dama di compagnia. E, anche se la sua amica d'infanzia si era sposata prima di lei, era talmente imbarazzata che era stata proprio la sua cameriera personale a consigliarla maggiormente. Da lei, aveva inoltre appreso ciò che come infermiera conosceva solo in teoria.

Aveva ringraziato la donna, che conosceva appena, per essere stata così gentile da farle il discorso che solo una madre dovrebbe fare alla propria figlia: e lei non poteva certo chiedere a miss Pony o suor Lane. O, peggio, alla signora Brighton.

Annie non sarebbe mai cambiata, ma aveva apprezzato che le avesse ripetuto più volte di non avere paura e fidarsi di Albert.

Certo, si fidava eccome di lui! L'aveva sempre protetta, per nulla al mondo le avrebbe fatto del male: e allora cos'era tutto quel nervosismo?

Ripensò alla sottoveste e al corsetto abbinati che aveva sotto l'abito da sposa e arrossì: cosa avrebbe pensato Albert della sua figura esile, dei seni non troppo pronunciati e dei fianchi stretti, quando l'avesse vista? Che sembrava ancora un'adolescente?

Suo marito era nell'altra stanza a darsi una rinfrescata e anche lei ne aveva bisogno. Immerse le mani nel catino di ceramica pieno d'acqua profumata alle rose e si bagnò il viso, respirando a fondo.

Scuotendo la testa e togliendo tutte le forcine dai capelli, Candy cercò nella valigia la camicia da notte che le avevano suggerito di comprare. Ma quando la rivide, non fu certa che indossarla sarebbe stato tanto meglio: il tessuto bianco era così trasparente e velato che in mancanza del merletto a sfiorarle le cosce si sarebbe potuto dire che non esistesse.

Oddio, Albert mi vedrà in queste condizioni!

No, decisamente avrebbe seguito il suggerimento quasi velato di Annie di tenere il vestito da sposa e usare quel capo in un'altra occasione.

Me lo toglierà Albert... o dovrò farlo io? Chissà se si è cambiato o è rimasto anche lui con il bellissimo kilt col quale mi ha sposata!

Era più forte la vergogna o il timore di non piacergli? Candy non lo sapeva, ma quasi urlò quando sentì bussare alla sua porta. Era lui.

"Un... un momento, non sono ancora pronta!", quasi gridò. Non era pronta per cosa? Rimise la camicia da notte, o quel che era, così in fondo nella valigia che non sapeva se l'avrebbe ritrovata a breve e cercò di concentrarsi solo sul bel rapporto libero che avevano sempre avuto lei e Albert. Loro avevano vissuto insieme e non si era mai fatta problemi a saltare fra le sue braccia.

Però non erano mai andati oltre ai baci di due fidanzati.

"Puoi... entrare, adesso", disse cercando di tenere la respirazione sotto controllo.

La porta si aprì lentamente e lo guardò: aveva ancora il kilt e il cuore le saltò un battito, le guance bruciarono.

E quello... lo toglierò io?

I capelli erano ancora bagnati. Lei non aveva fatto in tempo a lavarli, presa com'era dall'impasse di indossare la camicia da notte o meno. Senza rendersene conto, vedendolo così bello davanti a sé, ora che erano soli, si strofinò le braccia con le mani, tremando.

"Hai freddo?", le chiese richiudendo la porta alle spalle.

"Io... un po'", disse anche se non era vero. In realtà, cominciava ad avere molto caldo. Come faceva Albert, che si stava recando con tutta la calma del mondo a ravvivare il fuoco con altra legna, a non sentire il suo cuore che martellava dietro le costole? Faceva tanto baccano che avrebbe potuto udirlo da mezzo miglio!

"Va meglio?", domandò con un sorriso, raddrizzandosi in piedi di fronte al letto. Il loro letto matrimoniale al quale lei si era appena avvicinata, quasi scottasse.

Candy annuì, incapace di incontrare il suo sguardo. Albert aggrottò le sopracciglia e fece il giro del letto per guardare fuori dalla finestra: "C'è una luna splendida e sembra che tutte le stelle dell'universo si siano accese per noi, stasera".

Commossa da quelle parole, Candy guardò il profilo sorridente di Albert e sorrise a sua volta: "Hai scelto un posto bellissimo. Non potevo chiedere di meglio".

"Sicuro, Candy? Non mi sembri a tuo agio come al solito. Se sono io a renderti nervosa...".

"No, come puoi pensarlo?! È che... sono un po' in imbarazzo... e non ho avuto il coraggio di indossare la camicia da notte che mi ha regalato Annie". Cosa diamine aveva appena detto? Lo vide spalancare un poco gli occhi e deglutire. Si stava chiedendo cosa nascondesse così appassionatamente? Oppure stava per prenderla in giro?

"Candy, non farò nulla che tu non voglia". Aveva centrato l'argomento con tranquillità disarmante e lei si sentì davvero sciocca.

Prese un respiro profondo e abbassò gli occhi, giocherellando con i lembi del vestito. Non si aspettava nulla di meno da Albert. Quell'uomo, che rimaneva rispettosamente in piedi accanto alla finestra non osando avvicinarsi per non innervosirla di più, sarebbe tornato nella stanza attigua accontentandosi di un casto bacio della buonanotte. Non avrebbe mai preteso nulla di più da lei, se non si fosse sentita pronta.

Ma Candy lo era, anche se l'imbarazzo offuscava i suoi sentimenti. Amava Albert con ogni fibra del proprio essere e, anche se era abituata ad avere con lui una complicità che non aveva mai superato determinati limiti, decise che era giunto il momento di diventare la donna che si meritava e che lei desiderava essere.

Lentamente, Candy si avvicinò a lui, trattenendo il respiro man mano che si sentiva già quasi nuda e vulnerabile sotto ai suoi occhi pur avendo ancora l'abito. Eccomi, sono qui per te, avrebbe voluto dirgli. Ti appartengo, non voglio avere paura. Sarai tu a togliere il mio vestito da sposa. Fu solo quando colse l'ansito a malapena trattenuto di lui che vide negli occhi azzurri di Albert qualcosa che la scioccò e spazzò via ogni ironia.

Aveva visto spesso l'amore riflesso in quei laghi placidi, ma in quel preciso momento vi lesse il desiderio, seppur controllato. Vide le onde di un mare sempre più impetuoso e si accorse che continuava a inghiottire la sua stessa saliva.

"S... sono un po' sciocca, non trovi?", mormorò voltando il capo verso il muro, senza più avere il coraggio di sostenere quello sguardo che pareva comunicarle l'esatto contrario. Era qualcosa di così inedito in Albert, che pensava di essersi sbagliata di grosso.

Lui prese un sospiro e quasi sussultò quando sentì le sue mani sulle guance. Il cuore le batteva ancora più forte, il volto doveva essere in fiamme e Candy smise di nuovo di respirare.

"Sei bellissima con questo vestito, Candy".

Fu il suo turno di prendere aria in un sibilo veloce: "Dici sul serio?".

Albert annuì, leccandosi le labbra come se cercasse le parole: "Credo proprio di avertelo già detto alla festa. Posso... baciarti?".

Sorrise, sentendo le lacrime salirle agli occhi: eccolo, il suo principe prima della confessione, il ragazzo quasi insicuro che stava per dirle un'ultima, importante verità. Eccolo, l'uomo che aveva sposato, che le stava chiedendo quasi timidamente se poteva amarla come desiderava. Come desideravano entrambi. La vergogna scivolò via come una seconda pelle e Candy rilassò le spalle e le braccia per protenderle verso di lui, accogliendolo quando posò la bocca sulla sua, vicino al loro letto, nella prima notte di nozze.

E Candy si perse nei sussurri, nelle parole dette e in quelle non dette, finalmente rilassata. Dopo, ci furono soltanto i baci, le carezze tenere e quindi più esigenti sulla seta. Poi non ci fu che la seta delle loro pelli e la sensazione di aver conquistato il mondo intero quando il suo corpo si unì a quello di Albert.

 
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* Chi desidera rimanere alla visione romantica della prima notte di nozze può fermarsi qui. Chi, al contrario, vuole spiare ancora nella loro casetta, beh... di seguito i particolari della luna di miele.

 
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Candy

Rabbrividisco ai suoi baci e al tocco gentile ma sempre più possessivo delle sue mani sulla schiena. Credevo che avrei avuto timore, ma queste nuove sensazioni che sto provando sono talmente deliziose che non penso più a nulla.

Mi concentro solo sulle sue labbra che si aprono e si chiudono sulle mie e... oh, Dio! Sulla sua lingua che gioca al limitare della mia bocca con piccoli tocchi, quasi a chiedere il permesso.

Da fidanzati non accadeva spesso e, d'altronde, lo siamo stati per poco tempo.

Non ho mai pensato ad Albert in questi termini: lui era il mio amico sincero e accogliente, le braccia sicure in cui rifugiarmi e anche durante i mesi precedenti il matrimonio è sempre stato dolce e pacato.

Nel giro di una manciata di minuti però comincio a rendermi conto, sempre di più, che adesso siamo anche un uomo e una donna sposati. E siamo in luna di miele. E stiamo per fare l'amore.

Questa consapevolezza mi fa accelerare il battito del cuore, mentre un gemito leggero, un suono che non avevo mai immaginato di poter emettere, sgorga dalla mia gola senza che io possa controllarlo: da una parte c'è la Candy tremante che non conosce altro che brevi nozioni infermieristiche; dall'altra, c'è la donna che sta scoprendo il proprio corpo alla velocità della luce.

E che scopre che trovarsi contro quello del suo uomo è... peccaminoso, eccitante... io desidero di più, sempre di più. E, accidenti, anche Albert ha il respiro irregolare. Dov'è finito il mio imbarazzo di poco fa?

Per la prima volta lo sento come un uomo con i suoi desideri e il pensiero di lui, di solito controllato, che prova quello che sto provando io... beh, mi fa solo venire voglia di perdere ancora di più il mio, di controllo. E di farlo perdere a lui. Di arrenderci all'irrazionalità sensuale che urla alle nostre mani e ai nostri corpi di toccarci, accarezzarci, stringerci sempre di più.

Albert varca un altro confine quando sento le sue dita impazienti slacciarmi i primi due bottoni del corpetto. Con un ansito, interrompo il bacio, stordita.

La magia si spezza.

Lui si stacca da me, un po' ansimante, il viso bello e arrossato e gli occhi color cielo spalancati: "Scu... scusami, Candy, non volevo essere precipitoso...". Sembra imbarazzato per la prima volta in vita sua, almeno da quando lo conosco, e si allontana di più per passarsi una mano tra i capelli. Si schiarisce la voce, sembra a disagio.

"N-non scusarti. Va bene, è giusto. Siamo... siamo in luna di miele". Quelle parole sembrano scuoterlo e lui mi si avvicina di nuovo con l'espressione seria, carezzandomi il viso e riavviandomi i capelli dietro il collo, facendomi anelare di nuovo i suoi baci.

"Non so come ti senti tu, Candy, ma io credo di non aver mai provato niente di simile in vita mia. Voglio dire...". Deglutisce più volte e io gli poso le mani sulle spalle, inducendolo a continuare con un sorriso. Un sorriso che lui ricambia sfiorandomi di nuovo la guancia con le nocche: "Non sono mai stato innamorato come mi accade con te, Candy", sussurra così piano che se fosse stato più lontano non l'avrei udito.

Quella confessione mi fa battere il cuore ancora più forte.

Inclina il viso da un lato ma io gli pongo una mano sulla guancia inducendolo a guardarmi: "Sono... sono davvero la prima donna che tu abbia amato?", domando con l'emozione che trabocca dal mio cuore. Non avevo mai portato a livello cosciente il pensiero di Albert con una donna fra le braccia, un po' perché non riuscivo a immaginarlo e un po' perché temevo di essere gelosa. In realtà è una doppia consapevolezza che mi colpisce solo ora. Non so se le sue parole significhino che non è mai accaduto o non gli è mai successo di amare tanto, ma non è questo l'importante, non voglio saperlo, soprattutto stasera. Eppure, mi viene spontaneo fargli perlomeno questa domanda, annegando nel suo sguardo un po' titubante ma anche sollevato.

"Sì", mi risponde guardandomi con intensa dolcezza.

Cerco disperatamente di dare voce ai miei pensieri, anche se turbinano e si accavallano nella mia testa: "È... è una cosa così... romantica! Mi sento davvero privilegiata, Albert". Non so se ho detto la cosa giusta ma lui sembra aver trovato la chiave di volta per aprirsi a me.

"Visto il mio ruolo in famiglia dovevo comportarmi in modo responsabile, è qualcosa che mi hanno inculcato, ma la verità è che uno dei membri più anziani del clan affrontò questo tema una volta sola, in maniera anche poco chiara per la mia età. Avrò avuto quattordici anni e ritenne fossi abbastanza maturo per sapere che non dovevo compromettermi. Non ricordo bene che termini avesse usato, ma ti confesso che non capii molto di quella imposizione. Il fatto di non legarmi troppo a nessuna con cui non avessi intenzioni serie fu soprattutto una mia decisione. E non mi sono mai innamorato come è successo con te". Parla con tono che pare tranquillo ma che ha le sfumature di una confessione. Io lo ascolto in silenzio, sentendo le lacrime salirmi agli occhi. "Ho sempre pensato che tutto sarebbe stato più naturale una volta che avessi sposato colei che era destinata a me, ma sai una cosa? Tengo così tanto a te che sono un po' nervoso". Fa un risolino affettato, appoggiando la fronte alla mia.

"Lo sono anche io, ma mi sembra che stessimo andando bene, poco fa", rispondo con voce incrinata, cercando di non piangere per non farlo preoccupare.

"Davvero?". Appare genuinamente interessato. "Mi dirai se... sbaglio qualcosa? Se vado troppo veloce per te?".  

"Anche tu! Voglio dire, dimmi anche tu se sbaglio qualcosa. Oh, così sembra un esame!", borbotto imbronciandomi e mordendomi il labbro, frustrata.

"Sì, un pochino". Ridacchia più forte e io rido con lui. Prende un respiro profondo, senza smettere di guardarmi negli occhi: "Sai una cosa? Lasciamo che siano i nostri desideri a guidarci". Mi guarda con gli occhi velati da qualcosa che oserei chiamare passione e sento la fiammella dentro il mio corpo riprendere vita, lenta ma inesorabile. "E io ora vorrei tanto baciarti di nuovo e finire quello che ho iniziato poc'anzi".

"Allora fallo", rispondo senza titubanze, offrendogli la mia bocca e perdendomi di nuovo in un bacio che diventa intenso da subito.

Tutto accelera all'improvviso, ma mi rispecchio nel suo stesso desiderio e lo assecondo con passione. Scopro ancora quanto sia bello il frutto proibito della sua lingua sulla mia e quanto io sia più disinibita di quel che pensassi per ricambiare un bacio simile, così ardito, così... unico. Il sapore della sua bocca è dolce e speziato al contempo, per il vino che abbiamo bevuto a cena, e immagino che lui avverta lo stesso aroma in me.

Mentre mi sto ancora godendo queste sensazioni, Albert mi preme una mano sulla nuca per approfondire il contatto tra le nostre bocche. Il suono soddisfatto, stavolta, lo emettiamo quasi all'unisono ma dobbiamo anche staccarci per respirare. Dio! Ero così concentrata sul bacio che non mi ero resa conto che intanto mi aveva slacciato tutti i bottoni! La sua mano risale sulla schiena che ora è nuda e mi guarda con attenzione, le sopracciglia aggrottate come in attesa di una conferma, e la bocca semichiusa.
Mi concentro su quelle labbra: le voglio di nuovo e voglio che non smetta di toccarmi mandandomi brividi lungo la spina dorsale. Scendendo, scendendo fino al limite del proibito e poi risalendo per infilare due dita nella spallina sinistra del vestito cominciando ad abbassarla.

Il mio corpo segue un istinto primordiale quando s'inarca contro di lui e rilascio il respiro che stavo trattenendo. La mia evidente resa deve incoraggiarlo, perché ora sento l'altra mano di Albert sulla spallina dall'altro lato e in un battito di ciglia il mio vestito da sposa cade pesantemente a terra, con tutti i suoi strati di tessuto e tulle.

Sono in corsetto e sottoveste davanti ad Albert e mi pare di essere tornata indietro nel tempo, quando mi cambiavo alla Casa Magnolia, sola nella stanza da letto o in bagno.
Solo che stavolta Albert non è altrove, in attesa che io sia di nuovo presentabile, ma mi sta guardando e mi sta anche aiutando a scavalcare l'ampia gonna perché mi allontani di un passo e lui possa vedermi meglio. Le braccia, che d'istinto stavo per incrociare davanti al petto, ricadono: non ho voglia di coprirmi, non mi vergogno del suo sguardo ammirato e stupefatto. Appartengo a quegli occhi che amo tanto e voglio comunicare loro, silenziosamente ma in maniera inequivocabile, che tutto di me è loro proprietà.
Tremo un poco, sopraffatta dal desiderio che anche le sue mani rivendichino il loro possesso. Non ero pronta a passare così velocemente da un rapporto platonico al desiderio di una donna innamorata.

"Sei bella, Candy", dice lui con una voce roca e tremante che non gli avevo mai sentito prima, spazzando via ogni mio dubbio. La voce dolce del mio Principe adesso è quella di un uomo che, forse, mi vuole almeno quanto lo voglio io. Di nuovo, mi stupisco di quanto il timore, ora, sia una parte davvero minima di ciò che sento.

Ma la frase che mi esce poco dopo di bocca stupisce anche me: "Sono certa che lo sei anche tu". È uno sguardo malizioso quello che gli sto rivolgendo? Non lo so, ma il suo lo diventa mentre si porta le mani ai bottoni della giacca del kilt e inizia a slacciarli.

Si ferma a metà: "Vuoi farlo tu?", mi domanda.

Mi avvicino a lui e, senza dire una parola, eseguo quel semplice compito come se stessi per saltare da un burrone. Ma è facile, oh, come è facile arrivare alla fine, imitare i suoi gesti e proseguire, senza che lui lo chieda a parole, finché non mi trovo a sfiorare le cicatrici che gli ha lasciato il leone!

Albert prende un respiro tremante e io ritiro la mano. Lui mi prende il polso con gentilezza: "Mi piace che mi accarezzi, Candy. Posso farlo anche io?". La sua è una richiesta dolce ma non timida. Stiamo imparando insieme a conoscerci e più velocemente di quanto avessi immaginato.

Mentre lo accarezzo sul torace e sento guizzare ogni singolo muscolo in apprezzamento, le sue mani sono dietro la mia schiena, si spostano sulle spalle, indugiano sulle braccia e ritornano di nuovo all'altezza della spina dorsale.

I respiri si fanno pesanti e poi tutto è uno stringersi convulso e scomposto. Molto scomposto. Le bocche si reclamano, affamate, i corpi s'incollano e le mie, di mani, sono sul suo busto ovunque: schiena, fianchi, torace, avambracci.

Albert non è da meno e fa penetrare le sue sotto alla stoffa del corsetto incendiando la mia pelle. Mi accorgo a malapena che stiamo gemendo e respirando con sempre maggior fatica, tutto diventa disordinato e... sto cadendo.

Sto cadendo sul letto e Albert è addosso a me e adoro che il suo peso sia appena attutito dai suoi gomiti che si puntano sul materasso, forse per non farmi male.  Se prima eravamo stretti in un abbraccio, ora siamo quasi fusi in un unico corpo e sento ogni parte di me coincidere con il suo.

Ogni. Parte.

Spalanco gli occhi: "Albert", lo chiamo in un ansito.

Lui, che aveva interrotto il bacio per passare le labbra sul mio collo facendomi venire la pelle d'oca, alza il viso per guardarmi, confuso: "Eh?", è l'unica cosa che mi chiede, col fiato corto.

Apro la bocca per parlare e mi accorgo che non so cosa dirgli. O almeno, non so come dirglielo. Perché sono rimasta tanto sconvolta da fare il suo nome? Come spiegargli che il suo desiderio è tangibile e lo avverto chiaramente, proprio dove anche il mio mi sta consumando? Deglutisco, poi sibilo qualcosa che somiglia a un "ti sento".

Albert sbatte le palpebre, credo proprio che non abbia capito, così scuoto la testa e avvicino il viso al suo perché mi baci di nuovo. Lui non si fa pregare e ricomincia l'altalena con baci profondi, leggeri, spostati sulle guance e sul collo.

Quando mi ha slacciato il corsetto? Sentivo le sue dita tirare e armeggiare, ma non sapevo ci fosse riuscito. Ora le sue mani sono all'altezza dei miei fianchi e vanno su, più su ancora.

Mi catturano i seni e d'istinto mi inarco su di lui, approfondendo ogni singolo contatto tra noi. Incluso quello che poco fa mi ha spiazzata per la sua intensità.

Il gemito di Albert è profondo e copre il mio respiro, ed è un altro suono che non avrei mai pensato potesse provenire da lui. Il che mi sconvolge in un miscuglio di orgoglio ed eccitazione. Sto cercando di capire perché non provi alcuna vergogna a muovermi contro i suoi fianchi per approfondire quel contatto, quando Albert fa qualcosa di molto simile ondeggiando dolcemente contro di me.

I baci e le carezze aumentano prima di smettere del tutto e ci ritroviamo a guardarci per un attimo, confusi, agitati, annebbiati come per aver bevuto troppo.

"Candy...".

"Non fermarti". Lo sto supplicando? Siamo già arrivati a questo? E il mio nome pronunciato con quel tono dolce non era forse la sua, di supplica?

Di certo non perdiamo altro tempo e tutto ricomincia di nuovo. Le sue mani. Le mie mani. Su noi stessi e tra i nostri corpi, che ci spogliano quasi completamente. Albert si gira su un fianco per agevolare i movimenti e riprendiamo fiato dai baci e dalle nostre esplorazioni rallentando per goderci il momento solo quando rimane la sola biancheria a dividerci dalla completa nudità.

Sorridiamo con aria complice e quando Albert mi tocca di nuovo con gesti controllati quasi fossi qualcosa di prezioso, io chiudo gli occhi di riflesso. Perdendomi. Emulandolo con la stessa dedizione. Ripetendogli quanto lo amo quando lui lo sussurra a me. Adoro le sue cicatrici e le bacio più volte. Ricambia posando le labbra sul mio seno prima come il tocco delle ali di una farfalla, quindi con baci intensi come se si trattasse delle mie labbra. Devo mordere le mie per non gemere.

"Non trattenerti, lasciati andare", mormora quando se ne accorge e mi abbraccia fino a farmi rotolare su di lui. Lo sovrasto, un po' impacciata e un po' imbarazzata, e ridacchio facendogli ricadere i capelli addosso, sul viso. Albert li bacia ciocca per ciocca, riprende a baciarmi il collo e il seno. Tra le mie gambe lo sento fermo e teso e so solo che voglio essere sua. Vedo la mia stessa urgenza riflessa nel suo sguardo, nel suo ansimare, nel suo stesso corpo. Un corpo che sembra una scultura perfetta eppure imperfetta, dove ogni singolo muscolo non è definito in maniera esagerata ma rende tonica la sua pelle. Il mio Principe è bello e segnato da quelle ferite che torno a sfiorare perché sono l'espressione stessa del suo amore incondizionato per me.

Prende un respiro profondo, come se volesse calmarsi e, con gesti così lenti che mi fanno rabbrividire e quasi mi esasperano, mi adagia di nuovo accanto a lui. E mi accarezza i fianchi fino a far scivolare le dita ai lati della mia biancheria. Ne afferra i lembi, senza mai smettere di guardarmi: mi sembra persino che stia tremando un po'. Dio, sto tremando anche io!

Sollevo i fianchi per facilitargli il compito e ora sono davvero nuda davanti a lui.

Il sospiro di Albert è altrettanto tremulo: "Ti... desidero, Candy". Gemo piano a quell'affermazione e sono io ad allungare le mie mani sui suoi fianchi. Il suo pomo di Adamo sobbalza un paio di volte quando, prendendo tutto il mio coraggio a raccolta, infilo le dita tremanti di timore e desiderio sotto l'elastico della sua biancheria, spostandole quasi senza rendermene conto dal bacino ai muscoli forti delle natiche.

Non posso credere a quello che sto facendo ma mi accorgo che è la stessa cosa che sta facendo a me. Ci stiamo scoprendo reciprocamente e io sono uno specchio che emula i suoi gesti.

Sentire le mani di Albert sulle mie, di natiche, che scendono lungo le cosce e poi risalgono è inebriante quasi quanto perdere le mie sulla sua schiena e... oltre. I suoi gemiti di apprezzamento si mescolano coi miei e quasi grido quando mi accarezza nel luogo più intimo del mio corpo.

Ma è solo un attimo, come se volesse solo rendersi conto di quanto io sia pronta per lui. E lo sono, con tutto il mio cuore e con tutto il mio corpo. Lo sono al punto che con la mano destra accarezzo il suo ventre, incontrando la fossetta del suo ombelico, indugiando lì e ripetendomi che sto toccando l'ombelico di Albert, di mio marito. Qualcosa che mi pare persino più ardito di tutto ciò che è accaduto finora.

Ma non è così e lo so bene, perché sto per fare qualcosa di molto, molto più ardito. Toccare lui nel luogo più intimo del suo corpo.

Le sensazioni, nonostante il mio indugiare sia breve, sono molteplici: la sensazione di durezza che contrasta con la morbidezza del tessuto che ci separa; quella di onnipotenza nel rendermi conto che le sue braccia intorno al mio corpo tremano mentre trattiene un ansito strozzato; e l'impulso che ho di averlo già dentro di me, senza più esitazioni.

Albert mi afferra piano per il polso e mi sussurra, roco: "Candy, non so più quanto controllo ho sul mio corpo", mi confessa serio e un tantino contrito.

Non capisco bene il senso delle sue parole, ma lo comprendo a livello profondo.

"Neanche io ho più il controllo sul mio, Albert. Anche io ti desidero", gli rispondo di rimando.

Come stiamo imparando, bastano poche battute per porre fine alle parole e alle titubanze e lasciare che i nostri corpi parlino per noi.

Albert mi cerca le labbra in un altro di quei baci che adoro, e da cui divento ogni minuto che passa più dipendente. Poi si toglie da solo l'ultimo capo che indossa.
Ora sì che paura e desiderio convergono in me in parti uguali.

Lui deve accorgersi del mio sguardo sconvolto perché si lascia cadere sul letto a pancia in giù, nascondendo alla mia vista ciò che ormai è marchiato indelebilmente nelle mie retine e nel mio cervello.

Mi guarda con un sorrisetto, i gomiti affondati nel cuscino: "Non volevo spaventarti, ma non posso fare a meno di... beh...".

Giro il capo verso di lui e cerco, ancora un volta, di fargli capire cosa provo: "So che non mi faresti mai del male, Albert. E... non sono spaventata. Forse solo un pochino, ma non per colpa tua".

Ancora una volta, il suo sorriso dà il via a una specie di magia e sembriamo perfettamente sincronizzati nel momento in cui ci voltiamo sul fianco per abbracciarci, unendo la nostra pelle e i nostri corpi, ansimando soddisfatti mentre ci accorgiamo che ci tocchiamo dalla fronte, che teniamo unita uno all'altra, al busto, ai fianchi, alle gambe, alla punta dei piedi.

Albert è caldo e solido ovunque, ma è anche morbido e delicato mentre si muove contro di me ricominciando a baciarmi. La sua pelle è compatta e liscia, ricoperta in parte da una leggera peluria bionda che mi fa il solletico, ma tutta la mia attenzione converge dove pulsano i nostri desideri, dove si incontrano per la prima volta accarezzandosi a vicenda e mandando in completo delirio ogni mio autocontrollo.

Albert porta i suoi baci ovunque, in questa giostra infinita: li sento sul collo, sul seno, sull'addome, persino sulle gambe, quasi volesse imprimersi tra le labbra il sapore di ogni parte di me.

"La tua pelle è come nettare", mi dice quasi in riflesso ai miei pensieri e desidero scoprire se anche la sua ha lo stesso sapore. Così mi avvicino per baciargli finalmente l'intero torace oltre alle cicatrici, il collo dove sento pulsare forte il suo cuore, la guancia, la spalla, il braccio. E di nuovo la sua bocca che sembra avere fame di me, come io di lui.
Il vortice ci risucchia di nuovo, ma stavolta siamo a un punto di non ritorno, dove fermarsi per fare altro è impossibile. Ora Albert si è spostato fino a stare quasi sopra di me, le nostre braccia si allacciano prima che le mani esplorino: le sue ora tracciano una scia rovente dai seni ai fianchi, una s'insinua di nuovo proprio dove voglio che mi tocchi e getto la testa indietro gemendo e chiedendogli di più.

E mi tocca, Albert, accarezzandomi sempre più in profondità mentre io sono spinta da un bisogno primordiale che mi fa a mia volta toccare il suo corpo fino a incontrare ciò che, unito a me, ci renderà alfine una cosa sola.

Geme anche lui, forte, in un respiro lungo e urgente. Ed è già dove prima c'erano le sue dita, che tenta di farmi sua senza riuscirci. Ci muoviamo ancora in modo scomposto, inconsapevole, poi sempre più consapevole. Capisco che devo aprirmi a lui. Capisce che deve guidarsi.

Lo fa lentamente, con attenzione, i nostri respiri e lamenti d'amore che si mescolano sulle bocche unite. Mi irrigidisco quando mi sento dolorante e Albert si ferma: "Ti ho fatto male?", mi chiede puntellandosi su un gomito.

"Un... po'... ma è normale. Succede così. Ora passa". Respiro a fondo e lui mi accarezza il viso.

Resta immobile ma mi bacia di nuovo, le nostre gambe rigide sotto i corpi uniti in profondità. "Candy... ".

Sì, il suo bisogno ora è anche il mio e lo accompagno con un movimento dei fianchi e un gemito e adesso è lui ad essere come uno specchio, che emula tutto ciò. Ancora una volta, più veloce. E di nuovo. E di nuovo.

Ci invochiamo a vicenda, poi il mio cervello si spegne e mi sembra di perdere i sensi quando un'ondata di estasi potente parte dal mio nucleo unito al suo e risale fino alla gola dove esce un grido che non sembra neanche il mio.

Sono persa in una luce abbagliante, in una marea di sensazioni che contraggono le mie viscere ma sento distintamente il corpo di Albert irrigidirsi per un istante prima che lui spalanchi gli occhi nei miei, poi li chiuda strettamente e rovesci la testa all'indietro gemendo a sua volta.

Si muove più veloce contro di me, dentro di me, sopra di me e io lo stringo, ancora persa nell'eco di ciò che ho appena scoperto essere la sensazione più vicina alla morte e alla rinascita. E sapere che anche lui sta morendo e rinascendo nel mio corpo mi fa salire le lacrime agli occhi per la gioia.

I suoi gemiti divengono singulti mentre abbassa il viso sul mio collo: possibile? Gentilmente, gli porto le mani ai lati del capo e gli infilo le dita tra i capelli sudati e spettinati e mi rendo conto che anche lui sta piangendo.

Albert sta piangendo.

Tocco le sue lacrime con i pollici e lui, scorgendo le mie, cerca di parlare: "Ti amo, Candy", dice con voce così rotta che non posso fare altro che abbracciarlo e singhiozzare con lui, mentre ancora siamo uniti nel nostro abbraccio intimo che ci ha emozionati tanto da scioglierci in lacrime nello stesso istante.

"Ti amo anch'io", bisbiglio.

 
- § -
 
 
Albert

Candy vibra tra le mie braccia mentre la bacio a lungo, prima di staccarmi per guardarla e accertarmi che stia bene. I suoi occhi brillano e, vedendo la sua cascata di riccioli biondi che scende verso terra, provo l'impulso irresistibile di infilarvi le mani in mezzo solo per sentirne la consistenza.

L'amore trabocca dal mio cuore e trasuda sulla mia pelle, anelando di incontrare la sua.

La guardo: è bellissima. L'ho sempre saputo, ma oggi mi rendo conto appieno di quanto la sua anima e il suo aspetto siano in equilibrio pressoché perfetto, conferendole la luminosità che solo la gioia di una sposa riesce a mostrare in tutto il suo splendore.

Il desiderio e il timore reverenziale s'impossessano di me, assieme alla commozione di sapere che Candy è finalmente mia. Noto il suo nervosismo dalle risatine affettate che fa e cerco di contenere il mio.

Dovrei guidarla, ma in realtà dovrò lasciare che lei guidi me. Che questa scoperta dell'amore totale tra noi due avvenga mano nella mano, come è sempre stato fra noi.
Io la proteggerò e la adorerò; lei si affiderà a me e sarà la mia stella Polare al contempo. Perché lei è unica, è la sola che abbia mai amato davvero.

La guardo e, ancora una volta, non servono parole tra noi. Possiamo scambiarci sguardi per minuti interi conversando senza bisogno della voce. Ora servono solo pochi istanti per avere la conferma che posso baciarla ancora. Grazie alla complicità che ci contraddistingue possiamo assecondare i nostri desideri in modo naturale, senza imbarazzo ma con tanta, tanta aspettativa e quel dolce tocco d'inquietudine.

Non penso, mi limito ad assaporare la sua bocca come non ho mai osato fare prima, rivivendo il passato mentre lo faccio. Una bambina piangente; una ragazzina in pericolo; un'adolescente che sa già cosa vuole dalla vita; un'infermiera che prende le redini della sua vita e anche della mia quando ho perso l'orientamento assieme alla memoria. Oggi, tutte queste meravigliose persone sono la donna che tengo fra le braccia e che presto sarà mia anima e corpo. Sono quasi commosso da questa consapevolezza e mi domando cosa ho fatto di buono nella mia vita per meritare tanto.

Quando inizio a nutrirmi del nettare nella sua bocca, deliziandomene e diventandone subito dipendente, sento un suono provenire dalla sua gola mentre risponde, timida ma decisa a ricambiare: è un suono che accende in me istinti quasi sconosciuti che ho sempre cercato di sopire, soprattutto con lei. Ma che oggi, tenendo Candy fra le braccia, rivendicano la loro presenza nel mio corpo, facendolo risvegliare come fosse stato intorpidito per anni in attesa dell'anima giusta in cui fondersi.

E lo ammetto, perdo la testa e la ragione e le mie mani vanno ai bottoni del vestito, anelando il tocco della sua pelle senza che quasi mi accorga di quello che sto facendo. Prima la stavo solo stringendo dandole quello che spero fosse un bacio alla francese dolce e ardente, ora sono già passato alla fase successiva.

Forse troppo velocemente.

Mi stacco da lei, rendendomi conto che ho il respiro un po' affannato e che lei non è da meno. La guardo, mi scuso, cerco di capire se sto andando troppo in fretta. Infine le confesso tutta la verità: quella parte del mio passato che non potevo certo scriverle o dirle prima. Quella che rappresenta la profondità del mio amore per lei. Sì, Candy, sarai la prima donna che stringo fra le mie braccia amando davvero, e sei così fragile e meravigliosa che temo di farti del male. Eppure è lei che mi infonde coraggio e ricominciamo a parlare come sempre, muovendoci su questo territorio comune che stiamo per affrontare mano nella mano. Un po' confusi, un po' imbranati. Ma decisi a condividere tutto fino all'ultimo ansito del nostro cuore.

Non indugio più, non potrei. La voglio, Dio mi aiuti, la voglio così tanto che non posso aspettare oltre e le rubo un altro bacio profondo, felice che lei ricambi come e più di prima. E i gemiti sono di entrambi. E le mie dita, di nuovo, sfuggono al mio controllo e si adoperano per spogliarla. Il bellissimo abito da sposa cade e io sbatto le palpebre credendo di avere davanti una specie di allucinazione mistica.

Candy è bellissima, eterea e virginale e io tremo al solo pensiero di continuare a toccarla. Io, il grande patriarca degli Ardlay, rischio di perdermi nel corpo della donna che amo. Così perfetto eppure vero. Così invitante. Le tendo le mani, l'aiuto a scavalcarlo e glielo dico, quanto è bella. Glielo dico e i miei occhi si nutrono di lei.

Non è più timida come prima e mi aiuta persino a spogliarmi. Sento le sue mani sul mio petto e so che se morissi adesso, mentre sta tracciando con le sue dita le cicatrici del leone, morirei felice. Ho bisogno di toccarla anche io e lo faccio, viaggiando lungo il suo corpo e osando, infine, avventurarmi sotto la stoffa del corsetto. Voglio di più, anelo sentirla contro di me perché neanche l'aria deve più separarci e, seguendo di nuovo l'istinto, la inclino sul letto puntellandomi sopra di lei, cercando di non schiacciarla con il mio peso ma beandomi di questo contatto completo, sentendo il calore della pelle di Candy entrare nella mia, poro per poro.

Nella nebbia del desiderio crescente, continuo a sentire le sue mani sulla mia schiena mentre la bacio e divento frenetico. Voglio proprio toccarla di più e la stringo finché Candy non mi dice qualcosa a bassa voce che io non capisco. Dice che non importa e ricominciamo a esplorarci con devozione, con intensa e crescente devozione. Si muove contro di me nel momento in cui io lo faccio contro di lei, colto da un impulso primordiale che si concentra laddove il mio desiderio convoglia alla velocità della luce.

La sensazione è così intensa che ci guardiamo, sconvolti: siamo arrivati al limite dell'unione pur non essendoci uniti e io sono immerso nel profumo e nella morbidezza di Candy. Toccare i suoi seni, tondi e tesi verso di me, piccoli e perfetti, ha azzerato ogni autocontrollo e mi sono ritrovato a slacciarle il corsetto per puro istinto.

D'altronde, mi ha praticamente pregato di non fermarmi e non ne ho intenzione, né potrei più, arrivato a questo punto. Voglio solo sentire, sentirla, scoprire ogni parte di Candy. Mi rendo conto che mi sono spostato da lei quel tanto che potesse concedere alle mie mani di spogliarla, lasciandola in biancheria intima, restando ad ammirarla prima dell'abbraccio più incantevole che ci siamo mai scambiati. Pelle a pelle, cuore a cuore, col desiderio a rendere i sensi così intensi che potrei gridare.

Ma voglio prendermi il mio tempo, concederci il nostro tempo, e nutro i miei occhi guardandola e le mie mani accarezzandola. Trattenendo il respiro e morendo d'amore quando lei lo fa con me. Potrei passare ore anche solo così, ma cuore e corpo vogliono diventare una cosa sola e sono certo che neanche lei desideri attendere tanto a lungo.
Sentire il suo dolce peso sopra di me è quanto di più struggente e inebriante io abbia mai provato in vita mia.

E tremo, tremo come un ragazzino inesperto quale forse sono davvero, mentre mi accingo a far scivolare via anche l'ultimo capo dal suo corpo delizioso. Candy si solleva un poco, come se volesse aiutarmi, e questo serve solo a incendiarmi di più. A farmi persino confessare, in un sospiro, quanto la desideri.

Non credevo che lei avrebbe reagito in questo modo. Pensavo che l'avrei messa in imbarazzo o, peggio, spaventata, tuttavia lei sta proprio cercando di spogliare me. Non capisco quasi più nulla, mi sento un fascio di istinti primordiali e non va bene. Ma come cercare ragione, tenerezza e autocontrollo quando le sue mani mi stanno toccando lungo i fianchi e persino sulle natiche, dove non avrei mai lontanamente immaginato avrebbe avuto il coraggio di posare neanche lo sguardo? La sensazione di questo tocco assomiglia alla libertà selvaggia che si respirava in Africa, slegata a briglia sciolta da ogni convenzione e da ogni falsa buona creanza e me la godo, oh, se me la godo! Anzi, emulo il suo gesto e la esploro nella sua interezza, la mia bella moglie, temendo che possa scomparire come in un sogno meraviglioso. Non resisto oltre, affogo anche io nei gemiti il mio apprezzamento e mi spingo molto, molto più in là: non avevo forse pensato di voler scoprire proprio ogni parte di lei? Ed eccolo, il suo giardino più segreto, che sfioro appena con sommo rispetto, scoprendo che è già pronta a consentirmi di diventare tutt'uno con lei.

Colgo il respiro sorpreso e affannoso di Candy e sono quasi compiaciuto quando mi accorgo che sembra delusa che quel contatto sia durato così poco. Ma sono così vicino a perdere la testa che devo riordinare un attimo le idee e capire come procedere senza sembrare una sorta di selvaggio, di giardiniere impaziente di cogliere la Dolce Candy più incantevole che sia mai sbocciata.

Il mio nobile intento di dire o fare qualcosa di tenero prima di farla mia, però, se ne va a farsi benedire quando le sue dita scendono sul mio ventre, bloccandomi il respiro in un sibilo. Un sibilo che in pochi, ardenti istanti, diventa un singulto strozzato. Perché Candy sta di nuovo imitando i miei gesti. E se poco fa immaginavo come ardito e delizioso il suo tocco sulle mie natiche, ora rischio seriamente di perdere ogni controllo e ogni decenza.

Candy sta accarezzando la parte più intima di me, quasi saggiandone la consistenza attraverso la stoffa e d'istinto le blocco la mano. Non ho dubbi su quello che sta per accadermi, se non la fermo. Sto ardendo e tutto questo fuoco si sta concentrando nelle parti meno nobili del mio corpo.

Cerco di spiegarle che non ho più molto controllo, se continua così, e lei mi confessa la medesima cosa. Sono io che mi sto facendo problemi inutili? Sì, credo proprio di sì: Candy mi desidera tanto quanto io desidero lei, ne ho persino avuta la conferma tangibile, così rompo ogni indugio e catturo di nuovo le sue labbra, che anelo già da troppo tempo. E nello stesso momento, stacco le mie mani da Candy solo per spogliarmi completamente e mostrarmi a lei così come sono venuto al mondo.

E Candy mi guarda, la sua espressione cambia e anche se non dovrei mi costringo a nascondermi mettendomi a pancia in giù, quasi per darle tregua. Non ho capito bene se è spaventata o imbarazzata. Io penso di essere entrambe le cose in parti uguali, ma anche divertito e un po' insicuro. Provo a spiegarle ciò che provo e, con una naturalezza che sto imparando ad amare, lo fa anche Candy. Siamo sintonizzati sulla stessa linea d'onda, stiamo scoprendo insieme i nostri corpi e la passione reciproca, nulla deve più fermarci.

E abbraccio la mia Candy, perdendomi in lei, toccandola ovunque desidero, sentendola contro di me. La gloria di avere ogni pollice del suo corpo contro il mio mi manda in una specie di delirio e ora so cosa significhi essere travolti dalla passione. Dall'amore nella sua espressione più alta e intima. Capisco che lei prova le stesse cose, non è affatto spaventata, invece ricambia quelle carezze e s'inarca contro di me finché la sua morbidezza più segreta incontra la fermezza del mio desiderio struggente di lei.

Non ho più aria, la cerco, la inspiro in ansiti lunghi e urgenti, cercando di mettere fine a questa lunga e dolorosa attesa. All'inizio i movimenti di entrambi sono un po' goffi, ma è così semplice trovare la strada che ci farà incontrare che la troviamo nel medesimo istante.

La strada per il Paradiso, per il cuore e il corpo di Candy, per l'unione completa è stretta e deliziosamente umida e io provo l'impulso di baciarla per la gratitudine che trabocca da me, interrompendomi quando la sento irrigidirsi.

Perché so che aprirà quell'ultima porta per me e che solo io ho la chiave.

Piano, con delicatezza, mi immergo in lei, commosso, felice, completo. Le riprendo le labbra prima di chiederle se provi dolore a causa mia. È l'unico timore che m'impedisce di perdere del tutto la testa e continuare senza remore. Fino all'estasi che anelo e che, dalla sua risposta, anela anche lei.

Non so con quale sforzo stoico e titanico, ma riesco a rimanere immobile mentre le accarezzo il viso, baciandola e soffocando il suo nome nel bisogno che mi pervade. Stavolta Candy non risponde con le parole, ma ondeggia i fianchi contro i miei e so che siamo quasi alla fine di questo sentiero meraviglioso, accecante.

La prendo, la conduco, lei conduce me. Siamo trascinati nel sole. Oh, devo attendere che lei sia la prima a giungere alla meta, battendomi sul tempo, quasi stessimo correndo una gara giocosa! Siamo due bambini che sfrecciano su un prato a piedi nudi e lei deve vincere. Farò di tutto perché vinca e tocchi il muro prima di me. No, anzi, il cielo. Lo vedo, lo scorgo nei suoi occhi, nel mio nome che grida con trasporto e adoro il suo viso sfigurato dall'estasi che sono riuscito a donarle. Ne sono travolto, emozionato, e non posso fare a meno di seguirla.

Seguirla sentendomi spezzare in due. Seguirla chiamandola mentre tendo ogni muscolo del mio corpo e chiudo gli occhi. Seguirla avvertendo le fiamme avvolgermi i lombi e le lacrime salirmi agli occhi. Acqua e fuoco che s'incontrano nella sensazione più potente che abbia mai provato in vita mia, tanto che non so se potrò sostenerla.
Mi spingo più forte contro di lei, volendo fondermi in Candy e non lasciarla più.

Abbasso il viso nel suo collo per sentirne il sapore e l'odore e so che sto piangendo solo perché lei mi tocca il viso quando infine riesco a staccarmi un po' per guardarla.

E le dico che la amo, beandomi della sua risposta appassionata. E la trattengo ancora un po', fino a che il mio corpo me lo permette, perché voglio essere una cosa sola con lei il più possibile. Da qui all'eternità.
 
 
- § -
 
 
Mattina

"Albert?".

"Mh?".

"Succederà così ogni volta?".

"Cosa intendi?".

"Ci metteremo a piangere tutte le volte che... sì, insomma... che accadrà?".

"Non lo so, Candy. In realtà penso che siano entrate in gioco emozioni molto potenti legate al fatto che fosse la nostra prima volta".

"Abbiamo atteso tanto per essere felici e stasera... siamo uniti come mai prima".

"Già, credo proprio che sia così".

Il profumo del roseto di Lakewood. Fu la prima cosa che Albert avvertì quando aprì gli occhi e si rese conto che invece aveva il naso affondato in un mucchio scomposto di riccioli dorati. Il sorriso gli sorse spontaneo sulle labbra e prese un altro respiro profondo tra i capelli di Candy.

Il sogno che aveva appena fatto, conducendolo al risveglio, non era altro che una conversazione sussurrata tra le carezze la notte precedente. Credeva non l'avrebbe mai dimenticata in vita sua, come non avrebbe mai dimenticato le emozioni travolgenti che lo avevano unito a Candy.

L'abbraccio pelle a pelle si era allentato durante la notte, anche se non di molto, e Albert trattenne persino l'impulso di stirare tutte le membra pur di non perdere il contatto quasi totale con il corpo di sua moglie. Un contatto che gli risvegliò tutti i sensi e che lo riportò alle sensazioni e alle emozioni della sera prima.

Candy gli era sembrata così piccola e timida fra le sue braccia, prima di trasformarsi interamente in donna, che aveva temuto davvero che non fosse ancora il momento giusto per lei. Eppure, le stelle nei suoi occhi gli dicevano il contrario. E i sospiri, e le carezze che pian piano cominciava a restituirgli, e quel modo acerbo ma delizioso di lasciare che lui la toccasse...

Quando l'aveva vista nella sua gloriosa nudità, aveva pensato che Dio fosse stato estremamente generoso con lui, concedendogli non solo di sposare la donna che aveva sempre amato, ma dandogli la conferma della sua eterea bellezza dalla testa alla punta dei piedi. Ma amarla completamente... oh, come descrivere tanta emozione? Come scindere il cuore dal corpo che sembravano un'unica entità ebbra di sensazioni connesse tra loro?

Candy si rannicchiò contro di lui mormorando qualcosa nel sonno e Albert l'avvolse nel suo abbraccio protettivo, come aveva sempre fatto. E seppe, in quel preciso istante, che ora che la loro unione era completa avrebbe potuto stringerla in ogni istante delle loro vite, anche di notte.

Il sonno lo reclamava, ma non credeva che sarebbe riuscito a dormire. Desiderava assorbire quel contatto così intimo e unico fino a quando lei non si fosse svegliata, magari per farle l'amore ancora una volta, lentamente e dolcemente; desiderava continuare a sentire il ritmo del respiro di lei, così simile al soffio meraviglioso del vento; e desiderava riempirsi gli occhi e l'anima dell'immagine di Candy che dormiva nuda fra le sue braccia.

Eppure, mentre cercava di combattere contro il torpore crescente, Albert si rese conto che la coscienza si stava pian piano spegnendo, cullata dallo stesso sonno sereno di sua moglie. E vi si arrese, felice e beato, certo che avrebbero vissuto mille e mille notti come quella.
                                                                         

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Capitolo 26
*** Il quadro di Slim ***


Il quadro di Slim

Albert si guardò attorno chiedendosi d'improvviso se si trovasse a Londra o in una città d'Italia: nonostante ottobre fosse ormai alle porte c'era una giornata splendida, seppure piuttosto fredda, e il sole aveva già dissipato tutta la nebbia scorta all'alba dalla finestra del suo albergo.

Aveva ancora un giorno prima di prendere il treno che lo avrebbe riportato a casa e voleva passarlo curiosando nelle zone più popolari della città, dove c'era il vero cuore pulsante. Trovò il mercatino delle pulci quasi per caso, mentre la carrozza lo stava riconducendo in centro a ritorno dal Blue River.

Lo zoo era quasi come lo ricordava, ma nessuno dei dipendenti che aveva conosciuto all'epoca lavorava più lì. Quando il direttore lo aveva rivisto e riconosciuto aveva fatto subito il collegamento tra il suo ex dipendente di un po' di anni prima e il patriarca degli Ardlay: "Ecco perché la sua foto sul giornale mi aveva sempre ricordato qualcuno! Che mi venga un colpo!".

Mentre girava per le bancarelle, pensò che avrebbe dovuto fare di nuovo quel viaggio con Candy quando non avesse dovuto lavorare e fossero stati in vacanza. Voleva farle rivedere lo zoo ma anche la Saint Paul School che si stagliava sempre imponente sotto ai cieli, quel giorno incredibilmente tersi, di Londra.

Passò vicino a una bancarella che vendeva della frutta fresca e acquistò alcune mele da portare in albergo e dividere con Georges. Ne cominciò a mordere subito una facendosi strada a fatica nel mare di persone che si fermava a guardare ogni pochi passi gli altri banchi. Quasi trasportato dalla corrente umana, ammirò a sua volta una serie di orologi finemente intarsiati su cui erano stati realizzati degli uccellini con le ali spiegate che parevano vere. Riuscì a crearsi un nicchia per avvicinarsi e ne individuò uno che sarebbe stato benissimo sul camino del salone, per sostituire la piccola pendola vagamente spettrale donata loro in occasione delle nozze dai Lagan. Da loro non si era aspettato nulla di meno che la sola presenza di Raymond e quel regalo di dubbio gusto dai colori scuri e tetri.

"E dai, Albert, alla fine il pensiero lo hanno avuto, apprezziamo lo sforzo!", gli aveva detto Candy scrutandolo con un'espressione che esprimeva l'esatto contrario delle sue parole.

"A me sembra più un pensiero da veglia funebre", aveva ribattuto con un brivido lungo la schiena. Non era mai stato un uomo fatalista, ma avere quella specie di cimelio da film horror in salotto non lo aveva mai entusiasmato. Diamine, la prima volta che ne avevano udito il suono erano sobbalzati nello stesso istante e un'occhiata complice era passata tra loro: Albert aveva eliminato la suoneria smontandolo senza troppa cura ma l'orologio era rimasto lì, dimenticato, in attesa di essere sostituito con qualcosa di più allegro.

Su quella bancarella di Londra, Albert individuò un modello orizzontale che era stato persino dipinto a mano: i due volatili che parevano librarsi davvero nell'aria sembravano uccelli del Paradiso con quelle piume lunghe di colore giallo e azzurro carico. Nonostante il contrasto cromatico, il risultato era molto delicato e i due volatili circondavano il quadrante di forma tonda.

Si mise la mela in tasca e chiese permesso a una signora per guardarlo da vicino. Sì, a Candy sarebbe piaciuto di certo e potevano finalmente mettere in soffitta quella specie di orologio del malaugurio dei Lagan.

"Mi dispiace, purtroppo non ha la suoneria, ma è stato realizzato interamente a mano", stava spiegando il vecchio venditore con la pipa in bocca, prendendolo tra le dita nodose.

"Si vede che è stato fatto con amore. Mia moglie lo adorerà!". L'uomo fece una risata rauca e franca, facendogli l'occhiolino e facendo ridere di cuore anche lui. Gli sembrò persino sorpreso quando non contrattò sul prezzo.

Con quella reliquia al seguito e le mele, Albert non disdegnò comunque di curiosare ancora e scorse oggetti molto belli ma anche altri piuttosto dozzinali. Si fermò pensieroso davanti a un set di cappello e guanti lavorati a maglia su cui erano stati ricamati degli elefanti, esitando per qualche istante. Con la coda dell'occhio, però, vide qualcosa che gli fece accelerare il battito cardiaco ancor prima di metterlo a fuoco per bene.

Perché il suo cuore aveva già riconosciuto quello che gli occhi non avevano ancora colto del tutto.

Sbatté le palpebre e aggrottò le sopracciglia, incredulo: "Non è possibile", mormorò muovendosi automaticamente verso quel dipinto a olio esposto poco alla sua sinistra, assieme a un'altra decina di quadri.

Qualcuno lo colpì arrivando dal senso opposto e l'incarto con le mele cadde a terra, distraendolo.

"Mi scusi", dissero all'unisono Albert e l'uomo con i capelli scuri e la sciarpa. Quest'ultimo aveva barcollato solo per un istante e se ne andò stizzito senza neanche dar cenno che alle sue scuse seguisse un reale intento. Forse si era reso conto che Albert stava camminando senza guardare dove andava.

Con gesti veloci, raccolse il sacchetto con le mele e tornò ai quadri, dove uno stuolo di curiosi aveva formato un capannello coprendogli la visuale. Terrorizzato dal fatto che potessero aver già comprato il quadro durante quel prezioso minuto perso, Albert cercò ancora una volta di intrufolarsi chiedendo permesso e guadagnandosi persino altre occhiatacce e alcuni "c'ero prima io".

Se avessero saputo che in uno di quei dipinti lui c'era stato nel vero senso della parola...

Ma il quadro era lì, solo che Albert si accorse con orrore che lo stava tenendo in mano un distinto signore coi baffi all'insù e il cappello a cilindro.

Non doveva comprarlo, quel quadro apparteneva a Candy e a lui, anche se ancora non l'aveva acquistato, dannazione! E se non si fosse fermato a guardare quello stupido set di guanti con sopra gli elefanti che gli ricordavano l'Africa... un momento! A pensarci bene, se proprio il destino aveva voluto metterci lo zampino ci aveva davvero visto lungo: non era stato forse a seguito del suo viaggio in Africa e della perdita di memoria che era, alfine, giunto nel paesaggio più luminoso della sua vita?

E quel paesaggio non doveva essere che in un posto.

"Uhm, per questo posso darle mezza sterlina, giovanotto", commentò l'uomo elegante facendogli gelare il sangue nelle vene.

"Ma, signore... l'autore non è famoso, però se guarda attentamente i colori...". La voce titubante del venditore gli arrivò come ovattata alle orecchie.

Anche se non riusciva a vederlo per intero per come lo teneva l'aspirante acquirente, Albert si era già perso in quel paesaggio. Senza pensarci disse, a voce abbastanza alta per farsi sentire: "Io le offro il doppio!".

Il signore col cilindro si voltò di scatto, squadrandolo dalla testa ai piedi: "Perbacco, non credevo che ci trovassimo a un'asta!". Sembrava molto seccato e si chiese se ne sarebbe nata una discussione. Sperava solo che non dovesse davvero giocare troppo al rialzo, perché aveva speso quasi tutti i soldi che aveva in tasca quella mattina per l'orologio e sarebbe stato davvero imbarazzante dover chiamare Georges in albergo per farsene portare altri.

Lui, William Albert Ardlay a corto di penny in un mercatino londinese: la zia Elroy avrebbe avuto uno svenimento e Archie lo avrebbe preso in giro per tutti gli anni a venire.
Per fortuna, l'uomo si disinteressò subito al dipinto e lo restituì al venditore, togliendogli un macigno dal cuore. Rimase fermo a guardare il suo gesto, ma dentro di sé gioiva e saltellava come un bambino che stia per avere il suo giocattolo preferito.

"Ho visto dipinti più belli su un'altra bancarella", ribatté girando i tacchi e andandosene come la volpe con l'uva. Albert sospettò, però, che si sentisse colpito nell'orgoglio per essersi fatto giocare il quadro da qualcuno vestito in maniera molto meno elegante della sua e, soprattutto, senza accompagnatore al seguito che s'inchinasse restituendogli il bastone come stava facendo il suo in quel momento.

Calamitato dal quadro, Albert non si curò più di lui e chiese al venditore di poterlo vedere. E quando lo vide si sentì proiettato in un istante sulla Collina di Pony: se si concentrava poteva persino sentire le fronde dell'albero, sotto al quale aveva incontrato e poi sposato Candy, le urla festose dei bambini e persino il canto degli uccellini.

Un'ondata di emozioni lo travolse e fu quando udì la voce del ragazzo che lo chiamava da dietro la tela che si riscosse: "Signore? Lo vuole davvero comprare?".

"Sì, certo che lo voglio comprare! Io ci sono stato in questo posto", mormorò in tono rapito come in sogno.

"Davvero?". Il tono genuinamente curioso del ragazzo gli fece spostare gli occhi su di lui.

"Oh, sì, puoi scommetterci!".

Quando Georges lo vide arrivare in albergo con quell'incarto e altre due buste, per poco non lo rimproverò: "Avrebbe potuto mandarmi a chiamare e sarei venuto con la macchina a prenderla!".

"Non ce n'era bisogno, Georges, stai tranquillo. Mi sono divertito molto, a dire il vero, e ho fatto anche ottimi acquisti", disse posando tutti gli incartamenti su un tavolo e cominciando a tirare subito fuori il dipinto dal suo come fosse una reliquia preziosa. Non era molto grande, ma per lui era qualcosa di immenso.

Sentì l'ansito di Georges alle sue spalle e capì che anche lui l'aveva riconosciuta: "La Casa di Pony qui è stata dipinta prima che io intervenissi con i lavori di ristrutturazione, ma il resto del paesaggio è identico. Voglio creare personalmente una cornice migliore, però, e... aspetta, questa non è una firma?".

Le parole gli uscivano a fiumi ma Georges non parve accorgersene e si sporse un poco sulla sua spalla per guardare: "Dove, signore?".

"Slim", dissero a una voce prima che si voltasse a guardare il suo braccio destro. "Mi ricorda qualcosa! Candy me ne deve aver parlato, potrebbe essere uno dei ragazzi della Casa di Pony".

"Davvero sorprendente, signorino William. Chissà come è arrivato fin qui quel quadro".

Albert sorrise senza distogliere gli occhi dal dipinto: "Non lo so, davvero, ma è come una specie di magia del destino. Georges, sicuro che non possiamo partire oggi?", chiese speranzoso.

Lui parve rifletterci: "Beh, abbiamo l'ultimo appuntamento questo pomeriggio, ma se non vogliamo viaggiare di notte...".

"Ti dispiacerebbe molto dormire in un vagone letto?", chiese scoccandogli un'occhiata.

Georges incurvò le labbra, sorridendo a sua volta: "Certo che no. Me ne occupo subito".

"Grazie di cuore, amico mio", rispose mentre lo vedeva allontanarsi.

Albert riportò l'attenzione al quadro, sfiorandolo con le dita con delicatezza come se temesse di rovinarlo, immaginando la nuova cornice che avrebbe creato con le sue stesse mani. Immaginando il volto stupefatto e felice di Candy. Immaginando quel quadro in salotto a ricordare loro, in maniera inequivocabile, come quella collina fosse inesorabilmente legata alle loro vite fin dall'inizio della loro meravigliosa storia.


 
Con questa ultima storia si conclude la serie di missing moments. Grazie di cuore a tutti coloro che mi hanno seguita!

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