NOTE IN CRESCENDO (GIVEN)

di lolloshima
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** INFANZIA - PRELUDIO ***
Capitolo 2: *** ADOLESCENZA - ALLEGRO ***
Capitolo 3: *** GIOVENTU' - FUGA ***
Capitolo 4: *** ETA' ADULTA - SINFONIA ***
Capitolo 5: *** VECCHIAIA - REQUIEM ***



Capitolo 1
*** INFANZIA - PRELUDIO ***


1) INFANZIA - PRELUDIO

PROMPT: Stelle

*

“Ma che bambino educato e gentile” cinguettò l’anziana signora prendendo il posto che Akihiko gli aveva lasciato sull’autobus. “E anche bellissimo” continuò la vecchina rivolta a sua madre che, come di consueto, gli aveva levato il berretto dalla testa, liberando la sua chioma chiarissima. “Complimenti signora, davvero un bambino delizioso”.

Sua madre glielo toglieva sempre, il cappello, quando si sentiva in dovere di farlo vedere in faccia alle persone che si dimostravano incuriosite da lui.

Lui, invece, il berretto avrebbe voluto tenerlo ben ficcato sulla testa, con il frontino abbassato sugli occhi, come una barriera che lo separava dal mondo.

Come se non bastasse, quel gesto di sua madre, per lui tanto odioso, sembrava essere un lasciapassare concesso a chiunque ad infilargli le dita tra i capelli e arruffarli, nell’errata convinzione che questo gesto invadente gli ispirasse simpatia.

E invece faceva l’effetto contrario.

Ecco perché preferiva andare a scuola da solo. Sua madre non lo accompagnava mai, a meno che, come quel giorno, non fosse chiamata dall’insegnante.

“Sarà anche carino, ma è una vera peste! Non fa che mettersi nei guai. Per non parlare dei problemi che mi dà a scuola...”

Eccoci, alle solite.

Akihiko alzò gli occhi sottili e li fissò in quelli della signora che gli stava scompigliano i capelli con uno stupido sorriso sulla faccia. Non appena incrociò quello sguardo glaciale, la donna si irrigidì e ritirò la mano dalla testa del bambino. Il sorriso scomparve dalla sua faccia.

“Ma con questo visino da angioletto non può essere così tremendo, no?” provò a minimizzare con voce incerta, più per togliersi dall’imbarazzo che gli aveva provocato quell’occhiata sinistra che per convinzione.

“Non si lasci ingannare, signora! Guardi, se vuole glielo lascio, io non ne posso più di lui! Anche oggi mi ha chiamato la maestra! Aki avrà di nuovo picchiato un suo compagno di classe!”

Succedeva sempre così.

Da quando suo padre se n’era andato a lavorare in Inghilterra, sua madre non aveva fatto altro che dormire, bere e lamentarsi. Di quanto lui fosse indisciplinato, e ingestibile, e irrecuperabile.

Aveva smesso di occuparsi di lui, se non per rimproverarlo.

Non che quando c’era ancora suo padre le cose fossero differenti.

I suoi genitori erano sempre troppo concentrati a litigare, o a scambiarsi effusioni, o a offendersi a vicenda, per badare a lui. O anche per prestargli la minima attenzione.

Ma da quando suo padre si era trasferito, le cose erano andate anche peggio. Sua madre aveva cominciato ad affidare la sua solitudine alla bottiglia, e se ne stava tutto il giorno sul divano, il più delle volte a dormire, intontita dall’alcol.

Akihiko, pur essendo solo un bambino, aveva dovuto imparare presto a tenere pulita la casa, a cucinare, a placare il nervosismo della mamma. E a prendersi cura di lei, soprattutto quando si sentiva male o non riusciva neppure ad alzarsi dal letto.

Con il tempo, si era anche abituato alle lamentele e agli insulti.

Ogni pretesto era buono per riprenderlo: perchè la mattina faceva troppo rumore, mentre si preparava per andare a scuola, e la svegliava; perchè, al suo rientro, non aveva fatto in tempo a preparare il pranzo, e lei si era già alzata dal letto; perchè con i pochi soldi a disposizione lui non riusciva a comprare tutto quello che lei gli chiedeva.

Era convinto che la mamma lo avesse detto anche agli altri bambini, che lui era cattivo. Perché nessuno gli chiedeva di giocare, nessuno voleva fare amicizia con lui.

Per lo più avevano paura, lo evitavano, e i loro genitori si sentivano in dovere di abbracciarli e allontanarli, quando li vedevano in sua compagnia.

Ad Akihiko non restava che comportarsi nel modo che ci si aspettava da lui.

Non si sforzava di piacere agli altri, non chiedeva affetto, e non ne dava.

Solo quando era a scuola, in classe, si sentiva accettato. La maestra Yamada-sensei e tutti gli altri maestri erano molto gentili con lui. Nessuna materia gli sembrava difficile da imparare, e riusciva con poco sforzo ad avere degli ottimi voti.

Eppure la mamma non dava alcun peso ai suoi risultati scolastici. “E’ solo il tuo dovere, non essere arrogante”, diceva, senza degnare di uno sguardo i compiti perfetti che le portava a casa.

Per la sua mamma, lui non valeva niente, o poco di più.

Glielo aveva anche detto, una volta, quando l’aveva fatta arrabbiare davvero tanto.

Rientrato da scuola, l’aveva trovata addormentata sul divano, una bottiglia mezza vuota sul tavolino basso lì accanto.

“Mamma, posso andare a giocare fuori?” aveva detto impugnando il pallone basket.

La mamma non aveva risposto. Dormiva profondamente, a pancia in giù, un braccio abbandonato sul pavimento. Si era avvicinato e gli aveva sollevato il braccio.

“Mamma, sveglia, posso andare a gioc_”

Lei si era svegliata di soprassalto e aveva spinto il figlio con violenza. Akihiko era caduto all’indietro, perdendo il controllo del pallone, che era andato a sbattere contro la bottiglia di vino.

Questa era crollata a terra, frantumandosi in mille pezzi e il liquido scuro si era sparso sul tappeto e sul pavimento. Un odore acre si era diffuso in tutta la stanza.

“Scusa mamma…”

Nel vedere i vetri per terra, lei era andata su tutte le furie.

“Cosa hai fatto? Guarda cosa hai combinato?”

“Scusa, non l’ho fatto apposta...”

“Non fai che combinare guai, non farai mai nulla di buono nella vita!” gli aveva gridato sua mamma, tirandosi su dal divano.

“Ma io non volevo…”

“Non mi interessa, adesso pulisci tutto e poi vattene, non ti voglio più vedere!”

“Ma è solo del vino, adesso pulisco…”

“Cosa vuoi saperne tu? Almeno il vino mi fa stare bene, tu invece mi rovini la vita!”

Nei giorni successivi era andato al kombini e aveva cercato la bottiglia che aveva rotto. Se la ricordava bene la marca, l’aveva letta e memorizzata quando aveva raccolto i pezzi rotti di vetro sul pavimento. Quando l’aveva vista su uno degli scaffali, si era sollevato sulle punte dei piedi, e aveva guardato il prezzo: 1500 Yen (1). Voleva vedere quanto poteva valere una cosa che, per la sua mamma, era più importante di lui.

*

Dopo una decina di minuti, l’autobus si fermò davanti alla scuola.

Sua madre lo arpionò per un polso e lo trascinò a passo svelto fino all’entrata dell’edificio. Akihiko doveva quasi correre, per starle dietro.

Giunti davanti all’aula insegnanti, furono accolti dalla maestra Yamada-sensei.

“Kaji-chan, tesoro, puoi aspettare un attimo qui fuori?” gli chiese dolcemente la maestra, mentre faceva accomodare la mamma all’interno dell’ampio ufficio.

Akihiko si tolse il berretto, perché non voleva essere maleducato e, obbediente, si arrampicò e si mise seduto su una delle panche posizionate sotto le finestre, con le gambe a penzoloni e le mani intrecciate posate in grembo.

“Allora, cos’ha combinato questo delinquente, questa volta?”

“Niente, signora Kaji-san. Akihiko è un bravissimo bambino. Anzi, anche se è di poche parole, dimostra molta curiosità, e i suoi voti sono eccellenti” si affrettò a precisare la maestra.

“Lo può confermare anche il professor Konosuke, l’insegnante che si occupa dell’educazione musicale”, continuò, indicando un giovane uomo che si trovava in piedi dietro la maestra, e che si inchinò educatamente alla signora Kaji.

“E allora cosa volete da me? Non ho tempo da perdere” rispose brusca lei, ignorando la presentazione.

“Speravamo che avesse cambiato idea sul doposcuola” intervenne il giovane insegnante. “Kaji-kun è uno dei pochi ragazzi che non partecipa ad alcun club dopo l’orario scolastico. So che lei ha bisogno di suo figlio a casa, nel pomeriggio, ma volevo informarla che Akihiko ha dimostrato un’ottima capacità di apprendimento per la materia musicale”.

“Noi crediamo che abbia un vero talento per la musica” continuò la maestra. “Il professor Konosuke insegna violino al Liceo, ma qui da noi ha organizzato un ottimo club pomeridiano, dove Kaji potrebbe approfondire la sua passione. Se lei potesse rinunciare a lui, almeno qualche pomeriggio, per Akihiko potrebbe essere una buona opportunità…”.

“Mi dispiace, non ho soldi da buttare! Non potrei permettermi di comprare uno stupido violino, e non posso certo pagare qualcuno per aiutarmi in casa…”

“Con tutto il rispetto, signora” continuò il maestro Konosuke, “Kaji è un ragazzo intelligente e ha davvero molto talento, potrebbe fare grandi cose nella musica. Per non parlare del fatto che è solo un bambino, non dovrebbe dedicarsi a fare il lavori domestici in casa…”

“Lo scusi, signora” lo interruppe la maestra. “Ciò che voleva dire il professore è che qualche ora in più passata a scuola potrebbe portare grande giovamento al ragazzo, ed evitare che combini qualche marachella in giro… La scuola ha a disposizione alcuni strumenti musicali, e noi saremmo disposti a concedere gratuitamente l’uso di un violino a Akihiko. Potremmo fare una prova, se non doveste trovarvi bene, potrà lasciare il club.”

“Fate come volete. Vi accorgerete che con lui è tutto tempo sprecato. E non venite a lamentarvi con me se vi creerà dei problemi.”

Quando la mamma uscì dalla sala insegnanti, dietro di lei la maestra aveva un sorriso aperto, che gli prendeva tutta la faccia.

Alle sue spalle, il maestro Konosuke imbracciava la custodia di un violino. Anche lui sorrideva. Quando incrociò lo sguardo speranzoso di Akihiko, strinse una mano a pugno, sollevò il pollice e annuì leggermente.

L’espressione sul volto del bambino non cambiò, ma i suoi occhi brillarono come due stelle.

Una luce tutta nuova nel buio della sua vita, che da quel momento non sarebbe stata mai più la stessa.

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1) circa 10,00 euro

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Capitolo 2
*** ADOLESCENZA - ALLEGRO ***


PROMPT CANZONI: Vent’anni - Maneskin

*

L’aula di violino era affollata.

Lo era sempre, quando a provare era Akihiko Kaji.

Alto, capelli corti biondi ossigenati, lunghe gambe fasciate dai pantaloni neri della divisa scolastica, braccia muscolose a stento trattenute dalla stoffa della camicia bianca aderente, cravatta ben annodata sul collo teso.

Teneva gli occhi chiusi, Kaji, quando suonava. Il volto piegato sulla sinistra, il mento appoggiato al ponticello del violino. Con le dita della mano destra teneva l’archetto, e lo muoveva come fosse una bacchetta magica, con un tocco delicatissimo, quasi etereo, ma allo stesso tempo un controllo pressochè totale.

Gli occhi dei presenti, maschi e femmine, erano tutti puntati su di lui, incantati da quel corpo elegante e tonico che sembrava vibrare insieme alle note, e stregati dalla meravigliosa melodia che lui era in grado di far scaturire da 4 corde e un archetto.

Akihiko terminò l’esibizione con un gesto ampio del braccio destro, che si bloccò di colpo quando l’archetto fu sopra la sua testa.

Per un attimo nella stanza calò il silenzio più totale.

Kaji si girò verso il Maestro.

“Mbeh? Com’era?”

Anche il professor Konosuke dovette sforzarsi per ridestarsi dall’estasi in cui era stato risucchiato. Sbattè gli occhi e deglutì.

“Ehm… Molto bene, Kaji-kun. Sì. Direi che ci siamo”. Si avvicinò a lui, poggiandogli una mano sul gomito piegato del braccio sinistro che reggeva il violino, e tirandolo un po’ più su.

“Mi raccomando la postura. E poi... Quante volte ti ho detto che non suoni solo per te? Cerca di voltarti verso il pubblico e non…”

“...e non stare girato verso il muro. Sì, Sensei, me lo ripete da quando ero alle elementari. Va bene, cercherò di fare attenzione.”

“Molto bene, allora. Puoi andare, Kaji. A chi tocca adesso?”

Akihiko sistemò il violino nella custodia e uscì dall’aula, seguito da quasi tutte le ragazze.

“Aki-san, sei stato bravissimo!”

“Akihiko-san, mi potresti dare un consiglio per interpretare meglio la mia parte?”

“Kaji-san, facciamo un duetto?”

Kaji non aveva problemi a trovare una compagnia femminile. Ogni giorno avrebbe potuto scegliere una ragazza diversa con cui passare il pomeriggio, o la sera. E spesso lo faceva.

Avrebbe fatto qualsiasi cosa, pur di non tornare a casa. Da sua madre. Anche se era cresciuto, lei continuava a rimproverarlo e a dipendere totalmente lui.

“Avrei bisogno di un posto per dormire, stanotte” buttò lì, senza tanti preamboli.

“Puoi venire da me Akihiko-san” squittì Yuki, una ragazza minuta e sorridente, con i capelli lunghi e corvini, trattenuti sopra la fronte da un cerchietto colorato.

Akihiko accettò volentieri l’opportunità di trascorrere un’altra notte fuori di casa. “Sei molto gentile, Yuki-chan, grazie. Ci vediamo più tardi a casa tua. E intanto ringrazia molto tua madre”.

“Lo sai, mia mamma è sempre felice di ospitarti.”

Certo, lo sapeva bene Akihiko quanto la bellissima, viziatissima e disponibilissima, madre di Yuki-chan lo ospitasse volentieri. Aveva già avuto modo di visitare la sua camera da letto in più di un’occasione, mentre la figlioletta dormiva serena nella sua stanza principesca.

Era stata lei, a proporglielo, una sera che Yuki lo aveva invitato a cena.

Separata da tempo, ricca ed annoiata, aveva messo gli occhi su quel bel ragazzino tutto muscoli. D’altronde, lei era ancora un donna giovane, e lui dimostrava molti più anni di quelli che realmente aveva. Avrebbe fatto di tutto per togliersi lo sfizio di averlo tra le sue lenzuola.

Anche presentarsi nuda, distesa a letto, con solo un violino a coprirle le parti intime.

Ovviamente, quel violino era destinato a lui, se avesse avuto voglia di andarselo a prendere.

Da tempo la madre di Yuki procurava ad Akihiko le corde di ricambio, gli spartiti, gli olii per la manutenzione dello strumento, e tutte le altre cose che potessero servirgli per suonare.

Purchè “quelle cose”, lui fosse disposto ad andarle a recuperare… addosso a lei.

Quanto al resto, ci pensavano le ricche amiche della signora, a cui era arrivata la voce di questo bellissimo ragazzo così abile a muovere le dita delle mani. E a toccare le corde giuste per far vibrare ciò che sfiorava. Il suo violino, principalmente. Ma non solo quello.

E così, si ritrovava spesso in letti sconosciuti, con addosso le braccia, le mani o le bocche di donne sempre diverse. Lui era sempre gentile e galante con tutte, ricordava i loro nomi e le piccole abitudini di ciascuna di loro, le faceva sentire al centro della sua attenzione e, a loro modo, uniche. Per la durata di quei fugaci incontri.

Ogni appuntamento gli garantiva vestiti nuovi, jeans griffati, cellulari, generi alimentari. A volte, si era ritrovato in mano anche qualche banconota.

Aveva ottenuto anche lezioni private di violino, quando a volerlo conoscere era stato il giovane maestro personale di Yuki-chan.

Grazie a questa esperienza, e alle sessioni di approfondimento che si concludevano in camera da letto, Akihiko non solo aveva affinato le tecniche del violino, ma aveva anche scoperto quanto appagante, coinvolgente e liberatorio fosse il sesso tra uomini.

Ma purtroppo, alla fine, l’insegnante si era perdutamente innamorato di lui, e Kaji aveva preferito interrompere le lezioni e ogni altro tipo di rapporto intimo.

Di lui, gli era rimasta solo una cavigliera di cuoio rosso, che il maestro gli aveva annodato al piede un pomeriggio, dopo aver fatto l’amore. Non se la sarebbe più tolta. Era il simbolo della sua natura, della scoperta del suo orientamento sessuale, e del suo prezzo: un violino, qualche abito, una manciata di banconote, un po’ di musica.

A lui non dava fastidio, essere mantenuto. Non ne andava fiero, certo, ma non se ne vergognava.

Alla sua età quello che voleva era solamente emergere, dare sfogo alla propria passione, lasciare un segno nel mondo. E soprattutto essere libero dalla schiavitù di una madre che lo teneva legato a una catena fatta di accuse e sensi di colpa.

Non provava alcuna invidia per le persone che, di fatto, gli procuravano da vivere. Anzi, quasi gli facevano pena, impegnati com’erano a rincorrere il denaro e abituati a dare un prezzo a tutto. Anche all’amore.

A lui, invece, l’amore non interessava. E neppure il denaro.

Lui l’amore non lo provava mai, e non chiedeva più di quello che gli serviva per poter sopravvivere, aiutare sua madre e coltivare la sua musica.

*

Akihiko salutò Yuki e le altre ragazze e si voltò verso l’uscita della scuola. Quando alzò lo sguardo notò, in fondo al corridoio, un ragazzo alto e magrissimo che si stava avvicinando. Era slanciato, con una massa di capelli corvini arruffati che ricadevano su un volto affilato, ma dai tratti delicati.

Mentre camminava verso di lui, la camicia bianca si muoveva morbida su un busto esile, e le maniche fluttuavano attorno a braccia sottilissime. In una mano, teneva la custodia di un violino, che sembrava quasi galleggiare in aria, senza peso.

Il suo cuore si fermò.

Rimase impietrito a guardarlo, mentre il nuovo arrivato gli passava oltre e si infilava nella stanza di musica che lui aveva appena lasciato.

Come attratto da una calamita, Akihiko tornò sui suoi passi, e si fermò sulla porta dell’aula.

Il professore salutò il ragazzo, dandogli il benvenuto e presentandolo agli altri come Ugetsu Murata, un nuovo studente appena arrivato.

Il giovane appoggiò la custodia sulla cattedra del professore, ne estrasse un violino di legno scuro, controllò corde ed archetto, ed inforcò lo strumento tra il mento e la spalla.

Già nel momento in cui il professore gli diede la nota per l’intonazione, Kaji capì di essere di fronte a qualcosa di speciale.

Ma quando Ugetsu iniziò a produrre le prime note di un brano difficilissimo, e la melodia si diffuse tra le mura della stanza, per Akihiko fu come essere investito da uno tsunami.

L’amore è violento.

Come un vento impetuoso.

Come un uragano.

Un terremoto dell’anima.

Non gli era mai capitato di incontrarlo, ma non ebbe alcuna difficoltà a riconoscerlo al primo istante: talento puro.

Un talento irruento, travolgente, che non lascia possibilità di scampo, che non consente paragoni.

Violento.

Come l’amore.

Che arriva inaspettato e ti travolge, anche se non vuoi, anche se lo rifiuti.

Un amore che fa male.

Finita la piccola esibizione, Ugetsu si voltò nella sua direzione e, vedendolo, sorrise. Sorrise con il suo modo dolce e crudele, socchiudendo gli occhi e piagando un pochino di lato la testa.

Per Kaji non ci fu più niente da fare.

Quella sera non andò a cena da Yuki-chan. Si scusò con sua madre, dicendo che aveva un impegno scolastico, perché doveva occuparsi di un nuovo studente appena arrivato.

In un certo senso era proprio così.

*

“Sul serio abiti qui?” disse Akihiko scendendo le scale dello scantinato.

“Hai qualcosa contro i piani interrati?” lo schernì Ugetsu sorridendo.

“No no, anzi. Solo che non avevo mai visto una casa senza finestre”.

“Il bello è che si può suonare finché si vuole. Le pareti sono insonorizzate. Tanto perché tu lo sappia.”

Alla fine delle scale, si era ritrovato un un ampio stanzone dalle pareti altissime, tinteggiate di grigio. L’unica luce soffusa proveniva dalle vetrate poste in corrispondenza dell’entrata dell’edificio, al piano superiore.

Nell’angolo destro era posizionato un letto matrimoniale, con accanto un tavolino basso.

Dall’altro lato, in fondo alla stanza, un angolo cottura, separato dal resto dell’ambiente da un’ampia isola, che fungeva anche da tavolo.

“Se vuoi un caffè, accomodati, la cucina è di là. Trovi l’occorrente sugli scaffali.”

Kaji si avviò verso la cucina. Dentro al lavello giacevano alcuni piatti da lavare, e il piano cottura non era stato pulito.

Aprì qualche sportello e preparò il caffè, mentre Ugetsu sfogliava alcuni spartiti disteso a pancia in giù sul letto, sopra un copriletto nero. Quando fu pronto, Akihiko prese da uno scaffale due tazze, versò il caffè per entrambi e si avvicinò al letto. Allungò un braccio, e offrì una tazza al padrone di casa.

“Ehi, ma che ti prende? Non ti ho mica chiesto di portarmi un caffè! Non serve che interpreti il ruolo della mogliettina premurosa.”

Kaji rimase bloccato, ma non replicò. Appoggiò la seconda tazza sul tavolino e iniziò a sorseggiare la bevanda bollente.

“Vieni qui, vicino a me” lo invitò Ugetsu spostandosi leggermente di lato sul materasso. “Ma prima togliti la camicia.”

Akihiko obbedì. Era abituato a soddisfare i desideri dei suoi amanti. Ma questa volta il cuore gli batteva come non gli era mai capitato nella sua vita, e sentiva tutto il corpo fremere di un’emozione sconosciuta.

Rimasto a petto nudo, il corpo percorso da brividi, si distese di fianco a Ugetsu.

Non sapeva bene cosa fare, non era certo di poter interpretare quell’invito come un segnale ad andare oltre.

Chi era quel nuovo ragazzo, che lo aveva stregato fin dal primo istante in cui l’aveva visto, e lo aveva indissolubilmente legato con la sua musica angelica?

No, un angelo non poteva essere. Gli angeli non possono fare così male. Non ti avvolgono in spire mortificanti per impedirti di emergere, non affondano in un attimo tutte le tue speranze e le tue aspirazioni. Non ti fanno cadere in ginocchio, impotente, di fronte a un talento impossibile da eguagliare.

Un demonio, ecco chi era Ugestu. Il demonio più fastidioso ed eccitante che avesse mai incontrato.

Timidamente, allungò un braccio per avvolgere le sue spalle ma, prima che riuscisse a toccarlo, l’altro si voltò nella sua direzione, gli prese il volto tra le mani e lo baciò sulla bocca.

“Ho sentito grandi cose su di te, Akihiko-san. Su quello che sei capace di fare. A scuola e nel privato” gli sussurrò sulle labbra.

“Beh, io… non so…” cercò di ribattere, preso alla sprovvista.

“Gira voce che spesso tu sia alla ricerca di un posto dove stare.”

“No, io...” tentò di dire imbarazzato Kaji, ma fu interrotto da un altro lungo, profondo bacio.

“Non occorre che mi spieghi. A me non dispiacerebbe dividere il mio letto, qualche volta. Con te” continuò Ugetsu guardandolo negli occhi e accarezzandogli la guancia con il dorso delle dita.

“Ma mettiamo le cose in chiaro. A me interessa suonare. Amo la musica sopra ogni cosa. E voglio diventare qualcuno. Non voglio che il mio nome scompaia in mezzo a quello degli altri. Farò di tutto per riuscirci. Non voglio distrazioni, e soprattutto, non mi serve una mogliettina. Che dici, ci stai?”

Prima che Kaji potesse rispondere, Ugetsu gli infilò una mano tra le gambe, fino a incontrare la sua erezione, che premeva potente contro la stoffa dei pantaloni.

“Questo è un sì?” proseguì Ugetsu, mentre gli slacciava i calzoni e glieli sfilava insieme ai boxer.

Akihiko non poteva crederci. Il ragazzo di cui si era innamorato a priva vista, quel meraviglioso, talentuoso, bellissimo ragazzo era tra le sue braccia.

Non poteva commettere altri errori.

Non aveva neppure vent’anni e già ne aveva fatti tanti, di sbagli, nella sua vita. Aveva fatto molte cose di cui, forse, si sarebbe potuto vergognare. Eppure, non rinnegava nulla, tutte le sue scelte lo avevano portato lì, dov’era in quel momento. E adesso, era giunto il momento di scegliere cos’era più importante.

Si rendeva conto che lui non sarebbe mai stato all’altezza di Ugetsu e del suo straordinario talento. Sarebbe sempre stato un passo indietro rispetto a lui, sarebbe stata la sua ombra. Con lui non avrebbe potuto emergere, e alla fine avrebbe sempre sofferto.

Ma Ugetsu significava libertà. Significava vivere finalmente una vita a colori, in un mondo in bianco e nero.

“C… ci penserò… “ cercò di dire Kaji, concentrato sulle mani dell’altro che gli stavano facendo perdere completamente il controllo.

“E adesso basta parlare, Aki-chan… ho voglia di fare l’amore…”

Sopraffatto da un’eccitazione incontenibile, Akihiko lo spogliò completamente e si distese sopra il suo corpo esile, assaporando il suo profumato inebriante.

La testa di Kaji si riempì di lui, il suo cuore di tutte le sensazioni violente e sconvolgenti che non pensava di riuscire a provare.

Dopo, ci furono solo le loro gambe intrecciate, le mani unite, le bocche a cercare angoli nascosti ed inesplorati, i corpi fusi l’uno nell’altro. I sussurri, i gemiti, le suppliche ad avere di più, le urla esplose e custodite tra le pareti insonorizzate di quel nuovo nido.

L’estasi del piacere raggiunto insieme.

Le risate di Ugetsu quando, il giorno dopo, Akihiko si presentò con tutti i suoi bagagli.

Aveva scelto l’amore. Anche se significava avere a che fare con un demone.

E convivere con la paura di non essere all’altezza.

 

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Capitolo 3
*** GIOVENTU' - FUGA ***


3) GIOVENTU’ – FUGA

PROMPT: Citazioni – Arriverà / stravolgerà ogni cosa / e farà rinascere / la versione migliore di te

*

 

“Sono tornato!”

Ugetsu tolse le scarpe bagnate e le lasciò ai piedi della scala.

Quelle parole, quasi urlate senza il minimo ritegno, svegliarono Akihiko, che aprì svogliatamente gli occhi e guardò l’ora sul telefono che teneva accanto al cuscino: 4.28.

Dormiva a torso nudo, a pancia in giù, un braccio piegato sotto il cuscino.

“Fammi posto.” Ugetsu, ancora completamente vestito, si distese sul letto di fianco a lui, spostandolo con piccoli movimenti del bacino. Sapeva di pioggia, e l’odore della sua pelle era amplificato dall’umidità.

“Ho voglia…” Ugetsu passò un dito sulla schiena nuda di Kaji.

“E io no. Stavo dormendo” bofonchiò l’altro.

“Eddai, non fare il prezioso” continuò il nuovo arrivato, spostando delicatamente la punta delle dita sulla pelle del compagno, che rabbrividì con piccoli spasmi.

“Sei tutto bagnato.”

“Ovvio, fuori piove! Aki-chan, devi pur guadagnarti la mia ospitalità! O credi che sia sufficiente tenere in ordine e fare le pulizie?” lo provocò Ugetsu ritirando la mano.

“Sei più acido del solito. Che c’è, il volo non era di tuo gradimento? Sei di cattivo umore?”

Sì, lo era. In aereo, la musica di sottofondo in prima classe era pessima, il film che avevano proiettato faceva schifo, e il filetto era troppo cotto! Come se non bastasse, pioveva.

“Sì, in effetti sono un po’ nervoso.”

Gli infilò una mano dentro i boxer e la avvolse intorno ad una natica.

“Mmmm…. Sei caldo… Dai, dammi un po’ di te...”

Akihiko si voltò nella sua direzione. Dopo anni di convivenza, Ugetsu sapeva bene come toccarlo, e come fargli salire il desiderio.

Sapeva accenderlo così come sapeva tirare fuori da un pezzo di legno le melodie più raffinate o estreme.

E’ vero, quando Ugetsu muoveva le mani sul suo corpo, con il suo modo delicato e passionale, non c’era neanche una minima traccia dell’amore che trasmetteva quando tra le mani teneva il suo violino. Però quei gesti erano sufficienti a rendere Akihiko pronto a soddisfare le voglie del suo capriccioso coinquilino.

“Senti qui…” Ugetsu spostò la mano, prese quella di Akihiko e la premette contro il proprio membro. Duro e invitante, anche attraverso i pantaloni.

“Questo è decisamente convincente. Come è andato il concerto?” chiese Akihiko in un soffio.

“Che c’è, vuoi fare conversazione adesso? Guarda che me lo fai ammosciare” rispose Ugetsu, indurendo il tono della voce. “E comunque non fare domande stupide” continuò più dolcemente. “E’ andato benissimo. Quasi una perdita di tempo, per me”. Sorrise e lo baciò sulle labbra.

“Almeno togliti i vestiti. Sanno ancora di aeroporto.”

Ugetsu estrasse la mano, che nel frattempo era tornata ad avvinghiarsi sulla natica di Akihiko, e si staccò da lui.

“E va bene” disse, alzandosi dal letto. “Mentre mi spoglio metto su l’acqua per il caffè. Faccio anche una doccia veloce. Tu preparati, nel caso mi andasse ancora di fare sesso, dopo”.

Sbadigliò, iniziando a sbottonarsi la camicia candida, si girò e si allontanò verso il bagno.

Dall’impermeabile alla biancheria, tutto fu abbandonato disordinatamente sul pavimento.

Come sempre, Ugetsu decideva ogni cosa in base alle voglie del momento. Cosa iniziare, e cosa lasciare a metà. O abbandonare definitivamente.

“Ora dovrò raccogliere i vestiti e pulire il bagno” pensò Akihiko, mentre si girava dall’altra parte.

Almeno non avevano litigato.

Ormai quella strana convivenza era diventata uno slalom tra momenti di tenerezza, liti furibonde, sesso sfrenato e stoviglie rotte.

Si erano lasciati e ripresi più volte, tante quanti erano i piercing sul volto di Akihiko. Forse era solo un caso, ma ogni volta che Kaji decideva di farsi un nuovo buco sulle orecchie, sul labbro o sulla faccia, come simbolo della sua nuova vita senza Ugetsu, ecco che lui ritornava tra le sue braccia, con un sorriso, un bacio, una partitura scritta solo per lui.

Lo odiava per questo. Ma non riusciva a smettere di amarlo con tutto se stesso.

Quando Ugetsu uscì dal bagno, con un asciugamano avvolto intorno ai fianchi, stava canticchiando una melodia. Teneva in mano alcuni spartiti e li leggeva distrattamente. Si diresse in cucina, dove trovò una tazza di caffè pronta sul tavolo. Iniziò a sorseggiarlo, continuando a studiare quei fogli.

Non rivolse neppure un’occhiata a Akihiko, che si era girato verso il muro e sembrava essersi riaddormentato.

In realtà, Akihiko non dormiva, eppure sognava. Sognava ad occhi aperti il volto sorridente di Haruki, sentiva sotto le dita i suoi morbidi capelli, aspirava il profumo della sua pelle che sapeva vagamente di fumo e caffè, sentiva la sua risata soffocata. Aveva, davanti a sè, i suoi occhi arrossati e lucidi, che lo guardavano innamorati.

*

Akihiko sistemò la sacca con le bacchette sulla spalla, chiuse l’ombrello ed entrò nel bar.

Haruki era intento a versare il caffè nelle tazze di alcuni clienti. I lunghi capelli raccolti in una morbida treccia, il grembiule allacciato in vita. Akihiko non aveva ancora deciso se lo trovava più attraente in quella versione o mentre era curvo sul suo basso e pizzicava le corde muovendo a ritmo le sue lunghe dita affusolate, con i capelli ribelli che gli ricadevano sul viso.

Aveva sperato di trovarlo solo. Non sapeva perché, ma ogni volta che entrava al bar, sperava che non ci fosse nessuno all’infuori di Haruki.

Adorava vederlo maneggiare con maestria la macchina per preparare il caffè, e gli piaceva godersi ogni gesto, ogni passaggio di quella particolare procedura, come fosse un cerimoniale dedicato solo a lui. Lo aveva osservato bene, e non gli era sfuggito che Haruki, sempre molto professionale e sicuro di sé con tutti gli altri clienti, quando preparava il caffè per lui sembrava quasi impacciato e le sue mani tremavano un po’.

In Haruki, nella loro band, Akihiko aveva trovato un mondo rassicurante. Un senso di calore e familiarità che non provava altrove. Nemmeno a casa sua. Qualunque essa fosse.

Una tana dove potersi rifugiare senza pensare ad un amore ormai finito, di cui erano rimaste solo le ceneri e una convivenza di comodo.

Dove poter fuggire dai problemi e dai deliri di sua madre e dalle critiche di suo padre.

Dove non sentire il vuoto che gli lasciavano le storie occasionali, alle quali si concedeva da quando il suo rapporto con Ugetsu era naufragato.

Soprattutto, dove nessuno poteva accorgersi del suo fallimento in ambito musicale, e del fatto che non era, non sarebbe mai stato bravo come Ugetsu.

Grazie alla band, poteva convincersi di avere fatto bene ad abbandonare il violino, e di avere fatto la scelta giusta nel dedicarsi, tra tutti gli strumenti che era in grado di suonare, alla batteria, così immediata ed istintiva.

Ne aveva parlato con il suo vecchio Maestro Konosuke, l’uomo che tanto tempo prima aveva creduto in lui e aveva cambiato la sua vita, e che lo seguiva fin dalle elementari.

Era tornato al suo vecchio liceo e lo aveva aspettato alla fine delle lezioni. Davanti al distributore automatico delle bibite, tutto d’un fiato, gli aveva confidato di non sentire più la stessa passione per la musica, anzi, di non sentire più nessuna passione, per niente e per nessuno. Di non sentirsi degno di uno strumento nobile a perfetto come il violino. Di non essere all’altezza dei grandi musicisti. Di non poter aspirare a raggiungere il cuore di nessuno, con la sua musica. Nè con nessuna altra parte di sé.

Il professore si era limitato ad ascoltarlo, senza cercare di convincerlo che in realtà il suo talento era intatto, che non doveva sminuire la sua bravura a causa di un insensato paragone con la genialità, che il violino è una passione che ti entra nelle ossa e non ti può lasciare più, che non puoi cercare di fuggire l’amore, quando arriva.

Lo aveva ascoltato pazientemente fino alla fine e poi, poggiandogli una mano ferma sulla spalla, gli aveva solo sussurrato. “Mio caro Aki-chan, quello che stai cercando, arriverà. Stravolgerà ogni cosa, e farà rinascere la versione migliore di te”.

Akihiko non aveva capito bene quelle parole, ma era grato al suo vecchio maestro per non aver cercato di fargli cambiare idea e di fargli riprendere lo studio del violino.

Gli piaceva suonare nella sua band. Insieme ai suoi amici. Insieme ad Haruki.

Akihiko si accomodò al bancone del bar, e Haruki gli mise davanti una tazza di caffè fumante. Poi, si appoggiò sul piano, e lo guardò, in attesa che lo sorseggiasse. Una ciocca di capelli gli scivolò morbida sulla fronte.

Akihiko incrociò i suoi occhi e si sentì avvampare.

Il suo cuore prese a battere all’impazzata e all’improvviso sentì che in quel momento niente al mondo era più importante che allungare la mano e sistemare delicatamente quel delizioso ciuffo di capelli.

Forse si era sbagliato.

Forse l’amore non è solo dolore. Non è solo violenza. Non è frustrazione.

E se l’amore fosse un rifugio sicuro, un abbraccio consolatore, una risata piena di gioia, uno stato di perenne felicità?

Se fosse davvero possibile incontrare il vero amore, quello che è ricambiato?

“Aki-chan! Non devi continuare a venire a prendermi per le prove. E’ troppo scomodo per te. Possiamo vederci direttamente allo studio.”

“Lo sai che preferisco passare, Haru. Ormai dovresti averlo capito, il motivo.”

“…” Haruki sgranò gli occhi, arrossendo vistosamente.

Akihiko lo trovò irresistibile. L’Amore era lì, davanti ai suoi occhi. E aveva la forza di stravolgere ogni cosa, e di far rinascere la versione migliore di sè.

“Non esiste al mondo un caffè più buono del tuo.”

 

 

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Capitolo 4
*** ETA' ADULTA - SINFONIA ***


PROMPT LUOGHI: sfilata di moda

 

“Hai detto Parigi?” Haruki non credeva alla sue orecchie. Appoggiò la bottiglia di vino sul bancone della loro ampia cucina, temendo di farla cadere, tanta era l’emozione.

Da sempre sognava di vedere Parigi, ma avere l’opportunità di farlo insieme a Akihiko, superava di gran lunga ogni sua più rosea aspettativa.

Ma uoi, mon amour, Paris!”

“Il tuo francese fa schifo!”

“Non devo mica andare a parlare, in Francia. Basta che mi limiti a suonare” replicò Akihiko, passandogli un pieghevole di cartoncino.

 

L’Opera Granier de Paris PRESENTE

AKIHIKO KAJI VIOLON

Samedi 26 fevrier a 19H30

CONCERT du VIOLON OP. 35

Pyotr Tchaikovsky

Teatre de l’Opera Garnier -Plaxe de l’Opera – Paris RSVP

 

“Avevi detto che per il prossimo anno non avresti fatto altri concerti oltre a quelli già programmati.”

“E’ vero, ma Parigi è Parigi. So quanto ti piace, e voglio che tu venga con me. Organizzati per lasciare il tuo ristorante.”

“E’ meraviglioso! Io e te, nella città più romantica del mondo!”

“E non è tutto. Leggi l’altro biglietto….”

La Fédération de la Couture et de la Mode de Paris, annuncia il calendario ufficiale della Paris Fashion Week, e invita Monsieur Haruki Nakayama ad assistere alla sfilata Moda Uomo primavera - estate della Maison Louis Vuitton…” Haruki si interruppe e guardò il compagno con fare interrogativo.

“Una sfilata? Credevo di conoscerti, Aki, e non ho mai ho pensato che tu fossi un tipo modaiolo...”

“Vai avanti Haru...”

...che eccezionalmente sarà accompagnata dall’esibizione del violinista giapponese di fama mondiale Akihiko Kaji”.

“Wow! Accompagnerai niente popò di meno che la sfilata di Louis Vuitton nel bel mezzo della settimana della moda parigina! Aki-chan, tu sei pieno di sorprese…” Haruki gli saltò al collo e lo abbracciò.

In tutta risposta, Akihiko sollevò il suo compagno da terra e lo fece roteare fino a buttarlo lungo disteso sul divano.

Si mise a cavalcioni sopra di lui e gli sollevò la camicia fino a scoprirgli il petto.

“Aki-chan, non abbiamo più l’età per farlo sul divano…”

“Parla per te, vecchietto. Io, a differenza di te, i 40 anni non li ho ancora compiuti. E poi sarò sempre giovane abbastanza per fare l’amore con il mio uomo ogni volta che mi viene voglia. Lasciati baciare.”

Le labbra di Akihiko si stamparono su quelle di Haruki, che non se lo fece ripetere due volte e aprì la bocca per accogliere la sua lingua bagnata e invadente.

“Dannazione, dopo tanti anni mi fai ancora eccitare come un adolescente” ringhiò Kaji, quasi strappandogli i pantaloni.

Si accorse che Haruki non portava biancheria.

“Oh, quanto ti amo….”

Sollevò le sue gambe e infilò la testa in mezzo.

Haruki chiuse gli occhi buttando la testa all’indietro, si portò una mano alla bocca e iniziò a morderla per evitare di urlare dal piacere.

Nella grande villa in cui vivevano, alle porte di Tokyo, non c’era alcun pericolo che qualcuno li sentisse, e potesse verificare con quanta frequenza, e con quale soddisfazione, lui e Kaji facessero sesso.

Ma la forza dell’abitudine, dovuta ai tanti anni di convivenza nel piccolo appartamento situato nel popoloso quartiere residenziale, lo portava a fare di tutto per non farsi sentire.

Però era così difficile non gridare, difficilissimo!

“Non trattenerti, Haru, fammi sentire”, sussurrò Akihiko, quasi leggendogli nel pensiero, mentre lo fissava con i suoi occhi a fessura, penetranti come proiettili. Allungò un braccio e allontanò a forza la mano che Haruki teneva sulla bocca. A lui sfuggì un gemito, che Kaji prese come un invito a continuare.

“Aki fermati, devo andare al ristorante, tra poco arrivano dei fornitori...”

“Va bene, se vuoi la smetto… ma devi chiedermelo in francese...” riuscì a dire Kaji, ben determinato, invece, ad utilizzare mani e bocca per mandare il compagno completamente fori di testa.

“S... stronzo…”

“In francese, ho detto…”

“St…”

Akihiko non era sicuro di aver capito a quale lingua appartenesse l’urlo strozzato che uscì dalla gola di Haruki quando si svuotò nella sua mano. Però sì, in effetti poteva anche essere francese.

*

La torre Eiffel risplendeva di mille luci nella notte di Parigi.

Ai suoi piedi, la città sembrava sonnecchiare tranquilla, quasi dovesse recuperare le forze in attesa di risvegliarsi, rumorosa e colorata la mattina successiva. Sulla destra, a mezz’aria, come sospesa nel vuoto, spiccava la candida cattedrale di Montmartre.

Haruki ammirava estasiato il panorama dalla terrazza dell’Hotel, mentre Akihiko, al suo fianco, elegantissimo, fumava una sigaretta.

L’aria era fredda e tersa, e il fumo risaltava in piccole nuvole chiare nel buio della notte. Akihiko spostò una mano e la appoggiò su quella di Haruki. Era la massima espressione di romanticismo che ci si potesse aspettare da lui, e Haruki ne fu commosso.

Il concerto era stato un successo.

L’esibizione di Kaji aveva riscosso 10 minuti ininterrotti di applausi, e molte persone tra il pubblico avevano dovuto ricorrere ai fazzoletti per asciugare l’emozione dagli occhi.

Uno di questi era stato Haruki.

Lui, in verità, aveva pianto tutto il tempo. Non riusciva proprio a farci l’abitudine, alle esibizioni di Akihiko. Il suo talento era riconosciuto a livello mondiale, e lo aveva accompagnato spesso quando doveva tenere un concerto o uno spettacolo in ogni parte del mondo. Ma per lui la commozione era sempre fortissima.

Il tempo era stato più che clemente con Kaji.

I capelli chiari brizzolati e le piccole rughe di espressione intorno agli occhi sottili, avevano aumentato ancor di più la bellezza algida eppure quasi sfacciata di Akihiko, che esplodeva quando in mezzo alla fronte compariva quella meravigliosa, affascinante ruga, che si formava quando era intento a suonare. Sul palco, si muoveva con disinvoltura e maestria. Il suo fisico ancora atletico, fasciato nell’elegante frack da esibizione, era un piacere irresistibile per tutti gli spettatori. E per Haruki in particolare.

Chiudeva ancora gli occhi, Kaji, quando suonava il violino.

Solo così riusciva a far fluire liberamente, attraverso le corde, i suoi sentimenti più profondi: il rinnovato legame con la musica, la familiarità con lo strumento ritrovato, l’amore per Haruki.

Dopo l’esibizione, Akihiko aveva trovano in camerino il solito mazzo di rose rosse.

Come sempre, era stato Ugetsu a mandargliele.

Da quando si erano lasciati definitivamente, non lo aveva più rivisto, ma lui non dimenticava mai di fargli trovare, alla fine di ogni sua esibizione, dei fiori freschi.

Kaji aveva smesso di cercarlo tra il pubblico.

E Haruki aveva smesso di provare gelosia per questa presenza, tutto sommato discreta.

Aki aveva scelto lui. Aveva cambiato la sua vita per stare con lui. Aveva rimediato ai suoi errori e, da quando stavano insieme, aveva dato tutto se stesso per coltivare il suo talento e per dimostrargli il suo amore. E con ottimi risultati.

Era diventato uno dei violinisti più ricercati e pagati al mondo. E loro si amavano ogni giorno di più.

Akihiko lo aveva sostenuto quando lui aveva deciso di aprire il suo primo ristorante, e lo aveva sempre coinvolto nella sua folgorante carriera. Avevano preso una casa insieme e progettato una vita in comune.

Aki gli aveva dimostrato più volte, in molteplici occasioni, che lui era l’unico uomo della sua vita, e che il passato non avrebbe mai intaccato la loro felicità.

Quella serata era una di queste. Si trovava di fronte ad uno dei panorami più belli e suggestivi del mondo, insieme all’uomo che amava da sempre.

Akihiko indossava ancora il completo da esibizione. Dopo il concerto e i cerimoniali di rito, aveva insistito per tornare direttamente in albergo, anziché cambiarsi in camerino. Con la giacca bianca e il papillon era bello da togliere il fiato.

Guardandolo da vicino, Haruki poteva scorgere sul suo volto i piccoli fori nelle orecchie e sul labbro, ricordo di una vita diversa, ma mai rinnegata, e che talvolta tornava a fare capolino, quando Akihiko cedeva al vezzo di rimettersi i vecchi piersing.

Dopo qualche minuto di silenzio, Kaji spense la sigaretta e guardò l’orologio.

Si appoggiò con gli avambracci alla ringhiera della terrazza e voltò la testa di lato verso Haruki.

“Haru, domani alla sfilata dovresti fare una cosa per me.”

Giusto, domani c’è la sfilata, pensò Haruki, alzando gli occhi al cielo. In quel particolare momento la sfilata era l’ultimo dei suoi pensieri.

“Mn” si limitò a borbottare senza distogliere gli occhi dallo spettacolo incredibile di Parigi ai suoi piedi. “Devo riprendere tutta l’esibizione per postarla nei tuoi social?”

“No, ci sono i tecnici per quello… Tu, dovresti, ecco….” Akihiko si distrasse per guardare di nuovo l’orologio.

“Dovrei? Cosa?” Adesso Haruki era curioso.

“Dovresti… scegliere l’abito della sfilata che ti piace di più. Poi lo indicherai alla mia assistente.”

“Intendi il mio preferito della collezione?”

“No, un abito che ti piace. Per te. Vorrei regalartelo io.”

“Cosa? Non mi interessa un abito di Luis Vuitton! E quando dovrei metterlo? Mi ci vedi al ristorante in completo di Luis Vuitton?”

Haruki ridacchiava divertito senza staccare gli occhi dalla Torre parigina, mentre Akihiko continuava a guardare l’orologio.

“Aki-chan… mi spieghi che ti prende? Cos’è questa storia dell’abito? Ti ringrazio del pensiero, ma davvero non serve, no… ehi, ma mi ascolti? Perchè diavolo continui a guardare l’orologio?”

“Un minuto…”

“Ma un minuto di cosa?”

“...”

“Aki, si può sapere che cos’hai?”

“Ancora un attimo… ecco!”

All’una in punto, tutti i fari della Torre Eiffel esplosero, e decine di migliaia di luci iniziarono a brillare e a scintillare a intermittenza, in uno sfavillante gioco che illuminò la notte rendendola ancora più suggestiva.

“Ma… è meraviglioso… Aki, tu lo sapevi…” esclamò estasiato Haruki.

Si voltò vero il compagno, ma non lo vide più al suo fianco.

Abbassò lo sguardo e si accorse della testa chiara di Kaji all’altezza delle sue anche. Era in ginocchio.

“Aki, che fai…”

Akihiko alzò gli occhi sottili e li puntò dritti nei suoi, mentre alle sue spalle la Torre Eiffel esplodeva di luci.

“Haruki, Vorrei che domani tu scegliessi un abito.”

“Va bene, Aki, come vuoi. Non avevo capito che ci tenessi così tanto, non serve pregarmi. Lo farò, va bene… ma adesso tirati su...”

“Il tuo abito…”

“Ma cos’avrà di tanto speciale questo benedetto abito…”

“...il tuo abito per le nozze.”

“C.. Come… quali nozze?”

Akihiko sollevò nella sua direzione una piccola custodia di velluto.

“Haruki. Sei la mia famiglia da più di vent’anni. Sei la mia spalla, il mio sorriso, il posto dove tornare, il centro della mia vita. Se la parte migliore di me. Io ti amo.”

“Aki, ma…”

Akihiko aprì il cofanetto. Conteneva una semplice vera di oro bianco, con incastonato un piccolo diamante.

“Haruki, mi vorresti sposare?”

Haruki portò entrambe le mani alla bocca e gli occhi si riempirono di lacrime.

“Sgsgs”

“Scusa, Haki… E’ un sì?” domandò Kaji, seriamente preoccupato.

“Certo… certo che è un sì! Ti amo. Sì!”

Akihiko si alzò in piedi e lo abbracciò. Haruki affondò il viso nel suo petto e scoppiò in un piano di gioia.

Kaji gli sollevò il volto rigato di lacrime e unì le loro labbra, in un bacio dolce e lunghissimo, che sapeva di lacrime, di anni passati insieme, di un futuro ancora tutto da vivere.

Restarono abbracciati, a godersi quella notte speciale, finché lo spettacolo di luci della Torre finì. Akihiko si staccò da Haruki e si avviò verso l’interno della camera.

“Haru, Vado a cambiarmi, ma tu aspettami a letto. Dobbiamo festeggiare.”

Haruki, colmo di felicità, rimase ancora qualche minuto sul terrazzo, un gomito appoggiato alla ringhiera e il mento sostenuto con la mano, ammirando ancora il meraviglioso panorama che si stendeva ai suoi piedi, e che aveva fatto da sfondo alla realizzazione di tutti i suoi sogni.

Aveva il cuore gonfio di gioia, di una gioia esplosiva che non pensava più di poter provare, dopo tanti anni di un amore consolidato e felice. Non poteva negare, nella parte più intima di sé, di aver sempre sentito la mancanza di qualcosa che suggellasse la loro unione. Non che si sentisse meno amato, no. Ma il pensiero di unirsi, anche ufficialmente, a Akihiko, in un “per sempre” da gridare al mondo… ecco, quello sì, lo aveva desiderato. Per Akihiko era diverso. E dopo tanto tempo, ci aveva rinunciato.

Adesso, invece, il suo desiderio brillava, realizzato, al suo dito.

Haruki lasciò la terrazza per rientrare nella suite. Lo aspettava una notte di fuoco, e sentiva già l’eccitazione crescere.

Kaji, ancora vestito di tutto punto con l’abito da cerimonia, il paillon bianco ancora ben allacciato al collo, e il gilet completamente abbottonato, era crollato sul divanetto, la testa abbandonata all’indietro e la bocca semiaperta. Dormiva profondamente, senza emettere alcun suono se non quello del suo respiro caldo e regolare.

Haruki lo guardò con tenerezza e sentì di amarlo come non mai.

Improvvisamente, vedendo quel corpo vestito di tutto punto, abbandonato di peso sul divano, un pensiero si insinuò nella sua mente e gli tolse il sorriso.

“E come diavolo faccio, adesso, grande e grosso com’è, a trascinarlo fino al letto?”

 

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Capitolo 5
*** VECCHIAIA - REQUIEM ***


PROMPT CITAZIONI: 24 – Un amore è amore / anche se non ha un domani (Lucio Dalla)

 

Inbacuccato nella pesante vestaglia da camera, Akihiko ringraziò il fattorino e chiuse la porta, lasciando fuori un vento gelido e la neve che cadeva copiosa in vortici sempre più fitti.

Faceva particolarmente freddo, quell’inverno, a Tokyo e le ossa di Akihiko lo preannunciavano da parecchio tempo.

Imbracciando il grosso pacco che gli era stato appena consegnato, entrò nel salone e si accomodò sulla poltrona di fronte al caminetto. Il fuoco era acceso e scoppiettava in lucenti faville che sembravano danzare e rincorrersi tra loro prima di essere risucchiate verso l’alto e sparire nella canna fumaria.

Chopin, il gatto rosso che da quando lo avevano adottato, cinque anni prima, era l’incontrastato padrone di casa, si acciambellò ai suoi piedi.

Haruki non era ancora rientrato. Stava completando i preparativi per l’inaugurazione del nuovo ristorante (il quinto, solo in Gippone), e avrebbe fatto tardi.

Posò il pacco sul folto tappeto persiano, e con le mani nodose ma ancora agili aprì la busta che lo accompagnava. Conteneva una lettera. L’ennesimo ammiratore. Infilò gli occhiali e si apprestò a leggerla.

Carissimo Akihiko,”

Ugetsu! Questa è la calligrafia di Ugetsu Murata!

...questa lettera ti arriverà, su mia indicazione, quando io sarò, finalmente, davvero in pace.

Proprio quella che molti chiamano “pace eterna”.

Te lo dico subito, caro Aki, non essere triste per me, non dispiacerti.

Essere in quella condizione, per me significa non provare più questo dolore, non avere più addosso tutti i tubicini che adesso mi aiutano a rimanere aggrappato a quella che i medici si ostinano a chiamare “vita”.

Significa essermi finalmente ricongiunto alla mia amata musica.

Vengo subito al punto.

Non ho mai smesso di pensare a te, Aki.

Ma allo stesso tempo, capisco perché tu abbia voluto allontanarmi, definitivamente, dalla tua vita.

Lasciandomi, hai spezzato quella catena che ti teneva avvinghiato e che ti impediva di vivere appieno la tua vita, la tua musica, i tuoi amori.

Da lontano, ho seguito i tuoi successi. A proposito, hai ricevuto i miei fiori?

Sono sempre stato molto orgoglioso di te, Aki. Hai saputo riprendere in mano il tuo strumento e ricominciare da capo, hai avuto il coraggio di guardare in faccia il tuo talento, raccoglierlo e coltivarlo, hai scalato le vette più alte del successo e adesso tutti, nel mondo della musica classica, conoscono il tuo nome e la tua musica.

Sono molto fiero del tuo percorso.

Mi auguro con tutto il cuore che tu non l’abbia fatto per inseguire il mio successo, e che tu abbia accettato l’idea che quel “talento” che vedevi in me non dovesse essere un limite, per te, ma piuttosto uno stimolo.

Ti ho visto, a qualcuno dei miei concerti.

L’ultima volta è stato una decina di anni fa, a Mosca, al festival di Chopin. Ero quasi tentato di fermarti, ma ti ho visto talmente felice con il tuo compagno, che mi sono bloccato.

E non perché temessi di rovinare la vostra felicità, no. Piuttosto, perché io per primo sentivo di non potermi avvicinare a quell’armonia alla quale io avevo rinunciato, quando temevo che potesse essere un ostacolo alla mia musica.

Tu mi hai dimostrato che non era così.

Sono davvero felice per te, Akihiko, che tu abbia una persona al tuo fianco che ti ama e ti apprezza. Confesso che per molto tempo l’ho invidiato, il tuo Haruki.

La vita mi ha regalato tanto. La musica, prima di tutto. E la capacità di poterla capire, suonare, vivere. Il successo, i soldi, la fama non sono stati altro che una naturale conseguenza di questa immensa fortuna.

Quanto mi è costato, non serve che te lo dica.

Come sai (certamente apprendendolo dai giornali, ma anche perché tu mi conosci bene) non ho eredi. Non mi sono mai sposato, non ho figli, nessuna persona che mi stia, davvero vicina.

Di tutti i miei amori, di tutte le persone che hanno diviso con me una parte del percorso, o il letto o solo qualche ora, io ho nel cuore solo te.

Per questo ho deciso di lasciare a te tutto quello che ho. Tutto quello che sono (o, per meglio dire, che ero…).

Mi farai la cortesia di lasciare un terzo del patrimonio che stai ereditando alla mia fondazione per aspiranti musicisti indigenti, la Murata-Kaji Foundation. Sì, ho voluto che portasse anche il tuo nome.

Non ho dimenticato la fatica che hai fatto per poter suonare, e il rischio che tutti noi abbiamo corso: se tu non avessi incontrato le persone giuste, che hanno voluto e saputo sostenerti, forse il mondo non avrebbe conosciuto un musicista generoso e talentuoso come te.

Desidero che nessun giovane giapponese debba essere costretto a rinunciare alla musica per la mancanza di un sostegno morale o di mezzi economici.

Ho già dato disposizione ai miei avvocati in tal senso. In questo momento stanno già provvedendo a preparare tutta la documentazione, e ti contatteranno dopo la mia scomparsa, per tutte le formalità.

Ti lascio tutta la mia musica. I miei spartiti, le mie composizioni, i miei appunti.

Anche gli eserciziari che usavamo per i nostri duetti all’università, ricordi? Non li ho mai gettati. Ci sono ancora i tuoi appunti a matita. Ricordi quanto mi arrabbiavo perché imbrattavi le mie preziose partiture? Non li ho mai cancellati.

Il loro valore di mercato è praticamente nullo, ma li ho sempre conservati tra le cose più preziose. Confido che, anche tu, continuerai a custodirli con la cura che si riserva alle cose molto care.

Troverai tutto negli archivi del mio studio, a New York.

Riceverai a breve i biglietti aerei, per te e per Haruki-san. Saranno biglietti aperti. Potrete rimanere nel mio appartamento, che adesso è tuo, quanto vorrete. Ti prego, accetta questa piccola vacanza come mio dono per te e tuo marito.

Soprattutto, ti lascio la cosa che per me ha sempre avuto più valore. Il mio violino.”

Akihiko abbassò la lettera, si tolse gli occhiali, e fissò il pacco che aveva appoggiato ai piedi della poltrona.

Il suo violino….

Uno Stradivari unico al mondo, lo strumento appartenuto a uno dei musicisti più noti dell’intero pianeta, affidato a un banale spedizioniere!

Era proprio da Ugetsu. L’arroganza di sentirsi superiore a ogni imprevisto, e inattaccabile dalla preoccupazione, tipica delle le persone ordinarie, che possa capitare un qualche evento negativo o sfortunato.

Inutile che ti dica che il suo valore è inestimabile.

Sai bene quanto ci è voluto per avere tra le mani uno Stradivari autentico. E per renderlo veramente mio.

Ma, conoscendoti, so che non è il suo prezzo, a commuoverti.

Perchè ti stai commuovendo, vero? Anche se ormai sei un vecchietto come me, che di emozioni ne ha vissute tante nella sua vita.

Solo tu puoi capire quanto sudore, quanta dedizione, quanta fatica, quanti sacrifici, quanto amore, quanta gioia sono racchiusi in questo strumento.

Solo tu, con il tocco che finalmente hai riscoperto dentro di te, sei in grado di far emergere tutto questo. Con la naturalezza con cui escono le lacrime che adesso stanno solcando il mio viso. E credo anche il tuo.

Ti chiederai perché ho scelto te.

Perchè non ho mai smesso di pensarti, non ho mai smesso di amarti, non ho mai smesso di chiedermi se esistesse un universo dove il grande violinista Ugetsu Murata potesse amare contemporaneamente te e la musica.

Perchè, nonostante tutto, tu ce l’hai fatta, a emergere, ad amare, ad amarti.

Perchè eravamo solo dei ragazzi, ma tu sei e resterai sempre il mio più grande amore. E un amore è amore anche se non ha un domani.

Perchè tu sei come il mio violino. Inestimabile.

Questo non è un addio, Aki.

Mi ritroverai sempre nella tua musica.

Per sempre.

Ugetsu Murata”

 

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