Yu Gi Oh Zexal - I Cinque Prescelti [Stagione 1]

di Katty Fantasy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** S1E1 | Ricongiungimento familiare (1/3) ***
Capitolo 2: *** S1E1 | Ricongiungimento familiare (2/3) ***
Capitolo 3: *** S1E1 | Ricongiungimento familiare (3/3) ***
Capitolo 4: *** S1E2 | Nuova vita (parte 1) ***



Capitolo 1
*** S1E1 | Ricongiungimento familiare (1/3) ***


Stagione Uno







Episodio 1

Ricongiungimento familiare



 

Era una giornata di sole su Heartland City, la città super tecnologica del mondo. Senza nuvole in giro e un lieve soffio di vento si alzava dal calore primaverile, il quale il letto del fiume rifletteva come uno specchio sotto i ponti. Gli abitanti della grande metropoli si muovevano su e giù nei grandi grattaceli in vetrate nei lavori d'ufficio, servire ai tavoli nei bar o ristoranti di lusso, negozi aperti, le macchine sfrecciavano sulle strade. Tra le stradine della città, come ogni giornata, Yuma Tsukumo correva come un matto per non arrivare in ritardo a scuola, trascinato in mala modo dal suo nuovo amico Ray Shadow. Ogni giorno, si inventava delle scorciatoie più pericolose e assurde per arrivare in orario, sempre con un immenso entusiasmo e il sorriso stampato sulle labbra.

«Ray! Dove diavolo mi stai portando!?» gridò Yuma. 

«Tranquillo, ho un'altra scorciatoia e arriveremo in un lampo!» disse il ragazzo dai pelli arancioni. 

«Oh, no, no, no! Ti prego, Ray! Non dove c'è il canile!» piagnucolò l'altro in modo esasperato.

Yuma dovette subire tutte le mattine, ogni volta che si svegliava in ritardo, fin da quando lo aveva conosciuto. Ray era un fan numero uno di Yuma, poiché aveva vinto il Carnevale Mondiale di Duelli, il torneo organizzato dal signor Heartland col consenso del dottor Faker con l'apparente scopo di eleggere il miglior duellante del pianeta, ma la verità era ben altro: ottenere tutte le carte Numero. Tutto il mondo non lo sapeva, nemmeno Ray. Ora, con l'arrivo dei bariani, era ritornato alla caccia dei Numeri.

La Chiave dell'Imperatore al collo di Yuma brillò leggermente, ed al fianco del ragazzo si materializzò un essere dalle sembianze umanoidi e dal corpo trasparente, che fluttuava al fianco del ragazzo. 

«Sai una cosa, Yuma? Credo che la prossima volta faresti meglio a non migliorare il tuo deck fino alle due di notte...» disse lo spirito con aria calma, ma allo stesso tempo schernendo il suo amico umano. 

«Beh, scusa tanto, Astral, se cerco di diventare più forte per evitare di farmi sconfiggere dal primo duellante che mi capita, poi con i bariani in circolazione!» 

Yuma si era visibilmente infastidito, sentendo il consiglio di Astral, che però lui colse più come un rimprovero. Ancora una volta, il ragazzo dovette correre con la velocità della luce, assieme al ragazzo a pel di carota, con un branco di cani dietro di loro. 
 

***


Kite Tenjo rientrò nella grande residenza di Heartland City assieme a Orbital 7, il suo inseparabile robot informatore, percorrendo il lungo corridoio della torre, un tempo residenza del sindaco che diede il suo stesso alla città. Dopo il Carnevale Mondale di Duelli, il ragazzo decise di aiutare Yuma a recuperare i frammenti della memoria dello spirito astrale e fermare l'avanzata dei bariani, poiché aveva un debito con lui: aveva salvato suo fratello minore Hart. Erano rientrati immediatamente, voleva sapere di cosa volle parlare. 

«Capo, secondo lei, perché il Dottor Faker ci vuole immediatamente?» chiese con una vocetta metallica.

Avevano ricevuto una segnalazione di emergenza, mentre sorvolavano tra i grattacieli della città, sorprendentemente, da parte di suo padre. Non era mai successo, almeno quando era stato controllato e suo fratello era in pericolo di vita, aveva dovuto subire tutti i ricatti del sindaco. Aveva stretto i denti durante la caccia, ora doveva andare contro a esseri di un'altra dimensione. 

«Questo non lo so, Orbital. Ce lo dirà lui.» disse semplicemente il ragazzo.

L'ex-cacciatore di numeri e il robot si fermarono davanti a un enorme porta scorrevole, entrarono una volta spalancate: il laboratorio in cui ci lavora il Dottor Faker per ricerche sull'esistenza delle dimensioni. Una ricerca durata una vita. Grazie alla collaborazione con con la famiglia Arclight, senza volerlo aveva coinvolto anche Kazuma Tsukumo, il padre di Yuma. Ancora adesso, il povero uomo si pentiva di aver tradito i suoi amici, di essere stato ingannato, di aver ferito entrambi i suoi figli e di aver coinvolto persone che non c'entravano nulla. Stavolta voleva rimediare dai suoi errori, recuperare il loro rapporto perduto, quindi dare una mano a quei ragazzi era il minimo che potesse fare. 

«Kite, sei arrivato.» si volta l'uomo con un leggero sorriso. 

«Ciao, papà... È successo qualcosa?» 

Il Dottor Faker posò il tablet sulla scrivania. «Ti devo parlare di una cosa importante, con te. È una questione che è rimasta in sospeso, vorrei riprenderla dopo un lungo tempo...»

«Che tipo di questione?» chiese, alzando un sopracciglio «E dov'è Hart?» chiese poi, notando l'assenza del fratellino.

«Nella sua cameretta, probabilmente. Non è uscito da lì tutto il giorno...» rispose suo padre, con un tono preoccupato. «Potresti farlo venire qui? È una questione per entrambi.»  

Kite lo guardò, non lo vedeva così serio prima d'ora, neanche di avere molte confidenze con lui. Però, capì che cercava di ricostruire il rapporto tra padre e figlio, dall'altro canto capiva per le continue preoccupazioni e timori che gli tormentavano in testa: che cosa sarebbe accaduto se il ragazzo sarebbe andato contro uno di loro? Morirebbe a seduta stante o sarebbe successo altro? Non ci voleva pensare.

«Va bene... ma è una questione cattiva o...?» chiese, volendo capire la situazione. 

«Non è cattiva, non ti preoccupare. Orbital 7 sta facendo un ottimo lavoro.» rispose l'uomo, mentre il robot fece una posizione fiera con le braccia incrociate. «Potresti andare a chiamarlo?» 

Il ragazzo non capì, anzi non ricordava affatto di cosa stesse riferendo, più continuava a sforzare, più gli veniva l'emicrania. In tutti quei anni, si era concentrato solo due cose: la caccia ai numeri e cercare una guarigione del fratellino. Mentre si incamminava per i lunghi corridoi della torre, non riuscì ad arrivarne a capo, almeno.

Entrò nella cameretta situato in cima alla torre a forma di cuore, dove si poteva ammirare un bel panorama dalla grande città. Il bambino piaceva ammirare la città, la sera tutta illuminata. Da quando si ammalò, non c'era stato molta possibilità di uscire dalla sua stanza, anche dall'esterno, se stava semplicemente tutto il tempo lì dentro, finché non veniva chiamato dal padre nei suoi piani di distruzione del Mondo Astrale. Hart, a quell'epoca, aveva la capacità di creare sentieri verso altre realtà, una distorsione per di più, e se non fosse stato per l'aiuto di suo fratello e Yuma, sarebbe stato ancora sottomano di Heartland. La cameretta era piena di giocattoli, pupazzi accumulati sul letto con le lenzuola azzurre stellato, le pareti tappezzati di disegni, sotto la scrivania strapieni di fogli e colori ancora in disordine. Aveva scoperto un altro hobby dopo la sua guarigione, regalati dai amici di Yuma e da Chris. Kite, dal canto suo, era contento che suo fratello lo vedeva sorridere, dopo tanto tempo. In un angolo, Hart era vicino un piccolo comò il quale erano raggruppate diverse fotografie; ricordi belli che suo padre le aveva date: dalla sua nascita fino ad oggi.

Il ragazzo avvicinò a lui, per poi accarezzarli la testa. «Ehi, fratellino.» lo salutò con affetto. 

Hart alzò gli occhi verso il fratello maggiore. «Oh, ciao Kite. Non ti avevo sentito.» 

Kite l'osservò attentamente, nulla di strano se non per un velo di tristezza nei suoi occhi. «Papà mi ha detto che non sei uscito dalla camera per tutto il giorno... è successo qualcosa?» 

Hart scosse la testa. «Non è successo nulla...» disse, con un filo di voce. 

Il ragazzo non era convinto della risposta, s'inginocchiò accanto a lui e mise la mano sulla minuscola spalla. Tra le mani del bambino, teneva una foto incorniciata, molto vecchia, ma la conosceva molto bene. Non era solo quella a renderla così speciale: quello scatto proveniva nella vecchia casa delle vacanze, in montagna, Hart aveva solo tre anni, tenuto in braccio da una bambina di circa nove anni. I suoi capelli scuri erano mossi, il viso tondo e infantile, gli occhi grandi e di un blu pieno di misticità. Lei era stata la più allegra della famiglia, la persona che contagiava la gente con la sua allegria. Lui e il suo fratellino erano molto legati a quella bambina, la loro unica cuginetta in famiglia.

«Ti manca molto, vero?» chiese il fratello maggiore, vedendolo annuire in modo malinconico. «Vedrai, quando tutto sarà tutto finito, la rivedremo.» promise, sorridendogli. 

«E quando, fratellone?» 

«Presto, molto presto.» disse in modo affettuoso. Forse...ritorneremo insieme come una famiglia, si disse tra sé e sé. 
 

***


La ragazza rimase sorpresa nel vedere tanta gente, soprattutto in quella enorme metropoli, osservando fuori dal finestrino. A dire la verità, non ci credeva affatto di essere lì di persona. Una volta aveva assistito quel poco in televisione le semifinali del torneo, ma non seppe chi arrivò alla vittoria; ammise tra sé di aver tifato un ragazzino buffo della sua stessa età, molto simpatico. La curiosità di esplorare quel posto aumentava, tenendo il viso quasi attaccato al finestrino, emanando delle piccole nuvolette d'alito.

«Allora questa...» disse con un filo di voce. «...è davvero Heartland City. Sono davvero nel luogo in cui si è svolto il Carnevale Mondiale di Duelli!» 

«Certamente, signorina.» confermò il suo accompagnatore, chinato davanti sul suo pc portatile. «Da oggi in poi, è ufficialmente cittadina a tutti gli effetti, come viene stabilito dal giudice. Tutti i documenti in mio possesso sono in piena regola, è libera di poter andare dove vuole, a patto che deve pur avvisare un eventuale viaggio per l'Estero.» 

La ragazza si voltò, guardo l'uomo seduto al sedile di fianco.

Aveva sulla trentina d'anni, con un completo formale di color lilla - la giacca era piagata con cura e posata sul sedile di fronte -, la camicia di lino molto leggera con le maniche arrotolate fino ai gomiti. La pelle olivastra sembrava scintillare sotto i raggi del sole, in perfetta sintonia con l'orologio in oro legato al polso. Il volto spigoloso e allungato, i capelli erano lunghi e legati da una alta coda di cavallo, lasciando liberi solo due ciocche cadere sulle spalle, di un biondo sbiadito da far sembrare bianchi, in contrasto con la sua pelle scura. I movimenti delle dita erano fluidi e veloci sulla tastiera, sembrava molto a uno scritto intento ascrivere il suo prossimo romanzo. L'uomo si tolse gli occhiali dalla montatura rettangolare, i suoi occhi erano a mandorla e scuri, come due pozzi neri senza fondo. 

«Non si deve preoccupare, signorina Nishikawa.» disse, sorridendo l'uomo. «Le cose cambieranno totalmente. Non dovrà più ripensare a quel posto, considera come una nuova vita.» 

Il signor Misaki Yoshida era di origine egiziane, ma cresciuto nelle Americhe, aveva cominciato il mestiere d'avvocato molto giovane, subito dopo il diploma; non sapeva come quell'uomo sia riuscito a rintracciarla subito, sapeva che le questioni burocratiche era il suo punto forte, come aveva testimoniato con la direttrice dell'istituto femminile in Inghilterra, si era dimostrato di essere freddo e autoritario contro una vecchietta ancora in carriera.

«Come ha fatto a rintracciarmi, signor Yoshida?» chiese la ragazzina, sedendosi sul comodo sedile. 

L'uomo le sorrise. «Trucchetti del mestiere, ma vedrà, tutta la famiglia sarà felicissima di riceverla a braccia aperte. So che è da molto tempo non la vede, dopo la morte dei suoi nonni, con tutte la mia sincere condoglianze, anche per la scomparsa dei suoi genitori...» aggiunse quel piccolo particolare, notando una nota di tristezza negli occhi della signorina, rimediò afferrando una tavoletta di cioccolato ancora conservato nella carta stagnola, e allungando verso di lei. «Tenga, si sentirà meglio. Quello che posso dirle: sorrida, che tutto si risolverà per il meglio.» 

Lei rimase sorpresa, sapendo che era la terza volta riceveva un pezzetto durante il viaggio, le ricordava un po' il suo personaggio della sua saga preferita. Accettò, prendendo il pezzo e diede un piccolo morso.

Quando l'aereo privato atterrò, l'avvocato egiziano spense il portatile, recuperando i suoi effetti personali e portò la giaccia sulla spalla. Natsumi era elettrizzata come non mai, aveva il cuore che le martellava all'impazzata, con l'adrenalina che le circolava nelle vene. Stava davvero mettere piede in quella metropoli a rivedere la sua famiglia. L'aeroporto di Heartland City era nel pieno della sua attività, con aerei che arrivavano e altri che partivano; c'era molta gente, forse anche duellanti provenienti da tutto il mondo per sfidare il campione Yuma Tsukumo. La ragazza aveva gli occhi che le brillavano come non mai, ammirando la grande città, con la brezza leggera le accarezzava i capelli neri come la pece. Non appena scesero dall'aereo, a pochi metri da loro, era parcheggiata una Suv nera con i vetri oscurati.

Ci mancherebbe solo una limousine con un vip ad accogliermi, magari sarebbe morta d'invidia a quella oca di Isabel, pensò lei, immaginando la scena per davvero.

Davanti all'auto, un autista li accolse con un inchino, in veste formale e ordinario, con un cappello posizionato sul capo. Il volto duro e marcato, gli occhi erano coperti da spessi occhiali molto scuri, il colletto abbottonato fino al collo e la gravata le diede impressione di soffocamento. La sua postura era massiccia da ricordare un buttafuori americano.

«È un piacere rivederla, signor Yoshida. Spero che abbia fatto un buon viaggio di ritorno.» disse, educatamente. 

«Molto lungo, Abel.» rispose l'avvocato. «Almeno non vedo l'ora di prendermi dei giorni di ferie, mi devo concedermi una vacanza. Comunque, ecco la persona di cui ti ho parlato prima di partire.» 

Natsumi si fece piccola piccola davanti a un colosso come lui, fece un passo in avanti e mormorando un timido salve, porgendogli la mano. L'autista si chinò leggermente su di lei, mettendola ancora di più in suggestione, togliendosi gli occhiali rivelando due occhi color nocciola tendenti sull'oro puro. Le strinse la mano, era grande e massiccia, a differenza a quella piccola e delicata della ragazza, eppure la sua stretta ferrea la rassicurava.

«Sono molto lieto di conoscerla, signorina Nishikawa Tenjo.» disse l'uomo con educazione. «E benvenuta a Heartland City!» 

La ragazzina ricambiò, abbozzando un sorrido, sentendosi rassicurata, era un gigante gentile. Abel fece accomodare la nuova arrivata sui sedili posteriori dell'auto, si sedette comodamente notando la spaziosità del veicolo e l'odore di citronella appesa sullo specchietto del retrovisore. Al suo fianco, l'avvocato Misaki Yoshidasi prese anche lui un pezzettino di cioccolato e gustarselo, non avendo toccato nulla per quelle ore di viaggio.

Dopo aver sistemato tutte le valigie nel portabagagli, si sedette al posto del guidatore e mettere in moto, pronto a portarla alla destinazione finale. 





 

Angolo Autrice 


Ma salve a tutti!!! 

Sì, sono ritornata, anzi resuscitata come fanno i non-morti. Ho avuto tanto lavora da fare con gli studi universitari e con il progetto in corso che sto scrivendo assieme al mio compagno di vita, ma sono talemente affezionata a questa fanfiction che sto scrivendo un reboot completo della storia. Ho deciso che la storia seguirà l'anime, ma con diverse modifiche con l'inserimento dei miei OC che sono molto più caratterizzati e scritti meglio; ci saranno più ship (un tiangolo amoroso, caso mai) e come ultima cosa... LA SHIP TRA VERCTOR X NATSUMI E' SEMPRE E RIMARRA' UFFICIALE IN QUESTA FANFICTION!

ATTENZIONE: qui ci sarà tutta la prima stagione, con tutti gli episodi dopo il Carnevale Mondiale dei Duelli fino al tradimento di Vector; nella prossima stagione sarà tutta dedicata quasi alla pari della serie, e forse una "probabile" terza stagione, chi lo sa. 

Per la prossima settimana, uscirà la seconda parte dell'episodio uno! Alla prossima!!!

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Capitolo 2
*** S1E1 | Ricongiungimento familiare (2/3) ***


I fratelli Tenjo entrarono nel salotto dalla pianta circolare, con le vetrate su cui spiccava il panorama della grande città, alla torre. Stesso pessimo gusto di arredamento e decoro dall'ex-sindaco, dovettero tenersi quei mobili finché le cose non si sarebbero sistemate. I divani erano semicircolari, il quale era seduto loro padre mentre prendeva una tazza di caffè offerto da Orbital. Si era concesso una pausa per parlare con i ragazzi, aveva sempre rimandato, ora non poteva continuare anche se in un momento critico con i bariani. A Kite sembrò quasi un secolo che non facevano una riunione familiare, ancora doveva metabolizzare a quella parola famiglia, lo aveva rimosso quasi del tutto dalla mente per tutto il periodo della malattia di Hart, adesso sembrava spaesato per quel nuovo inizio. Il bambino si stava avvicinando pian piano al padre, era un lato positivo. 

«Ciao, papà.» lo salutò, sorridendo, correndo dal padre come una molla e sedersi accanto a lui. 

«Hart, non ti ho visto per tutta la giornata. Ti è successo qualcosa?» chiese, con un tono preoccupato. 

Il bambino non era mai stato capace di mentire, semplicemente gli diede la foto incorniciata il quale lo aveva tenuto con sé per tutto il tragitto. Il dottor Faker lo afferrò, osservando meglio, un velo di nostalgia lo intravide nei suoi occhi scuri. Poche volte vedeva quelle foto, poche volte pensava alla scomparsa di suo fratello e della cognata, poche volte pensava di rivedere l'unica nipote di famiglia. 

«Oh, ricordo questa foto. Avevi solo un due o tre anni, non stavi per un attimo fermo.» disse Faker, ridacchiando. «Ti ci è voluto tua cugina a tenerti fermo per un po', per poco Orbital non perdeva la pazienza per scattarla. Eri un tipetto iperattivo a quei tempi.» 

Il robot avrebbe voluto replicare, era vero che aveva servito per anni alla famiglia Tenjo ma la pazienza non l'aveva così infinita. Richiuse la bocca metallica, incrociando lo sguardo freddo di Kite, rimasto in piedi con le braccia incrociate; sapeva che il ragazzo non amava tanto allungare il brodo in questioni davvero urgenti, decise stavolta di stare in disparte. 

«Che cosa volevi riferirci, papà?» sottolineò impaziente il biondo. 

Faker guardò il ragazzo con una strana serietà sul volto che lo mostrava di raro, posò la foto accanto alla tazza fumante. 

«Ragazzi, volevo parlarvi di una cosa molto seria. Volevo tantissimo parlarne con voi, un giorno all'altro, ma l'ho sempre rimandato. Quello che è successo nel Carnevale Mondiale di Duelli è stato un gesto davvero imperdonabile, ho fatto del male a tanta gente solo perché aveva questo essere dentro di me e ho fatto un patto... vi sto dando una grande mano contro i bariani, quindi è pur sempre il minimo che possa fare. Ma ciò nonostante tutto, sono sopraggiunti altri problemi che non avrei immaginato per quanto possano essere così gravi, ma come prima cosa andiamo per gradi per spiegarlo meglio. Alcuni giorni fa, ho ricevuto un messaggio molto urgente a nome mio, Orbital 7 me lo recepì immediatamente, pensavo che sia Byron, magari di aver trovato qualcosa in più sui bariani... invece non è stato così. Proveniva dallo stesso stato, sì, ma da un'altra parte. Da ciò che ho recepito diceva che lì c'è una persona che cerco in tutti i modi di contattare, anche quando avvenne la malattia di tuo fratello. Scoprì il perché non sono riuscito a trovarla, i vostri nonni materni sono morti senza che seppi nulla, neanche un telegramma o qualcosa.» spiegò l'uomo con una smorfia di dispiacere. 

I due fratelli rimasero sconcertati, non li conoscevano appieno, però li avevano visti in un album di fotografie del matrimonio dei loro zii. 

«Ora, con questo, ho la certezza assoluta che si trova ancora lì, in Inghilterra. So che si trova in questo istituto femminile, la più prestigiosa, la Royal Academy, gestita dalla direttrice Adelaide Edwards. Quello che ho saputo da questa persona, beh... sembra che abbia descritto alla perfezione molte cose che non puoi immaginare.» aggiunse Faker, prendendo il tablet per consegnarlo al figlio maggiore. «Leggi con i tuoi stessi occhi e capirai.»

Lui lo afferrò e cominciò a leggere il documento. In quel momento, sbarrò gli occhi dallo stupore, non poteva credere ai suoi occhi di trovare quel nome...

 

«Finirai per farti male, Umi!»

«Può darsi, ma per farmi male dovrei cadere... ma io sono la più grande acrobata del mondo!» 

La bambina scoppiò in una fragorosa risata, mentre continuava a imperterrita a saltare da un sasso all'altro, sul letto del fiume. 

«Sì, certo.» farfugliò il bambino di tredici anni, intrecciando le braccia sul petto e roteando gli occhi di un azzurro metallico. «Sono già sicuro che cadrai come una pera cotta.» 

Kite era quasi all'esasperazione di convincerla, si era inventato di tutto e di più per farla ritornare indietro invece di inoltrarsi di più nel boschetto di fronte alla piccola casetta per le vacanze, in montagna. Ma la cuginetta era testarda come non mai, era una bambina vivace e iperattiva, questo perché aveva preso troppo lo spirito avventuroso della madre. Natsumi era uguale alla madre, due gocce d'acqua. Al contrario di lui, era quello abbastanza riflessivo, fin troppo preoccupato per le conseguenze che potrebbe generare qualunque azione, era il più grande nella famiglia oltretutto. Eppure, nonostante il diverso grado di parentela si consideravano come fratello e sorella. Il Dottor Faker l'accoglieva di buon grado la bambina quando suo fratello e sua mogie erano in viaggio per luoghi troppo pericolosi per una bambina di sette anni; Kite ne era contento di poter avere compagnia e di giocare con lei. 

«Papà ci starà aspettando!» 

«Sono un altro poco, dai!» pregò Natsumi, afferrando un sasso rotondo e gettarlo nell'acqua. «Voglio provare a farle rimbalzarle come fai tu. Come si fa?» 

Immerse la mano nell'acqua fresca, facendole pizzicare la pelle accaldata, afferrando un altro sasso rotondo. Il sole splendeva alto nel cielo, e l'aria calda e ferma. Era un'altra estate uguale alle altre. La bambina fecce un ultimo salto, voleva trovare una posizione adatta per lanciare, e quasi finì per cadere nell'acqua quando la suola delle scarpe scivolò su una macchia di muschio. 

Il ragazzino corse verso la bambina dalla chioma corvina, dapprima spalancò gli occhi con preoccupazione. Ogni tipo di pensiero che le sia successo qualcosa gli fece spazio nella mente: sarà fatta male alla testa? Si sarà rotta una gamba o un braccio? Se davvero fosse stato così su entrambe le situazioni sarebbe stato nei guai seri. Poi si fece spazio una risata che poco riusciva a celare il suo nervosismo. Natsumi non si era fatta praticamente nulla, si trovava solo inzuppata e con un leggero dolore al fondoschiena. 

«Visto, sciocchina? Sei caduta come una pera cotta.» 

«Ma non sono caduta!» rise la bambina, rialzandosi e non scivolando nuovamente. «Facciamo la gara a chi arriva?» e corse come un razzo fuori dal fiume e correre come lepre tra la vegetazione, seguita a ruota da Kite.

 

 

Quello era uno dei ricordi più belli che gli stava a cuore, Kite li conservava in quel piccolo angolo della sua mente, in realtà non lo aveva dimenticato. Natsumi era il nome di sua cugina. Gli venne in mente suo zio, Hiroshi Tenjo, una volta il famoso e leggendario campione internazionale di duelli ed era stato lui a insegnargli le basi principali dei duelli – prima di conoscere Chris – e di sua zia, Emiko Nishikawa, la più giovane archeologa proveniente dalla vecchia Neo Domino. Solo allora capì del perché lo aveva chiamato così urgentemente. Mal mano chele parole le scorrevano sotto i suoi occhi la sua espressione diventava più sconvolta, più continuava a leggere, più il battito cardiaco aumentava sempre di più. Era successo davvero? Sua cugina aveva dovuto subire quelle cose? 

«Ma chi lo ha...?» domandò, ritornando a guardare suo padre. 

Suo padre scosse la testa. «Non lo so, sinceramente. Ho chiesto a Orbital7 di rintracciare il mittente che lo ha spedito, sfortunatamente non ci è riuscito. Chiunque sia, deve aver avuto la comprensione di rintracciarmi e di spiegarmi tutto quello che sta succedendo in Inghilterra. Il lato positivo è che ho inviato un mio vecchio amico, conosce bene la situazione, adesso è in viaggio per riportarla qui ed è un ottimo avvocato. Kite, tu conosci Misaki Yoshida?» 

Il ragazzo lo aveva sentito quel nome, anzi ricordava la sua piccola bizzaria: ogni volta che stava giù di morale o stava male, gli dava un pezzetto di cioccolato. Un gesto infantile, ma pur un modo per rallegrare un bambino. «Sì... aspetta, mi stai dicendo che...» 

Faker fece una lunga pausa, dopo aver bevuto un sorso ormai tiepido di caffè. «Sto portando qui Natsumi.»

Il ragazzo sembrò di esser diventato all'improvviso sordo o aveva capito male. La stava portando a Heartland City? In mezzo ai pericoli? Il timore che venisse posseduta da una carta bariana, o rapita da uno di loro o addirittura ferita non lo tranquillizzava affatto. 

«Aspetta un momento!» disse bruscamente. «Ma sei impazzito o cosa!? Vuoi portarla nonostante le apparizioni dei bariani? Hai mai pensato alle conseguenze che cadrebbero se le succedesse qualcosa? Mandarla qui la metteresti ancora in pericolo!» 

Faker sospirò, aspettandosi della sua reazione. «Lo so che questa idea non ti piace, Kite, ma pensaci bene. Noi siamo gli unici pareti più stretti, mandarla ancora più lontano non sarebbe una buona idea, anzi potrebbe peggiorare. Ci sono altri parenti in America o in Italia, il vero problema è che non li conosce appieno; sono tutti cugini di terzo o quarto grado, tutti impegnati con i propri lavori, questo significherebbe che sarebbe più abbandonata a sé stessa. L'unica opzione è di portarla qui, con noi, soprattutto ho una promessa da mantenere a mio fratello... voglio solo avere un vostro appoggio e fiducia in me, nulla di più.» poi mise una mano sulla spalla minuta del bambino. «Voglio mette al primo posto la famiglia, farla rimanere unita. Spiegherò io stesso tutta la situazione successa in questi anni con calma. Ti chiedo solo di tentare, Kite.» 

Il ragazzo lo squadrò attentamente, comprese che suo padre stava facendo sul serio. Guardò suo fratello, molto probabilmente stava pensando la stessa cosa. Gli volevano dare una possibilità? Loro volevano bene la loro cugina, dopotutto i loro zii erano scomparsi nel nulla e non potevano perdere un altro famigliare. Il bambino era desideroso di rivederla, e Kite aveva desiderato di riabbracciarla. 

«Quindi, mi stai dicendo che sta arrivando oggi?» domandò lui. 

L'uomo annuì. 

Kite lanciò un sopirò profondo. «Va bene, hai vinto tu. Farò in modo che Natsumi non sia in pericolo.» concluse infine. 

Il viso di Faker si rilassò, rimasto teso come una corda di violino, per paura che suo figlio avrebbe cambiato rifiutato di malo modo, però non era successo. Per la prima volta, Kite ricevette un grazie da parte di suo padre, rimanendo stupito. Gli occhi di Hart brillarono dall'emozione, da poco a lì avrebbe rivisto sua cugina. 






 

Angolo Autrice


Ed eccoci qui con la seconda parte dell'episodio uno. Sì, anche qui è come nella vecchia fanfiction con una leggera modifica. Spero che la terza e ultima parte sia di vostro gradimento. Ho dovuto modificare molto nella parte precedente, ma stavolta sto riaggiustando le parte grazie ai consigli di qualcuno che ci tiene tanto la storia. Fra poco uscirà l'ultima parte che ho riaggiustato, manca poco persino di finire il secondo episodio. 
A fra poco!!!!

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Capitolo 3
*** S1E1 | Ricongiungimento familiare (3/3) ***


La porta del salotto si aprì. 

Sulla soglia si presentò un uomo alto e slanciato, molto giovane, dalla pelle scura e lunghi capelli pallidi. Gli indumenti formali di color lilla e la camicia di lino bianco. La giaccia era piegata sull'avambraccio e al suo la valigetta del portatile a tracolla. Kite lo riconobbe immediatamente, non era cambiato di una virgola, sembrava che avesse l'eterna giovinezza, sempre con quel sorriso dipinto su volto senza alcuna ruga, gli occhiali rettangolari posti sulla testa. 

Il signor Misaki Yoshida, l'avvocato di famiglia, era ritornato dopo un lungo viaggio di ritorno. «Dio, si sta molto meglio qui invece in auto, sto letteralmente sciogliendo come un cono gelato!» annunciò lui, con una nota di scherno. 

Il dottor Faker rise da quella battuta, lo utilizzava spesso quando faceva caldo. «Misaki, bentornato a casa. Com'è andato il viaggio, amico mio?» lo accolse a braccia aperte, alzandosi dal divano. 

L'avvocato si avvicinò a lui e stringendogli la mano, ma preferì dargli un caloroso abbraccio e una pacca alla schiena, contento di rivederlo. «Molto lungo e stancante, ma ne è valsa la pena. Ti trovo in forma, al contrario di me. Te ne stai rinchiuso qui dentro come uno scienziato da poter resuscitare un non-morto.» scherzò. 

«Beh, sono uno scienziato. Ma non creo dei non-morti.» precisò l'altro. 

I due fratelli osservarono la scena incuriositi, sembrava surreale nel vedere il loro papà chiacchierare con qualcuno invece di liquidare qualcuno alla svelta, anche di malo modo. Nel frattempo, l'autista Abel portava le valigie per poi salutare i padroni di casa, togliendosi il cappello; Hart ricambiò il saluto sorridendogli, era un omone molto gentile con il bambino. Il dottor Faker presentò il suo migliore amico ai suoi figli, dopotutto ci teneva tanto farli conoscere. Misaki si inginocchiò alla stessa altezza del bambino e stringergli la mano, molto lieto di poterlo conoscere, e rivolgendosi al ragazzo di quanto sia cresciuto dall'ultima volta che lo vide. 

«Mi dispiace per il ritardo,» cominciò il signor Yoshida, togliendosi la tracolla e appoggiarlo sul divano. «Le ore di viaggio sono stati molto stressanti e ho voluto che la signorina Nishikawa si rilassasse un po' e mangiare qualcosa sotto i denti.» aggiungesse, indicando la porta. 

La ragazza si sporse leggermente dalla porta, un po' timida come lo faceva da bambina, finché non uscì del tutto. Era come la ricordavano, non era cambiata per nulla al mondo. I capelli neri come la pece erano ribelli che le incorniciano il viso, la sua carnagione non era ne scura e ne chiara, solo leggermente pallida per la stanchezza, indossava dei semplici indumenti sulle tonalità di un azzurro chiaro e un blu scuro, la felpa leggera legata alla vita e i pantaloni a metà ginocchio, le scarpe da ginnastica bianche a strisce nere. Sulle palle aveva un zainetto nero di vecchio stile. Mai suoi occhi di un blu misto di sfumature mistiche non erano per nulla cambiati nel corso degli anni. 

«Nee-chan!» Hart si fiondò, abbracciandola forte, con gli occhi ambrati diventare ancora più brillanti. 

La ragazza si irrigidì per un momento, con gli occhi sgranati dallo stupore e dallo stordimento del viaggio, guardò il bambino. Cavoli, è così cresciuto tanto!, esclamò tra sé e sé. Sorrise e lo strinse a sé, anche lei felice di rivederlo. «Oh, Harty! Come sei cresciuto e sei guarito! Mi sei mancato così tanto, lo sai?» disse, utilizzando il suo vecchio nomignolo e scompigliando i capelli color ciano. 

«Anche tu mi sei mancata!» disse Hart, con la gioia che sprizzava da tutti i pori. «Non te ne andare mai più, promesso?» 

Natsumi ridacchiò «Mai più, promesso...» poi, come lo faceva da piccolo, lo sollevò in alto e girare su sé stessa. «Ma questa la devo fare!» aggiunse facendo ridere a crepapelle a entrambi. 

Il dottor Faker rimase meravigliato nel vedere la ragazza così cresciuta, si rese conto che era una fotocopia della madre. La ragazzina posò il cuginetto a terra, ancora ridendo, per poi guardare lo zio, corse ad abbracciarlo. L'uomo la strinse a sé, l'era davvero mancata; l'aveva adottata mentre suo fratello e sua moglie erano fuori per il lavoro la lasciavano da loro, Hart era felicissimo di giocare con lei che non si stancava mai. 

«Natsumi, come mi sei mancata...» mormorò lui. «Avrei voluto trovati molto tempo fa, ma...» 

Lei scosse la testa, non voleva che aggiungesse altro ne a rovinare il momento, solo di sentire quel calore familiare che non sentiva da molto tempo. L'uomo lo esaudì, ci avrebbe pensato più in là a dare delle spiegazioni plausibili. Poco dopo si sciolsero dall'abbraccio, notando il robottino informatore. «Oh cavoli, Orbital! Ti ricordidi me? Ti venivo sempre a scarabocchiarti perché tenevi la stessa faccia monotona di sempre.» 

Il robot sembrò sbuffare e incrociare le braccia meccaniche nel fare l'offeso, non si era mai scordato di tutte le malefatte della bambina per renderlo un po' allegro, come diceva lei. «Senti chi parla, non mi è mancata neanche di una virgola! Neanche un po'.» continuò, girando la testa meccanica dall'altra parte come un bambino capriccioso, ma Natsumi insistette come faceva una volta per attirare l'attenzione. «Va bene, va bene! Mi arrendo, lo posso dire! Mi siete mancata, signorina Tenjo!» piagnucolò infine il robot mentre lei gli diede delle pacche sulla testolina metallica. 

Kite la guardava in disparte, dalla testa ai piedi. Aveva di fronte una ragazza più alta di qualche centimetro, ma il suo carattere infantile, i suoi occhi sempre dolci e luminosi, il suo sorriso stampato sul volto. Lei si alzò e si avvicinò a lui, portando le braccia attorno al busto del ragazzo e abbracciandolo teneramente; poggiò la testa sul petto del moro e chiuse gli occhi. Un abbraccio...era una sensazione che Kite aveva dimenticato, aveva scordato com'era essere abbracciati da lei, aveva completamente dimenticato cosa si provava ad averla tanto vicina a sé, una sensazione che gli piaceva, avvertì il calore e l'emozione di Natsumi sulla propria pelle e non poté fare a meno che ricambiare quel gesto così semplice ma anche così meraviglioso e la circondò con le sue braccia forte stringendola a sé. 

«Mi sei mancato tanto, Kite...» mormorò lei. 

«Anche a me, Umi... anche a me.» disse con un tono basso e dolce, chiamandola con il suo sopranome che le diede da bambino. Non poté fare a meno che ricambiare quel gesto così semplice ma anche così meraviglioso e la circonda con le sue braccia forti stringendola a sé. 

Misaki Yoshida rimase in disparte assieme ad Abel il quale cercava di rimanere impassibile, ma dai suoi occhi erano lucidi dalla commozione, perciò gli diede un pezzetto di cioccolato all'autista, sorridendo. L'altro accettò, afferrando il pezzetto.

Poco dopo, a prendere parola fu Natsumi diventando un treno in corsia, alzando gli occhi su quelli severi del ragazzo. «Scusa se non sono venuta da voi, ho provato anche a contattarvi per sapere come state. Avevo saputo della notizia di Hart, volevo venire da voi, ma l'istituto non me lo permetteva! E poi...» disse frettolosamente e non finì la frase che lui la interrompe. 

«Ehi, ehi. È tutto apposto.» disse Kite, con tono rassicurante. «Come vedi, Hart sta benissimo.» aggiunse, mettendole la mano sulla spalla e indicando il bambino a suo fianco che sorrideva. 

La corvina sia l'uno che l'altro, gli diede pienamente ragione. Il bambino stava bene ed era guarito misteriosamente, suo zio stava bene, anche Kite stava bene. Tutte quelle sensazioni e ansie che sentiva nel petto per loro, in lontananza dalla sua famiglia, accompagnandola per tutta la vita. Adesso, quel peso era svanito di colpo, lasciandola serena. Lei sorrise, i suoi occhi erano ritornati a brillare, ritornando a riabbracciarlo temendo che fosse in un sogno a cui non voleva svegliarsi; più ci pensava, più quel desiderio si stava realizzando. 

«Non più allontanarvi da voi, mai più. Perché voglio rimanere qui con la mia famiglia!» disse con voce spezzata, scendendo una lacrima lungo la guancia. «Non mi lasciate più!» 

A Kite gli si spezzò il cuore nel vederla in quello stato, solo nei pochi momenti l'aveva vista piangere, solo con un sorriso stampato sul volto. Le accarezzò i capelli con estrema dolcezza che non aveva mai avuto. Questa volta non voleva deludere nessuno, non l'avrebbe mai lasciata, sarebbe rimasta nella famiglia sia nella buona che nella cattiva sorte; solo allora aveva capito cosa voleva intendere sua zia quanto fosse speciale sua figlia, se fosse stata lì le avrebbe dato pienamente ragione. 

Tranquilla, Natsumi, non accadrà. Dovrà passare sul mio cadavere se oseranno farlo, anzi, con la furia di Drago Fotonico Occhi Galattici scatenerebbe l'inferno pur di proteggerti. L'ho fatto con Hart, adesso lo farò con te. Questo è una promessa. 





 

Angolo Autrice
 

Ed ecco qui l'ultima parte dell'episodio uno, stavolta ho dovuto ricorreggerlo il meglio che potevo, togliendo le parole in eccesso. Comunque, come vi sembra rispetto alla prima versione? Spero di sì, anche perché ci sto mettendo tutta per riprendere la storia nonostante con il progetto in corso di fantascienza su wattpad. Prossimamente uscirà il secondo episodio, assisterete la nuova vita di Natsumi. 
A presto!!!! 

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Capitolo 4
*** S1E2 | Nuova vita (parte 1) ***


Episodio 2

Nuova vita



 

Arrivato il crepuscolo, la città di Heartland era illuminata da mille colori da far sembrare uno spettacolo di luci. La ragazza rimase affascinata a quella meraviglia che non era per niente paragonata a quella in Inghilterra; certo, era un continente conservazionista e parecchio tradizionalista, solo quel poco di modernità con l'accettazione per le comunicazioni e i duelli con la realtà virtuale, ma in quella città era tutt'altra storia. Si ricredette su Heartland City, molti pettegolezzi si arieggiavano all'istituto – dette da Isabel Spencer – che non sia stato una buona città per disputare dei duelli, eppure era diventato più famoso con i tempi di suo padre e il Carnevale Mondiale dei Duelli, sopratutto con il nuovo campione Yuma Tsukumo.

Chissà se davvero posso conoscerlo, un giorno. Magari di duellarci, sorrise a quel pensiero.

Duellare è sempre stato un modo di conoscere le persone e divertirsi, fare amicizia e migliorare sempre di più. Era diventato un suo metodo. La prima che ci aveva duellato fu Nicole Hamilton, diventando così la sua migliore amica; il suo pensiero arrivò fino a lei, trovandosi dall'altra parte del mondo, si trovava nel posto peggiore ed era rimasta sola, ma si era promessa che in qualche modo si sarebbero rincontrate un giorno – ora sotto l'ala protettiva di Akane Shida. Sperò solo che quella vecchia megera non le faccia nulla di male.

«Si è addormentato?» chiese qualcuno.

La corvina si voltò, trovando Kite appena entrato nella cameretta di Hart.

Il bambino era crollato nel sonno, disteso in posizione fetale sul letto, si erano parlati di tutto e di più, sopratutto nel ricordare i vecchi giochi che facevano un tempo. Hart non rideva così tanto da molto tempo, il ragazzo lo aveva notato quando era andato a portare qualcosa da mangiare, ora dormiva come un ghiro.

Lei annuì, sorridendo «Sì, si è addormentato subito dopo che ho portato a letto.»

Il ragazzo si avvicinò al letto e imboccando le coperte al fratellino, dandogli un bacio sulla fronte per dargli la buonanotte. Erano teneri in quel momento, pensò la ragazza, avrebbe immortalato con una fotografia. Natsumi ritornò a guardare il panorama, con la mano appoggiata sul vetro. Kite le si avvicinò mettendosi al suo fianco.

«Sei rimasta affascinata dalla città?»

«Pensò proprio di sì. Non ho mai visto così tante luci così accesi e brillanti. Ora capisco perché lo zio vuole fare le ricerche qui, ci sono tante risorse rispetto a prima. Ricordo che era immerso su fogli e fogli sulla scrivania non riusciva a trovare quello che serviva.»

«Tu prendevi quei fogli per colorarci sopra.»

Lei ridacchiò. «Mi annoiavo! Sai che scarabocchiare è il mio forte? Lo zio mi sgridava tante di quelle volte che aveva dovuto chiudere a chiave lo studio per non entrarci. Poi ho cominciato a infastidire Orbital per passare il tempo.»

Anche lui la imitò. «Lo facevi esasperare all'infinito a quel poveretto, mi pregava di ripulirlo ogni volta che non eri nei paraggi. Sai quante volte mi facevano male le braccia a furia di sfrecare? Fortuna che erano indelebili quei pennarelli.»

«Ehi! Almeno avrei inventato una tipo di arte astratta su un robot!»

«Ritentaci, ma non su Orbital.»

Entrambi risero piano per non far svegliare il bambino che dormiva tranquillo. La ragazzina sbadigliò, stava per crollare dal sonno, il viaggio l'aveva sfinita e quando era partita aveva l'adrenalina a mille. Kite le mise una mano sulla sua spalla, le aveva preparato una stanza per lei, così la ragazza diede un bacio sulla fronte di Hart e uscire dalla cameretta.
 

***


La stanza non era molto spoglia, non proprio come la stanza di isolamento all'istituto, era più una stanza per gli ospiti. La scrivania era vuota di ogni oggetto, a parte di alcune penne e matite dentro in un cilindro metallico, un semplice letto con le lenzuola pulite, a una parete un armadio. C'era una terrazza molto grande, con tende bianche e la fioca luce dei lampioni della città. Di fianco al letto, c'era la sua valigia. Non era un granché, ma l'avrebbe arricchita col tempo, puntualizzò Kite.

«Grazie, Kite.» disse, rivolgendo a lui.

«Non ringraziarmi, dai.» disse lui, sorridendo. «Vedrai, domani mattina faremo qualcosa per questa stanza. Adesso fila a letto e a dormire.» scherzò, con un finto tono da padre autoritario, scompigliandole i capelli.

Si diedero la buonanotte con un abbraccio e il ragazzo chiuse la porta.

Natsumi rimase sola, in quella stanza. Aveva la sensazione di essere ritornata al giorno in cui mise piede all'istituto, esser liquidata dalla direttrice e lasciata sola in quel modo. L'unica differenza era di avere la libertà di poter fare ciò che non aveva mai fatto: poteva agire in completa autonomia, di poter scegliere cosa fare e cosa non fare, trovarsi davvero delle amicizie, di dover andare dove le pare. Ora aveva il controllo della sua vita. Si accomodò sul letto, testandolo, e infine distendersi. Era abbastanza comodo, stette accoccolata su quel morbido materasso della nuova casa, troppo occupata a viaggiare la mente ai ricordi di un anno prima, troppo occupata a fantasticare su quello che sarebbe avvenuto ora, adesso che era ad Heartland City. Gettò uno sguardo alla finestra alla sua destra distrattamente, coperta dalle tende, si alzò e le scosse di lato, aprendo il terrazzo.

L'aria fresca le riempì i polmoni, accarezzandole i capelli. Le luci abbagliarono sotto il suo sguardo, aveva gli occhi sgranati che specchiavano in essi. Il rumore delle auto e dei clacson erano lievi in lontananza, per nulla fastidiosi. Natsumi avrebbe guardato quello spettacolo per tutta la notte, starsene in quel terrazzo, senza che qualcuno la disturbasse. Il sonno non le diede tregua; aveva le palpebre pesanti e la testa farsi pesante. Rientrò, lasciando la finestra aperta; non ebbe la forza di cercare il pigiama della valigia, preferì lasciare solo la maglietta, prese lo zainetto e afferrò una foto incorniciata e una vecchia agenda di cuoio beige. Gli unici ricordi dei suoi genitori scomparsi, il quale non se ne separa mai.

Si imboccò sotto le lenzuola leggere, tenendo l'agenda sotto il cuscino, mise la foto al suo fianco e tenne stretto in mano la pietra che teneva al collo. Un ametista molto chiara, elaborata e la superficie levigata con cura. In cima era legata con del rame e la cordicina nera. Non se lo toglieva mai e poi mai, le aveva regalata sua madre prima che scomparisse – come la piccola agenda – e alcune carte che suo padre l'aveva rafforzato nel corso degli anni. Chiuse gli occhi e si addormentò, non accorgendosi che due occhi color cremisi la stavano osservando dal terrazzo aperto.




 

Angolo Autrice 


Ma salve a tutti!!! 

Scusate per il terribile ritardo, ma sto studiando come una matta per i prossimi esami di settembre e saranno abbastanza tosti. Ricordare tutte quelle date tutto in una volta sarebbe da far girare la testa! Fortunatemente, ho scritto e revisionato la bozza di questo capitolo, me lo stavo persino dimenticando della sua esistenza! Non mi scorticate viva, pls! Allora, siamo ancora agli inizi, però sarabbe un passo in avanti per Natsumi per la sua nuova vita. Questo significa: nuova vita, nuova scuola, nuovi compagni e amici, e, soprattutto, un "nuovo" amore... ok, detta così sembro una fangirl sgasata negli anni addietro.

La seconda parte uscirà la prossima settimana! Alla prossima!!!

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