Sai, ti cercavo...

di Nina Ninetta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - La Stazione di Polizia ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Una lunga notte gelida ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 -Si aprano le danze ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Giorgia De Angelis ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - I nonni paterni ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - L'albero di Natale ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - La Caserma Teulié ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Sai, ti cercavo... ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - La Stazione di Polizia ***


Questo racconto partecipa alla Challenge "To Be Writing 2022" indetta da Bellaluna sul forum Ferisce più la penna.
La tematica di agosto (Fake Date: i due protagnisti dovranno fingere di stare insieme) è davvero a me molto, molto cara. Chi mi conosce, sa che ci ho costruito sopra una long, la quale rimane forse la mia creazione meglio riuscita. 
Anche questa volta, mi sono lasciata prendere la mano, perciò il racconto da poche pagine che doveva essere è finito per diventare una storia a più capitoli...

Non mi resta che augurarvi buona lettura,
Nina^^




 
“Sai, ti cercavo…


 
 
Prologo
 
Quando il cellulare vibrò nella tasca posteriore degli shorts di jeans Andrea neanche vi badò. Il numero che la stava contattando aveva il prefisso della sua città, Milano, e a quell’ora della notte poteva trattarsi solo di uno scherzo di pessimo gusto.
Si allungò sul bancone da lavoro per asciugarne la superficie con un panno in microfibra, le lunghe treccine castane trattenute in una coda sulla sommità del capo ricaddero in avanti, sfiorandole i seni messi in risalto dalla canotta bianca. Il cliente che si era accomodato sullo sgabello gliele guardò, facendole poi l’occhiolino mentre alzava lo shottino e brindava alla splendida visione.
Andrea sorrise per educazione, come gli aveva insegnato a fare la sua mentore il primo giorno di lavoro, quando aveva appena ventidue anni e uno zaino di sogni sulle spalle. Adesso di anni ne aveva ventotto e il peso dello zaino si era drasticamente ridotto.
«Quelli ti guarderanno le tette per tutto il tempo che se ne staranno al bancone. Alcuni verranno solo per quelle, per una guardatina e basta. Tu sorridi con garbo, loro si illuderanno di poterle toccare e rimarranno lì a fissarle per tutta la sera, ordinando alcolici su alcolici fino a che non ricorderanno neanche più come si chiamano. Nel frattempo tu avrai ricevuto un sacco di mance e il capo sarà contento dell’introito. Se non sorridi, quelli la prendono sul personale e faranno storie. Si lamenteranno con il boss che incazzato verrà da me che ancora più incazzata tornerò da te e ti spedirò a casa. Chiaro?!».
Marta era stata chiara come un cielo terso di primavera e Andrea non aveva mai avuto problemi. Qualche volta forse, ma in fondo un’occhiata lasciva e un apprezzamento di troppo erano il piccolo prezzo da pagare per uno stipendio decente e un contratto a tempo indeterminato. Nel 2015 non erano cose da sottovalutare.
Distrattamente prese il cellulare dalla tasca, era un gesto che i giovani ormai facevano abitudinariamente, simile a un tic, come grattarsi la testa o togliersi le doppie punte nei momenti meno opportuni. Sullo schermo del telefono c’erano ben cinque chiamate senza risposta, tutte provenienti dallo stesso numero fisso, intervallate pochi minuti l’una dall’altra. Andrea cominciava a insospettirsi, quando Marta l’afferrò per un polso e la guardò dritto negli occhi, preoccupata:
«Hanno chiamato i carabinieri. Devi andare subito alla caserma di San Cristoforo.»
«San Cristoforo? Ma è quella vicina all’ospedale?» Qualche secondo dopo Andrea stava indossando il giubbotto scuro e la sciarpa intorno al collo, mentre nello stanzino adibito a spogliatoio femminile continuava a chiedere informazioni a Marta.
Cosa le avevano detto precisamente?
Lei non aveva fatto niente, eppure il cuore le batteva forte in petto. Aveva un presentimento, una specie di dejà vu. Non era la prima volta che dovesse correre in caserma per qualche denuncia, sebbene non a carico suo...
«Non hanno voluto dirmi nulla» Marta l’aiutò a sciogliersi i capelli e a calarsi un cappellino di lana sul capo. «San Cristoforo è vicino al San Borromeo. La fermata più vicina della metro è-»
«Bisceglie» l’anticipò Andrea, finalmente pronta per affrontare il freddo autunno milanese.
Marta le strinse le spalle ossute con le sue mani altrettanto magre. Era ormai prossima al mezzo secolo di età, una vita spesa a innamorarsi degli uomini sbagliati e a evitare ogni tipo di gravidanza, desiderata e non. Andrea non solo era diventata la sua collega preferita, ma era anche l’unica amica sincera di cui potersi fidare, una confidente leale, la figlia che non avrebbe mai avuto ma di cui sentiva il bisogno.
«Pensi si tratti di Claudia?» Le domandò.
«Ho paura di sì.»
«Stai attenta, Andrè!»
Andrea posò le mani sulle sue e uscì dalla stanza, lasciando la porta aperta. Attraversò velocemente le cucine del pub, i dipendenti neanche parvero accorgersi di quello scricchiolo di donna che si muoveva frettolosamente, il cappello morbido calato sui capelli castani, mentre decine di treccine ballavano sulla schiena. Indossò i guanti appena prima di uscire in strada, dove un freddo secco l’accolse nella sua morsa. Il respiro si condensò rapidamente, si strinse meglio che poteva nel giubbotto di piuma e fece un altro giro di sciarpa intorno al collo, ma gli shorts e le calze scure, velate, non erano proprio l’abbigliamento più consono a quelle temperature. Si mosse in direzione della metro, soffiandosi nelle mani chiuse a coppa davanti alla bocca.
Andrea non amava l’inverno, il freddo mal lo sopportava, ma quell’anno i meteorologi avevano predetto un autunno particolarmente rigido per il periodo. In effetti, sembrava di stare a gennaio inoltrato e non ai primi di ottobre.


 
Capitolo 1
La stazione di polizia

 
 
La stazione dei carabinieri parve ad Andrea una fotografia degli anni ’50. Le strade erano completamente deserte, la luce aranciata dei lampioni sembrava aver fermato il tempo, non si udiva nulla, non passava nessuno. Tutto era immobile e lei, osservando l’edificio di mattoni, si sentì piccola piccola.
Con il cuore in gola entrò e si presentò all’uomo in divisa alla reception. Lui le chiese i documenti, squadrandola da capo a piedi intanto che lei li cercava tra le cianfrusaglie buttate alla rinfusa nello zaino Decathlon. Andrea blaterò qualcosa a bassa voce, il cuore che continuava a martellarle nel petto, fino alle tempie. Avrebbe voluto dire all’uomo oltre il gabbiotto che erano stati loro a contattarla, perché diamine adesso doveva presentarsi? Quando scovò la carta d’identità sul fondo della borsa le scappò un gridolino di sollievo e la mostrò al carabiniere che, senza dire una parola, controllò alcune nozioni nel database, infine le disse di seguirlo.
La accompagnò attraverso un breve corridoio, aprì una porta sulla sinistra e la annunciò:
«Marescià è arrivata» disse con un forte accento partenopeo. Andrea lo vide fare il gesto del saluto militare prima di continuare. «Capitano De Angelis!» Quindi le fece cenno di entrare, richiuse la porta e andò via.
Il cuore di Andrea aveva già avuto un ulteriore sussulto udendo il cognome De Angelis, per diversi motivi. Innanzitutto, se era stato convocato anche lui significava che il problema era effettivamente Claudia (di nuovo); in seconda battuta il capitano De Angelis, Noёl De Angelis, non gli piaceva affatto.
I due uomini d’armi erano seduti l’uno di fronte all’altro, a separarli una scrivania semplice, il cui ripiano ospitava un computer e una stampante Canon, oltre a una miriade di fogli, matite e penne. Alle spalle del maresciallo uno schedario ricolmo di raccoglitori blu, sistemati in ordine cronologico. De Angelis sedeva su una delle due sedie di plastica, era in abiti civili. Lanciò un’occhiata da basso alla ragazza, la quale ricambiò senza sapere bene cosa dire.
«Signorina Moretti, prego, si accomodi» il maresciallo accompagnò l’invito con un gesto della mano. Andrea si mosse simile a un automa, mentre De Angelis distoglievo lo sguardo glaciale da lei.
La giovane prese posto accanto a lui, scostando la sedia di qualche centimetro. Avrebbe preferito allontanarsi di qualche metro, ma non poteva, la stanza non era particolarmente spaziosa e il gesto sarebbe risultato alquanto strano.
«Sono il maresciallo Rizzo, mi spiace averla fatta venire così di corsa» l’uomo le allungò una mano e lei gliela strinse. «Immagino sia spaesata. Le spiego subito il motivo della visita, la prego però di rilassarsi. Non è così grave come-»
«Per poco quegli sconsiderati non ammazzavano Giorgia!»
La voce del capitano De Angelis tuonò nella stanza. Andrea si voltò a guardarlo, ma lui teneva gli occhi fissi oltre la finestra, dove si ergeva imponente la struttura ospedaliera del San Carlo Borromeo.
«Giorgi? Giorgi non sta bene?» Andrea Moretti si portò le mani davanti al viso, improvvisamente cominciava a fare caldo. D’altronde, non era più in mezzo alla strada e i termosifoni erano accesi. Cominciò con il togliersi il cappello, sciolse l’intrico della sciarpa e si liberò le mani dai guanti.
«Noёl, non essere tragico!» Era stato il maresciallo a intervenire. «Stia tranquilla, signorina Moretti, sua nipote Giorgia sta benissimo! Vuole una tazza di caffè?»
Andrea notò solo in quel momento le tazzine sporche di caffè sul tavolo e rifiutò. Voleva solo capire cosa fosse successo, se poteva smetterla di preoccuparsi e dove fossero i suoi famigliari: sua sorella Claudia e sua nipote Giorgi in particolare.
Il maresciallo Rizzo le raccontò che i vicini di casa di sua sorella e suo cognato, tale Giovanni De Angelis, avevano telefonato alla polizia poiché la bambina piangeva da quel pomeriggio. Aveva smesso per un po’, ma poi aveva ripreso e non avevano sentito, né visto, i suoi genitori. Una pattuglia si era recata sul posto, quando si tratta di minori l’intervento è immediato. Avevano bussato a lungo, senza ricevere alcuna risposta, fatta eccezione per il pianto disperato di una bimba. Immediatamente avevano contattato i pompieri e gli assistenti sociali. I primi erano entrati forzando un balcone e avevano poi aperto la porta dell’appartamento.
Qui il racconto dell’uomo si era interrotto, Andrea l’aveva visto passarsi una mano grossa quanto la sua faccia sul viso tondo.
«Ora arriva la parte difficile» aveva annunciato, facendo preoccupare ancor di più la giovane barista. «La piccola Giorgia piangeva in piedi, al centro del corridoio, con indosso abiti sporchi di pipì, cacca e Dio solo sa cosa. I genitori, Claudia Moretti – sua sorella – e Giovanni De Angelis – suo fratello –» disse il maresciallo, indicando il capitano che teneva ancora lo sguardo saldo oltre i vetri, «erano riversi sul divano, la tv accesa, bottiglie di birra sparse ovunque e un forte odore di fumo a permeare l’aria. Mi dispiace.»
Andrea parlò, la voce rotta dal pianto, ma tentò comunque di darsi un contegno. La sua famiglia aveva perso già troppa dignità strada facendo.
«E… dove sono adesso?»
«Claudia e Giovanni sono ricoverati in ospedale. Sono fuori pericolo. Giorgia è stata visitata da diversi medici, nutrita e lavata. Sta bene. Solo tanto spavento per lei. Ma questa notte la trascorrerà al centro polifunzionale per minori…» Rizzo consultò alcuni fogli che teneva sotto al naso. «”La Fata”.»
«Dormirà in una casa famiglia?» Chiese Andrea, sporgendosi in avanti, le treccine seguirono i suoi movimenti. Non se ne accorse, ma il capitano De Angelis la fissava di bieco, sembrava infastidito dalla sua sola presenza.
«Non abbiamo potuto fare altrimenti. Lei lo capisce, sì?»
«Me ne sarei potuta occupare io. Giorgi ha già dormito a casa mia, quando i suoi genitori-»
«Erano impegnati a drogarsi? Complimenti per avergli retto il gioco, davvero un genio!»
«Claudia e Gianni non sono drogati!»
«Ah, davvero?! E come li definiresti?»
Andrea e Noёl si fissarono di traverso, simili a due cani pronti a sbranarsi. Solo che, in quanto a stazza, lui ricordava un rottweiler e lei un chihuahua.
«Ok signori, io capisco che siete stanchi e provati, ma c’è un altro problema da affrontare» il maresciallo attese di avere l’attenzione di entrambi gli interlocutori. «Purtroppo, come voi ben sapete, questa non è la prima segnalazione di maltrattamenti di minori che riceviamo a carico di Claudia Moretti e Giovanni De Angelis. La legge ci impone di segnalare il caso agli assistenti sociali e quando la macchina sociale si mette in moto non la si può più fermare.»
L’uomo, ormai prossimo alla sessantina e con troppi chili in più, si rivolse in particolare al capitano dell’esercito Noёl De Angelis, dandogli del tu.
«Io non conosco bene le leggi, ma ho sentito dire che molto probabilmente gli toglieranno la patria potestà. Ciò significa che la bambina verrà affidata a una casa famiglia oppure a una coppia di estranei, per un periodo limitato certo, ma verrà comunque allontanata dai genitori biologici. Ora, potete lasciare che ciò accada e seguire l’iter predefinito, oppure…» di nuovo si prese una pausa prima di continuare.
«Oppure?» De Angelis si sporse in avanti, le mani chiuse a pugno sotto il mento e i gomiti premuti sulle cosce.
«Oppure chiedete voi l’affido.»
«Noi? Possiamo farlo?» Chiese Andrea, mentre l’uomo al suo fianco tornava con la schiena dritta e gli occhi di nuovo puntati sul San Carlo, pensieroso.
«Ripeto, io non ne capisco molto, vi conviene chiedere meglio a chi di dovere. Il mio è solo un consiglio.» Il carabiniere mostrò i palmi, come a volersi scrollare di dosso ogni responsabilità, poi la voce di De Angelis tuonò ancora nell’angusta camera.
«Può lasciarci, maresciallo Rizzo?!»
Sia l’uomo in divisa oltre la scrivania, sia la giovane Andrea si voltarono a guardarlo con occhi sbarrati. Noёl puntò gli occhi chiarissimi in quelli decisamente più comuni e meno spaventosi di Rizzo, il quale cercò di balbettare qualcosa.
«Ca-capitano, non potrei, lei sai che non-»
«Io e la signorina Moretti avremmo una questione privata di cui discutere. La ringrazio della comprensione.»
La pelle di Andrea si accapponò. Osservò il maresciallo Rizzo mettersi in piedi e muoversi senza troppa convinzione verso la porta. Avrebbe voluto dirgli di non uscire, di non lasciarla sola con quello lì che non aveva mai compreso fino in fondo. È vero, l’aveva incontrato sporadiche volte nel corso della sua vita, ma abbastanza da poterci instaurare un rapporto civile fra due persone socialmente attive. Con il capitano invece pareva impossibile. Era un iceberg, impenetrabile. L’esatto contrario di suo cognato, ossia il fratello di Noёl, Giovanni, detto Gianni per tutti loro.
Sua sorella Claudia era più piccola di lei di tre anni, mentre Gianni aveva ben dieci anni di differenza da suo fratello Noёl. Andrea aveva sempre invidiato la storia d’amore che aveva unito sua sorella e suo cognato, sembrava uscita da uno di quei racconti che leggeva sui giornaletti quando era adolescente: vacanze al mare, il sole tra i capelli, un primo bacio al chiaro di luna, una prima volta sotto il cielo stellato e poi? Poi era nata Giorgia, una bimba bellissima che adesso aveva già cinque anni e le aveva letteralmente cambiato la vita. Non pensava di poter amare così incondizionatamente un’altra persona, un animaletto domestico forse, ma un altro essere umano no. Fin quando sua sorella non aveva partorito e l’ostetrica di turno le aveva messo fra le braccia quel fagottino fatto di pelle morbida e rosea.
Giorgi. La sua Giorgi. L’aveva amata dal primo istante.
Il capitano De Angelis afferrò il cellulare dalla tasca e scattò in piedi, distogliendola dai pensieri come un secchio d’acqua ghiacciato. Avrebbe voluto chiedergli cosa avesse in mente, ma la sola presenza di quell’uomo bastava a farle andare in pappa il cervello. Lo temeva come si può temere un rottweiler nel pieno della sua prestanza fisica. Eppure, paragonarlo a quella razza canina non era la similitudine giusta, infatti, con i suoi capelli chiari acconciati all’indietro e la barbetta ispida di qualche giorno – evidentemente l’avrebbe rasata la mattina successiva prima di andare al lavoro – ricordava più un giovane leone.
Andrea sprofondò nella sedia, De Angelis sfiorava il metro e novanta e quasi sicuramente i cento chili di peso, in pratica era almeno due volte lei.
«Avvocato Greco? Capitano De Angelis. Avrei urgente bisogno di parlarle.»
La ragazza spalancò gli occhi, consultando l’orologio alla parete: le lancette segnavano le tre di notte. Quale folle avrebbe telefonato al proprio avvocato a quell’ora? E, soprattutto, quale pazzo avvocato lo avrebbe assecondato? Evidentemente il legale del capitano De Angelis.
Lo vide annuire e sorridere di circostanza mentre era al telefono, infine chiuse la conversazione, afferrò il proprio cappotto scuro adagiato sullo schienale della sedia e le ordinò di seguirlo, senza darle ulteriori spiegazioni. Andrea non poté fare altro che corrergli dietro, perché se voleva stare alle sue lunghe falcate doveva per forza muoversi come se stesse facendo una corsetta. Cercò di domandargli cosa avesse in mente, dove stessero andando, ma Noёl salutò frettolosamente i carabinieri di guardia, ringraziando il maresciallo Rizzo per il supporto, poi spalancò il portone della stazione e si ritrovarono in strada, al gelo. Andrea fu scossa da brividi, il cambio di temperatura era stato repentino, ma lui non gli diede neanche il tempo di ripararsi indossando il cappello o la sciarpa che lo vide salire a bordo di un SUV BMW grigio scuro.
«Sali» le intimò e lei eseguì, in fondo non avrebbe saputo da dove cominciare per risolvere quella faccenda.
Una volta in macchina, avrebbe avuto il tempo di parlargli, se lui non avesse cominciato per primo.
«Sarò io a farmi carico di Giorgia. Potrebbero però esserci dei problemi, perciò forse servirà anche il tuo consenso. Stiamo andando a casa del mio avvocato. Saprà cosa fare.»
Andrea rimase con gli occhi fissi sugli stivali, senza trovare le parole più adatte per rispondere. Decine di pensieri le passavano in quel momento per la testa e lei non riusciva ad afferrarne neanche uno che fosse una buona risposta o una domanda lecita. Avrebbe voluto dirgli che di Giorgia poteva occuparsene lei, anzi, lo avrebbe tanto desiderato. Di sicuro il suo capo non avrebbe fatto storie al lavoro, concedendole qualche giorno di riposo, magari avrebbe storto un po’ il muso, ma alla fine avrebbe acconsentito. Avrebbe così concesso a Claudia il tempo per riprendersi, si sarebbe potuta trasferire a casa sua una volta dimessi dall’ospedale, affinché lei e Gianni tornassero in sesto. Invece, rimase in silenzio per tutto il viaggio – il quale durò una ventina di minuti – a fissarsi la punta delle scarpe che si illuminava ogni qual volta l’auto passava sotto un lampione. Era psichedelico.



 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Una lunga notte gelida ***



Capitolo 2
Una lunga notte gelida
 


Il capitano Noёl De Angelis di tanto in tanto le lanciava occhiate di sbieco, attendendosi una risposta sostenuta che non arrivò mai.
Andrea era la sorella maggiore di sua cognata Claudia. Ricordava perfettamente il giorno che si erano conosciuti, durante una cena di famiglia per ufficializzare il fidanzamento tra Claudia e Giovanni. Era stato proprio quest’ultimo a presentargliela, mentre Andrea era di spalle sul divano di casa, ma quando i due fratelli si erano avvicinati era scattata sull’attenti (qualcuno doveva averle detto di essere al cospetto di un militare) e per poco Noёl non era scoppiato a ridere per l’eccessiva verve.
«Andrea, lui è mio fratello Noёl.»
La ragazza aveva biascicato un piacere, stringendogli la mano. Aveva una presa salda e di questo il capitano si era meravigliato: sembrava troppo minuta per una tale forza.
«Andrea, un nome da uomo» era stato il primo commento di Noёl in assoluto. Lei aveva ritirato la mano, era tornata a sedersi e non si erano più rivolti la parola, se non in rare occasioni.
Adesso, sedeva al suo fianco e continuava a fissarsi i piedi, persa nei propri pensieri. Le treccine le coprivano gran parte del viso e terminavano sulle cosce magre, fasciate dai collant scuri. Gli shorts di jeans avevano un doppio risvolto e da seduta arrivavano all’inguine. Il busto era coperto da un bomberino nero, liso in più punti, mentre le mani stringevano con forza una sciarpa bianca e un cappello di lana dello stesso colore. Era nervosa, ma non poteva preoccuparsi anche di farla sentire a suo agio. Non era compito suo e non gli importava. Anzi, se si trovavano in quella situazione forse ne era anche responsabile: lei era la sorella di Claudia, avrebbe potuto starle più vicino, comprenderne il disagio e aiutarli.
 
Finalmente lasciarono la città e svoltarono in una stradina dissestata, in fondo alla quale si ergeva un cancello automatico, il quale cominciò ad aprirsi non appena i fari dell’auto lo illuminarono. Era chiaro che qualcuno li stesse aspettando.
L’avvocato Greco si rivelò essere un’aitante cinquantenne, dai lunghi e vaporosi capelli biondi che incorniciavano un viso dai lineamenti marcati, ma non sgradevoli, labbra carnose tinte di rosa e denti perfettamente allineati e super bianchi.
Salutò il capitano con un bacio sulla guancia destra, sfiorandogli il braccio mentre si alzava sulle punte dei piedi, quindi allungò la mano alla giovane barista per presentarsi.
«Danielle, piacere.» Li invitò ad accomodarsi sui divani in bella mostra, davanti al camino, poi sparì per qualche minuto.
Andrea Moretti si sedette con un sospiro, guardandosi intorno con curiosità. Alla parete c’erano decine di attestati incorniciati, i quali portavano tutti il nome di Danielle Greco. De Angelis invece rimase in piedi qualche minuto ancora, osservando il panorama oltre l’ampia vetrata che dava direttamente sulla città di Milano. Si accomodò solo quando l’avvocato tornò, portando con sé un vassoio ricolmo di tè e pasticcini, poi prese posto sul divano libero, di fronte a quello occupato da Andrea.
«Non ce ne era bisogno, Dany» fece De Angelis, sedendosi al fianco di Andrea, la quale si spostò di qualche centimetro, a ridosso del bracciolo. Lei forse non ci fece caso, il suo era stato un gesto istintivo, ma gli altri due presenti sì, lo notarono e si lanciarono un’occhiata. L’avvocato corrugò la fronte e il suo cliente scosse il capo in maniera quasi impercettibile.
«Allora, cosa vi porta a casa mia nel cuore della notte?»
«Un affido di minore» rispose Noёl.
Danielle allungò una tazza di tè alla ragazza che lo accettò volentieri. La sensazione del calore della ceramica ebbe l’effetto di tranquillizzarla e donarle un po’ di coraggio.
«Vuoi adottare un bambino?» L’avvocato guardò sbalordita il capitano, lo conosceva da tempo e mai le aveva confidato un desiderio simile. Inoltre, quella ragazzina seduta al suo fianco non sembrava il tipo di donna che potesse piacergli…
«Non è un bambino qualunque, è nostra nipote» questa volta era stata Andrea a parlare. Il tè nella tazza era finito e si sentiva decisamente meglio, rinvigorita. «I nostri fratelli hanno problemi di alcolismo, questa notte sono stati ricoverati in ospedale e la bimba prelevata dagli assistenti sociali.»
«In quanto parente diretto, posso prenderla in carico?» Noёl interruppe il racconto di Andrea, rivolgendosi direttamente a Danielle.
L’avvocato annuì un paio di volte con il capo, stava riflettendo, poi si alzò e prelevò dalla biblioteca alle sue spalle un volume grosso e spesso, quindi tornò a sedersi e prese a sfogliarlo, fino a trovare ciò che cercava. Lesse velocemente, infine lo richiuse con un tonfo.
«In quanto parenti prossimi certo, nessuno si opporrà all’affido. A patto che i genitori non siano in grado di occuparsi del minore e/o siano un pericolo per la vita di questo.»
«Domani provvederò affinché vengano trasferiti in una clinica per disintossicarsi.» Il tono di Noёl era stato piatto, senza emozione. Andrea si girò di scatto a guardarlo.
«Che cosa? Vuoi farli richiudere?»
«Hai un’altra soluzione?» Il capitano voltò il capo nella sua direzione. «Io non vedo alternative. Se continuano così rischiano di farsi male seriamente e di ammazzare la piccola Giorgia.»
«Hanno solo bevuto qualche birra di troppo! Hai sentito il maresciallo, no? Giorgi sta bene…»
«È rimasta da sola in casa con due deficienti in coma etilico che fumavano hashish! Sarebbe potuta morire!» Noёl sferrò un pugno sul divano di pelle nello spazio che li divideva.
Andrea si girò dall’altro lato, prossima alle lacrime.
«Ok, calmiamoci!» intervenne Danielle, alzandosi per posare il tomo di giurisprudenza al suo posto e allungare poi un fazzoletto alla giovane, la quale lo prese per tamponarsi gli angoli degli occhi. La donna bionda lanciò un’occhiata di rimprovero al capitano, poi tornò al suo posto.
«Andrea, cara, ascoltami. Posso darti del tu?»
La barista annuì, sforzandosi di guardarla in faccia, gli occhi castani arrossati.
«Benissimo. Noёl ha ragione, i vostri fratelli vanno aiutati o rischiano seriamente di farsi male, e con loro la bambina. Se non dovessero ritenervi idonei, Giorgia rischierebbe di finire in un’altra casa o addirittura un giudice potrebbe decidere di affidarla a un centro sociale.»
«Ehi, Dany! Dany, aspetta!» De Angelis la fermò, sporgendosi in avanti con un palmo sul petto, sulle labbra un sorriso sarcastico. «Sono io quello che vuole adottarla. Solo io.»
«Perché?» Andrea teneva gli occhi bassi, fissi sulle mani che stringevano il fazzoletto usato e sgualcito. «Perché solo tu? E io? Anche io sono sua zia.»
«Davvero? E come pensi di prendertene cura? Fai la cameriera in un night, quanto guadagnerai? 700? 800 € al mese?»
«Non faccio la cameriera in un night! Lavoro come barista in un pub e con le mance riesco ad arrivare anche ai mille euro!» Andrea lo fissò con rabbia. Ma chi si credeva di essere quel bell’imbusto? Solo perché era capitano dell’Accademia Militare di Milano non significava che avesse più diritto di lei a prendersi cura di Giorgia.
Danielle fece un colpo di tosse per allentare la tensione e ci riuscì, poiché i due si voltarono a guardarla.
«Non avete capito. La legge non consente ai single di adottare un bambino, né donna né uomo che sia. Neanche se si tratta di un parente stretto.»
«Quindi cosa ci consigli di fare?» La voce di Andrea era smorzata dal pianto che non aveva sfogato.
«Dovete fingere di essere una coppia» l’avvocato sorrise guardando le loro espressioni spaurite. «Domani mattina vi recherete al comune per chiedere l’attestato che certifica la vostra convivenza quinquennale, con quello andrete al centro sociale dove si trova Giorgia per chiederne l’affido. Non ve lo rifiuteranno. Non possono. D’altronde, loro preferiscono sempre alleggerirsi il carico di lavoro.»
«Certificato di convivenza? Dany, come pensi possano accettare una cosa simile?»
«Suvvia, forza! Cosa vuoi che sia per il capitano De Angelis, figlio del maggiore Giorgio De Angelis, una richiesta tanto banale al comune di Milano?! Convivenza di minimo cinque anni tra voi due, o potete dire addio ai sogni di gloria.» L’avvocato Greco sorseggiò il suo tè, ormai freddo.
«Cioè, dovremmo fingere di essere una coppia? Di stare insieme?» Andrea ancora non riusciva a metabolizzare la notizia.
«Non solo dovrete fingere, ma dovrete anche essere bravi a farlo credere. Gli assistenti sociali vi faranno cento domande, si presenteranno a casa vostra negli orari più disparati per accettarsi che la bambina stia bene e che voi siate realmente una coppia di fidanzatini» allargò il sorriso. «Sono molto intransigenti quando si tratta di minori.»
«Dovremmo vivere insieme?» Andrea mosse l’indice da lei a Noёl e poi di nuovo. La donna bionda annuì energicamente con il capo.
«Questo basterà a farci avere Giorgia?» Era stato il capitano a parlare. Danielle tornò seria:
«Sì. L’unico scoglio da superare è questo. Immagino che i vostri genitori siano troppo anziani per occuparsene…»
«Preferirei non sapessero nulla, troveremo una scusa che giustifichi il fatto di tenere Giorgia con noi.»
Danielle Greco fissò per qualche secondo l’uomo seduto dinnanzi a lei, infine gli chiese se avesse già un’idea sulla clinica in cui mandare Gianni e Claudia.
«A dire il vero no. Avevo pensato di chiedere consiglio ai medici» De Angelis si passò una mano sul viso, improvvisamente sembrava tanto stanco.
La donna bionda si alzò di nuovo e aprì il primo cassetto della sua scrivania, prelevando una brochure che allungò al capitano.
«È uno dei migliori centri della regione, vicino Como, neanche tanto lontano se voleste portare la piccola Giorgia a salutare i suoi genitori ogni tanto. È un po’ costosa, ma non credo che i soldi siano un tuo problema, capitano.»
Quest’ultimo prese il cartoncino che gli veniva porto e mettendosi in piedi la ringraziò. Andrea lo imitò, sentendosi di nuovo piccola e ingombrante insieme.
L’avvocato li accompagnò fino alla porta, l’orologio svizzero all’ingresso segnava le quattro e trenta minuti. Le due donne si salutarono con una stretta di mano, poi Danielle si alzò di nuovo sulla punta dei piedi per lasciare un lungo bacio sulla guancia a Noёl.
 
Ritrovandosi nell’abitacolo dell’auto, fu ancora una volta lui a parlare per primo.
«Ti passo a prendere domani mattina alle otto. Porta con te tutto l’occorrente per trasferirti a casa mia.»
A quelle parole Andrea si sentì avvampare. Trasferirsi a casa sua? Fingere di stare insieme? Di essere una coppia? Che assurdità! Gli assistenti sociali non ci sarebbero mai cascati e Giorgia sarebbe stata affidata chissà a chi!
E Claudia? Come avrebbe reagito sua sorella quando avrebbe saputo della clinica e della sua bambina?
«Tu e Danielle stavate insieme?» La stessa giovane si stupì di quella domanda. Era inopportuna e fuori luogo, né tantomeno preventivata. La sua bocca si era mossa da sola.
«Come?» Noёl aveva appena imboccato la statale in direzione Milano est.
«Sì, insomma, scopavate?»
Il capitano le lanciò un’occhiata fugace, non riusciva a comprendere la sua domanda né dove volesse andare a parare. Andrea come al solito teneva lo sguardo basso e le mani intente a giocherellare ancora con il fazzoletto offertole da Danielle.
«Ho notato che chiamava Giorgia con il suo nome, come se la conoscesse bene. La stessa cosa è successa quando ha parlato di Gianni e Claudia.»
«Scusami.»
Andrea alzò lo sguardo, confusa. Noёl si stava scusando con lei? Così, dal nulla? E perché mai?
«Se prima ho alzato la voce e mi sono adirato con te. Mi dispiace, davvero. Questa situazione mi ha reso nervoso. Non volevo farti piangere.»
Andrea lo fissò con gli occhi spalancati, mentre lui teneva i suoi saldi sulla strada deserta. La luce calda dei lampioni gli illuminava il viso a intermittenza e, doveva ammetterlo, aveva un suo fascino. Il volto squadrato, la barbetta castana, i capelli più chiari tirati all’indietro con qualche ciocca che gli era scivolata sulle tempie. Si chiese come dovesse essere in divisa, l’aveva incontrato sempre e solo con abiti civili, nel suo stile casual ed elegante. Noёl aveva trentacinque anni, otto più di lei, ma portati davvero molto bene.
Non ricevendo risposta, lui si voltò a guardarla il tempo necessario per beccarla a fissarlo con l’espressione di un pesce lesso.
«Stai bene?»
«Ah sì, sì. Tutto bene» Andrea si girò di scatto, adagiando la fronte al finestrino. Noёl increspò le labbra in un sorriso, ma lei non lo vide.
«E comunque non hai risposto alla mia domanda» aggiunse Andrea, prendendolo alla sprovvista. Quella ragazza sapeva essere cocciuta quando voleva.
«Sei gelosa?»
«Eh?»
«Ti stai già calando nella parte della fidanzata ossessiva, possessiva, compulsiva?»
«Lo trovi divertente? Stai per mandare tuo fratello in una clinica per tossici e lo trovi divertente? No, perché io non oso neanche immaginare la reazione di Claudia quando le dovrò dire che per mesi non potrà vedere la sua bambina!»
Noёl De Angelis sterzò di colpo e si fermò lungo la corsia d’emergenza, sul bordo della strada.
«Perché, pensi che invece per me sia semplice?! Mi sono presentato in piena notte a casa del mio avvocato per una questione che le persone normali risolverebbero nel giro di qualche settimana. Io invece domani mattina mi recherò al comune, mi farò fare una carta falsa – falsa! – sfruttando il buon nome della mia famiglia e il ruolo che ricopro. Sai come si chiama questo? Eh, lo sai?»
Andrea scosse il capo, di nuovo teneva gli occhi bassi e di nuovo aveva una gran voglia di piangere.
«Abuso di potere! Si rischia il carcere, lo capisci? Io rischio il carcere! E tu mi vieni a dire che non me ne frega niente di mandare quei due drogati, squinternati, strafatti in clinica? Io li manderei ai lavori forzati quei due, altro che clinica di cura! E indovina chi dovrà pagare? Esatto, io! Brava! Vieni a dirmi di nuovo che lo trovo divertente, vieni! Ah, giusto, vuoi sapere se io e l’avvocato scopavamo? Oh, sì! Ci davamo dentro come conigli! Ma fino a ieri proprio, stasera ci siamo trattenuti perché c’eri tu e non ci sembrava il caso! Contenta adesso?»
Le spalle di Andrea erano scosse da singulti, il viso rigato di lacrime silenziose che le avevano sciolto il mascara e sporcato di nero le guance. Noёl la osservò dall’alto, l’aveva fatto di nuovo, se l’era presa di nuovo con lei, con la più debole. Batté entrambi i palmi sul volante dell’auto e imprecò.
«Ti-ti darò la quota di Claudia per la clinica.»
Al capitano si strinse il cuore.
«Sai quanto costa un mese in quella struttura?» Le chiese con toni decisamente più pacati, quasi compassionevoli. Andrea scosse il capo, non ne aveva idea. «Due volte tanto il tuo stipendio. Mance incluse.»
«Mi farò fare un prestito…»
Noёl sospirò, immettendosi di nuovo nella carreggiata.
«Dovresti dirmi dove abiti.»
«Puoi lasciarmi alla prima fermata della metro.»
«Non essere stupida, quale uomo lascia la propria fidanzata sulla strada?!»
Andrea finse di non recepire la battuta, sebbene le fosse arrivata tutta, ma non la trovava divertente, per lo meno non in quel momento.
Era stata una nottataccia. Un inferno di cui non riusciva a vedere la fine, sebbene non dovesse perdere di vista l’obiettivo finale: riportare Giorgia a casa. Pensò alla piccola, sola soletta in mezzo a tanti sconosciuti, a trascorrere la notte spaventata, magari in lacrime. La immaginò da sola, nel suo appartamento e non riuscì neanche a ipotizzare il terrore che doveva aver provato. Si sarà sentita abbandonata? Avrà pensato alla sua adorata zia Andy? Chissà se avrà provato a urlare il suo nome con la speranza che la sentisse e andasse a prenderla.
«Andrea» la voce ferma di Noёl la riportò con i piedi sulla terraferma. La giovane alzò lo sguardo su di lui, serissimo, stringeva il volante dell’auto fino a farsi sbiancare le nocche. «Ti ricordi come si chiama il centro sociale che ha preso Giorgia?»
«“La Fata”.» Bisbigliò la ragazza.
«Cerca l’indirizzo su internet…» Noёl le passò il suo cellulare. Il volto di Andrea si illuminò in un grande sorriso e nuove lacrime presero a scendere, ma questa volta di gioia.
«Ce l’andiamo a prendere» disse.
«Ce l’andiamo a prendere» ripeté lui.
 
Il Centro Polifunzionale “La Fata” non distava molto dalla loro posizione e quando vi arrivarono erano appena le cinque del mattino. A quell’ora la città cominciava a svegliarsi, i primi camion della spazzatura si muovevano lenti come elefanti e qualcuno tornava a casa dopo il turno di notte in qualche fabbrica della provincia.
Noёl teneva il naso all’insù, studiando il palazzo che si ergeva imponente davanti a loro. Era una struttura datata, risalente all’800, priva di balconi ma con un ampio spazio all’ingresso. Andrea lo affiancò, era riuscita a ripulirsi il viso e gli occhi da tutto il trucco che si era sciolto a causa delle lacrime. Insieme salirono le scale fino al primo piano e bussarono alla porta con la targhetta “La Fata”. Dovettero farlo più di una volta, prima che qualcuno si prendesse la briga di andare ad aprire. Era una donna in carne, sulla sessantina, con indosso una vestaglia di ciniglia di un brutto azzurro sbiadito e i capelli raccolti sul capo con una pinza.
«Sì?»
«Buongiorno signora, sono Noёl De Angelis e lei è Andrea Moretti. Siamo qui per Giorgia De Angelis, siamo i suoi zii. Vorremmo prenderla per portarla a casa con-»
«L’ufficio apre alle 9:00. Passate più tardi per prendere un appuntamento e poter parlare con la referente. Buona notte.» La donna fece per chiudere la porta, ma Noёl la trattenne con un palmo.
«Signora, forse non ci siamo capiti. Sono il Capitano De Angelis, mia nipote Giorgia è qui da voi, probabilmente sporca e spaventata. Lo so che non è orario di visite, ma vi chiediamo solo di poter prendere la bambina per portarla a casa.»
Questa volta la donna spalancò la porta, mostrandosi in tutta la sua enorme stazza da amazzone datata. Alle sue spalle di srotolava un lungo corridoio buio e silenzioso.
«Capitano De Angelis e signora…» iniziò, studiando Andrea da capo a piedi. «Se volessimo acconsentire a tutti i parenti di prendere con sé i bambini, noi qui avremmo chiuso. C’è un iter da seguire, lei capisce che non posso andare contro la legge, sono minori, chi mi garantisce che siete davvero chi dite di essere?»
«Ma noi-»
La donna lo arrestò mostrandogli il palmo:
«Non mettetemi in condizione di allertare la vigilanza, ci sono dei bambini che dormono qui. Ci vediamo domani mattina.» Di nuovo fece per chiudere la porta, ma questa volta fu Andrea a parlare:
«Ci dica almeno se sta bene» aveva lo sguardo implorante.
L’amazzone sospirò, facendo segno di sì con la testa, ma di più non poteva dire, quindi richiuse la porta con garbo.
In macchina nessuno dei due parlò. Lei lasciò che il capitano l’accompagnasse fin sotto casa e si diedero appuntamento per il mattino seguente.

 

Ndr. La Corte di Cassazione ha predisposto solo nel 2019 che i bambini possano essere affidati anche a coppie dello stesso sesso e/o single.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 -Si aprano le danze ***




Capitolo 3
Si aprano le danze


 
 
Alle otto in punto Andrea salì sul SUV di Noёl De Angelis, destinazione ospedale San Carlo Borromeo. La ragazza aveva adagiato un borsone da palestra sui sedili posteriori. Non era molto grande, aveva preferito riempirla con le cose essenziali, non pensava di fermarsi per troppo tempo. Una volta che gli assistenti sociali avessero appurato che erano effettivamente una coppia convivente, non intendeva restare a casa di Noёl per tutto il tempo necessario. Avrebbero potuto fare una settimana a ciascuno, come facevano le coppie divorziate, o magari lei avrebbe potuto occuparsi di Giorgia durante il giorno, mentre lui era al lavoro, e viceversa lo zio se ne sarebbe potuto prendere cura nelle ore serali, intanto che al lavoro c’era lei.
Il capitano le allungò un foglio.
«Che cos’è?» Chiese, cominciando a leggerlo.
«Il certificato che attesta la nostra convivenza quinquennale. Avrei preferito che fosse da più tempo, ma facendo due conti tu poi saresti risultata troppo piccola d’età.» Otto anni di differenza non erano pochi in effetti.
«Hanno fatto presto.»
«È la fortuna di avere un nome noto.»
Andrea Moretti non rispose. Lei non era figlia d’arte, ciò che possedeva aveva dovuto guadagnarselo con il sudore, i suoi genitori non le avevano mai regalato nulla. Niente. E lo stesso valeva per sua sorella, la quale si era lasciata abbindolare dal buon nome di Gianni – secondogenito del noto maggiore De Angelis –, preferendo la strada apparentemente più semplice da percorrere. Almeno, questo era il suo parere.
Andrea Moretti guardò oltre il finestrino, tenendo l’attestato del Comune di Milano stretto in grembo. Noёl non poté fare a meno di osservarla e di constatare quanto fosse diversa rispetto alla notte appena trascorsa. Le treccine castane erano raccolte in uno chignon, gli occhi erano appena truccati e soprattutto indossava un jeans stretto alla caviglia, un maglioncino rosa pallido e un lungo caban grigio. A tracolla teneva una borsa di pelle scura e morbida, di quelle così grandi da sembrare piccole valigie.
Quando la macchina imboccò la corsia che li avrebbe condotti al parcheggio sotterraneo dell’ospedale, De Angelis parlò:
«Puoi restare in sala d’attesa se preferisci non incontrare Claudia.»
«No, va bene così.»
«Come vuoi.»
Andrea depose il certificato nella borsa, quello sarebbe servito dopo, adesso avrebbero dovuto occuparsi della questione clinica. Insieme salirono nell’ascensore che li condusse direttamente alla reception, dove il capitano chiese informazioni. Gli vennero date e di nuovo presero l’ascensore per raggiungere il secondo piano: medicina generale.
Erano le 8:20 del mattino, le visite erano ovviamente bandite, perciò un’infermiera li arrestò sulla soglia del reparto, quando un giovane medico si accostò: aveva l’aria stanca di chi ha fatto la notte e non vede l’ora di tornare a casa propria.
«Noёl?»
Quest’ultimo alzò lo sguardo oltre la donna in camice verde e il suo volto si illuminò in un sorriso:
«Pierpaolo? Non ci posso credere! Sei proprio tu?»
I due si abbracciarono, davanti agli sguardi sgomenti delle due donne.
«Dottor Masucci, i signori chiedevano di poter entrare per parlare con un medico. Ho detto loro che l’orario delle visite è dalle 13:30 in poi.»
L’uomo in questione adagiò una mano sulla spalla della sua infermiera, rassicurandola che andava tutto bene, quello era un suo vecchio amico, quindi la congedò.
«Che ti serve, Noёl?»
«Mio fratello e sua moglie sono stati ricoverati qui ieri sera.»
Il dottor Pierpaolo Masucci annuì con il capo, pensieroso.
«Non ne ero sicuro che fosse lui, accidenti. È passato troppo tempo dall’ultima volta che ho incontrato Gianni, è cambiato molto.» Spiegò il medico, guardando poi la ragazza qualche centimetro dietro alle spalle del capitano.
«Ah, scusami, lei è Andrea.» De Angelis le passò un braccio intorno alla spalla per spingerla in avanti. «È la sorella di mia cognata, nonché la mia compagna.»
Il dottor Masucci alzò lo sguardo da lei a lui, distendendo le labbra in un sorriso.
«Scommetto che vi siete innamorati il giorno del loro matrimonio. Entrambi testimoni di nozze, i preparativi, la noia, eh?! Gesù, ma da quanto tempo è che non ci vediamo io e te?!»
«In effetti, è da un bel po'…»
Andrea rimase in perfetto silenzio, arrossendo appena. Sentiva tutto il peso del braccio del capitano sulle sue spalle, ma avrebbe dovuto abituarsi, giusto?
La farsa era appena cominciata.
Il dottor Masucci annuì ancora una volta con il capo, mentre il sorriso andava scemando, quindi li invitò ad entrare nel reparto e a seguirlo nell’ufficio del medico di turno, di cui chiuse la porta.
«Pierpaolo, ho bisogno di parlare con Gianni e Claudia per la questione della bambina. Adesso è in un centro sociale ma non intendo lasciarla un giorno di più. Inoltre, vorrei che iniziassero un programma di recupero prima possibile.»
«Capisco, capisco. Ti dirò come la penso, in memoria della nostra vecchia amicizia. Tuo fratello e sua moglie hanno effettivamente bisogno di aiuto, se lasciati soli ricadranno nella tentazione e passare dall’alcol al fumo alla droga, quella vera, è un attimo!» Lo sguardo del medico si era indurito, non era più l’amico con cui stavano ciarlando fino a qualche secondo prima. «Io li avrei mandati a casa oggi stesso, paradossalmente stanno bene, i valori sono nella norma e abbiamo carenza di letti. Tuttavia, se a te fanno comodo un paio di giorni per organizzare il trasferimento alla clinica di cura, ti verrò incontro. A che servono gli amici, sennò?!» Masucci sorrise e Noёl rispose che gliene sarebbe stato grato. Poi gli mostro la brochure che gli aveva dato Danielle Greco la sera precedente, per chiedergli consiglio. «È un’ottima soluzione, forse la migliore della regione. Hanno un buon programma di recupero, sono molto ligi nelle regole, ma anche seri. Se si rendono conto che un caso è irrecuperabile, non perdono tempo e non amano lo spreco di soldi. Lo rimandano a casa in poche parole. Puntano sul buon nome, il loro obiettivo è recuperare quanti più pazienti possibili per tenere sempre alta la considerazione e la notorietà della struttura.»
«Ho un ultimo piacere da chiederti, Pier» Noёl attese che l’amico gli desse l’OK per proseguire. «Avremmo bisogno di parlare con loro. Entrambi, insieme.»
Pierpaolo Masucci fece cenno di sì con la testa, guardando Andrea e poi di nuovo il capitano.
«Sarò debitore alle infermiere per un mese, sai questo cosa significa?!»
«Spero non sia un lavoro troppo faticoso per te» scherzò De Angelis e tutti e due risero, poi il medico disse loro di aspettare lì qualche minuto. Sarebbe passato a chiamarli personalmente, quindi uscì dalla stanza e si richiuse la porta alle spalle.
Andrea Moretti teneva lo sguardo all’insù, puntato sul volto ancora divertito di Noёl.
«Che c’è?»
«Che battuta squallida: “Spero non sia un lavoro troppo faticoso”» Fece lei.
«Manchi di umorismo, lo sai?!»
«O forse non è così squallido come il tuo.» Andrea si adagiò con il bacino contro la scrivania, non voleva pensare al momento in cui avrebbe incontrato Claudia. «Avresti anche potuto evitare di dirgli che siamo una coppia. Secondo me, non ci ha creduto neanche per un momento.»
«Se vuoi convincere i tuoi nemici, devi prima convincere i tuoi amici.»
«Bella questa. Ve la insegnano all’Accademia?»
Noёl De Angelis fece per controbattere, ma proprio in quel momento la porta si spalancò e Pierpaolo Masucci fece segno di seguirlo. Li precedette lungo il corridoio del reparto, informandoli sullo stato di salute di Claudia e Gianni: stavano bene, erano collaborativi, ma anche nervosi poiché non avevano avuto notizie della propria bambina dalla sera precedente. Ovviamente, negavano di essersi ubriacati e di aver perso i sensi per diverse ore, quindi non poteva essere certo di come avrebbero reagito vedendoli. Finalmente si fermò davanti una porta chiusa, era l’ultima della fila e non aveva nessun numero sopra.
«Questa è la camera che usiamo per i deceduti che aspettano di essere trasferiti all’obitorio.» Il dottore dovette notare il volto di Andrea che impallidiva. «Mi dispiace, non sono riuscito a fare di meglio.»
Noёl gli strinse una spalla e gli allungò la mano.
«Hai fatto più del dovuto. Grazie amico, a buon rendere.»
Pierpaolo Masucci afferrò il palmo che De Angelis gli aveva teso e lo tenne stretto a lungo nel suo:
«L’invito al vostro matrimonio è il minimo che possiate fare per sdebitarvi» scherzò, congedandosi con una grossa risata.
Noёl e Andrea si scambiarono uno sguardo indecifrabile, forse alla fine il dottore aveva creduto alla loro storia d’amore, poi lui adagiò una mano sulla maniglia della porta e insieme entrarono.
 
La stanza dalla pianta quadrata era completamente spoglia, fredda, con le pareti dipinte di un verdino spento, il tutto corredato da un forte odore di disinfettante. La piccola finestra affacciava sul lato interno dell’ospedale, quello nascosto ai visitatori, il più recondito. I due letti erano stati adagiati alle pareti laterali, uno di fronte all’altro. Entrambi i pazienti vi erano seduti sopra, con le gambe allungate sotto le coperte e un lavaggio a ciascuno che terminava direttamente nella vena del braccio destro.
Claudia sgranò gli occhi quando vide sua sorella, sollevò le braccia in attesa che Andrea corresse ad abbracciarla. Le due ragazze si strinsero forte, piangendo silenziose. Noёl le guardò baciare una la fronte dell’altra, prima di strofinarsi la punta dei nasi. Claudia era più giovane di Andrea di ben tre anni, alcune ciocche del caschetto biondo e liscio erano appicciate al viso bianco e dal colorito malaticcio. Occhiaie profonde e grigie le infossavano gli occhi chiari nelle orbite. Erano l’una l’opposto dell’altra, non solo nei tratti somatici, ma anche caratterialmente. Il capitano l’aveva notato la prima volta che se le era trovate sedute di fronte, durante la cena per ufficializzare il fidanzamento di suo fratello.
«Fanno sempre così quelle due» disse Gianni dal suo letto. Noёl gli si accostò e lo guardò dall’alto. Anche lui, come la moglie, aveva un incarnato grigiastro. «Abbiamo fatto un bel casino questa volta» aggiunse, passandosi una mano sul volto.
«Già, bello grosso.» Gli fece eco Noёl e sentendo la sua voce impassibile, Andrea e Claudia si voltarono a guardarlo.
«Papà lo sa, gliel’hai detto? Ti prego, non farlo…» Lo supplicò Gianni, strattonandolo per una manica del cappotto. Noёl si tirò indietro, abbozzando una smorfia, infastidito da quel tocco.
«Ti preoccupi del giudizio di quel vecchio invece di dove sia tua figlia. Sei proprio il suo degno erede…»
«Perché? Dov’è Giorgia? Non è con te?» Claudia si rivolse direttamente a sua sorella, la quale abbassò il capo e fece qualche passo indietro. Se voleva portare a termine l’obiettivo per cui era lì, doveva evitare di guardare la sua sorellina diritta in faccia, o non ci sarebbe riuscita. Aveva sempre avuto un debole per lei, fin da quando era nata, forse perché i loro genitori erano relativamente anziani e completamente assorbiti dalle proprie mansioni da non avere il tempo di occuparsi di loro. Si era sempre sentita responsabile della sua incolumità, fallendo.
«Sarò franco e diretto il più possibile, in modo che voi capiate la situazione e la sua gravità. Prima lo farete, prima potremmo andarcene da qui.» Noёl spostò lo sguardo dal fratello Gianni alla cognata Claudia. «Mi seguite?» I due pazienti annuirono. «Giorgia sta bene, adesso è in centro sociale in attesa che venga affidata a noi. Ce ne prenderemo cura mentre voi sarete ricoverati alla clinica “San Nicola” per alcolisti e tossicodipendenti.»
«Che cosa?» Gianni si agitò. «Noi non abbiamo bisogno di alcun centro di recupero! Stiamo bene! Eravamo solo stanchi!»
«Stanchi? Eravate morti! E avete permesso una cosa del genere con una bambina di cinque anni in giro per casa!» Tuonò Noёl contro il fratello.
«E chi dovrebbe prendersi cura di Giorgia? Tu? Tu, che non sai neanche cosa significa amare qualcuno? Essere parte di una famiglia?!»
«Lo so cosa stai cercando di fare, lo so benissimo. Ma non cadrò nella tua trappola, sono venuto qui solo per informarti che tra un paio di giorni verrete spostati al centro di recupero di Como.» Noёl gli lanciò il depliant della struttura in grembo.
«Voglio parlare con papà.» Disse Gianni chinando il capo, simile a un bambino capriccioso.
«Hai paura che non ti versi più gli alimenti?» Ribatté Noёl sarcastico.
«Andy, ti prego, non permettergli di rinchiuderci. Non siamo malati, è capitato una volta. Gianni ha ragione, eravamo stanchi, abbiamo bevuto un goccetto in più e Giorgia stava bene, l’avevo messa a letto. Andy, ti prego…» Claudia piangeva, tendendo le braccia verso la sorella. Andrea teneva il viso puntato sul pavimento, bagnato a sua volta dalle lacrime, sapeva che alzandolo sarebbe corsa incontro alla sua sorellina e non avrebbe permesso che fosse internata in quella casa di cura. Piuttosto si sarebbe trasferita a casa sua per tenerla d’occhio, licenziandosi se fosse stato necessario, sacrificando la sua intera esistenza solo per lei. Tuttavia, la sua parte più razionale sapeva benissimo che non sarebbe servito a nulla, che sua sorella e suo cognato avevano bisogno di un aiuto diverso e lei non poteva darglielo. Non ne aveva le competenze, né la forza d’animo. Né tantomeno i soldi.
«Mi dispiace Clà, mi dispiace tanto» riuscì solo a dire.
«Non ascoltarlo, Andy!» Intervenne Gianni, comprendendo che l’ago debole della bilancia era lei. «Mio fratello sa essere molto bravo a convincere le persone a fare ciò che vuole lui. Le manipola a suo piacimento. Tu adesso credi che l’unica soluzione possibile sia farci rinchiudere per mesi e mesi, lontano da nostra figlia, ma non è così. Non pensi a Giorgi?! Come farà senza la sua mamma?!»
Quelle ultime parole ebbero su Andrea Moretti l’effetto di un pugno. Alzò lo sguardo su De Angelis:
«Potrei occuparmene io. Potrei trasferirmi a casa loro il tempo necessario per la riabilitazione e prendermi cura di-»
«No!» Fu la risposta tassativa di Noёl che non si voltò neanche a guardarla. «Abbiamo deciso che seguiranno un programma di recupero come si deve!»
«Tu l’hai deciso!» Esclamò Andrea e questa volta lui la fissò, sembrava deluso.
«Ecco! Lo sapevo!» Intervenne Gianni, mentre i due continuavano a osservarsi in cagnesco. «Lui è geloso di me e del mio matrimonio. E adesso vuole impossessarsi anche di mia figlia! La vuole tutta per sé! Ce la toglierà, Andy, ci porterà via la piccola Giorgi!»
«Ci prenderemo cura di Giorgia entrambi. Nessuno ve la porterà via.» Spiegò infine Andrea, distogliendo finalmente gli occhi castani da quelli azzurri di Noёl. Non sarebbe mai riuscita a reggerne il confronto.
«Oh mio Dio, siete d’accordo!» Sbottò Gianni, continuando ad agitarsi nel suo letto. «Cristo Santo, Claudia! Sono d’accordo!»
«Andy, perché mi stai facendo questo? Io non ti avrei mai fatto una cosa simile!» Pianse Claudia.
«Prima accetterete le circostanze, prima uscirete da questa situazione. Essere collaborativi ora è la migliore scelta che possiate fare. Verremo a farvi visita, con Giorgia.» Concluse Noёl, sfiorando il braccio di Andrea per invitarla a seguirlo fuori dalla stanza.
Claudia scoppiò in un pianto isterico, coprendosi il volto con le mani, mentre Gianni non riusciva a dimenticare il tocco a cui aveva appena assistito tra suo fratello e sua cognata. Da quando quei due erano in confidenza tale da sfiorarsi?
«Cristo Santo, te la scopi?!» Esordì, incredulo. Claudia, dall’altra parte della stanza, alzò la testa. «Da quanto tempo va avanti questa cosa? A nostra insaputa poi? Eh, Noёl, da quanto ve la spassate insieme?!»
«Andiamo via, qui abbiamo finito» disse Noёl aprendo la porta e lasciando che Andrea fosse la prima a oltrepassare la soglia.
«Ti piace il cazzo del capitano De Angelis, eh An-dy?» Urlò ancora Gianni, scandendo le ultime sillabe.
Andrea sgranò gli occhi per la vergogna, rossa in volto fece per rientrare nella stanza, ma Noёl le ostruì il passaggio, voltandosi un’ultima volta indietro:
«Mi vergogno di essere tuo fratello.» Furono le ultime parole pronunciate, quindi richiuse la porta.
 
Nessuno dei due aprì bocca per tutto il tragitto che li condusse al SUV, neanche quando l’auto uscì dal parcheggio sotterraneo e si immise nel traffico cittadino. Sebbene ci fosse il sole, le temperature erano fredde e in ogni caso le previsioni meteo quella mattina davano una perturbazione in arrivo in serata.
Noёl De Angelis rallentò in prossimità di un semaforo arancione e si fermò del tutto quando scattò il rosso, dietro di lui le altre macchine cominciavano già ad accodarsi. Osservò la ragazza seduta alla sua destra, non aveva detto nulla da quando avevano lasciato quella camera d’ospedale, ostinandosi a tenere gli occhi puntati sulla strada. L’uomo si chiese se la vedesse davvero, la strada e i passanti, gli alberi e le vetrine dei negozi, o se la mente vagava lontano. Si schiarì la voce, sperando di distrarla dai suoi pensieri, ma nulla, allora non gli restò che parlare.
«Ti chiedo scusa da parte di mio fratello.» Iniziò. Andrea non si voltò a guardarlo, ma perlomeno parlò, scuotendo il capo.
«Non è per quello che sono amareggiata» ammise. «Lavoro in un pub, di notte, preparo cocktail a uomini di ogni età e sono abituata a sentirmene dire di ogni, fidati. Mi sento in colpa nei confronti di Claudia. È come se l’avessi abbandonata. E se potessi aiutarla senza mandarla in una clinica? E se davvero Giorgia avesse bisogno dei suoi genitori e non di una coppia male assortita di zii?»
«Una cosa è la mancanza di rispetto da parte degli sconosciuti, un’altra da una persona cara.» Le fece notare Noёl. «In circostanze diverse, se non fosse costretto in un letto d’ospedale, gli avrei sferrato un pugno.»
Andrea alzò lo sguardo, meravigliata da quelle parole. Davvero lo avrebbe fatto? Per quale motivo? Difendere il suo onore o il proprio? Fu tentata di chiederglielo e lo fece:
«Per difendere il mio onore di fanciulla o il tuo buon nome?»
Noёl De Angelis sorrise, poi partì lentamente quando il semaforo si illuminò di verde.
«Vedi che sai essere spiritosa quando vuoi?!» Mise la freccia e svoltò a destra, prossima fermata Centro “La Fata” «Tornando al discorso della clinica, è l’unica soluzione. Le persone come loro non vedono la situazione per quella che è realmente, la sua gravità. Non si sono neanche resi conto di quanto tempo siano rimasti senza sensi. Non avresti potuto aiutare Claudia, fidati.»
Andrea tornò a chinare la testa.
Fidarsi… non aveva mai potuto fidarsi di nessuno nella sua vita, solo di se stessa. Non era abituata a fare affidamento sugli altri, ma quella volta non aveva scelta. I suoi genitori erano ultrasessantenni e vivevano a diversi chilometri di distanza da Milano, costringerli ad affrontare una situazione sgradevole e deprimente come quella di Claudia era un accanimento bello e buono. Meglio lasciarli vivere nella convinzione che le loro due figliole stavano più che bene.
«Tu e Gianni siete fratellastri, giusto?» Chiese poi, di nuovo, come la sera precedente gli aveva domandato se lui e l’avvocato erano mai stati insieme, anche ora la bocca si era mossa da sola e si stava impicciando di cose che non la riguardavano.
«Esatto. Abbiamo lo stesso padre, ma figli di madre diversa. Io sono nato dal primo matrimonio, da madre francese. È morta quando avevo diciassette anni, ma lei e mio padre, il maggiore Giorgio De Angelis, erano già divorziati. All’epoca Gianni aveva tre anni.»
«Il tuo nome è francese, allora. Noёl, significa Natale…» Disse Andrea, quasi come se stesse parlando tra sé.
«Sì. Vuoi sapere come si sono conosciuti i miei? È molto romantico…»
Andrea tornò a guardarlo, lui stava sorridendo mentre teneva gli occhi fissi sulla strada.
«Mio padre era stato mandato in missione in Congo, nel 1978 c’era la guerra civile lì. La sua era una missione umanitaria, ma contrasse una brutta febbre e venne mandato all’ospedale da campo più vicino. Qui, mia madre era capo infermiera e, indovina un po’, i due finirono per innamorarsi. Tornati in Europa, mio padre si recò in Francia e chiedere la sua mano. Si sposarono e vennero a vivere qui in Italia. Fu un matrimonio felice, fin quando il maggiore De Angelis non si invaghì di una cameriera…»
«La mamma di Gianni» terminò per lui Andrea.
«La mamma di Gianni, brava. Sei un tipo sveglio» scherzò ancora Noёl. «Mia mamma mi prese per mano, avevo circa sei anni, e raggiungemmo una sua cugina che viveva già da tempo a Rho, in una bella villa in fondo a una stradina di campagna…» Il capitano le lanciò uno sguardo, in attesa che mettesse insieme i pezzi, ma Andrea continuava a guardarlo aspettando che lui continuasse il racconto. Non c’era arrivata. «Sei un tipo sveglio, ma non troppo. La cugina di mia madre, anche lei francese, ci ospitò, sebbene avesse un marito avvocato e una figlia a cui badare, di nome Danielle…»
Questa volta la giovane spalancò gli occhi.
«Quella Danielle?»
Noёl rise e confermò, ormai mancava poco all’arrivo.
«Tu e l’avvocato siete parenti?»
«Cugini di secondo grado, credo.»
Andrea chinò il capo, era arrossita ripensando alla domanda che gli aveva fatto la sera precedente. Ecco spiegato il motivo per cui la donna conosceva così bene la famiglia De Angelis, i baci sulla guancia, la confidenza: erano imparentati.
Allora perché lui le aveva risposto in quel modo?
Si vergognava come un’adolescente al suo primo appuntamento.
«E prima che ti faccia strane idee, io e Danielle non siamo mai stati insieme. Inoltre, lei è gay…» Noёl parcheggiò nello spiazzo antistante il palazzo ottocentesco e spense il motore.
«È gay? Davvero? Ha una compagna?»
«Una moglie a dire il vero. Si sono sposate in Spagna qualche annetto fa.» Aprirono gli sportelli dell’auto all’unisono e abbandonarono l’abitacolo.
«Che cosa romantica!» Esclamò Andrea, seguendo il capitano lungo il marciapiede. «Una famiglia in cui non ci si annoia mai, la tua» aggiunse la ragazza.
«Purtroppo…» concluse lui, bussando al campanello della cooperativa sociale.
 
 
La coordinatrice del Centro Sociale “La Fata” era una donna sulla sessantina, bassina e con i capelli corti e scuri, decisamente troppo tonda per i suoi pochi centimetri di altezza. Li accolse con una gentilezza plateale, di circostanza, ascoltando le vicissitudini dei suoi interlocutori e leggendo parola per parola il certificato di convivenza che Andrea Moretti le porse.
Quando ebbe finito la lettura, chiese ad entrambi se desiderassero un caffè, ma questi rifiutarono. Ciò che desideravano, dissero, era solo prendere la piccola Giorgia con loro e andare via. Peccato che la donna sembrava volerla portare per le lunghe.
«Quindi convivete da cinque anni tondi tondi. Incredibile. Una vera coincidenza.»
«Cosa è una vera coincidenza?» Chiese Andrea sulla difensiva.
«No, dico: una vera fortuna, considerando il fatto che la legge prevede l’affido solo alle coppie che siano conviventi da un minimo di cinque anni.» Silenzio. La coordinatrice zuccherò il suo caffè e vi immerse il cucchiaino. «Quindi, siete entrambi gli zii di questa bambina i cui genitori sono rispettivamente sua sorella e suo fratello.» Continuò, indicando prima l’una poi l’altro.
«Sì, proprio così. Che coincidenza, vero?» Fece Noёl.
«Proprio una buffa coincidenza. E come vi siete conosciuti?»
«A una festa.» Rispose Andrea.
«Al mare.» Disse in contemporanea il capitano De Angelis, il quale precisò. «A una festa al mare.»
La donna mosse il capo su e giù un paio di volte, studiandoli attentamente da sopra la propria tazzina fumante.
«Al mare? Dove, precisamente?»
«In Versilia.» Rispose questa volta la giovane ragazza. «Io sono originaria di lì e lui ha una villa estiva dove di solito si reca per le vacanze.»
Era vero, ma stava praticamente descrivendo l’incontro tra Claudia e Gianni.
«E che lavoro avete detto che svolgete?» Chiese ancora la donna.
«Io sono Capitano della “Scuola Militare Caserma di Teulié” di Milano. Lei lavora come cameriera a un pub.»
«Barista.»
«Prego?» Fece la coordinatrice, immediatamente sull’attenti.
«Come barista, non cameriera. Al “London Pub of Milan”. È famoso qui in zona. Non lo conosce?» Spiegò Andrea.
«No, spiacente.» Fu la risposta della donna. «E come pensate di organizzare i vostri orari? Prendersi cura di una bambina non è cosa da poco. Le vostre vite saranno sconvolte.»
«Lei smetterà di lavorare e si occuperà di Giorgia.» Rispose Noёl beccandosi un’occhiataccia da parte di Andrea.
«Come scusa? Io non smetterò di lavorare, perché non resti tu a casa?»
«Io? Non essere ridicola!» I due si fissarono assottigliando gli occhi, la donna seduta di fronte a loro osservò in silenzio, prima di girare il coltello nella piaga:
«Come mai non avete figli?»
Andrea e Noёl si voltarono allo stesso momento verso la coordinatrice, l’espressione di chi non ha capito bene la domanda.
«Stando al certificato, convivete da cinque anni, fidanzati da… già, da quanto tempo siete fidanzati?»
«Sette» rispose prontamente Andrea, prima che potesse farlo anche il capitano De Angelis.
«Sette più cinque fa dodici. Vi conoscete da dodici anni?»
«Sette» precisò Noёl. «Sette anni in tutto che stiamo insieme» specificò poi.
«Sette anni. Quindi, due da fidanzati e cinque da conviventi. E non avete mai pensato di avere un figlio?»
I due la fissarono per qualche secondo, non sapendo bene cosa rispondere. Se avessero detto che non volevano figli, la donna avrebbe potuto pensare che non amavano i bambini e quindi come si sarebbero potuti prendere cura di Giorgia? Noёl aprì la bocca per parlare, ma Andrea lo precedette, di nuovo.
«Veda, signora coordinatrice, come tutte le coppie desideriamo tanto un figlio, semplicemente non ci sentiamo ancora pronti. Ci piace l’idea di goderci la nostra storia, di viaggiare e vedere il mondo, arriverà il giorno in cui ci fermeremo per mettere su famiglia, ma per ora stiamo bene così.» Andrea allungò la mano e la posò su quella di Noёl, il quale intrecciò le dita alle sue. «Questa però è una situazione d’emergenza. Giorgia ha bisogno dei suoi zii, che la amano e la conoscono bene. Inoltre, sappiamo che si tratta di un momento transitorio, che non durerà per sempre. Siamo qui per aiutare lei, ma non solo. Sono stati i nostri stessi fratelli a chiedercelo. Chi meglio di noi può prendersene cura?»
La coordinatrice osservò Andrea per qualche istante, senza abbassare mai lo sguardo, né lei tremò. Noёl si portò la sua mano alle labbra e ne baciò il dorso. Un bacio lungo, profondo, sentito. Andrea arrossì, sforzandosi di non dare a vedere tutto il suo imbarazzo di fronte alla donna, la quale finalmente si mise in piedi e disse loro di scusarla un attimo, sarebbe tornata a breve con la documentazione da firmare.
«Possiamo portarla a casa con noi?» Chiese il capitano.
«Sì.» Fu la risposta sbrigativa della donna che uscì dall’ufficio, lasciandoli soli.
Andrea e Noёl si sorrisero e si strinsero in un abbraccio alquanto goffo, impacciato, sciogliendo poi l’intreccio delle dita e guardando in direzioni opposte, entrambi a disagio.


 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Giorgia De Angelis ***



Capitolo 4
Giorgia De Angelis


 
 
Giorgia De Angelis era una bambina di cinque anni, magrolina e con grandi occhi color nocciola che tendevano al verde scuro nelle belle giornate. Suo zio Noёl non ci aveva mai fatto caso, ma erano identici a quelli della zia materna Andrea. In realtà, le due si somigliavano molto, decisamente più di quanto la piccola ricordasse la mamma. Anche il loro rapporto era speciale, viscerale quasi, parevano capirsi al volo e riuscivano anche a scherzare insieme. Più di una volta, durante i quasi tre mesi di convivenza, il capitano si chiese come fosse possibile che una bambina di cinque anni e una donna di ventotto riuscissero a essere così complici in tutto ciò che facevano. Dallo scegliere cosa vedere in TV, al cibo, fino addirittura alle battute di Andrea che Giorgia sembrava comprendere benissimo. E ridevano. Ridevano tanto.
Andrea Moretti era stata molto brava a spiegare alla piccola la situazione, senza spaventarla più del dovuto, trovando le parole giuste da dire ed evitando quelle troppo complicate per lei. Noёl avrebbe messo su una scusa qualunque e via, se Giorgia gli avesse creduto bene, altrimenti pazienza.
Invece, la sua quinquennale convivente (almeno sulla carta), si era seduta sui sedili posteriori della BMW, tenendo stretta a sé la piccola Giorgi – come era solita chiamarla – e raccontandole quello che era successo e ciò che sarebbe accaduto nei giorni a venire. La bambina l’aveva ascoltata, senza piangere neanche una volta, porgendo domande giuste per la sua età, la sua unica preoccupazione per il momento sembrava essere quella di non poter vedere la mamma e il papà.
La zia, però, le aveva promesso che li avrebbero telefonati tutti i giorni e che, se i medici lo ritenevano opportuno, sarebbero potuti andare trovarli nel fine settimana.
«Ma tu devi lavorare, zia Andy» le aveva fatto notare Giorgia.
«Chiederò un giorno di riposo» su quello la giovane aveva mentito. Si era già presa una settimana di pausa per stare al fianco della nipotina. Infatti, nonostante fosse con persone che conosceva bene, il cambiamento era radicale e non le andava di lasciarla da sola, soprattutto la sera, quando i demoni si animavano nelle ombre lungo i muri.
 
Giorgia De Angelis, che doveva il suo nome al nonno Giorgio, fissò gli occhietti vispi sulla strada che si dipanava davanti a sé e ad Andrea si strinse il cuore: così piccola, così indifesa, eppure già pronta ad affrontare le difficoltà della vita. Quando la coordinatrice del centro sociale si era ripresentata nell’ufficio con le carte da firmare, aveva portato con sé la bambina, tenendola per mano. Andrea aveva trattenuto le lacrime per miracolo: Giorgia sembrava già deperita, con addosso un pantaloncino di velluto a costine e un maglioncino verde. Quegli abiti non le appartenevano, non erano i suoi. Abiti usati che evidentemente le avevano dovuto mettere per pulirla.
Adesso, osservandola dall’alto, l’emozione tornò prepotente. Sentendola fisicamente fra le sue braccia si sentì invadere da un sentimento che non aveva mai provato prima, era un miscuglio di paura per quello che sarebbe potuto accadere e il sollievo di tenerla lì, al sicuro. E al sicuro si sentiva anche lei: non era sola. Non questa volta. Calde lacrime bruciarono agli angoli degli occhi, adagiò il mento sul capo della bimba e guardò dritto davanti a sé. Le strade di Milano erano un viavai di macchine, di pedoni indaffarati, di lavavetri ai semafori. Intercettò lo sguardo di Noёl che le osservava entrambe attraverso lo specchietto retrovisore. Si sorrisero in maniera quasi impercettibile, sussurrandosi tacitamente un “ce l’abbiamo fatta”.
 
Andrea Moretti non era mai stata a casa del capitano Noёl De Angelis, ovviamente, e perché avrebbe dovuto? Non sapeva bene cosa aspettarsi, come immaginarla, perciò non si meravigliò di ritrovarsi in un moderno appartamento alle porte della città milanese.
Il bilocale era sito all’ultimo piano di un complesso costruito appena otto anni prima, vi si accedeva direttamente dai garage sotterranei e poteva contare su un’ampia balconata che abbracciava l’intero stabile. Il giardino interno era curato e scoperto, al centro del quale troneggiava una fontana in stile giapponese, sul cui fondo azzurro vi erano disegnati dei pesci rossi così perfetti da sembrare reali.
Il cuore della giovane barista aveva accelerato i battiti nel momento in cui lui le aveva annunciato che erano arrivati. Era stata così presa dalla presenza di Giorgia, dal sollievo di tenerla al suo fianco, che aveva quasi dimenticato il particolare che da quel momento avrebbe vissuto a casa di Noёl.
L’appartamento era in penombra, le tende scure erano state chiuse e aprirle per far entrare la luce del giorno fu la prima cosa che il padrone di casa fece, rivelando un open space spazioso e in stile industrial: cucina grigio scuro, una penisola corredata di sgabelli e sulla parete di fronte un divano di pelle marroncina, posizionato proprio dinnanzi una televisione grossa quanto lo schermo di un cinema.
Una decina di scale, in legno e ferro battuto, conducevano al piano superiore.
Notando che la ragazza guardava proprio quest’ultime, Noёl cominciò da lì:
«Di sopra c’è la mia camera da letto e un bagno. Questa è la cucina, lì c’è il mio studio e dall’altra parte il secondo bagno.»
«Quella è anche la mia cameretta!» Esclamò Giorgia, indicando la stanza che lo zio aveva presentato come il suo studio.
«Vero!» Annuì quest’ultimo prendendo la bambina in braccio.
Andrea rimase immobile, aveva di nuovo la sensazione di sentirsi piccola e ingombrante in contemporanea, la borsa con i suoi abiti stretti in una mano, senza sapere cosa fare o dire. Non avrebbe mai potuto funzionare, quella non era casa sua e non l’avrebbe mai avvertita come tale. Era fredda. Lo stile in cui era arredata era senza calore, senza emozioni, proprio come il suo padrone, come lo aveva sempre avvertito. Sentito.
«Andrea?»
«Eh?»
La ragazza parve svegliarsi da un sonno a occhi aperti, Noёl si era avvicinato allo studio, ne aveva aperto la porta e acceso la luce.
«Zia Andy?» Giorgia la stava tirando per una mano. «Vieni a vedere la mia stanza!» La incitò e la ragazza si sforzò di sorridere seguendola.
La stanza era effettivamente uno studio, con una scrivania occupata da un pc portatile, un portapenne e un calendario dell’esercito italiano appeso alle spalle. Ma ciò che risaltava agli occhi era l’ampia biblioteca che raccoglieva decine e decine di libri, dai classici ai romanzi più moderni. Andrea lesse alcuni titoli, accarezzandone il dorso con occhi sognanti, manco fossero l’addome di un amante. Noёl lo notò, ma preferì non dire nulla per il momento.
Giorgia si sdraiò sul lettino contro la parete, a sinistra della porta, lindo e pinto con il copriletto di Frozen.
«Zia Andy, ti piace il mio letto?»
«Bellissimo!» Si sforzò di sorridere la ragazza.
«Potreste dormire insieme, poi se la cosa dovesse prolungarsi, potrei comprare un letto a castello» Disse il capitano.
«Andrà benissimo. Noi dormiamo sempre insieme quando si ferma a casa mia, vero Giorgi?» Aggiunse Andrea, sedendosi sul letto con la bambina che afferrò un libro dallo scaffale: Il Piccolo Principe.
«Me lo leggi stasera? Con zio sono arrivata qui!» La piccola aprì il piccolo volume dove aveva lasciato il segno l’ultima volta.
«Bisogna andare a prendere abiti puliti a casa di Gianni» le interruppe il capitano e Andrea lo guardò, rendendosi conto solo in quel momento che effettivamente la bambina non aveva ricambi.
«Vado io, ho le chiavi. Voi mettetevi comode. Giorgia, fai vedere tu il resto della casa alla zia Andy?»
«Sììì!» Urlò la bambina saltando giù dal letto con un pugno alzato al cielo, in segno di vittoria.
 
*
 
Come era prevedibile, la piccola Giorgia si era addormentata subito dopo aver cenato.
Andrea le posò un bacio sulla testa, lasciandole accesa la lampada da pavimento ritta nell’angolo più in alto della stanza, vicino alla finestra. Una dolce luce soffusa le illuminò il dolce visino e la tennero al riparo dai sogni cattivi.
Le previsioni meteo avevano avuto ragione riguardo quella giornata: il maltempo era arrivato e adesso Milano era sepolto sotto una fitta pioggia.
Quando la ragazza tornò in cucina la trovò vuota. Noёl non c’era più, e neanche i piatti e i bicchieri sporchi che aveva lasciato sul lavandino prima di mettere a letto Giorgia. Si chiese se fosse salito al piano superiore, poi uno spiffero di aria fredda la fece rabbrividire e notò la portafinestra socchiusa, la tenda che ondeggiava piano pareva chiamarla, dirle di avvicinarsi. Lo fece, uscì sul terrazzo e lo trovò seduto sul dondolo a fumare un sigaro, mentre nell’altra mano teneva un bicchiere di liquore. A giudicare dal colore ambrato doveva essere whisky. In fondo, pensò Andrea, il capitano Noёl De Angelis era un tipo da whisky, di quello più pregiato, di quello solitario. Si era rasato e alcune ciocche dei capelli umidi gli ricadevano in avanti, alla luce della notte parevano più scuri, quasi dello stesso colore del liquore che stava sorseggiando. Aveva indossato un comodo maglioncino marrone e un pantalone della tuta mimetico, probabilmente dell’esercito. Lo osservò spegnere il sigaro nel posacenere e giocherellare con il bicchiere di vetro con entrambe le mani, il ghiaccio tintinnò.
Andrea si rese conto di sentirsi terribilmente a disagio, quasi non fosse all’altezza di trovarsi lì, ad assistere a quello spettacolo, come se avesse violato la sua privacy. Gettò il pollice all’indietro e fece per parlare, balbettando:
«Vo-volevo solo dirti che vado a dormire anche io.»
«Domani mattina Gianni e Claudia verranno trasferiti.» Annunciò lui, nel suo classico modo di parlare atono, eppure la ragazza lesse un velo di tristezza nei suoi occhi chiari. Che fosse rimpianto il suo? Semplice stanchezza?
Un lampo illuminò di viola il cielo scuro, seguito dal rimbombo di un tuono. La pioggia aumentò la sua portata, ma il terrazzo coperto li tenne all’asciutto, sebbene il freddo si facesse sentire senza troppi complimenti e la ragazza stava letteralmente gelando. Ripensò al calduccio dentro casa, a una doccia bollente che non vedeva l’ora di farsi per sciogliere i nervi e lo sporco che si portava dietro dalla giornata appena trascorsa, invece non riusciva a muoversi dal suo posto.
Noёl De Angelis non le era mai piaciuto, ma non in senso negativo.
Caratterialmente Andrea non riusciva a legare con chi la metteva a disagio, nel bene e nel male, e il capitano era uno di questi.
 
L’aveva conosciuto per la prima volta in Versilia, durante la cena per ufficializzare il
fidanzamento tra Claudia e Gianni, il secondogenito dell’illustre maggiore De Angelis. Erano stati invitati nella villa di quest’ultimo, una delle più belle dell’Alta Versilia, di quelle che per una vita intera i suoi umili genitori avevano solo potuto ammirare da lontano, neanche sognare di poterne un giorno varcare la soglia da invitati e non da domestici. Le avevano fatto il lavaggio del cervello, letteralmente, sul comportarsi bene ed essere educata, senza uscirsene con una delle sue solite battute inadatte alla situazione. Soprattutto, Andrea aveva sentito nominare così tante volte il nome di Noёl che era diventato quasi una figura astratta, una specie di idolo che non avrebbe mai conosciuto di persona. Invece, proprio quella sera, Gianni glielo aveva presentato, e lei ne era rimasta affascinata, più per le storie che le avevano raccontato che per la sua sola presenza – che pure meritava!
Erano i primi di settembre, le temperature ancora miti e piacevoli, il mare calmo espandeva in tutta la casa un buon odore di estate, di felicità. Il capitano teneva allora i capelli più corti e una barbetta curata, era un trentenne consapevole dalla sua avvenenza, del ruolo che ricopriva, uno di quegli uomini che quando entrava in una stanza la riempiva completamente. Aveva un che di fiero, come un felino, un giovane leone.
Era diverso da Gianni, un ragazzo quest’ultimo più semplice, anonimo nel volto e nei colori del bruno, la fotocopia perfetta della madre. Claudia le aveva rivelato che il maggiore De Angelis aveva tradito la moglie con la domestica, di quasi quindici anni più giovane. La moglie, una francese, aveva preso con sé il loro bambino ed era andata a vivere a casa di una cugina, ma si era poi ammalata di cancro ed era morta.
Nessuno, tuttavia, sospettava che tra Giorgio De Angelis e il suo primogenito non corresse buon sangue. Lo avrebbero scoperto a proprie spese.
Noёl era irriverente, impertinente, con la battuta sarcastica sempre pronta e quell’aria da eterno infastidito dalla presenza altrui. Si era presentato scherzando sul fatto che Andrea avesse un nome maschile, senza preoccuparsi di offenderla o di sembrare scortese. La stessa cosa era accaduta durante la cena, quando Gianni e Claudia non solo avevano annunciato che presto si sarebbero sposati, ma che lei era anche incinta. Il primo figlio del capitano era scoppiato a ridere, rischiando di rovesciarsi addosso il calice di champagne che teneva in alto e con il quale stavano brindando alla nuova coppia, prima della loro ulteriore rivelazione.
«Noёl!» Lo aveva rimproverato suo padre, impassibile seduto a capotavola, ma suo figlio aveva continuato a ridere, allontanandosi dalla tavolata. «Torna qui! Noёl!» Il ragazzo aveva quasi raggiunto il terrazzo che dava sul mare. «Noёl, non abbiamo ancora finito di cenare e ci sono degli ospiti!»
«Ospiti? Quali ospiti? Siamo tutti una grande famiglia ora!» Aveva esclamato lui voltandosi indietro e spalancando le braccia come a voler abbracciare i presenti.
«Noёl, torna qui! È un ordine!»
Qualcosa improvvisamente era scattato, mutato, simile al vento che cambia rotta. Il riso, seppur sardonico, era scomparso dal viso del giovane capitano.
«Non sei al cospetto dei tuoi soldatini. Non hai il potere di darmi ordini! Non qui! Non in questa casa!»
Il maggiore De Angelis era scattato in piedi e dato un pugno sul tavolo, rovesciando bicchieri e facendo volare le forchette sul pavimento. Sua moglie, la giovane cameriera che aveva sposato dopo essere rimasto vedevo, lo invitò a calmarsi, mentre gli altri commensali chinavano la testa imbarazzati.
Andrea Moretti, seduta al fianco di Gianni, lo sentì blaterare qualcosa fra i denti, mentre fissava la figura di spalle del suo fratellastro:
«Pezzo di merda!»
Lei tacque.
Diversi minuti dopo che la cena era giunta al termine, la ragazza era uscita sul terrazzo per prendere una boccata d’aria, trovandovi Noёl appartato in un angolo in penombra. Era convinta che fosse andato via, o al massimo rinchiuso in una stanza al piano di sopra, poiché era passata quasi un’ora dalla litigata. Invece, lui era ancora lì, con il nasò all’insù e le mani nascoste nelle tasche dei bermuda chiari.
«Oh, scu-scusami. Vado via» Aveva balbettato Andrea, pronta a fare dietrofront, poi lui le aveva detto di rimanere, quindi si era mosso verso di lei, osservandola – scrutandola – con quel suo fare superficiale, annoiato, avvilito. Le era passato accanto, senza smettere di fissarla, fino a sparire all’interno della casa.
Andrea aveva tirato un lungo sospiro, non si era neanche resa conto che stava trattenendo il fiato. Da allora si erano incontrati per altre cerimonie di famiglia, a volte lei era accompagnata, al contrario di lui che si era presentato sempre da solo.
 
Era incredibile come quella scena passata, di lei che esce sul terrazzo e vi trova lui e perciò vorrebbe tornare indietro, sparire, fosse dannatamente simile alla presente. Cosa le aveva appena detto? Ah sì, Claudia e Gianni sarebbero stati trasferiti alla clinica per tossicodipendenti e alcolisti il giorno successivo. Meglio così.
«Prima cominciano, prima ne usciranno» commentò lei e lo vide abbozzare un sorriso amaro.
«Dici?»
«Lo spero. Per Giorgi, quantomeno.»
«Quella bambina non se li merita due genitori così.»
Quell’affermazione spiazzò Andrea. Non ci aveva mai pensato, ma era vero. Aveva ragione. Un nuovo tuono, questa volta più forte, la destò da quei pensieri.
«Puoi prendere quello che preferisci dallo studio» disse il capitano, prendendola alla sprovvista. Non capiva. «Ho notato come guardavi i libri. Ti piace leggere?»
«Molto» fu la risposta di Andrea, gli occhi puntati verso l’orizzonte. Cavolo, i romanzi erano la sua vita, o meglio: lo erano stati e avrebbe tanto voluto farne un impiego a tutti gli effetti. Invece, arrivata a Milano si era ritrovata a lavorare come barista in un pub notturno.
Che squallore!
Eppure, la giovane non si era mai sentita una fallita. Grazie a quell’occupazione, iniziata con l’idea di pagarsi gli studi e finita per diventare un lavoro a tempo pieno, poteva permettersi una casa, piccola ma dignitosa, e una vita decente. Essere indipendente.
«Non si direbbe» continuò lui, voltandosi a guardarla. Indossava ancora il jeans e il maglioncino rosa chiaro, ma i capelli erano sciolti e le treccine le incorniciavano il viso pallido, simili a un velo. L’orecchio sinistro era tempestato da cerchietti dorati, mentre al lobo destro c’erano due brillantini. Noёl si chiese chi fosse quella ragazza, un’estranea in casa sua, alla quale – esteticamente parlando – non avrebbe permesso di mettere piede neanche per riassettare l’appartamento. Ora, invece, avrebbe dormito nel suo studio, fatto la doccia nel suo bagno, mangiato alla sua stessa tavola.
Quando l’aveva conosciuta, ormai sei anni addietro, Andrea era una giovane donna di ventidue anni, con lunghi e lisci capelli castani da farla sembrare una madonnina, senza trucco, e indosso un lungo vestito a fiori nei toni del blu. A occhio e croce, le avrebbe dato quindici anni.
«Dovresti imparare a non giudicare dalle apparenze, capitano De Angelis» fece lei, tra l’infastidito e il risentito.
Come si permetteva? In fondo, non la conosceva neanche un po’.
«Hai ragione, questa è una delle mie pecche, lo ammetto.» Noёl si rilassò con le spalle contro lo schienale morbido del dondolo, il bicchiere di whisky ancora in mano e non finito. «Sentiamo allora, qual è la tua storia? Io ti ho raccontato la mia.»
«Non era la tua, era quella di tua mamma» Andrea incrociò le braccia sotto al seno, nonostante fosse magra portava una terza abbondante, puntellandosi contro lo stipite della portafinestra, sempre più infreddolita. Dall’aria, certo, le temperature non superavano i 10° C, ma anche dalle circostanze.
«È la stessa cosa» controbatté De Angelis. La ragazza ne dubitava, però lo tenne per sé, soppesando l’idea di aprirsi a lui, di confidargli da dove era partito il suo vivere piatto, il suo non raggiungimento dei sogni.
«Mi sono trasferita a Milano a venti anni, dopo le scuole superiori. Diploma classico.» Chiosò Andrea e sorrise quando lui fischiò a mo’ di complimento. «L’idea era quella di laurearmi in scienze della comunicazione e poi che so’: lavorare per un giornale, una rivista. Scrivere romanzi…» lasciò quell’ultima frase in sospeso. Faceva ancora male pensare a quel sogno nel cassetto che non si sarebbe mai avverato. Noёl sollevò un sopracciglio, pareva realmente meravigliato. «Ma i miei non potevano permettersi una figlia all’università, figuriamoci una figlia all’università a Milano. Così ho iniziato a lavorare come barista nel pub in cui lavoro ancora tutt’ora. All’inizio mi permetteva di pagare le tasse universitarie e una retta mensile per una piccola stanza.»
Andrea guardava dritto davanti a sé, la pioggia si era fatta più violenta, ma la tempesta sembrava essersi allontanata, diretta a ovest.
«E poi?» La incalzò lui.
La ragazza fece spallucce, abbozzando un sorrisetto malinconico:
«E poi niente. Ho dato qualche esame, il lavoro mi portava via tanto tempo, ma il colpo di grazia me lo diede il mio fidanzato di allora. Se di sera lavoravo e di giorno seguivo i corsi o studiavo, non avevo tempo da dedicargli, così cominciai a sacrificare l’unica cosa che allora mi sembrava sacrificabile.»
«Lo studio» concluse per lei il capitano.
«Esattamente.»
«Che spreco.» Aggiunse Noёl, bevendo tutto d’un fiato il liquore nel bicchiere, lo sentì scendere fino allo stomaco e bruciargli la gola.
«Non è una storia originale. Ne esistono decine come la mia.»
«Puoi sempre ricominciare.»
Andrea lo fissò a lungo negli occhi. Quante volte, nel buio della sua piccola casa, stanca e affranta dalla giornata appena trascorsa, una vocina in fondo alla sua testa le aveva suggerito che sì, poteva riprende gli studi dove li aveva interrotti e altrettante volte l’aveva zittita.
«No, non posso. Non è vero. Il mito di poter tornare indietro, ricominciare, rimediare ai propri errori…» Andrea guardò di nuovo davanti a sé, increspando le labbra in un sorriso amaro. «Tutte cazzate
Noёl De Angelis assottigliò gli occhi, combattuto se continuare o meno quella conversazione. Doveva ammettere che era stata una sorpresa scoprire una donna diversa da ciò che aveva immaginato. Forse aveva ragione Andrea, doveva imparare a non giudicare dalle apparenze. Se solo si fosse tolta quelle treccine e tutti quegli orecchini, sarebbe potuta risultare anche carina, come lo era stata in Versilia sei anni fa. Niente di particolare, nulla per cui un uomo potesse perdere la testa, ma piacevole alla vista, una bambolina. Decise di no, di non sprecare il suo tempo a invogliare una persona – di cui non gli fregava niente – a fare qualcosa che non lo riguardava in prima persona. Lui era un solitario, era cresciuto da solo, si era fatto da solo. Quando sua madre era venuta a mancare, aveva capito che gli serviva un luogo in cui vivere e persone che gli facessero da famiglia ma che non lo fossero. Ecco perché, a soli diciotto anni, era entrato nell’Accademia Militare e aveva seguito la strada più facile, in un certo senso, ma anche la più difficile, la più morigerata. La più virtuosa.
Noёl si alzò in piedi, annunciando che sarebbe andato a dormire, domani mattina doveva alzarsi presto per andare in caserma.
«Allora io da domani posso riprendere il lavoro. Al pub hanno bisogno di-»
«No.»
«No?»
«No.» Ripeté lui, come se fosse la cosa più normale di questo mondo. «Mi sembrava che ne avessimo già parlato: non tornerai a lavoro. Almeno fino a quando Giorgia resterà con noi.»
«Ma non sappiamo per quanto tempo sarà.» Andrea lo seguì fin dentro la cucina, dove lui stava bevendo un bicchiere d’acqua riempiendolo direttamente dalla fontana.
«Mettiti in malattia, in aspettativa, parlane con il tuo commercialista. Licenziati. Fai come ti pare, non mi interessa.» Si mosse verso le scale.
Andrea strinse i pugni lungo le cosce, quando faceva così lo detestava.
«Io non posso licenziarmi! Ho bisogno di quel lavoro e riprenderò i miei turni serali con o senza la tua approvazione! Non hai il diritto di dirmi cosa fare o non fare. Non sei mio padre, il mio fidanzato o il mio datore di lavoro!»
Noёl intanto aveva raggiunto il piano superiore.
«Mi hai sentito?» Gridò lei dabbasso.
«Il caso è chiuso» affermò l’uomo chiudendole la porta in faccia, seppur con garbo.
«Ehi! Noёl!» Provò a fermarlo la ragazza, senza successo, mentre la vocina assonnata di Giorgia la chiamava dallo studio adibito a cameretta. «Accidenti!» imprecò, dando un colpo al corrimano di ferro.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - I nonni paterni ***



Capitolo 5
I nonni paterni
 
 
Il capitano della “Scuola Militare Caserma di Teuliè”, Noёl De Angelis, imparò presto una cosa riguardo la sua nuova coinquilina: amava il tè al limone. Se ne preparava una tazza tutte le sere, aggiungendovi un cucchiaino raso di zucchero e uno spicchio di limone. Di solito attendeva che lui andasse a dormire, per poi sgattaiolare fuori dalla camera che condivideva con Giorgia e dava inizio al suo rito serale. La prima notte, dopo quella mezza discussione che si era esaurita senza una vera conclusione, Andrea aveva rimesso a letto Giorgia, la quale si era svegliata proprio a causa del litigio fra i suoi zii, ed era tornata in cucina. Non dormiva di notte da anni oramai, sua madre le diceva che aveva fatto la fine dei neonati e scambiato la notte con il giorno, ciò significava che di solito rientrava a casa quando il sole stava sorgendo, faceva una doccia veloce, si preparava la sua buona tazza di tè che consumava tiepida sul divano e poi si metteva a dormire, svegliandosi a pomeriggio inoltrato.
Nella cucina industrial di Noёl, si era preparata il primo di una lunga sfilza di tè, addormentandosi sul divano in pelle marrone – color cammello avrebbe specificato sua mamma – e risvegliandosi diverse ore dopo, quando il tintinnare di piatti e posate le aveva fatto riaprire piano le palpebre.
Fuori era giorno, ma il sole non si era mai affacciato oltre la coltre di nubi grigie. Noёl la osservava con il bacino pigiato contro i mobili della cucina e una ciotola di muesli e latte nella mano sinistra, mentre con la destra si portava ampie cucchiaiate alla bocca. Andrea lo guardò, inizialmente senza capire perché lui fosse lì, poi ricordò tutto e saltò in piedi, una coperta di pile cadde ai suoi piedi, la tazza da tè era adagiata sul tavolino in vetro davanti al divano. Si chinò a raccogliere il plaid a quadri rossi e blu, chiedendosi da dove saltasse fuori, non ricordava di averla con sé la sera precedente.
Il capitano adagiò la scodella di ceramica bianca nel lavabo e si pulì le labbra con un tovagliolo di carta.
«Non pensavo di dovermi occupare di due bambine» disse.
Andrea a volte non riusciva a capire quando scherzava e quando invece parlava seriamente. Era snervante. E umiliante. Lei abbassò la testa, notando che indossava ancora i jeans e il maglioncino del giorno precedente. Si era addormentata senza neanche farsi una doccia. Provò una vergogna profonda: come poteva prendersi cura di una bambina di cinque anni se non riusciva neanche a prendersi cura di se stessa. Ma era stanca, tanto stanca.
«Mi dispiace, di solito faccio una doccia prima di andare a letto» si giustificò la ragazza, sentendosi immediatamente stupida per quelle parole. Magari non era a quello a cui lui si riferiva. Noёl non rispose, si ostinava a fissarla con quei suoi occhi azzurri, socchiusi, con le braccia conserte e le gambe incrociate. Indossava la divisa da capitano, tirata a lucido, i capelli chiari acconciati all’indietro e il viso pulito.
«Tornerò per le sei. Il frigo è vuoto, devi andare a fare la spesa. C’è un supermarket a qualche metro da qui. Ti lascio la carta per pagare e la password.»
Andrea lo vide scribacchiare qualcosa su un post-it che incollò poi a una carta prepagata.
«Non ce n’è bisogno, davvero! Posso fare la spesa e pagare con i miei soldi» avanzò fino a raggiungere la penisola, l’unica superficie che li separava.
«Nessun problema, prendi pure quello che vuoi o che desidera Giorgia.»
«Noёl, per piacere, per me è già abbastanza difficile accettare il fatto che sia tu a pagare la clinica a Claudia.» La giovane abbassò la testa, era così degradante. Aveva sempre saputo che a dividere la sua famiglia e quella del maggiore De Angelis c’era un abisso, ma sentirlo, viverlo sulla propria pelle era un’altra cosa.  Lui per fortuna sembrò capirlo e annuì con il capo, posando la carta magnetica e la rispettiva password nello svuota tasche di cristallo sul ripiano della cucina.
«La lascio qui, per qualsiasi evenienza.»
«Grazie» Andrea si commosse, non tanto per il gesto di lasciare a portata di mano la prepagata, quanto il comprendere il suo disagio e non infierire oltre.
Noёl sospirò, adagiando entrambi i palmi sulla penisola dalla superficie in marmo si sporse in avanti, verso la ragazza.
«A che ora comincia il tuo turno?»
Andrea lo guardò sgranando gli occhi, una nuova fiamma vitale le divampò nel petto.
«A-alle diciannove di solito sono lì per preparare la sala. Ma il locale apre al pubblico alle venti e trenta.»
«Sai come arrivarci da qui?»
«Sì, ho notato la fermata della metro quando siamo arrivati ieri.»
«Hai bisogno che ti accompagni?»
«No» la giovane scosse la testa con eccessiva enfasi, giurando dentro di sé che non gli avrebbe recato fastidio.
«Bene.» Lui tornò in posizione eretta. «Un’ultima cosa. Se dovessi incontrare altri condomini e dovessero farti qualche domanda, di’ semplicemente che sei la mia compagna di ritorno da un lungo viaggio. Non è gente che ama sparlare, ma non sappiamo se gli assistenti sociali verranno a fare domande in giro. Meglio essere prevenuti.»
«Se vuoi ingannare il tuo nemico, inganna prima il tuo amico, giusto?» Sorrise Andrea, lui assentì con il capo, poi la salutò e lasciò la casa.
Lei tornò a respirare.
 
Prendersi cura di una bambina non era semplice.
Quando quella sera Noёl De Angelis tornò a casa gli fece strano trovare una sconosciuta seduta al suo tavolo, mentre imboccava la nipotina di cinque anni e un buon profumo di ragù che permeava l’aria.
«Zio Noè!» La piccola lasciò la sua sedia e gli corse incontro, aggrappandosi alle gambe del capitano.
«Ehi, bambolina!» Lui la prese in braccio e gli lasciò un lungo bacio sulle guance, poi la riadagiò al tavolo, vicino ad Andrea, la quale sorrideva a sua volta. Noёl la osservò: il trucco marcato le appesantiva gli occhi e lo sguardo, erano tornate le calze velate e gli shorts, mentre indossava una T-Shirt scura annodata sul ventre e con una scritta rock sul seno. In un certo senso, anche lei indossava una divisa per il suo lavoro. L’uomo si accostò al frigorifero e spalancò un’anta per prendere qualcosa da bere e lo trovò pieno di ogni cosa. Lo richiuse.
«Sei sicura di poterti permettere una spesa del genere?» Le chiese.
Andrea stava pulendo il musino sporco di Giorgia, pronta a rispondergli a tono, quando il campanello trillò un paio di volte, seguito da un pugno sulla porta.
«Noёl! Apri!»
La voce dell’ex maggiore De Angelis tuonò dall’altra parte del portone blindato.
«Nonno Giorgio!» Esclamò la bambina, saltando giù dalla sedia e correndo nella direzione da cui era provenuta la voce.
Andrea si mosse nervosa sulla sedia, non sapeva cosa aspettarsi, sapeva che tra padre e figlio non c’era un buon rapporto, che il suo prediletto era Gianni e che sembrava adirato ancor prima di presentarsi.
Noёl le poggiò una mano sulla spalla e gliela strinse, come a volerle dare coraggio, quindi si chinò in avanti e le sussurrò all’orecchio:
«Ricordati che stiamo insieme o rischiamo che si porti via Giorgia.»
Andrea annuì. No, quello non l’avrebbe permesso. Avevano fatto tanto per prendersi cura della bambina, carte false, avevano stravolto le loro vite, erano scesi a compromessi e non gli avrebbe concesso quell’onore.
«Noёl!» Di nuovo l’uomo urlò il nome del primogenito. Quest’ultimo aprì la porta e si ritrovò di fronte suo padre e la sua matrigna.
Erano quasi alti uguali, solo l’età aveva tolto qualche centimetro all’ex maggiore. Chiunque l’avesse conosciuto da giovane, diceva che lui e Noёl erano due gocce d’acqua: stessi colori, stessa stazza, stessa prestanza e portamento regale. In effetti, sembravano usciti da uno di quei romanzi storici sulle guerre del ‘900.
«Nonno!»
Giorgio si chinò per prendere la sua nipotina fra le braccia, coccolandosela come fosse un peluche, poi passò la piccola alla moglie che fece altrettanto. L’anziano uomo fissò i suoi occhi chiari su Andrea, ancora seduta e con la tavola apparecchiata.
«Allora è vero! Cristo Santo, Noёl!»
La ragazza scattò in piedi, salutando con un filo di voce e un cenno del capo. Nessuno le rispose.
«Possiamo parlare da soli nel tuo studio.» Giorgio si mosse verso la camera del figlio, la sua non era stata una richiesta, ma un’affermazione, ma Noёl non si mosse.
«No. Tutto quello che hai da dire, puoi farlo tranquillamente qui.»
L’ex maggiore dell’esercitò lo fulminò con lo sguardo. Se c’era una cosa che odiava più di tutto era l’insubordinazione. E quel figlio lo faceva spesso.
«Mi ha chiamato Gianni, in lacrime. Mi ha riferito tutto! Tutto! Come ti è saltato in mente di prendere iniziative senza consultarmi? Come hai potuto rinchiudere tuo fratello in una clinica per tossici? Era disperato! Disperato
«Quindi il tuo problema è che io non ti abbia consultato. Tutto qui.» Il capitano possedeva una calma che avrebbe fatto invidia a chiunque.
«Noёl, Cristo Santissimo!» Imprecò Giorgio e la bambina scoppiò in lacrime. La nonna, la quale la teneva ancora in braccio, la cullò, sussurrandole di stare tranquilla, adesso tutto si sarebbe sistemato. «Anna, per favore, puoi portarla via!» Aggiunse l’uomo, infastidito dal fare superficiale di suo figlio e dalle strilla della nipote. Sua moglie Anna si mosse verso lo studio di Noёl, Andrea fece per raggiungerla, ma Giorgio la fermò con un cenno dalla mano. «No» disse. «Tu resti, nuora…» Lasciò morire l’ultima parola, il suo tono era sarcastico e incredulo insieme.
Andrea alzò lo sguardo su Noёl e quest’ultimo ricambiò.
«Mi sono informato: affinché un minore venga dato in affido a un parente, questo deve essere sposato o al massimo convivente da almeno cinque anni. E così, come per magia, scopro che mio figlio convive con – guarda caso – la sorella della moglie del mio secondogenito da cinque anni. Giusti giusti. E io – noi – non se sapevamo niente. Niente!» Accompagnò la parola con un gesto ampio delle braccia. «Quante volte vi siete visti negli ultimi cinque anni? Eravate amanti e ce lo avete tenuto nascosto? E dov’è quel tuo fidanzato? Come si chiamava? Marco? Mauro? Maurizio?» Giorgio si voltò verso Andrea, la quale non poté che chinare il capo, le treccine caddero in avanti. «Immagino che neanche lui sapesse di voi due.»
Era ovvio che Giorgio De Angelis non fosse la coordinatrice del centro sociale “La Fata” o l’amico medico di Noёl, Pierpaolo Masucci, né tantomeno la signora Maria del piano di sotto. Giorgio De Angelis era scaltro e intelligente, una volpe, e soprattutto li conosceva da sempre. La loro storia non se la sarebbe mai bevuta.
«Hai fatto pressioni a quelli del comune per farti rilasciare un attestato. Possibile che tu sia così deficiente? Ho un figlio cretino e un altro internato! Mi chiedo cosa abbia fatto di male per meritarmi questo!»
Noёl avrebbe potuto dargli decine di motivazioni per cui si meritava quello e altro, ma tenne le considerazioni per sé. Non era il momento di mettere altra carne a cuocere.
«Non volevo darti questo dispiacere» disse alla fine.
«Balle! Stronzate! Invece volevi proprio ferirmi! Avrei potuto prendere io Giorgia, tenerla il tempo necessario e trovare per Gianni e Claudia una soluzione migliore. Magari fuori regione, per evitare che chiunque mi conosca venisse a sapere che mio figlio e mia nuora siano rinchiusi al “San Nicola”.»
«È un’ottima struttura.» Cercò di intervenire Andrea con un filo di voce. Giorgio si voltò nella sua direzione, squadrandola da capo a piedi.
«Povera ingenua. Ti sei bevuta la storiella di Noёl: non ti preoccupare, ci penso io a loro, vedrai che tutto si aggiusterà. Mio figlio è molto bravo a convincere le persone che lui sia il personaggio buono e gli altri i cattivi.»
«Ho avuto un ottimo insegnante» controbatté il capitano dell’esercito. Padre e figlio si scambiarono un’occhiata di fuoco.
«Che figlio di…»
«Di che cosa, eh papà? Avanti, dillo!» Improvvisamente Noёl sembrava il doppio del padre. Andrea osservò soprattutto quest’ultimo: teneva la stessa acconciatura del primogenito, con l’unica differenza che i capelli erano bianchi, così come la barba curata che gli copriva il viso rugoso, segnato dal tempo.
«Ho promesso a tuo fratello di portargli a vedere Giorgia una volta a settimana.»
«Continui a dargli corda, nonostante tutto, continui ad accontentare ogni suo capriccio. Ma non lo capisci che con i tuoi soldi si comprava fumo e alcool? Che pena mi fai!»
«Non ti permetto di parlarmi in questo modo! Sono tuo padre!»
Noёl De Angelis si accostò alla porta e l’aprì, invitandolo ad uscire.
«Vattene. Fuori da casa mia.»
«Anna! Anna, ce ne andiamo!»
La donna uscì dalla stanza, Giorgia la oltrepassò di corsa e rimase interdetta, non sapeva bene cosa fare e ad Andrea parve di rivedere se stessa.
«Se hai tutto questo…» cominciò Giorgio De Angelis quando si trovò faccia a faccia con il figlio, entrambi sull’uscio della porta. «Lo devi a me e al nome che porti!» Infine, si voltò indietro e guardò un’ultima volta Andrea in piedi al centro della stanza con Giorgia fra le braccia. «Mi chiedo se il tuo vero obiettivo non sia quello di prendere il posto di Gianni.»
Noёl sbatté la porta con violenza, sferrando un pugno alla parete adiacente, quindi si voltò indietro e si avvicinò ad Andrea, prelevandole Giorgia dalle braccia e prima di rinchiudersi nel suo studio disse:
«Devi andare a lavoro. Vai, è già tardi.»
«Posso chiamare e dire che non…»
«No» aggiunse lui, serafico. «Vai.»
«Ma Giorgi è scossa, forse è meglio se per questa sera rimanga a casa» continuò la giovane.
«Volevi tornare al lavoro? Adesso qual è il problema?» Tuonò lui, facendo spaventare la bambina che scoppiò in lacrime protendendo le braccia grassocce verso la zia.
«Zia Andy!»                                            
Andrea la prese in braccio e si sedette con lei sul divano, cullandola avanti e indietro mentre la teneva a cavalcioni su di sé.
«Ecco qual è il problema…» Disse infine, guardando verso Noёl con astio. «Sei tu!».



 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - L'albero di Natale ***



Capitolo 6
L’Albero di Natale


 
 
L’ex maggiore Giorgio De Angelis fu di parola. Una volta a settimana, che di solito coincideva con il weekend, si recava a casa di suo figlio Noёl per prendere la piccola Giorgia e portarla a far visita ai genitori.
Andrea gliela faceva trovare preparata a festa, con i capelli castani legati in due codine e il vestito buono. Ogni volta, le comprava un regalino da portare a Gianni e Claudia, con la speranza che prima o poi la sorella chiedesse di lei.
Giorgio e Noёl non si salutavano neanche. Quelle poche cose che l’uomo lasciava intendere, lo faceva più che altro per rispondere alle domande di Andrea: stanno bene? Cosa dicono? Claudia vuole vedermi?
Durante l’ultimo incontro, quando l’ex militare aveva riaccompagnato la bambina a casa, si era sbottonato un po’ di più e le aveva confidato che né Claudia né Gianni ce l’avevano con lei, erano incolleriti nei confronti di Noёl, convinti che lui l’avesse manipolata a proprio piacimento.
Quando l’uomo era andato via, Andrea era stata di cattivo umore per tutta la sera. Il capitano De Angelis le aveva allora chiesto cosa fosse accaduto e lei aveva risposto stizzita:
«Gianni e Claudia mi ritengono proprio una senza palle! Pensano che sia tu l’artefice di tutto, che io mi stia facendo manipolare come una bambolina. Una senza palle, appunto!»
«Bella considerazione hanno di te!» Aveva aggiunto lui, girando il coltello nella piaga per il semplice piacere di vederla arrabbiarsi ancora di più. La trovava divertente quando si adirava per cose come quelle, futili dal suo punto di vista.
Erano entrambi seduti sul divano a guardare la televisione, Giorgia giocava con le sue bambole sul tappeto di gomma, e Andrea tenne il broncio per tutta la sera.
Noёl la trovava adorabile, sul serio.
Le cose tra loro andavano meglio. Avevano trovato una specie di tacito compromesso, lasciando che le loro vite e abitudini si incastrassero simili ai pezzi di un puzzle. Certo, capitava ancora di litigare, in fondo tutti e due avevano un carattere forte e diametralmente opposto. Una volta, Noёl aveva origliato una conversazione tra zia e nipote, quando quest’ultima aveva chiesto ad Andrea se lei e zio Noé fossero una vera coppia.
«Diciamo di sì» aveva risposto la giovane, quasi distrattamente.
«Allora perché non dormite insieme?»
Andrea era scoppiata a ridere:
«Giorgi, ma cosa dici?!»
«Sì, come fanno mamma e papà.»
C’era stato un attimo di silenzio, forse la zia le aveva sorriso o scompigliato i capelli, poi la bambina aveva aggiunto:
«E i bacini ve li date?»
«Oh, Gesù!» Aveva esclamato Andrea, poi aveva aperto la porta e tornata in cucina Noёl le aveva sorriso, appoggiato ai mobili, con fare indifferente. Lei era arrossita.
 
A un mese dal giorno di Natale, Noёl – il quale doveva il suo nome proprio a quella festa – rientrò nel suo appartamento e lo trovò cambiato.
Nell’angolo in alto, fra la portafinestra e la parete attrezzata, si ergeva un abete addobbato con palline e luci colorate. Rimase interdetto.
Giorgia stava appendendo le ultime decorazioni e quando vide lo zio gli corse incontro, afferrandolo per una mano e trascinandolo con sé. Il divano era occupato da suo padre e la sua matrigna. Della giovane barista neanche l’ombra.
«Dov’è Andrea?» Chiese.
«Al pub, no?» Gli rispose Giorgio, con il consueto tono infastidito quando era costretto a rispondere a domande ovvie. Quindi si alzò e Anna lo imitò. «Bello, no? È stata un’idea di Andrea…» girò intorno al sofà e quasi sfiorò la divisa da capitano del figlio oltrepassandolo per andare via. «Non te la meriti quella ragazza, neanche come finta compagna di vita.»
Senza neanche spogliarsi, aveva atteso che Giorgio e Anna fossero andati via, allora aveva preso Giorgia con sé e si era diretto in centro a Milano.
«Dove stiamo andando, zio Noè?» Gli aveva chiesto la piccola, seduta nei sedili posteriori e trattenuta contro di questi dalla cintura di sicurezza.
«A fare una sorpresa a zia Andy, ti va?»
«Sììì!» Aveva urlato Giorgia, alzando un pugnetto al soffitto dell’auto.
 
Marta quella sera aveva indossato un abito rosso, super attillato e scollato. Ai piedi calzava decolté color panna e grossi cerchi dorati le pendevano dai lobi delle orecchie. Notando Noёl entrare nel locale, portando con sé una piccola bambina, aveva pensato di essere di fronte a un pazzo. Invece lo aveva visto prendere posto a un tavolo vicino alla finestra e liberarsi del cappotto per mettersi comodo. Immediatamente la sua divisa militare saltò agli occhi di tutti. Era quindi corsa al bancone degli alcolici e si era sporta in avanti per richiamare l’attenzione della barista. Andrea l’aveva raggiunta e avvicinato l’orecchio alle sue labbra per sentirla meglio.
«Il tuo nuovo fidanzato è uno dell’esercito?» Le aveva chiesto.
Andrea Moretti era stata costretta dalle circostanze a raccontare quella bugia alla cara collega, sia per giustificare le numerose assenze sul lavoro, sia per espandere la voce che la sua relazione con Noёl De Angelis fosse reale. Marta era una brava persona, ma le piaceva cianciare.
«Sì, perché?» Aveva continuato la barista.
«E la nipotina che avete adottato ha i capelli castani e un cappottino rosso?»
Andrea allora l’aveva guardata negli occhi, annuendo piano, cominciava a preoccuparsi, il cuore prese a batterle più forte in petto, poi la donna aveva indicato un tavolo alle sue spalle. «Perché penso siano venuti a farti visita.»
La ragazza seguì con lo sguardo il punto esatto in cui Marta le stava indicando e li vide, seduti uno di fronte all’altro, mentre sceglievano probabilmente cosa mangiare direttamente dal menu. Anche la piccola Giorgia ne teneva uno in mano, imitando lo zio che sorrideva a sua volta, manco sapesse leggere.
«Lo ammazzo» disse Andrea, uscendo dal banco per raggiungerli.
Marta sorrise di rimando:
«Io, più che ammazzarlo, me lo farei» chiosò.
Andrea la udì, ma finse di non averlo fatto. Pulendosi le mani con lo straccio – più per nervosismo che per mera necessità – si accostò al tavolo occupato da Noёl e la piccola Giorgia, quando quest’ultima le corse incontro felice la sollevò di peso per stamparle un bacio sulle guance morbide.
«Che ci fate qua?» Chiese al capitano De Angelis, senza nascondere un pizzico di intolleranza. Lui neanche la guardò, continuava a sfogliare il menu, come se fosse realmente interessato alle pietanze riportate.
«Siamo venuti a trovarti. Non ti fa piacere?» Disse poi.
«Sto lavorando, avresti almeno potuto avvertirmi» rispose lei.
Noёl De Angelis chiuse l’opuscolo e finalmente alzò gli occhi azzurri sulla giovane barista, i cui lineamenti del viso – di natura delicati ed eleganti – erano stati appesantiti e marcati dal make-up.
«Anche tu avresti dovuto avvertirmi prima di piazzare un albero nella mia casa.»
Andrea Moretti allora comprese il motivo di quella visita: lo aveva fatto di proposito, per indignarla come lui si era indignato trovando l’abete addobbato nel soggiorno. Ma lei non lo aveva fatto a posta, semplicemente Natale era alle porte e le era sembrata una bella idea quella di dare un po’ di colore a quella casa grigia e scura, soprattutto per rendere felice la sua Giorgi.
«Non pensavo ti desse così fastidio. Scusa, avrei dovuto chiederti il permesso» aggiunse la ragazza con finta mestizia. Ogni volta che credeva di fare una buona azione, Noёl riusciva sempre a smentirla. Lasciò che Giorgia tornasse al suo posto, in fondo lei stava lavorando e con la coda dell’occhio aveva già notato alcuni clienti in attesa intorno al suo bancone.
«Devo tornare...» Andrea indicò la sua postazione buttandosi il pollice dietro la spalla.
«Noi ti aspetteremo qui» sentenziò il capitano, tornando a scorrere le voci del menu. Giorgia lo imitò.
«Non andate a casa?»
«No, prenderò qualcosa da bere…»
«Zio, io voglio le patatine!»
«E patatine siano!» Esclamò con troppa enfasi Noёl, allungando un cinque alla piccola che lo batté contenta. «E poi ce ne torneremo a casa tutti e tre insieme.»
Andrea corrugò la fronte, interdetta, non le piaceva averlo lì, si sarebbe sentita osservata e giudicata per tutto il tempo. La bambina, d’altro canto non era un problema, lei era già stata al pub più volte, in compagnia di sua madre e suo padre.
 
Quando la serata stava ormai giungendo al termine, le lancette dell’orologio segnavano quasi le due e mezzo. Noёl De Angelis e sua nipote Giorgia De Angelis, erano ancora seduti al tavolo dove Andrea li aveva lasciati, con la sola differenza che la bambina dormiva con la testa poggiata sulle gambe dello zio. Quest’ultimo guardava fuori dalla finestra, aveva chiesto a Marta il permesso di accendere il sigaro e lei glielo aveva concesso, dal momento che il locale era quasi del tutto deserto. Andrea Moretti li aveva visti parlottare spesso fra loro, ridere e sorridere anche insieme e la cosa le aveva scatenato un moto interiore. Non avrebbe saputo dare un nome a quella sensazione. Inquietudine? Disagio? Gelosia?
Scacciò l’ultima ipotesi con un gesto della mano, simile a una mosca che ronza intorno alla testa. Alla fine, stanca e di cattivo umore, la ragazza aveva raggiunto il fatidico tavolo, pronta per andare via: il suo turno era finito. Almeno, per quella sera, aveva il passaggio in macchina.
«Possiamo andare» disse, accostandosi.
De Angelis alzò lo sguardo su di lei: troppi capelli – pensò – per un viso così sottile.
«Siediti, devo chiederti una cosa» con un cenno della mano la invitò a prendere posto di fronte a lui. «Se non sapessi di fare un torto a Giorgia, ti chiederei di smontare quell’abete seduta stante e tutte le pagliacciate che hai appeso per casa…» lasciò la frase in sospeso e attese qualche secondo prima di proseguire, in modo che la ragazza potesse metabolizzare ciò che aveva appena affermato. «Ma, come ho detto prima, Giorgia ne soffrirebbe.» Il capitano si sporse con le braccia sul tavolo, pareva cercare bene le parole da pronunciare, mentre Andrea lo guardava con l’aria di un cane bastonato. «Io lo so che pensavi di fare una cosa buona» cercò di risollevarla, quasi dispiaciuto per le dure parole che aveva usato. Non era sua intenzione offenderla, eppure troppo spesso gli era successo in quegli ultimi mesi di prendersela con lei. «Mi chiamo Noёl, che significa Natale in francese, perché sono nato nella nottata tra il 25 e il 26 dicembre. Mia mamma diceva di amare questa festa poiché le aveva regalato il più bel dono del mondo, ma non mi ha mai concesso di godere della sua atmosfera. Non c’erano alberi addobbati a casa mia, né regali da scartare. Scusami, sto divagando.» Il capitano si passò una mano sul viso e tirò indietro i capelli. Aveva l’aria stanca.
«Non lo sapevo. Immaginavo non fossi tipo da lucine colorate e renne di Babbo Natale, ma non credevo avessi una tale avversione» cercò di giustificarsi lei. Noёl increspò le labbra in un sorriso, curioso:
«E da cosa si capirebbe che non sono un tipo da lucine colorate e renne?»
Andrea arrossì lievemente.
«Da tutto. Sei cinico, fai battute pungenti, stai sempre solo. Da tutto, appunto.»
De Angelis rise, una risata spontanea che gli fece buttare indietro la testa e la ragazza lo osservò rapita. L’aveva mi visto ridere veramente? Qualche volta, sì, quando era in compagnia di Giorgia. E già allora lo aveva trovato molto bello, genuino, più giovane.
«Sei uno spasso, Andrea Moretti, davvero divertente.»
Lei si irrigidì.
«Possiamo andare adesso? Vorrei fare una doccia e mettermi a dormire.»
«Non ancora. Non era questo che dovevo dirti.» Noёl la guardò fissa negli occhi, lei avrebbe tanto voluto distogliere lo sguardo, ma si accorse di non esserne capace. «Vieni al ballo di beneficenza dell’Accademia con me.»
Andrea sbatté le palpebre un paio di volte. Non aveva capito bene.
«Scusami, non ho capito…»
«Ogni 23 dicembre la “Scuola Militare Teuliè” organizza un ballo di raccolta fondi per i bambini oncologici del Fatebenefrattelli. Tutti noi, ufficiali e non, siamo invitai a partecipare, con le rispettive famiglie o fidanzate.»
«Sono lusingata dell’invito, ma non penso sia una buona idea…»
«La mia non era una richiesta, Andy» scherzò lui, chiamandola con il vezzeggiativo usato dalle persone a lei più strette. «E poi tu adori il Natale. Ti piacerà.»
«E chi ti ha detto che adoro il Natale?»
«Si vede» le sorrise Noёl.




 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - La Caserma Teulié ***



Capitolo 7
La Caserma Teulié
 


La giovane Andra Moretti si specchiò ancora una volta, scrutando l’immagine riflessa con attenzione minuziosa.
Marta, seduta sul letto alle sue spalle sbadigliò platealmente.
«Sei sicura che non mi faccia sembrare una prostituta?» Andrea si voltò indietro, verso l’amica, la quale la rimproverò con lo sguardo.
«È il tuo modo gentile di dirmi che ho degli abiti da troia?»
«Non è l’abito, forse sono le scarpe… se mettessi un paio di stivali?»
Marta si alzò, alzando gli occhi al soffitto in un moto di stizza, quindi adagiò le mani sulle spalle della collega più giovane e la girò di nuovo verso lo specchio, osservandola con lei.
Andrea le aveva telefonato disperata qualche giorno dopo l’imboscata del capitano De Angelis al pub, raccontandole tutto. Allora era tornata nel proprio appartamento, per cercare qualcosa di consono da indossare per l’occasione e non aveva trovato nulla che potesse andare. In fondo, erano anni che non veniva invitata a una cerimonia di prima classe, senza dimenticare che non aveva mai partecipato a un ballo di beneficenza, al quale avrebbero preso parte – molto probabilmente – la crème de la crème della borghesia milanese. Marta aveva accettato al volo la sua tacita richiesta di soccorso e si era presentata a casa sua con qualche abito e un paio di scarpe alla moda.
Alla fine, aveva scelto di indossare un tubino di velluto, di un blu notte, corto sopra al ginocchio e con una scollatura quadrata, senza maniche. Ai piedi aveva calzato décolleté lucide, di una sfumatura di beige molto delicata. Le treccine erano state raccolte sul capo in uno chignon e il viso truccato in maniera naturale.
Quando il citofono trillò, Andrea ebbe un sussulto. Non era possibile che fosse già arrivato, secondo la sua percezione del tempo mancavano almeno 60 minuti all’ora prestabilita. Marta le strinse le spalle, sussurrandole di fare un respiro profondo, era bellissima e ingambissima, non c’era alcun motivo per cui essere nervosi. Si allontanò per rispondere al citofono, Andrea la sentì ridacchiare, poi tornò indietro e con le braccia incrociate si poggiò allo stipite della porta, sorridendole con dolcezza.
«Te lo meriti» disse.
Andrea stava indossando la giacca di pelliccia ecologica color panna che aveva comprato per l’occasione quella mattina stessa da Zara.
«Cosa? Un infarto? No, perché è quello che sento mi verrà tra poco!»
Marta ampliò il suo sorriso, infilandole la pochette a tracolla, poi la baciò sulla tempia, accompagnandola alla porta.
«Sai cosa intendo» aggiunse.
Andrea l’abbracciò ringraziandola, quindi le indicò le chiavi di casa sul mobile all’ingresso, pregandola di non dimenticare le luci accese. La collega la rassicurò e la spinse con garbo oltre lo zerbino, chiudendole l’uscio in faccia dopo averle fatto ciao ciao con la mano libera.
 
Noёl De Angelis si acconciò una ciocca di capelli che era ricaduta in avanti, sperando stesse ferma, poi diede anche un’aggiustatina alla giaccia della divisa, sebbene non ne avesse alcun bisogno.
Non aveva compreso il motivo per cui Andrea gli avesse chiesto di passarla a prendere sotto casa quella sera, non si sarebbe potuta preparare nel suo appartamento come ormai faceva da mesi? Che bisogno c’era di tornare in quei pochi metri quadri? Poi aveva riconosciuto la voce di Marta al citofono e aveva capito, almeno in parte, il perché di quella richiesta. Ma, quando la vide varcare la soglia del portone e dirigersi verso la sua auto, ebbe la risposta definitiva.
Andrea era Andrea, eppure non era lei.
Noёl rimase a osservarla per qualche secondo ancora, mentre lei si sfregava le mani per il freddo e fingeva interesse per il cielo grigio sopra le loro teste. Stando alle previsioni meteo, quella notte sarebbe arrivata la prima nevicata dell’anno.
«Che c’è?» Chiese Andrea, a disagio.
«Stai molto bene» rispose lui, mettendo finalmente in moto la macchina.
Andrea arrossì, improvvisamente il freddo era evaporato dal suo corpo.
«Anche tu» affermò e lo pensava davvero. Quella non era la divisa che gli vedeva addosso ogni mattina, era diversa.
«Alta uniforme» spiegò sbrigativo lui. «La indossiamo solo per le grandi occasioni.»
Per un po’ il silenzio aleggiò nell’abitacolo della BMW, poi lei gli chiese di Giorgia.
«È a casa con i nonni.»
«Tutto bene con tuo padre?»
Noёl fece spallucce.
«I nonni sono sempre contenti quando possono trascorrere del tempo con la nipotina senza essere disturbati.»
Rimasero di nuovo a corto di argomenti, ciò nonostante il silenzio non pesava affatto, era quasi distensivo, meditativo.
Dopo poco giunsero alla meta e Andrea non poté trattenere un moto di ammirazione per la costruzione che si ergeva dinnanzi a lei, si era aspettata un complesso grande quanto un istituto scolastico, ma non quanto un ospedale intero. De Angelis spense l’auto e non si mosse, sorridendo di fronte alla meraviglia di lei.
«Ricordati che siamo una coppia vera.» Disse a brucia pelo e lei si voltò a guardarlo, dimentica della maestosità della costruzione della caserma.
«I tuoi colleghi lo sanno?»
«Conoscono la versione ufficiale, certo.»
«Cioè, sanno che io e te…?» Andrea fece oscillare l’indice da lei a lui e viceversa.
«Siamo fidanzati, sì. Andiamo.»
Lasciarono entrambi l’abitacolo e s’incamminarono verso l’ingresso, addobbato a festa per l’occasione con un lungo e rigido tappeto rosso che si srotolava dai primi scalini fino a perdita d’occhio. Già da lontano si potevano notare due guardie a fare da sentinella, con un lungo mantello scuro a coprirgli la divisa e un cappello calato sul capo.
Noёl le porse il braccio e lei lo accettò volentieri, non si sentiva molto sicura a camminare su quei tacchi.
«Ricordati che sei la compagna del capitano De Angelis, non salutare se prima non lo fanno gli altri, a meno che non lo faccia io per primo. Intesi?» Le sussurrò lui chinandosi in avanti.
«Perché?» Chiese lei in un bisbiglio.
«Perché significa che sono miei superiori.»
«Agli ordini, capitano!» Scherzò Andrea e Noёl sorrise. A volte, aveva la sensazione che quella ragazza fosse una boccata d’aria fresca nella sua grigia vita. Andrea Moretti continuava a far scorrere lo sguardo colmo di curiosità su ciò che la circondava, aggrappata al braccio di Noёl per usarlo come supporto ed evitare che inciampasse.
«È molto grande, e bella. Non me l’aspettavo.» Disse poi.
«L’edificio nacque nel Medioevo come ospedale. Poi, nel corso del Diciottesimo secolo, divenne un monastero e un ospedale militare. Infine, il generale Pietro Teulié lo trasformò in un orfanotrofio. Oggi, ospita uno dei licei più abbienti di Milano.»
La giovane ascoltò in silenzio, annuendo con il capo a ogni nozione appresa. La storia l’aveva sempre affascinata.
Un addetto al guardaroba li invitò a lasciare i loro soprabiti e la borsa della signora, quindi percorsero l’ultimo tratto di corridoio prima di entrare nella sala principale che quella sera avrebbe ospitato il ballo. Ghirlande verdi e rosse pendevano distanziate in maniera regolare l’una dall’altra alle pareti dell’enorme stanza. C’erano tavoli ricolmi di pietanze di ogni genere e uno riservato solo a vino di ottima annata, come lo definirono gli alti ufficiali dell’Accademia.
Andrea si sentì immediatamente fuori luogo osservando le altre donne: signore in tailleur scuri e tacchi alti, con i capelli setosi raccolti in pompose acconciature e le labbra tinte di rosso. Si conoscevano quasi tutti, lei era la novità di quell’anno a quanto sembrava e Andrea non aveva mai amato essere al centro dell’attenzione. Si sentiva osservata, squadrata da capo a piedi. studiata. Ecco perché alla prima occasione utile, si scusò con gli astanti e si allontanò su gambe non proprio ferme.
Il capitano Noёl De Angelis la ritrovò quindici minuti dopo, stava all’addiaccio fuori al terrazzo che dava sui giardini. Aveva anche iniziato a nevicare e lei non si era premurata di indossare la giacca. Le si avvicinò, offrendole un calice di champagne che Andrea accettò volentieri.
«Non ti piace?» Le chiese, vago.
«Questo?» La ragazza pensava si riferisse allo spumante. «Oh no, no… considerando quanto costa, credo sia ottimo» ne sorseggiò un po’. «Infatti, squisito!» Esclamò con troppo vigore. Noёl sorrise.
«Non mi riferivo a quello. Intendevo la festa. Ti stai annoiando? Beh, non piace neanche a me… resisti altri cinque minuti e andiamo via con qualche scusa, va bene?»
Andrea sospirò.
«Non è che non mi piace. È che…» prese del tempo e lui aspettò in silenzio che continuasse. «Mi sento come un pesce fuor d’acqua, non so se ho reso l’idea.»
«Perfettamente.»
«Tutte quelle donne sono davvero… donne. Indossano abiti firmati, hanno acconciature importanti e un trucco sofisticato. Io mi sento una ragazzina scappata di casa.»
Noёl bevve il suo champagne e adagiò il bicchiere sul corrimano del parapetto in cemento del terrazzo, quindi si tolse la giacca e la poggiò sulle spalle della giovane che iniziava a tremare per il freddo. Andrea rimase così di stucco che non riuscì neanche a ringraziarlo.
«Sono tutte arriviste sociali.» Affermò infine, serio. Si voltò indietro, verso la sala della cerimonia e ne indicò una. «Vedi quella con il vestito rosso di paillettes?» Andrea seguì l’indicazione e annuì.
«La moglie del Primo Capitano?»
«Esatto, lei. Hanno quindici anni di differenza e prima di convolare a nozze con lui ci ha provato con tutti qua dentro.»
«Anche con te?» Andrea alzò gli occhi nocciola su Noёl con fare meravigliato. Era una bella donna, si domandò perché l’avesse respinta.
«Sì. A volte mi sottovaluti, Andy…» Accennò un sorriso sghembo e la fece arrossire.
«Non volevo… scusa.»
Il capitano sorrise.
«Come lei te ne potrei indicare altre cinque o sei, ora mogli di pezzi grossi dell’esercito, ma sempre disponibili verso cadetti più giovani o coetanei.»
«Ho capito.» Sussurrò la ragazza, non del tutto convinta. «Considerando il fatto che io e te siamo una coppia/farsa, non mi sento del tutto sollevata. Ma grazie per averci provato.»
«No, non hai capito. Quello che voglio farti intendere è che tu sei qui per aver abbracciato una causa più nobile: aiutare Giorgia e tua sorella. Sei cento volte migliore di quelle persone lì dentro. Di me.»
Andrea Moretti tornò a guardarlo, muovendo il collo in uno scatto.
«Non ti piace la vita da militare?»
«Non avevo scelta. Non ho mai avuto troppe chance nella mia vita.»
«Ti è andata bene, comunque.»
Noёl non rispose, ma quando notò i militari più giovani che dall’interno della sala lo invitavano a rientrare con gesti plateali, le disse che era meglio andare, promettendole che al massimo mezz’ora e poi sarebbero tornati a casa. Fecero per oltrepassare l’ampia porta del terrazzo che li avrebbe riportati all’interno della sala, quando entrambi si arrestarono: ai loro piedi giaceva una vecchia scopa, di quelle tipiche da strega nel folklore comune, addobbata con rametti di pungitopo e agrifoglio, le bacche erano rosse e lucide. Le persone di fronte a loro ridevano e battevano le mani. Andrea non capiva, ma Noёl sì, sapeva. Sapeva che in quella caserma c’era una tradizione antica quasi quanto la costruzione, nata e sviluppatasi soprattutto durante gli anni della guerra, quando i militari in partenza per il campo di battaglia si congedavano dalle proprie donne con un bacio sulle labbra e un salto oltre il manico della scopa. Se fossero riusciti a cadere insieme dall’altra parte, allora significava che lui sarebbe tornato sano e salvo e avrebbero convolato a nozze, poiché quel casto bacio siglava il loro legame e la donna gli sarebbe appartenuta per sempre.
Il capitano De Angelis si girò verso la giovane, che ancora fissava l’oggetto ai suoi piedi, lo trovava molto carino, stava già pensando di confezionarne uno per metterlo accanto al suo abete, quando alzò lo sguardo su di lui, l’aria confusa. Non capiva. Lo vide solo avvicinarsi e prenderle il volto con entrambe le mani, fece per scostarsi, ma avvertì la presa farsi più salda:
«Che stai…?»
«Shh…» le soffiò a fior di labbra, poi su quelle stesse labbra adagiò le sue. Un applauso di levò dall’interno della sala, qualcuno fischiò, qualcun altro fece tintinnare una posata contro un calice di cristallo.
Il tocco fu leggero e durò qualche secondo, niente di eclatante, ma ad Andrea parve di avere la bocca di Noёl premuta contro la propria per diverse ore. Anche mentre era in treno, in viaggio verso casa.
 
«Non fare l’isterica, è stato solo un bacetto!» Stava dicendo il capitano intento a guidare verso casa, sebbene il suo tono nascondesse ilarità, Andrea non riusciva a togliergli il broncio.
«Avresti potuto avvertirmi che sarebbe potuto capitare, non avrei fatto la figura della scema.»
«Ti saresti rifiutata di accompagnarmi.»
«Non è vero!»
«Oh, certo che è vero! “Ma tu sei pazzo, Noёl” avresti detto.» Lui mimò la sua voce, beccandosi un’occhiataccia.
«Lo hanno fatto apposta!» Aggiunse Andrea.
«Sì, è stata un’imboscata bella e buona. D’altra parte è una specie di rito d’iniziazione, ci passano tutti prima o poi.»
Noёl De Angelis parcheggiò al posto assegnatogli nel condominio e insieme presero l’ascensore che li avrebbe condotti all’ultimo piano dello stabile. Il capitano stava ancora ridendo di lei quando inserì la chiave nella serratura della propria abitazione e aprì la porta, lasciando entrambi senza parole, pietrificati.
Claudia e Gianni erano seduti sul pavimento, davanti l’albero di Natale, a giocare con la propria bambina, mentre il maggiore Giorgio De Angelis e sua moglie Anna erano accomodati sul divano a guardarli divertirsi insieme. Il primo ad alzarsi per andare incontro agli ultimi arrivati fu proprio il padre di famiglia.
«Bentornati» disse.
Noёl lo fulminò con lo sguardo.
«Che ci fanno loro qua?»
«Sono stati dimessi. Il programma è andato a buon fine e sono risultati idonei al reintegro nella vita sociale» spiegò l’uomo senza remore.
«Ah, davvero? E chi lo dice?» Aggiunse il capitano, molto nervoso.
«Le carte che hanno rilasciato alla clinica.»
«Immagino che siano super affidabili.»
«Sì, proprio come il vostro certificato di convivenza quinquennale.»
A quelle parole Noёl non replicò, né Andrea aggiunse altro. Rimasero entrambi in silenzio e con la testa china mentre Claudia recuperava le cose della piccola Giorgia e con quest’ultima in braccio a Gianni passava davanti a loro.
«Ciao zia Andy. Ciao zio Noè.» La bambina salutò entrambi i suoi zii, accompagnando le parole con un cenno della manina. Andrea fu l’unica a rispondere al saluto, provando a scambiare qualche parola con la sorella quando le passò accanto, ma Claudia chinò la testa e seguì a ruota il resto della compagnia.
Improvvisamente un grande mutismo calò nella stanza. Noёl raggiunse il divano e vi sprofondò dentro, gli occhi chiusi e una mano a sorreggere la fronte.
«Ehm… io…» fece Andrea, la voce rotta dalle lacrime.
«Te ne puoi andare quando vuoi» disse lui con freddezza.
«Co-come?»
«La sceneggiata è finita. Sei libera.»
Noёl De Angelis non attese alcuna risposta, scattò in piedi e raggiunse la sua camera al piano di sopra, sbattendo la porta.
Andrea si mosse al rallentatore, trattenendo le lacrime e quel pianto che sentiva provenire dal centro del petto. Arrabattò le sue cose, scorse con lo sguardo la libreria dello studio in cui aveva dormito per qualche mese, lanciò un’ultima occhiata all’abete che aveva comprato e addobbato a sue spese, poi andò via, accompagnando con delicatezza la porta d’ingresso.
Una volta in strada chiamò un taxi e attese per diversi minuti. In fondo era passata la mezzanotte del 23 dicembre, ciò significava che era la vigilia di Natale, non c’erano molti tassisti in quel periodo dell’anno.
Quando giunse la macchina, una vecchia Fiat Punto bianca, si sedette nei sedili posteriori e disse all’uomo di accompagnarla alla stazione di Milano Centrale.
«Torna a casa per Natale, signorina?»
«Già.» Rispose Andrea Moretti, osservando le strade di Milano che a poco a poco si stavano imbiancando a causa della neve. Abbassò le palpebre e pianse.


 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Sai, ti cercavo... ***



Capitolo 8
Sai, ti cercavo…

 
 
 
Alta Versilia, 31 dicembre 2015
 
Noёl De Angelis rimase qualche minuto ancora a contemplare la costruzione che si ergeva di fronte a lui. Aveva ormai lasciato l’abitacolo dell’auto, caldo e accogliente, da un po’ e sebbene lì, con le mani nascoste nelle tasche del cappotto lungo e scuro facesse decisamente fresco, ancora non era sicuro di voler entrare.
La casa, una villa in stile vittoriano che suo padre Giorgio aveva acquistato come regalo per sua moglie quando questa gli aveva confessato di aspettare un bambino, non era cambiata molto nel corso degli anni. Era solo invecchiata, ma sarebbe bastata una mano di vernice per farla ritornare al suo antico splendore. Sua madre si premurava che ogni anno, prima che si traferissero lì per le vacanze estive, un gruppo di architetti squadrasse l’abitazione per consigliare eventuali accorgimenti contro le ingiurie del tempo. Poi, dopo la sua morte, la casa era stata abbandonata a se stessa e ora ricordava un donnone nerboruto che lentamente stava perdendo la sua forza.
Mentre Noёl era immerso in tutti questi pensieri, ancora indeciso sul da farsi, la porta d’ingresso si aprì e il maggiore De Angelis ne fece capolino, in mano teneva un calice di vino bianco.
«Pensi di entrare prima o poi o passerai tutta la sera all’addiaccio?» Gli chiese con tono di scherno. Il giovane capitano dell’esercito non avvertì biasimo nella sua voce, eppure non si mosse di una virgola. «Dai, entra. Fa freddo e abbiamo appena aperto una bottiglia di prosecco di ottima annata.» Così dicendo, l’uomo si scostò di qualche metro dall’uscio per permettere al figlio di oltrepassarlo.
Noёl lasciò il cappotto all’ingresso, notando subito il caban color panna che Andrea Moretti aveva indossato la mattina in cui si erano recati in ospedale prima e al centro sociale “La Fata” poi. Quindi ci aveva visto giusto: c’era anche lei alla cena di San Silvestro.
«Sei dimagrito» disse suo padre, distogliendo ancora una volta dalle mille domande che gli ottenebravano la testa.
«Sto bene» fu la risposta secca di lui.
 
Nella sala da pranzo il camino era acceso e il fuoco scoppiettava allegro. La lunga tavolata era apparecchiata a festa, con il corredo buono e il servizio di piatti per le grandi occasioni.
Il capitano studiò velocemente l’ambiente con una sola occhiata: il signor Moretti e sua moglie sedevano uno accanto all’altra sul divano, mentre chiacchieravano animatamente con Anna, la sua matrigna. Quando lo videro abbozzarono un timido saluto al quale Noёl rispose con garbo e freddezza. Di suo fratello Gianni e sua cognata Claudia non c’era neanche l’ombra, così come della bambina. Ma sapeva che erano lì, dal momento che sul pavimento c’erano alcuni giochini di Giorgia e il suo seggiolino era adagiato vicino al tavolo. Ipotizzò dovessero essere al piano di sopra. Neanche Andrea era presente, che fosse con loro?
Giorgio De Angelis gli allungò un calice di vino, il colore era quello del fieno di giugno e le bollicine aggiungevano un tocco di brio. Noёl lo accetto volentieri.
«Questa sera la luna è splendida» affermò, indicando la porta finestra che dava sul terrazzo. Il giovane si voltò in quella direzione, scorgendo una figura esile che sembrava guardare all’insù mentre si strofinava le braccia con le proprie mani.
Noёl la raggiunse, scrutandola per bene prima di annunciarsi. Se quella ragazza di spalle era veramente Andrea, era decisamente diversa. Le lunghe treccine castane erano scomparse, lasciando il posto a un taglio pari e piastrato che sfiorava appena le spalle. Indossava lo stesso abito blu con cui l’aveva vista l’ultima volta, ossia la sera del 23 dicembre, quando insieme erano andati al ballo di beneficenza organizzato dalla sua caserma. La osservò qualche secondo ancora, le braccia nude e chiuse in una specie di abbraccio cercavano di mitigare la brezza che si alzava dal mare. Era infreddolita, ma allora perché si ostinava a rimanere lì fuori?
Noёl si schiarì la voce per dichiarare la sua presenza, prima di parlare:
«A Milano è difficile vedere tutte queste stelle.»
Andrea Moretti si voltò di scattò verso di lui, gli occhi spalancati e il cuore in gola. No, non si sarebbe aspettata di incontrarlo in Versilia. Non quella sera.
«Che faccia! Sembra che tu abbia visto un fantasma» tentò di scherzare lui per alleggerire la tensione, ma come sempre le sue battute non venivano capite e sortivano l’effetto contrario. Andrea abbassò il capo:
«Scusa, non volevo essere scortese. Solo non mi aspettavo di vederti.»
«Di vedermi qui o in generale?» Nessuna risposta. Noёl sospirò, bevendo tutto d’un fiato il prosecco nel bicchiere. Suo padre aveva avuto ragione: era proprio di un’ottima annata. «Sai, ti cercavo…»
«Ah, sì?»
«Sì, quella sera sei letteralmente scappata…»
«Mi avevi detto che potevo andare via.»
«Ma non intendevo nell’immediato.»
«Allora dovresti imparare a esprimerti meglio!» Andrea lo affrontò alzando lo sguardo per puntarlo dritto nei suoi occhi chiari, che alla luce soffusa della notte erano diventati di un azzurro più scuro. Alla giovane sembrò che lui si stesse sforzando di trattenere un risolino, perciò lo mandò a quel paese con un gesto della mano e tornò all’interno della casa.
Noёl De Angelis la chiamò, ma lei neanche si voltò, quindi non gli rimase che seguirla, sperando di poter avere un’altra occasione per parlarle, inconsapevole che la serata avrebbe ben presto preso una piega inaspettata.
Tornato all’interno della sala, la piccola Giorgia gli corse incontro a braccia spalancate.
«Zio Noè!»
«Ehilà, bambolina!» Esclamò lui, prendendola in braccio al volo e stampandole un bacio sulla guancia.
«Mettila giù!»
La voce innaturale di Gianni ammutolì tutti. Claudia era qualche passo indietro, la testa bassa. I quattro nonni lo fissavano a bocca aperta, così come Andrea che si era affacciata dalla cucina – dove si stava versando un bicchiere di vino – in attesa.
«Come?» Fece Noёl, scuotendo il capo. Non capiva.
«Ho detto di mettere giù mia figlia! Non sia mai che le trovi un livido dovuto a una caduta accidentale e decida di rivolgerti nuovamente agli assistenti sociali.»
«Tu sei pazzo!» Esclamò il capitano De Angelis, posando comunque la bambina con i piedini sul pavimento. La piccola corse in braccio alla mamma, spaventata per l’improvviso cambio d’umore che percepiva nella casa.
«Non ti avvicinare mai più a lei o giuro ti denuncio!» Continuò Gianni, i suoi occhi dallo sguardo solitamente pacato sembravano ora sputare fuoco. Lo odiava. Gianni odiava Noёl.
«Gianni, stai esagerando!» Era stato il padre a intervenire, cercando di placare gli animi.
Con un’occhiata veloce, il giovane capitano contò i calici di vino sul tavolo: due. Considerando che tutti i presenti tenevano il proprio ancora in mano, ciò significava che quei due erano di Gianni e Claudia. Abbozzò un sorriso amaro.
«Hai ripreso a bere, vero? O meglio, non hai mai smesso. Che schifo! Che pena mi fai!»
«Non ti permettere di…!» Gianni gli saltò addosso, portandolo a sbattere con la schiena contro la cristalliera alle sue spalle. Alcuni bicchieri di cristallo si infransero sul pavimento, qualcuno gridò di smetterla. Gianni lo teneva per il collo della camicia che sbucava da sotto al maglioncino grigio di cashmere. Era decisamente più basso del fratello, il quale lo osservava dall’alto con un sorrisetto di scherno a increspargli le labbra.
«Ti ammazzo! Hai capito, ti ammazzo!» Urlava Gianni, fuori di sé.
Noёl se lo scrollò di dosso con una sola spinta, il fratello minore cadde sul pavimento, ma si rialzò subito e fece per colpire l’altro con un pugno. Noёl lo afferrò per quello stesso braccio e glielo contorse. Costringendolo con la pancia a terra, gli schiacciò la guancia sul parchè tenendolo fermo per entrambi i polsi. Giorgio De Angelis troneggiava su di loro, senza sapere bene cosa fare.
«Lasciami, stronzo! Lasciami!» Gianni si dibatteva, troppo debole per contrastare il fisico allenato di Noёl.
«Prima di fare promesse, accertati di poterle mantenere. Idiota.» Il capitano De Angelis gli parlò a una spanna dall’orecchio.
«Noёl…» suo padre sembrava un uomo stanco. I due si fissarono per qualche istante negli occhi, il cui colore era identico.
«Questa è la casa di mamma» disse il giovane a un tratto, combattendo contro l’istinto che aveva di mettersi a urlare e cacciare via tutti. «È la casa che ha amato in vita e in cui ha deciso di morire. Non dovreste stare qui a festeggiare, non è giusto. Non mi hai mai chiesto il permesso, ma questa è la casa di mamma. E mia.»
Il maggiore lo guardava dall’alto. Non aveva argomenti per controbattere poiché sapeva che quella era la verità. Quella era la casa di Marie, la sua prima moglie, e sapeva benissimo che aveva scelto di trascorrere lì gli ultimi due mesi di vita, quando i medici le avevano detto che ormai non c’era più nulla da fare. Un ulteriore ciclo di chemio le avrebbe allungato le sofferenze – perché lei non la considerava più vita da parecchio – di qualche altro mese e nulla più. Marie aveva scelto di trasferirsi in Versilia, circondata dal mare e con affianco l’unica persona che avesse mai davvero amato, forse perché non l’aveva mai delusa o tradita: suo figlio Noёl.
E quel figlio che, dannazione, gli somigliava così tanto, le era stato accanto notte e giorno, per due mesi interi, fino all’ultimo. Mentre lui si godeva la sua nuova famiglia in uno splendido appartamento di Milano.
Noёl aveva ragione: quella casa gli spettava di diritto e loro, tutti loro, non avevano il titolo di violarne il ricordo al quale era legata.
Il maggiore gli allungò una mano per invitarlo a rimettersi in piedi e lasciare finalmente libero Gianni che continuava a dimenarsi come un animale in gabbia, maledicendo il fratello. In quegli ultimi giorni Giorgio aveva capito tante cose, prima fra tutte lo sbaglio che aveva commesso a voler portare via Gianni e Claudia da quella clinica di recupero, poiché i due non erano guariti del tutto e forse mai lo sarebbero stati. Anche i medici glielo avevano sconsigliato, ma lui aveva dato ascolto solo al suo ego e alla paura che si potesse spargere la voce: il figlio minore del maggiore è un drogato! Intanto, Gianni non era fuori pericolo, né sua moglie e di conseguenza la bambina.
«Mancano di forza di volontà, signor De Angelis» gli aveva confessato il loro dottore e il maggiore si era sentito morire dentro. Uno dei suo figli senza forza di volontà?! Allora aveva deciso di portarli a casa con sé, gliel’avrebbe insegnata lui la disciplina che mancava a quei due.
Ma era stato più difficile del previsto e sia Gianni, sia Claudia, avevano continuato a bere.
«Mi dispiace» disse l’uomo, tenendo ancora la mano di Noёl stretta nella sua, contro il petto. «Non volevo andasse a finire così.»
Claudia intanto aveva raggiunto Gianni e lo stava aiutando a rialzarsi.
«Buon anno, figliolo.»
«Buon anno, papà.»
I due intensificarono la stretta delle mani, poi si salutarono con un cenno del capo e Noёl si allontanò, diretto alla porta d’ingresso. Andrea lo seguì di corsa, arrestandosi mentre lo vedeva afferrare al volo il cappotto e spalancare il portone.
«Andy!» Claudia la fissava dal centro della stanza, Giorgia era in braccio a lei e la guardava a sua volta. «Che stai facendo?»
 
Andrea Moretti si era presentata a casa dei suoi genitori la mattina del 24 dicembre, dopo tre ore circa di treno e quasi altrettante ne aveva trascorse alla stazione di Milano Centrale per aspettare il regionale che l’avrebbe condotta in Versilia.
Era rimasta per ore seduta al tavolino di un bar, a studiare la stazione semideserta, il mesto andirivieni dei treni e gli spazzini che si occupavano di tenere pulite le banchine, con un mozzicone di sigaretta fra le labbra e un caffè condiviso.
Trovandosela sul pianerottolo di casa, a quell’ora e senza preavviso, i suoi genitori non avevano fatto troppe domande, erano stati sempre tanto – forse anche troppo – discreti. Ma Andrea aveva pianto a lungo fra le braccia di sua madre, la quale le aveva preparato un tè al limone e glielo aveva portato a letto, dopo una doccia e una dormita rigeneranti. La signora Moretti aveva inteso che ci fosse l’amore per mezzo, non si torna in lacrime nella casa paterna a cercare conforto come quando si era bambine altrimenti, ma non forzò mai la mano. Semplicemente assecondò la primogenita e si propose di tagliarle i capelli per togliere quelle treccine che, a detta sua, non erano più di moda. Andrea era stata sollevata in realtà, lasciando che sua madre, un’ex parrucchiera in pensione, desse un taglio alla sua acconciatura, metafora della precedente esistenza. Sì, perché aveva deciso di cambiare completamente vita, lasciando libero l’appartamentino a Milano e licenziandosi senza preavviso.
 
«Zia Andy?» La vocina di Giorgia penetrò nei suoi pensieri e Andrea sbatté le palpebre un paio di volte.
«Ma che stai facendo?» Ripeté sua sorella Claudia, quasi a rimproverarla di aver anche solo pensato per un attimo di seguire Noёl.
Proprio quest’ultimo si era fermato sull’uscio della porta, un piede dentro e uno fuori. Le si rivolse senza complimenti, non c’era supplica nella sua voce, solo urgenza di andare via.
«Che vuoi fare? Vieni o resti?» Le chiese.
Andrea Moretti si girò a guardarlo, di nuovo si fissarono negli occhi, poi lei si mosse nella sua direzione, afferrò il caban color panna e lo oltrepassò senza mai voltarsi indietro.
L’ultima cosa che Claudia vide fu il sorriso soddisfatto che Noёl le indirizzava, chiudendosi la porta alle spalle.
«Che figlio di…» imprecò la ragazza, dondolando la piccola Giorgia fra le braccia che felice salutava gli zii con entrambe le manine grassocce.


 
Epilogo
 
 
L’autogrill era praticamente vuoto, fatta eccezione per qualche camionista dell’est che si era fermato a fare rifornimento di gasolio e caffè prima di ripartire alla volta del proprio Paese, sperando di arrivare in tempo per festeggiare il Capodanno con la famiglia.
E poi c’erano Andrea e Noёl, seduti a uno dei tanti tavolini liberi del bar, accanto alla vetrata. Avevano condiviso una porzione di patatine fritte e un panino alla caprese per ciascuno. Adesso lui stava sorseggiando il suo espresso, mentre la osservava girare il cucchiaino nel tè al limone che aveva chiesto alla cameriera. Non sembrava avesse intenzione di finirlo.
«Non è proprio il posto migliore per trascorrere l’ultimo dell’anno.» Disse lui. Da quando si erano messi in viaggio, dopo aver lasciato la villa in Versilia, Andrea non aveva parlato molto. Era come se avesse esaurito tutti gli argomenti che poteva condividere con lui, sembrava tornata la ventenne che aveva conosciuto anni addietro, spaurita e intimorita dalla sua sola presenza. Allora, perché lo aveva seguito? Perché non era rimasta lì, con la famiglia?
Noёl De Angelis, tuttavia, non sapeva che Andrea non riusciva a smettere di pensare a quello che le aveva riferito pocanzi sul terrazzo – “Sai, ti cercavo…” –.
In che senso? avrebbe voluto chiedergli. Perché un attimo prima mi hai baciato, e quello dopo mi hai cacciato di casa…
«In effetti, neanche la cena è stata delle migliori, ma ho mangiato di peggio.» Il capitano rise, sperando di smuovere quella specie di involucro vuoto che teneva seduto di fronte a lui, senza riuscirci. Allora si sporse in avanti, le mani chiuse l’una nell’altra scivolarono lungo la superficie del tavolo, era tornato serio.
«Ti riaccompagno alla villa, se vuoi. Non voglio crearti problemi, so che tu e Claudia siete molto unite e poi c’è Giorgia che-»
«Che vuol dire “sai, ti cercavo…”» Andrea alzò finalmente lo sguardo, aveva l’aria di una che si è appena destata da un lungo ragionamento. Lui socchiuse le palpebre, cercando di ricordare, perciò la giovane specificò. «Prima, sul terrazzo, mi hai detto “sai, ti cercavo…” in che senso mi cercavi?»
Noёl tornò con le spalle contro lo schienale della sedia, guardando oltre il vetro della finestra un camion enorme che lentamente tornava a immettersi nella carreggiata. Quei cosi lo avevano sempre un po’ spaventato, fin da bambino.
«In tutti i sensi.» Disse sovrappensiero, senza neanche rendersene conto. «Ti ho cercato la sera in cui sono venuti a prendersi Giorgia. Sono tornato in cucina, nello studio, ma tu non c’eri già più. Sparita. La mattina dopo sono stato a casa tua, ma il portiere del condominio mi ha detto che non ti aveva vista rientrare. Allora, sono passato al pub quella sera stessa e non c’eri. Marta mi ha raccontato che eri tornata in Versilia, che avevi lasciato Milano.» Il capitano si voltò a guardarla. «Che l’avevi lasciato per sempre.»
«Non ho più motivo di restare in quella città» si giustificò Andrea, sentendo le lacrime bruciare in gola e agli angoli degli occhi.
«Speravo di trovarti qui, stasera.»
«E io che credevo fossi venuto per stare con la tua famiglia» scherzò Andrea, smorzando la tensione che aveva avvertito dentro fino a quel momento. Noёl sorrise di rimando:
«Certo, come no! La mia famiglia unita!»
Si sorrisero, poi lei continuò:
«Hai il mio numero di cellulare, avresti potuto scrivermi.»
«Preferisco risolvere di persona certe questioni.»
Andrea Moretti avrebbe voluto distogliere lo sguardo da quegli occhi azzurri e magnetici, mentre sentiva le guance avvampare. Questioni? Che tipo di questioni? Deglutì, aprì la bocca per parlare, ma ne uscì solo un gorgoglio e lui sorrise, intenerito quasi.
«Penso che se quella sera ti avessi trovata nel mio studio, ci avrei provato con te. Seriamente, e non solo con un bacetto a stampo. Mi segui, Andy?» La canzonò lui.
«Non chiamarmi Andy. Giorgi mi chiama Andy, mia sorella, non tu!»
Noёl mostrò i palmi in segno di scuse.
«Poi ho saputo che avevi lasciato Milano e ho temuto fosse per colpa mia.»
«Quindi ti sei fatto circa 300 Km solo per accertarti che non me ne fossi andata per colpa tua?» Chiese Andrea, sollevando un sopracciglio, interdetta.
«Esatto. Ti avrei chiesto di tornare in città con me, questa sera stessa. Ma già so che la tua risposta sarebbe un no. Hai chiuso con Milano, giusto?»
«Giusto.»
«Ti ha deluso?»
«No, forse sono io che ho deluso le mie aspettative.»
Noёl De Angelis la esaminò ancora qualche secondo prima di continuare. Con quel nuovo taglio di capelli e l’aria disillusa era molto affascinante.
«Quindi, dove vuoi che ti porti?» Le chiese.
«Puoi lasciarmi a casa dei miei, è di strada. Tu poi potrai proseguire senza intoppi.»
«Perfetto. Andiamo!» Noёl De Angelis si mise in piedi, imitato dalla giovane ragazza, la quale lo seguì fin dentro l’abitacolo dell’auto, chiusero gli sportelli quasi all’unisono.
 
Andrea Moretti si guardò attorno, il parcheggio era praticamente deserto, neanche un’autovettura all’orizzonte. D’altronde, era la notte di San Silvestro e secondo l’orologio digitale della BMW mancavano davvero pochi minuti alla mezzanotte. In lontananza si udivano i rimbombi ovattai dei fuochi d’artificio, qualcuno si riusciva anche a scorgere a est, dove sorgevano i piccoli borghi montanari.
Aveva detto a Noёl che poteva lasciarla a casa dei suoi, in città, poi lui avrebbe potuto proseguire senza problemi per Milano. Adesso però stava avendo dei ripensamenti. Forse, era stata sgarbata, forse avrebbe dovuto chiedergli se per caso non preferisse fermarsi lì per la notte e poi riprendere il cammino il mattino seguente, con il sole a illuminagli la strada e senza la stanchezza della giornata appena trascorsa. In fondo, i suoi genitori si sarebbero fermati a dormire alla villa del maggiore, suo padre non se la sentiva di mettersi in strada in piena notte e con troppo alcool in corpo. Inoltre, l’indomani avrebbero anche pranzato tutti insieme.
Come una vera famiglia perfetta.
Ridestandosi da tutti quei pensieri, si rese conto solo in quel momento che la macchina era ancora spenta, quindi si girò a guardarlo e lo trovò a fissarla.
«Stavo pensando che forse dovresti fermarti anche tu a dormire a casa dei miei. Non è cauto mettersi in viaggio a quest’ora. Ripartirai dom-»
Noёl De Angelis la baciò sulle labbra, poggiandole una mano sulla guancia destra. Andrea d’istinto si tirò indietro, fissandolo con gli occhi sbarrati, preoccupati. Lui le accarezzò lo zigomo con il pollice:
«Non avremo un’altra occasione» le sussurrò il capitano, mentre in cielo scoppiavano i fuochi d’artificio più splendenti e rumorosi ai quali Andrea avesse mai assistito.
Noёl si liberò del cappotto e con una sola mossa si spostò sui sedili posteriori, aiutando la giovane ragazza a raggiungerlo mentre teneva la sua mano mingherlina nella propria, la quale era grossa il doppio. Andrea non oppose resistenza, sebbene non stesse pensando a niente. La sua mente era completamente vuota, intanto che all’infuori di quella macchina il cielo si illuminava a giorno di ogni colore possibile.
Gli atterrò in grembo, cavalcioni, liberandosi a sua volta dell’ingombrante caban chiaro. La gonna dell’abito si era alzato fino alle cosce e Noёl lasciò che le sue mani corressero sui collant scuri, nel frattempo che lei prendeva a baciarlo con veemenza.
Fecero l’amore sui sedili posteriori dell’auto, come due ragazzini, la notte di Capodanno, fermi nel parcheggio di un autogrill deserto, lungo l’autostrada che collega la Lombardia alla Toscana.
Rimasero qualche minuto ancora in biancheria intima, godendosi il momento mentre la festa per il primo dell’anno sembrava ormai essersi esaurita. Noёl stava fumando un sigaro con il finestrino aperto per 3/4, intanto che Andrea teneva la testa adagiata sulle sue gambe. Le dita di entrambi erano intrecciate sul grembo di lei. Avevano deciso che si sarebbe fermato a dormire a casa Moretti per quella notte, mettersi in viaggio adesso non sarebbe stata una mossa furba.
«Ho ereditato un piccolo rudere in Provenza, nel sud della Francia.» Esordì all’improvviso il capitano e inizialmente Andrea non comprese dove volesse andare a parare. Alzò gli occhi per guardarlo, ma lui teneva i suoi puntati oltre il finestrino. «In realtà, è una piccola proprietà viticola appartenuta ai miei nonni. Sono morti un anno fa, forse due. Non avendo altri eredi, è toccata a me. Non ci sono mai stato, dalle foto che l’agente immobiliare mi ha mandato sembra messa un po’ male, avrebbe bisogno di qualche accorgimento, ma sembra un bel posto dove stare.» Noёl espirò dal sigaro una lunga boccata di fumo che poi espirò per altrettanto tempo, spezzò la punta incandescente e la buttò via, riponendo ciò che ne restava nell’apposito contenitore di cuoio. Quindi rialzò il finestrino e finalmente chinò il capo per guardare Andrea, le sorrise con dolcezza, accarezzandole i capelli sulla sommità della testa. «Potremmo andare a viverci insieme.»
Gli occhi della giovane ebbero un guizzo, si illuminarono e parvero sorridere in contemporanea con le labbra. Felice.
«Sì», disse emozionata. «Sì, mi piacerebbe tanto.»

 
 
fine
 
Angolo Autore:

Ciao a tutti, lettori e lettrici!
Ringrazio chiunque di voi sia giunto a leggere fino all'ultima parola di questa mia storia.
In particolare vorrei ringraziare Star_Rover per la dedizione :)
Non abbiate paura a lasciare un vostro giudizio, anche se piccolo ricordatevi che si scrive per essere letti (e in questo caso recensiti).

Vostra Nina^^
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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