Burattino

di elenatmnt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Grillo Parlante ***
Capitolo 2: *** Mangiafuoco ***
Capitolo 3: *** Arlecchino ***



Capitolo 1
*** Grillo Parlante ***


Ciaooooooooooooooo!!!!
Sono tornata in versione summer! Hihihi!!
Questa storia è stata letteralmente un’improvvisata, non era in programma eppure eccola qui che supera in priorità altre due storie che ho in corso.
Con “Burattino” partecipo alla challenge TAKE YOUR BUSINESS ELSEWHERE del gruppo “Hurt/Comfort Italia - Fanart and Fanfiction”.

Prompt scelti:
34- Personaggio X cresce in un contesto completamente opposto
18- Un Samurai
14- Una delusione
33- La vita di X viene stravolta
5 – Fuggire
(I prompt sono spammati in tutta la storia :D)

Buon divertimento a tutti!! <3



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“C’era una volta…”
“Un re!”
“Ormai questa storia la conosci a memoria. Ma ora ascolta e non affaticarti”.
“Va bene…”
 
 
No, ragazzi avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno.
 

***

In un futuro non molto lontano, i mutanti erano diventati parte integrante della società e per un centinaio di anni, tutto sembrò andare per il verso giusto.
Ma la sete di potere, la guerra e la continua impudenza dell’uomo nei confronti della natura, avevano portato l’umanità ed i mutanti ad una situazione precaria riguardo alla corretta spartizione delle risorse naturali. Fiumi e laghi cominciarono ad inaridire; la flora a bruciare e seccare; acqua e cibo diventarono un lusso per pochi.
La popolazione mondiale aveva fatto enormi passi indietro, divisa tra ricchi potenti che sperperavano le limitate risorse rimaste e il resto della popolazione di dieci volte maggiore, a stento riusciva a trovare un pasto decente per la sopravvivenza.
Il numero dei cadaveri in strada era aumentato, non era strano vedere bambini ad elemosinare, senzatetto ai limiti della decenza umana e madri che piangevano per un altro figlio morto di fame o per la guerra.
Le disparità sociali avevano lasciato il posto all’odio, riversato sui mutanti, accusati di essere la causa del declino del mondo.
Nel futuro, all’apice della tecnologia, si era tornati nella miseria.


***


“Mmm… papà… papà…” si lamentava la tartaruga mutante in preda alla febbre.
Il letto in cui giaceva era solo un accumulo di paglia in un’angusta e tetra soffitta che condivideva con Donatello, suo “fratello maggiore”. Benché non fossero consanguinei e nemmeno lontani partenti, i due si volevano bene, come se lo fossero.

Michelangelo era un ragazzino mutante di tredici anni, da quattro ormai, viveva in uno squallido orfanotrofio dove era malvisto da tutti a causa del suo aspetto. Suo padre lo aveva lasciato lì prima di andare in guerra, con la promessa che sarebbe tornato a prenderlo; e se per qualche motivo, non si sarebbero incontrati all’orfanotrofio, allora, il punto d’incontro sarebbe stata la loro casetta in campagna; una catapecchia che a malapena si reggeva in piedi, ma che per loro era un castello.
 
In una società dove la miseria faceva da padrona, non c’era posto né per la gentilezza, né per l’amore. I bambini venivano educati sin da piccoli a lavorare duramente, la realtà era malvagia, che a loro piacesse oppure no; la sopravvivenza era tutto, si era pronti a schiacciare il prossimo pur di assicurarsi un tozzo di pane.
“Shhh Mickey, sono qui. Ci sono io” Donatello vegliava al capezzale di Michelangelo e lo avrebbe protetto a tutti i costi.

Donatello era un ragazzo umano alto e smilzo, denutrito era la parola esatta. Capelli mossi e castani lunghi fino al collo; una caratteristica particolare erano i suoi denti, perfettamente bianchi ma dalla forma irregolare: un diastema decisamente evidente separava i suoi incisivi e per quello, spesso, veniva preso in giro. Era più grande di tre anni rispetto a Michelangelo, tuttavia la loro estrema disparità in altezza, faceva sembrare che avessero molta più differenza di età.

“Devo trovare… la fata Turchina…”.
“Mickey… stai delirando…” Donatello intinse nuovamente lo straccio nel catino per rinfrescare la fronte di Michelangelo. Il ragazzino era in preda alle allucinazioni a causa di una forte febbre e solo l’amico umano se ne sarebbe preso cura. Per avere un po’ d’acqua in più, Donatello, aveva svolto doppio turno di lavoro ed aveva rinunciato a bere, l’acqua era l’unica medicina per Michelangelo, insieme ad un tozzo di pane raffermo.
“Turchina… papà…”.
“Mikey concentrati sulla mia voce, sono qui. Svegliati amico mio”.
“D…Donnie…?” Michelangelo si svegliò lentamente e tornò più lucido.
“Si bravo! Sono io”.
“S… se… sete…”.

Il ragazzo più grande versò un po’ d’acqua nel bicchiere, doveva essere parsimonioso e farsela bastare.
“Tieni Michelangelo, piccoli sorsi… Ti farà bene…”.
Donatello avvicinò il bicchiere alle labbra del più piccolo, non era raro che Michelangelo stesse male, la malnutrizione lo portava spesso ad avere febbre; di chiedere il parere di un medico neanche se ne parlava, troppo caro per i proprietari dell’orfanotrofio.
“Grazie… Don”.
“Non ringraziarmi. Tu faresti lo stesso…”
“Ehi… Donnie…”
“Mmm?”
“Posso chiederti… un favore? Leggeresti per me… ancora un po’? Sai… mi aiuta a dormire”.
Donatello sorrise, Michelangelo aveva un viso dolcissimo, i suoi teneri occhi celesti avevano il potere di conquistare il cuore delle persone, quelle rimaste buone.
“Sai che puoi approfittare della mia gentilezza solo perché hai un po’ di febbre? Appena starai meglio mi vendicherò” rispose con finta ironia, mentre riprendeva il solito libro.
 
 
Pinocchio.
 
 
Un lercio e vecchio libro, che non aveva più nemmeno la copertina; lo aveva trovato Michelangelo nella spazzatura, era con quello che Donatello gli aveva insegnato a leggere.
 
“Dove eravamo arrivati?”
“Al…Grillo P...par…lante!”
“Vedo che quando vuoi, le energie ti tornano, eh furbacchione? E va bene, Grillo Parlante sia”.
Una foglia secca faceva da segnalibro; man mano si sbriciolava e rendeva ancora più logoro il libro, ma questo non aveva importanza, l’importante era che i caratteri stampati fossero ancora ben visibili e che non si staccassero pagine.
 
 
-Io non me ne anderò di qui-  rispose il Grillo Parlante -se prima non ti avrò detto una grande verità-.
-Dimmela e spicciati-
-Guai a quei ragazzi che si ribellano ai genitori e che abbandonano capricciosamente la casa paterna. Non avranno mai bene in questo mondo; e prima o poi dovranno pentirsene amaramente-.
 
 
“Donnie…?”, si sforzò Michelangelo.
“Cosa c’è?” Donatello posò il librò e gli rimboccò la blanda coperta.
“Tu sei come… il Grillo Parlante”.
“Significa che con una padella mi spiaccicherai al muro?” rise tra sé.
“N...no” sbuffò Michelangelo. “Significa che vegli su di me… anche quando… io non lo merito… perché ti disubbidisco e tu… finisci nei guai per colpa mia… Mi dispiace…”.
“Non dire sciocchezze Mickey. Ora pensa solo a riposare”.
“Sai Don? Quando… starò meglio… andrò a cercare la… Fata Turchina… Lei è buona”.
Donatello non poté fare a meno di sorridere, che fosse un delirio o semplicemente sonno, Michelangelo aveva un’immensa fantasia; l’umano decise di assecondarlo, che almeno nei suoi sogni, Mickey potesse trovare la felicità.
“E cosa chiederesti alla Fata Turchina?”
“Di farmi diventare un ragazzo vero… Come Pinocchio… così il mio papà tornerà… da me… e mi vorrà ancora… adotterà anche te… e diventeremo… per sempre… una… fa…mi…”.
 
Michelangelo si addormentò profondamente; Donatello poteva finalmente togliersi la maschera del risoluto e piangere senza che nessuno se ne accorgesse.

Nessuna Fata Turchina avrebbe fatto un miracolo.

Il papà di Michelangelo non sarebbe mai tornato, come non sarebbe mai tornato quello di Donatello.

Non si torna indietro dal paradiso.

Gli angeli non scendono all’inferno.
 
 

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Capitolo 2
*** Mangiafuoco ***


Note dell’Autrice:
Ciao Ragazzi!!! <3 Spero che questa storia vi stia piacendo. Unico appunto è che le note in corsivo/grassetto sono delle citazioni prese dal libro di Collodi.
Ci vediamo nel prossimo cappy, un abbraccio!!
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Capitolo 2
MANGIAFUOCO


 
Qualche giorno dopo, Michelangelo si era ripreso e la vita era tornata normale.
In coppia con Donatello, i due si erano avviati a lavoro, il loro compito era fare consegne per conto dei commercianti; da mattina a sera, giravano in coppia la città per consegnare pacchi di ogni genere, naturalmente tutto il guadagno andava nelle tasche della signora Null, proprietaria dell’orfanotrofio.

La giornata era trascorsa abbastanza tranquilla, qualche commerciante generoso gli aveva donato qualche monetina extra e i due non avevano perso tempo a comprarsi qualcosa da mangiare.
Le consegne erano quasi giunte al termine, mancava solo l’ultima per poter ritornare in quella che loro chiamavano casa.  I due ragazzini camminavano sotto un cielo che minacciava un violento temporale; nuvole nere avevano coperto i raggi di sole dorati che solitamente ricoprivano la piccola cittadina a quell’ora del tramonto.

 
“Vuoi che porti io la sacca?” chiese Donatello riferendosi alla tracolla di Mickey.
“No c’è bisogno, è un pacco piccolo e leggero. E poi questo era il mio turno!”
“Come preferisci!”.
Dopo qualche altro metro, a Donatello venne una malsana idea di fare uno scherzo a Michelangelo.
“Sai a chi facciamo l’ultima consegna?”.
“No”.
“A Oroku Saki, detto Shredder… il Trituratore!” l’umano cercò di fare una parodia di un vecchio film horror, voleva spaventare Michelangelo per fargli uno scherzo.
“Il Trituratore? Perché lo chiamano così?”
“Vuoi veramente saperlo?”
“Certo che sì”.
“Non è una storia piacevole… potresti fare la pipì a letto se ti spaventi”.
“Figurati se mi spavento”.
“Già, perché tu la pipì a letto la fai comunque” lo canzonò Donatello divertito.
“Non è vero!”.
“Bhe se lo dici tu…” il piccolo piano di fare uno scherzo a Michelangelo era andato in porto. “Dicono di lui che sia uno spietato e violento assassino. Dicono che abbia fatto a pezzi la propria famiglia e li abbia seppelliti nello scantinato. Nessuno li ha mai più ritrovati”.
“D…Davvero?” Michelangelo era palesemente terrorizzato, anche se non lo avrebbe ammesso.
“È tutto vero. Infatti i segni delle sue malefatte sono scolpiti sul suo viso, il diavolo in persona gli ha impresso più di una cicatrice sul volto, in modo che tutti lo riconoscessero al suo passaggio”.
“E noi stiamo andando da lui?”
“Si. Sai, fa il macellaio di professione. Gli strumenti per assassinare gente non gli mancano!”.
“Dobbiamo proprio fare la consegna?”
“Cosa c’è? Hai paura?”
“Certo che no, ma è tardi e…”
Donatello non poté più resistere e scoppiò a ridergli in faccia, la faccia terrorizzata di Michelangelo era più di ciò che poteva sopportare.
“Mi hai preso in giro?” disse infastidito Michelangelo.
“Cavoli, potessi vedere la tua faccia…” continuava a ridere.
“Non fa ridere” Michelangelo aveva messo il broncio che non sarebbe durato più di qualche minuto, non portava rancore, dimenticava in fretta.
“Non ti ho preso del tutto in giro” affermò Donatello calmando la propria risata.
“Ormai non ti credo più”.
“Sul serio Mikey. Io personalmente non credo a questa storia. Ma in città è famosa. Strano che tu non ne abbia mai sentito parlare” affermò continuando a ridere.
 
Nei pressi dell’abitazione per l’ultima consegna, Donatello e Michelangelo videro i loro compagni dell’orfanotrofio venirgli incontro dalla direzione opposta, erano cinque ragazzetti più grandi che li avevano presi di mira e si divertivano a bullizzarli.
Il capo banda era Hun, un colosso di ragazzo, biondo e con gli occhi di ghiaccio; gli altri leccapiedi avevano stazze differenti, seppur sempre più forti dei due malcapitati.
 
“Ecco qui gli sfigati! Lo sdentato e il mostro!” li schernì Hun.
“Non sono sdentato, vedi che io i denti li ho tutti!” rispose seccato Donatello riferendosi al suo diastema; sapeva che non doveva dargli soddisfazione, ma anche quelli più pazienti alla fine cedono.
“Ooooh e così non sei uno sfigato totale, hai fegato a sfidarmi”.
“Lasciaci in pace Hun, dobbiamo finire il lavoro” insistette Michelangelo.
“Anche le bestie hanno la sfacciataggine di parlare davanti ai loro padroni… ma non per molto” Hun lo insultò provocandolo.
“Che cosa intendi dire?” chiese Michelangelo.
“Che una legge Anti-Mutante è in attesa di approvazione. Tra pochi giorni perderete il vostro diritto di parità agli umani e regredirete a ruolo di bestie e… schiavi. Credo non rimarrà granché di voi. Goditi questi giorni di vitto e alloggio mostro, perché appena la legge sarà approvata, verrai venduto come schiavo. Ho sentito la Signora Null che contrattava un prezzo per te. Sei spacciato bello”.
 
Michelangelo rimase di ghiaccio, non ne sapeva nulla. Che gli umani fossero ostili nei confronti dei mutanti, questo lo sapeva bene, ma che gli avrebbero dato la caccia e rinchiusi era tutt’altra storia.

Il ragazzino impallidì.

Anche il cielo infuriato, mostrò il suo diniego; luci di lampi e grida di tuoni incombevano sulla città, le prime gocce di pioggia cascarono dalla volta celeste preannunciando la tempesta.
 
“Cosa c’è? Hai perso la lingua mostro?”.
“Mikey, lascialo perdere, finiamo il lavoro e torniamo all’orfanotrofio”.        
 
Michelangelo rimase immobile, tutto ciò in cui credeva, tutto ciò in cui sperava era solo una menzogna.

“Tu lo sapevi Donnie? Sapevi di questa storia?”.
“Bhe io…”
“Lo sapevi?” insistette Michelangelo.
“Io… ecco… sì Mickey, lo sapevo” Donatello era mortificato, aveva mantenuto il segreto per non far soffrire il suo unico amico, non aveva agito in male. Omettere quella verità era il suo modo di proteggerlo.
“E non mi hai detto niente?”
“L’ho fatto per il tuo bene”.
“Ma noi siamo amici, siamo fratelli e alla famiglia non si mente”.
“Mi dispiace Michelangelo, non era mia intenzione farti soffrire”.
“A no? Bhe ci sei riuscito!”

Michelangelo era arrabbiato, nel profondo del suo cuore, non aveva nulla da rimproverare a Donatello, la sua crescente ira era l’atto di un cuore disperato. Sapeva di non avere via di scampo, se avessero approvato la legge, cosa molto probabile, avrebbe fatto una brutta fine.
 
“Come vedi mostro, non ci si può fidare nemmeno fi chi chiami ‘fratello’. Ma come dare torto a Donatello? In fondo tu sei solo un animale e le bestie vanno addomesticate”. Hun si divertiva a provocare la tartaruga, che rimase immobile con i pugni stretti.
“Stai zitto Hun!” urlò Donnie. “Andiamocene Mickey, abbiamo un lavoro da finire”. Provò a tagliare corto, ignorando lo sguardo adirato di Mickey contro di lui.
 
Gli altri bulli fecero da scudo umano e impedirono ai due il passaggio, le loro facce erano adornate da sorrisi minacciosi; Donatello sapeva che stavano rischiando grosso, c’era aria di pestaggio e nessuno li avrebbe aiutati. Non poteva permettere che a Michelangelo accadesse qualcosa di male, e non negava a sé stesso la paura che sentiva scorrere nelle proprie vene.

“Cosa vuoi Hun?” Donatello provò un approccio più diplomatico.
“Voglio la vostra razione di cibo per i prossimi due giorni” ghignò maligno.
“Hun, sai che ci stai chiedendo troppo… mangiamo una sola volta al giorno!” protestò Donatello.
Hun si avvicinò minaccioso e il suo pugno era già pronto a colpirgli il viso; violenza e minacce, era il modo di un ragazzo spaventato, prossimo a lasciare una casa sicura, come l’orfanotrofio, perché si avvicinava alla maggiore età. Hun molto presto sarebbe stato sbattuto fuori e mai e poi mai si sarebbe mostrato debole, seppur dentro, moriva di paura.
“Fermati Hun!” urlò Michelangelo fermando l’azione di Hun. “Avrai il mio cibo, solo il mio, per quattro giorni. Ma lascia stare in pace Donatello”. Era arrabbiato, sì, tuttavia non avrebbe permesso che Hun picchiasse il suo amico.
“Mikey sei impazzito?”.
“Non sono affari che ti riguardano!” Michelangelo rispose stizzito.
 
***
Tonava forte forte, lampeggiava come il cielo pigliasse fuoco, e un ventaccio freddo e strapazzone, fischiando rabbiosamente e sollevando un immenso nuvolo di polvere, faceva stridere e cigolare tutti gli alberi della campagna.
Pinocchio aveva una gran paura dei tuoni e dei lampi: se non che la fame era più forte della paura.
***
 

Incombeva una feroce pioggia su tutti loro.
Hun guardò verso gli altri bulletti con sguardo complice, aveva in mente un’idea non del tutto buona, un’idea che avrebbe coinvolto il divertimento dei suoi amici.
Il pugno che si era fermato, riprese inaspettatamente la sua traiettoria in pieno viso Donatello che rotolò con facilità a terra mentre il suo naso e la sua bocca cominciavano a sanguinare.
“Pensi che io scenda a patti? E con un abominio per giunta?”.
 
Donatello comprese di non avere scampo, le avrebbe prese, per l’ennesima volta. Qual era il suo peccato, il suo errore? In fondo lo sapeva, era troppo buono per un mondo così crudele.
 
Subito i bulli corsero ad accerchiarlo.
“Michelangelo scappa!” gridò invano Donatello. Che fu accerchiato e poi pestato. Due dei bulletti tenevano fermo Michelangelo costretto a guardare lo scempio su Donatello.
“Vedi mostriciattolo? È colpa tua, è per colpa di mostri come te che gli umani finiscono nei guai. E Donatello lo sdentato è uno di loro, che questo gli serva di lezione, rimanerti amico significa… morte”.
“No! Lasciatelo stare!” urlava agitandosi il ragazzino mutante, ma a nulla servivano le sue suppliche.
“Sei una disgrazia mostro, peste nera per tutti. Non ti vogliamo hai capito? Non ti vogliamo!”
Mentre le parole di Hun si fecero più chiassose e brutali; mentre Donatello si raggomitolava a terra per coprirsi viso e parti intime ed evitare di venir colpito nei punti più sensibili; mentre Michelangelo implorava un briciolo di pietà per il suo migliore amico; mentre la tempesta infuriava su di loro… I due ragazzini chiusero gli occhi, pregando che quella tortura finisse al più presto.
 
Un’ombra nel buio della notte si fece strada tra loro.
 
In un primo momento, Donatello e Michelangelo non capirono bene cosa fosse successo, l’unica cosa di cui si resero conto è che furono lasciati andare. Michelangelo fu il primo ad aprire gli occhi e fu in quel momento che vide i bulletti scappare via spaventati come non li aveva mai visti prima.
Non capì immediatamente, ma quando si voltò verso Donatello disteso a terra, vide chiaramente un omone avvolto da un mantello nero e un cappuccio che gli copriva la testa, a malapena lasciava trapelare il viso deturpato.
Michelangelo si sgomentò.
“Il T…Tri…tura…tore…” balbettò terrorizzato prendendo atto di chi fosse l’uomo.
 
*** 
Allora uscì fuori il burattinaio, un omone così brutto che metteva paura soltanto a guardarlo. All’apparizione inaspettata del burattinaio, ammutolirono tutti: nessuno fiatò più. Si sarebbe sentito volare una mosca. Quei poveri burattini, tremavano come tante foglie.
***
 
 
Il diluvio non aiutò di certo quella situazione tanto assurda e l’uomo era ad un passo da Donatello che non accennava a muoversi; svenuto per terra dalle botte ricevute ora rischiava di essere ucciso da un brutale assassino.

L’uomo misterioso si chinò e sollevò il ragazzo che giaceva a penzoloni tra le sue braccia, strappando via a Michelangelo, l’unica famiglia che gli era rimasta.

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Capitolo 3
*** Arlecchino ***


Note dell’autrice:
Ciao ragazzuoli!!! <3 eccomi con un nuovo capitolo. Sono un “pelino” in ritardo, ma sapete… l’estate porta vacanze o tanto lavoro in più… In entrambi i casi sono stata trascinata via dalla mia storiellina. Mi mancava, e a voi?? Non ciancio più… voilà! Ecco a voi il terzo cappy!! Buona lettura :*
P.S. Se vi va di lasciarmi un feedback, anche piccolino, ve ne sarei tanto grata; mi aiuta a crescere e a beccare quegli errori (anche scemi a volte) che mi sfuggono di mano. Grazie mille!!!!

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Capitolo 3
ARLECCHINO




 
La tempesta perdurò sotto il cielo nero e tuonante, il vento si fece violento e il gelo avvolse il suo corpo gracile.
Michelangelo non aveva paura.
No, non di quello. Aveva paura di non rivedere mai più il suo migliore amico, che scompariva nel buio della notte tra le grinfie di un mostro assassino.
 
“Fermo!!! Lascia stare mio fratello!” latrò feroce Michelangelo, stupendosi di sé stesso, di come potesse diventare così aggressivo se qualcuno osava minacciare la sua famiglia.
L’uomo si fermò.
La tartaruga mutante non avrebbe immaginato che gli sarebbe andata bene al primo colpo, si mostrò minaccioso, anche se nel suo cuore moriva di terrore. L’unico obiettivo era salvare Donatello che giaceva ferito tra le braccia dell’omone.
“Non essere stolto ragazzino. Seguimi e taci” disse l’uomo voltarsi appena per poi riprendere il suo cammino.
 
Che intenzioni aveva il Trituratore?                    
 
Nella mente di Michelangelo si fecero strada le peggiori immagini horror, ricordava dei racconti del terrore che i ragazzini più grandi gli raccontavano e già immaginava come sarebbe stato fatto a pezzettini insieme a Donatello e nessuno li avrebbe mai più ritrovati.
Né la paura né il costante tremolio alle gambe fermarono Michelangelo dal salvare il suo amico. Fradicio di pioggia e tenendosi a distanza, inseguì l’uomo senza mai togliergli gli occhi di dosso.
Una porta di ferro rossa, in un vicoletto ricco di graffiti e bidoni della spazzatura, fu aperta rumorosamente da Oroku Saki, che scomparve nel buio di qualsiasi luogo fosse quello; il piccolo mutante era consapevole che stava per entrare nella tana del lupo.
 
Per quanto Michelangelo si fosse sforzato di rimanere attento, alla fine, l’aveva perso di vista. I suoi occhi celesti si erano soffermati a fissare qualcosa che di gran lunga richiamò la sua attenzione: la luce lieve che dall’esterno penetrava dalle finestre, con ripugnanza rifletteva sulle lame dei coltelli facendole brillare di argento vivo.
Il fruscio del vento che attraversava gli spifferi, pareva essere grida di spiriti erranti; la porta cigolava prepotente spinta dalla forza del vento e tintinnii di uncini d’acciaio appesi al soffitto contornavano quella litania dissonante infernale.
Il povero ragazzo deglutì sonoramente.
Gocce di sudore freddo si mischiarono a quelle della piaggia che gli rigavano le tempie, mai in vita sua aveva provato così tanta paura, quello era proprio il luogo dei suoi peggiori incubi.
 
Un urlo disperato rimbombò nell’aria spiazzando completamente Mickey.
“Donnie!” sussurrò.
Erano sue le grida.
“Coraggio Mickey, fatti coraggio. Quel mostro sta ammazzando Donatello” ascoltò la propria voce per farsi forza.
I coltelli erano troppo in alto, non ci sarebbe mai arrivato per afferrarne uno ed arrivare come un guerriero in soccorso del suo amico. L’unico strumento che riuscì a vedere nella tetra stanza di facile portata, era una scopa; qualsiasi cosa era meglio di niente.
Afferrato l’oggetto si precipitò verso il suono che portava ad un lungo corridoio, dove dall’ultima porta rimasta socchiusa, proveniva una luce dorata.

Fuoco.
 
Se ci fosse stato un inferno in terra, Michelangelo era sicuro di aver trovato l’ingresso.
Passo dopo passo si avvicinò, il successivo era più incerto di quello precedente. Man mano che si avvicinava cresceva la paura di quello che avrebbe potuto vedere; con tutta probabilità Donatello era già morto e ora toccava a lui.
 
Un altro urlo.
 
A quel punto non vi furono esitazioni, gettò via la paura ed entrò deciso, puntando la scopa come la lancia di un vero condottiero. Se doveva morire lo avrebbe fatto con onore e suo padre sarebbe stato fiero di lui.
Entrò spavaldo spalancando la porta sonoramente e vociò come un matto.
“Lascia stare mio fratello! Hai capito?”
L’attenzione fu subito su di lui.
“Lascia stare Donatello o io ti…”.
 
Michelangelo ammutolì all’istante; rimase immobile e sconvolto quando mise a fuoco ciò che vide. Donatello era disteso su un divano posto di fronte ad un caminetto col fuoco acceso che illuminava e scaldava l’ambiente; l’omone, ora col viso deturpato in bella vista, era seduto accanto e aveva un paio di forbici in mano.
A Michelangelo fu tutto chiaro, Saki lo stava facendo a pezzi.

La rabbia si tramutò in tristezza e la tristezza in resa, non era così forte come suo padre diceva; sapeva che da solo non avrebbe mai sconfitto Saki e per di più non con Donatello in ostaggio.
Non riuscì a trattenere le lacrime; la scopa gli cadde di mano e le sue gambe cedettero sotto di lui. Forse per il suo amico non c’era più nulla da fare o forse era ancora vivo e aveva ancora una speranza.
Con umiltà e un barlume di speranza si prostrò all’uomo.

“S…signo…re… se ha ancora un po’ di bontà nel suo cuore… lasci andare mio fratello, il mio migliore amico… e prenda me al suo posto. Non lo faccia a pezzi, per favore”
 


***
Pinocchio, alla vista di quello spettacolo straziante, andò a gettarsi ai piedi del burattinaio, e piangendo dirottamente, cominciò a dire con voce supplichevole:
“Pietà signor Mangiafuoco!...”.
Il burattinaio fece subito il bocchino tonto, e diventato tutt’a un tratto più umano e più trattabile, disse a Pinocchio:
“Ebbene, cosa vuoi da me?”.
“Vi domando grazia per il povero Arlecchino”.
“Qui non c’è grazia che tenga”
“In questo caso” gridò fieramente Pinocchio, “in questo caso conosco qual è il mio dovere. Legatemi e gettatemi tra quelle fiamme. No, non è giusta che il povero Arlecchino, il vero amico mio, debba morire per me!”.
***
 

Oroku Saki, detto il Trituratore, scrutò il piccolo mutante. Il ragazzino prostrato a terra con la frontea contatto col pavimento, emetteva un suono simile ad un piagnucolio; era il vano tentativo di trattenere un pianto straziante.
L’uomo posò le forbici sul tavolino accanto, si alzò e con passi lenti si avvicinò alla tartaruga inginocchiandosi di fronte.
La mano possente si posò sulla spalla di Michelangelo che tremò ancor più vistosamente.

“Alzati ragazzo”.
Michelangelo non ebbe il coraggio di muoversi, così, fu l’omone a sollevarlo da terra ma la tartaruga rimase sempre con il volto rivolto al suolo.
“Come ti chiami?”.
“Mi..chelangelo. Mi chiamo Michelangelo, signore”.
“Bene Michelangelo. Sulla cucina che una pentola con dello stufato, serviti se hai fame”, detto ciò si rialzò piano e tornò verso Donatello.

Michelangelo rimase confuso e stupito. Che cosa aveva in mente l’uomo? La risposta arrivò presto, non da Oroku Saki, ma da una terza voce che flebile si levò nell’aria.
 
“M...Mickey?” balbettò debole Donatello mentre riapriva gli occhi. Si stava risvegliando da uno stato di semincoscienza.
“D…Donnie?! Ma allora… sei vivo?” il viso della tartaruga si illuminò di gioia e gli occhi si riempirono di lacrime. Senza pensare ad altro, si buttò a capofitto su Donatello abbracciandolo forte e affondando il viso nel suo petto.
“Ahi!! Certo… che lo… sono”. Con la frenesia di Michelangelo, Don si era svegliato del tutto.
“Ma io credevo… credevo che… ti stessero facendo a pezzi”.
Il ragazzo dalla dentatura irregolare, riuscì a sorridere sghembo. Che fosse per l’ammirazione per Michelangelo o per il dolore o per l’affermazione del suo ingenuo amico, non lo sapeva nemmeno lui. Probabilmente era solo felice che Michelangelo avrebbe volentieri dato la sua vita per salvarlo.
 
“Mickey… sei così ingenuo…” rise. “Su, basta piangere”.
Michelangelo tirò su col naso, tante cose non gli erano chiare.
“Allora perché ti sentivo gridare?” chiese la tartaruga.
 
“A questo posso risponderti io!” affermò l’uomo. “Il tuo amico è un frignone, un po’ d’alcol su qualche graffio e urla come se lo stessi facendo a pezzi” disse ghignando con tono di chi prendeva in giro qualcuno.
“Ehm… bruciava molto, signore. Insomma faceva male…” Donatello rise nervoso ed imbarazzato. Si era mostrato fifone davanti agli occhi del suo migliore amico.
Michelangelo non ci fece nemmeno caso, era solo il bambino più felice del mondo per aver ritrovato suo fratello adottivo.
“Ora ragazzi miei si è fatto tardi. Resterete qui per la notte, domattina tornerete all’orfanotrofio. Intanto vi rifocillerete e vi farete un bagno caldo”.
 
L’uomo dal viso sfregiato che metteva paura con un solo sguardo; l’uomo preso di mira dalle malelingue della gente; l’uomo che appariva macabro e misterioso… si rivelò essere un puro di cuore.
“Signore, la ringraziamo, ma non possiamo accettare” dichiarò Donatello. “Ha già fatto tanto per me e le sarò eternamente grato, però dobbiamo tornare all’orfanotrofio. Anzi, siamo già in ritardo”.
“Fuori c’è un violento temporale. È pericoloso uscire e pertanto mi ubbidirete”.
Michelangelo e Donatello si guardarono preoccupati; in un modo o nell’altro sarebbero finiti nei guai. Tornare l’indomani dalla signora Null significava cinghiate assicurate.
“So cosa vi preoccupa ragazzi miei. In orfanotrofio non deve essere facile, basta guardarvi per capire quanto sia dura”, l’uomo sapeva bene cosa subivano i ragazzini, conosceva per fama la signora Null. “Prendete queste”, dalla tasca tirò fuori un sacchettino con delle monete. “Sono cinque soldi. Una per il vostro lavoro, due per la signora Null come ‘rimborso’ per la vostra permanenza qui di stanotte e le altre due sono per voi; una ciascuno”.
 
***
Pinocchio, come è facile immaginarselo, ringraziò mille volte il burattinaio: abbracciò, a uno a uno, tutti i burattini della Compagnia: e fuori di sé dalla contentezza, si mise in viaggio per tornarsene a casa sua.

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“Perché lo fa signore?” chiese Michelangelo con innocenza.
“Perché è ciò che vorrebbe mia figlia Karai”.
“E dov’è ora?” chiese sfrontato Michelangelo, non avendo colto l’antifona. Donatello lo guardò sbigottito perché, al contrario, aveva capito ogni cosa; ma all’uomo non importava, anzi gli piaceva parlare di sua figlia, era un modo per ricordarla.
“È in un posto migliore” l’uomo sorrise triste. “Sapete, lei credeva che ognuno potesse scegliere il proprio paradiso, credeva che lo si potesse plasmare a proprio piacere. Se così fosse, ora sono certo sarà nel suo teatro dei burattini a dirigere il più grande spettacolo di marionette mai visto”.
“Burattini?”.
“Si, Michelangelo. Lei adorava quei pupazzi di legno e fili”. L’uomo indicò le mensole di una parete della stanza alla quale nessuno aveva posto attenzione fino a quel momento. Era piena di burattini di ogni genere. “Erano di mia figlia”.

I due ragazzini guardarono meravigliati e anche commossi, le parole dell’uomo arrivarono fino in fondo ai loro cuori.
Oroku Saki era un vero padre che amava sua figlia.

“A proposito, ragazzi miei. Avete un pacco per me?”.
“Oh si! Quasi dimenticavo!” affermò Michelangelo. Si sfilò via la tracolla, prese il pacco e lo porse all’uomo.
Saki decise di aprirlo in quel preciso momento.
“Ecco qui, l’ho trovato finalmente, il pezzo più raro e bello di tutti. Ora mia figlia sarà contenta, sono riuscito a completare la sua collezione”.

Tra le mani stringeva un burattino: Arlecchino.

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