La Regina della Notte

di Neamh Moonstar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Se non la si conosceva, Lily Queen sembrava la ragazza più anonima che si potesse immaginare. Non camminava, piuttosto vagava tra la gente come un fantasma, senza incrociare sguardi né scambiare saluti. Era come se non conoscesse nessuno e fosse lì solo di passaggio: una giovane donna come tante altre che si faceva strada tra le vie per andare chissà dove a fare chissà cosa. Era silenziosa come un'ombra e un'ombra sembrava con i lunghi capelli corvini che si ritrovava, e con le giacche eleganti su toni freddi e cupi che indossava per affrontare il freddo. Per tutto il resto, aveva dei normalissimi occhi scuri, non era né troppo alta né troppo bassa, né troppo magra né troppo robusta, né troppo elegante né troppo casual. Insomma, la perfetta rappresentazione del profilo basso: una figurina capace di confondersi come un camaleonte con l'ambiente.

Se solo gli occhi di tutti non le fossero scivolati addosso come mani sul sapone, qualcuno si sarebbe probabilmente accorto di quanto fosse carina seppur pallida come una bambola di porcellana. La sua pelle era troppo chiara e sensibile per i ritmi frenetici della città, ed era sempre leggermente arrossata e puntellata da una miriade di lentiggini, nei e macchiette che rendevano il suo volto simile ad un quadro di Pollock. 

Qualcuno, quand'era piccola, le aveva detto che le lentiggini sono ciò che resta dei baci degli angeli. Lily, però, era più che certa che gli angeli avrebbero preferito baciare chiunque tranne lei - e come biasimarli.


Mentre saliva sulla metro, andando ad accaparrarsi il primo posto libero, tirò fuori il cellulare e rilesse l'ultimo sms che le era arrivato. Ne aveva avuti di incontri del genere, ma di solito erano subdole chiacchierate in fondo ai bar o veloci scambi sotto un portico. Nei casi più seri si ritrovava a casa dei suoi clienti davanti ad una fumante tazza di tè, o erano direttamente loro a venire nel suo appartamento. Stavolta no: stavolta si stava per dirigere proprio in mezzo a Trafalgar Square, laddove la folla era perenne tra gente di fretta, scolaresche e turisti - indipendentemente dal periodo dell'anno. Lo strano tizio che l'aveva contattata non aveva detto molto, ma alla fine nessuno lo faceva mai in quel campo. La cosa veramente strana era stato il: "Lo capirai quando ci vedremo" in risposta ai suoi ovvi dubbi su come avrebbe fatto a capire da chi si stava dirigendo esattamente. Misterioso, sì, ma anche troppo.

Quando arrivò a destinazione, iniziò a destreggiarsi come suo solito tra il tipico imbottigliamento che si faceva man mano più pressante verso il centro. Ma se la folla era un'onda di gente, Lily era il surfista che sapeva come cavalcarla e arrivò in piazza senza troppa fatica.

In mezzo al freddo pungente del primo inverno, percepì subito qualcosa che le rimescolò lo stomaco in modo particolare: il modo, come lo chiamava lei; la sensazione che la faceva scattare sull'attenti e la aiutava ad isolare la frenesia circostante per concentrarsi unicamente sul suo obbiettivo. Fu come avere una pista ben delineata davanti agli occhi che la guidò proprio sotto la scalinata che portava alla National Gallery.

    «Dicono che il modo migliore per nascondere qualcosa sia metterla sotto gli occhi di tutti» commentò, affiancando l'uomo ben vestito che stava facendo finta di osservare la folla.

    Lui, in tutta risposta, fece una mezza smorfia e si allontanò appena. Poi, dopo essersi sistemato la giacca grigio chiaro e la cravatta lilla, disse: «Te ne vai in giro con quella roba addosso?»

    Lily sorrise appena, picchiettandosi il fianco dove, ben attaccato alla cintura, se ne stava il suo pugnale preferito. «Non si sa mai. E dire che credevo vi foste sbagliato.»

    L'altro la fissò duramente. «Non sono stupido. So chi sei e so cosa sei capace di fare. È proprio per questo che ti ho contattata.»

Il tutto si stava facendo incredibilmente interessante.

    Lily osservò il suo interlocutore, studiandone il volto ben definito, i ben acconciati capelli castani, l'abbigliamento ben stirato... Poi si soffermò sulle iridi violacee e alzò gli occhi al cielo. «Anche io so chi siete» rispose, iniziando ad accendersi una sigaretta. «Avete un'aura così pomposa da disturbare tutta la piazza, arcangelo. Ho visto molti vostri sottoposti confondersi decisamente meglio tra i mortali.»

    L'altro era ovviamente infastidito sia dall'atteggiamento che dal fumo che cercò invano di allontanare con la mano. «Diciamo che non amo sforzarmi per avere colloqui con gente come te.»

    «Il che mi porta a chiedervi il motivo del nostro incontro. Come mi avete trovata? Avete per caso qualche contatto con l'Inferno, potente messaggero?»

Un angelo, anzi, un arcangelo che va alla ricerca di una Cacciatrice del suo calibro era decisamente un controsenso - oltre che un suicidio. Se poi si parlava di Gabriel, allora lì le cose si facevano anche sospette oltre che intriganti.

    Quest'ultimo si fece duro ed indignato: «I contatti non sono affar tuo, umana. L'unica cosa che deve interessarti è il tuo compito.»

    Lasciando aleggiare un po' di fumo nell'aria, Lily alzò un sopracciglio: «Essia. Cosa vuole quindi da me questa rispettabile creatura di Dio?»

Fece rotolare l'epiteto nella sua bocca come fosse una caramella particolarmente buona. La reazione dell'arcangelo fu quella di mettersi sulla difesa, ovviamente incapace di capire se fosse ironica o meno. Era tipico di coloro che non scendevano mai sulla Terra il non sapere come approcciarsi ai mortali, finendo quindi per essere o troppo esposti o troppo imperiosi. Gabriel stava ovviamente cercando di apparire stoico, ma la sua bella aura color lavanda lo stava tradendo e Lily poteva vederla chiaramente mentre ballava incerta attorno a quel corpo perfetto. In realtà, era una situazione a limite per entrambi: lei non aveva mai avuto a che fare con un arcangelo prima - poiché erano solo in quattro e non si palesavano mai se non per eventi eccezionali - perciò stava decisamente giocando col fuoco; mentre lui si trovava d'innanzi ad uno dei pochi umani capaci di ferire fisicamente una creatura immortale.

Tra loro, ben mescolata tra il freddo, la frenesia e il rumore della città, se ne stava una compatta bolla di tensione.

    «Ho bisogno che ti occupi di qualcuno» rispose Gabriel, vago e persino un po' incerto.

    Lily lo guardò sorpresa: «E chi è che sfugge al controllo del grande messaggero, di grazia?»

    «Non sfugge a me. Sfugge a tutto il Paradiso!» Esclamò l'altro, allargando le braccia per enfatizzare il concetto. Nessuno dei passanti si voltò a guardarlo.

    La Cacciatrice rimase genuinamente di sasso. Buttò la sigaretta e la schiacciò con il tacco dello stivale, rivolgendosi anima e corpo all'arcangelo: «In che senso?»

    «È una specie di intoccabile. Storia lunga: diciamo solo che non ho alcun potere su di lui, non più.»

Un sottoposto alquanto inusuale quindi, qualcuno che l'aveva fatta sotto il naso a nientemeno che uno dei grandi quattro. Situazione particolare, anzi: ai limiti del possibile.

    «E il soggetto in particolare non è Caduto dopo la qualsivoglia bravata che vi ha portato a chiamare me?»

Così era sempre stato, così era e così sarebbe stato sempre: gli angeli disobbedienti Cadevano, senza se e senza ma. Erano le regole, giusto?

    Gabriel spostò il peso da una gamba all'altra, irrequieto: «Le cose sono diverse adesso. Da quando l'Apocalisse é stata sventata e abbiamo cercato di eliminarlo con il fuoco dell'Inferno, le intenzioni di Dio si sono fatte, beh-» rivolse uno sguardo verso l'alto poi, abbassando il tono di voce, sussurrò: «-più indecifrabili del solito.»

Lily sbatté gli occhi un paio di volte, confusa ed incuriosita. Apocalisse? Fuoco dell'Inferno? L'Altissima impossibile da leggere come sempre e uno dei suoi arcangeli più potenti così confuso da abbassarsi a lei tra tutti i mortali? Il puzzle si stava facendo sempre più sbrindellato, perciò dovevano ricominciare dall'inizio e mettere apposto i pezzi. Aveva bisogno di capire esattamente con che cosa aveva a che fare.

    Così, cacciandosi le mani in tasca, fece una cosa che mai avrebbe pensato di fare con una di quelle creature che normalmente considerava prede. «Vi piace il caffè?» Chiese con nonchalance.


**


Ovviamente a Gabriel non piaceva il caffè, anzi: non gli piaceva niente. Aveva blaterato qualcosa riguardo all'inzozzare il tempio del suo corpo, ma Lily lo aveva prontamente ignorato e costretto ad infilarsi in una caffetteria se voleva continuare il discorso. I motivi erano due: uno, gli angeli non sentono il freddo ma Lily sì e aveva già la punta del naso intorpidita; due, gli angeli non dormono ma Lily sì, e ultimamente tra lei e le otto ore di sonno consigliate non c'era un buon rapporto. Per questo motivo aveva bisogno di caffeina per andare avanti, che il suo "cliente" lo volesse o meno.

Così si ritrovarono seduti l'uno davanti all'altra, lui che spiegava e lei che sorseggiava da una larga tazza fumante. Durante la sua carriera, Lily ne aveva sentite di cose assurde e spesso si era ritrovata a dover inseguire soggetti difficili. Il suo era un lavoro complicato e che inglobava una cerchia di persone tra le più disparate; ciò perché inseguire i demoni era facile: alle volte erano loro stessi a stuzzicare, spaventare, uccidere e interferire da bravi mitomani quali erano. Ma inseguire gli angeli era come dare la caccia ai fantasmi: raramente si palesavano - e allora dovevi imparare a scovarli - ma se lo facevano, dovevi essere bravo ad agire di conseguenza e trarne beneficio.

Mai e poi mai, però, si sarebbe aspettata di ritrovarsi davanti ad un arcangelo che le raccontava di come il mondo fosse pronto a finire e di come tutto fosse andato a rotoli all'ultimo secondo. Mai avrebbe pensato che potesse esistere una creatura divina capace di ridacchiare mentre il fuoco dell'Inferno cerca di mangiarsela. E infatti:

    «Con tutto il rispetto» disse, finendo di bere, «ma temo che io questo suo ex-sottoposto lo debba ringraziare per non avervi fatto ridurre il mio pianeta in poltiglia» ridacchiò. «Per tutto il resto, se Dio gli ha dato le capacità che ha - e potete dubitare quanto volete, ma qui non ci sono dubbi che sia così - fatti suoi. Non caccio chi mi dà una mano e voi non dovreste sputare nel piatto in cui mangiate... a meno che non vi piaccia la dannazione eterna.»

E poi vero era che non poteva fargli niente se nemmeno le fiamme del più demoniaco dei luoghi erano capaci di ferirlo. In poche parole, aveva le mani legate, e se c'era una cosa che aveva imparato in anni di carriera è che rendersi ancor più difficile un lavoro già difficile non ha senso.

    «Tu credi, eh?» rispose Gabriel, stranamente fin poco scomposto da quelle affermazioni. «Non ti ho ancora detto le cose più interessanti.»

Lily alzò un sopracciglio, ma non rispose. Da un lato era genuinamente curiosa di sapere cos'altro avesse in serbo quella storia; dall'altro stava già pianificando di usare il pugnale contro il suo interlocutore nel caso tutta quella mattinata si fosse rivelata una perdita di tempo. L'idea di avere alla sua mercé un arcangelo la fece tremare di eccitazione e interesse: sarebbe stato un evento senza precedenti, ma non era tipa da lanciarsi su una preda senza prima studiarne i movimenti e le intenzioni.

    Quest'ultimo, accolto il silenzio, continuò: «Prima di tutto, l'angelo in questione è un principato» affermò.

    Solo quell'informazione bastò a far sgranare gli occhi a Lily. «Un cosa?» Esclamò, attirando qualche occhiata stupita e indignata.

Così come con i fantasmi, in effetti, c'erano angeli più facili da cacciare di altri. I più comuni erano i custodi: Lily ne aveva catturati tanti nel corso del tempo - il suo per primo. Erano gli angeli per eccellenza: quelli che di solito si trovano dipinti sui soffitti delle chiese, docili e minuti esserini dall'aspetto più vicino a quello degli esseri umani, estremamente comuni dato che ne veniva assegnato uno ad ogni nascita. In molti erano stati coloro che le avevano chiesto di catturare il loro custode: un lavoretto semplice e rapido che non richiedeva sforzi né inseguimenti, dato che ogni custode è legato all'umano assegnatogli.

Più si saliva sulla scala gerarchica, più le cose diventavano complicate. Come già detto, gli arcangeli erano un caso a sé stante: erano in numero estremamente ridotto e avevano compiti ben specifici che non sempre li portavano sulla Terra.

Poi, tra cielo e terra, se ne stavano loro: i principati, esseri luminosi con sempre un occhio attento e vigile sull'umanità, incaricati di vegliare e guidare il corso della storia. Erano i migliori a confondersi tra la gente: il confine tra loro e l'umanità era sottile ma impenetrabile, si mimetizzavano così bene da essere il tesoro più ambito dai Cacciatori. Non erano così in alto gerarchicamente da essere intoccabili ma neanche così in basso da essere facilmente scovabili. Erano un gioco per gente come Lily: una specie di difficilissima partita a Lupus in Fabula.

    «State scherzando?» Chiese poi, incredula, scavando nelle iridi violacee di Gabriel.

    Lui la fissò serio a sua volta. «Gli angeli non mentono agli esseri umani, dovresti saperlo.»

Lo sapeva eccome, eppure... Un sorriso si fece strada sul suo volto di porcellana. Forse poteva essere interessata. Molto, molto interessata.

    «Non ho finito» riprese Gabriel. «C'è un altro motivo che rende questa faccenda complicata.»

Lily stavolta pendeva totalmente dalle sue labbra. Altro? Qualcosa ancora meglio di ciò che le era già stato detto?

    L'arcangelo avvicinò ancora di più la testa e le sue iridi si fecero di un intenso color lavanda. Sembrava ad un crocevia tra l'infastidito, l'arrabbiato e il timoroso; la sua aura aveva preso le sembianze di un cumolonembo traslucido. «Si è alleato con il nemico» sussurrò. «Ma non un nemico qualsiasi. Pare proprio che faccia comunella con colui che la tua famiglia venera da secoli.»

La schiena di Lily scattò come se qualcuno le avesse dato un colpo di frusta, il suo cuore batteva all'impazzata e poteva sentire la sua stessa aura ritorcersi ed infrangersi su sé stessa come la marea sugli scogli. Trattenne il respiro e iniziò a combattere con i suoi pensieri che, imperterriti, urlavano: Non può mentirti, non può mentirti, non può mentirti.

Ora il suo coinvolgimento doveva essere totale. Voleva sapere. Voleva capire quale creatura divina fosse stata capace di attrarre a sé le grazie del Tentatore, colui che aveva forgiato l'umanità e al quale lei e i suoi avi prima di lei avevano dedicato ogni singola piuma strappata dalle candide ali delle loro prede.

    Gabriel si poggiò allo schienale della sua sedia, le mani ben adagiate sul grembo e lo sguardo di chi aveva portato a termine un lavoro ben fatto. «È semplice, Queen: prendi l'angelo e avrai anche il demone. Come dite voi da queste parti? Due al prezzo di uno?»

     Sembrava di essere piombati nel Paese delle Meraviglie. «Ci sto» disse Lily tutto d'un fiato, «eccome se ci sto. Oh, portate davvero liete notizie, grande messaggero» sogghignò poi.

    L'altro fece spallucce, un leggero sorriso gli ballava sulle labbra. «Prendilo e fa' di lui ciò che vuoi. Voglio semplicemente che tagli i suoi ponti con Dio; è la tua specialità, no?»

    «Capisco» mormorò la Cacciatrice. «Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Un classico.»

    Gabriel annuì e tornò serio, alzando un dito per affermare il concetto: «Non una parola, però, intesi? Io e te non ci siamo mai visti.»

    Lily si poggiò la testa su entrambe le mani, alzando un sopracciglio e guardando l'arcangelo con lo sguardo che riservava solo alle sue prede: un misto indecifrabile di godimento e serietà. «Vedete, ho come l'impressione che Qualcuno lo sappia già» affermò, puntando con un dito verso l'alto.


**


Appena tornata a casa, Lily si tolse la giacca di dosso e si sfilò il pugnale dalla cintura, poggiandolo sulla scrivania di camera sua. Proprio come la sua proprietaria, a prima vista quell'arma sembrava un oggetto come tanti altri: una lama tozza e lucida montata su un manico nero. La Cacciatrice se lo portava in giro con la scusa dell'autodifesa, dal momento che: "Una donna in una grande città non può sapere chi si ritroverà davanti". La verità, ovviamente, si nascondeva nei dettagli cremisi e quasi invisibili che percorrevano la lama: antiche incisioni imbevute di sangue e icore dorato; un miscuglio che agli umani avrebbe procurato una ferita qualsiasi ma che avrebbe potuto spedire un angelo, beh, ovunque vadano gli angeli una volta morti.

A proposito di ciò...

Davanti al letto di Lily stava un tappeto circolare che nascondeva al di sotto un intricato disegno - circolare a sua volta, disegnato da mano ferma ed esperta sul parquet. Scoprendolo, la Cacciatrice andò a recuperare il pugnale e ve lo poggiò sopra, poco lontano dal centro della figura, attendendo.

Gli strani simboli di cui il cerchio era composto si accesero uno ad uno: prima un richiamo, poi un lucchetto e infine un nome. Come nebbia che sale dal terreno, al centro del cerchio comparve una figurina chiara e nuda, né troppo alta né troppo bassa, né troppo magra né troppo robusta, con neri occhi lucidi e lo sguardo perso. Dalle sue scapole uscivano due deboli e malandate ali bianche.

    «Buonasera, Kathatiel» salutò Lily, andando a prendere una sedia e accomodandosi davanti alla piccola prigione davanti a sé.

Il suo angelo custode, o meglio, il suo ex-angelo custode la fissò senza dire una parola. Era come essere davanti ad uno specchio: era tipico dei custodi prendere le sembianze dei loro protetti; nonostante ciò, Lily non aveva mai potuto fare a meno di notare quanto le lentiggini sull'immacolata pelle di Kathatiel sembrassero più stelle in mezzo al firmamento che macchiette sparse.

    Dopo un minuto abbondante e pesante di silenzio, Lily riprese: «Ho interessanti novità.»

    «E perché mai vieni a riferirmele?» Mormorò Kathatiel, tremando appena.

    «Perché ho una richiesta.»

    L'angelo sospirò, iniziando a fissare il parquet. I suoi occhi si fecero ancora più acquosi e la sua voce delicata venne fuori incrinata ed incerta: «Perché me lo chiedi se poi non posso sottrarmi?»

    Lily fece spallucce: «Perché sono educata. E poi non è nulla di infattibile: ho solo bisogno della tua protezione.»

    Kathatiel aggrottò le sopracciglia, creando onde e spaccature sulla sua fronte candida: «Ma ti ho già dato tutta la protezione possibile» lamentò.

    «Anche contro i demoni?»

    «Demoni?» Ripeté la custode, sussurrando quella parola e stringendosi nelle spalle. Sembrava una statua di ghiaccio pronta a rompersi, con l'unica differenza che le statue non gesticolano nervose. «Ma tu non ne hai bisogno... Non ne hai mai avuto bisogno. Che succede?»

    «Succede che sto per stuzzicarne uno bello grosso» annunciò Lily alzandosi e posizionandosi ai limiti del cerchio. «Ho un lavoro un po' inusuale tra le mani e necessito il tuo aiuto, Kathy

    Kathatiel sembrò ritrarsi a quel nomignolo all'apparenza dolce ma che di dolce non aveva niente. «Se giochi con il fuoco, prima o poi ti scotti» disse poi.

    «Me ne farò una ragione. Ora fa' ciò che ti ho chiesto.»

Fu rapido e indolore, null'altro che uno schiocco di dita da parte di Kathatiel. Appena finito, la custode si portò una mano sul fianco, laddove una cicatrice solcava la sua pelle perfetta. Era lì che Lily aveva affondato la stessa lama che adesso vibrava poggiata a un non nulla da lei, così vicina ma così lontana. Era lì che la Cacciatrice aveva segnato, insieme, la sua prigionia e la sua eterna lontananza dal Paradiso. Kathatiel non era che un'ombra traslucida confinata in una serie di simboli, un angelo sotto ad un tappeto, invisibile a tutti tranne che all'umana che avrebbe dovuto proteggere, sì, ma non così.

Lily la congedò non appena ebbe avuto ciò che desiderava, recuperò il pugnale e rimise tutto apposto. Ora che era di nuovo sola, poteva concentrarsi sull'indomani, andando subito a cercare l'indirizzo datogli da Gabriel.

Soho, si ripeté con un sorriso. Il modo migliore per nascondere qualcosa è metterla sotto agli occhi di tutti.

Piccola lucciola furba e scaltra, la sua preda. L'arcangelo l'aveva messa in guardia: dietro un aspetto dolce e morbido si nascondeva qualcosa che andava oltre qualsiasi comprensione. Dal punto di vista di Lily, lei e il principato avevano già una cosa in comune: nascondevano un mondo dietro alle apparenze.

Si prospettava una caccia interessante e rischiosa, a metà tra una pedina bianca difficile da mangiare e una pedina nera di troppo sulla scacchiera. Che rapporto poteva esserci tra l'angelo che aveva cacciato l'umanità dall'Eden - altra informazione che l'aveva lasciata piacevolmente colpita - e il demone che l'aveva aiutata a comprendere la differenza tra bene e male, facendola progredire? L'arcangelo non ne era certo, ma a giudicare dalla sua espressione aveva avuto più di un'ipotesi - una peggio dell'altra. La Cacciatrice, dal canto suo, sapeva che ogni legame poteva essere spezzato: lei lo faceva di mestiere.

    «Nulla che io non abbia mai fatto: è solo un'altra partita» si disse, giocherellando col pugnale. «Sono solo cambiate le regole».

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


    A fargli alzare la testa fu il suono di un paio di tacchi che si avvicinavano al bancone. Combattendo contro un sospiro, mise il segnalibro tra le pagine e - con il miglior sorriso che riuscì a tirare fuori - incontrò con lo sguardo la giovane che aveva davanti. «Posso aiutarla?» Chiese, seguendo un copione che ormai aveva ripetuto fino allo sfinimento.

Non che Aziraphale non amasse il suo lavoro, anzi: se l'era scelto, perciò sapeva bene sin dal principio ciò a cui stava andando incontro. Il problema non era nemmeno la gente: per quanto fosse uno al quale piaceva starsene solo ed in silenzio, c'era qualcosa nel contatto con gli umani che lo metteva a suo agio. In fondo, inizialmente era proprio per loro che aveva mosso i primi passi nel mondo e ancora aveva dentro di sé quell'istintivo e naturale senso di dovere e protezione nei loro confronti.

No, il vero problema era molto più specifico e molto più legato alla fortezza di pagine rilegate che si era costruito attorno. Aveva sempre paura di trovare il mortale capace di portarsi via qualcosa, togliendogli un pezzetto di quella che ormai era in tutto e per tutto, ufficialmente, casa sua.

    «In effetti sí» rispose l'umana davanti a lui, «ho una lista di volumi che mi piacerebbe consultare.»

Di solito chi veniva da lui sapeva già benissimo cosa stava cercando, e la donna con cui aveva a che fare stamattina non era da meno. Accettò di buon grado l'elenco che gli era stato presentato e subito iniziò a guidare la sua ospite in mezzo agli scaffali. A lavoro terminato, vide il volto pallido e lentigginoso di lei affondare tra le pagine e sorrise: un'altra buona azione ben fatta. Fossero stati tutti cosí curiosi ed accondiscendenti, non avrebbe avuto nessun problema al mondo.


Le ore passarono, le persone iniziarono ad uscire e Aziraphale decise di chiudere per il pomeriggio.

    Prima di prendere la porta, la donna lo salutò e si infilò la lunga giacca scura: «Grazie per l'aiuto» canticchiò, «tornerò volentieri». Detto ciò uscì, seguita da una lunga coda di capelli corvini.

Sí, se fossero stati tutti cosí curiosi, accondiscendenti e cordiali, anche le ultime leggere amarezze della sua esistenza sarebbero scomparse. Ma in fondo non si può avere tutto e lui aveva ricevuto molto più di quanto avesse mai sperato: libri, libertà, un mondo in cui vivere e...

Guardò con affetto una delle tante piantine che avevano trovato posto tra gli angoli liberi, i pochi scaffali mezzi vuoti, i tavolini e i davanzali. Erano tutte sanissime e verdissime; quelle munite di fiori erano sgargianti e profumate, messe in punti strategici affinché fossero illuminate quando serviva e non troppo soffocate dall'ambiente circostante. Erano arrivate assieme al loro proprietario e, come lui, erano rimaste.

In realtà era ancora un lavoro in corso. Crowley aveva fatto avanti e indietro innumerevoli volte ormai, spostando tutto lo spostabile e prendendosi i suoi spazi nella libreria. Incredibile ma vero: un essere che aveva passato il periodo più recente della sua esistenza in un appartamento spazioso aveva ora deciso che, sotto sotto, anche vivere in mezzo ad un ammasso di carta, copertine e polvere non era male. Ma la verità era - e lo sapevano entrambi - che non era tanto l'ambiente quanto la compagnia a spronarlo.

Qualcuno da amare: quella era la cosa più grande che entrambi avevano ricevuto ed accettato senza neanche pensarci. Era venuto naturale: in fondo, il tempo per avvicinarsi lo avevano avuto e adesso - dopo tanta fatica e tante restrizioni - avevano semplicemente eliminato quel poco di spazio che ancora li divideva. Avevano iniziato con delle inezie: dall'avvicinarsi mentre chiacchieravano al prendersi a braccetto mentre camminavano. Poi le distanze si erano fatte sempre più sottili, tanto da diventare invisibili e culminare - una sera come tante - in un unico, piccolo, dolcissimo bacio.


Aziraphale se lo ricordava ancora - come dimenticarlo, in fondo. Erano tornati da un giretto serale sotto la pioggia, avanzando stretti stretti in modo da stare sotto al suo ombrello e ben attenti a non calpestare le pozzanghere. Stava dicendo qualcosa intanto che andava ad aprire la porta d'ingresso, un qualcosa che venne prontamente bloccato dalla mano dell'altro che gli afferrava il polso.

Crowley non era mai stato un tipo delicato. Difatti, la sua presa aveva un non so che di nervoso, una veemenza che normalmente Aziraphale avrebbe rimproverato. In un attimo si era ritrovato con le labbra premute contro quelle sottili dell'altro, colto alla sprovvista da un tocco che non poté fare a meno di ricambiare.

Poche cose erano capaci di prenderlo cosí tanto e in un attimo si accorse di volerne ancora e di poterne chiedere senza paura. Fu per questo che intimò al demone di restare e quasi ci rimase male quando, per quella sera, non gli furono dati altri baci.

Fortunatamente, era un evento destinato a ripetersi. Col tempo divenne facile come bere un bicchier di vino: si vedevano, chiacchieravano, facevano quel che facevano sempre, e nei momenti più inaspettati scattava il bacio. All'angelo pareva un gioco: quando veramente lo voleva, lo aspettava - lo bramava quasi, facendosi un po' più vicino sul divano o mentre camminavano in una silenziosa richiesta d'affetto - Crowley non lo accontentava mai. Quando era invece intento a fare altro - raccontare un aneddoto, ordinare al ristorante, sistemare una pila di libri - le sue labbra si ritrovavano, sorprese quanto lui, in un bacio a tradimento seguito da due furbi e giocosi occhietti da serpente.

    Faceva finta di offendersi - «Starei cercando di sistemare, sai?» Si era lamentato una volta, arrossendo e prendendo al volo i volumi che gli erano scivolati dalle mani - ma in realtà adorava quel gioco e non gli importava nemmeno se era destinato a perdere sempre.


Cosí, tra un bacio rubato e l'altro, Crowley aveva fatto della libreria la sua nuova - molto più bella - casa. Intanto che si sistemava, faceva avanti e indietro, entrando ed uscendo come e quando voleva solo perché adesso non aveva più bisogno di avvisare né aveva paura di essere scoperto durante il tragitto.

A tal proposito...

Si dice che quando parli del diavolo, spuntano le corna. Di certo ad Aziraphale venne automatico farsi scappare una leggera risata quando sentí la campanella dell'ingresso tintinnare allegramente. Si stupí appena nel vedere il suo demone entrare con un nuovo "coinquilino" tra le braccia: un bel vaso con dentro alcuni dei fiori più particolari che l'angelo avesse mai visto.

    «Che cos'è?» Chiese, facendo spazio su un tavolino.

    «Ciao anche a te» scherzò Crowley andando a poggiare il suo bottino laddove entrambi potessero ammirarlo. «L'ho visto e ho pensato che potesse interessarti.»

Il che significava che gli sarebbe quasi sicuramente piaciuto. Spinto sia dalla curiosità che dall'espressione furbetta di Crowley, Aziraphale poggiò la pila di libri che aveva spostato e guardò con interesse i petali scuri, neri tendenti al violetto, di quelli che sembravano quasi...

    «Gigli» disse, «sembrano proprio gigli.»

    «Perché lo sono» affermò l'altro, poggiandosi con nonchalance accanto al vaso.

    L'angelo inclinó la testa, confuso. «I gigli sono bianchi, oltre che simbolo di purezza, castità, nobiltà, innocenza e candore» elencò non senza una punta di orgoglio nel ricordare quanto spesso i campanulati fiori candidi fossero stati dipinti proprio in mano agli angeli.

    Crowley gli puntò un dito contro, il sorrisino ancora in volto. «Esatto» disse solo.

Erano gigli certo, ma neri. Non c'era bisogno di pensarci tanto: erano un'elegante metafora in vasetto.

    Aziraphale sorrise. «Sono bellissimi, e sinceramente mi stupisce un po' non averli mai visti.»

    «Si chiama Lilium Asiaticus o qualcosa del genere. La tizia che me l'ha dato lo ha soprannominato: "Regina della Notte". Ha anche detto che non ha bisogno di tante attenzioni, perciò può anche rimanere sul tavolo.»

    L'angelo sfiorò un petalo e quasi poté sentire il fiore fremere di gioia. «Quindi non ha nemmeno bisogno di essere sgridato di continuo» disse, tirando un'occhiata di sottecchi al suo demone, il quale si era già buttato su una sedia, occhiali appesi al bavero della camicia.

    «Questo lo deciderò io» sogghignò quest'ultimo.

Aziraphale alzò gli occhi al cielo, si diresse verso uno scaffale che non aveva un filo di polvere e si mise a spolverarlo. Tutti i giochi iniziano in qualche modo, che sia un lancio di dadi, un sorteggio, una conta... Il gioco di Aziraphale e Crowley solitamente inizava con uno dei due che faceva qualcosa - una cosa qualsiasi, davvero. Perché non era tanto l'azione quanto il modo la chiave di lettura.

E infatti, l'angelo vide un'ombra arrivargli alle spalle, cauta e silenziosa. Trattenne a stento un sorriso.

    Crowley gli poggiò il mento sulla spalla: «Fammi indovinare: non parli con i molestatori di piante.»

    «Ignorerò il termine. In ogni caso: è solo un fiore innocente, Crowley.»

    «Che ne sai? Magari è velenoso e ha alle spalle innumerevoli, uhm, pianticidi. Magari me l'hanno dato a basso prezzo proprio per levarselo di torno.»

    «Non di certo perché ci hai messo lo zampino.»

    Il rosso gli cinse la vita: «Chi? Io? Quando mai.»

Ignorare quegli occhietti furbi e quelle labbra che erano ad un non nulla dal suo collo era la parte più difficile, ma anche la più divertente. Aziraphale emise un poco convinto: "Mhmh" che bastò a fargli meritare un breve ma delicato bacio sulla guancia.

    Solo a quel punto smise di fare ciò che stava facendo e incrociò le braccia. «Va' a dare un po' d'acqua al tuo nuovo amico o morirà prima che tu possa minacciarlo.»

    Il demone non si mosse di un millimetro. «E poi?»

    «E poi facciamo quello che vuoi. Tocca a te decidere dove andare, ricordi?»

    Con un movimento fluido, Crowley gli si piazzò davanti - facendo breccia nel piccolo spazio che c'era tra il suo angelo e lo scaffale - e gli diede un altro bacio, stavolta sulla punta del naso. «Ci sto, dammi un secondo» disse solo, allontanandosi di nuovo.

Aziraphale sospirò: era andata come al solito. Ormai lo sapeva: si sarebbero preparati, sarebbero usciti, lui si sarebbe messo a parlare di qualcosa - una cosa qualsiasi, davvero, tanto a Crowley sembrava interessare qualsiasi aneddoto Aziraphale raccontasse - e allora, solo allora, nel momento più inaspettato, avrebbe ricevuto il bacio che voleva.

Scosse la testa, divertito. Si sa che l'amore arriva sempre quando non lo aspetti, in fondo.


**


Quando non cacciava angeli, Lily vendeva fiori. La gente scherzava sempre sul fatto che una con un nome del genere non avrebbe potuto trovare lavoro migliore.

In realtà, i Queen nascondevano i loro loschi affari sotto petali e petali di fiori colorati da secoli. D'altronde, erano tra i pochi nel settore a sapere dove trovare le varietà più interessanti; tra queste, il fiore preferito della mamma di Lily: il Lilium Asiaticus nero, un giglio dai riflessi violacei che loro vendevano sotto il nome di Regina della Notte. Era un esemplare bellissimo, esotico, facile da tenere e alquanto significativo. Un fiore normalmente associato a ciò che di più puro c'è nel mondo, tinto di nero. Un fiore di cui la giovane stessa portava il nome. Scuro come gli abiti corvini del suo ultimo cliente.


Era stato fin troppo facile. Quei due dovevano aver abbassato la guardia dopo la loro ultima bravata. Sapevano che Inferno e Paradiso non avevano più avuto intenzione di prendersela con loro, e così avevano iniziato a fare i loro comodi come meglio credevano.

In realtà, l'angelo era ancora abbastanza cauto e si vedeva: sembrava avesse sempre un occhio attento e aperto nel caso fosse successo qualcosa. Se ne stava rintanato nella sua fortezza di antiquariato, al sicuro in quella che Lily aveva riconosciuto come una delle migliori coperture che avesse mai visto, colma fino al soffitto di miracoli che avrebbero reso qualsiasi mortale indifferente. Ma lei non era una mortale comune.

Con un sorriso ben piazzato ed una scusa, si era fatta portare in giro per la libreria del cosiddetto signor Fell e aveva osservato la tana della preda. Nulla di troppo insormontabile e, oh, ma cosa c'è di bello sotto quel tappeto? A quanto pareva, l'angioletto teneva ancora ben nascosti i "ferri del mestiere". Interessante.

Lui stesso era interessante. Come avesse fatto un tipo del genere a passare inosservato per tutto quel tempo, non lo sapeva. Ma una cosa era certa: quella lucciola troppo cresciuta non aveva certo l'aria di qualcuno capace di fregare l'alto dei cieli.

Il suo "collega" invece...


Secondo i credenti, il peccato è come un inchiostro che sporca tutto quello che tocca, lasciandolo macchiato di una sostanza scura ed indelebile - una metaforica chiazza ostinata su un panno bianco.

Il Tentatore, colui che il peccato lo aveva praticamente inventato, aveva lasciato una simile traccia su ogni singola foglia e petalo delle tante piantine che ornavano la libreria. Le era quasi venuto da ridere.

Ha il pollice verde ed io faccio la fioraia.

Ne aveva approfittato al volo, ispirata da un altro piccolo particolare. Così come i virgulti attorno a lui, anche l'angelo aveva le sue belle macchie, seppur lievi e destinate a sparire - mangiate dalla luce divina di cui la sua preda era composta. Erano in punti strani, però: il collo, le guance, la fronte, le spalle, il naso e le labbra.

Se i baci degli angeli lasciano le lentiggini, allora chissà cosa lasciano quelli di un demone.

Fu lì che capì con cosa aveva a che fare.

Alcune delle teorie di Gabriel si stavano rivelando corrette, anche se Lily non era del tutto sicura del fatto che l'arcangelo sapesse effettivamente cosa significhi "stare insieme" in gergo.


Così era volata in negozio e aveva iniziato a prepararsi come si deve. Aveva preso tutti i Lilium Asiaticus neri che aveva messo da parte e curato perché fossero pronti in qualsiasi momento. Per quanto siano fiori amanti del calore estivo, i Lilium hanno la capacità di sbocciare ovunque se gli sono date le condizioni - e Lily conosceva quelle condizioni bene quanto i Cori Angelici.

Fece qualche foto, aggiornò il suo sito come spesso faceva quando dava una rinnovata, e mise un annuncio ben pensato davanti all'ingresso. Non le rimaneva che aspettare e sperare che il suo obbiettivo cogliesse i segnali. Fosse stata capace di attirare le creature oscure così come attirava quelle divine, il lavoro sarebbe stato molto più semplice. E invece fu costretta ad accogliere un'anziana signora, uno studente curioso ed una mamma con tanto di figlioli casinisti al seguito prima che arrivasse il suo tanto desiderato ospite.

Se ne accorse dal rombo e dalla frenata improvvisa di un'auto d'epoca che anche ad un occhio inesperto come il suo parve stupenda. Una delle ruote anteriori venne volontariamente fatta arrampicare sul marciapiede, creando una cacofonia di clacson e gente sbigottita che, però, non durò che qualche secondo. Presto, lo spericolato autista venne dimenticato e superato come fosse parcheggiato nelle aree apposite e non a due passi dall'ingresso del negozio di Lily.

Quando entrò, però, la giovane sentì un brivido percorrerle la spina dorsale. Non era paura, né ansia, né timore.

Era ammirazione.


La sua famiglia aveva preso a cuore l'essere che le stava davanti anni orsono, definendosi "elegantemente satanista". Certo, si erano figurati spesso e volentieri l'aspetto del Tentatore: c'era chi lo vedeva come una sinuosa figura a metà tra un serpente e un angelo, chi invece preferiva rappresentazioni più orride e spigolose.

    Una volta, sua madre le aveva raccontato che era sbagliato definire gli angeli belli e i demoni grotteschi. «Semmai è il contrario» le aveva detto. «Più si avvicinano a Dio, più gli angeli diventano imponenti e spaventosi: ammassi confusi di occhi, ali ed anelli. I demoni sono fatti per seminare il male tra noi umani, e gli umani sono inesorabilmente attratti dalla bellezza. Perciò sì: i demoni sono probabilmente tutti bellissimi.»

A scuola, invece, le avevano spiegato che c'era stato uno scultore belga, un certo Joseph Geefs, il quale aveva rappresentato il Diavolo in una statua dalla bellezza sconcertante. Era stupenda, troppo per essere la rappresentazione del male. Cosí venne chiesto al fratello di Joseph, Guillame, di farne un'altra. Guillaume Geefs scolpì Le Génie du Mal, noto anche come Lucifero: una bellezza classica ancora più bella di quella realizzata dal fratello.

Sembrava quasi che non ci fosse modo di sfuggire al fascino del male.

    «Forse lo hanno rappresentato così perché è davvero così bello» aveva detto Lily alla sua professoressa di arte, la quale aveva ridacchiato e l'aveva liquidata con un semplice: "E chi lo sa".

Ora però Lily lo sapeva bene. Certo, non aveva certamente davanti Lucifero, ma aveva scoperto che i fratelli Geefs avevano assolutamente ragione.

C'era qualcosa in quegli abiti neri ed aderenti, in quel fisico magro e spigoloso sormontato da una fiammante capigliatura rossa che la faceva sciogliere. Forse era solo l'essere ferma d'innanzi a colui che la sua famiglia vedeva come una divinità.

Di certo la sua preda aveva buon gusto in fatto di amori proibiti.


    «Buongiorno» salutò cordiale, poggiandosi al bancone.

Lui parve non vederla nemmeno. Andò subito ad afferrare il vaso più bello dello stand e si mise ad osservarne il contenuto da dietro le lenti scure dei suoi occhiali da sole.

    Lily si limitò ad osservare per un po'. Poi decise di ritentare: «Sono belli, vero? Li abbiamo chiamati Regine della Notte.»

Stavolta si ritrovò con quello sguardo celato proprio addosso. Avrebbe voluto scorgere oltre il suo riflesso, ma qualcosa le disse che sarebbe stato volutamente impossibile.

    «Sono i migliori che hai?» Chiese il rosso in una mezza smorfia. Aveva inclinato appena il fiore ma non era scivolata giù nemmeno una briciolina di terra.

    «Temo che il più carino se lo sia portato via una signora poco prima di lei» rispose Lily poggiando la testa su una mano e mettendo su la facciotta più dispiaciuta che riuscisse a simulare. «Quello che ha in mano è decisamente il secondo in classifica, però.»

Seppur non convinto al cento per cento, lui sbuffò appena e andò a poggiare il vaso davanti a lei. Emise un impercettibile: "Essia" che sapeva tanto di rassegnazione.

    Lily prese a fare il conto con nonchalance. Le venne automatico scalarlo di qualche sterlina e non ebbe bisogno di chiedersi perché. «Tanta premura mi fa pensare che sia un regalo.»

    «Una specie.»

    «La maggior parte della gente viene qui in cerca del fiore perfetto per la persona che ama». Avvolse un nastro color crema attorno al vaso e ne fece un fiocco. «Lei sembra avere le idee chiare a riguardo.»

    «Che ne sai che non è solo una decorazione per davanzale?» Rispose lui, stizzito. Le sue guance avevano preso un colore roseo che troppo cozzava con il suo abbigliamento monocromatico. Bingo.

    Lei fece l'occhiolino: «Ho fiuto per queste cose». Consegnò il fiore. «Non ha bisogno di molte attenzioni. Lo tenga alla luce e il gioco è fatto». Dopodiché vide il Tentatore andare via con le sopracciglia aggrottate. Prima che potesse prendere la porta, però, esclamò: «Oh, e bel tatuaggio.»

Lui si voltò un'ultima volta, dandole la possibilità di scorgere il bel serpente attorcigliato che aveva disegnato sulla tempia. Poi parve rabbuiarsi ancora di più e prese la porta senza neanche salutare.

Chissà se si è accorto di qualcosa, pensò Lily tamburellandosi il fianco. Sotto al grembiulino pieno di fiori ricamati che portava a lavoro, se ne stava il solito pugnale.

Forse sì, forse no. Poco importava.

Prese il cellulare e mandò un messaggio al numero che Gabriel aveva utilizzato per contattarla. In realtà non doveva necessariamente informarlo di ogni singolo procedimento, ma certamente gli avrebbe fatto piacere (in realtà non tanto) sapere che ci aveva preso.

Noi umani pensiamo che bene e male esistano per completarsi, aveva scritto. Forse questi due lo hanno capito prima di chiunque altro.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


    «Che schifo» ringhiò Gabriel sottovoce, guardando incredulo oltre la vetrata della caffetteria.

    «Su, non siate così irrispettoso» scherzò Lily sorseggiando dalla sua solita tazza fumante. «Si stanno solo dando un bacetto.»

Dall'altro lato della strada, oltre il via vai della folla, un angelo e un demone si stavano effettivamente scambiando un bacio. Una scena che si confondeva tra la frenesia cittadina tanto da passare inosservata.

La Cacciatrice li osservò quasi incuriosita, studiando le loro labbra che si univano, si separavano, si cercavano e si riunivano. Poche volte aveva visto coppiette così affiatate. Quasi quasi li invidiava.

    L'arcangelo, dal canto suo, distolse lo sguardo lilla con un'espressione di puro disgusto. «Lo avevamo immaginato ma, Dio mio. È così sbagliato da fare ribrezzo.»

    «Meglio se non dite queste cose ad alta voce» lo riprese lei senza smettere di sorridere. «Le persone tendono ad essere sensibili su certi argomenti» concluse con un occhiolino.

    «Non mi interessa di quello che pensate. Prima metti fine a questa storia, meglio sarà per tutti.»

    «Non preoccupatevi, so già come fare. Alla fine non è un lavoro così complicato.»

    Gabriel non pareva convinto. Si lisciò la morbida sciarpa con fare nervoso: «Sicura che non si siano accorti di niente? Secondo me hai fatto male ad avvicinarti già così tanto.»

    Lei non si scompose. Non era la prima volta che qualcuno criticava i suoi metodi. «Il vostro ex-angioletto luminoso è attento, anche se non sembra. Fintanto che tengo il pugnale lontano da lui, non dovrebbe accorgersi di nulla.»

    «E come farai quando glielo dovrai puntare addosso?»

    «Velocità, o grande messaggero. La velocità è la chiave.»

Lui parve rilassarsi, seppur solo un pochino. Tirò di sottecchi un'ultima occhiata ai due, guardandoli mentre rientravano nella libreria. Sicuramente si era messo a pensare a tutte le cose sconce che avrebbero fatto una volta varcato l'uscio, Lily ne era certa.

    «E Crowley?» Chiese l'arcangelo, tornando a guardarla con una durezza che serviva solo a nascondere il suo reale nervosismo. «Come farai con lui?»

    Lily sorrise. «È ancora indaffarato nel suo piccolo trasloco. A questi due piace fare le cose all'umana maniera. Basterà agire in un momento in cui non c'è.»

    «Si sono abituati» sputò Gabriel con disprezzo. «Stare troppo tempo in questo posto ti fa diventare un rammollito.»

    «Ti fa solo sembrare più mortale» precisò la Cacciatrice. «Credetemi: sottovalutare una creatura divina, chiunque essa sia, non è mai la più furba delle mosse. Non sono mai stata avventata, nemmeno con i custodi.»

Lui parve rabbuiarsi dinnanzi a quell'affermazione. Effettivamente aveva già sottovalutato quei due una volta: non se la sentiva proprio di farlo di nuovo.

Per questo sono qui, si disse Lily. Io non sbaglio mai.

    «So che conoscere la vera natura del loro rapporto non vi servirà a granché» affermò poi. «Ma sapete, alle volte è meglio scoprire la verità e farsi male piuttosto che lasciarla celata per sempre.»

La verità era che la Cacciatrice sapeva bene quanto tutto ciò avrebbe portato dubbio e confusione nella testa di Gabriel. Sicuramente, ora si stava chiedendo come una cosa del genere fosse passata inosservata agli occhi di Dio. La sua aura violacea pareva acqua increspata dal vento e, quel che era meglio, aveva ora una punta non indifferente di disprezzo totale.

    Difatti, l'arcangelo si risistemò la sciarpa con fare nervoso e aggrottò le sopracciglia. «Fa' quel che ti pare, l'ho già detto. Non mi interessano i tuoi metodi.»

    Lily fece spallucce. «Lo so, vi interessa il risultato. Noi diciamo che il fine giustifica i mezzi.»

Gabriel alzò un sopracciglio.

    «Significa che non importa cosa fai fintanto che raggiungi il risultato sperato. Per me cambia poco, in fondo,» spiegò lei, finendo di sorseggiare, «sono già destinata all'Inferno.»


**


Piombò di botto su un freddo pavimento ligneo dai riflessi rossastri - mogano, un classico. Tutt'attorno la luce era bassa e tremolante, proveniente da candelabri che rendevano l'ambiente buio e lugubre - un altro cliché che ormai sembrava un marchio di riconoscimento.

Il colpo lo aveva lasciato inebetito per un attimo, ma solo un altro attimo gli ci era voluto per capire cosa stesse succedendo.

    Si alzò sui gomiti e fissò con fastidio crescente gli umani incappucciati attorno a lui. Si soffiò una ciocca via dalla faccia e si voltò verso quello che sapeva essere l'artefice di quella pagliacciata (ce n'era sempre uno ed era quello con l'abito più pomposo e l'aspetto più stupido). «Che cazzo succede qui?» Ringhiò, mettendosi lentamente in piedi.

Ovviamente, era intrappolato in un cerchio disegnato ad arte sul terreno. Se avesse avuto una moneta per ogni volta che qualcuno lo aveva evocato, a quest'ora ne avrebbe avute tre - che non sono tante, ma già era strano il fatto che fosse accaduto per ben tre volte.

    Mister cappuccio nero parve non riuscire più a reggersi sulle gambe. Cadde in ginocchio davanti al cerchio e, tremante di emozione, allungò un braccio. «Oh, grande Tentatore» mormorò. Sotto l'ombra della sua tunica, Crowley poté intravedere un sorriso trionfante.

    Il demone alzò gli occhi al cielo. Perché doveva sempre finire nelle grinfie di qualche esaltato? Va bene che, effettivamente, lui era la creatura oscura più facile da raggiungere dato che si trovava già sulla Terra... Però. «Falla breve. Cosa vuoi?» Ordinò, già stufo. Era lì lì per incontrare Aziraphale quando, puff, eccolo tirato dentro ad un rito contro la sua volontà. Una gran rottura di palle.

    Il capo dei pazzoidi si ricompose, farfugliando un: "Certo, subito", intanto che si passava le mani sudate sui fianchi. Si presentò, abbozzando un inchino: «Mi chiamo Chrysanthemum Queen.» 

    «Che nome orrendo.»

    «E questa è la mia famiglia.»

Ora che osservava bene gli umani attorno a sé, Crowley poté notare quanto fossero diversi in altezza e corporatura. Alcuni di essi erano davvero minuscoli: bambini mezzi nascosti dietro le gonne delle loro madri.

Ancora non lo sapeva, ma quel nome, Queen, sarebbe diventato alquanto ridondante nel corso della sua esistenza. Molto, ma molto tempo dopo, glielo avrebbero ricordato le canzoni che sembravano comparire magicamente nel mangiacassette della sua macchina. Ora come ora, era certo solo di una cosa: tutti lì sarebbero finiti nella sua mentale lista nera.

    «Sì, Chrys. Bella famigliola. Cos'è, vuoi darmi in sacrificio tuo nipote o cose del genere? Sappi che non è così che ottieni quello che vuoi» precisò, fissando il tizio con tutta la durezza di cui era capace.

    Chrysanthemum gesticolò freneticamente con le mani; intanto, uno dei bimbi alle sue spalle si mise a piangere - sicuramente uno dei suoi nipoti. «Oh, no. No, grande Tentatore. Vedete: abbiamo sì un regalo per voi, ma non ciò che credete.»

Crowley trattenne il senso di nausea. Solitamente gli mettevano davanti animaletti morti e capre squartate, un vero schifo. Doveva ancora capire chi aveva messo in testa agli umani quella storia degli ovini demoniaci.

    Decise di affrettarsi a precisare che, no: non voleva vedere altre carcasse. «Ascolta, non voglio le tue budella. Dimmi cosa vuoi e-»

Non fece nemmeno in tempo a finire la frase. Chrysanthemum si cacciò la mano nella larga manica della tunica, iniziando a frugarci dentro. Poi, sorridente e tremante come non mai, ne tirò fuori una lunghissima piuma dalla punta ocra.

A Crowley bastó guardarla per un attimo. Il cuore di cui era disposto era assolutamente inutile ma, in quel momento, prese a battere all'impazzata. Indietreggiò fino a sbattere contro le invisibili pareti che delimitavano il cerchio in cui lo avevano infilato. Non aveva bisogno nemmeno di respirare, ma aveva il fiato corto.

    Le parole vennero fuori in un rantolo, tanto che si chiese se il signor Queen lo avesse sentito. «Dove l'hai presa?»

    Chrysanthemum parve rallegrarsi. «L'abbiamo strappata ad un angelo! Per voi!»

Loro avevano fatto cosa?!

Il primo pensiero di Crowley fu ovviamente per il suo angelo. Dovette sforzarsi di ragionare: ricordava le ali di Aziraphale meglio della posizione delle stelle che aveva messo in cielo, perciò sapeva che erano bianchissime, senza neanche una sfumatura. Non era sua. Una magra consolazione.

Quel gruppetto di sprovveduti aveva strappato una piuma dalle ali di un angelo. Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere prima di allora. Non era semplicemente possibile. Era sbagliatissimo. Le implicazioni di quel gesto erano semplicemente troppo- significava che-

    Chrysanthemum prese il silenzio del demone come un permesso di parola. Avvicinò il suo regalo al cerchio, eccitato: «Abbiamo fatto tutto questo per poter avere la vostra protezione» spiegò. «Possiamo procurarcene molte altre se volete! Possiamo-»

    «No!» Scattò Crowley, facendo tremare appena la stanza. Gli umani si misero le mani sulle orecchie, sopraffatti. «Avete la minima idea della cazzata colossale che avete fatto?»

Ne aveva incontrati di esaltati, ma questi? Questi erano l'apice dell'idiozia umana. Gli facevano paura, il che faceva capire molte cose.

    Il signor Queen sembrava perso in un'altra dimensione. Difatti, il suo buonumore malato sembrava adesso ancor più evidente. «Lo sappiamo, lo sappiamo eccome. Faremmo di tutto per avervi dalla nostra parte. Voi siete il vero artefice della razza umana. Strapperemmo le ali di tutti gli angeli del Paradiso per la vostra benevolenza.»

Tutto ciò era troppo. Crowley non volle sapere altro: il suo unico obbiettivo, adesso, era uscire da lì e magari dare fuoco alla casa di Chrys e famiglia.

    «Voi, stupidi- non meritereste la protezione nemmeno della creatura più meschina dell'universo» sputò, in preda ad una crescente ansia. «Ma ve la darò se mi fate uscire da qui.»

Non ci sarebbero mai cascati, e lo sapeva. Doveva farsi furbo, cercare una soluzione ed eliminare quel branco di pazzi. Normalmente non avrebbe mai neanche lontanamente pensato ad una cosa simile, ma quelli lì erano ancor più fuori di senno di certi demoni di sua conoscenza.

Eppure, alla sua affermazione, tutta la famigliola parve tirare un sospiro di sollievo. Lo stesso Chrysanthemum smise di tremare e si lasciò cadere a terra per baciare le estremità del cerchio, la piuma di nuovo nelle sue grinfie. I presenti dietro di lui iniziarono a fare lo stesso, cadendo in ginocchio uno dietro l'altro.

Un coro di: "Grazie" si levò nell'aria come un mantra, iniziando a rimbombare tra le pareti. Si faceva ogni secondo più insopportabile, una cacofonia confusa che portò Crowley a coprirsi le orecchie.

Voleva che tutto finisse.

Voleva tornare a casa.


**


Si svegliò con un sussulto, più confuso di quando si lasciava dominare dall'hangover.

Buttandosi un braccio ancora mezzo intorpidito sugli occhi, fece mente locale: l'odore attorno a sé era quello della vecchia carta e, sotto la sua schiena, sentì l'inconfondibile morbidezza del suo divano preferito. Era alla libreria. Era a casa.

    Una voce lo riportò totalmente al presente: «Tutto bene?»

Fu come ricevere una benedizione. Si scoprì gli occhi e guardò Aziraphale: se ne stava bello comodo sulla sua poltrona, un libro tra le mani e l'aria confusa, oltre che leggermente preoccupata.

    Con nonchalance, Crowley si portò le mani dietro la testa: «Sì, perché?» Chiese con un sorriso. Tanto, non esisteva incubo capace di resistere alle belle pozze azzurre ora fisse su di lui.

    «Stavi mugugnando». L'angelo aveva messo la sua lettura da parte, il che significava solo che riteneva la questione sottomano più importante.

    «Non lo faccio sempre?»

    «Non così tanto.»

Non puoi scappare da lui: ti conosce troppo bene. Ti conosce anche meglio delle sue stesse ali.

Ali, piume. Brr. Non voleva pensarci.

    Il rosso cercò di buttare la questione sul leggero. «Una brutta dormita può capitare a chiunque» disse, girandosi su un fianco. «Non è di certo la prima volta per me, d'altronde. E lo sai.»

    Aziraphale sospirò: «Proprio per questo non capisco perché ti ostini a farlo. Dormire, dico.»

    «Perchè il tuo divano è comodo?»

    «È inutile...»

    «È rilassante.»

    «Dalle espressioni che fai nel sonno, non si direbbe.»

    «Tu continui a leggere anche se alle volte ti imbatti in storie tragiche, no? È la stessa cosa.»

Il biondo aggrottò le sopracciglia. Scacco matto. Con un sorrisetto, Crowley si rigirò nuovamente sulla schiena, soddisfatto.

    «Bah, io non ci riuscirei» mugugnò Aziraphale, riprendendo il suo libro con fare leggermente stizzito.

    «Non ci hai mai provato, come fai a dirlo?»

    «Lo so e basta.»

Quel facciotto arrabbiato ben affondato nelle pagine era ciò che di più adorabile esisteva nell'universo. Il demone avrebbe fatto di tutto per vederlo così come lo vedeva adesso, mezzo rischiarato dalla luce del pomeriggio. Aveva fatto tanto per farlo suo e non se lo sarebbe fatto portare via per nulla al mondo.

Si mise a fissare il suo angelo, rimuginando. Presto sarebbero ufficialmente stati loro due, insieme, sotto quello stesso tetto. Non c'era nulla di cui preoccuparsi, in fondo: no? Tutto stava andando per il meglio.

Con un unico, fluido movimento si alzò dal divano e andò ad appostarsi dietro la poltrona. Diede un'occhiata alle pagine, iniziando a stuzzicare un po' i riccioli di Aziraphale. Non era veramente interessato a ciò che c'era scritto davanti ai suoi occhi e l'altro lo sapeva benissimo.

    In ogni caso, l'angelo non fece una piega. «Cosa c'è?» Chiese semplicemente. Aveva fatto di tutto per sembrare ancora stizzito, ma la domanda venne fuori con un velo palpabile di dolcezza.

    «Niente, pensavo solo a tutte le cose che devo ancora portare qui.»

    «Se vuoi le andiamo a prendere. Ti do una mano.»

    «Nah, magari dopo.»

Non avevano nessuna fretta, nessuno che li seguisse o inseguisse. Crowley assaporò quella convinzione, spostando la mano verso le guance morbide che tanto adorava. Le accarezzò, guardando con piacere il rossore farsi sempre più evidente sul volto dell'altro. Non c'erano parole per descrivere quanto lo adorasse.

    Con un sospiro, Aziraphale cedette: «Perchè non mi chiedi semplicemente di spostarmi sul divano?»

    «Perchè non sarebbe divertente.»

    Staccando gli occhi dalle pagine, l'angelo volse lo sguardo al cielo: «Ti piace solo stuzzicarmi» disse alzandosi e andando a sedersi sul suo lato di divano.

    Crowley ridacchiò: «Puoi dirlo forte». Andò a ributtarsi sui cuscini, poggiando la testa sulle gambe del suo amato. Accolse la mano dell'altro tra i suoi capelli, felice di averla spuntata anche quella volta.

Si riaddormentò sotto il tocco di quei gesti dolci e affettuosi, dimenticandosi di quell'incubo che in realtà era un ricordo.

Non aveva idea del perché la sua mente ingarbugliata lo avesse ritirato fuori... Era passato tanto di quel tempo, l'Inferno aveva tenuto d'occhio quella famiglia per molto tempo ancora.

Ma non gli importava.

Esisteva una sola ed unica cosa importante, adesso. E ce l'aveva accanto.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Angolino autrice:

Quasi sicuramente dopo questo capitolo cambierò il rating onde evitare che qualcunə incappi in descrizioni crude ed indesiderate. Come al solito non è nulla di troppo terribile, ma prevenire è meglio che curare.

Detto ciò, vi lascio alla lettura.

- Neamh


**


Lily era da sola stavolta. Non che le dispiacesse: stuzzicare il Messaggero era divertente, ma ora aveva la possibilità di concentrarsi meglio sul lavoro. Aveva fatto colazione con calma, osservando con disinvoltura il via vai in attesa del suo momento. Quando vide il Tentatore uscire dalla libreria con un certo balzo nel passo, il suo cuore prese a martellare. Faceva ancora un certo effetto.

È carino: su questo non ci piove, si disse. Fosse stata completamente all'oscuro della sua vera identità, ci avrebbe volentieri fatto un pensierino.

Lo osservò quasi divertita intanto che si infilava nella sua bella auto d'epoca e se ne andava, musica a palla. Gli piacevano i Queen: un'altra simpatica coincidenza.

Gliene avevano fatte tante di battute da piccola. Si presentava e la gente tirava fuori la solita battuta: "Canti in una band, per caso?". Peccato che se avesse avuto la voce di Mercury, non avrebbe certo studiato botanica e catturato angeli per vivere.


La libreria era aperta, ma non vi entrò subito. Doveva attendere ancora un po', fino alla fine. Poi doveva essere rapida: non sapeva per quanto la sua preda sarebbe rimasta sola. Come aveva detto a Gabriel: stare sulla Terra non ti rende rammollito e lei aveva pur sempre a che fare con un angelo di un certo calibro. Portare il suo pugnale là dentro avrebbe fatto scattare diversi campanelli d'allarme, perciò l'urgenza si faceva un fattore palpabile. Aveva i suoi trucchetti per camuffarlo, ma funzionavano bene con i custodi... Questo era un altro paio di maniche.

Calma, Lily. Attendi il tuo momento. Se qualcosa non va, sai bene cosa fare.

Tamburellò con le dita su un fianco e la sua mente volò a Kathatiel. Sorrise. Ma sì: aveva tutto sotto controllo, come sempre. Se l'era già detto: era ancora il suo gioco, il suo campo.

Aprì il portatile che si era portata dietro. Aveva bisogno di una scusa per restare lì per qualche ora, così aveva deciso di farsi passare per uno degli studenti che ogni tanto si ritagliavano un angolino di caffetteria per lavorare alle loro consegne. Decise di fare qualche nuovo ordine per il negozio, così, nella calma e nella naturalezza più totale.

Non c'era spazio per l'ansia: Lily Queen non sbagliava mai ma, soprattutto, non mancava mai l'obbiettivo.


**


Crowley se ne andò al mattino, tornò verso l'ora di pranzo per portarlo fuori, gli rubò un bacio davanti casa e insieme spostarono qualche altro scatolone. Per quanto poco senso avesse fare le cose in quel modo, per quanto gli sarebbe bastato schioccare le dita e mettere tutto apposto, c'era qualcosa nella gradualità che metteva Aziraphale a proprio agio.

Era sempre stato lui quello che faceva con calma, in fondo. Era lui quello che seguiva lo scorrere del tempo, mentre Crowley era quello pronto a fermarlo se necessario. Era così da sempre e sempre sarebbe stato così.

Il demone aveva deciso di fare le cose come il suo angelo avrebbe voluto, così da mettere tutti d'accordo e non dover dire istantaneamente addio all'appartamento che per tanto tempo gli aveva fatto da casa. Si era creato un buon equilibrio, venuto naturale come la voglia di rivedersi ogni qualvolta si separavano di nuovo.


Aziraphale aveva messo le cose di Crowley nella stanza dove si vedevano di solito, lontano da tutti, così che il demone potesse metterle dove voleva quando voleva. Per quanto il suo appartamento sembrasse vuoto, nascondeva tante di quelle cose... Piccole opere d'arte e vecchi vinili avevano già preso posto al piano di sopra. C'era persino qualche libro, oltre ad alcuni oggettini dall'aspetto grottesco.

La clientela, se così si poteva chiamare, aveva apprezzato i piccoli cambiamenti. Quel tocco di verde rendeva tutti più felici, o forse era solo un'impressione. Forse era l'angelo stesso ad essere felice tanto da vedere il suo buonumore proiettato sugli altri.

Nonostante ciò, la voglia di chiudere per la giornata si faceva sempre più allettante. Già si era messo a pensare in quale ristorante andare, intanto che metteva via i volumi abbandonati da qualcuno su un tavolino. Normalmente la cosa avrebbe incrinato il suo buon umore, ma non stavolta, non più.

Riceveva spesso complimenti dalla gente per il suo palpabile giubilo. Tutti dicevano di trovarlo in ottima forma e alle volte, in modo assolutamente benevolo, collegavano la cosa alla sempre più frequente presenza dell'uomo in nero. Gli umani erano creature curiose e sempre con il naso infilato dove non avrebbero dovuto infilarlo: era naturale, come l'amore. E Aziraphale il più delle volte sorrideva e basta, faceva il vago, forse ignaro del fatto che così facendo avrebbe buttato altra legna nel falò.


Quando rimase da solo, si occupò di dare una spolverata agli scaffali. Decise di prendersi un'altra oretta e poi chiudere. Avvisò Crowley con una telefonata che durò, come sempre, più del previsto. Era incredibile quante cose potessero trovare da dirsi quando volevano.

Fu quando mancava poco più di una mezz'oretta che la campanella alla porta gli risuonò alle spalle.

    «Buonasera!» Canticchiò una voce che era sicuro di aver già sentito.

Sospirò. Non era di certo la prima volta, ma la gente che riusciva a comparire ad un non nulla dalla chiusura continuava a risultargli involontariamente... No, non fastidiosa, solo con un pessimo senso del tempismo.

    Tornò all'ingresso dove, con sorpresa, capì con chi aveva a che fare. «Oh, salve» salutò cordialmente la giovane dai lunghi capelli neri che aveva incontrato qualche giorno prima. La ricordava per il fare gentile e le mille lentiggini sulla faccia.

    Lei rimase sull'uscio, incerta. «Stava chiudendo? Perché se è così, torno volentieri anche domani.»

L'angelo la osservò brevemente. La volta scorsa l'aveva guidata per la libreria alla ricerca di alcuni libri di botanica. A giudicare dalla grossa borsa che portava a tracolla, si trattava probabilmente di una studentessa o comunque di una giovane donna appassionata. Se davvero l'aiuto di cui aveva bisogno era una cosa così veloce, allora non aveva motivo di mandarla via.

    «Perché non iniziamo a dare un'occhiata a ciò di cui ha bisogno?» Propose, invitandola ad entrare. «Se la cosa inizia a richiedere tempo, rimandiamo a domani.»

Lei ringraziò contenta e fece un passo all'interno, iniziando già a frugare tra i fogli che aveva portato con sé. La porta si chiuse ed Aziraphale sentì un brivido salirgli lungo la schiena. Il freddo doveva essersi fatto davvero pungente là fuori.

Prese l'elenco - simile a quello della volta prima, solo più breve - e diede le spalle alla sua cliente per andare a prendere i primi libri che aveva già adocchiato mentre puliva. Fu allora che si rese conto di una cosa importante.

Rimase con i polpastrelli ad un non nulla dal dorso del primo volume, preso da un improvviso senso di inquietudine. Lui non sentiva mai freddo, a meno che non lo volesse... Ed era già da un po' che preferiva il calduccio accogliente della sua dimora al freddo pungente della Londra a inizio inverno. Qualcosa non andava.

Ritrasse la mano e si concentrò sulla pelle d'oca che aveva appena preso possesso delle sue braccia. Un'ombra gli arrivò alle spalle ma, stavolta, non aveva niente di benevolo.

Ebbe un solo secondo di esitazione, ma alla fine decise di voltarsi, pentendosene immediatamente.


Fu un attimo. Sentì una stilettata di dolore che si fece rapidamente sorda, soffocata dalla sorpresa e dalla paura. Abbassò lo sguardo: c'era una lama corta infilata nel suo ventre e da essa fuoriuscivano più rivoli rossastri dai vaghi riflessi dorati. I suoi abiti si macchiarono a vista d'occhio; una chiazza bordeaux rovinò inesorabilmente le sue stoffe preferite e tutto il suo corpo, il suo beneamato guscio, fremette e sussultò.

    Alzando lo sguardo, incontrò gli occhi scuri e seri della donna. Lo stava fissando con un misto di determinazione e curiosità. Il suo volto di porcellana si ruppe in un sorriso: «A questo punto dovresti già essere crollato. Sei resistente, piccola lucciola.»

A quel punto, Aziraphale capì due cose: la prima era che si trovava - di nuovo e quasi per colpa sua - nei guai fino al collo; la seconda era che il pugnale che gli aveva trapassato l'aura, oltre che la carne, non poteva essere uno strumento normale. L'oro che si mescolava al rosso del sangue era la prova provata che quella donna, chiunque fosse, sapeva cosa stava facendo.

Con uno sforzo immane, cercò di afferrarle le spalle per allontanarla, ma lei fu decisamente più rapida: stringendo le mani sul manico della sua piccola ma letale arma, non senza fatica, riuscì a spingerlo di lato. Non avendo più gli scaffali dietro la schiena, l'angelo provò un immediato senso di vertigine.

Intanto che gli angoli della sua visuale si facevano sempre più annebbiati, la sua mente volò su più cose, tutte nello stesso momento. Un po' si maledisse per aver smesso di preoccuparsi dopo l'Apocalisse, lasciando che il suo buonumore lo rendesse un bersaglio facile da colpire. Un po' il terrore di morire - per sempre, definitivamente - gli fece salire le lacrime agli occhi. Un po' l'istinto di sopravvivenza unito alla forza divina lo portarono a reagire, cercando di rendere il lavoro difficile alla sua carnefice. Un po' pensò a Crowley; lui che veniva sempre in suo soccorso, lui che semplicemente lo sapeva quando si trovava nei guai... Magari aveva già capito che qualcosa non quadrava, magari stava già arrivando e magari lo avrebbe salvato di nuovo.


Senza capire come, si ritrovò a cadere all'indietro. La sua testa sbatté violentemente contro il pavimento ligneo e per un attimo non riuscì più a muoversi: era bloccato con la schiena al pavimento e la giovane, a cavalcioni sopra di lui, continuava a fissarlo sempre più affaticata. Aveva ancora le mani ben avvolte al pugnale e non sembrava intenzionata a sfilarlo da dove lo aveva affondato.

    «Sei forte, angioletto. Mi piaci» ammise lei, evidentemente divertita. «Però ho bisogno delle tue ali.»

Aziraphale sentì la nausea attanagliargli lo stomaco intanto che veniva girato su un fianco. Una mano fredda e insanguinata lasciò l'arma per andare a posarsi sulla sua guancia: un gesto apparentemente dolce, ma che di dolce non aveva niente.

    «Tira fuori le alucce, su...»

Non voleva. Non voleva farla vincere così, non senza lottare. La paura rischiava di farlo crollare, ma aveva faticato troppo per perdere la sua libertà in quel modo.

    La guardò intensamente, mettendo in quell'unico gesto tutta la determinazione di cui era disposto e, in un rantolo, disse: «No.»

    Venne fuori più disperato del previsto, e forse per questo lei emise un singolo sospiro. Gli passò una mano tra i riccioli e poi, con due calcolatissimi movimenti sincronizzati, gli rigirò il coltello nella carne e gli coprì la bocca perché non urlasse. «Forse non ci siamo capiti. Ho detto: tira fuori le ali.»

Scandì le parole una ad una, ma Aziraphale era troppo occupato ad ingoiare il dolore per captarle nel modo corretto. Dovette farsele ripetere perché, finalmente, cedesse.

Le ali gli comparvero sulla schiena bianche e splendenti come non mai. Si accasciarono a terra, l'una sopra l'altra, troppo deboli per mostrarsi nella loro naturale bellezza.

    La donna sorrise e si staccò da lui, lasciandogli il pugnale conficcato nella carne. «Grazie, bello. Non crucciarti: ho quasi finito.»

La vide sparire dalla sua visuale ora totalmente annebbiata. Sentì qualcosa tirare alle sue spalle e un pizzicore si fece velocemente strada dalla sua ala destra fino alla schiena. Subito dopo riuscì ad intravedere la sua carnefice con una bella piuma candida tra le dita.

    «Ecco fatto. Visto? Non era difficile» gli disse, strappandogli di colpo il pugnale dal ventre.

Stavolta, l'angelo non riuscì nemmeno ad urlare. Strinse gli occhi e li riaprì soltanto per scoprire che ad avergli offuscato la visita erano state le lacrime. Difatti, ora poteva vederla chiaramente di fronte a sé: la donna dai lunghi capelli corvini e il volto lentigginoso. Sedeva a gambe incrociate sul pavimento, la testa leggermente inclinata e le mani sporche di sangue e icore dorato. Il pugnale che aveva utilizzato pulsava leggermente di una luce rossastra e la piuma, ancora bianchissima e intonsa, quasi rifletteva una curiosa luce proveniente dal pavimento.

Fu allora che Aziraphale capì di essere in mezzo al suo cerchio, quello che nascondeva sotto il tappeto e che ormai non utilizzava più. Lei doveva averlo scoperto intanto che lo muoveva da un lato all'altro della libreria, ed era riuscita ad attivarlo con il suo stesso sangue: una pratica così antica e così grottesca da essere sparita dalla mente degli uomini.

Chi era quella donna? Come faceva a sapere il funzionamento di quegli antichi disegni? Dove aveva preso quell'arma? Come faceva a sapere dell'importanza delle sue piume?

Troppe domande turbinavano nella sua testa confusa e in balia al dolore di quello scontro. Aveva bisogno di risposte, ora. Aveva bisogno di capire perché. Perché adesso? Perché non punirlo prima che potesse finalmente trovare il suo equilibrio nel mondo? Ma era davvero una punizione quella?

    «Chi sei?» Mormorò, faticando sempre di più a mantenere la concentrazione.

    Lei sorrise lievemente: «Mi chiamo Lily. E tu, cara la mia lucciola, sei la preda più interessante della mia carriera.»

Un nome così dolce per un essere così terribile... D'altronde, "preda"?

    Lily dovette aver letto il dubbio nel suo sguardo. «Presto ti sarà chiaro. O almeno spero, dato che ci stai mettendo davvero tanto a mollare. Ti ammiro, sai? Sei forte, indipendente, bello e luminoso. Persino adesso la tua aura non smette di brillare.»

    Era vero: ci stava volendo tanto, ma stava lentamente scivolando nell'oblio. Un'altra cosa, però, l'angelo voleva sapere: «Perché?»

In tutta risposta, lei si sfilò la giacca scura. Portava una camicetta troppo leggera per il freddo al di fuori, ma era chiaro che se la fosse messa apposta per sbottonarla con una lentezza sconfinata, lì davanti a lui. Si scoprì il petto: in mezzo ai seni, tra la miriade di macchiette sulla sua pelle, si faceva strada l'elaborato tatuaggio di un serpente attorcigliato. Era stato disegnato ad arte in modo che non toccasse neanche un neo, e assomigliava in tutto e per tutto a quello che Crowley aveva sulla tempia.


Il mondo parve bloccarsi per un attimo. Aziraphale non avrebbe saputo dire cosa ciò potesse significare, ma fu come ricevere un'altra pugnalata. Avrebbe voluto alzarsi, chiedere spiegazioni immediate, e ci provò persino. Lottò per riprendere il controllo di sé stesso, ma ogni volta finì a terra, sfinito.

L'ultima cosa che vide fu Lily che voltava di scatto la testa verso l'ingresso. L'ultima cosa che sentì fu un frastuono che non riuscì a decifrare. Per mezzo secondo credette di avere ancora una speranza.

Poi tutto si fece buio.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Gli umani lo chiamano "sesto senso", quella sensazione che ti coglie per dirti che qualcosa sta per succedere, buona o brutta che sia. Per alcuni è una questione di pancia, per altri un processo totalmente mentale. Per Crowley era più come un gps che si attivava esattamente nel momento in cui le cose stavano per andare a rotoli. Lo sentiva subito: un picco di ansia che gli faceva rizzare i capelli dietro al collo. Era il brivido che solitamente accompagnava gli eventi non esattamente positivi. Era un qualcosa che sperava di non dover mai più provare, ma che adesso si stava facendo strada per ogni millimetro del suo corpo, veloce e inarrestabile.

La sua mente volò all'ultima volta in cui aveva provato quel mix letale di paura, ansia e preoccupazione; in un attimo era volato verso la porta d'ingresso e, senza neanche chiudere - tanto nessuno sarebbe mai entrato - si fiondò giù per le scale.


Si stava godendo ciò che rimaneva del suo già semi vuoto appartamento, mezzo stravaccato sul suo scomodissimo ma stilosissimo divano. Avrebbe potuto andare da Aziraphale e restarci, ma voleva dargli i suoi spazi. Era una creatura abitudinaria il suo angelo: aveva bisogno delle ore di cosiddetto lavoro, delle telefonate, delle ore di solitudine in vista del tempo che avrebbero passato insieme. In fondo, era proprio quella separazione a rendere speciale la compagnia. Crowley lo sapeva bene, così come sapeva quanto dolci fossero i baci dopo che li aveva resi desiderabili. Lui che scattava sempre per fare qualsiasi cosa, lui che non andava mai ad una velocità consona, aveva imparato ad attendere e far attendere. Tutto per amore.

Adesso però stava sfrecciando per le strade, piede fisso sull'acceleratore. A guidarlo c'era un rimescolamento nello stomaco che gli faceva venire in mente solo pareti in fiamme e odore di fumo. Si era ripromesso di stare attento, di far sì che nessuno fosse più in pericolo; aveva passato i primi mesi a guardarsi attorno, sguardo fisso agli angoli delle vie. Quando niente e nessuno era più venuto a dar loro fastidio, aveva tirato un sospiro di sollievo e si era dedicato in tutto e per tutto all'amore della sua vita. Aveva abbassato la guardia come un perfetto imbecille, e adesso ne stava pagando le conseguenze imprecando e quasi ammaccando tutti i veicoli sul suo cammino.


Parcheggiò davanti all'ingresso della libreria ignorando pedoni, lamentele, marciapiede e senso di marcia. Il nodo nel suo stomaco si fece strettissimo e il tremore nelle gambe quasi gli impedì di reggersi in piedi. Nonostante tutto avanzò, pronto a spaccare in due la porta se necessario. Effettivamente, lo stesso ingresso che normalmente si apriva con immediatezza d'innanzi al suo cospetto era adesso completamente chiuso, fermamente serrato, bloccato da qualcosa che Crowley non fu in grado di smuovere nemmeno con il più convinto schiocco di dita.

Arrabbiato, spaventato e confuso, si mise a prendere la porta a spallate. Continuó fino a farsi male, poi cambiò spalla. Passò a prendere il legno dell'ingresso a calci intanto che attorno a lui la gente continuava a passare come se nulla stesse accadendo: era come essere dentro ad una bolla. Non si chiese il perché di tutto ciò: l'unica cosa che voleva era entrare, il resto sarebbe venuto poi.

Fece due passi indietro, si sfilò gli occhiali dal viso e fece per prendere la rincorsa. Cazzo, avrebbe ridato fuoco a tutto pur di fare breccia; a frenarlo era l'amore incondizionato che il suo angelo serbava per quel luogo. No, doveva smuovere quella porta, fosse anche stata l'ultima cosa che-

A bloccarlo fu l'inconfondibile "click" della serratura che si sbloccava. Per un attimo, Crowley sentì il sollievo breve ma intenso dell'ultimo briciolo di speranza, poi corse dentro. Avrebbe voluto urlare, ma la voce gli morì in gola per due motivi: uno, che se Aziraphale non aveva risposto all'incessante sbattere della porta, allora non avrebbe certo risposto adesso; due, ciò che si ritrovò davanti agli occhi fu abbastanza da far crollare l'intero universo sulle sue spalle.


Prima di tutto, c'era un'oscurità innaturale, molto più evidente di quella che rimarcava il semplice passaggio dalla sera alla notte. Sotto la luce fioca e vagamente inquietante che adesso invadeva la sua nuova casa, il demone potè intravedere una serie di chiazze rossastre sparse sul normalmente immacolato pavimento. Ce n'erano svariate di altrettante svariate dimensioni, ognuna di esse presentava una tenue sfumatura tendente al dorato.

Con il cuore in gola, la pelle d'oca e il fiato corto, Crowley le seguí come se fossero lì apposta per indicargli la strada. Tutta la foga di pochi minuti prima andò dissolvendosi, trasformandosi prima in sudore freddo, poi in adrenalina e infine, a percorso terminato, in terrore.


Le chiazze culminavano in un'unica grande pozzanghera in mezzo ad un cerchio bianco sul pavimento. Il parquet in quel punto era arso e puzzava di bruciato; e tra i tenui raggi dei primi lampioni si poteva intravedere del fumo biancastro che, lentamente, partiva dal centro della figura e si innalzava leggiadro verso l'alto soffitto. Fu allora che qualcosa nel tessuto stesso dell'universo si ruppe e il demone sentì un senso di vuoto scavargli l'aura.

Non fece in tempo a reagire, però. Non una lacrima cadde dal suo viso, né un urlo irruppe dalla sua gola. Tutto venne riavvolto come un nastro dalla voce alla sua sinistra.

    «Non mi avvicinerei fossi in voi. È ancora bello caldo.»

Lentamente, Crowley si voltò. Comodamente seduta su una poltroncina se ne stava una donna che aveva già visto. La sua incasinatissima testa fece due più due e collegò il lentigginoso viso di porcellana alla fioraia che gli aveva venduto il giglio nero, lo stesso che adesso se ne stava tranquillo sul tavolino accanto a lei - sì, tranquillo, a differenza di tutte le altre piantine della libreria, le quali parevano tremare dalla paura d'innanzi alla loro Regina.

Aveva le gambe accavallate, la camicetta abbottonata male e le mani sporche intente ad intrecciarle i lunghi capelli neri. In mezzo alle miliardi di efelidi sul suo viso facevano capolino le stesse macchie che ora decoravano il pavimento. Le stesse che erano scolate dai suoi polpastrelli fino al braccio semi scoperto. Le stesse che rilucevano di angelico sangue dorato.


    Fu come accendere un interruttore, schioccare le dita, sbattere le palpebre. «Tu» fu l'unica cosa che il demone riuscì a dire, o meglio, ruggire in un tono basso e gorgogliante che da solo fece tremare le pareti.

Una furia devastante gli corse su e giù per le membra. Tutti gli urli, le lacrime e il dolore che aveva trattenuto esplosero, portandolo a prendere le sue vere, grottesche e letali sembianze.

Non lo faceva mai, non ne aveva motivo. La bestia dalle squame rossastre che aveva appena buttato giù diversi scaffali altro non era che un mostro, un essere nato dalla rabbia, dalla negatività più pura. Il vero Crowley non avrebbe mai nemmeno osato mettere sotto sopra quel luogo, nemmeno per odio. Nemmeno per vendetta.

Eppure eccolo lì, fauci spalancate, le pupille ridotte a due sottili tagli in mezzo all'oro dei suoi occhi. Avrebbe staccato la testa a quella stronza. Quella maledetta bastarda aveva osato toccare il suo angelo. Aveva le mani ancora macchiate del benedetto sangue dell'unico essere che rendeva la sua misera esistenza degna di essere vissuta. Avrebbe sparso le sue membra in ogni singolo angolo di Inferno, se necessario.

Senza nemmeno pensarci, fece scattare la testa in avanti, guidato dalla rabbia più cieca.


Fu un semplice movimento a bloccarlo.

Difatti, la fioraia aveva allungato una mano dietro la schiena e, con un unico scatto del braccio, aveva frapposto tra lei e il grosso serpente un'unica, candida piuma.

    «Ricominciamo da capo, vi va?» Chiese, un sorriso furbo sulle labbra. «Sedetevi, su. Parliamo.»

Crowley sentì tutto il suo essere rimpicciolirsi e, in un attimo, fu di nuovo lui: una nera ed esile figurina con gli occhi scoperti; un essere paralizzato, confuso, inebetito, distrutto davanti a quella donna con una piuma tra le dita - piuma che, si accorse solo adesso, non era perfettamente bianca come quelle di Aziraphale, ma leggermente tendente al crema. Una differenza microscopica che fece, beh, la differenza.

Seguì con lo sguardo le dita di lei che, non senza fatica, andavano strappare i bottoni della camicetta. Non appena vide il tatuaggio ben tracciato in mezzo ai suoi seni, assolutamente identico alla voglia che lui aveva sulla tempia, tutto prese un nuovo terribile senso.

    «La famiglia Queen» mormorò infastidito. «Sapevo che c'era qualcosa di strano in te, maledetta.»

Il suo subconscio glielo aveva suggerito ma lui, stupido, non gli aveva dato peso. Quando era entrato in quel negozio alla ricerca della Regina della Notte, aveva percepito qualcosa di bizzarro, un rumore sordo agli angoli della sua mente.

Aveva lasciato correre e per ciò si sarebbe maledetto in eterno.


    Lei parve quasi lusingata da quelle parole. «Mi chiamo Lily» canticchiò. «Voi dovete essere Crowley. È un onore, oltre che un piacere, fare la vostra conoscenza.»

    Il rosso ignorò completamente la mano che gli aveva offerto, combattendo contro l'istinto di strappargliela a morsi. Piuttosto, afferrò una poltroncina e vi ci sedette sopra, sguardo fisso sulla stronzetta. «Meglio sse inizi a parlare,» sibilò, «lui dov'è?»

Si rifiutava categoricamente di credere che lo avesse ucciso. Era semplicemente impossibile, fuori questione, completamente fuori da ogni probabilità. Aziraphale era maledettamente difficile da buttare giù: non sarebbe stata una semplice umana con evidenti problemi ad eliminarlo. No, qualcosa non quadrava. Questo, o stava solo negando l'evidenza.

Lily, in tutta risposta, giocherellò con la sua piuma. Andò avanti per qualche interminabile secondo che Crowley, stranamente, riuscì a non utilizzare come vantaggio per sbatterla contro un muro e tirarle fuori la verità dalla boccaccia.

    Alla fine, dopo un sospiro di soddisfazione, la giovane Queen prese parola: «Kathatiel è davvero brava per essere una custode. Questa piuma è sua, sapete? La porto sempre con me: è una specie di porta fortuna. Gliel'ho strappata dall'ala destra: dicono sia quella più simbolicamente importante.»

Chi cazzo è Kathatiel?

    Crowley strinse così forte i braccioli della sedia che temette di sbriciolarli. «Che vai blaterando?»

    Lily gli puntò addosso le iridi scure, ora totalmente seria. «Sapete, la gente tende a cacciare i demoni per vedere esaudito qualsivoglia desiderio» spiegò. «Credono che confinarli sia abbastanza da poter chiedere loro ciò che desiderano ed ottenerlo, ma non c'è niente di più sbagliato. Un po' di gesso per terra e qualche parola ben pronunciata non sono abbastanza; inoltre, i demoni sanno sempre come fregarti una volta che hai deciso di fare patti con loro. Gli angeli, invece? Oh, loro sono così difficili da trovare ma così facili da intrappolare. Non possono mentire ad un essere umano, sono fatti per proteggerci e consigliarci, feriscono solo i demoni e i loro stessi simili se Dio glielo chiede. Ma quando sono dentro quegli stessi cerchi è come se sparissero: i ponti con l'Altissima vengono tagliati, e per chiedere loro qualcosa basta strappargli una sola, candida piuma» concluse. «Ma immagino che questo lo sappiate già, o grande Tentatore.»

Quelle parole raggelarono l'aria. Dopo il suo primo e ultimo incontro con quei mentecatti, Crowley aveva deciso di star loro il più lontano possibile. Non aveva riferito niente a chi di dovere, anche perché l'Inferno intero lo venne a sapere da subito, così come il Paradiso - dato che avrebbe dovuto proteggere i suoi componenti. La famiglia Queen era presto diventata un pericolo comune: i demoni avevano provato a portarla dalla loro parte, ma si era presto capito che il Tentatore era l'unico essere oscuro con cui volevano davvero avere a che fare; mentre gli angeli, beh, loro ci tenevano alle loro piume e alla loro vita. I più potenti Cacciatori di angeli della Terra erano un gruppo particolare che per secoli era stato tenuto d'occhio a distanza, ma che per altrettanto tempo era comunque riuscito a portare avanti i suoi loschi affari senza che niente e nessuno li fermasse.

Crowley aveva provato ad estirpare quello scempio alla radice, ma non c'era riuscito. La storia del suo incontro con Chrys e famiglia gli aveva fatto ricevere tante occhiate di ammirazione che aveva preferito evitare come la peste. Si era categoricamente rifiutato di rimettere mano in qualsiasi cosa avesse a che fare con quella famiglia di pazzi assassini. Sapeva quanto importanti fossero le piume degli angeli, accidenti, lui ne conosceva uno - ne era stato uno anche, ma ne era passato di tempo. Sapeva quanto sacrilego fosse ottenerne una e possederla: solo Dio e gli altri angeli avrebbero potuto farlo. Erano talmente importanti che persino i demoni le vedevano come i più preziosi dei trofei. Eoni addietro, quando l'Inferno era appena nato, riuscire a strappare le piume dalle ali dei nemici era visto come un atto eroico.

Le cose erano cambiate solo per favorire quegli umani più ficcanaso di altri, i quali avevano scoperto cose che non avrebbero dovuto. Avevano iniziato ad assoggettare gli angeli per far piacere a lui, salvo poi scoprire come ottenere dei vantaggi a loro volta. Al solo pensiero, a Crowley venne la nausea. Sapeva di essere al centro delle attenzioni di molti umani, ma la famiglia Queen era l'apice della venerazione malata.

    «Risparmiami la tiritera» rispose infine, faticando a tenere i sibili a freno. «Non hai risposto alla mia domanda.»

    «È al sicuro, non preoccupatevi.»

    «Dove?»

    Lily alzò le sopracciglia: «Si vede che ci tenete al vostro angioletto. Quasi vi invidio: da piccola avrei fatto i peggio passi falsi pur di ottenere un amore come il vostro. Peccato che i principi azzurri siano piuttosto rari.»

    Il rosso prese a fremere. Quella stronza aveva chiesto la protezione di un angelo apposta per renderlo docile come un cagnolino, e adesso, dopo aver osato allungare un dito su Aziraphale, giocava persino a fare la finta tonta. «Ssi può sapere cosa cazzo vuoi da noi?»

    «Io? Oh, vi sbagliate. Non ho fatto tuto questo per un mio tornaconto personale. Non solo, almeno.»

    Ma certo. La famiglia Queen era comparabile ad un gruppo di sicari: da tempo ormai lavoravano per conto di altri e non più solo per se stessi. «Ne hai approfittato per arrivare a me» concluse lui, «bene, sono qui. Fammi quello che ti pare, ma lascia Aziraphale fuori da questa storia.»

    La Cacciatrice sospirò: «Mi piacerebbe, sapete? Ma non posso. Verrei meno ad un patto e non è da me.»

    «Me ne fotto dei tuoi patti!»

Crowley era scattato in piedi, nuovamente fermato dalla stessa forza esterna che gli aveva impedito di fare del corpo di Lily un ammasso di budella. Tremava da capo a piedi, stufo di quella conversazione a senso unico. Rivoleva il suo angelo e lo rivoleva adesso.

    Ma lei, tranquilla come non mai, gli sorrise: «Lo so bene, ma vorrei che capiste: dopo secoli sono finalmente riuscita ad arrivare dove la mia famiglia avrebbe voluto. Dopo ciò che è successo a Chrysanthemum ci siamo perfezionati e lo abbiamo fatto solo per voi. Ogni singola piuma strappata, ogni singolo angelo fatto sparire, era tutto a vostro nome. Lasciate che vi faccia capire quanto ci tengo.»

Con la mano libera andò a frugare nella tasca della sua pesante giacca. Ne tirò fuori un'altra piuma: lunga, bianchissima, vagamente luminosa. L'inutile cuore di Crowley perse un battito.

    «Mi piace il vostro angelo» disse Lily con un rispetto per la sua vittima che poco le si addiceva. «Non ho nessuna intenzione di chiedergli qualcosa: ho già Kathatiel che lo fa per me. Il mio compito era tagliare i suoi ponti con Dio e l'ho fatto. Non tengo piume che non mi servono, perciò...»

Gli passò la piuma e Crowley gliela strappò dalle dita macchiate. La tenne tra le mani come fosse fatta di vetro: era bellissima come il primo giorno in cui l'aveva vista tra le ali che lo avevano protetto. Gli salirono le lacrime agli occhi e, finalmente, si lasciò andare. Cadde in ginocchio sul parquet e se la strinse al petto, lasciando che i singhiozzi lo scuotessero e il pianto lo soffocasse.

Aveva fallito. Aveva un solo ed unico compito da quando l'Apocalisse non era avvenuta, e aveva fallito. Vide il suo futuro sbriciolarsi, cadere pezzo dopo pezzo, sostituito da un vuoto che mangiava l'anima.

Era da solo. Lo sarebbe stato per sempre.

Non avrebbe più rivisto gli sguardi che tanto amava, né avrebbe più accarezzato la pelle morbida del suo angelo. Non gli avrebbe più dato baci a tradimento. Tutto era finito lì, nella loro casa, a causa della stessa umana che adesso gli si era inginocchiata di fronte. Le lacrime gli impedirono di vederla, ma potè chiaramente sentire la sua fredda carezza attraversargli la guancia.

    «Siete due esseri bellissimi» sussurrò Lily. «Forse siete persino fatti l'uno per l'altro, ma il vostro amore è un affronto all'equilibrio del mondo. Lo avete sempre saputo, vero?»

Crowley non le rispose, non ci riuscì. La voleva fuori dalla libreria e fuori dalla sua esistenza, ma non riuscì a cacciarla. Aveva un groppo in gola che premeva sempre di più per uscire sottoforma di tremanti lamenti.

    «Sono una persona rispettosa, per quanto strano vi potrà sembrare. Vi lascerò al vostro lutto. Prendetevi tutto il tempo che volete.»

Il demone trattenne a stento un conato di vomito di fronte a quelle parole dette con un tono di miele. Sentì le labbra di lei sfiorargli la fronte in un bacio terribilmente tiepido, prima di vedere la sua figura sfocata andare a riprendere le sue cose.

Si sarebbero rivisti, questo lo sapeva. Era l'unica cosa che la sua mente annebbiata dal dolore riuscì a concludere.


Lily se ne andò, lasciando Crowley da solo in una libreria divelta e sporca di sangue. Se l'apocalisse avesse avuto effettivamente compimento, era così che il rosso se la sarebbe immaginata: fredda, buia, vuota e senza la presenza di Aziraphale al suo fianco.

Non avrebbe potuto pensare a niente di peggio.

E adesso quel peggio si era realizzato.


**


Gli sembrava di fluttuare. Poggiava su un fianco, ma sotto di lui sembrava non esserci niente. Fu proprio a causa della leggera vertigine che aprì gli occhi.

Venne investito da una luce abbagliante che si fece subito più tenue, simile al sole al tramonto. Gli faceva male la pancia, tanto che si portò una mano sul ventre. La testa gli girava, si sentiva a pezzi, strinse gli occhi un po' per il dolore e un po' perché faticava a tenerli aperti. Non sapeva dove fosse, né capiva cosa fosse accaduto. Registrò solo una mano sulla spalla e una voce cordiale.

    «Fa male, vero?» gli disse con infinita compassione. «Ci sono passata. Riposa: vedrai che starai meglio.»

E Aziraphale le diede retta. Si raggomitolò, cullato da una carezza che faceva su e giù per il suo braccio. Non era da solo: una magra consolazione d'innanzi alla sua confusione mentale, ma pur sempre una consolazione.


Passò un tempo indefinito in cui si riaddormentò persino. Quando si svegliò di nuovo, la carezza era ancora lì e davanti ai suoi occhi si estendeva un tappeto di nuvole immerso in un cielo rosato.

    «Stai meglio?» Chiese la voce.

"Meglio" era una parola grossa. Si sentiva rivoltato come un calzino e non aveva ancora idea di cosa stesse succedendo.

Provò spostare lo sguardo verso la sua interlocutrice nella speranza di riuscire a ringraziarla ma, appena la vide, lo colse il panico.

Aveva due grandi occhi scuri, lunghi capelli neri e la pelle bianchissima puntellata di efelidi.

La sua carnefice, la libreria, il pugnale... Tutto gli tornò alla mente come un fiume in piena.

    Provò a scostarsi, ma il dolore e la stessa mano che l'aveva accudito lo bloccarono. Riuscì ad emettere un solo, strozzatissimo: «No...»

    «Sssh, lo so, scusa» lo calmò lei. «Tranquillo, sono un angelo anche io. Vedi?»

    In effetti, Aziraphale notò con sorpresa due malandate ali color crema che le spuntavano fuori dalle scapole. Si sentì improvvisamente costernato, e fece in modo di poggiarsi perlomeno sui gomiti, fallendo. «Chi sei?» Chiese in un rantolo.

    L'altro angelo sorrise. Era un sorriso dolce, genuino, vero e sollevato. «Mi chiamo Kathatiel» disse, «e sono l'angelo custode della donna che ti ha portato qui. O meglio, lo ero». Si passò le mani sulle braccia nude, poi, affranta, allungò una mano verso le nuvole: «Benvenuto nel mio cerchio».

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Il cerchio di Kathatiel era effettivamente una distesa infinita di nuvole che andavano disperdendosi a vista d'occhio, il tutto immerso in un cielo cangiante che passò gradualmente dal rosa all'arancio, dal giallo al blu nel giro di pochi secondi. Aziraphale non aveva mai sognato nel corso della sua esistenza, ma i toni ovattati dell'ambiente che aveva attorno erano ciò che di più onirico potesse immaginare; gli sembrava di essere finito dentro ad un dipinto ad acquerello.

Quando l'altra gli aveva dato il benvenuto, aveva nuovamente tentato di mettersi perlomeno a sedere. C'era voluto fin troppo, dato che il dolore sembrava non volerlo lasciare tanto presto.

Kathatiel gli aveva dato una mano con una delicatezza ed una pazienza infinite, ripetendogli che sapeva quanto fosse faticoso e di quanto meglio sarebbe stato se avesse riposato ancora. Ma Aziraphale non aveva intenzione di rimanere lì, inerme e dolorante, un secondo di più. I ricordi di ciò che era accaduto erano di nuovo vividi nella sua mente e doveva dar loro un senso.

    Decise di andare per gradi, anche perché non conosceva altro modo di affrontare la situazione. Rimase qualche attimo a scandagliare l'ambiente attorno a sé prima di prendere parola. «Il tuo cerchio?» Ripeté, confuso. Prima che la conversazione potesse procedere, però, osservò la sua interlocutrice e gli venne un colpo - di nuovo. Ora che la sua testa aveva ripreso a funzionare, si era accorto che nessuno di loro due aveva niente indosso. Era un pensiero stupido, certo, ma aveva passato tanto di quel tempo con degli abiti addosso che il non averli lo fece sentire terribilmente esposto - e imbarazzato.

    Si coprì con le ali, ma Kathatiel non parve cogliere l'antifona. Anzi, annuì e prese a spiegare: «Lily lo ha disegnato il giorno in cui mi ha catturata. È riproducibile, così può evocarmi ogni volta che ne ha bisogno». Si puntellò il mento con un dito: «Lo ha creato specificatamente per me. Se sei qui, vuol dire che l'ha modificato.»

Quei cerchi erano da sempre appannaggio di satanisti fuori di testa con cui Crowley aveva avuto spesso a che fare. Per questo motivo Aziraphale ne aveva uno in casa: non era solo un mezzo di comunicazione, ma anche un meccanismo di difesa in caso di presenza nemica - ovviamente non lo aveva mai usato per il secondo motivo. C'erano molteplici modi di utilizzarli, attivabili in altrettante maniere diverse: candele, formule specifiche, sangue angelico... Erano uno strumento complicato che gli esseri umani avevano ideato fin troppo bene; disegni versatili e molto pericolosi.

Ed è la seconda volta che ci finisco dentro. Anzi, no: è la seconda volta che qualcuno mi ci infila.

    Con un sospiro e una passata di dita sugli occhi, il biondo cercò di raccogliere le idee. «Mi stai dicendo che l'umana che custodivi ti ha rinchiusa qui dentro volutamente

Gli angeli custodi tendevano a prendere le sembianze degli umani che proteggevano; nonostante ciò, Kathatiel aveva qualcosa di diverso rispetto a Lily: pareva la versione benevola e innocua dell'umana. I suoi occhi scuri erano particolarmente brillanti e le efelidi parevano decorazioni graziose, posizionate accuratamente su ogni centimetro di quel corpicino pallido e rotto da una cicatrice sul fianco che risaltava, scura ed oblunga, sulla pelle bianchissima. Sembrava triste e debole, però: un'altra caratteristica che la differenziava dalla Cacciatrice.

    Lei prese a torturarsi le dita, annuendo debolmente: «Per la famiglia Queen è una specie di rito di passaggio. Catturano i loro angeli custodi e li rinchiudono. Io sono qui da quasi vent'anni, ormai.»

    Quel nome suonava familiare, ma non a causa della musica preferita dalla Bentley. Aziraphale provò a ricordarsi dove lo avesse sentito, ma un'altra stilettata di dolore lo costrinse a piegarsi. La mano di Kathatiel fu subito sulla sua spalla, dolce e rassicurante. «Chi farebbe mai una cosa del genere?» Mormorò allibito.

    «Te l'ho detto: la famiglia Queen» Ripeté paziente la custode. «Sono i più bravi Cacciatori di angeli della Terra. Diciamo che sono stati loro i primi a scoprire come rinchiuderci e usare le nostre piume a loro favore... e tutto per cercare di ingraziarsi il Tentatore.»

    Quelle ultime parole, timorose e sussurrate, fecero salire un brivido lungo la schiena di Aziraphale. Fissò Kathatiel con gli occhi sbarrati e sperò di aver capito male. «Di- di chi parli?»

    Lei inclinò la testa: aveva l'aria confusa e preoccupata. «Il Tentatore. Sai il giardino dell'Eden, la mela e il serpente? La famiglia di Lily è convinta che sia stato proprio lui con il suo inganno a far progredire l'umanità. Lo venerano.»

Lily Queen aveva un serpente tatuato sul petto e una lama capace di rompere l'aura degli angeli. Conosceva il modo più sacrilego di attivare i cerchi ed era capace di rinchiudervi dentro le sue prede. Gli aveva staccato una piuma... Nemmeno i demoni si spingevano a tanto. Aveva catturato la sua custode e poi lui, infilandoli in quel luogo confinato tra le linee di qualche pavimento. Tutto solo ed esclusivamente per...

    «Crowley?»

    Kathatiel sbatté gli occhi un paio di volte. «Chi?»

Fu allora che Aziraphale capì la vera gravità della situazione. Aveva bisogno di rimettere a posto i pezzi e cercare di tirarsi fuori da quel casino, il prima possibile anche. Nessuno sarebbe venuto a salvarlo, stavolta. Semmai, era ora che accadesse il contrario.

    Raddrizzò le spalle e ignorò l'ennesimo bruciore proveniente dal suo ventre. «Temo che dovremo fare una lunga chiacchierata, cara Kathatiel» affermò con più sicurezza di quella che davvero aveva.


**


Lily non chiamò Gabriel, anche se forse avrebbe dovuto. Gli inviò un sms chiaro e semplice:

Missione compiuta.

Aveva fatto ciò che il messaggero le aveva chiesto e ora stava tornando a casa, mani e volto ben coperti affinché nessuno notasse le strane chiazze che si mescolavano alle sue efelidi. Nessuno notava mai niente, in realtà: era brava a non dare nell'occhio e scavalcava la gente con una facilità quasi innaturale. Rimaneva comunque cauta e con la scusa pronta in caso di domande indiscrete.


Arrivò al suo appartamento senza problemi. Normalmente, a lavoro compiuto, si infilava sotto la doccia e ripensava al suo operato. Alle volte dava persino uno squillo a sua madre, informandola della nuova cattura fatta a nome della famiglia Queen.

Stavolta però, Lily poggiò la schiena alla porta e, immobile, ascoltò l'incessante pompare del suo cuore. Percepì un lieve e piacevole calore pizzicarle le guance e accarezzarle le membra. La sua mente volò a ciò che era accaduto alla libreria subito dopo che la lucciola era sparita in un fascio di luce e una nuvola di fumo.

Kathatiel era stata davvero brava: la sua protezione aveva aiutato Lily ad osservare meglio colui che per tanto tempo aveva immaginato ascoltando i racconti di suo nonno. Era ad un crocevia tra la dolcezza assoluta e la rabbia sconfinata. Il modo in cui aveva reagito per riavere l'amore della sua esistenza era ammirabile e spaventoso. In quegli occhi dorati c'erano determinazione e disperazione, e già l'averlo davanti così, impossibilitato ad agire, aveva mandato la Cacciatrice in brodo di giuggiole.

Adesso lo aveva tutto per sé, tenuto sotto scacco dalla piuma di Kathatiel. Gli aveva tolto l'unica sicurezza, l'unica base, l'unica luce che aveva... E poi gli aveva baciato la fronte.

Era iniziato tutto in quel momento. Lo aveva visto crollare a terra, la candida piuma del suo angelo tra le mani, e aveva sentito un brivido di giubilo. Avrebbe potuto fargli qualsiasi cosa: una certezza inebriante che l'aveva portata a toccare quella pelle fredda e tirata con le labbra.

Era stato semplicemente stupendo, ma non era quello il momento di pensarci.


Staccandosi dalla porta, Lily fece un bel respiro ed estrasse il pugnale: aveva ancora una questione da sistemare. Andò in camera sua e scostò il tappeto, studiando a lungo la figura che vi era celata al di sotto. L'aveva disegnata lei anni prima affinché Kathatiel vi rimanesse all'interno, ma adesso aveva bisogno di più spazio.

Sarebbe bastato modificare un po' il disegno, tutto qui. Sapeva esattamente come fare senza rovinare tutto: aveva studiato quei segni e simboli così a lungo da conoscerne ogni sfaccettatura. Aggiunse alcuni tratti a quelli già presenti sul parquet, poi, a lavoro terminato, pose il pugnale al centro del cerchio e attese che la lama si illuminasse.

    «Lucciola sistemata» si disse, alzandosi e stirando le braccia. «Spero che Kathatiel gli piaccia. Dovranno passare un bel po' di tempo assieme.»

Voleva parlargli, in realtà. Non si faceva mai impressionare dalle sue prede, ma Aziraphale? Lui era diverso e sia lui che il Tentatore serbavano sorprese e segreti interessanti. Si sarebbe divertita.

Ma prima, relax. Tanto la lucciola deve riprendersi. Non ci avrebbe messo molto: era forte e resiliente, di questo era certa.

Aveva svolto il suo dovere: ora poteva godersi le ricompense.


**


Prima di tutto, bisognava mettersi a proprio agio. Conversare per terra, mezzo nudo - anzi, completamente - e senza niente da sgranocchiare non era proprio la migliore delle prospettive. Così, Aziraphale decise di provare la più semplice delle soluzioni: un miracolo.

Schioccò le dita e si ritrovò di nuovo nelle sue stoffe preferite, seppur meno consistenti e di un tono più chiaro di quello che avrebbe voluto. Si sarebbe accontentato.

Kathatiel, seppur confusa, decise di adattarsi. Schioccò le dita a sua volta e si avvolse in un vestito semplice e candido.

    «Molto meglio» commentò lui, sorridendole. «Perdonami: in tutto questo non mi sono nemmeno presentato. Sono Aziraphale» disse, porgendole una mano.

    Lei la strinse delicatamente. «Non sei un custode, vero? Sapevo che Lily sarebbe riuscita a catturare qualcuno ai piani alti, prima o poi...»

In effetti si vedeva che facevano parte di due gradini diversi della gerarchia: le ali di Aziraphale erano quasi il doppio di quelle di Kathatiel, e tutta l'essenza del principato brillava di una luce di cui la custode era sprovvista.

    «In effetti no» affermò lui. «Ma devi assolutamente spiegarmi meglio questa storia delle catture» disse poi, facendo comparire un tavolo basso davanti a loro. «E nei minimi dettagli, anche.»

Tutto ciò di cui aveva bisogno adesso era un buon tè, e lo ottenne con una facilità quasi disarmante dati gli ultimi eventi. Almeno una cosa sembrava star girando a suo favore.

    Ne versò un po' nella tazzina comparsa davanti a Kathatiel e lei, incuriosita, ne osservò il contenuto prima di parlare. «Hai mai sentito parlare di Chrysanthemum Queen?»

    Aziraphale per poco non risputò il tè - che comunque aveva un sapore ottimo. Certo che lo aveva sentito! Gliene aveva parlato Crowley una volta. Era comparso sulla sua porta con l'espressione stravolta, dicendo di aver incontrato il gruppo di satanisti più fuori di testa del pianeta. «In effetti sì» affermò infatti. «Ma pensavo che il Paradiso si fosse già occupato di lui e la sua famiglia.»

A detta di Crowley, la famiglia Queen sembrava particolarmente ossessionata da lui, tanto da metterlo addirittura a disagio. Aziraphale lo aveva guardato storto: non era certo la prima volta che il suo demone si ritrovava in mezzo a qualche culto di pazzoidi, come li chiamava lui; ormai doveva esserci abituato. Gli chiese cosa ci fosse in quegli umani di così strano da lasciarlo allibito, ma l'altro insistette per non parlarne. Così, semplicemente, la questione cadde e non ne parlarono più. D'altronde, l'ultima cosa che l'angelo voleva era incastrare il suo demone in conversazioni capaci di metterlo di cattivo umore - e renderlo intrattabile di conseguenza; così aveva fatto ciò che gli riusciva meglio: gli aveva offerto da bere e gli aveva consentito di rimanere tutto il tempo che voleva.

A riparlarne fu Gabriel qualche giorno dopo. Lo mise al corrente per un semplice motivo: avvisarlo di lasciare in pace quella famiglia nel caso se la fosse ritrovata davanti. Con il suo caratteristico sorrisetto plastico in volto, gli aveva dato una pacca sulla spalla e gli aveva consigliato di lasciar fare agli arcangeli.

Aziraphale non sentiva quindi parlare della famiglia Queen da allora: attorno al XII secolo, più o meno. Aveva considerato la questione bella che chiusa, magari un caso particolare già vagliato e risolto. A quanto pareva, si sbagliava di grosso.

    Come se potesse esserci qualcun altro oltre a loro, Kathatiel si guardò attorno e abbassò la voce: «Gli arcangeli si sono tenuti la questione ben stretta. Hanno diffuso solo poche informazioni, lasciando quasi all'oscuro noi dei ranghi più bassi. Noi custodi venivamo messi al corrente solo nel caso ci venisse affidato qualcuno della famiglia.»

Un angelo dolce e delicato come Kathatiel a protezione di una donna come Lily non era esattamente la scelta più pensata, si disse Aziraphale. Qualcosa gli suggerì che gli arcangeli l'avessero spedita in quella famiglia apposta per liberarsi di un elemento troppo debole per i loro standard. Decise di tenersi i suoi sospetti.

    «Capisco. Questo spiega molte cose» commentò invece. «E il signor Chrysanthemum dev'essere il capostipite, immagino.»

    Kathatiel annuì vigorosamente: «Non solo. È stato lui a perfezionare i cerchi, sempre lui il primo a catturare il proprio angelo custode e strappargli una piuma per assoggettarlo. È stato il primo e l'ultimo della famiglia ad evocare il Tentatore.»

    Ed ecco un pezzo del puzzle che andava al suo posto. Aziraphale prese a tamburellare la porcellana con le dita, ora in ansia. Persino il dolore al ventre si rifece fastidioso. «Ma perché? Cosa vogliono da lui?»

    L'altra fece spallucce: «Penso protezione: così hanno sempre detto i genitori di Lily. La loro non è semplice devozione: hanno reso la cattura dei custodi e la raccolta di piume dei riti a suo nome. Ne sono ossessionati.»

Il biondo sospirò. Male, molto male. Erano nelle grinfie di gente malata e pericolosa, poco ma sicuro. La devozione era un sentimento delicato, facilmente tramutabile nell'ossessione morbosa descritta da Kathatiel.

    Dopo una breve pausa, quest'ultima riprese: «Col tempo hanno deciso di utilizzare le loro conoscenze per "aiutare" gli altri a catturare gli angeli. I motivi possono essere diversi, ma perlopiù ci sono persone che vogliono liberarsi dei loro custodi e, di conseguenza, delle "grinfie" di Dio.»

    «Tutto ciò è...»

Aziraphale, che conosceva tantissime parole, faticò a trovare un aggettivo adatto. Davvero nessuno aveva mai tentato di mettere fine a quello scempio?

    «Terribile, lo so... Ora, però, permetti una domanda?»

Kathatiel aveva posato la sua tazzina con delicatezza. Non aveva bevuto che un sorso, troppo intenta a spiegare e guardare il suo interlocutore con curiosità e preoccupazione.

Aziraphale annuì appena, già sapendo dove la conversazione sarebbe andata a parare.

    «Vedi, Lily uccide sempre le sue prede» spiegò la custode. «Se non lo fa, significa che vuole qualcosa da loro. D'altronde, non tiene piume che non le servono: le strappa per amor di tradizione e le spedisce a sua madre. Alla tua ala destra ne manca una, perciò... Cosa vuole Lily da te, Aziraphale?»

    «Beh, è una spiegazione che penso di doverti.»

In quel momento, Aziraphale si rese conto di non aver mai raccontato quella storia ad altri angeli. Lo aveva fatto con gli umani che aveva incontrato durante l'Apocalisse - ci teneva a mantenere i rapporti - ma non ne aveva mai fatto parola con un suo simile.

Di Kathatiel poteva fidarsi, ci avrebbe messo la mano sul fuoco: era gentile, educata e disponibile. Lo aveva aiutato, perciò quello era il minimo.


Ci volle un bel po' per mettere apposto le idee e sintetizzarle. Seimila anni e passa di tempo non sono esattamente la cosa più riassumibile di sempre, e Aziraphale dovette sforzarsi un po' per non perdersi in mille dettagli - cosa in cui era fin troppo bravo, come diceva Crowley.

    Il suo discorso ben pensato, però, venne fermato quasi sul nascere da Kathatiel. «Oh mio Dio!» Esclamò lei infatti, gli occhi scuri completamente sbarrati. «Tu sei quello della spada!»

    «Cos- com'è possibile che lo sappiano tutti?»

    Per la primissima volta, la custode si fece scappare una leggera ma armoniosa risata. «Quella storia fece il giro del Paradiso in un attimo. Era sulla bocca di tutti.»

Aziraphale volse gli occhi al cielo: ormai era marchiato per sempre. Pazienza.

Decise di riprendere il suo discorso senza pensarci troppo. Più andava avanti, più l'espressione di Kathatiel si faceva dinamica: passava dalla curiosità, alla confusione, alla serietà, allo stupore in maniera fluida e genuina.

Ci volle meno tempo del previsto - e un taglio drastico di vicende - ma alla fine, il principato arrivò alla fine del mondo.

    A quel punto, la custode pendeva totalmente dalle sue labbra. Parve spesso sul punto di commentare, ma riuscì a trattenersi fino a quando l'altro non fece una pausa. Solo allora irruppe in un: «Voi cosa?!» esclamato in un acuto incredulo e nervoso. Prese a gesticolare, balbettando frasi sconnesse. «Cioè tu... Cioè, tu e lui. Voi siete...»

Aziraphale le diede tutto il tempo. Effettivamente, se dall'altro lato ci fosse stato lui, avrebbe fatto fatica a digerire tutte quelle informazioni. Tutta la storia del patto, la collaborazione, l'Apocalisse mancata, ciò che era avvenuto subito dopo... Tutto doveva suonare irreale alle orecchie di quella poverina che aveva passato l'ultimo ventennio chiusa là dentro.

    «Lily non vuole te, ma lui. Vuole te per tenere tra le grinfie lui» concluse la custode, mettendo approssimativamente a posto le idee.

    «Immagino di sì. Avrei dovuto capire che qualcuno avrebbe provato a rovinare tutto, prima o poi...»

Scostando lo sguardo, Aziraphale prese a torturarsi le dita. Perché doveva finire sempre così? Perché doveva sempre rovinare tutto? Puntualmente si ritrovava in qualche casino... I guai dovevano amarlo.

Si chiese come stesse il povero Crowley. Lily sembrava più che capace di piegarlo emotivamente pur di ottenere qualsiasi cosa volesse... E lui lo aveva permesso.

    Una mano gli toccò il polso, facendogli rialzare lo sguardo. Dietro il leggero velo di lacrime che si era formato davanti ai suoi occhi vide il dolce volto di Kathatiel. «C'è una cosa che non ti ho detto» confessò lei.

Aziraphale la fissò quasi pregandola di rivelargli qualcosa che potesse svoltare la situazione. Magari non era tutto perduto, in fondo.

C'era una cosa che Crowley gli aveva ripetuto spesso i primi tempi di esistenza assieme, quando l'ansia e la preoccupazione della vendetta erano dietro l'angolo. “Abbiamo fermato l'Apocalisse, il resto a confronto è una cazzata”.

    «Il giorno in cui Chrysanthemum invocò il Ten- ehm, come hai detto che si chiama?»

    «Crowley...»

    «Giusto. Il giorno in cui Chrysanthemum invocò Crowley, accadde qualcosa di strano. È una storia che gira da secoli tra i membri della famiglia Queen, ma ora che mi hai detto del vostro rapporto, beh... tutto ha più senso.»

Prima che potesse rivelargli qualsivoglia cosa, però, il cielo attorno a loro iniziò a vorticare.

    Aziraphale si ritrovò piegato in due da una stilettata di dolore più pungente delle precedenti. Si aggrappò a Kathatiel, confuso e spaventato. «Che succede?»

    Lei lo sorresse. «È Lily. A quanto pare vuole parlarti.»

    «Parlarmi? Mi ha pugnalato. Cosa pretende che le dica?»

    Kathatiel lo guardò tristemente. «Non lo so» mormorò solo. Il suo volto si stava facendo sempre più traslucido e distante.

Per un attimo, Aziraphale poté vedere una punta di disperazione nei suoi occhi. Forse aveva paura di restare di nuovo da sola, o forse aveva paura di ciò che Lily avrebbe potuto fare. Qualunque cosa fosse, non gli piacque per niente.


Istintivamente, chiuse gli occhi e si preparò mentalmente: stava per rivedere la sua carnefice.

Il solo pensiero gli si ritorse nello stomaco.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***



Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato. Magari non era nemmeno passato del tempo, magari lo aveva involontariamente fermato... Ma tanto che importanza aveva? Non aveva motivo di preoccuparsene, niente aveva più senso. Alla fine, il sole fece effettivamente spazio alla luna, ma per Crowley fu solo un cambio di luce, nient'altro. Si sentiva vuoto come non mai, uno straccetto nero e rosso sul pavimento. Fissava la piuma che aveva tra le dita, immobile in uno stato catatonico iniziato quando il pianto era finito.

Avrebbe dovuto fare qualcosa, sì, ma cosa? Non aveva né una direzione né le forze. Non aveva il coraggio di voltarsi e rivedere quelle macchie sul pavimento. Non sapeva niente, non voleva niente se non il suo amore indietro.

Una voce interiore lo sgridò, urlandogli che non l'avrebbe mai rivisto facendo così. Ma non importava. Nulla importava.


La notte portò con sé un silenzio innaturale che prese a fischiargli nelle orecchie. Ora che il brusio proveniente dall'esterno era calato, l'atmosfera si era fatta ancor più lugubre e pesante. La luce più bella del pianeta era scomparsa in una nuvola di fumo: c'era da aspettarsi un risvolto del genere.

Passava un'auto ogni tanto, gettando la luce dei fari oltre i vetri delle finestre. In quei frangenti, Crowley poteva quasi vedere la polvere che andava a posarsi sul suo corpo congelato. Sperò quasi di esserne ricoperto e sparire; sperò che qualcosa, qualsiasi cosa, riavvolgesse quella giornata e la facesse ricominciare da capo. Sperò persino di poter ricominciare a piangere per trasformare la sua immobilità in uno sfogo... Un altro, mille milioni di sfoghi capaci di riempire il vuoto nel suo cuore. Ma non riusciva a far altro che pensare perché tanto la sua testa non riposava mai: era quella la sua condanna, alla fin fine.


Si rimproverò a lungo. Provò a ridestarsi con il senso di colpa, ma a nulla valsero i: "È merito tuo, idiota. Dovevi proteggerlo e non l'hai fatto" che provava a tirarsi addosso. Nulla avrebbe potuto smuoverlo e se ne fece una ragione.

Sarebbe rimasto lì, fermo. Lui fermo. Era talmente strano e innaturale che per un nanosecondo si sorprese di sé stesso.

Fece un solo sospiro, l'ultimo movimento nel giro di chissà quanto tempo ancora.


Poi squillò il telefono.


**


Lily si era data una ripulita, si era riposata un po' e si era presa il tempo di bere una bella tazza di caffè. Solo poi era tornata in camera con calma, spostando la sedia dalla sua scrivania per posizionarla davanti al cerchio sotto al suo tappeto. Ci aveva nuovamente poggiato il pugnale in mezzo, spostandone appena la punta affinché venisse richiamato l'angelo giusto.

Questa è nuova, si era detta. Faceva sempre le stesse cose da anni, tutte uguali, tutte che seguivano lo stesso schema. Adesso invece aveva due entità nello stesso luogo, e le regole erano cambiate facendola rabbrividire di eccitazione.

Non dovette attendere molto. I simboli si illuminarono: prima un richiamo, poi un lucchetto e infine un nome, come con Kathatiel. Dal centro del disegno si materializzò la candida figura della sua preda più recente: era svestito, si copriva la parte anteriore del corpo con le ali e la guardava duramente. Le sopracciglia - più scure del resto dei suoi capelli, notò ora Lily - erano aggrottate e gli davano l'aria più adorabilmente arrabbiata che la Cacciatrice avesse mai visto.

    «Buonasera, Aziraphale» lo salutò con un sorrisetto.

Lui non le rispose nemmeno, spostando lo sguardo altrove.

    «Ho capito, vuoi fare il gioco del silenzio. Non è un problema: se non vuoi parlare tu, posso sempre raccontarti qualcosa io.»

    Le pozze azzurre del principato tornarono su di lei. «Speravi che rispondessi alle tue domande?» Chiese con un tono forzatamente duro. Si vedeva che aveva un po' di paura.

    «In realtà, speravo che me ne facessi qualcuna tu. Tipo: "Chi ti ha mandata a catturarmi?"»

La verità era che Lily sapeva benissimo quale fosse la priorità della lucciola in quel momento: il suo demone. Non gli importava nulla di chi l'avesse mandata a cercarlo, o meglio: forse lo sospettava già.

    Difatti, dopo un solo secondo di silenzio, lo sguardo di Aziraphale si rabbuiò. «O i piani alti o quelli bassi, ovviamente. Chi altri? Non mi stupirei se fossero stati gli stessi arcangeli a sguinzagliarti contro di noi.»

    Battendo brevemente le mani, Lily annuì. «Esattamente. Ma hai ragione: che importanza ha? Non è quello che davvero vorresti sapere.»

    L'angelo tentò di rimanere impassibile, ma era semplicemente incapace di trattenere le emozioni. Deglutì nervosamente, gli occhi ancora fissi su di lei. «Lui dov'è?»

La stessa domanda, solo chiesta con un tono diverso. Laddove il Tentatore agiva con rabbia, Aziraphale agiva con preoccupazione. Adorabile, si disse Lily; adorabile e perfettamente opposto.

    «Alla libreria. Penso ti stia ancora piangendo.»

    Le candide ali della sua preda per poco non ricaddero verso il basso. Era sull'orlo delle lacrime ma riuscì a non versarne nessuna - è forte, davvero forte. «È questo che fai alle creature che veneri? Le distruggi e lasci che piangano?»

    «Cielo, no. Il suo è un dolore normale e necessario. Sto solo aspettando che gli passi.»

Aziraphale non parve affatto convinto. La sua postura crollò un altro po' di fronte a tutta quella sfacciata naturalezza, e la Cacciatrice ne fu fiera.

    «Immagino tu abbia già parlato con Kathatiel» riprese poi lei alzandosi e andando a recuperare una sigaretta e l'accendino. «Che ne pensi? Ti piace?»

    Lui si fece stizzito - riusciva comunque a sembrare un morbido ammasso di nuvole con le braccia incrociate. «Una creatura dolce come lei non merita tutto questo.»

    Lily fece volare una nuvola di fumo verso la finestra aperta. «Hai ragione. È proprio dolce, non è vero? Forse troppo. Avresti dovuto vedere l'angelo custode di mio nonno: lui sì che era coriaceo. Kathy era così remissiva... credo che per un po' abbia persino sperato di cambiarmi in qualche modo. Avevo dieci anni quando l'ho catturata: un record di famiglia.»

    «Spero almeno che tu abbia notato un dettaglio fondamentale a questo punto della tua, chiamiamola, carriera» ribatté Aziraphale più determinato che mai - e per davvero, sta volta. «A Crowley non interessano queste cose. Semmai le ripudia.»

    Risiedendosi, Lily accavallò le gambe e gli puntò un dito contro: «Qui ti voglio. Cosa ti ha detto Kathatiel riguardo a quel giorno? La prima volta che uno della mia famiglia ha parlato con il Tentatore faccia a faccia?»

Capì di aver fatto centro quando il biondo fremette: evidentemente sapeva qualcosa ma non abbastanza. A quanto pareva, era arrivata l'ora del racconto.

    Un paio di tiri di sigarette dopo, la Cacciatrice gli fece un cenno con la testa: «Mettiti comoda, lucciola: è una storia intrigante.»

Ma Aziraphale non si mosse. Semplicemente puntò gli occhi su di lei e così rimase, immobile, una bellissima statua le cui morbide carni erano state scolpite ad arte nel marmo. Effettivamente, ora che Lily poteva vederlo sotto una luce diversa, sembrava uscito fuori dall'affresco di qualche chiesa.

    «Chrysantemum Queen era figlio di due fiorai che, guardacaso, decisero di chiamarlo come il fiore normalmente associato alla morte» iniziò quindi, scivolando un po' contro lo schienale della sedia. «Aveva il futuro già scritto. In quanto figlio unico, avrebbe ereditato tutta l'attività dei suoi genitori: ogni fiore, ogni serra, ogni pianta... Furono proprio i signori Queen ad insegnargli tutto ciò che doveva sapere sulla botanica. Così, una volta cresciuto, Chrysanthemum decise di potersi dedicare anche alla sua seconda passione: la teologia.»

    Aziraphale parve sconvolto da quell'affermazione, cosa che portò Lily a farsi una leggera risata. «Perché ti stupisci tanto? Ai tempi non c'era insegnante migliore di un uomo di chiesa. Era un periodo fecondo per chi aveva la possibilità di studiare, le università avevano preso piede e uno benestante come Chrysanthemum poteva certo permettersi una libreria con qualche manoscritto interessante.» 

    Andò a spegnere la sigaretta, gli occhi dell'angelo la seguivano così attenti che poteva addirittura sentirli alle sue spalle. «Fu proprio grazie a questi studi che il vecchio Queen capì una cosa fondamentale» riprese. «Ovvero che avrebbe preferito di gran lunga venerare Colui che aveva reso l'umanità curiosa, piuttosto che Colei che avrebbe voluto tenerla confinata in un giardino. Io lo trovo un ragionamento sensato, tu no?»

    L'altro non si scompose. «Non vuoi davvero sapere la mia opinione, vero?»

Che angioletto perspicace.

    La Cacciatrice fece spallucce. «Pensala come preferisci. In ogni caso, fu allora che Chrysanthemum decise di voler parlare con il Tentatore. Ereditò l'attività commerciale, trovò una donna con le sue stesse passioni e la sposò; ebbero dei figli che a loro volta ebbero una miriade di bambini. Quando il vecchio Queen riuscì a capire come raggiungere il suo intento, era già nonno di tantissimi bei nipotini. Amava ogni singolo membro della sua famiglia, per questo li volle tutti attorno a sé quella fatidica sera.»

    Fece una pausa per avvicinarsi al cerchio, così vicina da poter contare le volute bionde sulla testa di Aziraphale - il quale fece uno sforzo immane per non far cadere il contatto visivo. Con un sorriso soddisfatto, Lily continuò: «Dopo aver dato il ben servito al suo custode, Chrysanthemum gli strappò una piuma e gli chiese come evocare il Tentatore. L'angelo fu costretto a rivelarglielo; gli disse persino in che modo disporre il cerchio in cui il tutto sarebbe avvenuto. Ogni singolo dettaglio era stato preparato, smussato, ricontrollato... La famiglia si raccolse nella grossa cantina di Chrysanthemum, preparò il rituale, richiamò il Tentatore, e poi...»

Umana e angelo rimasero immobili, gli occhi scuri di lei incastrati in quelli azzurri e sbarrati di lui. Una era pronta a rivelare il momento clou, l'altro aveva quasi paura di sentirlo. Passarono cinque secondi contati e disposti ad arte.

    «E poi, all'improvviso, l'intera cantina esplose

    Aziraphale sbatté gli occhi un paio di volte, sbalordito e confuso. «Esplose?»

    Lily annuì: «Già, come una bomba. Il resto della magione in cui si trovavano venne mangiata dalle fiamme. Chrysanthemum morì, così come molti altri membri della famiglia. Incredibilmente rimasero solo le donne ed i bambini - spaventati a morte, certo, ma senza nemmeno un graffietto.»

    Qualcosa negli occhi del biondo si illuminò per un secondo, nient'altro che un cambiamento rapido e quasi impercettibile, ma Lily lo notó fin troppo bene. «Sai, è per questo motivo che molte informazioni sono andate perse nel corso del tempo» spiegò senza mai smettere di osservarlo. «L'aspetto del Tentatore, il cerchio giusto per evocarlo, le parole utilizzate... Tutti gli appunti finirono mangiati dalle fiamme e le informazioni orali si persero nel tempo. Ho sempre pensato che l'evocazione non fosse andata a buon fine per colpa di un errore di Chrysanthemum, ma da quando ho saputo di te e Crowley, del vostro improbabile rapporto, di ciò che avete fatto... capisco tutto.»

Solo allora gli occhi di Aziraphale si staccarono nuovamente dai suoi, andando a rifugiarsi tra le fughe del parquet. Erano lucidi, tanto da riflettere il vago bagliore del cerchio in cui era confinato.

    «Ha saputo cosa faceva la mia famiglia agli angeli e ha pensato a te, giusto? Sei tu la chiave di tutto» sussurrò la Cacciatrice. «Ha avuto paura che potessero arrivare a te e alle tue piume, così ha cercato di eliminarci.»

Ma l'altro non rispose; deglutì più volte, ricominciando a combattere una battaglia con le sue lacrime - battaglia che era destinato a perdere. Chi tace acconsente.

    «Come immaginavo.»


Il senso unico di quella conversazione sarebbe perdurato fino alla fine, così Lily decise di giocarsi una carta. Si accomodò con calma, sapendo che approfittare dell'umore attuale dell'angelo avrebbe potuto portare a tre possibili risultati: il silenzio, il rifiuto o la disperazione. Se quest'ultima lo avesse costretto a rispondere, però, la Cacciatrice ne sarebbe rimasta delusa.

È coriaceo: non dirà niente.

    «Chiarito questo punto, ho una sola domanda da farti. Diciamo che è una curiosità mia» esordì quindi. «Ovviamente non devi rispondere se non vuoi. Io non ho fretta.»

Aziraphale non si mosse, continuando ad evitarla: era come se non fossero più nemmeno nella stessa stanza.

    Ma Lily sapeva esattamente cosa dire. «Come avete fatto?»

    La sua lucciola in bottiglia spostò leggermente lo sguardo, ma non lo posò su di lei. Emise un mormorio rotto: «Fatto cosa?»

Oh, era così distrutto da non capire, eppure eccolo che si teneva stretto tutto ciò che potesse farlo apparire debole in una situazione che lo richiedeva stoico.

    «L'Apocalisse. Me ne hanno parlato, ma mi piacerebbe sentire la tua versione dei fatti. Non è da tutti sfuggire al fuoco dell'Inferno.»

    «Immagino di no.»

    «Vuoi dirmi che è stata tutta farina del tuo sacco?»

    Quelle pozze azzurre si erano fatte veramente sfuggenti, ma alla fine si posarono sullo spazio vuoto tra la circonferenza e la sedia della Cacciatrice. «Solo per metà» rispose l'angelo.

Lily capì che quelle parole erano tutto ciò che avrebbe ottenuto. Non rientravano nel silenzio, né nella negazione, né nella disperazione. Continuava a stupirsi e non era da lei.

    Si riavvicinò al cerchio e fissò la sua preda con un certo senso di soddisfazione e godimento. «Mi piaci, forse te l'ho già detto. Si vede che sei un essere intelligente, e l'intelligenza è spesso vista come una minaccia» affermò, allungando una mano verso il pugnale. «Ti lascerò in pace per un po': c'è qualcun altro con cui vorrei conversare. Ah, e dì a Kathatiel che la ringrazio.»

    Con due soli sbattiti di palpebre, l'attenzione e gli occhi di Aziraphale tornarono in volata su di lei. «Per cosa la ringrazi?»

    Lily ridacchiò: «Oh, questo non te l'ha detto». Poi afferrò la sua piccola arma e spense il cerchio.


**


Tornare nella contenuta realtà della custode fu come ricevere un pugno di Sandalphon dritto nello stomaco. Almeno adesso sono al sicuro e lontano da lei, si disse Aziraphale massaggiandosi il ventre; al sicuro, con qualcosa addosso e...

    «Sei tornato!»

In buona compagnia.


    Kathatiel era di nuovo al suo fianco: lo scandagliava preoccupata, le mani che non sapevano se consolarlo o meno. «Stai bene? Fare avanti e indietro può essere disorientante le prime volte.»

Aziraphale lo aveva già notato, ma ora più che mai era evidente il fatto che mancasse una piuma sull'ala destra della custode. Qualsiasi cosa Lily le avesse chiesto di fare non doveva andarle granché a genio: Kathatiel era troppo buona per ritenere giuste le richieste della sua umana.

    «Mi ha raccontato di ciò che è successo il giorno dell'evocazione. Ora so cosa volevi dirmi» riferì quindi, ricacciando indietro il magone che si era formato nella sua ipotetica gola. «E mi ha detto di ringraziarti... Cosa ti ha costretta a fare?»

    Le mani di lei trovarono finalmente conforto tra i lunghi capelli corvini. Prese a giocherellarci, mormorando: «Diciamo che se il tuo Crowley non l'ha sbranata è solo per colpa mia. Mi ha chiesto di proteggerla e ho dovuto farlo.»

Quello spiegava davvero molte cose, ma la situazione rimaneva decisamente delicata. Se volevano uscirne, Aziraphale doveva costringersi a ricacciare indietro i pensieri bui e ricomporsi: avrebbe dovuto essere bravo in quello, dato lo faceva da un'eternità. Eppure non era semplice, non lo era mai stato: anche adesso non poteva pensare ad altro che l'infinita premura e senso di protezione del suo demone. Persino allora, in una situazione di prigionia e svantaggio, Crowley non aveva fatto altro che pensare a lui. Era persino riuscito a sfuggire ad un'evocazione pur di-

    «Ma certo» sussurrò più a sé stesso che altro, ricordando le parole di Lily. «Quella notte Crowley ha rotto il cerchio.»

    «Beh, sì, ma devi considerare che Chrysanthemum era inesperto, il disegno non era dei migliori, il tuo demone era sicuramente nervoso...» ragionò Kathatiel. «L'unico modo per rompere uno di questi cerchi è rovinarlo dall'esterno. Il problema è che né io né te abbiamo più contatti con qualsiasi cosa ci sia al di fuori. I nostri ponti con Dio e il Paradiso sono stati tagliati nel momento esatto in cui Lily ci ha pugnalati.»

Aziraphale si mise a ragionare, snocciolando le parole della custode una ad una. Aveva ragione: erano due entità invisibili, imprigionate in un mondo a parte, lontani da tutto e alla mercé dell'umana che li aveva catturati. Forse non avrebbero mai rotto la loro gabbia come Crowley aveva fatto con la sua, ma c'era una falla in quel sistema. Una falla che Lily non poteva conoscere, poiché Aziraphale non gliel'aveva rivelata.

    Trionfante, prese di slancio le mani di Kathatiel. «Ricordi tutta la storia che ti ho raccontato prima? Di ciò che è accaduto dopo l'Apocalisse?»

Lei, confusa ma vagamente speranzosa, annuì.

    «Io non ho più nessun tipo di collegamento con il Paradiso. A dirla tutta, non sono più nemmeno legato ai miei doveri terreni, perciò...» ragionò il principato con un nuovo, confortante, bagliore di speranza nell'animo. «Da quando me ne sono "andato", l'unico legame che mi rimane è-»

    Kathatiel lo precedette, sbarrando gli occhi in un moto di realizzazione: «Il tuo Crowley.»

    «Esatto. Se c'è qualcuno che può darci una mano dall'esterno, quello è lui.»

    «Dici che basterà trovare un modo per parlargli?»

    «Certo che sì. Fammi solo pensare... »

Lui e Crowley erano due casi assolutamente particolari. Non seguivano più nessun tipo di regola: loro erano la perenne eccezione. Se il suo ragionamento era corretto, allora gli sarebbe bastata una telefonata.

Era l'ultima e anche l'unica ancora di salvezza che aveva. Doveva funzionare.


Si alzò con l'aiuto di Kathatiel, la quale rimase appiccicata al suo fianco. Si vedeva che era nata per custodire: aveva un fare dolcemente altruistico che rendeva la situazione decisamente più leggera da affrontare.

Uno schiocco di dita dopo, in mezzo alle nubi comparve un tavolino sul quale c'era un telefono fisso del tutto identico a quello che Aziraphale aveva in libreria.

    La custode lo osservò per un attimo. «Assomiglia a quello che la madre di Lily utilizza per chiamare i famigliari.»

    «Io e Crowley ci chiamiamo spesso» spiegò l'altro sfiorando la cornetta. «Quando ancora collaboravamo in segreto, abbiamo deciso di creare una specie di codice per le telefonate importanti. In realtà è una cosa che ho ideato io.»

La regola era semplice: più di tre squilli veloci di fila significavano non solo che si trattava di uno di loro due, ma anche che la questione era urgente. Con tutti i "clienti" che Aziraphale era costretto a tenere al telefono, era necessario capire se gli squilli appartenevano ad un rivenditore ansioso o meno. Quando il classico trillo prendeva un ritmo diverso, allora scattava l'allerta: facile.

    Kathatiel era nervosa e decisamente poco convinta. Nonostante ciò, decise di aggrapparsi a sua volta a l'unica idea che avevano. «Se credi che possa funzionare, non vedo perché non tentare.»

Rincuorato dal supporto, Aziraphale decise di alzare la cornetta e comporre l'unico numero che avrebbe potuto rompere le regole di quella prigionia: quello di casa sua, la libreria fuori dalla giurisdizione di chiunque non fosse lui o Crowley.

Deve funzionare, si ripeté. Per forza.


**


Il telefono squillò non una, ma ben tre volte, forte.

Crowley alzò la testa, incredulo. Doveva esserselo immaginato... Era talmente giù di morale che la testa aveva iniziato a giocargli dei bruttissimi scherzi.

Fece per tornare al suo stato catatonico, quando il telefono squillò di nuovo. Tre volte. Forte.


A quel punto, il demone scattò in piedi, piuma ancora in mano e un senso di calore crescente nel petto. Non è possibile, si disse, avanzando tra i libri scaraventati per terra. Arrivò al trillante telefono con ancora un senso di stordimento ben annidato nell'animo. Forse stava davvero impazzendo, ma c'era un solo modo per scoprirlo.

    Lentamente, afferrò la cornetta. «Pronto?» Rispose, la voce rotta e roca.

    Dall'altra parte si sentì un respiro di sollievo che, da solo, rimise apposto ogni cosa. Poi, la situazione migliorò ancora. «Crowley?» Chiese Aziraphale dall'altra parte, il tono speranzoso seppur lontano, quasi come se arrivasse a fatica.

Allora il rosso sbarrò gli occhi. Non era follia: era il suo angelo che, come al solito, aveva trovato il modo di raggiungerlo.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Le lacrime rischiarono di otturargli la gola. Tremante, Crowley prese una poltroncina e vi ricadde sopra, scosso, incredulo. Strinse delicatamente la piuma - si rifiutava categoricamente di lasciarla andare - intanto che dentro di sé, una minuscola parte di lui, ancora non ci credeva.

    Avrebbe voluto dire tante cose, ma le parole gli intasarono la testa e resero i suoi tentativi di dialogo un mucchietto di consonanti sconnesse. Alla fine, dopo un attimo solo di raccoglimento, strinse forte la cornetta e chiese: «Dove sei? Ti vengo a prendere.»

Più che una domanda, parve una preghiera - una preghiera detta con il tono più rotto, determinato e al contempo speranzoso di sempre.

    Dall'altro capo, Aziraphale emise un sospiro. «Piano, ascolta: la situazione è complicata...»

    «Complicata?! Non c'è niente di complicato. Quella stronza ti ha fatto del male e portato non so dove, ma stai sicuro che la pagherà cara.»

Era scattato in piedi, rimettendosi a piangere - stavolta dal nervoso. La voce del suo angelo pareva disturbata e distante, troppo distante. Lo voleva lì, accidenti. Avrebbe fatto di tutto per riportarlo a casa. Gli venne persino in mente di infilarsi nella linea telefonica, ma si rese subito conto che quello non era un contatto normale, e fare una bravata del genere non avrebbe giovato a nessuno dei due.

    L'altro mise su una punta di rimprovero: «Crowley, calmati» ordinò, «fallo per me, vuoi?»

Per lui? Se voleva? Certo che voleva. Poteva farlo.

    Nonostante l'agitazione - che lo portò a vagare avanti e indietro per quanto il filo del vecchio telefono lo permettesse - il rosso decise di frenare un attimo le sue montagne russe interiori. Non sarebbe mai potuta andare peggio di prima, no? Almeno adesso stavano comunicando. «Va bene, va bene» disse, cercando di tranquillizzare entrambi nel processo. «Dimmi solo cosa vuoi che faccia. Qualsiasi cosa: la farò.»

Il breve silenzio che seguì gli fece capire che c'erano alcune questioni da mettere apposto prima di passare all'azione. Quasi poté figurarsi Aziraphale giocherellare con la molla della sua - se ce l'aveva effettivamente - cornetta, preso dal ragionamento.

    «So cos'è successo con la famiglia Queen» disse quest'ultimo infine, una nota di dolore nelle parole.

    Avresti dovuto dirglielo allora, imbecille. E dire che Crowley ci aveva davvero provato a tenere quei mentecatti lontani... Forse, se fosse stato chiaro sin dall'inizio, tutto ciò non sarebbe accaduto. «Mi dispiace, angelo. So che avrei-»

    «Non dispiacerti, non devi... Volevo ringraziarti.»

Oh. L'aveva detto con una dolcezza disarmante che fece tornare una buona dose di calma nell'animo del demone. Forse non se lo meritava, ma ne aveva un disperato bisogno.

    Senza dargli il tempo di dire altro, l'angelo tornò sulle questioni importanti - tipico: non a caso la voce della ragione era lui il più delle volte. «Non so esattamente chi tra Paradiso e Inferno abbia mandato Lily a dare fastidio, ma poco importa: dobbiamo trovare il modo di uscire da qui.»

    Crowley aggrottò le sopracciglia: «"Dobbiamo"?» Poi la sua mente fece un ipotetico: "click", tornando al dialogo che aveva avuto con la giovane Queen ormai ore prima.

    «Esatto. Sono con la sua custode, in mezzo ad un cerchio che presumo sia-» ci fu un attimo di leggero brusio, una delicata ma incomprensibile voce femminile disturbò appena il collegamento. «Confermo: in camera di Lily.»

La Cacciatrice glielo aveva detto, ma Crowley lo aveva sempre saputo - anche se solo adesso aveva realizzato il tutto in modo chiaro. Logicamente, se potevi intrappolare un demone, allora potevi farlo con un angelo... O due. Il metodo era esattamente lo stesso.

Kathatiel è davvero brava per essere una custode.

Kathatiel: Lily l'aveva nominata. Avrebbe dovuto arrabbiarsi - e infatti era alquanto adirato - dato che per colpa sua e della sua benedetta piuma non aveva potuto far sparire la Cacciatrice dalla faccia della Terra. Ma non era quello il momento di lasciar vincere la collera. D'altronde, non gli importava assolutamente niente di quella scricciola dalle ali color crema: per quel che gli riguardava, poteva starsene buona nella sua circonferenza per il resto della vita di Lily.

    Mettendo da parte il pensiero che, in un momento del genere, accanto al suo angelo ci potesse essere qualcuno che non fosse lui, Crowley si mise a ragionare come mai aveva ragionato nella sua esistenza. «Devo scoprire dove vive la pazza, rovinarle il disegnino e farti uscire. Facile.»

Sarebbe volentieri balzato fuori dalla libreria per volare in macchina e setacciare ogni singola abitazione di Londra e dintorni. Ovviamente era un'idea stupida, ma avrebbe ribaltato il Regno Unito pur di rimettere le cose apposto.

    Dopo qualche breve gracchiare, dall'altro capo arrivò la voce femminile di poco prima, stavolta chiara e concisa. «Non è così semplice» mormorò Kathatiel, ovviamente in soggezione. «Non ho idea di dove abiti Lily, e anche riprodurre il suo cerchio è difficile: per attivarlo ci vorrebbe il pugnale con cui ci ha feriti, e comunque non penso che distruggere una copia equivalga a distruggere l'originale.»

Ok, la scricciola faceva degli ottimi ragionamenti, doveva ammetterlo.

    Aziraphale le diede subito man forte. «Inoltre,» aggiunse, «Nessuno di noi due ha un corpo, al momento. Pur uscendo da qui, non potremmo fare granché... O meglio: Kathatiel potrebbe tornare in Paradiso, ma per quel che mi riguarda,» mormorò, «preferirei evitare, ecco

A Crowley venne in mente ciò che era accaduto a seguito della sbronza depressa che si era procurato poco prima dell'Apocalisse. Dopo l'incidente alla libreria, il suo angelo sembrava in tutto e per tutto un fantasma senza meta che girovagava per il pianeta. Non ci teneva proprio a ripetere l'esperienza, grazie tante.

    Ignorò violentemente l'immagine intrusiva di quei due angeli vicini, finanche troppo stretti, davanti alla cornetta. «A quello ci penso io» disse solo. «Per adesso: come scopro dove abita la bastarda?»

    Fu Kathatiel a rispondere. «Lily ha un enorme punto debole: è una Queen» affermò. «Ti adora e ha fatto tutto questo solo per arrivare a te. Forse potresti lavorartela, non so, convincerla... Tentarla? Insomma, è il tuo punto forte... Magari la spingi a svelarti qualcosa.»

Nonostante stesse dicendo cose assolutamente assennate, accidenti a lei, c'era un velo non indifferente di insicurezza nelle sue parole. Inoltre, faceva un sacco di pause, come se avesse perennemente bisogno di conferma da parte di Aziraphale.

    Altro che "tentarla", Crowley l'avrebbe volentieri presa per i capelli e buttata nel Tamigi. «Credimi, scricciolo. In questo momento la mia tentazione consisterebbe volentieri nel mandarla a quel paese» disse infatti, cercando di mettere un po' di veleno in quel soprannome dolce ma che di dolce non avrebbe dovuto avere niente.

    Fortunatamente, il suo angelo - santo il suo angelo - sapeva esattamente cosa dire. «Per quanto capisca la tua rabbia, dubito sinceramente ne saresti capace, caro» affermò infatti con il tono calmo di chi ti conosce meglio delle sue stesse mani.

E come dargli torto. Stava parlando al demone che non era riuscito a spazzare via anche i bambini quella lontana sera... Crowley sapeva di avere fin troppi punti deboli scoperti, così come sapeva che Aziraphale era bravo a usarli tutti a suo favore.

    Evitò di controbattere, dando un'occhiata imbarazzata ai libri che aveva fatto cadere quando aveva cercato di dare a Lily il ben servito. «Cercheró di farla parlare» disse piuttosto, cercando di apparire convinto. Non sapeva nemmeno da dove iniziare, ma avrebbe trovato anche un miliardo di soluzioni per il suo angelo. «E sistemerò anche tutto il resto.»

Non avrebbe saputo dire come, ma il sollievo dall'altro capo parve quasi palpabile. Non sapeva come Aziraphale avesse fatto a contattarlo, ma stava pur sempre parlando con l'angelo che lo aveva raggiunto in un momento critico, senza un corpo e ad un non nulla dall'Apocalisse, perciò... Quello era niente.

    Non poteva vederlo - e la cosa gli spezzava il cuore - ma riuscì ad immaginarlo chiaro e tondo mentre, con un sospiro e un tono di miele, lo ringraziava. «Come farei senza di te?»

    «Ah, non ne ho idea. I guai devono amarti.»

    «Più di quanto fai tu?»

    Crowley si fece scappare un sorrisetto, il primo dopo ore. «Impossibile. Ora però fammi un favore, vuoi?» Chiese, «richiamami.»

Non sarebbe sopravvissuto altrimenti, lo sentiva. Si aggrappò alla cornetta come fosse l'ultima cosa capace di tenerlo aggrappato all'esistenza.

    «Lo farò, non preoccuparti.»

    «E tieni d'occhio quella lì.»

    Un sospiro. «So che vuoi inimicarti la povera Kathatiel. Credimi: non se lo merita.»

Si fidava cecamente di Aziraphale, ma si fidava decisamente meno di praticamente chiunque altro. Lo scricciolo non faceva eccezione solamente perché aveva avuto la fortuna sfacciata di finire nella stessa prigione del suo angelo.

    «Questo lo deciderò io» affermò infatti il rosso con rinnovata determinazione. Vide il sole del mattino fare capolino dalle finestre, illuminando il disastro che ora era casa loro. Aveva molto lavoro da fare.

    «Stai attento, va bene? Non fare l'avventato come tuo solito» lo riprese Aziraphale, il tono fermo ma preoccupato.

    «So con chi ho a che fare. Non preoccuparti.»

Purtroppo, scricciolo aveva ragione da vendere: per quanto la situazione fosse uno schifo, Crowley aveva - paradossalmente - il coltello dalla parte del manico. Se c'era qualcuno capace di mandare la famiglia Queen in brodo di giuggiole, quello era lui.

    «Chrys è caduto ai miei piedi con una falsa promessa» aggiunse, «se Lily ha lo stesso carattere da sottona, sarà anche troppo facile.»

    Kathatiel, che ormai sembrava avere come unico compito quello di ribattere ad ogni suo: "facile", prese parola. «Lily è furba e pianifica sempre tutto. Non abbassare la guardia.»

Quel tono che sembrava sempre volersi avvicinare a lui con cautela lo fece sbuffare. Emise un: "mhmh" solo perché, ahimè, darle contro avrebbe solo messo Aziraphale di cattivo umore. E poi aveva ragione. Perché deve sempre avere ragione?


Avrebbe voluto che quella telefonata non finisse mai. Alla fine aveva costretto Aziraphale ad allontanare la scricciola per non far finire l'unico contatto che avevano nel vuoto.

    «Ti amo, lo sai: vero?» Sussurrò, prima che il pizzicore sulle guance diventasse tale da farlo pentire. 

Non lo diceva spesso, era una creatura di azione, lui. Voleva dimostrare il suo amore? Preferiva prendere il suo angelo nei momenti migliori e stuzzicarlo un bacio alla volta. Le parole possono essere vuote, i gesti no.

    «Certo che lo so. Lo stesso vale per me, ora però è meglio che tu vada.»

Il tono con cui lo disse fece sciogliere l'ipotetico cuore di Crowley. Adorava quando Aziraphale cercava disperatamente di apparire distaccato senza riuscirci: si vedeva che quelle parole avevano fatto arrossire anche lui.

Tanto bastava, per ora.


Si salutarono e il rosso decise di passare all'azione. Si mise la candida piuma del suo angelo in tasca e si voltò verso la Regina della Notte ancora tranquilla sul suo tavolino, bella più che mai.

    «Dopo io e te facciamo i conti» le disse, puntandole un dito contro. Dopodiché, schioccò le dita e rimise la libreria in ordine.


**


Con un sospiro, Aziraphale chiuse la chiamata. Odiava mettere il peso di tutto sulle spalle di Crowley, ma non poteva fare altrimenti.

    Kathatiel si era messa a giocherellare con la stoffa del suo abito, pensosa. Poi lo aveva guardato con aria dubbiosa. «Mi ha chiamata "scricciolo".»

    «Ti avverto» le disse sorridendo, «farà di tutto per farti credere che le stai antipatica, ma non ci riuscirà.»

Crowley tendeva a fare così con chiunque si ritrovasse in mezzo a loro. Non era davvero così geloso o possessivo, ma ormai gli veniva automatico. In realtà era capacissimo di capire di chi fisarsi e chi no; alle volte era persino più bravo di lui in quello.

    La custode parve confusa. «Oh... È che, sai, mi sarei aspettata un atteggiamento più, beh-»

    «Aggressivo? Spaventoso?» Demoniaco?

    «In effetti, sì.»

    «Lo so, cara. Lo so bene.»

Si passò una mano sullo stomaco, chiedendosi per quanto ancora il colpo di Lily avrebbe continuato a fargli male. La custode lo notó subito e procedette a far comparire una poltroncina proprio dietro di lui, ad un non nulla dal telefono.

    «Vorrei poter fare di più» ammise lei, aiutandolo ad accomodarsi. «Non ho mai scoperto dove viva Lily. Quando si è trasferita, io ero già in trappola. Mi ha semplicemente evocata in camera sua: non mi ha mai detto dove siamo, né ha cercato di farmelo capire. È furba, te l'ho detto.»

    «Credimi, fai già abbastanza» la rassicurò Aziraphale. «Troveremo una soluzione. E comunque, ora siamo qui, nessuno ci ascolta e penso che non sentiremo Lily per un po'. Abbiamo tanto tempo per pensare.»

La custode annuì. Di certo, qualsiasi cosa era meglio del restare lì ad attendere un'altra chiamata.

Avere un piano di emergenza non poteva certo essere un male.


**


Crowley l'aveva vista arrivare alla caffetteria di fronte e per poco non aveva rotto il bicchiere che aveva in mano. Si era seduta ad un tavolino, i capelli neri legati in una morbida treccia, la giacca lunga ed elegante, un filo di eyeliner... Si sentiva pure bella, la maledetta.

Non si erano ancora parlati e già le cose stavano prendendo una brutta piega.


Uscì, gli occhiali di nuovo sul viso e una sciarpa cremisi messa lì solo per non far capire a nessuno che in realtà del freddo non gliene fregava niente. La raggiunse, notando subito che si era legata la piuma di Kathatiel al collo. Vuole pure prendermi per il culo, fantastico.

    «Non vi aspettavo così presto» lo salutò Lily, indicandogli la sedia vuota di fronte alla sua.

    Crowley vi si lasciò cadere sopra, fissandola il più duramente possibile. Lo aveva già distrutto una volta: peggio di così non poteva fare. «Ma dico, tu non lavori mai?»

    «Apro di pomeriggio oggi, tanto devo aspettare un ordine di vasi nuovi. A proposito, perché non venite con me? Mi piacerebbe avere una mano di tanto in tanto, e so che le piante vi piacciono.»

Gli fece l'occhiolino e ordinò il caffè ad entrambi. Sembravano due amici di vecchia data che chiacchieravano del più e del meno, e Lily era così raggiante da fargli salire il nervosismo.

    Andò dritto al punto: «Ora siamo solo io e te. Cosa vuoi?»

    Lei parve quasi divertita da quella domanda. Fece finta di pensarci su, poi disse: «Effettivamente una cosa mi piacerebbe saperla, così, per pura curiosità personale. Un certo uccellino mi ha raccontato di cosa avete combinato dopo l'Apocalisse. Sguazzare nell'acqua santa non è cosa da poco.»

    «E perché credi che io voglia dirtelo?»

    Lily fece spallucce: «Perché io non ho più patti a cui far fede e voi non avete più il vostro angelo. Che abbiamo da perdere?»

    Crowley combattè contro l'impulso di alzarsi di botto e dirgliene quattro. Concentrati. «Che uccellino?» Chiese invece, cercando di portare la conversazione verso un punto più a suo favore.

    «Davvero non potete immaginarlo? Credo che Aziraphale lo abbia già capito.»

Effettivamente, era difficile che fosse stato l'Inferno. I suoi ex superiori vedevano i membri della famiglia Queen come umani da tenere buoni, e quasi invidiavano il trattamento che riservavano al loro beneamato Tentatore. No, lì la storia puzzava di arcangeli lontano un miglio. Il prossimo passo sarebbe stato fare due amichevoli chiacchiere con Gabe.


Quando arrivarono le loro tazze bollenti e fumanti, Crowley si decise a sorseggiare il suo caffè controvoglia. Lily non commentò il suo silenzio, optando invece per una lunga e attenta occhiata sotto la quale il demone si sentì particolarmente in soggezione.

    Dopo due sorsi, fu proprio lei a riprendere parola. «Sarò totalmente sincera con voi» disse, giocherellando con un cucchiaino. «Per un attimo ho creduto che lo stato di "intoccabile" del vostro angelo mi avrebbe messo i bastoni tra le ruote. Ho scoperto che la connessione con il Paradiso non serve a granché: è quella con Dio a fare la differenza. Il grande capo deve volergli molto bene se ancora non è Caduto.»

    «Ti piace colpire basso, vedo.»

    «Oh, no. È solo una constatazione.»

    Come no. Sapeva essere una buona manipolatrice la giovane Queen, ma lui aveva già avuto la sua buona dose di miserabilità. «Te lo chiederò un'altra volta: che cosa vuoi davvero? E non sviare il discorso.»

    Lily spostò la sua colazione e poggiò i gomiti sul tavolino, inarcando la schiena verso di lui. «Semplice: voglio te.»

    Ma tu pensa, che novità. «Dov'è finita la cordialità?»

    «Che c'è di male nel darti del "tu"?»

C'era un lieve rossore su quelle guance di porcellana e una luce strana in quelle iridi scure. Il gioco a cui Lily voleva giocare si stava facendo pericoloso.

    Ma Crowley non poteva fare altro che giocare con lei. «Il prossimo passo qual'è? Presentarmi alla famiglia?»

    Lei ridacchiò, rimettendosi a sedere. «Non ho ancora detto niente a nessuno, né di Aziraphale né di te.»

Interessante. Una Queen catturava un principato e riusciva ad avere una tranquilla colazione a due passi dal centro di Londra con nientemeno che il Tentatore, e non aveva nessuna intenzione di dirlo ai famigliari?

Lily non scherzava quando diceva di volerlo, ma non lo voleva per esaudire il desiderio di famiglia, no. Lo voleva tutto per sé.

Ora sì che la partita si era fatta rischiosa. Stavano andando in una direzione che a Crowley faceva venire i brividi di disgusto.

Fallo per lui.

    Tamburellando le dita sul tavolo, il rosso alzò un sopracciglio. «Pensi che mi starai simpatica semplicemente facendo la ribelle?»

    Lei fece spallucce. «Forse no, ma sono una donna dalle mille risorse.»


Finirono di mangiare, o meglio, la Cacciatrice lo fece. Quando si alzarono, Lily lo invitò a fare due passi.

Andarono verso il St.James e Crowley si chiese se la giovane non lo avesse fatto apposta a scegliere proprio quella direzione. Si cacciò le mani in tasca, cercando di tenere a bada il nervosismo.

    Lei se ne accorse - si accorgeva di fin troppe cose per i suoi gusti. «Venivate qui spesso, vero?»

Decise di non rispondere, limitandosi a contare le volte in cui le loro spalle si scontravano. Lo sguardo di lei si alzava in continuazione verso il suo, cercando di sbirciare sotto le lenti.


Lily ha un enorme punto debole: è una Queen. Ti adora e ha fatto tutto questo solo per arrivare a te.


Crowley si fermò di colpo. Lei fece due passi avanti e si girò, un sorriso troppo dolce per una personalità come la sua.

    «Stai puntando troppo in alto» affermò il demone, le mani ancora ben affondate nelle tasche. Le aveva nascoste così da stringere i pugni ed evitare i commenti della Cacciatrice.

    Questa si riavvicinò e si fermò davanti a lui. Era un po' più bassa, cosa che la portò ad alzare il volto. «Per via del fatto che sono una mortale, o per via del fatto che il tuo cuore appartiene a qualcun altro?»

    Il rosso fece una smorfia. «Tu che ne dici?»

    Lily si rimise a ridere, sfiorandogli la punta del naso con la sua. «C'è un piccolo particolare che ti sfugge, Crowley» sussurrò. «A me non importa.»

    «Che fine ha fatto il: "Il vostro amore è un affronto all'equilibrio dell'universo"?»

Non avrebbe dovuto ringhiare, ma gli venne automatico. Avrebbe voluto strangolarla, ma la piuma della scricciola era sempre lì a bloccarlo e ricordargli di stare al suo posto.

    «Tu e il tuo angelo potete fare uno strappo alla regola. Questo significa che può farlo chiunque.»

Non gli diede il tempo di ribattere. Lo afferrò per la sciarpa e lo tirò a sé con una punta di desiderio che risuonò nell'aura del demone come una campana d'allarme.

Gli rubò un bacio. Le loro labbra si toccarono e Crowley sentì tutto il suo essere ritrarsi, fuggire, rifiutarsi. Non ricambiò il gesto, aspettando che Lily si scollasse da lui una volta per tutte. Era un contatto così freddo da portarlo sull'orlo dell'ira più pura.

Quando finalmente la Cacciatrice si allontanò, il rosso combatté contro il desiderio di sputare la sensazione che gli era rimasta sulla bocca. Mai come allora avrebbe voluto far sparire quella maledetta dalla faccia della Terra. Dentro di lui si era scatenata una guerra dominata dal senso di colpa nei confronti di Aziraphale.

Nessuno a parte il suo angelo si meritava quel gesto. Nessuno.


    «Sai dove trovarmi» mormorò lei, il sorriso ancora in faccia. «Rinnovo il mio invito di oggi pomeriggio.»

Fece due passi indietro per squadrarlo, dopodiché si voltò e se ne andò leggiadra come un passerotto.

Solo allora Crowley si passò un braccio sulle labbra, disgustato. Per quanto schifo gli facesse, quella era un'opportunità d'oro.

Se doveva giocare con il cuore di Lily, allora lo avrebbe fatto. Anche lui sapeva come vincere le sue partite, e glielo avrebbe dimostrato.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Tra i banchi di nuvole si era formato un quadratino di simil-sabbia bianca attorno al quale Aziraphale stava girando, tracciando qualche linea con una specie di bastoncino uscito da chissà dove. Lo aveva fatto comparire a seguito di una breve ma cruciale conversazione con Kathatiel, la quale ora lo fissava incuriosita e composta.

    Nel bel mezzo del silenzio, lui si era alzato un po' dalla poltroncina che la custode aveva fatto comparire perché vi si accomodasse. «Tu sai com'è fatto il tuo cerchio, vero?» Aveva chiesto, una luce negli occhi.

    Lei aveva annuito. «Lo vedo sempre quando Lily mi evoca. Perché?»

Allora il principato si era messo all'opera, la mano che ogni tanto andava a massaggiare il ventre dolorante. Sotto indicazione della sua compagna, aveva iniziato a replicare la figura rimuginando tra sé e sé.

Dopo un tempo indefinito di lavoro, rifacimenti, schizzi e scarabocchi, si ritrovarono davanti a quella che Kathatiel riconobbe come una riproduzione quasi perfetta della sua piccola prigione prima che Lily vi infilasse anche Aziraphale. Come aveva predetto, non era stato facile: i simboli di quella circonferenza parevano serpenti che si attorcigliavano o stuzzicadenti spezzati che si incrociavano a seconda. La famiglia Queen passava moltissimo tempo a praticare quella strana arte, ripetendo cerchi su cerchi, imbrattando fogli bianchi nel tentativo di creare linee perfette. Non erano contemplate sbavature come quelle che ogni tanto facevano capolino dalla loro riproduzione.

    «A cosa ti serve?» Chiese non appena riebbe l'attenzione dell'altro, ora fermo con le mani sui fianchi.

    «A capire come funzioni. La famiglia li ha perfezionati a modo proprio, giusto? Magari c'è un modo per disattivarli, una falla nell'esecuzione... È opera umana, dopotutto: dovrà pur avere dei difetti.»

    «Non saprei» mormorò la custode, torturandosi l'eterea stoffa del vestito. «Sono fatti per tenere dentro tutto ciò che vi entra. Penso che la famiglia abbia esaurito tutto il tempo e le energie possibili per renderli infrangibili.»

    «Ma Crowley lo ha rotto da dentro, no? So che abbiamo già escluso questa opzione, ma magari-»

    Lei sospirò, posandogli una mano sul braccio. «Te l'ho detto: immagino abbia utilizzato tanta energia per farlo. Io non penso di averne abbastanza e tu non sei nelle condizioni». Fece un cenno con la testa verso il punto in cui l'aura di Aziraphale era stata rotta.

    Lui parve capire. Annuì tristemente: «La sera in cui distrusse la cantina del signor Queen, venne a rifugiarsi da me. Era spaventato oltre che distrutto» raccontò, iniziando a scombinare un piccolo ammasso di nuvole con la punta del suo bastoncino. «Non ha mai voluto approfondire la questione. È per questo che non gli ho chiesto come abbia fatto, anche se lo conosco abbastanza da sapere che è capace di tutto quando si arrabbia.»

Disse le ultime parole con un sorriso leggero e affezionato sulle labbra. C'era una punta di nostalgia nel suo tono, cosa che riscaldò appena il metaforico cuore di Kathatiel.

Fissando il piccolo cerchio davanti a loro, la custode si mise a ripassarne i contorni con lo sguardo. Effettivamente, non avrebbe certo fatto male provare a studiarli un po' più approfonditamente: poteva sempre esserci una via di fuga nascosta da qualche parte, un piccolo particolare che le era sempre sfuggito, qualcosa. Guardò il telefono a pochi metri da loro: qualsiasi cosa è meglio dello stare qui ad attendere, si ripetè.

   «Tu hai un cerchio a casa tua» ricordò poi. «Perchè non li mettiamo a confronto? Magari, non so, ci viene in mente un piano.»

    Aziraphale la guardò con una punta di stupore che presto si trasformò in un sorriso raggiante e ancor più luminoso della sua già splendente aura. «È un'ottima idea, in effetti». Si ritagliò un altro angolino e si mise a lavorare con rinnovata speranza. Stavolta la sua mano era decisamente più ferma intanto che ripassava linee a lui note. «Non vedo l'ora di uscire da qui. Ci sono tante cose della Terra che penso ti piacerebbero, sai?» Commentò poi, alzando appena la testa per sorriderle.

Kathatiel sentì un pizzicore farsi strada sulle guance - cosa che la portò istintivamente a coprirsele con le mani. Nessuno l'aveva mai trattata in quel modo: era sempre stata l'ultima risorsa del Paradiso, così in basso da essere poco importante e poco visibile - pur non essendo ancora confinata sotto un tappeto. Aveva sempre fatto il suo lavoro al meglio, ma nessuno le aveva mai rivolto così tanta dolcezza, nessuno le aveva mai dato la possibilità di fare un passetto fuori dalla sua ristretta zona di conforto.

    «Non credo di poterlo fare» balbettò. «Girovagare per la Terra come fai tu, dico. Dovrei tornare in Paradiso e, e-»

E cosa? Riempire scartoffie in attesa che la affidassero di nuovo a qualche umano problematico?

    «Non preoccuparti di quello» la rassicurò Aziraphale. «Un modo lo troveremo. Finché sei con me, sei fuori dalla gabbia d'avorio, ricordi?»

Si vedeva che era felice di avere qualcosa tra le mani su cui lavorare. Era più spigliato, il suo chiacchiericcio era quasi più acuto: stava bene, ed era bello vederlo così nonostante Lily e i suoi subdoli giochetti.

Per la prima volta dopo, beh, sempre, Kathatiel si sentì libera - anche se ancora non lo era davvero - e soprattutto meno sola.

    «Grazie» mormorò imbarazzata, facendo ricadere lo sguardo verso il basso.

    L'altro scosse la testa: «No, Kathatiel. Grazie a te. È il minimo che posso fare.»


Tornarono in silenzio e la custode decise di lasciar lavorare il suo superiore.

Aveva qualcuno su cui contare: un amico, una figura che tra le nubi del Paradiso non esisteva davvero. Di solito gli altri angeli erano capi, colleghi, compagni, fratelli... Non c'era spazio per quel tipo di affettività. Aziraphale era diverso: lui aveva instaurato rapporti, tessuto una relazione e vegliato su coloro che avevano fatto dell'amore un'istituzione. Lei non ne aveva mai avuto l'occasione; aveva semplicemente cercato di rabbonire Lily per quel che poteva, invano.

Ma le cose stavano per cambiare. Provava una strana sorta di paura: un timore positivo. La voglia sempre più scalpitante di uscire dal cerchio.


**


Il negozio di Lily pullulava di gente intenta ad affondare i nasi tra le molteplici varietà di fiori colorati e profumati che la cacciatrice aveva disposto ad arte sugli scaffali. Chiudendosi la porta alle spalle, Crowley si fece scappare un leggero lamento di frustrazione: già avrebbe preferito essere ovunque tranne che lì, nell'antro della strega - una di quelle davvero cattive, però; non tipo quella che aveva incontrato durante l'Apocalisse. Ci mancava solo la gente sorridente e soffocante. Tutta quella positività grattava sul suo malumore come carta vetrata: il solo sentire i chiacchiericci allegri e le risate gli faceva prudere le mani.


Schioccò le dita e si diresse al bancone, intanto che la piccola folla iniziava a riversarsi fuori una persona per volta. Con una leggera punta di soddisfazione, vide che Lily aveva fatto giusto in tempo ad infiocchettare una peonia prima che la sua ultima cliente decidesse magicamente di andarsene. Almeno poteva metterle i bastoni tra le ruote a lavoro: una magrissima consolazione.

    Peccato che la situazione non fece altro che mettere la cacciatrice di buonumore. «Oh, allora c'è il tuo zampino qui» ridacchiò. «Sono felice di sapere che hai accettato il mio invito.»

Ogni volta che apriva bocca, l'istinto del demone iniziava a scalpitare - salvo poi essere bloccato dall'ormai familiare e tanto odiata piuma della scricciola. Fortunatamente, bastò il ricordo della voce di Aziraphale a riportare il rosso con i piedi per terra.

Devi solo fare in modo che ti porti a casa sua. Da lì sarà tutto in discesa.

    Si poggiò con nonchalance alla superficie lignea, fissando però Lily con una dose ben ponderata di impazienza. «Beh, sono qui. Cos'avevi intenzione di fare? Innaffiare qualche vasetto?» Disse, il fare sarcastico. Doveva andare per gradi, far capire alla cacciatrice che se lo voleva, allora doveva sudarsela. Avrebbe atteso il momento di massima debolezza e allora, solo allora, avrebbe fatto lo sporco lavoro per il quale i demoni erano tanto famosi - lui soprattutto.

    Fortunatamente, la giovane Queen abboccò come un pesce all'amo. Si stuzzicò una ciocca di capelli, gongolando: «In effetti è sulla lista di cose da fare. Mi aiuteresti?»


Con la fervida immaginazione che si trovava, Crowley si era figurato i peggio scenari. Sapeva che Lily sarebbe stata perfettamente capace di sbatterlo contro un muro e limonarselo come non ci fosse un domani. Inutile dire che si era fatto salire un conato di vomito intanto che passeggiava per la libreria in attesa del pomeriggio, rimuginando e cercando di prepararsi mentalmente a qualsiasi evenienza. Aveva persino preso la Regina della Notte e l'aveva fatta sparire in chissà quale buio anfratto di universo, facendo tirare un sospiro di sollievo alle altre piante lì presenti.

Mai e poi mai, però, si sarebbe immaginato che sarebbe finita con entrambi intenti ad abbeverare virgulti nel retrobottega, innaffiatoi di plastica colorata e spiccia alla mano. L'unica cosa che rompeva il silenzio, oltre al via vai del traffico al di fuori, era il canticchiare armonioso di Lily. Sembrava un usignolo, peccato che fosse tutta una lurida maschera: una creatura subdola che si nascondeva dietro al canto di un uccellino.

    «Ci sai fare» disse lei ad un certo punto, accarezzando la foglia verdissima di un'aloe alla sua destra. Persino il modo in cui muoveva le dita faceva trasparire il suo desiderio: agli occhi del demone pareva un'aura plumbea che le ballava attorno, pronta a prendersi ciò che voleva, ovvero lui. Se si concentrava, poteva quasi vedervi una mano pronta ad afferrarlo.

    Cercò di scrollarsi la sensazione di dosso. «Non ci vuole certo un genio per versare un po' d'acqua.»

    «Non è quello. Lo vedo da come scegli quale pianta innaffiare per prima. Inoltre, sono quasi certa che quel gruppetto di orchidee fosse un po' più moscio prima che passassi tu.»

Gli fece l'occhiolino e lui si prese la libertà di tirare un'occhiataccia ai suddetti fiori, i quali non smisero comunque di rimanere dritti e leggermente tremanti. Maledizione a lui e all'ascendente negativo che aveva sui vegetali.

    Sbuffò, sbattendo l'innaffiatoio su un tavolino lì accanto. «Hai altre cose da spuntare nella tua fantomatica lista?»

Lily ridacchiò. Per quanto fosse un buon segno, Crowley sapeva che reggere al fastidio che gli provocava non sarebbe stato facile. Sarebbe stata una vera e propria prova di resistenza.

    «Beh, manca ancora un po' alla chiusura. Come te la cavi con le confezioni regalo?»


A quel punto sembrava davvero tutto uno stupido scherzo. Si misero ad avvolgere vasetti dipinti in fiocchi colorati e scintillanti, arricciandone le estremità. Dopo dieci minuti di sforbiciate, Crowley si pentì amaramente di aver fatto evacuare la clientela. Avrebbe preferito vedersela con una moltitudine di umani sorridenti piuttosto che passare tutto quel tempo con il canticchiare di Lily nelle orecchie.

    Era così intento a far passare il prima possibile quei minuti infernali che il tocco di lei sulla tempia lo fece sobbalzare. Si ritrasse così velocemente da ritrovarsi quegli occhioni scuri e invaghiti proprio davanti, intento a guardarlo con tenerezza e desiderio. «Cosa vuoi?» Chiese aspramente, sapendo quanto lei amasse il suo rifiuto e facesse della sua rabbia un ciocco di legna da mettere nel falò interiore che la stava consumando.

    Zittendolo dolcemente, Lily allungò lentamente le mani verso i suoi occhiali e glieli sfilò, specchiandocisi dentro per qualche secondo. «È bello lavorare con te. Sei delicato per essere una bestia.»

    «Ah, quindi la bestia qui sarei io» ringhiò lui, risistemandosi la giacchetta con fare nervoso. «Interessante punto di vista il tuo.»

    «È giusto che tu sia ancora arrabbiato con me» sussurrò la cacciatrice, iniziando a passare le dita sulle stoffe scure del rosso. «Forse lo sarai per sempre, ma sai una cosa?»

    «Non te ne frega niente?»

    «Sei perspicace.»

    «Vero, ma in questo caso sei semplicemente tu ad essere ripetitiva.»

    «E allora lascia che rifaccia anche un'altra cosa.»

Il bacio arrivò così velocemente e in modo così fluido da fargli male. Stavolta, però, Crowley si costrinse a ricambiarlo, lasciando che le labbra di lei divorassero avidamente le sue.

Per la prima volta ringraziò Kathatiel di averlo involontariamente messo a cuccia, dato che in condizioni normali avrebbe fatto piombare un fulmine proprio sulla testa di quella maledetta.

La lotta interiore che avvenne tra lui e tutto il suo essere fu devastante. Accolse tutti i gesti che vennero a fatica, concentrandosi sul suo obbiettivo. Era un passaggio fondamentale, per quanto schifoso: era l'unico modo che aveva di rompere quel maledetto cerchio e ripulirsi la bocca su quella del suo vero, unico, indivisibile amore.

Doveva solo resistere.


Sobbalzò ogni volta che sentì le mani di Lily accarezzarlo: prima le cosce, poi la vita, poi le spalle...

Le loro labbra si staccavano per poi ricongiungersi, o meglio: lui provava ad allontanarle e lei correva a riprendersele. Più che uno scambio amoroso, pareva una battaglia che la giovane Queen era più che convinta di vincere.

    Quando lei si scostò, fermandosi comunque a pochi respiri dal suo viso, Crowley sentì un moto di sollievo non indifferente. «Soddisfatta?» Chiese duramente, lottando per non passarsi un braccio su tutta la faccia.

    Lei annuì, salvo poi affondargli una mano tra i capelli, stringendo la presa. «Adoro quando le prede oppongono resistenza.»

    «E allora è il tuo giorno fortunato: io non smetterò mai di opporre resistenza.»

Sostenere lo sguardo fu decisamente più facile che sostenere la presenza di quel corpo affannato praticamente addossato al suo. Stavano così scomodi su quella sedia: Lily gli era praticamente strisciata in braccio, riducendo lo spazio personale e le distanze in poltiglia. Eppure non pareva né scomoda né infastidita, anzi: forse era troppo concentrata a tenersi stretta per pensare ad altro.

    «Stai ancora cercando di arrivare a lui, non è vero?» Chiese quest'ultima, tirando fuori un labbruccio che sapeva tanto di presa per i fondelli. «Speri davvero che io ti dica dove si trova il tuo angioletto in cambio di qualche bacio?»

Crowley dovette mordersi l'interno della guancia per non farsi scappare un sorrisetto vittorioso. L'unico momento in cui aveva mai trovato carina quella maledetta: il momento in cui credeva di sapere tutto ma si sbagliava di grosso.

    «Puoi sscommetterci» sussurrò.

    «Sibilare non ti rende più minaccioso, giusto perché tu lo sappia». Dopo un momento infinito, Lily si staccò da lui e tornò sulla sua sedia; l'unica cosa che tradiva la sua ondata di passione era il rossore sulle guance pallide. «Cosa ti fa pensare che riuscirai a trovarlo?»

    «Il fatto che io riesca sempre a trovarlo?»

    Lily ridacchiò. «Impossibile: io non sbaglio mai. Ma se anche dovessi stupirmi riuscendo a riprenderti Aziraphale, sta' pur certo che farei di tutto per riappropiarmene.»

    «Questo è tutto da vedere.»

Rialzandosi, Crowley afferrò gli occhiali e se li rimise sul viso. Aveva una voglia incontenibile di uscire da lì e prendere una boccata d'aria fresca, ma sapeva di non poterlo fare - non adesso.

    Piuttosto, afferrò alcuni dei vasetti che avevano preparato. «Dove li metto questi?» Chiese come se fosse lì da sempre e stesse solo dando una mano ad una collega.


Il resto del pomeriggio passò tra piantine da potare, fiori da curare e le mani di Lily che di tanto in tanto gli accarezzavano la vita. 

Più la lasciava fare, più si scostava, più lei iniziava a diventare malleabile come un ammasso di creta, la sottona.

    La accompagnò persino fuori quando arrivò l'ora di chiusura. Aspettò che si fosse infilata le chiavi in tasca, poi si poggiò alla portiera della Bentley. «Vuoi anche un passaggio già che ci sei?»

Lily ebbe un attimo di esitazione. Si vedeva che moriva dalla voglia di fare un giro, farsi portare a casa e approfittarne per passare ancora un po' di tempo assieme. Ma non sarebbe stato così facile, ovviamente.

    Scosse la testa, facendo ondulare i lunghi capelli corvini: «Come sei gentile. Per stavolta passerò, ma magari domani potremmo fare qualcosa, che ne dici?»

Ormai tra loro si era creato un gioco: lei si prendeva le libertà che voleva, cercando di ostacolarlo; lui gliele concedeva ma solo per un secondo fine. Alla fine si incontravano nel mezzo, laddove Lily poteva baciare Crowley e Crowley poteva scoprire un po' Lily dell'armatura che era. Uno di loro avrebbe sopraffatto l'altro, prima o poi: o la cacciatrice schiacciava il demone, o il demone tentava la cacciatrice.

    «Come vuoi» concluse alla fine il rosso, infilandosi in macchina. «A domani, allora.»

Non la guardò nemmeno mentre sfrecciava via. Premette sull'acceleratore tutto lo sdegno e, finalmente, si passò più e più volte la manica sulla bocca.

Almeno adesso poteva andare a casa e aspettare che il telefono squillasse.


**


Parcheggiò al solito posto e volò in libreria. Chiudersi la porta di casa alle spalle lo liberò del peso che aveva portato per tutta la giornata.

Si tolse la giacca e fece un salto al piano di sopra. C'era un bagno lì che nessuno dei due utilizzava mai, ma stavolta ringraziò la presenza di un lavandino, dell'acqua corrente e del sapone che l'angelo teneva solo ed esclusivamente perché profumava tantissimo.

Si buttò chissà quanta acqua fredda in faccia, cercando di non sentirsi il più infido dei traditori.

È necessario, si ripeté per la milionesima volta. Era quella la mossa di Lily: farlo sentire uno schifo totale per aver dato i suoi baci a qualcun altro. Per un attimo si chiese se Aziraphale fosse conscio della cosa, se avesse capito in che modo stava cercando di capire dove fosse la casa in cui Lily lo teneva nascosto. Per quanto amasse il suo angelo, sapeva quanto fosse ingenuo. Forse avrebbe dovuto dirglielo, spiegarglielo per bene e sperare che capisse.


Si asciugò il viso con uno sbuffo. Ma certo che avrebbe capito: era ingenuo, non stupido.

E gli mancava da morire. Ora come ora, aveva seriamente bisogno della sua spalla su cui piangere.


Le sue silenziose preghiere vennero ascoltate. Dal piano di sotto arrivarono gli squilli che tanto aveva atteso.

Tirò un sospiro di sollievo e si catapultò giù per le scale, andando subito ad afferrare la cornetta.

    «Ehilà?» Rispose, un po' intimorito dal fatto che quella "linea" potesse cadere da un momento all'altro altro.

    In risposta gli arrivò il tono giulivo e sollevato di Aziraphale. «Crowley! Sei tornato. Com'è andata?»

    Ah, bella domanda. «Diciamo che è andata. Stavo quasi per scoprire dove abita.»

    Dall'altra parte si udì un leggero gracchiare. «Fantastico, stai andando benissimo. Anche io ho una bella notizia.»

Crowley conosceva bene quel tono. Era la vocina frizzante dei dolci buonissimi, dei trucchi di magia, delle gite fuori porta e degli spettacoli a teatro. Era l'acuto delle idee strampalate, il che non era sempre una cosa positiva.

Ma ehi, dopo una giornata del genere, al demone parve un balsamo per le orecchie.

    Si ritrovò a sorridere: «Spara. Di che si tratta?»

    «Oh, solo dell'idea migliore che abbiamo avuto intanto che tu ti lavoravi quella donna terribile.»

"Abbiamo". Sospirò: alle volte si dimenticava dell'esistenza della scricciola.

    «In realtà» si intromise infatti quest'ultima, «non possiamo provarla, perciò non sappiamo quanto possa funzionare.»

    Crowley si ritrovò a sbattere gli occhi un paio di volte, sorpreso. «Occhio, angelo. Ti stai facendo soffiare il ruolo di voce della ragione.»

Un po' lo divertiva il fatto che, finalmente, Kathatiel avesse deciso di non dare contro solo a lui. Forse poteva guadagnare qualche punto simpatia. Forse.

    Poté figurarsi l'angelo alzare gli occhi al cielo. «Suvvia, quanto pessimismo. Andrà benissimo.»

    «Ne sei sicuro?» Balbettò la scricciola. «Forse dovrei andare prima io, sai...»

    Il rosso a quel punto aggrottò le sopracciglia. Dall'altro capo della cornetta si accese una leggera discussione, intanto che in lui iniziava ad accendersi un campanello d'allarme - di quelli lampeggianti e rumorosi, per giunta. «Frenate i cavalli, voi due. Di cosa state parlando? Chi deve andare dove?»

Il breve silenzio che seguì non fu rassicurante. Cercò di non pensare agli sguardi concatenati dei suoi interlocutori intanto che, ansioso, attendeva una risposta.

    Alla fine fu Aziraphale a parlare. «Hai carta e penna?»

    Crowley alzò un sopracciglio. «Ci sono più carte e penne qui che in un- in una- insomma, sì. Perché, che vuoi fare?»

    «Semplice, caro» affermò l'altro. «Vorrei che prendessi appunti, e attentamente anche.»


A quanto pareva, la serata non sarebbe stata tranquilla come Crowley sperava.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Crowley guardò prima il pezzo di carta che aveva tra le dita, poi il pavimento, poi di nuovo gli appunti, passandosi una mano tra i capelli.

Aveva fatto tutto come ordinato, segnando attentamente le parole di Aziraphale. Dopodiché era praticamente volato al piano di sopra, dove aveva spostato tutto lo spostabile con fare nervoso. Alla fine si era ritrovato davanti al parquet libero da oggetti e polvere. Con uno schiocco di dita aveva fatto comparire un gessetto e qualche candela, poi si era messo all'opera, tracciando linee e circonferenze con una lentezza ed una precisione che non gli si addicevano nemmeno per sbaglio.

Il risultato se ne stava ora davanti ai suoi occhi: un cerchio simile a quello che l'angelo nascondeva sotto al tappeto, ma con all'interno dei simboli totalmente diversi.

Alcuni di essi, Crowley li aveva già visti: erano contraddistinti da linee spezzate, dure e ben marcate. Altri erano invece morbidi, tondeggianti come un corsivo.

Aveva poggiato le candele in punti ben specifici, rabbrividendo al pensiero di ciò che era accaduto l'ultima volta che una candela era rimasta accesa in libreria. Decise di lasciar perdere quei brutti ricordi, concentrandosi sul fare attenzione a ciò che stava facendo.

Le aveva accese tutte e aveva preso la piuma. Kathatiel non era rimasta sorpresa nello scoprire che Lily gliel'aveva lasciata. La cacciatrice era una tipa pratica che raramente conservava ciò che non le serviva - glielo aveva detto, e il ricordo di quella voce tanto sensuale quanto fastidiosa gli faceva sanguinare le orecchie.

Poggiò la piuma in mezzo al cerchio come se fosse fatta di vetro, e tanto bastò a far illuminare lievemente la circonferenza e tutti i suoi simboli. Gli venne automatico fare tre passi indietro, ansioso.

Per alcuni lunghi secondi non accadde nulla. Crowley si ritrovò a pregare silenziosamente: un mantra di "fa' che funzioni, ti prego. Fa' che funzioni" gli vorticava per la testa.

Quando una luce investì il centro del cerchio, si pentì di essersi tolto gli occhiali una volta entrato in casa. Si mise un braccio sugli occhi, schermandosi dal bagliore accecante. Quando li riaprì, il respiro gli si bloccò in gola.

Il suo angelo se ne stava al centro del cerchio, un po' spaesato ma tutto intero. Pareva una visione, o un riflesso debole ed incerto sulla superficie di un lago. Si copriva quanto poteva il corpo nudo con le ali, ma fu l'ultima delle preoccupazioni del rosso. Gli fece molto più male notare l'evidente buco sull'ala destra dell'altro, laddove una volta stava la stessa piuma che ora giaceva sul pavimento.

    Quando i loro sguardi si incrociarono, Aziraphale gli sorrise e Crowley combatté contro l'istinto che lo avrebbe altrimenti portato ad afferrarlo e stringerlo così forte da far male. Le lacrime gli salirono agli occhi, inarrestabili e cocenti. «Angelo...» fu tutto ciò che riuscì a mormorare.

    Questi spostò un po' il peso da una gamba all'altra, anche lui costretto dalla barriera invisibile che li divideva. «Ciao, caro» ricambiò, i cerulei occhi lucidi. Scacciò la tristezza con un moto di gioia - lo stesso che adottava quando Crowley lo invitava a cena in uno dei suoi luoghi preferiti. «Hai visto? Ha funzionato.»

    Il rosso si ritrovò a sorridere, nonostante tutto. La felicità di Aziraphale era sempre contagiosa. «Già» mormorò, passandosi le dita sotto gli occhi. «Come accidenti vi è venuto in mente? Pensavo che riprodurre il cerchio di Lily fosse difficile.»

    Aziraphale sospirò. «Difficile, non impossibile: Kathatiel era preoccupata perché, per farci entrare entrambi, Lily ha modificato il disegno originale. Fortunatamente, abbiamo fin troppo tempo da perdere; tempo in cui abbiamo capito il funzionamento dei cerchi, bene o male. Sia io che lei abbiamo già conoscenze parziali a riguardo. Alla fine è bastato un po' di ragionamento per capire come fare.»

Avevano fin troppe cose di cui parlare e decisamente troppo poco tempo per farlo. L'angelo aveva già messo il rosso al corrente del fatto che Lily lo aveva richiamato nel cerchio in camera sua: quello che il demone avrebbe dovuto distruggere. Sicuramente, sarebbe stato interessante capire nei dettagli il ragionamento che aveva portato i due angeli a bypassare i disegni che la famiglia Queen aveva approntato, ma quel discorso doveva attendere.

    «Dobbiamo stare attenti, allora, o quella stronza scoprirà il vostro piccolo trucchetto» affermò infatti Crowley, così nervoso da dover fare avanti e indietro tra la circonferenza e una sedia che aveva spostato in mezzo alla stanza per fare spazio. Guardò il suo angelo con apprensione, quasi come se avesse paura di vederlo sparire in una nuvola di fumo. «Dove ti ha ferito? Stai bene?»

L'altro fece per ribattere, probabilmente dicendogli che non era niente di troppo preoccupante, che sarebbe stato bene. Ma Aziraphale conosceva il suo demone abbastanza da sapere che travisare avrebbe solo peggiorato la situazione, mettendolo ancora più in ansia. Così, con lo sguardo mesto e lontano, scostò appena le ali, scoprendosi il ventre. Lì, sulla pancia, una cicatrice gli rompeva la pelle pallida e morbida. A Crowley parve un crepaccio che tagliava una lastra di ghiaccio altrimenti liscia e perfetta.

Strinse i pugni, frenando la cascata di insulti che avrebbe volentieri riversato addosso a quella bastarda. Poteva fargli quello che voleva: poteva sbatterlo contro un muro e baciarlo fino a togliergli il respiro, ma non doveva permettersi di allungare un altro dito verso l'angelo. Il suo angelo.

    «È solo un po' fastidiosa» lo rassicurò Aziraphale, tornando a coprirsi. «Sto bene. Che mi dici di te? Non avrei mai voluto lasciarti solo con quella donna.»

Lo sguardo affranto dell'angelo provocò un rimescolamento ben poco piacevole nell'aura di Crowley. Per un attimo rivalutò l'idea di dirgli tutto, confessare in che modo stava cercando di infinocchiare Lily e di quanto non vedesse l'ora di tornare a baciare lui: il suo unico, indivisibile e insostituibile amore.

Ma non lo fece.

Aziraphale aveva già abbastanza problemi a cui pensare. Era solo - senza contare Kathatiel - lontano da tutto ciò che conosceva, ferito e tenuto sotto scacco dalla più grande, furba, crudele e pericolosa Cacciatrice di angeli della Terra. No, non poteva infierire in quel modo. Non così, non ora.

    Il rosso si limitò a fare un sorriso amaro. «La detesto. È identica a Chrysanthemum: una sottona sbavante che passerebbe il tempo a rimirarmi se potesse. È talmente persa nella sua adorazione che è impossibile levarle qualsivoglia informazione dalla bocca.»

    Aziraphale aggrottò la fronte ed incrociò le braccia. Se Lily fosse stata davanti a lui in quel momento, l'avrebbe demolita a parole - e Crowley avrebbe pagato pur di vedere una cosa del genere. «Da come la descrive Kathatiel, sembra davvero testarda» commentò. «Pensavo che i seguaci del Tentatore fossero più che felici di farsi, beh, tentare.»

    Al rosso scappò un sorriso sincero e divertito. Il suo angelo era un altro tipo di seguace, ed era sempre più che lieto di farsi "tentare". «Lily crede di essere una spanna sopra chiunque altro» disse poi. «Ma non preoccuparti: la rimetterò in riga, così la prossima volta ci pensa due volte prima di toccarti.»

    Il sorriso intenerito dell'altro fu abbastanza da alleggerire la situazione. «Sono sicuro che ci riuscirai» disse, il tono morbido ma sicuro. Aveva una fede spropositata nelle capacità di Crowley, constatazione che rese il rosso ancor più frustrato dall'idea che avrebbe dovuto continuare a lavorarsi Lily se non voleva contraddire a quella convinzione.

La voglia di buttarsi oltre il cerchio per afferrare Aziraphale e riportarlo a casa si fece più bruciante. Il poterlo vedere ma non toccare era una specie di tortura e, a giudicare dalle micro espressioni e le occhiate, anche per l'angelo doveva essere così.

    Il che portò Crowley a pensare ad un'altra cosa. «Devo ancora fare quattro chiacchiere con quel bastardo di Gabriel» sibilò, pensando che sarebbe stato liberatorio sfogarsi un po' sull'arcangelo impiccione. «Forse, lui sa qualcosa in più di noi.»

Ne dubitava, ma tentar non nuoce. La sua visita in Paradiso sarebbe stata proficua in ogni caso: pur non sapendo dove viveva Lily, Gabe sarebbe stato costretto a tenere due corpi pronti per quando Aziraphale e Kathatiel sarebbero usciti dal cerchio. D'altronde, Crowley già immaginava le facce di tutto il Paradiso intanto che entrava tranquillo, come il posto fosse suo. Lo aveva fatto una volta, poteva farlo di nuovo.

    «Quello può aspettare» affermò l'angelo, ora più determinato. «Intanto che tu provi a capire come raggiungere casa di Lily e rompere il cerchio da fuori, io e Kathatiel cercheremo di capire come farlo da dentro.»

    Il rosso aggrottò le sopracciglia. «Sei proprio testardo. La scricciola non ha detto che-»

    Venne interrotto da uno sbuffo. «Che non si può, lo so. Ma guarda cosa siamo riusciti a fare» protestò l'altro, accennando con il capo alla circonferenza in cui era confinato. «Katathiel aveva dubbi anche sulla riproduzione, o sbaglio?»

    Oh, quel tono che ostentava sicurezza, quel fare impettito, quello sguardo serio. Tutte le cose che, nel corso del tempo, Crowley aveva sempre cercato di attirare su di sé. Il motivo era chiaro: amava quando Aziraphale si impuntava - tranne quando lo faceva per le cose stupide, in quel caso cambiava tutto. «Scommetto che riuscireste a trovarne anche tre di modi per agire dall'interno, ma preferirei che non lo faceste. Non sei nelle condizioni, angelo. E lo sai benissimo» disse allora, cercando di celare la preoccupazione sotto un velo di serietà e monito.

Aziraphale parve deluso, ma non disse niente. Sapeva benissimo dove Crowley voleva andare a parare.

    «Ricordi quella sera?» Riprese infatti il rosso. «Quando sono tornato dall'incontro con Chrys e famiglia?»

Era una domanda retorica: lo ricordavano entrambi come fosse ieri. Crowley aveva fatto una fatica immane a teletrasportarsi laddove Aziraphale aveva preso dimora in quegli anni. Tremava come una foglia, tanto che l'angelo lo aveva dovuto sostenere affinché arrivasse davanti al caminetto senza crollare a terra. Gli ci erano voluti tempo, calore e premura affinché riuscisse a raccontare cosa gli fosse successo. L'unico ricordo positivo di quella giornataccia era Aziraphale che si prendeva cura di lui.

    Rimasero in silenzio entrambi per un attimo, poi gli occhi di Aziraphale si fecero lucidi, tanto da riflettere la tenue luce del cerchio. «Ma io voglio aiutarti, una volta tanto» lamentò. Adottava spesso quel tono di protesta quando le cose non andavano come diceva lui: un miscuglio di pianto trattenuto, capriccio e frustrazione. «È colpa mia se sei costretto a vedertela con quella donna. Avrei dovuto fare attenzione, e invece eccomi incastrato qui, costretto per l'ennesima volta a chiederti di salvarmi.»

    Crowley si avvicinò tanto da sfiorare le linee di gesso con la punta delle scarpe. Zittì dolcemente il suo angelo, cercando comunque di apparire serio intanto che tutta la sua aura gli urlava di fare qualcosa per fermare il pianto imminente dell'altro. «Sei riuscito per ben due volte a trovare il modo di comunicare con me. Sarei impazzito se non lo avessi fatto. Lily mi ha fatto credere di averti perso per sempre, e invece siamo già un passo avanti a lei» affermò, il tono fermo e sicuro. «Stai facendo più di quanto credi.»

Aveva fatto bene a non scendere nei dettagli: Aziraphale non lo avrebbe sopportato. Dire dei baci che era costretto a scambiarsi con la Cacciatrice avrebbe peggiorato la già difficile situazione. No, avrebbe atteso, anche a costo di soffrire per il tradimento.

    L'angelo tirò su con il naso, affranto. Rimase fermo a fissare il vuoto per un po', ragionando. Poi chiese: «Quando la rivedrai?»

    Crowley controllò il suo vistoso orologio da polso. Era mezzanotte passata. «Oggi. Proverò a farla cedere.»

    «E se non dovesse funzionare?»

    «Troverò il modo di pedinarla.»

    Aziraphale non pareva per niente convinto. «Qualcosa mi dice che non sarà così facile.»

    «Non lo è mai» affermò il rosso con amarezza. «Non può farmi niente, in ogni caso.»

A parte farmi sentire uno schifo totale.

    «Non puoi saperlo» rispose infatti l'angelo, preoccupato. Non c'era molto che potesse fare, e ne era perfettamente cosciente. Era quella consapevolezza a buttarlo giù.

    «Ehi, fidati di me» lo incitò allora Crowley con un ghigno divertito. «Riesco sempre nel mio intento quando si parla di te, no?»

    Quello parve smuovere un po' l'ombra dal viso di Aziraphale. Era vero, da sempre. «Lo so, è questo che mi preoccupa.»

Il rosso avrebbe tanto voluto allungare una mano verso quella guancia morbida che adesso pareva quasi quella di un fantasma, una mera ombra destinata a sparire, lasciandolo di nuovo solo.

    Ingoiò il magone. «Mi manchi» sussurrò, straziato dall'idea che il loro tempo stava per scadere. Presto sarebbe dovuto tornare al silenzio della libreria e ai baci di Lily.

    «Anche tu... Ascolta, continuerò a chiamare in libreria. Ci metteremo d'accordo e ci rivedremo qui appena possibile, va bene?»

    Il tono rassicurante, seppur rotto, di Aziraphale riuscì ad allietare un po' i pensieri di Crowley, che annuì. «Presto» affermò.

Non era un saluto: era una certezza. Si sarebbero rivisti e presto toccati, baciati ed abbracciati di nuovo. Era anche una promessa, un giuramento che rese la loro separazione un po' meno dolorosa.


Quando Aziraphale se ne andò, facendo spegnere sia il cerchio che le candele attorno ad esso, Crowley percepì un brivido lungo l'ipotetica spina dorsale.

Doveva mettere fine a quella storia.


**


Si sarebbe dato ancora qualche giorno, nulla di più. Il ricordo della cicatrice sul ventre di Aziraphale lo riempiva di rabbia e determinazione. Odiava quello che stava facendo, odiava Lily, ma non aveva altra scelta.

La raggiunse all'interno della caffetteria, sciarpa cremisi al collo e mani ben infilate nelle tasche. Il semplice vederla gli fece rivoltare l'aura come un calzino. Si era sciolta i capelli, lasciando che le ricadessero sinuosi lungo la schiena. Aveva un maglioncino a collo alto che le aderiva lungo il corpo, un filo di mascara e le labbra un po' più lucide. Si era laccata le unghie di rosso.

    «Come stai oggi?» Gli chiese lei non appena si fu accomodato sulla sedia di fronte alla sua, il tono languido. Aveva messo giù il cellulare, mostrando una pagina che parlava del modo migliore per curare alcuni tipi di delicati fiori da vasetto.

    «Sempre meglio quando ti vedo» ringhiò lui con amaro sarcasmo.

Quello era il gioco e così doveva andare avanti.

    Lei ridacchiò, fermando un cameriere di passaggio e ordinando al volo un caffè ad entrambi. «So come tirarti su il morale.»

    «Ah, davvero?» Spero che il tuo piano implichi l'invitarmi a casa tua.

    Lily annuì. «Ho deciso di tenere chiuso per oggi. Faremo una passeggiata, ovunque tu voglia andare.»

Quell'ultima frase colpì Crowley dritto al cuore. Erano le cose che solitamente diceva ad Aziraphale. La Cacciatrice non poteva saperlo, però... Giusto?

    Non lasciarti incantare. Sta solo giocando. «E va bene, se proprio vuoi» concesse lui, fissandola diritto negli occhi.

Ovviamente, lei reagì ammorbidendosi. Si sciolse contro lo schienale della sedia, accettando la sua tazza fumante con un vago ringraziamento.

Bevvero in silenzio. Il rosso continuava a sentire lo sguardo serio della Cacciatrice addosso, tanto da non riuscire nemmeno a pensare a dove sarebbero potuti andare.

Non che facesse poi così tanta differenza: qualsiasi posto con Lily diventava orribile.


Alla fine andarono al parco.

Lei continuava a far rimbalzare la spalla contro quella di Crowley intanto che camminavano, esattamente come la prima volta. Canticchiava di tanto in tanto, rivolgendogli qualche domanda casuale. Chiese che musica ascoltasse, quale pianta fosse la sua preferita, come fosse il primo appuntamento dopo un veloce scambio di messaggi.

Il rosso rispose sempre seccamente e vagamente. Il più delle volte mentì.

    Lily, intanto che passavano accanto ad un corso d'acqua pieno di anatre, ridacchiò. «So che non stai rispondendo sinceramente» disse, sedendosi alla prima panchina libera e intimandogli a fare altrettanto con la mano.

    Lui sbuffò. «E allora perché continui a fare domande?»

    «Perchè è divertente. Anzi: è ancora meglio sapere che non stai dicendo la verità. Aggiunge un non so che di misterioso.»

Crowley si costrinse ad affiancarla, standole il più lontano possibile. Qualsiasi cosa con lei pareva un gioco, uno di quelli di strategia silenziosa - come gli scacchi. Stavano cercando l'uno di far cedere l'altra un pezzettino minuscolo alla volta.

    Non ricevendo risposta, lei sospirò e accorciò un po' le distanze, sguardo fisso davanti a sé. «Vi siete mai dati un bacio su una di queste panchine?»

    Il demone la fissò di sottecchi. Sapeva tante, troppe cose. «Forse» disse solo.

Lily se l'era studiata davvero bene la sua preda. Il solo pensiero bastò ed avanzò a fargli scendere una cocente punta di rabbia fino ai polpastrelli. Se solo avesse potuto fulminarla lì ed ora, lo avrebbe fatto.

La piuma di Kathatiel fece capolino dal cappotto mezzo sbottonato della Cacciatrice, quasi a prenderlo in giro.

    Lily gli poggiò una mano sul ginocchio, facendolo trasalire. «In effetti, non è il più romantico dei luoghi. Ma spesso l'amore non guarda a queste cose.»

    «E tu che ne sai?» Ringhiò Crowley, quasi d'istinto. La reazione non portò che a far arrossire le guance pallide dell'altra.

    Lei fece spallucce. «So solo che a me non importerebbe in questo momento.»

    «Sono davvero poche le cose di cui ti importa.»

Neanche il tempo di finire la frase che il rosso si ritrovò le mani della Cacciatrice ben strette ai baveri della giacca, esattamente come lui stesso faceva con Aziraphale durante i loro scambi più infervorati. Che sapesse anche quello?

Cercò di ignorare la sua aura in rivolta intanto che Lily lo baciava. Solo allora si accorse che persino i loro posti erano giusti: lei a destra, lui a sinistra della panchina. Sembrava tutto stranamente calcolato: una serie di mosse subdole, fatte apposta per farlo sentire sempre più in colpa nei confronti del suo angelo.

Schiuse le labbra con riluttanza, di nuovo. Si chiese quante altre volte ancora avrebbe dovuto farlo nei pochi giorni che si era concesso. Lily era una brava manipolatrice, poco ma sicuro. Se non faceva attenzione, sarebbe stata lei a vincere il gioco.

Ma non glielo avrebbe permesso.


Andarono a pranzare in un ristorantino qualsiasi che Crowley fece finta di conoscere giusto per non continuare a camminare accanto a Lily. Ad un certo punto, lei lo aveva preso a braccetto e la sua prima reazione era stato scrollarsela di dosso. Ciò lo aveva portato a cercare un tavolo con cui distanziarla.

    Aveva provato a fare domande a sua volta intanto che scorrevano il menù - lui per finta. «Non hai ancora detto niente alla tua famiglia? Di tutti i tuoi bei successi, dico.»

    Lei parve sorpresa. «Sai che cosa succederebbe se mia madre o i miei nonni venissero a sapere di te o di Aziraphale, vero?» Chiese, ora sorridendo. «Non ti lascerebbero stare neanche per un secondo. Costringerebbero il tuo angioletto a sbucare da un cerchio solo per rimirarlo come fosse un trofeo. Probabilmente troverebbero persino il modo di torturarlo in tuo nome.»

Come immaginavo, si disse il rosso quasi accartocciando la carta tra le sue dita. Per loro siamo solo mere conquiste.

Per un attimo, la sua mente volò a Chrysanthemum, facendolo rabbrividire. Mai più.

    «E poi,» riprese Lily, «io non sono ancora pronta a condividerti.»

Gli fece l'occhiolino.

Lui fece una smorfia.


L'idea delle domande, in realtà, era buona.

Crowley decise di provare a rispondere sinceramente a Lily ogni qualvolta gli chiedesse le cose più innocue. Intanto, sorseggiava un bicchiere di vino - l'unica cosa che aveva ordinato - offrendone anche un po' alla Cacciatrice. Forse, l'alcool l'avrebbe indotta a stare meno attenta a ciò che diceva quando toccava a lui chiedere.

Conosceva Londra come il palmo della sua mano. Forse, chiedendo a Lily cose come il suo ristorante preferito o dov'era solita passeggiare, avrebbe capito dove viveva.

Lei, però, fu vaga esattamente quanto lui. Riusciva sempre a non dare luoghi precisi, come se sapesse dove Crowley volesse andare a parare. L'unica cosa di cui il demone era certo, era che Lily faceva almeno un tratto a piedi per andare a lavoro. Che fosse perché prendeva i mezzi pubblici o perché fosse abbastanza vicina da camminare, il rosso non lo sapeva.


Conclusero il pranzo con un nulla di fatto. Crowley si costrinse a tenersi la Cacciatrice vicina per tutto il tempo, nonostante la frustrazione. Quando non seppe più dove portarla, le diede carta bianca sulla loro prossima destinazione.

Lei parlava del più e del meno, senza far mai pesare niente di ciò che diceva. Gli stringeva la mano mentre camminavano, si ancorava al braccio del demone, gli rubava un bacio sulla guancia che lui accettava solo perché non poteva scostarsi.

Sembravano la classica coppietta. Lily si fermava davanti a qualche vetrina, entrava in qualche negozio, si trascinava dietro un Crowley decisamente riluttante intanto che parlottava.

Nonostante tutto, lui cercava di tenere a mente anche la più futile delle conversazioni. Qualsiasi informazione poteva essere importante, persino il fiore preferito della bastarda.

Girovagarono senza meta, senza seguire una strada precisa. Il perché era chiaro: Lily si teneva ben stretta la posizione della sua dimora - forse inconsciamente, forse no.


Alla fine, si ritrovarono davanti all'ingresso del negozio di lei. La scusa fu che alcune piantine avevano bisogno di essere annaffiate più volte al giorno, ma Crowley sapeva bene in cosa la situazione sarebbe sfociata.

Non fece che in tempo ad entrare nell'ora buio ambiente fornito di vasetti colorati e fiorellini sull'attenti. Nel giro di un secondo, Lily aveva chiuso la porta a chiave e gli aveva sfilato la sciarpa con un unico, fluido movimento del braccio, gettandola a terra.

    Il rosso si tolse gli occhiali prima che potesse farlo lei, fissandola senza sbattere le palpebre nemmeno una volta. «Scordatelo» disse solo. Sapeva che ci avrebbe provato, prima o poi. Ma quello era un limite che nessuno avrebbe mai superato. Non lo aveva mai fatto con Aziraphale, il che la diceva lunga.

    La Cacciatrice sbuffò. «Come vuoi» concesse, mettendogli una mano sul petto e spingendolo contro la porta di ingresso.

Lo baciò con un fervore e una passione irrisolti. Quel che era peggio, però, era che con la testa ora premuta contro la superficie solida alle sue spalle, Crowley non poteva nemmeno provare a scostarsi.

Ora più che mai si sentiva in trappola, ma non poteva fare altrimenti.


Andarono avanti, baciandosi per secondi infiniti in cui il rosso pensò svariate volte a cosa sarebbe successo se avesse potuto mordere Lily e farla finita.

    Quando lei si scostò, fu solo per prendergli il viso tra le dita. «Ti conviene stare attento a quello che fai» sussurrò, la punta del naso che sfiorava quella del demone.

    A Crowley venne automatico rabbrividire. Quel tono sapeva di minaccia. «Cosa vuoi dire?» Chiese infatti, il tono forzatamente duro e inflessibile.

    «Posso fare tante cose con quei cerchi, Crowley. Il tuo angioletto, così come l'ho fatto entrare, così posso farlo uscire, spostarlo o farlo sparire per sempre.»

Non sapeva di minaccia, quella era in tutto e per tutto una minaccia.

    «E privarti così del tuo trofeo migliore?» Ringhiò lui. «Non lo faresti mai.»

    Lei, in tutta risposta, si mise a ridere. Soffocò parte della sua risata in un altro rapido e disperato bacio, poi tornò a mormorare. «Sei tu il mio trofeo migliore. Non ho bisogno di altro.»

Non era vero, ma faceva un certo effetto. Lily teneva ad Aziraphale come si tiene ad un oggetto di valore, non lo avrebbe lasciato andare tanto facilmente.

Vuole solo distruggerti dall'interno come tu hai distrutto il cerchio di Chrysanthemum, si disse, annegando in un altro di quei baci forzati.

Accolse ogni tocco con l'ormai familiare moto di repulsione. La cicatrice sul ventre di Aziraphale gli balenò davanti agli occhi, convincendolo a resistere.


Ancora qualche giorno, si ripeté.  

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