the devil wears leather

di Clownqueen_oa
(/viewuser.php?uid=1093687)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** welcome to the jungle ***
Capitolo 2: *** highway to hell ***



Capitolo 1
*** welcome to the jungle ***


Alcune premesse:

  • quasi sicuramente non riuscirò a far quadrare tutto quanto in cinque capitoli, quindi probabilmente questo AU avrà delle One-Shot a parte;
  • OOC fortissimo soprattutto in Ahsoka per motivi di background, non vogliatemene ma è andata così;
  • i personaggi non si fanno scrupoli ad ammazzare la gente perché questa è una mia ff dopotutto, quindi era inevitabile che si sporcassero le mani. Se può farvi stare meglio, Obi-Wan si sente molto in colpa.
  • il titolo è una semi reference al film “Il diavolo veste Prada”, con la differenza che Anakin veste giubbotti di pelle e quindi l’ho modificato di conseguenza ;)


 




Obi-Wan si guardò intorno, disorientato.

Il vicolo in cui era sbucato era sudicio, maleodorante e decisamente diverso dal soggiorno in subbuglio dell’appartamento 2B, dove si trovava fino a un attimo prima.

Si passò una mano tra i capelli, poi sgranò gli occhi non appena gli tornò in mente cos’era successo. “Anakin”.

Non solo Anakin, ma anche la donna che erano venuti a salvare. Si chiamava Celine, sapeva il suo nome perché glielo aveva rivelato con voce strozzata mentre si nascondevano in cucina; un demone aveva preso possesso di sua figlia, e loro erano intervenuti dopo aver sentito le urla fin dalla strada.

Obi-Wan sbatté le palpebre, e alzando lo sguardo riconobbe le tende a fiori della finestra del secondo piano - per qualche motivo era stato teletrasportato fuori dalla casa, dal demone forse. Si fece strada fuori dal vicolo e risalì le scale che portavano al portone del condominio, ma da subito qualcosa gli apparve fuori posto: qualcuno aveva appeso dei volantini sulla porta, volantini che era quasi sicuro non ci fossero prima, e diversi cognomi mancavano dalla plafoniera del citofono, ora rugginosa e semi vuota.

Scosse la testa, e suonò il campanello. Non gli rispose nessuno.

Obi-Wan alzò di nuovo la testa, ma non sentì alcun rumore provenire dall'interno del complesso. Il che era singolare, visto che fino a quel momento il demone si era divertito a scagliare di qua e di là mobili e quant’altro (Obi-Wan compreso) con il pensiero. Che Anakin lo avesse già sistemato per conto suo?

La mente di Obi-Wan però non stava collaborando. Non riusciva a ricordarsi i momenti salienti dello scontro appena interrotto, solo il pianto disperato di Celine e la fitta di dolore alla schiena quando il demone lo aveva sbattuto contro il muro come una bambola di pezza; poi il ringhio furibondo di Anakin, Obi-Wan che gli intimava di non dare di matto e restare concentrato… E poi?

Come diavolo ci era finito in quel vicolo, tanto per cominciare?

Obi-Wan suonò di nuovo, e finalmente dall’altra parte sentì il ricevitore attivarsi con un suono raschiante.

«Sono impegnata» la voce di Celine gli giunse bassa e sbrigativa, come se fosse stata interrotta nel bel mezzo di una riunione di lavoro e non fosse in pericolo di vita. «Se è per vendermi qualcosa, non sono interessata».

«Sono Obi-Wan. Per qualche motivo sono finito qui fuori. Lei sta bene?»

Non gli giunse alcuna risposta, se non un silenzio abissale.

«Andate al diavolo» gracchiò infine Celine, e riattaccò.

Obi-Wan aggrottò la fronte. “Non c'è tempo per questo”. E allora perché il suo corpo non gli trasmetteva neanche un grammo di adrenalina? Anzi, era intorpidito e rigido come se si fosse appena svegliato da un lungo sonno. Non gli faceva neanche male la schiena, eppure l’impatto con la parete era vivido quanto doloroso nella sua memoria.

Obi-Wan riprovò a citofonare, e questa volta Celine rispose immediatamente. «Ho detto di andare al diavolo. Se non la smette chiamo la polizia, mi ha sentito?»

«Celine» tentò, diplomatico «la prego, non faccia così. Va tutto bene lassù? Anakin è con lei?»

«Giuro su Dio, se non se ne va io-»

«Mi dica solo se sua figlia sta bene. C'è qualcosa di strano, credo che il demone abbia danneggiato la mia memoria».

Celine non sembrava in pericolo, soltanto fortemente scocciata, perciò l’ordine di priorità di Obi-Wan virò sulle condizioni della bambina e sul suo ipotetico salvataggio. Provò una leggera ansia al pensiero, Anakin non aveva mai compiuto un rituale di esorcismo senza la sua supervisione, ma se al piano di sopra tutto taceva in qualche modo doveva avercela fatta.

Celine non gli rispondeva più, ma non aveva neanche riattaccato. Dopo qualche secondo, Obi-Wan sentì il portone aprirsi con uno scatto secco.

Salì le scale rapidamente, aggrappandosi al corrimano di legno, e in men che non si dica raggiunse il secondo piano - proprio nel momento in cui la porta d'ingresso dell'appartamento 2B veniva aperta con violenza, rivelando la padrona di casa e un pregnante odore di fumo.

Celine pareva invecchiata di colpo. Non vi era dubbio che fosse lei, i lineamenti dolci - seppur aggravati a profonde rughe - erano quelli della donna che lui e Anakin avevano soccorso; i capelli biondi erano raccolti in una crocchia alla base del collo, mentre gli occhi chiari erano due aghi puntati su di lui. Indossava una vecchia vestaglia rattoppata ed era scalza.

«Va tutto bene?» le chiese di nuovo Obi-Wan, con delicatezza.

Celine schiuse le labbra, ma non disse niente. Continuò a guardarlo, pallida come un cencio, finché i suoi occhi non si dipinsero di una tristezza così profonda e dolorosamente evidente che quasi lo spaventarono.

«Signor Kenobi» mormorò alla fine, e suonò più esausta che altro «Questo è proprio uno scherzo crudele, sa? Venire qui oggi, da me. Non mi avevano detto che era tornato».

“Tornato?”

Obi-Wan misurò cautamente le sue parole, perché l'espressione guardinga di Celine non era ancora del tutto sparita dal suo viso. «Mi dispiace, non credo di capire. Eravamo qui per aiutarla, si ricorda? Per salvare sua figlia da quella creatura».

Un demone di bassa lega, a onor del vero, ma comunque una minaccia se incarnato in un essere umano. Probabilmente la bambina era stata maledetta toccando qualcosa mentre giocava al parco - non era insolito che luoghi come quello nascondessero demoni desiderosi di un corpo arrendevole da abitare. E i bambini erano anche più gettonati degli anziani, erano meno fragili di quanto si credesse e la loro mente in via di sviluppo calzava i bisogni dei demoni come un guanto.

Il viso della donna tornò a essere una maschera gelida, rispecchiando la voce con cui gli aveva risposto al citofono, anche se per un momento nei suoi occhi brillò di nuovo quel dolore senza fondo. Giusto una scintilla, prima che la sua espressione affondasse nell'apatia più completa.

«Mia figlia è morta, signor Kenobi» gli disse. «E fino a pochi minuti fa lo era anche lei».

Obi-Wan non sapeva cosa dire. Per qualche motivo, decise di non trattare Celine come una pazza e di abbandonare il suo tono volutamente cauto, in favore di un approccio sempre gentile ma più risoluto.

«Possiamo ancora salvarla, Celine. Mi basta sapere dove si trova, e-»

«Dieci metri sotto terra» replicò lei, gelida. «È tardi, signor Kenobi. Sia per mia figlia, che per me. Vada a casa, sono sicura che saranno felici di rivederla».

Obi-Wan frappose il suo piede tra lo stipite e la porta prima che Celine potesse chiuderla.

«Il demone gioca con le nostre menti» insistette, anche se sembrava star provando a convincere più se stesso che la donna. D'improvviso sentiva una leggera nausea pungolargli lo stomaco. «Non ceda alla sua influenza, la prego. C'è ancora tempo».

Celine tacque. Dopo qualche istante, sciolse la tensione delle spalle ed emise un piccolo sospiro, come se si trovasse dinanzi un bambino capriccioso e insistente, per poi farsi da parte.

«Venga a vedere con i suoi occhi, se non mi crede».

Obi-Wan non se lo fece ripetere. Seguì Celine dentro casa, i nervi tesi e l’adrenalina che finalmente prese a fluirgli nel corpo.

Nell’appartamento non c’era un capello fuori posto. Il salotto era rimasto lo stesso, tranne per il divano di pelle che era stato sostituito con un modello più alla mano e con un paio di giunture scucite; la televisione era accesa e trasmetteva una vecchia soap latina, mentre la ventola dell’aria sfarfallava pigramente sulla parte alta della parete scrostata. Sul tavolino di vetro giaceva un portacenere con diversi mozziconi di sigarette, uno dei quali ancora acceso.

Non c’era traccia di Anakin, della figlia di Celine o di alcuna presenza demoniaca.

Obi-Wan avvertì il malessere nello stomaco acuirsi un poco, mentre si voltava a guardare la padrona di casa con un’espressione smarrita. Di solito rimaneva impassibile di fronte a possibili clienti, ma in quel caso il suo cervello faticava a processare le informazioni.

«Io non capisco» ammise «E vedo che la cosa le causa dolore, ma devo chiederglielo: che cosa è successo, Celine?»

Sorprendentemente, lei sorrise – o arricciò un poco le labbra verso l’alto, per un momento. «La creatura dentro mia figlia stava vincendo» raccontò, portando di nuovo gli occhi sul soggiorno vuoto. Obi-Wan notò una ragnatela crepe in un angolo del muro che qualcuno aveva provato a riparare con dello stucco. «Me lo ha detto lei, signor Kenobi. Poi mi ha assicurato che l’avreste liberata, dovevate solo riuscire ad avvicinarvi a lei. Il suo assistente era molto contrariato all’idea che lo facesse lei, ma le ha dato retta».

Le labbra di Obi-Wan si incresparono appena alla parola “assistente”. Ricordava vagamente l’espressione di puro disappunto sul viso di Anakin quando, nascosti dietro il piano della cucina per sfuggire alla tempesta di mobilia che stava scatenando il demone in salotto, aveva illustrato il piano per il rituale. “Ti prenderai una poltrona dritta in faccia, Maestro”.

Era l’unica soluzione, non potevano rischiare che il demone espandesse la sua sfera di influenza e toccasse anche Celine. Obi-Wan e Anakin non correvano grandi rischi, ma le persone comuni erano quasi sempre indifese anche davanti a demoni molto deboli come quello. “Tutto fumo e niente arrosto” si ricordava di aver pensato Obi-Wan, abbassando la testa per schivare una cornice che gli era volata addosso.

E lo pensava davvero, rispetto a situazioni passate era un lavoro piuttosto facile.

Allora perché Celine aveva detto che sua figlia era rimasta uccisa?

«Ci è riuscito» continuò «Non so come ha fatto, non l’ho mai capito. E ci penso spesso. L’ha presa in braccio, ha evitato che gli oggetti che volavano per la casa la colpissero e si è inginocchiato» per un po’ non disse più niente, e Obi-Wan capì che stava rivivendo la scena nella sua testa. «Pensavo davvero che… I mobili erano fermi, e anche il vento. Ha detto qualcosa al ragazzo, ma lui le ha gridato di allontanarsi. Se n’è accorto prima di lei e di me, presumo».

Obi-Wan si ritrovò quasi in automatico ad annuire. Era uno dei doni di Anakin, riuscire a percepire molte cose prima delle altre persone. Per questo fino all’ultimo aveva insistito di andare a sigillare il demone al posto suo, forse.

«Si sono svegliate» disse Celine, a voce bassa. «La creatura, ma anche mia figlia. L’ho guardata negli occhi, sapevo che erano i suoi. Poi non ho visto più niente, era come se qualcuno avesse spento tutte le luci. Quando sono tornate lei non c’era più, signor Kenobi, e nemmeno il demone. C’era solo la mia Judith».

Celine prese un respiro profondo che le uscì come un tremito, e si stropicciò gli occhi con due dita. «Non ho idea di cosa sia successo. Nessuno lo sa. Ma Judith era morta, e lei non c’era più».

L’angustia alla bocca dello stomaco di Obi-Wan si era tramutata in nausea. Strinse gli occhi, e rinunciò a ogni parola di cordoglio in favore della sincerità.

«Non le avevo mentito» mormorò, «riguardo al demone. Non lo avrei mai fatto, se avessi saputo. Qualcosa è andato storto».

«Il suo assistente ha detto la stessa cosa» rispose lei. «E’ stato molto gentile. Era sconvolto, ma credo che… Non avesse ancora realizzato la sua scomparsa. Pensava di poterla riportare indietro, e a quanto pare ci è riuscito. Sempre se è opera sua».

Diviso tra il lutto per la figlia di Celine e la viva preoccupazione per Anakin, Obi-Wan si voltò a guardare la donna. «Non credo che ci siano parole per tutto questo. Mi dispiace tanto, Celine».

La donna però non reagì, limitandosi a guardarlo con una strana espressione. Sembrava perplessa, ma anche desolata e triste. «Signor Kenobi… Sa che giorno è oggi, per caso?»

La domanda lo colse di sorpresa. «E’ il tredici settembre. Perché?»

Celine annuì lentamente, senza interrompere il contatto visivo. «Lo è» concordò «ma temo che non siamo allineati sul resto. Ha idea dell’anno in cui ci troviamo?»

Perché era lei a parlargli con estrema cautela? Aveva appena perso una figlia, e Obi-Wan ne era il fautore in qualche modo. Il peso di non averla salvata si era appena aggiunto al conteggio dei suoi fallimenti, e di sicuro avrebbe dovuto farci i conti per il resto della vita.

Obi-Wan la assecondò, dicendole l’anno, e Celine strinse le labbra.

«Siamo stati derubati entrambi, a quanto sembra. Quel mostro si è portato via mia figlia e il suo tempo».

Obi-Wan aggrottò la fronte. «Il mio tempo

«Mia figlia è morta il tredici settembre» si spiegò «ma non oggi. E’ successo cinque anni fa, signor Kenobi».

La realtà delle cose colpì Obi-Wan come un pugno.

Aveva provato a schermarsi da quella possibilità, aveva scosso le spalle dinanzi alle numerose stranezze dell’intera situazione e ignorato i dettagli… Quando mai il Negoziatore chiudeva gli occhi di fronte all’evidenza? La verità era che i sospetti c’erano fin da quando era uscito dal vicolo, ma si era rifiutato di prendere in considerazione l’ipotesi.

Il demone doveva averlo trascinato dall’Altra Parte. Era l’unica spiegazione, e anche il motivo per cui le cose erano andate come erano andate.

Ricordava ancora le parole di Qui-Gon Jinn, risalivano a una delle primissime lezioni che gli aveva impartito quando era il suo apprendista. “E’ semplice, Obi-Wan” aveva spiegato “Più semplice di quanto uno possa pensare: la formula è sempre la stessa ed è valida in tutte le lingue, diffida di chi dice che soltanto in latino può funzionare, una volta pronunciata gli effetti si vedranno comunque. L’unica costante è il tributo da pagare”.

Il prezzo era una vita. Un’anima umana per un portale temporaneo sul mondo dei Disumani. Pur di non farsi sigillare il demone aveva ucciso Judith per tornare a casa, forse sentendosi messo all’angolo, e nel processo aveva portato Obi-Wan con sé.

E se le cose stavano così, allora non era l’unico a essere tornato da quella vacanza fuori programma.

«Non siamo al sicuro» mormorò.

La casa era completamente silenziosa, fatta eccezione per la ventola in salotto. Obi-Wan portò una mano alla cintura, sentendo la pressione della sua arma contro la coscia al di sotto del cappotto, e rimase in attesa.

Fu questione di un attimo. Uno scricchiolio, un movimento fugace che uno si sarebbe perso sbattendo le palpebre, e il demone si fiondò contro di loro.

Era mosso dall’urgenza più che dalla voglia di uccidere, senza un corpo da abitare poteva fare ben poco, ma Obi-Wan sapeva come cavarsela. Sfoderò il pugnale in un luccichio argentato, e si frappose tra Celine e la creatura.

«Si allontani» ordinò, indicandole la cucina con un cenno del capo. «Questa volta le cose andranno diversamente».

Il distacco emotivo era il minimo indispensabile quando si aveva a che fare con i Disumani e la devastazione che si lasciavano dietro, ma Obi-Wan non poté farne a meno. Gli sfuggì un ringhio, mentre l’informe massa nera che si agitava di fronte a lui mollò la presa sul pugnale e tentò di scavalcarlo per raggiungere Celine.

Obi-Wan non glielo permise. Affondò la lama del pugnale nell’agglomerato di oscurità, alla ricerca del cuore; il demone strillò all’intrusione, e si arrampicò lungo il suo braccio come un polipo nel tentativo di arrivare alla bocca o alle orecchie in modo da intrufolarsi dentro di lui. Obi-Wan lo afferrò a mani nude, i palmi che affondarono nella sostanza vischiosa, e lo scagliò contro la parete.

«Gli umani da usare come pass per il tuo mondo sono finiti» esordì. «E a quanto pare ti sei preso cinque anni della mia vita, quindi scusami se non sarò gentile con te».

Il suo cuore ebbe un lieve sussulto a quelle parole, ma Obi-Wan non si permise di distrarsi. Avrebbe avuto il tempo di elaborare il tutto in seguito, ora come ora l’importante era sigillare quella creatura e dare un po’ di pace a Judith e sua madre.

Obi-Wan iniziò a borbottare la formula, e al demone la cosa non piacque affatto. Si aggrappò faticosamente a una lampada, tentando di scagliarla con la telecinesi, ma senza un corpo riuscì a malapena a spostarla dal tavolino; strisciò allora in direzione della parete, probabilmente mirando a scappare tramite i condotti dell’aria connessi alla ventola.

Obi-Wan lo raggiunse senza neanche dover correre. Finì di recitare la formula e si punse la punta del pollice con l’estremità del pugnale, strofinando il sangue tra le dita intanto che sentiva l’incantesimo scorrergli nelle vene.

Il demone strillò di nuovo, questa volta in modo tanto acuto e disperato da sembrare quasi umano, e prese a restringersi e allargarsi in preda agli spasmi: si contorse, poi si accartocciò come una pallina di carta e venne avvolto da un grumo di fiamme bianche che lo incenerirono.

Obi-Wan rimase in attesa qualche secondo ancora, poi rinfoderò il pugnale. Sul pavimento del salotto, vicino alla parete, si era disegnato un cerchio bianco contornato di simboli geometrici: al centro di esso vi era una runa, la prova che il rituale era stato ultimato a dovere e il demone era definitivamente morto.

Celine riemerse lentamente dalla cucina con una padella in mano. «Se n’è andato?» quando Obi-Wan glielo confermò lasciò andare un sospiro, abbassando l’arma improvvisata.

Obi-Wan si avvicinò per sistemare la lampada che il demone aveva spostato.

«Mi dispiace tanto» le disse di nuovo, sinceramente amareggiato. «Immagino che i miei colleghi abbiano già fatto tutto il possibile per aiutarla quando è successo, per quanto niente possa… Riparare le cose».

Celine annuì distrattamente. Continuava a guardare il sigillo sul pavimento. «Mi hanno dato un risarcimento. Erano parecchi soldi, potevo andarmene da qui. Non l’ho fatto perché non mi importava, quello che è successo quel giorno mi avrebbe seguita comunque».

Dal tono sembrava ci avesse provato. Obi-Wan aprì la bocca per parlare, ma Celine lo fece prima di lui.

«Non si flagelli troppo, signor Kenobi» gli accennò un sorriso tirato «Aveva ragione, in condizioni normali l’avrebbe salvata. L’ho potuto vedere qui oggi».

«Avrei dovuto impedirlo» disse con voce rauca. «Proprio perché era semplice da sigillare, avrei dovuto farlo».

«Almeno ora sappiamo che non tormenterà più nessuno» Celine aveva gli occhi lucidi, si affrettò a ricomporsi e respirò con forza dal naso. «Signor Kenobi, credo che lei debba andare ora. Io sto bene, con quello che ho perso ci convivo ogni giorno. Lei invece non se n’è neanche accorto».

Aveva ragione. Obi-Wan si sentì male per lei, per il dolore che aveva dovuto rivivere nell’ultima ora, e poi finalmente si permise di essere sconvolto.

“Anakin”. Che cosa aveva fatto dopo la sua sparizione? Era stato dato per morto? Doveva chiamarlo al più presto. Doveva chiamare al più presto parecchie persone.

Obi-Wan prese un respiro profondo. Era appena tornato da cinque anni nel limbo tra il mondo umano e quello dei demoni, e aveva già una marea di cose da fare. Tipico.

 

-

 

Padre Roosevelt non era morto in modo indolore.

Non che ad Anakin fregasse qualcosa, di solito non stava molto simpatico agli uomini di Chiesa, e di conseguenza a lui non stavano molto simpatici loro.

Il prete era riverso a terra, gli occhi vitrei puntati sul soffitto ad archi della chiesetta e la tunica bianca e verde completamente impregnata di sangue; non aveva opposto resistenza, Anakin lo aveva colto di sorpresa e con un taglio netto sulla carotide lo aveva sgozzato prima che ne avesse il tempo.

«La vogliamo finire qui?» disse ad alta voce, senza staccare gli occhi dal cadavere.

Padre Roosevelt non si mosse, poi le labbra schiuse e già violacee si aprirono in un sorriso sinistro. Si alzò in piedi come se niente fosse, la ferita alla gola che ancora perdeva sangue e che andò a insozzare il pavimento di marmo.

«Non ti ho sentito arrivare» gracchiò, la voce distorta e rauca. Le sue corde vocali erano state severamente danneggiate, ma in qualche modo riusciva ancora parlare. «Non sei umano, ma non sei neanche stato posseduto. Sei il bastardo dei Jedi».

Anakin rimase impassibile. «Di solito quelli come te hanno la passione per la carne umana, non per i gossip».

«La gente parla» scosse le spalle, e gli occhi celesti del prete vennero sostituiti da un paio di iridi di un giallo penetrante, la pupilla verticale come quella di un serpente. «Parla fino a vomitare, specie con i preti. Non ho ancora mangiato nessuno, se può farti sentire meglio».

«Menti nella casa di Dio?» disse Anakin, pur con evidente sarcasmo. I canini erano già fuori, era inevitabile con l’odore di sangue che impregnava l’aria, ma lui li aveva lasciati andare di proposito: non aveva voglia di controllarsi e non ne aveva bisogno. Non in quella chiesa senza testimoni.

Padre Roosevelt – o ciò che ne rimaneva – si leccò le labbra, tastandosi la ferita alla gola come se stesse controllando un taglietto da niente. «E chi sarà il mio giudice, tu? Uno con la madre così troia da lasciarsi scopare da un demone di certo non può aprire bocca sui difetti degli altri, non trovi?»

Era questo che dava fastidio ad Anakin, l’imprecisione. Se proprio i demoni di bassa lega volevano sparlare di lui, che almeno dicessero le giuste stronzate.

Pensava fosse ormai risaputo che non era sua madre a essere umana.

Si avvicinò con lentezza, rinfoderando il pugnale sotto lo sguardo del demone, e aprì le braccia con fare accogliente. «Hai ragione. Non sta bene giudicare i morti».

Il demone assottigliò gli occhi da rettile, indietreggiando appena. Il suo contenitore era già morto, quello che muoveva non era che una marionetta e presto avrebbe ceduto, ma Anakin era sicuro che sapesse di non poter vincere; voleva scappare dalla porta alle sue spalle, creando un diversivo forse.

Come se glielo avrebbe permesso.

Non ebbe bisogno di avvicinarsi oltre, fu l’altro a scagliarglisi addosso con i canini sguainati. Anakin schivò il morso con cui voleva azzannargli la gola e gli assestò un calcio nello stomaco, riacquistando così mezzo metro di distanza; il demone lo afferrò per una spalla, affondando le unghie nella carne, ma Anakin fece lo stesso e lo sbatté a terra senza troppa fatica.

Fortunatamente, Padre Roosevelt era un uomo piuttosto minuto.

A cavalcioni su di lui, Anakin premette un avambraccio contro la gola del demone e con la mano libera sfoderò di nuovo il pugnale, in cerca del punto in cui colpire. “Dove ti nascondi?”

Polpaccio sinistro, dove la carne coperta dalla tunica toccava il pavimento. Anakin si voltò con una rapidità inumana, sempre a cavalcioni del prete, e conficcò la sua lama nel punto che gli suggeriva il suo istinto. Lo strillo perforante che gli riempì le orecchie gli fece capire che aveva fatto centro.

Aprì uno largo squarcio nel polpaccio sinistro, il più profondamente possibile, e divise i lembi di carne per poi infilarci dentro una mano senza tanti complimenti. Toccò l’osso della tibia, le fibre muscolari tranciate e con una smorfia di trionfo infine vide dei grumi informi di materia nera che tentavano di sfuggirgli: riuscì ad afferrarne uno, che subito prese la forma di un tentacolo e si aggrappò all’osso esposto, iniziando così un disperato tira e molla con Anakin.

«Lascia» ringhiò «la» afferrò la caviglia del prete con l’altra mano e diede un forte strattone al suo avversario «presa».

Il demone emise un ultimo stridulo urlo di protesta, prima di abbandonare completamente il corpo di Padre Roosevelt. Con un verso schifato, Anakin gettò l’essenza informe della creatura sul pavimento, e si scrollò una mano insanguinata.

«Mi hai pure fatto giocare all’Allegro Chirurgo» commentò tetro, pulendosi sulla tunica del prete, poi si alzò in piedi con il pugnale alla mano. «Su, chiudiamola qui. E’ quasi ora di cena».

L’esorcismo andò liscio come l’olio, in confronto alla piccola baruffa che lo aveva preceduto. Una volta finito Anakin si affrettò a cancellare il cerchio runico con il piede, era come il gesso che i bambini usavano per disegnare sul cemento, poi si voltò verso il corpo e fece una smorfia.

Odiava mettere a posto i suoi casini, era una delle parti dell’essere adulto che non gli erano mai andate giù. Insieme al fare la lavatrice.

“Se ci fosse Obi-Wan avrebbe già iniziato a farti la predica sul sangue a terra” pensò distrattamente, intanto che afferrava il corpo del prete per le caviglie e lo trascinava lontano dalla scena del delitto.

Obi-Wan era sempre stato ossessionato dalla pulizia e dalla meticolosità, nella sua vita privata così come sul lavoro. Di conseguenza, si batteva in un modo diametralmente opposto a quello di Anakin, si muoveva con precisione e non sprecava un briciolo di forza in movimenti non necessari; lo guardava spesso, quindi aveva assimilato quella tecnica e potenzialmente avrebbe potuto adoperarla, ma non era mai stata roba per lui.

Anakin si prendeva spazio mentre combatteva, era un tornado di energie e brutalità anche quando persino lui riconosceva non fosse necessario. Non poteva farci niente, la sensazione dell’adrenalina che gli scorreva nelle vene e veniva soddisfatta non aveva pari.

«Erano bei tempi, Padre» confidò cupo al corpo del prete, le sue parole che echeggiarono per la chiesa vuota. Gli arazzi alle pareti sembravano giudicarlo con lo sguardo, forse perché nello spostare il cadavere stava sporcando ancora di più. «Era ancora tutto facile. Ahsoka non rompeva le palle, i Jedi non rompevano le palle… C’era lui a mettere tutto a posto».

Anche vivere con Qui-Gon Jinn era stato piacevole, ma chi voleva prendere in giro? Il fulcro di ogni attimo meno tetro, ogni respiro liberatorio che Anakin era riuscito a prendere durante la sua vita miserabile, era sempre stato Obi-Wan Kenobi.

Sempre, fin da quando era uno stupido bambino piagnucolone e assetato di carne umana.

Ehi, non aveva mai detto di aver avuto un’infanzia convenzionale.

“Sarebbe fiero di te, Ani” gli aveva detto una volta Ahsoka. Era ubriaca marcia, naturalmente, quelli erano gli unici momenti in cui diventava sentimentale. “Di come te ne freghi quando senti il loro odore, rispetto a qualche anno fa. Io ancora non ci riesco”.

Ed era solo colpa sua, pensò Anakin asciugandosi il sudore che gli imperlava fronte. Non era stato in grado di tramandare quello che Obi-Wan aveva insegnato a lui: ai tempi non era stato davvero attento, si era illuso di avere tutto il tempo del mondo e quando il suo maestro era… scomparso, si era ritrovato con un pugno di mosche.

Degli insegnamenti di Obi-Wan restavano alcune tecniche di concentrazione, i suoi costanti ammonimenti sul mantenere il controllo e i suoi modi gentili, nient’altro. Il resto dei ricordi di Anakin era fatto di sguardi compassionevoli, braccia che lo stringevano per offrirgli conforto e sorrisetti sagaci a fior di labbra, e nel suo egoismo non aveva mai voluto condividere niente di tutto ciò con Ahsoka.

I sentimentalismi non l’avrebbero aiutata comunque. Anakin non sentiva pressioni esterne, aveva smesso di preoccuparsi di cosa pensavano i Jedi già molti anni prima, ma dentro di sé ammetteva di essere lievemente preoccupato per la lei. “Deve darsi una regolata” gli aveva detto Branween dopo un’altra delle sue bravate, in tono sorprendentemente serio. “Mace non è contento, e neanche il Maestro Yoda. Finirà per mangiarsi qualcuno”.

Anakin aveva ribattuto che la contentezza non rientrava nella programmazione di Windu già di base e che Yoda aveva più di cento anni e poteva anche andarsene in pensione, ma sapeva che aveva ragione.

Anche lui aveva combinato dei casini alla sua età, pure più gravi, ma aveva avuto Obi-Wan accanto. E Anakin non aveva problemi ad ammettere che non era la stessa cosa senza di lui, anche se si metteva sempre in prima linea per difendere Ahsoka.

«E’ come essersi ritrovati a un bivio» continuò in tono monocorde, intanto che tirava la zip e chiudeva il sacco per cadaveri in cui aveva chiuso il prete «e aver scelto la strada in discesa. Solo che una volta imboccata non finisce più. Sono cinque anni che precipitiamo, Padre».

E le aveva provate tutte, sul serio. Aveva provato a farsi forza, nell’epoca in cui ancora cercava di portare indietro Obi-Wan: aveva litigato con tutti, sbraitato e strillato come un bambino capriccioso perché si impegnassero a cercarlo, perché nella sua testa nessuno si stava impegnando abbastanza e ogni secondo era cruciale.

Anakin ricordava ancora come si era sentito i primi mesi. Come se fosse tutto un grande scherzo, una presa in giro orchestrata dall’universo solo per fargli del male più di quanto non ne provasse già: vedeva le persone andare avanti con la loro vita e non poteva fare a meno di chiedersi come? Come potevano? Come osavano? Obi-Wan Kenobi era scomparso, presumibilmente intrappolato nel mondo dei Disumani e preda di terribili tormenti, e nessuno faceva nulla.

A nessuno importava, perché quasi nessuno lo conosceva. Il solo pensiero per l’Anakin del tempo era inaccettabile.

Ci aveva impiegato praticamente un anno a darsi una calmata, e poi paradossalmente le cose erano andate anche peggio: aveva iniziato ad arrancare, giorno per giorno con Ahsoka stretta a lui, e aveva capito come mai Obi-Wan sembrasse perennemente angosciato dalle sue bravate.

Era dovuto crescere, Anakin, e questo al suo maestro non lo aveva mai perdonato. Si era immaginato di diventare un Jedi, il primo della sua specie a riuscirci, dopo una serie di peripezie volte a dimostrare il suo valore: Obi-Wan sarebbe stato fiero di lui, e da suo pari, Anakin avrebbe sempre potuto stargli accanto.

«L’universo è crudele» borbottò, passando l’ennesimo straccio ormai zuppo di sangue sul pavimento di marmo. Aveva ancora un po’ di tempo, erano quasi le quattro, ma presto l’altro prete della parrocchia sarebbe venuto ad aprire la chiesa per la preparazione della messa: Anakin voleva mangiarsi le mani, aveva perso tempo e queste erano le conseguenze, dannazione a lui e alla sua decisione di fermarsi in quel ristorante cinese alle tre del mattino.

“Era per tapparti lo stomaco” si ricordò.

L’odore del sangue umano ormai non gli faceva quasi più effetto, si era abituato, ma non mangiava da più di due giorni e non aveva voluto rischiare - anche se la pelle avvizzita e rugosa di Padre Roosevelt era stata un ottimo deterrente a prescindere.

Gli stracci insanguinati si accumularono nel sacchetto di plastica finché Anakin non fu costretto ad aprirne un secondo. Terminato il lavoro, fece dei nodi particolarmente stretti e li gettò in fondo al cassonetto sul retro della chiesa, conscio che a breve sarebbero passati gli omini dell’immondizia a farli sparire; successivamente tornò dentro, e dopo qualche secondo di profonda contemplazione prese il corpo di Padre Roosevelt avvolto nel sacco e se lo caricò in spalla.

Non poteva bruciarlo, Anakin aveva riconosciuto le unghie annerite e i denti marci quando lo aveva visto parlare. “E’ uno di quelli di cui ha parlato Yoda”. Il che significava che avevano un problema.

Anakin si rimise in macchina con un sospiro a dir poco esausto. L’orologio digitale sul display indicava che erano le cinque passate, fuori il cielo aveva iniziato a schiarirsi, oltre i palazzoni del quartiere si intravedevano delle strisce rossastre e arancioni che preannunciavano l’arrivo dell’alba; in giro non c’era nessuno, giusto un ubriacone all’angolo della strada che però era praticamente incosciente, accasciato su una panchina con una birra in mano.

Una gioia per gli occhi, l’assenza di testimoni. Anakin si accese una sigaretta e riprese in mano il cellulare, per poi aggrottare la fronte al numero indecente di chiamate perse e messaggi.

Ahsoka lo aveva praticamente bombardato, così come Branween. Gli altri Jedi non avevano il suo numero, lo aveva cambiato di recente, ma aveva ricevuto anche diverse chiamate da almeno tre numeri sconosciuti. Diamine, persino quella creatura antisociale di Rajee aveva provato a contattarlo.

In quel momento il telefono squillò di nuovo, e Anakin rispose.

«Allora in fondo esiste un Dio» disse Branween, seccata. «Buongiorno o buonasera, principino. Posso sapere se ti trovi negli Stati Uniti, almeno?»

«Windu ha finalmente tirato le cuoia?» chiese Anakin. Sbuffò un po’ di fumo dalle narici, senza premurarsi di abbassare il finestrino o pulirsi decentemente le mani ancora sporche di sangue. «Oppure Yoda, sapevo che era questione di tempo. Quello ha visto cadere Costantinopoli, te lo dico io».

«Hai intenzione di rispondermi o devo metterti giù, cazzone?»

Anakin alzò gli occhi al cielo. «Sono vicino al confine, di quale stato lo saprai solo se è davvero importante. Ho detto che ero in vacanza».

«Sì, circa due mesi fa. Per quanto ne sai Ahsoka potrebbe essere finita sotto un treno nel frattempo».

Anakin ne dubitava fortemente, la sentiva quasi tutti i giorni. Si rigirò la sigaretta tra le dita, lasciando che la nicotina placasse l’euforia che il deludente combattimento concluso da poco non era riuscito a domare. Un altro buco nell’acqua, e pensare che secondo il suo informatore Padre Roosevelt si era mangiato almeno quattro persone.

Probabilmente erano solo vecchi inebetiti e troppo lenti per scappare.

«Allora?» la incalzò lui stesso «Avanti, che succede? Ora sono curioso».

Dall’altra parte della cornetta, lo sbuffo emesso da Branween gli fece capire che avrebbe avuto tutto tranne ciò che voleva. «Prendi il primo volo per New York e muovi il tuo culo, se ti interessa davvero».

«Lo avrei fatto comunque. Ne ho trovato un altro».

«A maggior ragione, portalo qui» Branween tacque per un secondo, e Anakin la udì parlare con qualcuno «Sì, sono al telefono con lui… Non lo so, sarà in Wyoming o in qualche altro posto dimenticato da Dio. Non è una bestemmia, Maestro! Si chiama modo di dire! Ah, al diavolo. Vieni e basta, Skywalker. Prima che il corpo inizi a decomporsi e Mace mi assilli di più» e riattaccò senza aggiungere altro.

Anakin si stiracchiò, abbassando il finestrino per buttare il mozzicone di sigaretta, e si concesse un sonoro sbadiglio.

Branween ci era andata vicina, attualmente si trovava in Colorado. Partiva spesso per viaggi del genere, gli ricordavano i tempi in cui lui e Obi-Wan venivano scarrozzati da una parte all’altra del paese quando veniva richiesta la presenza del suo Maestro. Il Negoziatore, lo chiamavano. I Jedi europei non erano molto rispettati dai colleghi statunitensi, ma Kenobi era riuscito a farsi un nome e ciò significava porte aperte praticamente ovunque, se si trattava di occuparsi di Disumani o di partecipare a feste ed eventi diplomatici.

Anche Anakin se n’era fatto uno, ma la sua reputazione era molto meno lusinghiera. Errori di quando era un ragazzino incazzato e pieno di rabbia repressa, più che altro. Si guardò attraverso lo specchietto retrovisore, gli occhi celesti che ricambiarono l’occhiata torva e la cicatrice sulla tempia semi nascosta dai capelli lunghi.

Un ragazzino incazzato e pieno di rabbia. Era stato Quinlan a chiamarlo così una volta, dopo l’ennesima rissa che lo aveva fatto sospendere. Forse non era cambiato poi molto, considerando che nonostante avesse tagliato la gola a un uomo e il suo corpo si trovasse nel suo bagagliaio Anakin aveva ancora voglia di menare le mani.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** highway to hell ***


Il bambino non aveva detto una parola.

Obi-Wan non lo aveva visto neanche piangere da quando lui e Qui-Gon erano arrivati - era seduto sul pavimento, le ginocchia contro il petto e la schiena al muro, e non li guardava. Probabilmente aveva solo esaurito le sue lacrime, non erano sicuri da quanto tempo si trovasse lì.

L’odore pungente che impregnava il monolocale suggeriva che la donna fosse morta da almeno un giorno o due. Le avevano tagliato la gola con violenza, e sul viso e le mani erano presenti diversi ematomi che suggerivano ci fosse stato almeno un tentativo di difesa; anche se, a onor del vero, il dettaglio più pressante erano le robuste corna ricurve che le spuntavano dalla testa e gli occhi gialli ancora semi aperti.

«Un esorcismo finito male?» suggerì Obi-Wan. Non si erano avvicinati abbastanza per poterla guardare bene, Qui-Gon gli aveva intimato di non farlo per non angustiare il bambino.

Qui-Gon scosse la testa, ma non elaborò il suo dissenso. Invece, si mise in ginocchio e appoggiò l’avambraccio su una coscia in direzione del piccolo.

«Ciao» gli disse, con delicatezza. «Sai dirci che cosa è successo?» non gli giunse alcuna risposta. «H'chu apenkee» tentò allora.

Obi-Wan vide le iridi del bambino saettare verso l’alto e finalmente incrociare lo sguardo del suo maestro. Erano dello stesso giallo penetrante della madre, anche se le pupille non erano verticali ma in tutto e per tutto simili a quelle umane.

«Hi chuba du naga?» raspò, con la voce rauca. Non emanava un buon odore, i capelli biondi incrostati di sangue insieme al viso e le mani, ma per qualche motivo aveva dei denti bianchissimi e perfettamente allineati.

Obi-Wan riconobbe a stento i suoni rapidi e melodici dell’Huttese, un dialetto demoniaco. Non pensava che Qui-Gon lo conoscesse.

«Ci capisci, non è così?» il bambino serrò gli occhi e Qui-Gon accennò un sorriso. «Ci stavi ascoltando prima, lo so. Purtroppo non sono ferrato nella tua lingua, conosco soltanto poche parole. Tu invece scommetto che sei bravo anche nella mia».

«La tua lingua è stupida» mormorò il bambino, con un forte accento che a Obi-Wan ricordò vagamente quello degli ambasciatori Jedi del Sudamerica. «Quelli che hanno fatto male alla mia mamma la parlavano bene come te. Sei venuto a uccidermi?»

Ostentava indifferenza, ma nel chiederglielo tese lievemente i muscoli delle spalle. Obi-Wan lo guardò bene, sempre restando a distanza: non sembrava avere artigli, corna o denti appuntiti da sfoggiare, ma con quegli occhi era impossibile sbagliarsi.

Un incrocio”.

Capitava che i demoni si accoppiassero con gli esseri umani – in alcuni ambienti era quasi la norma – ma raramente ciò sfociava in una gravidanza: e poi, il sangue che ricopriva il corpo della donna e il bambino era così scuro dal rasentare il nero, il che significava che quella di lei era la sua vera forma e non un corpo di cui si era impossessata dopo aver attraversato il portale.

Manifestarsi nel loro mondo senza doversi appoggiare a un contenitore umano era particolarmente difficile, riuscirci denotava senz’altro una notevole potenza demoniaca.

«Niente affatto» Qui-Gon si alzò in piedi, riguadagnando ogni centimetro della sua stazza imponente. L’espressione di insofferenza del bambino per un secondo divenne soggezione. «Ma forse la tua testimonianza ci aiuterà a trovare chi è stato. Ti andrebbe di raccontarmi che cosa è successo...»

Lasciò il resto della frase a metà, e per qualche istante il bambino non fece nulla per riempire il suo silenzio.

«Anakin» pigolò alla fine. «Mi chiamo Anakin. E voi siete dei Jedi» non la pose come una domanda, gli occhietti gialli che si posarono sui foderi dei pugnali di entrambi. Quel bambino aveva familiarità con l’Ordine? «Non sono un demone. Non proprio. Sono anche umano, per metà. In caso cambiaste idea sul non uccidermi».

Qui-Gon accennò un sorriso. «Anche se fossi un demone tutto d’un pezzo, non sarebbe la via di un Jedi fare del male a un bambino. Piacere di conoscerti, Anakin».

Soltanto Qui-Gon Jinn poteva apparire calmo e accomodante con un cadavere in decomposizione a un metro e mezzo di distanza. Obi-Wan rimase in silenzio, continuando a studiare il bambino, e quando arrivarono i rinforzi a portare via il corpo approfittò di un momento morto per sviscerare le sue perplessità.

«Non ne ho mai visto uno come lui, Maestro. Non pensavo esistessero».

Qui-Gon si sistemò il bavero del cappotto scuro con un’espressione indecifrabile. «E infatti non dovrebbero esistere. I demoni sono fertili solo se si accoppiano tra di loro, nella nostra epoca non si è mai sentito di un’inseminazione interspecie».

«Credi davvero che sia metà umano? I suoi occhi sono peculiari, è vero, ma… come hai detto tu, non dovrebbe essere possibile».

«Sempre che si tratti di un demone» mormorò Qui-Gon, assorto. «Dimmi, Obi-Wan, ti viene in mente una qualche razza di Disumani con attributi come quelli della madre di Anakin?»

Quel tono presupponeva una risposta che Qui-Gon aveva già trovato. Lo stava mettendo alla prova.

Obi-Wan ci pensò su. «Che si tratti di un jinn? L’Huttese è un dialetto tipico dei demoni delle sabbie, se non erro».

Qui-Gon annuì, soddisfatto. «I jinn sono i disumani più simili ai demoni, se non che sono infinitamente più rari. Alcuni li reputano facenti parte della stessa specie, anche se tra le differenze sostanziali per i jinn vi è la possibilità di riprodursi con quasi qualsiasi altra creatura».

Il che spiegava l’esistenza di Anakin e il suo sangue misto. Obi-Wan ripensò alle prorompenti corna caprine che fuoriuscivano dalle tempie di sua madre, e poi agli occhi vuoti del bambino che incrociavano i suoi. «Ma Maestro, i jinn sono nella lista delle specie protette e non aggressive. E non sembrano esserci indizi che facciano pensare a una rapina finita male. Perché qualcuno avrebbe dovuto uccidere quella donna?»

«Ti stai facendo la domanda sbagliata» Qui-Gon gli lanciò un’occhiata di sfuggita, poi il suo sguardo tornò ad Anakin, che sedeva dall’altra parte della stanza. Su sua richiesta (diceva di avere freddo, nonostante nell’appartamento facesse caldissimo) gli era stata fornita una coperta, nel quale si era raggomitolato in una posizione non dissimile da quella in cui l’avevano trovato. «Il movente verrà da solo, se arriviamo al mandante. Ricordati perché siamo qui, ragazzo mio».

Obi-Wan aggrottò la fronte, e dopo qualche secondo i suoi occhi saettarono su Qui-Gon. «I Sith? Non sono soliti lasciare testimoni, Maestro. Perché risparmiare Anakin?»

Non si sentiva molto a suo agio a contraddirlo, ma la trovava una teoria piuttosto inverosimile. Lui lo vedeva più come un regolamento di conti finito male, al seguito del quale il bambino era stato lasciato vivere in un improvviso impeto di pietà degli aggressori – Obi-Wan aveva anche ipotizzato che si fosse nascosto, anche se per staccare Anakin dal corpo di sua madre avevano dovuto portarlo via con la forza. Il fatto che avesse probabilmente visto tutto lo turbò, lasciandogli una grande tristezza a inacidirgli lo stomaco.

Lasciò Qui-Gon a parlare con uno dei Jedi di supporto e si avvicinò ad Anakin, che aveva appena finito di farsi medicare. Era seduto sul divano malmesso del suo salotto, in silenzio, e guardava il vuoto avvolto nella coperta blu.

Non sapeva bene cosa dire senza suonare fastidioso, inopportuno o entrambe le cose, un bambino appena rimasto orfano di sicuro non aveva bisogno di inutili parole di conforto. Alla fine Obi-Wan disse: «Mi dispiace molto per tua madre. Sono sicuro che si sia fatta onore proteggendoti».

Anakin serrò le labbra. Per un momento Obi-Wan pensò di averlo offeso, ma poi lo vide annuire lentamente. «Ha perso perché erano in tre» gli confidò, come se si trattasse di un segreto. E in effetti lo era, visto che non aveva ancora aperto bocca su cosa era successo. «Altrimenti se li sarebbe mangiati a colazione. E’ fortissima».

«Sono sicuro che è così» rispose, per poi tendergli la mano. «Il mio nome è Obi-Wan Kenobi, sono l’apprendista di Qui-Gon Jinn. Piacere di conoscerti».

Il bambino gliela strinse. «Anakin Skywalker. Mia mamma mi chiamava Ani, ma non siamo abbastanza amici perché mi ci possa chiamare anche tu».

Lo aveva detto in tono molto serio, ma Obi-Wan si ritrovò a ridere sotto i baffi alla sua schiettezza.

E anche sul visino pallido e provato di Anakin si dipinse per un istante il fantasma di un sorriso.

 

 

Dall’esterno il 212th non era cambiato affatto, e la cosa gli portò un irragionevole sollievo.

Una volta superato il disorientamento iniziale dovuto al suo ritorno improvviso, la memoria di Obi-Wan si era riassestata piuttosto in fretta. Il suo telefono era inutilizzabile, la permanenza all’interno del limbo demoniaco gli aveva fuso le batterie, e non se la sentiva di disturbare ulteriormente Celine, ma fortunatamente il pub dei Fett distava non più di qualche isolato da lì.

Ci arrivò a piedi. Il suo corpo era di nuovo in funzione e così la sua mente, ma dal punto di vista emotivo Obi-Wan si sentiva a un passo dal vomitare: nell’arco di un battito di ciglia, era stato via per cinque anni. Che cosa avevano fatto Anakin e Ahsoka nel frattempo? L’Ordine si era occupato di loro?

“Ventitré” si ritrovò a pensare mentre attraversava la strada, “e diciassette anni”. L’ultima volta che li aveva visti Anakin aveva appena finito il liceo e Ahsoka era poco più di una bambina, faticava a immaginarseli in modo diverso.

Anche la loro differenza di età si era accorciata. Lungo la strada Obi-Wan si era specchiato nella vetrina di un negozio, e a ricambiare lo sguardo aveva trovato il se stesso di cinque anni prima – era ancora quel Obi-Wan Kenobi, nonostante il demone gli avesse rubato così tanto tempo, forse perché non aveva potuto vivere quei cinque anni. Lo dimostrava il fatto che non fosse invecchiato neanche di un giorno.

Obi-Wan prese un respiro profondo, e con una spinta ben assestata varcò l’ingresso del 212th.

Il pub non era cambiato neanche negli interni. Lo accolse lo stesso pavimento di legno lucido, il bancone intagliato con alle spalle una muratura di alcolici e bottiglie esposte e i tavoli bassi e perfettamente lucidati; sulle pareti, oltre ai numerosi stendardi e ai poster recitanti slogan e battute di pessimo gusto, vi erano ancora le foto della famiglia Fett, comprese quelle raffiguranti Fett senior, sorridente e circondato dai figli e dalla moglie.

Obi-Wan si fece avanti inalando con piacere l’odore di birra e cera per i pavimenti, e si appoggiò al bancone con entrambi gli avambracci. Nel farlo diede per errore un calcio a qualcosa, che abbassando gli occhi scoprì essere un familiare zainetto arancione. Ahsoka.

«Siamo chiusi» Cody non si era neanche voltato, preso a lucidare un boccale con uno straccio. «C’è scritto all’ingresso, lunedì e venerdì l’apertura è alle sette. Può tornare per quell’ora e ci faremo perdonare con una buona birra».

«Spero che sarà offerta dalla casa, allora».

Cody drizzò la testa, smettendo di pulire il boccale. Dopo qualche momento di silenzio, lo appoggiò sul piano insieme agli altri e si girò a guardarlo con un’espressione apparentemente indecifrabile.

No, non era cambiato neanche un po’.

Obi-Wan accennò un mezzo sorriso. «Ho molte cose da spiegare» gli concesse, incurvando le spalle. «Forse una birra mi servirebbe davvero».

Cody continuava a tacere. Obi-Wan lo guardò lasciare il retro del bancone, raggiungerlo a grandi passi e con tutta la tranquillità del mondo mollargli un cazzotto in pieno stomaco.

Non gli fece molto male, si era decisamente trattenuto, ma l’effetto sorpresa contribuì a far boccheggiare Obi-Wan. Ebbe giusto il tempo di emettere un gemito di protesta che si ritrovò chiuso in un abbraccio soffocante – l’ultima volta che Cody lo aveva stretto così era stato il giorno in cui era morto suo padre, a pensarci bene.

«Figlio di puttana» lo udì mormorare contro la sua spalla. «Giuro su Dio, se sei un qualche demone venuto a tormentarmi ti farò lo scalpo personalmente. C’è un limite alla crudeltà anche per voi stronzetti con le corna».

Per la prima volta da quando era tornato, Obi-Wan si lasciò andare a una piccola risata, e ricambiò la stretta con altrettanto fervore. «E’ bello vederti, Cody. Anche se dal mio punto di vista è passata solo una settimana».

Si erano visti al 212th dopo una missione, per la precisione. Era stata una serata come le altre, Quinlan lo aveva stuzzicato perché a suo dire ci aveva messo troppo a sigillare il demone di turno e insieme avevano assistito allo spettacolo a dir poco esilarante di Anakin e Aayla che fingevano disgusto nell’assaggiare – a loro dire per la prima volta – un sorso di birra.

Cody respirò profondamente dal naso, e si stropicciò gli occhi. «Hai ragione, hai molto da spiegare. Però è meglio rimandare le spiegazioni a dopo, visto che sei qui… REX!» sbraitò d’improvviso, tanto da farlo sobbalzare. «Portate qui il culo, tu e la ragazzina! E’ importante».

In risposta gli giunsero alle orecchie delle voci ovattate, che si fecero sempre più vicine fino allo spalancarsi della porta che dava sul retrobottega.

Rex uscì per primo, e la prima cosa che Obi-Wan notò fu la sua espressione palesemente contrariata: come Cody anche lui aveva dei nuovi tatuaggi sul corpo, i più appariscenti sicuramente erano quelli che gli abbracciavano la carotide e sparivano sotto la maglietta attillata, ma per il resto era rimasto pressoché lo stesso.

«…e se non ti dai una calmata, giuro che ti faccio nero anche l’altro occhio-Oh, merda» Rex strabuzzò gli occhi, e si fermò così bruscamente che Ahsoka gli andò addosso sbattendo contro la sua schiena.

O almeno, quella che Obi-Wan presumeva fosse Ahsoka.

Nel corso del tragitto verso il pub forse si era soffermato troppo a riflettere sulle conseguenze emotive della propria sparizione su di lei e Anakin, e non si era reso davvero conto di quanto cinque anni, sulla carta, fossero portatori di enormi cambiamenti alla loro età. Ora che l’aveva davanti, si sentì un idiota a non averci pensato.

Ahsoka non aveva che piccoli dettagli a ricordargli la ragazzina di dodici anni che era stata: si era fatta più alta, ormai aveva quasi assunto in tutto e per tutto la corporatura di una giovane adulta, e aveva ancora i capelli acconciati nelle sue caratteristiche boxer braids, ma oltre a essere più lunghi di quanto Obi-Wan ricordasse erano tinti di bianco e blu.

Aveva anche un piercing al naso, dei pantaloncini strappati e tanto corti da rasentare l’inappropriato e un occhio nero.

Ci teneva su una busta del ghiaccio, e dalla sua espressione sembrava che la cosa la rendesse estremamente scontenta; Obi-Wan ricordava quanto fosse difficile convincerla a disinfettare le ginocchia sbucciate dopo gli allenamenti di calcio, quindi era plausibile che fosse quello il motivo.

«Oh, merda» ripeté Rex, e si rivolse al gemello. «E’ un demone?»

«Lo scopriremo non appena Ahsoka si degnerà di dircelo».

Obi-Wan incrociò lo sguardo con la ragazza. Si incrociarono insieme, a dir la verità, perché fino a quel momento lei era impegnata a massaggiarsi il naso. La vide sollevare le sopracciglia, la fronte che si aggrottò progressivamente, e schiudere le labbra carnose senza emettere un suono.

Un momento dopo, Obi-Wan fu aggredito per la seconda volta da uno dei suoi cari. Fortunatamente Ahsoka doveva aver riconosciuto il suo odore, perché al contrario di Cody saltò la parte della violenza e dopo aver buttato a terra la busta del ghiaccio gli gettò direttamente le braccia al collo, circondandogli la vita con le gambe lunghe e aggrappandosi a lui come quando era piccola.

«Obi-Wan» biascicò. «E’ Obi-Wan. E’ quello vero».

«Porca puttana» disse Rex, che aveva cambiato l’imprecazione ma non il tono attonito. «Cody, non è oggi che… Hai aspettato l’anniversario della tua scomparsa per palesarti di nuovo, Kenobi? Aspetta che lo sappia Anakin, come minimo butterà giù il pub».

Obi-Wan ricambiò l’abbraccio di Ahsoka, intanto che il suo cuore ebbe un piccolo sussulto. Anakin era lì? Il suo irruente e focoso apprendista, che in quei cinque anni doveva aver passato l’inferno assieme ad Ahsoka, era a portata di mano?

“Dopo” si sgridò mitigando il suo batticuore. “Ora c’è lei qui”.

«Obi-Wan» ripeté Ahsoka, tra le lacrime. Aveva iniziato a piangere praticamente subito, bagnandogli il cappotto col viso premuto contro il suo collo. «Sei tu. Non riesco a crederci. Pensavamo che… mi sei mancato tantissimo. Sei mancato a tutti».

«Anche voi mi siete mancati, Ahsoka» le rispose con dolcezza, anche se non era propriamente vero. La accarezzò piano lungo la schiena, e dopo qualche istante le prese il viso tra le mani per guardarla bene. «Sei cresciuta così tanto che quasi non ti ho riconosciuta. E’ trucco quello?»

Non ne era rimasto poi molto, i singhiozzi lo avevano fatto colare via quasi tutto. Ahsoka tirò sul naso, passandosi una mano sulla guancia, e gli rivolse un sorriso tremolante. «Branween mi ha insegnato a mettere l’eyeliner. Anche se credo che ormai sia andato tutto a puttane».

Obi-Wan dovette mordersi la lingua per non fare alcun appunto sulla peculiare scelta di parole, quello era un momento toccante dopotutto, ma la sua espressione dovette averlo tradito perché Cody scoppiò a ridere.

«E’ rimasto fermo a quand’eri altra un metro e mezzo, ragazzina» le ricordò, con un sorrisetto. Aveva ancora gli occhi un po’ rossi, e i toni addolciti come quando l’aveva abbracciato. Da quanti anni era che Cody Fett non indossava un’espressione del genere? «Dagli il tempo di elaborare, almeno».

«Tu invece sei come ti ricordavamo» disse Rex. «Il che è… strano. Non voglio rovinare il momento, ma credo che vorremmo saperlo tutti: dove diavolo eri finito, si può sapere?»

Con delicatezza, Obi-Wan tolse le braccia di Ahsoka da attorno al suo collo, facendosi serio. «Sarà meglio che mi aggiorniate sulla situazione, dopo che io lo avrò fatto con voi. E poi qualcuno deve prestarmi un telefono, ho più di una chiamata importante che mi aspetta».

 

-

 

Prendere l’aereo era fuori discussione – un po’ per i prezzi esorbitanti dei voli last minute, e un po’ perché sarebbe stato difficile spiegare alle signorine del check-in che il suo bagaglio a mano conteneva un cadavere – quindi Anakin optò per tornare in auto. Non gli pesò più di tanto: il corpo nel bagagliaio era un imprevisto, la tratta in macchina invece era già in programma.

Quello che stavano macchinando i Jedi con le loro ricerche sottobanco non lo riguardava, si sarebbe limitato a consegnare loro Padre Roosevelt e a farsi pagare, ma ammise che scoprire che era uno di loro lo aveva sorpreso: i Disumani abbondavano in tutto il Nord America, ma i demoni come quello… a quanto pareva New York non era l’unica a soffrire di un problema di infestazione.

Anakin ripensò agli occhi gialli del prete, così simili ai suoi e carichi di energia demoniaca. Troppa energia demoniaca, per un demone di terz’ordine che aveva necessariamente bisogno di un corpo per manifestarsi nel mondo umano.

“Chi diavolo fornirebbe tanto potere a dei pesci piccoli?”

Stava succedendo qualcosa nel reame dei demoni, se lo sentiva nelle ossa. E non era l’unico, visto quanto Yoda e i suoi erano disposti a pagarlo per poter entrare in possesso del corpo del prete.

Anakin alzò il volume, la testa che si muoveva a ritmo del riff di Highway to Hell degli AC/DC, e si sistemò gli occhiali da sole sul naso. Il tempo stimato per l’arrivo a New York era di circa trentadue ore: per sua fortuna, la sua playlist oltre a essere di buon gusto era più che ben fornita.

 

-

 

Obi-Wan bevve un sorso di birra particolarmente generoso. Sentiva di averne un gran bisogno, tutto a un tratto.

Si erano seduti a un tavolo per fare il punto della situazione, e avevano finito per restarci per ore.

«Ufficialmente sei sempre esistito» disse Cody, dopo che Obi-Wan ebbe esposto le circostanze della sua scomparsa e gli eventi di quel pomeriggio. «Per tutto il tempo, secondo il governo degli Stati Uniti, ti sei trasferito in modo permanente in un posto sperduto nel Essex. Qualcuno voleva darti per morto quasi subito, ma ai tempi Anakin ha praticamente fatto a pugni con i membri del Concilio per evitare che accadesse».

A Obi-Wan sfuggì un mezzo sorriso. «Non ho difficoltà a crederci, purtroppo o per fortuna».

Mettendo da parte l’ironia, quelle parole gli avevano stretto lo stomaco. Si immaginò la disperazione di Anakin dopo aver perso la figlia di Celine e il suo maestro in contemporanea, e le conseguenze degli eventi di quel tredici settembre di cinque anni fa sulla sua vita, e sentì la nausea acuirsi.

Rex annuì le braccia incrociate. «Oh, avresti dovuto esserci. Le prime settimane il ragazzino era un tornado, non stava fermo un attimo – ricordo che veniva qui ogni giorno, straparlava di quanto fosse stronzo Windu e mangiava quanti più hamburger poteva, poi se ne andava senza pagare un centesimo».

«Non c’è niente da ridere» lo rimbrottò il gemello, meno allegro «non ho mai fatto i conti, ma ci dovrà almeno quattrocento dollari. E’ fortunato che pensavamo che tu fossi… voglio dire, non è stato facile. Per nessuno. Lo capivamo, in un certo senso».

L’aura di sollievo che sembrava aver pervaso i presenti si appesantì un poco, e Obi-Wan vide Ahsoka chinarsi ancora di più sul tovagliolo che stava sventrando con le dita smaltate di nero.

«E dov’è Anakin adesso?»

I due gemelli si scambiarono un’occhiata fugace, ma Ahsoka fu più veloce.

«Per quanto mi riguarda, può anche crepare» ringhiò, sfilacciando il tovagliolo.

Obi-Wan aggrottò la fronte.

«Sarai tu a crepare quando saprà che ti sei messa di nuovo in mezzo a una rissa» commentò Cody «devi darti una regolata, o-»

«O cosa?» scattò lei, mostrando i denti. A Obi-Wan venne in mente Anakin, era un gesto che da ragazzino faceva spesso. «Hanno cominciato loro. Sono fortunati che ho risposto a mani nude, altrimenti quei figli di puttana si sarebbero trovati senza le dita».

«Ahsoka» le venne spontaneo riprenderla, ormai non vi era più motivo di trattenersi. Obi-Wan incrociò lo sguardo con gli occhi scuri di lei. «So che dev’essere difficile da metabolizzare, ma sono tornato. E non credo di averti mai incoraggiato a usare un linguaggio del genere, specie nei confronti degli altri».

«Lui è-è solo Cody, andiamo!» Ahsoka strinse appena gli occhi, come in difficoltà, poi scosse le spalle «ah, ‘fanculo. Sono disposta a farmi sgridare da te giusto perché mi sei mancato, Obi-Wan. Ma sappi che sono io la vittima qui».

«Lo vogliamo chiedere ai teppistelli che hai mandato in ospedale?» la stuzzicò Cody, e quando lei aprì bocca per rispondergli indicò Obi-Wan con un cenno della testa «ah-ah, occhio alla lingua. Papino è tornato a casa».

Ahsoka emise un ringhio che aveva ben poco di umano, e i suoi occhi lampeggiarono di una luce giallognola, ma non disse niente. Invece, si lasciò ricadere sulla sedia e mise il broncio, incrociando le braccia al petto.

«Siete una rottura di cazzo» disse alla fine.

«Principessa, la sua carrozza è pronta» Cody si rivolse di nuovo a Obi-Wan, e si fece più serio. «La storia che hai raccontato è fuori dal mondo, te ne rendi conto? Persino io e Rex sappiamo che non è possibile trovarsi a metà di un portale».

Rex annuì. «Lo diceva anche papà. O di qua o di là, non c’è niente nel mezzo».

Obi-Wan prese ad accarezzarsi la barba, pensieroso. Forse era quello il punto, pensò. Il limbo in cui si era ritrovato era durato poco più di un secondo per lui, ma sforzandosi gli pareva di ricordare una luce accecante, seguita da una profonda oscurità. Doveva pur significare qualcosa. «Quando sono tornato, è tornato anche il demone che ha aperto il portale» disse. «O meglio, sono tornato perché il demone ha riaperto il portale. Deve avermi trascinato con sé, forse perché ero molto vicino ed ero carico di energia demoniaca per pronunciare l’incantesimo».

Doveva mettersi in contatto con il Maestro Yoda, se c’era qualcuno in grado di trovare una risposta a quell’enigma era lui. Per ora però, Obi-Wan si concentrò sulle persone che aveva davanti: era tornato e il demone era stato sconfitto, quindi non vi era un’immediata situazione di pericolo a cui far fronte. Niente che avesse la priorità sulle persone che amava, comunque.

«Mi dispiace che abbiate dovuto sopportare tutto questo» d’istinto passò una mano sulla testa di Ahsoka, accarezzandola come quando era bambina. Lei si irrigidì, ma non rifiutò il contatto.

«Rex e Cody si sono presi cura di noi» se ne uscì dopo un po’, la voce che era poco più di un sussurro. Non guardava in faccia nessuno, gli occhi puntati sul fazzoletto ormai fatto a pezzi. «Mi dispiace aver urlato. Ero arrabbiata perché… quei ragazzi non sono stati gentili. E fanno sempre come gli pare senza che nessuno alzi un dito per fermarli».

Per un momento Obi-Wan vide qualcosa nei suoi occhi, qualcosa di profondamente doloroso che Ahsoka si affrettò a sopprimere scuotendo la testa.

A tempo debito si ripromise di indagare al riguardo.

Rex finse di asciugarsi le lacrime. «Guarda qui, Cody. E’ tornato da dieci minuti e ha già fatto stare buona Ahsoka. Chiudilo in una stanza con Anakin per mezz’ora e vedi che ne esce come nuovo».

«Non mi avete risposto, Anakin si trova qui?» diamine, dal suo punto di vista non lo vedeva da mezza giornata e già gli mancava.

Obi-Wan vide le espressioni serene dei gemelli Fett incrinarsi, e Ahsoka incupirsi un’altra volta.

Persino Cody, che in tutti gli anni in cui si conoscevano non aveva mai avuto peli sulla lingua, sembrava esitare. «Obi-Wan» disse alla fine, cauto. «Anakin... è cambiato. Un po’ perché te ne sei andato, un po’ per alcune cose che sono successe in questi cinque anni. Molto cambiato».

«Okay» si ritrovò ad annuire Obi-Wan, perplesso. «Perché mi state guardando così? Che cosa ha combinato mentre non c’ero?»

Il suo sesto senso da Maestro in apprensione si era ufficialmente riattivato.

Cody si scambiò un’occhiata fugace col gemello, e Rex sospirò.

«E va bene, glielo dico io» tornò a guardare Obi-Wan «Anakin non è più un Jedi, Obi-Wan. Ha lasciato l’Ordine più o meno sei mesi dopo che sei sparito».

Obi-Wan aggrottò la fronte. D’accordo, era un po’ deluso dal fatto che il suo apprendista non avesse continuato l’addestramento, ma non era poi così grave… era ovvio però che Rex non avesse finito, quindi non disse niente.

Cody venne in suo soccorso. «Lo sai com’è, non gli è mai andato giù il vostro modus operandi, e senza di te non aveva motivo di restare. Si è messo in proprio e ha iniziato a lavorare per chiunque fosse disposto a pagarlo: umani, disumani, non ha mai fatto distinzioni. Anzi, crediamo che le… cose che lo hanno fatto diventare famoso, nell’ambiente, gliele abbiano commissionate alcuni demoni di Hell’s Kitchen».

Non gli piaceva molto la piega che stava prendendo quella storia, era chiaro che Anakin si fosse infilato in brutti giri.

«Si è fatto un nome» proseguì Cody «dopo i fatti di Jersey City, poi, per un po’ non si è parlato d’altro-»

«Cody» lo interruppe Obi-Wan, risoluto «qualsiasi cosa sia quella a cui stai girando intorno, dillo e basta. Voglio sapere che succede. Per favore».

Cody serrò la mascella. Sembrava voler risparmiare a Obi-Wan un grande dolore, e nonostante gli fosse grato per quella premura, preferiva sapere la verità. Anche se la sua esitazione gli mise addosso non poca inquietudine.

Fu Rex a riprendere il filo in quel caso. «Si è fatto conoscere dopo un’incursione in un accampamento di demoni tusken a Jersey City. Nessuno sa cosa volesse chi lo ha assoldato, Anakin non lo ha mai detto: li ha uccisi tutti, anche i bambini, e poi se n’è andato. Qualcuno deve averlo visto, perché si è sparsa la voce e la gente è venuta a vedere che cosa si era lasciato dietro».

«Rex» lo ammonì Cody. Stava guardando Ahsoka.

«E’ inutile che provi a tapparmi le orecchie, so già tutto. Le ho curate io le ferite di Anakin quando è tornato a casa da quell’incarico» per un momento il rancore che pareva portare verso di lui si affievolì un poco «non l’ho mai più visto così fuori di sé. Ha palesemente perso il controllo quella volta».

Perdere il controllo era un eufemismo. Obi-Wan sentì di nuovo la nausea pungolargli la bocca dello stomaco: Anakin era diventato un killer. Aveva ucciso dei bambini. Bambini demoniaci, certo, ma comunque bambini. E la cosa peggiore era che non ne era troppo sorpreso, non come avrebbe dovuto.

Anakin era sempre stato diverso. Lo era in quanto creatura a metà tra un demone delle sabbie e un essere umano, certo, ma non era solo per quello: Obi-Wan ricordava quante volte monitorasse il suo stato d’animo, assicurandosi che non si lasciasse consumare dalla furia che lo pervadeva durante i combattimenti. Era sempre arrabbiato, Anakin, una tempesta di ragazzo che non stava fermo un attimo e bramava gli scontri quasi quanto bramava vincerli tutti.

Voleva sempre eccellere, schiacciare i suoi avversari, e questo Obi-Wan non era mai riuscito a toglierglielo di testa.

Ma Anakin Skywalker non era solo denti snudati e artigli ricurvi. Era anche un ragazzo gentile, con il cuore in mano, che viveva con intensità ogni situazione che la vita gli poneva davanti: quando rideva, sembrava splendere, e quando piangeva, sembrava che qualcosa lo lacerasse da dentro.

E il pensiero che si fosse lasciato abbracciare dal suo lato violento spezzò il cuore a Obi-Wan. “Lo hai lasciato solo pensò, “li hai lasciati soli entrambi”.

«Non ho idea di dove sia» gli disse Ahsoka. «Se n’è andato in Nevada o cose del genere per fare un po’ di soldi più di un mese fa. Non ha neanche voluto che lo accompagnassi».

Ce l’aveva con lui perché l’aveva lasciata indietro, dunque. Obi-Wan guardò di nuovo Ahsoka e il livido violaceo che le contornava un occhio, e d’improvviso provò una grande tristezza.

Era ovvio che odiasse restare da sola, visto cos’era accaduto.

«Tornerà non appena saprà che ci sei» continuò lei, amareggiata. «Ovviamente. Non credo ci sia qualcos’altro che riuscirebbe a farglielo fare».

«In ogni caso» disse Cody, «anche se è stato bello vederti, capo, devi farti vivo con i Jedi. Ultimamente stanno succedendo parecchie cose strane, e né io né Rex siamo in grado di aggiornarti come lo farebbero loro».

Quelle parole catturarono l’attenzione di Obi-Wan. La famiglia Fett, che per una qualche predisposizione genetica era sempre stata sensibile alle entità sovrannaturali, collaborava con i Jedi da generazioni – il padre dei gemelli, Jango Fett, aveva lavorato al fianco di Qui-Gon negli anni in cui New York era un vespaio di ghoul e demoni fuori controllo, e ai tempi era a conoscenza di gran parte dei piani dell’Ordine, in quanto lui stesso ne aveva ideati diversi.

Il fatto che Cody e Rex non sapessero nulla di quella situazione, di qualunque cosa si trattasse, non era decisamente un buon segno. A meno che in quei cinque anni le cose non fossero cambiate, una tale riservatezza stava a significare che lo stesso Ordine si trovava in una brutta posizione.

La porta del 212th si aprì un’altra volta, il tintinnio del campanello che fece voltare i presenti.

A entrare fu una donna dalla stazza imponente, i capelli corvini raccolti in uno chignon strettissimo, la pelle diafana e gli occhi chiari. Obi-Wan fu rapido a riconoscerla, al contrario di Ahsoka non era cambiata in modo poi così sostanziale.

«Obi-Wan Kenobi. Con tutti i problemi che ha l’Ordine in questo momento, un morto che cammina è una bella aggiunta alla lista se si tratta di lei».

Non sorrideva, anzi pareva piuttosto tesa, ma Obi-Wan percepì il sincero piacere di rivederlo nelle sue parole.

«E’ bello vederti, Branween. E ti ho già detto mille volte di non darmi del lei, mi fai sentire vecchio».

L’apprendista di Windu – anzi, a quel punto ex apprendista probabilmente – scosse le spalle racchiuse nel lungo cappotto beige. «Sa com’è, non tutti abbiamo avuto un Maestro così poco attaccato alle norme del Codice. E a proposito, il mio mi ha mandata a prenderla non appena gli ho notificato il suo messaggio» i suoi occhi si posarono brevemente su Ahsoka «Anakin sarà contento di vederla, e poi furioso con quel mostriciattolo di sua sorella per come si è ridotta. Sarà divertente».

Ahsoka incurvò la testa nelle spalle, e se non avesse avuto la pelle scura Obi-Wan era sicuro che il suo rossore sarebbe spiccato terribilmente. «Vi odio, dite tutti quanti la stessa cosa. Per la cronaca, sono io che dovrei essere incazzata con lui! E’ sparito da un mese».

«Se può consolarti, ci ho appena parlato al telefono. E’ in macchina ed è dall’altra parte del paese, quindi gli ci vorrà un po’, ma sta venendo qui».

Il cuore di Obi-Wan subì un sussulto imbarazzante. “Sta venendo qui”.

Che diavolo gli prendeva così all’improvviso? Non era stato così entusiasta al pensiero di rivedere Cody o gli altri, non in quel modo.

Si disse che lui e Anakin avevano molto di cui parlare, soprattutto vista la strada macabra che aveva preso la sua vita in sua assenza, e che era solo impaziente di affrontare il discorso “hai iniziato a uccidere la gente per soldi mentre non c’ero”.

«Su, non c’è molto tempo» insistette Branween. Probabilmente sentiva su di lei il peso degli ordini di Windu, cosa per cui non la si poteva biasimare affatto.

Obi-Wan si alzò in piedi, e Ahsoka fece lo stesso.

«Vengo anch’io» esordì, in un tono che non pareva lasciar spazio a repliche.

Branween fu d’accordo. «Tu saresti venuta a prescindere, scricciolo» le comunicò, tenendole aperta la porta «il Maestro Yoda vuole parlarti».

Ahsoka si fece pallida come un cencio. «Porca merda».

«Sì, direi che è un’espressione calzante. Signor Kenobi, da questa parte».

Obi-Wan si voltò verso i gemelli. «Ripasso più tardi» promise.

Gli dispiaceva andarsene così presto, non ora che si erano appena ricongiunti. Anche se non li aveva vissuti, Obi-Wan iniziava gradualmente a percepire il peso di quei cinque anni di assenza.

Cody gli rivolse un sorriso beffardo, facendogli cenno di levarsi dai piedi. «Se sparisci di nuovo ci organizzeremo definitivamente per comprare il tuo loculo, sei avvisato».

 

-

 

Maul dilatò le narici, inspirando l’aria umida del seminterrato.

Come aveva previsto, portale era ancora lì – l’intero edificio era abbandonato da anni, i suoi unici abitanti attualmente erano i ratti e le termiti. Aveva comunque posto il sigillo sul muro per evitare che i roditori vi camminassero sopra e lo cancellassero, il suo Maestro non avrebbe tollerato il minimo ritardo questa volta.

Risalì le scale di metallo arrugginito, abbassò il capo un paio di volte per evitare calcinacci e travi cadenti e in men che non si dica si ritrovò all’esterno, avvolto dall’oscurità della notte.

Anche se chiamarla oscurità suonava come una battuta. L’ultima volta che gli umani avevano vissuto davvero al buio vestivano ancora di pellicce di animali, pensò Maul strizzando gli occhi, infastidito dalla luce dei lampioni e i fari delle auto che sfrecciavano lungo la provinciale malmessa.

Sulla strada si fermò in una drogheria per comprare delle sigarette. L’umano alla cassa non si fece molte domande quando pagò con banconote così vecchie da avere probabilmente l’età dei suoi avi, e non appena Maul sentì di nuovo lo stomaco scaldarsi al primo tiro si permise di rilassare la fronte corrugata.

Quel mondo era troppo freddo per i suoi gusti.

«Sei in ritardo» disse il demone, la schiena appoggiata alla rete di metallo che circondava un campo da basket diroccato.

Maul aveva capito subito che era lui, e non perché una normale bambina di cinque anni con tanto di tutù a fiori non avrebbe mai dovuto trovarsi lì – lo percepì nell’aria ancora prima di avvicinarglisi, l’odore di pesce marcio e zolfo che contraddistingueva i demoni del suo rango.

«E tu sei da solo. Il mio Maestro aveva ragione, anche con dei supplementi mandare della spazzatura a fare il lavoro per te risulterà inconcludente».

Il viso angelico della bambina si distorse in una smorfia, ma il demone non replicò. Fu una scelta intelligente.

«Ci sono state delle complicazioni» ammise, «Ghloke è morto prima di riuscire a riportare la sua parte di informazioni, ma ci ho pensato io. Non preoccuparti, Lord Sidious non rimarrà deluso».

«Lavorare per lui non ti autorizza a pronunciare il suo nome. Sono sempre più convinto che uccidendoti e assorbendo i tuoi ricordi farei molto prima».

Il demone si concesse un breve sorriso. I suoi denti erano corti e molto appuntiti, oltre agli occhi cerchiati di scuro e all’odore che emanava era un chiaro segno del fatto che il suo involucro stesse cedendo. «Ti perderesti la parte migliore. Il galoppino di Qui Gon Jinn è tornato dal limbo tra i mondi».

Gli occhi di Maul saettarono su di lui, e il sorriso del demone si allargò.

«Non lo sapevi? E’ successo oggi. Un demone se l’era portato dall’Altra Parte, presumo».

«Impossibile» ringhiò Maul. «Nessun uomo sopravvivrebbe al viaggio, neanche un Jedi, figurarsi a restare vivo per anni».

«Non me ne frega un cazzo se mi credi o meno, ti sto riportando quello che ho sentito da alcuni della fascia bassa. E non prendertela, Kenobi è sempre stato particolarmente duro a morire».

Maul strinse i denti fino a farli scricchiolare. Sapeva già che lo avrebbe ucciso alla fine della loro conversazione, ma se prima era per seguire gli ordini del suo Maestro, da quel momento capì che ci avrebbe messo anche del piacere personale nel farlo.

L’unica nota positiva in quella storia, se era vera, era che ora Maul avrebbe potuto farlo fuori di persona. Sentì le interiora pizzicare all’idea – rammentò in un flash una lama brillante come quella di Qui-Gon Jinn, no, molto di più, una furia che poco si addiceva a un Cavaliere Jedi e il dolore che esplodeva come un incendio tra le sue membra tranciate.

Ci aveva messo mesi a ritornare intero. Mesi trascorsi a strisciare come un verme nel reame dei demoni, i denti marci che azzannavano il terreno arido per trascinarsi fin dal suo Maestro, che non lo aveva punito soltanto perché era riuscito in metà dell’impresa uccidendo Jinn.

Anche se, aveva pensato e pensava tuttora Maul, probabilmente la sua punizione era stata proprio quella. Essere lasciato lì a marcire, il corpo tranciato a metà dalla lama di un Jedi e i piedi lasciati da qualche parte nel mondo umano che ancora formicolavano.

E ora quell’insetto gli stava dicendo che Kenobi era tornato. Da furioso Maul passò all’essere quasi febbricitante, il fantasma di una risata isterica che premeva dal fondo della gola.

Non la lasciò risalire. «Dov’è?»

«Dove lo avevi lasciato, suppongo» il demone serrò gli occhi da rettile, incrociando le braccia minute. Sembrava percepire di avere i minuti contati. «Posso rintracciarlo per te. Il tempo di trovarmi un altro involucro umano e-»

«No» lo interruppe Maul, con voce raschiante. «E’ la mia caccia. Tu dovrai farmi un altro favore».

Quella strada aveva solo un lampione funzionante, ed era a pochi metri da loro. Abbracciato dall’oscurità, Maul lasciò uscire i canini in uno scricchiolio sinistro, le lunghe unghie annerite che si tesero verso il demone: gli sfiorò il fiocchetto rosa che gli legava i capelli con delicatezza, e si chinò per guardarlo in faccia proprio come se si trattasse di un vero bambino.

«Di che si tratta, capo?»

Tipico di un insetto, farsi cerimonioso quando ormai era all’angolo.

Maul arricciò brevemente le labbra verso l’alto. «Non ho voglia di rincorrerti, quindi sta’ fermo».

Gli diede giusto il tempo di gridare, un grido strozzato e rabbioso che suonava ben poco come la bambina che aveva posseduto, poi se lo divorò intero.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4030809