INFERNO 3

di Lamy_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Inferno ***
Capitolo 2: *** Uccidi ciò che ti fa male ***
Capitolo 3: *** Fantasmi e promesse ***
Capitolo 4: *** A carte scoperte ***
Capitolo 5: *** Patto di sangue ***
Capitolo 6: *** Solchi nella pelle ***
Capitolo 7: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 8: *** Tradire il traditore ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Inferno ***


1. INFERNO

“Qui possiamo regnare sicuri, e a mio parere
Regnare è una degna ambizione, anche se all’inferno:
Meglio regnare all’inferno che servire in paradiso.”

(John Milton, Il Paradiso Perduto)
 
Due settimane dopo, Londra
Ariadne aveva sempre pensato che il suo peccato più grande fosse stato aver ucciso suo padre. Dopo quella notte, che aveva cambiato la sua vita, era stata perseguitata dagli incubi che l’avevano fatta svegliare con le lacrime agli occhi. Era paura, ma non rimorso. Non provava dispiacere per quanto aveva fatto: suo padre era un uomo violento e meschino, lei aveva soltanto anticipato la sua dipartita.
Negli anni successivi quel ricordo si era affievolito. Non ricordava più bene il sangue sulle mani, né l’espressione di suo padre mentre si accasciava per terra, né tantomeno riusciva a ricordare le urla di sua madre.
Le cose, però, di recente erano cambiate. Da quando Tommy era morto la sua vita non era stata più la stessa. Di notte sognava morte e distruzione, di giorno mangiava a dismisura per alleviare il dolore.
Seneca sosteneva che il grande dolore è muto, e Ariadne se ne convinceva ogni giorno di più.
Più soffocava le lacrime, più il peso sul petto si faceva pesante.
“Signorina, vi sentite bene?” domandò la cameriera.
Ariadne sbatté le palpebre e fissò il proprio riflesso nello specchio: pelle pallida, cerchi viola sotto gli occhi, labbra screpolate e sguardo perso. Il ritratto della disperazione.
“Sì. A che ora passerà a prendermi l’autista?”
“Alle dieci l’auto sarà qui. Alle undici inizierà la celebrazione.”
La celebrazione in questione era il matrimonio. Quel giorno Ariadne avrebbe sposato Mick King come era stato pattuito con sua madre.
Come un usignolo che viene rinchiuso in gabbia e non può più cantare, così Ariadne sarebbe stata imprigionata e non avrebbe più potuto vivere.
“La signorina King torna per le nozze?”
Rachel King, l’adorata sorella minore di Micky. Un metro e cinquanta di pura energia e risata contagiosa. Ariadne la conosceva solo attraverso i racconti dei domestici, e sembrava essere una ragazza amabile. Sperava che almeno con la cognata potesse andare d’accordo. A volte stentava a credere che una ragazza così perbene fosse la sorella di uno spietato gangster.
“Sì. Non ricordate? E’ tornata ieri sera dall’India e si è fermata a Manchester per la notte. E’ previsto che all’alba prenda il treno per Londra.”
“Prepara la camera migliore per la nostra ospite. Voglio che abbia tutti i comfort possibili.”
“Sì, signora.”
La cameriera fece un ceno del capo, depose la spazzola e si congedò chiudendo la porta.
Ariadne si guardò ancora allo specchio, i ricci rossi sembravano del colore del sangue secco. Fece un lungo respiro e si preparò a fingere di essere la signora King.
 
Il porto di Londra puzzava di pesce avariato e di pece stantia attaccata al fondo dei barattoli. Nadina ormai era abituata a quell’olezzo, anzi quell’odore acre le ricordava casa sua. Essere una gipsy la costringeva a spostarsi sempre, ma non avrebbe mai dimenticato l’odore della terra sulla quale era nata e cresciuta per i primi cinque anni della sua vita.
Londra non le piaceva, troppo grande e caotica per i suoi gusti. Preferiva immensi boschi silenziosi, ruscelli mormoranti e colline fresche. Ma sua nonna Olga aveva bisogno di denaro per mandare avanti la famiglia, così avevano acquistato (o meglio, rubato) una barca con la quale pescavano per poi vendere il raccolto al mercato.
“Quelle reti non si sistemano da sole.” Brontolò il nuovo arrivato.
Nadina lo trucidò con lo sguardo e sputò a terra. Nessuno poteva dirle cosa fare e quando farlo.
“Questa è la mia barca e quelle sono le mie reti. Qui comando io, quindi tu fai quello che ti ordino. Intesi?”
L’uomo non la degnò di uno sguardo. Era un tipo schivo e riservato, fumava e beveva whiskey per la maggior parte del tempo. Lavorava come un mulo, aveva una forza nelle braccia che stupiva Nadina e sua nonna.
“Sissignora.”
“Tutti i giorni mi chiedo perché ti abbiamo salvato.” Disse Nadina, scocciata.
“Perché avevate bisogno di uno che facesse il lavoro duro.” Replicò l’uomo.
“Lo sai che i miei fratelli sono impegnati in certi…affari.”
L’uomo accennò una risata, un suono prodotto dalle narici. Gli ‘’affari’’ di cui parlava la ragazza erano legati alla criminalità. I fratelli di Nadina si occupavano di vendite illegali di qualsiasi prodotto, dai sigari cubani all’alcol, dai gioielli trafugati a dipinti d’autore.
“Loro si occupano degli affari mentre tu vendi pesce al mercato. Non ti sembra una ingiustizia?”
La ragazza si sedette sul bordo della barca e incrociò le braccia, faceva così quando un argomento le sembrava spinoso.
“Io aiuto la mia famiglia.”
L’uomo lasciò cadere la rete e ne prese un’altra per distenderla e ripulirla dalle tracce del pescato precedente.
“I tuoi fratelli sono degli idioti. Si fanno rubare un sacco di soldi.”
“Davvero?”
“Ieri hanno venduto un quadro di Modigliani a un prezzo stracciato quando sul mercato vale il triplo.”
“Ti intendi in arte?” lo derise Nadina.
L’uomo sospirò e rivolse uno sguardo al mare, poi tornò a lavorare sulla rete.
“Conoscevo una persona che si intendeva di arte.”
“E questa persona può aiutarci a fare soldi?”
“No. Lei non c’è più.”
 
Tre mesi prima, poco distante da Birmingham
Nadina accarezzava la superficie dell’acqua con la punta del dito disegnando figure immaginarie. Era uscita all’alba per lasciare il porto di Londra e pescare in altre acque. In realtà aveva bisogno di allontanarsi dalla capitale dopo aver infranto il cuore di tre ragazze soltanto quella settimana. Sua nonna diceva sempre che prima o poi avrebbe trovato una donna capace di spezzare il suo, di cuore. Nadina rideva e faceva spallucce. Non si era mai davvero innamorata, nessuna si era mai avvicinata tanto al suo cuore, perciò non c’era alcun pericolo di rottura.
Mentre la barca procedeva fuori da Birmingham, Nadina canticchiava e distendeva le reti per pescarle. Si era appena immessa nel canale di Stratford quando vide qualcosa galleggiare nell’acqua. A primo impatto pensò che fosse un grosso pesce, e ci avrebbe guadagnato una bella somma al mercato. Poi si accorse che si trattava di un cappotto nero. Era una persona che galleggiava con la faccia rivolta verso il basso.
“Mi allontano da Londra e becco un cadavere. Che meraviglia.” Mormorò fra sé.
Si avvicinò al corpo e notò che si trattava di un uomo, considerata la pettinatura cortissima e le mani tozze. Nadina allungò le mani e lo tirò per le spalle più forte che poté. Dopo svariati tentativi e una miriade di bestemmie, riuscì a portare l’uomo sulla barca.
“Amico, svegliati! Ehi!”
La ragazza lo schiaffeggiò sul viso, poi gli diede un paio di pugni sul petto per far uscire l’acqua accumulata nei polmoni. Di colpo l’uomo sputò dalla bocca e spalancò brevemente lo sguardo, due occhi azzurri come il cielo senza nuvole.
Nadina balzò all’indietro per lo spavento. Sembrava davvero un cadavere tornato in vita.
“Do-do…v-“ Provò a dire l’uomo.
“Ti trovi a pochi chilometri da Birmingham. Sei caduto nelle acque del canale.”
L’uomo annaspava in cerca di aria. La sua pelle era trasparente e raggrinzita, i suoi abiti pesavano a causa dell’acqua.
“Io sono Nadina. Tu ricordi il tuo nome?”
L’uomo la guardò con gli occhi fuori dalle orbite. Non ricordava il suo nome, né come fosse finito nel canale. Poi all’improvviso un ricordo gli trafisse la mente: una ragazza dai ricci rossi che lo chiamava e rideva.
“T-tom.”
Nadina gli diede una pacca sulla spalla e si spostò per muovere il timone della barca.
“Bene, Tom, adesso ti porto a casa mia.”
 
Ariadne fissava le bollicine che salivano e scendevano nel suo bicchiere di champagne. Era un modo per distrarsi dalla festa sfarzosa che Mik aveva organizzato per il loro matrimonio.
Mentre gli invitati mangiavano e ballavano, lei se ne stava seduta con lo sguardo perso.
“Mia cara, ti senti bene?”
Rachel prese posto accanto a lei e le diede un leggero colpetto alla mano. Era una ragazza dal viso paffuto e rotondo, circondato da due ricci biondo cenere che facevano risaltare gli occhi scuri. Aveva un sorriso talmente dolce che Ariadne si sentì un poco rincuorata.
“Sto bene.”
“Questa è una bugia bella e buona!” ridacchiò Rachel.
Ariadne gettò un’occhiata alla sua sinistra e vide che la madre stava sorridendo a tutti gli invitati come era consuetudine. Era una perfetta padrona di casa, soprattutto se la sposa non era affatto interessata alle sue stesse nozze.
“Sono soltanto stanca. Il matrimonio è sfiancante.”
“Oh, Ariadne, basta mentire. Lo so che questo matrimonio è combinato. Mio fratello pensa solo agli affari, non mi aspettavo certo che si sposasse per amore.”
“E’ così che va la vita per noi donne. Non siamo mai davvero libere. Dalla famiglia d’origine passiamo nelle mani dei nostri mariti.”
Rachel sospirò, era ingiusto che una ragazza come Ariadne soffrisse tanto.
“Mia cara, non essere tanto severa con te stessa. Non è colpa tua se sei finita in questa situazione.”
“Invece sì. Ci sono azioni che ho commesso per cui adesso sto pagando un caro prezzo.”
“Nessun prezzo sarà mai abbastanza alto per quello che hai commesso.”
Marianne Evans torreggiava alle spalle delle due ragazze. Come un corvo, era abbigliata a lutto come sempre e i suoi capelli erano tirati in uno chignon strettissimo.
“Nessuno meglio di te conosce i miei debiti, madre.” Replicò Ariadne.
“Ogni madre conosce i peccati della propria figlia.”
Rachel rimase stupita dallo scambio di battute fra madre e figlia. Il rancore e l’odio sgorgavano dalle parole di entrambe.
“Sono certa che Ariadne riuscirà a fare ammenda.”
Marianne abbassò lo sguardo velenoso su Rachel e fece una smorfia di disprezzo.
“Mia figlia è solo una incapace. Al massimo può sperare di non essere scacciata come un cane randagio anche dal marito.”
Ariadne si alzò di scatto, lo strascico del vestito seguì i suoi movimenti come una biscia silente.
Si voltò verso la madre e avvicinò la bocca al suo orecchio perché Rachel non ascoltasse.
“Come ho ucciso quel lurido bastardo di tuo marito, io posso uccidere anche te. Buon proseguimento di serata, madre.”
Ariadne afferrò la bottiglia di champagne e si diresse in giardino sotto gli sguardi increduli di alcuni invitati.
 
La vita a Ballintoy era una delle esperienze peggiori che Julian avesse mai vissuto. Era un villaggio piccolo e abitato da poche persone, e tutto intorno vi erano soltanto strapiombi rocciosi e mare. Ovunque guardasse c’era l’acqua. Temeva che un giorno vi sarebbe potuto annegare anche solo con lo sguardo.
Mentre Rose aveva trovato impiego presso una panetteria, lui era ancora disoccupato. Passava intere giornate a zonzo per il villaggio ed entrava nella prima locanda che incontrava per bere. Si dava all’alcol anche di mattina, almeno gli permetteva di annebbiare la mente e smettere di pensare per un po’.
“Julian, ti senti bene? Julian?”
La voce di Rose lo ridestò dai pensieri. La cenere della sigaretta gli era caduta sui pantaloni bucando la stoffa. Era così che il giovane si sentiva dentro, un buco al posto del cuore da quando Ariadne era andata via.
“Sto bene. Non preoccuparti.”
“Come faccio a non preoccuparmi quando non fai altro che bere tutto il giorno?”
Rose si sedette sul divano con lo straccio umido sulla spalla. Aveva da poco finito di cenare e non si erano scambiati mezza parola. Ormai quella era la loro routine, condividere la casa ma non l’amore.
“Di notte non bevo perché dormo.” Replicò lui con un sorriso.
La ragazza ridacchiò, lui riusciva sempre a divertirla.
“Ariadne non vorrebbe questo per noi. Ci ha mandati qui perché voleva che fossimo felici.”
Julian si accese un’altra sigaretta, incurante che il pacco era terminato nel giro di poche ore.
“Non posso essere felice dopo quello che è successo.”
“Ma non puoi reagire ubriacandoti.” Replicò Rose.
“Non ti piacciono i giocattoli rotti? Beh, sapevi sin dall’inizio che i miei meccanismi non funzionano.”
Julian si era sempre sentito un giocattolo rotto e indesiderato. A parte Ariadne, nessuno della sua famiglia lo aveva mai amato e rispettato. Il fatto che gli piacessero sia gli uomini sia le donne lo aveva condannato a vita. Per lui non era un problema, da subito aveva accettato la sua natura, ma il mondo esterno ogni giorno gli ricordava che per lui non c’era spazio.
“Io ti amo così come sei, Julian. Proprio per questo vorrei che tu fossi felice senza sballarti con alcol e sigarette. Proprio perché ti amo vorrei che tu fossi felice.”
“Sei una ragazza adorabile, lo sai?”
Rose arrossì, ma questa non era una novità perché quando c’era di mezzo Julian il suo cuore non controllava le reazioni.
“Julian…”
“Sì?”
“Tu mi ameresti anche se non fossi incinta?”
Rose era al terzo mese di gravidanza e la pancia cominciava a notarsi. Era spaventata per mille ragioni, di non essere una buona madre, di non riuscire a crescere il bambino, di deludere le aspettative del fidanzato.
“Oh, Rosie, che domanda sciocca.”
“Scusami. Hai ragione, sono una sciocca.”
Julian andò a sedersi accanto a lei e le cinse le spalle con un braccio, dopodiché le baciò la fronte.
“Io ti amo, mia Rosie. E ti amerei anche se non aspettassi un figlio.”
“Allora prova ad essere felice per me.” Sussurrò Rose.
Julian la strinse a sé e sospirò, lei lo avrebbe odiato se avesse saputo cosa stava architettando.
“Ci proverò, tesoro. Ci proverò.”
 
Ariadne si chiuse la porta della camera da letto alle spalle col in terrore che le stava divorando il cuore. Dietro di lei Mick si stava sciogliendo il nodo della cravatta. Era la loro prima notte di nozze, motivo per cui adesso la ragazza sentiva la bile risalirle lungo la gola. Deglutì, eppure la paura non accennò a placarsi.
“Allora, moglie, ti sei divertita?”
“Come una condannata a morte.” Rispose lei.
Mick scoppiò a ridere. Persino la sua risata era un suono irritante per Ariadne.
“Vorrei che tu capissi che questo matrimonio porta vantaggi a entrambi.”
“Quali vantaggi porterebbe a me?”
“Una vita agiata, denaro, lusso, abiti, feste. Cosa desideri di più?”
Ariadne si appoggiò alla parete a braccia conserte, gli occhi color ambra che sembravano bronzo freddo.
“Desidero essere libera. E questo matrimonio non mi garantisce nessuna libertà.”
“La libertà è un concetto astratto. I soldi, il potere, il rispetto, queste sono cose reali.”
“La libertà è bella proprio perché non si può comprare.” Disse Ariadne.
Mick si tolse le scarpe e si sedette a bordo del letto. Fissò un punto indistinto della parete e sorrise.
“Tutto si può comprare in questa misera vita, moglie.”
“Mi stai dicendo che ho un modo per guadagnarmi la libertà?”
“Se farai la brava e saprai aspettare, avrai la tua libertà. E’ una promessa.”
“Hai ucciso l’uomo che amo, non credo alle tue promesse.” Ribatté Ariadne.
L’uomo le rivolse uno sguardo divertito, era così buffa quando metteva il broncio.
“Tommy era solo di intralcio ai miei affari. Questo matrimonio era necessario per svariate ragioni che tu non puoi comprendere.”
Ariadne si era spesso domandata come mai la sua famiglia fosse giunta ad accordarsi con Mick. Sospettava che ci fosse un segreto e che tutto fosse collegato a sua madre. Se svelare il mistero l’avesse salvata, era pronta a tutto pur di smascherare i piani della madre e di Mick.
“Anche io posso essere d’intralcio.”
Mick si alzò di scatto dal letto, una molla era scattata dentro di lui risvegliando la rabbia. Serrò una mano intorno al collo di Ariadne e la sbatté forte contro la parete.
“Io posso ucciderti in meno di un minuto. La tua vita dipende da me.”
Ariadne rise, malgrado il dolore, e fece spallucce.
“Se non mi uccido prima io con le mie stesse mani.”
“Non lo faresti.” Mormorò Mick, la voce furiosa.
“Tu non sai di cosa sono capace. Non sottovalutarmi, Mick.”
Mick, cieco di collera, strattonò Ariadne e la buttò a terra. Afferrò il posacenere sul comò e la colpì in pieno volto. Il sangue schizzò sul pregiato tappeto bianco in una strisciata scomposta.
“Non osare sfidarmi, puttana.”
Ariadne sputò il sangue che si era accumulato in bocca e si ripulì il mento. Il dolore alla mascella era atroce, ma trovò la forza di sorridere con i denti rossi.
“Sei tu che hai sfidato la donna sbagliata.”
Mick la colpì di nuovo con il posacenere. Questa volta le spaccò il sopracciglio. Stava per attaccarla ancora quando Ariadne strisciò fuori dalla stanza. Si aggrappò al grosso vaso dietro la porta e si rimise in piedi. Tremava per il dolore.
“Tu non vivrai ancora per molto.” La minacciò Mick.
Ariadne rise ancora, le costole le dolevano ad ogni singolo movimento. Continuò a ridere, non avrebbe mostrato la propria debolezza al suo carnefice.
“Vorrà dire che ci faremo compagnia all’inferno.”
 
Nadina ingurgitò l’ennesimo bicchiere di birra e battè i pugni sul tavolo in segno di vittoria. Lei e i suoi fratelli facevano sempre sfide di bevute e lei ogni volta ne usciva vittoriosa.
“Ho vinto! Di nuovo!”
“Tu bari!” la rimbeccò il fratello.
La ragazza rise, le guance arrossate dall’alcol e gli occhi lucidi.
“Siete voi che fate pena. Mi dispiace che siate dei perdenti. Io sono l’unica ad aver ereditato i geni buoni.”
L’uomo che lavorava con loro da qualche settimana se ne stava seduto in disparte a fumare. Osservava tutto e tutti con indifferenza apparente, ma in fondo studiava ogni singolo dettaglio. Il sole stava tramontando, il cielo si stava tingendo di una meravigliosa tonalità di rosso aranciato che faceva male alla vista. Quel colore – intenso e brillante – gli ricordava la donna che aveva perduto. Gli ricordava la vita che aveva perduto.
“Bello, vero? Questo cielo color fuoco.” Disse una voce.
Accanto a lui comparve Olga, la nonna di Nadina. Era una donna di settanta anni alta e snella, la pelle rugosa e gli occhi neri vispi. La sua voce sembrava distante, come se parlasse da dentro un antro stregato. All’interno della sua comunità era lei che comunicava con gli spiriti e conosceva certi incantesimi.
“Da dove vengo io il cielo non si vede così bene, è coperto dai fumi delle fabbriche.”
“Birmingham è una città moderna ormai.”
L’uomo smise di fumare, la mano ferma a mezz’aria e le sopracciglia corrugate.
“Come fai a sapere che vengo da Birmingham?”
“Me lo hanno riferito gli spiriti. Una bella donna, morta annegata, mi ha detto che sei nato in una notte di luna piena.”
Olga non si voltò ma sapeva che l’uomo la stava fissando con incredulità. Erano diverse notti che gli spiriti le facevano visita, e quella donna in particolare era stata piuttosto insistente.
“Mia madre è morta annegata nel canale di Birmingham.” Confessò lui.
“Lo so, mi ha raccontato la sua tragica storia. E mi ha anche raccontato la tua storia.”
“Dunque sai chi sono.”
La donna sorrise e annuì, eppure non pronunciò il suo nome. Il segreto non doveva ancora essere rivelato.
“Perché non torni nella tua città?”
“Non c’è niente a cui tornare. Birmingham è sotto il controllo di Enea Changretta.”
“Scommetto che sei rimasto a Londra per un motivo.”
L’uomo gettò via la sigaretta e mandò giù un sorso di whiskey. Quel sapore familiare era un conforto.
“Devo vendicarmi di chi mi ha ucciso.”
“Non tutte le vendette ne valgono la pena, a meno che non ci sia di mezzo qualcuno che amiamo.”
L’uomo distolse lo sguardo dal tramonto, quel rosso intenso gli stava bruciando gli occhi. Si portò la centesima sigaretta alle labbra ma senza accenderla, era una vecchia abitudine che gli ricordava la persona che era un tempo. Perché se prima era un temuto gangster, adesso era solo lo sguattero su una barca da pesca. Dalle stelle alle stalle, avrebbe commentato di certo zia Polly.
“Cosa mi resta se abbandono la vendetta? Niente.”
Olga allungò una mano inanellata e indicò il cielo sopra di loro, alcuni bagliori indicavano che di lì a poco sarebbero spuntate le stelle.
“Hai tutto il mondo davanti a te. Devi solo scegliere quale direzione prendere per abbracciare il tuo destino.”
“E se non ci fosse nessun destino ad aspettarmi?”
“Il destino ci aspetta sempre, anche se noi siamo in ritardo.” Rispose Olga.
 
A notte fonda Ariadne si ritrovò in cucina a bere whiskey. Non le piaceva l’alcol, ma in quel momento era l’unica soluzione contro il dolore. Temeva che Mick le avesse rotto qualche osso, considerata la posizione floscia del polso sinistro. Il sangue colato dal sopracciglio e dalla bocca si era seccato, si screpolava come colore su una tela.
“Misericordia!” esclamò la governante.
La signora Donald accese la luce e sgranò gli occhi alla vista del volto tumefatto della ragazza.
“Va tutto bene, signora Donald. Tornate a dormire.” disse Ariadne.
“Signora, il vostro viso… restate ferma, vi aiuto io.”
La governante riempì una ciotola di acqua e ghiaccio, vi intinse un panno e lo usò per pulire il sangue e lavare le ferite.
“Grazie.” Sussurrò la ragazza.
“Come è successo?”
Ariadne digrignò i denti quando l’acqua ghiacciata le lambì il taglio sulla fronte. Le ricordavano le ferite che suo padre procurava a sua madre quando la picchiava. Si era sempre chiesta come facesse sua madre ad amare quel mostro d’uomo.
“Sono caduta dalle scale.”
La governate sbatté le palpebre e si morse la lingua nel tentativo di ricacciare indietro commenti inappropriati.
“Anche la precedente moglie del signor King cadeva spesso dalle scale.”
Ariadne sapeva che Mick in passato era già stato sposato con una donna che pochi anni dopo era morta. Era la figlia di un notaio, ricca e colta, e per sposare lui aveva rinunciato alla sua famiglia.
“Quanto tempo fa è morta?”
La governante strizzò il panno sporco di sangue e lo buttò nella spazzatura. Recuperò il disinfettante e curò ogni taglio con sapienza.
“Non è andata proprio così.”
“In che senso?”
La signora Donald si guardò attorno, non voleva che orecchie indiscrete udissero quanto stava per confessare. Si avvicinò ad Ariadne tanto da parlarle all’orecchio.
“E’ ancora viva. Credo che il signor King l’abbia rinchiusa in qualche convento.”
“E’ viva?! Non è possibile…”
Ariadne ripensò a sua zia Doris, la madre biologica di Eric, a come nessuno sapesse della sua esistenza. Dunque se la madre era riuscita a cancellare Doris dalle loro vite, per Mick era stato un gioco da ragazzi far sparire la moglie.
“Voi sapete in quale convento si trova?”
“Il signor King ogni mese riceve lettere dal convento di Lanhearne in Cornovaglia.”
Ariadne abbracciò la signora Donald e le baciò la guancia. Le aveva appena offerto un asso nella manica perfetto.
“Grazie per le informazioni!”
La governante ricambiò l’abbraccio con imbarazzo, nessuna signora di solito stringeva la servitù. Ma Ariadne era diversa, glielo si leggeva nel fuoco degli occhi.
“Adesso, però, chiamiamo un dottore perché suppongo vi siate rotta il polso.”
“Sì, mi serve un dottore.”
 
Lizzie trasalì all’ennesimo colpo di pistola che squarciò la notte. Ormai era consuetudine, una a cui lei non riusciva ad abituarsi.
Da quando Tommy era morto ed Enea aveva preso il controllo sulla città, ogni notte era segnata da risse, sparatorie, rapine e aggressioni varie. Birmingham era fuori controllo.
I Peaky Blinders non esistevano più, la banda era stata sciolta da Enea e i membri si erano nascosti negli angoli più remoti della città. Persino gli Shelby si erano rintanati nelle loro case di campagna.
Lizzie e i bambini, invece, erano rimasti nella loro casa insieme a Jonas Solomons. L’uomo alloggiava nel settore riservato alla servitù, mangiava con loro e spesso aiutava le domestiche con le faccende. Di giorno piantonava l’esterno della casa mentre di notte stava fisso alla finestra, la mano sempre poggiata sul fodero della pistola.
Anche in quel momento Jonas era di guardia alla finestra, lo sguardo vigile e i sensi in allerta.
“Jonas, vuoi una tazza di tè o di caffè?”
L’uomo non distolse gli occhi dal giardino, si limitò ad abbassare il mento in assenso.
“Una tazza di tè. Grazie, signora Shelby.”
Lizzie si allontanò e tornò una decina di minuti dopo con una tazza fumante e un piattino di biscotti al burro.
“Ecco, siediti e mangia.” Disse Lizzie.
“Berrò in piedi. Non posso lasciare la mia postazione.”
Jonas tese le mani per prendere la tazza, vi intinse un biscotto e sorseggiò la bevanda.
“Hai sempre fatto la guardia del corpo?” gli domandò lei.
“No. Quando ero giovane e vivevo ancora a Gerusalemme, lavoravo come giardiniere. Mi piacciono molto le piante e i fiori.”
Lizzie prese un biscotto e se lo rigirò fra le mani, la sua mente vagava fra i ricordi del passato che ancora facevano male.
“Come sei capitato in Inghilterra?”
Jonas bevve altro tè, ogni volta che parlava con la signora Shelby gli si seccava la gola.
“Quando la guardia del corpo Alfie è morto, il ruolo è passato a me. Non avevo modo di oppormi, dunque sono salito su un treno da Gerusalemme a Londra. Sono anni che non torno nella mia terra natale.”
“Vorresti tornare a Gerusalemme?”
“Sì, con tutto il mio cuore. Spero che almeno seppelliranno lì il mio corpo alla mia morte.”
“Che discorso triste.” Mormorò Lizzie.
Jonas arrossì. Posò la tazza e si scrollò le briciole dalla giacca di alto taglio sartoriale.
“Perdonatemi, signora Shelby. Sono stato uno sciocco a parlare di morte.”
“Almeno la morte è la nostra unica certezza. E credo che prestò arriverà per tutti noi.”
“Non temete per l’incolumità vostra e dei vostri figli. Finché ci sarò io non vi accadrà nulla.”
Lizzie si versò un bicchiere di whiskey, tanto i bambini erano a letto e il tè non sortiva alcun effetto.
“Perché sei qui? Tu non lavori per i Peaky Blinders.”
“Sono qui per ordine della signorina Evans.”
 
Un mese prima, Birmingham
Ariadne piegò il foglio, lo inserì in una lettera e la richiuse con estrema cura. Si alzò dallo scrittoio e porse la lettera a Jonas, che l’afferrò con incertezza.
“Volete che consegni un messaggio a qualcuno?”
“Questa lettera è per te. Contiene le istruzioni che dovrai seguire.”
Jonas si infilò la busta nella tasca interna della giacca, la mano che tremava appena.
“Istruzioni? Signorina, vi prego di essere più esplicativa.”
Ariadne si accasciò sullo scrittoio con un sospiro, era esausta e voleva soltanto chiudere gli occhi. Ma non poteva riposare, almeno non fino a quando non avesse sistemato tutti i conti in sospeso.
“Presto le cose si metteranno male per tutti. Polly ha avuto una visione catastrofica. Ha sognato cieli insanguinati e fiamme, pessimo presagio.”
“Da quando ci affidiamo ad una strega?” chiese Jonas, perplesso.
“Polly non è una strega. Ed è vero che le sue visioni si realizzano sempre.”
“Suvvia, signorina, voi siete molto più intelligente di così. Credere a queste sciocchezze non è da voi.”
Ariadne non rise, anzi non fece nessun movimento e nessuna espressione. Rimase con lo sguardo perso nel vuoto.
“Se succede qualcosa a Tommy Shelby, tu dovrai proteggere sua moglie e i suoi figli.”
“E chi proteggerà voi, signorina?”
Jonas avvertì una strana sensazione al petto, preoccupazione mista a paura.
“Io per allora sarò finita all’inferno e abiterò col mio diavolo.”
Ariadne gettò un’occhiata fuori dalla finestra: la notte non era mai stata tanto buia.
 
 
Salve a tutti! ^_^
Eccomi tornata con la terza – e ahimè, ultima – parte di questa storia.
Perdonate il ritardo ma con l’università è stato un anno impegnativo.
Spero che questa parte vi piacerà, ho fatto del mio meglio come sempre.
Questo è solo l’inizio, per Tommy e Ariadne si prospettano grossi guai!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
Ps. Tutti i luoghi citati sono reali (il canale, la cittadina irlandese e il convento).

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Capitolo 2
*** Uccidi ciò che ti fa male ***


2. UCCIDI CIO’ CHE TI FA MALE

“Per tutto quello che ho fatto nella mia vita valeva la pena andare all'inferno.”
(Earl Burger Warren)
 
Una settimana dopo
Ariadne uscì dalla sua stanza intorno alle otto del mattino. Per una settimana era rimasta a letto come le aveva consigliato il dottore, il suo corpo aveva bisogno di riprendersi dalle botte di Mick. Un paio di grossi lividi violacei le deturpavano il viso. Una benda le stringeva il polso lussato, ma per fortuna non rotto.
Dalla cucina proveniva un profumo di tè e torta di mele che le fece brontolare lo stomaco. A causa dei dolori alle costole aveva mangiato poco, e ora che stava meglio aveva intenzione di recuperare.
“Buongiorno, signora.” La salutò la governante.
Ariadne abbozzò un sorriso e si infilò nella sala da pranzo, ad attenderla c’era soltanto Rachel. La giovane donna stava spalmando una generosa quantità di marmellata su una fetta di pane abbrustolito. Davanti a lei una tazza di pregiata porcellana stava fumando.
“Buongiorno.” Disse Ariadne.
Rachel sobbalzò sulla sedia, poi la vide e la salutò sventolando la mano mentre masticava.
“Oh, ciao! Finalmente! Ti è passata la febbre?”
Certo, Mick si era inventato la scusa della febbre per giustificare l’assenza della moglie. Era incredibile quanto fosse subdola la mente di quell’uomo.
“Sto meglio, grazie. La febbre non c’è più.”
Ariadne si sedette e si versò del tè, dopodiché addentò un biscotto al burro e noci.
“Mi dispiace per la tua malattia.” Disse Rachel in tono serio.
Stava fissando i segni sulla faccia di Ariadne, la fasciatura al polso, i suoi occhi scavati da notti insonni.
“Non importa. Ormai è passato.”
Erano le stesse parole che pronunciava sua madre dopo che il marito l’aveva picchiata. Ariadne non capiva perché la madre mentisse quando era chiaro che era stata malmenata, ma immaginava che lo sguardo rabbioso di suo padre ne fosse la causa.
Per quanto odiasse ammetterlo, lei era diventata la copia di sua madre.
“Magari più tardi potremmo andare a fare un giro al parco. Scommetto che un po’ di aria fresca possa esserti d’aiuto.”
“Sì, va bene.” acconsentì Ariadne.
La porta si aprì facendo entrare una delle domestiche che reggeva un vassoio su cui erano poggiati i giornali quotidiani.
“Signorina King, ecco a voi i giornali che avete richiesto.”
Rachel si alzò in fretta, ringraziò la domestica e si mise a sfogliare i giornali con foga. Ne tirò uno dalla pila e lo guardò con occhi ammirati.
“Ariadne, leggi questo articolo e dimmi cosa ne pensi.”
Ariadne prese il giornale e lo distese sul tavolo per leggere meglio. L’articolo in questione si intitolava ‘Le donne: la forza della società’ e l’autrice era una certa Virginia Alcott.
Dopo svariati minuti in cui Ariadne lesse e Rachel si morse le labbra per l’agitazione, la rossa chiuse il giornale con un sorrisino sulle labbra.
“E’ un articolo molto intelligente. E soprattutto femminista. Mi ricorda certi discorsi delle suffragette.”
“Lo pensi davvero?” domandò Rachel, sorpresa.
“Certamente! Sono d’accordo: le donne sono la vera forza della società ma gli uomini non ci permettono di dimostrarlo perché sanno che siamo migliori di loro.”
“Sì, esatto!”
Rachel battè le mani in preda all’entusiasmo. Era così contenta che le si erano arrossate le guance.
“Lo hai scritto tu, vero?” fece Ariadne.
Rachel smise di sorridere. Il suo volto era una maschera di terrore e ansia.
“Ehm no…ma che…che vai a pensare…no, io…non sono io…”
“Virginia Alcott è un nome palesemente finto: Virginia come Virginia Woolf e Alcott come Louisa May Alcott. Ho notato che sullo scrittoio hai diversi libri della Woolf e della Alcott.”
“Non dirlo a Mick, ti scongiuro! Ti do tutto quello che vuoi! Soldi? Gioielli? Chiedi e ti sarà dato!”
Ariadne ridacchiò per il rossore diffuso sul viso di Rachel. Era come un palloncino sul punto di esplodere.
“Non dirò niente a Mick. Sai, a Birmingham frequentavo un gruppo di suffragette anche io.”
Rachel si rilassò, per un attimo aveva visto le sue speranze andare in frantumi. Un anno prima a Londra era entrata in un circolo di suffragette e queste l’avevano convinta a pubblicare articoli sotto falso nome sui diritti delle donne. Era stato il periodo più felice della sua vita, lontana dai doveri della società e lontana dal controllo di suo fratello.
“Scrivevo anche quando ero in India. Da Nuova Delhi spedivo un articolo ogni settimana a Londra. Non potrei vivere senza la scrittura.”
“Ti capisco. Io prima studiavo all’Accademia di Arte.” Disse Ariadne.
Il solo ricordo dell’Accademia, di Carl e Lisa, delle lezioni e delle mostre, le causava una grande tristezza. A peggiorare il tutto era la sua incapacità di disegnare, ormai erano mesi che non si cimentava più nell’arte. Temeva di aver perso quel dono.
“Perché hai abbandonato?” domandò Rachel.
“Perché sono stata richiamata a Birmingham. La famiglia aveva bisogno di me e della mia totale attenzione.”
Un ricordo trafisse Ariadne come fosse uno spillo acuminato: nella sua testa rivide quella mostra scolastica a cui Tommy si presentò; ricordava che si erano seduti nel giardino del British Museum; ricordava che era Tommy l’acquirente misterioso del suo disegno.
“Ariadne, ti senti bene? Sei diventata pallida.”
La conversazione fu troncata dall’arrivo della governante, la sua espressione la diceva lunga sulla sua preoccupazione.
“Perdonate il disturbo, ma è appena arrivata lady Violet Howard.”
Ariadne scattò in piedi come una molla. Se c’era una cosa positiva nell’aver sposato Mick era quella di aver conosciuto lady Violet, eccentrica donna che conquistava tutti con il suo sorriso malizioso.
“Fatela immediatamente accomodare e offritele il tè.”
 
Ballintoy, Irlanda
Julian stava fumando alla finestra della cucina mentre Rose era distesa sul divano a rattoppare un paio di calzini bucati. C’era un silenzio confortante fra di loro, non sempre erano necessarie le parole.
Quella serenità fu spezzata dal suono del campanello e da ripetuti colpi alla porta.
“Julian.” disse Rose spaventata.
Julian spense la sigaretta e si avvicinò alla porta per guardare attraverso lo spioncino. Si ritrasse bestemmiando a bassa voce.
“Jul, lo so che ci sei. Vedo la luce accesa. Per favore, apri. E’ urgente!”
Rose sbirciò da dietro le tendine e riconobbe l’uomo che stava bussando. Era Russel, ex braccio destro in affari di Eric ed ex amante di Julian.
“Apri questa cazzo di porta! Sono solo. Non sono venuto accompagnato da nessuno.”
Julian fece un respiro profondo e aprì la porta con espressione seria e rabbiosa. Rivedere Russel era come rivedere la sua vecchia vita, e gli faceva ribrezzo.
“Che vuoi?”
Russel si fiondò in casa e chiuse la porta, era in uno stato evidente di agitazione. Era così nervoso che si tirava i polsini della giacca quasi fino a strapparli.
“Russel, che vuoi?” domandò ancora Julian.
“Dovete lasciare la città subito. Non avete molto tempo.”
“Perché? Di che stai parlando?”
Intanto Rose aveva raggiunto Julian e gli aveva preso la mano, mentre con l’altro braccio proteggeva il ventre appena gonfio.
“Mick King ha fatto accordi anche con l’IRA. Io l’ho scoperto stasera.” Spiegò Russel.
“E questo che c’entra con noi?” volle sapere Rose.
Russel andò a guardare fuori per controllare di non essere stato seguito. Un tempo non era così paranoico, ma adesso le cose stavano in maniera decisamente diversa.
“Ho scoperto chi è uno dei membri dell’IRA, e adesso si trova proprio qui a Ballintoy.”
“Come ci hanno trovati? Ariadne ha organizzato tutto in gran segreto.” Disse Julian.
“Mick in qualche modo lo ha scoperto e ha attivato la cellula dell’IRA che collabora con lui. Sono qui per catturarvi e chissà cos’altro! Dovete sparire entro stanotte.”
“Dobbiamo acquistare i big…” tentò di dire Rose.
Russel alzò la mano per interromperla, aveva già pensato a tutto lui.
“Ho già comprato due biglietti per voi per andare a Londra. Lì, fuori città, abita una mia cugina che è disposta ad ospitarvi.”
Julian lo guardò come se vedesse Russel per la prima volta, eppure lo conosceva da anni. Non lo aveva mai visto tanto preoccupato e spaventato. E se lui era spaventato, allora c’era davvero da temere il peggio.
“Rose, prepara una valigia con il necessario per entrambi. Dobbiamo viaggiare leggeri.”
Rose annuì e corse in camera da letto per prepararsi. Julian, invece, andò in cucina e trafficò nello stipetto della pasta. Tirò fuori una pistola argentata e si assicurò che fosse carica.
“Ti ricordi ancora come si spara?” gli chiese Russel.
“Sì. Me lo hai insegnato tu.”
“Almeno è servito a qualcosa.”
Julian si infilò l’arma nel retro della cintura e la coprì con la camicia, dopodiché si mise alla ricerca di soldi e oggetti di valore da portare con sé.
“Chi è il capo della cellula dell’IRA che lavora con Mick?”
Russel guardò la parete dietro Julian con sguardo perso, poi si ridestò e abbassò la testa come un bambino sgridato dalla maestra.
“E’ Charlotte. Lei ha sempre lavorato per l’IRA.”
 
Nadina attraccò la barca al molo e scaricò i cesti pieni di pesce. Era venerdì, dunque era salpata all’alba per poi vendere il pescato al mercato. Con lei c’era Tom, il nuovo arrivato. Era rimasto zitto per tutto il tempo, fermo al suo posto come una statua di marmo.
“Allora, a che stai penando? Sembri un mulo più del solito.”
Tom si accese una sigaretta e scaricò l’ultimo cesto, poi scese dalla barca con un salto.
“Non penso a niente.”
“Infatti avevo il sospetto che il tuo cervello fosse vuoto.” Lo derise Nadina.
“Nadina! Tom! Alla buon’ora!” esclamò Olga.
La vecchia indossava uno scialle nero consunto che le conferiva un’aria misteriosa, come se potesse usare la pelle lucente dei pesci per leggerti il futuro seduta stante.
“Scusa nonna, ma ci siamo dovuti allontanare per pescare.” Disse la ragazza.
“Ora non importa. Sbrigatevi, Joshua vi aspetta.”
Tom e Nadina caricano le ceste di pesce su uno sgangherato carretto di legno e si incamminarono verso l’immenso mercato. Era così affollato che dovevano farsi strada a gomitate e minacce.
Individuarono la bancarella di Joshua, scorbutico venditore che pagava Nadina una miseria, e si avvicinarono in fretta.
“Piccola pulce, eccoti! Credevo fossi scappata con il mio carico.” Blaterò l’uomo.
Nadina si pulì le mani sui pantaloni e scoccò al venditore un’occhiata altezzosa, quel tono non la intimidiva affatto.
“Taci e dammi i soldi che mi spettano. Anzi, questa volta devi pagarmi il doppio perché mi sono allontana per prendere il tuo pesce schifoso.”
“Non ti darò uno spicciolo in più, ragazzina!” abbaiò Joshua.
Tom, che fino ad allora era rimasto in disparte, si piazzò davanti a Joshua e lo guardò dritto in faccia.
“Senti, stronzo, stamattina pescare è stato difficile. Adesso tu ci dai i soldi che ci spettano, altrimenti portiamo le ceste ad un’altra bancarella.”
Joshua adocchiò le ceste e a malincuore dovette ammettere che il pescato di Nadina era il migliore di tutta Londra, dunque doveva cedere a quella richiesta.
“D’accordo. Kate, dai alla piccola pulce quello che vuole!”
Kate, la figlia del venditore, richiamò Nadina e le due si misero alla casa per fare i conti.
“Buongiorno. Posso chiedere?”
Una giovane donna si era accostata alla bancarella. Indossava un austero abito nero e i capelli erano legati in una treccia perfetta; nessuna traccia di trucco o gioielli. Al braccio portava una borsa ricolma di frutta e verdura. Era chiaramente una domestica.
“Oh, mia cara! Certo che potete chiedere!” disse Joshua con un sorriso.
“Il solito ordine del signor King.” Rispose la ragazza.
Tom sbarrò gli occhi. Il respiro gli si mozzò all’istante nell’udire quel cognome. Se la domestica proveniva da casa King, ciò significava che doveva esserci anche la moglie di Mik.
“Tu, poveraccio, aiuta la signorina con le buste!” abbaiò Joshua.
Tom si ridestò dai suoi pensieri e si precipitò a recuperare la spesa della domestica. La ragazza gli rivolse un sorriso cortese e iniziò a camminare verso l’uscita della zona del marcato.
Per un po’ rimasero in silenzio, lui che la seguiva fra le bancarelle e le urla dei venditori, finché non varcarono il cancello e si ritrovarono nei pressi della stazione.
“Signorina, posso farvi una domanda?”
“Chiedete pure.”
Tom si avvicinò e lei indietreggiò un poco, spaventata com’era dallo sguardo tetro dell’uomo.
“Voi lavorate al servizio di Mick King, giusto?”
“Sì, giusto.”
“Il signor King si è sposato di recente?”
“Un paio di mesi fa si è sposato. La signora King è davvero una donna deliziosa, è gentile e amichevole con la servitù. Spesso ci aiuta con le faccende di casa.”
Tom non rimase stupito, del resto Ariadne per anni aveva lavorato come sguattera in una locanda. E poi era una ragazza che non si lasciava mai spaventare dal duro lavoro.
“Grazie, signorina. Ma adesso dovete farmi un favore.”
La domestica sbiancò, il tono di voce dello sconosciuto era basso e profondo da metterle i brividi.
“Q-quale?”
“Dovete mostrarmi dove abitano i King.”
 
“…e alla fine dello spettacolo tutti erano annoiati a morte!” concluse lady Violet.
Ariadne e Rachel stavano ridendo a crepapelle per il modo in cui Violet stava raccontando loro la serata precedente trascorsa a teatro.
“Non ridete, ragazzacce! E’ stata una tortura!” rise Violet.
Ariadne si asciugò le lacrime con il tovagliolo ricamato troppe erano le risate.
“Lady Violet, voi sareste perfetta per le commedie!”
L’ospite sorrise compiaciuta e bevve un altro sorso di tè con gesti teatrali.
“Voi, invece, sareste perfetta per una tragedia smorta e triste come siete.”
Ariadne smise di ridere, l’euforia era evaporata lasciando spazio alla desolazione.
“A ognuno il proprio ruolo.”
“Il vostro ruolo non è quello di mogliettina, mia cara.” Disse Violet.
Questo Ariadne lo sapeva bene. Aveva sempre immaginato di portare a termine gli studi, di aprirsi un atelier di pittura e vendere le proprie opere. Nella sua fantasia avrebbe vissuto una vita felice, se solo non fosse esistita sua madre. Marianne Evans, donna che farebbe scappare a gambe levate persino il diavolo.
“Ho sentito che state organizzando un ballo.” Esordì Rachel.
Violet si asciugò le labbra col tovagliolo e sfoggiò un altro sorrisetto, uno di quelli che ammaliavano uomini e donne.
“Un ballo in maschera per il mio compleanno. Si terrà fra due settimane. Voi ovviamente siete invitate!”
“I vostri balli sono famosi per essere scandalosi.” Commentò Ariadne con un sorriso.
“Oh, è la gente che si scandalizza per così poco! Ballerini nudi che pendono dal soffitto vi sembrano inappropriati?”
Ariadne rise e scosse la testa, adorava l’intraprendenza e il coraggio di Lady Violet. Rachel, timida e riservata come sempre, arrossì al pensiero di giovani senza abiti appesi al soffitto; quel pensiero le faceva accapponare la pelle.
“Non credo che mio fratello ci permetterà di partecipare.”
“Mick non è sulla lista degli invitati. Anzi, nessun uomo è invitato. E’ una festa per sole donne.”
Ariadne si sentì sollevata all’idea di trascorrere una serata lontana dal marito e da quella casa infernale.
“Non mancheremo!”
“Splendido! Vedrete come ci divertiremo!”
Mentre Ariadne e Violet si scambiavano uno sguardo di intesa, Rachel deglutì e cercò in tutti i modi di farsi coraggio. Le feste non facevano proprio per lei.
                                                                                                                                                                        
Tommy sbirciò la strada prima di proseguire. La domestica camminava davanti a lui a passo spedito, era chiaro che volesse scappare ma non ci provava per timore di essere ripresa. Ad un certo punto aveva anche cominciato a piagnucolare.
“Smettetela di piangere, signorina. Non vi farò del male.”
“Ma lo farete alla mia signora.” Replicò lei.
“Io sono un amico di Ariadne. Non le farei mai del male.”
Certo che in quelle condizioni – barba lunga, taglio di capelli disordinato, occhiaie marcate e vestiti stracciati – non sembrava proprio che potesse essere amico di Ariadne.
“Se siete davvero un suono amico, potreste bussare alla porta come una persona normale.”
Tommy alzò gli occhi al cielo, ci mancava una domestica petulante per peggiorare la giornata. Inoltre, doveva ritornare al mercato prima che Olga o Nadina cominciassero a sospettare. Le due donne lo avevano accolto, sfamato e gli avevano dato un lavoro, ma lui non si fidava comunque. Come diceva sempre zia Polly: bisogna guardarsi dagli amici, dai nemici e dai finti amici.
“E da quando la gentaglia come noi può bussare alla porta dei ricconi?”
La ragazza abbassò lo sguardo, era consapevole che l’uomo aveva ragione. Tommy, dal canto suo, prima di diventare ricco e di entrare nel Parlamento, era stato un poveraccio in canna che spalava letame per Charlie Strong e che ogni tanto serviva ai tavoli del Garrison. Lui conosceva bene la povertà, la fame e l’umiliazione. Ed erano sensazioni che aveva provato anche dopo aver messo piede a Westminster. Per quanto ci provasse, non sarebbe mai stato un uomo perbene.
“Siamo arrivati.” Annunciò la domestica.
Eccola lì l’enorme dimora di Mick King che si stagliava contro il grigio cielo di Londra. Era una villetta a due piani, con l’esterno rivestito in mattoni bianchi e i balconi dorati, le finestre erano tutte adornate da spesse tende blu che non permettevano di scrutare l’interno. Due uomini stavano di guardia alla porta. Tommy vide che anche il giardino e la strada erano sorvegliati. Quella casa era una fortezza e lui non poteva avvicinarsi in nessun modo.
“Adesso potete andate, signorina. Ma badate bene: voi non mi avete visto oggi. Se scopro che avete detto a qualcuno di me, verrò a cercarvi e non sarete contenta.”
La domestica, con gli occhi traboccanti di lacrime, annuì e scappò in direzione della porta secondaria che permetta di entrare in cucina.
Tommy sospirò.
Se lui non poteva entrare, sarebbe stata Ariadne ad uscire prima o poi.
 
Margaret era così stanca che si trascinava sulla strada del ritorno. Erano le otto di sera, i lampioni gettavano opachi fasci di luce sulle vie dissestate di Small Heath. Aveva appena concluso il suo turno al cotonificio e sentiva le mani, con le quali aveva tagliato e filato tutto il giorno, che bruciavano per il dolore. Da quando Enea Changretta si era appropriato del Garrison, lei e i Peaky Blinders avevano dovuto trovare un’altra occupazione. Ma mentre Finn e Arthur combinavano scommesse durante incontri di boxe illegali, Margaret era stata assunta al cotonificio per otto ore di lavoro e una paga misera. Del resto, suo malgrado, aveva una famiglia da mantenere e non poteva rifiutare. I tempi d’oro dei Peaky Blinders erano finiti e il quartiere di Small Heath era ripiombato nella povertà.
Giunta davanti alla vecchia casa degli Shelby, sulla soglia fu accolta da Jeremiah che fumava un sigaro. Il ragazzo la salutò con un cenno del capo.
“Ehilà, Margaret. La riunione inizia tra poco.”
La cosiddetta riunione era stata organizzata da Polly, che ormai aveva assunto il controllo dei Peaky Blinders, o di quanto ne restava.
Margaret fu investita da una nuvola di fumo quando entrò. Alcol e tabacco impregnavano l’aria costringendola a tossicchiare.
“Ecco la mia ragazza!” strillò un Finn molto brillo.
La ragazza si lasciò abbracciare e baciare, ma senza ricambiare i gesti. Finn ultimamente aveva la cattiva abitudine di ubriacarsi e di fare lo sciocco, due cose che lei detestava.
“Dov’è Polly? Sono molto stanca e vorrei tornare a casa.”
“Puoi restare a dormire qui. Non sarebbe la prima volta.”
Finn le fece l’occhiolino in memoria di tutte le notti che avevano passato nella sua cameretta in quella casa. Margaret lo guardò in tralice e sospirò, alle volte era davvero un idiota con i fiocchi.
“Sono qui.” Esordì Polly.
Indossava un abito blu che le conferiva un’area elegante e autoritaria. In una mano reggeva un bicchiere di whiskey e nell’altra teneva una sigaretta. Margaret la invidiava e la stimava, lei non era in grado di avere tanta fiducia in se stessa.
“Buonasera, Polly. E’ successo qualcosa?”
“Dobbiamo discutere di affari. E purtroppo non sarà una conversazione piacevole.”
Dalla cucina sopraggiunse un trambusto di vetri rotti. Poco dopo Arthur uscì barcollando con le nocche insanguinate. Era così ubriaco che non si manteneva in piedi.
“Sul serio, Arthur?” lo rimproverò Polly.
“Tutto apposto, Pol. Io sto bene… il bicchiere invece…” e scoppiò a ridere.
“Sono circondata da idioti.”
Polly diede un’ultima occhiata rabbiosa al nipote e andò in cucina ad assicurarsi che non vi fossero gravi danni. Margaret, invece, si sedette in un angolino del salotto e si tolse le scarpe che aveva indossato per ore. I piedi le facevano talmente male che sembrava avesse delle spine nelle ossa.
“Stai bene?” le domandò Finn.
“Ti importerebbe se non stessi bene?”
Finn rimase stupito, la bocca appena spalancata per la sorpresa.
“Sei la mia ragazza, certo che mi importa se non stai bene. Marg, che succede?”
“Scusami, è che sono stanca. I turni al cotonificio sono estenuanti.”
Margaret sentì le lacrime pungerle gli occhi e dovette trattenersi per non farsi deridere dal gruppo di maschi che inondava la casa. Finn le prese le mani e le diede un bacio sulla fronte.
“Lo so che è dura e so che io sto facendo il cazzone, ma ti prometto che presto le cose andranno meglio. Dobbiamo solo aspettare e fidarci di Polly.”
“Fin…”
“No. Ascoltami: noi ci sposeremo, andremo a vivere a Londra e avremo la vita che abbiamo sempre sognato. Andrà così come abbiamo stabilito.”
“Solo se riusciamo a risolvere questa situazione…” mormorò Margaret.
“E ci riusciremo.” Disse Polly.
D’improvviso il silenzio calò nella stanza e tutti si voltarono verso Polly, che stava al centro del salotto. Una regina davanti alla sua corte.
“Come?” chiese Arthur.
“Per prima cosa dobbiamo cacciare Enea Changretta dalla città. Per farlo abbiamo bisogno di soldi e di armi. L’unica persona che può aiutarci è Byron Davis.”
Jeremiah strabuzzò gli occhi e lasciò il bicchiere per avvicinarsi a Polly.
“Siamo in debito con Davis. Tommy e Ariadne non gli hanno più dato l’alcol promesso.”
“Lo so, perciò dobbiamo aumentare la posta in gioco.”
“Abbiamo ancora qualcosa da offrirgli?” domandò Finn.
Polly guardò Finn e gli diede una pacca sulla spalla, poi passò in rassegna tutti i visi pallidi dei Peaky Blinders.
“Gli faremo un’offerta che non potrà rifiutare: gli daremo il Garrison.”
“No! Col cazzo che gli do il mio pub!” si lamentò Arthur.
Polly afferrò il nipote maggiore per il polso e lo strattonò fino a ritrovarselo ad un centimetro dalla faccia.
“Non fare l’idiota, Arthur. Tommy è morto, Changretta si è preso Birmingham, Mick King e Marianne Evans osservano ogni nostra mossa. Non abbiamo altra scelta.”
“E Ariadne? Non può aiutarci?” si intromise Margaret.
“Me ne sto occupando. Nel frattempo abbiamo bisogno di agire subito, quindi domani mattina andremo da Byron Davis.”
“Chi verrà con te? Io ci sono.” Si propose Finn.
Polly lasciò andare Arthur e si sistemò i polsini dell’abito. Sorrise come un gatto prima di catturare un topo.
“Margaret mi accompagnerà.”
 
Erano all’incirca le dieci di sera quando Ariadne sgusciò fuori dalla sua stanza. La casa era immersa nel buio, Rachel e la servitù erano già andati a letto. Anche Mick non c’era, era uscito a cena con alcuni pezzi grossi per concludere un affare. Questo significava che lei aveva il tempo di frugare nello studio di Mick in cerca di qualcosa da usare contro di lui.
Accese una candela e scese piano le scale, tenendo la fiamma al riparo con il palmo della mano.
Superò il soggiorno e la biblioteca, dopodiché passò davanti alla cucina. La porta, anziché essere chiusa come al solito, era accostata e una debole luce proveniva dall’interno. Ariadne si sporse di poco e vide che Rachel stava affondando la forchetta in una fetta di torte di mele.
“Rachel?”
Rachel sobbalzò e scattò in piedi con la forchettina sguainata a mo’ di spada. Si rilassò quando vide Ariadne e abbassò l’arma improvvisata.
“Oh, sei tu! Credevo fosse la governante. Odia che qualcuno entri in cucina dopo le nove.”
“Ti senti bene?” domandò Ariadne.
Lanciò una breve occhiata alla torta, anche lei sfogava l’ansia sul cibo. Era bello sapere che sua cognata in parte poteva comprenderla.
“Ho finito di scrivere un articolo sui fumi delle fabbriche che sono dannosi per le donne. Ho pensato di premiarmi con un po’ di dolce.”
“Anche la mia amica Betty di Birmingham stava lavorando sui fumi delle fabbriche. Diceva che rendevano le donne calve e senza denti.”
“E’ vero! Sai, ho condotto una ricerca simile anche in India. Lì molti ricconi inglesi e americani e francesi aprono le fabbriche perché pagano una miseria le operaie e le sfruttano.”
“E’ la colonizzazione che ci ha reso dei mostri.” Sospirò Ariadne.
Rachel sorrise e annuì, era felice di aver trovato una mente affine alla sua. Quando aveva scoperto che Mick si era dato alla malavita, aveva lasciato Londra per andare a studiare letteratura al College e poi aveva viaggiato in tutto il mondo per scrivere i propri articoli.
“L’India è un bel posto. Ti piacerebbe molto.”
Ariadne si versò un goccio di vino in un calice e si sedette al tavolo; avrebbe rimesso tutto in ordine prima che la governante se ne accorgesse.
“Come mai hai scelto l’India? Meta insolita per una signorina dabbene.”
Rachel tornò ad accomodarsi e si dedicò nuovamente alla sua fetta di torta, questa volta mangiando piccoli bocconi per poter parlare.
“Perché è lontana da Londra e le comunicazioni sono lente. Pensa che una lettera può arrivare nell’arco di tre o anche quattro mesi.”
“Volevi stare lontana da Mick.” Concluse Ariadne.
“Sì. I miei genitori si vergognerebbero se sapessero che vita ha scelto mio fratello.”
“Come sono morti i vostri genitori?”
“Mio padre è morto sul lavoro, la fabbrica ha preso fuoco. Mia madre è morta qualche anno fa a causa della febbre spagnola.”
“Mi dispiace. Dovevano essere persone oneste se oggi sarebbero inorriditi da Mick.”
Rachel fissò il piatto quasi potesse rivedervi riflesso il volto dei genitori. In India aveva imparato che gli spiriti potevano comunicare attraverso ogni tipo di superficie riflettente.
“Mick da ragazzo era ingenuo e certe brutte compagnie si sono approfittate della sua bontà. Nel giro di poco tempo si è trasformato in un criminale e non c’è stato verso di riportarlo sulla retta via.”
Pensare a Mick come a un ragazzo ingenuo era difficile, se non del tutto impossibile.
“E sua moglie? Com’era?” azzardò Ariadne.
Rachel spalancò la bocca perché non immaginava che qualcuno sapesse che suo fratello era già stato sposato. Capì subito che a spifferare il segreto era stato qualcuno della servitù.
“Camille era il suo primo amore. Anche lei proveniva da una buona famiglia, suo padre è il banchiere Lowell. Quando Mick ha iniziato a rubare, Camille ha cercato di fermarlo ma ormai era tardi. Anziché lasciarlo, ha deciso di sposarlo e di scappare con lui nella speranza di cambiarlo. Dopo la nascita del bambino, però, Mick si è messo a commerciare con la droga e la povera Camille ha perso la testa. Il dottore le diagnosticò isteria e la rinchiusero in istituto.”
Ariadne rimase in silenzio, la fronte aggrottata, ad elaborare tutte quelle nuove informazioni. Ciò che la colpì di più fu scoprire dell’esistenza di un bambino.
“Mick ha un figlio?”
Rachel si diede una manata sulla fronte. Santi numi, alle volte aveva la lingua troppo lunga! Il danno era stato fatto e mentire non serviva a niente, soprattutto non ad Ariadne che le piaceva.
“Leonard oggi ha diciassette anni. E’ stato mandato in un collegio svizzero all’età di sei anni. Da allora non l’ho più visto. E credo che neanche Mick lo abbia visto.”
Ariadne dentro di sé emise un gridolino di gioia. Stava acquisendo informazioni dall’interno proprio come avrebbe fatto Sherlock Holmes. Adesso aveva più elementi a disposizione con cui minacciare Mick.
“Anche la mia famiglia è un disastro. Ho due fratelli, il maggiore è Eric e il minore è Julian. mio padre diede il controllo dei Blue Lions a Eric. Julian è rimasto a Birmingham ed è diventato un alcolizzato. Io sono scappata a Londra e mi sono iscritta all’Accademia di Arte. Purtroppo non ho concluso gli studi perché sono stata richiamata da mia madre per gestire gli affari dato che Eric si era ammalato.”
“La famiglia è un peso di cui non ci liberiamo mai.” Disse Rachel.
Ariadne ebbe un flash del delitto che aveva commesso. Rivide suo padre a terra, la sua mano che stringeva l’attizzatoio, la madre che piangeva, il sangue che si allargava sul tappeto.
“Alcune volte per liberarti devi uccidere ciò che ti fa male.”
 
Salve a tutti! ^_^
Ecco che le cose iniziano a farsi interessanti sia per Ariadne che per Tommy.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
 
Ps. Alcune cellule dell’I.R.A. restarono attive anche negli anni ’30 del 900.

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Capitolo 3
*** Fantasmi e promesse ***


3. FANTASMI E PROMESSE

“Nessuno ha mai scritto, dipinto, scolpito, modellato, costruito o inventato se non per uscire letteralmente dall'inferno."
(Antonin Artaud)
 
Tre giorni dopo
La professoressa Keaton, l’unica donna che insegnava all’Accademia di Arte, ripeteva sempre che il disegno è l’estensione dell’anima su carta. Ariadne non disegnava da mesi ormai, e dunque la sua anima era svanita? Più che altro immaginava che la sua anima fosse bloccata, rinchiusa in una gabbia proprio come lei.
Ecco perché adesso fissava il foglio bianco e stringeva mollemente la matita. Sbuffò e chiuse l’album, era scontato che non avrebbe disegnato.
“Preparati!”
Ariadne sussultò quando Mick entrò nella sua camera con espressione lugubre. Per sua fortuna dormivano in camere separate dopo che la prima notte di nozze era finita fra botte e insulti.
“Andiamo da qualche parte?”
Mick aprì l’armadio, afferrò una giacca e gliela lanciò. Ariadne si tolse l’indumento dalla faccia, i ricci più disordinati del solito.
“Ho un incontro importante fra venti minuti e non ti voglio fra i piedi. Vai a fare un giro con Rachel.”
“Un incontro con chi? Perché?”
Mick rise e le lanciò uno sguardo altezzoso.
“Non parlo a te dei miei affari. Sbrigati, Andrew vi aspetta giù.”
Andrew era l’autista di Mick, uno degli uomini più fidati degli Scuttlers. Era un omone alto quasi due metri, con un paio di baffi biondi e un naso aquilino. La sua espressione non cambiava mai, sembrava indossare la maschera dell’apatia.
“Per caso c’entra mia madre?” domandò Ariadne.
“La tua cara mammina è impegnata in altri affari.”
La risata di Mick non era per niente rassicurante perché, se Marianne aveva degli affari in ballo, doveva trattarsi di qualcosa di molto losco.  
“Ma…”
“Sbrigati. Altrimenti ti porto giù tirandoti per capelli.” Sibilò Mick.
Ariadne si zittì. Si infilò la giacca, recuperò la borsetta e uscì dalla stanza con Mick che la tirava per il braccio.
All’ingresso Rachel aspettava con la testa bassa per non incrociare lo sguardo infuriato del fratello. Evidentemente anche loro avevano avuto una discussione su quell’uscita improvvisa.
“Vado a prendere il cappello.” Disse Ariadne.
Odiava i cappelli, non andavano d’accordo con la sua chioma ribelle, ma la moda delle signore dabbene richiedeva quell’inutile accessorio. Davanti all’appendino trovò Lily, una delle domestiche, con il cappello fra le mani.
“Ecco a voi, signora.”
“Ti ringrazio.”
Ariadne a fatica incastrò i ricci sotto la falda stretta del cappello, un semplice modello blu con una piccola margherita al centro. Attraverso lo specchio notò che la domestica si torturava il grembiule.
“C’è qualcosa che non va?”
“Beh, signora…io…la verità è che non dovrei…”
Ariadne le mise le mani sulle spalle per rassicurarla, al che la domestica si lasciò scappare un sospiro.
“Andate a fare una passeggiata al mercato. Non chiedetemi nulla, fidatevi e basta.”
“Mi fido.”
 
Rose era così stanca che non sentiva più le gambe. Dalla stazione lei e Julian erano arrivati in campagna dapprima con un pulmino e poi a piedi. Russel li aveva lasciati a Londra e si era volatilizzato dopo aver dato loro l’indirizzo presso cui erano ospiti.
“Siamo arrivati. Vedo una casa laggiù.” Disse Julian.
“E se fosse una trappola? Ci hai pensato?”
Rose per tutto il viaggio aveva osservato Russell, che aveva guardato Julian di sottecchi tutto il tempo. Ah, Julian, l’Adone che tutti vorrebbero per fidanzato. Bellissimo, divertente e affascinante, non era un mistero che ogni persona ne fosse attratta.
“Ci ho pensato, sì, ma non è una trappola.”
“Lo dici perché tu e Russell avete un passato?”
Julian sorrise e le diede una leggera gomitata.
“Sei gelosa di Russell? Ti prego, non esserlo. Lui è stato un errore di gioventù.”
“Allora come fai ad essere certo che non ci stia fregando?”
“Perché l’IRA ha ucciso il fratello di Russell. Nessuno odia quell’organizzazione più di lui. Se ci ha messi in guardia dall’IRA, vuol dire che il pericolo è vero.”
Rose si sentì stupida per la sua gelosia. Certo, era ovvio che Russell fosse ancora innamorato di Julian, perciò sull’IRA non avrebbe mai mentito.
“Beh, speriamo almeno che questa signora sappia cucinare bene perché sto morendo di fame.”
Julian rise e le strinse la mano, era buon segno che l’umore fosse ancora alto. Eppure, mentre si avvicinavano alla casa, una strana sensazione si faceva largo nel suo petto. Si fidava di Russell, ma c’era qualcosa che non andava.
La casa dove erano stati invitati era piccola e modesta, una tipica abitazione di campagna con le tendine usurate e perlopiù costruita in legno. Le vere attrazioni in compenso erano la grossa quercia secolare e il pozzo funzionante a pochi metri dal portico.
“Julian, guarda!” disse Rose.
La porta si aprì e sulla soglia comparve una donna ben vestita, troppo elegante per essere una di campagna. Indossava un tubino color rame che si abbinava al rossetto rosso e ai gioielli dorati. La donna sorrise non appena la coppia si fece più vicina.
“Bentornati a casa.”
“E’ un piacere rivedervi.” Sorrise Julian.
Ada Thorne sembrava un miraggio in quella landa desolata.
 
Nadina si svegliò di soprassalto a causa di forti colpi alla porta. Qualcuno stava bussando al suo caravan da almeno dieci minuti.
“Ma che diavolo…”
Tentò di alzarsi ma un braccio sulla vita le impediva ogni movimento. La ragazza con cui aveva passato la notte le si era avvinghiata come una cozza allo scoglio. Con delicatezza si scrollò il braccio di dosso e raccattò i vestiti disseminati qua e là. Una volta rivestita, uscì dal caravan per scoprire che Tom era lì a fumare placidamente.
“Sul serio, Tom? Sono le cinque del mattino! Ti serve qualcosa?”
“Tua nonna vuole che andiamo insieme ai tuoi fratelli al mercato. Pare ci sia una questione da risolvere.”
Nadina maledisse mentalmente sua nonna. La questione da risolvere riguardava un povero venditore del mercato che aveva chiesto un prestito a loro ma che ancora non restituiva. Sua nonna Olga voleva che l’uomo fosse spaventato e si convincesse a ripagare il debito, e ciò significava che i suoi fratelli lo avrebbero pestato a sangue. Lei odiava quelle specie di missioni punitive; non erano nel suo stile.
“Io sono impegnata. C’è una ragazza nel mio letto e vorrei godermi almeno altre due ore con lei. Vai tu con i miei fratelli.”
Tom spense la sigaretta contro il fianco del caravan, incurante dell’alone nero che avrebbe lasciato.
“Hai paura, eh?”
“Io non ho paura di un cazzo. Sai cosa? Vado a mettermi le scarpe e arrivo. Non sia mai che non vengano eseguiti gli ordini della potente e suprema Olga!”
Nadina sbatté la porta così forte che la ragazza si svegliò in preda al panico.
“Nad, va tutto bene?”
“Non va mai bene un cazzo.”
 
 
Rachel ci sapeva davvero fare con la scelta della seta. Aveva trascinato Ariadne in una famosa e costosa boutique per comprare gli abiti in vista della festa di Lady Violet. Mentre Rachel colloquiava con la commessa, Ariadne fissava un punto indefinito della parete. La sua domestica le aveva consigliato di fare un giro al mercato perché qualcuno la stava cercando. Chi poteva essere? L’unico a poterla cercare era Jonah. Forse gli affari stavano andando male, forse a Camden Town c’era stata qualche problema, forse a Birmingham era successo qualcosa.
“Ariadne, stai bene?”
La rossa scosse la testa come a voler scacciare quei pensieri, eppure la preoccupazione le si era incrostata al cervello come ruggine.
“Sì. Stavo pensando che devo passare al mercato a fare compere per la governante.”
Rachel rimase sbalordita. Una signora non andava mai a fare la spesa per la servitù, soprattutto non quando c’era uno stuolo intero di domestiche preposte all’attività.
“Possiamo mandarci una delle ragazze. Non ti devi preoccup-…”
“No! Voglio andarci io! Tutta questa seta mi sta dando alla testa.” Rise Ariadne.
Rachel la prese a braccetto e insieme si allontanarono dalla commessa che intanto cercava altre stoffe.
“C’è qualcosa che non va? Puoi confidarti con me, non riferirò nulla a Mick.”
“C’è una persona che devo incontrare al mercato. Si tratta di affari. Affari della mia vita precedente.”
Rachel le diede una lieve pacca sulla spalla e sorrise, era molto dolce quando le sue guance si gonfiavano in quel modo.
“Andiamo allora! Avrò l’opportunità di intervistare le donne che lavorano al mercato, magari ne verrà fuori un bell’articolo.”
 
Tommy aveva sempre lavorato sodo. Quando aveva tredici anni, suo padre lo aveva mandato a spalare il letame dei cavalli di Charlie Strong, da allora non aveva mai smesso di faticare. Conosceva il lavoro duro e la paga misera, gli orari infiniti, il dolore alle ossa e ai muscoli. Nonostante ciò, la guerra era stata la sua vera fatica immensa. Una fatica da cui la sua mente non si era ancora ripresa e da cui certamente non si sarebbe mai ripresa, neanche in una prossima vita.
“Sei proprio uno stupido! C’era bisogno di rompergli le costole?” diceva Nadina.
Adesso si trovavano al mercato, in procinto di fare qualche affare con i nuovi venditori, ma mezz’ora prima si trovavano dietro un angolo isolato per farsi ripagare un debito. Un povero mercante era stato minacciato e picchiato dai fratelli di Nadina, alla fine gli avevano rotto le costole e lo avevano abbandonato lì sanguinante. Tommy si era tenuto in disparte perché, per quanto egoista potesse sembrare, quella non era la sua guerra. Il suo vero nemico era Mick King.
“Sei debole, Nadina. Nonna si vergognerebbe di te!”
“Intendi la stessa donna che affida a me i suoi conti perché voi siete troppo stupidi per occuparvene?”
Nadina era una forza della natura. Tommy in lei ci rivedeva molto sua sorella Ada, stesso caratterino e stessa opposizione alla famiglia.
“Sei una femmina, sei brava solo con le carte. Siamo noi maschi che facciamo il vero lavoro.”
Se c’era una cosa che Nadina odiava più tutto di tutto era la sicurezza con cui i suoi fratelli la screditavano per il solo fatto di essere una donna. Nonostante a guidare la loro famiglia fosse sempre stata una donna – nonne, madri, figlie – gli uomini continuavano a sottovalutarle.
“Quando un giorno sarò a capo della famiglia, voi due sarete cacciati.”
“Continua a sognare, sorellina.”
Tommy, seduto su una panchina nei pressi del porto, si mise una sigaretta in bocca e cercò nelle tasche come accenderla. Ogni suo tentativo fallì quando al mercato arrivò una macchina lussuosa guidata da un’autista con divisa e cappello.
Il mondo smise di girare quando Ariadne scese dall’auto.
 
Ariadne si guardava attorno ma non vedeva altro che bancarelle e venditori. La folla si accalcava al centro del mercato per accaparrarsi l’offerta migliore.
“E’ qui la persona che devi incontrare?” indagò Rachel.
“No…o forse sì. Lo capirò quando…”
E fu allora che lo vide. Avrebbe riconosciuto quegli occhi fra mille. Sebbene avesse i capelli più lunghi e la barba, il suo sguardo era quello di sempre. Era Tommy. Ed era vivo.
“Ariadne, stai piangendo?”
Ariadne non si era accorta che un paio di lacrime le avevano bagnato le guance. Per mesi aveva creduto che Tommy fosse morto, lo aveva esplodere insieme alla barca. Invece sembrava che per una volta la vita avesse deciso di farle un regalo.
“Ascoltami, Rachel, devi distrarre Andrew mentre io…concludo l’affare.”
L’autista, infatti, le stava fissando dal cofano della macchina. I suoi occhi aquilini non le mollava un secondo. Mick gli aveva di certo ordinato di non perderle mai di vista.
“Non ti lascerà sola, lo sai. Andrew è fedele solo a mio fratello.”
Ariadne, che aveva letto tutte le avventure di Sherlock Holmes e conosceva un paio di utili trucchetti, fece l’occhiolino alla cognata.
“Andrew, accompagna la signorina Mick a fare la spesa. Io non mi sento tanto bene, resterò in auto.”
Andrew assottigliò gli occhi per studiare Ariadne come fosse una cavia da laboratorio. Notando l’espressione contrita e il pallore del viso, decretò che la signora stava davvero male.
“Restate in macchina e non scendete per nessun motivo. Io e la signorina faremo il più in fretta possibile.”
Ariadne in cuor suo rise perché Andrew era tanto muscoloso quanto stupido. Il pollo perfetto da spennare, come avrebbe detto Eric.
“Ti ringrazio.”
 
Tommy per qualche secondo temette che fosse un sogno. Ariadne era comparsa nella soffusa luce del sole come una visione. Bella come una dea, e altrettanto irraggiungibile.
Osservò la scena e vide che era in compagnia di una ragazza e dell’autista, probabilmente entrambi legati a Mick. Poi Ariadne si staccò dal gruppo e andò a sistemarsi in auto, massaggiandosi le tempie come se avesse mal di testa.
“Tom, andiamo?” lo richiamò Nadina.
Tommy distolse lo sguardo da Ariadne solo per voltarsi in direzione di Nadina, che canticchiava masticando uno stuzzicadenti.
“Io torno a piedi. Ho voglia di camminare.”
“Ci metterai due ore per arrivare al campo!” obiettò la ragazza.
“Torno a piedi.” Ribadì lui.
Nadina scosse la testa, non capiva perché quel tizio fosse tanto scontroso.
“Fa come vuoi.”
Nadina e i due fratelli salirono a bordo di un camioncino sgangherato con la marmitta che strisciava sull’asfalto mentre sfrecciava verso la periferia.
Finalmente solo, Tommy si fiondò dall’altra parte del mercato.
 
Si incontrarono a metà strada. Tommy afferrò la mano di Ariadne e la trascinò in un vicolo stretto e lontano dal mercato, lontano da occhi e orecchie indiscreti.
Il sollievo di Ariadne fu immenso. Per un attimo credette di sognare: stentava a credere che Tommy fosse lì, vivo e vegeto, a pochi passi da lei. Per settimane aveva pensato e ripensato a lui, alla barca che prendeva fuoco, alla fine della loro libertà. E invece eccoli, l’uno di fronte all’altra, un po’ ammaccati ma vivi, e soprattutto insieme.
“Sei vivo! Tu…tu sei vivo!”
Ariadne si lanciò addosso a Tommy e lo strinse così forte che quasi gli bloccò il respiro. Per un momento fu come tornare a respirare, l’aria che tornava a turbinare nei polmoni, il torace che si espandeva ad ogni respiro.
Tommy ricambiò l’abbraccio affondando il naso in quei ricci rossi che gli erano mancati. Chiuse gli occhi e si abbandonò a lei. Sentì che esisteva solo lei, così vera e solida fra le sue braccia. Non importava il passato, Birmingham, Mick, la sua presunta morte. Contava solo lei.
“Ariadne, così mi strozzi.”
Ariadne si tirò indietro con uno scatto e fece scivolare le mani sulle spalle di Tommy con un movimento fluido.
“Oh, scusa. Scusami…io…è solo che…non credevo che ti avrei più rivisto.”
“Lo so. Ma sono qui adesso.” La rassicurò Tommy.
Ariadne all’improvviso aggrottò le sopracciglia. Presa dalla foga di riaverlo fra le braccia, si era scordata le domande fondamentali.
“Com’è possibile? E la tua famiglia? Perché sei a Londra? che ci fai al mercato?”
Tommy rise e ringraziò che Ariadne non avesse perso la sua sete di curiosità. Anche lei era cambiata, la pelle era più pallida e le guance più scavate, sembrava che non dormisse da secoli.
“Sono caduto in acqua e ho perso i sensi. Una barca mi ha trovato nel canale fuori Birmingham e mi ha salvato. Sono saltato giù dalla barca di Charlie Strong prima che esplodesse. In guerra ero un esperto di bombe, diciamo che me la so cavare.”
“Non hai avvertito la tua famiglia? Saranno in pena per la tua scomparsa.”
“No. preferisco che mi credano morto. Essere una fantasma ha i suoi vantaggi.”
Ariadne gli afferrò il viso con entrambe le mani e lo fissò negli occhi, in quegli occhi azzurri in qui aveva imparato ad annegare senza paura.
“Tu non sai quanto sono felice. Sono stata così male perché ti credevo morto. Non ho mangiato e non ho dormito per giorni.”
“Si vede, non hai una bella cera.” Disse Tommy.
“Non sono cose che si dicono ad una signora!” scherzò Ariadne.
“Signora King…suona proprio male.”
Ariadne smise di ridere. Quel titolo, quel cognome, era un macigno che si portava dietro tutti i giorni e che non la faceva respirare.
“A ciascuno la propria condanna.”
Tommy si appoggiò con la schiena alla parete del vicolo ed emise un sospiro, era stanco e felice al tempo stesso. Con Ariadne di mezzo aveva capito che le emozioni erano in continuo subbuglio e lui non poteva arrestarli in nessun modo.
“Hai ragione.”
Ariadne gli toccò di nuovo la guancia per accertarsi che fosse reale, che non fosse un fantasma. Notò che la barba di Tommy alternava fili neri e fili grigi, era lunga e disordinata. Era bellissimo, proprio come se lo ricordava.
“Perché sei rimasto a Londra? potevi nasconderti altrove.”
“Sono rimasto per te. Dovevo trovarti perché tu sei l’unica che può aiutarci a uscire da questa situazione del cazzo. Tu sei quella più vicina a Mick, ai suoi affari e ai suoi segreti.”
“A proposito di segreti, ho scoperto che Mick un tempo è stato sposato.”
Tommy assorbì quelle informazioni e si sfregò le mani come se avesse davanti agli occhi un succulento piatto di arrosto con patate.
“Ottimo. Possiamo cominciare da qui. Dobbiamo usare qualsiasi mezzo contro Mick.”
“Io avrei un paio di idee.” Disse Ariadne.
“Spiegami queste idee.”
La ragazza si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e iniziò a camminare avanti e indietro, seguendo il flusso dei suoi pensieri.
“Dobbiamo dividerci i compiti: io cerco informazioni sulla moglie e tu sul figlio. Sono una donna e non posso entrare nell’ufficio militare senza una buona scusa. E poi sono sciura che se andassi a fare domande su Leonard, qualcuno avvertirebbe Mick.”
“Anche se vai al convento potrebbero avvisare Mick.” Obiettò Tommy.
“Non se ci vado sotto mentite spoglie. Il vecchio Sherlock Holmes ci insegna l’arte della finzione!”
Tommy ricordava bene tutte le volte che lui e Ariadne avevano messo in piedi un bel siparietto per dare retta a Sherlock Holmes. Rise al ricordo di quando avevano finto di avere dieci figli pur di entrare nel locale di Byron Davis.
“Va bene, faremo come dici tu.”
Ariadne aprì la bocca per lo stupore. Si portò addirittura le mani sul cuore come se fosse stata appena trafitta da una freccia in pieno petto.
“Non ti opponi? Di solito dici che le mie idee sono stupide.”
“Ho capito che oppormi a te e alle tue idee non serve, tanto alla fine fai sempre di testa tua.”
Tommy ammirava l’indipendenza di Ariadne, anche se a volte le causava guai. Non era una che si piangeva addosso e si sedeva buona buona in un angolo. Anzi, lei era una che lottava con le unghie e con i denti fino alla fine.
“Mi piace questa nuova versione di te pacata e propensa all’ascolto.” Lo derise Ariadne.
Tommy avrebbe voluto dirle che si comportava così solo con lei, che ascoltava solo le sue idee poiché quelle degli altri gli interessavano meno di zero. Ma non lo disse perché a parlare di sentimenti non era bravo. Poi un dettaglio attirò la sua attenzione: sulla guancia di Ariadne campeggiava un alone giallastro che era la palese traccia di un livido.
“Come vanno le cose a casa?”
Ariadne si coprì quel segno con la mano e abbassò lo sguardo per la vergogna. Lei che era sempre forte e vivace si era lasciata picchiare come un sacco di farina. Conosceva quel meccanismo secondo cui le vittime di violenza domestica incolpano se stesse, lo aveva vissuto in passato con sua madre e adesso lo sperimentava sulla propria pelle. Sapeva che non era colpa sua, eppure la sua mente le sussurrava sempre ‘’se solo fossi più forte’’.
“Botte e insulti non mi spaventano. Me la so cavare.”
Tommy le sollevò il mento e alla luce del sole si accorse di altri lividi in via di guarigione. Il dolore era sottopelle ma era visibile. E lui lo odiava.
“Quel bastardo la pagherà cara, te lo giuro.” Disse Tommy.
Poi la tirò in un altro abbraccio, le dita che si incastravano fra i ricci, il naso che le sfiorava la guancia. Ariadne si abbandonò per un istante a quel calore, poi si ritrasse e annuì come a darsi coraggio. Non credeva alle promesse, credeva soltanto nelle sue capacità di sopravvivenza.
“Prima troviamo un modo per colpirlo perché grazie agli Scuttlers e a mia madre è molto forte. Inoltre, ha anche iniziato a stringere alleanze con i politici. Pesto tutta Londra cadrà nelle sue mani.”
Tommy un tempo aveva tentato di conquistare la capitale e sapeva che per farlo bisogna scendere a patti con la feccia dell’umanità. Se davvero Mick si era avvicinato alla politica, era pieno di inimmaginabili risorse.
La Torre rintoccò le undici del mattino. Di sicuro Nadina si aspettava che Tommy tornasse a momenti, quindi doveva sbrigarsi per non destare sospetti.
“Io adesso devo andare. Poi ti racconterò della gente presso cui alloggio. Quando ci rivedremo?”
“Incontriamoci fra due giorni al British Museum a mezzogiorno in punto. Ricordi il giardino dove ci siamo visti dopo la mostra?”
“Certo.”
Ariadne sorrise, era stata la prima volta che si erano parlati davvero. Da allora non si erano più lasciati.
“Adesso scappo anche io prima che l’autista si accorga della mia assenza.”
Ariadne fece per voltarsi quando Tommy l’agguantò per il braccio e la tirò a sé. I suoi occhi vagarono sul viso della ragazza, lo sguardo d’ambra, le lentiggini, e infine sulle labbra.
“Mi baci o vuoi continuare a fissarmi?”
Tommy alzò gli occhi al cielo e stava per risponderle per le rime, ma lei era stanca di quella attesa ed entrò in azione. Circondò la nuca di Tommy con le mani e fece incontrare le loro labbra in un bacio lento e passionale, si avvertivano la mancanza e la rabbia, l’amore e la disperazione.
“Mi sei mancata.” Sussurrò Tommy.
“Lo so.”
Ariadne ridacchiò e gli fece la linguaccia, dopodiché si dileguò veloce come il vento.
 
Per fortuna Ariadne era tornata in auto pochi minuti prima di Andrew e Rachel. L’autista le aveva lanciato un’occhiata come se sapesse che lei fino ad allora era stata altrove, ma era la moglie del suo capo e non fece parola.
Venti minuti dopo Rachel e Ariadne varcarono la porta di casa a braccetto, la prima con un nuovo articolo in cantiere e la seconda con un nuovo obiettivo da portare a termine.
“Dove sono tutti?” esordì Rachel.
In effetti la cucina era vuota, così come i corridoi e il giardino. Sembrava che la servitù fosse svanita nel nulla. Dal salotto proveniva un vociare concitato e allegro.
“Signore, vi prego di seguirmi.”
Le due ragazze sussultarono quando il maggiordomo sbucò di colpo. Indossava il suo completo buono, quello per le cerimonie e gli eventi importanti. Ariadne ebbe un fremito lungo la schiena, un brutto presentimento si stava formando nella sua mente.
Il maggiordomo aprì le porte del salotto e con un mezzo inchino invitò le signore ad entrare.
“Oh, eccovi finalmente!” esclamò Mick contento.
Seduti a bere whiskey e a mangiare biscotti, c’erano Mick e un giovanotto baffuto. Il suo naso somigliava a quello delle maschere della peste con quel naso lungo e ricurvo; sembrava un corvo pronto a beccare il fegato di qualche cadavere.
“Chi è il nostro ospite?” chiese Ariadne.
Mick e il Corvo si alzarono, erano alti uguale ma il secondo era snello come un ramo di albero.
“Vi presento Caesar Osborne, membro dell'Unione Britannica dei Fascisti*. E’ una delle personalità politiche più in vista al momento.”
Un fascista. Ariadne tutto si era aspettata, che fosse un mafioso o un ladro o un semplice truffatore, e invece quello era un fascista. Sentì il sangue che le ribolliva nelle vene per il disgusto; a stento trattene un conato di vomito.
“E’ un piacere conoscervi. Sono onorato.” Disse Caesar.
Rachel si fece più vicina ad Ariadne, le loro mani di sfioravano adesso. Era un muto supporto, come a dire ‘siamo insieme e possiamo farcela’.
“Come mai siete venuto a trovarci?” indagò Ariadne.
Mick la fulminò con gli occhi, non era quello il modo di trattare un ospite, come se fosse immondizia da buttare via subito.
“Vostro marito mi ha invitato a conoscere voi e vostra cognata.”
Caesar fece scorrere il suo viscido sguardo su Rachel, la guardò su e giù come fosse un prelibato pezzo di prosciutto.
“Ah, sì? Vi interessa il suo viaggio in India?”
Il tono di Ariadne era ironico, era palese che quell’uomo fosse interessato a tutt’altro fuorché al soggiorno indiano.
“Il signor Osborne è qui per chiedere la mano di Rachel.” Spiegò Mick compiaciuto.
Gli occhi di Rachel subito si riempirono di lacrime, eppure non pianse. Negli aveva imparato a non cedere davanti al fratello meschino.
“Ma io non lo conosco!”
“Mick, che stai combinando?” domandò Ariadne furiosa.
Caesar fece un passo in avanti con le mani sollevate in segno di resa. Ariadne afferrò il polso di Rachel e insieme indietreggiarono.
“Tu non toccherai Rachel con quelle sudice mani!”
“Adesso basta! Ariadne, smettila.” Tuonò Mick.
“Stai vendendo tua sorella al miglior offerente come fosse un quadro all’asta! Ti rendi conto? Perché diavolo lo stai facendo?”
“Non sono cazzi tuoi. Io sono l’uomo di casa e comando io!”
“Ma…”
Mick infilò una mano nei capelli di Ariadne e le tirò indietro la testa con una forza tale che le fece scricchiolare le ossa del collo.
“Rachel sposerà Caesar. E tu, cara mogliettina, vedi di fare la brava perché la prossima volta ti staccherò i ricci uno a uno.”
 
“Non sei furbo come credi.”
Tommy non sollevò lo sguardo perché sapeva che a parlare era stata Nadina. Si trovavano al campo, avevano finito di cenare e tutti si dedicavano alle ultime faccende prima di coricarsi. Tommy stava riparando un cesto di vimini che l’indomani sarebbe servito per la pesca.
“Di che stai parlando?”
Nadina si sedette a gambe incrociate davanti a lui e buttò giù un sorso di vino direttamente dalla bottiglia.
“Oggi ti ho visto al mercato con quella rossa. Era impossibile non notare quella donna con quei capelli.”
Tommy avrebbe voluto risponderle che sì, era difficile non notare Ariadne. Non solo per i suoi ricci di fuoco, ma soprattutto per la sua esplosiva personalità che sembrava invadere l’aria intorno a lei.
“Mmh.”
“Non fare ‘mmh’ a me, bello. Sputa il rospo! Chi è la donna?”
“Una persona dal mio passato.” mormorò Tommy.
“Sicuro? Dato il vostro bacio non credo che sia proprio passato…” rise Nadina.
“Fai la spiona adesso?”
“In realtà sì. Era strano che tu volessi farti la strada a piedi, così ho deciso di seguirti per capire cosa stessi facendo. Lo sai che non ci piacciono i bugiardi.”
Tommy mise da parte il cesto ormai riparato e si accese una sigaretta. Avrebbe voluto dissolversi come la cenere, sarebbe stato tutto più facile.
“Lei non è un problema. Anzi, è la persona di cui mi fido di più.”
“Quindi sei innamorato di lei. E non è una domanda, è una affermazione.”
“E’ complicato.” Rispose Tommy.
“Deve essere complicato altrimenti non è amore.” Disse Nadina.
“Tu che ne sai dell’amore? Hai venti anni e cambi ragazza ogni settimana.”
Nadina gli diede un pugno sul braccio, sebbene sapesse che era la verità. Non si era mai legata a nessuna ragazza per paura. Gli zingari sono nomadi, non mettono mai radici, e innamorarsi a di fuori del gruppo è impossibile.
“Ne so abbastanza da riconoscerlo quando lo vedo. Però lei non è tua moglie, vero?”
“Lei è…non lo so neanche io.”
Tommy sospirò e si passò la mano destra fra i capelli. Spesso aveva meditato sul rapporto con Ariadne. Non erano sposati, non erano fidanzati, ma non erano neanche amici. Amanti forse? Alleati? Qualunque parola sembrava inutile per definire il loro legame.
“Secondo me lo sai, però hai paura di ammetterlo perché a quel punto diventerebbe vero.”
“Che filosofa.” Commentò Tommy.
Nadina si alzò e bevve altro vino. Aveva le guance rosse e un sorriso birichino.
“Io sarò pure una filosofa, ma tu sei qualcun altro.”
“E chi sarei io?”
“Tommy Shelby.”
 
 
Salve a tutti! ^_^
Finalmente la coppia si è ritrovata, chissà cosa succederà adesso!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
*Era il vero nome del partito fascista inglese fondato da Mosley.

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Capitolo 4
*** A carte scoperte ***


4. A CARTE SCOPERTE

"Anche quando disertano l'inferno, gli uomini lo fanno solo per ricostruirlo altrove."
(Emil Cioran)
 
Il giorno dopo
Ariadne si era svegliata alle cinque del mattino per mettere in atto il suo piano. Dopo l’incontro con Caesar Osborne aveva passato ore a consolare una Rachel distrutta. I matrimoni combinati erano una sventura che Ariadne conosceva bene, dunque si sentiva in dovere di stare accanto alla cognata. Proprio per questo non poteva lasciare Londra e andare in cerca dell’ex moglie di Mick. Aveva trascorso l’intera nottata a fissare il soffitto e a spremersi le meningi, ma alla fine aveva trovato la soluzione. Ecco perché andò dritta in camera di Lily, la domestica che le aveva riferito che al mercato qualcuno la cercava, e la svegliò senza troppe cerimonie.
“Lily! Sveglia, su! Su!” le sussurrò all’orecchio.
“Che c’è? Che succede?” rispose Lily allarmata.
La ragazza si mise velocemente seduta sul letto, i lunghi capelli sciolti le cadevano sulle spalle come un mantello, e si stropicciò gli occhi assonnati.
“Ho un compito per te. E’ molto importante.”
“Di che si tratta, signora?”
Ariadne si sedette accanto a lei e le mise una mano a coppa sull’orecchio in modo da poterle parlare senza essere ascoltata minimamente.
“Devi andare al convento di Lanhearne in Cornovaglia a cercare la precedente moglie di Mick.”
“Come, prego?”
Ariadne in quel momento doveva sembrare una svitata. Avanzare quella richiesta era azzardato, ma era l’unico modo per indagare su Mick senza allontanarsi dalla città.
“Ho detto che devi andare al convento di Lan…-“
“Questo l’ho capito. Non capisco perché devo cercare quella donna.” La interruppe Lily.
“Perché ho bisogno di mettermi in contatto con lei per motivi che a te non interessano.”
“Il signor King lo sa?”
Ariadne aggrottò le sopracciglia, era estenuante essere sempre ostacolata da un uomo.
“Non lo sa. E ti pagherò bene per mantenere il segreto. Chiedi qualsiasi cifra, sarà tua.”
Lily ci pensò su perché in effetti era una proposta niente male, del resto non era mai stata in Cornovaglia.
“A che ora parte il treno?”
“Alle sei e un quarto. Ti darò i soldi per comprare i biglietti di andata e ritorno e anche per prenotare una stanza in una pensione. Hai due giorni di tempo. Dirò io alla governante che hai la febbre e sei tornata a casa.”
“Va bene. Lo farò.”
 
Il giorno dopo
Mick leggeva il giornale mentre sorseggiava il tè. Il cipiglio sul suo volto era così evidente che la notizia che stava leggendo doveva averlo fatto innervosire.
“Che c’è, è crollata la borsa?” scherzò Ariadne.
Se Mick era preoccupato, allora lei doveva conoscere la fonte della sua preoccupazione per ogni eventuale attacco contro di lui. Conosci ogni debolezza del tuo nemico, diceva sempre suo fratello Eric.
“Ieri sera i comunisti hanno fatto saltare in aria la sede in costruzione del partito fascista.”
Il Partito Comunista di Gran Bretagna (*questo il nome completo del partito comunista) era nato nel 1920 e da allora aveva avviato azioni sovversive in diverse città del paese. I membri in Parlamento concludevano poco e niente, la vera lotta si teneva in strada.
“E’ morto qualcuno?” domandò Rachel.
“C’è solo una vittima, probabilmente è il segretario del partito. Può darsi che ora quel ruolo spetti a Caesar Osborne.”
La soddisfazione di Mick era tale che Ariadne sentì il sangue rimbombare nelle orecchie per la rabbia.
“Oppure fanno saltare in aria anche Osborne.”
“Osborne non morirà, io non lo permetterò. Lui mi serve.”
Ariadne addentò un biscotto e gli lanciò un’occhiata di sfida. Se voleva giocare, lei avrebbe giocato senza regole.
“A te servono soldi e supporto, e si sa quanto sia ricco e influente il partito fascista di questi tempi.”
“Ricchezza e potere sono le vere essenze della vita.” replicò Mick.
“Anche morire è essenziale.” Lo minacciò Ariadne.
La conversazione fu troncata dall’arrivo di Andrew. Non disse una parola, fece solo un cenno col capo e Mick si alzò in piedi come se avesse ricevuto un ordine.
“Io starò tre giorni fuori città. Andrew verrà con me, dunque voi potrete chiedere a Matthew di essere accompagnate dove volete. Mi raccomando, Ariadne, non combinare guai.”
Ariadne alzò le mani in segno di resa ma dentro di sé stava ridendo perché Mick le aveva appena servito tre giorni di libertà su un piatto d’argento.
“Rachel, ti va di andare a trovare Lady Violet?”
 
Tommy se ne stava seduto a sorseggiare whiskey alle sette del mattino. Davanti a lui c’era Olga che affondava le dita nei fondi del tè per leggere il futuro. Nel mentre Nadina era l’unica che stava facendo colazione, una vera con latte e pane.
“Che cosa dicono le carte, nonna? Diventerò milionaria?”
Olga aveva l’espressione lugubre, la lettura non era andata come sperava. Tommy conosceva abbastanza bene quell’arte, sua madre era ne esperta, al contrario di Polly che era capace di comunicare con gli spiriti.
“Vedo un’aquila. E’ l’unica immagine chiara. Il resto è tutto sfocato.”
“Con le aquile non si campa.” Blaterò Nadina.
Tommy scrollò la cenere sull’erba – erano seduti fuori al caravan – e pestò le scintille col piede.
“Allora, come fate a conoscere la mia vera identità?”
Nadina intinse l’indice nei fondi del e tracciò un segno su una pietra, era un doppio cerchio con al centro un puntino.
“Perché io ti conosco da quando sei bambino. Io e tua madre un tempo eravamo amiche. Lei era la cugina del mio defunto marito.”
Tommy non ricordava Olga, neanche sforzando la memoria. Casa Shelby era sempre piena di gipsy, amici o familiari che fossero, e lui da piccolo non aveva mai fatto attenzione ai loro volti.
“Potevo anche essere Arthur o John.”
“Arthur è più grande di te e John è morto. Sono ben informata.” Disse Olga.
“Un anno fa abbiamo incontrato Esme.” Spiegò Nadina.
Tommy osservò di nuovo il disegno del doppio cerchio e nella sua mente balenò un’immagine simile. Ricordò che un tempo anche sua madre aveva visto lo stesso simbolo nei fondi del caffè.
“Che significa quel simbolo?”
“Due destini che si incrociano poiché avranno la stessa fine.”
“Si riferisce a te e alla rossa focosa.” Lo prese in giro Nadina.
Gli occhi di Olga scattarono su Tommy, quasi sembrava volesse scavargli nell’anima.
“Una rossa? Nei miei sogni ho visto una ragazza dai ricci rossi, camminava fra uccelli morti ed era ricoperta di sangue.”
“Bevi troppo whiskey, nonna.” sospirò Nadina.
Tommy era un gipsy, era cresciuto credendo ad ogni storia della tradizione zingara. Se una donna anziana del gruppo aveva una visione, questa si avverava sempre.
“Credo sia il momento che conosciate la mia alleata.”
 
Ariadne arrivò al British Museum giusto in tempo per i rintocchi di mezzogiorno della Torre. Aveva lasciato Rachel da Lady Violet ed era sgattaiolata via dal giardino sul retro per non farsi vedere dal lacchè di Mick che le aveva accompagnate.
Dopo aver pagato il biglietto, si inoltrò nel museo per dirigersi nell’area isolata dell’edificio che si apriva su un ampio spazio verde. L’ultima volta che era stata lì si faceva chiamare Judith, lavorava come sguattera in una bettola e studiava arte; gli anni più felici della sua vita.
“Credevo ti fossi persa.” Esordì una voce profonda.
Tommy era seduto alla panchina – l’unica, quella su cui si era seduti in passato – e stava staccando i petali di una povera rosa bianca.
“Non è facile seminare i tirapiedi di Mick. Inoltre, non ho molto tempo.”
Ariadne si accomodò sulla panchina e tirò un sospiro di sollievo, era bello potersi riposare dopo aver corso da un capo all’altro della città.
“Ho scoperto che il figlio di Mick è in congedo per malattia. Non ti sembra strano?”
“Proprio adesso suo figlio si ammala. Che bizzarra coincidenza.” Disse Ariadne.
Tommy gettò la rosa senza petali nella piccola fontana a forma di vaso e si accese una sigaretta, sebbene fosse vietato fumare e vi fosse un cartello a ricordarlo.
“Tu che hai scoperto?”
“Sulla moglie ancora nulla, la mia domestica ci sta lavorando in questo momento. Ho dovuto mandare lei in Cornovaglia altrimenti un mio allontanamento sarebbe risultato sospetto.”
“Una vera criminale.” Commentò Tommy.
Ariadne lo fulminò con gli occhi. Si alzò in piedi e si mise le mani in tasca, doveva camminare per ragionare.
“Però c’è una novità: Mick ha combinato un matrimonio fra sua sorella e un tale Caesar Osborne, un membro del partito fascista.”
Tommy si bloccò con la sigaretta a mezz’aria, sorpreso da quella novità.
“Mick sta puntando sempre più in alto. A cosa gli serve il partito fascista? Non penso voglia candidarsi.”
“Non si vuole candidare. Pare che voglia conquistare tutto e tutti.” Disse Ariadne.
“Sta costruendo un vero impero.”
“Ma perché? Ha un reale motivo oppure vuole solo fare il gradasso?”
Tommy soppesò la risposta e dovette ammettere che neanche lui ne aveva idea.
“Secondo me c’è dell’altro sotto. Dobbiamo solo capire cos’è per toglierci di mezzo Mick una volta per tutte.”
Ariadne si risedette con uno sbuffo. C’erano tante domande e nessuna risposta; o meglio, nessuna risposta chiara. Più scavavano e più la situazione si faceva torbida.
“Tra l’altro, oggi Mick è partito per chissà dove e resterà per tre giorni fuori città. Entrerò nel suo studio e cercherò fino a quando non avrò trovato qualcosa di utile.”
“Come pensi di entrare? I suoi uomini sorvegliano la casa e lo studio sarà di certo chiuso a chiave.”
Ariadne sollevò un sopracciglio e lo guardò con aria di sufficienza. Per una che aveva mentito sulla propria identità per anni era uno scherzo superare una porta chiusa.
“Quando lavoravo al Mayfair, ho scassinato la cantina per vendere una bottiglia di vino al doppio del prezzo. Mi servivano i soldi per pagare l’affitto.”
“Saresti stata perfetta per i Peaky Blinders.” Ridacchiò Tommy.
“Io sono perfetta per qualsiasi cosa, mio caro.”
“Ascolta, Ariadne…io vorrei presentarti delle persone che potrebbero aiutarci. E’ la gente con cui sto da quando sono a Londra. Stasera riesci a uscire?”
“Sì, ce la posso fare. Dove ci vediamo?”
“A Yellow Camp, alle spalle del mercato del pesce. Alle nove.” Disse Tommy.
Ariadne avrebbe dovuto escogitare una fuga con i fiocchi. Per fortuna non c’era Andrew, ma comunque la casa era accerchiata dagli Scuttlers di guardia.
“Facciamo alle dieci, prima devo liberarmi della servitù e delle guardie.”
Tommy annuì, nella sua mente già immaginava il piano folle che la ragazza stava ideando. Per essere così giovane era dotata di una straordinaria intraprendenza.
“Va bene.”
Ariadne d’improvviso gli strinse la mano e fece incastrare le loro dita; combaciavano alla perfezione.
“Ne verremo mai a capo, Tom?”
Tommy le cinse le spalle con un braccio e la strinse a sé. Le diede un leggero bacio sulla testa.
“Tra poco saremo liberi. Te lo prometto.”
E rimasero così, abbracciati e in silenzio, fino a quando la Torre non segnò le tredici. Allora si separarono con uno sguardo che silenziosamente diceva ‘io ti troverò ancora’.
 
Erano le dieci in punto quando Ariadne arrivò a Yellow Camp di corsa. Aveva il fiatone e le gambe bruciavano per la corsa, ma era strafelice di essere riuscita sgattaiolare via dalle guardie per la seconda volta.
“Così tu saresti la rossa di Tom.” Esordì una voce dal buio.
Ariadne si fermò e si guardò intorno, ma non vide altro che oscurità. Poi dal nulla venne fuori una ragazza, era minuta, capelli neri e camminata baldanzosa.
“Il mio nome è Ariadne.”
“Io sono Nadina. E comunque ‘rossa’ mi piace di più. Dai, vieni.”
Ariadne la seguì in silenzio. Imboccarono una stradina sterrata che portava ad un immenso campo costeggiato da mucchi di girasoli, ragion per cui si chiama Yellow Camp. Disseminati qua e là c’erano una ventina di caravan. Sedie, tavoli e poltrone malconce riempivano il piazzale. Un grande fuoco al centro del campo era accerchiato da tanti piccoli fuochi che ardevano ai piedi dei caravan; ciascuna famiglia aveva il proprio focolare. Intorno al falò centrale gravitavano una cinquantina di persone, uomini e donne, anziani e giovani, adolescenti e bambini. Tutti indossavano abiti gitani, cantavano e ballavano, alcuni parlottavano fra loro, altri bevevano e giocavano a carte.
“Il tuo fidanzatino è lì.” Disse Nadina.
Ed eccolo Tommy, con la sigaretta all’angolo della bocca, un bicchiere in mano, mentre giocava a dadi con due ragazzi che sembravano colonne di marmo per quanto erano possenti.
Tommy si girò per un secondo e vide che Ariadne lo stava salutando con la mano.
“Io mi ritiro. Ho degli affari da sbrigare.”
“Quell’affare lo condividi?” lo incalzò il fratello di Nadina.
Tommy si avvicinò al ragazzo e si abbassò a parlargli all’orecchio.
“Non osare parlare di quella donna mai più, altrimenti ti staccherò le corde vocali e la voce non ti servirà più.”
Nel frattempo Ariadne si era avvicinata e ora si trovava ad un metro dal tavolo da gioco.
“Ciao, Tom. Ti devo parlare.”
Tommy lanciò un’ultima occhiataccia al fratello di Nadina e si allontanò insieme ad Ariadne. Andarono a sedersi ai margini del campo, sul tronco di un albero abbattuto e disteso a terra. Tommy accese l’ennesima sigaretta e buttò fuori il fumo in una nuvoletta bianca.
“Che succede?”
“Sono andata nello studio di Mick – sì, ho scassinato la porta – e ho scoperto che ha acquistato due biglietti per Boston, uno per sé e uno per il l’autista. Che cosa ci potrebbe essere a Boston?”
“Soldi, alcol, droga, corruzione. In America c’è tutto quello che vuoi.” Rispose Tommy.
“Ma uno come Mick andrebbe fino a lì per quale motivo? Lui non è uno che fa le cose a caso. Se è andato lì deve esserci un valido motivo.”
“Boston è immensa e c’è tanta gente di merda. Mick potrebbe fare affari con chiunque.”
Intanto dal campo proveniva la musica di un violino. Olga si era messa al centro e aveva iniziato a suonare mentre la folla si riuniva per assistere allo spettacolo.
 “Che canzone è?” chiese Ariadne curiosa.
Una bambina si affiancò a Olga suonando il tamburello, insieme stavano creando una melodia armoniosa e dal ritmo fluente.
“E’ una ballata gitana. Racconta di Jasmina, una zingara che ha perso suo figlio. Jasmina inizia ad aiutare tutti i bisognosi che incontra, sia gitani sia non gitani. Una notte le appare una fata e le dice che lei ha un buon cuore, così diventa la madre di tutti i bambini del mondo e ogni notte vola di carovana in carovana per proteggerli e benedirli.” *.
“E’ bellissima.” Mormorò Ariadne ammaliata.
Alla melodia adesso si era aggiunta la voce di una donna che raccontava in musica la storia di Jasmina. Si stringeva nelle spalle, lo scialle con le frange che abbracciava la sua figura, mentre girava lenta su se stessa. Era un canto sofferto e dolce, morte e amore insieme.
“Ari, stai piangendo.” Disse Tommy.
Ariadne si asciugò alla sventa le lacrime, si era commossa e non era riuscita a frenare l’emozione.
“E’ meraviglioso.”
Tommy guardò Ariadne, il modo in cui le fiamme del falò le arrossavano i capelli ancora di più; era come ammirare un tramonto incendiato. L’avrebbe guardata per sempre.
“Già, è meraviglioso.”
Ariadne si voltò e vide che Tommy era perso a guardarla. Quel complimento era riferito a lei, il che la fece sorridere.
“Ti manca la famiglia, Tom?”
“Sì, soprattutto i bambini. Ma tornerò a casa solo quando avrò risolto questa questione. Certi conti vanno chiusi prima di tornare. E tu?”
“Mi manca la mia famiglia. Non so nulla di Eric e Julian. Ho lasciato che fosse Jonah ad occuparsi di lui e degli affari di Camden Town in mia assenza.”
“Tornerai a casa dopo?”
Ariadne deglutì, era un argomento spinoso che voleva evitare di affrontare. Eppure Tommy la fissava come se volesse strapparle una risposta con le proprie mani.
“Quale casa? A Birmingham per me non c’è niente. I miei fratelli se la sanno cavare, e del resto entrambi hanno una famiglia di cui occuparsi. Non mi va di essere la zia che si occupa dei nipoti perché è zitella. Ho altri progetti.”
“Quali?” indagò Tommy.
“Prima mi libero di Mick e di mia madre, poi te ne parlerò.”
Tommy si limitò ad annuire, un groppo gli si era formato in gola. Resta con me, non te ne andare. Questo avrebbe voluto dirle, invece si accese la centesima sigaretta e alzò gli occhi alla luna.
“Girano delle voci sull’attacco al partito fascista. Voci interessanti.”
Ariadne distolse lo sguardo dai festeggiamenti per focalizzarsi su Tommy.
“Quali voci?”
“A quanto pare non sono stati i comunisti. Il fratello di Nadina dice di conoscere uno dei colpevoli. Dice che si tratta del membro di una banda.”
“Tu conosci questa banda?” domandò Ariadne a bassa voce.
“No. Però credo che Olga, la donna che nuova il violino, sappia qualcosa. Ha fatto una faccia strana quando il nipote ha menzionato questa banda.”
“Andiamo a parlare con lei!”
“No, Ariadne! Aspet-…”
Le parole di Tommy caddero a vuoto mentre Ariadne marciava in direzione di Olga.
 
Nadina stava chiacchierando con una ragazza – la biondina figlia di uno dei venditori del marcato – quando vide Ariadne che puntava verso il suo caravan a passo spedito.
“Scusami, tesoro, ma adesso devo andare.”
“No! E la nostra serata speciale?” si lamentò la biondina.
Nadina odiava disdire un appuntamento, soprattutto dopo aver faticato tanto per corteggiare la ragazza. Dunque sospirò e poi sorrise.
“Ci vediamo fra un’ora al deposito di tuo padre e avrai la tua serata speciale.”
La ragazza ridacchiò tutta rossa in viso e si allontanò quasi saltellando di gioia. Nessuna resisteva al fascino di Nadina.
“Dov’è tua nonna? Le devo parlare.” Disse Ariadne concisa.
“Non credo pro…”
“Sono qui.” Annunciò Olga.
Ariadne la salutò con un cenno del capo, una sorta di riverenza data l’età e l’importanza della donna all’interno della comunità gitana.
“Ho bisogno di parlare con voi. E’ urgente.”
Tommy raggiunse le tre donne pochi secondi dopo. Il silenzio era piombato sul trio mentre attendevano la risposta dell’anziana.
“Hai i capelli rossi.” Costatò Olga.
“Già. Mia madre dice che sono il simbolo del demonio.” Disse Ariadne.
“Tua madre si sbaglia. Sono simbolo di forza e di potere. Il rosso è un colore importante.”
“Voi non avete i capelli rossi ma avete comunque forza e potere.”
Olga sogghignò, quella ragazza sfacciata sapeva come conquistare il suo pubblico.
“Vieni, andiamo a parlare in privato.”
 
Ariadne si pentì di non aver portato con sé una sciarpa, a quest’ora non starebbe battendo i denti per il freddo. Sono all’incirca le due del mattino, è buio e tira una brezza gelida. Olga l’ha fatta accomodare su un vecchio sedile sfondato a pochi metri dal campo. Tommy e Nadina sono rimasti in piedi, come due guardiani a protezione della torre.
“Di cosa vogliamo discutere?” iniziò Olga.
Ariadne cercò di sistemarsi meglio ma ogni tentativo era uno spreco di energie. Si riavviò i ricci che il vento le spostava sul viso e si preparò a parlare.
“So che vostro nipote conosce chi ha attaccato il partito fascista. Vorrei sapere il suo nome.”
“Perché mai?”
“Perché mio marito è in affari loschi con i fascisti e voglio capire il perché. Se qualcuno ha fatto esplodere la sede del partito, potrebbe anche voler fare esplodere casa mia.”
Olga distese le dita piene di anelli e afferrò le mani di Ariadne. Chiuse gli occhi e con i pollici sfregò le nocche della ragazza.
“Possiamo fidarci di te.”
“Sul serio?!” sbottò Nadina allibita.
“Sì. Io non sbaglio mai.” Sentenziò Olga.
Ariadne annuì e scoccò un’occhiata trionfante a Tommy, che le restituì lo sguardo complice.
“Quindi posso conoscere il nome di quell’uomo e della banda a cui appartiene?”
“L’uomo si chiama Luke Jones, è un membro dei Mowers.” (* Mowers in italiano significa Mietitori, nome inventato da me)
“Mai sentita nominare questa banda. La conoscete?”
“Io no.” disse Tommy.
“Neanche io.” gli fece eco Nadina.
Olga guardò i tre davanti a sé, erano ancora giovani rispetto a lei e molta storia criminale neanche la conoscevano.
“Il capo della banda è un tale Tyler Nolan. Nessuno di voi lo conosce perché Tyler ha settanta anni e si è ritirato da molti anni.”
“Beh, a quanto pare è tornato in pista.” Disse Ariadne.
“Qualcosa o qualcuno lo ha spinto a tornare.” Spiegò Olga.
Un dubbio si fece largo nella mente di Ariadne e si espanse come l’ombra sul sole.
“Questo potrebbe c’entrare con Mick?”
“Tu credi?” fece Tommy.
“Pensaci: esplode la sede di Caesar Osborne, il nuovo alleato di Mick. E non ti sembra strano che Mick si partito proprio dopo l’esplosione? Sono coincidenze strane.”
“Non conosco bene Nolan. Abbiamo solo fatto un lavoretto per lui anni fa.” Disse Olga.
“Che lavoretto?” chiese Tommy.
“Dovevamo rapinare un banchiere. Abbiamo concluso il lavoro, ci siamo presi la nostra fetta d soldi e ce ne siamo andati. E’ stato un affare veloce.”
“Questo tizio potrebbe avercela con i fascisti?” domandò Nadina confusa.
“Tutti odiano i fascisti.” Disse Ariadne.
“Nonna, vieni! Victor vuole che gli leggi i fondi!” la richiamò uno dei nipoti.
Olga scattò in piedi come una molla, gli occhi che rilucevano di gioia alla solo menzione della lettura.
“Ora vi saluto. Se avrete bisogno di me, mi troverete qui.”
“Vi ringrazio infinitamente.” Disse Ariadne con un sorriso.
“Io torno alla mia serata. Addio!” li salutò Nadina.
Rimasti soli, Ariadne si abbandonò ad un sospiro carico di angoscia. Un gufo bubolò nel buio, il suo sguardo dorato seguiva la luna con estrema attenzione.
“Io devo tornare a casa prima che qualcuno si accorga della mia assenza.” Disse Ariadne.
“Ti accompagno io.” si offrì Tommy.
 
“Dobbiamo cercare informazioni su Tyler Nolan.”
Tommy camminava con le mani in tasca e il naso rivolto all’insù. Londra di notte aveva una sua magia, era silenziosa e luminosa, era un mondo a parte. Imboccarono Trafalgar Square, la piazza era uno spettacolo di luci soffuse e cavalli che si sentivano scalpitare in lontananza.
“Mi metterò subito sulle sue tracce. Tu, intanto, cerca tra le scartoffie di Mick.”
“Lo farò. Secondo me tutto è connesso.”
Proseguirono in silenzio, camminando vicini, ognuno perso nei propri pensieri. Ad un certo punto Tommy si accorse che Ariadne era sparita.
“Ariadne?”
“Sono qui!”
La ragazza stava camminando sul bordo di una delle tante fontane di Trafalgar Square. Si reggeva in perfetto equilibrio mentre canticchiava a bassa voce. Un lampione illuminava la sua figura, i ricci rossi sembravano finissimi filamenti di rame lucente, i suoi occhi ambrati erano oro liquido. Sembrava di ammirare un dipinto vivente.
Tommy avvertì quella fitta che lo colpiva ogni volta che c’era Ariadne di mezzo. Cominciava a temere che fosse amore. Amore puro.
“Vuole scendere, signorina? Prima di rompersi l’osso del collo.”
“Come siete romantico, signore.”
Tommy allungò la mano e Ariadne la strinse, scese dalla fontana e finì dritta fra le sue braccia.
“Hai intenzione di andartene quando sarà tutto finito, vero?”
Ariadne abbassò lo sguardo, quella sembrava tanto un’accusa.
“Adesso sono qui. E’ tutto ciò che conta.”
Tommy le sollevò il mento e con le dita le accarezzò il naso, la bocca e il collo fino a posare la punta dell’indice sul cuore della ragazza. Batteva così forte che lo fece sorridere.
“Ah, allora qui dentro c’è un cuore che batte.”
“Credevi non ci fosse?” ridacchiò la ragazza.
“Dipende per chi batte.”
Ariadne fece roteare gli occhi e afferrò Tommy per il colletto della camicia.
“Lo sai benissimo che batte per te.”
Dopodiché lo baciò. Tommy fece scivolare le mani sui fianchi della ragazza e la strinse a sé fino a sentirsi ebbro del suo profumo. Affondò poi le dita nei sui ricci, le spinse la testa all’indietro e approfondì il bacio.
“Non te ne andare.” Sussurrò Tommy.
Ariadne serrò le dita sul colletto della camicia quasi potesse aggrapparsi alla stoffa per non annegare. Non poteva fargli quella promessa. Non poteva rinunciare alla propria libertà.
“Adesso sono qui.”
Tommy l’abbracciò forte, voleva sentirla fra le sue braccia, voleva sentirla fin dentro le ossa. Appoggiò la fronte sulla sua spalla e chiuse gli occhi. Per la prima volta dopo tanto tempo si stava abbandonando ai sentimenti, si stava affidando ad Ariadne.
 
Ariadne sorrise guardando la sua mano stretta in quella di Tommy mentre camminavano. Pochi metri e sarebbe tornata a casa, o meglio al suo inferno personale.
“Quindi il nostro punto di ritrovo è il campo?”
“No, è troppo lontano per te da raggiungere. Ci vediamo sempre al museo. Domani pomeriggio alle cinque?”
“Domani alle cinque.” Confermò Ariadne.
Tommy si fermò qualche passo dopo e diede uno sguardo ai dintorni, non sia mai che qualcuno vedesse la signora King girovagare di notte con uno sconosciuto mano nella mano.
“Ti lascio qui, ma aspetto che entri in casa prima di andarmene.”
“Allora buonanotte, Tom.”
Ariadne gli diede un bacio sulla guancia e uno sulla bocca a stampo, poi gli sorrise un’ultima volta e svoltò l’angolo.
 
“Signora King! Signora King!” bisbigliava qualcuno.
Ariadne aprì gli occhi e con disappunto sull’orologio a pendolo lesse che erano le cinque del mattino; a stento aveva dormito tre ore.
Il suo sonno era stato disturbato da diversi colpi alla porta e da una voce femminile. Si alzò, si infilò la vestaglia da camera e andò ad aprire. Sulla soglia c’era Lily con gli abiti da viaggio e la valigia in mano.
“Lily, sei già di ritorno?”
Ariadne controllò il corridoio e tirò dentro la domestica, che quasi inciampò nel tappeto a causa del peso del suo bagaglio.
“Signora, sono tornata prima perché in Cornovaglia non c’era altro da fare.”
“In che senso?”
Lily depositò la valigia a terra e si massaggiò il braccio, aveva camminato per due giorni senza sosta e aveva riposato soltanto sul treno.
“La precedente moglie del signor King non sta più al convento. La settimana scorsa un’auto è andata a prelevarla e di lei non si è saputo più nulla. Quando la madre superiora ha cercato di capire cosa stesse succedendo, l’uomo alla guida le ha lasciato una busta di soldi ed è sparito con la signora in macchina.”
“Le suore ti hanno saputo dire altro?” domandò Ariadne.
“Sono preoccupate per la loro consorella perché è malata di polmoni e non regge viaggi lunghi. Secondo loro l’uomo in questione è irlandese, lo hanno dedotto dall’accento.”
Ariadne cercò di mettere insieme i pezzi di quel puzzle senza senso: un uomo irlandese conosce il convento dove è stata confinata l’ex moglie di King, va in Cornovaglia e la porta chissà dove; inoltre, la donna è malata e soffre le lunghe distanze.
“Un irlandese…che strano.”
“Una delle suore mi ha riferito un dettaglio: l’uomo aveva un fucile tatuato sul braccio destro.”
Ariadne sbarrò gli occhi a quella rivelazione. Era un dettaglio fondamentale perché adesso sapeva che l’uomo apparteneva all’IRA. Adesso le opzioni erano due: o Mick era alleato dell’IRA o era una loro vittima.
“Grazie, Lily. Ora puoi andare. Sei stata di grande aiuto.”
La domestica fece un piccolo inchino, recuperò il bagaglio e uscì dalla stanza quasi senza farsi sentire.
Ariadne si sedette alla toilette e scrisse una lettera.
 
Tommy si stava preparando per la pesca quando Nadina irruppe nel suo caravan senza neanche bussare.
“Un ragazzino ha consegnato questa per te.”
La lettera era ben sigillata dalla ceralacca, indice che chi l’aveva scritta voleva che il contenuto restasse segreto fino all’apertura. Tommy strappò la cera e la carta senza troppe cerimonie.
Tom, è Ariadne che scrive. La mia domestica è tornata dalla Cornovaglia con una notizia inaspettata: un uomo ha portato via l’ex moglie di Mick. La notizia scioccante è che l’uomo è un membro dell’IRA. Credi che Mick sia loro alleato? Oppure è un loro nemico? Forse Mick non è andato in America, ma piuttosto potrebbe essere andato chissà dove per recuperare la donna. E se fosse toccato lo stesso destino al figlio?
In attesa di rivederci domani e di parlarne di persona.
Un abbraccio. Tua, Ariadne.
“Che c’è scritto?” curiosò Nadina.
Tommy ripiegò alla svelta la lettera e se la infilò in tasca. Con l’IRA di mezzo i giochi diventavano più pericolosi.
“Guai molto grossi in vista.”
 
Salve a tutti! ^_^
Il mistero si infittisce, ops…
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
* E’ una favola antica rom.

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Capitolo 5
*** Patto di sangue ***


5. PATTO DI SANGUE

"Questo è ciò che potrebbe essere l'inferno: una piccola chiacchierata al mormorio del Lete riguardo ai bei tempi andati, quando preferivamo essere morti."
(Samuel Beckett)


Il giorno dopo
Rachel non aveva resistito. Intorno alle quattro e un quarto del pomeriggio aveva visto Ariadne sgattaiolare via da sola. Lo aveva fatto anche la sera precedente. Dove andava? Per scoprirlo Rachel aveva deciso di seguirla. Alla fine erano arrivate al British Museum alle cinque in punto. Ariadne era entrata e non era ancora uscita.
Mentre scrutava intorno a sé in cerca di indizi sulle attività segrete della cognata, notò una ragazza seduta sulle scale che fumava e si godeva il sole.
“Hai ancora molto da fissare?”
Rachel sussultò al suono rude di quella voce. La ragazza sulle scale adesso la stava guardando con un sopracciglio inarcato.
“I-o…beh…non…vi stavo…fissando…”
“Stavi solo ammirando la mia bellezza.”
Rachel arrossì così tanto che quasi le andarono a fuoco le orecchie. Ogni volta che si ritrovava in quella situazione emergeva quella parte di sé che da anni tentava di soffocare.
“Perdonatemi, signorina. Sono stata maleducata.”
La ragazza si alzò, spense la sigaretta sotto la scarpa e si avvicinò a lei. Odorava di mare e di alcol, era un miscuglio stranamente piacevole.
“Io sono sempre maleducata! Comunque, piacere, io sono Nadina Iliescu.”
“Iliescu? Non siete inglese. Da dove venite?”
“Sono una gipsy. Sono nata in Romania ma vivo in Inghilterra da dieci anni.”
Rachel studiò meglio la ragazza e si accorse dei tratti scuri che marcavano la sua bellezza gitana: capelli neri, occhi neri, folte sopracciglia, zigomi spigolosi.
“Io ho sempre voluto visitare la Romania! Nel vostro paese ci sono spunti di riflessioni per ogni tipo di articolo.”
“E come si chiama la nostra scrittrice?” chiese Nadina.
“Rachel King, il piacere è tutto mio.”
Le due si strinsero la mano e Nadina col pollice sfiorò le nocche di Rachel.
“King, eh? Mai sentito. Tu scrivi, ho capito bene?”
Rachel ritirò la mano e sorrise con imbarazzo, nessuno le chiedeva mai dei suoi interessi a parte Ariadne.
“Sì, io scrivo. Sono una giornalista più o meno. Sapete, essendo una donna è molto difficile essere assunta da un vero giornale. Io scrivo come freelance e sotto pseudonimo.”
“Che donna incredibile.” Si complimentò Nadina.
“Oh, no…le donne incredibili sono altre! Io sono…Rachel.”
“Questo può bastare, credimi. Ti va una tazza di tè, Rachel?”
“Molto volentieri.”
 
Ariadne e Tommy entrarono nella Sala 4 e superarono un gruppo che stava ascoltando la guida. Si ritrovarono davanti al busto di Ramses II, un pezzo enorme rinvenuto a Tebe e portato a Londra nel 1861.
Ariadne si soffermò sui tratti del busto, sul copricapo del faraone, sul taglio degli occhi e delle labbra.
“Si dice che Ramses abbia amato per sempre la sua prima moglie Nefertari. Il sole stesso splendeva per amore di lei.”
“Sei anche esperta di faraoni?” la punzecchiò Tommy.
Ariadne gli diede una leggera gomitata e rise, poi gli fece cenno di proseguire la visita.
“Per i miei undici anni Eric mi regalò un libro sull’antico Egitto. C’era un’illustrazione di Nefertari, ed era così bella e maestosa. Desideravo essere come lei, una regina immortale. Anni dopo ho realizzato che al massimo posso essere la sguattera di corte.”
“Tu sei più di questo. Puoi essere quello che vuoi.” Disse Tommy.
“Magari nella prossima vita, dato che in questa esistono mia madre e Mick.”
Si fermarono qualche istante ad ammirare la collezione di gioielli antichi, alcuni dei quali erano stati recuperati durante gli scavi archeologici nelle aree delle tombe egiziane.
“A proposito, hai scoperto altro sull’ex moglie di Mick?”
“No, solo quello che ti ho scritto nel biglietto.”
Ariadne si mise a braccetto con Tommy e lo trascinò verso la teca che conteneva un’antichissima corona.
“Stavo pensando che Mick sta adottando una strategia.”
“Sarebbe?”
Tommy la spinse verso un angolo isolato della Sala, lontano da persone che potessero udirli.
“Si sta difendendo. L’ex moglie viene portata via dal convento. Il figlio viene richiamato dal fronte. Mick parte per un viaggio misterioso in America. Tutto accade nel giro di una settimana. E’ una chiara strategia di difesa.”
Ariadne doveva ammettere che quel ragionamento aveva senso. Mick stava ritirando dalla partita tutti i suoi giocatori.
“Si sta difendendo da qualcosa…o da qualcuno.”
“Esatto. Ma da chi?”
“La lista di nemici è infinta quando sei a capo di una gang.” Disse Tommy.
“Ma questo nemico spaventa Mick al punto di prelevare l’ex moglie che non vede da anni.”
Lasciarono la Sala 4 e si diressero al giardino botanico dove si incontravano di solito. Quel martedì, essendo mattina, c’era poca gente e poterono sedersi alla solita panchina.
“E se tuo fratello Eric sapesse qualcosa? In fondo è lui che conosce bene Mick.”
Ariadne si alzò, non riusciva a stare seduta e per riflettere aveva bisogno di camminare su e giù. Un pensiero le frullava in testa.
“C’è una persona che conosce Mick meglio di tutti noi: mia madre.”
“Te la senti di affrontarla?” domandò Tommy.
“Posso farcela.”
 
Ariadne e Rachel rincasarono in tempo per il tè. La governante aveva già apparecchiato la tavola con tre tazze. Ariadne notò subito quel dettaglio e rimase bloccata sulla porta con la bocca semiaperta.
“Abbiamo ospiti?”
“C’è vostra madre in salotto.” Spiegò la governante.
Che strano, pensò Ariadne. Nel momento in cui cercava sua madre, questa era magicamente comparsa a casa sua. Lei e Tommy avevano ragione sul ritenere che ci fosse davvero qualcosa sotto.
“Ariadne, vieni!” la richiamò Rachel.
Ariadne entrò in salotto con la schiena dritta e la testa alta, non voleva mostrarsi fragile agli occhi velenosi della madre.
“Salve, madre.”
Marianne Evans sedeva all’angolo del divano in tutta la sua austerità. Abito nero, scarpe lucide, capelli raccolti in uno chignon strettissimo, espressione arcigna.
“Ariadne, ti trovo…bene.” mentì la donna.
“Perché sei qui? Che sta succedendo?”
Dal corridoio emerse Mick, bianco in volto e con l’espressione di un cane bastonato. Si avvicinò a Marianne, insieme sembravano una coppia dell’orrore.
“Vieni nel mio studio, Ariadne. Dobbiamo parlare.” Disse Mick.
 
Ariadne era irrequieta sulla poltrona. Quella imbottitura di solito era comoda, ma in quel momento sembrava di essere seduta su rovi di spine. Marianne prese posto accanto a lei e Mick si sedette a capo dello scrittoio.
“Parlate pure alla condannata a morte.” Esordì Ariadne.
“Non fare la sciocca, per cortesia.” La rimproverò la madre.
Mick si appoggiò allo schienale e incrociò le mani sotto il mento, non era mai sembrato tanto turbato come in quel momento.
“C’è una persona che ci sta creando molti problemi.”
“E io cosa c’entro con Tyler Nolan?” la buttò lì Ariadne.
Marianne e Mick si guardarono sconvolti, non si aspettavano che lei citasse quel nome.
“Tu conosci Nolan?”
“Io conosco molte persone, tra queste alcune mi hanno riferito che c’è Nolan dietro l’attacco al partito fascista.”
Mick si passò le mani sulla faccia, pareva invecchiato di cento anni.
“Nolan è un uomo pericoloso, Ariadne. Sono andato in America per mettere al sicuro i nostri conti. Lui gestisce molte banche in Inghilterra, i nostri soldi non erano al sicuro.”
“Nostri?” gli fece eco Ariadne.
“Mick ha trasferito anche i nostri conti.” Spiegò Marianne.
Ariadne si mise a ridere. Era divertente e terrificante al tempo stesso che suo marito – spostato per un matrimonio combinato – avesse pensato di salvare i soldi della famiglia Evans.
“Quindi Nolan è il lupo cattivo? Invece noi siamo persone tanto oneste e innocenti.”
“Misericordia…” mormorò Marianne infastidita.
“Nessuno è il cattivo della propria storia. In questo caso noi siamo gli eroi.” Disse Mick.
Ariadne accavallò le gambe e incrociò le mani sullo stomaco, non smetteva di ridere.
“Che eroi del cazzo. Per colpa nostra l’eroismo morirà.”
“Taci!” sbottò Marianne.
“Madre, hai bisogno di una camomilla? Posso chiedere ai miei uomini di Camden Town di preparare un carico speciale per te.”
Marianne la fulminò con lo sguardo, cosa che da piccola la terrorizzava al punto da farle rizzare i peli sulle braccia, mentre adesso la faceva ridere ancora di più.
“Sei una disgraziata. Non meritavo una figlia come te.”
“Basta! Pensiamo agli affari.” disse Mick.
Arianne spostò lo sguardo su di lui e provò pena per un uomo il cui unico interesse erano i soldi. Mick era così spaventato di perdere i suoi guadagni che addirittura aveva invocato l’aiuto di Marianne.
“Che cosa volete da me?”
“Per prima cosa ti raccontiamo come stanno le cose. Marianne, prego.”
Marianne fece una smorfia, avrebbe preferito camminare sui carboni ardenti anziché parlare con la figlia. Ma si trattava di affari e suo marito le aveva insegnato che per quelli si doveva sempre scendere a patti.
“La storia è questa…”
 
Trenta anni prima
Philip Evans beveva allegramente in compagnia di Eugene King e Tyler Nolan. I tre erano amici dai tempi della Prima Grande Guerra, erano partiti insieme ed erano tornati dal fronte insieme. La guerra li aveva uniti come fratelli, sebbene non vi fossero tra loro legami di sangue.
“Come stanno le famiglie?” domandò Philip.
“Ieri Mick ha compiuto cinque anni e gli ho regalato un trenino.” Disse Eugene.
Tyler si versò da bere e tracannò l’alcol in un colpo solo, sentiva già l’ebbrezza farsi strada nel suo corpo.
“E adesso come mangerete tu e la famiglia? Siamo tutti dei morti di fame.”
La guerra li aveva lasciati poveri come erano partiti. Una volta tornati a casa il Governo li aveva congedati senza uno spicciolo, erano caduti in miseria così come erano sempre stati.
“Andrò a spalare merda per Charlie Strong, inizio domani.” Rispose Eugene.
“Charlie Strong è uno stronzo che paga poco.” Si lamentò Philip.
“Almeno tu campi con i soldi della famiglia di Marianne.” Disse Tyler.
Mentre Eugene aveva Mick e Tyler aveva Alexander, Philip e sua moglie avevano adottato in gran segreto il figlio della cognata Doris e i nonni provvedevano per il bambino.
“Sì, ma la grana voglio portarla io a casa. Sono un uomo, cazzo!”
I tre amici si misero a ridere e buttarono giù altro alcol. Le poche sterline che avevano guadagnato ben presto finirono sprecate in whiskey e sigarette.
“Ho un’idea!” esclamò Tyler, ormai ubriaco.
“Sentiamo la stronzata.” Disse Eugene.
Tyler si alzò e tirò fuori dalla tasca un coltellino, lo depose sul tavolo e si abbassò per parlare agli amici da vicino.
“Siamo fratelli, amici miei. Siamo una cazzo di famiglia, e le famiglie si proteggono a vicenda. Facciamo un patto di sangue che ci unirà per sempre. Fino alla morte.”
“Fino alla morte!” giurò Philip.
“Fino alla morte!” promise Eugene.
 
“…e così quella sera fecero un patto di sangue. Ma le cose andarono diversamente: Eugene andò a lavorare presso lo zuccherificio e morì nell’incendio che distrusse la fabbrica; tuo padre Philip creò i Blue Lions; Tyler, deluso dall’abbandono dei suoi migliori amici, si trasferì a Londra e diede vita al primo circolo sportivo per ricchi e nel frattempo si dedicava alla malavita.”
Ariadne conosceva la storia dei genitori di Mick, conosceva suo padre e immaginava che Tyler fosse invischiato da tempo nei malaffari.
“Quindi Eugene si è ripulito mentre mio padre e Tyler si sono dati al crimine. E quindi? Ancora non capisco.”
“Un anno fa il figlio di Tyler è morto durante un incontro illegale di boxe.” Disse Mick.
“Nolan vuole che lo aiutiamo a vendicare il figlio?” chiese Ariadne.
Mick abbassò la testa e sospirò, sembrava sull’orlo delle lacrime.
“Lo ha ucciso uno dei miei. Nolan vuole vendicarsi di me.”
“E vuole vendicarsi anche di te dato che sei sua moglie.” Aggiunse Marianne.
“E dato che i nostri padri hanno spezzato il legame di sangue.” Disse Ariadne.
“Capisci, Ariadne? Abbiamo bisogno l’uno dell’altra.” La supplicò Mick.
“Mi obblighi ad un matrimonio combinato, mi riempi di botte e di minacce, uccidi l’uomo che amo, e adesso chiedi il mio aiuto? Sei patetico!”
“Il nostro matrimonio è stato stabilito anni fa!”
“Come, scusa?”
Mick guardò Marianne e con gli occhi la invitò a raccontare tutta la storia, anche le parti più oscure.
“Quando sei nata tua, i vostri padri hanno deciso che un giorno vi sareste sposati.”
“Che schifo! Quando sono nata Mick aveva già dieci anni! E poi, sul serio ventiquattro anni fa è stato deciso questo matrimonio? Follia! Pura follia!”
Ariadne si sentì come una bambola di pezza che passava di mano in mano. La sua vita non era mai stata davvero sua, era sempre stata di qualcun altro che aveva fatto le scelte per lei.
“Quel patto di sangue…”
“Quel patto di sangue è una stronzata! E mentre i nostri padri giocavano a fare gli organizzatori di matrimoni, Tyler si è sentito abbandonato e si è incattivito. Ecco il risultato delle vostre azioni!”
Ariadne si alzò e uscì come una furia dallo studio, sbattendo la porta così forte da far cadere un vaso di fiori. Si sentiva come quei cocci di vetro a terra: spezzata, incapace di riunire i pezzi.
 
Ariadne si stava togliendo le scarpe quando Marianne fece irruzione nella sua stanza. In mezzo al candore dei mobili sembrava un corvo nero.
“Sei venuta a farmi la ramanzina?”
“Ariadne, la nostra famiglia è in pericolo. Devi dirmi dove hai nascosto i tuoi fratelli.”
“Lontani da te e al sicuro.” Replicò Ariadne.
Con Eric in Svizzera e Julian in Irlanda poteva almeno non preoccuparsi della famiglia. Aveva chiesto soldi in prestito ad Alfie Solomons per sistemare i fratelli e, sebbene avesse contratto un debito per farlo, era contenta che fossero al sicuro.
“Non credere davvero che le cose sfuggano al mio controllo. Io so che a Camden Town continuano a produrre e a smerciare alcol illegale. Gli uomini di Solomons sono ancora sotto il tuo comando. La settimana scorsa il tuo cagnolino, quel tale Jonah, ha incontrato Byron Davis per vendergli l’ennesima cassa di alcol.”
Ariadne sorrise e scrollò le spalle, lieta che il suo fedele braccio destro badasse agli affari per lei. Aveva lasciato Birmingham ma non aveva lasciato la sua vita.
“Come mai Enea Changretta non si è ancora intromesso nell’affare? Ormai la città appartiene a lui.”
“Perché ad Enea non interessano quattro spiccioli che provengono dalla vendita di alcolici. Lui punta alle grandi fabbriche e agli aristocratici, e ci sta riuscendo. Sta conquistando Birmingham mattone dopo mattone. Intanto gli Shelby annaspano e i Peaky Blinders sono alla deriva.”
Marianne parlava con una tale sicurezza che Ariadne sin da bambina invidiava. Lei era sempre stata piena di insicurezze, non era mai stata abbastanza, e sua madre aveva contribuito ad alimentarle.
“Vuoi che faccia un applauso ad Enea?”
“Voglio che tuo fratello Eric torni a Birmingham e si riprenda il potere. E perché ciò avvenga tu devi collaborare con Mick per occuparti di Nolan.”
“No. Eric e Julian restano fuori da ogni discussione.” Disse Ariadne.
“Sciocca ragazza. Credi davvero di poter fare tutto tu? Sei solo una bambina che gioca a fare l’adulta.”
“Sono una donna che sa quello che vuole e fa di tutto per ottenerlo.”
Marianne sorrise, quel sorriso meschino che sfoggiava quando stava per insultarla.
“Oh, sei così tenera quando ostenti sicurezza e coraggio. Sei come un insulso moscerino che viene schiacciato prima di volare.”
Ariadne rimase ferita ma non lo diede a vedere. Nonostante fossero passati anni, sua madre la odiava come il primo giorno. Niente avrebbe mai potuto cambiare quel sentimento.
“Facciamo un patto: tu mi lasci in pace per sempre e io metto i Blue Lions nelle tue mani, diventerai la regina della città.”
“E come farai a liberarti di Changretta?”
“Me la vedo io. Ci stai o no?”
Ariadne allungò la mano e Marianne a fissò come fosse un arto mozzato. Poi raddrizzò la schiena e strinse la mano della figlia con vigore.
“Ci sto.”
 
“Quindi Nolan vuole uccidere te e Mick perché i vostri padri hanno infranto un patto di sangue vecchio di trent’anni?”
“E la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la morte di Alexander per mano di un uomo di Mick.”
Ariadne notò l’espressione sgomenta di Nadina, la ragazza possedeva grandi capacità espressive.
“Che casino.” Commentò Nadina.
“E il patto con tua madre?” chiese Tommy.
Ariadne aveva raggiunto Yellow Camp dopo la mezzanotte e per fortuna aveva trovato Tommy ancora sveglio che districava le reti per la pesca del giorno dopo. Adesso sedevano tutti i tre nel caravan di Nadina e si aggiornavano sulle ultime novità.
“Lei mi lascia in pace a patto che io la metta a capo dei Blue Lions. Per farlo dovrò trovare un modo per liberare Birmingham da Enea Changretta.”
“La mia famiglia non permetterà mai che tua madre si prenda la città.” Disse Tommy.
Ariadne gli lanciò uno sguardo torvo, era scontato che lo sapesse. Nella sua mente aveva tenuto conto di tutto.
“Lo so. Fidati di me, ho un piano.”
“Allora mi devo preoccupare.” Disse Tommy.
Nadina rise e controllò l’ora, dunque si infilò la giacca e si avvicinò alla scaletta del caravan.
“Io vi saluto. Passerò la notte fuori, perciò potete restare qui a ordire piani malvagi. Tom, ci vediamo all’alba alla barca.”
Tommy annuì e con un cenno della mano salutò la ragazza che corse via prima di essere scoperta dalla nonna.
“Perché ti fai chiamare Tom? Credevo di essere l’unica a chiamarti così.”
“Perché, quando mi sono svegliato dopo essere stato ore in acqua, l’unica cosa che ricordavo era una ragazza dai capelli rossi che mi chiamava Tom. Per i primi giorni la memoria andava e veniva, poi si è ristabilita.”
“Sarebbe bello poter dimenticare tutto.” Sospirò Ariadne.
Tommy aprì uno sportellino e tirò fuori una bottiglia di rum, poiché Nadina non beveva whiskey, e stappò il tappo senza fatica. Si attaccò direttamente alla bottiglia per bere.
“Se tu potessi, ricominceresti tutta la tua vita daccapo?”
Ariadne gli tolse la bottiglia dalle mani e bevve un sorso che le bruciò la gola, il rum non le piaceva affatto; eppure ne bevve un secondo sorso.
“Vorrei ricominciare in un altro posto e in un’altra famiglia, forse allora sarei felice. Tu?”
“Vorrei rivivere tutto fino all’inizio della guerra. Non partirei per il fronte, continuerei a lavorare con i cavalli e con Charlie Strong. Ci penso spesso ultimamente.”
Tommy si portò una sigaretta alle labbra ma non l’accese, la lasciò penzolare all’angolo della bocca.
“Tommy Shelby che vuole una vita tranquilla. Sto forse sognando?” scherzò lei.
“Questa nuova vita, quella di Tom il pescatore, non è poi così male. Non ho una bella casa, non ho vestiti costosi e non ho soldi, ma perlomeno la mia testa è serena.”
Ariadne mandò giù un altro po’ di rum, ne aveva bisogno per affrontare discorsi di quella profondità.
“A me manca la vita semplice Judith. Certo, pulivo i cessi di una bettola, ma ero felice perché potevo studiare e non dovevo temere di essere picchiata per le mie opinioni.”
A quel punto Tommy accese la sigaretta per conforto, fumare era una di quelle abitudini che gli facevano sembrare la vita normale.
“Per stanotte possiamo fingere di essere solo Judith e Tom.”
Ariadne sorrise e scosse la testa, facevano sempre quello stupido gioco di fingere di essere altrove, in una dimensione inesistente ma perfetta per loro.
“E cosa farebbero Judith e Tom insieme?”
Tommy si andò a sedere accanto a lei sul letto di Nadina, una misera branda cigolante e con le reti che sbucavano dal materasso, e le sollevò il mento con le dita. Le accarezzò il contorno delle labbra col pollice.
“Farebbero questo.”
Poi la baciò. Ariadne dapprima rimase immobile, dopodiché si abbandonò a quel tocco e si lasciò trasportare.
“Judith e Tom sarebbero felici, sai.” Sussurrò lei.
Tommy lasciò scivolare le dita lungo il collo della ragazza, era un percorso che conosceva bene e che adorava.
“Sì. In un’altra vita anche noi saremmo felici.”
Ariadne lo spinse sul letto e si mise a cavalcioni, sorridendo con malizia.
“Magari nella prossima vita ci attende l’inferno, almeno sarà caldo.”
“Meglio servire all’inferno che regnare in paradiso.” Replicò lui.
Tommy le alzò la gonna e iniziò a sganciare i lacci che mantenevano le calze. Abbassò ciascuna calza con lentezza, accarezzando ogni centimetro delle gambe e delle ginocchia. Intanto Ariadne lo guardava e sorrideva, per quella notte voleva sentirsi leggera e dimenticare i problemi. Erano di nuovo insieme, questo era tutto ciò che contava.
Ariadne gli sbottonò la camicia e iniziò a lasciare una scia di baci umidi sul petto e lungo l’addome. Arrivata all’orlo dei pantaloni, slacciò la cintura e sciolse il bottone.
“Continuo a credere che tu sia un perfetto soggetto da ritrarre.”
Tommy si sdraiò e si lasciò togliere tutti i vestiti, incurante del letto che cigolava ad ogni movimento.
“Ti piacerebbe ritrarmi nudo?”
La ragazza rise mentre con la punta delle dita seguiva le linee di quel torace muscoloso. Tracciò ogni tatuaggio e ogni cicatrice, anni e anni di storie incise sulla pelle.
“Sarebbe uno studio molto interessante.”
Tommy a quel punto le sfilò la camicetta e le abbassò le corde del reggiseno per baciarle le spalle. Infilò una mano fra i ricci rossi e le tirò indietro la testa per poterle baciare il collo. Ribaltò le posizioni e Ariadne finì sotto di lui, bellissima e completamente sua. Ti amo, avrebbe voluto dirle. Invece, come suo solito, preferì reprimere i sentimenti e lasciare che fossero le azioni a parlare per lui.
Trascorsero così il resto della nottata, fra sospiri di piacere che li portarono oltre il baratro.
 
C’era una cosa che Ariadne rimpiangeva davvero della vita di Judith: l’arte. Da quando era tornata a Birmingham un anno prima aveva pian piano smesso di disegnare, aveva abbandonato la sua grande passione perché fagocitata da quel mondo criminale che l’aveva fatta a pezzi. A volte temeva che non avrebbe mai più recuperato la vena artistica, e questo le spezzava il cuore più di tutto.
“Lo so che sei sveglia.”
Tommy era sdraiato accanto a lei, stava fumando e il lenzuolo gli copriva a stento i fianchi.
“Lo so che lo sai. Stavo pensando.”
“A cosa?”
“A tutto e a niente.”
Ariadne si mise seduta e si passò una mano fra i capelli, quella matassa rossa che sin da piccola la rendeva bersaglio di occhiatacce e insulti. Si allungò per afferrare la bottiglia di rum e ne prese un goccio, giusto per bagnarsi la gola poiché non c’era acqua nel caravan di Nadina.
“Qualcosa ti preoccupa?”
Tommy lo sapeva che Ariadne non si sarebbe sfogata, su questo aspetto erano simili. Loro si tenevano tutto dentro per poter reggere quella vita.
“Devo parlare con Nolan e assicurarmi che non voglia uccidere i miei fratelli. Devo salvare almeno loro.”
Ariadne si girò verso di lui e gli rubò la sigaretta dalle labbra, poi ne prese un tiro. Da quando aveva sposato Mick le era capitato qualche volta di fumare per allentare la tensione.
“Stai facendo troppi accordi, ti seppelliranno prima o poi. E con Nolan non si scherza. Ti ricordo che vuole uccidere anche te.”
Ariadne spense la sigaretta sul comodino sgangherato e gettò a terra il mozzicone, in mezzo ad altri mozziconi abbandonati da chissà quanto tempo.
“Ho una carta da sfruttare con Nolan che potrebbe garantirmi la sua lealtà.”
“Quale?”
Lei non rispose, non voleva condividere quella ‘carta’. Si avvicinò a Tommy e lo baciò con passione per distrarlo. Lui, che era debole quando si tratta di Ariadne, si sciolse come neve al sole. La seguiva e le ubbidiva come un bravo cagnolino.
Quel bacio sapeva di fumo e rum, una combinazione che stava mandando Tommy fuori di testa. Perché lei era così: fuoco e ghiaccio insieme, un mix che gli faceva perdere la ragione.
“Hai ancora voglia?” sussurrò Ariadne.
Tommy scansò il lenzuolo e offrì il suo corpo nudo a lei, offrì tutto se stesso.
“Sempre.”
In pochi minuti si ritrovarono avvinghiati come poche ore prima. Ariadne che si muoveva su e giù come spinta dalle onde. Tommy che le stringeva i fianchi e accompagnava ogni movimento. Ansimavano l’una sulla bocca dell’altro. Le mani si cercavano, gli occhi si guardavano con ardore, le labbra si inseguivano in una seria di baci travolgenti.
Ad ogni spinta il piacere aumentava, era un crescendo di cui non potevano fare a meno.
Ari…Ari…
Ariadne ridacchiò, era così raro ma piacevole vedere Tommy Shelby che si lasciava sottomettere da lei. Ad un certo punto la pressione fra di loro fu tale che lui si lasciò andare ad un gemito gutturale. Poco dopo anche Ariadne lo seguì, la fronte abbandonata sulla spalla di lui.
“Buongi…e che diamine!”
Nadina si coprì gli occhi e corse fuori dal caravan, una smorfia di disgusto a deformarle le labbra.
Ariadne scoppiò a ridere, stava ancora sopra Tommy e con le braccia gli circondava le spalle.
“Ops! Siamo stati beccati.”
“Ci conviene rivestirci.” Disse lui.
Si rivestirono in fretta mentre Nadina aspettava all’esterno con un pasticcino alla panna che si era fermata a comprare sulla via del ritorno. Quando furono pronti, uscirono.
“Buongiorno. Scusa per prima.” Disse Ariadne.
“Non fa niente, però dopo Tom cambierà le lenzuola.” Chiosò Nadina.
Tommy alzò le mani in segno di resa e annuì. Era l’alba, il sole che faticava ad emergere dalla notte. Yellow Camp era immerso nel silenzio, solo gli uccellini erano in procinto di iniziare a canticchiare.
“Ariadne, ti accompagno a casa.”
“Torno da sola, non ti preoccupare. Non vorrei che Mick e mia madre abbiano messo altre guardie per controllare la villa. Non devono sapere che sei vivo.”
“La rossa ha ragione. Questo è un vantaggio che dovete sfruttare.” Disse Nadina.
Tommy tirò fuori una sigaretta e l’accese, incurante dei lamenti dei suoi polmoni.
“Tu hai fatto quella cosa?”
“Oh, sì. Nessuna mi resiste.” Rispose Nadina.
“Quale cosa?” intervenne Ariadne perplessa.
“Una delle cameriere che lavorano per Tyler Nolan compra il pesce al mercato. Nadina si è avvicinata a lei per avere informazioni.”
“Per ‘avvicinata’ intendo che le ho fatto passare una notte indimenticabile.” Aggiunse Nadina.
Ariadne roteò gli occhi e sorrise, quella ragazza era davvero incorreggibile in fatto di conquiste.
Dongiovanna, che cosa hai scoperto?”
“Domani pomeriggio al circolo ci sarà un’importante partita di golf e i soldi andranno in beneficenza. La mia nuova amica potrebbe farci entrare come camerieri, così avreste la possibilità di parlare con Nolan.”
“No.” disse Ariadne.
“No?” ripeté Tom.
“Questa volta non userò nessun trucco alla Sherlock Holmes. Nolan deve sapere che Ariadne Evans vuole parlargli. Entrare nel suo circolo con un travestimento mi farebbe apparire subito ridicola. Deve capire che io non ho paura di lui.”
Tommy serrò le dita intorno alla sigaretta come a voler soffocare la rabbia per il comportamento irriverente di Ariadne.
“Mi sembra sconsiderato.”
“Io sono d’accordo con la rossa.” Commentò Nadina.
“Nolan è un pezzo grosso, non posso comportarmi come una ragazzina. Sono una donna, ho una proposta per lui, e mi presenterò come una sua pari.”
“E’ pericoloso.” L’avvertì Tommy.
Ariadne gli accarezzò la guancia e gli diede un piccolo bacio.
“E’ il momento di agire. Ora o mai più.”
 
Ariadne tornò a casa intorno alle quattro del mattino. Per sua fortuna nessuno aveva spostato la scaletta che le permetteva di entrare e uscire dalla propria camera senza essere vista. Si issò sui pioli usando le mani per aggrapparsi ai lati della scaletta e in pochi secondi si ritrovò in stanza.
“Allora è vero.” Sentenziò una voce.
Ariadne si girò lentamente e vide Rachel seduta sul letto in camicia da notte. Aveva l’espressione sconvolta, quasi stesse parlando con un fantasma.
“Rachel…ehm…io ero uscita a prendere una…boccata d’aria.”
“E per farlo usi la finestra? Per cortesia, non ritenermi una stupida.”
“Mi dispiace. La verità è che sono uscita per quel mio affare di cui mi sto occupando.”
Rachel gettò una rapida occhiata alla porta, temendo che qualcuno potesse ascoltarle, e parlò a bassa voce.
“Lo so che il tuo affare è un uomo.”
“E’ molto più complicato di così.” Ammise Ariadne.
“Io sono qui se vuoi sfogarti. Non dirò nulla a Mick.”
Ariadne effettivamente aveva un peso sul petto che minacciava di schiacciarle i polmoni e di non farla respirare. Di solito si sarebbe confidata con Margaret o con Julian, ma a Londra era sola e quel peso aumentava sempre di più. Rachel era una brava ragazza, il contrario di Mick, e sentiva di potersi fidare di lei.
“Adesso ti racconto tutto.”
 
Salve a tutti! ^_^
E quindi adesso c’è di mezzo anche un patto di sangue, la situazione si fa sempre più pericolosa. Per fortuna Tommy e Ariadne sembrano essersi ritrovati.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

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Capitolo 6
*** Solchi nella pelle ***


6. SOLCHI NELLA PELLE

"La verità è infernale."
(Albert Camus)
 
Due giorni dopo
A colazione sembrava che il gelo siberiano si fosse abbattuto su casa King. A capotavola c’era Mick che imburrava una fetta di pane; alla sua sinistra Marianne si versava il latte nel tè; dall’altra parte Rachel e Ariadne si passavano un piattino di biscotti al miele.
“Ariadne, togli i gomiti dal tavolo. Non sei una troglodita.” Disse Marianne.
La ragazza obbedì, non voleva innescare l’ennesimo litigio. Quando si trovavano nello stesso posto per troppo tempo finiva sempre in una serie infinita di discussioni, e questo succedeva sin da quando era una bambina. Ariadne non era mai all’altezza per sua madre, non sarebbe mai stata buona a nulla e l’avrebbe solo delusa. Negli anni Ariadne era venuta a patti con questa faccenda: non avrebbe mai raggiunto i livelli di perfezione che la madre pretendeva da lei.
“Allora, mia cara, hai pensato alla mia proposta?” domandò Mick.
Ariadne e la madre si scambiarono uno sguardo eloquente, nessuna delle due aveva intenzione di tradire il patto che avevano stretto.
“Potrei accettare a una condizione.”
“Dimmi pure.”
“Voglio che il nostro matrimonio venga annullato.” Disse Ariadne.
Mick depose il coltello da burro e fissò gli occhi neri sulla ragazza. Se avesse potuto, l’avrebbe annienta seduta stante.
“Non è possibile. Lo sai che questo matrimonio rispetta un patto di sangue ed estingue i debiti di tuo fratello.”
“A quanto ammonta il debito che Eric ha con te?”
“A quarantaduemila sterline.” Rispose Mick.
Ariadne non aveva tutti quei soldi. Aveva usato i suoi risparmi per sistemare Eric e Julian. Una parte dei guadagni di Camden Town finivano ad Alfie Solomons e una parte a Byron Davis, a lei arrivava la metà che non bastava a compensare quella cifra.
“Se io riuscissi a restituirti i soldi, annulleresti il matrimonio?”
Mick scoppiò a ridere e bevve un sorso di tè, aveva le lacrime agli occhi per quella offerta assurda.
“Per annullare un matrimonio ci vogliono valide ragioni.”
“Ariadne non può avere figli.” Disse Marianne.
Il tempo sembrò fermarsi d’improvviso. Mick quasi sputò il tè, mentre Rachel rimase col biscotto a mezz’aria. Ariadne si morse l’interno della guancia, non si aspettava che la madre prendesse le sue parti.
“E’ una bugia.” Decretò Mick.
“E’ la verità. Su, Ariadne, diglielo.” Disse Marianne.
Ariadne aprì e chiuse la bocca in preda al vuoto totale. Poi pensò che Mick era un uomo e non aveva idea di come funzionasse un utero, perciò prenderlo in giro sarebbe stato facile.
“Ho una grave malattia all’utero che non mi permette di generare figli.”
Rachel era sull’orlo delle risate. Quella scusa era così stupida che sono un uomo poteva cascarci.
“Per fortuna non voglio avere figli da te.” Mormorò Mick.
“Quindi è una valida ragione per annullare il matrimonio. La chiesa sarà felicissima di sciogliere questa unione che non darà figli alla monarchia.”
Marianne ghignò contro il bordo della tazza, almeno sua figlia era abile a dire le bugie.
“Ci penserò.” Disse Mick.
Ariadne annuì, e in cuor suo sorrise trionfante. Le cose stavano andando secondo i suoi piani.
“Allora io accetto la tua proposta di alleanza contro Tyler Nolan.”
I giochi erano appena iniziati. E lei avrebbe vinto a qualunque costo.
 
“Secondo te dovrei indossare un foulard?” domandò Rachel.
Erano le otto di sera e si era rintanata in camera di Ariadne per prepararsi alla festa di Lady Violet. Aveva indossato un tubino azzurro con le maniche a palloncino che si abbinava al nastro con cui si era legata i capelli in una treccia.
“Ariadne, stai bene?”
Ariadne scosse la testa quando si sentì toccare sulla spalla. Sbatté le palpebre come a voler scacciare i pensieri in cui stava annegando.
“Sì. Stavo pensando a quali orecchini scegliere.” Mentì con abilità.
“Con il tuo vestito ci vedrei bene le perle.”
Ariadne aveva comprato un abito verde smeraldo con le maniche a tre quarti e una cintura di piccole pietre bianche. Scavò nel suo portagioie e indossò un paio di semplici orecchini di perle a bottoncino.
“Signore, l’auto è pronta e Andrew vi aspetta nel vialetto.” Annunciò la governante.
In dieci minuti le due donne si vestirono e sistemarono gli ultimi dettagli, dopodiché salirono in macchina e l’autista guidò verso una delle ville più suntuose di tutta Londra.
 
La calca di donne all’ingresso della villa fece sorridere Ariadne. Lady Violet era una personalità così in vista in città che tutte le donne volevano essere sue amiche ed essere invitate alle sue feste. Secondo alcune indiscrezioni, durante un party era entrata in groppa ad un elefante.
“Il signor King ha ordinato di rincasare prima della mezzanotte.” Disse Andrew.
Ariadne e Rachel stavano ammirando l’edificio e quella frase disturbò l’armonia.
“Decidiamo noi quando la festa è finita.” Rispose Ariadne a tono.
Prese Rachel a braccetto e ridacchiando si accodarono al resto della fila trepidante. Riuscirono ad entrare una decina di minuti dopo aver controllato che i loro nomi fossero in lista.
Il percorso dall’ingresso alla sala da ballo era indicato da petali di rosa blu e piume bianche, nel perfetto stile esuberante della Lady.
“Solo Lady Violet poteva inventarsi una cosa del genere.” Commentò una donna.
“Ci sa davvero fare con le feste.” Aggiunse la sua amica.
Ariadne e Rachel si scambiarono un’occhiata divertita, consapevoli che tutta Londra avrebbe parlato di quella serata.
“Oh, eccovi! Mie adorate amiche!”
Lady Violet se ne stava al centro della sala con le braccia spalancate per accogliere tutte le invitate. Sorrideva e ringraziava, stringeva mani e abbracci.
“Lady Violet, siete splendida.” La salutò Ariadne.
“Mia cara, voi siete quella giovane e splendida.”
“E’ davvero tutto perfetto.” Disse Rachel con un sorriso.
Lady Violet l’abbracciò e le diede un buffetto sulla testa.
“Anche voi siete perfetta, signorina King. Tutte noi donne siamo perfette!”
“Un brindisi alle donne!” gridò una donna dal fondo.
Rapidamente tutte le presenti sollevarono i calici e fecero tintinnare i vetri.
“Alle donne!” esultarono all’unisono.
“Vado ad accogliere le altre. Voi mettetevi comode, tra poco inizia lo spettacolo.”
Mentre Lady Violet andava a stringere altre mani, Rachele e Ariadne si guardarono intorno in cerca di un posto. La sala era stata allestita con un palchetto e con una serie di sedie imbottite di velluto rosso.
“Sediamoci in seconda fila, va sempre bene.” suggerì Rachel.
Presero posto e iniziarono a chiacchierare con le altre donne che si stavano sedendo nella loro stessa fila.
 
“No! Non potete entrare! E’ una festa privata!”
Lo spettacolo – Alice nel Paese delle Meraviglie – si interruppe bruscamente. Le attrici tacquero all’istante, le loro espressioni ancora calate nella parte.
“Che succede?” domandò Lady Violet.
Era schizzata in piedi come una molla, le mani strette intorno ai guanti di seta. Anche Ariadne si alzò per vedere che cosa stava capitando.
Tre figure entrarono nella sala da ballo mentre il maggiordomo li rincorreva per impedire loro l’ingresso. Erano una donna e due uomini, si muovevano sicuri come se avessero un obiettivo ben preciso.
“Milady, perdonatemi…” farfugliò il maggiordomo.
Lady Violet si avvicinò al trio con passo deciso e testa alta, non mostrava il minimo cenno di paura.
“Voi chi siete e cosa volete? Questa è proprietà privata e voi non siete i benvenuti.”
“Siamo qui per la signora King.” Disse la donna.
Ariadne riconobbe subito quella voce sprezzante, poi riconobbe anche i perfetti ricci castani e perfetti occhi truccati. Era Charlotte.
“Credevo e speravo fossi sparita.” Disse Ariadne.
Avanzò nella sala fino a ritrovarsi accanto a Lady Violet e di fronte ai nuovi arrivati.
“Ti sono mancata?”
“Come manca la peste bubbonica al mondo.”
Charlotte rise, la sua pelle di porcellana risplendeva sotto la luce del lampadario di cristallo.
“Sei sempre così divertente. Credevo che il matrimonio ti avesse resa più mansueta.”
“Non c’è uomo che possa rendermi mansueta.” Replicò Ariadne.
“Belleville, chiama subito la polizia!” ordinò Lady Violet.
Uno dei due uomini tirò fuori la pistola e la puntò alla testa del maggiordomo, che tremava tutto di paura.
“Non credo proprio.”
Le invitate fecero un passo indietro, un mormorio di terrore strisciò fra di loro come una serpe velenosa. Ariadne guardò Rachel per assicurarsi che stesse bene.
“Charlotte, tu vuoi solo me. Andiamo a parlare da un’altra parte.”
“No, questa festa mi piace. Peccato che non abbia indossato il vestito giusto.”
Fu allora che Ariadne notò che Charlotte e gli altri due indossavano una specie di tenuta nera, come fosse una divisa. Sul polso di tutti e tre c’era un tatuaggio che le fece venire i brividi.
“Tu…tu lavori per l’I.R.A.?”
Charlotte sorrise trionfante e fece un giro su stessa per mettersi in mostra come un pavone.
“Io sono a capo dell’I.R.A. nell’Irlanda del Nord.”
Ariadne sentì il pavimento squarciarsi sotto i piedi, una voragine di paura la stava inghiottendo. Nell’Irlanda del Nord, per l’esattezza a Ballintoy, risiedevano Julian e Rose.
“Che cosa hai fatto a mio fratello? Ti giuro che se solo gli hai torto un capello…”
“Avrei voluto, torcergli anche tutti i capelli. Ma il fratellino è scappato prima che potessi raggiungerlo e scuoiarlo vivo.”
Un altro mormorio di disgusto e terrore serpeggiò fra le donne. Charlotte non aveva remore e quando parlava, per lei quelle parole erano come il buongiorno ai vicini di casa.
“Mick ti ha mandata a Ballintoy per uccidere Julian?” domandò Ariadne.
Era sollevata che il fratello e la cognata fossero scappati, ma dall’altra parte la disgustava l’idea di abitare col mandante del loro assassinio.
“No.” rispose Charlotte sorridendo.
Ariadne la guardò confusa. Se non era stato Mick a volere Julian morto, chi altro poteva essere? Passò al vaglio di tutti i loro nemici e nella sua mente emerse un solo nome.
“Tyler Nolan.”
“Bingo! Allora sei un po’ sveglia.”
Certo, era chiaro che Nolan volesse uccidere Julian per iniziare a riequilibrare il torto della morte del figlio. Inoltre, su Ariadne e i suoi fratelli ricadeva la colpa del padre per aver infranto quello stupido legame di sangue.
“Voglio parlare con Nolan. Ci sono delle cose che non sa e che di sicuro gli interessano.”
“Sei fortunata. Nolan mi ha mandata qui a prelevarti.”
Charlotte schioccò le dita e i due uomini al suo fianco scattarono verso Ariadne. La afferrarono per i gomiti e la spinsero in avanti per farla camminare.
“Ariadne!” esclamò Rachel spaventata.
“Va tutto bene, Rachel. Resta indietro. Non fare niente di sciocco. Io me la cavo.”
E così Ariadne fu trascinata fuori dalla villa di Lady Violet, mentre la luna sorgeva piena e ammirava dall’alto del suo giudizio la condannata che andava al patibolo.
 
“Nadina! Nadina!”
Nadina sollevò lo sguardo nell’udire il suo nome e vide Rachel King correre verso di lei. Stava giocando a dadi con alcune persone del campo, una serata tranquilla che stava per essere stravolta.
“Rachel, che succede?”
Quando si erano conosciute e avevano preso il tè insieme, Nadina le aveva riferito che avrebbe potuto cercarla a Yellow Camp in caso di bisogno.
Rachel si fermò e si piegò in due per riprendere fiato. Aveva lasciato Andrew al molo e da lì aveva corso fino al campo.
“Hanno…hanno preso Ariadne.”
“Chi l’ha presa?”
“Una donna dell’I.R.A., una certa Charlotte…sì, Charlotte.”
Nadina versò dell’acqua in un bicchiere e fece accomodare Rachel al proprio posto. I giocatori si alzarono e si dileguarono, avevano captato che ora di svignarsela.
“Perché l’hanno presa? Sei riuscita a capire qualcosa?”
“Un certo Nolan vuole parlare con Ariadne. Lui ha mandato questa Charlotte a uccidere il fratello di Ariadne, ma per fortuna non lo ha trovato.”
“Resta qui. Io vado a cercare Tom.”
 
Ariadne sputacchiò quando le tolsero il cappuccio dalla testa; l’avevano bendata per non farle vedere il tragitto. Adesso tutto ciò che vedeva era aperta campagna, alberi e un vecchio rudere in mezzo a un campo di grano appassito.
“Poco inquietante.” Ironizzò.
Charlotte ghignò e le rivolse un’occhiata divertita, poi la prese per il gomito e la guidò verso il rudere.
Da una delle finestre – un buco nella parete – fuoriusciva la luce, dunque era lì che Nolan la stava aspettando. Charlotte le abbassò la testa ed entrarono attraverso una porticina di legno, poi proseguirono lungo una scalinata dai gradini con la pietra sbozzata.
“E’ qui che torturate e uccidete i nemici?”
“Sì, così la terra assorbe il sangue.” Disse Charlotte in tono scherzoso.
Ariadne aveva sempre ammirato l’indifferenza di Charlotte. Parlava, camminava, si muoveva con una calma quasi apatica. Avrebbe potuto vedere un incendio divampare davanti ai suoi occhi e si sarebbe limitata a fare spallucce.
Charlotte aprì una porta di ferro e la spintonò all’interno. Un uomo robusto stava fumando la pipa, aveva la testa calva e un paio di baffi bianchi. I suoi occhi saettarono su Ariadne e sorrise.
“Benvenuta. Io sono Tyler Nolan.”
 
Tommy aveva perso la ragione nel momento in cui Nadina gli aveva riferito che Ariadne era scomparsa. Le potevano capitare tante di quelle cose che solo a pensarci gli veniva la pelle d’oca per il ribrezzo.
“Per caso si sono lasciati scappare altro?” domandò Nadina.
Rachel era seduta nel suo caravan, piangeva ancora e le tremavano le mani.
“Non hanno detto molto. Non hanno neanche lasciato intendere il luogo dove l’avrebbero portata. Mi dispiace, non posso esservi d’aiuto.”
“Nolan ha proprietà in tutta Londra, potrebbero essere ovunque.” Disse Olga.
“Nonna, non hai neanche una vaga idea?”
“Ti conviene parlare.” Intimò Tommy.
La vecchia gli rivolse uno sguardo furente, nessuno la trattava in quel modo.
“Tieni a freno la lingua se vuoi tenerla ancora attaccata alla bocca. Comunque, Nolan possiede molte catapecchie anche fuori città, almeno una decina.”
“Non possiamo setacciarle tutte.” Rifletté Nadina.
“Ma so chi può aiutarci.” Disse Tommy.
 
Mick King si accorse subito che qualcosa non andava. Erano le undici di sera e gli uomini appostati fuori da casa sua si era improvvisamente agitati. Sbirciò dalla finestra e vide che le sue guardie stavano accerchiando un uomo e due donne. Prese la giacca e uscì in giardino.
“Che sta succedendo?”
“Capo, quest’uomo vuole parlare con voi.”
Solo allora Mick si rese conto che una delle due donne era Rachel.
“Rachel, che ci fai in compagnia di questi…zingari?”
“Nolan ha preso Ariadne.” disse l’uomo.
Mick si pietrificò sul posto. Quella voce roca, quell’accento tipico dell’Inghilterra centrale, lo colpirono come un fulmine.
“Tommy Shelby.”
Tommy si mise sotto la luce del lampione, aveva la barba e i capelli lunghi ma il suo sguardo da lupo era sempre lo stesso.
“Credevi sul serio di avermi ucciso? Serve molto più del fuoco per farmi fuori.”
Mick serrò i pugni, il cuore che gli batteva nel petto quasi da scendergli nelle costole, e respirò a fondo.
“Credevo di essermi liberato di te. E’ vero che l’erba cattiva non muore mai.”
“Sai com’è, neanche l’inferno mi vuole. Sono troppo anche per i diavoli.”
I due uomini si guardarono per qualche istante, due tori sul punto di attaccarsi e sbranarsi senza pietà. E lo avrebbe fatto, si sarebbero assaliti alla gola, se non fosse che adesso avevano un nemico comune.
“Dunque Nolan ha preso Ariadne. Alla festa di Lady Violet?”
“Sì, sono venuti tre membri dell’I.R.A. a prenderla.” Spiegò Rachel.
“Tra di loro c’era anche Charlotte.” Aggiunse Tommy.
Mick diventò bianco come un lenzuolo. Tutte le sue carte erano state scoperte e aveva perso la partita.
“Charlotte? La tua assistente?”
“Sì, quella che hai assoldato per spiarmi. L’ho capito solo di recente che lei lavorava per te.”
“Ma non credevo facesse parte dell’I.R.A., credevo fosse solo una mercenaria.”
“Ha fatto il doppiogioco con entrambi.” Disse Tommy.
“Possiamo salvare Ariadne, per la miseria!?” strillò Rachel.
La ragazza accanto a lei le mise un braccio intorno alle spalle per calmarla, e per fortuna funzionò tanto che Rachel tornò di un colorito normale.
“Quindi noi dovremmo allearci?” chiese Mick scettico.
Tommy avanzò fino a trovarsi a un centimetro da Mick. Lo afferrò per il bavero della giacca e lo costrinse a sollevarsi sulle punte.
“Tu mi fai schifo e mi vendicherò, ma adesso ti conviene aiutarmi a salvare Ariadne. Se le succede qualcosa, io ti verrò a prendere e invocherai la morte. Sono stato chiaro?”
“Tu la ami, vero?” biascicò Mick.
Tommy lo lasciò andare con uno spintone che fece finire Mick contro le sbarre del cancello.
“Pensiamo solo a salvarla.”
“E come intendi fare? Nolan ha rifugi ovunque, dentro e fuori città.”
“Useremo tutti i tuoi uomini. Ci divideremo e la cercheremo.”
“Gli Scuttlers non prendono ordini da uno zingaro!” disse una delle guardie.
Tommy, che si sentiva sull’orlo di un baratro, si scaglio contro quella guardia e gli tirò un pugno così forte da rompergli il naso; le nocche erano coperte di sangue.
“Ascoltatemi tutti! Non me ne frega un cazzo di voi e di quello che pensate di me. Mi interessa solo riportare a casa Ariadne. Quindi o muovete il culo o entro domani vi ritroverete tutti senza palle.”
“Fossi in voi, gli darei ascolto.” Disse Nadina.
“Ha ragione con lo zingaro. Dividiamoci e cerchiamo mia moglie.” Ordinò Mick.
Tommy al titolo ‘mia moglie’ sentì la rabbia scorrergli in corpo, ma per amore di Ariadne e della sua salvezza rimase zitto.
 
Ariadne sentiva i polsi intorpiditi e doloranti a causa delle corde che la tenevano legata al soffitto. Pendeva come un animale al macello. Le gambe da qualche minuto avevano iniziato a tremolare per colpa della stanchezza. Erano quasi due ore che si trovava in quella posizione.
“Nuova versione della crocifissione?” esordì dopo un po’.
Nolan se ne stava seduto di fronte a lei in silenzio, si limitava a fissarla con espressione piatta. Ariadne conosceva quella tattica, anche suo padre l’aveva adottata tante volte: fissare qualcuno fino a farlo crollare; era una sorta di tortura psicologica.
“Dimmi che cosa vuoi e finiamola qui.”
“Hai il brutto carattere di tua madre.” Disse Nolan.
“Lo prenderò come un insulto.”
“Invece è un complimento perché tua madre è davvero una donna unica, fredda e calcolatrice come poche.”
Ariadne aggrottò le sopracciglia e subito dopo le sollevò per lo stupore, e anche per l’orrore.
“Oh, no. Che schifo. Tu eri innamorato di mia madre!”
“E’ una storia vecchia. Non conta più niente.” Disse Nolan.
“Allora torniamo al presente. Mi terrai appesa ancora per molto?”
Un rivolo di sangue colò giù dal polso e le imbrattò la manica del vestito. Non avrebbe resistito ancora, il dolore stava aumentando a dismisura.
“Resterai lì fino a quando vorrò. Abbiamo molto di cui parlare.”
“E farlo davanti ad una tazza di tè sembrava una cattiva idea.” Ironizzò lei.
“Anche mio figlio Alexander era come te, sempre con la battuta pronta.”
Fu allora che Ariadne scorse una crepa nella calma di Nolan e decise di sfruttarla a proprio vantaggio.
“Mick mi ha solo detto che è morto in un incontro di boxe. Raccontami come è andata.”
“Un uomo di Mick ha colpito mio figlio alla testa nonostante fosse un colpo proibito. Anche se gli incontri e le scommesse sono illegali, le regole devono essere rispettate. Alexander era a terra e quel bastardo gli ha tirato un calcio così forte da spezzargli il collo. Anziché soccorrerlo, tutti sono scappati e hanno pensato a incassare i soldi della scommessa. Hanno lasciato il mio adorato figlio morto a terra, da solo come un cane.”
“E immagino che ti abbia fatto ancora più male sapere che c’entrava Mick.”
Nolan sospirò, aveva gli occhi lucidi ma la sua voce era ferma.
“Sapere che il figlio del mio migliore amico aveva contribuito alla morte di mio figlio è stato devastante. L’amicizia, il patto di sangue, il rispetto sono terminati in quel momento. Ho giurato che mi sarei vendicato dei figli di Eugene e Philip.”
“Dunque hai assoldato l’I.R.A. per uccidere mio fratello Julian.” disse Ariadne.
“Sì, era il più facile da raggiungere. Ma a quanto pare, secondo le mie ricerche, tuo fratello è stato salvato da Ada Shelby.”
Ariadne avrebbe voluto sorridere ma represse ogni emozione. Non avrebbe dato la sua gioia in pasto a quell’uomo. Ringraziò Ada nella mente, le avrebbe un regalo enorme (se fosse sopravvissuta).
“Io e i miei fratelli non c’entriamo niente con la morte di tuo figlio.”
“Ma fate parte della famiglia di Mick.” Osservò Nolan.
“Ti sbagli. Non c’è nessuna famiglia. Il mio matrimonio con Mick è combinato. Mia madre mi ha data in sposa a lui per appianare un debito di soldi.”
Nolan rimase sbalordito, una ruga sulla fronte lo tradì.
“Marianne è diventata più meschina di quanto ricordassi.”
“Lei mi odia. Se fosse possibile, mi ucciderebbe con le proprie mani.” confidò Ariadne.
“Perché dici così?”
“Perché ho ucciso mio padre.”
 
Erano le cinque del mattino quando Tommy imboccò l’ennesima stradina di campagna col furgoncino di Nadina. Era esausto, gli occhi rossi e la testa che pulsava, ma ormai mancava poco. Lui e Mick si erano divisi i posti da controllare e la lista era agli sgoccioli. Mancava un solo luogo, un vecchio rudere abbandonato che Nolan aveva comprato per pochi spicci dieci anni prima.
“E se Nolan ci uccide tutti?” disse Nadina.
“Ben venga.” Rispose Tommy.
“Ehi, io sono troppo giovane e affascinante per morire! Ho ancora tante ragazze da conquistare!”
“Ma a te piace Rachel.”
Nadina aprì e chiuse la bocca, non aveva una risposta piccata a quella frecciatina. Era vero che Rachel King le piaceva, era così dolce e intelligente che subito lo stomaco si era abbandonato alle farfalle.
“Se lo dici a qualcuno ti ammazzo.”
 
Dopo quaranta minuti Tommy stava per perdere le speranze. Avevano lasciato da poco quella villetta diroccata che apparteneva a Nolan senza risultati. All’interno aveva trovato impronte e corde sul pavimento, segno che qualcuno ci era stato nelle ore precedenti ma se ne erano andati prima del loro arrivo. A quel punto Nadina si era proposta di guidare perché Tommy era così sfinito che si sarebbe potuto addormentare al volante.
Il furgoncino malconcio borbottò mentre attraversavano un sentiero di ghiaia e sassolini; era l’unico rumore che si udiva nel silenzio delle prime luci.
“Tom…guarda là!” disse Nadina.
Tommy aguzzò la vista e vide una massa scura distesa sull’erba. Era una persona rannicchiata. Scese dal furgoncino e corse per vedere chi fosse.
“Ariadne! Ehi, mi senti?”
Tommy prese la ragazza fra le braccia e le scostò i ricci dal viso. Era pallida e sudata, i capelli incrostati di terra e polvere. I polsi erano stati martoriati dalle corde, la pelle era lacerata e il sangue si era seccato.
Ari, apri gli occhi. Sono io. Mi senti?”
Le ciglia di Ariadne sfarfallarono mentre apriva lentamente gli occhi. Mosse le labbra ma senza emettere un suono, la gola era troppo asciutta per riuscire a parlare.
“Adesso ti porto in ospedale. Andrà tutto bene.”
Nadina e Tommy con cautela caricarono Ariadne sui sedili posteriori. Mentre lei guidava, lui teneva la testa di Ariadne sulle gambe e le accarezzava la guancia.
Nolan l’avrebbe pagata cara per averla ridotta così.
 
Mick arrivò in ospedale come una furia. Insieme a lui c’era Marianne, che sembrava stranamente preoccupata. Rachel chiudeva la fila con accanto il sempre presente Andrew.
Nadina si illuminò non appena vide Rachel e le andò incontro.
“Dov’è mia figlia?” chiese subito Marianne.
“Nella stanza 328.”
Marianne e Mick si diressero spediti verso la stanza con Andrew al seguito, mentre Rachel si fermò in corridoio.
“Nadina, grazie di cuore per quello che hai fatto. Per avermi accolta al campo, per avermi ascoltata e per aver aiutato Ariadne.”
“L’ho fatto solo per te. Perché sei tu.” Ammise Nadina.
Rachel arrossì fino alle orecchie. Lo sapeva sin da adolescente che le piacevano le donne, ma purtroppo lo aveva dovuto nascondere perché la sua famiglia e la società non lo avrebbero mai accettata. Non aveva mai avuto una ragazza, anzi non pensava che avrebbe mai trovato una fidanzata. E poi era arrivata Nadina che l’aveva invitata a bere il tè, l’aveva riempita di complimenti e adesso a guardava con amore mentre le confessava di aver fatto tutto solo per lei.
“Io…non so come ci si comporta in queste occasioni…”
“Si fa così.”
Nadina le cinse il collo con una mano e la baciò. Rachel sbarrò gli occhi per lo stupore. Era il suo primo bacio e lo stava scambiando con una ragazza nel corridoio di un ospedale.
“Wow…ehm…” balbettò Rachel.
Nadina sfoggiò un sorriso malizioso e si leccò le labbra.
“Sì?”
“Possiamo rifarlo?”
“Tutte le volte che vuoi.”
 
Tommy si voltò verso la porta quando Marianne fece il suo ingresso. La donna guardò la figlia per un istante e sembrò provare un pizzico di tristezza.
“Come sta?”
“Il medico dice che ha una commozione causata da un colpo alla testa. I polsi guariranno nel giro di due settimane.”
“Nolan ha davvero esagerato.” Disse Mick furente.
“Vuole sterminare le nostre famiglie.” Disse Marianne.
Tommy si accese una sigaretta e aprì la finestra per far uscire il fumo.
“Cosa avete intenzione di fare con Nolan?”
“Non sono affari tuoi. Anzi, tu dovresti addirittura essere morto.” Disse Marianne.
“Sotto terra non mi vogliono.” Replicò Tommy.
“Ma è là che meriti di stare.”
Ariadne si mosse e l’attenzione fu puntata su di lei. Sollevò una mano per fermare quei discorsi farciti di insulti.
“Nolan vuole farci tutti fuori per la morte del figlio. E’ colpa di Mick se ci troviamo in questo casino.”
“Colpa mia? Non controllo i miei uomini quando sono in giro!” protestò Mick.
Ariadne lo fulminò con gli occhi, in quel momento somigliava tanto a sua madre.
“Tu devi stare solo zitto. E’ colpa tua se mi hanno rapita, legata al soffitto e colpita alla testa. Non devi fiatare!”
“La micetta sta cacciando gli artigli, oh.”
Marianne lanciò uno sguardo glaciale a Mick facendolo ammutolire.
“Hai combinato un disastro, Mick. Vedi di risolverlo al più presto. Nolan deve sparire.”
“Me ne sto già occupando.”
“Lo spero, altrimenti ad essere legato al soffitto sarai tu.” Lo avvertì Marianne.
Mick si morse le labbra per non rispondere a tono, ma non era il caso di perdere altri alleati. Annuì e uscì dalla stanza per tornare a casa e istruire i suoi uomini.
“Il medico dice che fra due giorni posso uscire.” Disse Ariadne.
“Bene, perché ci servono tutte le forze contro Nolan.” Disse Marianne.
Ariadne stava per parlare ma la madre girò i tacchi e scomparve nel corridoio. Non le importava che la figlia fosse finita in un letto di ospedale, anzi forse un po’ ne era addirittura contenta.
“Che amore materno.” Mormorò fra sé.
“Ariadne, stavo pensando che avremo bisogno di tutto l’aiuto possibile. Potremmo chiedere una mano a Olga, anche se ci vorranno molti soldi per…”
“Tom, fermati! Tu non c’entri niente in questa storia, questa vendetta non ti riguarda. Tu per tutti sei morto, non devi esporti troppo.”
Tommy guardò la ragazza e abbassò il mento, c’erano quelle tre paroline che gli pizzicavano la gola ma che proprio non riuscivano ad uscire.
“Siamo amici, voglio darti una mano.”
Ariadne inarcò il sopracciglio e corrucciò le labbra in una espressione di disgusto.
“Amici? Noi siamo amici? Questa non me l’aspettavo.”
“Ariadne…”
“Voglio stare da sola. Sono stanca.” Tagliò corto lei.
Era chiaramente rimasta delusa dalle parole di Tommy. Amici, che titolo ridicolo per loro due. Non era mai stata un’amicizia ma neanche una relazione, era sempre stato qualcosa nel mezzo. Ma sentirsi liquidare in quel modo la ferì nel profondo. Che sciocca, si era innamorata di Tommy Shelby e aveva anche sperato che lui potesse ricambiare. Era stata una ragazzina stupida.
“Buon riposo, Ariadne.”
 
Tommy tornò a Yellow Camp con il solo intento di bere whiskey fino a non sentire più le papille gustative. Aveva commesso un errore con Ariadne, ma ammettere che fra loro ci fosse più di una semplice amicizia era difficile. Lui era ancora sposato, aveva due figli ed era anche morto. La situazione era davvero complicata e lui voleva solo affogare i dispiaceri in alcol e sigarette.
“Tom, vieni! Ci sono visite per te.” Lo richiamò Nadina.
Tommy salì a bordo del caravan e rimase pietrificato. Polly, Arthur e Finn lo fissavano come se fosse un fantasma.
“Ma che cazzo…”
“Bentornato dal mondo dei morti, disgraziato.” Lo salutò Polly.
 
Salve a tutti! ^_^
Il pericolo è sempre più vicino, ma vi posso assicurare che niente è come sembra.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

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Capitolo 7
*** Ritorno a casa ***


7. RITORNO A CASA

"L'Inferno non è mai tanto scatenato quanto lo è una donna offesa."
(William Shakespeare)

 
Polly fissava il nipote come se lo vedesse per la prima volta. Era così diverso, i capelli lunghi e la barba incolta, gli occhi infossati e gli zigomi scarni; non sembrava neanche lui.
“E quindi ti sei finto morto?” stava dicendo Arthur.
“Sì. Era l’unico modo per agire di nascosto e uccidere Mick.” Disse Tommy.
“Ma le cose si sono complicate.” Aggiunse Nadina.
Polly era stata contattata da Olga, la matriarca di Yellow Camp e vecchia conoscente di famiglia, e si era precipitata a Londra senza pensarci due volte. Aveva solo trovato il tempo di spedire un telegramma a Ada per avvisarla della novità.
“Anche noi a Birmingham ce la stiamo vedendo male.” Disse Arthur.
Tommy cacciò fuori il fumo e scrollò la cenere a terra, qualche scaglia incandescente gli finì anche sulle scarpe.
“Lo so, mi sono informato.”
“Ma non hai pensato di farti sentire.” Obiettò Polly.
“Pol…”
La zia alzò l’indice per farlo zittire, aveva la tipica espressione che assumeva quando stava per rimproverare i nipoti.
“Taci, stronzetto. Abbiamo pianto al tuo funerale, abbiamo consolato i tuoi figli e ci siamo presi cura di tua moglie. Vali meno della merda che calpesto sotto i piedi.”
“Era l’unica soluzione per arrivare a Mick.” Si giustificò Tommy.
“Ma intanto Mick è ancora vivo e Changretta fa il re nella nostra città.” Replicò Polly.
Un rumore di ruote sulla breccia allarmò il gruppo. Nadina si affacciò alla finestrella del caravan e vide un’auto lussuosa che si parcheggiava al centro del campo. Scese una donna ben vestita, capelli castani e cappello con piuma.
“E’ una elegantona. La conoscete?”
“E’ Ada, mia sorella.” Disse Tommy.
Andò ad aprire la porta e la prima cosa che vide fu l’espressione incredula di Ada. La donna lo colpì al braccio con i guani appallottolati fra le mani, poi lo abbracciò forte.
“Mi sei mancato, fratellone. Lieta che tu sia vivo.”
“Adesso parliamo di affari.” intervenne Polly.
 
Tommy non capiva perché si trovassero fuori dall’ospedale. Ada guidava, Polly sedeva accanto a lei e lui stava dietro insieme ad Arthur.
“Perché siamo qui?”
“Tra poco capirai.” Disse Polly.
E difatti pochi minuti dopo Finn uscì dall’edificio con Ariadne. La ragazza aveva la testa e i polsi fasciati, ma camminava sicura e sorrideva anche. Tommy scese dall’auto e le andò incontro con le sopracciglia corrugate.
“Non dovevi uscire fra due giorni?”
“Ho pagato il medico e mi sono fatta dimettere prima.” Spiegò lei.
“Hai una commozione, è grave. Dovresti restare sotto osservazione in ospedale.”
Ariadne sbuffò, odiava che le venisse fatta la paternale poiché era in grado da sola di stabilire quanto grave fosse la sua condizione.
“Me la cavo, non ti preoccupare. Abbiamo del lavoro da sbrigare, e anche in fretta.”
“Tommy, Ariadne, andiamo!” li chiamò Polly.
“Mi spiegate che cosa succede? Sono confuso.” Disse Tommy.
“Ci servono armi e uomini per cacciare Changretta dalla città, quindi Ariadne ci porterà dai suoi a Camden Town per darci ciò che ci serve.”
“Chi ha tempo non aspetti tempo!” esclamò Ariadne battendo le mani.
Mentre Arthur saliva in auto con Finn, Ariadne e Tommy si ritrovarono vicini sui sedili posteriori. La ragazza allontanò la mano pur di non toccarlo.
“Sei proprio una bambina.” Bisbigliò Tommy.
“Scusami, non ti sento. Il mio cervello è troppo ben sviluppato per ascoltare le stronzate.”
“Ehi, voi due, piantatela!” li rimproverò Polly.
Ada rise mentre ingranava la marcia e sfrecciava verso Charing Cros.
 
Ariadne riconobbe subito la zona industriale di Camden Town con le alte colonne di fumo e l’odore dell’olio dei motori. Ada parcheggiò a pochi isolati dal quartiere ebreo per non allarmare troppo i residenti. Da lì proseguirono a piedi dopo l’arrivo di Arthur e Finn.
La distilleria di Alfie era sempre la stessa: mattoncini a vista, finestre sbarrate e l’insegna che indicava la vendita di farina e pane.
“Signorina Evans! Che piacere!” l’accolse la segretaria.
All’ingresso Jonah aveva piazzato una ragazza ebrea del quartiere per controllare chi entrava e usciva, per avvisare nel caso in cui si fosse presentata la polizia.
“Salve, Routh. Mi servono le chiavi dello scantinato e mi serve che Samuel scenda tra cinque minuti.”
“Come desidera. Ecco a lei!”
Routh le diede le chiavi e chiamò Samuel al telefono. Alfie aveva installato la finta panetteria al primo piano, mentre al secondo si imballava l’alcol con la farina e nello scantinato nascondeva armi e denaro.
Ariadne scortò gli Shelby al piano inferiore, infilò le chiavi nella porta blindata e girò la manovella inserendo il codice segreto di Alfie.
“Qui c’è tutto quello che vi serve.”
Finn e Arthur si fiondarono ad ammirare la parete coperta di pistole. Ada si guardò le unghie con fare annoiato. Polly e Tommy si misero in disparte a bisbigliare.
“Ancora non ci credo che Alfie ti abbia lasciato tutto.” Disse Finn.
“Alfie non mi ha lasciato niente. Mantengo i suoi affari fino al suo ritorno.”
“Pensa di tornare? Essere morto gli fa comodo.” Rifletté Ada.
“Non conosco i piani di Alfie, mi limito a eseguire i suoi ordini. Lui mi dà solo gli strumenti giusti per cavarmela.”
“Quanto vuoi per le armi e per gli uomini?” domandò Tommy.
Ariadne non lo degnò di uno sguardo, non riusciva neanche a guardarlo dopo che in ospedale aveva ridotto il loro rapporto ad una stupida amicizia.
“Quanto avete? La vostra famiglia ha perso molti soldi per colpa di Enea.”
“Diecimila sterline.” Offrì Polly.
Ariadne valutò l’offerta. Quelle armi non erano sue, anzi niente in quel palazzo era suo. Lei faceva solo le veci di Alfie, dunque doveva agire e pensare come lui.
“Quindicimila.”
“E’ una cazzo di rapina!” si lamentò Arthur.
Tommy guardò Ariadne, una parte di lui era fiero di come la ragazza avesse imparato a contrattare. Ma l’altra parte desiderava che lei lasciasse la vita criminale il prima possibile.
“Quindicimila vanno bene.”
“Tommy, non abbiamo cinquemila sterline in più.” Notò Polly.
“Le troveremo. Venderemo qualcosa di valore. Non importa.”
Tommy allungò la mano e Ariadne la strinse per suggellare l’accordo. Le loro mani rimasero strette qualche secondo di più prima di staccarsi.
“Io direi di brindare, cazzo!” disse Arthur.
Aveva tirato fuori la sua fiaschetta e stava bevendo come un ingordo, i baffi lucidi di whiskey.
“Signorina, sono qui.” Esordì Samuel dalla porta.
Era un uomo sulla trentina che Jonah aveva assicurato essere uno dei più fidati collaboratori di Alfie. Ariadne si avvicinò a lui e lo portò sulle scale per avere privacy.
“Mi servono venti uomini armati da mandare a Birmingham per aiutare i Peaky Blinders. E’ possibile?”
“Certo, signorina. Me ne occupo io. Entro sera quei venti uomini saranno a Birmingham.”
“Ti ringrazio, Samuel.”
Ariadne fece un respiro profondo e tornò dagli altri che intanto si erano scolati tutto il whiskey della fiaschetta.
“Allora?” fece Polly.
“Venti uomini arriveranno a Birmingham stasera insieme alle armi. Per il deposito dei soldi?”
“Avrai i tuoi soldi stasera. Porta i tuoi uomini da Charlie Strong.” Disse Tommy.
“Affare fatto.”
 
“Ada, posso parlarti un attimo?”
Ada consegnò le chiavi dell’auto a Polly e tornò indietro da Ariadne.
“Dimmi.”
“So che sei stata tu ad aiutare Julian e Rose. Volevo ringraziarti per averli salvati.”
“Una notte Russell ha bussato alla mia porta e in preda all’agitazione mi ha riferito che qualcuno dell’I.R.A. voleva uccidere Julian. A quel punto io e Russell ci siamo messi d’accordo per portare la tua famiglia in salvo. Stanno bene, non ti preoccupare.”
Ariadne abbracciò Ada e la strinse per mostrarle tutta la sua gratitudine.
“Non saprò mai come ringraziarti.”
“Salva Birmingham e il debito sarà saldato.” Disse Ada.
“Lo farò.”
Ada annuì e la salutò con due baci sulla guancia. Finn e Arthur sgommarono nel quartiere prima di lasciarlo per tornare a casa.
“Avevi ragione su Charlotte.” Disse Tommy.
Comparve alle spalle di Ariadne, mani in tasca e sigaretta all’angolo della bocca.
“Avevi dei boccoli troppo perfetti. Mai fidarsi di chi ha dei capelli così belli!”
Tommy abbozzò un piccolo sorriso, poi tornò serio e sospirò. Scese due scalini e si ritrovò accanto a lei.
“Non sono pronto per tornare a Birmingham. Non sono pronto per tornare ad essere Tommy Shelby.”
Ariadne si voltò e lesse negli occhi azzurri di lui una tristezza infinita. Le si spezzò il cuore perché conosceva bene la voglia irrefrenabile di fuggire da quella vita fatta di soldi e corruzione.
“Sii Tommy Shelby per l’ultima volta. Poi cambia vita.”
“Se non sono Tommy Shelby, allora chi posso essere?”
“Sii te stesso.”
 
Erano le sette di sera quando Ariadne fermò il camioncino nel giardino di Charlie Strong. La famiglia Shelby li stava già aspettando.
“Ariadne!” strillò Margaret.
Ariadne a stento trattenne le lacrime. Non vedeva la sua migliore amica da mesi. Non le aveva mai scritto per timore che Mick usasse Margaret contro di lei.
“Margaret!”
Le due ragazze si strinsero in un abbraccio commosso. L’una piangeva sulla spalla dell’altra.
“Mi sei mancata tantissimo.” Sussurrò Margaret.
“Anche tu. Come sta tua sorella?”
“Sta bene. Stiamo tutti bene.”
“Scusate l’interruzione, ma abbiamo uno stronzo da uccidere.” Disse Finn.
Le amiche si staccarono ma si tennero per mano ancora un po’ mentre gli uomini si armavano e decidevano come agire.
“Torna a casa, Margaret. Ci rivediamo presto.” Disse Ariadne.
Margaret sapeva che di lì a poco la situazione sarebbe degenerata, doveva nascondersi il prima possibile.
“Ci vediamo presto, amica mia.”
Si abbracciarono ancora prima di separarsi per chissà quanto tempo. Ariadne si asciugò le lacrime alla svelta, non era opportuno mostrarsi vulnerabile in quel momento.
“Voi restate qui, signorina?” domandò Samuel.
“Vengo con voi. Sono preparata!”
Ariadne scostò la giacca e mostrò la pistola nella fondina. Era una che Jonah le aveva procurato prima del matrimonio, nel caso avesse avuto necessità di difendersi.
“Sai usarla?” la prese in giro Arthur.
“Ho una mira perfetta. Vogliamo testarla su di te?”
Tommy, che osservava la scena da lontano, sghignazzò per la spavalderia della ragazza; una delle qualità per cui si era innamorato di lei.
“Sorridi come un ragazzino alla prima cotta. Imbarazzante.” Commentò Polly.
“Sempre gentile, Pol.”
“Dico solo la verità. Tu e lei non potrete mai stare insieme, quindi non fare il cazzone.”
Tommy inserì la sicura alla pistola con uno scatto di rabbia. Uno degli aspetti peggiori della sua vita criminale era questo: non poter stare con chi amava per non distrarsi, per non apparire debole, per non avere legami con cui essere minacciato.
“Andiamo!”
“Changretta si trova al Kirke, il locale di Byron Davis.” Comunicò Finn.
“Ci sarà da divertirsi.” Mormorò Ariadne fra sé.
 
Ariadne trasalì quando Arthur e Finn assaltarono le guardie appostate all’ingresso del Kirke. All’interno il corridoio, la sala principale e l’ufficio di Byron erano sorvegliati da altri uomini, ma per adesso l’importante era entrare.
“Prima le signore.” Scherzò Arthur.
Ariadne entrò e Tommy la seguì a ruota, fermandosi sull’uscio e tirando fuori la pistola.
“Byron la pagherà cara per aver accolto Enea.” Disse lei.
Tommy si inoltrò lungo il corridoio mentre i Peaky Blinders controllavano ogni angolo per ogni evenienza.
“Interromperai gli affari con Byron? E’ rischioso.”
“E’ ancora più rischioso da parte sua credere di potermi prendere in giro solo perché sono una donna. Se fossi un uomo, mi porterebbe più rispetto.”
L’attimo dopo due mani grosse agguantarono Ariadne per le spalle e la strattonarono. Tommy non ci pensò due volte, puntò la pistola sull’uomo e sparò. Quello cadde a terra e la ragazza si liberò dalla sua presa.
“Stai bene?” domandò Tommy.
Ariadne accettò la sua mano e si issò per rimettersi in piedi. Scrollò le spalle come a volersi togliere di dosso le manacce di quell’omone.
“Sì, sì, sto bene. Grazie.”
“Tommy!” disse Arthur toccandosi l’orecchio.
Era un segnale dei soldati: ascolta. Tommy si mise in ascolto e udì numerosi passi che andavano verso di loro.
“Gli uomini di Byron stanno arrivando. Tenetevi pronti.”
Ariadne si ritrovò incastrata fra Tommy e Finn. I Peaky Blinders e gli uomini di Camden Town avevano formato una specie di testuggine, coltelli e pistole sguainate, espressioni feroci.
Pochi secondi dopo Byron Davis comparve scortato da una trentina di uomini armati di fucili.
“Chi non muore si rivede, eh.”
“Già, peccato che quello morto non sia tu.” Disse Ariadne.
Tommy le diede una leggera gomitata sul braccio come a farle notare che usare il sarcasmo non era d’aiuto.
“Sappiamo che sei in combutta con Enea. Se ce lo consegni, ti lasceremo in vita.”
“Enea è un amico, non posso consegnarlo. A meno che non ci sia una bella somma di denaro per me.”
“Il denaro che ottieni grazie al mio alcol è più che sufficiente.” Disse Ariadne.
“Potrei averne di più!” esclamò Byron.
Tommy abbassò la pistola e fece un passo avanti, la mascella irrigidita e lo sguardo infuriato. Indossava di nuovo uno dei suoi completi eleganti, Polly glielo aveva portato da Birmingham. Ma la barba e i capelli erano ancora lunghi, dunque era un mix fra Tommy Shelby il capo-gang e Tom il pescatore.
“In questo preciso istante c’è un cecchino con il fucile puntato su di te. Se non ci consegni Enea, ordinerò al mio uomo di spararti nel cranio.”
“Non è possibile. Non ci sono finestre nel mio locale attraverso cui possa passare un proiettile.”
“Ne sei sicuro? Se ti piace rischiare, va bene.” disse Tommy.
Byron rise e una risata generale si diffuse anche fra i suoi uomini. Ariadne non capiva cosa stesse succedendo, ma notò un ghigno furbesco sotto i baffi di Arthur.
“Byron, consegnaci Enea e ti dimezzo il prezzo dell’alcol.” Propose Ariadne.
“Sei una bambina sciocca. E sei anche stupida. Ecco cosa succede quando ti sposi e perdi il controllo sugli affari.”
“Di che diamine stai parlando?”
Byron lanciò uno sguardo oltre le spalle della donna. Un istante dopo Samuel puntò la pistola sulla nuca di Ariadne.
“Abbassa quella pistola adesso.” Lo minacciò Tommy.
Poiché Samuel non accennava alla resa, Tommy e Arthur gli puntarono le pistole alle tempie. Samuel non tentennò, anzi si aprì in un ampio sorriso.
“Non potete uccidermi. Se voi sparate a me, io sparo a questa stronza e moriamo entrambi.”
Tommy dovette abbassare l’arma, consapevole che era vero che Ariadne sarebbe morta. E non poteva permettersi di perdere una delle persone più care della sua vita. Non poteva perdere la donna che amava.
“Quindi avete tramato tutti alle mie spalle.” Sentenziò Ariadne.
Byron tirò fuori dalla tasca un sigaro, lo accese e si sedette su una poltroncina dell’ingresso.
“Mentre tu eri occupata a fare la mogliettina, io e Samuel abbiamo fatto un accordo. Lui comanda Camden Town e mi vende l’alcol a metà prezzo.”
“Che fine ha fatto Jonah?” chiese Ariadne, preoccupata.
“Chiedilo alla vedova Shelby.” Rise Byron.
Fu quella la miccia che incendiò la rabbia di Tommy. Non solo stavano attaccando Ariadne, ma addirittura erano arrivati a Lizzie e ai bambini.
“Addio, Byron.”
Tutto accadde in breve tempo. Tommy spinse Ariadne mentre Finn si piegava sulle ginocchia e Arthur sparava.
Byron scivolò sul pavimento con un buco sanguinante sulla fronte. I suoi uomini, troppo scioccati dall’accaduto, non ebbero tempo di reagire. I Peaky Blinders spararono su di loro una raffica di proiettili.
“Vai! Allontanati!” gridò Tommy.
Ariadne strisciò sul pavimento fino a nascondersi dietro ad una colonna, al riparo da tutto il trambusto. Urla, sangue, polvere da sparo riempivano l’ria rendendole impossibile respirare.
“Eccoti, puttanella!”
Un uomo di Camden, uno di quelli che si occupavano degli imballaggi, afferrò Ariadne per la caviglia. Lei si dimenò invano, la presa del vecchio era forte.
“Non oggi, bastardo!”
Ariadne nella foga del momento gli tirò un calcio in bocca che costrinse l’uomo a rotolare via. Recuperò la pistola dalla fondina e premette il grilletto. Il sangue le schizzò sui vestiti e sui capelli.
“Ariadne? Ari?”
Ariadne tornò alla realtà quando sentì le mani di Tommy stringerle le spalle. Soltanto allora si accorse che era piombato il silenzio. Gli uomini di Byron erano tutti morti; alcuni Peaky Blinders erano feriti ma salvi; un paio di uomini di Camden Town avevano riportato ferite gravi.
“Ho ucciso una persona.” Sussurrò Ariadne.
Tommy cercò di pulirle i sangue dai ricci, anche se ormai si stava seccando e andava solo lavato.
“Ti sei difesa.”
“Ho ucciso una persona. Di nuovo.”
 
 Tommy si lavò le mani e lavò il coltello con cura. Enea Changretta era stato recuperato e portato su una delle barche di Charlie Strong. Arthur aveva imboccato la via del canale che portava fuori città così che nessuno sentisse le grida di Enea. Intanto a Birmingham Finn e il resto della banda cacciavano gli intrusi e si riprendevano il controllo.
“Allora, c’è qualche informazione che vuoi condividere?” riprese Tommy.
Aveva inciso la guancia di Enea col coltello, il taglio sanguinava e presto avrebbe preso infezione. Sperò che bastasse per farlo crollare.
“Uccidetemi prima che lo faccia Mick.”
“Mick ha altri problemi di cui preoccuparsi.” Disse Arthur.
Tommy premette la punta del coltello alla gola di Enea e lo squadrò da capo a piedi.
“Ti conviene parlare, altrimenti ti squarterò pezzetto dopo pezzetto fino a ridurti ad un mucchio di sangue e ossa.”
 
Margaret spazzolava i ricci bagnati di Ariadne lentamente, accarezzandoli a mo’ di conforto. Finn aveva accompagnato Ariadne a casa di Margaret, affidandola alle sue premurose cure.
“Come ti senti?”
“Sto bene. Ho appena ucciso un uomo ma sto bene. Che razza dimostro sono?”
Ariadne distolse lo sguardo dallo specchio, quasi temeva che le spuntassero le corna da diavolo.
“Quel tizio voleva ucciderti. Ti sei giustamente difesa!”
“E quanta altra gente dovrò ancora uccidere per difendermi? Questa vita mi sta trasformando in una assassina.”
Ariadne non provava pentimento per aver ucciso il padre, del resto lo aveva fatto per proteggere Julian. Ma più andava avanti, più si immergeva nella vita criminale, più sentiva di perdere se stessa.
“Prima o poi abbandonerai questa vita.” disse Margaret.
“E tu? Sposando Finn ti metterai nei guai.”
Margaret lasciò la spazzola e si sedette sul letto, di fronte all’amica.
“Non sposerò Finn. Ho deciso di lasciarlo. Ho saputo che a Manchester apriranno una casa di moda e hanno bisogno di sarte. Io e mia sorella vorremmo trasferirci e lavorare lì.”
“Oh, Mag, sono felicissima! Tu e tua sorella meritate una simile occasione d’oro!”
Ariadne abbracciò la biondina, era sinceramente contenta che almeno lei avesse trovato una via di fuga.
“Sai, in parte è anche merito tuo. Ho saputo di Manchester da Betty, la ragazza delle suffragette. Mi sono unita a loro un paio di mesi fa, ovviamente non lo sa nessuno. Mi hanno aperto la mente sul mio ruolo di donna. Posso scegliere come vivere, posso cavarmela da sola senza appoggiarmi ad un uomo. Io posso farcela!”
“Sì, tu puoi farcela!  Noi donne possiamo farcela!” ripeté Ariadne.
Il loro abbraccio fu interrotto dalla porta che si apriva. Il viso tondo di Cindy si affacciò con un piccolo sorriso.
“Ariadne, ci sono visite per te.”
Ariadne alla svelta indosso i vestiti che Margaret le aveva prestato e scese di corsa in salotto. Le si riempirono gli occhi di lacrime per la gioia. C’era tutta la sua famiglia: Julian e Rose, Eric, Barbara con un fagottino tra le braccia e Agnes. Alle loro spalle c’era anche Jonah.
“Signorina Evans, la sua famiglia è al sicuro. Come promesso.”
Ariadne gli strinse entrambe le mani e gli sorrise riconoscente.
“Sei il miglior braccio destro che esiste, Jonah.”
“Fatti stritolare!” esultò Julian.
Ariadne si ritrovò nella morsa delle braccia di Julian, invasa dal suo tipico odore di dopobarba e sciroppo di mele. Anche Eric si unì all’abbraccio, e Ariadne gli cinse la vita per aiutarlo a stare in piedi. Al gruppo si avvicinò Barbara e scostò la copertina per mostrare a tutti un visino tondo e paffuto.
“Lei è nostra figlia, è nata due settimane fa. Si chiama Emily Ariadne Evans.”
Ariadne si commosse e si abbandonò ad un pianto commosso. Era bello che suo fratello e sua cognata avessero chiamato la piccola col suo nome. Prese in braccio la piccola e le diede un leggerissimo bacio sul nasino.
“Benvenuta al mondo, Emily. E benvenuta in questa famiglia di pazzi.”
“Di pazzi estremamente affascinanti.” Aggiunse Julian.
“Speriamo che non prenda da Julian il brutto carattere.” Scherzò Rose.
“Colpito e affondato, fratello!” disse Eric.
“Che ne dite di una bella cena tutti insieme?” consigliò Margaret.
“Cucino la mia specialità!” disse Julian.
“Tu non hai una specialità!” lo rimbeccò Barbara.
Ariadne per un momento rimase contro lo stipite della porta ad ammirare quella scena per imprimere nella mente ogni singolo dettaglio. Era lì con la sua migliore amica, i suoi fratelli, le sue cognate e le sue nipoti, e c’era anche il suo braccio destro. Sorrise di gioia perché in quella cucina minuscola c’era tutta la sua vita, le persone a cui voleva bene e per cui avrebbe sacrificato se stessa.
Era tutto perfetto, mancava soltanto l’uomo che amava.
 
“Me la sono svignata quando ho capito che Camden Town era compromessa. Ho raggiunto Eric in Svizzera e mi sono nascosto là per due settimane.”
Jonah e Ariadne a fine cena si erano spostati all’esterno per poter discutere di affari. La ragazza buttò fuori il fumo della sigaretta e scrollò la cenere, e forse sperava anche di poter scrollare i pensieri negativi.
“Alfie lo sa?”
“Sì, infatti nei prossimi giorni tornerà a Londra. La sua copertura è saltata e ha bisogno di proteggere i suoi guadagni.”
“Quindi il mio accordo con lui è concluso?”
“Non lo so, signorina. Gli spedirò una lettera per chiederglielo.” Rispose Jonah.
“Bene. Lizzie e i bambini?”
“Sono al sicuro in una casa degli Shelby fuori città. Finn li ha scortati là qualche giorno fa.”
“Almeno Birmingham è libera adesso. I Peaky Blinders possono tornare.” Disse Ariadne.
Jonah si alzò dalla panchina e si spazzolò i pantaloni eleganti, riusciva ad essere sofisticato anche da fuggitivo.
“Perciò ora possiamo concentrarci solo su Mick King. Ho fatto quello che mi ha chiesto. E’ tutto pronto.”
“Conserviamo quella carta ancora per un po’. Ci sono altre questioni in ballo.”
“Di che tipo?”
“Siediti, Jonah. Devo parlarti di Tyler Nolan.”
 
Tornare al Garrison era stato come tornare a casa dopo la guerra. Tutti i Peaky Blinders e gli amici degli Shelby si erano precipitati al pub non appena si era sparsa la voce che Changretta era stato spodestato.
Adesso Tommy sedeva nel loro solito privé con una bottiglia di whiskey appena stappata e un bicchiere polveroso. Fissava il liquido ambrato e nella sua mente li associava agli occhi di Ariadne. Aveva rischiato di perderla di nuovo, ecco perché gli tremavano le mani e non riusciva a versarsi da bere.
“Vuoi che il whiskey invecchi di trent’anni?”
Polly si chiuse la porta alle spalle e si lasciò cadere sul divanetto con un sospiro di sollievo; era stanca ma non avrebbe dormito dopo quella vittoria eclatante.
“Magari invecchio anche io e mi ritiro.”
“Tommy Shelby ha intenzione di ritirarsi?”
Tommy sbuffò e si rigirò il bicchiere fra le mani. Era esausto. Non era più abituato a quella azione dopo mesi di vita pacifica.
“Sono stanco, Pol.”
“Lo so. Noi due abbiamo dato tutto a questa famiglia e a questa città.”
“Ma non è ancora finita.” Disse Tommy.
Polly volse gli occhi alla luna piena attraverso la finestra, quella notte gli spiriti l’avrebbero contatta per raccontarle segreti e svelare misteri.
“Il mese scorso, durante il plenilunio, lo spirito di tua madre mi ha detto che eri ancora vivo. Mi ha detto anche che secondo lei eri sereno.”
“Serenità, roba sconosciuta.”
Tommy si grattò la nuca, una sensazione di stanchezza e tristezza gli strisciava addosso come una biscia velenosa.
“Tu vorresti essere sereno con una certa rossa al tuo fianco.” Lo schernì Polly.
“Ma piantala.”
“Lo vedo come guardi Ariadne. Hai addirittura finto la tua morte per restare a Londra, e lo sappiamo entrambi che sei rimasto là per Ariadne. Volevi proteggerla.”
“Ma Ariadne si protegge da sola. Non ha bisogno di me.” Ammise Tommy.
“E’ vero che se la cava da sola. Però è anche vero che ti guarda con gli occhi innamorati.”
Polly notò il piccolo sorriso di Tommy. Per lei era ancora quel ragazzino di sedici anni che le dava un bacio prima di andare a spalare il letame per Charlie Strong; era ancora il suo bambino.
“Io e lei andiamo in due direzioni opposte.”
Tommy trasalì quando la zia gli prese la mano e la strinse fra le proprie.
“C’è una cosa che ho imparato nella vita: sopravvive al tempo solo ciò che conta davvero.”
In quel momento Tommy sperò con tutto se stesso che lui e Ariadne sopravvivessero al tempo più di ogni altra cosa o persona nella sua vita.
 
“Qual è il piano? Devi averne uno.” Disse Eric.
Mentre tutti erano andati a dormire, lui e Ariadne si erano intrattenuti in salotto con una tazza di camomilla. Parlavano a bassa voce alla luce fioca di una lampada.
“Ho un piano, ma deve restare segreto perché funzioni.”
“Riguarda anche nostra madre?”
Nonostante Eric non fosse figlio di Marianne, continuava a chiamarla ‘mamma’ dopo tutto il tempo trascorso insieme. Ariadne, invece, desiderava non essere figlia di quella donna meschina.
“Nostra madre sarà un problema. Le ho promesso che le avrei consegnato Birmingham, quindi adesso che la città è di nuovo nelle mani degli Shelby anche grazie a me…”
“Lei si vendicherà in modo crudele e subdolo.” Proseguì Eric.
“Già. Però non è lei il mio problema principale. Devo prima togliermi Mick dai piedi.”
“Ti farai aiutare dai Peaky Blinders?”
“No, è una faccenda privata. Riguarda me soltanto. Sono io che devo combattere i miei mostri.”
Ariadne avvolse le dita intorno alla tazza calda per trarre un pizzico di conforto. I giorni successivi sarebbero stati duri e lei doveva essere pronta a tutto.
“Ci pensiamo io e Julian alla mamma. La possiamo distrarre mentre tu ti occupi di Mick.”
“Lo faresti davvero? Tu e Julian non volete avere a che fare con la mamma.”
Eric si alzò grazie al bastone e si sedette accanto alla sorella, cingendole le spalle con il braccio.
“Sei nostra sorella, Ari. Io e Julian faremmo qualsiasi cosa per te. Ti abbiamo lasciata da sola, abbiamo lasciato che sposassi Mick per ripagare un debito che ho contratto io, abbiamo lasciato che Nolan ti rapisse. Non posso più permettere che tutto ciò accada ancora.”
“Va bene allora. Voi pensate alla mamma e io penso a Mick. Tutto dovrebbe concludersi in pochi giorni.”
“Ce la faremo.” Disse Eric.
Ariadne appoggiò la testa sulla spalla del fratello con un sospiro. Nonostante fosse circondata dalla famiglia e dagli amici, si sentiva terribilmente sola.
 
 
Salve a tutti! ^_^
Finalmente Ariadne ha ritrovato la sua famiglia e Tommy ha riconquistato la sua città, però questa pace durerà molto poco…
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

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Capitolo 8
*** Tradire il traditore ***


8. TRADIRE IL TRADITORE

“Morire è un'arte, come ogni altra cosa. Io lo faccio in un modo eccezionale. Io lo faccio che sembra come inferno.”
(Sylia Plath)
 
Due giorni dopo, Londra
Tommy fu svegliato da Nadina alle prime luci dell’alba. La ragazza gli aveva lanciato sulla faccia il giornale del mattino.
“Leggi in prima pagina!”
Tommy si mise seduto e subito si portò una sigaretta alle labbra senza accenderla, era una abitudine confortante che lo accompagnava dai tempi della guerra.
“Ma che cazzo…”
Il quotidiano riportava a caratteri cubitali che Caesar Osborne era stato assassinato durante una cena d’affari. insieme a lui c’era Mick King, magnate londinese, che si era salvato per miracolo.
“Nell’articolo dicono che un uomo armato di mitragliatrice è entrato nel locale e ha iniziato a sparare in direzione del tavolo di Osborne e Mick. L’uomo si è suicidato prima di essere arrestato.”
“E’ opera di Nolan.” Disse Tommy.
“Sta facendo terra bruciata intorno a Mick.” Disse Nadina.
Stavano arrivando alla fine. La partita stava per concludersi, quelle erano le mosse finali.
“Nolan sta eliminando gli alleati di Mick in modo da lasciarlo da solo.”
“E Ariadne? Nolan vuol uccidere anche lei. E vuole uccidere anche Rachel, il che mi fa proprio incazzare.”
Tommy si sciacquò la faccia e addentò alla svelta una fetta di pane avanzata dalla cena della sera prima. Si vestì in fretta e recuperò la pistola da sotto il cuscino.
“Dobbiamo andare a casa di King. E’ il momento giusto per togliere Mick di mezzo, adesso che è debole.”
“Agli ordini!” acconsentì Nadina.
I due presero il furgone scassato dei fratelli della ragazza e scorrazzarono verso i quartieri ricchi della città.
 
Ariadne scese in sala da pranzo in tutta tranquillità. Sua madre era tornata a Birmingham subito dopo aver saputo che Barbara ed Eric avevano avuto una bambina, voleva a tutti i costi conoscere la nipotina e rivedere la famiglia. In realtà era un modo per distrarla e sbarazzarsi di lei per qualche giorno mentre Ariadne portava a termine i suoi piani.
“Non me ne frega un cazzo! Trovate quel bastardo di Nolan, adesso!” strillava Mick.
Una decina di uomini uscirono a testa bassa dal suo ufficio. Gli Scuttlers non facevano poi così tanta paura con quelle facce da cani bastonati.
“Tu, vieni subito qui!” gridò Mick.
Ariadne entrò nello studio, si sedette alla poltrona e si lisciò le pieghe del maglioncino. Mick, dal canto suo, aveva le occhiaie che gli cerchiavano gli occhi e la rabbia che gli faceva digrignare i denti.
“Ti vedo stravolto. Hai dormito male?”
Mick la incenerì con lo sguardo. Se avesse potuto, l’avrebbe pietrificata con gli occhi.
“Non sono riuscito a dormire affatto. Sai com’è, ho sfiorato la morte ieri sera!”
“Oh, sì. Ho sentito. Che spiacevole serata. Siete almeno arrivati al dolce?”
“Come mai sei così calma? Nolan si sta avvicinando!” sbraitò Mick.
“Che si avvicini pure. Primo o poi tutti moriamo.”
Mick, in preda all’isteria, prese un vaso e lo lanciò contro la porta, disseminando pezzi di vetro dappertutto.
“Non ho intenzione di perdere il mio impero per colpa di un vecchio che si attacca ad un fottuto patto di sangue!”
“Hai ucciso suo figlio, che cosa ti aspettavi?”
“Un mio uomo ha ucciso suo figlio!” obiettò Mick.
Ariadne si alzò in piedi, si abbassò sulla scrivania e parlò ad un centimetro dalla faccia di Mick.
“Tu sapevi che Alexander era il figlio di Tyler Nolan. Sapevi che faceva boxe in quello stabilimento. E sapevi che il tuo uomo lo avrebbe ucciso perché glielo hai ordinato tu!”
“Io non sapevo un cazzo.”
“Non prendermi per stupida, Mick. Tu volevi prenderti tutta la città e per farlo dovevi eliminare gli affari di Nolan. L’unico modo per farlo ritirare era toglierli il suo unico figlio. Ma non è andata come volevi: anziché ritirarsi, Nolan si è ricordato del patto di sangue e ha iniziato a darci la caccia. E’ tutta colpa tua!”
Mick la fissò in silenzio, bianco come un fantasma. Ariadne lo aveva smascherato.
“Hai ragione. Volevo che Londra fosse tutta sotto il mio controllo! Volevo essere il re della città! Ho eliminato i Peaky Blinders, ho portato Changretta in un’altra città, ho fatto patti con i fascisti, e ho anche cercato di corrompere Camden Town. Volevo e voglio tutto! E siccome non sono disposato a rinunciarvi, tu mi aiuterai a uccidere Nolan. Ti ricordo che c’è in ballo l’annullamento del matrimonio. Se non mi aiuti, resterai spostata con me fino alla morte.”
Ariadne si tirò indietro, fece un giro su stessa e scoppiò a ridere.
“Sei così disperato. Non hai le qualità per diventare il re di una intera città.”
“Ricorda che abbiamo pattuito il tuo aiuto in cambio dell’annullamento delle nozze.”
“Ma io non voglio più l’annullamento.” Disse Ariadne.
“E cosa cazzo vuoi allora?”
Ariadne sorrise – una smorfia di trionfo – e lasciò lo studio di Mick fischiettando.
 
Quando Tommy uscì dal suo caravan per iniziare la giornata, fu accolto dall’espressione preoccupata di Polly. Era partita da Birmingham alle prime luci per trovarsi lì così presto.
“Che succede, Pol?”
“Enea Changretta è morto. Avevamo deciso di risparmiarlo perché ci serviva!”
Tommy alzò le mani in segno di resa, sua zia era di pessimo umore e andava presa con le buone.
“Non siamo stati noi. Io e Arthur lo abbiamo legato nella stalla di zio Charlie proprio perché ci serviva vivo per avere altre informazioni sui suoi legami con gli Scuttlers.”
“Stamattina Curly lo ha trovato sgozzato.” Disse Polly.
“E com’è possibile? I Peaky Blinders avevano l’ordine di non ucciderlo.”
Polly sbuffò e si passò una mano fra i capelli arricciati.
“O c’è una talpa o qualcuno è arrivato a Enea perché ci spiava.”
“Nolan potrebbe aver mandato uno dei suoi a uccidere Enea.” Disse Tommy, pensieroso.
“Già. Del resto, anche il fascista che era alleato con Mick è stato ucciso.”
“Nolan sta accerchiando Mick, vuole fargli sapere che ce l’ha in pugno.”
Tommy si accese la prima sigaretta della giornata, il fumo gli invase i polmoni e sentì i nervi che si calmavano.
“Non è un problema dei Peaky Blinders né degli Shelby. Ci siamo ripresi la nostra città e adesso dobbiamo solo riprendere in mano i nostri affari.”
“Quindi torni a Birmingham con me?” domandò Polly.
Tommy rimase in silenzio. Non poteva mentire a sua zia, non ci era riuscito neanche quando da ragazzo si intrufolava al Garrison e rubava un boccale di birra. A lei non poteva raccontare bugie.
“Io devo restare qui per aiutare Ariadne.”
“A quella donna non devi niente, Tommy. Abbiamo anche saldato il debito di quindicimila sterline. Qui hai finito. Puoi tornare a casa.”
Casa, un concetto assai relativo. Tommy sin da piccolo aveva creduto che Birmingham fosse la sua sola casa perché la tua dimora è dove c’è la famiglia. Ma negli ultimi mesi a Londra aveva capito che ‘casa’ non è un luogo, ma è dove cessano i tentativi di fuga. E lui voleva restare accanto ad Ariadne perché era con lei che ogni tentativo di fuga svaniva. Era con lei che aveva voglia di restare, di fermarsi, di costruire qualcosa di solido.
Per la prima volta in vita sua Tommy Shelby aveva fame d’amore.
“Devo restare qui.”
Polly sospirò e annuì, suo nipote era un gran romanticone in fondo.
“Va bene. Dei Peaky Blinders me ne occupo io. Ma questa volta cerca di non farti saltare in aria.”
“Ci proverò.”
Zia e nipote si abbracciarono e si salutarono con un bacio sulla guancia. Tommy aspettò che l’auto si allontanasse prima di dirigersi a casa King.
 
Ariadne correva per sfuggire al temporale che stava avviluppando Londra da ore. Si era fermata sotto un balcone per ripararsi, anche se ormai l’orlo dei pantaloni e le scarpe erano fradici. Anche i capelli erano bagnati e i ricci gocciolavano lungo la schiena facendola rabbrividire. Maggio in Inghilterra poteva essere un misto tra gennaio e luglio, con i temporali sempre sul punto di esplodere.
“Serve un passaggio?”
Un’auto aveva accostato e dal finestrino sbucava la faccia di Tyler Nolan. L’autista scese e aprì la portiera, un invito che la ragazza non poteva rifiutare.
“E’ il momento?” domandò Ariadne.
Nolan si spostò per farla scivolare sul sedile e chiuse la portiera per lei.
“E’ il momento. Tu sei pronta?”
Ariadne fece un respiro profondo. Era pronta? No. Aveva paura? Sì, e questo bastava a darle la spinta giusta.
“Sono pronta.”
 
Tommy varcò il cancello di casa King e si ritrovò due uomini che gli puntavano le pistole contro. Dalla porta uscì Mick con due valigie e l’aria sospetta.
“Non ho tempo per te, Shelby. Ho da fare.”
“Sono qui per Ariadne.” disse Tommy.
“La tua fidanzatina non è qui. Sai, è completamente uscita fuori di testa.”
Mick aprì il bagagliaio della macchina e infilò le due borse, dopodiché si mise lui stesso alla guida. Sembrava stesse scappando o nascondendo qualcosa.
“Di che stai parlando?”
Mick uscì dall’auto e sbatté la portiera con una forza tale da far tremare i finestrini. Era infuriato, e Tommy immaginava che Ariadne lo avesse portato sull’orlo della collera.
“Quella stronzetta ha qualcosa in mente. Si sta prendendo gioco di tutti. Fa accordi che non rispetta. Ha di sicuro un piano per farci tutti fuori.”
“Tu e lei avevate un accordo?” chiese Tommy.
“Sì: lei mi aiutava con Nolan e io annullavo le nostre nozze. Poco fa, invece, mi ha detto che non le interessa più l’annullamento del matrimonio. Non ti sembra strano?”
Tommy doveva ammettere che Mick aveva ragione. Ariadne si era opposta da sempre a quel matrimonio, anche dopo la celebrazione, ed era assurdo che adesso non volesse l’annullamento.
“Signore.” Disse una guardia.
Nel vialetto si fermò una donna in bicicletta. Indossava occhiali e foulard azzurro a ripararle i capelli dal vento. Camminò verso di loro a passo baldanzoso.
“Buongiorno, amici miei.”
Era Charlotte. Slacciò il copricapo e una cascata di perfetti boccoli castani le ricaddero sulle spalle.
“E tu che cosa vuoi?” ringhiò Mick.
“Tyler Nolan vuole incontrare entrambi domani sera alle ventuno nella sua residenza estiva a Dorset, nella Baia di Studland.”
Mick era sbiancato. Il panico se lo stava mangiando vivo, era chiaro dall’espressione di puro terrore negli occhi.
“Ci saremo.” Confermò Tommy.
Charlotte annuì con un sorriso ammaliante, poi montò in bici e pedalò con tutta calma mentre Mick si lasciava sfuggire una seria di colorite bestemmie.
 
Il giorno dopo
Tommy non aveva chiuso occhio, la preoccupazione per Ariadne lo aveva tenuto sveglio e agitato per tutta la notte. La ragazza era scomparsa. Aveva lasciato detto a Rachel che si sarebbe allontana da Londra per affari, ma Tommy non credeva a quella bugia. Ariadne aveva affari solo a Camden Town, perciò aveva mentito per chissà quale ragione.
“E’ permesso?”
L’immagine sfocata di Olga si intravedeva dalla finestra opaca del caravan. Tommy si infilò la maglia e aprì la porta per farla accomodare.
“E’ successo qualcosa?”
Olga si sedette sul letto con un rantolo, a settantacinque anni gli acciacchi ormai non facevano altro che peggiorare giorno dopo giorno.
“Stanotte ho sognato tua madre. Mi ha pregata di riferirti un messaggio da parte sua.”
Tommy rimase con la sigaretta a mezz’aria, sorpreso da quella rivelazione. Lasciò perdere il fumo e si mise a braccia conserte.
“Dimmi tutto.”
“Tua madre vuole che tu lasci la vita criminale. Ti consiglia di seguire il tuo cuore e di trovate la felicità.”
“Ma la famiglia…”
“La famiglia non ha più bisogno di te.” Lo interruppe Olga.
Tommy rimase in silenzio. Sua madre era sempre stata dolce e premurosa, e in parte era sollevato che se ne fosse andata prima di vedere tutti i figli coinvolti nella malavita di Birmingham. Sapeva che ormai la sua famiglia era in grado di farcela anche senza di lui, lo avevano dimostrato durante la sua finta morte. Eppure l’idea concreta di abbandonare Tommy Shelby – il rispetto, la paura, il denaro – gli faceva accapponare la pelle. Erano quasi vent’anni che faceva quella vita, per quale motivo avrebbe dovuto mollare tutto?
Quel flusso di pensieri fu annullato da Nadina che entrava come una furia, i capelli spettinati e i piedi scalzi.
“Tom, c’è Mick fuori che ti aspetta. Vuoi che venga con te?”
Tommy sbirciò dalla finestra e vide che Mick fumava un sigaro appoggiato al cofano dell’auto.
“Perché è già qui? L’incontro è stasera.”
“Dice che ti deve parlare con urgenza.” Disse Nadina.
Tommy uscì e si avvicinò a Mick, che intanto aveva smesso di fumare e si stava lisciando il bavero della giacca.
“Shelby, abbiamo un problema.”
“Quale sarebbe?”
“Un mio uomo mi ha detto che durante la notte è arrivato un carico di esplosivi al porto. Una quantità tale da fare saltare in aria la città.”
“E quindi?” fece Tommy.
“Charlotte ha acquistato tutto il carico.”
Nolan con tutto quell’esplosivo si stava preparando a combattere. Avrebbe vendicato suo figlio e avrebbe vendicato il vincolo di sangue. Si preparava ad una strage.
 
Tommy era stato a Dorset una sola volta in vita sua, insieme al padre e ai fratelli per comprare un cavallo. Non era un amante del mare, ma lì le spiagge erano splendide con la loro sabbia fine e il sole che nasceva e moriva oltre gli scogli.
Il paesaggio sfrecciava fuori dal finestrino mentre l’auto correva verso la cittadina. Era come guardare un film che andava veloce.
“Vuoi ammirare il cielo come un ragazzino in calore?” disse Mick, stizzito.
Tommy gli rivolse un’occhiata di sbieco, quell’uomo aveva la faccia di uno che voleva essere preso a pugni.
“Aspetto che il tuo autista arrivi in fretta a destinazione. Non è colpa mia se hai assunto questo lumacone.”
Mick emise un grugnito e si voltò dall’altra parte. L’autista ingranò la marcia e raggiunsero la destinazione in una ventina di minuti.
Ad attenderli fuori, seduta ai piedi del grande cancello di ferro, c’era Charlotte che si limava le unghie.
“Eccovi! Credevo di dover chiedere alla polizia di recuperarvi.”
“Siamo in perfetto orario. Non cominciare a farmi incazzare.” Disse Mick.
Tommy sentiva qualcosa all’imboccatura dello stomaco; era come un dolore cupo che gli intimava di fare massima attenzione.
“Dov’è Nolan? Vediamo di chiudere questa cazzo di faccenda.”
“Seguitemi. Che la festa abbia inizio!”
 
La villa estiva di Nolan era delle stesse dimensioni di un castello. All’interno era tutta una combinazione di marmi, mosaici e sculture di divinità. Charlotte li condusse nell’immenso salotto con vista sul mare.
“Ma che diamine…” mormorò Mick, sconvolto.
Seduta sul divano, con lo sguardo rivolto alla spiaggia, c’era Ariadne. Era illesa, neanche un segno di ferite. Anzi, sembrava piuttosto a suo agio.
“Signori.” Li salutò Ariadne.
Tommy sentì la morsa allo stomaco farsi più dolorosa. In bocca avvertì un sentore acido. Era il sapore del tradimento.
“Sul serio, Ariadne? Dimmi che non è come penso.”
“Brutta bastarda. Avrei dovuto ucciderti dopo il matrimonio!” gridò Mick.
“Sì, avresti dovuto. Mi sarei risparmiata le botte e le altre sventure.”
Ariadne fissava Tommy senza battere ciglio. Sembrava ferma come una delle statue all’ingresso. Una maschera di indifferenza le copriva il volto, quasi non la si riconosceva.
“Spiegami che cazzo sta succedendo.” Disse Tommy.
Nolan, che intanto si era alzato dal divano per versarsi uno scotch, si fece avanti.
“Le cose stanno così…”
 
Una settimana prima
“Perché dici così?”
“Perché ho ucciso mio padre.”
Nolan annuì e per qualche istante rimase in silenzio a ponderare le parole da dire.
“La mia ipotesi è confermata. Sì, immaginavo che tuo padre fosse stato ucciso da qualcuno della famiglia. Credevo, però, che fosse stato tuo fratello Eric.”
“Sono stata io. Deluso?”
“Adesso che ti conosco e vedo che in te c’è il fuoco, non sono per niente deluso. Sei meglio di come ti ho pensata.”
“Mi hai pensata molto?” fece Ariadne, disgustata.
“Tu sei la mia perfetta alleata contro Mick. Sbaglio o lo odi?”
“Certo che lo odio. Mi ha costretta al matrimonio, mi picchia e mi ricopre di insulti. Lo voglio morto.”
Nolan sorrise e si sfregò le mani come se gli avessero appena servito una succosa bistecca.
“Allora possiamo parlare di affari.”
Un uomo slegò i polsi di Ariadne e le offrì una sedia. Lei prese posto e accettò il bicchiere che Nolan le stava proponendo; aveva sete e per ascoltare il suo piano doveva mantenersi lucida.
“Quali affari?”
“Tu non sei più sulla lista dei nemici. Tu hai ucciso tuo padre e quindi hai vendicato la rottura del patto di sangue. Ora che so la verità sulla morte di Philip, tu e i tuoi fratelli siete liberi. Con la sua uccisione una vendetta è compiuta.”
Ariadne rimase sbalordita. A quindici anni aveva ucciso il padre senza sapere che un giorno questo omicidio le sarebbe tornato utile per salvare la sua famiglia. Alle volte il destino gioca brutti scherzi.
“Però Mick deve pagare, giusto?”
“Lui sì. Deve pagare perché suo padre ha infranto il patto e perché ha ucciso mio figlio.”
“La morte di tuo figlio è stata accidentale.” Disse Ariadne.
“No. Mick aveva messo una taglia sulla testa del mio Alexander. L’uomo che lo ha ucciso è stato profumatamente pagato. Mick voleva mettermi fuori gioco in tutti i modi. Uccidendo mio figlio credeva che io mi sarei ufficialmente ritirato.”
Ariadne lo aveva capito che Mick era impulsivo. Era un bambino capriccioso che frignava fino a quando non otteneva il suo giocattolo preferito.
“Mick voleva prendersi i tuoi affari, i tuoi soldi e le tue attività. Voleva costruire un impero.”
“Esatto. Ecco perché si è alleato con Enea Changretta, Byron Davis e addirittura con i fascisti.”
“Byron Davis è compromesso?”
Nolan rise per l’espressione allibita della ragazza. Era tenace ma ingenua.
“Byron ha fatto accordi con Enea e si spartiscono i soldi del tuo alcol. Camden Town è corrotta, qualcuno là ti ha tradita.”
“Sai chi è?”
“No, toccherà a te scoprirlo.”
Ariadne prese a massaggiarsi i polsi, il dolore era bruciante ma era un pensiero lontano. Sapeva bene che con quella conversazione poteva – e doveva – salvarsi la vita, e salvare la sua famiglia.
“Se io ti consegno Mick, che cosa ci guadagno?”
“La libertà. Potrai lasciare Londra e andare dove vuoi. Oppure potrai anche riprendere i tuoi affari a Camden Town, senza intaccare i miei ovviamente. E soprattutto nessuno oserà fare più del male alla tua famiglia.”
“Riesci a giurarmi che Mick morirà?” si assicurò lei.
Nolan la guardò con una tale serietà da farle venire i brividi. Era un uomo disposto a tutto per la vendetta.
“Io ti giuro che Mick King morirà per mano mia e tu non dovrai più preoccuparti di lui.”
“D’accordo.”
Ariadne allungò la mano e Nolan la strinse.
“Adesso ti espongo il mio piano.”
 
“Hai tramato contro la tua stessa famiglia!” tuonò Mick.
“No! Ho tramato contro di te, e tu non sei la mia famiglia.” Disse Ariadne.
Tommy era immobile come una statua, la sua espressione manifestava una freddezza tale da rendergli gli zigomi ancora più affilati. I suoi occhi di ghiaccio erano piantati su Ariadne, quasi a volerle scavare nella carne.
“Tom…”
“Mi hai coinvolto in questa storia senza che io c’entrassi qualcosa. Perché?”
“Glielo ho ordinato io.” rispose Nolan.
Ariadne guardò Nolan per un breve istante prima di tornare su Tommy. Le tremava il labbro per la voglia di parlare, di confessare tutto, ma preferì restare muta.
“Ariadne Evans che si fa comandare da un uomo. Assurdo.” Commentò Tommy.
“Alle volte anche io devo abbassare la testa.” Replicò la ragazza.
“Ho capito. Nolan vuole prendersi anche Birmingham, vero?” azzardò Mick.
Nolan fece spallucce e abbozzò un ghigno soddisfatto.
“Ariadne mi ha fatto proposte che non potevo rifiutare.”
Tommy fece un passo indietro come se un proiettile invisibile lo avesse colpito in pieno petto facendolo vacillare.
“Hai venduto la mia città e i miei affari a questo stronzo?”
“Sì. Qualsiasi cosa pur di liberarmi.” Ammise Ariadne.
Tommy sentì la morsa allo stomaco che diventava dolore acuto. Il tradimento quasi pareva serrargli le sue dita crudeli attorno alla gola.
“Tu sei la persona peggiore che io conosca. Non credevo che fossi capace di una cosa simile.”
Ariadne non cambiò espressione, rimaneva con le braccia lungo i fianchi e la testa alta. Era lei la regina, era lei che tirava i fili dei burattini. In quel momento sentì di somigliare a sua madre, stessa alterigia, stessa meschinità.
“Tu hai la brutta abitudine di cadere ai piedi di ogni bella donna. Sei davvero uno stupido, Tommy Shelby.”
“Adesso basta! Facciamola finita!” disse Mick.
Nolan rise quando Mick estrasse la pistola e gliela puntò contro. Era come un moscerino contro una colonna di marmo pario.
“Pensi di uccidermi a casa mia, circondata da guardie, con quella misera pistola? Davvero?”
Ariadne lo vedeva che Mick era nervoso e ormai aveva perso il senno. Non aveva più il controllo della situazione, era smarrito e non aveva nessuno che accorresse in suo aiuto. Ma anziché sentirsi potente dinanzi a quell’uomo finito, si sentì viscida perché le sembrava di essere come suo padre.
“Abbassa la pistola, Mick. Hai troppo da perdere.”
“Io non ho proprio più un cazzo da perdere!”
Nolan schioccò le dita e Charlotte entrò nella sala trascinando due individui con il volto coperto da un cappuccio. Quando i loro visi furono alla luce, Mick abbassò l’arma. Erano suo figlio e la sua ex moglie.
“Ma come…”
Nolan accarezzò la testa rasata del ragazzo e gli diede una pacca sulla spalla del tutto inadeguata.
“Ho chiesto all’I.R.A. di prelevare tua moglie e tuo figlio nel caso avessi fatto il pazzo.”
“Ci sei tu anche dietro le esplosioni?” chiese Tommy.
“Sì. Ho fatto saltare la sede del partito fascista e poi ho fatto uccidere Caesar Osborne, e tutto per lasciare Mick senza alleati.”
“Mick…” piagnucolò l’ex moglie.
Ariadne dovette mantenere il sangue freddo per non correre da lei a consolarla. Aveva una parte da recitare e lo spettacolo non poteva fermarsi.
“Che cosa volete da me?” domandò Mick, esasperato.
Nolan si leccò le labbra compiaciuto che la sua minaccia avesse sortito l’effetto desiderato.
“Mi prenderò tutte le tue attività, i tuoi uomini, le tue proprietà, le tue auto e i tuoi soldi.”
“Altrimenti?”
“Altrimenti uccido tua moglie e tuo figlio.” Disse Nolan.
“Papà, no!” supplicò il ragazzo.
Mick non lo degnò di attenzione. Ariadne in quel momento capì che quella carta era inutile, che a lui non importava della vita o della morte della sua famiglia. Lei e Nolan avevano commesso un errore.
“Mick, rinunci a tutto per salvarli?”
Mick rise e roteò il polso facendo oscillare pericolosamente la pistola. Allargò le braccia come una fenice risorta dalle ceneri.
“No. Potete anche ucciderli, a me non interessa.”
Nolan si accigliò. Non era così che doveva andare. Quel comportamento di Mick non rientrava nei piani.
“Preferisci la morte di tuo figlio? I soldi non valgono così tanto. Io lo so bene.”
“Oh, voi credevate che io tenessi a loro? E su questo che avete basato la vostra strategia?”
Tommy sbarrò gli occhi, neanche lui si aspettava che Mick fosse indifferente ai suoi cari. Ariadne gli fece un cenno con la testa e lui avanzò piano verso di lei.
“E’ la tua famiglia!” insistette Nolan.
Mick alzò gli occhi al cielo e sbuffò, tutta quella faccenda era una vera seccatura.
“Mi sono liberato di loro perché non li volevo. Ho rinchiuso mia moglie in un convento e ho fatto arruolare mio figlio per togliermeli davanti. Non mi interessa di loro, non mi è mai interessato.”
E poi accadde tutto in pochi minuti. Leonard si divincolò dalla presa di Charlotte e corse come un toro inferocito verso il padre. Si gettò addosso a Mick sbattendolo sul pavimento. Gli tolse la pistola di mano e gliela puntò alla fronte.
“E’ così, ah? Io e mia madre non contiamo niente per te?”
Ariadne stava per intervenire ma Nolan l’afferrò per la spalla e la trattenne. Leonard adesso stava colpendo Mick al volto con i pugni.
“Leonard, fermati!” strillò Ariadne.
Il ragazzo, però, non era capace di arrestare la rabbia. Agguantò il padre per la nuca e gli sbatté la testa sul pavimento.
“Ti prego! Basta! Basta!” urlava Camille.
Ariadne sentiva di dover intervenire. Se non poteva farlo con le azioni, lo avrebbe fatto con le parole.
“Leonard, ascoltami. Non ne vale la pena. Uccidere qualcuno, spezzare una vita, non è facile come sembra. Ti tormenta a vita, ti toglie il sonno. Io ho ucciso mio padre e da allora me ne pento perché è stato un gesto che mi ha cambiato in peggio la vita. Credevo di essere migliore di lui, ecco perché l’ho ucciso. Ma la verità è che uccidendolo mi sono rivelata identica a lui, il peggior incubo. Tu hai l’occasione di essere migliore di tutti noi, Leonard. Ti prego. Fallo almeno per tua madre.”
“Segui il consiglio, ragazzo. Non ti rovinare la vita.” suggerì Tommy.
Leonard allora si fermò, ansimava per la fatica, gli girava la testa per l’attacco di ira. Allontanò le mani dal padre senza smettere di guardarlo. Mick sbatteva le palpebre a causa dello stordimento. Quei due avevano ragione, pensò Leonard: suo padre non ne valeva la pena.
“Tesoro mio!” disse Camille.
Charlotte la lasciò andare e così madre e figlio poterono abbracciarsi. Ariadne sentì le lacrime premere contro gli angoli degli occhi ma si costrinse a resistere.
“Non è finita.” Rise Mick.
Tommy lo guardò e nei suoi occhi vide un terrificante barlume di follia. Poi notò che aveva alzato un braccio e muoveva le dita come a voler fare un segnale. Capì che era il momento.
“Fuori! Adesso!”
Ariadne prese la mano di Camille e di Leonard e li trascinò all’esterno. Tommy, Nolan e Charlotte li seguivano.
“In acqua!” ordinò Tommy.
Senza indugio, tutti si buttarono in piscina. Un secondo dopo la villa esplose e prese fuoco.
 
Ariadne sott’acqua osservò la scena a rallentatore: le colonne che saltavano, le tegole spaccate, le fiamme che divoravano i muri. Trascorsero cinque buoni minuti prima che qualcuno la tirasse fuori. Avvertì un colpo al cuore quando riemerse.
“Stai bene?” era Tommy.
Ariadne sputò l’acqua e si passò una mano fra i ricci per spostargli dalla faccia.
“Me la cavo.”
“Ma che cazzo è successo?” sbraitò Nolan.
“Mick pensava di fregarci. E’ stato lui a piazzare l’esplosivo.” Spiegò Tommy.
“Quale esplosivo?”
Ariadne si strizzò i capelli e scrollò le spalle come a voler togliersi di dosso l’acqua.
“Il fatto è questo…”
 
Yellow Camp, poche ore prima
Tommy nell’attesa dell’incontro aveva fumato una decina di sigaretta, e difatti i suoi polmoni borbottavano come un motore arrugginito.
“Tom, eccomi.”
Ariadne sbucò da un vicolo buio tutta vestita di nero, persino i ricci rossi avvolti in un foulard scuro. Si nascosero dietro dei barili per osservare quanto stava accadendo al molo.
“Le vedi quelle casse che stanno scaricando?” fece Tommy.
“Sì. Cos’è?”
“E’ esplosivo. Tre casse piene di sostanze che farebbero saltare in aria tutta Londra.”
Ariadne tese il collo e intravide il naso aquilino di uno degli uomini che stavano acquistando le casse.
“C’è Andrew, l’autista di Mick.”
“Mick sta comprando tutto quell’esplosivo. Bastardo.” Commentò Tommy.
“Tom, guarda!”
Una seconda barca, più piccola, era appena giunta al porto e un uomo massiccio saltò a terra per stringere la mano di Andrew. Sul fianco di questa barca era dipinto il nome ‘Rosemary’.
“Quella barca viene da Birmingham.”
“Quindi Mick sta spedendo esplosivi a Birmingham? Per quale motivo?”
“Per ucciderci tutti.” Sentenziò Tommy.
Ariadne si passò una mano sul viso, era esausta e l’indomani l’attendeva una giornata altrettanto difficile.
“Devi subito avvisare la tua famiglia che un carico di esplosivi sta arrivando a Birmingham. Devono intercettare quella barca e fermarla.”
Tommy prese Ariadne per mano e si allontanarono furtivi nella notte. Varcata la soglia del porto, Tommy si accese una sigaretta e sospirò a lungo.
“Almeno adesso sappiamo cosa ci aspetta domani.”
“Ce la faremo.” Lo rassicurò Ariadne.
Tommy le cinse la vita e la baciò con estrema passione. Poteva essere l’ultimo bacio e meritava di condividerlo con lei. Solo così avrebbe avuto senso.
 
“Siete stati furbi. Davvero furbi.” Si complimentò Nolan.
“Non così tanto!”
Ariadne si voltò e la paura si immobilizzò per la paura. Mick, che era sgattaiolato fuori dalla villa prima dell’esplosione, teneva un coltello puntato alla gola di Marianne Evans.
“Marianne, che ci fai tu qui?” domandò Nolan, allibito.
“Le ho chiesto io di venire, in caso di necessità.” Disse Mick.
Ariadne tentò di fare un passo avanti ma la mano di Tommy sulla spalla la trattenne.
“Che cosa vuoi, Mick?” chiese Tommy.
“Voglio gli affari di Nolan. Voglio che Nolan si tolga dai piedi senza intralciarmi. Voglio gli affari dei Peaky Blinders e dei Blue Lions. E voglio anche Camden Town.”
“Mi sembri troppo esigente, ragazzino.” Disse Nolan.
Ariadne continuava a guardare sua madre, il braccio di Mick attorno al suo collo non si spostava di un millimetro. Marianne era ferma, gli occhi severi, la bocca una linea dura; manteneva il suo atteggiamento anche in quel frangente di pericolo.
“Lascia andare mia madre e ti consegno di Blue Lions.” Propose Ariadne.
“Voglio anche Camden Town.” Ribadì Mick.
“A Camden Town tutto è tornato nelle mani di Alfie Solomons, non prendo più io le decisioni.”
“Non avrà mai i Blue Lions!” gridò Marianne.
Agguantò il polso di Mick che reggeva il coltello e si conficcò le lama nella carotide. Cadde a terra mentre intorno a lei si formava una pozza di sangue.
“Mamma!”
Ariadne si gettò sulla madre, la prese fra le braccia e premette le mani sulla gola per impedire al sangue di scorrere; era troppo tardi, l’arteria si stava dissanguando.
“Non…non posso…v-vivere senza tuo…padre…”
“Shh, mamma. Andrà tutto bene. Non parlare.”
Tommy si inginocchiò accanto ad Ariadne e le circondò le spalle con un braccio. La ragazza aveva i vestiti e le mani ricoperti di sangue, e piangeva a dirotto.
“Non lasciare… che l’eredità… di tuo… padr…”
Marianne emise un rantolo, il respiro diminuiva ad ogni secondo che passava. Ariadne si strinse la madre al petto e l’abbracciò come mai aveva fatto in vita sua.
“Ti perdono tutto, mamma. Mi dispiace di averti rovinato la vita. Ti voglio bene, e te ne ho sempre voluto nonostante tutto.”
Marianne non riusciva a parlare, però con un ultimo sforzo accarezzò la guancia della figlia e le rivolse un piccolo sorriso. Poi chiuse gli occhi e morì.
“Mamma…mamma!”
Tommy strinse Ariadne mentre lei scoppiava in un pianto isterico. Singhiozzava così forte che quasi sembrava non respirasse.
“State giù!” disse Nolan.
Tommy e Ariadne abbassarono la testa e si ripararono con le braccia. Un proiettile fendette l’ria e si piantò nel petto di Mick. Il suo corpo si accasciò e si ripiegò su se stesso.
“Chi è stato?” volle sapere Tommy.
Dai cespugli emerse Arthur con in mano un fucile e sulla faccia un sorriso compiaciuto. Nei suoi anni da soldato era stato un cecchino e quella abilità gli era spesso tornata utile con i Peaky Blinders.
“Polly mi ha ordinato di correre qui da te dopo il tuo telegramma, sapeva che avevi bisogno che qualcuno ti parasse il culo.”
Tommy strinse la mano di Arthur ringraziandolo.
Il corpo di Mick giaceva sulle piastrelle della piscina con un buco in mezzo al torace da cui fuoriusciva il fumo dello sparo misto a sangue. Leonard gli tastò il polso per assicurarsi che non ci fosse più battito.
“E’ morto.”
Camille, che si reggeva al braccio di Nolan a causo dello stordimento, proruppe in un pianto di gioia per essersi finalmente liberata di quel mostro. Il figlio corse ad abbracciarla e piansero insieme.
“Io vado a controllare dentro.” Disse Arthur.
Tommy annuì e tornò a concentrarsi su Ariadne. La ragazza piangeva e tremava, ormai aveva gli occhi così gonfi e rossi che vedeva appannato.
“Ariadne, dobbiamo andarcene prima che arrivi la polizia.”
“Ma non possiamo lasciarla…qui…da sola…”
“Me ne occupo io. Tu non ti devi preoccupare.”
Ariadne era talmente esausta che Tommy la sollevò da terra con estrema facilità. La prese gentilmente per i gomiti e la sospinse piano verso l’uscita.
“Addio, mamma.”
 
Salve a tutti! ^_^
Tutti hanno tradito tutti. Tutti hanno stretto accordi con tutti.
La povera Ariadne ha perso la madre prima ancora di riuscire a fare ammenda, ma almeno Mick si è tolto dai piedi!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

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Capitolo 9
*** Epilogo ***


9. EPILOGO

“Qui possiamo regnare sicuri, e a mio parere
Regnare è una degna ambizione, anche se all'inferno:
Meglio regnare all'inferno che servire in paradiso.”
(John Milton, Il Paradiso Perduto)
 
Due giorni dopo, Birmingham
Ariadne si lasciò alle spalle il cimitero Witton con le mani in tasca e il vento freddo che le soffiava sul viso. Dietro di lei c’era la sua famiglia che camminava in religioso silenzio. Si era appena concluso il funerale di Marianne ed era stata sepolta nella cappella di famiglia, accanto al marito che tanto aveva amato e per il quale aveva odiato la figlia.
Ad un certo punto Eric zoppicò verso di lei e la prese a braccetto. Ariadne gli toccò la mano e abbozzò un piccolo sorriso.
“Che farai adesso, sorellina? Sei libera.”
“Devo chiudere alcune questioni in sospeso a Londra, dopodiché credo che lascerò l’Inghilterra. Ho bisogno di una pausa.”
“Partirai da sola?”
“Sì, credo che partirò da sola.”
“Qualunque sarà la tua decisione, io e Julian ti sosterremo sempre. Per la nostra famiglia tu hai fatto l’impossibile, ti sei sacrificata e ci hai salvati. Ti siamo debitori.”
“Potete ripagarmi essendo felici. E’ questo che ho sempre voluto.” Disse Ariadne.
Dall’altro lato arrivò Julian a prenderla a braccetto e le fece l’occhiolino.
“Aria, grazie di tutto.”
Ariadne sorrise e si asciugò le lacrime di commozione. Finalmente era libera.
 
Tre giorni dopo, Londra
Ariadne parcheggiò nel vialetto e fece scendere i suoi ospiti. La villa in questione era quella di Mick e ora apparteneva a lei in quanto vedova. In verità, tutti i beni di Mick ora erano di sua proprietà.
“Perché siamo qui?” chiese Camille.
“Per iniziare la vostra nuova vita insieme.” Rispose Ariadne.
Roberto osservò l’imponente dimora e storse il naso, neanche se la ricordava quella casa dato che a sei anni era già stato spedito in collegio dal padre.
“Non capisco.”
Ariadne fece tintinnare davanti ai loro occhi le chiavi della villa.
“E’ casa vostra. Adesso i beni e le proprietà di Mick sono miei, ma ieri sono andata dal notaio e ho restituito tutto a vostro nome. Questa villa, le altre case, le auto e i soldi di Mick ora sono vostri. Siete stati separati per tanti anni, è tempo di recuperare. Inoltre, ho chiesto l’annullamento del matrimonio.”
Camille si mise a piangere di gioia e Robert l’abbracciò con un sorriso ampio.
“Grazie, Ariadne. E mi dispiace per quello che ti ha fatto passare mio padre.”
Ariadne accarezzò la guancia del ragazzo e mise una mano sulla spalla di Camille.
“Tutti noi possiamo ricominciare senza di lui adesso. Sfruttiamo al meglio questa occasione.”
 
Due giorni dopo, Londra, Camden Town
Ariadne parcheggiò nel posto riservato ai camion e attese qualche istante prima di scendere. In quei giorni si stava occupando dei suoi affari, stava chiudendo tutte le questioni prima di partire.
“Signorina Evans!” la salutò Jonah.
Ariadne gli strinse la mano e gli diede una pacca sulla spalla. Insieme entrarono nella panetteria e si diressero al piano dove veniva imballato l’alcol.
“Allora, il capo è tornato?” chiese lei.
“Il signor Solomons è già a lavoro da una settimana. Ha molto da recuperare. E soprattutto, deve assumere nuova gente fidata dopo Samuel.”
Alcuni uomini si tolsero il cappello per salutare Ariadne, del resto per quasi un anno era stata il loro capo. Camminare per l’ultima volta in quei corridoi era rassicurante, era la premessa ad una vita normale.
“Ah, ecco la mia colomba!” esclamò Alfie.
Era appena uscito dal suo ufficio, la cicatrice che gli tirava la faccia mentre sorrideva. Diede due baci sulle guance ad Ariadne e uno sulla fronte, poi la invitò a seguirlo.
“Alfie, ti trovo bene. L’aria di mare è stata utile.”
“E’ la morte che è stata utile. Mentre tutti credevano che io fossi morto, in verità stavo organizzando i miei affari e mi stavo preparando a tornare.”
“Quindi hai già in mente cosa fare?”
Alfie col bastone colpì la spalla di un ragazzo per farlo spostare. Stavano andando verso il caveau segreto della fabbrica, accessibile solo a lui.
“Beh, ho prelevato il Kirke di Birmingham. Dato che Byron Davis è fuori gioco, i Peaky Blinders mi hanno fatto l’offerta e ho accettato.”
“Adesso gestisce locali notturni, signore?” indagò Jonah.
“Nah! Voglio trasformare il locale in un deposito per le nostre merci per far sì che partano dal porto di Birmingham pagando Charlie Strong a buon prezzo.”
Ariadne aveva sempre ammirato la mente affilata di Alfie. Lui era un calcolatore, programma ogni mossa e sceglieva sempre le soluzioni migliori.
“Se hai tutto sotto controllo, perché io sono qui?”
Alfie inserì una serie di numeri, girò due volte la manopola e aprì la porta massiccia del caveau. Entrò e si mise a frugare in un cassetto mentre Ariadne osservava gli scaffali ricolmi di documenti, libri antichi e orologi preziosi.
“Sei qui per questa, mia colomba.”
Alfie sollevò il coperchio di una scatola e tirò fuori una lucente collana di smeraldi. La ragazza toccò ogni pietra con la punta delle dita, era estasiata da quel gioiello.
“E’ incredibile. Dove l’hai rubata?”
“Cosa ti fa credere che sia rubata?” replicò lui.
“Alfie.”
“Va bene, va bene. Questa collana apparteneva all’ultima zarina di Russia. Vorrei che l’avessi tu e che l’accettassi come un regalo di ringraziamento da parte mia per esserti occupata dei miei affari.”
“Non voglio questa collana, Alfie. Non saprei che farmene. E non devi ringraziarmi, è anche merito tuo se ho avuto la possibilità di liberarmi.”
Alfie le mise una mano sulla spalla e sorrise, la cicatrice che si contorceva come un serpente.
“Mia cara colomba, adesso puoi spiccare il volo. Libera da ogni gabbia.”
 
Ariadne si infilò in auto e sospirò. Salutare Alfie l’aveva commossa, del resto era stato grazie a Camden Town se era diventata forte tanto da poter sfidare le altre bande.
“Signorina Evans, permettete una parola?”
Jonah l’aveva seguita e aveva bussato al finestrino per attirare la sua attenzione. Ariadne abbassò il vetro e si sporse.
“Dimmi, Jonah.”
“Avete intenzione di lasciare Londra?”
“Ho intenzione di lasciare il paese. E tu? Hai progetti?”
Jonah arrossì, insolito per uno come lui che era sempre sembrato una statua di granito.
“Mi trasferirò a Birmingham e aprirò un ufficio da commercialista. Sono bravo con i numeri.”
“Da solo?” lo punzecchiò Ariadne.
“Ehm…beh, Lizzie… volevo dire che la signora Shelby ha accettato di essere la segretaria dell’ufficio.”
Ariadne ridacchiò e gli diede un buffetto sulla mano.
“Sono felice per te, Jonah. Lizzie è una donna straordinaria e merita un uomo gentile e onesto come te.”
“Vi ringrazio, signorina. Vi ringrazio di tutto.”
“Grazie a te per non avermi mai abbandonata. Sei stato un amico prezioso, Jonah.”
Jonah le strinse la mano e ne baciò il dorso, poi si portò la mano sul cuore e abbassò il capo in segno di riverenza.
“Le scriverò una lettera al mese, signorina. Non si libererà di me. Sarò sempre il suo fedele amico.”
Ariadne sentì le lacrime pungerle gli occhi ma si trattenne. Jonah era stata una delle persone che più l’avevano sostenuta, non l’aveva mai lasciata da sola e l’aveva sempre aiutata.
“Arrivederci, amico mio. E chiamami Ariadne.”
“Arrivederci, amica mia.”
 
Poche ore dopo Ariadne era seduta in una sala da tè in attesa della sua ospite. Si era cambiata, si era sistemata i capelli e aveva indossato una lucente spilla a forma di luna sulla giacca.
“Ariadne!”
Rachel la salutò dalla soglia della sala, consegnò il cappotto al cameriere e la raggiunse. Ariadne si alzò per abbracciarla.
“Rachel, che piacere! Prego, accomodati.”
Si misero sedute e ordinarono tè e pasticcini.
“Sei sparita. Dove sei stata?” iniziò Rachel.
“Ho concluso tutti i miei affari. Non ho più questioni in sospeso. Tra l’altro, ieri sono andata dal notaio e ho già preso la mia parte di soldi essendo la vedova di Mick. Il resto dei suoi beni l’ho lasciato a Camille e Leonard.”
“E’ un bel gesto. Anche io ho ricevuto una piccola somma, domandi andrò dal notaio a riscuoterla.”
Il cameriere interruppe la loro conversazione per lasciare il vassoio con le tazze e le paste; chinò il capo e sparì alla svelta.
“Volevo anche dirti che ho inviato una lettera al vescovo per annullare il mio matrimonio adducendo come causa la prematura scomparsa di Mick. Attendo risposta.”
Rachel ingoiò un pasticcino intero, era agitata e di solito mangiare la consolava.
“Quindi hai intenzione di scomparire dalla mia vita?”
Ariadne sorrise e scosse la testa, prese le mani di Rachel e le strinse appena.
“Noi siamo amiche, Rachel, e lo saremo sempre. Io sto solo conquistando la mia libertà da tutto e tutti.”
“Fai bene. Del resto, anche io lascerò Londra. Tornerò in India.” ammise Rachel.
“Insieme a Nadina?”
Rachel sputacchiò il tè e si pulì il mento col tovagliolo sotto lo sguardo divertito di Ariadne.
“Tu sai di me e Nadina?”
“Sì. E sono felice per voi, state bene insieme.”
“Non condanni questa… cosa?”
Ariadne sapeva meglio di tutti che l’omosessualità era un reato per la legge, anche Julian si era dovuto nascondere quando aveva frequentato dei ragazzi.
“L’amore è amore, punto e basta.”
Rachel sospirò di sollievo e si lanciò addosso ad Ariadne per abbracciarla.
“Grazie di esistere, Ariadne Evans.”
 
Una settimana dopo, Birmingham
Ariadne bussò più volte finché Margaret non aprì la porta in vestaglia.
“Ariadne, sono le sette del mattino. Chi è morto?”
Si accomodarono in cucina e Margaret mise il bollitore sul fuoco, dopodiché recuperò tazze e biscotti.
“Non è morto nessuno. Anzi, porto belle notizie!”
“Quali?” chiese Margaret.
“Tu hai detto che vorresti lasciare Birmingham, giusto?”
“Sì. Perché?”
Margaret intanto stava versando il tè e il profumo si diffuse nella piccola cucina insieme al confortevole calore.
“Perché ho trovato il posto perfetto per noi. Potremmo trasferirci lì insieme, io, te e tua sorella.”
“Quale posto?”
“Potes, un paesino in Cantabria. In Spagna!” esclamò Ariadne entusiasta.
Margaret sbarrò gli occhi e fissò l’amica come se le fosse schizzato il cervello dal naso.
“In Spagna? Perché? E chi diamine lo sa lo spagnolo!”
“La lingua non è un problema, possiamo impararla direttamente sul posto. E poi la Spagna è bella, solare, è lontana dall’Inghilterra!”
“Ariadne, non ti sembra di esagerare? Per allontanarti non devi per forza trasferirti dall’altra parte del mondo.”
Il sorriso di Ariadne si spense. Lasciò la tazza sul tavolo e sbuffò.
“Io voglio tagliare i ponti con questa vita, con queste persone e con questa città. Potes è il posto giusto per iniziare da capo.”
“E come pensi di mantenerti?”
“Ho qualche soldo da parte per i primi tempi, poi ovviamente troverei un lavoro. Ti ricordo che pulivo i cessi in una bettola, la fatica non mi spaventa.”
Margaret si passò una mano sulla faccia e sospirò, mordendosi le labbra perché sapeva che stava per ferire la sua migliore amica.
“Non posso partire. Io e mia sorella abbiamo già ottenuto quell’ingaggio a Manchester di cui ti parlavo. Partiamo questa domenica.”
Ariadne rimase pietrificata. Non si aspettava quel rifiuto. Credeva – sperava – che Margaret sarebbe andata con lei anche sulla luna.
“Certo, capisco. Allora partirò da sola.”
“Ariadne…”
Ariadne si alzò di fretta e andò a passo svelto verso la porta, si sentiva mancare l’aria.
“Scusami, devo proprio andare.”
 
Il tappo dello champagne colpì il soffitto quando Julian stappò la bottiglia. Tutti i presenti schiamazzarono e batterono le mani.
“Julian, non è ancora il momento. Siamo soltanto all’inizio della cena.” Disse Rose.
“Ehi, bisogna festeggiare ogni momento!”
“Per te ogni momento è buono.” Scherzò Barbara.
Ariadne sorrideva mentre se ne stava appoggiata allo stipite della porta. Julian e Rose avevano preso in affitto una casa in un bel quartiere e avevano invitato la famiglia per l’inaugurazione.
“E’ proprio un bambinone.” Disse Eric.
Ariadne posò la testa sulla sua spalla e lui le baciò i capelli.
“Suo figlio sarà più maturo di lui sin da neonato.” Disse Ariadne.
“Oh, su questo non ho dubbi.”
“Voi due civette, venite qui!” li invitò Barbara.
Ariadne si sedette fra Eric e Julian, con Rose e Barbara di fronte; Agnes sedeva in braccio al padre e Emily sonnecchiava nel passeggino.
“Iniziamo dagli antipasti: gamberi in salsa di tè verde, mia specialità.” Disse Julian.
“Dai, diglielo!” disse Rose.
“Dirci cosa?” domandò Eric.
Julian finì di riempire i piatti di tutti, si pulì le mani e sorrise.
“Sono stato assunto come chef al The Paradise, il ristorante più esclusivo della città.”
Ariadne saltò in piedi e corse ad abbracciarlo e a stampargli baci sulla guancia.
“Jules, è fantastico! Sono fiera di te! Congratulazioni!”
Sapere che finalmente Julian aveva messo la testa a posto era un sollievo. Ariadne aveva sempre sperato che suo fratello trovasse la pace e ora la rendeva felice vedere che ci era riuscito.
“Complimenti, fratellino! A Julian!” disse Eric.
“A Julian!” dissero all’unisono.
Dopo quel primo brindisi la cena continuò in un clima sereno e festoso, fatto di risate, ricordi e lacrime di gioia.
Dopo il dolce Barbara e Rose si misero a sparecchiare. Julian ed Eric lavavano i piatti mentre Ariadne asciugava.
“Perché proprio la Spagna?” esordì Julian.
“Perché è lontana e non mi conosce nessuno.” Rispose Ariadne.
Eric le passò un bicchiere da asciugare e raccattò un altro strofinaccio per aiutarla con le posate.
“E hai intenzione di cambiare di nuovo nome?”
“Mi farò chiamare Aria, il cognome invece sarà noto a pochissime persone.”
“Hai pensato proprio a tutto.” Mormorò Julian.
“Sono anni che penso ad un piano di fuga.”
Eric zoppicò fino alla cristalliera e iniziò a impilare i patti. Ariadne recuperò i tovaglioli e li mise in ammollo in un secchio di acqua e detersivo.
“Hai detto a qualcuno che parti?” domandò Eric.
“Si sta riferendo a un certo belloccio con gli occhi azzurri…” suggerì Julian.
Ariadne si gettò lo strofinaccio sulla spalla e diede le spalle ai fratelli. Il solo pensare a lui la faceva stare male.
“Il signor Shelby non deve sapere della mia partenza.”
Non si erano più visti né sentiti dopo l’episodio a Dorset. Polly le aveva spedito un telegramma per farle le condoglianze per la morte della madre ma non c’erano stati altri contatti con gli Shelby.
“Aria…”
“No. Io voglio cambiare vita e questo include anche cambiare le persone che mi circondano.”
“Hai ragione. Discorso chiuso.” Disse Eric.
Julian lanciò un’occhiataccia al fratello maggiore, il quale gli fece cenno di stare zitto.
“E tu, Eric, che farai?” chiese Ariadne.
“Ho intenzione di fare ciò per cui ho studiato: lavorare in banca. Dopo che avrò fatto l’operazione, farò domanda di assunzione.”
“Operazione?”
“Aria non lo sa.” Ricordò Julian.
“Non te l’ho detto. C’è un medico a Liverpool che mi ha visitato e ha detto che c’è un modo per fermare l’infezione. Con l’amputazione della gamba posso salvarmi la vita.”
“A te sta bene perdere una gamba?”
“Ho una moglie e due figlie su cui fare affidamento, una gamba in meno non è certo un problema.”
Ariadne lo abbracciò con le lacrime agli occhi. Aveva visto Eric in punto di morte e sapere che si sarebbe salvato fu come tornare a respirare.
“Vi voglio bene, ragazzi.”
“Ti vogliamo bene anche noi.”
Anche Julian si unì all’abbraccio. Per la prima volta in vita loro furono una vera famiglia felice.
 
Due settimane dopo, Londra
Ariadne batteva il piede sull’asfalto della stazione mentre attendeva il suo treno. Erano le sette del mattino e c’era un viavai di lavoratori e viaggiatori. Ricordava che la prima volta che aveva preso un treno aveva quindici anni e scappava dopo aver ucciso suo padre.
Adesso, però, aveva venticinque anni e partiva per iniziare la sua nuova vita.
“Ariadne! Ariadne!”
Margaret e Cindy stavano correndo a perdifiato verso di lei. Ariadne posò la valigia e spalancò le braccia nella totale confusione.
“Che ci fate voi qui?”
“Partiamo con te.” Disse Cindy.
“Credevo andaste a Manchester.”
Margaret lasciò cadere le sue borse e fece un respiro profondo, la corsa le aveva mozzato il fiato.
“Le migliori amiche restano insieme, giusto? Non potevo lasciarti da sola.”
“Margaret…”
“Ascoltami. Tu sei stata la persona che mi ha aperto gli occhi sull’essere donna e sulla mia vita in generale. Senza di te oggi non sarei libera. Sono in debito con te, amica mia. Ma parto insieme a te perché ti voglio bene e so che insieme faremo grandi cose.”
“Anche io voglio partire per fare grandi cose!” aggiunse Cindy.
Ariadne abbracciò le due sorelle e stampò un bacio sulla fronte di entrambe. Sentiva il cuore scoppiarle di gioia.
“Chiamata per la Spagna! In partenza il treno per la Spagna sul binario due.”
“Che l’avventura abbia inizio!” esclamò Ariadne.
 
Sei mesi dopo, Potes, Spagna
Il cinguettio degli uccelli era uno dei suoni che Ariadne aveva imparato ad apprezzare. Ogni mattina alle sei usciva di casa munita di album e matita per sedersi in riva al lag a disegnare. Trasferirsi a Potes era stato un toccasana per la sua arte: era tornata a disegnare e a dipingere finalmente. Aveva una vita tranquilla e stabile, una vita di cui andare fiera.
Margaret aveva trovato lavoro in una pasticceria e Cindy faceva la sarta nell’unica boutique del paese. Ariadne, invece, lavorava nella mensa della scuola e nel pomeriggio dava lezioni private di disegno ai bambini. Nel fine settimana, dopo la messa della domenica, dava lezioni gratis ai bambini che non potevano permettersi di pagarla.
Ogni due settimane riceveva lettere dai fratelli e da Rachel, e nel corso dei mesi aveva anche ricevuto diverse lettere di Jonah e una lettera da Polly. In una delle ultime lettere Julian annunciava la nascita della piccola Caroline, mamma Rose stava bene e lui era al settimo cielo.
Chica, la colazione è pronta.” La richiamò Cindy.
Il lago si trovava a poca distanza da casa loro, era facile raggiungerlo a piedi e ancora in vestaglia da notte. La loro abitazione era semplice e piccola, le due sorelle dormivano insieme al piano di sopra e Ariadne dormiva sul divano. Semplice e modesta: la vita che lei aveva sempre desiderato.
Margaret stava sistemando la tavola per la colazione quando Ariadne rincasò.
“Ariadne, stasera potresti accompagnare Cindy dalla signora Rodriguez? Abita fuori paese e tu sei l’unica che sa guidare.”
“Sì, ci penso io. La signora Rodriguez ha sempre delle ottime caramelle al limone.”
“E infatti l’altra volta te le sei divorate.” Disse Cindy ridendo.
Ariadne fece spallucce e fece l’occhiolino alla ragazza, erano complici quando si trattava di infilarsi in tasca quelle squisite caramelle.
“Io oggi pomeriggio ho una lezione alle quattro, dalle cinque in poi sono libera.”
“L’appuntamento è alle sei e mezza, ce la facciamo.” Disse Cindy.
Le tre si misero sedute e iniziarono a fare colazione fra chiacchiere e cucchiaini che tintinnavano contro le tazzine.
Ariadne osservò la scena e la impresse a fuoco nella memoria. La sua vita stava davvero prendendo la giusta piega.
 
Due settimane dopo
Ariadne depose l’ultimo piatto nello scaffale e si appoggiò al bancone con uno sbuffo. La mensa aveva chiuso da un pezzo e lei aveva impiegato due ore per pulire il pavimento e asciugare le stoviglie. Era assurda la quantità di piatti e posate che dei bambini delle elementari riuscivano a sporcare.
“Señora, yo terminè.” Disse Ariadne.
Il suo capo, una signora robusta e con le mani grosse, annuì e le fece un cenno di saluto con la testa. Ariadne si inifilò la giacca e oltrepassò il cancello della scuola.
La giornata proseguì come stabilito: dopo pranzo, fece lezione a due bambine e alle cinque accompagnò Cindy dalla signora Rodriguez per un lavoro di sartoria.
“Ti aspetto qui?”
“Va a farti un giro. Qui ci metterò almeno due ore.” Rispose Cindy.
“Allora ci vediamo dopo. Buona fortuna!”
Cindy ridacchiò, le diede un bacio sulla guancia e scese dalla macchina. Era la ragazza più dolce e gentile che Ariadne avesse mai conosciuto.
Decise di andare a fare visita al rudere di un vecchio castello ottocentesco. Secondo la leggenda, lo spirito della regina vagava ancora in quelle aree e la sua presenza era udibile nel fruscio del vento.
Si sedette su un mucchio disordinato di paglia e si mise a contemplare la vasta pianura che si scorgeva da quel punto. Trascorse almeno un’ora in totale silenzio, avvolta dalla natura e dalla sua magia.
“E’ un bel posto.”
Ariadne sentì il cuore schizzarle in gola. Il sangue scorreva così forte da rimbombarle nelle orecchie. Si voltò lentamente, la paura che le attanagliava lo stomaco.
Ed eccolo lì, mani in tasca, occhi azzurri e capelli neri. Tommy Shelby in persona.
“Tom…ma che…”
Lui sorrise. Quanto era bello, un diavolo prima della caduta. Una bellezza infernale.
“Sei andata via senza salutare. Che maleducata.”
“Non c’era motivo di salutarti.”
“Ah, no?” fece lui.
La verità è che Ariadne non aveva avuto il coraggio di affrontarlo, di dirgli addio, quindi aveva preferito scappare.
“No. Siamo tornati entrambi alle nostre vite, non ci lega più niente. I nostri affari sono conclusi.”
“Tra noi non si è mai trattato di affari.” disse Tommy.
“Tom, lascia perdere. Torna a Birmingham.”
Ariadne gli diede le spalle nella speranza che lui si arrendesse subito e se ne andasse.
“A Birmingham non c’è più niente per me. Mi sono ritirato dalla banda e dal Parlamento. Adesso è Polly il capo dei Peaky Blinders. Io e Lizzie abbiamo divorziato, lei merita di poter stare con chi vuole.”
“Non mi interessa. Allora torna dove ti pare!”
“Io sono esattamente dove voglio essere.” Disse Tommy.
Ariadne non disse nulla, letteralmente le mancavano le parole. Controllò l’ora, era troppo presto per andare a recuperare Cindy, ma decise di avviarsi verso la macchina per prendere le distanze da lui.
“Ariadne, fermati. Per favore.”
“Non abbiamo niente da dirci. Torna alla tua vita, Tommy Shelby.”
“La mia vita potrebbe essere qui, se tu mi volessi.”
La ragazza si fermò di colpo, quasi come colpita da una secchiata di acqua ghiacciata.
“Tu davvero hai rinunciato a tutto per venire qui da me?”
Tommy fece un mezzo sorriso, poi tornò serio e si avvicinò per guardarla dritto in faccia.
“I mesi vissuti a Londra nei panni di un pescatore di nome Tom mi hanno fatto capire che sono stanco e che la vita di Tommy Shelby non fa più per me. Questo paesino mi sembra un bel posto in cui vivere.”
“E i tuoi figli? E Charlie?”
“Charlie vuole restare con Ruby, quindi vivranno entrambi con Lizzie. Io tornerò a Birmingham ogni due settimane per stare con loro.”
“Tom, ne sei sicuro?”
Tommy le scostò un riccio dalla fronte e si perse qualche secondo ad ammirarla.
“Io ti amo, Ariadne Evans.”
Ariadne abbassò gli occhi e sorrise, era tanto che aspettava di sentire quelle parole. Era tanto che desiderava quell’amore.
“Ti amo anche io.”
 
Quattro mesi dopo
Tommy tracciava segni immaginari sulla schiena nuda di Ariadne. Era l’alba, dalle persiane filtrava una luce dorata che invadeva di calore la stanza.
Adesso aveva una casa tutta loro in paese, a venti minuti da Margaret e Cindy. Era piccola, dotata di sole due stanze, ma a loro bastava. C’era una modesta veranda su cui Ariadne aveva montato il cavalletto per quando aveva voglia di dipingere.
“Tra due settimane Ruby compie cinque anni. Vorrei portare lei e Charlie qui per festeggiare.”
“E’ una bella idea. Ma sei sicuro che loro accettino la nostra relazione? Non deve essere facile vedere il padre insieme ad un’altra.”
Tommy baciò la spalla della ragazza e le sfiorò la pelle con la punta del naso.
“Loro già sanno di noi. Gliene ho parlato l’ultima volta che sono tornato a Birmingham. Charlie ha fatto un po’ il muso, ma dice che sei simpatica e che va bene.”
Ariadne sorrise e si girò fra le braccia di lui, posò la fronte sul suo petto e gli accarezzò il polso.
“Sono simpatica, eh? Conquisto tutto gli uomini Shelby.”
Tommy rise e la strinse più forte. Fece scivolare la mano fra i ricci rossi e le fece inclinare la testa indietro per baciarla.
“L’importante è un solo uomo, giusto?”
“Sei troppo divertente quando sei geloso.”
Ariadne lo spinse sul materasso, si mise a cavalcioni su di noi e ripresero a fare l’amore.
 
Un anno dopo
“Com’è?” domandò Charlie.
Ariadne inforcò gli occhiali da vista – dato che la sua vista era peggiorata – e avvicinò il disegno di Charlie alla finestra per esaminarlo. Si trattava di un paesaggio di montagna sui toni del verde e del marrone.
“E’ davvero bello, Charlie. Migliori sempre di più. Questo disegno è da lode!”
Charlie battè le mani tutto soddisfatto. Mentre Ruby preferiva correre e andare in bici, Charlie amava la lettura e l’arte; lui e Ariadne passavano ore a disegnare quando i bambini stavano col padre.
“Chi piange?” fece Charlie.
Ariadne aprì la porta nel momento in cui Tommy entrò con Ruby in braccio che piangeva. Era caduta dall’altalena e si era sbucciata le ginocchia.
“Ehi, piccola, non piangere. Adesso curiamo le ferite.” La consolò Ariadne.
La bambina si accoccolò contro il padre mentre Ariadne con l’alcol le disinfettava le lesioni. Charlie l’aiuto con i cerotti e poi diede un bacio sulla guancia alla sorella.
“Anche io cado sempre, Ruby. Non succede niente. Stai tranquilla.”
“Charlie ha ragione. Domani starai già bene.” disse Tommy.
Ruby annuì, scese dalle ginocchia del padre e il fratello la aiutò a raggiungere il divano. Poi Charlie le mostrò il disegno e lei pian piano smise di piangere.
“L’arte aiuta sempre.” Mormorò Ariadne.
Tommy le cinse la vita con un braccio e le diede un bacio sui capelli. Si rese conto solo allora che era felice per la prima volta in vita sua. Era una felicità pura e sana, fatta di un lavoro onesto come guardiano di cavalli, fatta di una piccola casa accogliente, fatta di una compagna solare che amava con tutto se stesso.
Aveva quello che da sempre aveva desiderato: una vita serena.
 
Ariadne adorava sedersi in veranda a guardare il tramonto. Il sole che calava e la luna che emergeva, la luce che si inabissava nel buio, il chiaro che diventava scuro. La natura era la perfetta arte.
Tommy stava mettendo a letto i bambini poiché l’indomani sarebbero partiti per tornare a Birmingham, e lei si era ritagliata un momento per sé dopo aver dato loro la buonanotte.
“Disturbo?”
“Vieni. Siediti qui.”
Tommy si accese una sigaretta e si lasciò cadere sulla panca accanto a lei. Ariadne posò la testa sulla sua spalla e lui le accarezzò i ricci rossi.
Era tutto perfetto. Niente più vita criminale. Niente più affari. Niente più battaglie.
“E’ una bella vita, Tom. Vero?”
“Sì, è una bella vita.”
 
Salve a tutti! ^_^
Eccoci qui alla fine di questa storia.
Ariadne e Tommy si sono ritrovati alla fine e possono vivere la vita che hanno sempre sognato. Ho voluto regalare loro un po’ di pace.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
 
Grazie a tutti voi per aver letto e commentato la storia, per aver fatto con me questo viaggio.
Un grande abbraccio,
la vostra Lamy__

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