Spagnuolo, il commissario. L'innocenza di un bacio

di Parole nuove
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il trasferimento ***
Capitolo 2: *** Il comissario di Capri ***
Capitolo 3: *** Questione di feeling ***
Capitolo 4: *** La ragazza con lo zaino ***



Capitolo 1
*** Il trasferimento ***


Spagnuolo, il commissario.
L’innocenza di un bacio


1. IL TRASFERIMENTO
 
 L'attesa era finita e di colpo quel beneamato trasferimento, mi turbava. Una sensazione nuova si faceva strada dentro me. Quando avevo chiesto il trasferimento, pensavo di poter plasmare il mio futuro e di resettare il mio passato. Come se la vita fosse un foglio di carta scritto a matita. Cancello ciò che non va, marco i bei ricordi. Il trasferimento rappresentava una rinascita, l'opportunità di poter riscrivere la mia storia, smorzando gli angoli, accentuando le emozioni. Volevo una nuova vita, perfetta. Ricominciare, in un altro posto. Nuove persone, nuovi colleghi e soprattutto nuova casa. Quel giorno però, quando strinsi tra le mani quella lettera, non ebbi il coraggio di aprirla. Captavo, nel groviglio delle mie sensazioni, una nota stonata. Avevo aspettato tanto quel momento! Adesso invece sentivo di aver sbagliato tutto. Non volevo resettare il mio passato, non potevo. Desideravo solo cancellare dei ricordi, mettere a tacere il dolore che essi provocavano. Dei ricordi assidui, che s'insinuavano prepotentemente nella mia mente e che arrivavano dritti al cuore, ferendolo, umiliandolo. Giulia, l’unico amore della mia vita, era morta a causa mia. Quel proiettile era destinato a me non a lei. Quel giorno eravamo felici, uscivamo da una gioielleria perché volevo regalarle un solitario. Avevamo deciso di sposarci e lei era raggiante. Ricordo i suoi capelli ricci e splendenti, il suo sorriso fresco, dolce. Le sua labbra che avevano il sapore del miele. Parlava quel giorno, parlava tanto, come non aveva fatto mai. I suoi occhi pieni di vita. Non avrei mai immaginato di ritrovarmeli dopo pochi minuti, vitrei. Arriva una moto, due uomini in sella e un kalashnikov. Ricordo il rumore assordante degli spari, lei che fa scudo col suo corpo e cade tra le mie braccia e le urla della gente. Ecco perché avevo chiesto il trasferimento, non riuscivo a perdonarmi di non esser riuscito a salvare Giulia. Nella mia carriera mi è capitato di salvare la vita a dei malviventi. E Giulia? Giulia ha salvato me. E questo non riuscivo proprio a perdonarmelo. Adesso quella lettera era tra le mie mani e mi accusava di voler dimenticare Giulia. Lei ti salva la vita, sacrifica la sua e tu scappi? Scappi dal suo ricordo? Più guardavo quella lettera, più avrei avuto voglia di strapparla. È un’ingiustizia. Io non voglio dimenticare Giulia, come potrei? No, voglio solo continuare a vivere, a lavorare. Lo devo a lei. Fare il commissario non è semplice, a maggior ragione se lo si fa a Palermo! Negli ultimi mesi l’avevo tanto odiata, ma Palermo è anche stata testimone della mia felicità, delle mie "gloriose" vittorie, come amava definire mio padre. Beh, mi presento. Mi chiamo Umberto Spagnuolo, ho trentacinque anni e sono un commissario di polizia. Poter operare per la giustizia mi fa stare bene, mi fa dimenticare quei giorni in cui era solo un bambino, timido e indifeso. Adesso Umberto Spagnuolo è un uomo, non solo sensibile e determinato. È un uomo brillante, spiritoso, intraprendente e nonostante il suo naso pronunciato, affascinante! È quel tipo d'uomo di cui non t'innamori a prima vista. I capelli biondo scuro un po' lunghi, i soliti occhi grandi e azzurri, il solito naso pronunciato e quei baffi da meridionale. Ecco non è una bellezza da togliere il fiato. Ma quel modo di fare, di guardare, di scherzare è fatale a molte donne. E di donne ne ha avute parecchie il commissario. "Il re di Palermo"! Così lo chiamano in città. Con lui qualsiasi donna, si trasforma in una star di Hollywood. È così premuroso, adulatore, passionale. Un cacciatore di "femmine". Questo si dice di me, nella mia Palermo. Ma torniamo alla lettera! Finalmente riuscii ad aprirla. Capri. Ecco, c’era scritto proprio Capri. Tra una settimana sarei stato ad ammirare i Faraglioni, magari mangiando un “babà”. Avevo una settimana di tempo per salutare tutti, così presi il casco, le chiavi della moto e via in sella.
A quest’ora Oscar è sicuramente ancora in libreria. Oscar è il mio migliore amico, ci conosciamo da molti anni. È sempre stato un fratello per me.
Sta passando un brutto periodo, il divorzio dalla moglie Anna, l’affidamento del figlio, insomma sarà un po’ difficile comunicargli che sono stato trasferito a Capri. Ma lui capirà. Eccoci, la libreria è aperta. Intravedo dalla vetrina Anna, forse è il caso di aspettare. Come al solito staranno litigando. Povero Oscar. Ah, ecco esce.
 
- Ciao, Umberto! Se cerchi il tuo amico, entra pure!
 
Oddio. Tira proprio una brutta aria!
 
- Anna carissima! Sempre uno splendore!
 
Per le donne in piena crisi isterica, i complimenti sono un toccasana. E infatti sembra rasserenarsi un po’. I tratti del suo viso si distendono, torna la Anna di sempre. Quella che conoscevo io, e che ha sposato Oscar.
 
- Ah Umbertino, facevo meglio a sposare te. Beh, si è fatto tardi, scappo!
 
Mi preparo il discorsetto, Oscar sarà a pezzi, devo essere molto delicato.
 
- Oscar, ma…
 
Non credevo ai miei occhi. Oscar stava piangendo.
 
- Umberto vieni, accomodati. Di là c’è Nico.
 
Nico è il figlio di Oscar e Anna. Povero bimbo a soli cinque anni, si trova ad affrontare una situazione del genere.
 
- Oscar vuoi dirmi che succede? Fuori ho visto Anna e mi è sembrata un po’ nervosa, tu piangi, Nico di là. Cosa è successo?
 
- Quella grandissima str… Insomma, Anna. È venuta qui con il suo nuovo compagno che teneva per manina Nico. Il mio Nico! Ma lei è fuori di testa! Ha un altro capisci? Non voglio pensarci.  Ci siamo lasciati tre mesi fa, non posso farcela, io…
 
- Basta. Devi reagire! Ma non lo capisci? Lei sta andando avanti, ha un altro, hai visto bene! Dai prendi Nico, chiudi e andiamo a cena tutti e tre.
 
- Ok arrivo.
 
Mi ci vuole una sigaretta e un Vermut. Proprio adesso Anna doveva farsi vedere con quell’altro? E come faccio a dire ad Oscar del trasferimento! Che giornata senza fine!
 
- Umberto, lascia la moto a casa e vieni con noi in macchina.
 
- Ok, Nico vuoi venire in moto con zio Umberto?
 
Già, Nico per me è come un nipote. Quante volte è venuto con me in commissariato! Oscar e Anna litigavano e portavano Nico da me. Non volevano farlo assistere a quello spettacolo. Deve essere molto bello avere un figlio. Guardarlo e riconoscere in lui i tuoi stessi tratti. Chissà se diventerò mai padre!
 
- Si, dai papino, posso?
 
Oscar non aveva ancora risposto e lui si era già gettato tra le mie braccia, pronto a salire in moto.
Ora ci sediamo a tavola e gli dico tutto d’un fiato. Mi dispiace molto andare via proprio adesso, Oscar ha bisogno di me!
Troviamo parcheggio proprio davanti al ristorante, scendiamo, lo guardo, ha un’aria così triste.
 
- Prego, accomodatevi al tavolo ventuno.
 
Ci muoviamo verso il tavolo, ma Oscar sembra assente. Nico lo guarda e poi guarda me. Che tristezza!
 
- Sai Umberto, ho fatto a pugni col compagno di Anna. Mi sento così stupido! Povero Nico era lì ci guardava senza dire una parola. Ecco è andata così pomeriggio, quando sei venuto tu. Non sono nemmeno un buon padre e non sono stato un buon marito.
 
- Hai fatto a pugni col compagno di Anna? Oscar! Non si risolvono così le cose. Devi accettare la fine del tuo matrimonio. Guarda Nico, guardalo! Fallo almeno per lui. Ha solo cinque anni.
 
- Ci provo, anzi ce la devo fare! Nico, perché non mangi? Dai è tutto così buono! Hai visto, dove ci ha portato zio Umberto?
 
Continuavamo a parlare dei problemi di Oscar. Ma dovevo trovare il coraggio di dirgli tutto.
 
- Oscar, ascolta, io in realtà pomeriggio ero venuto per dirti una cosa molto importante. Non so da dove iniziare… Io...
 
Ecco ero andato in panne.
 
- Scusami Umberto, io continuo a parlarti dei miei problemi, cosa volevi dirmi?
 
- Ricordi quando è morta Giulia? Io avevo chiesto il trasferimento. Beh, oggi mi è arrivata questa.
 
Poggiai la lettera sul tavolo. Oscar sembrava non aver il coraggio di prenderla, avvicinò la mano lentamente, aprì la lettera e subito la riposò.
 
- Lunedì prossimo a Capri. E così mi lasci pure te…
 
- Dai non prenderla così, non è poi così lontana Capri?
 
Che stavo dicendo? Era ovvio che non sarebbe stata la stessa cosa! Nico si era ammutolito. Sembrava che il mondo intero si fosse fermato. Forse era meglio tornare a casa.
A Capri una nuova vita mi aspettava e avevo ancora molte cose da sistemare qui a Palermo.

 

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Capitolo 2
*** Il comissario di Capri ***


~~Spagnuolo, il commissario.
L’innocenza di un bacio
2. IL COMMISSARIO DI CAPRI

Brezza marina e tutt’intorno silenzio. Si avverte uno sparo, un fenicottero cade giù dal cielo. Mi alzo di botto per soccorrere quella povera creatura. Inciampo sul piede del letto e cado rovinosamente a terra. E intanto il fenicottero non smette di lamentarsi, credo stia soffrendo parecchio. Mi rialzo, mi dirigo verso il pennuto e mi accorgo che un bigliettino, piegato, è legato alla sua zampa. Diceva così: “Caro commissario, benvenuto a Capri. La sua permanenza qui, sarà molto breve. Una sua vecchia conoscenza”. Un altro botto, la finestra si apre ed entra una folata di vento che sfiora il mio viso, strappandomi dalle braccia di Morfeo. Forse è meglio così. Era un abbraccio troppo stretto, inquietante, oserei dire raccapricciante. In quell’attimo transitorio, quasi impercettibile, in cui passiamo dall’intorpidimento del sonno alla coscienza dei sensi, i miei pensieri prendono strade mai varcate. E se lasciassi la polizia? Potrei intraprendere la carriera di insegnante di Diritto. Stare a contatto con dei ragazzi e chiudere definitivamente con minacce ed incubi, non sarebbe poi così male! Per fortuna il telefono squilla e mi distoglie da quei pensieri assurdi.
- «Si, pronto?»
- «Umberto sono mamma, ti disturbo?»
- «Ma no mamma! Perché dovresti disturbare! Alle sei del mattino poi! Stavo giusto innaffiando le piante sul balcone. Dimmi pure.»
La tecnologia! Tutta colpa della tecnologia. Ne siamo proprio schiavi. Decide lei quando alzarci dal letto. Il telefono squilla ininterrottamente e se non vuoi beccarti una denuncia dai condomini, devi proprio rispondere. Vi chiederete perché non metto il silenzioso? Perché non lo spengo durante la notte? Bene, vi racconto un episodio increscioso, capitatomi qualche mese fa.
Avevamo appena chiuso un caso di omicidio. Una ragazza ventunenne barbaramente trucidata dallo zio. È stato un caso difficile, impegnativo. Un mese di indagini! Arrestato il colpevole, felici di aver reso un barlume di serenità, (se così si può definire), ai genitori della ragazza, andai a casa per concedermi qualche ora di meritato riposo. Quindi tolsi la suoneria al cellulare. Erano le quattordici circa. A mezzanotte la mia casa aveva l’aspetto di un commissariato. Tutti i miei uomini erano lì, armati e circospetti. Mia madre, dopo aver tentato invano di ottenere una risposta alle sue chiamate, preoccupata di una rivalsa di un ipotetico complice dell’assassino arrestato la mattina, ha chiamato in commissariato, mettendo in allarme il mondo intero. Da quel giorno evito di rendermi non raggiungibile.
Ed eccomi così alle sei del mattino, dopo una notte un po’ strana, aleggiata da incubi fantascientifici e inquietanti, al telefono con mia madre, che non fa altro che raccomandarmi di mettere in valigia maglioni di lana, sciarpe e cappelli. Manco stessi andando al Polo Nord!
Corro in bagno a fare una doccia, scelgo accuratamente cosa indossare. Oggi devo incontrare il questore. Il dottor Maiorana è un uomo di una precisione infinitesimale, sarebbe anche capace di farmi rapporto se la mia cravatta non fosse perfettamente intonata al colore dei miei occhi. Oggi è un giorno difficile, perché devo salutare i miei uomini, mia madre, Oscar e Nico. Non mi sono mai piaciuti gli addii. E come tagliare via parte della tua vita, come quando finisci di leggere un libro e ti resta dentro qualcosa dal quale non vuoi separarti. Gli affetti sono quanto di più caro ci sia nella vita. Quando i giorni sono bui, chi li rischiara? L’ambizione? Il lavoro? O forse la tua nuova Ferrari fiammante? I pensieri sono una trappola difficile da eludere. Un pensiero è fatto di sentimenti, paure, ricordi.
La strada per il commissariato è sempre molto trafficata, ma finalmente arrivo con un velo di stizza.
- «Buongiorno dottore!»
Esplodono tutti in un fragoroso applauso.
- «Dottore, oggi lei va via e abbiamo pensato di salutarci con dei pasticcini.  Migliore li ha appena comprati alla pasticceria “Dolce incanto”, la sua preferita…»
- «Mah…»
Cercavo le parole giuste per esprimere la mia gratitudine, la mia sorpresa. Ma non le trovavo. Vagavano nella mia mente alla velocità della luce. Inarrivabili, inafferrabili.
- «…e a proposito la signora Amelia, la proprietaria, le manda questi cannoli, ci teneva tanto!»
Ero visibilmente imbarazzato, ma afferrai lo spumante e invitai tutti al brindisi.
- «Beh, grazie ragazzi. Brindiamo al nuovo commissario, sperando che sia meno corrucciato del sottoscritto! Ma ora ditemi, ci sono state chiamate?»
Patanè con il suo istinto da “primo della classe” rispose ancor prima di aver sentito la domanda.
- «Dottore stia tranquillo. Solo un furto in un’enoteca. Se ne sta occupando il dottor De Maria.»
Abbracciai tutti, senza proferire parola. E andai via con i cannoli della signora Amalia. Mi aspettava mia madre a pranzo.
L’appuntamento col dottor Maiorana era alle 15.00, quindi il pranzo con mia madre non si sarebbe protratto a lungo.
Mia madre è una donna forte, ma io sono il suo unico figlio.  E la notizia del mio trasferimento a Capri non l’ha ancora metabolizzata.
Suono il campanello.
Apre lei, capelli scomposti, sguardo triste e un po’ di mascara colato giù insieme alle lacrime.
- «Umberto, entra il pranzo è pronto. Ti ho preparato…»
Ma io non stavo già più a sentirla, guardavo le foto che mi ritraevano, sparse su di un tavolo. C’era anche qualche foto di Giulia.
Era stata tutto il giorno a perdere la vista su quelle foto.
Il pranzo, contrariamente alla mie aspettative, fu piacevole. Un misto di gioia e nostalgici ricordi. Ridemmo molto pensando ai tempi passati, a quando Giulia, per esempio, scambiò mia madre per la donna delle pulizie, trovandola a casa mia intenta a rassettare le mie cose. Quella gioia nel ricordare, nel ridere di buon gusto, mi fece capire che ero pronto ad andare avanti.
Che Capri sarebbe stato un altro capitolo della mia vita, che forse non era tutto sbagliato e che Giulia sarebbe stata sempre con me, nei miei pensieri, nel mio cuore. Capii che le stavo rendendo giustizia, scegliendo di continuare a fare il mio mestiere e col suo sorriso in mente abbracciai mia madre così forte, certo che mi sarebbe mancata ma confortato dal suo sguardo fiero.
Il dottor Maiorana mi accolse nel suo ufficio, non fece alcun cenno di saluto, mi guardò dritto negli occhi e mi disse:
- «Commissario Spagnuolo lei è in ritardo di sei minuti e ventotto secondi, nell’invitarla a riflettere sulla sua puntualità non proprio svizzera, volevo ricordarle che i colleghi di Capri, non sono così pazienti come me! »
Avrei voluto rispondergli che “la mia puntualità non proprio svizzera” era compensata da anni di brillanti risultati investigativi che egli stesso aveva vantato sorridendo davanti all’occhio della telecamera. Ma mi limitai a pronunciare un flebile:
- «Mi scusi. »
Svolte le procedure di rito, andai dritto a casa. La valigia non era ancora pronta. In velocità rassegnai la lista che avevo preparato. Controllai che non mancasse nulla d’importante. Presi in mano il libro che avevo comprato e al quale avevo destinato il duro compito di tenere a freno i pensieri durante il viaggio e andai dritto alla stazione, anche se mancavano più di tre ore alla partenza.
 Mi sedetti sulla panchina e con una certa frenesia guardavo minutamente l’orologio. I profumi dei bar vicini alla stazione erano un invito a rimanere. Così mi alzai e entrai in uno di quei bar.
- «Commissario buonasera! Come mai da queste parti?»
Gli si leggeva in viso una strana tensione.
- «Salve, tranquillo Massimino, non sono qui per un controllo. Per questa volta mi accontento di un arancino e un caffè. Mi trasferisco a Capri!»
Una goccia di sudore scese rapidamente dalla sua fronte. Lo sapevano tutti a Palermo che quel bar era il centro dello spaccio di droga. Ma non ero realmente interessato ad indagare ancora, qui. Ci avrebbe pensato il mio successore. Uscii dal bar mangiando nervosamente l’arancino. C’era Nico che mi correva incontro. Buttai tutto a terra per afferrarlo al volo e stringerlo. Oscar si avvicinò lentamente a noi. Aveva l’aria stanca, riuscì a dire solo «Ci mancherai» prima che il treno arrivasse.
Era arrivato il momento di salire sul treno che mi avrebbe stravolto la vita.
Come in un film, affacciato al finestrino, tutti i miei uomini, i miei amici, mia madre, stavano lì ad agitare le mani fin quando in lontananza non sembravano che puntini neri. Inizia così il mio viaggio verso Capri, io su un treno con un libro in mano e una nuova storia da vivere.

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Capitolo 3
*** Questione di feeling ***


Capitolo 3
 
QUESTIONE DI FEELING
 
 
 
        Il suono stridente dei freni mi svegliò. Raccolsi il libro caduto a terra e mi alzai. Nove ore di viaggio mi avevano sfiancato, avevo proprio bisogno di sgranchire un po’ le gambe. La prima cosa che feci arrivato a Napoli fu quella di prendere un caffè. In qualche modo il semplice gesto di portare una tazzina sulle labbra mi faceva sentire a casa. In quel bar mi sentivo osservato, anche se molto probabilmente era solo suggestione. Così pagai il mio caffè ed uscii in fretta. Il traghetto per Capri mi aspettava.
         Si iniziavano ad intravedere le casupole colorate tipiche delle cartoline ricordo di Capri, quando squillò il cellulare. Con aria rassegnata lo sfilai dalla tasca dei jeans sicuro di dovermi sorbire l’ennesima chiamata di mia madre. Sul display però, con mia sorpresa, compariva un numero non presente nella mia rubrica. Risposi deciso.
- «Si..?»
Ci fu un attimo di silenzio e poi finalmente l’interlocutore si decise a parlare.
- «Eh… Dottor Spagnolo?»
- «Spagnuolo prego. Con chi ho il piacere di parlare?»
Altro momento di titubanza.
- «Mi… mi scusi dottore. Qui il commissariato di Capri che parla. Sono l’agente Marino. Mi hanno chiesto di chiamarla perché c’è stato un omicidio.»
- «Marino io sto per arrivare al porto, non c’è nessuno che può andare?»
- «Il dottor Coppola è impegnato per un furto in una villa, l’ispettore De Luca è in malattia, ci sarebbe l’ispettore Cirillo ma il dottor Coppola mi ha severamente vietato di affidare a lui questo compito, quindi… dottor Spagnuolo se non le dispiace appena può raggiunga il luogo dell’omicidio.»
Iniziamo bene! Non ero ancora arrivato e mi toccava già correre per un omicidio! Avrei dovuto lasciare le valigie in pensione e andare subito… Andare dove? L’agente Marino non mi aveva detto dove era stato rinvenuto il cadavere! Presi il cellulare e cercai il numero nel registro chiamate. Dopo dieci squilli finalmente Marino rispose.
- «Commissariato di Capri»
- «Marino senti, dove si trova il cadavere?»
- «Si identifichi gentilmente».
Si era già dimenticato di me? Insistetti.
- «Marino, sono il commissario Spagnuolo!»
- «Commissario Spagnuolo, lei non sta parlando con l’agente Marino. Io sono l’ispettore Cirillo, ma prego, chiedeva?»
Che figuraccia, chissà come sarebbe terminata questa giornata!
- «Mi perdoni ispettore, pensavo rispondesse l’agente Marino. Potrei sapere dove è stato rinvenuto il cadavere? Marino non mi ha dato indicazioni in merito.»
- «Deve recarsi in via Castello, sa dove si trova?»
- «Non si preoccupi ho il navigatore»
         Arrivato alla pensione lasciai le valigie in camera e mi fiondai subito in macchina per raggiungere il luogo dell’omicidio. Inserii l’indirizzo nel navigatore che m’informò tempestivamente che sarei arrivato a destinazione entro dieci minuti. C’era ancora più caldo a Capri, per fortuna la destinazione non era molto distante, odio l’aria condizionata ed in macchina, senza, ci si scioglie. Svoltai a destra e notai un gruppetto di persone, quindi posteggiai la macchina e mi avviai verso di loro.
- «Buongiorno a tutti, sono il commissario Spagnuolo. Il nuovo commissario di Capri.»
Si girarono tutti a guardarmi, tranne una donna intenta ad esplorare il cadavere.
- «Sappiamo chi è la vittima?» chiesi.
- «Commissario, sono l’agente Russo. La vittima è il signor Carlo Zambenedetti di anni quarantuno. Abita, anzi abitava, proprio qui di fronte. Lo abbiamo identificato grazie ai documenti che aveva nel portafogli.»
- «Va bene, grazie agente.»
Mi avvicinai al cadavere e alla donna che senza ombra di dubbio doveva essere il medico legale.
- «Dottoressa, è riuscita a stabilire la causa e l’ora della morte?»
- «Ferita d’arma da fuoco, morto da almeno dieci ore, ovviamente sarò più precisa dopo l’autopsia.».
Sembrava non andarmene bene una oggi. Il medico legale mi aveva risposto senza nemmeno girarsi verso il suo interlocutore. Iniziai a guardarmi intorno. L’appartamento della vittima si trovava al secondo piano di uno stabile di nuova costruzione. Feci cenno all’agente Russo di seguirmi. La scientifica aveva ancora molto da fare, avevamo tutto il tempo per interrogare i vicini della vittima. Lo stabile era composto da sei appartamenti in totale, due per piano. A sentire tutti gli inquilini avremmo impiegato almeno due ore.
         Suonai il campanello del notaio Nascimbeni, a pianterreno.
- «Chi è?»
- «Polizia, sono il commissario Spagnuolo, dovremmo parlare col notaio».
- «Ci sarà da aspettare, il notaio è impegnato con la stipula di un atto. Accomodatevi in sala d’aspetto».
Il portone si aprì e fummo investiti da un profumo di fresco e pulito. Il pavimento dell’androne dello stabile era in marmo pregiato, lucidissimo. Di fronte al portone di ingresso, c’era un ascensore panoramico, a destra c’era l’appartamento della famiglia Liguori ed a sinistra lo studio del notaio Nascimbeni. Venne ad aprirci una signora ben vestita, truccata di tutto punto, ai piedi tacchi vertiginosi. Russo restò fermo sull’uscio a guardarla impedendomi il passaggio.
- «Prego, accomodatevi in sala d’attesa. Da questa parte». Ci fece strada, lasciando una scia di profumo da far girare la testa.
- «Vede signorina, come saprà il signor Carlo Zambenedetti è stato assassinato, avremmo urgente bisogno di parlare col notaio, nell’attesa che si liberi, posso intanto rivolgerle qualche domanda?».
La segretaria, nonostante le spennellate imponenti di blush, sembrò sbiancare.
- «Car… il professore?»
Era un professore? E cosa aspettava l’agente Russo a dirglielo?
- «Si signorina, Carlo il professore. Non lo sapeva?»
- «Quando sono arrivata stamattina non mi hanno detto chi era quell’uomo, non l’ho visto in viso».
Stava tremando ed aveva gli occhi lucidi.
- «Come si chiama signorina?»
- «Mi chiamo Agata Lo Porto».
- «Signorina Agata, quando ha visto l’ultima volta il signor Zambenedetti o Carlo come preferisce chiamarlo lei?»
Di colpo il blush tornò prepotentemente.
- «Io.. io… non ricordo. Oggi è lunedì… credo di averlo visto venerdì. Lo vedevo quasi tutti i giorni alle 13.30 quando lui tornava da scuola. Un saluto sull’androne e nulla più. Non so some posso aiutarvi».
Il suono di una campanella ci interruppe.
- «Scusate, il notaio ha bisogno di me. Arrivo subito».
Quella ragazza, nascondeva qualcosa. Stava per chiamare per nome la vittima e di colpo si è bloccata, come se la cosa potesse destare sospetto. Agata tornò in meno di un minuto.
- «Il notaio è pronto a ricevervi, seguitemi».
Russo che fino a quel momento non aveva proferito parola, rispose con un “grazie signorina”.
Lo studio del notaio era quasi accecante. Un finestrone che dava sul giardino lasciava entrare molta luce. Ogni cosa all’interno dello studio era bianco.  Marmo bianco, mobilio bianco, led bianco, computer bianco. L’unica nota di colore era data da fiori freschi dentro un vaso bianco. Il notaio Nascimbeni ci accolse con un sorriso dalla dentatura perfetta e naturalmente bianchissima.
- «Piacere, Saverio Nascimbeni» disse stringendoci la mano curatissima.
- «In cosa posso esservi utile?»
- «Dottor Nascimbeni, siamo qui per farle alcune domande sul professor Zambenedetti. Come saprà è stato ucciso proprio qui davanti. Quando l’ha visto l’ultima volta?»
- «In realtà l’ho appena saputo dalla mia segretaria. Io abito al primo piano, dunque la mattina mi basta aprire la porta e scendere le scale per raggiungere il mio ufficio»
- «E non ha sentito nulla? L’arrivo della polizia? La confusione in strada, nulla?»
- «Commissario, io stamattina sono andato allo studio alle sette. Oggi dovevo redigere un’importante atto di vendita e dovevo stampare ancora dei documenti. Come potrete notare, dal mio ufficio non si sente nulla. Quando è arrivata la segreteria mi ha detto che fuori dall’edificio c’era la polizia, un cadavere… ed il minuto dopo sono arrivati i clienti.»
- «Conosceva il professore Zambenedetti?»
- «Ê stato un mio cliente oltre che inquilino del mio appartamento al secondo piano. Posso solo riferirvi di alcune voci che correvano sul suo conto…»
Il notaio Nascimbeni era un uomo sulla quarantina. Alto, ciuffo cotonato, barba curata, orologio lussuoso, abito doppiopetto gessato. Praticamente il mio opposto.
- «L’ascolto» dissi.
- «Badi bene, sono solo delle voci di quartiere. Io non ho nessuna prova di quello che le sto per dire. Insomma, si dice che il professor Zambenedetti giocasse d’azzardo e che non disdegnasse la compagnia delle donne anche se era sposato».
Il notaio passò le dita della mano tra i capelli e si abbandonò alla poltrona.
- «Sono affermazioni importanti notaio. Sa dirmi qualcosa in più a riguardo?»
- «Le ho già detto che non so altro. Posso dirle che non ho mai avuto problemi nella riscossione dell’affitto. Sempre preciso e puntuale.»
- «Va bene, va bene. Si tenga comunque a disposizione».
Il notaio ci accompagnò all’ingresso del suo studio dove trovammo Agata pronta ad accompagnarci all’uscita.
- «Grazie signorina, arrivederci».
         Un lampo, fulmineo. Sguizzò un’ombra dalla scala.
- «Russo! Dall’altra parte!».
L’ombra si materializzò. Un ragazzo, agile, molto giovane, stava scappando per le scale.
- «Polizia! Fermati!»
Ma il ragazzo non accennava minimamente a fermarsi.
Stremato dall’inseguimento, raggiunto l’ultimo piano del palazzo, il ragazzo suonò disperatamente il campanello dell’appartamento della famiglia Lo Cicero. Lo acciuffai finalmente per il braccio. Era un ragazzino e piangeva.
- «Adesso mi spieghi in commissariato perché scappavi e perché piangi».

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Capitolo 4
*** La ragazza con lo zaino ***


Prima ancora di conoscere il mio nuovo ufficio, mi fermai davanti alla macchinetta del caffè. Il viaggio, il caldo, l’inseguimento del ragazzo avevano avuto su di me lo stesso effetto di un uragano. Sul cellulare lampeggiava l’icona di dieci messaggi non letti e sei chiamate perse. Sbirciai rapidamente mentre sorseggiavo il caffè: Oscar, mia madre, Gloria ed un numero sconosciuto. Potevano aspettare ancora un po’. Mi recai nel mio ufficio dove mi aspettava l’ispettore Cirillo con il ragazzo dell’inseguimento.
         Carlo Scapece, di anni sedici, studente, segni particolari cicatrice sullo zigomo sinistro.
- «Allora… Ci siamo calmati?»
Il ragazzo aveva uno sguardo impaurito, tremava.
- «Dottore Spagnuolo il ragazzo aveva un coltello a serramanico nella tasca dei pantaloni.»
 
- «Come ti chiami?»
- «Mi chiamo Carlo, Carlo Scapece.»
L’ispettore Cirillo mi passò i documenti del ragazzo.
- «Carlo che ci facevi nello stabile del professor Zambenedetti?»
- «Io mi trovavo a passare di lì ed incuriosito sono entrato… ve lo giuro!»
- «Tu sei entrato nello stabile prima dell’omicidio. Dopo la scoperta del cadavere la polizia piantonava l’ingresso dello stabile. Non ti avrebbero permesso di entrare. Quindi? Perché eri lì? Perché scappavi? E perché piangevi?»
Carlo abbassò lo sguardò e cominciò nuovamente a piangere.
- «E va bene ero lì perché volevo rubare. Ecco perché scappavo!»
- «E invece io credo che il motivo della tua presenza in quello stabile sia un altro. Conoscevi il professor Zambenedetti?»
- «Dottò qui ci conosciamo tutti! Può chiedere a tutto il paese. Lo conoscono tutti!»
Il padre del ragazzo, con un sorriso abbozzato, alzò timidamente l’indice.
- «Permettete?»
- «Prego, dica pure.»
Giungendo le mani in segno di preghiera disse:
- «Perdonatemi dottò, sto figlio mio mi da sempre pensieri grossi assai, ma le posso giurare sopra la buonanima di mia moglie che non c’entra niente con l’omicidio di sto professore.»
- «Signor Scapece, mi piacerebbe molto crederle ma suo figlio non ci ha ancora spiegato perché si trovava in quel posto. Carlo, ce lo vuoi spiegare?»
- «Glielo dico io dottò. Se mio figlio non vuole parlare, non permetterò che si metta nei guai per una figlia ‘e ntrocchia!»
- «Papà sta zitt!»
- «Dottore, mio figlio si trovava lì perché cercava la sua fidanzata che non le rispondeva al telefono dal giorno prima. Avevano litigato e Carlo era molto preoccupato. Mi ha chiesto di accompagnarlo perché non teneva benzina nel motorino e stava ‘mbollètta. Commissà, mio figlio ha un carattere particolare, non riesce a tenersi stretto un lavoro. Io faccio l’idraulico, ma non mi chiamano spesso. Insomma l’ho lasciato lì vicino e quando ho girato l’angolo ho notato alcune persone attorno al morto. Ho cercato mio figlio ovunque e poi mi avete chiamato voi. Quando siamo arrivati il morto era già lì!»
Carlo teneva lo sguardo basso ma adesso sembrava essere meno teso.
- «Come si chiama la tua fidanzata?»
- «Ma cosa c’entra la mia fidanzata? Abbiamo litigato, e allora? È reato?»
- «Ascoltami. Se tu e la tua fidanzata avete litigato sono affari vostri. Io sono tenuto a verificare che quanto dichiarato da tuo padre corrisponda al vero.»
Carlo finalmente alzò lo sguardo e intrecciando le mani disse flebilmente:
- «Si chiama Francesca Nobile. Come le ha detto mio padre, non risponde alle mie chiamate da ieri, così sono andato a cercarla.»
- «Abita in quello stabile Francesca?»
- «No, veramente no. A casa sua c’ero già stato, così ho pensato di cercarla a casa dello stronzo.»
Lo stronzo? E chi era adesso lo stronzo? Quella parola innescò in me un bisogno incredibile di saperne di più.
Carlo sospirò pesantemente e continuò:
- «Io e Francesca abbiamo litigato perché non volevo andasse dal professore Zambenedetti. Spesso ci andava per delle ripetizioni pomeridiane. A me non piaceva quello. Sono sicuro che ci provasse con Francesca. Ma lei non ha voluto darmi ascolto e così abbiamo litigato. Quando sono andato a cercarla ho visto quel gruppo di persone ma non il professore! Sono entrato nello stabile e  mentre salivo le scale ho sentito arrivare la polizia. Mi sono affacciato dalla finestra del secondo piano e così ho capito che c’era un morto e che il morto era il professore di Francesca. Mi sono impaurito… Per il resto sapete come è andata.»
Sembrava sincero e visibilmente preoccupato.
- «Perché pensi che il professore ci provasse con Francesca?»
- «Io non so chi fosse quella ragazza ma…  la vedevo molto spesso in compagnia del professore all’uscita di scuola, in un vialetto vicino. Una ragazza giovane con lo zaino alle spalle. Si baciavano e a volte litigavano. Commissa’… uno di quarant’anni che ci faciva cu na peccerella? E così ho pensato che durante quelle ripetizioni pomeridiane lui e Francesca…»
Carlo strinse il pugno e due grosse lacrime rigarono nuovamente il suo viso.
- «Va bene Carlo, adesso è molto importante trovare Francesca. Dammi il suo numero di telefono e l’indirizzo della sua abitazione.»
Senza opporre resistenza, Carlo trascrisse il numero e l’indirizzo di Francesca e di colpo parve sollevato.
- «Vi prego, se riuscite a parlare con Francesca ditele di chiamarmi. Sono preoccupato.»
- «Va bene, stai tranquillo. Adesso vai con l’ispettore Cirillo. Ti va di aiutarci a fare un identikit della ragazza che hai visto con il professore?»
- «Si, certo.»
Il padre di Carlo mi strinse la mano, soffermandosi a guardarmi grato per aver dato fiducia alle sue parole.
In quel momento mi immaginai a Palermo, con Giulia, a parlare dei nostri figli. Mi sentii improvvisamente triste per quella famiglia mai nata e solo per quei figli mai avuti. Il padre di Carlo mi aveva dimostrato una realtà inoppugnabile. I figli rendono i genitori vulnerabili, fragili, ma allo stesso tempo forti. Ti danno la carica per non mollare, per lottare e questo l’ho visto negli occhi del signor Scapece.
Rimasto solo nel mio nuovo ufficio armeggiai con il telefono per chiamare l’ispettore Cirillo. Proprio sotto la cornetta c’era un biglietto con l’elenco degli interni.
Così premetti il due.
- «Dottore ha bisogno di me?»
- «Si Cirillo. Vieni un attimo in ufficio.»
Dopo un solo minuto bussarono alla porta.
- «Avanti!»
- «Dottore, come posso aiutarla?»
- «Appena l’identikit della ragazza sarà pronto iniziate subito le ricerche. Dobbiamo capire se questa ragazza c’entra qualcosa con l’omicidio del professore.»
- «Si, certamente dottore. Il ragazzo si sta impegnando molto per fornirci informazioni utili.»
- «Indirizziamo le ricerche nella scuola dove insegnava Zambenedetti, sono sicuro che si tratti di una sua alunna.
Fissa un appuntamento con il preside della scuola e fammi avere l’elenco di tutti gli alunni del professore.»
- «Vado subito…»
- «Cirillo aspetta! La moglie! Voglio parlare con la moglie della vittima!»
- «Sarà fatto dottore.»
- «Cirillo! Fissa un appuntamento con la segretaria del notaio. La Lo Porto. Quella ragazza ci nasconde qualcosa.!»
- «Va bene dottore. Allora io vado.»
Cirillo stava per andare ma per l’ennesima volta lo fermai.
- «Cirillo scusami!»
- «Si… dottore…»
- «Io adesso vado a sistemare le mie cose, vado a fare una doccia e mi riposo un po’. Qualunque cosa accada chiamatemi immediatamente, d’accordo?»
- «Senz’altro, vada tranquillo.»
- «Può consigliarmi un posto dove mangiare qualcosa di buono?»
- «Dotto’… sentite a me. Andate a mangiare una pizza da mio cognato Giovanni! E mi raccomando ditegli che vi mando io. Tenete, questo è il biglietto da visita.»
- «Grazie Cirillo, grazie.»
Cirillo uscì di fretta, probabilmente temeva di essere trattenuto nuovamente.
Presi il cellullare e mi avviai anch’io verso l’uscita. Ero veramente stanco.
Arrivato alla pensione mi buttai come un sasso sul letto e chiamai mia madre. La rassicurai rispondendo alle mille domande che mi fece. Poi aprii i messaggi.
Oscar scriveva:
Compa’ sei arrivato? Tutto bene? Sei andato via da meno di ventiquattro ore e già tutti ti cercano!
Seguiva una foto di Nico intento a mangiare una fetta di torta Savoia, il dolce che spesso mangiavamo insieme.
Mi mancava già Nico…
Ma cosa intendeva Oscar con quel “…e già tutti ti cercano”?
Il messaggio di Gloria mi chiarì tutto.
 Te ne vai senza salutare? Non mi sembra molto carino. E adesso non ci vediamo più? Beh… se ti va chiamami.
Gloria è un avvocato che conobbi durante un’indagine a Palermo. Abbiamo passato qualche serata insieme e poi siamo finiti inevitabilmente a letto. Mi attrae molto esteticamente, ma non credo di riuscire ad impegnarmi in qualcosa di più serio. Forse dovrei essere più chiaro con lei. Leggendo quel messaggio mi sono sentito un verme. Sedotta e abbandonata! Abbiamo fatto l’amore solo una settimana fa e non ho ritenuto necessario informarla del mio trasferimento! E cosa avrei potuto risponderle? Impiegai almeno dieci minuti a scrivere, cancellare e riscrivere il messaggio.
Scusami Gloria. Questo trasferimento mi ha un po’ disorientato. Ti chiamo appena posso.
Posai il cellulare, mi spogliai e andai verso il bagno. Avevo proprio bisogno di una doccia calda. Appena aprii la porta visi subito la vasca. Aprii il rubinetto, presi il bagnoschiuma al muschio bianco ed immergendomi nell’acqua chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare dal fruscio e dall’odore di muschio.
Di botto mi svegliai. Erano le 02.35! Mi ero addormentato dentro la vasca!
Infreddolito mi asciugai, mi vestii e finalmente mi stesi sul letto.
Dal cognato di Cirillo sarei andato un’altra volta.
 
 
 
 
 

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