Incontro

di HoneyNeechan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo incontro ***
Capitolo 2: *** Secondo incontro ***



Capitolo 1
*** Primo incontro ***


Il nostro incontro fu di quanto più strano e imbarazzante ci potesse essere al mondo. 
Stavo tornando dal mio turno serale al bar, erano quasi le 3 del mattino ed io ero stanca morta; arrivai come uno zombie al mio appartamento all'ultimo piano, con l'unico pensiero di buttarmi a letto e dormire fino a pomeriggio inoltrato. L'avrei fatto, se non mi fossi ricordata di dovermi prima struccare, se non volevo macchiare le federe ancora una volta e soprattutto ritrovarmi il mattino dopo con la faccia simile a della cartapesta; ripensandoci adesso, se non fosse stato per il trucco io e te non ci saremmo mai neanche visti. 
Ti trovai seduto sulla tazza del water, intento a disinfettarti una brutta ferita alla gamba con la mia acqua ossigenata.
Una qualsiasi persona sana di mente, o perlomeno lucida e con la vista non annebbiata dalla (seppure lieve) dose di alcolici assunti, nel trovarsi davanti una tartaruga gigante umanoide con una bandana viola e armata di bastone avrebbe probabilmente urlato com un'ossessa; ma io in quel momento, seppur sicura di essere sana di mente, non ero affatto lucida. Probabilmente la mia mente stava già registrando tutto come una possibile allucinazione da alcool, perchè si limitò a farmi scrollare le spalle e a dirigermi come se nulla fosse verso lo specchio sopra il lavandino. Mentre procedevo a rimuovere il trucco della serata avvertii chiaramente il tuo sguardo su di me e ti lanciai svariate occhiate di traverso; non sopportavo di essere osservata, allucinazione o meno che fossi. - La smetti di fissarmi? Mi stai dando sui nervi -. Sussultasti a quelle parole, emettendo un suono striduo molto simile ad uno squittìo, che se non fossi stata mezza sbronza e mezza assonnata avrei trovato molto divertente.
- S-Scusa... n-non volevo... -, persino la tua voce aveva un tono alquanto stridulo e con una chiara nota di ansia mista a... paura? Fu quel piccolo particolare, oltre a notare di come cercassi nervosamente un punto qualsiasi attorno a te dove posare il tuo sguardo che non fossi io, a farmi leggermente addolcire. - Sta tranquillo, non mordo. Cerca solo di fare in fretta con quella ferita ed esci dal mio appartamento. Ho già avuto una serataccia e non ho intenzione di avere a che fare con altre cose che non siano il mio letto, il mio cuscino e le lenzuola -. Finii di struccarmi e mi sciacquai velocemente il viso per provare a riacquistare un minimo di lucidità, ma niente; la cosa peggiore era che la stanza aveva cominciato ad ondeggiare pericolosamente, segno che l'alcool stava finendo di fare il suo corso verso il mio cervello. Mi dicesti qualcosa che non registrai, mentre tentavo stupidamente alcuni passi verso la porta del bagno; dopodichè vidi il pavimento venirmi incontro per accogliermi nelle sue fredde e dolorose braccia di piastrelle di marmo... un abbraccio che però non arrivò, sostituito da qualcosa di solido, ma al contempo morbido e tiepido che mi sostenne nella caduta. - Woah... per essere un'allucinazione da alcool sei abbastanza reale... -, sbiascicai verso di te, che ti eri alzato dal tuo angolino sul wc per venire in mio soccorso ed evitarmi una rovinosa caduta; un gesto che ti strappò un sibilo di dolore ed un'esclamazione abbastanza colorita che ancora ricordo e che sono tutt'ora convinta che Splinter non sarebbe sicuramente contento di sapere essere uscita dalle tue labbra. - La tua gamba... stai sanguinando... -, realizzai in un attimo di lucidità, cercando di rimettermi in piedi per non far gravare il mio peso su di te, ma tu scuotesti la testa, borbottando un "Non preoccuparti", mentre iniziavi a condurmi un passo alla volta verso la camera da letto, adagiandomi poi con tanta delicatezza sul materasso, neanche fossi fatta di vetro. Da quel momento in poi tutt'ora non credo di ricordare molto: le uniche cose che mi vengono in mente sono il fresco delle lenzuola, il suono dei tuoi passi che si allontanavano e poi tornavano nella stanza, ed infine la sensazione che qualcuno mi avesse accarezzato amorevolmente i capelli.
Il giorno dopo, quando mi risvegliai, tra i dolori del post-sbornia e con l'aiuto di un'aspirina trovata convenientemente sul comodino, provai a ricordare ciò che era successo la sera prima; quello che la mia memoria recuperò sembrava uscito da una fanfiction, eppure ebbi la prova che era accaduto davvero: l'acqua ossigenata era a metà e c'erano alcune macchie di sangue sulle mattonelle del pavimento. Per i primi minuti non seppi cosa pensare; avevo avuto un incontro ravvicinato con una tartaruga gigante che mi aveva quasi finito il disinfettante, macchiato il pavimento e che mi aveva evitato un impatto con le piastrelle color verde mela con conseguenti dolori muscolari mattutini. Un incontro del genere poteva capitare solo una volta nella vita. Un pensiero abbastanza rassicurante che mi accompagnò nei giorni a seguire, fino a quando non decidesti nuovamente di farti vivo. 

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La sera in cui ti vidi per la prima volta fu quella in cui il mio cervello e il mio cuore decisero che la tua immagine non mi avrebbe mai lasciato. Eri e sei tutt'ora una donna matura, un traguardo del tutto diverso dalla quindicenne e volubile April, una visione neanche lontanamente paragonabile alla figura acerba della teenager che ancora, lo confesso, mi fa a volte palpitare il cuore. Al nostro primo incontro non si poteva dire tu fossi in gran forma... beh... ora che ci ripenso neanche io ero messo proprio alla grande, data la ferita alla gamba causata da un combattimento coi Kraang; in circostanze diverse non avrei osato intrufolarmi nell'appartamento di un umano, ma avevo perso di vista i miei fratelli e avevo paura che il taglio si potesse allargare, per cui, notando la finestra buia del tuo bagno e dopo essermi assicurato che non ci fosse anima viva all'interno dell'appartamento, vi entrai quanto più silenziosamente possibile e senza accendere alcuna luce, così da non allertare i vicini. 
Quando sentii il rumore della porta di ingresso che si apriva, rimasi per qualche secondo paralizzato sul posto, un errore che, fossi stata una qualsiasi altra persona avrebbe creato enormi problemi; invece, nell'attimo in cui tu entrasti in bagno e i nostri occhi si incrociarono, capii che da te da quel momento in poi avrei avuto altri tipi di pensieri e grattacapi. Se con April la prima volta che la vidi ebbi un tuffo al cuore, tu mi scombussolasti completamente da capo a piedi: capelli nero petrolio di un riccio indomabile con delle sfumature azzurre artificiali e lunghi fino a metà schiena, statura minuta (non potevi di certo superare il metro e cinquantacinque) ma dotata di una postura pressocchè perfetta eccentuata dai tacchi da capogiro che ti regalavano quegli 8-10 centimetri in più, corpo snello dalla carnagione chiara, di quelle che non vengono quasi mai esposte troppo al sole e le curve, si piccole, ma dalle quali si poteva benissimo evincere quanto fossi ormai una donna fatta e finita (scoprii solo più tardi di avere ragione; avevi appena compiuto i 21 anni). La cosa più sorprendente e particolare di te furono però sicuramente gli occhi, di un limpido color azzurro cielo sereno dalle ciglia lunghe e ben curate, che mi scrutavano, analizzandomi dall'alto in basso nel'evidente tentativo di capire chi o cosa fossi e del motivo per cui ero nel tuo bagno.
I secondi scorsero interminabili fino a divenire un minuto intero, dopodichè, con  mio grande stupore, scrollasti con indifferenza le spalle e prendesti a struccarti davanti allo specchio del lavandino, noncurante della mia presenza. Questo tuo atteggiamento mi diede qualche attimo in più che, invece di sfruttare per una fuga veloce, utilizzai per osservarti ancora un pò. Avevi indosso una minigonna di jeans - più mini che gonna in effetti - che mancava davvero poco non ti scoprisse del tutto il lato B, e un top color fuxia che esaltava ancora di più il candore della tua pelle, oltre che ad essere esageratamente scollato - prima che potessi fermarlo, il mio cervello registrò la presenza sotto di esso di un reggiseno di pizzo rosa che doveva essere una coppa B. Avrei dovuto distrogliere lo sguardo e invece mi feci beccare in flagrante a fissarti, meritandomi un tuo rimprovero al quale risposi arrossendo e borbottando delle scuse con voce stridula e patetica. Il tono gentile che poi usasti in seguito mi spiazzò quasi quanto il tuo confidare a me, un perfetto sconosciuto - nonchè tartaruga mutante - che avevi avuto una serataccia. La parte razionale del mio cervello, che in quel momento avrebbe dovuto urlarmi di star zitto e dileguarmi quanto prima, decise ancora una volta di tacere, mentre il mio lato irrazionale e con gli ormoni ormai a palla mi suggerì di chiederti il motivo di quella negatività.
Una domanda a cui tu non desti il minimo peso.
Da quel momento in poi il Destino fu con e contro di noi al tempo stesso.
Contro di noi perchè sembrò divertirsi a giocare con il mio imbarazzo e la tua incoscienza.
Con noi perchè se tutto questo non fosse accaduto noi non ci saremmo rivisti mai più.
Riuscisti a fare esattamente due passi e un quarto ondeggiando pericolosamente, prima di "decidere" di voler "abbracciare" il pavimento. Scattai in avanti senza neanche pensarci, maledicendomi poi ad alta voce quando, per reggere il tuo peso, spostai tutto il sostegno sulla gamba ferita. Ringrazio ancora oggi non solo quali Dei che il Maestro Splinter tutt'ora non sappia cosa uscì dalla mia bocca quella sera!
Mentre ti sostenevo le mie narici catturarono inavvertitamente l'odore della tua pelle, un misto di latte di cocco e profumo da donna poco costoso che mi fece fremere persino il guscio; fortunatamente fu l'odore dell'alcool presente nel tuo alito a risvegliarmi e a farmi capire che eri effettiavemente ubriaca; per questo fin'ora non avevi avuto in mia presenza le classiche reazioni che un qualunque umano avrebbe avuto in caso di sobrietà. Questo pensiero avrebbe dovuto tranquillizzarmi, perchè stava a significare che il giorno dopo non mi avresti neanche ricordato, invece sentii dentro di me una lieve sensazione di disappunto. E dire che ormai avrei giurato di averci fatto il callo a quella realtà delle cose...
Incurante dunque del dolore alla gamba, riuscii a portarti in camera da letto e ad adagiarti delicatamente sulle lenzuola, riuscendo anche miracolosamente a riconnettermi alla mia razionalità di pensiero abbastanza a lungo da permettermi di tornare in bagno, finire di medicarmi e ricontattare i miei fratelli per stabilire un punto di incontro. Gli unici ultimi due gesti fuori dalle righe che mi concessi furono il lasciarti un'aspirina sul comodino e lo scostarti una ciocca di capelli dal viso.
Nei giorni a seguire - e nelle notti successive - più e più volte mi ritrovai a pensare a quel piccolo gesto, a quanto erano morbidi i tuoi capelli e a come sarebbe stato poter farci scorrere ancora una volta le dita. 
E non solo...
Mi costrinsi a scacciare quei pensieri dalla mia mente, mentre cercavo di concentrarmi sul lavoro a cui mi stavo dedicando pur di evitare di pensare a te; ma stava diventando sempre più difficle, soprattutto nelle notti di pattuglia, quando involontariamente i miei passi si dirigevano come se fossero in modalità pilota automatico verso la direzione del tuo appartamento.
Volevo rivederti. Dovevo rivederti. Anche se mi avrebbe fatto ancora più male il separarmi da te.
Solo una volta ancora, mi ripetei mentre attendevo che tu rientrassi a casa.
Solo una volta ancora.

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Capitolo 2
*** Secondo incontro ***


"Vai avanti senza di me!"
"Che cosa??", la mia collega, ormai avanti di diversi metri, si voltò nella mia direzione, scoccandomi un'occhiata sconcertata, "Non avrai intenzione di tirarti indietro anche stavolta, spero!", mi apostrofò con tono leggermente urtato, ravvivandosi una ciocca di capelli rossi con un gesto stizzito, "Avevi promesso che mi avresti accompagnata a questa festa, non puoi mollarmi così di botto!".
"Non avevo intenzione di farlo, infatti", la rassicurai una volta raggiunta; nonostante i tacchi alti e la minigonna che si alzava ogni due secondi costringendola ad abbassarla con un gesto stizzito, riusciva ad essere persino più veloce di me che indossavo normalissime scarpe da ginnastica, e una tuta da corsa color rosa shocking composta da un semplice crop top e degli shorts, "Volevo solo tornare a controllare di aver chiuso la macchina", provai ad uscirmene con quella piccola bugia, ma lei fu svelta a smentirmi: "Siamo venute con la mia macchina, zuccona. Cerca di pensare ad una scusa migliore".
Non credo sia necessario specificare che non ne avevo neanche una.
Dopo pocchissimi minuti ci ritrovammo mio malgrado di fronte alla porta del locale, presidiata da un buttafuori che più che un essere umano pareva un armadio ad ante doppie per quanto era pompato. Scambiò un paio di battute con la mia collega, squadrò me da capo a piedi manco avesse visto un alieno, e poi si scostò per lasciarci libero accesso a quello che per me era solo una perdita di tempo.
Non avrei mai potuto immaginare che da quella sera la mia vita avrebbe subìto una strana svolta.

Erano passate ormai quasi due ore piene, ma della ragazza ancora nessuna traccia.
Tirai fuori ancora una volta il cellulare per assicurarmi ancora una volta di non aver calcolato male i tempi. Da quello che avevo studiato durante le mie varie ronde notturne, era quello pressapoco l'orario in cui la giovane tornava da lavoro, ma della sua presenza neanche l'ombra. 
Sospirai rassegnato per l'ennesima volta, prendendo finalmente la decisione di allontanarmi dalla mia posizione da osservatore. 
Cos'era andato a pensare? Cosa credeva di fare quand'anche se la fosse trovata davanti? Probabilmente era già impegnata con qualcuno e forse adesso erano addirittura insieme! Ma se anche non fosse stato così, lui che speranze credeva di poter avere?
Saltai da un palazzo all'altro senza quasi neanche guardare dove stavo andando, affidandomi al mio istinto che sapeva in automatico dove dirigere i miei passi per tornare al rifugio, quando avvertìì delle voci in lontananza, di cui una abbastanza familiare. 
"Levami le mani di dosso razza di stronzo!".
Coprii la distanza che mi separava da quella voce in due secondi netti, incurante del lieve bruciore alla gamba che ancora stava guarendo dall'ultimo scontro, e discesi velocemente nel vicolo più vicino, alleandomi alle ombre per celare la mia presenza e poter osservare la scena: davanti a me c'era la ragazza che stavo cercando, assediata dalle avances non richieste di un ragazzo chiaramente ubriaco che stava cercando in tutti i modi di metterle le mani addosso.
Sentii il sangue ribollirmi nelle vene, così forte da sentirlo battere contro le tempie, mentre con rabbia afferravo il mio bastone, pronto a dar battaglia per difenderla.
Peccato non fu necessario.
Con un forza e una violenza che stupirono persino me, la ragazza cacciò un dito nell'occhio del suo aggressore, per poi prenderlo a calci nelle parti basse fino a ridurlo in ginocchio, dandogli poi un'altra botta sulla nuca con lo zainetto che portava in mano, stendendolo definitivamente al suolo.
Ero talmente esterrefatto da quella dimostrazione di difesa personale, che non mi accorsi di essere allo scoperto, a pochi metri di distanza da lei, che ora si era voltata nella mia direzione, fissandomi con un'espressione incredula.
L'unica cosa che il mio cervello riuscì a farmi elaborare in quella situazione fu di alzare lentamente una mano in un lieve cenno di saluto.

"C-Ciao... c-come va...?"
Mi stava salutando. La tartaruga umanoide della mia allucinazione da alcool era lì e mi stava salutando. Con l'unica differenza che ero sicuramente sobria e decisamente senza parole per quella situazione.
Quella... creatura... era vera?? Non era stata tutta una creazione della mia mente annebbiata dal liquore?
Ero decisamente confusa.
Un gemito alle mie spalle, mi fece sobbalzare e ricordare che io e la tartaruga non eravamo soli; prima che quel deficiente che aveva provato ad abbordarmi potesse rialzarsi gli assestai un'altra botta in testa con lo zainetto, per assicurarmi una buona volta che rimanesse giù. 
Me ne bastava uno di problema da risolevere.
Mi voltai nuovamente verso l'anfibio gigante: "Prova ad avvicinarti e farai la stessa fine, sia chiaro", lo minacciai, giusto per fargli capire che non avevo intenzione di fare la vittima perfetta da film horror.
Allucinazione o meno, sapevo come difendermi e il pepe spray che avevo nella borsa non aspettava altro che essere usato.
"Oh nonono tranquilla! Io sono uno dei buoni!", gesticolò con le mani in maniera incontrollata, facendo due passetti indietro, continuando ad avere sul viso un sorriso incerto, come se neanche lui fosse convinto di quello che stava facendo.
Ha un piccolo spazio tra i denti, notai involontariamente, chissà se riesce anche a fischiare? E' così buffo.
"Ti... Ti ho vista in difficoltà e sono corso ad aiutarti...", continuò a giustificarsi, indicando prima il bastone che teneva in mano e poi lanciando un'occhiata all'uomo disteso a terra, "Devo dire però che hai fatto già da sola... Bel colpo...".
Spostai il peso da una gamba all'altra, tenendo lo zainetto con la mano destra portandomelo dietro una spalla, sempre pronta a colpire nel caso ce ne fosse bisogno. "Ti ringrazio... tartaruga... ma adesso devo andare. Addio", feci prima due passi indietro, per tenere d'occhio i suoi movimenti... e poi scattai a scorrere verso il parcheggio dove avevamo lasciato l'auto.
Allucinazione o no, nessuno sano di mente sarebbe mai rimasto in compagnia di quella creatura in una strada solitaria.
Peccato però che dopo neanche 1 metro scarso, il caso volle che dovessi inciampare nei lacci delle mie stesse scarpe e ruzzolare sull'asfalto, lanciando improperi non molto adatti al linguaggio di una signorina.

Mi aspettavo corresse via da me, dopotutto chi non lo avrebbe fatto; quello che molto probabilmente nessuno di noi due aveva previsto era che inciampasse neanche due secondi dopo.
Corsi immediatamente al suo fianco, nonostante la parte razionale di me stesse praticamente gridando di lasciar perdere; la ignora, come poco galantemente feci con le proteste di lei che insisteva nell'affermare di non aver subìto alcun danno nonostante l'evidente e visibilmente sanguinante ferita al ginocchio.
"Ti dico che sto bene!"
"Non stai bene! Stai sanguinando e molto probabilmente la ferita si infetterà se non la trattiamo subito!".
"Guarda che lo so! Lasciami in pace!".
Mi diede una lieve spinta, tentando di rimettersi in piedi senza il mio aiuto, ma dopo pochi secondi si riaccasciò a terra maledicendo il dolore che stava provando.
Mi lasciai scappare un sospiro frustrato mentre la guardavo testardamente riprovarci, ottenendo lo stesso, identico risultato.
Non voleva il mio aiuto e di sicuro io non potevo forzarla contro la sua volontà, sebbene mi stessi preoccupando per lei (quella sarebbe stata più una mossa da Raffaello); mi alzai dunque in piedi, indietreggiando di qualche passo per darle lo spazio che desiderava e notai tristemente di come il suo corpo si rilassasse quasi immediatamente ora che non ero più nel suo campo visivo. Le avevo evidentemente causato più stress io con la mia presenza che la caduta stessa.
Con quella realizzazione in testa mi decisi a girare i tacchi e allontanarmi, appuntandomi mentalmente però di controllarla a distanza, per tranquillizzarmi quantomeno sul fatto che riuscisse a tornare effettivamente a casa.
Come avrebbe fatto con la gamba che le doleva non lo sapevo, ma dovevo sforzarmi di non intromettermi troppo.
Era un'umana, una sconosciuta che avevo incrontrato già una volta di troppo, e avrebbe potuto rappresentare un problema in futuro.
Meglio allontanarsi e levarsela definitivamente dalla testa.

Finalmente, dopo il quarto (o quinto?) tentativo dolorosissimo riuscii a rimettermi in piedi. Il ginocchio sembrava dover esplodere da un momento all'altro per quanto forte sentivo pulsare la ferita, ma mi sforzai di ignorare la sensazione.
"Ecco fatto! Visto che non avevo bisogno del tuo aiuto?", mi voltai con un sorriso forzato ma trionfante verso la tartaruga umanoide che finalmente si era zittita, ma quale non fu il mio sconcerto nel constatare che a parte me e il poveretto disteso a terra, per strada non c'era nessuno.
Avvertii distintamente il mio cuore skippare un paio di battiti; mi ero dunque immaginata tutto?
Eppure ero sobria, non avevo bevuto neanche un bicchiere!
"Mi stai dicendo che mi sono fatta male per niente??", gridai la mia indignazione al buio e al vento, prendendomi poi la testa tra le mani, passandomi le dita tra i capelli per calmarmi.
E' tutta colpa dello stress, pensai, cercando di trovare una spiegazione a quello che era appena accaduto, Il lavoro mi sta sfinendo, è normale che io abbia delle allucinazioni. Sarei dovuta rimanere a casa a riposare, altro che accompagnare quell'ochetta isterica!!
E a proposito di lei...
"Loooolaaaa! Sono quiiiiii!". Eccola che ritornava e, sorpresa!, la accompagnava un ragazzo mai visto prima.
"Ehi! Ma che hai fatto alla gamba?", mi chiese. 
Colsi la palla al balzo: "Sono caduta e mi sono fatta male per colpa di questo idiota", e indicai il corpo steso a terra, "Ti prego, riaccompagnami a casa, sto sanguinando!".
Fortunatamente per me, capelli rossi e ragazzo erano ancora abbastanza sobri da capire la gravità della situazione, e in meno di mezz'ora fui nuovamente a casa, intenta a disinfettarmi e a pulirmi dal sangue secco.
Ad ogni sibilo di dolore corrispondeva un improperio diretto a quella creatura.
"Giuro sulla mia collezione di lattine, che la prossima volta che la rivedo, allucinazione o no, gli tiro qualcosa appresso!!".

Una promessa quella, che mi sarei ritrovata a dover mantenere molto presto.

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