La spada che divenne farfalla (Def.)

di Brume
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pensieri di una farfalla dalle candide ali ***
Capitolo 2: *** 1. La fine, l' inizio. ***
Capitolo 3: *** Persi ***
Capitolo 4: *** Cuore a cuore ***
Capitolo 5: *** Voltando pagina ***
Capitolo 6: *** Addio, Parigi ***
Capitolo 7: *** Incontri inaspettati (verso Arras, I) ***
Capitolo 8: *** Sempre più vicini (verso Arras, II) ***
Capitolo 9: *** Le spalle del Generale. Un doloroso Addio. ***
Capitolo 10: *** Vecchi amici, vecchi ricordi - parte I ***



Capitolo 1
*** Pensieri di una farfalla dalle candide ali ***


Premessa
 
Scrivo per diletto, senza pretese, basandomi su quel che so di VnB, riportando “su carta” la mia personale visione di un “dopo” che, per quanto mi riguarda, non può non essere un mondo in cui Oscar e André non siano felici perché VnB non è solamente una storia di cappa e spada, ma un lungo racconto in cui la passione (che prende sfumature diverse, non necessariamente fisiche e che porta i personaggi ad evolvere, in tutti i senti) è sempre presente. Per questo motivo, riscrivendo questa storia (la mia prima ff, spero arrivata alla sua versione definitiva dopo tanto patire) mi sono concentrata sui personaggi di Oscar e André e sui loro sentimenti piuttosto che sulle vicende storiche. Il mio intento non è scrivere un romanzo o una nuova interpretazione del manga. La storia è narrata in prima persona dai due protagonisti, che si alterneranno nell’ esposizione dei fatti e dei loro pensieri, in maniera semplice, lineare. È la forma che preferisco perché immediata.Nota tecnica: Questa storia può essere letta da sola o come seguito di Hic et Nunc, essendovi, al suo interno, precchi riferimenti a quest’ ultima.
Buona lettura.

 
 
Prologo

Una landa verde di rado occupata da alberi ad alto fusto e macchiata, di tanto in tanto, da cespugli rigogliosi e pregni di bacche succose; il terreno, morbido, mai toccato da mano umana: immaginate per un istante, in questo luogo, di vedere una spada la cui lama emerga dal terreno ritta, fiera, circondata solo da sottili e selvaggi fili d’ erba smeraldina e colorati fiori selvatici…brillerebbe, credo, riflettendo come uno specchio tutto ciò che ha intorno, vero? …tuttavia, con il passare degli anni, sferzata dall’ irruenza del vento e della pioggia nonché dall’alternarsi naturale delle stagioni potremmo trovarci ad osservarla notando che, in un angolo magari nascosto, una minuscola linea o altri segni inizino a corromperla, per così dire…La spada inizierebbe a decadere, a rovinarsi, a consumarsi.

Esattamente come me, ad un certo punto della mia esistenza.


…Ho passato anni immersa nella mia missione, nel mio mondo.
Ho sempre guardato avanti e accettato le sfide, combattuto contro nemici in forma umana e verso i miei demoni finché, ad un certo punto della mia vita, mi sono accorta che - come lama il cui filo viene rovinato da chissà cosa - anche io ho cominciato ad osservare piccole crepe, pertugi che aprendosi nel cuore e nell’ anima si andavano a dilatare ed allargarsi sempre più, facendosi contaminare da una serie di cose… dal sentimento, dalle passioni…Ecco; per questo motivo, ad un certo punto, non me la sono più sentita di portare avanti la mia missione: stavo cambiando, inesorabilmente.

Ma non ho in ogni caso dimenticato chi sono, né ho mortificato me stessa.

Ho solo accettato alcune cose, ho lasciato che i sentimenti si avvicinassero al raziocinio. Ho aperto il mio cuore, ho amato, sono stata amata. Ho portato avanti i miei ideali, accettando questo cambiamento, lasciando che la vita mi travolgesse…e ne è uscito un quadro fantastico.

Alla fine, quella spada non si è corrotta, non è caduta sotto le grinfie crudeli del tempo…ma si è trasformata. Liberandosi dell’involucro che ormai non sarebbe servito più a nulla e mantenendo la propria anima, la propria tempra, la spada si è trasformata in una farfalla dalle ali candide.

Ed è con questa metaforica veste ho trascorso la vita che mi restava in questo mondo.
Senza mai, mai, mai pentirmi.

 

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Capitolo 2
*** 1. La fine, l' inizio. ***



Sul finire di luglio, anno 1789
 
Cerco, con occhi ormai stanchi, stralci di azzurro tra le nubi grigiastre che qui e là si levano in cielo, comparendo all’ improvviso come grossi funghi, grigi e pesanti come piombo; cerco con tutto me stesso quel lembo di cielo ma…le nubi di fumo sono troppo veloci e, appena una viene soffiata via, un’ altra incombe, pronta.
 
È così: Parigi, ancora, brucia.
Bruciano le barricate, bruciano gli arredi di quelle chiese i cui usci forzati hanno permesso al popolo di entrare.
Bruciano le case, le vesti.
Brucia tutto.

Anche l’anima di coloro che hanno resistito fino ad ora.

Con passo lento e sempre all’ erta  attraverso insieme a te  questa città alla ricerca
dell’ abitazione di Rosalie e Bernard  dove mi piacerebbe condurti affinché possano darci una mano ma, soprattutto, possano darti cure e cibo che al momento io non sono in grado di ottenere; è un passo stanco il mio, non ce la faccio più…ma non ho altra scelta, devo resistere.

Per te.
Per noi.

Ci siamo abbigliati con gli abiti trovati in quella cassapanca, hai nascosto i tuoi capelli sotto una cuffietta candida.
Spero che nessuno si accorga di noi: l’ ultima cosa a cui penso, in questo istante, è combattere anche se so che, prima o poi, restando qui, qualcosa accadrà…Tu mi guardi.
Sei stanca.
Chiedi se voglio riposare, ti sorrido.
No, Oscar, sono stanco ma ancora resisto “rispondo abbozzando un sorriso; tu insisti. Troviamo allora riparo sotto il di una chiesa e ci sediamo per terra, in mezzo a straccioni ed ubriachi, per tirare un po' il fiato.
“…E’ ancora molto  lontano? Sinceramente, la mia mente è offuscata e non ricordo bene dove sia ubicata la loro abitazione” dici.
Ricordi che parecchio tempo prima, ai tempi del cavaliere nero, Rosalie non abitava molto lontano da Palais Royale…ma ora le cose sono cambiate. Nemmeno io ricordo dove possano essere trasferiti.
Ti appoggi con la schiena al muro, incurante di tutto.
Io, con uno sforzo, mi alzo.
“Mi allontano un secondo, chiedo qualche informazione.”
Mi serve un aiuto poiché non credo di avere forze di riserva e, rimettersi a girare a vuoto, rischierebbe di farci crollare esanimi a terra in mezzo a chissà quale strada esponendoci al pericolo. Per fortuna poco distanti da noi trovo un gruppetto di persone intente a parlare e chiedo dove posso trovare il cittadino Chatelet.
“Non so dove stia di casa, precisamente, ma so dove lo puoi trovare: nel Faubourg Saint Marcel, più avanti, c’è una taverna dove spesso ci si riunisce. Chiedi di Coupigny, Just Coupigny. Tutti sanno dove sta” mi risponde un uomo barbuto, più giovane dell’ età che il suo viso dimostra. Lo ringrazio: credo di avere capito, non dista molto da qui. Forse, una decina di minuti.
Lo ringrazino e torno da te.
Sei stanca, hai gli occhi chiusi; mi abbasso, le ginocchia piegate finché il nostro rispettivo sguardo non si trova alla stessa altezza.
“Oscar, forse l’ho trovato” dico. Riapri gli occhi lentamente e sorridi ed io mi rialzo, aiutandoti poi a fare lo stesso; infine, ti prendo sottobraccio.
“Ce la faccio” dici.
So che sei forte, che stai richiamando a te le forze che rimangono.
Ti lascio fare.
Lentamente iniziamo a camminare; gli occhi lacrimano per il fumo che continua a diffondersi e per la puzza, sempre presente, di sangue e urina. Lo stomaco si chiude in una morsa, compaiono alcuni conati, cerco di tenere duro…percorriamo forse un centinaio di metri e finalmente la vedo. Sono felice perché è meno lontano di quanto pensassi; ora vedo l’ insegna della locanda.
Un ultimo sforzo”  dico. Ci siamo…e non ho nemmeno avuto bisogno di cercare Coupigny. Fuori dalla porta c’è una piccola panca, ti faccio sedere.
“Aspettami qui…”
Entro.
I tavoli sono vuoti ma oltre una volta a botte sostenuta da possenti colonne, retaggio delle origini di questo palazzo,  lo sento…sento la voce di Bernard. Mi dirigo allora in quella direzione trovandomi ben presto in una stanza dove uomini e donne, a gran voce, parlano di diritti, di libertà e di battaglie ancora da combattere. Li ascolto per un po' tenendomi in disparte , osservandomi intorno.
Lo vedo.
 Non appena lui incrocia il mio sguardo balza in piedi facendo zittire tutti.
“André!” esclama.
Con due falcate è da me, mi guarda, mi stringe forte, tocca ogni lembo del mio corpo quasi volesse assicurarsi che sia tutto intero poi, mi fissa ancora: ha il viso stanco e grosse occhiaie scure incorniciano gli occhi.
“Bernard, per fortuna ti ho trovato…ho…abbiamo bisogno di te!” dico.
 Lui, ancora confuso, mi conduce fuori da quella stanza, torniamo nella taverna, tra tavoli e sedie. E’ stupito, le sue labbra si dischiudono, forse vuole dire qualcosa…ma niente, ogni volta ci ripensa, sta zitto. Credo abbia talmente tante cose da chiedermi da non sapere dove cominciare, quindi ci penso io.

“Ti spiegherò tutto” taglio corto, giusto per iniziare. Bernard mi indica un tavolo libero, ci sediamo. “Oscar è qui fuori, sta male. Tu e Rosalie potreste darci un tetto, per qualche giorno?”

Non sono mai stato così sfacciato, non è nella mia natura; ma qui il tempo passa e tu, Oscar, stai male. Lui si fa serio.
“Oscar? Venite, vi accompagno subito da mia moglie…mi racconterai poi, come dici, con più calma. Ora sbrighiamoci.” risponde e, fulmineo, scatta in piedi.
Usciamo, ti trovo li, vigile, attenta.
Quando vedi Bernard lo saluti con un cenno del capo e li…mi accorgo che non hai più forze.
“Ce la fai, Oscar?” ti domanda. Provi ad alzarti e come pensavo non ci riesci, quindi ti aiuto. In un attimo sei tra le mie braccia e subito dopo siamo in cammino.
“A Rosalie prenderà un colpo…vi pensavamo morti” dice il mio vecchio amico mentre ci precede con passo spedito, marziale.
“Sai…sono accadute molte cose… “butto li. Continuiamo a camminare fino a quanto non ci troviamo davanti ad una piccola casupola che si erge, coraggiosa, tra palazzi più ampi.

“Rosalie, Apri” urla Bernard, la testa rivolta verso l’alto. Colpi decidi fanno tremare l’uscio principale.

La testolina bionda della nostra piccola Rosalie spunta da una finestra perpendicolare alla porta. Pallida, non dice nulla e dopo pochi secondi scende ad aprirci il portone.
“Forza, mia amata. Oscar e André hanno bisogno di noi “sento dire a Bernard. Rosalie guarda la sua Oscar e subito dopo fa cenno di seguirla; ci fa strada lungo una decina di scalini poi ci conduce a destra, dove si trova un piccolo salottino con un tavolo tondo, una ottomana, una poltrona. Ti poso li, delicatamente. Grazie, sussurri.
“Scusate l’improvvisata ma…non sappiamo dove andare: non possiamo tornare a Palazzo e… non sapremo davvero cosa fare, non abbiamo soldi con noi” dico. Tu apri bocca, vorresti parlare, dire qualcosa: ma la tosse di prende e ti sconquassa, letteralmente. Mi sento mancare.
“Oscar!” urlo, avvicinandomi a te; ma le forze vengono meno. Tendo una mano nella tua direzione, corro ad inginocchiarmi accanto a te.

All’ improvviso…vedo tutto buio.
Il mondo si spegne.

Oscar……
 
  •  
Mi giro e la trovo dietro di me, tra le mani un piatto colmo di brodo.
“Ce la fai ad arrivare in cucina? Stavo giusto venendo da te ma, se ce la fai, accomodati di là. Bernard è uscito un’ora fa, tornerà spero tra non molto”
Seguo il suo consiglio, la cucina non è lontana; mi avvicino alla tavola e lei mi posa il piatto davanti agli occhi, poi si accomoda a sua volta.
“Lei…come sta? Dove è?” domando con un filo di voce; ho paura, aspetto che mi risponda prima di afferrare il cucchiaio ed iniziare a mangiare. Rosalie appoggia i gomiti sul tavolo, il viso tondo incorniciato da mani segnate dal tempo, mi guarda.

“Hai dormito un giorno ed una notte, André. Il dottore è passato ieri in serata, quando ha potuto. Tornerà prima che si faccia notte.” Dice solamente. Continuo a fissarla, aspettando la risposta che anelo.
“… sta molto male, André; questo debbo dirtelo, non posso tenerlo nascosto. Ma non è tisi.”

In una manciata di secondi, il sangue ribolle, si quieta, diventa ghiaccio; brividi percorrono il mio corpo e le frasi, le singole parole, si mischiano nella mia testa. Per fortuna infine…infine arriva il raziocinio, il mio cervello sistema tutto quel disordine. Mi ci vuole tempo, mi manca il fiato. Rosalie si alza e si avvicina a me, appoggia una mano sulla mia spalla.

“Si salverà, André. È forte” dice…e sorride.
Questo mi rassicura tuttavia sono troppo agitato per accogliere la speranza. Aspetterò il medico e parlerò con lui, non appena verrà.
“Posso vederla?” domando.
“Certo…ma prima dovresti mangiare. Non puoi badare anche a lei se non hai nulla in corpo…”
Rosalie ha ragione: trangugio la minestra in un attimo, prendo un sorso d’ acqua ed è tutto quello che riesco a fare prima che, sempre più impaziente, prenda un respiro profondo. Infine mi alzo, attendo che lei mi porti da te.  Davanti alla porta della stanza in cui riposi, inizio a tremare.
Poi entriamo.
Ti vedo.

I tuoi occhi sono chiusi ma, grazie a Dio, l’espressione del tuo viso pare serena: ciò significa che non stai soffrendo ed io ne sono felice. Evidentemente, il medico ti avrà somministrato qualche tonico oltre alle medicine.

Mi avvicino un po' titubante perché non vorrei mai che il rumore dei miei passi nudi sul legno possano disturbarti ma, fortunatamente, il tuo sonno è profondo e raggiungo il tuo giaciglio. In piedi di fianco a te, osservo da vicino il tuo viso, il tuo petto sollevarsi ed abbassarsi ritmicamente sotto la tela leggera della camicia da notte. Le mie mani non resistono, ti sfiorano; sistemo i capelli ribelli che cadono sulla fronte, ti accarezzo il viso: una piccola smorfia ti fa dischiudere le labbra ma non ti sveglia, per fortuna.
Rosalie, che è rimasta ferma davanti all’ uscio, con un filo di voce mi dice che deve tornare in cucina a finire dei lavori di cucito. La fisso, il mio sguardo silenziosamente la ringrazia per tutto ciò che sta facendo per noi. Quando esce, torno a guardarti.
Ah, Oscar, come vorrei che tu riaprissi gli occhi ora e, con un filo di voce, mi dicessi di stare tranquillo, che tutto si risolverà; lo desidero con tutto me stesso…non potrei tollerare tanto meno sopportare una tua dipartita, il cui pensiero sto cacciando via con tutte le mie forze…ma chissà, chissà quando ti sveglierai, se guarirai…
Appoggio la mia schiena alla parete e mi lascio scivolare silenziosamente: nella stanza si sente solo il fruscio delle mie vesti contro il muro. Quando le mie terga raggiungono il pavimento raccolgo le gambe contro il mio petto e appoggio la fronte sulle ossa dure delle ginocchia.
E penso.
Rifletto.

Se avessimo ascoltato subito Alain, fuggendo?

Sarebbe cambiato qualcosa?

Forse si.
Forse non ti avrebbero raggiunto le bastonate, debilitando un fisico già debole…ma chi lo sa. Forse non avresti sofferto la fame di quei giorni o magari…ah, che mal di testa! Devo finirla di tormentare il mio animo con questi pensieri…ormai, ciò che è accaduto non si può cambiare….penso.

Rialzo il capo, ti guardo ancora.

Che faremo adesso?
Quando guarirai, dove andremo? Vorrai restare qui, a Parigi?

Domande su domande continuano a riproporsi nella mia testa.
Devo dare loro un freno se non voglio impazzire. In mio aiuto arrivano dei rumori di passi. Qualcuno sta tornando a casa. Mi alzo.
Come pensavo, è rientrato Bernard, sento la sua voce. Con lui c’è un’ altra persona, il medico, credo.

Bernard, io darei una occhiata alla cittadina Oscar poi torno da te. Il suo compagno, André, come sta? La voce del medico sembra appartenere a quella di un ragazzo. Quando entra nella stanza mi accorgo di essermi sbagliato; è un uomo sì giovane, ma meno di quanto pensassi. È stupito di vedermi li.

“Bene, vedo che vi siete ripreso” dice, avanzando.
 Mi porge la mano.
“André. André Grandier” sono le uniche parole che escono dalla mia bocca.
“Luc. Luc Gillard” risponde.

Per alcuni lunghi attimi ci fissiamo; poi, finalmente, mi toglie dall’ imbarazzo.
“Come state, Grandier? Avete riposato un bel po', suppongo. Vi ho trovato fortemente debilitato quando vi ho visitato, ieri…ma, tutto sommato, in salute. Altri due o tre giorni di riposo e vi rimetterete in forma…” mi dice. Io nemmeno lo ascolto.
“…lei? Lei, come sta?” domando.
Gillard si fa da parte, cerca un supporto sul quale poggiare la borsa che subito apre estraendo una boccetta il cui contenuto versa sulle mani, frizionandole.
“…Come credo vi abbiano riferito, cittadino, la donna è in una condizione piuttosto grave ma, attenzione, ciò non significa che possa avviarsi per forza verso una prognosi infausta. E’ forte, ci vorrà del tempo, si riprenderà. Ma dovrà fare molta attenzione: niente sforzi, niente pensieri. Di sicuro dovrete lasciare Parigi non appena si riprenderà dall’ infezione polmonare.  Il bambino, sempre che sopravviva alle prossime due settimane, potrebbe risentirne.”

Dice tutto d’ un fiato, avvicinandosi a te, iniziando a spostare le lenzuola. Io lo guardo, ma non capisco più nulla.

Bambino? Oscar attende un bambino?

Sono talmente sorpreso che mi manca il fiato e le gambe mi tremano; tuttavia, cerco di non darlo a vedere. Gillard inizia la sua visita ed io, come un ebete, fisso il vuoto davanti a me in un misto di incredulità e spavento.

“Non ne era al corrente?” chiede.
Mi volto e lo trovo a fissarmi.
“No, affatto. Beninteso, ciò che mi ha detto non rappresenta un problema: sono solo molto…molto sorpreso” rispondo. Lui annuisce. Tu, pacifica, continui a dormire. Gillard fa ciò che deve fare, veloce, delicato. Ti ausculta, verifica il battito. Lascia sul comodino l’ ennesima boccetta, dice che Rosalie saprà cosa fare.
 Infine, ti ricopre.
Cittadino Grandier” dice tornando verso il luogo in cui ha lasciato la borsa “ qui, al momento e per quanto è nelle mie possibilità, è stato fatto tutto. Tornerò domani con un collega per definire meglio la prognosi e definire una cura più precisa.  Al momento, dormirà e questo le sarà di aiuto per riprendere le forze…”

Chiudo gli occhi, sospiro.

“Grazie.” 

E’ tutto ciò che riesco a dire, prima che scompaia ed io torni a fissarti.

Sai, Oscar, in questo istante vorrei solo che abbracciarti e gioire con te di questa notizia.
 Un figlio! Un bambino! …Quale notizia migliore potrebbe portarci altrettanta gioia?

“Oh, Dio! Il mio cuore pare uscire dal petto!  Oscar, ti prego… sopravvivi!”   Mormoro con un filo di voce, stringendo i pugni.


“André, tutto bene?” La voce di Rosalie mi fa tornare alla realtà. Lei…lei sapeva?
O sono l’unico al corrente della situazione?
“Si, tutto bene.”
Entra, seguita da Bernard.
“…Il medico…ha detto che Oscar si trova…ecco…si trova in stato interessante” affermo.
 I due coniugi mi fissano, evidentemente lo sapevano.
“…Non te lo abbiamo detto subito , si voleva aspettare qualche giorno, giusto per precauzione” mi dice lui.  Beh, non hanno avuto tutti i torti; non ce l’ho con loro, anzi….
Rosalie si avvicina ad Oscar, la guarda dolcemente: infine, accende un piccolo lume che ha portato dalla cucina e lo posa sul tavolino dove prima c’era la borsa del dottore. È notte fonda, io non ho per niente sonno visto che mi sono svegliato davvero da poco tempo… ma i miei ospiti sono stravolti.
“Andate a dormire: penserò io a lei” dico, allora. Mi passo una mano tra i capelli, sono un po' in imbarazzo e non so perché.
“Se stai tu con Oscar, allora  io ne approfitto. Domattina dovrò alzarmi presto per andare al mercato” dice Rosalie. Ti bacia sulla fronte poi si allontana; Bernard, invece, rimane.
Ho il sospetto voglia dirmi qualcosa; infatti…
“…Dovrei parlarti. Nel mio studio”  dice, stando ben attento a non farsi sentire dalla moglie. Dentro di me ci sono , e ci staranno per un po', moltissime emozioni; decido, visto che comunque non posso fare più di tanto, di seguire Bernard…anche perché ciò che ha da dirmi potrebbe essere importante, per noi. Ti poso un bacio leggero sulle labbra screpolate e lo seguo.
“Dimmi, amico mio”  gli dico una volta raggiunto. Lui è in piedi davanti alla piccola finestra, le mani unite dietro la schiena. Si è tolto la giacca e messo in libertà. Noto che la sua camicia presenta delle iniziali, lavoro amorevole della moglie.
“Lasciami dire, André, che sono felice di avervi qui. Avevo pensato il peggio, sai? Di questi tempi…è quasi normale, visto ciò che affronto ogni giorno. Omicidi, vendette, fratelli che si scagliano contro altri fratelli…”
 Ho il sentore che il discorso sarà lungo.
Mi accomodo sulla prima sedia che trovo; lui si gira e fa lo stesso. La sua scrivania è stracolma di fogli.
“Sarò franco. Ci sono persone che sono venute a sapere del vostro arrivo a Parigi. Persone anche a me vicine alle quali Oscar non è mai piaciuta, nonostante abbia assicurato più volte la sua…la vostra appartenenza alla causa. Io sto cercando di tenere quieti gli animi, ma non appena Oscar sarà in grado di reggersi in piedi, dobbiamo nascondervi. Abbiamo inoltre avuto notizia che il padre, il vecchio Generale, sia alla ricerca della figlia ed abbia inviato i suoi ultimi fedeli attendenti qui, in città.”
Bernard mi fissa, serio. Io non batto ciglio.
“Lo immaginavo.” dico, calmo “ Immaginavo che se fosse sopravvissuto alla furia del popolo potesse fare una cosa del genere,  ma non credevo che sarebbe successo in modo così repentino. Sono assolutamente d’accordo con te; forse è meglio nasconderci, stare al sicuro…”
Lui sospira.

“Credimi, André: ci sono personaggi molto più pericolosi di un re e di una regina, in questo momento, a cui pensare. E sono tra noi. Ma, dimmi: cosa è accaduto, di preciso, prima che arrivaste qui?” dice.
Bernard ha ragione, su tutte le argomentazioni.
Ed e’ giusto che sappia, lo avrei comunque aggiornato, visto che non abbiamo nulla da nascondere e tenuto conto del pericolo che corre dandoci asilo.

Allungo le gambe davanti a me, le orecchie sempre tese verso la stanza dove Oscar riposa; appoggio le mani sul grembo, unite.
 Ed inizio a raccontare.
Cerco di essere il più preciso possibile, lo assicuro  nuovamente sul nostro appoggio alla questione e gli racconto anche di Alain, del fatto che ci sia venuto incontro sulla strada. Lui ascolta tutto attentamente, facendomi ripetere molte volte le stesse cose per sincerarsi di avere compreso. Mi fa solo un paio di domande.
“….è andata così, dunque…” dice, infine, non appena ho concluso il mio racconto. “Mi dispiace per quanto successo” aggiunge poi.
“…Noi vorremmo solo…renderci utili, se possibile…del resto, ancora molto lavoro c’è da fare. Tuttavia, bisognerà verificare le condizioni di Oscar” dico, alla fine. Bernard annuisce.
Restiamo a parlare ancora un po', mi racconta di quei giorni; ha raccolto tutto, nei ritagli di tempo, perché dice che vorrebbe scrivere una memoria. Mi mostra qualcosa e, man mano i miei occhi stanchi leggono il tutto, mi rendo conto di quanto sia davvero successo.
È stata una carneficina, su tutti i fronti…non finirà tanto presto.
Mi parla della presa della Bastiglia, della sua resa. Mi descrive per filo e per segno ciò che è accaduto a De Launay e non solo. In silenzio, rifletto sul futuro della Francia, ci scambiamo opinioni; ad un certo punto Bernard si alza e mi chiede se voglio bere qualcosa, dicendo che lui rimarrà comunque alzato per definire alcuni punti che dovrà discutere l’ indomani, durante una riunione; accetto, ho voglia di un buon bicchiere di vino…tuttavia, non abbiamo il tempo di recuperare dei bicchieri che sentiamo bussare alla porta.

I nostri occhi si incrociano, entrambi leggiamo spavento e sorpresa l’uno nello sguardo
dell’ altro; i colpi alla porta continuano. Corro da Oscar, istintivamente, mentre lui va ad aprire: per poco non mi viene un colpo quando vedo chi si trova davanti alla porta.

Alain. Irriconoscibile, stanco. L’ ombra di sé stesso.
“Ho saputo che Oscar e André si trovano qui” dice; avanza, mi vede sulla porta della camera di Oscar e rimane, quasi, di sasso.
“State bene?” domanda, diretto.  Ha una faccia da fare spavento e sembra che non veda cibo da chissà quanti giorni.
Non rispondo e mi avvicino a lui: le mie braccia lo stringono forte, ho ritrovato il mio fratello.
“…ce la faremo” rispondo senza aggiungere altro dopo aver cercato le parole adatte; finalmente Alain si lascia andare e, per la prima volta dopo la morte di sua sorella Diane, lo vedo piangere come un bambino contro la mia spalla.



 

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Capitolo 3
*** Persi ***


Scusate, innanzitutto, il ritardo di questo aggiornamento; mi ero ripromessa di pubblicarlo prima della mia partenza per Parigi invece... è passata una settimana dal mio ritorno...un filino in ritardo =) =) =) 
E' un capitolo piuttosto intimo, dove sarà Oscar a parlare. 
Nel mi stile solito.

Spero sia di vostro gradimento. Buona lettura. B.





Provo una grande rabbia dentro di me.
Vorrei urlare, muovermi, correre ma ogni fibra del mio corpo è ferma, solo la mia anima è attiva. I pensieri, disordinati e caotici, si rincorrono l’un l’altro; immagini si presentano, sovrapponendosi, confondendomi.
Cosa sta accadendo?
Dove mi trovo?
Ricordi confusi, dolore, risentimento.
Caldo, poi freddo. Ancora caldo.

Voci.




Ora ricordo.
Credo di trovarmi da Rosalie, si; ne sono quasi certa: era il nostro unico appiglio e siamo giunti a Parigi per questo…per ritrovare vecchi amici e per cercare un posto dove stare…ma… André? Dove sei?
Riapro gli occhi, la luce subito mi colpisce ed una raffica di piccoli aghi sembrano conficcarsi all’ interno delle mie pupille, provocandomi fitte dolorose; ci metto un attimo prima di recuperare la vista ed osservare cosa c’è intorno a me. Provo anche a sedermi e, all’ improvviso, mi rendo conto che riesco a respirare, che non faccio alcuna fatica… che qualcuno mi abbia curato?

“…André…” sussurro, anche se non noto nessuno, vicino a me.

“André!” riprovo a chiamare, con voce un poco più alta. Ma ciò che esce dalla mia bocca è a malapena un rantolo e la gola mi fa male.
Seduta su un giaciglio di paglia, la schiena curva ed il capo chino a fissare i piedi e tutti i segni che portano, rifletto sul fatto che sono davvero fortunata ad essere qui, ad essere viva.

Provo ad alzarmi. Ritento.

Mi faccio forza con le braccia, le gambe tremano un po' ma la mia tempra è forte e la mia mente di più; traballando ed appoggiandomi a tutto ciò che trovo sul mio cammino ovvero una sedia, un piccolo tavolo, un bacile arrivo alla porta, mi appoggio, afferro la maniglia e la apro.
“…André…” dico, ancora, sperando che qualcuno mi ascolti.

E ti vedo.

Incredulo, mi compari davanti all’ improvviso, il rasoio da barba in una mano ed una pezza umida nell’ altra: li lasci cadere entrambi quando mi vedi. Mi corri incontro.

“Oscar!” esclami, sorpreso. I tuoi occhi brillano e credo che anche i miei stiano facendo la stessa cosa “Oscar, mia amata… “ ripeti. La tua voce è aria, per me.
Con le mani tasti le mie braccia, accarezzi il mio viso, mi sostieni. Le tue labbra cercano le mie, indugi per un attimo, poi sfiori la mia guancia.
“Sei fresca… come stai, Oscar? Perché non mi hai chiamato?” domandi. Ti sorrido.
“Veramente l’ ho fatto, forse eri immerso nei tuoi pensieri, non saprei” rispondo. Non c’è alcun risentimento nelle parole, solo verità.
“Ti prego di perdonarmi…ma …vieni, Oscar. Torna a letto: sei ancora debole” aggiungi; mi prendi sottobraccio, torniamo di là. Dopo avermi fatta sedere, ti accomodi vicino a me e prendi la mia mano.
“Non sai quanto ho sperato in questo momento. Ho avuto paura di perderti” dici. Il cuore inizia a battermi forte, stringo ancora di più la tua mano.
“Anche io, André. Ho fatto molti sogni, mentre dormivo…e non tutti sono stati gradevoli. Ho perso la cognizione del tempo e dello spazio ed anche ora…anche ora sono un po' confusa”.
Deglutisco, mi guardo intorno. Non so nemmeno che giorno possa essere e cosa possa essere successo durante la mia…assenza; come al solito, sembra che tu mi legga nel pensiero.
“Rosalie è fuori, per lavoro. Bernard è ad una delle sue solite riunioni. C’è solo Alain di la, ma sta ancora dormendo; è arrivato qui ieri sera ed abbiamo parlato tutta notte. Sarà felice di vederti” mi rispondi.
“Ne sono felice!” dico, con sincerità. Sono molto grata al mio vecchio soldato ed amico e non vedo l’ora di poterlo rivedere…non fosse stato per lui…

André si ferma, mi osserva. I suoi occhi sono colmi di parole che aspettano di essere pronunciate; mi appoggio alla sua spalla. Insieme guardiamo fuori dalla piccola finestra.

“Come…come è la città? “domando.
Ti sento ridere, mi volto per guardarti.
“Ma come ? Sei rimasta in un letto, tra la vita e la morte…hai aperto gli occhi solo che da qualche minuto e mi chiedi la situazione a Parigi? Certo che sei più unica che rara!” mi dici. Anche io ci provo, a ridere, come stai dacendo tu.
 Effettivamente, non hai tutti i torti.
“Ora devo lasciarti un attimo, Oscar. Debbo andare a chiamare il dottore…così staremo tutti più tranquilli. Avremo tempo, dopo, per parlare e stare insieme. Ti dispiace?” mi dici: so che non ne hai nessuno voglia di andare via, te lo leggo addosso, ma lo devi fare. Io, però, non ho nessuna voglia di farmi visitare…

“Va bene” rispondo; e ti saluto, con un bacio, prima di vederti uscire.
Poi, rimango sola. Ma non ho paura, affatto.
Il tempo che ci impieghi a cercare il medico io lo uso per pensare, riflettere.
Penso innanzitutto ai miei genitori, a tua nonna; mi chiedo se siano ancora in salute, confido in Nostro Signore e nella sua protezione. Quanto vorrei rivederli ed aiutarli…Non vorrei proprio accadesse qualcosa di irreversibile… anche perché, nonostante non condivida più alcune cose che già mi stavano strette nel mio vecchio mondo, amo mio padre e mia madre. Vorrei fare qualcosa per loro…sempre che sia ancora fattibile. Possibile.
 
Ma cosa? Cosa potrei fare ?
Obbligarli a fuggire, forse?
 
La testa mi pulsa.

Decido di stendermi ed aspettarti. Troppi pensieri mi stanno facendo male.
Il suono nemmeno troppo lontano di una pendola da qualche parte in questa casa suona le undici, sei via da quella che sembra una eternità; ma non ho finito di formulare dentro me questa considerazione che risento la tua voce e, dopo un attimo, inviti il medico ad entrare.

“E’ sveglia, sembra in buona forma” sento che gli dici.
“Ne sono lieto” ti risponde lui “ ora le farò un controllo e poi decideremo come muoverci”.
Questa ultima frase, lo ammetto, mi fa preoccupare giusto un poco. Attendo con impazienza.

“Oh, eccovi, cittadina Jarjayes” esordisce il medico “non credo vi ricordiate di me quindi permettetemi di presentarmi. Mi chiamo Luc Gillard”. E’ davvero molto giovane tuttavia pare sapere il fatto suo. Lo saluto con un cenno del capo, come si conviene.
Gillard si muove svelto; appoggia la borsa sul primo ripiano utile, prende ciò che serve, si avvicina al letto. Non chiede ad André di andarsene ed io ne sono ben lieta. Senza ulteriori indugi mi chiede se riesco a sollevare la camiciola da notte, ci provo, non riesco. Per fortuna accorre André.
“Lascia che ti aiuti” dice, quando già le sua mani stanno delicatamente spostando la tela leggera. Dopo un attimo mi trovo seminuda, inerme ma solo per un attimo il pudore prende il sopravvento, poi la mia mente razionale e da soldato e attendo, silenziosa, che la visita avvenga.
Il giovane medico prima mi tasta il polso, poi ausculta la mia schiena ed il mio petto avendo la delicatezza di posare un velo di stoffa tra il suo viso e la mia pelle; prova i miei riflessi, controlla che la mia vista non abbia problemi. Poi, sempre in silenzio, si allontana, versa su mani e strumenti liquido da una boccetta, asciugando poi con cura.
“Potete rivestirvi” dice, nel frattempo. André mi aiuta e torno finalmente a mio agio.

“Dottore, è tutto a posto?” chiedo con un filo di voce.Lui volta appena il capo, sorride.
“Direi di si, Madame: il vostro fisico temprato vi ha sicuramente aiutato ma…vi parlerò chiaramente, così come ho fatto già con Monsieur Grandier ed i vostri ospiti…”
Io e André ci guardiamo. Lui pare sapere l’argomento della nostra prossima conversazione o, perlomeno, questo è ciò che mi trasmette.

“Cittadina, le vostre condizioni non dono dovute alla tisi ma ad una infezione ai polmoni , trascurata per troppo tempo…tutto ciò, unito ad una serie di fattori riconducibili alla vita che avete sempre condotto; avete sicuramente bisogno di riposo ma, soprattutto, di lasciare Parigi per luoghi più ameni e salutari. Con una serie di cure mirate ed una esistenza relativamente tranquilla tutto si risolverà. Ah, una ultima domanda: siete a conoscenza del vostro stato interessante?”
 
Fisso André e poi il medico.
Che significa?
Stato interessante?
 
Aspetto un figlio?
 
Credo di impallidire perché vedo il mio André guardarmi preoccupato. Il dottore si avvicina a me.

“Aspettate un figlio, Cittadina Jarjayes… ora, non so dirvi molto con esattezza tuttavia, se la mia esperienza non mi inganna, dovrebbe essere proprio così. Mia madre e mia sorella sono levatrici, le ho seguite molto nel loro operato…se volete, posso domandare loro di venire a farvi visita…” dice. I pensieri , dentro di me, nel frattempo cercano di rimettersi in ordine. Apro la bocca un paio di volte per dire qualcosa, non ci riesco.
Gillard rimane ad osservarmi per un attimo, le braccia conserte al petto; poi, si allontana, recupera i suoi armamentari e, prima di uscire, si volta verso di noi.

“Mandatemi a chiamare, se serve. Per i momento continuate con la cura che vi ho lasciato sul comodino, un paio di volte al giorno. Quando vi sentire pronta, vi manderò mia sorella” dice. Annuisco, André lo ringrazia. Se ne va.

Quando è uscito, rimaniamo soli, io e te.

“Tu lo sapevi?” ti chiedo.

Annuisci.

“Si. E’ stato uno shock anche per me” rispondi. Sei serio, preoccupato.

“… beh…a quanto pare…diventeremo genitori” dico. E’ l’ unica frase che esce dalle mie labbra, in questa atmosfera irreale, mista di gioia immensa ed una sottile paura. So che posso sembrare fredda, ma tu mi conosci bene. Sai che non è così.

“Andrà tutto bene, Oscar” dici. Ci fissiamo, occhi negli occhi; lunghi attimi dove sono i nostri animi a scambiarsi parole e carezze. Finalmente, riesco a tranquillizzarmi.
“Ne sono certa. Perdonami André, sono felicissima di tutto ciò…ma devo ancora…devo ancora capire, rendermi conto. Ma sono felice: avremo un bambino!” ti dico. Sorrido, lo faccio davvero, ti osservo.
“Tu non ti eri mai accorta di nulla?” mi domandi. Poi vieni a sederti accanto a me ed il tuo braccio avvolge le mie spalle. Mi lascio andare, appoggio il capo al tuo petto, ascolto il tuo respiro profondo.
“…Lo sai, André: non sono pratica di certe cose” rispondo timidamente; no, non sono una sprovveduta, ma molte cose mi sono state celate o non le ho mai osservate come avrei dovuto.
La tua mano mi accarezza la schiena.

“Sarà un bellissimo bambino.” mi sussurri in un orecchio, avvicinandoti al mio viso.
“Ne sono certa” rispondo; e cerco il tuo ennesimo abbraccio ed un bacio, che arrivano presto e mi donano la forza che al momento mi manca.

Restiamo così, abbracciati, appoggiati al muro dietro di noi, seduti sul giaciglio.
Passa un’ora, forse due; poi una voce dalla cucina: Alain si è svegliato.
“André, dove ti sei cacciato?” sento che domanda; infine, passi trascinati e poi… La porta che si apre.
“Oscar!” esclama, raggiungendomi a grandi falcate. André gli sorride.
“Non ti abbiamo svegliato…ti dispiace?” chiede.
Alain si gratta la testa, lo vedo un pochino impacciato.
“Ci mancherebbe, ragazzi…. Oscar, tu come stai?” domanda. Lo osservo, è più magro, la barba lunga ed il viso stanco.
Allungo una mano per stringere la sua.
“Bene, Alain. Al momento bene” rispondo. Lui sorride, è un po' imbarazzato; credo voglia dirmi qualcosa ma in tal senso, dalle sue labbra, non esce nulla.
“Ne sono lieto. Senti, André, io…tra un attimo vado: tu resta pure  qui con Oscar. Raggiungo Bernard, torneremo verso sera prima che rientri Rosalie” dice. Andrè muove il capo, gli fa cenno di aver compreso. Alain saluta e se ne va.
“Dove avreste dovuto andare, insieme?” ti chiedo.
André si alza, va alla finestra, poi si rivolge a me.
“Ad una delle riunioni di Bernard. Oscar, mia amata…dobbiamo andare via dalla città e non solo per la tua salute, ma perché qualcuno ci vuole morti. Non tutti si fidano di te, anche se ti sei schierata a favore del popolo” rispondi: ne avevo il sentore, già da parecchio tempo..

Chino il capo.

Mi accorgo che la realtà mi sta cadendo addosso, pesante come il piombo fuso.

Un figlio in arrivo.
La Rivoluzione che, di fatto, è appena iniziata.
La ricerca, molto prossima, di un posto sicuro dove stare.

“ Oscar, ora devi solo stare tranquilla. Ci sono qui io, con te” mi dici, leggendo i miei pensieri, come hai sempre fatto.
“Lo spero proprio, André: sono molto preoccupata” rispondo.
Il tuo viso si avvicina, appoggi la tua fronte alla mia ed io aspiro, forte, il rumore della tua pelle…mi è sempre piaciuto, anche se non te l’ho mai detto.

“Come lo chiameremo?” sussurri.
Sorrido. Forse è un po' prematuro pensarci ora anche perché io sono sempre molto cauta, nelle cose…e questa non è una cosa, è un figlio. Non voglio essere pessimista – non lo sono mai stata – ma realista. In ogni caso non voglio turbare André con i miei pensieri; faccio finta di nulla, rispondo.
“ Se fosse femmina, vorrei chiamarla come mia madre o tua nonna. Non saprei che altro nome dare, sono state le donne più importanti della mia vita...” dico. Annuisci.
“E se fosse maschio?” chiedi.
“…quello lo lascio decidere a te “rispondo pronta.
Mi guardi.

“Non vuoi chiamarlo come tuo padre?”

Mio padre.
Il mio pilastro, l’ uomo con il quale più che un rapporto padre figlia ho costruito una sorta di…gerarchia militare. Mio padre… tanto buono, generoso e capace di tutto, per amore della Patria o della donna che ha sempre amato…
Mio padre, che avrebbe voluto uccidermi per onore.


“Non lo so. Non credo” rispondo. E torno a sedermi. Sono stanca.

Mi segui con lo sguardo, le tue mani mi aiutano nel coricarmi poi, quando appoggio finalmente il viso sul cuscino, chiudo gli occhi.

“André, cosa ne sarà di noi?” chiedo.

Non ti sento rispondere; allora mi volto, sei ancora li vicino a me ma il tuo sguardo è lontano e, probabilmente, sta cercando una risposta.

“Credo di averti già risposto, Oscar. Ce la faremo.” Dici.

“… io mi fido di te” rispondo “ ma ho paura, una dannata paura. Mi sento come…come se tutto quello che ho sempre nascosto ora si ripresenti, chiedendo il conto. Tutto quello che…che ho sempre celato …sta tornando allo scoperto… ho paura, André: il momento che viviamo è tremendo, come faremo, con un figlio?”
Nascondo il mio viso tra le lenzuola mentre pronuncio queste parole, quasi mi vergogno di me stessa, non sono mai stata incline alla autocommiserazione…ma in questo momento ho davvero molta paura…
Mentre faccio questi pensieri le mie orecchie odono il fruscio della stoffa , sento il lenzuolo sollevarsi e poco dopo il tuo peso sul letto. Sei dietro di me, le tue braccia mi avvolgono, raccogli il mio corpo e lo proteggi, chiudendomi all’ interno di uno scrigno prezioso la cui chiusura sono le nostre dita intrecciate.

Respiro. Profondamente.

Non dici nulla: mi stringi forte, molto forte, a te.
 
 
 
  •  
 
 
 
Rosalie e Alain sono rientrati in casa da qualche secondo.
Tu ancora dormi, la tua testa appoggiata accanto alla mia.
Non so che ore possano essere, sinceramente; ho ancora gli occhi chiusi.

“Preparo la cena, Alain. Tu vai pure a darti una rinfrescata. Bernard starà fuori ancora un po'” sento dire a Rosalie; poi ascolto i passi pesanti di Alain allontanarsi.
Credo proprio sia sera, a quanto pare. Un altro giorno è volato così, come aria tra le dita.

“Forse è meglio farsi vedere…”
La tua voce è roca; forse eri già sveglio, non me ne sono accorta? Mi giro lentamente verso te, mi accogli sorridendo.
“…che dici? Proviamo ad alzarci?” domandi.
Chiudo gli occhi ancora per un attimo: poi, piano piano, prima ti alzi e poi aiuti me. Con calma, grazia, recuperi una lunga vestaglia che Rosalie deve aver preparato e mi aiuti ad indossarla. Siamo pronti.

“Ce la fai?” domandi
Annuisco.
“Andiamo, André” ti rispondo…e per la prima volta dopo tanto tempo, mi pare di riuscire a camminare, respirare come si deve. Sottobraccio, lentamente, ci avviamo nell’ altra stanza. Quando Rosalie ci vede, sbianca; poi ci corre incontro e, finalmente, può lasciarsi andare , il suo viso contro il mio petto e tu da parte, pronto a sorreggermi, a sorreggerci.



***
 
 
“E’ così, André. C’è molto fermento e tante nuove idee. Già ci sono stati molti cambiamenti, ora…ora vedremo cosa succederà. A mio parere, se qualcuno non abbassa la testa, non sarà proprio così come avevamo sognato…” Bernard ha il volto scuro, è preoccupato. A dire il vero tutti noi, seduti intorno a questa tavola, lo siamo.

Sono passati alcuni giorni da chè mi sono ripresa.

L’ angoscia si è fatta un po' da parte e cerco di guardare al futuro con serenità… ma c’è sempre un qualcosa che mi attanaglia, che mi fa desistere dal riuscire ad essere felice. E’ come un sesto senso…io mi sforzo, ci provo; sono grata di questa nuova opportunità che la vita mi ha dato e le rendo grazie ad ogni respiro tuttavia… so che dovrò superare ancora una prova, so che non sarà facile riprendere la mia vita in mano e ricominciare con te, André…

“Oscar, qualcosa ti preoccupa?”

E’ Alain a parlare, anticipandoti giusto di qualche secondo. Tutti si voltano, in attesa di una risposta…
“No, sono solo stanca” dico; mi sfioro la pancia, cerco di raddrizzare la schiena, che duole. La mano di André mi sfiora.
Rosalie, impegnata a sistemare dei piatti, si volta verso tutti noi.
“Ti stai strapazzando un po' troppo” dice, teneramente. Ha ragione, forse…ma sono troppo interessata a ciò che dice Bernard. Voglio sapere tutto, nei minimi particolari, voglio capire cosa sta succedendo, capire cosa passa per la testa di Robespierre…
“Non ti preoccupare, Rosalie, è solo un istante” dico. Lei mi guarda negli occhi, sorride. Riprende a fare le sue mansioni.

“Riguardo a voi, Oscar…André…io e Alain abbiamo pensato una cosa. VI avremmo trovato una casa e…anche una nuova identità. E’ stato Luc, il dottor Gillard, a proporla.
Ci guardiamo, io e te, curiosi di sapere cosa ci attende.
“Si trova poco distante da qui, in Saint Antoin”.


Guardiamo Bernard.

“Non è troppo pericoloso? Il quartiere è pattugliato giorno e notte, c’è sempre un gran via vai…non sarebbe meglio una zona più tranquilla?” obietti. Ti alzi e ti seguo con lo sguardo; vai alla finestra, incroci le braccia al petto, guardi fuori.

“Appunto per quello” risponde presto Bernard. E’ sicuro, i suoi occhi anche.
Ti giri.
Alain è zitto, pensieroso. Rosalie pure.
“ Vi mischierete alla folla, li nessuno vi riconoscerà. Chi ci vive fa l’operaio, la lavandaia… Ci saranno soldati, è vero, ma sono tutti popolani. Robespierre preferisce i salotti borghesi e non troverete noie. Inoltre…potrò tenervi d’ occhio, visto che una delle nostre sedi si trova li vicino”.
Io non mi esprimo ma come prima impressione è buona. Andare nella tana del lupo, per così dire…li non verranno mai a cercarci…almeno lo spero.

Ti vedo pensare, il tuo volto si fa pe un attimo scuro, prendi tempo.

Attendo la tua risposta.

“Che ne dici, Oscar?” mi domandi, invece.

Allungo il braccio e prendo uno dei bicchieri posati sul tavolo. Alain lo riempie di acqua.

“Penso sia la migliore scelta che in questo momento possiamo e dobbiamo considerare” dico.

Ci guardiamo un po' tutti,  ti avvicini a noi. Lo vedo che non sei convinto. Tuttavia, dai il tuo assenso.
“Credimi, André, è davvero la scelta migliore che possiate fare. Alain ha trovato casa li vicino” dice Bernard “ ed io o Rosalie saremo li spesso. Vi aiuteremo come potremo”

Li guardo, uno ad uno.

I nostri amici.

Mi rendo conto di quanto siamo fortunati, di quanto sia importante un sentimento come
l’ amicizia che molte volte diamo per scontato; sono grata a Nostro Signore di avermi dato tutto ciò.

“Quando potremo trasferirci?” domandi. Ti passi una mano tra i capelli.
“Anche domani, con il favore della notte, se volete” risponde Alain. Infine si alza in piedi, si stiracchia un po'.
“Ora che è tutto a posto…credo tornerò a casa. Sono davvero molto stanco. Il lavoro al macello mi rompe davvero le ossa” dice.
Ci alziamo tutti.
“A domani, Alain” dice Rosalie.
“Ti accompagno!” fai eco, André.

Io mi alzo, lentamente. Sono stanca e vorrei dormire.
“A domani” dico “ io ora andrei a stendermi…buonanotte!”
Alain si avvicina e mi bacia la guancia poi prende il corridoio, Bernard lo accompagna.

Io ed te torniamo nella nostra stanza.

“Sei silenzioso” ti dico mentre ci spogliamo per metterci a letto.
“Pensieri, Oscar” mi rispondi. Ti levi la camicia, la pieghi e poi l’appoggi sulla sedia. Poi è il turno delle coulottes; infine, ti prepari per la notte.
“…Credo che sia la soluzione migliore, non crucciarti. Non è che abbiamo chissà quali alternative…”
Mi guardi, ti avvicini, le tue mani sistemano la veste che ho indossato in qualche modo.

“Ecco” dici, quando hai finito. Adoro queste piccole cose. Hai sempre avuto attenzioni per me. Ci mettiamo a letto, finalmente e chiudiamo li il discorso.
tu, come al solito, ti posizioni sul fianco destro e mi accogli tra le tue braccia. Il tuo respiro lento e questo silenzio mi mettono pace. È notte fonda, ormai, quando prendiamo sonno davvero; sei tu il primo a cedere. So che nella tua testa ci sono mille pensieri e preoccupazioni. Ti sono grata, André, per le cure e le attenzioni che da sempre mi hai dedicato…



Il nostro sonno, però, dura poco.

A svegliarci è un gran fracasso, passi, un vociare sempre più forte. Infine, una porta che si spalanca: è Alain, in compagnia di non so chi.
“Dovete andare via, subito. Alcuni amici di Saint Just stanno per arrivare!” ci urla spaventato.

Sono stordita: osservo te, Alain, Rosalie parlare.
Sei balzato in piedi come una furia e stai cercando di capire cosa fare.  
Alain dice che dobbiamo muoverci, mi alzo, cerco di dare un senso ai miei pensieri ed alle frasi che sento; ad un certo punto ti giri, vieni verso di me, mi prendi sulle spalle ed inizi a correre dietro al nostro amico; sento i singhiozzi di Rosalie, rimasta senza parole, vedo lo sguardo di Bernard su di noi. Urla qualcosa come portali via ora, preparò i lasciapassare subito ma ora vai, corri!. Sono le ultime parole che sento: una fitta, al basso ventre, mi toglie forze e respiro; tu corri, sempre più veloce, ora siamo in strada.

“André, fermati, c’è qualcosa che non va!” ti dico; la prima volta nemmeno mi senti, allora ti picchio forte sulla spalla e ti fermi.
“Cosa c’è? “ mi domandi. Hai il fiato corto.
“Qualcosa non va….” Sussurro, piano. Sono improvvisamente senza forze.

Mi guardi.
Guardi le tue mani.

Sono cariche, sporche di sangue.
 
 











 

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Capitolo 4
*** Cuore a cuore ***


Prima di tutto, grazie per le vostre recensioni; mi scuso, non ho risposto e questo purtroppo dipende fino ad un certo punto da me.  E' un periodo intenso ma soprattutto ho qualche problema alla vista e il tempo dedicato alla scrittura è contato, limitato. Ciò non esclude che in futuro e con calma possa finalmente dedicare qualche momento in più ma per ora è davvero una fatica anche solo pubblicare...ma non vado oltre, non voglio tediarvi!

Grazie ancora per il vostro apporto, grazie Dorabella27! Con affetto! 




14 settebre 1789


Mi risveglio da un breve riposo -durante il quale ho perfino sognato di noi -  che è mattino.
Mi sfrego gli occhi, sono un po' confuso e, per un attimo, mi chiedo dove sia finito perché non riconosco questa stanza, inizialmente.  E’ strano, dovrei esserci abituato, ormai: da un mese viviamo qui, al pian terreno di un palazzo borghese con tanto di cortile interno e portone che, di fatto, ci separa dal mondo intero….eppure…ancora, a fatica, i miei occhi riconoscono questi angoli e questi spazi.

Tu non ci sei.

Forse ti sei già alzata e sei al piano di sopra insieme a Yvette, la sorella di Luc.
Da qualche tempo  hai preso questa abitudine e  ne sono felice.
Così ti svaghi un po'.

Io faccio con calma.
Guardo l’ orologio e noto che è quasi mezzogiorno ed è domenica mattina, non si lavora: con calma, mi do una sistemata. Ogni mio movimento è sofferenza; le ossa mi fanno male perché stanotte ho dormito malissimo ma, per il resto, cerco di sorridere a questo nuovo giorno.
Quando sono pronto esco e passo sotto il piccolo porticato per raggiungere l’ entrata che conduce del primo piano, la porta è aperta e salgo le scale in fretta, fermandomi solo quando ti vedo lungo il corridoio, intenta  ad osservare non so ché.

“Oscar, buongiorno” dico.
Sollevi lo sguardo ed il tuo sorriso mi scalda il cuore. Ti raggiungo, ti abbraccio, aspiro profondamente il profumo del sapone che ti piace tanto.
“Dormivi così bene che… ti ho lasciato riposare. Non ti sei offeso, vero?” mi domandi ed io torno a sorridere perché , così facendo, mi sembri una bambina.
“No, Oscar, no…” rispondo guardandoti negli occhi.
Le tue mani afferrano le mie e poi inizi a camminare, mi porti un paio di stanze più avanti, verso la cucina.
“Yvette mi sta insegnando a cucinare” dici.
Lei, la sorella di Luc, è intenta ad osservare una grossa terrina che cuoce su di una stufa a legna e non appena mi vede mi saluta.
“Ben svegliato, André. Oggi io e la tua Oscar abbiamo cucinato insieme; prendi posto, tra poco arriverà anche Luc e poi mangeremo” dice.
E’ una ragazza sveglia, Yvette, ed appare più grande dei suoi vent’ anni: non per un fatto estetico, ma per il modo di essere e fare. Minore di età rispetto a Luc di una decina d’anni, si è dovuta occupare della casa di famiglia – una modesta famiglia borghese di ideali filo rivoluzionari – fin da piccola, quando i genitori perirono in un incendio scoppiato in una locanda presso la quale si trovavano per un viaggio…e lo fa con passione, trovando il tempo per portare avanti, comunque, i suoi studi, con l’ aiuto del fratello.
“Grazie, Yvette…” dico; tu ripeti le mie parole e mentre mi siedo chiedi alla donna se le serve una mano.
 Non stai mai ferma ed è cosi fin dal momento che ti sei ripresa, un mesetto fa. Meglio così penso. Almeno, in questo modo non hai modo di pensare.

Un mese…penso.

“Andrè, qualcosa ti preoccupa?” mi chiedi. Faccio segno di no con la testa e penso, ancora, che
dovrei essere io a prendermi cura di te, invece… ultimamente sei tu a farlo, quasi toccassi con mano la mia stanchezza fatta di notti insonni e di un lavoro che spacca la schiena per quattordici ore al giorno…
“No, Oscar. Solo pensieri. “rispondo. 
Dalla porta spunta Luc.
“Fratello, avete già concluso?” domanda Yvette guardandolo mentre recupera la territa dalla stufa e la porta in tavola.
“Si, non c’ era molto di cui discutere, a parte un paio di faccende riguardanti Camille  e un discorso del cittadino Marat” risponde lui.  Ultimamente è molto preso, le riunioni dell’assemblea sono all’ordine del giorno. Infine si volta verso di noi e ci saluta.
“Bernard chiede quando passerete a trovarlo”
Io ed Oscar ci guardiamo.
“Passeremo da loro presto” rispondi pronta ma so che stai dicendo una bugia, te lo leggo negli occhi. Il fatto che Rosalie aspetti un figlio , per quanto umanamente ti renda felice, ti reca una sorta di fastidio, di disturbo.
“…forza, mangiamo” dice Yvette, cambiando argomento “non voglio che si freddi. Ho trovato questa carne per miracolo…”
Luc è il primo, affonda le posate nella terrina dove un sugo emana un profumo divino.
“L’abbiamo cucinata insieme io ed Oscar” dice la giovane. Luc vi fa i complimenti: iniziamo a mangiare.
“Di cosa avete parlato? Alain era presente?” domando, dopo appena cinque minuti. Luc si asciuga le labbra con un tovagliolo e deglutisce il boccone.
“…del solito…tuttavia, ci sono state alcune discussioni. Alcune persone pur apprezzando il lavoro della nostra fazione dicono che…dovremmo essere più decisi, avvicinarci ancora di più a Robespierre...il quale, ma questo lo sapevamo già, sta decisamente imboccando una strada che a lungo andare sarà la sua rovina.”
Ci guardiamo, io e te. Sono parole pesanti, quelle che Luc pronuncia.
“…e pensare che spesso si è trovato a condannare Saint- Just per i suoi modi… “ ti lasci sfuggire. Posi la forchetta, prendi un bicchiere d’ acqua.
“Li avete lasciati andare?” chiedo.
Luc mi guarda, alza le spalle.
“Sono uomini liberi” risponde “…onestamente, se la pensano così, meglio che si allontanino. Non si è fatta una rivolta per ritrovarsi poi con un uomo solo al comando. La rivolta è del popolo, per il popolo. Di regnanti ne abbiamo avuto abbastanza”
Ti guardo, Oscar.
So quanto eri legata alla tua regina; non faccio domande, non vado oltre perché ho timore della risposta. Lascio cadere l’argomento; il nostro benefattore fa lo stesso.
Concludiamo il pranzo in silenzio, una parola di tanto in tanto riguardo questo autunno che sta arrivando in anticipo. Ti propongo una passeggiata; usciremo con Yvette e Luc, se vogliono, oppure noi due da soli.
“…sarebbe bello, ma devo dedicarmi ad alcuni aggiornamenti “risponde il giovane medico. Yvette è un po' delusa, ci teneva a venire con noi, ma subito precisa che non lo farà.
“Non voglio recare disturbo” dice.
Ci lasciamo così, quindi, con la promessa di ritrovarci per la cena. Luc ci chiede di prestare attenzione e di non allontanarci troppo.
“…Staremo qui nei dintorni” rispondi tu; anche perché le tue forze sono sempre un po' limitate e tutto dipende dal tuo umore. Torniamo quindi nella nostra stanza.
“Te la senti, Oscar?” chiedo mentre ti siedi alla toeletta ed inizi a pettinare i capelli.
“Si, sono stanca di starmene sempre chiusa tra queste quattro mura…ho passato settimane a letto e giorni a guardare fuori da una finestra..” rispondi. Annuisco.
 
Un mese….E’ passato un solo mese da quel giorno ed a me sembra un secolo…


“…smettila di pensarci, André. Lo sto facendo anche io: è andata così, non possiamo farci nulla” dici, spiazzandomi. Mi volto nella tua direzione e ti trovo ad osservarmi.

“Non ci riesco, Oscar” rispondo.
“Dobbiamo riuscirci” dici. Non so quanto tu ne sia convinta tuttavia ciò che mi arriva è una forte determinazione. Hai passato tu il peggio e…mi stai facendo forza?
Mi alzo, infilo le scarpe che ho lasciato vicino all’ armadio. Anche tu fai lo stesso; afferri la giacca, sistemi la camicia nei pantaloni, vieni verso di me. Mi abbracci.
“… siamo qui, siamo vivi. Non ti preoccupare per me, André; il dolore che porto non se ne andrà mai e sto imparando a conviverci. Inutile continuare a pensarci, dobbiamo riprendere in mano la nostra vita” sussurri al mio orecchio. Sei sempre stata forte, Oscar…
Mano nella mano usciamo. Si è sollevato un po' di vento e l’ aria sa di pioggia; alzo gli occhi al cielo e vedo nuvole scure oltre i tetti e le case.

“Ricordi, Oscar? Ricordi questo cielo plumbeo e l’ oro dei cancelli sfiorato da quell’ unico raggio di sole, alla Reggia?”
Ti fermi, il tuo sguardo vaga.
So che anche tu pensi la stessa cosa.
“…il giorno in cui decidemmo di fuggire. Con una scusa riuscimmo ad andare alla Reggia per comunicare qualcosa alla regina. Nei giardini osservammo qualcosa di straordinario…” rispondi.
“Si. Sembra passata una eternità eppure…”
“Dopo sei settimane abbiamo deciso che avremmo combattuto con il popolo e per il popolo” dici.
In silenzio scendiamo ancora di qualche passo poi, questa volta sei tu a fermarti.
“…di ciò che volevamo fare…”
Ti fermo subito.
“Oscar, non è colpa tua, non è colpa nostra. Le cose sono andate in maniera diversa da quanto previsto…”
Ci fermiamo, nel mezzo del piccolo cortile. Le gocce di pioggia si posano delicate sui capelli.

“André, tu pensi che i miei genitori siano ancora vivi?”
Passo una mano intorno alla tua vita.
“Spero di si, così come spero che sia viva mia nonna.” rispondo ascoltando il cuore battere sempre più forte. Ci guardiamo negli occhi, carichi di speranze e…capisco cosa vuoi fare.

“…non possiamo andare la, lo sai benissimo. E’ troppo pericoloso e nelle tue condizioni….”
Il tuo sguardo si fa d’ un tratto acceso.
“Io sto bene, André. Se tu non vuoi farlo, non accampare scuse a mio nome” mi dici e la tua voce è piena di rabbia. Chino il capo.
“…sono solo preoccupato, Oscar. Inoltre, non abbiamo armi, cavalli… e raggiungere palazzo con una carrozza non mi pare il caso” rispondo…
La pioggia inizia a scendere consistente.
Ci spostiamo verso il muro di cinta ,che è un poco riparato, per non essere colpiti. Inavvertitamente scivoli, ti prendo per un soffio e ti stringo.
Forte.

Lasci andare il capo contro il mio petto.

“Non so più chi sono, André” mormori a mezza voce, come una bambina…e il mio cuore si allarga, vorrebbe prendersi anche il tuo per scaldarlo…
“Vuoi tornare a casa?” chiedo. Non abbiamo neppure raggiunto il portone.

“Si.”

Torniamo sui nostri passi, dunque, passando davanti ad Yvette che sta finendo di spazzare il portico. Non fa caso a noi.

“Ti dispiace, André, non essere uscito?” mi domandi una volta davanti alla porta della stanza.
“No, affatto” ti rispondo “la mia priorità sei tu.”

Giro la chiave, entriamo.
Tolgo giacca e scarpe e li lascio vicino alla porta, dove c’è l’appendiabiti.
Tu fai lo stesso poi ti accomodi, seduta davanti allo specchio.

“Avremo mai un’ altra opportunità? Potremo mai avere un altro figlio?” domandi.
Non mi guardi; fissi la tua immagine. Vuoi che sia quest’ultima a rispondere o vuoi lo faccia io?

“Ne abbiamo parlato, Oscar; certo che avremo un’ altra opportunità, anche Luc  lo pensa” rispondo. Nel frattempo mi siedo sul letto, ti do la schiena, mi prendo la testa tra le mani.

“Tutto bene?” chiedi.

Dovrei essere io  a farti questa domanda ma d’ un tratto e senza che possa controllare tutto quanto, le mie difese calano. Un momento prima ho arginato pensieri e parole, facendoci forza ed ora….cosa è questo immenso fiume di pensieri che mi raggiunge?

“….non lo so, Oscar. Si, tutto bene ma…a volte mi pare di impazzire”.

Non mi rendo conto di aver detto una frase del genere eppure si, l’ ho appena fatto; mi ero ripromesso di non lasciarmi andare invece…
Sento il rumore di una sedia che si sposta e dopo pochi attimi ti sento accanto a me quindi volto il capo ed incrocio i tuoi occhi.
“Avevamo sognato qualcosa di diverso, ricordi? La rivoluzione, un futuro insieme, costruire insieme ai nostri amici qualcosa di nuovo…io invece…mi sento inutile, torno sempre a ripetere gli stessi discorsi…non so darmi pace… “
Mi accarezzi il viso mentre dici tutto ciò ed io mi sento male…avrei dovuto essere quello forte…non ho più domande, aspettative, risposte.
Ti guardo e non so che dire.
Resto in silenzio, come un ebete.
“Scusa, io…” faccio per dire.
Mi interrompi.

“Promettimi un a cosa: prima di andarcene di qui, perché io ormai non riesco più a stare in una città che ho perso, che mi manca, che non è più mia….vorrei solo fare una cosa: andare a palazzo. Non è un capriccio, è una necessità; so benissimo che andarci a breve sarebbe un azzardo però, promettimelo: ci andremo, vero, André?” domandi.
Guardo i tuoi occhi, mi perdo nel blu profondo.
 Ti faccio un cenno.
Si, ti dico a mio modo.

Ci stendiamo sul letto, la pioggia si fa più forte; non diciamo più una parola ed osserviamo quel lembo di cielo che la finestra ci permette di vedere, oltre il palazzo all’ angolo. Non riesco più ad arginare i pensieri, chiudo gli occhi e basta.
Sapevo che prima o poi sarebbe accaduto.



***



Meno di due settimane più tardi, mentre sto tornando dal turno di notte al mattatoio – situazione temporanea che mi ha trovato Alain – per strada incontro Germain: sono stanco e devo aguzzare la vista ma si! è lui! penso; non potrei non riconoscerlo, con quella cicatrice che attraversa metà testa dividendo a metà la zazzera rossa e spelacchiata che si ostina a portare.
“Grandier! Sei vivo!” esclama non appena mi riconosce.
E’ fermo con quelli che sembrano suoi compagni di lavoro e tiene tra le mani una grossa pinta colma di birra.
“Germain! Si, sono io…che ci fai in città? Ti credevo a Lille, dai parenti di tua moglie” rispondo. Ricordo la loro partenza, otto mesi fa, prima che accadesse tutto; il padre di Oscar, considerando i servigi che lui e la moglie avevano reso fino ad allora, aveva concesso il benestare per la libertà…
“Mia moglie…è morta poco dopo il nostro arrivo a Lille, nel dare alla luce nostra figlia” dice come se niente fosse, o questo è ciò che mi sembra,  in preda ai fumi dell’ alcol “ così…sono rimasto li ancora un po', ho sistemato i più grandi da mia sorella e mi sono messo a girare le varie contee finchè non sono tornato a Parigi ma…tu, piuttosto? Ho saputo che tu e Madamigella Oscar….siete…fuggiti! La vecchia Sabine non parlava d’ altro…”
Improvvisamente mi ritrovo pure io con una birra in mano.
La bevo con piacere.
“E’ vero. Ora viviamo da alcuni nostri amici ma presto, spero, lasceremo la città” rispondo. Non ho nulla da nascondere e lui…di lui mi fido, è un povero cristo.
Germain mi mette un braccio sulle spalle, il suo alito pesante mi arriva addosso talmente all’ improvviso che per poco non mi sento male.

“E’ stata una pazzia ma, a ben vedere, avete fatto bene. Anche i Signori Conti se ne sono andati…lo so per certo. A Palazzo Jarjayes è rimasto solo il vecchio custode.”

La notizia mi coglie alla sprovvista, per poco non mollo la caraffa di birra.

“…e dove sarebbero andati?” chiedo, fingendo indifferenza. Non ottengo risposta:  i compari di Germain lo portano via,  dietro ad una biondina che sta entrando alla locanda; io li seguo e quando riesco a raggiungerlo, finalmente, cerco di carpire qualche informazione.
“Allora, Germain? Che mi dici?” urlo sopra altre voci e canzoncine oscene.
“…Non lo so. E’ da molto che non vedo Didier, è lui che mi ha informato di tutto…però una cosa posso dirtela: con loro c’è anche tua nonna” dice. La biondina di prima è ormai avvinghiata a lui quindi non vado oltre. E’ già una botta di fortuna aver scoperto tutto ciò….
Finisco allora la mia birra , saluto e riprendo l’ uscita, ancora intontito da tutte queste notizie; la strada di casa è vicina e non vedo l’ ora di riferire tutto quanto ad Oscar.



 
***
 
 
“Andrè, dici davvero?”

Sei stesa a letto, ti sei svegliata non appena dono entrato in camera; il cielo comincia a schiarirsi.
“Si. Non credevo prima ai miei occhi, poi alle mie orecchie” rispondo infilandomi a letto dopo essermi lavato per togliere  l’ odore di morte; mi accogli come al solito, passando una mano tra i capelli umidi. Il tuo sguardo si è come acceso.
Mi sistemo su un fianco.
“Se le cose stanno così…potremo cercarli, se vuoi” ti dico. Cerco di reprimere uno sbadiglio ma non ce la faccio.
“…e’ una bella notizia, il mio cuore è ora un poco più sollevato. Mentirei se dicessi il contrario… e sono felice che anche Nanny stia bene. Più di una volta ho pensato al peggio…”
I miei occhi sono pesanti ma riesco a vedere il tuo viso sereno.
“ Una bella notizia…davvero…” borbotto “…Oscar, ascolta…se vuoi, tra due giorni…se te la senti…possiamo comunque passare da Palazzo. Ci vive ancora il vecchio custode…”
Sono davvero stanco, la tua voce mi appare così lontana! Sento le tue mani accarezzarmi ancora e poi sistemarmi le coperte; i miei occhi sono chiusi, il mio naso accoglie il tuo profumo. Scivolo presto in un sonno profondo, contento di averti dato la notizia che, in cuor tuo, anelavi da moltissimo tempo.
Quando mi sveglio, di pomeriggio poco dopo che gli occupanti di casa si sono ritirati dopo il pranzo, ti trovo seduta alla finestra con in mano un libro, intenta a leggere credo qualche libercolo che Bernard ti ha passato.
Come ti accorgi di me, lo posi sulle tue ginocchia.
“Buongiorno André. Sei riposato? Hai dormito come un sasso” mi dici con una voce serena, quasi squillante, che non ascoltavo da tempo.
“Buongiorno, Oscar…ero distrutto, davvero ! Pensare che stasera dovrò ricominciare….” ti rispondo ancora disteso a letto, stiracchiandomi.
“E’ passato Alain. Ha detto che stasera non ci sarà da lavorare: stamattina non è arrivata la carne” dici ed io sorrido amaramente.
“Ah!...Già…e non credo arriverà, per un po'” rispondo.
 Non aggiungo altro. Questo lavoro è durato fin troppo per i tempi che corriamo…
“Luc e Yvette sono usciti, torneranno tra un paio di ore. Hanno preso il calesse perché dovevano allontanarsi dalla città, ma la giovane Gillard ti ha lasciato un piatto colmo di prelibatezze, se vuoi mangiare.” dici
Mi alzo e tu fai lo stesso; mi vieni incontro, mi abbracci.
“Ti lascio solo a fare ciò che devi, io ti aspetto nelle cucine”. Profumi di buono, Yvette ti ha aiutato a lavare i capelli, immagino.
“Lavanda e… “
“Lavanda e verbena. Te ne sei accorto!” dici, e ridi.

Da quanto tempo non ti sentivo ridere così, Oscar? Da quanto?

“Come potrei non accorgermi ? “
rispondo; ti bacio, prima le guance, poi gli occhi, infine le labbra.
“Sto cercando di… riprendere in mano la mia vita. E’ una sciocchezza ma da qualche parte devo pur iniziare” dici.

Lo so che è dura, Oscar, che un giorno è bello ed il giorno dopo potrebbe essere d’ inferno…

“Ti amo Oscar, ricordalo sempre…”
Il tuo sguardo mi ripaga di tutto. E’ ossigeno puro.
“Anche io, André. Anche io ti amo” rispondi.

Mi fissi, forse hai ancora qualcosa da dirmi…ti conosco, percepisco ogni sfumatura di te. Ma non chiedo nulla: se avrai voglia sarai tu a parlarmene, questi mesi sono stati così delicati, strani…non voglio forzare nulla.

Forse stai pensando ai tuoi genitori, forse a nostro figlio…

Ti stringo forte la mano.
Sorridi.

Infine, ti rechi verso la porta ed esci ed io spero, con tutto il cuore, che questa parvenza di serenità raggiunta con così tanta sofferenza possa accompagnarci ancora per molto, molto tempo.

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Capitolo 5
*** Voltando pagina ***


 
Abbiamo scelto il momento meno opportuno per andare a palazzo… penso , osservando folti gruppi di donne che, immagino bene il motivo, stanno cercando di raggiungere Versailles.Per un po' condividiamo lo stesso tratto di strada ed è difficile muoversi ed ho quasi timore –  lo dico anche ad André – che qualcuna possa farci del male…
“Non credo, Oscar” mi rispondi mentre placido, conduci il cavallo al passo, cercando con gli occhi la diramazione che ci porterà a palazzo “…in fondo… siamo esattamente come loro, né più, né meno. “ concludi.
Torno a posare i miei occhi sulla via e, con tutta me stessa, tento di tenere a bada le emozioni; ma è difficile, molto difficile.  Il mondo che io, che noi abbiamo conosciuto è un pallido ricordo chiuso in un cassetto del quale presto si butterà via la chiave, niente altro che qualcosa da dimenticare…ma come si può dimenticare una vita intera, legami, come posso dimenticare ciò che è sempre…sempre stato per me normale? E’ vero, ho abbracciato la causa e già dal mio arrivo a Parigi nella caserma di Chausses d’ Antin ho iniziato ad aprire gli occhi: ma molte cose non si dimenticano, non le dimenticherò mai…

“Ecco, Oscar, dovremo quasi esserci.”

La massa di persone è quasi lontana ormaiDo loro una ultima occhiata poi, i pensieri sono tutti per noi.

Cosa pensi troveremo, Andrè?” ti domando.
Sento il mio stomaco rivoltarsi, in subbuglio.
Lui guarda lontano, non mi risponde subito; infine, dopo un lungo sospiro, parla.
“Non lo so, Oscar. Ho provato ad immaginarmi questo momento ma…davvero, non riesco a farmi una idea. Comunque…ci siamo quasi!” dici.
Presa come ero dalle mie sensazioni non mi sono neppure accorta che siamo quasi arrivati al cancello ed, oltre si nota la costruzione.

Casa.
Il luogo in cui sono nata e in cui si è svolta gran parte della mia vita.

Fermi il calessino davanti al cancello, scendi e poi aiuti me a fare lo stesso: non sono abituata a muovermi con abiti femminili e, per arrivare fino a qui senza attirare l’ attenzione sono stata costretta ad indossarne uno, su suggerimento di Yvette e Luc…Mi sento un po' imbranata…

“Lascia che ti dia una mano” dici.

Più che darmi una mano tuttavia mi sollevi però di peso, non vuoi che mi sforzi e, per  un istante mi beo tra le tue braccia. Quando i miei piedi toccano terra credo di crollare invece…no. Iniziamo a camminare.
“Il giardino è sempre lo stesso…” dico con sollievo “Alberi, cespugli, fontane…le mie rose…sono ancora li, in balia del tempo e delle stagioni” . Questo mi rallegra, almeno per il momento.
“Già; speriamo  non siano riusciti ad arrivare fino a qui e che anche il palazzo non abbia subito la furia da parte dei contadini dei dintorni…” dici a tua volta.
Continuiamo a guardarci in giro e apparentemente tutto sembra rimasto fermo e man mano che i nostri passi ci avvicinano a quella che un tempo fu la mia casa, i ricordi si ripresentano, come avessi aperto la porta della soffitta dove molte volte andavamo a rifugiarci…
La un tempo correvo , insieme al cucciolo che mia madre mi regalò penso osservando un tratto del giardino dove ancora resiste un recinto, ormai ridotto a pezzi e la…ci ho portato il mio primo pony e…si, in quella stanza al piano superiore le mie sorelle dipingevano….

“Oscar, credo che quello sia Marc,  il vecchio guardiano. Meglio farsi riconoscere, prima che possa pensare male….” dici; non mi ero accorta.
 Ti fermi, alzi una mano: l’ altro risponde, pronto. Accorciamo entrambi la distanza che ci separa allungando il passo, presto siamo faccia a faccia o quasi.

“Siete voi, Mademoiselle?” pronuncia Marc non appena è abbastanza vicino da riuscire a mettere a fuoco una vista davvero stanca.
“Si. Siamo passati solo…solo per dare un’ occhiata…” rispondo come fossi un’ estranea; non so che dire.


Il vecchio Marc mi fissa, toglie il cappello e lo tiene tra le mani, rigirandolo.

“E’ casa vostra, non dovete giustificarvi. Per me non è cambiato nulla” risponde.
“Possiamo…possiamo entrare, dunque?” chiedo indicando la costruzione non troppo lontana.
 Lui annuisce.
“Non è come prima, vi avviso. Dopo che i vostri augusti genitori se ne sono andati, non sono  riuscito a frenare ladruncoli e contadini…Sono rimasto da solo… “
Guardo André per avere un cenno.

“Sei pronta? “mi chiedi.Sul tuo viso leggo un po' di preoccupazione come se…come se volessi proteggermi da qualcosa, qualcuno.

Annuisco.
 
Marc inizia a camminare, ci precede.

“Non credevo di rivedervi. Tua Nonna, André, è stata molto in pensiero; anche i vostri genitori, illustre Oscar, erano distrutti dalla vostra partenza….”
“Marc, non è necessario che tu mi chiami in questo modo…” lo interrompo; ma lui è legato ancora ai vecchi schemi di questa casa, lo vedo. Non mi guarda, cammina e cammina, nel frattempo continua il suo racconto.
“…Vostro padre ha fissato il vostro ritratto per giorni, dopo che ve ne siete andata, sapete? Poi, una mattina, ha fatto radunare tutto ciò che un carretto era in grado di trasportare e sono partiti. Così. Non so, davvero, che strada possano avere intrapreso; si sono fatti dare alcuni abiti da noi e, una volta pronti, ci hanno detto che eravamo liberi da qualsiasi vincolo...”

Siamo ormai arrivati davanti a casa e ci fermiamo, poco prima degli scalini che portano all’ entrata principale. Io lo ascolto, faccio mie le sue parole, non voglio pensare alla sofferenza – reciproca- della decisione che a mio tempo presi ma che è sempre viva e fa male…Cerco il tuo sguardo. Lo trovo. Mi sostiene.
Marc ora  è fermo davanti a noi, indugia.

“Volte entrare?”

Mi prendo del tempo.
I miei occhi si rivolgono a ciò che ci circonda: le due statue dietro alle quali da piccoli ci si nascondeva, l’ edera rampicante che copre parte del muro, all’ angolo….Sento la tua mano stringere la mia, ti guardo ancora.

“Andiamo, Oscar.” dici; ti seguo.

Marc apre il pesante portone e, come metto piede all’ interno, sento le gambe tremare; è inevitabile, devo essere forte !  dico a me stessa quindi…avanzo piano sulle piastrelle bianche e nere, i miei, nostri passi rimbombano.

Prima è uno sguardo d’ insieme, poi volto il capo verso destra, vedo la scala che conduce alle stanze: il marmo è un rovinato in alcuni punti  e le grandi tele appese sul muro a fianco sono sparite, è rimasto un solo quadro, una natura morta che mia madre dipinse quando era in mia attesa. Anche il tappeto che ricopriva ogni singolo scalino non c’è più.

All’ improvviso, la tua mano sulla mia  spalla.

“Vorrei…vorrei vedere la mia stanza” dici, timida richiesta.
Vai, rispondo, osservandoti sparire nel corridoio che, più o meno sotto la scala ed esattamente dove c’è l’ entrata della cucina, inizia.
Continuo a guardare con occhi nuovi questa casa.

Il mobile scuro davanti a me è rotto, manca di un’ anta.

Delle spade che una volta erano appese, cimeli di antichi avi, resta solo l’ ombra.

Marc è fermo all’ ingresso e tiene il cappello tra le mani.
Sembra dispiaciuto.

Per un attimo ancora vago, senza un senso, in quei pochi metri.
Vorrei tanto salire nelle mie stanze, rivederle una ultima volta, ma qualcosa mi frena tuttavia, dopo un attimo mi decido: sollevo le gonne dell’ abito e aiutata dal corrimano salgo.
Per ogni scalino, un sasso sembra depositarsi nello stomaco.

Quando arrivo davanti alla porta di legno che dà sul corridoio, mi accorgo che è rotta e, non appena la sfioro, cade: il tonfo solleva molta polvere ed a momenti rompe le assi del pavimento. Controllo che sia tutto a posto; la scavalco, entro.

Il mio quadro è ancora li. Proprio a lato dell’ entrata, di fronte; non so per quale motivo non sia stato portato via come gli altri.
 In terra, esattamente in perpendicolare, c’è un foglio che prendo e leggo.
E’ la mia lettera d’ addio, quella che ho scritto prima che ce ne andassimo e che avevo nascosto – dopo un ripensamento- nel cassetto del mio tavolo da toeletta.
Lo tengo stretto tra le mani come un cimelio, mentre i miei pensieri sono riportati indietro nel tempo a quei giorni e, nella mia mente, rimbombano i suoni ed i rumori di questa casa: passi svelti, la voce stridula del pittore… il fruscio degli abiti…perfino il rumore del pennello carico di olio e pigmenti che va a stendersi sulla tela è ricordo fresco. La tua voce, lontana. La tua presenza, impercettibile.

“Oscar, sei qui…”

Mi volto, sei arrivato. 
Allungo la mia mano e ti mostro quel foglio.

“Anche io ho trovato qualcosa” dici.
Ti avvicini, mi mostri una lettera ed un piccolo sacchetto di velluto. Il tuo viso è strano e lo sono anche i tuoi occhi; sembra che tu abbia pianto.
Ti accorgi che il mio sguardo ora è diverso.
Ti volti dall’ altra parte.

“Vieni, André, entriamo”.
… E cammino verso la porta di quello che una volta era il mio mondo, trattenendo un poco il fiato, perché non so cosa ci troverò. Nel momento in cui la mia vista si posa sui marmi e sulle pareti ricoperte di carta da parati  mi pare che tutto sia al proprio posto, almeno in apparenza…ma vengo presto smentita: laddove una volta vi era il salottino trovo solo legno.
E stoffa.
Il tavolino basso non c’è, nemmeno il mobile accanto dove erano riposti i liquori e, nei cassetti superiori, gli spartiti del pianoforte che invece c’è, in fondo, appoggiato contro il muro…

André osserva a sua volta la scena e poi mi passa davanti , va ad aprire le tende che scuriscono leggermente l’ ambiente.
Mi chiama.
Proseguo oltre la parete divisoria in legno; vedo il letto, intatto e sul fondo della stanza invece la falsa porta del guardaroba – in realtà una vera e propria porticina resa falsa da un trompe l’oeil – divelta, i miei abiti sparsi per terra.

Compreso quello che indossai quel giorno....
Ti vedo andare proprio li.
Raccogliere la stoffa un tempo bianca e screziata di rosa la quale ora, invece, è ormai sporca , ingrigita, gialla: lo afferri quasi fosse una reliquia e me lo porti, posandolo sulle coperte logore del letto a baldacchino mentre io ti seguo con lo sguardo.

“Me la ricordo ancora, quella sera. Eri bellissima” dici senza distogliere gli occhi  da ciò che fu un abito.
I miei occhi si chiudono.
Ricordo per  la vestizione, l’ emozione.
Il profumo che Nanny aveva asperso sul mio corpo , le gocce leggere sulla pelle…
Una leggera inquietudine e poi…
…poi…. l’ illusione. Ed il tuo viso, Andrè, i tuoi occhi così carichi di luce, quella luce che solo dopo avrei riconosciuta come Amore.

“Quella sera, mentre ero a cassetta, avrei voluto essere io al posto di Fersen; lo sapevo, che tutto questo lo stavi facendo per lui…ho cercato di trattenere il dolore ma non sempre ci sono riuscito, anzi….”
Provo a sfiorare la tela lisa con la punta delle dita, poi arrivo alle tue mani.
“Ero un’ ingenua, André. Come altro potresti definire una donna che ama l’uomo il cui cuore appartiene ad una regina? …ci ho provato. LL’ho fatto per lui? Si…ma è servito anche a me. A noi.” dico.

Ti alzi, ti allontani per un attimo da questo letto. Sei pensieroso.

“C’è qualcosa che non va?” domando.
Passeggi avanti e indietro per un po’, infine torni da me e mi porgi una lettera. La raccolgo dalla tua mano tesa.
“E’ di Nanny. L’ ha scritta il giorno che siamo partiti” dici.
Ti guardo e capisco il motivo dello sguardo che notai prima. Inizio a leggere.

Miei cari ragazzi, il mio cuore si è spezzato quando non vi ho più visti rientrare a casa, quella sera. Ho sperato a lungo di vedervi ma, dentro i pensieri di questa povera vecchia, era da tempo che albergava ormai la consapevolezza che prima o poi sarebbe accaduto. Voi siete sempre stati destinati a grandi cose ma, soprattutto, siete sempre stati destinati l’ una all’ altro.
Ora, in questi momenti così bui, il mio solo ed unico desiderio è sapervi in vita, sani e salvi;  non chiedo altro, per voi, dopo aver vissuto anni fianco a fianco senza poter essere voi stessi.
Vi ho osservato, sapete?
E da sempre, anche se le convenzioni nelle quali io sono cresciuta non lo avrebbero mai ammesso, ho sperato andasse a finire così; se qualcuno di voi leggerà questa lettera, dunque, sarò felice: mi auguro che vi arrivi integra così come tutto il resto, lo spero proprio.

Vorrei dirvi alcune cose.
Mio caro André, mia cara Oscar, all’ interno del sacchetto di velluto che avrete trovato ci sono alcuni incartamenti; sono lettere di un avvocato di Arras , Monsieur Auerelien, il quale ha sempre disposto dei miei modesti guadagni e poi anche di parte dei tuoi, André. Recatevi ad Arras con queste, lui vi rilascerà i risparmi ed una chiave: è quella della casa di mio figlio, il padre di André. E’ vostra, se volete.
Non sono riuscita a fare altro; perdonatemi.
Chiudo questa mia con la speranza, anzi il sogno di potervi riabbracciare; sono però conscia che il tempo nei miei confronti potrebbe essere tiranno. Ora devo partire.

 Vi porto nel cuore.

Vostra,   Nanny.
 
Hai tenuto lo sguardo fisso a terra per tutto il tempo.
Ti chiedo se tu l’ abbia già letta: fai un cenno con il capo e mi dici si, ma non fino in fondo; volevo condividerla con te rispondi.
“Grazie” dico, allora, non so nemmeno bene io a chi; infine  torno a guardare ciò che rimane della mia stanza, quel vestito, con le parole che ancora mi rimbombano  nella testa…e allora mi alzo, cammino, ispeziono angolo dopo angolo finchè tu non mi fermi.

“Oscar, io credo che… credo sia ora di andare” dici; io, in realtà, non so se voglio farlo perché…perché ora che sono qui desidero solo che rannicchiarmi in un angolo, stringere le mie ginocchia al petto e dondolarmi, come facevo da bambina. Non vorrei altro, André, non vorrei altro che rimaner così per un po', aspettando che Nanny arrivi con la sua cioccolata calda e con i biscotti appena sfornati…

“Vieni. Andiamo.” ti sento dire e non è un invito; in realtà, pronunci quelle parole mentre già mi stai stringendo tra le braccia e mi conduci fuori.
“…Dobbiamo rientrare a Parigi prima che faccia buio…” dici a bassa voce.
Mi guardo intorno ancora un’ ultima volta…

E’ davvero così, sto abbandonando tutto? Ciò che era casa mia…


Camminando, tornando nel corridoio, dico che voglio andare in biblioteca; chissà se almeno quella l’hanno lasciata indenne. Allunghiamo quindi il nostro giro ed entriamo e, con mia somma sorpresa, noto che a parte tavoli e sedie non hanno portato via nulla.
Lo sguardo si illumina, ti scivolo via dalle braccia e corro verso i miei amati libri, li sfioro,  le mie dita toccano copertine impolverate…
“Ne prendo solo alcuni, André; per te e per me” dico cominciando a raccoglierne quanti più riesco a portarne. Per il resto mi dai una mano tu, facciamo incetta, quando usciamo di li siamo carichi di roba….
“Lasciate che vi aiuti” dice Marc, ricomparso da chissà dove.
Ne deposito alcuni sulle sue braccia poi scendiamo le scale: è quasi ora di andare.

Quando usciamo di li, mi sento strana; non voglio pensare che non rivedrò più questa casa, faccio finta di nulla.
Compare un sorriso, addirittura; ma è qualcosa di forzato, quasi malinconico.

“Sei pronta? Possiamo andare?” mi domandi, ad un certo punto, una volta che siamo fuori, al freddo.
“Si” rispondo senza aggiungere altro; allora mi sorrisi, poi mi volti le spalle e ti incammini verso
l’ uscita dove il cavallo ed il carretto sono disposti, sempre ci siano ancora. Ti osservo andare via, Marc fa lo stesso.
“Vi assicuro che cercherò di badare alla tenuta, Mademoiselle” dice Marc.
 Mi volto, ha il capo chino, il viso colmo di rughe ancora più scuro.
Io, a poca distanza dall’ uomo, lo osservo.
“Non credo che qui tornerà più nessuno” rispondo con l’ anima lacerata  “ …puoi considerarti un uomo libero, questo lo sai; se vorrai restare te ne sarò grata, viceversa…disponi come meglio credi. E’ tua.”

Gli occhi chiari ed infossati dell’ uomo mi fissano.

“Starò qui. Non ho altro posto dove andare: rimarrò in attesa che qualcuno torni” dice ed a mesi stringe il cuore. Sto per crollare.

Mio padre, mia madre…Nanny!

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Capitolo 6
*** Addio, Parigi ***


“Sai, c’è stato un istante durante il quale ho pensato che non avrei mai voluto andare via. Avrei voluto restare li ed invecchiare insieme a quei vecchi muri.”
Mi volto e ti osservo, mentre aggiungo legna al fuoco. Fa molto freddo: non vedo l’ ora di tornare sotto le coperte insieme a te.
“Anche per me è stata dura, Oscar;  in fondo, ci sono cresciuto insieme a te…”
 “Dove saranno andati, mai?” chiedi, dopo qualche secondo.
Mi alzo e vado a lavarmi le mani nel bacile.
“Non ne ho idea, Oscar. Vorrei tanto saperlo anche io. ”

Il silenzio cala ancora nella nostra stanza. Possiamo addirittura sentire la pioggia cadere:
per fortuna siamo giunti a Parigi in tempo, penso.

“Non vieni a letto?”
“Arrivo…”
…E torno da te.
Sotto le coperte ti stringo forte,  abbiamo bisogno entrambi di un abbraccio, ci accarezziamo, stretti l’ uno all’ altra.I nostri occhi si cercano come la bocca cerca ossigeno.

“Oscar, ricordi lo scorso Natale?” ti domando, ad un certo punto; questo ricordo mi arriva all’improvviso, senza alcun avviso.Il tuo viso si solleva dal mio petto.
“Come potrei non ricordarlo? Caddi in una sorta di disperazione, non vedendoti…”
“Già, ho rischiato grosso quella volta…!”  rispondo, sorrido.
Tu, invece…ti adombri: una nuvola sembra aver coperto il sole.

“Eravamo felici, ricordi? Mi hai fatto compagnia, abbiamo parlato tanto, mangiato insieme…
Cadeva la neve e nella casa si udivano le voci di mia madre, mio padre…i miei nipoti…la nonna…”


Eravamo felici…eravamo felici!

“Oscar, non sei felice, ora, con me?” ti chiedo, preoccupato dalle tue parole.
Mi fissi con occhi sgranati.Forse, nemmeno ti sei resa conto di ciò che hai detto.

“André, ti chiedo scusa; non intendevo dire…”
Mi avvicino e ti do un bacio.
“Non dire nulla, non pensiamoci più: e comunque, mia amata, felici possiamo esserlo ancora.
Io spero -in un futuro non troppo lontano- di ritrovare la tua famiglia; mia nonna…e mi auguro che altrettanto presto si riesca ad andare ad Arras. Pensaci: cosa facciamo, qui? Che prospettive abbiamo se non quella di nasconderci?”

Ti osservo mentre ti siedi e abbracci le tue ginocchia.
Il tuo viso ora fissa il camino, lo sguardo è vago e lontano.
“Se vogliamo andare via, ci conviene farlo prima che arrivi l’ inverno…il ché avverrà presto, a giudicare dal tempo di questi ultimi giorni. Ma dimmi, André, tu credi che potremo vivere davvero tranquilli, ad Arras?” domandi, ad un certo punto.
Ci rifletto un attimo.
“Robespierre è impegnato qui a Parigi e credo che, se noi dovessimo andarcene,  potrebbe mollare la presa. Sono tempi impegnativi, per lui…” rispondo. E penso anche di non aver granché voglia di nascondermi all’ infinito.
Tu guardi  le lingue di fuoco che si alzano e ci scaldano.

“Sia. Domani…domani chiederò a Luc di mandare a chiamare Rosalie, Bernard ed Alain: sono i nostri amici, sono certa che sapranno indicarci la cosa giusta da fare” dici.
“Va bene, Oscar, allora è deciso?” chiedo.
Annuisci.
Torniamo tra i nostri abbracci: tra un paio d’ ore mi dovrò alzare e andare al lavoro tuttavia ora, cadesse il cielo, sono qui per te.
Solo per te.


***

Alain è passato al solito orario, puntuale: come ogni volta, ha da raccontarmi qualcosa riguardo le sue avventure. Stavolta è il turno di Angelique -la figlia del fornaio-  e devo dire che tra tutte le sue conquiste, è quella che mi appare più papabile come futura Madame De Soisson…ma non mi azzardo a dire nulla. E’ troppo presto e poi lui non sembra esattamente il classico tipo che voglia farsi una famiglia.  Lo lascio parlare, ridiamo insieme, ascolto le sue sconcezze come si fa tra uomini, scherzando e lasciandomi andare a qualche commento anche poco lusinghiero; questo, finché non giungiamo davanti al posto di lavoro dove una decina di persone  riunite sono ferme a parlare davanti al cancello attirando la nostra attenzione.

“Charles, che succede?” chiedo non appena questi mi si avvicina per salutare.
“Monsieur Capechy ci ha riferito, poco fa, che il mattatoio resterà chiuso per qualche tempo” risponde.
E’ ancora sorpreso, incredulo dalla notizia.
“Per quale motivo?” domanda Alain.
Presto intorno a noi arrivano anche Laurent, Jacques, Armand, Michel.
“Il capo dice che non c’è più carne. I fattori tengono quel poco che hanno per sé, per mangiare ed andare avanti” risponde quest’ ultimo “ forse, di qui a poco…saremmo costretti a mangiare i nostri cavalli o perfino i gatti, i topi, se è necessario….”
Io e Alain ci guardiamo. Non voglio pensarci…
“Ed i soldi? La nostra paga?” domanda. Va dritto al punto, come al solito!
Armand interviene.
“Ha detto di passare domattina, ma non ci fidiamo…pensiamo voglia scappare. Per questo ci siamo fermati e stiamo valutando dei turni di guardia” risponde; dietro di lui, arriva un coro di voci che lo sostengono.

No, non credo che Monsieur Capechy sia quel genere di uomo ma, si sa, molte cose possono essere cambiate…

 “Che dici, André? Andiamo a farci una birra? Tanto qui la vedo lunga “ mi chiede dal nulla Alain, quasi non avesse ascoltato quelle parole. Sono indeciso e vorrei capire qualcosa di più ma, passati alcuni minuti, ci guardiamo in giro e  troviamo un posto abbastanza vicino ancora aperto…Orami sono in piedi, sveglio ed infreddolito. Tanto vale fermarsi.
“D’ accordo” dico.
Potrei giusto prendere l’ occasione per anticipargli qualcosa…
Alain  è già andato avanti. Il tempo di raggiungere la locanda ed entriamo; a quest’ ora non c’è molta gente. E’ piacevole stare al caldo.
Ordiniamo due birre.

“Allora, come sta Oscar?” mi domanda non appena ci sediamo.
“Bene, direi. Anche se da quando siamo tornati dopo la visita a palazzo, tre  giorni fa, è comprensibilmente triste” rispondo.
Alain sorseggia un po' della sua birra e si pulisce la bocca con la manica della giacca.
“Lo hai detto tu, è comprensibile. Non deve essere facile per lei, anche se è stata una sua scelta…”
“Già… “.

Alain ed io restiamo in silenzio. Lui ha posato gli occhi su una ragazza dai capelli rossi, più per curiosità che per un reale intento, diciamo così.

“Io ed Oscar abbiamo pensato…di trasferirci ad Arras.”
Le parole mi escono spontanee, senza premeditazioni: il mio inconscio ha preso questa decisione per me. Alain spalanca la bocca per la sorpresa, penso potesse immaginare che prima o poi ce ne saremmo andati ma forse…non se lo aspettava così presto.

“Dove andrete?Avete un posto dove stare?”  

“…ho una casa, laggiù. Ti ho detto della lettera che ho trovato…?”
Annuisce. Io bevo ancora un po' di birra.
“Si.”
“Ecco, vedi… in quella lettera c’è scritto che devo  rivolgermi ad un notaio della città. Mia nonna è stata lungimirante, ha depositato parte della mia paga e fatto in modo che la casa dei miei genitori non cadesse in rovina, così…”
Alain si alza in piedi, a momenti getta la sedia dietro di sé.
“Ma è magnifico! Almeno per te, le cose sembrano mettersi meglio…” risponde.
Gli faccio cenno di sedersi perché non voglio che attiri l’attenzion. Lui si guarda in giro, si gratta la testa, torna a sedere.
“Volevo parlarne con calma a tutti voi, appena sarà possibile…” aggiungo.
Alain beve un altro sorso, si dondola sulla sedia; sembra che – almeno così mi pare – anche lui abbia qualcosa da dire.
“Sai, fratello mio, anche io stavo pensando a qualcosa del genere…”
Ecco, mi pareva: non mi sono sbagliato di molto…

“…ah! Cosa ti ha portato a questa decisione? “

Prendiamo entrambi un altro sorso di birra e poi , il bicchiere ancora in mano, Alain continua il suo discorso.
“Ci penso da tempo, sai? Fin da quando ho capito, qualche giorno prima che si prendesse la Bastiglia, le vere intenzioni di Robespierre ed i suoi…”
Alain parla ad alta voce , gli lancio una occhiataccia, non vorrei qualcuno ci senta; lui si guarda in giro e poi torna a parlarmi. Credo di capire dove voglia andare a parare.
“Tu lo hai visto combattere, André? No, non avresti potuto…non eri qui. Tuttavia io, che c’ero, ero li! E sai cosa ho visto l’ ho solo visto arringare la folla da una finestra. Armiamoci, combattiamo, ora è arrivato il tempo di agire diceva: ma lo hai visto, tu? Hai contato le sue ferite? Zero! Nessuna….”Finisco la birra e  poso sul tavolo il bicchiere.
Alain mi guarda, è serio. Arrabbiato.
“Ecco perché voglio andarmene. Qui, al momento, non c’è nulla per me” conclude.

“…hai già pensato a qualcosa in particolare?” gli domando, allora. Non ho la forza di fare altro. Ha tremendamente ragione.
“Non ne ho idea. Credo che la mia prima tappa sia la più semplice: l’ Inghilterra, Londra, forse…”risponde.

A questo punto  tocca alzarsi: la locanda sta per chiudere; è ora di tornare fuori, ma non troviamo che tre persone: dove sono, tutti? Domando. Armand ci risponde che gli altri avevano sonno e freddo…e sono tornati a casa.Io e Alain ci guardiamo.
Hanno cambiato idea alla svelta, penso.

“Forse è meglio rientrare, André. Vai, ci penserò io alla tua paga, passerò a trovarvi” mi dice.
“Grazie…” rispondo; quindi, dopo un ultimo scambio di battute con i pochi uomini rimasti, me ne torno a casa da te, Oscar.Arrivo che manca poco all’ alba;  nel momento in cui spingo il portone per entrare nel cortile di quella che noi chiamiamo casa, il sole fa capolino tra le nubi grigiastre ed un filo di nebbia. Luc è già in piedi, lo vedo uscire dalla stalla; sono giorni che non riusciamo a incontrarci, per un motivo o per l’ altro; lo raggiungo, mi nota, alza un braccio come saluto.
“Luc, cosa ci fai in piedi così presto? Hai bisogno di qualcosa?”
 Lui fa cenno di no con il capo.
“Sono appena rientrato anche io, ho avuto un’ urgenza…” risponde; è stanco e nonostante si sia lavato le mani, qualche traccia di sangue di nota ancora. Credo non ci si possa mai abituare…

“Era un bambino, questa volta…” dice.

Non oso chiedere come sia andata a finire, ha una espressione che spaventa.
In questo silenzio Luc si abbassa, recupera la borsa lasciata per terra.
“Andiamo a riposare, ora… ci vediamo più tardi” dice chiudendo li il discorso.

 Ci salutiamo, faccio pochi passi ed entro nella stanza.
Il fuoco di sta spegnendo quindi, cercando di fare meno rumore possibile e senza riuscire a staccare gli occhi da te, mi levo di dosso i vestiti e, prima di infilarmi a letto, metto ancora legna sul fuoco.
“André…sei già qui?”
“Si, Oscar. Sono appena arrivato, ora ti raggiungo” rispondo; così poi faccio, ed è bellissimo stare di nuovo tra le tue braccia.
“Sai di birra…” dici dopo avermi baciato “…che avete combinato, tu e Alain?...”
“Stanotte non abbiamo lavorato…il mattatoio rimarrà chiuso, per un po'. Io e Alain ci siamo fermati un poco con gli altri e,
comandante!,  ne abbiamo approfittato per una birra”

Una risata profonda, genuina, esce dalle tue labbra.
Hai gli occhi chiusi.
Sei bellissima.
“Che c’è, ora? “ chiedo  facendo il finto offeso.
Apri gli occhi e due immense pozze azzurre mi circondando, mi sormontano, come acqua fresca.
“Da un po' non mi chiamavi così… e poi, cosa è questo tono, Grandier? “
Adesso sono io a sorridere.
“Sono felice di vederti così di buon umore…”
Mi baci e ti stringi forte a me, sento le tue mani appoggiarsi ai miei fianchi.
“Hai fatto bene a fermarti con Alain… ma dimmi, André: cosa è questa storia del mattatoio?”
“Le poche vacche rimaste non verranno più vendute, anche se la richiesta c’è. Gli allevatori tengono le poche che hanno per il loro sostentamento e …non c’è prezzo di acquisto che tenga. Sono senza lavoro:  ciò non mi sconvolge vista la nostra prossima partenza ma, devo dire, qualche livres in più avrebbe fatto comodo.

Appoggi il viso al mio petto. Aspiro il profumo dei tuoi capelli.

“Ho parlato anche con Alain, sai? Ed ho scoperto che anche lui vuole andarsene…”
“Alain!? “
Faccio un cenno con il capo.
“Si. Gli ho detto che presto ce ne andremo anche noi e lui mi ha espresso le stesse intenzioni; in ogni caso stamane passerà per portarmi la paga e  potremo parlarne un po'…”
Annuisci e non dici null’ altro; mi stringi la mano ed, insieme, fissiamo il soffitto , pensierosi.
 
 
***


Il giorno arriva presto e lo fa accompagnato da una sorpresa: la neve.
Quando esco dalla stanza ti trovo già pronta, coperta da un mantello, intenta ad osservare i grossi fiocchi bianchi scendere lenti.
“Ah, sei sveglio, André! “
 Ti saluto con un bacio sulla fronte.
“Che ore sono?” domando; questa luce grigiastra mi da quasi fastidio alla vista.
“Le campane del vecchio convento hanno suonato le due” rispondi.
“Gli altri?”
“Yvette è di sopra, Luc è nel suo studio. E’ arrivato anche Alain, da poco; mi ha detto lui di lasciarti dormire ancora un po'…”

Restiamo fianco a fianco, quasi incantati, per un attimo. Sono sicuro che stai pensando alla nostra partenza ed alle parole da dire.

“Cosa dici, andiamo?”

Sei tu a prendere l’ iniziativa, io annuisco e ci avviamo verso le scale. Saliamo qualche scalino e la risata di Alain si fa sentire. Quando entriamo in cucina lo troviamo concentrato davanti ad un piatto di zuppa.
Non appena ci vede, si alza in piedi e ci viene incontro.

“Ecco, André: questo è quello che ti spetta” dice porgendomi un sacchetto colmo di monete. Lo ringrazio, ci sediamo.
“Hai avuto altre novità? Tu che farai ora, hai proprio deciso?” chiedo. Yvette porge della zuppa anche a me ed Oscar, poi si siede a sua volta.
“Nessuna nuova. Capechy ha confermato il tutto ed io…si, sono sempre di quella idea… Anzi, stavo pensando che…se vi va, potremmo partire insieme e condividere un po' di strada.”
Io e Oscar ci guardiamo.
“Non sarebbe una cattiva idea” rispondi. Il tuo sguardo vaga lontano.
Yvette posa gli occhi su di noi.
E’ sorpresa: non si aspetta che partiamo così presto.

“Ve ne andate? Quando lo avete deciso?” chiede. Il suo viso si fa triste.

“ Ad essere onesti, non abbiamo ancora valutato come e quando ma, a giudicare dal tempo, non aspetteremo molto.”
La ragazza si alza ed esce, forse sta andando a chiamare suo fratello.
“ Dovremo dirlo anche a Bernard e Rosalie. Se volete possiamo farlo oggi, potrei andarci dopo, insieme” suggerisce Alain.
“André, sei d’ accordo?” mi chiede Oscar.
“Si.”
Luc arriva dopo pochi istanti.
“Yvette mi ha riferito tutto…” dice. Rimane in piedi sulla porta.
“…Perdonaci se non te ne abbiamo mai parlato: è una decisione presa da qualche ora, ancora dobbiamo definire tutto” rispondo; leggo  anche sul suo visto del dispiacere, del resto ci eravamo abituati alla nostra reciproca presenza.
“Sapevo che questo giorno doveva arrivare, del resto è la cosa migliore che possiate fare, lo abbiamo sempre saputo. Cosa vi serve?” domanda.Come al solito è pratico, non perde tempo; tra un cucchiaio di zuppa e l’altro proviamo a mettere insieme un po' di idee, di pensieri.
Tutto scorre così velocemente da lasciarci stravolti e ci fa perdere la cognizione del tempo: nemmeno ci accorgiamo che è giunta quasi sera e, uno ad uno, ci si saluta dandoci appuntamento a domani.
“Restano Bernard e Rosalie…” sussurri.
“Credo ci penserà Alain, così mi ha detto prima di uscire…”
Torniamo a sederci intorno al tavolo e restiamo a parlare con fratello e sorella finchè, stanchi, ci ritiriamo nelle nostre stanze.






 
Tre settimane dopo, 2 dicembre 1789
Dicembre è arrivatoportando con sé ancora un po' di quella neve nemmeno un mese fa era passata a farci visita; il clima è freddo, più del solito, anche le giornate si fanno sempre più buie.

“Dovete sbrigarvi, ci vorranno minimo tre giorni per arrivare ad Arras” dice Bernard, mentre tutti insieme stiamo finendo di sistemare un piccolo carro, recuperato da un Oste in cambio del trasporto di alcune piccole merci destinate ad una locanda sulla via. Oscar non è ancora scesa, è al piano di sopra con Luc che prima di partire vuole sincerarsi che si sia rimessa più o meno del tutto.
Ah, Bernard: non credo che quella povera bestia di ce la farà…Ha una certa età” dico indicando il ronzino già stanco, nascondendo la mia preoccupazione.
Lui mi guarda, ride:  se è per questo nemmeno tu sei più tanto giovane ,dice; scoppiamo a ridere, le battute avanti e si unisce anche Alain, non sia mai…
Tuttavia Bernard torna serio presto.
Come se si fosse improvvisamente ricordato di qualcosa d’ importante, infila la mano in tasca.
“Cosa sono?”  domando, anche se un’ idea me la sono fatta.Mi fermo, li prendo, attendendo la sua risposta.
“Qui ci sono  due lasciapassare con nuove identità fittizie. Il nostro amico credo si sia messo momentaneamente il cuore in pace, tuttavia, meglio averli. Mi sento più sicuro così… “
“Capisco. Credi quindi …che possa farci del male?”
Bernard scuote la testa.
“No, non penso; ormai si sta rendendo conto che Oscar non ha alcuna smania e che si è ormai allontanata da quella che una volta era la sua vita. Ma è comunque un personaggio un po' particolare ed ambiguo quindi…non abbasserei la guardia, ecco” risponde.
In quel momento arrivi tu. Sei allegra, buon segno.
“Tutto bene? “ ti chiedo.
Dietro di lei c’è Luc in compagnia della sorella.
“Si, sto bene!” mi rispondi; ed ho la certezza di questa verità da Luc, che sorride.
Mi avvicino a te e ti abbraccio: non avresti potuto darmi notizia migliore!
“Oscar, sono così felice!” ti sussurro; è davvero qualcosa di incontenibile e faccio fatica a trattenermi!
Guardo Oscar, stretta nel suo mantello ; Luc dietro di lei sorride, è sereno. Mano nella mano, ti accompagno accanto al carro; Alain dietro di me , mi mette una mano sulla spalla.

“E’ ora” dice; stringo forte la mano di Oscar e mi guardo ancora una volta attorno.
Luc, Yvette, Bernard, Rosalie…ci rivedremo presto….sussurri e lo stesso faccio io.
Rosalie, la nostra cara Rosalie, si avvicina e ti abbraccia ancora una volta.

Luc va verso il portone, lo apre.

Saliamo sul carro, Alain si mette a cassetta, Oscar vicino a lui.Io mi arrangerò dietro, sul pianale, per il momento.

E’ ora di partire…
E’ ora di partire.


Mi mancheranno i miei amici.
Mancherò Parigi con questi palazzi, la gente, le strade, la Senna ed il suo lento cammino. I ricordi si presentano un dopo l’ altro ed una sensazione di tristezza mi pervade, ho come un groppo in gola.


“Addio, maledetta puttana” sento dire con voce rotta da Alain mentre si guarda intorno.


Non diciamo più nulla: tra sacchi di granaglie e coperti da poco nobili mantelli di pecora, affrontiamo l’ inizio del nostro cammino silenziosi, pensierosi.


 

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Capitolo 7
*** Incontri inaspettati (verso Arras, I) ***


Abbiamo lasciato Parigi da un giorno.
Con mia enorme sorpresa, al momento, non ho particolare malinconia; i miei occhi cercano di cogliere con nuovo sguardo e nuove prospettive ciò che questo viaggio ci riserva ed il mio cuore, la mia anima, stanno facendo lo stesso.
André  ha condotto il carro per gran parte del tempo; Alain gli ha dato il cambio un’ora e mezzo fa ed ora stai riposando, steso sul pianale tra la botte di birra e la teca di una Maria bambina che la moglie dell’ oste ha voluto a tutti i costi rifilarci  affinché la si consegni a non so quale curato di una altrettanto a me sconosciuta chiesa che dovrebbe trovarsi sul cammino. Mi chiedo come faccia a stare comodo, essendo un poco più alto di me; lo guardo, di tanto in tanto gli accarezzo i capelli. Lui nemmeno si muove, è proprio distrutto.

Mi faccio cullare dal rumore di questo carretto e dal suo ondeggiare.
Siamo partiti da quattro ore, presto ci fermeremo per far riposare il cavallo; mi auguro che la locanda indicata da Monsieur Arnaud non disti molto, ma questo Alain lo saprà di sicuro, quindi decido di domandarglielo.
“Da quanto mi ha detto, la chiesa a cui dobbiamo consegnare quella…quella cosa …è poco fuori Senlis…che dovrebbe essere il villaggio oltre la Foresta di Ermenonville. La locanda è li vicino” risponde.
Poi si volta a e mi guarda.
“Sei stanca?” domanda, poi, dopo nemmeno qualche secondo.
“Un po'…la mia era una pura curiosità” rispondo.
“Sicuramente mancano non meno di un paio d’ore. Non direi di andare oltre, non voglio sfruttare troppo questo vecchietto” dice riferendosi al ronzino  che ci sta trasportando da parecchi chilometri.
Restiamo in silenzio per un attimo, poi gli faccio ancora una domanda.

“Non rallenteremo i tuoi progetti, vero?”

Lui fa spallucce.
“No, non ti devi preoccupare: quando arrivo, arrivo. Se non partirò questa settimana lo farò la prossima” risponde. André si muove, mi volto per guardarlo, in realtà ha solo un po' di sonno agitato. Gli prendo la mano.

“Sei proprio convinto, partirai?” domando , infine.

“Si, Oscar. Non riuscirei a stare un attimo di più, qui. Ho paura, non credere: ma non voglio passare i miei anni a pentirmi di non averci mai provato. Potrò sempre tornare a casa, prendermi un pezzo di terra e fare il contadino” risponde. E so che sarebbe in grado di farlo”

“Chi farà il contadino? Ma se non sei nemmeno buono a pelare decentemente le patate!?!?”

André è sveglio,  assonnato ma sveglio.
Presto si mette a sedere, si sistema la giacca, si passa una mano tra i capelli.
“Beh, nemmeno tu che io sappia sei questo gran genio , in cucina” risponde Alain a tono: non passa molto che scoppiamo a ridere ed è una bellissima sensazione, rovinata in parte dal  vento fresco  che inizia a soffiare portando con sé nuvole scure, le quali ci accompagnano per parecchio tempo, finchè non oltrepassiamo un fiumiciattolo e ci portiamo nei pressi del villaggio.

“A che punto siamo?” domandi ad Alain, stringendoti a me.
Lui indica un insieme di tetti scuri; siamo abbastanza vicini al centro abitato, inizio a sentire alcune voci. Aguzzo la vista, cerco il campanile.
“Bene…credo che a breve ci toglieremo di torno questo catafalco “ dico indicando la teca: mi inquieta, devo essere onesta. Ne ricordo una simile a casa di una vecchia zia e onestamente ho ancora i brividi che mi percorrono la schiena…
André squadra da cima a fondo quell’ orrenda scultura.
“…una cosa mi chiedo: ma a che serve? Che ci faceva nella casa di un’ oste?” domandi.
“Non dico nulla…” rispondo. Mi viene solo da pensare che dovessi vivere in casa con una roba del genere, la coprirei sicuramente con un drappo nero.

Dopo questa piccola parentesi ce ne restiamo in silenzio; entriamo nel centro abitato e ci guardiamo in giro.
 Il paese è grazioso, vedo un panettiere, un fabbro, perfino un negozio di stoffe. Sembra che il tempo si sia fermato, è una piccola oasi felice. Se devo essere onesta, non mi aspettavo tutto ciò.
Alain dirige il carretto verso una piccola piazza dove una statua, forse quella dedicata ad un particolare benefattore, svetta lucida; li si ferma. A poca distanza c’è la chiesa e, più in la, la locanda.  Il sacro ed il profano dico tra me, notando come i due luoghi siano davvero vicini.
“Sembra proprio che siamo arrivati” dice André, scendendo e aspettando che io faccia lo stesso. Alain è sceso a sua volta, sta accarezzando il muso del baio, allungandogli di tanto in tanto una mela che teneva in tasca per ogni evenienza.
“Sta facendo sera, amici…io direi che…che non vedo l’ ora di starmene al caldo fino a domattina. Sentite:  vado alla locanda, sistemo questo vecchietto al caldo della stalla e poi vi attendo…sapete, ho una certa allergia ai prelati di ogni ordine e grado…” dice. André senza perdere tempo recupera la teca; non è leggera, tuttavia la distanza da coprire è davvero poca.
“Va bene, Alain. Noi allora andiamo, a dopo” rispondo; io e Andrè quindi ci incamminiamo verso la canoninca. La porta è aperta, mi annunci: dopo pochi minuti arriva un uomo, giovane, con una gobba pronunciata, completamente calvo.

“Buonasera, siete voi Pére Bloquet?” domando.
L’ uomo ci squadra da capo a piedi, forse non è abituato a ricevere visite; in ogni caso è cortese, ci fa entrare.
“Si, sono io…Vossignorie desiderano?” domanda.
“Come vede, portiamo con noi un dono. Siamo…siamo Monsieur e Madame Grandier. Siamo stati incaricati dalla famiglia Arnaud di farle avere questo…” dico. Ed indico la teca tra le braccia di André.
Come un bambino che riceve un dono tanto desiderato, gli occhi del giovane curato si illuminano e, con le braccia tese, prende la teca e la posa delicatamente su uno dei pochi mobili presenti. E’ un luogo spoglio, non so se per scelta o altro e l’ unica nota di colore sono i pavimenti rossicci. Questa chiesa deve avere parecchi anni….
“Grazie, non mi aspettavo un dono simile; mia cugina, la moglie di Arnaud, lo costudiva gelosamente da anni…” dice, poi “ ma venite, sarete stanchi, posso offrirvi del cognac? E’ l’ ultima bottiglia rimasta…”
Io e André ci guardiamo, per un momento pensiamo alle bevute che ci siamo fatti…ma non so, non mi sembra il caso. Senza risultare maleducati, decliniamo l’ offerta con un gesto del capo.
Il giovane, che non deve avere avuto molta compagnia ultimamente – né da parte dei fedeli né da altri – sembra quasi deluso.
“Vi ricorderò nelle mie preghiere, allora, sempre che vi faccia piacere” dice, quasi timidamente, buttando gli occhi ogni tanto su quella piccola statua.
“Ve ne saremo grati” rispondo “ ora …davvero, vi prego di scusarci; arriviamo da una giornata di viaggio e vorremmo riposare, un nostro amico ci attende nella locanda qui vicino….” Dico.
Bloquet sorride bonariamente, c’è ancora uno scambio di battute poi, finalmente usciamo, più leggeri. Non appena oltrepassiamo la porta mi prendi per mano.
“Finalmente” dici. Stringo forte la tua mano, ti avvicini, mi appoggio alla tua spalla.
“Ora non ci resta che riposare un po' …e mangiare, naturalmente…”
Tu mi guardi, mi rubi un bacio.

“Sei felice, Oscar?” domandi, a tradimento.

E’ una domanda importante ed indugio, giusto qualche secondo.
“Si” ti dico, alla fine “lo sono, André. Perché sono con te….”
Mi sorridi, ancora.
Abbracciati, arriviamo davanti alla porta, entriamo. Vedo subito Alain, non è certo difficile da individuare:spicca su tutti, con la sua stazza. Lo raggiungiamo.
“Ho ordinato tre birre, arriveranno tra non molto. Come è andata?” ci domanda.
Prendiamo posto; è bello tornarsi a sedere normalmente…
“Bene, direi. Soprattutto perché non saremo più costretti ad osservare quella cosa. Alain, hai già chiesto se hanno camere a disposizione?” rispondi , sedentoti vivino a me.
“Si, ci sono…ho solo un avvertimento da fare; ci sono fanciulle allegre, un po' troppo allegre, quindi vi consiglio di chiudere la porta a chiave….”
“Beh, sono ancora allenata, io, se proprio danno noia….” rispondo a tono. André sorride.
La nostra serata inizia così, tra qualche battuta e del buon cibo; il posto è relativamente tranquillo nonostante le premesse di Alain: qualcuno di passaggio, gente del posto…perfino il curato, vediamo; comincio però a sentire la stanchezza, forse ho chiesto troppo al mio corpo.
“André, io me ne andrei in camera ma tu, se hai voglia, resta pure qui con Alain” dico, ad un certo punto.
“Va bene, Oscar. Ti raggiungerò presto.” rispondi.
Ti do un bacio, poi mi reco dall’ oste: le camere sono già state fissate poco dopo il nostro arrivo quindi non mi resta che prendere le chiavi e salire, con la mia piccola sacca a spalle.
La stanza è la prima a sinistra ; apro e rimango colpita dalla pulizia ed il profumo di fresco che si sente, non me lo sarei mai aspettato. Non è grandissima ma ha ciò che può servire: una piccola stufa, un tavolino tondo, alcune mensole dove poggiare i panni e delle grucce dove poter appendere qualcosa; il letto, coperto da un telo chiaro, sembra morbido.

Cerco una bacinella perché vorrei almeno darmi una rinfrescata, la trovo.
 La stufa, già accesa da una mano gentile, è abbastanza calda; appoggio con molte attenzioni la brocca all’ esterno del piano, credo basteranno pochi minuti per scaldarla…infatti; è così.
Presto riesco ad avverare il mio desiderio ed è un sollievo!, sentire l’acqua calda scorrere sulla mia pelle…Chissà, quando io e André sistemeremo le cose ed avremo una casa nostra… spero che il destino ci aiuti, ancora per un po'…

“Oscar, sei presentabile? Posso entrare?”

 Mi viene da sorridere: quando mai hai chiesto il permesso, caro il mio André? Avanti! Ti dico, e tu con mille attenzioni entri.
“Perché sorridi?” domandi. Presto detto: perché non devi chiedere il permesso, questa stanza è nostra…rispondo.
Entri, e ti lasci cadere sulla sedia, godendo il calore che la piccola stanza riesce a trattenere.
“Ti ho chiesto il permesso perché…il corridoio era un poco trafficato e….”
Finisco di sistemarmi i capelli, li lego con un nastro. Infine mi volto verso di te.
“Avevi timore che potessero scorgere la tua donna in deshabillé?” domando.
Annuisci.
“Sei bellissima, Oscar…” sussurri, infine.
 Mi avvicino a te e poso sui tuoi capelli un bacio leggero; tu allunghi le mani e mi prendi, ti peso, facendomi sedere sulle tue gambe.
“Ed ora, Grandier, hai intenzione di cullarmi come una bambina?” domando.
Un sorriso furbetto compare sul viso.
“Avrei intenzione di farti ben altro, comandante de Jarjayes!...ma sono troppo stanco, temo crollerò non appena sfiorerò il cuscino…” rispondi.
“Non preoccuparti! Quando saremo a casa nostra. Metterò in conto tutto!” dico, ed una risata cristallina mi esce dalla gola.
Mi guardi, intensamente.
“E’ bello sentirti dire questo…una casa nostra, Oscar…lo avresti mai creduto possibile?”
“No, per niente… non lo avrei mai pensato ed è per questo che…che è ancora tutto più bello…”


Mi stai per baciare quando, d’ un colpo, sentiamo Alain chiamarci.

“André! Oscar!”

La sua voce ha qualcosa di strano…sembra quasi in affanno.
Mi alzo in piedi, guardo André.
Vado verso la porta.
“Alain! Cosa succede?” domando, una volta aperto. Lui è quasi in imbarazzo, tiene gli occhi bassi.
“Forse dovresti vedere una cosa, Oscar; però ti prego, indossa qualcosa sopra la camicia da notte!” dice, arrossendo.
Mi volto verso André.
“Dammi la mia giacca, per favore…ed i pantaloni…” dico, passando oltre l’ imbarazzo che mi fa arrossire fino alla punta delle orecchie “ così vado…vado a vedere che succede!”. Richiudo la porta, Alain mi aspetta fuori. Dopo qualche minuto sono pronta e, insieme a te, seguiamo il nostro amico.
Non appena arrivo nei pressi della sala dove abbiamo cenato, per poco non mi sento male: ad uno dei tavoli è seduto un uomo e…e indossa una giacca che molte volte ho visto indosso a mio padre. Ne sono certa: è un pezzo unico, di velluto scuro con degli arabeschi chiari come decoro e, sul polsino della manica sinistra, sono ricamati con sottili fili d’oro lo stemma di famiglia e le inziali. Lo ha fatto Nanny, avrò avuto si e no dieci anni.
Mi sento avvampare, vorrei correre e strappargliela di dosso; sto per avanzare a spron battuto quando  sento la tua mano trattenermi.

“No, Oscar, rischieremo di dare spettacolo. Ricordati che qui i nobili non sono ben visti; piuttosto, cerchiamo di capire perché quel giustacuore è finito addosso a quell’ uomo” dici.
Respiro profondamente, guardo André e poi Alain.
Entrambi mi sono accanto.
“André ha ragione. Non è una buona mossa, anche perché quel tale ha un’aria da attaccabrighe…ascolta…lascia fare a me. Ti fidi?” mi sussurra, quest’ ultimo, in un orecchio.
Mi giro, lo guardo.
“Che vorresti fare?”
“Nulla: chiedere dove ha preso quella giacca perché mi piace parecchio” dice.
“André…che ne pensi?” ti chiedo. Tu guardi me e poi Alain.
“Credo sia la cosa migliore da fare…”

Annuisco in direzione di Alain, il quale  subito si reca come se niente fosse al tavolo dell’uomo e, con una scusa qualsiasi, attacca bottone; indica la giacca, l’ altro sorride, lo invita a sedersi.
Come avrà fatto a finire addosso….addosso a lui? mi chiedo, curiosa; non fiato, rimango li nell’ angolo, provando a capire cosa si stanno dicendo…
“Oscar, vieni” ti sento dire ad un certo punto.
“Dove vuoi andare?” domando.
La locanda comincia a riempirsi di gente, entrano a gruppi, sono quasi tutti uomini di mezza età.
Il tuo sguardo si fa dolce, mi prendi la mano.
“Qui potrebbe anche andare per le lunghe, conviene tornare in camera. Alain ci raggiungerà li” rispondi; non hai tutti i torti…del resto, non posso stare qui in piedi tutta la sera, appollaiata come un falco sul trespolo, osservando in silenzio la scena…
Mi lascio condurre da te, allora, nella nostra stanza.
Aspetteremo Alain e ci faremo dire tutto.
Quando rientriamo, mi siedo sul letto, inizio a giocare con ciuffi dei miei capelli e mi mordicchio le labbra, nervosa; tu ne approfitti per darti una sistemata e, quando sei pronto, ti siedi accanto a me.
L’ attesa è snervante.
Sono silenziosa.
Agitata.

“Tu non sei curioso di conoscere la verità?” chiedo.

“Certo, Oscar; lo sono. Tuttavia, pensaci bene… potrebbe essere un caso, in fondo a Palazzo è entrata parecchia gente dopo i fatti di luglio. Può essere che sia stato trafugato qualcosa, in quella occasione” rispondi e devo dire che, come al solito, sei sempre più obiettivo di me.
“…e se invece li avessero assaliti? Se si trovassero qui vicino e fossero stati costretti a vendere ciò che avevano appresso per vivere?”
“Oscar, Oscar…” mi abbracci ed io mi appoggio a te “… non correre troppo, mia cara. Vedrai che la spiegazione sarà più ovvia di quanto si possa immaginare…”
Io…non so; non riesco a controllarmi, i pensieri si accavallano l’ uno sopra l’ altro, trascinandomi in un vortice di dolore.
Inizio a respirare lentamente, devo darmi una calmata…

Intanto, tu mi accogli, mi parli piano, accarezzi il mio viso ed i miei capelli.
Piano piano, ritrovo un po' di quella pace che mi serve per affrontare la realtà delle cose.
Rimaniamo in attesa per un’ ora, forse.
 Poi finalmente udiamo dei passi.
Dei colpi alla porta.
Mi alzo, come una furia; Alain non fa in tempo ad entrare che lo travolgo con un fiume di parole, domande, richieste.

“Scusate, ci ho messo parecchio tempo” dice , entrando. André gli indica una sedia.
“Dunque?” chiedo.
“Quell’ uomo si chiama Robert, vive non molto distante da qui. Mi ha detto che la giacca gli è stata venduta da una donna, un paio di giorni fa, al mercato di Apremont…”
risponde.
“… non ti ha detto …chi era? ”
Mi rendo conto di essere incalzante, di non lasciargli tregua…Alain mi guarda, annuisce.
“Una vecchia contadina. La giacca gli è stata venduta da una vecchia contadina che a sua volta
l’ ha acquistata da una donna non troppo alta, dai capelli bianchi, con un accento del nord….”

Ti vedo trasalire.

“Nanny?!” butto lì.

Tu mi guardi.
“Potrebbe essere… ma non voglio illudermi” rispondi.
Tieni il viso rivolto verso il pavimento, so che cosa stai provando: sono forse gli stessi sentimenti che pervadono la mia persona.
Alain , le mani in tasca, ci guarda.
“Ci ho provato, Oscar: volevo acquistare quella giacca ma, naturalmente, non ha voluto. Mi dispiace!”
Mi alzo, mi avvicino, prendo le sue mani.
“Grazie, Alain…grazie. Va bene così” rispondo. Lui se ne va, le orecchie basse, chiude piano la porta dietro di sé.

“Che ne pensi, André?” domando, tornando da te.

“…non saprei proprio, Oscar. Forse è meglio farsi una bella dormita e , domattina al risveglio, decidere cosa fare. Potremo fare una deviazione e raggiungere il villaggio,  Apremont...”
Infilo le mani nei tuoi capelli, sorrido. Ti do un bacio.

“Va bene, André. Ora…andiamo a dormire, ti va?”

Sorridi e , una volta sistemata la stufa per la notte, mi raggiungi nel letto dove già io mi sono stesa; è bello riposare su di un materasso  invece che su dure assi di legno.
Prima di dormire, abbracciati, parliamo un po': ma le preoccupazioni per le novità che ci sono capitate tra capo e collo prendono il sopravvento e passano almeno un paio di ore prima che il sonno passi a trovarci, portandoci verso il riposo del quale tanto abbiamo bisogno.
 
 
***


“Allora è deciso? Apremont?”

Siamo appena risaliti sulle quattro assi che, si spera, ci porteranno ad Arras ; abbiamo fatto una bella colazione e, con qualche livres in più, abbiamo anche comprato del pane appena sfornato, una rarità di questi tempi. Alain è seduto vicino ad André, almeno per la mattinata toccherà a lui condurre il nostro fido amico…
“Si, André. Sempre che Alain non abbia cambiato idea…” rispondo, tirandomi il cappuccio del mantello sulla testa. C’è un bel sole, ma l’ aria è fredda.
“Un giorno in più o in meno non mi cambia nulla. Te l’ ho già detto. Forza, partiamo…sarà una giornata lunga, immagino!” risponde.
“Va bene” dici e poi… dai una voce; finalmente si parte.
Il cavallo ci mette un po' a prendere l’ andatura ma, alla fine, sembra proprio che si mantenga ad un buon passo. Se continua così saremo al villaggio anche prima di mezzogiorno; il viaggio è di per sé breve e, infatti… manca poco a mezzogiorno quando fermiamo il carro.
“Apremont, suppongo” ti sento dire.
Alain infila la mano in tasca e prende un foglio scarabocchiato con del carbone. Così sembra dice. Sorride.

“Ed ora, Oscar? Ora che faremo?”
“Pensavo di fare un giro per il villaggio per capire…se qualcuno ha voglia di parlare” ti rispondo.
E’ quello che abbiamo pensato ieri sera e credo sia la via migliore.

Passi le redini ad Alain e scendi, con un balzo;  mi aiuti, ed insieme iniziamo a camminare su di una strada acciottolata, guardandoci intorno. L’ invero e la forte nevicata che è giunta anche qui ha messo definitivamente a riposo qualsiasi lavoro o altra mansione, la gente è rinchiusa al caldo delle proprie abitazioni godendo di quel poco che ha; è desolante, non vediamo nessuno, solo alcuni bambini che, incuranti, giocano qui e la nei cortili e ci fissano curiosi.
“Oscar, qui…qui non troveremo nessuno che possa aiutarci” dici sconsolato mentre camminiamo; io, però, non ho alcuna voglia di arrendermi. Ci sarà una locanda, una osteria…un posto dove chiedere informazioni…

“Ehi, voi: chi siete?Non vi ho mai visto qui!”.

Ci voltiamo, automaticamente; dietro di noi è comparso da chissà dove un giovane, avrà si e no una quindicina di anni.
“Non siete del villaggio, che volete?” domanda con una certa insistenza.
 “Siamo due viandanti di passaggio, in viaggio verso Arras. Siamo alla ricerca di alcune persone che forse possono essere passate di qui: un uomo ed una donna di mezza età ed una donna…anziana…” dici.  Per un istante, immagino la reazione di Nanny alla parola anziana e , nonostante tutto, mi viene da sorridere.
Il ragazzo si avvicina, ci gira intorno.
“Non siete …non siete qui con cattive intenzioni…?”
Lo osservo. Il coraggio a mascherare la paura.
“No, affatto!” ti sento rispondere sicuro “ …anzi, se vuoi, controlla pure: non ho con me nessuna arma” dici, e fai il gesto di aprire la giacca.
Il ragazzino indugia un attimo.
“Mi chiamo Serge e  sono una delle poche persone rimaste qui. Venite, vi porto da mia nonna: forse lei può aiutarvi…” dice; non abbiamo modo di dubitare di lui quindi lo seguiamo, curiosi.

“Nonna, ci sono alcune persone che vorrebbero fare alcune domande” dice non appena entriamo nella casupola dal tetto basso , poco distante da dove ci trovavamo. La vecchia è intenta a far bollire qualcosa in un pentolone. La sentiamo borbottare qualcosa poi, finalmente, ci degna di uno sguardo.
“Chi cercate?” chiede. Sono tutti molto spicci, da queste parti; probabilmente lo sarei anche io, vivendo qui, di questi tempi.
Mi faccio avanti e mi presento semplicemente come Françoise; cerco di essere gentile, calma.
“Sto cercando i miei genitori, credo siano passati di qui. Ieri ho incontrato un uomo che dice di aver…aver comprato una giacca al mercato che si è tenuto un paio di giorni fa…quella giacca apparteneva a mio padre” dico. La faccio corta e racconto le cose anche in modo un po' confuso.
“Una giacca scura, bella, da ricchi?” domanda. I suoi occhi ora si fanno più acuti.
“Si. Apparteneva a mio…mio nonno, che l’ ha ricevuta in dono dal suo padrone” ribadisco, dicendo la prima cosa che mi viene in mente. La donna è vecchia  ma non stolta: mi osserva, cercando altri indizi, non so cosa…
Il ragazzo che ci ha portato fino a li ora ci fa accomodare.
Credo che il peggio sia passato, possiamo restare. Non ce lo facciamo ripetere due volte.
La donna prende alcune ciotole e ci offre del cibo, sedendosi con noi.

“Difficile non ricordare quella giacca, Adrienne ci ha fatto parecchio denaro, fortunata lei…” dice. Io e te ci guardiamo, speranzosi.
“…Vi prego…se sapete qualcosa…” imploro.
Gli occhi della donna mi scrutano, ancora. Mi sento sotto esame.
“L’ unica cosa che so è che gli è stata venduta da una vecchia, vestita di scuro.Non era di qui e diceva… diceva che le servivano dei denari per un lungo viaggio…”
“…sapete da dove proveniva la donna che ha parlato in questo modo? Ha detto un nome, o altro?” domandi.
Il giovane borbotta qualcosa in direzione della nonna, credo sia un dialetto locale perché non ci capisco granché, ma ascolto in maniera nitida un nome: Compiègne.

“Compiègne? Ne siete certa?”  dici.
La vecchia annuisce.
Sconvolti, ci alziamo: la città  non solo è sul nostro itinerario di viaggio, ma è anche un luogo controverso, non sappiamo chi e cosa possiamo trovarci.
“Grazie, buona donna” dico. E lascio cadere, senza farmi vedere, alcune livres: poi salutiamo ed usciamo, tornando da Alain.

“Alain, Alain! “ dici, scuotendolo dal torpore di un sonnellino. Apre gli occhi, ci fissa.
“Allora?” domanda.
“ Forse sono…sono a Compiègne “ dico.Quasi mi manca il fiato.
Alain è stupito, si ridesta.
“Com… dove si trova il monastero?”
 Annuisco.
“Lo so. E’ pericoloso ma…dobbiamo andarci!” esclamo. Il fiato….il fiato mi sembra venir meno…
cosa mi succede, ora? Penso.

Un sole caldo spunta dalle nuvole, scaldandoci un poco le ossa.
Alain risale a cassetta.

“Direi di non perdere tempo…” cerco di dire. Mi sento strana…mi sento un po' male.
“ Dobbiamo partire subito”  mi fa eco Alain.
Ma tu non rispondi perché mi stai guardando,hai notato che qualcosa non va; infatti, all’improvviso sembra quasi mi si offuschi la vista; troppe emozioni mi hanno provata, mi sento davvero stanca, debole, nonostante abbia anche bevuto alcuni cucchiai della zuppa che ci è stata offerta….

“André, non mi sento molto bene” dico.
Le tue braccia si allungano giusto un attimo prima che il mio corpo tocchi terra, sentò anche la voce di Alain, preoccupata.
“Non è nulla, è solo…solo stanchezza” mi sento dire.
La mia voce, tuttavia, è come se…come se fosse lontana.
Ho sonno…tanto sonno…

Presto, per alcuni istanti, il buio mi avvolge: quando mi riprendo, sono in una stanza, è sera.

“Vostro marito è uscito un attimo con mio nipote” dice una voce che ho già sentito.
Metto a fuoco un viso, è la donna che ho incontrato stamattina. Mi trovo stesa, in un letto, al caldo.
La donna mi guarda.
“Ora, Madame, ditemi la verità: chi siete? Perché vi ho già visto, un anno fa, a Parigi” dice.

Sgrano gli occhi,  la paura mi avvolge,  inizio a balbettare.

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Capitolo 8
*** Sempre più vicini (verso Arras, II) ***


Cerco un appiglio, mi manca il fiato.

Perché costei mi porge questa domanda?
Che …che ci abbiano scoperto?



“Può essere, Madame… un tempo…un tempo non ero chi ora ha davanti….o, meglio: è cambiata la mia forma….non la sostanza” rispondo decidendo di dire la verità.
La vecchia mi osserva ancora, mettendomi a disagio.

“Non vi ricordate davvero di me?” domanda.

Mi sforzo, davvero: cerco di fare mente locale ma…niente. Nemmeno un indizio.
Da dietro un paravento compare Alain, torso nudo, la camicia in una mano.
“Oscar, ti sei ripresa…ne sono lieto” dice, rivestendosi.
Io lo guardo e mi chiedo se lui abbia inteso la situazione; il suo viso è rilassato.

Cosa è che non…non capisco?

“Dunque?”  mi sento chiedere dalla donna.

Scuoto il capo.

“NO…mi spiace” rispondo.

“Lo immaginavo. Sapete, anche in quella occasione eravate sconvolta. Sentite, vi ricordate di una notte in cui arrivaste in un palazzo fatiscente per portare la paga al nostro Alain?” chiede; il tono mi sembra quasi più…colloquiale.

Il nostro Alain?

Cerco nella mente i ricordi…si: come potrei scordarlo?
 Fu la volta in cui…in cui trovammo la piccola Diane. Ricordo il viso di una  loro vicina spuntare da una porta semichiusa.

“Voi siete, per caso, la donna che ci avvisò degli odori molesti di…”
“In realtà no, quella era Antoinette. Io mi trovavo…mi trovavo poco distante, vi ho visto salire le scale, indossavate una divisa. Ero rimasta colpita, Alain mi aveva parlato alcune volte di voi.
 E’ questo il motivo per il quale mi ricordo così bene. In ogni caso:dopo che siete uscita da qui ho mandato mio nipote a chiamarvi per farvi rientrare …e vi ha trovata a terra….”

Alain è seduto a poca distanza da me, lo guardo come a cercare un appiglio.
La vecchia, Françoise, si alza e dopo aver versato del brodo in una ciotola, me lo porta.
“Bevete, vi farà bene: vi aiuterà a rimettervi in sesto” dice.
La ringrazio e penso a quanto sia…sia strana la vita!
“Doveste scusarci, Madame…ma sono costretta a celare la mia identità, per questo sono stata vaga. Tuttavia ciò che vi ho chiesto ha un fondo di verità: quella giacca ha per me un valore inestimabile…” dico. Lei annuisce.
“Anche io vi ho detto la verità, non vi ho taciuto nulla; l’ anziana donna è forse una vostra parente?”
“E’ la nonna di mio marito….”

“Sentite, se volete posso mandare a chiamare Adrienne…” dice dopo alcuni secondi di silenzio.

Io faccio per alzarmi, d’ istinto, vorrei accompagnarla; ma sono ancora parecchio debole.
Nel frattempo Andrè rientra con Serge e mi corre incontro; sul suo volto leggo quasi sollievo.
“Oscar, mi hai fatto prendere un colpo!” dice mettendosi in ginocchio vicino a me, afferrando la miamano; nemmeno si è tolto la giacca.
“Mi sono risvegliata poco fa…” rispondo. Poi: “senti, devo dirti una cosa importante: Françoise dice che potrebbe mandare a chiamare la donna che ha venduto la giacca di mio padre…. “
Ti alzi in piedi, sorpreso.
Françoise richiama a sé il nipote, gli dice qualcosa.

“Andrò io, lei non si fida molto degli estranei: cercherò di convincerla a seguirmi, d’ accordo?” dice. Nel frattempo Serge appoggia amorevolmente una sorta di cappa sulle spalle della donna. Lui e Alain accompagnano Françoise.

“Credi potrà darci ulteriori notizie? “ mi domandi.
“Direi di si…”rispondo.
“…ma…chi è?”
“Françoise abitava vicino ad Alain, a Parigi. Ricordi quando …quando scoprimmo Diane? Ecco…lei ci ha visti e…quindi, appena sveglia, mi ha chiesto chi in realtà fossi.  Mi ha riconosciuta. Non le ho detto più di tanto ma…abbiamo comunque continuato a parlare e…si è offerta di fare da tramite con  questa Adrienne….”

La faccio breve; mi guardi, poi prendi posto accanto a me.
Sento il calore del tuo corpo accanto al mio.

“Tu come stai? “
“Bene” rispondo “ forse ho voluto chiedere troppo al mio corpo…ma ti assicuro, è tutto passato”.
“Ne sei sicura?”
“Si, André: non ti sto mentendo. Ora sto bene ed ho imparato la lezione” rispondo.

Serge e Alain hanno accompagnato Françoise quindi io e te, di fatto, siamo soli.
Ti avvicini e mi baci.
“Non vedo l’ ora di arrivare ad Arras… e iniziare la nostra nuova vita. Ma allo stesso tempo voglio anche io ritrovare mia nonna. Ce la faremo, Oscar!” mi dici sorridendo non appena le tue labbra si staccano dalle mie; io allungo una mano, la appoggio sul tuo viso.
“Si, ce la faremo, André!” esclamo; e penso pure che dobbiamo essere pronti a tutto quindi…
Sospiro.

“… e se dovessero darci cattive notizie?” dici.

“Le accetteremo, come abbiamo accettato tutto il resto. In ogni caso sono convinta che non sarà così.”
Lentamente ti rialzi, fai qualche passo e togli la giacca; infine ti dirigi verso il camino per riscaldarti un po'. Sul tuo viso leggo molta più apprensione di quanto tu voglia ammettere; non credo di poter dire null’ altro, non resta che aspettare.

Mi sono stesa da una ventina di minuti quando, finalmente, sento alcuni passi: anche tu li odi ed infatti ti alzi e vai ad aprire, impaziente.
“Adrienne, queste sono le persone di cui ti parlavo” sento dire alla vecchia appena sono entrate.
“Si, si vedo. Sbrighiamoci: domattina devo alzarmi presto” risponde l’ altra.Adrienne ci fissa curiosa.
“Sono loro?” domanda.
Serge fa cenno di si con la testa.
La nuova arrivata va a sedersi, si toglie giacca e sciarpa, ci squadra.
“Chiedetemi ciò che dovete e vi risponderò, se posso” dice senza nemmeno salutare. Sto per parlare ma tu mi interrompi.
“La giacca che ha venduto qualche giorno fa…un pezzo non comune, diciamo…da chi l’ ha presa?” domandi.
Adrienne si alza.
“Non sono venuta qui per farmi dare della ladra!”
Siamo basiti, non credevo che…
“Mi perdoni, Madame…forse mi sono spiegato male. Da chi ha comprato la giacca che ha venduto qualche giorno fa?”
Riformuli la domanda, Adrienne sembra calmarsi.
“Perché volete saperlo? Chi siete?” domanda.
“Ha ragione ad essere sospettosa, di questi tempi…ma le assicuro che non abbiamo cattive intenzioni. Stiamo cercando alcune persone e quella giacca è un importante indizio” dici.
Io seguo con apprensione la conversazione.
Adrienne ci squadra per l’ ennesima volta.Tergiversa, per un po'…ma alla fine, cede.
“La donna che me l’ ha venduta aveva bisogno di disfarsi di alcune cose, tra le quali la giacca in questione. Mi ha detto di venire da Compiegne ed essere diretta a nord. Era una donna minuta, ma spiccia. Era in compagnia di un’ altra donna dai capelli rossi, zoppicava a causa di una gamba più corta dell’ altra.Mi pare l’abbia chiamata… Gertrude?...almeno credo….”

Gertrude.
La sua fidata assistente, vedova del caro , vecchio Olivier….


I miei occhi ti cercano e trovano. Annuisco.

“Le siamo molto grati… ci ha dato la notizia che speravamo di ricevere” rispondi; la donna tira un sospiro di sollievo…tutti lo facciamo.
“Posso andare, ora?” domanda,  alzandosi in piedi.
“Vi accompagno.” interviene Serge.
“Grazie: grazie davvero” le dico , invece, io. E ci salutiamo, per restare – quando la porta si chiude – silenziosi nelle nostre personali riflessioni.
Più tardi, quando tutti riposano, ci attardiamo a parlare insieme ad Alain. Per fortuna siamo al caldo di questa casupola.
“Dobbiamo andare a Compiègne, André…sempre che siano ancora in quella città. Pensi che…potrebbero avere in programma di raggiungere Arras?” ti domando.
Tu sei seduto accanto ad Alain, mangiate una mela.
Mi guardi.
“Non credo, Oscar. Molto più probabile che abbiano scelto di rifugiarsi in qualche piccolo villaggio. In ogni caso, non credo vogliano rimanere in Francia” rispondi; è un po' anche il mio pensiero.
“Già…” sussurro, prima di chiudermi nel silenzio e nella riflessione.  Dopo di ché mi stendo , lascio che le mi ossa si prendano un po' di sollievo. Quando anche Alain si ritira nel suo giaciglio mi raggiungi e ti stendi al mio fianco.
“Come stai?” ti sento sussurrare.
“Bene, André. Per conto mio, potremo partire anche domani” rispondo.
Percepisco un tuo sorriso. Poi sento le tue braccia avvolgermi ancora di più.
“…Riposiamo, ora, Oscar. Ci aspetta un bel po' di strada e, immagino, anche un bel po' di emozioni” dici.
Lo penso anche io.
Ma per ora voglio godermi il silenzio…ed il tuo respiro che mi accompagna leggero verso questa lunga notte.




***
Il giorno seguente

Compiègne non dista molto…a questo punto dovremo almeno riuscire a scorgerne i tetti penso mentre sono seduta qui, accanto a te, a cassetta. Dall’ ultima sosta è passata un’ ora e tra poco arriveremo, credo, ma con questa nebbia…non si vede nulla!

“Oscar, che hai? Sei silenziosa da parecchio tempo…”

Guardo davanti a me, sto cercando in tutti i modi di capire dove ci troviamo…
Sto solo guardando la strada rispondo ma tu sai, meglio di me perché mi conosci, che non è solo questo a preoccuparmi: rifletto su ciò che stiamo facendo, penso che potrei anche ricevere notizie che non mi piacciono affatto…
“Stai tranquilla. Ora …cerchiamo una locanda dove stare; per fortuna, qualche soldo lo abbiamo ancora" dici; poi, posi la tua mano sulla mia.
Alain, dietro di noi, si guarda in giro a sua volta.
“Sono talmente zuppo che se mi strizzano potrei far straripare la Senna” dice; lo guardiamo per un istante , sorridiamo alla sua ennesima battuta, lui fa lo stesso…

“Dai, a momenti ci siamo” dici.
“Lo spero” ti fa eco, lui. Infine torniamo in un momentaneo silenzio.

Non passa nemmeno mezz’ora che finalmente, il cielo ricompare, come se mani invisibili avessero aperto un enorme sipario dai toni grigiastri; eccola, la città. Le prime abitazioni le troviamo a qualche centinaio di metri da noi.
“…finalmente…” sussurro, piano, con timore.
Alain si alza in piedi.
“Non la credevo così grande” dice mentre i suoi occhi scrutano davanti a sé “ pensavo fosse…fosse molto più piccola…e laggiù…che possenti bastioni!” esclama.
Guardo anche io in quella direzione, ha ragione: si possono notare ancora i bastioni che, da qualche secolo, fanno da guardia alla città. Anche se ora ne rimane ben poco, quel poco conserva ancora un antico splendore.

“Bene, ci siamo, Oscar. Dunque, come pensavi di organizzarti?” mi chiedi.
Fermi il cavallo, mi guardi.
Mi stringo nel mantello cercando di riscaldare le mani.
“Pensiamo a dove stare, prima di tutto…poi, potremo iniziare la ricerca, magari…magari dalle zone meno battute…. “ dico.
“Di quello posso occuparmene io” dice Alain, scendendo a terra con un balzo ed iniziando a saltellare per cercare di scaldarsi, le mani in tasca  “ …voi…voi occupatevi del resto. Ho bisogno di muovermi, scaldarmi. Potrei fare un giro di perlustrazione e raccogliere qualche informazione…”
Lo fisso, poi guardo te.

“Credo sia una ottima idea” mi dici “ così facendo, ci porteremo avanti…”

Effettivamente, hai ragione.
Mentre Alain si incammina fischiettando, guardo ancora la città.
“Ehi, Alain…dove ci troviamo?” urlo nella sua direzione.
Lui si volta, indugia un attimo.
“…se non ricordo male, l’ uomo a cui abbiamo chiesto indicazioni ci ha detto dell’ esistenza di un monastero…incontriamoci li” risponde, di rimando. E’ una buona idea: bravo, Alain!  penso guardandolo andare via.

“Bene. Siamo pronti, allora?” mi domandi. Annuisco.

Ci rimettiamo in marcia, entrando in città seguendo il viale principale; i primi attimi sono spesi per osservare ciò che ci sta intorno. Se non fosse per ricordi che ancora bruciano nel solo atto di riportarli alla memoria, sembrerebbe che qui nulla sia accaduto, almeno per ora; ed io e te, André, potremmo benissimo essere due novelli sposi in cerca di fortuna…

Le abitazioni, le piazze…in lontananza, l’ Hotel de la Ville tutto si alterna tra il vecchio ed il nuovo…

“Oscar, guarda. Laggiù c’è un posto che fa al caso nostro.”

Siamo entrati in città da circa quaranta minuti, quando finalmente troviamo una locanda e, devo dirlo, hai proprio ragione: sembra un buon posto, in una posizione comoda.
Non da troppo nell’ occhio.

“Fermiamoci, André. Mi pare una buona scelta” ti rispondo. Proseguiamo allora ancora per una cinquantina di metri , infine ci arrestiamo.
“Entro io, tu stai qui” mi dici; lasci le redini nelle mie mani e faccio come dici “tornerò tra un attimo…”
“Va bene, André. Ti attendo” rispondo. Dopo ti osservo sparire dentro il locale ed io… io ne approfitto per godere di un sole tiepido e piacevole. Intorno a me, la vita delle persone continua come – presumo – loro solito: c’è un teatrino, all’ angolo, con un organetto che suona un motivetto allegro; alcuni bambini, piccoli, vi saltellano intorno. A poca distanza da me invece una paio di donne si affrettano, trasportando sulle  pesante ceste di panni, forse rientrando verso casa…più in la, un prete cammina in tutta fretta borbottando giaculatorie in latino che quasi mi viene spontaneo ripetere…

“Oscar, tutto bene. Ho fermato due stanze per due giorni. Possono bastare?” dici.
Mi volto, ti osservo.
“Si. Grazie, André…” rispondo. Infine, scendo.
“Ora cosa vuoi fare? Innanzitutto, Oscar…come stai? Te la senti?”
Sei preoccupato, lo so.
“Bene. Davvero!” rispondo , ed è la verità “ …e per quanto riguarda il resto… possiamo iniziare anche subito.
Poco dopo, sei di nuovo seduto al mio fianco-

“…da che parte cominciamo?”

Bella domanda…penso tra me.  Dove potrei iniziare a cercarli? E’ vero che potrebbe aver mantenuto un basso profilo, del resto se Nanny ha venduto una giacca così preziosa potrebbero non passarsela bene…tuttavia, non mi sento di escludere che possano avere trovato asilo presso qualche vecchia amicizia…

“…dei bassifondi si sta occupando Alain quindi… restiamo qui. Tutto può essere utile; cerchiamo anche di capire se ci sono mercati con banchi fissi, tutti i giorni…” rispondo.
“Direi che è una ottima soluzione” rispondi. Hai freddo, le mani sono gelate, le porti al viso per riscaldarle con un po' del tuo respiro.

“Dai, conduco io, André!” dico afferrando le redini.
Mi fissi come se avessi appena proclamato di essere il fantasma di nonno Augustin…

“Non credo tu sia talmente invecchiato da non ricordare quel giorno, a Parigi, in cui tornai a casa sola perché- non so ancora adesso quale sia il motivo – tu avevi deciso di non parlarmi per tutto il giorno ed io ti lasciai a meditare fuori Porte Lille…”

Sento una risata, fragorosa.
 A quanto pare ti ricordi, ed anche bene.

“Va bene, va bene…mi fido! Andiamo!” rispondi, tra risate e  lacrime.
Uno sguardo…e via.
Iniziamo.


Mentre conduco il carretto, né io né te smettiamo un solo istante di guardarci attorno, senza tralasciare nulla; che siano piazzette nascoste, vecchie abitazioni, canoniche diroccate…i nostri occhi indagano ogni dove. A volte, ci fermiamo, chiediamo informazioni alla gente del posto; ma qui, per via del Convento, passano molte persone ed è difficile che ci si ricordi di tutte le  fisionomie. Andiamo anche verso le mura, ci hanno detto che li si tiene una sorta di mercato : la gente ci va per vendere ciò che ha e per racimolare qualcosa; accanto al banco dei fiori e del cuoio, è possibile anche trovare gente qualunque, che sia del luogo o di passaggio…

“E’ la nostra ultima opportunità, per oggi” mi dici. Sei stanco, lo sono anche io. Non abbiamo fatto altro che salire e scendere dal calesse, si è fatta sera e dobbiamo raggiungere ancora Alain presso il Convento..,
“Credo tu abbia ragione. Dista molto?”
Neghi.
“Non credo, il ragazzo al quale ho chiesto…dice che voltato l’ angolo laggiù dobbiamo lasciare il carretto e seguire il passaggio più stretto. Percorso quello ci troveremo a ridosso delle mura che però, con tutte queste case, non riesco proprio a scorgere…”
Mi aggiusto i guanti , ho le dita gelate.
Proseguiamo finchè non raggiungiamo uno slargo; scendiamo, assicuriamo il cavallo agli anelli e poi ci infiliamo nella via più stretta dove le nostre narici sono costrette ad assorbire qualsiasi tipo di odore. Per fortuna, non sono che pochi metri.

“Ecco, alla tua sinistra, Oscar…”

Mi giro.
Alcune facce stanche ci notano, gli occhi curiosi scrutano ogni centimetro delle nostre rispettive persone; davanti a loro, alcuni banchetti sui quali è poggiato di tutto: vedo borse di cuoio, quelle da legarsi in vita, alla cinta; dei guanti – ormai malandati – di pelle. Più in la trovo una donna che propone ad ogni passante delle vesti; si sbraccia, mostra ai passanti qualcosa di davvero…

“Oscar…quella…quella è una delle…delle tue divise” dice Andrè. La sua voce è bassa, ferma.

E’ esattamente ciò che vedo: una divisa bianca, ormai piccola, lacera,  sporca. Mi dirigo verso la donna sforzandomi di mantenere sangue freddo. Il cuore mi batte all’ impazzata.
La donna mi vede, avanza, sono un possibile acquirente.
“Monsieur, monsieur!... volete vedere questa bella divisa? E’ un pezzo raro, ormai…siete interessato? Volete? Ve la lascio ad un buon prezzo” dice.
Io la guardo, sfioro con delicatezza la stoffa, socchiudo gli occhi.
Ricordi emergono al solo tocco.
 Immagini, sensazioni.
 Un tempo che non tornerà più.
“Chi vi ha venduto questo pezzo?” chiedo, senza mezzi termini.
La donna  si affretta a celarlo sotto lo scialle pesante, lancia una occhiata agli altri intorno a lei, scende il silenzio.
Intervieni tu.
“Non dovete preoccuparvi, siamo persone comuni. Il mio…amico vorrebbe solo sapere dove è stata presa perché…perché ne vorrebbe comprare altre” dici.
Dentro di me sorrido: hai sempre la battuta pronta, André…
“Mi piacerebbe molto averlo!” dico, e ci piazzo anche un sorriso.
La donna, timidamente, mi mostra di nuovo quella che era la mia giacca e me la porge.
“Quanto costa?” chiedo.
Mi propone un prezzo decisamente troppo alto; non ho in tasca tutti quei soldi, considerando che dobbiamo pagare anche la locanda.
“Oscar” ti sento dire al mio orecchio “ potresti chiedere di pagarla poco più della metà di ciò che chiede. Considera che , se potesse darci informazioni, il nostro pernottamento alla locanda potrebbe anche non essere necessario… e andremo con un piccolo investimento a risparmiare dei soldi che francamente ora ci servono…”. Come al solito mi leggi dentro.
Guardo la giovane donna, è spaurita. Sorrido e gli propongo il mio prezzo.
Lei ribatte ma io rimango ferma sulla mia decisione; dopo una breve -e necessaria-  contrattazione finalmente… ho tra le mani la mia vecchia giacca.

“Ora potreste dirmi anche da chi…l’ avete acquistata?”
La donna mette i soldi nella tasca del grembiule, tastandone con i denti la consistenza.
“La persona che cercate, sempre che sia lei, è ospite del Convento. Mi ha detto che si sarebbe fermata li per qualche giorno. Il tempo di racimolare qualcosa…”
risponde.

Le gambe mi tremano, ma sono felice, il cuore mi scoppia.
 Sento la tua mano, André, stringere la mia.
In questo preciso istante, non capisco più nulla; voglio solo raggiungere il posto il prima possibile. Chissà la faccia di Alain quando sentirà ciò che abbiamo scoperto…

“Presto, dobbiamo sbrigarci!” mi dici, ridestandomi.
“Eh? Si…si..hai ragione!” rispondo.
 
Nemmeno ringrazio la donna: iniziamo a camminare, sempre più veloci, per raggiungere il nostro mezzo e…venirti a trovare, Nanny. Sperando che tu e, mi auguro anche i miei genitori, non siate ancora partiti.

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Capitolo 9
*** Le spalle del Generale. Un doloroso Addio. ***


Le mura – chiare- del convento sono semplici blocchi di pietra rasa. Non vi sono stemmi, scritte, rilievi o sculture; tutto appare sobrio, come si conviene ad convento di campagna che, a quanto pare, non ha tra le consorelle alcun nome di rilievo.  Per entrare, si oltrepassa un grande arco, al momento libero da porte o cancellate e, subito, ci si ritrova in un cortile di forma rettangolare dove finestre della stessa forma permettono alla luce di entrare ed agli occhi di quei visi velati di poter osservare cosa succede. Ed è proprio uno di questi visi, piuttosto giovane mi pare, che esce dalla porticina liscia di legno scuro. Ci viene incontro , con calma serafica, fermandosi ad un paio di metri da noi.

“Buongiorno, sorella. Il mio nome è Oscar François de Jarjayes e sto cercando alcune persone che, mi è stato detto, potrebbero avere trovato ospitalità tra queste sacre mura.”
Il tuo tono è sicuro, quasi spavaldo ma…non mi inganna: l’ ho sentito il timore, forse un velo di paura, farsi strada in gola. Una consonante di qualche tono più basso del solito, una vocale troncata dove non c’è bisogno…
La giovane novizia annuisce, sorride.
“Vogliate scusarmi, dovrò informare la madre superiore” risponde; ti vedo annuire mentre un velo di preoccupazione  scende e vela lo sguardo mentre la suora torna da dove era venuta.
Ti volti verso di me, forse vuoi una conferma che non posso darti.
Immagino che di questi tempi, viste le voci  sul clero che hanno iniziato a farsi strada, il concetto di carità e accoglienza cristiana sia venuto meno  dico; al contempo, osservo le finestre e le figure che, di tanto in tanto, fanno capolino curiose.

“André, credi…credi che riusciremo ad entrare? Pensi che la mia famiglia accetterà di vedermi?” domandi, ad un certo punto.
Mi avvicino a te ,  ti stringo tra le braccia.

“Perché mai non dovrebbero farlo? “ rispondo.
Nemmeno io mi aspetto granché, ma cerco di farti forza. Vedo che…che mi sorridi, forse sono riuscito a rasserenarti…attendiamo, dunque, impazienti e nel mentre cerco  Alain che -già da un momento - ha deciso di farsi da parte e si è appoggiato con le spalle al muro del monastero, poco più in la.

…Non credevo di poterli trovare così presto, anzi…non pensavo proprio di trovarli… mi sussurri; ti sto per rispondere quando una suora ci viene incontro. Porta con sé un grosso mazzo di chiavi e ciò fa ben sperare.
“Venite; scusate l’ attesa” dice, aprendo il cancello; poi, si fa da parte, attende il nostro passaggio e lo richiude. Noi, chiaramente, attendiamo che ci faccia strada.
“Seguitemi, i signori vi aspettano” ci riferisce, infine, rivolgendoti uno sguardo sereno.
La seguiamo senza più alcun indugio: attraversiamo il piccolo cortile e raggiungiamo il portone entro il quale era sparita la novizia.
“ …una volta all’ interno, troverete due corridoi, troverete una piccola sala apparentemente chiusa; è il parlatorio. La porta è sulla parete di destra; entrate, percorrete il corridoio…vi condurrà al refettorio. Li vi attenderanno i vostri congiunti” dice e, come la sua consorella, si dilegua ancora prima che sia possibile ringraziarla.
Io e te ci fissiamo e, colmi di emozioni, seguiamo le sue istruzioni.
L’ ambiente è come me lo aspettavo: sobrio, essenziale, nessun suono se non il rumore di passi lontani; ti riprendo per mano,  mentre percorriamo la strada che ci ha indicato.
Tremi.
Posso anche percepire la tua emozione, il tuo respiro farsi sempre più veloce.

“Ecco…dovrebbero essere li “ dico indicando quella che mi sembra una stanza dalla quale proviene la fioca luce di alcune candele. Dopo alcuni passi, ne abbiamo la conferma.
Madame e la nonna sono in piedi, parlottano fisso, si tengono per mano.
Indossano abiti monacali – una precauzione? Un puro caso? – e per qualche secondo non si accorgono di  noi, finché…

“…Madre…” sussurri, come se avessi paura.

Madame alza il viso, è pallido.
Lo stesso fa mia nonna.
Immobili, restiamo a guardarci increduli.

“Oscar, Oscar!” esclama , ad un tratto, tua madre.
 E’ commossa e tiene a bada, a stento, le lacrime: allora l’ abbracci, l’ abbracci forte e ciò che vi dite mi è impossibile da capire. Quindi è il mio turno; vado incontro a mia nonna, mi chino giusto un po' per abbracciarla e lei, quasi fossi quel bambino di otto anni appena arrivato a Palazzo, mi accarezza, mi consola.

“…Come …come avete fatto a trovarci?” sento che domanda Madame.
Alzo lo sguardo dal viso di mia nonna e ti osservo. Lo fai anche tu, ma non dici nulla.
“…Sono tornata a palazzo” rispondi.
Tuo padre è seduto in poltrona, si sta scaldando davanti al camino; da quando siamo entrati non si è mosso. Non lo fa nemmeno stavolta. Lo osservi, socchiudi le palpebre.

“E’ così da quando sei andata via” dice la nonna, rivolgendoti uno sguardo triste

“…devi comprenderlo…” dice tua madre. Non so se la pensi esattamente come lui, sicuramente i doveri di una buona moglie, quale è sempre stata, impongono tali parole, in apparenza semplici ma pesanti come macigni.

Lo fissi, fissi le spalle possenti che da sempre incutono rispetto e timore. Lo fissi, in attesa di un cenno. Uno sguardo. Una speranza…che però non arrivano, forse non arriveranno mai…


“Dove…dove siete stati fino ad ora? Come avete fatto a sopravvivere?” domanda, infine, tua madre. Ci facciamo da parte e raggiungiamo alcune sedie. Il tuo sguardo è sempre…la. Verso il camino.
Siamo seduti accanto, quindi ti prendo la mano. Dopo un lungo sospiro lo sguardo torna sul viso teso di tua madre.
Siamo stati a Parigi, da amici… e ci siamo adoperati per …campare” rispondi, vaga, senza aggiungere altro.Se solo potessi parlare, condividere con la tua famiglia il tuo …il nostro dolore…
E’ troppo difficile – anche se lo desideri, e lo stesso vale per me – parlare di quei giorni, di ciò che è accaduto. I tempi non sono ancora maturi, tuo padre non è ancora pronto e forse non lo sarà mai.
Il discorso finisce li e lo spazio è di nuovo occupato da un silenzio pesante come piombo.
Nonna ha una espressione triste in volto.

“…State bene? Vi serve qualcosa?” provo a dire “ …nonna, nella lettera che mi hai scritto hai fatto cenno ai miei guadagni, alla casa dei miei genitori… ecco, se dovesse servire qualcosa io…”
Madame sorride.
“Nanny, perché non vai con tuo nipote? Io e mio marito, in qualche modo, faremo: possiamo attendere qui nuovi sviluppi…” dice, speranzosa; ma nonna no, non farebbe mai una cosa del genere, non potrebbe abbandonarli così…
“Madame, il mio posto è qui, con voi: ho allevato vostro marito, le vostre figlie…come potete chiedermi una cosa simile?” dice. Ha le lacrime agli occhi.
La madre di Oscar allunga le braccia, arrivando a stringerle le mani.
Io ti guardo. Non so che altro fare. Che altro dire.

Ti alzi, allora, e abbracci forte tua madre. Poi, sorprendendo tutti, ti dirigi verso il Generale, fermandoti a poca distanza dalla poltrona.

“Padre…”  dici. Sai bene che a tutti gli effetti questo incontro è un addio e che non possiamo andarcene senza che tu abbia almeno provato a parlare con lui. Ti osserviamo, tutti, in attesa di una risposa…di un miracolo…

Ma tuo padre non dice nulla.
Non si volta neppure.

Rimani li, dunque, impalata ad aspettare, aspettare, per minuti lunghi quanto ore…

Nulla succede: nulla. Dal generale non arriva alcun suono, non si scorge alcun movimento. Guardo nonna, tiene lo sguardo fisso a terra.

“E’ così da quando sei partita, bambina mia. Ti ha cercata, sai? Tra i vivi…e tra le liste delle persone decedute. Ha camminato in lungo ed in largo per le vie di Parigi, stando ben attento a non farsi scoprire. Infine…si è chiuso in sé stesso, in questo mutismo” dice

I tuoi occhi si riempiono di lacrime , cerchi di nasconderli ma non riesci più di tanto…
Io…penso ancora a cosa possa fare per loro…per te.
Ci cerchiamo, silenziosi. Fuori, in cortile, si odono passi veloci ed un borbottio sommesso.
Mi accorgo che il sole sta tramontando…

“Io…noi…possiamo proprio fare niente  per voi?”

Stavolta…la tua voce è rotta dal pianto.
Tuo padre si alza in piedi, si volta, ci fissa.
E’ stato un qualcosa di così repentino da lasciarci momentaneamente senza fiato.

“Non voglio alcun denaro da voi, traditori della vostra stessa patria! Andate via. VIA!tuona.
Infine, torna a sedersi, nel suo silenzio e nel ricordo di un mondo che non c’è più e mai tornerà.

Mi avvicino a te.
 Ora, io, tua madre, tu, nonna siamo di nuovo vicini, lo sconcerto ed il dolore  nei nostri rispettivi sguardi.

“…”

Tua madre vuole dire qualcosa. Le parole…le muoiono in gola.


“Andiamo via” ti sento dire.

La tua voce è ferma, profonda.
E’ il suono del tuo orgoglio.

“Oscar, ne sei certa?” domando.

Nei tuoi occhi c’è tutto l’ amore che provi per quel padre così visionario, testardo, fiero; ma ciò non basta; non basta amare, purtroppo, per risolvere le cose, per parlare alla ragione…per cambiare una persona che da sempre ha vissuto in un modo e che ora si è vista crollare il mondo addosso.

“Nonna, io…” balbetto.

Lei mi guarda, ha compreso.

“André… “ mormora.

Ti avvicini a tua madre e l’ abbracci. Io faccio lo stesso con mia nonna.

Le campane suonano, forse, di Compieta mentre noi usciamo mesti, il cuore rotto a metà.





All’ uscita, Alain ci attende vicino al carretto. Anche lui ha il volto teso. Ed ha freddo, batte i denti.
“Mi spiace averti fatto aspettare così tanto” dico , una volta vicino. Lui fa spallucce e, al contempo, con un cenno del capo mi indica Oscar, che senza dire nulla ha preso posto sul retro.
“Non è andata, giusto?!” dice salendo a cassetta.
“No.”
E’ una risposta secca la mia, non per maleducazione ma per non infierire ulteriormente. Lui come al solito intende; prende le briglie tra le mani ed a quel punto salgo anche io.
“Partiamo subito?” domanda.
“No. Ho fissato due stanze in una locanda, almeno per questa notte. Andremo li.” rispondo.
Lui annuisce; io mi volto verso di te.
 Mi dai le spalle, sei seduta sul pianale  con le gambe a penzoloni e guardi la strada.

“A te sta bene, Oscar?”
Un cenno del capo. Il tuo benestare.

“Andiamo, Alain. Sarà una lunga notte” dico, sconsolato, demoralizzato come non mai.




***


“Non mi ha nemmeno degnata di uno sguardo, André…”

Il fuoco è ormai caldo, tu sei distesa, su di un fianco, su di un giaciglio inaspettatamente morbido; la veste da notte segna le tue forme, morbide.
Il tuo viso è una maschera di dolore.
Non so di preciso cosa possa aspettarti come risposta; io,  in ogni caso…ci provo.

“Sono rimasto sorpreso anche io. Conoscendolo, avrei pensato che affrontasse direttamente
l’ argomento…”


“Infatti. Invece… ciò che ha fatto mi ha recato ancora più dolore” dici; e ti metti a sedere, china, sul letto, quasi piegata su te stessa…

“Cosa vorresti fare, ora?” domando.

“Che intendi?”

“…vuoi fare un altro tentativo?”
Intanto, inizio a spogliarmi.
 Sono stanco e non vedo l’ ora di mettermi a letto, di raggiungerti.

Allunghi il braccio verso il comodino, prendi un nastro e ti leghi i capelli, pensierosa; io ti osservo, mentre piego i miei vestiti e li ripongo sulla sedia.

“No, non credo. Non adesso.” Rispondi.
Poteva apparire come una domanda scontata, ma non lo è.
Così come non lo è stata la tua risposta.

Finalmente riesco a infilarmi sotto le coperte.
E’ tardi.
Sento il tuo corpo , nella penombra, farsi sempre più vicino al mio quindi apro le braccia, ti accolgo.

“Possiamo fermarci quanto vuoi, amore mio. Non c’è alcuna fretta” dico senza specificare oltre. Le mie dita iniziano a giocare con i tuoi riccioli biondi.

“No, André: partiamo. Che altro potrei fare?” rispondi e la tua voce si rompe, ad un certo punto.
Sul tuo viso ci sono lacrime salate che raccolgo con le mie labbra.

“Come desideri… Oscar. Va bene così, allora….”
Ti stringi ancora di più a me.

“E’ così, dunque…. adesso lo siamo davvero, soli. Lo sono davvero…”

Le tue parole sono un colpo al cuore.
Stavolta però non posso risponderti, almeno a parole; non ci sono sillabe, frasi, non c’è nulla che possa dire di fronte alla tua affermazione.

Accarezzo la tua schiena, i tuoi capelli.
Il sonno che stava per afferrarmi oramai se n’è andato.
Spalanco gli occhi, nel buio. Aggiusto le coperte.

“André…” ti sento dire dopo un attimo.

“Dimmi, Oscar…”

“Ti amo.”
Un sussurro.

“Ti amo anche io, Oscar” .
Un altro sussurro.

Chiudo gli occhi. Ti bacio.


Si, l’ amore.

Ecco, cosa ci salverà, cosa lenirà le ferite, cosa ti guarirà.

L’ Amore.



L’ unica cosa che ci resta.


 

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Capitolo 10
*** Vecchi amici, vecchi ricordi - parte I ***


 
17 dicembre 1789, Doullens

 
 
 
Oscar

Quanto siamo cambiati, André, rispetto a qualche mese fa?
Quanto eravamo ingenui, sotto alcuni punti di vista, come  permeati… avvolti  dal disincanto tipico dei sognatori, di coloro che senza tanti drammi attendono l’ arrivo del nuovo giorno senza mai perdere la speranza…
Adesso, invece…chi siamo? Cosa faremo? So di non dover lasciarmi prendere dallo sconforto, ma da quando abbiamo lasciato Compiègne, più di una settimana fa – e con essa la mia, la tua famiglia - ne sono accadute un po' di tutti i colori: prima il malanno di Alain, poi la tua caduta…infine,  a pochi passi dalla mèta, la mia febbre accompagnata una tosse che fino a ieri non mi faceva respirare…

“Oscar, ho pensato che ad Arras potrei andarci da solo. Tu non stai ancora bene e, considerato il tuo stato di salute…”


 Ti sei appena alzato ; seduto sul bordo del letto, lo sguardo che osserva un cielo inaspettatamente sereno, ancora prima di darmi il buongiorno… te ne esci con questa frase.
“André, io sto meglio” rispondo da sotto le coltri   “ se vuoi, posso accompagnarti…”

Ti giri, mi osservi, sorridi.
“Non voglio obbligarti ad un viaggio di un’ora e mezza alla quale sommare – credo – un’ altra oretta seduta nello studio di un notaio. Anche se riuscissi a concludere tutto oggi la casa potrebbe non essere proprio abitabile quindi…sarebbe un viaggio a vuoto.” Sei sempre molto attento con me, capisco ciò che intendi; tuttavia, vorrei essere con te in un momento così importante.

Ti alzi, ti rechi verso il camino ,sistemi della legna poi mi raggiungi verso il lato del letto in cui dormo. Mi accarezzi i capelli.

“Dunque…che ne pensi?” domandi.

“Se te la senti, André, vai pure. Avrei voluto essere con te e, non ti nego, mi dispiace un po'…” rispondo sincera “ …tu, piuttosto,come stai? Zoppichi ancora parecchio.”
Per un attimo fissi la tua caviglia ancora gonfia; sei stato fortunato, le ferite si sono rimarginate senza causare danni.
“Abbastanza bene, ne ho passate di peggio. Sono guarito da ferite ben peggiori nel giro di tre, quattro giorni…” dici.  Mi tornano alla mente alcuni ricordi. E’ vero, quante volte te la sei cavata con poco, nonostante le botte prese….
Dopo un attimo di indecisione  vai verso il bacile, prepari il necessario per raderti.
Mi metto a sedere, non oso ancora alzarmi, la testa mi gira un poco ma è solo per una frazione di secondo.
“Andrai via subito?”
Ti togli la camicia, la sistemi sullo schienale della sedia, inizi a lavarti.
“Si…”
“E quanto starai via? Tornerai per sera? “
“Credo…spero. In fondo si tratta di una formalità…”
Il fuoco inizia a scaldare ben bene l’ ambiente, regalando un piacevole tepore. Allungo le braccia, mi stiracchio.
“Alain verrà con te?”
Inizi a raderti alla bell’e meglio ; con una mano sostieni uno specchietto che ha visto tempi migliori e con l’ altra maneggi la lama.
“No, mi ha detto che voleva approfittare di questi giorni di sosta forzata per trovarsi qualche piccolo lavoretto. I soldi per il medico non li aveva proprio previsti così si è trovato con meno denaro di quanto sperasse e…insomma, tra il viaggio e tutto…”
Annuisco, sposto lo sguardo dalla tua schiena nuda alla parete ed al camino. Dopo qualche minuto torni da me.
“Adesso cerca di riposare, Oscar. Prima di uscire lascerò detto a Jeanne, la figlia di Monsieur Thomas, di badare a te”. Mi passi una mano tra ciuffi di capelli spettinandoli ancora di più, infine ti infili gli stivali. Dopo avermi posato un bacio sulle labbra finisci di sistemarti e raggiungi la porta.
“A stasera, Oscar…” dici sorridendo.
Alzo una mano, ti guardo con dolcezza.
“A presto, André” rispondo.  La porta si richiude e resto sola, dopo tanto tempo,  senza né te né Alain nei paraggi; questo mi fa paura ora più che mai , perché so che tra non molto torneranno pensieri che con tutta me stessa ho provato ad arginare.

Si: quel ricordo.

Sono passati pochi giorni e te lo assicuro,  mi sono impegnata davvero molto per non lasciarmi andare ma voci, pensieri …mio padre, le sue parole…
Fa male.
Molto male.
Non avrei mai pensato ad un epilogo simile, in fondo rimango sempre sua figlia ma, a quanto pare – ed è comprensibile – in questo tragico susseguirsi di eventi in cui ha visto il mondo in cui è cresciuto crollare così …gli ho dato solo che il colpo di grazia…

…cosa avrei dovuto fare, Padre?
Non rinnego il mio passato, non rinnego voi tutti, la mia famiglia; ho preferito dare la priorità a me stessa, alla mia vita: hai mai pensato, Padre, che un giorno o l’ altro sarebbe successo? Era, è inevitabile. Il fatto che tutto sia accaduto a ridosso di una Rivoluzione, ti assicuro, è stato del tutto casuale perché da tempo, oramai, il mio essere pretendeva spazio, ascolto, cura…
Riuscirai mai a perdonarmi? Riuscirai mai a capire che sono tua figlia, che darei la vita per te….?


Mi guardo intorno, ricaccio indietro le lacrime, è presto e si prospetta una lunga giornata.
Cercherò di riposare dico tra me; e torno a posare la mia testa sul cuscino. Morfeo mi raggiunge quasi subito.




 
André

Mi è dispiaciuto lasciarti sola, amore; avrei voluto vivere questo importante momento con te; ci ho pensato bene, sai, ma  non me la sono sentita di rischiare. Anche se Luc ha chiaramente espresso il suo parere in modo favorevo, anche se ha detto che ti sei ripresa, ogni volta che non stai bene mi spavento, come è logico che sia. Non voglio rischiare di perderti: abbiamo ancora tanta strada da fare insieme…

Ho quasi raggiunto la città e ti penso tanto, Oscar.
Rivedere Arras dopo così tanto tempo porta alla memoria molti ricordi della nostra gioventù: le locande dove ci siamo fermati molte volte, la residenza della tua famiglia…,entre il cavallo percorre piano questi ultimi metri, sono tante le cose che mi riempiono il cuore. Ciò che ho sempre sognato – vivere con te, vivere ad Arras – sta, piano piano, realizzandosi. Sono davvero emozionato, amore mio…
Ora non mi resta che trovare il luogo in cui esercita Monsieur Aurelien: credo mi fermerò a chiedere informazioni, piuttosto che proseguire alla cieca, perdendo tempo…
Non vedo l’ ora di tornare da te, mostrarti le chiavi di casa, abbracciarti e tenerti stretta. Ci siamo quasi… ci siamo quasi!
 
***


“Dunque voi siete il piccolo André? Devo dire che siete cresciuto parecchio, dall’ ultima volta che vi ho visto. Siete stato qui insieme a vostra nonna, avrete avuto si e no otto anni. Fu prima che partiste, definitivamente, per Parigi.”
Il notaio è un uomo imponente, somiglia più ad un campagnolo avvezzo alla zappa piuttosto che ad un uomo di cultura; ha un aspetto gioviale, sembra una persona schietta.
“Può essere; deve scusarmi, ma ho pochi ricordi della mia infanzia..” rispondo cercando di non risultare maleducato. Lui si alza, va verso una secretaire e, dopo aver preso una chiave, apre uno dei cassetti ed estraendo questo un incartamento che , una volta tornato alla scrivania, lascia cadere con un tonfo prima di sedersi a sua volta.
“ Ecco, qui vi sono alcuni documenti che potrebbero tornarvi utili; il vostro atto di nascita, l’ atto di proprietà della casa, alcune altre cose inerenti le proprietà della vostra famiglia….”
Lo interrompo subito: quali proprietà? Domando. Non credevo di averne.
Lui mi fissa, forse pensava che fossi al corrente di qualcosa.
“Non ne sa nulla?” chiede, giocherellando con un bottone della giacca.
Nego.
Monsieur si sistema sulla sedia, quasi avesse paura di dire qualcosa di scomodo e, per un attimo, mi preoccupo. Il suo sorriso affabile mi tranquillizza.
“ Come credo sappiate, vostra nonna ha affidato alla mia persona i vostri guadagni e la cura della vostra casa paterna …e non solo; vi sarebbe, infatti, una sorta di lascito a suo tempo fatto dal Conte Jarjayes in virtù dell’ affetto e della lealtà che lo ha sempre legato a Madame Grandier: si tratta della proprietà che esso possiede in Normandia.”
A momento cado dalla sedia, tanta è la sorpresa.

“La…la tenuta in Normandia? Come è possibile?”

L’ uomo afferra – tra le pila di scartoffie – un foglio ancora sigillato con la ceralacca che apre davanti ai miei occhi.
“Ecco: questa dichiarazione è stata firmata dal Conte, controfirmata da me…” dice indicando con il dito una riga “ …qui, se leggete bene, vi è messa per iscritto la volontà del Generale Jarjayes. Credo sia stato lungimirante: forse ha fiutato il pericolo che effettivamente di questi tempi si è palesato…”
Prendo il foglio, lo leggo con calma, partendo dall’ inizio…non credo che nonna sapesse qualcosa, perché qui non vedo la sua firma. Leggo solo che…che la casa è stata ufficialmente donata ed una sorta di usufrutto ne permette l’ uso anche ad i parenti più prossimi. La firma è di un paio di anni fa dunque…nemmeno Oscar sapeva nulla?
“..:Va da sé che voi, essendo l’ unico nipote, potrete disporne come meglio credete, qualora dovesse interessarvi  E’ scritto qui, nella terzultima riga…”  dice.
Lo fisso, sono incredulo. Lui afferra piuma e calamaio e me li porge. Firmo, la mano un poco tremante ed infine, riconsegno il tutto a lui.
“Bene: ora le consegnerò il suo denaro, le chiavi della casa di Arras e gli altri documenti; poi, siamo a posto. Ah, un’ ultima cosa: negli ultimi tempi ho incaricato mia nipote affinché provvedesse di tanto in tanto a controllare casa vostra. Sa, lasciandola inabitata per tanto tempo….”
Mi alzo, gli stringo forte la mano. Lui mi consegna il tutto.
“Vi auguro una buona giornata e vi aspetto per delineare la questione patrimoniale” dice quando sono ormai sulla porta. Ancora un saluto veloce ed esco: suona mezzogiorno e devo fare alla svelta, vorrei riuscire a vedere la casa e rientrare prima di sera. Oscar mi aspetta…

“…André? Sei tu, André?”
Ho appena mosso qualche passo che , dietro di me, sento provenire una voce femminile. Curioso, mi volto; una bellissima donna mi sta fissando. Indossa abiti ricercati ma non fastosi, non sembra proprio una popolana. La mia mente si mette subito in moto per capire chi sia, considerando anche la confidenza con la quale si rivolge a me.

“Ci conosciamo?” rispondo, per non essere maleducato.
Lei sorride, si avvicina.Ha degli occhi bellissimi, di un colore che si avvicina all’ oro, con qualche chiazza di verde.

No, non può essere lei…

Un dubbio si instilla dentro me. Magari farò una figuraccia…

“Chri- Christine? Sei tu?”

I suoi occhi si illuminano e le labbra pittate di un colore chiaro, naturale si aprono in un sorriso; tende le mani, mi viene incontro, stringe le mie.
“André! Sei stato da Zio Aurelien? Sapevo che saresti passato di qui, me lo ha detto. Ma non credevo così presto.”
Zio? Dunque è lei…è lei la nipote di cui mi parlava?
“…si “
rispondo ancora incredulo “ avevo alcune carte da ritirare…”

Lei si adombra, pare d’ un tratto preoccupata.

“Tua nonna…?” domanda, con timore. Ci metto un po' a realizzare: quindi, la rassicuro subito.

“Sta bene, grazie a Dio. Ma…vedi, sono successe parecchie cose...” buttò li.

Christine si guarda in giro.

“Hai tempo, André? Vorresti fare due passi?” chiede.

Dopo averci pensato un attimo le rispondo in maniera affermativa.
Comunque, devo passare a vedere casa, prima di programmare qualsiasi altro spostamento.
“Certo; anzi, potresti accompagnarmi, vorrei dare una occhiata alla casa, prima di tutto….”
Christine mi prende sottobraccio.
“…Zio Aurelien ti ha detto che mi sono occupata, su suo preciso incarico, di casa…casa tua?”
Annuisco.
“L’ ho fatto volentieri. Sai, dentro di me sapevo che un giorno saresti tornato…non sai quanto ho pianto, quando sei andato a Parigi…eri l’ unico amico che avessi. ..” dice.
“Eravamo piccoli, praticamente siamo cresciuti insieme. Entrambi figli unici, le nostre famiglie si aiutavano a vicenda. Poi tua madre, rimasta vedova poco dopo la tua nascita…ha sposato il fratello di Monsieur Aurelien e ti sei trasferita a Calais…La nonna mi ha sempre tenuto aggiornato, sai? Credo che in cuor suo pensasse che un giorno ci saremmo sposati!” rispondo sorridendo. Lei fa altrettanto, coprendo le labbra con mani delicate per non apparire sfacciata.
Camminiamo per un centinaio di metri e poi svoltiamo a sinistra, seguendo una piccola vietta acciottolata. Lei non mi risponde, tiene il capo rivolto a terra.
“Sai, André…non sono più la ragazzina di un tempo. A Calais ci sono stata un gran poco: a quindici anni ho incontrato un uomo, un nobile…sono fuggita a Parigi con lui. Ero in età da marito e mia madre di certo non si è opposta. Una certa quantità di denaro le ha dato alla testa, non era più quella di un tempo” dice. Il suo tono di voce di fa malinconico, quindi non domando oltre, preferisco sia lei a parlare. “ I primi tempi mi ha trattata come una regina. Poi, dopo qualche anno e nessun matrimonio in vista, finalmente ho capito: non ero altro che una sua concubina. Pensa che…che ad un certo punto  mi ha pure obblicata ad accompagnare i suoi amici durante gli incontri ufficiali, talvolta anche all’ estero; ero una bambola, un oggetto di cui disporre. Una sera, mentre per l’ ennesima volta ero insieme ad un vecchio e viscido marchese  diretta a Versailles, sono riuscita a scappare…e sono tornata qui. Sono passati davvero molti anni, non mi è mai venuto a cercare: forse mi ha subito rimpiazzata con un’ altra, più giovane…..”


Mi fermo, sono davvero senza fiato. Povera Christine…

“Mi dispiace” riesco a dire. La fisso intensamente per un po', sono costernato, affranto. E’ come una sorella per me e sentire tutto questo mi ha fatto molto male…

“E tu, André? Hai detto che sono successe parecchie cose…lavori ancora per la famiglia de Jarjayes?” domanda.
Ricominciamo a camminare, lentamente.

“No, non più…”

Christine mi guarda. Conosco quell’ espressione, perché ogni volta che combinavo una marachella e non volevo dirle nulla, lei mi guardava così.
“Piccolo Grandier, ora dimmi tutto” esclama.Esattamente come allora…
“Sono rimasto a servizio della famiglia molti anni. Sono accadute molte cose, sai? Ero l’ attendente dell’ ultima figlia del Conte, Oscar-“

“Oscar? Una donna?”
“Si” annuisco “ …lei è…è divenuta mia moglie, qualche mese fa.. diciamo così. Poco prima della rivoluzione siamo di fatto scappati, sia per questo motivo che per abbandonare un mondo e ideali non più nostri. Avremmo voluto fare la rivoluzione ma…Oscar si è ammalata, abbiamo passato davvero un brutto periodo…il motivo per cui sono qui oggi è che…vorremmo vivere ad Arras, nella casa che la nonna mi ha donato”.
Il mio racconto è fatto tutto d’ un fiato, forse anche confuso, ma sono parole sincere quelle uscite  dalle mie labbra e va bene così. Christine , davanti a me, ha una espressione indecifrabile. Insieme, ricominciamo a camminare: casa è qui vicino se non ricordo male.
“Accidenti!” esclamo non appena la vedo. Immaginavo un rudere, invece mi trovo davanti ad una casupola curata, come se ci avessero vissuto fino a qualche mese prima. E’ un tuffo al cuore, in un silenzio quasi religioso mi avvicino, ne percorro il piccolo perimetro.  I muri sembrano ancora solidi e l’esterno è stato sistemato da non molto tempo; ante e porte, seppure datate, sono state anch’ esse sistemate e …il piccolo appezzamento che mamma usava per coltivarci qualche verdura è ancora li…così come il recinto. Con una mano sfioro il legno che mio padre ha sapientemente tagliato, assemblato, curato…l’ emozione mi assale. Quanto vorrei che tu fossi qui, Oscar!
“Tua nonna ha disposto che una volta l’ anno alla casa venissero fatti i lavori necessari per non lasciarla andare in rovina; inoltre, da quando sono tornata qui sette anni fa, almeno una volta la settimana mi occupavo di controllare che tutto fosse a posto…”


Christine è rimasta dietro di me. Mi giro e la raggiungo.

“Vuoi entrare? Zio ti ha dato la chiave?”
La mia mano si infila in tasca e la estrare. Lei sorride, mi esorta.
Con mano tremante mi accingo dunque ad aprire la porta, il cuore mi batte forte.

“Ma…è tutto rimasto come allora” esclamo; ho davvero pochi ricordi, ma quei pochi che ho sono vividi, non posso sbagliarmi.
I miei occhi esaminano ogni cosa: la stufa, il sobrio mobilio della cucina… un paio di poltrone, una sedia a dondolo e poi, poi il camino grande quasi quanto una parete…
Le mia dita sfiorano delicatamente ogni centimetro di questa abitazione; infine, raggiungo anche la camera dove dormivo, insieme ai miei genitori, in un piccolo letto…

“Non ho toccato nulla, ho solo fatto sistemare alcune cose, André” sento dire a Christine; tuttavia la mia mente è altrove, mi vedo qui, con Oscar…

“Grazie, Christine. Non so come sdebitarmi” rispondo.

Lei si avvicina, mi prende la mano, la stringe forte.

“Siamo sempre stati come fratelli, André; ricordo quando i tuoi genitori davano una mano a mia madre, ricordo tutto ciò che la tua famiglia ha fatto per noi. Forse sono stata più fortunata, crescendo non mi è mancato più nulla, ma non ho mai dimenticato da dove vengo… Ti sono debitrice, questo è quanto…”
Mi volto, la osservo.
“Non dire così… non è vero. La mia famiglia ha solo fatto ciò che riteneva più giusto fare…” rispondo. Christine sorride, sembra serena.

“Sono felice di averti rivisto, André. E’ stata davvero una bella sorpresa.”
“Anche per me lo è stato; quanti ricordi, quante emozioni mi hai fatto tornare alla memoria…”


Lei si aggiusta il cappuccio del mantello sul capo.

“Ora, però, devo proprio andare: zio Aurelien mi attende, dopo domani partiremo e dobbiamo ancora finire i bagagli…” dice. I suoi occhi si fanno tristi.
“…e dove andrete?” domando.
“Zio vuole trasferirsi. E’ vecchio e non ha più intenzione di esercitare. Pensava di andare in Italia, poi ha cambiato idea e ha considerato l’ Inghilterra…”
“Capisco. Anche un mio caro amico vorrebbe trasferirsi li. E’ rimasto solo e vorrebbe andarci in cerca di fortuna” rispondo.
“Potrebbe viaggiare con noi, se vuole. Un poco di compagnia non fa mai male…”
Effettivamente, non ha tutti i torti. Un’ idea inizia a balenarmi per la testa.
“Christine, ti andrebbe di accompagnarmi qui vicino? Alloggio in una locanda ad un paio di ore da qui…potrei presentarti questa persona. E’ affidabile, su questo posso giurarci…”
Lei nega.
“Sta venendo tardi, ho preso altri impegni: tuttavia domani, se vuoi, posso prendere il calessino e raggiungervi. In questo modo potrò avvisare in anticipo lo zio e sentire le sue impressioni” risponde.
“D’ accordo; allora…a domani. Io resterò ancora un attimo qui e poi farò ritorno alla locanda” rispondo: non vedo l’ ora di arrivare, Oscar mi manca già.

Ci salutiamo, felici di questo fortuito incontro;  decido di rimanere ancora un po' qui ma cerco di sfruttare il tempo a mio favore, annotando mentalmente tutto ciò che servirà per abitarci: candele, legna, cibo…infine, poco prima che il sole tramonti, mi metto in cammino.

Oscar si sarà stancata di aspettarmi...




Oscar
Ho passato il pomeriggio a dormire e, devo dire, ne ho tratto parecchio giovamento; la febbre non è più tornata, per fortuna e, se devo essere onesta, spero di riprendermi del tutto entro due o tre giorni; siamo così vicini alla méta…! André non è ancora tornato ma, si sa, tali faccende richiedono tempo. Tuttavia…credo sarà qui a momenti. Il sole è tramontato ormai da tempo.
Alain è arrivato verso metà del pomeriggio, ho sentito i suoi passi nel dormiveglia e sono quasi sicuro di aver sentito la porta discostarsi. Poi l’ ho sentito uscire, di nuovo è passato a controllare le mie condizioni, ma non  mi ha svegliata: probabilmente voleva solo controllare le mie condizioni.Ora, quasi quasi, provo almeno a mettermi seduta; vorrei darmi una rinfrescata ma temo di non riuscire a reggermi in piedi più di tanto …meglio aspettare André, si.
 Chiederò lui di darmi una mano.

Non devo attendere molto, fortunatamente. Sento i suoi passi lungo il corridoio e, dopo poco, noto anche la maniglia muoversi.
“Oscar, perdonami: ho fatto davvero tardi” dici. Sei stanco, lo noto dai lineamenti del suo viso; inoltre, ora zoppichi vistosamente.
“Bentornato, André: è andato tutto bene?” domando.
Entri. Ti togli il pastrano e la giacca, sfili gli stivali e mi raggiunge.
“Si, oserei dire benissimo! Devo riferirti molte cose…” risponde. Il tono è allegro, bene! Penso. Le sue labbra si avvicinano, mi bacia.
“Dimmi prima di te…cosa hai fatto durante la mia assenza? Ti sei riposata almeno un po'?” chiedi mentre ti stendi al mio fianco, sollevandoti sul gomito, la mano a reggere il viso.
“Ho riposato come non mai” dico “ e ciò è un bene. Almeno, non ho pensato..” Sorridi , allunghi una mano, mi accarezzi.
“Ne sono lieto, mio amore” rispondi. I tuoi occhi brillano, sono diversi dal solito.

Appoggio la mia mano sulla tua.
“Non mi racconti come è andata?” chiedo, curiosa.
Ti stendi supino, incroci le braccia dietro la testa.
“Ti devo dire talmente tante cose, Oscar…che non so da dove cominciare!” rispondi.
“Dimmi, ti ascolto” rispondo. Sono davvero curiosa!
“Innanzitutto…la casa è pronta per essere abitata. Monsieur Aurelien è un uomo gentile, ha perfino pensato a mantenere l’ abitazione come un tempo. Inoltre mi ha dato una notizia inaspettata…riguardo la tenuta di Normandia!”
Ti alzi e ti appoggi al muro, accanto alla finestra, le mani dietro la schiena.
 Io sono…sinceramente sorpresa: non sto più nella pelle, devo sapere!
“André, parla: che succede?” domando.
Senza dire nulla, il sorriso sulle labbra, raggiungi il tavolo dove poc’anzi hai posato alcuni incartamenti,  scartabelli un attimo e poi mi porgi un foglio. E’ una dichiarazione olografa, c’è la firma di mio padre…e quella di Nanny. Le riconosco a colpo d’ occhio.
Inizio a leggere, avidamente, spostandomi man mano verso il lume per essere certa di comprendere meglio; leggo quel foglio due, tre volte prima di appoggiarlo sul letto e guardarti.
“Ma…è una notizia…fantastica!” dico; riprendo il foglio, lo leggo…è proprio vero.
Torni a sederti, rileggi anche tu quel foglio.
“E’ stata una grossa sorpresa anche per me, se devo dire la verità: quando il notaio me lo ha comunicato, non volevo crederci. A quanto pare tuo padre, qualche mese fa, ha disposto che la tenuta fosse lasciata a mia nonna”. Fai una piccola pausa, forse stai realizzando ora, davvero, cosa significhi questo. Infine, riprendi a parlare.
“Non conosco il motivo, non voglio saperlo; spero solo tu sia felice, quella casa almeno verrà preservata, resterà a te…”
In realtà la casa è tua, è di tua nonna…penso. Tu che mi leggi dentro, da sempre, intervieni.
“Oscar, quella casa è ancora tua…” dici. Cerco le tue braccia forti, non aspetto molto prima che esse mi stringano. Sono…stranita, non so che dire.
“Tu come stai?” chiedi, infine.
“Bene, André. Sono sincera. Credo che tra un paio di giorni potrei pure azzardarmi ad uscire”
Le tue mani tastano il mio viso.
“Sono felice…non immagini quanto desideri che tu veda la mia…la nostra futura casa. Sempre che, date le novità, tu non voglia andare in Normandia…”
Ammetto che questa faccenda mi lascia sorpresa, a dirla tutta devo ancora rendermene conto, appieno…
Tu non mi lasci nemmeno rispondere che…hai ancora qualcosa da dirmi, ricominci a parlare.

“C’è poi un’altra cosa che dovresti sapere.”

 Sei allegro, sicuramente è qualcosa di buono.

“Ho rivisto una persona, si chiama Christine. Siamo cresciuti insieme…lei è la nipote del notaio che si è occupato di tutto…forse domani verrà qui.”

Christine? Non me ne avevi mai  parlato…verrebbe qui…e per fare che cosa?

“Christine? “
domando.

“Scusami, Oscar, se non ti ho mai detto nulla… Lei è come una sorella, per me. Tra qualche giorno partirebbe per l’ Inghilterra, le ho proposto di incontrare Alain. Magari possono fare il viaggio insieme, ci sarebbe anche lo zio di questa donna …”
Ad essere sincera, tutte queste novità mi stanno mettendo il mal di testa; ma ne prendo atto, anche se vorrei capire meglio.
Tu mi fissi, stai per dirmi qualcosa ma poi ti trattieni.

“D’ accordo, André” rispondo senza aggiungere altro.
“Qualcosa non va?” domandi.
“…No” ti rassicuro all’ istante “ è che…stanno succedendo così tante cose! Ma stai tranquillo, André; le affronteremo con calma, io non ho riserve di sorta.”
Sembri più tranquillo, ora, ne sono davvero felice. Ci sarà tempo per parlare….

Lo stomaco inizia a brontolare, comincio ad avere fame.

“Stasera proverò a scendere in sala, André. Oggi ho riposato bene e credo proprio di farcela” dico cambiando argomento; tu, felice, mi vieni incontro.
“Sei sicura?” chiedi.
Accenno un si; allora, subito, mi chiedi se ho bisogno di una mano a vestirmi.
“…vorrei anche farmi un bagno, ne ho bisogno” dico e nel farlo mi tocco e guardo i capelli, sono davvero in uno stato pietoso…

“Avviso subito la cameriera di portare una tinozza. Ti aiuterò io, Oscar, non preoccuparti; infine, se te la senti, scenderemo. Davanti ad un buon pasto potremo parlare con calma, ci sono ancora molte cose che vorrei mostrarti e riferirti” aggiungi.
“Sei molto caro… allora…ci pensi tu? Io, nel frattempo, se sei così cortese da passarmi la borsa da viaggio, vedrò cosa indossare. Negli ultimi giorni sono divenuta un tutt’ uno con la camicia da notte…”

Ti chini, allunghi un braccio sotto al letto e poi mi passi la borsa, inizio a frugare tra le poche cose che mi sono portata, scelgo un paio di pantaloni e una camiciola, con una giacca pesante. Niente gonne, corsetti o altro…non sarei in grado di reggerli, ultimamente.



André

La tua pelle…quasi ne avevo dimenticato il colore , il profumo; mentre passo la spugna sulla tua schiena e sul tuo collo mi fermo a pensare che è davvero molto tempo che…si, insomma, che non stiamo insieme e mi manchi, mi manca tremendamente il contatto dei nostri corpi…
Tu sei silenziosa: forse stai pensando a tutto ciò che ti ho riferito? …ne sono quasi certo; per questo vorrei parlare insieme a te, con calma.


“André?”
La mia mano sta percorrendo il tuo braccio, adagiato lungo i fianchi…
“ Sei pensieroso, devi dirmi qualcosa?” chiedi.
Mi fermo e cerco il tuo viso.
“No, perché? Più o meno ti ho già detto tutto ciò che dovevo…” rispondo.
“ A scanso di equivoci, vorrei subito dirti che non sto parlando di Christine. Prima…ecco, ti sei come incupito, i tuoi occhi sembravano velati di nostalgia…” dici.

Oscar…come faccio a dirti che ti desidero e che i miei pensieri erano riferiti a noi, al desiderio sempre presente in me? Non vorrei turbarti, sei così vulnerabile ultimamente…

“…”

Mi guardi, sorridi.
Afferri la spugna dalle mie mani e la passi sul tuo corpo.

“Oscar, io…mi manchi, ecco” dico, alla fine. Il tuo corpo nudo…mi sta mandando ai matti.
Lasci cadere la spugna.
Sciogli i tuoi capelli. Allunghi le braccia, mi afferri la camicia e mi tiri verso di te. I tuoi occhi mi bramano, lo vedo. E’ un richiamo irresistibile…

“…ti avviso che potrei non rispondere più di me” sussurro quando la mia bocca ha raggiunto il tuo viso.

Mi baci, esci dalla tinozza.

Ti stendi.

“ Anche tu mi manchi, André; mi manchi tanto. Non voglio aspettare oltre” mormori a tua volta: ed è la fine, perché…mi perdo immediatamente in te, senza pensare più a nulla. Non esiste davvero più niente intorno a noi. Solo questa stanza ed il fuoco che man mano va spegnendosi, ma noi non abbiamo freddo. Per nulla…



Più tardi, intorno alle otto e mezzo, raggiungiamo Alain che ci aspetta in sala. Con passi lenti ma sicuri, mano nella mano, percorriamo il corridoio e scendiamo, ancora accaldati dalla nostra…parentesi; ti sento sicura, i tuoi passi non sono più incerti…
“Se continuo così, non dico domani, ma il giorno seguente potremo davvero raggiungere Arras… ma dimmi: la casa? Come è?Pronta?” mi chiedi.
“Te ne avrei parlato con calma a cena …ad ogni modo si, lo è. Anche meglio di quanto pensassi. Ci sono delle migliorie da fare, questo si, ma è poca cosa “ rispondo
“Sono felice, André. Finalmente potremo vivere una vita tranquilla. Non chiedo altro…”

Siamo arrivati, vediamo Alain in fondo alla sala, accanto al camino.
 Sulla panca, vicino a lui, hanno preso posto altre due persone ma sembrano decisamente farsi i fatti loro.
“Anche per me è lo stesso…” rispondo stringendoti sempre più la mano. Facendoci strada tra gli avventori, ci sediamo accanto al nostro amico.

“Ce ne avete messo di tempo” dice Alain. Ha il viso tirato, stanco.
“Scusaci, Alain; pensavamo di fare prima ma…siamo stati ‘trattenuti’ ” rispondo.
Lui ci fissa, so già che sta per arrivare una delle sue battute.
“Si dice così, ora? Trattenuti?”
Oscar lo guarda, scuote il capo sconsolata. Infine, si siede vicino a lui ed io mi accomodo esattamente di fronte.
“…beh, non so cosa intendi…” dice lei ridacchiando. Alain sorride e ti chiede come va.
Thomas, l’ oste, arriva dopo una decina di minuti, c’è davvero tanta gente, stasera; ordiniamo tre minestroni , formaggio, delle patate.
“Come è andata, Alain? Hai avuto fortuna?” gli domandi. Lui si stiracchia, leva la giacca pesante.
“Si, considerati i tempi. Per lo meno oggi…domani, vedrò: ho avuto alcuni nomi, potrebbero servire un paio di braccia in più” risponde; allora, pronto, prendo l’ occasione e gli parlo di Christine ed in questo modo ho l’ occasione di approfondire il discorso anche con Oscar, che ascolta attenta.


“Devo dire che…è stato un pomeriggio ricco di sorprese, André” dici non appena finisco di parlare; sei sollevata, lo sono anche io. L’ unico ad essere pensieroso è Alain.
“Qualcosa non va?” domando.
“No, no affatto: mi ero fermato a riflettere sul fatto che…insomma, non sono pratico di questi discorsi ma…non credevo ci saremo divisi così presto e…”
Thomas arriva con i piatti, caldi e fumanti.

“…ecco, non so se sono pronto ad andarmene davvero.” Concludi.

Che dire, Alain? Nemmeno noi lo siamo: abbiamo condiviso molto, ti reputo come un fratello, anche Oscar ti vuole molto bene.
“Fermati ancora un po' ” dici “ dove c’è posto per due…c’è anche per tre…”
Alain ci pensa un po'. E’ molto combattuto.
“Dovrei pensarci. Comunque, domani, quando la tua amica verrà a trovarvi, cercherò di esserci.”

Ci guardiamo, sorridiamo. Sarà davvero dura separarci…
 Infine, iniziamo a mangiare pensando al fatto che questa, senza dubbio, è stata una giornata davvero, davvero lunghissima…e non ha ancora finito di stupirci: mentre ci alziamo, dopo aver consumato velocemente il pasto nel giro di una mezz’ora, dalla porta entra una persona, un volto a noi noto: Fersen.

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