Destini sospesi di Fanny Jumping Sparrow (/viewuser.php?uid=60955)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I – Non tutti i tesori sono d’oro e d’argento ***
Capitolo 2: *** II – Poca corda e caduta sorda ***
Capitolo 3: *** III – Non ci sono eroi fra i ladri ***
Capitolo 4: *** IV – La leva giusta ***
Capitolo 5: *** V – Quello che un uomo può ***
Capitolo 1 *** I – Non tutti i tesori sono d’oro e d’argento ***
I – Non tutti i tesori
sono d’oro e d’argento
Lo sparo rimbomba cupo, serpeggiando fra le tortuose
pareti della grotta umida e buia, sovrastando ogni altra concitata
azione in corso.
La giovane Elizabeth Swann sente che il suo cuore ha un tonfo.
Capitan Barbossa, sospendendo l’incalzante combattimento, ha
sorpreso tutti, rivolgendo la sua pistola indietro, proprio contro di
lei, e la sua mossa è stata così fulminea e
inesorabile che non si è neanche accorta di essere sotto
tiro.
Ma anche l’imprevedibile Jack Sparrow ha prontamente
impugnato la sua arma e ha premuto il grilletto, esplodendo quella
pallottola che, con un’ostinazione non dissimile ad una vera
e propria ossessione, ha gelosamente serbato per dieci lunghi anni,
destinandola a compiere la sua agognata vendetta sull’uomo
che lo ha tradito, umiliato e derubato dell’unica cosa che
ama di più al mondo, oltre a se stesso: la sua nave, la
Perla Nera.
«Dieci anni che conservi quel colpo e sei riuscito a
sprecarlo!», lo deride sarcastico il vecchio rivale, oramai
abituato a non provare più alcuna sensazione sul suo
decrepito corpo, da quando è rimasto vittima di
quell’orrenda maledizione.
«Non l’ha sprecato!», grida di rimando il
giovane William Turner, lasciando cadere nel forziere di pietra due
monete d’oro, quella che ha reso momentaneamente Jack un non
morto e quella che ha dovuto bagnare col suo sangue, essendo
l’unico erede del pirata Sputafuoco Bill, anche lui partecipe
anni addietro del furto di quel tesoro stregato.
Elizabeth torna a respirare nell’aver capito quale delle due
pistole sia realmente andata a segno, i suoi occhi, ancora lucidi e
tremanti, si spostano con stupore, ammirazione e riconoscenza su Will e
Jack.
Lo spregiudicato ed eccentrico pirata è rimasto torvo e
immobile, la canna fumante ancora puntata all’altezza del
grondante cuore di Barbossa il quale, incredulo e rammaricato per
essere tornato alla vita e averla perduta nello stesso istante,
pronunzia solo due stizzite parole prima di stramazzare al suolo con un
secco tonfo: «Sento … freddo».
Jack Sparrow indugia a fissare con attenuata ostilità
l’avversario sconfitto che giace esanime, gli arti scomposti,
gli occhi sbarrati ma ormai ciechi, la bocca dischiusa e silente.
Non è mai stato propriamente un asso con la spada, in
compenso ha sempre avuto un’ottima mira, anche se in pochi lo
sanno, perché se ne serve molto meno di quanto potrebbe.
Ha sempre ripugnato lo spargimento di sangue gratuito, non è
solito uccidere chi l’ha tradito o offeso, perché
gode di più a tessere inganni, un’arte sottile che
ha imparato ad affinare grazie al suo acuto spirito di osservazione,
avvantaggiandosene in svariate circostanze. Un modo di agire
scarsamente compreso che lo distingue da altri fuorilegge, grezzi e
istintivi, i quali puntano invece soprattutto sulla
brutalità e sulla capacità di incutere timore con
l’uso indiscriminato della forza.
Crescendo tra efferati tagliagole e ingordi predoni senza Dio e spesso
senza cervello, è giunto alla conclusione che la mera
violenza sia un mezzo troppo facile e talvolta troppo rischioso. Gli
imbrogli invece hanno il ben più soddisfacente vantaggio di
non essere intuiti subito e perciò di cogliere alla
sprovvista chi non sospetta di essere raggirato, perché
troppo ingenuo o perché si crede superiore a lui per
intelligenza.
Così è riuscito a sfuggire, quasi sempre, alle
situazioni più pericolose e intricate, beffando impunemente
chi lo voleva incastrare.
E anche il famigerato Hector Barbossa, malgrado tutta la sua protervia,
la sua esperienza e la sua furbizia, alla fine è caduto
vittima della sua elaborata tela.
Reprimendo una sgradevole sensazione di nausea alle budella, si
allontana dal cadavere del vecchio compagno di sventure e comincia a
rovistare tra i cospicui oggetti preziosi ammassati alla rinfusa nei
vari angoli di quella caverna dalla sua ex ciurma.
Ci sono cianfrusaglie di dubbio gusto, ma anche diversi manufatti di
pregiata fattura e una miriade di pietre rarissime. Con un bottino
simile a sua disposizione, se riuscirà a contenere gli
entusiasmi dei suoi uomini, potranno vivere di rendita per parecchi
mesi, si compiace, immaginando con soddisfazione la pacchia che lo
attende, tra svaghi, piaceri e dissolutezze di ogni tipo.
Di tutt’altro genere sono i pensieri che vorticano nella
mente del giovane William Turner, mentre si allontana dal grande
forziere intarsiato ricolmo di monete azteche.
Il suo sangue alla fine ha veramente spezzato
quell’incredibile sortilegio e quindi quei manigoldi poco
affidabili non hanno mentito sul suo conto. È figlio di un
pirata. Non può più rifiutarsi di crederlo ormai,
sarebbe sciocco impuntarsi a negarlo. Si sente per certi versi
condannato: pur non volendolo, ha seguito le orme del disgraziato
defunto padre.
A nulla è valso tutto il suo impegno nel costruirsi una vita
onesta e rispettabile, lontana dalla tentazione di misfatti e facili
guadagni.
E nulle ormai sono le sue speranze di poter stare alla luce del sole
con la ragazza per la quale prova un fortissimo affetto sin da quando
è poco più che un bambino.
Molto più
di un semplice affetto o di una mera infatuazione. È un
sentimento travolgente, insopprimibile, totalizzante, che in quei pochi
nuovi momenti che ha potuto trascorrere al suo fianco, scoprendo in lei
un’anima gemella dal temperamento forte e combattivo, si
è, se possibile, addirittura rafforzato, come brace rimasta
sopita sotto la cenere cui mancava solo una scintilla per accendersi
con tutta la sua potenza.
La loro intesa è qualcosa d’innegabile, a tal
punto che la prospettiva di doversi separare di nuovo da lei gli sembra
un’ingiustizia, equiparabile solo a un supplizio dei peggiori.
Lascia vagare lo sguardo crucciato sugli altri scrigni traboccanti di
oro e argento; non ha mai visto così tante ricchezze tutte
concentrate in un unico luogo, non ha mai neanche osato immaginare che
potesse esisterne una tale quantità, né, di
questo è più che certo, potrà mai
avere occasione di rivederne altrettante. Gli basterebbe sottrarre una
sola manciata di quella fortuna per permettersi una nuova casa, magari
una bottega tutta sua, o addirittura una piccola imbarcazione con cui
darsi codardamente alla fuga.
Lui però non è fatto così.
Rinsavisce da quelle farneticazioni quando la vede, ferma e
ritta sotto un fascio di luce lunare. Aggraziata, ardimentosa.
Bellissima.
Trattiene il fiato. Al suo confronto anche il più splendente
dei diamanti impallidisce.
Anche Elizabeth Swann è immersa nelle sue più
intime riflessioni.
In quei pochi giorni la sua tranquilla e noiosa routine quotidiana
è stata letteralmente sconvolta: assalti, tesori, rapimenti,
inseguimenti per mare, arrembaggi, duelli.
Ha vissuto una pericolosa ed entusiasmante avventura, ed ha saputo
cavarsela egregiamente, uscendone incolume.
Era il suo sogno di bambina quello di poter imbattersi in un intrepido
pirata e, ora che ne ha conosciuti molti, ha appurato, non senza una
certa delusione, che non tutti sono eroici, ribelli e temerari come i
personaggi dei racconti con cui è cresciuta e di cui si
è nutrita, nella sua infanzia segnata da una grande
solitudine che ha riempito con la fantasia.
I pirati, ha toccato con mano, sono per lo più uomini avidi,
abietti e meschini, dediti solo al proprio tornaconto personale, a
ingannare, a tradire, a uccidere e soprattutto a rubare. Non le
è difficile identificare alcuni cimeli di valore trafugati
dalla sua dimora tra quella caterva d’inestimabili tesori,
frutto di tante sanguinose scorrerie.
Eppure ha anche scoperto che quel ragazzo timido e gentile, che ha
incontrato otto anni prima proprio durante un viaggio per mare,
appartiene anch’egli a quel mondo crudele e affascinante,
imbevuto di misteri e leggende, scandito da battaglie e burrasche,
dominato da passioni intense e fatali.
Forse anche per questo suo sconosciuto legame con quella gente scevra
dalle convenzioni e dalle regole, tanto distante da quella artificiosa
e asservita che è abituata a frequentare lei, nel profondo
ha sempre provato una forte attrazione nei suoi confronti.
Non una semplice attrazione. È sicura che si tratti di amore.
Il coraggio e l’abnegazione impetuosi con cui il suo amico
d’infanzia si è lanciato a salvarla, il loro
incredibile affiatamento nel combattere, capendosi immediatamente con
un rapido scambio di sguardi, la disperazione che l’ha
pervasa credendolo disperso, il desiderio fortissimo di essere toccata
dalle sue mani ruvide e premurose, hanno accresciuto ulteriormente
quella convinzione.
Sono fatti l’uno per l’altra, quello che
c’è tra loro è qualcosa di unico,
ineguagliabile.
Un’affinità simile non potrà mai
provarla con nessun altro. Sa che non potrà mai essere
felice con nessuno diverso da lui al suo fianco.
È con distacco e amarezza che si sofferma a osservare quelle
ricchezze. Non valgono nulla. Rinuncerebbe a qualunque lusso o
privilegio, metterebbe in discussione anche il suo onore pur di poter
stare con lui per il resto dei suoi giorni. Deve dirglielo, vuole che
lo sappia, prima che sia troppo tardi …
Avverte che si è avvicinato alle sue spalle e si volta, ma,
restando inchiodata al suo sguardo caldo, tenero e vibrante, tutta la
sua sicurezza e il suo ardore evaporano e non riesce a proferire alcun
che, completamente stordita dalle palpitazioni sconnesse che le
procurano la sua vicinanza e l’inspirare quel suo odore
salmastro e ferroso. Forse lui sta per confessarle la stessa cosa
…
Invece neanche Will riesce ad esternare ciò che gli fa
sussultare il cuore, perso com’è nelle iridi
nocciola dell’amata che appaiono dolci e frementi come non
mai. Rimane sospeso nell’attesa di un qualunque cenno di
assenso da quelle labbra scarlatte e irrimediabilmente invitanti su cui
vorrebbe avere l’ardire di poggiare le sue, fugando il timore
di mancarle di rispetto o di essere respinto.
Sanno entrambi di aver rischiato la pelle l’uno per
l’altra e che lo rifarebbero senza alcun tentennamento,
pentimento o timore altre cento, mille volte, perché niente
vale di più per ognuno di loro che l’altrui
incolumità.
Si sorridono, emozionati, turbati, consapevoli di ciò che li
unisce e che nessuna legge umana o divina, nessun impedimento naturale
o sovrannaturale, nessuna persona viva o non morta potrà mai
più spezzare.
Durante quel muto dialogo pregno di emozione il tempo sembra essersi
fermato, lo spazio dissolto e le parole svuotate di qualsiasi valore,
perché sono le loro pupille frementi di trasporto e
trepidazione a comunicare tutto e qualunque sillaba o gesto ora
sarebbero superflui.
L’amore è come un incantesimo in cui la
razionalità si spegne, messa a tacere dal predominio delle
sensazioni.
Il clangore di un oggetto metallico scagliato via con noncuranza
s’infrange bruscamente su quell’atmosfera magica e
sognante, riportando i due giovani innamorati alla cruda
realtà.
«Dobbiamo tornare alla Dauntless», ricorda lei
costernata, inghiottendo un singhiozzo.
«Il tuo fidanzato si starà chiedendo se sei
salva», asserisce di rimando lui, tradendosi
involontariamente con un tono permeato dal disincanto.
Elizabeth si sente ferita da quell’amara costatazione e corre
via, nascondendogli la tristezza che l’ha improvvisamente
attanagliata in una morsa crudele. Sperava non lo avesse ancora saputo,
di poterglielo nascondere fino a che non sarebbe stato ufficializzato.
Come può pensare che per lei Norrington conti qualcosa? Lo
rispetta e ci conversa, certo, così come le impone
l’etichetta, ma non lo ha mai degnato di
quell’attenzione o dell’interesse che riserva
sempre a lui, per quanto poco tempo possano trascorrere insieme. Non
è da lei rimanere priva di favella, sul momento
però, troppo offuscata dal risentimento e dallo sconforto,
non sa scusarsi o ribattere adeguatamente.
Intravedendo un luccichio tra le sue lunghe ciglia, Will capisce di
avere sbagliato di nuovo e s’insulta per essere stato tanto
codardo da trattenere la lingua, usandola per parlare a sproposito. Non
aveva alcun diritto di disapprovare la sua scelta. E forse avrebbe
dovuto essere più determinato, osare di più,
tanto le sue folli azioni oramai hanno già palesato quale
smisurata passione faccia ardere ostinatamente il suo animo per lei.
«Se stavi aspettando il momento più opportuno
… era quello!», irrompe sardonicamente Sparrow,
quasi leggendogli nel pensiero. «E ora gentilmente vi sarei
molto obbligato se mi portaste alla mia nave», aggiunge poi
con fare superbo, incamminandosi all’uscita della grotta con
una vistosa corona in testa, svariate collane di perle ad adornargli il
busto e una sacca tintinnante di altre suppellettili d’oro
che ha minuziosamente selezionato.
Anche se il tesoro più prezioso per il suo cuore, il
più bramato dalle sue mani, è quello che lo sta
attendendo poco lontano da lì, dissimulato tra le onde
tenebrose della notte.
Will lo segue a passi lenti e rassegnati, mentre Elizabeth ha
già preso posto su di una scialuppa superstite, tenendo la
fronte bassa e le dita intrecciate sul grembo.
«Non vorrai che sia la damigella a remare? Su, mettiti al
lavoro e alla svelta!», ordina in uno scatto
d’impazienza il pirata con le treccine, sistemandosi sullo
scranno di prua.
Seppur riluttante, il giovane fabbro ubbidisce, sedendosi
all’estremità opposta, dandogli le spalle, ma
trovandosi proprio di fronte alla sua adorata Miss Swann, cercando di
indovinare quali emozioni oscurino i suoi bellissimi lineamenti,
combattendo ancora una volta contro l’inconfessabile
desiderio di allungare una delle sue non troppo delicate mani sulle sue
e lenire le sue preoccupazioni con una tenera carezza.
In quella posizione, piegandosi in avanti per manovrare i remi, ad ogni
bracciata riesce quasi a sfiorarle il viso e a percepire il suo respiro
leggero e tremolante, che vorrebbe fondere dolcemente al suo, in quel
sospirato bacio che osa sognare di donarle ogni notte e che non ha
avuto la spudoratezza di concretizzare pochi minuti prima.
Ora la presenza di quel terzo e petulante incomodo, lo inibisce ancora
di più a riacquistare quell’intimità
che si è interrotta così aspramente. Assalito da
un penetrante senso di disagio, finisce per concentrarsi unicamente a
remare, limitandosi a sbirciarla di sfuggita.
Non può sapere quanto Elizabeth gliene sia grata, pur
scoprendosi incapace di evitare di lasciare vagare insistentemente gli
occhi, solleticati da lacrime trattenute, su ogni suo energico
movimento. Sulle sue braccia agili e forti, da cui vorrebbe essere
stretta perdutamente, fino a sentire il suo calore invaderla attraverso
i vestiti. Sulle sue labbra socchiuse di cui vorrebbe conoscere il
sapore, per scoprire se ne resterebbe inebriata, come ha tanto
arditamente fantasticato. Prova quasi dolore fisico a doversi
contenere.
Intimidita da quel bisogno impulsivo, distoglie lo sguardo, un
po’ sulla volta celeste tappezzata di stelle, un
po’ sulla lieve spuma che si forma ai lati della chiglia.
Scivolando su quelle acque placide, in breve sono fuori da quella tetra
spelonca e Jack Sparrow, che, come congelato da uno spiacevole
presentimento, è rimasto insolitamente silenzioso,
incomincia a guardarsi tutt’intorno con concitazione,
ricercando in quella densa nebbia che aleggia tra le spigolose
scogliere vulcaniche di Isla de Muerta, la maestosa sagoma della sua
adorata Perla Nera.
«È difficile individuarla al buio. È
questa una delle sue tante qualità», afferma
orgoglioso, facendo scampanellare i tanti gioielli che gli pendono dal
collo, mentre con una mano si scherma dai lattiginosi raggi della luna
piena.
«Capitan Sparrow … », mormora Elizabeth
con voce timorosa.
«Lo so cosa vuoi dirmi, dolcezza: certo che saresti la ben
venuta a bordo! Io non ho mai creduto alle superstizioni, anzi
… », le assicura con un sorriso malizioso che
lascia vedere volutamente anche a Turner.
«Ma veramente …» tenta di continuare a
spiegare la fanciulla.
«Sì, può venire anche il tuo amichetto.
Un mozzo in più fa sempre comodo», le accorda con
sufficienza, scrollando le spalle e rimettendosi a scrutare con brama
l’orizzonte caliginoso.
«Vi ringrazio per la generosità, Capitano, ma
preferisco fare ritorno a Port Royal», risponde irritato il
fabbro, riprendendo a remare senza una direzione ben precisa.
«Peggio per te!», ribatte Jack con enfasi quasi
puerile. Invero non disdegnerebbe di festeggiare la riconquista della
sua Perla intrattenendosi in un bel ménage à
trois con quei due freschi novellini, che si sono anche rivelati validi
compagni di spada e magari lo saranno anche di bevute. Si sente
già stuzzicare squisitamente il palato al solo pensiero dei
fiumi di sopraffino rum che lo attendono a Tortuga, insieme ad altri
sordidi piaceri.
«Temo che dobbiate venire anche voi, Capitan
Sparrow», riesce a riprendere la parola Elizabeth, indulgendo
nella cautela per ciò che di spiacevole si accinge a
rivelare.
L’interpellato la guarda sbigottito e un po’
preoccupato, al che lei, presasi di coraggio, si decide a raccontare
scarnamente quanto accaduto: «Dopo che li ho liberati, i
vostri uomini hanno deciso di prendere la nave … hanno detto
di dover rispettare il Codice».
L’espressione dello stralunato filibustiere diviene
mortalmente seria e dolente, prima che volti il capo a prua, stringendo
la mascella, deglutendo un grumo amarognolo.
«Mi dispiace, Jack», lo sostiene la ragazza,
realmente dispiaciuta per quell’infelice epilogo.
«Hanno fatto i loro interessi. Che altro mi potevo
aspettare», ribatte Sparrow, disilluso e amaramente ironico.
Non si è mai scoraggiato davanti ai peggiori colpi
infertigli dalla malasorte, che sembra averlo eletto sin dalla
più verde età suo bersaglio prediletto,
mettendolo continuamente alla prova. Sa di non essere particolarmente
gradito né temuto dai suoi pari per via del suo
comportamento ambiguo, inaffidabile e poco incline alle efferatezze,
eppure quell’ennesimo tradimento gli rode il fegato non meno
di altri che ha subito in altre circostanze, in altri luoghi, da altri
compagni.
Si è illuso di poter vincere, senza fare i conti con
l’ostilità e la volubilità di una banda
di truffatori avvezzi a seguire l’offerta migliore.
Imparerà mai dai suoi errori?
Quell’imprevisto rivolgimento della situazione ha fatto
calare un teso e gelido silenzio tra i tre, lasciando Will interdetto e
inducendolo a rallentare il suo già svogliato vogare.
Stupidamente, pur avendo obiettato, era stato pungolato
dall’idea di unirsi davvero a quella combriccola di
avventurieri e mandare all’aria i suoi buoni propositi di
tornare indietro e rimettersi in riga, scontando una meritata pena per
la sua condotta disonorevole.
Ancora una volta cerca di attirare lo sguardo di Elizabeth per
rimettersi al suo consiglio, quasi come se la consideri la
più assennata e sagace tra i presenti, essendogli venuta in
soccorso quando meno se l’aspettava.
Quei suoi lunghi capelli dorati, che vorrebbe intrecciare fra le dita
per conoscerne la consistenza, ricadono scompostamente sul suo pallido
viso, celandogli una risposta o forse suggerendogli che ormai non hanno
altre possibilità se non quella di arrendersi a
quell’avverso destino.
Nessuno dei due intenderebbe consegnare quello sgangherato briccone,
che pure, a suo modo, li ha aiutati a ritrovarsi, alle stringenti
maglie della giustizia britannica, ma sono lontani da qualsiasi approdo
raggiungibile in meno di un giorno, su di una misera barchetta a remi,
nel mezzo delle tenebre, senza armi né provviste, per cui
non possono spingersi oltre né tornare indietro.
Così, rassegnandosi alla scelta meno aleatoria, soprattutto
per amore della ragazza, Will ricomincia a remare in direzione di quei
fanali che fendono come un ingannevole miraggio quella quieta e quasi
irreale oscurità.
A bordo della HMS
Dauntless i soldati sono alacremente impegnati a sgombrare
il ponte dai bucanieri sconfitti, in parte trucidati e gettati in mare
senza tante cerimonie, in parte catturati e trasferiti nelle
marcescenti celle di sentina, dove non potranno nuocere alla sicurezza
né alla vista degli stimabili passeggeri che in quella
traversata si sono uniti all’equipaggio, composto per lo
più da marinai giovani e assetati di gloria, guidati
dall’ambizioso Commodoro James Norrington.
Non curandosi di dissimulare il suo compiacimento per la positiva
riuscita di quell’imboscata, l’altero ufficiale
inglese se ne sta impettito sulla balconata del cassero, intento a
impartire ordini a destra e a manca ai suoi sottoposti.
Pur consapevole che quella ottenuta è soltanto
un’esigua vittoria, confida che ben presto
presiederà il comando di una piccola flotta per portare
avanti la missione cui si è votato sin dal suo ingresso
nella prestigiosa Regia Marina Britannica: debellare definitivamente la
pirateria che, come una piaga purulenta, infesta lo Spanish Main,
mettendo a repentaglio chiunque lo attraversi per raggiungere le sponde
del prospero Nuovo Mondo.
Si è prefissato di assolvere quella temeraria promessa dopo
il primo traumatico incontro con quegli spregevoli fuorilegge del mare
avvenuto ancor prima di diventare un cadetto, e la manterrà
con ogni mezzo, qualunque sia il prezzo da pagare. Sacrificherebbe
anche la propria vita pur di lavare l’onta con cui aveva
visto corruscare lo sguardo di suo padre nel momento in cui si era
lasciato salvare da un lurido pirata. Gli dimostrerà che non
ha dimenticato gli ideali e gli insegnamenti da lui trasmessi,
diventerà un vessillo della civiltà e
dell'ordine, così come voleva lui.
Il Governatore Weatherby Swann, frattanto, dopo aver esultato un
po’ goffamente insieme al resto degli uomini, è
notevolmente in ansia per la deliberata scomparsa della testarda e
indomita figlia. Nella sua indole ribelle non riesce proprio a
riconoscere nulla di sé. È sempre stato un uomo
posato, privo d’iniziativa e anche alquanto pavido.
Fondamentalmente pacifico e contrario all’uso spropositato
della violenza, sin dalla gioventù ha mal tollerato la vista
del sangue, ripudiando anche solo l’innocuo maneggiare una
spada di legno. La sua unica erede invece è di
un’altra pasta.
Gli appelli alla morigeratezza e alla sobrietà con cui ha
impostato la sua educazione, col suo trasformarsi in una giovane donna
sono rimasti, con suo grande cruccio, sempre più
inascoltati, ma di quella negligenza lui ha incolpato e continua ad
incolpare più il suo scarso nerbo che l’assenza
prematura della madre, venuta a mancare in un’età
troppo acerba perché Elizabeth possa ricordarla e prenderla
ad esempio di virtù.
E poi il trasferimento nei Caraibi, isole ancora selvagge e
così climaticamente insidiose, troppo lontane
geograficamente ed culturalmente dalla corte di Londra, è
stato ancor più deleterio per il plasmarsi del suo
carattere, che ha finito quasi per uniformarsi a quelle capricciose
maree, capaci di cancellare nel giro di poche ore il frutto di anni di
sacrifici.
Dibattendosi in tali affannose considerazioni,
l’aristocratico inglese esita ad avvisare il futuro genero
dell’incresciosa e preoccupante evasione della sua promessa
sposa.
Nessuna ragazza di buon senso e di buona creanza, trovandosi nella sua
confortevole posizione, avrebbe mai concepito un’idea tanto
strampalata e pericolosa quale fuggire da un riparo sicuro che avrebbe
potuto proteggerla da ogni male per gettarsi nella stessa mischia di
ladri e assassini.
E con quale irragionevole pretesto, poi? Salvare quel fabbro di umili e
incerte origini, per il quale ha chiaramente e insensatamente una
sciocca simpatia.
Ad immaginare ciò che le sarebbe potuto accadere o che forse
le è già accaduto, sente le vene congelarsi per
l’orrore e nello stesso tempo vuole scartare con tutte le sue
forze la dolorosa probabilità di averla perduta per sempre
in simili biasimevoli circostanze.
Con il cuore in gola muove qualche passo tremebondo verso il comandante
della nave, il quale, da parte sua, è ancora troppo preso
dal godersi la vittoria e l’esultanza dei suoi, per essersi
accorto di quell’allontanamento.
Infine, quando rimane da solo, erto orgogliosamente sul cassero, riesce
a trovare il coraggio sufficiente per approcciarlo:
«Commodoro, dovrei parlarvi, se posso».
«Certamente, Governatore Swann», risponde sereno
quello, incrociando le braccia dietro la schiena, corrugandosi appena
nel percepire uno strano tremore nelle parole del nobile.
Swann farfuglia in un sospiro addolorato: «Si tratta di mia
figlia».
«Ho predisposto di farla alloggiare nella mia cabina,
affinché fosse al sicuro», replica
l’ufficiale, non capendo perché mai
l’uomo che gli sta davanti abbia un’espressione
così angosciata, cominciando a sentirsi pervadere anche lui
da una sfuggente inquietudine.
Prima che possa domandargli maggiori delucidazioni sul motivo della sua
ambascia, viene distratto dal vociare impellente del tenente Gilette
che, sportosi sul parapetto di tribordo, annuncia:
«Commodoro! Si avvicina una lancia!»
«Saranno gli ultimi reduci che si arrendono alfine umilmente
alla gloriosa Marina di Sua Maestà», constata
soddisfatto Norrington, suscitando risa di approvazione.
Ma la sua alterigia viene scalfita non appena può
distinguere attraverso le lenti del suo cannocchiale chi siano gli
occupanti di quell’imbarcazione di fortuna.
Salve a
tutti! Ringrazio sentitamente chi è giunto fin qui e spero
che la lettura vi sia risultata piacevole e interessante ^_^
In questo primo capitolo
non accade niente di eccezionale, in verità neanche nei
prossimi mi discosterò dalla trama canonica, lo scopo di
questa ff che ho cominciato ad abbozzare parecchi anni fa, lasciandola
poi a prendere letteralmente polvere sui fogli di carta in cui l'avevo
scritta, è semplicemente quello di tentare di approfondire e
sviscerare i pensieri e le emozioni dei personaggi in un momento
cruciale della storia del primo film, quando ancora tutto è
in divenire, calcolando che il viaggio di ritorno a Port Royal possa
essere durato almeno due giorni.
Conto di pubblicare un
aggiornamento ogni 7/10 giorni, essendo già la storia in
gran parte conclusa.
Osservazioni, opinioni,
commenti e critiche sono sempre ben accetti :)
Al prossimo approdo!)
Ps.
Pubblicherò questa fanfiction e altre che ne seguiranno
anche su questo forum di recente creazione che consiglio a tutti gli
amanti della lettura e della scrittura
https://estel.forumcommunity.net/
|
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Capitolo 2 *** II – Poca corda e caduta sorda ***
Salve gente ^_^
Come promesso, ecco a
voi il secondo capitolo, in cui cominciamo a vedere cosa succede ai
nostri beniamini una volta giunti a bordo della Dauntless.
Grazie a quanti hanno
visualizzato e letto il capitolo precedente.
Come sempre vi ricordo
che commenti, opinioni e critiche sono sempre cosa gradita.
Al prossimo approdo!)
II – Poca corda e
caduta sorda
Nel mezzo della notte il sinistro lampeggiare di quel
centinaio di cannoni ancora carichi di cui si compone la poderosa
batteria detenuta dalla HMS
Dauntless, dispiegati simmetricamente su ciascuna delle
sue fiancate, incute una legittima soggezione.
È comprensibile che ad ogni sua apparizione tra le onde del
mare aperto o all’imbocco di qualche baia anche i pirati
più sprezzanti e incalliti desistano dal combattere
più di quanto non imponga loro una degna ostentazione di
furfanteria.
E dinanzi a quella spropositata potenza di fuoco, seppur riluttanti,
anche loro hanno dovuto arrendersi.
Will ferma i remi, accostandosi allo scafo panciuto e bicolore
dell’imponente nave ammiraglia della flotta inglese, dal cui
ponte giunge un vociare frenetico e confuso.
Ingoiando il dissapore che gli si è annodato in gola,
rivolge all’amata Elizabeth un lungo e intenso sguardo che
equivale ad un tacito addio, mentre si accinge a salire per prima sulla
scaletta di corda che viene loro calata dall’alto.
Lei è salva, sarà al sicuro, solo questo importa,
si persuade, preparandosi mestamente a subire la deplorevole sorte che
si è cercata, finendo per entrare in combutta con uno
scalcagnato fuggitivo dalla giustizia.
«È notevole da ogni prospettiva!»,
ammicca con un velo di lascivia Jack, torcendo il collo a sbirciare le
gambe e il fondoschiena di Miss Swann, accentuati da quei candidi
calzoni maschili che la fasciano in maniera decisamente sensuale mentre
si arrampica.
Will si vergogna di condividere per un attimo
quell’apprezzamento, poi, avvinto da un morso di gelosia,
acuito anche dal ricordo che lui ed Elizabeth abbiano trascorso del
tempo insieme da soli, imprime uno strattone alla barcaccia,
costringendo Sparrow a reggersi per non caracollare ed essere sbalzato
in acqua.
Nonostante il brusco beccheggio, il filibustiere si rialza con un
rapido slancio, barcollando e biascicando qualche protesta e, dopo aver
cercato ancora invano di avvistare in quel mare fosco un qualunque
segno della presenza del suo adorato vascello, si risolve
arrendevolmente ad aggrapparsi anche lui alla biscaglina, con una
strenua convinzione: in fin dei conti è pur sempre Capitan
Jack Sparrow, ha una brillante nomea da difendere e possibilmente
troverà qualche modo per svignarsela.
I piedi del giovane fabbro sono ben più ricalcitranti a
posarsi sui pioli di corda, sapendo di non possedere la stessa faccia
di bronzo del suo impenitente compare di malefatte
nell’affrontare l’ondata di biasimo che lo
investirà.
«Elizabeth! Stai bene, grazie al cielo!», il
governatore Swann trattiene subito la figlia in un caloroso abbraccio,
temendo che racconti al suo promesso sposo ciò che ha
combinato. «Come ti è venuto in mente di scappare?
Si può sapere che cosa avevi intenzione di fare da sola
contro quei malviventi?», la riprende poi sottovoce, sperando
di non essere udito dagli altri.
Elizabeth non sa ancora da dove cominciare a spiegarsi, ma è
sicura che gli confesserà tutta la verità: che
è fuggita per aiutare Will, perché temeva che
quei farabutti lo avrebbero brutalmente ucciso e non poteva permettere
che ciò accadesse, perché se ne sente
responsabile. E perché lo ama, lo ama dal primo giorno in
cui l’ha conosciuto e gli ha promesso che avrebbe sempre
vegliato su di lui. Non riesce a pronunciare nulla di quello che si
è ripromessa, che il Commodoro torna ad appropriarsi
dell’attenzione di tutti quando gli altri due superstiti
fanno timidamente capolino dal parapetto.
«Non rimproverate vostra figlia, Governatore Swann. Qualunque
fossero le sue intenzioni, ci è stata molto utile. Guardate
chi abbiamo qui: i signori Sparrow e Turner. L’evaso e il suo
complice. Vi credevamo morti», dichiara borioso, facendo
ridacchiare sprezzantemente tutto l’equipaggio.
«Anche noi», risponde piccato Jack, volgendogli uno
sguardo inutilmente minaccioso.
«Molto bene, tanto lo sarete presto», chiosa
Norrington, come se quell’osservazione astiosa non lo abbia
neppure sfiorato.
Will avverte un leggero brivido lungo la schiena.
C’è un che di sadico nel suo altezzoso modo di
squadrarlo, lo fa sentire inetto e inferiore.
«Portateli nelle prigioni insieme agli altri fuorilegge che
abbiamo rastrellato», dispone spicciamente
l’ufficiale, apprestandosi a girare sui tacchi ma venendo
sviato da uno sfavillante luccichio. «Aspettate! Solo un
momento», fa dietro front prima che i soldati si avventino
sui due rei, e, avvicinatosi a Sparrow, appunta un cipiglio
interrogativo sul grande assortimento di oggetti preziosi con cui
questi è agghindato.
«Oh, chiedo venia, quasi dimenticavo!», esclama il
pirata assumendo un’espressione svampita mentre accenna un
piccolo inchino, «Questi sono i miei umili doni per le vostre
fortunate nozze con l’adorabile Miss Swann», lo
schernisce irriguardoso, sfilandosi prima la corona e poi uno per uno
tutti i monili di cui si è bardato, lasciandoli cadere con
gran clangore e dispetto sulle assi.
«Felicitazioni!»
Will, che non ha aperto bocca né protestato mentre veniva
disarmato e ammanettato, si ritrova a sorridere per
l’irriverenza con cui quel tipo male in arnese riesce ad
abbindolare i suoi nemici, fingendo di tenerli in gran conto per poi
sbeffeggiarli senza pietà. Se poi oggetto del suo scherno
è quell’antipatico di Norrington, lo sberleffo,
per quanto oltraggioso, lo diverte ancora di più. Ma prova
uno stringente senso di colpa incrociando gli occhi tristi di Elizabeth
che a quell’augurio fasullo si defila intristita sottocoperta.
Non ha tempo né modo per rimediare a
quell’involontaria indelicatezza che viene subito afferrato e
trascinato dalle mani sgarbate dei soldati attraverso un boccaporto,
fino alle viscere della nave, insieme a Jack, ritrovandosi in breve
sospinto e relegato dentro una cella spoglia e buia.
Al loro arrivo un fuoco incrociato di insulti, bestemmie e versacci si
è levato tra gli altri prigionieri che li hanno riconosciuti.
«Jack Sparrow?! Brutto bastardo imbroglione! È
incredibile che tu l’abbia scampata anche questa
volta!»
«E c’è pure il piantagrane figlio di
quello sporco traditore di Sputafuoco Bill!»
I due complici, troppo abbattuti per ribattere a quell’acceso
coro di imprecazioni, si lasciano graffiare le orecchie dal loro ostile
rumoreggiare.
«Godetevi questo bel viaggetto, perché
sarà l’ultimo che farete», li deride
Gilette, inserendo una doppia mandata all’efficiente
serratura di recente fattura.
«Queste celle non le hai costruite tu, vero?»,
domanda ironicamente il pirata con la bandana rossa, tentando di
ritagliarsi un po’ di spazio sul sudicio pavimento.
«No!», afferma sconsolato il fabbro, battendo un
pugno contro la cerniera metallica, per poi acquattarsi in un angolo.
Quando la porta d’accesso al locale sottomesso viene
sbarrata, il barlume delle lampade recate dal drappello svanisce
insieme al rumore cadenzato dei loro tacchi, mentre risalgono ai ponti
superiori, lasciandoli in balia della penombra e dello scricchiolio del
fasciame e dei suoi tarli. Anche le invettive degli altri carcerati,
per lo più sfiniti, feriti o arresi a
quell’inutile protestare sulla loro sventura, vanno scemando.
Un lieve refolo d’aria salmastra s’infiltra tra le
finestrelle che sostituiscono dei veri oblò, il bagliore
della luna ormai alta non arriva a rischiarare ogni angolo angusto fin
laggiù, rendendo difficile distinguere quanti siano i
prigionieri, di cui aleggiano però i sospiri afflitti e
irritati, che trasudano angoscia e rabbia.
«Rallegriamoci! Siamo in buona compagnia»,
farfuglia d’un tratto Jack, smorzando la tensione palpabile
che si è creata dall’istante in cui
l’eco delle chiavi si è estinta. «Come
vi chiamate, belle donzelle?»
Solo allora Will, abituatosi alla fioca luce dominante, nota che ci
sono altre due persone con loro e che evidentemente non sono affatto
delle fanciulle, sebbene, per qualche bizzarra ragione, ne indossino le
vesti.
«Piantala, Sparrow! È stata tutta colpa
tua!», sbraita indignato Pintel, stropicciandosi quella
ridicola sottogonna con cui è rimasto abbigliato e svelando
di essere uno degli inquilini di quella fetida gattabuia.
«Hai visto? È come ti ho detto io: Capitan
Barbossa è riuscito a fuggire con la Perla!»,
afferma convinto Ragetti, giochicchiando con il merletto della
raffinata manica di pizzo.
«E come avrebbe fatto, con tutto questo schieramento di
forze?», continua a non credergli il compare, lisciandosi il
cranio spelacchiato.
«Possiamo chiederlo a loro due. Sono gli ultimi ad averlo
visto probabilmente … », abbozza zelante il pirata
dall’occhio di legno, con l’intento di invogliare
il collega a porre lui la domanda in sua vece.
«Capitan Barbossa è rimasto indietro.
Rassegnatevi», li zittisce seccamente Jack, sistemandosi in
un punto più lontano, tanto quanto lo consente la
limitatezza di quell’ambiente in cui già si sta
sentendo soffocare, incrociando le gambe e poggiando la schiena alla
fradicia paratia.
«Hai visto? È andata come avevo detto
io», è la risposta di Pintel, impregnata di
arrogante saccenteria.
Ragetti schiocca la lingua: «Veramente ero stato io a
pensarlo per primo e comunque non è vero. Perché
se Capitan Barbossa fosse rimasto indietro, loro sarebbero scappati e
invece è successo il contrario».
«Non ho capito», obietta confuso il tozzo
bucaniere, grattandosi la pancia pelosa strizzata in quel corsetto che
non è neppure riuscito ad abbottonare appropriatamente.
«Te lo spiego di nuovo …» sospira
pazientemente il biondino, scostandosi un ciuffo dalla fronte
impiastricciata di sudore.
Un colpo tirato vigorosamente contro le barre li fa sobbalzare:
«Barbossa è morto!», li spiazza Will,
oramai intollerante alle loro vuote chiacchiere che stanno suscitando
malumori anche negli altri vicini di cella, già alle prese
con il fastidio di ferite sanguinolente e di un’infausta
calura.
«E tanto non sarebbe mai venuto a salvarvi!»,
aggiunge un altrettanto spazientito Jack, detestando dover ricordare la
fine ingloriosa del suo acerrimo nemico.
I due compari di lungo corso seguitano a parlottare e bisticciare tra
loro sottovoce, pigiandosi in un cantuccio opposto ai due nuovi
arrivati.
«Ci impiccheranno?», passato qualche minuto
s’interroga Will, a metà tra la rassegnazione e
l’incredulità.
«È probabile», risponde serafico e
smaliziato Sparrow, strappandosi un brandello della logora camicia e
adoperandosi a fasciarsi il taglio sul palmo sinistro, aiutandosi coi
denti. «Almeno io non rimpiango nulla. La mia vita bene o
male l’ho vissuta. Mi sono tolto ben più di
qualche sfizio», continua in un improvviso assalto di
malinconia che gli vela gli occhi vivaci e profondi, adombrando anche
il suo sorriso mascalzone. «Tu, invece, non sei nemmeno
riuscito a confessarle quello che provi. O a corteggiarla come si
dovrebbe. Se solo me lo avessi chiesto …».
Il ragazzo reagisce stizzosamente, la voce calma gli
s’inasprisce in uno scatto di esasperazione: «A
quale scopo? Sta per sposare un valoroso e rispettabile ufficiale della
marina britannica. L’uomo giusto per lei», sostiene
senza credere troppo alle proprie parole, accasciandosi. Fa male
ammetterlo, ma dopotutto sa quanto ciò sia vero.
Il Commodoro James Norrington è un ufficiale pluridecorato,
vanta l’appartenenza ad una buona famiglia, è un
perfetto gentiluomo, integerrimo e affidabile, può
assicurare ad Elizabeth un avvenire sicuro e tranquillo, agiato.
Lui invece è soltanto un modesto garzone di bottega, figlio
di un padre disonesto, uno sconsiderato che ha trasgredito la legge;
non ha mai avuto nulla di solido da offrirle, men che meno adesso che
è diventato anche lui un fuorilegge.
Nulla, eccetto tutto se stesso, riflette sfiduciato, mentre tira via un
pezzo di manica della casacca, ormai sporca e consunta, per tentare
anche lui di ricavarne una fasciatura.
«Or dunque, mi hai coinvolto in questo guazzabuglio per poi
arrenderti al primo intoppo?», lo rimbrotta il pirata col
bistro, rimarcando la delusione nel suo timbro pungente screziato da
amara ironia, «Questo mi lascia pensare che la tua
aspirazione non fosse conquistare il cuore della dama, ma il mio
… Per diventare un pirata, s’intende!»,
puntualizza canzonatorio.
Will sbuffa, ma non ha voglia di replicare alla sua impertinente
provocazione, e così nella cella torna a regnare un cupo
silenzio.
Ma dura solo pochi minuti.
«Speriamo usino delle corde di lunghezza adeguata»,
esordisce improvvisamente Ragetti, attirandosi gli sguardi insofferenti
dei compagni di prigionia. «Perché ho sentito
certe storie di uomini rimasti appesi per il collo anche svariate ore
prima di crepare lentamente strangolati …»,
aggiunge in un singulto intimorito, facendo sconcertare quelli ancora
svegli che lo odono.
«In ogni caso io avrò il privilegio di essere il
primo. La mia lista di colpe è assai più lunga
della vostra», proferisce Sparrow, con un fatalismo intinto
da una punta di orgoglio, accarezzandosi la rondine tatuata
sull’avambraccio destro, poco sopra l’infamante
“P” marchiata a fuoco sulla pelle abbronzata.
«Avrei preferito una morte da pirata», singhiozza
ancora il biondino con l’occhio di legno, «Una
pugnalata, un colpo di schioppo, una sciabolata!».
«Beh, pazienza, vecchio mio», lo conforta Pintel,
poggiandogli una pacca sulla spalla «Credo che
sarà comunque meglio di morire annegati».
«Confermo», si frappone al loro macabro scambio di
vedute Jack, alterando i lineamenti in un’espressione
spiritata e inorridita.
Nella penombra, dal suo angolo in disparte, Turner li guarda di
sottecchi e non può fare a meno di considerare quanto, con
le manette ai polsi e la consapevolezza di non essere più
invincibili, quei furfanti abbiano perso tutta la loro beffarda
spavalderia.
Squittiscono come topi in trappola.
Sparrow fa scampanellare i pendagli intrecciati nella sua incolta massa
di capelli unti di salsedine: «La massima aspirazione per
ogni buon pirata che si rispetti è morire in
mare», asserisce con fare da esperto, smentendo la sua
proverbiale vigliaccheria. «Non nego che rimandare la mia
precoce dipartita sarebbe di mio gradimento, ma se proprio potessi
scegliere, vorrei essere impiccato sul molo di Londra. Sapete quanta
gente si radunerebbe per presenziare allo spettacolo dei miei rantoli
mortali?», ammicca con divertita insolenza, sfoggiando la
chiostra di denti dorati.
È sempre stato avvezzo a vivere di espedienti e a scansare
mille pericoli. La sua fine se l’è sempre
immaginata teatrale, eroica, memorabile. Finire per esalare il suo
ultimo respiro su un patibolo allestito in un posto così
piccolo, per quanto insignito dalla fama di “città più
ricca e malfamata al mondo”, non è
mai stato nei suoi piani. Gli pare piuttosto indegno per uno con la sua
lunga e considerevolmente scellerata carriera.
I compagni di prigionia scorgendo sul suo volto la sfumatura di un
sogghigno impunito si scambiano un’occhiata basita,
chiedendosi come faccia quel briccone impenitente a non prendere sul
serio neanche la morte.
Will invece ritiene di comprendere il suo atteggiamento dissacratorio.
L’apparente disinvoltura con cui discorre di
quell’argomento forse è solo un modo come un altro
di esorcizzare il profondo terrore per ciò che lo aspetta,
qualcosa su cui non ha potere.
Quando era bambino e viveva in un povero villaggio di pescatori poco
fuori Glasgow, gli è capitato di assistere alle esecuzioni
di qualche criminale di bassa lega giustiziato sulle rive del fiume
Clyde. Non ne serba un ricordo piacevole; le espressioni deformate
dallo spasimo dei condannati, lasciati appesi per settimane sulle
forche a decomporsi, con mani e piedi legati, hanno popolato per
parecchie notti i suoi peggiori incubi.
«E tu, ragazzo? Come avresti voluto morire?», lo
interpella Ragetti, il più chiacchierone e impiccione della
strana accoppiata.
Il giovane fabbro esita qualche secondo nel rispondere. Prima di quella
concitata settimana la sua vita per tanti anni è fluita
placida e tranquilla; poi, nel giro di pochi dì,
è stato trascinato in un turbine di situazioni
potenzialmente letali, correndo il rischio di finire infilzato,
sparato, annegato, sgozzato. E probabilmente adesso finirà
impiccato.
Un sorriso mesto gli stira le labbra asciutte: «Da uomo
libero».
Intanto sopra coperta le operazioni di ripulitura del ponte si sono
già concluse e, salpate tutte le ancore, ogni marinaio ha
ripreso la propria mansione.
Il mare è calmo, ma una tiepida brezza soffia costante e
favorisce la navigazione, facendo ben sperare in un viaggio rapido e
senza impedimenti.
Elizabeth, approfittando del momentaneo disinteresse generale nei suoi
confronti, si è chiusa nell’ampio alloggio
prestatole dal Commodoro. La sua mente insonne ed eccitata non smette
di ripercorrere gli avvenimenti di quegli incredibili giorni.
La paura provata al cospetto di quei pirati dalle sembianze di
scheletri adesso la fa vergognare: ha reagito come una sciocca
ragazzina fifona, ma poi ha anche saputo mettersi alla prova,
sfoderando una prontezza di spirito che non immaginava di possedere.
D’altronde la comoda e oziosa vita di giovane aristocratica
non le ha mai permesso di misurarsi con situazioni particolarmente
difficili: il massimo sforzo è stato eseguire bene un
inchino o ricordarsi nomi, titoli e rango degli ospiti che incontrava
ai vari tediosi ricevimenti cui era invitata per evitare brutte figure.
Non le è a mai parsa vita vera, quella: è stato
come vivere in una gabbia dorata, in cui tutto è fondato
sull’apparenza. Al contrario sul mare sono soltanto le doti
di ciascuno a rendersi necessarie per la sopravvivenza. E lei
conserverà per sempre il ricordo di quei momenti, ora che
è dolorosamente consapevole che non si ripeteranno.
Il destino le ha fatto sperare di poter cambiare rotta, ma poi
l’ha riportata al molo di partenza. Non senza conseguenze:
Will ora potrebbe rischiare il capestro a causa sua.
Come le è venuto in mente di usare il suo cognome?
Perché non fa altro che pensare a lui, indubbiamente, ma
anche perché era curiosa di scoprire quale fosse il
significato di quel misterioso medaglione che gli aveva sottratto anni
addietro.
Se davvero diventerà la signora Norrington, vuole che almeno
il suo amore d’infanzia si salvi da quella morte orribile e
indegna. Lo difenderà ad oltranza, farà tutto
ciò che è in suo potere per perorare la sua
causa, purché venga risparmiato da una simile condanna.
E in quanto a lei … Forse si rassegnerà, si
accontenterà di ciò che ha, diventerà
una buona moglie, quieta, composta, accomodante, così come
richiede la società e il suo ceto.
Potrebbe riuscirci, se lui si trasferisse a vivere altrove,
più lontano possibile dalla probabilità di
imbattersi l’uno nell’altra; le basterebbe saperlo
al sicuro, sereno e appagato.
O forse, prima o poi, vivere nella falsità la annienterebbe
e farebbe l’impossibile pur di ritrovarlo.
Nel caso in cui Will invece decidesse di restare a Port Royal
… forse non riuscirebbe a resistere alla tentazione,
s’incontrerebbero clandestinamente, comprometterebbe la sua
rispettabilità, e, dovendo mentire costantemente a se stessa
e alle persone più vicine, diventerebbe una moglie
insoddisfatta, inquieta, infedele, la sua salute mentale cederebbe, e
finirebbe come una di quelle eroine tragiche della letteratura che ha
tanto compatito.
Le sembra di avere un cappio che le stringe sempre più forte
la gola, ha le tempie che pulsano, gli occhi bruciano, sale amaro le
impasta la bocca. Elizabeth si alza dalla scomoda branda, stizzita da
se stessa. Non è mai stata una ragazzina dal pianto facile,
ha versato pochissime lacrime perfino dopo la prematura scomparsa di
sua madre, non sopporta di sentirsi tanto fragile e inerme, di apparire
indifferente alla sorte avversa che li attende non appena avranno
rimesso i piedi sulla terraferma.
Deve agire, fargli sapere che lo proteggerà,
difenderà il suo diritto di esistere.
Totalmente infervorata dall’ansia di rivederlo, di chiarirsi,
si slancia verso la porta, decisa a scendere nelle prigioni, non le
interessa quanto possa essere sconveniente. Ma non appena avverte un
timido bussare e distingue la voce un po’ preoccupata del
padre richiamarla, si lascia andare ad un sospiro rassegnato, le
braccia cadono inerti lungo i fianchi.
«Sei sicura che vada tutto bene? Avrei bisogno di parlarti.
Non ho neppure potuto chiederti come stai», insiste con
premura il genitore, convincendola ad aprirgli.
«Entrate, padre. Sto bene. Sono solo un po’
stanca», bisbiglia tenendo gli occhi bassi, per timore che
lui possa notarne il rossore.
«Sono riuscito a recuperare del thè», la
sorprende piacevolmente l’uomo imparruccato, porgendole una
sobria tazzina fumante, «Sfortunatamente sono sprovvisti di
latte e zucchero».
«Non fa nulla. Grazie», Elizabeth accetta
volentieri l’offerta, inspirando l’aroma speziato
del liquido brunastro, bagnandosi appena le labbra mentre si siede sul
bordo del lettino.
Il governatore Swann si guarda attorno per qualche secondo, scegliendo
infine una seggiola dalla federa di velluto su cui potersi ugualmente
accomodare: «Confesso di non aver ancora ben capito cosa sia
realmente accaduto …», balbetta sorseggiando a sua
volta, visibilmente a disagio nel riuscire a trovare le parole
più sensate. «Quei pirati non erano, non
sembravano … Voglio dire, erano …».
«Erano maledetti», asserisce la ragazza, intuendo
dal suo muto interrogarla smarrito di essere stata troppo diretta.
«Lo sospettavo», mormora Swann, le pupille dilatate
dallo sgomento e lo stomaco sferzato da una fitta nel ricordare il suo
impacciato tentativo di respingere gli orripilanti assalitori che erano
penetrati sin dentro la cabina in cui aveva cercato invano rifugio
durante il caos della battaglia.
Così Elizabeth gli narra la leggenda dell’oro
maledetto di Cortés, gli riferisce per sommi capi cosa ha
passato da quando è stata rapita, trascurando di soffermarsi
espressamente sui momenti in cui ha rischiato in maggior misura la sua
incolumità e il suo onore, tenta di spiegare con
più calma e razionalità possibile quello che
anche per lei è ancora arduo considerare come reale. Tutte
le sue più ferme certezze sono state cancellate,
ciò che di contro credeva fossero soltanto innocue storie di
fantasia, intrise di superstizione popolare, sono state confermate come
assolutamente vere dalla strabiliante esperienza che ha vissuto in
prima persona.
Suo padre si limita ad accompagnare il suo racconto con qualche
esclamazione timorata e sbigottita e con qualche commento distratto,
cambiando continuamente posizione sulla seduta, quasi il cuscino fosse
imbottito di spilli. E lei lo conosce sin troppo bene per non
sospettare che ci siano altri pensieri a turbarlo, ora che si
è rassicurato sulla sua integrità.
«Avrei anche qualcos’altro da dirvi. Ma prima
cominciate voi», lo esorta conciliante, trattenendosi
dall’intraprendere la conversazione che le preme di
più affrontare con lui.
«Ecco, poco fa a cena, la cena di cui tu hai declinato
l’invito» sottolinea contrariato, «il
Commodoro Norrington mi ha confidato che intende dare inizio ai
preparativi per le nozze non appena avrà sistemato la
faccenda dei pirati a Port Royal», la informa
frettolosamente, come si fosse tolto un peso dalla coscienza.
La ragazza non può fare a meno di aggrottare la fronte in
segno di disappunto: «E voi cosa gli avete
risposto?»
Gli occhi del governatore Swann brillano di compiacimento:
«Vedi, Norrington mi ha confessato di possedere
già una dimora più che dignitosa cui andrebbero
apportate solo poche modifiche per renderla consona ai bisogni di una
giovane coppia di sposi, al che io gli ho fatto presente che per quanto
concerne questi dettagli dovrebbe discutere e accordarsi direttamente
con te», si esprime con più discrezione possibile,
non nascondendo però l’intima speranza che lei
mantenga fede alla promessa informale pronunciata solo un giorno fa.
La giovane figlia gli tende una mano: «Grazie,
padre», sussurra con un amarognolo nodo alla gola,
abbracciandolo.
«Ad ogni buon conto. Tu cos’è che volevi
dirmi», la riscuote lui, scostandola da sé e
scrutandola impensierito.
«Si tratta di Will Turner …», Elizabeth
esita, mordendosi una guancia, mentre l’afflizione e un senso
di fallimento le solleticano le ciglia. Sarebbe il momento
più adatto per confessargli che invero non ha alcuna
intenzione di unirsi in matrimonio con quell’uomo freddo,
inappuntabile e impettito, che la sua vita con lui sarebbe
insignificante, vuota e indiscutibilmente infelice. Tuttavia non vuole
scontentarlo, è stata troppo spesso una bambina
disubbidiente, mettendo a dura prova la sua pazienza e la sua
bontà; ormai è una donna, deve rimediare ai suoi
errori, dire addio ai capricci e alle trasgressioni, deve farsi carico
dei suoi doveri, se vuole continuare a dimostrargli la sua gratitudine
e guadagnare la sua stima.
Allora, assumendo un atteggiamento all’apparenza neutrale,
espone con ponderatezza la sua richiesta: «Quel ragazzo ha
messo volontariamente a repentaglio la sua vita per salvarmi. Lo
conosco da quando eravamo bambini. Siamo cresciuti insieme, giocavamo
insieme. Si è sempre comportato onestamente. Non ha niente
da spartire con quei furfanti. È stato costretto ad unirsi a
loro per tentare di liberarmi», si interrompe a riprendere
fiato, essendosi accorta di non aver potuto evitare di palesare un
coinvolgimento che trascende la volontà di affermare la sua
innocenza. Si ravvia i capelli dietro le orecchie, fissando i grandi
occhi da cerbiatta in quelli del genitore, che finora l’ha
ascoltata cogitabondo: «Ecco, in virtù di queste
ragioni, vi sarei oltremodo riconoscente se vorreste concedergli la
vostra clemenza. Lo farete?»
Weatherby Swann trae un sospiro indulgente: «Potrei mai
negartelo e sapere che in cuor tuo me lo rinfacceresti per il resto dei
miei giorni?», è la sua pacata risposta, che forse
serba in sé la comprensione di ciò che lei non ha
ancora avuto l’animo di confessargli apertamente.
La ragazza si scioglie in un timido sorriso di ringraziamento, tornando
a cercare conforto tra le sue braccia, un gesto pressoché
insolito per entrambi, che sporadicamente sono stati propensi ad
esternare in modo tanto tangibile il loro reciproco affetto.
«Dopotutto lo avevi anche chiesto come dono di nozze al tuo
futuro marito», soggiunge il governatore, dandole
l’impressione di stare tastando la sua sincerità.
Ma Elizabeth non si scompone: il suo amato Will non morirà
orribilmente appeso a una corda, tutto il resto passa in secondo piano.
«Era soltanto questo ciò di cui volevi
parlarmi?» la pungola per un’ultima volta Swann, un
barlume enigmatico nello sguardo, cui lei annuisce con risolutezza.
«Allora buona notte, cara», le bacia la fronte e
così dicendo si congeda, lasciandola in compagnia dei suoi
dubbi.
“È
stato facile”, valuta mentalmente la ragazza,
pur domandosi se suo padre le abbia creduto senza essere intaccato da
troppi sospetti.
Si spoglia della pesante giacca, delle scarpe con la fibbia e dei rozzi
pantaloni di tela, tutti indumenti che non le appartengono, che
però non ha avuto alcuna difficoltà a calzare. Ci
si muove molto meglio con abiti semplici e rozzi come quelli, rispetto
ai corsetti e alle innumerevoli sottovesti che è tenuta ad
indossare quotidianamente, si ritrova a riflettere, stendendosi sulla
branda.
Per la prima volta, dentro quegli abiti impropri per una donna, si
è sentita se stessa. Libera. E le è sembrato di
essere capace di fare qualunque cosa, che tutto fosse possibile.
La stessa inebriante sensazione provata vicino a Will.
Infinite volte, nella sua fervida immaginazione, ha vagheggiato di
trovarsi insieme a lui su di un vascello pirata, a battersi contro
temibili corsari nemici armati fino ai denti, a lottare per non essere
inghiottiti dalla furia di un oceano in tempesta, a duellare schiena
contro schiena con lui, respingendo e annientando chiunque volesse far
loro la pelle.
A navigare su placide acque imporporate dal sole al tramonto o
brulicanti di miriadi di luci per il riflesso delle stelle, mentre se
ne sarebbero stati abbracciati stretti sotto la volta celeste, loro
unico tetto e unico testimone della loro ardente passione.
Lasciandosi cullare da quel dolce flusso di fantasie e sogni
irrealizzabili, il suo corpo e la sua mente esausti scivolano
gradualmente in un confortante sonno traboccante di speranze e ricordi.
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Capitolo 3 *** III – Non ci sono eroi fra i ladri ***
III – Non ci sono eroi
fra i ladri
- Tutta a dritta!
È un confuso brusio, un sommesso cigolare, un leggero
sgocciolio che accompagna il risveglio dei suoi sensi annebbiati dalla
coltre di un sonno inquieto, affollato da immagini spaventose e
raccapriccianti. Quel suono di acqua che scorre a gocce è
così vicino al suo orecchio, che Will finisce per schiudere
le palpebre appiccicaticce, ritrovandosi ad un palmo dal naso un paio
di brache calate su due gambe magre e pallide.
Il giovane, ancora un po’ intontito dalla brusca ripresa di
coscienza, mettendo a fuoco nel labile chiarore del mattino il resto
della figura in piedi accanto a lui, si scosta d’impulso,
battendo sonoramente la nuca sulla grata di ferro.
«Ben svegliato, giovane Turner!», lo saluta
sogghignante mastro Pintel, comparendo alla sua destra.
Nel mentre Ragetti, dopo una scrollatina, si rialza i calzoni, richiude
la patta e riabbassa la gonna: «Quasi non ricordavo
più come si fa!», sbotta ironico, e poi,
porgendogli con nonchalance il secchio in cui ha urinato,
«Vuoi favorire?»
Il ragazzo inghiotte a vuoto, temendo di essere molto vicino ad avere
un conato di vomito, pur avendo lo stomaco sostanzialmente digiuno.
L’odore persistente del sego delle candele ormai consunte si
mescola al tanfo acre del sudore, di sangue e sporcizia, ammorbando
l’aria immobile che puzza terribilmente di umidità
e di rinchiuso.
Il briccone con la pelata e i capelli arruffati gli si rivolge ancora:
«Che c’è, ragazzino? Ti vergogni? Sei
proprio la copia sputata di Sputafuoco Bill!», sghignazza
irriverente, contagiando con la sua vena canzonatoria il compare di
scorribande che ridacchia reiterando: «Sputafuoco sputato!».
Will inspira a fondo, premendosi le dita sulle tempie pulsanti,
incassando la becera battuta. Dopo la loro tetra dissertazione della
sera precedente, non si aspettava che recuperassero così
velocemente quella smargiassa spudoratezza.
In lui, invece, al rammarico e al timore sta subentrando una disperata
apatia.
Non riesce ancora a capire se sentire nominare suo padre gli susciti
più risentimento o delusione, avendo scoperto chi fosse
realmente, da dove provenissero i suoi sparuti regali. Eppure
è combattuto anche dal desiderio di sapere qualcosa di
più su di lui. Gli fa uno strano effetto sentirsi ripetere
da tutti che gli somiglia, se lo ricorda così poco ...
«Non arriveremo a Port Royal prima dell’alba di
domani», afferma navigato Sparrow, sbirciando il cielo livido
da una stretta finestrella e aspirando avidamente l’aria
salmastra, «Ti conviene approfittare, se non vuoi che ti
scoppi la vescica», sbiascica caustico.
Avvertendo effettivamente una certa pressione sul basso addome, il
ragazzo dopo qualche secondo è costretto malvolentieri a
dargli retta. Stiracchia gli arti anchilosati dalla posizione scomoda
di quel duro giaciglio improvvisato e lentamente si rimette in piedi.
L’essere ammanettato gli rende penoso espletare quel naturale
atto corporeo, e ancora di più lo inibisce quella situazione
di promiscuità cui non è abituato, ma che a tutti
gli altri non suscita il minimo imbarazzo. Spontaneamente si domanda
quante volte Bill Turner, per quella sua discutibile scelta di
diventare un bucaniere, si sia ritrovato in simili frangenti
degradanti, intrappolato tra squallore e sudiciume.
«Non gettarla fuori, siamo controvento», gli
raccomanda con saccenteria il pirata più smilzo, quando
intuisce che ha finito, facendolo sentire nuovamente uno sprovveduto.
Will riappoggia il lercio recipiente di legno per terra e si scosta,
pulendosi alla bell’e meglio le mani sulle ginocchia. Se il
suo futuro prossimo, breve o lungo che sia, sarà quello di
miserabile recluso, deve imparare alla svelta a non essere troppo
schizzinoso.
Ragetti intanto riavvicina a sé il secchio, scambiandosi un
sorrisetto diabolico con il compare di lungo corso.
«Comincio ad avere una fame boia, accidenti»,
prorompe innervosito quest’ultimo, massaggiandosi la pancia
che brontola.
Il biondino di fronte a lui si sfrega l’occhio finto,
bofonchiando: «Non penso ci daranno qualcosa da mettere sotto
i denti. Oramai siamo cadaveri che respirano. Non che prima la nostra
situazione fosse tanto diversa …».
Morte. Ne parlano con tale naturalezza. Turner sospira avvilito,
affacciandosi alla feritoia.
«Beh ma, giacché non sono ancora morto, ho una
dannata fame!», insiste a cercare ragione il furfante calvo e
tarchiato, ottenendo riscontro dagli altri sodali imprigionati, che
cominciano a vociare e protestare anch’essi, picchiando con
le catene contro le sbarre.
«Io ho voglia di sbronzarmi. Mi scolerei anche un intero
barile di rum. O forse un’intera stiva di barili di
rum», borbotta tra sé e sé Jack
Sparrow, le iridi liquide e le labbra incurvate in sorriso bramoso al
solo vagheggiare l’appagamento di un simile desiderio, che
gli fa aumentare la salivazione.
Quasi invocati dalle loro lamentele, irrompono quattro soldati, subito
assaliti da coloriti improperi. Si accertano che durante la notte non
ci siano stati altri decessi tra i feriti più gravi,
né che qualcuno abbia tentato di forzare le serrature delle
prigioni. Rassicurati sull’assenza di rischi per potersi
accostare a quegli uomini scellerati capaci di tramare qualunque
insidia, richiamano un quinto soldato che reca con sé un
pentolone.
Quel pietoso rancio, che è probabilmente composto dai
rimasugli di quanto avanzato dalla mensa destinata ai residenti dei
ponti superiori, viene distribuito riempiendo delle scodelle fatte
passare appena sotto le grate di ogni cella, in numero notevolmente
inferiore alle bocche da saziare, così che tra quei furfanti
si scatena una gazzarra per accaparrarsi il misero pasto.
Appena giungono davanti alla loro soglia, Will nota un furtivo scambio
di occhiate tra i due ex cannonieri della Perla Nera. Con un movimento
fluido il magrolino si alza, la secchia di urina tra le braccia, e
adesso il suo intento gli è chiaro. Vorrebbe avvertire in
qualche modo il malcapitato marinaio, ma d’un tratto accade
qualcos’altro.
Sparrow stende una gamba, per poi ripiegarla rapidamente contro il
busto; guarda Will inarcando le sopracciglia, intimandogli di tacere. E
lui, non sa né come né perché, lo
asseconda. Quell’uomo scorretto e ambiguo esercita un insano
ascendente su di lui.
Ragetti, ignaro del suo sleale sgambetto, prevedibilmente inciampa,
riversandosi addosso tutto il maleodorante contenuto. Il soldato invece
si allontana, lanciandogli con negligenza le ciotole mezze piene,
neanche fossero animali da foraggiare.
«Così finalmente ti deciderai a toglierti quel
vestito da donnicciola!», lo motteggia un collega della
ciurma che ha assistito alla scena dalla cella opposta, scatenando il
riso malevolo degli altri pirati.
«Era grazioso come abito, però»,
s’imbroncia il diretto interessato, sgusciando
impacciatamente fuori dal corpetto e dalla gonna color malva, che il
defunto quartier mastro Bo’sun lo aveva costretto a indossare
per creare un diversivo.
«Smettila di dire così! Sei un invertito o cosa?
Mi fai vergognare!», lo ammonisce irritato Pintel,
spogliandosi anche lui di quel che resta dello sbrindellato abito
giallo canarino.
Mentre i due si ricompongono, risistemandosi le consuete vesti
piratesche che avevano mantenuto sotto il buffo travestimento, Jack
annusa circospetto la brodosa vivanda, che ha la vaga parvenza di
essere una zuppa di pesce: «Mi sento magnanimo, signori. La
lascio a voi», arriccia il naso schifato.
Il giovane Turner intanto gli si accosta e, scartata anche lui quella
repellente brodaglia, spostandone la ciotola, tenta di estorcergli una
confessione: «Perché lo hai fatto?»,
indaga cauto, inclinando il mento in direzione dei due furfanti che
continuano a lagnarsi dello sgradito incidente, quando il pirata finge
di non capire il suo sottinteso.
«Non mi piaceva il modo in cui sparlavano di Bill»,
rimastica stringato quello, deviando lo sguardo verso una minuscola
apertura che mostra acque leggermente increspate.
Nonostante la laconicità della sua risposta, Will rimane
stupito di ricevere tale sincera ammissione da parte di quel tipo che
sembra sempre pronto a schermirsi e a indossare una cinica maschera di
menzogne; perciò s’incoraggia a chiedere ancora:
«Lui com’era? »
L’ex capitano lo sbircia appena, scoccandogli un cipiglio
serioso e infastidito, poi reclina la testa contro il tramezzo
metallico, il suo accento è schietto, quasi nostalgico:
«Era un tipo schivo, mansueto, impulsivo. Cocciuto come uno
stramaledetto mulo. Sapeva farsi valere, quando ce n’era
bisogno. Se qualcosa non gli andava a genio, non temeva di dire il
fatto suo, anche cacciandosi scelleratamente nei guai … Ne
abbiamo combinate a bizzeffe, ai bei tempi andati».
Una baraonda di ricordi, alcuni graditi, altri spiacevoli, gli
sfarfalla davanti agli occhi.
Si perde per qualche istante nel ripensare ai loro rocamboleschi
trascorsi insieme a caccia di mitici tesori, tra le Americhe e
l’Estremo Oriente, alle audaci azioni piratesche perpetrate
contro altri loschi individui di malaffare.
«Ti aveva mai raccontato di me?», lo incalza
imperterrito il ragazzo, più scettico che speranzoso,
afferrandosi le ginocchia, dondolando lievemente, in una posa quasi
infantile. Jack lo scruta di sbieco: ora davanti a lui
c’è soltanto un bambino cresciuto troppo in fretta
che si sforza di apparire forte e inscalfibile, mentre elemosina
qualche briciola di conforto che sfami il suo bisogno di approvazione.
Non è estraneo a tale anelito.
D’improvviso torna in sé: «Forse. Non mi
ricordo», glissa con freddezza, scrollando le spalle e
incrociando le braccia dietro il collo, sollevato di riuscire ancora
imperturbabilmente a mentire.
Turner non insiste a stuzzicarlo, piuttosto si strofina un avambraccio
sul viso madido, emettendo un sussurro dolente: «Stavo
pensando che, ovunque fosse … potremmo averlo ucciso,
spezzando la maledizione».
Sparrow è sconcertato da quella terribile deduzione, ma non
è tipo da indulgere in rimpianti: «Non pensarci.
Era l’unico modo. E tanto ormai non puoi cambiare le
cose».
C’erano soltanto il timoniere e qualche mozzo intento a
strigliare il ponte di coperta, quando è sgattaiolata fuori
ai primi albori, sospinta dall’irresistibile bisogno di
riempirsi gli occhi dello straordinario azzurro di quel mare
cristallino, di sentire il vento caldo dei Caraibi scompigliarle i
capelli liberi da acconciature, avvertirlo infilarsi sotto il tessuto
di percalle, solleticandole deliziosamente la pelle intirizzita dal
freddo della notte, come una peccaminosa e proibita carezza.
Aveva fatto spesso quelle sortite anche durante la lunga traversata
oceanica che, più di otto anni prima, su quella stessa nave,
l’aveva condotta dalla nebbiosa Inghilterra
all’assolata Giamaica, con gran disperazione della sua
governante.
Adesso non c’è stato nessuno a controllare le sue
mosse, è riuscita a eludere facilmente la stretta
sorveglianza di due piantoni e di suo padre, che pure alla fine si
è arrangiato a dormire nel suo stesso alloggio, troppo
grande e confortevole per non essere diviso almeno fra due occupanti.
Ha voluto evitare di permettergli di intuire che ha continuato a
struggersi, nel sonno e soprattutto nella veglia, e così
è fuggita via. Via dalle futili farneticazioni, via dagli
insostenibili sensi di colpa, via dai suoi pensieri tormentosi che
tornano sempre inevitabilmente a ruotare intorno a lui.
Elizabeth distoglie lo sguardo dalla fasciatura alla mano sinistra,
tentando di scacciare la memoria del suo amorevole tocco e delle
indecenti sensazioni che le ha fatto divampare dentro, quando poi le
sue dita callose l’hanno sfiorata sul collo. E quando
l’ha fissata con quello sguardo ardente di adorazione,
manifestando tutto quello che provava per lei, anche senza la
necessità di parlare ... Come avevano potuto restare
impassibili, pur avvertendo quella tensione che li spingeva ad
annullare le distanze? Sarebbe bastato così poco per
cambiare ogni cosa.
Espira lentamente. Ha sperato che trascorrere qualche minuto
lassù potesse aiutarla ad alleggerire la testa e il cuore
dal peso della responsabilità che sente gravare su di
sé, avendo accettato di piegarsi a quel mortificante
compromesso che cambierà per sempre il corso della sua vita.
Invece perfino il tempo atmosferico sembra riflettere il suo malumore:
nubi temporalesche si addensano all’orizzonte e le onde si
stanno ingrossando.
Perdendosi ad osservare le creste grigie che si infrangono sullo scafo,
si domanda ancora se sarà mai capace di non desiderare
più di avere al suo fianco la presenza confortante ed
eccitante di Will Turner e di riuscire ad essere una buona moglie per
l’irreprensibile James Norrington. Un uomo rigido e ligio al
dovere come lui perché mai ha scelto di chiedere la mano ad
una giovane acerba e refrattaria all’etichetta come lei? E
per quale motivo aspira a sposarsi? Rischia quotidianamente la pelle,
mette piede a terra per pochi giorni all’anno, è
tutto preso dalla smania di far carriera e non avrebbe tempo da
dedicare ad una come lei, che si sente ancora una ragazzina desiderosa
di vivere fuori da costrittive mura domestiche, di esplorare il mondo
in tutta la sua grandezza e varietà.
Si sporge un po’ di più dalla ringhiera di prua,
riuscendo a scorgere il leone e l’unicorno scolpiti sulla
polena della Dauntless e, per qualche minuto, decide di chiudere le
palpebre, lasciandosi trasportare dal suono cadenzato delle onde,
restando in ascolto degli scricchiolii del legno, del fruscio delle
corde e delle schioccare delle vele, fantasticando su quanto le
piacerebbe udire sempre quei suoni, mattina e sera …
«Ah, Elizabeth, eccoti qui. Stanno per servire il
pranzo», la voce compassata di suo padre giunge come una
secchiata d’acqua fredda, che le rammenta come il tempo per
sognare si sia drasticamente esaurito. Raddrizza la postura, si
riabbottona nella giubba rossa per coprire le inopportune trasparenze
della camiciola e si volta verso di lui con un saluto cordiale,
facendosi prendere sottobraccio e accompagnare alla cabina del Capitano.
Il Governatore Swann affretta il passo, faticando a mantenere
l’equilibrio per il beccheggio crescente. Non gli
è mai piaciuto navigare, eppure, non appena gli è
stata ventilata la possibilità di farlo, ha abbandonato la
comoda ed elegante scrivania di noce del suo ufficio di Fort Charles e
si è imbarcato senza esitazione, perché non
sopportava l’angoscia di dover aspettare passivamente
l’arrivo di una missiva per accertarsi che la sua unica
figlia fosse stata tratta in salvo dalle grinfie dei rapitori e stesse
per tornare a casa illesa.
Le porte della sala adibita a convivio vengono aperte da due camerotti,
che indicano agli Swann i posti loro destinati, affaccendandosi a
finire di apparecchiare.
Il Commodoro James Norrington e i suoi due ufficiali, i tenenti Andrew
Gillette e Theodore Groves, in piedi davanti all’ampia parete
vetrata di poppa, si esibiscono all’unisono in un ossequioso
inchino; poi gli ultimi due, scambiando qualche altra parola con il
loro superiore, prendono congedo, tornando sul ponte di comando.
Al Governatore è riservato il posto a capotavola, mentre i
novelli fidanzati sono fatti sedere uno di fronte all’altra
nel lungo tavolo imbandito in maniera frugale.
«Miss Swann», Norrington le omaggia di nuovo una
galante riverenza, attendendo che sia lei la prima a sedersi.
«Spero abbiate riposato bene, nonostante la mancanza delle
comodità cui siete usa. Sono desolato di non aver potuto
offrirvi niente di meglio del mio spartano alloggio.
D’altronde una nave non è il luogo più
adatto ad una signora», opina con tono severo ma affabile,
afferrando le posate, potendo così evitare di contemplarla
più del necessario. La sua naturale e fresca bellezza, con i
lunghi capelli sciolti che le ricadono scomposti sulle spalle,
è ancora più spaventosamente disarmante.
Elizabeth non vuole essere scortese, né apparire troppo
condiscendente: «Ad essere sincera, Commodoro, mi
è risultato alquanto gravoso riuscire a prendere sonno,
sapendo che molti uomini nelle scorse ore hanno perduto la loro vita o
sono moribondi a causa mia, e che pochi metri sotto di noi ci sono
uomini destinati a patire una sorte altrettanto ignobile, se non
peggiore», asserisce con una sfumatura polemica, rimestando
il cucchiaio nel piatto fondo senza arrivare a portarlo alla bocca.
L’ufficiale inglese sente su di sé lo sguardo
giudicante di entrambi i suoi ospiti, perciò poggia il tozzo
di pane che ha spezzato con gesti misurati, puntando gli occhi sulla
giovane e indocile aristocratica di cui è infatuato:
«Ogni soldato nel momento stesso in cui si arruola
è consapevole di dover mettere in conto un prezzo molto
elevato per difendere i valori in cui crede e che ci consentono di
prosperare: civiltà, ordine, legge. E per quanto concerne i
pirati … Beh sono coscienti che l’immorale rotta
da loro intrapresa alla fine li condurrà alla
dannazione», argomenta irreprensibile e spassionato.
La ragazza è quasi invidiosa della sua compostezza; lei
invece ha sempre avuto difficoltà a non accalorarsi quando
è in disaccordo: «Ritengo sia comunque eticamente
discutibile, vantarci di essere civili e progrediti, e poi infliggere
ancora oggi certe barbare condanne a chi sbaglia. Chi ci dà
il diritto di privare un essere umano della sua facoltà di
scegliere come vivere …»
«Elizabeth!», la richiama al contegno suo padre,
tamponandosi le labbra col tovagliolo, «Se sei ancora
preoccupata per il tuo amico, ti ribadisco che non appena tornati a
Port Royal, emanerò un provvedimento di clemenza a suo
favore», la rassicura lanciandole un’occhiata
supplice e ammonitoria. Con quel suo ostinato impuntarsi a difendere
tali canaglie, sembra che voglia fare un affronto a lui e alla sua
autorità.
«Vi riferite al signor Turner?», si acciglia il
Commodoro Norrington; più che una domanda è quasi
un’affermazione. Non è cieco, negli ultimi anni, e
soprattutto con il susseguirsi degli ultimi eventi, ha intuito quanto i
due coetanei siano reciprocamente affezionati.
Benché abbia ancora delle riserve su quell’orfano
dal passato ignoto ripescato dopo un tragico naufragio; è
diventato un bravo artigiano, puntuale, capace e serio, forse il suo
garbo, il suo riserbo e il suo aitante aspetto possono risultare
attraenti ad un occhio femminile, ma non gli è mai parso
tanto speciale da essere degno dell’alta considerazione di
una lady del suo rango. Che abbia dei talenti nascosti, di cui lui non
è a conoscenza?
Il Governatore Swann giustifica la sua magnanima decisione:
«Concordo sia giusto che resti in cella per la durata del
viaggio, affinché abbia modo di riflettere sulla sua
disdicevole condotta, ma il signor Turner è sempre stato un
ragazzo perbene, non si è mai macchiato di alcun delitto.
Sono certo che avrà occasione di redimersi, in fondo
è ancora molto giovane. In quanto a tutti gli altri
… Buon Dio! Un trattamento eguale è fuori
discussione! Sono nemici della corona e
dell’umanità, devono pagare il loro conto alla
giustizia», decreta irremovibile, intimando persuasivo alla
figlia: «Mi auguro tu non abbia nulla da ridire su questo
punto, Elizabeth».
Lei annuisce, e, non trovando niente di più pertinente da
aggiungere si limita a bisbigliare: «No, padre. Certo che
no», bevendo un sorso d’acqua per deglutire lo
sdegno.
Vedendola insolitamente remissiva, James Norrington invece ci tiene a
fare una puntualizzazione: «Non temete, Miss Swann. Non
è nei miei piani trasformare la nostra bella isola, che ha
già patito la distruzione e il lutto per mano di quei
malviventi, in un cimitero a cielo aperto. La maggior parte di quei
criminali saranno trasferiti in carceri oltreoceano. Basterà
giustiziarne pubblicamente uno per dare l’esempio a tutti e
vendicare l’onta della vile aggressione che abbiamo
subito».
Le palpebre della ragazza hanno un leggero fremito. Crede di aver
intuito a chi stia sottintendendo: «Jack Sparrow?»,
esterna timorosa della sua stessa perspicace conclusione.
«Esatto. Ha già mancato il suo precedente
appuntamento col patibolo», assevera impietoso il Commodoro,
lasciando comparire una smorfia di spregio sul volto arrossato, mentre
impugna forchetta e coltello per sminuzzare il filetto di merluzzo.
Elizabeth stringe le labbra. Aveva quasi dimenticato che anche sul
bislacco avventuriero dai magnetici occhi bistrati pende una condanna
capitale. Dopo aver letto tanto di lui e delle sue incredibili prodezze
nelle cronache e nei gazzettini locali, conoscerlo di persona ad un
primo impatto è stato emozionante, spiazzante e un
po’ deludente. Astuto, egoista, manipolatore, ha compiuto
atti spregevoli, li ha circuiti per i suoi scopi, eppure ci sono lati
del suo carattere che hanno riscosso la sua ammirazione: è
tenace, spericolato, spiritoso, a suo modo cavalleresco, e in parte
ispirato da ideali di libertà e ribellione che condivide.
Assistere alla sua esecuzione sarà come dire addio
definitivamente alla spensieratezza della sua infanzia.
Qualche ponte più giù, nelle celle di bordo, i
prigionieri, spossati dalla noia, dalla debolezza e dalla limitata
ventilazione, sono quasi tutti assopiti.
Ci ha provato e riprovato ripetutamente anche lui a farsi una dormita,
ma la sua brillante mente tattica lo tiene vigile, vagliando tutte le
possibili azioni da mettere in atto per uscire indenne da
quell’inghippo. E non è un inghippo da poco,
stavolta.
Quel Commodoro sembra un tipo piuttosto ostico e sciaguratamente
fortunato: è già riuscito a catturare
l’imprendibile Capitan Jack Sparrow per ben tre volte negli
ultimi cinque giorni! Presupposto che lo rende un avversario temibile,
da non sottovalutare. Anche perché può contare
sul leale supporto di parecchi uomini, esaltati quanto lui dal senso
del dovere e dall’odio per i fuorilegge conclamati come lui.
Jack Sparrow sente come un rigurgito di bile raschiargli la gola. Sa
bene che da qualche tempo ormai, più precisamente da quando
si è fatto sottrarre stupidamente la Perla Nera, molti non
serbano più una grande opinione di lui. Eppure non ha ancora
digerito il torto infertogli dalla nuova ciurma. Già, ma chi
è stato il capo degli ammutinati, questa volta?
Gibbs non ce lo vede a commettere una simile carognata: anche se
è ligio al Codice, è un uomo troppo mite e non ha
mai avuto alcuna attitudine al comando; in quanto alla combriccola di
derelitti da lui raccattati, gli sono parsi per lo più
abbastanza tonti, quando non servizievoli e passivi.
«Anamaria!», sibila indispettito tra se e
sé. La bella e intraprendente mulatta potrebbe benissimo
aver organizzato la sommossa, scontrosa e vendicativa
com’è.
E poi si sa, le donne si legano al dito ogni minimo torto e prendono
tutto troppo alla lettera, rimugina scornato.
Neanche Will Turner, alle prese coi suoi patemi amorosi, riesce a
trovare requie. Malgrado lo spazio angusto a sua disposizione, continua
a camminare in tondo, avanti e indietro, incapace di rassegnarsi al
fatidico destino che lo attende.
Di colpo il consumato filibustiere è fulminato da
un’idea che lo rianima.
È priva di logica e buon senso, ma forse, se ci
s’impegna, potrà volgere a suo vantaggio.
Salve naviganti!
Ed ecco a voi anche il
terzo capitolo di questa mini long che però, forse,
avrà un (mezzo) capitolo in più rispetto a quanto
preventivato.
Il quarto è
ancora in scrittura e purtroppo, causa sopraggiunti impegni, temo di
non potere riuscire a pubblicarlo per la prossima settimana.
Intanto ringrazio tutti
i lettori silenziosi: se vorrete palesarvi, non potrà che
farmi piacere
Al prossimo approdo!)
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Capitolo 4 *** IV – La leva giusta ***
IV – La leva giusta
Sottili lame di luce s’infiltrano tra le intercapedini delle
paratie fradice di un’umidità salina che penetra
fino al midollo.
Le ore scorrono inesorabili nell’aria stagnante, il tramonto
deve essere vicino e quella che sta per calare potrebbe essere la sua
ultima notte.
Per quanto spesso sia stato propenso a farsene beffe, Jack Sparrow
è ben conscio di non essere disposto a morire. Non di nuovo,
non in maniera così umiliante.
Può ancora vivere. Vuole vivere. Deve vivere. Ha troppo da
riconquistare.
Lo hanno privato di tutto, la sua amata nave, i suoi stimati effetti,
il suo sudato titolo, la sua rinomata reputazione, i suoi grandiosi
sogni di gloria, e, per ultimo, ciò a cui tiene di
più in assoluto: la sua libertà.
Due sole cose gli sono rimaste che nessun nemico e nessuno sgambetto
della fortuna sono mai riusciti a portargli via: il suo spirito arguto
e il suo irriducibile istinto di sopravvivenza, che lo spinge a non
arrendersi facilmente.
E, a ben guardare, ha ancora con sé anche la sua prodigiosa
bussola. Non che le sue indicazioni si siano sempre rivelate
così cruciali, come ha millantato quella stramba
fattucchiera che anni prima gliel’ha ceduta, ciò
nonostante quando si è trovato alle strette, con la falce
della Nera Signora
insidiosamente vicina al collo, per scrupolo ha comunque provato a
interrogarla e ad affidarsi al suo consiglio, talvolta ignorandola e
agendo di testa sua, talvolta giovandosene.
Deve contorcersi un po’ per riuscire a schiudere lo
sportellino e intercettare un raggio che illumini il quadrante a
sufficienza per cogliere il riscontro dell’ago magnetico.
Come di consueto, compie un paio di giri a vuoto, sembra rotto o
impazzito; dopo qualche secondo si ferma e indica di fronte a
sé.
È lì che si è infine risolto ad
accucciarsi il giovane Turner, cessando di annoiare tutti con quel suo
indisponente gironzolare da animale in gabbia.
E se fosse lui la sua scappatoia?
Ha già considerato quel ragazzo come possibile complice di
evasione: è prestante, ardito, generoso, dissennatamente
votato al suicidio. Si è anche trovato piuttosto in sintonia
con lui durante la battaglia di Isla de Muerta, pur conoscendolo
appena.
E tuttavia ciò potrebbe non bastare. Checché ne
dica quella capricciosa carabattola, il furbo pirata sa perfettamente
che per architettare un piano efficace deve comparare accuratamente
tutte le probabilità di riuscita con quelle di fallimento.
Perciò, prima di far convergere tutte le sue disperate
speranze su di lui, socchiude le palpebre, tentando di isolarsi dal
persistente chiacchiericcio in sottofondo, per passare mentalmente in
rassegna tutte le restanti possibilità, una seconda volta.
Al suo cervello servirebbe del rum, anche solo un goccetto per
macchinare meglio, disgraziatamente però deve rinunciare a
quell’aiutino e spremersi le meningi a gola asciutta.
La HMS Dauntless è
una nave di linea di prim’ordine, agile e veloce, ma anche
pesante e ingombrante, con una velatura così ampia e
un’artiglieria tanto cospicua da essere impossibile poterla
governare con un solo paio di braccia. E viaggia anche a pieno carico.
Durante la sua permanenza a bordo ha conteggiato un equipaggio di
almeno novanta baldi marinai e, pur considerando che almeno una dozzina
siano periti nell’affrontare i pirati maledetti, il loro
numero rimane sproporzionatamente alto rispetto ai riottosi furfanti
che potrebbe persuadere a unirsi a lui. Invero quegli sporchi traditori
non meriterebbero il suo aiuto, né lui vorrebbe fornirglielo
a cuor leggero, eppure ingoierebbe a malincuore quel boccone amaro, la
collera e l’avversione per come l’hanno umiliato,
se avesse la certezza di ottenere qualcosa di consistente in cambio.
Ma non ne è convinto che il gioco valga la candela.
I più di quei balordi lo odiano, a buon diritto, per aver
condotto la Marina britannica da loro; parecchi, inoltre, sono usciti
alquanto malconci dai combattimenti e sarebbero soltanto
un’inutile zavorra. Gli servirebbe la collaborazione di
qualcun altro per portare a compimento un simile proposito.
Per assurdo, certi soldati, scontenti, sfruttati e malpagati, sarebbero
più corruttibili.
Le due ottuse giubbe rosse che l’hanno accolto a Port Royal,
ad esempio, è abbastanza certo che cederebbero senza tanto
sforzo alle sue lusinghe. Sfortunatamente, sono stati dispensati dalla
ronda sottocoperta, e quelli assegnati al servizio, ancora imbaldanziti
dalla recente vittoria, si tengono a debita distanza, non dando ai
prigionieri alcuna confidenza.
L'ammutinamento, pertanto, è da escludere.
Mentre riconsidera qualche altro stratagemma, un quartetto di guardie
si avvicenda a sorvegliare i detenuti, elargendo loro frasi ingiuriose
e denigratorie che qualche briccone più sfrontato ricambia
sguaiatamente.
Se creasse un diversivo, magari potrebbe riuscire a richiamare la loro
attenzione, attirarli vicino alle sbarre, tramortirli, disarmarli,
sottrarre loro le chiavi, sgattaiolare sopraccoperta e requisire una
scialuppa.
C’è un solo inconveniente, obietta una sentenziosa
vocina: nel mezzo ci sarebbero troppi ponti da attraversare e troppi
soldati da schivare, o, alle brutte, freddare. E lui non è
mai stato un tipo da maniere forti.
Ci sono poi anche quei fastidiosi ceppi che gli impedirebbero di
muoversi speditamente. La probabilità di beccarsi una
pallottola o una lama nella pancia è tremendamente alta.
Guardandosi i polsi ammanettati e schioccando la lingua, Sparrow scarta
con stizza anche quella soluzione e si riaggiusta sul pagliericcio.
La sua schiena è poggiata contro la robusta parete di legno
che lo separa dall’esterno, riesce a percepire il modulato
sciabordare dei flutti che scivolano lungo la chiglia.
Potrebbe aprirsi una via d’uscita dall’interno,
arrampicarsi sullo scafo, scavalcare la murata, raggiungere la coperta
e una volta lì muoversi furtivamente, allentare qualche cima
e rubare una barcaccia.
Peccato che, setacciando il pavimento di quello spoglio cubicolo,
eccetto qualche ossicino e qualche chiodo arrugginito, non abbia
rinvenuto niente di particolarmente acuminato con cui tentare di
squarciare il fasciame. Ci vorrebbe troppo tempo. Le prigioni di bordo
sono collocate giusto poco sopra la linea di galleggiamento; alla
minima fenditura del fasciame si allagherebbero ben prima di
permettergli di uscire.
Il filibustiere inghiotte un’imprecazione.
Quell’escamotage non è fattibile.
L’astinenza da alcol sta mettendo a dura prova la sua
capacità di giudizio.
Con un bofonchio riprende la bussola, la agita un po’, la
sbircia. Curiosamente continua a puntare nella stessa direzione. O
forse indica la via di scampo alle sue spalle?
Si inclina su un fianco per allungare il braccio lateralmente, tenendo
d’occhio quella capricciosa freccetta rossa. Non cambia
nulla. Resta fissa lì dov’era anche prima.
Jack si raddrizza. È inutile continuare ad arrovellarsi.
Di solito le pensate istintive, le più balzane che colgono
di sorpresa perfino lui, insperatamente si rivelano le più
azzeccate.
Sembra proprio che la sua unica ancora di salvezza sia dunque
l’erede di Sputafuoco Bill.
Lo fruga con un’attenta occhiata, mentre se ne sta
rannicchiato contro la porta della cella, le ginocchia al petto e il
mento poggiato su di esse, affatto rilassato, bensì teso
come corda d’arco, pronto a scattare al minimo segno di
richiamo o intimidazione.
Prima di sedersi ha rimesso al loro posto un paio di bricconi insolenti
che, allungando le loro manacce dalle celle vicine, lo importunavano.
Potrebbe essere molto meno facile tenerlo in scacco adesso che ha
imparato qualche nozione di codice piratesco, ha tastato le sue
capacità, è stato da lui imbrogliato e barattato,
ed ha sicuramente maturato una certa mal disposizione nei suoi
confronti.
Ma al momento non vede alternative.
Non gli importa gran che di quel ragazzo, tuttavia spera che se
riuscirà a scampare al patibolo, come prevede, lo
aiuterà a fare altrettanto o che almeno non si dimentichi di
lui e magari gli faccia ottenere uno sconto di pena.
Sa già quale appiglio usare. L’amore non
è forse la leva più potente che esista?
Accantonati l’innato orgoglio ed egoismo pirateschi, Jack
Sparrow esibisce uno dei suoi migliori sorrisi, vano espediente data la
fitta penombra in cui sono immersi, e con accento saggio inizia a
declamare: «Suvvia, sta’ tranquillo figliolo! Non
devi rattristarti per ciò che ti aspetta, giacché
hai Miss Swann dalla tua parte. Quell’adorabile fanciulla non
ti lascerà penzolare da una forca!»
Will solleva gli occhi scuri verso di lui, frastornato dalle tante
emozioni e aspettative che quella frase proferita con tanta consumata
certezza gli ha suscitato: più che un tentativo di conforto,
sa di derisione. Quel ciarlatano lo sta deliberatamente prendendo per i
fondelli ancora una volta, oppure ha origliato davvero qualcosa di
importante prima che arrivassero su quell’isola maledetta?
Anche se la tentazione è forte, desiste dal rispondergli,
preferendo tenere quegli interrogativi per sé.
Il filibustiere, soddisfatto per aver calamitato il suo interesse,
continua a sciorinare melodrammatico: «In quanto a me,
chissà dove getteranno le mie sudice ossa. Magari
andrò a fare compagnia a quei simpatici gentiluomini
all’imbocco della baia …»
«Tu come fai a dirlo?», il giovane fabbro non vuole
esporsi e mostrarsi troppo credulone, perciò opta per una
risposta neutra e un tono un po’ diffidente.
«Perché è quello che fanno a noi
pirati. Ci trasformano in grotteschi trofei per il loro becero
ludibrio», sostiene Jack con una smorfia colma di ribrezzo
che instilla una reazione similmente indignata nei compari di
reclusione, i quali ricominciano a sacramentare animatamente contro
l’atrocità della giustizia.
Will non presta troppo ascolto a quegli osceni improperi, troppo
assorto a soppesare l’attendibilità della sua
precedente affermazione: «Mi riferivo a quello che hai detto
prima. A proposito di Elizabeth», bisbiglia timidamente,
incapace di rimanere ancora in silenzio, anche se gli sembra quasi di
essere irrispettoso a pronunciare il nome della ragazza che ama
trovandosi in mezzo a quella volgare marmaglia. Oltretutto non capisce
esattamente come mai quell’inaffidabile filibustiere gli stia
mostrando una sorta di complicità, se il suo intento sia
incoraggiarlo oppure aizzargli contro tutti gli altri.
Sparrow nasconde un sogghigno sotto i baffi, pago di aver scorto una
vivida scintilla riaccendersi nelle sue iridi cupe e sperse:
«Beh, ho un certo intuito sulle donne», ribatte con
compiacimento, divertendosi a tenerlo nel dubbio. «Dopotutto
è la figlia del Governatore di Port Royal,
significherà pure qualcosa», aggiunge vago,
distogliendo le pupille sulle punte dei logori stivali.
Ed è davvero sicuro di quell’assunto. Il
detestabile periodo in cui ha bazzicato presso la Compagnia delle Indie
Orientali è stato in tal senso illuminante. Avendo modo di
frequentare gente altolocata, infatti, ha appreso come
l’intercessione di un personaggio influente possa sovvertire
leggi date sulla carta come immutabili.
Da parte di Turner ancora nessun segnale di distensione; lo sente
sospirare più forte, la testa tra le mani, imperturbabile
nel suo scoramento.
Evidentemente non è stato abbastanza convincente, nonostante
non abbia neanche mentito troppo. Non lo biasima: lui, conoscendosi,
non si sarebbe mai fidato di se stesso.
Jack gli si appropinqua di soppiatto, muovendosi carponi verso di lui,
per poi dargli un buffetto sulla fronte: «Inoltre lei
è palesemente, e, a mio avviso inspiegabilmente, innamorata
di te», sussurra con piglio da grande intenditore.
«Tuttavia è James Norrington che ha promesso di
sposare», dissente pragmatico il giovane, serrando la
mascella.
Il pirata agita un palmo con fare noncurante:
«Quisquilie», chiosa sedendoglisi accanto, gli si
appiccica, spalla contro spalla, parlando confabulatorio e un
po’ esasperato: «Orbene, sì è
fatta rapire da quel vecchio caprone di Barbossa dandogli il tuo nome
come suo. Ha disdegnato un’indimenticabile notte di passione
con il sottoscritto su di un’isola paradisiaca, che il
mattino dopo ha incendiato. Ha imperdonabilmente mandato in fumo una
magnifica scorta di rum, pur di farsi notare dalla marina britannica,
per poi supplicare l’incorruttibile Commodoro di venirti a
salvare, promettendogli in cambio di maritarlo. Omettendo che,
così facendo, avrebbe dato in pasto un’intera
ciurma di onesti marinai ad un branco di scellerati pirati maledetti
... Se queste non sono eloquenti prove d’amore!»
Will distoglie lo sguardo dal movimento quasi ipnotico delle sue dita,
accentuato dal ritmico tintinnio di anelli e catene, come cercassero di
orchestrare una sorta di malia cui teme di non riuscire del tutto a
sottrarsi.
Seppure si è dimostrato un callido imbroglione
doppiogiochista, quel Jack Sparrow indubbiamente ne sa molto
più di lui di come va il mondo.
E forse dopotutto non sta dicendo il falso. Gli pare impossibile che
Elizabeth non provi lo stesso bene incondizionato per lui, quel bene
che lo ha spronato a sacrificare tutti i frutti di una vita retta e
onesta, a non aver paura di salpare verso l’ignoto, ad
accettare senza tante remore di farsi uccidere per lei.
Riesce a figurarsela protagonista delle irruente azioni da lui citate,
ha potuto ammirare da vicino il suo sapersi destreggiare con
determinazione e abilità tra assalti e bucanieri, come se
non abbia mai fatto altro dal giorno in cui è nata.
Quando sono stati accanto, poi, ha sentito ardere tra loro qualcosa di
etereo e impalpabile, eppure inconfutabile e dirompente. Sente le
orecchie surriscaldarsi, le palpitazioni aumentare, le mani prudere,
ripensando alle occasioni che non ha colto e maledice la sua maldestra
inesperienza.
Anche se lei dovesse amarlo unicamente come un amico, non gli
è difficile supporre che, caparbia e volitiva qual
è, infrangerebbe tutte le regole, si scontrerebbe perfino
con suo padre per farlo assolvere e concedergli
l’opportunità di rimediare ai suoi errori.
«Forse è così», mormora senza
troppo entusiasmo; gli pare inopportuno esultare mentre tutti gli altri
attorno a lui, avendo origliato la loro conversazione, gli lanciano
occhiate livide disperando di poter scampare altrettanto comodamente al
capestro.
«Certo che è così!», ammicca
con sicumera Sparrow, trafficando con un cavicchio di ferro che ha
scovato chissà dove, tentando di forzare il chiavistello
delle manette.
Per uno come lui, con la tendenza a gesticolare di continuo, quei ceppi
devono essere una gran tortura.
Il ragazzo si distanzia un po’ dallo strambo fuorilegge,
continuando a spiare con la coda dell’occhio i suoi
infruttuosi armeggi, che almeno lo tengono impegnato mentalmente e
materialmente.
A lui invece sembra che, da quando si trova confinato in quella lercia
cella, le ore stiano scorrendo a rilento e che abbia ancora
più tempo per continuare a struggersi.
Ciò che l’aspetta una volta fuori di
lì, è una magra consolazione.
Non si fa troppe illusioni: ammesso che verrà davvero
graziato, non sarà più degno di frequentare la
nobile figlia del Governatore. Non che abbia mai avuto la presunzione
di esserlo. Adesso che il suo onore è macchiato, Elizabeth
Swann diverrà per lui ancora più inavvicinabile,
non potrà più sfiorarla se non durante qualche
sporadico incontro formale, oppure dovrà limitarsi a
contemplarla di nascosto, da lontano, in mezzo ad una folla distratta e
vociante che ignorerà la sua persistente malinconia.
Dopo tante peripezie che li hanno uniti e avvicinati, tra loro
tornerà ad esservi un limite invalicabile. Non
avrà scelta, dovrà mettersi l’anima in
pace, rinunciare a quel sogno irrealizzabile e adeguarsi a
ciò che gli altri si aspettano da lui.
Non sarà così semplice, perché lei nei
suoi pensieri c’è sempre stata e sempre ci
sarà.
«La prima volta che ho incontrato Elizabeth è
stato otto anni fa», comincia a parlare, un po’ per
ingannare quella snervante attesa, un po’ per puro bisogno di
sfogarsi. Sa che quello non è il contesto più
adatto, che quelli non sono gli ascoltatori più comprensivi,
ma per qualche momento abbandona la ritrosia, aprendosi a qualche
confidenza.
«Mia madre era morta, così decisi di imbarcarmi
per i Caraibi e lì di mettermi alla ricerca di mio padre. Il
mercantile su cui ero riuscito a farmi assumere come mozzo
però una notte fu attaccato, nel bel mezzo
dell’oceano, da una nave pirata. Ricordo ancora il frastuono,
il fuoco, il fumo, le urla disperate della gente che cercava di fuggire
calpestando chi era caduto o era stato ferito. Non sapevo cosa fare,
dove andare, quando si sentì una grande esplosione e fui
sbalzato in acqua. Non si vedeva nulla ma riuscii a trovare una tavola
e a stendermici sopra. Poi persi i sensi, non so per quanto tempo.
Quando rinvenni, mi apparve il volto di una bambina dalla pelle
chiarissima, gli occhi curiosi, la voce gentile. Si presentò
e io le dissi il mio nome. Mi sentii al sicuro e tornai a dormire,
senza sapere dove fossi».
«Perché racconti questa storiella a
me?», biascica seccato Sparrow, scagliando via il pezzo di
ferro arrugginito che gli si è rotto tra le mani, senza
tornargli utile.
«La nave in questione doveva essere la Perla Nera»,
appura Ragetti, dando di gomito al compare mezzo appisolato sulla sua
spalla.
«Capitan Barbossa ci impose di attaccare qualunque nave
provenisse dall’Inghilterra, dopo che avevamo compreso che
quel cane rognoso di Sputafuoco aveva inviato un pezzo del tesoro al
suo pargolo», precisa Pintel, non senza una punta di
recriminazione.
Will resta turbato: se nessuno lo ha trovato fino a qualche giorno
prima, è stato anche grazie alla vista aguzza e
all’altruismo di quella sveglia ragazzina dai riccioli
dorati; se durante quell’assalto fosse finito tra le grinfie
di quei predoni, di lui sarebbero rimaste soltanto le ossa sui fondali
marini.
Elizabeth lo aveva salvato e protetto, ancora prima di conoscerlo. E di
questo le sarebbe stato per sempre debitore. Ora che non è
più offuscato dalla sfiducia, è travolto dal
bisogno urgente e sconsiderato di vederla e parlarle, ma da solo non
riuscirebbe mai ad uscire di lì. Sparrow invece, a quanto ha
sentito, è famoso per le sue evasioni …
Non può sapere che Jack intanto è attraversato
dalle stesse considerazioni e si rabbuia ancora di più per
come sono andate le cose: ha avuto una grande occasione nel momento in
cui è stato fortuitamente lui a trovare per primo William
Turner, ha consumato la sua bramata vendetta, ma non ha fatto i conti
con l’imprevedibilità dell’umore dei
suoi compagni, ammutinati e traditori.
Ancora una volta, ha peccato di eccessiva fiducia nel proprio carisma e
nel proprio talento nel manipolare gli animi altrui.
«Sei stato tu!», attacca di punto in bianco il
compagno di prigionia seduto al suo fianco, puntandogli un dito contro
e volgendogli uno sguardo astioso.
Il ragazzo è sovrappensiero e resta spiazzato da
quell’intempestiva accusa: «Come dici?»
«Tu
mi hai fatto promettere a quella conturbante moretta che
l’avrei risarcita del mio non furto con un’altra
nave. Tutta la ciurma ne è stata testimone. Ed ecco che alla
fine quegli ingrati voltagabbana se ne sono svignati con la mia
Perla», Sparrow stringe i pugni amareggiato, non nascondendo
la sua frustrazione.
«Non pensavo che dessero tanto credito alla parola di un
pirata», il fabbro si discolpa senza cattiveria, ma alle
orecchie del diretto interessato la sua innocente constatazione risulta
comunque offensiva.
D’impeto si scansa da lui, guardandolo in cagnesco:
«La parola di un Capitano.
Ha sempre credito», rimarca con bizzosa veemenza, voltandogli
le spalle.
«Me ne ricorderò», balbetta Will,
disorientato dalla sua scorbutica reazione, non volendo insistere a
contraddirlo. Non ha mai conosciuto un uomo più ondivago e
suscettibile.
«Più alzo! Cambiare le mure! All’orza la
barra!»
Il neo-Commodoro James Norrington ha sempre saputo quali ordini
impartire, quali manovre disporre, quale tono usare per farsi
rispettare e obbedire dai sottoposti affinché durante la
navigazione tutto fili liscio e non si verifichino intoppi di sorta.
Solcando a lungo i sette mari, ha sviluppato una spiccata perizia nel
riconoscere e individuare nell’assetto
dell’attrezzatura o dell’armamento ogni dettaglio
fuori posto, da correggere o limare, e ha maturato una buona
predisposizione nel giudicare e capire gli animi degli uomini che gli
stanno di fronte, così da saper appianare con diplomazia
controversie e dissapori.
Ora, però, al solo pianificare un approccio non troppo
stucchevole con la donna che desidera impalmare, si ritrova
completamente allo sbaraglio. È assalito dal terrore di
sbagliare goffamente, a parlare, a muoversi, a guardarla, anche solo a
pensare cosa sia più appropriato dire o fare per mostrarle
quanto ci tiene a lei e alla sua felicità.
E quanto vorrebbe esserne l’artefice principale.
Deve solo trovare un innocuo pretesto per intentare una conversazione e
poi basterà andare di buon braccio, si ripete nervoso,
rimirandone la figura slanciata e l’andatura elegante mentre
passeggia lungo la fiancata di tribordo, incurante delle occhiate
giudicanti dei marinai, poco abituati a dividere i ridotti spazi di
bordo con una presenza femminile.
Sebbene superficialmente e forse in maniera un po’
idealizzata, la conosce da tanti anni, sa già che a causa
delle loro divergenze di opinioni su alcuni argomenti non
sarà facile riuscire a conquistarla. Tuttavia vuole
impegnarsi a piacerle, provare a farsi apprezzare.
Dopotutto appartengono allo stesso ambiente, confida che troveranno
punti di contatto, un terreno in comune su cui poter costruire delle
fondamenta resistenti per il loro matrimonio. E forse un
giorno ricambierà i suoi sentimenti.
Mentre si dibatte ancora nell’indecisione e le sue suole
restano cautamente ancorate alle assi scricchiolanti, è lei
a fare il primo passo, andandogli incontro in tutto lo sfrontato
candore dei suoi vent’anni, che non le impedisce di apparire
a suo agio perfino avendo indosso quell’uniforme del tutto
inadatta alla sua spiccata femminilità.
«Buon pomeriggio, James», scandisce con inaspettata
informalità il suo nome di battesimo, provocandogli un
leggero fremito.
James Norrington scende la rampa del casseretto, raggiungendola sulla
tolda: «Buon pomeriggio, Miss Swann».
Sul volto della giovane aristocratica passa un’ombra:
«Potreste provare a chiamarmi per nome, giacché
siamo fidanzati», mormora sottovoce, quasi stesse
ricordandolo a se stessa.
L’ufficiale cerca di non apparire troppo austero e
intransigente nel risponderle: «Perdonatemi, credo di essere
negato nell’arte del corteggiamento».
«E invece supponete che io sia stata istruita a dovere in
questa pratica», ribatte lei, naturalmente indisposta dalla
sua velata insinuazione.
Il Commodoro piega il capo con un breve cenno costernato, per mormorare
un impacciato e cortese: «Non intendevo recarvi
offesa».
Elizabeth lo osserva apertamente negli occhi per qualche secondo. Nel
bagliore che filtra dagli ultimi scampoli di sole, le sue iridi
appaiono di un verde intenso e cangiante; non aveva mai notato fossero
di quella bella tonalità vivace, che stona con il suo aplomb
impeccabile e un po’ respingente. Sarebbe stato sempre
così, il suo corteggiamento? Intessuto di rigidi convenevoli?
Tuttavia intuisce che le sue scuse sono sentite e sincere. Non si
merita la sua slealtà e il suo rancore. Non è
colpa sua se sin dalla nascita è stata priva di scegliere la
vita che desidera.
«No. Avete ragione. Sono stata educata a impressionare e
affascinare i miei interlocutori con il mio eloquio e le mie buone
maniere», ammette con una nota di sdegno, ripensando alle
malevole frecciatine di Capitan Barbossa. «Ma, se mi
è concesso parlare liberamente, preferisco di gran lunga la
spontaneità nei gesti e nelle parole. Ritengo sia
essenziale, se ci si vuole conoscere davvero».
Lui la ascolta invaghito, colpito dalla sua schiettezza:
«Condivido», asserisce con l’aria di chi
sarebbe disposto a perdonarle qualunque peccato.
Tutto ciò cui la ragazza riesce a pensare, osservandolo,
invece è: come può sposare un uomo di cui non
conosce neppure il colore dei capelli? L’ha sempre visto con
la parrucca, sempre impeccabile nella sua divisa linda e stirata.
Al contrario Will, se per combinazione qualche volta riusciva a
sottrarsi alla pedante vigilanza della sua governante e andava a
trovarlo senza avvertirlo, era spesso impresentabile, coi suoi abiti
coperti di segatura e i riccioli arruffati dal sudore ...
Da qualche secondo è calato un imbarazzato silenzio tra
loro, screziato soltanto dalle chiacchiere dei marinai disperse nel
frusciare del vento e dallo stridio di qualche gabbiano di passaggio,
mentre passeggiano fianco a fianco, mantenendo la distanza imposta
dalle convenzioni sociali.
Elizabeth si sente sempre più inquieta. Dovranno pur
cominciare a conversare seriamente prima o poi, se vorranno trovare
delle affinità, intessere un legame.
James Norrington, ha quasi il doppio dei suoi anni, ma è
esteticamente gradevole. È un rispettabile gentiluomo, un
soldato esemplare, un uomo solido, quadrato, autorevole, con un grande
senso dell’onore e del dovere. Forse, passando più
tempo insieme, potrebbe imparare ad apprezzare i suoi pregi che ora le
paiono noiosi, potrebbe scoprire altre sue doti caratteriali ...
Anche il Commodoro Norrington prova una certa irrequietezza nello
starle accanto, il che lo porta a tenere un atteggiamento rigido e
lezioso.
Tutto il contrario di come vorrebbe apparire.
Non è avvezzo alle frivolezze e dubita che a lei piacciano,
inoltre non intende diventare oggetto di scherno per i suoi uomini.
È pur sempre il loro Capitano, deve mantenere un certo
decoro. Ciò non implica che debba mostrarsi troppo freddo o
distaccato.
Risulterebbe molto più disinvolto se solo riuscisse a
persuadersi che lui vale molto di più di quel modesto fabbro
e non ha bisogno di competere con lui, né di tante azioni o
parole per dimostrarlo – anche se è stato proprio
quell’avventato ragazzino a salvarla per primo.
Potrebbe perfino apparirle accattivante, se solo riuscisse a scacciare
il pensiero che è soltanto lui a sentire quel qualcosa,
mentre lei no.
Spira un vento foriero di buona navigazione.
Alla sua promessa sposa servono concretezza, affidabilità,
accortezze; perciò decide di prendere lui
l’iniziativa, stavolta. Le porge il braccio destro,
invitandola ad agganciare il suo, ma Miss Swann, intuendo la sua
implicita richiesta, ha già sollevato lo stesso braccio e
allora lui lo cambia con il sinistro, copiato di nuovo dalla ragazza.
Un sorriso impacciato riscuote entrambi, sciogliendo quella tensione,
quando infine, coordinandosi, riescono a mettersi a braccetto.
«Vedo che siete a vostro agio a bordo», esordisce
James, percorso qualche metro in direzione della poppa, dove alcuni
marinai stanno provvedendo ad accendere i fanali per la notte,
«Vi piace il mare».
Elizabeth non stacca gli occhi da quell’ammaliante
rimescolarsi di onde cobalto e amaranto: «Molto. Suppongo
piaccia anche a voi».
Norrington continua a farle sentire il suo tocco gentile ma fermo,
conducendola indietro, verso il centro del ponte: «Suppongo
di sì. Anche se talvolta può essere
pernicioso», stigmatizza risoluto.
La figlia del Governatore non può mancare di cogliere un
leggero inasprimento nella sua voce, ma non può dargli del
tutto torto, per cui, anche se vorrebbe saperne di più delle
sue passate esperienze, si risolve a cambiare argomento:
«Quindi mi pare di aver capito che possediate già
una dimora».
«Sì. A Nassau», le risponde prontamente
James, «Appartiene alla mia famiglia da tre generazioni. Fu
re Guglielmo III a concedere tale possedimento al mio bisnonno, per
ripagare i suoi servigi alla Corona degli Stuart, durante la guerra con
la Francia», le rivela orgoglioso, snocciolando di buon grado
altri dettagli sui suoi valorosi antenati e sulla loro acerrima lotta
contro le incursioni dei pirati che spadroneggiavano nella zona, sui
suoi ricordi sbiaditi legati a quella casa a qualche lega da
lì che un giorno sarebbe stata di entrambi, da tramandare ai
loro futuri figli.
Elizabeth lo ascolta, si sforza di sorridergli anche, increspando le
labbra, la vista le si offusca e solo l’amor proprio le
impedisce di versare le incipienti lacrime che sente formarsi agli
angoli delle ciglia.
Non è edificante immaginarsi invecchiare aspettando ogni suo
saltuario ritorno a terra e trascorrere un’esistenza priva di
complicità e compagnia. Ne è certa, finirebbe per
ricercare di avere contatti e incontri proibiti con Will, anche se a
separarli fosse una lunga e rischiosa traversata. Oppure potrebbe
convincere il suo futuro marito a permetterle di accompagnarlo nei suoi
viaggi, sebbene è consapevole che per molti sarebbe un
comportamento indecoroso e inammissibile.
Come tutte le volte in cui è in balia di forti emozioni, si
lascia dominare dall’istinto: «Perché vi
siete proposto proprio a me?», lo interrompe con involontaria
sgarbatezza con una domanda indiscreta, sganciandosi da lui,
scrutandolo supplice. «Dubito vi sia mancata occasione di
conoscere donne piacevoli e interessanti …»
L’irreprensibile ufficiale tronca subito le sue illazioni:
«Nessuna più di voi», sentenzia in un
sussurro, accarezzandola con uno sguardo timido e trasognato.
Non impiega molto a riassumere la sua solita espressione composta e
inalterabile, alzando il capo verso le vele gonfiate dalla corrente:
«Se continueremo ad avere l’aliseo a favore,
arriveremo a Port Royal entro mezzogiorno. «Perdonatemi, il
mio dovere adesso mi chiama. Vi auguro una buona notte»,
chiude poi evasivo la conversazione, allontanandosi verso il castello
di prua, il portamento fiero ed eretto, tipico di un uomo inamovibile e
determinato.
«Elizabeth, cara. Faremmo bene a rientrare, prima di buscarci
un malanno», suo padre Weatherby Swann giunge alle sue
spalle, cingendola benevolo e conciliante.
La giovane accetta il suo prudente invito, volgendo un ultimo saluto
alle stelle che brillano già nel cielo imbrunito, prima di
mettersi al riparo dall’inclemente alito
dell’oceano.
Heilà, ciurma! So che
sono passate molte più maree di quante non volessi, tra
impedimenti vari, cali mostruosi di ispirazione e fuga dei personaggi,
ma alla fine eccomi qui ad approdare con il penultimo capitolo.
Eh sì, mi
sono resa conto che per concludere questa breve long/missing moment
nella maniera in cui l'avevo concepita diversi anni or sono,
avrò bisogno di un altro capitolo, che però
sarà più breve.
Intanto che lo porto a
compimento, sperando di riuscire a completarlo prima dell'estate, vi
ringrazio per aver letto i precedenti e vi ricordo che apprezzo ben
volentieri osservazioni, commenti, critiche.
Al prossimo approdo!)
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Capitolo 5 *** V – Quello che un uomo può ***
V
– Quello che un uomo può
Il risuonare stridulo e acuto di un fischietto la fa
svegliare di soprassalto.
Anche quella notte ha stentato ad addormentarsi, tra la
scomodità della branda, il caldo umido imperante e quel
grosso macigno a gravarle sul petto.
Non vuole deludere le aspettative del suo buon genitore,
perciò alla fine ha accettato di impersonare il ruolo della
figlia giudiziosa e ubbidiente. Ma come può rimanere
incatenata per il resto della sua vita ad un uomo che stima ma non ama?
Soltanto il movimento ondulatorio dello scafo è riuscito a
conciliarle per qualche ora un sonno leggero, tormentato da dilemmi e
dubbi, e, dopo che quel moderato oscillare si è interrotto,
i suoi sensi sono tornati irrimediabilmente vigili.
C’è un gran tramestio sopra coperta, ingombranti
cassoni che si spostano, passi affrettati che si susseguono, comandi
scanditi che si rincorrono; tutto quello scalpore le fa presentire che
stia accadendo qualcosa degno di nota.
Il beccheggio si è notevolmente ridotto, le vele devono
essere state ammainate.
Elizabeth non riesce a tenere a bada la sua curiosità, si
sgranchisce e comincia a cercare tentoni i vestiti dismessi la sera
prima. Non le serve accendere alcuna candela, dalle vetrate penetra
già un tenue bagliore dorato, sufficiente a permetterle di
muoversi senza inciampare né urtare nulla, evitando anche di
svegliare anzitempo suo padre, che, col suo persistente mal di mare, ha
faticato ancora più di lei ad assopirsi.
Rientra silenziosamente nei grezzi pantaloni di fustagno, infila
calzamaglia e scarponcini, e infine rientra nell’appariscente
giubba rossa, arricciando un po’ il naso: quegli indumenti
prestati hanno ormai un odore vissuto. Disponendo di un guardaroba
principesco, non le era mai capitato di dover indossare gli stessi
abiti per tre giorni di fila.
Detesta ammetterlo, ma le sono mancate certe finezze e
comodità, come non potersi strofinare per bene con acqua e
sapone. Mentre si riveste, avverte prepotente il bisogno di concedersi
un lungo bagno ristoratore, di distendersi su lenzuola pulite e
profumate, di lavare via dalla pelle il sale, la polvere e la
stanchezza accumulate durante quell’indimenticabile girandola
di eventi inimmaginabili per una ragazza della sua estrazione, la cui
quotidianità è sempre stata scandita da ozio,
riverenze e privilegi.
Le intense emozioni vissute in quei giorni l’hanno cambiata
profondamente.
La visione romantica e mitizzata che aveva dei pirati ne è
uscita stravolta, sfatata, l’irresistibile attrattiva che
provava nei loro riguardi si è ridimensionata, ma non
estinta.
Già rimpiange l’imminente ritorno alla sua
monotona normalità.
Se solo lo volesse, potrebbe addurre un’indisposizione per
restare anche un’intera settimana in camera sua a struggersi
nei ricordi. È un genere di capriccio che, in quanto fragile donna, non
le verrebbe negato, anzi il riposo le verrebbe caldamente consigliato,
ma non si addice al suo modo di essere e qualcuno a lei vicino potrebbe
nutrire più di qualche sospetto su una sua improvvisa
volontà di inerzia e isolamento, si ravvede inviando uno
sguardo accorto oltre il paravento sistemato per dividere il suo
giaciglio da quello dell’altro ospite.
Il febbrile vociare dei marinai intanto giunge sempre più
vivido fin dentro la cabina posta sul ponte maggiore, la sistemazione
che è stata loro concessa essendo le persone di maggior
prestigio a bordo della Dauntless.
«Elizabeth? Che succede?», anche suo padre
è stato svegliato da quel gran trambusto.
«Sembra che non ci muoviamo più»,
presume lei, acconciandosi i lunghi capelli bisognosi di una lavata in
una molle treccia, che appunta come può con un pezzo di
nastro.
Weatherby Swann sospira rinfrancato: ha sofferto di nausea e capogiri
dal primo istante in cui ha messo piede su quel vascello instabile e
maleodorante. È ancora acciaccato e intirizzito dal cattivo
riposo su quel grezzo lettuccio. Afferra la parrucca brizzolata e si
rende presentabile, recuperando i suoi vestiti, prima di uscire dal
separé e raggiungerla sulla soglia della porta dai vetri
rotti, che è stata grossolanamente accomodata con qualche
tavola di legno per attutire spifferi e rumori esterni.
«Mollare gli imbandi e gettare gli ormeggi!»
Quando padre e figlia si affacciano sul cassero, quasi nessuno li nota,
indaffarati come sono tutti quanti, ognuno nelle proprie marinaresche
mansioni.
Sulla tolda fervono le manovre di messa alla fonda della Dauntless,
c’è un brulicare di marinai affaccendati a darsi
da fare tra il sartiame, gli alberi e i paranchi.
I due ospiti rimangono fermi, sentendosi fuori posto e quasi
dimenticati.
Non fanno in tempo a dolersene, che James Norrington giunge tempestivo
a prevenire qualsiasi loro rimostranza: «Buongiorno, Milord.
Elizabeth», li riverisce con misurata galanteria, abbonando
un garbato sorriso. «Ben tornati a casa».
«Siamo già arrivati, dunque?», il
Governatore Swann gli chiede conferma, schermendosi con una mano dagli
obliqui raggi del sole nascente per tentare di identificare il profilo
della verdeggiante isola caraibica su cui da quasi dieci anni esercita
la sua autorità per conto della Corona britannica.
«In anticipo?», si stupisce Miss Swann, rammentando
la previsione con cui si è congedato la sera precedente. La
ragazza per un attimo si domanda se l’ufficiale le abbia
volutamente riferito una stima meno ottimistica per sorprenderla sulle
sue eccellenti abilità di navigatore, ma in fin dei conti
adesso non le importa mettersi a questionare su quel punto. Ha notato
che sono in atto delle operazioni di trasbordo.
«Magnifico», sospira suo padre, «Almeno
faremo una lauta colazione», le bisbiglia
all’orecchio. Anche lo scadente cibo destinato ai marinai non
è stato di suo gradimento.
Il Commodoro Norrington si riappropria della loro attenzione:
«Non vi avevo ancora fatto avvertire perché, come
potete vedere, dapprima stiamo provvedendo a sbarcare i prigionieri da
trasferire a Fort Charles».
A quelle parole Elizabeth tenta istintivamente di avvistare Will. Le
sembra essere trascorsa un’eternità
dall’ultima volta in cui i loro occhi si sono specchiati. E
non riesce a non ripensare al suo sguardo ferito.
Scoprendo anzitempo e chissà da chi la sua promessa di
matrimonio, deve essersi sentito tradito, perché non
è stata lei a rivelarglielo. Non voleva ingannarlo, gli deve
delle spiegazioni. Dovrebbe andare a scusarsi con lui, tanto per
cominciare, ma non sa quando potranno rivedersi e parlare.
Vuole almeno sincerarsi che stia bene, dopo aver subito
quell’ingiusta prigionia.
Norrington nel frattempo risale le scalette del castello di poppa e si
avvicina a loro, occupandole la visuale: «Governatore, se me
lo consentite, propongo di fissare l’esecuzione del signor
Sparrow a oggi pomeriggio».
Weatherby Swann ha un sussulto. Da che è stato investito
della sua attuale carica, malgrado non siano scarseggiati svariati e
frequenti atti di delinquenza di cui è stato ragguagliato,
finora non ha mai dovuto sottoscrivere sentenze capitali.
«Quello screanzato ha causato problemi durante il
viaggio?», domanda restio e un po’ timoroso della
risposta che riceverà.
«È un tipo imprevedibile. Non mi fido di lasciarlo
un solo giorno di più in una cella», il rampante
ufficiale giustifica la sua categorica presa di posizione.
«Certo, certo. Meglio non procrastinare», conviene
l’aristocratico, proprio mentre un altro gruppetto di pirati,
incluso il summenzionato Sparrow, viene scortato e caricato
forzosamente su una scialuppa, sotto stretta sorveglianza di un
quartetto di soldati muniti di moschetto.
Elizabeth, che ha appena avvistato per un attimo anche Will, non si
trattiene più dall’intervenire inorridita:
«Giustizierete quell’uomo senza alcun
processo?», si oppone con accorato puntiglio.
È impensabile che un recidivo fuorilegge del suo calibro
possa essere scagionato, lei stessa sa bene che gravano troppe accuse
su di lui, e che difficilmente si dichiarerebbe pentito, ma almeno
rimanendo in prigione potrebbe guadagnare qualche mese o anno e infine
forse ottenere addirittura il perdono.
A quanto ha letto, è già accaduto a filibustieri
con capi di imputazione ben più gravi.
James Norrington le riserva un’occhiata perplessa. Gli sfugge
come una donna della sua levatura, tanto colta, virtuosa e raffinata,
possa continuare a parteggiare per quel depravato malvivente che ha
provato ad oltraggiarla e molto probabilmente è stato anche
colpevole di far cadere dei bravi soldati in una sanguinosa imboscata.
«I cittadini di Port Royal hanno subito ingenti perdite.
Occorre dare loro un fermo segnale di ripristino dell’ordine
e della sicurezza», la redarguisce, rimarcando la sua
rettitudine e la sua fervente dedizione alla causa che ha giurato di
servire.
Ha esposto con rigore forse eccessivo le sue argomentazioni, lo
intuisce dall’espressione remissiva con cui la spigliata e
inarrendevole fanciulla piega il collo di cigno, astenendosi dal
continuare a contestare lui o suo padre, che d’altro canto si
limita a mormorare un diplomatico: «Sono d’accordo
con voi».
Accomiatandosi con i suoi rispettosi omaggi agli Swann, si domanda se
con quell’arbitraria decisione non abbia compromesso
irreparabilmente ogni possibilità di abbrivo nel guadagnarsi
la simpatia e l’ammirazione della sua futura moglie.
Ma non può fare diversamente, ha dei doveri nei confronti
della gente che è stato chiamato a proteggere e non
può anteporvi le sue aspirazioni personali, né
gli egoistici desideri del suo animo.
I loro sguardi si sono ricercati e ritrovati anche da lontano,
sorvolando oltre il parapetto e le pavesate, velature e corde,
oltrepassando cappelli, giacche a punta e stivali.
Ha potuto rivederla soltanto per qualche fugace attimo, ma il suo cuore
non ha ancora smesso di scalpitare da allora.
Will non sa spiegarsi come o perché, in qualche modo era
sicuro che lei sarebbe stata lì fuori ad aspettarlo, nel
punto più alto del cassero. Seppure stiano continuando ad
allontanarsi e non possa più discernere quali emozioni
colorino la sua espressione, riesce a distinguere ancora la sua figura
esile e vibrante, ritta tra i due gentiluomini che la amano, i lunghi
capelli biondi riflettono la luce del mattino appena sbocciato, che sta
dipingendo di sfumature rosate le tranquille acque della baia.
Vorrebbe urlare il suo nome a squarciagola, saltare giù
dalla barca, nuotare da lei, confessarle quanto ha dovuto tacerle per
troppo tempo e poi baciarla con fervore, davanti a tutti, anche a costo
di essere malamente respinto.
Ha combattuto senza indugio contro una schiera di pirati maledetti, non
avrebbe problemi a battersi contro un manipolo di soldati ben armati e
addestrati.
Se negli anni non si fosse così temprato a controllare il
suo lato più passionale e impulsivo, nonostante le manette
ai polsi e quelle due paia di canne cariche puntate addosso,
probabilmente in questo momento lo avrebbe già fatto, al
diavolo il buon senso e ogni briciolo rimastogli di decoro.
Un sobbalzo dello scafo lo riporta repentinamente al presente. Oltre a
coprirsi di ridicolo, molto più realisticamente come minimo
finirebbe crivellato di pallottole. Il solo fatto di essere stato
sfiorato da quel pensiero folle, lo inquieta un po’. Entrare
in contatto con quella gentaglia ha avuto una cattiva influenza su di
lui, o forse ha soltanto risvegliato un’indole dissennata che
ha sempre avuto nel sangue.
Scacciando quelle macabre immagini e tentando di calmare il tumulto che
gli ribolle nelle vene, distoglie lo sguardo dalla Dauntless, ormai
sempre più distante, riportandolo sui compagni di bordo. Su
di uno in particolare.
Ha creduto che non si sarebbe mai dato per vinto, che avrebbe
escogitato qualcosa di inconsulto per sottrarsi a quella cattura,
così non è stato, ma Will vuole supporre che
forse sta soltanto aspettando l’attimo propizio per agire di
soppiatto.
Perciò tiene d’occhio l’ineffabile
pirata, scruta ogni suo gesto o espressione, aspetta un suo cenno, un
guizzo, tenendosi pronto ad entrare in azione.
Jack Sparrow, invece, dopo il loro ultimo diverbio è
diventato stranamente taciturno, quasi disinteressato a ciò
che lo attende, ancora più indecifrabile. Perso nelle sue
più intime riflessioni, non guarda in faccia nessuno degli
altri compagni imbarcati con lui, piuttosto fissa malinconicamente il
mare, socchiude le palpebre e ne ispira a fondo e con lentezza
quell’odore unico eppure mutevole, dolce e salato, pungente e
inebriante.
Non c’è nient’altro al mondo che ami in
maniera tanto viscerale e da cui gli dispiaccia maggiormente doversi
separare.
Nell’approssimarsi alla terraferma l’umore di tutti
gli arrestati si è sensibilmente incupito. Si limitano a
bofonchiare, sospirare, imprecare sottovoce, qualcuno piagnucola
perfino, ma nessuno di loro ostenta più la
meschinità e la crudeltà con cui si sono fatti
spaventosamente conoscere quale masnada maledetta, funestando per un
decennio porti e insediamenti del Nuovo Mondo.
Neanche le galere di Fort Charles sono state risparmiate dalla furia
dei cannoni della Perla Nera, l’impatto delle palle di piombo
ne ha squarciato le mura, riducendo lo spazio riservato alla custodia
dei criminali, che ora vengono ammassati in quei pochi cubicoli rimasti
intatti, in attesa di un trasferimento o di una sentenza che li liberi
da quella lenta agonia.
E così Will Turner si ritrova costretto, gomito a gomito,
con quegli stessi uomini senza scrupoli che fino a qualche giorno prima
hanno tentato di ucciderlo.
Con gli assassini di suo padre.
Sparrow stavolta non divide la prigione con lui, è stato
rinchiuso da solo, dietro le stesse sbarre da cui il giovane fabbro
costruttore lo ha tirato fuori, sfruttando un accorgimento celato nella
realizzazione di quelle celle, finendo per invischiarsi in quella
controversa alleanza che lo ha condotto a condividere la sua stessa
deprecabile sorte.
Chiunque sia stato preposto a ripristinare le carceri, in ogni caso, si
è preoccupato di rimuovere qualunque potenziale leva, si
accorge desolatamente il ragazzo, cercandosi un angolino per sedersi.
La carrozza sobbalza spedita sul selciato malmesso e ricoperto di
buche, inerpicandosi verso l’estremità
settentrionale dell’isola, laddove si erge sontuoso e
solitario il Palazzo del Governatore, che dal promontorio domina il
pittoresco e ampio golfo di Port Royal.
Nonostante l’ora alta, per le vie della città ci
sono già parecchie persone indaffarate.
Qualche lampionaio si occupa di spegnere le ultime torce rimaste accese
dalla notte precedente, ciurme di pescatori si dirigono verso le
banchine caricandosi reti e lenze, locandieri e massaie sostano sugli
usci spazzando via cenere e detriti, commercianti e bottegai preparano
la mercanzia da esporre sulle bancarelle o su dei malconci carretti con
cui andranno in giro tra i vicoli e le piazze.
Alla luce del giorno l’entità della devastazione
inferta dai pirati si mostra in tutta la sua esecrabile efferatezza. Le
costruzioni più vicine al porto sono ridotte in cumuli di
macerie pericolanti, alberi e cespugli appaiono bruciacchiati e
inceneriti, le strade sono disseminate di rottami, fuliggine e fango.
Alcuni abitanti hanno perso tutto durante l’incursione di una
settimana prima e vagano disorientati, tristi e attoniti tra gli
edifici pieni di crepe e in rovina, altri, invece, non si scoraggiano,
adoperandosi a riparare con travi e chiodi almeno le imposte e i tetti
delle loro povere case.
Continuando ad osservare da dietro il vetro oscurato da una raffinata
tendina di pizzo la miseria e la distruzione dei bassifondi, la figlia
del Governatore è scossa da un fremito di vergogna. Si sente
viziata ed egoista per aver pensato solo alle proprie paturnie.
Vorrebbe rendersi utile in qualche modo per quella gente sfortunata. Ma
sa che non le è concesso sporcarsi le mani.
Comprende un po’ meglio il punto di vista del Commodoro
Norrington, anche se non condivide la sua volontà di fare di
Jack Sparrow l’unico capro espiatorio per quanto è
successo. Le sembra solo una sterile rivalsa.
Non sono arrivati neanche a metà del tragitto, quando, tutto
d’un tratto, il sostenuto galoppare dei cavalli si arresta.
Miss Swann si sporge a guardare dal finestrino, per capire
cos’abbia indotto il cocchiere a frenare.
Quel che vede è una misera famigliola, i genitori non
avranno che qualche anno in più rispetto a lei e Will, ma si
portano dietro una nidiata di figli petulanti e scalmanati, che,
scorrazzando spensierati, per poco non finivano schiacciati sotto le
ruote del veicolo.
La più grande delle bambine, capendo chi sia, si prodiga a
rivolgerle un piccolo inchino, esibendo anche un sorriso sdentato,
prima che la madre la sproni con brusca solerzia a venir via dalla
strada e togliere l’intralcio, allontanandosi con il resto della prole
senza tanti convenevoli.
Qualche altro passante allora la nota, soffermandosi a salutarla.
Sembrano tutti incuriositi e sbalorditi, la riveriscono cordialmente,
ma dai loro ossequi più che un sincero rallegramento
traspare della sottesa malizia.
La notizia del suo insperato ritorno in breve finirà sulla
bocca di tutti. E immagina già cosa si malignerà
sul suo conto: giacché ha trascorso giorni alla
mercé di pirati dissoluti e debosciati, crederanno che sia
stata disonorata. Non aveva riflettuto neanche su quello.
Compunta dal loro invadente scrutinio su di sé, la ragazza
si ritrae all’interno della vettura, richiamata anche da suo
padre, che subito dopo si rimette a sonnecchiare, mentre la carrozza
riprende a muoversi celere in direzione del ricco quartiere di St. Paul.
Varcato il cancello della magione, l’accoglienza che le
riserva la fedele servitù è molto diversa, sono
tutti molto contenti e sinceramente commossi di rivederla sana e salva e si offrono
di esaudire ogni sua richiesta, la premurosa Estrella in primis.
Nota un alone rosso scuro proprio davanti alla
porta d’ingresso che una domestica armata di strofinaccio sta
alacremente tentando di scrostare, ed Elizabeth non trattiene un
brivido, ricollegandolo al ricordo della brutale uccisione del
maggiordomo avvenuta l’ultima notte che ha trascorso
lì.
Suo padre le si accosta con fare protettivo, invitandola a passare
oltre quella funerea visione: «Confido che presenzierai anche
tu più tardi. E dopo che questa spiacevole faccenda
sarà conclusa, organizzeremo una festa per ufficializzare il
tuo fidanzamento con il Commodoro Norrington».
Weatherby Swann si decide a rompere la mancanza di dialogo che ha
accompagnato il loro tragitto da che hanno lasciato il molo, e il suo
annuncio accende d’entusiasmo le cameriere che si
congratulano con i padroni di casa per il lieto evento.
Agli occhi dell’aristocratico, forse un po’
abbacinati dalle proprie ambizioni, la sua unica erede e
l’ineccepibile ufficiale formano una coppia ben assortita; li
ha visti fare conversazione, passeggiare insieme, confrontarsi in
maniera stimolante. Lui ha la maturità giusta per aiutarla a
crescere e ad abbandonare le sue fatue fantasie infantili.
«Sarà anche un modo per ritornare alla
normalità», aggiunge con le migliori intenzioni,
ma gli sembra che le sue blande parole accrescano l’attrito
tra lui e l’insolitamente ritrosa figlia, la quale, annuendo
sommessamente, si limita a farsi sfuggire un fievole sospiro, che lui
non sa bene come interpretare, per poi rifugiarsi in tutta fretta al
piano superiore.
Il Governatore sale a sua volta verso i suoi appartamenti, anelando a
recuperare un po’ di ristoro, anche se prima di poggiare la
testa sul cuscino o rifocillarsi deve assolvere ad una promessa fatta ad Elizabeth.
Convoca perciò il suo segretario, affinché possa
sbrigare subito quell’incombenza.
Avere una cella tutta per sé più che una
punizione sembra quasi un trattamento di favore.
Che lo ritengano diverso dagli altri della sua risma lo lusinga.
È quello in cui ha sempre confidato, distinguersi dalla
feccia, dimostrare di non essere un semplice criminale di bassa lega,
bensì un gentiluomo di ventura unico nel suo genere, un uomo
impavido che ha scelto volutamente di rinnegare gli asfissianti vincoli
della società e di condurre una vita libera, esaltante,
scostumata, senza costrizioni di alcun tipo.
Anche se, a voler essere un pizzico onesto con se stesso, non
è che ora come ora abbia tutta questa possibilità
di muoversi. Una cella resta comunque una cella.
Un refolo salmastro gli solletica le narici e i sensi, sospingendo le
sue membra intorpidite dalla forzata immobilità a
raggiungere la piccola apertura inferriata da cui può almeno
fruire dell’apprezzabile vista sulla rada, punteggiata dagli
alberi di un discreto numero di velieri di varia foggia.
È lì che dovrebbe trovarsi un gagliardo
avventuriero come lui, su uno di quei legni galleggianti, possibilmente
dotato di un buon pescaggio e di un’adeguata attrezzatura
velica, l’incomparabile ebbrezza del mare aperto e delle sue
tante incognite ad attizzare il suo spirito mai domo.
Non si è mai guardato indietro, ha sempre e solo contato su
stesso. E invece, adesso, dopo tante tribolazioni per forgiarsi un nome
che sarebbe stato ricordato, tutto quello che gli resta da fare
è attendere passivamente che succeda qualcosa, restandosene
coricato su un pagliericcio umido e puzzolente.
È inutile prendersi in giro. Non marcirà
lì dentro, le sue ore sono contate. Lo sente.
Eppure, stranamente, non prova sconforto né commiserazione.
Direbbe qualsiasi cosa per salvarsi la pellaccia. Farebbe qualsiasi
cosa. Tranne pregare.
Ha ancora una dignità da difendere, nonostante tutto.
«Credevo che stessi aspettando il momento più
opportuno per … improvvisare qualcosa».
Il figlio di Sputafuoco Bill, confinato nel cubicolo accanto al suo,
sporge la faccia tra le grate che li dividono, apostrofandolo
puntiglioso, un’espressione delusa che sa di rimpianto, di
speranza tradita, ma è anche sottilmente provocatoria.
Gli rimarca il suo fallimento, lo taccia di codardia.
Ma lui non ha più lo spirito di arridere
all’ineluttabilità della sua sorte avversa:
«Non sempre quel momento arriva. La vita è una
ruota che gira, comprendi?», lo redarguisce disincantato e
indolente.
Will sta per ribattere qualcosa, quando l’incedere di alcuni
passi pesanti riecheggia dalla rampa di scale in fondo al corridoio,
precedendo l’ingresso di un paio di guardie.
«Chi di voi è William Turner?», domanda
uno dei due soldati, interrogando con sguardo inquisitorio le facce
nervose e demoralizzate dei prigionieri.
Il diretto interessato si fa avanti con circospezione, scavalcando gli
inseparabili Pintel e Ragetti, fiaccamente adagiati sul pavimento di
pietra, intenti a confortarsi a vicenda.
L’uomo in divisa lo studia per qualche secondo, per
accertarsi che corrisponda alla descrizione fornitagli e che non sia
qualche altro mascalzone che prova a spacciarsi per lui, poi,
rassicurato dalla sua identità, prosegue a leggere il
documento vergato che reca con sé, con l’aiuto del
collega che gli regge un lumicino: «Sua eccellenza il
Governatore di Port Royal Lord Weatherby Swann, con
l’autorità conferitagli da sua Maestà
Re Giorgio II di Gran Bretagna, ha emesso un atto di clemenza a vostro
favore. Pertanto vi è stato perdonato il reato di pirateria
e verrete dispensato dalla condanna prevista per tale infame
crimine».
«Hai capito il bastardello!»
«Raccomandato!»
«Avrà qualche santo in Paradiso!»
A quell’annuncio si levano ingiurie, proteste e mormorii rosi
d’invidia, mentre il giovane Turner, interdetto, avverte il
groppo annidatosi nelle budella sciogliersi, le ginocchia divenire
molli, le pulsazioni più forti e la testa ronzare, tanto che
quando la porta gli viene aperta tarda a muoversi, fino a che non sono
le stesse guardie ad afferrarlo e trarlo fuori, dovendo ricacciare
indietro un paio di delinquenti che tentano di approfittare della
circostanza per uscire al posto suo.
Ricevendo in mano il salvacondotto, Will aggancia lo sguardo sghembo di
Jack Sparrow che gli ammicca con fare saputo: «Fa’
buon uso della tua libertà, figliolo … Voglio
dire, non disturbarti di venire a tirarmi i piedi!», si
rettifica in un lampo per quel paterno monito soffiato quasi
incidentalmente.
Il ragazzo stavolta non ricaverebbe alcun vantaggio nel salvarlo,
perciò perché mai dovrebbe compromettersi per lui?
Anche se, riflettendoci, non ha avuto la compulsione di mentire.
Può darsi che quando si è vicini alla dipartita
si diventa più autentici, non si ha più nulla da
perdere.
Senza scomporsi troppo, il pirata si lascia attraversare da quella
futile considerazione e, voltandosi, torna a piazzarsi davanti alla
finestra, restando in assorta contemplazione del distante paesaggio
marino che tanto adora.
Mentre torna a respirare all’aria aperta, Will non riesce ad
essere altrettanto strafottente.
Si sente quasi in torto per essere stato l’unico scagionato.
Percorrendo i viottoli sabbiosi dei cantieri navali di Pembroke Street,
scendendo a sud della baia verso il quartiere disastrato di Ridge
Street per poi svoltare a est dove sorgono gli empori, le mescite e le
botteghe artigiane di Howell Alley, si accorge di tanta gente sfollata
che si arrabatta per rimettere in sesto le proprie attività
commerciali e le proprie abitazioni. C’è molto da
ricostruire.
Alcuni conoscenti, vedendolo ricomparire in quei paraggi, scambiano con
lui qualche chiacchiera o un saluto affrettato, chiedendogli di
ripassare appena può per aggiustare qualcosa e lui cerca di
non scontentare nessuno, promettendo di aiutarli come potrà.
Appena rientra in officina viene accolto da un signor Brown meno
alticcio del solito che, affaccendato ad armeggiare con incudine e
martello, più che preoccuparsi di sapere dove sia sparito
negli ultimi giorni, gli inveisce contro con una mordace ramanzina,
rimproverandogli di averlo abbandonato proprio nel momento di maggiore
bisogno.
Will sospira guardandosi intorno: la fucina in effetti trabocca di
commissioni incompiute e sulla bacheca adocchia una sfilza di fogli con
i promemoria di altri ordinativi.
Il lavoro nelle prossime settimane di sicuro non gli
mancherà e magari lo aiuterà a distrarsi e a
dimenticare quanto è successo. A dimenticare perfino
Elizabeth.
A tempo debito potrebbe trovare una brava ragazza, umile, onesta e
abbastanza gradevole, con cui accasarsi e relegare il ricordo di
ciò che c’è stato tra loro a
nient’altro che una parentesi irripetibile, un sogno
effimero.
Ci sono almeno un paio di fanciulle dabbene che spasimano per lui,
semplici e poco pretenziose figlie di mercanti che potrà
frequentare liberamente, poiché appartengono al suo stesso
ceto. È scontato che nessuna di loro potrà mai
competere con la grazia, l’intelligenza e il coraggio di Miss
Swann, ma dovrà perlomeno provarci.
Provarci o impazzire. Prima o poi quell’insana smania di
volerle stare accanto passerà.
Oppure dovrà trovare il fegato di confessarglielo.
Risalendo nella sua stanzetta al piano ammezzato per darsi una veloce
ripulita, ode le campane della chiesa di Sant'Anna rintoccare a
distesa, cosa che capita solo in situazioni di allarme o per richiamare
i cittadini a raccolta.
Con un sapore amaro nel palato, Will pensa di intuire da cosa dipenda
quel crescente fermento. Nella piazza di High Street hanno
già allestito la forca per le esecuzioni.
Poco fa, quando passando da lì ci si è imbattuto,
è rimasto a distanza, provando dispiacere e fastidio nel
cogliere i commenti pieni di disprezzo e di esaltazione delle persone
che stavano cominciando a radunarsi per il cruento spettacolo che si
terrà prima del tramonto.
A salire sull’infame palco sarà proprio quel
pirata squinternato, vanesio e opportunista, astruso e
imprevedibilmente geniale nella sua bizzarria, senza il cui appoggio un
modesto fabbro asciutto di inganni e ignaro di navigazione non sarebbe
mai riuscito ad imbarcarsi per salvare l’amore della sua vita.
A quanto pare alla fine hanno scelto di immolare proprio lui, come
indennizzo per le tante vite perse o distrutte. Non sembra un
atto di giustizia, quanto piuttosto una ripicca per saldare un conto in
sospeso di natura personale.
Nessuno si esprimerà a suo favore né gli
mostrerà compassione, benché non sia certo il
peggiore tra gli uomini conosciuti che si sono associati alla filibusta
per non essere imbrigliati in un’esistenza spenta e piatta,
in cui limitarsi a servire e obbedire a testa bassa per sopravvivere.
Will si rende conto che in fondo, nel suo essere fedele solo a se
stesso, nel suo perseguire accanitamente i propri desideri e non farsi
comandare dagli altri, un po’ lo ammira.
C’è del buono in quel briccone scalognato; forse
comincia a capire perché suo padre si è schierato
dalla sua parte. Il suo spirito eversivo lo comprende.
Si è dovuto piegare anche lui a consuetudini imposte da
altri e ora non sa più se lo ha fatto per quieto vivere o
per vigliaccheria. Sa solo che non vuole più subire le
decisioni altrui, non gli importa della loro approvazione.
Se ha imparato qualcosa dalla sua recente esperienza tra quei
tagliagole, è che non si può vivere di rimorsi
né di rimpianti.
Rovistando nella piccola cassapanca ai piedi del letto rinviene dei
vestiti quasi nuovi, un cappello piumato e un mantello carminio. Ha
potuto comprarseli con le mance racimolate in un intero anno e
conservate con parsimonia. Non li ha mai indossati per non sciuparli,
convinto che li avrebbe sfoggiati per un’occasione speciale
che non è mai arrivata.
La sortita suicida che si sta apprestando a compiere potrebbe
finalmente rivelarsi il momento giusto.
L’eco dei rintocchi si sta spegnendo, ma non tutto
è perduto, può ancora evitarlo.
Sì, Jack Sparrow è meritevole di una seconda
occasione.
Non lo lascerà indietro.
Ehilà! Marinai e
donzelle, ben ritrovati ^_^
Rieccomi finalmente approdare
con il capitolo conclusivo di questa breve long interamente scritta per
coprire la lacuna presente tra due scene dell'atto finale del primo
magnifico film di questa saga, che mi hanno dato modo di riflettere e
soprattutto di fare un bel poì di introspezione sui
personaggi coinvolti.
Lo so, è
trascorso un tempo ignobilmente lungo dall'ultimo aggiornamento, ma a
mia discolpa posso dire che questi mesi dal punto di vista personale
sono stati abbastanza turbolenti per me, tra l'inizio di un nuovo
lavoro, il trasferimento in un'altra città e l'inizio di una
convivenza unicamente con me stessa XD
Adesso che mi sono
finalmente sistemata, confido di riuscire a riprendere le fila di
alcune altre ff in sospeso, su Pc e su appunti cartacei.
Ciance a parte,
ringrazio chi ha letto o leggerà questa composizione e spero
che la trovi di suo gradimento.
Come sempre pareri,
critiche e osservazioni sono sempre ben accette.
Ps: Per le indicazioni urbanistiche su Port Royal ho fatto riferimento ad un bel libro letto nel frattempo, ovvero "L'isola dei pirati" di Michael Crichton.
Al prossimo approdo!)
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