Destini sospesi

di Fanny Jumping Sparrow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I – Non tutti i tesori sono d’oro e d’argento ***
Capitolo 2: *** II – Poca corda e caduta sorda ***
Capitolo 3: *** III – Non ci sono eroi fra i ladri ***
Capitolo 4: *** IV – La leva giusta ***
Capitolo 5: *** V – Quello che un uomo può ***



Capitolo 1
*** I – Non tutti i tesori sono d’oro e d’argento ***


I – Non tutti i tesori sono d’oro e d’argento

Lo sparo rimbomba cupo, serpeggiando fra le tortuose pareti della grotta umida e buia, sovrastando ogni altra concitata azione in corso.
La giovane Elizabeth Swann sente che il suo cuore ha un tonfo.
Capitan Barbossa, sospendendo l’incalzante combattimento, ha sorpreso tutti, rivolgendo la sua pistola indietro, proprio contro di lei, e la sua mossa è stata così fulminea e inesorabile che non si è neanche accorta di essere sotto tiro.
Ma anche l’imprevedibile Jack Sparrow ha prontamente impugnato la sua arma e ha premuto il grilletto, esplodendo quella pallottola che, con un’ostinazione non dissimile ad una vera e propria ossessione, ha gelosamente serbato per dieci lunghi anni, destinandola a compiere la sua agognata vendetta sull’uomo che lo ha tradito, umiliato e derubato dell’unica cosa che ama di più al mondo, oltre a se stesso: la sua nave, la Perla Nera.
«Dieci anni che conservi quel colpo e sei riuscito a sprecarlo!», lo deride sarcastico il vecchio rivale, oramai abituato a non provare più alcuna sensazione sul suo decrepito corpo, da quando è rimasto vittima di quell’orrenda maledizione.
«Non l’ha sprecato!», grida di rimando il giovane William Turner, lasciando cadere nel forziere di pietra due monete d’oro, quella che ha reso momentaneamente Jack un non morto e quella che ha dovuto bagnare col suo sangue, essendo l’unico erede del pirata Sputafuoco Bill, anche lui partecipe anni addietro del furto di quel tesoro stregato.
Elizabeth torna a respirare nell’aver capito quale delle due pistole sia realmente andata a segno, i suoi occhi, ancora lucidi e tremanti, si spostano con stupore, ammirazione e riconoscenza su Will e Jack.
Lo spregiudicato ed eccentrico pirata è rimasto torvo e immobile, la canna fumante ancora puntata all’altezza del grondante cuore di Barbossa il quale, incredulo e rammaricato per essere tornato alla vita e averla perduta nello stesso istante, pronunzia solo due stizzite parole prima di stramazzare al suolo con un secco tonfo: «Sento … freddo».

Jack Sparrow indugia a fissare con attenuata ostilità l’avversario sconfitto che giace esanime, gli arti scomposti, gli occhi sbarrati ma ormai ciechi, la bocca dischiusa e silente.
Non è mai stato propriamente un asso con la spada, in compenso ha sempre avuto un’ottima mira, anche se in pochi lo sanno, perché se ne serve molto meno di quanto potrebbe.
Ha sempre ripugnato lo spargimento di sangue gratuito, non è solito uccidere chi l’ha tradito o offeso, perché gode di più a tessere inganni, un’arte sottile che ha imparato ad affinare grazie al suo acuto spirito di osservazione, avvantaggiandosene in svariate circostanze. Un modo di agire scarsamente compreso che lo distingue da altri fuorilegge, grezzi e istintivi, i quali puntano invece soprattutto sulla brutalità e sulla capacità di incutere timore con l’uso indiscriminato della forza.
Crescendo tra efferati tagliagole e ingordi predoni senza Dio e spesso senza cervello, è giunto alla conclusione che la mera violenza sia un mezzo troppo facile e talvolta troppo rischioso. Gli imbrogli invece hanno il ben più soddisfacente vantaggio di non essere intuiti subito e perciò di cogliere alla sprovvista chi non sospetta di essere raggirato, perché troppo ingenuo o perché si crede superiore a lui per intelligenza.
Così è riuscito a sfuggire, quasi sempre, alle situazioni più pericolose e intricate, beffando impunemente chi lo voleva incastrare.
E anche il famigerato Hector Barbossa, malgrado tutta la sua protervia, la sua esperienza e la sua furbizia, alla fine è caduto vittima della sua elaborata tela.
Reprimendo una sgradevole sensazione di nausea alle budella, si allontana dal cadavere del vecchio compagno di sventure e comincia a rovistare tra i cospicui oggetti preziosi ammassati alla rinfusa nei vari angoli di quella caverna dalla sua ex ciurma.
Ci sono cianfrusaglie di dubbio gusto, ma anche diversi manufatti di pregiata fattura e una miriade di pietre rarissime. Con un bottino simile a sua disposizione, se riuscirà a contenere gli entusiasmi dei suoi uomini, potranno vivere di rendita per parecchi mesi, si compiace, immaginando con soddisfazione la pacchia che lo attende, tra svaghi, piaceri e dissolutezze di ogni tipo.

Di tutt’altro genere sono i pensieri che vorticano nella mente del giovane William Turner, mentre si allontana dal grande forziere intarsiato ricolmo di monete azteche.
Il suo sangue alla fine ha veramente spezzato quell’incredibile sortilegio e quindi quei manigoldi poco affidabili non hanno mentito sul suo conto. È figlio di un pirata. Non può più rifiutarsi di crederlo ormai, sarebbe sciocco impuntarsi a negarlo. Si sente per certi versi condannato: pur non volendolo, ha seguito le orme del disgraziato defunto padre.
A nulla è valso tutto il suo impegno nel costruirsi una vita onesta e rispettabile, lontana dalla tentazione di misfatti e facili guadagni.
E nulle ormai sono le sue speranze di poter stare alla luce del sole con la ragazza per la quale prova un fortissimo affetto sin da quando è poco più che un bambino.
Molto più di un semplice affetto o di una mera infatuazione. È un sentimento travolgente, insopprimibile, totalizzante, che in quei pochi nuovi momenti che ha potuto trascorrere al suo fianco, scoprendo in lei un’anima gemella dal temperamento forte e combattivo, si è, se possibile, addirittura rafforzato, come brace rimasta sopita sotto la cenere cui mancava solo una scintilla per accendersi con tutta la sua potenza.
La loro intesa è qualcosa d’innegabile, a tal punto che la prospettiva di doversi separare di nuovo da lei gli sembra un’ingiustizia, equiparabile solo a un supplizio dei peggiori.
Lascia vagare lo sguardo crucciato sugli altri scrigni traboccanti di oro e argento; non ha mai visto così tante ricchezze tutte concentrate in un unico luogo, non ha mai neanche osato immaginare che potesse esisterne una tale quantità, né, di questo è più che certo, potrà mai avere occasione di rivederne altrettante. Gli basterebbe sottrarre una sola manciata di quella fortuna per permettersi una nuova casa, magari una bottega tutta sua, o addirittura una piccola imbarcazione con cui darsi codardamente alla fuga.
Lui però non è fatto così.
Rinsavisce da quelle farneticazioni quando la vede, ferma e ritta sotto un fascio di luce lunare. Aggraziata, ardimentosa. Bellissima.
Trattiene il fiato. Al suo confronto anche il più splendente dei diamanti impallidisce.

Anche Elizabeth Swann è immersa nelle sue più intime riflessioni.
In quei pochi giorni la sua tranquilla e noiosa routine quotidiana è stata letteralmente sconvolta: assalti, tesori, rapimenti, inseguimenti per mare, arrembaggi, duelli.
Ha vissuto una pericolosa ed entusiasmante avventura, ed ha saputo cavarsela egregiamente, uscendone incolume.
Era il suo sogno di bambina quello di poter imbattersi in un intrepido pirata e, ora che ne ha conosciuti molti, ha appurato, non senza una certa delusione, che non tutti sono eroici, ribelli e temerari come i personaggi dei racconti con cui è cresciuta e di cui si è nutrita, nella sua infanzia segnata da una grande solitudine che ha riempito con la fantasia.
I pirati, ha toccato con mano, sono per lo più uomini avidi, abietti e meschini, dediti solo al proprio tornaconto personale, a ingannare, a tradire, a uccidere e soprattutto a rubare. Non le è difficile identificare alcuni cimeli di valore trafugati dalla sua dimora tra quella caterva d’inestimabili tesori, frutto di tante sanguinose scorrerie.
Eppure ha anche scoperto che quel ragazzo timido e gentile, che ha incontrato otto anni prima proprio durante un viaggio per mare, appartiene anch’egli a quel mondo crudele e affascinante, imbevuto di misteri e leggende, scandito da battaglie e burrasche, dominato da passioni intense e fatali.
Forse anche per questo suo sconosciuto legame con quella gente scevra dalle convenzioni e dalle regole, tanto distante da quella artificiosa e asservita che è abituata a frequentare lei, nel profondo ha sempre provato una forte attrazione nei suoi confronti.
Non una semplice attrazione. È sicura che si tratti di amore.
Il coraggio e l’abnegazione impetuosi con cui il suo amico d’infanzia si è lanciato a salvarla, il loro incredibile affiatamento nel combattere, capendosi immediatamente con un rapido scambio di sguardi, la disperazione che l’ha pervasa credendolo disperso, il desiderio fortissimo di essere toccata dalle sue mani ruvide e premurose, hanno accresciuto ulteriormente quella convinzione.
Sono fatti l’uno per l’altra, quello che c’è tra loro è qualcosa di unico, ineguagliabile.
Un’affinità simile non potrà mai provarla con nessun altro. Sa che non potrà mai essere felice con nessuno diverso da lui al suo fianco.
È con distacco e amarezza che si sofferma a osservare quelle ricchezze. Non valgono nulla. Rinuncerebbe a qualunque lusso o privilegio, metterebbe in discussione anche il suo onore pur di poter stare con lui per il resto dei suoi giorni. Deve dirglielo, vuole che lo sappia, prima che sia troppo tardi …
Avverte che si è avvicinato alle sue spalle e si volta, ma, restando inchiodata al suo sguardo caldo, tenero e vibrante, tutta la sua sicurezza e il suo ardore evaporano e non riesce a proferire alcun che, completamente stordita dalle palpitazioni sconnesse che le procurano la sua vicinanza e l’inspirare quel suo odore salmastro e ferroso. Forse lui sta per confessarle la stessa cosa …

Invece neanche Will riesce ad esternare ciò che gli fa sussultare il cuore, perso com’è nelle iridi nocciola dell’amata che appaiono dolci e frementi come non mai. Rimane sospeso nell’attesa di un qualunque cenno di assenso da quelle labbra scarlatte e irrimediabilmente invitanti su cui vorrebbe avere l’ardire di poggiare le sue, fugando il timore di mancarle di rispetto o di essere respinto.
Sanno entrambi di aver rischiato la pelle l’uno per l’altra e che lo rifarebbero senza alcun tentennamento, pentimento o timore altre cento, mille volte, perché niente vale di più per ognuno di loro che l’altrui incolumità.
Si sorridono, emozionati, turbati, consapevoli di ciò che li unisce e che nessuna legge umana o divina, nessun impedimento naturale o sovrannaturale, nessuna persona viva o non morta potrà mai più spezzare.
Durante quel muto dialogo pregno di emozione il tempo sembra essersi fermato, lo spazio dissolto e le parole svuotate di qualsiasi valore, perché sono le loro pupille frementi di trasporto e trepidazione a comunicare tutto e qualunque sillaba o gesto ora sarebbero superflui.
L’amore è come un incantesimo in cui la razionalità si spegne, messa a tacere dal predominio delle sensazioni.

Il clangore di un oggetto metallico scagliato via con noncuranza s’infrange bruscamente su quell’atmosfera magica e sognante, riportando i due giovani innamorati alla cruda realtà.
«Dobbiamo tornare alla Dauntless», ricorda lei costernata, inghiottendo un singhiozzo.
«Il tuo fidanzato si starà chiedendo se sei salva», asserisce di rimando lui, tradendosi involontariamente con un tono permeato dal disincanto.
Elizabeth si sente ferita da quell’amara costatazione e corre via, nascondendogli la tristezza che l’ha improvvisamente attanagliata in una morsa crudele. Sperava non lo avesse ancora saputo, di poterglielo nascondere fino a che non sarebbe stato ufficializzato.
Come può pensare che per lei Norrington conti qualcosa? Lo rispetta e ci conversa, certo, così come le impone l’etichetta, ma non lo ha mai degnato di quell’attenzione o dell’interesse che riserva sempre a lui, per quanto poco tempo possano trascorrere insieme. Non è da lei rimanere priva di favella, sul momento però, troppo offuscata dal risentimento e dallo sconforto, non sa scusarsi o ribattere adeguatamente.
Intravedendo un luccichio tra le sue lunghe ciglia, Will capisce di avere sbagliato di nuovo e s’insulta per essere stato tanto codardo da trattenere la lingua, usandola per parlare a sproposito. Non aveva alcun diritto di disapprovare la sua scelta. E forse avrebbe dovuto essere più determinato, osare di più, tanto le sue folli azioni oramai hanno già palesato quale smisurata passione faccia ardere ostinatamente il suo animo per lei.
«Se stavi aspettando il momento più opportuno … era quello!», irrompe sardonicamente Sparrow, quasi leggendogli nel pensiero. «E ora gentilmente vi sarei molto obbligato se mi portaste alla mia nave», aggiunge poi con fare superbo, incamminandosi all’uscita della grotta con una vistosa corona in testa, svariate collane di perle ad adornargli il busto e una sacca tintinnante di altre suppellettili d’oro che ha minuziosamente selezionato.
Anche se il tesoro più prezioso per il suo cuore, il più bramato dalle sue mani, è quello che lo sta attendendo poco lontano da lì, dissimulato tra le onde tenebrose della notte.

Will lo segue a passi lenti e rassegnati, mentre Elizabeth ha già preso posto su di una scialuppa superstite, tenendo la fronte bassa e le dita intrecciate sul grembo.
«Non vorrai che sia la damigella a remare? Su, mettiti al lavoro e alla svelta!», ordina in uno scatto d’impazienza il pirata con le treccine, sistemandosi sullo scranno di prua.
Seppur riluttante, il giovane fabbro ubbidisce, sedendosi all’estremità opposta, dandogli le spalle, ma trovandosi proprio di fronte alla sua adorata Miss Swann, cercando di indovinare quali emozioni oscurino i suoi bellissimi lineamenti, combattendo ancora una volta contro l’inconfessabile desiderio di allungare una delle sue non troppo delicate mani sulle sue e lenire le sue preoccupazioni con una tenera carezza.
In quella posizione, piegandosi in avanti per manovrare i remi, ad ogni bracciata riesce quasi a sfiorarle il viso e a percepire il suo respiro leggero e tremolante, che vorrebbe fondere dolcemente al suo, in quel sospirato bacio che osa sognare di donarle ogni notte e che non ha avuto la spudoratezza di concretizzare pochi minuti prima.
Ora la presenza di quel terzo e petulante incomodo, lo inibisce ancora di più a riacquistare quell’intimità che si è interrotta così aspramente. Assalito da un penetrante senso di disagio, finisce per concentrarsi unicamente a remare, limitandosi a sbirciarla di sfuggita.
Non può sapere quanto Elizabeth gliene sia grata, pur scoprendosi incapace di evitare di lasciare vagare insistentemente gli occhi, solleticati da lacrime trattenute, su ogni suo energico movimento. Sulle sue braccia agili e forti, da cui vorrebbe essere stretta perdutamente, fino a sentire il suo calore invaderla attraverso i vestiti. Sulle sue labbra socchiuse di cui vorrebbe conoscere il sapore, per scoprire se ne resterebbe inebriata, come ha tanto arditamente fantasticato. Prova quasi dolore fisico a doversi contenere.
Intimidita da quel bisogno impulsivo, distoglie lo sguardo, un po’ sulla volta celeste tappezzata di stelle, un po’ sulla lieve spuma che si forma ai lati della chiglia.
Scivolando su quelle acque placide, in breve sono fuori da quella tetra spelonca e Jack Sparrow, che, come congelato da uno spiacevole presentimento, è rimasto insolitamente silenzioso, incomincia a guardarsi tutt’intorno con concitazione, ricercando in quella densa nebbia che aleggia tra le spigolose scogliere vulcaniche di Isla de Muerta, la maestosa sagoma della sua adorata Perla Nera.
«È difficile individuarla al buio. È questa una delle sue tante qualità», afferma orgoglioso, facendo scampanellare i tanti gioielli che gli pendono dal collo, mentre con una mano si scherma dai lattiginosi raggi della luna piena.
«Capitan Sparrow … », mormora Elizabeth con voce timorosa.
«Lo so cosa vuoi dirmi, dolcezza: certo che saresti la ben venuta a bordo! Io non ho mai creduto alle superstizioni, anzi … », le assicura con un sorriso malizioso che lascia vedere volutamente anche a Turner.
«Ma veramente …» tenta di continuare a spiegare la fanciulla.
«Sì, può venire anche il tuo amichetto. Un mozzo in più fa sempre comodo», le accorda con sufficienza, scrollando le spalle e rimettendosi a scrutare con brama l’orizzonte caliginoso.
«Vi ringrazio per la generosità, Capitano, ma preferisco fare ritorno a Port Royal», risponde irritato il fabbro, riprendendo a remare senza una direzione ben precisa.
«Peggio per te!», ribatte Jack con enfasi quasi puerile. Invero non disdegnerebbe di festeggiare la riconquista della sua Perla intrattenendosi in un bel ménage à trois con quei due freschi novellini, che si sono anche rivelati validi compagni di spada e magari lo saranno anche di bevute. Si sente già stuzzicare squisitamente il palato al solo pensiero dei fiumi di sopraffino rum che lo attendono a Tortuga, insieme ad altri sordidi piaceri.
«Temo che dobbiate venire anche voi, Capitan Sparrow», riesce a riprendere la parola Elizabeth, indulgendo nella cautela per ciò che di spiacevole si accinge a rivelare.
L’interpellato la guarda sbigottito e un po’ preoccupato, al che lei, presasi di coraggio, si decide a raccontare scarnamente quanto accaduto: «Dopo che li ho liberati, i vostri uomini hanno deciso di prendere la nave … hanno detto di dover rispettare il Codice».
L’espressione dello stralunato filibustiere diviene mortalmente seria e dolente, prima che volti il capo a prua, stringendo la mascella, deglutendo un grumo amarognolo.
«Mi dispiace, Jack», lo sostiene la ragazza, realmente dispiaciuta per quell’infelice epilogo.
«Hanno fatto i loro interessi. Che altro mi potevo aspettare», ribatte Sparrow, disilluso e amaramente ironico. Non si è mai scoraggiato davanti ai peggiori colpi infertigli dalla malasorte, che sembra averlo eletto sin dalla più verde età suo bersaglio prediletto, mettendolo continuamente alla prova. Sa di non essere particolarmente gradito né temuto dai suoi pari per via del suo comportamento ambiguo, inaffidabile e poco incline alle efferatezze, eppure quell’ennesimo tradimento gli rode il fegato non meno di altri che ha subito in altre circostanze, in altri luoghi, da altri compagni.
Si è illuso di poter vincere, senza fare i conti con l’ostilità e la volubilità di una banda di truffatori avvezzi a seguire l’offerta migliore. Imparerà mai dai suoi errori?

Quell’imprevisto rivolgimento della situazione ha fatto calare un teso e gelido silenzio tra i tre, lasciando Will interdetto e inducendolo a rallentare il suo già svogliato vogare.
Stupidamente, pur avendo obiettato, era stato pungolato dall’idea di unirsi davvero a quella combriccola di avventurieri e mandare all’aria i suoi buoni propositi di tornare indietro e rimettersi in riga, scontando una meritata pena per la sua condotta disonorevole.
Ancora una volta cerca di attirare lo sguardo di Elizabeth per rimettersi al suo consiglio, quasi come se la consideri la più assennata e sagace tra i presenti, essendogli venuta in soccorso quando meno se l’aspettava.
Quei suoi lunghi capelli dorati, che vorrebbe intrecciare fra le dita per conoscerne la consistenza, ricadono scompostamente sul suo pallido viso, celandogli una risposta o forse suggerendogli che ormai non hanno altre possibilità se non quella di arrendersi a quell’avverso destino.
Nessuno dei due intenderebbe consegnare quello sgangherato briccone, che pure, a suo modo, li ha aiutati a ritrovarsi, alle stringenti maglie della giustizia britannica, ma sono lontani da qualsiasi approdo raggiungibile in meno di un giorno, su di una misera barchetta a remi, nel mezzo delle tenebre, senza armi né provviste, per cui non possono spingersi oltre né tornare indietro.
Così, rassegnandosi alla scelta meno aleatoria, soprattutto per amore della ragazza, Will ricomincia a remare in direzione di quei fanali che fendono come un ingannevole miraggio quella quieta e quasi irreale oscurità.  


A bordo della HMS Dauntless i soldati sono alacremente impegnati a sgombrare il ponte dai bucanieri sconfitti, in parte trucidati e gettati in mare senza tante cerimonie, in parte catturati e trasferiti nelle marcescenti celle di sentina, dove non potranno nuocere alla sicurezza né alla vista degli stimabili passeggeri che in quella traversata si sono uniti all’equipaggio, composto per lo più da marinai giovani e assetati di gloria, guidati dall’ambizioso Commodoro James Norrington.
Non curandosi di dissimulare il suo compiacimento per la positiva riuscita di quell’imboscata, l’altero ufficiale inglese se ne sta impettito sulla balconata del cassero, intento a impartire ordini a destra e a manca ai suoi sottoposti.
Pur consapevole che quella ottenuta è soltanto un’esigua vittoria, confida che ben presto presiederà il comando di una piccola flotta per portare avanti la missione cui si è votato sin dal suo ingresso nella prestigiosa Regia Marina Britannica: debellare definitivamente la pirateria che, come una piaga purulenta, infesta lo Spanish Main, mettendo a repentaglio chiunque lo attraversi per raggiungere le sponde del prospero Nuovo Mondo.
Si è prefissato di assolvere quella temeraria promessa dopo il primo traumatico incontro con quegli spregevoli fuorilegge del mare avvenuto ancor prima di diventare un cadetto, e la manterrà con ogni mezzo, qualunque sia il prezzo da pagare. Sacrificherebbe anche la propria vita pur di lavare l’onta con cui aveva visto corruscare lo sguardo di suo padre nel momento in cui si era lasciato salvare da un lurido pirata. Gli dimostrerà che non ha dimenticato gli ideali e gli insegnamenti da lui trasmessi, diventerà un vessillo della civiltà e dell'ordine, così come voleva lui.

Il Governatore Weatherby Swann, frattanto, dopo aver esultato un po’ goffamente insieme al resto degli uomini, è notevolmente in ansia per la deliberata scomparsa della testarda e indomita figlia. Nella sua indole ribelle non riesce proprio a riconoscere nulla di sé. È sempre stato un uomo posato, privo d’iniziativa e anche alquanto pavido. Fondamentalmente pacifico e contrario all’uso spropositato della violenza, sin dalla gioventù ha mal tollerato la vista del sangue, ripudiando anche solo l’innocuo maneggiare una spada di legno. La sua unica erede invece è di un’altra pasta.
Gli appelli alla morigeratezza e alla sobrietà con cui ha impostato la sua educazione, col suo trasformarsi in una giovane donna sono rimasti, con suo grande cruccio, sempre più inascoltati, ma di quella negligenza lui ha incolpato e continua ad incolpare più il suo scarso nerbo che l’assenza prematura della madre, venuta a mancare in un’età troppo acerba perché Elizabeth possa ricordarla e prenderla ad esempio di virtù.
E poi il trasferimento nei Caraibi, isole ancora selvagge e così climaticamente insidiose, troppo lontane geograficamente ed culturalmente dalla corte di Londra, è stato ancor più deleterio per il plasmarsi del suo carattere, che ha finito quasi per uniformarsi a quelle capricciose maree, capaci di cancellare nel giro di poche ore il frutto di anni di sacrifici.
Dibattendosi in tali affannose considerazioni, l’aristocratico inglese esita ad avvisare il futuro genero dell’incresciosa e preoccupante evasione della sua promessa sposa.
Nessuna ragazza di buon senso e di buona creanza, trovandosi nella sua confortevole posizione, avrebbe mai concepito un’idea tanto strampalata e pericolosa quale fuggire da un riparo sicuro che avrebbe potuto proteggerla da ogni male per gettarsi nella stessa mischia di ladri e assassini.
E con quale irragionevole pretesto, poi? Salvare quel fabbro di umili e incerte origini, per il quale ha chiaramente e insensatamente una sciocca simpatia.
Ad immaginare ciò che le sarebbe potuto accadere o che forse le è già accaduto, sente le vene congelarsi per l’orrore e nello stesso tempo vuole scartare con tutte le sue forze la dolorosa probabilità di averla perduta per sempre in simili biasimevoli circostanze.
Con il cuore in gola muove qualche passo tremebondo verso il comandante della nave, il quale, da parte sua, è ancora troppo preso dal godersi la vittoria e l’esultanza dei suoi, per essersi accorto di quell’allontanamento.
Infine, quando rimane da solo, erto orgogliosamente sul cassero, riesce a trovare il coraggio sufficiente per approcciarlo: «Commodoro, dovrei parlarvi, se posso».
«Certamente, Governatore Swann», risponde sereno quello, incrociando le braccia dietro la schiena, corrugandosi appena nel percepire uno strano tremore nelle parole del nobile.
Swann farfuglia in un sospiro addolorato: «Si tratta di mia figlia».
«Ho predisposto di farla alloggiare nella mia cabina, affinché fosse al sicuro», replica l’ufficiale, non capendo perché mai l’uomo che gli sta davanti abbia un’espressione così angosciata, cominciando a sentirsi pervadere anche lui da una sfuggente inquietudine.
Prima che possa domandargli maggiori delucidazioni sul motivo della sua ambascia, viene distratto dal vociare impellente del tenente Gilette che, sportosi sul parapetto di tribordo, annuncia: «Commodoro! Si avvicina una lancia!»
«Saranno gli ultimi reduci che si arrendono alfine umilmente alla gloriosa Marina di Sua Maestà», constata soddisfatto Norrington, suscitando risa di approvazione.
Ma la sua alterigia viene scalfita non appena può distinguere attraverso le lenti del suo cannocchiale chi siano gli occupanti di quell’imbarcazione di fortuna.



Salve a tutti! Ringrazio sentitamente chi è giunto fin qui e spero che la lettura vi sia risultata piacevole e interessante ^_^

In questo primo capitolo non accade niente di eccezionale, in verità neanche nei prossimi mi discosterò dalla trama canonica, lo scopo di questa ff che ho cominciato ad abbozzare parecchi anni fa, lasciandola poi a prendere letteralmente polvere sui fogli di carta in cui l'avevo scritta, è semplicemente quello di tentare di approfondire e sviscerare i pensieri e le emozioni dei personaggi in un momento cruciale della storia del primo film, quando ancora tutto è in divenire, calcolando che il viaggio di ritorno a Port Royal possa essere durato almeno due giorni.

Conto di pubblicare un aggiornamento ogni 7/10 giorni, essendo già la storia in gran parte conclusa.

Osservazioni, opinioni, commenti e critiche sono sempre ben accetti :)

Al prossimo approdo!)


Ps. Pubblicherò questa fanfiction e altre che ne seguiranno anche su questo forum di recente creazione che consiglio a tutti gli amanti della lettura e della scrittura

https://estel.forumcommunity.net/

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Capitolo 2
*** II – Poca corda e caduta sorda ***


Salve gente ^_^
Come promesso, ecco a voi il secondo capitolo, in cui cominciamo a vedere cosa succede ai nostri beniamini una volta giunti a bordo della Dauntless.
Grazie a quanti hanno visualizzato e letto il capitolo precedente.
Come sempre vi ricordo che commenti, opinioni e critiche sono sempre cosa gradita.
Al prossimo approdo!)

II – Poca corda e caduta sorda

Nel mezzo della notte il sinistro lampeggiare di quel centinaio di cannoni ancora carichi di cui si compone la poderosa batteria detenuta dalla HMS Dauntless, dispiegati simmetricamente su ciascuna delle sue fiancate, incute una legittima soggezione.
È comprensibile che ad ogni sua apparizione tra le onde del mare aperto o all’imbocco di qualche baia anche i pirati più sprezzanti e incalliti desistano dal combattere più di quanto non imponga loro una degna ostentazione di furfanteria.
E dinanzi a quella spropositata potenza di fuoco, seppur riluttanti, anche loro hanno dovuto arrendersi.
Will ferma i remi, accostandosi allo scafo panciuto e bicolore dell’imponente nave ammiraglia della flotta inglese, dal cui ponte giunge un vociare frenetico e confuso.
Ingoiando il dissapore che gli si è annodato in gola, rivolge all’amata Elizabeth un lungo e intenso sguardo che equivale ad un tacito addio, mentre si accinge a salire per prima sulla scaletta di corda che viene loro calata dall’alto.
Lei è salva, sarà al sicuro, solo questo importa, si persuade, preparandosi mestamente a subire la deplorevole sorte che si è cercata, finendo per entrare in combutta con uno scalcagnato fuggitivo dalla giustizia.
«È notevole da ogni prospettiva!», ammicca con un velo di lascivia Jack, torcendo il collo a sbirciare le gambe e il fondoschiena di Miss Swann, accentuati da quei candidi calzoni maschili che la fasciano in maniera decisamente sensuale mentre si arrampica.
Will si vergogna di condividere per un attimo quell’apprezzamento, poi, avvinto da un morso di gelosia, acuito anche dal ricordo che lui ed Elizabeth abbiano trascorso del tempo insieme da soli, imprime uno strattone alla barcaccia, costringendo Sparrow a reggersi per non caracollare ed essere sbalzato in acqua.
Nonostante il brusco beccheggio, il filibustiere si rialza con un rapido slancio, barcollando e biascicando qualche protesta e, dopo aver cercato ancora invano di avvistare in quel mare fosco un qualunque segno della presenza del suo adorato vascello, si risolve arrendevolmente ad aggrapparsi anche lui alla biscaglina, con una strenua convinzione: in fin dei conti è pur sempre Capitan Jack Sparrow, ha una brillante nomea da difendere e possibilmente troverà qualche modo per svignarsela.
I piedi del giovane fabbro sono ben più ricalcitranti a posarsi sui pioli di corda, sapendo di non possedere la stessa faccia di bronzo del suo impenitente compare di malefatte nell’affrontare l’ondata di biasimo che lo investirà.

«Elizabeth! Stai bene, grazie al cielo!», il governatore Swann trattiene subito la figlia in un caloroso abbraccio, temendo che racconti al suo promesso sposo ciò che ha combinato. «Come ti è venuto in mente di scappare? Si può sapere che cosa avevi intenzione di fare da sola contro quei malviventi?», la riprende poi sottovoce, sperando di non essere udito dagli altri.
Elizabeth non sa ancora da dove cominciare a spiegarsi, ma è sicura che gli confesserà tutta la verità: che è fuggita per aiutare Will, perché temeva che quei farabutti lo avrebbero brutalmente ucciso e non poteva permettere che ciò accadesse, perché se ne sente responsabile. E perché lo ama, lo ama dal primo giorno in cui l’ha conosciuto e gli ha promesso che avrebbe sempre vegliato su di lui. Non riesce a pronunciare nulla di quello che si è ripromessa, che il Commodoro torna ad appropriarsi dell’attenzione di tutti quando gli altri due superstiti fanno timidamente capolino dal parapetto.
«Non rimproverate vostra figlia, Governatore Swann. Qualunque fossero le sue intenzioni, ci è stata molto utile. Guardate chi abbiamo qui: i signori Sparrow e Turner. L’evaso e il suo complice. Vi credevamo morti», dichiara borioso, facendo ridacchiare sprezzantemente tutto l’equipaggio.
«Anche noi», risponde piccato Jack, volgendogli uno sguardo inutilmente minaccioso.
«Molto bene, tanto lo sarete presto», chiosa Norrington, come se quell’osservazione astiosa non lo abbia neppure sfiorato.
Will avverte un leggero brivido lungo la schiena. C’è un che di sadico nel suo altezzoso modo di squadrarlo, lo fa sentire inetto e inferiore.
«Portateli nelle prigioni insieme agli altri fuorilegge che abbiamo rastrellato», dispone spicciamente l’ufficiale, apprestandosi a girare sui tacchi ma venendo sviato da uno sfavillante luccichio. «Aspettate! Solo un momento», fa dietro front prima che i soldati si avventino sui due rei, e, avvicinatosi a Sparrow, appunta un cipiglio interrogativo sul grande assortimento di oggetti preziosi con cui questi è agghindato.
«Oh, chiedo venia, quasi dimenticavo!», esclama il pirata assumendo un’espressione svampita mentre accenna un piccolo inchino, «Questi sono i miei umili doni per le vostre fortunate nozze con l’adorabile Miss Swann», lo schernisce irriguardoso, sfilandosi prima la corona e poi uno per uno tutti i monili di cui si è bardato, lasciandoli cadere con gran clangore e dispetto sulle assi. «Felicitazioni!»
Will, che non ha aperto bocca né protestato mentre veniva disarmato e ammanettato, si ritrova a sorridere per l’irriverenza con cui quel tipo male in arnese riesce ad abbindolare i suoi nemici, fingendo di tenerli in gran conto per poi sbeffeggiarli senza pietà. Se poi oggetto del suo scherno è quell’antipatico di Norrington, lo sberleffo, per quanto oltraggioso, lo diverte ancora di più. Ma prova uno stringente senso di colpa incrociando gli occhi tristi di Elizabeth che a quell’augurio fasullo si defila intristita sottocoperta.
Non ha tempo né modo per rimediare a quell’involontaria indelicatezza che viene subito afferrato e trascinato dalle mani sgarbate dei soldati attraverso un boccaporto, fino alle viscere della nave, insieme a Jack, ritrovandosi in breve sospinto e relegato dentro una cella spoglia e buia.
Al loro arrivo un fuoco incrociato di insulti, bestemmie e versacci si è levato tra gli altri prigionieri che li hanno riconosciuti.
«Jack Sparrow?! Brutto bastardo imbroglione! È incredibile che tu l’abbia scampata anche questa volta!»
«E c’è pure il piantagrane figlio di quello sporco traditore di Sputafuoco Bill!»
I due complici, troppo abbattuti per ribattere a quell’acceso coro di imprecazioni, si lasciano graffiare le orecchie dal loro ostile rumoreggiare.
«Godetevi questo bel viaggetto, perché sarà l’ultimo che farete», li deride Gilette, inserendo una doppia mandata all’efficiente serratura di recente fattura.
«Queste celle non le hai costruite tu, vero?», domanda ironicamente il pirata con la bandana rossa, tentando di ritagliarsi un po’ di spazio sul sudicio pavimento.
«No!», afferma sconsolato il fabbro, battendo un pugno contro la cerniera metallica, per poi acquattarsi in un angolo.
Quando la porta d’accesso al locale sottomesso viene sbarrata, il barlume delle lampade recate dal drappello svanisce insieme al rumore cadenzato dei loro tacchi, mentre risalgono ai ponti superiori, lasciandoli in balia della penombra e dello scricchiolio del fasciame e dei suoi tarli. Anche le invettive degli altri carcerati, per lo più sfiniti, feriti o arresi a quell’inutile protestare sulla loro sventura, vanno scemando.
Un lieve refolo d’aria salmastra s’infiltra tra le finestrelle che sostituiscono dei veri oblò, il bagliore della luna ormai alta non arriva a rischiarare ogni angolo angusto fin laggiù, rendendo difficile distinguere quanti siano i prigionieri, di cui aleggiano però i sospiri afflitti e irritati, che trasudano angoscia e rabbia.
«Rallegriamoci! Siamo in buona compagnia», farfuglia d’un tratto Jack, smorzando la tensione palpabile che si è creata dall’istante in cui l’eco delle chiavi si è estinta. «Come vi chiamate, belle donzelle?»
Solo allora Will, abituatosi alla fioca luce dominante, nota che ci sono altre due persone con loro e che evidentemente non sono affatto delle fanciulle, sebbene, per qualche bizzarra ragione, ne indossino le vesti.
«Piantala, Sparrow! È stata tutta colpa tua!», sbraita indignato Pintel, stropicciandosi quella ridicola sottogonna con cui è rimasto abbigliato e svelando di essere uno degli inquilini di quella fetida gattabuia.
«Hai visto? È come ti ho detto io: Capitan Barbossa è riuscito a fuggire con la Perla!», afferma convinto Ragetti, giochicchiando con il merletto della raffinata manica di pizzo.
«E come avrebbe fatto, con tutto questo schieramento di forze?», continua a non credergli il compare, lisciandosi il cranio spelacchiato.
«Possiamo chiederlo a loro due. Sono gli ultimi ad averlo visto probabilmente … », abbozza zelante il pirata dall’occhio di legno, con l’intento di invogliare il collega a porre lui la domanda in sua vece.
«Capitan Barbossa è rimasto indietro. Rassegnatevi», li zittisce seccamente Jack, sistemandosi in un punto più lontano, tanto quanto lo consente la limitatezza di quell’ambiente in cui già si sta sentendo soffocare, incrociando le gambe e poggiando la schiena alla fradicia paratia.
«Hai visto? È andata come avevo detto io», è la risposta di Pintel, impregnata di arrogante saccenteria.
Ragetti schiocca la lingua: «Veramente ero stato io a pensarlo per primo e comunque non è vero. Perché se Capitan Barbossa fosse rimasto indietro, loro sarebbero scappati e invece è successo il contrario».
«Non ho capito», obietta confuso il tozzo bucaniere, grattandosi la pancia pelosa strizzata in quel corsetto che non è neppure riuscito ad abbottonare appropriatamente.
«Te lo spiego di nuovo …» sospira pazientemente il biondino, scostandosi un ciuffo dalla fronte impiastricciata di sudore.
Un colpo tirato vigorosamente contro le barre li fa sobbalzare: «Barbossa è morto!», li spiazza Will, oramai intollerante alle loro vuote chiacchiere che stanno suscitando malumori anche negli altri vicini di cella, già alle prese con il fastidio di ferite sanguinolente e di un’infausta calura.
«E tanto non sarebbe mai venuto a salvarvi!», aggiunge un altrettanto spazientito Jack, detestando dover ricordare la fine ingloriosa del suo acerrimo nemico.
I due compari di lungo corso seguitano a parlottare e bisticciare tra loro sottovoce, pigiandosi in un cantuccio opposto ai due nuovi arrivati.
«Ci impiccheranno?», passato qualche minuto s’interroga Will, a metà tra la rassegnazione e l’incredulità.
«È probabile», risponde serafico e smaliziato Sparrow, strappandosi un brandello della logora camicia e adoperandosi a fasciarsi il taglio sul palmo sinistro, aiutandosi coi denti. «Almeno io non rimpiango nulla. La mia vita bene o male l’ho vissuta. Mi sono tolto ben più di qualche sfizio», continua in un improvviso assalto di malinconia che gli vela gli occhi vivaci e profondi, adombrando anche il suo sorriso mascalzone. «Tu, invece, non sei nemmeno riuscito a confessarle quello che provi. O a corteggiarla come si dovrebbe. Se solo me lo avessi chiesto …».
Il ragazzo reagisce stizzosamente, la voce calma gli s’inasprisce in uno scatto di esasperazione: «A quale scopo? Sta per sposare un valoroso e rispettabile ufficiale della marina britannica. L’uomo giusto per lei», sostiene senza credere troppo alle proprie parole, accasciandosi. Fa male ammetterlo, ma dopotutto sa quanto ciò sia vero.
Il Commodoro James Norrington è un ufficiale pluridecorato, vanta l’appartenenza ad una buona famiglia, è un perfetto gentiluomo, integerrimo e affidabile, può assicurare ad Elizabeth un avvenire sicuro e tranquillo, agiato.
Lui invece è soltanto un modesto garzone di bottega, figlio di un padre disonesto, uno sconsiderato che ha trasgredito la legge; non ha mai avuto nulla di solido da offrirle, men che meno adesso che è diventato anche lui un fuorilegge.
Nulla, eccetto tutto se stesso, riflette sfiduciato, mentre tira via un pezzo di manica della casacca, ormai sporca e consunta, per tentare anche lui di ricavarne una fasciatura.
«Or dunque, mi hai coinvolto in questo guazzabuglio per poi arrenderti al primo intoppo?», lo rimbrotta il pirata col bistro, rimarcando la delusione nel suo timbro pungente screziato da amara ironia, «Questo mi lascia pensare che la tua aspirazione non fosse conquistare il cuore della dama, ma il mio … Per diventare un pirata, s’intende!», puntualizza canzonatorio.
Will sbuffa, ma non ha voglia di replicare alla sua impertinente provocazione, e così nella cella torna a regnare un cupo silenzio.
Ma dura solo pochi minuti.
«Speriamo usino delle corde di lunghezza adeguata», esordisce improvvisamente Ragetti, attirandosi gli sguardi insofferenti dei compagni di prigionia. «Perché ho sentito certe storie di uomini rimasti appesi per il collo anche svariate ore prima di crepare lentamente strangolati …», aggiunge in un singulto intimorito, facendo sconcertare quelli ancora svegli che lo odono.
«In ogni caso io avrò il privilegio di essere il primo. La mia lista di colpe è assai più lunga della vostra», proferisce Sparrow, con un fatalismo intinto da una punta di orgoglio, accarezzandosi la rondine tatuata sull’avambraccio destro, poco sopra l’infamante “P” marchiata a fuoco sulla pelle abbronzata.
«Avrei preferito una morte da pirata», singhiozza ancora il biondino con l’occhio di legno, «Una pugnalata, un colpo di schioppo, una sciabolata!».
«Beh, pazienza, vecchio mio», lo conforta Pintel, poggiandogli una pacca sulla spalla «Credo che sarà comunque meglio di morire annegati».
«Confermo», si frappone al loro macabro scambio di vedute Jack, alterando i lineamenti in un’espressione spiritata e inorridita.
Nella penombra, dal suo angolo in disparte, Turner li guarda di sottecchi e non può fare a meno di considerare quanto, con le manette ai polsi e la consapevolezza di non essere più invincibili, quei furfanti abbiano perso tutta la loro beffarda spavalderia.
Squittiscono come topi in trappola.
Sparrow fa scampanellare i pendagli intrecciati nella sua incolta massa di capelli unti di salsedine: «La massima aspirazione per ogni buon pirata che si rispetti è morire in mare», asserisce con fare da esperto, smentendo la sua proverbiale vigliaccheria. «Non nego che rimandare la mia precoce dipartita sarebbe di mio gradimento, ma se proprio potessi scegliere, vorrei essere impiccato sul molo di Londra. Sapete quanta gente si radunerebbe per presenziare allo spettacolo dei miei rantoli mortali?», ammicca con divertita insolenza, sfoggiando la chiostra di denti dorati.
È sempre stato avvezzo a vivere di espedienti e a scansare mille pericoli. La sua fine se l’è sempre immaginata teatrale, eroica, memorabile. Finire per esalare il suo ultimo respiro su un patibolo allestito in un posto così piccolo, per quanto insignito dalla fama di “città più ricca e malfamata al mondo”, non è mai stato nei suoi piani. Gli pare piuttosto indegno per uno con la sua lunga e considerevolmente scellerata carriera.
I compagni di prigionia scorgendo sul suo volto la sfumatura di un sogghigno impunito si scambiano un’occhiata basita, chiedendosi come faccia quel briccone impenitente a non prendere sul serio neanche la morte.
Will invece ritiene di comprendere il suo atteggiamento dissacratorio. L’apparente disinvoltura con cui discorre di quell’argomento forse è solo un modo come un altro di esorcizzare il profondo terrore per ciò che lo aspetta, qualcosa su cui non ha potere.
Quando era bambino e viveva in un povero villaggio di pescatori poco fuori Glasgow, gli è capitato di assistere alle esecuzioni di qualche criminale di bassa lega giustiziato sulle rive del fiume Clyde. Non ne serba un ricordo piacevole; le espressioni deformate dallo spasimo dei condannati, lasciati appesi per settimane sulle forche a decomporsi, con mani e piedi legati, hanno popolato per parecchie notti i suoi peggiori incubi.
«E tu, ragazzo? Come avresti voluto morire?», lo interpella Ragetti, il più chiacchierone e impiccione della strana accoppiata.
Il giovane fabbro esita qualche secondo nel rispondere. Prima di quella concitata settimana la sua vita per tanti anni è fluita placida e tranquilla; poi, nel giro di pochi dì, è stato trascinato in un turbine di situazioni potenzialmente letali, correndo il rischio di finire infilzato, sparato, annegato, sgozzato. E probabilmente adesso finirà impiccato.
Un sorriso mesto gli stira le labbra asciutte: «Da uomo libero».


Intanto sopra coperta le operazioni di ripulitura del ponte si sono già concluse e, salpate tutte le ancore, ogni marinaio ha ripreso la propria mansione.
Il mare è calmo, ma una tiepida brezza soffia costante e favorisce la navigazione, facendo ben sperare in un viaggio rapido e senza impedimenti.
Elizabeth, approfittando del momentaneo disinteresse generale nei suoi confronti, si è chiusa nell’ampio alloggio prestatole dal Commodoro. La sua mente insonne ed eccitata non smette di ripercorrere gli avvenimenti di quegli incredibili giorni.
La paura provata al cospetto di quei pirati dalle sembianze di scheletri adesso la fa vergognare: ha reagito come una sciocca ragazzina fifona, ma poi ha anche saputo mettersi alla prova, sfoderando una prontezza di spirito che non immaginava di possedere.
D’altronde la comoda e oziosa vita di giovane aristocratica non le ha mai permesso di misurarsi con situazioni particolarmente difficili: il massimo sforzo è stato eseguire bene un inchino o ricordarsi nomi, titoli e rango degli ospiti che incontrava ai vari tediosi ricevimenti cui era invitata per evitare brutte figure.
Non le è a mai parsa vita vera, quella: è stato come vivere in una gabbia dorata, in cui tutto è fondato sull’apparenza. Al contrario sul mare sono soltanto le doti di ciascuno a rendersi necessarie per la sopravvivenza. E lei conserverà per sempre il ricordo di quei momenti, ora che è dolorosamente consapevole che non si ripeteranno.
Il destino le ha fatto sperare di poter cambiare rotta, ma poi l’ha riportata al molo di partenza. Non senza conseguenze: Will ora potrebbe rischiare il capestro a causa sua.
Come le è venuto in mente di usare il suo cognome? Perché non fa altro che pensare a lui, indubbiamente, ma anche perché era curiosa di scoprire quale fosse il significato di quel misterioso medaglione che gli aveva sottratto anni addietro.
Se davvero diventerà la signora Norrington, vuole che almeno il suo amore d’infanzia si salvi da quella morte orribile e indegna. Lo difenderà ad oltranza, farà tutto ciò che è in suo potere per perorare la sua causa, purché venga risparmiato da una simile condanna.
E in quanto a lei … Forse si rassegnerà, si accontenterà di ciò che ha, diventerà una buona moglie, quieta, composta, accomodante, così come richiede la società e il suo ceto.
Potrebbe riuscirci, se lui si trasferisse a vivere altrove, più lontano possibile dalla probabilità di imbattersi l’uno nell’altra; le basterebbe saperlo al sicuro, sereno e appagato.
O forse, prima o poi, vivere nella falsità la annienterebbe e farebbe l’impossibile pur di ritrovarlo.
Nel caso in cui Will invece decidesse di restare a Port Royal … forse non riuscirebbe a resistere alla tentazione, s’incontrerebbero clandestinamente, comprometterebbe la sua rispettabilità, e, dovendo mentire costantemente a se stessa e alle persone più vicine, diventerebbe una moglie insoddisfatta, inquieta, infedele, la sua salute mentale cederebbe, e finirebbe come una di quelle eroine tragiche della letteratura che ha tanto compatito.
Le sembra di avere un cappio che le stringe sempre più forte la gola, ha le tempie che pulsano, gli occhi bruciano, sale amaro le impasta la bocca. Elizabeth si alza dalla scomoda branda, stizzita da se stessa. Non è mai stata una ragazzina dal pianto facile, ha versato pochissime lacrime perfino dopo la prematura scomparsa di sua madre, non sopporta di sentirsi tanto fragile e inerme, di apparire indifferente alla sorte avversa che li attende non appena avranno rimesso i piedi sulla terraferma.
Deve agire, fargli sapere che lo proteggerà, difenderà il suo diritto di esistere.
Totalmente infervorata dall’ansia di rivederlo, di chiarirsi, si slancia verso la porta, decisa a scendere nelle prigioni, non le interessa quanto possa essere sconveniente. Ma non appena avverte un timido bussare e distingue la voce un po’ preoccupata del padre richiamarla, si lascia andare ad un sospiro rassegnato, le braccia cadono inerti lungo i fianchi.
«Sei sicura che vada tutto bene? Avrei bisogno di parlarti. Non ho neppure potuto chiederti come stai», insiste con premura il genitore, convincendola ad aprirgli.
«Entrate, padre. Sto bene. Sono solo un po’ stanca», bisbiglia tenendo gli occhi bassi, per timore che lui possa notarne il rossore.
«Sono riuscito a recuperare del thè», la sorprende piacevolmente l’uomo imparruccato, porgendole una sobria tazzina fumante, «Sfortunatamente sono sprovvisti di latte e zucchero».
«Non fa nulla. Grazie», Elizabeth accetta volentieri l’offerta, inspirando l’aroma speziato del liquido brunastro, bagnandosi appena le labbra mentre si siede sul bordo del lettino.
Il governatore Swann si guarda attorno per qualche secondo, scegliendo infine una seggiola dalla federa di velluto su cui potersi ugualmente accomodare: «Confesso di non aver ancora ben capito cosa sia realmente accaduto …», balbetta sorseggiando a sua volta, visibilmente a disagio nel riuscire a trovare le parole più sensate. «Quei pirati non erano, non sembravano … Voglio dire, erano …».
«Erano maledetti», asserisce la ragazza, intuendo dal suo muto interrogarla smarrito di essere stata troppo diretta.
«Lo sospettavo», mormora Swann, le pupille dilatate dallo sgomento e lo stomaco sferzato da una fitta nel ricordare il suo impacciato tentativo di respingere gli orripilanti assalitori che erano penetrati sin dentro la cabina in cui aveva cercato invano rifugio durante il caos della battaglia.
Così Elizabeth gli narra la leggenda dell’oro maledetto di Cortés, gli riferisce per sommi capi cosa ha passato da quando è stata rapita, trascurando di soffermarsi espressamente sui momenti in cui ha rischiato in maggior misura la sua incolumità e il suo onore, tenta di spiegare con più calma e razionalità possibile quello che anche per lei è ancora arduo considerare come reale. Tutte le sue più ferme certezze sono state cancellate, ciò che di contro credeva fossero soltanto innocue storie di fantasia, intrise di superstizione popolare, sono state confermate come assolutamente vere dalla strabiliante esperienza che ha vissuto in prima persona.
Suo padre si limita ad accompagnare il suo racconto con qualche esclamazione timorata e sbigottita e con qualche commento distratto, cambiando continuamente posizione sulla seduta, quasi il cuscino fosse imbottito di spilli. E lei lo conosce sin troppo bene per non sospettare che ci siano altri pensieri a turbarlo, ora che si è rassicurato sulla sua integrità.
«Avrei anche qualcos’altro da dirvi. Ma prima cominciate voi», lo esorta conciliante, trattenendosi dall’intraprendere la conversazione che le preme di più affrontare con lui.
«Ecco, poco fa a cena, la cena di cui tu hai declinato l’invito» sottolinea contrariato, «il Commodoro Norrington mi ha confidato che intende dare inizio ai preparativi per le nozze non appena avrà sistemato la faccenda dei pirati a Port Royal», la informa frettolosamente, come si fosse tolto un peso dalla coscienza.
La ragazza non può fare a meno di aggrottare la fronte in segno di disappunto: «E voi cosa gli avete risposto?»
Gli occhi del governatore Swann brillano di compiacimento: «Vedi, Norrington mi ha confessato di possedere già una dimora più che dignitosa cui andrebbero apportate solo poche modifiche per renderla consona ai bisogni di una giovane coppia di sposi, al che io gli ho fatto presente che per quanto concerne questi dettagli dovrebbe discutere e accordarsi direttamente con te», si esprime con più discrezione possibile, non nascondendo però l’intima speranza che lei mantenga fede alla promessa informale pronunciata solo un giorno fa.
La giovane figlia gli tende una mano: «Grazie, padre», sussurra con un amarognolo nodo alla gola, abbracciandolo.
«Ad ogni buon conto. Tu cos’è che volevi dirmi», la riscuote lui, scostandola da sé e scrutandola impensierito.
«Si tratta di Will Turner …», Elizabeth esita, mordendosi una guancia, mentre l’afflizione e un senso di fallimento le solleticano le ciglia. Sarebbe il momento più adatto per confessargli che invero non ha alcuna intenzione di unirsi in matrimonio con quell’uomo freddo, inappuntabile e impettito, che la sua vita con lui sarebbe insignificante, vuota e indiscutibilmente infelice. Tuttavia non vuole scontentarlo, è stata troppo spesso una bambina disubbidiente, mettendo a dura prova la sua pazienza e la sua bontà; ormai è una donna, deve rimediare ai suoi errori, dire addio ai capricci e alle trasgressioni, deve farsi carico dei suoi doveri, se vuole continuare a dimostrargli la sua gratitudine e guadagnare la sua stima.
Allora, assumendo un atteggiamento all’apparenza neutrale, espone con ponderatezza la sua richiesta: «Quel ragazzo ha messo volontariamente a repentaglio la sua vita per salvarmi. Lo conosco da quando eravamo bambini. Siamo cresciuti insieme, giocavamo insieme. Si è sempre comportato onestamente. Non ha niente da spartire con quei furfanti. È stato costretto ad unirsi a loro per tentare di liberarmi», si interrompe a riprendere fiato, essendosi accorta di non aver potuto evitare di palesare un coinvolgimento che trascende la volontà di affermare la sua innocenza. Si ravvia i capelli dietro le orecchie, fissando i grandi occhi da cerbiatta in quelli del genitore, che finora l’ha ascoltata cogitabondo: «Ecco, in virtù di queste ragioni, vi sarei oltremodo riconoscente se vorreste concedergli la vostra clemenza. Lo farete?»
Weatherby Swann trae un sospiro indulgente: «Potrei mai negartelo e sapere che in cuor tuo me lo rinfacceresti per il resto dei miei giorni?», è la sua pacata risposta, che forse serba in sé la comprensione di ciò che lei non ha ancora avuto l’animo di confessargli apertamente.
La ragazza si scioglie in un timido sorriso di ringraziamento, tornando a cercare conforto tra le sue braccia, un gesto pressoché insolito per entrambi, che sporadicamente sono stati propensi ad esternare in modo tanto tangibile il loro reciproco affetto.
«Dopotutto lo avevi anche chiesto come dono di nozze al tuo futuro marito», soggiunge il governatore, dandole l’impressione di stare tastando la sua sincerità.
Ma Elizabeth non si scompone: il suo amato Will non morirà orribilmente appeso a una corda, tutto il resto passa in secondo piano.
«Era soltanto questo ciò di cui volevi parlarmi?» la pungola per un’ultima volta Swann, un barlume enigmatico nello sguardo, cui lei annuisce con risolutezza. «Allora buona notte, cara», le bacia la fronte e così dicendo si congeda, lasciandola in compagnia dei suoi dubbi.
È stato facile”, valuta mentalmente la ragazza, pur domandosi se suo padre le abbia creduto senza essere intaccato da troppi sospetti.
Si spoglia della pesante giacca, delle scarpe con la fibbia e dei rozzi pantaloni di tela, tutti indumenti che non le appartengono, che però non ha avuto alcuna difficoltà a calzare. Ci si muove molto meglio con abiti semplici e rozzi come quelli, rispetto ai corsetti e alle innumerevoli sottovesti che è tenuta ad indossare quotidianamente, si ritrova a riflettere, stendendosi sulla branda.
Per la prima volta, dentro quegli abiti impropri per una donna, si è sentita se stessa. Libera. E le è sembrato di essere capace di fare qualunque cosa, che tutto fosse possibile.
La stessa inebriante sensazione provata vicino a Will.
Infinite volte, nella sua fervida immaginazione, ha vagheggiato di trovarsi insieme a lui su di un vascello pirata, a battersi contro temibili corsari nemici armati fino ai denti, a lottare per non essere inghiottiti dalla furia di un oceano in tempesta, a duellare schiena contro schiena con lui, respingendo e annientando chiunque volesse far loro la pelle.
A navigare su placide acque imporporate dal sole al tramonto o brulicanti di miriadi di luci per il riflesso delle stelle, mentre se ne sarebbero stati abbracciati stretti sotto la volta celeste, loro unico tetto e unico testimone della loro ardente passione.
Lasciandosi cullare da quel dolce flusso di fantasie e sogni irrealizzabili, il suo corpo e la sua mente esausti scivolano gradualmente in un confortante sonno traboccante di speranze e ricordi.

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Capitolo 3
*** III – Non ci sono eroi fra i ladri ***


III – Non ci sono eroi fra i ladri

- Tutta a dritta!

È un confuso brusio, un sommesso cigolare, un leggero sgocciolio che accompagna il risveglio dei suoi sensi annebbiati dalla coltre di un sonno inquieto, affollato da immagini spaventose e raccapriccianti. Quel suono di acqua che scorre a gocce è così vicino al suo orecchio, che Will finisce per schiudere le palpebre appiccicaticce, ritrovandosi ad un palmo dal naso un paio di brache calate su due gambe magre e pallide.
Il giovane, ancora un po’ intontito dalla brusca ripresa di coscienza, mettendo a fuoco nel labile chiarore del mattino il resto della figura in piedi accanto a lui, si scosta d’impulso, battendo sonoramente la nuca sulla grata di ferro.
«Ben svegliato, giovane Turner!», lo saluta sogghignante mastro Pintel, comparendo alla sua destra.
Nel mentre Ragetti, dopo una scrollatina, si rialza i calzoni, richiude la patta e riabbassa la gonna: «Quasi non ricordavo più come si fa!», sbotta ironico, e poi, porgendogli con nonchalance il secchio in cui ha urinato, «Vuoi favorire?»
Il ragazzo inghiotte a vuoto, temendo di essere molto vicino ad avere un conato di vomito, pur avendo lo stomaco sostanzialmente digiuno. L’odore persistente del sego delle candele ormai consunte si mescola al tanfo acre del sudore, di sangue e sporcizia, ammorbando l’aria immobile che puzza terribilmente di umidità e di rinchiuso.
Il briccone con la pelata e i capelli arruffati gli si rivolge ancora: «Che c’è, ragazzino? Ti vergogni? Sei proprio la copia sputata di Sputafuoco Bill!», sghignazza irriverente, contagiando con la sua vena canzonatoria il compare di scorribande che ridacchia reiterando: «Sputafuoco sputato!».
Will inspira a fondo, premendosi le dita sulle tempie pulsanti, incassando la becera battuta. Dopo la loro tetra dissertazione della sera precedente, non si aspettava che recuperassero così velocemente quella smargiassa spudoratezza.
In lui, invece, al rammarico e al timore sta subentrando una disperata apatia.
Non riesce ancora a capire se sentire nominare suo padre gli susciti più risentimento o delusione, avendo scoperto chi fosse realmente, da dove provenissero i suoi sparuti regali. Eppure è combattuto anche dal desiderio di sapere qualcosa di più su di lui. Gli fa uno strano effetto sentirsi ripetere da tutti che gli somiglia, se lo ricorda così poco ...
«Non arriveremo a Port Royal prima dell’alba di domani», afferma navigato Sparrow, sbirciando il cielo livido da una stretta finestrella e aspirando avidamente l’aria salmastra, «Ti conviene approfittare, se non vuoi che ti scoppi la vescica», sbiascica caustico.
Avvertendo effettivamente una certa pressione sul basso addome, il ragazzo dopo qualche secondo è costretto malvolentieri a dargli retta. Stiracchia gli arti anchilosati dalla posizione scomoda di quel duro giaciglio improvvisato e lentamente si rimette in piedi. L’essere ammanettato gli rende penoso espletare quel naturale atto corporeo, e ancora di più lo inibisce quella situazione di promiscuità cui non è abituato, ma che a tutti gli altri non suscita il minimo imbarazzo. Spontaneamente si domanda quante volte Bill Turner, per quella sua discutibile scelta di diventare un bucaniere, si sia ritrovato in simili frangenti degradanti, intrappolato tra squallore e sudiciume.
«Non gettarla fuori, siamo controvento», gli raccomanda con saccenteria il pirata più smilzo, quando intuisce che ha finito, facendolo sentire nuovamente uno sprovveduto.
Will riappoggia il lercio recipiente di legno per terra e si scosta, pulendosi alla bell’e meglio le mani sulle ginocchia. Se il suo futuro prossimo, breve o lungo che sia, sarà quello di miserabile recluso, deve imparare alla svelta a non essere troppo schizzinoso.
Ragetti intanto riavvicina a sé il secchio, scambiandosi un sorrisetto diabolico con il compare di lungo corso.
«Comincio ad avere una fame boia, accidenti», prorompe innervosito quest’ultimo, massaggiandosi la pancia che brontola.
Il biondino di fronte a lui si sfrega l’occhio finto, bofonchiando: «Non penso ci daranno qualcosa da mettere sotto i denti. Oramai siamo cadaveri che respirano. Non che prima la nostra situazione fosse tanto diversa …».
Morte. Ne parlano con tale naturalezza. Turner sospira avvilito, affacciandosi alla feritoia.
«Beh ma, giacché non sono ancora morto, ho una dannata fame!», insiste a cercare ragione il furfante calvo e tarchiato, ottenendo riscontro dagli altri sodali imprigionati, che cominciano a vociare e protestare anch’essi, picchiando con le catene contro le sbarre.
«Io ho voglia di sbronzarmi. Mi scolerei anche un intero barile di rum. O forse un’intera stiva di barili di rum», borbotta tra sé e sé Jack Sparrow, le iridi liquide e le labbra incurvate in sorriso bramoso al solo vagheggiare l’appagamento di un simile desiderio, che gli fa aumentare la salivazione.
Quasi invocati dalle loro lamentele, irrompono quattro soldati, subito assaliti da coloriti improperi. Si accertano che durante la notte non ci siano stati altri decessi tra i feriti più gravi, né che qualcuno abbia tentato di forzare le serrature delle prigioni. Rassicurati sull’assenza di rischi per potersi accostare a quegli uomini scellerati capaci di tramare qualunque insidia, richiamano un quinto soldato che reca con sé un pentolone.
Quel pietoso rancio, che è probabilmente composto dai rimasugli di quanto avanzato dalla mensa destinata ai residenti dei ponti superiori, viene distribuito riempiendo delle scodelle fatte passare appena sotto le grate di ogni cella, in numero notevolmente inferiore alle bocche da saziare, così che tra quei furfanti si scatena una gazzarra per accaparrarsi il misero pasto.
Appena giungono davanti alla loro soglia, Will nota un furtivo scambio di occhiate tra i due ex cannonieri della Perla Nera. Con un movimento fluido il magrolino si alza, la secchia di urina tra le braccia, e adesso il suo intento gli è chiaro. Vorrebbe avvertire in qualche modo il malcapitato marinaio, ma d’un tratto accade qualcos’altro.
Sparrow stende una gamba, per poi ripiegarla rapidamente contro il busto; guarda Will inarcando le sopracciglia, intimandogli di tacere. E lui, non sa né come né perché, lo asseconda. Quell’uomo scorretto e ambiguo esercita un insano ascendente su di lui.
Ragetti, ignaro del suo sleale sgambetto, prevedibilmente inciampa, riversandosi addosso tutto il maleodorante contenuto. Il soldato invece si allontana, lanciandogli con negligenza le ciotole mezze piene, neanche fossero animali da foraggiare.
«Così finalmente ti deciderai a toglierti quel vestito da donnicciola!», lo motteggia un collega della ciurma che ha assistito alla scena dalla cella opposta, scatenando il riso malevolo degli altri pirati.
«Era grazioso come abito, però», s’imbroncia il diretto interessato, sgusciando impacciatamente fuori dal corpetto e dalla gonna color malva, che il defunto quartier mastro Bo’sun lo aveva costretto a indossare per creare un diversivo.
«Smettila di dire così! Sei un invertito o cosa? Mi fai vergognare!», lo ammonisce irritato Pintel, spogliandosi anche lui di quel che resta dello sbrindellato abito giallo canarino.
Mentre i due si ricompongono, risistemandosi le consuete vesti piratesche che avevano mantenuto sotto il buffo travestimento, Jack annusa circospetto la brodosa vivanda, che ha la vaga parvenza di essere una zuppa di pesce: «Mi sento magnanimo, signori. La lascio a voi», arriccia il naso schifato.
Il giovane Turner intanto gli si accosta e, scartata anche lui quella repellente brodaglia, spostandone la ciotola, tenta di estorcergli una confessione: «Perché lo hai fatto?», indaga cauto, inclinando il mento in direzione dei due furfanti che continuano a lagnarsi dello sgradito incidente, quando il pirata finge di non capire il suo sottinteso.
«Non mi piaceva il modo in cui sparlavano di Bill», rimastica stringato quello, deviando lo sguardo verso una minuscola apertura che mostra acque leggermente increspate.
Nonostante la laconicità della sua risposta, Will rimane stupito di ricevere tale sincera ammissione da parte di quel tipo che sembra sempre pronto a schermirsi e a indossare una cinica maschera di menzogne; perciò s’incoraggia a chiedere ancora: «Lui com’era? »
L’ex capitano lo sbircia appena, scoccandogli un cipiglio serioso e infastidito, poi reclina la testa contro il tramezzo metallico, il suo accento è schietto, quasi nostalgico: «Era un tipo schivo, mansueto, impulsivo. Cocciuto come uno stramaledetto mulo. Sapeva farsi valere, quando ce n’era bisogno. Se qualcosa non gli andava a genio, non temeva di dire il fatto suo, anche cacciandosi scelleratamente nei guai … Ne abbiamo combinate a bizzeffe, ai bei tempi andati».
Una baraonda di ricordi, alcuni graditi, altri spiacevoli, gli sfarfalla davanti agli occhi.
Si perde per qualche istante nel ripensare ai loro rocamboleschi trascorsi insieme a caccia di mitici tesori, tra le Americhe e l’Estremo Oriente, alle audaci azioni piratesche perpetrate contro altri loschi individui di malaffare.
«Ti aveva mai raccontato di me?», lo incalza imperterrito il ragazzo, più scettico che speranzoso, afferrandosi le ginocchia, dondolando lievemente, in una posa quasi infantile. Jack lo scruta di sbieco: ora davanti a lui c’è soltanto un bambino cresciuto troppo in fretta che si sforza di apparire forte e inscalfibile, mentre elemosina qualche briciola di conforto che sfami il suo bisogno di approvazione. Non è estraneo a tale anelito.
D’improvviso torna in sé: «Forse. Non mi ricordo», glissa con freddezza, scrollando le spalle e incrociando le braccia dietro il collo, sollevato di riuscire ancora imperturbabilmente a mentire.
Turner non insiste a stuzzicarlo, piuttosto si strofina un avambraccio sul viso madido, emettendo un sussurro dolente: «Stavo pensando che, ovunque fosse … potremmo averlo ucciso, spezzando la maledizione».
Sparrow è sconcertato da quella terribile deduzione, ma non è tipo da indulgere in rimpianti: «Non pensarci. Era l’unico modo. E tanto ormai non puoi cambiare le cose».


C’erano soltanto il timoniere e qualche mozzo intento a strigliare il ponte di coperta, quando è sgattaiolata fuori ai primi albori, sospinta dall’irresistibile bisogno di riempirsi gli occhi dello straordinario azzurro di quel mare cristallino, di sentire il vento caldo dei Caraibi scompigliarle i capelli liberi da acconciature, avvertirlo infilarsi sotto il tessuto di percalle, solleticandole deliziosamente la pelle intirizzita dal freddo della notte, come una peccaminosa e proibita carezza.
Aveva fatto spesso quelle sortite anche durante la lunga traversata oceanica che, più di otto anni prima, su quella stessa nave, l’aveva condotta dalla nebbiosa Inghilterra all’assolata Giamaica, con gran disperazione della sua governante.
Adesso non c’è stato nessuno a controllare le sue mosse, è riuscita a eludere facilmente la stretta sorveglianza di due piantoni e di suo padre, che pure alla fine si è arrangiato a dormire nel suo stesso alloggio, troppo grande e confortevole per non essere diviso almeno fra due occupanti. Ha voluto evitare di permettergli di intuire che ha continuato a struggersi, nel sonno e soprattutto nella veglia, e così è fuggita via. Via dalle futili farneticazioni, via dagli insostenibili sensi di colpa, via dai suoi pensieri tormentosi che tornano sempre inevitabilmente a ruotare intorno a lui.
Elizabeth distoglie lo sguardo dalla fasciatura alla mano sinistra, tentando di scacciare la memoria del suo amorevole tocco e delle indecenti sensazioni che le ha fatto divampare dentro, quando poi le sue dita callose l’hanno sfiorata sul collo. E quando l’ha fissata con quello sguardo ardente di adorazione, manifestando tutto quello che provava per lei, anche senza la necessità di parlare ... Come avevano potuto restare impassibili, pur avvertendo quella tensione che li spingeva ad annullare le distanze? Sarebbe bastato così poco per cambiare ogni cosa.
Espira lentamente. Ha sperato che trascorrere qualche minuto lassù potesse aiutarla ad alleggerire la testa e il cuore dal peso della responsabilità che sente gravare su di sé, avendo accettato di piegarsi a quel mortificante compromesso che cambierà per sempre il corso della sua vita. Invece perfino il tempo atmosferico sembra riflettere il suo malumore: nubi temporalesche si addensano all’orizzonte e le onde si stanno ingrossando.
Perdendosi ad osservare le creste grigie che si infrangono sullo scafo, si domanda ancora se sarà mai capace di non desiderare più di avere al suo fianco la presenza confortante ed eccitante di Will Turner e di riuscire ad essere una buona moglie per l’irreprensibile James Norrington. Un uomo rigido e ligio al dovere come lui perché mai ha scelto di chiedere la mano ad una giovane acerba e refrattaria all’etichetta come lei? E per quale motivo aspira a sposarsi? Rischia quotidianamente la pelle, mette piede a terra per pochi giorni all’anno, è tutto preso dalla smania di far carriera e non avrebbe tempo da dedicare ad una come lei, che si sente ancora una ragazzina desiderosa di vivere fuori da costrittive mura domestiche, di esplorare il mondo in tutta la sua grandezza e varietà.
Si sporge un po’ di più dalla ringhiera di prua, riuscendo a scorgere il leone e l’unicorno scolpiti sulla polena della Dauntless e, per qualche minuto, decide di chiudere le palpebre, lasciandosi trasportare dal suono cadenzato delle onde, restando in ascolto degli scricchiolii del legno, del fruscio delle corde e delle schioccare delle vele, fantasticando su quanto le piacerebbe udire sempre quei suoni, mattina e sera …
«Ah, Elizabeth, eccoti qui. Stanno per servire il pranzo», la voce compassata di suo padre giunge come una secchiata d’acqua fredda, che le rammenta come il tempo per sognare si sia drasticamente esaurito. Raddrizza la postura, si riabbottona nella giubba rossa per coprire le inopportune trasparenze della camiciola e si volta verso di lui con un saluto cordiale, facendosi prendere sottobraccio e accompagnare alla cabina del Capitano.
Il Governatore Swann affretta il passo, faticando a mantenere l’equilibrio per il beccheggio crescente. Non gli è mai piaciuto navigare, eppure, non appena gli è stata ventilata la possibilità di farlo, ha abbandonato la comoda ed elegante scrivania di noce del suo ufficio di Fort Charles e si è imbarcato senza esitazione, perché non sopportava l’angoscia di dover aspettare passivamente l’arrivo di una missiva per accertarsi che la sua unica figlia fosse stata tratta in salvo dalle grinfie dei rapitori e stesse per tornare a casa illesa.
Le porte della sala adibita a convivio vengono aperte da due camerotti, che indicano agli Swann i posti loro destinati, affaccendandosi a finire di apparecchiare.
Il Commodoro James Norrington e i suoi due ufficiali, i tenenti Andrew Gillette e Theodore Groves, in piedi davanti all’ampia parete vetrata di poppa, si esibiscono all’unisono in un ossequioso inchino; poi gli ultimi due, scambiando qualche altra parola con il loro superiore, prendono congedo, tornando sul ponte di comando.
Al Governatore è riservato il posto a capotavola, mentre i novelli fidanzati sono fatti sedere uno di fronte all’altra nel lungo tavolo imbandito in maniera frugale.
«Miss Swann», Norrington le omaggia di nuovo una galante riverenza, attendendo che sia lei la prima a sedersi. «Spero abbiate riposato bene, nonostante la mancanza delle comodità cui siete usa. Sono desolato di non aver potuto offrirvi niente di meglio del mio spartano alloggio. D’altronde una nave non è il luogo più adatto ad una signora», opina con tono severo ma affabile, afferrando le posate, potendo così evitare di contemplarla più del necessario. La sua naturale e fresca bellezza, con i lunghi capelli sciolti che le ricadono scomposti sulle spalle, è ancora più spaventosamente disarmante.
Elizabeth non vuole essere scortese, né apparire troppo condiscendente: «Ad essere sincera, Commodoro, mi è risultato alquanto gravoso riuscire a prendere sonno, sapendo che molti uomini nelle scorse ore hanno perduto la loro vita o sono moribondi a causa mia, e che pochi metri sotto di noi ci sono uomini destinati a patire una sorte altrettanto ignobile, se non peggiore», asserisce con una sfumatura polemica, rimestando il cucchiaio nel piatto fondo senza arrivare a portarlo alla bocca.
L’ufficiale inglese sente su di sé lo sguardo giudicante di entrambi i suoi ospiti, perciò poggia il tozzo di pane che ha spezzato con gesti misurati, puntando gli occhi sulla giovane e indocile aristocratica di cui è infatuato: «Ogni soldato nel momento stesso in cui si arruola è consapevole di dover mettere in conto un prezzo molto elevato per difendere i valori in cui crede e che ci consentono di prosperare: civiltà, ordine, legge. E per quanto concerne i pirati … Beh sono coscienti che l’immorale rotta da loro intrapresa alla fine li condurrà alla dannazione», argomenta irreprensibile e spassionato.
La ragazza è quasi invidiosa della sua compostezza; lei invece ha sempre avuto difficoltà a non accalorarsi quando è in disaccordo: «Ritengo sia comunque eticamente discutibile, vantarci di essere civili e progrediti, e poi infliggere ancora oggi certe barbare condanne a chi sbaglia. Chi ci dà il diritto di privare un essere umano della sua facoltà di scegliere come vivere …»
«Elizabeth!», la richiama al contegno suo padre, tamponandosi le labbra col tovagliolo, «Se sei ancora preoccupata per il tuo amico, ti ribadisco che non appena tornati a Port Royal, emanerò un provvedimento di clemenza a suo favore», la rassicura lanciandole un’occhiata supplice e ammonitoria. Con quel suo ostinato impuntarsi a difendere tali canaglie, sembra che voglia fare un affronto a lui e alla sua autorità.
«Vi riferite al signor Turner?», si acciglia il Commodoro Norrington; più che una domanda è quasi un’affermazione. Non è cieco, negli ultimi anni, e soprattutto con il susseguirsi degli ultimi eventi, ha intuito quanto i due coetanei siano reciprocamente affezionati.
Benché abbia ancora delle riserve su quell’orfano dal passato ignoto ripescato dopo un tragico naufragio; è diventato un bravo artigiano, puntuale, capace e serio, forse il suo garbo, il suo riserbo e il suo aitante aspetto possono risultare attraenti ad un occhio femminile, ma non gli è mai parso tanto speciale da essere degno dell’alta considerazione di una lady del suo rango. Che abbia dei talenti nascosti, di cui lui non è a conoscenza?
Il Governatore Swann giustifica la sua magnanima decisione: «Concordo sia giusto che resti in cella per la durata del viaggio, affinché abbia modo di riflettere sulla sua disdicevole condotta, ma il signor Turner è sempre stato un ragazzo perbene, non si è mai macchiato di alcun delitto. Sono certo che avrà occasione di redimersi, in fondo è ancora molto giovane. In quanto a tutti gli altri … Buon Dio! Un trattamento eguale è fuori discussione! Sono nemici della corona e dell’umanità, devono pagare il loro conto alla giustizia», decreta irremovibile, intimando persuasivo alla figlia: «Mi auguro tu non abbia nulla da ridire su questo punto, Elizabeth».
Lei annuisce, e, non trovando niente di più pertinente da aggiungere si limita a bisbigliare: «No, padre. Certo che no», bevendo un sorso d’acqua per deglutire lo sdegno.
Vedendola insolitamente remissiva, James Norrington invece ci tiene a fare una puntualizzazione: «Non temete, Miss Swann. Non è nei miei piani trasformare la nostra bella isola, che ha già patito la distruzione e il lutto per mano di quei malviventi, in un cimitero a cielo aperto. La maggior parte di quei criminali saranno trasferiti in carceri oltreoceano. Basterà giustiziarne pubblicamente uno per dare l’esempio a tutti e vendicare l’onta della vile aggressione che abbiamo subito».
Le palpebre della ragazza hanno un leggero fremito. Crede di aver intuito a chi stia sottintendendo: «Jack Sparrow?», esterna timorosa della sua stessa perspicace conclusione.
«Esatto. Ha già mancato il suo precedente appuntamento col patibolo», assevera impietoso il Commodoro, lasciando comparire una smorfia di spregio sul volto arrossato, mentre impugna forchetta e coltello per sminuzzare il filetto di merluzzo.
Elizabeth stringe le labbra. Aveva quasi dimenticato che anche sul bislacco avventuriero dai magnetici occhi bistrati pende una condanna capitale. Dopo aver letto tanto di lui e delle sue incredibili prodezze nelle cronache e nei gazzettini locali, conoscerlo di persona ad un primo impatto è stato emozionante, spiazzante e un po’ deludente. Astuto, egoista, manipolatore, ha compiuto atti spregevoli, li ha circuiti per i suoi scopi, eppure ci sono lati del suo carattere che hanno riscosso la sua ammirazione: è tenace, spericolato, spiritoso, a suo modo cavalleresco, e in parte ispirato da ideali di libertà e ribellione che condivide.
Assistere alla sua esecuzione sarà come dire addio definitivamente alla spensieratezza della sua infanzia.


Qualche ponte più giù, nelle celle di bordo, i prigionieri, spossati dalla noia, dalla debolezza e dalla limitata ventilazione, sono quasi tutti assopiti.
Ci ha provato e riprovato ripetutamente anche lui a farsi una dormita, ma la sua brillante mente tattica lo tiene vigile, vagliando tutte le possibili azioni da mettere in atto per uscire indenne da quell’inghippo. E non è un inghippo da poco, stavolta.
Quel Commodoro sembra un tipo piuttosto ostico e sciaguratamente fortunato: è già riuscito a catturare l’imprendibile Capitan Jack Sparrow per ben tre volte negli ultimi cinque giorni! Presupposto che lo rende un avversario temibile, da non sottovalutare. Anche perché può contare sul leale supporto di parecchi uomini, esaltati quanto lui dal senso del dovere e dall’odio per i fuorilegge conclamati come lui.
Jack Sparrow sente come un rigurgito di bile raschiargli la gola. Sa bene che da qualche tempo ormai, più precisamente da quando si è fatto sottrarre stupidamente la Perla Nera, molti non serbano più una grande opinione di lui. Eppure non ha ancora digerito il torto infertogli dalla nuova ciurma. Già, ma chi è stato il capo degli ammutinati, questa volta?
Gibbs non ce lo vede a commettere una simile carognata: anche se è ligio al Codice, è un uomo troppo mite e non ha mai avuto alcuna attitudine al comando; in quanto alla combriccola di derelitti da lui raccattati, gli sono parsi per lo più abbastanza tonti, quando non servizievoli e passivi.
«Anamaria!», sibila indispettito tra se e sé. La bella e intraprendente mulatta potrebbe benissimo aver organizzato la sommossa, scontrosa e vendicativa com’è.
E poi si sa, le donne si legano al dito ogni minimo torto e prendono tutto troppo alla lettera, rimugina scornato.
Neanche Will Turner, alle prese coi suoi patemi amorosi, riesce a trovare requie. Malgrado lo spazio angusto a sua disposizione, continua a camminare in tondo, avanti e indietro, incapace di rassegnarsi al fatidico destino che lo attende.
Di colpo il consumato filibustiere è fulminato da un’idea che lo rianima.
È priva di logica e buon senso, ma forse, se ci s’impegna, potrà volgere a suo vantaggio.



Salve naviganti!
Ed ecco a voi anche il terzo capitolo di questa mini long che però, forse, avrà un (mezzo) capitolo in più rispetto a quanto preventivato.
Il quarto è ancora in scrittura e purtroppo, causa sopraggiunti impegni, temo di non potere riuscire a pubblicarlo per la prossima settimana.
Intanto ringrazio tutti i lettori silenziosi: se vorrete palesarvi, non potrà che farmi piacere

Al prossimo approdo!)

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Capitolo 4
*** IV – La leva giusta ***


IV – La leva giusta

Sottili lame di luce s’infiltrano tra le intercapedini delle paratie fradice di un’umidità salina che penetra fino al midollo.
Le ore scorrono inesorabili nell’aria stagnante, il tramonto deve essere vicino e quella che sta per calare potrebbe essere la sua ultima notte.
Per quanto spesso sia stato propenso a farsene beffe, Jack Sparrow è ben conscio di non essere disposto a morire. Non di nuovo, non in maniera così umiliante.
Può ancora vivere. Vuole vivere. Deve vivere. Ha troppo da riconquistare.
Lo hanno privato di tutto, la sua amata nave, i suoi stimati effetti, il suo sudato titolo, la sua rinomata reputazione, i suoi grandiosi sogni di gloria, e, per ultimo, ciò a cui tiene di più in assoluto: la sua libertà.
Due sole cose gli sono rimaste che nessun nemico e nessuno sgambetto della fortuna sono mai riusciti a portargli via: il suo spirito arguto e il suo irriducibile istinto di sopravvivenza, che lo spinge a non arrendersi facilmente.
E, a ben guardare, ha ancora con sé anche la sua prodigiosa bussola. Non che le sue indicazioni si siano sempre rivelate così cruciali, come ha millantato quella stramba fattucchiera che anni prima gliel’ha ceduta, ciò nonostante quando si è trovato alle strette, con la falce della Nera Signora insidiosamente vicina al collo, per scrupolo ha comunque provato a interrogarla e ad affidarsi al suo consiglio, talvolta ignorandola e agendo di testa sua, talvolta giovandosene.
Deve contorcersi un po’ per riuscire a schiudere lo sportellino e intercettare un raggio che illumini il quadrante a sufficienza per cogliere il riscontro dell’ago magnetico. Come di consueto, compie un paio di giri a vuoto, sembra rotto o impazzito; dopo qualche secondo si ferma e indica di fronte a sé.
È lì che si è infine risolto ad accucciarsi il giovane Turner, cessando di annoiare tutti con quel suo indisponente gironzolare da animale in gabbia.
E se fosse lui la sua scappatoia?
Ha già considerato quel ragazzo come possibile complice di evasione: è prestante, ardito, generoso, dissennatamente votato al suicidio. Si è anche trovato piuttosto in sintonia con lui durante la battaglia di Isla de Muerta, pur conoscendolo appena.
E tuttavia ciò potrebbe non bastare. Checché ne dica quella capricciosa carabattola, il furbo pirata sa perfettamente che per architettare un piano efficace deve comparare accuratamente tutte le probabilità di riuscita con quelle di fallimento.
Perciò, prima di far convergere tutte le sue disperate speranze su di lui, socchiude le palpebre, tentando di isolarsi dal persistente chiacchiericcio in sottofondo, per passare mentalmente in rassegna tutte le restanti possibilità, una seconda volta.
Al suo cervello servirebbe del rum, anche solo un goccetto per macchinare meglio, disgraziatamente però deve rinunciare a quell’aiutino e spremersi le meningi a gola asciutta.
La HMS Dauntless è una nave di linea di prim’ordine, agile e veloce, ma anche pesante e ingombrante, con una velatura così ampia e un’artiglieria tanto cospicua da essere impossibile poterla governare con un solo paio di braccia. E viaggia anche a pieno carico.
Durante la sua permanenza a bordo ha conteggiato un equipaggio di almeno novanta baldi marinai e, pur considerando che almeno una dozzina siano periti nell’affrontare i pirati maledetti, il loro numero rimane sproporzionatamente alto rispetto ai riottosi furfanti che potrebbe persuadere a unirsi a lui. Invero quegli sporchi traditori non meriterebbero il suo aiuto, né lui vorrebbe fornirglielo a cuor leggero, eppure ingoierebbe a malincuore quel boccone amaro, la collera e l’avversione per come l’hanno umiliato, se avesse la certezza di ottenere qualcosa di consistente in cambio.
Ma non ne è convinto che il gioco valga la candela.
I più di quei balordi lo odiano, a buon diritto, per aver condotto la Marina britannica da loro; parecchi, inoltre, sono usciti alquanto malconci dai combattimenti e sarebbero soltanto un’inutile zavorra. Gli servirebbe la collaborazione di qualcun altro per portare a compimento un simile proposito.
Per assurdo, certi soldati, scontenti, sfruttati e malpagati, sarebbero più corruttibili.
Le due ottuse giubbe rosse che l’hanno accolto a Port Royal, ad esempio, è abbastanza certo che cederebbero senza tanto sforzo alle sue lusinghe. Sfortunatamente, sono stati dispensati dalla ronda sottocoperta, e quelli assegnati al servizio, ancora imbaldanziti dalla recente vittoria, si tengono a debita distanza, non dando ai prigionieri alcuna confidenza.
L'ammutinamento, pertanto, è da escludere.
Mentre riconsidera qualche altro stratagemma, un quartetto di guardie si avvicenda a sorvegliare i detenuti, elargendo loro frasi ingiuriose e denigratorie che qualche briccone più sfrontato ricambia sguaiatamente.
Se creasse un diversivo, magari potrebbe riuscire a richiamare la loro attenzione, attirarli vicino alle sbarre, tramortirli, disarmarli, sottrarre loro le chiavi, sgattaiolare sopraccoperta e requisire una scialuppa.
C’è un solo inconveniente, obietta una sentenziosa vocina: nel mezzo ci sarebbero troppi ponti da attraversare e troppi soldati da schivare, o, alle brutte, freddare. E lui non è mai stato un tipo da maniere forti.
Ci sono poi anche quei fastidiosi ceppi che gli impedirebbero di muoversi speditamente. La probabilità di beccarsi una pallottola o una lama nella pancia è tremendamente alta.
Guardandosi i polsi ammanettati e schioccando la lingua, Sparrow scarta con stizza anche quella soluzione e si riaggiusta sul pagliericcio.
La sua schiena è poggiata contro la robusta parete di legno che lo separa dall’esterno, riesce a percepire il modulato sciabordare dei flutti che scivolano lungo la chiglia.
Potrebbe aprirsi una via d’uscita dall’interno, arrampicarsi sullo scafo, scavalcare la murata, raggiungere la coperta e una volta lì muoversi furtivamente, allentare qualche cima e rubare una barcaccia.
Peccato che, setacciando il pavimento di quello spoglio cubicolo, eccetto qualche ossicino e qualche chiodo arrugginito, non abbia rinvenuto niente di particolarmente acuminato con cui tentare di squarciare il fasciame. Ci vorrebbe troppo tempo. Le prigioni di bordo sono collocate giusto poco sopra la linea di galleggiamento; alla minima fenditura del fasciame si allagherebbero ben prima di permettergli di uscire.
Il filibustiere inghiotte un’imprecazione. Quell’escamotage non è fattibile.
L’astinenza da alcol sta mettendo a dura prova la sua capacità di giudizio.
Con un bofonchio riprende la bussola, la agita un po’, la sbircia. Curiosamente continua a puntare nella stessa direzione. O forse indica la via di scampo alle sue spalle?
Si inclina su un fianco per allungare il braccio lateralmente, tenendo d’occhio quella capricciosa freccetta rossa. Non cambia nulla. Resta fissa lì dov’era anche prima.
Jack si raddrizza. È inutile continuare ad arrovellarsi.
Di solito le pensate istintive, le più balzane che colgono di sorpresa perfino lui, insperatamente si rivelano le più azzeccate.
Sembra proprio che la sua unica ancora di salvezza sia dunque l’erede di Sputafuoco Bill.
Lo fruga con un’attenta occhiata, mentre se ne sta rannicchiato contro la porta della cella, le ginocchia al petto e il mento poggiato su di esse, affatto rilassato, bensì teso come corda d’arco, pronto a scattare al minimo segno di richiamo o intimidazione.
Prima di sedersi ha rimesso al loro posto un paio di bricconi insolenti che, allungando le loro manacce dalle celle vicine, lo importunavano.
Potrebbe essere molto meno facile tenerlo in scacco adesso che ha imparato qualche nozione di codice piratesco, ha tastato le sue capacità, è stato da lui imbrogliato e barattato, ed ha sicuramente maturato una certa mal disposizione nei suoi confronti.
Ma al momento non vede alternative.
Non gli importa gran che di quel ragazzo, tuttavia spera che se riuscirà a scampare al patibolo, come prevede, lo aiuterà a fare altrettanto o che almeno non si dimentichi di lui e magari gli faccia ottenere uno sconto di pena.
Sa già quale appiglio usare. L’amore non è forse la leva più potente che esista?
Accantonati l’innato orgoglio ed egoismo pirateschi, Jack Sparrow esibisce uno dei suoi migliori sorrisi, vano espediente data la fitta penombra in cui sono immersi, e con accento saggio inizia a declamare: «Suvvia, sta’ tranquillo figliolo! Non devi rattristarti per ciò che ti aspetta, giacché hai Miss Swann dalla tua parte. Quell’adorabile fanciulla non ti lascerà penzolare da una forca!»
Will solleva gli occhi scuri verso di lui, frastornato dalle tante emozioni e aspettative che quella frase proferita con tanta consumata certezza gli ha suscitato: più che un tentativo di conforto, sa di derisione. Quel ciarlatano lo sta deliberatamente prendendo per i fondelli ancora una volta, oppure ha origliato davvero qualcosa di importante prima che arrivassero su quell’isola maledetta? Anche se la tentazione è forte, desiste dal rispondergli, preferendo tenere quegli interrogativi per sé.
Il filibustiere, soddisfatto per aver calamitato il suo interesse, continua a sciorinare melodrammatico: «In quanto a me, chissà dove getteranno le mie sudice ossa. Magari andrò a fare compagnia a quei simpatici gentiluomini all’imbocco della baia …»
«Tu come fai a dirlo?», il giovane fabbro non vuole esporsi e mostrarsi troppo credulone, perciò opta per una risposta neutra e un tono un po’ diffidente.
«Perché è quello che fanno a noi pirati. Ci trasformano in grotteschi trofei per il loro becero ludibrio», sostiene Jack con una smorfia colma di ribrezzo che instilla una reazione similmente indignata nei compari di reclusione, i quali ricominciano a sacramentare animatamente contro l’atrocità della giustizia.
Will non presta troppo ascolto a quegli osceni improperi, troppo assorto a soppesare l’attendibilità della sua precedente affermazione: «Mi riferivo a quello che hai detto prima. A proposito di Elizabeth», bisbiglia timidamente, incapace di rimanere ancora in silenzio, anche se gli sembra quasi di essere irrispettoso a pronunciare il nome della ragazza che ama trovandosi in mezzo a quella volgare marmaglia. Oltretutto non capisce esattamente come mai quell’inaffidabile filibustiere gli stia mostrando una sorta di complicità, se il suo intento sia incoraggiarlo oppure aizzargli contro tutti gli altri.
Sparrow nasconde un sogghigno sotto i baffi, pago di aver scorto una vivida scintilla riaccendersi nelle sue iridi cupe e sperse: «Beh, ho un certo intuito sulle donne», ribatte con compiacimento, divertendosi a tenerlo nel dubbio. «Dopotutto è la figlia del Governatore di Port Royal, significherà pure qualcosa», aggiunge vago, distogliendo le pupille sulle punte dei logori stivali.
Ed è davvero sicuro di quell’assunto. Il detestabile periodo in cui ha bazzicato presso la Compagnia delle Indie Orientali è stato in tal senso illuminante. Avendo modo di frequentare gente altolocata, infatti, ha appreso come l’intercessione di un personaggio influente possa sovvertire leggi date sulla carta come immutabili.
Da parte di Turner ancora nessun segnale di distensione; lo sente sospirare più forte, la testa tra le mani, imperturbabile nel suo scoramento.
Evidentemente non è stato abbastanza convincente, nonostante non abbia neanche mentito troppo. Non lo biasima: lui, conoscendosi, non si sarebbe mai fidato di se stesso.
Jack gli si appropinqua di soppiatto, muovendosi carponi verso di lui, per poi dargli un buffetto sulla fronte: «Inoltre lei è palesemente, e, a mio avviso inspiegabilmente, innamorata di te», sussurra con piglio da grande intenditore.
«Tuttavia è James Norrington che ha promesso di sposare», dissente pragmatico il giovane, serrando la mascella.
Il pirata agita un palmo con fare noncurante: «Quisquilie», chiosa sedendoglisi accanto, gli si appiccica, spalla contro spalla, parlando confabulatorio e un po’ esasperato: «Orbene, sì è fatta rapire da quel vecchio caprone di Barbossa dandogli il tuo nome come suo. Ha disdegnato un’indimenticabile notte di passione con il sottoscritto su di un’isola paradisiaca, che il mattino dopo ha incendiato. Ha imperdonabilmente mandato in fumo una magnifica scorta di rum, pur di farsi notare dalla marina britannica, per poi supplicare l’incorruttibile Commodoro di venirti a salvare, promettendogli in cambio di maritarlo. Omettendo che, così facendo, avrebbe dato in pasto un’intera ciurma di onesti marinai ad un branco di scellerati pirati maledetti ... Se queste non sono eloquenti prove d’amore!»
Will distoglie lo sguardo dal movimento quasi ipnotico delle sue dita, accentuato dal ritmico tintinnio di anelli e catene, come cercassero di orchestrare una sorta di malia cui teme di non riuscire del tutto a sottrarsi.
Seppure si è dimostrato un callido imbroglione doppiogiochista, quel Jack Sparrow indubbiamente ne sa molto più di lui di come va il mondo.
E forse dopotutto non sta dicendo il falso. Gli pare impossibile che Elizabeth non provi lo stesso bene incondizionato per lui, quel bene che lo ha spronato a sacrificare tutti i frutti di una vita retta e onesta, a non aver paura di salpare verso l’ignoto, ad accettare senza tante remore di farsi uccidere per lei.
Riesce a figurarsela protagonista delle irruente azioni da lui citate, ha potuto ammirare da vicino il suo sapersi destreggiare con determinazione e abilità tra assalti e bucanieri, come se non abbia mai fatto altro dal giorno in cui è nata.
Quando sono stati accanto, poi, ha sentito ardere tra loro qualcosa di etereo e impalpabile, eppure inconfutabile e dirompente. Sente le orecchie surriscaldarsi, le palpitazioni aumentare, le mani prudere, ripensando alle occasioni che non ha colto e maledice la sua maldestra inesperienza.
Anche se lei dovesse amarlo unicamente come un amico, non gli è difficile supporre che, caparbia e volitiva qual è, infrangerebbe tutte le regole, si scontrerebbe perfino con suo padre per farlo assolvere e concedergli l’opportunità di rimediare ai suoi errori.
«Forse è così», mormora senza troppo entusiasmo; gli pare inopportuno esultare mentre tutti gli altri attorno a lui, avendo origliato la loro conversazione, gli lanciano occhiate livide disperando di poter scampare altrettanto comodamente al capestro.  
«Certo che è così!», ammicca con sicumera Sparrow, trafficando con un cavicchio di ferro che ha scovato chissà dove, tentando di forzare il chiavistello delle manette.
Per uno come lui, con la tendenza a gesticolare di continuo, quei ceppi devono essere una gran tortura.
Il ragazzo si distanzia un po’ dallo strambo fuorilegge, continuando a spiare con la coda dell’occhio i suoi infruttuosi armeggi, che almeno lo tengono impegnato mentalmente e materialmente.
A lui invece sembra che, da quando si trova confinato in quella lercia cella, le ore stiano scorrendo a rilento e che abbia ancora più tempo per continuare a struggersi.
Ciò che l’aspetta una volta fuori di lì, è una magra consolazione.
Non si fa troppe illusioni: ammesso che verrà davvero graziato, non sarà più degno di frequentare la nobile figlia del Governatore. Non che abbia mai avuto la presunzione di esserlo. Adesso che il suo onore è macchiato, Elizabeth Swann diverrà per lui ancora più inavvicinabile, non potrà più sfiorarla se non durante qualche sporadico incontro formale, oppure dovrà limitarsi a contemplarla di nascosto, da lontano, in mezzo ad una folla distratta e vociante che ignorerà la sua persistente malinconia.
Dopo tante peripezie che li hanno uniti e avvicinati, tra loro tornerà ad esservi un limite invalicabile. Non avrà scelta, dovrà mettersi l’anima in pace, rinunciare a quel sogno irrealizzabile e adeguarsi a ciò che gli altri si aspettano da lui.
Non sarà così semplice, perché lei nei suoi pensieri c’è sempre stata e sempre ci sarà.
«La prima volta che ho incontrato Elizabeth è stato otto anni fa», comincia a parlare, un po’ per ingannare quella snervante attesa, un po’ per puro bisogno di sfogarsi. Sa che quello non è il contesto più adatto, che quelli non sono gli ascoltatori più comprensivi, ma per qualche momento abbandona la ritrosia, aprendosi a qualche confidenza.
«Mia madre era morta, così decisi di imbarcarmi per i Caraibi e lì di mettermi alla ricerca di mio padre. Il mercantile su cui ero riuscito a farmi assumere come mozzo però una notte fu attaccato, nel bel mezzo dell’oceano, da una nave pirata. Ricordo ancora il frastuono, il fuoco, il fumo, le urla disperate della gente che cercava di fuggire calpestando chi era caduto o era stato ferito. Non sapevo cosa fare, dove andare, quando si sentì una grande esplosione e fui sbalzato in acqua. Non si vedeva nulla ma riuscii a trovare una tavola e a stendermici sopra. Poi persi i sensi, non so per quanto tempo. Quando rinvenni, mi apparve il volto di una bambina dalla pelle chiarissima, gli occhi curiosi, la voce gentile. Si presentò e io le dissi il mio nome. Mi sentii al sicuro e tornai a dormire, senza sapere dove fossi».
«Perché racconti questa storiella a me?», biascica seccato Sparrow, scagliando via il pezzo di ferro arrugginito che gli si è rotto tra le mani, senza tornargli utile.
«La nave in questione doveva essere la Perla Nera», appura Ragetti, dando di gomito al compare mezzo appisolato sulla sua spalla.
«Capitan Barbossa ci impose di attaccare qualunque nave provenisse dall’Inghilterra, dopo che avevamo compreso che quel cane rognoso di Sputafuoco aveva inviato un pezzo del tesoro al suo pargolo», precisa Pintel, non senza una punta di recriminazione.
Will resta turbato: se nessuno lo ha trovato fino a qualche giorno prima, è stato anche grazie alla vista aguzza e all’altruismo di quella sveglia ragazzina dai riccioli dorati; se durante quell’assalto fosse finito tra le grinfie di quei predoni, di lui sarebbero rimaste soltanto le ossa sui fondali marini.
Elizabeth lo aveva salvato e protetto, ancora prima di conoscerlo. E di questo le sarebbe stato per sempre debitore. Ora che non è più offuscato dalla sfiducia, è travolto dal bisogno urgente e sconsiderato di vederla e parlarle, ma da solo non riuscirebbe mai ad uscire di lì. Sparrow invece, a quanto ha sentito, è famoso per le sue evasioni …
Non può sapere che Jack intanto è attraversato dalle stesse considerazioni e si rabbuia ancora di più per come sono andate le cose: ha avuto una grande occasione nel momento in cui è stato fortuitamente lui a trovare per primo William Turner, ha consumato la sua bramata vendetta, ma non ha fatto i conti con l’imprevedibilità dell’umore dei suoi compagni, ammutinati e traditori.
Ancora una volta, ha peccato di eccessiva fiducia nel proprio carisma e nel proprio talento nel manipolare gli animi altrui.
«Sei stato tu!», attacca di punto in bianco il compagno di prigionia seduto al suo fianco, puntandogli un dito contro e volgendogli uno sguardo astioso.
Il ragazzo è sovrappensiero e resta spiazzato da quell’intempestiva accusa: «Come dici?»
«Tu mi hai fatto promettere a quella conturbante moretta che l’avrei risarcita del mio non furto con un’altra nave. Tutta la ciurma ne è stata testimone. Ed ecco che alla fine quegli ingrati voltagabbana se ne sono svignati con la mia Perla», Sparrow stringe i pugni amareggiato, non nascondendo la sua frustrazione.
«Non pensavo che dessero tanto credito alla parola di un pirata», il fabbro si discolpa senza cattiveria, ma alle orecchie del diretto interessato la sua innocente constatazione risulta comunque offensiva.
D’impeto si scansa da lui, guardandolo in cagnesco: «La parola di un Capitano. Ha sempre credito», rimarca con bizzosa veemenza, voltandogli le spalle.
«Me ne ricorderò», balbetta Will, disorientato dalla sua scorbutica reazione, non volendo insistere a contraddirlo. Non ha mai conosciuto un uomo più ondivago e suscettibile.


«Più alzo! Cambiare le mure! All’orza la barra!»
Il neo-Commodoro James Norrington ha sempre saputo quali ordini impartire, quali manovre disporre, quale tono usare per farsi rispettare e obbedire dai sottoposti affinché durante la navigazione tutto fili liscio e non si verifichino intoppi di sorta.
Solcando a lungo i sette mari, ha sviluppato una spiccata perizia nel riconoscere e individuare nell’assetto dell’attrezzatura o dell’armamento ogni dettaglio fuori posto, da correggere o limare, e ha maturato una buona predisposizione nel giudicare e capire gli animi degli uomini che gli stanno di fronte, così da saper appianare con diplomazia controversie e dissapori.
Ora, però, al solo pianificare un approccio non troppo stucchevole con la donna che desidera impalmare, si ritrova completamente allo sbaraglio. È assalito dal terrore di sbagliare goffamente, a parlare, a muoversi, a guardarla, anche solo a pensare cosa sia più appropriato dire o fare per mostrarle quanto ci tiene a lei e alla sua felicità.
E quanto vorrebbe esserne l’artefice principale.
Deve solo trovare un innocuo pretesto per intentare una conversazione e poi basterà andare di buon braccio, si ripete nervoso, rimirandone la figura slanciata e l’andatura elegante mentre passeggia lungo la fiancata di tribordo, incurante delle occhiate giudicanti dei marinai, poco abituati a dividere i ridotti spazi di bordo con una presenza femminile.
Sebbene superficialmente e forse in maniera un po’ idealizzata, la conosce da tanti anni, sa già che a causa delle loro divergenze di opinioni su alcuni argomenti non sarà facile riuscire a conquistarla. Tuttavia vuole impegnarsi a piacerle, provare a farsi apprezzare.
Dopotutto appartengono allo stesso ambiente, confida che troveranno punti di contatto, un terreno in comune su cui poter costruire delle fondamenta resistenti per il loro matrimonio.  E forse un giorno ricambierà i suoi sentimenti.
Mentre si dibatte ancora nell’indecisione e le sue suole restano cautamente ancorate alle assi scricchiolanti, è lei a fare il primo passo, andandogli incontro in tutto lo sfrontato candore dei suoi vent’anni, che non le impedisce di apparire a suo agio perfino avendo indosso quell’uniforme del tutto inadatta alla sua spiccata femminilità.
«Buon pomeriggio, James», scandisce con inaspettata informalità il suo nome di battesimo, provocandogli un leggero fremito.
James Norrington scende la rampa del casseretto, raggiungendola sulla tolda: «Buon pomeriggio, Miss Swann».
Sul volto della giovane aristocratica passa un’ombra: «Potreste provare a chiamarmi per nome, giacché siamo fidanzati», mormora sottovoce, quasi stesse ricordandolo a se stessa.
L’ufficiale cerca di non apparire troppo austero e intransigente nel risponderle: «Perdonatemi, credo di essere negato nell’arte del corteggiamento».
«E invece supponete che io sia stata istruita a dovere in questa pratica», ribatte lei, naturalmente indisposta dalla sua velata insinuazione.
Il Commodoro piega il capo con un breve cenno costernato, per mormorare un impacciato e cortese: «Non intendevo recarvi offesa».
Elizabeth lo osserva apertamente negli occhi per qualche secondo. Nel bagliore che filtra dagli ultimi scampoli di sole, le sue iridi appaiono di un verde intenso e cangiante; non aveva mai notato fossero di quella bella tonalità vivace, che stona con il suo aplomb impeccabile e un po’ respingente. Sarebbe stato sempre così, il suo corteggiamento? Intessuto di rigidi convenevoli?
Tuttavia intuisce che le sue scuse sono sentite e sincere. Non si merita la sua slealtà e il suo rancore. Non è colpa sua se sin dalla nascita è stata priva di scegliere la vita che desidera.
«No. Avete ragione. Sono stata educata a impressionare e affascinare i miei interlocutori con il mio eloquio e le mie buone maniere», ammette con una nota di sdegno, ripensando alle malevole frecciatine di Capitan Barbossa. «Ma, se mi è concesso parlare liberamente, preferisco di gran lunga la spontaneità nei gesti e nelle parole. Ritengo sia essenziale, se ci si vuole conoscere davvero».
Lui la ascolta invaghito, colpito dalla sua schiettezza: «Condivido», asserisce con l’aria di chi sarebbe disposto a perdonarle qualunque peccato.
Tutto ciò cui la ragazza riesce a pensare, osservandolo, invece è: come può sposare un uomo di cui non conosce neppure il colore dei capelli? L’ha sempre visto con la parrucca, sempre impeccabile nella sua divisa linda e stirata.
Al contrario Will, se per combinazione qualche volta riusciva a sottrarsi alla pedante vigilanza della sua governante e andava a trovarlo senza avvertirlo, era spesso impresentabile, coi suoi abiti coperti di segatura e i riccioli arruffati dal sudore ...
Da qualche secondo è calato un imbarazzato silenzio tra loro, screziato soltanto dalle chiacchiere dei marinai disperse nel frusciare del vento e dallo stridio di qualche gabbiano di passaggio, mentre passeggiano fianco a fianco, mantenendo la distanza imposta dalle convenzioni sociali.
Elizabeth si sente sempre più inquieta. Dovranno pur cominciare a conversare seriamente prima o poi, se vorranno trovare delle affinità, intessere un legame.
James Norrington, ha quasi il doppio dei suoi anni, ma è esteticamente gradevole. È un rispettabile gentiluomo, un soldato esemplare, un uomo solido, quadrato, autorevole, con un grande senso dell’onore e del dovere. Forse, passando più tempo insieme, potrebbe imparare ad apprezzare i suoi pregi che ora le paiono noiosi, potrebbe scoprire altre sue doti caratteriali ...
Anche il Commodoro Norrington prova una certa irrequietezza nello starle accanto, il che lo porta a tenere un atteggiamento rigido e lezioso.
Tutto il contrario di come vorrebbe apparire.
Non è avvezzo alle frivolezze e dubita che a lei piacciano, inoltre non intende diventare oggetto di scherno per i suoi uomini. È pur sempre il loro Capitano, deve mantenere un certo decoro. Ciò non implica che debba mostrarsi troppo freddo o distaccato.
Risulterebbe molto più disinvolto se solo riuscisse a persuadersi che lui vale molto di più di quel modesto fabbro e non ha bisogno di competere con lui, né di tante azioni o parole per dimostrarlo – anche se è stato proprio quell’avventato ragazzino a salvarla per primo.
Potrebbe perfino apparirle accattivante, se solo riuscisse a scacciare il pensiero che è soltanto lui a sentire quel qualcosa, mentre lei no.  
Spira un vento foriero di buona navigazione.
Alla sua promessa sposa servono concretezza, affidabilità, accortezze; perciò decide di prendere lui l’iniziativa, stavolta. Le porge il braccio destro, invitandola ad agganciare il suo, ma Miss Swann, intuendo la sua implicita richiesta, ha già sollevato lo stesso braccio e allora lui lo cambia con il sinistro, copiato di nuovo dalla ragazza.
Un sorriso impacciato riscuote entrambi, sciogliendo quella tensione, quando infine, coordinandosi, riescono a mettersi a braccetto.
«Vedo che siete a vostro agio a bordo», esordisce James, percorso qualche metro in direzione della poppa, dove alcuni marinai stanno provvedendo ad accendere i fanali per la notte, «Vi piace il mare».
Elizabeth non stacca gli occhi da quell’ammaliante rimescolarsi di onde cobalto e amaranto: «Molto. Suppongo piaccia anche a voi».
Norrington continua a farle sentire il suo tocco gentile ma fermo, conducendola indietro, verso il centro del ponte: «Suppongo di sì. Anche se talvolta può essere pernicioso», stigmatizza risoluto.
La figlia del Governatore non può mancare di cogliere un leggero inasprimento nella sua voce, ma non può dargli del tutto torto, per cui, anche se vorrebbe saperne di più delle sue passate esperienze, si risolve a cambiare argomento: «Quindi mi pare di aver capito che possediate già una dimora».
«Sì. A Nassau», le risponde prontamente James, «Appartiene alla mia famiglia da tre generazioni. Fu re Guglielmo III a concedere tale possedimento al mio bisnonno, per ripagare i suoi servigi alla Corona degli Stuart, durante la guerra con la Francia», le rivela orgoglioso, snocciolando di buon grado altri dettagli sui suoi valorosi antenati e sulla loro acerrima lotta contro le incursioni dei pirati che spadroneggiavano nella zona, sui suoi ricordi sbiaditi legati a quella casa a qualche lega da lì che un giorno sarebbe stata di entrambi, da tramandare ai loro futuri figli.
Elizabeth lo ascolta, si sforza di sorridergli anche, increspando le labbra, la vista le si offusca e solo l’amor proprio le impedisce di versare le incipienti lacrime che sente formarsi agli angoli delle ciglia.
Non è edificante immaginarsi invecchiare aspettando ogni suo saltuario ritorno a terra e trascorrere un’esistenza priva di complicità e compagnia. Ne è certa, finirebbe per ricercare di avere contatti e incontri proibiti con Will, anche se a separarli fosse una lunga e rischiosa traversata. Oppure potrebbe convincere il suo futuro marito a permetterle di accompagnarlo nei suoi viaggi, sebbene è consapevole che per molti sarebbe un comportamento indecoroso e inammissibile.
Come tutte le volte in cui è in balia di forti emozioni, si lascia dominare dall’istinto: «Perché vi siete proposto proprio a me?», lo interrompe con involontaria sgarbatezza con una domanda indiscreta, sganciandosi da lui, scrutandolo supplice. «Dubito vi sia mancata occasione di conoscere donne piacevoli e interessanti …»
L’irreprensibile ufficiale tronca subito le sue illazioni: «Nessuna più di voi», sentenzia in un sussurro, accarezzandola con uno sguardo timido e trasognato.
Non impiega molto a riassumere la sua solita espressione composta e inalterabile, alzando il capo verso le vele gonfiate dalla corrente: «Se continueremo ad avere l’aliseo a favore, arriveremo a Port Royal entro mezzogiorno. «Perdonatemi, il mio dovere adesso mi chiama. Vi auguro una buona notte», chiude poi evasivo la conversazione, allontanandosi verso il castello di prua, il portamento fiero ed eretto, tipico di un uomo inamovibile e determinato.
«Elizabeth, cara. Faremmo bene a rientrare, prima di buscarci un malanno», suo padre Weatherby Swann giunge alle sue spalle, cingendola benevolo e conciliante.
La giovane accetta il suo prudente invito, volgendo un ultimo saluto alle stelle che brillano già nel cielo imbrunito, prima di mettersi al riparo dall’inclemente alito dell’oceano.



Heilà, ciurma! So che sono passate molte più maree di quante non volessi, tra impedimenti vari, cali mostruosi di ispirazione e fuga dei personaggi, ma alla fine eccomi qui ad approdare con il penultimo capitolo.
Eh sì, mi sono resa conto che per concludere questa breve long/missing moment nella maniera in cui l'avevo concepita diversi anni or sono, avrò bisogno di un altro capitolo, che però sarà più breve.

Intanto che lo porto a compimento, sperando di riuscire a completarlo prima dell'estate, vi ringrazio per aver letto i precedenti e vi ricordo che apprezzo ben volentieri osservazioni, commenti, critiche.

Al prossimo approdo!)

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Capitolo 5
*** V – Quello che un uomo può ***


V – Quello che un uomo può

Il risuonare stridulo e acuto di un fischietto la fa svegliare di soprassalto.
Anche quella notte ha stentato ad addormentarsi, tra la scomodità della branda, il caldo umido imperante e quel grosso macigno a gravarle sul petto.
Non vuole deludere le aspettative del suo buon genitore, perciò alla fine ha accettato di impersonare il ruolo della figlia giudiziosa e ubbidiente. Ma come può rimanere incatenata per il resto della sua vita ad un uomo che stima ma non ama?
Soltanto il movimento ondulatorio dello scafo è riuscito a conciliarle per qualche ora un sonno leggero, tormentato da dilemmi e dubbi, e, dopo che quel moderato oscillare si è interrotto, i suoi sensi sono tornati irrimediabilmente vigili.
C’è un gran tramestio sopra coperta, ingombranti cassoni che si spostano, passi affrettati che si susseguono, comandi scanditi che si rincorrono; tutto quello scalpore le fa presentire che stia accadendo qualcosa degno di nota.
Il beccheggio si è notevolmente ridotto, le vele devono essere state ammainate.
Elizabeth non riesce a tenere a bada la sua curiosità, si sgranchisce e comincia a cercare tentoni i vestiti dismessi la sera prima. Non le serve accendere alcuna candela, dalle vetrate penetra già un tenue bagliore dorato, sufficiente a permetterle di muoversi senza inciampare né urtare nulla, evitando anche di svegliare anzitempo suo padre, che, col suo persistente mal di mare, ha faticato ancora più di lei ad assopirsi.
Rientra silenziosamente nei grezzi pantaloni di fustagno, infila calzamaglia e scarponcini, e infine rientra nell’appariscente giubba rossa, arricciando un po’ il naso: quegli indumenti prestati hanno ormai un odore vissuto. Disponendo di un guardaroba principesco, non le era mai capitato di dover indossare gli stessi abiti per tre giorni di fila.
Detesta ammetterlo, ma le sono mancate certe finezze e comodità, come non potersi strofinare per bene con acqua e sapone. Mentre si riveste, avverte prepotente il bisogno di concedersi un lungo bagno ristoratore, di distendersi su lenzuola pulite e profumate, di lavare via dalla pelle il sale, la polvere e la stanchezza accumulate durante quell’indimenticabile girandola di eventi inimmaginabili per una ragazza della sua estrazione, la cui quotidianità è sempre stata scandita da ozio, riverenze e privilegi.
Le intense emozioni vissute in quei giorni l’hanno cambiata profondamente.
La visione romantica e mitizzata che aveva dei pirati ne è uscita stravolta, sfatata, l’irresistibile attrattiva che provava nei loro riguardi si è ridimensionata, ma non estinta.  
Già rimpiange l’imminente ritorno alla sua monotona normalità.
Se solo lo volesse, potrebbe addurre un’indisposizione per restare anche un’intera settimana in camera sua a struggersi nei ricordi. È un genere di capriccio che, in quanto fragile donna, non le verrebbe negato, anzi il riposo le verrebbe caldamente consigliato, ma non si addice al suo modo di essere e qualcuno a lei vicino potrebbe nutrire più di qualche sospetto su una sua improvvisa volontà di inerzia e isolamento, si ravvede inviando uno sguardo accorto oltre il paravento sistemato per dividere il suo giaciglio da quello dell’altro ospite.
Il febbrile vociare dei marinai intanto giunge sempre più vivido fin dentro la cabina posta sul ponte maggiore, la sistemazione che è stata loro concessa essendo le persone di maggior prestigio a bordo della Dauntless.
«Elizabeth? Che succede?», anche suo padre è stato svegliato da quel gran trambusto.
«Sembra che non ci muoviamo più», presume lei, acconciandosi i lunghi capelli bisognosi di una lavata in una molle treccia, che appunta come può con un pezzo di nastro.
Weatherby Swann sospira rinfrancato: ha sofferto di nausea e capogiri dal primo istante in cui ha messo piede su quel vascello instabile e maleodorante. È ancora acciaccato e intirizzito dal cattivo riposo su quel grezzo lettuccio. Afferra la parrucca brizzolata e si rende presentabile, recuperando i suoi vestiti, prima di uscire dal separé e raggiungerla sulla soglia della porta dai vetri rotti, che è stata grossolanamente accomodata con qualche tavola di legno per attutire spifferi e rumori esterni.

«Mollare gli imbandi e gettare gli ormeggi!»

Quando padre e figlia si affacciano sul cassero, quasi nessuno li nota, indaffarati come sono tutti quanti, ognuno nelle proprie marinaresche mansioni.
Sulla tolda fervono le manovre di messa alla fonda della Dauntless, c’è un brulicare di marinai affaccendati a darsi da fare tra il sartiame, gli alberi e i paranchi.
I due ospiti rimangono fermi, sentendosi fuori posto e quasi dimenticati.
Non fanno in tempo a dolersene, che James Norrington giunge tempestivo a prevenire qualsiasi loro rimostranza: «Buongiorno, Milord. Elizabeth», li riverisce con misurata galanteria, abbonando un garbato sorriso. «Ben tornati a casa».
«Siamo già arrivati, dunque?», il Governatore Swann gli chiede conferma, schermendosi con una mano dagli obliqui raggi del sole nascente per tentare di identificare il profilo della verdeggiante isola caraibica su cui da quasi dieci anni esercita la sua autorità per conto della Corona britannica.
«In anticipo?», si stupisce Miss Swann, rammentando la previsione con cui si è congedato la sera precedente. La ragazza per un attimo si domanda se l’ufficiale le abbia volutamente riferito una stima meno ottimistica per sorprenderla sulle sue eccellenti abilità di navigatore, ma in fin dei conti adesso non le importa mettersi a questionare su quel punto. Ha notato che sono in atto delle operazioni di trasbordo.
«Magnifico», sospira suo padre, «Almeno faremo una lauta colazione», le bisbiglia all’orecchio. Anche lo scadente cibo destinato ai marinai non è stato di suo gradimento.
Il Commodoro Norrington si riappropria della loro attenzione: «Non vi avevo ancora fatto avvertire perché, come potete vedere, dapprima stiamo provvedendo a sbarcare i prigionieri da trasferire a Fort Charles».
A quelle parole Elizabeth tenta istintivamente di avvistare Will. Le sembra essere trascorsa un’eternità dall’ultima volta in cui i loro occhi si sono specchiati. E non riesce a non ripensare al suo sguardo ferito.
Scoprendo anzitempo e chissà da chi la sua promessa di matrimonio, deve essersi sentito tradito, perché non è stata lei a rivelarglielo. Non voleva ingannarlo, gli deve delle spiegazioni. Dovrebbe andare a scusarsi con lui, tanto per cominciare, ma non sa quando potranno rivedersi e parlare.
Vuole almeno sincerarsi che stia bene, dopo aver subito quell’ingiusta prigionia.
Norrington nel frattempo risale le scalette del castello di poppa e si avvicina a loro, occupandole la visuale: «Governatore, se me lo consentite, propongo di fissare l’esecuzione del signor Sparrow a oggi pomeriggio».
Weatherby Swann ha un sussulto. Da che è stato investito della sua attuale carica, malgrado non siano scarseggiati svariati e frequenti atti di delinquenza di cui è stato ragguagliato, finora non ha mai dovuto sottoscrivere sentenze capitali.
«Quello screanzato ha causato problemi durante il viaggio?», domanda restio e un po’ timoroso della risposta che riceverà.
«È un tipo imprevedibile. Non mi fido di lasciarlo un solo giorno di più in una cella», il rampante ufficiale giustifica la sua categorica presa di posizione.
«Certo, certo. Meglio non procrastinare», conviene l’aristocratico, proprio mentre un altro gruppetto di pirati, incluso il summenzionato Sparrow, viene scortato e caricato forzosamente su una scialuppa, sotto stretta sorveglianza di un quartetto di soldati muniti di moschetto.
Elizabeth, che ha appena avvistato per un attimo anche Will, non si trattiene più dall’intervenire inorridita: «Giustizierete quell’uomo senza alcun processo?», si oppone con accorato puntiglio.
È impensabile che un recidivo fuorilegge del suo calibro possa essere scagionato, lei stessa sa bene che gravano troppe accuse su di lui, e che difficilmente si dichiarerebbe pentito, ma almeno rimanendo in prigione potrebbe guadagnare qualche mese o anno e infine forse ottenere addirittura il perdono.
A quanto ha letto, è già accaduto a filibustieri con capi di imputazione ben più gravi.
James Norrington le riserva un’occhiata perplessa. Gli sfugge come una donna della sua levatura, tanto colta, virtuosa e raffinata, possa continuare a parteggiare per quel depravato malvivente che ha provato ad oltraggiarla e molto probabilmente è stato anche colpevole di far cadere dei bravi soldati in una sanguinosa imboscata.
«I cittadini di Port Royal hanno subito ingenti perdite. Occorre dare loro un fermo segnale di ripristino dell’ordine e della sicurezza», la redarguisce, rimarcando la sua rettitudine e la sua fervente dedizione alla causa che ha giurato di servire.
Ha esposto con rigore forse eccessivo le sue argomentazioni, lo intuisce dall’espressione remissiva con cui la spigliata e inarrendevole fanciulla piega il collo di cigno, astenendosi dal continuare a contestare lui o suo padre, che d’altro canto si limita a mormorare un diplomatico: «Sono d’accordo con voi».
Accomiatandosi con i suoi rispettosi omaggi agli Swann, si domanda se con quell’arbitraria decisione non abbia compromesso irreparabilmente ogni possibilità di abbrivo nel guadagnarsi la simpatia e l’ammirazione della sua futura moglie.
Ma non può fare diversamente, ha dei doveri nei confronti della gente che è stato chiamato a proteggere e non può anteporvi le sue aspirazioni personali, né gli egoistici desideri del suo animo.

I loro sguardi si sono ricercati e ritrovati anche da lontano, sorvolando oltre il parapetto e le pavesate, velature e corde, oltrepassando cappelli, giacche a punta e stivali.
Ha potuto rivederla soltanto per qualche fugace attimo, ma il suo cuore non ha ancora smesso di scalpitare da allora.
Will non sa spiegarsi come o perché, in qualche modo era sicuro che lei sarebbe stata lì fuori ad aspettarlo, nel punto più alto del cassero. Seppure stiano continuando ad allontanarsi e non possa più discernere quali emozioni colorino la sua espressione, riesce a distinguere ancora la sua figura esile e vibrante, ritta tra i due gentiluomini che la amano, i lunghi capelli biondi riflettono la luce del mattino appena sbocciato, che sta dipingendo di sfumature rosate le tranquille acque della baia.
Vorrebbe urlare il suo nome a squarciagola, saltare giù dalla barca, nuotare da lei, confessarle quanto ha dovuto tacerle per troppo tempo e poi baciarla con fervore, davanti a tutti, anche a costo di essere malamente respinto.
Ha combattuto senza indugio contro una schiera di pirati maledetti, non avrebbe problemi a battersi contro un manipolo di soldati ben armati e addestrati.
Se negli anni non si fosse così temprato a controllare il suo lato più passionale e impulsivo, nonostante le manette ai polsi e quelle due paia di canne cariche puntate addosso, probabilmente in questo momento lo avrebbe già fatto, al diavolo il buon senso e ogni briciolo rimastogli di decoro.
Un sobbalzo dello scafo lo riporta repentinamente al presente. Oltre a coprirsi di ridicolo, molto più realisticamente come minimo finirebbe crivellato di pallottole. Il solo fatto di essere stato sfiorato da quel pensiero folle, lo inquieta un po’. Entrare in contatto con quella gentaglia ha avuto una cattiva influenza su di lui, o forse ha soltanto risvegliato un’indole dissennata che ha sempre avuto nel sangue.
Scacciando quelle macabre immagini e tentando di calmare il tumulto che gli ribolle nelle vene, distoglie lo sguardo dalla Dauntless, ormai sempre più distante, riportandolo sui compagni di bordo. Su di uno in particolare.
Ha creduto che non si sarebbe mai dato per vinto, che avrebbe escogitato qualcosa di inconsulto per sottrarsi a quella cattura, così non è stato, ma Will vuole supporre che forse sta soltanto aspettando l’attimo propizio per agire di soppiatto.
Perciò tiene d’occhio l’ineffabile pirata, scruta ogni suo gesto o espressione, aspetta un suo cenno, un guizzo, tenendosi pronto ad entrare in azione.
Jack Sparrow, invece, dopo il loro ultimo diverbio è diventato stranamente taciturno, quasi disinteressato a ciò che lo attende, ancora più indecifrabile. Perso nelle sue più intime riflessioni, non guarda in faccia nessuno degli altri compagni imbarcati con lui, piuttosto fissa malinconicamente il mare, socchiude le palpebre e ne ispira a fondo e con lentezza quell’odore unico eppure mutevole, dolce e salato, pungente e inebriante.
Non c’è nient’altro al mondo che ami in maniera tanto viscerale e da cui gli dispiaccia maggiormente doversi separare.

Nell’approssimarsi alla terraferma l’umore di tutti gli arrestati si è sensibilmente incupito. Si limitano a bofonchiare, sospirare, imprecare sottovoce, qualcuno piagnucola perfino, ma nessuno di loro ostenta più la meschinità e la crudeltà con cui si sono fatti spaventosamente conoscere quale masnada maledetta, funestando per un decennio porti e insediamenti del Nuovo Mondo.
Neanche le galere di Fort Charles sono state risparmiate dalla furia dei cannoni della Perla Nera, l’impatto delle palle di piombo ne ha squarciato le mura, riducendo lo spazio riservato alla custodia dei criminali, che ora vengono ammassati in quei pochi cubicoli rimasti intatti, in attesa di un trasferimento o di una sentenza che li liberi da quella lenta agonia.
E così Will Turner si ritrova costretto, gomito a gomito, con quegli stessi uomini senza scrupoli che fino a qualche giorno prima hanno tentato di ucciderlo.
Con gli assassini di suo padre.
Sparrow stavolta non divide la prigione con lui, è stato rinchiuso da solo, dietro le stesse sbarre da cui il giovane fabbro costruttore lo ha tirato fuori, sfruttando un accorgimento celato nella realizzazione di quelle celle, finendo per invischiarsi in quella controversa alleanza che lo ha condotto a condividere la sua stessa deprecabile sorte.
Chiunque sia stato preposto a ripristinare le carceri, in ogni caso, si è preoccupato di rimuovere qualunque potenziale leva, si accorge desolatamente il ragazzo, cercandosi un angolino per sedersi.

La carrozza sobbalza spedita sul selciato malmesso e ricoperto di buche, inerpicandosi verso l’estremità settentrionale dell’isola, laddove si erge sontuoso e solitario il Palazzo del Governatore, che dal promontorio domina il pittoresco e ampio golfo di Port Royal.
Nonostante l’ora alta, per le vie della città ci sono già parecchie persone indaffarate.
Qualche lampionaio si occupa di spegnere le ultime torce rimaste accese dalla notte precedente, ciurme di pescatori si dirigono verso le banchine caricandosi reti e lenze, locandieri e massaie sostano sugli usci spazzando via cenere e detriti, commercianti e bottegai preparano la mercanzia da esporre sulle bancarelle o su dei malconci carretti con cui andranno in giro tra i vicoli e le piazze.
Alla luce del giorno l’entità della devastazione inferta dai pirati si mostra in tutta la sua esecrabile efferatezza. Le costruzioni più vicine al porto sono ridotte in cumuli di macerie pericolanti, alberi e cespugli appaiono bruciacchiati e inceneriti, le strade sono disseminate di rottami, fuliggine e fango.
Alcuni abitanti hanno perso tutto durante l’incursione di una settimana prima e vagano disorientati, tristi e attoniti tra gli edifici pieni di crepe e in rovina, altri, invece, non si scoraggiano, adoperandosi a riparare con travi e chiodi almeno le imposte e i tetti delle loro povere case.
Continuando ad osservare da dietro il vetro oscurato da una raffinata tendina di pizzo la miseria e la distruzione dei bassifondi, la figlia del Governatore è scossa da un fremito di vergogna. Si sente viziata ed egoista per aver pensato solo alle proprie paturnie.
Vorrebbe rendersi utile in qualche modo per quella gente sfortunata. Ma sa che non le è concesso sporcarsi le mani.
Comprende un po’ meglio il punto di vista del Commodoro Norrington, anche se non condivide la sua volontà di fare di Jack Sparrow l’unico capro espiatorio per quanto è successo. Le sembra solo una sterile rivalsa.
Non sono arrivati neanche a metà del tragitto, quando, tutto d’un tratto, il sostenuto galoppare dei cavalli si arresta. Miss Swann si sporge a guardare dal finestrino, per capire cos’abbia indotto il cocchiere a frenare.
Quel che vede è una misera famigliola, i genitori non avranno che qualche anno in più rispetto a lei e Will, ma si portano dietro una nidiata di figli petulanti e scalmanati, che, scorrazzando spensierati, per poco non finivano schiacciati sotto le ruote del veicolo.
La più grande delle bambine, capendo chi sia, si prodiga a rivolgerle un piccolo inchino, esibendo anche un sorriso sdentato, prima che la madre la sproni con brusca solerzia a venir via dalla strada e togliere l’intralcio, allontanandosi con il resto della prole senza tanti convenevoli.
Qualche altro passante allora la nota, soffermandosi a salutarla. Sembrano tutti incuriositi e sbalorditi, la riveriscono cordialmente, ma dai loro ossequi più che un sincero rallegramento traspare della sottesa malizia.
La notizia del suo insperato ritorno in breve finirà sulla bocca di tutti. E immagina già cosa si malignerà sul suo conto: giacché ha trascorso giorni alla mercé di pirati dissoluti e debosciati, crederanno che sia stata disonorata. Non aveva riflettuto neanche su quello.
Compunta dal loro invadente scrutinio su di sé, la ragazza si ritrae all’interno della vettura, richiamata anche da suo padre, che subito dopo si rimette a sonnecchiare, mentre la carrozza riprende a muoversi celere in direzione del ricco quartiere di St. Paul.
Varcato il cancello della magione, l’accoglienza che le riserva la fedele servitù è molto diversa, sono tutti molto contenti e sinceramente commossi di rivederla sana e salva e si offrono di esaudire ogni sua richiesta, la premurosa Estrella in primis.
Nota un alone rosso scuro proprio davanti alla porta d’ingresso che una domestica armata di strofinaccio sta alacremente tentando di scrostare, ed Elizabeth non trattiene un brivido, ricollegandolo al ricordo della brutale uccisione del maggiordomo avvenuta l’ultima notte che ha trascorso lì.
Suo padre le si accosta con fare protettivo, invitandola a passare oltre quella funerea visione: «Confido che presenzierai anche tu più tardi. E dopo che questa spiacevole faccenda sarà conclusa, organizzeremo una festa per ufficializzare il tuo fidanzamento con il Commodoro Norrington».
Weatherby Swann si decide a rompere la mancanza di dialogo che ha accompagnato il loro tragitto da che hanno lasciato il molo, e il suo annuncio accende d’entusiasmo le cameriere che si congratulano con i padroni di casa per il lieto evento.
Agli occhi dell’aristocratico, forse un po’ abbacinati dalle proprie ambizioni, la sua unica erede e l’ineccepibile ufficiale formano una coppia ben assortita; li ha visti fare conversazione, passeggiare insieme, confrontarsi in maniera stimolante. Lui ha la maturità giusta per aiutarla a crescere e ad abbandonare le sue fatue fantasie infantili.
«Sarà anche un modo per ritornare alla normalità», aggiunge con le migliori intenzioni, ma gli sembra che le sue blande parole accrescano l’attrito tra lui e l’insolitamente ritrosa figlia, la quale, annuendo sommessamente, si limita a farsi sfuggire un fievole sospiro, che lui non sa bene come interpretare, per poi rifugiarsi in tutta fretta al piano superiore.
Il Governatore sale a sua volta verso i suoi appartamenti, anelando a recuperare un po’ di ristoro, anche se prima di poggiare la testa sul cuscino o rifocillarsi deve assolvere ad una promessa fatta ad Elizabeth.
Convoca perciò il suo segretario, affinché possa sbrigare subito quell’incombenza.

Avere una cella tutta per sé più che una punizione sembra quasi un trattamento di favore.
Che lo ritengano diverso dagli altri della sua risma lo lusinga. È quello in cui ha sempre confidato, distinguersi dalla feccia, dimostrare di non essere un semplice criminale di bassa lega, bensì un gentiluomo di ventura unico nel suo genere, un uomo impavido che ha scelto volutamente di rinnegare gli asfissianti vincoli della società e di condurre una vita libera, esaltante, scostumata, senza costrizioni di alcun tipo.
Anche se, a voler essere un pizzico onesto con se stesso, non è che ora come ora abbia tutta questa possibilità di muoversi. Una cella resta comunque una cella.
Un refolo salmastro gli solletica le narici e i sensi, sospingendo le sue membra intorpidite dalla forzata immobilità a raggiungere la piccola apertura inferriata da cui può almeno fruire dell’apprezzabile vista sulla rada, punteggiata dagli alberi di un discreto numero di velieri di varia foggia.
È lì che dovrebbe trovarsi un gagliardo avventuriero come lui, su uno di quei legni galleggianti, possibilmente dotato di un buon pescaggio e di un’adeguata attrezzatura velica, l’incomparabile ebbrezza del mare aperto e delle sue tante incognite ad attizzare il suo spirito mai domo.
Non si è mai guardato indietro, ha sempre e solo contato su stesso. E invece, adesso, dopo tante tribolazioni per forgiarsi un nome che sarebbe stato ricordato, tutto quello che gli resta da fare è attendere passivamente che succeda qualcosa, restandosene coricato su un pagliericcio umido e puzzolente.
È inutile prendersi in giro. Non marcirà lì dentro, le sue ore sono contate. Lo sente.
Eppure, stranamente, non prova sconforto né commiserazione.
Direbbe qualsiasi cosa per salvarsi la pellaccia. Farebbe qualsiasi cosa. Tranne pregare.
Ha ancora una dignità da difendere, nonostante tutto.
«Credevo che stessi aspettando il momento più opportuno per … improvvisare qualcosa».
Il figlio di Sputafuoco Bill, confinato nel cubicolo accanto al suo, sporge la faccia tra le grate che li dividono, apostrofandolo puntiglioso, un’espressione delusa che sa di rimpianto, di speranza tradita, ma è anche sottilmente provocatoria.
Gli rimarca il suo fallimento, lo taccia di codardia.
Ma lui non ha più lo spirito di arridere all’ineluttabilità della sua sorte avversa: «Non sempre quel momento arriva. La vita è una ruota che gira, comprendi?», lo redarguisce disincantato e indolente.
Will sta per ribattere qualcosa, quando l’incedere di alcuni passi pesanti riecheggia dalla rampa di scale in fondo al corridoio, precedendo l’ingresso di un paio di guardie.
«Chi di voi è William Turner?», domanda uno dei due soldati, interrogando con sguardo inquisitorio le facce nervose e demoralizzate dei prigionieri.
Il diretto interessato si fa avanti con circospezione, scavalcando gli inseparabili Pintel e Ragetti, fiaccamente adagiati sul pavimento di pietra, intenti a confortarsi a vicenda.
L’uomo in divisa lo studia per qualche secondo, per accertarsi che corrisponda alla descrizione fornitagli e che non sia qualche altro mascalzone che prova a spacciarsi per lui, poi, rassicurato dalla sua identità, prosegue a leggere il documento vergato che reca con sé, con l’aiuto del collega che gli regge un lumicino: «Sua eccellenza il Governatore di Port Royal Lord Weatherby Swann, con l’autorità conferitagli da sua Maestà Re Giorgio II di Gran Bretagna, ha emesso un atto di clemenza a vostro favore. Pertanto vi è stato perdonato il reato di pirateria e verrete dispensato dalla condanna prevista per tale infame crimine».
«Hai capito il bastardello!»
«Raccomandato!»
«Avrà qualche santo in Paradiso!»
A quell’annuncio si levano ingiurie, proteste e mormorii rosi d’invidia, mentre il giovane Turner, interdetto, avverte il groppo annidatosi nelle budella sciogliersi, le ginocchia divenire molli, le pulsazioni più forti e la testa ronzare, tanto che quando la porta gli viene aperta tarda a muoversi, fino a che non sono le stesse guardie ad afferrarlo e trarlo fuori, dovendo ricacciare indietro un paio di delinquenti che tentano di approfittare della circostanza per uscire al posto suo.
Ricevendo in mano il salvacondotto, Will aggancia lo sguardo sghembo di Jack Sparrow che gli ammicca con fare saputo: «Fa’ buon uso della tua libertà, figliolo … Voglio dire, non disturbarti di venire a tirarmi i piedi!», si rettifica in un lampo per quel paterno monito soffiato quasi incidentalmente.
Il ragazzo stavolta non ricaverebbe alcun vantaggio nel salvarlo, perciò perché mai dovrebbe compromettersi per lui?
Anche se, riflettendoci, non ha avuto la compulsione di mentire. Può darsi che quando si è vicini alla dipartita si diventa più autentici, non si ha più nulla da perdere.
Senza scomporsi troppo, il pirata si lascia attraversare da quella futile considerazione e, voltandosi, torna a piazzarsi davanti alla finestra, restando in assorta contemplazione del distante paesaggio marino che tanto adora.

Mentre torna a respirare all’aria aperta, Will non riesce ad essere altrettanto strafottente.
Si sente quasi in torto per essere stato l’unico scagionato.
Percorrendo i viottoli sabbiosi dei cantieri navali di Pembroke Street, scendendo a sud della baia verso il quartiere disastrato di Ridge Street per poi svoltare a est dove sorgono gli empori, le mescite e le botteghe artigiane di Howell Alley, si accorge di tanta gente sfollata che si arrabatta per rimettere in sesto le proprie attività commerciali e le proprie abitazioni. C’è molto da ricostruire.
Alcuni conoscenti, vedendolo ricomparire in quei paraggi, scambiano con lui qualche chiacchiera o un saluto affrettato, chiedendogli di ripassare appena può per aggiustare qualcosa e lui cerca di non scontentare nessuno, promettendo di aiutarli come potrà.
Appena rientra in officina viene accolto da un signor Brown meno alticcio del solito che, affaccendato ad armeggiare con incudine e martello, più che preoccuparsi di sapere dove sia sparito negli ultimi giorni, gli inveisce contro con una mordace ramanzina, rimproverandogli di averlo abbandonato proprio nel momento di maggiore bisogno.
Will sospira guardandosi intorno: la fucina in effetti trabocca di commissioni incompiute e sulla bacheca adocchia una sfilza di fogli con i promemoria di altri ordinativi.
Il lavoro nelle prossime settimane di sicuro non gli mancherà e magari lo aiuterà a distrarsi e a dimenticare quanto è successo. A dimenticare perfino Elizabeth.
A tempo debito potrebbe trovare una brava ragazza, umile, onesta e abbastanza gradevole, con cui accasarsi e relegare il ricordo di ciò che c’è stato tra loro a nient’altro che una parentesi irripetibile, un sogno effimero.
Ci sono almeno un paio di fanciulle dabbene che spasimano per lui, semplici e poco pretenziose figlie di mercanti che potrà frequentare liberamente, poiché appartengono al suo stesso ceto. È scontato che nessuna di loro potrà mai competere con la grazia, l’intelligenza e il coraggio di Miss Swann, ma dovrà perlomeno provarci.
Provarci o impazzire. Prima o poi quell’insana smania di volerle stare accanto passerà.
Oppure dovrà trovare il fegato di confessarglielo.
Risalendo nella sua stanzetta al piano ammezzato per darsi una veloce ripulita, ode le campane della chiesa di Sant'Anna rintoccare a distesa, cosa che capita solo in situazioni di allarme o per richiamare i cittadini a raccolta.
Con un sapore amaro nel palato, Will pensa di intuire da cosa dipenda quel crescente fermento. Nella piazza di High Street hanno già allestito la forca per le esecuzioni.
Poco fa, quando passando da lì ci si è imbattuto, è rimasto a distanza, provando dispiacere e fastidio nel cogliere i commenti pieni di disprezzo e di esaltazione delle persone che stavano cominciando a radunarsi per il cruento spettacolo che si terrà prima del tramonto.
A salire sull’infame palco sarà proprio quel pirata squinternato, vanesio e opportunista, astruso e imprevedibilmente geniale nella sua bizzarria, senza il cui appoggio un modesto fabbro asciutto di inganni e ignaro di navigazione non sarebbe mai riuscito ad imbarcarsi per salvare l’amore della sua vita.
A quanto pare alla fine hanno scelto di immolare proprio lui, come indennizzo per le tante vite perse o distrutte.  Non sembra un atto di giustizia, quanto piuttosto una ripicca per saldare un conto in sospeso di natura personale.
Nessuno si esprimerà a suo favore né gli mostrerà compassione, benché non sia certo il peggiore tra gli uomini conosciuti che si sono associati alla filibusta per non essere imbrigliati in un’esistenza spenta e piatta, in cui limitarsi a servire e obbedire a testa bassa per sopravvivere.
Will si rende conto che in fondo, nel suo essere fedele solo a se stesso, nel suo perseguire accanitamente i propri desideri e non farsi comandare dagli altri, un po’ lo ammira. C’è del buono in quel briccone scalognato; forse comincia a capire perché suo padre si è schierato dalla sua parte.
Il suo spirito eversivo lo comprende.
Si è dovuto piegare anche lui a consuetudini imposte da altri e ora non sa più se lo ha fatto per quieto vivere o per vigliaccheria. Sa solo che non vuole più subire le decisioni altrui, non gli importa della loro approvazione.
Se ha imparato qualcosa dalla sua recente esperienza tra quei tagliagole, è che non si può vivere di rimorsi né di rimpianti.
Rovistando nella piccola cassapanca ai piedi del letto rinviene dei vestiti quasi nuovi, un cappello piumato e un mantello carminio. Ha potuto comprarseli con le mance racimolate in un intero anno e conservate con parsimonia. Non li ha mai indossati per non sciuparli, convinto che li avrebbe sfoggiati per un’occasione speciale che non è mai arrivata.
La sortita suicida che si sta apprestando a compiere potrebbe finalmente rivelarsi il momento giusto.
L’eco dei rintocchi si sta spegnendo, ma non tutto è perduto, può ancora evitarlo.
Sì, Jack Sparrow è meritevole di una seconda occasione.
Non lo lascerà indietro.


Ehilà! Marinai e donzelle, ben ritrovati ^_^

Rieccomi finalmente approdare con il capitolo conclusivo di questa breve long interamente scritta per coprire la lacuna presente tra due scene dell'atto finale del primo magnifico film di questa saga, che mi hanno dato modo di riflettere e soprattutto di fare un bel poì di introspezione sui personaggi coinvolti.
Lo so, è trascorso un tempo ignobilmente lungo dall'ultimo aggiornamento, ma a mia discolpa posso dire che questi mesi dal punto di vista personale sono stati abbastanza turbolenti per me, tra l'inizio di un nuovo lavoro, il trasferimento in un'altra città e l'inizio di una convivenza unicamente con me stessa XD
Adesso che mi sono finalmente sistemata, confido di riuscire a riprendere le fila di alcune altre ff in sospeso, su Pc e su appunti cartacei.

Ciance a parte, ringrazio chi ha letto o leggerà questa composizione e spero che la trovi di suo gradimento.
Come sempre pareri, critiche e osservazioni sono sempre ben accette.

Ps: Per le indicazioni urbanistiche su Port Royal ho fatto riferimento ad un bel libro letto nel frattempo, ovvero "L'isola dei pirati" di Michael Crichton.


Al prossimo approdo!)

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