Pool party in a dream

di Panterah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pool Party ***
Capitolo 2: *** Arte ***
Capitolo 3: *** Stregatto e Bianconiglio ***
Capitolo 4: *** Un sogno ***
Capitolo 5: *** Incubo ***



Capitolo 1
*** Pool Party ***


Avrei giurato che fosse lui il padrone di casa, quel giorno della festa in piscina.
Amica di amici, non avevo nemmeno idea del perché mi trovassi lì: quando la mia coinquilina mi aveva invitata ad una festa in casa, mi aspettavo quattro birre e uno spinello in un appartamento di qualche studente, non certo un party nel quartiere ricco, con tanto di piscina. Alessia avrebbe almeno potuto dirmi di portare il costume: mi sarebbe piaciuto stare in acqua, invece di passare tutta la prima parte della serata seduta su una traballante sedia in vimini a guardare lei e il suo ragazzo provocarsi a vicenda, prima di sparire in una delle stanze della villa.
È stato a quel punto che l’ho notato. In bermuda, non indossava abbastanza vestiti da lasciar indovinare il suo vero ceto sociale e, dal modo in cui tutti gravitavano attorno a lui era chiaro che, se forse non possedeva la casa, almeno aveva nelle sue mani l’intera festa. Non mi dilungherò nel descrivere il suo aspetto fisico, sui dettagli anche più minimi del suo corpo avevano già preso appunti attenti tutte le ragazze presenti. Era innegabile che fosse attraente, ma non avevo mai avuto un debole per i classici biondi con gli occhi azzurri. Ritenni che ciò fosse sufficiente a riconoscere la sua forte aura carismatica senza rimanerne vittima e, dopo avergli concesso tre o quattro minuti della mia attenzione da lontano, tornai a concentrarmi su problemi più importanti: la birra.
Forse un festino nei dormitori studenteschi non avrebbe avuto tutti i lussi di quell’evento, ma una cosa era certa: la birra almeno sarebbe stata buona. Quella sera, invece, mi trovavo in mano una birretta annacquata commerciale palesemente comprata da qualche ricco ragazzo popolare, mai entrato in un pub in vita sua. Dal momento che avrei dovuto passare lì ancora delle ore, decisi che valeva la pena cercare dell’alcool migliore, così mi diressi verso il tavolo delle bibite, posizionato sul terrazzo della casa. Purtroppo, l’alternativa più allettante lì era una caraffa di un sospetto cocktail rosa. Notai una ragazza che si era avvicinata a me con un bicchiere vuoto in mano e che, con uno sguardo deluso a ciò che offrivano le bevande, si stava allontanando di nuovo senza prendere nulla da bere... Immaginando avesse il mio stesso problema, decisi di fermarla e di provare a chiederle qualche informazione.
“Hey, ciao, scusa... per caso sai se c’è altro da bere da qualche parte?”
Lei mi sorrise e scosse la testa “No, mi dispiace... forse bisogna chiedere al padrone di casa.”
Io, convinta che si trattasse del biondo, lo indicai velocemente... dal terrazzo la piscina era ben visibile, e non serviva neanche il mio dito per focalizzare l’attenzione su di lui “Intendi lui?”
Dallo sguardo che mi lanciò lei ridendo non riuscii a capire se ci avessi azzeccato o no, si limitò a chiedere: “Chi? Josh?” prima che una voce chiamasse il suo nome, Martina, e lei si allontanasse scusandosi.
Beh, almeno ora sapevo il nome di quel tipo. In effetti, pensando a tutti i film di bassa qualità in cui c’era un ragazzo popolare, o si chiamava Josh, o Justin, o magari Jason... insomma, qualcosa che iniziasse per J. Non che mi andasse di ridurlo a uno stereotipo dopo averlo guardato da lontano per cinque minuti, magari era una persona interessante... ma non mi attirava comunque l’idea di andare fino alla piscina per disturbarlo mentre si divertiva. Così finii per passare l’ora successiva da sobria, facendo conoscenza con Sunny e Ludovica, una simpatica coppia di studenti che però, presto, proprio come la mia coinquilina, si appartò. A quel punto mi arresi alla birra scadente e me ne stappai una mentre mi appoggiavo al terrazzo, ammirando il giardino, in cui l’atmosfera si era calmata in favore dell’inizio della seconda parte della festa, in cui chi era ubriaco collassava, le coppie si formavano e più o meno sparivano, alcuni fumavano, e gli imbucati come me rimpiangevano la decisione di aver partecipato.
“Hey!” una voce maschile, non troppo profonda e leggermente graffiata, pronunciò quel richiamo da dietro le mie spalle, facendomi sobbalzare. Non pensavo che qualcuno si stesse rivolgendo a me, ma mi venne istintivo voltarmi. E me lo trovai di fronte. Decisamente, da quello sguardo diretto e cristallino al di sotto del ciuffo chiaro, capii che ero proprio io la destinataria della sua conversazione. Non era solo: aveva di fianco un paio di altri ragazzi, che si misero a parlare tra di loro non appena lui si rivolse a me. Non sapevo perché avessi attirato la sua attenzione, se non probabilmente perché ero una delle uniche persone in piedi lì da sola, ma decisi di stare al gioco.
“Hey Josh!” esclamai, e ci aggiunsi un sorriso semi sarcastico, in risposta al suo. Nel frattempo, la mia mente si dedicò a dare un’occhiata più ravvicinata a questo tipo con cui avevo a che fare. Da una certa distanza mi era sembrato un ragazzo carismatico e sicuro di sé, di quelli tutti d’un pezzo, che sanno quello che vogliono e lo ottengono... era stato facile immaginarlo, con lui in piedi in mezzo alla piscina e tutte quelle persone intorno a lui. Era come se avesse avuto il mondo in mano. Ora, invece, da vicino, il linguaggio del suo corpo diceva qualcosa di diverso... sicuramente c’era della sicurezza nel modo in cui comunicava, ma ciò che saltava all’occhio nei suoi movimenti era altro. Per quanto fosse rilassato, era come se sottopelle avesse avuto una grande energia che cercava di trattenere... quasi fosse stato sotto zuccheri e stesse tentando di darsi un minimo di contegno per socializzare meglio. Si passò una mano fra i capelli rapidamente, e la sua espressione diventò d’un tratto confusa, come se gli fosse sfuggito qualcosa.
“Aspetta, non mi chiamo Josh.”
Era evidente che anche io dovevo sembrare abbastanza spiazzata, perché d’un tratto non-mi-chiamo-Josh scoppiò in una risatina divertita. La situazione lo aveva incuriosito, dopo aver capito che non mi ero sbagliata di proposito.
“Chi ti ha detto che mi chiamo Josh?”
Non mi andava di fare nomi, così mi limitai ad alzare le spalle e a fornire una vaga descrizione con fare noncurante “Oh, una ragazza bassa, capelli marroni a caschetto...”
Nel suo sguardo guizzò un lampo di riconoscimento, aveva capito al volo... sorrise. Forse qualcun altro con un po’ più di ego avrebbe recitato la parte dell’offeso, invece lui era solo sinceramente divertito.
“Oh, Martina!”
Annuii, per qualche ragione leggermente colpita... probabilmente perché io ero una frana con i nomi... o perché la parte che meno mi piaceva di me lo aveva già immaginato come uno che di ragazze intorno ne aveva parecchie per tenerle a mente tutte. Repressi quel pensiero all’istante, non se lo meritava.
“Ti ricordi il suo nome!” mi rifugiai nel sarcasmo, e lui, alzando le mani in segno di resa, fece lo stesso
“Sì, ma sembra che sia lei a non ricordarsi il mio.” alzò gli occhi al cielo, nello stesso modo in cui un attore di teatro comico avrebbe fatto per interpretare i risultati di un cuore spezzato. Mi strappò un sorriso.
“Difficile da credere...” la mia bocca si mosse prima del mio pensiero, e mi maledissi in silenzio, nonostante fossi suonata piuttosto ironica. Lui, ovviamente, colse la palla al balzo... si sporse un po’ in avanti e cercò il contatto visivo con me, gli occhi azzurri che si accendevano come quelli del mio gatto quando voleva giocare... Lo salvò il suo tono scherzoso: se avesse usato la frase successiva in modo serio per flirtare, avrebbe probabilmente superato il mio limite di sicurezza in se stessi per sfociare in spacconeria.
“Era un complimento quello?”
Ressi il gioco: “No, direi più un fatto.” In fondo, tutte le persone che gli avevano gravitato attorno durante la serata non me le ero certo immaginate io.
E, in realtà, la piccola risata successiva suggerì che, in fondo, non era così abituato ai complimenti come ci si sarebbe immaginati... aveva distolto lo sguardo per portarlo al pavimento, quasi volesse salvarci da eventuali imbarazzi.
Fu allora che i suoi due amici si stancarono di aspettarlo: uno di loro alzò la sua birra e richiamò non-mi-chiamo-Josh con un
“Hey bro! Noi andiamo dentro intanto, a dopo!”
Lui si girò il minimo indispensabile per lanciare un’occhiata all’altro ragazzo ed annuire. Nel frattempo, qualcosa attirò la mia attenzione... non sapevo bene se rivolgermi ai due sconosciuti che si stavano per allontanare, così quello che mi uscì indicandoli fu
“Aspetta, aspetta, quella è una birra decente?”
Non mi ero accorta di aver appoggiato una mano sul braccio del mio nuovo amico biondo, come a voler fermare lui invece degli altri; lo realizzai solo quando lui abbassò lo sguardo fugacemente... la rimossi subito, scusandomi, ma lui se la stava già ridendo.
“Sì, vera birra.” mi confermò, poi alzò un sopracciglio in direzione della bottiglia che avevo appoggiato vicino a me sulla ringhiera del terrazzo. Scuotendo la testa, mi chiese con tono comprensivo, come se ci fosse passato anche lui “Ti eri arresa a bere quella, eh?”
Alzai le spalle “Già, che ci vuoi fare... Sai per caso dove i tuoi amici hanno trovato l’altra?”
Con un veloce cenno della testa in direzione della casa, mi invitò a seguirlo, e non me lo feci ripetere due volte. Entrammo nel grande atrio della villa, dove un ragazzo stava dormendo su un divanetto, una coppia ancora stava flirtando, un gruppetto di amiche stava finendo il gossip settimanale e i due amici di non-mi-chiamo-Josh erano intenti in non so che conversazione. Mi resi conto che non mi ero ancora presentata, così, mentre gli camminavo a fianco, buttai lì un
“Comunque, piacere sono Cristina...” la voce si abbassò proprio sul mio nome: insomma, solo mia madre mi chiamava così “...Cris.” mi corressi quindi.
“Ciao Cris, io sono Shon.” non mi stava guardando, ci eravamo diretti  verso gli attaccapanni ai lati della stanza, e lui si era accovacciato vicino a uno zaino azzurro appoggiato al pavimento. Lo aprì, ne estrasse una birra, e solo a quel punto alzò gli occhi verso di me mentre, con l’espressione contenta e soddisfatta, mi porgeva la bottiglia. Lo ringraziai di cuore, per poi togliere il tappo con il mio anello. Avevo imparato quella tecnica durante un viaggio all’estero: una sera ero triste e avevo pochi soldi, quindi avevo deciso di comprarmi da bere al supermercato, per poi ricordarmi di non avere un cavatappi... Ne andavo abbastanza fiera, e anche Shon parve colpito... sollevò le sopracciglia con un sorrisetto, mentre estraeva dalla tasca dei bermuda neri un accendino e si apriva la birra con quello
“Ehi, che classe!” commentò, poi prese un sorso e si rialzò in piedi.
“Grazie!” esitai un secondo, lanciando uno sguardo allo zaino. Quando eravamo entrati, mi ero aspettata che andasse in cucina ed aprisse il frigo “Quindi non sei tu il padrone di casa...” non sapevo se fosse una domanda o una considerazione in realtà.
“Oh, no, no assolutamente.” si affrettò a precisare, come se fosse stata un’ipotesi assurda “Devo ammettere che Josh il padrone di casa suona bene, ma questa è casa del mio migliore amico Samuele” aprì le braccia per portare l’attenzione sull’ambiente che ci circondava, per poi aggiungere “io non potrei mai permettermi tutto questo lusso... però, in compenso” e qui si rivolse a me con un’occhiolino complice “Sam di birre non ne sa niente. Per questo mi porto sempre la mia scorta personale alle sue feste.”
Non potei che concordare “Ma sai che stavo pensando la stessa cosa stasera? I festini nei dormitori studenteschi non hanno mai avuto questi problemi.”
“Già... Fammi indovinare, sei qui con amici di amici di Sam?”
Mi strinsi nelle spalle: sì, ero praticamente un’imbucata, non l’avrei negato “Si nota così tanto?”
Scosse la testa, riportando lo sguardo per terra, il ciuffo biondo scompigliato che gli metteva in ombra il viso “No, solo eri lì da sola a guardare il giardino con quella... bibita... in mano...”
“Sembravo disperata, capisco.” scherzai sarcastica, strappandogli una mezza risata. Riprese il contatto visivo
“Nah...” negò sfacciatamente.
Non sapevo  a che gioco stessimo giocando, ma non mi dispiaceva per niente.
Mi chiesi distrattamente quanto tempo ancora avessi a disposizione quella sera e, senza quasi rendermene conto, individuai un orologio alla parete che segnava le quattro del mattino. Era strano che Alessia ancora non mi avesse chiamato.
“A proposito di questo...” esordii mentre prendevo il cellulare dalla tasca degli shorts, con un tono come a volermi scusare per la pausa nella conversazione “...scusa un secondo, controllo che i miei amici non mi abbiano chiamata.”
“No problem.” rispose Shon, dedicandosi alla propria bottiglia.
La mia intuizione non aveva sbagliato: per errore mi ero dimenticata di togliere la modalità silenziosa, e Alessia stava provando a chiamarmi da dieci minuti, finendo poi per scrivermi un messaggio in cui mi diceva che mi avrebbero aspettato all’ingresso.
“Merda, mi stanno aspettando per andarsene.”
Proprio sul più bello...
Mi  sorrise “Beh, adesso sai a chi rivolgerti la prossima volta... porterò un paio di birre in più.”
“Ci conto!”

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Capitolo 2
*** Arte ***


Non mi ero nemmeno ubriacata quella notte, eppure, quando aprii gli occhi alle tre del pomeriggio di domenica, mi sentivo come se avessi preso la peggiore sbronza della mia vita. A fatica, riuscii a trascinarmi fino in cucina, dove Alessia non sembrava essere in condizioni migliori rispetto a me: stava mangiucchiando un toast con la nutella guardando il frigo neanche avesse potuto rivelarle i misteri dell’universo.
“Buongiorno” mi salutò con voce stanca e, mentre cercavo i cereali nella dispensa, mi chiese distrattamente come avessi passato la festa.
“Bah, non male” decisi di non rinfacciarle il discorso del costume dimenticato, alla fine non era stata una brutta serata... alla fine... “ho conosciuto anche un paio di studenti e un tipo simpatico.”
“Un tipo?” chiaramente quella era l’unica cosa che la mia coinquilina aveva sentito. Ci aveva provato in tutti i modi a presentarmi gli amici del suo ragazzo, ma non aveva mai funzionato. Immaginai fosse sorpresa di sentirmi confessare volontariamente di aver conosciuto qualcuno a una festa del genere.
“Un biondo... si chiama Josh, o qualcosa di simile...”
Non sapevo nemmeno io perché fossi stata così evasiva tutto d’un tratto. Me lo ricordavo perfettamente il nome di Shon e, forse, era proprio questo a trattenermi: non volevo ammettere quanto mi avesse resa semplicemente felice la nostra conversazione.
“Aspetta” il frigo, improvvisamente, non era più la priorità della mia amica, che ora mi stava dedicando tutta la sua attenzione “intendi dire Shon?”
Ecco. Proprio quello che avrei voluto evitare.
“Sì? Lo conosci?” ero già pronta a un Ted Talk su quanto fosse popolare.
“Non proprio, è un amico dell’amico di Thomas.” ovvero il suo ragazzo.
“Wow!” mi difesi col sarcasmo. Sotto sotto, avrei voluto saperne di più su di lui... ma, per qualche motivo, sentivo che quello non era il modo giusto. In ogni caso, la mia coinquilina proseguì.
“Però so che frequenta parecchio quelle feste, e... cosa devo dirti, anche se non da me, è parecchio conosciuto.” un morso al panino con la nutella “E poi, è parecchio carino.”
Parecchio carino? Sì, può starci come definizione.” non mi sarei sbilanciata ulteriormente.
“Oh, so anche che fa l’Accademia delle Belle Arti.”
Questa fu una piacevole scoperta.
Durante l’intera durata del Liceo, avevo frequentato per qualche ignota ragione un ragazzo dalla mentalità completamente scientifica, quadrata, ovvero l’esatto opposto di com’ero io. Nonostante la nostra relazione avesse resistito per quasi quattro anni, mancava una connessione tra le nostre anime, che non erano in grado di comunicare con lo stesso linguaggio. Ogni sensazione, emozione e pensiero che esternavo come onda di oceano, si scontrava irrimediabilmente con uno scoglio di severa razionalità. Non mi ero mai sentita compresa appieno.
Ero arrivata a scrivere questo nella mia raccolta di pensieri:
Ho bisogno di un bravo ragazzo
o di un artista?
Di un compagno fedele
o di un felino compagno di vita?
Di un abbraccio caldo che sa di legno
o di mani sporche di colore che accarezzino bollenti la mia pelle nuda?
Questo aveva portato, negli anni successivi alla rottura, all’infatuazione continua per le anime artistiche: dal mio insegnante di ballo ad un graffittaro incontrato ad un concerto, qualsiasi ragazzo mostrasse un certo tipo di sensibilità mi aveva attratta. Peccato che, evidentemente, non ero il loro tipo.
Ripensai a Shon. Che fosse uno spirito libero si era capito... e la mia mente venne attraversata dalla curiosità di conoscere anche il suo lato artistico, oltre che quello di anima della festa che avevo incontrato. Forse era quello il modo giusto... 
Ma, dopotutto, era un’ipotesi abbastanza aleatoria: alla fine dei conti, non era che uno sconosciuto che mi aveva regalato qualche sorriso ed una birra ad una festa in piscina. Lo scambio che avevamo avuto sarebbe potuto essere tranquillamente un sogno.

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Capitolo 3
*** Stregatto e Bianconiglio ***


Erano passate due settimane dalla festa in piscina, e non avevo avuto troppo tempo per ripensarci: l’esame che io ed Alessia avevamo in sospeso per la sessione estiva ci aveva fatto dannare più del previsto. Frequentavamo entrambe il secondo anno di Lettere Moderne, e nessuna delle due ci teneva ad iniziare il terzo senza aver dato Latino. Così, dopo aver trovato tutte le scuse possibili per rimandare, ci eravamo chiuse in casa con una scorta di bibite energetiche e noodles precotti per il ripasso finale.
Avevo vagamente ricordato Shon solo quando, festeggiando con la mia coinquilina la sera dopo l’interrogazione, avevo stappato una birra con l’anello, con un involontario sorrisetto che sperai lei scambiasse per soddisfazione. Dopotutto, l’Accademia non si trovava dove studiavamo noi, ma in un’altra cittadina universitaria a quasi un’ora di treno di distanza, e non avevo intenzione di imbucarmi a molti altri party in quel momento. Persino Alessia non aveva più nominato quel “tipo”, né aveva chiesto a Thomas altre informazioni su di lui, prova che eravamo lontani abbastanza.
I primi giorni di settembre si trascinavano lenti, tra persone che ancora postavano foto del mare e studenti fuori sede che iniziavano a cercare affitti decenti in attesa dell’inizio dell’anno accademico. Quella sera, avevo deciso di andarmi a bere qualcosa nel mio pub preferito, da sola. La mia amica diceva che quella era la pista migliore per diventare alcolizzata... dal mio punto di vista, invece, a volte mi piaceva semplicemente uscire senza compagnia, per potermi concentrare sui miei pensieri al di fuori del nostro piccolo appartamento. Per le strade iniziava a tirare un po’ di aria fresca dopo il forno infernale che era stata l’estate, e io non vedevo l’ora che arrivasse l’inverno... per quanto sia un’opinione poco popolare, il freddo mi rendeva felice e decisamente più attiva. In borsa avevo portato un libro da leggere al lume delle luci calde del pub; ormai il personale mi conosceva bene lì, nessuno pensava fossi strana quando restavo nel mio angolino tutta la serata, immersa tra le pagine, ero arrivata persino a studiare lì ogni tanto, quando avevo davvero bisogno di cambiare aria.
Mentre attraversavo la strada di fronte al pub, con la mia canzone preferita che, ovviamente, iniziava nelle cuffiette proprio all’ultimo, notai però qualcosa di insolito. Quella non era una zona particolarmente frequentata, i locali preferiti dagli studenti erano in centro e vicino alle varie facoltà, quindi vedere tutti i tavolini all’esterno pieni di persone fu una sorpresa per me. Era ancora presto per le lauree, quindi intuii si trattasse di un compleanno, di un addio al nubilato, o qualcosa del genere. Ne ebbi la conferma quando, senza che quasi me ne rendessi conto, due ragazze mi vennero incontro non appena misi piede sul marciapiede opposto. Una di loro indossava sopra il proprio vestito un corsetto, una gonna con vari strati di tulle e, in testa, un paio di orecchie bianche da coniglio; l’altra, invece, aveva un abbigliamento simile, cambiava solo il cerchiello da gatto. Nel profondo della mia mente, per un attimo mi sentii Alice, approcciata dal Bianconiglio e dallo Stregatto dopo essere arrivata nel Paese delle Meraviglie.
“Ehi, ciao, scusa hai un secondo?” mi chiesero, mentre io lentamente mettevo a fuoco quello che effettivamente era un gruppo di amici seduto in cerchio attorno ai tavoli, ridendo e con tutta l’attenzione posta sulle due. Vivendo in una città universitaria, non era niente di nuovo per me: già altre volte ero stata fermata da laureandi in costumi strani che mi chiedevano qualcosa per scommessa.
Annuii “Va bene!”
Il Bianconiglio, come già l’avevo ribattezzata, trattenne a stento un moto di gioia, facendomi domandare quanta gente avesse rifiutato la sua richiesta prima di me. Indicò lo Stregatto con fare solenne
“Lei è Sara, oggi ha finalmente ventitrè anni!”
La ragazza in questione sorrise a metà tra il divertito e l’imbarazzato, abbassando leggermente gli occhi verso il pavimento, in modo che qualche ciocca bionda dei suoi lunghi capelli le coprisse il volto. L’atteggiamento mi parve familiare, ma non riuscii ad identificarlo. Notai distrattamente che era piuttosto carina, con il viso dolce a forma di cuore e gli occhi grandi che sorridevano insieme alle labbra carnose. L’unico dettaglio che cozzava con l’insieme era il deciso rossetto nero che indossava, il quale sembrava applicato da poco e, per lo meno, si abbinava con l’estetica da Stregatto. Salutai, e il Bianconiglio continuò, facendomi capire il perché di quel trucco particolare
“Per guadagnarsi il suo regalo, deve superare alcune sfide e guadagnare dei punti. Questa qui vale dieci.” Sara aveva alzato lo sguardo e mi guardava incuriosita con i suoi occhi color miele, per cercare di captare una reazione da parte mia “Vedi il rossetto che indossa?” annuii “Ha bisogno di qualcuno che le dia un bacio per poterselo togliere, ma finora hanno rifiutato tutti quelli a cui abbiamo chiesto.”
In un angolo della mia memoria, riemerse il ricordo di una volta in cui ad Alessia era stata chiesta la stessa cosa, ma il festeggiato era un ragazzo e, sulla bocca, aveva un bello striscio di maionese... lei aveva accettato solo perché era leggermente alticcia. Dopotutto, non mi stava andando male. Inoltre, avevo da poco realizzato ed accettato di essere attratta anche dalle ragazze... era qualcosa che, sotto sotto, sapevo da un bel po’, ma l’essere stata insieme a ragazzi per tutta l’adolescenza non mi aveva molto aiutata a rendermi conto di questo aspetto del mio orientamento sessuale.
Il commento mi sfuggì mentre ero totalmente sovrappensiero, prima che potessi fare qualsiasi cosa per fermarmi
“Mi sembra strano sinceramente!”
Lo Stregatto arrossì, con un leggero sorriso messo in ombra dai capelli, e io aggiunsi quel complimento random alla mia personale collezione di figuracce. Il Bianconiglio scoppiò a ridere e chiese rapida
“È un sì?”
Cercai di dissimulare ciò che avevo appena detto con un’alzata di spalle “Perché no?”
Poi, però, mi rivolsi direttamente a Sara, guardandola negli occhi “A te va bene?”
Era una domanda semplice, ma avevo visto troppe persone, palesemente a disagio durante i loro scherzi, trattenersi per paura di offendere i propri amici. Volevo evitarlo. La notai subito rilassarsi, le spalle che si scioglievano e il mento che si alzava un po’, il sorriso che diventava più deciso.
“Certo! Tra amici siamo d’accordo sui nostri limiti e mi fido che non li supereranno.”
E fu così che feci guadagnare dieci punti alla festeggiata.
Mi ero quasi dimenticata degli amici della festeggiata seduti dietro di lei. Ne ripresi coscienza solamente quando un applauso d’approvazione mi fece capire che avevano apprezzato lo spettacolo. Sara mi ringraziò felice, mentre il Bianconiglio esclamava compiaciuta
“Dieci punti! Dieci punti!” battendo le mani. Mi allungò pure una salvietta del pub, di quelle inutili fatte di carta, ricordandomi del rossetto nero dell’altra ragazza, ora visibilmente sbavato.
Salutai e, ripulendomi, mi avviai verso l’entrata del locale, cercando di sorridere agli invitati al compleanno che avevano ancora l’attenzione rivolta verso di me. Uno sguardo, però, si distinse tra gli altri... in qualche modo percepii la sua decisione e i miei occhi finirono dritti a fissare quelli di un volto ancora familiare nella mia memoria.
Era seduto un po’ in fondo, vicino alla porta, esattamente dove mi stavo dirigendo io. Dalla sua espressione capii che mi aveva riconosciuta ed interpretai il suo sorrisetto come un invito per lo meno a salutarlo; ne ebbi la conferma quando, camminandogli incontro, si alzò dalla sedia e sollevò una mano in segno di saluto. Feci distrattamente caso al fatto che era seduto da solo al tavolino, sebbene si trovasse circondato dagli altri festaioli... mi sembrò strano, ripensando a come era stato l’anima del party in piscina.
Ero contenta di rivederlo ancora.
“Ma guarda chi c’è! Ciao Cris!” mi disse non appena arrivai di fronte a lui.
Per la seconda volta, mi sorprese... anche perché con Martina poteva aver parlato quella sera stessa; noi, invece, non ci vedevamo da settimane. Era anche vero che pure io mi ricordavo come si chiamava, ma comunque...
“Ciao...” finsi di pensarci su “... Josh – no, aspetta... Shon! Allora sei davvero bravo con i nomi!”
“Così sembra” concordò lui, scompigliandosi i capelli sulla nuca; poi, mi guardò negli occhi “Anche tu qui?”
Annuii “Sì, è il mio pub preferito, vengo qui spesso.”
Si guardò intorno per un secondo prima di chiedere “Da sola?”, inarcò le sopracciglia per enfatizzare il tono interrogativo.
Mi strinsi nelle spalle, per poi rispondergli con leggerezza “Sì.”
Sorrise, aggiungendo, in un perfetto tono causale “Ti va un po’ di compagnia stasera?”
Avevo notato dall’inizio la sua incapacità di stare fermo, e ora ne ebbi ulteriore conferma: si era messo le mani nelle tasche dei pantaloni, dopo aver capito che era meglio lasciare in pace i suoi capelli.
“Non sei al compleanno?” indicai alle mie spalle, dove probabilmente la corsa ai punti stava continuando.
“Sì ma” cambiò il peso da una gamba all’altra e, per qualche motivo, gli scappò una risatina che cercò di nascondere abbassando la testa “Sara è mia sorella, sono qui perché me l’ha chiesto e ci tengo a lei, ma lascio lo spazio ai suoi amici che hanno organizzato tutto, e alcuni non li vede da tanto.”
Aveva dato un’intera spiegazione, ma il mio cervello si era fissato in loop su una frase sola, come la puntina di un giradischi rotto che ripassa sempre sullo stesso solco del vinile, finendo per produrre un suono sgradevole. Sara era sua sorella.
Volevo sprofondare. Sapevo che non c’era ragione di preoccuparmi razionalmente... era stato uno scherzo come altri, ma non sapevo perché l’idea di aver baciato sua sorella mi suonava strana.
“Sara è... tua sorella?” il modo in cui pronunciai quelle parole diede chiaramente a intendere che stavo ancora processando l’informazione.
Fu allora che scoppiò a ridere di gusto “Sì” – e dovresti vedere la tua faccia ora – era sottinteso. Scossi la testa, arrendendomi. “In realtà dovrei ringraziarti, erano dieci minuti buoni che stavano cercando qualcuno. In più, a mia sorella fanno bene dei complimenti sinceri a volte, o va a finire che smette di crederci.”
Ok, questo è rigirare il coltello nella piaga – pensai; che si ricordasse ancora di quello che mi era sfuggito per sbaglio allo stesso modo su di lui?
“Complimenti sinceri eh?” ecco di ritorno il sarcasmo. Così, decisi di prendere in mano la situazione “Beh, tecnicamente ti devo una birra, entriamo?”

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Capitolo 4
*** Un sogno ***


L’interno del locale era molto piccolo e, per questo, l’atmosfera era calda e confortevole. Salutai Gianmarco, il barista, e lui ricambiò con un sorriso da sotto la sua lunga e folta barba castana... ormai ero di casa lì, così, lui si permise di farmi l’occhiolino quando vide Shon entrare alle mie spalle. Alzai gli occhi al cielo, divertita, per poi dirigermi sicura verso il mio tavolo preferito. Per quanto conoscessi il pub a memoria, alzai comunque lo sguardo verso il soffitto, tappezzato di sottobicchieri di tutte le marche di birra immaginabili; poi, verso i muri, con appesi poster molto artistici sempre riguardanti la bevanda dorata e, infine, mi sedetti al tavolino di legno scuro in un angolo sul fondo del locale. In inverno, era vicino a una piccola stufa e, in estate, si trovava sotto l’aria condizionata; da quel punto, si vedeva tutta la sala in cui consisteva l’intero luogo e, nel caso fossero venute band a suonare dal vivo, il minuscolo palchetto a loro riservato si trovava giusto nell’angolo opposto.
Lasciai a Shon la sedia che dava sull’interno, e lui si sistemò di fronte a me. Subito Laura, cameriera e fidanzata di Gianmarco, venne a salutarci e ad elencarci le birre del giorno. Quella sera, i suoi capelli erano di color arancione acceso e raccolti in due lunghe trecce, ma ero sicura che in un paio di settimane, come sempre, sarebbero cambiati. Ordinammo, e lei se ne andò soddisfatta e pimpante... il ragazzo davanti a me non era l’unico a bruciare costantemente di un’energia incontenibile.
Spostai l’attenzione su di lui, illuminato dalla soffusa lampada arancione sopra la nostra testa; quella sfumatura di luce mi ricordò il riverbero del fuoco di un accendino quando qualcuno si accende una sigaretta di notte, facendosi schermo con la mano per proteggersi dal vento. Sorrisi, e vidi che lui aveva posato lo sguardo proprio sulla mia bocca. Senza spostarlo, provò a dire qualcosa, ma si interruppe, passandosi poi il pollice sul labbro inferiore.
“Ehm...” si mosse un po’ sulla sedia, e ripeté il gesto... dopo due secondi decise di buttarla sul ridere e, nel tono più sdrammatizzante possibile, disse: “...Hai ancora un po’ del rossetto di Sara...”
Non gli lasciai nemmeno finire la frase, afferrai una salvietta dalla scatolina di legno dove erano riposte (e questa volta erano quelle funzionanti) e, mentre il mio volto andava a fuoco, cercai di ripulirmi il più rapidamente possibile. Abbassai il tessuto, solo un po’, e gli lanciai un’occhiata interrogativa; lui annuì, afferrando poi per me i boccali pieni che Laura ci aveva portato. Grata che ci fosse una distrazione, brindai con lui, che pareva ancora piuttosto divertito. Stava ammirando la tinta ambrata della birra, quando disse, totalmente dal nulla:
“Però non ti è dispiaciuto... eh?” capii subito a cosa si riferiva: sua sorella. Sembrava curioso, un po’ come lo sarebbe stata Alessia se lo fosse venuta a sapere. Per quanto strane, ero abituata a domande sulla mia bisessualità... dovevo aver dato a vedere che, per me, accettare di partecipare a quello scherzo era stato tutt’altro che un problema.
Risposi con tono casuale “Beh... no?” bevendo un sorso.
Lui stabilì un contatto visivo e continuò tranquillamente la conversazione; si era sistemato sulla sedia e, ora, il linguaggio del suo corpo si era rilassato ed aperto, a suo agio come se fossimo stati amici di lunga data.
“Sai, mi piacerebbe molto poterti presentare a mia sorella in modo più... ufficiale” i gomiti appoggiati al tavolo, notai che gesticolava parecchio. Apprezzai subito la mancanza di commenti sul mio orientamento sessuale: l’aveva confermato e poi aveva proceduto a trattarlo come una cosa normalissima, accennando a Sara come si sarebbe parlato di un ragazzo a qualsiasi altra. Mi colse anche di sorpresa, di sicuro la sua proposta era un plot twist inaspettato.
“Ah sì?” ressi il gioco, ero curiosa, e lui sembrava non aver concluso la frase
“Sì.” alzò gli occhi al cielo “Peccato che stia già insieme a quel...” si trattenne, pareva leggermente frustrato, strinse gli occhi per pensare a una parola appropriata, ma presto si arrese con un sospiro “...ah, tecnicamente non posso dire nulla sul suo ragazzo, perché non le ha fatto nulla di male, ma...”
Bevvi un sorso di birra e mi sporsi sul tavolino: la situazione si faceva sempre più bizzarra e interessante. In uno dei luoghi più nascosti del mio immaginario, mi dissi che, se all’entrata avevo incontrato lo Stregatto e il Bianconiglio, lui forse era il Cappellaio Matto.
“...ma non ti convince?” provai a suggerire.
Schioccò le dita “Esatto” sembrava che l’argomento gli stesse molto a cuore, perché il suo tono si era improvvisamente acceso: glielo leggevo nelle iridi azzurre che aveva pensato parecchio a quella questione.
Prese un respiro profondo e provò a spiegarmi meglio.
“È che... non mi sembra per niente...” altro respiro “...sei mai stata veramente innamorata?”
Quella domanda mi colpì in pieno. All’esterno, il mio corpo era tranquillo e non produsse reazioni, perché la risposta più esatta era no. Forse, in alcuni periodi della mia vita, ero stata fermamente convinta del contrario; ma, col senno di poi, e il cuore raffreddato dal tempo, mi ero accorta di essermi sbagliata: erano stati solo abbagli, miraggi in un deserto caldo e secco in cui avevo avuto troppa sete, sete d’amore.
Però, da qualche parte nel mio petto, ben chiuso nella cassa toracica, si risvegliò un felino prima dormiente, ed il suo primo istinto fu quello di scuotere le sbarre della sua prigione con gli artigli, provocando uno scossone violento che mi fece tremare il cuore.
In realtà, proveniente da un abisso nero come la lucente pelliccia del felino, la risposta era anche sì, e io lo sapevo. Ma... come avrei fatto a spiegargli che si trattava solo di un sogno?
“No.” dissi, infine, la voce falsamente noncurante.
Gli lessi nello sguardo una goccia di tristezza alla mia affermazione, e ci mise un secondo di respiro a continuare la sua narrazione, questa volta con la voce un po’ smorzata, concentrandosi sul suo boccale.
“Beh... ecco non credo, anzi sono sicuro che lui non sia davvero innamorato di mia sorella, e si nota da un sacco di piccole cose che sembrano stupide, ma non lo sono. Perché che senso ha stare con una persona che non ti ama davvero? Sara merita di meglio... tutti lo meritiamo.”
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, e mi si strinse il cuore mentre le sue parole si facevano strada dentro di me. Sara era amata davvero, ma non da chiunque fosse il suo ragazzo, piuttosto da suo fratello, il quale aveva d’improvviso uno sguardo che non si addiceva per nulla ai suoi occhi. Era come se il piccolo mare che vi era racchiuso avesse smesso di essere salato come le lacrime per diventare innaturalmente amaro.
“Hai provato a parlarne con lei?” gli chiesi nel modo più cauto e delicato possibile. Forse non lo conoscevo a sufficienza per scendere in discorsi del genere, tuttavia non me la sentivo di tornare su argomenti superficiali, perché mi sarebbe sembrato di minimizzare quello che mi aveva appena confidato. Si passò una mano tra i capelli, disordinandoli più di quanto già non lo fossero
“Una volta, ma non trovavo le parole giuste e lei ha frainteso credendo che fossi iperprotettivo.”
“Quelle che hai usato adesso mi sembrano difficili da fraintendere. Non la conosco, ma penso che ti capirebbe.” continuai a parlare piano, dicendo quello che sentivo e pensavo sinceramente.
E, alla fine, un piccolo sorriso addolcì i suoi lineamenti; anche se poco, la tensione visibile sulle sue spalle si era alleviata.
“Grazie.” mormorò.
Poi, senza neanche darmi il tempo di rispondere, alzò una mano per chiamare Laura, che stava pulendo il tavolino vicino, e le chiese gentilmente un altro giro di birra.
Continuammo la serata parlando di ciò che genericamente ci si dice per conoscersi.
“Allora, questa è la parte dove dovremmo parlare di quello che facciamo nella vita, no?” aveva scherzato lui, per alleggerire l’atmosfera all’arrivo del bere.
Scoprii che sì, frequentava l’Accademia delle Belle Arti nella città vicina e, a differenza di tre quarti dei suoi compagni, aveva l’approvazione della famiglia, in quanto era l’unico percorso di studi che sarebbe stato in grado di continuare grazie alla passione e all’interesse. Senza questi elementi gli era stato difficoltoso anche solo uscire dalle superiori. Ora era all’ultimo anno di cinque e non vedeva l’ora di finire gli studi. Scherzammo distrattamente su come entrambe le nostre facoltà fossero biglietti di sola andata per finire a lavorare al McDonald’s. Avrei voluto chiedergli di più sulla sua arte, ma il discorso era già fluito verso un’altra direzione.
Sara era sua sorella minore di un paio di anni, ovvero io e lei avevamo la stessa età, e lui aveva già dimostrato ampiamente quanto le volesse bene. La loro famiglia viveva lì, nella mia stessa città, mentre lui stava in un piccolo appartamento studentesco vicino alla sua università, tornando una volta ogni tanto e per le occasioni speciali come i compleanni. Quelle settimane, stava rimanendo dai suoi per un po’, prima di trasferirsi di nuovo all’inizio dei corsi.
Stavamo per passare a domande probabilmente più interessanti del nostro curriculum e della parentela, quando Shon spostò all’improvviso l’attenzione verso un punto alle mie spalle. Immaginai volesse chiamare Laura per un’altra birra, ma percepii che qualcuno si stava già avvicinando a noi. Avevo iniziato a girarmi verso il resto del locale, quando al mio fianco arrivò Sara. Ora non portava più il rossetto nero e i suoi capelli erano molto più spettinati di prima, senza le orecchie da Bianconiglio. Sorrideva, e anche lo sguardo del fratello si era illuminato.
“Ciao!” esordì allegra.
Il ragazzo stese una mano verso di me con fare rilassato “Sara, Cris; Cris, Sara.”
La salutai anch’io e lei rispose “Scusa, in effetti non ti abbiamo neanche chiesto come ti chiami quando ti abbiamo fermata prima.”
Sfoggiai la mia migliore espressione per dire no pasa nada, mentre lei si rivolgeva a Shon
“Mi dispiace Shon, ma abbiamo bisogno di te, sto per aprire i regali e c’è la torta che ha preparato Francesca...”
Lui alzò il suo boccale vuoto, rassicurandola “Tranquilla, arrivo subito.” poi, mi guardò con dispiacere “Devo andare...”
“Ma certo, grazie per la serata!”
Mi sorrise, un guizzo nei suoi occhi che prima non c’era e che non riuscii a definire; iniziò ad alzarsi, sistemandosi la leggera camicia bianca che indossava “Grazie a te, anche per la birra.” si spostò il ciuffo dalla fronte, mandando all’aria i capelli e facendolo somigliare ancora di più alla sorella, tutta scarmigliata per gli scherzi, la quale lo stava aspettando qualche passo indietro “Se ti va potremmo vederci ancora finché sono da queste parti.” mi propose.
Senza nemmeno rendermene conto, stavo già annuendo... “Perché no!” esclamai, il tono un po’ troppo acuto rispetto al mio solito. Ora era in piedi vicino alla mia sedia, e mi alzai anch’io per essere al  suo livello, registrando distrattamente che profumava di un non so che, il quale, per qualche motivo, mi ricordava il mare. Ci scambiammo rapidamente i numeri di telefono; poi, lo guardai mentre si allontanava nella soffusa luce arancione del pub, salutandomi con il cenno dei marinai, la sua pervadente energia sottopelle che lo accompagnava anche nel modo di camminare.
Presi un sorso di birra, mi sentivo felice: parlare con lui mi risultava così facile da stupirmi, i nostri incontri erano avvenuti con una leggerezza che difficilmente avevo trovato nelle prime conversazioni con qualcuno. Qualcosa in quel ragazzo mi faceva sembrare tutto così semplice...
Non sapevo ancora che, in realtà, stavo per vivere il mio sogno ricorrente. Il mio incubo.

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Capitolo 5
*** Incubo ***


Inchiostro.
Sulla mia pelle scorrono vene di inchiostro. Scivolano, e le sento più vive del mio stesso sangue.
Una oscurità che mai ho conosciuto nella mia vita è tutto ciò che esiste. Tutto è niente. È solo Oceano prima della tempesta.
E paura. Una paura ferma fatta di silenzio. Di nulla. Di un orizzonte inesistente che ti chiama a sé col suono di onde nere e di perdizione.
Sai che vuole ingoiarti, e portarti così lontano da strapparti l’anima che disperatamente cerchi di tener stretta a te.
Ma le corde del cuore sono deboli resti che si assottigliano poco a poco, fino all’ultimo filo che si rompe nel vento. Perso.
Ora è uno col vuoto delle acque.

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