Nessun legame, nessun dolore

di Magica Emy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Serrò le labbra, provando con fatica a gestire quel pesante bagaglio di emozioni che per tutto il tragitto da scuola fino a casa l’aveva accompagnata, frustandole violentemente il cuore a ogni passo. Fin quasi a mozzarle il respiro. Succedeva così tutte le volte e, accidenti a lei, doveva smettere di pensarci! Ma come poteva imporsi di lottare contro i suoi stessi sentimenti? Già, forse non era abbastanza forte. Lei, l’erede della scuola di lotta indiscriminata Tendo, messa al tappeto da un uomo. Anche se non certo da uno qualunque e lo sapeva bene, poiché era stato l’unico a rubarle il cuore e i pensieri. Ora però tutto ciò che desiderava era smettere di pensare, e conosceva un solo modo per farlo. Spalancò le porte scorrevoli, guardandosi bene dall’annunciare il suo arrivo prima di fiondarsi verso le scale, percorrendole di corsa e fermandosi solo quando, appena imboccato il corridoio, non se lo ritrovò proprio di fronte. A quel punto, senza neppure dargli il tempo di aprir bocca lo prese per mano, trascinandolo in fretta nella sua camera per poi richiudersi velocemente la porta alle spalle, stando bene attenta non fare troppo rumore. L’ultima cosa che voleva era attirare sguardi indiscreti. Si appoggiò alla maniglia per qualche secondo, poi, ancora ansante per la corsa si voltò verso di lui, annullando con pochi passi la distanza che li separava.
«Akane, si può sapere dov’eri finita? Credevo dovessimo tornare a casa insieme…ehi, ma cosa…che stai facendo?»
La giovane piegò le labbra in un sorrisetto sornione senza smettere di armeggiare freneticamente con i bottoni della sua camicia che, in poco tempo, scivolò ai loro piedi, mettendo in mostra i magnifici pettorali scolpiti da anni di intensi allenamenti quotidiani.
«Cos’è, non ci arrivi da solo? Vuoi che ti faccia un disegno, per caso?» rispose avventandosi sul suo collo e lasciando piena libertà alle proprie mani, che ora vagavano indisturbate lungo quel corpo scultoreo che si accorse di bramare con disperazione. Il ragazzo la strinse a sé, lasciandosi sfuggire un gemito di piacere quando sentì le sue labbra risalire lente verso l’orecchio,  mordicchiandone  delicatamente il lobo.
«Ti voglio da morire. Non posso più aspettare.» gli sussurrò invitante e le dita scivolarono dentro ai pantaloni senza neppure prendersi il tempo di slacciarli, provocandogli così un intenso brivido lungo la schiena che in un attimo risvegliò tutto il suo ardore.
«A…adesso? Ascolta» disse, chiamando faticosamente a raccolta ogni goccia di autocontrollo rimastagli «per quanto la cosa non mi dispiaccia affatto, e credo sia anche piuttosto evidente, penso che dovremmo almeno aspettare che non ci sia nessuno in giro. Voglio dire, è quasi ora di pranzo, perciò…»
Akane non lo ascoltò quasi, poiché sapeva bene che non avrebbero pranzato tanto presto quel giorno. Kasumi non era ancora rientrata. L’aveva vista. LI aveva visti. Erano insieme e sorridevano…
Strinse forte le palpebre, tentando di scacciare quell’immagine rimastale ormai impressa sulle retine come una dolorosa istantanea, poi riaprì gli occhi, posandogli un dito sulle labbra.
«Sta’ zitto.» mormorò spingendolo sul letto. Fu allora che lui se ne accorse. Due minuscole gocce luminose brillavano come gioielli preziosi, incastonati tra le lunghe   ciglia delle sue palpebre socchiuse. 
Quelle erano forse…lacrime?
«Ehi, tutto bene?» sussurrò prendendole il viso fra le mani mentre senza pensarci due volte si chinava a baciarla. Il calore di quelle labbra morbide, modellate contro le sue,                    scosse la ragazza a tal punto da spingerlo via da sé con fermezza, lasciandolo interdetto.
«Ma che fai? Ti avrò detto almeno mille volte come la penso a riguardo!» esclamò rabbiosa, incenerendolo con un’occhiataccia.
“Sì, lo so bene.”
«Stavo solo cercando di consolarti.» replicò, sulla difensiva.
«Consolarmi? Per tua norma e regola non ho affatto bisogno di essere consolata da te!»
«Ma stavi piangendo.»
«Io non stavo piangendo! Non farlo più, intesi? Non provare mai più a baciarmi, è la regola!»
Si asciugò in fretta gli occhi. Cavolo, stava davvero piangendo. Come poteva non essersene neppure accorta? E comunque questo non gli dava il diritto di prendersi certe libertà con lei. Il giovane sospirò, sollevando le mani in segno di resa.
«Va bene, d’accordo. Non c’è bisogno che ti scaldi tanto, ma è successo qualcosa? Vuoi che ne parliamo?»
«Parlare? Senza offesa Ranma, ma se avessi avuto bisogno di parlare sarei piuttosto andata dalle mie sorelle, non certo da te. Sai bene perché sono venuta a cercarti.» disse esibendosi in una risatina di scherno che lo ferì più di quanto fosse stato disposto ad ammettere. Accidenti.
«Certo. Ho capito. Ti servo solo per quello.» considerò, amaro, maledicendosi ancora una volta per aver permesso a sé stesso di cacciarsi in quella situazione. Akane incrociò le braccia con una smorfia di disappunto.
«Avanti, non fare quella faccia, in fondo mi pare che fossero questi i patti tra noi. Lo abbiamo deciso insieme. Nessun legame, nessun dolore. Ricordi?»
«Già. È troppo tardi.» si lasciò sfuggire, pentendosene immediatamente.
«Che vorresti dire con questo?» seguì un lungo momento di silenzio che permise a Ranma di raccogliere le idee. Sapeva di non poter continuare a tacere ancora a lungo, o avrebbe finito per esplodere. Lei doveva sapere la verità.
«Io potrei…» cominciò, ma un improvviso nodo in gola gli impedì di proseguire.
“Avanti, diglielo.”
Quando tornò a specchiarsi in quegli occhi scuri le parole, ora quiete e ordinate, tornarono a fluire liberamente.
«Io potrei provare qualcosa. Per te. Qualcosa che va al di là del semplice sesso.»
«Stai scherzando, vero?» esclamò la minore delle Tendo, fissandolo come se avesse detto la più grande stupidaggine di tutta la sua intera esistenza.
«Ti sembra che abbia la faccia di uno che scherza?» replicò, punto sul vivo. La giovane scosse la testa, sospirando con impazienza.
«Qualunque cosa credi di provare, non è un mio problema.» disse, lapidaria. Il ragazzo col codino sgranò gli occhi.
«Tutto qui quello che sai dire? Sul serio?»
«Sì, sul serio. E vedi di abbassare la voce, stai praticamente urlando.»
Sorvolò sul fatto che per tutto quel tempo fosse stata proprio lei a cominciare, mantenendo il tono ben al di sopra dell’accettabile.
«Certo» si limitò invece a dire «come sua altezza desidera. Anzi, farò anche di più.»
E uscì sbattendo la porta, senza neppure voltarsi indietro.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 
Non lo aveva preso sul serio. Beh, era ovvio. Cosa si aspettava, in fondo? Che idiota era stato a pensare che aprirle il cuore, mettendo a nudo i propri reali sentimenti sarebbe servito a cambiare qualcosa. Sospirò, serrando i pugni e le palpebre a un tempo. L’unica cosa a essere cambiata era lo stato del suo cuore, passato da “a pezzi” a “polverizzato” nel giro di pochi secondi, proprio come se ci avesse ballato sopra con un paio di tacchi a rocchetto. Che poi era esattamente ciò che si era divertita a fare, e solo pronunciando una semplice frase.
“Qualunque cosa credi di provare, non è un mio problema.”
“Non è un mio problema.”
Ok. Bene. Messaggio ricevuto. Non gliene importava un bel niente, né di lui né dell’altalena di emozioni che gli scatenava dentro con la sua sola presenza, ogni volta che si trovavano vicini. Ogni volta che si lasciava prendere fra le braccia, permettendogli di sfiorare e assaporare la sua pelle morbida, senza tuttavia concedergli mai le sue labbra. Lì Akane era stata categorica: niente baci. Non che non ci avesse provato una volta o due, forse anche tre a rubarle un bacio, ma quel contatto era sempre troppo breve perché potesse conservarne il ricordo come desiderava, considerando la veemenza con cui lo spingeva via dopo neanche due secondi, quasi si fosse macchiato di chissà quale imperdonabile peccato. Diceva sempre che il bacio sulla bocca rappresentava un gesto troppo intimo per essere condiviso con chiunque e che avrebbe concesso questo privilegio solo alla persona amata.
Che stupidaggine.
Come se tutto quello che facevano sotto le lenzuola ormai da mesi non fosse già abbastanza intimo. Una brezza leggera pizzicò le sue braccia scoperte, facendolo rabbrividire mentre sollevava le iridi blu verso il cielo, quel giorno sgombro di nubi. Sei mesi. Erano già trascorsi sei mesi da quando lui e suo padre erano arrivati a casa Tendo. Sei mesi, da quando quella testa vuota dell’unico genitore rimastogli aveva combinato il suo fidanzamento con l’erede del dojo della famiglia in questione, rendendogli l’esistenza ancor più cupa e difficile di quanto non fosse già. O almeno così credeva. Dopo l’iniziale antipatia, infatti, e proprio nel bel mezzo di uno dei loro soliti, furiosi litigi, tra Akane e Ranma era scattato qualcosa. Qualcosa di nuovo e completamente inaspettato, ma tanto travolgente da spingerli ben presto l’una nelle braccia dell’altro. Erano così finiti a letto insieme ad appena poche settimane dal loro primo incontro e, non potendo più negare l’evidente e reciproca attrazione fisica che li legava, avevano quindi stretto un accordo.
«I nostri genitori hanno deciso che dovremo sposarci tra qualche anno, perciò…Insomma, questa non dev’essere per forza una condanna, giusto? Del resto, chi ha detto che nel frattempo non possiamo trarre vantaggio da questa storia, trasformandola in un’opportunità per divertirci?» gli aveva detto la ragazza e in quel momento non gli era sembrata affatto un’idea malvagia. In fondo aveva funzionato piuttosto bene, doveva ammetterlo. La loro intesa era pazzesca e il fuoco della passione che li consumava pareva trasformare ogni incontro segreto in un autentico incendio. Ma se sotto le lenzuola facevano faville, fuori dal letto erano un completo disastro. Non facevano che litigare e punzecchiarsi a vicenda per ogni sciocchezza, rendendo quella convivenza molto difficile, se non a tratti addirittura impossibile. Tanto che, almeno una volta al giorno, entrambi avrebbero voluto strangolarsi nel sonno a vicenda. Poi però bastava un solo sguardo perché tutto il rancore accumulato si dissolvesse nell’aria come una bolla di sapone, lasciando il posto a un irrefrenabile desiderio di strapparsi vicendevolmente i vestiti di dosso. Ripensandoci ora, però, quel sesso senza amore nato da reciproca intesa cominciava a stargli stretto, poiché pareva ormai aver perso ogni valore. Almeno per lui. Quando era successo esattamente? Quand’è che si era accorto di provare per lei ben più che una semplice attrazione fisica? Per quanto si sforzasse non riusciva a darsi una risposta, ma non importava, perché non voleva più pensarci. Per questo era uscito di casa, saltando anche il pranzo pur di provare a ossigenare il cervello per qualche ora. E magari rimettere insieme le macerie del suo cuore. I morsi della fame cominciarono però ben presto a farsi sentire, tanto che dopo un po' non potè più ignorarli. Per fortuna il locale di Ukyo era vicino, ma…
Un momento.
Quello non era Ryoga? Con lo sguardo basso e il morale probabilmente a terra lo osservò con curiosità attraversare la strada senza neppure accorgersi di lui, che col braccio a mezz’aria a mo’ di saluto, si rese conto solo dopo qualche secondo che neppure per sbaglio quella faccia da funerale si era sollevata nella sua direzione. Ma sì, al diavolo anche l’eterno rivale. Qualsiasi cosa incupisse quei lineamenti contratti da maiale bastonato, non era certo affar suo. Varcò quindi la soglia del ristorante con le mani in tasca, riuscendo a schivare solo per un pelo un oggetto non identificato, ma dall’aria piuttosto pesante lanciato proprio nella sua direzione. Ma che accidenti…
Per fortuna aveva i riflessi pronti.
«Ti ho detto di andartene e non tornare mai più!» la sentì urlare, fuori di sé, ma la sua voce stridula tornò ad assumere un tono quasi normale quando si accorse della presenza del giovane, ricomponendosi velocemente.
«Ranma, sei tu? Kamisama, mi dispiace tanto! Va tutto bene? Non ti ho colpito, vero?»
«Ehm, no, ma c’è mancato poco. Che succede Ukyo, con chi ce l’avevi?» chiese, squadrandola accigliato. Sembrava tanto pallida. Magari era solo stanca.
«Con nessuno in particolare» rispose la giovane, forse un po' troppo precipitosamente «solo un vecchio, fastidioso venditore ambulante. Sai come funziona, no? Non fanno che tampinarti tutti i santi giorni per costringerti a comprare le loro inutili cianfrusaglie, ma lasciamo perdere. Non è importante. Piuttosto, sono molto contenta di vederti. Vuoi fare uno spuntino? Accomodati pure, ti servirò la mia nuovissima specialità con ingrediente segreto!»
Sorrise, scuotendo la testa divertito. Come avrebbe potuto rifiutare se presentava i suoi piatti con tutta quell’enfasi? Si esaltava sempre quando preparava qualcosa di nuovo e la sua fantasia non conosceva limiti, non per niente era soprannominata “la regina delle okonomiyaki”. Si sedette di fronte a lei con lo stomaco che brontolava, rapito dal delizioso profumino di gamberi e pancetta che gli sfrigolavano proprio sotto al naso. Caspita, che fame! Le sue papille gustative andarono letteralmente in visibilio non appena addentò una grossa porzione della specialità della casa, rischiando quasi di strozzarsi poiché non si era neppure preoccupato di tagliarla in pezzi più piccoli. Il tutto sotto lo sguardo compiaciuto dell’amica d’infanzia, che intanto sorrideva beata come se avesse appena vinto alla lotteria. Ranma continuò a strafogarsi senza ritegno per un bel po', finché non iniziò a sentirsi strano. La testa gli ronzava come uno sciame d’api impazzite e le sue gambe parvero prendere in poco tempo la consistenza della gelatina, impedendogli di reggersi in piedi. Non aveva idea di cosa diavolo stesse succedendo, ma qualcosa gli diceva che il motivo di quello strano malessere fosse riconducibile alla mostruosa quantità di cibo che aveva appena ingurgitato senza battere ciglio.
«Ehi Ukyo, si può sapere cosa ci hai messo qui dentro?» chiese a quel punto con la bocca impastata, sollevando appena con le bacchette ciò che restava dell’intingolo misterioso sul suo piatto.
«Sakè.» rispose lei senza scomporsi, appoggiando il mento sulle mani con un sorriso da un orecchio all’altro.
«Che cosa? E non potevi dirmelo subito? Dannazione, sono ubriaco!» biascicò, artigliandosi la gola con entrambe le mani. La ragazza dai lunghi capelli neri, che teneva raccolti in una coda di cavallo, fece una piccola smorfia.
«Era l’ingrediente segreto, per questo non te l’ho rivelato prima. E comunque te ne saresti di certo accorto, se solo ti fossi preso la briga di masticare. Allora, che mi dici? Ti è piaciuto?»
«A dire il vero, non mi sento bene.»
«Per forza, ti sei ingozzato come un animale. Tranquillo però, è una semplice sbornia, ti passerà presto.»
Si diresse verso la porta d’ingresso per chiuderla a chiave, poi si avvicinò lentamente a Ranma, prendendogli la testa fra le mani.
«Hai sentito quello che ho detto? Non c’è da preoccuparsi. Su, rilassati adesso.» gli sussurrò con voce suadente, le labbra talmente vicine al viso ormai paonazzo da permettergli di percepire il dolce profumo che la sua pelle emanava. Quelle labbra erano così piene e invitanti…
«Non mi permette mai di baciarla.» disse di punto in bianco, ormai completamente in preda ai fumi dell’alcool. Ukyo gli scoccò un’occhiata interrogativa.
«Di chi stai parlando, Ranma? Non preoccuparti di niente, io sono qui e ti darò tutti i baci che vuoi.» gli sfiorò le labbra con le proprie e il ragazzo col codino la scostò quanto bastava per poterla guardare negli occhi.
«No, io…non posso proprio.» mormorò, tornando in sé solo per una frazione di secondi prima che il volto di Akane si sovrapponesse a quello della sua migliore amica, confondendogli ulteriormente le idee.
«Shh, va tutto bene.»
Lo baciò di nuovo, più a lungo stavolta mentre lui la stringeva a sé, ricambiandola con ardore e permettendo così a sé stesso di lasciarsi andare alla dolce sensazione di pace e beatitudine che stava provando.
 
Batté le palpebre più volte, finché la strana immagine che i suoi occhi gli rimandavano non assunse dei contorni via via più nitidi. Per quale inspiegabile motivo era disteso su un futon che era sicuro di non aver mai visto prima e che odorava di fresco, sul pavimento sconosciuto di una stanza in penombra e per di più – sollevò lentamente il lenzuolo per guardarci dentro, facendo un’espressione inorridita- nudo come un verme? Che accidenti era successo e dove diavolo erano finiti i suoi vestiti? Li individuò dopo una veloce occhiata, ammucchiati in un angolo poco lontano, ma quando provò a rialzarsi per recuperarli un’improvvisa, feroce fitta alla testa lo costrinse a desistere. Cavolo, che male! Si accasciò su sé stesso, massaggiandosi le tempie doloranti con entrambe le mani e in quel momento la porta si aprì, rivelando una figura minuta ed elegante che il giovane, ancora mezzo intontito, riconobbe a malapena.
«Ukyo, ma dove…»
«Ben svegliato, mio tesoro» cinguettò con voce melodiosa, l’aria raggiante «ti ho lasciato dormire per qualche ora e sono andata a riaprire il locale, adesso però è ora di chiusura, così sono venuta a vedere se eri sveglio. È piuttosto tardi.»
Aggrottò le sopracciglia, fissandola con sgomento.
Mio tesoro?
«Scusa, ti spiacerebbe spiegarmi dove accidenti mi trovo e perché non ho i vestiti addosso?» chiese, sulle spine. La ragazza si accigliò.
«Sei in camera mia, sai che vivo proprio sopra al ristorante. Non ti ricordi più quello che è successo? Beh, la cosa non mi sorprende affatto, considerando quant’eri ubriaco.»
«Ukyo» mormorò, deglutendo nervosamente a vuoto, mentre un’idea a dir poco folle si faceva lentamente strada nella sua mente e il viso assumeva pian piano le tonalità di un pomodoro pachino «non è che per caso…noi due abbiamo…» si interruppe bruscamente, sudando freddo. La sola ipotesi era già a dir poco agghiacciante.
«Fatto l’amore? Sì, è così» completò la frase per lui e per poco non gli cadde la mascella «ed è stato bellissimo. Mi hai anche detto di amarmi e non sai quanto abbia desiderato sentire queste parole da parte tua. Neppure nelle mie fantasie più sfrenate avrei mai potuto immaginare una prima volta migliore di questa.»
«V…vuoi dire che…p…per te era…»
Per un attimo si tramutò in pietra, rischiando di esplodere in mille pezzi.
«Sì, smettila di balbettare, però. Come ti ho detto era la mia prima volta. Perché ne sei così sorpreso?»
Perfetto. Ci mancava anche questa. Non solo si era preso la verginità della sua migliore amica, ma non ricordava assolutamente nulla dell’accaduto. Per tutti i kami, doveva essere davvero sbronzo! E poi, di cos’è che stava parlando prima? Ah, sì. Le aveva anche detto che…l’amava? No, era impossibile. Mai, neppure fra un milione di anni si sarebbe sognato di rivolgerle una frase del genere. Di questo ne era assolutamente sicuro. Provò a fare mente locale, spremendo le meningi al massimo alla ricerca anche di un solo piccolo indizio che avrebbe potuto ricondurlo a ciò che era successo qualche ora prima, ma il suo ultimo ricordo si fermava alla scoperta di aver ingurgitato una spropositata quantità di sakè. Da quel momento, più niente. Nada. Il nulla cosmico. Vuoto assoluto. Si rialzò di scatto, cercando di ignorare la rumorosa orchestra che proprio in quel frangente aveva preso a suonare l’inno alla gioia di Beethoven direttamente nelle sue orecchie, annodandosi le lenzuola intorno alla vita per correre a recuperare gli abiti. Li indossò in fretta, giocando a fare il contorsionista per sfuggire allo sguardo vagamente divertito dell’amica, che intanto continuava a ripetere “Piantala di nasconderti, non è niente che non abbia già visto!”
Poi le posò le mani sulle spalle, specchiandosi nelle sue iridi scure. Deglutì a vuoto un paio di volte, cercando di farsi coraggio. Doveva essere chiaro con lei.
«Ascoltami» cominciò, assumendo un’aria molto seria «ciò che è accaduto è stato solo un errore, un errore che non dovrà ripetersi mai più. Ero ubriaco fradicio e non sapevo neppure quello che stavo facendo. Insomma, non ricordo niente e mi dispiace, davvero, dal profondo del cuore di essermi approfittato di te. Cerca di capire, ti prego, ti voglio un bene dell’anima e non vorrei ferirti, ma…tra noi non potrà mai esserci nulla di più che una semplice amicizia.»
Con l’amara sensazione di avere un macigno incastrato nello stomaco vide i suoi occhi riempirsi lentamente di lacrime cocenti.
«Stai dicendo che non mi ami, che ciò che c’è stato non ha significato nulla per te?» balbettò la giovane, mordendosi le labbra in preda alla disperazione.
«Sarai sempre la più grande, meravigliosa amica che abbia mai avuto.» ribadì, sentendosi un verme e prima ancora di riuscire a rendersene conto stava già correndo a gambe levate, inseguito da un’inferocita Ukyo che, lanciandogli contro praticamente tutto ciò che le capitava a tiro gli intimava di andarsene, minacciando di infilzarlo come uno spiedino e cuocerlo ai ferri, se solo avesse osato rimettere ancora piede nel suo ristorante. Continuò a correre a perdifiato, fino a ritrovarsi abbastanza lontano dalla portata di quella furia scatenata. Solo allora decise di fermarsi un momento a riprendere fiato, notando con sgomento che si era già fatto buio e, quel che era peggio, la sua testa ronzava ancora talmente tanto da spingerlo a dubitare fortemente che il sakè fosse l’unico “ingrediente segreto” contenuto in quelle okonomiyaki. Porca miseria, che giornata frustrante! L’unico modo per concluderla al meglio, scrollandosi di dosso quella fastidiosa sensazione di pesantezza alle ossa era praticare un po' di sano sport, rifugiandosi nel silenzio della palestra. E fu proprio ciò che fece. Anche se, prima di riuscire nell’intento, dovette sorbirsi una bella lavata di capo da parte del genitore che come al solito aveva preso a insultarlo, accusandolo di essere un figlio degenere che preferiva spendere il suo tempo bighellonando qui e là. Nonché un pessimo fidanzato che mancava così di rispetto alla futura moglie e bla bla bla con altre scemenze simili, come se ad Akane importasse davvero di lui. Del resto, era stata fin troppo chiara.
“Qualunque cosa credi di provare, non è un mio problema.”
Ignorò la violenta stretta allo stomaco che il ricordo di quella frase gli aveva provocato, sforzandosi di seppellirla in un angolo remoto del suo cuore, dove neppure lui sarebbe più riuscito a ritrovarla. Dove non avrebbe fatto più male. Se così stavano le cose, continuare a lasciarsi dominare dai sentimenti sarebbe stato completamente ridicolo, oltre che controproducente. Gli bastò pensare a ciò che aveva fatto a Ukyo per dar forza a quell’improvvisa, prepotente convinzione e di nuovo tornò a provare disgusto per sé stesso. Forse, soffocare dentro di sé l’amore che provava per Akane, smettere di alimentarlo fino a farlo morire avrebbe cancellato la sua sofferenza. Per sempre. Sì, d’ora in poi si sarebbe attenuto alle regole, limitandosi a usare la fidanzata come valvola di sfogo. Esattamente come lei faceva con lui.
“Nessun legame, nessun dolore.”
Più semplice di così. In quell’attimo, un rumore improvviso catturò la sua attenzione. Se voleva rimanere nascosta nell’ombra a spiarlo mentre si allenava, avrebbe fatto meglio a tenere a freno l’innata goffaggine che la contraddistingueva. Scosse piano la testa, abbozzando un sorrisetto sghembo. Capitava giusto a proposito per ricordargli che, anziché continuare con il suo addestramento quotidiano come stava facendo, sarebbe stato molto più divertente sfogare le sue frustrazioni in ben altri modi…
 
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma Ranma era così dannatamente sexy mentre si allenava che non sarebbe riuscita a staccargli gli occhi di dosso neppure se avesse voluto. I suoi movimenti armonici e fluidi parevano fendere l’aria intorno a lui e l’ampio petto nudo, sul quale indugiò a lungo, accarezzandolo con lo sguardo e immaginando di percorrerlo con una scia di baci roventi fino all’elastico dei pantaloni, si alzava e abbassava a ogni passo, mettendo in mostra i muscoli guizzanti talmente contratti da sembrare di marmo. Cavolo, aveva proprio un debole per quegli addominali.
Un momento.
Perché non stava indossando una maglietta? Il suo era forse un subdolo tentativo di mettersi in mostra, sperando di attirare su di sé gli sguardi furtivi di qualcuno? Magari della sottoscritta? Maledetto egocentrico che non era altro, a che gioco stava giocando? Lei era lì per tutt’altro motivo. O meglio, l’intenzione era quella, poi però si era lasciata distrarre. E comunque, come poteva sapere che si era nascosta nell’ombra per osservarlo, completamente rapita da quel corpo scultoreo che…
“Ok, basta così Akane, vedi di darti una regolata. Sei qui per dirglielo e lo farai. Perché adesso, grazie alla sua piccola fuga pomeridiana (a proposito, chissà dove era andato a cacciarsi), hai avuto tutto il tempo per rifletterci sopra. Gli dirai quanto, nonostante tu gli abbia fatto credere l’esatto contrario, sia rimasta colpita e turbata dalle sue parole. Perché mai, per nulla al mondo ti saresti aspettata che lui…cominciasse a provare qualcosa per te, contravvenendo a tutti gli accordi presi in precedenza. Ragion per cui, non indugiare oltre e…”
«Avanti, smettila di spiarmi e vieni fuori, Akane. Credi che non mi sia accorto che te ne stai lì, nascosta dietro la parete da almeno dieci minuti buoni?»
Il cuore le balzò in gola per la sorpresa. Anche se immaginava che si fosse accorto della sua presenza, non credeva di certo sarebbe stato così esplicito nel dichiararlo. Comunque c’era da aspettarselo considerando il gran baccano che aveva causato prima, inciampando più volte tra le varie cianfrusaglie che quel piantagrane di Happosai lasciava sempre in giro praticamente dappertutto.
«Non mi fraintendere» continuò, abbozzando un piccolo sorriso di scherno quando la vide girare l’angolo per comparirgli proprio di fronte, insicura e vergognosa come una bambina beccata con le mani nella marmellata «so che consideri tutto questo un belvedere e sono perfettamente d’accordo con te, ma se hai voglia di giocare permettimi almeno di partecipare.»
Farabutto, presuntuoso e arrogante. Accidenti a lui e a quell’insopportabile  espressione beffarda che si divertiva a esibire mentre muoveva qualche passo nella sua direzione, annullando in poco tempo la distanza che li separava.
«Veramente, io speravo che…» deglutì a vuoto, lasciando la frase in sospeso. Adesso era così vicino da permetterle di notare le minuscole gocce di sudore che gli imperlavano la fronte e il petto, ansante per la fatica, facendolo brillare sotto la luce e conferendogli un aspetto ancor più bello e affascinante del solito, rendendole difficile la concentrazione. Si sentì arrossire fino alla radice dei capelli. Che cosa stava per dire, ma soprattutto…com’è che si faceva a respirare?
«Speravo potessimo parlare. Di quello che mi hai detto oggi, intendo.» concluse finalmente, ritrovando d’improvviso la voce e il coraggio di sollevare lo sguardo per incrociare il suo. Ranma scosse lentamente la testa, proseguendo il cammino verso di lei fino a costringerla a indietreggiare, solo per ritrovarsi con la schiena contro la parete dove il fidanzato la bloccò col proprio corpo, privandola di ogni via di fuga.
«Noi non parliamo mai Akane, non è così? Noi agiamo e basta.» le sussurrò all’orecchio con voce roca, protendendosi verso di lei per sfiorarle il viso, seguendone il profilo con un dito e indugiando sulle labbra piene e invitanti, riempiendole di attenzioni fino a farle tremare le ginocchia. Il suo cuore perse un battito all’eventualità che lui potesse smettere di accarezzarle, tracciandone piano i contorni così come stava facendo, per chinare la testa e coprirle con le proprie. Fu allora che, per la prima volta in assoluto da quando quella strana e turbolenta relazione aveva avuto inizio, si ritrovò a pensare, stupendo persino sé stessa che, se fosse davvero accaduto, se in quell’istante Ranma l’avesse veramente baciata, non lo avrebbe fermato. Ma lui non lo fece e con gli occhi ancora incollati ai suoi spinse l’indice oltre la gola, scivolando lungo la clavicola fino alla morbida curva dei seni, che titillò attraverso la stoffa leggera della camicetta fino a farli inturgidire tra le proprie mani, riaccendendole i sensi. A quel punto si impegnò a liberarli del fastidioso lembo di tessuto che li ricopriva, lasciandoli nudi e indifesi a subire la lenta e instancabile tortura della sua bocca calda che ne stuzzicò a lungo i capezzoli, succhiandoli avidamente e strappandole intensi gemiti di piacere, facendola impazzire di desiderio. Kami, perché era così maledettamente bravo nei preliminari? Ancora un po' e sarebbe uscita di testa.
«Nessun legame, nessun dolore.» disse piano, parlando forse più a sé stesso prima di continuare la lenta esplorazione di quel corpo sinuoso e impaziente, che sentiva ormai praticamente incollato addosso. Col respiro corto lasciò di nuovo le mani libere di premere e spingere sulla sua pelle, abbattendone ogni barriera e portandola in breve tempo fuori controllo quando, risalendo lungo la coscia e insinuandosi sotto la gonna colorata, le sue dita incontrarono la stoffa sottile delle mutandine, scostandole di lato per affondare nel suo umido calore. Questo la fece gemere forte e le ginocchia le cedettero all’improvviso, tanto che dovette aggrapparsi saldamente alle sue spalle possenti per evitare di cadere. Trovarla così calda e pronta ad accoglierlo lo eccitò oltre ogni limite, facendogli perdere la testa. D’un tratto il suo unico pensiero divenne quello di prenderla lì, in piedi contro quella parete, senza curarsi minimamente delle conseguenze. Afferrò così i minuscoli slip, tirandoli giù fino a metà coscia ma, proprio mentre stava per slacciarsi i pantaloni, le mani di Akane si posarono con risolutezza sulle sue, prendendolo in contropiede.
«Ranma, ti prego…» lo supplicò con un filo di voce, serrando forte le palpebre. Stava ansimando. Cercò, controllando la respirazione, di placare i battiti impazziti del proprio cuore.
«Vuoi davvero che mi fermi?» chiese lui, roco, premendole le labbra sul collo e respirando il suo dolce profumo.
«No. Solo…non qui. Non così.»
Fece un respiro profondo, prendendole la testa fra le mani e appoggiando la fronte contro quella scottante della ragazza, per tentare disperatamente di riprendere il controllo delle proprie azioni. Il bisogno di possederla, di perdersi completamente in lei gli aveva confuso le idee a tal punto da impedirgli di ragionare lucidamente. Come se, per un attimo, il cervello gli si fosse riempito di ovatta. Ma Akane aveva ragione. Si trovavano in palestra e lì qualcuno avrebbe certamente potuto vederli. Anzi, era già un miracolo che non fosse ancora successo. Approfittò di quell’improvvisa presa di coscienza per costringersi a rimettere a posto gli slip della fidanzata che, seppur frustrata e insoddisfatta, piegò la testa in un breve cenno di assenso nella sua direzione. Quanto lo desiderava! Eccitata com’era, pregò silenziosamente che riprendessero al più presto ciò che avevano iniziato, poiché la voglia di sentirlo ancora dentro di sé era talmente dirompente da mozzarle il fiato.
«Perdonami, non so cosa mi sia preso. Ascolta, vai nella tua stanza. Ti raggiungo tra qualche minuto.» bisbigliò, aiutandola a riabbottonarsi la camicetta e scostandosi quanto bastava per lasciarla andare, anche se il bisogno di stringerla di nuovo tra le braccia era tanto forte da farlo star male.
«Non ti azzardare a farmi aspettare troppo.»
«Non ci penso nemmeno.»
 
 
***
 
 
 
 
Amava guardarla dormire. Anche se non accadeva spesso, considerando quanto Akane apparisse spesso ansiosa di spingerlo fuori dal suo letto per paura che qualcuno potesse scoprirli, lasciandolo con l’amaro in bocca. Stavolta però si era finalmente appisolata, permettendogli così di contemplarne indisturbato il bel viso, dai tratti distesi e sereni, incorniciato da lunghi capelli scompigliati che non smetteva di accarezzare, sistemandole delicatamente una ciocca ribelle dietro l’orecchio. Le sfiorò le guance, ancora arrossate col dorso della mano, perdendosi a immaginare di posarle un bacio sulle labbra, ma scacciò via in fretta quel pensiero dalla mente. Non aveva certo intenzione di farla arrabbiare, né di disturbare il suo riposo. Non ora che poteva restarsene sdraiato vicino a lei per un tempo più lungo di cinque minuti, indugiando con lo sguardo sulle lunghe ciglia delle sue palpebre chiuse. Abbozzò un sorriso. Come poteva pensare di riuscire a soffocare i sentimenti che nutriva per la fidanzata, se gli bastava guardarla perché riaffiorassero con la stessa potenza di uno tsunami, ancora una volta pronti a schiaffeggiargli violentemente il cuore? Che stupido. Smettere di amarla sarebbe stato come rinunciare a un arto, se non alla vita stessa. Se ne rese conto di nuovo quando la vide riaprire lentamente gli occhi, muovendoli in tutte le direzioni fino a incontrare i suoi.
«Ehi, sei ancora qui?» la sentì mormorare, ma non vi era alcuna nota di rimprovero nella sua voce. Era felice che fosse lì, oppure…totalmente indifferente? Soffermarsi più del dovuto ad analizzare le intenzioni o i sentimenti di Akane era come giocare un terno al lotto, poiché non sarebbe riuscito a cavarne un ragno dal buco. Optò così per un’opzione più semplice. Con quella non avrebbe sbagliato di certo.
«Sì, mi dispiace» si scusò, quindi «mi sarò appisolato un momento. Vado via subito.»
Ma non si mosse perché d’un tratto la giovane spinse un dito contro il suo petto nudo, lasciandolo scivolare piano fino a scoprire una piccola lacerazione che pareva quasi deturparne la pelle, liscia e perfetta. Percorse il graffio in tutta la sua lunghezza, girandosi su un fianco per esaminarlo più da vicino.
«E questo? Dev’essere stata colpa del mio braccialetto.» considerò. Ranma si guardò con scarso interesse. Strano, non lo aveva neppure notato.
«Non è niente, non fa nemmeno male.»
«Però potrebbe infettarsi. Aspetta, lascia fare a me.»
La osservò sporgersi dal letto quanto bastava per aprire il cassetto del comodino e tirarne fuori un minuscolo barattolo piatto che aprì con uno scatto, intingendovi il mignolo fino a ricoprirlo di una strana crema biancastra che odorava di menta. A quel punto ne rivestì con cura l’intera ferita, lasciandolo perplesso.
Accidenti, che tipo. Eppure lei era così. Capace di spezzarti il cuore usando solo due parole l’attimo prima, per poi preoccuparsi per una cosa da nulla come quella appena l’attimo dopo. Fu allora che un improvviso, fastidioso bruciore sulla parte trattata lo spinse a imprecare a bassa voce.
«Ahi! Che diavolo, vuoi fare attenzione?» si lamentò, mordendosi nervosamente le labbra.
«Ma se l’ho appena sfiorato! Che esagerato che sei. E poi hai detto che non faceva male.» replicò la fidanzata, fissandolo contrariata.
«Se lo strofini a quel modo fa male, eccome! Cavolo, come al solito hai la delicatezza di un pachiderma.»
«Disse mister dolcezza in persona! Vogliamo parlare di tutti i lividi che mi lasci, considerando che per te ogni occasione è buona per saltarmi praticamente addosso? Perché credi che tenga l’unguento a portata di mano, altrimenti?»
«Così ora sarei io a saltarti addosso? E tu, allora?»
«Io non ti salto addosso!»
«Sì che lo fai.»
«Invece no.»
Ranma sbuffò, spazientito.
«Ti dico di sì. E comunque quei lividi te li procuri da sola, perché sei talmente imbranata da non guardare mai dove metti i piedi.» rispose, senza nascondere una risatina di scherno. Ricordava ancora bene quella volta in cui, troppo impegnata a tracciare con la lingua strani ghirigori sui suoi pettorali, rischiò quasi di frantumarsi la schiena contro lo spigolo della scrivania. Per fortuna, accortosi in tempo del pericolo che stava correndo indietreggiando così alla cieca, era stato veloce a farle scudo con le proprie mani, evitando il peggio. Eh sì, era davvero un impiastro. Ma era il suo impiastro e non l’avrebbe mai scambiata con nessun’altra.
«Ah! Sei matta?» esclamò, dimenticandosi di tenere bassa la voce mentre lei infieriva apposta sul graffio con più pressione di quanta ne occorresse, facendolo imprecare nuovamente dal dolore.
«Così impari, brutto cafone.»
«Passi per cafone, ma brutto proprio no.»
A quelle parole, la smorfia imbronciata sul viso della ragazza lasciò il posto a un’espressione vagamente divertita.
«Sei un cretino.» sentenziò sorridendo sotto i baffi, facendolo ridere a sua volta.
«Però ho ragione.»
«Non montarti troppo la testa. Ecco, ho finito.» disse infine richiudendo il barattolo, ma le dita continuarono a vagare distrattamente sul suo petto, sfiorandolo appena per disegnargli piccoli cerchi immaginari sulla pelle. Il giovane si rilassò, chiudendo gli occhi e godendosi la sensazione. Gli piaceva da morire quando lo toccava in quel modo e le sue mani erano così calde che avrebbe voluto prolungare quel dolce momento all’infinito.
«Ranma, tu…provi davvero qualcosa per me?»
La sentì domandare a bruciapelo, riaprendo gli occhi di colpo. Per quale motivo all’improvviso se ne usciva con una cosa del genere? Non aveva affatto voglia di parlarne. Non in quel momento.
«Perché me lo stai chiedendo?» disse, ignorando un’odiosa, quanto ormai familiare stretta allo stomaco che, puntuale come un orologio, tornava a ripresentarsi ogni volta che pensava alle famose parole che lo avevano spezzato dentro, togliendogli il respiro. Akane gli scoccò un’occhiataccia.
«Non puoi semplicemente rispondere alla domanda? Sto solo cercando di capire. Capire com’è possibile che, in tutto questo tempo, io non me ne sia accorta.» considerò, abbassando il tono fino a ridurlo a un debole sussurro. Sembrava quasi amareggiata, tuttavia Ranma non potè giurarci. Probabilmente si stava divertendo a farsi beffe di lui come al solito e ben presto sarebbe uscita allo scoperto, svelando le sue reali intenzioni. Mai abbassare la guardia con lei. Era pericoloso. E poi non voleva illudersi.
«Cos’è, ti serve un altro motivo per continuare a prenderti gioco di me?» ribattè, contrariato. La vide fissarlo con espressione inorridita.
«Di che stai parlando? Non potrei mai usare una cosa del genere contro di te e se lo pensi non mi conosci affatto!»
«Hai detto che non era un tuo problema.» le rinfrescò la memoria, nel caso avesse dimenticato il modo tutt’altro che piacevole in cui lo aveva liquidato, appena qualche ora prima. La piccola Tendo sospirò, aggrottando le sopracciglia.
«Solo perché mi avevi colto alla sprovvista» spiegò «così ho risposto con la prima cosa che mi è venuta in mente, ma questo non significa che…»
«Vuoi sapere per quale motivo non te ne sei accorta?» la incalzò senza neppure starla ad ascoltare, sentendosi d’un tratto assalire da una rabbia irrefrenabile «perché sei troppo occupata a pensare a te stessa e ai tuoi sentimenti per il dottor Tofu, per renderti conto di qualunque altra cosa accada al di là del tuo stesso naso!»
Ecco, finalmente aveva trovato il coraggio di dirglielo. Akane rimase a bocca aperta, talmente scioccata da non riuscire a emettere suono.
“Beccati questa! Non sono certo un idiota, mia cara.”
«Che c’è, credevi che non mi fossi accorto di come gli sbavi dietro tutte le volte che lo vedi?» rincarò la dose, provando un sottile piacere nel provocarla a quel modo.
«Io non sbavo dietro a nessuno!» esclamò lei, ritrovando d’improvviso la voce mentre fiamme ardenti parevano danzare nelle sue iridi color cioccolato, ormai traboccanti di livore «E comunque non sono affari che ti riguardano, perciò non permetterti mai più di tirare in ballo la mia vita privata. Sono stata chiara?»
«Stai sprecando il tuo tempo a rincorrere una chimera» insistette, duro «mentre invece l’unica cosa sensata che dovresti fare è dimenticarlo per sempre. Lui non merita le tue lacrime.»
«Non parlare così del dottor Tofu, tu non vali neppure la metà di lui!» replicò e l’espressione costernata che assunse subito dopo, segno evidente che si era già amaramente pentita dell’orribile cattiveria che, per colpa della rabbia si era lasciata sfuggire, non parve toccare minimamente Ranma, il quale si limitò a guardarla come se avesse avuto il superpotere di incenerirla sul posto.
Questo era veramente troppo.
Le voltò le spalle, affrettandosi a raccogliere i vestiti sparsi sul pavimento per indossarli e uscire velocemente dal suo letto, d’un tratto ansioso di mettere tra loro quanta più distanza possibile.
«Scusa, mi è uscita male. Non volevo dire una cosa del genere, io…»
«Invece penso sia esattamente quello che volevi dire.» la interruppe, ignorandone il tono colpevole. Si sentì afferrare per una spalla, liberandosi con un violento strattone che la raggelò all’istante.
«Ranma, per favore, aspetta!»
Il suo ultimo, disperato tentativo di trattenerlo non servì allo scopo. Non avrebbe sentito ragioni. Non a quel punto.
«Non me ne starò qui un minuto di più a continuare a farmi insultare da te» disse amaro, abbassando la maniglia con uno scatto furioso ed evitando accuratamente di guardarla negli occhi «Inoltre, lascia che sia chiaro su una cosa, Akane: non sono il tuo giocattolo, non puoi usarmi a piacimento ogni volta che ne hai voglia per poi scaricarmi e offendermi nei peggiori modi possibili, solo perché ti diverte mancarmi di rispetto.»
Il tono era basso e controllato, ma vibrante di risentimento. Era stanco di quell’assurda situazione e talmente patetico da farsi pena da solo.
«Ranma, non…»
«Qualunque cosa ci fosse tra noi, da questo momento è finita. Completamente finita.» aggiunse, lapidario, e di nuovo si costrinse a non incrociare neppure per sbaglio lo sguardo smarrito della fidanzata, il cui nodo in gola divenne insopportabile quando riprese la parola.
«Vuoi lasciarmi finire o no? Ti ho detto che mi dispiace, non era mia intenzione ferirti.»
«Sì, riprovaci quando saranno delle scuse sincere.»
«Perché credi che non lo siano?»
Avrebbe voluto urlarle contro che poteva contare un milione di motivi per non fidarsi di lei, ma a cosa sarebbe servito? Forse solo a farlo sentire peggio di come stava.
«Ho chiuso, Akane. Ti saluto.» bofonchiò prima di lasciare la stanza, richiudendosi violentemente la porta alle spalle.
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
Si rimirò allo specchio, spazzolandosi i lunghi capelli e acconciandoli come meglio poteva, sperando che il risultato la rendesse un po' meno patetica di come appariva. Accidenti, aveva un aspetto orribile. Viso pallido e tirato, occhi cerchiati di rosso. Non dormiva bene da giorni, poiché ogni volta che provava ad abbandonarsi al sonno il ricordo della furiosa lite avuta con Ranma tornava a tormentarla come un bisturi su una ferita, facendole venir voglia di scoppiare a piangere per la frustrazione. Ma cedere alle lacrime significava arrendersi e lei non aveva alcuna intenzione di farlo. Non ancora. Anche se la tentazione, a volte, era davvero forte. Specie quando, passandogli accanto, non poteva fare a meno di notarne l’evidente ostilità. Non la guardava nemmeno più in faccia da quel giorno e, le rare volte in cui lo faceva, la sua espressione appariva così seccata da farle stringere lo stomaco. Odiava quella situazione e il senso di colpa che l’attanagliava era talmente insopportabile da toglierle il respiro, rendendola schiava di tristi emozioni. In quelle settimane provò mille volte a scusarsi col fidanzato, senza tuttavia ottenere i risultati sperati. Lui aveva chiuso ogni rapporto, barricandosi dietro a un ostinato silenzio che mai le avrebbe permesso di scalfire. Ciononostante, Akane teneva duro. Quello stupido presuntuoso la stava tirando un po' troppo per le lunghe, ma sarebbe stata abbastanza forte da non capitolare di fronte alla sua ridicola cocciutaggine. O almeno lo sperava. Poi però le bastava percorrere, ormai dopo gli ultimi accadimenti, in completa solitudine il tragitto verso la scuola per lasciarsi prendere da una profonda nostalgia. No, non era solo il sesso a mancarle. C’era qualcosa di più. In quei lunghi mesi trascorsi insieme Ranma era diventato una costante nella sua vita, tanto che, pian piano, senza neppure accorgersene si era così abituata ad averlo intorno che, la sola idea di non sentire più i suoi passi percorrere il terreno dietro di lei, le risultava intollerabile. Anche se era una ragazza forte per natura, infatti, sapere che le era accanto bastava a farla sentire protetta e al sicuro. Ora avrebbe dato qualunque cosa perché tutto tornasse come prima. Se solo…cavolo, le era di nuovo venuta voglia di piangere. Fece un respiro profondo, ricacciando indietro le lacrime. Non avrebbe permesso a quel dannato errore commesso di trasformarla in una specie di rammollita, nossignore, ma immaginarlo mentre si divertiva a punzecchiarla, lamentandosi come ogni mattina perché non lo aveva svegliato in tempo, non rendeva certo le cose più semplici. Ormai si alzava all’alba pur di non incontrarla, senza preoccuparsi minimamente di aspettarla per andare a scuola insieme. Si coprì la bocca con una mano, reprimendo a stento un singhiozzo disperato. Cos’è che le stava succedendo? Non lo sapeva, ma di una cosa era assolutamente sicura: mai nella vita aveva provato un dolore tanto feroce e totalizzante da lacerarle l’anima, neppure quando vedeva il dottor Tofu in compagnia di Kasumi. Ma, non appena varcati i cancelli dell’istituto Furinkan e proprio quando pensava di non poter soffrire più di così, ecco arrivare l’ennesima pugnalata al petto.
Shampoo. Cosa diavolo ci faceva quella sottospecie di vipera abbrancata come un’aquila al braccio del fidanzato e, soprattutto, perché lui non stava facendo niente per togliersela di dosso? Vederli vicini le provocò uno strano rimescolio dentro che non riuscì a spiegarsi.
Un momento. Tutto ciò era ridicolo. Sì, totalmente senza senso. Le esagerate manifestazioni d’affetto che quella pazza squinternata mostrava verso Ranma non l’avevano mai smossa più di tanto, ma allora…per quale motivo, all’improvviso, moriva dalla voglia di strangolarla?
«Akane? Ehi, mi stai ascoltando?»
Una voce familiare la riportò bruscamente coi piedi per terra, costringendola a distogliere l’attenzione da quel deplorevole “quadretto romantico” al quale avrebbe volentieri dato fuoco per spostarla invece su una delle sue migliori amiche, che la fissava con evidente curiosità.
«Sì, scusami…ehm, dicevi?» mormorò distrattamente, tentando con fatica di tenere a bada quella valanga di sentimenti contrastanti a cui non sapeva dare un nome, ma che si accorse solo allora di riversare sulla cartella che teneva tra le mani, tormentandola senza pietà fin quasi a ridurla a un colabrodo. Che poi era esattamente la fine che meritavano quei due. E, tanto per la cronaca no, non era affatto gelosa. Solo infastidita.
E arrabbiata.
E disperata.
E sì, cavolo, anche gelosa. Gelosa come mai prima d’ora, anche se ammetterlo le faceva ribollire il sangue dal nervoso.
«Ti ho chiesto se ti andava di venire al cinema con me e le altre dopo le lezioni, danno un nuovo film che non voglio proprio perdermi.» continuò Yuka e, appena qualche ora più tardi, Akane si pentì amaramente di aver accettato l’invito. Per tutto il tempo, infatti, anziché concentrarsi sulle immagini che scorrevano sul grande schermo, non era riuscita a far altro che pensare a Ranma e al modo in cui lo aveva visto sorridere a Shampoo, maledicendolo in silenzio fino a che le vene sulla sua fronte non cominciarono a pulsare pericolosamente, minacciando di esplodere da un momento all’altro se non si fosse subito data una calmata. Sospirò con forza e una fitta dolorosa le attraversò il petto all’orribile eventualità che il fidanzato potesse intraprendere un qualche tipo di relazione con la sciroccata dai capelli viola. In tal caso, non avrebbe potuto incolpare altri se non sé stessa e il modo vergognoso in cui era riuscita a ferirlo nel profondo, costringendolo a rompere con lei. Era a questo che stava pensando mentre, una volta congedatasi dalle amiche attraversava la strada con aria mesta e assente, tanto da accorgersi di essere a pochi passi dallo studio del dottor Tofu solo quando si sentì chiamare per nome.
«Akane! Ma come, non ti fermi nemmeno più a salutare, ora?»
Si voltò verso la figura alta e slanciata che, con un largo sorriso e il braccio alzato in segno di amichevole saluto, la invitava ad avvicinarsi.
«Dottore, è lei? Mi dispiace, ero sovrappensiero. Non volevo fare la maleducata.» provò a giustificarsi, arrossando dalla vergogna per quella cattiva figura. Accidenti, che sbadata che era. E anche una totale imbranata con la testa fra le nuvole. Ranma aveva proprio ragione sul suo conto.
Ranma. Ripensare ai buffi epiteti con cui era solito apostrofarla ogni volta che combinava un guaio le provocò una violenta stilettata al cuore, rivestendola di nuova malinconia. Quell’irrecuperabile cretino le mancava talmente tanto che persino respirare ormai rappresentava un’enorme fatica per lei. Se solo fosse tornato a sorriderle. Ma meritava davvero il suo perdono? Probabilmente no.
«Non ti si vede più molto spesso da queste parti» continuò il buon medico «come mai oggi non sei insieme a Ranma? Non vi sarete di nuovo bisticciati, spero. Voi due dovreste proprio cercare di andare d’accordo, d’altro canto siete fidanzati.»
La piccola Tendo sgranò gli occhi.
«Come fa a sapere che abbiamo litigato?» domandò, sorpresa.
«Semplice» rispose l’uomo «è stato quel tuo faccino triste a dirmelo. In fondo, si può stare così male solo per qualcuno che si ama.»
Solo per qualcuno…che si ama? Fu allora che, per la prima volta, la realtà le si delineò davanti a chiare lettere. Una verità scomoda che per tutto quel tempo aveva solo finto di non vedere, rifiutandola con forza e negandola persino a sé stessa ma che ora, spogliatasi finalmente di ogni timore la scuoteva nel profondo con la stessa forza di un uragano, mettendo in dubbio ogni possibile certezza e facendola capitolare. Era innamorata di Ranma. Lei lo amava. Lo amava disperatamente, con ogni fibra del proprio essere. Quella sconvolgente rivelazione abbatté in un colpo solo tutte le sue difese che, sgretolandosi come un debole castello di carte squarciarono il velo dentro di lei, scoprendole una calda impronta nell’anima che portava un solo nome: quello dello strano ragazzo dagli occhi color del cielo e gli abiti cinesi che un giorno di sei mesi prima era piombato a casa sua alla velocità della luce, sconvolgendole la vita e colorandola di nuove, affascinanti sfumature di cui neppure conosceva l’esistenza, prima di incontrarlo. Una dolcissima tempesta di vive sensazioni, questo rappresentava per lei. E incredibilmente, per tutto quel tempo era sempre stato lì a giocare a nascondino tra le pieghe del suo cuore, attendendo pazientemente di essere trovato. Ora che conosceva il luogo in cui si era rifugiato, non lo avrebbe fatto attendere ancora a lungo. Nascose il viso fra le mani, lasciando alle emozioni lungamente trattenute la libertà di esprimersi attraverso un pianto dirotto che il dottor Tofu si affrettò a consolare, cingendole le spalle con un braccio mentre la invitava a entrare.
 
Akane abbassò lo sguardo sulla minuscola foglia di menta che annegava dentro alla sua tazza di tè, pensando a quanto fosse simile a quello preparato dalla sorella maggiore. D’un tratto, l’idea che Kasumi avesse probabilmente trovato il tempo per insegnare al dottor Tofu come realizzare in casa un ottimo infuso, intrattenendosi in sua compagnia, non le parve poi così inaccettabile. Com’era strana la vita, appena qualche settimana prima avrebbe di sicuro dato di matto per una cosa del genere. Ora, la certezza che l’amata sorella non rappresentasse una minaccia per lei, poiché era stata tanto stupida da scambiare l’ammirazione che provava per il giovane medico per un sentimento più profondo, era già una realtà. L’amore era ben altra cosa, ormai lo sapeva. Sospirò, rilassando lentamente il corpo. Aveva pianto tutte le sue lacrime in quella che era stata una catartica esplosione senza precedenti, fino a sentirsi completamente svuotata. Come se il peso opprimente che la affliggeva si fosse finalmente dissolto nell’aria, lasciandola libera di osare, di crescere. Libera di vivere. Anche se rimediare al male fatto non sarebbe stato semplice.
«La colpa è stata mia» spiegò con voce incerta all’uomo che, seduto di fronte a lei, la ascoltava con attenzione «sono stata spregevole, gli ho detto delle cose tremende e lui non vuole avere più nulla a che fare con me. Non mi dà alcuna possibilità di avvicinarlo, né a casa né a scuola, e io…»
«Una lettera.» la interruppe a quel punto, abbozzando un sorriso. La ragazza lo fissò, senza capire.
«Cosa?»
Il dottor Tofu tamburellò le dita sul tavolo, mandando giù una lunga sorsata del suo dolce liquido ambrato prima di riprendere la parola.
«Se non ti permette di esprimerti la soluzione più efficace è scrivergli una lettera, ma devi impegnarti a essere completamente sincera riguardo ai tuoi sentimenti. Butta fuori tutto ciò che provi e poi lascia che lo legga.»
«E se non dovesse funzionare?»
«Almeno lo saprai. Fatti coraggio, piccola Akane. Tu sai cosa devi fare.»
Stava davvero ricevendo dei consigli di cuore su colui che amava, da colui che aveva creduto di amare? Che cosa bizzarra. Anche se non potè fare a meno di dargli ragione. Sì, lei sapeva esattamente cosa fare.
 
 
E invece no. La verità era che non aveva la più pallida idea di come scrivere una lettera, poiché fino a quel momento non c’era mai stato alcun motivo tanto valido da spingerla a cimentarsi nella stesura della stessa. Lei che non teneva neppure un diario segreto, come invece facevano gran parte delle sue compagne di classe. In effetti aveva sempre trovato alquanto ridicolo vederle affannarsi ad affidare i propri sentimenti amorosi a delle pagine bianche, riempiendole di cuori e scarabocchi vari che si ritrovava a spiare da sopra i loro gomiti, facendole arrossire violentemente all’eventualità che potesse spifferarne in giro i contenuti, magari proprio ai diretti interessati. E ora toccava a lei mettere su carta ogni emozione provata, anche se dubitava fortemente che il risultato l’avrebbe aiutata nel suo scopo. Respirò profondamente un paio di volte, cercando la concentrazione necessaria per procedere a quella singolare perdita di tem…
Comunque, era pronta. O quasi. Impugnò la penna, piegandosi sulla sua scrivania dove un foglio intonso aspettava di essere riempito d’inchiostro.
Caro Ranma, ti amo.”
No, troppo diretto.
Ciao Ranma, sono innamorata di te.”
Troppo banale. Voleva forse spingerlo a vendicarsi, rendendole pan per focaccia nel ridicolizzarla ferocemente, prima di strappare la lettera in mille pezzi che si sarebbe divertito a lanciarle contro, esibendosi in un orribile ghigno di scherno? La sola idea di ciò che sarebbe potuto accadere, bastò a metterla in agitazione. Cercò, poggiandosi la mano sul petto di placare i battiti impazziti del proprio cuore, sentendosi tanto sciocca. Un’incapace, ecco cos’era. Arrendersi così facilmente però non era nella sua natura, quindi tanto valeva giocarsi quell’ultima carta. E fino in fondo, anche. Ranma era più importante di qualsiasi incertezza o tentennamento. Voleva ridere di lei? Bene, che ci provasse pure se lo desiderava. Non le sarebbe importato. Ecco, quello era lo spirito giusto.
Caro Ranma, non so se questo sia il modo giusto per iniziare una lettera, poiché non mi ero mai trovata nella condizione di dover scriverne una prima d’ora, ma immagino sia davvero l’unico modo che mi rimane per esprimerti ciò che provo. Lo so a cosa stai pensando. Credi che io sia una codarda che non ha la forza di affrontare le cose di petto e probabilmente hai ragione, dovrei cercare un dialogo diretto con te anziché nascondermi dietro a un inutile pezzo di carta che non potrà certo risolvere le nostre questioni in sospeso, ma che forse mi aiuterà a fare chiarezza riguardo ai miei sentimenti per te. Sì, hai capito bene, io credo, anzi, sono assolutamente sicura di provare qualcosa per te. Qualcosa di tanto reale e profondo da spaventarmi a morte e per questo spingermi a rifiutarlo, dapprima, con tutte le mie forze. Proprio così, avevo paura. Una paura tremenda di non saper gestire quell’enorme bagaglio di emozioni che mi portavo dentro ed è per questo motivo che ti ho trattato male, ferendoti come non meritavi nell’assurda speranza che tenerti lontano sarebbe servito in qualche modo a semplificarmi la vita. Come se trincerarmi dietro a quella che altro non era se non una profonda ammirazione per il dottor Tofu, mi avrebbe aiutata a stare bene. Come se rinunciare ai miei stessi desideri rappresentasse la soluzione migliore per me, quando invece l’unica cosa che volevo, l’unica di cui avessi davvero bisogno…”
Si interruppe per un momento, asciugandosi con la manica della maglietta le lacrime che le annebbiavano la vista.
“era amarti. Semplicemente amarti e smettere finalmente di voler controllare tutto, cuore compreso. Scusami per essere stata così stupida da non capirlo subito, ma ora lo so. Io ti amo. Ti amo come mai avrei immaginato di amare qualcuno e ti prego di perdonarmi per averti fatto credere il contrario quando, in un momento del tutto inaspettato mi hai confessato i tuoi sentimenti, sperando certamente in una risposta diversa da parte mia. Perdonami se, anziché incoraggiarti ho finito per offenderti, senza curarmi del male che ti stavo facendo. Perdonami perché sono una totale imbranata senza un briciolo di tatto che crede di sapere sempre tutto ma non sa assolutamente niente, e che ora desidera soltanto impegnarsi a costruire qualcosa di nuovo e speciale. Insieme a te, se lo vorrai. Per tutte queste cose, per favore, non odiarmi. Non sono pronta a perderti e non lo sarò mai. Quando leggerai questa lettera, vienimi a cercare. Ti aspetterò dove tutto è cominciato.
Con amore
Akane”
Lasciò che la penna scivolasse via dalle sue dita, sorridendo soddisfatta. Quello che gli aveva dato era un appuntamento? Sì, decisamente. Chissà se se ne sarebbe ricordato. Non rilesse ciò che si era impegnata a scrivere, era già stato abbastanza difficile mettersi a nudo a quel modo. Ripiegò quindi il foglio in più parti, riponendolo in una piccola busta che richiuse con cura per poi lasciarla cadere dentro a una delle sue tasche, pensando con apprensione al momento in cui l’avrebbe consegnata al fidanzato. Forse, però, il modo migliore era lasciare che fosse lui stesso a trovarla da qualche parte, magari fra le cose che gli appartenevano. Il che significava raggiungere la sua camera nel minor tempo possibile per nasconderla lì, cercando di non farsi vedere da nessuno. Già, più facile a dirsi che a farsi, considerata l’ora. Poco male, ci avrebbe comunque pensato strada facendo. Ora moriva dalla voglia di mettere qualcosa sotto i denti. Dopo giorni trascorsi a rimuginare, crogiolandosi nel dolore, l’appetito tornava finalmente a farsi sentire. Raggiunse quindi la cucina con passo felpato dove trovò Kasumi, intenta a sfornare dei biscotti dall’aria parecchio invitante. Ne agguantò subito uno.
«Akane, non ti ho vista per tutto il pomeriggio. E quegli occhi rossi? Qualcosa non va piccola, stai bene?» chiese la maggiore delle sorelle e il suo bel viso assunse d’un tratto un’aria angustiata.
«Adesso sì, non preoccuparti. Adesso sto bene.» la rassicurò l’altra con un sorriso. Non sapeva come sarebbero andate le cose, tuttavia si impose di non perdere l’ottimismo.
«Sono felice di sentirtelo dire. Ascolta, porteresti questi biscotti di là in soggiorno? Abbiamo ospiti.»
«Chi è venuto a trovarci?» domandò incuriosita, sistemando i deliziosi pasticcini in un capiente vassoio colorato e approfittandone subito per agguantarne un altro.
«Ukyo.»
Si sentì rispondere e per poco il boccone non le andò di traverso. Ci mancava solo lei, adesso. Per quale motivo si trovava in casa sua? Qualcosa le diceva che quella visita inaspettata avesse a che fare con Ranma. Nonostante si sforzasse di tenere alto il morale, non potè fare a meno di sentirlo. Eccolo di nuovo il mostro verde della gelosia che, implacabile e inesorabile tornava di colpo a ripresentarsi per scavarle dentro, tormentandola senza tregua fino a farle venire una gran voglia di mettersi a urlare per la frustrazione.
“Calmati Akane, non cedere ai cattivi pensieri e resta positiva. Qualunque cosa Ukyo sia venuta a fare, lo scoprirai molto presto.”
Temere la sua presenza non era un’opzione. In fondo, nonostante conoscesse i sentimenti che quella ragazza nutriva per il suo fidanzato, sapeva altrettanto bene quale posto occupasse nel cuore di Ranma. Per lui era solo una semplice amica, dunque non c’era proprio nulla di cui preoccuparsi. O forse sì?
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Due. Erano due. Gli scoppiava la testa e la sua vista era annebbiata. Non riusciva quasi a respirare.
Due linee.
Non c’era abbastanza aria in quella stanza e tutto appariva così soffocante che avrebbe voluto strapparsi i vestiti di dosso e mettersi a urlare, ma lì nessuno pareva accorgersene. Le loro voci sembravano arrivargli da chilometri di distanza, quasi come se non fossero neppure lì, seduti al suo stesso tavolo ma si trovassero in un luogo molto lontano. Forse troppo lontano per poter davvero accorgersi di come si sentiva. Ma non aveva importanza. Voleva solo che smettessero di parlare. Di alzare la voce a quel modo.
Due linee di colore rosa.
C’era troppo rumore intorno a lui, per quale motivo c’era così tanto rumore? E faceva caldo, un caldo insopportabile. Gli mancava l’aria.
Due linee di colore rosa.
Come potevano due semplici, maledette linee rosa decidere della sua vita, del suo futuro?
Eppure lo stavano facendo, polverizzandone d’un tratto l’intera esistenza fino a ridurla a quell’unico, disgraziato istante in cui, attraverso il piccolo astuccio che l’amica d’infanzia stringeva tra le mani fin quasi a farsi sbiancare le nocche, si divertivano a prendersi gioco di lui. Si trattava di uno scherzo, vero? Solo di un misero, stupido scherzo di cattivo gusto. Sicuro, doveva senz’altro essere così, perché parole come “gravidanza” e “Ukyo” non potevano certo stare nella stessa frase.
Altrimenti…
Altrimenti.
«Hai disonorato una ragazza innocente e anche questa famiglia, che ti ha accolto come un figlio e designato come erede della palestra Tendo. Sarei stato felice di darti in sposa la mia bambina ma, dopo questo, Ranma, non posso più mantenere quella promessa.»
Sussultò quando un Soun distrutto dal dolore e con le lacrime agli occhi pronunciò il suo nome, guardandolo con aria assente e sbattendo più volte le palpebre per cercare di metterlo a fuoco nel migliore dei modi. La sua voce era bassa, come se si stesse sforzando di mantenere il controllo delle proprie emozioni, ma allo stesso tempo grave e vibrante di rabbia. Kami, sembrava tutto talmente irreale da fargli credere di trovarsi nel peggiore degli incubi. Chissà, se si fosse preso a sberle forse si sarebbe finalmente svegliato, ritrovandosi nel suo letto come ogni mattina, sollevato di lasciarsi alle spalle quell’assurda vicenda. Si voltò verso Ukyo, che con il viso arrossato e gli occhi bassi non osava neppure per sbaglio sollevare lo sguardo verso i presenti, né verso di lui. Scosse la testa un paio di volte. No, quello non era un incubo ma la realtà. E di nuovo si sentì morire.
«Sei sempre stato un idiota buono a nulla» esclamò Genma, rialzandosi in piedi di colpo per battere un violento pugno sul tavolo che fece sobbalzare tutti, rincarando la dose «ma tradire la tua fidanzata con un’altra, ingravidandola per giunta, è di sicuro l’azione più riprovevole che potessi commettere. Ora dovrai prenderti le tue respon…»
Un improvviso, sordo rumore di vetri infranti sul pavimento coprì quelle ultime parole, rivelando un’ombra che, materializzatasi d’un tratto tra loro, ma ansiosa di sparire di nuovo si copriva ora il volto con entrambe le mani, lasciando di corsa la stanza. Un’ombra che Ranma riconobbe immediatamente.
«Akane, no!» gridò con quanto fiato aveva in corpo, precipitandosi da lei incurante di ciò che restava dei deliziosi dolcetti, ormai ridotti in misere briciole sparse disordinatamente a terra.
«Akane per favore, ascoltami! Lascia che ti spieghi.» proruppe, agitato, raggiungendola in giardino.
«Che cosa vorresti spiegarmi? Qui è tutto fin troppo chiaro!»
La sentì urlare al suo indirizzo e le guance si arrossarono per lo sforzo, tuttavia teneva gli occhi bassi, come se non riuscisse a guardarlo in faccia. Com’erano arrivati a quel punto? L’aveva ignorata per settimane, fingendo persino di non vederla tutte le volte che, vergognosa e tremante aveva provato a scusarsi, a cercare un dialogo, trovandosi invece davanti solo un muro insormontabile. Era colpa sua. Cosa si aspettava, adesso? Quell’atteggiamento era più che comprensibile, ma avrebbe comunque tentato di recuperare in qualche modo.
«No, tu non capisci…»
«Ho capito benissimo, invece» lo incalzò, furente «ho capito che sei un traditore e un bugiardo! Come hai potuto fare una cosa simile? Avevi detto di amarmi!»
«Ed è così, infatti!» ribatté, esasperato, cercando il suo sguardo sfuggente. A dispetto della feroce rabbia che stava dimostrando, le sembrò d’un tratto tanto pallida e vulnerabile. Come aveva fatto a non accorgersi di quanto fosse dimagrita? La giovane Tendo avanzò con decisione di qualche passo, pur tenendosi a debita distanza.
«Allora perché sei andato a letto con Ukyo? Da quanto tempo va avanti questa storia, si può sapere?» sbottò, mordendosi le labbra con forza e una piccola ruga poco profonda solcò ben presto la sua fronte alta.
«Una sola volta. È successo una sola volta e non ha significato niente.»
«L’hai messa incinta, Ranma! Neppure questo significa niente?»
«Non mi ricordo un accidente di quel giorno, lo vuoi capire? Ero completamente ubriaco.»
Akane sorrise con disprezzo.
«Certo! Raccontala a qualcun’altro.
«Ti sto dicendo la verità, te lo giuro.» insistette, cercando un appiglio. Anche se era praticamente indifendibile.
«Pensi davvero che sia così stupida da crederti? Fammi un favore, sparisci immediatamente dalla mia vista e non rivolgermi mai più la parola!» gridò voltandogli le spalle e fece per allontanarsi ma lui fu pronto a trattenerla, stringendo la mano attorno al suo polso sottile.
«Ti prego, fermati.»
Dopo tutti quei giorni trascorsi senza neppure toccarsi, il semplice contatto con quella pelle calda e morbida risvegliò ogni emozione sopita, provocandogli un intenso brivido lungo la schiena. Brivido che la ragazza spense sul nascere quando si liberò di lui con un violento strattone che lo fece sussultare, lasciandolo confuso e disorientato.
«Toglimi quelle manacce di dosso, mi fai schifo! Con quante altre sei stato? Te la fai anche con Shampoo, non è così? Hai messo incinta anche lei, per caso?»
La fissò, al colmo dello stupore.
«Di che diavolo stai parlando, smettila!»
«Abbi almeno la decenza di ammettere le tue colpe, bastardo!»
Ma cosa…
Stava veramente continuando a insultarlo, rifiutandosi di capire nonostante avesse ammesso nient’altro che la pura verità?
«Sai una cosa?» esplose d’un tratto, cupo «Non sono tenuto a giustificarmi con te in nessun caso perché non sono affari che ti riguardano. Della mia vita faccio quello che mi pare. In fondo non provi niente per me, quindi non ti importa. O almeno così mi pare di ricordare. Dico bene?»
«Infatti. Non provo niente per te e non mi importa affatto.»
La sentì replicare senza perdere un colpo, anche se continuava a rifiutarsi di incrociare il suo sguardo. Perché si comportava in quel modo?
«Bene.»
«Benissimo. E tanti auguri per il nascituro!»
Fu allora che, mentre fuggiva via da lui, non poté fare a meno di notarle. Le sue lacrime. Sì, non poteva essersi sbagliato. I suoi occhi erano pieni di lacrime. Akane stava…piangendo? Per quale motivo, se gli aveva appena ribadito di non provare per lui assolutamente nulla di romantico? Ma allora…
Assorto com’era in quei pensieri non si accorse affatto della piccola busta bianca, probabilmente scivolata via dalle tasche dell’ormai ex fidanzata e finita direttamente ai piedi di Ukyo, che uscendo finalmente dall’ombra si chinava ora a raccoglierla per esaminarla con curiosità. Trasalì, affrettandosi poi a metterla via prima che il ragazzo che amava potesse notarla poiché, di qualunque cosa si trattasse, lo riguardava di certo.
“Da Akane, per Ranma.”
Questa la dicitura. Inequivocabile. Si schiarì infine la voce, costringendolo a tornare bruscamente coi piedi per terra.
«Ranma?» sussurrò, annullando con pochi passi la distanza che li separava. Il giovane si voltò verso di lei, abbozzando un timido sorriso. Un sorriso che non arrivava agli occhi.
«Dicevi sul serio? Davvero quello che è successo tra noi non ha significato nulla per te?»
Sembrava sul punto di piangere. Non anche lei, Non poteva permetterlo.
«Ukyo, io non…»
«Ascolta» lo incalzò, interrompendo qualunque cosa stesse per dire «mi dispiace di essere piombata qui all’improvviso e di averti sconvolto con questa notizia ma, credimi, sono sconvolta anch’io. Solo…l’unica cosa a cui riesco a pensare adesso è che non voglio che questo bambino venga al mondo senza conoscere suo padre.»
Si sfiorò il ventre ancora poco pronunciato e Ranma non poté che provare un’infinita tenerezza al pensiero che una minuscola creatura stesse lentamente crescendo dentro di lei. La sua migliore amica. Un’instancabile compagna di giochi nei giorni ormai lontani dell’infanzia e…probabilmente di vita, da quel momento. Doveva prendersi le proprie responsabilità, da uomo.
«Non succederà» disse con dolcezza, prendendole le mani «so bene quanto possa essere difficile crescere con un solo genitore, io stesso ci sono passato e non permetterò mai che la cosa si ripeta. Perciò ti prometto che mi prenderò cura di te e nostro figlio nel migliore dei modi, se vorrai darmene la possibilità.»
L’indiscussa regina delle okonomiyaki si specchiò nei suoi occhi azzurri, commossa.
«Ma sì, certo che sì, Ranma. Non desidero altro che averti nella mia vita. Nella nostra vita.» mormorò con voce rotta, nascondendo il viso sul suo petto e lui la strinse a sé, provando a concentrarsi sulla nuova vita che l’attendeva.
 
 
Si era trasferito a casa di UKyo quella sera stessa e, neppure dopo aver disfatto le valigie era riuscito a scrollarsi di dosso lo sguardo severo del padre, che per tutto il tempo lo aveva fissato come se fosse un orribile insetto da schiacciare. Soun non era stato da meno, arrivando persino a prendere le sembianze di un gigantesco Oni e spaventandolo a morte pur di costringerlo a lasciare casa Tendo nel minor tempo possibile. E così era stato. Quanto ad Akane non si era più fatta vedere, preferendo con molta probabilità barricarsi al piano superiore piuttosto che essere costretta a continuare a respirare la sua stessa aria e quando, per l’ultima volta prima di andar via, aveva sollevato lo sguardo verso la finestra della sua camera, lei si era affrettata a richiudere le tende, desiderando evidentemente cancellare quegli ultimi sei mesi trascorsi insieme dalla sua memoria. Proprio come se non fossero mai esistiti. Poco male, si sarebbe di certo sforzato di fare lo stesso. Colei che era stata la sua fidanzata rappresentava ormai il suo passato, mentre Ukyo e il bimbo che aspettava erano il suo futuro. Allora perché stava così male da desiderare ardentemente di strapparsi il cuore dal petto per provare a non sentire, per dimenticare tutto quel dolore?
E poi…lei stava piangendo. Akane. Stava piangendo. La voglia di sapere, si scoprire cosa si nascondesse dietro quelle lacrime sembrava essere più forte di tutto, tanto da riuscire a togliergli il sonno. No, non avrebbe dimenticato tanto facilmente.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 
Dove diavolo era finita, possibile che non riuscisse più a trovarla? L’aveva cercata per giorni in ogni angolo della casa, ma di quella dannata lettera non c’era più traccia. Come se di colpo si fosse volatilizzata. Il pensiero ricorrente che fosse finita nelle mani sbagliate la assillava senza tregua poiché sapeva bene che, se i suoi timori si fossero rivelati fondati, sarebbe di certo morta di vergogna. Accidenti a lei e alla sua sbadataggine. Come poteva averla persa a quel modo? Eppure era stata prudente. O forse non abbastanza. La verità era che da quando Ranma se n’era andato di casa per trasferirsi da Ukyo…aveva perso la testa. Non riusciva a dormire né a mangiare e concentrarsi negli studi, poi, era di certo l’ultimo dei suoi pensieri. Soprattutto perché frequentare la medesima classe dell’ormai ex fidanzato e della ragazza che lui aveva ingravidato non le rendeva certo le cose facili. Essere costretta a vederli tutti i giorni, evitando i continui tentativi di avvicinamento da parte di Ranma, che proprio non ne voleva sapere di arrendersi con lei, rappresentava un’autentica tortura per il suo cuore ferito e ancora gonfio di dolore. Per questo, in un momento di pausa dalle lezioni era corsa a rifugiarsi sul tetto della scuola, sperando caldamente che a quel maledetto idiota non venisse in mente di seguirla anche lì. Cos’altro pretendeva da lei, perché continuava a starle addosso? Aveva fatto la sua scelta e il trasferimento a casa di Ukyo ne era la prova. Allora per quale motivo continuava a tormentarla come se la possibilità di un futuro insieme non fosse ormai lontana anni luce, dopo ciò che era accaduto nelle loro vite?
Infido.
Sleale.
Bugiardo.
Stupido, maledetto menzognero. Odiava, odiava quella difficile situazione. Odiava doversi costringere a distogliere lo sguardo ogni volta che li vedeva vicini. Odiava il modo in cui lei gli prendeva la mano o gli sussurrava all’orecchio, scostandogli i capelli dalla fronte in un gesto tanto confidenziale da stringerle lo stomaco in una morsa dolorosa, che le faceva sempre venir voglia di piangere. Ma, soprattutto, odiava amarlo così intensamente come, nonostante tutto, non riusciva a smettere di fare. Fece un respiro profondo e gli occhi le si inumidirono. Cavolo, era proprio un’idiota.
«Akane?»
Trasalì sentendo pronunciare il suo nome, tuttavia non si voltò verso il legittimo proprietario di quella voce calda e avvolgente che pareva sfiorarle il cuore in una tenera carezza, scuotendola ogni volta nel profondo.
«Ti ho cercata dappertutto. Avrei dovuto immaginare che fossi qui.»
“Già. Anch’io avrei dovuto immaginare che mi avresti trovata presto, fastidioso piantagrane.”
«Che cosa vuoi, Ranma?» sussurrò con un sospiro impaziente. Vide il giovane avanzare di qualche passo nella sua direzione e questo la mise in allarme. Sarebbe  voluta scappare via a gambe levate ma, per qualche inspiegabile motivo i piedi si rifiutarono di collaborare, preferendo invece restare saldamente ancorati al suolo e in trepida attesa di essere raggiunti dai suoi.
No. No e poi no. Per nulla al mondo gli avrebbe più permesso di avvicinarsi.
«Perché continui a sfuggirmi? Sono giorni che ti comporti come se neppure mi conoscessi.»
Il suo tono sembrava dispiaciuto, addolorato, quasi…disperato, non poté fare a meno di notarlo.
«E con questo? Se non sbaglio anche tu ti sei comportato con me nello stesso, identico modo, appena poche settimane fa. Allora, come ci si sente? Fa male, eh?» lo provocò, non senza una punta di sarcasmo. Non riusciva proprio a evitare di provare un sottile piacere nel pungolarlo in quella maniera, tornando con la memoria ai terribili momenti che, col suo comportamento crudele e sconsiderato le aveva fatto passare, ferendola come non mai. Ora desiderava solo rendergli il favore. Anche se, proprio attraverso quegli attimi d’infinita pena, si era resa conto di amarlo.
«Cos’è questa, una specie di punizione, per caso? Che stai cercando di fare?»
«Vedi, è proprio questo il punto» sbottò, irritata «non cerco di fare proprio niente, sei tu che ti ostini a tormentarmi in ogni modo possibile. Hai fatto una scelta, ora devi lasciarmi in pace!»
Non bastavano le occhiate furtive e curiose, seguite da imbarazzanti domande da parte dei compagni di scuola riguardo all’improvvisa, quanto inaspettata rottura del loro fidanzamento. Non bastava neppure quel dannato imbecille di Kuno, sfortunatamente tornato alla carica dopo aver appreso e accolto con gioia la notizia, sciorinando per l’occasione ridicoli poemi privi di senso accompagnati da disgustose manifestazioni d’affetto, che le toccava tener puntualmente a bada a suon di pugni e lanci in orbita. No, doveva mettercisi anche lui adesso, con tutte le complicazioni del caso. Gli voltò le spalle, grata di aver finalmente ripreso il pieno controllo delle gambe. Tuttavia non riuscì a far neppure un passo, poiché le braccia del ragazzo col codino si mossero più veloci di lei per stringersi attorno alla sua vita, bloccandole sul nascere qualsiasi tentativo di fuga. Il cuore le balzò in petto per la sorpresa mentre, totalmente rapita da quel gesto inaspettato, lo lasciava scostarle i capelli di lato e premerle le labbra sul collo, provocandole un intenso brivido lungo la schiena, ora premuta contro quell’ampio petto marmoreo che tanto le era mancato. Il cervello parve di colpo riempirsi di ovatta, rendendole difficile formulare qualsiasi frase di senso compiuto che l’avrebbe certamente aiutata a tirarsi fuori da quell’impiccio, se solo la lingua non si fosse d’un tratto incollata al palato, impedendole di articolare parola. Il dolce abbraccio in cui la stringeva era tanto confortevole da spingerla a desiderare che quel magico momento durasse per sempre, ma permettere a se stessa di capitolare in quella ridicola maniera non sarebbe stato giusto. Non dopo ciò che era successo. Anche se la prova era tutt’altro che semplice. Quel maledetto sbruffone pieno di sé, infatti, conosceva bene i suoi punti deboli e immaginava li avrebbe sfruttati a piacimento per ottenere praticamente tutto ciò che voleva. Strinse le palpebre, detestandosi per il modo ignobile in cui il proprio corpo traditore stava reagendo al suo tocco, vergognandosene immensamente.
«Non posso» mormorò, roco e il caldo respiro sulla pelle le procurò un nuovo brivido di piacere che la percorse fino alle natiche, facendole tremare le ginocchia «non posso e non voglio rinunciare a te, a noi. Perché ogni volta che ti guardo mi viene soltanto voglia di baciarti fino a farmi mancare il fiato, di toglierti i vestiti di dosso e accarezzare ogni centimetro della tua pelle nuda. Di fare di nuovo l’amore con te, come una volta. Mi manchi Akane, ti desidero così tanto che mi sembra di impazzire. Ho provato a restarti lontano, davvero, ci ho provato tanto, ma non ci riesco. Volevo fare ciò che era più giusto per il bene di Ukyo e del bambino, ma non sono in grado di smettere di pensarti. Ti amo. Ti amo. Ti amo.»
Seppellì il viso nei suoi capelli e, per un attimo, lei trattenne il respiro.
«Smetti di ripeterlo e toglimi le mani di dosso.» sibilò a denti stretti, lottando con sé stessa nel tentativo di ignorare l’incredibile altalena di emozioni che quelle parole le avevano scatenato dentro e, per tutta risposta si sentì stringere più forte, lasciandosi sfuggire un gemito strozzato che mitigò coprendosi la bocca con una mano, quando lo sentì aderire completamente al proprio corpo.
«Ti amo da morire» ripeté con voce rotta «ti amo più della mia vita. Ti amo. Ti amo.»
«Giuro che se dici un’altra volta che mi ami, io…»
« Tu, cosa? Cosa, Akane? Sarai finalmente sincera?»
«Non so di cosa stai parlando.»
«Stavi piangendo» riprese, inalando il suo profumo «Il giorno in cui sono andato via di casa, piangevi. Per quale motivo, se hai sempre detto e ripetuto di non provare nulla per me?»
La giovane si irrigidì di colpo, sgranando gli occhi per la sorpresa. Dunque…se ne era accorto?
«Tu vaneggi. Non stavo affatto piangendo.»
Mentì, provando disperatamente a negarlo.
«Sì, invece» insistette, deciso «Ascoltami, per favore. Se c’è anche la più piccola, remota possibilità che tu possa provare i miei stessi sentimenti, che nel profondo del tuo cuore possa ricambiarmi in qualche modo, io devo saperlo. Lo capisci? Ho bisogno di saperlo.»
Akane scosse la testa.
«Perché? Per lasciare Ukyo, per rinunciare alle responsabilità che hai nei confronti di tuo figlio? Troppo comodo per te, non è vero?»
«Posso occuparmi del bambino e stare con te allo stesso tempo, senza togliere nulla a entrambi.»
Si sentì assalire da una rabbia incontrollabile. Come poteva pensare che fosse tutto così semplice come lo dipingeva?
«Piantala con le stupidaggini» proruppe furiosa, divincolandosi per costringerlo a lasciarla andare, anche se la sua stretta sembrava d’acciaio «se credi davvero che possa ricambiarti sei completamente fuori strada!»
«Allora di’ che non mi ami. Dimmelo guardandomi negli occhi e ti crederò. Se lo farai, prometto che non proverò mai più a darti fastidio.» rispose Ranma dopo un breve momento di silenzio, allentando la presa e permettendo così alla minore delle Tendo di liberarsi dal suo abbraccio mentre, per la prima volta da quando le cose avevano iniziato a precipitare, trovava la forza di specchiarsi di nuovo in quegli occhi azzurri che tanto amava e che ora la fissavano sgranati, avidi di risposte. Ma dirgli la verità, a quel punto, sarebbe solo servito a farla stare peggio. Doveva lasciarlo libero. Doveva farlo per entrambi, ma prima di tutto per se stessa poiché, se fosse rimasta ancora in quella dolorosa spirale senza tempo, ne sarebbe uscita devastata.
«Vuoi sapere se provo qualcosa per te, Ranma?» disse così, raccogliendo tutto il coraggio che possedeva per imprimere convinzione alla sua voce «Certo che sì ma è ben lontano da quello che speri, perché mi disgusti. Sei un essere ripugnante e non solo per esserti comportato da vero irresponsabile, mettendo incinta la tua più cara amica mentre stavi con me, mandando tutto all’aria, ma anche perché, nonostante l’evidenza dei fatti continui a mentirmi, riempiendomi di bugie e aspettandoti persino che ti creda. Ti piacerebbe usarmi per uscire dalla spiacevole situazione in cui ti sei cacciato, non è così? Beh, mi spiace deluderti ma, contrariamente a ciò che credi, non sono poi così stupida.»
Le nuvole in cielo si addensarono in breve tempo mentre un vento leggero scompigliava lentamente i loro capelli.
«Questo è ciò che pensi di me, che ti stia usando per uscire da una condizione scomoda? Maledizione Akane, ti sto dicendo che ti amo! Davvero non significa niente per te?»
La mano si sollevò a mezz’aria, colpendolo con uno schiaffo in pieno viso prima ancora che lui potesse realizzarlo, lasciandolo confuso e disorientato a coprirsi con una mano la guancia arrossata e dolorante. La fulminò con un’occhiata severa che l’ex fidanzata scelse di ignorare.
«Te l’ho detto, mi fai solo schifo!» fu tutto ciò che disse, ricacciando indietro le lacrime, poi corse via al suono della campana che col suo insistente din don richiamava gli studenti, affinché raggiungessero le rispettive classi. A pochi metri da lei un’ombra misteriosa si allungava pian piano, apprestandosi mestamente a seguirla.
 
 
***
 
Bruciava. Continuava a rigirarla tra le dita da un tempo che ormai le sembrava interminabile e…bruciava. Esattamente come faceva lì, nel cassetto della biancheria dove l’aveva riposta invece che gettarla via, come avrebbe dovuto fare fin dall’inizio. Ma no, era stato più forte di lei. Non era proprio riuscita a sbarazzarsene e non sapeva nemmeno il perché. Oppure sì. Forse conosceva bene i motivi che l’avevano spinta a conservare quella maledetta lettera, muta testimone del suo incubo più grande.
“Da Akane, per Ranma.”
Leggerla e rileggerla fin quasi a farsi sanguinare gli occhi pareva gravare terribilmente sul suo vacillante sistema nervoso, messo già a dura prova non solo dall’inaspettata gravidanza che, piena di dubbi e paure si apprestava a portare avanti, ma anche dai continui attacchi di una certa psicopatica dai capelli viola che rispondeva al nome di Shampoo. La sciroccata, infatti, bombori alle mani, non perdeva occasione per dichiararle guerra praticamente in ogni momento della giornata. Notte compresa. Proprio così. Da quando aveva scoperto (chissà poi come, visto quanto erano stati attenti a non far trapelare nulla!) che il ragazzo che tanto faticosamente si contendevano si era trasferito da lei dopo averla messa incinta, si divertiva ad alternare pianti isterici a ridicoli gesti intimidatori seguiti da altrettante ridicole affermazioni che, più che spaventarla, la facevano solo schiumare di rabbia. L’aveva sentita giurare solennemente di non torcerle neppure un capello fino alla nascita del bambino perché “era pur sempre un’amazzone per bene, lei, e il suo codice d’onore le impediva di attentare alla vita di una povera creatura innocente!” annunciando altresì l’intenzione di scatenare l’inferno sulla terra l’esatto attimo dopo, impegnandosi a darle la caccia per un tempo abbastanza vicino a “per sempre”. Se sperava che minacciarla a quel modo servisse a spingerla a rinunciare a Ranma si sbagliava di grosso. Lui le apparteneva adesso e nessuno avrebbe più potuto portarglielo via. Neppure Akane.
Non ci credi veramente.”
“Silenzio!”
Ranma non ti amerà mai come ama lei.”
“Col tempo imparerà a farlo.”
Sai bene che le basterebbe schioccare le dita per averlo di nuovo tutto per sé.”
“Non è così.”
Correrebbe da lei senza farselo ripetere due volte.”
“L’unico motivo che lo spinge a stare con te è il senso del dovere che prova nei confronti del bambino che porti in grembo.”
“Falla finita, maledizione!”
Era vero, ma solo in parte. Sapeva perfettamente che Ranma era innamorato di Akane, lo aveva sentito con le sue stesse orecchie quando, ben nascosta dietro a un pilastro e col cuore a pezzi, aveva assistito al loro turbolento scambio di battute sul tetto della scuola. Sapeva però altrettanto bene che la bella Tendo – nonostante ricambiasse i suoi sentimenti in modo altrettanto appassionato – si era ritrovata a rifiutarlo fermamente, fuggendo via prima di potersi tradire. Era piuttosto evidente che anche lei lo amasse e non solo per via della lettera in cui l’ammetteva, nero su bianco, ma anche perché una donna certe cose le sentiva nel profondo. Il fatto che Ranma fosse tanto sciocco e superficiale da ignorare quella scomoda realtà, però, giocava in suo favore. Dunque, quella stupida lettera non aveva ragione di preoccuparla, esattamente come chi l’aveva scritta. Allora…per quale motivo continuava a conservarla? Perché non riusciva a costringersi a strapparla in mille pezzi, cancellandola così dalla faccia della terra?
La verità è che ti senti in colpa.
“Silenzio!”
Sei consapevole che ciò che stai facendo è del tutto sbagliato.
“Silenzio! Silenzio! Silenzio!”
Sentì i suoi passi farsi sempre più vicini e ripose in fretta la lettera nella busta, nascondendola nuovamente tra la sua biancheria prima che la raggiungesse.
«Ukyo, io esco a fare una corsa, ma…che ci fai in camera da letto, va tutto bene? Se hai bisogno di riposarti di più, ad aprire il locale posso pensarci io. Prendi le cose con calma, dopotutto oggi è domenica.»
Eccolo lì, il buon samaritano. Sempre pronto a sostenerla e a preoccuparsi per lei, nonostante non lo meritasse affatto. Anche se questo, lui non poteva saperlo. D’improvviso sentì le lacrime salire a pungerle le palpebre. Maledetti, stupidi ormoni.
«Tutto a posto, non preoccuparti, stavo solo prendendo le mie vitamine. Vai pure, apro io il ristorante.»
«Ma…»
«Sono incinta Ranma, non certo ammalata. Su, vai pure.» ripeté, appiccicandosi sul viso un sorriso finto che il padre di suo figlio si affrettò a ricambiare, sollevato, prima di uscire. Era così bello con quella tuta sportiva addosso. La voglia di condividere con lui il proprio letto era talmente dirompente che a volte riusciva a stento a trattenersi dal saltargli addosso, ma non voleva commettere errori. Gli avrebbe concesso tutto il tempo che occorreva per adattarsi a quella nuova vita e presto, molto presto, quel dannato futon sistemato in soggiorno, lontano da lei, sarebbe finalmente sparito. Sospirò, spazzolandosi a lungo i capelli e raccogliendoli in una semplice coda di cavallo. Era pronta ad affrontare una nuova, caotica giornata tra i fornelli ora che le fastidiose nausee mattutine cominciavano finalmente a diradarsi, quando…eccolo lì, in piedi davanti a lei nei suoi abiti logori, l’aria stravolta e quegli occhi grandi e inquieti incollati ai suoi, avidi di risposte. Il cuore le fece una capriola in petto per la sorpresa.
«Che diavolo sei venuto a fare? Ti avevo detto di non farti più vedere!» gridò al suo indirizzo, turbata.
«Ho appena visto Ranma uscire di qui. Che storia è questa, cosa ci fa nel tuo locale a quest’ora del mattino? Non dirmi che ha dormito con te!»
Fu ciò che ottenne in risposta.
«E anche se fosse? Questi non sono comunque affari che ti riguardano. Va’ via!»
«Ti prego, non parlarmi così duramente. Ci ho messo un sacco di tempo a ritrovare questo posto e ora che finalmente ce l’ho fatta, l’unica cosa che sai fare è mandarmi via? No, non me ne andrò stavolta. Non prima che tu mi abbia ascoltato.»
La ferma determinazione che lesse su quel viso stanco la stupì più di quanto fosse disposta ad ammettere, poiché non capitava spesso che Ryoga si mostrasse tanto deciso su qualcosa che non avesse a che fare con un combattimento contro l’eterno rivale. In quel caso la sua remissività andava a farsi benedire, trasformandolo in tutt’altra persona. Chiuse gli occhi per un attimo. Accidenti a lei e a quando era stata così stupida da permettergli di entrare nella propria vita. Anche se soltanto per una notte. Una notte che le era costata cara.
«Non abbiamo proprio nulla da dirci.» ribatté, ma la sua voce tremava.
«Non passa giorno in cui non pensi a te» insistette, come se non l’avesse neppure sentita «e mi sono reso conto che restarti lontano mi fa soffrire tantissimo. Per questo sono tornato.»
«Avresti fatto meglio a perderti come al solito, invece. Sparisci!»
Con pochi passi annullò la distanza tra loro, afferrandola per le braccia.
«Se vuoi dimenticare quello che c’è stato tra noi, fai pure» esclamò, cupo, scuotendola forte fin quasi a farle male «ma io non posso. Non riesco a dimenticare il sapore dei tuoi baci, della tua pelle…»
«Smettila e lasciami subito, o giuro che stavolta ti cuocio ai ferri come una stramaledetta bistecca! Non c’è proprio niente da ricordare perché non è successo niente, ficcatelo in quella testa vuota una volta per tutte e vattene fuori dai piedi!»
Si liberò di lui con un violento strattone, poi corse a rifugiarsi dietro al banco da lavoro, massaggiandosi le braccia arrossate e fulminandolo con uno sguardo severo. Uno sguardo di cui si pentì immediatamente quando, dopo quella crudele affermazione, vide i suoi occhi creparsi dall’interno. Questo le provocò un terribile e fastidioso senso di vuoto all’altezza del ventre, il che era ridicolo, considerato tutto quello che c’era dentro in quel periodo.
«Come puoi dirlo? Ciò che è successo è stato…»
«Un errore!» lo incalzò, completando la frase per lui «Nient’altro che uno stupidissimo errore senza importanza e darei qualunque cosa per tornare indietro e poterlo cancellare per sempre!»
«Lo pensi davvero?»
«Sì, lo penso davvero!»
Poi lo spinse fuori dal ristorante, ignorando le sue proteste e richiudendosi con forza la porta alle spalle. A quel punto lasciò che le lacrime le offuscassero la vista e i pensieri, scivolando copiose lungo le guance ormai violacee.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Ciao a tutti!
Perdonate l’immenso ritardo ma ora sono qui, pronta a proseguire le avventure dei miei due baka preferiti, perciò…felice lettura a chi vorrà. A presto, con un nuovo capitolo.
Ilenia
 
 
 
Capitolo 6
 
«Ecco fatto. Ti senti meglio adesso, vero?» gli sussurrò, tamponandolo con delicatezza con un asciugamano colorato. L’angolo della bocca si piegò ben presto in una smorfia che tanto assomigliava a un sorriso mentre lo osservava muoversi giocosamente tra le sue mani, finché un minuscolo musetto nero sbucò fuori dalla morbida stoffa, seguito da due adorabili occhietti che parevano ora scrutarla curiosi. Akane sospirò, scuotendo la testa con aria divertita. Per fortuna stava bene. Si era preoccupata quando lo aveva trovato a vagare tutto solo sotto la pioggia torrenziale di quel tardo pomeriggio, ma una veloce occhiata le aveva tolto ogni dubbio: non era ferito, forse solo un po’ spaventato.
«Si può sapere dove sei stato per tutto questo tempo?» lo rimbrottò, senza troppa enfasi «ero così in pena per te, credevo che non ti avrei più rivisto.»
Lo accarezzò sulla testa, lasciando che le dita affondassero a lungo su quella soffice pelliccia scura ancora umida, accigliandosi all’improvviso nel notare i suoi piccoli occhi lacrimosi.
«Cosa c’è cucciolo, ti senti male per caso?» mormorò, intenerita «O forse sei soltanto triste. Coraggio, dillo alla tua amica, che ti è successo? Hai per caso incontrato una piccola P-Chan che non vuol saperne di te e adesso hai il mal d’amore? Credimi, posso capirti molto bene. Sto soffrendo tanto anch’io, lo sai?»
Fece una piccola pausa, rimettendo in ordine i pensieri e il porcellino si accucciò sulle candide lenzuola del letto con aria attenta, quasi pendesse dalle sue labbra. Possibile fosse davvero capace di comprenderla?
«Dopo che papà ha rotto il mio fidanzamento con Ranma» proseguì la giovane, prendendosi la testa tra le mani con espressione malinconica «mi sembra quasi di essere precipitata in un terribile incubo. Un incubo in cui quel mastodontico imbecille ha pensato bene di mettere incinta la sua più cara amica, col risultato che ora quei due fanno coppia fissa, mentre io…io l’ho perso per sempre. Vorrei solo non amarlo così tanto, forse farebbe meno male.»
P-Chan si esibì in una serie di buffi e strani versi, sempre più affranto.
«Già, hai indovinato piccolo mio, l’incubo è realtà. Ukyo metterà al mondo il bambino di Ranma e io ho il cuore a pezzi…» mormorò in un soffio, sforzandosi di ricacciare indietro le lacrime. A quelle ultime parole il simpatico animaletto parve di colpo riscuotersi dal suo torpore per cominciare a dimenarsi con rabbia. Poi, proprio come se lo avesse morso una tarantola balzò giù dal letto, ansioso di raggiungere la finestra aperta per saltarla con uno scatto deciso e sparire così definitivamente dalla vista della minore delle Tendo che, per tutto il tempo lo aveva osservato a bocca aperta, stupita da quell’insolito comportamento.
«Torna qui P-Chan, che ti prende?» lo chiamò a gran voce, pur nutrendo ben poche speranze di rivederlo tanto presto «Resta con me, ti prego, non lasciarmi anche tu.»
Strinse forte i pugni, lottando nuovamente con se stessa affinché una lacrima incastrata tra le ciglia socchiuse non rotolasse giù lungo la sua guancia. Era di nuovo sola.
«Non lasciarmi anche tu.» ripeté angosciata, prima che una voce familiare ne catturasse d’un tratto tutta l’attenzione.
«Ahi! Dannata palla di pelo, c’è mancato poco che perdessi l’equilibrio. Accidenti!»
Ma cosa…
Si avvicinò furtiva alla finestra, imprecando sottovoce quando riconobbe la figura minuta ed elegante che ora, proprio di fronte a lei, la scrutava con un odioso sorrisetto sardonico stampato su quella faccia da schiaffi.
«Kamisama…che diavolo ci fai tu qui, si può sapere? Fuori dalla mia camera. Subito!»
Indietreggiò di qualche passo, afferrando saldamente la mazza da baseball che teneva sempre vicino al letto per ogni evenienza e puntandogliela contro con fare minaccioso, mentre la rivale sollevava le mani in segno di resa.
«Calmati, ragazzina» squittì, insolitamente sulla difensiva «metti giù quell’affare, ti assicuro che non ho cattive intenzioni. Non ancora, almeno. Kami, devo dire che vederti maneggiare quel coso in maniera tanto sgraziata è uno spettacolo davvero deprimente e conferma ancora una volta quanto tu sia priva di fascino femminile. Hai dei modi talmente mascolini e la stessa delicatezza di un pachiderma…»
«Che cosa vuoi, Shampoo?» tagliò corto, spazientita «mi sembra evidente che tu non sia piombata qui di punto in bianco solo per insultarmi.»
La graziosa cinesina sorrise compiaciuta, incrociando entrambe le braccia al petto.
«In effetti no, mia cara» rispose «Però! Devo ammettere che sei un tipo sveglio e questo è esattamente ciò che farà di te una perfetta alleata. Che poi è il motivo per cui sono passata a trovarti.»
«Che diavolo vai farneticando?»
Shampoo si ravviò i lunghi capelli viola, poi mosse qualche passo verso di lei, l’aria di chi la sapeva lunga.
Questa, poi!
«Bene, non ci girerò ancora intorno, perciò andrò dritta al punto: mi serve il tuo aiuto, Akane. Insieme potremo finalmente sconfiggerla. Non che io non possa farlo da sola, intendiamoci, ma se uniamo le forze renderemo la cosa molto più velo…»
«Ti spiacerebbe spiegarmi di chi accidenti stai parlando?» la incalzò di nuovo, decisa più che mai a non abbassare la guardia.
«Ma di Ukyo, mi sembra ovvio!» spiegò finalmente l’altra, scandendo le parole come se stesse parlando a una perfetta imbecille «quella stupida oca senza cervello ci ha già causato abbastanza problemi. Coi suoi ridicoli piagnistei si diverte a farci la guerra continuando a tenere Ranma sotto scacco, ma sai che c’è? Ha finito con i giochetti. La gravidanza è già agli sgoccioli. Ormai non dovrebbe mancare molto, giusto?»
Sul serio? Era già passato tutto quel tempo? Sì, doveva aver ragione. Ora che ci pensava, infatti, Ukyo non frequentava più la scuola ormai da settimane e l’ex fidanzato aveva finalmente smesso di importunarla. Probabilmente entrambi si preparavano all’arrivo del nascituro e, i suoi patetici tentativi di ignorare il tempo che scorreva inesorabile, non sarebbero certo serviti a cancellare quella realtà. Anche se era dura da accettare. Anche se il solo pensiero che presto, molto presto, quei due – quei tre – si sarebbero trasformati nella nuova famiglia cuore, le provocava delle stilettate al petto talmente violente da farla quasi capitolare ogni volta.  Fece un respiro profondo, provando a concentrare l’attenzione sulle parole della squinternata avversaria, poiché qualunque altra cosa sarebbe stata meglio che continuare ad alimentare quel grande, infinito dolore.
«…noi la terremo d’occhio e una volta che il bambino sarà nato…la toglieremo di mezzo.»
Per un attimo credette di non aver capito bene.
«Prego?»
A quel punto la vide toccarsi la fronte, esasperata.
«Le faremo rimpiangere di essere al mondo» chiarì, con tutta la calma che le riuscì di trovare « La uccideremo, insomma.»
La naturalezza con cui lo disse lasciò la ragazza senza parole. Quell’assordante silenzio durato solo qualche secondo, tuttavia, fu ben presto sostituito da una incontrollabile rabbia che, proprio come lava bollente sotto la pelle distorse progressivamente quei lineamenti delicati, esplodendo in tutta la sua potenza.
«Fuori!» gridò minacciosa, scattando in avanti con tutto il corpo in tensione e brandendo pericolosamente in aria la fedele arma, che per tutto il tempo aveva stretto forte tra le mani «Fuori da casa mia, psicopatica che non sei altro! Come osi venire qui a propormi una cosa del genere?»
«Andiamo, non fare tanto la schizzinosa» replicò l’intrepida amazzone, che di arrendersi proprio non ne voleva sapere «so bene che desideri tanto quanto me vedere Ranma finalmente libero da quelle luride grinfie.»
«Tu non sai niente di me e comunque no, non certo a queste condizioni!»
«Ma scusa, pensaci un attimo» proseguì «quando tutto sarà finito noi due potremmo lottare per contendercelo e a quel punto entrambe avremmo un’avversaria di meno. Vantaggioso, non credi?»
Esplose in una sonora risata, pura carta vetrata sui suoi nervi già provati.
«Ranma non è un giocattolo, non fai che parlare di lui come se fosse un premio in palio. Non asseconderò mai il tuo folle piano, maledetta pazza! Come puoi anche solo pensare di togliere la madre a un bimbo appena nato?»
«Oh, non preoccuparti per questo» la sentì ribattere con decisione e i suoi occhi si accesero di malizia «poiché sarò io a fare da madre al bambino. Il mio Lanma si renderà presto conto che sono la donna della sua vita e a quel punto mi supplicherà di sposarlo.»
«Tu da piccola devi essere caduta dal seggiolone! Se pensi che Ranma possa arrivare a chiederti una cosa del genere sei davvero una povera illusa. Lui ha fatto la sua scelta e tu dovresti solo farti da parte e lasciarlo in pace. E adesso vattene, prima che ti faccia davvero male!»
Si lanciò al suo inseguimento, tenendo la mazza da baseball in bella vista mentre Shampoo correva da una parte all’altra della stanza, schivando con magistrale abilità  ogni suo colpo e tentando inutilmente di rabbonirla.
«Capisco che tu sia arrabbiata, in fondo non abbiamo ancora parlato di cosa ci guadagneresti tu in tutta questa storia, ma lascia che ti spieghi. Tanto per cominciare ti permetterei di fare da baby-sitter al moccioso tutte le volte che noi due saremo impegnati in camera da letto. Poi, dopo aver fatto appassionatamente l’amore per tutta la notte, tu ci serviresti la colazione tra lenzuola di seta…»
Ok. Questo era veramente troppo.
«Te la do io la colazione, brutta sciroccata! Vieni qui che ti faccio a pezzi e poi ne riparliamo!»
«Sono disarmata, non è leale!»
«Vediamo che sai fare senza i tuoi preziosi bombori!»
Con un’elevazione fuori dal comune la giovane guerriera balzò d’un tratto fuori dalla finestra, lanciandosi nel vuoto e sparendo così tra gli alberi in un turbinio di capelli viola, desiderosa di mettersi in salvo al più presto e prima che accadesse l’irreparabile. Kamisama, quando ci si metteva Akane sapeva essere davvero una furia, ma non c’era da preoccuparsi. A tempo debito si sarebbe occupata anche di lei.
«Non provare mai più a farti rivedere!» urlò la piccola Tendo a polmoni spiegati, scrutando a lungo il giardino con aria concentrata prima di tirare un sospiro di sollievo. Se ne era andata davvero, alla fine. Bene. La situazione era già abbastanza complicata senza che quella matta da legare decidesse di mettersi in mezzo con tutte le sue assurdità, maledizione. Si accasciò a terra e, affondando la testa fra le ginocchia, lasciò che le calde lacrime che per tutto il tempo si era sforzata di trattenere le rigassero impudicamente le guance paonazze, spingendo fuori tutto il suo dolore. A quel punto represse a stento un singhiozzo disperato, chiedendosi per quanto tempo ancora avrebbe avuto la forza di sopportare quell’intensa altalena di emozioni che le frustavano violentemente il cuore, lasciandola ogni volta senza fiato. Ranma. Ukyo e il bambino. Shampoo, la scuola e tutto il resto. Quando, quando avrebbe finalmente avuto la pace che meritava? Ma, soprattutto, perché non riusciva a lasciarsi tutto quanto alle spalle e andare avanti con la propria vita, come era giusto che fosse?
 
***
 
 
 
Grosse nuvole grigie si addensarono via via in una muta minaccia sotto il suo sguardo attento, ricoprendo ben presto il cielo e pesandogli sul cuore come enormi, impietosi macigni. L’estate era alle porte, ma non era esattamente così che l’aveva immaginata.
«Sta arrivando.» considerò a voce bassa. I telegiornali ne parlavano ormai da un paio di giorni e lui aveva preso tutte le precauzioni del caso, come rinforzare le porte, ad esempio, sperando che l’impegno messo nel farlo sarebbe servito a garantir loro la sicurezza necessaria. Riuscire a tenere a bada la violenza di un tifone, come quello che fra qualche ora si sarebbe abbattuto sulla città di Nerima non era di certo cosa facile, ne era ben consapevole. A proposito, chissà come se la stavano cavando a casa Tendo. Accidenti, il tetto della palestra era talmente malandato che sarebbe potuto venir giù al minimo soffio di vento, figuriamoci in presenza di una calamità come quella a cui stavano per assistere. Forse poteva fare qualcosa. Forse, se li avesse aiutati a ripararlo…
No, non doveva pensarci. Ciò che accadeva in quella casa non era più affar suo. Anche se, dannazione, con molta probabilità suo padre viveva ancora lì. E poi…Akane. Sarebbe davvero stata al sicuro? Sospirò appoggiando la fronte contro il vetro freddo della finestra, ritrovandosi a sperare che quel semplice gesto potesse aiutarlo a rimettere ordine in quell’insopportabile caos che era diventato la sua mente, ma non c’era nulla da fare. Per quanti sforzi facesse, infatti, non era proprio capace di smettere di pensare ad Akane. La loro ultima conversazione sul tetto della scuola, avvenuta ormai mesi prima, continuava a tormentarlo come un bisturi su una ferita, rinnovando ogni volta di più la sua disperazione. Da allora non aveva più provato ad avvicinarla, né a rivolgerle la parola. Del resto, era stata chiara riguardo ai suoi sentimenti. Non lo amava, né mai lo avrebbe amato. Insieme a un mucchio di altre cose orribili che preferiva non ricordare. Ma…no, non lo amava affatto. Non provava per lui nulla di più che un odio profondo e non importava quanto ciò gli avesse spezzato il cuore, riducendolo in milioni di piccoli pezzettini ormai impossibili da ricomporre, poiché tutta la sofferenza del mondo non sarebbe servita a cambiare questa cosa. Doveva solo accettarlo, lasciarla in pace una volta per tutte. Ed era ciò che disperatamente si sforzava di fare, assecondando i desideri della ragazza mentre una parte di lui si spegneva pian piano, finendo per morire nel ricordo di ogni singolo abbraccio e nel tepore della sua pelle calda contro la propria. Era stato solo sesso. Puro e semplice sesso, niente di più. Poi uno dei due ci aveva messo il cuore, sbagliando tutto e complicando le cose. Che idiota. Del resto le regole erano sempre state chiare, ma…cavolo, quell’egocentrico, insopportabile maschiaccio gli mancava talmente tanto da non riuscire quasi a respirare. Fu allora che sentì due mani accarezzargli piano le spalle, premendo e spingendo con studiata lentezza sulla sua pelle fino a strappargli un piccolo gemito di piacere che lo spinse a chiudere gli occhi, godendosi la sensazione.
Akane…Akane, sei tu? Sei tornata da me?
Le mani, piccole e delicate si insinuarono sotto la maglietta, esplorando a lungo quell’ampio petto scultoreo in una lenta e instancabile tortura fino all’elastico dei pantaloncini, procurandogli un intenso brivido lungo la spina dorsale.
Continua. Mi piace.
A quel punto, labbra soffici e piene si posarono sul suo collo, percorrendolo in una scia di piccoli baci roventi che accelerarono i battiti del suo cuore, mozzandogli il fiato.
«Ti voglio così tanto, Ranma.»
Quella voce.
Lei non…
Lei non era…
Si irrigidì di colpo, voltandosi giusto in tempo per accorgersi dei vestiti che pian piano scivolavano giù lungo quelle caviglie sottili, lasciandola completamente nuda ed esposta di fronte a lui.
«U…Ukyo?» biascicò con la bocca impastata, deglutendo a vuoto più volte. Pur non riuscendo a negare a sé stesso l’incredibile avvenenza delle sue generose forme il ragazzo col codino la prese per le braccia, scostandola via con fermezza e quel tanto che bastava a impedirle di lanciarsi nell’ennesima mossa audace.
Stupido. Stupido deficiente. Talmente concentrato sull’ex fidanzata da credere che fosse davvero lì per lui, pronta a concederglisi di nuovo. Per amore, stavolta. Scosse la testa.
«Ukyo, no. Non posso. Non adesso.» sussurrò e un improvviso, fastidioso nodo in gola gli impedì di aggiungere altro.
«Quando, allora?» la sentì esclamare di rimando, trasalendo e osservandola contrito mentre, rossa in viso e quasi sul punto di piangere per l’umiliazione, raccoglieva con aria stizzita i suoi abiti da terra per indossarli velocemente, allontanandosi di qualche passo.
«Sembra che per te non sia mai il momento giusto!»
«Dammi solo un po’ di tempo, per favore.» replicò, sulla difensiva, non appena ritrovò la voce.
«Cosa? Che cos’è, uno scherzo per caso? Mi pare di avertene già concesso fin troppo, non credi? Di quanto altro tempo hai bisogno, maledizione!» urlò lei, avvilita.
«Mi dispiace.» fu tutto ciò che gli riuscì di dire, stringendo i pugni e le palpebre a un tempo. La bella cuoca si lasciò andare a un lungo sospiro rassegnato.
«Non fai che scusarti.» asserì con accento grave.
«Mi d…cioè, io…»
«È per via del pancione, vero? O forse perché cammino come una papera? Già, devo sembrarti un mostro in queste condizioni.»
Si asciugò una lacrima dalla guancia e Ranma la fissò, stupito.
«Ma cosa dici?»
«È così!» insistette, il mento tremolante «sono un mostro, pallido e grasso, che cammina come una papera!»
«Ukyo, smettila» provò a rassicurarla, sentendosi tremendamente in colpa «tu non cammini affatto come una papera e sei tutt’altro che un mostro, te lo assicuro. Sai, in tutta sincerità, non credo di averti mai vista più bella di così.»
Ed era vero. La gravidanza pareva averle donato un’aura luminosa che la faceva risplendere come un gioiello prezioso, conferendole un fascino fuori dal comune che avrebbe incantato chiunque. Già, chiunque tranne lui, che a ogni singolo respiro scopriva una calda, seppur dolorosa impronta nel proprio cuore. Un graffio nel profondo dell’anima marchiata ormai a fuoco da lunghe lettere vermiglie, scavate a forza fino a farla sanguinare, che componevano un solo nome. Akane.
Akane.
Se solo…
Basta! Basta, ti prego, o non resisterò ancora a lungo.
Il giovane Saotome si concentrò sulla ragazza che aveva di fronte, prendendola per mano e guidandola con gentilezza verso il letto, dove l’aiutò a sedersi prima di chinarsi su di lei. Le scostò una ciocca di capelli dal viso, accompagnando il tenero gesto con un sorriso che, tuttavia, non arrivava agli occhi.
«Lo pensi davvero?»
La vide fissarlo, speranzosa.
«Certo.» rispose.
«Allora perché non vuoi fare l’amore con me? Per quale motivo mi rifiuti?» domandò d’un tratto, rabbuiandosi in volto. Ranma serrò le labbra in una linea dura, senza sapere cosa dire poiché, qualunque frase di senso compiuto si fosse impegnato a formulare, non avrebbe saputo descrivere i sentimenti che provava. La regina delle okonomiyaki si passò stancamente una mano sugli occhi, poi le dita scesero a sfiorarsi il ventre gonfio e le sue labbra si aprirono in un timido sorriso.
«Almeno a lui vuoi un po’ di bene?»
«Sai che voglio un bene dell’anima a entrambi.» mormorò con convinzione e stavolta le parole fluirono quiete e ordinate, permettendogli di riacquistare sicurezza mentre si perdeva ad accarezzare il pancione, ottenendone quasi in risposta un impercettibile movimento, come una piccola scossa contro il palmo della mano, che lo riempì di commozione. Suo figlio, l’unica certezza della propria vita, gli aveva appena tirato un calcetto. Gli occhi gli si inumidirono. Mancava ancora poco e presto avrebbe finalmente potuto conoscere quel piccolo, adorabile dispettoso che sentiva già di amare con ogni fibra del suo essere.
«Oh, ma guarda un po’, mi chiedevo giusto quanto tempo ci avrebbe messo a farsi risentire. Immagino ci tenesse tanto a salutare il suo papà.»
Le loro dita si sfiorarono a lungo, intrecciandosi sulla pancia ormai fin troppo prominente. Eccola, la sua famiglia. Era su di loro che avrebbe dovuto concentrarsi, d’ora in poi. Ukyo e il bambino che stava per nascere erano le sole persone importanti, il resto non contava. Convincendosi di questo, forse, Akane si sarebbe molto presto trasformata in un lontano ricordo.
«Dunque…sono ancora la tua Ucchan?» chiese Ukyo, rompendo per prima quel silenzio intriso di emozioni. Ranma rise, dandole un buffetto sulla guancia. Era così che la chiamava sempre quando erano ancora soltanto dei bambini. Quando la vita sembrava più semplice per loro.
«Sarai sempre la mia Ucchan, la persona più sincera e leale che conosca.»
Non seppe dire per quale motivo ma, quelle parole, anziché metterla di buonumore parvero invece rattristarla di colpo, alterandone i bei lineamenti fino a mutarli in una maschera di dolore.
«Cosa c’è?» domandò, preoccupato. Aveva forse detto qualcosa di sbagliato?
«Credo di non essere…quella che credi.»
Fu ciò che ottenne in risposta.
«Che vorresti dire con questo?»
Frugò a lungo nei suoi occhi scuri, avido di risposte, fino a costringerla a parlare.
«Beh…» cominciò la giovane cuoca con tutto il corpo in tensione, lasciando all’improvviso le sue mani e prendendo un profondo respiro, quasi si stesse preparando a rivelare chissà quale oscuro segreto di cui nessuno, eccetto lei, era a conoscenza  «No, nulla. È solo che non avrei dovuto alzare la voce, prima, tutto qui. Ti chiedo di perdonarmi. Prometto di non farti più pressioni di alcun genere e di concederti tutto il tempo che ti serve per abituarti a questa nuova situazione. So cosa provi, è difficile anche per me.»
Il ragazzo col codino scosse piano la testa, prendendole il volto fra le mani per tornare a specchiarsi nei suoi occhi, guardandola tanto intensamente da farla arrossire. Mentre lui continuava a struggersi per qualcuno che non lo ricambiava, la sua amica d’infanzia cresceva ogni giorno di più, trasformandosi pian piano in una saggia, piccola donna che meritava invece tutto l’amore del mondo. Sì, la sua Ucchan aveva davvero coraggio da vendere. Poteva solo imparare da una come lei e, per la prima volta da quando tutto aveva avuto inizio, provò un’immensa gratitudine nell’averla accanto.
«Sai una cosa? Sono sicuro che sarai una madre fantastica.»
«Solo se tu mi sarai vicino.»
Gli strizzò l’occhio giocosamente, baciandolo sulla guancia prima di rialzarsi in piedi, non senza un po’ di fatica. Sembrava comunque più serena adesso e questo bastò a tranquillizzarlo.
«Accidenti, questo bambino diventa sempre più grosso e pesante. Bene, meglio che vada a prepararmi per chiudere il locale. Se non mi affretto a rientrare l’insegna, quel maledetto tifone se la porterà via.»
«Non preoccuparti, ci penso io. Tu non fare troppi sforzi.»
«Alzarmi dal letto la mattina è già uno sforzo incredibile, mio caro, credimi.»
Ranma scoppiò a ridere.
«Parli come una novantenne!» la provocò per gioco.
«Chi sarebbe la novantenne, cafone che non sei altro? Provaci tu a portarti dentro un peso del genere e poi ne riparliamo!»
Si affrettò a seguirla, continuando a ridacchiare divertito, poi si bloccò all’improvviso a metà strada.
«Aspetta, hai preso le tue vitamine?»
«Lo farò dopo.»
La sentì rispondere con noncuranza e senza neppure voltarsi. Già, sempre la solita.
«No, lo farai adesso» ordinò, categorico «Dov’è che le conservi?»
Nessuna risposta. Ok, ci avrebbe pensato lui. Tornò in camera da letto, frugando velocemente tra i cassetti della biancheria, ma dell’ormai familiare flacone colorato non vi era alcuna traccia. Strano, eppure ricordava di averlo visto lì dentro, l’ultima volta. Al suo posto sbucò invece fuori una piccola busta bianca, completamente anonima se non fosse stato per l’unica, breve dicitura che riportava sul retro e che in un attimo catturò tutta l’attenzione del ragazzo.
“Da Akane, per Ranma.”
Ma cosa diavolo…
La rigirò tra le dita con gli occhi sgranati e l’amara sensazione di essersi perso qualcosa. Per quale strano, inspiegabile motivo Ukyo avrebbe dovuto tenere, o forse nascondere tra le sue cose, una lettera di Akane indirizzata a lui? Aprì la busta, deglutendo nervosamente mentre con mani tremanti dispiegava il foglietto contenuto al suo interno, per cominciare finalmente a leggere…
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7
 
Scese dabbasso, raggiungendo il ristorante col chiaro intento di difendere l’insegna dalle minacciose grinfie del tifone in agguato, quando una piccola fitta dolorosa all’altezza del ventre la costrinse ad accasciarsi su se stessa, di colpo incapace di muoversi. Accidenti, cos’era? Capitava già da un po’, ora che ci pensava.
E se…
No, era decisamente troppo presto. Mancavano ancora un paio di settimane, giusto? Fece un respiro profondo, tentando di placare i battiti impazziti del proprio cuore, ancora agitato al pensiero di ciò che stava per accadere appena qualche momento prima, quando era ancora in camera con Ranma. Kami, per poco non gli aveva confessato la verità. Sicuro. Mancava tanto così e si sarebbe praticamente auto sabotata, mandando all’aria tutti gli sforzi fatti fino a quel momento per avere la vita che desiderava, al fianco del ragazzo che amava. Che stupida.
Sarai sempre la mia Ucchan, la persona più sincera e leale che conosca.
Si fidava di lei ed ecco come lo stava ripagando, rifilandogli un mucchio di orribili menzogne che non meritava affatto. Portare avanti quella patetica messinscena stava diventando sempre più difficile e, ogni volta che lui le piantava in faccia quei meravigliosi occhi color del cielo, doveva chiamare a raccolta ogni singola goccia di autocontrollo rimastole per impedirsi di vuotare il sacco. Lo amava. Lo amava disperatamente, e disperatamente lottava ogni giorno per non farsi schiacciare dal senso di colpa, ormai talmente ingombrante da pesarle addosso più di un macigno. Immersa com’era in quegli angoscianti pensieri, si accorse della presenza dell’altro inquilino della casa solo quando lo sentì parlare.
«Cosa ci faceva questa nel tuo cassetto?»
Il tono usato, anche se calmo e controllato, fin troppo forse, non parve tuttavia presagire nulla di buono. Fu per questo motivo che, di colpo, le parve quasi di sentire una grossa mano artigliarle la nuca in una morsa glaciale e dolorosa? O la colpa era di quel pezzo di carta, muta minaccia intrisa d’inchiostro e di emozioni che le dita sventolavano ora proprio sotto il suo naso, gelandole il sangue nelle vene?
 
***
 
Come poteva l’umore di un uomo mutare in maniera tanto drastica e senza alcun preavviso, attraversando varie fasi così diverse tra loro in soli pochi istanti, fino a trasformare la sua mente in qualcosa di spaventosamente simile a una giostra vorticosa, piena zeppa di ragazzini urlanti? A lui era appena successo. Era passato dal sospetto, poiché nutriva qualche dubbio riguardo alla veridicità della lettera, alla gioia più grande e totalizzante che il suo cuore potesse provare nel realizzare che sì, certo che quella era la scrittura di Akane e sì, lei lo ricambiava. Akane, la sua Akane lo ricambiava. Anche lei lo amava. Quindi, non si era sbagliato. Le sue sensazioni erano giuste. Allora perché, perché gli aveva sempre urlato in faccia di non provare nulla di romantico per lui?
Sgomento. Confusione. Turbamento.
Stava comunque scritto lì, nero su bianco. E firmato, anche.
Sollievo.
Era reale.
Conforto.
 Ignorava però il motivo per il quale quella lettera si trovasse a casa dell’amica d’infanzia.
Sconcerto.
Vuoi vedere che…
Paura. No, non poteva crederci. Ukyo non avrebbe mai…
Terrore.
Invece sì, certo che l’ha fatto.
Sdegno. Rammarico.
Con quale diritto gli aveva taciuto una cosa così importante, negandogli la possibilità di un confronto con la ragazza di cui era follemente innamorato e che ora sapeva ricambiarlo con uguale intensità?
Collera.
E adesso se ne stava lì, in religioso silenzio a fissarlo come se, d’improvviso, si fosse trasformato in chissà quale strana creatura aliena.
Rabbia. Feroce.
«Rispondi alla domanda, maledizione! Cosa diavolo ci faceva questa lettera in uno dei cassetti della tua camera? L’hai nascosta affinché non la trovassi, vero?» gridò perdendo, di fatto, l’ultimo barlume di self-control che con tanta fatica aveva cercato di mantenere, il volto trasfigurato dall’ira.
«Che fai, ti metti a rovistare tra le mie cose, adesso?»
La sentì rispondere, chiaramente sulla difensiva e questo non fece che peggiorare lo stato d’animo del giovane, che ora non poteva fare a meno di guardarla con occhi pieni di livore.
«Non provarci, Ukyo! Non provare nemmeno a rigirare il discorso in tuo favore, perché non funzionerà. Non con me. Perciò te lo chiederò un’ultima volta: per quale cazzo di motivo, una lettera in cui Akane mi confessa di amarmi dovrebbe trovarsi nelle tue mani? Voglio la verità e la voglio adesso!»
Batté un violento pugno sul tavolo, facendola sussultare e quando vide i suoi occhi riempirsi pian piano di lacrime il cuore non registrò nessuna emozione. Era troppo arrabbiato perché gli importasse. Troppo furioso per curarsi anche dei suoi sentimenti. Abbassò lo sguardo sulla lettera, mordendosi a lungo le labbra fin quasi a farle sanguinare.
 
***
 
«Quando l’ho trovata, non avevo idea fosse una dichiarazione d’amore nei tuoi confronti» spiegò, ormai perduta e con la voce ridotta a un flebile sussurro, cercando con tutte le forze di smettere di singhiozzare «ma essendo indirizzata a te, doveva senz’altro trattarsi di qualcosa…»
«Dove? Dove l’hai trovata e da quanto tempo, soprattutto?»
L’aveva interrotta sempre più avido di informazioni, che continuava ad attendere ormai al limite della pazienza e senza neppure guardarla in faccia. Il brusco gesto di prima l’aveva messa in allarme, scombussolandola non poco e ora esitava ancora mentre una nuova fitta, l’ennesima, tornava ad artigliarle il basso ventre con forza crescente, facendola gemere di dolore.
«Ukyo!»
La esortò, riportando velocemente altrove la sua attenzione. Si asciugò in fretta le lacrime, poi proseguì. Non aveva scampo. Era finita.
«L’ho raccolta da terra il giorno in cui sono venuta a casa Tendo per parlarti della gravidanza. Tu e Akane eravate troppo occupati a litigare per accorgervi che, probabilmente scivolata via dalle sue tasche se ne stava lì, in bella vista ai vostri piedi, così l’ho presa. Non vado fiera di ciò che ho fatto.»
Ranma scoppiò a ridere e la sua risata amara la fece trasalire. Sospirò con forza, tirando su col naso.
«So che non mi credi, ma è così. Ho pensato e ripensato a quale fosse la cosa giusta da fare…»
«La cosa giusta da fare era consegnarmela immediatamente!» la incalzò di nuovo, lasciandola per un po’ a fare i conti con la propria coscienza. Era vero. La cosa più sensata sarebbe stata quella, senza alcun dubbio. Ma come avrebbe mai potuto farla così, a cuor leggero, sapendo bene che lo avrebbe perso per sempre?
Lo hai già perso per sempre.
Cantilenò la sua voce interiore che da tempo si divertiva a tormentarla senza pietà, facendola piombare nello sconforto. Se solo avesse nascosto meglio quella stupida lettera. Se l’avesse gettata via dopo averla fatta a pezzi, come si era ripromessa tante volte di fare, senza tuttavia riuscire mai ad adempiere alle sue intenzioni, tutto questo…tutto questo, forse, non sarebbe mai accaduto.
«Perché?» esclamò con rinnovata determinazione, ritrovando d’un tratto la voce «Per permetterti di correre da lei e coronare così il vostro sogno amoroso alle mie spalle? Conoscevo perfettamente i tuoi sentimenti per Akane e sapevo che tra voi due c’era qualcosa, è sempre stato più che evidente ma, di qualsiasi natura fosse il vostro rapporto, non potevo più permettervi di continuare ad alimentarlo. Non dopo aver scoperto il mio stato. Io ho avuto…paura.»
Lo vide fissarla a lungo, chiaramente sconcertato.
«Anche stando con Akane, sai benissimo che non avrei mai abbandonato né te né il bambino!»
«Sì, l’avresti fatto.»
«Non è così!»
«Sì, invece!» insistette, frustrata, le guance ormai inondate di lacrime.
«Dannazione, come fai a essere così sicura che vi avrei voltato le spalle?»
Era in buona fede, lei lo sapeva. Ma non poteva bastare.
«Perché il bambino che aspetto non è tuo figlio!» si ritrovò a gridare in preda alla disperazione e prima ancora di riuscire a rendersene conto, singhiozzando senza alcun freno.
 
***
 
Lasciò che quelle parole, dure come rocce sedimentassero dentro di lui e a un tratto fu come se un peso insopportabile che gli opprimeva il petto si sciogliesse pian piano come neve al sole, lasciandolo finalmente libero di tornare a respirare.
«C…Cosa?» balbettò, confuso, non appena riprese il controllo delle proprie corde vocali.
«Hai sentito bene. Sei libero da ogni responsabilità nei nostri confronti.»
«Mi stai dicendo che noi, noi non…» si interruppe di colpo, incapace di proseguire mentre la vedeva annuire nella sua direzione, disfatta dal pianto e talmente pallida da non sembrare quasi più lei. La seguì con lo sguardo dirigersi verso il suo banco da lavoro, chinandosi a fatica a rovistare in un cassetto per tirarne fuori poco dopo un piccolo fazzoletto di carta, che usò per tamponarsi il volto.
«Non è mai successo niente tra me e te» mormorò, infine «ho solo lasciato che lo credessi possibile. Quando ho scoperto di essere incinta ero talmente terrorizzata da non sapere proprio che cosa fare. Poi, quel giorno sei venuto a trovarmi e a chiedermi di cucinare per te, come al solito, e io…ho avuto come un’illuminazione improvvisa e, vedendo la tua presenza come un’opportunità da usare in mio favore…»
A quel punto si coprì la bocca con una mano, riprendendo a singhiozzare sommessamente. Nonostante la gravità di quelle parole il giovane Saotome provò, per la prima volta da quando quella lunga confessione aveva avuto inizio, l’irrefrenabile impulso di correre da lei per abbracciarla. Tuttavia, quell’improvviso moto di empatica tenerezza nei confronti della ragazza fragile e minuta che gli stava di fronte e che avrebbe solo voluto proteggere da ogni male, si dissolse ben presto nell’aria, lasciando al profondo malessere interiore che fino a quel momento lo aveva accompagnato, tutto lo spazio necessario per riemergere. Cupo e doloroso. Forte e inesorabile. Esattamente come prima.
Lo aveva raggirato.
Ingannato.
Ferito. E non era neppure la parte peggiore.
«La verità è che volevo una possibilità con te, Ranma, la volevo da tanto tempo e quando l’ho vista delinearsi a chiare lettere davanti a me ne ho subito approfittato. Così ho drogato il cibo che ti stavo offrendo, lasciando che ti ingozzassi senza freni fino a che non hai perso conoscenza. A quel punto ti ho trascinato di sopra, ti ho tolto i vestiti di dosso e ho atteso pazientemente che riaprissi gli occhi, solo per farti credere che eravamo stati insieme. E ha funzionato. Ti sei bevuto ogni parola e tutto è andato secondo i piani. Il resto lo sai. Io…mi dispiace. Mi dispiace davvero tantissimo.»
Già. Immaginava che in quelle okonomiyaki dovesse esserci ben più che semplice sakè, considerando la terribile emicrania di quel giorno e i presunti vuoti di memoria. Era stato incastrato per bene, insomma. Aveva avuto tanta fiducia in lei da lasciarsi abbindolare come un povero idiota.
Basta. Era veramente troppo.
«Come hai potuto farmi una cosa del genere?» esplose a quel punto, nauseato, ormai incapace di trattenersi oltre «Come hai fatto a guardarmi negli occhi per tanto tempo, sapendo bene di mentire non solo a me, ma anche a te stessa? La vita perfetta che con tanta cura ti sei impegnata a cucire addosso a entrambi non esiste, è solo una farsa, ma te la sei fatta andar bene comunque, perché sapevi che soltanto in questo modo avresti potuto avermi! Anche così però non sono mai stato tuo, né lo sarò in futuro! Kami, sei talmente patetica da farmi pena. Per tutto questo tempo, ogni singolo giorno non ho fatto che sentirmi in colpa per non essere capace di ricambiare i tuoi sentimenti per me, per non riuscire ad amarti come meritavi, credendo fossi la persona più gentile e onesta su questa terra. Invece…invece scopro che sei l’essere più misero e rivoltante che abbia mai conosciuto in vita mia.»
Come poteva non essersene accorto prima? Mentre lui era occupato a tesserne le lodi, quell’infame si divertiva a tramare alle sue spalle.
«So di aver fatto qualcosa di terribile e di essere completamente indifendibile, ma ti prego, non trattarmi in modo tanto meschino.»
Quando si sentì sfiorare il braccio il suo sdegno raggiunse il culmine e si ritrasse bruscamente, allontanandosi di qualche passo solo per raggelarla con un’occhiata sinistra e scatenare così una nuova ondata di pianto.
«Non toccarmi! Mi fai ribrezzo!» esclamò con rabbia, sputandole praticamente addosso le parole e sforzandosi di ignorare quegli insistenti, disperati singulti mentre la fissava, furioso e disorientato al tempo stesso.
«Chi è il padre del bambino?» chiese poi a bruciapelo, cedendo all’insistenza di quel fastidioso, quanto ormai ossessivo pensiero che già da un po’ gli girava in testa, divorandolo dall’interno come un maledetto tarlo. La bella cuoca abbassò lo sguardo, voltando la testa dall’altra parte.
«Ukyo, chi è il padre del bambino? Dimmelo? Lo conosco oppure no?» insistette, pungolandola senza pietà, deciso più che mai ad andare in fondo alla questione. Seguì un lungo momento di silenzio, rotto solo dall’insistente ticchettio dell’orologio da parete. Quando tornò a specchiarsi nei suoi grandi e inquieti occhi scuri, ancora pieni di lacrime, capì che era finalmente pronta a rivelarlo. Almeno questo glielo doveva.
«È…Ryoga.» sussurrò così, lasciandolo a bocca aperta.
«Ryoga? Hai fatto sesso con Ryoga?» indagò, non appena si riprese dallo choc.
«È successo una sola volta e non ha significato nulla. Non per me, almeno. Anche se è stato l’unico uomo al quale mi sia mai concessa e non so nemmeno il perché. Comunque…lo avevo visto vagare per strada nel cuore della notte. Si era perso come al solito e non so come fosse riuscito a tornare a Nerima, considerando il suo pessimo senso dell’orientamento, ma aveva l’aria triste e stanca e probabilmente non mangiava da giorni. Sembrava una specie di vagabondo, insomma. Non potevo certo abbandonarlo lì fuori al freddo, così gli ho offerto riparo. Ho lasciato che facesse una doccia e si riempisse lo stomaco, poi abbiamo parlato a lungo.»
Fece una piccola pausa, come a rimettere in ordine i pensieri. Più tardi, incerta e tremante, si accinse a proseguire.
«Mi ha aperto il cuore, raccontandomi del suo amore non corrisposto per Akane e di quanto questo lo facesse star male. Tu lo sapevi?»
Ranma annuì. Conosceva bene i sentimenti che Ryoga provava per l’ex fidanzata ma non se n’era mai preoccupato più di tanto, poiché sicuro che la minore delle Tendo sentisse per lui nient’altro che semplice e disinteressato affetto. Gli voleva bene, come si può voler bene a un animale domestico. Del resto, lo chiamava P-Chan mica per niente.
«Ritrovandomi a ricambiare quell’inaspettata sincerità, quindi, gli ho detto che anch’io soffrivo per qualcuno che non mi contraccambiava.»
L’occhiata eloquente che dopo quelle parole aveva lanciato nella sua direzione, non sfuggì certo alla sua attenzione.
«Una parola tira l’altra, a un certo punto, forse per consolarci a vicenda, ci siamo baciati e da lì…eravamo disperati entrambi e abbiamo trovato conforto l’uno nelle braccia dell’altra, ma è stato solo un momento di debolezza. Un errore. Il giorno dopo, infatti, l’ho respinto e costretto ad andarsene. Nonostante ciò è tornato più volte a cercarmi. Da allora non mi dà tregua. Non fa che ripetere di essersi innamorato di me e malgrado i miei continui tentativi di rifiuto trova sempre il modo di tornare alla carica. So che è colpa mia, l’ho illuso inutilmente, però non provo nulla e non desidero alcun legame con lui. È per questo che non posso dirgli del bambino.»
Concluse in un soffio e il ragazzo col codino scosse la testa con decisione.
«Devi farlo, invece. Ha il diritto di sapere la verità.»
«Ho sbagliato tutto. Sono stata cattiva ed egoista e col mio comportamento sconsiderato ho fatto soffrire sia lui che te. Ti ho fatto vivere in una prigione, usando una pietosa bugia per tenerti legato a me e fregandomene completamente dei tuoi desideri e sentimenti verso un’altra, allontanandoti, anzi, sempre più da lei. Devo aver reso la tua vita un vero inferno. Hai ragione tu, sai? Sono una persona orribile. Mi dispiace per averti taciuto l’esistenza di quella lettera e mi dispiace di averti mentito per mesi, solo ora comprendo davvero la gravità del modo in cui ho agito.»
Come poteva anche solo pensare che sarebbe tornato a crederle? Che sarebbe tornato a fidarsi e ad accogliere quel suo presunto pentimento, dopo ciò che gli aveva fatto?
«Non so che farmene delle tue stupide scuse, lo capisci? Guardarti adesso mi fa solo rivoltare lo stomaco! Io…»
Qualunque cosa stesse per dire fu ben presto interrotta dal sordo e potente boato provocato da un tuono che fece trasalire entrambi, costringendoli a riprendere in fretta il contatto con la realtà. Tutti i vetri del locale tintinnarono all’unisono e le luci si spensero di colpo per tornare a riaccendersi subito dopo, lasciandoli sgomenti e in preda a un’ansia crescente. La corrente era instabile. Il tifone era in arrivo. Maledizione, lo aveva totalmente rimosso.
«L’insegna. Devo rientrarla.» bofonchiò Ukyo e fece per raggiungere l’uscita ma bastò un’occhiata severa del giovane a raggelarla all’istante, costringendola a restare dov’era.
«Non muoverti di lì!» ringhiò, rabbioso. Non le avrebbe permesso di lanciarsi nella tempesta nelle sue condizioni. «Ci penso io.»
Poi si precipitò verso la porta, aprendola con uno scatto e una violenta folata di vento gelido lo investì subito da capo a piedi, facendolo annaspare. Fu allora che la vide.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** capitolo 8 ***


Capitolo 8
 
Rabbrividì, stringendosi nelle spalle prima di lanciare una triste occhiata all’ombrello che giaceva ai suoi piedi, ormai miseramente rotto. L’impietosa, violenta tempesta da cui aveva stupidamente sperato di non lasciarsi cogliere impreparata, non pareva mostrare un briciolo di pietà neppure per lei che, ora bagnata e infreddolita se ne stava lì, ritta e immobile come una statua di sale a sperare in un miracolo qualsiasi per salvarsi da quella spiacevole, quanto pericolosa situazione. Di sicuro destinata a peggiorare.
Scema. Cretina. Deficiente.
L’unica cosa che doveva fare era raggiungere il negozio più vicino per comprare del gelato prima della chiusura anticipata dei negozi, correre subito a casa e restarci fino a pericolo scampato, proprio come si era ripromessa. Già. Giusto. Allora per quale inspiegabile motivo, a un certo punto, le gambe avevano deciso di muoversi da sole, ignorando qualunque comando contrario proveniente dal suo cervello per percorrere indisturbate la strada secondaria fino al locale di Ukyo, fregandosene completamente delle disastrose conseguenze a cui sarebbe andata incontro? La verità è che moriva dalla voglia di vederlo e niente, in quel momento, pareva contare più di questo. Neppure il tifone, ormai sempre più vicino.
Idiota. Una completa e totale idiota, ecco cos’era. Che credeva, che sperava? Che le porte di quel dannato ristorante si sarebbero spalancate magicamente al suo passaggio, rivelandole la figura del ragazzo che amava più di sé stessa, il quale, guardandola con occhi colmi d’amore, le avrebbe dolcemente sussurrato…
«Che diavolo ci fai qui? Sei impazzita a uscire con questo tempo, stupida che non sei altro? Torna subito a casa e restaci!»
Un momento. Non era esattamente così che si era immaginata un loro possibile incontro fuori dall’ambiente scolastico. Quello però non sembrava un sogno. Lui le stava davvero di fronte e…sì, con nient’altro di meglio da fare che mettersi a insultarla. Villano.
«Non provare a darmi degli ordini, quello che faccio non ti riguarda!» replicò risentita e per tutta risposta si sentì afferrare per un polso, sussultando al contatto con quella pelle calda che, di colpo, risvegliò in lei una miriade di emozioni sopite davvero difficili da contenere e dominare, ora che le era così vicino da poterne percepire il profumo. Lo inalò senza pensare, beandosi della sensazione che questo le provocava. Sapeva di buono.
«Akane, noi due dobbiamo parlare. C’è una cosa molto importante che devi sapere.»
Il piccolo barattolo del gelato le sgusciò via di mano, rotolando a lungo sul marciapiede bagnato, ma non vi badò neppure.
La inchiodò con lo sguardo e per un attimo il tempo parve fermarsi, cullandola soavemente nel mare ipnotico e imperioso dei suoi occhi chiari che, se non fosse stata attenta e veloce a fuggire, voltando la testa dall’altra parte, avrebbero di certo segnato la sua rovina.
Che fai, Akane? Svegliati, maledizione!
«Lasciami» mormorò, con scarsa convinzione «non abbiamo proprio nulla da dirci.»
«Tu non capisci! Devi starmi a sentire, adesso…»
L’ennesima folata di vento lo costrinse a interrompersi, spingendo entrambi a lottare con fatica per tenersi in piedi ed evitare così di essere scaraventati in qualche angolo lontano della strada.
«Non possiamo restare qui!» lo sentì urlare, cercando di contrastare quella gelida e impetuosa corrente d’aria «Vieni dentro!»
Lasciò inerme che la conducesse al sicuro, tirandola verso di sé e a quel punto l’espressione sgomenta e atterrita della rivale in amore, con la quale si ritrovò, suo malgrado, a condividere lo stesso spazio catturò tutta la sua attenzione, mettendola subito in allarme. La vide tastarsi il pancione, il viso una maschera di dolore mentre una piccola pozza d’acqua si formava lentamente ai suoi piedi, lasciandola basita.
«Kamisama.» imprecò sottovoce, coprendosi la bocca con una mano e quando si voltò verso Ranma notò che gli era cascata la mascella.
«Ma che diavolo…»
«Credo che mi si siano appena…» cominciò Ukyo, senza tuttavia riuscire a proseguire.
«Rotte le acque.» la bella Tendo completò la frase per lei, avvicinandosi di qualche passo.
«Cosa? Pensavo se la fosse fatta addosso! Che cavolo significa che le si sono rotte le acque?» proruppe un Ranma sempre più confuso.
«Significa che sta per avere il bambino, razza di rimbambito! Non le leggi le riviste femminili?» esclamò senza potersi trattenere, sbuffando innervosita. Ah, ma che parlava a fare? Era un uomo. Cosa accidenti poteva capirne, lui, di certe cose? Poi, proprio mentre si accingeva a richiudere la porta, faticando per vincere il contrasto col vento, un’ombra familiare sbucata dal nulla gli fu subito addosso, scaraventando il giovane con la treccia contro la parete di fronte e facendola d’un tratto trasalire. Notò l’agile sagoma afferrarlo per il bavero della casacca, gridandogli a un centimetro dal viso, l’aria truce e minacciosa: «Dannato bastardo, ti ucciderò con le mie mani! Preparati a morire!»
«Ryoga! Ci mancavi solo tu, adesso. Vuoi toglierti di dosso, imbecille? Non è certo il momento più adatto per mettersi a combattere, questo!»
Ranma lo spinse lontano da sé con una ginocchiata ben assestata che rischiò di far perdere l’equilibrio al malcapitato. Fu allora che, alla vista di Ukyo e della piccola pozzanghera formatasi sul pavimento sotto di lei, la sua faccia divenne paonazza poco prima di stramazzare al suolo, lungo disteso sul parquet come un buffo animale non identificato. Se la situazione non fosse stata così tragica, sarebbe di certo scoppiata a ridere per questo. Non credeva che Ryoga fosse un tipo così impressionabile. Beh, di certo sembrava più sensibile di qualcuno di sua conoscenza. La voce di Ukyo la distrasse dai suoi pensieri, obbligandola a tornare coi piedi per terra solo per scontrarsi con la dura realtà.
«No. No. No. Ditemi che non è vero. Non posso partorire proprio ora e poi non è ancora il momento. Kami, come farò a raggiungere l’ospedale nel bel mezzo di un nubifragio del genere…»
E adesso?
Chiuse gli occhi per un attimo, facendo dei respiri profondi per provare a placare il proprio cuore, che ora sentiva battere come un tamburo impazzito. Stava per avere un attacco di panico, ne era sicura. Bloccata lì, in compagnia del ragazzo di cui era innamorata persa e della donna che stava per mettere al mondo suo figlio.
Voglio morire. Dei, prendetemi adesso.
Cominciò a sudare freddo. Come avrebbe potuto reggere tutta quella terribile tensione? Il respiro si fece affannoso. Perché accidenti le era venuto in mente di uscire di casa per comprare quello stupido gelato, che ora aveva anche perso fuori nella tempesta? Se solo avesse dato retta al padre che, poco prima di partire, appena qualche giorno addietro, si era prostrato ai suoi piedi con le lacrime agli occhi, raccomandandole caldamente di non muoversi da casa per nessuna ragione al mondo. Almeno fino al loro ritorno. Kasumi si era persino premurata di prepararle le provviste necessarie a provvedere al suo sostentamento per quei giorni. L’intera famiglia l’aveva pregata più volte di seguirli ma lei non era dell’umore adatto per affrontare un viaggio fino al villaggio di Okinawa, dove l’anziana madre del dottor Tofu li aveva invitati per trascorrere a casa sua qualche settimana. Akane però desiderava soltanto starsene rintanata in un cantuccio a consumare schifezze per un tempo abbastanza vicino all’eternità. E poi le era venuta voglia di un bel semifreddo ed ecco dove l’aveva condotta quella dannata golosità. Questo era ciò che si otteneva a dar retta allo stomaco. E anche al cuore. Comunque ormai era inutile continuare a piangere sul latte versato. Sapeva solo che c’era dentro fino al collo, tanto valeva tenere duro e raccogliere le forze. Lei era Akane Tendo, per la miseria! Sì, doveva essere forte, poteva farcela. Cuore e respiro si placarono lentamente. Riaprì gli occhi per incontrare quelli della giovane afflitta e singhiozzante di fronte a lei, prendendo tempestivamente una decisione.
Tu sei pazza.
Taci!
«Ok» disse, risoluta «Cerchiamo di non perdere la testa. Ranma, sposta Ryoga da lì e procurami dell’acqua calda. E anche degli asciugamani. Tanti asciugamani, tutti quelli che puoi. Qual è la stanza più sicura della casa?»
«Che vuoi fare?» chiese l’ex fidanzato, facendole alzare gli occhi al cielo.
«Beh, mi sembra ovvio! Tuo figlio sta per nascere, dobbiamo essere preparati.»
«A proposito di questo, c’è una cosa che devo assolutamente dirti…»
«Di qualunque cosa si tratti può certamente aspettare. Questo ha la priorità su tutto perciò, maledizione, rispondi alla domanda! Qual è la stanza più sicura della casa, non possiamo rischiare che ci cada un vetro addosso o altra roba simile!» lo incalzò, al limite della pazienza.
«La camera da letto» lo sentì rispondere, infine «ma è di sopra.»
«Non sono convinta di riuscire a fare le scale.» si intromise Ukyo, accasciandosi in preda alle prime contrazioni.
Per tutti i Kami, ci siamo. Non puoi farcela, questa cosa è più grande di te.
Silenzio, ho detto!
«Sta’ tranquilla» mormorò, prendendola sottobraccio e reprimendo a stento la voglia improvvisa di scoppiare in lacrime «Ecco, vieni, appoggiati a me.»
La guidò, cauta, verso le scale. Intorno a loro, i vetri delle finestre continuarono pericolosamente a tintinnare.
«Hai la minima idea di quello che stai facendo?» le sussurrò la cuoca, mentre raggiungevano il piano superiore.
«No. Per niente.»
«Grandioso. Sono fottuta, vero?»
«Ehi, guardami. Andrà tutto bene. Ranma?» chiamò poi a gran voce.
«Asciugamani e acqua calda. Adesso!» ordinò, senza guardarlo.
«Che intendi farci con gli asciugamani?»
A essere del tutto sincera non lo sapeva neppure lei, ma lo sentiva sempre dire nei vecchi film in bianco e nero che di tanto in tanto guardava insieme a Kasumi, quelli dove la gente partoriva ancora in casa. Poi però le telecamere si spostavano altrove, lasciando la risoluzione di quella complicata faccenda all’immaginazione dell’ignaro telespettatore. Poco male, a qualcosa sarebbero pur serviti. Sospirò con forza.
«Tu fallo e basta!» tagliò corto.
 
 
***
 
 
Riaprì lentamente gli occhi, battendo più volte le palpebre finché il volto che gli stava proprio davanti non raggiunse dei contorni sufficientemente nitidi da permettergli di riconoscerlo. Anche se quel maledetto ghigno che avrebbe voluto cancellare per sempre a suon di pugni era praticamente inconfondibile.
«Ben svegliato, P-Chan. Ti senti meglio, adesso? Non avevo idea fossi un tipo tanto suggestionabile da perdere i sensi di fronte a una donna incinta!»
Dannato sbruffone.
Scattò in piedi come una molla e in un attimo gli fu addosso.
«Ranma Saotome, come hai osato? Come ti sei permesso di fare una cosa del genere a Ukyo? Sei un maledetto porco!» lo aggredì, furioso, premendo con forza l’ingombrante, buffo ombrello che era solito usare come arma contro la gabbia toracica dell’eterno rivale, bloccandogli quasi il respiro.
«Senti chi parla!»
Fu ciò che ottenne in risposta mentre lo osservava dimenarsi come un serpente, facendo leva sulle braccia toniche e muscolose fino a spingerlo via da sé in un unico, fluido movimento che, anziché portarlo ad arrendersi, parve motivarlo ancora di più nell’intento di distruggerlo. L’odioso ghigno soddisfatto rimase immutato e questo lo fece schiumare di rabbia.
«Hai anche il coraggio di fare lo spiritoso? Adesso ci penso io a toglierti quel sorrisetto scemo dalla faccia, schifoso pervertito che non sei altro!» tuonò, tornando alla carica e gli ci volle tutta la potenza di cui era capace per resistere ai suoi continui attacchi. Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma amava lottare contro Ranma. La lodevole forza d’animo del fiero avversario, insieme all’indiscusso talento dimostrato nelle arti marziali parevano riempirlo di nuova energia, spingendolo ogni volta a dare il meglio di sé senza mai arrendersi. In quel momento, però, c’era anche ben altro a motivarlo. Come il travolgente istinto di protezione, scaturito da un dolce, tenero sentimento, schiusosi pur contro ogni logica all’interno del suo piccolo cuore di vetro, verso la bella regina delle okonomiyaki.  Quel viso angelico gli aveva rubato l’anima vestendola di nuove, inaspettate emozioni, trasformando pian piano la figura di Akane nell’eco indistinta di un ricordo sbiadito e lui non avrebbe mai permesso a nessuno, specie a un crudele maniaco di quel calibro, di farle del male. La collera tornò a bruciargli le vene, consumandolo dall’interno.
«Vuoi darti una calmata, razza di demente?»
«Come pensi che possa calmarmi dopo l’orribile nefandezza di cui ti sei macchiato, spregevole canaglia? Ti sei approfittato della candida ingenuità di una povera ragazza sola e indifesa, mettendole in grembo un figlio!»
«Sei stato tu a farlo, non io.»
Un angolo della bocca si piegò in una smorfia di disprezzo. A chi diamine credeva di darla a bere?
«Smettila di raccontare cazzate e combatti da uomo, infame!» grugnì, preparandosi a sferrare il prossimo assalto, il volto trasfigurato dalla tensione.
«Sto dicendo la verità» insistette l’altro «So tutto, Ryoga. Ukyo mi ha parlato della vostra breve relazione e di come abbia abilmente rigirato le cose in suo favore, quando ha scoperto di essere in stato interessante. Non sono io il padre del bambino che sta per nascere. Sei tu.»
Il pugno si bloccò a mezz’aria.
«Stai dicendo…stai dicendo che si tratta di mio figlio?» balbettò, facendosi di mille colori. Vide il rivale sollevare le spalle.
«A quanto pare sei l’unico con cui sia mai stata. Non è successo nulla tra me e lei, ha soltanto fatto in modo che credessi il contrario per incastrarmi.»
A quel punto, fu come se il suo cervello esplodesse d’un tratto in milioni di piccoli pezzi di un puzzle ormai praticamente impossibile da ricomporre.
«Perché lo avrebbe fatto? Perché mi avrebbe nascosto una cosa del genere?»
«Il motivo è presto detto. Sostiene di non voler avere nulla a che fare con te, ma sai che c’è? Io non le credo e so che non ci crede neppure lei.»
L’eterno disperso barcollò sul posto per una frazione di secondo, lanciando un’occhiata di traverso alle proprie gambe per sincerarsi che nel frattempo non avessero preso la consistenza della gelatina. Suo figlio. Quello che Ukyo stava per mettere al mondo era…suo figlio. Il suo erede. Si sentì tremare da capo a piedi e, d’un tratto ebbro di felicità, si accorse a malapena delle mani di Ranma che gli stringevano le spalle.
«Ryoga, devi raggiungerla. Va’ di sopra. Ha bisogno di te, adesso.»
 
 
***
 
Non seppe dire con certezza quanto tempo fosse trascorso da quando aveva raggiunto la spaziosa camera insieme a Ukyo, forse cinque minuti, oppure sei ore. Strinse i pugni fino a farsi sbiancare le nocche, osservandola con crescente apprensione mentre si contorceva dal dolore distesa sul futon, lo stesso che probabilmente divideva con Ranma. Li immaginò fare l’amore tra quelle candide lenzuola e una violenta stretta allo stomaco le mozzò il respiro, pretendendo impudicamente di spingere fuori le sue lacrime. Scosse la testa più volte, sforzandosi di tornare padrona di se stessa e delle proprie emozioni. Quello non era di sicuro il momento più adatto per pensare a certe cose. I vetri delle finestre continuavano a tintinnare e la corrente continuava ad abbassarsi, minacciando di abbandonarle da un momento all’altro. Ancora un po’ e sarebbero rimaste al buio. Accidenti.
«Hai per caso delle candele, oppure una torcia?» chiese speranzosa.
«Torcia. Laggiù. Primo cassetto a destra.»
La vide indicarle col dito un vecchio mobilio che con molta probabilità aveva avuto giorni migliori e quando fece per raggiungerlo sentì la sua mano afferrare la propria con forza crescente, quasi rappresentasse per lei l’unica ancora di salvezza cui aggrapparsi.
«Ti prego, non andartene.» la supplicò. Akane le sorrise, tamponandole la fronte con delicatezza per asciugarle il sudore. Sembrava piccola e indifesa come mai prima, tanto da farle tenerezza.
«Non ne ho nessuna intenzione» rispose «non preoccuparti. Lascia solo che prenda ciò che ci occorre e tornerò subito da te. Dobbiamo prepararci per ogni evenienza, la luce potrebbe andar via all’improvviso.»
«No. No, per favore» insistette «non allontanarti. Resta con me. Ho tanta paura.»
La minore delle sorelle Tendo le sfiorò il pancione, coperto ora da una veste leggera con una lieve carezza e qualcosa lì dentro si mosse impercettibilmente, facendola sussultare. Che strana sensazione. Chissà come ci si sentiva a custodire all’interno del proprio corpo una nuova, minuscola vita che presto avrebbe visto il sole. Era come un miracolo. Cavolo, si era presa una responsabilità enorme. Anche lei stava morendo di paura, ma si guardò bene dal dirglielo. Peggiorare le cose, a quel punto, sarebbe stato controproducente per entrambe. Ciò che doveva fare era trasmetterle sicurezza.
«Tranquilla, è tutto a posto. Andrà tutto benissimo, te lo prometto.»
Si sciolse dolcemente ma con fermezza dalla sua stretta, recuperando la torcia dal cassetto per tornare subito ai suoi piedi. Cos’è che avrebbe dovuto fare, esattamente? Non ne aveva idea, maledizione, ma non smise un attimo di invocare i Kami affinché le cose si svolgessero nel migliore dei modi. Forse bastava solo aspettare.
«Come fai a esserne sicura? Non sai niente di bambini, non sei un medico e neppure una levatrice!»
Il tono brusco appena usato dalla bella cuoca la colse in contropiede, infastidendola non poco.
«Non sarò propriamente un’esperta» ribatté, piccata «tuttavia sono l’unica che in questo momento possa darti una mano, perciò adesso vedi di chiudere quel becco parlante e lascia che ti assista!»
Ukyo ammutolì di colpo e l’espressione infelice che lesse sul suo volto sofferente la fece pentire all’istante di non aver scelto con maggiore cura le parole da usare.
«Scusa» si riprese in fretta «non volevo. Senti, prova solo a rilassarti e fare qualche respiro profondo. Respira con me, ok?»
«Come credi che riesca a rilassarmi in una situazione del genere?»
Il lampadario oscillò pericolosamente sopra le loro teste.
«Cos’è stato?»
La sentì piagnucolare, allarmata.
«Niente.» provò a rassicurarla, anche se la sua voce tremava «Credo che tu abbia bisogno di concentrarti su qualcosa…ci sono! Parlami. Raccontami del bambino. Conosci già il sesso?»
«È un maschio.»
«E come lo chiamerai? Tu e Ranma avete scelto il nome da dargli?»
L’ironia di quella paradossale condizione non le sfuggì di certo. Stava davvero portando avanti un’amabile conversazione con la donna che presto avrebbe messo al mondo il figlio del ragazzo che amava con tutte le forze?
«Kenji. Mi piacerebbe chiamarlo Kenji, come mio padreeeeee! Aaaaaaahhhh!»
Probabilmente in preda a un’altra, violenta contrazione tornò a stringerle la mano, talmente forte stavolta da rischiare quasi di stritolargliela.
Porca miseria, che male!
«È…davvero un bel nome» asserì stupidamente, non sapendo cos’altro dire.
«Non ce la faccio, Akane.» gridò.
«Sì che ce la fai.»
«No, non posso. È terribile, fa troppo male.»
Afferrò saldamente le tue dita.
«Lo so.»
«Tu non sai proprio niente, mia cara. Non hai la benché minima idea di cosa si provi ad avere in grembo una specie di alieno che cerca di strapparti le viscere dall’interno
 per uscire!»
Oh, santa pazienza!
«Quello che intendevo dire è che puoi farcela Ukyo, perché sei la persona più forte che conosca e questo lo sai bene anche tu.»
«Non è vero.»
«Certo che è vero. Andrà tutto bene.»
«Non fai che ripeterlo.»
Sospirò, frustrata.
«Perché è la verità.»
«Non lasciare la mia mano» gemette, ansimando «Resta con me.»
«Sono qui, non vado da nessuna parte. Ce la faremo, vedrai. Insieme ce la faremo.»
«Fa male da morire, cazzooooo!»
Altro urlo di dolore. Kamisama, stava per sentirsi male anche lei.
«Akane?» boccheggiò.
«Sì?»
«Il bambino. Il bambino non è…» si interruppe bruscamente, respirando a fatica. Poteva comprendere la sua agitazione.
«Lui starà benissimo» disse «vedrai, non devi essere preoccupata.»
«No, tu non capisci. Non è…»
«Che cosa, Ukyo? Cos’è che stai cercando di dirmi?»
«Il bambino…non è…di Ranma.»
Per un attimo rimase pietrificata.
«D…Di cosa stai parlando?» farfugliò con gli occhi lucidi e il corpo in tensione. No, non era possibile. Di sicuro sragionava per via del dolore. Se si fosse trovata in ospedale le avrebbero di certo somministrato qualcosa per calmarla. Forse doveva darle un…analgesico? E se avesse fatto del male al piccolo? Cosa poteva fare per…
«L’ho ingannato» proseguì «vi ho ingannati tutti quanti. Volevo Ranma solo per me, avrei fatto qualunque cosa per dividervi. Sapevo quanto ti amasse e quanto tu amassi lui, ma non mi sono fermata davanti a niente. Così gli ho mentito, raccontandogli un mucchio di bugie. Devi sapere però che tra noi non c’è mai stato niente. Non siamo stati a letto insieme, ho messo semplicemente in piedi un’orribile farsa e per questo chiedo scusa anche a te. E ora, se vuoi andartene, lo capirò.»
Per un tempo che sembrò interminabile, Akane non riuscì a proferire parola mentre dentro di lei le emozioni si susseguivano come impazzite, scontrandosi tra loro e travolgendola come uno tsunami finché non le venne voglia di piangere. Ma di gioia. Ukyo non era incinta di Ranma. Il figlio che aspettava non era suo, non era dell’uomo che con tutta la disperazione possibile stava cercando di dimenticare, versando calde lacrime abbracciata al cuscino, così come faceva tutte le notti. Avrebbe voluto mettersi a saltare e urlare, urlare fino a lacerarsi i polmoni che lui era libero. Che LEI era libera. Libera di amarlo, senza più costringersi a rinunciare ai propri sentimenti. Libera di ricominciare finalmente a respirare e…
Un. Momento.
Questo significava che Ukyo si era divertita a giocare con le loro vite. Aveva letteralmente stravolto l’esistenza dell’ex fidanzato, obbligandolo a prendersi delle responsabilità che di certo non aveva e per questo facendolo soffrire come non meritava. Percepì la rabbia prendere via via il sopravvento, montandole dentro come lava bollente, ma non poteva permetterlo. Non adesso. Non con quello che c’era in ballo. Farsi sopraffare dalle emozioni in un frangente simile sarebbe stato totalmente inutile, oltre che devastante. E non solo per lei. Il bambino, quella piccola vita che con tanta fretta spingeva per vedere la luce, non aveva alcuna colpa. Il male fatto dalla madre non doveva ricadere su di lui. non era giusto.
«Dove diavolo vuoi che vada con quello che sta succedendo là fuori? Nessuno può entrare o uscire di qui, perciò concentrati e facciamo nascere tuo figlio.» disse così, ritrovando di colpo tutta la determinazione e il coraggio che l’avevano sempre contraddistinta e di cui andava tanto fiera. Non si sarebbe più lasciata spaventare né piegare dagli eventi. Doveva restare lucida. Vide la rivale annuire nella sua direzione quando si posizionò ai piedi del futon, afferrandole saldamente le gambe.
«Di chi è questo bambino?» chiese, scrutandola con sguardo severo «Chi è il padre?»
«Sono io il padre.»
Si voltò verso la voce, dal tono tanto familiare, restando a bocca aperta quando vide l’amico avanzare lentamente verso di loro fino a chinarsi sulla ragazza distesa, che intanto lo fissava esterrefatta.
«Ryoga, tu…»
«Sono qui, cara, sono qui per restare perché, ora che finalmente conosco la verità, non vi lascerò mai più.» mormorò, sfiorandole la fronte con un bacio e guardandola con infinito affetto mentre stringeva le sue mani tra le proprie, facendola sorridere fra le lacrime prima di sentirla urlare di nuovo, sfinita e preda dell’ennesima contrazione in arrivo.
Ryoga? Sul serio lui era…
Ok, meglio non lasciarsi distrarre.
«Vedo la testa. Ancora qualche spinta e ci siamo. Coraggio, Ukyo!» esclamò entusiasta e l’altra obbedì, assecondando il proprio corpo in un ultimo, disperato grido di dolore che coprì persino il boato di un tuono, riecheggiando per l’intera stanza insieme al primo, meraviglioso vagito di suo figlio, ora finalmente tra loro. Era nato. Ce l’aveva fatta.
«Sì, eccoti qui.» bisbigliò Akane, commossa, avvolgendo con delicatezza il minuscolo corpicino rugoso in un morbido asciugamano per affrettarsi a deporlo nelle braccia dei neo-genitori, che lo guardavano intanto con un sorriso estatico dipinto su quei volti raggianti di felicità. A quel punto, in preda a un’incontenibile scarica di adrenalina lasciò la stanza e scese le scale di corsa, ansiosa di raggiungere il piano inferiore e l’uomo di cui era pazzamente, irrimediabilmente innamorata nel più breve tempo possibile. Non avrebbe trascorso un altro minuto lontano da lui. Ben presto annullò la distanza che li separava e senza neppure dargli il tempo di capire gli gettò le braccia al collo, baciandolo con trasporto. Lo sentì, qualche istante dopo rilassarsi pian piano contro di lei, ricambiando quel bacio con uguale intensità prima che le mani grandi scivolassero sulla sua schiena, accarezzandola ritmicamente fino a procurarle piccoli brividi di piacere lungo il resto del corpo mentre la stringeva forte a sé, come se non volesse più lasciarla andare. Quello era il loro primo, vero bacio.
«Ti amo. Ti amo. Ti amo.» sussurrò sulle sue labbra socchiuse, incapace di smettere di sfiorarle e stuzzicarle con le proprie. Erano così morbide e invitanti da farle venir voglia di continuare per sempre.
«Lo so.»
«Mi dispiace di non avertelo confessato prima, mi dispiace tanto…Un secondo. Cos’è che hai detto?»
«Ho detto che lo so già.»
Vide il suo sorriso allargarsi lentamente. Lo fissò, confusa.
«Come…Come fai a…»
«Ho letto la tua lettera.»
Le guance si tinsero di rosa.
«La mia…hai la mia lettera? Credevo fosse andata persa. Come puoi avercela tu?»
«L’ho trovata per caso tra le cose di Ukyo» spiegò il giovane «l’aveva nascosta affinché non la notassi.»
Ecco cos’era accaduto. L’aveva rubata lei. Anche questo era stata capace di fare? No, non voleva pensarci. Non in quel momento. Quella questione poteva anche aspettare.
«Il bambino è nato. Ranma, non è tuo figlio.»
«So anche questo. Volevo dirtelo, prima, ma non mi lasciavi parlare.»
«Davvero?»
«L’ho scoperto stasera, insieme alla lettera che mi hai scritto. Io e Ukyo abbiamo parlato a lungo, mi ha spiegato tutto.»
Il suo respiro accelerò, il cuore perse un battito. Tutta la forza raccolta fino a quel momento si sciolse teneramente in pianto. Troppe informazioni e troppe emozioni insieme. Si sentiva…eccitata. E spaventata. Talmente confusa e stordita da temere che la testa potesse esploderle da un momento all’altro come una cascata di scintille, inoltre…Ma certo! Kami, come poteva averlo scordato?
«Un’ambulanza!» gemette, in lacrime «Devo chiamare subito un’ambulanza! È meglio che Ukyo e il bambino vengano visitati al più presto, per essere sicuri che sia tutto a posto…»
«L’ho chiamata io» la informò l’ex fidanzato «la tempesta è finita, ci raggiungerà a breve.»
Lanciò una rapida occhiata fuori dalla finestra. Era già l’alba e sembrava ormai tutto tranquillo tra quelle strade deserte. Che sollievo. Cominciò a singhiozzare senza controllo e Ranma le prese il viso fra le mani, permettendole di specchiarsi di nuovo in quei profondi laghi azzurri che erano i suoi occhi e che adesso la guardavano con tanto amore e apprensione insieme.
«Calmati, adesso» disse piano «smetti di agitarti in questo modo o finirai per star male.»
«Non posso! Io non so…Non so cosa…»
Sentì le labbra calde posarsi sulle proprie per sfiorarle una, due, tre volte, dolci e leggere come una carezza che lenta e gentile parve quasi attraversarle anche il cuore, placando finalmente la sua pena.
«Sei stata molto coraggiosa, sai? Sono tanto orgoglioso di te.»
Asciugò le lacrime che le rigavano le guance infuocate e un sorriso timido distese ben presto quei lineamenti da bambina, illuminandola di nuova luce.
«Non sapevo neppure cosa stessi facendo.» obiettò, tirando su col naso.
«Però lo hai fatto ugualmente. Hai preso in mano la situazione con una forza d’animo e una determinazione davvero fuori dal comune. Nonostante tutte le difficoltà del caso non ti sei tirata indietro e questo ti rende…meravigliosa. E speciale. E io sento di amarti ancora di più, adesso.»
Lo abbracciò travolta dall’emozione.
«Ti amo anch’io, ti amo tantissimo. Ora lo so. Perdonami per averti fatto soffrire, sono stata odiosa nei tuoi confronti e non lo meritavi.»
Gli fece una carezza sulla guancia, percorrendo a lungo con le dita i contorni del suo bel viso e facendolo pian piano sorridere. Quanto le era mancato.
 
***
Bussò timidamente alla porta, trattenendo il respiro e dopo un breve attimo di esitazione abbassò la maniglia, trovando infine il coraggio di entrare. La camera, comoda e accogliente, era immersa nella penombra.
«L’infermiera ha detto che potevo vederti, così…eccomi qui.» farfugliò, nervoso, spostando il peso del corpo da un piede all’altro come se questo potesse dargli la forza per proseguire, ma non gli venne in mente nient’altro da aggiungere e allora sospirò con forza, lasciando che i suoi passi riecheggiassero sul pavimento di marmo tirato a lucido prima di raggiungerla. Quando lei gli sorrise il cuore prese a battergli tanto furiosamente nel petto che per un attimo temette potesse sentirlo, ma si tranquillizzò subito quando la vide stendere un braccio nella sua direzione, invitandolo ad avvicinarsi di più. Prese posto di fianco al letto, stringendole la mano.
«Come ti senti?» chiese, cauto. Per tutti i Kami, anche esausta e scarmigliata era talmente bella da assomigliare a un angelo disceso dal cielo. Il suo dolce, meraviglioso angelo.
«Come se mi avesse investito un camion» gli rispose, socchiudendo gli occhi «ma a parte questo sto bene, sembra tutto a posto. Così dicono gli esami a cui ci hanno sottoposti entrambi.»
La vide lanciare un’occhiata in direzione della culla vicina e il viso si addolcì in un tenero sorriso che lo colpì direttamente al plesso solare, rivestendolo di calde emozioni mai provate prima.
«È un sollievo.» disse, chinandosi sul lettino per sfiorare con delicatezza il viso paffuto del piccolo, seguendone con un dito il morbido profilo. Era così…perfetto. Non gli riusciva di smettere di guardarlo e ogni suo impercettibile movimento lo riempiva di infinita tenerezza. Era questo che significava diventare genitore? Provare quel costante e piacevole tepore nel cuore, quel senso di protezione verso una creatura tanto minuscola che sentiva di amare già con ogni fibra del proprio essere? D’ora in poi avrebbero camminato insieme e lo avrebbe aiutato a crescere, insegnandogli tante cose e imparandone altrettante, finché non fosse diventato abbastanza grande per proseguire da solo. Ma c’era ancora tempo per quello. Sì, avevano tutto il tempo del mondo e non vedeva l’ora di iniziare a vivere la nuova vita che li attendeva. Lui, l’eterno disperso, da sempre senza fissa dimora, sentiva finalmente di appartenere a qualcosa. A qualcuno. Ora, non era più solo.
«Kenji. Sembra proprio un nome adatto a lui. Mi sarebbe tanto piaciuto se lo avessimo deciso insieme.»
Lo prese fra le braccia, stando bene attento a sostenergli la piccola testa mentre incontrava i suoi occhietti che sembravano scrutarlo già con aria attenta, commuovendosi fino alle lacrime.
«Ehi, ciao.» mormorò, battendo le palpebre un po’ più in fretta del normale, poi  sedette accanto a Ukyo, che prese ad accarezzare a lungo quelle mani piccine strette a pugno.
«Eccolo il mio tesoro, in braccio al suo papà.»
«È bellissimo. Lo abbiamo fatto insieme.»
Si specchiarono l’uno negli occhi dell’altra, annuendo allo stesso tempo.
«Ti somiglia tanto, Ryoga. Ha il tuo stesso sguardo. Spero non abbia ereditato anche il tuo pessimo senso dell’orientamento, sarebbe un bel guaio ora che ci penso.»
Sorrise alla battuta e inaspettatamente sentì la mano della giovane mamma sfiorargli dolcemente i capelli. Quel semplice gesto lo fece quasi svenire per l’emozione.
«Pensare di estrometterti dalla vita di nostro figlio è stato il più grande errore che potessi commettere e mi dispiace, mi dispiace immensamente per come sono andate le cose. Non ho fatto che trattarti male, ferendoti di proposito solo per costringerti ad allontanarti. Potrai mai perdonarmi per tutto il dolore che ti ho causato?»
Scosse la testa con decisione.
«Non c’è niente che io debba perdonarti, ma devi sapere una cosa: Non ti libererai di me così facilmente perché, d’ora in poi, mi impegnerò al massimo per rimanerti tra i piedi ancora per molto tempo. Credi di riuscire a sopportarlo?»
«Non chiedo di meglio.»
Fu ciò che ottenne in risposta e quando si sentì scoccare un bacio sulle labbra arrossì come un pomodoro pachino, facendola scoppiare a ridere. Anche se la strada per la conquista del suo cuore era ancora lunga, sapeva che col tempo Ukyo avrebbe imparato ad amarlo e quello rappresentava già un buon inizio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9
 
«Ti aspetterò dove tutto è cominciato. Con amore, Akane.» lesse ad alta voce non appena la vide entrare, bellissima nei suoi capelli ancora umidi e con solo un asciugamano addosso a nascondere le generose forme che madre natura le aveva regalato, a dispetto degli affettuosi epiteti con cui era solito apostrofarla per farla arrabbiare. Adorava come, ogni volta che la punzecchiava, il suo bel viso assumesse quella buffa espressione offesa e delle tenere fossette, tutte da baciare, si formassero ai lati della sua bocca morbida e ben disegnata, facendogli perdere la testa. Come aveva fatto a vivere senza di lei per tutti quei mesi?
«Smettila di continuare a rileggere quella lettera. È…imbarazzante.» replicò senza avere il coraggio di guardarlo, facendolo sorridere mentre si rialzava dal letto con uno scatto per muovere qualche passo verso l’oggetto dei propri desideri. Era così sexy quando arrossiva. Chissà se se ne rendeva conto.
«È bellissima. Non ti credevo capace di tanta sensibilità, maschiaccio.» la stuzzicò giocosamente, beccandosi, per tutta risposta, un pugno sul petto che lo fece imprecare dal dolore. Cavolo.
«Ovvio che sono sensibile, brutto zotico. Con chi credi di avere a che fare, si può sapere?»
«Ehi, guarda che non serve scaldarsi in questo modo! Ti stavo facendo un complimento.»
Gli lanciò un’occhiataccia che per un attimo gli fece temere di finire dritto in orbita con un altro pugno ben assestato. Akane però si limitò a incrociare le braccia e piegare le labbra in una smorfia infastidita che lo fece sciogliere all’istante. Kami, perché era così dannatamente bella anche quando si infuriava?
«Ah, sì? Da quando in qua darmi del maschiaccio sarebbe un complimento?»
«Ti chiamo così perché SEI un maschiaccio, ammettilo e basta invece di fare tutte queste sceneggiate.»
L’abbracciò per evitare di essere nuovamente colpito, ridacchiando sotto i baffi.
«Ti odio.» disse lei, imbronciata, ma arrossì ancora di più quando le sollevò il mento, costringendola a guardarlo negli occhi.
«Ti amo.» rispose, depositandole un piccolo bacio sulla punta del naso.
«Era qui che intendevi?» aggiunse poi, più serio.
«Cosa?»
«Nella lettera. Intendevi che mi avresti aspettato nella tua stanza, giusto? Perché è qui che tutto è cominciato.»
La vide annuire brevemente e la sua espressione si addolcì.
«Sì.» mormorò «Dove abbiamo fatto l’amore per la prima volta. Te lo ricordi?»
Si guardò intorno. Tutto, tra quelle mura rassicuranti, era rimasto esattamente com’era.
«Come potrei dimenticarlo. Un attimo prima stavamo litigando…»
«E quello dopo ci stavamo quasi strappando i vestiti di dosso.» completò la frase per lui.
«Già. A proposito, che ne dici se adesso togliamo di mezzo questo fastidioso asciugamano che mi impedisce di ammirare il tuo corpo stupendo come vorrei?» propose, invitante, afferrandole i fianchi per mordicchiarle delicatamente il lobo di un orecchio, facendola ridacchiare mentre le sue labbra scendevano a percorrerle il viso con una scia di piccoli baci morbidi. Il telefono prese a squillare con insistenza dall’altro lato della casa ma lui, impegnato com’era nella lenta esplorazione di quelle tenere guance fiordilatte, non vi badò neppure. La giovane Tendo si irrigidì tra le sue braccia.
«Ranma, dovrei andare a rispondere.» protestò, pur senza troppa convinzione.
«Mmm…lascialo squillare.» bofonchiò, succhiandole il mento. Niente interruzioni. Aveva appena cominciato.
«Ma potrebbe essere importante!»
La sentì insistere, lottando inutilmente per sciogliersi dal suo abbraccio.
«Uffa! E va bene.» sbuffò, lasciandola andare. D’un tratto libera da quella presa d’acciaio sgattaiolò verso il corridoio e non gli restò che seguirla, mogio, guardandola, una volta raggiunta, sollevare lentamente il ricevitore.
«Pronto? Oh, ciao papà.»
Perché rimanersene lì, buono a fissarla con le mani in mano, quando avrebbe di certo potuto impiegarle, nel frattempo, in qualcosa di molto più costruttivo? L’afferrò quindi da dietro, facendola sussultare prima di avventarsi alla conquista del collo candido della fidanzata, riprendendo così la sua instancabile tortura su quella pelle di seta. La baciò a lungo, lambendola di tanto in tanto con il tocco gentile della lingua ma, anziché farla sciogliere tra le proprie mani, ottenne esattamente l’effetto contrario. Akane si irrigidì di nuovo, voltandosi inviperita verso di lui.
“Smettila” mimò col solo movimento delle labbra, ma non bastò uno sguardo glaciale a scoraggiarlo, poiché il ragazzo col codino proseguì nell’impresa, scivolando verso il color alabastro delle sue spalle nude.
«Certo che sto bene, non preoccuparti. Sì, la tempesta è finita e sono sana e salva, perciò non agitarti più. Ok?»
Le sfiorò piano, alternando abilmente baci e carezze fino a provocarle dei brividi da pelle d’oca che la fecero ridacchiare, imbarazzata, quando tentò con scarsi risultati di scacciarlo via da sé, esibendosi in una serie di buffi gesti che lo spingevano a tornare alla carica ogni volta sempre più motivato. Del resto, le sfide rappresentavano il suo pane quotidiano.
«Beh, una parte del tetto della palestra è crollato ma sta’ tranquillo, chiamerò qualcuno per…per riparare i danni.»
Si lasciò sfuggire un gemito quando le dita di Ranma si insinuarono sotto l’asciugamano di spugna, accarezzandola sempre più intimamente fino a farle cedere le ginocchia. L’afferrò saldamente per evitare che cadesse, continuando a riempirle il collo e la nuca di baci umidi.
«No, sto…benissimo, te l’ho detto. Credo di essere solo un po’ stanca, ma non c’è…Ah! Proprio niente che non vada.»
Le mani le percorsero le natiche e la sentì spingersi di più contro di lui, lottando – poteva chiaramente percepirlo – per mantenere il controllo ancora per un po’. Anche se stava per cedere e lo sapeva bene. La voce e le gambe le tremavano ora in maniera incontrollabile.
«Devo andare, adesso. Salutami tutti e non preoccuparti per me. Io sto…starò alla grande, davvero. A presto.»
Mise giù la cornetta come se volesse spaccare il telefono, poi, rossa in viso, cominciò a inveirgli contro.
«Ma che cavolo, Ranma! Sei impazzito, per caso? Farmi certe cose mentre sono al telefono con mio padre, razza di maniaco che non sei altro!»
«Mi piaceva il modo in cui stavi gemendo. Ti prego, continua.»
«Stupido!» gridò, ormai paonazza. L’attirò a sé, divertito.
«Scusa, ma quando ti sono vicino non riesco proprio a controllarmi. Sul serio, non so cosa mi succeda. Che cosa mi hai fatto Akane Tendo, una specie di incantesimo per caso?»
La baciò sulle labbra e lei scoppiò a ridere.
«Che scemo che sei!»
«Ma sì, devi avermi stregato, non c’è altra spiegazione. Non riesco a smettere di baciarti, non riesco a smettere di pensare a te nemmeno per un istante. È sempre stato così, fin da quando ci siamo conosciuti.»
Questo le fece sgranare gli occhi.
«Ma se non facevamo che litigare!» osservò, ironica. Le accarezzò una guancia col dorso della mano.
«La colpa era tua, non certo mia.»
«Di che diavolo stai parlando?»
«Di quanto tu sia fastidiosamente attaccabrighe.»
Si chinò a sfiorarle con le labbra un angolo della bocca.
«Oltre che indisponente.»
Scese verso il collo, percorrendolo con la lingua in tutta la sua lunghezza fino a farla fremere tra le proprie, forti braccia.
«Testarda.»
Baciò e mordicchiò una clavicola, raggiungendo ben presto la morbida curva della spalla e avvertendo il suo respiro farsi più pesante.
«Antipatica.»
Continuò a sciorinare, apostrofandola coi peggiori epiteti che gli vennero in mente mentre scivolava più in basso, ansioso di assaporare ancora la pelle calda e profumata della donna che amava con tutta l’anima, lasciandola tendersi piano a ogni tocco, a ogni carezza che via via le regalava.
«Manesca e…»
«Ranma Saotome» lo incalzò, fingendosi mortalmente offesa «se stai cercando di convincermi a fare sesso con te, non credo che continuare a insultarmi in questo modo sia la strada giusta.»
La sollevò di peso, appoggiandola sul piccolo mobile che accoglieva il telefono e rischiando quasi di buttarlo giù quando si sistemò tra le sue gambe, che prese ad accarezzare con movimenti lenti fin sotto l’asciugamano. Kami, non vedeva l’ora di strapparglielo finalmente di dosso, ma non voleva apparire agli occhi di Akane come una specie di bruto totalmente incapace di qualsiasi controllo sulle proprie pulsioni, così preferì andarci piano. Fece un respiro profondo, tentando di placare la danza impazzita del suo cuore e di quel…qualcos’altro che si agitava già da un po’ dentro ai pantaloni, rischiando di fargli perdere la testa.
«E adesso che ne dici, sono abbastanza convincente?» disse, guardandola sornione.
«Beh, non saprei, magari possiamo fare ancora qualcosa.»
Gli sollevò la maglietta, aiutandolo a sfilarsela e prendendo a disegnare con le dita piccoli cerchi immaginari sui pettorali scolpiti da anni di intensi allenamenti, facendolo bruciare di desiderio. Kami, tutta quella tensione sessuale stava per mandarlo ai matti.
«Ecco, così va decisamente meglio.»
Scostò pian piano la morbida stoffa del telo da bagno dalla sua pelle, lasciando che le scivolasse lungo i fianchi flessuosi prima di fermarsi, rapito a contemplarne il corpo, le cui forme, ormai meravigliosamente esposte, parevano tanto assomigliare a un’opera d’arte di inestimabile valore. Era bella da togliere il fiato. Da quel momento i baci si fecero via via più urgenti e appassionati e le mani ansiose di esplorarsi a vicenda in carezze sempre più audaci, mentre il mondo intorno a loro parve fermarsi per un attimo, riducendosi allo spazio di quella camera immersa nella penombra e a quell’intreccio di dita, bocche e lingue affamate che si cercavano senza sosta.
«Mi sei mancata da morire, Akane.»
«Anche tu a me, moltissimo. Mi sembrava di impazzire senza di te.»
«Ti voglio così tanto che non credo riuscirò a resistere ancora a lungo.»
Si sussurrarono a vicenda, tra un bacio e l’altro. Ranma si strusciò contro di lei, facendole chiaramente intendere quanto la desiderasse e quando incontrò i suoi occhi ardenti, avendo quasi l’impressione di annegare in un mare di cioccolato liquido, capì che il tempo di giocare era finito per entrambi. Sentì le mani della giovane Tendo accarezzarlo attraverso la stoffa e un ringhio roco risalì la sua gola, facendosi più intenso nel momento in cui prese a sbottonargli i pantaloni con movimenti febbrili, ma si impicciò così tanto coi bottoni da non riuscire più a sfilarglieli di dosso. Risero entrambi. Solo lei poteva essere tanto adorabilmente imbranata da bloccarsi anche in un frangente come quello.
«Aspetta, lascia fare a me.»
Fece un passo indietro, riuscendo finalmente a toglierli e a quel punto anche i boxer volarono via prima ancora che avesse il tempo di accorgersene mentre Akane lo attirava a sé, incollandosi al suo corpo.
«Sbrigati.» bisbigliò con impazienza, leccandogli le labbra. Il tono perentorio in cui lo disse lo eccitò talmente tanto che non attese oltre e scivolò in lei con un’unica spinta che la fece gemere forte contro la sua bocca, prima di riprendere a baciarla con trasporto, dimenticandosi completamente di usare precauzioni. L’afferrò per le natiche, aumentando via via il ritmo e raccogliendo con la lingua ogni suo sospiro di piacere, portandola in breve tempo a gridare il suo nome nell’attimo in cui, aggrappandosi a quelle spalle possenti, raggiunse il culmine. Lui la seguì poco dopo, riversandosi dentro di lei in un ultimo affondo deciso. Fu solo allora che, finalmente, realizzò.
«Akane, mi dispiace. Io non…»
«Va tutto bene» lo interruppe, ansante «È anche colpa mia. Non ci ho pensato.»
Sospirò con forza, perdendosi ad accarezzarle i capelli che le ricadevano, disordinati, sul viso ancora accaldato.
«Amore, scusami.» disse sinceramente.
«Non scusarti. È stato meraviglioso.»
Annuì con convinzione e attirandole la testa verso il proprio petto lasciò che i loro respiri si placassero, tornando lentamente regolari. L’amplesso era stato talmente intenso da sconvolgerlo, tanto che il cuore non smise di battergli forte ancora per un bel po’. La guardò, languidamente accoccolata contro di lui, le lunghe gambe ancorate alla sua vita. Chissà se valeva anche per lei.
«Ascolta, quanto tempo staranno via gli altri?» chiese, non appena fu di nuovo in grado di parlare. La vide sollevare la testa per incrociare il suo sguardo, d’un tratto curiosa.
«Perché?»
«Beh» aggiunse, con un sorrisetto malizioso «sai, viste le premesse, non mi dispiacerebbe affatto dedicarmi a esplorare ogni angolo di questa casa insieme a te.»
L’arrivo improvviso di una violenta pacca sul sedere lo fece sussultare, spegnendo di colpo ogni possibile entusiasmo.
«Che male! Ma che problemi hai?»
«Pervertito!»
Rise, nascondendo il viso tra i suoi capelli e inspirandone forte il dolce profumo. Sapevano di buono. Sapevano di casa. Come tutto di lei, perché solo fra le sue braccia si sentiva veramente al sicuro. Akane era il morbido giaciglio su cui riposare quando perdeva sé stesso. Akane era la sua dimora segreta, il luogo tranquillo dove ogni pena, ogni dolore svanivano come per incanto, rendendolo libero. Sì, Akane era libertà e amore, tenerezza e passione. Una violenta tempesta ma anche un mare calmo in cui navigare, dove il cuore trovava finalmente ristoro. Quell’uragano spettinato gli aveva insegnato che le arti marziali non erano tutto, che c’era ben altro nella vita per cui valesse la pena lottare. Respirare. Esistere. La strinse di più, posandole un bacio leggero sulla spalla.
«Credi di potermi concedere un secondo round, anche se sono un pervertito?» disse, accarezzandole i fianchi.
«Mmm…vedremo. Intanto portami subito a letto, questo posto comincia a essere un po’ scomodo.»
«Agli ordini, mia signora!»
 
Sentirla respirare vicino era così rassicurante da permettergli di scivolare più volte nel sonno, anche se adesso era completamente sveglio. Quante ore avevano trascorso avvinghiati sul letto a fare l’amore, parlare e coccolarsi prima di ricominciare tutto da capo, ancora e ancora, senza averne mai abbastanza? Non lo sapeva neppure lui ma non aveva alcuna voglia di scoprirlo, poiché l’unica cosa che desiderava in quel momento era restarsene sdraiato in quella posizione e trattenerla accanto a sé per un tempo abbastanza vicino a “per sempre”. Anche se ora, però, stava decisamente esagerando.
«Smettila di fissarmi. È inquietante.» disse così, godendosi il suono allegro della risata cristallina che riecheggiò per tutta la stanza. Amava sentirla ridere.
«Come fai a sapere che ti sto guardando?
Domandò la fidanzata e un angolo della sua bocca si piegò in un mezzo sorriso. Trascorrere anni e anni ad allenarsi duramente, abituandosi a studiare le mosse dell’avversario anche solo seguendolo con gli occhi della mente, sembrava aver dato i suoi frutti, dopotutto.
«Ti vedo anche a occhi chiusi, fastidiosa piantagrane.» la provocò, beccandosi in risposta un pugno sul braccio che parve rimbalzare contro quella montagna di muscoli.
«Ahi! E violenta, aggiungerei!»
«Dai, piantala di fare lo scemo e riaprili.» lo pungolò.
«Non posso.»
«Perché no?»
«Perché ho paura. Paura di scoprire che tutto questo sia solo un bel sogno e che la tua presenza qui, di fianco a me, non sia altro che semplice frutto della mia immaginazione. Non voglio perderti, Akane. Perciò no, non riaprirò gli occhi.» spiegò tutto d’un fiato, mettendola finalmente al corrente dei suoi sentimenti più nascosti, di ciò che lo terrorizzava di più al mondo. Dover rinunciare di nuovo a lei. No, stavolta non lo avrebbe sopportato. Seguì un lungo momento di silenzio durante il quale non seppe proprio cosa aspettarsi, ma quando avvertì il fruscio delle lenzuola capì che si era fatta ancora più vicina. Il cuore gli fece una capriola nel petto.
«Non ti stai immaginando niente, amore mio» la sentì sussurrare «Io sono qui, accanto a te. È tutto vero.»
Deglutì, nervoso.
«Per quale motivo dovrei crederti?»
«Perché posso fare questo.»
Le dita seguirono lente il profilo del suo viso e per un attimo trattenne il respiro.
«E questo.»
Le lasciò vagare sulle spalle e poi sempre più giù verso l’ampio petto marmoreo, accarezzandolo dolcemente fino a strappargli un sottile gemito.
«E anche questo.»
Posò le labbra dove prima erano state le dita, seguendo il percorso all’indietro per risalire lungo la mascella e fino alla bocca che, invitante e dischiusa, attendeva ormai solo la sua. Il bacio che ne seguì, dolce e appassionato al tempo stesso lo spogliò di ogni timore, riempiendolo di nuova forza e consapevolezza. Quando Ranma riaprì gli occhi, sorridendo alla donna della propria vita, si sentì felice e appagato. Aveva ragione lei. Era ancora lì.
«Visto? Non sono sparita.»
La baciò sulla fronte, abbracciandola forte.
«Quindi…siamo una coppia, ora?»
Akane fece spallucce.
«Così sembra.» disse.
«Cosa faremo?»
«Quello che fanno tutte le coppie normali, suppongo. Andare al cinema, passeggiare mano nella mano…»
«Intendevo, cosa faremo con la tua famiglia.» la interruppe, prendendola in contropiede.
«Oh. Beh, ovviamente spiegheremo a mio padre tutta questa assurda faccenda e sono sicura che sarà felicissimo di riaccoglierti in casa. Fino ad allora, resta con me.»
Annuì.
«Dovrò tornare al locale per prendere la mia roba ed è meglio che lo faccia al più presto. Finché Ukyo resterà in ospedale non sarò costretto a incontrarla.»
Quando tornò a incrociare quegli occhi scuri e profondi vide una piccola smorfia di disappunto comparire sul suo viso, distorcendone via via i bei lineamenti. Questo lo mise in allarme.
«Che c’è?»
«Pensi davvero che evitarla sia una buona idea?»
«Che vuoi dire?»
«Che stai chiaramente nascondendo la testa sotto la sabbia. Ranma, so che quello che ti ha fatto, che CI ha fatto è stato tremendo e anche solo ricordarlo è molto doloroso, ma se continui a fuggire da ciò che senti, tenendoti tutto dentro, finirai per stare davvero male.»
Sbuffò, cambiando posizione. Ok, addio tranquillità. Cosa stava cercando di fare, psicanalizzarlo, per caso? Maledizione, come si erano ritrovati a prendere quell’argomento?
«Non voglio parlare di lei, né con lei. L’unica cosa che desidero adesso è concentrarmi su di noi e sul nostro futuro insieme, non mi interessa altro.» chiarì, risoluto. La ragazza gli fece una carezza sulla guancia.
«Anch’io, anch’io lo desidero tanto, ma se non affronti ciò che ti fa soffrire non riuscirai mai a lasciartelo alla spalle e voltare pagina. Il vostro era un rapporto speciale ed è per questo che voi due dovreste chiarirvi, amore. Devi risolvere questa cosa con Ukyo e anche con te stesso.»
No, non poteva. La delusione provata gli bruciava ancora dentro in modo insopportabile ed era troppo ferito anche solo per pensarci. L’amica di infanzia si era presa gioco di lui, approfittandosi della sua buona fede lo aveva pugnalato direttamente al cuore e qualcosa si era inevitabilmente rotto dentro di lui, impedendogli di tornare indietro. Impedendogli di scendere a patti col suo Io interiore e guardare dritto in faccia il dolore, per fronteggiarlo e cancellarlo una volta per tutte.
«Ranma?»
«Sì?»
«Credi che lei e il piccolo stiano bene? Credi che siano…al sicuro? Shampoo non ha fatto che minacciarla, è persino venuta qui a…»
«Lo so» la incalzò, seccato «Me lo hai già detto, ma non c’è motivo di preoccuparsi. Finché Ryoga sarà con loro non avranno nulla da temere. Inoltre, il bambino sembrava scoppiare di salute. Lo hai visto anche tu, perciò sì, staranno alla grande. Ora, per favore, possiamo smettere di parlare di Ukyo o di qualunque altra cosa la riguardi, almeno per i prossimi dieci minuti?»
«Scusa.»
La vide scostarsi da lui, di colpo avvilita. Sospirò, dandosi dell’idiota.
«Scusami tu, non volevo alzare la voce.»
Affondò la testa nell’incavo della sua spalla. Respirare il profumo della sua pelle lo aiutò lentamente a calmarsi. L’ultima cosa che voleva era mettersi a discutere con Akane per colpa di Ukyo. Anche se…
«Tu non sei arrabbiata per quello che è successo?» domandò, poi, a bruciapelo.
«Adesso chi è che ne sta parlando, eh? Comunque sì, certo che sì. Sono molto arrabbiata, ma lo sono soprattutto con me stessa perché, anche se in modo inconsapevole sento di aver fatto il suo gioco, rendendole ancora più semplice ingannarti.»
Si ritrovò a scuotere la testa più volte, come se volesse cancellare quelle ultime parole.
«Ehi, non dire così.»
«Ti ho rifiutato e ferito in ogni modo possibile, pur di tenerti lontano» continuò, imperterrita «Se ti avessi aperto il mio cuore, invece che nascondermi dietro a un dito, le cose sarebbero andate ben diversamente.»
Le prese la mano, accarezzandola a lungo prima di formulare la domanda. Quella maledetta domanda che gli girava in testa fin dal primo momento in cui aveva letto la lettera, rischiando di mandarlo ai matti e tormentandolo come un bisturi su una ferita aperta.
«Perché? Per quale motivo, nonostante la mia insistenza, continuavi a sostenere di non provare nulla per me, anche se sapevi che era una bugia?»
Attese la risposta col cuore in gola mentre la sentiva rafforzare la presa sulle sue dita, forse alla ricerca di un appiglio che potesse conferirle il coraggio necessario a esprimersi.
«Perché non sopportavo l’idea di doverti dividere con qualcuno che avrebbe di certo richiesto tutte le tue attenzioni» disse infine, in un soffio «Il bambino e Ukyo ti avrebbero assorbito completamente e tu avresti finito per dedicarmi gli scarti del tuo tempo. Io non… non ero pronta per questo. Così ho pensato solo a me stessa e ai miei sentimenti. Sono stata immatura e codarda, tutto il contrario di te. Avrei dovuto lottare di più per il nostro amore. L’unica cosa che ho fatto, invece, è stato spezzarti il cuore e non mi do pace per questo. Perdonami, ti prego.»
La sua voce tremava e sapendola sul punto di piangere cominciò a baciarla e accarezzarla, nella speranza che questo bastasse a placare almeno un po’ l’ infinita pena che provava.  
«Dovrei perdonarti per esserti comportata come un normale essere umano dotato di sentimenti, col proprio bagaglio di paure e incertezze?»
La osservò abbassare lo sguardo, d’un tratto vergognosa e colpevole.
«Akane, tesoro, guardami. Siamo insieme adesso, è tutto ciò che conta.»
La giovane Tendo gli sorrise.
«Non sai quanto ti amo» mormorò, rincuorata «È così buffo che adesso non riesca più a smettere di dirlo, mentre prima…»
Le posò un dito sulle labbra.
«Dillo pure tutte le volte che vuoi. Adoro sentirlo.»
Catturò i suoi occhi penetranti in una morsa invisibile che gli mozzò il respiro. Kami, era davvero irresistibile. La sfiorò con un bacio lieve.
«Ti amo.»
Fu ciò che ottenne in risposta e un brivido di piacere gli percorse la schiena nuda.
«Ancora.»
«Ti amo.»
Stesso brivido, ma più intenso.
«Un’altra volta.» mugolò, facendola ridacchiare.
«Ti amo. Ti amo. Ti…»
Soffocò quelle parole dentro a un bacio carico di passione, sentendola rilassarsi pian piano contro di lui.
«Così, se ho capito bene, ti piacerebbe passeggiare con me mano nella mano, eh? Ma guarda che romanticona!»
Aggiunse poi con aria giocosa, avventandosi su di lei per tormentarla con il solletico fino a farla ridere a crepapelle.
«Piantala di prendermi in giro, stupido che non sei altro!»
Il suo stomaco brontolò e Ranma si interruppe di colpo. Si guardarono a lungo prima di scoppiare a ridere.
«Cavolo, sto morendo di fame» si lamentò Akane «Abbiamo saltato la cena e anche la colazione e ora…beh, non ho neppure idea di che ore siano! Mi hai fatto perdere la cognizione del tempo. Vado a fare uno spuntino, ti porto qualcosa?»
«No, arrivo subito.»
«Allora ti aspetto di sotto.»
Lo baciò sulla bocca frettolosamente prima di rialzarsi in piedi, mettendo nuovamente in mostra le proprie affascinanti grazie, ma fu solo per un attimo. Dopo, con grande disappunto del fidanzato, totalmente incapace di staccarle gli occhi di dosso indossò una vestaglia leggera, lasciando la stanza in un sensuale fruscio di stoffa che gli fece venire una voglia pazza di correrle dietro e riportarla a letto, per ricominciare a baciare ogni centimetro quadrato di quel corpo meraviglioso fino alla fine dei suoi giorni. Ma anche il suo stomaco si era messo a brontolare. Ragion per cui, era meglio affrettarsi a mettere qualcosa sotto i denti se voleva riprendere un po’ di energia per adempiere a ciò che si era appena ripromesso di fare, magari più tardi. Calciò via le lenzuola, indossando in fretta i pantaloni, poi si incamminò.
«Akane?» la chiamò a gran voce dalle scale «Cosa c’è di buono da mangiare?»
Nessuna risposta.
«Spero tu non ti sia messa ai fornelli» riprovò, provocandola apposta «Visto quanto sei impedita rischieresti non solo di avvelenare entrambi, ma anche di dar fuoco alla cucina!»
Questo l’avrebbe di certo mandata su tutte le furie. Si mise in ascolto. Nulla. Continuava a non rispondergli. Dove diavolo si era cacciata quella scema? Sbuffò, percorrendo il pavimento a piedi nudi fino al soggiorno, ma anche lì nessuna traccia di lei.
«Akane? Ma dove…»
Le parole gli morirono in gola quando la vide. Era riversa a terra in un angolo poco lontano della casa, apparentemente priva di sensi.
«Kamisama, no!» urlò, precipitandosi verso di lei con il cuore in gola e scuotendola più volte, terrorizzato, nel disperato tentativo di rinvenirla.
«Akane! Akane, tesoro, che ti succede? Parlami!»
Le scostò i capelli dalla fronte e dal viso inerme, pregando chiunque lassù volesse dargli ascolto di vederla riaprire gli occhi al più presto per tornare a sorridergli, ma l’espressione era una maschera di dolore, le labbra serrate in una linea dura e lui non aveva la benchè minima idea di cosa diavolo fosse accaduto, né di come aiutarla. Fu allora che la notò. Una figura minacciosa e fin troppo familiare uscì finalmente dall’ombra, stagliandoglisi davanti in tutta la sua fierezza.
«Ni-hao, Lanma» lo salutò, sorriso dolce come la melassa e occhioni innocenti da cerbiatta in calore «Kami, se avessi saputo che ti avrei trovato qui, avrei dedicato molto più tempo al trucco e parrucco, per farmi bella per te!»
«Shampoo! Come accidenti sei entrata?» esclamò al colmo dello stupore, mentre un orribile presentimento cominciava via via a farsi strada nella sua mente, tormentandolo fino allo stremo.
Ti prego, no. Non è possibile…
«Non è stato così difficile, sai? Non ho dovuto neppure buttar giù le pareti stavolta, considerando che parte della palestra è praticamente a pezzi per via del tifone. Dovreste seriamente fare qualcosa, potrebbe venir giù tutto al minimo soffio di vento o, peggio, dare via libera a qualcuno di poco raccomandabile!» rispose compiaciuta l’affascinante amazzone, strizzandogli l’occhio con fare giocoso. Accidenti a lei. Si voltò di nuovo verso la fidanzata, riprendendo a scuoterla con forza, ma sembrava tutto inutile.
«Mi senti, Akane? Rispondimi!»
«Non può.»
La fissò, spaventato e furioso al tempo stesso.
«È opera tua, non è vero? Che cosa le hai fatto, maledetta psicopatica?» gridò, fuori di sé.
«Uh, niente di speciale. Ho solo congelato il suo cuore con una tecnica molto particolare. Dovresti provarla, è davvero pazzesca!» spiegò, entusiasta come se avesse appena vinto alla lotteria. Ranma cominciò a sudare freddo.
«Cosa? Falla tornare subito com’era!»
Le tastò più volte il polso, avvilito, senza riuscire a sentire il cuore.
No. No. No. Cazzo, no.
«Questo dipenderà solo da te, mio caro.»
«Che vorresti dire?»
Vide le sue labbra piegarsi in un odioso sorrisetto malvagio che gli fece venir voglia di scagliarsi su di lei senza troppe cerimonie, ma provocarla sarebbe stato un grosso errore. Specie se c’era in gioco la vita di Akane.
«Che se vuoi che questa sciocca ragazzina riapra gli occhi, dovrai darmi qualcosa in cambio.» rispose semplicemente. La fissò, incredulo.
«Di che cavolo stai parlando?»
Giocherellò a lungo con una ciocca dei suoi lunghi capelli viola, poi disse con accento solenne: «Voglio che tu mi faccia una promessa. Se ti impegnerai con me e mi sposerai, Akane sarà salva.»
Quel disgustoso ricatto lo fece schiumare di rabbia.
«Scordatelo!» ringhiò con disprezzo. Scosse piano la testa, ma il suo sciocco sorriso rimase immutato.
«Sai, sono passata al locale di Ukyo prima, ma era deserto. Ho saputo che si trovava in ospedale ma, una volta lì, ogni mio buon proposito di cancellarla dalla faccia della terra è andato in fumo per colpa di quell’imbecille del tuo amico con la bandana, che ha pensato bene di mettersi in mezzo senza essere stato interpellato. Alla fine però è stato meglio così, visto che ho finalmente scoperto la verità e cioè che il padre della creatura non sei tu, ma Ryoga. Pensa un po’, e io che credevo che quel debosciato non avesse neppure un cervello per pensare! Devo dire comunque che si è rivelata una piacevole sorpresa, figurati che ero così contenta che ho pensato di lasciarli vivere entrambi. Quei due ormai sono praticamente inoffensivi e la mia vendetta contro Ukyo non avrebbe più avuto alcun senso. A quel punto, ho deciso di concentrarmi sull’unica rivale rimasta a mettermi i bastoni fra le ruote, così eccomi qui.»
Si diede una manata sulla fronte, l’aria, se possibile, ancor più divertita.
«Oh, ma che sbadata! Ho dimenticato di dirti la cosa più importante. Il corpo di Akane sarà completamente congelato tra circa quindici secondi e io ne ho già sprecato almeno cinque per spiegarti tutto. Significa che tra dieci secondi Akane morirà, senza che nessuno possa più fare nulla per lei. Perciò adesso riformulo la domanda e stai bene attento alla risposta che mi darai, stavolta. Accetti di impegnarti con me per il resto della tua vita, accetti di sposarmi?»
Avrebbe preferito morire in quell’istante, piuttosto.
«Tic tac, Lanma.»
Maledetta. Che tu sia maledetta.
«Stai bluffando» proruppe «Ti conosco, Shampoo. Faresti qualunque cosa per…»
«Controlla tu stesso se non ti fidi» lo incalzò, sollevando le spalle con noncuranza «Il suo corpo diventa sempre più freddo ogni minuto che passa.»
Le prese le mani, cauto e ancora una volta si scontrò con la dura realtà. La sua pelle era gelata. Molto più di prima. Si morse le labbra, tremando da capo a piedi. Cercò di riflettere velocemente. Anche se il dottor Tofu avesse trovato un modo per salvarla, in quel momento non era in città e non avrebbe avuto neppure il tempo di portarla da lui. Il villaggio di Okinawa era troppo lontano. Dannazione! Non c’era tempo per ragionare, né per fare nient’altro.
«Non farti venire strane idee, sono l’unica che possa restituirle la vita. E, per tua informazione, restano soltanto cinque secondi.»
Che doveva fare?
«Quattro.»
La vita di Akane era più importante di qualsiasi altra cosa.
«Tre.»
Anche della propria.
«Due.»
Non aveva scelta. Avrebbe ceduto a quella sporca minaccia.
«Uno…»
«E va bene» gridò «Hai vinto. Ti sposerò. Farò tutto quello che vuoi ma, ti prego, per favore, aiutala.»
La graziosa cinesina sorrise soddisfatta.
«Ottima scelta, luce dei miei occhi, adoro quando mi supplichi. E sia!»
Sfiorò il petto della piccola Tendo col dorso della mano, un colpetto ben assestato e il sangue tornò a fluire sulle sue guance. Ranma tirò un lungo sospiro di sollievo, chinandosi su di lei per sollevarla di peso e stringerla contro il petto, col chiaro intento di riportarla nella sua stanza. Shampoo lo seguì su per le scale, visibilmente contrariata.
«Dobbiamo andare adesso, che stai facendo? Vedi di non fare il furbo con me, ricordati che posso sempre rifarlo e a quel punto…»
«Rilassati» replicò, amaro «Voglio solo metterla a letto. Terrò fede alla mia promessa, ma come faccio a essere sicuro che farai lo stesso? Come saprò se si sveglierà davvero?»
«Lo farà tra poco, te lo assicuro.»
Incrociò il suo sguardo tagliente, diffidando di quelle parole.
«Voglio restare qui finché non riaprirà gli occhi, è la mia unica condizione.»
«Ti avverto, se provi a fregarmi…»
«Non lo farò» tagliò corto «E sai perché? Perché hai appena fatto l’unica cosa che te lo assicurerà. Non metterei mai in pericolo la vita di Akane.»
«D’accordo, ma aspetteremo fuori dalla sua camera, poi andremo via. È la mia ultima parola.»
Il ragazzo annuì, poi adagiò delicatamente il corpo ancora inerme della fidanzata sul letto, posandole un bacio leggero sulle labbra rosate.
«Perdonami, amore mio» le sussurrò, affranto «Lo faccio solo per te. Per tenerti al sicuro.»
Uscì saltando la finestra, seguito subito a ruota dalla giovane amazzone ed entrambi si nascosero tra gli alberi. Da lì Ranma la vide riscuotersi dal suo torpore per tornare a guardarsi intorno con aria confusa, resistendo a stento all’impulso di correre da lei per stringerla forte tra le braccia e dirle che la loro vita insieme era appena cominciata, che niente avrebbe mai più potuto dividerli, ma la verità era un’altra. Si voltò, sparendo velocemente prima che potesse notare la sua presenza e ricacciando indietro le lacrime, che brillavano già tra le sue ciglia socchiuse. Lo sapeva, aveva ragione lui. Era stato solo un sogno. Un sogno troppo bello per essere reale.
 
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Sei anni dopo
 
Richiuse la valigia con mani tremanti, la vista velata dalle lacrime. Perché era accaduto così all’improvviso e senza che lei fosse lì? Quando lo vide entrare, scarmigliato e trasandato come forse non era mai stato prima, il suo viso si incupì ancora di più. Gli lanciò un’occhiataccia che parve, però, lasciarlo completamente indifferente. Maledetto. Era tutta colpa sua. Se solo non l’avesse trascinata a Tokyo in fretta e furia, senza darle quasi il tempo di salutarla, le cose sarebbero andate ben diversamente. Sarebbe potuta restare accanto alla bisnonna e occuparsi di lei negli ultimi giorni della sua vita. Ormai era troppo tardi. Si morse le labbra, resistendo a stento all’impellente bisogno di scoppiare a piangere. Non la vedeva da anni e la loro ultima conversazione telefonica non se la ricordava neppure. Lui la controllava, monitorandone ogni mossa, anche la più piccola e solo un suo sguardo bastava a farla sentire minacciata, intimidendola come mai avrebbe creduto possibile. Non era certo così che immaginava la loro vita insieme.
«Il frigo è vuoto.»
Lo sentì biascicare con la bocca impastata, senza neppure prendersi il disturbo di guardarla in faccia. Era completamente sbronzo. Anche più del solito, forse. Kami, che vergogna. Che umiliazione. La sola presenza del ragazzo servì a metterla in agitazione e di colpo si sentì assalire da una rabbia incontenibile.
«Scusa tanto se fare la spesa non sia stato proprio il primo dei miei pensieri» esplose a quel punto, livida «ma sai, ho cose molto più importanti di cui occuparmi oggi, come preparare le valigie e partire per Nerima il prima possibile, ad esempio! Perciò, se hai fame, perché non vai a visitare quella specie di orribile taverna, dove ti piace tanto rimorchiare quelle donnacce che puntualmente mi ritrovo per casa, a vagare seminude come nulla fosse?»
Lo vide incespicare nei propri piedi prima di muovere qualche passo incerto nella sua direzione, scuro in volto, l’aria minacciosa.
«Non provare mai più a parlarmi in questo modo.» disse, la voce bassa e fin troppo controllata. Incrociò le braccia, affrontandolo a muso duro. Se sperava di spaventarla, stavolta, si sbagliava di grosso. Era stufa mancia di subire quei ridicoli atteggiamenti minatori, uniti ai continui e insopportabili sbalzi d’umore.
«Altrimenti? Mi ammazzerai? No, non avresti il fegato per farlo, miserabile codardo!» gridò così e a quel punto, prima ancora di poter rendersene conto si ritrovò inchiodata alla parete della camera da letto, il viso del marito a un centimetro dal proprio mentre, col cuore in gola, provava inutilmente a dibattersi, cercando di sfuggirgli. Non la sfiorava neppure con un dito, ma non riusciva ugualmente a muoversi. Quando abbassò lo sguardo, si rese conto che la stava bloccando col proprio corpo. Quel corpo meraviglioso che in quei lunghi anni avrebbe tanto voluto toccare almeno una volta, una volta soltanto, per lasciare ai suoi sogni più nascosti la libertà di prendere finalmente vita. Ranma però non glielo aveva mai permesso, né si era spinto oltre con lei. Non un bacio, neppure una carezza. Niente di niente. Solo odio e rancore le aveva riservato in tutto quel tempo trascorso insieme, trasformandosi ben presto in qualcuno che ormai faticava a riconoscere. Chi era l’uomo che le stava ora davanti, talmente disfatto e corroso dall’ira da ridursi all’ombra di sé stesso?
«Non scambiare il fatto che non ti abbia ancora uccisa nel sonno per mancanza di coraggio» sibilò a denti stretti «perché, sai, per quanto io sia tremendamente allettato dall’idea di veder schizzare fuori dalle orbite quei tuoi begli occhi, non voglio comunque spingermi tanto oltre. Sarebbe troppo facile. Inoltre, ti ho fatto una promessa e non mi sognerei mai di non tenervi fede, sarei un villano. Non credi anche tu, mia dolce mogliettina? E no, non parlo di quelle stupide promesse nuziali. Sai benissimo a cosa mi riferisco.»
Voltò la testa dall’altra parte e non solo per il terribile fetore di alcool che emanava, ma anche per non essere costretta ad affrontare il modo in cui la stava guardando. Per lui rappresentava un rivoltante insetto da schiacciare, nulla più di questo.
«Togliti subito di dosso, sei completamente ubriaco!» gemette, spingendolo finalmente via da sé. Un odioso sorrisetto di scherno comparve pian piano su quella faccia da schiaffi.
«Ti prego, non fissarmi in quel modo. Mi spezzi il cuore.» piagnucolò, sarcastico e dovette chiamare a raccolta ogni goccia di autocontrollo rimastale per evitare di colpirlo come si meritava. Perché, perché non era ancora fuggita via da quell’incubo? Sospirò a lungo e con forza. Purtroppo, conosceva fin troppo bene la risposta. Si era illusa che prima o poi sarebbe successo. Che vivendo insieme come una vera coppia avrebbe presto imparato ad amarla, ma ciò che aveva ottenuto era ben lontano dall’amore. Anche se, in fondo, non smetteva di sperare. Che stupida.
Lo vide cominciare a tirar fuori dall’armadio tutta la sua roba, lanciandola distrattamente sul futon senza neppure preoccuparsi di sistemarla.
«Che stai facendo?»
«Preparo la valigia. Dobbiamo partire subito per Nerima. Lo hai detto tu stessa, no?»
Scosse la testa con convinzione, inorridita.
«Non verrai proprio da nessuna parte in quelle condizioni. Andrò da sola.»
«E dovrei perdermi tutto il divertimento? Non se ne parla!»
Cazzo.
«Qui non c’è proprio niente da ridere, la mia bisnonna è appena morta!»
Le lacrime tornarono a bruciarle le palpebre come dolorosi spilli.
«Era ora che quella vecchia scimmia essiccata tirasse finalmente le cuoia! Non sai quanto ci ho pregato.»
Quell’ignobile risposta le gelò il sangue nelle vene.
«Mi fai…rivoltare lo stomaco. Sei un mostro, ti odio!» esclamò avvilita, serrando i pugni talmente forte da farsi sbiancare le nocche. Ranma le si accostò di nuovo, sollevandole il mento con un dito per sussurrarle con voce suadente: «Il sentimento è reciproco, tesoro.»
Ok. Questo era veramente troppo.
Fece un passo indietro, sfoderando un tagliacarte in argento regalatole anni prima dall’anziana Obaba che avrebbe alla fine trovato la propria utile collocazione, una volta conficcato dritto sulla schiena dell’irriverente consorte. Shampoo non riuscì tuttavia a portare a termine ciò che con tanta determinazione si era ripromessa di fare, poiché immediatamente bloccata dal marito che, afferratala per un polso, battè sulle dita della mano che impugnava l’arma finché questa non scivolò sul pavimento con un sordo rumore metallico, lasciandola stordita. Dannazione. Era impossibile da sorprendere. Anche in preda ai fumi dell’alcool stava sempre in guardia.
«Fossi in te non ci riproverei.» mormorò, fulminandola con un’occhiata sinistra che lei decise di ignorare, lottando a lungo per liberarsi da quella presa d’acciaio.
«Lasciami! Mi stai facendo male!»
«Lo senti quel fuoco che ti brucia le vene, vero? Senti come ti consuma lentamente dall’interno, fino a farti ribollire il sangue dalla rabbia e dalla disperazione? Bene, questo è niente. Ti porterò al punto tale da farti implorare pietà per il tuo povero cuore afflitto dal dolore e quando mi pregherai, supplicandomi di metter fine alla tua miserabile esistenza con le mie stesse mani…non sarà ancora abbastanza. Ho giurato che avrei reso la tua vita un inferno nello stesso momento in cui ti ho messo quel maledetto anello al dito, ed è esattamente quello che farò per il resto dei miei giorni. Perciò mettiti comoda, mio piccolo fiore di loto, perché di tempo ne abbiamo e io non ho niente da perdere. Non più ormai, grazie a te. Mi hai tolto tutto, il minimo che possa fare è ricambiarti il favore.»
Le strizzò l’occhio prima di lasciarla andare con uno strattone che spinse definitivamente fuori le sue lacrime, portandola a singhiozzare senza controllo mentre lo vedeva allontanarsi a grandi passi.
«Muoviti, ora. Vorrei arrivare a Nerima prima che il sole tramonti. E piantala di frignare, detesto i piagnistei.» aggiunse infine senza voltarsi, affrettandosi a imboccare il corridoio per lasciarla lì, angosciata e furiosa a sperare avesse almeno il buonsenso di farsi una doccia prima di uscire.
 
***
 
Tornare a Nerima dopo anni di assenza fu come ricevere un pugno nello stomaco. Anche se, rivedere i luoghi in cui una volta era stato felice rappresentava quasi una boccata d’aria fresca, seppur dolorosa per lui. Ne era passata di acqua sotto i ponti da allora, i ricordi sbiaditi di un tempo che non c’era più ne erano la prova inconfutabile. Cos’era quella fastidiosa fitta al petto che all’improvviso si divertiva a mozzargli il respiro? Nostalgia, forse? Di qualunque cosa si trattasse, almeno stava provando un sentimento diverso da quell’odio smisurato che ormai riempiva ogni singolo giorno della sua vita, avvelenandogli l’anima. Si guardò intorno con curiosità, trascinandosi dietro le valigie e attraversando via via strade, negozi e abitazioni fin troppo familiari, su alcune delle quali preferì comunque non soffermarsi troppo. Sembrava che niente fosse cambiato, che tutto fosse rimasto esattamente identico a quel giorno. Quel miserabile giorno ormai lontano in cui aveva deciso di andarsene per sempre. O almeno così credeva. Per quale motivo era tornato e perché faceva così male? Shampoo camminava un passo avanti a lui, stretta nel proprio dolore e senza dire una parola. Proprio come aveva fatto per l’intero viaggio. Tuttavia andava bene così, se considerava quanto ne detestasse persino il tono di voce. Quando la vide fermarsi di colpo, sollevò lo sguardo con aria distratta verso l’insegna sbiadita del luogo. “Ristorante Il Gatto”. Erano arrivati. Bene, adesso avrebbe potuto mettersi comodo e dedicarsi, finalmente da sobrio, poiché gli effetti dell’ubriacatura stavano pian piano svanendo, a quello che ormai era diventato il suo sport preferito: Darle il tormento. Non fece però neppure in tempo a varcare la soglia del locale, per raggiungere la casa collocata al piano superiore che un turbinio di lunghi capelli neri gli piombò praticamente addosso, cogliendolo alla sprovvista.
«Shampoo, finalmente sei arrivata! Mi dispiace tanto, posso solo immaginare il dolore che senti nel cuore in questo momento!»
Mousse. Ci mancava solo lui e, quel che era peggio, sembrava non essere cambiato affatto.
«Mettiti gli occhiali, pezzo di imbecille! Ti sembra forse che assomigli anche solo lontanamente a Shampoo?» replicò, amaro, atterrandolo con una ginocchiata per poi sbatacchiarlo con violenza sulla parete di fronte. Il duro impatto lo trasformò di colpo in un’inquietante immagine bidimensionale da appendere al posto di un quadro. Kamisama, che razza di seccatore.
«Piantala di prendertela con lui, non ti ha fatto niente!»
La voce squillante di sua moglie lo costrinse a voltarsi verso di lei solo per vederla affrettarsi a correre su per le scale, dove, a quel punto, non aveva più alcuna voglia di seguirla. Che gli importava, dopotutto, delle condizioni in cui versava quella decrepita spina nel fianco che, tra parentesi, faceva già abbastanza impressione da viva, figuriamoci da morta! Si accasciò sul minuscolo divano colorato, chiedendosi se quell’idiota di Mousse, ancora spalmato sui pannelli di legno chiaro, si sarebbe deciso prima o poi a riprendere conoscenza.
Nelle ore che seguirono ci fu un gran via vai di sconosciuti che, probabilmente incaricati del servizio funebre gli passarono davanti più e più volte, le mani occupate da milioni di strane cianfrusaglie, rendendogli impossibile schiacciare il pisolino che si era ripromesso di fare. Questo lo innervosì non poco e, come se non bastasse, il suo stomaco prese a brontolare rumorosamente, ricordandogli che, da quella mattina, non aveva ancora toccato cibo. Forse era meglio andare a mettere qualcosa sotto i denti se non voleva morire di fame. Raggiunse così il piano di sopra, trovandosi davanti un vero banchetto coi fiocchi. Bene, il rinfresco per la veglia era già pronto. La tavola, ricoperta da una candida tovaglia, era imbandita da dolci di ogni tipo che agguantò subito, seminando il disordine in breve tempo mentre, con la bocca ancora piena afferrava al volo una bottiglia di sakè, bevendone una lunga sorsata. D’altronde, sarebbe stato impossibile affrontare da sobrio quella giornata. Fece infine qualche passo indietro, rimirando soddisfatto il risultato della propria intrusione. Il tavolo adesso pareva più assomigliare a un campo di battaglia. Un brivido di eccitazione gli percorse la schiena al pensiero di quanto questo avrebbe mandato Shampoo su tutte le furie. Studiare modi sempre nuovi di metterla in difficoltà gli procurava un sottile piacere al quale mai avrebbe rinunciato. Ecco, adesso era arrivato il momento di rovinare anche il resto. Proseguì verso l’ampia sala da pranzo, dove un indistinto brusio di voci ne catturò l’attenzione. Da dove diavolo era entrata tutta quella gente? Se ne stavano così ordinatamente seduti, lanciando di tanto in tanto delle tristi occhiate in direzione di Mousse che, raccolto in preghiera su un piccolo altare in fondo alla stanza, appositamente disposto per l’occasione, si preparava a esprimere il proprio cordoglio. Di fronte a quella patetica scena avrebbe tanto voluto scoppiare a ridere, ma la testa gli ronzava ormai come uno sciame d’api impazzite e si reggeva a malapena in piedi. Tutti evidenti effetti dell’alcool che, nel frattempo, si stava ancora divertendo a ingurgitare. Poco più avanti, le spoglie di Obaba, adagiate in una piccola bara in legno e abilmente ingolfate nel più orrendo kimono mai visto, di almeno quattro misure più grandi. Cavolo, non si era forse ripromesso di non guardarla fino alla fine della funzione? Beh, mal comune mezzo gaudio. E, già che c’era…
Sollevò la bottiglia che reggeva in una mano in direzione della salma, un angolo della bocca piegato in un ghigno di scherno.
«Alla mia, vecchiaccia!» esclamò, richiamando l’attenzione dei presenti che si voltarono subito a guardarlo, stupiti. A quel punto, da un piccolo capannello di persone si staccò una figura minuta e familiare, diretta proprio nella sua direzione. Ranma sorrise con disprezzo, pregustando già il momento in cui l’avrebbe praticamente tenuta in pugno.
«Che stai facendo? Vai subito a sederti.»
Gli intimò con occhi colmi di livore.
«Che c’è? Sto solo brindando alla dipartita della tua adorata bisnonna, non era questo che volevi?»
«Non riesci a mostrare un minimo di rispetto neppure in un momento simile?»
Biascicò lei a denti stretti. Annuì, aprendo le braccia.
«Certo che sì, mia cara. Vuoi che te lo dimostri?» disse, barcollando verso l’altare senza guardare in faccia nessuno prima di afferrare il povero, redivivo ragazzo occhialuto per il colletto e spedirlo a far compagnia ai satelliti, tra gli sguardi sgomenti degli altri. Sì, aveva appena squarciato parte del tetto. Problemi? In risposta a quanto accaduto nella stanza calò d’un tratto un gelido silenzio, rotto solo dalla sua voce impastata.
«Eccomi qui. Salve a tutti e scusate l’interruzione, ma vorrei dire anch’io due parole in merito a questa buffon…ehm, celebrazione in memoria di…in memoria della…nostra…beh, insomma, volevo dire che sono tanto addolorato. Sì, mi dispiace molto. Mi dispiace che quella maledetta mummia imbalsamata non abbia deciso di crepare molto prima, perché avrebbe davvero fatto un gran favore non solo a me, ma anche all’intera comunità.»
Aver almeno trenta paia d’occhi che lo fissavano inorriditi parve non impensierirlo più di tanto, poiché tutta l’attenzione era ora rivolta alla sua sposa che, pallida come un lenzuolo, pareva letteralmente schizzare fiamme dagli occhi.
Colpita e affondata. Uno a zero.
«Hai sentito, Obaba?» proseguì, non ancora stanco di rincarare la dose «Che la tua anima possa marcire tra le fiamme dell’inferno per l’eternità, perché è lì che merita di stare. E con questo ho finito. Ora passerò la parola alla mia adorabile consorte. Vieni qui amore mio, vieni a esprimerci tutto il dolore che senti.»
Si congedò con un inchino e, passandole vicino, si accostò al suo orecchio.
«Che ne dici, sono stato abbastanza rispettoso?» bisbigliò, sogghignando quando la vide stringere spasmodicamente le labbra in un disperato tentativo di contegno che, se non fosse stato troppo ubriaco per gettarsi a terra, lo avrebbe di certo fatto spanciare dal ridere.
«Va’ al diavolo! Me la pagherai per questo.»
 
 
Non seppe dire per quanto tempo rimase lì, seduto sugli scalini in pietra del piccolo giardino sul retro della casa, ma offrire il viso al sole di quella tarda mattina estiva era sicuramente meglio che dover continuare a sopportare i piagnistei e le ridicole minacce di quella vipera isterica che era stato costretto a sposare. Dannazione, il mal di testa non gli dava tregua. Si massaggiò le tempie, chiudendo gli occhi per qualche secondo e, quando li riaprì, una fresca lattina gli stava sfiorando una guancia accaldata, donandogli finalmente un po’ di sollievo. Ma cosa…
Si sporse per sbirciare oltre la mano che la reggeva, trovandosi di fronte un volto amichevole che prima non aveva notato, ma che si rese conto di conoscere molto bene.
«Per la tua sbornia.»
Esordì Ukyo, porgendogli il contenitore da cui ingollò avidamente una generosa sorsata. Caffè. Proprio ciò che ci voleva. Come poteva non averci pensato subito? La giovane cuoca gli sedette vicino, scrutandolo a lungo con aria assorta.
«Problemi in paradiso?» chiese, cauta, facendolo sussultare. Non sapeva che tipo di abbaglio avesse preso, ma di certo quello sembrava tutto fuorchè un paradiso. Sbuffò in risposta, ravviandosi i capelli corvini raccolti in una treccia.
«Riguardo ciò che è appena successo lì dentro» proseguì «io non me ne preoccuperei troppo.»
Quindi, anche lei aveva assistito alla sceneggiata che si era divertito tanto a mettere in piedi poco prima?
«Ti sembro preoccupato, per caso?» sbottò con indifferenza.
«No. Solo…diverso. Comunque, Obaba non è mai stata molto simpatica a nessuno, me compresa. Lo ammetto.»
Le lanciò un’occhiata in tralice.
«Allora perché sei qui?» domandò poi, a bruciapelo, vedendola fare spallucce.
«Perché Ryoga ha insistito affinché almeno uno di noi due fosse presente. Sai com’è fatto, no? Ci tiene a comportarsi nel migliore dei modi. A volte è talmente gentile e riguardoso da darmi sui nervi, ma ha un cuore grande. In tutta sincerità non so proprio come ci sia riuscito, ma mi ha davvero conquistata.»
Per la prima volta da quando l’aveva raggiunto in giardino, si soffermò a guardarla con attenzione. Sembrava felice e anche molto…incinta? Kami, doveva essere davvero ubriaco fradicio per non essersene accorto immediatamente. Piegò le labbra in un sorriso sghembo.
«Ryoga, eh? Ci hai preso gusto, vedo.» disse, indicando col viso il suo evidente stato di gravidanza.
«Sta’ tranquillo» replicò, seria «non ti dirò che è tuo per costringerti a rimanere.»
Per un attimo credette di non aver capito bene.
«Dovrebbe essere divertente?»
«Non lo so, dimmelo tu. Stai sorridendo.»
«Io non sto sorridendo per niente.» ribatté, piccato.
«Sì, invece. Non sono mica cieca. Stavi ridendo sotto i baffi.»
Cavolo, era vero. Stava ridendo. Scosse lentamente la testa.
«Quindi, tu e Ryoga…»
«Ebbene sì, alla fine l’ho sposato e adesso aspettiamo un altro figlio. Che c’è? Gli affari vanno bene!»
Sollevò le mani in segno di resa.
«Guarda che non ho detto niente.»
«Però lo hai pensato.»
Già. Sembrava aver conservato l’incredibile capacità di leggergli dentro meglio di un radar. Non che la cosa gli dispiacesse, comunque. Anche se…
«E, che mi dici di Kenji?» si ritrovò a chiederle, stupendo persino sé stesso per la naturalezza con cui le stava ponendo quella domanda, sfuggitagli dalle labbra prima che potesse accorgersene. Stava davvero intrattenendo un’amabile conversazione con la donna che anni prima si era divertita a ingannarlo nel peggior modo, riuscendo persino a scherzarci sopra? Ne studiò a lungo il bel viso, rendendosi conto ancora una volta di non provare più alcun tipo di rancore nei suoi confronti. Il tempo pareva aver sanato ogni ferita, restituendole quel posto speciale nel proprio cuore che, anche se inconsapevolmente, aveva sempre conservato per lei. Gli era davvero mancato un volto amico, questo era più che certo.
«Oh» disse, illuminandosi di colpo «tra tutti noi è quello che se la spassa di più. Niente problemi, zero responsabilità. A volte vorrei tornare alla spensieratezza della sua età. Ti ricordi, Ranma, di quando avevamo sei anni? Sembrava tutto così facile, allora.»
Annuì, nostalgico.
«Già.»
«E tu?»
Aggrottò le sopracciglia.
«Io…cosa?»
Lo fissò, sgomenta.
«Andiamo, Shampoo? Sai, per quanto mi sia arrovellata in questi anni per tentare di trovare una spiegazione decente al tuo assurdo comportamento, non ci sono mai riuscita.»
Oh no, ti prego. Non chiederlo.
«Sul serio, come hai fatto a sposare una come lei?»
Ecco, appunto.
«Come hai potuto, di punto in bianco, prendere una decisione simile? Insomma, c’è chiaramente sotto qualcosa, non è vero? Ma sì, dev’essere così senz’altro, perché tutta questa storia non sta né in cielo né in terra, e io…»
«Hai finito?» la interruppe, spazientito «Le cose cambiano, Ukyo e, davvero, dovresti smetterla di cercare sempre di dare una motivazione a tutto.»
La vide socchiudere gli occhi, tutt’altro che soddisfatta della patetica scusa senza senso che le stava rifilando ma, sul serio, non aveva alcuna voglia di parlarne. E, come se non bastasse, le fitte alla testa stavano tornando ad affliggerlo senza pietà. Maledizione.
«In altre parole, vorresti darmi a bere di esserti innamorato all’improvviso di quella sottospecie di sciroccata senza cervello, mollando tutto e tutti per fuggire in una città diversa, iniziando una nuova vita con lei? Perdonami, ma ti sembro veramente tanto stupida? E poi, credevo che tu e Akane…»
«Non nominarla nemmeno! Non pronunciare mai più quel nome, sono stato chiaro?» esplose d’un tratto, pallido e sconvolto mentre le stringeva il polso, gelandola con lo sguardo.
«Ranma, così mi fai male!»
La sentì protestare, rendendosi conto di aver usato troppa forza solo quando, specchiandosi in quegli occhi sgranati, tutto ciò che vi lesse fu puro terrore. A quel punto, vergognoso e colpevole mollò subito la presa, sforzandosi di ignorare l’espressione ancora esterrefatta dell’amica, che lo fissava ora come se avesse appena preso le sembianze di un mostro. Sì, probabilmente lo era davvero. Solo a sentir parlare di Akane si era trasformato in una furia, perdendo il controllo. Tuttavia, non avrebbe aggiunto una parola di più riguardo a quella questione. Non poteva permetterselo. Soffocare tutto in un angolo recondito della propria anima era l’unica soluzione. Anche a costo di morirne.
«Io…non volevo.» balbettò a mo’ di scuse, rialzandosi in piedi per allontanarsi velocemente.
«Che cosa ti è successo? Questo…non sei tu.»
A quanto pare il radar iniziava a perdere colpi.
«Ci vediamo in giro.» tagliò corto, voltandole le spalle, ormai ansioso di mettere tra loro quanta più distanza possibile.
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


«Ti prego, accettali o comincerò a sentirmi veramente in colpa.» disse, offrendogli una busta bianca che l’altro spinse via con decisione verso il mittente, accompagnando il gesto con una frettolosa scrollata di spalle. Una piccola ruga poco profonda solcò ben presto la sua fronte alta, facendole via via mutare espressione.
«Te l’ho già detto, non c’è bisogno che mi paghi.»
Akane sospirò, affranta. Kami, era proprio ostinato.
«Non sono d’accordo» replicò, asciutta, allungandola nuovamente nella sua direzione «Insomma, ti sei impegnato tanto per tutto questo tempo, dandomi una mano nella gestione dei corsi per gli adulti e…»
«L’ho fatto con piacere, non mi devi niente. Anzi, mi dispiace molto di doverti piantare in asso proprio adesso, ma tra il lavoro al locale e la gravidanza di Ukyo quasi agli sgoccioli…»
Lo vide scuotere lentamente la testa, interrompendosi di colpo quasi a cercare di rimettere in ordine i pensieri prima di proseguire, più sicuro.
«Non può farcela da sola, anche se continua a sostenere il contrario. Sai com’è fatta, no? Troppo orgogliosa e testarda per ammettere, anche con me, di aver bisogno d’aiuto.»
Sorrise e una strana euforia distante si impadronì del suo volto, illuminandolo di nuova, contagiosa luce. Era proprio un bravo marito. E anche un padre meraviglioso. Pensare a questo la fece sentire ancora più in difetto.
«Mi rincresce che per assistere me tu abbia dovuto trascurare la tua famiglia, ma ti prometto che non dovrai mai più trovarti nelle condizioni di farlo di nuovo.»
Il sorriso di Ryoga restò immutato mentre le restituiva la busta, stringendole a lungo una mano tra le proprie.
«Nessun problema. Io e Ukyo siamo stati molto felici di aiutarti. Di qualunque altra cosa abbia bisogno non esitare a chiedere, mi raccomando. A che servono gli amici, altrimenti?» disse, strizzandole giocosamente l’occhio. Questo bastò a rassicurarla ulteriormente. Non era sola, dopotutto. Anche se non aveva mai creduto sul serio di esserlo, ogni tanto una strana malinconia si impadroniva del suo cuore, costringendola a rimettere tutto in discussione. Non sapeva neppure perché le succedesse. Forse, la grande sicurezza spesso mostrata da adolescente aveva iniziato a vacillare senza che neppure se ne accorgesse, riempiendola via via di nuove paure e consapevolezze.
«Grazie» rispose, riconoscente «ma credo di aver già approfittato abbastanza della vostra disponibilità. Ora dovrò solo preoccuparmi di assumere qualcuno che si occupi regolarmente dei corsi mattutini e il problema sarà risolto.»
Giusto, ottima premessa. Ma chi? Era quello il problema. Beh, se non altro i lavori di ristrutturazione della palestra erano finalmente terminati. Un’angoscia in meno. Accidenti, a volte avrebbe voluto rannicchiarsi in un angolo e scoppiare in lacrime come una bambina, in attesa che chiunque altro si facesse carico di quelle che erano le sue responsabilità, spianandole la strada e risolvendo le cose una volta per tutte. C’era solo un piccolissimo particolare da prendere in considerazione: non era più una bambina. Inoltre, era stata proprio lei a volersi occupare di tutto quanto. Che senso avrebbe avuto ritrattare all’ultimo momento? Si chiese se quella di spedire l’unico genitore rimastole in vacanza forzata fosse stata davvero una buona idea. Non che avesse altra scelta, dopotutto. Sembrava così stanco che trascorrere un mese alle terme gli avrebbe certamente giovato. E poi non c’era bisogno di un uomo per mandare avanti la famiglia. Bastava lei e glielo avrebbe dimostrato. L’improvvisa voce della sorella la riportò bruscamente alla realtà. Si voltò verso di lei ed eccola lì, fasciata nel più bell’abito floreale che avesse mai visto…un momento, non era suo quello? Maledizione, quella fastidiosa piantagrane si era di nuovo divertita a frugare nel proprio armadio. Quante volte le aveva detto di non rubarle i vestiti? Poco male, tanto non le stava nemmeno più come una volta. I seni più abbondanti, così come la morbida curva dei fianchi lo avevano reso di colpo stretto e scomodo, tanto da costringerla a rinunciare a indossarlo. Se avesse buttato giù qualche chilo di troppo, forse…
Beh, trovando il tempo per allenarsi, certo. Insegnare le arti marziali ai bambini non era esattamente la stessa cosa che darci dentro con gli esercizi. Inoltre, almeno la  metà della palestra era ancora inagibile e fare un solo passo in quella direzione significava trovarsi coperto di polvere da capo a piedi. Eh sì, c’era ancora tanto da sistemare, ma si considerava già soddisfatta degli strabilianti risultati ottenuti. L’aggiunta degli spogliatoi, poi, era un vero tocco di classe. Per non parlare di…
«Ehilà, ragazzi! Non indovinerete mai chi ho appena visto esibirsi nella più grottesca e sorprendente sceneggiata, alla veglia organizzata per la morte di Obaba.»
La voce allegra e squillante di Nabiki echeggiò a lungo tra quelle pareti, ma furono le sue ultime parole a catturare l’attenzione della minore delle Tendo.
«Cosa? Obaba è…» trasecolò, senza avere il coraggio di completare la frase.
«Oh, andiamo sorellina, si può sapere dove vivi? Dovresti seriamente prendere in considerazione l’idea di mettere il naso fuori da queste mura ogni tanto e, possibilmente, prima di trasformarti in una vecchia decrepita, o la palestra potrebbe sul serio finire per diventare la tua tomba!»
Le si accostò con un ghigno divertito su un’espressione furbetta che avrebbe tanto voluto bastasse l’occhiataccia che lanciò al suo indirizzo, a cancellarla per sempre. Come faceva a non stancarsi mai di quell’insopportabile sarcasmo gratuito che si dilettava a sciorinare praticamente in ogni occasione?
«Fai meno la spiritosa» berciò, infastidita «Sai benissimo che tra i lavori di ristrutturazione da seguire e tutto il resto, ho avuto a malapena il tempo per respirare!»
La vide corrucciarsi.
«Sì, va bene» rispose, distratta «Comunque in città lo sanno tutti, ormai. Compreso Ryoga.»
Lo indicò col viso e l’amico si mise a ridacchiare, imbarazzato.
«Ecco, io» cominciò, grattandosi la nuca «Beh, scusa se non te l’ho detto prima, ma ho immaginato non ti facesse piacere parlare di qualunque cosa sia anche solo lontanamente collegata a Shampoo e…»
Stava chiaramente esitando. Cos’è che gli prendeva?
«Ranma?» completò la frase al suo posto, fissandolo sbalordita «Guarda che puoi tranquillamente nominarlo in mia presenza, non mi verrà un attacco isterico per questo.»
«Io ero convinto che…»
«Credi sul serio che dopo tutto questo tempo m’importi ancora di lui? Per quel che mi riguarda la faccenda è chiusa. L’ho superata, sono andata avanti e va bene così.»
«Se lo dici tu.» squittì la mezzana delle sorelle, guardandola di sottecchi «Allora non ti spiacerà sapere che ho visto proprio Ranma e non mi è sembrato affatto avesse una bella cera. Sì, lui e quella sgallettata cinese sono di nuovo in città.»
Suo malgrado, sentì il cuore perdere un battito. Ranma era tornato a Nerima? E poi, che intendeva dire Nabiki col fatto che non avesse una bella cera? Stava male, forse? Fu quasi sul punto di chiederglielo, ma l’altra non le lasciò alcuna ulteriore possibilità di intervenire in quell’insolita, quanto scomoda conversazione.
«Devo andare, ora. Si è fatto tardi. Kuno ha promesso di offrirmi il pranzo, oggi. A dopo.»
Si congedò infatti in un fruscio di seta, lasciandola perplessa. Sapeva che da un po’ di tempo la sorella avesse preso l’insana abitudine di vedersi, di tanto in tanto, con quell’imbecille patentato ed era sicura che la nefasta frequentazione non avrebbe portato a nulla di buono. Nabiki, però, era fin troppo furba. Chissà cos’aveva in mente. Probabilmente spillargli l’intero patrimonio, come minimo. Fece spallucce e il pensiero dell’ormai ex fidanzato tornò con prepotenza a riaffacciarsi nella sua mente, prendendola in contropiede. Scosse la testa più volte, turbata, come a voler scacciare l’improvviso magone salito a bloccarle il respiro. Quando si voltò verso Ryoga, non poté fare a meno di notare la sua espressione costernata.
«Perdonami Akane, non era mia intenzione contrariarti in alcun modo. È solo che so bene quanto tu abbia sofferto per via di quella storia e immaginando che quel bast…ehm, lui sarebbe sicuramente tornato per via di ciò che è accaduto…Ok, volevo solo evitartelo. Tutto qui.»
Gli sorrise, accarezzandogli una guancia.
«Sei il miglior amico che si possa desiderare, ma non devi preoccuparti per me. Io sto bene. Davvero. Certo, mi dispiace per Obaba, però…sto bene.»
Kami, perché continuava a ripeterlo? Aveva forse bisogno di convincersene una volta di più?  Il ragazzo annuì nella sua direzione, visibilmente sollevato.
«Ne sono felice.» disse. Poi guardò l’orologio, emettendo un gridolino.
«Sarà meglio che raggiunga l’asilo, è quasi ora d’uscita.»
Aggiunse.
«Sicuro non vuoi che vada io?» si offrì Akane.
«Tranquilla, non ci metto niente e tu hai già abbastanza da fare. Bene, a dopo allora.»
«A più tardi. Fai attenzione alla…»
Lo vide attraversare la palestra in lungo e in largo senza una direzione precisa, l’aria d’un tratto smarrita.
«…strada.»
Ecco. appunto.
«Ehm, Ryoga? L’asilo è da quella parte. Te lo ricordi, vero?»
Indicò il lato opposto del percorso, cercando di guidarlo verso l’uscita.
«Ovviamente!» asserì, spavaldo «Per chi mi hai preso? È …questa casa. È così grande che mi ci perdo sempre. Ahahaha!»
Preferì sorvolare sul fatto che le dimensioni di casa Tendo non fossero esattamente le uniche responsabili del suo evidente problemino di orientamento. La salutò, incamminandosi finalmente nella giusta direzione. La giovane si lasciò andare a un lungo sospiro rassegnato, osservandolo finché non divenne pian piano un minuscolo puntino lontano che ben presto svanì dal suo campo visivo, sperando vivamente raggiungesse l’ambita destinazione senza smarrirsi come al solito. Forse non era stata una buona idea lasciarlo andare da solo…
***
 
L’incontro con Ukyo non si era proprio rivelato dei migliori, considerata l’eccessiva reazione avuta al solo sentir pronunciare il nome di colei che un tempo era stata la sua fidanzata, tuttavia il caffè offertogli aveva di sicuro sortito gli effetti sperati. Almeno era riuscito a superare la sbronza nel migliore dei modi e persino il mal di testa pareva averlo abbandonato. Vagò a lungo per le strade della città senza una meta, fermandosi di tanto in tanto a osservare distrattamente la propria immagine riflessa sulle varie vetrine dei negozi, finché una in particolare non catturò la sua attenzione. Il buffo viso sorridente di un piccolo peluche di panda lo fissava coi suoi occhietti vitrei attraverso il vetro tirato a lucido e, senza accorgersene, un angolo della bocca si piegò in quello che sembrava tanto assomigliare a un sorriso triste, ripensando con rammarico a quanto, da piccolo, ne avesse ardentemente desiderato uno. Stringere a sé un morbido pupazzo gli avrebbe senza dubbio regalato un po’ del conforto e del tepore che gli erano tanto mancati in quelle notti gelide, perso chissà dove e costretto da quell’idiota di un genitore che si ritrovava a viaggiare in lungo e in largo per il mondo, senza mai un attimo di tregua. Tutto per potenziare i suoi allenamenti. Tutto per le arti marziali. No, a lui non era mai stato concesso di possedere neppure un giocattolo, poiché ciò che gli avevano fatto era stato strappargli l’infanzia prima ancora di poterla assaporare appieno, così come qualsiasi bambino avrebbe fatto. Ma bambino non era mai stato, crescendo troppo in fretta e solo per compiacere lo smisurato ego di un padre che tale non era, né mai sarebbe riuscito a essere ai suoi occhi. Fu allora che un improvviso grido d’aiuto lo riportò bruscamente alla realtà, costringendolo a voltarsi di scatto verso la strada e, a quel punto, accadde tutto in un attimo. Il grosso camion che sfrecciava a velocità sostenuta, minacciando di andargli addosso, lui che rotolava sull’asfalto bollente con quel piccolo fagotto tra le braccia, facendogli scudo col proprio corpo mentre un capannello di persone si faceva loro intorno, bisbigliando parole che non fu in grado di distinguere con chiarezza, una volta scampato l’imminente pericolo.
«Ehi! Ma che ti salta in mente, giovanotto? Sei già stanco della vita, per caso? Guarda dove vai!»
L’urlo del conducente gli restituì la lucidità quando, l’adrenalina ancora a mille si rimise in piedi a fatica, scoprendo con tenerezza che il caldo corpicino che per una frazione di secondo si era ritrovato a proteggere, tenendolo stretto contro il proprio petto per evitargli il peggio, apparteneva in realtà a una bambina. L’aiutò lentamente a rialzarsi, chinandosi su di lei e stringendone la minuscola mano nella propria.
«Stai bene? Non sei ferita, vero?» chiese preoccupato e per tutta risposta la piccola scoppiò in un pianto dirotto, lasciandolo sgomento. Una veloce occhiata gli rivelò tuttavia che, grazie ai kami non si era fatta male, anche se, comprensibilmente, doveva essere molto spaventata.
«Calmati, ora» sussurrò, provando a tranquillizzarla «È tutto a posto. Cosa ci facevi tutta sola nel bel mezzo della strada? Una bambina così piccola come te non dovrebbe andarsene in giro senza la presenza di un adulto.»
Le scostò con delicatezza i pugni chiusi che coprivano gli occhi, osservando con attenzione il suo visetto armonico prima di asciugare le lacrime da quelle guance rosse e paffute. Non sapeva perché, ma gli sembrava avesse un’aria vagamente familiare. Dov’è che l’aveva già vista?
«Io…volevo il gelato.»
La sentì singhiozzare con un filo di voce e, preso da un moto di dolcezza, le labbra si aprirono ben presto in un largo sorriso.
«Ma certo, volevi il gelato» ripeté, accarezzandola sulla testa «Ascolta, se adesso smetti di piangere ti prometto che sarò io stesso a offrirtene uno. Che ne dici?»
Quei grandi occhi marroni lo scrutarono a lungo con crescente curiosità, prima che la loro esile proprietaria esclamasse, contrita: «Mamma dice sempre che non devo accettare niente dagli sconosciuti!»
Il giovane annuì.
«Questo è senz’altro un ottimo consiglio e la tua mamma dev’essere davvero una donna in gamba, ma…»
Le porse la mano, senza smettere di sorridere.
«Molto piacere, il mio nome è Ranma.»
Poi attese e, dopo un breve attimo di esitazione, lei la afferrò con calore.
«Io mi chiamo Nao.» mormorò, timidamente.
«Vedi? Adesso ci siamo presentati, quindi non sono più uno sconosciuto. Allora, ti va ancora quel gelato?»
«Sììì!» rispose felice, lanciando nell’aria un’allegra risata il cui dolce suono scoprì pian piano una calda impronta nel suo cuore, ormai troppo a lungo indurito dagli eventi.
«Lo vorrei alla vaniglia.»
Ranma inarcò un sopracciglio.
«Lo sai che vaniglia è anche il mio gusto preferito?» affermò.
«Davvero?»
«Certo.»
La bambina, docile, gli offrì nuovamente una manina e lui la strinse gentilmente prima di incamminarsi verso la gelateria dell’angolo.
«Su, andiamo.»
«Non ti ho mai visto da queste parti, sei nuovo di qui?» chiese poi, strada facendo.
«Sono arrivato questa mattina.» la informò lui.
«Allora sei uno straniero.» osservò Nao, facendolo ridere.
«Qualcosa del genere.»
«Benvenuto a Nerima.»
«Grazie mille, signorina.»
Finalmente soddisfatta, si lasciò condurre verso il bar.
 
 
«È buono?» le domandò qualche momento più tardi, mentre la osservava divorare  con piacere il tanto agognato semifreddo, ora già quasi terminato. Beh, bisognava ammettere che l’appetito non le mancava di certo.
«Buonissimo!» la sentì rispondere con la bocca piena e, d’un tratto, la sua espressione si fece più seria.
«Tu non lo hai preso, però.» notò, quasi dispiaciuta.
Il ragazzo col codino alzò le spalle con noncuranza.
«Non mi andava. Dunque, dove hai detto che si trova casa tua?»
Seguì con attenzione l’indicazione del suo dito.
«Laggiù. Dobbiamo girare a destra, ora.»
Si bloccò di colpo. Sicuro? A destra c’era solo…
«Che ti prende, adesso?»
Lo trascinò velocemente verso il marciapiede, fermandosi solo quando raggiunse l’imponente e fin troppo familiare insegna di…
Casa Tendo.
Per l’appunto. Un macigno sbucato dal nulla si incastrò all’altezza del suo stomaco, rendendogli difficile la respirazione.
«Tu vivi qui?» chiese al colmo dello stupore, ma lei non lo ascoltò neppure e prima ancora che potesse realizzare ciò che stava accadendo all’ennesima, insistente scampanellata della piccola la porta si aprì con uno scatto, rivelandogli una figura femminile che si accorse di conoscere molto bene.
«Akane…» bisbigliò, rivolto più a sé stesso e per un momento il tempo parve fermarsi, riducendosi a quell’intenso, seppur inaspettato incontro di sguardi. Mare contro terra, cielo e cioccolato, finché la voce di Nao non lo riportò al presente di quell’attimo fuggente, in cui il cuore non smise mai di battergli all’impazzata.
«Mamma!» esclamò, gettandosi fra quelle accoglienti braccia e spiazzandolo completamente.
Mamma?!  

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Incrociare quello sguardo ardente dopo tanto tempo fu come fare un tuffo in mare aperto senza salvagente, annaspando a lungo nelle sue iridi chiare fino a perdersi completamente in un oceano di ricordi ed emozioni sopite che, per un istante, la fecero vacillare. Era sempre stato così, in fondo. La sensazione non era cambiata. Dopo tutti quegli anni trascorsi a cercare di anestetizzare il dolore, una sola occhiata era bastata a rovinare tutto. Riuscì a staccare gli occhi da quelli di Ranma solo quando la voce della sua bambina la riportò bruscamente coi piedi per terra, strappandola a quello stato di catalessi in cui pareva essere caduta dopo l’iniziale momento di smarrimento dovuto alla presenza del giovane.
«Mamma, lui è il mio amico Ranma! È arrivato questa mattina e sembra un tipo a posto, mi ha aiutata quando stavo per essere investita e poi…»
«Che cosa?» la interruppe, allarmata «Che significa che stavi per essere investita?»
«Non preoccuparti, sta bene. Me ne sono accertato.»
Si intromise l’ormai ex fidanzato, facendole tirare un lungo sospiro di sollievo mentre si portava una mano sul petto, tentando di placare i battiti impazziti del proprio cuore. Kamisama, grazie alle bravate di quel terremoto ambulante prima o poi ci sarebbe rimasta secca. Poco ma sicuro.
«Sei di nuovo scappata dall’asilo, è così? Quante volte ti ho detto di non farlo? Sei ancora piccola e la strada è piena di pericoli. Saresti dovuta rimanere lì, buona, ad aspettare l’arrivo di Ryoga insieme a Kenji!» la rimbrottò con enfasi, senza tuttavia ottenerne la reazione sperata. Mai una volta che ascoltasse le raccomandazioni che le dava.
«Ma lui era in ritardo come sempre e ai bambini non piace aspettare, e poi Kenji continuava a lamentarsi e piagnucolare, così gli ho tirato un pugno e sono andata via.» spiegò Nao e, accanto a lei, Ranma scoppiò in una sonora risata.
«Accidenti, è proprio tua figlia!» esclamò, facendola arrossire fino alla radice dei capelli. Cavolo.
«Cos’è che hai fatto?» riprese Akane, sforzandosi di ignorare quello sguardo attento e curioso, che ora sentiva pesarle addosso come un insopportabile macigno. Perché la sua sola presenza bastava a farla sentire tanto a disagio? In fin dei conti, lui non poteva sapere che…
«Kami, sei impossibile! Lo sai che le persone non si picchiano, Nao!»
E, di nuovo, commise l’errore di guardarlo. Stava ancora ridendo sotto i baffi e stavolta, senza quasi accorgersene, si ritrovò a imitarlo. Beh, detto da lei non suonava molto credibile, se ne rendeva conto, ma questo non gli dava certo la libertà di mettersi a rivangare il passato in quel modo. Non con quel sorriso disarmante. Non con quei grandi occhi azzurri che…
Va bene, vedi di darti una calmata, stupida che non sei altro! Si può sapere che diavolo ti prende? Non puoi permetterti di andare in tilt proprio adesso.
Prese un profondo respiro, ricacciando indietro ogni emozione per tornare finalmente lucida.
«Fila a cambiarti, piccola peste. Faremo i conti dopo. E lavati le mani, mi raccomando! Tra poco si mangia.» disse così, rivolgendosi alla bambina con piglio deciso, poi rifletté velocemente. Se Ryoga si era perso di nuovo come immaginava, significava che Kenji era ancora all’asilo, da solo, ad attendere che lo andasse a riprendere. Doveva immediatamente avvisare Ukyo.
«Ho già mangiato. Ranma mi ha comprato il gelato.» replicò l’altra prima di sparire dentro casa, cogliendola alla sprovvista.
«Davvero? Mi dispiace ti abbia dato tutto questo disturbo, ti risarcisco immediatamente.» si affrettò a rassicurarlo ma lo vide scuotere energicamente la testa, aprendo le mani.
«Ma no, figurati. L’ho fatto con piacere, è stato bello stare un po’ in sua compagnia. Tua figlia è una bambina davvero vivace e divertente.»
Già, e a volte anche antipatica e indisponente. Proprio come suo padre.
Ok, ora non fare nulla di cui potresti pentir…
«Non restartene lì sulla soglia, vieni dentro. Ti offro qualcosa.»
Ecco, come non detto.
 
Averlo lì, in soggiorno, seduto di fronte a sé e intento a sorseggiare il caffè dalla propria tazza le faceva uno strano effetto. Se ne rese conto una volta di più mentre si perdeva a osservare il suo viso, ripercorrendone i bei lineamenti ancora così ben impressi nella memoria e indugiando infine sulle labbra piene e disegnate, immaginando distrattamente di percorrerne il morbido profilo con un dito. Si ravviò i capelli con gesti nervosi, turbata. Stava forse perdendo il senno? Doveva smetterla immediatamente con quelle fantasie. Tutto a un tratto, probabilmente accortosi che lo stava fissando con tanta insistenza rialzò lo sguardo verso di lei e Akane si ritrovò ad abbassare il suo, tossicchiando e arrossendo come una scolaretta scema sorpresa con le mani nella marmellata. Maledizione.
«Ti sono molto grata per averla riportata a casa sana e salva, non voglio neppure pensare a cosa sarebbe potuto accadere se non fossi stato nei paraggi. A proposito, mi dispiace per Obaba. Immagino ti fermerai a Nerima fino ai funerali.» disse, col solo intento di riempire quell’imbarazzante silenzio venutosi a creare.
«Veramente sono tornato per restare» rispose, sorprendendola non poco con quell’inaspettata rivelazione «Ora che Obaba è morta, Shampoo dovrà occuparsi del ristorante.»
Sentir pronunciare quel nome la fece di colpo incupire, tuttavia non ebbe molto tempo per crogiolarsi nella scomoda sensazione, poichè Ranma domandò subito dopo: «Come mai non vedo nessun’altro qui?»
«Ecco» esitò «Kasumi ha sposato il dottor Tofu l’anno scorso, ma vivono a due passi da qui perciò ci vediamo ancora molto spesso, mio padre è in vacanza alle terme e Nabiki a pranzo fuori.»
«Mio padre, invece? Non che mi importi più di tanto, è solo…solo per sapere.»
Alzò le spalle.
«È andato via da questa casa molto tempo fa» spiegò, spiando di sottecchi ogni possibile reazione «Ma ha lasciato un indirizzo. Se vuoi…»
«No» la interruppe, risoluto «Non mi interessa scoprire dove si trova. Va bene così. Quindi, tu e tuo marito vi occupare di tutto, qui?»
Notò una strana inflessione nella sua voce e di colpo sentì il bisogno di spiegargli come stessero davvero le cose.
«Non mi sono mai sposata. Sono una madre single e sì, mi occupo quasi di tutto, al momento. Da quando abbiamo riaperto i corsi, le iscrizioni sono state parecchie e Ryoga mi ha dato una mano per un periodo, ma adesso sono un po’ a corto di personale. E…tu, invece?»
Voleva davvero saperlo? La risposta, suo malgrado, non tardò comunque ad arrivare.
«Mi sono guadagnato da vivere lavorando come istruttore di arti marziali presso le varie palestre di Tokyo.»
Tokyo. Per tutti questi anni era stato a Tokyo. Non sapeva come sentirsi, né cosa provare.
«Non avendo figli ho avuto un sacco di tempo libero, perciò non ho mai smesso di allenarmi.»
Sì, poteva ben vederlo. Non era difficile scorgerli, anche attraverso la casacca. I suoi pettorali scolpiti, che tante volte aveva sfiorato con le labbra e in interminabili carezze. Se chiudeva gli occhi le sembrava ancora di sentirli tendere piano sotto le dita, in trepida attesa che proseguisse l’esplorazione di quella pelle calda che tanto amava sentire vicino.
«Capisco. Beh, ti sei risparmiato un bel po’ di grattacapi, allora. Avere dei bambini che ti girano intorno è indubbiamente meraviglioso, ma anche molto stancante. Nao mi dà parecchio da fare durante il giorno e, colpa del suo esuberante caratterino, devo dire di stare avendo qualche difficoltà nel gestirla.»
«È una bambina bellissima e ti somiglia tanto.»
Si rabbuiò per un istante e questo lo rese d’un tratto più pallido di quanto non apparisse già. Pur non essendo molto cambiato nell’aspetto, c’era comunque qualcosa di diverso in lui. Qualcosa che non la convinceva per niente. Nabiki aveva ragione: sembrava non stare affatto bene. A ogni modo, prima ancora di riuscire a chiedergli qualunque cosa, la piccola tornò velocemente tra loro nella sua tutina azzurra, saltellando allegra da un piede all’altro e restituendo in breve tempo il buonumore al giovane, che la fissava ora assorto e con un sorriso estatico dipinto sul viso. Questo le fece battere più forte il cuore, intenerendola come mai avrebbe immaginato. Era accaduto. Alla fine, per uno strano scherzo del destino e anche se ignari l’uno dell’altra, avevano finito per incontrarsi.
«Ho di nuovo fame, quando si mangia?»
La vide dirigersi verso la credenza, dove conservava i biscotti che Kasumi aveva loro regalato appena il giorno prima per agguantarne qualcuno, divorandoli uno dopo l’altro in un sol boccone e senza alcun ritegno. Era sempre la solita.
«Finiscila di ingozzarti a quel modo o ti farà male il pancino come l’altra volta!» la riprese «Il pranzo è quasi pronto.»
Poi si alzò per dirigersi in cucina e controllare la zuppa che stava preparando, ma la voce di sua figlia la distrasse a tal punto da costringerla a fermarsi dov’era.
«Rimani a mangiare con noi, vero?» gridò rivolta a Ranma, afferrandolo per una manica della casacca e strattonandolo giocosa, mentre attendeva impaziente una risposta. Forse era meglio intervenire in fretta e non solo per l’evidente irruenza dimostrata dalla bambina, ma anche perché non avrebbe voluto spingersi tanto in là nei confronti del suo ospite. Averlo invitato a prendere un caffè era già stato  sufficiente per sdebitarsi con lui, non le sembrava il caso si trattenesse ancora in casa più del dovuto.
“Che ti prende, Akane? Hai paura, per caso?”
Che sciocchezze. Di cos’è che avrebbe dovuto aver paura?
Probabilmente di non riuscire a controllarsi a dovere e spiattellargli in faccia tutta la verità? No, non era il momento e non poteva permetterselo. Non dopo ciò che era accaduto tra loro. E poi…
“Non è solo questo, vero? Hai il timore di ammettere a te stessa di provare ancora qualcosa.”
È falso, non provo nulla. Assolutamente nulla che sia…
«Tesoro, non dare fastidio. Ranma è appena arrivato in città e sono sicura che avrà molte cose da fare, oggi.»
Anche solo lontanamente…
«Mi fermo volentieri, se per te non è un problema.»
Paragonabile a…
Aspetta, che cosa? Si stava proprio divertendo a renderle le cose difficili.
«Ehm, hai cucinato tu, vero?»
Che significava quello sciocco sorrisetto sornione, la prendeva in giro per caso? Che coraggio, sapeva esattamente dove volesse andare a parare.
«Non preoccuparti, non sarò un asso come mia sorella Kasumi ma me la cavo piuttosto bene, ormai. Cucinare è una delle prime cose che ho dovuto imparare, da quando è nata Nao.»
Beccati questa, miscredente! Non sono più quella di una volta e te ne accorgerai.
«Allora sono pronto a correre il rischio.»
Stavolta le sue labbra si aprirono in un largo sorriso che la colpì direttamente al plesso solare, facendola quasi capitolare. Perché era così dannatamente bello quando sorrideva?
Oh, insomma! Vuoi darti un contegno oppure no, brutta deficiente?
 
Dopo pranzo ( ebbene sì, nonostante l’iniziale diffidenza alla fine si era spazzolato via tutto, facendole persino i complimenti!), Nao aveva insistito per mostrargli la sua cameretta, trascinandolo con contagioso, infantile entusiasmo da un lato all’altro della casa e facendolo ridacchiare divertito.
«Non ti conviene mettere piede lì dentro, è un caos.»
Lo avvertì la giovane madre e la piccola mise su un tenero broncio, fingendosi offesa.
«Non far caso a quello che dice» gli sussurrò in un orecchio, credendo di non essere sentita «Mamma esagera sempre. Dai, vieni, ti faccio vedere anche come abbiamo sur…suturato la palestra!»
«Si dice ristrutturato!» la corresse Akane, ridendo a sua volta. Raggiunta l’ampia stanza, lo osservò guardarsi intorno con rinnovato interesse e una strana, inaspettata nostalgia si impadronì ben presto del suo cuore, spingendola a desiderare ardentemente di tornare ai momenti felici che avevano trascorso lì insieme, usando spesso gli allenamenti come scusa solo per potersi sfiorare ancora e ancora, attraverso la divisa da combattimento. Quando era ancora troppo giovane e inesperta per comprendere appieno la natura di quell’insolita, incontenibile attrazione che, in un modo o nell’altro e, proprio come una calamita, la spingeva sempre tra le sue braccia.
«Sembra così diversa da come la ricordavo.»
A quelle parole la bimba sgranò gli occhi, scrutandolo a bocca aperta.
«Sei stato qui altre volte? Allora significa che voi due vi conoscete già, vero?»
Ranma annuì brevemente.
«Io e tua madre siamo vecchi amici.» rispose, lanciando nella sua direzione uno sguardo denso di significati che si accorse di non riuscire proprio a sostenere. Abbassò gli occhi, cercando di scacciare via l’improvviso magone salito a bloccarle il respiro.
«Avrai proprio un bel da fare, qui.»
Lo sentì constatare, alludendo probabilmente alla polvere e all’evidente disordine, ancora accatastato in un angolo poco lontano. Si riscosse all’improvviso per sforzarsi di tornare alla realtà.
Giusto. E anche un gran bisogno di una mano.
E se…
Forse, anzi, di sicuro non era una buona idea, ciononostante non si diede il tempo di rimuginarci troppo.
«Senti, ti andrebbe di lavorare per me?»
***
 
 
Come gli era venuto in mente di accettare la sua proposta? Va bene che ciò di cui aveva bisogno, essendo ormai tornato a Nerima era sicuramente un lavoro, ma non era del tutto sicuro che seguire come istruttore i corsi riservati agli adulti, restando quindi a stretto contatto con lei per gran parte della giornata, fosse esattamente la migliore delle soluzioni. E poi, per quale motivo si era convinto a rimanere a pranzo a casa sua, quando l’unica cosa sensata da fare era riportarle Nao e andarsene via immediatamente? Già, quella tenera bambina. Non sapeva perché ma, quando l’aveva vista insistere tanto affinché si fermasse un po’ da loro, non era proprio riuscito a dirle di no. Anche se incontrare di nuovo sua madre gli aveva messo addosso una strana malinconia, di cui ora faticava a liberarsi. Era comunque felice che stesse bene. Vederla sorridere, sapendo che il proprio sacrificio non era stato vano rappresentava l’unica cosa importante, anche se…beh, insomma, pareva aver fatto presto a dimenticarlo, considerata la presenza della piccola. Forse, però, era meglio così. Restava il fatto che non si fosse mai sposata e questo, anche se gli costava riconoscerlo, lo faceva quasi sentire sollevato. No, non doveva lasciarsi prendere da certe sensazioni. Akane era andata avanti con la sua vita e lui non poteva permettersi di vacillare, ammettendo così di non essere stato in grado di fare altrettanto. Immerso com’era nei suoi pensieri, si accorse della presenza di Ryoga solo quando si sentì spintonare con malo garbo lungo il marciapiede che stava percorrendo, realizzando in quel momento di trovarsi praticamente di fronte al locale di Ukyo. Probabilmente si era accorto di lui guardandolo dalla finestra, senza lasciarsi scappare l’occasione di attaccarlo come ai vecchi tempi. Come poteva ben vedere, certe abitudini erano dure a morire.
«Hai un bel coraggio a ripresentarti qui come nulla fosse, dopo ciò che sei stato capace di fare ad Akane!» gli urlò a un centimetro dal viso, afferrandolo per il bavero e strattonandolo con forza.
«Ti consiglio di non mettere becco in questioni che non conosci.»
Fu la sua placida risposta. Misurarsi con quell’idiota rappresentava al momento l’ultimo dei suoi pensieri. L’apparente stato di calma sfoggiato davanti all’eterno rivale, però, non fece che accrescerne la rabbia, peggiorando le cose.
«Fa’ silenzio, maledetto bastardo! Proprio a me vieni a dirlo? Tu non c’eri, non hai la minima idea dello stato in cui fosse quella povera ragazza quando l’hai lasciata così, su due piedi per metterti con quella svampita, di quanto abbia sofferto per colpa della tua dannata faccia di merda. Ma io sì, per tua sfortuna, perciò adesso morditi la lingua e abbi almeno il coraggio di combattere da uomo!»
Quelle parole lo svuotarono di colpo di ogni energia e, per una frazione di secondo, gli parve persino di sentire il proprio cuore andare in frantumi. Tuttavia, la cosa era del tutto impossibile. Non era rimasto nulla dentro al suo petto, tranne che un vuoto incolmabile. Una voragine scura e senza fine che pareva inghiottirlo dall’interno ogni minuto che passava, prosciugandolo di qualsiasi vigore ancora esistente. Di qualunque natura fosse la punizione che l’avversario gli aveva riservato, la meritava di certo ed era pronto ad accettarla. Quando lo vide, minaccioso, sollevare il pugno nella sua direzione serrò forte le palpebre, restando in attesa. Non agognava il combattimento e non si sarebbe opposto, che la facesse finita in fretta. Il colpo però non arrivò, scongiurato dall’improvvisa voce dell’amica d’infanzia che, di sicuro allarmata dal trambusto messo in piedi dal marito, li aveva nel frattempo raggiunti fuori e ora li fissava, sgomenta, come se non riuscisse a credere ai propri occhi.
«Che diavolo sta succedendo qui? Ryoga, lascialo stare e torna immediatamente dentro, abbiamo il ristorante pieno!» esclamò, accigliata.
«Lo farò con molto piacere, dopo aver dato a questo infame la lezione che si merita!»
«Mi sa che sei in ritardo di qualche anno, per quello.» proruppe Ranma, incapace di trattenersi.
«Ti ho detto di tacere, feccia!»
«Adesso basta, finitela tutti e due! Non vi vergognate a dare spettacolo in mezzo alla strada come due ragazzini idioti? Torna dentro, tu. Subito!»
Il più agguerrito dei due sospirò, sollevando entrambe le mani in segno di resa e lasciandolo finalmente andare, senza comunque interrompere ancora il contatto visivo. Cos’è, sperava di incutergli terrore con quello sguardo da maiale imbalsamato?
«Va bene, ho capito, ma non agitarti in questa maniera. Potrebbe far male alla bambina.»
«Allora non farmi agitare!» strillò Ukyo, facendolo trasalire «Adesso vai, i clienti aspettano!»
Mentre lui tornava dentro l’altro ne approfittò per ricomporsi, sistemandosi la casacca sulle spalle e spolverandola velocemente di una polvere immaginaria. Fu allora che si accorse di un piccolo faccino curioso sbucato dal nulla, che era praticamente la copia in miniatura di Ryoga. Il bimbo lo fissava a bocca aperta e con gli occhi sgranati, quasi non avesse mai visto un essere umano in vita propria. Il suo aspetto era davvero tanto orribile? Accidenti, anche se non si fosse accorto dell’inganno appena prima del parto, l’amica non avrebbe potuto nascondergli a lungo la verità.
«Mamma, papà sembra tanto arrabbiato. Userà la tecnica dell’esplosione su di lui, vero? Lo farà scoppiare come un palloncino?» sussurrò con la sua vocina flebile, indicandolo con un dito e facendolo sogghignare.
«Quella tecnica non serve a fare esplodere le persone, Kenji, quante volte dovrò ancora ripetertelo? Nessuno farà saltare in aria nessuno. Fine della storia.»
«Ma ha promesso di insegnarmela!» sbottò, visibilmente contrariato.
«Non oggi. E comunque sei ancora troppo piccolo per imparare certe cose. Su, ora rientra e finisci di mangiare. E di’ a tuo padre che se riprova a metterti strane idee in testa gli torcerò il collo con le mie stesse mani, intesi?»
Poi lo spinse dolcemente ma con fermezza all’interno del ristorante, sbuffando prima di voltarsi verso di lui.
«Senti, non volevo attaccare briga. È stato tuo marito a…»
«Lo so» lo incalzò, frettolosa «e mi dispiace, ma è meglio se ne parliamo in un altro momento. Fidati. Vai, adesso. Oh, aspetta.»
Gli mise tra le mani un piccolo involucro dall’invitante e inequivocabile profumino.
«Ecco qui, offre la casa. Era destinata a uno dei miei clienti, ma posso sempre rifarla.»
«Okonomiyaki ai gamberetti.» affermò, senza indugio. L’avrebbe riconosciuta tra mille. La vide sorridere.
«Esatto. La mia specialità.»
«Niente sakè stavolta, spero.»
«Croce sul cuore!»
Risero entrambi e il ragazzo le sfiorò il pancione con una carezza leggera.
«Così, aspetti una bambina.»
Annuì, raggiante.
«Beh, grazie» disse, sollevando l’appetibile dono ricevuto «E scusami per stamattina, ero ubriaco e ho esagerato.»
Ukyo scosse piano la testa.
«È tutto a posto. Ascolta, so che, con molta probabilità, sono l’ultima persona con cui vorresti farlo, ma se ti va di parlarne io ci sono.»
«Sto bene così» rispose, subito «Non impensierirti.»
Lo scrutò, scettica, costringendolo ad abbassare lo sguardo verso la punta delle sue scarpe. Questa storia del radar cominciava a essere alquanto fastidiosa.
«Chissà perché non ti credo per niente.»
Allora era in buona compagnia, visto che non ci credeva neppure lui. Quando, ormai in quel tardo e uggioso pomeriggio inoltrato, l’insegna del ristorante “Il Gatto “ divenne sufficientemente vicina da fargli mancare l’aria, si rese conto con rammarico che non gli sarebbe affatto spiaciuto se quell’okonomiyaki fosse stata davvero ripiena di sakè, poiché sapeva bene che l’unico modo per affrontare quell’arpia della moglie  era riempirsi di alcool fino a stordirsi. Si perse a osservare le sue mani tremanti con la vista velata, cominciando a sudare freddo. Ansimò, in preda a un nuovo attacco. Stava succedendo ancora e, quel che era peggio, non avrebbe potuto fermarlo…

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Ci volle un po’ prima che quel fastidioso tremore incontrollato lo abbandonasse del tutto. Quando finalmente lo fece, permettendogli così, ancora scosso e agitato di rientrare in casa, la profonda inquietudine che lesse sul volto pallido e tirato dell’odiata consorte lo raggelò all’istante.
«Si può sapere dove sei stato fino a ora?» esordì la giovane amazzone, squadrandolo a braccia incrociate dalla testa ai piedi, avida di risposte. Ranma sbuffò, affondando a lungo le dita tra i morbidi capelli corvini, come per ravviarli. Lei e le sue irritanti domande. Kami, la mente pareva già assomigliare a un enorme ammasso infeltrito di pensieri e parole non pronunciate, per quale motivo quella sottospecie di serpe doveva per forza incaponirsi a peggiorare la situazione?
«Non ti riguarda.» replicò, secco e, per tutta risposta, la vide muovere qualche passo nella propria direzione, l’aria sempre più adirata.
«Hai bevuto di nuovo? E poi, cos’è quello? Sei passato da Ukyo, vedo! Se avevi fame perché non sei tornato qui, invece di correre da quella smorfiosa?»
Abbassò lo sguardo sull’involto che reggeva tra le mani, soppesandolo distratto.
«Sono perfettamente sobrio e, ribadisco, non sono affari tuoi.» disse infine, guardandola accigliarsi poco prima di esplodere come solo lei sapeva fare, mandando definitivamente in pezzi ciò che restava del suo già compromesso sistema nervoso.
«Sì, invece! Sono tua moglie, maledizione, ho tutto il diritto di sapere dove vai e con chi!» Trillò, stridula.
«Sei mia moglie solo sulla carta» proruppe, beffardo «Vedi di non montarti troppo la testa.»
«Mi auguro avrai la decenza di presenziare ai funerali di domani, almeno.»
«Preferirei cospargermi di benzina e darmi fuoco seduta stante, piuttosto!»
Fu in quel momento che si accorse di lui. Mousse. Quel dannato scocciatore era ancora lì e si stava avvicinando rapidamente.
«Ehi, non c’è bisogno di fare lo stronzo! Come puoi dirle certe cose, è della sua bisnonna che si sta parlando!» esclamò, livido di rabbia. Maledetto papero occhialuto, si divertiva anche a origliare adesso?
«E tu che accidenti vuoi? Sto avendo una conversazione privata con mia moglie, perciò ti consiglio di toglierti subito dai piedi, se non vuoi fare la stessa fine della mummia agghindata nell’altra stanza!»
«Credi che le tue sciocche intimidazioni mi spaventino? Sei l’essere più meschino e rivoltante che abbia mai conosciuto e, in tutta sincerità, non so proprio come abbia fatto Shampoo a sposare uno come te!»
Bisognava ammettere che il coraggio per fronteggiarlo a quel modo non gli mancava, peccato fosse perfettamente inutile nel suo caso, poiché avrebbe potuto spezzargli le ossa come ramoscelli soltanto sfiorandolo con un dito. Per sua fortuna, però, non aveva alcuna voglia di menare le mani. Si limitò quindi a minacciarlo, sperando si levasse di torno il prima possibile.
«La lezione di stamattina non ti è bastata, eh? Vedo che hai tanta voglia di tornare a fare il volo dell’angelo. In qual caso, stupida talpa, sarò più che felice di accontentarti!»
«Per favore Mousse, stanne fuori.» si intromise Shampoo ma sembrò non ascoltarla neppure, impegnato com’era a sforzarsi di tenergli testa in ogni modo, pur di non battere in ritirata. Cos’è che voleva dimostrare, esattamente? Se non fosse stato talmente patetico da fargli quasi pena, sarebbe di certo scoppiato in una grassa risata. «Devi solo provarci a rimettermi le mani addosso e vedrai!»
Protese i pugni in avanti, pronto a un eventuale attacco.
«Vorresti mostrarmi quanto sei bravo a prenderle?»
«Insomma, volete smetterla voi due? C’è ancora gente di là!» li rimbrottò l’unica donna presente, spostandosi d’un tratto fra loro solo per incrociare lo sguardo cupo del marito, gemendo, gli occhi ormai pieni di lacrime: «Quanto a te, non ti sembra di aver già dato abbastanza spettacolo per oggi? Sono stanca di dovermi continuamente scusare con le persone a causa tua, perciò adesso vattene a dormire o dove ti pare, tanto fai sempre i tuoi porci comodi, basta che sparisca subito dalla mia vista. Non ho la forza di combattere anche con te. Non stasera.»
Trattenne a stento un singhiozzo disperato e Mousse le cinse le spalle con un braccio, nel goffo tentativo di consolarla. L’altro sorrise con disprezzo.
«Lo farò con immenso piacere, mia cara. Non chiedo di meglio!»
Il ragazzo dai lunghi capelli neri gli lanciò un’occhiataccia che scelse di ignorare, poi sospirò. Il mal di testa era tornato e stavolta l’alcool non c’entrava. Tutta colpa loro e di quei ridicoli piagnistei che si trovava costretto a sopportare.
 
 
«Non mi aspettavo di vederti così presto. Credevo saresti andato al funerale di Obaba.»
Fece spallucce, sollevando l’ennesimo, pesante scatolone contenente parte dei vari attrezzi da gettar via, per scaraventarlo in giardino insieme agli altri tra un sordo tonfo di oggetti rotti. Akane lo seguiva in quel continuo andirivieni, partecipando come meglio poteva con pesi minori, di sicuro più alla sua portata.
«Invece sono qui.» rispose con noncuranza, costringendosi a non incrociare il suo sguardo tutte le volte che gli passava accanto. Anche se quel giorno era veramente difficile provare a staccarle gli occhi di dosso. Quel nuovo taglio di capelli le donava parecchio, conferendole un’adorabile aria sbarazzina e rendendogli al contempo difficile la concentrazione. Imprecò contro sé stesso ancora una volta per aver accettato quell’impiego. Cosa diavolo gli era passato per la testa? Accidenti. Se non altro, comunque, gli serviva come distrazione. Almeno, impegnandosi a casa dei Tendo, poteva disintossicarsi dal veleno di quella sanguisuga. Doveva però stare molto attento affinché non scoprisse dove trascorreva le giornate. Per fortuna, dopo la sepoltura di quella vecchia bisbetica, sarebbe stata così indaffarata a mandare avanti il ristorante da non avere il tempo di interessarsi a lui. O almeno, lo sperava.
«Ranma, davvero, non c’è bisogno che ti occupi anche di questo. Quando ti ho proposto di venire a lavorare qui, non era certo per…»
«Nessun problema» la interruppe, asciugandosi la fronte madida di sudore con la manica di una vecchia camicia, indossata in previsione di quella vivace mattinata «Non ci metto niente. Inoltre, non potresti farcela da sola. Non in tempi brevi e mi era sembrato di capire avessi una certa fretta di sistemare le cose, visto che ti serviva più spazio.»
Annuì, rivolgendogli un dolce sorriso. Era talmente carina che…
Ok, piantala e pensa al lavoro. Soltanto al lavoro.
«È vero. Ti sono grata per ciò che stai facendo.»
«Se non smetti di continuare a ringraziarmi, potrei finire per abituarmici sul serio.»
La sentì ridere in quell’inconfondibile, meraviglioso modo che amava tanto in lei e ci volle tutto il proprio autocontrollo per evitarsi di correrle incontro e stringerla forte tra le braccia. Quanto gli era mancata la sua risata. Perché era così gentile con lui? Avrebbe dovuto odiarlo per ciò che le aveva fatto. Forse, però, era vero. Se n’era dimenticata in fretta. Questo, oltre a procurargli un’improvvisa fitta al petto, sulla cui natura preferì non indagare oltre, gli fece ricordare dell’assillante dubbio che già da un po’ gli girava in testa, divertendosi a tormentarlo senza tregua.
«Non vedo Nao, è già a scuola?»
«Sì, oggi l’ha accompagnata Nabiki.»
Annuì, stringendo le labbra.
«Capisco.»
“Avanti, non girarci troppo intorno. Non era la domanda che volevi farle.”
Prese un profondo respiro.
«Senti» disse «io devo chiedertelo. Non avertene a male, ti prego, ma ho bisogno di sapere.»
Lo fissò, curiosa.
«Sapere, che cosa?»
“Adesso.”
«C’è per caso la possibilità che…sì, insomma, che la bambina possa essere…mia figlia?»
Ecco fatto. Sganciare quella bomba fu come togliersi un grosso peso. Un altro po’ e l’insistente pensiero lo avrebbe mandato ai matti. La vide sgranare gli occhi, di colpo agitata.
«Chi te lo ha detto?»
«Quindi è vero?»
Il cuore prese a battergli furiosamente nel petto.
«No, certo che no! Mi chiedevo solo chi ti avesse messo in testa un’idea simile.»
Poteva anche sbagliarsi, ma la sua risposta gli sembrò un po’ troppo precipitosa. L’adrenalina lo abbandonò all’improvviso, sgonfiandone ogni possibile aspettativa.
“Che succede? Ci speravi, per caso?”
«Credi sia tanto stupido da non poterci arrivare da solo? Ecco, vista la sua età, supponevo…»
«Non c’è proprio nulla da supporre. Nao è figlia di una breve storia finita male, non c’è altro da aggiungere.»
La sua voce tremava. Era difficile non notarlo.
«Chi è, lo conosco? E quando è successo, prima o dopo che siamo stati insieme?»
Le parole fluirono senza controllo, traducendone in breve tempo i pensieri. La sola idea che altre mani l’avessero toccata oltre alle sue, gli parve talmente intollerabile da farlo star male. Perché, d’un tratto, sentiva l’irrefrenabile bisogno di pestare a dovere lo sconosciuto che aveva accolto nel letto dopo di lui, chiunque egli fosse?
«Fai sul serio? Non sono tenuta a risponderti, semplicemente perché non sono affari che ti riguardano.»
La sentì ribattere, sconcertata. Si perse nei suoi occhi ardenti di puro cioccolato liquido, indugiandovi fino a farla arrossire mentre il mostro verde della gelosia gli bruciava le vene, trasformandole in lava bollente.
«Sono delle semplici domande, non è necessario reagire in quel modo. Mi chiedevo solo se questa tua relazione con un tizio di cui non vuoi rivelarmi il nome, fosse iniziata prima o dopo la nostra, tutto qui.»
Hai avuto il coraggio di tradirmi? Lo hai fatto, vero? Te la sei spassata alle mie spalle mentre vivevo da Ukyo, oppure…
«Tutto qui? Come puoi dirlo così alla leggera? Devo forse ricordarti che sei stato tu a piantarmi in asso per scappare con Shampoo?»
Touché.
«Io non…»
Si bloccò senza sapere cosa dire, sentendosi un verme.
«Beh? Ti aspettavi restassi rintanata in un angolo a piangermi addosso per il resto dei miei giorni? Mi sono fatta una vita, Ranma. Esattamente come te.»
Già e sei stata anche fin troppo veloce. Ma ne avevi tutto il diritto.
«Hai ragione, mi dispiace. Non volevo essere indiscreto.» sussurrò, contrito. Seguì un breve momento di silenzio, dentro al quale l’insistente ticchettio dell’orologio da parete prese rapidamente forma e consistenza, scavandogli la coscienza fino a fargli desiderare di urlare tutta la sua frustrazione. Akane indietreggiò di qualche passo, quasi avesse il timore di stargli vicino.
«E comunque, no» aggiunse, alla fine «Non lo conosci. Ora, se non ti spiace, preferirei cambiare argomen…Ah!»
«Attenta!»
Il ragazzo col codino fu veloce ad afferrarla per il polso, salvandola da una rovinosa caduta prima che, inciampando tra le varie cianfrusaglie ancora disperse qui e là, potesse farsi male sul serio.
«Sei sempre la solita imbranata.» bofonchiò attirandola a sé e per un tempo che gli parve interminabile la tenne stretta contro il petto, affondando le dita tra i suoi capelli e respirandone il dolce profumo mentre l’altra mano le cingeva la vita, sentendola tremare fra le proprie braccia come una piccola foglia sospinta dal vento. Inebriato dall’inaspettata, meravigliosa vicinanza, chinò la testa per lasciare piena libertà alle labbra di vagarle indisturbate lungo la guancia morbida, che sembrava attendere solo lui. La percorse con la leggerezza di un battito d’ali e quando, con il cuore che batteva all’impazzata, si ritrovò a un soffio da quella bocca calda e dolcemente invitante…la scostò via con decisione, d’un tratto ansioso di mettere fra loro quanta più distanza possibile.  Che cosa diamine stava facendo? Non poteva permettersi di cedere ai sentimenti che provava, o non sarebbe mai più riuscito a lasciarla andare. Doveva proteggerla, assicurandosi di tenerla al sicuro, non certo…baciarla, per la miseria! Era forse impazzito? No, non doveva accadere. Si schiarì la voce, tentando con tutte le forze di tornare lucido e sforzandosi di ignorare la sua espressione smarrita quando gli piantò in faccia quegli occhi scuri e inquieti, forse in cerca di risposte. Risposte che non avrebbe potuto darle. Avvilito, strinse i pugni fino a farsi sbiancare le nocche.
«Sarà meglio che vada a prepararmi. Immagino gli allievi arriveranno tra poco.» mormorò, brusco, allontanandosi verso gli spogliatoi senza voltarsi indietro.
 
 
***
 
 
«Ecco fatto. Direi che abbiamo ufficialmente finito.»
Lo vide rimirare soddisfatto il lavoro concluso, senza poter nascondere un sorriso.
«Evviva!» gli fece eco Nao, battendo le manine e saltellando da una parte all’altra della palestra, finalmente sgombra e pulita. Due settimane. C’erano volute due settimane affinché l’ambiente divenisse accessibile nella propria interezza e i risultati erano stupefacenti. In tutto quel tempo avevano lavorato fianco a fianco e, doveva proprio ammetterlo, non era stato affatto facile. Sentirlo così vicino, senza poter spettinare i suoi capelli o sfiorargli il bel viso, come avrebbe tanto voluto fare tutte le volte che, per un motivo o un altro, si ritrovavano a condividere lo stesso spazio, era stata un’autentica tortura per lei. Per l’ennesima volta, da quando l’ex fidanzato era tornato a Nerima, si chiese se assumerlo fosse stata davvero una buona soluzione per quell’ingombrante bagaglio di sentimenti irrisolti che ancora si portava dentro. Bastò tuttavia un’occhiata alla sua espressione tranquilla e gioiosa, a cancellare di colpo ogni dubbio. Sembrava più sereno adesso e non poteva che esserne felice, anche se quei repentini, insoliti sbalzi d’umore la destabilizzavano non poco, mettendole ansia. Sì, era davvero cambiato, pur restando lo stesso di sempre. Fu la voce di Nabiki a interrompere il flusso dei suoi pensieri, pilotandola di nuovo al presente.
«Chi è la mia nipote preferita?»
«Io!» esclamò la bambina, correndole incontro per gettarsi su di lei, ridendo spensierata. La sorella la sollevò di peso, stampandole un bacio sulla guancia.
«Anche perché sei l’unica che ho. Almeno per ora.» disse, fissandola con intenzione e spostando velocemente lo sguardo da lei a Ranma, fino a metterla in imbarazzo. Stava veramente insinuando quello che pensava?
«Vedi di piantarla!» la riprese, ignorando il sorrisetto beffardo che pareva divertirsi un mondo a esibire, mentre la provocava. Sempre la solita, accidenti a lei.
«Kami, quanto sei suscettibile! Mi riferivo a Kasumi. Non vedo l’ora che mi regali un altro nipotino da viziare.»
«Ma io resterò sempre la tua preferita, vero?» mormorò la piccola, attirandone l’attenzione. Annuì, rassicurante.
«Certamente. E adesso, io e te andremo a spassarcela come ti ho promesso. Al parco c’è una nuova altalena che non possiamo perderci, poi, dritti al ristorante!»
«Sììì! Che bello!» gridò, lanciando nell’aria una delle sue dolcissime risate cristalline, quando le fece fare una giocosa piroetta. Akane lanciò loro un’occhiata preoccupata.
«Piano, o le girerà la testa.» si raccomandò. L’altra arricciò le labbra, contrariata.
«Insomma, quanto sei noiosa! Quanto è noiosa la mamma da uno a dieci?» chiese, rivolta alla nipote.
«Dieci!» rispose la piccina, senza esitazione.
Ma guarda un po’.
«Che cosa? Grazie tante!» esplose la giovane madre, facendo scoppiare a ridere tutti. Ecco cosa succedeva ad avere a che fare con Nabiki. Un altro po’ sua figlia si sarebbe trasformata in un’irrecuperabile scapestrata. Scosse lentamente la testa. Nonostante tutto, comunque, adorava il loro bellissimo rapporto.
«Bene, adesso noi ce ne andiamo. Saluta.»
Nao le diede un bacio, poi corse fra le braccia del ragazzo, che la sollevò per stringerla a sé. Era bastato poco tempo trascorso insieme e si erano già molto affezionati l’uno all’altra. Del resto, non avrebbe potuto essere altrimenti. Kami, vederli accanto le provocava sempre un’emozione così forte da riuscire a stento a contenerla.
«Ciao, Ranma.»
«Buon divertimento, signorina. A presto.»
La mise giù, lasciandola libera di percorrere il viottolo lastricato di pietre colorate, fino a raggiungere la zia.
«Nabiki, fa’ attenzione a non farla abbuffare. Sai che tende sempre a mangiare troppo.» la esortò e, per tutta risposta, la sorella le dedicò una linguaccia. La bimba la imitò subito dopo, lasciandola a bocca aperta.
Precisamente. Una piccola delinquente.
«Rilassati, o ti verrà un’ulcera! E voi due fate i bravi, mi raccomando!»
La salutò strizzandole l’occhio, facendola avvampare. Cavolo. Si voltò poi verso Ranma, intento a consultare il suo orologio.
«Ok, è quasi ora di cominciare la lezione.» disse.
«In realtà oggi, essendo sabato, nessuno sarà qui prima delle dieci.» osservò la minore delle Tendo, vedendolo annuire.
«Già, è vero. Me n’ero dimenticato. In tal caso, avrò un po’ di tempo da dedicare agli allenamenti. Mi fai compagnia?»
Diceva sul serio?
«Mi piacerebbe» asserì, sulle spine «ma sono fuori esercizio.»
Era vero, anche se le bastò un’occhiata per capire che il suo sciocco tentativo di prendere tempo, non lo aveva convinto per niente.
«Su, fammi vedere.» insistette, infatti, mandandola in subbuglio.
«Vuoi combattere?»
«Hai paura?»
Aggrottò le sopracciglia.
«Scherzi? Dovrei aver paura di te?»
Lui sorrise.
«Coraggio, allora. Mostrami che sai fare. Ti aiuterò a rimetterti al passo.»
Nei momenti che seguirono la macchina del tempo la trascinò via con sé, mostrandole un mondo ormai lontano in cui perdersi a ogni mossa ben studiata e a ogni suo agile salto che, riportandolo di volta in volta sempre più vicino, le faceva battere forte il cuore come la ribelle e innamorata adolescente che era stata, confondendole nuovamente le idee. Forse, però, nulla era cambiato da allora. Le mani che, in quella strana e familiare danza, la sfioravano attraverso i vestiti erano ancora calde e gentili, ma decise nei movimenti. Quando, occhi negli occhi e appena a un soffio di distanza, si ritrovò avvolta nel tiepido cerchio delle sue forti braccia, non seppe opporre resistenza non appena le labbra si posarono leggere sulle proprie, provocandole un brivido serpeggiante lungo la schiena e fin dove lui la stringeva. La dolce pressione di quella bocca morbida e invitante sulla sua, tuttavia, durò solo un attimo prima che, tornata finalmente padrona di sé stessa, ne interrompesse d’un tratto il contatto, spingendolo via con decisione.
«Che stai facendo?» mormorò, turbata, incrociandone lo sguardo ora cupo e inquieto. Si ravviò i capelli con gesti nervosi, sentendosi le guance in fiamme. Come aveva potuto permettergli di prendersi certe libertà con lei?
«Scusa, io non…»
«Si può sapere a che gioco stai giocando?» lo incalzò, in crescente agitazione «Un giorno sei amichevole e sorridente, quello dopo diventi talmente freddo e distaccato da non rivolgermi quasi la parola. Prima mi abbracci, poi mi spingi via. Mi mandi continuamente segnali contrastanti, non riesco mai a capire cosa pensi e poi…te ne esci con questo. Perché mi hai baciata? Che cosa vuoi da me, Ranma? Se hai dei problemi con Shampoo, non voglio essere coinvolta.»
Abbassò gli occhi, avvilito.
«Non si tratta di questo.» disse a denti stretti. Lo fissò, esterrefatta, avanzando di qualche passo con i pugni stretti e tutto il corpo in tensione.
«Allora è ancora peggio! Non so cosa diavolo ti sei messo in testa, ma non ti permetterò di burlarti di me e dei miei sentimenti! Lo hai già fatto una volta e…»
«Non ho mai giocato con te, Akane.»
Lo sentì replicare. Quelle parole risvegliarono la rabbia furiosa che fino a quel momento si era imposta di soffocare sotto le macerie dell’anima, rivestendola di nuove, amare consapevolezze e ripotando rapidamente alla luce tutto il dolore sopito.
«Te ne sei andato, abbandonandomi senza una spiegazione!» urlò a polmoni spiegati e la sua voce risuonò a lungo tra il vuoto di quelle pareti «Non hai nemmeno avuto il coraggio di guardarmi in faccia e dirmi che per te non sono stata niente di più di una semplice scopata!»
«Questo non è affatto vero!»
«Ti ho cercato in ogni angolo della città per intere settimane!» continuò, ignorandolo del tutto «Per mesi, ma di te nessuna traccia. Non hai lasciato una lettera né uno straccio di biglietto, sei semplicemente scappato via da un giorno all’altro come un dannato vigliacco!
Si interruppe bruscamente, ingoiando le lacrime salite a bruciarle le palpebre. Dall’altra parte, nessun fiato. Si morse le labbra, poi riprese.
«Sono persino andata da Obaba a chiedere tue notizie, ed è lì che finalmente ho appreso la verità. Eri fuggito con Shampoo con l’intenzione di sposarla, ma neppure lei aveva la minima idea di dove foste diretti, quando siete partiti. Non ero sicura se crederle o meno, sapevo solo che ero…devastata. Mi hai spezzato il cuore, maledizione!»
«Beh, almeno continua a battere!»
Ammutolì di colpo, rivolgendogli un’occhiata torva.
«Che diavolo vorresti dire con questo? Avresti preferito che morissi, per caso?»
«No, ma è proprio quello che sarebbe successo, se non me ne fossi andato con lei.»
La voce, ora bassa e controllata, la colpì più delle parole appena pronunciate. Sembrava talmente afflitto e angustiato da non aver quasi il coraggio di sollevare lo sguardo. Il vento abbandonò le sue vele.
«Di che stai parlando? Non capisco.»
«Qual è il tuo ultimo ricordo di quel giorno, Akane?»
Come?
«Che c’entra questo, adesso? Ti sei bevuto il cervello, per caso?»
«Per favore, rispondi e basta. Qual è il tuo ultimo ricordo di quel giorno?»
Il suo tono non ammetteva repliche. Scavò velocemente nella propria mente.
«Io stavo» esitò «stavo andando in cucina a prendere qualcosa da mangiare e poi, tutto a un tratto, mi sono ritrovata nel mio letto e tu non c’eri più.»
Si era sempre chiesta per quale, inspiegabile motivo ci fosse come un buco nella sua memoria, perché non riuscisse a ricordare cosa…
«Ti ho riportata io a letto dopo averti trovato a terra, praticamente morta.»
«C…Che cosa?» balbettò, in preda allo choc. L’insistente ticchettio dell’orologio si impegnava intanto a scandire il tempo in minuscoli, interminabili secondi, ciascuno dei quali divenne ben presto troppo doloroso per essere sopportato. Lo spiò di sottecchi. Poteva sbagliarsi, ma ebbe l’impressione che il suo respiro si facesse via via più pesante. Perché stava ansimando?
«Shampoo ti ha fermato il cuore, con molta probabilità attaccandoti alle spalle. Ecco perché non te lo ricordi. Ti aveva quasi uccisa, l’unico modo per salvarti era…sottostare al suo sporco ricatto. Mi ha costretto a prometterle di sposarla, in cambio ti avrebbe lasciata…vivere. Io avrei fatto qualunque cosa per te, così ho accettato e…»
Si accasciò a terra, lasciando la frase in sospeso e premendosi una mano sul petto, respirando a fatica.
«Ranma? Ranma, che succede? Cos’hai?» si chinò su di lui in preda all’angoscia, prendendogli il volto pallido e sofferente fra le mani.
«Mi…manca l’aria…»
«Credo stia avendo un attacco di panico. Fai dei respiri profondi e cerca di rilassarti.» sussurrò sfiorandogli la fronte, ormai madida di sudore. Scosse la testa, fremendo da capo a piedi.
«Non posso, non ci riesco…»
«Sì che ce la fai. Ehi, va tutto bene.»
Gli sedette accanto sul pavimento, affondando le mani tra i suoi capelli per accarezzarli a lungo, cercando di infondergli un po’ di tranquillità. Non lo aveva mai visto in quello stato. La preoccupazione provata, le fece dimenticare per un momento la gravità di ciò di cui, appena qualche secondo prima, avevano parlato.
«Starai bene. Guardami, respira con me. È tutto a posto.»
Tuffandosi nell’oceano di quegli occhi chiari lasciò che il suo respiro tornasse lentamente regolare, stringendogli le mani gelate fra le proprie nel tentativo di placarne l’incontrollabile tremore.
«Così, bravo. Continua a respirare.» mormorò, sfiorandogli il petto con le dita, dove un cuore agitato batteva ancora all’impazzata e per un po’ rimase in silenzio, attendendo con pazienza che la tremenda crisi lo abbandonasse del tutto.
«Va meglio, adesso?» domandò qualche momento più tardi, continuando a tenergli le mani. Lo vide annuire debolmente. Aveva finalmente smesso di tremare.
«Ti era mai successo prima?»
«Qualche volta.» rispose dopo un breve attimo di esitazione e, a quel punto, il fastidioso nodo in gola si sciolse pian piano in lacrime mentre scoppiava in un pianto dirotto, gettandogli le braccia al collo.
«Ti ho imprecato contro per così tanto tempo» singhiozzò, il viso sepolto nell’incavo della sua spalla «senza avere la minima idea dell’inferno che devi aver passato, per essere in queste condizioni. Mi dispiace, mi dispiace moltissimo!»
L’impeto con cui la strinse a sé fu tale che, se Akane non fosse stata una ragazza forte, le avrebbe di certo fatto male.
«Dispiace anche a me» rispose con voce roca «Più di quanto immagini. Non avrei rinunciato a noi per niente al mondo, tranne che per tenerti al sicuro. Perdonami. Per tutti questi anni, non ho mai smesso di amarti.»
«Neppure io. Ti amavo anche mentre ti maledivo.»
Sollevò la testa, guardandolo intensamente.
«E ti amo ancora adesso» aggiunse «Ti amo immensamente.»
Il dolcissimo bacio che ne seguì abbatté in modo definitivo ogni barriera tra loro, portandola a smettere totalmente di pensare, consapevole solo delle braccia che la avvolgevano e di quelle labbra morbide che, incollate alle sue, la cullavano in un’ intensa altalena di emozioni. Emozioni che, in fondo, si accorse di aver desiderato provare fin dal primo stante in cui, dopo tutto il tempo trascorso lontani l’uno dall’altra, se lo era ritrovato davanti così all’improvviso. Il suo sapore era quello di sempre. Le era mancato tanto.
«Giuro che quella dannata psicopatica me la pagherà cara per ciò che ha fatto.» sibilò quando si staccarono, sciogliendosi piano da quel caldo abbraccio. Ranma la fissò con espressione preoccupata.
«No» disse, asciugando le lacrime che ancora le rigavano le guance infuocate «Assolutamente no. Ascolta, qualunque cosa tu abbia in mente, ti scongiuro di fermarti. Non metterti contro Shampoo per nessun motivo.»
«Non ho paura di lei!» ribattè, decisa.
«Akane, ti ha quasi uccisa sotto i miei occhi e senza che potessi far nulla per fermarla, né per salvarti. Ero completamente impotente. Non voglio che ci riprovi. Non voglio che faccia del male a te o a Nao perché, fidati, ne sarebbe capace. Quella donna è pazza e pericolosa, ma posso gestirla. Finché resterò con lei…»
«Non ti permetterò di tornare in quella casa, non nello stato in cui ti trovi.» lo incalzò. La baciò sulla fronte.
«Sto bene, non devi stare in pena per me.»
Che diavolo stava dicendo?
«Lo chiami star bene, quello che è appena successo? Non capisci che vivere con lei ti sta uccidendo lentamente? La tua non sarà una missione suicida! Kami, è tutta colpa mia.» si disperò.
«Non è vero.»
«Invece sì. È per me che ti trovi in questa situazione.»
«Non è colpa tua, non dirlo mai più.»
Sentì le sue mani accarezzarle il viso e d’un tratto ebbe di nuovo voglia di piangere.
«Ti sei sacrificato per salvarmi.»
«Lo rifarei altre mille volte, se fosse necessario. Ti amo.»
Si lasciò baciare a lungo, abbandonandosi a lui. Era l’amore della propria vita, come aveva potuto dubitare della sincerità dei suoi sentimenti? Se solo avesse saputo.
Che tu sia maledetta, stupida ragazzina con i bombori. Un giorno o l’altro ti spingerò quei ridicoli giocattoli che ti porti dietro, talmente su per il culo che riuscirai a vomitarli. Vedrai!
«Si è fatto tardi. Tra poco dovrò iniziare la lezione.»
La ragazza sospirò, sfiorandogli una guancia. Aveva l’aria esausta.
«Se non te la senti, posso occuparmene io per oggi.»
«Ho detto che sto bene.»
«Sicuro?» chiese, scettica. Annuì.
«Non potrebbe essere altrimenti, ora che mi sei vicina.»
Sorrise, depositandogli un bacio sulla punta del naso.
«Ho voglia di stare con te, amore mio» disse «Stasera, quando tutti saranno andati a dormire, vieni da me. Lascerò la finestra aperta. Credi di poterci riuscire?»
 
Quella notte attese che la raggiungesse nella sua stanza, permettendogli di stringerla e baciarla con trasporto mentre lo pilotava dolcemente verso il letto dove entrambi, travolti dalla passione, si persero completamente l’uno nell’altra…

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14
 
Lasciò vagare a lungo le dita sulla pelle liscia, pigramente accoccolata contro di lui. il suo corpo era così caldo e l’ampio petto talmente accogliente che avrebbe voluto possedere la capacità di fermare il tempo, proprio come la protagonista della fiaba tanto amata sin da piccina, riducendolo a quel magico istante tutto per loro prima che arrivasse l’alba. Prima che il mondo si svegliasse, riprendendo a girare come una giostra vorticosa che presto lo avrebbe strappato via dalle proprie braccia. Un ultimo scampolo di cielo stellato, poi il sole sarebbe tornato a bruciarle le palpebre, spegnendone i sogni. Chiuse gli occhi, lasciandosi inebriare dal suo rassicurante profumo muschiato. Sapeva di freschezza e libertà, sapeva d’amore. Un amore travolgente e incondizionato. Sì, lo amava così tanto da temere ogni volta che il cuore potesse esploderle, o implodere dentro al petto, tanta era l’intensità del sentimento che gelosamente custodiva da sempre tra le pieghe dell’anima. Per questo non avrebbe sopportato ancora a lungo quella spiacevole situazione. Fu allora che un dubbio atroce prese a tormentarla fin nelle viscere, lasciando ben poco spazio all’immaginazione e più cercava di scacciarlo via più questo si faceva insistente, dispiegandosi dentro di lei con la stessa forza di un uragano, fino a mandare in pezzi ogni singola briciola di buonsenso rimastale.
E se…
No. Smettila immediatamente, Akane!
E se…
Va bene, hai vinto.
«Ranma?»
Si mosse piano mentre lo sentiva affondare una mano tra i suoi capelli.
«Mhm?»
«Tu e Shampoo…»
Si morse le labbra.
«Beh, insomma, voi due avete…»
«No» rispose, risoluto, senza neppure darle il tempo di dar voce per intero al doloroso tarlo che la consumava dall’interno «Non avrei mai potuto.»
Si sistemò su un fianco, scrutandolo curiosa.
«Sul serio? Voglio dire, vivete insieme da sei anni ed è senza dubbio…molto bella. Davvero per tutto questo tempo non è mai successo nulla?» insistette, il viso da bambina divorato dalle fiamme della gelosia che goffamente tentava di nascondere, suscitando quasi tenerezza.
«Assolutamente no.» fu la secca risposta del giovane amante. Sbuffò, tutt’altro che sollevata. Era dura tornare a fidarsi dopo quanto accaduto, anche se non era certo sua la colpa.
«Neppure una volta?»
Si voltò verso di lei, sfiorandole la guancia rosea con un dito e guardandola tanto intensamente da farla arrossire.
«Non c’è stato, né ci sarà mai nulla tra me e Shampoo» disse con voce ferma «Non sono attratto da lei, la odio profondamente. È la verità Akane, ti prego di credermi. Per tutti questi anni, non ho fatto che pensare a te.»
Deglutì, avvampando dall’emozione. Il cuore perse un battito e le sinapsi andarono a farsi benedire, ma solo per un attimo. Gli scostò, con gesti gentili i capelli corvini dalla fronte.
«Non c’è stata nessun’altra nelle tua vita?»
Le parole fluirono prima che potesse controllarle. Voleva proprio saperlo? E lui stava…esitando? Sì, decisamente.
«Qualcuno c’è stato» sussurrò infine, dopo un breve momento di silenzio «ma si è trattato solo di storie di una notte e senza la minima importanza. Non mi va, però, di parlare di questo. Ho trascorso un brutto periodo e ho reagito come potevo per cercare di non impazzire, tutto qui.»
 Ergo, aveva la piena responsabilità di ogni sua debolezza. Cavolo.
«Su, non fare quella faccia, ora.»
«Quale faccia?»
La fissò, inarcando un sopracciglio.
«Quella che fai sempre quando qualcosa ti infastidisce. Non vado certo fiero del mio comportamento, ma appartiene al passato e non dovresti esserne gelosa. Per me esisti solo tu, lo sai.»
La baciò con dolcezza, facendola sciogliere all’istante. Che scema era, lei e la sua mania di far sempre tanto rumore per nulla!
«Inoltre» proseguì, sulle sue labbra «mi sembra di ricordare che anche tu abbia avuto qualcuno dopo di me e, considerata la presenza di Nao, immagino per te sia stata una relazione piuttosto importante.»
Molto più di quanto pensi.
«Eppure, contrariamente a ogni mia aspettativa, sono contento che sia successo.»
L’insolita affermazione la colse alla sprovvista.
«Perché dici così?»
«Perché questo ha dato la possibilità alla tua stupenda bambina di nascere. Sai, credo che niente senza di lei, sarebbe stato lo stesso.»
Compreso quel sorriso estatico che ora ti fa risplendere.
Avanti Akane, digli la verità. Digli che non c’è mai stato nessuno nella tua vita, oltre a lui. Che sei stata e sarai per sempre soltanto sua. Non merita forse di sapere tutto? Certo, certo che sì.
Allora per quale motivo, ogni volta che provava a parlargli di sua figlia un doloroso nodo all’altezza dello stomaco le bloccava le parole in gola, spingendola a fare marcia indietro? Forse aveva solo bisogno di altro tempo. Anche se…
No, non era giusto e lo sapeva bene. Si specchiò nuovamente in quegli occhi cerulei.
«Ecco, a questo proposito, c’è una cosa che dovresti sapere…»
«Devo andare.» mormorò come se non l’avesse neppure sentita, interrompendo qualunque frase stesse per formulare e bloccandone così sul nascere ogni possibile intenzione. Quell’improvviso, minuscolo barlume di coraggio, appena tirato fuori da chissà dove tornò a nascondersi in un angolo remoto del suo cervello, perdendosi nel buio e lasciandola nell’amara consapevolezza che mai più lo avrebbe ritrovato. Accidenti. Scosse la testa.
«Non farlo, ti prego.» lo supplicò, perfettamente conscia di non poterlo sopportare. Lo sentì sospirare, affranto.
«Tesoro, non sai quanto sia difficile per me costringermi a lasciarti ogni volta nel cuore della notte, ma devo. Sai che devo.»
«No, non lo so. Maledizione, è quasi un mese che andiamo avanti così e io sono stanca di doverti dividere con Shampoo. Voglio soltanto vivere il nostro amore alla luce del sole, senza più nasconderci come dei ladri, per essere finalmente una coppia normale. Chiedo troppo, forse?»
Le prese il viso fra le mani.
«Lo vorrei tanto anch’io. Più di quanto credi.»
«Allora resta.»
«Non posso farlo.»
Quasi si sentì mancare il respiro.
«Perché no? Ti ho già detto che non ho paura di quella strega. Se devo combattere, lo farò.» berciò, ignorando la sua espressione inorridita.
«Kami, perché fai così? Non capisci che lo sto facendo per te, per tenerti al sicuro?»
Tenerla al sicuro…
Era lui a non capire.
«Se la tua assenza è il prezzo che devo pagare preferisco rinunciare a quel poco che abbiamo, perché non mi basta più.»
Lo sentì rafforzare la presa sul proprio volto, catturando il suo sguardo inquieto in una morsa invisibile. Faceva tutto tanto male.
«Akane, guardami. Ti amo. Sono qui adesso e ti assicuro che non c’è altro posto al mondo in cui desideri trovarmi, se non fra le tue braccia.»
«Per quanto? Giusto il tempo di scaldarmi il letto, prima di volatilizzarti come al solito per tornare da lei?» replicò, amara. Ranma si allontanò di scatto, ravviandosi i capelli con un gesto nervoso.
«Kamisama, quando ti comporti in questo modo assurdo sei anche peggio di Shampoo!»
Lo fulminò con un’occhiataccia, sentendosi gelare da capo a piedi. Era questo ciò che pensava di lei?
«Che cosa hai detto? Prova a ripeterlo!» esclamò, dimenticandosi totalmente di tenere la voce bassa e rischiando così di svegliare la figlia o, peggio ancora, quella piantagrane di sua sorella Nabiki, che dormiva proprio nella stanza di fianco.
«Scusa» bofonchiò, avvilito «Mi è uscita male. Non volevo.»
Lo fissò per un lungo istante, muta.
«Vattene.» disse infine con accento grave.
«Akane, io…»
«Vattene via subito. E non azzardarti a tornare in mattinata, sei licenziato!»
La fissò come se non credesse ai propri occhi.
«Fai sul serio?»
Scostò le lenzuola con malo garbo, spingendolo fuori dal letto mentre lo osservava, furiosa, raccattare gli abiti da terra per rivestirsi in tutta fretta.
«Fuori dai piedi, idiota che non sei altro! Tornatene dalla tua cara mogliettina!»
Non riuscì a evitarsi di usare un tono sarcastico. Tutto ciò che voleva era ferirlo e, a giudicare dalla sua espressione, ci era appena riuscita.
«Bene, allora.» biascicò a denti stretti.
«Benissimo!»
«Cos’è, ti si è fritto il cervello per caso? Vedo che non sei cambiata affatto. Sei sempre la solita ragazzina testarda e indisponente, che non è in grado di sostenere una conversazione normale senza mettersi a frignare o insultare come una stupida! E bada che non mi scuserò per questo.»
«Va’ al diavolo!» gridò di rimando, preferendo sorvolare sul fatto che fosse stato proprio lui il primo a cominciare a offenderla e cacciando poi la testa sotto le coperte, solo per celargli le sue lacrime…
 
***
 
E va bene, d’accordo, era colpevole. Colpevole di provare un sentimento tanto forte e profondo da non poter resistere lontano da lei ancora per molto. Colpevole di morire dalla voglia di chiederle perdono se, con quelle parole velenose che proprio non era riuscito a impedirsi di pronunciare, le aveva procurato del dolore. Colpevole di desiderare con tutto sé stesso di tornare a far la pace e riprendere a frequentare quella casa. Per spingerla furtivamente dentro a uno dei camerini della palestra, come era solito fare ormai da un po’, divertendosi a consumare il loro amore tra quelle pareti strette e accoglienti, fra una lezione e l’altra, lontani da sguardi indiscreti e soprattutto felici di stare insieme. Perché era così che si sentiva quando le era vicino: felice e sereno come non era mai stato prima. Gli attacchi di panico erano completamente spariti, spazzati via come fumo che si disperde, insieme alla sofferenza di quegli orribili sei anni e la voglia dei mettersi a bere lo abbandonava del tutto persino quando, verso sera, tornava a incrociare lo sguardo dell’odiata moglie. Aver a che fare con Shampoo stava diventando persino più facile, poiché si concentrava su colei che amava più della vita stessa  e…sì, anche su quel piccolo, tenero scricciolo che tanto le assomigliava e che in quel primo, stupendo mese insieme, trascorso forse troppo in fretta, si era reso conto di adorare più di quanto sapesse ammettere ad alta voce. Quella bambina meravigliosa, sempre tanto allegra e piena di voglia di vivere lo aveva conquistato al primo sguardo, guadagnandosi in poco tempo una buona fetta del suo cuore e il motivo restava tuttora un mistero. Forse perché, proprio come lui, sembrava possedere quella strana fame d’amore che da sempre, sua croce e delizia lo contraddistingueva e di cui mai, per nessun motivo al mondo e neppure con Akane, avrebbe fatto parola. Eppure, con gioia e dolcezza la piccola Nao, così sorprendentemente simile a lui nei suoi sorrisi e movenze, pareva aver trovato e rimesso insieme, con l’aiuto della madre, ogni pezzo mancante della propria anima ferita, restituendogli nuova forza. Nuova luce. Allora…per quale motivo era così difficile avvicinarle, adesso? Perché preferiva restarsene ben nascosto tra le siepi a osservarle da lontano mentre, in quell’afoso pomeriggio, sedute sotto il portico di casa Tendo ridevano e scherzavano senza di lui? Già, era stupido ma la sola presenza di Kasumi e Nabiki bastava a metterlo a disagio, facendolo sentire ancora più in difetto e costringendolo a rincantucciarsi di più, quasi ne temesse il giudizio. Sapeva quanto entrambe fossero estremamente protettive nei confronti della sorella minore, tuttavia…
Tese l’orecchio, mettendosi in ascolto.
«Era papà al telefono. Ha detto che si fermerà alle terme più del previsto.»
Le informò la mezzana delle tre, flettendo le braccia in un movimento armonico mentre, poco più in là e sotto il loro occhio vigile, Nao giocava tranquilla sull’erba.
«Ma guarda! Se la sta godendo parecchio, questa vacanza.» osservò Kasumi, sorridendo divertita.
«Se la merita» si intromise Akane, facendo spallucce «è giusto che sia così. Qui, come vedete, posso benissimo cavarmela da sola.»
Il ragazzo col codino scosse piano la testa, ridacchiando. Sempre la solita spaccona.
«Beh, proprio da sola da sola…no.»
Nabiki le lanciò uno sguardo più che eloquente.
«Che vorresti dire con questo?»
«Che se Ranma non ti avesse dato una buona mano d’aiuto, probabilmente a quest’ora la palestra sarebbe ancora ricoperta di ragnatele! Senza contare che si sta occupando anche dei corsi mattutini. Oggi però non l’ho proprio visto. Problemi in paradiso, forse?» azzardò con accento mellifluo, provocandola apposta.
Vuoi vedere che…
«Vederlo tornare dopo tutto questo tempo dev’essere stato uno shock per te, cara. Soprattutto, dopo aver saputo del matrimonio con Shampoo.»
Aggiunse la maggiore delle sorelle, cogliendola chiaramente alla sprovvista.
«Niente affatto, sto bene!»
Come al solito, il suo adorabile maschiaccio dimostrava di saper incassare il colpo. Anche per questo si era innamorato di lei. Era sempre stata una ragazza forte.
«Già, più che bene. Soprattutto da quando il nostro mister Vlad si intrufola nella sua stanza per tenerle compagnia anche dopo il tramonto.»
«Cosa?» esclamò Kasumi, sbattendo più volte gli occhioni innocenti. Vide Akane arrossire fino alla radice dei capelli e non poté che imitarla subito dopo, trasformandosi in breve nella brutta copia di un pomodoro pachino. Accidenti, proprio come pensava. Quella furbastra sapeva di loro. E chissà da quanto tempo.
«Nabiki!»
La riprese la minore, tentando con scarsi risultati di mantenere la calma. Le mani goffamente strette in grembo e il viso imbarazzato la resero ancora più bella ai suoi occhi, tanto da dover costringersi a resistere all’irrefrenabile impulso di correrle incontro per stringerla forte a sé. Sorrise, senza riuscire a smettere di guardarla. L’amava davvero tanto.
L’altra si esibì in una giocosa linguaccia.
«Pareti sottili» disse «Che c’è sorellina, credevi non mi fossi accorta dei tuoi allegri sollazzi notturni?»
«Davvero, tu e Ranma…»
«Shh!» le zittì lei, portandosi l’indice alle labbra «Volete che Nao vi senta?»
Ranma lanciò un’occhiata preoccupata nella sua direzione, ma la piccola pareva non badar neppure a loro. Tanto meglio. L’ultima cosa che voleva era vederla traumatizzata a vita per colpa sua.
«A proposito» continuò poi la smaliziata provocatrice, risvegliando nuovamente l’attenzione «mi chiedo quando ti deciderai a dirgli finalmente la verità.»
«Non so di cosa tu stia parlando.» rispose Akane, sulle spine.
Infatti. Non lo sapeva neppure lui. Cambiò posizione tra le rigogliose foglie, stando bene attento affinché nessuno lo notasse mentre tentava, con un vigoroso massaggio, di placare un improvviso crampo al polpaccio. Dannazione.
«Lo sai benissimo, invece» la sentì insistere «O pensi sul serio che mi accontenti di prendere per buona la storia che hai rifilato a tutti quanti, quando ti sei accorta che la tua pancia era diventata così evidente da non poterla più nascondere?»
«Per favore, smettila. Non vedi che la stai agitando? Non le abbiamo mai chiesto niente e non cominceremo certo oggi. Se e quando Akane si sentirà pronta ad affrontare l’argomento riguardo alla paternità della bambina…»
«Sei la solita ingenua Kasumi, eppure è sempre stato talmente evidente. Possibile tu non abbia ancora capito che…»
«Adesso basta, sta’ zitta!» sbottò la giovane madre, divenendo quasi una furia.
Ma cosa…
Che diavolo stava succedendo, cos’è che si era perso?
«Prima d’ora non ho mai detto nulla per non turbarti ulteriormente, ma adesso lui è tornato e questo cambia tutto. Sono passati anni, ormai sei abbastanza adulta per affrontare questa faccenda nel migliore dei modi. Non puoi più tacere a questo punto, Ranma ha il diritto di sapere che Nao è sua figlia.»
Quelle ultime parole ebbero l’insano potere di pietrificarlo sul posto quando, per un attimo, credette di non aver capito bene, dimenticando persino il dolore provocato dall’innaturale posizione.
Sua figlia. Nao era sua figlia.
Nao. Era. Era…
Ok, aveva ascoltato abbastanza. Il respiro, d’un tratto affannoso e la testa sul punto di esplodere gli impedirono di saltar fuori da quell’improbabile nascondiglio, per fronteggiarla a muso duro come avrebbe meritato. Si vide quindi costretto a optare per l’unica opzione di cui fosse capace al momento, per conservare l’ultimo barlume di lucidità: battere in ritirata.
Codardo!
Pensare al da farsi.
Sei solo un miserabile codardo!
No, non è vero. Non è vero!
Sconvolto e angustiato da quella scioccante rivelazione non si accorse che un’oscura presenza, acquattata appena dietro di lui, si apprestava pian piano a seguirlo.
 
 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15
Sei anni prima
Si rimirò nell’ampio specchio ovale della camera immersa nella penombra, srotolando lentamente via le bende elastiche che ne comprimevano il ventre, facendola sudare. Tirò un profondo sospiro di sollievo, grata di poter finalmente, dopo quell’intensa mattinata a scuola, riprendere a riempir d’aria i polmoni. Anche se solo per un breve istante, prima di tornare a indossarle insieme ai soliti abiti casalinghi, divenuti ormai fin troppo stretti. Proprio come tutto il resto. Eh sì, ancora un po’ e avrebbe avuto bisogno di un nuovo guardaroba. Faceva già abbastanza fatica a entrare nell’uniforme scolastica. Per fortuna mancava poco alla stagione estiva. Lasciò scivolare l’indice lungo la morbida curva della pancia, affranta. Quand’è che si era gonfiata così? Adesso sembrava grande e rotonda quasi come un pallone da baseball. Si rese conto, con rammarico, di non poterla nascondere ancora a lungo. Era scomodo, doloroso e terribilmente frustrante. Studiò con una smorfia la propria immagine riflessa, ravviandosi i capelli e sbuffando più volte. Kami, il suo aspetto era davvero orribile. Forse avrebbe dovuto iniziare a truccarsi un po’, almeno per nascondere quelle spaventose occhiaie che, se non stava attenta, avrebbero di certo segnato l’inizio della sua metamorfosi in Gosunkugi. Un orrendo, grasso Gosunkugi incinto. Accidenti. Almeno, però, le nausee erano sparite da un pezzo, magra consolazione visto quanto doveva sopportare. Ma andava bene così. Si sforzò di sorridere, picchiettando con dolcezza sulla pelle che ricopriva il pancione e, quasi in risposta a quel gesto, avvertì un piccolo movimento provenire dall’interno. Il sorriso si allargò. Stava di nuovo scalciando. Era una sensazione talmente strana. Strana e bellissima.
«Ciao, cucciolo. Sai, non so se potrò essere una brava mamma per te, ma ti prometto che ci proverò con tutte le mie forze.» sussurrò e gli occhi le si inumidirono. Un colpetto alla porta chiusa la ridestò d’un tratto, facendola sussultare e strappandola ai suoi pensieri.
«Akane, il pranzo è in tavola già da un pezzo. Hai intenzione di scendere o cosa?»
Nabiki. Cavolo, era già così tardi? Non aveva alcuna voglia di mangiare e non certo per colpa delle nausee, ma sentiva lo stomaco spesso chiuso per la troppa tensione accumulata in quel periodo.
«Arrivo tra un attimo!» esclamò comunque di rimando, afferrando la spessa fasciatura in tutta fretta per sistemarsela addosso come meglio poteva e, proprio allora, si accorse di un’ingombrante presenza alle sue spalle. La sorella era appena entrata.
«Ehi, non si usa più bussare? Ti ho detto che sarei arrivata tra poco!» si lamentò, sudando freddo ed evitando accuratamente di muoversi. Se fosse rimasta in quell’esatta posizione, non avrebbe scoperto il dolce segreto custodito nel proprio grembo. Non si sarebbe accorta di nulla. O, almeno, lo sperava.
«Non dirmi che ti vergogni di me, che esagerata! Non sei neppure nuda. O è una delle tue solite scuse per cercare di prendere tempo e saltare i pasti anche oggi? Guarda che ho capito che qualcosa non va e sono preoccupata. Da qualche tempo mangi come un uccellino e sei più pallida di un lenzuolo, se continui in questa maniera ti ammalerai. Si può sapere che succede? Se hai qualche problema…»
«Sto bene!» glissò, incalzandola.
«No, non è vero.»
Sentì, col cuore in gola, i suoi passi pericolosamente vicini.
«Guardami in faccia quando ti parlo, almeno!»
L’afferrò per un braccio, costringendola a voltarsi e a quel punto Akane serrò forte le palpebre per non doverne incrociare lo sguardo. Ecco, era spacciata. Non c’era modo di sfuggirle, ormai. Il lungo silenzio che seguì, rotto solo da un angosciante gridolino, come se la consanguinea avesse appena ricevuto un pugno nello stomaco, la costrinse però a riaprire gli occhi all’improvviso e solo per specchiarsi nei suoi. Sgomento, sorpresa, puro turbamento navigavano ora in quelle iridi, di un caldo color caramello. La giovane si portò una mano alla bocca, scuotendo la testa con forza come se, d’un tratto, la sorella minore avesse preso le oscure sembianze di una temibile creatura sconosciuta.
«Kamisama…come…chi…» balbettò, in preda alla confusione. La vide sospirare a lungo e con forza, come a cercare di rimettere ordine nella propria testa mentre lei si sforzava di ricacciare indietro le lacrime.
«Si tratta di uno scherzo, vero?»
Dissentì, con un impercettibile movimento del capo.
«Bene» continuò, più calma «immagino tu non abbia appena ingoiato un pollo intero, perciò l’unica spiegazione possibile rimane…»
«Sono quasi al sesto mese.» rivelò in un soffio torcendosi le mani, nervosa. Nabiki la fissò, incredula.
«Per tutto questo tempo l’hai nascosto con quella?» disse, alludendo chiaramente alle fasce che teneva strette fra le dita.
«Sì. Mi dispiace.»
«Qualcuno ti ha fatto del male? Perché se è così, dobbiamo saperlo.»
«No, non preoccuparti.»
«Sicura? Bada che se stai mentendo…»
«Non mento» la interruppe, decisa «Te lo giuro.»
«Ok. Non posso credere di non essermi accorta di nulla. Insomma… per quale motivo non lo hai detto subito?»
Esitò.
«Avevo paura papà mi costringesse a fare qualcosa di cui poi mi sarei pentita.»
L’altra annullò la breve distanza che ancora le separava.
«Akane, nessuno ti costringerebbe mai a far nulla che non voglia anche tu. Ehi, ascoltami, non devi affrontare tutto questo da sola. Hai sedici anni.»
Le tolse le bende dalle mani con delicatezza, guardandola con infinito affetto e sfiorando il pancione con una tenera carezza.
«Ecco, mettiamole via. Lasciamo respirare questo bambino.»
A quel punto la minore delle Tendo sentì di non riuscire più a trattenersi e, scoppiando in un pianto dirotto si rifugiò tra le braccia della sorella, che provò a lungo a consolarla.
«Sei già stata da un medico, chi è il padre?»
«Ti prego» singhiozzò «Per favore, non chiedermi nulla.»
Si sentì stringere forte.
«Tranquilla, andrà tutto bene» mormorò, cullandola come una bambina «Sono qui sorellina, sono qui. Non temere, non sei sola.»
 
 
***
 
 
Presente
Ripensare alle Parole di Nabiki lo faceva sentire come se una lama affilata lo colpisse ogni volta in pieno petto, trapassandolo da parte a parte fino a togliergli il fiato, senza possibilità di scampo. No, non era vero. Non poteva essere vero, si rifiutava di credere che Akane gli avesse fatto una cosa simile. Eppure glielo aveva chiesto. Lo aveva fatto espressamente e lei si era limitata a negare tutto, raccontandogli invece un cumulo di bugie. Ora lo sapeva. Perché? Sua figlia. Nao era la sua bambina, sangue del suo sangue. Kami, non riusciva nemmeno a dirlo ad alta voce senza che gli venisse una voglia matta di scoppiare a ridere per l’assurdità della situazione. Sicuro, se non fosse stata tanto grottesca e…assolutamente impossibile. Ma sì, forse c’era una spiegazione logica a tutto questo, doveva esserci per forza. Forse aveva capito male, credendo di sentire qualcosa che invece non era stato detto e che per qualche strana, assurda ragione, si era soltanto immaginato. E l’immaginazione, si sa, spesso giocava brutti scherzi. Probabilmente era stressato per via del litigio con Akane…oh, ma a chi voleva darla a bere? Le parole della seconda delle sorelle Tendo gli giravano ancora in testa, maledettamente chiare come il sole, come l’aria che respirava. No, non poteva essersi sbagliato e quell’amara consapevolezza lo colpì ancora una volta, forte e lacerante come uno schiaffo in pieno viso. Eppure era felice. E arrabbiato. Disperato. In preda a una strana altalena di emozioni che lo frustavano fin nelle viscere, poiché la verità era una soltanto. Fin dal primo momento in cui si era ritrovato a incrociare lo sguardo di quell’adorabile, piccolo terremoto, infatti, aveva percepito un’inspiegabile, profondo legame. Il proprio cuore l’aveva inconsapevolmente riconosciuta, riservandole il posto speciale che da sempre l’attendeva. Restava il fatto, però, che Akane gli avesse mentito. Colto da un impeto di collera colpì con violenza la parete della parete da letto, rischiando quasi di rompersi una mano e perdendo così completamente il controllo. Imprecò sottovoce, prendendo a massaggiarsi con vigore le dita arrossate e doloranti e gli ci volle qualche secondo per tornare un po’ più padrone di sé stesso. Delle proprie sensazioni. Respirò profondamente un paio di volte, deciso ad andare in fondo alla questione. Doveva sapere. Capire. Aveva bisogno che qualcuno desse delle risposte a tutte le sue domande. Domande che ora gli ronzavano attorno come api impazzite, affollandogli la mente e stringendosi via via in un vorticoso cerchio che faceva sempre più male, ogni minuto che passava. Aveva bisogno di spiegazioni e una sola persona poteva dargliele. Non importava quanto fuori fosse buio, perché doveva farlo subito. Non poteva attendere il giorno o sarebbe impazzito del tutto.
Quando la raggiunse Akane era in procinto di coricarsi, ma l’espressione sorpresa e contrariata che lesse sul suo viso non servì certo a distoglierlo dalle proprie intenzioni.
«Che ci fai qui? Ti avevo detto di non farti più vedere.»
La sentì bisbigliare, stringendosi nella vestaglia.
«Perché lo hai fatto, Akane?» proruppe, rabbioso, ignorandola come se non l’avesse  sentita.
«Di che stai parlando? E poi piantala di gridare, hai visto che ore sono?»
«Perché non me lo hai detto, avevo il diritto di conoscere la verità! Io…»
«Insomma, adesso basta» lo interruppe, al colmo dello stupore «Sei impazzito, per caso? Che cosa ti sta succedendo? Non puoi piombare qui nel cuore della notte e farmi una simile scenata senza un motivo valido.»
Le lanciò un’occhiata che bastò a gelarla fino al midollo, annullando con pochi passi la distanza tra loro e afferrandola per un braccio, stringendolo fino a farle male. La ragazza si irrigidì ma, accecato com’era dall’ira furiosa che si divertiva a distorcergli i lineamenti, non vi badò affatto mentre si affrettava a trascinarla fuori dalla stanza, fermandosi solo quando raggiunse il giardino.
«Lasciami immediatamente!» esclamò lei a quel punto, liberandosi con uno strattone per massaggiarsi il braccio, già arrossato e dolorante.
«Vuoi un motivo valido? Bene, vediamo se questo può esserlo. Comincia a spiegarmi perché cazzo non mi hai detto che Nao è mia figlia!» la incalzò, facendola ammutolire di colpo e lasciandola di stucco.
«Rispondi, maledizione!»
«Ranma, io…»
«Non provare a negare tutto, non provarci nemmeno! Vi ho sentite parlare oggi, tu e le tue sorelle stavate discutendo proprio di questo!»
Lo fissò come se non credesse alle proprie orecchie.
«Dunque, ti sei messo a spiarmi?»
«Non cambiare argomento, sai che non è questo il punto! Ero passato perché volevo fare la pace, scusarmi per ciò che era accaduto fra noi e per caso ho assistito alla vostra conversazione. Immagino sia stato esilarante, per te, tenermi nascosta una cosa del genere per tutto questo tempo!»
«Ti prego, vuoi smetterla di alzare la voce in questo modo?» si lagnò nuovamente, senza curarsi del fatto che quella paresse ormai assomigliare tanto a una gara a chi urlava di più.
«Te lo avevo anche chiesto» continuò, avvilito «e hai pensato bene di mentirmi! Si può sapere perché diavolo lo hai fatto?»
«Che accidenti sta succedendo? Vi si sente fin dal piano di sopra e stavo cercando di dormire! La date un’occhiata all’orologio, ogni tanto?»
L’improvvisa voce di Nabiki li colse di sorpresa ed entrambi si voltarono a guardarla quando, scarmigliata e chiaramente indispettita, fece il suo ingresso tra loro. Ranma sbuffò. Ci mancava solo questa.
«Stanne fuori, tu» l’aggredì «Questi non sono affari che ti riguardano!»
«Come sarebbe a dire» rispose, risentita «Per tua informazione, l’ultima volta che ho controllato questa era ancora casa mia e…» si interruppe, sussultando all’arrivo della più piccola inquilina della dimora Tendo che ora li osservava, spaesata, nel suo pigiamino colorato, stropicciandosi più volte gli occhietti ancora assonnati.
«Mamma, cos’è questa confusione? È già ora di andare all’asilo?»
Il giovane si mosse per correrle incontro, chiamandola per nome e cercando disperatamente di attirarne l’attenzione, ma un’impietosa Nabiki le si parò subito davanti, come a proteggerla, pungolandolo a lungo sul petto fino a costringerlo a indietreggiare. Che diritto aveva, lei, di mettersi in mezzo? Era il legittimo padre di quella bambina, dannazione!
«Ascoltami bene» lo redarguì «Non ho idea di quale sia il problema ma non ti permetterò di avvicinarti a mia nipote in queste condizioni, perciò adesso verrai con me per spiegarmi il motivo di tutto questo casino. Intesi?»
 
Affondò una mano tra i capelli, scompigliandosi la folta frangia corvina in un gesto che tradiva enorme disagio prima di sollevare lo sguardo verso di lei, che, seduta sulla panchina del parco con aria pensosa, dondolava le gambe avanti e indietro ormai da un tempo che sembrava interminabile. Sospirò con forza, ancora sconvolto ma di sicuro più calmo. Esprimere con chiarezza le proprie ragioni era servito a restituirgli un po’ della lucidità perduta, schiarendogli le idee.
«Credimi, posso capire cosa provi» mormorò la giovane dopo quel lungo, tormentato momento di silenzio «ma metterti a inveire contro Akane non servirà a cambiare la situazione e non dovresti farlo. Non dovresti…ferirla. Non sai cosa ha passato.»
«Soffermiamoci, invece, su ciò che ho passato io nell’apprendere una notizia simile. Quello che sento non conta niente?» replicò, accorato. Si specchiò nei suoi occhi chiari, disorientata.
«Non sto dicendo questo ma, vedi, c’è una cosa che devi sapere. Mia sorella non ha mai confessato a nessuno la paternità della piccola né tantomeno lo stato in cui si trovava, almeno fino a gravidanza inoltrata e cioè quando io stessa l’ho scoperto per caso. Era solo una bambina, santo cielo e, probabilmente per paura ha taciuto per molto tempo, trovandosi a fronteggiare una situazione certamente più grande di lei. Inoltre, dopo che la questione Ukyo era stata archiviata e risolta nel migliore dei modi, è venuto fuori che eri fuggito via con Shampoo con l’intenzione di sposarla.»
Si interruppe per un attimo, schiarendosi la voce, poi proseguì.
«Insomma, cos’avrebbe dovuto fare, se non starci male? Specie dopo aver scoperto di essere rimasta incinta e, anche se non lo dava a vedere, sapevo quanto soffrisse a causa tua, visto che ero a conoscenza della vostra relazione segreta praticamente da sempre. Per questo non è stato difficile per me fare due più due e collegare tutto.»
Già. Come mai non ne era affatto sorpreso?
Si morse le labbra, stringendo i pugni fino a farsi sbiancare le nocche.
«Beh, sì, forse eravamo molto giovani quando è accaduto, ma ora siamo cresciuti e io sono qui. Sono tornato e avrebbe dovuto parlarmene!»
«Come poteva, dopo il tuo matrimonio con quella squinternata?»
Le nuvole si addensarono nel cielo e un vento leggero gli pizzicò la pelle scoperta, facendolo rabbrividire. Oppure era tutta colpa del pesante bagaglio di emozioni che si portava dietro?
«Non l’ho sposata perché lo desideravo.» chiarì, fermo, ma il fiero sorrisetto della sua interlocutrice non ne mascherò certo il disappunto.
«Come se potessi darmela a bere» disse, infatti «Si vedeva lontano un miglio che ti moriva dietro e ne hai approfittato, tutto qui. Esattamente come hai fatto con Akane, prima di abbandonarla come una scarpa vecchia e adesso ti permetti di avanzare pretese su Nao, come niente fosse!»
«Mi ha ricattato!» proruppe, stanco di quelle accuse assurde. Silenzio.
«C…Come?»
«Ha usato Akane» provò a spiegare, più chiaramente possibile «L’ha quasi uccisa per costringermi a sposarla. Non ho mai giocato con tua sorella, l’ho sempre amata. La amo fin dai tempi della scuola, quando i nostri genitori hanno deciso che dovevamo fidanzarci e non avrei mai potuto farle del male.»
A quanto pare la sua incredibile perspicacia, qui, aveva fatto cilecca. Non gliene fece comunque una colpa, del resto era rimasto in casa Tendo solo per pochi mesi. Il tempo per conoscersi a fondo non era stato sufficiente, è chiaro. E poi, con tutte le ragazze che all’epoca gli ronzavano attorno, era perfettamente normale venir etichettato come una specie di dongiovanni. Anche se non era mai stato niente del genere. Il suo cuore apparteneva a una sola donna. Da sempre.
Questo sembrò coglierla in contropiede.
«Ok, mi dispiace, ti chiedo scusa. Non sapevo nulla della storia del ricatto.»
«Bene, adesso lo sai e lo sa anche lei. Ecco perché avrebbe dovuto dirmi la verità.»
Nabiki smise di colpo di dondolarsi sul posto e quando, sospirando piano, tornò a incrociare lo sguardo ardente e inquieto del giovane Saotome, la sua voce si addolcì un poco.
«Sai una cosa? Puoi restartene qui e continuare a rimproverarla in eterno, crogiolandoti nel tuo dolore, oppure puoi raggiungerla e parlarle, ascoltandone con calma le ragioni per chiarire una volta per tutte questa questione. La scelta è soltanto tua. In ogni caso, il risentimento che nutri nei suoi confronti non ti porterà da nessuna parte, servirà anzi ad avvelenarti l’anima più di quanto non lo sia già. Vedi, nonostante le difficoltà Akane ha trovato il coraggio di andare avanti, rimboccandosi le maniche e sfidando la sorte. Ha persino frequentato un corso di cucina durante la gravidanza, per prepararsi nel migliore dei modi alla nascita della bambina. Ci teneva davvero tanto a essere una buona madre per lei ed era chiaro quanto disperatamente la desiderasse nella propria vita. Per questo ha sempre lottato per restare in piedi. Non si è mai arresa e non dovresti farlo neanche tu. Non soccombere alla rabbia o alla paura, aprile il tuo cuore e tutto diverrà più facile. Adesso più che mai ha bisogno di saperti vicino.»
Quelle parole lo scossero nel profondo, costringendolo a chinare la testa, finalmente più consapevole. D’un tratto, tutto divenne chiaro. Ora sapeva cosa fare.
 
 
***
 
Dopo aver tranquillizzato la figlia era corsa a rifugiarsi sul tetto, così come faceva sempre ogni volta che si sentiva triste. Anche se sapeva che non avrebbe dovuto. Non stavolta, poiché i segnali c’erano tutti e, se i suoi timori fossero stati fondati…
Insomma, non sarebbe potuto capitare in un momento peggiore, per questo preferiva non pensarci. Sussultò, avvertendo dei passi sempre più vicini. Li avrebbe riconosciuti fra mille. Tuttavia, la vergogna le impedì di voltarsi. Non sarebbe riuscita a guardarlo in faccia neppure se avesse voluto.
«Sarà sempre così tra noi, d’ora in poi? Staremo sempre a urlarci contro e ferirci a vicenda? E, ora che sai la verità su Nao cosa farai, vuoi portarmela via?» mormorò con voce rotta, temendo già la risposta. Lo sentì sospirare mentre le sedeva vicino e avrebbe pagato oro per scoprire se la rabbia ne indurisse ancora i lineamenti armonici ma, di nuovo, le mancò il coraggio per verificarlo. Che idiota. Stupida. Stupida codarda. In realtà era sicura di non riuscire a sopportarlo. Non se…
«Che razza di uomo sarei, se lo facessi?»
Il tono, ora morbido e tranquillo, la convinse a osare di più ed ecco che, sì, ogni traccia di livore era finalmente svanita da quelle splendide iridi chiare, velate ora di malinconia. Una struggente malinconia che si affrettò a consolare con le parole, pur sapendo che non sarebbe stato semplice.
«Sai, quando è nata, come hai visto, ho dovuto comprare un letto più grande. Non volevo perderla di vista nemmeno per un secondo e poi mi piaceva tanto sentirla vicina, respirare il suo profumo. Sapeva di…»
«Neonato?» azzardò il ragazzo, facendola ridere.
«Proprio così.» disse.
«Poi» aggiunse, più seria «crescendo, ha espresso il desiderio di avere una cameretta tutta per sé e, l’anno scorso, quando Kasumi è andata via di casa si è appropriata della sua stanza, riempiendola subito di giocattoli e facendone in breve tempo il proprio regno. È sempre stata una bambina indipendente ma anche tanto, tanto sensibile. Proprio come te. Per questo ho avuto paura di parlarle. Non avevo idea di come avrebbe reagito, è così piccola e il mio compito era quello di proteggerla, non certo sconvolgerla in qualche modo.»
«Credi davvero potrebbe sconvolgersi nell’apprendere come stanno le cose?»
Gli rivolse uno sguardo indecifrabile, intrecciando le dita in grembo.
«Non lo so» mormorò, infine «Lei però ti adora e, forse…» si interruppe bruscamente, lanciando un’occhiata distratta al cielo stellato di quella lunga notte, come se questo potesse darle la forza per proseguire. Forse, aveva sbagliato tutto.
«Cosa le hai raccontato? Su di me, intendo.»
Quella domanda la spiazzò, rendendola, se possibile, ancor più distante e vergognosa.
«Le ho detto che suo padre era partito per un lungo viaggio e non sarebbe mai tornato.»
La voce si incrinò pericolosamente.
«So che mi odierai per questo, perciò sono pronta. Dimmi ciò che merito, ricoprimi pure d’insulti se la cosa ti farà stare meglio. Non mi importa.»
Ranma le prese una mano, stringendola fra le proprie in un gesto che la commosse a tal punto da non riuscire più a frenare le lacrime.
«Akane, non potrei mai odiarti.»
Lo sentì sussurrare con semplicità, prima di gettargli le braccia al collo in un dolce, improvviso impeto di tenerezza.
«Mi dispiace» singhiozzò, il cuore in gola «Non sai quanto mi dispiace di non avertelo detto subito, ma ti sei sposato con Shampoo e, anche dopo, non esistevano certezze per me. Per noi e io…avevo solo bisogno di tempo. Mi rendo conto di quanto possa risultare difficile credermi, ma ti giuro che è la verità. Tutte le volte che eravamo insieme mi ripromettevo di parlartene, ma poi mille pensieri prendevano il sopravvento e il timore che tutto andasse a rotoli mi spingeva a tirarmi indietro. Perdonami, è stato più forte di me e mi sento tanto stupida per questo!»
Si sentì stringere ancora più forte. Era bello potersi di nuovo rifugiare tra le sue braccia.
«Ti chiedo scusa anch’io, non avrei dovuto urlarti contro a quel modo ma, adesso, per favore, calmati. Lo sai che non sopporto di vederti piangere. Mi odio tantissimo per averti abbandonata, lasciandoti da sola quando avevi più bisogno di me e causandoti tanto dolore. Mi odio per essermi perso tutti i momenti più belli della crescita di nostra figlia, ma adesso sono qui perciò, ti prego, dammi una possibilità con lei. Ti prometto che non la sprecherò. Abbi fiducia in me.»
La scostò piano da sé per asciugarle le lacrime che, copiose, le inondavano le guance infuocate. La giovane, finalmente consolata gli affondò le dita fra i capelli, attirandolo più vicino e cercando le sue labbra, che moriva dalla voglia di baciare. Anche se, probabilmente, l’uomo che amava non desiderava lo stesso e lo dimostrò con chiarezza quando la rifiutò, voltando la testa dall’altra parte in un brusco, inaspettato gesto che la ferì molto più di quanto desse a vedere.
«Ranma…»
«Dammi solo un po’ di tempo, ora sono io ad averne bisogno.»
Lo sapeva. Non l’amava più. Quell’amara consapevolezza le tolse il respiro. Il cuore andò a fondo come una pietra. Beh, comprensibile dopo ciò che gli aveva fatto. Doveva solo accettarlo e…
Le mani sgusciarono via dalla morbida chioma corvina. Sarebbe mai riuscita a mascherare la delusione? Si ricompose, rossa in viso.
«Certo, capisco. Non preoccuparti, ti lascerò tutto il tempo di cui hai bisogno.»
Sul suo volto apparve un breve sorriso.
«Ho una sola richiesta.» disse. Akane annuì.
«Tutto ciò che vuoi.»
«Desidero esserci quando le dirai la verità.»
Non c’era neppure bisogno di chiederlo.
«Ma sì, ovviamente sì. Non ho mai pensato di farlo senza di te.»
Si rimise in piedi, in bilico sulle tegole, spolverandosi la gonna da eventuali tracce di polvere.
«Ora sarà meglio che vada a controllare se si è addormentata, dopo il tuo turbolento arrivo era piuttosto irrequieta.»
L’espressione, di colpo affranta, le fece di nuovo venire una voglia pazza di incollare le labbra alle sue. Solo a stento riuscì a controllare le emozioni, distogliendo in fretta lo sguardo. Sarebbe stato difficile trattenersi d’ora in poi ma, se questo era ciò che desiderava, andava bene così. Lo avrebbe aspettato per sempre, se necessario.
«Mi spiace, non era mia intenzione turbarla. Ero arrabbiato e ho perso il controllo.»
Scosse la testa, come a voler cancellare quelle parole.
«Va tutto bene» lo tranquillizzò «Senti, che ne dici di venire con me?»
«Dico che mi piacerebbe molto.» rispose, sorridendo di rimando. Si apprestarono a scendere dal tetto per avviarsi verso la camera della bambina, del tutto ignari dell’amara sorpresa che invece li attendeva…

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Il letto era disfatto, ma di Nao non vi era alcuna traccia.
«Forse aveva fame ed è scesa in cucina a fare uno spuntino. A volte succede, durante la notte.» osservò Akane, cercando di non farsi prendere dal panico. L’ultima cosa che voleva era perdere la lucidità. Conosceva bene sua figlia, non c’era nulla di cui preoccuparsi. Ma, la finestra della sua camera era aperta e…insomma, se fosse andata in giardino ne avrebbero di sicuro notato la presenza. Si affrettò a richiuderla con un sospiro, poi corse al piano di sotto. Perlustrò ogni angolo della casa, esterni compresi in preda a un’ansia crescente, senza riuscire a trovarla. A quel punto, agitata e terrorizzata come davvero poche volte in vita propria, risalì le scale per raggiungere Ranma, che la fissava ora con gli occhi sgranati e uno strano aggeggio colorato fra le mani.
«Non c’è da nessuna parte, sembra quasi sia svanita nel nulla! Cosa può essere successo, santo cielo? Cos’è quello?»
«L’ho appena trovato per terra.»
Glielo porse. Dopo un’occhiata attenta, lo riconobbe. Era un minuscolo fermaglio tempestato di perline e, nonostante l’aria vagamente familiare, era sicura che quell’arnese dai tratti pacchiani non avesse mai sfiorato i capelli della sua bambina. Eppure…
Lo lesse anche negli occhi del giovane e, d’un tratto, la realtà le si delineò davanti a chiare lettere. Una scomoda, orribile realtà che, purtroppo per loro, portava un solo nome.
«Shampoo!» esclamarono in coro. Per un attimo, fu come se la terra la inghiottisse di colpo.
«Ma certo, lo ha lasciato apposta perché voleva che lo trovassimo. Maledetta! Se le ha torto anche un solo capello, stavolta non la passerà liscia!»
Lo sentì urlare con decisione mentre, angosciati e sconvolti, si precipitavano lungo la strada.
 
 
 
 
***
 
 
«Posso averne ancora, Pim?» biascicò con la bocca piena, porgendole il piatto già vuoto.
«Certamente.» rispose con un sorriso tirato, affrettandosi a riempirlo di nuovo. Caspita, la ragazzina era una buona forchetta. Un altro po’ e si sarebbe spazzolata via tutte le porzioni di riso preparate quel giorno.
«Ecco qui.»
Le porse anche una ciotola di contorni, che la bimba mostrò di gradire parecchio. Le sedette accanto, scrutandola assorta. Dannazione, era così fastidiosamente identica alla madre da darle sui nervi. Doveva però mantenere la calma, se non voleva commettere errori. Insospettita dallo strano comportamento di suo marito lo aveva seguito e spiato per intere settimane, riuscendo finalmente a scoprire dove o, meglio, tra le braccia di chi, quell’infame mascalzone si divertisse a trascorrere le giornate. E anche ogni singola notte, fino al colpo di scena finale: quella sciocca piantagrane, con l’incredibile voracità di una pantegana era nientemeno che…sua figlia. Fece un respiro profondo, cercando di darsi un contegno poiché, ogni volta che ci pensava, la rabbia le attorcigliava così tanto lo stomaco da rischiare quasi un attacco isterico.
Calmati, Shampoo. Giocare d’astuzia è di sicuro più divertente e lo sai bene.
L’improvvisa voce dell’umile impiegato la distolse dai suoi pensieri.
«Sono tornato, ho appena finito l’ultima consegna. Ma…che diavolo…»
Si portò un dito alle labbra, intimandogli di tacere, poi lo spinse in un angolo buio della cucina e sufficientemente lontano dalla portata della piccola ospite.
«Vedi di non alzare troppo la voce Mousse, vuoi forse spaventarla?» bisbigliò, minacciosa.
«Ne vorrei un altro po’, Pim!»
«Certo, arrivo subito!»
Sorriso a trentadue denti. Il ragazzo dai capelli neri la fissò a lungo e con rinnovato interesse attraverso le spesse lenti, sistemandosi gli occhiali sul naso.
«Quella non è la figlia di Akane Tendo? Che cavolo ci fa qui al ristorante a quest’ora della notte e, poi, perché ti chiama Pim?» domandò, confuso e disorientato. L’affascinante amazzone sbuffò, sollevando gli occhi al cielo. Non avrebbe mai voluto coinvolgerlo, ma ormai era troppo tardi.
«Come credi avrei potuto avvicinarla, senza trasformarmi in gatto? Adesso, probabilmente, pensa io sia un personaggio di qualche stupido cartone animato o roba del genere. Mi ha preso per una specie di maga, insomma, ma va bene. Si è lasciata avvicinare ed era proprio ciò che serviva al mio scopo.» spiegò, soddisfatta, cosa che invece non si poté certo dire del suo giovane interlocutore quando le frugò in viso, a bocca aperta, sconcertato e chiaramente avido di risposte.
«Stai dicendo che l’hai rapita?»
«Shh! Ti ho detto di tenere la voce bassa, razza di idiota.» replicò, afferrandolo per il bavero.
«Kami!» continuò, spazientito «Non puoi andartene in giro in piena notte a strappar via i bambini ai loro genitori come niente fosse, te ne rendi conto? Cos’hai intenzione di fare? Riportala subito indietro.»
«Attento a come parli, questi non sono affari che ti riguardano. Datti una mossa, piuttosto. Va’ a intrattenerla, se vuoi renderti utile in qualche modo!»
Lo spedì dritto al cospetto dell’odiata nanerottola con un calcio ben assestato e un secchio d’acqua gelida addosso, che lo fece annaspare a lungo prima dell’inevitabile metamorfosi in un buffo papero occhialuto. Questo parve deliziare Nao a tal punto da attirarne in breve tempo tutta l’attenzione.
«Wow, anche tu sei un prestigiatore? Vieni paperotto, giochiamo insieme!» esclamò, ridendo dello sventurato e battendo, felice, le manine.
«Pim, mi fai vedere ancora la tua magia?» chiese poi, facendola sussultare. No, non di nuovo. Per la miseria! Non era affatto un fenomeno da baraccone, che le saltava in mente? Si chinò su di lei, facendo leva sulle ginocchia.
«Adesso non è possibile, cara.» disse, fingendo un’affabilità che era ben lontana dal provare. La bambina le piantò in faccia i suoi innocenti occhioni color cioccolato. Kami, che fastidio.
«Perché no?»
«Perché…ho detto che è impossibile. Vedi di non insistere, stupida ragazzina viziata!»
Si morse la lingua. Cazzo. Provò in fretta a rimediare all’errore, ma le sue insopportabili urla rischiarono quasi di forarle i timpani, tanta era l’energia che vi metteva. Stramaledetta Akane. Cosa diavolo aveva partorito quell’inutile maschio mancato, la figlia di satana, per caso?
«Sei cattiva, cattiva Pim! Voglio tornare a casaaaaaa!»
«Non andrai proprio da nessuna parte, resterai qui con me!» gridò a sua volta, cercando di sovrastarla.
«No, no e no. Voglio tornare dalla mia mamma!»
Sgranò gli occhi, sgomenta. Quei capricci stridevano come vetri rotti sui suoi nervi già provati.
«Sul serio? Come fai a voler ancora stare con lei? Tua madre non è altro che una bugiarda!»
Ci siamo, si va in scena.
Nao le fece una linguaccia, scatenando nuovamente i suoi istinti omicidi. Se non fosse stata lo scricciolo che era l’avrebbe già fatta fuori da un pezzo, poco ma sicuro.
«Non è vero, non è vero!»
«Certo che sì» insistette «Per tutto questo tempo ti ha nascosto la verità su tuo padre, che non è altri che Ranma.»
La fissò, incredula.
«No, ti sbagli, il mio papà è partito per un lungo viaggio e non tornerà più.»
«Sono solo un mucchio di fandonie. Ti ha preso in giro, lo vuoi capire? La tua mamma è una donna orribile che si è presa gioco di te, non ti vuole bene e non ti ha mai desiderata. Per lei sei stata solo un incidente di percorso!» proseguì, implacabile, facendola scoppiare in lacrime. Allontanandola da quella sciocca Tendo fino a strappargliela letteralmente dalle braccia, l’avrebbe pian piano legata a sé e questa sarebbe stata la sua più grande, magistrale vendetta. Già, ucciderla non sarebbe servito proprio a niente. Ormai lo aveva capito. Voleva vederla contorcersi dal dolore, soffrire come lei stessa aveva fatto scoprendo che, nonostante gli anni trascorsi, l’uomo che amava più di sé stessa ne era ancora follemente attratto. Maledetta. Dannati entrambi. L’avrebbero pagata a caro prezzo. Sicuro, avrebbe insegnato loro che farsi beffe della sottoscritta era pericoloso. Molto pericoloso. Fu in quel momento che Mousse, riappropriatosi nel frattempo delle sue vere sembianze le si parò davanti a braccia tese, scongiurandola di fermarsi.
«Smettila, adesso! Ti diverte tanto traumatizzarla in questo modo? Lasciala andare, che male ti ha fatto? È solo una bambina!»
«Levati di mezzo, tu non capisci! È la figlia che mio marito ha avuto da un’altra donna. Questa non ti sembra una motivazione sufficiente a far sì che la detesti?»
Sobbalzò per la sorpresa.
«Beh, se quanto dici è vero…»
«Dov’è?» lo interruppe, allarmata, guardando oltre le sue spalle e spingendolo via con malo garbo.
«Dov’è andata, accidenti? È tutta colpa tua, brutto deficiente, mi hai distratta e l’ho persa di vista!» trillò con voce stridula mentre l’amico la invitava a guardare verso l’alto. Attraversando una minuscola intercapedine tra le pareti, l’insopportabile lillipuziana era appena riuscita a raggiungere il tetto senza neppure uscire dalla porta principale. Cos’era, una specie di ninja, per caso?
«Come avrà fatto ad arrampicarsi fin lassù in così poco tempo? Svelto, andiamo a prenderla!»
 
 
***

 

 
Quando si accorse di lei, in bilico su quel tetto pericolante, un intenso brivido di terrore lo attraversò da capo a piedi, paralizzandone per un momento ogni pensiero.
«Cosa ci fai lassù, Nao? Potresti farti male!» proruppe, ancora ansante per la corsa, non appena ritrovò la voce. La bambina, distratta dal tono allarmato scivolò, lanciando un urlo lungo una delle vecchie tegole che, sgretolatasi all’istante, crollò direttamente ai loro piedi con un sordo tonfo, lasciandoli interdetti. Akane si coprì gli occhi, inorridita.
«Non muoverti, tesoro. Vengo subito a prenderti!» esclamò, ma la ragazza lo trattenne per una manica della casacca, costringendolo a frenare la sua corsa.
«Ranma, no! È troppo pericoloso, il tuo peso potrebbe far crollare tutto.»
Lanciò un’occhiata preoccupata al tetto quasi marcio, dove la piccola era a stento riuscita a rimettersi in piedi, anche se le gambe le tremavano in modo incontrollabile. Non era abbastanza forte. Per quanto ancora avrebbe retto? Aveva ragione, un passo di troppo e sarebbe stata la fine.
«No, non vi voglio, nessuno dei due! Mamma, sei una bugiarda!»
Ranma la fissò, al colmo dello stupore.
«Di cosa stai parlando?» azzardò la minore delle Tendo, sempre più angosciata.
«Hai detto che papà non sarebbe più tornato, invece è qui. È Ranma il mio papà e tu non me lo hai detto!» sbottò, in lacrime. Questo lo colse in contropiede. Nao sapeva tutto? A che razza di gioco malato stava giocando, quella squilibrata della moglie?  Come faceva a conoscere la verità? Aveva commesso l’errore di sottovalutarla e questi erano i risultati. Accidenti a lei.
«Calmati, ti prego. È vero, sono il tuo papà ed ero in viaggio, mi trovavo molto lontano da qui. La mamma non ti ha detto una bugia.»
Provò a spiegarle, con tatto. Anche se, vista la giovanissima età, non era affatto sicuro potesse comprenderne le ragioni. Forse chiedeva troppo. Forse, l’unica cosa sensata da fare era andare su e trascinarla via con sé prima che accadesse l’irreparabile, mettendo così la parola fine a quell’orribile incubo. Un’altra tegola si frantumò a un passo da lui, che stava sudando freddo. Dannazione. Cosa poteva fare?
«Perché mi hai abbandonata? All’asilo, tutti i miei amici hanno un papà e una mamma sempre vicini, io invece…»
Si interruppe per un momento, tirando su col naso e singhiozzando così forte da stringergli il cuore.
«Io, invece, sono stata sempre con mamma. Perché te ne sei andato via, lasciandomi sola?»
Incrociò lo sguardo, altrettanto disperato, della donna che amava e gli occhi gli si inumidirono.
«Mi dispiace» disse con voce rotta «Mi dispiace tanto di averlo fatto, piccola mia, ma ora sono qui e sono tornato per restare.»
Fu allora che li vide sbucar fuori dal nulla. C’era anche Mousse. In precario equilibrio, quasi strisciando lungo il malandato soffitto del ristorante Il Gatto e ormai a pochi centimetri di distanza da lei. No, non lo avrebbe permesso.
«Ma tu guarda, bentornato maritino. Vedo che sei in dolce compagnia. Mi chiedevo quanto tempo avresti impiegato a mettere in moto il cervello! Cos’è, non trovavi più la via di casa?» lo canzonò la bella cinese, sorriso dolce come la melassa. Questo lo mandò su tutte le furie e fu quasi sul punto di replicare, ma Akane lo batté sul tempo.
«Lascia subito andare mia figlia, brutta psicopatica che non sei altro!» gridò con quanto fiato aveva in corpo «È me che vuoi, non è vero? Bene, sono qui. Fammi pure ciò che ti pare, ma lascia Nao fuori da questa storia!»
Cavolo, era forse impazzita?
«Tesoro, ascoltami» proseguì, impavida «qualunque cosa ti abbia raccontato non è assolutamente vera, sta solo cercando di confonderti!»
«Non ascoltarla, sta mentendo. Mentono entrambi e lo sai, sono io l’unica di cui puoi fidarti. Ricordi cosa ti ho detto su di lei?»
La vide indicare la rivale con disprezzo e nuove lacrime apparvero sul visino innocente della sua bimba, destabilizzandolo non poco.
«Non mi hai mai voluto bene, non mi desideravi. Sei cattiva, mamma!»
Ma cosa…
Sentì la collera bruciargli le vene fino a consumarle dall’interno.
«Che diavolo stai cercando di fare, Shampoo» ringhiò, paonazzo «mettercela contro, per caso? Che il cielo mi assista, giuro sui kami che questa è la volta buona che ti metto le mani addosso!»
«Non è affatto così» si intromise la giovane madre, gli occhi bagnati di pianto «Non devi credere a ciò che dice quella donna! Se non ti ho detto tutta la verità su tuo padre, l’ho fatto solo per non ferirti. Perché ti amo immensamente, amore mio, più della luce del sole e per me sei stata un dono meraviglioso, non devi mai dubitare di questo. Ti ho attesa con trepidazione per tanti mesi e quando, finalmente sei arrivata…credevo di impazzire dalla gioia. Sei la mia bellissima e dolce bambina e non avrei mai potuto non desiderarti nella mia vita. Ti voglio tanto bene, tesoro.»
«Anch’io ti voglio bene, mammina.»
A quel punto, accadde tutto in una frazione di secondi. Mentre lei, finalmente consolata, tendeva le manine tremanti verso di loro una buona parte del tetto cedette definitivamente, sollevando un gran polverone e trascinando giù con sé la perfida amazzone, la quale, poco prima di sprofondare, riuscì a spingerla via dal tremendo, inevitabile disastro, pilotandola così verso la parte opposta. Lì, alcune tegole ancora più o meno stabili, ne avrebbero di sicuro ritardato la caduta. L’intrepido Mousse non fu certo da meno e, in un improvviso moto di baldanza si gettò su Shampoo, facendole scudo col proprio corpo per evitarle il peggio. Entrambi vennero ben presto travolti dalle macerie. Ranma fece un balzo indietro, coprendosi gli occhi con l’avambraccio per proteggersi dalla polvere come meglio poteva. Quando tornò a vedere bene l’odiata consorte era già riemersa dai resti, stringendosi al petto il corpo inerme del fedele amico d’infanzia che, ormai ferito e in condizioni critiche, pareva non dar più segni di ripresa.
«Mousse, come stai? Rispondimi!» proruppe, in preda alla disperazione prima di affrettarsi a fuggire lontano, portandolo via con sé. Per tutto il tempo, tuttavia, l’attenzione del ragazzo col codino rimase fissa sulla figlia fino a rendersi conto che, vista la tragica situazione, c’era un solo modo per salvarla.
«Ok, ascoltami bene, adesso. Devi saltare!» urlò nella sua direzione, portando entrambe le mani intorno alla bocca per sovrastare il rumore delle poche tegole rimaste, che intanto continuavano miseramente a sgretolarsi intorno a loro.
«Che cosa? No!»
La compagna lo fulminò con un’occhiataccia da cui decise di non lasciarsi impressionare troppo. Del resto, ci sarebbe voluto ben altro per convincerlo a desistere.
«Fidati di me Akane, è l’unico modo. Non la lascerò cadere, non lo farei per niente al mondo.
«Ho tanta paura!» replicò la bambina, le guance ormai violacee inondate di lacrime. Il suo piede scivolò di nuovo, facendole perdere per un momento l’equilibrio. L’urlo che lanciò nell’aria fresca della notte fu secondo solo a quello di sua madre che, quasi sul punto di perdere i sensi, si ritrovò a implorare chiunque lassù volesse darle ascolto, che la sua adorata figliola riuscisse a mantenere la posizione ancora per un po’, prima che tutto crollasse rovinosamente.
«Non devi averne, tesoro. Sarò qui a prenderti, non mi muovo.» provò a tranquillizzarla. Si mise in posizione, allargando le braccia per incitarla a lanciarsi. Si stava spingendo troppo oltre, ne era consapevole. Sì, sapeva che era una mossa rischiosa, ma non aveva scelta. Non c’era tempo.
«Davvero? Me lo prometti?»
«Croce sul cuore. Ora guardami, Nao, al mio tre devi saltare.»
La piccola esitò. Sospirò, frustrato.
«Ehi, guardami» ripeté «Andrà tutto bene. Ci sono io. Pronta?»
La vide annuire piano.
«Uno.»
«Kamisama, non ce la faccio.» mormorò l’altra distogliendo lo sguardo, terrorizzata. La ignorò.
«Due…»
Un rivolo di sudore gli colò lungo la fronte, bagnando la folta frangia che la ricopriva. Poteva farcela.
«Tre! Salta. Ora!»
Nao si lasciò cadere con un grido e proprio un attimo prima che i resti del tetto crollassero per sempre, atterrando direttamente tra le sue braccia. La strinse forte a sé per un lungo momento. Era salva.
«Ce l’hai fatta, hai visto? Sei stata bravissima, principessa.» sussurrò, baciandola più volte sulle guance umide e facendola ridacchiare. Akane, commossa si unì all’abbraccio, guardandola sollevare la testa per fissare intensamente il volto sollevato del padre.
«Quindi…tu sei veramente il mio papà?»
Annuì, rivolgendole un caldo sorriso.
«Non te ne andrai più, vero?»
«No, angelo mio. Da adesso in poi, noi tre staremo sempre insieme.»
«Come una famiglia.» gli fece eco l’ultima delle sorelle Tendo, lanciandogli uno sguardo denso di significati che, stavolta, scelse di ricambiare.
 
Le rimboccò le coperte, stando ben attento a non disturbarne il sonno poiché, com’era naturale, dopo tutte le emozioni di quella frenetica notte, giunta ormai quasi al termine, dormiva già profondamente.
«Potrei restare a guardarla per ore.» sussurrò e la linea morbida delle sue labbra piene si curvò in un dolce sorriso.
«Già, succede anche a me.» rispose Akane, che non poté che imitarlo.
«Sarà meglio andare, adesso. Ha bisogno di stare tranquilla, almeno per un po’.» aggiunse poi. Ranma annuì e insieme lasciarono la stanza della loro figlioletta. La osservò a lungo mentre, un passo avanti a lui, la ragazza si accingeva a raggiungere il piano inferiore ma, proprio quando stava per dire qualcosa, una dolorosa fitta all’altezza del petto gli bloccò le parole in gola. Questo lo rese preda di una strana malinconia che, più cercava di scacciare, più forte e inesorabile tornava a colpirlo, facendone crollare di colpo ogni certezza. Allora, finalmente, comprese. Annullando così la breve distanza che li separava l’afferrò per un polso, abbracciandola da dietro. Tornare a respirare il profumo della sua pelle era meraviglioso. Quanto gli era mancata. La sentì sussultare fra le proprie braccia ma la strinse più forte, come a voler rassicurarla sui suoi reali sentimenti che, ora lo sapeva, non sarebbe riuscito a ignorare ancora a lungo.
«So che avevo detto di aver bisogno di tempo» bisbigliò, con le labbra incollate al collo candido della compagna «Ma, dopo ciò che è successo stasera, non voglio più allontanarmi da te nemmeno per un secondo.»
La giovane Tendo si sciolse lentamente dall’abbraccio e avvertire di nuovo quelle mani calde sul suo viso fu come morire e rinascere al tempo stesso, tanta era la voglia di sentirla vicina ancora una volta.
«Akane, mi disp…»
Gli posò un dito sulle labbra dischiuse.
«Shh, non dire niente. Vieni.» mormorò, trascinandolo in camera. Lì, finalmente liberi da eventuali occhi indiscreti prese a baciarla con crescente passione, insinuandosi sotto i vestiti per accarezzarla sempre più intimamente, fino a farla gemere piano.
«Papà! Papà!»
L’improvvisa voce di Nao li fece trasalire entrambi prima che, senza pensarci due volte si precipitassero da lei solo per trovarla nel bel mezzo del corridoio, a pieni nudi e in lacrime. La prese subito in braccio, cercando di tenere a bada l’intensa altalena di sensazioni provate nel sentirla, per la prima volta, rivolgersi a lui in quella maniera.
«Che cosa c’è scricciolo, perché piangi?» indagò e uno strano, rassicurante tepore parve avvolgerlo dolcemente, attraversandolo fin nelle viscere non appena la piccola si aggrappò, angosciata, alle sue spalle possenti.
«Tu non c’eri più, eri andato via di nuovo!» singhiozzò con disperazione. Il giovane  la cullò a lungo contro il proprio petto, dove un cuore vinto dall’emozione batteva ora un po’ più forte e solo per lei.
«Era un brutto sogno, tesoro mio. Soltanto un brutto sogno. Guardami, io sono qui. Non vado proprio da nessuna parte.»
Asciugò le lacrime da quelle tenere guance paffute, dirigendosi nuovamente, dopo aver scambiato una breve ma sufficiente occhiata con Akane, nella sua stanza. Magari, sistemandola nel lettone in mezzo a loro, si sarebbe finalmente calmata. Così fece ed entrambi presero posto ai lati del letto, racchiudendola al centro dei loro cuori in un comodo nido di infinito calore dove la bambina, ormai consolata, sprofondò in un lungo sonno ristoratore stringendo tra le minuscole dita le mani dei rispettivi genitori.
 
 
Si svegliò di soprassalto dopo appena qualche ora, ridestato da un rumore improvviso. Provò quindi a rialzarsi senza far rumore, lasciando a malincuore la mano di sua figlia mentre si perdeva a osservare i volti amati di entrambe, così pacificamente addormentate, con un piccolo sorriso. Raggiunse a piedi nudi la cucina, scrutando l’ampio spazio con aria attenta fino a fermarsi sotto al portico. Ed eccola là, un’ombra anche troppo familiare che non ebbe alcun problema a riconoscere. Indietreggiò d’istinto, il corpo in tensione.
«Shampoo» disse a denti stretti «che diavolo ci fai qui? Bada che se sei venuta per…»
«Tranquillo» lo incalzò, l’aria dimessa e insolitamente pacifica «non voglio fare niente di male. So bene di aver esagerato con te, con tutti voi e sono sicura che, se anche ti chiedessi di perdonarmi per il dolore che ti ho causato, non lo faresti di certo. Ecco perché sono qui. Volevo darti questo.»
Gli porse un foglio ripiegato che Ranma si affrettò a leggere con estrema attenzione. Incrociò infine il suo sguardo, l’espressione scettica. Non stava scherzando, vero?
«Questa è…»
«La richiesta di annullamento della nostra unione, esatto.» ammise con semplicità, incrociando le gambe.
«Credi davvero…si possa fare?»
«Certo. Del resto, il matrimonio non è mai stato consumato e questa mi sembra già una motivazione più che sufficiente, non trovi?»
Annuì. Perché lo stava facendo? Doveva, senza ombra di dubbio…
«Che cosa c’è sotto» disse, traducendo in parole i suoi pensieri «Qual è il prezzo che devo pagare, stavolta?»
«Nessuno, lo giuro. Desidero solo fare la cosa giusta per entrambi. Tu potrai finalmente sposare Akane, mentre io…»
«Tu, cosa?»
Vi fu un lungo momento di silenzio, rotto solo dall’insistente richiamo di un piccolo gufo nelle vicinanze. Quando la graziosa cinesina riprese a parlare la sua voce tremò, quasi fosse sul punto di piangere.
«Il ristorante della mia adorata bisnonna è distrutto, non ho più nulla di lei. Ho perso tutto Ranma, eppure sono felice e sai perché? Perché per tutto il tempo, dopo essere fuggita via, mi sono resa conto che l’unica cosa a cui riuscivo a pensare, l’unica che contasse davvero, era che Mousse riaprisse gli occhi. E lui lo ha fatto, alla fine è tornato da me. È ferito, certo, ma starà bene. Mi occuperò di rimetterlo in sesto come si deve, poi ci rifaremo una vita lontano da qui. Non mi vedrai mai più, è una promessa. Sei finalmente libero di vivere insieme alla donna che hai sempre amato e alla vostra bambina. A questo proposito, per quel che vale, voglio tu sappia che non avrei mai fatto del male a Nao.»
Almeno su questo, si trovavano d’accordo.
«Lo so. L’hai salvata, impedendole di cadere quando vi trovavate sul tetto. Ciò non toglie che hai cercato di usarla per i tuoi sporchi scopi, questo è un dato di fatto e mi sarà impossibile dimenticarlo.»
Abbassò lo sguardo, colpevole.
«Volevo ferirti. Ferirvi entrambi. Solo ora mi rendo conto che, ogni mio subdolo tentativo di legarti a me era perso in partenza. Non si può costringere qualcuno ad amarti con la forza.»
Sentirla parlare a cuore aperto come mai prima gli fece uno strano effetto. Non era sicuro di potersi fidare, ma quello che ora aveva tra le mani era un documento valido e reale. Solo questo contava.
«Che farai, adesso?» domandò, cauto.
«Ho ancora una casa a Tokyo, no? Ne ho abbastanza di questa città, tornerò lì a occuparmi del ristorante. Stavolta insieme a Mousse. Sai, lui si è sacrificato per me, per salvarmi. In quel momento non ha neppure pensato a sé stesso e questo mi ha aperto gli occhi, facendomi capire tante cose. La mia ossessione per te ha causato più danni di quanti ne possa davvero contare. Kami, che stupida. Se mi fossi resa conto prima dei profondi sentimenti che nutriva nei miei confronti, se mi fossi accorta del ragazzo meraviglioso e sensibile che è sempre stato, forse le cose sarebbero andate ben diversamente. Ma non è troppo tardi per rimediare. Sei stato un pessimo marito e non ripeterei l’esperienza nemmeno sotto tortura, perciò…buona vita, Ranma.»
Per la prima volta in assoluto da quando la conosceva, le sue labbra dipinte di rosa si aprirono in un sorriso sincero. Aveva finalmente compreso i propri errori, era pronta a ricominciare.
«Buona vita, Shampoo.» rispose di rimando. Mentre la osservava allontanarsi tra gli alberi, fino a trasformarsi pian piano in un minuscolo puntino lontano, sentì che tutto il rancore provato nei suoi confronti si scioglieva lentamente come neve al sole, risanando qualsiasi dolore.
«Ehi, tu.»
La voce della compagna lo riportò alla realtà. Si voltò verso di lei, andandole incontro per prenderla fra le braccia.
«Ehi. Per quale motivo ti sei alzata?»
Sollevò le spalle, l’aria ancora assonnata. Possibile che, ogni minuto che passava, si scoprisse sempre più innamorato della sua adorabile metà?
«Ho visto che non c’eri e sono venuta a cercarti.»
«E Nao?» si informò, premuroso.
«Dorme come un sasso. Tu perché sei sceso?»
Prese un profondo respiro.
«Shampoo è stata qui.» disse senza mezzi termini, vedendola sobbalzare per la sorpresa.
«Bene, se quella gattamorta è venuta per combattere, troverà pane per i suoi denti!» replicò, agguerrita. Scosse la testa più volte, affrettandosi a rassicurarla.
«Niente del genere, non preoccuparti. Ma ha lasciato questo.»
Le mise il documento tra le mani, attendendo con pazienza che cominciasse a leggerlo. Una ruga poco profonda ne solcò ben presto la fronte alta quando tornò a specchiarsi nei suoi occhi, disorientata.
«Io non capisco, davvero lei…» si interruppe di colpo, vedendolo annuire con convinzione.
«È finita, Akane. Niente più guerre, né sofferenze. Quando otterrò l’annullamento del matrimonio, saremo liberi di sposarci.»
«Che gioia!»
Gli gettò le braccia al collo e lui la sollevò da terra, facendola volteggiare nell’aria. Lei rise di gusto. Un’allegra risata che, in un attimo, gli riempì il cuore di nuove, sospirate certezze.
«Ascolta, anch’io ho una notizia da darti.»
La sentì sussurrare poco dopo, le guance rosse e gli occhi accesi dall’eccitazione. Cos’altro poteva mai esserci di così emozionante, dopo ciò che le aveva appena detto?
«Ok, sono tutt’orecchi.»
«Ecco» esitò torcendosi le dita, nervosa «prima non ne ero sicura, ma adesso lo sono, perché…non riuscivo più ad aspettare. Così l’ho fatto.»
La fissò, sempre più confuso.
«Fatto, cosa?» chiese, temendone quasi la risposta. Cos’è che stava cercando di dirgli? La ragazza sospirò a lungo, poi lo prese per le spalle.
«Ranma» cominciò, risoluta «ho appena fatto il test. Presto diventerai papà per la seconda volta, avremo un bambino!»
«Non posso crederci» esclamò, al colmo dello stupore «È meraviglioso! Ti amo tanto, amore mio!»
«Ti amo anch’io, non immagini quanto.»
La baciò con trasporto e le mani si spostarono leggere sul suo ventre dove un nuovo, piccolo esserino stava già crescendo piano piano, affacciandosi al mondo. Non vedeva l’ora di assistere a quel magico, stupendo miracolo tutto per loro. Da adesso in poi, una nuova vita li attendeva. Una vita ricca di amore e felicità, da trascorrere finalmente insieme.
 
 
Fine.

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