Dèi frantumi

di elenatmnt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Parte 2 ***



Capitolo 1
*** Parte 1 ***


Ciaoooooooooooooo!!!!
E così è sbucata fuori questa breve storia in due capitoli, ce l’avevo proprio lì e non potevo non scriverla non vi pare? 😉 hihihihi!!
C’è tanto angst e hurt/comfort come piace a me, a palate; questo ormai lo sapete vero?!
Buon divertimento!!!!
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Dèi Frantumi
 
Parte 1



E dire che… la sua vita non se l’era immaginata in quel modo.
Esiliato, emarginato, nascosto.
Questo lo accettava, perché era un mutante, un ninja e tutto andava bene così. Ma mostro, no. Questo mai.
 
“Via!!! Non guardarmi! Vattene via!!”
C’erano giorni buoni e quelli meno buoni, quello era di certo un giorno ‘no’.
Lo specchio si infranse in mille pezzi; il suono stridulo rimbombò per tutta la tana, accendendo un campanello di allarme nella mente di Donatello appena tornato a casa.
 
Il viola aprì la porta del bagno per vedere l’ennesimo disgraziato spettacolo, non era la prima volta dopo il risveglio dal coma che Michelangelo dava di matto.
“Dove cazzo eri finito? Dammi una mano”. Raffaello teneva una stabile presa sul fratellino che rischiava di farsi davvero male sul tappeto di vetri rotti.
 
Quando sarebbe finita? Perché stava succedendo tutto questo?

 
 
“Li ho trovati!! Don, vieni sono qui. Sbrigati!!” Donatello non avrebbe mai creduto che quella fosse la voce di Raph, una voce straziata dal pianto e dalla disperazione.
Superato un cumulo di detriti, il genio raggiunse suo fratello e in una buca di macerie, profonda poco meno di due metri, erano lì stretti in un abbraccio Leonardo e Michelangelo.
 
 

“Che fai lì impalato? Ti decidi a darmi una mano?” il rimprovero amaro di Raph riportò Donatello sulla soglia di quel dannato bagno.
Superato il campo minato di pezzi di specchio, Don si inginocchiò dinanzi a Mikey che aveva cessato di ribellarsi alla forte presa di Raph, ma non per questo aveva smesso di piagnucolare ed urlare.
“Mikey, ehi fratellino. Mikey, Michelangelo sono qui. Calmati, ti farai solo del male”.
“Me lo merito” si lamentò affondando il volto nelle mani. Il suo viso non lo doveva vedere nessuno.
“Non è vero!”.
“Sono un mostro, dovreste odiarmi”.
“Mikey, le tue ferite non sono del tutto guarite… per favore… calmati”.
In un momento era una furia scatenata, e in un altro sembrava un bambino bisognoso di protezione. Ora Michelangelo si era rannicchiato nelle braccia di Raffaello con l’unico scopo di non farsi vedere in volto.
Don e Raph si scambiarono uno sguardo, quello sguardo, quello che da giorni e giorni fregiava i loro volti stanchi di vedere il fratellino più piccolo penare nel proprio corpo e nella propria mente.
 

 
“Michelangelo! Leonardo! Fratelli!” urlava Donatello per rinnegare ciò che i propri occhi avevano visto, ciò che la propria mente aveva capito e ciò che il proprio cuore non accettava.
Rinnegare l’evidenza non era qualcosa che una mente geniale come la sua si concedeva con leggerezza, uno scienziato non si lasciava mai e poi mai trascinare dai sentimenti; calcoli e dati, causa ed effetto, bianco o nero. Niente mezze misure. Niente sentimenti.
Eppure Donatello negava che… suo fratello Leonardo era morto.
Lo sguardo vitreo, il corpo ustionato, la tempia sanguinante e il guscio spaccato sotto una trave di ferro non lasciava alcun dubbio.
Un palazzo in fiamme era crollato addosso ai propri fratelli.
 
***
 

“Ti sto facendo male?”.
“No… ehm non tanto”.
Il viola tamponava le ferite alle mani del minore con del cotone e dell’acqua ossigenata, su alcuni punti della pelle di Michelangelo doveva prestare maggiore attenzione.
“Alcune ferite non sono del tutto guarite. Devi fare più attenzione a come ti muovi, altrimenti ci metterai molto più tempo a farle rimarginare. Inoltre i vetri rotti… non hanno aiutato”.
“Lo so è che, quando sono in quel momento ‘no’, non riesco a rendermi conto di nulla. È più forte di me, non riesco a controllarmi…”.
 
Donatello tacque.
Da abitudine, il minore si aspettava una qualche forma di consolazione o almeno una risposta scientifica da suo fratello genio, riguardo a ciò che stava accadendo nella sua mente confusa. Ma Donatello non rispose, si limitò a continuare la medicazione.
 
“Don tu fai finta di niente, però sai bene che è colpa mia se Leonardo è morto”.
“Mikey ne abbiamo già parlato…” non alzò gli occhi da ciò che stava facendo.
“Se lo avessi ascoltato a quest’ora sarebbe vivo!”.
“Tu hai fatto ciò che ritenevi opportuno per salvare quella famiglia in pericolo e ci sei riuscito. Dovresti essere fiero di te stesso”.
“A quale prezzo? A costo della vita di Leo?”.
Donatello si fermò e fissò Michelangelo negli occhi. “Lui sapeva ciò che faceva. Ha scelto di sacrificarsi per salvarti, dovresti rispettare la sua memoria non commiserarti”.
 
Ci fu un lungo silenzio.
Donatello credeva veramente in ciò che diceva, non diceva mai bugie. Sapeva che Michelangelo non aveva nessuna colpa.
 
“Devo alzarti la manica della maglia. Mikey voglio solo dirti che non è necessario che tu nasconda il tuo corpo, non devi vergognarti di mostrarti a me e Raph”.
“Don… io non ce la faccio”.
“Si che puoi”.
“No non è vero. Non sono forte come pensi”.
 

 
Michelangelo era vivo.
Non per miracolo o perché il destino gli era stato favorevole. Era scampato a morte certa, perché suo fratello maggiore gli aveva fatto scudo col corpo mentre il tetto in fiamme cascava su di loro.
Michelangelo giaceva privo di coscienza tra le braccia di Leonardo. Ma il suo cuore batteva ancora.
 

 
“Ho finito. Fammi dare un’occhiata al viso, non vorrei ti si creasse nuovamente infezione”.
“No Donnie, è tutto ok”.
“Mikey, metti giù quella sciarpa, nasconderti il volto dietro quel pezzo di stoffa, ti ripeto, che non è necessario. Come non è necessario che ti vesta da capo a piedi per il medesimo motivo” rimproverò Donatello senza ricevere risposta. “Comunque devo medicarti, non ho intenzione di mandare all’aria tutti i progressi che hai fatto”. La voce del genio iniziava ad essere dura e autoritaria.
 
Un lungo sospiro accompagnò l’azione di Michelangelo, controvoglia e sotterrato dalla vergogna, si calò giù la sciarpa nera che gli copriva il collo e parte del volto.
L’occhio sinistro bianco e cieco era l’unica offesa che mostrava con più disinvoltura, solo perché era più difficile da nascondere.
Dalle gote alle braccia era un disastro; le gambe erano ustionate ma ‘più piacevoli alla vista’, almeno così pensava Mikey; non per questo aveva rinunciato ad indossare pantaloni.
Non era loro consuetudine vestirsi.
Il lato sinistro del suo volto era completamente bruciato, il labbro tendeva a cadere verso il basso marchiandolo costantemente di uno sguardo triste. Era come se il suo sorriso fosse stato disegnato al contrario. Parte della sua cute era tornata di colore verde, altri punti erano destinati a rimanere rossastri e violacei.
“Ti si è aperta una piccola piaga sulla guancia. Fortunatamente, non ce ne sono altre. Cerca solo di fare più attenzione” dichiarò Donatello, tamponando la ferita con della pomata.
“Ok. Hai finito adesso?” chiese l’arancione fremendo di agitazione. Le tempie sudavano freddo e il motivo era solo perché Donatello lo stava guardano a viso scoperto.
“Si, copriti pure se è quello che vuoi” senza aggiungere altro, prese il suo kit medico e fece per uscire finché…
“Donnie…?”
“Che c’è?”
“Mi dispiace. Mi dispiace di non essere forte”.
“Dispiace anche a me”.
Parole fredde quelle del genio, nessuna compassione o pietà. Qualcosa stava cambiando in lui; gentile era gentile; pacato era pacato; premuroso era premuroso.
E allora cosa? Cosa stava cambiando?
 

 
“Come sta?”.
“Non è ancora fuori pericolo. Le ustioni sono gravi e non ho gli strumenti necessari per curarlo”.
“Cosa ti serve?”
“Roba che non possiamo recuperare facilmente”.
“Non farmi ripetere la domanda!”
“Ti faccio una lista”.
“Sbrigati. Vado subito”.
“Raffaello?”
“Mmm?”
“Come… Ehm… cosa…”
“L’ho seppellito. È andata. È questo che volevi chiedermi?”
“No. Cioè sì…Tu… come… come stai?”
 
Domanda stupida. Troppo stupida; era ciò che di meglio riuscì a dire.
 
“Come sto? Considerando che ho ritrovato due fratelli, uno in fin di vita e l’altro morto. Considerando che ho dovuto seppellirlo accanto a nostro padre ed ero l’unico a potergli dire addio. Considerando che non ho potuto offrirgli una degna sepoltura, ma ho dovuto farlo di nascosto, velocemente, avvolgendolo nelle stesse lenzuola dove appena l’altra sera russava come un grammofono rotto. Considerando che non lo rivedremo mai più. Considerando che ora devo andare a rubare -andando contro tutto ciò nostro padre ci ha insegnato- per salvare la vita del nostro fratellino. Bhe, mi vien da risponderti senza dubbio, che sto una vera merda!”.
Gocce di lacrime bagnarono il pavimento, per quanto il suo viso fosse rimasto duro, gli occhi del focoso disertarono dall’ordine di non piangere.
Il genio al contrario, non versò una lacrima.
Raph avrebbe preso Donatello a pugni. Non era arrabbiato con lui, era solo l’unico presente, o per meglio dire, che gli rimaneva con cui potersela prendere.

Sì, domanda stupida.
 
***
 

 
Il caffè era diventato freddo. Le prime cinque tazze erano scese giù come acqua fresca, la sesta aveva avuto meno fortuna. Donatello stringeva la tazza tra le mani e la sua attenzione si era fermata sul tostapane. Era ancora rotto da allora, da quando Leonardo aveva deciso di colpirlo con un pugno secco.
‘L’assassino dei tostapane’ era il suo soprannome; Don lo riparava e non passava nemmeno un giorno che Leonardo lo rompeva di nuovo; sembrava quasi lo facesse apposta.
Non era così. Era che Leo proprio non ci andava d’accordo. Don sbuffava, tuttavia non si era mai tirato indietro dal ripararlo.
Ora lo aveva lasciato lì, così, rotto.
Aggiustarlo e trovarlo intatto la mattina dopo e quella dopo ancora, era una delle tante conferme che suo fratello Leo non c’era più.
Meglio lasciarlo rotto.
 
“Don sei ancora sveglio? Sai che ore sono?”
“Circa le 3:00. Non ho sonno”.
“Hai confuso il caffè per camomilla?” era il primo tentativo, dopo mesi, di fare una battuta ironica. Tipica di Raph. Si lasciò scivolare un lieve sorriso.
“No, sapevo che era caffè” ironia non colta. O ignorata.
“Mmm. Ok. Io torno a letto”. Il rosso fece per andarsene deluso dalla reazione apatica di Don.
 
La cucina era il luogo della colazione, del pranzo e della cena; era il luogo d’incontro spensierato dove tutti insieme si riunivano.
Di notte, quando qualcuno di loro soffriva d’insonnia, era il luogo dove ci si recava per riflettere o meditare. Ce chi lo faceva davanti ad un tè, chi davanti ad una camomilla, chi ad un caffè; la particolarità di quel luogo, era che anche nelle ore più improbabili ti raggiungeva qualcuno e se lo faceva nel bel mezzo della notte era per accertarsi che stessi bene.
Raph era lì per assicurarsi di questo.
 
Donatello stava bene?
 
“Tutto ok Don?”, il focoso si fermò.
“Si”.
“Sicuro?”.
“Sono solo un po’ preoccupato per Michelangelo. A parte questo, io sto bene”.
Entrambi si scambiarono un’occhiata, da quella di Don non trapelava nulla. Da quello di Raph una piccola fiammella rischiava di appiccare un incendio.
“Come fai Don?”.
“A fare cosa?”.
“Ad essere così impassibile”.
“Cosa intendi dire?”.
“Sei sempre calmo… anzi no, freddo; in tutto ciò che fai. So che ci tieni a me e Mikey, fai di tutto per noi eppure nei tuoi occhi non leggo nulla. Non hai versato una sola lacrima per Leo. Non ti ho mai visto piangere. Non ti sei mai scomposto. Non sei mai arrabbiato, mai frustrato, mai triste. Per la miseria, nostro fratello è morto! Avrai dei sentimenti anche tu, so che li hai. Essere pacati è una cosa, ma essere apatici è un’altra. Piangi Don! So che vuoi farlo, ne hai bisogno. Altrimenti non staresti qui alle tre del mattino a fissare un maledetto tostapane!! La situazione con Mikey è difficile, però so che ne usciremo vittoriosi, tutti insieme; è così che ci ha insegnato papà. Ma questo non può essere possibile se tu ci abbandoni. Torna da noi col cuore, abbiamo bisogno di te. Ti prego fratellino, non ci abbandonare. Non mi abbandonare. Senza di te, siamo perduti e se ci perdiamo, non ci rimane niente”.
 
Singhiozzava Raffaello.
Aveva esposto la parte vulnerabile di sé.
Quello più avverso ai sentimentalismi, alla fine, si mostrava quello più incline all’amore. Raph amava i suoi fratelli più di ogni altra cosa al mondo, più di sé stesso.
“Non so che dire Raph. Mi dispiace, solo questo”.
 
Apatia.
 
Non c’era più nulla da fare, il rosso aveva tentato il tutto per tutto e aveva fallito. Aveva perso tutti i suoi fratelli.
 
 

Michelangelo si risvegliò dal coma tre giorni dopo. Non fu semplice per nessuno.
Le ustioni gli ricoprivano la maggior parte del corpo e faceva male; il dolore persistente non gli lasciava tregua e il supplizio maggiore arrivava durante le medicazioni che erano inevitabili.
Per Raph e Don era uno strazio vederlo contorcersi nel proprio sangue, nel putridume di pus che espelleva dalle ferite; ma il peggio doveva ancora arrivare.
Durante tutto il suo stato di incoscienza, nei gemiti febbrili, Michelangelo invocava il nome di Leonardo e quando fu pienamente lucido chiese di lui. Nessuno dei due maggiori osava dire la verità di quanto accaduto, però sapevano che una menzogna non avrebbe retto e avrebbe solo peggiorato la situazione; non vi fu altra soluzione che dire la verità.
 
“Nooooo Leoooooooo! No, non è vero! No, bugiardi, schifosi mi state mentendo! Leo! Leoooooooo!! No, per pietà, no!”.
 
Raffaello uscì dalla stanza di Mickey, non voleva piangere davanti a loro e mostrarsi debole, rimase appena dietro la porta mentre sentiva il fratellino gridare; il rosso si raggomitolò su sé stesso e si premette forte i palmi sulle tempie, non si dava pace per aver perso Leo.
Suo fratello, il suo migliore amico, la sua guida.
Donatello rimase al capezzale di Michelangelo, non sapeva esattamente cosa fare o dire; col solito sguardo di chi non ha sentimenti, Don si limitò a rimanergli accanto.
 
***
 

“Ehy testa di guscio! La pizza è diventata una tavoletta secca”.
“Non ho fame Raph” Michelangelo giocherellava con il piatto.
“È la tua preferita, fratellino. Sforzati un po’, hai bisogno di mangiare”.
“No Don, sul serio. Grazie, ma non ho fame”.
“È perché non vuoi toglierti quella stupida sciarpa? Non è una richiesta Michelangelo. Devi mangiare”.
“Cavoli Raph!! Ho detto che… Non. Ho. Fame”.
“Senti Mike, ne ho abbastanza. Non ti alzerai da tavola se non finirai ciò che hai nel piatto e ti giuro che ti imboccherò io se sarà necessario, sono stato chiaro?” urlò Raffaello. Nessuno degli altri due presenti gli diede tanto peso, era un’abitudine vederlo sbraitare, che ormai non faceva più alcun effetto.
“Raph… non ce la faccio. Lo capisci che non ce la faccio?!”.
 
Supplichevole, arrendevole; Michelangelo stava perdendo la voglia di lottare. Ogni qual volta che un fratello gli chiedeva un piccolo sforzo, lui ripeteva la medesima litania ‘non ce la faccio’.
 
 

“Nu…trizione en…te…rale?”.
“Scusa il tecnicismo Mikey. Significa che dovremmo nutrirti tramite un sondino inserito attraverso una narice e che arriva nello stomaco. Il processo può creare un po’ di disagio, ma non sarà doloroso”.
“È ne…ces…sario?”.
“Purtroppo si. Hai bisogno di un adeguato bilanciamento nutrizionale, attraverso una dieta ad alto apporto calorico e proteico. Ora il tuo metabolismo è superiore del 100- 150% rispetto al tuo metabolismo basale. Per prevenire l’immunodepressione e i ritardi di guarigione delle lesioni…”.
“Taglia corto genio. Ha capito” si intromise Raph. Donatello sarebbe andato avanti per ore a dare le sue motivazioni.
“Se pro…prio d..de…vi”.
Donatello non era un medico. Notte e giorno aveva studiato libri e manuali medici. Aveva navigato su internet per capire come curare al meglio il fratellino. Si era dovuto improvvisare dottore, caricandosi di una responsabilità madornale pur di salvarlo.
 
“Ok, ci siamo Mikey. Sei pronto?”.
“S… Si. Solo una… cosa…”.
“Cosa succede?”.
“Grazie fra…tello”.
Don non disse nulla, sorrise ed annuì poi riprese l’operazione.
“Fai un respiro profondo”.
Raffaello era nella stanza, sentendosi inutile. Soffriva per questo e pensava a quanto fosse fortunato ad avere un fratello come Donatello, senza di lui avrebbero perso anche Michelangelo.
Nel limite delle sue possibilità, si sedette accanto a Mikey e gli strinse delicatamente la mano.
 
Senza troppi preamboli e con il tocco di una piuma, Donatello inserì il sondino nella narice di Michelangelo; il genio si rivelò imperturbabile, in realtà aveva una paura terribile di fare qualcosa di sbagliato. Poteva danneggiare un organo interno, somministrare un farmaco sbagliato o una quantità di cibo eccessiva. Fino a quel momento la buona sorte gli aveva sorriso; con mezzi di fortuna, alcuni farmaci e materiale ospedaliero rubato e qualche preghiera, Don e Raph erano riusciti a salvare Mikey e a curarlo.
Michelangelo si irrigidì mentre sottostava a quella procedura invasiva; i suoi muscoli si contrassero e la conseguenza fu che la pelle ustionata iniziò a crearli delle fitte atroci.
“D…Do…n ti pre…go ba…sta”.
“Resisti fratellino, tu sei forte” lo consolò Raph.
“Ancora un po’ Mikey, te la stai cavando bene”. Donatello doveva continuare, smettere significava prolungargli l’agonia.
 
 

 
Raffaello vide tutto rosso, come una furia sbraitò contro Michelangelo.
“Non me ne frega un cazzo se non ce la fai! Stai veramente…”.
“Basta Raffaello!” non gridò Donatello. Il suo tono si mostrò come una nota stonata.
“Cosa? Lo difendi? Sai che lo dico per il suo bene”.
“Lo so. Ma è ora che si prenda delle responsabilità per sé stesso. È quasi guarito. Non vuole mangiare, allora, ne accetterà le conseguenze” era quel tono pacato che a Raph proprio non piaceva.
“Non stai dicendo sul serio”.
“Invece sì. E la questione finisce qui”. Donatello si alzò mettendo il suo piatto nel lavandino. E come se non ci fosse alcuna tensione in corso, continuò disinvolto “mettete i piatti sporchi da parte. Li lavo io più tardi”.

Con impassibilità si avviò verso la porta; si bloccò di colpo quando un piatto quasi lo sfiorò e si infranse contro la parete di fronte cadendo in tanti pezzi di ceramica bianca sul pavimento della cucina.
Voltandosi incrociò gli occhi infiammati di furia ardente del rosso e la mano ancora protesa verso di lui.
Michelangelo si portò una mano alla bocca esterrefatto.
 
Le lancette dell’orologio, il motore del frigorifero, le gocce del lavandino, il respiro affannato di Raph; quelli erano gli unici rumori tempestosi che tagliavano l’aria.
“Pulirò anche questo. Fate attenzione a dove mettete i piedi” Donatello si voltò e proseguì il suo cammino.
 
Solo e ignorato. Erano le uniche parole in cui si rispecchiava Raffaello.

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Vi aspetto al prossimo e ultimo capitolo di questa storia <3 

 

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Capitolo 2
*** Parte 2 ***


Ciaooooooooooooooooo!!!
Ecco la seconda ed ultima parte di questa storia cruda e nuda. Ringrazio con tutto il cuore chi l’ha letta e ci vediamo prestissimo genteeeeeeeeeeeee!!!
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Dèi Frantumi

Parte 2

 

C’era un po’ di musica di sottofondo nel suo laboratorio, roba tranquilla, nulla di troppo ritmato.
Donatello non lavorava a nuovi progetti da un bel po’, stava solo facendo manutenzione ad alcuni macchinari che erano fondamentali per il funzionamento della loro casa. Luce, acqua, gas erano possibili solo grazie ai suoi ‘gingilli’.
Nulla di troppo serio da risolvere, era solo una scusa per passare il tempo in pace, un momento tranquillo, solo per lui.
Pace.
Da tempo non ne comprendeva il significato.
 
“Dove ho messo l’avvitatore?”.
 
Don era sempre stato il perfettino riguardo ad igiene e buone maniere, ma sull’essere ordinato era decisamente un’altra storia.
Spostò fogli e vari oggetti di lavoro dalla scrivania, senza riuscire a trovare ciò che cercava; aprì i cassetti e insieme all’avvitatore e varie scartoffie, accantonato in un angolino c’era il suo cellulare.  Non lo portava con sé da un po’, era come se volesse stare alla larga da quell’innocuo aggeggio.
Subito lo rimise a posto, prese l’avvitatore, chiuse il cassetto e si allontanò.
“Sono uno stupido. Un codardo”.
 
Don si fermò al centro della stanza guardandosi intorno, senza un motivo vero, temporeggiava contro il niente. I suoi occhi fissarono la porta dell’infermeria semiaperta, da lì intravedeva il letto vuoto dove non molto tempo prima agonizzava Michelangelo.
Quanto tempo aveva trascorso lì dentro soffrendo per un fratello morto ed un altro in fin di vita.
“Mikey… fratellino mio… mi dispiace…” le parole gli scivolarono via di bocca, in un sussurro appena percettibile. Lo strumento scivolò via dalla sua mano, non gli importò, quasi non ci fece caso. “Raph… sono qui… io vi voglio bene… è solo che…”.
Il genio nel vuoto della stanza esprimeva i suoi sentimenti a chi non poteva sentire; si premette i palmi delle mani sugli occhi imponendosi di non piangere.
Eppure… quel piccolo oggetto nel cassetto, lo richiamava a sé come fosse un tesoro perduto in attesa di essere scoperto.
 
A passi veloci, in uno scatto di follia improvvisa, riprese il cellulare, lo riaccese; in quel groviglio di circuiti e cip, c’era qualcosa che aveva lasciato in sospeso…
 
Tre messaggi vocali. I suoi messaggi vocali. Mai ascoltati.
 
Il genio strinse il telefono tra le mani e si domandava se ascoltare o meno. La realtà era che aveva paura. Paura di affrontare la voce di Leonardo.
 
Cosa c’era registrato? Che sensazione avrebbe provato nel risentire il suono della sua voce?
Ascoltare o non ascoltare.
 
Passeggiò avanti e indietro per il laboratorio, stringendo l’oggetto nelle mani; era un’anima in pena senza una meta, uno scopo.
Spense la musica, anche a minimo volume iniziava a dargli fastidio, lo riportava nel mondo reale. Una realtà che non accettava. Una dea crudele e capricciosa che giocava con le loro vite.
 
Fissò nuovamente il cellulare.
In un gesto repentino avviò il vocale prima di potersene pentire.
Ebbe un battito in meno appena il suono venne fuori.

 
“Ehi Donnie! Ho provato a chiamarti, non mi hai risposto… Spero tu senta il vocale prima di preparare cena. Io e Mikey ci fermiamo a recuperare un paio di pizze giganti. Una con le mille schifezze che piacciono a lui, altrimenti chi lo sopporta dopo, e l’altra al salame piccante. Fammi sapere se per te e Raph va bene! Ciao a dopo, vado a recuperare Mickey che sta correndo come un matto”.

 
Faceva male. Troppo. Insopportabile.
Donatello si toccò la guancia ed era umida di un rivolo di lacrima che gli rigava il viso. Stava piangendo. In silenzio, di nascosto. Ma… stava piangendo.
Perché non era riuscito a fermare quella goccia traditrice?
Il secondo vocale partì in automatico, gli parve come se Leonardo dovesse continuare a tutti i costi di dirgli qualcosa.

 
“Ah dimenticavo! Scusa fratellino, ho rotto io il tostapane. Lo so che lo sai. Te l’ho chiesto mille volte ma… puoi ripararlo per favore? Non è giusto che voi altri non lo possiate usare per colpa mia; ti giuro che io non ci metterò più mano, non lo userò mai più”.

 
Mai più. Mai più. Mai più.
Il suono divenne ridondante nella sua testa. Ora non riusciva a trattenere nemmeno i gemiti, si mise una mano sulla bocca per attutirne il suono.
Ed in effetti, da allora Leonardo, non lo usò più.
Mai più.

 
“Un’ultima cosa Donnie, ti voglio dire grazie per tutto. Da quando papà non c’è più sei stato il mio sostegno più grande, senza di te sarebbe stato tutto più difficile e non ce l’avrei fatta a prendermi la responsabilità di tutta la famiglia… Scusa sto divagando. Magari, se ti va, dopo cena ne riparliamo. A tra poco fratellino! Ti voglio bene.”.
 

Lo aveva fatto, dopo tanto tempo aveva avuto il coraggio di affrontare le ultime parole di Leo.
Un addio indiretto, un testamento non scritto, un arrivederci arrivato troppo presto.
 
Donatello ricordava di come quella sera preparò la tavola; ricordava di come lui e Raph attesero i fratelli; ricordava di come il suo cellulare era scarico e non poté visualizzare i messaggi; ricordava di quando uscirono fuori a cercarli; ricordava di quando li trovarono sotto le macerie.
 
L’immagine di Leonardo senza vita si palesò vivida nella sua mente confusa.
 
A quel punto neanche le gocce di pianto erano sufficienti a placare la disperazione che celava nel cuore. Gli mancava suo papà, gli mancava Leonardo, gli mancavano Mikey e Raph.
Don aveva costruito una barriera invisibile tra loro, un muro di vetro che rischiava di dividere tutto ciò che restava della propria famiglia.
Distruggerlo.
Doveva ridurre in frantumi quell’ostacolo tra loro.
 
“Ti voglio bene Leo, voglio bene a tutti voi. Mi manchi fratello. Sono io che ho bisogno di te perché non sono in grado di tenere unita la famiglia, non so come fare… sono perso senza di te”. Il povero ragazzo si raggomitolò sul pavimento; piangeva e invocava il nome del fratello.
Gli parlava, lo chiamava, lo supplicava; non ci sarebbe stata risposta.
“…dimmi che devo fare… dimmi che devo fare… dimmi che devo fare…”.
Rotto, stanco e solo riascoltò i messaggi fino ad addormentarsi con la voce di Leonardo che lo accompagnava nel mondo dei sogni.
 


 
 
“Come ti senti Mikey? Stai facendo progressi e…”.
“Voglio uno specchio”, Don fu interrotto bruscamente.
“Non capisco il motivo”.
“Secondo te cosa potrei farci con uno specchio?”.
“Mikey… senti…”.
“So che ho la faccia e il corpo bruciati! Avrò finalmente il diritto di guardarmi per vedere fino a che punto?!” sbraitò Michelangelo.
Raffaello entrò nella camera di Michelangelo allarmato dai toni troppo alti.
“Che succede qui?”
“Oh bene… Raph, almeno tu, mi daresti uno specchio o qualunque cosa in cui potermi vedere?”.
 
Raffaello lanciò uno sguardo a Donatello in cerca di una qualsiasi forma di aiuto o un minimo di comunicazione sul da farsi. Avevano pensato al momento in cui Michelangelo si sarebbe specchiato, mai però, avrebbero pensato ad una richiesta repentina e prepotente.
“Michelangelo… io…”
“Anche tu come lui, Raph? Bene, se non volete aiutarmi ci penserò io!”.
Michelangelo fece per alzarsi incurante di farsi male o di strapparsi via la flebo; i due maggiori gli furono subito accanto per fermarlo.
“Non sei ancora in condizioni di alzarti”.
“Sei impazzito per caso?”
Il più piccolo li scrutò torvo, era determinato ad ottenere ciò che voleva, anche a costo di strapparsi la pelle.
“O mi portate uno specchio o lo troverò da solo. A voi la scelta”.
Il rosso e il viola si scambiarono uno sguardo messi alle strette, Raffaello sospirò sonoramente era il suo modo di dire che si era arreso alla richiesta, Donatello annuì per confermare.
Qualche minuto dopo Raffaello ritornò con un piccolo specchio.
“Tieni Mikey”.
“Lasciatemi solo”.
“Non penso sia il caso…”:
“Lasciatemi solo!” supplicò a denti stretti.
Raffaello tirò Don con sé, “facciamo come dice”.
 
I due maggiori rimasero appena fuori dalla porta, ciò che udirono fu un grido e poi uno schianto di vetri in frantumi.
 


 
“Donnie!!”.
Il genio si svegliò di soprassalto nel suo laboratorio. Ci mise qualche secondo per ritornare sul pianeta Terra.
“Donatello, dammi una mano!”.
Era Raph che lo chiamava da fuori. Un’altra crisi di Michelangelo.
Ancora e ancora. Doveva finire, in un modo o nell’altro.
“Ti prego Donatello. Corri!!”.
No. Non era la voce di Raph. Era Michelangelo.
 
Donatello scattò in piedi, c’era qualcosa di profondamente sbagliato nel fatto che fosse proprio il fratello minore a gridare il suo nome. Di consuetudine, erano le grida di Raph a richiamare la sua attenzione. Per forza c’era qualcosa che non andava.
Corse fuori dal laboratorio, si precipitò nella zona superiore dove c’erano le loro camere. Le urla di Mikey che lo chiamavano, provenivano dalla camera di Raph.
Entrato, vide suo fratello maggiore imbrattato di sangue tra le braccia di Michelangelo; una grossa macchia rossa adornava macabra il pavimento e uno pezzo di vetro affondava in esso.
 
Il tempo prese a scorrere lentamente.
Donatello guardava lo scempio dinanzi e ogni cosa parve irreale ai suoi occhi.
Un fratello morto, uno ferito, l’altro in fin di vita. Quando le loro vite sono andate a puttane? E perché soprattutto?
 
Credeva di aver fallito. Credeva di aver perso contro sé stesso. Credeva che senza Leonardo e suo padre, i due perni della famiglia, tutto sarebbe andato a rotoli.
Di fatto, tutto era andato di male in peggio.
 
Michelangelo si riteneva colpevole della morte di Leonardo e pensava che le ustioni erano il segno e la punizione eterna per il suo peccato.
Raffaello in quanto maggiore, cercava di tenere le redini della famiglia, ma ognuno stava andando allo sbaraglio e lui non riusciva a controllarlo.
Donatello credeva che nascondere il proprio dolore era un modo per alleviare le sofferenze dei suoi fratelli, senza accorgersi che stava logorando la propria anima e allontanandosi da tutti.
 
Come un fulmine a ciel sereno, per un istante, un solo benedetto istante, gli occhi castani di Donatello caddero su una cornice con il vetro rotto in molteplici pezzi scaraventata sul pavimento. E in essa una foto. La loro foto.
Cinque volti sorridenti; un padre con i suoi quattro figli.

 
“Grazie fratello”.
 
“…sei stato il mio sostegno più grande, senza di te sarebbe stato tutto più difficile e non ce l’avrei fatta a prendermi la responsabilità di tutta la famiglia…”.
 
“Torna da noi col cuore, abbiamo bisogno di te. Ti prego fratellino, non ci abbandonare. Non mi abbandonare. Senza di te, siamo perduti e se ci perdiamo, non ci rimane niente”.
 
 
Le parole dei fratelli furono la melodia dei ricordi che riportarono Donatello alla lucidità di un tempo; nessuno di loro aveva fallito, avevano solo perso la strada.
 
“Raaaaaaaph!! Che hai fatto, scemo? Perché lo hai fatto?” strepitava Michelangelo.
Donatello si precipitò su Raph per soccorrerlo, non era troppo tardi, poteva ancora salvarlo; o almeno sperava.
“Mickey, con la sciarpa tamponagli la ferita al polso. Ha perso molto sangue”.
Il minore non ci pensò due volte ad ubbidire, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di salvare Raph. Non potevano perdere anche lui.
“Ce la farà? Donnie, ce la farà?”.
“Sicuro… c..certo che sì…” mentiva, per la prima volta Donatello mentiva.
La quantità di sangue era madornale, chissà da quanto tempo Raffaello giaceva a terra. Quel gesto estremo era qualcosa che mai e poi mai si sarebbero aspettati dal fratello in rosso. Evidentemente era così disperato che aveva trovato la soluzione in un gesto sconsiderato.
 
“Raph, hey fratellone, mi senti? Raphie” Donatello lo chiamava schiaffeggiandogli delicatamente il viso.
“Don…nie…” la voce era flebile, appena un sussurro; gli occhi erano a malapena aperti e il suo battito sempre più debole.
“Raph, rimani con me. Hai capito? Resta sveglio”.
“Mmm… no. Io… sba..gli…o… voi…”.
“No Raffaello. Nessuno ha sbagliato nulla, ora concentrati sulla mia voce e rimani sveglio”.
“Ok… Le…o”.
Michelangelo e Donatello si guardarono, il loro fratellone era in un chiaro stato di delirio; Donatello decise di assecondarlo.
“Le…o…”.
“Dimmi Raph”.
“Scu…sa… se… non…so…no… arri…va…to… in… tempo”.
“Raph, non hai nulla di cui scusarti”.
“Si…”
“Senti Testa Calda, Mikey e Donnie hanno bisogni di te. Perciò ora combatti, combatti per loro. Hai capito? Combatti!” le lacrime scendevano inesorabili dagli occhi di Donatello.
“…Leo… ti vo…glio… be…ne…”.
“Anche io fratellino, voglio bene a tutti voi”.

Raffaello combatté sì, per ottenere solo qualche istante di lucidità, con le ultime forze riaprì gli occhi e guardò i due fratellini davanti a sé riconoscendoli come Donatello e Michelangelo.
Il più piccolo non aveva la sciarpa e mostrava il suo volto deturpato, ma era pur sempre il suo volto innocente e puro; il genio invece piangeva, eccome se piangeva.
“Ri…ecco…vi… fra… telli…”.

In un sorriso compiaciuto e sereno, Raffaello chiuse gli occhi.
 
***
 


“Sbrigati Don!”.
“Eccomi Mikey, non mi far correre altrimenti rovino i fiori”.
“Hai ragione. Sai, quelli che abbiamo portato a papà erano perfetti”.
“Lo sarebbero anche questi se non mi facessi correre!”.
“A proposito, credevo che fosse più vicino”.
“No lui è poco più distante”.
 
Al pensiero si incupirono, Michelangelo tentò di alleviare la situazione.
 
“Hai mai pensato di fare il fioraio?”.
“E tu perché non fai il pizzaiolo?” rispose ironicamente Donatello.
I due risero.
 
Donatello e Michelangelo si incamminarono nella fitta boscaglia, fino a raggiungere un enorme albero, il più grande di tutto il parco e ai piedi di esso una pietra con inciso un nome.
“Ciao fratello! Ti abbiamo portato questi fiori, spero di piacciano…” Donatello si chinò lasciando il mazzo su quella che era la tomba del loro fratello. Si sentiva in imbarazzo a dire qualcosa con Mikey davanti, non ci era portato per certe cose.
Mikey perspicace, prese la parola al posto suo. Era triste nel suo cuore, ma era tornato ad essere il raggio di sole di un tempo. Niente più sciarpe a celargli il volto, niente più vestiti per nascondergli il corpo, niente più crisi. Era solo e semplicemente lui, Michelangelo.
“Ciao fratellone, siamo qui per raccontarti un po’ di cose, dunque…”.
 


 
Erano state lasciate troppe cose in sospeso, una in particolare.
Donatello andò in cucina e recuperò quel rottame di tostapane e nella solitudine del suo laboratorio, con una leggera musica di sottofondo, si mise al lavoro per ripararlo una volta per tutte.
 
Michelangelo era davanti allo specchio, lui contro di lui. Lentamente si tolse gli indumenti e rimase a fissarsi nudo davanti alla sua immagine. Non sarebbero state le cicatrici, né le ustioni, né la parziale cecità a renderlo un’altra persona. Con o senza l’immagine di un tempo, il cuore di Michelangelo era lo stesso.
 


 
“… e questo è tutto. Spero tu sia fiero di noi”.
“Sono certo che lo sia” lo rassicurò Donatello cingendolo con un braccio. “Che ne dici torniamo a casa?”
“Prima facciamo una tappa pizza?” Michelangelo aveva lo sguardo infantile.
“Mikey, sono le sei del mattino”.
“C’è forse un orario per la pizza?”.
“Sei il solito…”.
“Va bene, vada per la classica colazione” il più giovane sbuffò arreso. “Però la prepari tu!”.
“No, oggi tocca a te!”
“Ma cucino sempre io!”
“Appunto tocca a te”.
 
 
“Oggi mi son svegliato di buon umore… e la colazione l’ho portata io!” la voce catturò l’attenzione dei due che subito si voltarono.
Raffaello era arrivato alle loro spalle e li osservò a braccia incrociate.
“Raph, finalmente! Ti eri perso?” chiese Michelangelo.
“No scemo, sono andato a fare una commissione”.
“E che commissione potevi mai fare all’alba?” lo provocò Michelangelo in tono beffardo.
“Questa!” Raffaello gli lanciò un sacchetto di carta pieno di ciambelle.
“Oh non ci posso credere… cibo!!!!” esultò Michelangelo entusiasta correndo verso il tarta-furgone “sbrigatevi o le mangio tutte io!”.
“Non sbafartele tutte da solo o dopo te la vedrai con me!” gli urlò dietro il rosso.
 
Donatello rise a quella scena, le cose erano tornate alla normalità; qualcuno mancava, ma in un modo o nell’altro era sempre con loro.
“Mi aspetti Don? Saluto papà e Leo e arrivo”.
“Ti aspetto qui Raph” disse Donatello sorridendo.

Raffaello fece per andarsene, però si fermò. Prima di proseguire il suo cammino sentì il bisogno di dire qualcosa a suo fratello. Si strinse tra le mani il polso fasciato, come se dovesse chiedere scusa, tuttavia era consapevole che a Don non importava di questo.
“Senti Donatello, io…ecco… ti voglio bene”.
“Anche io Raph, con tutto il cuore”.

I due fratelli si abbracciarono forte.
Rotti, strambi, nascosti… loro erano pur sempre una famiglia e niente e nessuno al mondo li avrebbe divisi, nemmeno loro stessi.
La barriera di vetro era crollata in frantumi.
Donatello si lasciò andare in quella stretta calorosa mentre Raffaello sentì le lacrime del fratello bagnargli la spalla.
 
E dire che… la loro vita non se l’erano immaginata in quel modo.

Era pur sempre la loro magnifica vita.
 
 

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