Ali nere e Piume d'amore

di k_Gio_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Kaz ***
Capitolo 2: *** Inej ***
Capitolo 3: *** Compiti e merenda ***
Capitolo 4: *** Compiti e merenda ***



Capitolo 1
*** Kaz ***




Kaz


Eccola lì, l’ultima arrivata in quella casa già strapiena di ragazzini problematici. Per Haskell non si era fatto sfuggire l’occasione per accaparrarsi un altro assegno, eravamo una miniera d’oro. Che poi vivessimo ai limiti della decenza poco gliene fregava. Lui ci forniva il minimo, poi per il resto dovevamo arrangiarci noi.
Ed eravamo già un bel numero di teppisti in quelle quattro mura fatiscenti che chiamavamo casa, quindi questa nuova ragazzina, dall’aria un po’ spaurita non sapevo quanto sarebbe durata. Probabilmente poco, poi si sarebbe andata a lamentare con quelli dei servizi sociali e l’avrebbero trasferita. La scomessa con Jesper sentivo di averla già vinta. Un mese non di più.
Ora sedeva ad una delle sedie mezze distrutte in cucina, i capelli lunghi e pettinati in un’ordinata treccia che le cadeva lunga sulla schiena. La testa china sulla sua tazza con i cereali. Era carina, non che mi interessasse. Sarebbe stata l’ennesima ragazza di passaggio in questa casa in cui la prevalenza di maschi in qualche modo frenava l’affluenza dell’altro sesso. Ad Haskell non gliene fregava un cazzo in realtà, semplicemente i ragazzi davano meno rogne, niente ciclo, niente ore passate in bagno e niente rischio di gravidanze. Per quelle che erano rimaste era solo perché le alternative parevano peggiori. Cosa che a Ketterdam non era così assurda. Forse Haskell era il male minore.
Ma tornando a lei, non ci avevo ancora parlato, era stata schiva e si era chiusa a chiave nella sua camera. Saggia ragazza. Ma calamitava il mio sguardo, l’avevo osservata per quel poco che era stata nella sala comune e ne ero rimasto affascinato.
«È la tua sedia?»
E questa era la prima volta che la sentivo parlare, mi voltai per capire se ce l’avesse con me.
«Cosa?»
Alzò la testa guardandomi  e quegli occhi mi inchiodarono lì, rafforzai la presa sul mio bastone.
«Dico, la sedia è tua? Avete sedie assegnate?» domandò e la sua voce era una carezza gentile in quel tugurio di luogo. Tornai in me, cercando di non fare la figura dello scemo, quella ragazzina non poteva farmi un effetto del genere. Nessuno poteva.
«No, siediti dove ti pare.» dissi scostante, non ero gentile e non avrei iniziato ad esserlo con lei, prima lo capiva e meglio sarebbe stato.
Annuì tornando a mangiare. Presi una tazza e ci versai del caffè dentro, appoggiandomi al bancone, cercando di studiarla senza darlo a vedere. La sua pelle ambrata scintillava dove era baciata dal sole, i raggi del primo mattino inondavano la cucina e lei sembrava assorbirne ogni fascio di luce. Pensai che toccarla sarebbe stato possibile e a  quel punto compresi che se continuavo così sarebbe stato pericoloso. Quella sconosciuta non poteva avere quel potere su di me. Forse la stavo osservando con troppa insistenza perché alla fine mi domandò «Ho qualcosa in faccia? Non hai mai visto una ragazza Suli o cosa?»
Tagliente come una lama affilata. Assottigliai lo sguardo, puntandolo nel suo ma cedetti quasi subito. Con il calore scoppiato nel petto e lo stomaco in subbuglio presi la mia tazza ancora piena di caffè e me ne tornai in camera mia sbattendo la porta.

 
«Sei pronta Inej? Non abbiamo tempo da perdere» era chiusa in bagno da dieci minuti, fin troppi e dovevamo uscire.
«In realtà siamo in perfetto orario Kaz, e il cinema è a due fermate di autobus.»
«Stai zitto Jes». Tornai a bussare sulla porta. «Se non ti dai una mossa ti lasciamo qui e il tuo biglietto lo diamo ad Anika. O lo vendiamo a chi offre di più» terminai guardando Jes. Avevamo raccimolato un po’ di kruge e visto che era uscito un film decente avevamo colto la palla al balzo. Nell’operazione per trovare questi soldi Inej aveva aiutato visto che tra tutti in quella casa era risultata la più silenziosa. La prima, e anche ultima, volta che mi aveva colto in fallo era stata la sera stessa in cui avevamo avuto quello scambio in cucina.
Ero sceso in soggiorno per cercare un libro che avevo prestato a Jesper e che lui ,come suo solito, aveva lasciato in giro da qualche parte. Mentre spostavo tutte le cianfrusaglie dal tavolino, in una caccia al tesoro che non avrei vinto facilmente, una voce sommessa era arrivata alle mie spalle. Il cuore era balzato in gola.
«Posso aiutarti?»
Mi girai e la trovai dietro di me, sbucata da chissà dove, con un evidente sorrisetto di vittoria per avermi preso di sorpresa. L’avevo fissata per qualche minuto, ipnotizzato dal luccichio dei suoi occhi che intravedevo anche al buio grazie alla luce tenue e soffusa della luna che entrava dalle finestre.
Quel sorriso rispuntava a tradimento ogni volta che chiudevo gli occhi.
Ma alla fine ero dovuto venire a patti che Inej era una risorsa per le loro piccole operazioni illegali. Se Haskell ci dava il minimo necessario dovevamo trovare modi per toglierci qualche sfizio. E lei era brava anche se all’inizio non si era mostrata molto felice della cosa.
Ma ora se non usciva da quel bagno l’avrei mollata lì e rivenduto il suo biglietto. Bussai un’ultima volta quando alla fine la porta iniziò ad aprirsi.
«Non venderai proprio un bel niente Brekker. Stavo sistemando la treccia, ho notato che ti piace quando è in ordine, o sbaglio?» disse mentre mi passava accanto con un sorrisetto malizioso. Sentii Jesper sghignazzare dietro di me. La mia faccia probabilmente in fiamme.
«Dai andiamo che facciamo tardi» urlò davanti a noi Inej mentre scendeva le scale con la sua grazia innata. Jesper la seguì e infine anche io, dopo un profondo respiro per riprendere una certa stabilità, mi incamminai lungo le scale.
Eravamo arrivati anche in anticipo alla fine, l’autobus che era passato subito. Jes e Inej erano in piedi, c’era  solo un posto per sedersi e dopo che avevo detto che sarei rimasto in piedi, Inej mi aveva messo le mani sulle spalle, il tocco più leggero ma anche deciso che sentivo da anni sul mio corpo, e mi spinse sul sedile. Volevo dirle che la gamba non mi faceva male, che non doveva trattarmi da invalido e che la sua compassione era l’ultima cosa che volevo ma quando stavo per dirglielo lei si era appoggiata al mio fianco mentre l’altra mano si reggeva alla maniglia in alto. La bocca si era fatta improvvisamente secca, nessun pensiero di senso compiuto all’orizzonte, anzi. La ragione sembrava volare via dal mio cervello quando il suo corpo toccava il mio, anche con diversi strati addosso sentivo la pelle bruciare lì dove le sue mani mi avevano toccato le spalle. E il suo ginocchio che toccava la mia coscia mi faceva sentire ubriaco. Mi sarei preso a ceffoni per quella mancanza di autocontrollo. O forse una bastonata con il mio stesso bastone sarebbe stato più efficace.
Rimasi muto per tutto il viaggio che fortunatamente fu breve, perché la mano che teneva dietro il mio schienale cominciò a risalire verso la base del mio collo e poi sempre più su. Ghezen. Jesper sembrava non essersi accorto di niente per fortuna.
Ma doveva smetterla, vivevamo sotto lo stesso tetto, e l’ultima cosa che volevo era fare l’idiota che si innamora e comincia a fare errori perché ossessionato da altro. Se ero sopravvisuto fino a quel momento era per il mio cervello e quindi dovevo preservarlo. Ma quella ragazzina minuta e silenziosa sapeva che effetto avesse su di me, dovevamo parlarne. Non in quel momento però, non quando grazie a quella posizione mi ritrovavo all’altezza del suo petto. Distolsi lo sguardo verso il finestrino finché non arrivammo al cinema.
«Io non mi metto in mezzo»
«E dai Kaz, voglio vedere se questa volta riesco ad indovinare prima io chi è l’assassino.»
«Ed è proprio per questo che non ti voglio vicino Jes. Parli troppo. Ho pagato per vedere il film, non per sentire te»
«Sei proprio uno stronzo»
«Non ti preoccupare Jes, mi ci metto io in mezzo, non mi dai fastidio.»
«Vedi, lei è una brava persona, Kaz»
Sbuffai, come se avessi mai dato l’idea di volerlo essere. Inej se ne sarebbe pentita, tempo al tempo.
Una volta che le luci si spensero e il film partì per un po’ le cose procedettero bene poi come un orologio che non perde un colpo udii Jesper iniziare a confabulare a bassa voce con Inej. C’erano poche persone a quell’ora ma l’ultima cosa che volevo era che ci cacciassero fuori per il rumore.
Mi stavo giusto per sporgere verso Inej per dirle di far sta zitto Jes quando la sua piccola e calda mano atterrò sulla mia coscia. Sprofondai nel sedile, boccheggiando. Ghezen, era inammissibile. Non poteva prendersi queste libertà. Ringraziai i buio della sala, sentivo la faccia in fiamme. Il cuore che galoppava nel petto come volesse uscire. Mi morsi un dito, i guanti sempre al loro posto sulle mie mani attutirono l’affondo dei miei denti.
Dovevo toglierle quella mano da lì, non volevo ma dovevo. Presi coraggio e stavo per raggiungerla quando lei inizò ad andare su e giù, i polpastrelli che accarezzavano il tessuto lasciando sotto di esso una scia infuocata.
Non si era nemmeno voltata, continuava a stare girata verso Jesper che non la finiva di chiacchierare. Come ero caduto in basso, sentivo le gambe molli e il respiro affannato. Neanche una delle numerose fughe dalla Stadwatch mi aveva messo in quelle condizioni.
Mi ero quasi abituato a quella lenta tortura quando le luci si accesero segnando la fine del primo tempo, che la mano di Inej tornò al suo posto, quindi lontano da me. E fu come riprendere aria e le mie facoltà mentali. Mi schiarii la voce.
«Vado a prendere i popcorn, volete qualcosa?»
«Non abbiamo più un soldo Jes» gli ricordò Inej.
«Lo so ma il ragazzo al bancone lo conosco, provo a corromperlo. Nessuno può dire di no a questo faccino» e senza aspettare oltre si era diretto con ampie falcate verso l’uscita.
«Allora, ti sta piacendo il film, Kaz?» mi chiese innocentemente. Gli occhi che brillavano di malizia. Ragazza pericolosa.
«Mmm», già il film. Chi cazzo era riuscito a seguirlo il film.
«Jesper dice che è la moglie ad averlo ucciso. Credo sia troppo scontato, tu che dici» continuò beffarda.
Non sapevo se fidarmi della mia voce, ma stare zitto l’avrebbe fatta solo gongolare ancora di più.
«Se ti dico cosa penso poi tu lo dici a Jesper, e potrebbe indovinare. E non sarebbe più così divertente. Ho notato che ti piace più la sua voce che ascoltare il film. Non è stato zitto un minuto» almeno credevo fosse stato così, le orecchie mi si erano ripempite di ovatta.
Inej mi guardava divertita, «Ah, l’hai notato…io invece ho notato altro, sai?». C’era qualcosa che mi prendeve le viscere ogni volta che mi parlava, quel suo tono gentile di dire le cose che mi faceva desiderare non smettesse mai di parlare. Cosa che decisamente non succedeva con Jesper.
Poi corrugò le sopraciglia, e la malizia sparì dal suo volto. «Ti senti bene Kaz? Sei tutto rosso, non è che hai la febbre?» e prima che potessi impedirglielo la sua mano volò sulla mia fronte.
Ora non sapevo se avrei vomitato o mi sarebbe esploso direttamente il cuore nella cassa toracica. Ma non sentivo nausea, non quella solita che mi prendeva quando qualcuno mi toccava. Era una nausea diversa.
La sua mano era fresca contro la mia pelle bollente, e contro ogni aspettativa mi diede sollievo. Inspirai dal naso e lo vide come un lasciapassare per portare entrambe le mani sulle mie guance.
La stronza lo sapeva dell’effetto che aveva su di me, ora ne ero certo. Quel fottuto, bellissimo e pericoloso ghigno che le era nato sul volto era la prova del nove.
Mi resi conto che mi ero sporto verso di lei, il busto scostato dal sedile, proteso verso di lei. Le sue dita piccole e fresche che creavano piccoli cerchi sulle mie guance. In un breve momento di lucidità pensai alla mia faccia, alla pelle rovinata lasciata da una malattia che mi aveva preso da piccolo. Non mi era mai fregato nulla di quello che la gente pensasse della mia faccia, stare davanti allo specchio più del necessario era uno spreco di tempo e non ne avevo da perdere. Ma ora una parte del mio cervello pensò che se si fosse avvicinata solo un po’ di più l’avrei disgustata. Forse le sue mani già avevano percepito i segni. Non volevo appararirle disgustoso…non più di quanto non le sembrassi grazie al mio modo di fare del cazzo.
Indossai di nuovo la maschera cupa che usavo per minacciare i ragazzi di scuola quando oltrepassavano il limite. La sua faccia confusa dal mio repentino cambio d’umore non le impedì di continuarmi a tenere il volto tra le mani, mi guardò più intensamente e i miei stupidi occhi caddero sulle sue labbra. Stupidi, stupidi occhi.
Come se avesse decifrato finalmente un indovinello, la tessera finale del puzzle che andava finalmente al suo posto, tornò a sorridere e persi definitivamente il senso di ogni cosa quando la vidi avvicinarsi sempre di più alla mia faccia.
Un bacio sulla punta del naso, ecco cosa ottenni. E forse era meglio così, perché subito dopo arrivò Jesper con due confezioni di popcorn e una bibita. Lei tornò seduta composta, ringraziando Jes. Allontanai con un gesto sprezzante della mano i popcorn che Inej mi offrì quando le luci si spensero di nuovo. La sentii sbuffare divertita.
Cosa pensavo, che mi avrebbe davvero baciato? Che una come lei avrebbe baciato uno scarto come me che le rifilava frasi sprezzanti, commenti acidi e che non poteva nemmeno toccarla come un qualsiasi adolescente avrebbe fatto? Idiota, un idiota, ecco cos’ero.
Il film finì e sentii solo di aver perso soldi e la visione di qualcosa di decente visto che per tutto il viaggio di ritorno Jesper e Inej non avevano smesso di parlarne, cercando di coinvolgermi. Mi ritirai nel mio mutismo non rivolgendogli parola.
 

Erano le tre probabilmente, il telefono abbandonato sul cassetto, in carica. La giornata era andata come era andata, la mia testa che continuava a ripercorrere l’intera scena del cinema. Avrei voluto che mi baciasse? Sì. Almeno con me stesso dovevo ammetterlo. Ero sollevato che non lo avesse fatto? Probabilmente sì. Se le nostre labbra si fossero toccate avrei perso completamente il senno. E anche il sonno. Come se ora chiudere gli occhi fosse comunque liberatorio. Era solo un altro modo per torturarsi, lei che mi sorride, lei che fa anche la cosa più banale come spazzolarsi i capelli. Lei e i suoi dannati occhi che mi fissano come per imprigionarmi a lei. Tutte fantasie vive solo nella mia testa, quel cazzo di bacio sul naso ha definito come stanno le cose. Meglio. Niente grilli per la testa.
E poi ecco che la finestra cigolava.
«Brekker, non sei sceso a cena, non hai fame?» ed eccola lì, appolaiata sul mio davanzale con lo sguardo divertito. Averle insegnato a scassinare le serrature implicava visite a sorpresa come quella.
«Perché non sei a dormire?» la sentii sbuffare per la mia non risposta.
«Perché stavo aspettando che si liberasse il bagno ma Pim credo si sia mangiato qualcosa che gli ha fatto male e va avanti e indietro dalla fine della cena.»
«E quindi perché sei qui?» alzai gli occhi dal mio libro e la trovai appoggiata con un fianco alla mia scrivania.
«Hai il bagno in camera»
«Ne sono consapevole, e?»
«E vorrei farmi un bagno. Posso usare la tua doccia?»
L’idea di Inej, nuda, nella mia doccia, a pochi metri da me mi mandò in tilt. Tornai alle mie pagine.
«Fai come ti pare» mormorai con una voce che non riconobbi come mia. L’aria improvvisamente calda tutt’intorno.
Dovevo dirle di prendere il suo accappatoio quando la vidi togliersi la felpa davanti a me. La sua schiena coperta dai capelli sciolti che si dirigeva verso il bagno.  Si era fermata vicino al letto, gli occhi puntati sulla mia mensola, leggendo i titoli dei libri che avevo sistemato lì. Era nel suo reggiseno sportivo, nero come la notte, che le avvolgeva il petto come una seconda pelle. Anche da quella distanza riuscivo a vedere i contorni nitidi dei suoi addominali, scolpiti nella sua pelle bronzea erano uno spetacolo che mi toglieva il fiato ogni volta. Quando avevamo iniziato gli allenamenti di difesa e di combattimento indossava il più delle volte felpe e maglie lunghe che non le intralciassero i movimenti. Ma quando erano iniziate le giornate più calde aveva optato per quei reggiseni quando ci allenavamo o al massimo con Jesper lì nella mia camera. Non l’avevo mai vista con la pancia scoperta in presenza d’altri.
Dovevo essermi imababolato perché la sentii ridere.
«Vedi qualcosa che ti piace, Kaz?»
«Cosa?»
«Dicevo, questo libro è nuovo? Non lo avevo mai visto» dato che non accennava a dirmi di che libro si trattasse mi alzai, pregando che il bastone svolgesse bene la sua funzione di sorreggermi, le gambe non sembravano volerlo fare.
«L’ho preso l’altro ieri in libreria»
«L’hai preso nel senso che lo hai rubato?»
«Cambia qualcosa? Tanto non credo faccia differenza quello che faccio» ora facevo anche la vittima? Ghezen che rammollito.
«Cosa intendi?»  alzò un sopracciglio, incrociando le braccia sotto il seno. Cazzo, mi avrebbe fatto morire. Dovevo allontanarmi.
«Che fai scappi?» mi tirò per la manica, e fu tanto improvviso che persi l’equilibrio sbattendo la schiena contro la porta del bagno.
«Ma…Inej!?»
«Visto che l’unico modo che ho per farmi risponderti è metterti alle strette…Allora Kaz, che volevi dire con quella frase?» era di fronte a me, un braccio fermo al lato della spalla e l’altra mano che leggera come una piuma tracciava percorsi invisibili lungo il mio petto. Lo stomaco che iniziava a formicolare. Indurii la mascella distogliendo gli occhi da lei.
«Ah ah, sono qui, Kaz» e mi prese il mento tra le dita per riportare i miei occhi su di lei. Avevo bisogno d’aria. «Non ti lascio scappare se non mi dici cosa volevi dire con quelle parole»
«Credo di essere in grado di liberarmi di una seccatura piccola come te, Inej» se trattarla male poteva essere un buon incentivo per farla tornare da dove era venuto tanto meglio. Aveva messo ben in chiaro che non era interessata a me. Come darle torto, c’erano ragazzi migliori anche in quella schifo di scuola che frequantavamo.
La mano che teneva sulla porta salì ai miei capelli, stringendo in una morsa tale che persi il controllo del bastone. Fece un suono secco quando toccò il pavimento.
«Parla Kaz»
E quel suo comando mi mandò in pappa il cervello. La stretta tra i miei capelli l’unica cosa che non mi faceva cadere in ginocchio davanti a lei.
«Non fa differenza se mi comporto bene o continuo ad essere un mostro, a te non importa.» soffiai tra le labbra, ma con gli occhi chiusi. La vergogna di averglielo detto a voce alta senza mezzi termini.
La sua mano che era ancora sul mio petto risalì lenta, fino alla mia guancia, il più leggero dei tocchi.
«Che c’è, Kaz? Ci sei rimasto male per quel bacio sul naso? O perché non ti ho toccato anche per il secondo tempo del film? Pensavo fossi più interessato a scoprire l’assassino» soffiò ad un passo dal mio collo. Era sulle punte dei piedi, perfettamente in equilibrio, cosa che non potevo dire del mio.
L’alito caldo mi fece correre brividi lungo la spina dorsale, tutto il corpo che gridava di più.  Sentivo solo lei, niente repulsione o nausea. Ero completamente in suo potere. Cazzo.
«Vuoi che ti baci Kaz? O che ti tocchi?  O magari entrambi.» era sempre più vicina, quindi probabilmente stavo scivolando lungo la parete perché il mio viso era vicino al suo ora. Sentivo il suo odore ovunque intorno a me, la sua voce che echeggiava nelle orecchie.
Volevo tutto.
«Ma forse non ti interessa» e divenni improvvisamente freddo. Si era allontanata di un passo creando quel vuoto e distanza che che avevo sempre messo in chiaro di volere. Il mio corpo, traditore, barcollò in avanti volendola di nuovo vicino.
E lei mi prese, strinse le sue mani sulla mia maglia sorreggendomi. Patetico. Un dannato patetico. Ero già pronto a dirle di andarsene quando mi tirò verso il letto, facendomi sedere sul bordo. Il mio corpo non era più mio a quanto pareva.
«Cosa succede, Kaz? Qui dentro è no ma qui sotto è sì?» mi chiese mentre una mano toccava la mia tempia e l’altra scendeva pericolosamente in basso. Aveva notato qualcosa ai piani bassi ovviamente, notava tutto lei, ecco perché era la migliore.
La mia faccia era ad un palmo di naso dalla sua pelle. Potevo sentire il suo odore. Volevo baciarla, morderla ma sapevo che non potevo, e non volevo sbagliare e farla scappare…anche se quello in difficoltà sembravo essere io.
«Vuoi toccarmi Kaz? Vuoi farmi vedere quanto sono abili le tue mani da ladro?» la sua bocca di nuovo vicino al mio orecchio. Piccole scintille che mi percorrevano la spina dorsale. E poi iniziò a baciare la pelle dietro l’orecchio. La vista mi si annebbiò. Più le sue labbra scendevano lungo il collo più non ci capivo un cazzo. Era tra le mie ginocchia, vicina come non mai. Le mie mani si alzarono prendendo posto sulla sua vita. Era calda sotto i guanti, riuscivo a sentirne il calore anche sotto la pelle spessa. Mi sentii gemere e nello stesso momento percepii il suo sorriso soddisfatto sul mio collo.
Risalì la mia mascella, un percorso di baci e respiri e non mi ricordai più della mia pelle, del mio aspetto e di chi ero. Arrivò all’angolo delle mie labbra, tirando tra i denti il labbro inferiore. Strinsi la presa sui suoi fianchi per quella palese presa in giro.
E poi mi ritrovai sdraiato sulla schiena, ingabbiato da lei e dai suoi capelli che mi circondavano . C’era solo lei.
Non potevo cedere, non potevo fare quella fine. Vivevamo insieme, mi serviva per lavorare non per confodermi le idee. Poi ognuno avrebbe preso la sua strada e quella di Inej era lontanta dalla mia. Le presi i polsi e mi tirai su, con lei che mi sedeva in grembo, la sua faccia in attesa di sentire cosa avevo da dire.
«Non credo sia il caso» potevo dire qualcosa di più fermo e deciso, e invece quello che ne uscì sembrava quasi una supplica. Rammarico forse. Domani mi sarei fatto una scazzottata con Jesper.
Lei mi studiò, con la sua consueta calma. Il suo petto che, ora che lo osservavo, si abbassava ed alzava come stava facendo il mio. Mi sedetti meglio e lei che sedeva sopra alla mia evidente erezione chiuse momentaneamente gli occhi. Inspirò ed espirò.
Si morse il labbro inferiore e poi mi guardò di nuovo «Va bene Brekker. È stata una giornata piuttosto piena oggi. Mi faccio una doccia e poi vado in camera, così puoi andartene a dormire e sognarmi.» e senza che potessi controbbattere mi afferrò di nuovo i capelli spingendo la testa in modo tale da mostrarle il collo e affondò le sue labbra tra l’orecchio e il collo, i segni dei denti che già me li vedevo l’indomani mattina a dover coprire con una felpa a collo alto.


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Ci si vede tra qualche giorno con il Pov di Inej :)

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Capitolo 2
*** Inej ***


Inej
 
Haskell ci convocò nella sala comune, il soggiorno ora ospitava una banda di ragazzini che non era per niente felice di stare lì. Cercai Kaz, era dall’altro lato della stanza appoggiato alla parete, le braccia incrociate che guardava ovunque tranne che nella mia direzione. Come se non sapessi che mi aveva seguita con lo sguardo mentre scendevo le scale. Jesper accanto a me era un fascio di nervi che non riuscivano a stare fermi.
«Jes stai tranquillo, vediamo cosa ci deve dire prima di preoccuparci»
«Si tratta della scuola Inej, lo so, e so che non sta andado come dovrebbe. Accidenti a me». Era davvero scosso sebbene cercava di non darlo a vedere, un sorriso tirato che poco gli si addiceva. Gli strinsi un braccio, Jesper era effettivamente un disastro ma non era completamente colpa sua.
Cercai di nuovo Kaz, impassibile nella sua felpa nera abbottonata fino al collo, era sexy anche vestito così casual, lontano dalla solita camicia bianca e giacca nera che lo incastravano in quell’aria da giovane uomo in carriera che gli piaceva tanto assumere. Morsi l’interno della mia guancia, volevo andargli vicino e vedere fino a che punto potevo stuzzicarlo. Quanto avrebbe retto prima di scappare in camera sua. Come se poi gli fosse possibile sfuggirmi, nemmeno la doppia serratura che si era montato alla finestra era riuscita a fermarmi. Mi aveva insegnato troppo bene il bastardo. E a lui piaceva nonostante non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce. Già pregustavo il momento in cui saremmo stati da soli.
«Allora, banda di delinquenti» esordì Haskell una volta entrato nel salotto e seduto sulla sua poltrona. «Ho parlato con la preside, sì Jesper, fai bene a fare quella faccia, ed è anche peggio di quel che credi. Dicevo, non brillate certo di intelligenza, la condotta fa abbastanza schifo per la maggior parte di voi. Se non migliorate in questi mesi vi trasferiranno da qualche altra parte, se vi andrà bene, in alternativa sapete che vi lasceranno in mezzo alla strada. Questa città ha fin troppo teppisti di cui occuparsi. Ma noi non vogliamo questo, vero?». Lanciai uno sguardo di soppiatto a Kaz che, come era prevedibile, aveva sollevato impercettibilmente un sopracciglio a quelle ultime parole, per poi tornare con il suo volto imperscrutabile. Non era certo un segreto che ad Haskell noi facessimo comodo per gli assegni che lo stato gli dava. E a dirla tutta quella casa era la meno peggio in cui fossi finita. Solo il pensiero di Heleen mi fece rabbrividire, tornai ad Haskell.
«Quindi, o vi mettete in riga o ve ne andate.»
Mentre gli altri ragazzi si incamminavano chi per la propria camera e chi invece andava a tirarsi su con quello che offriva la cucina, io avevo lasciato il braccio di Jes per avvicinarmi ad Haskell, l’ultima cosa che volevo era che mi mandassero via, volevo sapere la mia situazione.
«Ragazzina,» esordì, leggermente sconsolato, eravamo tutti un disastro in qualche modo «devi studiare la lingua. C’è poco da fare. Gli insegnanti non si lamentano di te, almeno non troppo, ma nei temi sei un fottuto disastro. Kaz! Vieni qua».
Percepii la sua presenza dietro di me, sempre ad una certa distanza ma comunque vicino. Avrei voluto guardarlo ma ero incazzata per quello che avevo appena sentito.
«Senti, aiuta Inej, ti direi di aiutare pure Jesper, ma quello è un caso perso. Tra tutti sei quello con la testa più sulle spalle. Ovviamente non devo dirti che il tuo problema è solo nella condotta stronzetto,vero? Quel cervello funziona bene, ma cerca di evitare le risse. Almeno all’interno della scuola. Ora sparite, ne ho avuto abbastanza».
Seguii Kaz su per le scale, muto come la maggior parte del tempo. Gli guardai il sedere che era fasciato alla perfezione in quei pantaloni della tuta, nera ovviamente. Santi, non ci avrei messo niente ad allungare la mano e toccarglielo.
«Ti presto qualche libro e ti metti a leggerlo. Non ho tempo da perdere per insegnarti come si fa.» sprucido come suo solito. Aprì la porta della sua stanza ed entrai dietro di lui, chiudendomi la porta dietro.
«Avanti Kaz, non fare lo stronzetto» lo presi in giro «Solo perché tu sei uno studente modello non è che devi temere che io possa toglierti il primato se mi aiuti». Sogghignò mentre guardava tra i suoi libri, cosa non avrei fatto a quella faccia…
Mi feci più vicina e lo sentii irrigidirsi alla mia presenza, era un gioco che iniziava a piacermi sul serio quello.
«E dai…» gli tirai il bordo della felpa, spingendo il suo fianco contro di me. Poi gli sussurai, come a raccontargli un segreto «Se mi aiuti ad imparare meglio la vostra terribile lingua io poi ti insegno e ti faccio conoscere la mia» e il doppio significato delle mie parole gli era arrivato forte e chiaro perché le sue orecchie si erano tinte di un bellissimo rosso scarlatto. Volevo vedergli la faccia in che condizioni fosse ma, come se si fosse bruciato sul serio, scappò dalla mia presa dandomi le spalle e andando ad un’altra libreria.
Inchiodarlo al letto e averlo sotto di me, era il mio pensiero fisso da quando gli avevo lasciato quel marchio sul collo. Era passata una settimana e avevo sempre cercato l’occasione per ripeterla ma c’era stata la scuola, qualche rapina e qualcuno sempre in mezzo. Era estenuante averlo intorno e non poterlo toccare come volevo. Le sue reticenze non facevano altro che invogliarmi ancora di più a spingerlo oltre. Mi sedetti sul suo letto, gambe a penzoloni e mezza distesa sui gomiti «O forse quello che vuoi è che mi mandino via?», a quelle parole Kaz si voltò nella mia direzione, rosso come un pomodoro ma con un cipiglio serio sul volto. Sorrisi vittoriosa, inclinando la testa di lato e con i capelli che mi cadevano come una cascata nera sulla spalla. I suoi occhi color caffè ne seguirono il movimento e il mio basso ventre prese fuoco, cosa non scateneva in me quel ragazzo dall’aria tormentata.
Si passò una mano tra i capelli e pensai di uscire di testa se non lo avessi toccato in quel momento. Mi alzai e lo raggiunsi non sapendo nemmeno bene io cosa gli avrei fatto. Gli afferrai i lacci della felpa e li tirai verso di me, il suo viso sorpreso ad un palmo dal mio. I suoi capelli di nuovo nella mia presa ferrea, il mio corpo premuto contro il suo che avevo schiacciato tra me e la libreria. Misi una gamba in mezzo alle sue facendo pressione mentre la mia bocca gli torturava il collo. I suoi gemiti mi risuonavano come musica nelle orecchie. Poi uscì un suono più acuto dalle sue labbra all’ennesima spinta. Cazzo, la sua gamba. Poggiai la mano sulla sua coscia e lo sentii sospirare di nuovo. Sorrisi di nuovo «Meglio?» gli chiesi mentre gliela accarezzavo, e notai che la cosa mi eccitava. Volevo farlo mio. Vivere quello che mi era stato tolto come volevo io. Alle mie condizioni.
Le sue mani intanto erano risalite sulla mia vita e timide facevano su e giù sui miei fianchi, incerte se proseguire sotto la mia felpa o scendere sul mio sedere. Quel suo fare incerto mi accendeva come un fuoco.
«Avanti Kaz…non sei mica uno scolaretto ingenuo, fammi vedere come usi le tue mani intelligenti. Oppure possiamo fare così, tu aiuti me con la scuola e io aiuto te in questo» e spostai la mano che gli accarezzava la coscia verso il cavallo dei suoi pantaloni. Il suono che emise era musica per le mie orecchie.
Le sue mani rafforzarono la presa sui miei fianchi ma invece di tirarmi a lui mi allontanò. Ero sorpresa e anche leggermente infastidita. Gli stava piacendo, lo potevo affermare senza ombra di dubbio.
Kaz inspirò, riprendendo il fiato che gli avevo tolto «Leggi questo, capitolo uno e due e poi torna qui. Ti chiederò di farmi un riassunto e di rispondere a qualche domanda di comprensione» disse con la voce più ferma che riuscì a trovare. Mi allungò il libro che aveva preso dalla libreria dietro di lui e si raddrizzò.
Ero scioccata, lo stavo per far venire e lui intanto pensava a cosa farmi leggere?! Mi portai i capelli dietro le orecchie e poi presi il libro tra le mani. Almeno potevo dedurre che non volesse che mi mandassero via. Assottigliai lo sguardo guardandolo di rimando visto che ovviamente mi stava già osservando, quel suo cervello che ne pensava cento e una. «Grazie, bastardo» mi voltai e con il cuore che ancora cercava di riprendere il suo ritmo normale me ne andai in camera a leggere quello stupido libro.
 
Le nostre sessioni di studio procedevano, il libro di storia era mortalmente noioso, quella lingua per niente melodica non riusciva ad entrarmi in testa. Leggevo, rispondevo alle domande, facevo quei riassunti che, a dire di Kaz, erano davvero penosi e che un bambino di sette anni avrebbe saputo scriverli meglio, ma la cosa andava a rilento.
 Miglioravo a fatica nello scritto, ma a quanto pareva Kaz aveva preso a cuore quel compito perché si metteva di impegno lì, vicino a me, ad aspettare che finissi di scrivere l’ennesimo disastro.
«Ghezen,» iniziò frustrato, leggendo l’ultimo mio capolavoro  «Inej, abbiamo incontrato questa parola almeno una decina di volte. E la struttura di questa frase è sbagliata.» gli occhi che correvano lungo quell’insieme di scarabocchi. «Non ti stai impegnando» asserì.
Posai il telefono con cui stavo perdendo tempo nell’attesa del verdetto. Seduta sulla scrivania accanto al suo braccio lo fissai male. Non poteva dire una cosa del genere, non era vera. «Sai perfettamente che non è così. Ci ho passato due ore su quel riassunto. Ho solo bisogno di una pausa»
«Certo, come no. Fatti un giro allora, e se continui a scrivere così dovrò iniziare anche a decifrare cosa c’è scritto, quindi portati una sedia .»
«Mi piace stare sopra di te» gli dissi abbassandomi, ad un soffio dalla sua faccia che prese colore in un battito di ciglia.
Senza guardarmi, gli occhi fissi e concentrati su quel foglio per non perdere l’autocontrollo continuò «Di questo passo sarà questo l’unico modo in cui mi starai sopra, visto che perdiamo tutto questo tempo a cercare di mettere qualcosa in quella tua testa».
Kaz che implicitamente mi stava dicendo che voleva stare sotto di me? Sentii le guance dolermi per quanto mi ritrovai a sorridere.
«Kaz Brekker, mi stai forse invitando a venire lì e baciare quel tuo bel faccino?» mi sentivo ebbra di desiderio, lo studio sparito dalla mia mente. Il modo in cui strabuzzò gli occhi era la cosa più tenera che avessi mai visto.
«Intendevo che se non migliori non mi supererai mai e anzi finirai tra i peggiori». Alzai gli occhi al cielo, preferivo l’altra interpretazione. E poi lo vidi fare quella faccia intrigante che di solito preannunciava il prossimo colpo. La sua mente brillante era solo l’ennesima qualità di quel ragazzo tutto spigoli e caparbietà.
«Cosa stai pensando, Kaz?» allungai la mano riportandogli indietro una ciocca sfuggita alla perfezione della pettinatura in cui li pettinava ogni mattina. La sua mano tremò vicino alla mia caviglia.
Si schiarì la voce, tornando in posizione più dritta il che implicava allontanarsi da me. Era divertente vedere come essere lucido gli risultava difficile quando gli ero accanto.
«Dobbiamo trovare qualcosa che ti motivi, fai bene qualcosa e ottieni qualcosa. La fai male e non ottieni nulla»
Era una cosa intelligente in effetti anche se non credevo che avrebbe funzionato, forse però Kaz aveva un po’ ragione, mi ero impegnata ma mi ero lasciata anche distrarre mentre svolgevo i miei compiti. Sì, poteva essere una buona idea. «Cosa propone signor Brekker?»
«Niente kruge, non ti darò dei soldi per qualcosa che avresti già dovuto imparare da sola»
«Non li voglio i tuoi kruge, li posso rubare quando voglio» e il ghigno soddisfatto che fece a quelle mie parole mi accese la lampadina, «Voglio te». Il modo in cui mi guardò sorpreso mi fece spingere verso di lui. Allo  scolaretto ingenuo sembrava così impensabile?
«Cosa?»
«Cosa?» gli feci il verso, «se riesco a scrivere il prossimo tema bene ti bacio.» dissi non perdendomi nemmeno un minuto dell’agitazione che aveva scosso il suo corpo. Unì le sue mani guantate in una stretta che ne fece stridere la pelle. Mi leccai le labbra.
«E…e in che modo dovrebbe essere…essere una ricompensa per te questa?» Kaz Brekker non aveva mai balbettato. Era visibilmente perplesso, cosa che non capivo. In quella settimana lo avevo tormentato quasi ogni singolo giorno e ad ogni occasione che mi si presentava per toccarlo e vederlo cedere sotto di me. Santi, che aiutassero questo stupido uomo.
«Te l’ho detto Brekker, mi piace il tuo faccino. Allora, abbiamo un accordo?»
Deglutì e alla fine serio come solo lui poteva esserlo in qualsiasi contrattazione, tese la mano e strinse la mia.
«Sì»
 
I Santi dovevano aiutare me. Non ero riuscita a terminare né il tema né una comprensione senza fare almeno un paio di errori. Kaz aveva detto che comunque avevo fatto un miglioramento ma che non avrei comunque avuto nulla perché non erano quelle le condizioni che avevamo pattuito.
Uomo kerch che non era altro.
Mi ero chiusa in camera mia quel pomeriggio, non era possibile che non riuscissi a non fare errori. Non era da me, e sì, volevo avere Kaz ma se non avessi fatto progressi mi sarei dovuta preoccupare di ben altro.
Ero talmente presa che quando il cellulare vibrò sobbalzai:
 
K: Jes ti ha lasciato la cena in frigo, dietro alle verdure e al tuo yogurt disgustoso senza zuccheri.
I: Ringrazia Jes
K: Non sono un cazzo di ambasciatore, ti ho scritto solo perché lo stupido ha il telefono scarico e voleva avvertirti prima che qualcuno trovi il piatto
I: Allora grazie per la tua gentilezza bel faccino. A te non interessava che stessi a digiuno?
K: Pensa a finire quel tema piuttosto
I: Così dopo posso mangiare te?
 
Dopo forse diversi tentativi per una risposta degna di lui che faticava ad essere scritta, Kaz tornò di nuovo offline. Forse riuscire a baciare Kaz come volevo mi premeva di più dell’essere cacciata da quella casa dopotutto. Gli avrei fatto uscire tutte le parole che si teneva dentro a quella bellissima bocca.
Tornai a rileggere per l’ennesima volta quel tema che ormai era impresso nel mio cervello, sperando che finalmente fosse tutto al posto giusto.
 
«Allora?» non ero nervosa, rivederlo dopo un intero pomeriggio in cui mi ero isolata di mia spontanea volontà mi aveva ricaricata. Decisi che se anche fosse stato il tema peggiore della mia vita lo avrei bloccato su quella sedia finché non ci fosse mancata l’aria.
Aveva il sopracciglio alzato, mentre procedeva sempre più giù verso la fine. Volevo che guardasse il mio corpo allo stesso modo, studiandolo nei minimi dettagli. Mi accorsi che mi ero avvicinata al suo fianco, avevo aggirato la scrivania e gli stavo praticamente addosso, le mie mani che pizzicavano e fremevano dalla voglia di toccarlo.
Senza distogliere ancora gli occhi dal tema disse, era quasi sorpreso lo stronzo «Non so come hai fatto ma non vedo errori» e continuava a scorrere cercando l’imperfezione che mi avrebbe fatta fallire di nuovo. Gli tolsi il foglio dalla mano per non sfidare la sorte.
«Perché mi sono impegnata idiota»
Si appoggiò allo schienale, studiandomi con quella faccia da schiaffi che aveva quando doveva decifrare la portata di una bugia. «Hai barato»
«No che non ho barato! Voglio baciarti ma non sono mica una disperata Kaz!» agitai il foglio che si spiegazzava sempre di più nelle mie mani.
Era ancora dubbioso nonostante la mia veemenza nel portare avanti la mia causa.
«Dì piuttosto che non credi nelle mie capacità»
Alzò gli occhi al cielo «Non avrei perso tempo con te se fosse vero, Inej, lo sappiamo entrambi».
«Allora non vuoi baciarmi»
Si voltò, finalmente guardandomi negli occhi «Voglio che migliori, Inej. Se imbrogli non vince nessuno»
«Non.Ho.Imbrogliato» scandii seria. E dopo avermi dato un’ultima occhiata annuì, rilasciando un respiro che gli fece gonfiare il petto. La maglia ben tesa sopra i suoi pettorali.
«Non era affatto male, hai fatto un lavoro discreto» continuava a blaterare ancora su quel compito di cui già non me ne fregava più niente. Osservavo solo il movimento delle sue labbra sapendo che ora le avrei avute premute sulle mie. E mentre ancora parlava di solo i Santi sapevano cosa, allungai la gamba oltre le sue, ritrovandomi incastrata nello spazio esiguo tra lui e la scrivania.
Non gli diedi nemmeno il tempo di metabolizzare perché mi buttai sulle sue labbra, tenendo il suo viso nei miei palmi fermo in una posizione che mi dava l’angolazione perfetta.
Era rigido sotto di me, le sue mani che non mi toccavano e le sue labbra che non si muovevano con le mie. Perché doveva sempre rendermi le cose più difficili? Mi staccai dalla sua bocca e lo guardai esasperata.
«Dovevo esplicitare nell’accordo che dovevi partecipare attivamente, Kaz? Mi va bene anche se devo fare tutto da sola, sappilo», lui deglutì e aveva anche cambiato colorito da quel che potevo vedere.
«Che hai? Parla»
Si portò le mani tra i capelli, tirandoseli indietro come per raccogliere le idee e riprendersi dal mio assalto. Tornai a leccarmi le labbra, il sapore della sua bocca ancora sulle mie.
«Non…non puoi fare così Inej»
«Così come?»
«Non puoi non darmi il preavviso e fare come ti pare.» rifuggiva il mio sguardo, come colpevole. Avevo indagato su di lui, come lui sicuramente aveva fatto con me, conoscevo il suo passato come lui conosceva il mio. E nonostante tutto sembrava che ci incastrassimo alla perferzione. Ma forse lo avevo spinto troppo.
Ma avevo anche guadagnato il mio premio, dannazione.
Posai le mani sul suo petto, sedendomi meglio sulle sue gambe così da non fargli male su quella rovinata. Parve apprezzare il movimento quindi continuai ad accarezzarlo su tutto il busto mentre finalmente le sue mani scendevano e iniziavano a toccarmi. Una discesa dalle mie braccia, alla mia vita, alla mia schiena. Sospirai soddifatta, adoravo le sue mani.
«Così va meglio? Posso procedere a reclamare il mio premio signor Brekker?» chiesi con voce melliflua vicino al suo orecchio. Lui annuì subito. «Bravo ragazzo» e sentii la sua presa stringersi sui miei fianchi. Ma volevo sentirlo di più.
Gli presi le mani e me le misi sotto la maglia, lo sentii sospirare di piacere. Quante cose che gli avrei dovuto insegnare.
Tornai alla sua bocca, facendo forza affinché mi facesse entrare, cedette subito. Approfondii il bacio mentre continuavo a spingermi più contro di lui, la mia mano che lo teneva fermo per i capelli e l’altra che cercava l’orlo della sua maglietta per toccargli la pelle. Poi invertii la rotta verso il basso. Un mugolio risuonò nelle nostre bocche, lo scolaretto apprezzava.
Mi bloccò il polso che era sceso fino all’orlo dei suoi boxer, l’altra sua mano che invece era risalita al mio reggiseno e si era fermata sul fianco, il pollice che premeva sul seno.
«Cazzo, Kaz, non fermarti proprio ora» mi ritrovai a implorare frustrata, ancora sulla sua bocca e leccandogli il labbro inferiore per invogliarlo ad andare avanti.
Lui si tirò leggermente indietro, per poi riavvicinarsi, come in un ripensamento, e strappandomi un altro bacio. Infine tirò fuori la mia mano dai suoi pantaloni e la sua da sotto la mia maglia.
Evidentemente la condizione in cui mi trovavo in quel momento gli era gradita, perché il bastardo aveva quel ghigno malvagio stampato sul viso.
«Un bacio, Inej. Solo un bacio. Ora alzati, per domani capitolo dodici e tredici. E in una scrittura più comprensibile»
Mi alzai dalle sue gambe solo perché il mio stomaco aveva iniziato a brontolare. Altrimenti altro che solo un bacio. Presi il telefono e il tema, e dissi «Questo accordo sembra funzionare»
«Finché giova ad entrambe le parti lo manterremo. Ora sparisci, devo pensare ai miei di compiti»
«Se vuoi posso darti una mano, tra poco sarò la migliore in questa casa»
Emise quella che dedussi fosse una risata, Kaz rideva poco, e per mia fortuna, già stavo per buttarmi su di lui per concludere quello che avevo iniziato.
«’Notte Inej e chiudi la porta.»


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Orbene,
se avete letto fin qui bravi voi. E' arrivato alla fine anche questa seconda parte di questa cosa strampalata che ho scritto. Spero che l'abbiate letta con occhio ironico perché il mio intento era solo scrivere di questi due cuori in modo un po' più frivolo e spensierato rispetto a come siamo solito leggerli e vederli.
In teoria questa storia è conclusa, ho qualche altro capitolo pronto ma non so se pubblicarli o meno, ci devo un attimo pensare. Fatto è che scrivere di loro in queste vesti mi ha molto divertita e quindi è probabile che continuerò comunque a scriverne per mio divertimento personale xD
Se avete voglia di farmi sapere cosa ne pensate mi farebbe piacere leggervi e sennò amici come prima e spero che almeno vi siate divertiti almeno un po' nella lettura ^-^
Alla prossima!
Gio


 

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Capitolo 3
*** Compiti e merenda ***


Compiti e merenda
parte 1
 
Kaz
 
I lavori di gruppo non facevano per me. Un conto era organizzare e pianificare un colpo in cui servivano necessariamente delle altre persone per portare a termine la missione, ma stare a stretto contatto con qualche idiota della classe per svolgere un compito che avrei potuto benissimo svolgere da solo e nella metà del tempo no, era peggio che finire in prigione.
Ma avevo dovuto acconsentire per forza, l’anno era ancora lungo e la mia condotta doveva migliorare, quindi eccomi qui a tornare a casa con Imogen. Poteva andarmi peggio, poteva capitarmi un lavativo che mi avrebbe solo fatto perdere tempo e che mi avrebbe costretto in ogni caso a fare tutto il lavoro da solo. Al giusto prezzo avrei anche messo il suo nome alla fine della relazione, e in caso fosse stato restio alla mia magnanimità era da un po’ che non usavo il mio bastone…
«Dovrebbe essere facile, credo che massimo due pomeriggi e avremo terminato», Imogen mi guardava e sorrideva mentre si stringeva la spallina dello zaino in una mano e l’altra nella tasca dei suoi pantaloni a vita bassa. Era la mia cotta dall’inizio della scuola, non che avessimo fatto nulla, l’unica volta che avevo provato a toccarla le avevo quasi vomitato addosso. Però eravamo rimasti amici, per quanto qualcuno poteva definirsi mio amico. E non che avessi bisogno di qualcuno. Almeno la conoscevo e non ci sarebbero stati troppi problemi.
«Sì, secondo me in un paio d’ore dovremmo aver finito». Era una delle poche ragazze che mi si fosse avvicinata senza sembrare spaventata da tutte le voci che si sentivano su di me. Voci vere ovviamente. Ma lei era stata carina, pensavo che sarebbe potuta andare bene tra di noi ma alla fine avevo rovinato tutto. E in ogni caso si sarebbe accorta alla fine di che mostro fossi. Meglio così, le distrazioni non portavano a nulla di buono. La prova lampante era quella piccola ninja che non perdeva occasione per mettermi in difficoltà nei momenti meno opportuni. Scrollai la testa. Non dovevo pensare ad Inej, per fortuna i suoi miglioramenti stavano fruttando qualche voto decente e poteva cavarsela da sola. Dovetti deglutire e guardare la strada davanti a me per non cadere di nuovo nei ricordi delle sue labbra sulle mie. Imogen mi riscosse dai miei pensieri, le sue lentiggini che risaltavano alla luce sporadica che ogni tanto filtrava dalle nuvole grigie di Ketterdam.
«Beh, spero che saranno più di un paio d’ore…» la sua voce era un sussuro mentre esibiva un sorrisetto furbo. Io volevo solo chiudermi in camera e pensare alla prossima rapina. C’era un quadro che mi faceva particolarmente gola e sarebbe stato perfetto sulla parete della mia stanza.
Le feci un mezzo sorriso, mugugnando in risposta.
Quando varcammo la porta principale il salotto era tutto occupato dagli altri ragazzi, chi guardava la televisione, chi giocava a carte e chi cercava di leggere un libro. Tutto era preferibile allo studio, idioti.
Stavo per imboccare le scale quando Imogen mi chiese «Posso chiederti un bicchiere d’acqua, Kaz? Ho dimenticato la borraccia a casa oggi». Alzai gli occhi al cielo ma le feci cenno di seguirmi.
Ancor prima di entrare in cucina la percepii. Mi si rizzarono i capelli sulla nuca e un brivido mi attraversò dalla testa ai piedi. Che cazzo ci faceva Inej a casa? Aveva detto che sarebbe andata a studiare in biblioteca.
«Oh, ciao Imogen. Ehi Kaz, sono andato a fare spesa prima, ho trovato in offerta delle merendine-»
«Che ci fai tu qui?» ignorai Jes come la maggior parte del tempo che apriva quella bocca e mi rivolsi direttamente a lei. Inej era sul bancone della cucina che succhiava dalla cannuccia uno di quei suoi succhi di frutta dai gusti improbabili.
«Ci vivo idiota» mi rispose deviando il suo sguardo indagatore dalla mia faccia alla ragazza bionda accanto a me. Non sapevo se Imogen se ne fosse accorta ma in modo piuttosto tranquillo e spigliato, come se non avesse notato la luce fredda che aveva attravarsato gli occhi di Inej, salutò entrambi.
«Ciao Jes, ciao Inej. A me e a Kaz hanno assegnato una relazione da consegnare per la prossima settimana. Dovrebbe essere una cosa facile. A voi come va con la scuola?»
Jesper non mancò di riprendere in mano la conversazione, ci conoscevamo tutti da diverso tempo, solo Inej che era arrivata da poco non ci aveva scambiato che occasionalmente qualche parola a scuola.
Quando tornò a posare i suoi occhi su di me mi ritrovai a dover far più pressione sul bastone. Respirare diventava difficile quando mi guardava così intensamente, la bocca ancora su quella cannuccia…
E poi sorrise, un ghigno subdolo, i denti bianchi che si vedevano appena tra quelle labbra che desiderai mi baciassero di nuovo, lì, in quel momento, davanti a tutti. Cazzo, no. No. Deglutii a vuoto, la gola si era fatta così arida che invece di passarlo ad Imogen il bicchiere d’acqua che avevo riempito lo trangugiai io. Era soddisfatta delle mie condizioni, godeva nel vedermi così vulnerabile. Non potevo dargliela vinta. Passai un altro bicchiere d’acqua ad Imogen e poi mi avviai verso le scale, incurante se mi stesse seguendo o meno.
Da dietro di me sentii urlare «Dopo vi porto la merenda!». La sua voce mi aveva quasi fatto perdere l’equilibrio, era chiaro che il suo intento era quello di uccidermi.
 
«Stiamo andando bene, non credi? Che ne dici se facciamo una pausa? Ho gli occhi che bruciano» disse Imogen rilassandosi sullo schienale della sedia e stiracchiandosi. Avevamo lavorato ininterrottamente da quando ci eravamo chiusi in camera e i risultati si vedevano visto che avevamo quasi concluso. Se avesse retto ancora una mezz’ora sarebbe stato perfetto, ma non potevo costringerla a continuare. Non avevo nessuna leva contro di lei. E poi avevo bisogno di una pausa anche io. Annuii allungando sotto la scrivania la gamba che mi chiedeva pietà. Il freddo non aiutava il dolore.
«Dovrei andare in bagno, è quello in fondo al corridoio?» mi chiese mentre si alzava, tirandosi il maglioncino lilla lungo i fianchi. Se non le avessi quasi vomitato addosso forse saremmo stati insieme a quest’ora. Era tra le persone che potevo non considerare sulla mia lista nera.
«Usa il mio, non so in che condizioni lo hanno lasciato quell’altro» le feci un gesto vago verso la porta che stava sulla parete dall’altra parte della stanza. Lei si voltò a guardarla, come se non l’avesse vista prima.
«Oh, okay, grazie. Faccio subito»
Mentre lei si chiudeva in bagno mi alzai anche io, le osse che scrocchiavano per essere state ferme così a lungo nella stessa posizione. Come se non fossero abituate.  Mi inchinai a raccogliere lo zaino quando una folata di aria gelida mi colpì le spalle. Non poteva fare così, doveva lasciarmi in pace.
«Quindi è così che fai. Aspetti che io non sia in casa per portarti le altre in camera. Sei scortese, Kaz, non ti basto io?» sussurrò Inej dietro di me, silenziosa come un gatto. Anche se non avrei scommesso sul gatto in quella sfida. Mi sfiorò la schiena con la punta delle dita, e dovetti inspirare una gran quantità d’aria per non farmi plagiare dal suo tocco. Mi voltai e i suoi capelli legati nella sua solita treccia apparivano più luminosi che mai con i raggi del sole morente dietro di lei. Le mani nascoste dietro la schiena come a farmi credere che non aveva brutte intenzioni. L’angolo della bocca sollevato la tradiva.
C’era Imogen nel bagno mi ricordai, non era il momento per quella sua caccia spietata nei miei confronti «Vattene» moromorai.
«Che villano, io vengo a perdonarti per avermi ingannata e spezzato il cuore e tu mi dici di andarmene?» disse con voce liliale. Poteva dirmi le cose più aberranti e malvage e io sarei rimasto ad ascoltarla per sempre. «Sai che sei un gran maleducato? Dovrai farti perdonare»
Guardai nella direzione del bagno, anche se ci avesse visti insieme nella stessa stanza non era nulla di compromettente, vivevamo sotto lo stesso tetto dopotutto. Sarebbe stato solo strano visto che la porta era ancora chiusa con tutte le varie serrature che vi avevo applicato al loro posto.
Lei guardò nella mia stessa direzione e poi tornò a me «Ci penso io tesoro». Ero confuso, a cosa doveva pensare lei?
 Prese la sedia dove era stata seduta Imogen fino ad un secondo prima e la mise sotto la maniglia della porta del bagno, bloccandola. Veloce come il vento era tornata da me spingendomi sulla scrivania, le sue mani ai lati del mio busto.  Cosa cazzo voleva fare?!
«Inej!» sibilai sorpreso mio malagrado. Il pensiero che Imogen potesse scoprirci in quelle condizioni suscitava in me pensieri ambivalenti. Eccitazione, repulsione verso me stesso. Non volevo farla soffrire nonostante tra noi non ci fosse mai stato nulla di concreto. Chiusi gli occhi quando mi tirò in basso verso la sua faccia. Inspirai il suo profumo mentre mi tirava i capelli nella presa delle sue mani. La sua lingua calda che risaliva la mia mascella tracciando una scia umida fino al lobo del mio orecchio. Tremai sotto il suo tocco.
«Vogliamo scoprire quanto sei silenzioso, Kaz? Mi sembra l’occasione perfetta, non credi?» mi morse il lobo «Imogen ci dirà quanto sei stato bravo». Ridacchiò. La mia mente era persa, Imogen non doveva vedermi in quello stato. Nessuno avrebbe dovuto.
Le sue mani mi aprirono la cerniera della felpa, agili e veloci, mentre le mie, improvvisamente goffe, le appogiai una sulla spalla e l’altra sulla sua vita. Mi afferrò i polsi portandomi le mani dietro, sul piano della scrivania.
«Te l’ho detto Kaz, sei stato scortese e maleducato, non puoi toccarmi» e mentre cercavo di mantenermi in piedi come meglio potevo in quella posizione a dir poco scomoda, riprese a baciarmi e toccarmi.
Lingua e morsi lungo il mio volto, mani che mi tracciavano l’addome per proseguire impudiche le linee delle mie ossa iliache che scomparivano sotto i miei pantaloni. Pensavo si sarebbe fermata e invece la sentii procedere, senza tentennamenti.
Respiravo a fatica, le orecchie mi fischiavano e non ero completamente sicuro di essere abbastanza silenzioso. Non sentivo niente che non fosse la sua dolce e implacabile pressione su di me. Tenevo i denti stretti, gli occhi chiusi per non gemere e chiederle di più. Doveva allontanarsi o non mi sarei più controllato. In lontananza udii la porta sbattere, una voce lontana che gridava qualcosa.
Aprii di scatto gli occhi. Ero nella mia stanza, Imogen chiusa in bagno che mi chiamava dicendomi che non riusciva ad uscire. Il cuore correva, stavo ansimando, non ci stavo più capendo un cazzo.
«Rispondile Kaz, non essere maleducato anche con lei» disse beffarda per poi mordermi il labbro, mi sfuggì  un gemito.
Non sapevo se ero in grado di parlare, non sapevo nemmeno da quanto tempo mi stava chiamando. Feci appello a tutta la mia forza di volontà per aprire bocca e dire qualcosa di vagamente sensato quando Inej mise una mano nelle mie mutande. L’aria defluì dai miei polmoni. La sentii ridacchiare di nuovo e le sue mani ripresero la salita, tracciando percorsi immaginari sulla mia pancia, la bocca che ora scendeva verso di loro.
Mi schiarii la gola prima che mi tirasse un altro colpo mancino.
«La porta deve essersi incastrata Kaz!»
«Sì…sì, sto controllando. Ora arrivo, un-» la bocca di Inej che scendeva sempre più in basso non mi facilitava dare voci ai miei pensieri. Dov’era la nausea? Dove la repulsione verso un altro corpo? Perché non potevo fare lo stesso con Imogen? Avrei potuto spingerla via ma non lo feci. Volevo che non si fermasse mai «un attimo e vedo cosa è successo»
Continuava a girarmi la testa, le mani e la bocca di Inej su di me, Imogen che urlava, le gambe molli e il respiro ansante. Forse avrei vomitato.
Qualcuno iniziò a battere sulla porta della stanza «Kaz, Imogen, volete un tegolino? Queste nuove merendine sono la fine del mondo»
«Non è il momento Jesper!» urlai incazzato. Volevo urlare. Poi inej si staccò.
«Beh, io lo voglio» disse tirandosi su in tutta la sua minuta altezza, le spalle dritte e la treccia che veniva spostata sulla schiena. Mi battè sul petto le sue mani e concluse «Buono studio, e aggiustati un po’ che non sei molto presentabile. Imogen penserà male di te se ti vede in queste condizioni» e così come era arrivata sparì dalla finestra.
Ancora scosso, tremante e con il fiato corto mi diedi una sistemata mentre cercavo di temporeggiare alla porta del bagno dove Imogen continuava chiedermi se fosse il caso di chiamare un fabbro per aprire la serratura.
 
 


____________________________

Alla fine mi son detta: li ho scritti, perchè non mi pubblicarli?!
Bentrovate persone che sono arrivati alla fine di questo ennesimo piccolo delirio, spero vi abbia fatto un po' sorridere, tutte le premesse le ho fatto nel capitolo scorso, credo, quindi sapete cosa potreste trovare in questa raccolta di capitoli che non seguono un ordine preciso ma vanno dove l'ispirazione mi porta.
In tutto questo macello vorrei ringraziare Siluvaine , che ha supportato la nascita di questa cosa che ho scritto, se sia una cosa buona o cattiva non lo so, a me diverte scrivere di loro in queste vesti così anomale e lontane dagli originali. Quindi se vi va leggete, altrimenti amici come prima. Forse prima o poi tornerò a scrivere di loro più seriamente ma per il momento questo passa il convento.
Inoltre spero abbiate colto il riferimento ad una determinata cosa di cui non starò qui a spiegarvi quale, o sapete o non la sapete...e se la sapete penso possiate arrivare a comprendere da cosa nasce tutto questo circo.
E nulla, se vi fa piacere lasciate un commentino, un parere, quello che volete insomma. 
Alla prossima!

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Capitolo 4
*** Compiti e merenda ***


Inej
 

Il resto della giornata era trascorso in modo tranquillo, ero tornata in camera mia e mi ero messa a studiare in attesa della cena. Eravamo tutti seduti quando Kaz ed Imogen arrivarono in cucina. Tornai ad osservare la ragazza. Era indubbiamente carina, capelli biondi, lentiggini e una fessura in mezzo agli incisivi che le dava quel tocco in più. E poi era chiaro come il sole che gli piaceva il mio scolaretto kerch. Dovevo solo capire se anche a Kaz piacesse lei…e allora sì che sarebbe stato divertente. Per me di sicuro.
«Quindi non rimani a cena?» sentii Jespere chiedere. Riportai l’attenzione sui due ragazzi che rimanevano sull’uscio della sala.
«No, accompagno Imogen a casa. A dopo» rispose ruvido come suo solito, quasi si stesse sforzando a comunicarci i suoi movimenti.
Mi stava apertamente sfidando. Non mi aveva rivolto mezzo sguardo, ma poco prima di uscire completamente dalla mia visuale mi aveva lanciato un’occhiata ammonitrice che aveva tutta l’aria di dire ‘’Non azzardarti a seguirmi’’. Alzai un sopracciglio indignata, cosa credeva? Che il mio mondo girasse intorno a lui?
Lo avrei seguito solo per dargli fastidio.
Finita la cena avevo messo il mio piatto dentro il lavandino quando «Ehi ragazzina, oggi tocca a te pulire.» Mi disse quell'idiota di Rojakke. 
«Ma se ho l'ho fatto l'altro ieri.» Ero l'ultima arrivata mica la prima scema da mettere sotto. 
Mi sfiorò la guancia con fare lascivo «È il tuo turno ma se vuoi che lo faccia io al posto tuo possiamo andare un attimo in bagno, mi fa un servizietto e abbiamo risolto. Che ne dici? Mi pare che con Brekker te la spassi AH». Gli assestai un pugno in pieno volto, un calcio in mezzo alle gambe che lo fece piegare in due. Gli tirai i capelli in modo che mi guardasse negli occhi. Li strabuzzó sorpreso di quel mio gesto che di sicuro non si aspettava. Facevo qualche lavoro per Kaz ma non andavo a picchiare gente a caso o per divertimento. Mi consideravo una persona tranquilla. 
«Ascoltami bene testa di cazzo. Se ci tieni a quel cosetto che hai in mezzo alle gambe rimani al tuo posto». Nessuno poteva e doveva toccarmi senza il mio permesso. Non lo avrei mai più permesso e poi per quanto riguardava Kaz, un conto ero io che mi prendevo certe libertà con lui, un altro che gli altri potessero fare illazioni su noi due. Kaz non voleva che si sapesse di noi, almeno credevo, non mi ero posta il problema, volevo solo che si rompesse sotto le mie mani di solito e per il resto del tempo non è che parlassimo di queste cose. Ma finché non ne avremmo parlato non volevo incasinare le cose. E poi erano affari miei con chi facevo cosa.
Vederlo con Imogen mi aveva fatta infuriare, aveva pensato di farmi fessa portandola in casa mentre pensava che fossi  fuori? Sul serio? Aveva cinque anni? Credeva che non lo avrei scoperto se alla fine fossi andata davvero in biblioteca? Idiota. 
«Allora, hai capito?» Presi il coltellino che tenevo nella tasca dei pantaloni ogni giorno da quando Kaz me lo aveva regalato. Lo aprii e glielo puntai alle sue parti basse. «Ho detto, mi hai capito?!»
«Sì sì ho capito, dai stavo scherzando Inej. Lo sai che non ti toccherei mai. Kaz mi ucciderebbe.»
Lo strattonai ancora più forte, «Allora sei proprio stupido. Ti uccido io se provi a toccarmi di nuovo. Kaz mi aiuterebbe solo a gettarti nel canale.»
Allora annuì più seriamente sentendo la lama premuta sui pantaloni. Se pensava che stessi scherzando aveva capito male. 
Lo lasciai e lo spintonai all'indietro, cadde a terra portandosi una mano sui genitali. 
Riposi il coltellino in tasca prima di lanciargli un altro calcio per scrupolo e mi avviai verso la porta. Poi tornai indietro e gliene assestai un altro. 
Non avevo più nemmeno voglia di andare a perseguitare Kaz, mi chiusi in bagno e mi lavai la faccia. L’acqua fredda che lavava via ogni tocco indesiderato, la furia dentro di me non sembrava però placarsi. Tornai in camera mia chiudendomi dentro, mi misi una felpa più calda e uscii dalla finestra, arrampicandomi lungo la parete esterna e andando a sedermi sul tetto, poco lontano dalla finestra di Kaz.
La luna piena brillava, l’argento che bagnava ogni tetto di quella maledetta città. Volevo tornare a casa mia, volevo rivedere la mia famiglia. A differenza di questi disgraziati io da qualche parte avevo qualcuno a cui mancavo. O almeno cercavo di ripeterlo a me stessa in notti come quella.
Presi il cellulare e iniziai a guardare se Imogen avesse pubblicato qualcosa. Kaz non aveva nemmeno un social, il telefono solo per i messaggi e fare ricerche su cose che voleva rubare. E per lo studio ovviamente. Il divertimento per quel ragazzo era tabù. Una foto della stessa luna che stavo guardando anche io l’unica cosa che aveva condiviso la ragazza. Almeno non era una foto con loro due insieme, ero dell’umore giusto per buttare il telefono di sotto. Presi un respiro, non ero stupida, il telefono mi serviva per cercare i miei genitori, buttandolo avrei solo fatto un danno a me stessa.
Il freddo mi aiutava a pensare lucidamente, mi portai la treccia sulla spalla e iniziai a districarne l’intreccio. Chissà come sarebbe stato farsi sciogliere e pettinare i capelli da quelle mani guantate…forse gli avrei chiesto di farlo. Se gli piaceva Imogen io potevo solo divertirmi con lui, che poi era l’unica cosa a cui puntavo. Spensi il telefono e me lo misi in tasca, mi tirai sulla testa il cappuccio e mi accomodai meglio sulle tegole.
 
«Inej! Che ci fai qua fuori?! Entra». Aprii gli occhi di scatto, mi ero addormentata. Mi voltai verso la voce rauca che mi aveva svegliata. Lo guardai male, per una serie di cose, non solo perché mi aveva fatto prendere un mezzo infarto.
Kaz mi diede un’ultima occhiata e tornò dentro, stava per chiudere la serratura. Balzai verso la finestra, spingendone un’anta verso l’interno.
«Che fai mi dici di entrare e poi mi chiudi fuori?» avevo la voce mezza impastata dal sonno ma ero abbastanza sveglia da vedere i tratti del suo volto rilassati, quasi sereni, e un mezzo sorriso che mi fissava spavaldo. Mi si formò un nodo allo stomaco, gli era bastato un pomeriggio con Imogen per sortire quell’effetto di pace al suo aspetto di norma malaticcio e perennemente incazzato?!
«Ho solo pensato di svegliarti, vedere il mio ragno spiaccicato al suolo sarebbe stato uno spreco» e mentre mi parlava mi dava le spalle, togliendosi la giacca nera, in movimenti decisi e sicuri. Nessuna sbavatura, solo gesti utili e funzionali. Si era cambiato la felpa prima di uscire in favore di un maglioncino sempre nero, il suo armadio una risorsa sicura per eventuali funerali.
Volevo essere io la causa di quella serenità, io a smussare gli angoli affilati del suo viso. E poi quel maglioncino lo rendeva ancora più sexy, Santi, ero arrabbiata ma lo volevo comunque.
Prima che si sciogliesse dal collo la sciarpa gli presi i lembi e lo tirai giù.
«Inej, cazzo, mi dovrai pagare le visite dal fisioterapista. La mia schiena non ne può più di questi scatti improvvisi» gemette ad un palmo dal mio naso.
«Se ti facessi già trovare piegato e pronto per me non avresti di questi problemi» soffiai sulla sua guancia. Aveva un odore diverso, qualcosa di dolciastro gli si era appiccicato alla pelle. Lei lo aveva toccato?! Gli morsi la guancia, riprendendo il controllo del terreno che mi era stato sottratto.
«Inej! Smettila, fermati» e nonostante lo dicesse le sue mani guantate erano sui miei fianchi senza davvero spingermi via. Tirai ancora di più la sciarpa, il giro intorno al suo collo che si stringeva di più, sentivo il suo fiato sempre più corto.
Lo morsi di nuovo sulla mascella, questa volta più forte e ne uscì un gemito di dolore. Mi bloccò le mani, rilasciando la stretta della sciarpa, si alzò abbastanza da guardarmi con un cipiglio confuso e indagatore.
Si rimise in posizione eretta, mettendo definitivamente distanza tra noi due.
«Ho sentito che hai picchiato Rojakke»
«Se lo meritava»
«Cosa ti ha fatto?»
«Non sono affari tuoi» in realtà lo erano in qualche modo ma in quel momento volevo solo saltargli addosso e levargli l’odore di Imogen da dosso. Il suo volto si scurì, dandomi di nuovo le spalle e finendo di togliersi la sciarpa poggiandola accanto alla giacca. Prese il bastone e zoppicò verso il suo letto. Si inchinò per recuperare le pantofole sotto di esso e il maglioncino si alzò sui suoi fianchi. La camicia al di sotto che ne celava la pelle. La sua pelle quasi diafana avrebbe brillato alla luce lunare…
Aspettai che si mettesse seduto sul bordo per spingerlo senza tante cerimonie sulla schiena. Stava per aprire bocca per replicare ma quando mi vide salire a cavalcioni su di lui si ammutolì. Imogen poteva prendersi il suo cuore, io mi sarei presa tutto il resto.
Gli portai le mani sopra la testa, era completamente esposto sotto di me, il suo pomo d’Adamo che andava su e giù. Sentirsi alla mercé di qualcuno a Kaz non piaceva…di solito.
La luce della stanza era spenta, la luna illuminava abbastanza da poter scorgere ogni linea del suo viso, il suo petto che iniziava a muoversi più concitato.
«Imogen ti ha baciato, Kaz?» gli chiesi guardandolo fisso negli occhi, non mi avrebbe mentito. La mia voce dura e severa. 
Indurì la mascella «Non sono affari tuoi» mi restituì le mie stesse parole, pietra ruvida la sua voce. Era statuario sotto di me, immobile per quanto riuscisse ad esserlo. Mi avvicinai pericolosamente al suo viso.
«O forse l’hai baciata tu?» volevo sentirglielo dire. A disagio per quell’interrogatorio mosse il suo bacino che si andò a scontrare inevitabilmente contro il mio.  Strabuzzò gli occhi per quel contatto che involontariamente aveva creato lui stesso. Sogghignai. «Le cose che ti faccio io lei non te le fa, Kaz?» sussurrai al suo orecchio, e vidi la sua pelle incresparsi sotto la mia voce.
Tornai seduta su di lui, stringendo le mie gambe attorno ai suoi fianchi. Tracciai le sue braccia a ritroso, polsi, interno gomiti, spalle. Per poi scendere sui suoi pettorali nascosti dalla morbidità della lana del maglione, e proseguire giù lungo la cassa toracica e arrivare al bordo del tessuto lanoso.
Ne presi i lembi tra le dita e distogliendo solo per un momento i miei occhi dai suoi occhi, che erano diventati due pozzi neri, li diressi verso il basso, dove la camicia bianca prendeva piede man mano che il maglione saliva sul suo torace. Sorrisi al respiro che prese quasi a volersi stabilizzare. Osservandolo constatai che non mi aveva perso di vista un secondo, che la sua mascella era serrata in una morsa ferrea.
Presi la camicia, tirandogliela fuori dai pantaloni e lui sbiancò. La luce lunare che immortalava la sua figura longilinea, un fascio di muscoli e stronzaggine, che ora lì in quella posizione non sembrava lo spaventoso ragazzo che faceva girare a largo i membri delle gang della zona.
Finalmente vidi la sua pelle bianca come il latte, l’argento che entrava dalla finestra lo faceva sembrare una figura eterea. Un demone dalla pelle diafana.
Le mie dita iniziarono a vagare su quella distesa di cicatrici, diciassette anni di risse e pestaggi, dati e presi. La pelle d’oca che suscitava il mio tocco mi faceva solo voglia di averlo di più. Più vicino. Più addosso. Più tutto.
Ma lui voleva Imogen.
Percorsi le sue costole, gradini che salii per arrivare dove doveva trovarsi il suo cuore. Anche quel bastardo ne aveva uno, anche se la maggior parte del tempo non era così scontata la cosa. Aprii il palmo , la mano a marchiare la zona sotto. Il cuore impazzito lo sentivo chiaro e forte contro la mia pelle.
Tornai ai suoi occhi e trovai cosa, cos’era quello? Cos’era quell’espressione?
Lui non voleva me.
Feci pressione sulla sua pelle, le unghie che si conficcavano nella carne. E non la vidi arrivare, ma la sua mano guantata raggiunse la mia. La strinse tra la sua e ne accarezzò il dorso. L'altra arrivò all’altra che avevo lasciato sotto il suo ombelico. Mi ero immobilizzata, cosa stava pensando, cosa voleva, ma soprattutto cosa volevo io?
Mi avventai sulle sue labbra, portandogli le mani ai lati della sua testa, schiacciandomi a lui il più possibile, il calore della sua pelle in fiamme che incendiava la mia anche attraverso i vestiti. Volevo toglierci il fiato dai polmoni. Non volevo pensare. Lui strinse la presa nelle miei mani. Mi staccai, rimanendo ad un soffio dalle sue labbra.
«Non è successo nulla con Imogen» soffiò tra un respiro e l’altro, la sua fronte appoggiata alla mia in cerca d’aria.
Gli angoli delle mie labbra si alzarono a quella rivelazione. Nascosi il viso nell’incavo del suo collo, inspirando di nuovo il suo odore che ora era solo il suo mischiato al mio. «Bravo ragazzo». Gli assestai un’ultima serie di baci sul collo mentre lui affondava le mani tra i miei capelli. Mi scosse un brivido.
Avevo avuto quello che volevo, mi separai dal suo corpo, alzandomi e lasciandolo mezzo svestito sul suo letto.
«Te…te ne vai?» mi chiese confuso ancora disteso.
«Certo, ho sonno. A domani» mi portai i capelli sulla spalla e aprii le serrature, faceva troppo freddo, per passare di nuovo dalla finestra.
Uno sbuffo esasperato raggiunse le mie orecchie poco prima di chiudermi la porta alle spalle.






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Spero abbiate passato buone feste, gente!!!
Potevo proporvi una ff natalizia ma no, continuo su questa strada e con questa storia :') 
Vi faccio gli auguri per un felice anno nuovo e, se volete, lasciatemi un commentino. 
Alla prossima!


 

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