Spring Hills

di DvaKyan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Un immenso prato verde, non riuscii a vederne il confine. Era così buia quella notte, ma il cielo era così pieno di stelle e la luna era così splendente che potevo vedere dove appoggiavo i miei piedi. Camminai lungo quel prato, cercando di arrivare in un qualche centro abitato, ma non trovai nulla. Camminavo e camminavo, senza sentire la minima stanchezza. C’erano un sacco di lucciole, sembrava un posto così magico, così misterioso. Sentii i brividi del freddo, ma non mi dava fastidio. Era una sensazione così piacevole stare in quel luogo, mi sentivo quasi a casa.
I miei occhi videro in lontananza delle rovine, alle quale mi avvicinai piano piano. Girai in mezzo a quel rudere, sfiorando con le mani le piante che sembravano voler coprire tutto quello che rimase in quel posto così familiare a me. Sentii una sensazione strana, poi trasalii. In mezzo alle rovine stava riposando una strana creatura, era enorme ed emanava un odore talmente forte che non riuscivo a non provare un senso di nausea. I suoi occhi gialli scintillanti si aprirono, notando la mia presenza. La creatura si alzò, prese da terra una specie di mazza piena di spine. Mezza assonnata, la creatura si avvicinava. Io cercai di allontanarmi, la creatura accelerò il passo. Poi mi saltò addosso.
 
Mi svegliai di soprassalto, quasi urlando. Ma capii che era solo un sogno. Un sogno strano, direi. Sembrava così reale, tanto che mi sembrò di sentire davvero quelle sensazioni. Ma la sveglia che da lì a poco suonò, mi fece capire che stava partendo l'inizio di una giornata della mia vita semplice e ordinaria. Una vita normale.
Salutai le mie coinquiline e, dopo una colazione veloce, uscii di casa. Presi il treno e andai in Università, come di routine. In quegli anni frequentavo la facoltà di letteratura in una città lontana da casa mia; infatti, dovetti abbandonare i miei pochi affetti per trasferirmi e per poter studiare ciò che mi piaceva. Poteva sembrare una fase triste della vita, ma pensandoci bene, personalmente non persi così tanto andando via di casa. La mia famiglia adottiva non si è mai interessata così tanto a me, non provarono la minima tristezza durante l’annuncio della mia partenza. Come non provarono il minimo sentimento durante tutta la mia intera vita. Avevo solo pochi amici, i quali riuscivo a vedere durante l’estate o le vacanze natalizie. Quindi cosa avevo da perdere davvero? Nulla. Avevo solo da guadagnare.
 
La giornata universitaria iniziò verso le 11 del mattino con la lezione di Letteratura Inglese. Entrò un giovane affascinante, si presentò come il nuovo professore del corso. Alexander era il suo nome, ma non disse il cognome. Il precedente dovette trasferirsi per motivi personali, perciò venne sostituito dal nuovo arrivato in città. Disse che era la prima volta che insegnava a una classe, chiedendo di augurargli un grande in bocca al lupo. Tante ragazze e tanto ragazzi rimasero affascinati da lui. Giovane, capelli corvini lunghi fino alle spalle, vestito elegante, occhi neri che erano come calamite. Stando in prima fila potevo avere il privilegio di notare questi piccoli dettagli.
La lezione si stava svolgendo normalmente, nessun dettaglio strano. Per tutta la lezione però rimasi incantata da lui, senza capirne bene il motivo. Non ero mai stata innamorata, ma non penso fosse quello il sentimento che provai per lui. C’era qualcosa di particolare in lui, quanto avrei voluto capirlo subito.
 
Finii la lezione e alcuni andarono a chiedere consigli al professore su alcune letture da integrare nel programma, nel mentre io e le mie colleghe passammo osservando incuriosite quella scena. Nessuno era mai stato così interessato a quel corso.
 
― Ci credo che si comportino così, nel nostro corso di laurea non abbiamo professori così giovani e belli. Sarei rimasta anche io con la scusa di una qualsiasi domanda ― Disse Elisa. Non era solo una mia collega universitaria, ma anche una mia cara amica.
― Ci avresti davvero abbandonate così? ― Domandai in modo ironico.
― Certo che lo farebbe. Ormai dovresti conoscerla ― Rispose ridendo Emily.
Come di consueto, ci dirigemmo verso il nostro luogo preferito dove pranzare.
Mi sedetti nella panchina al centro del parco, le mie amiche di fianco a me. In questo bellissimo parco si trovava una fontana incantevole con intorno panchine e alberi. Era il posto perfetto per assaporare un po’ di silenzio e tranquillità, ma anche per studiare tutte insieme durante i pomeriggi più liberi. Dietro il parco si trovava anche un piccolo bosco, ma era talmente piccolo che non si potrebbe nemmeno definire come un vero bosco. C’era un bel cielo azzurro e gli alberi fioriti insieme a quella dolce brezza richiamavano perfettamente la primavera che era arrivata da poco.
 
Iniziai a mangiare il mio riso, mentre le mie amiche erano intente nei loro pettegolezzi del giorno, quando vidi nella panchina due persone, di cui una di queste molto famigliare, nella parte opposta del parco. Era il professore di letteratura, insieme ad un altro uomo elegante, ma che sembrava più grande d'età. Vestito di bianco e capelli lunghi e bianchi. Era anch’egli affascinante e misterioso, quanto il professore.
Lo feci notare ad Elisa ed Emily, le quali sorrisero in modo curioso e malizioso.
― Non male anche l’altro. Ma anche lui è un professore? ―
― Bella domanda, ma è probabile. Qua vengono solo professori e studenti ― Risposi io.
La pausa pranzo stava finendo, perciò venne l’ora di tornare in aula per seguire le prossime lezioni. Il professore e l’altro uomo erano ancora seduti a parlare tra di loro, mentre sorseggiavano una bibita presa dal distributore che era di fianco a loro.
Mentre ci dirigemmo verso l’edificio, notai di aver dimenticato il libro che stavo leggendo sulla panchina.
― Voi andate pure, vi raggiungo. Faccio presto ―
― Va bene, ti teniamo un posto! ―
― Grazie ― Dissi, mentre mi incamminavo a passo svelto verso il parco, dove per fortuna trovai ancora sano e salvo il mio libro.
― Grazie al cielo ― Pensai a voce alta. Mi girai, notando che quei due erano già spariti. Eppure c’era una sola direzione da qua all’università.
Poi, nonostante la distanza, vidi qualcosa luccicare nella panchina. Misi il mio libro dentro la borsa e mi avvicinai verso la panchina. Notai che quello che luccicava fu solo un mazzo di chiavi. Delle chiavi molto particolari, sembravano quasi antiche. Pensai che probabilmente fossero dimenticate dal professore e dall'altro uomo misterioso.
Così, le presi per portarle in portineria ma appena le toccai, sentii un formicolio lungo tutto il mio corpo, un leggero brivido. E poco dopo vidi apparire una scia luminosa che porta verso l'interno del boschetto. Non riuscivo a capire che stesse succedendo. All'improvviso quelle chiavi sembravano indirizzarmi a seguire quella scia. Spaventata, ma incuriosita, iniziai a seguire quel percorso indicatomi da quel fascio di luce. Poco dopo essere entrata nel boschetto, sentii delle voci. Mi nascosi dietro un tronco di un albero per non farmi vedere: erano loro. Il professore e il misterioso.
Stavano parlando di cose a me incomprensibili: chiavi, ricerca, reliquie, magia. Magia. Magia?!
Poco dopo iniziarono a camminare di nuovo, ma scomparvero in un nano secondo. E la scia luminosa si interrompe proprio in quel punto dove sono spariti.
Iniziai a spaventarmi ancora di più, ma la tentazione fu più grande di me. Provai ad avvicinarmi, ma impacciata come sono strusciai la gamba verso il tronco, bucando le mie calze nere e graffiandomi. Feci una smorfia quando vidi uscire un po’ di sangue dal graffio, ma non ci pensai. Ripresi a camminare e arrivata nel punto, allungando la mano, notai che c’era una specie di portale magico, come quelli che vediamo nei film. Sembrava che dall’altra parte ci fosse un cielo notturno stellato. Una forte spinta, non so se dovuta dalle chiavi che avevo in mano o dal portale, mi obbligò a oltrepassarlo. Caddi a terra e non trovai un cielo notturno stellato come pensavo, ma ero distesa in un prato, di un verde bellissimo e con un cielo azzurro senza nuvole. Solo un immenso prato. Nessun’anima viva, nessuna traccia di loro. Non c’era niente. Cammino e cammino, mi sembrò di vivere il sogno di quella mattina.
 
Sentii le loro voci familiari, finalmente li ho trovati. Ma avevo paura di provare a chiamarli o altro.
Forse non dovevo trovarmi lì. E se mi avessero fatto del male? Non c’era niente che potevo usare per nascondermi da loro.
Starnutisco. Tac. Si girano.
― E tu chi sei? ― disse l'uomo dai capelli bianchi. Aveva una voce così profonda.
― Che ci fai qua? ― chiese il professore.
Provai a scappare, ma dalla paura caddi a terra, ritrovandomi il ragazzo dai capelli corvini di fronte a me, che si chinò preoccupato.
― Hai un'aria famigliare, ti conosco? ―
― Probabile, sono una sua studentessa. Seguo il suo corso ― Dissi, facendo vedere le chiavi ― e volevo restituire queste, ma per qualche arcano motivo, mi hanno portata qua, inseguendo voi.
Con un sorpreso 'Ah', spostò il suo sguardo verso l'uomo misterioso ― ecco dov'erano finite le chiavi ―  
 
L'uomo dai capelli bianchi si avvicinò ― È un bel problema adesso. È una tua studentessa? ―
― Sì, esatto. Non è normale questa cosa. Le chiavi non dovrebbero attivarsi se non con noi ―
― Lo so. E lei non dovrebbe nemmeno stare qua, sai che è proibito. Per fortuna siamo apparsi nella radura infinita e non in città. Altrimenti sarebbe stato un grosso guaio. Non possiamo nemmeno farle dimenticare tutto, non abbiamo abbastanza magia ―
― Ci penso io ― in tutto questo, interruppi la loro conversazione.
― Ehi, sono ancora qua. Potete spiegarmi che succede? Dove siamo e chi siete voi? ― Domandai spaventata ― Cosa volete farmi? ―
Si girarono verso di me. Il professore si avvicinò di più ― Chiamami pure Alexander, lui è il mio maestro, Vlad. Cercherò di spiegarti tutto, ma dobbiamo tornare indietro. Non puoi stare qui ―
 
― Io intanto vado in città e provo a informarmi di questo strano accaduto. Conto su di te, Alexander. Scusami per essere stato sgarbato, ma è il mio caratteraccio ― disse Vlad
― Si figuri ― risposi. Era così bello anche lui.
― Dammi pure del tu. Prima che vada, qual è il tuo nome? Non te l’abbiamo chiesto ―
― Luna. Il mio nome è Luna ―

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Con dolce tocco, Alexander prese la mia mano e mi aiutò ad alzarmi da terra. I nostri sguardi furono così vicini in quel momento, ero così catturata dal suo viso così vicino al mio.
Un po’ con voce insicura parlò:
― Luna, ascolta. Ora non possiamo restare qua, andiamo in un posto sicuro. Non potrò dirti molto, finché non torna Vlad. Ma tu non puoi stare qua e io non posso lasciarti andare. E nemmeno lasciarti da sola ―
Forse per la mia mano tremolante che stringeva la sua, o forse per la mia espressione preoccupata, o per entrambe le cose, Alexander aggiunse ― Non aver paura. Non ti faremo niente. Puoi fidarti ―
Sfiorò la mia guancia accarezzandomi, quando mi invitò a seguirlo. Camminammo parecchio in quella immensa distesa verde, sotto quel cielo così azzurro e così limpido. C’era un dolce profumo nell’aria che mi scaldò il cuore, quasi come se esso conoscesse quel posto. Sentivo una qualche sensazione di nostalgia in quel luogo così misterioso.
Ero così persa nei miei pensieri e nelle mie sensazioni, che non mi accorsi che Alexander si era fermato. Mi chiese se stessi bene.
― Sì, scusa. È che è tutto così strano ―
Mi guardò con sguardo comprensivo.
― Posso immaginare. Lo è anche per noi, credimi ― disse ― Fermiamoci in quel posto lì, è una vecchia rovina. Non ci viene mai nessuno ―
Girai gli occhi verso il luogo indicato, rabbrividii. Quell’immenso prato verde e quelle rovine del mio sogno di quella mattina.
Sorpassai a passo svelto Alexander, avvicinandomi di più al rudere. Con una mano sfiorai quei massi di roccia, non riuscivo a credere a ciò che stavo vedendo.
― Luna? Che succede? ― Domandò, dopo avermi corso dietro.
― Io… Io, ecco… Conosco questo posto. L’ho sognato questa notte ―
Alexander sgranò gli occhi. Spiegai nei dettagli, mentre ci sedemmo sull’unico posto dove ci si poteva sedere in modo decente.
― Quello che hai sognato, quella creatura, si tratta di un orco. Esistono nel nostro mondo, ma non in questi luoghi. Non più da tanto tempo, forse una ventina d’anni fa. Questo posto in cui ci troviamo, queste rovine che stai vedendo, invece, è la vecchia città del nostro regno. O almeno, era una parte della vecchia del nostro regno ―
Passai una mano tra i capelli, mi strofinai gli occhi. Chiesi se fosse normale aver sognato qualcosa che non avevo mai visto in vita mia. Qualcosa che non credevo potesse nemmeno esistere.
― Questo è strano, in effetti. Sembrerebbe tu abbia sognato un ricordo. E forse questo potrebbe spiegare la tua presenza in questo mondo ―
― Che vorresti dire? ―
Alexander mi guardò ed esitò prima di rispondere, quando si alzò all’improvviso.
― Sta tornando Vlad, dobbiamo raggiungerlo in città. Probabilmente avrai tutte le risposte ―
Mi guardai intorno, poi tornai a guardarlo. Mi domandai come fece a sapere tutto questo e come glielo aveva comunicato. Eppure, non aveva un telefono in mano.
Non feci troppe domande, lo seguii.
 
Mentre camminammo lungo una strada serrata ricoperta di ghiaia, Alexander mi passò uno strano indumento.
― Non puoi entrare in città con abiti da comuni esseri umani della terra, mettiti questo mantello sopra ―
La motivazione sembrava sensata, perciò ubbidii. Era un grosso e comodo mantello di colore rosso. Riuscii a coprire fino all’estremità della mia gonna.
― Sicuro che non attiro l’attenzione con questo colore? Non penso passerà inosservato ―
Sorrise della mia ingenuità riguardo il suo mondo. ― Aspetta e vedrai ―.
Arrivammo quasi alla fine di quel lungo sentiero, quando delle mura che proteggevano e separavano la città dalla pianura. Sembrava di vivere in un racconto fantasy medievale, lungo le mura sorgevano delle torri e vi era la presenza di una porta per accedere alla città, sorvegliata da due uomini in armatura.
Ci avvicinammo, Alexander fece un segno di saluto, sembrerebbe li conoscesse.
― Una studentessa dell’accademia, Alexander? Stai già superando il maestro? ― Domandò una delle guardie in modo scherzoso e amichevole.
― Impossibile superare Vlad, ma ci provo ― Non rispose alla prima domanda, ma loro nemmeno se ne preoccuparono che ci fecero segno di approvazione per poter passare.
Delle strade lastricate in mattoni e ciottoli, vie e viuzze strette, palazzi, piccole case, piazze. In alcune di quest’ultime e lungo alcune di queste strade vi erano un sacco di bancarelle. E persone, tante persone. Persone che passeggiavano, persone che lavoravano, persone che chiacchieravano. Tutti con indossi abiti particolari. Alcune signore indossavano degli abiti così belli ed eleganti, sembrava quasi di vivere un’altra epoca.
Ero così impacciata e meravigliata che dovevo stringermi alla giacca di Alexander, per non rischiare di rimanere bloccata nella folla.
Man mano che avanzavamo lungo i borghi, dinanzi a me intravidi in lontananza un pezzetto di uno strano edificio, sembrava diverso da tutto il resto della città. Avrei voluto vedere di più e capire cosa fosse, ma purtroppo riuscivo a vedere ben poco dalla mia prospettiva. Inoltre, Alexander mi prese la mano, invitandomi a svoltare strada. Ci trovavamo sempre in città, ma eravamo distanti dalla sua frenesia. Ci trovavamo lungo un piccolo sentiero ornato di pietre che portò a una singolare abitazione. Intorno c’era un bellissimo giardino e degli alberi. Il rumore della vita cittadina si dissolse in un dolce silenzio. Si sentiva solo il suono di quella che sembrava essere una cicala. Esistevano anche qua le cicale? Mi chiesi.
 
Alexander prese un mazzo di chiavi dal suo borsone, poi aprì il portone. Mi invitò ad entrare.
Al suo interno vidi quello che sembrava l’interno di una normale casa. Un grosso soggiorno con all’interno un tavolo da pranzo e accanto due comodi divani. C’erano alcune credenze e una libreria. Di fronte a quest’ultimi vi era un camino. Era un arredamento molto minimale, tutto rigorosamente in legno.
A sinistra si trovava una specie di arco aperto che portava a quella che sembrava essere la cucina, mentre a destra una porta aperta. Chissà dove portava.
Da essa, arrivò Vlad. Non indossava più la giacca di prima, ma ora indossava una particolare giacca blu e bianca, con dei ricami curiosi. C’era uno stemma visibile sulla spalla destra del cappotto.
― Accomodati pure, cara Luna. Hai bisogno di alcune risposte, no? ― disse, infine.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


­­Alexander si sedette a capotavola della tavola da pranzo, al suo fianco Vlad. Mi sedetti di fronte a quest’ultimo, un po’ timorosa e un po’ curiosa. Entrambi mi guardarono, aspettando che fossi io a parlare per prima. Feci un grosso respiro.
― Non so da cosa iniziare, ma voglio sapere tutto. Chi siete e cosa siete, dove siamo. Che posto è questo? E quella specie di portale che ho visto… ― Parlai così velocemente che Alexander prese e mi strinse la mano, cercando di allentare la tensione che stavo provando. Li guardai, imbarazzata. ― Scusate, è che è tutto così… così improvviso e strano ―
Vlad mi sorrise dolcemente ― Non ti preoccupare, ti capiamo. Comunque ― Iniziò poi a parlare ― Come ti abbiamo già accennato, io sono Vlad, mentre lui è Alexander. Siamo due maghi e in questo momento ti trovi a Spring Hills, un regno di un altro mondo. Un’altra terra, dove esiste la magia e quello che hai attraversato prima era un portale magico che collega la vostra terra alla nostra ―
Sgranai gli occhi.
― Lo so, sembra irreale che possa esistere la magia, ma è così. Spiegarti davvero tutto quanto vige in questo luogo, per filo e per segno, sarebbe troppo complicato. Per adesso, ti basta sapere che la magia esiste e che esiste un’altra terra che è simile alla vostra. Con la differenza, appunto, che qua esiste la magia ―
In cuor mio non sembrava fosse così impossibile ciò che stavo sentendo in quella stanza, eppure stentavo a crederci. Avrei voluto dire qualcosa, ma le parole non riuscivano a uscire dalla mia bocca.
― Il fatto curioso è che solo chi possiede anche solo un briciolo di magia può aver visto le chiavi, il portale e che può avere attraversato quest’ultimo. Tu sei riuscita a farlo e sembrava inspiegabile ― Continuò Vlad.
― Cosa sono quelle chiavi? ― Domandai.
― Sono oggetti magici. Sono molto utili, non richiedendo la nostra magia. Quello che hai trovato serve per aprire qualsiasi portale per qualsiasi luogo a noi conosciuto ―
Oggetti magici. La curiosità continuava ad aumentare.
 
Alexander girò lo sguardo verso Vlad e chiese ― Sei riuscito a capirne il motivo? Del fatto che lei è potuta passare? ―
― Volevo arrivare a questo. Ho parlato con il saggio maestro dell’accademia ― Rispose.
Poi mi guardò quando parlai.
― Saggio maestro? Accademia? ― Domandai, piena di curiosità.
Ci pensò Alexander a rispondere ― Ogni regno ha la sua accademia di magia, come voi avete le scuole e le università. Tutti possono possedere la magia, che sia poca o tanta, ma in ogni caso bisogna imparare a gestirla. Chi vuole diventare un maestro, deve seguire anni e anni di studio e pratica. Poi ogni mago che diventa un maestro dovrà seguire un altro mago, il quale diventerà il suo allievo ―
Ripensai a quando mi presentò Vlad ― Quindi voi due siete maestro e allievo ―
Annuì ― Esatto. Mentre il saggio maestro è il maestro di tutta l’accademia. Forse il mago più potente del regno ―
Anni e anni di pratica e magia, pensai. Osservai Vlad. Quanti anni poteva avere? E Alexander?
Avrei voluto chiederlo, ma Vlad mi anticipò per continuare ciò che stava spiegando.
 
― Il maestro mi ha spiegato che non è così raro che un mago vada a vivere sulla terra degli umani. Sono millenni che i maghi vanno e vengono, che popolano in silenzio le loro città. Ci sono anche maghi che vogliono vivere una vita diversa, che nascondono la loro vera identità. Anche ai propri figli. Ma non si può nascondere da ciò che si è per sempre. ―
Poi mi guardò e con un tono più serio disse: ― Luna, sei sicura che la tua famiglia non ti ha mai parlato né accennato di qualcosa? ―
Esitai per un momento e con lo sguardo guardai verso il basso.
― Il fatto è che non conosco i miei genitori biologici. Sono stata adottata da una famiglia quando avevo circa 4 anni. Non mi hanno mai detto nulla riguardo a quello che mi è successo prima. E forse, nemmeno sanno qualcosa e nemmeno ne erano interessati. Mi adottarono perché grazie a me potevano avere dei sussidi, avevano bisogno di soldi. Ma non si sono mai interessati a me per davvero ―.
Una mano delicata mi sfiorò, asciugando le lacrime che poco a poco scesero sul mio viso. Nemmeno mi accorsi di star piangendo finché Alexander non si avvicinò per accarezzarmi la guancia.
Invece, Vlad si alzò, dirigendosi verso la cucina. Tornò con una tazza di tè caldo, porgendolo di fronte a me. Emanava un dolce aroma, mi ricordava la primavera.
― È un tè alle erbe che crescono qua da noi. Mi dispiace di averti fatto tirare fuori argomenti delicati ―
Gli sorrisi. ― Ma figurati, non potevate sapere. E grazie del tè ―
 
Vlad tornò a sedersi. Passarono almeno cinque secondi di silenzio. E mentre sorseggiavo quella dolce bevanda calda, guardai fuori dalla finestra. Era già l’ora del tramonto, tanto che il cielo sembrava incendiarsi, e i riflessi di arancione, cremisi e oro colorarono la stanza.  
In quell’attimo di breve silenzio, riflettei sulle parole di Vlad.
Guardai Alexander.
― Hai presente il sogno di cui ti ho raccontato? ― Gli domandai.
Il suo volto si illuminò ― Sembrerebbe che tu abbia sognato un ricordo ― Ripeté la medesima frase e Vlad chiese di poterne sapere di più. Così gli spiegai quello strano sogno e le sensazioni che provai in quelle rovine di oggi.
― Non sapendo quali sono le tue vere origini, è abbastanza probabile che tu provenga dal nostro stesso mondo. Probabilmente non sai di avere la magia perché repressa da qualche parte dentro di te ― Disse Vlad. Poi guardò Alexander, infine me. ― Vorresti conoscere la verità? ―
― Non lo so. Non saprei nemmeno da dove partire ― Risposi.
Alexander comprese i pensieri di Vlad in quel momento.
― Possiamo aiutarti noi, se lo vorrai. Puoi anche rifletterci sopra, non serve che ci dai subito una risposta ―
 
Dopo aver salutato Vlad, Alexander mi accompagnò verso un apposito luogo dove poter aprire un portale. Durante il tragitto, eravamo abbastanza silenziosi. Nella mia testa c’era una tale confusione. Così tanti dubbi, così tanta curiosità di sapere e di scoprire. Ma anche tanti timori e paure. Non sapevo cosa potesse aspettarmi in questo mondo che non conoscevo ancora, ma che allo stesso tempo mi era così familiare.
Arrivati, Alexander prese le chiavi e con un tocco di magia aprì il portale. Mi disse che mi avrebbe condotto all’università ― Vuoi che ti accompagni verso casa? ―.
― Non ti preoccupare, posso andare da sola. Direi che ormai non mi fa paura niente ― Dissi scherzando. Lui fece un piccolo accenno di risata.
Ci guardammo. Stava iniziando un silenzio quasi imbarazzante.
― Allora vado ―
Feci per girarmi verso la via d’uscita da Spring Hills, ma Alexander mi fermò. Esitò.
― No, nulla. Scusa. Ci vediamo domani, ricordati che c’è ancora lezione e che io sono ancora il tuo professore ―.
Lo guardai, scoppiai a ridere. Poi andai verso casa. A malapena riuscii a cenare e a parlare con le mie coinquiline, tanto che mi coricai presto a letto, sebbene non riuscissi a prendere sonno.

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