Le storie dei SuSa

di LorasWeasley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una famiglia, quattro storie ***
Capitolo 2: *** Tutù e scarpette ***
Capitolo 3: *** A ognuno i suoi tempi ***
Capitolo 4: *** Il matrimonio di Isao ***
Capitolo 5: *** L'anima gemella ***



Capitolo 1
*** Una famiglia, quattro storie ***


Ciao! Eccomi qui, non pubblico da tanto ma sono stata impegnatissima.
Oggi vi lascio questa storia sempre della serie "future fic" sulla famiglia Sawamura-Sugawara (o SuSa, come preferiscono chiamarsi). Saranno un totale di cinque capitoli, sempre separati tra di loro, che racconteranno momenti diversi di ognuno di loro. Pubblico ogni due giorni!
Fatemi sapere che ne pensate, a sabato con il prossimo capitolo!
Deh
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Una famiglia, quattro storie


Isao doveva tanto ai suoi nuovi genitori, soprattutto da quando avevano preso anche Kenta e Kazuki con loro. Così ogni giorno si impegnava a essere un bravo bambino, ringraziandoli come poteva.
Era ormai quasi una settimana che Daichi e Koshi tornavano a casa sempre più stanchi poiché al primo era stato assegnato un caso complesso a lavoro, mentre per Koshi era arrivato il periodo degli esami e aveva sempre mille verifiche da controllare.
Isao cercava di aiutarli come poteva e, quando quella mattina si svegliò prima del suono della sveglia, capì cos’altro avrebbe potuto fare per loro.
Andò in cucina e trovò nel frigo il riso già condito per fare gli onigiri, quindi prese la ciotola e gli ingredienti da mettere dentro e iniziò a creare le palle di riso.
Quando sentì suonare la sveglia dalla camera dei loro genitori, aveva creato abbastanza onigiri perché tutti e cinque potessero fare colazione, quindi tutto felice corse nella loro stanza per chiamarli.
-Papà! Papà! Ho preparato la colazione, venite a vedere!
Con le mani unte e sporche di riso, li afferrò entrambi per il braccio e li portò in cucina.
-Li hai fatti tu?- chiede Koshi stupito mentre fissava le palle di riso poste ordinatamente sui piatti della colazione.
-Sì! Così vi aiuto!
Suga lo strinse in un abbraccio commosso mentre Daichi gli scompigliava i capelli e commentava -Sei proprio un angelo.
Nessuno fece notare il fatto che per pulire tutto quello che il bambino aveva sporcato tra stoviglie e mobili ci avrebbero messo più tempo che preparare la colazione loro stessi. Perché la felicità sul volto del bambino era impagabile.
 
-
 
A Kenta piacevano i ravioli, lo sapevano tutti i componenti della sua famiglia, ma più di tutti lo sapeva Kazuki che, ogni volta che ne rimaneva solo uno, si affrettava subito a metterlo nel piatto del gemello.
Tuttavia, non fu quello che accadde quel giorno. Era stata una giornata “no” per Kazuki, per quanto un bambino di cinque anni potesse avere brutte giornate, e quando prese l’ultimo raviolo e iniziò a mangiarlo, fu il caos.
-Era mio!!- urlò Kenta verso il gemello.
-Non è vero! Era sul tavolo e oggi lo volevo io!- rispose a tono Kazuki.
-Ma è sempre mio! Perché l’hai mangiato tu!?- Kenta iniziò a piangere.
-Non puoi avere sempre tutto tu! Ci sono anche io!- urlò di rimando il gemello mentre masticava con gli occhi pieni di lacrime.
Suga intervenne subito –Dai Ken, Kazuki ti ha sempre dato l’ultimo raviolo, oggi puoi lasciarlo a lui.
-Ma lo volevo io!- pianse ancora il bambino e Kazuki si alzò di scatto, per poi scappare via dalla stanza.
Daichi lo seguì, lasciando Suga a occuparsi di Kenta. Trovò il bambino nella sua cameretta, sdraiato sul letto e con il volto nascosto nel cuscino.
-Ehy…- lo chiamò piano sedendosi al suo fianco.
-Sono arrabbiato con Kenta- disse subito Kazuki con la voce rotta dal pianto –ma sono anche triste perché non mi piace litigare con lui.
Daichi rise –Lo so, va bene sentirsi così.
-Sì?- chiese spostando la testa dal cuscino e guardandolo con i suoi enormi occhioni lucidi.
-Fa bene litigare qualche volta- gli spiegò –anche io e papà litighiamo, sai? Fa bene esprimere le proprie emozioni, l’importante è fare pace.
-Non voglio fare pace con lui adesso- Kazuki tornò a nascondere il volto contro il cuscino.
-Va bene, non devi farlo subito, ma non fare passare troppo tempo perché ci starete solo male entrambi.
Kazuki non rispose. Quella sera andò a dormire presto, ignorando quindi Kenta che entrava nella loro camera condivisa, così come lo ignorò il giorno dopo dicendo a suoi genitori che non voleva andare a scuola perché non si sentiva bene.
Ma non poteva ignorarlo per sempre, soprattutto non quando a pranzo c’erano i ravioli e Kenta prese subito il suo, per poi dividerlo a metà e offrirne mezzo al gemello.
Kazuki lo guardò per qualche secondo in silenzio, poi scoppiò a piangere e si affrettò ad abbracciare il fratello con così tanta enfasi che caddero a terra.
-Ti voglio bene!- stavano urlando e piangendo entrambi.
E quel giorno nacque la loro tradizione di dividere sempre un raviolo ogni volta che questi erano presenti a tavola.
 
-
 
Mirai era stata abituata ad avere delle aspettative troppo alte per trovare la sua anima gemella, lo sapeva bene, ma poteva forse farne una colpa alla sua famiglia?
Aveva sempre visto i suoi due papà fare piccole cose l’uno per l’altro, molte volte senza neanche pensarci: c’era Daichi che si premurava di regalare fiori a Koshi ogni volta che ne avesse l’occasione, lui che quando portava i piatti a tavola dava al marito quello con più cibo, lui che metteva le canzoni preferite di Koshi quando questo era troppo stanco anche solo per alzarsi dal divano… allo stesso tempo c’era Koshi che si premurava di fare complimenti a Daichi ogni volta che ne avesse l’occasione, lui che evitava di cucinare quello che non piaceva all'altro, lui che proponeva di vedere film che piacevano principalmente al poliziotto.
Ma oltre ad aver davanti agli occhi quello che i suoi genitori facevano ogni singolo giorno, anche i suoi fratelli non erano da meno. Era stata abituata a Kenta che scriveva lettere d’amore alle sue cotte anche quando ormai era diventato tutto tecnologico ed era stata abituata a Kazuki che guardava Emiko Yamaguchi come se fosse tutta la sua vita, ascoltandola parlare di dinosauri anche per ore senza mai stancarsi.
E per concludere c’era stato Isao, il quale le aveva sempre letto storie della buonanotte con protagoniste varie principesse, dicendole che lei non si meritava nulla di meno.
Tuttavia, nonostante le aspettative altissime, Mirai aveva avuto la fortuna di conoscere Kaoru Tanaka.
Si era innamorata di lui fin da subito, ma potevano fargliene una colpa?
Da che Mirai aveva ricordi con il bambino, aveva sempre saputo che fosse un gentiluomo.
L’aveva capito quando stavano giocando al parco e lei era caduta, graffiandosi leggermente il ginocchio, ma lui aveva comunque insistito per portarla a casa in braccio.
L’aveva capito quando l’aveva raggiunta in classe tra una lezione e un’altra per portarle un fiore che aveva coltivato al club perché “l’ho piantato per te”.
L’aveva capito quando, nel tornare a casa insieme a piedi, lui si era sempre messo dal lato esterno del marciapiede per proteggerla in una sorta di istinto involontario.
L’aveva capito quando le aveva chiesto il permesso per poterle dare un bacio in guancia e l’aveva capito quando l’aveva portata al festival di capodanno e qui le aveva confessato tutti i suoi sentimenti, nonostante stessero già insieme.
Mirai era stata abituata ad avere delle aspettative troppo alte per trovare la sua anima gemella, lo sapeva bene, ma Kaoru Tanaka rispettava tutti i suoi standard.
 
-
 
Isao, Kenta, Kazuki e Mirai erano tutti intorno alla culla ad ammirare la loro nuova sorellina: Kou Sawamura-Sugawara.
La bambina, nonostante avesse solo tre mesi, li stava guardando con uno sguardo fin troppo sveglio, lo sguardo di chi stava cercando di studiare la situazione per capire quale fosse stato il momento migliore per iniziare a piangere.
-Sono solo io, o anche a voi da l’impressione di quei bambini che fanno cacca nel momento in cui gli hai cambiato il pannolino?- chiese Isao.
-Oh dio, grazie!- sbottò Mirai –Quindi non dava questa impressione solo a me!
-Sembra un sacco infame- concordò Kenta allungando comunque una mano per accarezzarle la guancia con il dito.
-Non dite queste cose- provò a difenderla Kazuki, per poi precisare –insomma, sembra una che si ricorderà il tutto e si vendicherà non appena avrà iniziato a camminare.
Risero tutti, poi Isao disse di nuovo –Beh, ai papà è andata più che bene con noi quattro, doveva pur arrivare in famiglia una criminale.
-Forse è la volta buona in cui capiscono che sono troppo vecchi per continuare ad adottare figli- disse Kenta alzando le spalle.
-Tanto a breve si occuperanno dei figli di Isao- fece presente Mirai.
-EHY! Non affrettiamo i tempi! Non ho neanche una ragazza!
-Akane potrebbe essere quella giusta- disse Kazuki.
Kou gorgogliò divertita e Kenta rise –Visto? Lo pensa anche lei!
-Perché tutto questo interesse verso le mie relazioni?
-Hai ragione, è noioso- commentò Mirai mentre si chinava sulla culla e prendeva Kou in braccio –andiamo piccolina, ti faccio vedere la serie che sto seguendo e tu mi dici chi è il cattivo ragazzo che ti piace di più!
Kou gorgogliò di nuovo felice, muovendosi fin troppo eccitata tra le braccia della sorella.
Kenta si appoggiò alla spalla del gemello e commentò in un sospiro –Sì, la nostra nuova sorellina farà impazzire papà Daichi, me lo sento.

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Capitolo 2
*** Tutù e scarpette ***


Tutù e scarpette
 

Emiko non poteva dire di aver avuto un’infanzia felice e spensierata come quella degli altri bambini. Sua madre era morta e non aveva idea di chi fosse suo padre. Nonostante ciò, Tadashi e Kei non le avevano mai fatto mancare nulla da quando l’avevano presa: loro erano la sua famiglia a tutti gli effetti.
Lei li amava, li amava davvero tanto e, per quanto certe volte continuasse a piangere per la morte della madre, era felice con loro.
Sapeva che la gente la compativa, che ogni volta che doveva dire che i suoi genitori erano morti e che viveva con il fratello, la gente la guardava con pietà e tenerezza, come guarderesti un cagnolino che è stato abbandonato in autostrada.
Tuttavia, lei non aveva bisogno di quella pietà, Tadashi e Kei erano come i suoi genitori. Magari non li chiamava “papà” poiché Tadashi era pur sempre il suo fratellone, ma questo non modificava di certo i sentimenti che provava nei loro confronti.
La prima volta che si rese davvero conto che i due erano come i suoi genitori, fu durante i suoi cinque anni.
Emiko scoprì ben presto che la sua passione era la danza classica, lo scoprì da un film e subito chiese a Tadashi se anche lei poteva provare a farlo. Voleva anche lei “quelle scarpette e quel tutù rosa”. Il giorno dopo fece la sua prima lezione e da quel momento non abbandonò più lo sport.
Qualche mese dopo stava facendo il suo primo saggio, aveva ansia nonostante tutte le rassicurazioni del fratello e, per sentirsi meglio, scostò piano la tenda che divideva il palco dalla platea e si mise a cercare i due con lo sguardo.
Non fu difficile individuarli considerando che erano seduti in prima fila e che Kei non passava per nulla inosservato con le sue due telecamere in mano e la terza che aveva montato su un piedistallo.
Le guance di Emiko si fecero rosse e il suo cuore iniziò a battere ancora più forte.
-Sei davvero fortunata- saltò in aria nel sentire quella voce al suo fianco. Era una delle signore che lavoravano nella scuola di danza, anche se non ricordava il suo nome. Emiko la fissò confusa e questa si sentì in dovere di specificare.
-Quello biondo è il tuo papà, giusto? Sembra molto fiero di te, sei fortunata ad avere qualcuno che ti ama così.
Emiko non la corresse perché non era importante come lo chiamassero. Inizialmente, quando si era trasferita da Tadashi, aveva pensato che Kei non la volesse in casa, che lei stava rovinando la vita perfetta che aveva sognato di vivere con il suo ragazzo, ma aveva capito subito che così non era. Certo, c'erano ancora volte dove quei pensieri oscuri le invadevano il cervello, ma c'erano anche momenti come quelli che le facevano capire quanto fossero sbagliati.
-Sì- sussurrò in risposta -sono molto fortunata.
 
Gli anni passarono ed Emiko si appassionò sempre di più a quello sport. Vivendo tantissimi momenti belli ed emozionanti, ma anche crisi e attacchi di panico.
Ma non importava cosa stesse vivendo, Kei e Tadashi erano sempre lì con lei in qualsiasi situazione.
Suo fratello era diventato bravo a sistemarle i capelli e a truccarla. Emiko amava quei momenti.
Vedere Tadashi attraverso il riflesso dello specchio, concentrato e con la lingua di fuori per l’impegno mentre tirava all’indietro tutti i suoi capelli scuri in modo che non uno di questo fosse fuori posto, era diventata la sua nuova cosa preferita.
Avere una routine la calmava ed era ciò che la portava a dare il meglio di sé su quel palco.
Finito con i capelli, Tadashi sorrise soddisfatto e le disse di attendere mentre andava a lavarsi le mani piene di gel, così che poi avrebbe potuto farle il leggero trucco sul viso che la sua insegnante aveva richiesto per le bambine di dieci anni.
E mentre Emiko aspettava buona, non poté fare a meno di accorgersi che le sue lentiggini erano diventate più marcate. Si portò una mano al volto e fece una minima smorfia, questa non passò inosservata a Tsukki, il quale aveva raggiunto la stanza proprio in quel momento.
-Qual è il problema?- le domandò facendola sussultare.
-Ah… io…- balbettò arrossendo -nulla!
Ma il biondo non era di certo stupido, così la raggiunse e domandò serio -Non ti piacciono le tue lentiggini?
Lei abbassò lo sguardo mortificata, poi sussurrò -Forse dovrei chiedere a ‘Dashi di coprirle.
-Scherzi? Sono bellissime, tu sei bellissima!- s’infervorò il biondo.
-Ma…
La sua protesta fu interrotta dalla leggera risata di Yamaguchi che tornò in stanza -Mi ricorda tanto qualcosa questa conversazione.
Emiko vide le guance di Kei diventare rosee, incrociare le braccia sul petto e distogliere lo sguardo borbottando -Eri un adolescente troppo insicuro.
Tadashi rise ancora, poi si rivolse alla sorellina -Sai Emi, anche a me non piacevano le mie lentiggini. C’erano dei bulli che mi prendevano in giro per queste e pensavo solo che fossero delle brutte macchie sulla pelle, ma poi Tsukki mi ha detto esattamente quello che ha appena detto anche a te. Lui mi ama per come sono, lentiggini comprese. E amiamo te per lo stesso motivo. Quindi fidati di me Emi, non vuoi nasconderle, non vuoi privare la gente che ti vuole bene della possibilità di vederti esattamente come sei. Inoltre- a quel punto le si avvicinò di più e le fece un occhiolino -non vogliamo che il tuo futuro principe azzurro non si accorga di te perché hai nascosto una cosa tanto importante, giusto?- rise -O principessa, dipende quello che ti piace.
-Principe- sussurrò lei in risposta con il volto che le andava a fuoco.
Kei fece un colpo di tosse infastidito -Mi sembra un tantino presto per parlare di queste cose.
Tadashi a quel punto tornò a rivolgersi al suo ragazzo, lo raggiunse e gli mise le braccia intorno al collo -La nostra Emi sta crescendo, dovrai fartene una ragione prima o poi.
Il cipiglio di Kei si fece ancora più infastidito mentre rispondeva con un semplice -è ancora la nostra bambina.
Dio, Emiko non poteva descrivere quanto li amasse.
 
Come già detto, Tadashi e Kei non mancarono ad alcun suo saggio di danza e, probabilmente, mai avrebbero smesso di farlo. Ciò non voleva dire però che a loro non si potesse aggiungere una nuova persona.
Lo spettacolo era finito e tutte le ballerine avevano raggiunto i propri familiari in mezzo al pubblico per i saluti, gli abbracci e le foto. Tutte le luci del teatro erano accese e c’era un gran fracasso, ma era una cosa alla quale si erano ormai abituati dopo più di dieci anni.
Emiko adesso aveva sedici anni, stringeva con commozione i fiori che Kei e Tadashi le avevano regalato e chiese felice -Facciamo una foto tutti e tre?
-Posso farla io, se per voi va bene.
Emiko sussultò a quella nuova voce e si voltò di scatto con gli occhi sgranati. Per un solo attimo aveva pensato di aver immaginato quella voce, ma Kazuki era proprio di fronte a lei.
Kazuki Sawamura-Sugawara era uno dei figli degli ex amici di scuola di suo fratello e Kei, l’aveva incontrato quando entrambi avevano cinque anni e lì era iniziata la loro amicizia. Anche adesso, a distanza di dieci anni, la loro amicizia continuava. Ma c’era una linea sottilissima tra l’amicizia e l’amore e, anche se nessuno dei due l’aveva ancora detto ad alta voce, entrambi sapevano di averla superata da un pezzo.
Kazuki era bello ed elegante con i suoi capelli biondi spinti all’indietro e la sua camicia di marca.
-Ciao- sussurrò Emiko.
-Ciao- rispose lui con un sorriso dolce e imbarazzato, poi le porse il mazzo di fiori che fino a quel momento era rimasto tra le sue mani -questi sono per te… se ti piacciono…
Lei li accettò con le mani che le tremavano -Grazie.
-Vi faccio una foto!- Tadashi ricordò loro della presenza dei due adulti esclamando quella frase.
Quando, infine, lasciarono il teatro, i tre uomini erano rimasti soli poiché Emiko era andata negli spogliatoi a cambiarsi.
-Kazuki- chiamò Tadashi -vuoi venire a cena con noi?
-Mi piacerebbe- rispose il biondo mentre si inchinava -ma solo se non è un problema per entrambi.
Tadashi sorrise, poi si strinse a Kei -Non è un problema, vero Tsukki?
Questo si irrigidì al suo fianco, poi scrutò a fondo l’adolescente per diversi secondi di troppo.
-Se solo la farai soffrire…- iniziò a minacciare.
-La proteggerò anche più della mia vita.
Tsukishima sembrò abbastanza soddisfatto da quella risposta e annuì brevemente.
Emiko amava Tadashi e Kei, ma era sempre stata gelosa dell’amore che questi avevano trovato l’uno nell’altro, pensava che fosse qualcosa di speciale, qualcosa che potevano raggiungere solo pochi eletti.
Con l’arrivo di Kazuki si permise di pensare che, forse, anche lei poteva far parte di quella schiera di eletti.

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Capitolo 3
*** A ognuno i suoi tempi ***


A ognuno i suoi tempi


Suga aveva finalmente un sabato sera libero dopo tante giornate di stress. Stava quindi preparando una bella cena per lui e suo marito non appena fossero rimasti soli.
Isao sarebbe rimasto fuori a dormire dalla sua fidanzata che aveva conosciuto all’università già diversi mesi prima, Kazuki e Kenta sarebbero usciti con i loro amici, Mirai sarebbe rimasta a dormire da una sua compagna di classe e Kou, la nuova arrivata in famiglia da soli pochi mesi, stava già dormendo.
Ma ovviamente le cose non andavano mai come le si programmava, non quando avevano ben cinque figli in casa. Suga si era abituato a tutti i possibili imprevisti.
-Papà- chiamò Kazuki scendendo le scale e presentandosi in cucina vestito di tutto punto.
-Ehy- Koshi lo scrutò da capo a piedi e annuì soddisfatto del risultato –sei proprio bello, ci sarà anche Emiko stasera?
-Come sempre- rispose Kazuki con le guance solo leggermente rosee, Suga sapeva che non si doveva aspettare un’altra reazione, non era lui il gemello che entrava nel panico per l’imbarazzo ogni volta che gli faceva domande simili.
Sorrise annuendo, poi ricordando come l’aveva raggiunto chiese -Volevi chiedermi qualcosa?
-Sì- la sua voce si fece più bassa mentre gli si avvicinava -tieni d’occhio Kenta?
Un piccolo cipiglio nacque sul volto dell’adulto, ma mantenne la voce bassa mentre rispondeva -Che è successo a tuo fratello? Non dovevate uscire insieme?
-Sì ma ha detto che non se la sente, in realtà sembra molto strano ultimamente, è come se fosse… spento. Non ho insistito più di tanto nel convincerlo a uscire, ma sono preoccupato e vorrei che…
Non concluse la frase, ma sventolò una mano in aria per far capire quello che voleva intendere.
Suga annuì baciando il figlio biondo in fronte -Non preoccuparti, ci prendiamo cura noi di Ken.
-Puoi chiamarmi se ci sono problemi.
Non era una frase detta perché non si fidava dei suoi genitori, ma semplicemente Suga sapeva che i gemelli avevano un rapporto speciale, come un po’ tutti i gemelli del mondo. Kenta aveva spesso attacchi di panico e ansia sociale, l’unico che riusciva a calmarlo era Kazuki. Il loro modo di essere era talmente diverso quanto invece era uguale il loro aspetto, ma nonostante ciò si amavano e non avevano problemi a dimostrare il loro legame.
 
-Ken, vieni a vedere il film con noi?- Koshi approfittò subito del momento non appena sentì il figlio scendere le scale e dirigersi in cucina, probabilmente per prendere dell’acqua o per uno spuntino notturno.
Quella sera il ragazzo aveva mangiato nella sua camera, affermando che non voleva rovinare la loro cena romantica. Suga provò a insistere, ma l’adolescente era impossibile da convincere.
Adesso però erano sul divano a vedere un film e Kou stava dormendo sul petto di Daichi, quindi il ragazzo non poteva più usare la scusa di prima.
Fissò i genitori mordendosi un labbro, Koshi sapeva che stava cercando una scusa, così insistette -Dai tesoro, da quando siete adolescenti non avete più tempo da dedicare a noi!
Kenta rilasciò un sospiro e annuì piano -Va bene.
Suga sorrise soddisfatto, poi lo fece sistemare tra di loro coprendolo con la coperta in pile.
Continuarono a vedere il film in tranquillità, qualche commento sparso di tanto in tanto e poche risate brevi, il tutto fino a quando non sentì Kenta poggiare la testa contro la sua spalla e rilasciare un singhiozzo.
-Ken?- chiese allarmato.
Il ragazzo di diciassette anni che ormai era alto quanto lui gli si strinse più contro, come a volersi fare piccolo alla ricerca di conforto, esattamente come quando erano bambini.
Non rispose, semplicemente continuò a piangere silenziosamente.
-Amore mio- sussurrò Suga abbracciandolo con forza e baciandogli la testa bionda -va tutto bene tesoro, siamo qui.
Daichi mise in pausa il film e si avvicinò loro piano, cercando di non svegliare la bambina che ancora gli dormiva sul petto.
-Ken? Stai male?- si premurò di chiedere il poliziotto con la stessa voce preoccupata del marito.
-Cosa c’è che non va in me? Cosa sto sbagliando?- iniziò a mormorare il ragazzo con la voce roca e soffocata dalla maglia del genitore.
Suga lanciò uno sguardo allarmato a Daichi mentre stringeva il suo bambino più forte -Perché dici questo?
Kenta si limitò a continuare a piangere e nessuno dei due lo costrinse a parlare, se aveva bisogno del suo tempo glielo avrebbero concesso.
Fu dopo diversi minuti che mormorò pianissimo -Nessuno mi ama.
Suga ebbe uno spasmo, poi il suo volto si fece più serio e lo costrinse ad alzare la testa afferrandogli le guance con le mani, poi parlò con fermezza -Non dire mai più una cosa simile! Noi ti amiamo così come tutti i tuoi fratelli! Come puoi pensare una cosa del genere!?
-No, io… intendevo in modo romantico.
-Oh…
-Ho avuto solo delusioni- continuò a piangere Kenta raccontando ai genitori tutto quello che di solito gli adolescenti tendevano a nascondere, come esattamente lui aveva fatto fino a quel momento -ogni ragazzo che mi piace non vuole neanche provare a stare con me, non sono abbastanza per nessuno. Ho avuto un ragazzo che voleva stare con me solo perché gli ricordavo la sua ex ragazza, un’altro che mi ha usato per far ingelosire il suo ex e tornare con lui. Io… non sono un oggetto, non è giusto.
-Piccolo mio- sussurrò Koshi tornando ad abbracciarlo e cullarlo -No che non sei un oggetto, tu sei una persona spettacolare Ken, e fidati di me se ti dico che arriverà la persona che se ne accorgerà e che ti tratterà come meriti di essere trattato.
-Ma quando?- continuò a piangere -Isao riesce ad avere qualsiasi ragazza voglia, Kazuki ha Emiko fin da quando avevamo cinque anni, persino Mirai ha qualcuno che la guarda come tu e papà vi guardate e anche voi vi siete conosciuti quando eravate più piccoli di me! Tutti avete trovato la persona giusta, perché io non ci riesco? C’è per forza qualcosa di sbagliato in me!
-Non è così- intervenne Daichi dopo aver posato la bambina tra i cuscini in modo che non potesse cadere ed avvicinandosi di più agli altri per posare una mano sulla testa del figlio e consolarlo a sua volta -hai solo diciassette anni, se non hai trovato la tua anima gemella finora, non vuol dire che non la troverai in seguito.
-Ma voi…
-Tu non sei noi e non sei i tuoi fratelli- lo interruppe Suga -ognuno ha i suoi tempi, ma non disperare. Ogni persona è destinata alla sua anima gemella, lo so. Altrimenti come nascerebbe la leggenda del filo rosso del destino? Devi solo avere pazienza, amore mio. E più attenderai e più sarà bello il traguardo. Così dolce e inaspettato che ti farà dimenticare quello che hai dovuto passare.
-Ma adesso fa male, fa tanto male…
-Lo so, ma sei forte. Sappiamo tutti che lo sei. Fidati di me, Ken. Arriverà anche per te e sarà spettacolare.
Kenta pianse ancora quella notte, come pianse per tutte le altre delusioni che continuò ad avere nel corso della sua vita. Piangeva in silenzio e piangeva davanti ai suoi genitori o a Kazuki quando tutto diventava troppo e aveva bisogno di consolazione.
Aveva perso fiducia nell’amore, credendo che sì, magari suo padre aveva ragione ed esistevano davvero le anime gemelle, solo che non esisteva una persona adatta a lui. E poi, esattamente come aveva detto Koshi, arrivò nel momento che non se lo aspettava: al matrimonio di suo fratello Isao.

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Capitolo 4
*** Il matrimonio di Isao ***


Il matrimonio di Isao

 
L’enorme famiglia Sawamura-Sugawara era composta da ben sette componenti, ognuno di loro aveva caratteri completamente differenti ma c’era una cosa che metteva d’accordo ben sei di loro: la paura nei confronti di Suga quando si infuriava.
Isao aveva ventisei anni e si stava per sposare. Così, il giorno prima del matrimonio, Suga prese ognuno di loro e fece un discorso talmente serio che avrebbe fatto venire i brividi a chiunque.
Il pensiero comune fu “domani sarò la persona migliore dell’intero ricevimento”. Insomma, cosa poteva andare storto?
 
-Signor Sawamura?- Daichi fu raggiunto dal migliore amico e testimone di Isao mentre l’uomo stava salutando gli ospiti che pian piano stavano riempiendo la sala in attesa dell’inizio della cerimonia.
Lo sguardo allarmato del ragazzo fece preoccupare Daichi, così indirizzò sua madre verso i posti a sedere, lasciandole Kou, e si allontanò insieme al ragazzo.
-Che succede?- sussurrò.
-Isao è nel panico e vuole andarsene.
Daichi sospirò e si guardò intorno nella speranza di trovare Suga lontano e impegnato, poi disse al ragazzo -Tieni mio marito lontano dalla sua stanza, ci penso io, tu non dirgli nulla.
Fu così che Daichi raggiunse Isao e lo trovò in preda al panico che camminava velocemente per tutto il perimetro della stanza.
-Che succede?
Isao si voltò verso di lui e lo fissò con gli occhi sbarrati -Non posso farlo.
Daichi lo raggiunse e gli mise le mani sulle spalle -Prendi un bel respiro e parliamone.
Isao prese tre lunghi respiri, poi annuì e si sedette sul divanetto, Daichi si mise al suo fianco -Non ami Akane?
-La amo tantissimo- rispose senza bisogno di pensarci neanche un secondo.
-Allora qual è il problema?
-E se non fossi abbastanza per lei? Se il matrimonio rovina tutto? Se faccio un casino?
Daichi sorrise intenerito e anche un po’ sollevato che il problema non fosse l’amore.
-Sai quanto ero preoccupato quando ho sposato tuo padre? Pensavo le stesse cose, poi l’ho visto all’altare e ogni dubbio è sparito. Da stasera non ci sarai più solo tu, ci sarete voi. Ogni decisione verrà presa insieme, per ogni cosa che farai penserai prima a lei. E non potrai fare casini, non potrai rovinare tutto, perché non vorresti mai far soffrire la persona che ami.
Isao si fece ancora più preoccupato e Daichi si affrettò a specificare -Ma questa è una cosa bellissima, perché vuol dire che condividete il peso della vita, sia delle gioie che dei dolori, sarete insieme. E in due le cose sono sempre più facili- gli sorrise -Resterai sempre mio figlio, Isao. So che io e tuo padre ti abbiamo cresciuto bene ma so anche che eri un bambino gentile e altruista ancora prima che ti adottassimo. Sei speciale, tesoro, meriti di essere felice con Akane.
Isao lo abbracciò stretto e con la voce rotta mormorò -Grazie papà, ti voglio bene.
Daichi gli baciò la testa, poi rispose -Solo, non diciamo a tuo padre di questo attacco di panico, va bene?
Isao rise concorde -Nessuno vuole risvegliare il mostro.
 
Kenta era appoggiato alla ringhiera del terrazzo dove si sarebbe svolto il rinfresco e stava aspettando l’arrivo del gemello. Kazuki non era andato insieme a loro solo perché doveva passare a prendere Emiko, ma adesso era un po’ troppo in ritardo e non rispondeva neanche alle chiamate.
Guardò per l’ennesima volta lo schermo del suo cellulare anche se questo non fece apparire magicamente una notifica o non fece rallentare il tempo.
Sbuffò, iniziando a cercare una scusa che avrebbe potuto inventare a suo padre Koshi per proteggerlo, quando si voltò di scatto e andò a sbattere contro qualcuno.
-Scusa- disse in fretta e meccanicamente mentre sentiva di essersi bagnato ad altezza petto.
Abbassò lo sguardo e con orrore si accorse che sulla sua camicia bianca e sulla sua giacca grigio chiaro era appena apparsa un’enorme chiazza arancione.
Strabuzzò gli occhi nel panico e vide entrare nel suo campo visivo delle mani che, tremanti, provarono a tamponare la macchia con un tovagliolo.
-Mi dispiace- disse chiunque gli aveva rovesciato il drink addosso.
Kenta portò lo sguardo su di lui e si accorse subito di tre cose: era un cameriere, aveva quasi sicuramente la sua età ed era estremamente carino. Non per forza in quest’ordine.
La magia fu rotta quando il biondo captò la presenza di suo padre Suga sentendo la sua voce da lontano, così afferrò di scatto il ragazzo dal braccio e portò entrambi a terra dietro un tavolo.
-Sssh!- gli disse interrompendo tutte le sue scuse -se mio padre vede questo ucciderà entrambi.
Il ragazzo sembrava solo più depresso -Tanto verrò licenziato dopo questo… che primo giorno di merda.
-Non dirò che sei stato tu, puoi stare tranquillo- rispose Kenta distrattamente mentre continuava a tenere d’occhio suo padre Koshi dal suo nuovo “nascondiglio”.
-Perché?- domandò confuso l’altro.
-Sei troppo carino per metterti nei guai.
Il silenzio che ne seguì fece davvero recepire a Kenta quello che aveva detto, il suo volto andò a fuoco e lo lasciò andare di scatto mentre nascondeva il viso tra le sue mani.
-Ehm… flirti sempre così?- domandò il cameriere con un tono divertito.
-Dio, no- sussurrò mentre pregava che il terreno si aprisse sotto i suoi piedi e lo inghiottisse -non so neanche perché l’ho detto, dov’è Kazuki quando serve?
-Chi è Kazuki?- domandò in fretta l’altro.
-Il mio gemello. É la mia copia ma migliore, quello che mi evita le situazione del cazzo.
Il cameriere rise -Senti, stiamo un po’ attirando l’attenzione qui a terra, perché non vieni sul retro con me? Ho una camicia in più che posso prestarti. In realtà ne ho più di una… sapevo che la mia ansia sarebbe tornata utile, prima o poi.
Kenta riportò finalmente lo sguardo su di lui con gli occhi sbarrati -Davvero?
Il cameriere gli sorrise in risposta -Sicuro, sei troppo carino per metterti nei guai.
 
-Ci siamo persi- sospirò Emiko.
-No- rispose risoluto Kazuki.
-Amore… è la terza volta che vedo quella casa diroccata.
-Non possiamo esserci persi! Non posso arrivare tardi al matrimonio di Isao! Mio padre mi ucciderà!
Nessuno gli aveva detto che stavano preparando il ricevimento e la cerimonia in un posto talmente isolato. Le strade sembravano tutte uguali e il cellulare non prendeva.
-Non hai una mappa stradale?- domandò la ragazza, molto più calma di lui, mentre iniziava a cercare nei vari scompartimenti della macchina.
-Non siamo nel medioevo, chi le usa più?
-Tipo noi adesso.
Ma purtroppo nessuna mappa stradale si trovava all’interno della macchina.
Emiko si voltò verso Kazuki e si accorse delle sue condizioni per la prima volta -Kaz… se non ti calmi, anche se riusciamo ad arrivare in tempo, tuo padre ti ucciderà per quanto sei sudato.
-Non sono sudato.
-Gli acquapark sotto le tue ascelle dicono ben altro.
Kazuki non la stava più ascoltando, perché notò qualcosa e rimise in fretta a moto per partire sgommando velocemente.
Emiko sbatté la testa contro il poggiatesta e in un lamento esclamò -Che diavolo?
-C’è una macchina, non posso perderla!
Quindi tornano ad avviarsi con la speranza che anche quella macchina che avevano deciso di seguire fosse diretta al matrimonio del fratello.
 
Erano ormai passati dieci minuti da quando Ryunosuke Tanaka aveva detto a suo figlio Kaoru “tieni d’occhio tuo fratello, io torno subito” per poi sparire in mezzo agli invitati prima ancora di poter sentire la risposta del suo calmo e disponibile figlio.
Al contrario del fratello, Reki era perennemente esaltato, non riusciva a stare fermo neanche un secondo e aveva bisogno di tenere le mani occupate per la sua iperattività. Era per questo che Kiyoko, di nuovo incinta, aveva scaricato il figlio al marito e questo l’aveva lasciato al fratello maggiore.
Così, prima ancora che il matrimonio potesse effettivamente iniziare, Mirai e Kaoru si trovarono a fare da babysitter al bambino.
Fu difficile e Mirai vide quasi a rallentatore la scena di Reki che correva nell’inseguire un piccione proprio dritto verso una delle fontane nel cortile. Nella sua mente si accavallarono un sacco di pensieri tutti nello stesso istante, ma quello principale fu “papà Koshi mi uccide se glielo lascio fare”, poiché Reki era uno dei paggetti e non poteva di certo percorrere la navata dopo essersi tuffato in una fontana.
Fu così che corse riuscendo a evitare il dramma, peccato che inciampò e cadde lei stessa dentro la fontana.
Kaoru riuscì ad afferrarle il braccio prima che si bagnasse tutta, ma una delle sue scarpe e metà del vestito era andata.
I due adolescenti si scambiarono uno sguardo di terrore, poi Kaoru sussurrò con un filo di voce -Questa è la volta buona che i tuoi mi uccidono.
 
-Papino! Guarda!- Daichi aveva appena finito di far tornare Isao in sé quando dovette occuparsi della sua figlia più piccola.
Kou corse verso di lui con un bel sorriso in volto, Daichi si guardò intorno per capire con quale adulto fosse, ma evidentemente era scappata da chiunque la stesse tenendo d’occhio.
-Non ti avevo lasciata con la nonna?
-No- mentì facilmente cambiando subito argomento -Guarda che bello! Me lo metti?
Gli mostrò un braccialetto elegante e azzurrino che, a occhio e croce, doveva costare quanto il suo stipendio di un mese.
-Dove hai preso quello?
-Da una signora- rispose tranquilla.
-Kou! Non si deve rubare!
-Non ho rubato, l’ho solo preso!
Daichi, che era un poliziotto, avrebbe voluto continuare a fare un discorso più che serio alla figlia sul prendere oggetti non propri, ma il destino la pensava in modo diverso perché Suga lo raggiunse chiamandolo con un tono che non prometteva nulla di buono.
-Che succede, amore?- gli sorrise Daichi mentre nascondeva Kou e il bracciale rubato dietro la sua schiena, non volendo aggiungere benzina sul fuoco.
-Perché ho sentito che Isao ha avuto un attacco di panico e non voleva più sposarsi?- sibilò piano per non farsi sentire dagli altri invitati -E perché non ne sapevo nulla?
-Oh… ecco… ora è tutto sistemato quindi…
Kenta si intromise -Isao non voleva sposarsi!?
Koshi si voltò verso di lui e assottigliò gli occhi nel lanciargli un semplice sguardo -Cos’è quella camicia?
Kenta arrossì -É la mia camicia.
-Non lo è- rispose sicuro l’altro -è almeno due taglie più grande della tua. E dov’è finita la giacca?
A salvare Kenta fu Kazuki che arrivò di corsa mano nella mano con Emiko urlando -Siamo qui! Siamo qui! Ce l’abbiamo fatta!
Koshi assottigliò ancora di più gli occhi nel posare lo sguardo sull’altro gemello sibilando -Perché Emiko sembra aver appena lasciato un salone di bellezza e tu sei talmente fradicio di sudore che sembri essere caduto in una delle fontane?
-Qualcun’altro è caduto in una fontana?- si intromise Mirai, la dolce e bella Mirai che aveva le punte dei capelli bagnati, il vestito per metà inzuppato d’acqua che stava facendo una pozza sul pavimento e le mancava una scarpa.
Koshi non disse più nulla. Fissò ognuno di loro per secondi infiniti.
Kou lasciò la schiena del padre poliziotto e si rivolse all'altro porgendogli quello che sembrava a tutti gli effetti un portafoglio - Tieni papà, prendi questo. Isao dice sempre che i soldi rendono felici le persone arrabbiate e tristi!
Daichi esplose -Hai rubato anche questo!?
-Non l'ho rubato, l'ho solo preso!
Koshi spostò lo sguardo anche sull'ultima figlia, fissò per qualche secondo la discussione e infine si voltò. Poi, con una strana calma nella voce, annunciò -Vado a ubriacarmi.

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Capitolo 5
*** L'anima gemella ***


L'anima gemella
 

Quando Isao si svegliò quella mattina, ci mise poco a ricordare tutti gli avvenimenti del giorno precedente e non poté fare a meno di sorridere. Poi, ancora a occhi chiusi, allungò la mano per cercare quella che era finalmente diventata sua moglie.
La trovò facilmente, le strinse i fianchi e se la spinse contro, nascondendo il volto contro il suo collo e respirando a pieni polmoni quell’odore che aveva imparato ad amare da tempo.
-Ehy- mormorò Akane con un tono basso ma felice -buongiorno.
-Buongiorno- rispose Isao baciandole la pelle del collo dove aveva già poggiato le sue labbra -non te ne sei pentita, vero?
Akane rise piano, alzando un braccio per accarezzargli i capelli corti e castani -No, tu?
-Io sono così felice! É stato stupido da parte mia avere tutte quelle paranoie ieri.
-Avevi dei dubbi?- chiese curiosa la donna.
-Un pochino- ammise Isao -avevo paura che ti accorgessi che non fossi abbastanza per te.
Akane rise più forte -Quanto sei stupido?
Isao la ignorò -E anche di fare un casino con la famiglia che andremo a crearci.
-Io penso invece che saremo perfetti, proprio noi due abbiamo avuto tanta di quella esperienza…
L’uomo sorrise -Hai ragione…
Akane e Isao si erano conosciuti all’università, avevano la stessa età e, anche se seguivano corsi diversi, avevano alcune lezioni in comune. Erano entrambi studiosi e sempre pronti a intervenire quando il professore chiedeva se ci fossero volontari, ma nonostante questo avevano un modo di fare abbastanza differente. Se da un lato Isao aveva un sorriso per tutti ed era sempre pronto ad aiutare il prossimo condividendo i suoi appunti e facendo da solo progetti di gruppo, Akane era più il tipo che ti guardava dall’alto in basso e rispondeva “se non hai seguito le lezioni sono cazzi tuoi”.
Entrambi sapevano dell’esistenza dell’altro, ma non si erano mai parlati e sotto sotto neanche si sopportavano visti i caratteri completamente all’opposto. Finché non era arrivato il giorno in cui erano stati messi in coppia insieme per un progetto e lì avevano scoperto la cosa che più li accomunava: l’avere una famiglia numerosa ed essere i più grandi tra tutti i loro fratelli.
“Non possiamo andare a casa mia a studiare, c’è troppo casino” e “Fidati, sarebbe peggio da me” furono le prime due frasi che si erano scambiati, per poi scoprire che entrambe le loro famiglie erano un enorme zoo e che entrambi si erano abituati a sopportare qualsiasi cosa.
Divennero amici, trovando nell’altro qualcuno che poteva capirlo quando non facevano altro che lamentarsi di quanto li facessero impazzire i propri fratelli ma che nonostante tutto non avrebbero potuto smettere di amarli. Fu Akane la prima a programmare un loro appuntamento, la ragazza l’aveva infatti raggiunto un giorno a lezione e l’aveva salutato con un “ho bisogno che tu mi porti a bere stasera, devo lamentarmi di Kiki.”
Il resto poi, era storia.
-Bene, ora che la nostra vita matrimoniale è iniziata, dove vogliamo andare per prima?- chiese la donna mentre si spostava e si voltava per guardarlo in volto.
-Immagino che dovremo fare una lista di posti.
-O potremmo chiedere a Google di dirci una città del mondo e iniziare il nostro viaggio da lì.
-Finché non finiamo in qualche isola deserta- rise l’uomo mentre tornava a stringerla -anche se con te sarebbe bello anche un posto simile.
-Sei maledettamente smielato.
-Mi hai scelto tu- le ricordò, prima di alzare la mano destra e metterle davanti agli occhi il dito con la fede luccicante -per sempre, ricordi?
Avevano deciso che, essendo che entrambi avevano passato la vita a occuparsi dei fratellini più piccoli, adesso si sarebbero divertiti a girare il mondo, in una lunga avventura che avrebbero vissuto giorno per giorno. E poi, tra un paio di anni, avrebbero creato anche la loro famiglia. Ma c’era tempo per quello, per il momento potevano limitarsi a godersi quella pigra mattina tra risate, chiacchiere e sesso.
 
-
 
Kazuki ed Emiko avevano sempre saputo che c’era qualcosa di speciale tra loro due. L’avevano saputo dal primo momento che si erano incontrati, quando Kazuki le aveva alzato la gonna per vedere da dove spuntasse il pon-pon che c’era attaccato sopra a voler simboleggiare la coda di un coniglio.
Ma quella tra loro era sempre stata una storia sottotono, una storia che tutti sanno che esiste, ma che nessuno lo dice mai ad alta voce. Come quando uscivano con i loro genitori, quando erano piccoli, e loro si tenevano la mano per non perdersi. Come quando ricevevano confessioni a scuola che venivano puntualmente rifiutate perché “mi dispiace, quel posto nel mio cuore è già occupato da un pezzo”. Come quando Kazuki si presentava a tutti i suoi saggi di danza e a tutte le sue gare con sempre dei fiori da regalarle o come quando Emiko era sempre pronta ad aiutare il ragazzo con i suoi conigli.
Passarono molti anni prima che si decidessero a rendere le cose ufficiali, ma non era un qualcosa che gli aveva mai pesato, erano semplicemente loro, con i loro tempi e la loro calma.
Fu a diciassette anni che si scambiarono, infine, il loro primo bacio.
Quella sera dovevano uscire insieme al loro gruppo di amici e Kazuki, come sempre, era passato a prenderla a casa. Avrebbe potuto aspettarla fuori e scriverle un messaggio, ma Kazuki si premurava sempre di prenderla alla porta e salutare Tadashi e Tsukishima.
Anche quel giorno non fu da meno e Yamaguchi lo fece entrare in casa mentre aspettava. Emiko era già pronta, stava solo finendo di truccarsi in bagno e aveva lasciato la porta aperta alle sue spalle, quindi fu facile per Kazuki notarla.
-Potresti non farlo?- gli fu spontaneo chiederglielo mentre la vedeva alzare la spugnetta del fondotinta sul volto.
Emiko si voltò confusa e corrugò la fronte in una muta domanda.
Kazuki arrossì in modo evidente, poi abbassò lo sguardo e sussurrò pianissimo -É che… amo le tue lentiggini, mi piacerebbe che non le coprissi.
Fu proprio quella frase che fece scattare qualcosa in Emiko, che la spinse a lasciare tutto quello che aveva tra le mani, raggiungerlo in fretta per dargli il suo primo bacio.
Era un bacio goffo e breve. Le loro labbra erano immobili e nessuno dei due sapeva dove mettere le mani, ma era il loro primo bacio e tutto il resto non contava.
O almeno, Kazuki ci provò a pensare solo alla ragazza che aveva tra le braccia, ma era difficile quando le frasi degli altri due adulti all’interno di quella casa erano ben udibili.
“Devo intervenire!”
“Tsukki smettila!”
“Ma Tadashi!”
“Lasciali stare! Non ti ricordi di noi alla loro età?”
“APPUNTO!”
-Ehm…- provò a parlare Kazuki -lo sento solo io a tuo padre o…
Emiko rise, senza correggerlo sull’appellativo che aveva dato a Kei e limitandosi a rispondere -Tu ignoralo.
Era difficile da ignorare in realtà, soprattutto quando Kazuki era terrorizzato da lui, ma Emiko tornò a baciarlo e fu migliore di prima. Così Kazuki si rese conto che sì, con lei in effetti poteva anche ignorare il mondo intero.
 
-
 
Si chiamava Akihiko il cameriere carino che Kenta aveva conosciuto al matrimonio di suo fratello Isao. Non era stato difficile scoprire il suo nome quando la sua famiglia l’aveva per sbaglio lasciato al locale dove avevano festeggiato (i suoi papà erano convinti che sarebbe tornato a casa con Kazuki mentre questo era convinto del contrario).
Kenta era rimasto seduto a terra all’ingresso della villa, nella speranza che il suo cellulare non morisse prima di essere riuscito a contattare qualcuno.
Fu lì che il cameriere l’aveva rincontrato, gli aveva chiesto cosa stesse facendo e dopo una imbarazzata e confusa risposta di Kenta, questo si era proposto di lasciarlo a casa. Prima di dividersi, inoltre, si erano pure accordati per rivedersi.
Dopo due mesi di frequentazione, Kenta fu svegliato in piena notte da qualcosa che sbatteva contro la finestra della camera sua e di Kazuki. Il gemello si lamentò nel sonno mentre Kenta non poteva fare altro che rimanere bloccato sul posto dalla paura. Il rumore si ripeté e solo a quel punto Kenta capì che era qualcuno che stava lanciando sassolini contro la sua finestra.
Si alzò per dare un’occhiata, già pronto a chiamare il padre Daichi in modo che potesse pensare da solo al vandalo in questione, peccato che questo fosse solo Akihiko che si illuminò non appena lo vide e gli fece segno di raggiungerlo.
Kenta era confuso, cosa ci faceva Aki nel suo giardino alle due di notte? Aveva il cuore che gli batteva a mille e aveva così tante domande nella testa da dimenticarsi di essere in pigiama. Si limitò quindi a cercare di non svegliare nessuno, compresi i conigli che ormai avevano invaso la loro stanza, e correre fuori di casa scalzo.
-Che ci fai qui?- chiese con le guance rosee e gli occhi grigi enormi per lo stupore.
-Volevo vederti- rispose il ragazzo come se fosse normale andare a casa di qualcuno alle due di notte solo perché “voleva vederlo”.
Aki allungò la mano e gli sistemò i ciuffi biondi e arruffati che avevano la forma del cuscino -Se proprio devo essere del tutto sincero non riuscivo a dormire perché non facevo altro che averti in testa. Ho pensato di scriverti ma, oltre ad avere la certezza che non avresti risposto perché stavi sicuramente dormendo, non volevo limitarmi a mandarti un messaggio, sarebbe stato così… asettico. Non ero sicuro che sarebbe stata una buona idea quella di venire, avresti potuto prendermi per pazzo o tuo padre avrebbe potuto arrestarmi, poi però mi sono ricordato che hai detto che ti piacciono le cose romantiche e ho deciso di seguire il mio istinto, quindi eccomi qui.
Gli occhi di Kenta si fecero lucidi e non disse neanche una parola, questo fece preoccupare Akihiko che si mosse a disagio e chiese -Va bene, vero?
Kenta rilasciò un singhiozzò mentre faceva quel passo in più e lo abbracciava con forza -è quello che ho sempre voluto- ammise con la voce spezzata -mi farai innamorare seriamente di te.
Akihiko rispose all’abbraccio, cingendogli i fianchi con un braccio e le spalle con l’altro, sorrise e gli baciò quei capelli biondi -magari è proprio quello lo scopo.
Kenta alzò la testa e serissimo gli fece presente -Se mi spezzerai il cuore dopo aver detto e fatto tutto questo… io…
-Non ho alcuna intenzione di spezzarti il cuore- rispose l’altro con la stessa serietà -sono qui, in piena notte, solo perché volevo vederti. Perché limitarmi a pensarti non era più abbastanza. Nonostante abbia conosciuto la tua famiglia casinista e nonostante tuo fratello mi abbia minacciato con un discorso che mi ha messo un po’ troppa paura, voglio comunque stare con te.
-Mio fratello ti ha minacciato?
-Sì, la prima volta che sono venuto a prenderti, ma non dirgli che te l’ho detto, potrebbe uccidermi.
Kenta rise -Va bene, ti voglio vivo.
-Ora posso baciarti?
-Mi chiedo perché tu non l’abbia ancora fatto.
 
-
 
Mirai aveva dato il suo primo bacio a soli dieci anni. L’aveva fatto senza alcun tipo di imbarazzo davanti a tutta la sua famiglia e alla famiglia di Kaoru affermando che da quel momento sarebbero stati fidanzati.
Erano piccoli e innocenti ma non parlarono mai effettivamente della situazione, si erano fidanzati da piccoli e così avevano continuato ad affermare ai loro compagni di classe o ai loro parenti.
Fino a quando, a quindici anni, Kaoru decise di fare le cose per bene, esattamente come gli aveva insegnato suo padre Ryu.
Mancava una settimana a capodanno quando Kaoru si presentò a casa della famiglia Sugawara-Sawamura. Fu Kazuki ad aprirgli che, non appena lo vide, gli disse semplicemente -Mia sorella è di sopra.
-In realtà volevo parlare con i vostri genitori, se possibile.
Kazuki lo guardò stranito, poi alzò le spalle disinteressato e prima di correre nuovamente nella sua stanza gli disse -Sono in giardino.
E fu proprio lì che trovò entrambi, insieme a Kou mentre la rimproveravano perché aveva strappato metà dei fiori dentro l’aiuola.
Fu Daichi il primo ad accorgersi di lui -Kaoru, ciao! Sei solo? Mirai è di sopra.
-Sì, lo so. Volevo parlare con voi.
Anche Koshi, a quel punto, si girò curioso verso il ragazzo e Kou ne approfittò per scappare dentro casa.
Koshi le lanciò un’occhiataccia, poi sospirò e si rivolse a lui -è successo qualcosa?
-Volevo chiedervi ufficialmente di poter corteggiare vostra figlia. E poterla portare al festival di capodanno come appuntamento ufficiale.
I due adulti si lanciarono uno sguardo confuso, Daichi poi sorrise intenerito mentre Suga faceva presente -Nostra figlia che hai già baciato cinque anni fa, giusto?
Kaoru arrossì -mi ha baciato lei…- specificò -e sì, mi sono reso conto che non ve l’ho mai chiesto prima, vi chiedo scusa.
E addirittura s’inchinò in attesa della loro ufficiale approvazione.
Koshi fu il primo a spezzare quel silenzio ridendo piano, poi rispose -Non accetterò nessun altro per Mirai se non te, quindi sì Kaoru, hai la nostra benedizione.
Daichi invece fece un passo avanti, raggiunse il ragazzo e gli mise una mano sui capelli scuri -Ryu deve essere molto fiero di avere un figlio come te.
Il volto di Kaoru andò a fuoco e il suo petto si riempì di gioia, sorrise imbarazzato e lo divenne ancora di più quando, voltandosi, vide che Mirai era lì e aveva ascoltato tutta la conversazione.
-Ciao…- la salutò piano mentre spostava lo sguardo a terra e portava una mano a grattarsi il collo, in imbarazzo.
Mirai lo guardò con gli occhi lucidi per diversi secondi, come per accertarsi che fosse davvero davanti a lui, poi sussurrò le due parole che non si erano ancora mai detti -Ti amo.
 
-
 
Kou era leggermente cleptomane. Sapeva che era sbagliato, suo padre Daichi l’aveva rimproverata e le aveva fatto discorsi più volte di quanto avesse fatto con tutti i suoi fratelli messi insieme… ma da piccola aveva continuato a rubare piccole cose in giro disinteressandosi di tutto il resto.
Oltre questo, Kou sapeva di essere una peste. Lei era sempre quella che andava a giocare con gli amici e tornava sporca e ferita perché aveva litigato con ognuno di loro e fatto a botte. Era quella che si era fatta diversi piercing di nascosto dai suoi genitori, quella che aveva fumato di tanto in tanto e quella che aveva mentito sulla sua età per bere l’alcool prima di diventare maggiorenne. Era quella che frequentava “brutte compagnie” ma, soprattutto, era quella che era attratta dai cattivi ragazzi. Da quelli che i suoi genitori l’avevano sempre messa in guardia.
Kou aveva avuto tanti “colpi di fulmine” nella sua vita, tutti delinquenti. Tutte persone che non avrebbe mai potuto portare e presentare a casa.
E poi aveva incontrato lei, Ayano. Kou non aveva saputo che le piacevano anche le ragazze prima di quell’incontro. Quello che la sconvolse di più però non era il sesso della ragazza ma… il suo lavoro.
Perché Ayano era un poliziotto, una ragazza appena entrata nelle forze dell’ordine che era stata affidata a suo padre Daichi, un veterano che entro pochi mesi sarebbe andato in pensione.
Ayano era fredda. Aveva uno sguardo perennemente serio e calcolatore, gli occhi scuri stretti, le labbra sottili che non ridevano quasi mai e non faceva mai nulla che potesse mettere in ridicolo suo padre o la divisa che portavano.
Di norma, Kou l’avrebbe ignorata come aveva sempre fatto con tutti i colleghi di suo padre che aveva conosciuto, ma lei aveva la sua stessa età e fu impossibile da ignorare quando le rispose a tono facendola passare per stupida, il tutto solo al loro primo incontro.
Avevano due modi di vivere all’opposto e questo le portò a discutere ogni singola volta che le loro vite si incrociavano… fino alla festa del pensionamento di suo padre.
-Inutile essere felice, tuo padre continuerà a tenerti d’occhio anche senza più il suo distintivo- fu Ayane a raggiungerla fuori dal locale, dove Kou stava fumando una mezza sigaretta che aveva trovato in un posacenere.
-Dici?- la ragazza rise mentre buttava via il mozzicone -Penso che papà sia impegnato con tante cose ormai… inoltre non dovresti farti carico tu del suo lavoro?
La poliziotta alzò un sopracciglio e le si fermò davanti, un po’ più vicino del normale ma nessuna delle due se ne lamentò -Stai dicendo che devo iniziare a tenerti d’occhio seriamente?
-Dovresti non staccarmi mai gli occhi di dosso, decisamente.
Kou si fece più vicina e Ayane non si tirò indietro, infine sorrise e sbottò -Beh… potrebbe anche essere divertente.
Kou ebbe due rivelazioni dopo quella notte: la prima era che adesso capiva un po’ di più suo padre Koshi che amava il lavoro di Daichi, poiché usare le manette a letto era una cosa alla quale non avrebbe rinunciato tanto facilmente; la seconda era che il destino poteva essere un gran bastardo, perché dopo tutto quello che aveva fatto, dopo tutte le persone per le quali aveva avuto una cotta… aveva finito per innamorarsi di un poliziotto. Ah… i suoi fratelli l’avrebbero presa in giro per sempre.






n.a. Ciaoo!
Questo è l'ultimo capitolo di questa serie dei bimbi ora adolescenti della daisuga, non è detto che non tornino in altre storie (perché mi conosco e so che non riesco ad avere un freno su sta serie), ma per il momento diciamo che ho voluto dare a tutti loro un finale.
Ho finito con l'idea che ognuno di loro riesce a trovare la sua anima gemella perché la Daisuga è così, predestinati fin dall'inizio e mi piaceva che anche per i loro figli (con i loro tempi, che siano poi etero, gay o bisessuali) fosse come loro.
Vi aggiungo anche un extra su cosa mi sono immaginata che faranno nella loro vita:
-Isao e Akane apriranno e gestiranno un orfanotrofio con un'organizzazione tutta diversa da quella che lui ha dovuto subire;
-Kazuki farà un lavoro tipo avvocato (uno di quei lavori dove Tsukki non può dire nulla ma si lamenterà comunque di essersi preso la sua bimba);
-Kenta scriverà sceneggiature per film e poesie, ha sempre avuto questo suo lato estremamente romantico e lo condividerà con il mondo in questo modo;
-Mirai diventerà pediatra;
-Kou, infine, lavorerà nel mondo della moda insieme allo zio Asahi.
Vi aggiungo il bonus di Emiko che diventerà istruttrice di danza classica, mentre i figli della Tanakiyo lavoreranno nel campo dei loro genitori.
Spero vi siate affezionati a tutti loro come l'ho fatto io, alla prossima! <3
Deh

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