Le Colline di Yevàn

di Red Owl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1- Buona e cattiva sorte ***
Capitolo 2: *** 2 - La mappa e la chiave ***
Capitolo 3: *** 3. Quattro signore e un garzone ***
Capitolo 4: *** 4 - Il Pettirosso ***
Capitolo 5: *** 5. Lord Ardyn ***
Capitolo 6: *** 6 - La Fossa del Gigante (parte 1) ***
Capitolo 7: *** 7 - La Fossa Del Gigante (parte 2) ***
Capitolo 8: *** 8 - Una voce nella notte ***
Capitolo 9: *** 9 - La Dama Bianca ***
Capitolo 10: *** 10 - Segreti rubati ***
Capitolo 11: *** 11 - Segugi ***



Capitolo 1
*** 1- Buona e cattiva sorte ***


Il vecchio faggio che cresce in giardino è seccato da ormai diverse stagioni, ma suo padre continua a rifiutarsi di tagliarlo. Dice che porta male. Quell'albero era già lì quando il padre di suo padre era bambino, e abbatterlo ora potrebbe porre fine alla buona sorte che da decenni accompagna la sua famiglia.

Lyra non capisce molto la logica di quell'affermazione. La pianta è morta ed è pertanto logico pensare che qualsiasi buona sorte sia morta con lei. 

Mentre se ne sta accoccolata nel suo letto, la ragazza non pensa comunque alla fortuna o alla sfortuna, ma solo al suono secco prodotto da un sottile ramo rinsecchito che, scosso dal vento, picchietta ritmicamente contro il vetro della finestra. È davvero insopportabile.

Tac-tac-tac fa il legno. 

Toc.

La ragazza si mette bruscamente a sedere sul letto, i capelli rossi spettinati dal contatto con il cuscino. Quell'ultimo suono era anomalo. La candela spenta la attende sul comodino: le basterebbe allungare il braccio per raggiungere i cerini e accenderla, ma qualcosa le suggerisce di restare perfettamente immobile.

Lyra si tira il lenzuolo fin sotto al mento e respira piano. Inalazioni precise, esalazioni tremule. Bada bene a non fare troppo rumore, a non coprire con il proprio respiro i suoni che giungono dal piano inferiore.

Passi, capisce. In casa a quell'ora ci sono solo tre persone oltre a lei: suo padre, sua madre, e Mia, la domestica. Quei passi non appartengono a nessuno dei tre.

Voci basse, alcune affrettate e un'altra profonda come un rombo di tuono. Qualcuno sussurra, chiede, implora. Qualcun altro pretende, ordina, minaccia.

Chi è, chi è?

Un uomo, forse più di uno.

Un singhiozzo - sua madre, o forse Mia.

Lyra ha le mani che sudano e il sudore viene assorbito dal cotone del lenzuolo. L'istinto ora le impone di scappare, ma la ragione le dice che non v'è luogo in cui fuggire. La finestra è chiusa e comunque è troppo in alto, la porta la condurrebbe alle scale e quindi al piano inferiore. L'armadio? Si chiede. Sciocca, si risponde subito dopo. Quella scatola di legno non è un portale che conduce al regno delle fate, ma un semplice manufatto mortale. Lì entrerebbe e lì rimarrebbe. Lo sconosciuto con la voce profonda non ci metterebbe nulla a capire che è nascosta lì dentro.

E poi?

Lyra non sa nemmeno perché la stia cercando. Non sa nemmeno se la stia cercando, in effetti, ma l'istinto le assicura che è così. Chiunque ci sia al piano inferiore, non è lì per una visita di piacere: le voci tremanti dei suoi genitori non le lasciano alcun dubbio in merito.

Passi pesanti su per la scala e poi la porta che si apre, la luce di una lanterna che squarcia l'oscurità.

"In piedi, ragazza!"

Lyra è congelata nella posizione in cui si trova. Vorrebbe obbedire, vorrebbe davvero, ma le sue gambe non rispondono agli ordini del suo cervello, né a quelli dell'uomo.

Lui, lo sconosciuto, le si avvicina a passi pesanti. Gli occhi di Lyra sono fissi su un punto imprecisato tra il muro e la porta, ma all'angolo della sua visuale vede la figura bionda di sua madre che si torce le mani. "Non farle del male" dice con voce strozzata. Dietro di lei, suo padre vacilla.

Lyra si sente afferrare e la sua attenzione, che prima vagava persa sulla parete, si trasferisce di colpo sull'estraneo che ha invaso la sua camera. Giovane, ma non troppo, corti capelli castani e una barba curata, occhi azzurri che brillano di una luce spettrale al riverbero del fuoco. "In piedi!" le ripete ancora. E nel dirlo le stringe un braccio appena al di sopra del gomito, e la tira a sé.

La ragazza si sente trascinare - ha sedici anni, ma è esile come una bambina di dodici. Magra, magra, gracile, ossuta nonostante il cibo che le riempie il piatto tutti i giorni. Il cruccio dei suoi genitori, sì, troppo fragile per affrontare le difficoltà della vita. Troppo fragile, di certo, per resistere alla forza bruta dell'uomo con gli occhi da spettro. 

Lyra inghiotte una bocconata d'aria e rovina a terra in un intreccio di gomiti e ginocchia. L'uomo la scavalca e getta indietro le lenzuola che la coprivano fino a un momento prima. Fa volare il cuscino, solleva il materasso. "Dov'è?" abbaia, e la ragazza capisce che non lo sta chiedendo a lei, ma ai suoi genitori che tremano dall'altra parte dell'uscio.



È suo padre a parlare. "È... è all'interno dell'intelaiatura del letto."

L'uomo si cava un coltello di tasca e lo usa per tagliare il telo di cotone che divide le molle dal materasso di lana. Lyra, ferma a terra nella medesima posizione in cui è caduta, è spaventata, ma anche curiosa: che cosa sta cercando? Si volterebbe verso i suoi genitori per chiederglielo, ma la verità è che non osa muoversi. Allora aguzza la vista e cerca di sbirciare tra le mani dell'uomo.

La stoffa si squarcia con un suono acuto e l'intero letto trema. Lyra guarda preoccupata la lanterna che l'uomo - il ladro, a questo punto - ha appoggiato lì dove c'era il materasso e spera che non si rovesci dando fuoco al letto, alla camera e magari all'intera casa. 



Lui respira pesantemente, come se il compito gli costasse una fatica immensa. Poi, all'improvviso, si raddrizza tenendo qualcosa in mano. È un foglio ripiegato, di carta spessa e ingiallita dal tempo.

Documenti?  Si chiede Lyra. Credenziali? Un testamento? Una mappa?

L'uomo ne solleva un lembo e ne legge il contenuto, poi annuisce soddisfatto e si infila il foglio all'interno della giubba. Mentre riprende in mano la lanterna, abbassa lo sguardo su Lyra. "Mi scuso per il disturbo, ragazzina."

"Non c'è di che" sente la sua voce rispondere.

Le sopracciglia dell'uomo si inarcano e sulle sue labbra spunta l'ombra di un sorriso che però sparisce non appena il ladro si gira di nuovo verso i  genitori di Lyra. "Non una parola con il vostro padrone" ringhia. "Voi non mi avete mai visto: la mappa vi è stata sottratta da un criminale con il volto coperto. Sono stato chiaro?"

Gli adulti annuiscono e Lyra li imita, anche se non è sicurissima di capire cosa sta succedendo. Sono stati derubati, questo è chiaro, ma cosa c'è su quella mappa? E, soprattutto, perché era nascosta all'interno del letto in cui lei dorme tutte le notti? Il brigante si è raccomandato di non raccontare la verità a Lord Ardyn, il che significa che, con ogni probabilità, il documento che è appena sparito sotto gli abiti del malvivente appartiene a lui. Ma, se così fosse, perché si trova nella casa del suo notaio e non in banca insieme a tutti gli altri oggetti di valore che il datore di lavoro di suo padre possiede? E perché il ladro se ne va in giro a volto scoperto, senza preoccuparsi di non farsi riconoscere?

"Non una parola" ripetono i suoi genitori in coro.

Il brigante si gira verso di lei. "E tu?"

Lyra si porta un dito alle labbra. "Non una parola nemmeno io" gli assicura.

Per qualche motivo, l'uomo la soppesa con lo sguardo. "Uhm" fa, come se in lei ci fosse qualcosa che non lo convince. "Ma mangi abbastanza, ragazzina?"

Lyra si sente avvampare. "Sì, sì" balbetta. "Sono solo piccola per la mia età."

"Uhm" ripete lui, ma poi sembra decidere che qualsiasi pensiero che ha attraversato la sua testa non sia poi così importante. Scrolla le spalle e poi si allontana dal letto senza degnarla di un'altra occhiata. Passa davanti ai suoi genitori e si infila giù per le scale. Lyra lo sente dire qualcosa a Mia - probabilmente sta facendo anche a lei le stesse raccomandazioni che ha fatto a loro - e poi andarsene sbattendo la porta.

Nemmeno si preoccupa di non fare rumore, pensa Lyra, stranamente oltraggiata.

Quando hanno la certezza di essere rimasti soli, i suoi genitori sembrano perdere ogni residuo di forza che li ha sostenuti fino a quel momento. Sua madre emette un lungo gemito acuto e si accascia lentamente a terra, il volto paonazzo e le spalle scosse dai singhiozzi. Suo padre oscilla come se fosse sul punto di perdere i sensi, ma prima di crollare sul pavimento riesce ad appoggiarsi con la schiena contro il muro del corridoio. "Povero me" geme nascondendo il volto nelle mani. "Povero me."

Lyra è più confusa che spaventata, ma la reazione dei suoi famigliari sta iniziando a metterla in allarme. "Chi era quell'uomo?" chiede mettendosi a sedere sul pavimento e stringendosi un cuscino al petto. "Che cosa c'era su quella mappa?"

La sua domanda cade però nel vuoto del silenzio che ora regna nel corridoio. Solo dopo alcuni minuti suo padre abbassa le mani lungo i fianchi e la guarda come se si stesse effettivamente rivolgendo a lei. "Devo andare a parlare con Lord Ardyn. Devo andarci subito."

Lyra non può fare altro che annuire e iniziare a sistemare come meglio può il suo letto squarciato.

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Capitolo 2
*** 2 - La mappa e la chiave ***


Che nessuno sia mai venuto a cercarlo a casa di Laròs ha dell'incredibile, ma Jens non è tipo da lamentarsi della buona sorte.

Forse è vero che gli Dei mi sono favorevoli, pensa mentre piazza i piedi sullo sgabello che gli sta di fronte e si gode il tepore del fuoco che arde nel grande camino che riscalda la stanza in cui il suo socio l'ha fatto accomodare.

"Togli le tue zampe da lì, o il velluto te lo faccio pulire con la lingua."

Il sorriso sul volto dell'uomo si trasforma in una smorfia irritata. Posando sul tavolino la mappa che ha tra le mani, si volta verso il padrone di casa. "Sei sicuro che ti convenga trattare così l'uomo che ti renderà enormemente ricco?"

Laròs risponde con una risata sprezzante. "Io sono già enormemente ricco."

È vero, pensa Jens. E quello è uno dei motivi per cui loro due sono, se non proprio amici, almeno ottimi soci in affari. L'altro motivo è che Laròs è scaltro come una faina e altrettanto spregiudicato.

"E allora perché mi lasci nascondere in casa tua, se l'oro della collina non ti interessa?"

L'uomo si appoggia alla colonna di fianco al camino e incrocia elegantemente le gambe, guardandolo con i suoi sottili occhi azzurri che, uniti ai capelli di un rosso pallido, lo fanno assomigliare a un incrocio tra un gatto e una volpe. "Suppongo sia per il brivido dell'avventura" dice. "E anche perché io non credo che sotto alla collina ci sia dell'oro, ma qualcosa di più raro... E più prezioso."

Jens scivola contro lo schienale della sedia imbottita e sogghigna. "La magia degli Elfi?" chiede inarcando le sopracciglia.

Laròs solleva un angolo della bocca in un accenno di sorriso. "O magari il loro sapere. Mi basterebbe anche quello."

Jens si stringe nelle spalle. "Io nelle favole ci credo poco e preferirei qualcosa di più tangibile, ma lungi da me infrangere i tuoi sogni. Quello che mi interessa è che tu mi dia i mezzi per arrivare nel punto in cui, secondo la mappa, si troverebbe la chiave."

"Intendo darti sia i mezzi che gli uomini, se..."

"Gente fidata?" lo interrompe Jens.

"È ovvio" ribatte secco il padrone di casa. "Come stavo dicendo, ti darò sia gli uomini che i mezzi che ti servono per arrivare fino a dove devi arrivare, a patto che tu mi convinca che questa è un'impresa sensata e non solo un grandissimo spreco di denaro. I criminali prezzolati si fanno pagare cari e salati - ma tu questo lo sai bene, no?"

Jens ignora la punzecchiatura e si allunga fino a riprendere in mano la mappa, poi fa cenno a Laròs di avvicinarsi. “Guarda” gli dice. “Come puoi vedere, è autentica.”

L’altro uomo emette un basso suono di gola e gli si avvicina, osservando la cartina da sopra la sua spalla.

Jens se la sistema meglio in grembo e con le mani spiana le pieghe che attraversano perpendicolarmente la carta spessa e ingiallita dal tempo. “Lo vedi questo?” chiede, passando l’indice su uno stemma impresso sull’angolo superiore della mappa. Rappresenta due serpenti che intrecciano il proprio corpo con lo stelo di un giglio. “Questo è lo stemma degli Ardyn. Il giglio è blu anziché rosso, il che significa che questa carta è stata disegnata almeno centottanta anni fa, prima che la casata si unisse a quella dei Ross.”

Grazie per la lezione di storia” replica Laròs. “Non mi dici niente che non sapessi già. Cosa mi garantisce che questa cosa porti davvero da qualche parte?”

Jens sbuffa e rivolge al socio un’occhiata irritata. “Nulla, ovviamente. Però mi chiedo perché questa mappa sia stata tramandata tanto gelosamente da padre in figlio. Milian Ardyn, addirittura, non l’ha messa in banca come sarebbe logico fare, ma ha preferito nasconderla nella casa del suo notaio. Sotto al letto della figlia, per la precisione.”

L’uomo trattiene un sorriso al ricordo di quella ragazzina pelle e ossa e con la faccia da topo che, semisdraiata sul pavimento, lo guardava più sbalordita che spaventata.

Laròs allarga le braccia. “Non sono sicuro che questo deponga a favore dell’importanza di questa mappa, francamente.”

Però ammetterai che la faccenda è quantomeno curiosa.”

Curiosa, sì” ripete il padrone di casa. “Mi chiedo se sia sufficientemente curiosa da giustificare una spesa come quella che mi toccherà affrontare, però.”

Nel tono dell’amico Jens ha già la risposta che cerca. “Ti ho già convinto, non è vero?”

Laròs sospira, ma i suoi occhi azzurri stanno già percorrendo avidamente la linea rossa che spicca tra le forme stilizzate di fiumi e colline. “Non lo so.”

Io invece dico di sì” insiste Jens. “Anzi, ti dico di più: eri già convinto ancor prima di vedere la mappa. L’hai detto tu: sei immensamente ricco, e pagare il salario di due o tre mercenari non ti manderà certo in rovina. Non mi avresti invitato qui, se non fossi stato disposto a correre il rischio di perdere qualche soldo."

Non sono i soldi a preoccuparmi, ma piuttosto la prospettiva di perdere credibilità e appoggio tra la gente che conta” ribatte Laròs. “A tal proposito, non mi hai ancora detto come hai fatto a scoprire dove si trovava la mappa. La sta cercando mezzo regno; e questo solo perché l’altra metà è convinta che non esista: chi ti ha detto di andare a frugare in casa del notaio?”

Lo sta fissando come un predatore fissa la sua preda, ma Jens sostiene il suo sguardo. “Questa è un’informazione che ho intenzione di tenere per me. Se mi vuoi aiutare, bene, altrimenti mi cercherò un finanziatore più intraprendente e che faccia meno storie quando c’è da mettere mano ai cordoni della borsa.”

L’uomo dai capelli rossi solleva un sopracciglio con aria di sfida. Jens lo sa, cosa sta pensando. Pensa che lui non avrebbe il coraggio di piantarlo in asso e di abbandonare la sicurezza della sua casa, non ora che Lord Ardyn ha denunciato il furto di un oggetto di valore custodito nell’abitazione del suo notaio di fiducia. Il fatto che la Guardia Cittadina stia cercando un generico malvivente e che il suo nome sembra non circolare per le strade lo rassicura sul fatto che, almeno per il momento, il notaio non ha parlato e non ha rivelato a nessuno l’identità del ladro.

Bene, pensa. Si vede che la mia fama incute ancora abbastanza timore.

Alla gente comune, almeno – non a Laròs, che sa che gli scagnozzi che solitamente lo accompagnano nelle sue scorribande non sono altro che mercenari pronti a vendersi al migliore offerente. Con il suo socio la tattica dell’intimidazione non funziona, soprattutto se Jens vuole evitare di svelare il segreto che è sempre stato attento a tenersi ben stretto. Per sua fortuna, però, non ha bisogno di ricorrere a tattiche simili: l’avidità del suo finanziatore è più che sufficiente.

Suvvia, Laròs: sappiamo entrambi che i rischi che corri finanziandomi non sono nulla rispetto ai benefici che otterresti se la mia missione avesse successo” sorride placido incrociando le mani sulla mappa.

Il volto pallido del suo interlocutore si contrae in una smorfia, ma infine l’uomo annuisce. “D’accordo. Ti fornirò due uomini sulle cui capacità e discrezione so di poter contare e ti farò avere tutto ciò che ti serve per raggiungere il luogo indicato dalla tua mappa. In cambio, però, voglio la tua fedeltà assoluta: nessuno deve sapere quello che stai facendo, né da dove vengono i soldi che ti permettono di farlo. Se mi giunge voce che hai messo al corrente anche una sola persona del nostro patto, vado dal Podestà e gli racconto tutto.”

Adesso tocca a Jens sorridere. “E la cosa non danneggerebbe anche te? Non credo sia saggio mette al corrente la gente che conta delle tue... Attività parallele, se così vogliamo chiamarle.”

Laròs avvicina il volto al suo ed è la prima volta che nei suoi occhi il bandito scorge qualcosa che lo invita veramente alla cautela. “Io ho i mezzi per atterrare in piedi. Tu no.”

Questo è quello che credi tu, pensa Jens cercando di mantenere un’espressione neutra. Gli mancano i soldi per lanciarsi in imprese grandiose, ma non i mezzi per tutelarsi.

Quelli sono però pensieri che deve tenere per sé. Jens solleva le mani in segno di resa. "Non apprezzo le minacce, ma mi pare che abbiamo perso fin troppo tempo in chiacchiere. Facciamo come dici tu. Del resto, la discrezione è fondamentale anche per me e meno persone sanno della mappa e meglio è. Quando puoi presentarmi i due uomini di cui parli?"

Le sue parole sembrano rassicurare Laròs, che sorride. "Stasera stessa."

"Bene" annuisce il ladro. "Se mi convinceranno, partiremo il prima possibile. Una volta trovata la chiave, torneremo da te e decideremo insieme i passi successivi. Resta inteso che divideremo equamente qualsiasi cosa troveremo sotto quella collina."

"Sempre ammesso che questa fantomatica chiave esista" osserva asciutto Laròs.

Jens non ha dubbi. "Esiste."

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Capitolo 3
*** 3. Quattro signore e un garzone ***


"... Sarebbe bastata un po' più di discrezione e non si sarebbe trovata in questa situazione. Non si può certo dire che quella ragazza brilli per la sua intelligenza."

'Uh-uh."

Shana Dellos-Maer distoglie lo sguardo dalla sua interlocutrice per evitare di sbadigliarle in faccia. Quegli incontri con le dame della società bene sono una noia mortale, ma restano comunque un male necessario.

"Lord Stomel era un ottimo partito, Lady Dellos-Maer, un ottimo partito!" continua Lady Costa. "Quella sprovveduta di Marit Vincey ce l'aveva praticamente in pugno e ha dovuto rovinare tutto andando a fare gli occhi dolci al fattore. Che caduta di stile, non trovate?"

"Davvero terribile" commenta Shana annuendo gravemente. In realtà non gliene frega un accidente di niente delle disavventure amorose di Lady Vincey. Che si infratti pure con un contadinotto che puzzava di sterco di vacca, se le fa piacere: lei con la ragazza in questione ha scambiato sì e no tre parole in tutto e tanto le è bastato per concludere che si tratta di un soggetto fondamentalmente inutile. 

"E voi, Lady Dellos-Maer?" le chiede la vecchia Nora Westall sorseggiando rumorosamente il tè al gelsomino che la servitù le ha servito una decina di minuti prima. "Non pensate ad accasarvi, voi?"

Shana si esibisce in una risata leggera che maschera alla perfezione il disgusto suscitatole da quella domanda. "Per ora il matrimonio non è il primo dei miei pensieri, Lady Westall. Lo diventerà forse il giorno in cui avrò la fortuna di incontrare l'uomo giusto per me."

"Fate bene!" approva la mastodontica Lady Petrit. "Siete giovane, siete ricca e siete pure bella: cosa ve ne fate di un marito?"

"Bellezza e gioventù sono doni transitori, Lady Petrit", replica coscienziosamente Shana, "e credo che anche la ricchezza sia meglio amministrarla in due: devo solo trovare il compagno adatto, ma per ora mi limito a sperare che lui venga da me, anziché cercarlo attivamente."

"Be', fatemi sapere se desiderate che vi consigli qualche buon partito" si intromette Roshlin Costa. "Ne conosco giusto un paio che farebbero a caso vostro."

Piuttosto che affidarmi al tuo giudizio, preferirei cercarmi un marito tra i clienti di un bordello, pensa Shana, prima di sfoggiare un sorriso grato e replicare: "Terrò sicuramente conto della vostra gentilezza, Lady Costa."

La donna prende fiato e per un istante Shana teme che stia per lanciarsi nell'enumerazione dei ricchi scapoli che vorrebbe sottoporre alla sua attenzione, ma un movimento oltre la porta del salone la salva da quel supplizio. 

"Vogliate scusarmi, signore" dice alzandosi dalla poltroncina e sistemandosi la gonna attorno alle gambe. La pregiata stoffa viola balugina di riflessi iridescenti e lei si compiace ancora una volta per l'ottimo acquisto. "Vedo che è arrivato il garzone del mio pasticcere di fiducia: non vedo l'ora di farvi gustare le sue ultime creazioni."

"C'è la torta di fiordaliso?" chiede la più anziana delle sue ospiti abbassando la tazza di tè e guardandosi attorno con gli occhi della donnola che ha fiutato il sangue.

"Penso proprio di sì, Lady Westall" la rassicura la ragazza con un sorriso. Non manca di notare che la vecchia Nora, erede di un ramo secondario di una delle casate più antiche e ricche del reame, non perde occasione di mangiare a scrocco - soprattutto se si tratta di affondare i denti in pietanze ricercate e costose.

La giovane si dirige a passi svelti verso il corridoio e segue il ragazzo che, dopo averle fatto un cenno, è scivolato verso la cucina. Non si è però infilato lì, bensì nella dispensa contigua, ed è lì che Shana lo raggiunge. Willy, si fa chiamare il ragazzo. Lei non ha dubbi che quello non sia davvero il suo nome.

"Quindi?" lo incalza subito dopo essersi chiusa delicatamente la porta alle spalle. 

Willy si guarda attorno. Nella stanza c'è un'unica finestrella dal vetro polveroso e il piccolo locale è immerso in una luce piatta e lattiginosa. Come in occasione di ogni loro incontro, gli occhi grigi del garzone saettano da una parte all'altra come due pesciolini che, rimasti imprigionati in una pozza isolata dal fiume, cercano disperatamente una via di fuga. È sempre in allerta, Willy. Sempre pronto a dileguarsi al primo segnale di pericolo. Shana sospetta che sia un'abitudine insita in quelli che fanno il suo mestiere.

"Gli ultimi giorni sono stati piuttosto tranquilli", risponde il garzone con voce bassa e frettolosa, "ma ieri notte sono abbastanza certo di aver intravisto Jens Lowal."

La giovane sgrana gli occhi. "Cosa significa che ne sei abbastanza certo?"

È un'informazione importante, quella. Prima di agire in qualsiasi modo, deve assicurarsi che Willy non abbia preso un abbaglio. 

Il ragazzo aggrotta la fronte. "Già durante il giorno Lord Stowel mi era sembrato particolarmente circospetto e la cosa mi ha fatto supporre che qualcosa stesse bollendo in pentola. Non l'ho perso di vista un attimo, ma fino a sera non è accaduto nulla di insolito. Stowel ha cenato alla solita ora e si è ritirato nei suoi appartamenti come fa tutte le sere. L'istinto mi ha comunque suggerito di restare sveglio tutta la notte, e ho fatto bene! Saranno state le quattro del mattino ed ecco che vedo un tizio entrare in casa. Non l'ho visto bene, era buio e capisci da te che non potevo certo accendere una lanterna per guardarlo in faccia, ma mi giocherei mia madre che quello era proprio Jens Lowal: l'ho seguito abbastanza spesso da essere in grado di riconoscere il modo in cui si muove e in cui respira!"

Non è molto, considera pensierosa Shana, ma è anche vero che fino a oggi Willy non ne ha sbagliata una. Tutto sommato vale la pena di indagare - con discrezione, così da non sollevare pericolosi sospetti.

"Ottimo lavoro, Willy" dice allora infilando una mano nel borsello che porta appeso alla cintura. Le basta il tatto per identificare tre grosse monete d'argento: sessanta fiorini, ovvero quanti il ragazzo ne guadagna lavorando un mese come garzone del pasticcere. "Ecco a te" dice lasciandole cadere nel palmo di Willy. "Continua a tenere gli occhi aperti e, se noti qualcosa di interessante, vieni subito da me."

Il ragazzo fa sparire le monete nella tasca dei calzoni e lascia la stanza senza aggiungere altro. Questo è uno dei tanti aspetti che Shana apprezza del suo informatore: non fa mai domande.

Mentre intercetta una domestica da mandare in cucina e servire i dolci già pronti da ore, la giovane riflette sull'informazione che ha appena ottenuto. A prima vista Laròs Stowel è un impresario irreprensibile, ma Shana è a conoscenza della sua attività di finanziatore di imprese poco lecite. All'interno degli ambienti giusti ha la fama di essere il migliore in quel campo e lei, ambiziosa com'è, non desidera altro che prendere il suo posto.

Talvolta ha accarezzato l'idea di sedurlo: non è troppo vecchio per diventare suo marito ed è sufficientemente ricco da non mettere in pericolo l'ingente patrimonio che lei ha ereditato alla morte di suo padre. Tuttavia le loro conversazioni in occasione di alcune serate di gala l'hanno convinta che Laròs è un po' troppo simile a lei per essere un buon partito. È subdolo e arrivista e Shana non è sicura che sia un tipo che ama condividere il potere.

Non è ingenua e sa che prima o poi un marito dovrà trovarselo, ma sa anche che le servirà un uomo mite e remissivo. E non troppo vecchio, pensa mentre si arrotola lungo il dito una ciocca corvina. Non ho lo stomaco per dividere il letto con un vecchio bavoso.

Mentre aspetta che i dolci vengano serviti - non ha fretta di tornare a occuparsi delle signore radunate in salotto - Shana siede davanti alla finestra e osserva distrattamente gli alberi del suo parco, che iniziano già a mostrare i primi colori autunnali.

Chissà quali affari hanno Lord Stowel e Lowal. Shana ha sentito parlare di alcuni furtarelli avvenuti negli ultimi tempi, ma nulla che possa giustificare la presenza di un criminale di tale calibro a casa del mecenate dei malfattori.

Malgrado già in passato abbia cercato di racimolare qualche informazione sul suo conto, Jens Lowal rimane sostanzialmente un mistero. Ha dimostrato di essere un criminale feroce, a capo di una banda di malviventi poco più malleabili di lui, ma i più attenti hanno notato che gli uomini che lo seguono nelle sue scorribande sono raramente gli stessi. Shana sospetta che siano mercenari, e che non sia lui stesso a pagarli.

Che lui e Lord Stowel siano soci in affari? Riflette, non per la prima volta. Lowal usa la sua fama come un'arma, spesso compie i suoi crimini a volto scoperto con l'intento di intimidire le sue vittime, ma la ragazza si chiede se non ci sia anche dell'altro, dietro alla figura del predone senza pietà.

Quello che è certo è che, se è andato a fare visita al buon Laròs nel cuore della notte, l'ha fatto per un buon motivo.

E lei ha un'idea su come fare a scoprilo, quel motivo.

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Capitolo 4
*** 4 - Il Pettirosso ***


Shana ha capito tempo fa che il miglior modo per non dare troppo nell'occhio è non esagerare con i travestimenti.

Per questo motivo quel giorno non indossa la pesante cappa di velluto dietro cui era solita nascondersi durante le sue prime uscite clandestine: non ci ha messo molto ad accorgersi che l'ampio cappuccio che oscurava il suo volto portava la gente a osservarla con più attenzione, a spiare sotto all'orlo decorato fino a decifrare i suoi lineamenti. Ha scoperto che è più sicuro indossare degli abiti di media fattura e coprirsi il capo con uno degli scialli colorati che le mogli dei mercanti utilizzano per proteggersi dal vento freddo.

Il clima la assiste: la prima pioggia di settembre ha svuotato le strade di Yevàn e i passi della giovane risuonano sul selciato e sulle pareti dei vicoli deserti. Incrocia solo pochi passanti frettolosi, gente che, come lei, ha poca voglia di fermarsi a chiacchierare. Del resto, quella è una parte della città in cui, una volta che è scesa la notte, è buona norma andare dritti per la propria strada senza attardarsi a parlare con gli sconosciuti. 

Per raggiungerla Shana ha lasciato il quartiere ovest, dimora di chi, come suo padre, si è arricchito con i proventi delle banche e del commercio della seta, e ha attraversato l'antica cittadella fortificata che costituisce il centro di Yevàn. È scivolata poi oltre la porta sud, la Porta del Vento, e ha raggiunto il quartiere più meridionale, quello che tutti chiamano Conca della Luna. Di giorno è un luogo grazioso, ricco di taverne e di venditori ambulanti, ma è di notte che mostra il suo vero volto: lì fioriscono bische e bordelli, venditori di merci di contrabbando e locali in cui si fuma nebbia.

Quella sera la Conca della Luna è più popolata del resto della città: nemmeno la pioggia autunnale è sufficiente per raffreddare i vizi e gli istinti della gente che sceglie di sperperare lì i propri risparmi.

Shana non si sente parte di quella marmaglia persa e senza morale: non è lì per piacere, ma per affari. 

Il luogo lo conosce ormai bene. L'insegna che raffigura un pettirosso stilizzato oscilla sotto i colpi del vento umido e dall'interno della taverna giungono grida, risate e il tintinnio di bicchieri posati con malagrazia sui tavoli di legno. La ragazza ignora la porta principale e si infila in un viottolo quasi invisibile sulla destra dell'edificio. È stretto e le sue spalle strisciano contro il muro bagnato, ma lei non vi bada. L'obiettivo vale ben quel piccolo fastidio. 

Il portoncino di legno scheggiato le compare di fronte all'improvviso e, come al solito, Shana annuncia la propria presenza colpendolo con un calcio. Lo spioncino si apre e la giovane vede baluginare la luce di una lanterna, poi la porta si schiude.

"Benvenuta, Lady Dellos-Maer" le dice la fanciulla che si trova dall'altra parte. Il suo tono le lascia il dubbio che la giovane non sia particolarmente felice di vederla.

Nina, questo è il nome della ragazza, è stata per molti anni una prostituta per il proprietario del locale. Poi un qualche incidente le ha portato via metà della gamba sinistra, rendendola inadatta alla professione malgrado il seno generoso e gli occhi da gatta. Quando Shana, incuriosita, ha chiesto informazioni su di lei, ha scoperto che sarebbe finita in strada, se non fosse stato per la sua mente brillante e per la sua abilità per i numeri. Ora è una contabile, tiene traccia di spese e guadagni, e accoglie la gente che viene a trovare il suo padrone. 

Sembra anche nutrire una certa antipatia per Shana, ma l'ereditiera non si è mai interrogata del motivo di quella ostilità: non le interessa, come in generale non le interessa di Nina. 

"Ho bisogno di parlare con Demòs" esordisce, senza preoccuparsi di ricambiare il saluto.

"Naturalmente" borbotta Nina afferrando più saldamente le stampelle che le permettono di muoversi. "Conoscete la strada per la stanza verde. Attendete lì, il padrone sarà subito da voi."

Shana annuisce e si incammina verso il locale che le è stato indicato, non prima di sciogliere il nodo dello scialle, liberandosi la testa dalla sua morsa umida.

La stanza verde rende giustizia al suo nome: verdi sono i divanetti ricoperti di velluto consunto, verde è il tappeto che protegge il pavimento, verde è la carta da parati che copre le pareti. Il tutto è intriso del profumo dolciastro e un po' speziato della nebbia e Shana arriccia il naso, disgustata dal pensiero dei numerosi clienti che si sono seduti lì dove adesso siede lei e hanno fumato la droga più in voga nella capitale e nell'intero regno.

L'attesa è assai più lunga di quanto si aspettasse e, quando Demòs finalmente la raggiunge, la ragazza è decisamente irritata.

Il proprietario del Pettirosso ha passato i cinquant'anni e il suo ventre sporge fiero al di sopra della cintura, ma è ancora un uomo piuttosto piacente, con grandi occhi scuri e lunghe ciglia che li fanno apparire quasi bistrati, e una barba folta e curata. Prima di sedersi su uno dei divanetti liberi si sistema la patta dei pantaloni e Shana distoglie lo sguardo per celare un moto di disgusto. Nina non sarà più in attività, ma lei sospetta che serva Demòs in più di un modo.

"Se attraverso tutta la città per venire a parlare con te, non gradisco che tu mi faccia aspettare mezzora" dice rivolgendogli un'occhiata fredda.

"Non sono alle vostre dipendenze, Lady Dellos-Maer" replica pigramente lui. "Se volete i miei servigi, dovete prima pagarmi."

La ragazza si cava di tasca un sacchetto di cuoio ingrassato e glielo getta. "Mi pare che io ti abbia sempre pagato in modo più che generoso."

Demòs dà un'occhiata all'interno del sacchetto e, anche se non sorride, Shana vede una luce soddisfatta brillare nei suoi occhi.

"Cosa posso fare per voi?" chiede l'uomo, abbandonando l'espressione pigra e trasformandosi con disinvoltura in un commerciante solerte. 

Shana va dritta al punto. "In città negli ultimi giorni c'è stato qualche furto particolarmente interessante?"

Demòs ci pensa per qualche istante. "Di furti ce ne sono tutti i giorni. State cercando qualcosa di particolare?"

La giovane riflette sulla risposta da dargli. In effetti non è nemmeno sicura che sia un furto, quello che sta cercando. Ha passato l'intera serata e la notte a meditare su ciò che Willy le ha rivelato ed è giunta alla conclusione che Lowal potesse essere a casa di Lord Stowel per i più svariati motivi. Però è soprattutto un ladro e le probabilità che nasconda una refurtiva di un certo valore sono, a parer suo, superiori a quelle che nasconda un ostaggio. 

"Nulla di particolare. Mi sono solo giunte delle voci e vorrei capire a cosa si riferiscono."

L'uomo le rivolge un sorriso educato. "Intendete impossessarvi di ciò che è stato rubato?"

In qualsiasi altro contesto Shana non tollererebbe che le si dia della ladra, ma il Pettirosso e l'intera Conca della Luna sono un mondo parallelo dove è lecito chiamare le cose con il loro nome. 

"No" risponde comunque. "Mi interessa solo scoprire di cosa si tratta." 

Non è una bugia. Non ha ancora deciso cosa farà di ciò che Lowal ha rubato. Ciò che le interessa davvero, almeno per il momento, è iniziare a farsi un nome che possa un giorno rivaleggiare con quello di Lord Stowel. 

"Capisco" annuisce Demòs. "Ebbene, se dovessi dire quale atto criminale ha attirato la mia attenzione negli ultimi giorni, vi parlerei senz'altro del furto avvenuto a casa del notaio di Lord Ardyn."

Shana aggrotta la fronte. "Quando sarebbe avvenuto questo furto?"

"Due notti fa" replica l'uomo, e lo stomaco della ragazza ha un sussulto. 

Due notti fa! Si ripete con un brivido di eccitazione. Esattamente quando Willy ha visto Jens Lowal entrare in casa di Laròs Stowel. 

"Sappiamo cos'è stato rubato?"

L'uomo scuote il capo. "Di preciso no. Lord Ardyn ha solo denunciato il furto di un oggetto di valore, senza specificarne la natura, e neanche il notaio, un tale Artem Shidaìn, si è sbilanciato in tal senso."

Shana annuisce mordicchiandosi il labbro inferiore. "E suppongo che non si conosca nemmeno l'identità del ladro."

"Non la si conosce, in effetti. Si parla di un uomo dal volto coperto."

Quell'ultimo particolare raffredda un po' l'entusiasmo di Shana, dal momento che Jens Lowal ha il vezzo di compiere i propri crimini a volto scoperto. Del resto, però, riflette, se questa volta si fosse preoccupato di non farsi riconoscere vorrebbe dire che c'è qualcosa di veramente grosso in ballo.

Shana non ci mette molto a decidere che vuole saperne di più, ma dubita che Demòs, pur con la rete di informatori di cui si serve, sappia fornirle altri dettagli.

"Ho capito" sospira l'ereditiera dopo qualche minuto. "Credo proprio che anche questa volta avrò bisogno di uno dei tuoi uomini."

Sul volto dell'oste compare un enorme sorriso, senza dubbio alimentato dal pensiero dei quattrini che presto appesantiranno le sue tasche. "Ma certamente! Posso riservarvi uno dei ragazzi che hanno lavorato per voi già in passato, se lo desiderate."

"No" ribatte subito Shana. "Mi servirebbe un uomo poco conosciuto in zona. Per nulla conosciuto in zona, se possibile."

Demòs ci pensa per qualche istante, poi annuisce. "Penso di avere la persona che fa esattamente al caso vostro."

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Capitolo 5
*** 5. Lord Ardyn ***


Un punto alla volta, Lyra sta ricucendo il lenzuolo che qualche giorno prima il bandito ha squarciato con la lama del coltello.

Non ha una reale necessità di farlo, visto che in casa le lenzuola non mancano, ma il movimento regolare dell'ago che penetra il tessuto ha un effetto quasi ipnotico e la aiuta a tenere la mente libera da brutti pensieri.

Sono soprattutto i suoi genitori a regalarglieli, i brutti pensieri: quello che a lei è sembrato un furtarello di poco conto, spaventoso solo perché avvenuto nel cuore della notte, pare averli terrorizzati. Sua madre vaga per la casa pallida come un cencio e con gli occhi sbarrati e suo padre si muove come un animale che teme di cadere vittima di un predatore. È sempre all'erta, si guarda in giro come se temesse di vedere nemici saltare fuori da ogni angolo.

Vorrei tanto sapere cosa c'era su quel foglio, pensa mentre pugnala la stoffa con l'ago. E soprattutto vorrei sapere cosa ci faceva dentro il mio letto. Ci ho dormito sopra per tutti questi anni?

È forse quello il pensiero che la turba di più. Non può evitare di sentirsi leggermente usata.

Un bussare deciso alla porta della camera la fa sobbalzare. "Sì?" chiede, lasciandosi scivolare il lenzuolo in grembo.

La porta si schiude lasciando intravedere il volto bronzeo di Mia. Ogni volta che la vede Lyra non manca mai di stupirsi di come la domestica riesca a nascondere i lunghissimi capelli corvini in una crocchia ordinata e per lo più celata da una cuffietta inamidata.

"Chiedo scusa. Tuo padre ti attende in giardino."

Mia dà del voi ai suoi genitori, ma mai a lei. Forse perché ha sette anni in più di lei e la conosce da quando era una bambina dalla salute cagionevole.

Lyra posa il lenzuolo sul letto e si alza in piedi. "Ti ha detto cosa vuole?"

"Ha ricevuto una visita di Lord Ardyn."

La giovane si ferma a pochi passi dalla porta. "... Ah?"

Mia scrolla le spalle come per dire che non sa perché l'ultimo erede di quelli che una volta erano i conti di Yevàn desideri parlare con lei.

"Ma hanno chiesto di me?" fa Lyra confusa.

La domestica annuisce. "Come ti ho detto, tuo padre ha richiesto la tua presenza. Posso immaginare che sia per parlare di quello che è successo l'altra notte..."

Mia ha ragione, naturalmente. Durante gli anni Lord Ardyn è stato spesso ospite della loro casa, ma le sue visite sono sempre state motivate dalla gestione degli affari che suo padre cura per lui. Milian Ardyn è sempre stato gentile con Lyra, ma non ha mai mostrato un particolare interesse per lei.

Cosa mai può volere da me? Si chiede la ragazza mentre scende le scale che conducono al piano terra. Non è che ci sia poi qualcosa da dire su quello che è successo l'altra notte. Quel tizio è arrivato, mi ha tirata giù dal letto e si è portato via quel foglio. Tutte cose che Papà gli ha sicuramente già detto.

Passata la pioggia che è caduta copiosa fino a quella mattina, il giardino è ora illuminato dal sole di settembre. Gli steli d'erba e le foglie degli alberi ne riflettono la luce gialla e per un istante Lyra ha come l'impressione di camminare in un sogno, in un mondo dove il tempo è sospeso e dove tutto può succedere. 

La ragazza scuote la testa per allontanare quella strana suggestione. Sua madre spesso le dice che ha la testa tra le nuvole e, in tutta onestà, lei non può negare che sia davvero così.

Il giardiniere ha sistemato un tavolino e tre sedie di ferro battuto nel punto in cui il prato è più pianeggiante: suo padre e Lord Ardyn ne occupano già due. La terza è per lei.

Lyra si avvicina ai due uomini e rivolge al nobiluomo l'inchino più aggraziato che le riesce di fare. Come di consueto, ha l'impressione di essere un pulcino che, traballante sulle zampe, si china verso l'acqua.

"Oh, Lyra, benvenuta!" le dice suo padre, salutandola con calore nonostante l'abbia vista solo poche ore prima. "Prego, siediti con noi."

La fanciulla esita, perché quello è un onore che non le è stato mai concesso prima di quel momento. Non è che Lord Ardyn le incuta particolare timore, ma non le è mai capitato di avere a che fare con una persona di rango così elevato. Mentre si accomoda sull'unica sedia libera, lo osserva con la coda dell'occhio. Deve avere più o meno l'età di suo padre, ma le pare in una forma fisica migliore. Sa per sentito dire che è un ottimo cavaliere e che è anche esperto nell'arte della scherma. Ha un viso piacevole - o così almeno le pare, Lyra non ha mai provato alcun interesse nei confronti degli uomini - con una barba curata, capelli brizzolati e ben pettinati e profondi occhi marroni. Le piacciono quegli occhi: sono gentili, e adesso le stanno sorridendo. 

"È un piacere averti con noi, signorina" le dice il gentiluomo.

"Ehm." Lei avvampa e si fissa i piedi, sentendosi soffocare nell'imbarazzo.

"Lyra è un po' timida" sospira suo padre. "Non è molto abituata ad avere a che fare con persone che non facciano parte della famiglia."

Lord Ardyn continua a sorridere. "È perfettamente normale che una fanciulla così giovane mostri una certa ritrosia. Avrà tempo per crescere e per imparare l'arte della conversazione."

La ragazza deglutisce e si mordicchia le labbra mortificata. Le sta dando dell'inetta?

"Certamente" concorda suo padre. "Nel frattempo affina la sua mente in altri campi: è una brava sarta e studia con profitto."

Il gentiluomo si illumina. "È così?"

Lyra sente di essere approdata su un terreno che le è un po' più congeniale. "Sissignore. Mi piacciono molto la matematica e le scienze naturali."

Lord Ardyn scoppia a ridere come se quella risposta lo deliziasse. "Sei anche tu brava con i numeri, eh? Chissà che un giorno tu non possa continuare a esercitare la professione di tuo padre."

Lei annuisce e poi prende coraggio. "Quella del notaio è sicuramente un'ottima professione, ma confesso che mi piacerebbe anche lavorare in una farmacia, una volta terminati gli studi."

Lui le rivolge un'occhiata stranamente penetrante. "Ti piace l'idea di rimestare pozioni, eh?"

Lyra aggrotta la fronte. "Beh, non si tratta proprio di pozioni, mio signore, quanto piuttosto..."

"Lyra, c'è tempo per decidere cosa farai da grande" la interrompe suo padre, smorzandole le parole in gola. Lei gli rivolge uno sguardo tradito: non è da lui impedirle di terminare una frase, e il suo tono brusco la ferisce. Cosa c'è di male nel voler diventare una farmacista? È sicuramente una professione più adatta a una donna che quella del notaio.

Artem Shidaìn non le lascia comunque il tempo di rimuginare troppo sul suo atteggiamento. "Lord Ardyn  desidera parlarti di una cosa ben precisa,"

La giovane sposta di nuovo la sua attenzione sull'altro uomo. "Si tratta di quello che è successo l'altra notte?"

Lui annuisce grave. "Esattamente. Sai chi era quell'uomo?"

Lyra ripensa al ladro e fa un cenno di diniego.

"Quello era Jens Lowal" le dice, facendola trasalire. "Ti era mai capitato di vederlo prima?"

Lei scuote la testa con aria persa. Jens Lowal! Si ripete allibita. Il criminale più feroce di tutta Yevàl era in camera mia e non mi ha fatto del male. 

"Mai?" la incalza il gentiluomo. "Neanche di sfuggita durante le tue uscite a cavallo o le tue passeggiate in città?"

Lei ci riflette con attenzione e poi scuote di nuovo il capo. "No, mio signore. Avrei dovuto?"

Anziché rispondere, Milian Ardyn ripiega il capo su una spalla e fa un suono difficile da interpretare. 

Lyra è confusa e anche un po' preoccupata. È sempre più convinta che ci sia qualcosa di cui sta venendo tenuta all'oscuro. Il modo strano in cui si stanno comportando Mamma e Papà, Lord Ardyn che viene qui e che parla con me e che mi chiede se ho mai incontrato quel bandito prima dell'altra notte... L'occhiata che i due uomini si stanno scambiando in quel momento, la smorfia che, per una frazione di secondo, si disegna sul volto di suo padre.

Sì, c'è sicuramente qualcosa che non va, e il non sapere cosa la fa impazzire. Per un istante Lyra si sente sul punto di urlare e di pretendere a gran voce di sapere che cosa sta succedendo, ma poi le sue buone maniere prendono di nuovo il sopravvento. 

Sbraitare non servirebbe a niente, ricorda a se stessa, ripetendo le parole che sua madre le ha detto migliaia di volte. Loro sono uomini adulti e tu sei solo una ragazzina. Loro hanno il potere e non sono tenuti a risponderti. Sii furba ed educata e magari otterrai qualcosa.

"Che cosa c'era sul foglio rubato?" chiede, e già un istante dopo vorrebbe rimangiarsi le parole. È stata troppo sfacciata? Ha chiesto troppo?

Lord Ardyn non sembra però turbato da quella domanda. "Una mappa" sospira. "Una mappa che porta a un tesoro che appartiene alla mia famiglia. O così almeno credo."

"Almeno credete?" gli fa eco lei. "Neppure voi ne siete certo?"

"Lyra..." sospira suo padre, ma il nobiluomo le sorride.

"Mia cara, sono certo che Lowal abbia rubato la mappa. Quello di cui non sono certo è che quella mappa porti effettivamente da qualche parte. Lo sai come funzionano queste cose, no? Vecchi cimeli di famiglia che risalgono a un tempo in cui la gente era superstiziosa. I nostri avi scambiavano le leggende per fatti certi; e quello che consideravano un tesoro magari non è altro che un mucchio di ciarpame senza valore. O magari un mio antenato si è divertito a disegnare una mappa che non conduce da nessuna parte solo per prendersi gioco di un rivale: chi può dirlo?"

"Ma allora perché quel brigante l'ha rubata?"

Il gentiluomo piega le labbra in una smorfia sprezzante. "Non possiamo certo aspettarci che un criminale si comporti in maniera avveduta e razionale: probabilmente è convinto che sia un ottimo modo per arricchirsi. Sono certo che ritenga più sensato seguire una mappa vecchia secoli, piuttosto che cercarsi un lavoro come farebbe la gente per bene."

Lyra riflette su quelle parole e i minuti scorrono via lenti e pesanti. Infine la giovane solleva la testa. "Ma... come faceva a sapere dove trovarla?"

Lord Ardyn la osserva per qualche istante, poi lui e il notaio si scambiano un'occhiata che a Lyra non piace nemmeno un po'.

"Non devi preoccuparti di questo" replica infine Milian Ardyn. "Non tornerà tanto presto a farti visita, questo è certo."

La ragazza abbassa lo sguardo sulla propria sottana e ci mette un attimo a capire perché quelle parole le abbiano fatto contrarre dolorosamente lo stomaco. Sospettano di me!  Comprende con improvvisa chiarezza. Pensano che io abbia incontrato da qualche parte Jens Lowal e che gli abbia parlato della mappa! 

Ma lei nemmeno lo sapeva che c'era quell'affare sotto il suo letto! E non aveva mai visto il ladro prima della notte in cui lui le era piombato in camera! Anzi, nemmeno sapeva che faccia avesse quel brigante! Come potevano pensare che...

Nello stomaco le si apre una voragine, ora, e un capogiro la costringe ad aggrapparsi alla sedia. Ha le guance in fiamme, la gola chiusa in una morsa e gli occhi offuscati da un velo di lacrime di mortificazione e rabbia. Sente su di sé gli sguardi dei due uomini, ma in quel momento non sa come affrontarli.

"Vogliate scusarmi" gracchia mettendosi maldestramente in piedi.

Con una mano premuta sulle labbra per soffocare il respiro affannoso che le sale dal petto, Lyra si allontana a grandi passi dal tavolino e dalle sedie. Con la coda dell'occhio vede che suo padre fa come il gesto di trattenerla, ma il suo padrone solleva una mano e gli fa cenno di lasciar perdere.

Sì: che la lascino perdere. Come possono pensare una cosa simile di lei? Sono stati loro a tradirla, loro a nascondere una cosa tanto preziosa all'interno della sua camera, all'interno del suo stesso letto!

Lyra corre verso casa attraverso il prato accarezzato dal sole che si sta abbassando sull'orizzonte. Quando sta per posare il piede sul primo dei gradini di marmo che portano verso il portone principale, si volta verso est: le è parso di sentire una voce, un richiamo confuso giungere da quella direzione.

Ma non c'è nessuno, e quello che ha sentito è forse solo il richiamo di un uccello. 

Lyra entra in casa.

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Capitolo 6
*** 6 - La Fossa del Gigante (parte 1) ***


"Dovremmo scendere lì sotto."

Quella di Yanik non è una domanda e il fatto che il suo compagno stia costatando l'ovvio fa scorrere un brivido di irritazione lungo la schiena di Jens.

"Sì, non siamo venuti fino a qui per godere del panorama."

Qualche metro più indietro, Tek ridacchia e continua a pulirsi i denti con una pagliuzza. Disgustoso, pensa Jens, affrettandosi a volgergli nuovamente le spalle.

Se non fosse che Laròs ha garantito per loro, si sarebbe sbarazzato già da tempo dei suoi compagni di viaggio. Nei cinque giorni che hanno impiegato per raggiungere la Fossa del Gigante ha avuto modo di conoscerli bene e di giungere alla conclusione che non sono persone che avrebbe scelto come soci.

Yanik è un ragazzotto di vent'anni o poco più con i capelli rasati e due braccia enormi. Lo sovrasta di più di una testa - e Jens pensa di avere una statura del tutto ragguardevole - e ha gambe che sembrano tronchi d'albero. È forte come un toro e del toro ha anche l'intelligenza: il bandito spera di non trovarsi mai nella situazione in cui, per trarsi d'impiccio, gli serva il cervello di Yanik e non i suoi muscoli.

Tek è invece di tutt'altra pasta. È un vecchio bandito forgiato dai crimini e dal vento della sua terra natia, all'estremo nord del continente. Ha la pelle del colore del cuoio, ruvida come il cuoio, e sottili occhi neri che vedono tutto. Tek osserva molto, parla poco, e Jens non ha dubbi che non ci penserebbe due volte prima di piantargli un coltello nella schiena, se credesse che la cosa possa dargli un vantaggio. I soldi di Laròs lo tengono a bada, ma Jens è certo che l'uomo sia una donnola pronta a colpire.

Le donnole devono però stare attente a non finire scuoiate, pensa lanciando ancora un'occhiata al più anziano dei suoi compagni di viaggio.

"Chi va per primo?" chiede Yanik, distogliendolo da quei pensieri.

"Scendiamo tutti insieme" ribatte lui osservando la forra che si inabissa a pochi metri dai loro piedi. "Una volta raggiunto l'imbocco della grotta, ci legheremo l'uno all'altro e procederemo in fila, in modo da non perderci."

Yanik osserva il terreno scosceso e irto di rocce e la sua fronte si increspa in un'espressione preoccupata. Jens sbuffa. "Non dirmi che hai paura."

Il ragazzo serra la mascella. "Non ho paura, ma l'idea di infilarmi lì sotto mi piace poco. Nessuno di noi sa cosa troveremo in quella grotta."

Jens alza gli occhi al cielo. "Vermi e scarafaggi, probabilmente."

"Elfi?" ipotizza il ragazzo. Lo dice con tono di sfida, ma l'uomo capisce che la domanda è sincera.

"Nessun elfo" replica secco. "Nessuno vede più gli elfi da secoli, nessuno sa se esistano ancora e, a dirla tutta, nessuno sa nemmeno se siano mai veramente esistiti. L'unica cosa di cui dobbiamo preoccuparci è il labirinto di cunicoli che dovremo attraversare per raggiungere la chiave."

Mentre lui parla, Tek si è tolto lo zaino dalle spalle e sta ora esaminando il  grosso rocchetto di fil di ferro che ha portato con sé.

"Ma se pensi che gli elfi non esistano, allora a che tipo di tesoro porta la chiave che stiamo cercando?" chiede dopo qualche minuto Yanik.

"A un tesoro nascosto dai vecchi conti di Yevàl. Meno affascinante dell'oro fatato, forse, ma molto più tangibile."

Jens lo dice con una perfetta faccia di bronzo e non fa trapelare il suo vero pensiero. In realtà, lui non dubita che ci siano delle creature fatate, nascoste negli angoli più remoti del continente. L'esistenza stessa del suo informatore, se può chiamarlo così, ne è la riprova. E il fatto che quella creatura sia stata in grado di dirgli dove trovare la mappa, significa che essa è stata forgiata dalla magia, o che ha per lo meno un legame con essa. E dire che sembra un banalissimo foglio ingiallito dal tempo, pensa.

Yanik non pare del tutto convinto e Jens lo guarda sorridendo con aria di scherno. "Hai paura degli elfi, ragazzo?"

Il giovane abbassa lo sguardo con espressione corrucciata. Sembra il gesto di un bambino, ma all'uomo non sfugge il modo in cui serra i pugni enormi. "E anche se fosse?" ringhia dopo qualche istante. "Mica lo so, di cosa sono capaci quelli. Si raccontano certe storie..."

Ancora indaffarato a dipanare parte del rocchetto di filo, Tek fa schioccare la lingua. Yanik si volta stizzosamente verso di lui. "Hai qualcosa da dire?"

Il criminale più anziano inarca le sopracciglia con aria sprezzante. "Io non ho paura di quelli."

Il tono in cui lo dice cattura l'attenzione di Jens. "Ma non mi dire. Devo supporre che tu ne abbia già incontrati, di elfi?"

Tek sostiene il suo sguardo e non c'è traccia di ironia nei suoi occhi scuri. "No, ma conosco il Popolo Fatato. Conosco le donne che vivono nel mare, su dalle mie parti. Quelle con la coda da pesce e quelle con la pelle di foca."

"Sirene e selkie?" chiede Jens, incuriosito nonostante tutto.

Tek annuisce. "Le prime le devi cacciare via con gli arpioni. Ammazzarle, se ti riesce, prima che loro ammazzino te e ti spolpino con i loro denti da pescecane. Ma le seconde sono morbide e rotonde e sono buone da farci l'amore. Gli piacciono gli uomini terrestri, alle selkie. A volte se li sposano anche, e sono ottime mogli."

Jens non può fare a meno di ridacchiare. "Ti sei scopato una foca?"

L'altro uomo sembra quasi offeso. "Sì, ma non era una foca, quando me la sono scopata."

Yanik ha un'aria vagamente ammirata e Jens decide che ne ha avuto abbastanza di quel discorso.  "Va bene" esclama battendosi le mani sulle cosce. "Abbiamo perso fin troppo tempo. Scendiamo lì sotto."

I suoi due compagni si fanno subito seri e attenti e Jens deve riconoscere che, se non altro, almeno sembrano ascoltarlo. 

"Dunque vado prima io?" chiede Tek.

Jens fa un cenno di assenso. "Sì. Sei quello che ha più esperienza in questo genere di esplorazione. Io ti seguo con la mappa e Yanik sarà l'ultimo. Hai capito quello che devi fare, ragazzo?"

Lui annuisce. "Devo assicurarmi che il filo sia ben saldo prima di lasciare il punto di ancoraggio e seguirvi."

"È fondamentale" sibila Tek. "Dimenticati di farlo e siamo fottuti: ci perderemo e creperemo sottoterra."

È vero, pensa Jens. Non per la prima volta, si ritrova a desiderare di avere con sé il suo informatore. Ma la cosa non è fattibile, e il gioiello che porta incastonato nel bracciale che gli cinge il polso destro è solo un misero sostituto del potere e della sapienza dell'essere che l'ha messo sulla strada del tesoro sepolto sotto le colline di Yevàn. Quella perla lucente lo avvertirà del pericolo rappresentato da creature non umane, ma non gli indicherà la via per uscire dalle viscere della terra, una volta che essa sarà persa. 

"Bene" dice, allontanando quei pensieri. "Se è tutto chiaro, avviamoci. Intendo raggiungere la chiave e tornare all'aperto prima che faccia notte."

"Sottoterra non c'è differenza tra notte e giorno" gli fa notare Tek.

"No, ma fuori sì", ribatte lui, "e voglio vedere bene quello che c'è attorno a me, quando avrò finalmente la chiave in mano."

Senza aggiungere altro, i tre iniziano a scendere lungo la parte più esterna della Fossa dei Gigante. Il fondo è ghiaioso e Jens rischia più volte di perdere l'equilibrio e di scivolare. Grandi massi calcarei dominano i fianchi dell'ampia depressione circolare che, secondo la leggenda, si è formata all'alba del mondo, quando la testa del gigante Krivy, decapitato dal fratello Vronyn, è caduta a terra . Tra la roccia grigia sbucano numerose macchie rosse: cespugli di rododendro di fuoco per il viaggiatore critico, macchie del sangue sgorgato dal collo di Krivy per chi invece crede alle leggende.

Quando finalmente giungono sul fondo della forra, il sole della mattina inizia appena a scavalcare la cresta delle montagne a est. Senza dire una parola, Tek porge loro gli imbraghi rudimentali nei quali si dovranno infilare.

Jens e Yanik li indossano con attenzione, ma il brigante più anziano controlla comunque che li abbiano chiusi correttamente e li assicura lui stesso al filo di ferro che ha iniziato a dipanare. Jens non ha dimenticato l'antipatia e la poca fiducia che nutre nei confronti del suo compare, ma sa che Tek ha ogni interesse ad assicurarsi che Jens sia al sicuro, almeno per ora: se vogliono scendere nel ventre della terra, devono farlo insieme, ed è solo insieme che potranno uscirne.

Sarà solo dopo, quando vedranno di nuovo il cielo, che dovrà tornare a guardarsi le spalle.

L'ingresso della grotta che si apre sul fondo della Fossa del Gigante è quasi invisibile, celato com'è dai rododendri, ma la mappa è precisa. Jens scosta i rami contorti ed eccolo lì: un buco nero che scende, graduale ma inesorabile, verso le profondità della terra.

Il brigante prende l'acciarino e dà fuoco alla torcia che ha portato con sé. Poi rivolge un cenno a Tek.

"Andiamo,"

L'altro uomo accende a sua volta una torcia e con essa si incammina attraverso le tenebre.

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Capitolo 7
*** 7 - La Fossa Del Gigante (parte 2) ***


Jens ha sempre pensato che sottoterra ci fosse il silenzio, ma non è così. In superficie il terreno è asciutto, ma lì sotto è tutto un cik-cik-cik di acqua, un gocciolio costante che giunge da tutte le direzioni e che rimbalza distorto e ingigantito sulle pareti irregolari del budello nel quale sta avanzando.

Al di sopra del suono dell'acqua sente il rumore del suo respiro, il tonfo dei suoi passi e il crepitio della torcia. La torcia, la benedetta torcia: Jens non aveva mai conosciuto il buio, prima di infilarsi in quella grotta.

La fiamma crea un alone di confortante chiarore nel raggio di un metro e mezzo, ma oltre a esso c'è solo il nero più impenetrabile. Solo di tanto in tanto il filo di ferro che lo collega a Tek cattura il riflesso del fuoco e manda un baluginio rossastro: una scia di luce che lo porta verso la meta.

L'uomo prosegue per qualche decina di metri e giunge nel punto in cui Tek si è fermato tempo prima: ora capisce perché gli avesse chiesto se fosse certo che la mappa indicasse di svoltare a destra.

Sollevando la torcia sopra la testa, vede che la galleria nella quale stanno procedendo si divide in due braccia divergenti. A sinistra la galleria si fa più ampia e sale leggermente verso la superficie, mentre il braccio di destra si restringe notevolmente e pare procedere sempre sullo stesso livello.

Non riuscirò a camminare normalmente, lì. Dovrò muovermi a quattro zampe. Il che significa che Yanik dovrà strisciare.

L'uomo si cava la mappa di tasca ed esamina ancora una volta il tracciato. Sì, non ci sono dubbi: devono davvero proseguire lungo quel budello disagevole.

Il vetro che protegge la torcia impedisce alla fiamma di spegnersi, ed è una vera fortuna perché, costretto a muoversi su mani e ginocchia, Jens la lascia cadere più volte.

L'uomo soffoca un'imprecazione tra i denti e continua a muoversi a carponi. La via non si fa più stretta, ma nemmeno si allarga, e Jens inizia a perdere il senso dello scorrere del tempo. Quanto è passato da quando sono scesi sottoterra? Due ore? Tre ore? È già pomeriggio? Lui e i suoi compagni si sono divisi e ritrovati già cinque volte. Se i calcoli di Tek sono corretti, sono a un tiro di corda dal raggiungere il loro obiettivo.

E se invece fossero sbagliati? Quanto possiamo andare avanti ancora prima di finire il filo?

Jens non si è mai trovato faccia a faccia con le proprie paure. Anche nelle situazioni più complicate, durante i crimini più efferati, ha sempre sentito di avere un certo margine di sicurezza, una via di fuga che gli avrebbe consentito di salvarsi la pelle.

Lì no. Lì non ci sono nemici da combattere, guardie da uccidere, ma solo inattaccabili pareti di roccia sopra di lui e attorno a lui, un terreno umido e fangoso sotto alle dita e sotto alle ginocchia. Il cunicolo è troppo stretto persino per girarsi, e Jens non può che andare avanti, avanti, avanti.

L'uomo fa un paio di respiri profondi per calmarsi e per non iperventilare, ma ormai la sua mente si è incamminata lungo un sentiero oscuro. Il reale e l'impossibile si mischiano, e per un attimo il bandito è convinto che quella galleria angusta non avrà fine, ma proseguirà verso il centro della terra per un tempo e uno spazio superiori a quelli di una vita umana.

Forse la mappa è una trappola. Forse non c'è alcuna chiave, alcuna sala sotterranea alla fine del tunnel (e poco importa che Tek abbia colpito il filo tre volte segnalando che andava tutto bene, che i suoi compagni potevano seguirlo).

Jens ricorda le parole pronunciate dalla creatura che lo serve controvoglia. Il tuo orgoglio e la tua ambizione ti portano sempre più in su, sempre più in alto, ma anche tu cadrai un giorno, così come cadono tutti i mortali, e la tua fine sarà lontana dalla luce del sole, nel freddo e nel fango: questo ti meriti.

Ha sempre pensato che quella profezia - o quella minaccia, forse - fosse da intendersi in senso figurato, ma adesso gli sembra che essa assuma una sfumatura terribilmente tangibile. Adesso lui si trova veramente nel buio. Adesso sta strisciando veramente nel fango. È quella la sua fine?

Prima che il panico possa impossessarsi di lui, però, un lieve chiarore azzurrognolo inizia a invadere il cunicolo, e cresce fino a sovrastare il bagliore rosso della torcia. Le pareti del tunnel si allargano all'improvviso e Jens si ritrova in una caverna ampia, grande abbastanza da contenere venti uomini.

Tek è seduto su un masso a qualche metro da lui e osserva la pozza d'acqua cristallina che occupa la parte destra della grotta. Jens colpisce distrattamente tre volte il filo metallico che lo unisce a Yanik, segnalando al ragazzo che si può muovere, e poi si avvicina al brigante più anziano.

La luce azzurra viene da lì, dalla pozza d'acqua e dal ruscello placido che ne sgorga, scorrendo per qualche metro prima di sprofondare nuovamente nel terreno.

"Bioluminescenza" sospira Tek.

Jens lo guarda senza capire. "Eh?"

L'altro uomo indica lo specchio d'acqua. "Ho visto una cosa simile in certi bracci di mare su dalle mie parti. D'inverno, quando il sole non sorge, l'acqua brilla. Non è opera della magia, ma di alcune creaturine quasi invisibili che vivono nel mare. Quando non c'è la luce del sole, se la producono da sé. D'estate invece sembrano dei piccolissimi insetti trasparenti. Scommetto che, se guardassimo quella pozza da vicino, ci troveremmo delle creature simili."

Jens annuisce, affascinato dalla spiegazione del suo compagno. "È un'abilità indubbiamente utile per degli esseri che vivono nel buio perenne."

Tek grugnisce in segno d'assenso e poi i due uomini attendono in silenzio che anche Yanik li raggiunga: la voce umana sembra fuori luogo in quella sala sotterranea.

A Jens il tempo per cui attendono l'arrivo del ragazzo sembra molto più breve di quello che ha impiegato ad attraversare il tunnel. Il giovane emerge sporco e ansimante dal cunicolo e rimane a bocca aperta quando vede la sala illuminata d'azzurro.

"Oh, finalmente" sbuffa cercando invano di ripulire i pantaloni incrostati di fango. "C'erano dei punti in cui credevo di non passare."

Non sembra provato dall'attraversata nel budello buio, e Jens prova vergogna per la propria reazione.

Per evitare che qualcuno raggiungesse la chiave per primo e se ne impossessasse all'insaputa degli altri, i tre hanno concordato che Jens e Tek avrebbero percorso insieme l'ultimo tratto di grotta, se il terreno l'avesse consentito. I due si scambiano un'occhiata. "Insieme?" chiede il più anziano.

Jens osserva l'ampia via che si apre nella direzione in cui devono procedere. "Va bene."

Il riverbero azzurro dell'acqua è meno forte che nella sala che hanno appena abbandonato, ma il ruscelletto che scorre ai piedi della parete destra ospita comunque un certo numero delle creature descritte da Tek e i due procedono con agio, camminando in un'atmosfera violacea che è quasi ultraterrena.

In alcuni passaggi la roccia ai loro lati sembra quasi lavorata in maniera artificiale e Jens ha un brivido di eccitazione. Ci siamo! Pensa.

Il percorso disegnato sulla mappa mostra una brusca curva a sinistra e anche la galleria che stanno percorrendo si evolve in maniera simile: pochi metri e i due uomini raggiungono quella che dovrebbe essere la loro meta.

La sala in cui entrano è ancora più grande di quella che avevano lasciato, ed è anch'essa parzialmente occupata da un piccolo lago sotterraneo. Lo specchio d'acqua è più ampio e profondo di quello che hanno incontrato poco prima, e la luminescenza è più soffusa. Le creature che la producono devono essere più numerose in superficie e formano uno strato luminoso spesso qualche decina di centimetri, mentre le acque più profonde sfumano verso il turchese, il cobalto ed un blu talmente intenso da sembrare quasi nero.

Dall'ampio soffitto a volta pendono numerose stalattiti, e i detriti presenti sul terreno suggeriscono che altrettante sono quelle che, nel corso dei millenni, si sono schiantate a terra. Jens distoglie lo sguardo con un brivido di inquietudine.

"Cosa stiamo cercando?" chiede Tek, dopo aver dato il segnale per far muovere anche Yanik.

Questa è una bella domanda, riconosce Jens studiando la mappa. Il punto in cui dovrebbe trovarsi la chiave è indicato con il disegno di un giglio, che è però semplicemente lo stemma degli Ardyn: è chiaro che non ci sono fiori lì, ma solo pietre e polvere.

"Dovrebbe essere da quelle parti" dice, inclinando la mappa così che anche l'altro uomo possa leggerla.

Tek aggrotta la fronte, mentre i suoi sottili occhi scuri sondano la penombra. "Possibile che ci fosse qualcosa che è andato distrutto?" chiede, spostando con la punta del piede una delle pietre più piccole.

Jens solleva la torcia per osservare un po' meglio l'ambiente circostante: se non trovasse alcuna indicazione utile, scaverà tra le macerie, ma vuole prima essere certo di non avere ignorato qualche indizio che potrebbe semplificargli la vita.

Uno scintillio improvviso attira la sua attenzione. "Cosa c'è lì?"

Tek si volta subito verso la direzione che gli è stata indicata e alza a sua volta la torcia. "... parrebbe una porta" mormora dopo qualche istante.

Eh già, pensa Jens mentre avanza a grandi passi verso la sagoma che si staglia sulla parete che hanno di fronte. Quando la raggiunge vede che è veramente una porta: è priva di maniglia, ma l'intaglio nella roccia è troppo netto per essere casuale. Sulla sinistra si intravede il meccanismo dei cardini. Con poche speranze, l'uomo colpisce la porta con una spallata, ma questa non si muove.

"Si apre verso l'interno" dichiara quando Tek gli si avvicina.

L'uomo del nord fa scorrere la punta delle dita lungo la fessura ai lati del lastrone, forse alla ricerca di una serratura nascosta. "Chi pensi che l'abbia costruita?"

"Non gli Ardyn, perché altrimenti non si spiegherebbe il bisogno di mappare un percorso così scomodo quando c'era una via probabilmente più rapida e sicura" replica Jens.

Tek si è accucciato a terra e improvvisamente grugnisce. "Non gli Ardyn, no."

"Che c'è?" fa l'uomo più giovane, abbassandosi al suo livello.

Sulla parte inferiore della porta ci sono alcune iscrizioni argentee: è su di esse che è rimbalzata la luce delle torce, attirando la loro attenzione. I due le esaminano per qualche istante e poi si guardano. "Sai leggerle?" chiede Tek.

Jens scuote il capo. "Neppure tu, suppongo."

"Non è una lingua che conosco" conferma il brigante.

È una lingua che nessuno conosce, a parte gli elfi, pensa Jens, certo che anche il suo compagno stia avendo pensieri simili. In realtà quelle incisioni potrebbero essere state fatte da un popolo sconosciuto, ma comunque umano, o potrebbero essere parte di un codice cifrato, volutamente incomprensibile; tuttavia all'interno di quella grotta la loro natura elfica pare più plausibile di qualunque altra supposizione.

In quel momento anche Yanik giunge nella sala. "Dunque?" chiede a gran voce. "Dov'è la chiave?"

Dopo aver guardato un'ultima volta le incisioni lucenti, Jens si allontana dalla porta: non c'è altro da vedere, lì.

"È quello che stiamo cercando di capire" dice avvicinandosi al giovane. "Credo proprio che ci toccherà scavare tra quelle pietre: sei pronto?"

Yanik guarda dubbioso i detriti ammassati nella zona che Jens gli ha indicato. "Io sono pronto, ma la vedo dura, se speriamo di trovare una chiave tra quel casino."

Ha ragione, naturalmente, ma che altro possono fare? "Un motivo in più per iniziare subito" replica suadente.

Illuminato dalle torce dei suoi compari, il ragazzo inizia spostare un sasso dopo l'altro, sostenendo lo sforzo con respiri pesanti e regolari. Accovacciato accanto a lui, Jens non può fare a meno di ammirare segretamente la forza del giovane, la precisione con cui lavora nonostante la fatica.

Sentendosi in dovere di non essere da meno, abbassa lo sguardo su una grossa pietra che si trova ai suoi piedi e valuta se non sia il caso di afferrarla a due mani e spostarla, se non altro per velocizzare le operazioni. Sarebbe in grado di farlo?

Distrattamente sfiora con le dita la superficie del sasso, smuovendo il sottile strato di polvere e impalpabile muffa grigiastra che lo ricopre. Il movimento è sufficiente per fare emergere un'irregolarità che lo incuriosisce.

Strofinando il sasso con più energia, ne libera la superficie: su di essa è impressa la sagoma inconfondibile di un fiore. Non è un giglio, ma qualcosa che ci assomiglia molto, e sfiorandolo con le dita sente che non è inciso, come aveva pensato in un primo momento, ma leggermente in rilievo: un fiore di pietra schiacciato e appiattito contro una pagina dello stesso materiale.

"Questo mi sembra un buon indizio" osserva la voce di Tek da sopra la sua spalla.

Jens annuisce senza staccare gli occhi dal fiore. "Sposta questa" dice.

Yanik si affretta a obbedire. Le sue mani afferrano la pietra da entrambi i lati e la sollevano come se non pesasse nulla. Al di sotto di essa c'è una buca scavata nel terreno: non è molto profonda, trenta centimetri al massimo, e al suo interno c'è un piccolo scrigno di legno.

Trattenendo il fiato, Jens lo afferra e se lo posa sulle ginocchia. C'era una serratura, un tempo, e in un certo senso c'è ancora, ma l'umidità della grotta ha ormai attaccato il legno, rendendolo fragile e marcescente. Le dita dell'uomo lo frantumano con agio.

"Quindi?" lo incalza Yanik.

Sul volto del brigante si disegna un sorriso storto. Jens solleva lentamente un braccio ed espone la mano alla luce delle torce: tra le sue dita scintilla una piccola chiave di bronzo.

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Capitolo 8
*** 8 - Una voce nella notte ***


Sono tre notti che Lyra non dorme. Non riesce nemmeno più ad addormentarsi perché sa che quando le stelle avranno compiuto un quarto del loro giro, la voce la chiamerà.

L'attesa è troppo grande per scivolare tra le braccia del sonno, fosse anche solo per qualche ora.

La sua salute, quella cosina fragile che si trascina dietro fin da quando è nata, ne sta già risentendo. Si sente spossata, priva di forza, e occhiaie profonde segnano il suo volto magro, pallido anche quando è in perfetta forma.

Sua madre si preoccupa, le lancia occhiate colme d'angoscia e ogni occasione è buona per chiederle se va tutto bene, se c'è qualcosa che le fa male.

Lyra sospira e scuote il capo, perché la verità è che non c'è nulla che non vada in lei: l'unico problema è quella voce.

Non osa parlarne con nessuno, perché nessun altro sembra sentirla. È piuttosto sicura che la prenderebbero per matta: sentire le voci non è mai un bel segnale; e Lyra conosce fin troppe storie di povere ragazze con la mente fragile e delicata condannate a finire la loro vita in un manicomio.

E sì, se l'è chiesto se la voce che sente c'è davvero o se è solo dentro alla sua testa, ed è giunta alla conclusione che è reale. Se si tappa le orecchie viene soffocata dal battito del suo cuore, se infila la testa sotto il cuscino risulta attutita. Quindi c'è davvero qualcuno che la chiama, da qualche parte tra i prati dell'est: resta da capire chi è.

Con gli occhi spalancati nel buio della sua camera da letto, la ragazza stringe tra i pugni l'orlo del lenzuolo e aspetta che la voce si faccia sentire.

... ah...

Eccola. Sulle prime è solo una sillaba, un sospiro che si confonde con il verso di un uccello notturno.

... ira...

Sì, sono io, risponde silenziosamente la ragazza. Cosa vuoi?

Lyra.

Dopo un po' il richiamo si fa perentorio. È difficile dare un'identità a una voce priva di timbro, ma lei è convinta che sia una donna a chiamarla. O, se non proprio una donna, almeno una femmina di qualche tipo.

Per le ultime tre notti Lyra se n'è rimasta inchiodata nel letto, troppo intimorita per alzarsi e provare quantomeno a capire da che direzione giungeva esattamente quel richiamo, ma quella notte decide che ne ha abbastanza. È stanca morta, ha mal di testa e quel mistero inizia a irritarla. È il momento di provare a vederci chiaro.

Lyra calcia via le coperte e infila la vestaglia di lana sopra alla camicia da notte che un tempo era appartenuta a sua madre, poi pesca dalla sedia posta da parte al letto un paio di pesanti calzettoni di lana grezza che le arrivano fino al ginocchio. Una volta indossati, afferra anche gli stivali di pelle che usa per andare a cavallo, ma aspetta a calzarli: se vuole raggiungere la porta, deve scendere le scale e, se vuole scendere le scale senza fare rumore, deve restare scalza. 

Muovendosi in punta di piedi, la ragazza si avvia giù per i gradini e tira un sospiro di sollievo quando vede che dalla camera dei suoi genitori non giunge alcun suono. Bene, pensa. Stanno dormendo.

Chi ha il sonno più leggero è invece Mia, che occupa una minuscola stanzetta al pianterreno. Spesso la notte la sente rigirarsi nel letto, ogni tanto la sente persino camminare tra la cucina e la sala da pranzo. Le passeggiate notturne della domestica non sono un mistero: dice che lo fa per prendere sonno, perché a volte la casa è troppo silenziosa per lei, nata e cresciuta in una famiglia numerosa nelle steppe a occidente.

Lyra si acquatta sull'ultimo gradino e resta in ascolto, nascosta nell'ombra del corrimano di legno massiccio. Non sarà così sfortunata da incontrare Mia proprio quella notte. La ragazza tende le orecchie.

Bene. Sembra tutto silenzioso.

Stringendo in mano gli stivali, scivola via dalla scala e raggiunge la porta d'ingresso. Da quando Jens Lowal è venuto a far loro visita, di notte viene chiusa a chiave. La serratura è sicura, ma ha un grosso difetto: è tremendamente rumorosa.

Lyra appoggia una mano sul pannello di legno e con l'altra impugna la chiave e, con estrema attenzione, la gira.

Lo schiocco del metallo sembra un colpo di moschetto. Gli fa eco il cuore della ragazza, che dal petto le balza in gola.

Maledizione! Pensa Lyra chiudendo gli occhi e aspettandosi di venire sorpresa da un momento all'altro. La casa rimane però silenziosa e dopo qualche istante la fanciulla si permette di esalare un sospiro di sollievo.

Adesso dev'essere veloce. Si infila rapidamente gli stivali di cuoio ed esce sul patio, ma, quando sta per chiudersi la porta alle spalle, una voce ben nota la fa sobbalzare.

"Chi va là?"

Per un istante Lyra ha l'istinto di scaraventarsi in avanti e scappare a rotta di collo verso il cancello di ferro battuto che separa il giardino dal mondo esterno, ma sa bene che, all'occorrenza, Mia corre più velocemente di lei.

"Sono io" sospira allora facendo un passo indietro e permettendo alla domestica di vederla.

È chiaramente appena scesa dal letto: i capelli scarmigliati sono raccolti in una spessa treccia corvina e la camicia da notte le è scivolata lungo un braccio, mettendo in mostra una spalla liscia e dalla pelle ambrata. In mano tiene una candela mezza consumata.

"Lyra!" esclama sorpresa. "Cosa ci fai in piedi a quest'ora? E perché sei... Stavi uscendo?"

Mia sembra scandalizzata dalla prospettiva di una scampagnata notturna.

La ragazza sospira e abbassa lo sguardo a terra. "Volevo solo prendere un po' d'aria in giardino. Non riesco a dormire."

Sulla fronte liscia della donna si formano due rughe profonde. "Con questo freddo? Non se ne parla nemmeno! Torna a letto: se tua madre lo venisse a sapere, mi farebbe passare dei guai!"

Lyra sgrana gli occhi e assume l'espressione più innocente che le riesce. "Ma non lo saprà mai: vado solo in giardino. Torno subito, lo giuro! Lo dici sempre anche tu, che quando non riesci a prendere sonno ti fa bene camminare un po'."

È difficile essere convincenti quando non si può alzare la voce, e infatti la domestica è inamovibile. "Sì, ma in casa. Al caldo."

Non c'è molto che Lyra possa dire per convincerla a lasciarla uscire. A meno di raccontarle della voce che la tiene sveglia di notte, ovviamente. La ragazza lancia uno sguardo carico di rimpianto al giardino: se si concentra, sente ancora l'eco del richiamo che le chiede di lasciare la sicurezza della sua casa e di dirigersi verso est.

"Hai fatto un brutto sogno?" le chiede premurosa Mia; e all'improvviso Lyra intravede la possibilità di liberarsi di parte del peso che la opprime ormai da giorni.

"Sì" improvvisa, preparandosi a creare una bugia che però non è troppo lontana dalla realtà. "È un sogno ricorrente, in effetti."

La domestica la guarda incoraggiante.

"Sogno di essere in campagna", continua la ragazza, facendo un vago gesto verso levante, "da qualche parte là a est, tra le colline. C'è una donna che mi chiama, ma io non riesco a vederla in faccia, né a raggiungerla. È angosciante, e quando mi risveglio faccio fatica ad addormentarmi di nuovo."

"Hm-hm" annuisce Mia, come se quello che le ha raccontato avesse perfettamente senso.

Lyra deglutisce e poi continua. "Mi sembra quasi che mi manchi il fiato: è per questo che volevo uscire un po' in giardino."

Mia le passa un braccio attorno alle spalle. Malgrado la familiarità con cui la tratta, la domestica è solitamente attenta a mantenere le distanze e quel gesto così intimo quasi commuove Lyra: sa che la giovane era solita a badare a una moltitudine di fratelli minori e si chiede se in quel momento Mia non la veda come una sorta di sorellina da proteggere.

"Sai cosa penso?" le chiede la giovane dopo un po'.

"Uh?"

"Credo che il fattaccio con quel bandito, l'altra notte, ti abbia scombussolata più di quanto credi."

Lyra dubita che sia quello il problema, ma abbozza comunque un sorriso. "Può essere."

"È normale che tu sia spaventata e faccia fatica a dormire" insiste Mia. "Ti ha buttato giù dal letto nel cuore della notte!"

La ragazza si passa una mano sugli occhi, sentendo che la stanchezza sta tornando a farsi sentire con prepotenza. "Probabilmente hai ragione."

"Sei poi ci aggiungi tutto il parlare che si fa in questi giorni di tesori nascosti sottoterra, non mi stupisce nemmeno che tu abbia sognato di trovarti tra le colline."

Lyra la guarda senza capire. "Di cosa stai parlando?"

Un'espressione sorpresa si disegna sul volto della domestica. "L'articolo che è uscito un paio di settimane fa sul Corriere di Yevàn. Le tesi di quel professore che crede che sotto le colline a est ci sia un antico tesoro. Quello che dice di aver trovato dei testi che lo provano..."

La ragazza scrolla lentamente il capo, mentre una strana inquietudine le fiorisce nel petto. "Non ne ho mai sentito parlare..."

Mia alza gli occhi al cielo e con una mano chiude la porta d'ingresso, mettendo definitivamente fine alle velleità di fuga di Lyra. "Ma com'è possibile? La cosa è sulla bocca di tutti! Basta andare al mercato per sentire almeno dieci teorie diverse su cosa sia di preciso questo tesoro."

"Io non ci vado mai, al mercato" pigola Lyra.

L'altra giovane sbatte lentamente gli occhi. "Oh, è vero. Ma qualche voce ti sarà arrivata sicuramente, anche se non te lo ricordi. C'è questo tizio che dice di aver studiato diversi testi risalenti a qualche secolo fa e di essere giunto alla conclusione che la leggenda del Tesoro degli Elfi sia vera almeno in parte."

In un certo senso si può proprio dire che qualche voce mi sia arrivata, pensa Lyra con una smorfia. Forse Mia ha ragione, forse si sta lasciando suggestionare da qualche chiacchiera che ha sentito e poi dimenticato, ma nel suo animo sa che non è così.

C'è un dubbio che la assilla. "Secondo te ha ragione?"

Mia sventola una mano come per scacciare un insetto molesto. "Sono solo chiacchiere buone per intrattenere la gente che non ha niente da fare. A chi non piace fantasticare su un mucchio d'oro senza padrone?"

Lyra annuisce, ma la sua mente sta girando vorticosamente. Quando, pochi minuti prima, si è inventata un sogno da raccontare a Mia, le è venuto istintivo parlare delle colline. Non c'è una ragione precisa per cui l'ha fatto, ma ora è certa che è lì che deve andare, se vuole trovare l'origine della voce che la tormenta tutte le notti.

Lo smarrimento che prova glielo si deve leggere in faccia, perché Mia la sospinge verso le scale. "Coraggio", le dice, "torna in camera. Ti porto un bicchiere di latte caldo: fa miracoli per l'insonnia."

Non avendo alternative, la fanciulla obbedisce e poco dopo la domestica la raggiunge tenendo tra le mani un bicchiere fumante. "Piano, che scotta" le raccomanda nel porgerglielo.

Mentre Lyra sorseggia il latte, Mia si siede sul bordo del letto. "Sai, stavo pensando che una volta anche a me è successa una cosa del genere."

La ragazza solleva lo sguardo dal copriletto e lo sposta sull'altra giovane. Ha le mani in grembo e gli occhi persi in un ricordo lontano.

"Sì?" chiede, incuriosita dall'espressione sul volto di Mia.

Quella fa un cenno d'assenso e aggrotta appena le sopracciglia. "Sì. Me l'ero dimenticato, ma me l'hai fatto tornare in mente. Ero ancora a casa mia ed ero molto piccola. Avevo tre o quattro anni al massimo, credo. Nelle steppe abbiamo questa leggenda, una sorta di spauracchio per i bambini capricciosi. È una specie di demone che si nasconde nelle ombre e che si mostra solo quando il sole sta per tramontare. Credo che serva per convincere i bambini a tornare a casa prima che faccia buio."

Lyra annuisce, vedendo la logica in una leggenda del genere.

"Ne ero ovviamente terrorizzata e portavo sempre al collo un amuleto che aveva creato mio nonno con pelle di daino e... Beh, un amuleto che serviva come protezione contro questo demone" continua Mia. "Era una specie di ossessione e una notte me lo sono sognata e, credimi, era un sogno talmente vivido che per parecchio tempo ho pensato che fosse reale. Se ci ripenso mi vengono ancora i brividi. Mi ricordo ancora la luce del crepuscolo, la neve, gli artigli di un'enorme creatura nera che cercava di afferrarmi... Un incubo, nel vero senso della parola."

Mia si azzittisce con un brivido e Lyra la guarda con gli occhi sbarrati. Era un sogno? Vorrebbe chiedere. Era davvero soltanto un sogno?

La domestica si riscuote come per scrollarsi di dosso il ricordo e balza in piedi. "Be', e adesso ti auguro una buona notte; e mi raccomando: non preoccuparti troppo dei sogni. A volte fanno paura, ma la mattina dopo non hanno più alcuna importanza."

La fanciulla annuisce e si tira la coperta fin sotto il mento, sperando che il latte caldo la aiuti davvero a prendere sonno.

Il suo tentativo di addormentarsi ha però vita breve.

Lyra!

La giovane sobbalza. Non se l'è sognato, quel grido, non se l'è immaginato, e se nessun altro lo sente, un motivo deve esserci.

Mossa da una sicurezza che viene da una parte di sé che sente di non conoscere fino in fondo, indossa nuovamente gli abiti che si è levata poco prima e scende di nuovo le scale. Adesso sa che nessuno la sentirà, sa che Mia non ha chiuso a chiave la porta d'ingresso, sa che nessuno la fermerà mentre apre il pesante cancello di ferro battuto.

Ha solo un attimo di incertezza quando muove i primi passi sulla strada che porta verso la campagna, ma è questione di poco: un respiro profondo e poi via.

Non fino alle colline, ma almeno alla ricerca di qualche risposta.

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Capitolo 9
*** 9 - La Dama Bianca ***


Lyra adesso si sente stupida. La sicurezza che l'ha guidata fuori di casa e attraverso i campi è svanita non appena il vento d'autunno si è levato e ha iniziato a infilarsi sotto la sua camicia da notte, superando la protezione degli stivali e dei calzettoni di lana.

Che pessima idea che ho avuto! Si dice mentre rabbrividisce e si stringe addosso la vestaglia pesante. Cosa mi è venuto in mente di venire fino a qui?

Non ha idea di quanto abbia camminato. Non si è persa, perché quelle sono zone che visita con una certa frequenza in sella a Mora, la sua giumenta pezzata, ma di sicuro non si è mai spinta tanto lontano affidandosi solo alla forza delle sue gambe.

Chissà se qualcuno si è accorto della sua assenza. Chissà se qualcuno la sta cercando.

Farei bene a tornare indietro, prima che mi pigli un accidente. Glielo dice sempre la mamma: non deve scherzare con la sua salute. Lei non se lo ricorda, ma quando era piccola ha rischiato di morire per una brutta polmonite.

Lyra si guarda alle spalle, nella direzione da cui è arrivata. Sì, sarebbe davvero il caso di tornare a casa, ma in lei c'è qualcosa che si ribella a quell'idea.

Lyra.

La voce continua a chiamarla. Ha perso la nota urgente che aveva quando l'ha tirata giù dal letto: ora è più dolce, quasi suadente. Non sembra più un ordine, ma un invito.

Ancora un pochino, decide, mentre si allontana da casa di un altro passo.

Fino a dove vuoi arrivare? Le chiede la sua coscienza. Fino alle colline?

No, ovviamente no, si risponde. Sente che non ci sarà il bisogno di arrivare fino a là: la risposta che cerca è molto più vicina.

Il pensiero che è stata fortunata a non fare brutti incontri la sfiora, ma del resto quella è una via poco frequentata. Ha lasciato presto l'ampia strada di terra battuta che parte dalla casa di suo padre e ha imboccato un sentiero secondario. Durante il giorno è utilizzato dai pescatori, dai cercatori di funghi e da chi desidera fare una passeggiata a cavallo, mentre di notte è frequentato solo da volpi, tassi e altre bestiole che scendono ad abbeverarsi al fiume.

Non c'è nulla di cui avere paura.

Da qualche parte lassù devono esserci le stelle, ma il cielo è ingombro di nubi e la ragazza si muove nel buio più totale. La cosa non la disturba: pur con la sua salute cagionevole, ha sempre avuto un'ottima vista, tanto di giorno quanto di notte.

È grazie a quei suoi occhi particolarmente acuti che riesce a vedere la foschia quasi impalpabile che si leva dal corso d'acqua che gorgoglia alla sua destra. È un torrente di poco conto, poco più di un ruscello che scorre tra irregolari massi di granito e spiaggette di ghiaia argentea, ma di notte certe cose sembrano ingrandirsi, farsi più imponenti e maestose.

Ora che vi presta attenzione, Lyra si scopre attratta da quella traccia evanescente. La nebbia si muove, si arriccia in spire simili a tentacoli: se li osserva bene, sembra quasi che le facciano cenno di avvicinarsi.

Lyra si blocca nei pressi di una curva del sentiero e affonda le dita dei piedi nella lana ruvida delle calze. Le erbacce che crescono ai lati del tracciato, cicute e ortiche e lamponi selvatici, le sfiorano la camicia da notte con le loro foglie bagnate. L'umidità non ci mette molto a penetrare fino alla pelle della ragazza, ma lei non vi bada. I secondi scorrono lenti e lenta cresce in lei la convinzione che quella è la via che deve percorrere: non deve seguire il sentiero, ma il corso del fiume.

L'idea di attraversare l'erba bagnata non è per nulla allettante, ma Lyra si dice: non sono venuta fino a qui per niente. Andrà a dare un'occhiata e poi tornerà indietro.

Stringendosi la camicia da notte attorno alle gambe per evitare che rimanga impigliata nei rovi, la fanciulla si addentra tra la vegetazione bassa, ma folta. Rischia di inciampare un paio di volte: qualcosa, forse delle radici o forse solo delle erbacce particolarmente coriacee, le aggancia i piedi e le fa perdere l'equilibrio, ma lei riesce miracolosamente a non rovinare a terra.

Attenta, adesso, si raccomanda quando raggiunge i primi sassi di fiume, lisci e tondeggianti. L'acqua scorre poco lontano e un bagno fuori programma metterebbe fine alla sua esplorazione, perché fa davvero troppo freddo per girovagare per la campagna con addosso dei vestiti fradici.

Ora che si trova nel greto del torrente, vede che la nebbia, anziché diradarsi, sembra farsi più fitta. Aleggia a una decina di centimetri dal terreno e se guarda in basso Lyra vede i propri piedi più chiaramente del resto delle gambe. Non ha mai badato prima di ora al comportamento della nebbia, ma quella stratificazione le sembra insolita.

Per un po' cammina ai margini del torrente, tra la sabbia, la ghiaia e la fanghiglia che le imbratta gli stivali, ma dopo poche centinaia di metri il greto si stringe e la ragazza è costretta a muoversi saltellando da un sasso all'altro. Mulinando le braccia per non perdere l'equilibrio, Lyra si ferma su un masso piatto che le consente di riprendere fiato. Cosa accidenti stai facendo? Si chiede, rendendosi conto della situazione. È notte fonda e lei è appollaiata su un sasso in mezzo a un fiume, vestita solo con la camicia da notte e la vestaglia e intenta a seguire una voce che nessun altro sembra sentire. Sei completamente impazzita, non c'è altra spiegazione!

Facendo un respiro profondo, si stringe addosso la vestaglia di lana e rabbrividisce. Basta così, decide. Ha seguito fin troppo a lungo la pazzia momentanea che si è impadronita di lei e l'ha spinta a lasciare la sicurezza del suo letto e della sua casa. Adesso è ora di tornare indietro, prima che qualcuno si accorga che è sparita. Nessuna persona sana di mente farebbe mai quello che lei ha appena fatto. Qua finisce che mi rinchiudono davvero in un manicomio! Si dice in preda all'angoscia.

Lyra ruota su se stessa e fa per tornare indietro – sperando di riuscire a ritrovare il sentiero, con quel nebbione! – quando un evento eccezionale le fa balzare il cuore in gola.

Come se avesse intuito le sue intenzioni, la foschia si dirada lievemente e l'acqua del fiume si tinge di un azzurro ultraterreno. Non è solo colore, ma è luce, e per un attimo il torrente pare divenire una bizzarra torcia.

La luce pulsa, si fa più intensa a poca distanza dai piedi della giovane, fino a diventare di un bianco quasi incandescente e poi, muovendosi come un'onda che risale la corrente, scorre su per il fiume. Ne seguono altre, più piccole e meno intense, ma alla fanciulla il significato di quell'evento pare inequivocabile: qualcuno (o qualcosa) la sta invitando a proseguire.

A confermare quel pensiero arriva anche la voce, che di nuovo la chiama. Lyra, le dice con gentilezza. E poi: vieni!

Quella richiesta è nuova. Fino a quel momento, la voce non aveva fatto altro che pronunciare il suo nome. Ora le sta parlando, si sta rivolgendo a lei come farebbe una persona qualunque, e Lyra si accorge di avere paura. Ora che ha la certezza che ciò che sta avvenendo non esiste solo nella sua mente (non sarebbe mai stata in grado di inventarsi un'acqua di quel colore!) teme di scoprire cosa c'è alla fine del sentiero – o del fiume.

La sua mente corre a ciò che le ha raccontato Mia, a demoni con le dita di tenebra, alle fate e agli elfi che popolano le leggende di Yevàn, e Lyra si porta nervosamente una mano alle labbra e inizia a rosicchiarsi le unghie. Cosa può fare? Vorrebbe correre a casa, ma teme che sia troppo tardi per farlo. C'è qualcuno che vuole che lei vada avanti, e chi può dire come reagirebbe se disobbedisse a quell'ordine?

Con gambe tremanti, decide di proseguire ancora. Le onde luminose la accompagnano fino a un'ansa dietro alla quale il fiume si allarga formando una pozza poco profonda. Lyra ricorda vagamente di esserci andata a giocare una qualche volta, quando era bambina.

L'acqua riluce di un bagliore celeste e, seduta sulla riva più lontana, c'è una donna. Siede sulla spiaggia di ghiaia, ma le sue gambe sono immerse nell'acqua. Porta abiti bianchi, una veste di foggia antiquata con un'ampia gonna, un corpetto aderente che le lascia le spalle scoperte e delle maniche larghe e leggere. I lunghi capelli pallidi le scendono sul petto e sulle spalle in onde morbide e sembrano completamente inzuppati.

Lyra non è in grado di scorgere i dettagli del suo viso, ma è subito colta dalla più strana delle sensazioni: l'aspetto della sconosciuta è nuovo e alieno, e tuttavia la fanciulla ha l'impressione di trovarsi di fronte a qualcosa che un tempo era noto, ma che è stato poi dimenticato.

Non si mostra sorpresa di vederla, ma sorride e allunga una mano verso di lei. "Benvenuta, Lyra" le dice con una voce che la giovane conosce bene.

Anche la sua pelle sembra brillare, ma forse è merito dell'acqua che la bagna.

La ragazza rimane impietrita, combattuta tra il desiderio di scappare e uno strano istinto che invece la spinge ad avvicinarsi alla donna in bianco.

Davanti alla sua esitazione, quella le fa ancora cenno di avvicinarsi. "Perché resti lì? Non avere paura, vieni."

Facile dirlo, per te! Pensa la fanciulla con una smorfia. Non riesce a dare un nome alla creatura che le sta davanti: la ragione le suggerisce che si tratta di una donna dalle abitudini bizzarre, ma c'è quella luce nell'acqua, ci sono i suoi abiti strani e quel certo non so che che le morde lo stomaco ogni volta che i suoi occhi si soffermano un po' troppo sulla sconosciuta.

Ma che scelta ha, se non fare quello che le viene chiesto? Stando bene attenta a non entrare in acqua, Lyra aggira la pozza e arriva a pochi metri dalla donna. Lì si ferma e si schiarisce la voce, cercando la forza di porre almeno una delle tante domande che le riempiono la testa.

"Siete voi che mi chiamate tutte le notti" dice. Vorrebbe articolare la frase come una domanda, ma l'intonazione è tutta sbagliata e forse va bene così.

La donna annuisce e la guarda con aria serena.

Lyra si torce nervosamente le mani, sentendosi decisamente fuori dal proprio elemento. "Perché? Cosa..." 

Cosa volete da me, stava per chiedere, ma riesce a fermarsi prima di porre una domanda così poco cortese.

"Cosa posso fare per voi?" chiede invece.

La dama sorride e con le dita sfiora la ghiaia argentea. "Ti prego, piccola mia: siediti."

Lyra esegue, ma sta bene attenta a mantenere una certa distanza di sicurezza. Vista da vicino, la donna è incantevole: ha un volto dalle proporzioni perfette, grandi occhi che sembrano dello stesso azzurro dell'acqua (ma forse è solo il riflesso della luce a renderli così), un naso delicato, labbra morbide e rosate e una pelle che pare di porcellana. Quando cerca di darle un'età, però, si trova in difficoltà: non è il volto di una fanciulla nel fiore degli anni, ma nemmeno quello di una matrona che ha già visto molto della vita. È piuttosto un viso che esiste al di fuori del tempo, quasi il ritratto di una bellezza ideale che un artista ha dipinto piegando a proprio piacimento le leggi del mondo e della natura. 

"Non ricordi il giorno in cui ci siamo già incontrate, vero?"

La ragazza sgrana gli occhi e scuote la testa. No, non ricorda di aver mai visto quella donna. Sono piuttosto certa che me la ricorderei, pensa aggrottando la fronte e sforzandosi di riportare alla luce un ricordo forse smarrito. C'era però quella sensazione che aveva provato nell'istante in cui l'aveva vista, quello strano senso di famigliarità...

"È naturale" dice la dama in tono accomodante. "Eri molto piccola."

Lyra è colpita da un'illuminazione improvvisa. Ora che dice così... ora che sa che era molto piccola quando si sono incontrate per la prima volta...

"È stato quand'ero malata?" le chiede, cercando poi subito una conferma sul viso della sconosciuta.

Lei rimane impassibile, ma annuisce. "Sì. Ricordi, ora?"

Lyra è costretta a negare di nuovo. "No, purtroppo no. Però so di essere stata molto malata da bambina e di aver sofferto per una brutta polmonite. So che ho rischiato di morire, ma i miei genitori non mi hanno mai spiegato come abbiano fatto a curarmi. Siete..."

La domanda le muore sulle labbra, perché Lyra non ha il coraggio di pronunciarla ad alta voce. Stava per chiederle se era stata lei a curarla, ma farlo significherebbe riconoscere che c'è qualcosa di strano - qualcosa di sovrannaturale, forse - in quella dama dai capelli bagnati.

"Sono stata io a farti stare meglio?" conclude per lei la signora. "Sì, siamo state io e le mie due sorelle. Sono lieta di vedere che sei guarita, sei cresciuta e ti sei fatta forte."

Lyra arrossisce. "Be', insomma. Proprio forte non direi." Poi avvampa, perché non è mai una buona idea contraddire un adulto, soprattutto uno che è in una posizione sociale che è con ogni probabilità superiore alla sua. Le sarò sembrata un'ingrata?

"Però sei sana" taglia corto la signora. "I bambini che hanno un inizio come il tuo spesso non hanno una vita facile, ma vedo che tu sei più fortunata di molti."

La fanciulla china il capo. "Con ogni probabilità è merito delle vostre cure" commenta, anche se, in verità, non ha idea di quali siano le cure che le sono state prestate.

Medicine? Preghiere? Erbe officinali? Magia?

Con la coda dell'occhio, Lyra prova a spiare le orecchie della sconosciuta. Le leggende narrano che gli elfi e le fate abbiano le orecchie appuntite: più corte i primi, più lunghe le seconde. Le orecchie della signora però non si vedono, sono coperte dai suoi lunghi capelli dorati.

"È possibile, sì" concorda la donna, e poi tace.

Lyra avverte un silenzio pesante calare sopra la pozza d'acqua, e un brivido freddo le scorre lungo la schiena. Le leggende non raccomandavano forse di non fare mai accordi con il popolo fatato, perché prima o poi si sarebbe stati costretti a pagare un prezzo salato per il favore ricevuto?

Ma io non ho chiesto niente! Pensa con disappunto. Ammesso che questa storia sia vera, sono stati mamma e papà a chiedere a delle... a delle fate, o a delle streghe, di curarmi!

"E adesso volete che io faccia qualcosa per voi?"

Non è la più elegante delle domande, ma Lyra sente di dovere assolutamente avere una risposta.

La dama la fissa con i suoi occhi di fuoco azzurro. "Credi che ti abbia chiamata a me perché intendo riscuotere un favore?"

La fanciulla avvampa e china nuovamente il capo. "Io... io non so..." farfuglia.

"No, piccina", la tranquillizza la donna, "io chiamo sempre a me i miei bambini quando sono sul punto di varcare la soglia che separa l'infanzia dall'età adulta."

"Oh" sospira Lyra. Quella spiegazione le sembra stranamente toccante.

"Tuttavia..."

Il sospiro di sollievo si incastra nella gola della ragazza.

"Tuttavia", continua la dama, "in effetti ci sarebbe una cosa che potresti fare per me. C'è un oggetto che ho smarrito e forse tu sai dove si trova."

Lyra sgrana gli occhi. "Io?"

La donna annuisce. "Permettimi di mostrarti di cosa si tratta." 

Così dicendo allunga una mano verso di lei e la ragazza ha l'impressione di essere trasportata in un altro luogo. Non è una visione vera e propria, ma sembra piuttosto un ricordo: solo che non può essere suo, perché lei in quel posto è sicurissima di non esserci mai stata.

Si trova in una specie di grotta, un'enorme cavità rocciosa, e tutt'intorno a lei ci sono diverse persone. Il volte della maggior parte di esse è sfocato e offuscato, ma le due donne che le stanno più vicine sono invece chiarissime. Una è alta e imponente e ha lunghe trecce bionde adornate con un nastro di oro puro, mentre l'altra è più minuta e i suoi capelli sono d'argento, i suoi occhi dello stesso azzurro penetrante della dama del fiume.

È così che Lyra comprende che quello che sta vivendo è il ricordo della donna sconosciuta, e che quelle due donne sono le altre due sorelle che le hanno salvato la vita. 

Prima che possa provare un moto di gratitudine nei loro confronti, la donna con le trecce si volta per un istante verso di lei, quel tanto che basta perché Lyra veda che tra le mani regge qualcosa: una chiave e una mappa. La fanciulla non ha mai visto né l'una né l'altra, ma sa senza ombra di dubbio di aver passato i primi sedici anni della sua vita molto vicina a quella mappa. In fin dei conti, ci ha dormito sopra.

Un istante dopo la donna le ha dato di nuovo le spalle e si sta dirigendo verso una sorta di altare di pietra, ma la visione si fa confusa e nel giro di un respiro Lyra si ritrova nuovamente sulla sponda del fiume.

Deglutisce. "State cercando la chiave?" Non sa nemmeno lei perché lo chiede.

Sul volto della donna passa una rapida espressione di rimprovero. "Sai bene che sto cercando la mappa."

"Ehm, sì" ammette pentita Lyra. "È la stessa mappa che è stata rubata dalla casa di mio padre qualche giorno fa?"

Ora la donna sembra allarmata. "È stata rubata?" chiede.

Lyra è stupita dal fatto che non sia già a conoscenza dell'accaduto - sembra sapere così tante cose! - ma non può fare altro che annuire. "Sì, sette notti fa. Jens Lowal, un famoso brigante locale, è entrato in casa nostra e l'ha portata via."

"Jens Lowal" ripete lentamente la donna, scandendo bene le sillabe, assaporandole. "Non conosco questo nome."

Lyra si stringe nelle spalle, non sapendo che altro fare. "A Yevàn lo conoscono tutti."

La donna annuisce. "Molto bene. Suppongo che non mi resti che cercarlo e riprendermi ciò che è mio."

La ragazza vorrebbe chiedere come ci è finita la mappa a casa sua, soprattutto considerando che Lord Ardyn le aveva spiegato che essa apparteneva in realtà ai suoi antenati, ma ha come il sospetto che questa sia una di quelle faccende delle quali meno si sa, e meglio è. Ingoiando la propria curiosità sceglie quindi di rimanere in silenzio.

"C'è altro che posso fare per voi?" chiede dopo un po'.

La donna è assorta nei propri pensieri e sembra aver perso interesse per lei, ma il suono della sua voce la riscuote. "No, per ora no. Puoi andare. Ci rivedremo: credo che avrò ancora bisogno del tuo aiuto."

Ha come l'impressione che quelle parole abbiano un vago retrogusto di minaccia, ma Lyra ringrazia e si alza in piedi.

"Va da sé", aggiunge la donna quando la giovane si è già allontanata di qualche metro, "che gradirei che tu non facessi parola con nessuno del nostro incontro: non con tuo padre, non con tua madre, non con l'uomo che dà lavoro a tuo padre."

La ragazza annuisce. "Certamente, no."

Mentre ripercorre a ritroso la strada che l'ha portata fino alla pozza, si chiede se non dovrebbe essere più turbata dall'incontro con quella strana donna. Probabilmente dovrei, ragiona. Eppure non si sente particolarmente scossa, come se non fosse la prima volta che fa un incontro del genere.

E in effetti non lo è, ricorda mentre approda sul sentiero. Chissà perché la dama in bianco le ha chiesto di non dire nulla ai suoi genitori? Se è vero ciò che le ha raccontato, loro sono già al corrente della sua esistenza. E cosa c'entra Lord Ardyn?

È solo quando è ormai in vista della casa che si rende conto che, quando le ha chiesto di non parlare del loro incontro, la donna non ha citato Mia.

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Capitolo 10
*** 10 - Segreti rubati ***


A Mia il pesce fa schifo. Sarà che non l'aveva mai mangiato prima di entrare a servizio degli Shidaìn, sarà che è freddo e viscido, ma le vengono i brividi ogni volta che le tocca cucinarlo. La Signora però ne va purtroppo ghiotta, e lei si trova in coda davanti a quel banchetto maleodorante fin troppo spesso.

"Buondì, Mia, bella mia, cosa posso proporti quest'oggi?"

La ragazza inspira profondamente dal naso per mascherare l'espressione esasperata che sta cercando di farsi strada sul suo volto. L'umorismo del pescivendolo è deprimente. Malgrado vada da lui non meno di due volte a settimana, non è ancora riuscita a capire se il suo sia solo un tentativo di essere simpatico o se le stia facendo la corte.

Casca male, se così fosse, pensa osservando l'ometto di mezza età. È vedovo, se ricorda bene, e ha probabilmente più soldi di quanti ne potrebbe avere qualsiasi altro suo potenziale spasimante, ma puzza di pesce e ha la pessima abitudine di inventare giochi di parole basati sul suo nome.

Che poi: lei si fa chiamare Mia solo perché la gente della capitale pare incapace di pronunciare il suo nome completo senza storpiarlo orribilmente.

Miashàvirtscka, pensa. Mi chiamo Miashàvirtscka.

Davanti allo sguardo insistente del pescivendolo, la giovane si riscuote. "Dammi tre orate, per favore. Che siano fresche, non come quelle che mi hai rifilato l'ultima volta."

L'uomo inarca le sopracciglia con aria di sufficienza. "Il mio pesce è sempre fresco, bellezza. Chi è che ne sa di più? Uno come me, che fa questo mestiere da una vita, o una come te, che non ha mai visto l'acqua salata e che fino a qualche anno fa viveva tra capre e praterie? Dà retta a me: non troverai orate migliori nell'intero mercato."

Mia afferra il cartoccio con il pesce e allunga le monete al venditore. "Sarà, ma la Signora se n'è lamentata. Se sono come le ultime che mi hai venduto, aspettati una visita da parte sua."

Il pescivendolo si lascia ricadere sullo sgabello. "Oh, e che sarà mai!" ridacchia, prima di rivolgersi alla cliente successiva.

Mia sistema il pesce nel paniere e prosegue nel suo giro di compere. Malgrado tutto, quella vita non le dispiace. Quando da adolescente aveva lasciato la tenda di suo padre, si era forse aspettata qualcosa di diverso, si era immaginata una vita un po' più raffinata, ma tutto sommato non ha motivo di lamentarsi.

Gli Shidaìn sono dei buoni datori di lavoro, generalmente gentili e non troppo esigenti. Sono stati pazienti con lei quando è entrata a servizio da loro. Mia sorride ricordando il primo anno che ha passato nella villa del notaio. Aveva quattordici anni, due in meno di quanti ne ha ora Lyra, ma era indubbiamente più matura della sua giovane padroncina. I bambini crescono in fretta nelle steppe occidentali, ma, se la vita nomade crea uomini e donne forti, non si può dire che doni loro garbo ed eleganza.

Quante cose che aveva dovuto imparare! E che pazienza che aveva avuto la povera Dora, la vecchia domestica del notaio che non sognava altro che di godersi presto la meritata pensione e che invece aveva dovuto prendersi cura di una ragazzina più abituata a badare alle capre che a servire il tè!

Acqua passata, pensa Mia sistemandosi la cuffietta inamidata. Adesso nessuno ha motivo di lamentarsi di me e del modo in cui svolgo il mio lavoro.

Anche se ci sono ancora delle volte in cui, di notte, le sembra che le pareti di pietra la soffochino e le facciano mancare il fiato, sente che la villa del notaio è ormai casa sua. Anche gli Shidaìn sono diventati un po' la sua famiglia. Lei si preoccupa di loro e loro hanno a cuore il suo benessere - e anche il suo futuro, se considera tutte le volte che Artem Shidaìn ha cercato di accasarla con il giardiniere.

Mia non ha nulla contro il ragazzo, ma non è neppure attratta da lui. È sicuramente un partito più gradevole del pescivendolo, considera. Brutto non è, è gentile ed è anche uno che lavora sodo. È davvero un peccato che lei non provi nemmeno una scintilla di interesse nei suoi confronti.

Non come per Jens Lowal, pensa arrossendo. Il bandito è intrigante e attraente. I suoi occhi di ghiaccio e la sua personalità decisa hanno fatto sospirare segretamente almeno la metà delle donne di Yevàn. Peccato che sia un avanzo di galera...

I suoi piedi conoscono ormai il percorso che segue ogni volta che va a fare compere al mercato e Mia può permettersi di fantasticare un po'.

Sarebbe davvero fantastico se riuscissi ad agguantare un uomo come dico io. Non troppo vecchio, ma nemmeno troppo giovane. Bello, ma non troppo vanitoso. Ricco, se possibile. Sulla ricchezza non metto limiti. Che sia gentile e pure simpatico, che non guasta, ma che non si faccia mettere i piedi in testa dal primo che passa.

Si chiede se i suoi standard non siano un po' troppo alti, ma cosa importa? È solo una fantasia. A differenza della piccola Lyra, che non ha mai mostrato il minimo interesse per i primi giovanotti che suo padre ha tentato di farle conoscere, Mia è assolutamente sicura di volersi sposare e creare una famiglia con i fiocchi. Peccato che fino a quel momento il partito perfetto non si sia ancora palesato.

Quando ha acquistato tutto ciò che le serve, la giovane si avvia di buon passo verso casa. Quella mattina il mercato era più affollato del solito, e lei vi si è trattenuta più a lungo del consueto: dovrà sbrigarsi, se spera di tornare alla villa in tempo per preparare il pranzo.

Quando giunge in vista dell'abitazione, però, Mia si ferma di colpo: davanti al cancello di ferro battuto è parcheggiata la carrozza di Lord Ardyn.

Cosa diamine vuole a quest'ora? Si chiede mentre oltrepassa il cancello e rivolge un cenno di saluto al cocchiere che con aria annoiata attende il ritorno del suo padrone.

Il nobiluomo non è mai stato scortese o inappropriato nei suoi confronti – anche perché ha sempre ignorato totalmente la sua presenza – ma ogni volta che viene a far visita al notaio, Mia si sente un po' a disagio. Lord Ardyn è... un po' troppo, per lei. Troppo raffinato, troppo affettato nel modo di parlare, troppo compiaciuto nei suoi abiti costosi ed eleganti. O forse è solo la sua percezione e c'è un po' di invidia dietro a quei pensieri, ma resta il fatto che, quando lui è nei paraggi, la giovane sente crescere a dismisura il proprio livello di attenzione. È un po' come quando, da bambina, veniva chiamata alla presenza degli anziani dell'accampamento, o come quando si trovava su un pascolo isolato e sentiva ululare i lupi nelle vicinanze.

Avverte un pericolo: se morale o fisico, non sa dirlo.

Magari temo solo che mi guardi e che chieda al Signor Shidaìn se gli sembra il caso di tenersi in casa una guardiana di capre...

Mia entra in casa in punta di piedi, facendo attenzione a non far scricchiolare la porta, e tende le orecchie per determinare la posizione del resto degli occupanti della villa.

Non c'è traccia della Signora, ma la cosa non la sorprende: sarà in giardino a ricamare, approfittando di una giornata autunnale insolitamente mite. Il notaio e Lord Ardyn devono invece essere in salotto, almeno a giudicare dalla direzione da cui giungono le loro voci.

Mia capta il nome di Lyra e drizza subito le orecchie.

Lasciatela riposare, povera bambina, pensa, lanciando un'occhiata alle scale che portano al piano superiore. Ultimamente la ragazza è pallida come un cencio e sembra eternamente stanca: da quando c'è stato il furto, sembra essere caduta in uno strano stato di agitazione perenne.

E vorrei ben vedere! Non è abituata a essere svegliata nel cuore della notte!

Non ha certo avuto un'infanzia come la sua, dove le incursioni dei predoni erano frequenti. A otto anni ha iniziato ad andare a letto con una piccola ascia intarsiata nascosta sotto le pelli del suo giaciglio.

Spossata forse dall'incubo che l'ha tenuta sveglia la notte precedente, Lyra dorme ancora. Durante la sua ultima visita, Lord Ardyn ha chiesto di poter parlare con lei: Mia spera che la cosa non si ripeta anche in questa occasione.

I toni sommessi che vengono dal salotto e il ripetersi del nome di Lyra stuzzicano la curiosità della domestica. La giovane posa il paniere colmo di viveri in cucina e poi striscia silenziosa lungo il corridoio, avvicinandosi alla porta chiusa dietro la quale stanno parlando i due uomini.

Sa che non dovrebbe origliare. Sa che, se la sorprendessero in una posizione così compromettente, rischierebbe di perdere il posto di lavoro, in barba ai buoni rapporti che intrattiene con la famiglia del notaio. Ma la curiosità è troppa, ed è accompagnata dal sentore che quello sia un discorso importante.

Con un'ultima occhiata in direzione del giardino, si assicura che non ci siano movimenti e poi si piazza a meno di un passo dalla porta del salotto.

Se dovesse arrivare qualcuno, decide, dirò che volevo informarmi su a che ora servire il pranzo, e se Sua Eccellenza intende fermarsi con noi.

Vorrebbe appoggiare l'orecchio al pannello di legno, ma forse così è un po' troppo, e comunque le parole dei due uomini sono sufficientemente chiare anche mantenendo un minimo di distanza.

"... mi sembra sempre così distratta, quasi assente" sta dicendo il Signor Shidaìn.

"E secondo te questa sua distrazione non è dovuta al furto che avete subito?" chiede di rimando Lord Ardyn.

Il borbottio di risposta è troppo basso perché Mia possa cogliere le parole del notaio, ma capisce comunque che si tratta di una negazione.

"Non me lo spiego" replica ancora il nobiluomo. "Ci sono stati altri eventi che potrebbero averla turbata?"

Questa volta la risposta è più chiara: "Nulla di cui io sia a conoscenza."

Tra i due uomini cala un silenzio prolungato e Mia inizia a chiedersi se quella conversazione sia finita così.

Proprio quando sta iniziando a pensare di tornare in cucina, però, il notaio parla ancora. "Sono preoccupato per lei. Ne ho parlato anche con mia moglie, e pensiamo che forse le farebbe bene cambiare ambiente per un po'." L'uomo fa una piccola pausa, interrotto forse da un gesto del suo interlocutore, ma poi riprende: "Sapete che l'amiamo come una figlia. Vogliamo solo il meglio per lei. Se solo poteste riprendervela per qualche tempo..."

La domestica si porta una mano alle labbra per soffocare un'esclamazione di sorpresa. Cosa significa che la amano come una figlia? Lyra non è la figlia naturale degli Shidaìn?

Evidentemente no, se ha detto questa cosa, si risponde.

Ma allora di chi è figlia? Per quanto assurdo le possa sembrare, l'ipotesi più logica, considerate le parole del notaio, è che appartenga alla famiglia di Lord Ardyn: forse è figlia del gentiluomo, forse di qualche suo parente stretto.

Quelle speculazioni sono interrotte dalla voce decisa del nobile. "No, non credo che sia una buona idea. Anch'io ho a cuore il benessere di Lyra, ma l'idea di averla in casa è insopportabile."

"È una ragazza buona..." protesta il notaio, e a Mia sembra che abbia un tono piuttosto oltraggiato.

"Non dico che non lo sia, Artem", sospira Lord Ardyn, "anzi, sono sicuro che sia assolutamente deliziosa. Ma averla sotto gli occhi tutti i giorni non farebbe altro che farmi pensare a mia moglie. Non lo posso sopportare, no, mi dispiace. Sarebbe troppo doloroso, e alla fine sarebbe la ragazza a rimetterci."

Oh, è sposato? Si chiede Mia, annusando un pettegolezzo. O forse era sposato, se dice che Lyra lo farebbe ripensare a sua moglie. Non ha mai saputo che l'uomo fosse vedovo, ma, ora che ci pensa, non ha nemmeno mai sentito parlare di una sposa che divida la casa con lui.

"Io non so davvero cosa fare con questa ragazza, Lord Ardyn" geme il Signor Shidaìn. "Forse dovrei farla vedere da un medico? Ma sospetto che il suo malessere non sia fisico, né un disturbo della mente: ho l'impressione che sia il suo spirito a soffrire."

"C'è anche da dire che è in un'età difficile" dice dopo qualche istante Lord Ardyn. Ora il suo tono è pacato, ragionevole, come se volesse convincere il notaio della bontà delle sue idee. "Da quello che mi dici, non ha molte occasioni di frequentare fanciulle della sua età."

"L'unica che frequenta con costanza in effetti è la nostra domestica, Mia, che però ha sette anni in più di lei..."

Sentendosi tirata in causa, la giovane lancia un'occhiata nervosa alla porta. Che a quei due non venga in mente di convocarla, o si accorgerebbero che è già lì, appostata a pochi metri da loro.

"C'è troppa differenza d'età, e non penso che Lyra abbia molto da spartire con una domestica, soprattutto se è una nomade dell'ovest" replica il nobiluomo, e Mia piega le labbra in una smorfia infastidita: se gli dà fastidio che una sua congiunta frequenti gentaglia come lei, avrebbe dovuto tenersela in casa, anziché affidarla a un suo sottoposto.

"Ho una proposta che forse potrebbe aiutare a migliorare un po' le cose" continua Lord Ardyn. "Qualche giorno fa sono arrivate in visita da me due delle mie nipoti, figlie della mia sorella più giovane: Valya ha quindici anni ed Ela dodici. Potrei portarle qui da te domani, così che trascorrano un po' di tempo insieme a Lyra."

Artem Shidaìn esita un attimo, prima di rispondere. "Non so se Lyra sarà in grado di intrattenere due fanciulle abituate ai lussi della buona società."

"Non vedo problemi" lo contraddice il suo interlocutore. "Valya è una ragazza avventurosa ed Ela è timida e giudiziosa: ameranno Lyra. Potrebbero fare una gita a cavallo qui nei dintorni: mia sorella è una buona madre, ma le tiene sotto una campana di vetro. Un po' di divertimento all'aria aperta farà bene anche a loro e permetterà a Lyra di conoscerle lontana dalle aspettative della società e degli adulti."

"Come desiderate" acconsente il notaio. "Chiederò a Mia di accompagnarle, così che non siano completamente abbandonate a se stesse."

"Sa cavalcare?" chiede stupito Lord Artem, e Mia deve impegnarsi a fondo perché uno sbuffo sarcastico non lasci le sue labbra.

"Oh, sì, è un'ottima cavallerizza" conferma il Signor Shidaìn. "Ci ha raccontato che i bambini della sua tribù montano in sella fin da piccolissimi."

"Pensavo che questo valesse solo per i maschi" commenta distrattamente il nobiluomo. "Non si finisce mai di imparare..."

Un suono di passi provenienti dal giardino costringe Mia ad abbandonare la sua postazione e a precipitarsi, veloce ma silenziosa, in cucina.

"Mia? Sei rientrata?" la chiama la Signora Shidaìn.

"Sì, Signora" fa di rimando lei, tuffando le mani nel paniere e fingendosi indaffaratissima a sistemare gli acquisti. "Tra poco inizio a preparare il pranzo."

La padrona di casa si affaccia sulla porta della cucina. Malgrado le temperature più alte della norma, si stringe uno scialle di lana attorno alle spalle: a giudicare dall'aria emaciata che sfoggiano entrambe, Mia fa davvero fatica a pensare che lei e Lyra non abbiano un legame di sangue.

"Benissimo" commenta la Signora, strofinandosi gli occhi come per allontanare il sonno. "Prima di iniziare, però, ti dispiacerebbe salire di sopra a controllare se mia figlia si è svegliata? È tempo che io vada a intrattenere almeno per un po' il nostro ospite..."

La ragazza deve sforzarsi per mantenere un'espressione neutra davanti a quelle parole. Non essere sciocca, si rimprovera. Anche se non l'ha partorita, rimane comunque sua figlia. 

Però quella rivelazione l'ha scossa. Chissà se Lyra è al corrente della verità sulle sue origini.

Beh, non sta certo a me spiegarle da dove viene, pensa, rabbrividendo d'orrore alla sola idea di affrontare un discorso del genere con la ragazzina. 

"Vado subito, Signora" dice allora, rivolgendole l'accenno di una riverenza e avviandosi su per le scale. 

Lyra sta ancora dormendo. Gli scuri sono chiusi, ma le due ante non combaciano perfettamente e una sottile lama luminosa colpisce il letto della ragazza, illuminando una mano abbandonata sul copriletto. È così pallida che Mia deve guardare il movimento regolare del petto della fanciulla per convincersi che è ancora nel mondo dei vivi.

Poverina, sembra stanca anche quando dorme. Non era poi così tardi, quando si è coricata.

Colta da un moto di tenerezza nei suoi confronti, Mia si avvicina al letto con l'intento di rimboccare le coperte che Lyra sembra essersi buttata addosso alla bell'e meglio. Poco prima che le sue ginocchia tocchino il materasso, però, è la punta dei suoi zoccoli a impattare con qualcosa.

Cosa diamine...

Mia si china e sbircia sotto il letto. Con la fronte aggrottata, allunga un braccio e afferra gli oggetti contro i quali è andata a sbattere. Sollevandoli all'esigua luce che filtra dalla finestra, vede che si tratta degli stivali che solitamente Lyra indossa per andare a cavallo e che in circostanze normali sono riposti nell'apposito vano sul fondo dell'armadio. La cosa che più attira la sua attenzione, però, è lo strato di fango e foglie che è rimasto attaccato alla suola: dal momento che è lei stessa a ripulire quegli stivali dopo ogni singolo uso, sa che non erano certo in quello stato, quando li ha sistemati nell'armadio.

Lentamente sposta lo sguardo dagli stivali alla figura dormiente della ragazzina. Quell'insolita stanchezza mattutina inizia ad assumere dei connotati sospetti. 

Cos'hai fatto esattamente ieri notte, per ridurli in questo stato?

Mia espira lentamente. Sarà una sua impressione, ma inizia a credere che Lyra stia nascondendo qualcosa.

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Capitolo 11
*** 11 - Segugi ***


Cino, il castrone che è solita montare, non la perde d'occhio un momento. È stata Lyra a dargli quel nome, tempo fa, prima ancora che Mia iniziasse a lavorare a casa degli Shidaìn. L'aveva chiamato così perché aveva il manto sorcino, e la bambina aveva pensato che fosse un diminutivo divertente.

Quando il padrone le aveva concesso di scegliere uno dei sue cinque cavalli per accompagnare Lyra in passeggiata, Mia non aveva avuto dubbi: quella bestia dal carattere gioviale e dal colore tanto particolare le ricordava i cavallini che da sempre vivevano con il suo popolo, grigio topo o giallo paglia e con una riga scura che correva al centro della schiena, talvolta con delle magnifiche striature appena sopra agli zoccoli.

I suoi doveri quotidiani non le permettono di montarlo tanto spesso quanto vorrebbe, ma Cino la aspetta sempre paziente, sbuffando festoso ogni volta che va a fargli visita nelle scuderie.

Adesso andiamo, tesoro mio, pensa mentre il vecchio stalliere che lavora per il notaio sella lui e Mora. La giumenta pezzata mordicchia affettuosamente una manica della camicia dell'uomo, ma Cino non si fa distrarre: non ha occhi che per lei, e la cosa le provoca un brivido di compiacimento.

"Potresti anche darmi una mano, invece che startene lì come uno stoccafisso" le abbaia l'uomo.

Mia si passa una mano sulla casacca di velluto che non ha mai avuto l'onore di indossare prima. "No, meglio di no" ribatte. "La Signora mi ha prestato dei suoi vecchi abiti per l'occasione, e preferisco non correre il rischio di insudiciarli."

Il vecchio le lancia uno sguardo scettico da sotto la falda del cappello. "Stai per uscire a cavallo" le dice come per farle notare che la giubba e l'ampia sottana da cavallerizza verde smeraldo sono comunque destinate a sporcarsi.

Lei però fa le spallucce. "Meglio essere prudenti."

Lo stalliere borbotta, ma oggi Mia si sente autorizzata a non badarvi: oggi non è una domestica, ma una specie di dama di compagnia per le due giovani nipoti di Lord Ardyn. Sbirciando oltre la porta della scuderia, vede le due ragazze che armeggiano attorno ai loro destrieri. Sono due bestie baie, e assomigliano curiosamente alle loro amazzoni: la giumenta di Valya è snella e slanciata come la ragazza più grande, mentre Ela monta un pony piccolo e rotondetto come lei. Due lucidi segugi dal pelo rossastro zampettano loro attorno e frustano gioiosamente l'aria con le loro lunghe code sottili. 

"Sono pronta."

Mia si volta di scatto e incontra gli occhi bruni di Lyra. Da quando ha scoperto la verità sulle sue origini fatica a guardarla in faccia, ma stringe i denti e si sforza di rivolgerle un sorriso caloroso. Quello che hai sentito non cambia niente, si ripete per l'ennesima volta. Resta sempre la piccola Lyra che conosci fin da quando sei arrivata in questa casa.

"Ho finito" sbuffa lo stalliere. "Avrei fatto più in fretta, se quella disgraziata mi avesse dato una mano!"

Lyra gli rivolge un cenno della mano come per placarlo. "Va bene così, Yvor. Non c'è fretta. Le nipoti di Lord Ardyn hanno appena finito di prepararsi."

Rimaste sole, le due giovani montano in sella e raggiungono le altre due ragazze, che sono già pronte per andare. Valya, una fanciulla con i capelli color nocciola e occhi verde muschio, alza lo sguardo verso il cielo terso e sorride. "Che giornata magnifica."

Mia annuisce e sfiora con una mano la borsa assicurata alla sella di Cino. "Il tempo ci è favorevole. Ho portato il necessario per pranzare all'aperto."

"Che meraviglia" sospira Ela, e mentre sorride due fossette sbucano sulle sue guance paffute.

Determinata a svolgere al meglio il suo compito di accompagnatrice e a non immischiarsi troppo nelle faccende delle sue compagne più giovani, Mia cavalca in testa, lasciando parecchie decine di metri tra sé e il resto del gruppo. Ogni tanto allunga le orecchie per assicurarsi che Lyra stia effettivamente socializzando con le sue coetanee. Quello che sente la rinfranca: la ragazza è timida e poco avvezza a chiacchierare del più e del meno, ma Valya in particolare sembra dotata di tatto e sensibilità. Mia sente che le pone alcune domande, spronandola discretamente ad aprirsi un po': in un tempo sorprendentemente breve, le tre fanciulle chiacchierano in maniera del tutto naturale.

Quella ragazzina mi è simpatica, decide Mia, voltandosi solo per un istante per osservare la più grande delle nipoti di Lord Ardyn.

Lei e Lyra non hanno parlato di quale sentiero imboccare e Mia ha dato per scontato che avrebbero seguito quello che costeggiava il fiume: del resto è quello lungo il quale cavalcano sempre. 

Quando fa per indirizzare Cino verso il tracciato che si stacca dal lato destro della strada, Lyra però la richiama. "Aspetta!"

Mia si volta verso di lei senza riuscire a nascondere la confusione che sicuramente le si legge in volto. "Non vuoi andare di qui?"

Lyra arrossisce e quella reazione va di nuovo a solleticare i sospetti che erano nati in Mia quando, il giorno prima, aveva visto gli stivali sporchi di fango nascosti sotto il letto della ragazza.

"No, è che pensavo che è un sentiero troppo umido da percorrere in questo periodo" balbetta la fanciulla con i capelli rossi.

Mia socchiude gli occhi. "Ci sei stata di recente?" le chiede in tono indagatore.

Lyra non sa mentire, ma ci prova comunque. "No, ma è sempre così d'autunno."

Prima che la domestica possa controbattere, la vocetta di Ela attira la loro attenzione. "Oh, no, per favore. Io odio l'umidità! Non possiamo andare in un posto un po' più asciutto?"

Il sollievo che si disegna sul volto di Lyra è quasi comico. "Ma certamente!" esclama. Incontra per un secondo gli occhi di Mia e la donna sostiene il suo sguardo, cercando di comunicarle silenziosamente che quel discorso non è finito lì e che, una volta rientrate a casa, sarebbero tornate sull'argomento. Lyra deglutisce, ma continua, forte del fatto che sa che Mia non oserebbe mai interrogarla davanti alle loro nobili ospiti: "Possiamo proseguire ancora un attimo su questa strada e poi tagliare verso il bosco che c'è sulla sinistra. Le foglie iniziano ad assumere dei bei colori."

"Perché no!" annuisce Valya; e la cosa è decisa.

Mentre cavalcano verso il bosco, Mia cerca di non rimuginare troppo sullo strano atteggiamento di Lyra, ma è inutile: si è ormai convinta che due notti fa la ragazza ha fatto una scampagnata notturna lungo il fiume.

E anche se fosse? Si chiede. A te cosa te ne importa?

È perché l'ha presa in giro, si dice: per questo continua a pensarci. L'altra notte ha finto di tornarsene a letto, ha aspettato che lei si addormentasse e poi è sgattaiolata fuori come se nulla fosse.

Come se non lo sapesse che è di salute cagionevole! Pensa stringendo le redini finché le nocche le diventano bianche. Cosa accidenti l'è venuto in mente? E cosa ci doveva andare a fare, al fiume?

Se non si stesse parlando di Lyra, penserebbe a un appuntamento con qualche spasimante, ma il solo pensiero è ridicolo: la fanciulla è ancora come una bambina da quel punto di vista e probabilmente non ha mai avuto un singolo pensiero romantico in vita sua. Ma se avesse incontrato qualcun altro? La mente di Mia ritorna a ciò che Lyra le ha detto quando l'ha sorpresa con un piede fuori dalla porta, alla voce che sosteneva di sentire nei sogni, e un brivido ghiacciato le scorre lungo la schiena. 

La cosa migliore da fare è parlarne con i Signori, decide. Sì, farà così: quella sera confiderà i suoi sospetti al notaio e a sua moglie, e che poi ci pensino loro a quella figlia che evidentemente inizia a mostrare i primi accenni di ribellione adolescenziale.

Poco dopo raggiungono il sentiero che si snoda attraverso la foresta di latifoglie e Mia pensa che, al di là di tutto, Lyra non aveva tutti i torti a scegliere quella strada anziché quella che costeggia il fiume. Le foglie verdi sono ormai poche e il bosco è un trionfo di rosso e oro. 

I due segugi che accompagnano Valya ed Ela sono al settimo cielo. "Rondine!" li richiama la maggiore delle due ragazze. "Nibbio! Tornate qui, e state vicini!" Il richiamo verbale ha poco effetto, ma quando la fanciulla emette un fischio modulato, i due cani si precipitano al suo fianco.

"Non so quanto capiscano le parole", le confida accorgendosi di avere la sua attenzione, "ma i fischi li capiscono, eccome! Mio padre li ha addestrati a fare le cose più incredibili, come portare determinati oggetti da una stanza all'altra o aprire le porte. E sono anche ottimi cani da caccia, ovviamente."

Mia annuisce. Non se ne intende molto di cani, in realtà, men che meno di cani da caccia. 

A mezzogiorno si fermano a pranzare e Lyra dimostra un insolito entusiasmo per il cibo, cosa che non manca di insospettire ulteriormente Mia. Stai forse cercando di distrarmi? Pensa inarcando le sopracciglia.

Chi sbocconcella lo sformato di zucchine è invece Ela. Mia si accorge solo in quel momento che la ragazzina si è fatta silenziosa già da un po'.

Anche sua sorella sembra rendersene conto nello stesso istante. "Che c'è?" le chiede. "Non hai fame?"

Ela mugugna qualcosa.

"Non ho capito" insiste Valya avvicinandosi un po' per sentirla meglio.

La ragazzina arrossisce e i suoi occhi scuri saettano tra i tronchi degli alberi che crescono all'estremità opposta della radura nella quale si sono fermate. "È una cosa stupida" borbotta. Tace un attimo, poi continua: "Ho l'impressione che qualcuno ci stia seguendo già da un po'."

Mia inspira bruscamente, subito in allarme. Dopo l'incursione di Jens Lowal, non si stupirebbe di nulla. "Ne sei sicura? Da quanto tempo?"

Ela si torce nervosamente le mani. "Non lo so, da un po'. Quando siamo entrate nel bosco ho visto un signore a cavallo, poi non l'ho più visto... Però mi è sembrato di sentirlo dietro di noi. Di sentire il rumore di zoccoli, intendo. E se ci stesse seguendo?"

Le altre tre ragazze si guardano incerte.

"Io non mi sono accorta di niente" dice Lyra titubante. "Ma con questa bella giornata non saremo certo le uniche che hanno deciso di fare una gita nel bosco..."

Valya storce le labbra. "Non sarà ancora la solita storia, vero?" chiede alla sorella. E poi, rivolgendosi alle altre due giovani: "Quando era più piccola Ela era terrorizzata dalle foreste. Nostra madre ci ha sempre raccontato storie di lupi e mostri che si nascondono tra gli alberi e mia sorella ha una fantasia piuttosto fervida."

Ela non sembra convinta e fissa gli alberi alla ricerca di una risposta. Poi sospira. "Forse hai ragione" ammette, staccando poi un piccolo pezzo di pasticcio e masticandolo lentamente.

Quella concessione sembra tranquillizzare Lyra e Valya, ma Mia non è convinta. Ora che ci ripensa ha l'impressione che, quando si allontanavano, i cani tendevano a farlo sempre nella stessa direzione. Anche adesso che sono seduti a pochi metri da loro, apparentemente a riposo, tengono d'occhio gli stessi alberi che anche Ela stava studiando poco prima. 

Possibile che abbiano fiutato qualcosa? Si chiede, notando che le orecchie di Rondine fremono leggermente, indicando che l'animale è in tensione. O qualcuno?

Anche se cerca di non trasmettere la propria inquietudine alle altre ragazze, Mia non riesce più a rilassarsi. Quando avevano detto che sarebbero tornate a casa? È troppo presto per interrompere la gita e allontanarsi dal bosco e da chiunque si nasconda tra i suoi alberi?

La giovane stringe una mano sui pantaloni e per un attimo sogna di avere con sé la piccola ascia che tanti anni prima ha lasciato nella tenda dei suoi genitori. Non servirebbe a molto contro un aggressore armato di moschetto, ma è pure sempre meglio che doversi difendere a mani nude.

"Credo che sia meglio se torniamo a casa" dice, quando non riesce più a trattenersi.

Le sue compagne si girano a guardarla. "Di già?" chiede Lyra.

Mia annuisce e lancia l'ennesima occhiata furtiva attraverso la radura. "Sì. Probabilmente Valya ha ragione ed Ela si è lasciata suggestionare dall'ambiente, ma non sono tranquilla. Meglio non rischiare."

Le due ragazze più grandi si scambiano un'occhiata delusa, ma non protestano.

"Come preferisci" acconsente la maggiore delle nipoti di Lord Ardyn. "Conosci questi boschi meglio di me e di mia sorella, e se credi che sia meglio rientrare, rientriamo."

Si rimettono quindi in viaggio in silenzio, con Rondine e Nibbio che trotterellano davanti a loro. Si muovono più lentamente di quanto Mia vorrebbe, e la giovane cambia leggermente assetto sulla sella di Cino. Non possiamo farli galoppare un po', questi cavalli? L'occhio le cade però subito su Ela e sulla sua piccola cavalcatura, e la domestica accantona l'idea.

Dopo alcune decine di minuti, i due cani, che ancora le precedono, si fermano al centro del tracciato e drizzano le orecchie.

"Arriva qualcuno" mormora Lyra un istante prima che Mia possa fare la stessa osservazione.

"State dietro di me" ribatte a bassa voce la donna. Con ogni probabilità si tratta di una cautela inutile, ma preferisce essere prudente.

Le ragazze si dispongono ubbidientemente alle sue spalle - prima Ela, poi Valya e Lyra a chiudere la fila - e dopo pochi istanti un cavaliere spunta da dietro un dosso. Procede a passo tranquillo in sella a un imponente destriero morello, e indossa un mantello bruno che sembra più adatto a una giornata di pioggia, piuttosto che a un pomeriggio così mite.

Un uomo, pensa Mia. La cosa non è di per sé sospetta, ma quando lo osserva con più attenzione, vede che il suo volto è in gran parte celato da una sciarpa scura. Quel dettaglio le fa immediatamente balzare il cuore in gola. Che motivo c'è di indossare una sciarpa in quella maniera, come se fosse nel bel mezzo di una bufera di neve?

La giovane si guarda rapidamente attorno. Cambierebbe strada, se potesse, ma in quel tratto la vegetazione che cresce ai lati del sentiero è particolarmente fitta. Cino e Mora sono avvezzi a quell'ambiente e riuscirebbero forse ad attraversarla comunque, ma chi può dire come si comporterebbero le giumente delle loro giovani ospiti?

Il cavaliere si sta avvicinando e Mia si rende conto che non c'è tempo per evitare di incrociarlo. Per una frazione di secondo si chiede se valga la pena tentare la fuga, ma vede bene che è inutile: quel cavallo è senza dubbio più veloce del piccolo pony di Ela.

Un istante più tardi, l'uomo le arriva di fronte. I loro occhi si incrociano per un attimo: quelli di lui sono occhi scuri, dall'insolito taglio allungato, poco comune tra la gente di Yevàn. Occhi giovani, vede Mia, che però non sa cosa farsene, di quell'informazione.

Fatta eccezione per lo sguardo che si sono scambiati, il cavaliere pare ignorarla completamente. Le sfila accanto sulla destra mentre lei ferma Cino e si volta per osservare il lento procedere dello sconosciuto. Lui passa accanto ad Ela, passa accanto a Valya e poi si ferma di fianco a Lyra.

Il cuore della giovane accelera ancora i battiti. "C'è qualche problema?" gli chiede. La sua voce suona salda: un fatto non scontato, considerato il tremore che avverte dentro di sé. 

Lui non risponde e tiene lo sguardo fisso a terra. Poi, muovendosi sempre con apparente tranquillità, sfila una piccola pistola da sotto il mantello e la punta contro Lyra.

"Tu devi venire con me" le dice. La sua voce è soffocata dalla lana che gli copre la bocca e Mia non riesce a identificare lo strano accento che deforma le sue parole. 

È Valya la prima a reagire: si volta veloce come un serpente e fissa il cavaliere con i suoi occhi verdi. "Come sarebbe a dire?" sbotta. "Cosa vuoi da noi? Hai idea di chi siamo?"

"No, e nemmeno mi interessa" replica lui, senza distogliere lo sguardo da Lyra. "Muoviti, tu: monta dietro di me."

Lei pare paralizzata: dopo un primo istante di sorpresa e quella che a Mia era sembrata paura, il suo volto si è fatto assente. Nei suoi occhi c'è un'espressione remota, come se la ragazzina non fosse mentalmente lì con loro.

"Lasciala stare" intima la domestica al bandito. Vorrebbe frapporsi tra lui e Lyra, ma non osa farlo. Ha visto poche pistole nella sua vita, ma ha il sospetto che quell'uomo sappia usare quella che tiene in mano e non vuole fare nulla che possa spingerlo a sparare. 

Lui non la degna di una risposta: solleva l'arma fino a puntarla alla tempia di Lyra e con l'altro braccio cinge la vita della fanciulla, trascinandosela in grembo con un gesto brusco. È più forte e robusto di quanto a Mia fosse sembrato in un primo momento, e gli ci vogliono pochi secondi per sistemare la ragazza davanti a sé, tenendola costantemente sotto tiro. 

Mora scrolla la testa confusa da quello sviluppo e il gesto della giumenta sembra risvegliare brevemente Lyra da suo torpore. La ragazza sgrana gli occhi e spalanca la bocca e per un attimo pare sul punto di gettarsi a terra, ma poi qualcosa sembra catturare ancora una volta la sua attenzione: si acquieta di nuovo, gli occhi persi in un punto a mezz'aria.

Sembra quasi che stia ascoltando qualcosa, pensa Mia. Non ha alcun senso, ovviamente, ma ormai la giovane sta lottando per non farsi prendere dal panico ed è meno lucida di quanto vorrebbe.

Il tempo sembra fermarsi e per un attimo anche il bandito appare sorpreso dalla passività della sua vittima. Basta però un battito di ciglia per spezzare lo stallo e cavallo e cavaliere retrocedono di qualche passo.

Un'ondata di panico e disperazione si abbatte tutta d'un tratto su Mia. "Aspetta!" grida, dando di sprone a Cino e spingendolo in avanti. Protende le mani verso Lyra, ma non sa nemmeno lei cosa vorrebbe fare. Afferrarla? Spingere via il bandito? Sottrargli la pistola?

"Ferma lì!" abbaia lui, puntando nuovamente la canna alla testa della ragazzina.

C'è uno strano rumore di sottofondo, ma Mia non vi bada perché finalmente incrocia gli occhi di Lyra. È tutto così maledettamente irreale, pensa. La testa le gira, le manca il fiato e lei non riesce a capire perché la sua protetta sembri così tranquilla. C'è un'espressione confusa sul suo volto, sì, ma Lyra sembra la spettatrice del dramma che si sta svolgendo nel bosco, piuttosto che la protagonista. 

Perchè? Si chiede di nuovo Mia, lottando per respirare. Cosa sta succedendo? C'è qualcosa che le sfugge, lo sente, ma non capisce cosa. Istintivamente si porta una mano alla gola e afferra i lacci della collana che porta al collo - il ciondolo che le ha regalato suo nonno e che ha ripreso a indossare proprio il giorno prima le sembra così orribilmente pesante, adesso. 

Il rapitore approfitta della sua immobilità per far voltare il suo destriero e per lanciarlo al galoppo lungo la strada, percorrendo a ritroso il percorso che l'ha condotto da loro.

"Lyra!" urla Mia, ma ormai è troppo tardi: la ragazza è scomparsa dalla loro vista.

La giovane si porta una mano alla bocca e soffoca un singhiozzo. Non deve farsi prendere dal panico. Deve riordinare le idee. Deve...

Il suono che sentiva poco prima sono i singulti di Ela. La ragazzina sta piangendo a dirotto e sua sorella le cinge le spalle con un braccio e cerca di consolarla.

"È colpa mia" geme la bambina. "Se... se l'avessi detto subito, che c'era qualcuno che ci stava seguendo. Se..."

"Non è colpa tua" la rassicura distrattamente Mia, ma la sua mente è altrove. "Devo... devo scoprire dove la sta portando."

È la prima cosa che le passa per la mente, ma che altro può fare? Deve lasciarlo andare via senza nemmeno tentare di inseguirlo?

"Prendi i cani" le dice prontamente Valya. "Sono ottimi segugi."

Mia abbassa lo sguardo su Nibbio e Rondine: sono tesi come corde di violino, le code alte e i nasi puntati nella direzione in cui sono scomparsi Lyra e il suo rapitore.

La domestica impugna le redini di Cino e annuisce debolmente. "Va bene" dice. "Va bene. E poi..."

Valya si mordicchia le labbra ed è chiaro che sta pensando molto velocemente. "Puoi rimandarli da noi quando li avrai trovati. Tre fischi modulati: basso-alto-basso, ripetuto tre volte. È il segnale per farli tornare a casa quando la caccia è finita."

Mia deglutisce. "E poi saranno in grado di portarvi da me? Se dovessi scoprire dove ha portato Lyra e li mandassi a casa, poi saprebbero ritrovare la strada per tornare di nuovo da me?"

"Io..." Valya esita. "Io credo di sì."

Per Mia è sufficiente. "Vale la pena di tentare."

Sta per lanciarsi al galoppo, ma il suo senso del dovere la frena per un attimo. "Voi due siete in grado di tornare alla villa del Signor Shidaìn?"

"Certo che sì" annuisce Valya. "Non ti preoccupare per noi. Rondine, Nibbio: dai!"

Questa volta non servono fischi: i due segugi interpretano alla perfezione l'ordine impartito dalla loro padrona e si lanciano a rotta di collo lungo il sentiero.

Un istante più tardi, Mia li segue.

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