Le Colline di Yevàn di Red Owl (/viewuser.php?uid=31841)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1- Buona e cattiva sorte ***
Capitolo 2: *** 2 - La mappa e la chiave ***
Capitolo 3: *** 3. Quattro signore e un garzone ***
Capitolo 4: *** 4 - Il Pettirosso ***
Capitolo 5: *** 5. Lord Ardyn ***
Capitolo 6: *** 6 - La Fossa del Gigante (parte 1) ***
Capitolo 7: *** 7 - La Fossa Del Gigante (parte 2) ***
Capitolo 8: *** 8 - Una voce nella notte ***
Capitolo 9: *** 9 - La Dama Bianca ***
Capitolo 10: *** 10 - Segreti rubati ***
Capitolo 11: *** 11 - Segugi ***
Capitolo 1 *** 1- Buona e cattiva sorte ***
Il
vecchio faggio che
cresce in giardino è seccato da ormai diverse stagioni, ma
suo padre
continua a rifiutarsi di tagliarlo. Dice che porta male. Quell'albero
era già lì quando il padre di suo padre era
bambino, e abbatterlo
ora potrebbe porre fine alla buona sorte che da decenni accompagna la
sua famiglia.
Lyra
non capisce molto
la logica di quell'affermazione. La pianta è morta ed
è pertanto
logico pensare che qualsiasi buona sorte sia morta con lei.
Mentre
se ne sta
accoccolata nel suo letto, la ragazza non pensa comunque alla fortuna
o alla sfortuna, ma solo al suono secco prodotto da un sottile ramo
rinsecchito che, scosso dal vento, picchietta ritmicamente contro il
vetro della finestra. È davvero insopportabile.
Tac-tac-tac fa
il legno.
Toc.
La
ragazza si mette
bruscamente a sedere sul letto, i capelli rossi spettinati dal
contatto con il cuscino. Quell'ultimo suono era anomalo. La candela
spenta la attende sul comodino: le basterebbe allungare il braccio
per raggiungere i cerini e accenderla, ma qualcosa le suggerisce di
restare perfettamente immobile.
Lyra
si tira il
lenzuolo fin sotto al mento e respira piano. Inalazioni precise,
esalazioni tremule. Bada bene a non fare troppo rumore, a non coprire
con il proprio respiro i suoni che giungono dal piano inferiore.
Passi,
capisce. In casa
a quell'ora ci sono solo tre persone oltre a lei: suo padre, sua
madre, e Mia, la domestica. Quei passi non appartengono a nessuno dei
tre.
Voci
basse, alcune
affrettate e un'altra profonda come un rombo di tuono. Qualcuno
sussurra, chiede, implora. Qualcun altro pretende, ordina, minaccia.
Chi
è, chi è?
Un
uomo, forse più di
uno.
Un
singhiozzo - sua
madre, o forse Mia.
Lyra
ha le mani che
sudano e il sudore viene assorbito dal cotone del lenzuolo. L'istinto
ora le impone di scappare, ma la ragione le dice che non v'è
luogo
in cui fuggire. La finestra è chiusa e comunque è
troppo in alto,
la porta la condurrebbe alle scale e quindi al piano
inferiore. L'armadio? Si
chiede. Sciocca,
si risponde subito dopo. Quella scatola di legno non è un
portale
che conduce al regno delle fate, ma un semplice manufatto mortale.
Lì
entrerebbe e lì rimarrebbe. Lo sconosciuto con la voce
profonda non
ci metterebbe nulla a capire che è nascosta lì
dentro.
E
poi?
Lyra
non sa nemmeno
perché la stia cercando. Non sa nemmeno se la
stia
cercando, in effetti, ma l'istinto le assicura che è
così. Chiunque
ci sia al piano inferiore, non è lì per una
visita di piacere: le
voci tremanti dei suoi genitori non le lasciano alcun dubbio in
merito.
Passi
pesanti su per la
scala e poi la porta che si apre, la luce di una lanterna che
squarcia l'oscurità.
"In
piedi,
ragazza!"
Lyra
è congelata nella
posizione in cui si trova. Vorrebbe obbedire, vorrebbe davvero, ma le
sue gambe non rispondono agli ordini del suo cervello, né a
quelli
dell'uomo.
Lui,
lo sconosciuto, le
si avvicina a passi pesanti. Gli occhi di Lyra sono fissi su un punto
imprecisato tra il muro e la porta, ma all'angolo della sua visuale
vede la figura bionda di sua madre che si torce le mani. "Non
farle del male" dice con voce strozzata. Dietro di lei, suo
padre vacilla.
Lyra
si sente afferrare
e la sua attenzione, che prima vagava persa sulla parete, si
trasferisce di colpo sull'estraneo che ha invaso la sua camera.
Giovane, ma non troppo, corti capelli castani e una barba curata,
occhi azzurri che brillano di una luce spettrale al riverbero del
fuoco. "In piedi!" le ripete ancora. E nel dirlo le stringe
un braccio appena al di sopra del gomito, e la tira a sé.
La
ragazza si sente
trascinare - ha sedici anni, ma è esile come una bambina di
dodici.
Magra, magra, gracile, ossuta nonostante il cibo che le riempie il
piatto tutti i giorni. Il cruccio dei suoi genitori, sì,
troppo
fragile per affrontare le difficoltà della vita. Troppo
fragile, di
certo, per resistere alla forza bruta dell'uomo con gli occhi da
spettro.
Lyra
inghiotte una
bocconata d'aria e rovina a terra in un intreccio di gomiti e
ginocchia. L'uomo la scavalca e getta indietro le lenzuola che la
coprivano fino a un momento prima. Fa volare il cuscino, solleva il
materasso. "Dov'è?" abbaia, e la ragazza capisce che non
lo sta chiedendo a lei, ma ai suoi genitori che tremano dall'altra
parte dell'uscio.
È
suo padre a parlare.
"È... è all'interno dell'intelaiatura del letto."
L'uomo
si cava un
coltello di tasca e lo usa per tagliare il telo di cotone che divide
le molle dal materasso di lana. Lyra, ferma a terra nella medesima
posizione in cui è caduta, è spaventata, ma anche
curiosa: che cosa
sta cercando? Si volterebbe verso i suoi genitori per chiederglielo,
ma la verità è che non osa muoversi. Allora
aguzza la vista e cerca
di sbirciare tra le mani dell'uomo.
La
stoffa si squarcia
con un suono acuto e l'intero letto trema. Lyra guarda preoccupata la
lanterna che l'uomo - il ladro, a questo
punto - ha
appoggiato lì dove c'era il materasso e spera che non si
rovesci
dando fuoco al letto, alla camera e magari all'intera casa.
Lui
respira
pesantemente, come se il compito gli costasse una fatica immensa.
Poi, all'improvviso, si raddrizza tenendo qualcosa in mano.
È un
foglio ripiegato, di carta spessa e ingiallita dal tempo.
Documenti? Si
chiede Lyra. Credenziali? Un testamento? Una mappa?
L'uomo
ne solleva un
lembo e ne legge il contenuto, poi annuisce soddisfatto e si infila
il foglio all'interno della giubba. Mentre riprende in mano la
lanterna, abbassa lo sguardo su Lyra. "Mi scuso per il disturbo,
ragazzina."
"Non
c'è di che"
sente la sua voce rispondere.
Le
sopracciglia
dell'uomo si inarcano e sulle sue labbra spunta l'ombra di un sorriso
che però sparisce non appena il ladro si gira di nuovo verso
i
genitori di Lyra. "Non una parola con il vostro padrone"
ringhia. "Voi non mi avete mai visto: la mappa vi è stata
sottratta da un criminale con il volto coperto. Sono stato chiaro?"
Gli
adulti annuiscono e
Lyra li imita, anche se non è sicurissima di capire cosa sta
succedendo. Sono stati derubati, questo è chiaro, ma cosa
c'è su
quella mappa? E, soprattutto, perché era nascosta
all'interno del
letto in cui lei dorme tutte le notti? Il brigante si è
raccomandato
di non raccontare la verità a Lord Ardyn, il che significa
che, con
ogni probabilità, il documento che è appena
sparito sotto gli abiti
del malvivente appartiene a lui. Ma, se così fosse,
perché si trova
nella casa del suo notaio e non in banca insieme a tutti gli altri
oggetti di valore che il datore di lavoro di suo padre possiede? E
perché il ladro se ne va in giro a volto scoperto, senza
preoccuparsi di non farsi riconoscere?
"Non
una parola"
ripetono i suoi genitori in coro.
Il
brigante si gira
verso di lei. "E tu?"
Lyra
si porta un dito
alle labbra. "Non una parola nemmeno io" gli assicura.
Per
qualche motivo,
l'uomo la soppesa con lo sguardo. "Uhm" fa, come se in lei
ci fosse qualcosa che non lo convince. "Ma mangi abbastanza,
ragazzina?"
Lyra
si sente
avvampare. "Sì, sì" balbetta. "Sono solo piccola
per
la mia età."
"Uhm"
ripete
lui, ma poi sembra decidere che qualsiasi pensiero che ha
attraversato la sua testa non sia poi così importante.
Scrolla le
spalle e poi si allontana dal letto senza degnarla di un'altra
occhiata. Passa davanti ai suoi genitori e si infila giù per
le
scale. Lyra lo sente dire qualcosa a Mia - probabilmente sta facendo
anche a lei le stesse raccomandazioni che ha fatto a loro - e poi
andarsene sbattendo la porta.
Nemmeno
si preoccupa
di non fare rumore, pensa Lyra, stranamente oltraggiata.
Quando
hanno la
certezza di essere rimasti soli, i suoi genitori sembrano perdere
ogni residuo di forza che li ha sostenuti fino a quel momento. Sua
madre emette un lungo gemito acuto e si accascia lentamente a terra,
il volto paonazzo e le spalle scosse dai singhiozzi. Suo padre
oscilla come se fosse sul punto di perdere i sensi, ma prima di
crollare sul pavimento riesce ad appoggiarsi con la schiena contro il
muro del corridoio. "Povero me" geme nascondendo il volto
nelle mani. "Povero me."
Lyra
è più confusa
che spaventata, ma la reazione dei suoi famigliari sta iniziando a
metterla in allarme. "Chi era quell'uomo?" chiede
mettendosi a sedere sul pavimento e stringendosi un cuscino al petto.
"Che cosa c'era su quella mappa?"
La
sua domanda cade
però nel vuoto del silenzio che ora regna nel corridoio.
Solo dopo
alcuni minuti suo padre abbassa le mani lungo i fianchi e la guarda
come se si stesse effettivamente rivolgendo a lei. "Devo andare
a parlare con Lord Ardyn. Devo andarci subito."
Lyra
non può fare
altro che annuire e iniziare a sistemare come meglio può il
suo
letto squarciato.
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Capitolo 2 *** 2 - La mappa e la chiave ***
Che
nessuno sia mai
venuto a cercarlo a casa di Laròs ha dell'incredibile, ma
Jens non è
tipo da lamentarsi della buona sorte.
Forse
è vero che
gli Dei mi sono favorevoli, pensa mentre piazza i piedi sullo
sgabello che gli sta di fronte e si gode il tepore del fuoco che arde
nel grande camino che riscalda la stanza in cui il suo socio l'ha
fatto accomodare.
"Togli
le tue
zampe da lì, o il velluto te lo faccio pulire con la lingua."
Il
sorriso sul volto
dell'uomo si trasforma in una smorfia irritata. Posando sul tavolino
la mappa che ha tra le mani, si volta verso il padrone di casa. "Sei
sicuro che ti convenga trattare così l'uomo che ti
renderà
enormemente ricco?"
Laròs
risponde con una
risata sprezzante. "Io sono già enormemente
ricco."
È
vero, pensa
Jens. E quello è uno dei motivi per cui loro due sono, se
non
proprio amici, almeno ottimi soci in affari. L'altro motivo
è che
Laròs è scaltro come una faina e altrettanto
spregiudicato.
"E
allora perché
mi lasci nascondere in casa tua, se l'oro della collina non ti
interessa?"
L'uomo
si appoggia alla
colonna di fianco al camino e incrocia elegantemente le gambe,
guardandolo con i suoi sottili occhi azzurri che, uniti ai capelli di
un rosso pallido, lo fanno assomigliare a un incrocio tra un gatto e
una volpe. "Suppongo sia per il brivido dell'avventura"
dice. "E anche perché io non credo che sotto alla collina ci
sia dell'oro, ma qualcosa di più raro... E più
prezioso."
Jens
scivola contro lo
schienale della sedia imbottita e sogghigna. "La magia degli
Elfi?" chiede inarcando le sopracciglia.
Laròs
solleva un
angolo della bocca in un accenno di sorriso. "O magari il loro
sapere. Mi basterebbe anche quello."
Jens
si stringe nelle
spalle. "Io nelle favole ci credo poco e preferirei qualcosa di
più tangibile, ma lungi da me infrangere i tuoi sogni.
Quello che mi
interessa è che tu mi dia i mezzi per arrivare nel punto in
cui,
secondo la mappa, si troverebbe la chiave."
"Intendo
darti sia
i mezzi che gli uomini, se..."
"Gente
fidata?"
lo interrompe Jens.
"È
ovvio"
ribatte secco il padrone di casa. "Come stavo dicendo, ti
darò
sia gli uomini che i mezzi che ti servono per arrivare fino a dove
devi arrivare, a patto che tu mi convinca che questa è
un'impresa
sensata e non solo un grandissimo spreco di denaro. I criminali
prezzolati si fanno pagare cari e salati - ma tu questo lo sai bene,
no?"
Jens
ignora la
punzecchiatura e si allunga fino a riprendere in mano la mappa, poi
fa cenno a Laròs di avvicinarsi.
“Guarda” gli dice. “Come puoi
vedere, è autentica.”
L’altro
uomo emette
un basso suono di gola e gli si avvicina, osservando la cartina da
sopra la sua spalla.
Jens
se la sistema
meglio in grembo e con le mani spiana le pieghe che attraversano
perpendicolarmente la carta spessa e ingiallita dal tempo.
“Lo vedi
questo?” chiede, passando l’indice su uno stemma
impresso
sull’angolo superiore della mappa. Rappresenta due serpenti
che
intrecciano il proprio corpo con lo stelo di un giglio.
“Questo è
lo stemma degli Ardyn. Il giglio è blu anziché
rosso, il che
significa che questa carta è stata disegnata almeno
centottanta anni
fa, prima che la casata si unisse a quella dei Ross.”
“Grazie per la
lezione di storia” replica Laròs. “Non
mi dici niente che non
sapessi già. Cosa mi garantisce che questa cosa porti
davvero da
qualche parte?”
Jens
sbuffa e rivolge
al socio un’occhiata irritata. “Nulla, ovviamente.
Però mi
chiedo perché questa mappa sia stata tramandata tanto
gelosamente da
padre in figlio. Milian Ardyn, addirittura, non l’ha messa in
banca
come sarebbe logico fare, ma ha preferito nasconderla nella casa del
suo notaio. Sotto al letto della figlia, per la precisione.”
L’uomo
trattiene un
sorriso al ricordo di quella ragazzina pelle e ossa e con la faccia
da topo che, semisdraiata sul pavimento, lo guardava più
sbalordita
che spaventata.
Laròs
allarga le
braccia. “Non sono sicuro che questo deponga a favore
dell’importanza di questa mappa, francamente.”
“Però ammetterai che
la faccenda è quantomeno curiosa.”
“Curiosa, sì”
ripete il padrone di casa. “Mi chiedo se sia sufficientemente
curiosa da giustificare una spesa come quella che mi
toccherà
affrontare, però.”
Nel
tono dell’amico
Jens ha già la risposta che cerca. “Ti ho
già convinto, non è
vero?”
Laròs
sospira, ma i
suoi occhi azzurri stanno già percorrendo avidamente la
linea rossa
che spicca tra le forme stilizzate di fiumi e colline. “Non
lo so.”
“Io invece dico di
sì” insiste Jens. “Anzi, ti dico di
più: eri già convinto
ancor prima di vedere la mappa. L’hai detto tu: sei
immensamente
ricco, e pagare il salario di due o tre mercenari non ti
manderà
certo in rovina. Non mi avresti invitato qui, se non fossi stato
disposto a correre il rischio di perdere qualche soldo."
“Non sono i soldi a
preoccuparmi, ma piuttosto la prospettiva di perdere
credibilità e
appoggio tra la gente che conta” ribatte Laròs.
“A tal
proposito, non mi hai ancora detto come hai fatto a scoprire dove si
trovava la mappa. La sta cercando mezzo regno; e questo solo
perché
l’altra metà è convinta che non esista:
chi ti ha detto di andare
a frugare in casa del notaio?”
Lo
sta fissando come un
predatore fissa la sua preda, ma Jens sostiene il suo sguardo.
“Questa è un’informazione che ho
intenzione di tenere per me. Se
mi vuoi aiutare, bene, altrimenti mi cercherò un
finanziatore più
intraprendente e che faccia meno storie quando c’è
da mettere mano
ai cordoni della borsa.”
L’uomo
dai capelli
rossi solleva un sopracciglio con aria di sfida. Jens lo sa, cosa sta
pensando. Pensa che lui non avrebbe il coraggio di piantarlo in asso
e di abbandonare la sicurezza della sua casa, non ora che Lord Ardyn
ha denunciato il furto di un oggetto di valore custodito
nell’abitazione del suo notaio di fiducia. Il fatto che la
Guardia
Cittadina stia cercando un generico malvivente e che il suo nome
sembra non circolare per le strade lo rassicura sul fatto che, almeno
per il momento, il notaio non ha parlato e non ha rivelato a nessuno
l’identità del ladro.
Bene,
pensa. Si
vede che la mia fama incute ancora abbastanza timore.
Alla
gente comune,
almeno – non a Laròs, che sa che gli scagnozzi che
solitamente lo
accompagnano nelle sue scorribande non sono altro che mercenari
pronti a vendersi al migliore offerente. Con il suo socio la tattica
dell’intimidazione non funziona, soprattutto se Jens vuole
evitare
di svelare il segreto che è sempre stato attento a tenersi
ben
stretto. Per sua fortuna, però, non ha bisogno di ricorrere
a
tattiche simili: l’avidità del suo finanziatore
è più che
sufficiente.
“Suvvia, Laròs:
sappiamo entrambi che i rischi che corri finanziandomi non sono nulla
rispetto ai benefici che otterresti se la mia missione avesse
successo” sorride placido incrociando le mani sulla mappa.
Il
volto pallido del
suo interlocutore si contrae in una smorfia, ma infine l’uomo
annuisce. “D’accordo. Ti fornirò due
uomini sulle cui capacità
e discrezione so di poter contare e ti farò avere tutto
ciò che ti
serve per raggiungere il luogo indicato dalla tua mappa. In cambio,
però, voglio la tua fedeltà assoluta: nessuno
deve sapere quello
che stai facendo, né da dove vengono i soldi che ti
permettono di
farlo. Se mi giunge voce che hai messo al corrente anche una sola
persona del nostro patto, vado dal Podestà e gli racconto
tutto.”
Adesso
tocca a Jens
sorridere. “E la cosa non danneggerebbe anche te? Non credo
sia
saggio mette al corrente la gente che conta delle
tue... Attività parallele, se
così vogliamo chiamarle.”
Laròs
avvicina il
volto al suo ed è la prima volta che nei suoi occhi il
bandito
scorge qualcosa che lo invita veramente alla cautela. “Io ho
i
mezzi per atterrare in piedi. Tu no.”
Questo
è quello che
credi tu, pensa Jens cercando di mantenere
un’espressione
neutra. Gli mancano i soldi per lanciarsi in imprese grandiose, ma
non i mezzi per tutelarsi.
Quelli
sono però
pensieri che deve tenere per sé. Jens solleva le mani in
segno di
resa. "Non apprezzo le minacce, ma mi pare che abbiamo perso fin
troppo tempo in chiacchiere. Facciamo come dici tu. Del resto, la
discrezione è fondamentale anche per me e meno persone sanno
della
mappa e meglio è. Quando puoi presentarmi i due uomini di
cui
parli?"
Le
sue parole sembrano
rassicurare Laròs, che sorride. "Stasera stessa."
"Bene"
annuisce il ladro. "Se mi convinceranno, partiremo il prima
possibile. Una volta trovata la chiave, torneremo da te e decideremo
insieme i passi successivi. Resta inteso che divideremo equamente
qualsiasi cosa troveremo sotto quella collina."
"Sempre
ammesso
che questa fantomatica chiave esista" osserva asciutto Laròs.
Jens
non ha dubbi.
"Esiste."
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Capitolo 3 *** 3. Quattro signore e un garzone ***
"...
Sarebbe
bastata un po' più di discrezione e non si sarebbe trovata
in questa
situazione. Non si può certo dire che quella ragazza brilli
per la
sua intelligenza."
'Uh-uh."
Shana
Dellos-Maer
distoglie lo sguardo dalla sua interlocutrice per evitare di
sbadigliarle in faccia. Quegli incontri con le dame della
società
bene sono una noia mortale, ma restano comunque un male necessario.
"Lord
Stomel era
un ottimo partito, Lady Dellos-Maer, un ottimo partito!"
continua Lady Costa. "Quella sprovveduta di Marit Vincey ce
l'aveva praticamente in pugno e ha dovuto rovinare tutto andando a
fare gli occhi dolci al fattore. Che caduta di stile, non trovate?"
"Davvero
terribile" commenta Shana annuendo gravemente. In realtà non
gliene frega un accidente di niente delle disavventure amorose di
Lady Vincey. Che si infratti pure con un contadinotto che puzzava di
sterco di vacca, se le fa piacere: lei con la ragazza in questione ha
scambiato sì e no tre parole in tutto e tanto le
è bastato per
concludere che si tratta di un soggetto fondamentalmente
inutile.
"E
voi, Lady
Dellos-Maer?" le chiede la vecchia Nora Westall sorseggiando
rumorosamente il tè al gelsomino che la servitù
le ha servito una
decina di minuti prima. "Non pensate ad accasarvi, voi?"
Shana
si esibisce in
una risata leggera che maschera alla perfezione il disgusto
suscitatole da quella domanda. "Per ora il matrimonio non è
il
primo dei miei pensieri, Lady Westall. Lo diventerà forse il
giorno
in cui avrò la fortuna di incontrare l'uomo giusto per me."
"Fate
bene!"
approva la mastodontica Lady Petrit. "Siete giovane, siete ricca
e siete pure bella: cosa ve ne fate di un marito?"
"Bellezza
e
gioventù sono doni transitori, Lady Petrit", replica
coscienziosamente Shana, "e credo che anche la ricchezza sia
meglio amministrarla in due: devo solo trovare il compagno adatto, ma
per ora mi limito a sperare che lui venga da me, anziché
cercarlo
attivamente."
"Be',
fatemi
sapere se desiderate che vi consigli qualche buon partito" si
intromette Roshlin Costa. "Ne conosco giusto un paio che
farebbero a caso vostro."
Piuttosto
che
affidarmi al tuo giudizio, preferirei cercarmi un marito tra i
clienti di un bordello, pensa Shana, prima di
sfoggiare un
sorriso grato e replicare: "Terrò sicuramente conto della
vostra gentilezza, Lady Costa."
La
donna prende fiato e
per un istante Shana teme che stia per lanciarsi nell'enumerazione
dei ricchi scapoli che vorrebbe sottoporre alla sua attenzione, ma un
movimento oltre la porta del salone la salva da quel
supplizio.
"Vogliate
scusarmi, signore" dice alzandosi dalla poltroncina e
sistemandosi la gonna attorno alle gambe. La pregiata stoffa viola
balugina di riflessi iridescenti e lei si compiace ancora una volta
per l'ottimo acquisto. "Vedo che è arrivato il garzone del
mio
pasticcere di fiducia: non vedo l'ora di farvi gustare le sue ultime
creazioni."
"C'è
la torta di
fiordaliso?" chiede la più anziana delle sue ospiti
abbassando
la tazza di tè e guardandosi attorno con gli occhi della
donnola che
ha fiutato il sangue.
"Penso
proprio di
sì, Lady Westall" la rassicura la ragazza con un sorriso.
Non
manca di notare che la vecchia Nora, erede di un ramo secondario di
una delle casate più antiche e ricche del reame, non perde
occasione
di mangiare a scrocco - soprattutto se si tratta di affondare i denti
in pietanze ricercate e costose.
La
giovane si dirige a
passi svelti verso il corridoio e segue il ragazzo che, dopo averle
fatto un cenno, è scivolato verso la cucina. Non si
è però
infilato lì, bensì nella dispensa contigua, ed
è lì che Shana lo
raggiunge. Willy, si fa chiamare il ragazzo. Lei non ha dubbi che
quello non sia davvero il suo nome.
"Quindi?"
lo
incalza subito dopo essersi chiusa delicatamente la porta alle
spalle.
Willy
si guarda
attorno. Nella stanza c'è un'unica finestrella dal vetro
polveroso e
il piccolo locale è immerso in una luce piatta e
lattiginosa. Come
in occasione di ogni loro incontro, gli occhi grigi del garzone
saettano da una parte all'altra come due pesciolini che, rimasti
imprigionati in una pozza isolata dal fiume, cercano disperatamente
una via di fuga. È sempre in allerta, Willy. Sempre pronto a
dileguarsi al primo segnale di pericolo. Shana sospetta che sia
un'abitudine insita in quelli che fanno il suo mestiere.
"Gli
ultimi giorni
sono stati piuttosto tranquilli", risponde il garzone con voce
bassa e frettolosa, "ma ieri notte sono abbastanza certo di aver
intravisto Jens Lowal."
La
giovane sgrana gli
occhi. "Cosa significa che ne sei abbastanza certo?"
È
un'informazione
importante, quella. Prima di agire in qualsiasi modo, deve
assicurarsi che Willy non abbia preso un abbaglio.
Il
ragazzo aggrotta la
fronte. "Già durante il giorno Lord Stowel mi era sembrato
particolarmente circospetto e la cosa mi ha fatto supporre che
qualcosa stesse bollendo in pentola. Non l'ho perso di vista un
attimo, ma fino a sera non è accaduto nulla di insolito.
Stowel ha
cenato alla solita ora e si è ritirato nei suoi appartamenti
come fa
tutte le sere. L'istinto mi ha comunque suggerito di restare sveglio
tutta la notte, e ho fatto bene! Saranno state le quattro del mattino
ed ecco che vedo un tizio entrare in casa. Non l'ho visto bene, era
buio e capisci da te che non potevo certo accendere una lanterna per
guardarlo in faccia, ma mi giocherei mia madre che quello era proprio
Jens Lowal: l'ho seguito abbastanza spesso da essere in grado di
riconoscere il modo in cui si muove e in cui respira!"
Non
è molto,
considera pensierosa Shana, ma è anche
vero che fino a oggi
Willy non ne ha sbagliata una. Tutto sommato vale la
pena di
indagare - con discrezione, così da non sollevare pericolosi
sospetti.
"Ottimo
lavoro,
Willy" dice allora infilando una mano nel borsello che porta
appeso alla cintura. Le basta il tatto per identificare tre grosse
monete d'argento: sessanta fiorini, ovvero quanti il ragazzo ne
guadagna lavorando un mese come garzone del pasticcere. "Ecco a
te" dice lasciandole cadere nel palmo di Willy. "Continua a
tenere gli occhi aperti e, se noti qualcosa di interessante, vieni
subito da me."
Il
ragazzo fa sparire
le monete nella tasca dei calzoni e lascia la stanza senza aggiungere
altro. Questo è uno dei tanti aspetti che Shana apprezza del
suo
informatore: non fa mai domande.
Mentre
intercetta una
domestica da mandare in cucina e servire i dolci già pronti
da ore,
la giovane riflette sull'informazione che ha appena ottenuto. A prima
vista Laròs Stowel è un impresario
irreprensibile, ma Shana è a
conoscenza della sua attività di finanziatore di imprese
poco
lecite. All'interno degli ambienti giusti ha
la fama
di essere il migliore in quel campo e lei, ambiziosa com'è,
non
desidera altro che prendere il suo posto.
Talvolta
ha accarezzato
l'idea di sedurlo: non è troppo vecchio per diventare suo
marito ed
è sufficientemente ricco da non mettere in pericolo
l'ingente
patrimonio che lei ha ereditato alla morte di suo padre. Tuttavia le
loro conversazioni in occasione di alcune serate di gala l'hanno
convinta che Laròs è un po' troppo simile a lei
per essere un buon
partito. È subdolo e arrivista e Shana non è
sicura che sia un tipo
che ama condividere il potere.
Non
è ingenua e sa che
prima o poi un marito dovrà trovarselo, ma sa anche che le
servirà
un uomo mite e remissivo. E non troppo vecchio, pensa
mentre si arrotola lungo il dito una ciocca corvina. Non
ho
lo stomaco per dividere il letto con un vecchio bavoso.
Mentre
aspetta che i
dolci vengano serviti - non ha fretta di tornare a occuparsi delle
signore radunate in salotto - Shana siede davanti alla finestra e
osserva distrattamente gli alberi del suo parco, che iniziano
già a
mostrare i primi colori autunnali.
Chissà
quali affari
hanno Lord Stowel e Lowal.
Shana ha sentito
parlare di alcuni furtarelli avvenuti negli ultimi tempi, ma nulla
che possa giustificare la presenza di un criminale di tale calibro a
casa del mecenate dei malfattori.
Malgrado
già in
passato abbia cercato di racimolare qualche informazione sul suo
conto, Jens Lowal rimane sostanzialmente un mistero. Ha dimostrato di
essere un criminale feroce, a capo di una banda di malviventi poco
più malleabili di lui, ma i più attenti hanno
notato che gli uomini
che lo seguono nelle sue scorribande sono raramente gli stessi. Shana
sospetta che siano mercenari, e che non sia lui stesso a pagarli.
Che
lui e
Lord Stowel siano soci in
affari? Riflette,
non per la prima volta. Lowal usa la sua fama come un'arma, spesso
compie i suoi crimini a volto scoperto con l'intento di intimidire le
sue vittime, ma la ragazza si chiede se non ci sia anche dell'altro,
dietro alla figura del predone senza pietà.
Quello
che è certo
è che, se è andato a fare visita al buon
Laròs nel cuore della
notte, l'ha fatto per un buon motivo.
E
lei ha un'idea su
come fare a scoprilo, quel motivo.
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Capitolo 4 *** 4 - Il Pettirosso ***
Shana
ha capito tempo
fa che il miglior modo per non dare troppo nell'occhio è non
esagerare con i travestimenti.
Per
questo motivo quel
giorno non indossa la pesante cappa di velluto dietro cui era solita
nascondersi durante le sue prime uscite clandestine: non ci ha messo
molto ad accorgersi che l'ampio cappuccio che oscurava il suo volto
portava la gente a osservarla con più attenzione, a spiare
sotto
all'orlo decorato fino a decifrare i suoi lineamenti. Ha scoperto che
è più sicuro indossare degli abiti di media
fattura e coprirsi il
capo con uno degli scialli colorati che le mogli dei mercanti
utilizzano per proteggersi dal vento freddo.
Il
clima la assiste: la
prima pioggia di settembre ha svuotato le strade di Yevàn e
i passi
della giovane risuonano sul selciato e sulle pareti dei vicoli
deserti. Incrocia solo pochi passanti frettolosi, gente che, come
lei, ha poca voglia di fermarsi a chiacchierare. Del resto, quella
è
una parte della città in cui, una volta che è
scesa la notte, è
buona norma andare dritti per la propria strada senza attardarsi a
parlare con gli sconosciuti.
Per
raggiungerla Shana
ha lasciato il quartiere ovest, dimora di chi, come suo padre, si
è
arricchito con i proventi delle banche e del commercio della seta, e
ha attraversato l'antica cittadella fortificata che costituisce il
centro di Yevàn. È scivolata poi oltre la porta
sud, la Porta
del Vento, e ha raggiunto il quartiere più
meridionale, quello
che tutti chiamano Conca della Luna. Di
giorno è un
luogo grazioso, ricco di taverne e di venditori ambulanti, ma
è di
notte che mostra il suo vero volto: lì fioriscono bische e
bordelli,
venditori di merci di contrabbando e locali in cui si fuma nebbia.
Quella
sera la Conca
della Luna è più popolata del resto della
città: nemmeno la
pioggia autunnale è sufficiente per raffreddare i vizi e gli
istinti
della gente che sceglie di sperperare lì i propri risparmi.
Shana
non si sente
parte di quella marmaglia persa e senza morale: non è
lì per
piacere, ma per affari.
Il
luogo lo conosce
ormai bene. L'insegna che raffigura un pettirosso stilizzato oscilla
sotto i colpi del vento umido e dall'interno della taverna giungono
grida, risate e il tintinnio di bicchieri posati con malagrazia sui
tavoli di legno. La ragazza ignora la porta principale e si infila in
un viottolo quasi invisibile sulla destra dell'edificio. È
stretto e
le sue spalle strisciano contro il muro bagnato, ma lei non vi bada.
L'obiettivo vale ben quel piccolo fastidio.
Il
portoncino di legno
scheggiato le compare di fronte all'improvviso e, come al solito,
Shana annuncia la propria presenza colpendolo con un calcio. Lo
spioncino si apre e la giovane vede baluginare la luce di una
lanterna, poi la porta si schiude.
"Benvenuta,
Lady
Dellos-Maer" le dice la fanciulla che si trova dall'altra parte.
Il suo tono le lascia il dubbio che la giovane non sia
particolarmente felice di vederla.
Nina,
questo è il nome
della ragazza, è stata per molti anni una prostituta per il
proprietario del locale. Poi un qualche incidente le ha portato via
metà della gamba sinistra, rendendola inadatta alla
professione
malgrado il seno generoso e gli occhi da gatta. Quando Shana,
incuriosita, ha chiesto informazioni su di lei, ha scoperto che
sarebbe finita in strada, se non fosse stato per la sua mente
brillante e per la sua abilità per i numeri. Ora
è una contabile,
tiene traccia di spese e guadagni, e accoglie la gente che viene a
trovare il suo padrone.
Sembra
anche nutrire
una certa antipatia per Shana, ma l'ereditiera non si è mai
interrogata del motivo di quella ostilità: non le interessa,
come in
generale non le interessa di Nina.
"Ho
bisogno di
parlare con Demòs" esordisce, senza preoccuparsi di
ricambiare
il saluto.
"Naturalmente"
borbotta Nina afferrando più saldamente le stampelle che le
permettono di muoversi. "Conoscete la strada per la stanza
verde. Attendete lì, il padrone sarà subito da
voi."
Shana
annuisce e si
incammina verso il locale che le è stato indicato, non prima
di
sciogliere il nodo dello scialle, liberandosi la testa dalla sua
morsa umida.
La
stanza verde rende
giustizia al suo nome: verdi sono i divanetti ricoperti di velluto
consunto, verde è il tappeto che protegge il pavimento,
verde è la
carta da parati che copre le pareti. Il tutto è intriso del
profumo
dolciastro e un po' speziato della nebbia e
Shana
arriccia il naso, disgustata dal pensiero dei numerosi clienti che si
sono seduti lì dove adesso siede lei e hanno fumato la droga
più in
voga nella capitale e nell'intero regno.
L'attesa
è assai più
lunga di quanto si aspettasse e, quando Demòs finalmente la
raggiunge, la ragazza è decisamente irritata.
Il
proprietario del
Pettirosso ha passato i cinquant'anni e il suo ventre sporge fiero al
di sopra della cintura, ma è ancora un uomo piuttosto
piacente, con
grandi occhi scuri e lunghe ciglia che li fanno apparire quasi
bistrati, e una barba folta e curata. Prima di sedersi su uno dei
divanetti liberi si sistema la patta dei pantaloni e Shana distoglie
lo sguardo per celare un moto di disgusto. Nina non sarà
più in
attività, ma lei sospetta che serva Demòs in
più di un modo.
"Se
attraverso
tutta la città per venire a parlare con te, non gradisco che
tu mi
faccia aspettare mezzora" dice rivolgendogli un'occhiata fredda.
"Non
sono alle
vostre dipendenze, Lady Dellos-Maer" replica pigramente
lui. "Se volete i miei servigi, dovete prima pagarmi."
La
ragazza si cava di
tasca un sacchetto di cuoio ingrassato e glielo getta. "Mi pare
che io ti abbia sempre pagato in modo più che generoso."
Demòs
dà un'occhiata
all'interno del sacchetto e, anche se non sorride, Shana vede una
luce soddisfatta brillare nei suoi occhi.
"Cosa
posso fare
per voi?" chiede l'uomo, abbandonando l'espressione pigra e
trasformandosi con disinvoltura in un commerciante solerte.
Shana
va dritta al
punto. "In città negli ultimi giorni c'è stato
qualche furto
particolarmente interessante?"
Demòs
ci pensa per
qualche istante. "Di furti ce ne sono tutti i giorni. State
cercando qualcosa di particolare?"
La
giovane riflette
sulla risposta da dargli. In effetti non è nemmeno sicura
che sia un
furto, quello che sta cercando. Ha passato l'intera serata e la notte
a meditare su ciò che Willy le ha rivelato ed è
giunta alla
conclusione che Lowal potesse essere a casa di Lord Stowel per i
più
svariati motivi. Però è soprattutto un ladro e le
probabilità che
nasconda una refurtiva di un certo valore sono, a parer suo,
superiori a quelle che nasconda un ostaggio.
"Nulla
di
particolare. Mi sono solo giunte delle voci e vorrei capire a cosa si
riferiscono."
L'uomo
le rivolge un
sorriso educato. "Intendete impossessarvi di ciò che
è stato
rubato?"
In
qualsiasi altro
contesto Shana non tollererebbe che le si dia della ladra, ma il
Pettirosso e l'intera Conca della Luna sono un mondo parallelo dove
è
lecito chiamare le cose con il loro nome.
"No"
risponde
comunque. "Mi interessa solo scoprire di cosa si tratta."
Non
è una bugia. Non
ha ancora deciso cosa farà di ciò che Lowal ha
rubato. Ciò che le
interessa davvero, almeno per il momento, è iniziare a farsi
un nome
che possa un giorno rivaleggiare con quello di Lord Stowel.
"Capisco"
annuisce Demòs. "Ebbene, se dovessi dire quale atto
criminale
ha attirato la mia attenzione negli ultimi giorni, vi parlerei
senz'altro del furto avvenuto a casa del notaio di Lord Ardyn."
Shana
aggrotta la
fronte. "Quando sarebbe avvenuto questo furto?"
"Due
notti fa"
replica l'uomo, e lo stomaco della ragazza ha un sussulto.
Due
notti fa! Si
ripete con un brivido di eccitazione. Esattamente quando Willy ha
visto Jens Lowal entrare in casa di Laròs Stowel.
"Sappiamo
cos'è
stato rubato?"
L'uomo
scuote il capo.
"Di preciso no. Lord Ardyn ha solo denunciato il furto di un
oggetto di valore, senza specificarne la natura, e neanche il notaio,
un tale Artem Shidaìn, si è sbilanciato in tal
senso."
Shana
annuisce
mordicchiandosi il labbro inferiore. "E suppongo che non si
conosca nemmeno l'identità del ladro."
"Non
la si
conosce, in effetti. Si parla di un uomo dal volto coperto."
Quell'ultimo
particolare raffredda un po' l'entusiasmo di Shana, dal momento che
Jens Lowal ha il vezzo di compiere i propri crimini a volto
scoperto. Del resto, però, riflette,
se questa
volta si fosse preoccupato di non farsi riconoscere vorrebbe dire che
c'è qualcosa di veramente grosso in ballo.
Shana
non ci mette
molto a decidere che vuole saperne di più, ma dubita che
Demòs, pur
con la rete di informatori di cui si serve, sappia fornirle altri
dettagli.
"Ho
capito"
sospira l'ereditiera dopo qualche minuto. "Credo proprio che
anche questa volta avrò bisogno di uno dei tuoi uomini."
Sul
volto dell'oste
compare un enorme sorriso, senza dubbio alimentato dal pensiero dei
quattrini che presto appesantiranno le sue tasche. "Ma
certamente! Posso riservarvi uno dei ragazzi che hanno lavorato per
voi già in passato, se lo desiderate."
"No"
ribatte
subito Shana. "Mi servirebbe un uomo poco conosciuto in
zona. Per nulla conosciuto in
zona, se possibile."
Demòs
ci pensa per
qualche istante, poi annuisce. "Penso di avere la persona che fa
esattamente al caso vostro."
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Capitolo 5 *** 5. Lord Ardyn ***
Un
punto alla volta,
Lyra sta ricucendo il lenzuolo che qualche giorno prima il bandito ha
squarciato con la lama del coltello.
Non
ha una reale
necessità di farlo, visto che in casa le lenzuola non
mancano, ma il
movimento regolare dell'ago che penetra il tessuto ha un effetto
quasi ipnotico e la aiuta a tenere la mente libera da brutti
pensieri.
Sono
soprattutto i suoi
genitori a regalarglieli, i brutti pensieri: quello che a lei
è
sembrato un furtarello di poco conto, spaventoso solo perché
avvenuto nel cuore della notte, pare averli terrorizzati. Sua madre
vaga per la casa pallida come un cencio e con gli occhi sbarrati e
suo padre si muove come un animale che teme di cadere vittima di un
predatore. È sempre all'erta, si guarda in giro come se
temesse di
vedere nemici saltare fuori da ogni angolo.
Vorrei
tanto sapere
cosa c'era su quel foglio, pensa mentre pugnala la stoffa con
l'ago. E soprattutto vorrei sapere cosa ci faceva
dentro il
mio letto. Ci ho dormito sopra per tutti questi anni?
È
forse quello il
pensiero che la turba di più. Non può evitare di
sentirsi
leggermente usata.
Un
bussare deciso alla
porta della camera la fa sobbalzare. "Sì?" chiede,
lasciandosi scivolare il lenzuolo in grembo.
La
porta si schiude
lasciando intravedere il volto bronzeo di Mia. Ogni volta che la vede
Lyra non manca mai di stupirsi di come la domestica riesca a
nascondere i lunghissimi capelli corvini in una crocchia ordinata e
per lo più celata da una cuffietta inamidata.
"Chiedo
scusa. Tuo
padre ti attende in giardino."
Mia
dà del voi ai
suoi genitori, ma mai a lei. Forse perché ha sette anni in
più di
lei e la conosce da quando era una bambina dalla salute cagionevole.
Lyra
posa il lenzuolo
sul letto e si alza in piedi. "Ti ha detto cosa vuole?"
"Ha
ricevuto una
visita di Lord Ardyn."
La
giovane si ferma a
pochi passi dalla porta. "... Ah?"
Mia
scrolla le spalle
come per dire che non sa perché l'ultimo erede di quelli che
una
volta erano i conti di Yevàn desideri parlare con lei.
"Ma
hanno chiesto
di me?" fa Lyra confusa.
La
domestica annuisce.
"Come ti ho detto, tuo padre ha richiesto la tua presenza. Posso
immaginare che sia per parlare di quello che è successo
l'altra
notte..."
Mia
ha ragione,
naturalmente. Durante gli anni Lord Ardyn è stato spesso
ospite
della loro casa, ma le sue visite sono sempre state motivate dalla
gestione degli affari che suo padre cura per lui. Milian Ardyn
è
sempre stato gentile con Lyra, ma non ha mai mostrato un particolare
interesse per lei.
Cosa
mai può volere
da me? Si chiede la ragazza mentre scende le scale
che
conducono al piano terra. Non è che ci sia
poi qualcosa da
dire su quello che è successo l'altra notte. Quel tizio
è arrivato,
mi ha tirata giù dal letto e si è portato via
quel foglio. Tutte
cose che Papà gli ha sicuramente già detto.
Passata
la pioggia che
è caduta copiosa fino a quella mattina, il giardino
è ora
illuminato dal sole di settembre. Gli steli d'erba e le foglie degli
alberi ne riflettono la luce gialla e per un istante Lyra ha come
l'impressione di camminare in un sogno, in un mondo dove il tempo
è
sospeso e dove tutto può succedere.
La
ragazza scuote la
testa per allontanare quella strana suggestione. Sua madre spesso le
dice che ha la testa tra le nuvole e, in tutta onestà, lei
non può
negare che sia davvero così.
Il
giardiniere ha
sistemato un tavolino e tre sedie di ferro battuto nel punto in cui
il prato è più pianeggiante: suo padre e Lord
Ardyn ne occupano già
due. La terza è per lei.
Lyra
si avvicina ai due
uomini e rivolge al nobiluomo l'inchino più aggraziato che
le riesce
di fare. Come di consueto, ha l'impressione di essere un pulcino che,
traballante sulle zampe, si china verso l'acqua.
"Oh,
Lyra,
benvenuta!" le dice suo padre, salutandola con calore nonostante
l'abbia vista solo poche ore prima. "Prego, siediti con noi."
La
fanciulla esita,
perché quello è un onore che non le è
stato mai concesso prima di
quel momento. Non è che Lord Ardyn le incuta particolare
timore, ma
non le è mai capitato di avere a che fare con una persona di
rango
così elevato. Mentre si accomoda sull'unica sedia libera, lo
osserva
con la coda dell'occhio. Deve avere più o meno
l'età di suo padre,
ma le pare in una forma fisica migliore. Sa per sentito dire che
è
un ottimo cavaliere e che è anche esperto nell'arte della
scherma.
Ha un viso piacevole - o così almeno le pare, Lyra non ha
mai
provato alcun interesse nei confronti degli uomini - con una barba
curata, capelli brizzolati e ben pettinati e profondi occhi marroni.
Le piacciono quegli occhi: sono gentili, e adesso le stanno
sorridendo.
"È
un piacere
averti con noi, signorina" le dice il gentiluomo.
"Ehm."
Lei
avvampa e si fissa i piedi, sentendosi soffocare nell'imbarazzo.
"Lyra
è un po'
timida" sospira suo padre. "Non è molto abituata ad avere
a che fare con persone che non facciano parte della famiglia."
Lord
Ardyn continua a
sorridere. "È perfettamente normale che una fanciulla
così
giovane mostri una certa ritrosia. Avrà tempo per crescere e
per
imparare l'arte della conversazione."
La
ragazza deglutisce e
si mordicchia le labbra mortificata. Le sta dando dell'inetta?
"Certamente"
concorda suo padre. "Nel frattempo affina la sua mente in altri
campi: è una brava sarta e studia con profitto."
Il
gentiluomo si
illumina. "È così?"
Lyra
sente di essere
approdata su un terreno che le è un po' più
congeniale.
"Sissignore. Mi piacciono molto la matematica e le scienze
naturali."
Lord
Ardyn scoppia a
ridere come se quella risposta lo deliziasse. "Sei anche tu
brava con i numeri, eh? Chissà che un giorno tu non possa
continuare
a esercitare la professione di tuo padre."
Lei
annuisce e poi
prende coraggio. "Quella del notaio è sicuramente un'ottima
professione, ma confesso che mi piacerebbe anche lavorare in una
farmacia, una volta terminati gli studi."
Lui
le rivolge
un'occhiata stranamente penetrante. "Ti piace l'idea di
rimestare pozioni, eh?"
Lyra
aggrotta la
fronte. "Beh, non si tratta proprio di pozioni, mio signore,
quanto piuttosto..."
"Lyra,
c'è tempo
per decidere cosa farai da grande" la interrompe suo padre,
smorzandole le parole in gola. Lei gli rivolge uno sguardo tradito:
non è da lui impedirle di terminare una frase, e il suo tono
brusco
la ferisce. Cosa c'è di male nel voler diventare una
farmacista? È
sicuramente una professione più adatta a una donna che
quella del
notaio.
Artem
Shidaìn non le
lascia comunque il tempo di rimuginare troppo sul suo atteggiamento.
"Lord Ardyn desidera parlarti di una cosa ben precisa,"
La
giovane sposta di
nuovo la sua attenzione sull'altro uomo. "Si tratta di quello
che è successo l'altra notte?"
Lui
annuisce grave.
"Esattamente. Sai chi era quell'uomo?"
Lyra
ripensa al ladro e
fa un cenno di diniego.
"Quello
era Jens
Lowal" le dice, facendola trasalire. "Ti era mai capitato
di vederlo prima?"
Lei
scuote la testa con
aria persa. Jens Lowal! Si ripete
allibita. Il
criminale più feroce di tutta Yevàl era in camera
mia e non mi ha
fatto del male.
"Mai?"
la
incalza il gentiluomo. "Neanche di sfuggita durante le tue
uscite a cavallo o le tue passeggiate in città?"
Lei
ci riflette con
attenzione e poi scuote di nuovo il capo. "No, mio signore.
Avrei dovuto?"
Anziché
rispondere,
Milian Ardyn ripiega il capo su una spalla e fa un suono difficile da
interpretare.
Lyra
è confusa e anche
un po' preoccupata. È sempre più convinta che ci
sia qualcosa di
cui sta venendo tenuta all'oscuro. Il modo strano in
cui si
stanno comportando Mamma e Papà, Lord Ardyn che viene qui e
che
parla con me e che mi chiede se ho mai incontrato quel bandito prima
dell'altra notte... L'occhiata che i due uomini si
stanno
scambiando in quel momento, la smorfia che, per una frazione di
secondo, si disegna sul volto di suo padre.
Sì,
c'è sicuramente
qualcosa che non va, e il non sapere cosa la
fa
impazzire. Per un istante Lyra si sente sul punto di urlare e di
pretendere a gran voce di sapere che cosa sta succedendo, ma poi le
sue buone maniere prendono di nuovo il sopravvento.
Sbraitare
non
servirebbe a niente, ricorda a se stessa, ripetendo le parole
che
sua madre le ha detto migliaia di volte. Loro sono
uomini
adulti e tu sei solo una ragazzina. Loro hanno il potere e non sono
tenuti a risponderti. Sii furba ed educata e magari otterrai
qualcosa.
"Che
cosa c'era
sul foglio rubato?" chiede, e già un istante dopo vorrebbe
rimangiarsi le parole. È stata troppo sfacciata? Ha chiesto
troppo?
Lord
Ardyn non sembra
però turbato da quella domanda. "Una mappa" sospira. "Una
mappa che porta a un tesoro che appartiene alla mia famiglia. O
così
almeno credo."
"Almeno
credete?"
gli fa eco lei. "Neppure voi ne siete certo?"
"Lyra..."
sospira suo padre, ma il nobiluomo le sorride.
"Mia
cara, sono
certo che Lowal abbia rubato la mappa. Quello di cui non sono certo
è
che quella mappa porti effettivamente da qualche parte. Lo sai come
funzionano queste cose, no? Vecchi cimeli di famiglia che risalgono a
un tempo in cui la gente era superstiziosa. I nostri avi scambiavano
le leggende per fatti certi; e quello che consideravano un tesoro
magari non è altro che un mucchio di ciarpame senza valore.
O magari
un mio antenato si è divertito a disegnare una mappa che non
conduce
da nessuna parte solo per prendersi gioco di un rivale: chi
può
dirlo?"
"Ma
allora perché
quel brigante l'ha rubata?"
Il
gentiluomo piega le
labbra in una smorfia sprezzante. "Non possiamo certo aspettarci
che un criminale si comporti in maniera avveduta e razionale:
probabilmente è convinto che sia un ottimo modo per
arricchirsi.
Sono certo che ritenga più sensato seguire una mappa vecchia
secoli,
piuttosto che cercarsi un lavoro come farebbe la gente per bene."
Lyra
riflette su quelle
parole e i minuti scorrono via lenti e pesanti. Infine la giovane
solleva la testa. "Ma... come faceva a sapere dove trovarla?"
Lord
Ardyn la osserva
per qualche istante, poi lui e il notaio si scambiano un'occhiata che
a Lyra non piace nemmeno un po'.
"Non
devi
preoccuparti di questo" replica infine Milian Ardyn. "Non
tornerà tanto presto a farti visita, questo è
certo."
La
ragazza abbassa lo
sguardo sulla propria sottana e ci mette un attimo a capire
perché
quelle parole le abbiano fatto contrarre dolorosamente lo
stomaco. Sospettano di me! Comprende
con
improvvisa chiarezza. Pensano che io abbia incontrato
da
qualche parte Jens Lowal e che gli abbia parlato della mappa!
Ma
lei nemmeno lo
sapeva che c'era quell'affare sotto il suo letto! E non aveva mai
visto il ladro prima della notte in cui lui le era piombato in
camera! Anzi, nemmeno sapeva che faccia avesse quel brigante! Come
potevano pensare che...
Nello
stomaco le si
apre una voragine, ora, e un capogiro la costringe ad aggrapparsi
alla sedia. Ha le guance in fiamme, la gola chiusa in una morsa e gli
occhi offuscati da un velo di lacrime di mortificazione e rabbia.
Sente su di sé gli sguardi dei due uomini, ma in quel
momento non sa
come affrontarli.
"Vogliate
scusarmi" gracchia mettendosi maldestramente in piedi.
Con
una mano premuta
sulle labbra per soffocare il respiro affannoso che le sale dal
petto, Lyra si allontana a grandi passi dal tavolino e dalle sedie.
Con la coda dell'occhio vede che suo padre fa come il gesto di
trattenerla, ma il suo padrone solleva una mano e gli fa cenno di
lasciar perdere.
Sì:
che la lascino
perdere. Come possono pensare una cosa simile di lei? Sono
stati loro a tradirla, loro a
nascondere una cosa tanto preziosa all'interno della sua camera,
all'interno del suo stesso letto!
Lyra
corre verso casa
attraverso il prato accarezzato dal sole che si sta abbassando
sull'orizzonte. Quando sta per posare il piede sul primo dei gradini
di marmo che portano verso il portone principale, si volta verso est:
le è parso di sentire una voce, un richiamo confuso giungere
da
quella direzione.
Ma
non c'è nessuno, e
quello che ha sentito è forse solo il richiamo di un
uccello.
Lyra
entra in casa.
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Capitolo 6 *** 6 - La Fossa del Gigante (parte 1) ***
"Dovremmo
scendere
lì sotto."
Quella
di Yanik non è
una domanda e il fatto che il suo compagno stia costatando l'ovvio fa
scorrere un brivido di irritazione lungo la schiena di Jens.
"Sì,
non siamo
venuti fino a qui per godere del panorama."
Qualche
metro più
indietro, Tek ridacchia e continua a pulirsi i denti con una
pagliuzza. Disgustoso, pensa Jens,
affrettandosi a
volgergli nuovamente le spalle.
Se
non fosse che Laròs
ha garantito per loro, si sarebbe sbarazzato già da tempo
dei suoi
compagni di viaggio. Nei cinque giorni che hanno impiegato per
raggiungere la Fossa del Gigante ha avuto modo di conoscerli bene e
di giungere alla conclusione che non sono persone che avrebbe scelto
come soci.
Yanik
è un ragazzotto
di vent'anni o poco più con i capelli rasati e due braccia
enormi.
Lo sovrasta di più di una testa - e Jens pensa di avere una
statura
del tutto ragguardevole - e ha gambe che sembrano tronchi
d'albero. È
forte come un toro e del toro ha anche l'intelligenza: il bandito
spera di non trovarsi mai nella situazione in cui, per trarsi
d'impiccio, gli serva il cervello di Yanik e non i suoi muscoli.
Tek
è invece di
tutt'altra pasta. È un vecchio bandito forgiato dai
crimini e
dal vento della sua terra natia, all'estremo nord del continente. Ha
la pelle del colore del cuoio, ruvida come
il cuoio,
e sottili occhi neri che vedono tutto. Tek osserva molto, parla poco,
e Jens non ha dubbi che non ci penserebbe due volte prima di
piantargli un coltello nella schiena, se credesse che la cosa possa
dargli un vantaggio. I soldi di Laròs lo tengono a bada, ma
Jens è
certo che l'uomo sia una donnola pronta a colpire.
Le
donnole devono
però stare attente a non finire scuoiate, pensa
lanciando ancora
un'occhiata al più anziano dei suoi compagni di viaggio.
"Chi
va per
primo?" chiede Yanik, distogliendolo da quei pensieri.
"Scendiamo
tutti
insieme" ribatte lui osservando la forra che si inabissa a pochi
metri dai loro piedi. "Una volta raggiunto l'imbocco della
grotta, ci legheremo l'uno all'altro e procederemo in fila, in modo
da non perderci."
Yanik
osserva il
terreno scosceso e irto di rocce e la sua fronte si increspa in
un'espressione preoccupata. Jens sbuffa. "Non dirmi che hai
paura."
Il
ragazzo serra la
mascella. "Non ho paura, ma l'idea di infilarmi lì sotto mi
piace poco. Nessuno di noi sa cosa troveremo in quella grotta."
Jens
alza gli occhi al
cielo. "Vermi e scarafaggi, probabilmente."
"Elfi?"
ipotizza il ragazzo. Lo dice con tono di sfida, ma l'uomo capisce che
la domanda è sincera.
"Nessun
elfo"
replica secco. "Nessuno vede più gli elfi da secoli, nessuno
sa
se esistano ancora e, a dirla tutta, nessuno sa nemmeno se siano mai
veramente esistiti. L'unica cosa di cui dobbiamo preoccuparci
è il
labirinto di cunicoli che dovremo attraversare per raggiungere la
chiave."
Mentre
lui parla, Tek
si è tolto lo zaino dalle spalle e sta ora esaminando
il
grosso rocchetto di fil di ferro che ha portato con sé.
"Ma
se pensi che
gli elfi non esistano, allora a che tipo di tesoro porta la chiave
che stiamo cercando?" chiede dopo qualche minuto Yanik.
"A
un tesoro
nascosto dai vecchi conti di Yevàl. Meno affascinante
dell'oro
fatato, forse, ma molto più tangibile."
Jens
lo dice con una
perfetta faccia di bronzo e non fa trapelare il suo vero pensiero. In
realtà, lui non dubita che ci siano delle creature fatate,
nascoste
negli angoli più remoti del continente. L'esistenza stessa
del
suo informatore, se può
chiamarlo così, ne è la
riprova. E il fatto che quella creatura sia
stata in
grado di dirgli dove trovare la mappa, significa che essa è
stata
forgiata dalla magia, o che ha per lo meno un legame con essa. E
dire che sembra un banalissimo foglio ingiallito dal tempo,
pensa.
Yanik
non pare del
tutto convinto e Jens lo guarda sorridendo con aria di scherno. "Hai
paura degli elfi, ragazzo?"
Il
giovane abbassa lo
sguardo con espressione corrucciata. Sembra il gesto di un bambino,
ma all'uomo non sfugge il modo in cui serra i pugni enormi. "E
anche se fosse?" ringhia dopo qualche istante. "Mica lo so,
di cosa sono capaci quelli. Si raccontano certe storie..."
Ancora
indaffarato a
dipanare parte del rocchetto di filo, Tek fa schioccare la lingua.
Yanik si volta stizzosamente verso di lui. "Hai qualcosa da
dire?"
Il
criminale più
anziano inarca le sopracciglia con aria sprezzante. "Io non ho
paura di quelli."
Il
tono in cui lo dice
cattura l'attenzione di Jens. "Ma non mi dire. Devo supporre che
tu ne abbia già incontrati, di elfi?"
Tek
sostiene il suo
sguardo e non c'è traccia di ironia nei suoi occhi scuri.
"No,
ma conosco il Popolo Fatato. Conosco le donne che vivono nel mare, su
dalle mie parti. Quelle con la coda da pesce e quelle con la pelle di
foca."
"Sirene
e selkie?"
chiede Jens, incuriosito nonostante tutto.
Tek
annuisce. "Le
prime le devi cacciare via con gli arpioni. Ammazzarle, se ti riesce,
prima che loro ammazzino te e ti spolpino con i loro denti da
pescecane. Ma le seconde sono morbide e rotonde e sono buone da farci
l'amore. Gli piacciono gli uomini terrestri, alle selkie. A volte se
li sposano anche, e sono ottime mogli."
Jens
non può fare a
meno di ridacchiare. "Ti sei scopato una foca?"
L'altro
uomo sembra
quasi offeso. "Sì, ma non era una foca, quando me la sono
scopata."
Yanik
ha un'aria
vagamente ammirata e Jens decide che ne ha avuto abbastanza di quel
discorso. "Va bene" esclama battendosi le mani sulle
cosce. "Abbiamo perso fin troppo tempo. Scendiamo lì sotto."
I
suoi due compagni si
fanno subito seri e attenti e Jens deve riconoscere che, se non
altro, almeno sembrano ascoltarlo.
"Dunque
vado prima
io?" chiede Tek.
Jens
fa un cenno di
assenso. "Sì. Sei quello che ha più esperienza in
questo
genere di esplorazione. Io ti seguo con la mappa e Yanik
sarà
l'ultimo. Hai capito quello che devi fare, ragazzo?"
Lui
annuisce. "Devo
assicurarmi che il filo sia ben saldo prima di lasciare il punto di
ancoraggio e seguirvi."
"È
fondamentale"
sibila Tek. "Dimenticati di farlo e siamo fottuti: ci perderemo
e creperemo sottoterra."
È
vero, pensa
Jens. Non per la prima volta, si ritrova a desiderare di avere con
sé
il suo informatore. Ma la cosa non
è fattibile, e il
gioiello che porta incastonato nel bracciale che gli cinge il polso
destro è solo un misero sostituto del potere e della
sapienza
dell'essere che l'ha messo sulla strada del tesoro sepolto sotto le
colline di Yevàn. Quella perla lucente lo
avvertirà del pericolo
rappresentato da creature non umane, ma non gli indicherà la
via per
uscire dalle viscere della terra, una volta che essa sarà
persa.
"Bene"
dice,
allontanando quei pensieri. "Se è tutto chiaro, avviamoci.
Intendo raggiungere la chiave e tornare all'aperto prima che faccia
notte."
"Sottoterra
non
c'è differenza tra notte e giorno" gli fa notare Tek.
"No,
ma fuori sì",
ribatte lui, "e voglio vedere bene quello che c'è attorno a
me,
quando avrò finalmente la chiave in mano."
Senza
aggiungere altro,
i tre iniziano a scendere lungo la parte più esterna della
Fossa dei
Gigante. Il fondo è ghiaioso e Jens rischia più
volte di perdere
l'equilibrio e di scivolare. Grandi massi calcarei dominano i fianchi
dell'ampia depressione circolare che, secondo la leggenda, si
è
formata all'alba del mondo, quando la testa del
gigante
Krivy, decapitato dal fratello Vronyn, è caduta a terra .
Tra la
roccia grigia sbucano numerose macchie rosse: cespugli di rododendro
di fuoco per il viaggiatore critico, macchie del sangue sgorgato dal
collo di Krivy per chi invece crede alle leggende.
Quando
finalmente
giungono sul fondo della forra, il sole della mattina inizia appena a
scavalcare la cresta delle montagne a est. Senza dire una parola, Tek
porge loro gli imbraghi rudimentali nei quali si dovranno infilare.
Jens
e Yanik li
indossano con attenzione, ma il brigante più anziano
controlla
comunque che li abbiano chiusi correttamente e li assicura lui stesso
al filo di ferro che ha iniziato a dipanare. Jens non ha dimenticato
l'antipatia e la poca fiducia che nutre nei confronti del suo
compare, ma sa che Tek ha ogni interesse ad assicurarsi che Jens sia
al sicuro, almeno per ora: se vogliono scendere nel ventre della
terra, devono farlo insieme, ed è solo insieme che potranno
uscirne.
Sarà
solo dopo, quando
vedranno di nuovo il cielo, che dovrà tornare a guardarsi le
spalle.
L'ingresso
della grotta
che si apre sul fondo della Fossa del Gigante è quasi
invisibile,
celato com'è dai rododendri, ma la mappa è
precisa. Jens scosta i
rami contorti ed eccolo lì: un buco nero che scende,
graduale ma
inesorabile, verso le profondità della terra.
Il
brigante prende
l'acciarino e dà fuoco alla torcia che ha portato con
sé. Poi
rivolge un cenno a Tek.
"Andiamo,"
L'altro
uomo accende a
sua volta una torcia e con essa si incammina attraverso le tenebre.
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Capitolo 7 *** 7 - La Fossa Del Gigante (parte 2) ***
Jens
ha sempre pensato
che sottoterra ci fosse il silenzio, ma non è
così. In superficie
il terreno è asciutto, ma lì sotto è
tutto un cik-cik-cik di
acqua, un gocciolio costante che giunge da tutte le direzioni e che
rimbalza distorto e ingigantito sulle pareti irregolari del budello
nel quale sta avanzando.
Al
di sopra del suono
dell'acqua sente il rumore del suo respiro, il tonfo dei suoi passi e
il crepitio della torcia. La torcia, la
benedetta torcia:
Jens non aveva mai conosciuto il buio, prima di infilarsi in quella
grotta.
La
fiamma crea un alone
di confortante chiarore nel raggio di un metro e mezzo, ma oltre a
esso c'è solo il nero più impenetrabile. Solo di
tanto in tanto il
filo di ferro che lo collega a Tek cattura il riflesso del fuoco e
manda un baluginio rossastro: una scia di luce che lo porta verso la
meta.
L'uomo
prosegue per
qualche decina di metri e giunge nel punto in cui Tek si è
fermato
tempo prima: ora capisce perché gli avesse chiesto se fosse
certo
che la mappa indicasse di svoltare a destra.
Sollevando
la torcia
sopra la testa, vede che la galleria nella quale stanno procedendo si
divide in due braccia divergenti. A sinistra la galleria si fa
più
ampia e sale leggermente verso la superficie, mentre il braccio di
destra si restringe notevolmente e pare procedere sempre sullo stesso
livello.
Non
riuscirò a
camminare normalmente, lì. Dovrò muovermi a
quattro zampe. Il
che significa che Yanik dovrà strisciare.
L'uomo
si cava la mappa
di tasca ed esamina ancora una volta il tracciato. Sì, non
ci sono
dubbi: devono davvero proseguire lungo quel budello disagevole.
Il
vetro che protegge
la torcia impedisce alla fiamma di spegnersi, ed è una vera
fortuna
perché, costretto a muoversi su mani e ginocchia, Jens la
lascia
cadere più volte.
L'uomo
soffoca
un'imprecazione tra i denti e continua a muoversi a carponi. La via
non si fa più stretta, ma nemmeno si allarga, e Jens inizia
a
perdere il senso dello scorrere del tempo. Quanto è passato
da
quando sono scesi sottoterra? Due ore? Tre ore? È
già pomeriggio?
Lui e i suoi compagni si sono divisi e ritrovati già cinque
volte.
Se i calcoli di Tek sono corretti, sono a un tiro di corda dal
raggiungere il loro obiettivo.
E
se invece fossero
sbagliati? Quanto possiamo andare avanti ancora prima di finire il
filo?
Jens
non si è mai
trovato faccia a faccia con le proprie paure. Anche nelle situazioni
più complicate, durante i crimini più efferati,
ha sempre sentito
di avere un certo margine di sicurezza, una via di fuga che gli
avrebbe consentito di salvarsi la pelle.
Lì
no. Lì non ci sono
nemici da combattere, guardie da uccidere, ma solo inattaccabili
pareti di roccia sopra di lui e attorno a lui, un terreno umido e
fangoso sotto alle dita e sotto alle ginocchia. Il cunicolo
è troppo
stretto persino per girarsi, e Jens non può che andare
avanti,
avanti, avanti.
L'uomo
fa un paio di
respiri profondi per calmarsi e per non iperventilare, ma ormai la
sua mente si è incamminata lungo un sentiero oscuro. Il
reale e
l'impossibile si mischiano, e per un attimo il bandito è
convinto
che quella galleria angusta non avrà fine, ma
proseguirà verso il
centro della terra per un tempo e uno spazio superiori a quelli di
una vita umana.
Forse
la mappa è una
trappola. Forse non c'è alcuna chiave, alcuna sala
sotterranea alla
fine del tunnel (e poco importa che Tek abbia colpito il filo tre
volte segnalando che andava tutto bene, che i suoi compagni potevano
seguirlo).
Jens
ricorda le parole
pronunciate dalla creatura che lo serve controvoglia. Il
tuo
orgoglio e la tua ambizione ti portano sempre più in su,
sempre più
in alto, ma anche tu cadrai un giorno, così come cadono
tutti i
mortali, e la tua fine sarà lontana dalla luce del sole, nel
freddo
e nel fango: questo ti meriti.
Ha
sempre pensato che
quella profezia - o quella minaccia, forse
- fosse da
intendersi in senso figurato, ma adesso gli sembra che essa assuma
una sfumatura terribilmente tangibile. Adesso lui si trova veramente
nel buio. Adesso sta strisciando veramente nel fango. È
quella la
sua fine?
Prima
che il panico
possa impossessarsi di lui, però, un lieve chiarore
azzurrognolo
inizia a invadere il cunicolo, e cresce fino a sovrastare il bagliore
rosso della torcia. Le pareti del tunnel si allargano all'improvviso
e Jens si ritrova in una caverna ampia, grande abbastanza da
contenere venti uomini.
Tek
è seduto su un
masso a qualche metro da lui e osserva la pozza d'acqua cristallina
che occupa la parte destra della grotta. Jens colpisce distrattamente
tre volte il filo metallico che lo unisce a Yanik, segnalando al
ragazzo che si può muovere, e poi si avvicina al brigante
più
anziano.
La
luce azzurra viene
da lì, dalla pozza d'acqua e dal ruscello placido che ne
sgorga,
scorrendo per qualche metro prima di sprofondare nuovamente nel
terreno.
"Bioluminescenza"
sospira Tek.
Jens
lo guarda senza
capire. "Eh?"
L'altro
uomo indica lo
specchio d'acqua. "Ho visto una cosa simile in certi bracci di
mare su dalle mie parti. D'inverno, quando il sole non sorge, l'acqua
brilla. Non è opera della magia, ma di alcune creaturine
quasi
invisibili che vivono nel mare. Quando non c'è la luce del
sole, se
la producono da sé. D'estate invece sembrano dei
piccolissimi
insetti trasparenti. Scommetto che, se guardassimo quella pozza da
vicino, ci troveremmo delle creature simili."
Jens
annuisce,
affascinato dalla spiegazione del suo compagno. "È
un'abilità
indubbiamente utile per degli esseri che vivono nel buio perenne."
Tek
grugnisce in segno
d'assenso e poi i due uomini attendono in silenzio che anche Yanik li
raggiunga: la voce umana sembra fuori luogo in quella sala
sotterranea.
A
Jens il tempo per cui
attendono l'arrivo del ragazzo sembra molto più breve di
quello che
ha impiegato ad attraversare il tunnel. Il giovane emerge sporco e
ansimante dal cunicolo e rimane a bocca aperta quando vede la sala
illuminata d'azzurro.
"Oh,
finalmente"
sbuffa cercando invano di ripulire i pantaloni incrostati di fango.
"C'erano dei punti in cui credevo di non passare."
Non
sembra provato
dall'attraversata nel budello buio, e Jens prova vergogna per la
propria reazione.
Per
evitare che
qualcuno raggiungesse la chiave per primo e se ne impossessasse
all'insaputa degli altri, i tre hanno concordato che Jens e Tek
avrebbero percorso insieme l'ultimo tratto di grotta, se il terreno
l'avesse consentito. I due si scambiano un'occhiata. "Insieme?"
chiede il più anziano.
Jens
osserva l'ampia
via che si apre nella direzione in cui devono procedere. "Va
bene."
Il
riverbero azzurro
dell'acqua è meno forte che nella sala che hanno appena
abbandonato,
ma il ruscelletto che scorre ai piedi della parete destra ospita
comunque un certo numero delle creature descritte da Tek e i due
procedono con agio, camminando in un'atmosfera violacea che
è quasi
ultraterrena.
In
alcuni passaggi la
roccia ai loro lati sembra quasi lavorata in maniera artificiale e
Jens ha un brivido di eccitazione. Ci siamo! Pensa.
Il
percorso disegnato
sulla mappa mostra una brusca curva a sinistra e anche la galleria
che stanno percorrendo si evolve in maniera simile: pochi metri e i
due uomini raggiungono quella che dovrebbe essere la loro meta.
La
sala in cui entrano
è ancora più grande di quella che avevano
lasciato, ed è anch'essa
parzialmente occupata da un piccolo lago sotterraneo. Lo specchio
d'acqua è più ampio e profondo di quello che
hanno incontrato poco
prima, e la luminescenza è più soffusa. Le
creature che la
producono devono essere più numerose in superficie e formano
uno
strato luminoso spesso qualche decina di centimetri, mentre le acque
più profonde sfumano verso il turchese, il cobalto ed un blu
talmente intenso da sembrare quasi nero.
Dall'ampio
soffitto a
volta pendono numerose stalattiti, e i detriti presenti sul terreno
suggeriscono che altrettante sono quelle che, nel corso dei millenni,
si sono schiantate a terra. Jens distoglie lo sguardo con un brivido
di inquietudine.
"Cosa
stiamo
cercando?" chiede Tek, dopo aver dato il segnale per far muovere
anche Yanik.
Questa
è una bella
domanda, riconosce Jens studiando la mappa. Il punto in cui
dovrebbe trovarsi la chiave è indicato con il disegno di un
giglio,
che è però semplicemente lo stemma degli Ardyn:
è chiaro che non
ci sono fiori lì, ma solo pietre e polvere.
"Dovrebbe
essere
da quelle parti" dice, inclinando la mappa così che anche
l'altro uomo possa leggerla.
Tek
aggrotta la fronte,
mentre i suoi sottili occhi scuri sondano la penombra. "Possibile
che ci fosse qualcosa che è andato distrutto?" chiede,
spostando con la punta del piede una delle pietre più
piccole.
Jens
solleva la torcia
per osservare un po' meglio l'ambiente circostante: se non trovasse
alcuna indicazione utile, scaverà tra le macerie, ma vuole
prima
essere certo di non avere ignorato qualche indizio che potrebbe
semplificargli la vita.
Uno
scintillio
improvviso attira la sua attenzione. "Cosa c'è
lì?"
Tek
si volta subito
verso la direzione che gli è stata indicata e alza a sua
volta la
torcia. "... parrebbe una porta" mormora dopo qualche
istante.
Eh
già, pensa
Jens mentre avanza a grandi passi verso la sagoma che si staglia
sulla parete che hanno di fronte. Quando la raggiunge vede che
è
veramente una porta: è priva di maniglia, ma l'intaglio
nella roccia
è troppo netto per essere casuale. Sulla sinistra si
intravede il
meccanismo dei cardini. Con poche speranze, l'uomo colpisce la porta
con una spallata, ma questa non si muove.
"Si
apre verso
l'interno" dichiara quando Tek gli si avvicina.
L'uomo
del nord fa
scorrere la punta delle dita lungo la fessura ai lati del lastrone,
forse alla ricerca di una serratura nascosta. "Chi pensi che
l'abbia costruita?"
"Non
gli Ardyn,
perché altrimenti non si spiegherebbe il bisogno di mappare
un
percorso così scomodo quando c'era una via probabilmente
più rapida
e sicura" replica Jens.
Tek
si è accucciato a
terra e improvvisamente grugnisce. "Non gli Ardyn, no."
"Che
c'è?"
fa l'uomo più giovane, abbassandosi al suo livello.
Sulla
parte inferiore
della porta ci sono alcune iscrizioni argentee: è su di esse
che è
rimbalzata la luce delle torce, attirando la loro attenzione. I due
le esaminano per qualche istante e poi si guardano. "Sai
leggerle?" chiede Tek.
Jens
scuote il capo.
"Neppure tu, suppongo."
"Non
è una lingua
che conosco" conferma il brigante.
È
una lingua che
nessuno conosce, a parte gli elfi, pensa Jens, certo che
anche il
suo compagno stia avendo pensieri simili. In realtà quelle
incisioni
potrebbero essere state fatte da un popolo sconosciuto, ma comunque
umano, o potrebbero essere parte di un codice cifrato, volutamente
incomprensibile; tuttavia all'interno di quella grotta la loro natura
elfica pare più plausibile di qualunque altra supposizione.
In
quel momento anche
Yanik giunge nella sala. "Dunque?" chiede a gran voce.
"Dov'è la chiave?"
Dopo
aver guardato
un'ultima volta le incisioni lucenti, Jens si allontana dalla porta:
non c'è altro da vedere, lì.
"È
quello che
stiamo cercando di capire" dice avvicinandosi al giovane. "Credo
proprio che ci toccherà scavare tra quelle pietre: sei
pronto?"
Yanik
guarda dubbioso i
detriti ammassati nella zona che Jens gli ha indicato. "Io sono
pronto, ma la vedo dura, se speriamo di trovare una chiave tra quel
casino."
Ha
ragione,
naturalmente, ma che altro possono fare? "Un motivo in più
per
iniziare subito" replica suadente.
Illuminato
dalle torce
dei suoi compari, il ragazzo inizia spostare un sasso dopo l'altro,
sostenendo lo sforzo con respiri pesanti e regolari. Accovacciato
accanto a lui, Jens non può fare a meno di ammirare
segretamente la
forza del giovane, la precisione con cui lavora nonostante la fatica.
Sentendosi
in dovere di
non essere da meno, abbassa lo sguardo su una grossa pietra che si
trova ai suoi piedi e valuta se non sia il caso di afferrarla a due
mani e spostarla, se non altro per velocizzare le operazioni. Sarebbe
in grado di farlo?
Distrattamente
sfiora
con le dita la superficie del sasso, smuovendo il sottile strato di
polvere e impalpabile muffa grigiastra che lo ricopre. Il movimento
è
sufficiente per fare emergere un'irregolarità che lo
incuriosisce.
Strofinando
il sasso
con più energia, ne libera la superficie: su di essa
è impressa la
sagoma inconfondibile di un fiore. Non è un giglio, ma
qualcosa che
ci assomiglia molto, e sfiorandolo con le dita sente che non
è
inciso, come aveva pensato in un primo momento, ma leggermente in
rilievo: un fiore di pietra schiacciato e appiattito contro una
pagina dello stesso materiale.
"Questo
mi sembra
un buon indizio" osserva la voce di Tek da sopra la sua spalla.
Jens
annuisce senza
staccare gli occhi dal fiore. "Sposta questa" dice.
Yanik
si affretta a
obbedire. Le sue mani afferrano la pietra da entrambi i lati e la
sollevano come se non pesasse nulla. Al di sotto di essa c'è
una
buca scavata nel terreno: non è molto profonda, trenta
centimetri al
massimo, e al suo interno c'è un piccolo scrigno di legno.
Trattenendo
il fiato,
Jens lo afferra e se lo posa sulle ginocchia. C'era una serratura, un
tempo, e in un certo senso c'è ancora, ma
l'umidità della grotta ha
ormai attaccato il legno, rendendolo fragile e marcescente. Le dita
dell'uomo lo frantumano con agio.
"Quindi?"
lo
incalza Yanik.
Sul
volto del brigante
si disegna un sorriso storto. Jens solleva lentamente un braccio ed
espone la mano alla luce delle torce: tra le sue dita scintilla una
piccola chiave di bronzo.
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Capitolo 8 *** 8 - Una voce nella notte ***
Sono
tre notti che Lyra
non dorme. Non riesce nemmeno più ad addormentarsi
perché sa che
quando le stelle avranno compiuto un quarto del loro giro, la voce la
chiamerà.
L'attesa
è troppo
grande per scivolare tra le braccia del sonno, fosse anche solo per
qualche ora.
La
sua salute, quella
cosina fragile che si trascina dietro fin da quando è nata,
ne sta
già risentendo. Si sente spossata, priva di forza, e
occhiaie
profonde segnano il suo volto magro, pallido anche quando è
in
perfetta forma.
Sua
madre si preoccupa,
le lancia occhiate colme d'angoscia e ogni occasione è buona
per
chiederle se va tutto bene, se c'è qualcosa che le fa male.
Lyra
sospira e scuote
il capo, perché la verità è che non
c'è nulla che non vada in
lei: l'unico problema è quella voce.
Non
osa parlarne con
nessuno, perché nessun altro sembra sentirla. È
piuttosto sicura
che la prenderebbero per matta: sentire le voci non è mai un
bel
segnale; e Lyra conosce fin troppe storie di povere ragazze con la
mente fragile e delicata condannate a finire la loro vita in un
manicomio.
E
sì, se l'è chiesto
se la voce che sente c'è davvero o se è solo
dentro alla sua testa,
ed è giunta alla conclusione che è reale. Se si
tappa le orecchie
viene soffocata dal battito del suo cuore, se infila la testa sotto
il cuscino risulta attutita. Quindi c'è davvero qualcuno che
la
chiama, da qualche parte tra i prati dell'est: resta da capire chi
è.
Con
gli occhi
spalancati nel buio della sua camera da letto, la ragazza stringe tra
i pugni l'orlo del lenzuolo e aspetta che la voce si faccia sentire.
...
ah...
Eccola.
Sulle prime è
solo una sillaba, un sospiro che si confonde con il verso di un
uccello notturno.
...
ira...
Sì,
sono
io, risponde silenziosamente la ragazza. Cosa
vuoi?
Lyra.
Dopo
un po' il richiamo
si fa perentorio. È difficile dare un'identità a
una voce priva di
timbro, ma lei è convinta che sia una donna a chiamarla. O,
se non
proprio una donna, almeno una femmina di qualche tipo.
Per
le ultime tre notti
Lyra se n'è rimasta inchiodata nel letto, troppo intimorita
per
alzarsi e provare quantomeno a capire da che direzione
giungeva esattamente quel
richiamo, ma quella notte
decide che ne ha abbastanza. È stanca morta, ha mal
di testa e
quel mistero inizia a irritarla. È il momento di
provare a
vederci chiaro.
Lyra
calcia via le
coperte e infila la vestaglia di lana sopra alla camicia da notte che
un tempo era appartenuta a sua madre, poi pesca dalla sedia posta da
parte al letto un paio di pesanti calzettoni di lana grezza che le
arrivano fino al ginocchio. Una volta indossati, afferra anche gli
stivali di pelle che usa per andare a cavallo, ma aspetta a calzarli:
se vuole raggiungere la porta, deve scendere le scale e, se vuole
scendere le scale senza fare rumore, deve restare scalza.
Muovendosi
in punta di
piedi, la ragazza si avvia giù per i gradini e tira un
sospiro di
sollievo quando vede che dalla camera dei suoi genitori non giunge
alcun suono. Bene, pensa. Stanno
dormendo.
Chi
ha il sonno più
leggero è invece Mia, che occupa una minuscola stanzetta al
pianterreno. Spesso la notte la sente rigirarsi nel letto, ogni tanto
la sente persino camminare tra la cucina e la sala da pranzo. Le
passeggiate notturne della domestica non sono un mistero: dice che lo
fa per prendere sonno, perché a volte la casa è
troppo silenziosa
per lei, nata e cresciuta in una famiglia numerosa nelle steppe a
occidente.
Lyra
si acquatta
sull'ultimo gradino e resta in ascolto, nascosta nell'ombra del
corrimano di legno massiccio. Non sarà così
sfortunata da
incontrare Mia proprio quella notte. La ragazza tende le orecchie.
Bene.
Sembra tutto
silenzioso.
Stringendo
in mano gli
stivali, scivola via dalla scala e raggiunge la porta d'ingresso. Da
quando Jens Lowal è venuto a far loro visita, di notte viene
chiusa
a chiave. La serratura è sicura, ma ha un grosso difetto:
è
tremendamente rumorosa.
Lyra
appoggia una mano
sul pannello di legno e con l'altra impugna la chiave e, con estrema
attenzione, la gira.
Lo
schiocco del metallo
sembra un colpo di moschetto. Gli fa eco il cuore della ragazza, che
dal petto le balza in gola.
Maledizione! Pensa
Lyra chiudendo gli occhi e aspettandosi di venire sorpresa da un
momento all'altro. La casa rimane però silenziosa e dopo
qualche
istante la fanciulla si permette di esalare un sospiro di sollievo.
Adesso
dev'essere
veloce. Si infila rapidamente gli stivali di cuoio ed esce sul patio,
ma, quando sta per chiudersi la porta alle spalle, una voce ben nota
la fa sobbalzare.
"Chi
va là?"
Per
un istante Lyra ha
l'istinto di scaraventarsi in avanti e scappare a rotta di collo
verso il cancello di ferro battuto che separa il giardino dal mondo
esterno, ma sa bene che, all'occorrenza, Mia corre più
velocemente
di lei.
"Sono
io"
sospira allora facendo un passo indietro e permettendo alla domestica
di vederla.
È
chiaramente appena
scesa dal letto: i capelli scarmigliati sono raccolti in una spessa
treccia corvina e la camicia da notte le è scivolata lungo
un
braccio, mettendo in mostra una spalla liscia e dalla pelle ambrata.
In mano tiene una candela mezza consumata.
"Lyra!"
esclama sorpresa. "Cosa ci fai in piedi a quest'ora? E
perché
sei... Stavi uscendo?"
Mia
sembra
scandalizzata dalla prospettiva di una scampagnata notturna.
La
ragazza sospira e
abbassa lo sguardo a terra. "Volevo solo prendere un po' d'aria
in giardino. Non riesco a dormire."
Sulla
fronte liscia
della donna si formano due rughe profonde. "Con questo freddo?
Non se ne parla nemmeno! Torna a letto: se tua madre lo venisse a
sapere, mi farebbe passare dei guai!"
Lyra
sgrana gli occhi e
assume l'espressione più innocente che le riesce. "Ma non lo
saprà mai: vado solo in giardino. Torno subito, lo giuro! Lo
dici
sempre anche tu, che quando non riesci a prendere sonno ti fa bene
camminare un po'."
È
difficile essere
convincenti quando non si può alzare la voce, e infatti la
domestica
è inamovibile. "Sì, ma in casa. Al caldo."
Non
c'è molto che Lyra
possa dire per convincerla a lasciarla uscire. A meno di raccontarle
della voce che la tiene sveglia di notte, ovviamente. La ragazza
lancia uno sguardo carico di rimpianto al giardino: se si concentra,
sente ancora l'eco del richiamo che le chiede di lasciare la
sicurezza della sua casa e di dirigersi verso est.
"Hai
fatto un
brutto sogno?" le chiede premurosa Mia; e all'improvviso Lyra
intravede la possibilità di liberarsi di parte del peso che
la
opprime ormai da giorni.
"Sì"
improvvisa, preparandosi a creare una bugia che però non
è troppo
lontana dalla realtà. "È un sogno ricorrente, in
effetti."
La
domestica la guarda
incoraggiante.
"Sogno
di essere
in campagna", continua la ragazza, facendo un vago gesto verso
levante, "da qualche parte là a est, tra le colline.
C'è una
donna che mi chiama, ma io non riesco a vederla in faccia,
né a
raggiungerla. È angosciante, e quando mi risveglio faccio
fatica ad
addormentarmi di nuovo."
"Hm-hm"
annuisce Mia, come se quello che le ha raccontato avesse
perfettamente senso.
Lyra
deglutisce e poi
continua. "Mi sembra quasi che mi manchi il fiato: è per
questo
che volevo uscire un po' in giardino."
Mia
le passa un braccio
attorno alle spalle. Malgrado la familiarità con cui la
tratta, la
domestica è solitamente attenta a mantenere le distanze e
quel gesto
così intimo quasi commuove Lyra: sa che la giovane era
solita a
badare a una moltitudine di fratelli minori e si chiede se in quel
momento Mia non la veda come una sorta di sorellina da proteggere.
"Sai
cosa penso?"
le chiede la giovane dopo un po'.
"Uh?"
"Credo
che il
fattaccio con quel bandito, l'altra notte, ti abbia scombussolata
più
di quanto credi."
Lyra
dubita che sia
quello il problema, ma abbozza comunque un sorriso. "Può
essere."
"È
normale che tu
sia spaventata e faccia fatica a dormire" insiste Mia. "Ti
ha buttato giù dal letto nel cuore della notte!"
La
ragazza si passa una
mano sugli occhi, sentendo che la stanchezza sta tornando a farsi
sentire con prepotenza. "Probabilmente hai ragione."
"Sei
poi ci
aggiungi tutto il parlare che si fa in questi giorni di tesori
nascosti sottoterra, non mi stupisce nemmeno che tu abbia sognato di
trovarti tra le colline."
Lyra
la guarda senza
capire. "Di cosa stai parlando?"
Un'espressione
sorpresa
si disegna sul volto della domestica. "L'articolo che è
uscito
un paio di settimane fa sul Corriere di Yevàn. Le tesi di
quel
professore che crede che sotto le colline a est ci sia un antico
tesoro. Quello che dice di aver trovato dei testi che lo provano..."
La
ragazza scrolla
lentamente il capo, mentre una strana inquietudine le fiorisce nel
petto. "Non ne ho mai sentito parlare..."
Mia
alza gli occhi al
cielo e con una mano chiude la porta d'ingresso, mettendo
definitivamente fine alle velleità di fuga di Lyra. "Ma
com'è
possibile? La cosa è sulla bocca di tutti! Basta andare al
mercato
per sentire almeno dieci teorie diverse su cosa sia di
preciso questo tesoro."
"Io
non ci vado
mai, al mercato" pigola Lyra.
L'altra
giovane sbatte
lentamente gli occhi. "Oh, è vero. Ma qualche voce ti
sarà
arrivata sicuramente, anche se non te lo ricordi. C'è questo
tizio
che dice di aver studiato diversi testi risalenti a qualche secolo fa
e di essere giunto alla conclusione che la leggenda del Tesoro degli
Elfi sia vera almeno in parte."
In
un certo senso si
può proprio dire che qualche voce mi sia arrivata, pensa
Lyra con una smorfia. Forse Mia ha ragione, forse si sta lasciando
suggestionare da qualche chiacchiera che ha sentito e poi
dimenticato, ma nel suo animo sa che non è così.
C'è
un dubbio che la
assilla. "Secondo te ha ragione?"
Mia
sventola una mano
come per scacciare un insetto molesto. "Sono solo chiacchiere
buone per intrattenere la gente che non ha niente da fare. A chi non
piace fantasticare su un mucchio d'oro senza padrone?"
Lyra
annuisce, ma la
sua mente sta girando vorticosamente. Quando, pochi minuti prima, si
è inventata un sogno da raccontare a Mia, le è
venuto istintivo
parlare delle colline. Non c'è una ragione precisa per cui
l'ha
fatto, ma ora è certa che è lì che
deve andare, se vuole trovare
l'origine della voce che la tormenta tutte le notti.
Lo
smarrimento che
prova glielo si deve leggere in faccia, perché Mia la
sospinge verso
le scale. "Coraggio", le dice, "torna in camera. Ti
porto un bicchiere di latte caldo: fa miracoli per l'insonnia."
Non
avendo alternative,
la fanciulla obbedisce e poco dopo la domestica la raggiunge tenendo
tra le mani un bicchiere fumante. "Piano, che scotta" le
raccomanda nel porgerglielo.
Mentre
Lyra sorseggia
il latte, Mia si siede sul bordo del letto. "Sai, stavo pensando
che una volta anche a me è successa una cosa del genere."
La
ragazza solleva lo
sguardo dal copriletto e lo sposta sull'altra giovane. Ha le mani in
grembo e gli occhi persi in un ricordo lontano.
"Sì?"
chiede, incuriosita dall'espressione sul volto di Mia.
Quella
fa un cenno
d'assenso e aggrotta appena le sopracciglia. "Sì. Me l'ero
dimenticato, ma me l'hai fatto tornare in mente. Ero ancora a casa
mia ed ero molto piccola. Avevo tre o quattro anni al massimo, credo.
Nelle steppe abbiamo questa leggenda, una sorta di spauracchio per i
bambini capricciosi. È una specie di demone che si nasconde
nelle
ombre e che si mostra solo quando il sole sta per tramontare. Credo
che serva per convincere i bambini a tornare a casa prima che faccia
buio."
Lyra
annuisce, vedendo
la logica in una leggenda del genere.
"Ne
ero ovviamente
terrorizzata e portavo sempre al collo un amuleto che aveva creato
mio nonno con pelle di daino e... Beh, un amuleto che serviva come
protezione contro questo demone" continua Mia. "Era una
specie di ossessione e una notte me lo sono sognata e, credimi, era
un sogno talmente vivido che per parecchio tempo ho pensato che fosse
reale. Se ci ripenso mi vengono ancora i brividi. Mi ricordo ancora
la luce del crepuscolo, la neve, gli artigli di un'enorme creatura
nera che cercava di afferrarmi... Un incubo, nel vero senso della
parola."
Mia
si azzittisce con
un brivido e Lyra la guarda con gli occhi sbarrati. Era
un
sogno? Vorrebbe chiedere. Era
davvero soltanto un
sogno?
La
domestica si
riscuote come per scrollarsi di dosso il ricordo e balza in piedi.
"Be', e adesso ti auguro una buona notte; e mi raccomando: non
preoccuparti troppo dei sogni. A volte fanno paura, ma la mattina
dopo non hanno più alcuna importanza."
La
fanciulla annuisce e
si tira la coperta fin sotto il mento, sperando che il latte caldo la
aiuti davvero a prendere sonno.
Il
suo tentativo di
addormentarsi ha però vita breve.
Lyra!
La
giovane sobbalza.
Non se l'è sognato, quel grido, non se l'è
immaginato, e se nessun
altro lo sente, un motivo deve esserci.
Mossa
da una sicurezza
che viene da una parte di sé che sente di non conoscere fino
in
fondo, indossa nuovamente gli abiti che si è levata poco
prima e
scende di nuovo le scale. Adesso sa che nessuno la sentirà,
sa che
Mia non ha chiuso a chiave la porta d'ingresso, sa che nessuno la
fermerà mentre apre il pesante cancello di ferro battuto.
Ha
solo un attimo di
incertezza quando muove i primi passi sulla strada che porta verso la
campagna, ma è questione di poco: un respiro profondo e poi
via.
Non
fino alle colline,
ma almeno alla ricerca di qualche risposta.
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Capitolo 9 *** 9 - La Dama Bianca ***
Lyra
adesso si sente
stupida. La sicurezza che l'ha guidata fuori di casa e attraverso i
campi è svanita non appena il vento d'autunno si
è levato e ha
iniziato a infilarsi sotto la sua camicia da notte, superando la
protezione degli stivali e dei calzettoni di lana.
Che
pessima idea che
ho avuto! Si dice mentre rabbrividisce e si stringe
addosso
la vestaglia pesante. Cosa mi è venuto in
mente di venire
fino a qui?
Non
ha idea di quanto
abbia camminato. Non si è persa, perché quelle
sono zone che visita
con una certa frequenza in sella a Mora, la sua giumenta pezzata, ma
di sicuro non si è mai spinta tanto lontano affidandosi solo
alla
forza delle sue gambe.
Chissà
se qualcuno si
è accorto della sua assenza. Chissà se qualcuno
la sta cercando.
Farei
bene a tornare
indietro, prima che mi pigli un accidente. Glielo
dice
sempre la mamma: non deve scherzare con la sua salute. Lei non se lo
ricorda, ma quando era piccola ha rischiato di morire per una brutta
polmonite.
Lyra
si guarda alle
spalle, nella direzione da cui è arrivata. Sì,
sarebbe davvero il
caso di tornare a casa, ma in lei c'è qualcosa che si
ribella a
quell'idea.
Lyra.
La
voce continua a
chiamarla. Ha perso la nota urgente che aveva quando l'ha tirata
giù
dal letto: ora è più dolce, quasi suadente. Non
sembra più un
ordine, ma un invito.
Ancora
un pochino,
decide, mentre si allontana da casa di un altro passo.
Fino
a dove vuoi
arrivare? Le chiede la sua coscienza. Fino
alle colline?
No,
ovviamente
no, si risponde. Sente che non ci sarà il
bisogno di
arrivare fino a là: la risposta che cerca è molto
più vicina.
Il
pensiero che è
stata fortunata a non fare brutti incontri la sfiora, ma del resto
quella è una via poco frequentata. Ha lasciato presto
l'ampia strada
di terra battuta che parte dalla casa di suo padre e ha imboccato un
sentiero secondario. Durante il giorno è utilizzato dai
pescatori,
dai cercatori di funghi e da chi desidera fare una passeggiata a
cavallo, mentre di notte è frequentato solo da volpi, tassi
e altre
bestiole che scendono ad abbeverarsi al fiume.
Non
c'è nulla di
cui avere paura.
Da
qualche parte lassù
devono esserci le stelle, ma il cielo è ingombro di nubi e
la
ragazza si muove nel buio più totale. La cosa non la
disturba: pur
con la sua salute cagionevole, ha sempre avuto un'ottima vista, tanto
di giorno quanto di notte.
È
grazie a quei suoi
occhi particolarmente acuti che riesce a vedere la foschia quasi
impalpabile che si leva dal corso d'acqua che gorgoglia alla sua
destra. È un torrente di poco conto, poco più di
un ruscello che
scorre tra irregolari massi di granito e spiaggette di ghiaia
argentea, ma di notte certe cose sembrano ingrandirsi, farsi
più
imponenti e maestose.
Ora
che vi presta
attenzione, Lyra si scopre attratta da quella traccia evanescente. La
nebbia si muove, si arriccia in spire simili a tentacoli: se li
osserva bene, sembra quasi che le facciano cenno di avvicinarsi.
Lyra
si blocca nei
pressi di una curva del sentiero e affonda le dita dei piedi nella
lana ruvida delle calze. Le erbacce che crescono ai lati del
tracciato, cicute e ortiche e lamponi selvatici, le sfiorano la
camicia da notte con le loro foglie bagnate. L'umidità non
ci mette
molto a penetrare fino alla pelle della ragazza, ma lei non vi bada.
I secondi scorrono lenti e lenta cresce in lei la convinzione che
quella è la via che deve percorrere: non deve seguire il
sentiero,
ma il corso del fiume.
L'idea
di attraversare
l'erba bagnata non è per nulla allettante, ma Lyra si
dice: non
sono venuta fino a qui per niente. Andrà
a dare un'occhiata
e poi tornerà indietro.
Stringendosi
la camicia
da notte attorno alle gambe per evitare che rimanga impigliata nei
rovi, la fanciulla si addentra tra la vegetazione bassa, ma folta.
Rischia di inciampare un paio di volte: qualcosa, forse delle radici
o forse solo delle erbacce particolarmente coriacee, le aggancia i
piedi e le fa perdere l'equilibrio, ma lei riesce miracolosamente a
non rovinare a terra.
Attenta,
adesso, si
raccomanda quando raggiunge i primi sassi di fiume, lisci e
tondeggianti. L'acqua scorre poco lontano e un bagno fuori programma
metterebbe fine alla sua esplorazione, perché fa davvero
troppo
freddo per girovagare per la campagna con addosso dei vestiti
fradici.
Ora
che si trova nel
greto del torrente, vede che la nebbia, anziché diradarsi,
sembra
farsi più fitta. Aleggia a una decina di centimetri dal
terreno e se
guarda in basso Lyra vede i propri piedi più chiaramente del
resto
delle gambe. Non ha mai badato prima di ora al comportamento della
nebbia, ma quella stratificazione le sembra insolita.
Per
un po' cammina ai
margini del torrente, tra la sabbia, la ghiaia e la fanghiglia che le
imbratta gli stivali, ma dopo poche centinaia di metri il greto si
stringe e la ragazza è costretta a muoversi saltellando da
un sasso
all'altro. Mulinando le braccia per non perdere l'equilibrio, Lyra si
ferma su un masso piatto che le consente di riprendere fiato. Cosa
accidenti stai facendo? Si chiede, rendendosi conto
della
situazione. È notte fonda e lei è appollaiata su
un sasso in mezzo
a un fiume, vestita solo con la camicia da notte e la vestaglia e
intenta a seguire una voce che nessun altro sembra sentire. Sei
completamente impazzita, non c'è altra spiegazione!
Facendo
un respiro
profondo, si stringe addosso la vestaglia di lana e
rabbrividisce. Basta così,
decide. Ha seguito fin troppo
a lungo la pazzia momentanea che si è impadronita di lei e
l'ha
spinta a lasciare la sicurezza del suo letto e della sua casa. Adesso
è ora di tornare indietro, prima che qualcuno si accorga che
è
sparita. Nessuna persona sana di mente farebbe mai quello che lei ha
appena fatto. Qua finisce che mi rinchiudono davvero
in un
manicomio! Si dice in preda all'angoscia.
Lyra
ruota su se stessa
e fa per tornare indietro – sperando di riuscire a ritrovare
il
sentiero, con quel nebbione! – quando un evento eccezionale
le fa
balzare il cuore in gola.
Come
se avesse intuito
le sue intenzioni, la foschia si dirada lievemente e l'acqua del
fiume si tinge di un azzurro ultraterreno. Non è solo
colore, ma è
luce, e per un attimo il torrente pare divenire una bizzarra torcia.
La
luce pulsa, si fa
più intensa a poca distanza dai piedi della giovane, fino a
diventare di un bianco quasi incandescente e poi, muovendosi come
un'onda che risale la corrente, scorre su per il fiume. Ne seguono
altre, più piccole e meno intense, ma alla fanciulla il
significato
di quell'evento pare inequivocabile: qualcuno (o qualcosa) la sta
invitando a proseguire.
A
confermare quel
pensiero arriva anche la voce, che di nuovo la chiama. Lyra,
le dice con gentilezza. E poi: vieni!
Quella
richiesta è
nuova. Fino a quel momento, la voce non aveva fatto altro che
pronunciare il suo nome. Ora le sta parlando, si sta rivolgendo a lei
come farebbe una persona qualunque, e Lyra si accorge di avere paura.
Ora che ha la certezza che ciò che sta avvenendo non esiste
solo
nella sua mente (non sarebbe mai stata in grado di inventarsi
un'acqua di quel colore!) teme di scoprire cosa c'è alla
fine del
sentiero – o del fiume.
La
sua mente corre a
ciò che le ha raccontato Mia, a demoni con le dita di
tenebra, alle
fate e agli elfi che popolano le leggende di Yevàn, e Lyra
si porta
nervosamente una mano alle labbra e inizia a rosicchiarsi le unghie.
Cosa può fare? Vorrebbe correre a casa, ma teme che sia
troppo tardi
per farlo. C'è qualcuno che vuole che lei vada avanti, e chi
può
dire come reagirebbe se disobbedisse a quell'ordine?
Con
gambe tremanti,
decide di proseguire ancora. Le onde luminose la accompagnano fino a
un'ansa dietro alla quale il fiume si allarga formando una pozza poco
profonda. Lyra ricorda vagamente di esserci andata a giocare una
qualche volta, quando era bambina.
L'acqua
riluce di un
bagliore celeste e, seduta sulla riva più lontana,
c'è una donna.
Siede sulla spiaggia di ghiaia, ma le sue gambe sono immerse
nell'acqua. Porta abiti bianchi, una veste di foggia antiquata con
un'ampia gonna, un corpetto aderente che le lascia le spalle scoperte
e delle maniche larghe e leggere. I lunghi capelli pallidi le
scendono sul petto e sulle spalle in onde morbide e sembrano
completamente inzuppati.
Lyra
non è in grado di
scorgere i dettagli del suo viso, ma è subito colta dalla
più
strana delle sensazioni: l'aspetto della sconosciuta è nuovo
e
alieno, e tuttavia la fanciulla ha l'impressione di trovarsi di
fronte a qualcosa che un tempo era noto, ma che è stato poi
dimenticato.
Non
si mostra sorpresa
di vederla, ma sorride e allunga una mano verso di lei. "Benvenuta,
Lyra" le dice con una voce che la giovane conosce bene.
Anche
la sua pelle
sembra brillare, ma forse è merito dell'acqua che la bagna.
La
ragazza rimane
impietrita, combattuta tra il desiderio di scappare e uno strano
istinto che invece la spinge ad avvicinarsi alla donna in bianco.
Davanti
alla sua
esitazione, quella le fa ancora cenno di avvicinarsi.
"Perché
resti lì? Non avere paura, vieni."
Facile
dirlo, per
te! Pensa la fanciulla con una smorfia. Non riesce a
dare un
nome alla creatura che le sta davanti: la ragione le suggerisce che
si tratta di una donna dalle abitudini bizzarre, ma c'è
quella luce
nell'acqua, ci sono i suoi abiti strani e quel certo non
so
che che le morde lo stomaco ogni volta che i suoi
occhi si
soffermano un po' troppo sulla sconosciuta.
Ma
che scelta ha, se
non fare quello che le viene chiesto? Stando bene attenta a non
entrare in acqua, Lyra aggira la pozza e arriva a pochi metri dalla
donna. Lì si ferma e si schiarisce la voce, cercando la
forza di
porre almeno una delle tante domande che le riempiono la testa.
"Siete
voi che mi
chiamate tutte le notti" dice. Vorrebbe articolare la frase come
una domanda, ma l'intonazione è tutta sbagliata e forse va
bene
così.
La
donna annuisce e la
guarda con aria serena.
Lyra
si torce
nervosamente le mani, sentendosi decisamente fuori dal proprio
elemento. "Perché? Cosa..."
Cosa
volete da
me, stava per chiedere, ma riesce a fermarsi prima
di porre
una domanda così poco cortese.
"Cosa
posso fare
per voi?" chiede invece.
La
dama sorride e con
le dita sfiora la ghiaia argentea. "Ti prego, piccola mia:
siediti."
Lyra
esegue, ma sta
bene attenta a mantenere una certa distanza di sicurezza. Vista da
vicino, la donna è incantevole: ha un volto dalle
proporzioni
perfette, grandi occhi che sembrano dello stesso azzurro dell'acqua
(ma forse è solo il riflesso della luce a renderli
così), un naso
delicato, labbra morbide e rosate e una pelle che pare di porcellana.
Quando cerca di darle un'età, però, si trova in
difficoltà: non è
il volto di una fanciulla nel fiore degli anni, ma nemmeno quello di
una matrona che ha già visto molto della
vita. È piuttosto un
viso che esiste al di fuori del tempo, quasi il ritratto di una
bellezza ideale che un artista ha dipinto piegando a proprio
piacimento le leggi del mondo e della natura.
"Non
ricordi il
giorno in cui ci siamo già incontrate, vero?"
La
ragazza sgrana gli
occhi e scuote la testa. No, non ricorda di aver mai visto quella
donna. Sono piuttosto certa che me la ricorderei,
pensa
aggrottando la fronte e sforzandosi di riportare alla luce un ricordo
forse smarrito. C'era però quella sensazione che aveva
provato
nell'istante in cui l'aveva vista, quello strano senso di
famigliarità...
"È
naturale"
dice la dama in tono accomodante. "Eri molto piccola."
Lyra
è colpita da
un'illuminazione improvvisa. Ora che dice così... ora che sa
che
era molto piccola quando si sono
incontrate per la
prima volta...
"È
stato
quand'ero malata?" le chiede, cercando poi subito una conferma
sul viso della sconosciuta.
Lei
rimane impassibile,
ma annuisce. "Sì. Ricordi, ora?"
Lyra
è costretta a
negare di nuovo. "No, purtroppo no. Però so di essere stata
molto malata da bambina e di aver sofferto per una brutta polmonite.
So che ho rischiato di morire, ma i miei genitori non mi hanno mai
spiegato come abbiano fatto a curarmi. Siete..."
La
domanda le muore
sulle labbra, perché Lyra non ha il coraggio di pronunciarla
ad alta
voce. Stava per chiederle se era stata lei a curarla, ma farlo
significherebbe riconoscere che c'è qualcosa di strano -
qualcosa di sovrannaturale, forse - in quella dama dai capelli
bagnati.
"Sono
stata io a
farti stare meglio?" conclude per lei la signora. "Sì,
siamo state io e le mie due sorelle. Sono lieta di vedere che sei
guarita, sei cresciuta e ti sei fatta forte."
Lyra
arrossisce. "Be',
insomma. Proprio forte non direi." Poi avvampa, perché non
è
mai una buona idea contraddire un adulto, soprattutto uno che
è in
una posizione sociale che è con ogni probabilità
superiore alla
sua. Le sarò sembrata un'ingrata?
"Però
sei sana"
taglia corto la signora. "I bambini che hanno un inizio come il
tuo spesso non hanno una vita facile, ma vedo che tu sei più
fortunata di molti."
La
fanciulla china il
capo. "Con ogni probabilità è merito delle vostre
cure"
commenta, anche se, in verità, non ha idea di quali siano le
cure
che le sono state prestate.
Medicine?
Preghiere?
Erbe officinali? Magia?
Con
la coda
dell'occhio, Lyra prova a spiare le orecchie della sconosciuta. Le
leggende narrano che gli elfi e le fate abbiano le orecchie
appuntite: più corte i primi, più lunghe le
seconde. Le orecchie
della signora però non si vedono, sono coperte dai suoi
lunghi
capelli dorati.
"È
possibile, sì"
concorda la donna, e poi tace.
Lyra
avverte un
silenzio pesante calare sopra la pozza d'acqua, e un brivido freddo
le scorre lungo la schiena. Le leggende non raccomandavano forse di
non fare mai accordi con il popolo fatato, perché prima o
poi si
sarebbe stati costretti a pagare un prezzo salato per il favore
ricevuto?
Ma
io non ho chiesto
niente! Pensa con disappunto. Ammesso
che questa
storia sia vera, sono stati mamma e papà a chiedere a
delle... a
delle fate, o a delle streghe,
di curarmi!
"E
adesso volete
che io faccia qualcosa per voi?"
Non
è la più elegante
delle domande, ma Lyra sente di dovere assolutamente avere una
risposta.
La
dama la fissa con i
suoi occhi di fuoco azzurro. "Credi che ti abbia chiamata a me
perché intendo riscuotere un favore?"
La
fanciulla avvampa e
china nuovamente il capo. "Io... io non so..." farfuglia.
"No,
piccina",
la tranquillizza la donna, "io chiamo sempre a me i miei bambini
quando sono sul punto di varcare la soglia che separa l'infanzia
dall'età adulta."
"Oh"
sospira
Lyra. Quella spiegazione le sembra stranamente toccante.
"Tuttavia..."
Il
sospiro di sollievo
si incastra nella gola della ragazza.
"Tuttavia",
continua la dama, "in effetti ci sarebbe una cosa che potresti
fare per me. C'è un oggetto che ho smarrito e forse tu sai
dove si
trova."
Lyra
sgrana gli occhi.
"Io?"
La
donna annuisce.
"Permettimi di mostrarti di cosa si tratta."
Così
dicendo allunga
una mano verso di lei e la ragazza ha l'impressione di essere
trasportata in un altro luogo. Non è una visione vera e
propria, ma
sembra piuttosto un ricordo: solo che non può essere suo,
perché
lei in quel posto è sicurissima di non esserci mai stata.
Si
trova in una specie
di grotta, un'enorme cavità rocciosa, e tutt'intorno a lei
ci sono
diverse persone. Il volte della maggior parte di esse è
sfocato e
offuscato, ma le due donne che le stanno più vicine sono
invece
chiarissime. Una è alta e imponente e ha lunghe trecce
bionde
adornate con un nastro di oro puro, mentre l'altra è
più minuta e i
suoi capelli sono d'argento, i suoi occhi dello stesso azzurro
penetrante della dama del fiume.
È
così che Lyra
comprende che quello che sta vivendo è il ricordo della
donna
sconosciuta, e che quelle due donne sono le altre due sorelle che le
hanno salvato la vita.
Prima
che possa provare
un moto di gratitudine nei loro confronti, la donna con le trecce si
volta per un istante verso di lei, quel tanto che basta
perché Lyra
veda che tra le mani regge qualcosa: una chiave e una mappa. La
fanciulla non ha mai visto né l'una né l'altra,
ma sa senza ombra
di dubbio di aver passato i primi sedici anni della sua vita molto
vicina a quella mappa. In fin dei conti, ci ha dormito sopra.
Un
istante dopo la
donna le ha dato di nuovo le spalle e si sta dirigendo verso una
sorta di altare di pietra, ma la visione si fa confusa e nel giro di
un respiro Lyra si ritrova nuovamente sulla sponda del fiume.
Deglutisce.
"State
cercando la chiave?" Non sa nemmeno lei perché lo chiede.
Sul
volto della donna
passa una rapida espressione di rimprovero. "Sai bene che sto
cercando la mappa."
"Ehm,
sì"
ammette pentita Lyra. "È la stessa mappa che è
stata rubata
dalla casa di mio padre qualche giorno fa?"
Ora
la donna sembra
allarmata. "È stata rubata?" chiede.
Lyra
è stupita dal
fatto che non sia già a conoscenza dell'accaduto - sembra
sapere
così tante cose! - ma non può fare altro che
annuire. "Sì,
sette notti fa. Jens Lowal, un famoso brigante locale, è
entrato in
casa nostra e l'ha portata via."
"Jens
Lowal"
ripete lentamente la donna, scandendo bene le sillabe, assaporandole.
"Non conosco questo nome."
Lyra
si stringe nelle
spalle, non sapendo che altro fare. "A Yevàn lo conoscono
tutti."
La
donna annuisce.
"Molto bene. Suppongo che non mi resti che cercarlo e
riprendermi ciò che è mio."
La
ragazza vorrebbe
chiedere come ci è finita la mappa a casa sua, soprattutto
considerando che Lord Ardyn le aveva spiegato che essa apparteneva in
realtà ai suoi antenati, ma ha come il sospetto che questa
sia una
di quelle faccende delle quali meno si sa, e meglio è.
Ingoiando la
propria curiosità sceglie quindi di rimanere in silenzio.
"C'è
altro che
posso fare per voi?" chiede dopo un po'.
La
donna è assorta nei
propri pensieri e sembra aver perso interesse per lei, ma il
suono della sua voce la riscuote. "No, per ora no. Puoi andare.
Ci rivedremo: credo che avrò ancora bisogno del tuo aiuto."
Ha
come l'impressione
che quelle parole abbiano un vago retrogusto di minaccia, ma Lyra
ringrazia e si alza in piedi.
"Va
da sé",
aggiunge la donna quando la giovane si è già
allontanata di qualche
metro, "che gradirei che tu non facessi parola con nessuno del
nostro incontro: non con tuo padre, non con tua madre, non con l'uomo
che dà lavoro a tuo padre."
La
ragazza annuisce.
"Certamente, no."
Mentre
ripercorre a
ritroso la strada che l'ha portata fino alla pozza, si chiede se non
dovrebbe essere più turbata dall'incontro con quella strana
donna. Probabilmente dovrei, ragiona.
Eppure non si sente
particolarmente scossa, come se non fosse la prima volta che fa un
incontro del genere.
E
in effetti non lo
è, ricorda mentre approda sul sentiero.
Chissà perché la dama
in bianco le ha chiesto di non dire nulla ai suoi genitori? Se
è
vero ciò che le ha raccontato, loro sono già al
corrente della sua
esistenza. E cosa c'entra Lord Ardyn?
È
solo quando è ormai
in vista della casa che si rende conto che, quando le ha chiesto di
non parlare del loro incontro, la donna non ha citato Mia.
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Capitolo 10 *** 10 - Segreti rubati ***
A
Mia il pesce fa
schifo. Sarà che non l'aveva mai mangiato prima di entrare a
servizio degli Shidaìn, sarà che è
freddo e viscido, ma le vengono
i brividi ogni volta che le tocca cucinarlo. La Signora però
ne va
purtroppo ghiotta, e lei si trova in coda davanti a quel banchetto
maleodorante fin troppo spesso.
"Buondì,
Mia,
bella mia, cosa posso proporti quest'oggi?"
La
ragazza inspira
profondamente dal naso per mascherare l'espressione esasperata che
sta cercando di farsi strada sul suo volto. L'umorismo del
pescivendolo è deprimente. Malgrado vada da lui non meno di
due
volte a settimana, non è ancora riuscita a capire se il suo
sia solo
un tentativo di essere simpatico o se le stia facendo la corte.
Casca
male, se così
fosse, pensa osservando l'ometto di mezza età.
È vedovo, se
ricorda bene, e ha probabilmente più soldi di quanti ne
potrebbe
avere qualsiasi altro suo potenziale spasimante, ma puzza di pesce e
ha la pessima abitudine di inventare giochi di parole basati sul suo
nome.
Che
poi: lei si fa
chiamare Mia solo
perché la gente della capitale
pare incapace di pronunciare il suo nome completo senza storpiarlo
orribilmente.
Miashàvirtscka,
pensa. Mi chiamo Miashàvirtscka.
Davanti
allo sguardo
insistente del pescivendolo, la giovane si riscuote. "Dammi tre
orate, per favore. Che siano fresche, non come quelle che mi hai
rifilato l'ultima volta."
L'uomo
inarca le
sopracciglia con aria di sufficienza. "Il mio pesce è sempre
fresco, bellezza. Chi è che ne sa di più? Uno
come me, che fa
questo mestiere da una vita, o una come te, che non ha mai visto
l'acqua salata e che fino a qualche anno fa viveva tra capre e
praterie? Dà retta a me: non troverai orate migliori
nell'intero
mercato."
Mia
afferra il
cartoccio con il pesce e allunga le monete al venditore.
"Sarà,
ma la Signora se n'è lamentata. Se sono come le ultime che
mi hai
venduto, aspettati una visita da parte sua."
Il
pescivendolo si
lascia ricadere sullo sgabello. "Oh, e che sarà mai!"
ridacchia, prima di rivolgersi alla cliente successiva.
Mia
sistema il pesce
nel paniere e prosegue nel suo giro di compere. Malgrado tutto,
quella vita non le dispiace. Quando da adolescente aveva lasciato la
tenda di suo padre, si era forse aspettata qualcosa di diverso, si
era immaginata una vita un po' più raffinata, ma tutto
sommato non
ha motivo di lamentarsi.
Gli
Shidaìn sono dei
buoni datori di lavoro, generalmente gentili e non troppo esigenti.
Sono stati pazienti con lei quando è entrata a servizio da
loro. Mia
sorride ricordando il primo anno che ha passato nella villa del
notaio. Aveva quattordici anni, due in meno di quanti ne ha ora Lyra,
ma era indubbiamente più matura della sua giovane
padroncina. I
bambini crescono in fretta nelle steppe occidentali, ma, se la vita
nomade crea uomini e donne forti, non si può dire che doni
loro
garbo ed eleganza.
Quante
cose che aveva
dovuto imparare! E che pazienza che aveva avuto la povera Dora, la
vecchia domestica del notaio che non sognava altro che di godersi
presto la meritata pensione e che invece aveva dovuto prendersi cura
di una ragazzina più abituata a badare alle capre che a
servire il
tè!
Acqua
passata,
pensa Mia sistemandosi la cuffietta inamidata. Adesso
nessuno
ha motivo di lamentarsi di me e del modo in cui svolgo il mio lavoro.
Anche
se ci sono ancora
delle volte in cui, di notte, le sembra che le pareti di pietra la
soffochino e le facciano mancare il fiato, sente che la villa del
notaio è ormai casa sua. Anche gli Shidaìn sono
diventati un po' la
sua famiglia. Lei si preoccupa di loro e loro hanno a cuore il suo
benessere - e anche il suo futuro, se considera tutte le volte che
Artem Shidaìn ha cercato di accasarla con il giardiniere.
Mia
non ha nulla contro
il ragazzo, ma non è neppure attratta da lui. È
sicuramente
un partito più gradevole del pescivendolo, considera. Brutto
non è, è gentile ed è anche uno che
lavora sodo. È
davvero un peccato che lei non provi nemmeno una scintilla di
interesse nei suoi confronti.
Non
come per Jens
Lowal, pensa arrossendo. Il bandito è intrigante e
attraente. I
suoi occhi di ghiaccio e la sua personalità decisa hanno
fatto
sospirare segretamente almeno la metà delle donne di
Yevàn. Peccato
che sia un avanzo di galera...
I
suoi piedi conoscono
ormai il percorso che segue ogni volta che va a fare compere al
mercato e Mia può permettersi di fantasticare un po'.
Sarebbe
davvero
fantastico se riuscissi ad agguantare un uomo come dico io. Non
troppo vecchio, ma nemmeno troppo giovane. Bello, ma non troppo
vanitoso. Ricco, se possibile. Sulla ricchezza non metto limiti. Che
sia gentile e pure simpatico, che non guasta, ma che non si faccia
mettere i piedi in testa dal primo che passa.
Si
chiede se i suoi
standard non siano un po' troppo alti, ma cosa importa? È
solo una
fantasia. A differenza della piccola Lyra, che non ha mai mostrato il
minimo interesse per i primi giovanotti che suo padre ha tentato di
farle conoscere, Mia è assolutamente sicura di volersi
sposare e
creare una famiglia con i fiocchi. Peccato che fino a quel momento il
partito perfetto non si sia ancora palesato.
Quando
ha acquistato
tutto ciò che le serve, la giovane si avvia di buon passo
verso
casa. Quella mattina il mercato era più affollato del
solito, e lei
vi si è trattenuta più a lungo del consueto:
dovrà sbrigarsi, se
spera di tornare alla villa in tempo per preparare il pranzo.
Quando
giunge in vista
dell'abitazione, però, Mia si ferma di colpo: davanti al
cancello di
ferro battuto è parcheggiata la carrozza di Lord Ardyn.
Cosa
diamine vuole a
quest'ora? Si chiede mentre oltrepassa il cancello e
rivolge
un cenno di saluto al cocchiere che con aria annoiata attende il
ritorno del suo padrone.
Il
nobiluomo non è mai
stato scortese o inappropriato nei suoi confronti – anche
perché
ha sempre ignorato totalmente la sua presenza – ma ogni volta
che
viene a far visita al notaio, Mia si sente un po' a disagio. Lord
Ardyn è... un po' troppo, per
lei. Troppo raffinato,
troppo affettato nel modo di parlare, troppo compiaciuto nei suoi
abiti costosi ed eleganti. O forse è solo la sua percezione
e c'è
un po' di invidia dietro a quei pensieri, ma resta il fatto che,
quando lui è nei paraggi, la giovane sente crescere a
dismisura il
proprio livello di attenzione. È un po' come quando, da
bambina,
veniva chiamata alla presenza degli anziani dell'accampamento, o come
quando si trovava su un pascolo isolato e sentiva ululare i lupi
nelle vicinanze.
Avverte
un pericolo: se
morale o fisico, non sa dirlo.
Magari
temo solo che
mi guardi e che chieda al Signor Shidaìn se gli sembra il
caso di
tenersi in casa una guardiana di capre...
Mia
entra in casa in
punta di piedi, facendo attenzione a non far scricchiolare la porta,
e tende le orecchie per determinare la posizione del resto degli
occupanti della villa.
Non
c'è traccia della
Signora, ma la cosa non la sorprende: sarà in giardino a
ricamare,
approfittando di una giornata autunnale insolitamente mite. Il notaio
e Lord Ardyn devono invece essere in salotto, almeno a giudicare
dalla direzione da cui giungono le loro voci.
Mia
capta il nome di
Lyra e drizza subito le orecchie.
Lasciatela
riposare,
povera bambina, pensa, lanciando un'occhiata alle
scale che
portano al piano superiore. Ultimamente la ragazza è pallida
come un
cencio e sembra eternamente stanca: da quando c'è stato il
furto,
sembra essere caduta in uno strano stato di agitazione perenne.
E
vorrei ben vedere!
Non è abituata a essere svegliata nel cuore della notte!
Non
ha certo avuto
un'infanzia come la sua, dove le incursioni dei predoni erano
frequenti. A otto anni ha iniziato ad andare a letto con una piccola
ascia intarsiata nascosta sotto le pelli del suo giaciglio.
Spossata
forse
dall'incubo che l'ha tenuta sveglia la notte precedente, Lyra dorme
ancora. Durante la sua ultima visita, Lord Ardyn ha chiesto di poter
parlare con lei: Mia spera che la cosa non si ripeta anche in questa
occasione.
I
toni sommessi che
vengono dal salotto e il ripetersi del nome di Lyra stuzzicano la
curiosità della domestica. La giovane posa il paniere colmo
di
viveri in cucina e poi striscia silenziosa lungo il corridoio,
avvicinandosi alla porta chiusa dietro la quale stanno parlando i due
uomini.
Sa
che non dovrebbe
origliare. Sa che, se la sorprendessero in una posizione
così
compromettente, rischierebbe di perdere il posto di lavoro, in barba
ai buoni rapporti che intrattiene con la famiglia del notaio. Ma la
curiosità è troppa, ed è accompagnata
dal sentore che quello sia
un discorso importante.
Con
un'ultima occhiata
in direzione del giardino, si assicura che non ci siano movimenti e
poi si piazza a meno di un passo dalla porta del salotto.
Se
dovesse arrivare
qualcuno, decide, dirò che
volevo informarmi su a che
ora servire il pranzo, e se Sua Eccellenza intende fermarsi con noi.
Vorrebbe
appoggiare
l'orecchio al pannello di legno, ma forse così è
un po' troppo, e
comunque le parole dei due uomini sono sufficientemente chiare anche
mantenendo un minimo di distanza.
"...
mi sembra
sempre così distratta, quasi assente" sta dicendo il Signor
Shidaìn.
"E
secondo te
questa sua distrazione non è dovuta al furto che avete
subito?"
chiede di rimando Lord Ardyn.
Il
borbottio di
risposta è troppo basso perché Mia possa cogliere
le parole del
notaio, ma capisce comunque che si tratta di una negazione.
"Non
me lo spiego"
replica ancora il nobiluomo. "Ci sono stati altri eventi che
potrebbero averla turbata?"
Questa
volta la
risposta è più chiara: "Nulla di cui io sia a
conoscenza."
Tra i due uomini cala un silenzio prolungato
e Mia inizia a chiedersi se quella conversazione sia finita
così.
Proprio
quando sta
iniziando a pensare di tornare in cucina, però, il notaio
parla
ancora. "Sono preoccupato per lei. Ne ho parlato anche con mia
moglie, e pensiamo che forse le farebbe bene cambiare ambiente per un
po'." L'uomo fa una piccola pausa, interrotto forse da un gesto
del suo interlocutore, ma poi riprende: "Sapete che l'amiamo
come una figlia. Vogliamo solo il meglio per lei. Se solo poteste
riprendervela per qualche tempo..."
La
domestica si porta
una mano alle labbra per soffocare un'esclamazione di sorpresa. Cosa
significa che la amano come una
figlia? Lyra non è
la figlia naturale degli Shidaìn?
Evidentemente
no, se
ha detto questa cosa, si risponde.
Ma
allora di chi è
figlia? Per quanto assurdo le possa sembrare, l'ipotesi più
logica,
considerate le parole del notaio, è che appartenga alla
famiglia di
Lord Ardyn: forse è figlia del gentiluomo, forse di qualche
suo
parente stretto.
Quelle
speculazioni
sono interrotte dalla voce decisa del nobile. "No, non credo che
sia una buona idea. Anch'io ho a cuore il benessere di Lyra, ma
l'idea di averla in casa è insopportabile."
"È
una
ragazza buona..." protesta il notaio, e a
Mia sembra
che abbia un tono piuttosto oltraggiato.
"Non
dico che non
lo sia, Artem", sospira Lord Ardyn, "anzi, sono sicuro che
sia assolutamente deliziosa. Ma averla sotto gli occhi tutti i giorni
non farebbe altro che farmi pensare a mia moglie. Non lo posso
sopportare, no, mi dispiace. Sarebbe troppo doloroso, e alla fine
sarebbe la ragazza a rimetterci."
Oh,
è sposato? Si
chiede Mia, annusando un pettegolezzo. O
forse era sposato,
se dice che Lyra lo farebbe ripensare a sua moglie. Non
ha
mai saputo che l'uomo fosse vedovo, ma, ora che ci pensa, non ha
nemmeno mai sentito parlare di una sposa che divida la casa con lui.
"Io
non so davvero
cosa fare con questa ragazza, Lord Ardyn" geme il Signor
Shidaìn. "Forse dovrei farla vedere da un medico? Ma
sospetto
che il suo malessere non sia fisico, né un disturbo della
mente: ho
l'impressione che sia il suo spirito a soffrire."
"C'è
anche da
dire che è in un'età difficile" dice dopo qualche
istante Lord
Ardyn. Ora il suo tono è pacato, ragionevole, come se
volesse
convincere il notaio della bontà delle sue idee. "Da quello
che
mi dici, non ha molte occasioni di frequentare fanciulle della sua
età."
"L'unica
che
frequenta con costanza in effetti è la nostra domestica,
Mia, che
però ha sette anni in più di lei..."
Sentendosi
tirata in
causa, la giovane lancia un'occhiata nervosa alla porta. Che a quei
due non venga in mente di convocarla, o si accorgerebbero che
è già
lì, appostata a pochi metri da loro.
"C'è
troppa
differenza d'età, e non penso che Lyra abbia molto da
spartire con
una domestica, soprattutto se è una nomade dell'ovest"
replica
il nobiluomo, e Mia piega le labbra in una smorfia infastidita: se
gli dà fastidio che una sua congiunta frequenti gentaglia
come lei,
avrebbe dovuto tenersela in casa, anziché affidarla a un suo
sottoposto.
"Ho
una proposta
che forse potrebbe aiutare a migliorare un po' le cose" continua
Lord Ardyn. "Qualche giorno fa sono arrivate in visita da me due
delle mie nipoti, figlie della mia sorella più giovane:
Valya ha
quindici anni ed Ela dodici. Potrei portarle qui da te domani,
così
che trascorrano un po' di tempo insieme a Lyra."
Artem
Shidaìn esita un
attimo, prima di rispondere. "Non so se Lyra sarà in grado
di
intrattenere due fanciulle abituate ai lussi della buona
società."
"Non
vedo
problemi" lo contraddice il suo interlocutore. "Valya è
una ragazza avventurosa ed Ela è timida e giudiziosa:
ameranno Lyra.
Potrebbero fare una gita a cavallo qui nei dintorni: mia sorella
è
una buona madre, ma le tiene sotto una campana di vetro. Un po' di
divertimento all'aria aperta farà bene anche a loro e
permetterà a
Lyra di conoscerle lontana dalle aspettative della società e
degli
adulti."
"Come
desiderate"
acconsente il notaio. "Chiederò a Mia di accompagnarle,
così
che non siano completamente abbandonate a se stesse."
"Sa
cavalcare?"
chiede stupito Lord Artem, e Mia deve impegnarsi a fondo
perché uno
sbuffo sarcastico non lasci le sue labbra.
"Oh,
sì, è
un'ottima cavallerizza" conferma il Signor Shidaìn. "Ci ha
raccontato che i bambini della sua tribù montano in sella
fin da
piccolissimi."
"Pensavo
che
questo valesse solo per i maschi" commenta distrattamente il
nobiluomo. "Non si finisce mai di imparare..."
Un
suono di passi
provenienti dal giardino costringe Mia ad abbandonare la sua
postazione e a precipitarsi, veloce ma silenziosa, in cucina.
"Mia?
Sei
rientrata?" la chiama la Signora Shidaìn.
"Sì,
Signora"
fa di rimando lei, tuffando le mani nel paniere e fingendosi
indaffaratissima a sistemare gli acquisti. "Tra poco inizio a
preparare il pranzo."
La
padrona di casa si
affaccia sulla porta della cucina. Malgrado le temperature
più alte
della norma, si stringe uno scialle di lana attorno alle spalle: a
giudicare dall'aria emaciata che sfoggiano entrambe, Mia fa davvero
fatica a pensare che lei e Lyra non abbiano un legame di sangue.
"Benissimo"
commenta la Signora, strofinandosi gli occhi come per allontanare il
sonno. "Prima di iniziare, però, ti dispiacerebbe salire di
sopra a controllare se mia figlia si è
svegliata? È tempo che
io vada a intrattenere almeno per un po' il nostro ospite..."
La
ragazza deve
sforzarsi per mantenere un'espressione neutra davanti a quelle
parole. Non essere sciocca, si
rimprovera. Anche
se non l'ha partorita, rimane comunque sua figlia.
Però
quella
rivelazione l'ha scossa. Chissà se Lyra è al
corrente della verità
sulle sue origini.
Beh,
non sta certo a
me spiegarle da dove viene, pensa, rabbrividendo d'orrore
alla
sola idea di affrontare un discorso del genere con la
ragazzina.
"Vado
subito,
Signora" dice allora, rivolgendole l'accenno di una riverenza e
avviandosi su per le scale.
Lyra
sta ancora
dormendo. Gli scuri sono chiusi, ma le due ante non combaciano
perfettamente e una sottile lama luminosa colpisce il letto della
ragazza, illuminando una mano abbandonata sul
copriletto. È
così pallida che Mia deve guardare il movimento regolare del
petto
della fanciulla per convincersi che è ancora nel mondo dei
vivi.
Poverina,
sembra
stanca anche quando dorme. Non era poi così tardi, quando si
è
coricata.
Colta
da un moto di
tenerezza nei suoi confronti, Mia si avvicina al letto con l'intento
di rimboccare le coperte che Lyra sembra essersi buttata addosso alla
bell'e meglio. Poco prima che le sue ginocchia tocchino il materasso,
però, è la punta dei suoi zoccoli a impattare con
qualcosa.
Cosa
diamine...
Mia
si china e sbircia
sotto il letto. Con la fronte aggrottata, allunga un braccio e
afferra gli oggetti contro i quali è andata a sbattere.
Sollevandoli
all'esigua luce che filtra dalla finestra, vede che si tratta degli
stivali che solitamente Lyra indossa per andare a cavallo e che in
circostanze normali sono riposti nell'apposito vano sul fondo
dell'armadio. La cosa che più attira la sua attenzione,
però, è lo
strato di fango e foglie che è rimasto attaccato alla suola:
dal
momento che è lei stessa a ripulire quegli stivali dopo ogni
singolo
uso, sa che non erano certo in quello stato, quando li ha sistemati
nell'armadio.
Lentamente
sposta lo
sguardo dagli stivali alla figura dormiente della ragazzina.
Quell'insolita stanchezza mattutina inizia ad assumere dei connotati
sospetti.
Cos'hai
fatto
esattamente ieri notte, per ridurli in questo stato?
Mia
espira lentamente.
Sarà una sua impressione, ma inizia a credere che Lyra stia
nascondendo qualcosa.
|
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Capitolo 11 *** 11 - Segugi ***
Cino,
il castrone che è
solita montare, non la perde d'occhio un momento. È
stata Lyra
a dargli quel nome, tempo fa, prima ancora che Mia iniziasse a
lavorare a casa degli Shidaìn. L'aveva chiamato
così perché aveva
il manto sorcino, e la bambina aveva
pensato che fosse un
diminutivo divertente.
Quando
il padrone le
aveva concesso di scegliere uno dei sue cinque cavalli per
accompagnare Lyra in passeggiata, Mia non aveva avuto dubbi: quella
bestia dal carattere gioviale e dal colore tanto particolare le
ricordava i cavallini che da sempre vivevano con il suo popolo,
grigio topo o giallo paglia e con una riga scura che correva al
centro della schiena, talvolta con delle magnifiche striature appena
sopra agli zoccoli.
I
suoi doveri
quotidiani non le permettono di montarlo tanto spesso quanto
vorrebbe, ma Cino la aspetta sempre paziente, sbuffando festoso ogni
volta che va a fargli visita nelle scuderie.
Adesso
andiamo,
tesoro mio, pensa mentre il vecchio stalliere che lavora per
il
notaio sella lui e Mora. La giumenta pezzata mordicchia
affettuosamente una manica della camicia dell'uomo, ma Cino non si fa
distrarre: non ha occhi che per lei, e la cosa le provoca un brivido
di compiacimento.
"Potresti
anche
darmi una mano, invece che startene lì come uno stoccafisso"
le
abbaia l'uomo.
Mia
si passa una mano
sulla casacca di velluto che non ha mai avuto l'onore di indossare
prima. "No, meglio di no" ribatte. "La Signora mi ha
prestato dei suoi vecchi abiti per l'occasione, e preferisco non
correre il rischio di insudiciarli."
Il
vecchio le lancia
uno sguardo scettico da sotto la falda del cappello. "Stai per
uscire a cavallo" le dice come per farle notare che la giubba e
l'ampia sottana da cavallerizza verde smeraldo sono comunque
destinate a sporcarsi.
Lei
però fa le
spallucce. "Meglio essere prudenti."
Lo
stalliere borbotta,
ma oggi Mia si sente autorizzata a non badarvi: oggi non è
una
domestica, ma una specie di dama di compagnia per le due giovani
nipoti di Lord Ardyn. Sbirciando oltre la porta della scuderia, vede
le due ragazze che armeggiano attorno ai loro destrieri. Sono due
bestie baie, e assomigliano curiosamente alle loro amazzoni: la
giumenta di Valya è snella e slanciata come la ragazza
più grande,
mentre Ela monta un pony piccolo e rotondetto come lei. Due lucidi
segugi dal pelo rossastro zampettano loro attorno e frustano
gioiosamente l'aria con le loro lunghe code sottili.
"Sono
pronta."
Mia
si volta di scatto
e incontra gli occhi bruni di Lyra. Da quando ha scoperto la
verità
sulle sue origini fatica a guardarla in faccia, ma stringe i denti e
si sforza di rivolgerle un sorriso caloroso. Quello
che hai
sentito non cambia niente, si ripete per l'ennesima
volta. Resta
sempre la piccola Lyra che conosci fin da quando sei arrivata in
questa casa.
"Ho
finito"
sbuffa lo stalliere. "Avrei fatto più in fretta, se quella
disgraziata mi avesse dato una mano!"
Lyra
gli rivolge un
cenno della mano come per placarlo. "Va bene così, Yvor. Non
c'è fretta. Le nipoti di Lord Ardyn hanno appena finito di
prepararsi."
Rimaste
sole, le due
giovani montano in sella e raggiungono le altre due ragazze, che sono
già pronte per andare. Valya, una fanciulla con i capelli
color
nocciola e occhi verde muschio, alza lo sguardo verso il cielo terso
e sorride. "Che giornata magnifica."
Mia
annuisce e sfiora
con una mano la borsa assicurata alla sella di Cino. "Il tempo
ci è favorevole. Ho portato il necessario per pranzare
all'aperto."
"Che
meraviglia"
sospira Ela, e mentre sorride due fossette sbucano sulle sue guance
paffute.
Determinata
a svolgere
al meglio il suo compito di accompagnatrice e a non immischiarsi
troppo nelle faccende delle sue compagne più giovani, Mia
cavalca in
testa, lasciando parecchie decine di metri tra sé e il resto
del
gruppo. Ogni tanto allunga le orecchie per assicurarsi che Lyra stia
effettivamente socializzando con
le sue coetanee.
Quello che sente la rinfranca: la ragazza è timida e poco
avvezza a
chiacchierare del più e del meno, ma Valya in particolare
sembra
dotata di tatto e sensibilità. Mia sente che le pone alcune
domande,
spronandola discretamente ad aprirsi un po': in un tempo
sorprendentemente breve, le tre fanciulle chiacchierano in maniera
del tutto naturale.
Quella
ragazzina mi
è simpatica, decide Mia, voltandosi solo per un
istante per
osservare la più grande delle nipoti di Lord Ardyn.
Lei
e Lyra non hanno
parlato di quale sentiero imboccare e Mia ha dato per scontato che
avrebbero seguito quello che costeggiava il fiume: del resto
è
quello lungo il quale cavalcano sempre.
Quando
fa per
indirizzare Cino verso il tracciato che si stacca dal lato destro
della strada, Lyra però la richiama. "Aspetta!"
Mia
si volta verso di
lei senza riuscire a nascondere la confusione che sicuramente le si
legge in volto. "Non vuoi andare di qui?"
Lyra
arrossisce e
quella reazione va di nuovo a solleticare i sospetti che erano nati
in Mia quando, il giorno prima, aveva visto gli stivali sporchi di
fango nascosti sotto il letto della ragazza.
"No,
è che
pensavo che è un sentiero troppo umido da percorrere in
questo
periodo" balbetta la fanciulla con i capelli rossi.
Mia
socchiude gli
occhi. "Ci sei stata di recente?" le chiede in tono
indagatore.
Lyra
non sa mentire, ma
ci prova comunque. "No, ma è sempre così
d'autunno."
Prima
che la domestica
possa controbattere, la vocetta di Ela attira la loro attenzione.
"Oh, no, per favore. Io odio l'umidità! Non possiamo andare
in
un posto un po' più asciutto?"
Il
sollievo che si
disegna sul volto di Lyra è quasi comico. "Ma certamente!"
esclama. Incontra per un secondo gli occhi di Mia e la donna sostiene
il suo sguardo, cercando di comunicarle silenziosamente che quel
discorso non è finito lì e che, una volta
rientrate a casa,
sarebbero tornate sull'argomento. Lyra deglutisce, ma continua, forte
del fatto che sa che Mia non oserebbe mai interrogarla davanti alle
loro nobili ospiti: "Possiamo proseguire ancora un attimo su
questa strada e poi tagliare verso il bosco che c'è sulla
sinistra.
Le foglie iniziano ad assumere dei bei colori."
"Perché
no!"
annuisce Valya; e la cosa è decisa.
Mentre
cavalcano verso
il bosco, Mia cerca di non rimuginare troppo sullo strano
atteggiamento di Lyra, ma è inutile: si è ormai
convinta che due
notti fa la ragazza ha fatto una scampagnata notturna lungo il fiume.
E
anche se fosse? Si
chiede. A te cosa te ne importa?
È
perché l'ha presa
in giro, si dice: per questo continua a pensarci. L'altra notte ha
finto di tornarsene a letto, ha aspettato che lei si addormentasse e
poi è sgattaiolata fuori come se nulla fosse.
Come
se non lo
sapesse che è di salute cagionevole! Pensa
stringendo le
redini finché le nocche le diventano bianche. Cosa
accidenti
l'è venuto in mente? E cosa ci doveva andare a fare, al
fiume?
Se
non si stesse
parlando di Lyra, penserebbe a un appuntamento con qualche
spasimante, ma il solo pensiero è ridicolo: la fanciulla
è ancora
come una bambina da quel punto di vista e probabilmente non ha mai
avuto un singolo pensiero romantico in vita sua. Ma se avesse
incontrato qualcun altro? La mente di Mia ritorna a ciò che
Lyra le
ha detto quando l'ha sorpresa con un piede fuori dalla porta, alla
voce che sosteneva di sentire nei sogni, e un brivido ghiacciato le
scorre lungo la schiena.
La
cosa migliore da
fare è parlarne con i Signori, decide.
Sì, farà così: quella
sera confiderà i suoi sospetti al notaio e a sua moglie, e
che poi
ci pensino loro a quella figlia che evidentemente inizia a mostrare i
primi accenni di ribellione adolescenziale.
Poco
dopo raggiungono
il sentiero che si snoda attraverso la foresta di latifoglie e Mia
pensa che, al di là di tutto, Lyra non aveva tutti i torti a
scegliere quella strada anziché quella che costeggia il
fiume. Le
foglie verdi sono ormai poche e il bosco è un trionfo di
rosso e
oro.
I
due segugi che
accompagnano Valya ed Ela sono al settimo cielo. "Rondine!"
li richiama la maggiore delle due ragazze. "Nibbio! Tornate qui,
e state vicini!" Il richiamo verbale ha poco effetto, ma quando
la fanciulla emette un fischio modulato, i due cani si precipitano al
suo fianco.
"Non
so quanto
capiscano le parole", le confida accorgendosi di avere la sua
attenzione, "ma i fischi li capiscono, eccome! Mio padre li ha
addestrati a fare le cose più incredibili, come portare
determinati
oggetti da una stanza all'altra o aprire le porte. E sono anche
ottimi cani da caccia, ovviamente."
Mia
annuisce. Non se ne
intende molto di cani, in realtà, men che meno di cani da
caccia.
A
mezzogiorno si
fermano a pranzare e Lyra dimostra un insolito entusiasmo per il
cibo, cosa che non manca di insospettire ulteriormente Mia. Stai
forse cercando di distrarmi? Pensa inarcando le
sopracciglia.
Chi
sbocconcella lo
sformato di zucchine è invece Ela. Mia si accorge
solo in quel
momento che la ragazzina si è fatta silenziosa
già da un po'.
Anche
sua sorella
sembra rendersene conto nello stesso istante. "Che c'è?"
le chiede. "Non hai fame?"
Ela
mugugna qualcosa.
"Non
ho capito"
insiste Valya avvicinandosi un po' per sentirla meglio.
La
ragazzina arrossisce
e i suoi occhi scuri saettano tra i tronchi degli alberi che crescono
all'estremità opposta della radura nella quale si sono
fermate. "È
una cosa stupida" borbotta. Tace un attimo, poi continua: "Ho
l'impressione che qualcuno ci stia seguendo già da un po'."
Mia
inspira
bruscamente, subito in allarme. Dopo l'incursione di Jens Lowal, non
si stupirebbe di nulla. "Ne sei sicura? Da quanto tempo?"
Ela
si torce
nervosamente le mani. "Non lo so, da un po'. Quando siamo
entrate nel bosco ho visto un signore a cavallo, poi non l'ho
più
visto... Però mi è sembrato di sentirlo dietro di
noi. Di sentire
il rumore di zoccoli, intendo. E se ci stesse seguendo?"
Le
altre tre ragazze si
guardano incerte.
"Io
non mi sono
accorta di niente" dice Lyra titubante. "Ma con questa
bella giornata non saremo certo le uniche che hanno deciso di fare
una gita nel bosco..."
Valya
storce le labbra.
"Non sarà ancora la solita storia, vero?" chiede alla
sorella. E poi, rivolgendosi alle altre due giovani: "Quando era
più piccola Ela era terrorizzata dalle foreste. Nostra madre
ci ha
sempre raccontato storie di lupi e mostri che si nascondono tra gli
alberi e mia sorella ha una fantasia piuttosto fervida."
Ela
non sembra convinta
e fissa gli alberi alla ricerca di una risposta. Poi sospira. "Forse
hai ragione" ammette, staccando poi un piccolo pezzo di
pasticcio e masticandolo lentamente.
Quella
concessione
sembra tranquillizzare Lyra e Valya, ma Mia non è convinta.
Ora che
ci ripensa ha l'impressione che, quando si allontanavano, i cani
tendevano a farlo sempre nella stessa direzione. Anche adesso che
sono seduti a pochi metri da loro, apparentemente a riposo, tengono
d'occhio gli stessi alberi che anche Ela stava studiando poco
prima.
Possibile
che
abbiano fiutato qualcosa? Si chiede, notando che le
orecchie
di Rondine fremono leggermente, indicando che l'animale è in
tensione. O qualcuno?
Anche
se cerca di non
trasmettere la propria inquietudine alle altre ragazze, Mia non
riesce più a rilassarsi. Quando avevano detto che sarebbero
tornate
a casa? È troppo presto per interrompere la gita e
allontanarsi dal
bosco e da chiunque si nasconda tra i suoi alberi?
La
giovane stringe una
mano sui pantaloni e per un attimo sogna di avere con sé la
piccola
ascia che tanti anni prima ha lasciato nella tenda dei suoi genitori.
Non servirebbe a molto contro un aggressore armato di moschetto, ma
è
pure sempre meglio che doversi difendere a mani nude.
"Credo
che sia
meglio se torniamo a casa" dice, quando non riesce più a
trattenersi.
Le
sue compagne si
girano a guardarla. "Di già?" chiede Lyra.
Mia
annuisce e lancia
l'ennesima occhiata furtiva attraverso la radura. "Sì.
Probabilmente Valya ha ragione ed Ela si è lasciata
suggestionare
dall'ambiente, ma non sono tranquilla. Meglio non rischiare."
Le
due ragazze più
grandi si scambiano un'occhiata delusa, ma non protestano.
"Come
preferisci"
acconsente la maggiore delle nipoti di Lord Ardyn. "Conosci
questi boschi meglio di me e di mia sorella, e se credi che sia
meglio rientrare, rientriamo."
Si
rimettono quindi in
viaggio in silenzio, con Rondine e Nibbio che trotterellano davanti a
loro. Si muovono più lentamente di quanto Mia vorrebbe, e la
giovane
cambia leggermente assetto sulla sella di Cino. Non
possiamo
farli galoppare un po', questi cavalli? L'occhio le
cade
però subito su Ela e sulla sua piccola cavalcatura, e la
domestica
accantona l'idea.
Dopo
alcune decine di
minuti, i due cani, che ancora le precedono, si fermano al centro del
tracciato e drizzano le orecchie.
"Arriva
qualcuno"
mormora Lyra un istante prima che Mia possa fare la stessa
osservazione.
"State
dietro di
me" ribatte a bassa voce la donna. Con ogni probabilità si
tratta di una cautela inutile, ma preferisce essere prudente.
Le
ragazze si
dispongono ubbidientemente alle sue spalle - prima Ela, poi Valya e
Lyra a chiudere la fila - e dopo pochi istanti un cavaliere spunta da
dietro un dosso. Procede a passo tranquillo in sella a un imponente
destriero morello, e indossa un mantello bruno che sembra
più adatto
a una giornata di pioggia, piuttosto che a un pomeriggio
così mite.
Un
uomo, pensa
Mia. La cosa non è di per sé sospetta, ma quando
lo osserva con più
attenzione, vede che il suo volto è in gran parte celato da
una
sciarpa scura. Quel dettaglio le fa immediatamente balzare il cuore
in gola. Che motivo c'è di indossare una sciarpa in quella
maniera,
come se fosse nel bel mezzo di una bufera di neve?
La
giovane si guarda
rapidamente attorno. Cambierebbe strada, se potesse, ma in quel
tratto la vegetazione che cresce ai lati del sentiero è
particolarmente fitta. Cino e Mora sono avvezzi a quell'ambiente e
riuscirebbero forse ad attraversarla comunque, ma chi può
dire come
si comporterebbero le giumente delle loro giovani ospiti?
Il
cavaliere si sta
avvicinando e Mia si rende conto che non c'è tempo per
evitare di
incrociarlo. Per una frazione di secondo si chiede se valga la pena
tentare la fuga, ma vede bene che è inutile: quel cavallo
è senza
dubbio più veloce del piccolo pony di Ela.
Un
istante più tardi,
l'uomo le arriva di fronte. I loro occhi si incrociano per un attimo:
quelli di lui sono occhi scuri, dall'insolito taglio allungato, poco
comune tra la gente di Yevàn. Occhi giovani,
vede Mia,
che però non sa cosa farsene, di quell'informazione.
Fatta
eccezione per lo
sguardo che si sono scambiati, il cavaliere pare ignorarla
completamente. Le sfila accanto sulla destra mentre lei ferma Cino e
si volta per osservare il lento procedere dello sconosciuto. Lui
passa accanto ad Ela, passa accanto a Valya e poi si ferma di fianco
a Lyra.
Il
cuore della giovane
accelera ancora i battiti. "C'è qualche problema?" gli
chiede. La sua voce suona salda: un fatto non scontato, considerato
il tremore che avverte dentro di sé.
Lui
non risponde e
tiene lo sguardo fisso a terra. Poi, muovendosi sempre con apparente
tranquillità, sfila una piccola pistola da sotto il mantello
e la
punta contro Lyra.
"Tu
devi venire
con me" le dice. La sua voce è soffocata dalla lana che gli
copre la bocca e Mia non riesce a identificare lo strano accento che
deforma le sue parole.
È
Valya la prima a
reagire: si volta veloce come un serpente e fissa il cavaliere con i
suoi occhi verdi. "Come sarebbe a dire?" sbotta. "Cosa
vuoi da noi? Hai idea di chi siamo?"
"No,
e nemmeno mi
interessa" replica lui, senza distogliere lo sguardo da Lyra.
"Muoviti, tu: monta dietro di me."
Lei
pare paralizzata:
dopo un primo istante di sorpresa e quella che a Mia era sembrata
paura, il suo volto si è fatto assente. Nei suoi occhi
c'è
un'espressione remota, come se la ragazzina non fosse mentalmente
lì
con loro.
"Lasciala
stare"
intima la domestica al bandito. Vorrebbe frapporsi tra lui e Lyra, ma
non osa farlo. Ha visto poche pistole nella sua vita, ma ha il
sospetto che quell'uomo sappia usare quella che tiene in mano e non
vuole fare nulla che possa spingerlo a sparare.
Lui
non la degna di una
risposta: solleva l'arma fino a puntarla alla tempia di Lyra e
con l'altro braccio cinge la vita della fanciulla, trascinandosela in
grembo con un gesto brusco. È più forte
e robusto di quanto a
Mia fosse sembrato in un primo momento, e gli ci vogliono pochi
secondi per sistemare la ragazza davanti a sé, tenendola
costantemente sotto tiro.
Mora
scrolla la testa
confusa da quello sviluppo e il gesto della giumenta sembra
risvegliare brevemente Lyra da suo torpore. La ragazza sgrana gli
occhi e spalanca la bocca e per un attimo pare sul punto di gettarsi
a terra, ma poi qualcosa sembra catturare ancora una volta la sua
attenzione: si acquieta di nuovo, gli occhi persi in un punto a
mezz'aria.
Sembra
quasi che
stia ascoltando qualcosa, pensa Mia. Non ha alcun senso,
ovviamente, ma ormai la giovane sta lottando per non farsi prendere
dal panico ed è meno lucida di quanto vorrebbe.
Il
tempo sembra
fermarsi e per un attimo anche il bandito appare sorpreso dalla
passività della sua vittima. Basta però un
battito di ciglia per
spezzare lo stallo e cavallo e cavaliere retrocedono di qualche
passo.
Un'ondata
di panico e
disperazione si abbatte tutta d'un tratto su Mia. "Aspetta!"
grida, dando di sprone a Cino e spingendolo in avanti. Protende le
mani verso Lyra, ma non sa nemmeno lei cosa vorrebbe fare.
Afferrarla? Spingere via il bandito? Sottrargli la pistola?
"Ferma
lì!"
abbaia lui, puntando nuovamente la canna alla testa della ragazzina.
C'è
uno strano rumore
di sottofondo, ma Mia non vi bada perché finalmente incrocia
gli
occhi di Lyra. È tutto così
maledettamente irreale,
pensa. La testa le gira, le manca il fiato e lei non riesce a capire
perché la sua protetta sembri così tranquilla. C'è
un'espressione confusa sul suo volto, sì, ma Lyra sembra la
spettatrice del dramma che si sta svolgendo nel bosco, piuttosto che
la protagonista.
Perchè? Si
chiede di nuovo Mia, lottando per respirare. Cosa sta
succedendo? C'è qualcosa che le sfugge,
lo sente, ma non
capisce cosa. Istintivamente si porta una mano alla gola e afferra i
lacci della collana che porta al collo - il ciondolo che le ha
regalato suo nonno e che ha ripreso a indossare proprio il giorno
prima le sembra così orribilmente pesante, adesso.
Il
rapitore approfitta
della sua immobilità per far voltare il suo destriero e per
lanciarlo al galoppo lungo la strada, percorrendo a ritroso il
percorso che l'ha condotto da loro.
"Lyra!"
urla
Mia, ma ormai è troppo tardi: la ragazza è
scomparsa dalla loro
vista.
La
giovane si porta una
mano alla bocca e soffoca un singhiozzo. Non deve farsi prendere dal
panico. Deve riordinare le idee. Deve...
Il
suono che sentiva
poco prima sono i singulti di Ela. La ragazzina sta piangendo a
dirotto e sua sorella le cinge le spalle con un braccio e cerca di
consolarla.
"È
colpa mia"
geme la bambina. "Se... se l'avessi detto subito, che c'era
qualcuno che ci stava seguendo. Se..."
"Non
è colpa tua"
la rassicura distrattamente Mia, ma la sua mente è altrove.
"Devo...
devo scoprire dove la sta portando."
È
la prima cosa che le
passa per la mente, ma che altro può fare? Deve lasciarlo
andare via
senza nemmeno tentare di inseguirlo?
"Prendi
i cani"
le dice prontamente Valya. "Sono ottimi segugi."
Mia
abbassa lo sguardo
su Nibbio e Rondine: sono tesi come corde di violino, le code alte e
i nasi puntati nella direzione in cui sono scomparsi Lyra e il suo
rapitore.
La
domestica impugna le
redini di Cino e annuisce debolmente. "Va bene" dice. "Va
bene. E poi..."
Valya
si mordicchia le
labbra ed è chiaro che sta pensando molto velocemente. "Puoi
rimandarli da noi quando li avrai trovati. Tre fischi modulati:
basso-alto-basso, ripetuto tre volte. È il segnale
per farli
tornare a casa quando la caccia è finita."
Mia
deglutisce. "E
poi saranno in grado di portarvi da me? Se dovessi scoprire dove ha
portato Lyra e li mandassi a casa, poi saprebbero ritrovare la strada
per tornare di nuovo da me?"
"Io..."
Valya
esita. "Io credo di sì."
Per
Mia è sufficiente.
"Vale la pena di tentare."
Sta
per lanciarsi al
galoppo, ma il suo senso del dovere la frena per un attimo. "Voi
due siete in grado di tornare alla villa del Signor Shidaìn?"
"Certo
che sì"
annuisce Valya. "Non ti preoccupare per noi. Rondine, Nibbio:
dai!"
Questa
volta non
servono fischi: i due segugi interpretano alla perfezione l'ordine
impartito dalla loro padrona e si lanciano a rotta di collo lungo il
sentiero.
Un
istante più tardi,
Mia li segue.
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