The House Of Fire

di Ode To Joy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Exiled Prince ***
Capitolo 2: *** The Prince Of Fire And Ice ***
Capitolo 3: *** The Dragon Prince ***
Capitolo 4: *** Dabi's Plain ***
Capitolo 5: *** Forbidden Lover ***
Capitolo 6: *** The King’s Knight ***
Capitolo 7: *** Second Love ***
Capitolo 8: *** The Deal ***
Capitolo 9: *** The Unworthy Hero ***
Capitolo 10: *** Nothing At All ***
Capitolo 11: *** In A Dream ***
Capitolo 12: *** The Past Never Dies ***
Capitolo 13: *** The Voice ***
Capitolo 14: *** Something About Destiny ***
Capitolo 15: *** The Prince In The Mirror ***
Capitolo 16: *** The Taste Of Freedom ***
Capitolo 17: *** An Optimist ***
Capitolo 18: *** Save To Win ***
Capitolo 19: *** The Past Between Us ***
Capitolo 20: *** The Power Of Words ***
Capitolo 21: *** You Are (not) Alone ***



Capitolo 1
*** The Exiled Prince ***


Note introduttive:

Altro Writober, altro fandom, altro esperimento folle.
Dopo quattro di silenzioso rimuginare in questo fandom, finalmente rompo il silenzio e lo faccio con un genere di AU che avevo giurato non avrei più toccato.
Ma gli autori mentono, è nella loro natura. C’è chi lo ammette e chi mente.
Passiamo subito a una questione brucianti:
Pur essendo un Fantasy AU, la trama stessa si basa su SPOILER importante per gli ANIME ONLY. Era doveroso.
Ora passiamo ai dettagli di tipo tecnico. 
Non ci sono Quirk qui, solo un più generico poteri, in quanto alcuni personaggi del main cast presentano delle unicità che nulla hanno a che fare con quelle dell’opera originale (es. Katsuki è un Drago e, no, non secerne nitroglicerina) e altri, invece, sono semplici esseri umani mossi all’interno di un contesto Medieval Fantasy (Dame, Cavalieri ecc.). Tutti i riferimenti più o meno espliciti a pietre miliari del genere sono completamente volute.
La storyline si muove in due tempi: passato/presente, che caratterizzano le due metà di tutti i capitoli. 
Essendo periodo di Writober si prevede che avvenga un aggiornamento al giorno e m’impegno solennemente a rispettare le regole. Nel caso la real life non sia clemente con me, entro inizio novembre questa storia sarà senz’altro conclusa.
Non vi annoio ulteriormente. Grazie per essere arrivati fino a qui.
Buona lettura e buon Writober a tutti!

 

1 Ottobre

Prompt: “This is the sign you’re been waiting for”


I

The Exiled Prince
 

I hope to hell this is the last time

I hope to hell this is the last time I ever hurt

[“Nothing left here to burn” - Lovers & Liars]

 

“Il fuoco non può uccidere un Todoroki.”

Era stata la prima lezione di suo padre.

Touya gli aveva creduto e aveva continuato a farlo anche quando il Re stesso, a causa della sua debolezza, aveva cominciato a dubitarne.

“Il fuoco non può uccidere un Todoroki.”

Mentre Touya giaceva a terra, ogni centimetro del suo corpo attraversato da un dolore disumano, comprese che non era affatto una promessa di speranza, ma una condanna.

Le fiamme blu si erano estinte, ma lui stava ancora bruciando.

Sentiva la carne staccarsi dalle gambe e dalle braccia, aveva la bocca spalancata ma nessuna voce per urlare la sua agonia. Non era possibile sopravvivere in quello stato, ma era prigioniero di quell’inferno da troppi minuti e il suo cuore non ne voleva sapere di cedere.

Se ne stava lì, mentre la neve del Nord cadeva lenta e silenziosa su di lui, a ingoiare aria solo perché l’istinto gli gridava di farlo, ma invocava la fine di tutto.

“Il fuoco non può uccidere un Todoroki.”

Non era più la voce dei suoi pensieri a parlargli.

“Sembra che le leggende raccontino il vero.”

Sopra il suono raccapricciante dei propri lamenti, percepì qualcuno avvicinarsi.

“Papà…” Lo chiamò, ma nessuna parola uscì dalle sue labbra bruciate. “Papà!”

Era venuto a salvarlo. Nonostante tutto il male che si erano fatti, era tornato indietro per lui. 

Touya sapeva che quando il Re lo guardava vedeva il peggiore dei suoi fallimenti, ma poteva ancora rimediare. Era sopravvissuto a una situazione impossibile, non gli restava da fare altro che rimettersi in piedi e diventare più forte. 

Ora sapeva di poterci riuscire.

“Guarda, guarda…”

Quell’uomo non era suo padre. La sua alta figura era avvolta in un lungo mantello nero e il cappuccio impediva a Touya di vederlo in viso.

“Sei stato un terreno fertile fin da bambino ed è stato davvero interessante vederti germogliare, ma ora…”

Lo sconosciuto appoggiò un ginocchio a terra per guardarlo più da vicino. Neanche allora Touya riuscì ad avere un’immagine chiara di lui.

“Peccato, ma non sono sorpreso. Molti fiori di rara bellezza finiscono per bruciare proprio a causa del sole, nonostante ne abbiano bisogno per sopravvivere. È un errore della natura, proprio come te.”

Chi diavolo era quell’uomo?

“Tuttavia, non si può negare che le fiamme da te generate siano senza precedenti, anche nella storia della tua famiglia.”

Perché suo padre non era lì?

“Per tutta la vita ti sei inginocchiato di fronte a un Re che non ha saputo farti brillare. Sei disposto a fare lo stesso di fronte a un altro sovrano? In cambio, ti darò tutta la forza che desideri così disperatamente e, alla fine, non avrai più ragione di temere nulla, neanche le tenebre più buie.”

Il rantolo senza fine di Touya si trasformò in una risata inquietante, seguita da violenti colpi di tosse.

Faceva male.

Faceva dannatamente male.

Quando la voce uscì dalla sua gola, invelenita dall’odio e dall’ira, non riconobbe se stesso.

“Il fuoco scorre nelle mie vene, non ho mai temuto le tenebre!”

Ogni parola era un graffio sulla sua pelle ustionata.

“E io… Io non m’inginocchierò mai più di fronte a un Re!”

Respirare si faceva sempre più difficile, stava per soffocare. 

Presto sarebbe tutto finito.

Voleva mettersi a piangere, ma non ci riusciva.

Non voleva morire, non voleva essere da solo proprio in quel momento, ma non poteva sopportare ancora quell’agonia.

L’uomo in nero non c’era più, forse non c’era mai stato sul serio. 

Nei suoi ultimi istanti, Touya comprese che non era neve quella che cadeva dal cielo.

Era cenere.


 

-9 anni dopo-


 

Quando alzò gli occhi e vide il Drago volare nel cielo in tempesta, Dabi pensò che fosse venuto per lui. 

Il Castello Vecchio si trovava sul pendio Est della Cintura Vulcanica Minore e le sue finestre si affacciavano sul Mare del Nord. Le alte torri erano costruire con la pietra nera dei vulcani ormai dormienti, mentre le sue fondamenta erano spesso state scosse da quelli che, invece, non conoscevano riposo. La fortezza non era mai crollata, solida come la Casata che aveva visto la luce tra le sue mura. Il Vecchio Castello non era solo un nome su di una mappa o un antico avamposto, troppo isolato per essere di qualche utilità. 

Era la culla di una leggenda.

Non sorgeva una città intorno alla fortezza e non vi era un popolo che potesse chiamare quella terra casa. Nessun essere mortale sarebbe sopravvissuto abbastanza a lungo per farlo. In quelle terre, la natura era crudele come da nessun'altra parte.

Durante le eruzioni più violente, quando la lava arrivava al mare, l’aria diveniva ustionante anche in pieno inverno; le piogge di cenere e i terremoti non era rari ma nemmeno le bufere di ghiaccio e neve portate dalle correnti oceaniche.

Quello era l’angolo di mondo infernale in cui era stata forgiata la dinastia che ora regnava su tutte le altre: quella dei Todoroki.

Signori del Fuoco dai tempi della Fondazione, il loro nome era divenuto sinonimo di epiche imprese nel corso dei secoli. Il potere nel loro sangue aveva permesso loro di sopravvivere alle difficili condizioni atmosferiche del Castello Vecchio, fino a che la famiglia non era divenuta tanto potente da prendere per sé l’Alto Trono.

E così le torri di nera roccia erano state lasciate indietro, dimenticate per generazioni dai discendenti di chi le aveva costruite.

Dimenticate, sì, proprio come il Principe Esiliato che ora le abitava.

Touya Todoroki aveva fatto di quel castello inospitale il suo rifugio. A sedici anni, la condanna all’esilio era caduta sulla sua testa come una scure, segnando l’inizio di un lungo periodo di vagabondaggio e oscurità. Erano stati i ricordi dell’infanzia con suo padre - l’uomo a cui doveva il suo triste destino - a spingerlo fino al Castello Vecchio. Anche la Cintura Vulcanica Minore faceva parte dei domini di Enji Todoroki, ma le persone in grado di raggiungere quella fortezza senza rischiare la vita erano davvero poche. Otto anni di solitudine avevano convinto Touya che nessuno si sarebbe disturbato a venirlo a cercare lì.

Così aveva rinunciato al suo nome, lasciando Touya bruciare tra le fiamme dell'ignominia per divenire Dabi

Il Principe Esiliano aveva incoronato se stesso sovrano del Castello Vecchio e lì era rimasto, a crogiolarsi nel rancore che provava verso i suoi genitori - in particolare suo padre - godendo del fatto di aver sporcato il nome dei Todoroki, portando alla luce tutti i lati oscuri di una stirpe che non era l’emblema della perfezione come tutti credevano.

Certo, la storia si sarebbe ricordata di lui ma, con un po’ di fortuna, Dabi sarebbe stato il primo passo dell’inesorabile decadenza a cui tutte le dinastie erano destinate ad andare incontro. Avrebbero scritto pagine e pagine sulla sua crudeltà, come se i cadaveri carbonizzati che si era lasciato alle spalle contassero di più di tutti quelli accumulati dai suoi avi. Essere un Todoroki significava nascere col fuoco nel sangue ed erano arrivati all’Alto Trono rendendo cenere i loro nemici. 

Ma la storia ha i suoi favoriti.

Nessuno avrebbe narrato di come Touya Todoroki aveva combattuto le guerre di suo padre, tutti si sarebbero dimenticati della gloria che aveva portato alla sua Casata negli anni della sua fanciullezza o di come aveva protetto la sua gente.

Il Principe era arso sul suo ultimo campo di battaglia, e da quelle ceneri era nato un Mostro

Dabi era certo che fosse solo questione di tempo prima che la cosa si ripetesse.

Enji Todoroki era un sovrano potente, temuto. Poteva avere consensi dal suo popolo e dalla sua corte ma, di sicuro, non aveva l’amore. Quello gli era stato sottratto dal Campione che per anni aveva protetto la sua gente con il sorriso. 

Condannato a indossare la corona ma a essere l’eterno secondo, Enji Todoroki aveva ben pensato di fare dei suoi figli l’arma della sua capricciosa e ossessiva rivincita. Unendo il suo sangue a quello della dinastia decaduta dei Signori del Ghiaccio, aveva dato la vita a una generazione di Todoroki più forti, consegnati alla leggenda già dalla nascita.

Per i primi otto anni della sua vita, Touya era stato il Principe indiscusso di quella storia.

La nascita di Shouto lo aveva privato di quasi tutto.

La necessità di essere per suo padre l’erede perfetto, la rabbia e la debolezza ereditata dalla linea di sangue di sua madre avevano fatto il resto.

Per questo, quando alzò gli occhi e vide il Drago volare nel cielo in tempesta, Dabi pensò che fosse venuto per lui. Lo interpretò come il naturale corso degli eventi.

La gente mormorava nella valle oltre la Cintura Vulcanica Minore. Alle volte, Dabi si avventurava tra loro con il cappuccio del mantello nero tirato fin davanti agli occhi e li ascoltava. Raccontavano della corte dell’Alto Trono, dell’ascesa di un nuovo Campione, appena adolescente, portatore di un potere senza eguali e Cavaliere di un Drago rosso.

Parlavano anche di Shouto, di come la sua amicizia con il giovane Campione lo avesse spinto fuori dalle mura del castello reale. Descrivevano suo fratello come coraggioso e nobile d’animo e Dabi non poteva fare a meno di chiedersi da chi avesse ereditato simili virtù. Non sapeva se fosse divenuto ufficialmente l’Erede dell’Alto Trono, ma non c'erano molte alternative: Fuyumi e Natsuo erano più grandi di Shouto, ma cedere la Corona a loro sarebbe stato crudele e pericoloso. Entrambi erano troppo sensibili e non abbastanza potenti per reggere le sorti del loro mondo sulle spalle.

In quanto a Shouto, Dabi non lo aveva mai conosciuto realmente. Lo aveva lasciato a otto anni e, in tutta sincerità, non lo ricordava un bambino troppo sveglio.

Ma se aveva mandato il suo Campione a cavallo di un Drago per sfidarlo, forse non era così ingenuo come lo aveva creduto.

Mentre usciva dal portone del Castello Vecchio e si fermava a metà del ponte di pietra, Dabi accettò l’inevitabile con un sospiro e una buona dose di rassegnazione. 

Nessun Erede poteva permettersi di sedere sull’Alto Trono con un fratello violento, pazzo e potente in giro. C’era stato un tempo in cui aveva sognato la vendetta, di veder bruciare Enji Todoroki e la sua corte nell’incendio da lui stesso impiccato. Ora, di fronte a quella bestia alata, voleva solo rilasciare tutto il potere che aveva sopito per anni e bruciare nelle sue stesse fiamme.

E quale fine migliore per la storia di Touya Todoroki, se non la morte per mano del Campione del suo fratellino?

Sì, a Dabi poteva anche stare bene, ma non avrebbe mai concesso a quel moccioso una vittoria facile. Aveva una certa reputazione da rispettare. E se doveva cadere contro un Drago, si sarebbe assicurato che fosse una storia epica, magari abbastanza da mettere in ombra quelle sul regno di suo padre.

Mentre la bestia planava verso di lui, Dabi allargò le braccia e le fiamme blu le ricoprirono. 

“Diamo inizio alle danze…”

Non accadde nulla di quello che si era aspettato.

Il Drago non atterrò, cadde di fronte ai suoi occhi, in prossimità della spalla del ponte. L’impatto sollevò un gran polverone e, istintivamente, Dabi alzò il braccio per coprirsi il viso.

Calò un silenzio inquietante, spezzato solo da rumore del vento.

Dabi udì dei passi e le fiamme blu tornarono a illuminare la notte.

Il fanciullo che vide di fronte a sé non era nessun fantomatico Campione.

“Touya…”

Shouto lo guardava dritto negli occhi. Quel bimbetto di otto anni che ricordava a stento ora era alto quanto lui. Barcollava, come se il solo reggersi in piedi gli costasse un’immensa fatica. Mentre si avvicinava, Dabi rimase immobile. Nella luce bluastra del suo fuoco, si accorse che i vestiti di suo fratello erano sporchi di fango e sangue. Di sicuro, non era lì per un duello in nome della Corona. 

Sorprendere Dabi non era una cosa facile e quello era un evento a cui nulla lo aveva preparato.

“Ma che diav-?”

Suo fratello svenne davanti ai suoi occhi.

E fu così che lì, al Castello Vecchio dei Todoroki, tra la lava incandescente dei vulcani della Cintura Minore e il mare gelido del Nord-Est, ebbe inizio un’altra leggenda.

 

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Capitolo 2
*** The Prince Of Fire And Ice ***


2 Ottobre
Prompt: "We wanted to be the sky"

II

The Prince Of Fire And Ice

What more do you expect from me?
There's nothing left here to burn
There's nothing left here to burn
And I've given you every part of me
There's nothing left here to burn
There's nothing left here to burn
["Nothing else left to burn" - Lovers & Lies]

 

 La corte dell’Alto Trono sorgeva su di un’isola, circondata dalle acque cristalline del Lago delle Mezze Stagioni, che diveniva un’enorme lastra di ghiaccio in inverno e scompariva quasi del tutto in estate. Ora, mentre gli eserciti delle Casate aspettavano che il sole sorgesse sul giorno in cui avrebbero scritto l’epilogo di quella guerra, le chiome degli alberi erano piene di nuove foglie, figlie della bella stagione.

Nell’aria della notte, il Principe di Fuoco e Ghiaccio avvertiva l’odore di pioggia, ma quando sollevò lo sguardo trovò il cielo sereno, trapunto di stelle. 

Tutto era silenzioso, immobile.

Shouto si chiedeva cosa stessero facendo gli altri ma, al contempo, non voleva la loro compagnia. La calma che precedeva il fragore di un campo di battaglia era uno spazio intimo, da condividere con pochi. Era stato addestrato per compiere imprese grandiose fin da piccolissimo ma suo padre, che come mentore si era rivelato un completo disastro, non aveva mai speso una parola per prepararlo a quella sfida dal punto di vista emotivo.

Smarrito nei suoi pensieri, Shouto si allontanò dal campo, andando dove i suoi piedi lo volevano portare. Arrivò a un’altura sgombra da alberi, da cui si potevano vedere chiaramente le luci del castello e la valle che gli faceva da cornice.

Da quando i Todoroki sedevano sull’Alto Trono, non avevano mai combattuto una battaglia così vicina a casa.

Indipendente da come sarebbe andata, qualcuno avrebbe cantato le loro gesta.

Shouto non cercava la gloria. 

Essere l’Erede dell’Alto Trono implicava un’enorme responsabilità e, mai come allora, la sentiva pesare sulle sue giovani spalle. E non c’era nessuno con cui condividerla.

Anche se suo padre portava il fardello della corona, sapeva che non sarebbe mai riuscito a comprenderlo davvero.

“Non riesci a dormire?”

Quelle parole lo presero di sorpresa ma quando si voltò, fu felice di scorgere il viso sorridente di Izuku nell’oscurità della notte.

“Sembra che non sia l’unico,” rispose il Principe.

“Posso farti compagnia?”

“Ne sarei lieto, grazie.”

Izuku lo affiancò e, per un po’, rimasero in silenzio a guardare il panorama.

“Katsuki?”

“Oh, lui dorme,” rispose il giovane Campione della Corona. “È nato per il campo di battaglia. Queste cose non lo innervosiscono davvero.”

“Neanche tu sembri nervoso,” ribatté Shouto. Non ne era davvero sorpreso, Izuku era fatto così: s’innervosiva per un banchetto organizzato in suo onore, ma nel momento decisivo si trasformava. 

Se Katsuki combatteva per vincere, il suo Cavaliere lo faceva per proteggere.

“E tu?” Izuku lo guardò negli occhi. “Non dovresti restare solo in una notte come questa.”

“Ora ci sei tu,” gli fece notare il Principe. “Va bene così.”

Le sue parole non bastarono a cancellare la preoccupazione sul viso di Izuku. 

“Puoi parlare sinceramente con me, Shouto, lo sai.”

Sì, lo sapeva e gli doveva molto proprio per questo.

“Io…” Esitò. “Ho paura,” disse, infine. “Non di morire ma di non essere pronto a fare quello che devo. Un intero popolo guarda a me come suo salvatore e io, fino a poco tempo fa, non sapevo nemmeno per cosa volessi combattere.”

Shouto sollevò la mano sinistra e una fiamma rossa comparve al centro del palmo della sua mano, diradando l’oscurità tra di loro. 

“Se non fosse stato per te, questo potere non sarebbe mai stato mio, le fiamme del risentimento mi avrebbero consumato e di me sarebbe rimasta solo un’altra, tragica leggenda scritta dal sangue dei Todoroki.” Sollevò lo sguardo e sorrise al compagno di avventure. “Ti ringrazio, Izuku. Questo sono io e questo è il mio potere, ma nessuno dei due avrebbe visto la luce senza di te. Per questo dubito. Sono davvero degno di essere il Principe di Fuoco e Ghiaccio, l’Erede dell’Alto Trono, quando non sono riuscito nemmeno a essere forte per me stesso?” 

La fiamma si dissolse. Nel buio, Izuku trovò la sua mano e la coprì con la propria.

“Tu sei tu, Shouto,” disse. “Non sei sbagliato perché ti ci è voluto tempo per accettare il tuo potere, non sei debole per esserti rialzato con la mano di qualcuno. Se vuoi il mio sincero parere, penso che il nostro incontro abbia solo accelerato l’inevitabile. Tu non appartieni alle tenebre, sei nato per essere Re e lo avresti dimostrato al mondo comunque, con o senza di me.”

Shouto non ne era certo, ma ricambiò la stretta sulla sua mano. “Qualunque cosa accada, sono onorato di aver combattuto questa guerra al tuo fianco e a quello di Katsuki.”

Il sorriso di Izuku si fece triste ma, celato dall’oscurità della notte, il Principe di Fuoco e Ghiaccio non se ne accorse.

“Vorrei che tu mi facessi una promessa, Shouto…”

 

-1 anno e mezzo dopo-

 

Il dolore lo raggiunse prima di ogni altra cosa, mentre era sospeso in quella dimensione a metà strada tra la realtà e l’incubo. Non aveva più il privilegio di fare bei sogni da diverso tempo, ormai, nemmeno nelle sue notti più dolci insieme a Katsuki. 

L’ossessione di suo padre lo aveva privato dell’innocenza della sua infanzia, quella di un altro uomo della spensieratezza della sua fanciullezza. Aveva sedici anni, non aveva visto abbastanza inverni per tutte le cose che aveva vissuto e per quelle che, già la lo sapeva, lo attendevano.

”Tu non dovrai fare niente.”

Udì la voce gelida di suo padre come se fosse ancora lì, nella sala dell’Alto Trono.

”Penserò io a rimediare al tuo errore.”

C’era stato un tempo in cui Shouto aveva avuto paura del Re, poi aveva trasformato il suo timore in rancore. La guerra aveva complicato le cose ma, in qualche modo, le aveva quietate. Per questo Shouto era andato da lui, perché si era illuso di potersi fidare, di ricevere l’appoggio di un padre, ma ad accoglierlo erano stati gli occhi gelidi del genitore che lo aveva schiacciato innumerevoli volte sotto il peso della sua ambizione.

Era scappato per non combattere una battaglia persa in partenza.

Katsuki.

Il suo Drago era l’unica cosa a cui riusciva a pensare, del resto non gli importava. Se Katsuki non era al sicuro, poteva smettere di vivere anche lì e subito.

”Vorrei che mi facessi una promessa, Shouto.”

In quel momento, mentre continuava a scivolare tra le realtà e l’incoscienza, il ricordo della voce di Izuku non gli fu di alcun conforto. Al contrario, lo spinse di più verso il baratro.

”Abbi cura di Katsuki per me.”

La sua mente lo gettò di nuovo in mezzo al campo di battaglia, nel giorno in cui aveva visto il Drago rosso volare sopra le torri della corte dell’Alto Trono. Qualcuno lo teneva fermo, contro il terreno fangoso mentre, intorno a lui, le spade s’incrociavano in duelli mortali. Fece appello alle poche forze che gli restavano e il fuoco arrivò prima del ghiaccio.

Un colpo al viso mandò l’incubo in mille pezzi.

Ancora con gli occhi chiusi, Shouto mosse le membra intorpidite e si accorse di essere su di un letto, sotto una pelliccia calda. Era sveglio ma lo schiaffo lo aveva sconquassato. Qualcuno gli afferrò i polsi e glieli bloccò all’altezza della testa.

Provò a ribellarsi.

“Resta fermo!”

Shouto smise anche di respirare. Conosceva quella voce, ma era un ricordo sfocato, depositato sul fondo della memoria. Sollevò le palpebre e due occhi identici a quelli di suo padre risposero al suo sguardo. Le iridi turchesi rilucevano della stessa luce glaciale, ma il viso dell’uomo sopra di lui era più giovane, con gli angoli smussati e sfigurato da cicatrici ben peggiori. Shouto sapeva riconoscere i morsi del fuoco, lui stesso ne portava i segni, ma l’atrocità che doveva aver vissuto quel ragazzo non la riusciva neanche a immaginare.

“Adesso ti lascio andare,” lo avvertì. “Vedi di non fare stupidaggini…”

Shouto annuì due volte.  

Quando le mani di suo fratello lo lasciarono andare, riprese a respirare.

Touya si allontanò, camminando all’indietro, come se non si fidasse a dargli le spalle. Una volta arrivato accanto al camino, afferrò un pezzo di legno alla cieca e lo gettò tra le fiamme morenti. In pochi istanti, la luce nella stanza aumentò e riuscirono a guardarsi chiaramente in faccia.

Che il giovane uomo che gli era di fronte fosse Touya Todoroki non c’erano dubbi, ma Shouto non poteva fare a meno di confrontare i capelli corvini con quelli candidi dei ricordi della sua infanzia, mentre gli abiti neri erano quanto di più lontano ci fosse dai mantelli rossi dei membri della corte dell’Alto Trono.

Touya shioccò le dita e Shouto sobbalzò.

“Sono solo ustioni, Shouto, non dovresti essere così impressionato.”

Suo fratello si sedette in fondo al letto, in modo da poterlo guardare senza essergli troppo vicino. 

“Dunque…” Appoggiò il mento al palmo della mano, le labbra piegate in un sorriso inquietante. “Un certo Drago mi ha raccontato che è giunto il momento che io e te ci facciamo una bella chiacchierata.”

Un Drago.

“Katsuki!” Shouto scattò a sedere, ma una fitta all’addome lo pietrificò. Si portò una mano tremante in grembo e rimase in silenzio, in attesa. Non successe nulla e inspirò profondamente dal naso per calmare il suo cuore impazzito.

“Oh, la storia è più seria di quanto sospettassi,” commentò Touya, piegando la gamba sul letto. “Katsuki,” ripeté. “Quel coso ha un nome, sorprendente.”

Shouto sollevò lo sguardo. “Dimmi che sta bene, ti prego.”

“L’ho lasciato nella sala del trono a medicarsi le ferite da solo.”

Era tutto quello che Shouto aveva bisogno di sapere. Cedette alla debolezza e si adagiò sui cuscini. “Grazie per averci salvati, Tou-”

“È stato il tuo Drago a sollevarti di peso da terra. È stato lui a essere convincente, fosse stato per me…” Touya lasciò la frase in sospeso. “Ma passiamo ai discorsi seri: che hai fatto in faccia?”

Istintivamente, Shouto si toccò la cicatrice intorno all’occhio sinistro. “È una storia lunga…”

“Ha a che fare con il motivo per cui sei qui?”

“No.”

“Bene, allora sorvoliamo.” Touya si prese un momento per guardarlo fisso. “Come ci si sente da passare da cocco di papà a fallimento totale?”

Tanto per cominciare, Shouto non era mai stato il cocco di nessuno, tantomeno del Re e, secondo, se c’era mai stato un tempo in cui gli era importato di rendere suo padre orgoglioso, non ne aveva memoria. Tuttavia, quella domanda fece intuire a Shouto che Katsuki doveva essersi comprato il permesso per accedere al Castello Vecchio attraverso qualche confessione di valore.

“Che cosa ti ha raccontato?” 

Era ovvio che Touya non li avrebbe fatti restare in nome di un legame di sangue che, era evidente, disprezzava. Shouto non poteva neanche biasimarlo, non dopo tutto quello che il Re gli aveva fatto. Sapeva di dover dare qualcosa in cambio di quell’ospitalità e se doveva raccontare la storia dall’inizio, lo avrebbe fatto. 

Non aveva ragione di nascondersi con Touya. Erano stati feriti dallo stesso padre, questo doveva pur voler dire qualcosa.

“Il coso ha sbraitato qualcosa riguardo a quello stronzo, bastardo di un Re e si è guadagnato istantaneamente la mia simpatia.” Touya calcò l’ultima parola in modo esagerato, come se lo stesse prendendo in giro. “Sei Cavaliere di un Drago, che è il sogno dei sovrani della nostra Casata da generazioni. Che cosa hai fatto per incazzare nostro padre al punto da spingerlo a cacciarti?”

“Non mi ha cacciato,” lo corresse Shouto. “Io e Katsuki ce ne siamo andati da soli.”

Touya fece una smorfia contrariata. “Una fuga per capriccio? Male, molto male. Temo che tu debba alzarti alla svelta e togliere il dist-”

“Non sono fuggito per capriccio!” Si difese Shouto. “Non ho avuto altra scelta!”

Suo fratello dovette percepire la disperazione nella sua voce, perché gli concesse il beneficio del dubbio. O, forse, decise solo che il suo tempo valeva la sua curiosità.

“Chiariamo subito qualche dettaglio, Shouto. Perché sei tu il Cavaliere di quel Drago? Le storie che sono arrivate qui, a Nord-Est, parlavano di un giovane Campione, molto vicino al Principe di Fuoco e Ghiaccio, cioè tu.”

Izuku.

Touya aveva sentito le storie che lo riguardavano ma, evidentemente, non aveva prestato loro la giusta attenzione.

Shouto dischiuse le labbra, ma si ritrovò a corto di parole. Avrebbe potuto dare una risposta diretta, ma non sarebbe bastato a spiegare come stavano davvero le cose. Decise di cominciare dall’inizio.

“Abbiamo vinto una guerra, ma a caro prezzo.”

Quelle parole bastarono a cancellare ogni traccia di scherno dal viso di Touya. “Contro chi?”

“L’Unione delle Ombre.”

“Era un’alleanza tra quali popoli?”

“Non era un’alleanza, era un esercito.”

“Tagliamo corto,” disse Touya, sbrigativo. “Ci hanno ammazzato il padre?”

Esasperato dall’atteggiamento irrispettoso del fratello, Shouto alzò la voce: “hanno ammazzato AllMight!”

Per la prima volta dall’inizio di quella conversazione, sul viso di Touya comparve un’espressione spontanea. Era incredulo.

“Il Campione è morto?”

Shouto abbassò lo sguardo e artigliò la coperta di pelliccia. “La caduta del vecchio Campione ha decretato l’inizio della guerra,” raccontò, “quella del giovane ha scritto la parola fine.”

Izuku era morto a quindici anni, consegnato alla storia e alle leggende come il più grande degli eroi. Tutto quel che Shouto era riuscito a fare per lui era stato promettergli di proteggere ciò che aveva di più caro al mondo. Gli ultimi avvenimenti erano la prova che non era affatto in grado di farlo.

“In altre parole, il primo Cavaliere di quel Drago è morto e tu lo hai sostituito,” concluse Touya.

Sostituito. Suo fratello non poteva saperlo, ma era una parola che a Shouto faceva male. Ingoiò l’amarezza e andò avanti con la sua storia.

“La guerra ha cambiato tante cose, ci ha fatto muovere verso direzioni che non…” Arrossì. “Gli eventi hanno spinto me e Katsuki l’uno verso l’altro e…” 

Non seppe come continuare.

La risata stridula di Touya lo informò che non era necessario.

“E bravo il mio fratellino!” A stento riusciva a parlare tra le risa. “Ecco cosa ha fatto incazzare papà! Tu non ti limiti a cavalcare un Drago in volo, tu lo fai nelle stanze dell’Erede dell’Alto Trono, alla corte del Re! Hai portato la dinastia Todoroki a tutto un altro livello di epicità, i miei più sentiti complimenti!” Era euforico. “Ci scommetto quel che vuoi che il nostro vecchio sta cuocendo da solo, tra rabbia e sgomento!”

Shouto sapeva di non avere un gran senso dell’umorismo, ma la parte divertente della questione gli sfuggiva completamente. Non perse tempo a chiedere, non era importante.

“Ti sbagli,” ribatté. “Papà lo sapeva.”

Touya smise di ridere di colpo. “Cosa?” 

“Papà lo sapeva,” ripeté Shouto, convinto.

“Non ti ho mai giudicato una mente brillante, ma andare dal Re a confessare che ti scopi un-”

“Non gli ho mai detto nulla!” Esclamò il Principe di Fuoco e Ghiaccio. “Papà lo sapeva perché lo aveva capito e basta. Non gliene importava.”

“Stai delirando, Shouto.”

“Tu non puoi saperlo, ma dopo la guerra è… Era cambiato. Era l’ombra di se stesso, sempre triste, a rimuginare. Mi ha anche permesso di lasciare la corte insieme a Katsuki e, un tempo, non lo avrebbe mai fatto, lo sai.”

“Non parlarmi come se ci fosse qualcosa a legarmi a te,” lo avvisò Touya, tagliente come solo il più profondo rancore poteva esserlo. “Ci sono capitati gli stessi genitori a otto anni di distanza, nulla di più.”

Era la triste verità dei fatti e Shouto, suo malgrado, non poteva negarla.

Il sangue li rendeva fratelli ma, nel loro caso, era una parola vuota. Estranei con qualcosa in comune era il miglior modo per descriverli.

Suo fratello era stato esiliato dalla corte a sedici anni ma, pur essendo nati e cresciuti nello stesso castello, le loro esistenze erano sempre andate avanti in modo parallelo. 

Touya era il primogenito su cui i loro genitori avevano investito tutto e quando si erano resi conto di aver commesso un errore, lo avevano gettato nell’ombra con la scusa di proteggerlo. 

Shouto - il quarto, l’ultimo - era venuto al mondo per essere una seconda possibilità, quella da crescere dopo aver imparato dall’esperienza degli errori passati. 

Se erano entrambi lì, lontani da casa, col cuore distrutto dallo stesso uomo, era perché le loro storie non erano andate come il Re le aveva pensate.

“Papà era certo che io e te avremmo conquistato il cielo,” disse Shouto, senza un perché, aveva solo bisogno di accorciare la distanza tra sé e suo fratello in qualche modo. “Ti ha mai raccontato di quel suo sogno?”

Touya alzò gli occhi al cielo. Non era solo disinteressato, ma anche annoiato.

“Perché hai detto era cambiato?” Domandò, riportando entrambi all’argomento principale della conversazione. 

“Mi è capitata una cosa,” rispose Shouto. “E sono andato da lui, certo che non mi avrebbe…” Smise di parlare e ingoiò a vuoto.

“Avanti, Shouto, il Re ha fatto del male alla sua famiglia per tutta la vita, perché questa volta dovrebbe essere peggio delle altre?”

“Perché mi fidavo,” rispose Shouto, lo sguardo basso. “Perché avevo bisogno di un padre.”

Touya non mancò di schernirlo.

“Non posso credere che tu sia cresciuto per essere un tale ingenuo!”

“Sì, lo sono.” Shouto ce l’aveva con se stesso per questo. “Ma quello che gli ho detto è importante!”

L’altro non mostrò alcuna empatia per lui.

“Qual è questa cosa tanto importante da superare il fatto che cavalchi un Drago?”

“Aspetto un bambino.”

Touya udì quelle parole, ma non le ascoltò.

Il loro significato lo raggiunse poco a poco e quando realizzò quello che stava realmente accadendo, si alzò dal letto di colpo.

Shouto dischiuse le labbra per aggiungere qualcosa, ma suo fratello lo zittì con un gesto della mano. Prese a vagare per la stanza nervosamente, borbottando sottovoce con se stesso. Il Principe di Fuoco e Ghiaccio comprese che aveva bisogno di un istante per elaborare la notizia. 

Quando ebbe finito di riflettere, Touya tornò accanto al letto e lo guardò dritto negli occhi.

“Ne sei sicuro?”

“Se non ne avessi avuto la certezza, non sarei mai andato a dirlo a nostro padre.”

Lo sbigottimento del Principe Esiliato si tramutò in un folle attacco d’ilarità. 

“Devo dichiarare la resa, fratellino!” Esclamò, alzando entrambe le braccia. “Ti cedo volentieri questa vittoria. La storia è piena di reali folli e crudeli, colpevoli di aver compiuto stragi, come me, ma divenire il Cavaliere di un Drago per lasciarsi ingravidare da lui? No, non si è mai sentita una storia simile nella Casata dei Todoroki! Che peccato…” Aggiunse, simulando un’espressione afflitta. “Non sai quanto avrei voluto assistere alla reazione del Re!”

Se ne avesse avuto la forza, Shouto gli avrebbe tirato un pugno per farlo smettere di ridere.

Era insopportabile.

“Questa è la reazione di nostro padre!” Esclamò, indicando se stesso. “Sono qui, in una terra dimenticata da tutti, esattamente come te. Non riesci a intuire il resto da solo?”

Il maggiore tentò di darsi un contegno.

“Dimmi i dettagli, fammi divertire.”

“Non c’è nulla di divertente da raccontare. Non volevo restare alla corte dell’Alto Trono. Punto.”

“Ah-ah, Shouto, hai detto che non te ne sei andato per capriccio, ma così dai quell’impressione.”

“Papà mi avrebbe tolto il bambino!” Shouto voleva piangere, ma non era saggio mostrarsi vulnerabile di fronte all’altro. Aveva bisogno che permettesse a lui e Katsuki di restare, ma doveva stare molto attento a mantenere un certo controllo sulla situazione. 

Touya alzò gli occhi al cielo. 

“Che cosa ti aspettavi, Shouto?”

“Siamo stati circondati dalla morte per così tanto tempo,” rispose il Principe di Fuoco e Ghiaccio. “Ho pensato che questo potesse essere il nostro nuovo inizio, non solo per me e Katsuki. Ho sperato che questo bambino potesse avvicinarmi a papà.”

”Tu non dovrai fare niente, Shouto, penserò io a rimediare al tuo errore.”

Errore. Sì, ne aveva commesso uno quando si era illuso che, attraverso il dolore, suo padre avesse imparato ad amare.

“Mi sono sbagliato…”

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Capitolo 3
*** The Dragon Prince ***


3 Ottobre
Prompt: "I can't explain and I won't even try"

III

The Dragon Prince

 

And if somebody hurts you, I wanna fight
But my hands been broken one too many times
So I'll use my voice, I'll be so fucking rude
Words they always win, but I know I'll lose
["Another love" - Tom Odell]

 

 

La sala dell’Alto Trono era deserta.

Il tappeto rosso era stato rimosso e gli stendardi alle pareti, troppo colorati per le tragiche circostanze, erano stati coperti con dei tendaggi neri. La corte stava attraversando un periodo di lutto in onore degli eroi caduti durante la guerra. Gli scrittori della capitale si stavano già prodigando per raccontare le loro gesta in poemi epici che avrebbero incantato le generazioni future.

Katsuki, da parte sua, non riusciva a vedere nulla di leggendario negli eventi che lo avevano visto protagonista. Ovunque andasse, la gente chinava il capo al suo passaggio, come se fosse un Principe. Il giovane Drago non lo sopportava, ma non aveva alcun senso prendersela con la povera gente, che gli era grata perché aveva ancora una casa in cui tornare a una famiglia d’abbracciare.

Katsuki poteva essere un eroe, ma non aveva più nessuna delle due.

Era rimasto nelle stanze di Shouto per tutto il tempo che gli era servito a tornare in piedi, ma nemmeno quando si era alzato dal letto aveva trovato la forza di guardare in faccia i compagni che avevano combattuto al suo fianco, i suoi amici. 

Prima, aveva dovuto accettare di essere divenuto un eroe nello stesso momento in cui aveva sofferto la sua peggior sconfitta.

Per assecondarlo, Shouto si era fatto carico della sua salute, sia fisica che mentale. Si era preso cura delle sue ferite, si era assicurato che il suo senso di vuoto non avesse la meglio e, in cambio, non aveva ricevuto altro che silenzio o cattiveria.

“Perché lo fai?” Aveva chiesto, dopo settimane di nulla.

“Perché l’ho promesso,” aveva risposto Shouto. “Perché mi sei rimasto solo tu.”

Quelle parole avevano convinto Katsuki a rialzarsi in piedi e ad andare a parlare con il Re.

Qualcosa doveva cambiare o era già cambiato, solo che non aveva ancora avuto voce in capitolo.

Una nuova storia doveva cominciare e non aveva alcuna intenzione di restare a guardare, impotente.

“Sono felice che tu sia in salute, giovane Katsuki.” Il viso di Enji Todoroki, fasciato a metà per via delle ferite, non tradiva alcuna emozione. Non era avvolto dalle fiamme gloriose dei Todoroki con cui la gente era abituata a vederlo. Seduto sull’Alto Trono con i vestiti neri adatti alla circostanza, il Re non sembrava altro che un uomo stanco.

Non sprecò il fiato a ordinare al giovane Drago d’inginocchiarsi. Sapeva che non lo avrebbe mai fatto.

“Parla,” gli concesse.

E Katsuki non perse tempo con inutili giri di parole.

“Voglio Shouto come mio Cavaliere.”

Quelle parole ebbero il potere di animare lo sguardo spento del sovrano. 

“Hai appena perso il tuo Cavaliere.”

“Si tratta forse di un’obiezione?”

Il sovrano scosse la testa. 

“Shouto che cosa ha detto?”

“Glielo chiederò non appena sarò uscito di qui.”

“Allora perché venire prima da me?”

“Perché ha un animo fottutamente nobile,” rispose Katsuki, quasi ringhiando. “Perché tutte le responsabilità della corte e del popolo sono ricadute su di lui e non riesce a essere abbastanza egoista da fare una scelta per se stesso. Ho bisogno che mi assicuriate che tornerete a essere il Re dell’Alto Trono e non solo il suo fantasma.” 

Quell’accusa era rivolta anche a se stesso. 

Shouto non era certo uscito indenne dal conflitto, ma aveva messo da parte il dolore per il dovere, permettendo a tutti di appoggiarsi a lui, soprattutto a Katsuki e suo padre. La guerra era finita ma lui non si era mai fermato, neanche per un istante.

Aveva indossato la corona senza possederla. 

Era sceso tra la gente comune e li aveva fatti sentire al sicuro. Aveva ringraziato i guerrieri che avevano combattuto in nome dell’Alto Trono, chinando la testa di fronte a loro con umiltà e rispetto. Era stato bravo a tessere intorno alla corte un’illusoria stabilità, che iniziava e finiva con lui.

E aveva seppellito Izuku, da solo.

“Prendetevi cura di questo regno e io mi prenderò cura di vostro figlio,” disse Katsuki. 

“Sono entrambe mie responsabilità,” obiettò il Re, in uno slancio di orgoglio completamente fuori luogo.

“Ma io e voi sappiamo che essere Re vi riesce molto meglio che essere padre.” Katsuki parlava con calma, senza cattiveria, ma col tono di chi non avrebbe accettato nessuna opposizione al suo volere. “Non userete Shouto per mettere a tacere il vostro senso di colpa. Liberatelo dal peso del trono, concedetegli la possibilità di guarire alle sue condizioni.”

Il sovrano lo guardò fisso, come se fosse indeciso se fidarsi di lui oppure no. 

“Perché vuoi fare tanto per lui, giovane Drago?”

“Non ho intenzione di spiegarlo a voi,” disse Katsuki. "Perché l’ho promesso. Perché mi è rimasto solo lui.” Furono le parole che si tenne per sé.

 

 

-1 anno dopo-

 

 

La sala del trono del Castello Vecchio era piccola e sobria.

Se non fosse stato per la grande sedia in pietra vulcanica, non ci sarebbe stato nulla di regale nell’atmosfera cupa di quella stanza vuota.

Seduto sul pavimento, con la schiena appoggiata a una delle grandi colonne, Katsuki non poté fare a meno di confrontarla con quella della casa reale, dove gli arazzi variopinti delle Casate coprivano ogni parete e un lungo tappeto rosso attraversava il salone, fino alla seduta del Re.

L’Alto Trono era la destinazione a cui i Todoroki erano arrivati con il loro potere, ma era da quello nero di fronte ai suoi occhi che erano partiti. La storia che li aveva condotti a quel punto, era iniziata tra quelle mura di pietra tanto, tantissimo tempo prima.

Katsuki era nato tra le Montagne Rubino della Cintura Vulcanica Maggiore e quel luogo non avrebbe dovuto metterlo tanto in soggezione, eppure lo faceva. Certo, le sei fiaccole di fuoco blu che illuminava l’ambiente non contribuivano neanche un po’ a farlo rilassare.

“Sei preoccupato…”

Katsuki sbuffò. “Non dire idiozie.”

“Non stai neanche urlando, sei migliorato.”

“Piantala di prendermi per il culo, Izuku!”

Se qualcuno fosse entrato nella sala del trono, non avrebbe trovato altri che il giovane Drago, occupato a parlare da solo come il peggiore dei folli. 

Eppure Izuku era lì, con lui.

Katsuki non conosceva un modo per spiegarlo, così non lo faceva. Teneva per sé quei momenti, aspettando di capire se stasse perdendo il contatto con la realtà, oppure se fosse stato il One For All dentro di lui ad aver modificato la linea di confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti.

Quello che Katsuki sapeva con certezza era che, per lui, l’Izuku che gli era seduto accanto era reale quanto Shouto.

“Andrà tutto bene, Kacchan.”

Katsuki sbuffò una seconda volta.

“Smettila di dire stronzate."

“Non ti ho mai mentito,” disse Izuku. “Mai, nemmeno quando avrei voluto farlo per il tuo bene.”

Katsuki appoggiò la nuca alla colonna di pietra.

“Non è vero. Sei stato un fottuto bugiardo proprio durante l’ultimo atto. Quando l’ho capito, non eri più lì per farti picchiare, molto furbo da parte tua.”

Izuku non smise di sorridere.

“Non ti chiederò scusa. Quello che è accaduto… È giusto così, Kacchan.”

“Cazzo, Izuku, guarda dove siamo!” Sbraitò Katsuki, allargando le braccia. “È questo che hai previsto?” Domandò, rabbioso come suo solito. “È questo il futuro per cui hai deciso che valeva la pena morire?”

“Con chi stai parlando?”

Katsuki scattò in piedi e trovò il signore del Castello Vecchio fermo di fronte alla porta. 

Touya Todoroki, il Principe Esiliato. Quando Katsuki lo aveva visto di fronte a sé, su quel ponte di pietra, era stato come ritrovarsi davanti alla personificazione di una leggenda. Una tragica leggenda.

“Voi Draghi avete l’abitudine di parlare da soli?” Insistette Touya.

Katsuki guardò alla sua sinistra con la coda dell’occhio: Izuku non c’era più. 

“Shouto si è svegliato?” 

La salute del suo Principe era l’unica cosa che gli importava in quel momento.

Touya appoggiò la schiena alla porta chiusa, le mani nelle tasche dei pantaloni e le labbra piegate in un sorrisetto che chiedeva di essere cancellato a pugni. 

“Hai confessato che tu e mio fratello siete dei fuggiaschi, ma sei stato molto povero con i dettagli, Drago.”

Non solo la sua espressione faceva venire a Katsuki la voglia di usare la violenza, ma aveva anche la voce irritante, che nulla aveva a che fare con quella calda, calma - a tratti dolce - di Shouto.

Maledizione…

“Che cosa ti ha detto?” Katsuki parlava ringhiando. Imitò la posizione del Todoroki, sperando che nascondere le mani gli avrebbe fatto passare la voglia di prenderlo a pugni.

“Beh, immagino che le congratulazioni siano d’obbligo.”

E così Shouto gli aveva detto proprio tutto.

Katsuya, vero?”

Katsuki.”

“Katsuki,” ripeté il Principe Esiliato, come se si stesse sforzando di ricordare quelle tre sillabe. “Sei delle Montagne Rubino della Cintura Maggiore, vero?”

“Senti una cosa, stronzo, ho bisogno del tuo aiuto, ma questo non significa che mi farò interrogare!”

Per nulla intimorito, Touya lo fissò da capo a piedi. “Uhm…” Fece una smorfia soddisfatta. “Sì, sei decente.”

Non puoi ucciderlo, mormorò la voce della ragione - che suonava come quella di Izuku - nella testa di Katsuki. Non puoi sfidarlo. Shouto ha bisogno del suo aiuto e lui viene prima di tutto.

“Portami da Shouto,” ordinò Katsuki. Era meglio non rimanere solo a lungo con quel bastardo.

“Tutto a suo tempo, Principe dei Draghi.”

“Non sono un Principe.”

“Il tuo Cavaliere e amante è l’Erede della Casata del Fuoco e di quella del Ghiaccio, dovresti riconoscerti qualche credito.”

Katsuki alzò gli occhi al cielo. 

“Come se me ne importasse qualcosa di queste stronzate!”

Touya lo fissò, poi inarcò le sopracciglia in un’espressione sorpresa. 

“Sei sincero…”

“Perché non dovrei esserlo?”

“Ci sono solo due motivi per vivere un amore proibito con il legittimo Erede dell’Alto Trono: ambizione o follia.”

Katsuki rise, beffardo. 

“Come se mi servisse una corona per essere potente.”

Non serviva conoscere a memoria le antiche leggende per sapere che un singolo Drago poteva sconfiggere un intero esercito. I Todoroki più potenti - e Re Enji era tra questi - erano in grado di eguagliare una simile potenza distruttiva, ma erano sprovvisti di ali.

Da sempre, i Signori del Fuoco avevano cercato di domare le creature della Cintura Vulcanica Maggiore, ma i Draghi non conoscevano né padroni né Re.

Violenti al punto da essere irragionevoli, i loro Clan continuavano a farsi la guerra a vicenda, tanto che le nascite non riuscivano a compensare i caduti in battaglia. Quello di Katsuki era un popolo che correva sulla strada dell’estinzione.

“No, certo che non ti serve il potere di mio fratello,” concordò Touya. “La mia famiglia tenta di sottomettere un Drago al proprio volere da prima che conquistasse l’Alto Trono e, dopo innumerevoli imprese folli scritte col sangue dei nostri avi, ecco che arriva un quartogenito a compiere il miracolo con la forza dell’amore. Romantico, senza ombra di dubbio.”

Era una presa per i fondelli bella e buona.

Il giovane Drago digrignò i denti. 

“Senti, stronz-”

“Quanti anni hai?”

“Che cazzo te ne frega?”

“Ti ho detto che sono un tipo curioso.”

“Diciassette, come Shouto.”

La bocca di Touya disegnò una O perfetta. 

“Età particolare, con tanti desideri ingombranti. Non mi sorprende che ci abbiate dato dentro tanto da-”

“Arriva al sodo, bastardo.”

Touya alzò le spalle. 

“Passi la passione, ma perché hai permesso a Shouto di divenire il tuo Cavaliere? Un Drago, per sua natura, non accetta di farsi domare. Per la tua gente è un’enorme vergogna, dico bene?”

Katsuki strinse le labbra, inspirando profondamente dal naso.

“Non sono affari che-”

“Temo che sia un’obiezione che non ti possa permettere,” lo interruppe Touya.

“E tu chi saresti per-?”

“Il signore di questo castello,” rispose il Principe Esiliato, senza farlo finire. “E, in assenza di altri pretendenti al trono, di tutta la Cintura Minore. Ti do un consiglio: ti conviene assecondarmi. Non pensare neanche per un istante che il bastardo tuo e di mio fratello m’intenerisca. Se mi dai sui nervi, vi butto fuori entrambi. Shouto non è in grado di combattere e tu…” Mosse l’indice dall’alto verso il basso per indicare tutta la figura del più giovane. “Mi basta guardarti per capire che non saresti in grado di trasformarti, non in questo momento.”

Katsuki strinse i pugni al punto di farsi male.

“Tempo fa ho fatto una promessa.”

“A Shouto?”

“Al Campione che ci ha salvati alla fine della guerra.”

A Izuku.

“Oh, giusto… Il giovane Campione della Corona, erede di AllMight, Izuku Midoriya è stato il tuo primo Cavaliere.”

Come era prevedibile, Touya conosceva il nome del fanciullo che aveva cambiato la sua vita e quella di Shouto. Era ovvio che la storia del ragazzo con la forza prodigiosa fosse arrivata fino ai confini del regno. A quel punto, il giovane Drago sperò che il Principe Esiliato non pretendesse di farsi spiegare i dettagli da lui.

Se per il mondo il sacrificio di Izuku era il gesto eroico per eccellenza, per Katsuki era solo il peggior ricordo della sua vita.

“Quindi non è a Shouto che ti sei piegato,” disse Touya, portandosi due dita sotto al mento. “Ma a Izuku.”

Katsuki scosse la testa. “Non mi sono mai piegato a nessuno.”

“Hai avuto due Cavalieri.”

“Izuku e Shouto non mi hanno mai chiesto di essere qualcosa di diverso da quello che sono, non mi hanno domato. Non mi hanno mai chiesto d’inginocchiarmi.”

La facilità con cui Touya riuscì a intuire il resto della storia confermò a Katsuki che il primogenito di quella generazione di Todoroki non era fatto della stessa pasta di tutti gli altri. 

“Li hai scelti tu. Non è stato un atto di forza contro di te, ma un tuo dono in loro favore.”

Katsuki lo guardò dritto negli occhi. 

“Io non m’inginocchio di fronte a nessuno.”

Touya sollevò l’angolo destro della bocca. 

“Hai contribuito enormemente alla rovina del capolavoro del Re, non posso che stimarti.”

“Non m’importa della tua stima! Voglio solo che Shouto sia al sicuro!”

“Questo è ovvio.” Touya ridacchiò. “Vuoi spaccarmi la faccia da quando mi hai visto sul ponte, qui fuori, ma ti stai trattenendo solo per il suo bene. Se questa non è lealtà… Mi chiedo fino a che punto tu sia disposto a spingerti per mio fratello.”

Alla luce di quelle fiaccole bluastre, Katsuki riuscì, infine, a scorgere le sfumature sadiche sul viso del Principe Esiliato. 

Quella conversazione aveva avuto uno scopo preciso fin dal principio, altro che curiosità.

“Che cosa vuoi che faccia?” Domandò Katsuki in un ringhio.

Touya scosse la testa. 

“Non così in fretta. Voglio solo sapere quanto è alto il prezzo che sei disposto a pagare.”

“Proteggerò Shouto a qualunque costo,” disse Katsuki, fermo. Aveva già fallito una volta e sarebbe morto, prima di vivere per la seconda volta una sconfitta simile.

“Mi basta, per ora…” La voce di Touya era inquietante quanto il suo aspetto. “Benvenuto al Castello Vecchio dei Todoroki, Principe dei Draghi.”

 

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Capitolo 4
*** Dabi's Plain ***


4 Ottobre

Prompt: “This is where the magic happens.”

IV
Dabi’s Plain

 

These dreams like ashes float away
Your voice I never heard
Only silence
[“Let it burn” - Red]

 

Le antiche storie parlavano della Casata degli Himura da molto prima che le imprese dei Todoroki cominciassero a essere materiale da leggenda. 

I loro domini erano a Nord, una terra crudele e bellissima, vestita di bianco per la maggior parte dell’anno.

Le sue montagne erano denominate di Diamante, poiché i ghiacciai erano secolari e, nelle giornate di sole, splendevano come se possedessero luce propria. La stessa famiglia Himura era conosciuta in tutti i regni per la particolare bellezza dei suoi figli, dalla carnagione pallida e con i capelli dello stesso colore della neve, che conferivano loro un aspetto quasi etereo. Il destino non era stato gentile con loro. Mentre i Signori del Fuoco s’insediavano alla corte dell’Alto Trono, una serie di disgrazie colpì la Casata del Nord. Generazioni di Eredi morirono durante la giovinezza, lasciando un’eredità troppo pesante a fanciulli troppo giovani per amministrarla. Una serie di matrimoni frettolosi, organizzati con il fine di riportare la dinastia al suo antico splendore, finirono solo per indebolirne la linea di sangue.

Il potere che permetteva agli Himura di domare il clima delle loro terre si perse, portando a figli fragili e malaticci. 

Quando venne il tempo per Enji Todoroki, giovane Re dell’Alto Trono, di prendere moglie, Rei Himura era l’unica dama della Casata a essere anche una Signora del Ghiaccio. Il loro matrimonio si rivelò un successo, portando alla nascita di quattro figli, due dei quali furono scelti per raccogliere l’eredità della loro madre.

Non ebbero il tempo di fare nulla per dimostrarsi degni di un tale lascito.

Il Nord venne distrutto da Touya Todoroki, il Principe delle Fiamme Blu e quella terra magica, perennemente ricoperta di bianco si tramutò in un deserto di cenere: la Landa di Dabi.

 

 

“Quante volte devo ripeterti di fermarti a pensare, prima di lanciarti contro la morte?”

Shouto era una persona discreta, quasi timida e piuttosto che origliare una conversazione privata tra i suoi amici, si sarebbe strappato le orecchie da solo. Peccato che il campo militare non fosse abbastanza grande per prendere le dovute distanze dal litigio tra innamorati che stava avvenendo nella tenda di Katsuki e Izuku. Tenda in cui avrebbe dovuto dormire anche il Principe di Fuoco e Ghiaccio, ma Shouto stava prendendo in seria considerazione la possibilità di farsi ospitare da qualcun altro, tipo Tenya.

“Non dirmi quello che devo o non devo fare!”

“E non urlarmi in faccia!”

Capitava di rado che Izuku si arrabbiasse in quel modo e quando accadeva, era sempre a causa di Katsuki e della sua spavalderia sul campo di battaglia. Shouto decise d’interromperli per dire loro di continuare da un’altra parte, non perché gli dessero fastidio ma perché era certo che non fossero consapevoli di star intrattenendo l’intero esercito.

Stava per sollevare la mano e aprire la tenda, quando Hawks comparve al suo fianco, circondandogli le spalle con un braccio.

“Dove credete di andare, mio Principe?” Domandò, spingendolo ad allontanarsi.

“Aspetta, Hawks,” obiettò Shouto. “Se non li avviso, domani avranno gli sguardi di tutti i soldati puntati contro e si sentiranno in imbarazzo.”

“Credimi, il vero imbarazzo arriverà quando smetteranno di urlare e calerà il silenzio di colpo.”

Il Principe inarcò le sopracciglia.

“Che vuoi dire?”

Hawks si limitò a dargli una pacca sulla spalla.

“Vieni con me, andiamo a farci un giro.” Si rivolse poi a tutti i curiosi che si erano fermati per ascoltare la discussione del giovane Drago e del suo Cavaliere. “Signori e signore, non c’è niente da vedere. Tornate ai vostri doveri o ritiratevi nelle vostre tende, grazie.”

Mentre passavano loro davanti, Shouto vide chiaramente l’imbarazzo sul viso dei soldati più giovani per essere stati ripresi dal Primo Cavaliere in persona.

“Grazie. Lo dico a nome dei due litiganti.”

Hawks lo lasciò andare. Continuarono a camminare fianco a fianco, sollevando una nuvola di polvere a ogni passo.

“Sei un buon amico, Shouto. Izuku e Katsuki sono fortunati ad averti.”

“Non faccio niente che non farebbe chiunque.”

“Oh, no, sono davvero pochi gli uomini che alzerebbero un dito per difendere l’onore di un amico.”

Man mano che si allontanavano dal falò al centro del campo, l’oscurità si chiudeva intorno a loro come una coltre nera. Shouto sollevò lo sguardo e non trovò nessuna stella a illuminare la volta celeste.

“Persino il cielo è stato ridotto in cenere,” disse.

Per un breve istante, Hawks alzò gli occhi a sua volta.

“Questo è un luogo maledetto, Shouto. Le leggi della natura, per come le conosciamo noi, non hanno alcun valore qui. Dobbiamo ringraziare la nostra buona stella. Se si alzasse il vento, moriremmo tutti quanti soffocati dalla cenere. Questo è il nascondiglio perfetto per i nostri nemici e per quelle creature rivoltanti che si portano dietro.”

Il Primo Cavaliere si riferiva ai Nomu, i mostri grotteschi che l’Unione delle Ombre usava per compiere stragi nelle terre dell’Alto Trono e sconfiggere gli eroi che le difendevano.  

“Se dovesse essere necessario combattere in queste condizioni, io e mio padre copriremo tutta la prima linea,” disse Shouto. “Nessuno deve morire inutilmente.”

“Sei davvero un giovane d’onore, mio Principe,” disse Hawks. “Tuttavia, ti prego di avere più riguardo per te stesso e la tua vita. Avere un cuore impavido è una grande virtù per un futuro sovrano, ma tieni a mente che sulle tue spalle grava il destino di un grande regno. So che non ti piace sentirtelo dire, ma ogni guerra ha i suoi eroi sacrificabili.”

Shouto scosse la testa.

“Non penserò mai che la mia vita sia più importante di quella di altri.”

Hawks sospirò.

“Lo so bene. Tuttavia, se potessi rendere tuo padre un po’ meno ansioso, faresti di me un uomo felice.”

Il Principe lo guardò, sinceramente costernato.

“Mi dispiace che tocchi a te sopportare il pessimo carattere di mio padre.”

Il Primo Cavaliere minimizzò la cosa con un gesto della mano.

“Tranquillo, conosco i miei polli!”

Voleva essere una battuta, ma il più giovane non rise. Erano arrivati al confine del campo militare, dove la luce del falò arrivava a stento. Di fronte a loro, la Landa di Dabi si estendeva per miglia e miglia di assoluto nulla, a malapena si potevano intuire le sagome scure di quelle che, un tempo, erano state le Montagne Diamante.

Shouto ingoiò a vuoto, buttando giù la brutta sensazione che gli stava chiudendo la bocca dello stomaco. Non era bravo a esprimersi a parole e le tragedie della sua infanzia lo avevano spinto a nascondersi dietro un muro di ghiaccio ma, di fondo, era un giovane sensibile, di buon cuore. 

Trovarsi fronte alla tomba di suo fratello fu come ricevere una pugnalata al petto.

Hawks fu abbastanza gentile da tendergli una mano.

“Hai tutto il diritto di essere triste per Touya, Shouto.”

“Lo conoscevo appena.” Non era una verità che al Principe di Fuoco e Ghiaccio faceva piacere ammettere. “Lo ricordo a stento.” Lasciò andare un sospiro che era anche uno sbuffo. “Non dovrei parlarne al passato, so bene che non è morto.”

“Questo non rende il tuo dolore meno valido,” lo rassicurò Hawks. “La morte non è solo una condizione fisica. Un esilio non è così diverso da un funerale.”

“Mi dispiace, non dovrei parlare di queste cose con te.”

Shouto non conosceva i dettagli, suo padre si era ben guardato dal raccontarglieli, ma alla corte dell’Alto Trono tutti sapevano del legame esclusivo tra il Principe delle Fiamme Blu e il Primo Cavaliere. 

“Sono l’unico con cui puoi farlo,” disse Hawks. “Non deve essere stato semplice crescere con la costante presenza del fantasma di tuo fratello. Immagino che ti sia fatto molte domande durante gli anni e che nessuna di queste abbia trovato risposta.”

Shouto annuì, fissando il terreno ricoperto di cenere. 

“Tu hai visto tutto?” Domandò.

Hawks scosse la testa.

“Se lo avessi fatto, non sarei vivo.”

“Come hai fatto a scappare in tempo?”

“Non l’ho fatto.”

Shouto lo guardò, perplesso.

Prima di allora, Hawks non aveva mai raccontato quella storia e anche se era stato lui stesso a proporsi per chiarire i dubbi del Principe, si rese conto che, ad anni di distanza, ancora non era del tutto pronto a parlare di quel terribile giorno.

“Touya si era introdotto in territorio nemico completamente da solo,” iniziò. “Si era convinto di poter porre fine all’invasione qui, al Nord, solo con il suo potere. Io l’ho seguito, in volo. Quando sono arrivato, le fiamme blu stavano già divorando ogni cosa e mi sono reso conto che, anche volendo, non sarei mai riuscito ad atterrare.”

Hawks ricordava l’aria cocente e i segni che gli aveva lasciato addosso, nonostante il fuoco non lo avesse mai nemmeno sfiorato.

“A un certo punto, non ti so dire con esattezza cosa sia successo,” proseguì, fissando la landa desolata di fronte a sé. “Ma ho capito che anche Touya stava urlando di dolore, divorato dalle fiamme. E allora mi sono mosso…” Scrollò le spalle, come un ragazzino che non riesce a dare una reale spiegazione alle proprie azioni. “Tutto qui, mi sono mosso e, un istante dopo, tutto è esploso. Se mi fossi avvicinato anche solo di mezzo metro in più, di me non sarebbe rimasto niente. Lo spostamento d’aria mi ha sbalzato via...”

“Volevi salvarlo,” disse Shouto. “Per questo ti sei mosso, anche se c’era fuoco ovunque.”

Hawks non negò, né confermò. Non aveva alcuna importanza ormai.

“Ti dispiace rispondere a una mia domanda, adesso?”

Shouto scosse la testaì.

“Dimmi.”

“So che Dabi è una parola nell’antica lingua settentrionale ma io sono nato e cresciuto alla capitale e non mi permetterei mai di andare dalla Regina a… Perché la gente che abita ai confini di questo inferno di cenere ha voluto chiamarlo Landa di Dabi? Che cosa vuol dire?”

“Cremazione,” rispose Shouto. “Dabi significa cremazione.”

 

-1 anno e mezzo dopo-

 

 

I primi giorni al Vecchio Castello, Shouto li passò a letto per recuperare le forze. 

Katsuki lo lasciava solo per rendersi utile come poteva ed evitare che il lunatico signore della rocca percepisse la loro presenza come un disturbo. Usciva a caccia, volava oltre la Cintura Minore per recuperare dai villaggi ciò che non poteva trovare in natura. E quando tornava dal suo compagno, indipendentemente che fosse giorno o notte inoltrata, Touya Todoroki era sempre lì, nascosto in un angolo buio a tendergli un agguato.

Touya Todoroki era animato da un sadismo infantile, che Katsuki non aveva trovato in nessun altro della sua famiglia. Aveva la vitalità di un morto per la maggior parte del tempo e vagava per il castello come il fantasma di qualche vecchia storia. 

Più di una volta, Katsuki aveva avvertito il suo sguardo su di sé senza riuscire a vederlo. Lo controllava da vicino, lo studiava e quando meno se lo aspettava - che probabilmente coincideva con il momento in cui Touya si annoiava di più - saltava fuori dalle ombre solo per vederlo trasalire.

“Un giorno di questi, t’incenerirò e né io né te sapremo come è successo!” Lo minacciò Katsuki.

“Mi piacerebbe vederti provare,” ribatté Touya, procedendo su per le scale. “Nemmeno il leggendario fuoco dei Todoroki è riuscito a uccidermi, ma forse un Drago potrebbe fare di meglio.”

A Katsuki non importava d’imparare a leggere i messaggi tra le righe di quel lunatico - già aveva il suo da fare col fratello minore - ma se ci avesse provato, sentiva che avrebbe trovato qualcosa di molto oscuro dietro tutto quel sarcasmo.

“Sono tornato,” disse, entrando in camera di Shouto. 

ll silenzio che ricevette come risposta lo informò che il compagno stava ancora dormendo. Si liberò del mantello di pelliccia nera - non vi erano indumenti di un altro colore in quel castello - e lo lasciò ai piedi del letto. Si sedette accanto al Principe addormentato. 

“Shouto,” chiamò, afferrandogli la spalla e scuotendolo un poco. 

Il giovane Todoroki emise un mugolio, stiracchiandosi sotto le coperte. L’occhio turchese si aprì prima di quello grigio. "Buongiorno," disse, sorridendogli.

Katsuki gli scostò un ciuffo di capelli rossi dal viso e le sue dita indugiarono lì, sulla linea della cicatrice, perché era ancora troppo timido per accarezzarlo davvero. Shouto non gliene faceva una colpa, lo comprendeva con pazienza e quando ne aveva bisogno, lo raggiungeva a metà strada senza farlo sentire in difetto.

Proprio come in quel momento. Shouto coprì la mano di Katsuki con la sua, invitandolo a far aderire il palmo alla guancia. 

“Te ne sei andato senza salutarmi.”

“Stavi dormendo.”

“Dormo continuamente.” Shouto si stiracchiò ancora, chiudendo gli occhi per una frazione di secondo. “Vorrei rendermi utile anche io, non è giusto che tutto ricada sulle tue spalle.”

“Prova a convincere quel bastardo di tuo fratello a essere una persona decente, sarebbe già una gran cosa.”

Shouto aggrottò la fronte. 

“Ti ha fatto del male?”

“Se lo avesse fatto, a quest’ora sarebbe cotto a puntino.”

“Katsuki…”

“Cosa? È stato lui il primo a sfidarmi!”

“Tu e Touya parlate?”

“Parlare è una parola grossa.” Katsuki si sfilò gli stivali, così da poter sedersi a gambe incrociate sulle coperte. “Ci scontriamo nei corridoi, su per le scale, lui dice stronzate e io gli rispondo. Spero che con te sia meno sgradevole.”

“Non lo vedo dalla notte del nostro arrivo,” disse Shouto.

Katsuki lo fissò, perplesso. “Ero certo che non vedesse l’ora di restare da solo con te per venire a tediarti.”

Shouto scosse la testa. Aveva l’aria stanca e triste di chi avrebbe preferito dei discorsi poco piacevoli alla solitudine. 

“Ehi…” Katsuki gli asciugò una lacrima galeotta col polpastrello del pollice. “Non ne vale la pena, Shouto.”

In collera con se stesso per la propria debolezza, Shouto si girò di un fianco, in modo da dare le spalle al compagno. Non faceva parte del suo carattere piangere così spesso - le lacrime che non aveva versato durante l’infanzia gli avevano bagnato il viso alla fine della guerra - ma, negli ultimi tempi, tutto sembrava ferirlo.

“Quando ti nascondi, mi fai arrabbiare,” ringhiò Katsuki ma, nonostante il tono, allungò la mano per afferrare quella del Principe. “Non sei da solo in questo, lo vuoi capire?”

Shouto intrecciò le loro dita. 

“È mio fratello, Katsuki,” disse, tirando su col naso.

“È il cattivo della storia della tua famiglia,” ribatté il giovane Drago. “O, almeno, credo lui si veda così.”

Shouto gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla. “Che vuoi dire?”

Katsuki scrollò le spalle. “Non ne sono sicuro, non lo conosco,” rispose. “Ma se vuoi che sia tuo fratello, credo che tu debba ricordargli che lo è.”

 

 

Un paio di giorni più tardi, Shouto si sentì in forze abbastanza d’alzarsi in piedi. 

Si cambiò nei vestiti neri che erano stati preparati per lui e uscì dalla camera. Sapeva che Katsuki se ne era andato a caccia e voleva approfittarne per seguire il suo consiglio. 

Cercò suo fratello in ogni corridoio, ogni stanza, salì fino alle soffitte e poi giù, nelle segrete. Alla fine, controllò anche la sala del trono e, mentre passava di fronte alle finestre, lo vide.

Non appena mise piede fuori dalle porte della rocca, Shouto venne investito dalla piacevole brezza marina e dalla calda luce del sole. Era primavera anche lì, sulla Cintura Maggiore.

Touya si trovava sul ponte di pietra, aveva le braccia incrociate sul parapetto e osservava qualcosa di sotto, in direzione del mare.

Si accorse di lui senza nemmeno guardarlo.

“Oh, Sua Altezza Reale è in piedi.” 

Ogni sua parola trasudava veleno. Si allontanò dal parapetto per schernirlo con la parodia di un inchino. 

“Il soggiorno è di vostro gradimento, mio Principe?”

Shouto ispirò aria a pieni polmoni. Lo fece per calmare il battito veloce del suo cuore, ma anche per cercare sollievo dalla nausea che gli chiudeva lo stomaco.

“Cosa stavi guardando?” Domandò.

Touya tornò ad affacciarsi. “Puoi risponderti da solo.”

Shouto lo fece. Un sorriso gli illuminò il volto non appena vide Katsuki, seduto sugli scogli neri, che imprecava contro il filo intrecciato di una canna da pesca rudimentale. 

“Qualcosa è andato storto,” raccontò Touya. “Non so cosa per l’esattezza. Prima se ne stava disteso a godersi il sole. Più che un fuggiasco, sembra un tipo in villeggiatura.”

“Lui è così,” disse Shouto, con tutto l’affetto che provava per il suo Drago. “Non l’ho mai visto perdersi d’animo. Mai. La resa non è un’opzione per lui. Usa la rabbia come vettore per esprimere le proprie emozioni, ma è una persona buona.”

Non appena ebbe finito di parlare, Katsuki prese la canna da pesca e vi sputò fuoco sopra, per poi gettarla da una parte. 

Shouto smise di sorridere, mentre Touya scoppiava a ridere. 

“Sembra proprio il giovane virtuoso che hai appena descritto, Shouto! Aspetta… Adesso che fa?”

Katsuki si tolse i vestiti con rabbia - Shouto si sorprese di non vederlo strapparseli di dosso - e si tuffò in acqua.

“Non mi dirai che ha intenzione di pescare a mani nude?” Touya riprese a ridere. “Il Re è tutto, meno che un gentiluomo, ma non credevo che accettasse simili animali a corte.”

“Non è un animale,” obiettò Shouto, fermamente. 

“È un Drago,” puntualizzò Touya. “Ciò non toglie che non puoi averlo trovato sulle torri bianche del castello dell’Alto Trono.”

“No, infatti. Non l’ho trovato io. Izuku lo ha portato da me.”

“Ah, giusto, il giovane Campione.”

Non appena vide Katsuki riemergere con un pesce tra i denti, Shouto si azzardò a sbirciare il profilo di suo fratello. 

Touya piegò le labbra in una smorfia sarcastica. 

“Lo vedo che fissi, Shouto.”

Come un bambino colto a fare qualcosa contro le regole, il Principe fece saettare lo sguardo in direzione dell’orizzonte. La valle in cui sorgeva il castello dell’Alto Trono era uno spettacolo per gli occhi, ma il lago su cui si affacciavano le sue finestre non era paragonabile al mare. La tempesta di qualche giorno prima aveva ripulito il cielo da ogni nuvola e il mare era una tavola blu in cui veniva voglia di tuffarsi.

Quando Shouto parlò di nuovo, lo fece senza pensare o non sarebbe più riuscito a pronunciare parola. 

“Fanno ancora male?” 

Si riferiva alle cicatrici che ricoprivano il corpo di suo fratello.

“La tua fa male?” Rilanciò Touya.

“Qualche volta,” ammise Shouto. “Certo, non è un dolore reale. Mi capita di avere degli incubi sul giorno in cui… Quando mi sveglio, fa male.” 

Non lo conosco, aveva detto Katsuki, riferendosi al fatto che non poteva fare un’ipotesi realistica su cosa passasse per la testa di Touya. Shouto non era diverso da lui. Tutto ciò che aveva di suo fratello erano i ricordi di alcune settimane passate insieme sul campo di battaglia, durante la prima guerra contro i Nomu, e lì, in quello stesso castello, ma non erano sufficienti a raccontare la vicenda umana di una persona. Tantomeno di un Todoroki.

“Alla fine, quindi, abbiamo ereditato la stessa debolezza,” disse Touya, ostinandosi a evitare di guardarlo negli occhi. “Le fiamme delle nostra famiglia sono troppo anche per te.”

Shouto scosse la testa. “Non mi sono ferito da solo.”

“E allora come è successo?”

“Nostra madre…”

Touya lo fissò e Shouto fece un passo indietro, come se lo avesse colpito.

Se non riusciva nemmeno a guardarlo negli occhi, come poteva colmare la distanza che li separava?

“Non è stata colpa sua…” Si affrettò ad aggiungere il Principe. “È accaduto poco dopo il tuo esilio. Mamma e il Re erano… Nessuno di noi era…”

“Ah, ho capito.” Touya parlò come se stessero affrontando un argomento privo di valore. “Alla fine, il Re ha fatto impazzire anche lei.”

Tornò a osservare Katsuki che pescava. Conoscere la sorte a cui era andata incontro la propria madre non lo aveva minimamente toccato.

Shouto sentì il peso della sconfitta gravare sulle sue spalle, ma provò a fare un ultimo tentativo. 

“Touya…”

Dabi.”

Il Principe aprì e chiuse la bocca un paio di volte. 

“Cosa?”

“Touya è morto. Dabi ha preso il suo posto,” lo informò suo fratello, allontanandosi dal parapetto. Lo superò, tirando dritto verso il castello.

“Questo non lo accetto!” Esclamò Shouto, dando voce a un dolore che risaliva alla sua infanzia.

Touya gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla. 

“Parli come se ti fosse data una scelta.”

“Perché quel nome?” Il Principe si fece avanti. “Perché hai chiamato te stesso col nome di una tragedia?”

“Devi aver dimenticato la storia per intero, mio Principe.” Touya si voltò, le labbra piegate in un sorriso sadico. “Quella tragedia è il mio capolavoro.”

Shouto scosse la testa. 

“Non è vero. Non lo si può spiegare a qualcuno che non ha il nostro potere, ma non crederò mai che tu ti sia spinto fino a quel punto volontariamente.”

“Perché no?” Domandò Touya. “Proprio tu, tra tutti, dovresti essere in grado di capire. Ah, no, tu hai deciso di assecondare il gioco.” 

“Io non ho assecondato un bel niente!”

“Ah, sì, ti sei ribellato a nostro padre attivamente, non hai aspettato che un incidente di percorso ti rendesse indegno ai suoi occhi. Scusa, mi sono sbagliato!”

“Touya, ascoltami…”

“Ti ho detto che il mio nome è Dabi!” 

In un eccesso di rabbia, le fiamme blu avvolsero la figura del Principe Esiliato, costringendo Shouto a restare indietro. Durò poco più di un istante, ma fu sufficiente a chiarire che l’abisso che li separava era più buio e profondo di quello che pensava.

“Che cosa ti è successo, Touya?” Shouto tremava, stava per cedere e mettersi a piangere ma doveva resistere. “Dimmelo. Puoi parlare con me.”

“Esattamente quello che è successo a te,” rispose Touya - no, Dabi. Non sorrideva più. “Solo che nessuno è venuto a salvarmi.”

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Capitolo 5
*** Forbidden Lover ***


5 Ottobre
Prompt: "Sinners"



V

Forbidden Lovers 
 

Fire on fire would normally kill us
But this much desire, together, we're winners
They say that we're out of control and some say we're sinners
But don't let them ruin our beautiful rhythms
'Cause when you unfold me and tell me you love me
And look in my eyes
You are perfection, my only direction
It's fire on fire
["Fire on fire" - Sam Smith]

 

Enji Todoroki non era il genere di sovrano da vuotare le casse reali per organizzare eventi superflui, ma quando il suo primogenito compì sedici anni, si vide costretto a fare qualcosa che rafforzasse l’alleanza tra le casate dell’Alto Trono. Su desiderio dello stesso Touya, fu organizzato un torneo a cui furono invitati tutti i migliori Cavalieri del regno.

“Perché non hai scelto un ballo?” Domandò Fuyumi, salendo le scale della tribuna reale insieme ai suoi genitori e ai suoi fratelli. “A me sarebbe piaciuto un ballo.”

“Il prossimo anno, sarai tu a compiere sedici anni e potrai scegliere liberamente come festeggiarli,” la rassicurò il Re.

“E poi i balli sono da femmine!” Esclamò Natsuo, trotterellando al fianco del fratello maggiore. “Giusto, Touya?”

L’Erede al trono non lo degnò di uno sguardo. Era il suo compleanno ed era di cattivo umore, per questo apriva la fila e dava le spalle a tutti. Le regole dell’etichetta non glielo avrebbero permesso, ma il Re sapeva di star camminando sul ciglio di un dirupo col maggiore dei suoi figli e di dover scegliere accuratamente quali passi fare.

I tre Principi e la Principessa sedettero in prima fila - anche se Rei preferì tenere Shouto sulle gambe - mentre i due sovrani si accomodarono immediatamente dietro di loro. Il pubblico sugli spalti li salutò con un caloroso applauso, a cui il Re rispose sollevando la mano, mentre la Regina si limitò a un sorriso cortese.

L’Erede al trono avrebbe dovuto fare lo stesso, ma si limitò ad affacciarsi oltre il parapetto di legno per vedere l’arena da vicino.

Touya vestiva il blu della Casata di sua madre, che si sposava divinamente con i vividi occhi turchesi dei Todoroki. Era nato con i capelli rossi di suo padre, ma avevano perso colore nel corso dell’infanzia, assumendo la tipica tinta candida della famiglia Himura. Esteticamente, il Principe delle Fiamme Blu era la perfetta comunione tra la Casata del Fuoco e quella del Ghiaccio. Ancora nessuno conosceva la portata del suo potere - solo il colore delle sue fiamme - poiché non aveva ancora avuto occasione di dimostrare il proprio valore su di un campo di battaglia. 

Nessuno sapeva quanto questo fosse motivo di tensione tra l’Erede dell’Alto Trono e l’attuale sovrano. Anche in quel momento, nonostante tutti fossero lì per lui, Touya non riusciva proprio a liberarsi dell’amarezza che sentiva alla bocca dello stomaco. Quanto avrebbe voluto lasciare quella tribuna per scendere nell’arena e dimostrare che era un guerriero a capace, anche se solo con un cavallo e una lancia.

Nemmeno quello gli era stato concesso.

Le cose peggiorarono quando percepì un movimento con la coda dell’occhio. Touya abbassò lo sguardo e vide Shouto che se ne stava aggrappato al bordo di legno della balaustra. Restando sollevato sulle punte, riusciva a stento ad appoggiarvi il mento.

L’Erede al trono lanciò un’occhiata alla madre, come se questa gli avesse fatto volontariamente un dispetto.

“Sii gentile, Touya,” intervenne il Re, prima che il figlio potesse pronunciar parola.

Questi sbuffò e tornò a rivolgere la sua attenzione all’arena sottostante. Se lo avesse ignorato, il moccioso non si sarebbe azzardato ad aprire bocca.

“Perché non partecipa anche AllMight?”

Invece, no.

“In primo luogo, questa non è una competizione tra i poteri delle Casate,” rispose Touya, irritato da tanta stupidità bambinesca. “Secondo, che senso ha mettere in gara un guerriero che è già Campione della Corona? Renderebbe il risultato di questo torneo completamente scontato e si perderebbe il valore della competizione.”

Shouto sollevò gli occhi eterocromatici.

Touya li trovò privi di qualsiasi intelligenza.

“Ma io volevo AllMight,” si lagnò.

Il Principe delle Fiamme Blu fu felice di udire le trombe suonare e decretare l’inizio del torneo, lo dissuasero dal prendere suo fratello di peso e gettarlo di sotto.

Venne annunciato il primo Cavaliere: il primogenito della famiglia Iida.

Subito dopo, venne fatto il nome di un fanciullo della corte e Touya si dimenticò immediatamente di Shouto. Si voltò a cercare lo sguardo del Re e trovò quel viso squadrato animato dalla sua stessa espressione confusa.

Il Cavaliere entrò nell’arena al galoppo. 

Non indossava il mantello rosso degli uomini della Corona, non ne aveva alcun bisogno per fare la sua entrata a effetto: le due ali piegate sulla sua schiena erano più che sufficienti.

La gente lo accolse con più entusiasmo di quanto avesse mostrato nei confronti del Re. Touya non li biasimava: ogni mano che batteva per lui era completamente meritata. 

Finito il giro dell’arena, il Cavaliere si fermò di fronte alla tribuna reale e si tolse l’elmo, rivelando i ribelli capelli biondi. 

“So che non è quello che vuole la tradizione,” esordì Hawks, guardando il Principe dritto negli occhi, “ma vorrei chiedere il favore dell’Erede al trono.”

Touya alzò gli occhi al cielo ma un sorriso spontaneo sbocciò sulle sue labbra, di quelli che raramente si vedevano sul suo viso negli ultimi tempi.

“Siete presuntuoso, Cavaliere.”

Hawks allargò le braccia, come a dire che non poteva farci niente.

“E pagherete cara questa vostra alzata di testa,” aggiunse il Principe.

Poteva sentire suo padre borbottare alle sue spalle e sua madre ripetergli di mantenere la calma.

Il Cavaliere fece spallucce. 

“Se vincerò il torneo in vostro onore, potrei salvarmi la testa, mio Principe. Per questo ho proprio bisogno di essere il vostro favorito in competizione.”

Era una follia e lo era ancora di più perché erano entrambi sotto la fredda luce del sole invernale, sotto gli occhi di tutte le Casate dell’Alto Trono.

Touya, da parte sua, si era già convinto quando Hawks aveva ignorato il Re in suo favore. Si allontanò dalla balaustra e allungò la mano in direzione di sua madre in una muta richiesta. Incerta su cosa fare, la Regina guardò il suo consorte. Ecco perché il Principe delle Fiamme Blu aveva imparato a detestarla: non prendeva mai una posizione, era debole e priva di carattere.

Alla fine, il Re si decise a dire la sua: “accontentalo, Rei.”

Non lo fece di buon grado. Ci sarebbero state di sicuro delle conseguenze, ma Touya era un audace - al pari di Hawks - ed era pronto ad affrontarle a testa alta.

Rei consegnò al figlio il nastro con i colori della casata Todoroki. Touya tornò alla balaustra per legarlo all’estremità della lancia del Cavaliere. Quando ebbe finito, Hawks chinò il capo in segno di ringraziamento e rispetto, ma s’infilò l’elmo solo dopo aver guardato il suo Principe negli occhi un’ultima volta.

Troppo occupato a vivere il momento, Touya si accorse troppo tardi che, zitto zitto, Shouto aveva spiato ogni dettaglio della scena da vicino e lo guardava fisso.

“Che cosa vuoi, moccioso?”

“Non dovrebbero essere le dame a-”

“Stai zitto.”

 

 

-9 anni e mezzo dopo-

 

 

Superato il ponte di pietra, tra le rocce, vi era un sentiero che scendeva e portava a una piccola spiaggia, nascosta tra gli scogli. Quando il mare era mosso, veniva completamente divorata dall’acqua, ma il bel tempo continuava a reggere e anche il vento si era fatto più dolce. Stava arrivando l’estate.

Dabi viveva al Castello Vecchio da poco meno di un decennio e non ricordava di avervi mai messo piede. Era un angolo di mondo che raccontava della sua fanciullezza ridotta in cenere, di suo padre e, sì, anche del fratellino nato per sostituirlo.

Ma i tentativi di Shouto di avvicinarlo si erano fatti più insistenti giorno dopo giorno e l’antica rocca non era così grande da mettere abbastanza distanza tra loro. Alla fine, Dabi si era ritrovato con due possibilità alla mano: ucciderlo o allontanarsi fisicamente, abbastanza da nascondersi dal suo sguardo. Aveva scelto la seconda, seppur meno pratica.

Quando lo sentì affondare gli stivali nella sabbia, Dabi realizzò a pieno l’inutilità della sua strategia.

“Sei ostinato, non è vero?” 

Shouto si sedette sulla sabbia nera, a meno di un metro di distanza. 

“L’ostinazione è nella nostra natura, dovresti saperlo.”

Dabi alzò gli occhi al cielo. 

“Se devi tediarmi, almeno risparmiati i discorsi sui legami di sangue, sulla nostra famiglia e tutto il resto.”

“Non sono nella posizione per farli, ricordi? Adesso sono come te.”

Il maggiore rise. 

“Non ti sei lasciato abbastanza cadaveri carbonizzati alle spalle per essere come me.”

Touya era stato esiliato per aver distrutto l’intera regione del Nord, trasformandola in una landa di cenere e uccidendo chiunque avesse avuto la sfortuna di trovarsi lì.

Shouto aveva lasciato la corte dell’Alto Trono per aver concepito un bambino con un fanciullo non approvato dal Re.

No, le loro posizioni non erano davvero paragonabili.

“Nessuno dei due può tornare a casa,” puntualizzò Shouto. 

“Aspetta che tuo figlio nasca e il vecchio smetterà di fare i capricci,” disse Dabi, distendendo le gambe e tenendosi sollevato sui gomiti. “Nessun Re è talmente idiota da rinunciare a un erede e i Todoroki cercano di domare un Drago da secoli. Tu non solo hai Katsuki, ma porti in grembo la progenie di tutte le Dinastie del Fuoco. Nel nostro mondo, questa è già una leggenda annunciata. Enji è iracondo e, quando si tratta di me e te, è un completo folle, ma non rinuncerebbe mai a una simile promessa di potere. Piuttosto, dov’è il coso?”

“Sta dormendo.”

“Peccato. Il pesce dell’altro giorno non era male, speravo in una replica.”

Dabi approfittava sfacciatamente della buona volontà di Katsuki, ben sapendo che il giovane Drago si sentiva responsabile per la sicurezza di Shouto e del loro bambino non ancora nato. Come se fosse una tassa da pagare per la loro permanenza al Castello Vecchio, Katsuki divideva col padrone di casa ogni suo bottino di caccia e pesca, dando a Dabi la possibilità di crogiolarsi nella sua pigrizia. 

Per nove anni era sopravvissuto all’abbandono di suo padre con le sue sole forze, ma era pur sempre nato Principe e gli era mancato starsene in panciolle mentre altri procuravano cibo per lui.

Shouto, ingenuo com’era, prese quel suo apprezzamento sul personale.

“E se mangiassimo quel pesce insieme?” Propose. “Potrei chiedere a Katsuki di-”

“Passo,” lo interruppe Dabi e si affrettò a cambiare discorso. “Non vi faccio restare perché voglio la vostra compagnia.”

“Mi piacerebbe sapere il motivo dietro tutta questa tua gentilezza,” ammise Shouto. “Sei stato molto chiaro nel dire che il nostro legame di sangue non ha alcun valore per te.”

“La vera domanda è perché ce l’abbia per te,” ribatté Dabi. “Quando è avvenuta la fine del mondo per mano mia - non guardarmi in quel modo, era così che raccontavano i fatti - avevi otto anni. Che ricordi puoi avere di me?”

Shouto accennò un sorriso. 

“Abbiamo giocato insieme su questa stessa spiaggia,” disse. “È accaduto pochi mesi prima che… Eri un fanciullo, dovresti ricordarlo meglio di me.”

Sì, Dabi ricordava molto bene i giorni passati lì, in sola compagnia di sua madre e dei suoi fratelli minori. Ufficialmente, il Re li aveva fatti trasferire in quella regione remota per proteggerli dagli invasori del Nord. In realtà, era stata una punizione per Touya, per aver sedotto il giovane che, poche settimane dopo, era divenuto il Primo Cavaliere della Corona.

“Quel periodo ha un significato diverso per me da quello che ha per te, Shouto.” Pensare al suo passato con Hawks gli fece venire in mente un’altra questione. “Com’è successo tra te e Katsuki?”

Imbarazzato, Shouto smise di guardarlo in faccia in favore dell’orizzonte. 

“Dopo la guerra, il Re mi ha permesso di lasciare la corte insieme a lui, te l’ho già raccontato.”

“E dove ve ne siete andati?”

“Abbiamo viaggiato in lungo e in largo nei territori dell’Alto Trono, poi mi ha portato nella sua terra.”

Dabi lo fissò.

“Katsuki ti ha portato sulla Cintura Maggiore?” 

“Sì, voleva che vedessi i luoghi della sua infanzia, quelli in cui è cresciuto con Izuku.”

“Hai detto che è stato lui, il giovane Campione, a portarti il tuo Drago.”

Shouto annuì.

“Sono arrivati alla corte insieme,” sorrise con tenerezza al ricordo. “Volevano diventare due eroi, di quelli di cui parlano le leggende.”

“E Izuku è morto per diventarlo,” lo precedette Dabi.

Shouto accolse l’ondata di tristezza che lo investì, poi ingoiò a vuoto e proseguì: “è in quelle terre, sui Monti Rubino, che è successo tutto.”

“E avete peccato di amore proibito,” concluse Dabi, incrociando le braccia dietro la testa per stare più comodo. “Siete tornati per il bambino?”

Shouto scosse la testa. 

“No, il bambino lo abbiamo concepito dopo il torneo.”

A Dabi davvero non interessava sapere quando suo fratello aveva commesso il crimine che aveva portato alla sua caduta, ma alla parola torneo si fece attento.

“Enji prova ancora a essere un sovrano divertente?”

“Serviva qualcosa che riportasse le Casate insieme, dopo la guerra. Qualcosa che non fosse una commemorazione funebre. Si è trattata di una competizione a cavallo, come quella per il tuo sedicesimo compleanno.”

Sì, Dabi se lo ricordava bene.

“Katsuki ha partecipato?”

“Sì, come Cavaliere della Corona. Ha vinto.”

“Ah, ecco perché sei così sicuro che abbiate concepito il bambino quel giorno. I tornei hanno uno strano effetto sui vincitori.”

Dabi ricordava la sfacciataggine con cui Hawks gli aveva chiesto di ballare, dopo aver trionfato nella giostra in suo onore e, se si fermava a pensarci, sentiva ancora il fantasma del suo respiro caldo sul collo, mentre gli sussurrava una richiesta all’orecchio. Se il mondo non si fosse messo di mezzo, sarebbero divenuti amanti quella notte, scrivendo l’epilogo meraviglioso di una giornata perfetta. Non era accaduto. Settimane dopo, un campo di battaglia di fango e sangue era divenuto la cornice della loro prima notte.

Il destino non era mai stato gentile con loro.

Shouto gli lanciò un’occhiata timida, poi tornò a guardare il mare.

Dabi comprese che aveva qualcosa da dirgli, ma non sapeva come fare.

“Parla, fratellino, nemmeno io posso detestarti più di quanto già faccio.”

“Quel giorno, all’inizio del primo duello, Katsuki ha chiesto il mio favore di fronte a tutta la corte.” 

Il Principe Esiliato rivide se stesso su quella tribuna reale, mentre annodava il nastro sulla lancia di Hawks. Ricordava di aver provato felicità, ora quei ricordi gli passavano davanti agli occhi come se fossero le immagini della vita di qualcun altro.

“Penso che il Re abbia capito tutto di me, di Katsuki e del nostro legame in quel momento,” aggiunse Shouto.

Il riferimento a Touya e Hawks era evidente. Dabi non sapeva quando suo fratello era venuto a sapere di tutta l’intricata, scandalosa storia e non poteva indovinare nemmeno da chi, ma mostrare rabbia - quella che Touya aveva sputato addosso a Hawks, prima di cavalcare verso il campo di battaglia che era divenuto la sua tomba - non aveva alcun senso. Forse il Cavaliere del Re aveva amato, pur essendo proibito, l’Erede dell’Alto Trono. Forse no. Dabi era certo che Touya non ci avesse mai creduto ed era morto prima che Hawks potesse provargli il contrario.

“Perché gli hai detto del bambino?” Domandò Dabi, cambiando completamente argomento.

“Si può davvero nascondere una cosa del genere?”

“Se Katsuki ti ha portato nelle sue terre, devono aver superato l’enorme vergogna di vedere uno dei loro figli domati da un Cavaliere col sangue dei Todoroki.”

“La Cintura Maggiore è una terra crudele, molto più di questa. I Clan dei Draghi vivono aspettando una buona scusa per attaccare i loro avversari e se sapessero che un giovane delle Montagne Rubino ha concepito un bambino con un erede dei Todoroki-”

“No, non un erede ma l’Erede,” sottolineò Dabi. “Sì, immagino che nel Regno dei Draghi saresti un bottino di guerra piuttosto prezioso.”

Shouto appoggiò la guancia sulle ginocchia. 

“Sono stato tanto stupido da credere che papà mi avrebbe fatto sentire al sicuro.” Nascose il viso tra le braccia.

Dabi alzò gli occhi al cielo. Anche Touya era stato così. Anzi, forse peggio di così. 

Suo fratello piangeva in silenzio, il Principe delle Fiamme Blu aveva urlato, odiato con ferocia. Se stesso per primo, poi suo padre perché non era stato in grado di amarlo con tutte le sue debolezze e, infine, Hawks, il Primo Cavaliere del Re, che lo aveva tradito nel tentativo di salvarlo.

“Per la seconda volta: nessun Re rinuncia a un erede, Shouto,” disse Dabi. “Posso analizzare la situazione con parole diverse se vuoi, ma il concetto non cambia. Ti avranno costretto a studiare la storia della nostra famiglia e saprai che la linea di sangue è continuata anche grazie alla nascita di numerosi bastardi. Non è un’unione comoda o legittima agli occhi della legge che decide il potere di un figlio dei Todoroki. Solo guardando a te e al padre, tuo figlio è già una promessa di potere. Dagli tempo e il Re rinsavirà.”

“Non voglio che mio figlio venga cresciuto come un’arma, come me e te.”

“Allora le cose si complicano.” Dabi lo guardò. “Perché hai scelto di venire qui?” 

Shouto sollevò la testa, asciugandosi il viso alla svelta. 

“Perché è l’unico posto sicuro che conosco lontano da casa.”

Dabi non gli disse che, dopo la sua condanna, aveva avuto la stessa idea. Un pensiero molesto scivolò nella sua testa, come un dubbio che era sempre stato lì ma solo ora prendeva forma.

“Come hai fatto a riconoscermi non appena mi hai visto?”

Non capendo il senso di quelle parole, Shouto lo guardò.

“Era buio, era in corso una tempesta ed eri rintronato dall’atterraggio brusco del tuo Drago.”

Mentre lo diceva ad alta voce, Dabi si rese conto che c’era molto più di qualcosa a non avere senso per lui.

Shouto scosse la testa. 

“Non capisco cos-”

“Guardami, Shouto!” Dabi si sollevò a sedere. “Se ci fossimo incontrati per strada, non ti saresti nemmeno voltato a lanciarmi una seconda occhiata per accertarti che non fossi Touya. Quella notte, nelle peggiori condizioni possibili, hai chiamato il nome di tuo fratello con sicurezza. Sapevi che mi avresti trovato qui.”

Shouto non provò nemmeno a mentirgli. 

“Papà lo sa,” confessò. “Lo sa da un po’.”

Dabi scosse la testa e rise.

“Non è possibile!”

“È così. Non so quando e non so perché, ma ha mandato qualcuno a cercarti e ti ha trovato.”

“Se chiunque si fosse avvicinato a me, me ne sarei accorto e avrei provveduto a carbonizzarlo!”

Shouto premette le labbra fino a farle divenire una linea sottile, esitante.

Dabi avrebbe voluto prenderlo a schiaffi. “Che cosa c’è?”

“Si tratta del Primo Cavaliere,” disse suo fratello. “È stato Hawks a trovarti.”

 

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Capitolo 6
*** The King’s Knight ***


6 Ottobre
Prompt:“If we ever stop talking send me a song.”

 

 

VI
The King’s Knight 


 

You've been my muse for a long time
You get me through every dark night
I'm always gone, out on the go
I'm on the run and you're home alone
I'm too consumed with my own life
Are we too young for this?
["Softcore" - The Neighbourhood]



 

Seduto all’ombra di un albero, sulla riva del Lago delle Mezze Stagioni, il giovane Cavaliere pizzicava le corde della sua ribeca, tentando di mettere in pratica quel poco che aveva imparato. Peccato che il Principe disteso sul mantello rosso, con la testa appoggiata sulle sue gambe, non fosse per nulla intenzionato a incoraggiarlo.

“Vuoi diventare un menestrello?” Domandò Touya, stufo di essere ignorato in favore di uno stupido strumento musicale.

No,” rispose Hawks, continuando con i suoi esercizi. “Punto a diventare abbastanza bravo da suonare per te.”

Touya fece uno sbuffo divertito.

“Non sai cantare,” gli ricordò.

“Non serve che canti,” spiegò Hawks, con un sorriso da canaglia. “Voglio solo suonare fuori dalla tua porta, quando decidi di chiudere tutti fuori e crogiolarti nella tua oscurità.”

Touya piegò le labbra in un sorriso amaro.

“E quale sarebbe il fine di un simile gesto?”

“Ricordarti che se non riesci a diradare il buio, non sei costretto ad affrontarlo da solo.”

Hawks mise la ribeca da parte per dedicarsi completamente al Principe ma, come aveva previsto, Touya evitò il suo sguardo.

“Chiedere aiuto non è debolezza,” aggiunse il Cavaliere, affondando le dita tra i capelli candidi.

“Ho il fuoco nel sangue,” ribatté Touya. “L’oscurità non mi può divorare.”

“Ma le fiamme sì.”

Gli occhi azzurri lo fissarono con astio. 

“Non sono fatto di vetro, Keigo.”

“No, sei di carne e sangue e tanto basta per bruciare.”

Touya si sollevò a sedere.

“Il fuoco non può uccidere un Todoroki,” disse, fermo.

Hawks sapeva che non l’avrebbe avuta vinta e non aveva voglia di farlo arrabbiare. Quando si trattava del Principe delle Fiamme Blu, nemmeno il Re sapeva come affrontarlo. Quell’uomo, tanto valoroso sul campo di battaglia, diveniva titubante di fronte al maggiore dei suoi figli. Touya non aveva un carattere semplice e dopo anni passati a cercare un punto d’incontro, suo padre aveva optato per una strategia che aveva finito solo con l’allontanarli ancora di più: quando era Touya a impugnare la rabbia come arma, Enji batteva in ritirata; quando l’Erede della Corona tentava qualche colpo di testa - finendo sempre per farsi male - era il Re a perdere la calma.

Hawks sapeva che, per il bene di tutti, era indispensabile che il Principe della Corona non chiudesse completamente fuori anche lui.

Touya era una sfida difficile, pericolosa e, forse, il Cavaliere vi stava investendo troppo per averla vinta. Ma era troppo tardi per tornare indietro.

“Vieni qui,” disse, accompagnando le parole con un gesto della mano. 

Touya esitò, la maschera di brina ancora calata sul suo volto. C’era qualcosa d’ironico nel modo in cui gli occhi azzurri dei Todoroki - segno distintivo dei Signori del Fuoco, insieme ai capelli rossi - potessero essere tanto gelidi.

Hawks si guardò bene dal dirlo ad alta voce. 

“Vieni qui…”

Aveva bisogno che Touya continuasse a fidarsi di lui. Non era solo la missione che il Re gli aveva affidato, ma anche un suo desiderio.

L’espressione del Principe si addolcì un poco e lo accontentò. 

Touya si sedette tra le gambe del Cavaliere, abbandonandosi contro di lui.

Per un po’ non si dissero niente. 

Lo splendido lago era la cornice perfetta di quel loro incontro. La brezza di primavera e il respiro caldo di Hawks tra i suoi capelli infusero in Touya un raro senso di pace, invitandolo a chiudere gli occhi. Forse si addormentò, ma solo per un istante.

La mano di Hawks che scivolava sul suo braccio lo portò a sollevare di nuovo le palpebre.

In un primo momento, il Principe pensò che volesse intrecciare le dita alle sue, ma il Cavaliere gli slacciò il polsino della camicia e tirò su la manica.

“Che cosa vuoi fare?” 

“Aspetta…”

Hawks disegnò una linea invisibile che partiva dall’interno del polso di Touya e arrivava fino all’incavo del gomito, poi ripeté il tragitto in senso contrario.

Touya ridacchiò. “Mi fai il solletico.”

“Non è piacevole?”
“Sì, lo è.”

Restarono così, godendo della vicinanza l’uno dell’altro.

Hawks usò la mano libera per scostare i capelli chiari dal collo del Principe. 

“Reclina la testa di lato,” soffiò direttamente sulla pelle sensibile.

Touya sorrise e ubbidì, guadagnandosi una serie di baci leggeri sotto l’orecchio.

“Aspetta…”

Touya si girò nell’abbraccio, mettendosi seduto a cavalcioni sull’altro. Cercò le sue labbra senza timidezza e Hawks rispose al bacio con altrettanto entusiasmo. 

L’aria di primavera si scaldò velocemente.

Il Principe infilò le mani sotto la blusa del Cavaliere ma, a causa delle ali, non riuscì a sfilarla. 

“Faccio io,” disse Hawks, riuscendo nell’impresa con facilità. Non ebbe il tempo di liberare le braccia dalle maniche che la bocca di Touya fu di nuovo sulla sua.

Si erano mancati a vicenda e l’urgenza con cui si cercavano era il loro modo di dirselo.

Era il limite della loro relazione: parlavano un sacco, ma mai di quello che contava davvero.

Le dita del Cavaliere risalirono il petto del Principe, aprendo la camicia un bottone alla volta. Reso impaziente dal desiderio, non arrivò a sbottonarla del tutto e fece scivolare le mani sotto la stoffa bianca.

Touya s’irrigidì di colpo, ponendo fine al bacio con un gemito di dolore.

Hawks si fermò immediatamente.

“Cosa c’è?”

“Niente.”

Il Cavaliere non gli credette: afferrò il colletto bianco e tirò, scoprendo la pelle scottata della spalla destra. 

“Continui a farti del male, Touya?”

Il Principe lo spinse via e si alzò. “Non mi faccio del male, faccio ciò che è necessario per divenire più forte!”

Il Cavaliere lo seguì. 

“Ma non lo capisci che così finirai per ammazzarti?”

Hawks aveva paura, ce l’aveva ogni volta che Touya tentava un colpo di testa senza renderlo suo complice. E capitava sempre più spesso.

“Touya…”

Cercò di raggiungerlo, toccarlo. Non ci riuscì.

 Touya rise, beffardo. 

“Quante volte devo ripeterlo, Keigo? Il fuoco non può uccidere un Todoroki.”

Col senno di poi, Hawks avrebbe capito che gli era sfuggito dalle dita molto prima del tragico epilogo della loro storia.




 

-9 anni e mezzo dopo-




 

Keigo Takami non era nato per essere il Primo Cavaliere del Re.

Figlio di un padre assassino e di una madre che non lo aveva mai amato, aveva passato l’infanzia a cullarsi con le leggende della Casata del Fuoco, sognando, un giorno, di divenire il personaggio di una di quelle grandi storie.

Il destino lo aveva accontentato durante l’inverno dei suoi quindici anni, quando era divenuto l’unico sopravvissuto della tragedia più grande mai avvenuta per mano di un Principe della Corona.

D’allora, temendo il modo in cui si sarebbero concretizzati, non si era più concesso di avere grandi desideri.

E il bambino che non sarebbe mai dovuto diventare Cavaliere smise di essere Keigo per divenire Hawks.

La sua fama era indiscussa e alla corte era acclamato come uno dei più giovani eroi del suo tempo, ma non ne approfittava. Hawks era la prova in carne e ossa di come, alla corte dei Todoroki, i meriti di un individuo avessero più valore di un nome blasonato, ereditato senza sforzo.

Hawks non era un nobile, ma si era guadagnato un ruolo al di sopra di tutti gli altri, insieme a un posto d’onore proprio accanto al Re e al suo Erede. O, meglio, così sarebbe stato se Enji non avesse continuato a perdere i suoi Principi tra un tragico errore di calcolo e l’altro.

Era proprio per loro, per Touya e Shouto, che il Primo Cavaliere era in volo in quella notte di pioggia e fulmini. Quando era in missione, la portafinestra della sala del consiglio veniva lasciata aperta proprio per lui, in modo che potesse rientrare con discrezione e fare immediatamente rapporto a chi doveva.

Quella notte, appena mise piede all’asciutto, si rese conto che non c’era solo il Re ad attenderlo. Il caminetto era acceso e i due sovrani, in piedi l’uno di fronte all’altra, si presentarono ai suoi occhi come due sagome scure.

“C’è qualcosa che non mi stai dicendo.” 

C’era stato un tempo in cui Hawks aveva guardato alla Regina come una donna fragile, di carattere e di costituzione, troppo per sedere accanto a un uomo della famiglia Todoroki. Da quando aveva ripreso il suo ruolo all’interno della corte dell’Alto Trono, l’ultima Signora del Ghiaccio non aveva mancato occasione per fargli cambiare idea.

“Non sono stato io e bandire Shouto,” ribatté Enji, stando attendo a tenere gli occhi fissi sul fuoco. “Ha scelto di andarsene con il suo Drago.”

“Perché tu hai toccato tutti i punti giusti per spingerlo a fuggire,” ribatté Rei, decisa. “Se non lo avessi voluto lontano da qui, saresti stato il primo a inseguirlo.”

Essere gli occhi e le orecchie del Re implicava anche origliare conversazioni private, ma Hawks sapeva che vi era un limite anche per lui. Simulò un paio di colpi di tosse, informando i due reali della sua presenza.

“Primo Cavaliere,” lo salutò la Regina.

“Mia signora,” rispose Hawks, chinando la testa con rispetto.

Rei sapeva che non le era permesso restare, ma non abbandonò la scena senza essersi presa l’ultima parola. 

“Se vuoi mandare Fuyumi e Natsuo lontano dalla corte, ti aiuterò a convincerli,” disse. “Ma fino a che non deciderai di essere sincero con me, io non mi muoverò da questo castello.”

Enji rimase in silenzio, come faceva la maggior parte delle volte che qualcuno della sua famiglia decideva d’imporsi su di lui. 

Hawks aspettò di vederla uscire dalla porta, prima di avvicinarsi.

“So che non ti fa piacere saperlo, ma le do ragione.”

Enji gli rivolse un’occhiata eloquente.

“Non ti ci mettere anche tu.”

“Io, davvero, non vorrei, ma se spingi il più giovane dei tuoi figli a scappare di casa dopo che ti ha confessato di aspettare un figlio, non rendi il mio lavoro così semplice. Mi sorprende che non ti stesse urlando addosso.”

“Lo ha già fatto…”

“E cosa l’ha calmata?”

“Si è convinta che io stia nascondendo qualcosa a tutti loro.”

“Questo l’ho sentito.” Hawks si umettò le labbra. “È vero?”

Il Re era troppo affezionato al suo muro di silenzio per rispondergli.

“Se sei qui, devo dedurre che hai qualcosa di cui informarmi.”

“Sì,” confermò il Primo Cavaliere. “Ma ammetto di non sapere come dirtelo.”

Dissimulare il nervosismo era uno dei tanti talenti di Hawks. Indossava una maschera un po’ da sbruffone e vi nascondeva dietro tutto quello che sarebbe stato meglio non mostrare. In quello specifico caso, temeva la reazione del sovrano alla notizia che stava per dargli.

Come era prevedibile, Enji interpretò quella sua reticenza nel peggiore dei modi.

“È successo qualcosa a Shouto?”

“No,” si affrettò a dire il Cavaliere. “Al massimo, io mi preoccuperei più per il giovane Katsuki. Si sono spinti nell’estremo nord-est e, secondo i miei calcoli, lo hanno fatto senza pause. Un Drago ha le ali immensamente più grandi delle mie, ma è una distanza ragguardevole da coprire tutta d’un fiato.”

“Nord-est…” Ripeté il sovrano, riflettendo ad alta voce. “In quella direzione vi è solo la Lada di Dabi.”

Hawks scosse la testa.

“Un po’ meno a Nord e un po’ più a Est.”

“Stai veramente giocando agli indovinelli quando c’è di mezzo la vita di mio figlio?”

Hawks non era divenuto il braccio destro del Re per la cieca devozione nei suoi confronti, ma non si poteva tirare la corda quando c’era di mezzo Shouto.

“La Cintura Vulcanica Minore,” disse.

Enji impiegò un istante a capire e quando la fece, l’espressione sul suo viso divenne atterrita.

“Mi stai dicendo che…”

“Non ne ho la conferma,” ammise Hawks. “Ci sono una decina di villaggi sul pendio meridionale della Cintura Minore e una sola città fortificata. In tutti questi posti hanno visto un Drago rosso addentrarsi nella terra dei vulcani, in direzione del Mare del Nord. E sia io che te sappiamo che c’è solo un posto in quella direzione in cui Shouto potrebbe andare.”

Lo stesso in cui Touya si sta nascondendo da nove anni.

Nessuno dei due lo disse, non era necessario.

Enji piegò il gomito sul davanzale del caminetto, reggendosi la testa con una mano.

“Sono insieme,” concluse. “Touya e Shouto sono insieme.”

Il Primo Cavaliere scrollò le spalle e scosse la testa.

“È una possibilità, ma non ho elementi sufficienti per affermare se sia una buona cosa o meno. Posso dire che Shouto ha fatto bene i suoi conti: ha scelto una terra su cui nessun esercito può marciare, che è molto simile a quella in cui Katsuki è nato e, probabilmente, ha pensato che suo fratello lo avrebbe appoggiato.”

Una pausa.

“I tuoi figli che riscoprono il loro legame fraterno attraverso il rancore che nutrono nei tuoi confronti.”
“Hawks…”

“Non lo dico per mancarti di rispetto. È davvero la cosa migliore che potrebbe succedere. L’alternativa è che s’inceneriscano a vicenda e non ce lo auguriamo.”

Enji lo guardò dritto negli occhi.

“Dimmi la verità.”

“Lo faccio sempre.”

“Pensi davvero che Touya possa stare dalla parte di Shouto?” 

Il sovrano non glielo stava chiedendo in quanto suo Primo Cavaliere ma in virtù di una vecchia storia, quella del Principe delle Fiamme Blu e del Cavaliere con le ali che era stato il suo unico amico.

“In tutta onestà, Maestà, penso che entrambi abbiamo perduto Touya molti anni fa,” rispose Hawks. “Chiunque Shouto abbia trovato al Castello Vecchio è un estraneo per lui quanto per noi. Quello che mi rassicura è che il nostro Principe di Fuoco e Ghiaccio ha un grosso vantaggio.”

Enji inarcò le sopracciglia.

“Sarebbe?”

“Ha un Drago. E Katsuki è pronto a morire per Shouto, anche se spero che lui e Touya non decidano di scoprire se la storia che nemmeno il fuoco di un Drago può uccidere un Todoroki sia vera.”

Il Touya con cui Hawks era cresciuto sarebbe stato abbastanza spavaldo da provarci, ma ora c’era una questione che lo preoccupava più dei figli del Re ed era stata proprio la Regina a fargliela notare.

“Adesso che abbiamo chiarito che Shouto è vivo, puoi dirmi il motivo per cui lo hai spinto a lasciare la corte e perché non ne vuoi parlare neanche con sua madre?”

“No,” rispose Enji, secco.

“Oh…” Hawks impiegò un istante per ritrovare le parole. “E io che credevo che i segreti della Corona fossero materia mia…”

“La tua missione è un’altra,” disse il Re, fermo. “Torna sulla Cintura Minore e assicurati che Touya e Shouto stiano bene.”

Hawks si stava sforzando di trovare un senso a quella conversazione, ma il sovrano non gli stava facilitando il lavoro. Gli venne un dubbio.

“Stai cercando di tenere fuori dalla corte anche me?”

Enji si allontanò dal caminetto per pararsi di fronte a lui, gettandogli un’ombra nera addosso.

Il Primo Cavaliere comprese che stava usando il linguaggio del corpo per sottolineare la differenza tra i loro ruoli. Hawks era nato sotto la sua reggenza, non aveva visto nessun altro Re sedere sull’Alto Trono. Enji Todoroki era, per lui, l’incarnazione della vittoria e del potere e, nonostante questo, gli era sempre stato concesso di essere sincero - talvolta irriverente - in sua presenza. 

Ma, per la prima volta da quando era stato investito del titolo di Primo Cavaliere, il sovrano stava combattendo una battaglia in cui non voleva coinvolgerlo.

E Hawks non poteva mettersi contro la sua volontà senza rischiare di divenire un traditore.

“Tanto per evitare fraintendimenti,” disse. “Tu vuoi che Touya e Shouto rimangano dove sono ora, al Castello Vecchio.”

“Esatto.”

C’era un dettaglio di cui non stavano parlando, ma che non poteva più essere taciuto.

“Ti ricordo che Shouto aspetta un bambino,” disse Hawks, dicendo senza dirlo che se il fine era proteggere i Principi, il piano era completamente idiota. “Se n’è andato prima che potesse dirci i dettagli ma, se dobbiamo fare un conto approssimativo, il piccolo dovrebbe nascere all’inizio dell’inverno. Se Shouto rimane in quel posto, come pensi che-”

“Generazioni di Todoroki sono venute alla luce tra quelle mura,” lo interruppe Enji, come se il problema non si ponesse.

Hawks era rimasto dalla parte del Re anche nei suoi momenti più bui e solo una volta aveva messo apertamente in discussione il suo operato, accusandolo, ma lì stava venendo meno il contatto con la realtà.

“Sei padre di quattro figli,” gli ricordò Hawks. “Hai assistito alle loro nascite. Se Shouto fosse venuto alla luce in un luogo sperduto, senza tutto l’aiuto medico del nostro tempo, che ne sarebbe stato di lui e di Rei?”

Ma il sovrano era irremovibile.

“Torna alla Cintura Minore,” ordinò. “Assicurati che Touya e Shouto non si facciano del male e che restino al sicuro.”

Hawks rispettò il suo ruolo di Primo Cavaliere e chinò la testa.

“Ai vostri ordini, Maestà.”

Se c’era qualcosa da scoprire, lo avrebbe fatto a modo suo.

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Capitolo 7
*** Second Love ***


7 Ottobre 
Prompt: “Drunk enough to say I love you?”


VII

Second Love 


And I wanna kiss you, make you feel alright

I'm just so tired to share my nights

I wanna cry and I wanna love

But all my tears have been used up

On another love, another love

[“Another Love” - Tom Odell] 



 

Le Montagne Rubino erano il punto più a Nord della Cintura Vulcanica Maggiore, lontano dal cuore del Regno dei Draghi, dove i Clan si scontravano fino alla morte per ottenere il potere.

I Bakugou erano i signori indiscussi di quelle terre, caratterizzate per lo più da vulcani dormienti e valli verdeggianti. 

In quello strano angolo di mondo, le combattive creature alate e gli esseri umani avevano imparato a vivere insieme.

Vi era una sola grande città a dominare su quelle più piccole e sui molteplici villaggi, il Nido che i Bakugou avevano costruito generazioni prima, scavando nella parete di roccia della montagna.

In quel luogo, lontano dalle imprese gloriose delle Casate dell’Alto Trono, Katsuki e Izuku erano nati e cresciuti. 

E fu proprio lì, a seguito di una di quelle imprese gloriose, che Katsuki fece ritorno. Senza Izuku, ma non da solo.

“Dammi la mano.”

Gli uscì di bocca come un ordine, perché ancora non gli veniva naturale essere gentile.

Shouto fece scivolare le dita tra le sue come se fosse la cosa più naturale del mondo.

“Va tutto bene?”

Il giovane Drago non aveva trovato ancora le parole per spiegare al Principe che se aveva trovato la forza di tornare a casa, era solo grazie a lui.

“Sì, volevo solo tenerti per mano.”




 

Shouto attirava gli sguardi con la stessa naturalezza con cui respirava.

Alla corte dell’Alto Trono, Katsuki l’aveva considerata una cosa priva di qualsiasi importanza: era ovvio che il Principe della Corona catturasse l’attenzione delle Casate su cui, un giorno, avrebbe regnato. Ma lì, lontano dalla sua casa, l’Erede della dinastia Todoroki non aveva ragione di ricevere tutti quegli onori. Al contrario, le antiche leggende raccontavano nei dettagli il rapporto bellicoso tra i Draghi e i Signori del Fuoco.

Eppure, eccolo lì, Shouto Todoroki, perfettamente a suo agio con addosso il nero e il rosso della famiglia Bakugou, mentre la Capo Clan gli faceva fare il giro del salone per presentargli i membri più importanti della loro corte.

E Katsuki era il primo a non riuscire a togliergli gli occhi di dosso.

Nonostante la festa fosse stata organizzata su due piedi proprio per festeggiare il suo ritorno al Nido, il giovane Drago se ne stava in disparte, preferendo osservare con attenzione la scena piuttosto che farne parte. Tanto per cominciare, Katsuki non voleva nemmeno essere lì. Sì, era ossessionato dalla vittoria, ma non ne voleva sapere nulla della gloria che ne derivava. La gente non gli piaceva e venire onorato per essere sopravvissuto a Izuku era davvero l’ultima cosa di cui aveva bisogno.

Veder Shouto brillare nel suo mondo, come se non fosse affatto un estraneo, era ciò che rendeva tutto più sopportabile per il suo cuore, diviso tra vuoto lasciato dal dolore e la voglia di tornare a sentire di nuovo qualcosa.

“Hai la faccia di uno che ha bisogno di bere.” 

Suo padre comparve al suo fianco, porgendogli un calice di vino.

Sebbene avesse lo stomaco chiuso, Katsuki accettò l’offerta.

“So quanto questo genere di eventi siano insopportabili per te,” aggiunse Masaru, comprensivo. “Abbi pazienza. Non vedevo tua madre così felice da tanto tempo.”

Sua madre, la Capo Clan, che per l’occasione si era stretta in un lungo abito di pelle nera, con uno spacco che alla corte dell’Alto Trono non sarebbe mai stato accettato in contesti regali.

Katsuki alzò gli occhi al cielo.

“Mi sta venendo il dubbio che abbia scambiato Shouto per il mio bottino di guerra.”

Masaru rise.

“No, è solo molto entusiasta,” lo rassicurò. “Il giovane Todoroki è stata veramente una bella sorpresa. Sia io che Mitsuki siamo sempre stati convinti che fossi destinato a grandi cose, Katsuki, ma non credevamo saresti riuscito a portare la pace tra i nostri popoli.”

“I Bakugou sono solo uno dei tanti Clan di Draghi della Cintura Maggiore, vecchio. Il fatto che Shouto sia qui con me non significa che l’eterna rivalità tra quelli come noi e i Signori del Fuoco cesserà di esistere.”

“È pur sempre un evento senza precedenti ed è merito tuo.”

Valeva lo stesso per la morte di Izuku, ma tutti erano stati molto attenti a non nominare né il suo amico d’infanzia né la guerra che glielo aveva portato via. 

“Oh, sono arrivati i tuoi amici,” disse Masaru, indicando l’entrata della sala.

Eijirou e Denki fecero la loro entrata in scena saltellando. Se si accorsero di Katsuki, lo ignorarono deliberatamente per correre dritti da Shouto. Il Principe si mostrò subito felice di vederli, rivolgendo loro uno di quei suoi sorrisi gentili, dalle sfumature timide.

Mitsuki comprese di essere diventata di troppo. Si accomiatò, rivolgendo poche parole a Shouto e salutando gli altri due. Tempo di allontanarsi dal trio di fanciulli e ogni traccia di allegria e cortesia sparì dal suo viso. Cercò il figlio con lo sguardo e quando lo trovò, indicò la balconata con un cenno del capo.

Katsuki seppe di essere spacciato.

“La signora ha chiamato,” disse Masaru, togliendogli il calice di mano.

“Non assomiglierebbe a una signora nemmeno avvolta in un abito di velluto e con un diadema in testa,” ribatté il figlio, andando incontro al suo triste destino.

In seguito agli eventi che avevano scosso gli equilibri del potere, una discussione tra la Capo Clan e il suo Erede era impossibile da evitare. 

Tanto, anche fossero passati altri vent’anni, Katsuki non sarebbe mai stato pronto ad affrontarla.

Il sole era già scomparso a Ovest, dietro le montagne e i colori vivaci del tramonto stavano sfumando nel blu della notte. Il cielo era sereno e si vedevano le prime stelle. Era una promessa di bel tempo anche per i giorni successivo. 

“Domani potresti portar Shouto a volare sulle cime più alte,” propose Mitsuki, appoggiando la schiena al parapetto di pietra. 

Katsuki, al contrario, puntò lo sguardo sull’orizzonte, dando le spalle alla sala affollata. Sotto la balconata, il fiume di magma correva intorno alle mura di cinta delle città, riscaldando l’aria e facendo pentire Katsuki di aver indossato il mantello rosso di pelliccia, simbolo distintivo del suo Clan - un elemento in comune tra i Bakugou e i Todoroki.

“Se Shouto lo vorrà,” disse, vago, stando attento a non tradire nessuna emozione in particolare. Voleva mostrare al Principe ogni luogo di quella terra, anche l’angolo più nascosto. Quello che aveva condiviso con Izuku durante l’infanzia voleva riscoprirlo insieme a Shouto, sotto una luce diversa. Era un desiderio sincero, sfumato di malinconia, sì, ma nulla di paragonabile all’abisso in cui la disperazione lo aveva gettato quasi un anno prima.

Stava meglio, stava guarendo e questo lo corrodeva.

Sua madre non girò intorno alla questione e lo colpì in pieno con la domanda più semplice che un genitore potesse rivolgere a un figlio che non vedeva da tempo.

“Come stai?”

Quelle due parole ebbero l’impatto di un pugno nello stomaco, ma Katsuki fu bravo a incassarlo.

“Dimmi quello che vuoi dire, vecchia.”

Sentiva gli occhi di sua madre fissi sul suo profilo, ma era ostinato a non voler rispondere al suo sguardo. Sapeva che se lo avesse fatto, non sarebbe mai riuscito a innalzare un muro abbastanza alto per nascondersi da lei. 

“Quando Denki ed Eijirou sono tornati e, piangendo, hanno raccontato tutta la storia, ho guardato tuo padre e gli ho detto che non saresti tornato mai più.”
E aveva avuto ragione, ma il giovane Drago non glielo disse.

“Invece, hai varcato la porta di casa all’alba di un giorno qualunque e ci hai lasciati tutti senza parole.”
Katsuki avrebbe potuto dire qualcosa di sarcastico su come l’intero Clan lo aveva ignorato per accogliere al meglio Shouto, ma non ci riuscì. La voce di sua madre tremava in modo impercettibile per un’emozione a cui non sapeva dare un nome. Nemmeno allora allontanò lo sguardo dall’orizzonte.

“Io e tuo padre abbiamo anche pensato di venirti a cercare,” ammise Mitsuki. “Dopo quello a cui sei sopravvissuto, dopo Izuku… Era troppo d’affrontare da solo.”

Se Katsuki fosse riuscito a essere onesto, le avrebbe detto che aveva avuto ragione anche in quello. La promessa che aveva fatto a Izuku lo aveva rimesso in piedi, con Shouto si era ricordato come camminare e ora, proprio grazie al Principe, aveva voglia di volare di nuovo.

E si sentiva in colpa.

“Poi i tuoi amici ci hanno spiegato che avevi lasciato la corte dell’Alto Trono, che avevi scelto l’Erede di Enji Todoroki come tuo nuovo Cavaliere e che eravate partiti insieme,” aggiunse Mitsuki.

Istintivamente, Katsuki lanciò un’occhiata alla sala da sopra la spalla e trovò Shouto che ancora chiacchierava con Denki ed Eijirou.

“Ha un cuore nobile,” disse sua madre, riferendosi al Principe di Fuoco e Ghiaccio. “Una virtù rara per un figlio dei Todoroki, nato con tanto potere.”

“Shouto è tutto raro,” disse Katsuki, decidendosi a parlare. “I suoi poteri, il suo carattere, la persona che è… Ogni cosa.”

Mitsuki accennò un sorriso. 

“Sapevo che eri destinato a grandi cose, ma un Todoroki! Hai proprio voluto esagerare, moccioso!”

“Io ero convinto di essere destinato a Izuku.” Katsuki lo confessò senza pensarci. Sentiva il bisogno di essere vulnerabile, ma non nel modo in cui aveva imparato a esserlo prima con Izuku e poi con Shouto. Per una volta, Katsuki desiderava una resa totale e, nonostante il loro rapporto turbolento, sua madre era l’unica che potesse accogliere quella sua debolezza senza fargli del male.

“Quando sono sceso su quel campo di battaglia, ho preso in considerazione solo due possibili finali: o avremmo vinto insieme o saremmo morti entrambi. Nel momento in cui Izuku è caduto, l’ho fatto anche io. Tre stagioni fa, non ero vivo. Ogni mattina mi risvegliavo in questo mondo, sì, ma, con ogni respiro, maledicevo il destino per avermi reso un sopravvissuto."

Katsuki appoggiò i gomiti sul parapetto di pietra, prendendosi la testa tra le mani. 

“Izuku era il mio Cavaliere, era il mio…” Ingoiò a vuoto. “Lo odio. Lo odio con tutto il cuore perché si è sacrificato per proteggermi, quando io non gli ho mai chiesto di farlo!”
All’orizzonte, il sole era scomparso del tutto e le prime ombre della sera bastarono a celare le lacrime che bagnavano il viso di Katsuki. Sua madre allungò la mano, spettinandogli i capelli in un gesto di conforto.
“Ma ora sei vivo,” gli disse.

Katsuki tirò su col naso. Fece per voltarsi e cercare di nuovo Shouto, sereno e sorridente, in mezzo alla sua gente, ma il timore che potesse vederlo piangere lo fece desistere.

“Qualcuno mi ha salvato,” disse.

Lo avevano fatto in due. Prima Izuku, poi Shouto.

“Se non fosse importante, non avresti portato qui un Principe Todoroki tenendolo per mano,” puntualizzò Mitsuki, cercando di fare chiarezza tra tutti i pensieri e le emozioni che il figlio stava buttando fuori.

“Shouto è importante,” confermò Katsuki.

“E glielo hai detto?”
“No.”

“Ecco, stupido eri e stupido sei rimasto!”

“Come ti permetti, vecchia?!”
Nel momento in cui Katsuki sollevò lo sguardo e incontrò il sorrisetto soddisfatto di sua madre, seppe di essere stato fregato.

“Finalmente mi guardi in faccia,” disse lei.

Katsuki storse le labbra in una smorfia.

“Illuminami, madre degenere, dimmi che cosa devo fare!”

“Ah, troppo comodo. Non capisci da solo quello che ti passa per la testa, figuriamoci io!”
“Mi hai fatto tu!”

“E con ciò? Quando ti ho partorito, ho avuto in cambio delle lacerazioni, non il potere di leggere la mente!”

“Smettila immediatamente di parlare!” Urlò Katsuki.

All’interno della sala, in molti si voltarono, tra cui Shouto. Un gesto veloce della mano di Mitsuki assicurò la sua corte che tutto andava bene e che nessuno doveva osare intervenire. Bastò a convincere ogni ogni curioso a spostare la propria attenzione da un’altra parte, tranne il giovane Todoroki.

La Capo Clan comprese che quel momento con suo figlio stava per giungere al termine. Doveva arrivare in fretta al punto.

“Che cos'è per te il Principe di Fuoco e Ghiaccio?” Domandò. 

Katsuki reagì alla domanda facendo un sacco di versi e gesticolando come un matto. Alla fine, qualcosa lo spinse a smettere di combattere coi propri pensieri. Si arrese alla semplice verità: stava imparando a lasciare andare il dolore che, subito dopo la fine della guerra, lo aveva schiacciato e mentre il desiderio di vivere, di andare avanti, gli riscaldava il petto, non riusciva a perdonare se stesso per essere sopravvissuto.

“Non sto cercando di sostituire Izuku con Shouto.”

Mitsuki inarcò le sopracciglia.

“Dei, Katsuki, non l’ho mai creduto. Sei stupido ma non così stupido.”

“Sì, ma non sono bravo a rassicurarlo,” spiegò Katsuki. “Shouto, a volte, suona come un ingenuo ma, in realtà, percepisce le sfumature dell’animo di una persona con una chiarezza disarmante. Non è questo il caso. Avverte la mia insicurezza ma ne fraintende i motivi.”

“È successo qualcosa tra voi?” Indagò Mitsuki, sospettosa.

Katsuki inspirò profondamente dal naso.

“Ho provato a baciarlo,” rispose. “Mi ha respinto. Mi ha detto di non confondere la gratitudine con l’amore e che il suo sangue è maledetto, stargli vicino finirebbe per farmi del male e altre stronzate simili.”

Mitsuki ci pensò.

“Ha senso,” concluse.

“Non ha un fottuto senso, invece!” Obiettò Katsuki.

“È un Todoroki, stare al suo fianco implica delle cose.”

“Pensi che stare al fianco di Izuku mi fosse consentito senza prezzo? Shouto non mi sta condannando a qualcosa, sono io che ho scelto lui!”

Mitsuki alzò gli occhi al cielo.

“E questo glielo hai detto?”

“No.”

La Capo Clan emise un verso esasperato.

“Ripeto: le azioni di Shouto hanno completamente senso. Chi si lascerebbe baciare da un uomo che non sa cosa vuole?”

“Io so cosa voglio! Ho scelto lui, maledizione! Che altro devo fare?”

“Allora non mi stai a sentire, moccioso: se vuoi che sappia cosa provi per lui, devi dirglielo.”

Katsuki scosse la testa.

“Perché? Perché ti stai accorgendo che il dolore non è eterno come pensavi e che ci si può innamorare ancora?”

Il giovane Drago allontanò lo sguardo da lei, stava per mettersi a piangere di nuovo, per la frustrazione questa volta.

“Katsuki.” Mitsuki gli strinse le spalle. “Se Shouto ha ragione, se quello che provi è solo gratitudine per un’amicizia che ti ha aiutato a rimetterti in piedi, lascia stare. Ma se è vero quello che hai detto tu, se hai scelto lui, c’è solo una cosa che puoi fare.”

Il consiglio implicito era più che chiaro. Katsuki rivolse lo sguardo scarlatto in direzione della sala e si accorse che Shouto, pur scambiando ancora qualche battuta con Eijirou e Denki, non aveva più allontanato gli occhi da lui.

Sapeva esattamente che fare e, per la prima volta, anche che cosa dire.

Lasciò sua madre da sola, sulla balconata, senza salutare.

Mitsuki non se la prese ma, al contrario, restò a guardare con un sorriso soddisfatto suo figlio che prendeva la mano del Principe Todoroki per condurlo fuori dalla sala, lasciando entrambi i loro amici perplessi.

Masaru la raggiunse poco dopo.

“Tutto bene con Kastuki?”

“Sì,” rispose Mitsuki. “Vuoi sapere una cosa, caro? Nostro figlio è un completo disastro, ma è il nostro disastro.”

E lei sarebbe sempre stata orgogliosa di lui.



 

-6 mesi dopo-



 

Shouto Todoroki era il primo Signore del Fuoco a essere riuscito nell’impresa di divenire il Cavaliere di un Drago. 

Non c’era stato nulla di epico nell’evento, nessuna prova di forza né, tantomeno, una vittoria gloriosa.

Katsuki lo aveva guardato dritto negli occhi e, con una solennità che di rado aveva vista riflessa in quelle iridi scarlatte, gli aveva chiesto di essere il suo Cavaliere. 

E Shouto aveva accettato.

Avevano lasciato insieme la corte dell’Alto Trono ed erano divenuti l’un per l’altro qualcosa che nessuno dei due aveva previsto. Il giovane Drago aveva portato il Principe di Fuoco e Ghiaccio nelle sue terre e lo aveva presentato ufficialmente alla Capo Clan, sua madre. Shouto li aveva onorati indossando i colori della famiglia Bakugou e aveva incantato l’intera corte del Nido dimostrando una gentilezza e un’umiltà che nessuno si sarebbe mai aspettato da un Principe Todoroki.

Lì, tra le vette di quegli antichi vulcani dormienti, teatro di molte di quelle grandi imprese raccontate nelle leggende, Katsuki aveva insegnato a Shouto come fare l’amore.

“Se solo tuo padre sapesse delle eroiche gesta che stai compiendo e che i tuoi avi si potevano solo sognare,” aveva detto una volta Katsuki, con gli angoli della bocca sollevati in un ghigno da sbruffone e il respiro ancora veloce, a causa della passione appena consumata.

Sotto di lui, Shouto lo aveva zittito con un bacio.

“Non parlare di mio padre mentre sei ancora dentro di me.”

Erano stati mesi meravigliosi, in cui il Principe di Fuoco e Ghiaccio non solo aveva assaggiato il sapore dell’amore in tutte le sue declinazioni, ma anche quello della spensieratezza. 

“Non ti ho mai visto sorridere così,” aveva detto Katsuki, appena un istante prima di cedere alla tentazione di divorare quel sorriso con un bacio.

“Non ho mai sorriso così,” aveva confermato Shouto, lasciandosi baciare.

Erano entrambi seduti sul tetto del mondo, con l’immensità del lato Nord della Cintura Maggiore a fare loro da cornice. 

Grazie a Katsuki, Shouto aveva toccato il cielo in più di un modo.

Nessuno dei due aveva previsto la caduta.




 

“Dove hai intenzione di andare?”

Shouto glielo aveva chiesto almeno una decina di volte in mezz’ora e Dabi non si era fermato neanche per rispondergli. Era salito sulla torre, nella stanza che era stata la sua camera negli ultimi nove anni, aveva raccolto le sue cose in una sacca da viaggio ed era sceso di nuovo nell’atrio d’ingresso del castello. Tutto, mentre suo fratello lo seguiva passo passo come un anatroccolo con la madre.

“Che cosa pensi stia andando a fare?” La voce di Dabi era sarcastica, come sempre. 

Shouto afferrò uno dei lacci della sacca da viaggio, obbligandolo a voltarsi.

“Vuoi uccidere Hawks?” Domandò Shouto. “Perché se hai intenzione di fargli del male, io-“

“Tu nulla, Shouto,” lo bloccò suo fratello. “Ti conviene cominciare ad accettare la condizione in cui versi e il totale stato d’impotenza in cui ti trovi.”

Il Principe di Fuoco e Ghiaccio strinse i pugni.

“Ti ho raccontato di Hawks perché avevi il diritto di sapere, non perché potessi riversare su di lui tutta la rabbia che provi per me e nostro padre!”

“Mi hai detto di Hawks perché ti ho messo con le spalle al muro, ma non preoccuparti: quando avrò finito con lui, il piccione viaggiatore sarà ancora vivo.”

“Touya, che cosa vuoi-?”

Il cigolio dei cardini della grande porta lo zittì. 

“Ci vorrà qualche giorno,” disse. “Non mi seguire e non mandare il tuo Drago a farlo. Anzi, perché non ne approfittate per stemperare un po’ qualsiasi cosa ci sia tra voi? Siete insopportabili!”

Shouto aggrottò la fronte. 

“Non c’è nulla che non vada tra me e Katsuki.”

Dabi scrollò le spalle, disinteressato. 

“Se ti sembra normale che lui ti eviti, per riempire le dispense del castello con più cibo di quello che possiamo consumare, chi sono io per dire che sembrate due idioti?”

Katsuki lo evitava. 

Shouto avrebbe voluto urlare in faccia a suo fratello che non era così, che il suo Drago si stava spaccando la schiena per evitare che lui, Dabi, li cacciasse per un attimo di stizza. Non lo fece, perché non ne era del tutto sicuro neanche lui.

“Toglimi una curiosità,” disse Dabi, un piede già fuori dal castello. “Vi siete mai fermati a parlare di quello che ti sta succedendo?”

Shouto scosse la testa. 

Dabi alzò gli occhi al cielo.

“Quante volte questa maledetta famiglia deve commettere gli stessi errori?”

“Che cosa intendi?”

Dabi gli rivolse un’occhiata eloquente.

“Lo sai,” rispose. “Se non lo sapessi, non saresti terrorizzato come sei.”

Se ne andò.




 

Shouto e Katsuki avevano l’abitudine di svegliarsi insime.

Non era nata dal condividere lo stesso letto, aveva sempre fatto parte del loro quotidiano. 

Una volta, Izuku li aveva presi bonariamente in giro per questo.

“Il rumore che fanno le vostre spade mentre duellate è un po’ il mio canto del gallo.”

In tempi più recenti, quel loro anticipare il sole aveva offerto a entrambi la possibilità di essere strappati al sonno con la promessa di ricevere qualcosa di più dolce.

Non appena le condizioni fisiche di Shouto erano cambiate, quei loro momenti d’intimità rubati al mondo si erano conclusi.

Anche quella mattina, il Principe di Fuoco e Ghiaccio sentì il compagno alzarsi prima di lui, ma la necessità di tornare a dormire gli impedì di chiedergli dove stesse andando. 

Quando aprì di nuovo gli occhi, il sole era già alto.

Scese alla scogliera e trovò Katsuki in acqua.

Due grandi pesci erano già stati gettati sulla roccia, accanto ai vestiti neri piegati alla male e peggio. Le due sfortunate creature si muovevano ancora, segno che erano stati strappati al mare da pochi minuti. Erano argentei, striati di azzurro, completamente diversi da quelli del Lago delle Mezze Stagioni, che erano di tutte le sfumature del giallo, arancione e rosso.

Prima che Shouto avesse il tempo di chiamarlo per avvertirlo della sua presenza, Katsuki s’immerse. Nell’attesa che tornasse in superficie, il Principe si sedette sullo scoglio più vicino all’acqua, proprio accanto al bottino di pesca. Si chinò per allentare i lacci degli stivali e se li sfilò, poi arrotolò l’orlo dei pantaloni fino al ginocchio per immergere i piedi nell’acqua del mare.

In un primo momento, a causa del freddo, li ritrasse. Non era una sensazione spiacevole, Shouto aveva solo bisogno di un minuto per abituarsi. Quando ci riuscì, gli venne la pelle d’oca e, per un bellissimo istante, sentì la testa leggerissima. 

Non c’erano più le nausee, i dolori e la stanchezza cronica che, per giorni, gli aveva reso difficile fare ogni cosa. Per la prima volta dopo tante settimane, era una buona giornata e voleva godersela in compagnia del suo Drago. 

Katsuki riemerse, questa volta a mani vuote. Da bagnati, i suoi capelli biondi sembravano meno indomabili e il suo corpo, baciato dai raggi del primo sole d’estate, era uno spettacolo da cui era impossibile allontanare gli occhi.

Shouto non affrettò il momento, aspettò che fosse l’altro ad accorgersi di lui, seguendo il tragitto delle gocce che scendevano dai fili dorati e accarezzavano quel corpo tanto giovane, ma già segnato dalle cicatrici di molte battaglie. 

I loro sguardi s’incrociarono e gli occhi di Katsuki si fecero grandi per la sorpresa. 

“Che cazzo ci fai qui?”

“Mi sono svegliato da solo,” rispose Shouto, mentre l’altro nuotava per avvicinarsi. “Pensavo che fossi qui e ti ho raggiunto.”

“Ti sei completamente bevuto il cervello?” Ringhiò Katsuki, sbattendo i pugni sulla roccia, a lato del corpo del Principe. “Il sentiero per scendere quaggiù non è come quello per arrivare alla spiaggia: è fottutamente scosceso e ci sono buche, spuntoni… Potevi mettere un piede su una roccia malferma e rotolare fino all’acqua! Non hai pensato a questo, idiota?”
Il silenzio che calò subito dopo fu più assordante delle urla. Katsuki era così, Shouto lo conosceva e sapeva come prenderlo, ma quello non era uno dei tanti momenti tra loro.

Per la prima volta dalla notte della loro fuga, erano solo loro due, e Shouto non aveva alcuna intenzione di essere comprensivo e paziente.

Non era un capriccio o una dimostrazione di orgoglio: aveva duellato con dolore e rabbia per giorni, diviso tra un fratello che lo detestava e un compagno che a stento lo guardava negli occhi, figurarsi parlargli.

Non se ne andò, non si mosse. Non era nel carattere di Shouto fuggire. Restò lì, a guardare il Drago dritto negli occhi. Katsuki però era cresciuto, sapeva riconoscere quando sbagliava e allontanò lo sguardo per primo. 

“Volevo stare con te,” disse Shouto.

“Sarei tornato da te non appena-”

“Il sole sarebbe tramontato,” concluse Shouto. “Ho visto che mi hai preparato il pranzo. Non avevi alcuna intenzione di tornare per mangiare con me.”

Katsuki sbuffò. 

“Sai bene che quando non sono con te è perché-”
“Touya dice che le dispense sono piene, che è inutile avvantaggiarsi tanto all’inizio dell’estate. Una caccia tanto abbondante si rivelerà necessaria tra tre mesi, con l’arrivo del freddo.”

“Oh, sì, Signor-Smilzo ha proprio l’aria di un esperto di caccia!”

Shouto non ci girò tanto intorno.

“Perché mi eviti, Katsuki?”

L’ultimo figlio del Clan Bakugou non era un vigliacco e, prima di rispondergli, tornò a guardarlo in faccia. 

“Te le ha messe in testa tuo fratello queste stronzate?”

“Non scaricare la colpa su Touya, non è da te.”

“Faccio quello che deve essere fatto per impedire a quel pazzo di buttarci fuori! Forse non te ne sei reso conto ma, tolto questo posto di merda, non ci rimangono molte alternative!”

“Non parlarmi come se non capissi in che situazione ci troviamo,” ribatté Shouto. Non urlava, ma ogni parola era affilata come una lama. “Tu non parli più con me…”

“Non è vero, parliamo ogni giorno.”

“Pochi minuti, prima che mi addormenti, e solo di Touya.”

“Nel caso non te ne fossi accorto, è una presenza piuttosto ingombrante. Degno figlio stronzo di padre altrettanto stronzo!”

Shouto aveva altre priorità e nessuna voglia di sprecare fiato a difendere l’opinabile onore degli uomini della sua famiglia. Prese le mani del compagno nelle proprie e usò tutta la dolcezza del mondo nel dire: “aspettiamo un bambino, Katsuki.”

Il Principe vide sul viso del giovane Drago la stessa espressione terrorizzata che aveva scorto la notte in cui avevano scoperto dell’esistenza della loro creatura. Questa volta, Katsuki non provò a nascondersi.

Shouto gliene fu grato.

“Ho paura anche io,” disse, appoggiando la fronte a quella del compagno.

Katsuki chiuse gli occhi e scosse la testa, ma non prese le distanze.

“Io non posso averne,” ribatté. “Io devo proteggerti.”

“Siamo io e te in questo,” disse Shouto, prendendogli il viso tra le mani. “Se deve essere una lotta-”

“Non abbiamo deciso noi che debba esserlo.”

“Lo so, ma possiamo ancora scegliere di combattere insieme.”

Katsuki strinse le mani intorno ai fianchi di Shouto, nascondendo il viso nell’incavo tra i collo e la spalla. Nel sentire il suo respiro caldo sulla pelle, il Principe avvertì le palpebre farsi pesanti e lo abbracciò.

“Io non so come tu faccia a non andare fuori di testa,” ammise Katsuki.

“Perché lo voglio,” disse Shouto, sincero. “Voglio dire… Sei tu. Con chi altro, se non tu?”

Suo malgrado, Katsuki sorrise. 

“Sei così stupido, Shouto. Non dovresti dire una cosa del genere a un uomo che non sa nemmeno trasformare in parole quello che prova per te.”

“Una volta ci hai provato…”

“Sì, ma non ero ubriaco abbastanza.”

Restarono insieme per il resto della giornata, parlando di tutto, meno che di Touya.

Non appena il cielo si tinse delle prime sfumature del tramonto, si distesero l’uno accanto all’altro per godersi lo spettacolo dei colori che cambiavano gradualmente, sfumando verso il blu.

“Senti qualcosa?” Domandò Katsuki, spinto dalla più semplice e sincera curiosità.

Shouto sorrise e scosse la testa. 

“No, non ancora,” rispose. “Beh… A parte le nausee, i giramenti di testa e la stanchezza cronica.”

Katsuki lo spiò con la coda dell’occhio. “Oggi non sei stato da schifo come al solito.”

“Oggi sto bene.”

Il Drago pensò di renderla un’occasione per insultare la famiglia degli stronzi.

“Questo non fa che confermare la mia teoria.”

“Che vuoi dire?”

Katsuki incrociò le braccia dietro la testa. 

“Quando non sei soffocato dalle ceneri della tua famiglia, tu brilli.”

Shouto divenne serio.

“Mi dispiace che tu lo dica.”

“Non lo stai negando.”

“Non voglio credere che la mia unica possibilità di essere felice sia lontano da loro.” 

Katsuki non lo capiva. Se fosse stato per lui, si sarebbe alzato in volo e avrebbe raggiunto la corte dell’Alto Trono per ridurla in macerie, poi sarebbe tornato indietro per fare lo stesso con quel fottuto Principe Esiliato.

Shouto non glielo avrebbe mai perdonato.

Lui, che aveva il cuore troppo gentile per il suo bene, credeva che la sua famiglia si potesse ancora salvare, che dalle ceneri potesse rinascere qualcosa, anche da quelli di Enji e Touya.

In quanto suo compagno, Katsuki aveva il dovere di restare al suo fianco in quella battaglia, ma senza perdere di vista le proprie priorità: nessuno doveva far del male a Shouto, non lo avrebbe mai permesso.

“Che cosa hai intenzione di fare?” Domandò il giovane Drago. “Quando tuo padre ti ha minacciato, hai agito d’istinto. Ora hai avuto tempo di riflettere.”

Shouto si portò la mano in grembo. 

“Non gli permetterò di avere il controllo sulla vita di nostro figlio.”

“Su questo non ci piove, dovranno passare sul mio cadavere.”

“Ma Touya ha detto una cosa che…” 

Shouto rivolse lo sguardo al cielo, che si era fatto quasi completamente blu. 

“Io spero ancora che il nostro bambino possa essere un nuovo inizio per tutti noi.” 

Affidò quel desiderio alle prime stelle, insieme alle promesse più dolci per la sua creatura.

“Aspettiamo che nasca,” aggiunse. “Aspettiamo che nasca e allora…”

Le sue parole vennero raccolte dal vento del Mare del Nord.

Katsuki non disse niente, non era bravo a parole.

Fece scivolare la mano sotto quella di Shouto, sul suo grembo.

Era il suo modo di promettere che c’era e ci sarebbe sempre stato, fino al suo ultimo respiro. 





 

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Capitolo 8
*** The Deal ***


8 Ottobre
Prompt: "Forgets the maps. Follow your instict"



VIII
The Deal

 

I was there for you in your darkest times
I was there for you in your darkest night
But I wonder, where were you?
When I was at my worst down on my knees
And you said you had my back
So I wonder, where were you?
When all the roads you took came back to me
So I'm following the map that leads to you

[“Maps” - Maroon 5]

 


 

La prima guerra contro i Nomu fu l’evento che portò Keigo a separarsi da Touya.

Da quando si erano incontrati, non era mai accaduto.

Il Re non aveva voluto nessuno dei suoi figli sul campo di battaglia, tantomeno il maggiore.

Fu il battesimo del sangue di Keigo Takami, conosciuto alla corte dell’Alto Trono come Hawks.

Combatté insieme agli altri Cavalieri della Corona per tre settimane, poi divenne disperso in azione.

Fu allora che la guerra cominciò anche per Touya.



 

Enji fu l’ultimo a venire a conoscenza dei fatti.

Attraversò il campo a passo di marcia, guadagnandosi le occhiate impaurite di tutti i soldati che assistettero alla scena.

“Tuo padre si arrabbierà.”

“Non m’importa, non preoccuparti di lui.”

Fu quello che udì, prima di entrare nella tenda reale. 

Touya era fuggito dal castello, nonostante gli fosse stato esplicitamente ordinato di starsene lontano dal campo di battaglia e di proteggere sua madre e i suoi fratelli. Non si era nemmeno limitato a disubbidire. No, era arrivato al campo militare e, senza preoccuparsi d’informare il Re della sua presenza, si era messo a dettare ordini ai Cavalieri della Corona per cercarne uno dotato di ali, scomparso qualche giorno prima.

Tutti i dubbi, figli dell’ottusità più che della mancanza di chiarezza, che il Re aveva ancora sulla natura del legale tra il suo Erede e il giovane Hawks sparì nel momento in cui li vide insieme. 

Il Principe era seduto sul letto, occupato a passare un panno umido sul viso del Cavaliere, che aveva le dita strette intorno al suo polso come per allontanarlo o tenerlo vicino a sé. Enji non seppe capire quale delle due e non riusciva a vedere l’espressione di Hawks per avere conferma. 

Non aveva alcuna importanza. Era lo sguardo di suo a dire tutto.

“Touya…”

Non appena lo vide, il Principe cambiò completamente espressione.

“Maestà…” Hawks provò a sollevarsi e mostrare un minimo di rispetto.

“Comodo, Cavaliere,” disse il sovrano.

“Fermo dove sei!” Esclamò Touya, nello stesso momento, obbligando l’altro a rimanere disteso.

I due Todoroki si lanciarono un’altra occhiata.

“Dove lo hai trovato?” Domandò il Re. “Ho setacciato tutta la zona per giorni e non c’era traccia di lui.”

“Era sottoterra.”

“Sottoterra?” 

“Sì, abbiamo trovato in una sorta di prigione sotterranea,” raccontò Touya. “L’accesso è una grotta a poche miglia da qui. Mirko ha memorizzato i dettagli del percorso meglio di me e sta facendo rapporto.”

Enji non riusciva a dare un senso a quel racconto.

“I Nomu sono bestie assetate di sangue, non fanno prigionieri,” disse.

“I Nomu sono armi nelle mani di qualcun altro, papà!” Esclamò Touya, come se stessero perdendo tempo a parlare dell’ovvio. “Affrontare questa guerra dando fuoco a ogni mostro che ci attacca non porterà a niente. C’è qualcuno a capo di tutto questo. Credi di sapere quello che stai facendo ma, in realtà, non hai idea di chi sia il vero nemico!”
Aveva ragione. Enji sapeva che aveva ragione, ma tutta quella supponenza non era tollerabile da parte di un Principe nei confronti del proprio Re. Prima che potesse ribattere a tono, Hawks prese la parola.

“Ascoltalo,” disse, mettendosi a sedere contro i cuscini del letto. Le ali sulla sua schiena erano piccole, segno che aveva combattuto di recente. “Io ero l’unico Cavaliere della Corona in quelle prigioni. Non mi hanno preso per usarmi contro di te, ma per studiarmi.”

Enji sgranò gli occhi. 

“C’erano altri prigionieri?”
“Se ne stanno occupando i curatori,” disse Touya. “Alcuni di loro sono bambini. Stavano facendo qualcosa là sotto, qualcosa di orribile.”
“Tu non ricordi niente?” Domandò il Re al Cavaliere.

Hawks scosse la testa. 

“Penso mi abbiano drogato per tenermi buono. Ricordo solo di aver ripreso i sensi di colpo quando…” Esitò. 

Sia Touya che Enji trattennero il fiato. Non era nel carattere di Hawks tentennare, sapeva indossare la maschera dello sbruffone anche nei momenti più difficili. La sdrammatizzazione, anche quella sgradevole, era uno dei suoi tanti, irritanti talenti.

“Stavano cercando di strapparmi le ali,” disse il Cavaliere, infine, gli occhi dorati fissi sulle proprie mani. “Non lo stavano facendo con una lama o una sega, come uno potrebbe immaginarsi. No, mi stavano scavando sotto la pelle. Volevano togliermele senza danneggiarle.”

“Hanno tentato di rubare il tuo potere,” concluse Touya. Questa volta fu lui a cercare gli occhi di suo padre. “È già successo?”
Enji scosse la testa.

“Non che io sappia. So che sono stati fatti molti esperimenti tra magia e scienza per provare a comprendere meglio la natura dei poteri che si tramandano di generazione in generazione, come accade per la famiglia Todoroki. Nessuna di queste è una bella storia.”

“C’è un Lord della corte che potrebbe arrivare a fare una cosa del genere?” Domandò Touya. “Nessun uomo del popolo con una mente brillante può arrivare a simili risultati da solo. Ha bisogno di appoggiarsi a un potente.”

“Adesso fai anche congetture sul fatto che la mia reggenza sia tanto distratta d’aver permesso a un traditore di avvicinarsi a noi, Touya?” 

Hawks chiuse gli occhi e si preparò all’inevitabile. Era un miracolo che non avessero cominciato a urlarsi addosso dal momento in cui il sovrano aveva messo piede nella tenda. 

Touya si allontanò da lui, fece il giro del letto per arrivare di fronte a suo padre.

“Ti rode tanto che abbia avuto successo in qualcosa in cui tu hai fallito?” 

Enji strinse i pugni.

“Non qui.”

Uscì dalla tenda con lo stesso atteggiamento rabbioso con cui era entrato. Touya lo seguì.

Gli sguardi di tutti i Cavalieri presenti furono testimoni di quella breve marcia di potere: un Re di quasi due metri che camminava a testa alta e un Principe, dall’aspetto decisamente più gracile, che non dava alcun valore all’etichetta e gli camminava accanto, come fosse un suo pari.

Entrarono nella tenda in cui era radunato il Concilio Ristretto e tutti i nobili chinarono la testa nel vederli entrare. Touya si fermò all’inizio del grande tavolo, su di esso erano aperte le mappe con le possibili strategie di attacco. Suo padre andò oltre, proseguì fino alla grande sedia posta al capo opposto del mobile.

“Lasciatemi solo con il Principe,” ordinò il Re.

Padre e figlio restarono a fissarsi per i pochi istanti necessari ai nobili per togliere il disturbo.

Una volta soli, il silenzio tra loro divenne quasi palpabile.

Toccò a Enji spezzarlo.

“Come hai fatto a capire dove cercare?” Domandò. “Abbiamo seguito tutti i percorsi delle mappe e non abbiamo trovato tracce né di lui né di nessun altro. Non ricordo nemmeno una grotta.”

“Ho cominciato dalle mappe, ma non le ho davvero seguite,” disse Touya.

“Che vuol dire?”

“Istinto,” rispose il Principe. “È una cosa che io e Keigo facciamo fin da bambini. Sappiamo come trovarci. Non so in che altro modo dirlo.”

Touya aveva riportato a casa il Cavaliere più promettente della nuova generazione, ma questo non cancellava il fatto che avesse scavalcato l’autorità del Re. Enji non poteva soprassedere.

“Sai che quello che hai fatto potrebbe costarti una condanna per tradimento?”

Touya non aveva alcuna intenzione di chinare la testa di fronte al suo sovrano, figurarsi se gli era passato per la mente di chiedere scusa a suo padre.

“Non avevi alcun diritto di prendere Keigo,” sibilò il Principe, velenoso. “Non avevi alcun diritto di scegliere lui per questa guerra e lasciare indietro me.”

Appena due battute ed Enji già sentiva la pazienza venire meno. 

“Non riesco a capire se ti disturba di più essere stato privato del tuo Cavaliere o dell’onore di combattere per la Corona.”

“Entrambe le cose!” Urlò il Principe, sbattendo le mani sul tavolo. “Combattere per questo regno non è solo un onore ma anche uno dei miei doveri, in quanto Erede dell’Alto Trono. Se mi privi di tutte le possibilità che il destino mi concede per provare il mio valore, come posso pretendere che le Casate mi rispettino?”

“Hai già dato prova del tuo valore,” gli ricordò il Re. “Quando il primo Nomu ha attaccato la corte, la notte del tuo compleanno. Sei stato tu ad abbatterlo e a salvarci tutti. Ti sei guadagnato la stima e la benevolenza della tua gente e, in quanto Principe della Corona, dovresti esserne soddisfatto.”

“Soddisfatto?” Le labbra di Touya si piegarono in un sorriso inquietante. “Come può soddisfarmi essere messo da parte perché mio padre mi crede un debole.”

“Non mettermi in bocca parole che non ho mai detto, Touya.”

“Però lo credi!”

Fu il turno del Re di sbattere il pugno sul tavolo. Istintivamente, Touya fece un passo indietro.

“Ti sei buttato contro un nemico di cui non sapevamo nulla, senza pensare!” Tuonò Enji. “Sei talmente avido di gloria che hai usato il tuo potere senza controllarlo. Sì, hai ridotto quel mostro in cenere, ma tutto quello che io e tua madre abbiamo visto sei stato tu, a terra, privo di sensi e ricoperto di ustioni!”
“Non mi è rimasto neanche un segno di quanto è accaduto,” disse Touya, la voce tremante per le lacrime che gli bruciavano agli angoli degli occhi.

“Perché sei un Todoroki!” Ribatté Enji, con rabbia. “Guarisci dalle ustioni in maniera diversa dalle altre persone. Questo non significa che tu possa continuare a farti male senza temere le conseguenze!”

“Allora aiutami a diventare più forte!” Touya aveva un orgoglio mostruoso, ma per avere l’attenzione di suo padre era disposto anche a implorare. “Non mettermi da parte, insegnami a controllare il mio potere!”

Il Re tenne lo sguardo fisso su di lui e non disse niente. Finiva lì il coraggio del grande Enji Todoroki.

Ma Touya era intelligente, sapeva leggere l’orrore dietro i suoi silenzi.

“Shouto è già più forte di me, vero?” Domandò.

Enji spostò gli occhi sulle mappe sparse sopra il tavolo, senza realmente vederle.

“La portata del vostro potere non determina il valore che avete per me.”

“No, papà, non è vero.” Touya scosse la testa. “Non ti azzardare a dire che ci ami tutti e quattro allo stesso modo, sarebbe la più vile delle tue menzogne.”

Si asciugò il viso con la manica della giacca. 

“Io non torno a casa.”

Enji se lo era aspettato.

“Touya…”

“Tramortiscimi, legami e trascinami alla corte dell’Alto Trono, se vuoi!” Urlò il Principe. “Mi opporrò con tutte le mie forze!”

Se ne ne andò prima di dare al padre la possibilità di ribattere.



 

Touya Todoroki, il Principe delle Fiamme Blu, combatté la prima guerra contro i Nomu al fianco di suo padre e del suo Cavaliere.

Tornarono vittoriosi.


 

-9 anni e mezzo dopo-




 

“Non ho capito,” disse Neito, quando il Primo Cavaliere ebbe finito di parlare.

L’espressione di Hitoshi, invece, tradì il giusto sbigottimento per l’occasione.

Hawks li aveva sottratti entrambi al loro allenamento del mattino, per portarli in una di quelle stanze in disuso che la servitù usava come magazzino per il vecchio mobilio.

“Devo parlarvi di una cosa della massima urgenza.” Era stata la scusa.

Nessuno dei due si era aspettato di ritrovarsi nel bel mezzo di un complotto ai danni del Re o qualcos’altro che ci andava molto vicino.

“Sei un tipo sveglio, Neito,” disse Hawks. “Sono certo che hai capito benissimo.”

Il ragazzo dai capelli biondi stirò le labbra in un sorriso nervoso.

“Io ho l’impressione che siamo qui, a respirare quest’aria polverosa, per organizzare un colpo di stato o qualcosa del genere.”

Hawks rise.

“Non c’è bisogno di essere così drammatici. Voglio solo che teniate sotto controllo il Re e i membri del Concilio Ristretto su mio comando, tutto qui.”

“Si tratta solamente di una missione che potrebbe, alla peggio, farci finire in prigione o decapitati,” disse Hitoshi, sarcastico.

Il Primo Cavaliere fece loro l’occhiolino. 

“Solo se vi fate beccare,” disse. “Inoltre, siete entrambi vicini al Maestro Aizawa. Sopratutto tu, Hitoshi. Lui è un uomo che potrebbe vedere con facilità attraverso le menzogne del Re, regolati sulle sue mosse e sulle sue parole.”

“Allora perché non parli direttamente con lui?” Domandò Hitoshi. “Sei parte del Concilio Ristretto anche tu. Perché usare noi come pedine, quando nessuno si sa muovere tra le ombre meglio di te?”

“Perché io sto per partire in missione,” rispose Hawks. “Ordini del Re in persona, nulla che debba interessare voi. E, per rispondere al dubbio su Aizawa, non mi ha mai visto di buon occhio. Non ho un titolo, nessuno sa nulla del mio passato e la mia educazione è avvenuta a porte chiuse. Inoltre, le mie azioni sono ambigue il più delle volte. Ha tutte le ragioni per non fidarsi di me.”

“Non capisco perché tu debba fidarti di noi, allora?” Domandò Neito, senza cattiveria. “E, allo stesso tempo, perché dovremmo fidarci di te?”

Hawks si era aspettato quel genere di obiezioni: i ragazzi erano intelligenti e lo stavano dimostrando al migliore dei modi. Non avrebbe potuto fare scelta migliore.

“Perché siete tra quelli che, dopo la fine della guerra, avrebbero incoronato Shouto,” rispose. “Perché non vi siete fatti remore a mettere in dubbio l’efficacia della reggenza del Re, suo padre. E perché so che accusate Enji di aver cacciato il Principe e il suo Drago dalla corte dell’Alto Trono.”

“Non lo accusiamo,” lo corresse Hitoshi. “Lo pensano tutti. Le tue parole descrivono solo due terzi della nostra generazione.” Non la smetteva di essere sarcastico.

“Sì, ma voi, più di altri, siete stati educati dal Maestro Aizawa,” disse Hawks. “Non vi ha permesso di essere idealisti. Non siete inibiti dal senso dell’onore o dal dogma che la Corona vada difesa a ogni costo. Siete i migliori che possono giocare questo gioco.”

Entrambi i fanciulli lo fissarono.

“Ci hai appena dato dei farabutti,” disse Neito. 

“Non prendetela sul personale.” Hawks sorrise, amichevole. “Ogni corte ha bisogno delle sue spie per controllare le cose dall’interno. Bene, dopo l’investitura di Cavalieri, eccovi quella di Spie. Congratulazioni!”

Per Hitoshi, quell’uomo alato stava parlando da perfetto folle. 

“Tu vuoi che spiamo il Re e membri del Concilio Ristretto, ma non ci hai detto di cosa sospetti.”

Hawks scrollò le spalle.

“Di qualunque cosa suoni sospettabile.”

Per Hitoshi, la conversazione poteva finire lì.

“Neito, andiamocene.”

L’amico lo trattenne per il braccio.

“Quello che dice, invece, ha senso.”

Hitoshi sgranò gli occhi.

“Ha senso, se vuoi morire da traditore.”

“Lui è il Primo Cavaliere,” puntualizzò Neito. “Allo stato attuale, è l’uomo più potente della corte dell’Alto Trono, dopo il Re. Pensi che, in seguito a una simile proposta, ci lascerà uscire da questa stanza come se nulla fosse?”

Hitoshi spostò gli occhi dal viso dall’amico a quello del Primo Cavaliere. L’espressione affabile di quest’ultimo aveva assunto delle sfumature inquietanti.

“Felice di sentire che uno di voi due abbia già capito le regole del gioco,” disse Hawks.

Neito piegò le labbra in un sorriso oscuro dei suoi.

“Devo confessarvi, Primo Cavaliere, che la gloria di un campo di battaglia è eccitante, sì, ma gli angoli bui di una corte mi hanno sempre affascinato.”

Hawks seppe di averne convinto uno, ora tutta la sua attenzione era per Hitoshi.

Il giovane dai capelli violetti esitò per un lungo momento ma, alla fine, tornò al fianco dell’amico tenendo le spalle dritte.

Il Primo Cavaliere ne fu soddisfatto.

“Hai fatto la tua scelta,” disse.

“Come se ne avessi una,” ribatté Hitoshi.

Non era rimasto perché aveva qualcosa da guadagnare dalla missione, ma perché non avrebbe mai lasciato Neito da solo in questo.

Era un sentimento che Hawks poteva rispettare.

“No,” concordò. “Temo che tu non ce l’abbia. Ora ascoltatemi bene. Ci sono dei dettagli che ho bisogno vi ricordiate a memoria. Per sicurezza mia e vostra non posso scriverli nero su bianco. Siete pronti?”

I due annuirono.

“Molto bene…”




 

C’era una sola città fortificata sulle pendici della Cintura Vulcanica Maggiore.

Nella piccola roccaforte erano stanziate poche decine di soldati, che rispondevano a un capitano cresciuto in campagna, entrato nell’esercito solo per sfamare la sua numerosa famiglia. In quella terra, sebbene fosse la culla della dinastia Todoroki, arrivavano solo gli echi delle grandi imprese compiute dalla Casate dell’Alto Trono. 

Se Hawks, Primo Cavaliere della Corona, si fosse presentato a quei cancelli in veste ufficiale, sarebbe stato accolto con tutti gli onori. Gli sarebbe stata riservata la stanza più accogliente del castello e la gente si sarebbe inchinata al suo passaggio, come se fosse un Principe.

Non era quello il suo scopo. Nei nove anni che era andato e venuto da quella regione sperduta, Hawks si era impegnato a farsi notare solo quanto bastava per essere un noioso vagabondo che attraversava il regno dal Nord al Sud cercando fortuna, ma senza combinare mai niente.

Pagava tutti i suoi conti, ma si guardava bene dal vestire gli abiti di un Cavaliere di corte. Di lui, raccontavano buffe storie sul fatto che fosse un perditempo desideroso di vivere qualche grande avventura e lo schernivano per l’enorme gobba che nascondeva sotto il mantello.

Andava bene così. Hawks era bravo a confondersi con la gente, a integrarsi in un contesto che non lo riguardava affatto. A quella città chiedeva solo un pasto caldo all’occorrenza e un letto comodo di tanto in tanto.

Quello che lo interessava davvero era oltre quei vulcani dormienti, in luoghi dove nessuno avrebbe mai osato inoltrarsi. La prima volta, a pochi mesi dall’esilio, Hawks si era dovuto spingere fino al Castello Vecchio per vederlo. Era rimasto a debita distanza e aveva passato tre notti lì, a dormire sulle rocce nere. In caso di eruzione improvvisa, non avrebbe avuto scampo, ma il Cavaliere aveva voluto rischiare.

A quel viaggio, ne erano seguiti molti altri, ma ne aveva parlato con Enji solo a un anno di distanza dal primo avvistamento, quando aveva avuto la certezza che Touya aveva fatto della vecchia fortezza Todoroki il suo rifugio.

Stagione dopo stagione, Hawks aveva cominciato a trovare Touya in luoghi diversi, anche nella città in cui alloggiava. Decine di volte avevano camminato lungo la stessa strada, a pochi metri l’uno dall’altro, senza che il Principe sapesse che il Cavaliere fosse lì. 

E Hawks lo aveva vegliato per nove anni, stringendo forte la magra consolazione di saperlo vivo, al sicuro.

Questa volta, quando il Primo Cavaliere fece ritorno alla Cintura Vulcanica Minore, aveva una nuova missione. Le regole restavano le stesse. Avevano funzionato per anni e avrebbe continuato a seguirle. 

Superò i cancelli nel tardo pomeriggio e, dato che pioveva, si affrettò a raggiungere la locanda in cui era solito prendere una camera. Era l’inizio della stagione calda e, con un po’ di fortuna, il temporale sarebbe stato solo un ricordo in mattinata. 

Hawks aveva bisogno che fosse così, lo aspettava un lungo volo e una grossa responsabilità alla fine di esso: doveva assolutamente avere la conferma che Shouto e Touya fossero insieme, che il primo stesse bene e che il secondo avesse accettato di buon grado la sua presenza. Al Primo Cavaliere piaceva pensare che, nel peggiore dei casi, avessero tracciato un confine in mezzo all’atrio del Castello Vecchio, prendendosi una metà dell’edificio ciascuno. Hawks era figlio unico, ma poteva immaginare che quella fosse la condotta infantile tipica di una coppia di fratelli litiganti. Sdrammatizzazione a parte, c’erano due cose che il Cavaliere non doveva assolutamente ignorare: lo stato mentale di Touya e la delicata condizione fisica di Shouto.

Ultimo ma non ultimo, c’era da valutare che ruolo avesse assunto Katsuki nella dinamica tra i due Todoroki.

Quella notte, ancora bagnato di pioggia, decise che non ci avrebbe pensato. Aveva bisogno di liberare la mente, non pensare troppo alla strada tortuosa su cui aveva spinto Neito e Hitoshi. Aveva bisogno di un momento per sé, per ricordarsi che stava facendo quello che doveva fare.

Non si tolse il mantello, anche se era bagnato. Nessuno doveva vedere le sue ali.

Scese nella taverna, scelse il tavolo più isolato della sala e ordinò una pinta di birra.

Rimase solo per una buona mezz’ora.

“Ti sei perso, Cavaliere?”

Hawks gelò, la pinta di birra sospesa a mezz’aria. Non conosceva quella voce, il fuoco e gli anni l’avevano cambiata, eppure suonava familiare. Se avesse sollevato lo sguardo, sapeva cosa avrebbe visto e non era certo di essere pronto a guardare in faccia i suoi demoni. Per anni era rimasto a osservarlo, certo che non avrebbe risposto al suo sguardo e ora che aveva perso il vantaggio dell’invisibilità, Hawks non si sentiva più così coraggioso.

“Non qui,” disse, abbandonando la pinta di birra sul tavolo. “Decidi tu dove, ma non qui.”

Non voleva che delle persone innocenti venissero ferite nello scontro tra lui e il peggior fantasma del suo passato. 

Touya lo lasciò andare e Hawks riprese a respirare.

“Vieni con me…”

Il Cavaliere lasciò qualche moneta sul tavolo e ubbidì.

L’uomo che gli camminava davanti non era molto più alto di lui, indossava una lunga giacca nera col cappuccio tirato sulla testa e camminava con le mani nascoste nelle tasche. 

Hawks lo seguì fuori dalla locanda, nella via principale della città, deserta per via dell’ora tarda. Non pioveva più.

Camminarono fuori dai cancelli e andarono avanti fino a che l’erba che ricopriva il terreno non venne sostituita dalla nuda e nera roccia dei vulcani dormienti. Salirono, fino a che le fiaccole sulle mura di cinta della città non divennero delle lucine tremolanti sotto di loro.

Fu Hawks a porre fine a quel vagare.

“Touya…”

Una lingua di fuoco blu illuminò l’oscurità, zittendolo e permettendogli di vedere in faccia quello che era stato il suo amico d’infanzia. Il Cavaliere si accorse che le fiamme avvolgevano il suo braccio destro, illuminando le cicatrici scure che lo ricoprivano. Non aveva importanza quanto diverso - sfigurato - fosse il viso di Touya, i suoi occhi erano sempre gli stessi, solo più spenti.

“Sei riuscito a farti crescere quella barbetta idiota,” notò Touya.

Istintivamente, Hawks si portò la mano al mento, ma lasciò cadere quell’inutile questione immediatamente. 

“Touya…”

“Smettila di pronunciare quel nome,” lo interruppe il Principe Esiliato. “Touya è morto nove anni fa. Io sono Dabi.”

Hawks aggrottò la fronte, poi rise. Fu un suono privo di qualsiasi allegria.

“Andiamo, non essere ridicolo.”

“Ridicola è la tua reazione, Cavaliere. Pensavo che, superati i vent’anni, ti fossi liberato di quell’aria da ragazzino sbruffone.”

Il Primo Cavaliere reclinò la testa da un lato. 

“Chi era il ragazzino sbruffone, tra noi due?”

La verità era che entrambi avevano avuto numerose occasioni per essere insopportabili, spesso contemporaneamente e con enorme afflizione da parte del Re. L’unica differenza tra loro era che Hawks non si era mai dimenticato l’esistenza di un limite da rispettare; Touya, al contrario, si era sempre impegnato per superarlo.

“Non sono qui per fare un viaggio nei ricordi.”

Lo avvertì Touya - no, Dabi.

“Lo sospettavo,” rispose Hawks, sarcastico. “Quando mi hai beccato? Cosa mi ha tradito?”

“Mio malgrado, non ti ho beccato,” disse Dabi. “Shouto… Shouto ti ha tradito. Molto furbo da parte del Re cacciare dalla corte qualcuno a conoscenza di un segreto simile.”

“Beh, gli hai offerto rifugio, quindi non è stato un male.” Hawks lo fissò. “Perché gli hai offerto rifugio, vero?”

Dabi sollevò l’angolo destro della bocca in un ghignetto perfido. Fu tanto per fare scena.

“Rilassati, il principino e la sua lucertola rabbiosa sono entrambi al Castello Vecchio.”

Lucertola rabbiosa. Almeno quella versione tinta di nero di Touya non aveva perso il suo sarcasmo e quel vizzietto che aveva di dare dei nomignoli a tutto e tutti.

“Strano che Katsuki non ti abbia ancora smembrato a morsi.”

Per il Cavaliere, quello era il vero colpo di scena. Si raccontavano tante storie sugli scontri di fuoco tra Draghi e Todoroki e si era aspettato di sentirne un’altra proprio dal Principe Esiliato. Qualcosa gli diceva che Shouto doveva aver impedito il peggio.

Dabi glielo confermò.

“Oh, vuole farlo ogni volta che mi posa gli occhi addosso,” disse. “Purtroppo per lui, il suo sposino sembra nutrire un qualche tipo di attaccamento fraterno nei miei confronti. Katsuki non può toccarmi.”

Un sorriso amaro comparve sulle labbra di Hawks.

“Tipico di Shouto.”
“Da dove è saltato fuori?” Domandò Dabi, non sorrideva più. “Non si può essere educati da Enji Todoroki e uscirne con una personalità del genere.”
Hawks scrollò le spalle.

“Evidentemente, è possibile. Non per offendere tua madre, non mi permetterei mai, ma non si può proprio mettere in discussione la sua paternità.”

Dabi fece uno sbuffo che era anche una risata.

“Devono averlo coccolato e viziato, mentre lo tenevano isolato da tutto e tutti.”

“Ti sbagli,” ribatté il Cavaliere. “Non gli è stata concessa nemmeno metà della tua libertà, nessuno ha avuto per lui la stessa premura e, al contrario, ha pagato il prezzo più caro per quello che è successo a te.”

Dabi non ne fu impressionato.

“Intendi la follia di mia madre?”
“Te lo ha raccontato?”

“Non nei dettagli, ma doveva essere pazza forte per sfregiare in quel modo il più piccolo dei suoi figli.” Il Principe Esiliato scrollò le spalle. “Forse non dovrei parlare. Enji ha questo effetto sulle persone: le distrugge da dentro e, alla fine, lui se la cava sempre e gli altri si trasformano in mostri.”

Hawks strinse i pugni e dovette ricordare a se stesso che non era lì per analizzare vecchi errori passati, ma per evitare che succedessero cose peggiori.

“Come sta Shouto?” Domandò.

Dabi gli lanciò uno sguardo eloquente.

“Sta come un fanciullo di diciassette anni con un bambino in grembo, scappato da casa a causa di un padre bastardo.”

“Oh…” Hawks sgranò gli occhi. “Lo stai difendendo? Perché quella suonava terribilmente come protettività.”

Dabi cominciava a perdere la pazienza.

“Che cazzo vuoi, Hawks?” 

Il Cavaliere non si era certo aspettato di sentirsi chiamare Keigo, ma quel nome avrebbe sempre avuto una nota stonata quando pronunciato dalla voce di Touya.

“Quello che voglio da otto anni,” rispose. “Per tutto questo tempo, il mio compito è stato assicurarmi che tu fossi vivo e in salute, ora devo fare lo stesso sia con te che con tuo fratello.”

Dabi rise, isterico. 

“Curioso come Enji abbandoni i figli e poi si preoccupi per loro.”

“Immagino tu capisca che, visti i recenti avvenimenti, la mia priorità non sei tu.”

“Non lo è nemmeno Shouto,” ribatté Dabi. “Tutto gira intorno al bambino, non è vero?”

Hawks non rispose.

Dabi estinse le fiamme e tornò a esserci solo il buio tra loro.

“Se pensi che Shouto tornerà alla corte dell’Alto Trono solo perché il Re ti ha mandato-”

“Non è mia intenzione convincerlo a tornare,” lo interruppe Hawks. “Per l’ultima volta: sono qui per assicurarmi che tu e lui stiate bene.”

Le tenebre si diradarono di nuovo. Questa volta, le fiamme blu erano sul palmo destro del Principe Esiliato.

“Continui a ripeterlo, ma mi sfugge che cosa tu abbia intenzione di fare.”

“Portami con te al Castello Vecchio,” disse Hawks, senza girarci troppo intorno. “Tuo padre rimarrà isolato nella sua corte e non dovrà essere informato dei fatti. Io sarò l’unico disturbo che dovrai sopportare.”

“Se sparisci nel nulla, tutto l’esercito reale sarà qui entro un mese.”

“Non sparirò, ma nemmeno tornerò indietro. Mi basterà mandare regolarmente dei messaggi a corte.”

“Così che tu possa chiamare i rinforzi?”

“Rinforzi che ridurresti in cenere?”

Dabi doveva ammettere che aveva che quella era un’obiezione convincente.

“Potrei ucciderti e scrivere quei messaggi di mio pugno, fingendomi te.”

Hawks sollevò l’angolo destro della bocca in un ghigno.

“Ricordi i nostri messaggi in codice? Se un intruso si fosse intromesso nella nostra corrispondenza, lo avremmo capito subito. Se mi succede qualcosa, i miei uomini lo sapranno in ogni caso e sarà una brutta seccatura per te.”

Il Cavaliere guardò il Principe dritto negli occhi.

“Inoltre,” aggiunse. “Se avessi voluto uccidermi, lo avresti fatto subito.”

“Beh…” Dabi fece un rapido calcolo. “Tu, Shouto, la lucertola e il moccioso in arrivo sono molte seccature.”

“Se non hai già cacciato o ucciso tuo fratello, hai le tue ragioni per volerlo tenere con te,” ribatté il Cavaliere. “Ti conosco. Stai pianificando qualcosa.”

Dabi allargò le braccia in un gesto teatrale.

“Mi hai beccato! Quanto sei bravo, Primo Cavaliere!”

Era ovvio che il Principe Esiliato volesse sfruttare la situazione a suo vantaggio per ferire suo padre e vendicarsi, ma per farlo gli sarebbe bastato uccidere Shouto mentre portava ancora il bambino in grembo. Perché aspettare? Katsuki era una minaccia, sì, ma era di Touya Todoroki che si stava parlando.

Per quanto Hawks si sforzasse, non riusciva ad avere un’intuizione che lo convincesse.

Al momento, era importante che Dabi accettasse la sua presenza e non lo vedesse come una minaccia.

Fece un gran sospiro, poi slacciò la cintura a cui era legata la sua spada e questa cadde a terra. Alzò le mani in aria, come se si stesse arrendendo. 

“Ora sono alla tua mercé, mio Principe.”

Dabi lo fissò come se fosse un completo idiota. 

“Dovrei far finta di non sapere che nascondi due ali sotto quel mantello?”

“Non era mia intenzione disarmarmi, non sono stupido,” disse Hawks. “Volevo solo offrirti qualcosa su cui poter basare un accordo.”

Dabi guardò l’arma a terra con sufficienza. 

“Ho centinaia di spade al Castello Vecchio.”

Il Cavaliere ghignò.

“Questa non è centinaia di spade. Davvero non la riconosci?”

Dabi si fece più vicino, allungando la mano per illuminare al meglio l’oggetto in questione. Quando comprese cosa stava succedendo, sgranò gli occhi.

“Perché ce l’hai tu?” Domandò. “Non dovresti averla tu.”

Un tempo, era stato Touya stesso a darla a lui, senza nessun merito per cui dovesse possederla. Ora era solo un ricordo perduto, appartenuto a un’altra era.

“Perché tuo fratello ha giurato che l’avrebbe gettata nella bocca di un vulcano attivo, piuttosto che impugnarla.”

Dabi lo guardò dritto negli occhi.

“Non provare a fregarmi, Hawks.”

“Non ci sono mai riuscito e non ci proverò ora.” Inspirò aria dal naso. “Abbiamo un patto?”

Il Principe Esiliato raccolse la spada da terra, le fiamme blu si spensero ma l’oscurità cadde su di loro solo per pochi istanti. Non appena la lama venne liberata dalla guaina, il tepore del fuoco rosso che l’avvolgeva la squarciò, illuminando il sorriso sinistro sul volto di Dabi.

“Sì, Cavaliere, penso che abbiamo un patto.”

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Capitolo 9
*** The Unworthy Hero ***


9 Ottobre

Prompt: “It’s not me. It’s you…”


IX

The Unworthy Hero

 

 

So come on, I'll take you on, take you on, I

Ache for love, ache for us, why

Don't you come, don't you come a little closer

[“Fire meet Gasoline” - Sia]



 

In occasione del torneo, era stata issata una grande tenda accanto alle scuderie, per permettere ai Cavalieri delle Casate di prepararsi per la competizione e attendere il loro turno di scendere nell’arena. Vi era un preciso cerimoniale da seguire: il condottiero era affiancato da uno o due valletti che lo aiutavano a indossare l’armatura, e una persona fidata, di solito un fratello minore, aveva il compito di accompagnarlo fino all’arena e porgergli la lancia per il duello.

Katsuki non aveva un vero entourage. Non era nato in una Casata da rappresentare, così si era presentato in veste di Cavaliere della Corona, sebbene non fosse mai stato investito ufficialmente.

Non era per l’onore del Re che aveva deciso di partecipare a quella stupida giostra ma, al contrario, perché aveva qualcosa da dimostrare a lui e a tutte le Casate dell’Alto Trono. 

Quel quattrocchi di Hizashi Yamada doveva aver intuito qualcosa, o forse era stato il Maestro Aizawa a mettergli la pulce nell’orecchio, perché lo aveva fissato a lungo, prima di annunciargli che sarebbe stato l’ultimo del primo turno.

Alcuni dei suoi vecchi compagni d’armi si erano offerti di accompagnare Katsuki in quella nuova impresa. Il giovane Drago li aveva rifiutati tutti, ma aveva preteso la presenza di uno. Solo uno.

“Sapevano che farti aprire la competizione avrebbe infuocato troppo gli animi dei veterani o scoraggiato terribilmente i novellini,” disse Hawks. “Non sarebbe stato corretto nei confronti degli altri Cavalieri.”

“Non mordo mica,” si difese il giovane Drago.

Il Primo Cavaliere, inginocchiato a terra per aiutarlo a indossare i calzari dell’armatura, gli lanciò un’occhiata eloquente dal basso. 

“Stai zitto!” Ringhiò Katsuki.

“Non ho detto niente,” si difese Hawks, ma rideva divertito. 

Si alzò e fece un passo indietro.

“Fatti guardare.”

Con quell’armatura splendente addosso e quel mantello rosso sulle spalle, Katsuki si sentiva sinceramente ridicolo. 

L’espressione soddisfatta di Hawks non rifletteva affatto quel suo pensiero.

“C’è poco da fare,” disse. “Sei nato per questo.”

Katsuki la prese come un’offesa.

“Sono nato per il campo di battaglia e questa è una pagliacciata!”

“Certo che lo è,” confermò il Primo Cavaliere, avvicinandosi per aggiustargli il mantello sulle spalle. “I tornei come questo esistono per farsi belli, pavoneggiarsi un po’ e attirare l’attenzione dei potenti nel modo giusto.”

“Non voglio fare nessuna delle tre cose.”

“Certo che no, non ti serve.” Hawks sorrise malinconico, come colto da un improvviso pensiero nostalgico. “Tu hai tutta l’attenzione del Principe della Corona.”

E qui si arrivava al motivo per cui il giovane Drago aveva scelto di avere un entourage composto solo dal Primo Cavaliere del Re.

“Una volta entrato nell’arena, intendo chiedere il favore di Shouto.”

Hawks gelò. Katsuki se ne accorse ma, come sempre, il Cavaliere fu bravo a dissimulare.

“È una cosa proibita,” gli disse, eppure sorrideva.

“Non me ne importa,” ribatté il Drago.

“Sicuro?” Hawks recuperò l’elmo splendente dalla panca. “Non t’importa o vuoi farlo proprio per questo?”

Il Cavaliere alato non aveva davvero bisogno di una conferma a parole, non quando c’era solo determinazione negli occhi scarlatti del più giovane.

“Beh… Allora capisco perché, tra tutti, hai scelto proprio me per essere qui. Vuoi sapere che cosa fare? Comincia tutto con una bella entrata al galoppo, il pubblico va in delirio e, mentre hai gli occhi di tutte le Casate dell’Alto Trono su di te, ti fermi sotto la tribuna reale e-”

“So che devo fare, idiota!” Lo interruppe Katsuki.

“Molto bene.” Hawks abbandonò l’elmo sulla panca e gli appoggiò entrambe le mani sulle spalle. “Sei bello, sei forte, sarà un successo. Ti direi buona fortuna, ma non ti serve: vincerai tutto nel momento in cui Shouto ti sorriderà e andrà contro tutte le regole per te e con te. Ora, fammi andare a vedere come va là fuori, ci stanno mettendo un’eternità.”

Stava prendendo le distanze per interrompere il discorso. Katsuki non era mai stato un tipo pietoso, lasciò che si allontanasse ma non troppo.

“Quando è morto Izuku, sei stato l’unico a essere onesto con me,” disse.

Il Cavaliere si fermò al centro della tenda vuota.

“Quella volta, mi hai raccontato parte della tua verità, ora voglio il resto della storia.” Katsuki lo disse pur sapendo di non avere il diritto di chiedere niente. Forse solo Shouto avrebbe potuto avanzare una simile pretesa. Hawks fu gentile con lui, forse intenerito alla vista di un altro fanciullo pronto a esporre se stesso al giudizio del Re per un sentimento proibito.

“Che cosa vuoi sapere?” Gli concesse, sorridendo.

“Perché lo feci?” Domandò Katsuki. “Perché chiesi il favore di Touya, pur conoscendo tutti i rischi?”

“Esiste una risposta ragionevole e una romantica. Quale delle due?”

“Entrambe.”

Nel raccontare, Hawks tornò sui propri passi. “Enji è ossessivo, Katsuki, e questo gli impedisce molte volte di vedere le cose per come stanno. Tuttavia, non è uno stupido. Non rischiai niente nel chiedere il favore di Touya a quel torneo, perché la priorità del Re era la sicurezza del suo primogenito. Fin tanto che Touya era felicemente distratto con me, evitava di farsi del male. Shouto aveva già otto anni, c’era lui per i sogni di gloria.”

Katsuki storse la bocca in una smorfia disgustata. 

“Come puoi essere tanto leale a uno stronzo simile?”

“Avevo quindici anni,” rispose Hawks. “Vedevo in Enji un padre che cercava di proteggere il suo primogenito e per me, il figlio di un assassino, era il massimo della virtù. Inoltre, Touya era caro a lui quanto a me. Non avevo la maturità né il senso critico per capire che, proteggendolo, lo stavamo massacrando tutti e due.”

“E la seconda risposta? Quella romantica…”

“Quella romantica…” Hawks si sedette sulla panca, recuperando l’elmo e appoggiandoselo sulle gambe. Si specchiò sulla superficie lucida, ripensando alla prima volta in cui ne aveva indossato uno uguale, proprio per partecipare a una giostra come quella. 

“Touya mi vedeva come un burattino nelle mani di suo padre. Mi cercava, mi voleva e io ricambiavo ogni sentimento, ma lui non ha mai creduto a nessuna delle mie parole. Volevo dimostrargli qualcosa. Non potevo inginocchiarmi e dirgli che lo amavo, non potevo andare da suo padre a chiedere la sua mano. Perciò ho pensato di chiedere il suo favore a un torneo. Ho messo l’armatura splendente da Cavaliere della Corona e, una volta catturata l’attenzione di tutto il regno, ho detto, senza dire una parola, che il Principe delle Fiamme Blu era mio.”

Katsuki ebbe l’impressione che Hawks non stesse più nemmeno parlando con lui.

“E che cosa è successo?”

“È successo che Touya a quel gesto ha creduto.” 

“Ma è finita male lo stesso.”

“Non tutti i Cavalieri sono destinati a un lieto fine con il loro Principe.” Hawks gli porse l’elmo. “Ma questa non è la storia mia e di Touya, è tua e di Shouto. Siete ancora in tempo per scrivere il finale che preferite, insieme.”

In un raro momento d’intesa, Katsuki prese l’elmo e gli sorrise.


 

-3 mesi dopo-



 

Katsuki si sentiva indegno.

Nonostante la spavalderia, la violenza determinazione con cui faceva ogni cosa e quell’atteggiamento tanto sicuro da portarlo a sminuire gli altri, Katsuki, futuro Capo del Clan Bakugou, era schiavo di una continua lotta con se stesso da quando era bambino.

Figlio di una Signora dei Draghi e un comune essere umano, suo padre non aveva potuto fare molto per la sua educazione, a parte dargli affetto. Era a sua madre che doveva quello che era. Lei lo aveva fatto nascere in un angolo di mondo sicuro, lontano dagli scontri sanguinosi degli altri Clan di Draghi, ma gli aveva insegnato a non dare nulla per scontato.

“Questo è un mondo in cui uccidi o vieni ucciso e non si tratta solo della tua vita, ma anche di tutte quelle che sono legate a te. Sei nato per essere un leader. Sarai sempre il primo a scendere sul campo di battaglia e l’ultimo a lasciarlo, ma non ti permettere mai di pensare a te stesso come sacrificabile.”

Così Katsuki non si era mai permesso di essere meno del migliore. La parte ironica e, al contempo, triste della storia era che più cresceva, diveniva forte e comprendeva le parole di sua madre sull’importanza delle vite legate alla sua, meno si sentiva degno di quello che aveva.

“Nascerà con le ali?” Domandò Shouto, tracciando distrattamente le linee dei suoi muscoli con la punta dell’indice.

Erano stesi sulla spiaggia di sabbia nera, sopra il mantello di pelliccia del giovane Drago, all’ombra della scogliera. Oziavano entrambi, senza vestiti, crogiolandosi nel calore dell’estate e della vicinanza l’uno dell’altro.

Katsuki trovava quella posizione tanto confortevole che aveva chiuso gli occhi.

“Noi Draghi non nasciamo con le ali,” rispose. “A differenza di quello che molti credono, non nasciamo nemmeno da delle uova, ma penso che questo tu lo abbia capito meglio di me.”

Le mani di Shouto su di lui erano un dolce invito a cedere al sonno, ma Katsuki non voleva addormentarsi. Per quanto desiderasse che il pazzo lunatico fosse caduto in un crepaccio, incontro alla sua morte, sapeva che presto quella parentesi di pace tra loro due sarebbe finita. Voleva godere di ogni momento a disposizione.

“Quando comincerà a trasformarsi?” Shouto proseguì con le domande.

“Non è detto che lo faccia.”

“Che vuoi dire?”

Katsuki sollevò le palpebre per guardarlo. Il Principe aveva la testa appoggiata alla sua spalla e i loro visi erano tanto vicini che al giovane Drago sarebbe bastato sporgere le labbra in avanti per baciarlo. 

“Entrambi apparteniamo alle così dette Dinastie del Fuoco, tu da parte di padre, io da parte di madre. Ma tu…” Katsuki arrotolò una ciocca di capelli bianchi intorno all’indice. “Tu hai anche il potere dei Signori del Ghiaccio dentro di te. Il moccioso potrebbe decidere di rendere onore solo alla linea di sangue di tua madre. Non serve che ti spieghi quanto queste cose siano contorte, hai tre fratelli.”

“Potrebbe anche essere come tuo padre e nascere senza poteri, allora.”

“Lo escludo. Izuku aveva fatto molte ricerche su questo tema. La magia è dominante nel sangue di una famiglia. Servono molte generazioni di unioni con consorti privi di poteri per cancellarla e non ci si riesce mai del tutto. Scegliendo un uomo comune come compagno, mia madre non ha davvero rischiato niente. Al contrario, capita che nascano bambini dotati da persone completamente normali perché, in origine, nel sangue di quella famiglia scorreva magia.”

“Hawks è stato uno di quei bambini,” disse Shouto. “I suoi genitori non avevano le ali.”

“Il potere del moccioso ha qualche importanza per te?” Domandò Katsuki. 

Shouto scosse la testa e rispose senza esitare: “no.”

“Allora perché ti sei oscurato?”

Il Principe evitò lo sguardo del compagno, nascondendo il viso contro il suo petto.

“C’è tanta magia nel nostro sangue, Katsuki,” disse. “Forse troppa…”

Il Drago infilò la mano tra i capelli bicolore, spingendolo a sollevare lo sguardo. 

“Che vuoi dire?”

“Quando due poteri molto forti si uniscono, non sempre va a finire bene.”

“Ti riferisci a tuo fratello?”

Shouto scosse la testa.

“A Touya è successa una cosa brutta ma è nato sano, forte.”

“E perché nostro figlio non dovrebbe nascere sano e forte?”

Shouto si sollevò a sedere, rivolgendo lo sguardo al mare.

“I Todoroki conducono un gioco pericoloso da sempre, Katsuki,” disse. “Ti sei mai chiesto perché noi siamo quattro, mentre mio padre è l’unico Todoroki della sua generazione?”

Con la punta delle dita, Katsuki tracciò la fossetta in mezzo alla schiena del compagno.

“I nemici dei Todoroki - e i Draghi lo sono per loro natura - non perdono occasione di raccontare di come ci siano state generazioni di Todoroki fatte solo di figli difettosi,” disse. “Quello che i Clan non dicono è che i Draghi sono sempre meno perché si preferisce attaccare i nidi, piuttosto che combattere delle battaglie da guerrieri alla pari. Alla fine della storia, i bambini pagano il prezzo della sete di potere degli adulti. È una storia vecchia.”

Shouto appoggiò la guancia sulle ginocchia e lo guardò. 

“Nostro figlio non nascerà per il potere,” disse. “Ma ho paura che, nonostante questo, la maledizione della mia famiglia lo colpirà lo stesso.”

Katsuki sollevò la mano, fino a toccargli i capelli sulla nuca.

“Tuo padre è uno stronzo ma ha giocato bene le sue carte, Shouto,” lo rassicurò. “Ha scelto una moglie con un potere opposto al suo. È rimasto fedele alla linea di pensiero dei Todoroki ma, invece di distruggere la propria stirpe, ha reso la sua linea di sangue più forte. Quattro figli concepiti, quattro nati e tutti e quattro divenuti adulti, compreso il pazzo che si è dato fuoco da solo. Qualunque malattia avesse reso maledetta la famiglia Todoroki, tu non ne sei portatore. Nostro figlio starà bene.”

Shouto gli sorrise.

Katsuki lo guardò come se gli avesse dato uno schiaffo.

“Che cosa c’è?” Domandò, quasi ringhiando.

“Mi piace quando lo dici.”

“Cosa?”

Nostro figlio.”

Indegno. Quella parola riecheggiava nella mente di Katsuki ogni volta che Shouto lo guardava come se fosse tutto il suo mondo, e non si accorgeva di come la sua stessa esistenza fosse un miracolo. Non per il modo perfetto in cui aveva ereditato i poteri di entrambi i genitori, ma per la persona che era. Dopo la guerra, Katsuki non era riuscito a muovere un passo; Shouto aveva retto l’intero regno in nome di un padre a cui non doveva niente. Eppure, non lo odiava. Katsuki lo sapeva senza chiederglielo. 

Non conosceva la storia di Touya, sapeva solo come era finita. Quella di Shouto era stata una tragedia fin dal primo giorno ma non appena l’aveva stretta tra le dita, l’aveva resa tra le più belle che il giovane Drago conoscesse.

E tutto quello era per lui, per Katsuki. Shouto non solo gli aveva donato tutto se stesso, ma gli stava dando anche un figlio. 

Come poteva sentirsi degno di avere tanto? Lui, che non era riuscito a proteggere Izuku, era davvero in grado di crescere una famiglia in quel mondo corrotto?

”Ti fidi di me, Kacchan?”

Gli aveva domandato il suo amico d’infanzia, il suo primo Cavaliere, il suo primo amore, prima di rivelargli che aveva visto in sogno il futuro. Un futuro in cui andava tutto bene, anche se non sarebbero mai più stati insieme.

“Katsuki…” Shouto gli liberò il viso dalla frangia con una carezza.

Il giovane Drago lo guardò dal basso, perdendosi in tutti quei dettagli che lo rendevano unico, perfetto ai suoi occhi. Katsuki non si era mai posto il problema di essere capace di amare; Izuku quel sentimento glielo aveva strappato dal petto, senza fargli male. 

Shouto, invece, gli aveva dato torto quando si era convinto che non lo avrebbe provato mai più. E, ancora una volta, Katsuki si sentiva indegno perché non conosceva le parole per confessare al suo Principe tutto quello che provava e perché sapeva che c’erano segreti - suoi e di Izuku - che a Shouto non avrebbe mai rivelato.

“Che cosa c’è?” Incalzò il suo compagno.

Katsuki prese la sua mano e se la portò alle labbra.

“Vieni qui,” soffiò sulla sua pelle.

Non aveva importanza quante volte si fossero tolti a vestiti a vicenda, quell’intimità continuava a dare al giovane Drago l’impressione che la sua stessa pelle non potesse contenerlo. Appena Shouto si lasciò andare nell’abbraccio e i loro corpi aderirono completamente l’uno all’altro, Katsuki chiuse gli occhi, premendo il viso nell’incavo tra il collo e la spalla per poter respirare il suo odore a pieni polmoni. 

Passione e pace divenivano una sola cosa lì, tra le braccia di Shouto.

Cominciò a baciarlo sul collo, dove la pelle era più sensibile e poteva sentire il cuore pulsare sotto le labbra.

“Shouto…?”

Non c’era bisogno di chiedere nulla.

“Sì…”

Le loro bocche si cercarono con necessità in un bacio al sapore di salsedine. Gli eventi delle ultime settimane li avevano inevitabilmente allontanati, spingendoli in una lotta per la vita che non si erano aspettati di dover combattere. Ma per chi si desiderava come loro, non vi era alcuna distanza incolmabile. Shouto si lasciò spingere sul mantello di pelliccia, arrendevole sotto la bocca calda di Katsuki, che lo divorava dolcemente, un lembo di pelle alla volta. Si fermò sotto l'ombelico e Shouto sentì il suo respiro caldo addosso per un lungo minuto, poi il compagno gli posò sul grembo un bacio più lungo degli altri.

Il Principe si coprì il viso con il braccio, cercando di cacciare indietro le lacrime che sentì pungere agli angoli degli occhi. Ma era al sicuro, poteva lasciarsi andare. Katsuki glielo ricordò con un altro bacio sulle labbra, mentre faceva scivolare le dita tra le sue. 

Erano insieme.

Anche se il mondo intero era contro di loro, erano insieme.

 

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Capitolo 10
*** Nothing At All ***


10 Ottobre

Prompt:“Sweet dreams are made of this”


X

Nothing At All



 

What about us?
What about all the times you said you had the answers?
What about us?
What about all the broken happy ever afters?
What about us?
What about all the plans that ended in disaster?
What about love? What about trust?
What about us?

[“What about us?” - Pink]




 

Hawks non era un tipo ansioso.

Al contrario, aveva la stoffa dello stratega. 

Non era incline a farsi prendere dal panico, esaminava ogni possibilità, elaborava piani di emergenza e creava vie d’uscita da qualsiasi situazione, anche la peggiore.

Combattere una guerra insieme a Touya, ma non al suo fianco, stava solleticando il suo lato paranoico un po’ troppo spesso. Alla corte, Hawks godeva del favoritismo del Re ma lì, sul campo di battaglia, era un soldato come tanti altri. 

Touya, invece, restava un Principe sia dentro che fuori le mura del castello in cui erano cresciuti. Enji evitava come poteva di perderlo di vista, ma l’animo del suo primogenito era quello indomito di un Todoroki. Creava le sue formazioni, seguiva le sue strategie, non chiedeva il permesso a nessuno e vinceva. Sì, ma ogni vittoria riportata si accompagnava a un nuovo incidente, una nuova ferita, un altro motivo per far infuriare il Re.

“Cosa devo fare per convincerti a seguire i miei ordini?”

Mentre affondava gli stivali nel terreno fangoso del campo militare, Hawks era certo che anche ai confini del regno stessero udendo la voce del sovrano.

“Potresti smettere di darmeli!” Fu la replica del Principe.

Hawks si fermò e chiuse gli occhi, sentendo lo schiaffo come se l'avesse subito lui. Touya non era uno stupido, ma sarcasmo e provocazione erano le sue prime armi e le usava d’impulso, sapendo che ci avrebbe rimesso a basta.

Hawks scostò il tendaggio quanto bastava per poter spiare all’interno dell’alloggio reale. Touya sedeva contro i cuscini del letto con le ginocchia strette al petto. Qualcuno lo aveva medicato, aiutato a lavare via il fango del campo di battaglia e a indossare dei vestiti puliti. Hawks conosceva la riluttanza del Principe nel farsi toccare ed era persuaso a credere che fosse stato il Re stesso ad assisterlo nei suoi bisogni.

Enji era in piedi accanto al letto, il volto scuro e stanco. La presenza del suo Erede sul campo di battaglia lo stava consumando più della guerra stessa.

Touya avrebbe dovuto starsene a casa, invece era lì, a giocare una partita pericolosa contro la morte per affermare il proprio valore, quasi volesse spingere il padre alla follia.

Enji prese un respiro profondo. Lo schiaffo era stato una perdita di controllo momentanea, se ne pentiva ma non avrebbe mai chiesto scusa.

Touya, da parte sua, continuava a tenere lo sguardo alto e fiero.

Hawks pensava che fossero l’uno degno dell’altro, ma si guardava bene dal dirlo ad alta voce, soprattutto al più giovane.

“Non so più come parlare con te,” ammise Enji.

“E allora non parlarmi,” ribatté Touya. “Lasciami combattere al tuo fianco e basta!”
“Touya, qualunque cosa io faccia è per-!”

“Il mio bene?” Lo procedette il Principe. “Guardami, papà. Eri con me ogni giorno, ero il tuo Erede, ero il tuo orgoglio. Ora devo inseguirti per ricevere uno sguardo da te, perché non fai che evitarmi!”

“Questo non è vero, Tou-”
“Non essere codardo!” Touya era troppo orgoglioso per mettersi a piangere di fronte a suo padre, ma anche se lo avesse fatto, non sarebbe apparso meno fiero di quello che era. “Continui a nasconderti dietro all’onorevole intenzione di proteggermi, di volere il mio bene. Guardami, papà, ti sembro stare bene?”

Il dolore del Principe si sentiva tutto. E se Hawks riusciva ad avvertirlo sotto la pelle, il Re non poteva essergli indifferente. Si avvicinò al figlio, allungando una carezza tra i capelli candidi che Touya non rifiutò, nonostante lo sguardo tagliente.

“Tu sei il mio Erede e il mio orgoglio,” disse Enji. “Nulla può cambiare questo, mettitelo in testa.”

Il Principe allontanò la mano del padre da sé.

“Non credo più a una parola di quello che mi dici.”

“Al gesto di Hawks al torneo hai creduto,” disse il Re. 

Slacciò la cintura della spada e la lasciò cadere sul letto.

Il giovane Cavaliere che stava assistendo alla scena sgranò gli occhi.

Touya ebbe la sua stessa reazione.

“Questa lama non ti serve, ne sono consapevole,” aggiunse Enji. “Il tuo fuoco è più potente del mio e io per primo porto quest’arma solo per un valore simbolico. Pensi che tu debba lottare per un mio sguardo? Ti guardo sempre, Touya, continuamente. Non credere alle mie parole, se non vuoi. Accetta questo gesto, puoi tenere questa spada per te o donarla al Cavaliere che ritieni più meritevole.”

Touya nemmeno si azzardò a toccarla.

Hawks vide il Re accennare un sorriso, mentre si allontanava.

“Il campo di battaglia di oggi è tuo,” disse al figlio. “I Cavalieri vorranno onoranti come è giusto fare con un Principe vittorioso. So che non ami questo genere di eventi e lo comprendo, ma sarebbe opportuno presentarsi.”

Improvvisamente mansueto, Touya annuì.

“Ho capito, papà.”

Il Re si spostò verso l’uscita della tenda troppo velocemente. Hawks indietreggiò, per poco non inciampò nella coda delle proprie ali. Quando Enji mise un piede fuori, lui era ancora lì a cercare di non cadere nel fango sul di dietro. Si guardarono. L’uomo non parve sorpreso di trovarlo lì, né disturbato dal fatto che avesse origliato la conversazione con suo figlio.

Hawks piegò le ali e incrociò le dita dietro la schiena, sfoderando il sorriso più innocente del suo repertorio. Peccato che le sue maschere non funzionassero né col padre né con il degno erede. 

“Touya,” chiamò Enji, evidentemente annoiato da tutto quel romanticismo adolescenziale mal celato. “Hai una visita.”

Uscì dalla tenda per permettere al Cavaliere di entrare.

Appena lo vide, Touya gli sorrise. 

“Vieni,” disse, accompagnando l’invito con un gesto della mano. La sua espressione cambiò non appena si accorse dello stato in cui versava. “Sei ferito?” Domandò, scendendo dal letto e dimenticando la spada dove suo padre l’aveva lasciata.

“Resta a riposo, Touya,” gli disse Hawks. “Ero solo passato per vedere come stai.”

“Sto come un Principe in guerra con un padre ansioso, ma perché resti lì, al buio? Vieni più vicino.”

“Ho gli stivali sporchi di fango.”

Nelle tende reali, il terreno era ricoperto da tappeti per impedire ai signori di sporcarsi. “Toglili e vieni qui, qualcuno deve lavare quelle ferite.”

Hawks rise, come se fosse una battuta.

“È un dovere delle donne del campo, non del Principe della Corona.”

“Vuoi farti toccare da una donna del campo?” Domandò Touya, gelido.

Quando lo guardava in quel modo, come a sfidarlo a farlo arrabbiare, quegli occhi turchesi divenivano la cosa più bella e pericolosa di tutte le terre dell’Alto Trono.

Hawks ingoiò a vuoto, ma il brivido che gli attraversò la schiena fu la sensazione più piacevole di tutta la giornata.

“Avete frainteso, mio Principe.”

Touya arrivò sul bordo del tappeto. Erano alti uguali e sarebbe bastato che uno dei due si sporgesse per rubare un bacio all’altro. Il Principe appoggiò una mano sul petto del Cavaliere e ci andò vicino, ma non troppo. 

“Ti ricordi quando siamo sgattaiolati nella torre degli oggetti proibiti?”

Era accaduto appena un anno prima, ma sembrava fossero passate molte più stagioni.

“Sì,” disse Hawks. “Per leggere i poemi scandalosi delle imprese che nessuno racconta a noi fanciulli.”

“E di questo sono fatti i sogni più dolci,” recitò Touya. “Quei versi parlavano di una notte di passione tra un Principe e il suo Cavaliere, alla vigilia di una grande battaglia.” 

Lo baciò, ma durò un secondo, il tempo necessario ad accendere nel Cavaliere una tentazione troppo forte da controllare.

Hawks gli andò incontro e Touya sorrise contro la sua bocca, perché c’era cascato in pieno.

“Hai appoggiato gli stivali sporchi di fango sul tappeto,” gli fece notare il Principe.

“M’impongo di essere educato solo davanti a un signore e qui non ne vedo,” ribatté Hawks.

Touya rispose all’insulto con un altro bacio. Quando si allontanò lo fece di poco, quanto bastava per guardare il Cavaliere dritto negli occhi.

“Togliti i vestiti.”

Hawks rise apertamente.

“Touya…”

“Te lo devo ordinare?”

“Non posso entrare qui sporco di fango e uscirne come se mi avessero tirato a lucido.”

Touya scrollò le spalle.

“Vorrà dire che ti avrò sporco del campo di battaglia.”

“Aspetta…” Hawks gli posò una mano tra il collo e il viso. “Sono cose da grandi, ragazzino.”

Fu il turno del Principe di ridere.

“Mi prendi in giro? Hai un anno meno di me.”

“Un motivo in più per avere pietà delle mie insicurezze.”

“Quali insicurezze? Quando mi baci, non sento nessuna insicurezza.” Touya si aggrappò a lui, come se non fosse ridotto come l’ultimo dei miserabili. “Siamo in guerra, Cavaliere. Non siamo più ragazzini.”
Hawks gli appoggiò le mani sui fianchi, indeciso se stessero avendo un momento di tenerezza o di malinconia. Touya confermò cosa voleva da lui nel momento in cui fece scivolare le dita sulla sua cintura. 

Era una cosa che continuava a non succedere.

Se lo erano promesso in un sussurro durante il ballo per i sedici anni del Principe, un istante prima che il Nomu comparisse nella sala trono e Touya collassasse per averlo annientato con le sue fiamme blu. 

Da quel giorno in poi, le loro vite erano state stravolte e, piuttosto che divenire amanti, si erano tramutati in guerrieri.

“Tuo padre potrebbe tornare,” disse Hawks, afferrandogli i polsi, respingendolo gentilmente.

Il Principe non insistette, ma non esitò a dargli le spalle.

“Touya…” Sospirò Hawks.

“Ci sarà sempre mio padre tra noi!”

Touya si lasciò cadere sul letto. 

“Sei un Cavaliere della Corona, farai un passo ogni volta che il Re lo ordinerà!”

Hawks si decise a sfilarsi gli stivali e camminare su quel maledetto tappeto, anche se i suoi calzini non versavano in uno stato migliore. 

“Perché vivi ogni nostra azione come se fosse un affronto contro di te?”

“Non lo è?” Domandò Touya, calmo ma astioso, gli occhi turchesi fissi sul soffitto della tenda. 

Hawks piegò il ginocchio sul bordo del letto, tenendosi sollevato sulle braccia per stargli sopra senza schiacciarlo. 

“Non faremmo mai nulla contro di te.”

Touya storse la bocca in un sorrisetto sarcastico.

“Chiederai il suo permesso anche per scoparmi?”

Quando quei due occhi turchesi si tramutavano in due lame apposta per trafiggerlo, Hawks non lo sopportava. Allontanarsi avrebbe creato una distanza difficile da colmare, Touya l’avrebbe vissuto come un tradimento. L’ennesimo.

Prima il Re gli aveva fatto un presente per quietarlo, ora il ricordo della sua ingombrante presenza era sufficiente ad alzare un muro tra loro. 

Touya era perennemente irrequieto, difficile d’accontentare e impossibile da rendere felice. 

Ed eccoli lì, un Re, suo padre, e un Cavaliere, il compagno di giochi che non aveva ancora reso suo amante, a compiere la più folle delle imprese. Senza perdere di vista l’obiettivo principale: proteggere il Principe delle Fiamme Blu da se stesso.

“A dispetto della bassa considerazione che hai di te stesso, non sei da scopare,” ribatté Hawks, afferrandogli i polsi e inchiodandolo con lo sguardo. 

Touya gli tenne testa senza tentennare. E come avrebbe potuto essere diversamente? Gli occhi dei Todoroki avevano piegato interi popoli.

“Sei d’amare,” aggiunse Hawks, con una nota di dolcezza che, lo sapeva, aveva il potere di disarmare anche l’Erede dell’Alto Trono. “E non intendo farlo mentre ho del sangue di Nomu addosso.”

Touya non disse una parola. Gli piantò un piede sullo stomaco e lo fece rotolare sul tappeto.

Il Cavaliere rise per la sua misera sconfitta. 

“Vuoi che ti aiuti ad alzarti?” Domandò il Principe, scivolando a sedere sul bordo del letto.

Per tutta risposta, Hawks si risolse da solo.

“Prima della fine di questa guerra,” promise, spocchioso. 

Un guizzo di curiosità rese il viso di Touya quello di un ragazzino di sedici anni. 

“Prima della fine della guerra, cosa?”

Giocava e, forse sì, Hawks era un burattino nelle mani di un Todoroki, ma non quello che il Principe credeva. 

“Lo sai…”

Il sorrisetto da canaglia con cui concluse quella discussione valse più di qualsiasi giuramento.




 

-9 anni e mezzo dopo-



 

L’ultima volta che Touya e Keigo si erano parlati, lo avevano fatto da fanciulli.

Il primo, incarnazione di tutte le gloriose speranze della Casata del Fuoco; il secondo, figlio di una generazione di eroi nati dal nulla, privi di titolo nobiliare, ma destinati a far ricordare alla storia i loro nomi. 

Si erano conosciuti su una strada lastricata di tragici eventi, avevano condiviso l’infanzia per volere del Re e quando si erano avvicinati tanto l’uno all’altro d’andare contro le regole, lo avevano fatto senza esitare.

La loro storia poteva essere raccontata da molteplici punti di vista. La chiave di lettura preferita dalla corte dell’Alto Trono era quella dell’amore proibito tra il Principe della Corona e il Cavaliere migliore della sua generazione. Era un dramma che affascinava, le antiche storie erano piene di varianti dello stesso tema e la fine tragica a cui Touya era andato incontro aveva regalato a lui e Hawks un’immortalità che nessuno dei due aveva voluto.

Al tempo, quando il Cavaliere era uscito allo scoperto chiedendo il favore dell’Erede durante il torneo in onore di quest’ultimo, l’opinione della gente si era spaccata in due precise metà. I più maturi, fedeli alle antiche regole su cui si reggevano secoli e secoli di storia, avevano storto il naso e mal giudicato il Re per la mancanza di seri provvedimenti nei confronti del Cavaliere - orfano, sprovvisto di Casata o di meriti che potessero garantirgli un posto di rilievo all’interno della corte. I più giovani, quelli che conoscevano bene Hawks - ma molto meno Touya - si era appassionati al lato romantico della vicenda, riconoscendo nel comportamento del sovrano un’apertura verso un cambiamento in positivo.

Nella realtà dei fatti, nessuno era mai riuscito a intuire la trama intricata che, passo dopo passo, aveva portato alla tragedia della Landa di Dabi.

“Non mi hanno dato delle ali per portarle in giro,” si lamentò il Primo Cavaliere, risalendo il sentiero scavato tra le rocce nere. “Queste due zavorre sono utili solo per volare, non per fare passeggiate.”

Alle sue spalle, Dabi lo punzecchiò con la spada foderata proprio in mezzo alle scapole.

“Stai zitto e cammina.”

Hawks sospirò stancamente.

“Se mi lasci volare, ti porto.”

“Tu prova ad aprire quelle ali o a pensare di sfiorarmi e di te rimarrà solo cenere.”

Il Cavaliere gli credette sulla parola e continuò a camminare. Se si fosse trattato di un duello di spada, Hawks avrebbe anche potuto rischiare. Contro il fuoco di un Todoroki - del Principe delle Fiamme Blu in particolare - non c’era nessuna sfida.

Fu Dabi a spezzare il silenzio per la seconda volta.

“Quando mi hai trovato?”

Hawks si era aspettato una domanda simile.

“Circa sei mesi dopo l’esilio.”

“Come?”

Dopo di te, è andato tutto in pezzi. Tuo padre e tua madre per primi, poi lei ha perso la testa e Shouto ne ha pagato le conseguenze. Quando Enji mi ha spiegato le ragioni dietro la sua decisione di esiliarti, l’ho capito. Sì, l’ho capito e proprio per questo non ero certo di voler più essere il suo Primo Cavaliere. Io non riuscivo a guardarlo negli occhi e lui non riusciva a guardare negli occhi me. Me ne sono andato. Non so perché, non ho idea di dove volessi nascondermi. Volevo cercarti, ma avevo paura di trovarti e, alla fine, mi sei comparso davanti. Non ti ho mai raggiunto davvero, ma nemmeno ti ho lasciato andare. 

Quella sarebbe stata la risposta corretta e Keigo avrebbe avuto il coraggio di offrirla al suo Principe così com’era, con tutto il dolore, il rancore e i rimpianti.

Ma Hawks non era il fanciullo impavido di un tempo, quello che aveva pensato di salvare Touya dall’inferno delle sue stesse fiamme.

“Fortuna,” si limitò a dire.

Dabi lo colpì di nuovo tra le scapole, con più forza.

“Vedi di non fare il furbo, Cavaliere.”

“Mi togli una curiosità?” Hawks si fermò e si voltò a guardarlo. “Cos’è che t’infastidisce di più, il fatto che non ti sia accorto della mia presenza per anni, o sapere che, nonostante tutto, tuo padre non ha mai smesso di preoccuparsi per te?”

La maschera di pura noia sul viso di Dabi non si mosse di un millimetro.

“Preoccuparsi?” Domandò. “Confondi la premura con il senso di colpa, quello schiacciante, che ti uccide lentamente. Il Re è sempre stato un codardo. Fermo nelle sue decisioni nel momento di compierle e, appena un istante dopo, in dubbio con se stesso.”

“In che altro modo avrebbe dovuto vivere l’esilio del proprio figlio?” Domandò Hawks. “Pensavi che una volta lasciato, ti avrebbe cancellato con uno schiocco delle dita?”

“Non è quello che ha fatto?”

“Il fatto che ti abbia sorvegliato per nove anni non è una risposta sufficiente?”

Dabi alzò gli occhi al cielo.

“Gli anni passano, noi non siamo più ragazzini alla mercé del Re e tu continui a difendere ogni sua azione, imperterrito,” disse. “Se me ne importasse qualcosa, direi che sei una delusione, Hawks.”

Il Cavaliere scrollò le spalle.

“Mi sembra ovvio che non te ne importa,” ribatté. “Quindi, quando mi guardi, che cosa vedi?”
Dabi non esitò.

“Niente…” 

Quello era peggio dell’odio che Touya gli aveva scagliato addosso l’ultima volta che si erano parlati, quando Hawks aveva smesso di essere Keigo anche per lui.

“Se potessi vedere il Re bruciare nelle sue stesse fiamme, assisterei allo spettacolo ridendo,” aggiunse il Principe Esiliato, le labbra bruciate piegate in un sorriso crudele. “Ma tu sei niente per me. Se dovessi incendiare la corte dell’Alto Trono e pareggiare i conti, tu saresti solo della cenere tra le tante che mi lascerei alle spalle.”

Una pausa.

“Abbiamo un patto, Primo Cavaliere, ma questo dettaglio non dimenticarlo.”

Hawks non era né sorpreso né deluso. Quello che aveva davanti era la prova ultima di quello che, in fondo, aveva sempre saputo: Touya era morto e non sarebbe più tornato.

Qualcosa emerse dalla valle sottostante, passando accanto a loro in volo. Lo spostamento d’aria fu tale che entrambi si ritrovarono costretti ad attaccarsi alla parete di roccia.

Dabi fu il primo a capire che cosa stava succedendo.

“Bene!” Esclamò a gran voce, suonando isterico. “Questo lo dobbiamo alla tua lentezza, Hawks!”

Il Drago rosso atterrò sul pendio della montagna, facendo tremare la terra sotto i loro piedi.

Quando il Primo Cavaliere sollevò lo sguardo, l’enorme muso della della bestia alata era sospeso a pochi metri sopra di lui e lo fissava, minaccioso.

Hawks non lo prese sul serio, ma sollevò comunque entrambe le mani per provare che non aveva male intenzioni.

“Vengo in pace, Katsu-”

Il Drago spalancò le fauci e ringhiò loro in faccia. 

Non fu affatto piacevole.

Hawks rimase pietrificato, mani sollevate, sorriso tirato e tutto.

Dabi ebbe anche l’ardire di fare sarcasmo.

“Ci baci mio fratello con quella bocca, schifosa lucertola?”

 

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Capitolo 11
*** In A Dream ***


11 Ottobre
"Be Naked When I Get Home"


XI
In A Dream



I see those tears in your eyes
And I feel so helpless inside
Oh love, there's no need to hide
Just let me love you when your heart is tired
["Tired" - Alan Walker ft. Gavin James]


 


Izuku non aveva passato abbastanza tempo con Nighteye, il Cavaliere Veggente. 

Era caduto in battaglia prima che potesse insegnare al giovane Campione come conoscere il lato di One For All che più lo spaventava, quello che gli permetteva di scorgere in sogno frammenti di un futuro che non gli apparteneva.

“Fino a che le due corone non torneranno a essere una…”

Erano state le ultime parole del Cavaliere Veggente.

Parole che, molti anni prima, aveva rivolto anche a un Enji Todoroki non ancora Re.

E Izuku continuava a sentirle riecheggiare contro le pareti della sua mente, senza sapere che cosa farne.

Quando il destino gli rivelava stralci della sua trama sotto forma di sogno, Izuku non poteva fare altro che subire quelle visioni, impotente.

Solo una cosa gli era chiara: non sarebbe vissuto abbastanza per vedere la fine di quella storia.




 

Katsuki si risvegliò nel cuore della notte, da solo.

“Izuku…” chiamò, ma dal buio della tenda nessuno gli rispose.

Il suo Cavaliere si era svegliato senza che lui se ne accorgesse e aveva lasciato il loro giaciglio senza dire una parola. Sicuramente lo aveva fatto per non disturbare il suo sonno, turbato da chissà quale pensiero.

Katsuki non lo sopportava quando faceva così, quando lo proteggeva senza chiedere il permesso e si allontanava per nascondersi da lui.

Tutti quei grandi discorsi sul fatto che insieme erano più forti, poi Izuku era il primo a isolarsi. Stupido, da prendere a schiaffi.

Ricadde tra le pellicce calde. Dopo aver fatto l’amore col suo Cavaliere, non aveva perso tempo a rimettersi i vestiti, prevedendo che il compagno non avrebbe dormito sonni tranquilli. E il farabutto che faceva? Lo lasciava incustodito per andare a rimuginare chissà dove su chissà cosa, invece di svuotarsi la mente con una sana scopata. Quale affronto!

“Maledetto Izuku…” Sibilò.

“Che cosa ho fatto per guadagnarmi il tuo disprezzo, adesso?”

Katsuki sollevò lo sguardo in direzione della tenda e, nella tenue luce delle braci, vide la figura minuta del giovane Campione nell’ingresso.

Il Drago si sollevò sui gomiti.

“Dove sei stato?”

“Avevo bisogno di camminare un po’, mettere in ordine le idee…” Rispose Izuku, avvicinandosi. “Ho parlato con Shouto.”

“Oh, adesso per chiarirti le idee devi parlare con Mezzo-e-mezzo?”

“Quella che percepisco è gelosia?”

“Perché, invece di andartene in giro, non parli con me per mettere in ordine le idee?”

“Stavi dormendo,” il Campione si sedette sul giaciglio per sfilarsi gli stivali.

“Potevi svegliarmi.”

“Hai bisogno di riposare, Katsuki.”

“Ho bisogno di svegliarmi e di trovarti vicino a me, dove ti ho lasciato.”

“Sono qui,” lo rassicurò Izuku, con un sorriso dolce. Si tolse i vestiti uno a uno, sotto lo sguardo attento di quegli occhi scarlatti.

“Che cosa stai facendo?” Domandò il Drago.

“Non è evidente?” Izuku scivolò sotto la coperta di pelliccia, cercando le labbra del compagno nel buio. I loro corpi aderirono immediatamente, come due metà di un tutto.

“Sei freddo,” si lamentò Katsuki.

“Allora riscaldami,” lo invitò Izuku.




 

Il silenzio che seguiva l’amore era qualcosa a cui Katsuki non si sarebbe mai abituato.

Era sempre il primo a buttarsi nella mischia e l’ultimo a lasciare il campo di battaglia, era fatto per la guerra. Aveva imparato a conoscere se stesso spingendosi oltre i limiti, sentendosi vivo attraverso il dolore e l’adrenalina provocati dalla lotta per la sopravvivenza, per il potere, per qualunque dannata cosa.

Imparare il piacere insieme a Izuku lo aveva costretto a conoscere il suo corpo come se non gli fosse mai appartenuto.

Essere un Drago, essere un guerriero, tutto aveva richiesto esercizio, pratica, crescita. Sfiorare, accarezzare, baciare erano arrivati con naturalezza, non appena lui e Izuku avevano esaurito la distanza tra loro, incontrandosi a metà strada.

E ora avrebbero continuato su quel cammino insieme, fino alla fine.

“Non riesci più a dormire?” Domandò Izuku, disegnando il profilo del suo naso con la punta dell’indice.

“Sono umano anche io…” Ribatté il giovane Drago. “Che cosa raccontano le grandi storie su notti come questa?”

“Di grandi passioni e sogni premonitori. Direi che abbiamo concretizzato almeno la prima parte.”

Il giaciglio di pellicce era caldo e confortevole per i loro corpi nudi, ma Katsuki avrebbe voluto più luce per poter vedere meglio il verde degli occhi di Izuku. 

“Dovremmo continuare fino a domani mattina,” propose Katsuki, mentre si spostava sopra il corpo dell’altro. “Non possiamo essere da meno degli eroi che ci hanno preceduti.”

“Ho bisogno che il mio Drago sia in forze durante la battaglia di domani,” disse Izuki, ma sorrideva.

“Non rammento di averti mai lasciato col culo per terra,” ribatté Katsuki, scivolando tra le sue gambe. “Se siamo condannati a morire e divenire immortali, voglio farlo ricordando con chiarezza ognuno di questi momenti.”

Izuku sollevò la mano per scostargli un ciuffo di capelli biondi dal viso. “Tu la racconterai questa storia, Kacchan.”
Katsuki alzò gli occhi al cielo. “Me lo vuoi dire che cosa vedi nei tuoi dannati sogni, Izuku?”

Il giovane Campione rivolse lo sguardo alle braci del focolare.

“Vedo che la storia di One For All continuerà,” rispose. “Ma non attraverso me.”

“Questo lo sapevi fin dal principio,” ribatté Katsuki. “È un potere che va passato. Tra molti anni, quando questo regno avrà bisogno di un nuovo Campione, dovrai cederlo come All Might ha fatto con te.”

“Tra molti anni…” Ripeté Izuku. “Chi ha preceduto non ha avuto tanto tempo.”

“All Might ha avuto decenni.”

“Un’eccezione. Capita sempre.”

“Ehi!” Katsuki gli prese il mento tra le dita, costringendolo a tenere quegli occhi verdi su di lui. “Che cosa stai insinuando?”

Erano vicini, tanto da respirare l’uno l’aria dell’altro.

Non sarebbero mai più stati così. Izuku lo sapeva. Katsuki non aveva bisogno di un simile fardello.

“Il prossimo detentore del One For All sarà un Todoroki,” disse il giovane Campione. “L’ho visto, so che sarà così.”

In qualche modo, Katsuki si sentì rassicurato da quelle parole.

“Il figlio di Shouto.”

“Non lo so. Quando lo vedo nei miei sogni, non riesco mai a guardarlo in faccia.”

“Questo significa che, qualunque cosa accadrà domani, la storia dei Todoroki non finirà su quel campo di battaglia.”

Izuku era arrivato alla stessa conclusione, ma il suo sogno non era per forza una promessa di vittoria. Shouto aveva dei fratelli e anche se tutto fosse andato in malora, bastava che uno solo di loro si salvasse per concretizzare quella profezia. Il candidato più plausibile era l’unico che lui e Katsuki non avevano mai conosciuto.
Il solo Principe che non avrebbe combattuto la battaglia finale.

“Domani, anche se accadesse il peggio e la corte venisse distrutta, c’è un Todoroki che non subirebbe la caduta.”

Katsuki aggrottò la fronte. 

“Stai parlando del Principe Esiliato?”

Izuku scosse la testa. Affidare le sue ultime speranze a Touya Todoroki significava che tutti loro, nessuno escluso, erano già spacciati. Non poteva accettarlo ed era pronto a tutto purché non accadesse.

“Tu e Shouto starete bene,” concluse, aggrappandosi alle spalle del giovane Drago per tenerlo più vicino a sé. “Non permetterò mai che ti facciano del male.”
Katsuki appoggiò la fronte sulla sua e Izuku ne approfittò per affondare le dita tra i capelli biondi.

“Ti avverto,” ringhiò il giovane Drago. “Se provi a fare qualcuna delle tue stronzate, tipo lanciarti in prima linea da solo-”

“E come potrei?” Il giovane Campione gli diede un bacio a fior di labbra. “Non sono mai stato solo. Ho sempre avuto te.”

Katsuki non gli permise di cavarsela con così poco. Esaurì la distanza tra loro, fece sua quella bocca con la voracità che lo contraddistingueva e lo sentì che si lasciava andare. 

Le loro mani scivolarono l’una sull’altra, le dita s’intrecciarono e si crogiolarono nel calore del loro amore per l’ultima volta.




 

-1 anno dopo-




 

La biblioteca del Castello Vecchio non era paragonabile a quella della corte dell’Alto Trono. La maggior parte dei volumi su quegli scaffali conteneva storie sulla famiglia Todoroki, dettagli di quelle generazioni che non erano riuscite a far ricordare se stesse dalla storia, scivolando nel dimenticatoio; oppure segreti che i sovrani dell’Alto Trono avevano preferito lasciare lì, consumati da tempo e polvere.

Era proprio a quelli che Shouto era interessato.

Prese alcuni volumi, si sedette sul davanzale della finestra e ne aprì uno. Al di là del vetro, diversi metri più in basso, le alte onde del Mare del Nord s’infrangevano contro la scogliera nera. Vi era molto vento quel giorno e Katsuki aveva lasciato perdere la pesca per andare a esplorare in volo la Cintura Minore.

Le prime pagine del libro tra le sue mani non gli offrirono molto più di quello che già sapeva: altri figli maschi della famiglia avevano dato alla luce dei bambini, alcuni sani e altri no. Doveva essere un potere secondario, probabilmente entrato nella linea di sangue dei Signori del Fuoco tramite un matrimonio delle prime generazioni. 

“Posso farti una domanda?” 

Shouto alzò gli occhi eterocromatici dal libro per incontrare quelli verdi del giovane fantasma che, prima di chiunque altro, gli era stato amico. Annuì.

“Sapevi che potevi concepire un bambino e hai accettato il rischio. Perché?” Domandò Izuku. Era seduto sul lato opposto del davanzale, come se la guerra non lo avesse portato via poco più di un anno prima. Compariva solo quando il Principe di Fuoco e Ghiaccio era da solo e, per lui, era reale come se fosse fatto di carne e sangue.

“Non ci ho pensato,” rispose Shouto. “Lo so, è stato stupido da parte mia e non è stato giusto nei confronti di Katsuki.”

Izuku scosse la testa. 

“Katsuki ha rischiato insieme a te. Tutti i popoli conoscono le storie sulla tua famiglia.”
“E in quanti le prendono sul serio?” Si domandò Shouto. “Nessun Re dell’Alto Trono ha mai partorito il proprio Erede.”

Izuku accennò un sorriso. 

“C’è sempre una prima volta.”
Shouto scosse la testa.

“Quella corona non sarà mai mia e va bene così. Non m’importa, non mi è mai importato.”

“Tu sei nato per essere Re, Shouto.”

“Me lo hai ripetuto tante volte, Izuku,” ribatté, chiudendo il libro tra le sue mani. “Perdonami, ma non ci ho mai creduto.”

“Sei stato un Re quando la tua gente ne ha avuto bisogno,” gli ricordò il giovane Campione.

“Sì e non appena mio padre ha ripreso il suo posto sull’Alto Trono e Katsuki mi ha offerto una via di fuga, sono crollato e sono scappato.”

“Perché sei umano,” disse Izuku. “E l’umanità non è sinonimo di debolezza.”

Shouto rivolse lo sguardo al mare.

“Continuiamo a fare gli stessi discorsi. Abbiamo fatto tanta strada, abbiamo combattuto tanto e per cosa? Nel momento in cui ho creduto di stringere qualcosa di bello, di mio, tutto è andato a pezzi un’altra volta. O, peggio, forse non è mai stato integro.”

Izuku allungò la mano e gli toccò il ginocchio. Shouto non sapeva spiegarsi come, ma sentiva il calore di quella mano come se fosse quella di Katsuki.

“Non essere così duro con te stesso,” disse il giovane Campione. “Non pensare che sia stato tutto inutile.”

Shouto appoggiò la nuca alla parete fredda. 

“Non riesco a togliermi dalla testa quello sguardo,” disse. 

“Parli del Re o di tuo fratello?”

“Entrambi,” rispose Shouto. “A Touya non lo dirò mai, ma mi guardano allo stesso modo. Nessuno dei due vede me, sono l’incarnazione dei loro lati più oscuri. Solo che mio padre aveva smesso di guardarmi in quel modo… So che è così, l’ho visto.”

E si era lasciato ferire ancora una volta.

“Non vivere questa situazione come un tuo errore, Shouto,” lo pregò Izuku.

“E in che altro modo dovrei interpretarla?” Domandò il Principe. “Ho concepito un bambino per imprudenza.” Si portò una mano in grembo. “L’ho condannato ancor prima di farlo nascere.”

La porta della biblioteca si aprì.

“Ah, eccoti…”

Era Touya.

“Con chi diavolo stavi parlando?”

Shouto guardò davanti a sé, dove prima era seduto Izuku e non si sorprese di scoprire che non c’era più nessuno. Ignorò deliberatamente la domanda di suo fratello.

“Quando sei tornato?”

Touya attraversò la stanza con ampi passi. 

“Prova a fare una domanda più inutile, Shouto.”

“Non è tua abitudine venirmi a cercare. Per quel che ne so, potresti essere tornato da giorni e avermi evitato.”

C’era un po’ di sarcasmo e tanta verità in quelle parole. 

A Touya diede fastidio il fatto che gli avesse risposto a tono.

“Stai provando a fare il simpatico? Beh, falla finita perché non ti riesce. Sai benissimo che il tuo Drago da guardia sentirebbe il mio odore a un miglio di distanza.”

Il Principe di Fuoco e Ghiaccio lo osservò distrattamente, ma si fece attento non appena riconobbe la spada appesa al suo fianco.

“Dov’è Hawks?” Domandò, scendendo dal davanzale.

“Rilassati, ragazzino,” disse Touya, con tono canzonatorio. “Dobbiamo parlare.” Aggiunse, come se il fratello minore non avesse cercato un dialogo con lui dal suo primo giorno al Castello Vecchio.

“Parleremo,” promise Shouto. “Ora dimmi dov’è Hawks!”

“Non provare a darmi ordini, moccioso!” Touya slacciò la cintura della spada e la prese tra le mani. “Perché ce l’aveva il Primo Cavaliere?”

“Sei stato tu a dargliela in dono,” gli ricordò Shouto.

“E lui l’ha data a te,” ribatté Touya. “Stavi facendo i capricci, ricordi? Non rammento la questione nei dettagli, solo che volevo prenderti a schiaffi. Hawks ti ha salvato la faccia!”

Shouto lo ricordava bene quel giorno, il primo in cui aveva messo piede su di un campo di battaglia. Aveva pianto, sì, ma non per capriccio e, sì, Touya aveva minacciato di prenderlo a schiaffi ma non ci aveva messo nemmeno metà della cattiveria che ora gli riservava.

“Mi stavi medicando,” disse Shouto. “Certo che non lo ricordi. Se c’è mai stato qualcosa di buono tra noi, lo hai cancellato.” Era una realtà con cui stava facendo i conti, ma non per questo si sarebbe arreso. 

Touya alzò gli occhi al cielo.

“Non cominciare a fare il melodrammatico, non ti sopporto.”

Strinse la spada nella mano destra, lasciando che la punta foderata graffiasse il pavimento di pietra e provocasse un rumore spiacevole. Superò il Principe di Fuoco e Ghiaccio per studiare i volumi che quest’ultimo aveva lasciato sul davanzale.

“Ti annoi così tanto che ti sei messo a studiare la storia della nostra famiglia?” Gli rivolse un’occhiata giudicante. “Non puoi passare il tempo cavalcando il tuo Drago?”

Era una provocazione talmente infantile che Shouto nemmeno prese in considerazione di rispondergli.

“Touya, davvero, che cosa hai fatto a Haw-?”

“È nella sala del trono, con la lucertola,” rispose il Principe Esiliato. “Lo sta trattando peggio di quanto avrei fatto io, quindi smettila di farmi la morale.”

Shouto lasciò andare un sospiro di sollievo. Si sarebbe preoccupato più tardi della condotta di Katsuki. Se Touya voleva parlare, allora avrebbero parlato.

“Avevo dato quella spada a Izuku,” raccontò. “Mi ricordavo del patto che avevi fatto con papà, quando lui te l’ha ceduta. Quando è divenuto Campione, ho pensato che lui fosse il più meritevole tra i guerrieri dell’Alto Trono, tutto qui.”

Non era un gesto molto diverso da quello che il Principe delle Fiamme Blu aveva compiuto per il suo Cavaliere. 

“Quando Izuku è caduto in battaglia…” Shouto abbassò lo sguardo e fu svelto a chiudere il discorso. “Io non ho bisogno del potere di fuoco di quella spada, proprio come non ne avevi bisogno tu. Katsuki è un Drago. Ai miei occhi, Hawks era l’unico abbastanza degno da possederla.”

Touya sbuffò.

“Che storia noiosa…”

“Hai chiesto. Ho risposto. Perché gliel’hai rubata? Potresti fonderla senza nemmeno sforzarti.”

“Non l’ho rubata,” rispose Touya. “L’idiota me l’ha ceduta, forse perché si sente nostalgico.”

“Se l’hai accettata, Hawks non è l’unico a sentirsi così.”

Shouto mandò a segno il colpo senza nemmeno provarci. Touya gettò la spada ai suoi piedi come se fosse un ferro vecchio di cui liberarsi.

“Tienila pure,” disse, sprezzante. “Se il tuo piccolo bastardo avrà solo il potere del ghiaccio, sarà un buon modo per compensare.”

Passò accanto al fratello minore, urtandogli la spalla volontariamente.

“Pensavo volessi parlare,” disse Shouto.

La porta della biblioteca che veniva sbattuta fu la sola risposta che ricevette.




 

Hawks si era illuso che aver passato la fanciullezza a barcamenarsi tra Touya ed Enji, lo avesse in qualche modo forgiato per tenere testa anche alle personalità più complicate. Mezz’ora con Katsuki era bastata per fargli cambiare idea. L’Erede del Clan Bakugou non era complicato, solo terribilmente insopportabile. Era impossibile parlargli per la maggior parte del tempo e quando decideva di essere arrabbiato, indipendentemente che vi fosse un motivo per esserlo o meno, c’era davvero poco da fare. In quel caso, la condotta più saggia era starsene lontano dal suo raggio d’azione. 

In quella particolare occasione, Katsuki aveva tutte le ragioni per essere arrabbiato e Hawks era l’unico su cui potesse scagliare tutto quel malumore.

“Se non vuoi che ti strappi queste cazzo di piume una a una, ti conviene darmi delle spiegazioni!” Katsuki gli stringeva il bavero con entrambe le mani e lo teneva con le spalle al muro. Se avesse deciso di liberarsi, il Primo Cavaliere avrebbe avuto due o tre assi nella manica da usare ma cercare lo scontro contro un Drago era davvero l’ultima cosa che voleva.

“Katsuki, lascia che ti par-“

Il più giovane lo sbatté con violenza contro la parete di pietra e alcune piume rosse si staccarono dalle ali, cadendo a terra.

“Non ti azzardare a rivolgermi la parola, bastardo!”

“Se non vuoi che ti rivolga la parola, come faccio a darti le spiegazioni che chiedi?” 

Hawks non era solito perdere la pazienza, ma Katsuki sapeva essere tanto irragionevole da spingere anche la persona più calma a perdere il controllo. 

“Pensi davvero che io rappresenti una minaccia per Shouto? Rifletti, Katsuki!”

“Come se non ti fossi mai sporcato le mani in nome del Re!” Ringhiò il giovane Drago.

Era vero. Il suo ruolo di Primo Cavaliere non implicava solo compiti onorevoli. Rispondere direttamente alla Corona e proteggerla significava dover compiere azioni riprovevoli per impedire a qualcun altro di fare di peggio. Era un prezzo che aveva accettato di pagare anni prima, quando la guerra gli aveva strappato sia l’innocenza della sua fanciullezza che Touya. 

“Enji mi ha fatto sorvegliare Touya per anni!” Esclamò il Primo Cavalieri. “Credi davvero che mi manderebbe per far del male a Shouto?”

Un barlume di lucidità dovette costringere Katsuki a riflettere, perché allentò la prese sul suo bavero.

“Parla e vedi di essere convincente!”

Hawks lanciò un’occhiata veloce all’ingresso della sala del trono. 

“Posso fidarmi di te, Katsuki?”

“Mi stai prendendo per il culo?”

Il Primo Cavaliere strinse le dita intorno ai polsi del più giovane.

“Touya sta pianificando qualcosa?” Domandò.

Katsuki lo lasciò andare, ma continuò a inchiodarlo contro la parete con lo sguardo.

“Certo che lo stronzo sta progettando qualcosa, perché credi che ci lasci vivere qui?”

Con il collo ora libero, Hawks prese un respiro profondo. 

“E che cosa vuole fare?” 

“Che cazzo ne so io!”

Il Primo Cavaliere sbatté le palpebre un paio di volte. 

“Fammi capire… Tu sai che Touya potrebbe fare qualcosa contro di voi, ma io sono quello che finisce sbattuto al muro?”

“Lo stronzo è un folle che potrebbe ridursi in cenere da solo per un attacco di nervi. Tu, invece… Tutti nelle terre dell’Alto Trono sanno di chi sei il cane!”

Se Katsuki non fosse stato tanto rabbioso, Hawks gli avrebbe spiegato molto volentieri di come il Re non si fidasse più nemmeno di lui, tanto da spedirlo in missione nell’angolo più remoto del regno. Ma non c’era posto per la ragionevolezza in quel momento. Katsuki era pieno di rancore per tutto ciò che rappresentava l’Alto Trono e Hawks era la perfetta valvola di sfogo.

“Quel bastardo di Re ha già fatto abbastanza!” Sbraitò il giovane Drago. “Che cazzo di senso ha mandare te in avanscoperta, a valutare i danni che ha fatto?”

“Preferirei parlare della questione con Shouto,” rispose il Primo Cavaliere. “È suo padre.”

“È un pezzo di merda.”

“Anche se fosse, Shouto deve sapere perché sono qui. Ne ha il diritto.”

“Perché continui a seguire la volontà di quell’uomo, Hawks?” Domandò Katsuki. “Che altro deve succedere perché tu possa vederlo per quello che è?”

Prima che il Primo Cavaliere avesse il tempo di rispondere, la porta della sala del trono si aprì. 

“È già cominciato il monologo a difesa del Re?”

Touya esordì con un tono canzonatorio che non preannunciava nulla di buono. Hawks chiuse gli occhi e fece appello a tutta la sua forza interiore. Ciò nonostante, quando sollevò le palpebre e trovò il Principe Esiliato al fianco del giovane Drago, pensò che una condanna al rogo sarebbe stata più dolce di quel che lo aspettava.

“Che mi sono perso?” Domandò Touya, come se stesse parlando col suo migliore amico di un’antipatia che avevano in comune.

“Dice che ha qualcosa da riferire a Shouto riguardo al Re,” rispose Katsuki, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni.

Se non avesse saputo chi erano, Hawks li avrebbe scambiati per due criminali della peggior specie. 

“Strano,” commentò Touya. “Pensavo che Sua Maestà avesse già detto abbastanza sulla questione dell’erede imprevisto in arrivo.”

“Lo penso anche io,” concordò Katsuki.

Quella scenetta era veramente il colmo per il Cavaliere. 

“Vi siete odiati fino a un’ora fa.”

Hawks non era veramente sorpreso da quell’improvvisa alleanza. A dispetto delle apparenze, anche Katsuki era uno stratega e sapeva bene che per andare contro Enji Todoroki non c’era complice migliore di Touya.

“Non ho mai detto di odiarlo,” obiettò il Principe Esiliato. “È solo un animale molesto.”

Katsuki lo trapassò con lo sguardo. 

“Concentrati sul piccione viaggiatore e non sprecare il fiato in stronzate.”

Hawks si era tolto da tante situazioni disperate, ma un Drago e un Todoroki erano un po’ troppo a cui tenere testa contemporaneamente. Lo scontro non era pensabile e non avrebbe giovato in alcun modo alla sua posizione. Da uomo con le spalle al muro, non gli restava che brandire l’arte oratoria e toccare i punti giusti.

“Katsuki, ti dirò quello che ho detto a Touya-“

“Dabi,” lo corresse il Principe Esiliato.

Il Primo Cavaliere non lo degnò di alcuna attenzione, gli occhi dorati erano fissi in quelli scarlatti del giovane Drago.

“Non sono qui per minacciare Shouto in alcun modo,” disse. “Non voglio nemmeno convincerlo a tornare a casa.”

Non poteva dire che era Enji stesso a volere lui e i suoi figli lontani dalla corte, non di fronte a Touya.

“Il mio compito è semplicemente quello di assicurarmi che i Principi stiano bene.”

“Come fa Shouto a stare bene, Hawks?” Domandò Katsuki. “A dispetto dell’uomo che servi, non sei un idiota. Sai benissimo da te che sta di merda!” Lanciò uno sguardo giudicante al Todoroki al suo fianco. “E per questo qui non riesco a trovare le parole per dire quanto sia fottuto.”

Touya sbuffò, annoiato.

“Continua a ringhiare in direzione del piccione e non badare a me.”

“Chiarita la mia posizione, posso parlare con il Principe di Fuoco e Ghiaccio?” Domandò Hawks.

“No,” dissero Katsuki e Touya contemporaneamente, poi si fulminarono con lo sguardo a vicenda.

“Non rubarmi le parole di bocca, stronzo!” Ruggì il Drago.

“Sei tu che hai parlato sopra a me,” ribatté il Principe Esiliato.

Alla fine, Hawks a quel dannato muro ci si appoggiò, come per sorreggersi. Se quei due si mettevano a litigare tra di loro, poteva anche fingersi parte del mobilio e aspettare che si uccidessero a vicenda - non che lo volesse.

La porta della sala che si apriva una seconda volta diede fine al battibecco.

“Che cosa sta succedendo qui?”

Hawks accolse la voce di Shouto come una benedizione e quando comparve nel suo campo visivo, in mezzo a Katsuki e Touya, ci mancò poco che si prostrasse ai suoi piedi.

“Hawks…” 

A dispetto degli altri due, Shouto non sembrava così dispiaciuto dal vederlo.

“Stai bene?”

Hawks accennò un sorriso e annuì.

“Sono qui per parlare con te,” disse.

Il Principe non parve sorpreso. 

“Vieni, seguimi,” disse, gentilmente. “Il viaggio deve essere stato lungo e faticoso, hai bisogno di mangiare qualcosa.”

“Anche io ho fatto un lungo viaggio,” disse Touya, tanto per lamentarsi.

Shouto lo ignorò per rivolgersi a Katsuki.

“Dammi qualche minuto,” gli chiese. “Non voglio nasconderti niente, lo sai. Ho solo bisogno di restare da solo con lui.”

Il giovane Drago lanciò un’occhiata al Cavaliere che voleva dire: se tenti qualche stronzata, ti ammazzo.

Hawks ammiccò in modo amichevole.

Touya se ne rimase in silenzio, fino a che suo fratello e il Primo Cavaliere non sparirono fuori dalla sala del trono.

“Sei stato messo da parte,” disse al Drago, con un ghignetto beffardo.

“Stai zitto, stronzo!”

 

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Capitolo 12
*** The Past Never Dies ***


 

12Ottobre 

“We see what we want…”


XII

The Past Never Dies 

 
 

Bring me home in a blinding dream

Through the secrets that I have seen

Wash the sorrow from off my skin

Show me how to be whole again

'Cause I'm only a crack in this castle of glass

Hardly anything there for you to see

For you to see

[“Castle Of Glass” - Linkin Park]




 

Non era nel carattere di Shouto origliare ma, in sua difesa, nessuno si era preoccupato di chiudere la porta della sala del Consiglio.

”Stai perdendo il contatto con la realtà.”

Di tutti i Cavalieri della Corona, Hawks era l’unico che potesse permettersi di rivolgersi a suo padre in quel modo. Nessuno dubitava delle sue capacità di guerriero, rese più uniche dalle ali rosse che aveva sulla schiena, ma Shouto era dell’idea che fosse divenuto il braccio destro del Re ad appena quindici anni proprio grazie alla sua schiettezza e la sua sagacia.

“No, Hawks, sei tu che non riesci a guardare oltre quel che vedono i tuoi occhi.”

Shouto si avvicinò e sbirciò attraverso lo spiraglio dell’uscio socchiuso. Era tardi, fuori era buio e sia il Cavaliere che il Re erano due sagome scure contro le fiamme rosse che ardevano nel grande caminetto. Questo gli impediva di leggere le loro espressioni.

Non gli serviva.

Era chiaro che quella fosse una conversazione che non avrebbe mai dovuto ascoltare, ma questo non gli impedì di rimanere dov’era.

“Sono solo sogni, mio Re. Solo sogni.”

“Continui a crederlo anche dopo quello che è successo a Touya?”

Il Principe di Fuoco e Ghiaccio non la ricordava l’ultima volta che suo padre aveva pronunciato il nome del suo primogenito. Alla corte dell’Alto Trono era come se vi fosse una legge non scritta che proibiva a chiunque di fare riferimento al Principe che era stato erede prima di Shouto. Dietro le porte chiuse degli alloggi reali, questo era stato spesso motivo di attrito tra Natsuo e suo padre - come se non ve ne fossero già abbastanza - mentre Fuyumi, come suo solito, giustificava tutto con il dolore.

Touya.

Alle volte, Shouto si chiedeva se fosse esistito davvero.

“È proprio per quello che è successo a Touya che non darò credito a un folle sogno!” Esclamò Hawks. 

Shouto trasalì: era insolito vedere il Primo Cavaliere comportarsi in quel modo, specie di fronte al Re, ma quella era una conversazione che andava oltre qualsiasi gerarchia.  “Shouto siederà sull’Alto Trono, dopo di te!” Aggiunse. “Non c’è nulla che possa minacciare questa verità, smettila di tormentarti!”

“Fino a che le due corone non torneranno a essere una,” insistette suo padre, tradendo una disperazione che il Principe non aveva mai udito nella sua voce. “Quando mi è stata rivelata quella profezia, tu non eri neanche nato. Il Cavaliere Veggente mi disse quello che sarebbe accaduto, ma non gli diedi ascolto, poi sono arrivati i sogni… Io l’ho visto, Hawks. Ho visto uno dei miei figli al comando di un esercito di Draghi e, sullo sfondo, gli antichi vulcani ricoperti di ghiaccio.”
“Beh, mio Re, se i tuoi sogni non ti hanno permesso di distinguere Touya da Shouto, forse non sono da prendere così tanto in considerazione.”
“Ho visto i capelli chiari come la neve, come quelli di Rei. Ho visto la corona dei Todoroki appoggiata su quel capo.”

“Capelli chiari come la neve? Molto indicativo, mio Re. Tutti e quattro i tuoi figli hanno reso grande onore a tua moglie. Anzi, ricordi se il figlio del tuo sogno mostrava il lato destro? Perché Shouto ha i capelli come la neve solo lì.”

Suo padre lasciò andare un sospiro che era anche uno sbuffo. 

“Per secoli i Signori del Fuoco hanno tentato di domare un Drago e ora, dal nulla, spunta fuori un ragazzino che è Cavaliere di un futuro Capo Clan!”

“Temo che tu stia fraintendendo tutta la storia,” disse Hawks. “Izuku e Katsuki sono cresciuti insieme, nessuno ha piegato nessuno. Il Drago ha scelto il suo Cavaliere.”

“E io ho scelto di consegnare i miei figli alla leggenda, perché così mi era stato predetto!” Ribatté Enji, furioso. “Perché non lo capisci, Hawks? Il più atroce dei miei errori aveva senso solo in virtù di quel frammento di destino che mi è stato rivelato!”

Shouto poteva avvertire il dolore di suo padre chiaramente, ma non riusciva a provare pena per lui. Gli era impossibile determinare se a ferirlo fosse il pensiero di quanto aveva fatto a suo fratello, oppure la realizzazione di aver combattuto una guerra persa in partenza.

“E se mi fossi sbagliato, Hawks?”

Mai Shouto avrebbe pensato di sentire suo padre vacillare in quel modo.

“Se quello che ho fatto a Touya e Shouto non avesse alcun senso, alla fine?”

Nonostante  il rancore che provava per lui, sperò di non dover più essere testimone di un evento simile.

“Se avessi gettato su di loro il peso di una gloria illusoria?”

Hawks non gli rispose.

Shouto avrebbe tanto voluto vedere l’espressione sul suo viso, capire se provava rabbia per suo padre o solo pena. 

“Quali ordini hai per me, riguardo a lui?” Domandò il Primo Cavaliere.

Shouto aggrottò la fronte: a chi si stava riferendo?

Il silenzio che precedette la risposta del Re non gli piacque affatto.

“Gli ordini sono sempre gli stessi,” disse, infine.

“Siamo in guerra, mio Re,” gli ricordò Hawks. “Nel peggiore dei casi, ho bisogno di sapere cosa fare.”

“Quello che stai già facendo. Assicurati che Touya resti al Castello Vecchio, al sicuro.”

Shouto sentì il cuore saltare un battito e la terra sotto i suoi piedi venire meno. D’istinto, si aggrappò alla maniglia della porta e questa si mosse un poco, emettendo un cigolio. Tanto bastò per rivelare ai due uomini la propria presenza.

“Scusate,” disse, entrando nella sala. “Non volevo origliare, ma avete lasciato la porta aperta.” Camminò fino a raggiungere il grande tavolo al centro della stanza, su cui era stata riprodotta la mappa di tutte le terre dell’Alto Trono e quelle confinanti.

Ora era abbastanza vicino da poter guardare sia il Re che il Primo Cavaliere in faccia.

“Vorrei parlare da solo con mio padre, Hawks.”

L’uomo alato non si disturbò a guardare il Re per avere la sua approvazione.

“Come desideri, mio Principe.”

Se ne andò rivolgendo al più giovane - e solo a lui - un sorriso cortese e tanto bastò a Shouto per confermare che, in quel momento, il Primo Cavaliere non aveva alcuna voglia di mostrare il dovuto rispetto al proprio sovrano.

“Da quanto tempo eri lì?” Domandò Enji.

Shouto era troppo arrabbiato e se lo avesse guardato negli occhi, non sarebbe riuscito a mantenere il controllo.

“Quanto basta,” rispose, fissando sulla mappa la Cintura Vulcanica Minore, il luogo in cui si nascondeva suo fratello. “Tu, invece, da quanto tempo lo sai?”

Come era prevedibile, Enji provò a sottrarsi a quella situazione.

“Shouto, ascolta-”
“Da quanto tempo sai che Touya si trova al Castello Vecchio?” 

Shouto non urlò, anche se ne aveva una gran voglia. Il silenzio che ricevette come risposta lo obbligò a sollevare lo sguardo sul viso del genitore, ma Enji fissava il fuoco scoppiettante nel caminetto.

“La mamma lo sa?” Domandò Shouto.

“Ti sarei grato se non glielo dicess-”
“Come puoi nascondere una cosa simile anche a lei?”

“Perché Touya è un esiliato!” Esclamò Enji, rispondendo al suo sguardo. “E perché non mi fido dei colpi di testa di questa famiglia!”

“Hai paura che uno di noi lo vada a cercare, vero?” Shouto non poteva dargli torto. Se avesse avuto delle ali, come Hawks, o un Drago, come Izuku, sarebbe partito quella notte stessa.

Suo padre dovette scorgere quell’intenzione nella sua espressione.

“Non lo farai, Shouto,” ordinò.

“Per otto anni hai fatto finta che non esistesse e, invece, hai sempre saputo dov’era…”

“Perché la cosa ti tocca tanto?”

Shouto non riusciva a credere alle sue orecchie.

“È mio frate-”

“Ricordi il giorno del suo compleanno?” Domandò il Re, zittendolo.

Shouto ci pensò, scavò nella memoria velocemente. Era certo che fosse a pochi giorni di distanza dal suo, ma…

“No,” rispose. “Non me lo ricordo.”

“Sai cosa gli piaceva e cosa non sopportava?” Insistette Enji. Non c’era nessuna cattiveria nella sua voce, ma questo non faceva che rendere quella serie di domande ancor più insopportabile per Shouto.

Il Principe scosse la testa.

“Questo non ha alcuna importan-”

“Non lo conosci, non sai chi è,” disse il Re, lasciando intravvedere quanto gli pesasse ammettere una simile verità. “È tuo fratello ma è uno sconosciuto per te, non hai ragione di andarlo a cercare.”

Non era vero. Shouto aveva pochi ricordi di lui, ma erano lì, vivi, come quelli che condivideva con Natsuo e Fuyumi. 

“Hai anche la presunzione di sapere quello che provo io?”

“No…” Il Re si avvicinò al tavolo. “Ma posso immaginare quello che prova Touya. Non lo andrai a cercare, Shouto. Siamo in guerra, c’è bisogno di te qui.”
“Siamo in guerra,” ripeté il Principe di Fuoco e Ghiaccio. “Potremmo morire domani e Touya…” Ingoiò a vuoto. “Non vuoi vederlo o parlargli per un’ultima volta?”

Lo sguardo del Re vagò sulla mappa e si fermò nello stesso punto che il minore dei suoi figli aveva fissato fino a pochi istanti prima, dove il nome del Castello Vecchio era segnato sotto quello della Cintura Vulcanica Minore.

“Per come stanno le cose in questo momento, la cosa migliore che possiamo fare per Touya è stargli lontano,” concluse. “Ci sono buone possibilità che il nemico non sappia dov’è o, isolato com’è, avrebbero trovato il modo di usarlo contro di noi.”

Suo malgrado, Shouto dovette ammettere che aveva ragione.

“Hai passato otto anni a far finta che non fosse mai esistito…” Mormorò.

O forse la verità era ancor peggiore. Shouto non solo non conosceva suo fratello, ma nemmeno suo padre.

“Quando dici che Touya è uno sconosciuto per me, ti sbagli,” disse il Principe. “È un fantasma, tu lo hai reso tale.”

Gli occhi del Re incontrarono i suoi per un breve istante.

“Posso contare sul tuo silenzio, Shouto? Tua madre e i tuoi fratelli non meritano di soffrire ulteriormente.”

Shouto ne era dolorosamente consapevole, ma quanto gli pesava essere complice di suo padre in quella menzogna.

“Lo faccio per loro, non per te,” ci teneva a puntualizzarlo. “E perché hai ragione: dove si trova ora, Touya è più al sicuro di tutti noi.”

“Sono lieto che-”

“Ma voglio qualcosa in cambio,” disse Shouto, secco. “Una volta per tutte, che cosa predisse il Cavaliere Veggente su me e Touya?”

Stremato dagli eventi degli ultimi mesi o, forse, perché la guerra era per tutti loro una promessa di morte, Enji decise di accontentarlo.

“Mi disse che la storia si sarebbe ricordata del mio nome,” rispose. “E che i miei figli sarebbero divenuti leggenda.”



 

-1 anno e mezzo dopo-



 

Hawks lasciò che il Principe lo conducesse nelle cucine del Castello Vecchio.

“Siediti,” lo invitò, indicandogli la sedia a capotavola, la più vicina al caminetto. “Grazie a Katsuki, abbiamo abbastanza cibo da sfamare un esercito.”

Shouto si chinò per sistemare della legna da ardere, in modo da scaldare la stanza. Era estate ma quando il vento del Mare del Nord soffiava, era come se la stagione calda non fosse mai arrivata.

Il Cavaliere si affrettò a raggiungerlo. 

“Non è necessario che tu faccia tutto questo. Posso pensarci da me.”

Per tutta risposta, il Principe appoggiò la mano sinistra sui ceppi e questi presero fuoco quasi all’istante.

“Dico sul serio, accomodati.”

Hawks lo assecondò e si sedette, ingoiando di malavoglia tutto l’imbarazzo che gli provocava essere servito da un membro della famiglia reale. Shouto non parve condividere il suo sentimento. Al contrario, si muoveva in quella cucina con la naturalezza di chi lo aveva sempre fatto.

“Ti ha insegnato tuo fratello a cucinare?” Domandò il Primo Cavaliere, senza riflettere troppo sulle proprie parole. Il pensiero dei fratelli Todoroki che condividevano l’arte culinaria lo allibiva e, al contempo, divertiva. Touya non aveva mai avuto la pazienza d’insegnare nulla a nessuno, nemmeno nei suoi giorni migliori. 

Di fatto, Shouto allontanò lo sguardo dai fornelli e lo guardò come se gli fossero spuntate due teste.

“Mio fratello sa cucinare?” 

Hawks nascose una risata con un colpo di tosse.

“Era parte dell’addestramento di tuo padre,” raccontò. “Dovevamo essere completamente indipendenti e questo comprendeva padroneggiare l’arte della caccia e, in seguito, sapere cosa farne della cacciagione. Lo chiamavamo campeggio. Non lo era affatto. Era una prova di sopravvivenza bella e buona.”

“Vorrei sapere di che cosa parli,” disse Shouto, servendogli il suo pranzo - una zuppa di pesce. “Ma ho ricevuto un altro tipo di educazione, rispetto a quella tua e di Touya.”

Hawks ne era dolorosamente consapevole. Da quel che sapeva, Shouto non aveva mai attivamente interagito con nessuno della sua età, fino all’arrivo di Izuku e Katsuki a corte. 

Touya, a suo tempo, non era mai stato un campione nelle interazioni sociali, ma nessuno lo aveva mai isolato nel modo in cui era toccato al fratello minore. Hawks ricordava di averlo visto complottare con Rumi un paio di volte - contro di lui, ovviamente - ma era stata una breve parentesi durante la guerra contro i Nomu, nulla di più. 

Keigo era stato l’unico amico del Principe delle Fiamme Blu.

“Per la cronaca, è stato Katsuki a insegnarmi,” raccontò Shouto, sedendosi alla sua destra. “Anche sua madre voleva che crescesse come un uomo indipendente e, nonostante sia destinato a divenire un Capo Clan, non ha mai permesso che suo figlio fosse servito e riverito.”

Hawks davvero non riusciva a immaginarla la donna dietro la personalità esplosiva di Katsuki e, in tutta sincerità, non era certo di essere tanto curioso da volerla conoscere.

Shouto però ne parlava con rispetto e, dopo il quarto cucchiaio di zuppa, questo portò il Cavaliere a porre una domanda.

“Perché, quando siete scappati, non siete tornati al Nido dei Bakugou? Nonostante la secolare rivalità tra i Todoroki e i Draghi, la famiglia di Katsuki ti aveva accolto con tutti gli onori. Considerata la bassa natalità all’interno dei Clan, credo che avrebbero accolto la notizia dell’arrivo di un erede con gioia.”
“Io credevo che mio padre l’avrebbe accolta con gioia,” ribatté Shouto. 

A quelle parole, Hawks sentì una morsa stringersi all’altezza dello stomaco e appoggiò il cucchiaio sul bordo del piatto.

“Ci ho riflettuto molto, Hawks,” aggiunse il Principe. “Io non credo che per mio padre sia un problema il fatto che abbia concepito un bambino con Katsuki. Al contrario, mio figlio è una promessa di potere senza precedenti e, siamo onesti, non lo disturba il fatto che sia a portarlo in grembo. Anzi, conoscendolo, sarebbe capace di ribaltare le norme sociali e sostenere che sarebbe più corretto dargli il nome Todoroki, piuttosto che Bakugou.”

Hawks era d’accordo con ogni parola.

“Allora perché…?” Shouto guardò il Primo Cavaliere dritto negli occhi. “Perché chiamarlo errore?”

Hawks non aveva una risposta, solo altre domande e il Principe aveva il diritto di sapere che qualcosa turbava suo padre, ma doveva arrivarci con calma o non lo avrebbe ascoltato.

“Io sono qui per la tua sicurezza,” disse. “Come, negli ultimi otto anni, sono stato qui per quella di Touya. A tuo padre importa di voi, Shouto.”

“Sì, gli importa,” concordò il Principe. “Se non gli importasse di noi, la sua stessa esistenza perderebbe senso. Siamo l’incarnazione della sua ambizione, ma nessuno dei due è stato all’altezza delle sue aspettative.”

Hawks scosse la testa.

“Non era questo che intendevo, Shouto.”
“Non ci ama,” affermò il Principe, calmo e gelido. “Gli importa perché gli serviamo ancora, in qualche modo, ma non ci ama. Se ci amasse, non saresti tu a essere qui ma lui.”

Il Primo Cavaliere non poteva dargli torto, ma c’era qualcosa dietro le azioni del Re, ne era certo. 

“Posso essere sincero con te?” Domandò.

Shouto annuì.

“Ho la netta sensazione che tuo padre mi abbia cacciato dalla corte.”

Il più giovane inarcò le sopracciglia.

“Che cosa intendi?”

Il Cavaliere alzò le spalle.

“Con certezza, non so spiegartelo nemmeno io,” ammise. “Ma tua madre sospetta qualcosa e io le do ragione.”

“Mia madre?”

“Gli ho sentiti parlare di te nella sala del Consiglio," raccontò il Cavaliere. “Ti assicuro che lei era arrabbiata, ma non nel modo in cui mi aspettavo.”

Hawks non avrebbe mai dimenticato l’abisso in cui era precipitata la famiglia reale dopo la tragedia della Landa di Dabi, né il modo in cui Enji aveva rinchiuso la sua consorte nella torre pur di non permetterle di mettere bocca sulla sentenza di esilio. Le urla disperate di Rei lo avrebbero accompagnato per sempre.

Quella notte, quando il Re gli aveva ordinato di vegliare sui due Principi, la Regina non gli era sembrata altrettanto afflitta. Lei, per prima, aveva scorto qualcosa di diverso nel Re, un dettaglio che rendeva l’aver perso Shouto meno grave dell’esilio di Touya.

“Tuo padre mi sta nascondendo qualcosa,” disse Hawks, diretto. “Non so che cosa, ma penso che abbia a che fare col motivo per cui entrambi ci troviamo qui.”

L’espressione di Shouto si addolcì, ma solo per un istante.

“Non gli darò ancora il beneficio del dubbio. Non ce la faccio.”

“Lo so.”
In un magro gesto di conforto, Hawks allungò la mano e gli strinse il braccio.

“Sarò io a concedergli il beneficio del dubbio per tutti e due,” aggiunse. “Almeno, fino a che non avrò delle risposte. Ho solo bisogno del tuo silenzio. Touya non lo deve sapere.”

Shouto concordò senza esitare.

“Anche se volessi dirgli qualcosa, non mi ascolterebbe,” disse, con un sorriso malinconico. 

“Come si comporta con te?”

“Mi evita per la maggior parte del tempo,” rispose il Principe. “So che si diverte a far saltare i nervi a Katsuki ma, a parte questo, stanno attenti a rimanere distanti l’uno dall’altro. Non è una soluzione ottimale e non sono certo che reggerà ancora a lungo, ma non sapevo davvero da chi altro andare.”
Hawks inarcò il sopracciglio destro.

“Che cosa ti ha portato a pensare che mettersi nelle mani di Touya fosse più sicuro di chiedere rifugio al Clan Bakugou?”

“La famiglia di Katsuki mantiene la pace nelle sue terre, ma è un equilibrio precario. Mesi fa, tra i Clan avversari è circolata la voce che l’Erede dei Bakugou aveva per amante un Todoroki e questo ha messo in pericolo tutto.”

Hawks lo fissò.

“Ti hanno minacciato?”

“Si è risolto tutto con una sorta di duello tra Campioni,” raccontò il Principe. “Katsuki ha vinto.” Era stata la prima e unica volta che era riuscito a usare One For All. “Abbiamo deciso comunque di andarcene e tornare alla corte dell’Alto Trono. Non è successo nulla di brutto, ma non posso tornare al Nido con un bambino in grembo e sperare che non scoppi una guerra tra Draghi intorno a me.”

“Potevi scegliere tra la brace e la brace.” 

Gli uscì come una battuta sarcastica, ma Hawks non era veramente dell’umore per fare dello spirito.

“No,” disse Shouto. “Qui non mi succederà niente.”

“Mi dispiace essere io a dirtelo, ma se pensi che Touya ti lasci restare in nome del vostro legame di sangue-”

“Touya mi tiene qui con lui perché spera di usarmi contro mio padre,” disse Shouto, con la naturelezza di qualcuno che sta parlando del tempo. “Si sta concentrando su Katsuki perché lo vede come una minaccia, a differenza di me.”

Hawks sbatté le palpebre un paio di volte, perplesso, ma non ebbe bisogno di chiedere niente.

“Avevo detto a Izuku e Katsuki che, una volta finita la guerra, sarei venuto qui a cercarlo,” disse Shouto. “La guerra è finita e si è portata via un pezzo di noi. Nelle condizioni in cui ero, non sarei mai riuscito a guardare mio fratello negli occhi. Il resto lo sai: io e Katsuki siamo partiti, è successo quel che è successo e, nel momento in cui mio padre ha risvegliato in me tutto il rancore che pensavo di aver superato, ho cercato l’unica persona che speravo mi avrebbe capito. È stata una scelta istintiva, nulla di più. Evidentemente, nemmeno il rancore può unire ciò che il Re ha diviso.”

Hawks aveva perso il conto di tutte le ragioni sbagliate per cui sia lui che Shouto erano finiti di nuovo sul cammino del Principe Esiliato ma, a quel punto della storia, era inutile analizzarle tutte.

“È pericoloso,” si limitò a dire.

“È da solo,” ribatté Shouto, poi lo guardò dritto negli occhi. “Che effetto ti ha fatto rivederlo?”

Se non avesse avuto anni d’intrighi di corte alle spalle, Hawks avrebbe incassato quel colpo nel peggiore dei modi. Riuscì a piegare le labbra in un sorriso che non aveva nulla di sincero.

“Che cosa ti aspetti che ti dica?”

Se Shouto lesse nei suoi occhi tutta la tristezza che gli stringeva il cuore, non disse nulla in proposito.

“Tu che cosa vedi quando lo guardi?” Rilanciò il Cavaliere, vigliaccamente.

La sincerità e l’ingenuità della risposta di Shouto lo destabilizzarono.

“Mio fratello…”

Hawks scosse la testa.

“Shouto, capisco che tu-”

“No, non capisci,” lo interruppe il Principe di Fuoco e Ghiaccio gentilmente. “Non puoi, come non può Katsuki. È proprio questo il punto, solo Touya può. Perché non esiste nessuno di più simile a me.”

 

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Capitolo 13
*** The Voice ***


Prompt:

You are exactly where you need to be


XIII

The Voice 


I will not make the same mistakes that you did

I will not let myself 'cause my heart so much misery

I will not break the way you did

You fell so hard

I've learned the hard way, to never let it get that far

Because of you

(“Because of you” - Kelly Clarkson)



 

Nel seguire gli spostamenti dei Nomu, le truppe continuarono a muoversi verso sud. Alla fine dell’inverno, trovarono sul loro cammino una vecchia roccaforte e, tentati dall’idea di dormire sotto un tetto solido, vi si stabilirono. Fu in quel luogo che il Principe delle Fiamme Blu e il suo Cavaliere trascorsero la loro prima notte d’amanti.

La mattina dopo, Touya aprì gli occhi prima che il sole tagliasse l’orizzonte, svegliato da qualcuno che chiamava il suo nome. Si erano addormentati sul tappeto, accanto al focolare. La prima cosa che il Principe vide furono le braci spente e annerite nel caminetto. Si sollevò sui gomiti lentamente, ancora intontito dal sonno. Hawks dormiva accanto a lui, con le ali stese verso il centro della camera.

Non poteva essere certo stato lui a chiamare il suo nome. Considerò l’idea di esserselo immaginato, forse sognato, e tornò a stendersi tra le pellicce che avevano usato come coperte, spingendosi verso il suo Cavaliere nel processo.

Nel sonno, Hawks gli circondò la vita con il braccio e Touya chiuse gli occhi, deciso a riposare ancora qualche ora.

Non ci riuscì.

La pressante sensazione di essere osservato lo costrinse a sollevare di nuovo le palpebre. Alzò la testa e scrutò la stanza, alla ricerca di un intruso o qualunque altra cosa che potesse giustificare il brivido freddo che gli attraversava la schiena e gli faceva venire la pelle d’oca. Scivolò via dall’abbraccio di Hawks, stando attento a non svegliarlo.

Quando si sollevò in piedi, avvolse le braccia intorno al corpo nudo. Il freddo non era mai stato un problema per lui, ma allontanarsi dal calore del corpo di Hawks fu una cosa abbastanza spiacevole, specie con quella sensazione sinistra che strisciava sotto la sua pelle e non lo lasciava andare.

Touya guardò fuori, ma non vide nulla d’insolito.

Lasciò andare un sospiro e il suo fiato si condensò in una nuvola di vapore.

Si voltò, dandosi del paranoico, deciso a tornare dal suo Cavaliere.

Ebbe il tempo di fare appena due passi.

“Touya…”

Il Principe gelò, trattenne il respiro. Quando si voltò a guardare di nuovo fuori, non c’era nessuno nel cortile interno della roccaforte, ma qualcuno aveva chiamato il suo nome. 

Non perse tempo a porsi domande a cui non avrebbe saputo dare alcuna risposta. Recuperò i propri vestiti da terra e dopo averli indossati, uscì dalla camera senza disturbare il sonno di Hawks

Scese le scale velocemente. Era troppo presto perché, oltre a lui, qualcun altro fosse sveglio. Nonostante l’inverno stesse per finire, il terreno del cortile era gelato e quasi tutto era ricoperto di brina.

Touya andò oltre, uscì dai cancelli della rocca, addentrandosi nel bosco che la circondava. Una nebbia leggera avvolgeva ogni cosa, contribuendo a rendere il paesaggio più inquietante. Il Principe camminò per pochi minuti, o forse di più. 

Quando vide l’uomo in nero, il suo cuore saltò un battito.

La sua figura era nascosta per metà dal tronco di un albero. Era molto alto, a Touya ricordò suo padre, il cappuccio nero del mantello gli copriva completamente il viso, tranne la bocca.

Era come la creatura di un incubo, ma il Principe non aveva intenzione di scappare.

“Ce ne hai messo di tempo per accorgerti di me,” disse l’uomo in nero.

“No…” Mormorò Touya, come se stesse pensando ad alta voce. “Ti ho già visto. mi talloni da tempo, vero?”

Non avrebbe mai saputo indicare un quando o un dove precisi in cui quell’individuo era già comparso sul suo cammino, ma sentiva che lo seguiva da tempo, nascosto nell’ombra che gettava alle sue spalle con ogni passo. 

“Ti osservo,” disse lo sconosciuto.

A Touya non fece affatto piacere notare che poteva sentire chiaramente la sua voce, ma non muoveva le labbra.

Fece un passo indietro.

“Hai paura di me?” Domandò lo sconosciuto, beffardo.

Touya si portò la mano alla fronte.

“Sei nella mia testa?”

“Non è nel mio interesse farti del male,” lo rassicurò l’uomo in nero. “Ho solo creduto che ti facesse piacere sapere che, a differenza di tuo padre, c’è qualcuno che ti guarda.”

“Non so a cosa ti riferisca,” mentì Touya, sebbene lui fosse stato il primo ad accusare il Re di non dargli abbastanza attenzioni. Quell’essere, qualunque cosa fosse, non doveva avere conferma di quella sua debolezza. “Mio padre non mi fa mancare nulla.”

“Di sicuro, in quanto Principe, disponi di tutte le cose materiali che desideri, ma il tuo cuore è ferito e lo sai bene.”

Touya ghignò.

“Come può uno sconosciuto dall’aspetto sinistro sapere se il mio cuore è integro o no?”

“Chiunque subisca il dolore di essere respinto dal proprio sangue ha il cuore rotto,” disse l’uomo in nero. “Io lo so bene.”

“Smettila di perdere il fiato in sciocchezze e dimmi cosa diavolo vuoi da me?”

“Sei coraggioso, Touya Todoroki. Peccato che tu stia tremando.”

Sì, era vero.

Touya sollevò la mano sinistra e guardò le dita inferme con disprezzo. Le strinse a pugno e le fiamme blu gli avvolsero il braccio.

“È solo il freddo,” disse, sprezzante, anche se non lo aveva mai sofferto in vita sua. “Per l’ultima volta, che cosa vuoi da me?”

Vide le labbra dell’uomo in nero piegarsi in un sorriso.

“Permettimi una domanda: non hai mai avuto la sensazione di essere fuori posto, come se il destino avesse compiuto un errore con te?”

Il destino aveva compiuto molti errori con il Principe delle Fiamme Blu.
Gli aveva dato in dono un potere senza precedenti e lo aveva maledetto con un corpo incapace di sopportarlo. Se n’erano accorti troppo tardi. Aveva passato l’infanzia a sentirsi ripetere che era venuto al mondo per uno scopo più grande di tutti gli altri e, di colpo, avevano cambiato idea.

Touya era nato per indossare la Corona, che fosse realmente adatto a regnare o lo volesse davvero non era indicativo per il concretizzarsi del suo futuro.

Una scelta non gli era mai stata data. Suo padre aveva scritto la sua storia ancor prima di tenerlo tra le braccia e Touya, affamato d’amore, lo aveva assecondato mettendoci tutto se stesso. E per cosa? Non appena si erano resi conto che il fuoco dei Todoroki lo feriva, i suoi genitori avevano preso ogni verità che lo riguardava e gli avevano detto di non crederci più.

D’allora, Touya aveva dedicato ogni suo respiro a cercare di provare a se stesso, a suo padre, al mondo intero che la ragione per cui era nato valeva ancora, che non era un fallimento. Keigo - Hawks - era l’unica cosa che si era concesso di volere sinceramente, la sola boccata d’aria nella sua folle corsa verso il potere. 

In breve, si era mai sentito fuori posto? Sì, innumerevoli volte, ma era stato privato della facoltà di scrivere la sua storia da sé. Gli era stato assegnato un ruolo, stava lottando per esserne all’altezza e non riusciva a vedere nulla al di là di quello.

“Sono esattamente dove devo essere,” rispose Touya, senza esitare.

L’uomo in nero non gli chiese altro.

“Quando il tuo astro brucerà al punto che nessuno, nemmeno tuo padre, potrà ignorarti, ci rivedremo.”

Quelle parole non avevano alcun senso.

“Che cosa signifi-”

“Touya…”

Il Principe si voltò e, alle sue spalle, trovò un fanciullo dai capelli corvini, spettinati.

“Tenko?” Chiamò Touya, smarrito come se si fosse appena svegliato da un sogno.

Era l’ultima persona che si era aspettato di vedere. 

“Che cosa state facendo qui fuori, mio Principe?” Domandò il ragazzino, con quell’aria intimorita che indossava in qualunque occasione.

Touya tornò a guardare di fronte a sé, ma l’uomo in nero non c’era più.

Le fiamme blu si dissolsero.

“Niente…” Rispose, guardandosi intorno con sospetto. “Non dovresti essere qui fuori. I Nomu potrebbero essere ovunque e approfittare del fatto che sei da solo per cibarsi di te.”

“Quando vi ho visto uscire dai cancelli, ho pensato la stessa cosa,” si giustificò Tenko.

Non era un Cavaliere, nemmeno un apprendista. Era uno degli orfani accolti dalla corte, di quelli senza un talento utile da usare sul campo di battaglia. L’unica ragione per cui era lì, a miglia e miglia da casa, era per rendere più comoda la vita di qualche Cavaliere blasonato. Touya e Hawks lo avevano conosciuto da bambini, durante una delle loro tante fughe per le strade della capitale. Forse lo avevano reso loro complice proprio durante una di quelle scorribande notturne, senza pensare che una cosa del genere gli sarebbe potuta costare la testa.

Eppure, sprezzante del pericolo, aveva seguito il Principe della Corona per non lasciarlo solo al mercé dei Nomu. Atto stupido, ma coraggioso.

Touya incontrò i suoi occhi, parzialmente coperti dalla frangia corvina.

“Tu non hai visto niente?” Domandò.

Tenko scosse la testa.

“Torniamo indietro, mio Principe. Restare qui fuori è pericoloso.”

Sì, era senza dubbio pericoloso, ma non a causa delle bestie informi che minacciavano il loro regno da due stagioni.

Il Principe affiancò il servitore. Nonostante Tenko avesse un paio di anni meno di lui, erano alti uguali.

“Perché non hai avvertito nessuno?” Domandò Touya, mentre scendevano lungo il sentiero. “Io ho il fuoco e tu non hai nemmeno una spada.”

Tenko abbassò lo sguardo, imbarazzato. 

“Ho pensato che se il Principe fosse stato visto fuori dai cancelli, avrebbe passato dei guai.”
E aveva ragione.

Ma Touya non avrebbe ricevuto più di una ramanzina da parte di un padre ansioso. Per essere lì, lontano dal suo posto, Tenko rischiava le frustrate.

“Sei coraggioso, Tenko,” disse Touya e lo credeva davvero.

Gli occhi scuri del fanciullo divennero enormi e le sue guance si colorarono un poco.

“Sono onorato di sentirvelo dire.”
“Come hai fatto a vedermi?” Aggiunse Touya. “Che cosa ti ha svegliato?”
“Un incubo…”
Il Principe strinse le labbra e annuì.

“Sì, un incubo ha svegliato anche me.”




 

-9 anni e mezzo dopo-




 

Il cielo sopra la Cintura Vulcanica Minore era terso e, nonostante fosse ormai estate inoltrata, l’aria era fresca. 

Shouto camminava con l’arco stretto in mano e la faretra appesa alla spalla destra. Il paesaggio intorno a lui era desolante, nulla di paragonabile al blu del Mare del Nord o all’immensità che aveva ammirato dalle cime degli antichi vulcani delle terre dei Bakugou.

La culla in cui era nata la dinastia dei Todoroki era nera e basta.

La prima volta che Shouto era stato al Castello Vecchio, più di nove anni prima, la distesa oceanica lo aveva incantato, oscurando tutto il resto. Ora che aveva occasione di guardarsi intorno, non trovava nulla di particolarmente affascinante in quella regione ai confini estremi del regno di suo padre. 

Mentre si spostava, il Principe era attento a non perdere mai di vista le torri della rocca. Era stata l’unica condizione di Katsuki, prima di lasciarlo andare: “non andare dove non posso raggiungerti con più di un colpo d’ali.”

Shouto aveva dovuto penare per farsi concedere qualche ora da solo. Ne aveva bisogno.

Aveva portato con sé arco e frecce per giustificare con la caccia quella sua piccola fuga, ma non si stava nemmeno impegnando a cercare una preda. Era stanco.

Non fisicamente - per sua fortuna, i sintomi peggiori della gravidanza si erano alleviati notevolmente con il termine dei primi mesi - ma si era reso conto di aver sottovalutato l’impatto emotivo che affrontare suo fratello aveva avuto su di lui.

Shouto aveva combattuto una guerra senza precedenti ed era stato lui a recuperare il corpo di Izuku dal campo di battaglia. Superato un momento tanto buio, nella disperazione della fuga, si era detto che Touya non potesse essere una prova altrettanto dura.

Si era sbagliato.

Nulla era paragonabile al momento in cui aveva raccolto i resti del giovane Campione, ma tenere testa a suo fratello era un po’ come farlo con suo padre. Lui e Touya a stento si conoscevano ma, nel convivere con lui, Shouto sentiva gravare sul suo cuore lo stesso fardello che lo aveva accompagnato fino alla fanciullezza. 

Touya non era qualcosa di nuovo, ma solo il capitolo che gli era mancato della tragedia della sua famiglia. In ogni suo sguardo, o gesto, o parola che gli rivolgeva c’erano un rancore e una rabbia che Shouto conosceva bene. Era sfiancante.

L’arrivo di Hawks non era stato un grande aiuto in tal senso.

A numeri, erano in tre contro uno. Nei fatti, Katsuki era l’unico che riusciva a guardare Touya negli occhi, senza vederci dentro demoni e fantasmi di un passato che non era affatto andato in cenere.

Shouto credeva davvero quello che aveva detto al Primo Cavaliere: se Touya gli avesse permesso di avvicinarsi, era certo che le ferite che il Re aveva lasciato loro addosso non avrebbero più fatto così male. Ma non era un processo a senso unico e suo fratello non aveva alcuna intenzione di assecondarlo.

Sì, era sfiancante.

Quella parentesi di solitudine gli serviva per riflettere e riprendere fiato.

Non appena il paesaggio di scoprì e riuscì a vedere il mare oltre le nere torri del Castello Vecchio, Shouto appoggiò l’arco a terra e si sedette su una delle rocce nere.

“Per la prima volta, siamo solo io e te,” disse, accarezzandosi la pancia. Aveva cominciato a notarla davvero solo nelle ultime due settimane, ma non lo aveva ancora detto a Katsuki. Voleva che se ne accorgesse da solo.

“Il tuo papà è un po’ distratto, vero?”

Katsuki, in realtà, era fin troppo attento, ma Shouto aveva preso le distanze, troppo pensieroso per farsi amare. Sapeva che il giovane Drago sopportava a stento quel genere di situazioni, specie se il Principe si nascondeva dietro a un muro di silenzio, ma stava imparando a essere paziente. Oppure, molto più probabile, Katsuki aspettava che voltasse lo sguardo per andare a sfogarsi con - o sul - povero Hawks.

Shouto si liberò della faretra e si distese sulla roccia, il braccio destro piegato dietro la testa e la mano sinistra posata sul grembo. Rivolse lo sguardo al cielo, cercandovi una soluzione al caos che si agitava nel suo animo.

Fin da piccolissimo, suo padre gli aveva ripetuto che era nato per un grande scopo e non si era mai fatto scrupoli a fargli piangere tutte le sue lacrime in nome di esso. Quando quella follia lo aveva privato di sua madre, Shouto aveva issato intorno a sé una barriera impenetrabile per lungo tempo. Non aveva permesso a nulla e nessuno di toccarlo, ponendosi come obiettivo quello di diventare forte, ma non secondo le sue regole del Re.

Solo Izuku era stato in grado di tirarlo fuori da quella roccaforte di ghiaccio in cui si era barricato, ma questo non era stato sufficiente a insegnargli come gestire i tumulti del suo cuore. Shouto aveva odiato, tanto. La disperazione e la tristezza gli avevano lasciato addosso i loro segni troppo presto e non avevano mai davvero smesso di affondare i denti nella sua carne. Gli ci era voluto del tempo per capire che il calore non lo avrebbe per forza bruciato, che afferrare la mano di un amico non era debolezza e che abbandonarsi tra le braccia dell’amore poteva essere una cura. 

A modo suo, Izuku non lo aveva mai lasciato e Katsuki se ne stava al suo fianco con fierezza. Dall’altra parte, suo padre l’aveva ferito per l’ennesima volta e suo fratello non perdeva occasione per rigirare il dito nella piaga. 

Intorno a Shouto, tutto e il contrario di tutto convivevano e il caos che ne derivava gli faceva venire voglia di urlare. Poi si ricordava della creatura che cresceva dentro di lui. Ciò che provava per suo figlio non era fisso come le stelle nel cielo. Alle volte, parlare con lui riusciva a lenire un poco l’amarezza che gravava sul suo cuore; altre, il pensiero di divenire genitore lo dilaniava. Desiderava la vicinanza di suo padre e sua madre, come un bambino spaventato dal buio, poi ricordava che nessuno dei due lo aveva mai fatto sentire al sicuro.

“E se possedessi un potere abbastanza grande da non avere più ragione di provare paura?”

Shouto sentì il sangue gelarsi nelle vene. Si tirò a sedere e si guardò intorno. Non vide nessuno ma il suo istinto gli disse che non era da solo.

Si alzò in piedi, ogni fibra muscolare era tesa fino allo spasmo. Se lo avessero attaccato, non si sarebbe disturbato a contenere la forza.

Era calato uno strano silenzio su quel sentiero tra le montagne. Innaturale.

“Shouto…”

Il suono del suo nome lo fece trasalire. Si voltò e vide suo fratello sul sentiero, a pochi metri da lui.

“Touya…” 

Era felice che fosse lui. Sebbene solo per un istante, quel sussurro in fondo alla sua testa gli aveva fatto paura.

Il maggiore dovette accorgersene perché lo guardo fisso, mentre si avvicinava, come se avesse qualcosa fuori posto.

“Che cosa ti prende?” Domandò.

“Non lo so,” ammise Shouto, affondando le dita della mancina tra i capelli. “Mi è sembrato di sentire una voce nella testa.”

Suo fratello non lo derise come suo solito ma, al contrario, Shouto scorse un guizzo di allarme nei suoi occhi turchesi. 

“Touya…?”

Suo fratello gli afferrò il braccio e prese a guardarsi intorno, come se fosse alla disperata ricerca di qualcosa. O qualcuno.

“Sicuro di non aver visto nessuno?” Domandò il Principe Esiliato, continuando a scrutare tra le rocce nere sul pendio del vulcano dormiente.

Shouto annuì.

“Touya, che cosa c’è?”
Il maggiore rispose al suo sguardo.

“Che cosa ti ha detto quella voce?”

Il Principe di Fuoco e Ghiaccio aprì e chiuse la bocca un paio di volte, cercando di ricordare con precisione le parole.

“Ha detto qualcosa riguardo a un potere che mi avrebbe impedito di provare ancora paura,” rispose.

Suo fratello lo fissò come se fosse un fantasma.

Shouto sollevò la mano per toccarlo.

“Touya…?”

Touya gli afferrò il polso e lo tirò con urgenza lungo il sentiero, in direzione del Castello Vecchio.

“Muoviti,” disse, senza gentilezza. “Torniamo indietro.”

E Shouto percepì che era spaventato.

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Capitolo 14
*** Something About Destiny ***


Prompt: I am the designer of my own catastrophe


XIV

Something About Destiny 

And I've been thinkin' about it lately
Does it ever drive you crazy
Just how fast the night changes?
["Night Changes" - OneDirection]



 

Quella notte, i veterani accesero un grande falò al centro del cortile interno della rocca, per concedere ai più giovani un luogo di ritrovo in cui poter restare al caldo, non troppo lontano dalla guardia vigile dei loro genitori o tutori. L’onore di servire la Corona seguiva il principio ereditario. C’erano centinaia di fanti ad aver ricevuto solo l’addestramento base ma i guerrieri delle Casate - quasi tutti dotati di un potere di famiglia - si conoscevano praticamente fin dall’infanzia.

Persino gli orfani accolti dalla Corona, privi di origini importanti ma baciati dalla magia, avevano il permesso d’interagire con i giovani Lord. Rumi, conosciuta come Mirko, era tra quelle bambine fortunate ed era la più rumorosa di tutte.

“Facciamo un gioco!” Esordì. Si alzò e fece un giro completo intorno al falò per vedere quali dei suoi compagni erano ancora svegli.

“Allora, chi vuole giocare?” Domandò, continuando a mischiare le carte tra le sue mani con pochi, sciolti movimenti. I fanciulli, mezzi assopiti, cominciarono a valutare la possibilità di partecipare, mentre Mirko continuava a saltare intorno a loro come un coniglio impazzito.

Enji osservava la scena dalla balconata della torre.

I momenti ricreativi tra compagni d’armi erano quelli che peggio tollerava. Non considerava se stesso divertente e non era bravo a nessun gioco in particolare, a parte i duelli amichevoli. 

Attirato dal gran chiacchiericcio, l’Erede dell’Alto Trono uscì a sua volta, comparendo al fianco del padre.

“Oh, è Rumi!” Esclamò Touya. Come se questo bastasse a spiegare tutto quel casino.

“Chi?” Domandò il Re, guardandolo.

“Mirko,” si corresse il Principe. “Tu la conosci col nome che si è scelta quando la Corona l’ha raccolta. È una delle orfane. È rumorosa, caparbia ed è incapace di accettare la sconfitta. Pur di avere l’ultima parola sul nemico, riuscirebbe a vincere anche facendosi fare a pezzi.”

Enji osservò la fanciulla che continuava a saltare da un compagno all’altro, illustrando nei dettagli il gioco di carte che voleva fare.

“Qual è il tuo giudizio?”

“È una delle migliori,” rispose Touya. “Sarebbe perfetta nella guardia reale e, in futuro, nel Concilio Ristretto.”

Enji inarcò le sopracciglia.

“Non credi di esagerare?” Tornò a osservare i visi dei fanciulli, illuminati dal falò. “Tensei Iida è l’incarnazione del Cavaliere perfetto.”

Touya alzò gli occhi al cielo. “Ha un ottimo braccio in duello, sa usare la testa e la persone lo ascoltano. Gentile quando serve, fermo e determinato per il resto del tempo. La magia lo ha benedetto con gambe molto veloci ed è un esempio perfetto di lealtà nei confronti della Corona. Un giorno, forse, sarà uno dei tuoi Generali.”

Il Re lo guardò fisso, percependo nell’analisi del figlio una nota particolarmente stonata.

“Ma…?”

“Te l’ho già detto: un ottimo combattente dal cuore gentile. Noiosissimo.”

Enji non poté evitare di sorridere.

“Esiste qualcuno che non è noioso per te?”

“Lo sai che c’è,” disse Touya, incrociando le braccia sul parapetto. Fu facile trovare Hawks in mezzo agli altri: era l’unico con le ali.

“Sì,” gli concesse il Re. “Hawks è bravo.”

Touya gli lanciò uno sguardo eloquente. 

“Bravo?”

Il Re alzò le spalle.

“Sono qui per sentire la tua analisi.”

“Sei stato tu ad addestrare Keigo, non hai bisogno di sentire alcuna analisi da me.”

“Voglio ascoltarla comunque.”

Touya sbuffò, appoggiando il mento al palmo della mano. Al sovrano non serviva un rapporto tecnico su Hawks, quelle che chiedeva erano le sue personali impressioni su Keigo Takami. 

“Sarebbe disposto a fare qualsiasi cosa per proteggere la Corona. Lo hanno cresciuto raccontandogli le grandi storie degli eroi, ma ha imparato in fretta che la figura idealizzata del condottiero senza macchia e senza paura non esiste. Per compiere grandi imprese è necessario sporcarsi le mani,” disse Touya. “È forte almeno quanto è intelligente. Non dimenticare che, grazie al potere delle sue ali, non ha bisogno di una spada per essere un Cavaliere degno di questo nome.”

“Perché tu gli hai dato quella di fuoco?” Indagò Enji.

“Mi hai detto che era un dono per il Cavaliere che ritenevo più degno.”

“Sì, ma perché proprio un Cavaliere che, come hai detto tu, è già abbastanza forte brandendo il potere di cui il destino gli ha fatto dono?”

“Il fuoco uccide più in fretta i Nomu,” spiegò Touya. “Inoltre, un Cavaliere privo di un’arma tradizionale fa nascere dei sospetti nei nemici. In questo modo, Keigo è solo un fanciullo dotato di ali. Non è il primo e non sarà l’ultimo.”

Enji sollevò l’angolo destro della bocca.

“Lo stai proteggendo.”

“Beh, tu proteggi me e usi lui come complice, quindi…”

“Non riesco davvero a capire perché la nostra premura ti disturba. Non è un dispetto contro di te.”

“Davvero?” Domandò Touya, scrutando il viso del padre con quei gelidi occhi turchesi. “Vuoi sapere cosa mi disturba? Entrambi continuate a trattarmi come se fossi di vetro. Mesi sul campo di battaglia e ancora siamo fermi al punto di partenza!”

“Hai il bel viso di tua madre, sarebbe un peccato se venisse rovinato prima che la capitale possa accoglierti da vincitore.”

Quelle parole stridettero come la punta di un chiodo su di una superficie di pietra. Tanto per cominciare, il Re non si era mai interessato all’aspetto dei suoi figli. Una volta, forse, Touya lo aveva udito definirsi fortunato perché tutti e quattro i suoi bambini - con la sola eccezione di Natsuo - avevano ereditato gli occhi grandi e i lineamenti morbidi degli Himura, ma era stata una cosa detta per dire. Enji dava valore solo al potere, quello di Touya e Shouto per la precisione.

Perché era necessario che Touya cavalcasse verso il suo primo trionfo con un bel faccino?

“Mi stai vendendo?” Domandò, in un sibilo velenoso.

Enji lo guardò dritto negli occhi.

“Non lo farò mai!” Esclamò. “Non finirai mai nelle mani di qualcuno che non vuoi!”

“Voglio Keigo,” quella di Touya era una pretesa folle, capricciosa, ma era il solo desiderio sincero del suo cuore. “Nessun altro, solo Keigo.”

Enji si era aspettato una simile risposta.

“È più giovane di te di un anno.”

“Questo non ti ha impedito di portarlo in guerra con te.”

“Sono due cose diverse. Se intelligente e lo sai.”

“E proprio perché sono intelligente so di non essere costretto a prendere un o una consorte. Posso portare la Corona e cedere a mia sorella e ai miei fratelli l’ingrato compito di riprodursi,” disse Touya. “Non voglio figli, né ora né mai.” Fissò gli occhi turchesi sul falò sotto di loro, in attesa dell’inevitabile paternale.

Quando non arrivò, il Principe si vide costretto ad alzare lo sguardo.

“Non hai nulla da dire contro di me?” Domandò, quasi ne fosse deluso.

“Sono l’unico figlio dei miei genitori, lo sai bene,” disse Enji. “Eppure, nessuno si è mai permesso di dirmi quello che dovevo fare. Sapevo che era mio dovere dare un futuro al mio nome, ma nessuno mi ha mai imposto come farlo. Quando ho scelto tua madre come sposa, avevo superato da un pezzo i sedici anni.”

“Allora perché ne stiamo parlando?”

“Perché è dal torneo in tuo onore che non faccio altro che ricevere proposte, sia dalle Dame che dai Cavalieri.”

Touya alzò gli occhi al cielo. “Ti prego, non voglio vedere quell’espressione compiaciuta!”

“Lascia che mi vanti un po’ per aver messo al mondo il Principe più bello di tutte le terre dell’Alto Trono.”

“È proprio l’Alto Trono a rendermi bello, possibile che tu non lo capisca?”

“Certo, un Principe sia potente che un piacere per gli occhi è un ottimo partito a cui puntare.”

“Papà!” Touya sentì le guance farsi rosse. Quelli erano i discorsi futili che tanto erano cari a Fuyumi e sua madre, non di certo a un Principe che combatteva in prima linea. Suo padre, in particolare, era davvero l’ultima persona con cui aveva intenzione d’intavolarli.

“Non pensare che l’idea di cederti a qualcuno mi piaccia. Pensavo di avere ancora anni per prepararmi,” lo informò Enji. A riprova del fatto che quella conversazione non piaceva neanche a lui, s’impegnò a posare lo sguardo su qualsiasi cosa non fosse il viso del figlio. “Non so chi incolpare di questo,” ammise. “Se Hawks, con la sua alzata di testa durante il torneo o te, che hai salvato l’intera corte dal primo Nomu con le tue fiamme blu.”

Touya piegò le labbra in un sorriso furbetto. “Se sommi i due problemi, hai la soluzione.”

Enji studiò il profilo di suo figlio. Quando non rispondevano al suo sguardo, gli occhi di Touya non facevano che cercare Hawks. In quanto padre avrebbe voluto sapere fino a che punto si erano spinti, come si consideravano l’un l’altro e quanto seriamente prendevano il loro legame. Touya era nato Principe e stava dimostrando di meritare quel titolo ogni giorno di più. Hawks era figlio di nessuno - di un criminale a voler essere puntigliosi - ma era più meritevole della mano di suo figlio della maggior parte dei figli delle Casate.

“Touya!” Chiamò Mirko, agitando la mano destra verso la balconata. “Vieni giù! Hawks sta facendo il noioso, come al solito, e non vuole giocare!”

Touya non aspettò che il padre gli desse il permesso per andare.

“Tu sai che alcuni Principi Todoroki hanno dato alla luce i propri eredi, vero?” Domandò Enji, non appena suo figlio lo ebbe superato.

Touya lo guardò. “Non è accaduto a nessun Re.”

“No, ma ai rami minori sì.”

“Non appartengo a nessun ramo minore e non voglio figli. Di nuovo, perché ne stiamo parlando?”

“In queste terre, non esiste qualcuno che sia degno di te più di Keigo Takami,” disse Enji.

“Mi stai dando la tua benedizione?” Domandò Touya con voce incredula. Aveva detto più volte di non volerla, di non averne alcun bisogno. La verità era che non ci aveva mai sperato. Un Principe della Corona con un Cavaliere senza un passato? Non era mai successo, nemmeno nelle fiabe d’amore più belle. 

“Se Hawks ti rende felice…” Si limitò a dire Enji.

Touya aprì e chiuse la bocca un paio di volte. Incapace di dire alcunché se ne andò, poi tornò sui suoi passi con altrettanta velocità. “Grazie…” Mormorò.

Due sillabe che, di per sé, non avevano un gran significato, ma il modo in cui gli occhi azzurri di Touya brillarono nel pronunciarle le resero magiche.

In risposta, Enji accennò un sorriso che, lo sapeva, lo fece assomigliare a un idiota.

Touya fu abbastanza gentile da correre da Hawks senza infierire.

Una volta rimasto da solo, il Re prese un respiro profondo e si coprì gli occhi con una mano. dietro le palpebre chiuse, vide un bimbo dai capelli rossi che gli saltellava intorno per mostrargli il suo primo fuoco, urlando a ripetizione “guarda, papà! Guarda!”

Enji era certo fosse accaduto giusto il giorno precedente.

Era il ricordo di una vita fa.



 

Quando Touya mise piede nel cortile, Hawks si stava già lamentando per la previsione che gli era stata fatta. Ma non era Mirko a reggere le sue tre carte.

“Tenko?” Chiamò il Principe, sorpreso.

Il ragazzino chinò la testa rispettosamente. 

“Vostra Altezza,” salutò.

“Touya, Tenko qui mi ha spiegato come funziona questa cosa delle tre carte e di come si possa prevedere la nascita dei primogeniti attraverso di esse!” Raccontò Mirko, entusiasta. “Hawks si sta già lagnando del suo risultato.”

Touya guardò il suo Cavaliere: se ne stava seduto su di un ceppo con gambe e braccia incrociate e l’espressione più corrucciata del suo repertorio.

“Che ti hanno predetto?” Domandò il Principe.

“Una sciocchezza,” rispose Hawks.

“Shhh!” S’intromise Mirko. “Non dire nulla Hawks, o rischi d’influenzare il risultato!”

“È solo un gioco, Rumi.”

“Allora perché l’hai presa tanto male?”

“Lui è così,” disse Touya, guardando Tenko che mescolava le carte. “Non crede a queste cose, ma non ci metterebbe mai la mano sul fuoco. Preferisce tenersene alla larga.”

Una volta finito, il ragazzino coi capelli corvini gli porse il mazzo.

“Pescate tre carte, mio Principe.”

Touya impiegò pochi istanti a farlo.

Senza saperlo, scelse le stesse tre carte di Hawks.


 

-9 anni e mezzo dopo-

 

 

Keigo aveva iniziato a giocare col fuoco da bambino, da prima di divenire Hawks.

Suo padre lo aveva minacciato di bruciare quelle sue ali rosse innumerevoli volte, alcune brandendo un ceppo rovente. Non era mai successo. Ironicamente, il fuoco era stato il mezzo attraverso cui quel criminale aveva ricevuto la pena capitale.

“Guarda me.” Ricordava ancora la vocina del bambino che lo aveva salvato da quel macabro spettacolo. “Guarda solo me.”

Anche dopo essere stato accolto a corte ed aver scelto per sé il nome Hawks, aveva continuato a sfidare la sorte, avvicinandosi troppo alle fiamme blu del Principe della Corona.

Touya lo aveva scottato per gioco molte volte, ma mai per fargli male. Il fuoco blu dell’Erede, insieme alle sue ali rosse avevano sempre creato un contrasto meraviglioso per gli occhi.

“Potremmo essere un Drago, io e te,” aveva detto ingenuamente il piccolo Keigo.

A ragione, Touya lo aveva guardato come se fosse un completo idiota.

“Pensaci,” aveva insistito il bambino con le ali. “Tu hai il fuoco, io ho le ali. Pensa a cosa potremmo fare insieme!”

Poi il fuoco di Touya lo aveva bruciato.

Quando Hawks aveva tentato di salvare il Principe dalla propria distruzione, le fiamme blu avevano divorato le sue piume una a una, poi erano arrivate alle scapole, alla schiena, alle spalle. Hawks, che aveva conosciuto il fuoco di Touya come una carezza nei momenti più dolci, era quasi morto, divorato dall’inferno che aveva generato la Landa di Dabi.

D’allora, il Cavaliere aveva smesso di giocare con il fuoco, specie quello dei Todoroki. 

Il dolore e l’alito della morte sul suo collo avevano tramutato in cenere anche il ricordo più bello. Nei suoi sogni, Hawks aveva Touya tra le sue braccia, mentre la neve del Nord cadeva fuori dalle finestre senza far rumore; poi le fiamme blu divoravano ogni cosa, lasciando che il Cavaliere si svegliasse nel proprio giaciglio con il cuore in gola e le ustioni sulla schiena attraversate da un dolore fantasma.

Quella volta non fu nessun incubo a destare Hawks, ma la pressante, insistente sensazione di avere gli occhi di qualcuno addosso. Molte stagioni addietro, nel fiore della sua fanciullezza, il mattino aveva avuto il colore turchese degli occhi di Touya molte volte. Quel giorno, quando sollevò le palpebre e vide il Principe Esiliato che lo guardava dall’alto verso il basso, le sue ali reagirono prima che la sua mente riuscisse a liberarsi completamente del sonno.

Touya non si mosse, mentre le piume rosse lo circondavano, affilate più di qualsiasi lama dell’esercito reale. Il Primo Cavaliere era sul letto, in piedi, brandendone due lunghe come due spade, una per mano. 

Il Principe Esiliato commentò la reazione con un sorrisetto beffardo.

“Lento,” disse. “Se ti avessi voluto morto, saresti cenere già da parecchio.”

“Piantala…” Hawks scese sul pavimento con un saltello. “Che cosa vuoi?” Domandò, richiamando a rapporto tutte le sue piume. 

Touya non rispose alla sua domanda.

“Quelle sono cicatrici da ustione.”

“Sì, lo sono.”

“Come fai ad avere ancora le ali?”

“Se lo chiedono anche i curatori. Un miracolo, dicono. Pensavo te ne fossi già accorto,” aggiunse Hawks, passando la punta delle dita sulla cicatrice che arrivava fin sotto l’orecchio sinistro.

“No,” rispose Touya. “Non l’avevo notato.” Non perse tempo a chiedere come se l’era fatta. Una parte di lui già conosceva la risposta.

“Scendi di sotto,” ordinò. “Qualcosa è successo a Shouto. Il Castello Vecchio non è più sicuro.”

 

 

Katsuki non riusciva a darsi pace.

Vagava per la sala del trono come un’anima in pena, trattenendo nei pugni chiusi il bisogno di uscire là fuori e dare fuoco all’intera Cintura Minore. Alternava ringhi a borbottii, maledicendo se stesso per non essere riuscito a fare di più.

Shouto lo osservava con le braccia avvolte intorno al corpo. Non poteva avere freddo con il grande focolare proprio lì, accanto a lui, ma neanche il fuoco blu di suo fratello, che divorava i ceppi di legno un po’ troppo velocemente, sembrava poter fare molto contro i brividi gelidi che gli attraversavano la schiena.

Si sentiva assediato, preso in trappola, come un topolino che, tremante, non aspetta altro che essere divorato.

Shouto non poteva permettersi di versare in quello stato di totale impotenza.

“Katsuki…” 

Non appena il Principe lo ebbe a portata di mano, afferrò il compagno per le spalle.

“Tormentarti non servirà a nulla.”

Gli occhi scarlatti si posarono sui suoi.

“E se fosse stato tutto inutile?” Domandò Katsuki. Ogni parola fu come un fendente nel suo cuore. “Se quello per cui abbiamo combattuto… Se quello che abbiamo sacrificato…?”

Se Izuku fosse morto per niente?

“Sono stato su quel campo di battaglia,” gli ricordò Shouto. “Nessuno, nemmeno un dio, può essere sopravvissuto a tanto. Izuku ha pagato un prezzo tanto alto perché era certo di darci un futuro. Ricordi cosa disse sui suoi sogni, no?”

“Ricordo solo le sue mezze verità, Shouto!” Esclamò il giovane Drago e, per un istante, le sue braccia vennero attraversate da fulmini dorati.

Shouto non ne ebbe paura: era solo il modo in cui il frammento di One For All dentro Katsuki reagiva alle sue emozioni. 

“Ci ha ripetuto fino allo sfinimento che io e te avremo scritto questa storia fino alla fine, ma non ha mai detto una parola sulla propria morte,” ricordò Katsuki. “Non lo ha fatto finché non mi ha… Non mi ha…”

L’ultimo bacio che si erano scambiati aveva avuto il sapore del sangue di Izuku.

Quello era stato il suo modo di cedergli One For All.

“Non può trattarsi di lui,” disse il giovane Drago, mentre altre scintille dorate gli attraversavano il corpo. “Se fosse, a cosa sarebbe servito… A cosa…”

“Se fosse lui, One For All avrebbe trovato il modo di avvisarti,” intervenne Shouto, cercando di sostenere il compagno in quella crisi di panico.

Izuku ti avrebbe avvertito.

“Izuku ha sconfitto quel mostro alla fine dell’ultima battaglia,” aggiunse, fermo, strofinando i palmi delle mani sulle braccia del compagno, un ingenuo tentativo di tranquillizzarlo. I fulmini dorati che lo attraversavano, veloci, non gli facevano alcun male, ma era incauto lasciare che il giovane Drago usasse quel potere come vettore per sfogare la sua rabbia.

“Ci deve essere una spiegazione,” insistette Shouto. “Ma All For One, Tomura Shigaraki o chiunque altro non può essere sopravvissuto al sacrificio di Izuku.”

Katsuki sollevò lo sguardo.

“Come fai a restare tanto calmo?”

Shouto scosse la testa.

“Se ho paura, farò male al bambino,” rispose. “Ricordi quando abbiamo scoperto della gravidanza e ho avuto quella specie di crisi? Nella mia testa, continuo a sentire la voce Ochako ripetere: respira, non aver paura o farai male al bambino.”

Il Principe di Fuoco e Ghiaccio prese le mani del compagno e le guidò sul proprio grembo. 

“Ripetilo con me: non avere paura, fa male al bambino.”

Seppe che Katsuki si stava tranquillizzando dal modo in cui il ritmo del suo respiro si calmò.

Quando Shouto sollevò lo sguardo, gli occhi scarlatti del compagno erano grandi, lucenti di sorpresa, come quelli di un bambino.

“Si vede…” Mormorò.

Shouto sorrise e annuì. 

“E perché non me lo hai detto subito, scemo a metà?” 

“Volevo che te ne accorgessi da solo,” rispose Shouto. “Che fosse una sorpresa.”

Quel momento di dolcezza venne interrotto dalla porta della sala del trono che si apriva.

Hawks saltò tutti i convenevoli e arrivò dritto al punto.

“Dobbiamo volare in ricognizione,” disse al giovane Drago. “Ora, il sole è appena sorto…” Dirlo ad alta voce fu come ricevere uno schiaffo in faccia. “Pur sapendo del pericolo, mi hai lasciato dormire?” Domandò al padrone del Castello Vecchio.

“Le perlustrazioni notturne sono inutili e pericolose, anche per un Drago,” ribatté Touya, affiancandosi al fratello. “Io resto qui alla rocca, con Shouto. Se c’è qualcosa là fuori, è a lui che punta e non è stato timido a farlo capire.”

Katsuki si frappose tra il compagno e il Principe Esiliato. 

“Che cosa pensi di fare, tu?” Domandò, minaccioso.

“Mi assicuro che la tua nidiata non vada perduta, mentre tu fai il bravo Drago da guardia,” disse Touya, con un ghignetto dei suoi.

Katsuki gli ringhiò contro.

Shouto s’infilò in mezzo a tutti e due. 

“Hawks, che idea ti sei fatto?”

Il giudizio del Primo Cavaliere lo interessava.

“Contatti psichici di questo tipo non mi sono nuovi,” ammise Hawks. “E non mi piacciono affatto.”

Non disse nulla di più approfondito. Guardò Touya, ma lui si limitò a rispondere al suo sguardo.

Shouto sapeva che il potere di One For All e di All For One andava al di là della dimensione fisica, che Izuku stesso aveva dovuto combattere delle battaglie all’interno della propria mente, lontano da tutti loro.

“Se il nemico decide di sferrare degli attacchi psichici, io e Katsuki possiamo fare davvero poco,” disse il Primo Cavaliere, in tutta sincerità.

Il giovane Drago la prese subito come un’offesa personale. 

“Come ti permetti, pollo dei miei stivali?”

“Non è te che vogliono,” disse Hawks. “La voce ha offerto a Shouto un potere che gli impedisca di avere paura, nonostante sappia che ha un Drago. Tu sei un ostacolo, non un obiettivo. Sono loro due che vuole,” concluse, rivolgendosi ai due Principi.

“E come può il pazzo tenere Shouto al sicuro, meglio di me?” 

“So difendermi da solo,” disse il Principe di Fuoco e Ghiaccio, con orgoglio.

Solo Touya lo udì e lo ignorò.

“Quando avevo l’età di Shouto, uno dei Cavalieri fanciulli del mio seguito è stato vittima di un attacco psichico,” raccontò. “Non parlo di un fenomeno durato poche ore, Principe dei Draghi, ma di giorni, settimane… Nessuno se n’è accorto, nemmeno gli stregoni di corte del Re. Quando ho realizzato che quel ragazzo altro non era che il vessel del nostro nemico, ho agito di conseguenza.”

“Touya è l’unico in tutte le terre dell’Alto Trono che può raccontare una storia del genere,” aggiunse Hawks. “Per proteggere Shouto, Touya è la scelta migliore.”

Il Principe di Fuoco e Ghiaccio guardò il fratello maggiore, ma questi era troppo impegnato a rivolgere al giovane Drago un ghigno di sfida.

“Visto? C’è qualcosa che riesco a fare meglio di te. Stai a cuccia, lucertola rabbiosa.”

Il vecchio Katsuki sarebbe subito passato alle mani, quello di diciassette anni, che era sopravvissuto alla guerra, si limitò a urlare.

“Come ti permetti, miserabile-!”

“Basta!” Shouto prese le redini della situazione. “C’è un nemico lì fuori e più tempo perdiamo a bisticciare tra noi, più esso guadagnerà vantaggio. Katsuki e Hawks hanno le ali e, se necessario, possono attaccare dall’alto. Io e Touya abbiamo il fuoco dei Todoroki, sarà sufficiente per tenere il forte.”

“Lui ha anche il ghiaccio,” disse Touya, a bassa voce, indicando il fratellino.

“Al tramonto ci ritroveremo qui, in questa sala del trono, e decideremo che cosa fare,” concluse Shouto, rivolgendosi al Primo Cavaliere.

Hawks sorrise, soddisfatto e chinò la testa con rispetto.

“Ai vostri ordini, mio Principe.”

Chiarita la strategia, gli occhi bicolori di Shouto cercarono quelli scarlatti del giovane Drago in una muta richiesta. Katsuki afferrò il messaggio al volo e sbuffò.

“Non ti porgerò la mano da buoni alleati, pezzo di merda,” disse al Principe Esiliato.

“Sarei stato deluso dal contrario,” ammise questi.

“Tuttavia…” Katsuki mosse un passo verso Touya, afferrando la mano di Shouto nel processo. “Ti affido la mia vita.”

Se non fosse stato inopportuno, Shouto lo avrebbe baciato.

Katuski sollevò il braccio, porgendo al primogenito di Enji Todoroki la mano di suo fratello. Touya la prese nella sua, senza fare nessuno battutina irritante delle sue.

“Qualunque cosa sospetta tu veda, bruciala, Drago.”

Katsuki ghignò.

“Questo non ho bisogno di farmelo dire da te!”

 

 

Touya non lasciò andare la mano di Shouto nemmeno dopo essere rimasti soli.

“So che non ti piace quando qualcuno ti tocca," disse il più giovane, sentendo un poco d’imbarazzo solleticargli le guance. “Se vuoi, puoi lasciarmi andare.”

Il Principe Esiliato scosse la testa, senza guardarlo.

“Il contatto fisico è un resistenza banale, ma efficace contro gli attacchi psichici,” disse Touya. “Se si ha una volontà solida, aiuta a mantenere il contatto con la realtà.”

La terra tremò sotto i loro piedi e l’aria divenne bollente.

“Che diavolo stanno facendo?” Aggiunse, quasi urlando, vedendo le imponenti lingue di fuoco che si alzarono fuori dalle finestre della sala del trono.

“Katsuki sta issando un muro intorno al Castello Vecchio,” spiegò Shouto, con calma. “Lo abbiamo fatto molte volte, è una nostra strategia.”

“Facile d’abbattere,” commentò Touya. “A te basterebbe un gesto della mano destra.”

“Meglio di niente. Ti va di sederti?”

Touya scrollò le spalle.

“Non sarà un’attesa breve, perciò…”

Si accomodarono accanto al focolare, schiena contro schiena. In quel modo potevano continuare a tenere sotto controllo l’area circostante, proteggendosi le spalle a vicenda. Nonostante fossero praticamente attaccati, Touya non lasciò andare la mano del fratello neanche allora. Shouto abbassò lo sguardo sulle loro dita, intrecciate solo a metà. Diciassette anni di vita e quella era la prima volta che suo fratello maggiore lo stringeva a sé in quel modo casuale.

“Hai freddo?” Domandò di colpo.

Touya lo guardò con la coda dell’occhio.

“Che cosa hai detto?”

“Hai la mano fredda.”

“Ho sempre avuto le mani fredde. Mamma e papà mi mettevano addosso strati e strati di pellicce. Vuoi sapere il colmo? Non ho mai sofferto il freddo.” disse Touya. “Il mio clima ideale era quello delle terre degli Himura, a Nord. Anche a Hawks piaceva. Gli sei mai stato vicino per più di cinque minuti? È bollente. Nelle notti d’estate, è una tortura.”

Hawks era un volatile: doveva per forza avere una temperatura corporea più alta della norma per riuscire a stare in quota senza congelare. 

“Dormo accanto a un Drago,” gli ricordò Shouto.

“Oh, giusto.”

“Katsuki non sarebbe riuscito a sopportare le terre del Nord. L’inverno alla corte dell’Alto Trono è sufficiente a fargli saltare i nervi.”

“Dove sta il problema?” Indagò Touya, fissando le proprie fiamme blu che divoravano velocemente i ceppi di legno nel caminetto. “Con il freddo non riesce a trasformarsi?”

“No, ce la fa. È che per sputare fuoco serve una grande combustione interna e-”

“Più bassa è la temperatura, più grande è lo sforzo."

“Esatto.”

“Ha senso.”

Seguì il silenzio. Shouto ne avvertì la pesantezza sulle spalle, ma non poté fare altro che continuare a fissare la mano di suo fratello sulla sua. Le cicatrici arrivavano fino a metà del dorso, dove la pelle scura, bruciata, era stata cucita a quella sana. Touya aveva le dita lunghe, più delle sue. Shouto non poteva immaginare quanto dolore qualcuno dovesse provare per arrivare ad avere il corpo ricoperto da ustioni simili. Assorto in quei macabri pensieri, il Principe di Fuoco e Ghiaccio udì suo fratello parlare ma non comprese le sue parole.

“Che cosa hai detto?”

“Comincia a vedersi,” disse Touya, uno dei suoi occhi turchesi gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla.

Shouto si portò la mano libera in grembo e piegò le labbra in un sorriso sorpreso.

“Te ne sei accorto.”

Se aveva notato che la sua pancia era cresciuta, significava che lo guardava. Da lontano, con disprezzo, ma lo guardava.

“Lo senti?” Domandò Touya.

Shouto scosse la testa.

“Credo sia troppo presto. Non ho idea di quando dovrebbe cominciare.”

“Sai quando nascerà?”

“Sarà un bambino dell’inverno,” rispose il Principe di Fuoco e Ghiaccio. “Mi hanno detto tra la fine dell’anno e l’inizio di quello nuovo.”

Come me e te.

Non lo disse. Sapeva che se la conversazione fosse divenuta troppo sentimentale, Touya l’avrebbe troncata sul nascere. Passò a parlare di altro.

“Papà non mi ha mai detto nulla,” disse. “È sempre stato terrorizzato dai poteri psichici, ma non ha mai accennato al fatto che tu-”

“Ho visto nostro padre spaventato pochissime volte,” disse Touya. “Quando si rese conto che uno dei miei Cavalieri era stato posseduto per settimane, senza che nessuno se ne accorgesse, fu una di quelle. Immagino non volesse condividere con te qualcosa che lo faceva apparire debole.” Appoggiò la nuca alla testa del fratello. “Inoltre, sei così giovane, Shouto.”

“Mi ha buttato su di un campo di battaglia a otto anni, ti ricordo,” ribatté, ma non si mosse. Ora che erano tanto vicini, Shouto non voleva che Touya prendesse le distanze.

“L’ipocrisia è una cosa strana,” disse il Principe Esiliato. “Rende giustificabile mostrare a un Principe bambino la violenza della guerra, ma fa apparire complicato parlargli di quella carnale.”

Shouto sgranò gli occhi e sentì il sangue gelarsi nelle vene.

“Ehi…” Touya se ne accorse e gli diede un paio di colpi con la spalla. “Non ti bloccare proprio sulla prima pagina della storia.”

Shouto si umettò le labbra.

“Ti hanno… Ti hanno…”

Touya sbuffò.

“Quanto sei bambino, Shouto,” disse. “O forse sei solo fortunato. Immagino tu abbia avuto solo Katsuki.”

“Qualcuno ti ha fatto del male, Touya?” Domandò Shouto. 

“In molti,” rispose il Principe Esiliato. “Ma è un’altra cosa che vuoi sapere: no, non mi hanno violentato, ma ci hanno provato.”

Shouto era sorpreso della semplicità con cui suo fratello ne parlava, come se fosse successo a qualcun altro. 

“Immagino che il bastardo sia morto,” disse. “Nostro padre deve averlo punito con le sue stesse fiamme.”

Touya rise.

“Gli sarebbe piaciuto.”

“Che cosa vuol dire?”

“Hai mai conosciuto Tenko Shimura, Shouto?”

Per la seconda volta dall’inizio di quella conversazione, Shouto sentì il cuore saltare un battito. Touya seppe di aver toccato un nervo scoperto.

“Chi era per te?”

La mente del Principe di Fuoco e Ghiaccio tornò a una delle ultime conversazioni che aveva avuto con Izuku, quando gli aveva chiesto perché Tenko Shimura meritava di essere salvato.

“Un vessel che si faceva chiamare Tomura Shigaraki,” rispose Shouto. “Per me, Tenko Shimura era il vessel del male assoluto. Per una persona a me molto cara, era qualcuno da salvare.”

Touya annuì tra sé e sé.

“Il primo ricordo che ho di lui risale alla guerra dei Nomu, avevo sedici anni,” disse.

“Credevo che la Casata degli Shimura fosse caduta quando tu e Hawks eravate bambini.”

Il Principe Esiliato annuì.

“L’ultima Lady Shimura degna di nota è stata la maestra di All Might. Lei è caduta in battaglia e il suo unico figlio non ha saputo raccogliere l’eredità pesante che gli ha lasciato. Nessuno sa come siano morti con esattezza. Li hanno trovati tutti a pezzi, tranne Tenko.”

“Li ha uccisi lui,” rivelò Shouto. “Il loro omicidio è stato il tragico modo in cui Tenko ha scoperto la natura del suo potere.”

Touya apprese la notizia con una scrollata di spalle.

“Lo sospettavo. Portava sempre quegli stupidi guanti… Pensavo che avesse una fobia di qualche tipo, invece… Se n’è andato in giro per la corte per anni, vedendo tutto, ascoltando tutto. Nessuno di noi ha mai sospettato di lui. Era un povero orfano impaurito, dagli atteggiamenti dementi.”

“È così che lo ricordi?”

“Solo i primi anni, ma sono immagini fuggevoli. Prima della guerra, non ci ho mai parlato davvero. Una notte, eravamo seduti intorno a un falò, io e Hawks eravamo già amanti ed eravamo felici perché il nostro vecchio ci aveva dato una sorta di benedizione. Rumi, tu forse la conosci come Mirko, stava facendo impazzire tutti con un gioco di carte. Era certa di poter prevedere il sesso dei nostri primogeniti e la stagione in cui sarebbero nati. In realtà, non aveva la minima idea di come funzionasse quel trucchetto. Tenko, invece, sì. Fu l’unica volta che si unì a noi e scatenò il panico.”

“Perché?”

“Perché a me e Hawks uscirono le stesse carte.” Touya rise. “Avresti dovuto vedere la faccia del Primo Cavaliere, sembrava un pollo spennato, peggio di un condannato a morte!”

Shouto poteva figurarsi l’espressione allibita di Hawks molto bene e l’immagine lo divertì.

“Quella notte, saltò fuori che, come altri figli dei Todoroki prima di me, potessi essere fertile… Sì, nel modo in cui lo sono le ragazze.”

“E che successe?”

“Sul momento, niente. La guerra finì e io fuggii al Nord con Hawks, ricordi? Papà venne a prendermi quando iniziarono i primi tumulti sulle Montagne Diamante. Hawks rimase lì a combattere ed io fui confinato qui, con te.”

“E poi tornasti al fronte.”

“E poi tornai al fronte,” confermò Touya. “Tenko Shimura divenne uno dei Cavalieri al mio seguito. Era un ragazzino ma, di colpo, parlava con la consapevolezza e la sicurezza di un uomo maturo: sapeva cosa dire e come dirlo. Al tempo, mi avvicinai a lui perché si era creata una certa distanza tra me e Hawks .”

“Per colpa di papà?”

“Sempre per colpa di papà.”

Gli aveva promesso il titolo di Primo Cavaliere, poi lo aveva ceduto al suo amante.

Colpo molto basso.

“E Tenko era lì,” aggiunse Touya. “Conversare con lui era come farlo con un uomo di trent’anni. Non era nemmeno il gemello del ragazzino spaurito che conoscevo. Aveva solo le stesse labbra screpolate e le occhiaie scure.”

Un dubbio s’insinuò nella mente di Shouto.

“Successe qualcosa tra di voi?”

Touya gli diede una testata, ma senza fargli troppo male.

“Non offendermi con queste banalità,” disse. “Tenko Shimura - o, meglio, chi lo muoveva - mi voleva, senza ombra di dubbio, ma io avevo due uomini fin troppo ingombranti nella mia vita.” Una pausa. “E il mostro che si nascondeva dietro Tenko lo sapeva bene,” concluse con una nota grave.

“Il mostro che si nascondeva dietro Tenko,” ripeté Shouto. 

Quando fece combaciare tutti i pezzi, Shouto strinse la mano del fratello con forza e questi si voltò per cercare i suoi occhi.

“È stato All For One,” disse il Principe più giovane, prima che il fratello maggiore potesse dire alcunché. “All For One si è infiltrato tra di voi usando Tenko come vessel e ha cercato di violarti.”

Touya sorrise, beffardo, come se la reazione del fratello fosse esagerata. 

“Placati, fratellino. Ho saputo difendere il mio onore.” 

“All For One si è avvicinato a te nelle vesti di Tenko, perché ti voleva come amante. Cosa ci trovi di così divertente?”

“Togliti quell’espressione iraconda dalla faccia, Shouto. Assomigli a nostro padre e, nonostante tutto, non te lo meriti.”

“Non riesco nemmeno a contarle le cose che ho perso a causa di quel mostro!” Esclamò il Principe di Fuoco e Ghiaccio. “E ora salta fuori che ha tentato di toccare anche te!”

“Non opposi resistenza.”

Shouto sbatté le palpebre un paio di volte.

“Cosa?”

“Quella notte, non fu Tenko a venire da me, ma Hawks,” raccontò Touya. “All For One giocò bene le sue carte. Sapeva che se il Primo Cavaliere mi avesse chiesto scusa con la giusta dose di disperazione, non avrei saputo dirgli di no. Mi accorsi che qualcosa non andava mentre mi baciava. Hawks, quello vero, c’interruppe a metà. Inutile dire che non fu piacevole.”

Shouto girò la testa quanto bastava per appoggiare la tempia alla nuca del fratello maggiore.

“Nostro padre deve essere andato fuori di testa.”

“Tutti siamo andati fuori di testa,” ribatté Touya. “Io per primo. Ripercorsi ogni momento passato con Hawks, ogni bacio, ogni carezza, ogni amplesso. Dovetti fare lo stesso di fronte all’intero Concilio Ristretto, perché non era ammissibile che il nemico avesse corrotto il Principe della Corona.”

Shouto chiuse gli occhi, immaginando l’umiliazione nel sentirsi obbligato a esporsi in quel modo.

“Alla fine, fu chiaro a tutti che All For One non mi aveva mai avuto.” Touya piegò le labbra in un sorriso isterico. “Per me fu l’inizio dell’inferno. Non volevo farmi toccare da Hawks. Non volevo farmi toccare da nostro padre. Divenni paranoico all’eccesso. Non mi fidavo di nessuno. Avevo passato la vita a dimostrare di essere la degna incarnazione dell’ambizione del Re e, di colpo, ero divenuto l’anello debole, quello che il nemico aveva tentato di corrompere irrimediabilmente.”

“Non è stata colpa tua, Touya.”

“Pensi che me ne importasse?” Domandò il Principe Esiliato, quasi urlando. “Pensi che importasse a loro?”

Shouto fece una pausa lunga quanto un sospiro.

“Perché non ti ha fatto promesse di potere? Avrebbe potuto renderti suo alleato. Perché tentare di giacere con te?”

“Una proposta la puoi rifiutare,” rispose Touya. “Un figlio è una catena. Guarda nostro padre con noi...”

“Sì, ma le catene legano a entrambe le estremità.”

“Conosci le profezie che il Cavaliere Veggente fece a nostro padre?” Domandò Touya. 

“Quei racconti mi hanno sempre confuso,” ammise il più giovane. 

“Già…” Concordò il Principe Esiliato. “I Veggenti dovrebbero aiutare a prevedere, non a gettare nel caos totale le persone coinvolte nelle loro visioni. Se poi ci mettiamo quel genio di nostro padre…” Sospirò. “Ciò non toglie che un figlio nostro è promessa di gloria e potere.”

“All For One voleva un figlio da te.”

“Voleva un figlio della leggenda,” ribatté Touya. “E io, che non volevo essere il pupazzo di nessuno, lo sono diventato andando incontro alla mia distruzione.”

Shouto abbassò lo sguardo sul proprio ventre.

“Pensi che sia davvero lui?” Domandò, rinnovando la stretta sulla mano del fratello. “Credi che sia qui per mio figlio?”

“Dipende,” rispose Touya, accorgendosi che il fuoco nel caminetto andava alimentato con altri ceppi. “Sei disposto ad accettare che tutto quello che hai sacrificato non è servito a nulla?”

Shouto inspirò aria dalla bocca. Non gli rispose e cambiò argomento.

“C’è una cosa che non mi hai raccontato.”

Touya inarcò il sopracciglio destro.

“E sarebbe?”

“Non mi hai detto che cosa avevano predetto le carte di Mirko su di te e Hawks.”

Il Principe Esiliato storse la bocca in una smorfia.

“Non me lo ricordo,” mentì.

Shouto lo guardò fisso.

“Non è vero.”

“Quando tornando gli altri due?” Si lagnò Touya.

“Mai troppo presto,” rispose Shouto. “Preferisci che lo chieda a Hawks?”

E informare il cane del Re che il Principe Esiliato pensava ancora a quella loro storia da fanciulli? Piuttosto avrebbe tentato di cremarsi da solo una seconda volta.

“Le carte annunciarono la nascita di un maschietto,” disse Touya. “Un bambino d’inverno, nato a fine dicembre.”

Shouto sgranò gli occhi bicolori e si guardò la pancia.

“Ecco…” Esalò Touya. “Questa è la prova che il destino ha proprio sbagliato tutto con me.”

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Capitolo 15
*** The Prince In The Mirror ***


Prompt: 

People like you need to fuck people like me

 

XV

The Prince In The Mirror 

 
 

Oh, the misery

Everybody wants to be my enemy

Spare the sympathy

Everybody wants to be my enemy

[“Enemy” - Imagine Dragons]




 

“C’è qualcosa di oscuro dentro di te…”

Touya si sentiva sporco.

Il mantello di suo padre lo avvolgeva completamente, nascondendo i vestiti strappati. Il suo viso era madido di lacrime, ma aveva smesso di piangere da un po’. Durante l’interrogatorio del Concilio Ristretto aveva perso la calma e si era scottato il polso destro con le fiamme blu. Gli faceva male, per questo continuava a torcerselo nervosamente. 

Il dolore fisico gli impediva di sentire tutto il resto.

Il Principe conosceva l’umiliazione e la sconfitta, aveva versato fiumi di lacrime per entrambe ma non si era lasciato sconfiggere da nessuna delle due. Ciò nonostante, non sapeva proprio come rialzarsi dalla caduta che aveva appena subito. 

“C’è qualcosa di oscuro dentro di te.”
Poteva ancora sentire il fiato di quell’essere contro l’orecchio.

“Se vuoi diventare forte, devi smetterla di esserne spaventato.”

Touya si accanì sul proprio polso con rinnovata rabbia. Gli sfuggì un singhiozzo, ma la sofferenza non fu sufficiente a tenerlo ancorato alla realtà. 

“Lasciati andare, mio Principe. Lascia che quell’oscurità venga fuori…”

Strinse gli occhi e si riscosse. Quando sollevò le palpebre e vide la vasca piena di acqua calda di fronte a sé, si ricordò dove si trovava: era in una delle stanze da bagno del castello degli Himura.

Si sentiva sporco, doveva lavarsi.

Il mantello rosso del Re scivolò a terra senza far rumore e i vestiti strappati lo seguirono. Touya s’immerse nell’acqua, senza controllare che la temperatura fosse giusta. Non gli importava, era abituato a scottarsi. Si guardò il polso: il segno rosso che lo ricopriva non si poteva nemmeno considerare un’ustione, in pochi giorni sarebbe scomparso. Esitante, fece scivolare la mano sul lato sinistro del collo e avvertì le pulsazioni velocissime del suo cuore sotto le dita. Quando i polpastrelli tracciarono la forma dei denti che erano affondati con bramosia nella sua carne, fino a farlo sanguinare, Touya venne attraversato da un tremore incontrollabile e smise di toccarsi. Avvolse le braccia intorno alle gambe e appoggiò la fronte alle ginocchia. Non voleva vedere in che altro modo quel mostro lo aveva marchiato.

Touya si sentiva sporco, marcio, corrotto.

Lui, che per carattere rifuggiva il contatto fisico con le altre persone, era stato toccato senza permesso né gentilezza dal nemico che minacciava l’intero regno dell’Alto Trono. Tra tutte le persone che facevano parte della cerchia ristretta di suo padre, quel mostro aveva scelto lui per colpirlo. Aveva avuto il tempo di studiare tutti con attenzione, valutare i rischi e pianificare nell’ombra i dettagli. Dalla sua analisi, Touya doveva essere risultato il più vulnerabile. Non aveva importanza che il suo aggressore non avesse completato l’atto, Touya era stato violato e per quanto avesse strofinato, fino a corrodersi la pelle, lo sporco, la vergogna e l’umiliazione non sarebbero mai andati via.

“Touya…”

Sollevò lo sguardo: Hawks era sulla porta della sala da bagno.

Touya lo guardò dritto negli occhi, ma ciò che vide non fu il suo Cavaliere.

“I Principi come te vengono al mondo perché i Re come me li possano plasmare,” sussurrò il mostro nella sua testa.

“Sono io!” Aggiunse il Cavaliere con urgenza, leggendo il terrore negli occhi turchesi dell’altro fanciullo. “Touya, sono io, non hai nulla da-”

“Dimostralo!” Esclamò il Principe, con voce stridula.

Il giovane con le ali scarlatte aprì e chiuse la bocca un paio di volte. “Tuo padre…” Mormorò, infine. “Tuo padre sta facendo la guardia alle tue stanze personalmente. Mi ha fatto passare. Capisco che tu non possa darmi fiducia, ma forse puoi darla a lui.”

Touya non ne era così sicuro.

Era stato il Re a fare di Tenko un Cavaliere. Nemmeno lui si era accorto del male che nascondeva sotto la pelle.

“Dimmi qualcosa che sappiamo soltanto io e te,” disse Touya.

Hawks impiegò qualche istante per rispondere.

“Da bambini, ci eravamo promessi di diventare un Drago.” Gli sfuggì un sorriso nostalgico. “Per essere più precisi, fui io a promettertelo. Ti dissi che con le mie ali e il tuo fuoco potevamo essere il Drago più potente della storia dell’Alto Trono. Mi hai dato dell’idiota, ma è stata la prima volta che mi hai sorriso.”

Touya ingoiò aria dalla bocca, fissò gli occhi turchesi sulla superficie dell’acqua e annuì. 

“Va bene,” disse. “Puoi avvicinarti ma non troppo.”

Hawks fece tre passi all’interno della stanza e si fermò.

“All Might sta parlando con tuo padre,” gli disse. “C’è il sospetto che l’uomo dietro dietro tutto questo, i Nomu, la guerra al Nord sia lo stesso che, anni fa, ha ucciso Lady Shimura.”

Nana Shimura, unica signora della sua Casata, maestra dell’attuale Campione della Corona.

La nonna di Tenko. 

“Quest’uomo ha un nome?” Domandò Touya.

“In realtà, speravo di avere qualche informazione in più da te,” disse Hawks.

Touya lo trafisse con uno sguardo obliquo. Gli occhi dorati erano ancora fissi su di lui, ma era evidente che si vergognava.

“Non sei qui per me,” concluse il Principe. “Ti hanno fatto passare perché hanno ben pensato che sarei stato più incline a farmi interrogare da te.”
Hawks non lo negò.

“Sì, lo hanno pensato,” disse. “Ed io l’ho assecondati perché era l’unico modo per vederti.”

Touya non ritenne sincera né l’intenzione né la nota disperata nella sua voce. 

“Non mi ha mai detto il suo nome,” rispose. “Ha passato mesi a spacciarsi per Tenko Shimura. Per quel che ne so, potrebbe averlo avuto sotto il suo controllo dal giorno in cui la sua famiglia è stata massacrata.”

“Se così fosse, il nemico ci avrebbe osservati a nostra insaputa per anni.”

Era un’ipotesi spaventosa da prendere in considerazione.

“A me si è presentato come Re,” aggiunse Touya. 

“Di cosa?” Domandò il Cavaliere.

“Di nulla. Mi ha detto: I Principi come te vengono al mondo perché i Re come me li possano plasmare.”

Hawks strinse i pugni, fino a farsi male.

“Plasmare in cosa?”
“Non lo so,” rispose Touya. “Stava facendo ben altro che plasmare…”

“Lascia che mi avvicini,” lo pregò Hawks.

“Hai già finito con le domande, Primo Cavaliere?” 

Il Principe delle Fiamme Blu pronunciò quel titolo con tutto il disprezzo di cui era capace, quello che, se ne avesse avuto l’occasione, avrebbe trasformato in fuoco per rendere cenere chi lo aveva aggredito. Ma il giovane dalle ali scarlatte non era meno colpevole e nemmeno suo padre. 

Tutti avevano dato il loro contributo affinché Touya si sentisse dilaniato dal tradimento.

“Perdonami per non essere arrivato in tempo,” disse Hawks.

Sentirlo così ferito, con la voce inferma, faceva venire a Touya una gran voglia di fargli male. Non aveva nessuna ragione per soffrire, non lui. Non era stato Hawks a ricevere una pugnalata alla schiena da suo padre e dal suo amante, non era lui che era stato costretto su di un letto, privato del proprio potere, mentre un mostro con le sembianze della persona che amava gli strappava i vestiti di dosso.

Perché Touya aveva amato Keigo, anche se se ne era reso conto solo dopo che quel sentimento era marcito in qualcos’altro. 

La vera tragedia era che Touya amava ancora Keigo ma, quando guardava in quegli occhi dorati, ora vedeva solo Hawks, il Primo Cavaliere, il braccio destro di suo padre. Keigo non c’era più, non era più suo. Forse non lo era mai stato.

“I fatti dicono che sei arrivato in tempo,” replicò Touya. “Il nemico di mio padre non mi ha violentato, l’onore del Re e della Corona è ancora intatto e tutto grazie a te. Te la sei meritata davvero l’investitura di Primo Cavaliere.”

“Touya, adesso basta...”

“Lo decido io quando basta!” Urlò il Principe. “Per cosa mi stai chiedendo perdono? Per non avermi raggiunto quando mi sono allontanato? Per aver lasciato che Tenko si avvicinasse a me, mentre tu occupavi il posto d’onore alla destra del Re?”

Hawks non rispose e Touya fu attento a non guardarlo in faccia nemmeno per sbaglio.

“È stupido…” Mormorò, dopo un po’. Aveva la voce spezzata, ma non piangeva. Non aveva più senso farlo. “Ho sempre saputo che, alla fine, mi avresti voltato le spalle per inginocchiarti al cospetto di mio padre. Eppure, ho permesso a entrambi di farmi del male.”

“Touya, guardami.”

“Non posso,” disse il Principe. “Il Re-di-niente che è dietro a tutto questo caos si è assicurato di completare ciò che mio padre aveva appena cominciato.”

Hawks non lo ascoltava.

“Touya, per favore, guardami.”

“Ci sono voluti ben due Re per portarti via da me. Poetico, non trovi?”

“Nessuno mi ha portato via da te!” Obiettò Hawks. “Sono qui, guardami!”
“Ti ho detto che non posso!” Touya nascose il viso contro le ginocchia, soffocando un singhiozzo. “Tu non capisci, vero? Lui è venuto da me con le tue sembianze, implorandomi di dargli un’altra possibilità. E io ho detto sì… Io ho detto sì e qualche minuto dopo, lui mi ha strappato i vestiti di dosso con le tue mani, le stesse che mi hanno tenuto fermo sul letto, mentre con la tua voce mi sussurrava i suoi deliri. Mi ha guardato con i tuoi occhi…”

Non avrebbe mai dimenticato quell’immagine.

“Non ti posso guardare,” aggiunse Touya. “Non ce la faccio, Hawks.”

Per lui, Keigo smise di esistere quel giorno.




 

-9 anni dopo-




 

“Hai mai fatto l’amore in mezzo alla neve?”

La sua era stata una domanda retorica. Non aveva mai fatto l’amore prima di lui, ma era stato divertente vedere la confusione riflessa negli occhi dorati di Hawks. 

“Se mi togliessi i vestiti con questo freddo, congelerei.”

“E io sono qui per riscaldarti.”

Era uno trucchetto, uno di quelli che suo padre non gli aveva certo insegnato per trasformarlo in un gioco erotico da condividere col suo amico d’infanzia. Touya aveva imparato da solo che si poteva bruciare di piacere. Quando aveva convinto il suo Cavaliere a farlo suo in mezzo alla neve immacolata del Nord, lo aveva fatto con l’intenzione di far provare la stessa cosa anche a lui. Dire che era stata un’apoteosi per i sensi non avrebbe reso in alcun modo l’idea. Hawks ci aveva comunque guadagnato un naso colante per tutta la settimana seguente, ma ne era valsa la pena. Nella lista dei loro momenti da ricordare, quello era stato uno degli ultimi, dei migliori.

Dabi si era obbligato a cancellarlo dalla sua mente il primo possibile ed esso, puntualmente, tornava a tormentarlo in sogno.

Doveva essere il suo lato masochista che esprimeva se stesso, perché era la peggior forma di tortura che il Principe Esiliato avesse mai provato. 

Sognare di se stesso che provava così tanto, mentre il suo corpo non era più in grado di percepire nemmeno il calore delle sue stesse fiamme, era peggio che giacere agonizzante dopo essere sopravvissuto a un rogo.

Quella volta fu peggio delle altre, forse perché Hawks aveva smesso di essere l’eco distante di un’esistenza passata per ricomparire in quella sua vita non vita

Dabi non stava assistendo alla scena, ma era lì, ne faceva parte.

Aveva il braccio destro teso - nessuna cicatrice lo ricopriva - e la sua mano giaceva oltre il mantello rosso su cui era disteso, sulla neve.

Non sentiva freddo.

Hawks si era rilassato su di lui, con la testa appoggiata sul suo petto, mentre le ali rosse li ricoprivano entrambi. 

Dabi poteva sentire il peso del Cavaliere su di sé, ma non il suo calore.

“Il tuo cuore non batte come dovrebbe,” disse Hawks, allungando la mano per accarezzargli l’interno del braccio.

Dabi ricordava un tempo in cui quel genere di cose gli erano piaciute tanto, ora se ne stava a fissare quelle dita con il petto e la mente svuotati da qualsiasi emozione. Forse vi era solo il fantasma dell’amarezza.

“Che ne sai tu del battito del mio cuore?” Domandò.

Hawks si sollevò sui gomiti, guardandolo.

“Tutto,” rispose. “È il cuore che conosco meglio, dopo il mio.”

Quello era il modo in cui il suo Cavaliere di quindici anni gli avrebbe parlato, ma il giovane uomo che era sopra di lui non era affatto un adolescente. Nessuno dei due lo era.

“Non ascolti più il mio cuore da tanto tempo,” ribatté Dabi.

Hawks scosse la testa e i capelli biondi si mossero in un modo che gli fece venire voglia di toccarli, ma non si mosse.

“Una volta che qualcuno ti ha donato il suo cuore, lo custodisci per sempre.”

Le labbra del Principe Esiliato si piegarono nel sorriso di una serpe.

“Non sei un grande custode, se quello che ti viene affidato finisce in pezzi.”

“Non ho mai voluto farti del male.”

“Nemmeno mio padre. Indovina chi mi ha inflitto le ferite peggiori? E non mi riferisco alle ustioni, quelle mi hanno solo segnato la pelle.”

E mi hanno privato della facoltà di sentire ogni cosa.

La tristezza che vide riflessa negli occhi di Hawks fu simile a quella che aveva scorto l’ultima volta che lo aveva guardato in faccia, quando gli aveva confessato che, a causa di quello che gli aveva fatto All For One, non sarebbe più riuscito a farsi toccare da lui.

“Questo mi spiace sentirlo,” disse il Cavaliere, nascondendo il viso nell’incavo tra il collo e la spalla del Principe. 

Dabi non lo respinse. Era solo un sogno, presto si sarebbe svegliato e i dettagli di quella immagine tra la neve sarebbero sbiaditi velocemente.

“Mi spiace davvero tanto, mio Principe.”

Il modo in cui pronunciò quelle parole fu come una pugnalata. Non era Hawks, ma Dabi conosceva quella voce. 

Non ebbe il tempo di reagire. L’essere sopra di lui affondò i denti nel suo collo e il Principe Esiliato tornò a essere un ragazzino impaurito di sedici anni. 

Durò un attimo, uno solo.

Le fiamme blu avvolsero entrambi e il sogno andò in pezzi, ma Dabi non si svegliò.

Fu come precipitare nel buio, fino a toccare il fondo.

Quando Dabi riaprì gli occhi, era su di un pavimento di pietra. Fissò le sue mani per dei minuti interi, ingoiando aria dalla bocca. Non fu di aiuto e iniziò a tossire.

Non era solo un sogno, qualcuno era nella sua testa.

Qualcuno…

Mentre era ancora scosso dai colpi di tosse, guardò se stesso: indossava il blu della casata di sua madre, come durante la sua fanciullezza. Si fece leva sulle braccia, mettendosi a sedere sulle ginocchia. Non si fidava abbastanza delle sue gambe per alzarsi in piedi e respirava a fatica.

Per terra, intorno a lui, c’era cenere dappertutto.

Quando alzò lo sguardo, Dabi non fu affatto sorpreso di scoprire che era tornato dove la sua storia aveva avuto inizio. Il soffitto era sfondato e su ciò che era rimasto delle pareti erano appesi degli arazzi bruciati. Solo il Trono in fondo alla sala era ancora al suo posto.

In piedi, accanto a esso, vi era un uomo.

Sebbene infermo sulle gambe, Dabi attraversò le macerie di quella che era stata la splendente cornice dell’Alto Trono. L’uomo non diede segno di aver notato la sua presenza, ma il Principe non era un ingenuo. Sapeva che lo stava aspettando.

“Tenko,” chiamò, non appena riconobbe i capelli corvini e l’armatura dei Cavalieri della Corona.

Il giovane si voltò e gli rivolse un sorriso che avrebbe convinto chiunque del suo buon cuore. Otto anni prima, Touya ci era cascato, suo padre e il resto della corte con lui. 

“Bentornato a casa, mio Principe,” gli disse.

“I morti non hanno una casa,” ribatté Dabi. “Io e te lo sappiamo bene. Tanto per sapere, hai un vero nome con cui posso chiamarti?”

“Ho avuto molti nomi…”

Dabi alzò gli occhi al cielo.

“Risposta scontata da parte di uno che va in giro atteggiandosi da incarnazione del male, All For One.”

“E chi determina cosa è bene e cosa è male, mio Principe?” Domandò il mostro, con la cadenza di chi aveva fatto quel discorso centinaia di volte.

“Non sprecare il mio tempo con queste stronzate!” Lo avvertì Dabi. “L’età in cui lasciavo che gli altri m’impartissero lezioni è finita da tempo!”
All For One non parve affatto disturbato dalla sua indisponenza. Allargò le braccia, indicando la distruzione che li circondava.

“Si tratta di uno spettacolo di tuo gradimento?”

“In seguito a tragici eventi, ho sviluppato una spiccata allergia alla cenere,” rispose il Principe, sarcastico. “M’irrita il naso.”

All For One ridacchiò.

“Quello che vedi è ciò che hai sempre voluto,” disse.

Dabi storse la bocca in una smorfia e scosse la testa.

“Devi esserti confuso. Il Re-del-niente sei tu.”

“Ma questo non è niente,” ribatté il mostro con le sembianze di Tenko. “È il concretizzarsi della vendetta che hai sempre sognato.”

Dabi alzò gli occhi turchesi verso l’alto: il cielo era della stessa sfumatura di grigio di quel giorno, quando aveva trasformato in una landa di cenere le regioni del Nord.

“Questa storia è già stata raccontata,” disse, tornando a guardare in faccia il giovane uomo che gli era di fronte. “Hai provato a tentarmi innumerevoli volte e la mia risposta è stata sempre la stessa. Che cosa ti fa credere che questa volta sarà diverso?”

“Perché col tempo tutto marcisce,” rispose All For One. “E otto anni sono tanti da passare in sola compagnia di risentimento e dolore.”
Si allontanò dall’Alto Trono.

Istintivamente, Dabi fece un passo indietro. Non aveva paure, ma il pensiero che quell’essere lo toccasse gli era insopportabile.

Il mostro si fermò a poco meno di un metro da lui. Anche se Tenko era un paio d’anni più giovane, lui e Touya erano sempre stati più o meno della stessa altezza, fino a che il primo non era cresciuto esponenzialmente nei sei mesi tra la prima guerra contro i Nomu e le invasioni del Nord.

“Quando è accaduto che Tenko ha smesso di essere Tenko?”

“Vuoi parlare di lui per non parlare di te stesso?”

All For One fu accondiscendente con lui. 

“Tenko non è mai stato obbligato a fare nulla contro la sua volontà,” rispose. “Era un bambino sperduto, come te. Era solo e gli ho teso la mia mano.”

“Bene…” Dabi si mise a ridere. “Sono impressionato dal modo in cui stai cercando di farmi cambiare idea! Molto convincente!”

All For One si fece fa parte, distendendo il braccio verso l’Alto Trono.

“Accomodati,” lo invitò. “Non vuoi sapere come ci si sente?”

Dabi non si disturbò a lanciare una seconda occhiata a quella maledetta sedia. Per quel che lo riguardava, poteva finire in mille pezzi.

“Hai offerto un trono anche a Tenko?” Domandò.

“Gli ho offerto la possibilità di non doversi inginocchiare più di fronte a nessuno.”

“Tranne te.”

“No.” All For One scosse la testa. “La storia non è così scontata come credi.”

“Allora sorprendimi.”

L’essere sollevò l’indice e lo mosse ritmicamente da sinistra a destra. 

“Avresti dovuto prestare più attenzione,” lo rimproverò, senza cattiveria. “Potevi avere tutte le risposte, ma hai deciso di non ascoltare.”

“Mi stai annoiando con tutti questi discorsi criptici!”

Dabi si voltò, allontanandosi con passo svelto. Doveva svegliarsi e subito. 

Non andò lontano.

Si sentì spingere all’indietro da una forza invisibile che gli spezzò il respiro, come un pugno nello stomaco, e si ritrovò seduto sull’Alto Trono, con le dita del mostro strette intorno al suo collo.

“C’è un limite a quanto sono disposto a tollerare la tua indisponenza,” gli sibilò direttamente nell’orecchio.

Il disgusto si arrampicò su per la schiena di Dabi, sotto forma di un brivido gelido. Strinse i pugni, provò a evocare una seconda volta le fiamme ma non accadde nulla.

“Non sforzarti inutilmente.”
All For One allentò la presa e le sue dita scivolarono, fino ad affondare nei capelli del Principe.

“Guarda.”

Lo costrinse a girare la testa con tanta violenza che Dabi sentì dolore al collo. Una delle specchiere si era staccata dalla parete e la superficie riflettente era attraversata da una ragnatela d’incrinature, ma i pezzi erano rimasti tutti al loro posto, all’interno della cornice dorata. 

Quello che vide non era un fantasma della sua giovinezza. Il viso riflesso nello specchio non apparteneva certo a un ragazzino di sedici anni e gli occhi turchesi che rispondevano al suo sguardo erano un monito a ricordare di chi era figlio. Quello non era Dabi, era il giovane uomo che sarebbe divenuto Touya, se non fosse divenuto l’architetto della propria distruzione.

“Questo era ciò che era destinato a essere,” disse All For One, affondando il naso tra i suoi capelli. “Tutto quello che dovevi fare era dire sì.”
La propria immagine bastava a dilaniarlo, ma Dabi strinse i pugni e non abbassò lo sguardo nemmeno per un istante. 

“Che cosa volevi veramente da me?” Domandò, guardando il nemico attraverso lo specchio in frantumi. “Alla fine, sono stato una delusione anche per te, come per mio padre.”

“Nessun Todoroki ha mai generato fiamme blu,” disse All For One. “Il tuo fuoco è il più potente della tua dinastia. Tuo padre lo sapeva. Io lo sapevo.”

“Mio padre mi ha sostituito.”

“La natura del potere del giovane Shouto è diversa dalla tua. Paragonarvi è stato il peggior errore di tuo padre. Siete entrambi perfetti, a modo vostro.”

Dabi emise una risata priva di allegria.

“Non esiste la perfezione.”

Il giovane uomo dai capelli Corvini si allontanò da lui quel tanto che bastava per studiare il suo profilo.

“Non mi aspettavo una simile maturazione,” ammise, “non da chi la perfezione l’ha inseguita per tanto tempo.”

“E guarda dove mi ha portato.”

Dabi spostò l’attenzione dallo specchio al viso dell’altro.

“I miei ti sembrano gli occhi di qualcuno che ha ancora paura di qualcosa?” Domandò, con un ghigno.

L’espressione di All For One si tinse di soddisfazione.

“Sapevo che eri speciale.”
“Mi hai definito un fiore bruciato dallo stesso sole senza cui non può vivere.”
“I tuoi difetti si possono correggere, Touya. Questo non cancella la straordinarietà del tuo potere.”
Dabi sbuffò.

“Tante lusinghe… Perché non ammetti che volevi legarmi a te perché, a differenza della tua, la Corona a cui ero destinato era tangibile?” 

Per sottolineare il concetto, passò i palmi aperti sui braccioli dell’Alto Trono.

La mano di All For One lasciò andare i suoi capelli per tornare sulla sua gola. Lo accarezzò con la punta delle dita, minacciandolo in silenzio. 

“Non sono un gran politico, Touya. Ciò che voglio, lo conquisto. Semplice, no? Tuttavia, ogni Re ha bisogno di un Erede.”

“E nulla è una promessa di gloria come il sangue dei Todoroki,” concluse il Principe Esiliato.

Quasi nulla,” lo corresse il mostro. “Ma quella è una parte del discorso che affronteremo più tardi. Questo è il tuo momento.”

Dabi era divertito da tutto quell’inutile melodramma. 

“Se ho mai avuto la possibilità di genere dei figli, temo di essermela fottuta. Non credo di doverti spiegare quando né come è successo.”

“A quello si può rimediare.”
La serenità di quell’affermazione disturbò il Principe.

“Ti credi un dio?”

“Credo di essere l’unico uomo che abbia mai camminato su questa terra a essere vicino a diventarlo.”

All For One afferrò il mento di Dabi e lo invitò a guardare di fronte a sé.

“Che cosa vedi?” Domandò.

Il giovane Todoroki non perse tempo in discorsi filosofici.

“Uno spettacolo che ho già visto,” rispose. Sentì la mano sinistra irrigidirsi e, soprapensiero, aprì e chiuse le dita.

“Non è quello che sogni da anni?” Incalzò All For One. “Non è forse così che hai sempre immaginato il concretizzarsi della tua vendetta? La corte di tuo padre ridotta in cenere dal tuo fuoco blu.”

Dabi guardò ciò che rimaneva della sala del trono. Doveva forma credere che tra la cenere che ricopriva il pavimento vi fosse anche quella di chi lo aveva ferito, tradito e abbandonato? 

Ora la mano sinistra gli dava fastidio, ma non riusciva più a muoverla. Non gli diede peso.

”Se dovessi incendiare la corte dell’Alto Trono e pareggiare i conti,” aveva detto a Hawks. ”Tu saresti solo della cenere tra le tante che mi lascerei alle spalle!”

Il Re e il Primo Cavaliere giacevano veramente di fronte ai suoi occhi, impossibili da riconoscere? Quando aveva descritto a Hawks quella sua fantasia, lo aveva fatto con entusiasmo quasi delirante. Ora che era di fronte al fatto compiuto, anche se solo in forma di sogno, sentiva il vuoto e nulla più. 

“Non provo niente,” disse Dabi, con voce incolore. “Nessuno è qui a guardarmi…”

La circostanza era opposta a quella verificatasi a Nord, ma il senso di solitudine era lo stesso. Dabi lasciò andare un sospiro tremante, mentre rabbia e delusione gli chiudevano la gola e gli facevano ribollire il sangue.

“Mi voglio svegliare!” Ordinò, anche se sapeva che il mostro al suo fianco non lo avrebbe mai accontentato. Provò ad alzarsi, ma non riuscì a fare leva sul braccio sinistro.

All For One si spostò davanti al Trono, coprì le sue mani con le proprie e si chinò verso di lui.

“Se ti svegli ora, tornerai a essere il Principe Esiliato.”
“So chi sono, non ho bisogno che sia tu a ricordarmelo!” Urlò il Principe. “Ma Dabi è stata una mia scelta!” Si sporse in avanti. “E tu, con quale presunzione mi prometti potere? Non possiedi nemmeno un corpo per minacciarmi! Ti definisci un Re e poi vai in giro a supplicare i più miserabili d’inginocchiarsi al tuo cospetto, per poterti crogiolare meglio nella tua folle illusione! Ti sei definito un dio… Toglimi una curiosità: quanto ha fatto male cadere per mano di un ragazzino di quindici anni?”

Dabi ebbe poco tempo per vedere il viso di Tenko trasformarsi in una maschera d’ira cocente. All For One si mosse, forse per stringergli di nuovo il collo.  Non arrivò a toccarlo: uno spuntone di ghiaccio spuntò dal pavimento, proprio di fronte all’Alto Trono, trafiggendolo al fianco e alla spalla. Cadde a terra, con un urla di dolore.

Dabi lo fissò per un lungo minuto, prima di capire cos’era successo: il suo braccio sinistro era ricoperto da un sottile strato di ghiaccio, come se fosse stato lui a sferrare quell’attacco. Ma quello non era il suo potere.

“Shouto…”

La terra tremò violentemente e Dabi dovette reggersi al Trono per non cadere. 

Il sogno stava andando in pezzi.

All For One era ancora a terra, indebolito da qualsiasi cosa stesse facendo il Principe di Fuoco e Ghiaccio. 

Dabi rise tracotante.

“Sì…” Disse a se stesso, appoggiando le spalle all’alto schienale e incrociando le gambe. “Questo mi piace!”

Le fiamme blu gli avvolsero prima le braccia, poi tutto il corpo. Il ghiaccio si sciolse, permettendogli di vedere chiaramente l’uomo che si contorceva sul pavimento.

“Dicono che, tra tutti i poteri sopiti nel sangue dei Todoroki, via sia anche il dono della preveggenza. Ho una profezia per te: questa sarà la fine della tua storia, agonizzante di fronte a un vero portatore della Corona.”

Si alzò in piedi.

“La mia risposta è la stessa di allora, All For One: non m’inginocchierò mai più al cospetto di un Re!”


E il Principe delle Fiamme Blu si svegliò.

 

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Capitolo 16
*** The Taste Of Freedom ***


Prompt:

‘cause, darling, I’m a nightmare dressed like a daydream.

 

XVI

The Taste Of Freedom

 

Everybody waiting for the fall of man

Everybody praying for the end of times

Everybody hoping they could be the one

I was born to run, I was born for this

[“Whatever It Takes” - Imagine Dragons]



 

Fu Shouto a trovare il corpo di Izuku, giorni dopo la battaglia finale.

Nessuno assistette alla scena, lo videro solo varcare i cancelli della capitale in groppa al suo destriero, sul finire del giorno. Il Principe attraversò la via principale della città con lo sguardo alto, ma non rispose al saluto di nessuno. Quando la gente si accorse del corpo legato alla sella, avvolto nel mantello rosso, simbolo della Casata reale, tutti seppero di chi si trattava.



 

Il Primo Cavaliere fu tra gli ultimi e venire a conoscenza dei fatti.



 

La camera ardente si trovava nei sotterranei dell’ala est del castello. Quando Hawks scese quelle scale, muovendo i piedi più velocemente che poteva, il sole del nuovo giorno aveva appena tagliato l’orizzonte. Non c’era stato nessun annuncio ufficiale - il Cavaliere aveva il dubbio che nemmeno il Re e la Regina fossero stati informati del tragico ritrovamento - lui aveva saputo ogni cosa dal giovane Fumikage. A quanto pareva, Shouto aveva camminato per tutti i corridoi dall’ingresso alla camera ardente con il corpo di Izuku tra le braccia, lo sguardo perso nel vuoto. I suoi compagni, gli amici che avevano combattuto con lui e con il giovane Campione caduto, erano stati tra gli impotenti testimoni di quella scena straziante.

E Hawks lo scopriva solo ora, con una notte di ritardo.

Tutte le fiaccole del sotterraneo erano state accese, segno che non era il primo a intervenire sulla scena. Di fronte alla porta della camera, scoprì di essere solo il terzo membro del Concilio Ristretto a essersi mosso. Il Maestro Aizawa, il primo di cui incrociò lo sguardo, se ne stava con le braccia incrociate contro il petto e le spalle appoggiate al muro, accanto alla porta; Lord Tsunagu, invece, vagava per il piccolo atrio con passo lento e occhi bassi.

“Com’è la situazione?” Domandò il Primo Cavaliere, saltando i convenevoli. Doveva sapere come stava Shouto, era la sua priorità e non solo perché era l’Erede dell’Alto Trono.

ll nobile dai capelli biondi fu il primo a rispondere.

“Non sono entrato,” ammise. “Ho pensato di salire e avvertire Katsuki, nella speranza di guadagnare un alleato per noi e un supporto per il Principe. Non l’ho fatto per timore di peggiorare le cose.”

Il giovane Drago stava guarendo velocemente dalle ferite del corpo, ma quelle che aveva subito la sua mente erano tante profonde che era impossibile prevedere la sua reazione di fronte al corpo del suo Cavaliere. Non c’erano mai state speranze per Izuku, ma Hawks sapeva quanto un dubbio potesse essere pericoloso in mezzo a tanto dolore. 

Pur di sopravvivere, un cuore spezzato è disposto a credere a qualsiasi illusione.

Se Shouto e Katsuki se ne fossero fatte in merito al destino di Izuku, era impossibile saperlo.

Di fronte a un cadavere, non si poteva più negare la realtà.

“Io sono riuscito a parlarci,” disse Aizawa, guadagnandosi tutta l’attenzione del Primo Cavaliere. “Sono stato il primo che i ragazzi hanno avvisato. Il Principe mi ha lasciato entrare a notte inoltrata.”

“Era lucido?” Domandò Hawks.

“Fin troppo, a mio parere,” rispose il Maestro. “Abbiamo l’ordine di tacere la notizia a Katsuki e Toshinori, pena l’accusa di tradimento.”

Hawks sospirò. Tipico dei Todoroki: divenivano estremi con tutti quando si trattava d’infliggere dolore a se stessi. 

“Shouto è rimasto a vegliarlo per tutta la notte?” Domandò.

Aizawa annuì con espressione grave. 

Il fanciullo era lì dentro da solo da troppe ore.

“Che cosa stai facendo?” Domandò Lord Tsunagu, vedendo il Cavaliere superarli per arrivare alla maniglia della porta.

“Se aspettiamo che sia lui a chiederci di aiutarlo, possiamo metterci comodi ad attendere che si consumi un’altra tragedia,” disse Hawks. “Sì, è il Principe della Corona e, un giorno, sarà il nostro Re, ma è mio compito proteggerlo. Se necessario, anche da se stesso.”

Nessuno dei due uomini ebbe nulla da ridire. 

Il Primo Cavaliere varcò l’entrata della camera ardente, trattenendo il respiro.

Richiuse la porta alla svelta e vi appoggiò la schiena, mettendo tra sé e Shouto tutta la distanza che quelle quattro mura avevano da offrire. Era impavido, non stupido: non avrebbe mai preso un Todoroki alle spalle, non prima che gli avesse dato segno di accettare la sua presenza. Le fiaccole alle pareti erano la sola fonte di luce in quella stanza priva di finestre, ma le fiamme erano troppo vive per essere state accese la notte precedente. Shouto doveva averle sostituite da sé.

Il Principe gli rivolgeva la schiena, chino sul tavolo di pietra al centro della stanza, dove venivano deposti i corpi per essere ripuliti e preparati alla cremazione. In circostanze ordinarie, il funerale era preceduto da una veglia per permettere ai cari del defunto di dirgli addio. Dopo una battaglia come quella a cui erano sopravvissuti, non vi era tempo per simili accortezze. Là fuori c’erano ancora centinaia di corpi da identificare e bruciare, ma Shouto aveva scelto di fare un’eccezione per Izuku. Hawks lo comprendeva.

“Non ricordo di averti convocato, Primo Cavaliere,” disse Shouto, con la stessa voce gelida e incolore che il Cavaliere gli aveva udito usare per tanto tempo, prima che due fanciulli della Cintura Vulcanica Maggiore entrassero nella sua vita. 

“Ho il permesso di avvicinarmi?” Domandò Hawks.

“Non avevi neanche quello di entrare.”

“I tuoi ordini sono assoluti su tutti gli altri ma, nel mio caso, il tuo bene ha la precedenza.”

“Sono tornato sulle mie gambe da un battaglia che ha deciso le sorti del mondo. Molti dei nostri compagni d’armi non possono dire di aver avuto la stessa fortuna, forse dovresti rivolgere a loro le tue attenzioni.”

Hawks dubitava che il fanciullo si sentisse fortunato. Quel genere di comportamento era tanto familiare al Cavaliere da fare male. Il Principe dei suoi ricordi - e non si trattava di Shouto - forse avrebbe pianto, alzato la voce e usato le parole più taglienti, ma non era un gran differenza. 

“Non mi allontanare, Shouto,” disse, come se stesse parlando a un fratello minore. “Non sono qui per dovere, lo sai.”

Hawks non aveva mai avuto un legame particolarmente stretto con nessuno dei figli minori del Re. Fuyumi era più amichevole con lui, rispetto a Natsuo, ma i loro rapporti erano strettamenti formali. Con Shouto in particolare, che era stato isolato da tutto e tutti per la maggior parte della sua giovane vita, Hawks non aveva condiviso mai nulla - tranne Touya, in rari momenti. La guerra e gli inciampi di Enji li avevano avvicinati, ma Hawks non aveva la pretesa di definirsi un amico del Principe. Tuttavia…

“Non è giusto che tu soffra da solo,” aggiunse. 

“Faccio quello che deve essere fatto,” replicò Shouto. Non si era fermato neanche un momento per voltarsi a guardarlo. 

“Questo lo so bene ed è un’altra ragione per cui sono preoccupato per te.”
Il Principe di Fuoco e Ghiaccio era stato l’ultimo uomo a rimanere in piedi sul campo di battaglia. Sfinito, aveva coordinato le prime squadre di soccorso, messo al sicuro suo padre ed era venuto a conoscenza della caduta del giovane Campione prima di Katsuki. Come se non bastasse, Shouto aveva preso per sé il compito di dare la tragica notizia al giovane Drago.

Quando il sole era calato sull’epilogo di quella guerra, tutti si erano fermati. Shouto no.

Il figlio minore della Casata dei Todoroki era divenuto Re senza nemmeno rendersene conto.

“Non fraintendermi,” disse Hawks. “Capisco la tua reticenza a farmi avvicinare. Ci sono persone che ne sarebbero più degne di me.”

“Non serve che quelle persone si ricordino anche di questo,” replicò Shouto. “Hanno già sofferto abbastanza.”

“Hai sofferto anche tu.”

“Io posso sopportare.”

“Pensi davvero che Katsuki ti ringrazierà per avergli impedito di vegliare un’ultima volta sulla persona più importante per lui?”

Per la prima volta da quando era cominciata quella conversazione, le parole di Hawks ebbero un impatto reale. Shouto smise di occuparsi del cadavere e drizzò la schiena.

“Katsuki non avrebbe retto-”

“Non stava a te deciderlo,” lo interruppe Hawks. “Mi dispiace di dover essere io a dirtelo, ma Katsuki riuscirà a reagire solo se o quando deciderà di farlo. Tu non hai alcun potere su questo.”

Shouto si voltò. Nei suoi occhi gelidi, dietro cui era malcelata una rabbia cocente, Hawks rivide Touya. Servì un’enorme sforzo di volontà per impedirgli di abbassare la testa.

“Ti sei mai fermato a piangere?” Domandò. Sapeva che stava infierendo su di un cuore spezzato, ma voleva che Shouto abbassasse le difese, almeno con lui, fino a che Katsuki ed Enji non fossero tornati in piedi.

“La mia gente ha bisogno di me,” disse Shouto. “Fermarmi è un lusso che non posso permettermi.”

“Perché non lasci che almeno All Might ti aiuti? Izuku era un figlio per lui.”

“Perché non capisci?” Il Principe, esasperato, alzò la voce. “Cosa pensi che abbia raccolto da quel campo di battaglia?”

Al pensiero, Hawks avvertì una spiacevole sensazione alla bocca dello stomaco.

“Ho sempre pensato che la mia Casata onorasse i suoi morti con delle pire funerarie per una questione simbolica. Il fuoco ci appartiene e noi apparteniamo a esso, qualcosa del genere…” Shouto appoggiò le mani del tavolo, guardando il corpo che stava preparando per quello stesso rituale. “Ora più che un simbolo, mi sembra un atto di umanità. Non sopporterei mai che mio padre mi vedesse in questo stato.”

Hawks ricordava quando avevano ritrovato Touya nella Landa di Dabi: un fanciullo carbonizzato che respirava ancora e piangeva per suo padre. Scosse la testa e scacciò quelle immagini strazianti.

Touya non era più lì, per Shouto poteva fare ancora qualcosa.

Non chiese una seconda volta il permesso di avvicinarsi, lo fece e basta. Shouto lo seguì con lo sguardo, senza dire niente. Hawks si fermò accanto al Principe: aveva i vestiti e il viso sporchi di fango, ma si era lavato le mani, prima di prendersi cura di Izuku. Non c’era molto da vedere su quel tavolo di pietra e il Primo Cavaliere ne fu sollevato.

Prima della cerimonia funebre sulla pira, il corpo veniva avvolto in delle bende imbevute di liquido infiammabile, che semplificavano il processo di cremazione. Hawks poteva sentirne chiaramente l’odore acre. Shouto aveva quasi completato l’opera, solo il braccio destro era ancora scoperto. Il Cavaliere non poté fare a meno di fissarlo: la pelle era blu-violacea, ma le punte delle dita erano quasi annerite. Passò lo sguardo sul volto coperto e, nonostante fosse un soldato dalla sua fanciullezza, avvertì un tuffo al cuore. Il viso di Izuku comparve di fronte ai suoi occhi: le iridi verdi, come i capelli, le lentiggini sulle guance e quel sorriso spesso nervoso, ma anche così gentile.

“Hai ragione quando dici che Katsuki non mi ringrazierà, quando scoprirà che gli ho impedito di essere qui. Non importa. Non lo vedrà mai come l’ho visto io e va bene così.”

Shouto afferrò le ultime bende da un vassoio accanto alla testa di Izuku.

“Potresti fare una cosa per me, Hawks?” Domandò.

“Tutto quello che vuoi,” rispose il Cavaliere.

“Ho bisogno che mio padre dia ordine al Concilio Ristretto di organizzare una cerimonia funebre per Izuku,” disse il Principe, avvolgendo il braccio del giovane defunto nel tessuto umido con estrema cura. “Era il Campione della Corona e ha sacrificato se stesso per salvarci, merita tutti gli onori.”

Hawks era completamente d’accordo.

“Puoi ordinarlo tu,” disse. “Non credo che i nobili di questa corte ostacolerebbero la tua volontà.”

“Temo che la mia condotta delle ultime ore li abbia spinti a rivalutare il loro giudizio su di me,” ribatté Shouto. “Devono credermi pazzo.”

“Nessuno ti crede pazzo,” lo rassicurò il giovane Cavaliere. 

“Ti prego, assicurati che venga fatto.”

“Hai la mia parola.”
“Lasciami da solo, per favore.”

Hawks lanciò un’occhiata al corpo di Izuku, poi tornò a guardare il profilo di Shouto. Non poté evitare di pensare che fosse identico a quello di Touya. 

“Mi dispiace, non voglio lasciarti da solo,” disse.

“Non te lo sto chiedendo, te lo sto ordinando.”

“Condannami per tradimento, se vuoi. Io non mi muovo.”

Shouto lo trafisse con lo sguardo.

“Che peccato stai cercando di espiare?”

Preso di sorpresa, Hawks non rispose.

“Tu sapevi ogni cosa,” aggiunse il Principe di Fuoco e Ghiaccio. “Conoscevi Touya meglio dei suoi stessi fratelli e hai confidenza con mio padre più di tutti noi. Eri il suo Primo Cavaliere, mentre mio fratello bruciava. Eri il suo braccio destro, mentre schiacciava me sotto il peso delle sue ambizioni. E tu che cosa hai fatto per tutti questi anni? Niente. E sai cosa voglio che tu faccia adesso? Niente. Esegui gli ordini che ti sono stati dati e torna a servire il tuo Re.” Finito di parlare, riprese da dove si era interrotto.

Hawks non si mosse, non perché fosse uno stolto e volesse scatenare l’ira di un Signore del Fuoco. No, se Shouto avesse usato il potere ereditato dalla Regina su di lui, non sarebbe riuscito a congelarlo tanto quanto erano riuscite a fare quelle parole. Per anni, il Primo Cavaliere aveva tollerato il peso di quanto accaduto a Touya senza parlarne, camminando al fianco del Re a testa alta. La tragedia della Landa di Dabi era l’evento con cui si era sporcato le mani la prima volta e aveva continuato a farlo per proteggere la Corona, in nome - così si era illuso - di un bene più grande.

“Hai ragione,” disse Hawks, fissando il pavimento di pietra. “Hai ragione, ti chiedo scusa.”

Si allontanò a testa bassa, da uomo sconfitto. Non sarebbe venuto meno ai suoi doveri, si sarebbe preso cura del Principe da distanza, muovendo quelle persone di cui il fanciullo avrebbe accettato la vicinanza. Se voleva aiutarlo davvero, Hawks doveva rimettere in piedi il Re.

Il suono spezzato di un singhiozzo lo raggiunse mentre stava sollevando la mano per aprire la porta. Il Primo Cavaliere si voltò: Shouto aveva la testa china e aveva smesso di lavorare con le bende. Quando si accorse che stava tremando, Hawks tornò sui propri passi.

Shouto s’inginocchiò sul pavimento, le sue mani strette intorno a quella di Izuku.

“Shouto…” Chiamò Hawks, arrivandogli accanto. 

Il Principe aveva gli occhi chiusi, il giovane viso rigato dalle lacrime, ogni singhiozzo gli percuoteva il petto, rendendo quell’immagine straziante. Al di fuori di ciò che rappresentava il suo titolo, Hawks non era nessuno per il Principe ma, in quel drammatico momento, avrebbe fatto qualsiasi cosa per prendere per sé almeno metà del suo dolore.

“Mi… Mi dispiace…” Disse Shouto, con voce rotta. “Non volevo… Non…”

“Shhh…”

Hawks gli passò la mano tra le scapole e fu felice di non essere respinto. Il fanciullo piangeva come se non sapesse come fare. Forse quelle erano le prime lacrime che versava da quando la sua famiglia era andata in pezzi.

“Lui mi ha salvato,” disse Shouto. “Izuku… Izuku mi ha salvato da me stesso.” Dischiuse le labbra e prese un respiro profondo. “E tutto quello che io posso fare per lui è prepararlo al suo funerale.”

Hawks rimase in silenzio. Non c’erano parole.

Shouto appoggiò la fronte al dorso della mano di Izuku e pianse per lui, per Katsuki, per se stesso. 

“Te lo prometto…” Mormorò tra sé e sé.

Il Primo Cavaliere sapeva che non si stava rivolgendo a lui e non osò chiedere. Decise che se il Re non fosse tornato sull’Alto Trono per il funerale del giovane Campione, sarebbe andato da Katsuki.. Se qualcuno poteva salvare Shouto, quello era lui.



 

Pochi giorni dopo, il Principe di Fuoco e Ghiaccio divenne il Primo Todoroki a essere Cavaliere di un Drago.


-1 anno dopo -


La prima volta che volò, Shouto lo fece con le braccia strette intorno alla vita di Izuku, mentre Katsuki li portava entrambi incontro al più bel tramonto che avessero mai visto.

Fu un momento unico, di quelli destinati a rimanere in eterno.

Si sentirono invincibili, liberi dalla paura di cadere.

“Conoscevi il finale di tutto anche allora?” Domandò Shouto.

Stava sognando e non era da solo.

“Quella volta…” Mormorò Izuku, con un sorriso nostalgico. “Ricordo solo di aver pensato che mi trovavo esattamente dove dovevo essere. Quel pensiero mi diede pace.”

Il sole discendeva verso il suo riposo anche in quel momento, rendendo il cielo sopra di loro una tavola di sfumature vivaci. L’aria era fredda ma non abbastanza da disturbarli. Shouto era molto sereno, in realtà, avvolto nel mantello di pelliccia di Katsuki, con la testa appoggiata sulle gambe di Izuku.

“Non siamo mai stati qui insieme,” disse il giovane Campione, ammirando l’immensità della Cintura Vulcanica Maggiore.

“No, non ci siamo mai stati,” confermò Shouto.

Se la guerra avesse avuto un epilogo diverso, probabilmente il Principe - proprio perché portava il nome maledetto dei Todoroki - non avrebbe mai avuto l’onore di mettere piede in quel luogo. Lì, a un passo dal cielo, con le montagne più antiche del mondo conosciuto a fare loro da cornice, lui e Katsuki si erano amati per la prima volta. Quando Shouto si addormentava, i suoi sogni lo riportavano sempre in quel posto, l’unico a cui si era sentito di appartenere.

“Ti sei proprio innamorato di questa terra, eh?” Domandò Izuku.

Shouto accennò un sorriso.

“Diciamo che è questa la terra in cui mi sono innamorato.”

Non era vero. Quello era accaduto prima, anche se non sapeva dire né dove né quando. Tuttavia, in quell’angolo sulla cima di tutto, Shouto aveva scelto di arrendersi a quel sentimento, mettendo il suo cuore tra le mani di Katsuki. Gli occhi verdi che lo guardavano dall’alto gli ricordarono quanto era stato alto il prezzo di quella felicità.

“Mi dispiace,” aggiunse, voltando il viso verso il panorama per nascondersi dallo sguardo dell’altro fanciullo. “Non dovrei parlare di queste cose con te.”

Shouto si era sentito come un ladro per tanto tempo e, a volte, quando guardava Katsuki dormire accanto a lui, lo faceva ancora. Izuku gli scostò i capelli dal viso con una carezza che voleva rassicurarlo, e il Principe sentì le lacrime pungere agli angoli degli occhi. 

“Non voglio che tu sia tormentato da questo dolore inutile,” disse il giovane Campione.

“Non è inutile.”

“Non hai motivo di dispiacerti perché non hai colpa di nulla, Shouto.”

Mentre una lacrima galeotta sfuggiva al suo controllo, Shouto dischiuse le labbra e si riempì i polmoni dell’aria fredda di montagna. Non servì ad allentare il nodo che gli stringeva la gola.

“Come hai fatto a sopportarlo?” Domandò, con la voce flebile di qualcuno che aveva ragione di vergognarsi. “Tu guardavi me e Katsuki sapendo quello che sarebbe successo, ma questo non ha cambiato nulla tra noi.”

Izuku non smise di toccargli i capelli.

“Che cosa avrei dovuto fare?” Domandò, paziente. “Odiarti perché avevo visto nei miei sogni che avresti amato Katsuki dopo di me?”

Shouto non aveva una risposta, non ne aveva mai avute. Il giovane Campione era sempre stato bravo a chiarire ogni dubbio per lui, anche quelli che lo riguardavano da vicino. Non fu da meno neanche questa volta.

“Non si accetta di dover morire, Shouto,” disse Izuku. “Si combatte per ciò che è giusto o, meglio, quel che riteniamo tale, ma anche per i nostri desideri. Volevo vincere, volevo proteggervi, vivere altre mille avventure al fianco di Katsuki… Ho accettato davvero il mio fato soltanto alla fine, Shouto. Quando ho detto addio a Katsuki, la mia più grande consolazione è stata sapere che saresti stato al suo fianco. La vostra storia non sarebbe finita con me. Il destino mi aveva fatto una promessa per cui valeva la pena sacrificarsi.”

La sua mano si posò sul ventre del Principe.

“Avevi sognato anche il bambino?” Domandò Shouto, sorpreso. 

Katsuki non glielo aveva mai detto.

“Ho sognato che la Casata dei Todoroki non sarebbe caduta alla fine della guerra, ma non ho visto attraverso chi avrebbe continuato a scrivere la sua storia.”

Le dita di Izuku tracciarono la curva accentuata del grembo del Principe.

“Ti fermi mai a immaginarlo?”

“All’inizio, non volevo farlo,” ammise Shouto. “Avevo il timore che, non appena avessi cominciato a immaginare il mio futuro con lui, il destino me lo avrebbe portato via.”
Suo padre era stato l’unico Erede al Trono della sua generazione, ma non il solo figlio a essere stato concepito dai suoi nonni. Una linea di sangue troppo potente poteva essere una maledizione. Quando Shouto aveva visto la pancia crescere, si era reso conto di aver trattenuto il fiato fino a quel momento.

“Adesso non posso farne a meno,” ammise, mentre gli angoli della sua bocca si sollevavano.

Izuku sorrise con lui.

“Come lo immagini?”
“Con i capelli biondi di Katsuki,” rispose Shouto. “Sarebbe bello se avesse anche i suoi occhi, nessuno li ha come lui.”
“Questo è vero.”

“Qualche volta, però, cerco di figurarmelo con quelli di mio padre e mio fratello.”

Gli occhi dei Todoroki avevano conquistato interi popoli, dicevano le antiche storie.

“Chissà come sarebbe un Drago con gli occhi così?” Si chiese.

“Potrebbe averne uno turchese e uno rosso,” propose il giovane Campione.

Risero insieme.

“Preferirei di no,” ammise il Principe di Fuoco e Ghiaccio. “Ma, alla fine, quello che m’importa davvero è che stia bene.”

“Non devi preoccuparti per questo. Sarà gentile come te, cocciuto come Katsuki e forte come entrambi.”

Izuku continuava ad accarezzargli la pancia con sguardo sognante, come se quel bambino fosse anche suo. Shouto pensò che, in un certo senso, lo era. Coprì la mano che aveva sul grembo con la propria.

“Se sarà un maschio, gli darò il tuo nome.”

Lo decise in quel momento, anche se lui e Katsuki non ne avevano mai parlato.

Izuku scosse la testa.

“Vostro figlio è il primo passo verso il futuro, non è giusto che abbia un nome che lo leghi a un passato che nemmeno gli appartiene.”

Shouto fu sorpreso di udire quelle parole uscire proprio dalla bocca dell’amico.

“Mio padre la pensa allo stesso modo,” disse. “Da sempre, Principi e Principesse hanno portato i nomi dei sovrani del passato. Il mio nome e quelli dei miei fratelli non rispettano questa tradizione.” Sospirò e alzò gli occhi al cielo. “Un altro stratagemma del Re per affermare di fronte a tutto e tutti che i suoi figli sarebbero stati senza precedenti.”

“Fai la stessa cosa,” disse Izuku. “Scegli per tuo figlio un nome unico, che faccia pensare alla sua storia non appena viene pronunciato.”
“La sua storia…” Shouto guardò il cielo incendiato dai colori del tramonto, mentre le sue dita cercavano distrattamente quelle di Izuku. Il suo bambino non era ancora nato, nemmeno si muoveva nella culla sicura del suo grembo e già portava il peso di due corone. Una parte di sé desiderava fuggire lontano, dove lui e Katsuki non erano figli di due Dinastie del Fuoco, divise da un gioco di potere secolare. Per la sua creatura, Shouto sognava una vita fatta della stessa libertà che lui e il suo Drago avevano respirato insieme, alla fine della guerra.

Era una pretesa impossibile, un’ingenua speranza.

Shouto sapeva che se il giorno di prendere in mano le responsabilità della sua Casata fosse arrivato, non avrebbe esitato a fare quello che doveva per la sua gente.

E sapeva che per Katsuki era lo stesso.

“Non m’interessa che scriva una grande storia,” disse. “Non potrà mai avere una vita semplice, questo lo so. Ma ci si ricorda di sovrani che hanno regnato a lungo, divenendo grandi proprio per questa loro capacità di mantenere la pace. Vorrei questo per mio figlio. Mi piacerebbe dargli un regno da custodire, nulla di più.” Piegò le labbra in un sorriso amaro. “Per quanto sia molto più pesante di nulla.”

Izuku non disse niente, le sue dita tra le proprie erano immobili. Shouto lo cercò con lo sguardo, ma quegli occhi verdi erano fissi su qualcosa all’orizzonte.

“Izuku…” Il Principe si sollevò a sedere, ma nemmeno questo bastò ad allontanare lo sguardo del giovane da qualunque cosa l’avesse catturato. “Izuku?” Gli strinse un braccio e l’amico trasalì, come se si fosse appena svegliato da un incubo.

“Shouto, devi svegliarti!” Esclamò, con urgenza, prendendogli il viso tra le mani. “Devi svegliarti adesso! Subito!”

Shouto provò a toccarlo, a chiedergli perché aveva tanta paura.

Non ci riuscì.

E il sogno andò in pezzi.




 

“Qual è il desiderio più oscuro che hai mai avuto?”

“Un desiderio oscuro?”

“Un desiderio talmente violento che ti ha spaventato…”

Per tanto tempo, anche se non lo aveva mai detto a nessuno, Shouto aveva desiderato la caduta di suo padre. In seguito, quando aveva rischiato di perderlo davvero, a causa della guerra, aveva capito quanto fosse necessario porre attenzione a ciò che si voleva. Shouto non lo voleva morto, non lo aveva mai voluto. A quel punto della storia, era davvero difficile trasformare in parole ciò che pensava del Re dell’Alto Trono. Enji Todoroki lo aveva privato dell’innocenza della sua infanzia, poi della spensieratezza della sua fanciullezza. Lo aveva derubato del legame con i suoi fratelli, ripetendogli quanto fosse diverso da loro. E, alla fine, gli aveva sottratto anche l’unica persona che gli avesse dimostrato amore: sua madre.

Shouto non l’aveva mai ritenuta responsabile per quello che gli era successo, l’unico colpevole era suo padre. Se lo era ripetuto per tutti gli anni che aveva fatto muro ai suoi insegnamenti, deciso a non voler essere un Signore del Fuoco.

Le fiamme dei Todoroki si sarebbero estinte con lui e, alla fine, Shouto, che era nato per concretizzare i sogni di gloria di suo padre, sarebbe divenuto l’incarnazione del peggiore dei suoi incubi. 

Poi erano arrivati Izuku e Katsuki…

“Apri gli occhi, mio Principe.”

Shouto lo fece. Non era sveglio. Gli bastò un’occhiata per capire che era scivolato in un’illusione costruita apposta per lui. Era seduto sull’Alto Trono e di fronte a lui vi era il luogo che aveva odiato più di ogni altro: la sala in cui era stato ore a osservare suo padre, mentre interpretava il ruolo del Re.

Era freddo, tanto freddo.

Intorno a lui, tutto era ricoperto da un sottile strato di ghiaccio, non assomigliava più alla corte della più potente Dinastia del Fuoco. Ciò che Shouto aveva davanti era la vendetta contro il proprio sangue che aveva architettato crescendo.

Quel sogno, perché di questo si trattava, era il riflesso più oscuro di sé.

Era storia antica, non lo riguardava più.

Il Principe provò ad alzarsi in piedi, ma una forza invisibile lo costrinse a rimanere seduto. 

“Non ti piace quello che vedi?” 

La voce parlava direttamente nella sua testa.

“Dove sei?” Domandò Shouto. “Perché non ti mostri?”

“Dubito che ti farebbe piacere vedermi.”

“Non provo maggior piacere nel sentirti, All For One,” ribatté Shouto.

La voce rise.

“Sono l’unico da biasimare per non averti dato le giuste attenzioni.”

Shouto sentì un brivido spiacevole correre lungo la schiena, come se delle mani invisibili lo stessero toccando. 

“Temo di averti considerato un personaggio scontato,” aggiunse All For One. “Mi dispiace.”
“Smettila!” Ordinò il Principe, muovendosi sull’Alto Trono come se un insetto si fosse infilato sotto i suoi vestiti.

“Hai ragione…”

La sensazione spiacevole scomparve di colpo e il fanciullo lasciò andare un sospiro sollevato.

“Siamo qui per parlare, in fondo.”

Incapace di trovare una via d’uscita su due piedi, Shouto decise di guadagnare tempo e assecondarlo.

“Che cosa vuoi?” Domandò.

“Solo sapere se quello che vedi ti rende felice.”
Una corte di ghiaccio, la fine della linea di sangue di suo padre.

“Non ho più alcun interesse per il Trono,” rispose Shouto. Non ne aveva mai avuto, a dire il vero, ma non gli era mai stata data una possibilità di scelta.

“Quindi hai lasciato la corte di tuo padre di tua spontanea volontà?”

Shouto non rispose immediatamente. 

“Sì, l’ho fatto.”

Il nemico non sapeva del suo bambino, dedusse, non era lì per quello. Capire di avere un simile vantaggio fece battere il cuore del fanciullo velocissimo. La cosa più preziosa era al sicuro, ora doveva solo pensare a trarre in salvo se stesso.

“Hai esitato,” puntualizzò All For One.

“Perché avrei preferito non andarmene.”

Era ovvio che il nemico voleva fare di tutto per portare a galla l’oscurità che caratterizzava il rapporto tra lui e suo padre. Che lo facesse pure, avrebbe retto.

“Il Re ti ha ferito di nuovo, non è così?”
Shouto non rispose.

“Il tuo silenzio vale più di mille parole.”

Bene, era quello che voleva.

“Sei qui per tentarmi, vero?” Domandò il fanciullo.

“Sono qui perché nessuno ti ha mai fatto sentire al sicuro.”

“Ti sbagli.” Shouto serrò i pugni. “Una delle poche persone che ha avuto quel potere me l’hai portata via tu.”

Mentre parlava, pensò a Touya. Se non stava facendo nulla per svegliarlo, forse era intrappolato in un sogno anche lui. Si guardò la mano destra, quella che, in teoria, era stretta tra le dita suo fratello nel mondo reale. Gli venne un’idea.

“Izuku non è mai stato costretto a fare quello che ha fatto,” disse All For One. “Ha scelto di morire.”
“Perché ha deciso di non inginocchiarsi al tuo cospetto,” ribatté Shouto. “Quella è l’unica via di salvezza per chi t’incontra sul proprio cammino. Di fatto, in pochi sanno che vi sono sorti ben peggiori della morte.”

Quelle mani invisibili tornarono ad aggredirlo, stringendosi intorno alla sua gola, ma non abbastanza da togliergli l’aria. 

“Sei così impavido, mio Principe,” commentò All For One.

Il compiacimento che Shouto avvertì nella sua voce gli fece accapponare la pelle.

“Buon sangue non mente.”

“Non c’è niente di buono nel mio sangue.”

“Il potere che ti scorre nel sangue è senza eguali.”

“Non è un dono.” Shouto sentiva il respiro venire meno gradualmente, parola dopo parola. “È una maledizione.”
Izuku era riuscito a fargli cambiare idea su quel punto, a fargli capire che ciò che aveva ereditato da suo padre apparteneva a lui e non al Re. Tuttavia c’era un’oscurità di fondo che, per quanto si sforzasse di sperare il contrario, sapeva che non sarebbe mai andata via. 

Shouto poteva combattere quanto voleva, suo padre non lo avrebbe mai amato.

“Non ti senti amato, mio Principe?”

Una carezza tra i capelli, un altro brivido di schifo.

“Ero certo che sapessi tutto, All For One.”

“So che hai sostituito Izuku nel cuore del giovane Katsuki.”

Sostituito.

Shouto doveva stare attento a non scivolare. Il nemico stava usando tutte le parole giuste per spingerlo verso l’abisso, doveva resistere. Si guardò la mano destra e notò che il ghiaccio sul bracciolo del trono si era fatto più spesso. Bene, era ancora padrone del suo potere. Ora doveva solo attendere che Touya si svegliasse.

“Non verrà nessuno,” disse All For One.

“Che cosa?”

“Tuo fratello non ti salverà, Shouto. Touya ha scelto d’inginocchiarsi.”

Era la bugia peggio costruita della storia.

“Touya non lo farebbe mai.”

“Perché ne sei tanto sicuro?”

“Mi ha raccontato di cosa gli hai fatto.”

“Di cosa non gli ho fatto… Pensaci, dopo otto anni passati a marcire da solo, che cosa potrebbe pesare di più: una violenza che non si è mai consumata o tutte le ferite che gli ha inferto tuo padre?”

“Touya non farebbe alcuni distinzione,” disse Shouto. “Cercherebbe vendetta per entrambe le cose.”

All For One continuava a toccarlo dolcemente, ad accarezzargli i capelli, mentre lo soffocava lentamente. Gli concedeva brevi pause per riprendere aria, ma non lo lasciava mai andare. Shouto comprese che non voleva che prendesse i sensi e, torturandolo in quel modo, gli impediva di preparare qualsiasi contrattacco. 

“E quale vendetta migliore di te?” Domandò il mostro.

Troppo impegnato ad aggrapparsi all’aria come poteva, il Principe non chiese di elaborare. Non ce ne fu alcun bisogno, al nemico piaceva chiacchierare.

“Pensi che tuo fratello ti abbia permesso di restare con lui perché è interessato a te?” 

Touya non lo considerava neppure una persona, lo guardava e vedeva solo il capolavoro del Re, il motivo che lo aveva spinto sulla strada dell’autodistruzione. Eppure, si era accorto che la sua pancia era cresciuta.

“Tuo fratello non è diverso da tuo padre, Shouto,” disse All For One. “Non ti ama e sa bene come usarti. Sarai la miglior forma di vendetta per lui.”

Shouto vedeva il fiato uscire dalle sua labbra in forma di tante nuvolette di vapore. Quella stretta invisibile sul suo collo gli stava impedendo di pensare, non riusciva neanche a muovere le braccia per tentare di liberarsi.

“Ci hai pensato, vero?” Incalzò All For One, sebbene si fosse accorto che non riusciva a parlare. “Sapevi benissimo che Touya avrebbe potuto usarti contro vostro padre, eppure lo hai cercato comunque. Qual è la tua speranza, Shouto? Condividi il sentimento di tuo fratello e vuoi allearti con lui contro il Re?”
Non voglio andare contro nessuno. Non voglio provocare un’altra guerra. Ma Touya è l’unico che può capire… Il solo che…

“Touya non ti vuole, Shouto, né come fratello né come alleato. Continui a commettere con lui lo stesso errore che hai fatto con tuo padre: insisti a sperare, a provare ad aggiustare qualcosa che è sempre stato rotto. Non ha importanza quanto tu sia forte, mio Principe, sei destinato a perdere!”

Basta

Shouto sentì il potere attraversarlo come una violenta scossa elettrica, ma non erano le fiamme e nemmeno il ghiaccio. Un fulmine si schiantò a terra, proprio di fronte all’Alto Trono, e le mani invisibili di All For One lo lasciarono andare. Libero da ogni costrizione, il fanciullo piegò la testa in avanti, ingoiando aria come un naufrago. Quando ebbe recuperato il pieno controllo di sé e fu certo di essere da solo, si guardò le mani.

Le sue dita, le sue braccia, tutto il suo corpo era attraversato da fulmini azzurrini. Era un evento che aveva già visto verificarsi molte volte, prima su Izuku e poi su Katsuki.

“Non è possibile…” Mormorò con un filo di voce.

Qualcuno lo colpì al viso, il sogno andò in pezzi.
 

 

E il Principe di Fuoco e Ghiaccio si svegliò.

 

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Capitolo 17
*** An Optimist ***


Prompt:

“To the Moon and Back”

 

XVI

An Optimist


It's way too late to save our souls, baby (oh, oh, yeah)

It's way too late, we're on our own (baby, on my own)

I made mistakes, I did you wrong, baby (oh, oh, yeah)

It's way too late to save my

[“Too Late” - The Weekend]


 

“Ha bisogno del tuo aiuto.”

Hawks esordì così, nessun preambolo, dopo essere entrato nelle stanze del Re senza nemmeno bussare. Enji era sveglio, fermo di fronte alla finestra che  portava alla balconata. Dall’ultima battaglia, il Cavaliere lo aveva sorpreso spesso a guardare l’orizzonte, perso in una riflessione senza fine. 

“Hawks…”
“No,” lo interruppe il più giovane, attraversando la stanza. “Shouto ha bisogno che torni a sedere sull’Alto Trono. Ha bisogno di aiuto e io non posso darglielo.” 

“Se Shouto ha bisogno di conforto, sono certo che sua madre-”
“Con tutto il rispetto, Enji, ma la Regina non può dargli quello di cui ha realmente bisogno.” Hawks parlava con calma ma non voleva sentir ragioni. “A Shouto non serve un abbraccio o una spalla su cui piangere. Ha bisogno che qualcuno sollevi dalle sue spalle il peso di un regno che non è ancora pronto a governare.”
“Strano che tu lo dica. Gli altri membri del Concilio Ristretto non fanno altro che-”

“Ti hanno raccontato che ha trovato il corpo di Izuku?”

Per la prima volta da giorni, il muro dietro cui il sovrano si era nascosto smise di essere inassediabile. 

“Shouto ha trovato Izuku?”

Hawks se ne accorse e ne approfittò.

“Ha scavato nel fango a mani nude per recuperarlo,” rispose. “Ha vegliato il suo corpo per un’intera notte e lo ha preparato per il funerale. Ha fatto tutto da solo, non ha voluto l’aiuto di nessuno.”

“Sei andato da lui?”

Il viso di Enji era oscurato dal senso di colpa.

Al Primo Cavaliere non serviva che si affliggesse, aveva bisogno che reagisse.

“Ha pianto,” raccontò.

“Con te?”

“Sì, non voleva farlo ma è crollato, poi è andato avanti come se nulla fosse. Non ce la fa più, Enji!”

Il Re fece per dire qualcosa, ma si trattenne e abbassò lo sguardo. 

“Che cosa c’è?” Domandò Hawks.

“Katsuki,” disse Enji. “Che cosa mi dici di lui?”

Hawks ignorò la domanda, allungò la mano per stringere il braccio del Re.

“Enji, mi stai ascoltando?” Domandò, a un passo dalla rabbia. “Devi tornare alla realtà! Shouto ha bisogno di suo padre!”

Se il sovrano aveva vacillato, fu svelto a tornare fermo nella sua posizione. 

“Ti ho chiesto di Katsuki.”
“Come vuoi che stia un quindicenne che ha perso in quel modo il compagno di una vita?”

Non era semplice far perdere la pazienza a Hawks e, dopo anni di servizio come suo braccio destro, sapeva bene come prendere Enji Todoroki. O, almeno, era questo che aveva sempre creduto.

“Il Drago non si è ancora rialzato…” Mormorò il Re, ma non era al Cavaliere che stava parlando. “Non è ancora arrivato il momento.”

“Il momento per cosa?” Un dubbio s’infilò improvvisamente nella mente di Hawks. “Enji… Hai visto qualcosa su quel campo di battaglia?”
Perché non ci aveva pensato subito? Quell’uomo aveva passato tutta la vita a farsi influenzare da sogni e visioni. 

“Questo è il motivo per cui te ne stai chiuso qui dentro?” Incalzò. “Che cosa stai aspettando che accada?”

Enji lo guardò dritto in faccia.

“Ti fidi di me, Hawks?”
Il Cavaliere alzò gli occhi al cielo e per poco non scoppiò a ridere. “È un po’ tardi per chiederlo, non ti pare?”

“Allora abbi fiducia in me ancora per un po’.” Non era un ordine, più una preghiera. “Fino ad allora, prenditi cura di Shouto.”




 

Hawks non poteva negare l’esistenza della magia: ne portava la prova tangibile sulle spalle.

Il suo scetticismo riguardava tutto ciò che non poteva toccare con mano, come visioni, sogni premonitori o uno stupido gioco di carte per conoscere il sesso e la stagione di nascita del proprio primogenito - che non era mai stato nemmeno concepito, tra l’altro.

Ma Hawks era anche un uomo leale e se Enji gli aveva chiesto di fidarsi, lo avrebbe fatto - con tutti i dubbi del caso. Per quanto riguardava il prendersi cura di Shouto, c’era una sola cosa che poteva fare.

Dopo il funerale di Izuku, si convinse a farla. 

Katsuki aveva partecipato alla cerimonia, lo aveva fatto sotto forma di Drago e aveva acceso la pira funebre al posto di Shouto. Il Primo Cavaliere lo aveva interpretato come il suo modo di dire a tutti che c’era ancora, ma era stato svelto a barricarsi di nuovo nelle stanze del Principe.

“Parla di nuovo,” disse Shouto, il sollievo era evidente sul suo giovane viso. “Qualche volta, lo convinco a mangiare in mia compagnia. Non sta bene, ma credo che stia cominciando a fare i conti col fatto che sia ancora vivo.”

Stavano passeggiando sulle mura di cinta, osservando le pire funebri che venivano accese in riva al Lago delle Mezze Stagioni. Sembrava che i caduti in battaglia fossero infiniti.

“Vorrei provare a parlargli,” gli disse Hawks. “Ho una storia da raccontargli.”

“Parli di Touya?” Domandò Shouto, guardandolo dritto negli occhi. 

“Parlo di vittorie che non sono realmente tali,” spiegò il Cavaliere. “E di sconfitte che non sono fallimenti.”

“Argomenti complessi d’affrontare con Katsuki.”

“Ho il tuo permesso?”

Hawks non gli disse che lo faceva per il suo bene, quello era un dettaglio che avrebbe condiviso solo col giovane Drago.

“Il mio permesso non ha alcun valore,” rispose Shouto. “Se vorrà parlarti, lo farà. Altrimenti, sarà bravo a farti capire che non gradisce la tua presenza.”

“Sono abbastanza ottimista a riguardo,” disse Hawks.

Anni di pratica con i Todoroki mi torneranno utili, fu quello che pensò.


-1 anno dopo-



 

Era in corso un’eruzione e, a giudicare da quanto era calda l’aria, doveva trattarsi di uno dei vulcani che si affacciava sul mare. Le mura del Castello Vecchio tremavano, ma Dabi sapeva che sarebbero rimaste in piedi. Aveva perso il conto dei terremoti che avevano scosso quella terra negli ultimi otto anni e dei fiumi di lava che aveva visto correre sotto le sue finestre. Gli improvvisi scatti d’ira della Cintura Vulcanica Minore avevano smesso d’intimorire il Principe Esiliato da tanto tempo.

Era il ghiaccio a turbarlo.

“Shouto…” Chiamò Dabi, ancora intontito dal sonno. La lentezza con cui tornò a essere padrone del suo corpo fu la conferma che quel bastardo del Re-Del-Nulla aveva tentato di fottergli la testa. E non lo aveva fatto solo con lui.

“Shouto…” Dabi si sollevò a sedere, la testa china. Vide la propria mano stretta in quella del fanciullo in una morsa di ghiaccio. Metà del potere di suo fratello lo aveva raggiunto in sogno, salvandolo da All For One. 

Shouto dormiva ancora, tutto il suo corpo era ricoperto da un leggero strato di brina, compreso il lato sinistro. Se l’aria bollente che li circondava non era sufficiente a scioglierla, significava che il corpo del diciassettenne stava raggiungendo temperature pericolosamente basse.

Dabi si liberò con facilità dal ghiaccio che gli bloccava la mano sinistra e lo scosse.

“Shouto!” Chiamò a voce più alta.

Il fanciullo si mosse nel sonno, il viso contorto in una smorfia di dolore. Non ci voleva un genio per capire che quello non era un sonno fisiologico. Dabi non perse tempo a provare metodi più gentili, colpì il viso del fratello con il dorso della mano.

“Respingilo e svegliati, moccioso!” Ordinò Dabi.

Non riuscì a capire se a essere efficace fu lo schiaffo o il modo in cui gli urlò addosso. Quando gli occhi eterocromatici di suo fratello risposero al suo sguardo, il Principe Esiliato sorrise soddisfatto per la doppia sconfitta che All For One aveva subito.

“Inverti la temperatura, principino, stai congelando,” disse, certo che il più giovane avrebbe risolto la situazione da solo.

Ma Shouto si limitò a guardarlo, gli occhi due pozzi di disperazione e dolore, mentre ingoiava aria come se qualcosa lo stesse soffocando. L’espressione di Dabi si oscurò.

“Shouto, inverti,” disse, come se il problema alla base fosse semplice incomprensione. “Se non ti scaldi, il tuo cuore cederà.”

Suo fratello continuò a fissarlo, terrorizzato. Tremava tanto da non riuscire a parlare e a Dabi venne il sospetto che All For One avesse fatto qualcosa per bloccare le sue fiamme.

“Concentrati,” ordinò, posando una mano sul petto del più giovane. “Se sei sveglio, significa che il bastardo non è più nella tua testa. Sei di nuovo padrone del tuo corpo. Cerca il fuoco dentro di te… Cercalo e accendilo!”

Shouto annuì debolmente, chiuse gli occhi e Dabi restò a guardarlo tentare per dei lunghissimi minuti. Quando si rese conto che era tutto inutile, Shouto rinunciò con un singhiozzo. 

“Ehi!” Dabi prese il giovane viso tra le mani. “Se non riesci ad accendere il fuoco, ritira il ghiaccio!”

Il fanciullo scosse di nuovo la testa. Era impossibile capire da cosa dipendesse, ma Shouto aveva perso completamente il controllo del suo potere e lo stava divorando. Era una sensazione che il maggiore conosceva bene, ne portava i segni sulla pelle.

Ma non era troppo tardi per Shouto.

“Vieni…” Il Principe Esiliato sollevò suo fratello da terra. Non era leggero, ma nemmeno pesante come si era aspettato. Riuscì a portarlo fuori dal castello con relativa semplicità.

“Dobbiamo riaccendere le tue fiamme, Shouto!”
Dabi si fermò a metà del ponte di pietra e s’inginocchiò a terra, poi guardò il fanciullo per assicurarsi che fosse ancora cosciente.

“Il fuoco non può uccidere un Todoroki. Lo sai questo, vero?”

Shouto annuì.

“Ti fidi di me?” 

La risposta fu un altro cenno di assenso.

Dabi piegò le labbra in un sorriso dalle sfumature tristi.

“Sei proprio uno stupido, ragazzino.”

Quando le fiamme blu lo avvolsero, Shouto non ebbe paura. Sfinito da tutto quello che era successo, il Principe di Fuoco e Ghiaccio appoggiò la guancia al petto del fratello e chiuse gli occhi.

Non aveva più freddo.




 

Quando la terra cominciò a tremare, Hawks era in quota. Assistette all’inizio dell’eruzione: non si trattava di un singolo vulcano ma di due, forse tre. Era difficile determinarlo con certezza perché stava accadendo sulla costa, mentre il Cavaliere si trovava più a sud. In un primo momento, Hawks non si preoccupò per i due Principi: il Castello Vecchio era sopravvissuto a secoli di terremoti vulcanici e Touya viveva in quella terra da quasi un decennio, era davvero l’unico di loro che sapesse come muoversi e, di conseguenza, prendersi cura di Shouto. C’era solo da sperare che i vecchi rancori, di cui il Todoroki più giovane non era colpevole, non spingessero il Principe Esiliato a compiere qualche sciocchezza. Hawks voleva essere ottimista a riguardo. La possibilità che All For One fosse lì, ancora vivo e abbastanza potente da minacciarli aveva turbato Touya almeno quanto loro.

Katsuki stesso gli aveva dato abbastanza fiducia d’affidargli la vita del suo compagno. 

Sì, i due fratelli stavano sicuramente bene.

Per il Primo Cavaliere, il problema alla mano era un altro.

Appena mezz’ora dopo l’inizio dell’eruzione, Hawks cominciò a tossire. L’aria in quota divenne irrespirabile in breve tempo, a causa dei gas e della polvere. Nemmeno il calore era d’aiuto, ma era abbastanza distante dai vulcani da poterlo sopportare. 

Alla fine, il Cavaliere si ritrovò costretto ad atterrare.

Una volta con i piedi per terra, appoggiò il braccio alla parete di roccia e chinò la testa, scosso dai colpi di tosse. Sentiva la gola andare a fuoco. Quando tornò padrone del suo respiro, Hawks sollevò lo sguardo: il cielo era divenuto scuro, coperto da nubi più nere di quelle cariche di pioggia, tanto spesse da oscurare il sole.

Le ricerche non potevano continuare in quelle condizioni ma, nello stato in cui versava, il Primo Cavaliere non poteva neanche volare per tornare indietro. La sua unica possibilità era continuare a spostarsi verso sud, lontano dai vulcani, cercare riparo in uno dei villaggi sul lato meridionale della Cintura Minore, aspettare lì che tutto finisse e poi tornare indietro, al Castello Vecchio.

Un ringhio riecheggiò nella valle, sottraendo il Cavaliere alle sue riflessioni.

Guardò verso l’alto e vide il Drago rosso volare tra le nubi nere, come se l’aria non fosse velenosa. Per Katsuki era diverso, quell’inferno era confortevole per lui. Stava tornando all’antica rocca dei Todoroki, doveva aver rinunciato a cercare eventuali tracce di All For One anche lui. 

Hawks lo seguì con lo sguardo e fu allora che notò all’orizzonte qualcosa che prima non c’era: dietro la sagoma scura delle torri del castello, un bagliore blu rivaleggiava con quello della lava.

Hawks sgranò gli occhi. Non vedeva quello spettacolo da anni, ma lo riconobbe immediatamente. Touya stava combattendo. Non aveva importanza contro chi o cosa, non era un buon segno. D'istinto, Hawks aprì le ali. Volare in direzione della costa non era una buona idea, ma doveva tentare. Doveva. La parete di roccia su cui era atterrato esplose.

Il Cavaliere perse i sensi prima di toccare terra.




 

”Hawks… Hawks!”

Le voci furono la prima cosa a fargli capire che era ancora vivo. Il dolore fu la seconda.

“Dobbiamo spostarlo!”
“Come… Hai visto le sue ferite?”
“Dobbiamo portarlo al campo! Se resta qui, morirà!”

Lo afferrarono, lo sollevarono. Urlò per tutto il tempo, senza riuscire a ribellarsi: anche respirare faceva male. Sapeva che lo stavano aiutando, ma la sofferenza fu tale che l'istinto invocò a gran voce il suo potere per toglierseli di dosso. Le piume non risposero al suo disperato appello. 

Lo depositarono su una barella, prono.

Ne dedusse che le ferite di cui avevano parlato gli ricoprivano la schiena.

Provò a muovere le ali, ma non c’erano più.

“Hawks, riesci a sentirmi?”

Era Rumi - Mirko.

“Ti stiamo portando al campo, resisti!”

Non si disturbò a rispondere o aprire gli occhi. Usò tutte le poche forze che aveva per tenersi aggrappato alla vita. Se fosse scivolato nell’incoscienza, non si sarebbe più svegliato. Ne era certo.

“Resisti!” Ripeté Rumi. Era al suo fianco, non era lei a trasportarlo. “Resisti!”

Ci stava provando, ma non era certo di riuscirci. Lei ali non c’erano più, la sua schiena bruciava. 

Bruciare.

Fuoco. Fiamme blu.

Touya…

“Ru-Rumi.” Non riconobbe la sua stessa voce. “Rumi…” Chiamò, anche se sapeva che lo detestava.

Cercò la sua mano alla cieca. Quando l’afferrò, seppe che lo stava ascoltando. 

“Touya?”
Anche se avesse voluto aggiungere altro, non ci sarebbe riuscito. Era come se i suoi polmoni non riuscissero a contenere abbastanza aria da tenerlo cosciente e, al contempo, farlo parlare. Il danno non si limitava all’esterno, ma coinvolgeva anche i suoi ordini interni.

L’amica non gli rispose e gli venne il dubbio di non aver parlato abbastanza chiaramente.

“Rumi… Touya?”
Si costrinse a sollevare le palpebre e trovò sul viso di lei la risposta che cercava. Il suo silenzio fu la peggiore delle conferme. Se ci fosse riuscito, avrebbe scosso la testa, rifiutato quella realtà con tutto se stesso, mandando al diavolo la ragionevolezza che era solito accompagnarlo.

Lasciò andare la mano di Rumi, abbandonandosi completamente contro la barella. Il dolore del corpo, se paragonato a quello che gli chiudeva la gola, era una cosa da poco.

Sentì il contatto con la realtà venire meno. 

Si stava arrendendo, non aveva importanza.

Touya non c’era più.

Per lui sarebbe stato disposto a volare fino alla luna e ritorno, ma non era riuscito a salvarlo.

Era il Cavaliere più veloce della corte dell’Alto Trono e, ancora una volta, non era arrivato in tempo per lui.

Che ragione aveva di continuare a combattere?

“Hawks?”




 

“Hawks!” 

Questa volta aprire gli occhi fu molto più facile.

Il Primo Cavaliere sentiva dolore alla testa - in particolare, all’altezza della tempia sinistra - e sentiva che se si fosse mosso, il suo corpo gli avrebbe dato ragione di pentirsene. Di fronte agli occhi di Touya, che lo guardavano come se volesse torcergli il collo, tutti quei pensieri passarono in secondo piano.

“Touya… Che cosa…?” Hawks impiegò qualche istante a mettere in ordine le idee e il Drago rosso chinato su di loro non lo aiutò nell’impresa. “Katsuki, che… Dov’è Shouto?”

Touya non ebbe la pazienza di rispondergli.

“Alzati!” Tuonò. “Muoviti!” Lo prese per le spalle e provò a sollevarlo. 

Ogni fibra del corpo del Cavaliere urlò.

“Fermo, Touya!” Si lamentò a gran voce. “Fermati!”

Il Principe Esiliato lo accontentò, ma non gli risparmiò uno sguardo esasperato dei suoi.

L’aria era bollente. Hawks provò a prendere un respiro profondo e finì col tossire violentemente, inarcandosi contro il terreno per il dolore. Si ricordò delle eruzioni in corso, del bagliore blu che aveva visto all’orizzonte e dell’esplosione che lo aveva investito. 

“Hawks, ti devi alzare!” Ordinò di nuovo Touya. “Queste fottute ali sono troppo pensati, non ce la faccio a portarti!” Cercò di fare metà del lavoro per lui.

Sopraggiunse altro dolore.

“No, no, no, Touya!” Si oppose il Cavaliere.

“Hawks!” Il giovane Todoroki gli afferrò il mento senza gentilezza e lo costrinse a guardarlo in faccia. “Se non ti alzi subito, muori,” pronunciò quell’ultima parola con particolare enfasi. “Devi alzarti e salire in groppa a quel Drago, così possiamo volare via da questo inferno!”

E chi era lui per disubbidire a un Principe della Casata del Fuoco?

“Va bene.” Il Cavaliere parlò con un filo di voce, aggrappandosi alle braccia dell’altro. “Va bene…”

Strinse i denti contro il dolore, mentre Touya lo aiutava a issarsi sulle gambe.

Se ne andarono dalle terre del Castello Vecchio senza guardarsi indietro.



 

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Capitolo 18
*** Save To Win ***


XVIII
Save To Win 

 

I let it fall, my heart

And as it fell, you rose to claim it

It was dark and I was over

Until you kissed my lips and you saved me

[“Set Fire To The Rain” - Adele]



 

Katsuki non restò abbastanza da vedere la pira funebre di Izuku spegnersi. Non restò per lui, non lo fece nemmeno per Shouto. Non ci riuscì. Tornò alle torri del castello in volo, così come era venuto e riacquistò la sua forma umana a mezz’aria, atterrando in piedi sulla balconata dell’Erede al Trono.

Shouto lo raggiunse ore dopo, quando il cielo era già scuro, lo trovò a piangere seduto sul pavimento e lasciò che si avvicinasse, che lo toccasse.

Le braccia di Shouto furono le uniche da cui si lasciò stringere, dopo quelle di Izuku.




 

Il Primo Cavaliere venne a trovarlo pochi giorni dopo.

Shouto non c’era e il giovane Drago se ne stava seduto sulla balconata. Non si accorse di Hawks che apriva la porta e attraversava la stanza. Se lo ritrovò davanti e basta, lui e la sua faccia da culo, mentre delle ali rimanevano solo due monconi piuttosto patetici. Katsuki sapeva che non avrebbe dovuto fissarli, ma era davvero l’unica cosa a meritare la sua attenzione.

Hawks se ne accorse.

“Stanno crescendo lentamente. Colpa mia, continuo a usarle prima del tempo per aiutare nelle operazioni di soccorso, ma così non permetto mai loro di guarire davvero.”

Al giovane Drago non importava.

“Questa non è un’imboscata, lo giuro,” disse, appoggiando la schiena al parapetto di marmo bianco. “Ho chiesto a Shouto di vederti e lui ha acconsentito. Immagino ti aspettassi una mia visita.”

Katsuki annuì. Non aveva voglia di aprire bocca, nemmeno per cacciarlo via. Poteva far finta di ascoltare quello che il gallinaccio spennato aveva da dire e fare contento Shouto. Pur sapendo che le parole del primo idiota che passava non avrebbero cambiato niente, glielo doveva.

“Ti vuole bene,” continuò Hawks. “Shouto, intendo. Lo conosco da quando era bambino ma, prima del vostro arrivo a corte, non l’ho mai visto affezionarsi a qualcuno”

Non stava parlando solo di lui, ma anche di Izuku. 

“Che ne pensi del nostro Principe?” Domandò il Cavaliere. “È forte, coraggioso, determinato… Nell’ultimo anno, ha dimostrato anche di essere gentile ed empatico.” Ridacchiò. “Shouto sembra talmente perfetto da essere uscito da un libro di fiabe, non sei d’accordo? Ha anche il cavallo bianco-”

“Che cazzo vuoi, Hawks?” Ringhiò Katsuki, trapassandolo con lo sguardo. “In mezzo a tanti idioti, sei l’unico a cui riconosco un minimo di cervello! Cos’è questo inno alle doti di Shouto? Pensi che non lo guardi tutti i giorni, che non veda quello che sta facendo per tutti, che non lo conosca?”

Gli occhi dorati di Hawks brillarono di soddisfazione.

“Bene, sei ancora qui con noi, non hai perso la tua natura loquace.”

Katsuki lo mandò al diavolo con un gesto della mano.

“Bella merda usare il tuo Principe per farmi parlare!”
“Non stavo usando Shouto,” ribatté Hawks. “Volevo davvero sapere che cosa pensi di lui, ma mi hai già risposto. Nonostante tutto quello che è successo, non sei cieco ai suoi sforzi e, in quanto Primo Cavaliere, ti ringrazio.”

Katsuki appoggiò la nuca allo schienale della poltrona, sollevando gli occhi rossi verso il cielo. 

“È l’unico Todoroki a rendere onore a questa famiglia reale di merda.”

“Esiste il reato di lesa Maestà, lo sai?”

“L’unica Maestà in questo regno è Shouto!” Esclamò Katsuki. “I miei insulti sono per qualcuno che li merita! Non sono un suo suddito, non devo sottostare alle sue leggi!”

Si stava riferendo a quel Re fasullo di Enji Todoroki.

“Siamo umani, non leggende,” disse Hawks.

Katsuki lo trapassò con lo sguardo.

“Non provare a giustificarlo, Hawks!” Urlò. “Non lo fare, non davanti a me!”

Hawks si umettò le labbra.

“Tu stai commettendo lo stesso errore di Enji, Katsuki,” disse, non sorrideva più.

Se le circostanze fossero state diverse, l’Erede del Clan Bakugou si sarebbe alzato e gli avrebbe spaccato la faccia. Katsuki non era bravo ad accettare la verità, quella pesante, che lo faceva sentire in difetto e lo costringeva a mettersi in discussione. Per se stesso, non aveva mai accettato nulla di meno della perfezione. Izuku e Shouto gli avevano strappato la certezza di stringerla, uno di seguito all’altro.

Ma Katsuki era riuscito a raggiungerlo comunque, il suo Izuku. Anche se non come si era ripromesso. Ora Shouto era mille passi avanti a tutti loro e il giovane Drago se ne stava lì, a non fare niente. Se gliene fosse fregato ancora qualcosa del suo orgoglio, si sarebbe alzato in piedi e - dopo aver ridotto quella faccia da culo del Primo Cavaliere in poltiglia - avrebbe spinto Shouto a riposare, urlandogli addosso che doveva smetterla di fare il magnifico, che al resto ci pensava lui.

Ma ogni volta che tirava un respiro, il peso della morte di Izuku gli crollava sul petto e gli toglieva l’aria.

Di fronte a quel silenzio inedito, Hawks sorrise tristemente.

“Fa male, eh?”

Non si riferiva alle ferite del corpo.

“Non voglio farti qualche discorso motivazionale, tipo la vita va avanti o altre stronzate simili,” disse Hawks. “Voglio solo dirti le cose per come stanno: Shouto ha bisogno di aiuto, Katsuki, ed entrambi sappiamo che suo padre non può fare nulla a questo proposito.” Prese un respiro profondo. “Non sono qui in veste di onorario fratello maggiore che ti fa lezioni su come affrontare il dolore. Voglio solo che torni in piedi, così che tu e il nostro Principe possiate guarire, insieme. In tal modo, la mia unica preoccupazione sarà un sovrano piegato.”

Katsuki rise, un suono molto sgradevole.

“Guarire?” I suoi occhi scarlatti, sempre infuocati da sentimenti impetuosi, erano spenti. “E come si guarisce dalla morte, Hawks?”

Il Primo Cavaliere voltò lo sguardo di lato, verso il lago.

“Non si guarisce, Katsuki,” disse, con la consapevolezza di qualcuno che sa perfettamente di cosa sta parlando. “Il tempo non può fare qualcosa per gni ferita, ci offre solo la possibilità d’imparare ad andare avanti, mentre continuiamo a sanguinare.”

Il giovane Drago si fece improvvisamente attento: non erano di certo le parole che si era aspettato di sentire.

“Abbiamo alcune cose in comune, noi due,” proseguì il Cavaliere, sempre evitando il suo sguardo. “Anche io ho avuto un amico d’infanzia che si è trasformato in qualcos’altro e l’ho perso a quindici anni, esattamente come te.”

“Touya non è morto,” ribatté Katsuki. “Sai benissimo dov’è e l’unico motivo per cui non lo raggiungi è perché ti piace troppo interpretare il ruolo del cane del Re.”

“No, è più semplice di così.” Hawks tornò a guardarlo negli occhi. “Sono un codardo, tutti qui. Ma non siamo qui per parlare di me-“

“Non hai mai dovuto vedere Touya bruciare su una pira funebre, avvolto dal tuo fuoco!” Ringhiò Katsuki. “Non abbiamo un cazzo in comune, io e te!” Si rese conto immediatamente dell’assurdità che aveva detto. Non chiese scusa, non sapeva come fare. Serrò i denti sul labbro inferiore e abbassò lo sguardo.

“Quando mi hanno detto che Touya era morto, ho desiderato morire con lui,” raccontò Hawks. “È durata poche ore, poi lo abbiamo ritrovato ed è iniziato tutto un altro tipo d’inferno ma…” Esitò, cercò le parole giuste. “Tu stai sopportando quella sofferenza da giorni e sei riuscito a reagire.”

“Mi sono rialzato solo per dire addio a Izuku.”

“Ma sei ancora qui.”

“Non voglio che Shouto raccolga anche il mio cadavere,” confessò Katsuki, affondando le dita tra i capelli, tirandoli fino a farsi male. “Non voglio… Non voglio che…”

La mente lo riportò ai suoi ultimi momenti con Izuku. 

“Lasciami essere il tuo eroe,” aveva detto, dopo avergli dato un bacio al sapore di sangue. “Almeno questa volta, lascia che sia io a salvare te…”

E lo aveva salvato.

Li aveva salvati tutti.

Katsuki non voleva essere vivo ma lo era, aveva gettato il peso di quella realtà sulle spalle di Shouto e di tutti i loro compagni. Se fosse stato un po’ meno egoista, si sarebbe trascinato lontano dalla corte e sarebbe andato a marcire lontano da occhi indiscreti. 

Non poteva farlo.

Izuku gli aveva fatto promettere di restare, di continuare a scrivere la sua storia.

Quando Hawks si avvicinò e gli strinse la spalla, Katsuki si rese conto che stava piangendo.

“So che le nostre storie sono diverse, ma credimi quando ti dico che conosco il peso della colpa che nasce dall’aver fallito nel proteggere la persona che si ama,” disse il Primo Cavaliere. “So che vivi la sua morte come la peggiore delle tue sconfitte. Non proverò a convincerti che non sia così, non mi crederesti mai. Quello che il tuo dolore t’impedisce di vedere è che la tua vita è l’ultima delle sue vittorie.”

Katsuki avvertì le sue dita affondare di più nella spalla, come se lo stesse afferrando per evitargli di precipitare nel baratro.

“Non la sprecare,” aggiunse Hawks. “Fanne quello che vuoi, ma non la sprecare.”

Katsuki prese un respiro profondo, tremante. Pur sapendo di avere un aspetto miserevole, sollevò gli occhi rossi, pieni di lacrime, sul viso del giovane uomo.

“Sii sincero,” ordinò, come se ne avesse l’autorità. “Il Re non tornerà sull’Alto Trono, vero? È per questo che sei qui.”

Hawks non negò né confermò.

“Il Re non può salvare Shouto,” rispose. “E Shouto ha bisogno di essere salvato, Katsuki. Non può raccogliere i pezzi di tutto ciò che questa guerra ha mandato in frantumi ancora per molto, finirà col sgretolarsi.”

Katsuki non era uno stupido, solo uno stronzo. Aveva visto le crepe nell’armatura che Shouto aveva costruito per se stesso, eppure aveva continuato ad appoggiarsi a lui come un peso morto e poi, quando non gli aveva permesso di vedere il corpo di Izuku, gli aveva scagliato addosso tutto il suo dolore.

Aveva un debito da saldare.

“Informa quell’idiota del tuo Re che ho bisogno di parlargli,” disse, le sue iridi scarlatte rese più vive da una flebile luce. “Ora so quello che devo fare, Cavaliere.”




 

-1 anno dopo- 




 

Izuku è morto per niente.

Il cielo sopra la valle meridionale della Cintura Vulcanica Minore era terso, tinto dei colori dell’imbrunire. Lì, dove il terreno nero lasciava il posto al verde dell’erba, non c’era traccia dell’inferno da cui erano scappati.

All For One è vivo. Izuku è morto per niente.

Katsuki stava precipitando in uno ancora peggiore.

Il Principe Esiliato li aveva condotti in un casino di caccia abbandonato, nascosto tra gli alberi del bosco che copriva gran parte del versante della montagna. Più in basso, il giovane Drago poteva vedere le torri dell’unica città fortificata di quella regione isolata. Mentre la luce del giorno scompariva gradualmente, le fiaccolo venivano accese sulle mura di cinta. Sebbene fosse fine estate, l’aria di faceva più fredda istante dopo istante. Katsuki non la sentiva. Aveva la pelle d’oca, ma era come se il suo corpo non gli appartenesse più.

”Non dovresti essere qui fuori,” disse la voce di Izuku nella sua testa. ”Non è sicuro restare da soli e c’è qualcuno che ha bisogno di te.”

“Io ho bisogno di te,” ribatté Katsuki, senza vergogna. Conosceva l’abisso, vi era già precipitato e sapeva di trovarsi di nuovo sul bordo, ma non voleva guardare giù.

“Ho bisogno di te adesso, Izuku!” Singhiozzò.

Piangeva, vagando tra gli alberi come un folle in preda al delirio.

“Izuku, ti prego!” 

Chinò la testa, appoggiando le mani alle ginocchia. Sentiva la nausea chiudergli la gola, voleva vomitare ma non ci riusciva, come se buttare fuori quello che aveva nello stomaco potesse evitare che tutte le emozioni facessero esplodere il cuore e la testa.

Quando sentì due mani gentili sul viso, Katsuki smise di resistere e cadde sull’erba in ginocchio. Singhiozzava, disperato, come aveva fatto tra le braccia di Shouto il giorno in cui avevano cremato Izuku.

“Non volevo più vederti soffrire così, Kacchan.”

Katsuki sollevò lo sguardo e gli occhi verdi del suo primo Cavaliere gli restituirono tutta la sofferenza che lo costringeva lì, a terra, piegato. Prima dell’eruzione, il sospetto che All For One fosse ancora vivo lo aveva acceso di rabbia al punto d’attivare il frammento di One For All dentro di lui. Era bastato che Shouto gli mostrasse la pancia, la prova che il loro bambino stava crescendo, per ricordargli che doveva essere padrone delle sue emozioni se voleva proteggere la sua famiglia. Adesso, invece, il Principe era la prima persona da cui Katsuki stava fuggendo. Quella era solo l’ennesima prova di quanto fosso indegno di lui e di di tutto quello che gli stava donando.

“Kacchan, ascoltami…” Izuku passò le dita sulle sue guance per asciugargli le lacrime. “Shouto è stato coraggioso nel fronteggiare All For One ed è stato tanto forte da respingerlo, ma ora è spaventato, ferito e ha bisogno di te.”

Aveva ragione. Katsuki sapeva che aveva ragione.

“Non voglio che mi veda così,” disse. “Non ha bisogno della mia debolezza.” Era solo una scusa.

“Non devi interpretare il ruolo dell’eroe con lui,” lo rassicurò Izuku. “Non è quello che vuole e lo sai benissimo.”

“All For One è vivo!” Tuonò Katsuki. “La ragione per cui abbiamo perso tutto…” Aggiunse con voce tremante. “La ragione per cui tu-”

“Shhh…” Izuku appoggiò la fronte alla sua. “No, ti prego, non torturarti per questo.”

“E come faccio?” Il giovane Drago si allontanò per guardarlo negli occhi. “Non sono riuscito a proteggerti da lui, come posso proteggere Shouto?”

Non si riconosceva in quelle parole. Se avesse detto che l’insicurezza non l’aveva mai toccato, avrebbe mentito ma non aveva mai permesso a essa di affondare i denti nella sua carne. Katsuki reagiva, lo faceva sempre, anche quando sarebbe stato meglio non fare niente. Solo la morte del suo primo amore lo aveva inibito, ma si era rialzato anche allora.

Ora una serie di desideri violenti era in guerra con una lunga lista di paure.

Voleva uccidere All For One con le sue mani, trasformare l’accettazione per la perdita di Izuku in vendetta, riscattare se stesso. Poi ricordava il prezzo che, durante l’ultima battaglia, aveva pagato a causa della sua debolezza, e quel peso andava a sommarsi alla responsabilità che aveva nei confronti di Shouto e del loro bambino. Quando gli aveva portato via Izuku, All For One lo aveva sconfitto e non poteva permettere che la storia si ripetesse con la sua famiglia.

Ma il mostro era già arrivato a Shouto e se non vi erano state conseguenze devastanti, era solo grazie alla forza del suo Principe e all’intervento di quello stronzo di suo fratello. 

“Non devi combattere questa battaglia da solo,” disse Izuku, passandogli una mano tra i capelli.

“Non voglio sentirmelo dire proprio da te!” Ribatté Katsuki.

“Invece, devi ascoltarmi. Ricordi quando ti dissi che un Todoroki era destinato a divenire il decimo detentore di One For All?”
“Non passerò questo potere a nessuno, non finché quel bastardo di All For One respira ancora!”

“Non posso crederci che tu non ci abbia mai pensato…”

Prima che Katsuki potesse chiedergli a che cosa si riferisse, un’intuizione prese forma nella sua mente. Non gli piacque per niente e quando Izuku rimase in silenzio, avvertì un senso di vuoto chiudergli la bocca dello stomaco. 

“Mi dissi che non riuscivi a vedere in faccia il fanciullo dei tuoi sogni,” ricordò, artigliando l’erba su cui era inginocchiato.

Izuku esitò a parlare. “L’ho visto prima di morire,” disse. “Lui era-”

“Lui?”
“Sì.” Il giovane Campione accennò un sorriso. “Aveva i capelli rossi… Avrà i capelli rossi e gli occhi di quell’azzurro particolare…”

Katsuki non riusciva a respirare. Era un incubo nell’incubo.

“Assomiglierà a Shouto,” concluse Izuku, gli occhi colmi di commozione. “Vostro figlio sarà bellissimo.”

Katsuki scosse la testa e si alzò in piedi.

“No, no, no…” Prese a ripetere.

“Kacchan-”

“Non condannerò mio figlio a quel potere maledetto!” Gli urlò addosso il giovane Drago, come se fosse colpa sua.

“Tuo figlio non sarà maledetto,” provò a rassicurarlo Izuku. “Sarà un Re. L’ho visto indossare la corona dei Todoroki, mentre era in testa a un esercito di Draghi. Ho visto gli antichi vulcani della nostra terra ricoperti di ghiaccio.”

L’Erede del Clan Bakugou lo ascoltava solo a metà, nella sua mente continuava a rivivere quell’ultimo momento al Castello Vecchio con Shouto, sentiva il calore del suo grembo sotto le dita. Suo figlio nemmeno scalciava, maledizione!

“Kacchan…” Izuku provò a toccarlo e si ritrasse.

C’era stato un tempo in cui si era chiesto perché proprio il suo amico d’infanzia fosse stato scelto da All Might come erede del One For All. Una volta messo faccia a faccia con il peso di quel potere, non lo aveva più invidiato. Al contrario, si era sorpreso più volte a guardare Izuku dormire, chiedendosi perché gli fosse toccato in sorte un destino tanto oscuro. Quando era arrivato il suo momento, Katsuki aveva accettato quel fardello senza battere ciglio ma, in cuor suo, aveva sperato di essere l’ultimo capitolo di quella storia.

“Ho bisogno di restare da solo, Izuku.”

“No, è proprio quello che non devi fare!” Esclamò il suo primo Cavaliere. “C’è qualcun altro che è sopravvissuto a All For One e che non si è mai inginocchiato al suo cospetto. Se vuoi vincere questa guerra, se vuoi proteggere Shouto e vostro figlio, devi far sì che divenga tuo alleato!”
Qualcun altro…

Katsuki sapeva benissimo di chi stava parlando. Commentò l’idea con un: “è una follia!”

Izuku non rispose.

Il giovane Drago era di nuovo da solo.



 

Prima del Principe di Fuoco e Ghiaccio, nessuno aveva osato avvicinarsi al luogo dell’ultimo scontro tra il giovane Campione e All For One. La prima cosa che Shouto aveva visto era stata la Spada di Fuoco abbandonata nel fango, il suo dono per Izuku. Era sceso da cavallo e si era gettato sul terreno melmoso per scavare a mani nude. Quando le sue dita avevano trovato quelle di Izuku, si era bloccato.

Gli avevano insegnato che il cuore non provava reali emozioni, che era solo una metafora prediletta dai poeti per marcare la differenza tra ragione e sentimento, eppure Shouto aveva percepito dolore proprio all’altezza del petto. Si era seduto a terra, infilando le dita sporche tra i capelli, tirandoli. Ci aveva messo ore a tirare fuori Izuku, non per la difficoltà dell’impresa ma perché ogni dettaglio che portava alla luce, che confermava l’identità di quel corpo, era come una pugnalata. Dopo il funerale del suo caro amico, dell’amore di Katsuki e dell’eroe di tutti loro, Shouto non era tornato indietro per cercare i resti di Tomura Shigaraki, All For One, in qualunque modo lo si volesse chiamare. Non aveva mai conosciuto Tenko Shimura e non aveva trovato dentro di sé la forza di provare pietà per lui. Se c’era rimasto qualcosa, che lo divorassero i vermi, così si era detto.

Ora Shouto se ne pentiva.

“La ferita alla tempia non è seria.”

Mentre tornava cosciente, la prima cosa che udì fu la voce di Touya. Seguì un’esclamazione di dolore.

“Che stai facendo?” Era Hawks.

“La ferita al fianco va cauterizzata.”

Shouto sollevò le palpebre si ritrovò a fissare un soffitto di travi di legno che non conosceva. Era disteso su di un letto, sotto pesanti coperte di pelliccia ma, nonostante questo, aveva freddo. La temperatura del suo corpo non si era ancora stabilizzata. Si portò la mano sinistra di fronte al viso, muovendo le dita come se le sentisse addormentate. Il fuoco era spento, non riusciva a percepirne il potere.

“Stai sanguinando, Touya.”

Shouto girò la testa e vide il Primo Cavaliere seduto contro la parete, suo fratello era inginocchiato di fronte a lui. La luce tiepida del focolare illuminava i loro visi: Hawks era pallido, i capelli biondi erano sporchi di sangue lì, dove aveva battuto la testa, mentre gli occhi dorati tradivano preoccupazione; Touya rispondeva al suo sguardo senza nessuna reale espressione, le guance solcate da rivoli rossi, come se stesse piangendo sangue. Il Cavaliere sollevò la mano per toccarlo, ma il Principe Esiliato gli bloccò il polso prima che potesse riuscirci. 

Shouto li osservò in religioso silenzio, ingoiando la spiacevole sensazione di essere di troppo. Se non avesse già saputo che quei due erano stati amanti, lo avrebbe capito in quel momento. 

Hawks adagiò il braccio lungo il fianco con una smorfia che rifletteva sia amarezza che rassegnazione.

“Cerca di non bruciarmi vivo,” disse.

“Non tentarmi,” ribatté Touya, slacciando la cintura del Cavaliere e sfilandola. La lasciò da una parte, sul pavimento, poi afferrò il colletto della blusa con entrambe le mani.

“No, Touya, non-”

L’obiezione di Hawks morì in un lamento gutturale, mentre il Principe Esiliato lacerava la stoffa, scoprendo la ferita sul fianco. 

“Spogliarti è sempre stata una scocciatura,” buttò lì Touya, come per giustificarsi. “Con queste fottute ali sempre in mezzo…”

“Eppure, un tempo, dormivi così sereno avvolto in queste fottute ali,” ribatté Hawks.

Shouto studiò il suo viso: era evidentemente stordito dal dolore, gli occhi erano socchiusi e il petto si alzava e abbassava velocemente. Se fosse stato completamente padrone di se stesso, non si sarebbe azzardato a dare voce a quel ricordo.

Touya ebbe lo stesso pensiero e questo lo convinse ad avere pietà di lui.

“Faremo finta che a parlare sia stata l’agonia,” disse, continuando a strappare la blusa in modo da ricavarne delle bende di fortuna. Una volta finito, recuperò la cintura e la piegò.

“Mordi qui,” ordinò, infilandola nella bocca del Cavaliere, poi si sedette a cavalcioni su di lui per tenerlo fermo e fece aderire la mano destra alla ferita. 

Shouto sapeva cosa stava per accadere, anche lui aveva dovuto farlo in guerra, e tornò a fissare il soffitto con discrezione. Un istante dopo, la stanza fu riempita dalle urla soffocate di Hawks e dal distintivo odore di carne bruciata. Durò poco.

Quando Shouto tornò a guardarli, Touya stava avvolgendo la stoffa intorno all’addome del Cavaliere, che aveva la testa china ma era ancora sveglio.

“Puoi anche smetterla di fare l’eroe e perdere i sensi!” Esclamò Touya, come se quella prova di resistenza fosse un insulto contro di lui.

“Vaffanculo…” Sibilò Hawks.

Shouto non lo aveva mai sentito parlare in quel modo, ma suo fratello non parve affatto impressionato.

“Oh, risparmia le paroline dolci per il tuo Re!”
Finito di medicargli anche la ferita alla testa, il Principe Esiliato si alzò in piedi e si accorse che erano osservati.

“Il principino è sveglio,” disse e andò a sedersi sul bordo del letto. 

“Touya, dov-?”

“Siamo in un casino di caccia abbandonato,” spiegò il fratello maggiore, toccandogli il viso con il dorso delle dita. “L’ho trasformato nel mio rifugio nel corso degli anni, così d’avere un letto in cui dormire quando ho bisogno di spingermi fino a questa valle.”

Shouto diede un’occhiata all’ambiente circostante: la stanza non era molto grande ma c’era tutto quello che serviva per renderla abitabile. 

Si accorse che mancava qualcuno all’appello.

“Katsuki!”
“Sta vagando qui fuori,” disse Touya, sbrigativo, continuando a toccargli il viso. “Non ti agitare…” Allontanò la mano con uno sbuffo scocciato. “Hawks, allunga un braccio e toccalo,” ordinò.

Il Cavaliere inarcò le folte sopracciglia, poi scosse la testa e decise di tenersi tutte le domande del caso per sé. Arrivò a stringere la mano del Principe di Fuoco e Ghiaccio, ma la ritrasse immediatamente. 

“È gelido,” commentò, allarmato.

Touya scavalcò Shouto e si lasciò cadere sul letto in modo tanto sgraziato che la struttura in legno cigolò. Hawks restò a guardare, mentre il maggiore dei fratelli Todoroki abbassava le coperte e posava la mano sul petto del minore. Shouto lasciò andare un sospiro e si rilassò completamente.

Il Primo Cavaliere sapeva cosa stava succedendo, perché era una cosa che Touya aveva fatto anche con lui, ma in circostanze decisamente meno tragiche e non così innocenti.

“Lo stai riscaldando,” disse.

Touya lo ignorò completamente.

“Riesci a sentire le fiamme?” Domandò al più giovane.

Shouto scosse la testa.

Hawks scivolò sul pavimento, fino ad appoggiare il gomito al bordo del letto.

“All For One ti ha fatto del male?” Domandò.

“Ci ha provato,” rispose Shouto. “Non gli è andata bene,” si voltò verso il fratello. “Per due volte.”

Era impossibile immaginare cosa passasse per la mente di Touya solo guardandolo negli occhi, ma Shouto sapeva che non avrebbe risposto a nessuna delle domande che riecheggiavano contro la parete della sua mente. Non in quel momento, con Hawks accanto a loro. Trovò conforto nel pensare che la distanza - almeno quella fisica - tra lui e suo fratello si era accorciata. Ci sarebbe stato tempo per il resto.

Incredibile cosa potesse fare un nemico in comune.

Perché All For One è una minaccia per entrambi, vero?

“Lui mi ha detto che ti sei inginocchiato al suo cospetto,” disse Shouto. Era una questione spinosa, che aveva bisogno di affrontare di fronte al Primo Cavaliere, perché sapeva che lui poteva leggere Touya meglio di chiunque altro. 

Ma suo fratello non diede loro alcuna spiegazione, ricadde sul cuscino e gettò la testa all’indietro, scoppiando a ridere in modo esagerato. Fu una reazione che il Principe di Fuoco e Ghiaccio non seppe come interpretare e anche Hawks, accanto a lui, non disse niente.

Quando Touya si calmò, lo guardò con un sorriso inquietante.

“Che cosa ti ha mostrato attraverso il sogno?” Domandò.

“La corte dell’Alto Trono ricoperta di ghiaccio.”

Gli occhi del Principe Esiliato si accesero d’interesse.

“Era quello il tuo sogno più oscuro?” Domandò, con eccessivo entusiasmo. “Volevi interrompere la linea di sangue di nostro padre, divenendo un Signore del Ghiaccio a tutti gli effetti?”

Shouto avvertiva lo sguardo del Primo Cavaliere su di sé. Per paura d’incrociarlo, tenne gli occhi fissi sulla mano con cui suo fratello lo stava riscaldando. 

“L’ho odiato per tanto tempo, Touya,” mormorò.

“Lo odi ancora,” lo corresse il Principe Esiliato.

“Lascialo in pace, Touya,” intervenne Hawks.

“Eccolo, subito in prima linea a difendere il suo padrone!” Esclamò Touya, poi tornò a rivolgersi al fratello. Non era più tanto divertito. “A me ha mostrato una corte di cenere e ha fatto la solita proposta: potere e gloria, in cambio della mia lealtà… E forse di un bambino. Poco importa, per me può bruciare all’inferno. Anzi, sarei felice di aiutarlo in tal senso.”

E Shouto seppe che suo fratello non stava mentendo.

“Sapevo che non ti saresti piegato a lui,” disse, con un sorriso.

Touya rivolse lo sguardo al soffitto.

“Piuttosto che piegarmi, brucerei.”



 

Katsuki rientrò poco dopo, con lo sguardo basso e l’aria pensierosa, ma i suoi occhi si accesero nel rendersi conto che il suo Principe era cosciente.

“Non fare più di queste stronzate, stupido Mezzo-e-mezzo,” disse, quasi ringhiando, ma si portò la mano del compagno alle labbra per baciarne il dorso. 

“Non posso prometterlo,” disse Shouto, con uno di quei sorrisi che avevano il potere di far dimenticare a Katsuki tutte le brutture del mondo. Solo il cielo sapeva quanto ne aveva bisogno in quel momento.

“Non hai neanche un segno addosso,” notò il giovane Drago, sollevando la manica per controllare il braccio di Shouto.

“Le fiamme blu non mi hanno fatto del male.”

“Ma io sono morto, quando ti ho visto bruciare!” 

Katsuki lanciò un’occhiata all’angolo opposto della stanza. Vi era un tavolo sotto l’unica finestra presente e il Principe Esiliato era chino a esaminare alcune mappe con aria seria e concentrata, ignorando completamente la conversazione dei due fanciulli. Hawks si era accomodato al capo opposto del mobile e lo guardava, senza partecipare attivamente a qualunque cosa lo stronzo stesse facendo.

“Mi ha salvato,” mormorò Shouto, guardando il fratello. “Non riesco ancora a crederci… Mi ha salvato…”

Katsuki era allibito quanto lui ma, a differenza del suo Principe, godeva del distacco necessario per impedire che una singola azione lo spingesse a guardare Touya Todoroki in maniera diversa. Il bastardo ustionato li aveva accolti al Castello Vecchio per un suo tornaconto e aveva permesso a Hawks di entrare nell’equazione solo per sadico diletto.

All For One era un colpo di scena che cambiava le carte in tavola, ma Katsuki dubitava che avesse fatto lo stesso con le intenzioni. Era fuor di ogni dubbio che Touya avesse avuto paura, ma che avesse salvato Shouto per puro amore fraterno…

“Non abbassare la guardia,” disse.

Shouto rispose al suo sguardo. “Mi hai affidato a lui, ricordi? Sei stato il primo a dargli fiducia.”

Fiducia è una parola grossa.” Katsuki infilò la mano sotto le coperte, accarezzandogli il ventre. “D’ora in avanti, non potrò più permettermi di allontanare lo sguardo da te.”



 

Hawks studiava i due giovani amanti da distanza, ammirandoli per come affrontavano gli ultimi eventi, uno al fianco dell’altro. Aveva visto guerrieri temprati cedere per molto meno, ma loro restavano insieme, a testa alta, trovando forza e conforto l’uno nell’altro.

Hawks non avrebbe dovuto esserne tanto sorpreso.

Seduto al capo opposto del tavolo, Touya sbuffò, spingendo via una delle mappe, che scivolò fino a toccare il braccio del Cavaliere.

“Che cosa stai facendo?” Domandò Hawks. 

Contro ogni aspettativa, il Principe rispose: “sto facendo la lista di tutte le residenze semi-abbandonate o disperse nel nulla della famiglia reale. Ci serve un posto in cui andare, molto lontano da qui.”

“E come sta andando?”
“Male…”

“Beh…” Hawks appoggiò la nuca a una delle ali. “Non credo sia saggio spostare Shouto in questo momento.”

“No, non lo è,” concordò Touya. “Ma il Castello Vecchio stava per divenire la nostra tomba e questa stanza non può essere il nostro rifugio per molto tempo.”

Hawks si umettò le labbra, poi inspiro aria dal naso fino a riempire i polmoni, anche se tirava la ferita e faceva male. 

“Ti ha detto che cosa vuole?”
“Che cosa vuoi che desideri un essere simile, Hawks? Potere e un erede a cui passarlo,” disse, guardando suo fratello e il suo giovane Drago.

Katsuki rispose al suo sguardo, cogliendo il senso di quella congettura.

“Quel bastardo vuole nostro figlio?” 

One For All reagì al senso di pericolo e il suo corpo emise delle scariche dorate.

“Stai di nuovo facendo le scintille,” lo avvertì Touya.

“All For One non sa del bambino,” disse Shouto, afferrando la mano del compagno. “Ma temo di avergli rivelato un altro segreto, uno di cui non ero consapevole neanche-”

La voce di Shouto si spezzò a causa di brivido freddo, che lo attraversò come una lama invisibile. S’irrigidì, un respiro tremante scivolò fuori dalle sue labbra sotto forma di nuvola di vapore.

Katsuki si accorse che qualcosa non andava e si chinò verso di lui.

“Shou-”

La mano con cui stringeva quella del compagno si congelò e, istintivamente, si allontanò dal letto. 

Touya fu il primo a muoversi, ignorò il giovane Drago per andare dal fratello minore. A causa delle ferite, Hawks ci mise di più a intervenire e lo fece spingendo Katsuki verso il focolare.

Shouto, che tremava come una foglia, cercava disperatamente lo sguardo del compagno.

“Principino.” Touya gli prese il mento tra le mani e lo costrinse e guardarlo. “Il potere reagisce alle tue emozioni. Se ti agiti, rendi il mio lavoro molto più difficile.”

“Ma Katsuki-”
“Sto bene, Shouto,” lo rassicurò il diretto interessato, inginocchiato accanto al fuoco scoppiettante. Il ghiaccio si stava sciogliendo velocemente, riusciva già a muovere le dita. Serviva molto di più per ucciderlo, ma la condizione di Shouto era delicata e il giovane Drago temeva le conseguenze che il suo corpo avrebbe pagato per quello squilibrio di poteri.

“Siamo sicuri che non sia un trucchetto del cazzo di All For One?” Domandò.

“Sì,” rispose Touya, secco, una mano appoggiata sul viso del fratello e l’altra sul suo petto. “È febbre. Passerà, dobbiamo solo tenerlo al caldo.”

Per Katsuki quella spiegazione non aveva alcun senso.

“Sta congelando!”
“Febbre fredda,” disse Touya. “A voi Draghi non succede?”
Certo che lo stronzo lo stesse prendendo in giro, l’Erede del Clan Bakugou si rivolse al Primo Cavaliere. 

“Che cazzo sta delirando?”
“Sono figli di poteri opposti,” rispose Hawks, reggendosi al davanzale del camino. “Credo che accada solo a loro due, perché sono gli unici figli del Re a essere Signori del Fuoco. Se per qualche ragione non riescono ad accendere le fiamme, vanno in ipotermia velocemente.”

“Come ho detto: febbre fredda,” ripeté Touya, togliendosi la giacca nera e calciando via gli stivali. “Uno dei tanti effetti collaterali a cui il Re non ha pensato, mentre mandava avanti la sua politica matrimoniale.”

Katsuki lo guardò mentre si arrampicava sul letto, scavalcava Shouto e si accomodava sulle coperte, dalla parte del muro. “Che cosa stai facendo?” Domandò, ringhiando, quasi che l’altro stesse commettendo un atto riprovevole.

“A te che sembra?” Domandò il Principe Esiliato, stringendosi al fratello minore. “Cosa di dobbiamo tenerlo al caldo non ti è chiaro?”

Katsuki si alzò in piedi, ignorando il dolore pulsante alla mano lesa. “Togliti dai piedi, ci penso io.”

“Non puoi,” disse Shouto, i suoi occhi gli chiesero scusa in silenzio. “In quanto Drago, hai il potere del fuoco ma non puoi trasferire il tuo calore al corpo di qualcun altro. Se mi stai vicino prima che la febbre passi, rischio di farti di nuovo del male.”

Katsuki lo fissò, i pugni serrati e le parole bloccate in gola. Aveva voglia di urlare, afferrare quello stronzo di Touya Todoroki e scaraventarlo contro la parete di roccia più vicina. Dopo tutto quello che aveva fatto e, sopratutto, detto, come si permetteva di atteggiarsi a protettore di Shouto?
“Lo hai sentito, rettile?” Touya fece un gesto della mano, come a scacciare un animale molesto. “Vai nell’angolo, mettiti a cuccia,” disse, mentre Shouto gli lanciava un’occhiata obliqua.

“Stai molto attento a quello che fai, stronzo…” Sibilò Katsuki in risposta. 

“Va bene, va bene…” Hawks si mise in mezzo. “Siamo stanchi e abbiamo bisogno di recuperare le forze, Shouto più di tutti. I grandi discorsi e le pianificazioni sono rimandate a domani.”

Katsuki ingoiò l’irritazione e gli diede ascolto. Doveva farlo per il bene di Shouto.

Si avvicinò per dargli un bacio, ma Touya gli piantò una mano in faccia e lo spinse via. 

“Non mentre io sono qui, Drago,” disse il Principe Esiliato. “Non vorrai mica che vomiti sopra il tuo principino in un eccesso di disgusto?”

“Touya…” Shouto provò ad arginare la cosa, passando lo sguardo implorante dall’uno all’altro. “Katsuki…”

Ma gli argini erano già saltati.

“Smettila di prendere decisioni come se Shouto fosse una cosa tua!” Sbottò Katsuki.

In modo del tutto inatteso, Touya afferrò il viso del fratello e gli leccò la guancia, fino all’angolo della bocca.

“Adesso è mio!” Decretò, mentre il Todoroki più giovane si affrettava ad asciugarsi il viso con la manica. 

Hawks puntò gli occhi sulla nuca di Katsuki, tendendo le ali, pronto a usare le piume nel caso le cose fossero degenerate. Se Shouto non si fosse ritrovato in mezzo, con un bambino in grembo, il Primo Cavaliere ne era certo, quella valle sarebbe divenuta teatro di un altro leggendario scontro tra Draghi e Todoroki.

E ci sarebbe scappato il morto…

Ma se Touya non ne voleva proprio sapere di comportarsi come un uomo adulto, Katsuki era sulla buona strada per diventarlo. 

Il giovane Drago attraversò la stanza a passo di marcia e uscì sbattendo la porta. Andò a sfogare la rabbia per i fatti suoi.

Shouto si sollevò sui gomiti, facendo appello a tutte le sue forze per alzarsi e seguirlo.

“Se ti fai del male per andare da lui, non vivremo abbastanza per vedere la fine,” disse Touya, tenendolo sul letto.

“Nostro malgrado, devo dargli ragione,” disse Hawks. “È già arrabbiato perché ha capito che non può fare nulla per aiutarti, Shouto. Se ti preoccupi per lui, non lo farai stare meglio.”

Shouto si lasciò ricadere sul cuscino, frustrato.

“Lo hai fatto arrabbiare tu,” disse al fratello.

“Se hai trovato una bestia più rabbiosa di nostro padre, non è colpa mia,” ribatté Touya. 






 

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Capitolo 19
*** The Past Between Us ***


Prompt: It is what it is


XIX

The Past Between Us 



 

So tell me what you want to hear

Something that will light those ears

I'm sick of all the insincere

So I'm gonna give all my secrets away

This time

Don't need another perfect lie

Don't care if critics ever jump in line

I'm gonna give all my secrets away

[“Secrets” - OneRepuplic]



 

La riunione del Concilio Ristretto stava andando avanti senza che Shouto sentisse una sola parola. 

Aveva capito che stavano parlando di ricostruzione e avrebbe dovuto seriamente porre attenzione alla scena, ma non ce la fareva. Se qualcuno avesse chiesto la sua opinione sull’argomento, sarebbe rimasto a boccheggiare come un idiota. Quel giorno, fu la prima volta in cui fu felice di essere l’unico fanciullo della sua generazione ad avere il permesso di partecipare a quegli incontri. Se Ochaco e Tenya fossero stati lì, non avrebbero mancato di tenerlo d’occhio da distante e, sicuramente, si sarebbero preoccupati per il suo mutismo. Sotto tutta quella pressione, seppur premurosa, Shouto non ce l’avrebbe fatta a mantenere le apparenze. I suoi occhi eterocromatici erano fissi sul tavolo, vagavano sulla mappa che vi era disegnata sopra, tracciavano le strade che lui e Katsuki aveva percorso nel loro lungo viaggio e nessuno si accorgeva di come continuava a portarsi la mano in grembo.

“Basta così,” disse il Re, alzandosi in piedi.

Gli altri Lord seguirono l’esempio e Shouto li imitò in modo meccanico, lo sguardo ancora basso.

“Metteremo in pratica le decisioni prese oggi e faremo un bilancio dei risultati per la fine del mese,” aggiunse il sovrano, poi li congedò.

Prima di muoversi, Shouto aspettò che gli altri fossero arrivati alla porta. Quando suo padre lo fermò afferrandogli la spalla, sentì il respiro venire meno ma fu bravo a mantenere il controllo.

“No, tu no,” disse Enji, invitandolo a sedersi di nuovo.

Il Principe ubbidì, guardando i Lord che, uno dopo l’altro, varcavano la porta della stanza. Hawks fu l’ultimo. Prima di andarsene, si fermò sull’uscio e guardò suo padre. Il Re gli fece un cenno e il Cavaliere se ne andò. Shouto non sapeva se fosse un vantaggio per lui o meno: non voleva restare da solo col genitore, ma era certo che Hawks si sarebbe accorto che qualcosa in lui era diverso.

“Sei stato distratto per tutto il tempo,” disse Enji, spingendo la propria sedia contro il tavolo.

Shouto ingoiò a vuoto.

“Mi dispiace,” disse.

“Non ti stavo rimproverando,” lo rassicurò il genitore. “Voglio solo sapere cosa ti preoccupa.”

Ho scoperto di aspettare un bambino, era la risposta giusta. Ho scoperto di aspettare un bambino e ho paura. Ma non poteva dirlo.

Non aveva importanza quanto suo padre si stesse impegnando per farlo sentire a suo agio nei momenti in cui erano da soli, il Principe non poteva permettersi di essere sincero prima di aver parlato con Katsuki. 

“Che fine ha fatto il Principe Drago?” Domandò Enji.

“Non chiamarlo Principe,” lo corresse Shouto, gentilmente. “Non gli piace.”

“Non è forse l’Erede della sua Casata?”
“È un Clan, non una Casata.” Il fanciullo sollevò gli occhi sul viso del padre. “Se vogliamo renderli nostri alleati, sono differenze che dobbiamo imparare.”

Enji appoggiò il braccio allo schienale della propria sedia.

“Da quando siete tornati, si è parlato di alleanza più d'una volta,” disse. “Ma nessuno ha organizzato un incontro tra me e la Regina, mi pare.”

“Mettiti in testa di chiamarla Capo Clan, invece di Regina e potremmo cominciare a parlarne.”

“È davvero così importante?” 

Shouto non avvertì alcuna critica nella domanda di suo padre, si stava seriamente interessando, voleva capire - per quanto superficialmente si potesse fare attraverso una singola conversazione - in che cosa la loro dinastia e quella dei Bakugou erano differenti.

“Secoli di storia e nessuno ha memoria di una Regina seduta sull’Alto Trono,” spiegò il Principe. “Noi prediligiamo gli eredi maschi, i Draghi danno valore alla forza dell’individuo. Mitsuki era figlia del Capo Clan prima di lei, ma ha dovuto dimostrare di essere degna del suo titolo.”

“Non è quello che facciamo anche noi?”

“Nessuno mette in discussione la legittimità di un erede perché non è abile nell’arte della spada,” ribatté Shouto. “I Todoroki che compiono più imprese hanno solo più possibilità di divenire delle leggende, tutto qui.”
“Nel modo che hanno i Draghi di gestire le cose, rischiano una guerra di successione a ogni generazione,” obiettò Enji. “Le loro idee vanno contro ogni principio di stabilità.”

“Non ho detto che i loro metodi sono migliori dei nostri,” puntualizzò Shouto. “Sono solo diversi. All’atto pratico, il diritto di sangue non fa di un erede un Re degno e, nel loro caso, la forza bruta non fa di un guerriero un leader capace. Per questo, io e Katsuki pensiamo che un’alleanza possa essere costruttiva. Entrambi le parti hanno molto da imparare e da migliorare.”

“Non ne dubito.”

Shouto non ricordava l’ultima volta che lui e suo padre avevano discusso di politica. A pensarci bene, forse non ne avevano mai avuto l’occasione. Erano passati appena due anni dai giorni in cui il Principe si era posto come obiettivo quello di segnare la fine di una delle più grandi Dinastie del Fuoco, trasformando se stesso in un Signore del Ghiaccio. L’Enji Todoroki di allora non avrebbe perso tempo ad ascoltare il suo punto di vista, figurarsi a prendere in considerazione l’idea che un altro popolo, loro nemico dall’inizio dei tempi, potesse insegnare qualcosa al loro.

“Tuttavia, Shouto, le alleanze devono basarsi su qualcosa,” disse Enji. “L’amicizia non basta.”

Ma un erede in comune, sì, pensò il Principe. No, non era quello il momento di dirlo e dal modo in cui suo padre lo guardava, era ovvio che lui per primo voleva proporre qualcosa.

“A che cosa hai pensato?” Domandò Shouto.

La reazione di Enji a quella domanda fu inedita. Era indubbio che avesse già la risposta pronta e, forse, si era preparato a quella conversazione da tempo. Sul momento, si ritrovò incapace di dire quello che doveva, come se l’argomento lo imbarazzasse.

“Papà?” Incalzò Shouto, smarrito dal modo in cui il genitore continuava a gesticolare, senza dire una parola.

Alla fine, Enji appoggiò il mento al pugno chiuso e fissò un punto nella stanza, molto lontano dal viso del figlio.

“Quello che lega te e…” Inciampo sulle parole.

“Katsuki.”

“Sì, lo so come si chiama. Quello che lega te e Katsuki ti rende felice?”

Shouto avvertì una strana sensazione alla bocca dello stomaco, come una vertigine, simile a quella che aveva sperimentato la prima volta che aveva volato in groppa al suo Drago, stretto a Izuku.

“Io… Io…” 

Era certo che suo padre avesse dovuto preparare se stesso per porgli una domanda tanto semplice, ma così intima, importante. E ora era Shouto che non sapeva come rispondere, anche se lui e Katsuki non si erano mai nascosti. Di fatto, suo padre non gli stava chiedendo cosa c’era tra lui e il giovane Drago, quello doveva averlo capito chiaramente dai loro atteggiamenti. Il suo interrogativo scavava più a fondo.

Shouto dovette stringere i pugni per impedirsi di portarsi una mano in grembo.

Contro ogni precedente, fu proprio suo padre a correre in suo soccorso.

“Parlane con lui,” disse Enji. “Decidete insieme cosa volete fare del vostro futuro.”

Matrimonio. 

Suo padre evitò accuratamente di usare quella parola, ma era chiaro ciò a cui si riferiva quando diceva che un’alleanza aveva bisogno di basi solide. 

“Qualunque cosa tu scelga di fare, ti sosterrò,” concluse Enji.

Shouto si aggrappò ai braccioli della sedia, come se non sentisse più la terra sotto i suoi piedi.

“Ma non fare niente che non sia un tuo esplicito desiderio,” aggiunse suo padre. “Se il sentimento che provi per Katsuki non è tanto forte, se non sei certo che sia lui quello giusto, non-”

Shouto si alzò di colpo e lo zittì.

Rimasero così, immobili e in silenzio come due idioti. Per il Principe era troppo da mettere in ordine, d’accettare, ma non era per forza una cosa negativa. Aspettava un figlio da Katsuki e suo padre era pronto ad appoggiarlo in qualunque decisione avesse preso per la sua vita.

“Grazie, papà.” 

Furono le uniche due parole che riuscì a dire.



 

Pochi giorni dopo, Enji Todoroki lo avrebbe tradito per l’ultima volta.




 

-Alcuni mesi dopo-



 

Touya aveva avuto paura.

Quando Shouto gli aveva detto di aver udito quella voce, aveva avuto paura.

Dopo aver trascinato suo fratello al Castello Vecchio e averlo lasciato nelle mani del suo Drago, era andato a cercare il Primo Cavaliere del Re nell’ala della rocca in cui sapeva che si ritirava per andare a dormire. I sensi di rapace avrebbero dovuto annunciare il suo arrivo, ma Touya l’aveva trovato addormentato, disteso sullo stomaco, con il viso rivolto verso il muro. Aveva pensato di svegliarlo con un calcio o in qualche altro modo sgarbato, ma quando si era avvicinato e si era accorto dell’ustione che ricopriva quasi interamente la schiena del più giovane, si era bloccato.

Touya era rimasto lì, in piedi, mentre la prima luce del giorno scivolava nella stanza attraverso l’unica finestra. Il Cavaliere si era svegliato e il Principe aveva giustificato la sua immobile presenza con un commento beffardo. 

Quella notte fu diverso: Hawks non riusciva a dormire.

Il fuoco nel camino si era ridotto a un ammasso di braci, che gli occhi dorati fissavano senza realmente vederle. Era disteso sul fianco sano, il vecchio tappeto di pelliccia era l’unica cosa a dividerlo dal pavimento di pietra. Non se ne lamentava. Fin tanto che il posto era asciutto e aveva un tetto sopra la testa, era facile per lui adattarsi. Aveva il braccio piegato sotto la testa, a mo’ di cuscino e aveva avvolto le ali intorno a se stesso. Da quante notti gelide lo avevano salvato durante la sua infanzia, anche durante la guerra gli avevano impedito di patire il freddo nelle tende da campo. 

Prima di Touya, di Enji, della corte dell’Alto Trono, i suoi genitori non erano mai stati in grado di tenerlo al sicuro. Le sue ali, sì.

Era per questo che, da bambino, aveva promesso a se stesso che le avrebbe usate per proteggere gli altri. Ora, poco più che ventenne, era il secondo uomo nella gerarchia che governava il regno più grande del mondo conosciuto, la gente lo chiamava eroe, serviva il Re come Primo Cavaliere dalla sua fanciullezza, ma non si era mai sentito vicino a raggiungere il suo obiettivo.

A questo pensava, mentre fissava quelle braci morenti, a come il ritorno di All For One fosse una sconfitta personale anche per lui. 

Hawks non aveva mai avuto la presunzione di divenire l’uomo che avrebbe causato la sua caduta, non era destinato a divenire il protagonista di nessuna grande storia e non gli importava esserlo. Quando il momento era arrivato, gli era bastato sostenere il suo Re e il Principe della Corona in battaglia. Non c’erano stati festeggiamenti per quella vittoria, quello che All For One aveva portato via non sarebbe mai stato restituito, ma Hawks aveva provato un oscuro senso di conforto nel saperlo ridotto in cenere o a pezzi, divorato dai vermi. 

Sapeva di non avere alcun diritto di soffrire del ritorno del mostro come Katsuki o Shouto, ma la sopravvivenza di All For One era una ferita inferta su di un’anima già ridotta a brandelli, la sua.

Non era riuscito a salvare Touya, non era stato un braccio destro in grado di evitare che il Re piegasse la testa e non aveva fatto assolutamente nulla per Shouto.

A che cosa servono le tue ali?

Lo scricchiolio della struttura in legno del letto fu come un colpo di cannone, gli spezzò il respiro. I piedi scalzi di Touya - perché solo di lui si poteva trattare - toccarono il pavimento di pietra senza far rumore. Hawks chiuse gli occhi, anche se era improbabile che il Principe riuscisse a vederlo in viso con tutto quel buio, e fece finta di dormire. L’oscurità fu il suo rifugio ancora per poco.

Un barlume blu illuminò la stanza, riaccendendo le braci nel camino. Hawks sgranò gli occhi, mentre il fantasma di un dolore antico gli attraversava la schiena. Stiracchiò le ali, come per assicurarsi che ci fossero ancora.

“Non ho intenzione di ridurre in cenere il tuo potere.”

Lo voce di Touya non era affatto rassicurante. Lo sentì sedersi sul tappeto, alle sue spalle, tanto vicino d’avvertire il suo calore contro la pelle nuda. 

“So che sei sveglio,” disse il Principe. “Evitati una figura ridicola e smettila di fingere di dormire.”

“Non mi hai dato il tempo di parlare, come puoi dire che la mia intenzione era fingere?” Ribatté Hawks.

“Perché mi eviti.”

Il Primo Cavaliere non aveva bisogno di guardarlo in faccia per sapere che stava ghignando.

“Quando abbiamo stretto quel patto, mi sono consegnato a te. È il contrario di evitare, più un condannarsi.”

“Ti serviva il permesso di accedere al Castello Vecchio e assicurarti delle condizioni di Shouto. La Spada di Fuoco è stata un prezzo simbolico.”

“Se era solo simbolico, perché ti ha convinto?”

“Perché nel grande disegno della mia vendetta contro il Re anche la simbologia è importante. Non ho bisogno di quel fuoco e nemmeno di una spada, ma che uomo dei miei tempi sarei se non ne portassi una al mio fianco?”

A dispetto di come parlava e si atteggiava, a Touya non piaceva essere l’oggetto dell’attenzione di tutti, ma il ruolo che era stato suo per diritto di nascita lo aveva sempre costretto a stare al centro della scena. Si era adattato, sì, ma senza preoccuparsi di rimanere fedele all’ideale del Principe giusto, gentile e valoroso all’occorrenza. In questo era come suo padre. La differenza sostanziale era che il Re sapeva di avere la responsabilità di mantenere le apparenze; dopo la nascita di Shouto, Touya non si era fatto scrupoli a scatenare il caos pur di avere per sé l’attenzione di Enji.

“Che cosa avevi intenzione di fare?” Domandò Hawks. “Deve essere stato divertente sapere che tuo fratello si è dimostrata una delusione per tuo padre, certo. Ma che cosa avevi intenzione di fare?”

Touya appoggiò il mento al palmo aperto, gli occhi fissi sul letto, dove Shouto dormiva pacificamente.

“Non lo dirò a te, Hawks.”
“Va bene, allora dimmi che cosa hai intenzione di fare adesso.”

“L’ustione sulla tua schiena è stata causata dal mio fuoco.”

Quella di Touya non era una domanda. In otto anni, Hawks poteva aver combattuto decine di battaglie in nome della Corona e l’ultima, quella contro All For One, sembrava essere stata più apocalittica di altre, ma non aveva dubbi su cosa avesse inferto al Primo Cavaliere una ferita simile.

“Tu eri lì,” disse Touya. “Quel maledetto giorno, tu eri lì.”

La sua voce non tradiva sorpresa, forse amarezza.

“Te l'avevo detto,” gli ricordò Hawks. “Non mi hai creduto.”

“Perché non mi hai mostrato le tue ferite allora?”
“Ho un’ustione anche sul viso e non l’hai notata per ben due volte.”

Touya ridacchiò, beffardo.

“Perdonami, se la mia distrazione ti ha fatto soffrire,” disse, sarcastico.

“Non sei distratto,” replicò Hawks. “La distrazione non ti appartiene. Mi guardi in faccia senza vedermi, perché non lo sopporti, perché qualcuno ha fatto sì che il mio viso divenisse uno dei tuoi peggiori incubi.”

Enji Todoroki li aveva allontanati, ma All For One li aveva distrutti.

“Cambia qualcosa sapere che ero lì?” Domandò Hawks.

Touya non rispose immediatamente.

“Tu pensi che cambi, Hawks?”
Hawks era un ottimista, non un illuso. 

“No, lo so bene che è troppo tardi.”

Il Principe aveva passato da solo molto tempo, tanto che aveva cominciato a identificare se stesso con il nome della tragedia che aveva segnato la sua caduta: Dabi

“Era troppo tardi anche otto anni fa,” puntualizzò Touya, facendo scivolare lo sguardo sull’ustione che ricopriva la schiena del Cavaliere, risalendo su per il collo, fino alla guancia sinistra. Immaginò Hawks che si guardava allo specchio e, ogni giorno, trovava nel suo riflesso il morso del fuoco blu, un eterno promemoria di quello che avevano condiviso e perduto per sempre. Forse era a causa di quel marchio indelebile che era stato il suo guardiano per quasi un decennio, mai abbastanza vicino da toccarlo ma nemmeno tanto lontano da lasciarlo andare.

Touya aveva un problema con le ossessioni, era un difetto di famiglia ma, forse proprio a causa della sua vicinanza con i Todoroki, Hawks non era molto diverso da lui. 

“Voglio farti la stessa domanda che tu hai fatto a me,” disse il Principe. “Quando mi guardi, che cosa vedi?”

Hawks chiuse gli occhi per un istante. Non poteva rispondere, ne andava del proprio bene. Sarebbe stato di gran lunga più facile e meno pericoloso pugnalarsi da solo allo stomaco. Le fiamme blu nel camino sembravano incalzarlo a rispondere. Poteva continuare a essere un codardo e mentire. Touya se ne sarebbe accorto, certo, ma lo avrebbe deluso abbastanza da convincerlo che non valeva la pena metterlo con le spalle al muro.

Katsuki varcò la porta d’ingresso in quel momento, ponendo fine alla conversazione.

Stando attento a non urtare il Principe con le sue ali, il Primo Cavaliere si sollevò a sedere.

“Sta per piovere,” disse il giovane Drago.

Anche Touya lo guardava.

“Shouto sta bene,” disse, prima che l’altro lo chiedesse.

Gli occhi di Katsuki non riflettevano alcuna gentilezza nel rispondere al suo sguardo, ma quando parlò, lo fece con calma: “dobbiamo parlare…”

“Oh, senza ombra di dubbio.” Touya si alzò dal tappeto di pelliccia, e si lasciò cadere seduto sul bordo del letto. Lo scossone bastò a destare Shouto, che emise un mugolio e si sollevò su di un gomito.

“E anche il principino è dei nostri,” disse il Principe Esiliato.

Katsuki lo fissò come se lo volesse azzannare.

“Potevamo parlare anche senza disturbarlo!”

Hawks si aggrappò al davanzale del caminetto e si alzò in piedi, nel dubbio che servisse qualcuno a dividere i due litiganti.
“Sto bene, Katsuki,” intervenne Shouto. “Inoltre, anche io ho qualcosa da dirvi.”
“Allora comincia tu,” propose Touya. “Se sente la tua voce, il rettile si tranquillizza.”

Per tutta risposta, il giovane Drago ringhiò a bassa voce.

Il Principe di Fuoco e Ghiaccio si mise a sedere contro la testiera del letto, le mani appoggiate in grembo e lo sguardo basso. 

“Ti chiedo scusa, Katsuki,” disse.

Katsuki inarcò le sopracciglia. 

“Per cosa?” Domandò.

“Per quello che sto per dire…” Mormorò Shouto, cercando gli occhi del compagno. “Io so che…” Ingoiò a vuoto. “So che One For All ti permette di parlare con Izuku.”

L’aria nella stanza divenne improvvisamente tesa. Touya impiegò qualche istante a capire quello che suo fratello aveva detto, ma nemmeno ripetere le parole nella sua testa servì a dargli un senso. Katsuki era rimasto attonito da quella confessione, gli occhi scarlatti sgranati e le labbra dischiuse, forse nemmeno respirava più.

Izuku Midoriya era morto. Morto.

Touya guardò Hawks in cerca di una spiegazione, ma il Cavaliere sembrava versare nello stesso stato di Katsuki. Non gli piacque affatto.

“Fermi,” disse il Principe Esiliato, sollevando entrambe le mani. “Il giovane Campione è caduto contro All For One, no?” Cercò conferma, sentendosi un idiota - anche se era più probabile che fossero gli altri tre a esserlo. “E che cos’è il One For All?”
Hawks fece un passo in avanti.

“Lascia che ti spieghi-”
“No, non tu,” lo interruppe Touya, poi guardò il rettile. “Avanti, Drago, raccontami tutta la storia dall’inizio?”

Katsuki si riscosse. “Io?” Domandò, sospettoso. “Perché proprio io?”

“Perché lui è molto bravo a mentire,” rispose Touya, indicando il Primo Cavaliere. “Lui ha l’aria di uno che sembra avere il caos  in testa,” aggiunse, riferendosi al fratello minore. “Tu, invece, se il tipico idiota che non è in grado di dire bugie neanche per il suo bene.”

“Ma come osi-”

“Tutta la storia,” ripeté Touya, scendendo ogni parola. “Dall’inizio.”





 

Ci volle un po’.

Shouto e Hawks intervennero sporadicamente per aggiungere dettagli di cui Katsuki non era consapevole. Quando la narrazione fu conclusa, dalla finestra stava entrando la prima luce del giorno e Touya se ne stava appoggiato al davanzale, gli occhi rivolti verso l’alto. Il Drago aveva ragione: sarebbe stato un giorno di pioggia.

“Avevo completamente frainteso le sue intenzioni,” disse Touya, voltandosi verso l’interno della stanza. “Quando quel mostro parlava di erede, pensavo si riferisse a un figlio, non a un corpo da possedere.”
“Non lo abbiamo capito immediatamente neanche noi,” ammise Hawks. “All For One ha il potere di rubare i poteri e consegnarli a chi vuole, ma un corpo qualunque non potrebbe mai reggere un simile peso. Tenko era il suo prescelto, ma non sarebbe durato per sempre.”

“E i Todoroki sono leggendari,” aggiunse Touya. “Sapeva che ero difettoso ma, in caso di figli sani, i poteri di una famiglia accrescono generazione dopo generazione. Qualcosa di nostro,” gli veniva il voltastomaco solo a pensarci, “aveva buone possibilità di divenire un’arma senza precedenti.” Guardò il fratello minore. “Sei sicuro che non sappia di tuo figlio?”

Shouto annuì, deciso.

“Ne sono certo.”
“Possiamo concludere che il bastardo stesse inseguendo il One For All,” dedusse Touya, guardando Katsuki. “Ha attaccato me perché io e lui abbiamo un conto in sospeso e Shouto è rimasto coinvolto.”

“Non credo che sia così semplice,” obiettò Hawks. “Se sa che Izuku ha passato il suo potere a Katsuki, deve anche sapere che i rapporti tra Shouto ed Enji sono incrinati. Vi ha attaccati perché entrambi provate rancore verso vostro padre e ha tentato di fare leva su questo.”

Touya sollevò l’angolo della bocca in una smorfietta.

“Peccato non sappia che è proprio il rancore per nostro padre che ci ha insegnato a non fidarci degli uomini di potere.”

“Infatti…” Concordò Shouto.

“Perché non mi hai mai detto che puoi parlare con Izuku?” Domandò Katsuki a bruciapelo, le dita strette a pugno e tutto il corpo attraversato da un leggero tremolio. Era arrabbiato, tanto arrabbiato. Shouto sapeva che, in un’altra circostanza, non si sarebbe fatto scrupoli a esplodere ma non era la presenza di suo fratello o del Primo Cavaliere a inibirlo. No, Katsuki si tratteneva per il bambino e nient’altro. 

Il Principe di Fuoco e Ghiaccio si umettò le labbra, scacciando la voce molesta in fondo alla sua testa che gli ricordava che l’Erede del Clan Bakugou era al suo fianco per senso del dovere.

Touya parlò prima di lui: “guarda come stai reagendo,” disse, giudicante. “Ha avuto tutte le ragioni di tenertelo nascosto.”

Shouto non voleva che si mettesse in mezzo.

“Touya, non-”

“Questi non sono affari tuoi!” Ringhiò Katsuki.

Il Principe Esiliato si allontanò dalla finestra, infilando le mani nelle tasche della giacca nera. 

“Dobbiamo tornare a discutere di ciò che è e non è mio, Drago?”

Nonostante la ferita al fianco facesse male, Hawks fece un passo in avanti per essere pronto a evitare il peggio..

“Nemmeno tu mi hai detto di Izuku,” ribatté Shouto, calmo, gelido. “È una cosa vostra, l’ho rispettata. Potresti fare lo stesso con me?”

“Rimandate i litigi tra innamorati per quando sarete da soli. Restate concentrati sul presente,” li rimproverò Touya. “Il rettile e il giovane Campione sono legati da questo One For All, questo l’ho capito. Che ruolo ha mio fratello in tutto questo?”

Anche Katsuki si poneva la stessa domanda. 

Shouto lo guardava senza vergogna e con altrettanta fermezza disse quello che doveva: “penso di aver usato One For All.”

Gli occhi rossi di Katsuki si fecero grandi, allibiti.

“Che… Che cosa? Quando?!”

“In sogno,” rispose Shouto. “All For One mi stava soffocando, ma non riuscivo a svegliarmi e… Non lo so, ho sentito un potere che non era il mio attraversarmi ed è solo grazie a quello che sono riuscito a respingerlo e salvarmi. So che era il One For All, lo so.”

Il Drago sentì il respiro venire meno. Sul suo viso dovette comparire un’espressione allarmante, perché Hawks gli afferrò la spalla, come per sorreggerlo o trattenerlo.

Touya era l’unico abbastanza distaccato da poter affrontare la questione con lucidità.

“Il Campione ha passato il One For All al suo Drago,” rifletté ad alta voce. “E il rettile ha…” Gli occhi del Principe si posarono sul grembo del fratello minore. “Beh, ha senso.”

Shouto intuì il suo ragionamento e si guardò la pancia. “No…” Mormorò, scuotendo la testa. “No, non è possibile!”

“Cosa non è possibile?” Touya stava perdendo la pazienza. “I poteri si ereditano dai genitori, io e te esistiamo proprio per questo!”

“No, non è affatto possibile!” Tuonò Katsuki. “Il One For All non si passa da genitore a figlio, non è quel genere di potere!”

“Abbiamo dei precedenti?” Domandò il Principe Esiliato.

“Ma che cazzo ne so!”
“Quello che dice Touya ha senso,” intervenne Hawks, le dita ancora strette sulla spalla di Katsuki. “Sappiamo che Lady Shimura ha avuto un figlio, che Tenko era suo nipote, ma se avesse ereditato il potere dopo essere divenuta madre, non si potrebbe considerare un precedente.”

Touya sbuffò in anticipo. “Fammi indovinare: non sappiamo quando Lady Shimura ha avuto il One For All.”

“Temo di no,” confermò Hawks.

“Questo non significa niente!” Katsuki era fuori di sé. “One For All è ancora dentro di me, non posso averlo passato a mio figlio!”

“Quando All Might ha reso Izuku il suo erede, non ha perso il suo potere,” gli ricordò Shouto. “One For All ha vissuto in entrambi per un po’, ricordi?”

“Stai zitto, Shouto!” Urlò il giovane Drago, sfoderando la stessa rabbia con cui lo aveva aggredito il giorno in cui gli aveva detto di aver vegliato il cadavere di Izuku senza di lui. Le circostanze di allora lo avevano in parte giustificato, ora era tutto diverso: la storia che stavano scrivendo, i loro ruoli al suo interno e, soprattutto, il motivo per cui erano legati. 

Katsuki si rese conto immediatamente di aver sbagliato. 

“Shouto…” Fece un passo in avanti, cercando di superare lo stronzo, ma anche Hawks si mise di mezzo.

“Con calma, Katsuki,” disse il Primo Cavaleri, serio. 

Il giovane Drago non poteva credere ai suoi occhi.

“Che diavolo stai facendo?” Domandò.

Hawks parlò con calma, gentilmente, cercando di arrivare al suo lato ragionevole: “non posso immaginare quanta rabbia tu stia provando in questo momento,” disse. “Comprendo che questa sia una situazione che spinge chi è coinvolto a perdere il controllo, ma-

“Togliti di mezzo, Hawks!”

“Mentre versi in questo stato, non posso permetterti di avvicinarti a Shouto!”

Touya guardò suo fratello: teneva lo sguardo basso, gli occhi nascosti dalla frangia bicolore, e si toccava la pancia, come se il bambino che portava in grembo fosse l’unico appiglio a cui aggrapparsi o, forse, era l’unico argine a impedirgli di perdere la calma. Il Principe di Fuoco e Ghiaccio era perfettamente in grado di reagire ma, visto lo squilibrio dei suoi poteri, aveva paura che farlo lo avrebbe spinto a farsi di nuovo del male e a mettere in pericolo la sua creatura.

Touya sbuffò. 

“Devo sempre fare tutto io,” borbottò, afferrando il Drago per il colletto della blusa e trascinandolo, come se fosse un animale dispettoso. 

Prima di riuscire a reagire, Katsuki si ritrovò col fondoschiena sull’erba. Mentre la mano del Principe Esiliato lo lasciava andare, ingoiò un’imprecazione fin troppo violenta - ci mancava solo che qualche cacciatore di passaggio intervenisse sulla scena - e guardò il viso sfigurato dello stronzo dal basso verso l’alto.

“Come ti permetti, pezzo di-!”

“Noi andiamo a farci un giro!” Disse Touya, rivolgendosi ai due ancora all’interno del casino. “Andiamo alla ricerca di alcune cose utile. Hawks, se Shouto dice di sentire freddo, mettilo a sedere di fronte al caminetto e avvolgilo in tutte le coperte del letto. Non ci metteremo molto!” Chiuse la porta, senza aspettare una replica.

Katsuki fu svelto a obiettare. Provò ad alzarsi.

“Io non vengo da nessuna parte con-!”

Touya gli piantò uno stivale nello stomaco, costringendolo a rimanere dov’era.

In termini di mera forza bruta, Katsuki era superiore. Bastava uno sguardo per comprenderlo: Touya era poco più alto, ma la sua massa muscolare era pressapoco inesistente, tipico di guerrieri dotati di un potere violento, che non perdono tempo a esercitarsi in altri tipi di combattimento, come quello con le lame o corpo a corpo.

Ma se si parlava di potenza di fuoco…

C’era stato un tempo in cui, per orgoglio, Katsuki sarebbe stato pronto a sacrificare anche il Nido delle Montagne Rubino, in cui era nato e cresciuto. La guerra gli aveva fatto assaggiare il sapore della perdita e aveva imparato che la boria non valeva tanto quanto l’amore.

Touya Todoroki era pazzo, pericoloso e potente. Tre P che il giovane Drago non aveva intenzione di sfidare, mentre Shouto era costretto a letto e con un bambino in grembo.

Suo malgrado, Katsuki sollevò le mani sopra la testa.

Touya smise di schiacciarlo, ma non sollevò il piede da lui.

“Prima fai una scenata perché non sopporti che m’interessi preservare l’incolumità di Shouto,” disse, beffardo. “E adesso dimostri chiaramente di non essere degno né di lui né del figlio che ti darà.”

Katsuki strinse le labbra, fino a farle diventare una linea sottile: lo stronzo era sveglio e sapeva leggere le debolezze delle persone fin troppo bene. Peccato che quando si trattava dei sentimenti di Shouto e Hawks, quell’acume venisse completamente meno.

“Tutto per un morto,” aggiunse il Principe Esiliato.

“Attento a come parli!” Lo minacciò Katsuki.

“Izuku è morto e Shouto è vivo,” disse Touya, scandendo ogni parola. “Se non riesci a fare distinzione tra le due cose, non sarai mai in grado di proteggere mio fratello e tuo figlio da All For One.” Sollevò il piede e si addentrò tra gli alberi del boschetto, precedendo il più giovane. “Decidi tu cosa vuoi fare, Drago.”

Katsuki non si alzò in piedi. I suoi occhi scarlatti si persero nel cielo plumbeo sopra di lui e non si mosse neanche quando le prime gocce di pioggia caddero e lo bagnarono.

Era arrabbiato, ma se lo era stato con Shouto non lo ricordava già più.

Quello che gli faceva davvero perdere la testa era che lo stronzo aveva ragione.




 

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Capitolo 20
*** The Power Of Words ***


Prompt: What’s your poison?


XX

The Power Of Words


But there's a side to you

That I never knew, never knew

All the things you'd say

They were never true, never true

And the games you play

You would always win, always win

[“Set Fire To The Rain” - Adele]



 

Touya e Hawks erano bravi con le parole.

Se non si fossero mai incontrati, probabilmente sarebbero rimasti due bambini taciturni, poco inclini a socializzare. Crescendo fianco a fianco avevano dovuto imparare l’arte della sagacia per essere l’uno all’altezza dell’altro. Si erano stimolati a vicenda, migliorandosi. Era stato il punto forte del loro rapporto per tanto tempo, fino a che le differenze caratteriali non avevano messo in evidenza la naturale distanza che c’era tra loro. 

Hawks era stato educato insieme al Principe della Corona, ma non aveva mai dovuto subire il suo isolamento. Touya, invece, preferiva i libri alle persone, quando non andava a nascondersi per spingersi oltre i limiti del suo potere. 

Se Hawks usava le parole per ottenere l’approvazione degli adulti intorno a lui - specialmente il Re - Touya era incline a brandirle come un’arma. Più di una volta aveva dimostrato all’intera corte di avere una lingua tagliente.

Entrambi avevano presto imparato quanto fosse potente l’arte del mentire. Nessuno aveva previsto che, tra loro due, sarebbe stato proprio Hawks a divenire il bugiardo.

Touya se ne accorse prima di chiunque altro, ma non fu mai motivo di afflitto. Lui e Hawks comunicavano in un modo che era solo loro e che non lasciava spazio ad alcuna finzione: il contatto. 

Era facile mentire attraverso le parole, ma la sincerità di una carezza o la passione di un bacio non si potevano simulare con altrettanta semplicità. Il fatto che, a volte, Touya evitasse di farsi sfiorare persino dalla propria madre era già una sintesi molto chiara del loro rapporto. 

Hawks era la sua eccezione, avrebbe passato ore a toccarlo o a farsi toccare da lui e questo aveva più valore di qualsiasi confessione d’amore. Il Cavaliere lo sapeva e lo accontentava ben volentieri, sapendo che, in cambio, sarebbe stato accontentato.

“Che cosa senti?” Domandò Touya, mentre le sue dita lisciavano le piume scarlatte.

“La tua mano,” rispose Hawks, guardando la neve che continuava a cadere fuori dalle finestre della camera. 

Erano sul letto, nudi, come spesso capitava da quando erano scappati dalla corte per rifugiarsi al Nord, nell’antica residenza degli Himura. In quel castello, perennemente avvolto in un manto candido, non vi era nessuno a fare loro pressione, non vi erano doveri a cui dare la priorità. C’erano solo loro e la disperata voglia di stare insieme.

“Non ti piace?” Indagò Touya, continuando a toccare le ali abbandonate pigramente sulle coperte di pelliccia. 

“Non ho detto questo," disse Hawks, lanciandogli un’occhiata da sopra la spalla. “Cosa stai cercando di scoprire?”

“Nuovi modi per darti piacere,” rispose il Touya, senza imbarazzo.

Il più giovane sorrise, dimostrando di non provare il benché minimo disagio. 

“Temo che le mie ali non ti saranno utili allo scopo,” disse. “Se fossero tanto sensibili, morirei di dolore ogni volta che uso le piume. Quando le accarezzi, è più rilassante che stuzzicante.”

Touya si distese su di esse, godendosi la sensazione del piumaggio contro la pelle nuda. Avrebbe potuto addormentarsi e fare i sogni più dolci in quella posizione, lo sapeva, era già successo. Prima che la distanza tra lui e Hawks si accorciasse, quelle ali erano state oggetto delle fantasie più indecenti in cui il Principe si fosse mai crogiolato. 

“Ricordi quando ho usato una tua piuma per toccarmi?” Domandò Touya. Era stato un incidente, ma non per questo era stato meno piacevole - o meno imbarazzante.

“Vuoi masturbarti mentre sei steso sulle mie ali?”

“In effetti, non mi dispiacerebbe venirci sopra,” ammise Touya. 

Hawks girò la testa talmente tanto velocemente da farsi male al collo ma, a causa della posizione in cui erano, non riuscì a guardare l’altro in faccia nemmeno così. Non dovette chiedergli niente, Touya si spostò da solo.

“Vieni qui…”

Le manovre a letto non erano semplici quando le sue ali erano completamente integre ma, almeno in quello, Touya sapeva essere paziente e non aveva mai usato quella lingua tagliente per farlo sentire goffo o inadeguato.

Quando furono faccia a faccia, le gambe di uno intrecciate a quelle dell’altro, s’incontrarono in un bacio troppo languido per non avere un seguito.

“Mi piacerebbe essere alla mercé delle tue piume,” disse Touya, mettendosi a cavalcioni del suo giovane amante. “Vorrei venir sopraffatto dalla sensazione di essere toccato dappertutto nello stesso momento.”

Hawks sentì il proprio corpo reagire solo all’idea di mettere in pratica quella proposta. E gli occhi di Touya, resi più brillanti dal desiderio, non erano d’aiuto a fargli mantenere il contatto con la realtà.

“A te piace avere il controllo, non essere sopraffatto,” disse il Cavaliere.

Touya non era capace di cedere in nessuna circostanza. Anche quando facevano l’amore, non si lasciava mai andare davvero. Il bisogno di dominare era troppo forte, quasi disperato, tanto che diveniva davvero arrendevole solo nel delirio dell’orgasmo - e solo se Hawks era tanto bravo da non limitarsi a dargli piacere, ma a farlo godere davvero.

Touya, si era reso conto, era una battaglia continua ed era risaputo da tutti quanto sfidare il fuoco fosse pericoloso. 

“Se te lo ordino, è una forma di dominio, no?” Touya passò i palmi aperti sul petto del Cavaliere. Hawks era più giovane ma, a differenza sua, il suo addestramento era andato avanti, fino all’investitura e il suo corpo era sbocciato meravigliosamente. 

“Siamo uno il veleno dell’altro, non ti pare?” Aggiunse il Principe. I suoi occhi disegnavano le linee dei muscoli del giovane amante, ma il suo sguardo si era fatto malinconico.

Hawks si mise a sedere, circondandogli la vita con le braccia e puntando il mento al centro del suo petto. 

“In che pensieri ti sei perso, Touya?” Domandò, guardandolo dal basso verso l’alto.

Il Principe gli passò la mano tra i capelli, assorto.

“L’essere umano è votato all’autodistruzione per sua stessa natura,” disse. “Ci sono cose che ci fanno del male, ma che non possiamo fare a meno di desiderare.”

“Io ti faccio del male?” 

“Non è forse il prezzo da pagare per l’amore?”

Hawks gli afferrò la mano con cui lo toccava.

“No,” rispose. “È naturale commettere errori, ma l’amore non dovrebbe mai fare del male.”

Touya piegò le labbra in una smorfietta sarcastica.

“Come sei idealista,” lo canzonò. “Come fai a essere così? Chi ti ha insegnato l’amore?”

“Chi l’ha insegnato a te?”

“Mio padre dice di amarmi, mentre io continuo a versare lacrime a causa sua. Ecco cosa mi hanno imparato sull’amore.”

Hawks intrecciò le dita alle sue.

“Io ti ho mai fatto piangere?”

“Qualche volta…” Ammise Touya, senza rancore. “Ma sono ancora qui, con te. È questo che sto cercando di dirti: l’amore è come il fuoco - lo dicono anche i poeti, no? - scotta, fa male, ma lasciamo che ci bruci, fino a consumarci.”

Hawks si portò la mano alle labbra, sperando che quel gesto di tenerezza scacciasse via le tenebre e riportasse Touya da lui.

“Non stai parlando d’amore,” obiettò. “Stai parlando di ossessione.”

“Forse i Todoroki non sono capaci di amare,” concluse Touya, portando gli occhi da quel colore impossibile sulle fiamme che divoravano i ceppi di legno nel caminetto. “Forse siamo in grado solo di bruciare, bruciare e bruciare, fino a che non trionfiamo o muoriamo.”

“Touya,” lo chiamò Hawks, fermo, afferrandogli il mento per costringerlo a guardarlo. “Ci siamo solo io e te qui. Non hai bisogno di bruciare, io ti vedo già.”

Hawks sapeva usare bene le parole e Touya era bravo a vedere oltre le sue bugie. In quel momento non c’erano ombre negli occhi dorati del Cavaliere, non c’era inganno, solo il desiderio di stare insieme.

“Tu mi vedi…”

Mentre Touya lo spingeva dolcemente sul letto, Hawks non riuscì a comprendere se fosse una domanda o un’affermazione. In entrambi i casi commise lo stesso errore: credere che al Principe delle Fiamme Blu sarebbe bastato.



 

-9 anni dopo-



 

Katsuki odiava la pioggia.

Non era una cosa legata alla sua natura di Drago. Al contrario, sua madre lo aveva sempre incoraggiato a volare durante i temporali, a sfidare la natura e ad andare più in alto, sempre più in alto, fino a superare le nubi dietro cui si nascondeva il sole. La prima volta che c’era riuscito, aveva provato una bella sensazione. Lo aveva fatto sentire invincibile raggiungere un cielo sereno quando, sotto di lui, si stava scatenando una tempesta.

La stessa tempesta in cui la madre di Izuku era venuta mancare.

L’Erede del Clan Bakugou era venuto a saperlo solo tre giorni dopo, quando le intemperie gli avevano permesso di tornare al Nido in tutta sicurezza.

Non si era reso molto utile, non riusciva mai a esserlo in momenti del genere.

Si era illuso che la ferita provocata dal perdere Izuku gli avesse impartito una lezione impossibile da dimenticare, ma continuava a cadere negli stessi errori.

Indegno. Quella parola era tornata a riecheggiare contro le pareti della sua mente da quando si era permesso di urlare addosso a Shouto. Hawks non era meno colpevole. Non lo aveva mai considerato un amico ma, perlomeno, un alleato. Era meglio che, mentre erano da soli, non succedesse nulla al suo compagno o non si sarebbe fatto remore a spennarlo come il gallinaccio che era.

Ultimo ma non ultimo, lo stronzo lo aveva lasciato sotto la pioggia a fare il palo.

“È la residenza di caccia di non so quale Casata nobile,” aveva detto Dabi, arrampicandosi sul muro che circondava la tenuta. “Vi vivono stabilmente solo il custode con la sua famiglia, ma oggi dovrebbero essere in città, al mercato. Se rubo qualcosa, non se ne accorgeranno nemmeno,” aveva aggiunto, quando il giovane Drago si era scandalizzato all’idea di commettere un furto. “Con la faccia da criminale che hai, non credevo che un piccolo reato avrebbe turbato così tanto il tuo animo nobile,” aveva concluso, guadagnandosi un insulto da parte del Drago.

Era seguito un latrare di cani e, in cuor suo, Katsuki aveva sperato che si divorassero lo stronzo, liberandolo dalla tentazione di farlo lui stesso. Un bagliore bluastro e dei guaiti dopo, si era appoggiato al muro con un broncio deluso.

E lì era rimasto, in attesa. Inevitabilmente, i pensieri lo avevano assediato nel tempo di un respiro. 

Shouto poteva parlare con Izuku ed entrambi glielo avevano tenuto nascosto. 

La rabbia era stata la sua prima risposta a quella verità, ora era rimasto solo un perchè? laconico e pesante. Se gli avesse dato voce, rivolgendo quell’interrogativo al Principe di Fuoco e Ghiaccio, probabilmente avrebbe ottenuto risposta. Peccato che urlare addosso a Shouto aveva reso una cosa così semplice come il parlargli un’impresa disperata.

Katsuki era conscio di non avere un carattere facile, che per conoscerlo bisognava prendersi la pena di guardare oltre il suo atteggiamento aggressivo. In realtà, per parecchio tempo, sotto quella superficie in tempesta non c’era stato niente di troppo diverso da quello che appariva all’esterno. A differenza di Izuku e Shouto, Katsuki non possedeva un lato oscuro segreto. L’Erede del Clan Bakugou aveva sempre tenuto la parte peggiore di sé dove tutti potevano vederla, ma era cresciuto.

Aveva imparato a chinare la testa, a chiedere scusa e a fare un passo indietro. Suo malgrado, aveva capito che una vittoria poteva essere vuota e che per proteggere qualcuno non era sufficiente essere il più forte. La calma e la pazienza non gli erano mai appartenute, ma Izuku e Shouto erano riusciti ad amarlo lo stesso. 

E Katsuki amava loro.

Izuku è morto e Shouto è vivo.

“Non ho bisogno che sia tu a dirmelo, stronzo!” Tuonò.

Un istante dopo, qualcosa cadde dalla cima del muro e lo colpì dritto in testa, facendolo cadere a terra.

Dabi atterrò a mezzo metro da lui. 

“È stato semplice, visto?” 

Sollevò il peso che gravava sulla schiena del giovane Drago.

Katsuki si accorse solo alzando la testa che si trattava di un sacco pieno di roba.

“Non se ne accorgeranno neanche, eh?” Si alzò in piedi. “Hai praticamente svaligiato la… Che cazzo hai fatto ai capelli?”

Erano bianchi.

“Ah, questi?” Dabi si prese una ciocca della frangia tra le dita, guardandola. “È il mio colore naturale. I capelli candidi come la neve degli Himura, la Dinastia del Ghiaccio, hai presente? Potrebbe averli anche tuo figlio.”

No, mio figlio avrà i capelli rossi.

“Un’ora fa erano neri!” Obiettò Katsuki, seguendo lo stronzo tra gli alberi del boschetto.

“Mai sentito parlare di tinture?” Domandò Dabi, senza guardarlo. 

“Ho capito! Ma perché tingerti i capelli?”

“Perché non posso cavarmi gli occhi e togliermi dalla faccia le prove della paternità di Enji Todoroki, quindi ho dovuto ricorrere ad altro per nascondermi. Peccato che basti un temporale a spezzare l'incantesimo."
Katsuki rise.

“Suvvia, ridotto come sei, chi ti riconoscerebbe?”

“Il tuo amico alato mi ha riconosciuto eccome.”
“Hawks non è mio amico!” Precisò il diciassettenne. “E lui non conta…” Aggiunse.

“Per quale motivo?”

Forse Katsuki aveva parlato troppo.

“Lascia stare…”

Dabi si fermò, appoggiò il sacco col il bottino del furto a un albero, poi tornò sui propri passi. Si fermò a mezzo metro di distanza dal più giovane.

Cazzo. Katsuki detestava che fosse più alto.

“Se non ricordo male, dovevamo parlare,” disse lo stronzo, con un ghignetto dei suoi.

Il Drago inspirò aria dal naso. 

“Penso che riuscirei a parlarti solo dopo averti spaccato la faccia.”

Dabi si puntò l’indice addosso.

“Questa faccia?” Domandò. “Credi davvero di poterla rendere più atroce di così?”

In tutta onesta, non era atroce e Katsuki la detestava perché assomigliava a quella di Shouto.

“Se non te ne fossi reso conto, sta diluviando!” Obiettò Katsuki. Gli alti alberi che li circondavano non erano utili come riparo e, prima di raggiungere il casino di caccia, il fango sarebbe arrivato loro alla ginocchia.

“È un’ottima cosa, non credi?” Dabi allargò le braccia. “La pioggia non va d’accordo con il fuoco. Indovina un po’ di quali dinastie siamo figli? In questo ambiente siamo due comuni esseri umani in una situazione alquanto complicata.”

“Forse tu non puoi accendere questo bosco con il tuo fuoco blu, ma io mi posso ancora trasformare," disse Katsuki, ghignando. “Non paragonarmi a te, ho già vinto.”

“Sì, certo,” lo canzonò lo stronzo. “Hai vinto talmente tanto che basta che Shouto si affidi a uno dei suoi fratelli per farti sentire insicuro!” 

Le labbra del più giovane tornarono a disegnare una linea sottile.

“Non so cosa sia l’insicurezza,” mentì, ma ci mise tutto l’orgoglio del mondo nel farlo.

Dabi gli rise in faccia e fu un suono tanto fragoroso da coprire quello del temporale.

“Confermo, sei completamente incapace di mentire!”
Katsuki lo afferrò per il bavero della giacca nera e lo spinse contro l’albero più vicino.

“Bada a come parli o non rispondo di me!”

“Avanti, Katsuki, tu non mi sopporti e basta.” Dabi non si sentiva affatto minacciato. “Per te era già insopportabile quando Shouto cercava la mia vicinanza, ma ora che io sono l’unico che può tenerlo al sicuro… Ah, l’impotenza... Fa male, non è vero?”

Katsuki lo lasciò andare solo perché aveva paura di quello che avrebbe potuto fargli. Poteva desiderarlo morto quanto voleva, ma Shouto aveva bisogno di lui.

Shouto ha bisogno di lui!

Lo stronzo aveva ragione: lo faceva sentire impotente e non lo sopportava.

“Perché stai facendo tutto questo per lui?” Domandò Katsuki. “Posso quasi capire perché lo hai lasciato restare al Castello Vecchio: la sua miseria ti divertiva, era la tua rivincita. Ma se lo avessi lasciato congelare, nessuno avrebbe sospettato di te.”

“Ti sfugge un dettaglio fondamentale, Drago: mio fratello è il mezzo, non il fine.”

“E che cazzo vorrebbe dire?”

“In questo preciso momento, vuol dire che Shouto mi serve per barattare il mio ritorno alla corte dell’Alto Trono,” confessò Dabi. “No, non era il piano originale, ma un nostro nemico comune ha cambiato le mie priorità.”

Katsuki aggrottò la fronte, guardando il Principe come se gli fossero spuntate di colpo due teste.

“Vuoi tornare alla corte dell’Alto Trono?” Non riusciva a crederci. “Hai detto di volerla ridurre in cenere.”

“E Shouto ha detto di volerla vedere ricoperta di ghiaccio,” ribatté Dabi. “Sono due catastrofi opposte, ma una non è meno distruttiva dell’altra. Non importa, la questione è la seguente: All For One non si può sconfiggere con la forza del vostro amore e, nostro malgrado, né io né te siamo stati capaci di farlo vacillare con le nostre sole capacità.”

C’è qualcun'altro che è sopravvissuto a All For One ma non si è piegato a lui. Katsuki sentì le parole di Izuku riecheggiare nella sua testa. Aveva capito fin dal principio che quel qualcuno era Touya Todoroki, non aveva mai preso in considerazione la possibilità che fosse proprio lo stronzo a fare il primo passo verso di lui.

“Dimmi a che cosa hai pensato, nei dettagli,” ordinò il giovane Drago.

Dabi si era tolto quel sorrisetto insopportabile dalla faccia.

“Prima ho bisogno di fare chiarezza su un paio di punti,” disse. “Sappiamo entrambi che Enji Todoroki sa essere delirante.”

Da che pulpito… Pensò Katsuki.

“Ma sulla vostra fuga si è detto tanto, senza raccontare niente,” aggiunse il Principe. “Per un po’, sono stato convinto che il problema fossi tu, che avevi rovinato il capolavoro reale, ingravidandolo con un figlio bastardo. Tuttavia, Shouto ha insistito per tutto il tempo su quanto il Re fosse cambiato, poi è arrivato Hawks su suo ordine… A rigor di logica, so che nessun sovrano rinuncia a un erede, specie se è una promessa di potere come vostro figlio.”

Katsuki alzò gli occhi al cielo.
“Stai facendo un monologo, arriva al dunque, stronzo!”

“Shouto pensa che, alla fine, a Enji Todoroki non importi né che tu sia il suo amante né che abbiate concepito un figlio insieme. La domanda sorge spontanea: qual è il tuo rapporto con il Re?”

Katsuki fu diretto: “stai cercando di capire se sono determinante nel tuo ritorno a corte?”

Dabi lo ripagò con la stessa moneta: “sto cercando di capire se posso renderti mio alleato.”

Alleato, proprio quello che aveva detto Izuku.

“Io non mi faccio usare da te, stronzo.”

Fu il turno di Dabi di alzare gli occhi al cielo. 

“Ti sembra che stiamo giocando a chi ha il fuoco più potente?” Domandò, annoiato. “Shouto può affrontare Enji, ma gli serve man forte e non penso di doverti spiegare perché Hawks non sarà mai in grado di dargliela.”

Lo stronzo delle tre P - pazzo, pericoloso e potente - stava finalmente cominciando a fare un discorso sensato. 

“Vuoi minacciare il Re?” Domandò il diciassettenne. Suo malgrado, doveva ammettere che l’idea era allettante.

“Diciamo che ho ragione di credere che Enji sarebbe meno incline a dire no a Shouto, con me e te lì a coprirgli le spalle.”

Katsuki non era certo che quella fosse il genere di alleanza che Izuku lo aveva spinto a creare, ma Dabi aveva ragione: nessuno di loro poteva sconfiggere All For One e rimanere lì fuori, indifesi, sperando di riuscire a nascondersi era pura follia.

“La ragione per cui Shouto si fidava tanto di vostro padre, la stessa per cui si sente tanto tradito da lui per il modo a cui ha reagito alla notizia del bambino, è perché lui ci aveva promessi.”

Vedere apparire sul viso di Dabi quell’espressione di assoluta incredulità fu quasi divertente. Non era facile prendere quel testa di cazzo di sorpresa e Katsuki era così felice di esserci riuscito, anche se per un motivo completamente stupido.

“Promessi?” Ripeté, come se la parola gli fosse estranea. 

“Si parlava di un’alleanza tra i Todoroki e i Bakugou,” spiegò il giovane Drago.

“Ah, basica politica matrimoniale.”

“No, non fu una stronzata simile,” obiettò Katsuki. “Tuo padre disse a Shouto di scegliere con me cosa fare del nostro futuro, che lui avrebbe appoggiato qualsiasi decisione. Ecco perché tuo fratello è andato a dirgli di nostro figlio, perché era certo che si sarebbe trovato di fronte a un padre e non a un pezzo di merda!”

Dabi scosse appena la testa, come se stesse riflettendo tra sé e sé.

“Continuo a non capire il senso,” ammise.

“Di cosa?”

Dabi si staccò dal tronco dell'albero, recuperò il sacco con la refurtiva e se lo caricò in spalla. Quando riprese a camminare, Katsuki dedusse che per lui la conversazione era finita.

“Ehi, stronzo, dove credi di andare?” Gli urlò dietro, seguendolo.

“Se non te fossi accorto, sta piovendo.”

“Hai piovuto per tutto il tempo che abbiamo parlato!”

Dabi gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla.

“Perché Hawks non conta?” Domandò, continuando a camminare.

“Di che cazzo stai parlando adesso?” Katsuki aveva perso il filo del discorso.

“Prima, quando ho detto che Hawks è stato in grado di riconoscermi anche con quest’aspetto, tu hai ribattuto: lui non conta. Che cosa significa?”

Katsuki si bloccò. Ora toccava a lui essere incredulo.

“È rimasto nell’ombra a sorvegliarti per otto anni,” sottolineò le ultime parole con particolare enfasi.

Anche Dabi si fermò.

“Stava eseguendo un ordine,” replicò. “È molto bravo a farlo. Se hai vissuto a corte, dovresti saperlo.”

Katsuki lo studiò un momento, cercando di capire se stesse facendo una scena per confonderlo. Quando si rese conto che credeva a ogni singola parola che aveva pronunciato, scoppiò a ridere.

Dabi non era affatto divertito.

“Vuoi farmi incazzare, rettile?”

“E che mi fai? Vuoi provare a incenerirmi sotto un temporale?” Katsuki lo raggiunse e lo liberò dal peso del sacco.

“Che stai facendo?” Domandò il Principe Esiliato, ma non oppose resistenza.

“Evito che ti spezzi davanti a me, come un ramoscello secco,” rispose il Drago. “Anzi, no, bruciacchiato.”

Dabi lo affiancò, ma non provò a riprendersi la refurtiva. Al più giovane venne il dubbio che a liberarlo da quel lavoro pesante avesse fatto il suo gioco.

“Non hai risposto alla mia domanda, rettile,” gli fece notare il Principe.

“No, ho risposto e non hai capito,” ribatté Katsuki. “Questa cosa mi consola. Sotto tutti quei ragionamenti maligni, alla fine, sei solo uno stupido Todoroki.”

Era ovvio che Dabi, con quella lingua tagliente che si ritrovava, non gli avrebbe mai concesso la vittoria.

“Allora, non riesco davvero a quantificare la stupidità del Drago che ha scelto proprio un Principe Todoroki come suo-”

“Stai zitto!”




 

Shouto fissava un punto nel vuoto, la nuca appoggiata alla testiera del letto e le mani che accarezzavano distrattamente la pancia. Il rumore della pioggia che batteva contro il vetro della finestra era l’unica cosa a spezzare il silenzio. Perso nei suoi pensieri, non la sentiva neppure. 

Quando una tazza fumante comparve sotto il suo naso, trasalì. 

“Scusami,” disse Hawks, sedendosi sul bordo del letto. “Ho trovato delle foglie da té e ho pensato che potesse farti piacere.”

Shouto accettò l’offerta. 

“Grazie,” mormorò.

“Senti freddo?”

“Solo un po’.” 

Il Principe bevve un sorso. Il calore della tazza tra le sue mani era piacevole, quasi rassicurante. Non credeva sarebbe mai arrivato il giorno in cui lo avrebbe pensato, ma gli mancava sentire il potere del fuoco sotto la pelle. 

“Stai bene?” Indagò Hawks.

Shouto sapeva che non si riferiva alle sue condizioni fisiche, ma non era di Katsuki che voleva parlare. Quando sarebbe tornato, avrebbe affrontato la questione faccia a faccia con lui. Era di un’altra cosa che voleva discutere col il Primo Cavaliere, una che avevano in comune.

“Mi ha salvato la vita,” disse Shouto, diretto. Non c’era alcun bisogno di specificare di chi stesse parlando. 

L’espressione sul viso di Hawks non cambiò, ma la luce nei suoi occhi, sì.

“Ti ha salvato la vita,” ripeté, come se quella verità meritasse un’analisi più approfondita. “Mentre eravamo ancora al Castello Vecchio, mi sono perso qualche passaggio tra voi?” 

Dal suo arrivo, aveva speso parte di ogni sua giornata sia con il Principe che con il suo Drago, ma poteva contare sulle dita le volte che lui e Touya si erano incrociati, figurarsi parlati.

Shouto scosse la testa.

“L’unico momento in cui Touya non ha avuto un atteggiamento aggressivo nei miei confronti è stato appena prima che All For One ci attaccasse.”

“Settimane in cui ci ha tollerato, senza fare niente,” disse Hawks, col tono di chi sta riflettendo ad alta voce.

“Sospetti qualcosa?” Domandò il Principe di Fuoco e Ghiaccio.

Il Primo Cavaliere lo guardò dritto negli occhi.

“E tu?” 

Shouto si umettò le labbra.

“Voglio fidarmi,” ammise.

“Lo immaginavo.”

“Lo dici come se non approvassi.”

Hawks scosse la testa,

“Non ho alcun diritto di mettere bocca sul rapporto tra te e Touya,” disse. “Ho visto come ti sei affidato a lui. Certo, non avevi altra scelta, ma non sembravi a disagio.”

“È il calore,” disse Shouto, prendendo un altro sorso di tè. “So che può suonare stupido, ma il calore è familiare, come se fossi abituato a essere toccato dalle sue mani.”

“Non è stupido,” lo rassicurò Hawks. “Potere chiama potere. Nel vostro caso, fuoco chiama fuoco. Il senso di familiarità è dovuto al fatto che, in fin dei conti, avete ereditato lo stesso dono in forme diverse.”

Shouto si sporse per appoggiare la tazza a terra.

“Quanto mi fa rabbia pensare che ciò che ci rende simili sia il sangue di nostro padre,” confessò.

Hawks storse la bocca in una smorfia. 

“Nah… Il Re ci ha messo le fiamme, certo, insieme a un po’ di azzurro e un po’ di rosso - che in Touya è del tutto sbiadito - ma se vi assomigliate, lo dovete a vostra madre,” provò a sdrammatizzare, anche se il vero significato delle parole del diciassettenne non gli era sfuggito.

Funzionò. Anche se di poco, gli angoli della bocca del Principe si sollevarono.

“Hai sorriso,” notò il Primo Cavaliere. “Missione compiuta.”

“Missione…” Ripeté, tracciando con lo sguardo le linee delle grandi ali di piume rosse. Si chiese se Touya avesse mai volato con Hawks, se avessero condiviso insieme quella travolgente sensazione di libertà che lui aveva scoperto grazie a Katsuki e Izuku. “È solo per ordine di mio padre che sei qui?”

L’espressione del Cavaliere non tradì alcun turbamento. 

“So che Touya non è d’accordo, ma riesco ad agire anche per mia volontà.”

“Ma hai detto esplicitamente che mio padre ti ha mandato a sorvegliare me e mio fratello.”

“Sì, lo ha fatto.”

“Quindi sei qui sia per ragioni personali che per volontà del tuo Re,” concluse Shouto.

“Se per ragioni personali intendi che ero preoccupato per la tua salute, io-“

“Hawks…” Lo interruppe il Principe, rivolgendogli uno sguardo eloquente. “Ricordi quando hai notato che mi stavo distruggendo, mentre tutti non facevano che lodarmi per come reggevo il peso del Trono? Anche io ti vedo, Hawks. Forse non siamo amici ma quando si tratta di Touya, sei l’unico alleato che ho.” 

Il sorriso di Hawks assunse delle sfumature amare.

“Quando guardiamo Touya, temo che io e te vediamo due cose diverse, Shouto.”

“Tu credi che mi abbia salvato per un suo tornaconto, vero?” Intuì il più giovane.

“Credo che, viste le attuali circostanze, tu gli sia più utile da vivo che da morto.”

“Ha salvato anche te,” gli fece notare Shouto. “Non sono stato io a insistere perché lo facesse, ero privo di sensi e Katsuki non sta pensando lucidamente da quando ha capito che All For zone è vivo. Touya ha voluto portarti in salvo. Se parliamo di strategia, è stato stupido da parte sua: sappiamo entrambi che se vuole usarmi contro papà, tu sei il peggior elemento di disturbo e con l’eruzione in corso, non lo si sarebbe potuto incolpare di nulla.”

Hawks strinse le labbra, ascoltando pazientemente tutto il ragionamento del Principe.

Shouto fu svelto a interpretare il suo silenzio: “ma tu a tutto questo hai già pensato, vero?” 

Il Cavaliere piegò un ginocchio per appoggiare un piede sul bordo del letto. 

“Voglio parlarti apertamente, Shouto: ricordi qualcosa del periodo in cui è avvenuta la Tragedia di Dabi?” Domandò.

“Io ho vissuto ogni cosa attraverso mia madre,” disse Shouto. “Alla corte, non è mai arrivata la notizia della morte di Touya, ma abbiamo visto una colonna di fumo alzarsi all’orizzonte. Sapevamo che era successo qualcosa di terribile nelle regioni del Nord, ma non potevamo immaginare cosa. La mamma aveva paura, tanta paura. Non scorderò mai le sue urla, quando ha visto Touya ridotto in quello stato.”

Nemmeno Hawks. Da bambino aveva visto suo padre bruciare vivo, ma di quel giorno ricordava solo gli occhi di Touya, mentre gli ripeteva di guardare solo lui. La disperazione nell’espressione di Enji, l’orrore nelle urla di Rei e l’immagine del corpo carbonizzato del suo giovane amante che continuava a respirare erano impressi a fuoco nella sua memoria, come la cicatrice che gli ricopriva la schiena. 

“Tu che cosa hai visto?” Domandò, anche se temeva la risposta. Quando Shouto mormorò un “niente”, Hawks riprese a respirare. “Meglio così,” disse. 

“Subito dopo, mi hanno portato nelle stanze di Fuyumi e Natsuo e sono rimasto lì per settimane,” raccontò il Principe di Fuoco e Ghiaccio. “Quando sono tornato negli appartamenti del Re, Touya era già stato esiliato.”

Hawks lo fissò, come se stesse cercando di leggere qualcosa nei suoi occhi, forse la prova della sua sincerità.

Shouto se ne accorse. “Che cosa c’è?”

“Tu non hai mai visto Touya dopo la Tragedia di Dabi, sei sicuro?”

Il fanciullo sbatté le palpebre un paio di volte.

“Mi proibirono categoricamente di avvicinarmi alle sue stanze,” rispose. “Se da bambino avessi visto mio fratello dopo essere stato massacrato dal fuoco, penso che me lo ricorderei.”

Hawks annuì velocemente. “Hai ragione,” disse. “Scusami, la mia è stata una domanda stupida. Per quel che vale, sono felice che tu non abbia visto niente.” Era stato lui a cominciare il discorso, ma ora sembrava volerlo chiudere alla svelta.

Shouto lo assecondò: non era discutendo i ricordi confusi che aveva di una tragedia passata che avrebbero trovato il modo di fare un passo avanti con Touya.

“Tu hai visto tutto, invece,” disse.

Hawks ingoiò a vuoto. Sentì il controllo sulle sue emozioni venire meno - non si allarmò, succedeva sempre quando si accennava al terribile evento che ancora infestava i suoi incubi - e dovette allontanare lo sguardo dal viso del Principe.

“Quando hai chiesto il mio silenzio riguardo ai tuoi sospetti su mio padre, mi hai posto una domanda,” ricordò Shouto. “Mi hai chiesto che cosa vedo quando guardo Touya.”

“Immagino che la risposta non sia diversa d’allora.”

“No,” confermò il più giovane. “Quando lo guardo, vedo un’oscurità che mi è tristemente familiare e, dietro di essa, c’è solo mio fratello. Nient’altro.”

Hawks si passò una mano tra i capelli nervosamente, urtando volontariamente la ferita alla tempia: il dolore lo aiutava a rimanere ancorato al presente.

“È pericoloso, Shouto,” disse.

“Sì, sei già stato molto fermo nell’affermarlo durante la nostra conversazione al Castello Vecchio.”

“Bene, lo ribadisco.”

“Quando lo fai, sembra che tu voglia convincere te stesso, Hawks.”

Gli occhi dorati del Cavaliere incontrarono di nuovo quelli eterocromatici del Principe.

“Sai benissimo che è colpevole di un crimine atroce.”

“Touya si può davvero definire colpevole di qualcosa di cui è stato vittima?” Domandò Shouto.

Hawks aggrottò la fronte. 

“Touya voleva fare quello che ha fatto!” Esclamò. “Pensava che per avere l’amore indiscusso di tuo padre servisse una vittoria totale, ottenuta per mano sua e solo sua. Ha ucciso migliaia di persone per raggiungere lo scopo!”
Anche Shouto scosse la testa.

“Ha interpretato la parte del malvagio anche con me,” disse. “Ha definito la Landa di Dabi il suo capolavoro ed è per questo che ora ne porta il nome.”

“E non hai pensato che fosse pericoloso neanche allora?”

Senza preavviso, Shouto allungò la mano e afferrò quella del giovane uomo alato. Hawks trasalì e i suoi occhi dorati rifletterono la più profonda apprensione. 

“Sei gelido!” La prese tra le sue, strofinandola per scaldarla. “Speravo che il té ti avesse aiutato. Riesci ad alzarti? Sposati davanti al fuoco, è più sicuro!”

Shouto intrecciò le dita alle sue e tanto bastò al Cavaliere per capire che doveva restare fermo dov’era. 

“Tu pensi che io voglia far subire a mio figlio tutto questo?” Domandò il Principe.

Hawks si rese conto che tremava e si fece più vicino. “Shouto, devi dirmi se senti troppo freddo,” disse gentilmente, per non spaventarlo, toccandogli il viso per valutare quanto la temperatura fosse scesa.

“Io ho paura che mio figlio non sia sopravvissuto a quello che mi è successo,” confessò Shouto, con voce tremante.

Hawks si sentì gelare e non perché era a torso nudo o aveva la mano del Principe stretta nella sua. 

“Fuoco, ghiaccio. Ghiaccio, fuoco…” Mormorò Shouto e, nonostante il nodo alla gola, non allontanò mai gli occhi da quelli del Primo Cavaliere. “Hai idea di quanti Todoroki sono morti bruciati dalle loro stesse fiamme? Ti hanno detto che mia madre è l’unica Himura della sua generazione perché i suoi fratelli e le sue sorelle sono stati uccisi dal potere del ghiaccio? Bambini nati con poteri troppo forti per essere contenuti nei loro corpi, questo è il prezzo che le Casate dell’Alto Trono sono state disposte a pagare per rendere ogni generazione più forte della precedente. Sì, io e i miei fratelli siamo nati abbastanza forti da sopravvivere a noi stessi, ma l’unica ragione per cui Fuyumi e Natsuo non si sono mai feriti con il potere ereditato da nostra madre, è perché nessuno li ha spinti su di un campo di battaglia.” 

Tirò su col naso e si asciugò qualche lacrima galeotta con il dorso della mano.

“Puoi dirmi che è pericoloso quanto vuoi, ma non crederò mai che Touya abbia creato la Landa di Dabi volontariamente,” aggiunse, fermo. “Non credo nemmeno sapesse di poter fare una cosa del genere.” Inspirò aria dalla bocca. “Quando mi sono svegliato e ho capito che il ghiaccio mi stava divorando… Io sono stato fortunato, Touya era lì e mi ha salvato. Ma lui… Lui era da solo. Riesci a quantificare la paura di un momento del genere, Hawks?”
Shouto abbassò lo sguardo e si prese un momento per recuperare il controllo di se stesso. Il Cavaliere glielo concesse tutto, senza dire o fare nulla. 

“Non ho bisogno di chiederti cosa vedi quando lo guardi,” disse il Principe, dopo un po’. “La tua voce lo definisce pericoloso, i tuoi occhi e il modo in cui ti lasci toccare dalle sue mani raccontano un’altra verità. Quello che davvero non capisco di te è l’ostinazione con cui continui ad accusare lui, mentre non esiti mai a difendere mio padre… Al massimo gli concedi il beneficio del dubbio, come ora.”
Hawks non era preparato a quel momento. Anni passati a barcamenarsi tra Touya e Enji, per poi divenire il braccio destro di quest’ultimo e, adesso, non aveva idea di come affrontare Shouto. Forse il fanciullo nemmeno se ne rendeva conto, ma stava usando le parole e gli argomenti giusti per abbattere tutte le difese che aveva costruito in anni e anni di dissimulazione - tutti quelli che aveva passato lontano da Touya - ed era pericoloso: c’erano segreti che esistevano al solo scopo di proteggere Shouto e, per quanto opinabili fossero le sue azioni, Hawks non avrebbe cominciato a tradire Enji proprio da quelli.

“Il fatto che tu voglia riavere tuo fratello ti fa onore,” disse il Primo Cavaliere, posando la mano del Principe sulla coperta di pelliccia. “Non sarò io a impedirti di avvicinarti a Touya. Se vuoi conoscere tuo fratello, hai tutto il diritto di farlo. E se avrai bisogno di me, io sarò proprio qui.”

“Questo ci porta indietro, alla mia prima domanda: sei qui per dovere o desiderio?”

Non si aspettava una risposta.

Forse non ve ne era una.

Un vivace vociare all’esterno attirò gli sguardi di entrambi in direzione della porta.

“Sto per compiere una magia!”

“Oltre che uno stronzo, sei anche un mago?”

“Sta a guardare, rettile!”

L’uscio si spalancò di colpo e Touya fu il primo a entrare all’interno del casino.

A Hawks bastò dare un’occhiata ai suoi capelli per avvertire un brivido correre lungo la schiena, che gli provocò la pelle d’oca - se lo avesse detto, il Principe delle Fiamme Blu l’avrebbe presa come una battuta e avrebbe anche riso di gusto. Shouto era stato abile nell’attaccarlo, sebbene non fosse stato quello il suo scopo e non vi avesse impiegato nemmeno un briciolo di cattiveria, ora toccava suo fratello dargli il colpo di grazia con quell’entrata in scena.

“Visto?” Touya sorrise, tronfio di quella sua vittoria infantile solo all’apparenza - in realtà, era una mossa molto sottile. “Questa è la faccia di chi ha appena visto un fantasma.”


 

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Capitolo 21
*** You Are (not) Alone ***


Note: strizzatina d’occhio a Evangelion per il titolo di questo capitolo.
Prompt: “Relax. Nothing is under control”


XXI

You Are (Not) Alone

 

Take the moment and taste it
You've got no reason to be afraid
You're on your own, kid
Yeah, you can face this
You're on your own, kid
You always have been
[“You're on your own, kid” - Taylor Swift]



 

Di norma, l’investitura di un nuovo Campione o Primo Cavaliere veniva accompagnata da vivaci festeggiamenti che animavano la corte dell’Alto Trono per giorni. Hawks ricevette il suo titolo nelle fredde terre degli Himura, al castello che era stato culla della dinastia dei Signori del Ghiaccio, nel bel mezzo di una guerra contro gli invasori del Nord.

Enji decise di onorarlo comunque, se non altro per concedere agli uomini dell’esercito una breve distrazione dal campo di battaglia. 

Per l’occasione, si presentarono tutti in armatura cerimoniale e le poche dame presenti, figlie della regione settentrionale, furono oggetto d’interesse di gran parte degli uomini presenti.

Touya non vedeva né i loro abiti variopinti, né i mantelli rossi dei soldati della Corona. Sedeva alla destra del Re in una sala del trono che era grande la metà di quella in cui era cresciuto, mentre tutti gli invitati l’attraversavano per inchinarsi al cospetto suo e di suo padre, ma per lui non era diverso da uno spazio vuoto.

Non udiva la musica della piccola orchestra e se qualcuno osava tanto da rivolgersi direttamente a lui, fosse anche un servo che domandava se avesse ancora voglia di bere, lo ignorava e obbligava il sovrano a rispondere per lui.

Quando suo padre trovò il coraggio di chiamare il suo nome, il banchetto era ormai finito - il Principe non aveva toccato cibo - e le danze erano entrate nel vivo.

“Touya, devi mangiare qualcosa,” disse Enji.

Il Principe lo ignorò.

“Sei pallido,” insistette il sovrano. “E il tuo viso porta i segni della stanchezza…”

Ogni parola era un’unghia che si conficcava nel palmo di Touya, mentre stringeva i pugni tanto da sentire le ossa scricchiolare.

“Touya, parlami.”

Enji cercò di toccarlo, ma il fanciullo ritrasse il braccio.

“Tu vuoi che sia il tuo Principe della Corona, no?” 

Mentre si rivolgeva al padre, gli occhi di Touya erano più freddi delle terre che li ospitavano.

“Eccomi qui, seduto al tuo fianco. Abbi la decenza di non chiedermi altro.”

Aveva indossato gli abiti del colore della casata di sua madre da solo, ma non ricordava di averlo fatto. Aveva fatto scivolare ogni bottone nella propria asola come un burattino privo di anima, guidato da chissà quali mani. Forse quelle del rancore.

Era troppo orgoglioso per dire a suo padre che non mangiava perché i crampi della fame erano una buona distrazione dal dolore che lui e Keigo gli avevano inferto, o che non dormiva perché, non appena cercava l’oblio del sonno, tutto gli crollava di nuovo addosso e passava la notte a piangere e soffocare le urla nel cuscino. 

Sì, stava male. Stava male come mai gli era successo in vita sua e se questo serviva a punire il Re e il suo nuovo Primo Cavaliere, allora che si vedesse, che tutti lo vedessero.

La musica s’interruppe di colpo e la folla danzante si divise in due. Quando l’annunciatore all’ingresso della sala del trono fece il nome del Primo Cavaliere, Hawks era già arrivato a metà della pista da ballo.

Era l’uomo più potente del regno, dopo il Re, a soli quindici anni e nemmeno si presentava in tempo ai festeggiamenti in suo onore. Poi era Touya quello drammatico.

Fece un veloce cenno a suo padre, come per chiedere il permesso ad avvicinarsi.

Data la sua approvazione, il Re si alzò dal trono e, mentre si allontanava per lasciarli soli, fece cenno all’orchestra di continuare a suonare.

Fosse stato Touya a chiedere una simile cortesia, suo padre non avrebbe mosso un muscolo. Ma lui e Hawks erano sempre stati molto bravi nell’allearsi per renderlo miserabile. 

Ora serviva che il Principe della Corona smettesse di fare i capricci e il sovrano era troppo codardo anche solo per provare.

Hawks, al contrario, fu molto temerario nel suo modo di porsi. Appoggiò entrambe le mani sui braccioli del trono e si chinò su Touya. In quel modo, per muoversi, il Principe avrebbe dovuto spingerlo via.

“Balla con me,” disse, secco. 

Non vi era entusiasmo in quegli occhi dorati. Sembrava diventato di colpo più grande, come se l’investitura lo avesse privato di colpo della vivacità della sua giovinezza. Lo avevano vestito da Lord, lo avevano pettinato in modo da privarlo di quella sua aria da ragazzino un po’ ribelle e un po’ sbruffone.

Touya rispose al suo sguardo e non seppe chi aveva davanti. Anche il linguaggio del corpo era diverso, più incisivo. Che fossero amanti lo sapevano anche ai confini più remoti del regno, ma, appena due giorni prima, mai Hawks si sarebbe imposto su di lui in quel modo pubblicamente. La sua investitura non solo giustificava la loro relazione, ma la incoraggiava.

Touya sorrise, beffardo.

“Mi stai impartendo un ordine, Primo Cavaliere?”

Hawks si fece indietro, forse rendendosi conto di aver esagerato. 

“Mi fareste l’onore di ballare con me, mio Principe?” 

Gli porse la mano. Un tempo avevano riso di quelle formalità, ora nessuno dei due si divertiva. 

“Sono già il trofeo di mio padre, almeno fino a che mio fratello non sarà abbastanza grande per essere esposto,” disse Touya. “Non ho intenzione di essere anche il tuo.”

“Vuoi che ti preghi?” Hawks piegò il braccio sinistro dietro la schiena e chinò il capo. “Balla con me, Touya.”

Il Principe rivolse lo sguardo altrove. 

“Non sei più tenuto a inginocchiarti di fronte a me, Primo Cavaliere.” 

“Non mi hai mai chiesto di farlo,” gli ricordò Hawks.

“Perché non c’erano titoli tra noi,” ribatté Touya. “Ma ora hai fatto tuo sia quello di Bugiardo che di Traditore. Congratulazioni.”

Non intendeva rimanere lì un minuto di più.

La folla non smise di danzare per farlo passare. Se si accorsero di lui, furono bravi a ignorarlo.

Hawks lo raggiunse a metà della sala, lo afferrò per un braccio e lo tirò in mezzo alla pista da ballo.

“Pensi che sia cieco al tuo dolore?” Gli domandò il Cavaliere, tenendolo stretto a sé. “Credi davvero che abbia barattato la tua felicità con la mia personale ambizione?”

Touya gli artigliò le braccia.

“Parli come se la tua investitura a Primo Cavaliere sia stata una punizione,” sibilò, tanto vicino alla bocca dell’altro fanciullo che avrebbe potuto baciarlo, ma non aveva altro che veleno per lui. “Volevi essere il braccio destro del Re, Keigo. Lo hai sempre voluto.”

Hawks fece aderire il palmo alla sua guancia.

“Ho giurato di servire questa Corona, quella di tuo padre, quella che sarà tua,” disse, solenne. “La mia lealtà nei suoi confronti non toglie nulla a te”

“Non mi toglie nulla?” Ripeté Touya, con un filo di voce. “Sei stato investito di un titolo che sarebbe dovuto essere mio. Il Re mi ha fatto richiamare dai confini del regno perché, parole sue, voleva presentare il suo nuovo Primo Cavaliere. Che cosa avrei dovuto pensare, Keigo? Che il mio stesso padre volesse farmi assistere, impotente, mentre mi toglieva quel poco che mi è rimasto per darlo a te?”

Hawks allontanò la mano dal viso del Principe, scottato.

“Hai passato la notte prima dell’investitura con me.” Se Touya avesse avuto altre lacrime da versare, avrebbe pianto. “Mi hai toccato con devozione, sapendo quello che tu e mio padre mi avreste fatto il giorno dopo.”

C’era una differenza sostanziale tra il Re e il fanciullo che era appena divenuto il suo Primo Cavaliere: se Enji era inflessibile nel mostrare qualsiasi senso di colpa, Hawks non lo nascondeva. Ma il fanciullo dalle ali scarlatte era sempre stato bravo in un'arte che a Touya sfuggiva completamente: piegare il cuore alla ragione.

“Ho bisogno che tu sia ragionevole, Touya,” disse e, pur essendo già stato respinto, prese il viso dell’Erede tra le mani. “Se mai un uomo osasse mettere in discussione il tuo valore, io e tuo padre non avremmo pietà di lui, ma non possiamo vivere nel terrore che ti faccia del male per dimostrare di essere forte.”

Era un ritornello vecchio di anni, ma Touya aveva cominciato ad ascoltarlo davvero solo di recente.

Sei solo, gli stava dicendo Hawks. Stai combattendo questa battaglia per conto tuo e non puoi vincerla.

“Se mai un uomo osasse…” Ripeté, trapassando il Cavaliere con quegli occhi di ghiaccio. “Allora perché non affondi le tue piume nel petto del Re, mentre tu ardi tra le sue fiamme?” Rise, un suono arido, cupo. “Sai cosa mormorano i Lord? Dicono che, per la prima volta in generazioni, potrebbe esserci la nascita di un erede prima di un’incoronazione. Ecco cosa tu e mio padre avete fatto di me. Il Principe delle Fiamme Blu è stato maledetto con un corpo troppo debole per il suo potere, ma può servire la Corona nell’ombra, come ha fatto sua madre, mentre il suo fratellino e il suo amante, pupilli del Re, si prendono tutto ciò che gli era stato promesso.”

“Non sei maledetto, Touya,” ribatté Hawks. “Sei solo-“

“Debole?” Concluse il Principe. “Sfortunato? Cosa, Keigo?”

Il Cavaliere non rispose.

“Ti piace essere un rapace addomesticato, appollaiato sulla spalla del Re?” Touya non era mai stato gentile, ma ora non gli restava che la crudeltà. “Io preferisco bruciare, piuttosto che passare il resto della vita nella gabbia di mio padre.”

Non appena la musica s’interruppe, il Principe si staccò dal Primo Cavaliere. Forse Hawks chiamò il suo nome, ma Touya non si voltò.

Era solo.

Aveva dato tutto se stesso a due uomini che gli avevano voltato le spalle.

Ci aveva creduto, era stato tradito. 

Ora era solo. 

“Non c’è più nulla che possa farti del male,” disse a se stesso.

Intanto piangeva.

 

-9 anni dopo- 

 

Il giorno in cui ebbe inizio l'evacuazione, Neito si svegliò circondato dal caos.

“Mi dispiace per questo brusco risveglio,” disse un fanciullo della servitù, aprendo tutte le tende della sua camera. “Dovete vestirvi e dovete farlo in fretta, ordini del Re.”

“Che cosa?”

Non ricevette risposta. Abbagliato dalla luce del sole e intontito dal modo improvviso in cui era tornato cosciente, Neito impiegò diversi istanti per aprire gli occhi e rendersi conto di quello che stava accadendo intorno a sé. Se non avesse sentito le parole ordini del Re, si sarebbe messo a urlare. Non vi era un solo servitore nei suoi alloggi, ma molti di più e tutti avevano fretta di prendere la sua roba da armadi e scaffali per riporla alla bene e meglio in dei bauli che non aveva mai visto prima.

“Che diavolo sta succedendo?” Domandò, non appena riuscì a mettersi in piedi,  ma non con la voce incisiva che avrebbe dovuto usare.

“Il Re ha dato ordine di evacuare tutta la corte, mio giovane signore.” Il fanciullo che gli aveva dato il buongiorno - se così si poteva chiamare - fu così gentile da porgerli gli abiti di cui aveva bisogno per rendersi presentabile.

Certo che nessuno stesse badando a lui, Neito si liberò degli abiti da notte e si vestì velocemente.

“Siamo sotto attacco?” S’informò.

Decisioni tanto estreme venivano prese solo in caso di pericolo imminente, uno di quelli da cui non si sapeva come difendersi. Nemmeno per l’ultima battaglia contro l’Unione delle Ombre si era arrivati a tanto.

Che cosa poteva mai essere accaduto per spaventare il Re in quel modo?

Il fanciullo della servitù abbassò lo sguardo. 

“Non so rispondervi,” ammise. “So solo che il nostro sovrano vuole tutte le Casate e i nobili minori residenti a corte in viaggio entro il tramonto.”

“In viaggio verso dove?”

“La servitù parla di una residenza reale ai confini della regione delle Montagne Rubino.”

“Le Montagne Rubino…” 

Era la terra di Izuku e Katsuki, un angolo della Cintura Vulcanica Maggiore dominato dal Clan Bakugou. 

“Mio signore…” Il fanciullo gli toccò il braccio, preoccupato, forse perché il suo viso non lasciava intendere nulla di buono.

Neito non ebbe il tempo di consolarlo, attraversò la stanza con ampi passi e fu lieto di trovare la sua scrivania come l’aveva lasciata. Prese un foglio di carta, intinse la penna d’oca nell’inchiostro e cominciò a scrivere in fretta e furia.

“Ragazzo, chiamami un messaggero,” ordino, mentre metteva nero su bianco quello che stava accadendo. Il suo resoconto era povero di dettagli, ma c’era quanto bastava al Primo Cavaliere per permettergli di capire la situazione.

“Temo non sia possibile,” disse il giovane servo. “Vi è l’inferno per i corridoi della corte e trovare un messaggero-”

“Ho capito! Ho capito!” Neito piegò la lettera in tre parti e la infilò nella tasca interna della giacca. Doveva trovare Hitoshi.

Non appena prese la direzione della porta, il fanciullo si allarmò.

“Non è sicuro, mio signore. Aspettate qui fino a che non saremo pronti a-”

Neito non gli diede ascolto e quando mise piede nel corridoio, si rese conto di quanto era davvero grave la situazione. Vi erano persone in ogni angolo e tutte erano impegnate a trasportare qualcosa - bauli per lo più. In mezzo a tutto quel marasma, i nobili li si riconosceva perché erano gli unici con le mani libere e il tempo per lamentarsi a gran voce.

“Il Re è completamente impazzito!”
“Svuotare un’intera corte per semplice paranoia e per andare dove? Il più vicino possibile a quei mostri sputafuoco!”

Neito poteva dar quasi loro ragione. Quasi.

Il fatto che i Principi Shouto e Katsuki fossero spariti dalla corte senza motivo e senza informare neanche i loro amici più intimi non faceva molto per giovare alla causa del Re. Se Neito aggiungeva a quello tutto ciò che lui e Hitoshi sapevano del Primo Cavaliere, allora c’erano tutti gli ingredienti necessari per un complotto di corte.

Ma c’era un dettaglio che era impossibile ignorare: nessuno si stava ribellando.

La nobiltà minore poteva esprimere il proprio malumore lungo tutti i corridoi del castello, ma questo non impediva loro di esortare la servitù a preparare i loro bagagli più in fretta.

Neito non aveva abbastanza elementi per decidere se il Re fosse veramente impazzito o meno, ma se tutti stavano eseguendo i suoi ordini, significava che il Concilio Ristretto era dalla sua parte.

E se le Casate dell’Alto Trono credevano ancora in Enji Todoroki, gli altri non potevano fare altro che chinare la testa e ubbidire.

“Neito!” 

Si sentì afferrare il braccio e quando sollevò lo sguardo, gli sfuggì un sorriso.

“Hitoshi, cercavo proprio te… Oh, sei in compagnia.”

Una bambina dai lunghi capelli argentei, con un piccolo corno sul lato sinistro della fronte, stringeva la mano di Hitoshi, come se da questo dipendesse la sua vita.

“Buongiorno, piccola Eri,” la salutò Neito, sfoderando il sorriso più amichevole del suo repertorio. 

Hitoshi lo spinse verso la parete per evitare a tutti e tre di venir investiti dalla folla di servi impazziti.

“Hai saputo?” Domandò il giovane dagli occhi perennemente scavati.

“Ho saputo,” confermò Neito. “Beh… Per quel poco che si sa…”

“E che cosa abbiamo intenzione di fare?”
“Rilassati. Nulla qui sembra essere sotto controllo, inutile stressarci troppo.” Il biondo tirò fuori dalla tasca interna della giacca la missiva che aveva scritto poco prima. “Ecco perché dobbiamo far intervenire qualcuno che può fare la differenza.”

Hitoshi guardò Eri, assicurandosi che non stesse ponendo troppa attenzione alla loro conversazione. Non gli piacque vedere che continuava a guardarsi intorno con gli occhi spalancati per la paura, ma era un bene che non fosse abbastanza presente a se stessa per rendersi conto di quello che stavano facendo. Era già tanto che contro quella parete nessuno li stesse urtando.

“Dobbiamo trovare un messaggero,” disse Hitoshi.

“Oh, ma davvero?”

“Non è il momento di fare l’idiota, Neito.”
“Avanti, sta avvenendo la fine del mondo, permettimi di sdrammatizzare.”

“Non dirlo neanche per scherzo...”

La fine del mondo c’era già stata ed erano sopravvissuti, non era verosimile ripetere l’esperienza a meno di due anni di distanza. 

Non avevano già combattuto e perso abbastanza?

“Dov’è il Maestro Aizawa?” Domandò Neito, di nuovo serio.

“Nella Sala del Consiglio.”

“Oh, allora ho intuito giusto: il Concilio Ristretto appoggia la decisione del Re.”

Hitoshi gli lanciò uno sguardo eloquente.

“Pensi che un simile inferno si possa scatenare per il capriccio di un uomo solo, anche se un Re?”

Il biondo scrollò le spalle.

“La chiamano monarchia assoluta per un motivo.”
“Esiste un Concilio Ristretto per un motivo,” ribatté Hitoshi.

“E il Maestro che ha detto?”

“Nulla. Non siamo gli unici a tenere dei segreti qui, solo quelli meno indicati a farlo.”

Neito capiva cosa intendeva, ma c’erano diversi motivi per cui il Primo Cavaliere li aveva ritenuti adatti a quel compito: erano della nuova generazione, appoggiavano Shouto più del sovrano attualmente in carica e non occupavano ruoli di prestigio all’interno della corte, pur essendo vicino a una o due persone che lo facevano.

“Questa è l’ultima volta,” disse Neito, sventolando la missiva, come per fare aria e se stesso e al suo complice. “Dove andremo, non potremo essere di aiuto a Hawks.”

Hitoshi storse la bocca in una smorfia. 

“Sarebbe anche ora che Hawks tornasse a far vedere la sua faccia da queste parti.”

“Hai ragione.” Neito scrollò le spalle. “Ma è facile giudicare senza riuscire a vedere tutto il disegno. Bando alle ciance, troviamo un messaggero, prima che ci trascinino via.”

“I messaggeri sono tutti nelle cucine.”
Entrambi i ragazzini abbassarono lo sguardo di colpo. 

Eri rispose loro con un timido sorriso: “nelle prime ore del giorno, tutti i nobili hanno scritto ai parenti lontani per informarli dell’evacuazione. Per questo hanno radunato i messaggeri tutti in un posto: li dividono a seconda delle regioni da raggiungere, così da coprire un’area più vasta in meno tempo.” Di colpo, arrossì, come se avesse parlato troppo. “Così mi ha spiegato il Maestro…” Aggiunse timidamente.

Neito e Hitoshi si scambiarono uno sguardo.

“Alle cucine,” disse quest’ultimo, con voce monocorde.

“Alle cucine,” confermò il primo.




 

La Regina fu raggiunta dall’ordine del suo consorte alle prime luci dell’alba, insieme al resto della corte. Le sue dame di compagnia le parlarono tenendo lo sguardo basso, evidentemente imbarazzate e l’atmosfera divenne ancora più pesante quando la sovrana chiese di vedere i suoi figli - gli unici due che le erano rimasti.

“La Principessa Fuyumi e il Principe Natsuo sono partiti questa notte,” la informarono.

E Rei decise che aveva sopportato anche troppo.

Animata dall’ira, si vestì completamente da sola e quando l’entourage di dame fece per seguirla fuori dai suoi appartamenti, ordinò loro di restare dov’era e lasciarla da sola.

Attraversò l’intero castello per arrivare dove doveva.

La servitù si era già riversata nei corridoi per dare inizio all’evacuazione ma, nonostante la fretta che quel giorno animava ognuno di loro, s’inchinarono al suo cospetto e la lasciarono passare.

Arrivata alla Sala del Consiglio, ne spalancò le porte senza bussare.

Diverse paia di occhi furono su di lei in un istante, ma Rei tenne la testa alta, rispondendo allo sguardo di un solo uomo.

Enji era in piedi, al capo del tavolo che più era lontano dall’ingresso della stanza. Era occupato a dire qualcosa al Maestro Aizawa - alla sua sinistra - e al vecchio Campione - alla sua destra. Bastò la presenza di sua moglie a zittire lui e tutti gli altri.

Una volta superata la sorpresa, tutti i signori delle Casate si alzarono e salutarono la Regina nel modo più opportuno.

Ancora una volta, Rei li ignorò totalmente.

Ed Enji si arrese.

“Signori, lasciatemi solo con mia moglie,” ordinò. “Prima che questo giorno finisca, voglio che questo Concilio si riunisca un’ultima volta. Sarete gli ultimi a lasciare questa corte.”

Nessun nobile obiettò. Se ne andarono in fretta, ma in modo composto.

Il Re si rivolse a sua moglie solo dopo che furono rimasti soli.

“Sei in collera,” notò, per nulla sorpreso. Avvicinò la propria sedia al tavolo: quella non era una conversazione che poteva permettersi di affrontare seduto.

“In collera?” Ripeté Rei, gelida, restando sulla porta. “Una volta per tutte, che cosa stai cercando di fare?”

Enji si limitò ad esporre l’ovvio.

“Questo luogo non è sicuro e non voglio che la mia gente resti qui.”

“Questa è la corte dell’Alto Trono,” ribatté Rei. “Questa fortezza è inespugnabile, nemmeno All For One è arrivato qui.”

“Questo luogo è un bersaglio,” la corresse Enji, mantenendo una calma che aveva cominciato a mostrare solo nell’ultimo anno. “Per tanto, tutto ciò che di prezioso vi è qui deve essere messo al sicuro. Al primo posto, vi è la mia famiglia.”

“La tua famiglia…”

Rei attraversò la stanza con ampie falcate, il fruscio del suo abito azzurro assomigliava un tamburo di guerra e quando raggiunse il marito, la sua espressione confermò che era pronta a combatterne una, contro di lui.

“È la terza volta nella mia vita che mi sveglio nella mia casa e non ho idea di dove siano i miei figli!” Urlò, non dando alcuna importanza al titolo dell’uomo che aveva davanti o al fatto che avesse lasciato la porta aperta.

Non le importava di essere discreta. 

Se doveva umiliare il sovrano davanti a dei servi di passaggio per avere delle risposte, lo avrebbe fatto senza esitare.

Questa volta, a differenza dell’esilio di Touya e della repentina partenza di Shouto, Enji fu svelto a rassicurarla.

“Fuyumi e Natsuo sono al Castello Rosso,” le disse, stringendole le spalle. “Sono al sicuro lì. Ho già fatto trasferire parte della servitù e uno squadrone armato alcune settimane fa. Non accadrà loro nulla.”

“Il Castello Rosso…” Ripeté perplessa la Regina. “Tra le dimore reali è quella più vicina alla Cintura Vulcanica Maggiore.”

“Alle Montagne Rubino, per l’esattezza,” puntualizzò il sovrano. “Non è un castello grande quanto questo, ma molte Casate hanno delle residenze in quella regione. In questo modo, la corte non si disperderà del tutto e chi è dotato di poteri potrà continuare a darsi man forte e a proteggere la nostra gente.”

“Proteggere da cosa?” Domandò Rei, prendendo le distanze da lui.

Voleva capire, ma davvero non ci riusciva. Da quando Enji aveva mandato via Shouto per il suo bene, a lei era completamente sfuggita la logica dietro il suo modo di pensare, alle sue azioni. Il Concilio Ristretto lo appoggiava, questo era chiaro, ma lei era stanca di rimanere nell’ombra.

“Quel castello è il più vicino al Nido dei Bakugou,” notò, portando gli occhi grigi sulla mappa disegnata sul tavolo. “Shouto è lì?”

Enji scosse la testa.

“No, non in questo momento.”

“Che significa non in questo momento?”

“Ho motivo di credere che Hawks lo porterà lì, non appena saprà cosa sta succedendo.”

“Hawks è con lui?”

Erano settimane che Rei non vedeva il Primo Cavaliere a corte, nemmeno al fianco di suo marito, ma non si era mai fermata a chiedersi il perché. Nonostante il giovane dalle ali scarlatte fosse molto vicino alla sua famiglia, non aveva molti rapporti con lei.

“Shouto è al sicuro,” disse Enji. “E non è da solo, Katsuki lo protegge e non solo lui. Questo è tutto quello che posso dirti.”

Rei scosse la testa.

“Non mi accontento di questo.”

“Rei, so che non è facile fidarsi di me-”

“Mi è impossibile fidarmi di te in queste condizioni!”

Enji la guardò, incapace di replicare. Alle loro spalle c’erano troppi anni di oscurità perché ora potessero capirsi e, il sovrano ne era certo, se Rei avesse saputo la verità, non ci sarebbe stato modo di farla partire dalla corte dell’Alto Trono. L’odio era il mezzo più sicuro per convincerla a lasciare la loro casa e raggiungere Natsuo e Fuyumi.

In quanto a Shouto e Touya, era tutto nelle mani di Hawks e non esisteva nessun altro uomo a cui avrebbe affidato la vita dei suoi figli. 

“Lascerai questo castello entro il tramonto,” ordinò il Re alla sua consorte, con voce ferma. “Non accetto obiezioni.”

Ma Rei aveva smesso da tempo di farsi intimorire dal suo atteggiamento imperativo.

“C’è sempre stata una distanza incolmabile tra me e te,” disse lei, la voce addolcita da un’amarezza antica, maturata in anni di matrimonio infelice. “Da fanciulla, quando mi promisero a te, mi dissero che quando sarebbero arrivati i bambini, ci saremmo avvicinati, avremmo imparato ad amarci. Quando è nato Touya, ho quasi creduto che fosse possibile…”

Enji la ricordava bene la nascita del loro primogenito, il terrore di dare alla luce un figlio solo per seppellirlo e la consapevolezza che la sua giovane moglie non sarebbe sopravvissuta a un simile dolore, dopo che il suo fragile corpo aveva subito tanta sofferenza. 

Ma Touya era nato ostinato.

I suoi primi vagiti avevano avuto lo stesso suono di una marcia trionfale, ma Enji non glielo aveva mai raccontato.

“Ora sappiamo entrambi che non si può dare una simile responsabilità a una creatura appena nata,” aggiunse Rei.

Il sovrano non poteva che concordare.

“Ma venticinque anni sono tanti, Enji,” continuò lei, avanzando verso il marito di un paio di passi. “E quello che vedo nei tuoi occhi… Che cos’è che ti affligge? Di che cosa hai tanta paura da credere che il modo più sicuro di agire sia affrontarlo da solo?”

L’unica risposta che ricevette fu il silenzio, mentre lo sguardo di suo marito le chiedeva scusa in silenzio. Per non poterle dire la verità? Per l’orribile storia che avevano scritto insieme? Per tutto quello che avevano sofferto i loro figli?

Rei non lo seppe mai, ma non dubitò neanche per un istante che quel rammarico fosse sincero.

“Ordina alla tua corte quello che vuoi,” disse, risoluta. “Se pensi di fare di testa tua e di restare da solo in questo, ricordati che mi hai incoronato tua Regina.”

Enji scosse la testa.

“Rei, sii ragionevole-”

“Abbiamo smesso di essere ragionevoli da tempo,” lo zittì Rei. “Non ci resta che l’orgoglio.”

Se ne andò a testa alta come era arrivata.

 

***

 

Non aveva più smesso di piovere e, nella notte, il vento si era alzato tanto che Touya aveva l’impressione che, prima dell’alba, avrebbe spazzato via il casino, loro all’interno e tutto il resto.

Ogni volta che uno scricchiolio sospetto raggiungeva le sue orecchie, guardava il soffitto, come se temesse di vederselo crollare addosso da un momento all’altro. Non era una paranoia infondata: l’unica cosa a dividerli dalla tempesta erano le vecchie - in parte marce - travi di legno del pavimento del secondo piano. 

Dovevano andarsene da lì, era un imperativo che non ammetteva negoziazioni. Sapeva già che convincere Shouto a tornare a casa sarebbe stata una seccatura, ma Touya avrebbe portato pazienza solo fino al secondo capriccio, poi lo avrebbe trascinato di peso alla corte dell’Alto Trono. In alternativa, poteva spingere il Drago a caricarselo in spalla e risparmiarsi metà della fatica. Restava Hawks, che avrebbe guardato alla proposta con sospetto. Poco male, Keigo Takami poteva essere il Primo Cavaliere del Re, ma poteva poco contro un Drago alleato con un Todoroki.

Mentre i pensieri si susseguivano, uno dietro l’altro, Touya sentì le palpebre farsi pesanti. Al suo fianco, Shouto si mosse e si ritrovò a fissare il soffitto per la seconda volta. Da bambino gli era capitato spesso di condividere il letto con altre persone - Keigo più di ogni altro, ma anche Fuyumi e Natsuo - ma otto anni di totale solitudine non passano senza lasciare segni. Dopo quello a cui era sopravvissuto, il suo corpo non gli permetteva di godere davvero del contatto fisico, ma non era più abituato ad avere qualcuno tanto vicino come lo era suo fratello in quel momento. 

E Shouto sembrava soffrire della sua stessa difficoltà.

La pancia che cresceva rendeva i movimenti del fanciullo goffi, pesanti e il solo rigirarsi tra le coperte fece scricchiolare la struttura di legno. Touya rimase in silenzio, aspettando che gli occhi eterocromatici incontrassero i suoi.

Shouto sussultò.

“Non riesci a dormire?” Domandò.

“Difficile, con la tempesta che scuote la casa e tu che fai lo stesso con il letto,” rispose il maggiore, sarcastico.

Shouto si adagiò sul cuscino, una mano vicino al viso. Era evidente che non era prossimo a cedere al sonno.

“Che cosa ti tormenta?” Indagò Touya.

“Potrei chiedere la stessa cosa a te.”

Le luci nel caminetto illuminavano la stanza di una luce tenue ma calda, appena sufficiente perché i due fratelli potessero guardarsi negli occhi.

“Per avere tormenti, dovrei prima tenere a qualcosa,” ribatté il Principe Esiliato. “Tu, invece, sei un miscuglio pericoloso di paura, rabbia e dolore. Tutti compressi in un autocontrollo che porta il marchio a fuoco di nostro padre.”

Shouto inspirò profondamente dal naso.

“Sono un Principe senza corte, con un bambino in grembo che è Erede di due popoli rivali, braccato da un nemico che ha quasi distrutto il mondo come noi lo conosciamo,” disse. “Non ho paura, Touya. Sono terrorizzato.”

Il maggiore inarcò le sopracciglia.

“Sei un Todoroki,” puntualizzò, come se il nome di cui erano entrambi portatori fosse la soluzione alle sue afflizioni. “Il solo che è diventato Cavaliere di un Drago.”

Il gelo rese taglienti gli occhi del minore.

“Ti sembra che Katsuki mi consideri il suo Cavaliere?”

“Oh… È con lui che sei arrabbiato.”

“Non fingere di non averlo capito.”

“Credevo che il tuo animo fosse troppo gentile per provare rancore verso il padre di tuo figlio,” lo canzonò Touya.

“Non è rancore,” obiettò Shouto. “È delusione…”

“E insicurezza,” aggiunse il maggiore. 

Shouto non provò a negare.

“Non ho desiderato Katsuki quando era di Izuku,” raccontò. “Erano promessi, non avrei mai osato…”

“Erano promessi...” Era un dettaglio che a Touya non era ancora stato rivelato. “Pensavo fossero amici d’infanzia.”

“È una storia contorta,” tagliò corto Shouto. “Non ha senso che te la racconti io, non mi appartiene.”

Touya aveva creduto che quella tra lui e Keigo lo fosse, ma era evidente che poteva esservi una presenza più ingombrante tra due amanti di un padre ossessivo e potente.

“Izuku è morto, Shouto,” disse Touya, con tono pragmatico. 

“E io continuo a pensare che la sua vita sia stata il prezzo per quella di mio figlio.”

Il Principe Esiliato alzò gli occhi al cielo. 

“Ricordi il gioco delle tre carte che ti ho raccontato?” Non aspettò che il fratello rispondesse. “Vedi un figlio mio e di Hawks in giro?”

“Quello era un gioco, Izuku era reale,” obiettò Shouto.

“Si tratta sempre di un e se…” Insistette Touya, premendo la punta dell’indice contro il naso del fratello minore. “Io sono stato esiliato e Izuku è morto. Mio figlio non esisterà mai e il tuo nascerà questo inverno. Sono fatti, Shouto e con i fatti si scrive la storia.”

Il diciassettenne scansò la mano dal suo viso.

“Fatti…” Mormorò. “Vuoi un fatto? Non ho cercato questo bambino. Ne vuoi un altro? Katsuki è rude nei modi, ma ha un animo nobile.”

“Non continuare, Shouto.” Touya si stiracchiò tra le coperte e poi si massaggiò la fronte, come se avesse il mal di testa. “Sei talmente prevedibile da essere noioso. Pensi che sia al tuo fianco per dovere e non per amore? Bene, affrontalo.”

Shouto si alzò su di un gomito e scosse la testa.

“Non posso strappargli un sentimento che non prova.”

“Non ti deve importare nulla dei suoi sentimenti,” ribatté Touya. “Lascia stare l’amore, non è reale. L’orgoglio, invece, sì. Ricordargli chi sei, digli quello che vuoi. Se è troppo per lui, non me ne hai bisogno.”

Sotto le coperte, il Principe di Fuoco e Ghiaccio si accarezzò la pancia. Ingoiò a vuoto.

“Questo significa accettare il rischio del rifiuto,” concluse, con voce rotta.

Suo fratello fissò il soffitto e non gli rispose.

“Sono già stato rifiutato da nostro padre, Touya,” disse Shouto, la voce appena tremolante. Il messaggio tra le righe era chiaro: era rimasto in piedi dopo che il genitore gli aveva voltato le spalle, ma non avrebbe retto un secondo colpo.

Touya dissentiva.

“E sei ancora vivo,” ribatté, tornando a guardare suo fratello negli occhi. “La favola è finita. Sei solo, principino.” Era una storia che conosceva già, perché ne era stato il protagonista a sua volta. “Ma sei abbastanza forte d’affrontarlo.” Gli diede la schiena. “Adesso dormi,” concluse, secco.

Ma Shouto non aveva finito.

“Ho freddo…”

E allora congela, pensò Touya, poi allungo la mano all’indietro perché suo fratello l’afferrasse. Era una posizione scomoda, ma sottolineava che c’era ancora una distanza tra loro. 

Distanza che Shouto non sembrava intenzionato a rispettare, dato che non si limitò a stringergli la mano. No, prese a giocare con le sue dite, poi fece aderire il palmo al suo.

“Hai le dita più lunghe delle mie,” commentò il minore.

Touya lo ignorò, rispolverando una vecchia tecnica che aveva fatto sua durante l’adolescenza, nei rari momenti in cui Shouto aveva avuto occasione di trottererargli attorno. Se non gli avesse dato attenzioni, si sarebbe stufato e lo avrebbe lasciato in pace.

Quando le dita del diciassettenne cominciarono a tracciare il confine netto tra la pelle ustionata del polso e quella sana del dorso della mano, Touya ricordò che come strategia non era mai stata molto efficace.

“Che cosa stai facendo?” Non si disturbò a nascondere l’insofferenza.

“Che cosa senti?” Domandò Shouto di rimando.

Touya non poté evitare di lanciargli un’occhiata da sopra la spalla e quando trovò gli occhi eterocromatici pronti ad attenderlo, seppe che il fanciullo aveva perlomeno intuito che le fiamme blu lo avevano danneggiato più di quanto mostrasse.

“Sento che mi stai toccando,” rispose il Principe Esiliato, stendendosi sulla schiena.

“La mia mano è fredda o calda?”

“Non lo so.”

Non aveva senso perdere tempo a coprire una verità che, in fin dei conti, non lo rendeva più miserabile di quanto già fosse.

La pietà negli occhi di Shouto non lo sorprese ma gli diede fastidio.

“Smettila subito,” lo redarguì, sottraendo la mano alla sua stretta. “Porti i morsi del fuoco anche tu. Dovresti sapere che è un potere impietoso.”

Per tutta risposta, Shouto gli prese il polso e fece aderire il palmo del fratello al lato ustionato del suo viso.

“Io sento il tuo calore,” disse. “Ma tu non riesci a sentire il mio.”

Touya fu tentato di scottarlo, ma si limitò a ritrarre la mano una seconda volta. 

“Ti ho detto di smetterla.”

Ma Shouto fu svelto a capire le implicazioni pericolose di quella sua condizione.

“Significa che non percepisci nemmeno la forza delle tue stesse fiamme,” disse. “Quando usi il tuo potere, non ti rendi conto se ti fai del male. Per questo sanguini.”

“Nessun dolore, nessuna afflizione, Shouto,” tagliò corto il maggiore.

“È pericoloso,” insistette il Principe di Fuoco e Ghiaccio.

“Quando diverrò cenere, penso che me ne accorgerò.”

“Non dirlo neanche per scherzo.”

Anche se continuava a tenere un tono di voce basso, Shouto era in agitazione. Touya se ne accorse dalla sua espressione: se non stava bene prima, saperlo in costante pericolo di vita a causa del suo stesso potere contribuì a farlo stare peggio.

“Non è una novità che il mio corpo mi tradisca,” disse il maggiore, non comprendendo il motivo di tanto malanimo. “È la cruda realtà alla base della mia personale tragedia. Lo sai, lo hai sempre saputo. Sei nato per questo.”

Shouto strinse le labbra e volse lo sguardo al soffitto: stava per mettersi a piangere.

E Touya davvero non lo capiva.

“Perché continui a provarci tanto ostinatamente con me?” 

Tutti avevano gettato le armi, dichiarandolo una causa persa, un fallimento. Tutti. I due uomini più importanti della sua vita per primi.

E ora arrivava questo fanciullo, che aveva il suo stesso viso ma non lo conosceva affatto.

Un estraneo. Suo fratello.

“Perché quando ti guardo vedo me,” rispose Shouto, con voce rotta. “Perché qualcuno mi ha salvato, nonostante io non stessi chiedendo aiuto.”

Se il pensiero di svegliare il Drago e Hawks non lo avesse allettato così poco, Touya si sarebbe messo a ridere,

“Non ti sto chiedendo di salvarmi, Shouto,” disse, con una malinconia che sapeva di rassegnazione. “Penso che nostro padre te lo abbia insegnato: è inutile tendere una mano a chi non vuole essere aiutato.”

“È inutile anche obiettare con chi non ti ascolta,” ribatté Shouto e, nonostante i suoi occhi fossero pieni di lacrime, cercò quelli di suo fratello. “Ho smesso di ascoltare nostro padre a cinque anni, figurati se comincio a farlo con te dopo pochi mesi.”

A quel punto, Touya dovette coprirsi la bocca con una mano per non scoppiare a ridere sul serio. 

“Tu non mi conosci, Shouto,” disse, alla fine dell’attacco d’ilarità - o forse era isteria. 

“Nemmeno tu conosci me,” ribatté il più giovane. “Ma mi conoscerai, stanne certo.”

Lo sguardo di Touya s’indurì. 

“La tua è una minaccia?”

Shouto ignorò la domanda. 

“Dammi la mano,” disse, poi la prese da sé, portandosela in grembo. “C’è un modo per infondere il calore del tuo potere a lui?”

Touya non rispose immediatamente, per una frazione di secondo la sua mente si spense completamente. Era la prima volta che toccava la pancia di suo fratello.

“Non capisco che cosa intendi,” disse, solo perché restando in silenzio sarebbe passato da completo idiota.

Shouto si asciugò una lacrima galeotta con la manica.

“Ho paura che il bambino sia morto dentro di me,” confessò, “che non sia sopravvissuto a quello che il mio corpo ha subito al Castello Vecchio.”

Touya s’irrigidì ancor più di prima. 

“Non lo sentì più muovere?”

“Non l’ho mai sentito.”

Il Principe Esiliato si prese la libertà di abbassare le coperte: la pancia era visibile ma non così grande, forse era solo troppo presto perché il bambino scalciasse. Provò a ricordare come era andata coi suoi fratelli, per fare un confronto: di Fuyumi non poteva rammentare nulla, di Natsuo aveva solo qualche immagine vaga, mentre di Shouto ricordava ogni cosa. Chissà se qualcuno era stato abbastanza crudele da raccontare al minore dei suoi fratelli quanto tutti avessero sofferto la sua gravidanza. Tutti. Il Re per l’ansia di non riuscire ad avere il suo erede perfetto, la Regina perché distrutta dal quarto figlio in meno di un decennio e Touya perché, ormai arrivato ai suoi sette anni, aveva pienamente compreso il meccanismo attraverso cui lo si stava sostituendo. 

“Tu in estate scalciavi,” disse Touya con sicurezza, perché Fuyumi non lo aveva lasciato vivere finché non aveva messo la mano sulla pancia della mamma per sentirlo a sua volta. “Tuo figlio dovrebbe nascere nel tuo stesso periodo perciò…”

“L’estate sta finendo.” Shouto era sull’orlo di una crisi di pianto.

“Sì, ma tu sei il quarto,” aggiunse Touya, come se stesse riflettendo ad alta voce. “Il confronto non ha senso.”

Shouto lo guardò, perplesso.

“Perché?”

Touya ricambiò l’espressione.

“I primi figli si sentono sempre dopo di quelli che seguono. La Regina non ti ha mai raccontato niente?”

Al minore dispiacque sentirlo riferirsi a lei col suo titolo nobiliare.

“È nostra madre, Touya.”

“È anche la Regina. Davvero non ti ha raccontato nessun aneddoto sulle sue gravidanze?”

“L’ho persa a otto anni e l’ho ritrovata a quindici. Non c’è stato molto tempo. So solo che non è stato facile per lei mettere al mondo me e te.”

“Già da lì dovevano capire molte cose…” Commentò Touya, sarcastico.

“So che Fuyumi è nata su insistenza della mamma,” disse Shouto. 

“Sì, papà ha assistito alla mia nascita e si è messo paura. Che uomo audace!” 

“Tu e mamma siete quasi morti…” 

“E otto anni dopo, la Regina ha replicato il dramma con te.” Touya ricordava di essersi nascosto sotto il letto con le mani premute contro le orecchie, pur di non sentire le urla di sua madre. A suo fratello non lo avrebbe mai raccontato. “Ricordo che i curatori parlarono d’icompatibilità di poteri. Noi abbiamo ereditato il fuoco di nostro padre, il corpo della Regina n’è stato indebolito. Già di suo non vanta una costituzione robusta.”

Come il suo primogenito.

“Per venire al mondo sono quasi morto.” A sedici anni, Touya aveva ripetuto l’esperienza, ottenendo un risultato di gran lunga meno glorioso. “Otto anni dopo, tu sei venuto alla luce correndo lo stesso rischio.”

Shouto si accarezzò la pancia, sfiorando la mano di suo fratello.

“Dovrebbe essere una rassicurazione?”

Touya scrollò le spalle.

“La prima cosa che abbiamo fatto è stato sfidare la morte e vincere,” disse. “Tuo figlio ha il nostro sangue. È stupido pensare che si faccia sconfiggere da un po’ di ghiaccio.” Contrasse le dita sulla pancia di tuo fratello in una sorta di carezza, poi gli diede le spalle una seconda volta. “Dormi finché te lo permette.”


 

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