Marvel Adventure

di KiarettaScrittrice92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pirati dello Spazio ***
Capitolo 2: *** Il delitto perfetto ***
Capitolo 3: *** Inchiostro sottopelle ***
Capitolo 4: *** Mi piace questa qui ***
Capitolo 5: *** Dalla polvere al disinfettante ***
Capitolo 6: *** Ukumka Omtsha ***
Capitolo 7: *** Di chi è la colpa? ***
Capitolo 8: *** Appuntamento al buio ***
Capitolo 9: *** Un pomeriggio allo zoo ***
Capitolo 10: *** Il cavaliere d'acciaio ***
Capitolo 11: *** Il Magico Albero ***
Capitolo 12: *** Il sapore del sangue ***
Capitolo 13: *** Un nuovo battito ***
Capitolo 14: *** Agenti in pausa ***
Capitolo 15: *** Io sono un dio ***
Capitolo 16: *** Una pessima studentessa ***
Capitolo 17: *** Imperdonabile ***
Capitolo 18: *** Il capo ha detto così ***
Capitolo 19: *** Cuore e mente ***
Capitolo 20: *** Un negozio speciale ***
Capitolo 21: *** Il fatidico incontro ***
Capitolo 22: *** Fredda passione ***
Capitolo 23: *** Il costo da pagare ***
Capitolo 24: *** Braccato ***
Capitolo 25: *** Follow me ***
Capitolo 26: *** Sedotto da un dio ***
Capitolo 27: *** Curiosità innocente ***
Capitolo 28: *** The Mary Janes ***
Capitolo 29: *** Cosa strana il futuro ***
Capitolo 30: *** La sua matita ***
Capitolo 31: *** Saliva infetta ***



Capitolo 1
*** Pirati dello Spazio ***


Pirati dello Spazio

«Sono pronto!» il procione spaziale caricò con un suono secco il suo fucile al plasma, facendo indietreggiare l’uomo.
«Cavolo Rocket, non stiamo andando contro una nave di qualche guerriero spaziale, è solo una navicella di rifornimenti.» si lamentò l’unico terrestre del gruppo, osservando l’arma spropositatamente grande, soprattutto se vista in confronto al corpo minuto da animale che la stava tenendo.
«E allora? Pensi che non abbiano delle sentinelle?» sbottò questo, con quella sua odiosa voce acuta e il tono sempre sarcastica.
«Io concordo, non si può mai sapere quali nemici si annidano nei meandri dello spazio.»
«Ah, sta zitto Drax, per te chiunque è un nemico…» sbuffò Peter, esasperato. Odiava stare sempre dietro a quella banda di spostati; insomma, sì, erano diventanti ormai la sua famiglia e stavano insieme da anni, ma forse era proprio quello il problema. O forse, il problema vero era che gli mancava Gamora e ogni tanto si ritrovava a pensare, che anche nel caso avrebbero trovato quella venuta dal passato, non sarebbe mai stata come la sua Gamora.
«Io sono Groot!»
«Ehi, non usare quel tono con me, hai capito?!» sbottò di nuovo Peter, tornando coi pensieri sulla navicella e sulla sua insopportabile ciurma, puntando il dito al giovane albero. Lui ormai aveva superato la pubertà ed era nel pieno della sua adolescenza, il che voleva dire che era ancora più insopportabile, perché si sentiva in dovere di dire sempre la sua.
«Avanti Quill. Sei l’unico qui che non si vuole più divertire.» insistette Rocket.
«È vero. Da quando abbiamo lasciato l’affascinante dio del tuono su quel pianeta, hai perso tutta la tua vena arrogantesca.» disse Drax, ricordando i giorni passati.
«Arrogantesca? Nemmeno esiste questa parola.»
«Vuoi che ti rilasso un po’?» domandò allora l’unica femmina del gruppo, che fino a quel momento era rimasta zitta. Fino a qualche settimana prima Nebula li aveva accompagnati, ma poi aveva deciso di andarsene per la sua strada e cercare la sorella per conto suo. Peter la invidiò, avrebbe voluto anche lui prendersi una pausa dal quel branco di fuori di testa, ma poi sapeva che se ne sarebbe pentito e che gli sarebbero mancati.
«No, Manthis, grazie. Vorrei solo riuscire a fare questo colpo senza che finisca come al solito in un macello!» ribattè lui esasperato.
«Io sono Groot!»
«Esatto! Ben detto amico mio, siamo Pirati dello Spazio, Quill. Cosa pretendi, che abbordiamo la nave e chiediamo gentilmente “Scusate potremmo avere qualcuna delle vostre provviste?”». Rocket teneva ancora il fucile tra le zampe e ci si era poggiato praticamente sopra.
«No, ma… – sospirò – E va bene. Ma giuro che se uno di voi quattro si perde su quella stramaledetta nave, questa volta non lo vado a recuperare, è chiaro?!»
«Sì, certo. Andiamo!» il procione aprì la pista dirigendosi, verso il retro della loro navicella e indossando il casco per l’ossigenazione, seguito da tutti gli altri.
«Perché Gamora riusciva a tenerli a bada?» bisbigliò Peter Quill, tra sé e sé.
«Perché lei è più fica di te.» gli rispose Drax, passandogli affianco.
«Avanti signori, facciamo vedere a quegli imbeccilli chi sono i nuovi Guardiani della Galassia!» esclamò Rocket, sollevando l’arma e gettandosi nello spazio.
«Io sono Groot!» gli fece eco l’amico, facendo la stessa cosa.
«E Pirati dello Spazio sia… – sospirò Peter, per poi voltarsi verso l’interno della navicella – Mi raccomando Manthis, tieni d’occhio la mia nave.»


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Pirates
N° parole: 543
Rating: Verde

E siamo di nuovo qui con il writober... Nella speranza di riuscire a postare tutto entro i limiti di ogni giorno (anche se magari alcuni impegni me lo impediranno).
Iniziamo con una one-shot a tema Guardiani della Galassia! Giuro, ho faticato tantissimo a riportare i caratteri di ogni personaggio in queste poche battute e spero di esserci riuscita al meglio. 

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Capitolo 2
*** Il delitto perfetto ***


Il delitto perfetto

«Va bene, basta con gli scherzi…» con le mani nelle tasche dell’impermeabile, mi avvicinai al gruppetto che si era creato. La loro tensione pizzicava i miei sensi di ragno, trascinandomi in quella sensazione di eccitazione che precedeva ogni mia spiegazione del caso. È vero, dovrei comportarmi da super eroe, ma io sono nato per fare il detective ed ogni volta che mi ritrovo a cercare la soluzione di un’omicidio, di un delitto all’apparenza perfetto, come questo, non posso fare a meno di mettermi in mostra.
«Cosa vuole dire?» domandò uno dei poliziotti, guardandomi stupito.
«...Prima di passare alle deduzioni, però, vorrei chiedere a voi tutti di allontanarvi dalla statua perché è pericoloso. – il gruppo indietreggio, ancora confuso, e riuscivo a notare ogni singola goccia di sudore che scivolava lungo i loro visi, nonostante il freddo pungente di quella sera, dovuto forse anche al vento, molto simile a quello che mi segue ovunque. 
«Vi prego anche di prestare la vostra attenzione ai piani alti dell’Hotel…» aggiunsi.
«Cosa dovremmo vedere?» l’ispettore di polizia sembrava il più nervoso e allungo lo sguardo verso la cima dell’imponente palazzo, poggiando la mano sulla fronte per cercare di proteggersi dalla luce degli innumerevoli faretti che lo illuminavano.
«Faremo un’esperimento… Un’esperimento per scoprire la verità!» sentì l’angolo della mia bocca tirarsi in un sorriso spontaneo, mentre l’ennesima folata faceva svolazzare il mio impermeabile. Poi, feci un cenno della mano e alcuni dei poliziotti che avevo fermato prima di scendere nel cortile dell’Hotel, lanciarono i sottili topper che si trovavano nelle camere, arrotolati e legati con delle lenzuola e con segnato sopra il numero delle camere da cui li avevano lanciati. Tutto secondo i piani.
«Ma questi…» disse l’ispettore, avvicinandosi ad uno di quei manichini improvvisati.
«Sono topper, imbottiti per farli pesare quanto un corpo umano. I suoi agenti li hanno lanciati da tutte le camere degli indiziati e come può notare ci sono segnati i numeri delle stanze.
«2101… – l’ispettore teneva il sottile materasso, come fosse davvero un corpo privo di vita tra le sue braccia – Ma è la stanza della vittima, il signor John Elman, dov’è avvenuto il delitto…»
«Proprio quella.» risposi semplicemente, ero curioso di scoprire se l’ispettore ci sarebbe arrivato senza il mio aiuto e mi sembrava di vedere chiaramente le sue sinapsi intrecciarsi nel tentativo di arrivare ad una soluzione plausibile.
«Eppure lui era caduto esattamente sopra quella statua… Com’è possibile che questo, sia finito qui… Forse, il vento…?»
«Esatto. È stato proprio lo spostamento del vento, come sa io me ne intendo… – a dare conferma a quella mia ultima frase, il mio fidato refolo m’investì un’altra volta, aumentando la mia eccitazione per quel momento in cui l’attenzione di tutti era calamitata su di me – In questo periodo, la sera, i piani alti dell’Hotel sono spazzati da un forte vento. Quando la vittima è caduta, giù c’era vento… vero signora?» il mio volto mascherato si rivolge a una donna delle pulizie, anche lei in attesa della verità che tutti bramano in un caso così intrigante.
«Sì, sì… Anzi, a quell’ora mi sembra fosse anche più forte di adesso.»
«Per di più la vittima, indossando l’impermeabile proprio come me, era ancora più facilmente influenzabile dal vento… Se fosse veramente caduto giù dal balcone della propria stanza, non sarebbe mai caduto sulla statua che ci sta proprio sotto. – spiegai, i miei passi lenti, mentre passeggiavo tra i materassi sparsi per terra, risuonavano nella notte – Anche il materasso fatto cadere dalla stanza del signor McGregor, un piano più sotto è caduto lì vicino.» feci notare all’ispettore.
«Ma certo! – confermò lui, come se avesse avuto un’intuizione – Ci siamo fatti ingannare dal guanto impigliato nella ringhiera e dal trucco della chiusura di sicurezza… Era un modo per far credere ad un incidente, ma anche per deviare le indagini dal vero luogo del delitto…»
«Proprio così! L’assassino non ha chiuso la stanza della vittima dopo il delitto… Prima l’ha chiusa e poi ha compito il delitto nella propria!» a quella mia dichiarazione, come colpito da un’improvvisa scossa elettrica, l’ispettore si alza di scatto e corre verso i materassi caduti vicino alla statua, per cercare quello più plausibile. Non rendendosi conto che avrebbe dovuto guardare giusto un po’ più sopra per trovare la risposta.
A quel punto, la verità apparve evidente a tutti, esattamente come era apparsa evidente a me qualche ora prima. Il topper della camera 1901, quella della signorina Cromwell, se ne stava ancora lì, infilzato dalla spada della statua del cortile, proprio come la sera prima c’era il corpo del povero signor Elman.


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Crime
N° parole: 750
Rating: Verde

Con questo secondo giorno di writetober, in cui il prompt era crime, lo ammetto, mi sono lasciata poco ispirare. O meglio, pensando a questo tema con la Marvel mi è stato subito chiaro che Spider-Noir sarebbe stato perfetto, soprattutto se avrei reso il tutto un piccolo giallo in stile noir (una tecnica che ho già sperimentato per un capitolo speciale di una mia fan fiction e che anzi penso che questa volta mi sia venuta anche meglio). Però trovo sempre difficile inventare un caso da zero, nonostante vado matta per il genere giallo in lettura. Perciò ho pensato al refolo di vento che segue sempre Spider-Noir e ho scelto uno dei tanti casi di Detective Conan che si adattasse alle mie esigenze. Ed ecco qui, ovviamente tramutato tutto in stile Marvel. 

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Capitolo 3
*** Inchiostro sottopelle ***


Inchiostro sottopelle

Il campanello del locale trillò all'aprirsi della porta e la ragazza alzò lo sguardo su di lui.
«Ehi ciao Peter, dammi un minuto e sono da te.» lo salutò con un meraviglioso sorriso che fece sussultare il suo cuore. La seguì con lo sguardo, vedendola servire un piattino con due ciambelle ad uno dei tavoli, poi tornò verso di lui.
«Il solito?» chiese, prendendolo un po' alla sprovvista.
«Cosa? Oh... sì, scusa.»
Ormai andava al café dove lavorava ogni domenica mattina, prima di andare in biblioteca a studiare. Ci aveva messo un po' a scoprire che nonostante andasse all'MIT, tornava a New York tutti i fine settimana, ma continuare il lavoro al café, una scelta che magari avrebbe fatto anche lui se non avesse perso ogni possibilità di riguadagnarsi la borsa di studio per quell'università.
«Ecco a te. Caffé macchiato con schiuma e cannella.» disse, porgendogli il bicchiere di cartone con il suo nome scritto sopra.
«Grazie...» rispose lui completamente soprappensiero.
«Sai, sei proprio strano Peter Parker.» lo incalzò, continuandolo ad osservare.
«Cosa...? Perché?» il suo sguardo si atterrì, come se avesse paura che avesse fatto trapelare qualcosa di troppo dai suoi atteggiamenti, ma la ragazza si limitò a sollevare le spalle e rispondere tranquillamente.
«Ti trovo solo strano. Vieni qui tutte le domeniche da ormai quasi un anno e non ti ho mai visto una volta tranquillo. Sembra quasi che ti aspetti di vedere un fantasma. Inoltre una volta mi hai detto che hai un appartamento nel Queens, non è un po' lontano da qui?»
«È che mi piace il tuo caffè, tutto qui.» rispose di fretta lui, evidentemente imbarazzato e a corto di risposte sensate.
«Sarà... Ehi quello cos'è?» domandò, mentre il suo sguardo si posava su un piccolo tatuaggio nella parte interna del polso sinistro. Si maledì, per essersi dimenticato di mettersi un polsino, come faceva tutte le volte che andava al bar, ma quel giorno la sveglia si era rotta e lui si era svegliato in ritardo, finendo per fare tutto di corsa.
«Ah, niente!» disse, coprendolo subito con l'altra mano, eppure ora che l'aveva visto, quel piccolo disegno sembrava bruciargli come quando se l'era fatto.
«Era una Delia nera?» insistette lei, e lui fece solamente un cenno di testa.
Proprio in quel momento, il campanello trilló di nuovo, annunciando l'arrivo di un nuovo cliente e dandogli un attimo di pace da quello che improvvisamente gli era sembrato un interrogatorio alla MJ in piena regola. Gli venne quasi da sorridere, ricordandosi la promessa che la ragazza gli aveva fatto il giorno in cui si erano detti addio, quasi un anno prima; l'aveva minacciato di andarle subito a raccontare tutto, oppure lei avrebbe scoperto la verità da sola. Peter conosceva bene quella ragazza, il suo cuore batteva ancora per lei nonostante tutto, e sapeva che non avrebbe potuto nasconderle la verità per sempre.
«Beh? Che fai? Non bevi il tuo caffè?» le domandò lei, tornando al bancone dove si trovava.
Suo malgrado dovette togliere la mano dal polso e già sapeva che la ragazza avrebbe notato la Delia nera e le tre lettere poco sotto "MJW" le sue iniziali. Non le diede il tempo di chiedergli nulla, afferrò il bicchiere e uscì, salutandola appena, ripromettendosi di non tornare più la settimana successiva. Una promessa che sapeva non avrebbe mantenuto, perché avrebbe sentito il bisogno di rivederla, di percepire ancora il suo sguardo addosso anche se era uno sguardo che si dedica ad un cliente come tanti. Nell'uscire sentì ancora il tatuaggio bruciare, il suo nome era inciso con l'inchiostro sotto pelle, come nel suo cuore.


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Tatoo
N° parole: 598 
Rating: Verde

Non ve la prendete con me, ok? Sappiate che sto piangendo anche io per com'è finito "Spider-man No Way Home" è questo è uno dei miei modi per metabolizzare...
Lascio a voi l'interpretazione di quando Peter si sia fatto quel tatuaggio.

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Capitolo 4
*** Mi piace questa qui ***


Mi piace questa qui

Aveva perso Jane da ormai più di un anno e nonostante ora avesse una nuova vita e una nuova famiglia con Love, sentiva che gli mancava qualcosa. Fu proprio la bambina a farglielo notare, una mattina come tante.
«Sai, avresti bisogno di un anima gemella…» disse, facendo dondolare i piedi dalla sedia, mentre s’ingozzava di pancake bruciati, nonostante il tempo trascorso assieme il suo padre adottivo non aveva ancora imparato a cucinarli.
«Ce l’avevo un anima gemella, ma l’ho persa…» commentò con tono triste il dio del tuono, mentre la malinconia, che s’impossessava di lui ogni volta che pensava all’amata persa, tornava prepotente.
«Magari non era la tua anima gemella.» rispose la bambina con tutta la spontaneità e nonchalance che solo i più piccoli hanno.
«Che vorresti dire?»
«Non lo so. Di solito nelle storie d’amore, l’anima gemella è la persona che non sai di volere al tuo fianco, quella che ti piace ma non te ne accorgi e soprattutto quella che ha il tuo stesso carattere e la tua stessa forza.» Love ingurgitò la sua ultima frittella, per poi pulirsi la bocca con la manica della felpa azzurra che stava indossando.
«Ah, Love! L’avevi appena messa quella!» protestò l’asgardiano, ignorando completamente quello che gli aveva detto e bagnando uno straccio con un po' d'acqua, per poi passarglielo sulla macchia di sciroppo d'acero.
«Mi hai sentito o no? – protestò la bambina, cercando di allontanarsi da quella pulizia forzata – Non c’è mai stata una ragazza, o un ragazzo, oltre a Jane Foster che appena l’hai vista hai pensato fosse quella più giusta per te? Una che non appena hai incrociato il suo sguardo hai pensato, cavolo questa mi piace.» ribadì la piccola, saltando giù dalla sedia e sondando col suo sguardo color dell’universo quello del dio biondo che si era fermato dal suo intento di ripulirla.
«Io…»
Ad un tratto gli tornò alla mente un ricordo. Tony era appena tornato dal suo viaggio nello spazio, nel momento più cupo non solo degli Avengers ma di tutta la Terra e, prima ancora di lui era arrivata lei, come l’aveva chiamata Tony? Carne fresca, denominandola fantastica e prendendosela come al solito con Rogers. 
Quando l’uomo svenne per mancanza di energie lei parlò di un qualche elisir xoriano e disse che sarebbe andata ad uccidere Thanos. Molti le avevano detto di abbassare la cresta, di escogitare un piano prima di tuffarsi a capofitto nella missione; tutti tranne lui. Lui, un po’ perché si sentiva in colpa di non aver colpito Thanos alla testa, un po’ perché trovava la sua decisione particolarmente interessante, se n’era stato zitto, osservando la situazione dal suo angolino.
Programmarono il piano, scovarono Thanos, ma quando Bruce Banner mise ancora in dubbio la buona riuscita della missione, lei rispose decisa.
«Perché l’altra volta non avevate me.» fu in quel momento che si alzò dalla sedia su cui stava, raggiungendola con passo pesante. Lei si voltò lentamente, lo sguardo deciso e quasi di sfida, come a chiedergli cosa volesse o forse semplicemente a mostrargli che non stava affatto scherzando. Anche quando richiamò a sé Stormbreaker e l’arma le passo a pochi centimetri dal viso, scompigliandole la chioma bionda, questa non fece nemmeno una smorfia.
«Mi piace questa qui.» riuscì solo a dire lui, poggiandosi sull’ascia, mentre un sorriso divertito si dipingeva sul volto della donna.


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Soulmate
N° parole: 543 
Rating: Verde

Lo ammetto, ho avuto un debole per questa coppia sin da quando ho visto la scena finale di questa one-shot nel trailer di "Avengers Endgame", quindi quando ho pensato alle anime gemelle ho subito pensato a loro, perché non avevo voglia di fare una delle solite coppie canoniche. Non che non mi piacciano Jane e Thor, sia chiaro, ma ho sempre pensato che non siano proprio fatti l'uno per l'altra, forse perché troppo diversi. 
Comunque sia mi sono divertita a scrivere questa one-shot, soprattutto la parte di Love.

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Capitolo 5
*** Dalla polvere al disinfettante ***


Dalla polvere al disinfettante

Erano passate sì e no un paio settimane dal giorno che il mondo intero aveva denominato “Blip”, quello schiocco di dita effettuato da Hulk che li aveva riportati tutti indietro, dopo che la metà della popolazione universale era diventata polvere cinque anni prima.
Lui era stato uno di quelli. Cinque anni prima era sparito, non riuscendo a dire addio al suo capo, nonché il suo migliore amico perché era partito per lo spazio, abbandonando Pepper. Lui si trovava alla sede centrale delle Stark Industries, quella che si trovava ancora a New York e stava gestendo di conti, mentre da qualche parte, sapeva che gli Avengers stavano affrontando l’ennesima battaglia e poi, improvvisamente, fu cenere.
Quando ritornò lì gli sembrava passato poco tempo, eppure le pareti rovinate, lo spesso strato di polvere sui mobili e le ragnatele agli angoli più nascosti, gli fecero capire che qualcosa era davvero cambiato.
La prima settimana fu la più terribile, tra le continue chiamate del Central Hospital che lo invitava a fare delle visite di controllo per accertarsi della sua salute, come quella di tutti quelli che erano stati blippati, ci fu anche la chiamata disperata di Pepper. Il giorno dei funerali di Tony Stark fu uno dei più dolorosi della sua vita e fu lì che Happy conobbe Morgan. La bambina era la versione più piccola e al femminile di suo padre: orgogliosa, decisa, che pur di non piangere teneva quel broncetto tutto il tempo. Quando poi gli disse che il suo cibo preferito erano i cheesburger, l’uomo ebbe un tuffo al cuore.
Aveva perso tutto, cinque anni che erano sembrati cinque minuti e aveva perso tutto. Ed ora era lì, in ospedale, ricoverato per una di quelle benedette visite di controllo che gli avevano riferito sarebbe durata un paio di giorni. Praticamente ogni ospedale aveva adibito un’intera zona ai blippati ed ora li stavano visitando un po’ alla volta per vedere se non ci fossero sintomi o qualche strano effetto collaterale. Erano passati tutti dalla polvere al disinfettante.
Lui era lì, sdraiato sul suo letto d’ospedale con addosso il suo comodo pigiama, l’indomani l’avrebbero dimesso, ma in quel momento tutto il suo essere era concentrato sulla lettera che aveva davanti. Pepper gliel’aveva consegnata quella mattina e lui era riuscito a leggerla solo in quel momento, dopo che i dottori e le infermiere se n’erano andati dalla stanza che condivideva con un’altro uomo.
Gli ultimi voleri del suo migliore amico, non era un testamento, né un video olografico come quello che aveva fatto alla sua famiglia. Era una semplice lettera, una lettera che probabilmente aveva scritto per lui prima di partire per quell’assurda e folle missione che l’avrebbe portato a viaggiare nel tempo e a sacrificarsi per il mondo intero. Una lettera tipica da Tony Stark, in cui non mostrava nessun tipo di affetto o riconoscenza nelle parole scritte, ma che trapelava lo stesso attraverso il suo egocentrismo e la sua praticità. Happy sapeva che l’aveva scritta a lui, perché si fidava di lui e perché sapeva che era l’unica a poter fare ciò che gli aveva chiesto.
Quelle ultime parole scritte con la sua calligrafia disordinata gli facevano male al cuore: Mi raccomando, tieni d’occhio il ragazzo. Alla fine se ho fatto tutto questo è stato per lui.


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Hospital
N° parole: 538 
Rating: Verde

Lo so, lo so... L'ospedale c'entra ben poco con questa one-shot e soprattutto fi ho fatto piangere nuovamente tutte le lacrime che avevate, senza nemmno farvi vedere il finale di "Endgame" (tranquilli, le ho piante anche io scrivendo). Ma il fatto era che non sapevo proprio come gestire una scena in ospedale e quando ho pensato alla cosa più semplice di tutte, ossia un controllo della salute dopo il blip, ho cercato un personaggio che fosse stato blippato o che non si sapesse se c'era o no in quei cinque anni... E poi, beh... poi il flusso dei miei pensieri a partorito questa one-shot strappa lacrime...

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Capitolo 6
*** Ukumka Omtsha ***


Ukumka Omtsha

Prese un grosso respiro, osservandosi allo specchio. Fino a quel giorno aveva tentato con tutte le sue forze di non pensare a cosa sarebbe successo di lì a quel momento, ma ora tutto il peso di quell’evento la stava schiacciando.
Poco meno di un’ora e sulla sua testa sarebbe stata posata la corona, o meglio il copricapo, della regina del Wakanda. Poco meno di un’ora e tutto il popolo non l’avrebbe più vista come il piccolo genio della famiglia reale, che se ne stava quasi tutto il giorno rintanata nel suo laboratorio a costruire qualsiasi cosa. Poco meno di un’ora e avrebbe dovuto perdere la sua lingua tagliente e il suo caratterino ribelle, perché sarebbe diventata la regnante indiscussa del Wakanda.
Continuò a guardarsi allo specchio per diversi minuti, non riconoscendosi in quell’immagine riflessa. Quella Shuri aveva il suo stesso viso, ma era vestita in modo troppo pomposo e troppo formale per essere davvero lei.
Quando qualcuno bussò alla porta delle sue stanze, comprese che era finito il momento per autocommiserarsi e che non poteva più tirarsi indietro. Il lungo periodo di lutto per la morte di suo fratello era trascorso, il tempo per metabolizzare il suo futuro ruolo anche. Ora toccava a lei, avrebbe succeduto T’Challa sul trono del Wakanda, anche se si sentiva ancora troppo giovane per farlo.
Uscì dalla camera, superando la porta scorrevole che si aprì al suo passaggio. Venne scortata da due Dora Milaje che con passo di marcia la precedevano. Quando arrivò alla sala del trono, sua madre l’aspettava impettita, di fronte all’ampio balcone che si affacciava sul piazzale principale del palazzo; di fianco a lei Okoye, con il suo sguardo serio.
Shuri si avvicinò a loro, cercando di regalare un sorriso alla sua genitrice, ma riuscendo soltanto a fare una smorfia. Avesse avuto ancora sedici anni, probabilmente avrebbe protestato e urlato per evitare in qualsiasi modo che quello accadesse, ma ormai era abbastanza matura da comprendere che non c’era nessun’altra scelta.
«Andrà bene.» le sussurrò sua madre, dopo averle preso il viso tra le mani e averle baciato la fronte con trasporto.
La cerimonia sul balcone fu lunga e struggente. La regina in carica, quindi sua madre, avrebbe dovuto tenere un lungo discorso. Parlò di come il Wakanda era cambiato in quegli anni, di come si erano aperti al mondo, delle guerre e delle battaglie combattute nel loro territorio, tra cui quella contro Thanos. Poi parlò della morte di T’Challa e di come questo avesse segnato l’intero popolo. In quel momento, tutti i wakandiani cominciarono a intonare le parole di una canzone e in quel momento sembrò che ogni essere vivente si fosse fermato ad ascoltare quelle voci scure che cantavano per il loro re scomparso. Pian piano la canzone si trasformò, da un lamento triste diventò un urlo di forza e determinazione; un segno d’incoraggiamento per la nuova regnante.
Shuri però, per tutto il lasso di tempo della cerimonia era rimasta lì, ferma, completamente in trance. Provata dal senso di oppressione per ciò che le stava per accadere e dal senso di tristezza per la perdita del fratello non ancora del tutto superata.
Solo quando la regina la chiamò nuovamente al suo fianco. Questa prese un grosso respiro e la raggiunse.
«Wakanda… – cominciò con voce solenne la donna –Ukumka Omtsha Shuri!»
Quelle ultime tre parole furono ripetute almeno una decina di volte dall’intero popolo: “La nuova regina Shuri”.


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Royalty
N° parole: 556 
Rating: Verde

Appena ho letto Royalty ho pensato a "Wakanda Forever" e a quanto mi piacerebbe vedere una scena simile nel film a cui manca ormai solo un mese per uscire nelle sale. Adoro il personaggio di Shuri ed ho provato ad immedesimarmi nel suo carattere fuori dagli schemi, per niente adatto a una regnante. Spero che in questa breve one-shot sia riuscita a far trapelare queste emozioni.

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Capitolo 7
*** Di chi è la colpa? ***


Di chi è la colpa?

Per la seconda volta, in poco più di un’ora, rinvenne di soprassalto. Questa volta non era stato l’urlo di rabbia di Hulk a farlo riprendere, ma Thor che in qualche modo aveva usato il suo martello per defibrillarlo.
«Non è che questa giornata può finire?» sbuffò con un lamento, massaggiandosi il petto in cui le sue dita incontrano il metallo. Nessuno però sembrò ascoltarlo, perché il dio del tuono aveva già cominciato a guardarsi attorno, chiamando a gran voce il nome del fratello, che a quanto sembrava era fuggito con la valigetta che conteneva il Tesseract, il tutto mentre Hulk urlava furioso, sul fatto che non voleva fare più scale.
«A quanto pare no…» commentò, ma sapeva di non poter essere di nessun aiuto visto che aveva lasciato la sua armatura al piano di sopra. Poco dopo la voce di Rogers parlò con il resto della squadra attraverso gli auricolari dicendo di aver trovato Loki, eppure per qualche strano motivo anche lui sembrò in poco tempo farsi fregare dal dio dell’inganno. 
Alla fine, moralmente sconfitti, dopo quella che era sembrata una soddisfacente vittoria qualche ora prima, decisero che non sarebbe bastato un semplice shawarma, avevano bisogno di qualcosa di dolce e con un tasso di caffeina talmente alto da stenderli. Per questo si recarono al primo Starbukcs disponibile.
«Come accidenti hai fatto a fartelo scappare?» Tony era esasperato, l’unica cosa che avrebbe voluto in quel momento era non pensare più a chitauri, alieni o cubi scomparsi.
«Lui era… Lasciamo perdere non puoi capire…» gli rispose Steve, eclissando il discorso.
«No, ora tu mi spieghi che cazzo è successo, perché non è possibile che ti abbia steso senza che ti possedesse o quelle diavolerie che fa lui.» sbottò nuovamente, poggiando il suo bicchiere di carta con sopra scritto Iron man e sporgendosi verso di lui, come volesse intimidirlo.
«Modera il linguaggio Stark.» ribatté nuovamente il capitano con voce dura.
«Oh, al diavolo il linguaggio Rogers, tu…»
«Ragazzi la volete finire di dare spettacolo?» si lamentò Natasha, che come gli altri della squadra era rimasta zitta ad osservare quell’imbarazzante competizione di testosterone.
«Beh ad essere sinceri vorrei saperlo anche io. Visto che mio fratello è scomparso con il Tesseract e lo Scettro. Insomma chissà quali altri danni può creare adesso.»
«Beh, c’eravate tu e Tony sotto con lui a scortarlo, quindi la colpa è anche un po’ vostra.» commentò Clint, l’unico che sembrava completamente rilassato e quasi estraneo alla situazione, mentre sorseggiava il suo caffellatte con l’aggiunta di panna e caramello.
«Oh sì, scusa se mi sono sentito male. La prossima volta vedrò di morire d’infarto, così voi potrete tenere d’occhio il fratello pazzoide del dio del tuono.»
«Se è per questo potrebbe essere anche colpa di Hulk; è lui che è piombato al piano di sotto dalle scale.» aggiunse Thor.
«Ah mi dispiace, ma mi rifiuto di entrare in questa discussione. – commentò Bruce Banner – Qualsiasi cosa abbia fatto quell’altro io non ne sono responsabile e non ho nessuna intenzione di chiamarlo in causa ora che finalmente mi sto godendo il mio latte e cioccolato.»
«Sentite, è inutile continuare a discuterne. Oramai quello che è successo è successo. Possiamo dimenticare per un po’ e goderci questa mezza vittoria? Se e quando Loki combinerà qualche danno, lo riaffronteremo. Fino ad allora… Agli Avengers.» dopo quel discorso Natasha sollevo il suo bicchiere e tutti gli altri, chi con più e chi con meno voglia, la seguirono brindando con quelli che non erano affatto alcolici, ma poco importava.


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Cofee shop
N° parole: 571 
Rating: Verde

Allora, appena ho letto coffe shop ho pensato a loro cinque, ma le alternative erano due: o creavo una scena completamente a caso, oppure dovevo trovare un momento in cui loro cinque potessero essere tutti assieme e poi ecco che mi è venuta in mente la proposta di Tony a fine Avengers e la scena dopo i titoli di coda. Tutto stava a trasformare lo shawarme in un caffè e quale occasione migliore se non ficcarci di mezzo gli eventi di Endgame?

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Capitolo 8
*** Appuntamento al buio ***


Appuntamento al buio

«Sam, dico sul serio, non è proprio il caso.» protestò, ma l'altro uomo non sembrava affatto preoccuparsi di quelle sue lamentele, anzi lo spintonò avanti colpendolo proprio in mezzo alle possenti scapole.
«Tu prima vai e ci provi... Poi decidi se è o no il caso.»
Steve scosse la testa, indispettito. Ultimamente Sam Wilson e il suo insistente comportamento gli ricordava maledettamente Bucky nell'ultimo periodo felice insieme, cinquant'anni prima. Con l'unica differenza che in quel momento non aveva nessuna intenzione di conoscere una donna, perché sentiva ancora quell'orribile sensazione di tradimento addosso ogni volta che ci provava. 
Peggy, il suo unico amore, era bloccata in un letto; vecchia, carica di rughe, con i suoi meravigliosi occhi da cerbiatta che si stavano spegnendo pian piano. Il tempo per lui si era fermato quando era rimasto intrappolato nel ghiaccio, ma per lei era andato avanti, aveva continuato a scorrere come sabbia incontrollabile di una clessidra.
Anche lei gli aveva detto di andare avanti, di trovare l'amore in qualcun'altra che non fosse lei, eppure lui non ci riusciva.
Si ritrovò davanti alla donna, una splendida figura dai capelli ramati e dagli occhi del colore di prati estivi; che fino a poco prima erano posati su di lui, ad ammirarlo, per questo Sam l'aveva mandato da lei.
«Ah... eh... Bella serata, vero?» provò a dire, non sapendo come cominciare il quella chiacchierata forzata, una cosa che una volta riuscita a gestire.
«Oh sì proprio una bella serata. – rispose lei con un sorriso, mentre le si illuminavano gli occhi nel vederlo accanto a sé – Io sono Karen.» si presentò, porgendogli la mano.
«Steve.» rispose lui.
«Oh, sì sì... Lo so, cioè non che sia una di quelle pazze invasate, ma...»
«Tranquilla, non c'è nessun motivo per giustificarsi. Comprendo il fatto di essere conosciuto ormai da tutti qui.»
«Beh... Le foto al Memorial Museum aiutano molto.» ribatté nuovamente lei, con un tono ironico, come a cercare di rompere il ghiaccio; eppure quella conversazione non poteva essere più gelida di così.
Era chiaro ad entrambi che non c'era affatto feeling tra di loro e non tanto perché Steve inizialmente non aveva intenzione di impelagarsi in quel approccio. Piuttosto perché avevano davvero pochi argomenti di cui parlare, poche passioni in comune e soprattutto mezzo secolo di differenza. Perché nonostante dimostrasse trent'anni, la sua mentalità e il sto modo di approcciarsi e relazionarsi con le persona era d'altri tempi.
Non c'era nulla da fare, quella cosa degli appuntamenti al buio o del costringerai a trovare una compagnia dell'altro sesso, non faceva per lui. Non era la prima volta che le cose in quell'ambito andavano storte e sapeva che non sarebbe stata l'ultima.
Tornò da Sam appena un ora dopo e quasi non sentì i suoi commenti ironici su come fosse incapace con le ragazze; mentre lui ordinava un drink.
Non era tipo da affogare i dispiaceri nell'alcool; e poi quali dispiaceri, lui non voleva nemmeno parlare con quella ragazza. No, lui in quel momento aveva bisogno di bere per evitare la noia, per distrarsi da quella specie di festa in cui lui si sentiva fuori posto.


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Fake dating
N° parole: 505 
Rating: Verde

Se devo essere sincera non mi fa impazzire questa one-shot, ma non sapevo proprio cosa tirare fuori. Le alternative erano questa oppure l'ennesimo appuntamento con meetic di She-Hulk o Jennifer; ma visto che abbiamo avuto un'intera puntata dedicata a questo, non mi sembrava il caso.
Comunque spero che comunque vi possa essere piaciuto e prometto d'impegnarmi di più per la one-shot di domani XD

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Capitolo 9
*** Un pomeriggio allo zoo ***


Un pomeriggio allo zoo

«Guarda Happy, guarda!» esclamò la bambina tirando la manica della giacca elegante dell'uomo di fianco a lei, indicandogli con l'indice dell'altra mano una delle zone adibite agli erbivori della savana in cui una giovane giraffa che tentava di raggiungere uno dei rami dell'albero che le stava proprio di fronte. Essendo più piccola, le sue riserve di fogliame si trovavano più in basso rispetto a quelle delle altre giraffe, ma lei non se ne curava affatto e tendeva la sua lingua blu per afferrare una foglia e portarsela alla bocca.
Happy sorrise all'entusiasmo della piccola e dopo averle rivelato che molto probabilmente l'animale era piccolo come lei, le diede un buffetto sul capo scuro e le porse la mano.
Morgan l'afferrò e i due proseguirono il loro itinere attraverso lo zoo.Quel pomeriggio Pepper Potts era impegnata in uno delle solite riunioni per la gestione delle aziende Stark che da quando era mancato Tony erano diventate sempre di più e sempre più insostenibili. Per questo la donna aveva suggerito ad Happy di portare Morgan a divertirsi un po' e quando l'uomo aveva chiesto alla bambina dove volesse andare, lei aveva prontamente risposo lo zoo.
Si fermarono davanti alla gabbia delle tigri, eppure nessuno dei quattro possenti animali che si trovavano in quella zona, sembrava vedersi.
«Happy dove sono gli animali?» chiese la piccola, scrutando tutta l'area con sguardo sottile.
«Non lo so, forse sono a mangiare o magari stanno facendo un riposino...» commentò lui.
«Uffaaa, ma io voglio vederliiii...» protestò la bambina, stringendo più forte il braccio attorno al suo pupazzo di Iron mano da cui non si separava mai.
«Io no... – un bambino di fianco a loro, teneva stretta la mano della mamma, osservando con sguardo impaurito la gabbia – A me le tigri fanno paura.» spiegò con la sua vocetta carica di nervosismo.
«Io non ho paura! – gli rispose Morgan, coraggiosa, tirando fuori il petto – E poi Happy è la mia guardia del corpo. Vero Happy?» il suo sorriso birbante e i suoi pro fondi occhi scuri si posarono sul suo accompagnatore.
«Certo Morgan, ma non credo potrei proteggerti contro una tigre.» scherzò lui, facendo ridere anche la madre dell'altro bambino.
Da quel momento i quattro proseguirono la visita allo zoo insieme. I due bambini, che avevano quasi la stessa età, precedevano i due adulti, che comunque li tenevano sempre d'occhio, correndo da una zona all'altra non appena credevano di aver visto qualcosa muoversi. Spesso erano falsi allarmi, altre volte si ritrovavano davanti a meravigliosi e maestosi animali che passeggiavano nella loro gabbia o che mangiavano tranquillamente, non curanti di tutti gli occhi che li guardavano dall'altra parte delle recinzioni.
Videro rinoceronti e scimmie, suricate ed elefanti. Riuscirono ad accarezzare alcuni cervi e rimasero incantati per parecchi minuti davanti alla gabbia del leone che dormiva tranquillamente. Cercarono senza alcun successo a far muovere un'iguana e salterrarono di gioia davanti a due panda rossi che mangiavano dei pezzi di mela.
«Davvero tu hai una guardia del corpo?» domandò ammirato il nuovo amico di Morgana alla bambina, non appena si fermarono davanti alla vasca degli ippopotami.
«Certo! – rispose lei, nuovamente con quel tono profondamente orgoglioso – Prima era la guardia del corpo del mio papà, ma ora è la mia!»


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Bodyguard
N° parole: 529 
Rating: Verde


Allora... è da un po' che vedo questa fan art meravigliosa in cui Morgan con in braccio il pupazzo di Iron man chiede ad Happy che vuole un cheeseburger e c'è lui che piange... Perciò volevo fare la mia versione di questa scenetta e quando mi è capitata quest'occasione l'ho presa al balzo. Spero perciò che vi sia piaciuta :)

 

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Capitolo 10
*** Il cavaliere d'acciaio ***


Il cavaliere d'acciaio

Pepper si massaggiò la tempia, sorseggiando il suo drink. Quando era più giovane evitava come la peste quel tipo di ricevimenti, ma da quando lavorava per Tony Stark era diventata quasi routine e di certo non si poteva rifiutare di parteciparvi; soprattutto da quando anche i media sapevano della loro relazione. Una relazione che ormai andava avanti da anni e che l'aveva vista affrontare party bene peggiori di quello in cui si trovava in quel momento. Se c'era una cosa che sapeva fin da subito del suo futuro marito, era che oltre ad essere un borioso egocentrico, amante delle feste, non sapeva reggere l'alcol e questo spesso l'aveva portato a rovinare i suoi stessi eventi.
Quella sera però, era un giorno speciale per loro, perché nemmeno un paio di ore prima, alla rassegna stampa che avrebbe dovuto vedere l'annuncio ufficiale dell'arrivo di Spider-man negli Avengers, Tony aveva invece annunciato il loro fidanzamento; chiedendole di sposarla davanti ad una sfilza di giornalisti e fotografi entusiasti dello scoop esclusivo.
Non aveva la più pallida idea di come avesse fatto ad organizzare un ricevimento in così poco tempo, visto e considerato che solitamente quelle incombenze spettavano a lei, ma non si stupì comunque più di tanto; in fin dei conti lui era Tony Stark, gli bastava alzare la cornetta, aprire il portafogli e tutti accorrevano.
Ora però la confusione a quella festa stava diventando insopportabile e come se non bastasse lei aveva perso di vista l'unico motivo per cui era lì. In realtà si sarebbe lasciata andare, si sarebbe anche potuta divertire, se solo quell'imbecille dell'uomo che, misteriosamente, amava si fosse fatto vedere. Eppure la festa era cominciata da quasi mezz'ora e di lui neanche l'ombra; solo una miriade d'invitati che ogni due tre si avvicinavano a lei e la fermavano, facendole le congratulazioni per le imminenti nozze.
«Meravigliosa come sempre signorina Potts.» si voltò, incrociando finalmente i suoi occhi castani, sembrava incredibilmente sobrio, nonostante avesse in mano un bicchiere di quello che sembrava scotch.
«Tony...» riuscì solo a dire, poi lui le prese il flut di spumante dalle mani e poggiò entrambi i contenitori di vetro, ancora pieni, sul vassoio di uno dei camerieri del catering, che passò lì vicino.
«Che ne dice di un ballo?» le propose e, senza attendere la risposta la trascinò in mezzo alla sala, dove già molta gente si muoveva a ritmo di musica e qualcuno già in preda all'alcol.
I due si sistemarono l'uno di fronte all'altra, cominciando a danzare. Insomma danzare per modo di dire, muovevano i piedi a ritmo, mentre lui le teneva le braccia alla vita e lei attorno al collo.
«Allora signorina Potts, cosa mi racconta?» domandò sornione.
«Tony, hai chiesto la mia mano davanti ai media e probabilmente davanti a tutti gli Stati Uniti, non sarebbe il caso di cominciare a chiamarmi per nome?» lo provocò lei, anche se doveva ammettere che le piaceva quel tono per metà formale e per metà confidenziale con cui si rivolgeva a lei.
«Beh sì, lo ammetto, forse sarebbe il caso... Anche perché tra poco sarai la signora Stark...» quel commento le strappò un sorriso.
«Suona bene.» 
«Oh suona più che bene. – confermò lui, strattonandola verso di sé con la sua ferrea presa – Sarai la moglie di Iron man.»
«Il mio cavaliere dall'armatura d'acciaio.» scherzò lei, per poi prendere possesso delle sue labbra.


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Dancer
N° parole: 548
Rating: Verde


Lo so, qui di danza c'è poco e niente, ma è stato più forte di me! Adoro la Pepperoni (come la chiama RDJ) e quando ho letto il prompt di oggi non ho potuto fare a meno di immaginarmeli che danzavano assieme. E quale occasione migliore di quel fidanzamento che abbiamo visto solo di sfuggita alla fine di "Spider-man Homecoming"?

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Capitolo 11
*** Il Magico Albero ***


Il Magico Albero

Al centro del bosco vi era la loro meta, ne erano sicuri, o almeno lo erano quando erano partiti per quell’assurda missione. Ormai erano giorni che vagavano tra gli alberi, spesso perdendo il sentiero e mettendoci ore a ritrovare la giusta via; tanto che la speranza di trovare il centro nevralgico dell’immensa distesa di altissime piante stava scemando di giorno in giorno.
La loro compagnia era parecchio variegata: un uomo, un elfo, un orco, un animale fatato e un kappa con poteri psichici. Ognuno di loro aveva bisogno di chiedere un desiderio al Magico Albero della foresta, perciò avevano deciso di intraprendere quel viaggio assieme.
«Tu sei sicuro che lo troveremo qui, vero?» domandò esasperata la piccola palla di pelo, era un animale fatato, ossia uno di quelli che avevano ricevuto il dono della parola, un procione per l’esattezza.
«Sentite, sono stanco quanto voi. L’uomo alla locanda aveva detto che è qui, l’avete sentito anche voi tre giorni fa. – sbottò l’uomo – Perché non lo chiedete a Gamora?»
«Che c’entro io?» chiese l’elfo femmina, voltando lo sguardo scuro, in contrasto col suo incarnato smeraldino, che quasi si mimetizzava in quella distesa verde.
«Beh, sei un elfo no? Non dovresti sentire la magia che emana l’albero?» rispose nuovamente l’uomo sollevando le spalle, come se la sua fosse stata un’innocente constatazione.
«Se è per questo anche Drax con il suo fiuto da orco potrebbe sentirne l’odore.» commentò il kappa, la sua voce era tranquilla e distaccata, come se pensasse costantemente ad altro.
«Manthis tu non puoi sentire i pensieri dell’albero magico?» la voce gracchiante del procione, attirò l’attenzione del kappa.
«No… Ed è strano, perché dovrebbe essere l’unico albero senziente di tutto il bosco.»
«Forse parla una lingua che non conosciamo.» suppose l’elfa.
«Oppure è mimetizzato…» aggiunse l’orco.
«Drax, è un albero in mezzo ad un bosco, per forza è mimetizzato.»
«Un momento… Forse ho sentito qualcosa! – esclamò il kappa femmina, bloccando l’avanzata di tutto il gruppo e sondando l’aria coi suoi poteri psichici – Qualcuno conosce un certo Groot? Credo si stia presentando, ma non so a chi.»
«Forse è l’albero. Segui la voce Manthis!» 
Dopo vari minuti in cui il gruppo s’inoltrò ancora di più nel folto della foresta, dietro ai passi incerti del kappa, si ritrovarono di fronte ad una radura completamente spoglia di qual si voglia albero, se non per un piccolo trinchetto proprio al centro.
«Ma qui non c’è nulla. Manthis cosa accidenti ha seguito!» protestò il procione.
«Me l’avete detto voi di seguire la voce.»
«No aspettate…» intervenne l’elfa, interrompendo il battibecco che si stava creando, per poi avvicinarsi al piccolo tronco. Questo, non appena fu sfiorato dalle dita verdi della creatura si mosse, aprendo un paio di occhi tondi e vitrei nella parte alta. 
«Io sono Groot!» disse il tronchetto, emettendo una voce quasi bambinesca, dopo che una linea sottile nella zona in cui ci sarebbe dovuto essere il viso si spaccò, mostrando la bocca.
«Sei tu l’Albero Magico?» domandò l’orco avvicinandosi.
«Io sono Groot.» fu nuovamente la risposta del piccolo alberello.
Vani furono i tentativi dei cinque membri della compagnia di cercare di capire se fossero nel posto giusto e se quel piccolo agglomerato di linfa e corteccia parlante fosse il fantomatico Albero Magico, perché questi continuava a rispondere solo quelle tre parole “io sono groot”.
Dopo una buona mezz’ora, per disperazione, il procione si era offerto di mangiarsi quell’insopportabile pianta, ma Peter lo fermò.
«Gamora ha detto che forse non parlava la nostra lingua. E se fosse questo il suo unico metodo di comunicare?» propose l’uomo.
«È quindi che cosa dovremmo fare?» si lamentò ancora la creatura fatata.
«Forse ci basterà esprimere i nostri desideri e lui lo realizzerà.» disse Manthis e a quel commento, l’arco si avvicinò nuovamente al piccolo albero.
«O piccolo grande albero magico, per favore esaudisci il mio desiderio e fammi riunire alla mia famiglia.» disse.
«Io sono Groot» rispose l’albero magico, muovendo i rametti che fungevano da braccia. Pochi secondi dopo dal limitare della radura apparvero due orchi, una era evidentemente una femmina e l’altro era più piccolo e tozzo, forse il figlio. Nella commozione e nello stupore di tutti, Drax abbracciò i suoi familiari che erano morti anni prima.
Pian piano tutti e cinque chiesero che venisse realizzato il loro desiderio. Gamora chiese la libertà di sua sorella che non vedeva da mesi; Rocket chiese una quantità incredibile di gioielli da poter barattare; Manthis chiese di poter controllare il suo potere e Peter chiese di trovare l’amore.
Fu all’ultimo desiderio che, con un sospiro, il piccolo albero si spense pian piano, sussurrando il suo ultimo “Io sono Groot”. Proprio mentre Gamora posava il suo sguardo su Peter, come fosse la prima volta.


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Fantasy
N° parole: 760
Rating: Verde


Qui stava tutto nella realizzazione della giusta trasposizione da cinecomic a fantasy... Dovevo trovare un gruppo di personaggi che bene si adattasse a questa trasformazione AU, quindi siamo tornati sui "Guardiani della Galassia" o in questo caso (per citare il grande Tolkien) "La compagnia dell'Albero Magico". Ovviamento dovevo anche trasformare quelli che erano alieni in creature fantasy e spero di esserci riuscita. 

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Capitolo 12
*** Il sapore del sangue ***


Il sapore del sangue

Il Diurno, così era conosciuto da tutto il mondo dell’occulto; un mondo pieno di oscurità, sangue e morte. Non aveva mai saputo nemmeno cosa fosse la tranquillità. Lui era nato da un padre vampiro e da una madre umana e per questo motivo era braccato sia dai cacciatori che dai vampiri, eppure a sua volta era il miglior cacciatore di succhiasangue che fosse mai esistito sulla faccia della terra. Forte, agile e violento come loro, ma allo stesso tempo senza la debolezza del sole. Ora però vi era un’altro vampiro che sembrava aver acquisito le sue stesse capacità e sebbene non ne conoscesse la causa o il come fosse nato, sapeva che il suo unico obbiettivo era abbatterlo. Non sapeva però, che questo avrebbe cambiato il suo modo di vedere i vampiri.
Si era appostato in una grotta dove sapeva la creatura della notte si rifugiava durante i momenti di riposo e attese con pazienza, gli occhiali da sole, l’impermeabile nero e la sua pelle scura lo mimetizzava ancora di più; anche se sapeva che proprio come lui, la visione notturna del suo nemico sarebbe stata una carta a suo svantaggio.
Quando avvertì i suoi passi leggeri scialacquare nell’umidità della grotta, si lanciò rapido addosso a lui con tutte le intenzioni di tranciargli la testa di netto con la lama della sua spada. Il vampiro però evitò prontamente l’attacco, emettendo uno stridio acuto, tipico di quelle creature quando si sentivano minacciate.
«Come osi? Sai chi sono io?!» lo minacciò con voce gracchiante.
«No e non m’interessa. Mi basta sapere che sei uno sporco vampiro.» ribatté lui senza nessuna remora, scagliandosi di nuovo contro il nemico, puntando questa volta al petto. 
Il vampiro si parò con la mano, che fu subito ferita al polso in un copioso schizzo di sangue che macchiò i vestiti di entrambi i combattenti. Nel subire la prima ferita il vampiro sembrò caricarsi di rabbia e si lanciò a sua volta contro il cacciatore.
«Hai sfidato il vampiro sbagliato umano.» lo minacciò non sapendo di trovarsi di fronte a un suo pari.
Lo scontro andò avanti per parecchi minuti, forse anche per una buona mezz’ora. Il sangue usciva ormai copioso da qual si voglia ferita dei due. Fosse da quelle sulla pelle scura di Blade, provocate dai denti e dagli artigli del vampiro, o su quella bianca e perlacea di Morbius, su cui il sangue faceva un netto contrasto. Il vampiro capì in fretta che si trovava di fronte ad un suo simile, nel momento in cui tentò di morderlo e trovò sangue freddo, per niente simile a quello umano.
All’ennesimo colpo, Blade ebbe la meglio, atterrando il suo nemico contro il pavimento roccioso e ormai scivoloso del misto di acqua, fango e sangue della grotta. Il petto di Morbius si alzava e si abbassava in un moto più involontario che altro, visto che era difficile che ad un vampiro mancasse il respiro.
«Avanti… Uccidimi, ho fatto più male che bene in queste mia seconda vita. Il sapore del sangue ha cambiato qualcosa in me. Ho ucciso il mio migliore amico che mi aveva salvato la vita.» biasciò, i suoi occhi rossi e iniettati di sangue, improvvisamente parvero tristi e delusi.
Blade però non gli diede il colpo di grazia, si limitò a tenerlo premuto a terra, minacciandolo con la lama.
«Non ho nessuna intenzione di ucciderti. Se decidi di passare dalla mia parte avrai salva la vita.» gli disse con tono duro e risoluto.
«Dalla tua parte…?»
«I Figli della Mezzanotte è un gruppo di cacciatori di vampiri e demoni di cui faccio parte. Se mi giuri che non ti comporterai più da creatura della notte, ma anzi darai la caccia ai tuoi simili. Ti lascerò andare.» questa volta l’uomo allentò un po’ la presa su di lui, allungandogli una mano, come a voler chiedere che fosse stretta in modo da suggellare il loro patto.
«Va bene – rispose semplicemente il vampiro, afferrandogli al mano – le mie zanne sono a tua disposizione.»


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Demon Hunter
N° parole: 654
Rating: Arancione


In realtà non sono sicura sia rating arancione, per quanto sangue si vede è davvero poco descritto...
Comunque, eccoci qua con questa storia all'inizio ho pensato a qualcosa di completamente originale, poi informandomi su Wikipedia ho scoperto che Morbius e Blade si erano davvero scontrati e che poi Morbius si era unito appunto ai Figli della Mezzanotte. Perciò ho deciso semplicemente di scrivere la mia versione dello scontro (anche perché non so affatto come sia andato nei fumetti originali).

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Capitolo 13
*** Un nuovo battito ***


Un nuovo battito

Era passato quasi un anno da quando tutto il mondo si era dimenticato di lui, o meglio, della sua parte più riservata. Ovviamente tutti sapevano chi era Spider-Man, il fantomatico e amichevole eroe di quartiere che aiutava la polizia a catturare i criminali, che aveva aiutato gli Avengers a sconfiggere Thanos e che aiutava chiunque ne avesse bisogno. E sebbene il “quartiere” si fosse allargato, in quell’arco di tempo la sua fama non era cambiata; J. Jonah Jameson continuava a screditarlo come eroe, mentre lui per racimolare qualche soldo aveva cominciato a lavorare in incognito per lui, fingendo di paparazzarsi, i newyorkesi continuavano ad adorarlo e lui continuava ad alternare la vita di super eroe da quella di un normale collegiale.
In tutto quello però, gli mancava da impazzire MJ. Sì, perché da quando si era dimenticata di lui, o meglio di Peter Parker, per via dell’incantesimo di Strange, lui non aveva più avuto il coraggio di dirle la verità; non poteva metterla nuovamente in pericolo in quel modo. Pian piano il suo infinito amore per lei si era affievolito, come una candela che brucia ardentemente fino a quando la cera non finisce e rimane solo lo stoppino annerito. Le voleva bene e sapeva che avrebbe fatto di tutto per lei, ma lei a malapena lo conosceva e i loro rapporti si erano inesorabilmente raffreddati. Per questo quando incontrò quella biondina dai modi saccenti che gli ricordava maledettamente lei, cambiò tutto.
Era stato invitato ad una festa, una di quelle classiche feste da confraternita in cui si invitava ogni tipo di ragazze e si bevevano fiumi di birra scadente. Non sapeva con esattezza il perché avesse accettato, forse aveva solo bisogno di sfogarsi un po’ e staccare dagli impegni di Spider-Man o semplicemente voleva ballare e scatenarsi fino a che non fosse stanco; una cosa che non si era mai goduto appieno, visto che tutte le feste del liceo, per un motivo o per l’altro se l’era perse.
Nonostante tutto però, si rese conto ben presto che quel tipo di eventi non facevano per lui. Alla seconda birra già aveva la nausea di quel sapore di malto e la musica era talmente alta che non riusciva nemmeno a tentare di conversare con qualcuno. Esasperato salì le scale, sperando di trovare il bagno o una stanza in cui chiudersi e riprendersi dal primo accenno di mal di testa; sembrava quasi che il suo “Peter prurito” stesse impazzendo in quel caos.
Con le prime due porte non ottenne niente, una era chiusa a chiave e l’altra fece appena in tempo ad aprirla e vedere due che ci stavano dando dentro alla grande che richiuse imbarazzato, scusandosi.
La terza fu la volta buona, doveva essere una specie di sgabuzzino, ma gli sarebbe andato più che bene, stava per entrare quando lei gli schizzò affianco, si getto dentro il ripostiglio e dopo averlo trascinato con sé chiuse la porta.
«Uff… – sbuffò – Giuro non li sopportavo più quel branco di boriosi là fuori.» disse con voce ironica.
Nella penombra dello sgabuzzino, Peter riusciva a vedere appena la sua chioma bionda e due occhi chiari, anche se in quella situazione non avrebbe saputo dire se fossero azzurri o verdi.
«Mi chiamo Gwen comunque, Gwen Stacy.» si presentò, porgendogli la mano. Ricordava una Gwen, gliene aveva parlato Peter tre, forse, era la sua ragazza prima che…
«Peter Parker.» rispose lui, cercando la sua mano nel buio e scacciando qualsiasi pensiero riguardo ai suoi alterego nel multiverso.
«Scusa se ti ho trascinato qui dentro, ma sinceramente mi sembravi anche tu alla ricerca di un posto in cui nasconderti.» disse lei e finalmente Peter notò il suo gentile e aggraziato della sua voce, nulla a che vedere con il tono di voce cupo e impaurito che aveva MJ.
«Ah, fa… fa niente.» rispose, cominciando a sentirsi leggermente nervoso. Era chiuso in uno sgabuzzino, nella semi-oscurità, con una ragazza. Una ragazza che aveva tutta l’aria di essere carina e che potenzialmente sarebbe potuta diventare la sua ragazza, visto che un’altro Peter Parker di un altro universo aveva avuto dei rapporti con lei.
«Lo sai, sembra quasi stiamo giocando a sette minuti in Paradiso.» scherzò lei, dando però conferma ad ogni suo dubbio e insicurezza. Sette minuti in Paradiso, quel dannato e stupido gioco che facevano gli adolescenti quando volevano dare un attimo d’intimità a due che a malapena si conosceva sperando che nascesse qualcosa. In quei giochi le ragazza solitamente sognava un meraviglioso e lento bacio, mentre i ragazzi immaginavano una sveltina. 
A lui non interessava nessuna delle due in quel momento, eppure era sicuro che il suo cuore batteva un nuovo battito, un battito che suonava come il nome della ragazza che aveva di fronte. Gwen Stacy.


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Room mates
N° parole: 778
Rating: Verde


Perdonate il mio ritardo, purtroppo (come ho avvisato su Instagram) ho avuto dei problemi con il computer da risolvere e sono riuscita a scrivere e postare solo ora. Comunque sono in ritardo solo di mezz'oretta XD
So anche che non sono stata molto in tema col prompt di oggi e che ritrovarsi nello stesso sgabuzzino non significa proprio essere compagni di stanza; ma sognavo di fare una Peter (Tom) x Gwen da una vita e quindi ne ho voluto approfittare. Spero vi sia piaciuta.

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Capitolo 14
*** Agenti in pausa ***


Agenti in pausa

Se ne stavano seduti su uno dei muretti che costeggiavano la via, sorseggiando due caffè presi al bar lì affianco. Sicuramente al locale avevano attirato l’attenzione, insomma non passavano certo inosservati un uomo con una faretra e un’arco sulle spalle e una donna in un aderente tutina nera e una pistola alla cintura; senza considerare che erano entrambi pieni di lividi e con qualche piccola ferita già incrostata. Eppure nonostante le occhiate e i bisbigli nessuno fece domande ai diretti interessati che, dopo aver pagato le loro bevande, se n’era usciti con molta tranquillità.
Non riuscivano a farlo tutti i giorni, anche perché non sempre avevano entrambi la stessa missione o erano anche solo nello stesso luogo. Ma da quando l’uno aveva risparmiato la vita all’altra a Budapest, avevano pian piano cominciato a legare e pian piano erano diventati inseparabili.
Presto lei sarebbe dovuta partire per una missione per conto dello S.H.I.E.LD. un agenzia segreta che trattava di minacce mondiali; sarebbe dovuta andare sotto copertura dal genio, miliardario, playboy, filantropo Tony Stark, nonché Ironman a controllarlo, fingendosi una segretaria e tentando di arruolarlo. Anche lui lavorava già alla stessa agenzia, ma attualmente gli avevano lasciato un po’ più di campo libero sulle missioni da scegliere.
Avevano appena concluso una missione, che più che da spie era stata da vigilanti. Una banda di criminali, tra cui un ricercato per spaccio di droga e qualche rapina, stava facendo il buono e il cattivo tempo da qualche mese e loro si erano presi la briga di andarli a cercare e farli trovare già tutti catturati all’arrivo della polizia, che chiamarono poco prima con una soffiata. Una cosa che facevano spesso quando non avevano nulla da fare; poi si concedevano il loro caffè e la loro chiacchierata.
«Tony Stark, eh?» domandò Clint, buttando giù un lungo sorso del suo caffè bollente.
«Spero sia meno borioso di come appaia nei notiziari, altrimenti avrò un bel daffare.» ribatté Natasha, il suo tono era ovviamente scherzoso, ma anche leggermente preoccupato.
«Ah, se conosco il tipo… È possibile sarà anche peggio.» la prese in giro lui e alla sua espressione contrariata le diede un leggero spintone divertito.
«Tu invece dove andrai? Tornerai a casa?» 
«Sì. Ho promesso a Laura che avrei risistemato il granaio e visto che lo S.H.I.E.LD. non mi ha affidato ancora nulla penso che tornerò a casa.»
«Senza considerare che non vedi Lila da quanto? Tre mesi?» aggiunse la rossa, ricordando la piccola trottolina che sgambettava sempre in contro al padre ogni qual volte era stata invitata a casa Barton.
«Cinque e sì, mi manca. Chissà quanto è cresciuta. E poi Cooper dovrebbe nascere tra qualche mese e non posso lasciare Laura proprio ora.»
«Mi sembra giusto.» concluse Natasha, accartocciando il suo bicchiere ormai vuoto e saltando giù dal muretto.
«Beh, allora alla prossima Nath, salutami Fury se lo vedi e mi raccomando rendi la vita insopportabile a quel borioso di Stark.» scherzò, seguendola in quel piccolo balzo e sorridendole, strappandole una smorfia simile a sua volta.
«Lo farò. Tu salutami Laura e Lily e ti prometto che appena avrò anche io un attimo libero verrò a trovarvi.»
I due si congedarono, non sapendo con esattezza quando si sarebbero rivisti. Una cosa era certa, sapevano che dopo quello che era accaduto a Budapest, la loro amicizia sarebbe durata per sempre.


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Spy
N° parole: 542
Rating: Verde


Con questo avrei potuto fare una bella scena action, magari raccontare nel dettaglio la fantomatica situazione a Budapest che conosciamo solo a pezzi (soprattutto grazie al film di Balck Widow), però ho pensato che loro due meritavano una one-shot tranquilli e assieme, perché da questo momento (o quasi) in poi hanno sofferto tutti e due tantissimo e la loro amicizia meritava di essere raccontata, anche in modo leggero come con una semplice chiacchierata.

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Capitolo 15
*** Io sono un dio ***


Io sono un dio

Questa cosa del multiverso, delle squarci temporali e della TVA gli era letteralmente sfuggita di mano. O forse era lui che stava completamente perdendo il lume della ragione a forza di scervellarsi per trovare una soluzione a quel gran pasticcio che Sylvie aveva provocato nel momento in cui aveva ucciso Kang. Altrimenti non si sarebbe spiegato ciò che si era ritrovato davanti.
Era stato spedito da Mobius, assieme a una squadra speciale di una cinquina di uomini a controllare una linea temporale con qualche problema e dopo aver attraversato il portale giallo con gli adepti della TVA, o meglio della ex TVA, si era ritrovato in mezzo a uno sconfinato deserto.
Parecchi metri più avanti, forse anche un chilometro circa, gli sembrò di vedere l’unica forma di vita in tutto quell’ammasso di sabbia bianca e rovente.
Borbottando le sue rimostranze e maledicendo il biondo che aveva deciso di affibbiargli quella missione, cominciò a muoversi dando ordini alla squadra, un privilegio che Mobius in realtà non gli aveva dato, ma che lui si era preso comunque non potendo nascondere quel suo orgoglio intrinseco nel suo essere.
Man mano che si avvicinava la figura si faceva più nitida e fino all’ultimo Loki credette fosse un miraggio. L’uomo, almeno credeva fosse un’uomo vista la voce, sebbene fosse parecchio acuta e leggermente nervosa; era vestito di tutto punto. Indossava un abito elegante tipico da una serata di gala lì sulla Terra, ma era completamente bianco: dalle scarpe al pantalone, anche giacca, panciotto, camicia e cravatta erano bianchi; per non parlare della maschera che portava addosso. Un copricapo bianco che gli copriva testa e volto, come quelle stupide maschere che usavano i supereroi per nascondere le loro identità. Questi sembrava letteralmente parlare da solo, seduto su una sporgenza del deserto, conversava amabilmente con l’assoluto nulla e sembrava stesse contrattando qualcosa.
«Oh perfetto ci mancavano anche i pazzi.» commentò Loki, a voce forse un po’ troppo alta. A quella sua constatazione infatti l’uomo si voltò di scatto con un verso impaurito dopodiché tirò fuori da dietro la giacca due paletti.
«Chi… Chi sei? Cosa vuoi?» domandò leggermente titubante.
«Tranquillo. – rispose Loki sollevando le mani, sebbene il suo aspetto e il suo abbigliamento asgardiano, a cui si era rifiutato di rinunciare, non lo aiutava certo a dargli un aria affidabile – Tranquillo… Non starò qui a spiegarti il motivo per cui sono venuto, ma diciamo… Che è solo un controllo.» cercò di spiegarsi.
«Un controllo? Un controllo di che?» Loki doveva intuire le espressioni del suo interlocutore dal tono della sua voce, perché il volto era completamente coperto.
«Mi chiamo Loki. – si presentò, portandosi la mano al petto come ad indicarsi – Principe di Asgard e dio dell’inganno, ma…» non ebbe il tempo di continuare la sua spiegazione, perché l’uomo in bianco lo interruppe di nuovo.
«Dio dell’inganno? Oh perfetto! Ci… Ci mancava un altro dio. Sai che ti dico Mark? Pensaci tu, io sono stanco.» dette quelle parole, il costume dell’uomo mutò. La modernità di quel completo bianco sparì, mostrando un costume fatto di bende, che ricordava molto una mummia dell’antico egizio, decorato da una lamina d’oro sul petto e da un mantello; mantenendo comunque il colore candido.
«Ah, vedo che anche tu te la cavi con le illusioni.» sogghignò l’asgardiano, ma anche stavolta non ebbe tempo di dire altro perché lo sconosciuto si avventò su di lui con il pugno serrato.
Loki, pronto ad ogni evenienza aveva già fatto una sua copia che stava in quel momento conversando con l’uomo e non appena questi la colpì la sua sagoma sparì, mentre i cinque uomini della TVA imbracciarono le armi.
«No, fermi. – li bloccò il dio – Non ce n’è bisogno.»
«Cosa vuoi da me? Ne abbiamo abbastanza di dei ipocriti che se ne approfittano. E poi non hai affatto l’aria di un dio, sei forse l’avatar di questo Loki?»
«Avatar? Di che parli io sono un dio. Sono cresciuto ad Asgard e sono figlio di Odino.» si trattenne dal rivelargli anche la sua parentela con Thor, odiava anche solo il pensiero di essere paragonato a lui.
«Odino?! – chiese quasi trattenendo una risata la mummia bianca – Intendi il dio norreno. Oh beh, perfetto. Quindi oltre agli dei egizi abbiamo anche gli dei norreni. Beh, grazie mille Khonshu per averci avvisato!» l’ultima frase dell’uomo fu rivolta al cielo, o al nulla più assoluto, perché la urlò rivolgendosi verso l’alto e portandolo a cercare questo Khonshu anche lui. Ma oltre a loro due e ai cinque soldati non c’era assolutamente nessuno in quel deserto. Ne dedusse che fosse completamente pazzo, visto che vedeva persone che non c’erano e soprattutto che parlava di se stesso al plurale.
«Dei egizi?» domandò confuso Loki e in quel momento l’uomo tornò ad avere il completo elegante, mentre la sua voce tornò ad essere più acuta e meno rude.
«Sì beh… Scusaci per averti aggredito così, ma sai… eravamo nel bel mezzo di una specie di… Lascia stare. Sono Moon Knght, avatar di Khonshu, dio egizio della luna.»


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Deity
N° parole: 822
Rating: Verde


Siete confusi? Beh lo sono anche io XD Non credo che Loki e Moon Knight si potrebbero mai incontrare, ma appena ho letto il prompt ho pensato ad un loro incontro ed ho cercato di incastrare un po' le loro storie, ovviamente penso non ci sia bisogno di dirvi che non sono brava a fare certi intrecci come l'MCU e che questa è solo una gag simpatica.
Detto ciò, volevo avvisarvi che molto probabilmente (ma ne sono sicura solo all'80%) nei prossimi due giorni potrò non riuscire a postare, perciò nel caso mi vediate sparire vi prometto che recupererò tutto martedì ;) 

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Capitolo 16
*** Una pessima studentessa ***


Una pessima studentessa

Wanda prese un grosso respiro, preparandosi all’ennesima ramanzina. Anzi no, la preside non era tipa da ramanzine, lei era capace di farti sentire in colpa con poche parole ben studiate. Forse era merito del suo incredibile talento da Strega, per questo motivo era stata eletta preside della scuola di magia più famosa dell’intera nazione. 
Una cosa era certa, da un lato non poteva più permettersi di fare sgarri o rischiava seriamente l’espulsione, dall’altro lato però era talmente stufa di praticare magia base quando sapeva che i suoi poteri e le sue capacità andavano ben oltre quegli insulsi insegnamenti che spesso si trovava quasi inconsciamente a giocare con la sua magia. Quel giorno era stato uno di quei casi; il professore di magia l’aveva sorpresa a muovere le dita e l’aveva fermata in tempo prima che una penna infilzasse l’occhio di un suo compagno. Forse quel dettaglio non l’avrebbe riferito alla preside.
Bussò alla porta in mogano che dava sull’ufficio della professoressa Harkness.
«Signorina Maximoff, è la terza volta in un mese che la spediscono nel mio ufficio.» disse l’anziana donna vedendo la ragazza dai capelli rosso fuoco superare la soglia dello studio, dopo essere stata invitata ad entrare.
«Professoressa Harkness, non è colpa mia se il professor Strange non mi sopporta.» sbuffò la ragazza, accomodandosi ad una delle sedie di fronte alla scrivania e poggiando i piedi sopra il mobile.
«Wanda...» il tono della preside divenne duro e lei con un sbuffo riabbassò le gambe.
«Dico sul serio. Il professor Strange è troppo rigido, ogni volta che gioco un po’ lui...» la giovane studentessa aveva cominciato a muovere lentamente la mano e dalle sue mani cominciò a baluginare una luce rossa.
«Signorina Maximoff, questa scuola di magia è una delle migliori del paese e il professor Strange è stato nominato Stre...»
«Stregone Supremo, sì lo so.» completò la frase della professoressa.
«E saprai anche che tu hai un potenziale incredibile. Sei una delle migliori strega che abbiano mai attraversato questi corridoi, ma se non t’impegni non riuscirai mai a controllare la tua magia.» continuò la preside con la voce gracchiante, mentre un ciuffo bianco le scivolava dall’acconciatura che la caratterizzava.
«È proprio questo il problema. Alle sue lezioni ho sempre l’impressione che i miei poteri vengano limitati. Gli altri fanno già gli esercizi del controllo mentale e della materia, mentre io mi limito a far lievitare gli oggetti o a volare. Quando lui sa benissimo che sono capace di fare tutto.» sbottò la rossa, il suo tono si era fatto irritato.
«Talmente capace che la scorsa volta hai quasi staccato un dito dalla signorina Sefton.» il tono della donna era rimasto duro e calmo. Quel tipico tono che faceva sempre sentire Wanda fuori posto. Agatha Harkness era l’unica donna in quella maledetta scuola che non riusciva in nessun modo a manipolare, o anche solo a contestare. Sistematicamente lei la metteva davanti alla realtà e le impediva qualsiasi protesta.
«E va bene, farò quello che mi dice il professor Strange... – disse emettendo un lungo sospiro e alzandosi dalla sedia – Ma giuro che se alla prossima lezione mi fa spostare ancora i cuscini da un lato all’altro dell’aula gli faccio ingoiare il suo accidenti di Sling Ring!» aggiunse, per poi voltarsi ed uscire nuovamente dalla porta, non notando che quella sua battuta aveva strappato un sorriso di orgoglio sul volto della vecchia preside.


Angolo dell'autrice:
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Prompt: Magic School
N° parole: 552
Rating: Verde


Beh oggi sono riuscita a postare! Non sono ancora sicura se ce la farò anche domani, ma al massimo o posto la notte oppure posto entrambi gli aggiornamenti martedì. Comunque sia eccoci qua con una nuova one-shot AU. In questo caso con la scuola di magia ho pensato subito a Wanda e Agatha (ovviamente qui Agatha Harkness è quella anziana dei fumetti) e con un Doctor Strange che in questo caso è diventato un Professor Strange XD

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Capitolo 17
*** Imperdonabile ***


Imperdonabile

Stava volteggiando sulle strade di New York, lanciando le sue ragnatele sintetiche prima su uno e poi sull'altro edificio, come faceva praticamente sempre quando decideva di indossare il suo costume per affrontare i criminali di quella città e proteggerne i civili, i classici impegni da amichevole Spider-Man di quartiere.
Questa volta però non era affatto una missione di quel genere, il suo mente in subbuglio e il suo cuore ferito stavano gridando alla vendetta e lui non sapeva se ascoltarli oppure cercare il lume della ragione. Aveva sperato per tre anni che quel momento non arrivasse mai, il momento in cui, nonostante i crimini commessi, Henry Osborn venne rilasciato. Le sue ricchezze erano incommensurabili e i suoi avvocati fidati; era stato grazie a loro che aveva pagato la cauzione, uscendo così dal carcere.
Quella causa per parecchio tempo era stata la sua ossessione, non per altro ma perché ne era rimasto coinvolto in prima persona e nonostante questo non potete nemmeno testimoniare, visto che una testimonianza di Peter Parker sarebbe risultata falsa dato che lui non era lì nei suoi abiti civili al momento del reato dell'amico. Lasciò qualche dichiarazione come Spider-Man, la la sua fama si era fatta un po' meno credibile da quando era sparito per parecchi mesi e cosa poteva fare un supereroe che aveva messo a soqquadro un'intera centrale elettrica contro uno dei più famosi magnanti ereditari di New York? L'unica prova a favore della sua condanna era stata il corpo privo di vita di lei, ma anche in quel caso fu facile puntare sul tragico incidente.
Eppure lui lo sapeva, sapeva perfettamente com'erano andate le cose e sapeva che lui non se lo meritava. Sì, forse una volta era il suo migliore amico, forse una volta l'avrebbe perdonato e avrebbe capito la sua disperazione; ma ogni fibra del suo corpo gli urlava che lui non si meritava lo scarceramento. Berna, anzi no, il suo alter ego Green Goblin, aveva annullato ogni sua gioia, ogni sua speranza ed ogni goccia fiducia nel valore della loro amicizia. Per mesi aveva tirato avanti senza quasi più la voglia di vivere, sbattendosi da una parte all'altra come un automa, abbandonando persino il suo cost7me da Spider-Man in un angolo dell'armadio. Tutto perché lui gli aveva ucciso la sua unica ragione di vita. Era colpa sua se Gwen, la sua Gwen, era morta e lui dopo appena tre anni di carcere era uscito con la cauzione pagata.
Atterrò sul tetto del vecchio basso fabbricato nella periferia che aveva scelto appositamente lontano dal centro abitato in modo che il loro scontro non potesse nuocere a nessuno e lo vide lì, su quel suo stramaledetto aliante elettronico, ad aspettarlo. Sogghignava con quel suo sorriso perfido e deforme, la pelle, ancora di più dell'ultima volta che l'aveva visto, aveva assunto una colorazione verdognola e malaticcia e alcune parti del collo e degli zigomi avevano cominciato a mostrare le prime scaglie.
Lui non era più Henry Osbron, non era più il suo migliore amico delle medie. Quello di fronte a lui era Green Goblin, il suo peggior nemico.


Angolo dell'autrice:
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Prompt: Enemy
N° parole: 517
Rating: Verde


Eccomi qua, incredibilmente in tempo per postare prima della fine della giornata. Allora, la one-shot di oggi doveva essere un vero e proprio scontro, o meglio io ero partita con questa intenzione quando mi ero preparata la scaletta per tutto il writetober... Poi oggi, quando mi sono messa a scrivere, sono andata ad istinto e si è trasformato tutto in un momento riflessivo di Peter prima dello scontro decisivo. Ovviamente non credo ci sia bisogno di dirvi che si tratta dello Spider-Man di Andrew Garlfied. Spero comunque vi sia piaciuta :) 

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Capitolo 18
*** Il capo ha detto così ***


Il capo ha detto così

«Ehi bro! Come butta?» l’uomo entrò nel passo fabbricato alzando la mano in segno di saluto, mentre l’altra era infilata nella tasca del pantalone della tuta rossa. 
«Uno schifo! Il capo ha spedito metà della banda a prendere i due Robin Hood e non sono ancora tornati.» sbuffò un’altro, che era seduto su un cilindro di latta arrugginito, mentre sorseggiava una birra.
«Come di nuovo? Pensavo che aveva risolto con quelli lì.»
«Non ne ho idea amico, il capo ha detto così e loro hanno eseguito.» rispose ancora quello, facendo spallucce. Intanto, l’ultimo arrivato si avvicinò al frigo sbilenco e dopo averlo aperto prese anche lui una delle lattine di birra che c’erano dentro.
«E il capo? È su in ufficio o…?»
«No, no. Lui è uscito mezz’ora fa, credo sia andato a risolvere delle questioni personali, non ne ho idea. Credo centrasse un’altro di quegli insopportabili super eroi.» 
«Aaah… Quelli là escono fuori come funghi, fratelli!» intervenne un’altro uomo in tutta rossa. Fino a poco prima se ne stava sotto una delle auto parcheggiate lì, ad aggiustare la marmitta. 
«Già, ci rendono il lavoro difficile…» rispose quello seduto sul bidone, finendo la birra e accartocciando la lattina e gettandola per terra.
«Oh fratelli! Tenete pulito! Già questo posto è un porcile!» l’ennesimo uomo, un po’ più robusto degli altri; raccogliendo la lattina e gettandolo con un tiro preciso dentro un cassonetto dei rifiuti a qualche metro di distanza.
«Bel tiro!» si complimentò il meccanico.
«Grazie… Comunque mi ha chiamato la squadra dicono che i due arcieri li hanno messi alle strette e stanno tornando.» 
«Nel senso che tornano qui a mani vuote? Il capo non ne sarà contento.» gli altri due fecero un cenno di assenso, vedendosi d’accordo con quello che aveva parlato.
«Lo so, ma abbiamo già affrontato quei due a Natale e non è andata bene, il capo se ne farà una ragione spero…» cercò di giustificare i compagni in missione, ma si rendeva conto che era impossibile, perché nella loro banda contraddire il capo significava all’ottanta per cento morte.
«Ah, io la vedo male. Soprattutto se il capo torna dal suo scontro con il nuovo supereroe da perdente. A proposito chi è?» domandò quello ancora in piedi vicino al frigorifero, che aveva finito la sua birra con un lungo sorso, concludendo la frase con un sonoro rutto.
«Un certo tipo vestito da diavolo. Una cosa un po’ strana per un eroe.» rispose quello seduto sul bidone.
«Non mi stupisco più di come ragionano questi. Pare che siamo noi i cattivi, quando nemmeno due anni fa Ronin ci decimava.»
«Già e si definiva un eroe…»
A quel commento una decina di uomini in tuta rossa entrarono nel capannone. Quasi tutti avevano le tute sporche e sgualcite, altri si tenevano parti del corpo a seconda di dove
erano feriti e altri ancora avevano il volto tumefatto da sangue e lividi.

«Porca puttana, ero! Cosa vi è capitato?!» urlò quello vicino al frigo che si gettò subito ad aiutare i compagni, seguito dagli altri tre che erano rimasti al magazzino.
«Non erano soli i bastardi. C’erano altre due persone con loro…» biasciò il più vicino a lui, l’uomo notò che quello che aveva al braccio non era gesso, ma una specie di tela che gli bloccava l’arto al corpo.
«Due persone?» chiese l’uomo robusto, sostenendo uno che aveva ancora una freccia conficcata alla gamba.
«Sì, un tizio vestito da diavolo che picchia davvero come un demonio e quell’uomo ragno.» rispose nuovamente lo stesso che aveva parlato prima.
«Quindi il capo…»
«È stato lui a dirci di andare via, ora sta tornando.»


Angolo dell'autrice:
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Prompt: Mafia
N° parole: 583
Rating: Verde


Allora, siate sinceri... Potevo fare un qualcosa di diverso col prompt di oggi? Una delle cose più spassose della serie di Hawkeye è stata la mafia in tuta, non potevo non approfittarne e fare un siparietto comico e patetico con questi qui. 
Detto ciò perdonate il ritardo di oggi, tra impegni personali e soglia dell'attenzione che oggi è a livelli minimi, ho fatto seriamente fatica a mettermi a scrivere.

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Capitolo 19
*** Cuore e mente ***


Cuore e mente

Era sempre stara super impegnata anche prima, insomma suo marito non era uno che s’impegnava più di tanto nel lato burocratico e gestionale. Non per questo prima ancora che si frequentassero in quel senso l’aveva assunta come sua segretaria, mentre lui si occupava solo di ideare, finanziare e dare ordini.
L’unico periodo in cui si erano dimenticati di tutto, dedicandosi solo a loro stessi e al loro rapporto, furono i cinque anni in cui la popolazione terrestre, e universale, era stata decimata. O meglio un po’ meno di cinque anni, perché per i primi mesi ci fu l’agonia della sua assenza e la paura di non rivederlo più, poi quando tornò ci fu il periodo di riabilitazione in cui lui si dovette ristabilire dopo quei mesi nello spazio. Ma gli altri quattro anni e qualche mese furono solo loro, almeno fino a quando non arrivò la luce dei loro occhi: Morgan. Era stato Tony a decidere il nome e lei non aveva obbiettato, le piaceva e dava un aria da futura guerriera alla sua meravigliosa bambina.
Ora però, si ritrovava di nuovo in ufficio, a dover gestire ogni maledetto appuntamento, ogni documento, ogni dannata denuncia che un qualche incompetente mostrava al primo segno che per un qualche apparecchio c’erano dietro le Stark Industries. Si domandava come avesse fatto fino a quel momento, cosa facesse effettivamente Tony nel gestire tutte quelle situazioni che ricordava erano sotto la sua responsabilità anche allora. 
Forse era la sua sola presenza a darle energia, il fatto che potesse sempre contare su di lui, nonostante la sua svogliatezza e irresponsabilità. Lui c’era sempre, perché non solo era il suo capo, ma era anche il suo compagno di vita, mentre ora lei era sola. L’unica persona che aveva accanto era sua figlia, il suo piccolo angelo che con quei capelli scuri e occhi profondi e castani le ricordava costantemente lui. Però Morgan era piccola, aveva appena cominciato la scuola, non era certo in età da ufficio per poterle dare una mano; anzi spesso lei stessa si sentiva in colpa ad essere costretta a rimanere su quella dannata scrivania, piuttosto che passare del tempo con sua figlia.
Aveva Happy, ma anche lui era molto impegnato e, adesso si trovava in una situazione spinosa col ragazzo coi poteri da ragno e la rivelazione della sua identità. Spesso si ritrovava a seguire le vicende sui notiziari, le poche volte che aveva tempo per farlo, ma purtroppo non poteva occuparsene lei; sperava solo che la cosa si risolvesse in fretta, soprattutto per la saluta mentale del povero diciassettenne. Sapeva bene cosa significava essere sotto i riflettori, lei ci era finita una miriade di volte quando Tony aveva dichiarato ai media di essere Iron man e conosceva il fastidio di non avere più una vita normale.
Completamente distratta da milioni di pensieri, che quel giorno più di altri l’assillavano, la donna decise che quel giorno non avrebbe più letto neanche una misera e-mail. Era troppo stanca e non vedeva l’ora di tornare a casa e stringersi alla sua bambina fino a che entrambe non si sarebbero addormentata sul divano vedendosi un cartone animato alla televisione.
Sistemò tutti i documenti nei cassetti, dividendo quelli che aveva già controllato, firmato, timbrato in quelli che invece doveva ancora visionare; dopodiché spense il computer e staccò l’hard disk esterno, infilandolo in borsa, una precauzione che aveva sempre preso da quando lavorava per la più importante azienda di tutta l’America, se non di tutto il mondo. Si alzò, prese il cappotto dall’attaccapanni ed uscì dal suo ufficio, non prima di aver spento la luce e aver chiuso a chiave la porta a vetro, su cui ancora vi era il nome di TONY STARK.


Angolo dell'autrice:
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Prompt: Office
N° parole: 611
Rating: Verde


Anche qui ho fatto fatica a scrivere, non tanto perché non avevo voglia o perché non sapevo come scriverla, ma piuttosto perché la morte di Tony per me è ancora una ferita aperta. Ricordo ancora le lacrime infinite che ho versato quella notte in cui ho visto Endgame al cinema. Comunque se avete notato ho messo anche una mezza citazione a "Spider-Man No Way Home", così da farevi capire in che momento della storia dell'MCU è ambientata questa one-shot.

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Capitolo 20
*** Un negozio speciale ***


Un negozio speciale

Era il primo negozio errante nello spazio. Il giovane albero aveva noleggiato una grossa navicella che poteva girare da un lato all’altro della galassia; spettava ai suoi clienti trovarlo, per poter acquistare i suoi fiori.
La sua merce, le più belle piante che crescevano in ogni angolo dell’universo. Si era fatto aiutare dai suoi ex compagni dei Guardiani della Galassia per progettare nel modo perfetto tutta l’astronave. 
A seconda del clima che avevano bisogno determinate piante c’erano zone apposite che simulavano il clima del pianeta da cui provenivano. Quello più grosso era il settore A, quello col clima mite della Terra e del pianeta su cui lui era nato; lì regnavo fiori meravigliosi: dai gigli, alle orchidee, dall’ibisco alla semplice margherita. Il settore B era una piccola zona gelata dove crescevano i fiori della notte, dei fiori tipici di un pianeta ghiacciato ai limiti dell’universo, di cui lui aveva fatto scorta per poterci tornare il più tardi possibile per rifornirsi.
Ma la sua zona preferita era sicuramente il settore C, quello dei fiori tropicali; e non tropicali come quelli della terra, ma quelli particolari dei pianeti più misteriosi. Quella zona era un agglomerato di colori sgargianti, petali grossi e carnosi, pistilli carichi di polline; un vero spettacolo per gli occhi.
Il suo negozio di fiori era perfetto e rappresentava tutto ciò che adorava fare. Girare l’universo scoprendo nuove pianeti e nuove forme di flora galattica, per raccoglierli e classificarli. Si era pure fatto una piccola stanzetta che aveva adibito come suo ufficio, in cui conservava un rametto di quando era giovane in un vaso e un grosso tomo che usava come erbario e in cui segnava tutte la nuove scoperte. Quando visitava un pianeta nuovo e trovava qualche nuovo fiore o seme per la sua collezione, ne dedicava una pagina, annotando le informazioni di volta in volta. Aveva raccolto in un cassetto tutti i rami che perdeva quando faceva la muta della corteccia e dopo averli carbonizzati un po’ su una candela li usava per disegnare e scrivere sulla carta.
Spesso qualche cliente passava lì a fianco con la sua navicella, oppure ci si trovava per caso. A loro bastava mandare un messaggio non appena fossero nel suo raggio di radar e lui si fermava, lasciandoli entrare nella sua astronave e permettendo loro di comprare i fiori che volevano.
Una volta aveva servito persino un’asgardiana. Solitamente loro non si muovevano con le navicelle, ma questa stava cercando proprio lui e le aveva rivelato di aver girato nello spazio per quasi due settimane prima di trovarlo. Comprò una serie infinita di fiori che quasi gli decimò le serre, perché doveva organizzare un grande matrimonio su Asgard.
Lui comunque non si faceva molti problemi a vendere i suoi fiori, d’altronde era quello l’obbiettivo di un negozio: vendere e guadagnare. Inoltre il rapporto qualità prezzo del suo negozio era impareggiabile e a lui piaceva vedere il volto soddisfatto dei suoi clienti e la sua cassaforte carica di ogni tipo di moneta galattica, che solitamente usava in parte per acquistarne altri, in parte per togliersi qualche sfizio.
Il tutto con un enorme sorriso e con il solito “Io sono Groot” ad accogliere ogni cliente.


Angolo dell'autrice:
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Prompt: Flower Shop
N° parole: 523
Rating: Verde


Questa one-shot è stata una delle più divertenti di questa raccolta. Non tanto per come è scritta, insomma alla fine è una mera descrizione; ma piuttosto per il tema. Mi sono divertita un mondo ad immaginare Groot su questa sua enorme navicella che si prende cura delle piante e le vende. Penso che sarebbe una cosa carinissima, come un programma di pensione quando smetterà di fare il Guardiano della Galassia. Voi che ne pensate? Vi è piaciuta?

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Capitolo 21
*** Il fatidico incontro ***


Il fatidico incontro

«Co… cosa? Presentarmi ai tuoi?!» il ragazzo, che solitamente si mostrava duro e sicuro di sé, ebbe un brivido nel sentire e poi ripetere, la proposta di quella che ormai da qualche mese era la sua ragazza.
«Andiamo… – rispose lei con un meraviglioso sorriso, spostandosi una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio – Da quando qualcosa ti preoccupa?» 
«No è che… E poi scusa tuo padre…» forse poteva cercare una scusa per non presentarsi a quell’appuntamento.
«Oh beh, diciamo che… non so come, ma papà ha provveduto anche a quello.» gli rispose con un mezzo ghigno la ragazza, rimettendosi lo zaino in spalla, pronta a dirigersi alla prima lezione del pomeriggio.
«In che senso ha provveduto anche a quello? – certo, doveva aspettarselo, d’altronde era stato lui ad innamorarsi della figlia della mente più geniale dell’ultimo mezzo secolo – Ha creato una specie d’intelligenza, o robe simili prima di…?»
«Lo scoprirai stasera. Ah, e mi raccomando vestiti bene o lui si arrabbierà.» lo rimbeccò lei, ampliando il sorriso e lasciandolo in mezzo al corridoio come un ebete.
«Aspetta lui chi…?!» tentò di chiedere, ma fu tutto inutile.

Quella sera si presentò all’attico del grattacielo Stark, in cui Morgan abitava con la madre, vestito di tutto punto, forse anche troppo per il suo stile, e con in mano una bottiglia di vino; giusto per non presentarsi a mani vuote.
Fu proprio la fidanzata ad aprirgli e quando lo vide con giacca e cravatta, scoppiò a ridere.
«Ma come accidenti ti sei vestito?!» lo prese in giro, facendolo diventare rosso di vergogna.
«Me lo hai detto tu di vestirmi bene…» protestò.
«Sì, ma non come un quarantenne! Avanti togliti questa!» gli suggerì lei, allentandogli la cravatta dal collo e togliendogliela, per poi arruffargli un po’ i capelli e gettare in un angolo l’indumento appena levato.
Dopodiché lo accompagnò nel soggiorno, dove ad attenderli cera la madre di Morgan.
«Dave, finalmente ti conosco.» lo accolse lei con un meraviglioso sorriso.
«È un piacere signora Stark.» disse lui in leggero imbarazzo, stringendole la mano, poi le porse la bottiglia di vino.
«Spero che tu non beva, vero? Perché né tu ne Morgane avete ventuno anni.» una voce alle sue spalle lo fece sobbalzare; tanto che ringraziò il cielo che la donna aveva già afferrato saldamente la bottiglia altrimenti sarebbe andata in frantumi sul pavimento. Si voltò e vide un bel ragazzo, alto e slanciato; poteva avere all’incirca 25 anni o giù di lì e dai suoi muscoli sotto la maglietta attillata era chiaro facesse palestra. A quella vista, Morgan sbuffò di fianco a lui.
«Lo sai che non bevo… Rompiscatole.» puntualizzò la ragazza facendogli poi una smorfia.
«Piacere, Peter Parker.» si presentò il ragazzo, lasciando il povero Dave leggermente confuso. Nonostante lui fosse abbastanza impostato e atletico, non poteva certamente competere con un ragazzo più grande; eppure era sicuro che Morgan fosse figlia unica, senza considerare che non avevano nemmeno lo stesso cognome. Allora chi era quello lì?
«Piacere io sono Dave…»
«Dave Thompson. Lo so. Ala destra della squadra di basket, buoni voti eccetto in biologia e condotta ottima.» il ragazzo snocciolò le sue informazioni scolastiche, nemmeno avesse letto i registri, osservandolo con sguardo penetrante attraverso un paio di lenti leggermente blu.
«Non ci credo! Hai di nuovo usato E.D.I.T.H. per stalkerarmi?!» protestò Morgan al suo posto, che invece era rimasto sconvolto.
«Beh, tuo padre me li ha dati per un motivo signorina.» la prese in giro lui, picchiettando con l’indice la montatura degli occhiali.
«Sei impossibile.»
«Ti voglio bene anche io, pulce.» gli sorrise il ragazzo, un sorriso talmente gentile che avrebbe sciolto il cuore di chiunque; tanto che Morgan dovette arrendersi e, dopo un sospiro, fece delle presentazioni come si deve.
«Dave, questo è Peter, si può dire che è il mio fratello adottivo. Era il pupillo di papà quando era ancora vivo e… beh, si è convinto che ne deve fare le sue veci da quando non c’è più.»


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Parents
N° parole: 637
Rating: Verde


Sin dall'inizio, da quando ho letto il tema di questo prompt, volevo fare un qualcosa con Morgan che presenta il fidanzato. Le alternative però era varie: da una what if in cui Tony era ancora vivo a una vera e propria intelligenza artificiale che ne facesse le veci. Poi però ho pensato che Tony Stark, prima di morire, aveva già creato un'intelligenza artificiale per Peter ed ecco che nasce l'idea del fratellone (oltretutto la trope di loro due che si comportano da fratelli è sempre stata una delle mie preferite nelle headcanon dell'MCU). Ovviamente lascio a voi la fantasia su come questa relazione possa esistere, se gli avvenimenti di "No Way Home" non siano mai avvenuti, oppure tutti si sono davvero dimenticati chi fosse Peter Parker e lui ha dovuto riconquistarsi la fiducia di Morgan e Pepper.

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Capitolo 22
*** Fredda passione ***


Fredda passione

Farsi assumere era stato relativamente facile, nonostante avesse attirato l'astio di molte ragazze che erano lì da molto più tempo, ma servivano ancora ai tavoli, in mezzo a ricchi boriosi, figli di papà e dipendenti esauriti; tutti con un tasso alcolico troppo alto già dopo nemmeno mezz'ora che si sedevano al tavolino. D'altronde però, quello era il ruolo di un locale del genere, distrarre gli uomini disperati e per metter loro di sfogarsi tramite l'alcol e le belle ragazze. 
Ciò che però le altre dipendenti non sapevano era che lei si era fatta assumere solo per portare a termine il suo compito e non appena l'avrebbe svolto sarebbe sparita. Purtroppo però non fu altrettanto facile conquistarsi la fiducia sia del suo datore di lavoro che del suo obbiettivo. L'uomo si recava al locale ogni venerdì sera, ma lei per dimostrare di essere una dipendente seria doveva esibirsi tutta la settimana, il che voleva dire prendersi del tempo per gestire la missione e perché no, divertirsi un po'. D'altronde era sempre stato il suo sogno diventare una ballerina, anche c'era un po' di differenza tra la danza classica e la pole-dance.
Oltre ad essere l'invidia delle cameriere, ben presto lo diventò anche delle altre ballerine. La sua sensualità, i suoi completino neri e la sua chiama rosso fuoco attiravano gli uomini come api al miele e lei riceveva sempre piufisch i, ululati e complimenti rispetto a tutte le altre. Per non parlare dei soldi che le allungavano, quelli erano i suoi extra a cui non avrebbe mai rinunciato.
Finalmente dopo quasi un mese di lavoro, il suo obbiettivo si decise ad avvicinarla. Fu facile per lui ammaliarlo e abbindolarlo, nel momento in cui dopo l'ennesima volta che la vedeva ballare le aveva porto un biglietto e da cento, lei invece di prendere la banconota gli afferrò il polso e lo strattonò verso di sé. 
«Di un po', bel maschione, che ne dici di andarcene in un privét solo io e te?» gli domandò, con voce calda e suadente. Lo sentì subito accaldarsi e dopo aver balbettato qualche scusa poco convincente, aveva chiesto ad uno dei proprietari una delle stanze in cui i clienti più "esigenti" potessero appartarsi con le ballerine.
Il posto era perfetto. Sul tavolo di fianco a un divanetto c'era un secchio con ghiaccio, al cui interno vi era una bottiglia di champagne e due bicchieri, dalle casse arrivava una musica ritmata e al centro della saletta faceva bella mostra un palco con due pali e una specie di altalene fissata al soffitto.
Lasciò sedere l'uomo, continuando ad adularlo con voce sexy e movimenti lascivi. Poi, quando lui bevve il secondo bicchiere di champagne, si diresse al palo e cominciò a danzare nel modo più sensuale ed erotico potesse. Cominciò a percepire il sudore imperlarle la pelle, soprattutto quella scoperta e mentre il suo corpo pian piano si accaldava, la sua mente diventava sempre più fredda e calcolatrice. In ogni suo movimento sinuoso contro il palo di ferro, non distoglieva mai lo sguardo azzurro dall'uomo. A lui poteva sembrare uno sguardo bramoso e voluttuoso, ma per lei era solo la sua miglior interpretazione.
Si era scolato quasi tutta la bottiglia quando, completamente in preda all'ormone, l'aveva fatta cadere per terra, mandandola in frantumi e si era gettato su di lei come un lupo famelico. La sua reazione fu fulminea.
Lo afferrò per i polsi e lo bloccò a terra, ebbro dell'alcol e dell'ormone non sarebbe riuscito a reagire nemmeno se lei avesse messo la metà della forza. Si allungò verso uno dei pezzi di bottiglia, il più adatto, e gli tagliò la gola.
Con le mani ancora grondanti di sangue si portò un dito all'orecchio per attivare la ricetrasmittente che da Lia un mese si era messa tutti i giorni.
«Qui Natasha Romanoff, obbiettivo eliminato.»


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Poledancer
N° parole: 628
Rating: Giallo


Scusatemi per il ritardo di questi aggiornamenti, purtroppo ieri non ho avuto proprio il tempo, inoltre oggi ho fatto la quarta dose di vaccino e sono particolarmente stanca. Nonostante tutto ho recuperato, quindi ecco il primo aggiornamento.
Ovviamente non potevo, non dedicare una scena del genere ad un momento da spia di Natasha, mi sembrava super adatto allo stile da Vedova Nera. In fin dei conti anche alla sua prima apparizione di Avengers l'abbiamo vista alle prese con una missione di seduzione contro i nemici.

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Capitolo 23
*** Il costo da pagare ***


Il costo da pagare

«L'hai fatto?»
«Sì»
«Quanto ti è costato?»
«Tutto»


Quella conversazione lo tormentava tutte le notti, ma nonostante questo non si pentiva affatto di ciò che aveva fatto. Il suo ideale era per il bene dell'Universo e sapeva che primo o poi con il passare del tempo ogni essere, uomo, donna o bambino, lo avrebbe ringraziato per quel gesto.
Quello schiocco di dita aveva dato la possibilità a tutti i sopravvissuti di vivere in pace, senza morire di fame o di povertà. Molti pianeti avevano già ricominciato a vivere, a riorganizzarsi; altri erano rimasti più scossi, troppo radicati ai sentimenti per rendersi conto che l'economia, la società e la politica sarebbero migliorate.
Anche lui si era dedicato al rinnovarsi. Si era ritirato lì per trovare pace, per dedicare anima e corpo alla cura di se stesso. Il guanto dell'Infinito stava in un angolo della capanna in cui viveva, le gemme baluginavano al sole dell'alba del tramonto; in attesa di essere riutilizzate.
Lui però l'aveva totalmente ignorato sin da quando era arrivato al Giardino. Tutto ciò a cui si era dedicato, invece fu la coltivazione per il suo fabbisogno.
Se la notte veniva tormentato dalla solitudine, il giorno si distraeva coltivando i suoi immensi campi e allevando i suoi animali. La mattina seminava, arava e irrigava; mentre il pomeriggio mungeva le capre.
Era tutto perfetto, un mese di pace assoluta sia interiore che esteriore. Un mese di lui e della sua vita, quella che avrebbe sempre voluto fare sin da quando era nato, quella vita che aveva visto distruggersi nel momento in cui il suo pianeta era finito nella disperazione per sovrappopolazione e mancanza di viveri, quella vita che aveva regalato a tutto l'Universo.
Decise che quella sua scelta doveva essere irreversibile, che non poteva più farsi tentare dagli incubi, dai sensi di colpa o anche solo dalla smania di potere. Così quella mattina, indossò per la seconda ed ultima volta il guanto dell'Infinito e schioccò le dita, pensando intensamente solo ad una cosa: distruggere tutte e cinque le gemme.
Fu la sua condanna, perché non passò nemmeno una settimana che loro arrivarono. Fu come un battaglione che si accanisce su un solo soldato; forse una volta avrebbe combattuto, li avrebbe annientati uno per uno, ma ora non più. Non aveva più motivo di combatterli, lui aveva fatto il suo dovere; inoltre quell'ultimo desiderio espresso alle gemme l'aveva logorato fisicamente. Il dolore era stato indescrivibile, era partito dalle due dita e si era irradiato lungo tutto il lato sinistro, come una scossa radioattiva.
La soddisfazione però, di vedere le loro facce disperate nello scoprire che erano arrivati troppo tardi, gli permise di mantenere il sorriso, anche quando quell'inutile dio del tuono, gli mozzò la testa, mettendo fine alla sua vita.
Finalmente si sarebbe ricongiunto con la sua bambina, finalmente avrebbe rivisto la sua Gamora. Non c'era più nulla che gli importasse; l'ingratitudine dell'Universo, l'idea per cui aveva dedicato un'intera vita, la sua fattoria, le sue capre. Nulla era paragonabile alla pace che gli aveva dato quel colpo d'ascia, una pace che i suoi nemici non avrebbero mai trovato, logorati da quella che loro credevano fosse solitudine.


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Farm
N° parole: 511
Rating: Giallo


Ed ecco qui il secondo aggiornamento, così da rimettermi in pari (a proprosito ho messo rating giallo solo per la testa mozzata, ma in realtà sarebbe tranquillamente verde). Devo dire che me l'ero immaginata diversa questa one-shot; più introspettiva e misteriosa, di quelle che mettono in dubbio che il cattivo sia veramente cattivo. Ma, forse perché Thanos è impossibile da perdonare, o forse perché sono troppo stanca, non sono riuscita a dare il mio massimo e a fare meglio di così. Spero comunque che vi piaccia.

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Capitolo 24
*** Braccato ***


Braccato

Non brillava certo d’intelligenza, questo purtroppo non lo poteva negare. Insomma, purtroppo era la sua natura, non ragionava come un animale, ma quasi; in fin dei conti non era un essere umano. Il suo amico Jack l’aveva avvisato di stare fuori dai guai e lui ci aveva seriamente provato, ma quella notte l’istinto aveva preso nuovamente il sopravvento.
Era in quello che era diventato il suo luogo sicuro; una rientranza nelle montagne, talmente carica di vegetazione da permettergli una buona copertura e soprattutto una perfetta mimetizzazione. Si era stabilito lì per quasi tre mesi e ci si trovava bene. Era il posto perfetto per raccogliere foglie da the e per cacciare; i conigli e gli scoiattoli abbondavano in quella zona e spesso li catturava e li cucinava a fuoco lento sul fuoco.
Quella notte però, mentre dormiva, rannicchiato nel suo angolino come un’enorme orso bruno fatto di muschio e licheni; sentì dei rumori diversi provenire dalla foresta. Sollevò leggermente l’enorme capo erboso, tendendo le orecchie e sondando la notte coi suoi occhi color brace, grandi come palle da tennis. Non vedeva nulla, eppure il rumore continuava; sembrava qualcuno che strisciava di soppiatto sul terreno soffice e carico di fogliame autunnale del sotto bosco, ma non era un animale. Erano passi troppo pesanti e troppo precisi per essere quelli di una qualche creatura.
D’un tratto un odore punse il suo naso e fece drizzare i tre tentacoli che gli scendevano dal muso. Il frusciare era cessato, ma in compenso un succulento sapore di carne arrostita gli fece venire l’acquolina in bocca.
Si alzò lentamente, ma nonostante cercasse di fare poco rumore, un energumeno come lui era difficilmente silenzioso; dopodiché si diresse verso il luogo da cui proveniva quell’invitante odorino. Fu in quel momento che venne braccato. Aveva appena avvolto le lunghe dita muschiose attorno al grosso cosciotto di maiale, quando una donna gli saltò in groppa con un urlo agguerrito, quasi inumano. Cercò di scrollarsela di dosso, ma questa pareva una furia, sicuramente era una cacciatrice. Credeva di essere spacciato, quando sentì la puntura di un dardo, o di una siringa, e il buio circondarlo.
Si svegliò però in un giardino, un immenso giardino con delle siepi a circondarlo, come una specie di strano labirinto. Non aveva idea di che trappola perversa avesse escogitato quella pazza che lo aveva catturato, ma doveva uscire da lì. Cominciò a muoversi e a guardarsi intorno, ma ogni qual volta cercava di abbattere un muro con la sua possente forza naturale, questa gli veniva mancare, come prosciugata da qualcosa. Si rese conto dopo parecchi tentativi che alla schiena aveva attaccata la peggior arma che un cacciatore potesse usare su un mostro come lui, la Bloodstone.
Non aveva possibilità di fuggire, era completamente braccati, fino a che non vide lui. Jack, il suo amico Jack Russell era venuto di nuovo a salvarlo. Poco importava che gli avesse fatto la ramanzina, che gli aveva detto di stare più attento e che lui non poteva sempre andare in suo soccorso; lui era lì, il suo migliore amico, assieme ad un’affascinante ragazza di nome Elsa. Chissà che magari tra loro due, nell’aiutarlo a fuggire, era scoccata una qualche scintilla. In quel caso avrebbe potuto dire di essere stato la causa dell’incontro e poi dell’amore tra un lupo mannaro e una cacciatrice.


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Supernatural
N° parole: 546
Rating: Giallo


Devo essere sincera, per questo prompt inizialmente avevo un altro progetto, ma purtroppo per mia ignoranza conoscevo poco i personaggi che avevo intenzione di utilizzare, quindi onde evitare di andare troppo fuori carattere o fuori storia ed offendere qualche fan Marvel più preparato, ho puntanto poi su questa one-shot.
Spero tutti voi abbiate visto "Licantropus" su Disney+ e sappiate chi sia il protagonista di questa breve storia; io ho trovato lo speciale molto bello e mi sono lasciata ispirare.

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Capitolo 25
*** Follow me ***


Follow me

«Buongiorno a tutti followers, io sono Ms. Marvel e oggi ho appena sventato una rapina!»
«Signorina, non dovrebbe fare video senza il permesso delle persone.»
«Oh tranquillo, non sono in live, sto registrando, le prometto che poi monto tutto in modo da censurare tutte le voci e le facce degli ostaggi. Tranne quella di questo cattivone! Fai un sorriso in camera?»
«Fot***i!»
«Uuuuh… Paroline taglienti. Immagino che qui avrete sentito un bel Bip! Coooomunque… Purtroppo non ho potuto riprendere l’azione, ero piuttosto impegnata, ma vi posso raccontare com’è andata. Aspettate, prima trovo un posto dove sedermi.»
FEW MOMENTS LATER
«Eccomi qua. Che bello stare al parco all’aria fresca… Cos’è che dovevo dirvi? Ah sì, vi dovevo raccontare com’è andata. Beh, stavo andando a scuola e no, non vi dirò in che scuola vado lo sapete ci tengo alla mia identità segreta e alla mia privacy. Comunque dicevo, stavo andato a scuola ed ad un certo punto sento le sirene della polizia. Perciò ho trovato un posto in cui cambiarmi e… Salve... Sto registrando un video… Scusate uno che faceva jogging qui al parco mi ha appena guardato malissimo… Comunque, dopo aver indossato il costume ho seguito le auto-pattuglie e li ho raggiunti alla banca centrale. Il rapinatore, quello che vi ho fatto vedere prima, aveva preso tutta la banca in ostaggio ed aveva già accumulato un bel po’ di soldi, ma… Beh lo sapete ormai, nessuno può nulla contro le mie manone. Sono andata lì dentro e gliele ho suonate di santa ragione. Principalmente l’ho riempito di schiaffoni, ma ad un certo punto… Avete notato prima che aveva una ferita alla testa? Beh sono stata io… Aveva ancora intenzione di scappare, quindi mi sono appesa al lampadario e allungando le braccia gli ho preso il collo tra le gambe e l’ho spedito contro la vetrata di uno sportello! È stato bellissimo! Inoltre credevo avrei dovuto ripagare la banca dei danni, invece il direttore mi ha ringraziato e mi ha stretto la mano, dicendo che erano tutti salvi grazie a me. Beh ora scusate, ma devo andare seriamente a scuola, altrimenti farò tardi un’altra volta. Alla prossima gente!»
FEW HOURS LATER
«Mi sono resa conto che questo video sarebbe stato troppo corto con solo il racconto della rapina sventata, perciò volevo anticiparvi una piccola chicca. Sì, ora sono di nuovo a casa col mio adorato green screen se non l’aveste notato, però ho voluto cambiare immagine di sfondo per rimanere in tema con questo annuncio.
Dovete sapere che la settimana prossima, rullo di tamburi… – *TRRRUUM* – Intervisterò la sola ed unica Captain Marvel! Lo so, lo so, sembra una follia, ma da quando siamo diventate alleate se può mi dedica sempre un po’ del suo tempo e… No, non è vero. Cioè è vero che la intervisterò, ma solo perché l’ho tormentata talmente tanto che ha dovuto accettare. Comunque nelle prossime settimane potreste vedere il video del secolo su questo canale! Io che parlo con Carol Denvers, alias Captain Marvel. Colei da cui ho preso il mio nome da supereroina. Ragazzi, non so voi, ma io non vedo l’ora.
Ok, credo che questa volta ho finito davvero. Alla prossima gente!»


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: YouTuber
N° parole: 520
Rating: Verde


Con un prompt del genere, non potevo non dedicarmi alla più giovane protagonista della Marvel che io conosca. Penso che Kamala si dedicherebbe volentieri a una carriera da vlogger, destreggiandosi tra scuola e vita da supereroina.
Inoltre ho voluto provare un nuovo approccio narrativo, mettendo solo il dialogo, proprio come se steste vedendo il video che lei poi ha caricato su YouTube. Unica precisazione, all'onomatopea del rullo di tamburi è lei che batte gli indici sulla scrivania.

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Capitolo 26
*** Sedotto da un dio ***


Sedotto da un dio

«Voleva vedermi, mio signore.» il ragazzo fece sbucare la testa dalla porta, leggermente intimidito. L’uomo era comodamente sdraiato sul suo enorme letto a baldacchino, a coprire la sua pelle diafana e il suo corpo marmoreo, solamente le lenzuola di seta.
«Entra, entra.» lo invitò, con un leggero cenno della mano.
Il ragazzo deglutì, facendo il suo ingresso negli alloggi del principe e chiudendosi la porta alle spalle. Sapeva bene cosa sarebbe successo di lì a pochi minuti, nonostante fosse la sua prima convocazione, altri servi della famiglia reale gli avevano raccontato le eccitanti avventure col principe Loki, lodandone soprattutto le prestanze fisiche. Lui però era ancora vergine da quelle esperienze, in tutti i sensi, era giovane e soprattutto imbarazzato.
Si avvicinò il più lentamente possibile, con le gote che bruciavano dal rossore; i suoi piedi erano pesanti e le gambe rigide.
«Avanti, mica mordo.» lo incitò lui, con un abbagliante sorriso è uno sguardo divertito. Il ragazzo rimase talmente incantato da quei due occhi azzurri come il cielo che non si rese nemmeno conto di essere già arrivato al letto. Non appena le sue ginocchia si scontrarono col materasso, perché l’altro l’aveva attirato a sé, comprese quanto volesse effettivamente essere lì.
Il suo corpo era quasi completamente scoperto, eccetto per la zona pubica, ed era davvero il corpo di un dio, talmente perfetto che veniva voglia di accarezzarlo per saggiarne la morbidezza e la pienezza. I capelli corvini che gli scendevano lungo il volto fine è che gli sfioravano le spalle avevano l’aria di essere così morbidi e setosi da voler intrecciare le dita tra di essi.
«Quanti anni hai?» domandò l’uomo, riportandolo a quel letto candido e a quelli occhi profondi come il mare.
«Ne... ne ho diciassette, signore.» rispose lui con un sobbalzo, quando le dita lunghe e affusolate dell’uomo si posarono sulla sua casacca, sbottonandola.
«Questa è la tua prima volta?» continuò a chiedere lui, la sua voce era calma e suadente. Non c’era curiosità o malizia nei toni, solo parole soffiate che aumentavano inspiegabilmente la sua eccitazione.
Rispose sono con un cenno di testa, avvampando di nuovo, mentre l’uomo continuava a dedicarsi ai suoi vestiti, o meglio a toglierli dal suo corpo.
«Bene... Adoro la carne fresca. Tu rilassati e lasciati sedurre.» 
Il ragazzo fece come chiesto e si rilassò leggermente. Eppure la tensione del suo corpo giovane, era evidente e il suo corpo febbrile. Più l’uomo si dedicava ad accarezzarlo, a baciarlo, più lui sentiva l’eccitazione pervadere la sua mente e le sue parti intime.
Il principe fu delicato e accurato in ogni suo gesto, le sue mani erano fredde e sinuose e le sue dita scoprirono in fretta ogni suo punto erogeno, facendolo sentire sempre più accaldato.
Solo dopo svariati minuti, forse anche una buona mezz’ora, di quelle delicate effusioni, Loki si scoprì completamente, mostrando al ragazzo ciò che fino a quel momento le lenzuola avevano celato alla sua vista. Gli prese con gentilezza la mano e lo lasciò esplorare la sua intimità per altri minuti, fino a che anche l’uomo non fu completamente assuefatto dall’eccitazione e decise di possederlo completamente.


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Omegaverse
N° parole: 505
Rating: Giallo


Credo di averlo già detto l'anno scorso con questo stesso prompt di quanto io ami gli yaoi, ma detesti gli omegaverse. È più forte di me, non li so scrivere e soprattutto è un tipo di trope che non mi piace, la trovo forzata e insopportabile. Comunque sia, credo di essere riuscita a tirare fuori qualcosa di carino con Loki che si fa portare in camera ragazzi per soddisfare i suoi piaceri. Essendo dichiarato bisessuale, pensavo ci potesse stare una cosa del genere. Anche perché ho trovato dei veri orrori cercando le ship omegaverse del fandom mcu (mi sanguinano ancora gli occhi per certe coppie terribili).

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Capitolo 27
*** Curiosità innocente ***


Curiosità innocente

Era stufa di esercitarsi in quei maledetti incantesimi, a forza di ruotare le braccia in cerchio si sentiva i gomiti e le spalle doloranti, per non parlare delle dita intorpidite della mano destra, costrette a indossare quello scomodo e pesantissimo anello. Non che le dispiacesse imparare la magia, ma in fin dei conti che se ne faceva di imparare ad usare dei portali che la conducevano da una parte all’altra del mondo, quando lei poteva viaggiare tra i multiversi? Beh, diciamo che ne era capace, che poi sapesse controllare i suoi viaggi era tutto molto relativo, ma il concetto era uguale.
Stava di fatto che, non appena l’insegnante si distrasse, puntando lo sguardo all’angolo apposto del cortile, dove un paio di giovani allievi come lei avevano aperto un portale per il deserto, facendo arrivare una grossa folata di aria calda e sabbia, lei ebbe la possibilità di sgattaiolare via.
Si rifugiò subito all’ombra del tempio di Camartage, non potendone più degli esercizi e del sole cocente di quella giornata. Si sfilò lo Slang Ring dalle dita e lo ficco in tasca, decidendo che avrebbe esplorato quel tempio di cui aveva visto così poco. 
Ormai era lì da quasi un mese, eppure tutto ciò che aveva visto era il refettorio dove tutti, sia allievi che maestri, mangiavano, la sua camera spartana e il cortile dove si addestrava. Certo ricordava vagamente la sua fuga da Wanda Maximoff il mese prima, ma era talmente spaventata in quel frangente che non poteva certo dire di essersi goduta la visita.
Girovagando da un lato all’altro dell’edificio si ritrovò in quella che doveva essere la biblioteca. Era sicura di non poter stare lì, non solo per il fatto che per entrarci aveva dovuto aggirare di soppiatto un monaco che faceva la guardia, ma perché era sicura che Strange più volte le avesse ribadito di non farlo. La sua curiosità però era troppa e poi si sà, più dici a una persona di non fare una cosa, più a lei verrà voglia di farla.
Notò che molti libri erano facilmente agibili, trattavano di svariati argomenti; dalle piante mediche alle magie base, vari studi che nei secoli i monaci di Camartage avevano mandato avanti. Altri erano incatenati agli scaffali e chiusi da pesanti lucchetti, come a voler impedire a chiunque di leggerli.
Trovò un interessante libro sulla dimensione specchio, una magia che l’aveva sempre incuriosita un sacco, anche quando la usava il vecchio Strange. Era immersa nella lettura, quando una voce la fece sobbalzare, facendole sfuggire il libro dalle mani.
«Non dovresti essere qui!» 
Lanciò un grido e quando il libro cadde a terra, non si avvertì il tonfo, perché prontamente il suo interlocutore l’aveva afferrato con la magia e riposizionato sullo scaffale.
«Accidenti, mi hai fatto prendere uno spavento.» esclamò lei, con un sospiro.
«Quante volte ti ho detto di non entrare nella biblioteca?» la voce dura di Steven Strange e il suo sguardo gelido la fecero sentire in colpa.
«Ah, tranquilla piccola, non ascoltarlo. – d’un tratto nella stanza fece il suo ingresso anche lo Stregone Supremo Wong, intromettendosi nella conversione – Lui era anche peggio quando studiava qui. Non so quanti libri mi ha fregato sotto al naso.»
«Wong… Ti ho concesso di tenerti il ruolo di Stregone Supremo. Perlomeno l’addestramento e l’educazione della ragazza potresti lasciarlo a me? – si lamentò l’altro, strappandole una risata sommessa – E tu non ridere signorina, fila in cortile ad esercitarti!» le ordinò con tono duro, per poi però regalale un sorriso divertito.
Con il cuore più leggero, la ragazza indossò nuovamente il suo Sling Ring e tornò al cortile, in cuor suo sapeva che quella sua curiosità verso la biblioteca aveva scatenato anche la curiosità del suo maestro nello scoprire quanto era disposta ad imparare e ad impegnarsi.


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Library
N° parole: 620
Rating: Verde


Dovete sapere che sin da prima che comparissero nell'MCU io ho sempre avuto un debole per le giovani eroine Marvel, tutte, da Ms. Marvel a Spider-Gwen, a Ironheart... Ed ovviamente questo comprende anche America Chavez, se ci aggiungiamo poi che ho adorato "Multiverse of Madness" la cosa non poteva che spingermi a scrivere questa piccola one-shot che ovviamente avviene post film. Spero che vi sia piaciuta!

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Capitolo 28
*** The Mary Janes ***


The Mary Janes

Mancavano una manciata dei minuti all'inizio del loro primo concerto, erano state ingaggiate da quel locale per fare una serata di prova e poi, forse, il proprietario le avrebbe prese per ogni venerdì sera. Insomma, in realtà Gwen aveva talmente rotto le scatole al proprietario che questi alla fine dovette accettare.
Stava di fatto che dopo mesi di prove nel garage di casa Parker, dove ogni mezz'ora circa zia May scendeva dicendo loro di fare meno rumore o abbassare il volume, adesso erano lì e presto si sarebbero esibite davanti ad un pubblico vero ed erano tutte maledettamente agitate. Fu Peter a prendere in mano la situazione.
«Ragazze ascoltate. So che sono fuori dalla band e non ho nemmeno il diritto di definirmi il vostro manager. Ma sapete che vi dico, siete fantastiche! Questo sarà pure il vostro primo concerto, ma sono sicuro che comunque vada non sarà l'ultimo.»
«Peter ha ragione. Siamo forti ed oggi lo dimostreremo a tutti. Semplicemente usciamo e spacchiamo tutto.» la giovane Glory Grant tese la mano verso le altre, con il palmo rivolto verso il basso. Pian piano anche loro poggiarono le loro mani su quella della pianista del gruppo.
Poco dopo uno dello staff che lavorava al locale andò a chiamarli e loro salirono sul palco, leggermente intimidite, mentre sentivano gli sguardi degli avventori addosso, magari non di tutti, alcuni erano più concentrati sulle loro birre o a parlare con gli amici.
Peter picchiettò sul suo microfono che emise un paio di fischi e il vociare della sala diminuì.
«Eh... Benvenuti a tutti. – disse, mentre le ragazze si posizionavano vicino ai loro strumenti – Loro sono le Mary Janes e speriamo di farvi passare una bella serata.» ci fu poca risposta da parte del pubblico, le ragazze notarono qualche sorriso sporadico, ma quando Peter lasciò loro il palco non ci fu più tempo per i dubbi.
Gwen si mise comoda sullo sgabello, dopodiché quando vide il cenno d'assenso delle sue compagne, incrociò le bacchette sopra la sua testa e le batté tre volte, dando il via alla prima canzone.
Il pubblico rimase quasi incantato, era una band come molte altre, ma il loro talento e il loro coinvolgimento con il pubblico era incommensurabile, nonostante interpretassero delle cover. La forza e la grinta della batteria suonata dalla biondina era coinvolgente e ben si sposava con il suono avvolgente del basso di Elizabeth Brant. Al piano, le dita di Glory si muovevano sinuose creando una melodia e un suono difficili da dimenticare. Infine, la chitarra di Mary Jane era come fosse una sua estensione, gli accordi erano il suo modo di esprimersi e lo faceva al meglio; per non parlare del suo comò di cantare, aveva una voce talmente fenomenale che sarebbe stato un affronto farla tacere o non farla sentire al mondo intero.
Finita la prima canzone quasi tutto il locale aveva smesso di parlare e l'applauso fu talmente spontaneo e sentito che il morale delle ragazze schizzò alle stelle.
Il concerto proseguì imperterrito, coinvolgendo sempre di più il pubblico che spesso si trovava a cantare con loro e a battere le mani a ritmo. Ora potevano dire ufficialmente di essere una band.


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Band
N° parole: 520
Rating: Verde


Inizialmente volevo creare una band completamente originale composta da personaggi diversi dell'universo di Spider-Man. Poi ho pensato che ho sempre amato la saga di fumetti di Spider-Gwen in cui lei fa parte della band al femminile con Mary Jane e le altre ragazze, perciò ho semplicemente cambiato un po' le carte in tavola ed ho scritto una piccola cosa tutta mia. Ametto di essermi leggermente ispirata ad una mia vecchia fan fiction, ma credo ne sia uscita fuori una bella one-shot.

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Capitolo 29
*** Cosa strana il futuro ***


Cosa strana il futuro

Cosa strana il tempo, scorre ed è impossibile fermarlo. Qualsiasi cosa hai fatto nel passato potrebbe segnare per sempre il tuo futuro, ma il presente è sempre lì a dirti che hai ancora la possibilità di cambiare le carte in tavola, dandoti un'altra possibilità ed un altro futuro.
Cosa strana il tempo, eppure per uno come lui che possedeva la gemma dell'infinito, colei che brillava di luce verde donando la capacità di vedere e modificare proprio il tempo, sembrava quasi una barzelletta. Nonostante tutto non era così, il tempo era una linea delicata che se veniva spezzata o modificata rischiava di creare più danni che altro.
Lui però aveva messo tutto se stesso in quel futuro, aveva studiato e si era esercitato, aveva pianificato e cercato di evitare ogni rischio. Aveva visto cos'era accaduto a molte sue versioni che avevano tentato di modificare il passato finendo per distruggere lo spazio tempo, creando una versione di sé mostruosa e fuori controllo. Lui non era stato così.
Lui aveva affrontato i suoi errori, il suo passato e il suo presente, pronto ad ottenere il suo futuro. Il vecchio Steven Strange, quello preso dalla disperazione e dal rancore verso se stesso non sarebbe mai riuscito a realizzare ciò che era riuscito a realizzare. Aveva lottato per riconquistare la sua Christine, ed ora il suo futuro con lei non era affatto come l'aveva immaginato agli inizi della loro relazione. 
Dopo l'incidente si erano allontanati completamente, lui aveva ceduto alla depressione, fino a che non aveva trovato una nuova realtà, quella da stregone a Camartage. Aveva vissuto ogni avventura e ogni problema, aveva fatto scelte sagge e posate, come errori irreparabili. Aveva affrontato Dormammu, protetto la gemma del tempo da Thanos, viaggiato nello spazio con Tony Stark, dopo essere stato catturato da uno dei galoppini del titano viola. Aveva analizzato miliardi di scene future per comprendere quale fosse la soluzione migliore per salvare il mondo, visto il suo amico sacrificarsi per l'umanità intera. Aveva fatto qualcosa con Spider-man, sebbene non ricordasse con esattezza cosa fosse, e aveva aiutato la giovane ragazza che viaggiava attraverso i Multiversi a ritrovare la sua via. Dopo aver perso amici e colleghi aveva trovato un equilibrio. 
Era passato appena un anno dal matrimonio di Christine, quello in cui era stato presente, cercando di dimostrare la sua maturità e il suo rispetto nei confronti degli sposi. Eppure quel matrimonio durò davvero poco, perché nonostante la donna non gli avesse mai voluto raccontare il motivo della separazione era accaduto, e ben presto Steven ebbe nuovamente la possibilità di riconquistarla.
S'impegnò davvero questa volta, comportandosi da persona matura, mettendo lei davanti a tutto, soprattutto davanti alla sua carriera di Stregone. Lei a sua volta aveva scoperto uno nuovo Steven, con il suo lato da supereroe affiancato a quello magico. Forse era più attraente rispetto allo Steven stacanovista e completamente concentrato sul suo lavoro prima di ogni altra cosa.
Si innamorarono l'uno dell'altra di nuovo, come si deve questa volta.
Cosa strana il futuro, in un attimo diventa presente e ti permette di viverlo appieno, facendoti attendere un nuovo futuro.


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Future
N° parole: 510
Rating: Verde


E siamo tornati alle mie adorate one-shot descrittive. Non potevo non sfruttare Strange e la spiegazione delle linee temporali con un tema come questo. Inoltre ho deciso di dare un po' di gioia al nostro Steven e rendere reale quella bellissima e romantica frase in cui confessava a Christine che l'amava in tutti gli universi. Spero vi sia piaciuto :)

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Capitolo 30
*** La sua matita ***


La sua matita

Era il 1962. Aveva quarant’anni e già la sua mano aveva disegnato tanti di quei personaggi e di quegli eroi che la metà bastavano e avanzavano. 
Era partito con colui che poi sarebbe stato riconosciuto da tutti come “il primo vendicatore”, nessuno sa che invece fu “il primo supereroe” in generale. Certo, il primo in mezzo a tutti quelli già esistenti della DC Comics, a quei tempi la migliore casa editrice di fumetti super eroistici che fosse mai esistita. Captain America era un personaggio serio che ben si abbinava a quelli di cui gli altri fumettisti raccontavano. Poi però qualcosa cambiò, ispirato e spronato da amici e colleghi aveva voluto scostarsi da quei supereroi così seri e cupi e per contrastare l’arrivo della Justice Leage ecco che nacquero i Fantastici Quattro. Man mano anche i suoi supereroi aumentarono: Hulk, Thor, Ironman, Dardevil, Doctor Strange, un nuovo gruppo di super eroi come gli X-man.
Tutto era nato dalla sua matita, dalla sua e da quella dei suoi colleghi. Eppure il suo sogno più grande si realizzò proprio nel 1962, a quarant’anni; quando con l’aiuto di Steve Ditko apparve il suo piccolo ragnetto. Lui scriveva la storia e Ditko ne disegnava i tratti, fu grazie alla loro collaborazione, grazie al loro genio indiscusso, che nel quindicesimo volume della collana “Amazing Fantasy”, nell’agosto del 1962 dove l’età d’Argento dei fumetti aveva uno dei suoi migliori periodi, arrivò lui: Spider-Man. La storia riscosse un successo così immenso che ben presto gli editori decisero di dedicare a questo incredibile e giovane super eroe una propria e ufficiale testata intitolata “The Amazaing Spider-Man”. 
Ancora adesso, che lui non c’è più, escono numeri su numeri. Ancora adesso l’Uomo Ragno, l’arrampicamuri, lo spararagnatele, il ragnetto dei nostri cuori; ci tiene incollati davanti alle sue pagine e ci fa vivere mille avventure. Che siate vecchi, bambini, adolescenti, cinquantenni, ventenni. Tutti, almeno una volta, hanno letto, visto o sentito di Spider-Man.
Che sia il Peter Parker fotografo e sfigato, vestito come un topo da biblioteca che viene morso dal ragno e poi conosce la sua Mary Jane e combatte contro Goblin. Che sia il Peter Parker nerd e underground che gira con lo skateboard e s’innamora della sua Gwen Stacy, per poi perderla e conoscere Mary Jane solo al collage. Che sia il Peter Parker che lavora per il Daily Bugle facendosi autoscatti quando diventa Spider-Man per arrotondare.
Da lui poi sono nati anche tutti gli altri, un intero Spider-verse che noi adoriamo e ci divertiamo ad immaginare.
Da questi fumetti sono nati altri fumetti, altre storie. Sono nati gadget di ogni tipo: peluche, maglie, giocattoli e chi più ne ha più ne metta. Solo grazie a questi fumetti abbiamo avuto tre saghe filmiche, otto film e migliaia di emozioni.
Ma nulla di tutto ciò sarebbe successo se, in quel 1962, la sua matita non avesse deciso di raccontare la storia di un supereroe con il potere di un ragno, che vola da un palazzo all’altro per le strade di New York con le sue ragnatele; facendolo diventare il nostro Amichevole Spider-Man di Quartiere!


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Artist/Writer
N° parole: 509
Rating: Verde


Devo ammettere che questo prompt mi sarebbe piaciuto per domani, come conclusione a questa immersione nel mondo Marvel, ma va bene così. So che può esservi sembrato una specie di articolo sulla nascita di Spider-Man, e in qualche modo lo è. Il fatto è che quando ho letto il tema non ho potuto fare a meno di pensare alle mani di Stan Lee e Steve Ditko che creavano il mio supereroe Marvel preferito, perciò è stato istintivo dedicare a loro questo capitolo del writetober. Ci vediamo domani con l'ultimo aggiornamento!

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Capitolo 31
*** Saliva infetta ***


Saliva infetta

Era da quella mattina che le cose erano degenerate, in una manciata di ore tre quarti di New York aveva finito per infettarsi. Nessuno conosceva la causa scatenante di quel virus, o chi fosse il fantomatico paziente zero, stava di fatto che ormai nella grande mela vi erano più zombie che esseri umani. 
Tony era riuscito a mettere in salvo Pepper, o almeno così sperava, facendola salire su uno dei suoi jet privati e promettendole di raggiungerla il prima possibile. Lei ovviamente era stata restia a lasciarlo andare ed aveva provato a convincerlo a venire via con lei, pur sapendo che non ci sarebbe riuscita. Non era mai stato un grande eroe, o meglio non di quelli che si sacrificherebbero per l’umanità intera, ma aveva comunque una responsabilità anche minima di provare a proteggere i pochi sopravvissuti di New York.
Non aveva nemmeno bisogno di andare a recuperare la sua armatura, da qualche mese ne aveva progettata una in nanotecnologia, in cui gli bastava toccare il reattore sul petto per farla comparire. In poco si trasformò, cominciando a sorvolare la città alla ricerca di civili ancora viventi da soccorrere.
Prima di tutto però doveva trovare un posto sicuro dove radunarli, un posto ripulito da ogni tipo di non morto infetto. Alla fine opto per l’ormai semi-abbandonata Avengers Tower, quella che una volta era casa sua. 
In un paio di ore era riuscito a soccorrere più di una ventina di persone, ma più il tempo passava, meno vivi trovava e spesso era stato sul punto di rimanere coinvolto anche lui in scontri contro quelle orrende creature, che una volta erano esattamente come lui. Purtroppo gli zombie ammetavano sempre di più e cominciavano a muoversi in branco; due volte non riuscì a portare in salvo i sani, prima del morso fatale. Uno fu un bambino e l’altro… L’altro fu la sua fine.
Aveva notato quell’uomo combattere con una certa capacità contro le creature. Approfittava dei loro movimenti lenti e scoordinati per creare dei cerchi all’apparenza magici, che li separavano in vari pezzi o che lo facevano scomparire e riapparire dall’altro. Effettivamente aveva tutta l’aria di essere una specie di stregone, con tanto di anello magico e mantello rosso. Un’altro uomo al suo fianco probabilmente aveva i suoi stessi poteri, ma purtroppo per lui era già stato morso da qualche minuto, se non di più ed ora usava la magia contro i vivi, invece che contro i morti, con tutta l’intenzione di mangiarne le carni per nutrirsi. Le vittime attorno a lui però erano finite, se non per il compagno a qualche metro da lui. Tony provò ad avvisarlo in tempo, gettandosi verso di loro, ma lo Stregone col mantello ebbe appena il tempo di fare metà del suo incantesimo circolare che il compagno, più altri quattro non morti gli furono addosso. Per un attimo l’uomo fu accerchiato, poco dopo uscì dal mucchio. La pelle tumefatta e verdastra, il volto decadente e i bulbi degli occhi che sporgevano visibilmente. 
Fu in quel momento che si accanì su di lui come una furia. Nonostante fosse lento e impacciato, la sua magia era ancora perfettamente utilizzabile e senza che lui potesse accorgersene, attraversò un portale gli fu alle spalle. Per un attimo credette che l’armatura l’avrebbe protetto, ma l’uomo, sempre utilizzando la magia, creò un’arma che lo privò di parte della nano tecnologia. Dopodiché il dolore.
I denti dello stregone affondarono nella sua carne, cospargendo la spalla di quella repellente saliva infetta.
Pochi minuti e sarebbe diventato uno zombie anche lui, pochi minuti e Ironman sarebbe sparito, lasciando il posto a un meno intelligente zombie, affamato di carne umana.


Angolo dell'autrice:
 "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
Prompt: Zombie
N° parole: 599
Rating: Arancione


Ed eccoci qua, alla fine di questo viaggio, concludendo con un prompt tutto dedicato ad Halloween. Mi sembra più che logico che con un tema del genere e il fandom su cui ho deciso di scrivere per questo writober, anche quest'ultima scelta sarebbe stata più che scontata. Spero comunque che questo piccolo missing moments di come effettivamente Tony si sia trasformato in zombie prima della sua comparsa nell'episodio di "What if...?!" vi possa essere piaciuto.
Ringrazio ancora Fanwriter.it per questa occasione e spero di poter tenere un ritmo decente in fatto scrittura per aggiornare anche le altre storie. 

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