A step from Heaven

di Lunaticalene
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Will ***
Capitolo 2: *** Chris ***
Capitolo 3: *** Will ***
Capitolo 4: *** Chris ***
Capitolo 5: *** Will ***
Capitolo 6: *** Chris ***
Capitolo 7: *** Will ***
Capitolo 8: *** Chris ***
Capitolo 9: *** Will ***
Capitolo 10: *** Chris ***
Capitolo 11: *** Will ***
Capitolo 12: *** Chris ***
Capitolo 13: *** Will ***



Capitolo 1
*** Will ***


Day 01 - PumpNEON list Prompt:  This is the sing you've been looking for.
Una notifica.

Quante ne avrò mai ricevute da quando il corso della mia vita si è inevitabilmente intrecciato a quello dei social media?
Sono riuscito a resistere, almeno per la media della mia età.
Noi eravamo stati travolti dal vento della novità: non ci siamo cresciuti insieme ma, ad una certa, ho capito che non avevo un motivo particolare per tenermi fuori dal reticolo del web sociale.
Quando mi sono allontanato da casa ho creato una mail ad hoc per lo spam che ne sarebbe conseguito e mi sono lanciato nel caselline colorate dei fatti di tutti.
Da allora, di notifiche, ne ho ricevute centinaia. Forse migliaia.
Ammetto che senza i social il lockdown sarebbe stato più pesante.
Alla fine anche la tizia del secondo piano del palazzo di fronte che condivide foto di gattini a tutto spiano mi è diventata improvvisamente simpatica.
Che poi, palazzo.
Chiamare palazzo una casa di tre piani, sebbene ritengo sia il suo termine di definizione tecnica, sembra quasi una bella presa per il culo. Ma qui, da me, se una casa supera i quattro piani, siamo nel miracolo edile.
I palazzi veri me li sono lasciati alle spalle da un po’, da quando sono tornato all’ovile dalla città che mi ha accolto per studiare.
Ma questo, con la notifica, c'entra davvero poco. Cioè sì, insomma, quel trasferimento ha segnato la mia nascita sui social ma non sono qui per la storia della mia vita.
O almeno, non ancora.
Quella notifica la apro solo dopo che ho finito di rifare un letto nel mio meraviglioso B&B.
La più grande, pazzesca e meravigliosa in*****a che la mia famiglia mi abbia rifilato.
Nemmeno il lockdown li ha convinti che non era geniale aprirne uno.
Nemmeno il fatto che io volessi fare altro nella vita, li ha convinti a non piazzarmici.
Ma io sono laureato in filosofia. Dopotutto, se nemmeno vuoi prendere quei 24 cfu che cosa pensi di fare? Mica il filosofo no. Quindi vai, gestisci il B&B, tanto le faccende di casa ormai le sai fare.
Per fortuna qualcuno viene davvero e almeno lo stipendio me lo posso far pagare.
Ma di come io sono finito a dormire nell'ex-rimessa degli attrezzi di una vecchia casa-torre ne parleremo più avanti. Oggi è tempo.
Tempo di parlare di quella notifica. Del segno che stavo aspettando.
Una notifica.
La notifica che I. M. ha visto e commentato una mia foto.
Il mio maestro ideale. Il mio guru della fotografia ha messo mi piace alla mia foto.
Nel commento ha colto la citazione che non avevo dichiarato. E che lui ha capito. L’ha pure condivisa.
Oggi, primo di ottobre, posso pensare di morire felice.
Almeno metaforicamente, prima di morire davvero ho un po’ di cose da fare.
Un secondo commento, dopo che ho ringraziato.
Un commento di un tizio che ha come pseudonimo X_herowannabe.
Un tizio che mi invia anche un messaggio privato.
Un segno questo che, invece, non sapevo affatto di star aspettando. 



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Apparentemente pubblico in ritardo ma avevo pubblicato su fb ieri poi ho pensato che qui sarebbe stato più utile "^^

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Capitolo 2
*** Chris ***


Day 02 - PumpNEON list Prompt: We wanted to be the sky
 

Inviare quel messaggio non mi è costato niente. 

Sia letteralmente che emotivamente. Invio messaggi in continuazione. E ne ricevo altrettanti.
Non so nemmeno quando ho iniziato a seguire la persona dal profilo impronunciabile.
Andiamo, chi nell’età moderna chiama un profilo dallapartedigalatea?
Evidentemente un soggetto che possiamo identificare come maschio, rispondente al nome o pseudonimo di Will, residente in Italia come mostra una comoda icona tricolore e appassionato di arte e filosofia. Almeno stando alla sua bio breve sui social. 

Certo, è abbastanza logico intuire che sia un riferimento mitologico: primo perchè non sono così ignorante in materia e, secondo, perchè la sua pagina è piena di foto di statue.

E se continuo a seguirlo è perchè sì, quelle foto sono belle. Ma belle davvero.
Belle del tipo che dopo aver visto la prima ho addirittura attivato le notifiche per ricevere le novità. Questa è la prima volta che gli scrivo. Perchè questa è la prima volta che dedica la condivisione di uno scatto ad un soggetto umano. 

Seguo le sue storie, quegli scarti brevi della sua vita. So dove abita - più o meno - e che la sua componente nerd è abbastanza sviluppata come lo è la mia. 

So anche che ha un pesce rosso, che si chiama Kierkegaard. 

Ecco uno dei miei più cari amici mi direbbe che, un soggetto così, sarebbe da evitare perchè un po’ urla le parole “persona complicata”. Ma la verità è che a me piacciono le persone complicate.

Non mi è costato niente quel messaggio ma sarebbe corretto domandarmi da solo perchè ho davvero aspettato così tanto. Non lo so. Probabilmente ho aspettato che fosse lui ad affacciarsi al mio mondo. Perchè io, con le statue, ho davvero poco a che vedere.

Il soggetto della foto è una ragazza, ritratta con delle luci che mi ricordano enormemente i pittori fiamminghi e che trovo terribilmente adatto a ritrarre una delle più celebri principesse dei fratelli Grimm. Una versione che ricorda da morire quelle pop ma modificata a dovere da Serena.
Serena la conosco, ci siamo visti più volte e lei è il ponte tra me e questa persona sconosciuta nei meandri del web.
Quella foto che ritrae una persona vestita da personaggio di fantasia è il mio mondo che invade il suo. 

Tanto da permettermi di scrivere, senza troppi complimenti, un commento che non mi costa nulla:

 

allora scatti anche a soggetti organici!

 

Non mi aspetto una risposta. Anzi…ci spero e al tempo stesso ne ho paura. Perchè mi fa lo stesso effetto di una persona che incontri ogni mattina al bar, nel tempo d'un caffè. Quelle persone che non conosci ma di cui, inevitabilmente, ti interessi. 

Come quella ipotetica persona al bar, ho iniziato a guardarlo, a cercare i suoi occhi in quei brevi video di 15 secondi. Occhi azzurri. Azzurri come il cielo. 

Ho iniziato a leggere i suoi pensieri scritti. A modulare il desiderio di volermi avvicinare a quella persona. A quei due frammenti di cielo che mi ostino a cercare. Come un adolescente che guarda il compagno della classe accanto. 

Come in effetti non mi capitava da quella volta. Forse anche per questo mi torna sempre in mente quella canzone che mio fratello mi ha fatto ascoltare, ossessivamente, per quasi dieci anni e che è diventata la colonna sonora del mio primo bacio.
E io credo, che se a trentatrè anni ti ritrovi a sentire di nuovo le emozioni del tuo primo bacio ignorarlo non ha troppo senso. A meno che tu non trovi scuse sufficienti per farlo.
E quella foto, aveva semplicemente distrutto le mie ultime scuse.

Quando eravamo adolescenti
volevamo essere il cielo
ora tutto quello che vogliamo è andare nei posti rossi

e provare a restare fuori dall’inferno.*

*Cat Power, Colors and the Kids

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Capitolo 3
*** Will ***


Day 03 - PumpNEON list Prompt: I can't explain and I want even try.
 

Non lo capisco davvero il senso di quel messaggio.
Quello che mi invia in privato dico. 

Il commento ha un suo senso e una sua logica che deriva da una evidente analisi dei fatti: io fotografo quasi solo ed esclusivamente statue. Ammetto che un po’ lo devo combattere l’istinto di ribattere che quello che fotografo sono fatti miei. Ma I.M. mi osserva. Devo essere educato. 

Osservo quel grassetto che identifica il messaggio non letto a lungo. 

Arriccio anche le labbra osservando con sospetto quella vaga anteprima che sembra contenere tutto o niente.
Prima di aprirlo, addirittura controllo il suo profilo per cercare di capire di chi si tratta: mi rendo conto di aver ricambiato il suo segui ad un certo punto ma mentire spudoratamente a me stesso nel riconoscerlo. No, non ho la minima idea di chi sia questo tizio vestito da cartone animato. Che se Serena sa che ho definito così il cosplay mi ammazza. Ma Serena non legge i miei pensieri, per fortuna.
Evidentemente l’ho aggiunto in una di quelle giornate in cui sono propenso ad aggiungere persone a caso dato che, di solito, faccio un’accurata analisi della persona in questione.
Se la conosco, che cosa possiamo effettivamente avere in comune, se le foto che pubblica sono belle. Ma tendenzialmente evito gli sconosciuti. Così, completamente a caso. 

Non c’è un motivo preciso e non cerco nemmeno di improvvisare una qualche spiegazione. Una sensazione, nulla di più. So benissimo che sto utilizzando un social che ha come scopo proprio quello di mettere in comunicazione persone che non si conoscono. Non mi infastidisce che gli sconosciuti sappiano che cosa faccio; è il contrario a non interessarmi affatto.
Sono sempre stato poco incline a socializzare in questo modo: il mio guscio, la mia solitudine, sono sempre stati qualcosa che ho sentito il bisogno di custodire. Non mi è mai pesato avere solo poche persone attorno.

Qualcosa di decisamente singolare in realtà se calato nel mio contesto sociale più prossimo: in un paese piccolo come il mio, situato ai piedi delle montagne, conoscere tutti e frequentare gli stessi identici posti è quasi un obbligo. Altrimenti stai a casa. Una scelta decisamente limitata insomma. 

A me però questa socialità obbligata è sempre stata stretta.
Ho preferito passare lunghe serate estive di festa a casa piuttosto che in giro con persone che ho sempre sopportato molto poco e pronte a ricambiare il mio sentimento. Non ero simpatico a loro e non vedevo motivo di fare qualcosa per piacergli. Loro, del resto, non hanno mai fatto niente per piacere a me. Ovvio delle “mosche bianche” ci sono e ci sono state ma quello che dico vale per i massimi sistemi a cui, anche le mie care mosche, erano più inclini di me a condividere. 

Per questo da quando sono adolescente ho gradualmente costruito il mio mondo e nel mio mondo, lo spazio di influenza degli altri è sempre stato centellinato.
Non mi importava quando avevo quindici anni e tutt’ora non mi importa che cosa pensano di me: forse dicono ancora che sono quello strano, quello che non si vede mai in giro ma che è sempre educato quando è in coda alla posta. Quello che invece di giocare a calcetto con gli amici prendeva il treno da solo e faceva viaggi di quattro ore di treno per vedere una mostra a Roma o a Milano. 

Quello che “sarebbe anche tanto bellino ma proprio una ragazza non se la tiene. Guarda anche quella povera Ilaria che l’ha dovuto lasciare”.
Si perchè lei ha lasciato me e per il mondo è colpa mia. Si oddio, è davvero un po’ tanto colpa mia. Ma la verità è  semplicemente che io ed Ilaria eravamo destinati a due percorsi di vita diversi. Il suo che la vede adesso con un bimbo di sette anni che porta a scuola ogni mattina e il posto quasi fisso. Io circondato da eroi in due dimensioni e con la reflex piena di marmo scolpito. 

Come in quel film, dove marito e moglie aprono le porte e nella stanza di lei c’è una camera da letto mentre in quella di lui un universo di stelle e foreste maestose. Solo che noi ce ne siamo resi conto prima di comprarla una casa con due stanze così diverse.

Forse per questo anche in questo momento, mentre passa davanti alla porta del B&B in bicicletta con nel cestino il pane appena comprato e una pashmina al collo la saluto. Porta ancora, come una volta, una giacchina di pelle, rigorosamente marrone. Perchè il nero fa funerale. Lei mi risponde, con uno scampanellio che profuma della sua risata.
A tutti fa un po’ strano, che ci salutiamo ancora. Anche se ci parliamo poco. Ma abbiamo iniziato da fin troppo tempo a parlarci poco. E a mettere giù quei silenzi sono stato io. 

Silenzi che non ho mai voluto capire. Silenzi che non voglio nemmeno provare a spiegare.

Forse è per questo che anche sui social resto sospeso. Mi lascio guardare ma tappo gli occhi per non vedere.
Perchè se gli altri li osservo con troppa intensità accade. Vedo le loro anime venire da me come tanti frammenti di luce. 

E mi spaventa. Mi spaventa da morire farli avvicinare.
Per questo quel messaggio mi spaventa.
Per questo non capisco perchè un tizio mezzo nudo da infinita K di follower venga a scrivere a me una frase banale come:

 

Sul serio, aspettavo in ansia una tua foto ad una persona.

Non è che vuoi fare due foto anche a me per caso?

 

No, non lo capisco. E non voglio nemmeno provare a capirlo.

 

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Capitolo 4
*** Chris ***


Day 04 - PumpNEON list Prompt:  This is where the magic happens.
 

Rimango a lungo in attesa di una risposta, anche se ho ormai superato l’età per cui mi cruccio a lungo se non ne ricevo una. Certo non mi capita spesso di venire ignorato ma quando succede passo oltre.

Questa volta mi spiacerebbe e forse per questo ritengo di dovermi distrarre dalla questione. Lo decido dopo aver controllato la chat per almeno due volte. 

Indosso gli auricolari, prendo la giacca ed esco di casa chiudendo la porta a doppia mandata.

Non mi lancio nel traffico del viale in cui si affaccia la mia via e percorro a piedi, la musica nelle orecchie, il tratto di strada che mi separa dalla fermata della metro.
Un cambio di linea in un orario non troppo accidentato. 

Scendo dopo un quarto d’ora, alla fermata che dichiara abbastanza chiaramente che siamo vicini alla mia meta. So che si fa prima da un’altra ma due passi in più non possono che farmi bene.
Soprattutto per la vista cartellone della stagione del Piccolo. Mia madre mi regala l’abbonamento ogni anno e io da bravo figlio la accompagno alla stagione della Scala. Anche se le opere che piacciono a me non le fanno poi così spesso.
Proseguo fino alla mia meta, le mani in tasca e la musica inglese che viene a tratti interrotta dalle notifiche. Le controllo tutte sullo smartwatch. Nessuna è quella che interessa davvero a me.
Davanti all’ingresso del museo mi prende un colpo: non ricordo minimamente se devo prenotare o meno l’ingresso. Da brava persona che vive in una città piena di musei li visito terribilmente poco e dimentico queste cose. Mi collego al sito e nel dubbio ho una botta di culo. Prenoto l’ingresso e mi presento alla biglietteria senza che mi debba far cacciare o fare una ramanzina. 

Una volta posata la giacca al guardaroba tolgo gli auricolari per sentire le parole degli altri.

Non ho mai amato particolarmente l'arte ma da quando sono piccolo amo le persone che parlano di arte. Hanno qualcosa nella loro voce, nel loro modo di spiegare quello che c’è o che si leggere in un’opera che mi incanta. Non importa che sia la guida in lingua che accompagna una piccola gita di stranieri o una ragazza che spiega alle amiche una qualche allegoria.

Questo amore riflesso riesce sempre a farmi l’affetto di una fetta di torta. 

Per questo, seppur raramente, visito i musei. Per sentire le voci degli innamorati degli altri.

Forse per questo mi sono interessato a lui. Per come, i suoi occhi rappresentati dall'obiettivo, mi parlano di quell’amore. 

Nell’aspettare un qualche ponte, forse mi sono raccontato qualche bugia: quel ponte era proprio lì, davanti ai miei occhi. Ma quello rappresentato da Serena mi era sembrato più comune.
Del resto scrivere ad uno sconosciuto e chiedergli di parlarmi della statua che ha ritratto mi avrebbe fatto apparire più pericoloso del dovuto. Così al massimo sono pericoloso nello standard dei pessimi abbordaggi tramite web.

Controllo direttamente il cellulare, in una mozione di sfiducia al mio smartwatch. Niente. nessuna notifica. Continuo quindi ad avanzare nel museo quasi vuoto, così che la presenza di una piccola coda si fa notare. 

Non mi stupisco, quando vedo quale quadro attira l'attenzione di quegli occhi innamorati.
Gli scatto una foto anche io, quando ci sono davanti. La carico su una storia.
Certo, caricare la foto di un bacio quando non ti notano nemmeno forse è un po’ triste. Dovevo associarlo ad una canzone strappalacrime.
Poi la vibrazione. E una risposta che ignora la mia precedente dichiarazione.

 

Ma sei a Brera?

 

Decisamente non la risposta che aspettavo alla mia richiesta di una foto..

 

Si. Non avevo da fare 

e ho pensato di farci un giro.

 

Incredibilmente mi risponde subito.

 

Io non sono mai riuscito a vederla

lo sai che il lunedì è chiusa? Come i parrucchieri.

 

Mi fa sorridere quella sua associazione. No, non avevo davvero nemmeno mai pensato che i musei potessero essere chiusi.

 

Non ho mai provato a visitarla di lunedì a dire il vero.

 

Evidentemente tu sei fortunato.

 

Anche tu volevi vedere Hayez?

No, a dire il vero io puntavo alla Cena in Emmaus.

 

Sbatto le palpebre. So che si parla di qualcosa di abbastanza famoso ma non riesco davvero a ricordare di cosa stia parlando.
Mi avvicino a una signora in completo nero e cartellino. Le domando dove posso trovare quella Cena. Forse suona un po’ come se chiedessi le indicazioni per il bar ma la donna non si scompone e mi indica il numero della sala. Torno sui miei passi alla ricerca della tela di Caravaggio.
A quanto pare la mia mente ha appena dato dell’”abbastanza famoso” a Caravaggio. Decido di non condividere questa mia pessima dichiarazione con il mio interlocutore.
Scatto una foto con il cellulare e gliela invio.

 

Non è come vederla dal vivo ma dice che ti saluta.

Non ho nemmeno intenzione di mantenere un qualche basso profilo a quanto pare. Ma del resto, la sua risposta mi incoraggia decisamente.

 

Mandale un bacio da parte mia.

 

Di nuovo sorrido allo schermo del telefono. E allora ci provo. Faccio quella domanda più strana della media.

 

Mentre lo faccio perchè non mi dici qualcosa di lei?
Io in storia dell’arte sono una capra.

 

Nessuna risposta per qualche minuto. Sto per allontanarmi dalla tela quando la ricevo. Una nota vocale.


“Scusa per il vocale ma faccio prima: intanto devi ricordare che questa è la seconda volta che Caravaggio si occupa della Cena in Emmaus. La prima si trova a Londra…”

Resto immobile, davanti al dipinto per tutta la durata delle cinque note vocali che mi invia. Resto a sentirlo parlare d’arte.
Alla mia richiesta assurda ricevo una risposta magnifica. Anche se mi dice che preferisce le statute a i quadri Caravaggio, Rembrandt e Raffaello sono eccezioni.
Ascolto la sua voce e mi sento come in una fiaba.
Solo che la mia fata madrina invece di un abito di taffetà mi ha concesso il ballo con una tela del 1606. 
 

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Capitolo 5
*** Will ***


Day 05 - PumpNEON list Prompt: Sinner
 
Sono davvero stupito dalla sua richiesta. E anche dal fatto che mi abbia inviato una foto della tela che vorrei vedere dal vivo. A dire il vero sogno di vederle tutte quelle tele.
Quelle di un maestro della luce che rimane tra i miei preferiti. Trovo quasi necessario specificare che la mia conoscenza di pittura è molto esclusiva, sospettando quasi il rischio di essere scambiato per un sorta di enciclopedia della pittura. Preferisco le statue ma a quando pare lo sa da solo. 
Perché se mi sembra quasi assurdo spiegare in vocali da un minuto la Cena in Emmaus di Caravaggio, ancora più assurdo mi sembra il fatto che lui interessi davvero. 
Cosa che mi lascia a metà tra lo stupito e il perplesso. Serena sostiene che quando parlo dei miei interessi artistici sono palloso tanto quando spiego perché la filosofia sia da considerarsi la base stessa della società umana.
Quei vocali a tempistica ridotta fanno sì che lui decida di lasciarmi il suo numero di telefono. Numero che io finisco per registrare.
Numero a cui finisco per mandare più di un messaggio nel corso della giornata.
Così come nelle giornate successive.
Messaggi che parlano di tutti e di niente. Dove successivamente alle foto di quadri vengono allegate le sue foto. O quelle di qualche cappuccino. O della strada che sta percorrendo.
Torno anche a guardare il suo profilo, forse per capire qualcosa di più dello sconosciuto che, improvvisamente, ha preso a parlarmi.
Nel feed ci sono foto di viaggi in giro per il mondo, quasi sempre circondato da cartoni animati e fumetti. Manga, anime e videogiochi. Credo quasi sia il suo lavoro, tanto è lo spazio che gli dedica. Poi, parlando con lui, capisco che si tratta piuttosto di un secondo lavoro. Capisco che va in palestra tre volte la settimana. Che fa colazione intorno alle 8 e 30 del mattino. Capisco il colore reale dei suoi occhi sotto gli strati di lenti a contatto - un verde muschio fin troppo intenso - e il colore vero dei suoi capelli oltre il pastello delle parrucche - biondo cenere. 
Capisco anche il suo nome. Un nome che, come il mio, ha una matrice anglosassone. Lui perché sua madre è inglese. Io perché la mia si era fissata con Shakespeare. E quella mia consapevolezza mi fa trovare oltremodo ironico il fatto che lui si chiami Christopher. E per questo, completamente a caso, decido di chiamarlo Marlowe.
E da quel nomignolo - a cui lui si oppone a dire il vero - arriviamo, una notte, a parlare del Faust.
La mezzanotte è passata da un pezzo e forse non sarebbe nemmeno più l'ora adatta alle storie di streghe, di demoni e di peccati. Eppure lui mi parla del Faust come lo conoscesse davvero bene. Non solo l'opera ma proprio la concezione della tentazione di avvicinarsi a qualcosa che attira la nostra attenzione. Quasi non riesco a capire se, in un gioco di identità, lui si riveda di più in Faust o nel diavolo che lo tenta.
 
Se tu adesso incontrassi Mefistofele, cosa gli chiederesti?
Per cosa saresti disposto a venderti l'anima?
 
Me lo domanda, nemmeno avesse intuito il flusso dei miei pensieri. Io mi trovo a rifletterci su, ma mi rendo conto che è una risposta difficile da trovare. Penso subito ad una risposta facile, come il denaro o l'immortalità ma entrambe le cose mi sembrano vaghe, inconsistenti. Poi la mia attenzione si focalizza sull'angolo superiore della schermata.
 
Non ne ho idea.
 
Digito rendendomi conto che si tratta di una bugia, mentre il piccolo cerchio del suo viso in quell'angolo in alto nella schermata della messaggistica sembra diventare sempre più grande, fino a quando non si scompone in piccole schegge di colore.
Frammenti quasi solidi in cui la mia mente scompone le forme intangibili dei sentimenti.
Succede, ogni volta che mi avvicino troppo a qualcuno. Ma è impossibile che stia succedendo adesso.
Io non conosco affatto questa persona che si avvicina a me, passo dopo passo, aggirando l mie difese.
Da quanti giorni gli scrivo? Da quanti giorni mi sveglio scrivendogli il buongiorno? Non più di una settimana. Allora perché…mi sembra già così terribilmente vicino?
Se incontrassi Mefistofele gli domanderei di mettere fine a tutto questo. 
Se dovessi vedere la mia anima, la venderei per non sopportare più il peso di quei colori che adesso mi invadono.
Fisso un punto nel vuoto della mia stanza. Prendo fiato. Abbasso il telefono.
Deglutisco. Cerco di dimenticare quello che ho appena visto.
Un contatto. Un contatto tra me e lui. 
 
Poi dubito che se la prenderebbe la mia anima.
 
Lo digito, senza nemmeno rendermene conto.
 
E perché non dovrebbe?
 
Quella domanda. Cancello quattro volte la mia risposta. Lascio che a replicare sia in vago:
 
Così.
E tu invece? Cosa gli chiederesti?
 
Vedo che anche lui scrive e cancella più volte la sua risposta.
 
Gli chiederei il tuo indirizzo.
 
 

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Capitolo 6
*** Chris ***


Day 06 - PumpNEON list Promptif we ever stop talking send me a song
Appena lo invio, quel messaggio, mi rendo conto di aver appena varcato la soglia del "fuori luogo". Ancora prima che lui mi liquidi con una buonanotte lanciata di fretta e le sue risposte il giorno dopo risultino quasi figlie di una cortesia forzata.
Osservo più volte lo schermo, indeciso se insistere o se lasciar perdere. 
Alla fine sentirsi ogni giorno è diventato naturale no? Lui stesso ha preso a scrivermi per primo quindi non dovrei farmi questi problemi.
Dovessi semplicemente lasciar correre e non preoccuparmi. Mi scriverà.
E magari mi dirà solo che sono stato invadente.
Lo sono stato, lo so. Ma le mie intenzioni sono chiare no? 
Ho le mani in tasca mentre percorro a piedi un tratto di strada che mi separa da casa rispetto al lavoro. 
Decido di entrare in una libreria, forse per confondere i miei stessi pensieri. Per ovattarli in mezzo alle nuove uscite e grandi classici che, se non ho ancora letto, di certo non leggerò adesso. Nemmeno nella loro versione a fumetti.
Proseguo lungo le corsie animate da studenti usciti da poco da scuola e uomini in pausa pranzo.
Raggiungo gli spazi dedicati alla musica. Certo mi domando chi ancora al giorno d'oggi acquista davvero dei CD. Io ho smesso di farlo da tempo. Addirittura non uso nemmeno più un lettore MP3, consumando dati di trasmissione del mio contratto per ricercare i brani direttamente su YouTube. 
Eppure, con ottimismo, qui ci sono ancora quelle colonne che ti permettono di ascoltare i brani in anteprima.
Indosso le cuffie isolandomi da tutto e da tutti.
Durante la mia adolescenza, quegli apparecchi sono stati la mia salvezza: la certezza che il mio investimento della paghetta in un album fosse ben riposto.
Dovevano piacermi almeno tre canzoni ma spesso, le reti TV o la radio, non erano così celeri a riguardo. Allora mi parcheggiavo alle colonnine del supermercato, mentre mia madre faceva la spesa ascoltando quelle tracce sconosciute.
Quelle che sento adesso le conosco più o meno tutte. 
E un album che raccoglie le colonne sonore più famose dei film. 
Nel loro scorrere arriva il momento di quella che, a suo tempo, ho ritenuto la canzone d'amore più stronza di sempre. La colonna sonora di quella commedia romantica che non mi ha mai fatto impazzire. Ricordo anche poco la trama. Lui che fa il libraio e lei che fa un mestiere famoso. Forse l'attrice. O per quello che ricordo io, sarebbe anche potuta essere una fioraio. Ho davvero visto quel film una volta, su un pullman, quando durante e gite venivano messi su dei VHS di repertorio a disposizione dell'autista. E ma un volta che si sia trattato di un film che mi sarebbe piaciuto vedere. Mai. Almeno quella volta non era stata una commedia italiana di quelle che non mi hanno mai fatto ridere.
Quella canzone invece la ricordo e la conosco bene. 
Anche non volendo arriva il momento in cui tutti devono cantarla, infilarla nelle playlist e informati che quella commedia romantica è pure il loro film preferito.
A me l'idea dei silenzi pieni di parole e significato faceva solo pensare che io, al tempo, ero imbrigliato in una storia dove, nemmeno parlando, riuscivamo davvero a comunicare.
Era stronza per quello la canzone. Per il suo volermi ricordare come sarebbe davvero dovuto essere.
Con il tempo ho capito che ogni relazione è un mondo a parte ma, in quegli anni, ero troppo piccolo per saperlo.
Ecco quei silenzi di oggi sembrano assomigliare a quelli che racconta la canzone.
O almeno io sono in grado di capire che contengo parole. Parole che io non so ancora leggere.
Uno spazio che io non posso invadere. 
"Dici le cose migliori quando non dici niente"
 
So di averla scritta da solo la trama di questo film.
Mi rendo conto che forse i miei intenti non sono giocati così a carta scoperte come credo.
Nel dubbio esco comprando un CD. Quel CD delle colonne sonore.
Pagato 5,99 €.
Pubblico su Instagram la storia con un sondaggio: due canzoni d'amore confronto, tanto per creare movimento negli insights. La canzone che odio e quella che invece è la mia preferita.
Una notifica.
La sua risposta.
Sorrido.
Adesso so che cosa ascoltare, quando lui non ha di che parlare.
 
"Il mio regalo è la mia canzone. E questa è per te"
 

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Capitolo 7
*** Will ***


Day 06 - PumpNEON list PromptDrunk enough to say I love you?


Ammetto con me stesso che passare la linea sia diventato davvero fin troppo semplice quando si parla di relazioni interpersonali.
Più vado avanti più quella linea di fa definita e acquista tridimensionalità: da una linea di confine, ormai si è generato un muro.
Non sono mai stato particolarmente sveglio, soprattutto per quanto riguarda il comprendere le attenzioni degli altri, al punto di decidere di non vederle. Come se fosse impossibile notarmi in mezzo all'infinito numero di esseri umani presente nel globo terrestre.
Nel chiedermi l'indirizzo, Chris, ha praticamente incollato un poster di propaganda sociale suo mio muro di confine. E io ho dovuto costringermi vedere.
Si, è strano che uno sconosciuto mi scriva. È strano notare che quello sconosciuto ha cosparso di cuori le mie foto da diversi mesi.
È strano che quello stesso sconosciuto continui a scrivermi, quasi cercando ogni modo possibile per farsi notare da me.
È strano che lo sconosciuto in questione faccia di tutto per smettere di esserlo.
Non è strano se contemplo che quello sconosciuto, in realtà, abbia scelto di conoscermi. Di passare quella linea che io non sono disposto a far sorpassare.
Per questo quel silenzio. Per questo quella fuga.
Fino a quella storia sui social. Fino a quando mi sono forse reso conto che nel proseguirlo, quel silenzio, avrei raggiunto il punto in cui dare un spiegazione è necessario.
Ma in quel silenzio io lascio che la paura legata a questa sua dichiarata attenzione mi raggiunga e mi avvolta. Come le spire smeraldine di un serpente.
Percorro quelle paura, come se stessi saltando di sasso in sasso per guadare un fiume col terrore di finirci dentro e annegare.
Paura anche solo una sua singola goccia possa sfiorarmi. Quasi questa potesse sciogliermi come la strega cattiva dell'ovest.
Lascio passare le ore. Mentre ogni volta che apro i social mi ritrovo davanti lui.
Stupido algoritmo. Stupide fotografia.
Stupido sconosciuto che provi ad avvicinarti a me.
Più lascio trascorrere il tempo più quella paura si fa concreta.
Fino a quando non incrocio quella storia.
Una futile scelta tra due canzoni, colonne sonore di due film.
Uno dei due è il mio preferito.
L'altro lo conosco bene.
La mia risposta. Che ignora quale sia la sua.
So che quella risposta avvicina pericolosamente a me la superficie di quel fiume.
Mi costa quella risposta. Mi costa anni di paura e di terrore.
Quella paura che ancora non si stacca e si fa concreta nella firma di brillanti e meravigliose schegge di luce.
Le vedo da quel giorno. Da quando ho salutato una persona che amavo con tutto il cuore consapevole che l'avevo perduta per sempre. 
Da allora succede, ogni volta che mi avvicino a qualcuno.
La prima volta, quelle schegge di colore, avevano il colore concreto dei castagni screziati di miele. Quella prima volta li vedevo scivolare sotto terra, sotto il peso successivo di una lastra di marmo. Una storia che non sono mai stato disposto a raccontare. Non da questo mio punto di vista.
Lascio che da quel segno di vita, il silenzio prosegua fino a notte inoltrata. 
E quello sconosciuto, questo mio silenzio lo rispetta.
Tanto che vado a dormire promettendomi di scrivergli io per primo.
Avvicinarmi di nuovo alla superficie, quanto meno per non ricevere troppe domande.
Imposto il cellulare sulla mia modalità notturna: silenziosi i messaggi, attive le chiamate. Per le emergenze.
E quando suona alle due di notte io mi sveglio con la tachicardia. 
Allungo la mano nel buio e rispondo.
Dall'altro lato, mi saluta una bestemmia.
Una voce che non conosco.
Controllo chi chiama.
Chris.
 
"....tutto bene?"
 
Domando perplesso e contrariato per aver rischiato un infarto per nulla. Mi tiro a sedere e accendo la luce della lampada sul comodino.
 
"Si che va bene. Anzi insomma…non va bene. Cioè non lo so. Tu stai bene?"
 
La voce che biascica. Controllo l'orario sullo schermo. Ah. È sabato sera. La gente esce.
 
"Sei ubriaco?"
 
Gli domando senza troppi giri di parole.
 
"si. Ma non è questo il punto. Sei sparito oggi. Perché io ti ho fatto qualcosa vero?"
 
"Ne possiamo parlare quando non sei ubriaco e non sono le due del mattino?"
 
"È notte. Non è mattino"
 
Resto in silenzio.
 
"...buonanotte Chris."
 
"No, aspetta. Lo so che non mi dirai niente nemmeno quando sono sobrio"
 
Perspicace il nostro ubriaco.
 
"...e mi dispiace. Perché se faccio qualcosa che ti da fastidio dovresti dirlo."
 
"Dai Chris non è niente davvero"
 
"Per il niente non si sparisce per una giornata. Quindi non lo sminuire. E non ho detto che voglio sapere che cosa ti fa male. Solo che voglio sapere se te ne faccio"
 
Lancio uno sguardo perplesso al mio pesce rosso. Forse lui ci capisce qualcosa in questa conversazione surreale.
 
"Cioè tu da ubriaco mi chiami per dirmi questo?"
 
Sento che inizia una frase. Sento che metà il primo respiro che non completa coi nessuna parola.
 
"....buonano…."
 
"Mi piaci. È per questo che ti ho chiamato. Per dirti che mi piaci. E che vorrei iniziare a fare errori solo dopo avertelo detto"
 
Resto immobile. Lo ha detto.
Quel fiume mi sfiora le caviglie. Quelle schegge di smeraldo mi graffiano le dita.
 
"Ma non posso piacerti. Non mi conosci nemmeno"
 
"Senti filosofo, non dire stronzate. Non ti conosco ma conosco e ho visto delle cose di te e quelle mi piacciono. E queste cose succedono"
 
"...si agli adolescenti."
 
"E anche agli adulti sai? Freud darebbe ragione a me. E almeno lui lo conosco meglio di te"
 
"....e ora che c'entra Freud?"
 
"C'entra sempre Freud. Soprattutto se serve a farti sospirare quasi incazzato e non disperato"
 
Si. Quelle sue risposte finiscono per fare cambiare il mio umore. Finisce anche per farmi ridere il modo in cui costruisce quell'ultima frase.
 
"Se mi sta bene che non mi scrivi. Mi sta bene che non mi dai il tuo indirizzo. Ma un caffè. Almeno il tempo di un caffè dammelo."
 
"Un caffè?"
 
"Si un caffè. Io e te. O un tè se il caffè ti fa schifo. O uno spritz. Un gin tonic. Quello che ti pare"
 
"...Chris ma mi hai chiamato da ubriaco marcio alle due di notte per invitarmi ad uscire con te? Lo sai che la sola risposta possibile è no vero?"
 
"Vuoi che mi ubriachi ancora un po' e ti chiami alle tre per dirti che ti amo?"
 
Mi congelo.
 
"Scherzo Will. Per le dichiarazioni d'amore folli prima devi andare a vivere in una camera a forma di elefante."
 
"....era Your Song?"
 
"È sempre Your Song"
 
Resto di nuovo in silenzio.
 
"Ora me lo dici di sì a quel caffè?"
 

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Capitolo 8
*** Chris ***


Day 07 - PumpNEON list Promptforget the maps... follow your instincts 

Mi sveglio con un cerchio alla testa micidiale. 
Allungo la mano al cellulare per capire che ore sono e la luce dello schermo mi da fastidio.
Nemmeno lo metto a fuoco. Ma questa è colpa degli occhiali che non ho ancora addosso. 
Tra le notifiche un suo messaggio.
 
Sei vivo? 
 
Quella domanda. Chissà perché me lo chiede. Ci rifletto su qualche secondo, per quanto il mal di testa me lo permette.
Poi un flash. 
Io che lo chiamo. 
Io che gli dico che mi piace e lo invito a prendere un caffè. 
Chiudo gli occhi, come a voler cancellare quanto successo. Almeno per una frazione di secondo.
 
Si. Ho solo un mal di testa atroce. 
 
Digito mentre decido di mettere gli occhiali. Questo dovrebbe aiutare sia la messa a fuoco che l'emicrania. 
 
Lo avevo detto che eri ubriaco perso. 
 
Si. Lo aveva detto. E per questa consapevolezza decido di sottolineare una cosa.
 
Senti quello che ti ho detto iera sera io lo penso davvero. 
 
Decido di lasciare che la strada dettata dal mio istinto guidato dall'alcol continui a condurmi. Ormai il danno è fatto. Vale la pena custodirlo.
 
Che vuoi fare il bagno in una vasca piena di tè al bergamotto? 
 
… che cazzo ho detto. 
 
Un po' di cose. 
 
Quella risposta. Così vaga. 
La vedo. Di nuovo quella distanza anche se questa volta si maschera con ironia o con la voglia di prendermi un po' per il culo.
Io quella distanza però mi sono deciso ad ascoltarla. A comprenderla.
 
Non parlo del tè comunque.
Parlo del fatto che mi piaci e che vorrei uscire con te. 
Non mi devi rispondere subito. Pensaci ok? 
 
E ovviamente dopo quelle parole non ricevo subito una risposta. 
Mi tappo gli occhi con il braccio, cercando di non pensarci. Il cellulare ancora sospeso tra le dita. 
Poi la vibrazione leggera che lascio sempre attiva mi avvisa che ho ricevuto un messaggio.
 
A Firenze ti va bene? 
Il caffè dico. Non è metà strada ma quasi lo è. 
 
Scatto a sedere sul letto. 
Ha davvero detto di sì. 
 
Firenze è perfetta.
Quando?
 
Prossima settimana. 
 
Andata. 
 
Sento il cuore battere forte. Come un ragazzino. 
Cerco di ripetermi che è solo un caffè ma ne sono felice.
Solo che all'istinto di essere felice di solito resisto così tanto che questa volta mi sento in diritto di accoglierlo. Anche se non dovesse poi portare da nessuna parte.
La prossima settimana. 
Continuo ad inseguire quell'onda di istintiva follia. Una seconda richiesta.
 
Mi porti anche agli Uffizi? 
C'è una statua che ti piace particolarmente? 
 
C'è. Ma non è lì dentro. Prendiamo un caffè e se va bene ti porto a vederla.
 
Se va bene. Quelle parole che mi sembrano brillare. 
 
Vuoi dire che mi dai una possibilità? 
 
Voglio dire che intanto beviamo insieme un caffè. 
Se mi ci fai pensare troppo mandi al diavolo tutti i bei discorsi che hai fatto ieri sera. 
 
… quali bei discorsi? 
 
Impara a bere di meno e magari te li ricordi. 
 
 

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Capitolo 9
*** Will ***


Day 09 - PumpNEON list Prompt: it's not me. It's you.

Un caffè a cui, a quanto pare, ho detto di sì.
Un caffè a cui diamo una data e un'ora. Un'ora dettata dall'incrocio delle coincidenze offerte dal trasporto ferroviario.
Il tempo che occorre a lui ad arrivare da Milano ce lo metto pure io dalla nullalandia in cui vivo. Potrei andare in auto, ma le città degne di questo nome generano in me l'ansia da parcheggio.
E così ho la scusa perfetta per fuggire in caso di necessità: "oh scusa. devo correre o perdo il treno, addio".
Sui treni ho passato davvero un sacco di tempo. Tanto da ritenerli una sorta di seconda casa. Ho iniziato e finito libri, ripassato appunti e completato livelli ai videogiochi. Ho provato anche a vedere delle serie TV ma il segnale fa schifo da queste parti. Va e viene. Ma soprattutto, sui treni, mi sono raccontato un sacco di storie.
Le sveglie all'alba, ai tempi dell'università senza smartphone, mi raccontavo storie sulle persone presenti attorno a me. Per quale motivo la signora che saliva una volta alla settimana a poche stazioni dal capolinea indossava sempre qualcosa di rosso oppure il succo dell'accesa conversazione di cui potevo solo ascoltare una delle parti in causa.
A quel tempo, il cambio nella stazione di Lucca mi portava a Pisa. Adesso, a quella stessa stazione di snodo proseguo per Firenze.
Una città che conoscono poco alla fine, di cui dimentico aneddoti e curiosità così spesso da stupirmi ogni volta che un video sui social me ne ricorda una.
Perché io, ogni volta che scendo a Santa Maria Novella per fermarmi in quella città mi muovo per un luogo preciso.
Sempre e solo quello.
Vado lì, quando ho bisogno di respirare. Quando devo fare pace con il mondo. 
E la tentazione di correrci adesso è davvero infinita.
Controllo addirittura l'orario. I possibili ritardi del treno. Ovviamente quando hai bisogno di quel ritardo, loro, sono sempre in orario perfetto.
Sospiro e mi metto davanti ai binari dell'alta velocità. Oltre i tornelli. La schiena poggiata al marmo mentre resisto alla tentazione di scappare.
Perché la verità è che io, adesso, mi sto mettendo in una situazione dalla quale vorrei fuggire. Insomma lui mi ha detto che gli interesso ma a me lui non interessa. E di questo sono convinto. A me non interessa mai nessuno, da diverso tempo. Ilaria è stata un'eccezione e forse nemmeno poi così tanto.
Sono qui solo per cortesia e anzi, per risolvere la questione. Gli basterà vedermi, passare mezza giornata con me per capire che ha perso il suo tempo.
Si. Ne sono certo. 
Perché alla fine so di essere io il problema. E non lui. 
Alla fine lui è carino, spigliato, intelligente, socievole.
Io sono nella media. In tutto. Forse solo l'intelligenza è sopra la media. Ma compenso con l'incapacità sociale. Nelle relazioni interpersonali sono di certo al di sotto della media. 
E poi quella sensazione. Quella sensazione che ci sia davvero una possibile connessione tra di noi. Da quella io voglio seriamente scappare.
Prendo in mano il cellulare che per qualche strano motivo non riceve il segnale.
Scorro i messaggi e trovo quello di rinnovo della promozione. Mai una volta che la ricordi in tempo. Mai.
Ovviamente il credito è esaurito.
Attitudine sociale, altri punti persi. 
Cerco di fare mente locale su dove comprare una ricarica. Le faranno ancora in libreria? Una volta si. Ma quanto tempo è passato da quando sono entrato per l'ultima volta in un negozio fisico senza fare acquisti on line? Forse da prima della pandemia. Mi dimentico di ascoltare gli annunci dei treni in arrivo.
Mi dimentico di pensare a dove mi trovo, fino a quando una mano non si poggia sulla mia spalla.
Un paio di occhiali da sole dalle lenti color miele schermano due occhi che mi fissano. Un giacchetto di jeans che credevo nessuno portasse più riveste il busto della persona che sto aspettando.
 
- Ehi! -
 
Mi sorride.
E io lo guardo come un ebete mentre quelle scintille di smeraldo scivolano direttamente sulle mie mani.
Chris non è carino.
Chris è decisamente bello.
E decisamente quella supposizione di prima di si ribalta: non sono io, è lui quello strano. Perché uno bello così dovrebbe provarci con me?
 

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Capitolo 10
*** Chris ***


Day 09 - PumpNEON list PromptSweet dreams are made of this 


Mi viene da sorridere quando lo vedo.
Un paio di pantaloni scuri. Una giacca di pelle e i capelli in disordine.
Un torace una t-shirt con la faccia del protagonista di un anime di cui stanno per trasmettere la nuova stagione.
 
- Treni stranamente in orario a quanto pare. Ti avevo scritto ma non mi hai risposto -
- Avevo il telefono scarico. Cioè senza credito. Insomma devo passare da un tabacchino -
 
La sua voce. Senza il filtro del telefono sembra così chiara e cristallina. Annuisco indicandogli con la mano la strada davanti a noi, perché faccia da guida. 
Ci incamminiamo e dopo quella sosta tattica lui propone una caffetteria americana. Anche a Milano si sono fatte strada e ammetto che sono carine. Ci accomodiamo nella saletta interna. Lui prende un cappuccino. Io lo imitò ma con il latte D'Avena.
 
- Sei vegetariano? -
 
Forse è la prima domanda che davvero parla di me che mi pone. Le altre sono sempre state un riflesso delle mie.
 
- Non proprio. Ma il latte vegetale lo digerisco meglio. E non amo molto la carne dato che siamo in argomento, ma se capita la mangio. -
 
Mi guarda come se fossi una creatura strana.
 
- Ti prego non chiedermi che cosa mangio. Perché la risposta è "un sacco di cose " e a tal proposito….vorrei uno di quelli per favore -
 
Indico un cookie gigantesco di quelli da infinite calorie a morso. Ma alla dieta e alla palestra penserò domani.
Una volta seduti lo vedo aggiungere la cannella anziché lo zucchero al cappuccino. Singolare. Gli chiedo se vuole dividere il biscotto con me. Dice di no, che non ha fame. 
Quelle che scambiamo in quel momento sono chiacchiere semplici e vaghe.
Parliamo di tutto fino a quando non decidiamo di uscire.
 Le strade di Firenze sono così diverse da quelle a cui sono abituato. Mi chiede cosa voglio vedere e io evito di ribadire che desidero vedere la statua di cui mi ha parlato. Lascio che mi mostri il duomo e poi il percorso di una camminata infinita fino a Piazzale Michelangelo. Poi l'ora di pranzo con una focaccia che devo provare per forza. 
 
- ….ma oddio metto l'affettato in tutte -
- Non sono vegetariano, te lo ripeto. E poi nel caso chiedo di togliermi qualcosa -
 
Mi fa sorridere quel piccolo e banale panico che vedo in lui. E più di una volta vorrei allungare la mano per stringere la sua. Ma già ha il panico da alimentazione. Meglio non aggiungerne altro al momento.
Più lo guardo però, più lo vedo da vicino, più sono contento di aver ascoltato quella sensazione. Quell'incapacità di staccare gli occhi da lui, sebbene in quella forma virtuale.
In quel metaforico bar, finalmente mi sono seduto al bancone con quel fantomatico sconosciuto.
Di nuovo in marcia lungo l'Arno. Ponte Vecchio, dove mi parla dei macellai di un tempo e degli orafi di adesso. Poi il Palazzo degli Uffizi, la statua di Giovanni dalle Bande Nere con la lama della spada incisa. Scatto una foto. Condivido una storia.
Eppure ignoro chi, tra i miei follower, mi commenta. 
Io sono stregato da lui. Lui che quelle statue me le racconta. Una per una: artisti, poeti, scienziati. E quando parla di Galileo i suoi occhi brillano così tanto che quasi credo sia quella la sua statua preferita. Almeno fino a quando non mi racconta di Michelangelo. Eppure quando siamo in piazza della Signoria non mi sembra così devoto al David. O forse è dovuto al fatto che si tratta di una copia?
Mi guardo attorno mentre qualcosa, nel suo atteggiamento, mi fa sospettare che mi stia nascondendo qualcosa. Poi la vedo. Quella loggia su cui più persone sembrano rivolgere la loro attenzione.
Ottobre non è la piena stagione, quindi qualche turista in meno, soprattutto infrasettimanale, lo si conta. 
Indico con la mano.
 
- E quella? -
 
Lo vedo esitare nel rispondermi.
 
-'È la Loggia dei Lanzi -
 
Fa una lunga pausa.
 
-' Anche lì ci sono delle statue -
 
Mi rendo conto che mi rivela qualcosa di abbastanza evidente. Allora ci provo. Allora allungo la mano verso di lui.
 
- Le andiamo a vedere? -
 
Lui guarda la mia mano. Esita. Si morde il labbro inferiore. Poi annuisce. Ma figurati se prende la mia mano. Lo seguo. Mi indica anche loro e mentre mi rivela i loro soggetti e i loro autori mi sembra di scorgerlo il nodo di quell'indecisione.
La sua statua preferita non è agli Uffizi. E dovevo meritarmi di vederla. Si, ma quale potrà mai essere? 
 
- E quella? Manca lei no? -
- Già -
 
Mi avvicino io al cartellone espositivo che le nomina tutte.
 
Perseo di Benvenuto Cellini. Ah ma aspetta. Questa la conosco anche io -
 
Faccio mente locale nei meandri della mia pessima memoria artistica.
 
- Già. È Perseo. -
- Ed è la tua preferita vero? -
 
Non mi risponde. Ma quando allungo la mano per stringere la sua, questa volta, le sue dita non mi ignorano.
Si. Decisamente è la sua preferita.
 

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Capitolo 11
*** Will ***


Day 05 - PumpNEON list Prompt: Be naked when I get home

Quando la sua mano sfiora la mia per un attimo percepisco la vivida tentazione di ritirarla. Quasi una sorta di riflesso incondizionato. Poi, semplicemente, decido di lasciarlo accadere mentre gli pongo una domanda quasi necessaria.

 

- Lo hai capito perchè l’ho lasciata per ultima o…. -

- Perchè ti brillano gli occhi solo a guardarla. E mi sono anche ricordato dove l’ho vista. Sul tuo profilo, compare un sacco di volte -

 

Abbasso lo sguardo ritrovando le nostre mani unite. Le sue dita intrecciate alle mia. Perché è evidente chi sia il vero motore di tutto questo.
Ogni volta che mi ricorda la sua conoscenza di me, io mi trovo completamente spiazzato. So benissimo che sono frammenti di me visibili a tutti e di certo non completi. Ma mi meraviglia che lui li ricordi così bene. Come chi non si è limitato a guardarli ma li ha osservati attentamente. 

Ad apparirmi surreale forse è proprio il fatto che non riesco a capire come uno sconosciuto possa davvero interessarsi ad uno sconosciuto. Qualcosa di estremamente vicino al concetto romantico del colpo di fulmine. Qualcosa che io non sono programmato per capire evidentemente. Sono più incline a chiudermi in casa alla prima goccia di pioggia e a cedere solo quando, questa, continua incessante a battere alle mie finestre.
Mi accorgo sempre tardi di quello che provo e di solito accade dopo che ho avuto davanti una persona che si rivela speciale per tanto tempo.
Quasi il concetto di amore per me fosse composto da tanti piccoli mattoncini che sono chiamato a costruire. Per questo tutto quanto per me è estremamente nuovo. 

Anche il fatto che io ceda allo sforzo di non allontanare la mano da lui: malgrado il mio istinto, io non riesco a sottrarmi drasticamente alla luce che viene da lui e che in questo momento mi risulta quasi attentuale. Forse perchè sono in un luogo che per me, da sempre, è un porto sicuro. Come fossi a casa mia.
Eppure, far entrare gli altri in “casa mia” è forse ciò che ho evitato di fare negli ultimi anni.

 

- Vogliamo continuare a camminare? -

 

Mi propone, probabilmente anche a causa del fatto che sono rimasto in silenzio a fissare due mani. 

 

- Possiamo…restare ancora un po’ qui? - 

- Tutto il tempo che vuoi -

 

Mi rassicura. Con un tono di voce capace di calmare il battito del mio cuore che mi accorgo, solo adesso, è accelerato. Apro di nuovo la bocca, rendendomi conto di avere di che riempire quel silenzio che rischia di essere decisamente imbarazzante. E non scelgo parole a caso. Improvvisamente mi rendo conto di sapere esattamente cosa dire. 

- Sai… - inizio a dire - Questa statua è un esperimento. Di solito le statue di bronzo erano realizzate fondendo i vari pezzi colati a parte. Qui i pezzi sono solo tre…più la spada - 

Inizio a parlare perchè ricordo che a lui piace. Gli piace sentir parlare di arte. Quella scoperta fatta durante la sua visita alla Pinacoteca di Brera che mi ha permesso di iniziare a compilare la lista delle “Poche cose che so di lui”. Così misera in confronto a quella del “sacco di cose che lui sembra sapere di me”.
So che è vegetariano. Cioè che non mangia la carne. Che si veste da cartone animato. Che ha un lavoro perchè so che ci entra e ci esce ma che non conosco quale sia. Che gli piace bere il latte d’avena.
Eppure parlandogli della mia statua preferita tengo fede ad un promessa e faccio decisamente di più: lo faccio entrare. Gli lascio varcare sul serio le porte della mia persona. Come se lo  invitassi a casa mia. Quasi mi stessi togliendo i vestiti pronto a mostrargli il mio corpo. E per assurdo, in questo momento, quella prospettiva meramente fisica mi appare quasi più semplice da realizzare.

Magari vuole solo quello. Ma davvero ha senso tutto questo se il suo scopo fosse meramente fisico.
Raggiungo quel pensiero mentre parlo, tanto che finisco per fermarmi e guardarlo negli occhi dopo averli posati a lungo sulla statua anche per tenere il punto nel parlare di lei.


- Ma tu vuoi venire a letto con me? -

 

Mi guarda sgranando gli occhi stupito. Lo vedo soppesare la risposta. Lo vedo mordere il labbro inferiore. E vedo per la prima volta una crepa nei frammenti di luce che mi raggiungono. 

 

- Prima di venire a letto con te non nego che mi piacerebbe almeno darti un bacio -

 

Sollevo un sopracciglio perplesso.

 

- Perchè se la tua vera domanda è un “vuoi solo venire a letto con me” la risposta è “no”. Ma se la domanda è più da ampio raggio la risposta è “si”: tra le cose che vorrei fare con te c’è anche il venire a letto con te. -

- E quale sono le altre cose che vorresti fare con me? -

- Ne sto già facendo due: parlo con te e ti tengo per mano - 

- …ma sei finto o sei solo scemo? -

 

Mi esce di bocca senza riflettere. 

 

- Oddio aspetta. Che cazzo ho detto. Volevo dire che… -

- Beh credo di essere scemo. -

 

E lo credo davvero anche io dal momento in cui, senza preavviso, mi ritrovo con le sue labbra sulle mie. 

Sotto la loggia dei Lanzi. Alle spalle di Perseo. Quasi al tramonto. Come in uno stupido film adolescenziale che adesso mi pento davvero di non aver mai guardato fino alla fine.
Di preciso, adesso, io che cazzo dovrei fare di diverso dal dargli una testata?

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Capitolo 12
*** Chris ***


Day 12 - PumpNEON list Prompt: We see what we want 

Mi ritrovo a chiudere gli occhi in quel bacio che, senza preavviso, decido di rubargli. 

Sfioro solo le sue labbra in un primo momento, forse aspettando una gomitata che non arriva. 

Questo mi rassicura in parte e mi convince che posso allungare una mano verso i suoi capelli, che posso rendere quel semplice contatto appena più reale. 

Delicatamente affondo le dita in quelle onde scure e disordinate che si intrecciano quasi docili alle mie falangi. 

Solo allora schiudo piano le mie labbra, ritrovandomi a pregare che lui faccia altrettanto. Con quel brivido che l’attesa genera in modo naturale.
La verità. La linea di demarcazione tra l’essere accettato o respinto.

Percepisco quando accade, quando la sua bocca lentamente si sovrappone nei movimenti alla mia. Allora muovo un passo ulteriore in avanti ricercando con lentezza e cura la sua lingua con la mia.

Sotto lo sguardo nascosto di Cellini tra i capelli di Perseo. 

Mi domando quanto davvero si possa stupire del mio gesto nel momento in cui mi ricambia. 

Nel momento in cui mi permette di baciarlo. 

Davanti agli occhi di qualche passante che forse giudica. 

Di chi semplicemente ci ignora. Di chi vede, in quella possibilità, qualcosa che sembra avere un senso più grande del dovuto. Quello che a me interessa adesso non si scrive nel libro dei massimi sistemi ma muove tra le righe di quelli minimi. Di quelli fatti di banalità e della sua rottura improvvisa.

Lascio esistere quel bacio fino a quando non devo riprendere fiato. 

Ritrovandomi subito dopo a cercare i suoi occhi. 

Occhi che mi guardano a metà tra il perplesso e il perso. 

Come un cerbiatto che attraversando la strada si ritrova a fissare le enormi luci di un’auto. 

 

- Will - 

 

Sussurro piano il suo nome mentre la punta del mio naso sfiora la sua. 

 

- Perché mi hai baciato? - 

 

Mi domanda, come se la cosa non avesse per lui poi troppo senso. 

 

- Non dovevo? - 

 

Gli domando con attenzione, quasi fin troppo pronto a ricevere il suo no.

 

- Non lo so - 

 

Sollevo un sopracciglio. Decisamente non è quella la risposta che mi aspetto.

 

- Ti dispiacerebbe se lo facessi di nuovo? - 

 

Lo vedo abbassare lo sguardo. Forse cercando una qualche via di fuga che io sembro sottrargli.

 

- Io… io non lo so - 

 

Accarezzo il suo viso. 

Quella guancia morbida e liscia di una barba fatta probabilmente quella mattina. 

 

- Facciamo un patto: io ti bacerò di nuovo quando solo quando tu mi dirai che lo vuoi. Oppure quando sarai tu il primo a baciarmi - 

 

Morde il labbro inferiore come fosse in bilico tra due forze contrapposte. 

 

- E se non lo facessi mai? - 

 

Gli Sorrido. 

 

- Allora me ne farò una ragione. Ma sono abbastanza sicuro di piacerti almeno un po' - 

- E cosa te lo fa pensare? - 

- Qualcosa che vedo in te - 

-…. E cosa vedi? - 

 

Pronuncia. Di nuovo quella metà strada tra il timore ed una qualche speranza. 

 

- Quando mi bacerai te lo dirò. Ma non è una minaccia. Quando mi bacerai saprò per certo che stiamo vedendo la stessa cosa - 

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Capitolo 13
*** Will ***


Day 13 - PumpNEON list Prompt: You are exactly where you need to be

 

Continuo a guardarlo, perdendomi in quei frammenti di verde che vedo ripartiti nei suoi occhi.
Quelle sue parole. Forse troppo romantiche.

Forse troppo perfette.
Parole che dovrebbero farmi fuggire dato che percepisco distintamente la loro volontà di contatto.
E non solo perchè mi ha baciato.
Non solo perchè mi ha baciato in un posto che per me ha un significato profondo.
Perchè quelle parole, sembrano disegnate apposta per essere pronunciate a me. Come se mi conoscesse ad una profondità possibile solo dopo una conoscenza di lunga data. Possono davvero essere figlie del caso?

Non ho mai pensato che Platone avesse ragione. Non sono mai stato capace di comprendere emotivamente o realisticamente il concetto di anima gemella. Posso capirlo per gli altri. Ma per quanto riguarda me, non riesco a pensare all’esistenza di una parte mancante di me.

Per quale motivo sarebbe dovuta esistere una metà capace di completarmi? Un’anima così affine e simile alla mia da rendere qualunque altro incontro una semplice ricerca di quella metà perduta?

Lui…lui non mi somiglia in niente. Certo ci sono dei punti di contatto.
Li vedo. Eppure…ci sono dettagli di complemento che non so spiegarmi. 

 

- Tu sei sempre così bravo a dire le cose che le persone vogliono sentirsi dire? -

- Di solito sono più bravo a dire esattamente quello che gli altri non vogliono sentirsi dire -

- Allora perchè a me dici solo le cose giuste? -

 

La mia domanda lo stupisce, tanto che lo osservo per la prima volta inclinare il capo di lato, come se dovesse variare la prospettiva del suo punto di vista.

 

- Non credevo di dire sempre le cose giuste. Anzi sono certo di averne dette diverse sbagliate -

 

La sua domanda. Quella che mi ha fatto smettere di scrivergli per qualche momento. Quella sua dichiarazione al telefono che non sono riuscito a prendere sul serio in principio. 

 

- Dici cose a cui io non so come rispondere. Ma non credo che sia sbagliate in assoluto -

 

Ammetto, forse con fin troppa onestà, portando avanti una riflessione ulteriore rispetto a quella che condivido a parole.

 

- Questo perchè l’assoluto non è un concetto che esiste davvero. Ma il filosofo sei tu, sei che dovresti saperlo meglio di me -
​- E tu che cosa sei invece? -

 

Glielo domando forse per la prima volta in maniera seria. 

 

- A me piace semplicemente ascoltare le persone. -

 

Quella risposta che vuol dire tutto e niente.

 

- Io ho studiato Psicologia. Ma posso garantirti che nessuno strumento di psicanalisi è stato usato contro di te -

​- Magari però è proprio per questo che dici le cose giuste. Sai che cosa si deve dire -

 

Lo guardo sorridermi.

 

- Se bastasse una laurea per capire i sentimenti quando li provi in prima persona Will, la vita di tutti sarebbe più semplice. Se ti ascolto non è perchè lo so fare o solo perchè mi piace in assoluto. Se ti ascolto è perchè mi piace ascoltare quello che tu hai da dire. E se ho detto le cose giuste, mi fa solo piacere. Ma domani, per questo stesso principio, potrei dirne di sbagliate. Non c’è niente di assoluto quando si parla dell’essere umano -

​- A me non piaceva Freud -

 

Mi esce spontaneo dalla bocca, mentre continuo ad inseguire una logica tutta mia.

 

- A me non faceva impazzire Kierkegaard -

 

Mi risponde, anche se questa cosa mi fa sorride. Non lo stavo attaccando. O forse si..

 

- Non è il mio preferito. Kierkegaard dico. -

- Lo so. Il tuo preferito è Nietzsche.-

- Sai veramente troppe cose di me. - 

 

E mentre faccio quella considerazione ad alta voce mi accorgo che non lo vivo come una minaccia, non fino in fondo. 

Per una frazione di secondo, tutti quei frammenti che mi fanno paura sembrano cambiare la loro forma. Da schegge appuntite diventano più simili a gocce di rugiada. 

Forse, Platone, non aveva davvero tutto questo torto.

 

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