Occhi di gatto 2: lo scorcio vitale

di crisalide_bianca
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 2: *** Un'altra banda Occhi di Gatto ***
Capitolo 3: *** Un viso familiare ***
Capitolo 4: *** Il primo scorcio ***
Capitolo 5: *** La Gatta Nera ***
Capitolo 6: *** Insicurezze ***
Capitolo 7: *** Il dilemma di Ai ***
Capitolo 8: *** A carte scoperte ***
Capitolo 9: *** Il Meticcio ***
Capitolo 10: *** La donna col cappello ***
Capitolo 11: *** Un gioco pericoloso ***
Capitolo 12: *** Il segreto di Lewis ***
Capitolo 13: *** Il mentore di Heinz ***
Capitolo 14: *** Il Circolo delle Ombre (1/2) ***
Capitolo 15: *** Il Circolo delle Ombre (2/2) ***
Capitolo 16: *** L'artista degenerato ***
Capitolo 17: *** Le combinazioni dell'amore ***
Capitolo 18: *** La missione del padre ***
Capitolo 19: *** Dentro al covo ***
Capitolo 20: *** L'ospite... desiderato. ***
Capitolo 21: *** Fatali incomprensioni ***
Capitolo 22: *** Il vero poliziotto ***
Capitolo 23: *** 24 ore da Ladro ***
Capitolo 24: *** Il Diamante Nero (1/2) ***
Capitolo 25: *** Il Diamante Nero (2/2) ***
Capitolo 26: *** Un tavolo per due ***
Capitolo 27: *** Sotto gli occhi della Luna ***
Capitolo 28: *** Il Triangolo no... ***
Capitolo 29: *** Il peso di un guaio ***
Capitolo 30: *** Ladra di cuori (1/2) ***
Capitolo 31: *** Ladra di cuori (2/2) ***
Capitolo 32: *** Un cupo presagio ***
Capitolo 33: *** Verità sotto scacco ***
Capitolo 34: *** La descrizione di un attimo ***
Capitolo 35: *** Rosso fragola ***
Capitolo 36: *** Piacevole distrazione ***
Capitolo 37: *** Vacanze roventi (1/3) ***
Capitolo 38: *** Vacanze roventi (2/3) ***
Capitolo 39: *** Vacanze roventi (3/3) ***
Capitolo 40: *** Patto col Diavolo ***
Capitolo 41: *** I quattro scorci ***
Capitolo 42: *** Labbra di cenere ***
Capitolo 43: *** Colpo Doppio ***
Capitolo 44: *** Saggezza popolare ***
Capitolo 45: *** Nella tana di Manul ***
Capitolo 46: *** I segreti delle due tele ***
Capitolo 47: *** Capitulum XLVII ***



Capitolo 1
*** Ritorno a casa ***


Premessa
La storia che segue è ispirata al famoso manga di Tsukasa Hōjō, noto al pubblico italiano grazie all’anime “Occhi di gatto”, il quale racconta di tre sorelle che, alla disperata ricerca del padre scomparso, rubano le opere appartenenti alla collezione dello stesso. I prossimi capitoli si rifanno ai disegni fumettistici originali e preserveranno i nomi giapponesi dei personaggi (quindi “Sheila, Kelly e Tati Tashikel” saranno rispettivamente chiamate “Hitomi, Rui e Ai Kisugi”, “Matthew Hisman” sarà “Toshio Utsumi”,  “Alice Mitsuko” invece sarà “Mitsuko Asatani” e così via). Tutto quello che verrà scritto non è un racconto canonico del mangaka che diede i natali all’opera, bensì frutto di una fantasia che punta a dare una continuazione al racconto delle tre sorelle ladre della nostra infanzia, seguendo un filo conduttore leggermente diverso dal finale scritto dall’autore e totalmente distante dalla conclusione della serie animata.

Capitolo 1
-“Non potrei sopportare un minuto di più qui seduta, che nervi!”. Lamentò Ai, distendendo gli arti alla ricerca di un qualche sollievo.
-“Non ti agitare, l’atterraggio dovrebbe cominciare a momenti.”
-“Ho la schiena a pezzi…” Continuò, abbassando il tono della voce.
Rui si girò verso Ai con sguardo di rimprovero, per poi tornare a leggere il suo manuale di arte occidentale, le cui pagine si contavano in una mano per arrivare alla fine. Senza alzare gli occhi, si riferì a Hitomi.
-“Più di dieci ore di volo e non ti ho sentito fiatare, nemmeno una parola. Non è da te. Cosa ti turba?” Sospirò, dopo un attimo di silenzio. “Stai pensando a Toshio, non è così?”
-“Come fai a… No, non ci sto pensando.” Dopo un secondo di riflessione ci ripensò. “È solo che sarà strano rivederlo dopo tutto questo tempo; non so come la prenderà, forse mi farà troppe domande, e se poi…”.
-“Se, forse, magari… Non sono proprio parole che ti si addicono, Hitomi. Questa permanenza negli USA ti ha cambiato molto.”
-“No, non è stato il viaggio, è questo ritorno che mi mette in difficoltà. Tu credi che abbia mantenuto quella promessa?” Alla domanda rispose Ai.
-“Chi, Toshio? È sempre stato innamorato di te alla follia! Anche se non sei stata molto carina, gli hai detto che forse non saresti più tornata. Non potresti biasimarlo se…”
-“Non potevo lasciarlo sospeso nel nulla, capiscimi. E poi quella promessa me l’ha fatta lui senza che gli chiedessi nulla. Chissà se mi ha davvero aspettata così a lungo…”. Respirò profondamente. La sorella maggiore le mise una mano sulla sua per consolarla.
-“Quattro mesi non sono un’eternità. Vedrai che ti ha aspettato.” Rui sorrise dolcemente. “Sii contenta, siamo quasi a casa”.
L’aereo di linea atterrò nel tardo pomeriggio all’aeroporto di Tokyo, dopo un ‘attraversata che sembrò nettamente più pesante del volo di andata. Stesso viaggio a ritroso, ma i bagagli erano colmi di molti più pensieri e dubbi sul futuro. Le tre sorelle erano state ospitate in un appartamento negli Stati Uniti da Sadatsugu Nagaishi, amico di lunga data del loro padre e della famiglia Kisugi, dal quale ricevettero anche le notizie dal Giappone che le convinsero a tornare in madrepatria. Grazie alle ricerche mai interrotte del signor Nagaishi e Rui, le tre sorelle scoprirono un nuovo ramo di opere d’arte, una sorta di appendice secondaria della collezione intitolata al loro padre scomparso, Micheal Heinz. Molti di questi artefatti si erano fortunatamente conservati nei maggiori musei giapponesi, dopo esser tornati alla luce grazie ad un privato che li mise a disposizione delle gallerie. Ma a questa scoperta si unì un nuovo ostacolo: alcuni dei quadri ricercati erano infatti in pericolo ed era fuori discussione lasciarli nelle mani sbagliate. Dipinti praticamente ignoti all’opinione pubblica, ma con buon apprezzamento da parte della critica contemporanea, avrebbero dato in mano a trafficanti e criminali un grande potenziale guadagno pressoché irrintracciabile. Fosse stato l’unico motivo del ritorno delle sorelle Kisugi in Giappone, sarebbe più che bastato.
Nel frattempo il bar “Occhi di Gatto” era esattamente come lo avevano lasciato: le sedie impolverate appoggiate ai tavoli, gli sgabelli al bancone e i quadri coperti da teli. C’era tanto da fare e poco tempo per realizzarlo. Le ragazze volevano infatti tornare alla loro normalità di un tempo, diurna, ma soprattutto notturna.
-“Ai, comincia a dare una sistemata al locale, dobbiamo metterlo a nuovo il prima possibile.” Esordì Rui.
-“Subito? Sono distrutta da questa odissea!” La sorellina non era dello stesso avviso.
-“Sì, subito. Basta una pulizia generale, al resto penseremo domani. Poi chiamerò il signor Nagaishi per sapere di più sul colpo che dovremo fare.”.
-“Non può aiutarmi anche Hitomi, scusa?” Rispose stizzita la sorella minore. Rui si girò verso Hitomi e le appoggiò una mano sulla spalla.
-“Lei ora deve andare da una persona.”
-“No, Rui, ha ragione Ai, non voglio andare da–“
-“Devi andare da lui. Qui ci pensiamo noi.” Le strizzò l’occhio e sorrise. Provò a ricambiare.
-“Va bene, ora vado.”
Era ormai quasi orario di cena ed a Hitomi sembrava quasi strano andare da Toshio senza portagli qualcosa da mangiare. Pensò a quando gli portava i cestini del pranzo a lavoro, nel distretto, o di sera, appunto, come in quel momento: non amava cucinare, ma farlo per Toshio era un modo per prendersi cura di lui con un geto, che valeva di più delle parole dolci che lei difficilmente regalava. Era tutto così diverso, continuava a pensare, mentre a piedi si dirigeva verso casa sua: quell’appartamento angusto che le piaceva molto le dava una sensazione di calore indescrivibile, ma forse era la presenza del suo amato a darle quella percezione. Non importava quali disastri, quante gaffe o quanti errori facesse Toshio, lei sarebbe comunque tornata da lui, dopo un giorno o dopo quattro mesi, non avrebbe fatto differenza. Qualcuno direbbe destino, altri direbbero amore. Il primo, però, sapeva come mettere alla prova il secondo: Hitomi arrivò alla casa e bussò alla porta, ma la voce si bloccò in gola al momento di annunciarsi. Sentì dei passi leggeri avvicinarsi all’uscio e la voce di Toshio, in lontananza, che chiedeva chi fosse: la porta si aprì e non poté credere ai sui occhi, era come se la terra fosse caduto sotto ai sui piedi.
-“Hi…Hitomi?!”
-“…Mitsuko? Che diavolo…?!”
Attraverso il corridoio vide il salotto, al centro di esso la cena preparata per due dentro ad un cesto, ma questa volta non era il suo. Lo stato di sorpresa durò pochi secondi, prima di trasformarsi in rabbia.
-“Toshio, è Hitomi.”. Quasi bisbigliava.
-“Non prendermi in giro, Hitomi è-“. Uscì dalla cucina e la vide. “-negli Stati… Hitomi? Che ci fai qui?! Aspetta, aspetta!” Lei aveva già cominciato ad andarsene con gli occhi gonfi di lacrime e la gola piena di spiacevoli parole. “Stiamo lavorando ad un caso, Hitomi! Ti prego! Devi credermi!”.
-“Certo, a cena! Addio Toshio!”. Sapeva che non sarebbe mai stato un vero addio.
-“Non hai il diritto di trattarlo così dopo tutti questi mesi!” Alzò la voce Mitsuko. Hitomi si fermò, si trattenne un per un attimo. La giovane ispettrice continuò, mentre il suo collega cercava di farle, in qualche modo,  calmare entrambe: “Sparisci senza dare spiegazioni e poi pretendi di giudicare così?! Sei ridicola!”. A Hitomi scese una lacrima silenziosa mentre dava loro le spalle. Raccolse tutte le macerie di calma che le erano rimaste e rispose, alzando la testa.
-“Non aspettavi altro che io sparissi, Mitsuko, lo so. A me sta bene, anche se ora sono qui. Buona cena.”. Si allontanò dalla casa inseguita dalle grida di Toshio che la imploravano di restare ad ascoltarlo e quelle della sua collega che lo rimproveravano, perché non c’era nessun obbligo di spiegare. In cuor suo Hitomi sapeva che non poteva fare nulla per evitare la gelosia, ma in fondo era giusto così: lo aveva lasciato, e lui poteva fare ciò che volesse e con chi desiderasse. Si chiedeva allora perché tutte quelle lacrime le sgorgassero dagli occhi a fiume, fino a bagnare le punte più estreme dei sui capelli nero corvino. Nel buio della sera, il suo volto bagnato era al sicuro da sguardi indiscreti, al contrario invece una volta entrata dall’ingresso di casa. Fece di tutto per nascondere le lacrime, ma le sue sorelle erano proprio le ultime che potessero non accorgersene. Rui, mentre preparava la cena, non fece in tempo a darle il bentornato che scorse gli occhi spaesati della sorella.
-“Hitomi, che è successo? Va tutto bene?”.
-“Va tutto come sarebbe dovuto andare. Sono io che sono una stupida!”. Entrò nella sua stanza sbattendo la porta.
-“Questo invece è molto da Hitomi”, commentò Ai. “Che avrà combinato Toshio stavolta?”
-“Non lo so, ma qualcosa mi dice che nostra sorella ce l’abbia più con se stessa che con lui. In ogni caso, avvisala che la cena è pronta, ma se non esce lasciala stare”.
-“Va bene. Le devo dire delle novità di Nagaishi?”.
-“Meglio di no, le diremo tutto con calma domani. Ora riposiamoci dal viaggio”.
La notte trascorse molto velocemente per Ai, che crollò nel suo giaciglio. Anche Rui accusava la stanchezza; per Hitomi invece i minuti passavano a rilento, mentre fissava il soffitto. Per lei era cambiato tutto. Era davvero solo una cena di lavoro? Aveva senso prendersela così tanto, dopo averlo lasciato in quel modo? Si stava tormentando, ma tra quei pensieri lo scorrere della notte sembrava andare ad un ritmo un po’più sostenuto, arrivando al suono della sveglia di Rui. Ore 7:00. Hitomi, nel più classico dei tentativi disperati, mise la testa sotto al cuscino; a dire il vero anche Ai, pur avendo dormito molto di più della sorella. Il piano del giorno era quello di continuare a sistemare il locale e di farlo tornare operativo il prima possibile, e al tempo stesso di organizzare i preparativi per un colpo più imminente del previsto, di cui però una delle sorelle non sapeva ancora nulla.
Rui preparò la colazione e chiamò Hitomi per farsi aiutare, ma soprattutto per spiegarle la nuova situazione. Il signor Nagaishi, infatti, la sera precedente non aveva dato entusiasmanti aggiornamenti.
-“Hitomi, ci sono delle novità. Però abbiamo bisogno che tu sia serena al 100%, sei con noi?”
-“Lo sono sempre.”
-“Bene. Ha chiamato Sadatsugu, dobbiamo agire in fretta. La banda che sta usando il nostro nome ha messo gli occhi sul quadro chiamato “Il mare di notte”, ha mandato un biglietto da visita simile al nostro al distretto di polizia. Vogliono rubarlo stanotte.”
-“Proprio uno dei primissimi quadri di papà… Abbiamo pochissimo tempo”.
-“Già, ma abbiamo un vantaggio. Noi sappiamo di loro-”
“Ma loro non sanno di noi. Hai già pensato a qualcosa?”
-“A grandi linee, sì. Ma quello che ti dirò probabilmente non ti piacerà.”
-“Sai che per papà farei di tutto.”
-“Mi fa piacere sentirlo. Ascoltami bene: Toshio verrà sicuramente qui a cercarti e abbiamo bisogno di sapere da lui come ha intenzione di agire questo ladro o questa banda, qualunque cosa sia.”
-“Devo proprio parlarci, vero?” Sospirò Hitomi.
-“Prendila come un’occasione per capire cosa c’era dietro alla cena di ieri sera, potresti anche scoprire di esserti arrabbiata per nulla. Dagli una possibilità, poi sai com’è fatto. È molto innamorato di te”.
-“Forse hai ragione, ma non l’ho ancora perdonato, ecco.”
-“Parli di perdonare lui o perdonare te stessa per averlo lasciato?” A quelle parole si sentì colpita sul vivo e cominciò ad arrossire. Solo la sorella maggiore aveva il potere di pungerla in quel modo. Dopo qualche momento qualcuno cominciò a suonare insistentemente il campanello di casa. Rui sorrise guardando Hitomi.
-“Qualcuno si è svegliato presto solo per te, a quanto pare. Non vorrai mica deluderlo?” Fece l’occhiolino alla sorella. “Dai, vai ad aprire. Al piano pensiamo Ai ed io.”
-“E va bene… solo per papà”. Rispose in modo poco convinto.
-“Certo, per papà.” Ridacchiò Rui. Hitomi sapeva che Toshio non aveva torto, ma non avrebbe mai voluto ammetterlo. Mentre si dirigeva verso la porta di ingresso, pensò che fosse una sfacciata fortuna dover deporre la rabbia ai fini di fare un passo avanti nella ricerca del padre. Scosse la testa a quel pensiero: “Quanto sono testona, a volte…”, si disse. Non fece in tempo ad aprire totalmente la porta, che subito Toshio la precedette:
-“Lasciami spiegare, per favore. Posso entrare?” Aveva il fiatone, e il suo volto incorniciato dai capelli scuri e mossi era cupo in volto, così come lei non lo aveva mai visto.
-“No, meglio non entrare, dobbiamo sistemare alcune cose in casa e nel locale.” A quella frase, il viso del ragazzo si spense ulteriormente nella delusione. “Possiamo fare due passi qui fuori, però. Se ti va”. Gli brillarono occhi.
-“Assolutamente sì, scherzi? Cioè, insomma, voglio dire che va bene”. Era agitatissimo e Hitomi non riuscì a trattenere un piccolo sorriso nel sentire la sua risposta, sorriso che timidamente apparve anche sul volto del giovane detective. Sembrava essere lo stesso di sempre. Chissà se anche lei sarebbe tornata tale, prima o poi.
 

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Capitolo 2
*** Un'altra banda Occhi di Gatto ***


Le strade di Tokyo erano rimaste le vie della frenesia cittadina nipponica. Ma dopotutto era l’orario di punta in cui le persone andavano generalmente a lavoro, e questo rendeva i marciapiedi un luogo più ospitale rispetto alle carreggiate, magari per una passeggiata chiarificatrice. I primi passi furono avvolti dal silenzio, perciò Hitomi, nel suo velo di malinconia, scorse lo sguardo perso di Toshio, fisso a terra, immerso in chissà quali pensieri.
-“Cosa dovevi dirmi, Toshio?” Cercò di rompere il gelo che aleggiava nell’aria.
-“Ieri sera, la cena… è stata un’assurda coincidenza.” La sua voce tremava, cominciò a grattarsi la nuca.
-“Continua.” Lo incalzò.
-“ È colpa di Occhi di Gatto.” Ribatté. Com’era possibile che fosse colpa di Occhi di Gatto se lei era appena tornata? Sembrava una scusa.
-“Di Occhi di Gatto, dici? Ma che c’entra?!” Hitomi cominciò ad innervosirsi, anche se sapeva che non doveva farlo. Mantenne la calma.
-“Devi credermi! Quella ladra nelle ultime settimane sta passando ogni limite, siamo disperati!” In quel momento le parole del signor Nagaishi risuonarono nella testa della ragazza. Quando erano ancora negli Stati Uniti, le aveva avvertite. Egli disse loro:
“Una nuova banda in Giappone ha preso il vostro nome e la vostra firma, e li usa per rubare opere di grande valore che una volta ottenute spariscono nel nulla, nemmeno i più grossi canali di commercio illecito sembrano averne traccia. Da un lato per voi è stato un ottimo alibi essere negli Stati Uniti, di certo questi colpi hanno allontanato i sospetti da un vostro coinvolgimento. Tuttavia non riuscendo ad ottenere informazioni utili come Hitomi le prendeva da Toshio, nelle ultime settimane questi ladri hanno assunto un modus operandi sempre più violento e sconsiderato, e questo non è un bene, perché costringe la polizia ad un atteggiamento più aggressivo. Nei loro confronti, ma quindi anche nei vostri. Dovete stare attente.”
Non era tutto. Nelle ultime settimane la banda si era avvicinata pericolosamente ad alcuni quadri da poco attribuiti alla collezione Heinz, che, entrando a far parte del bottino dei nuovi ladri, sarebbe scomparsa forse per sempre: un rischio che di certo non si poteva correre.
-“In che senso sta passando il limite?” Chiese, sorpresa.
-“Nell’ultima rapina, Mitsuko è stata a tanto così dal catturarla, o catturare una di loro, però la gatta ha usato una pistola contro di lei. Il proiettile l’ha sfiorata di un nulla, aveva mirato sicuramente alla gola, questo è certo!” A Hitomi gelò il sangue.
-“A… Alla gola?! Da quando la banda Occhi di Gatto è così aggressiva? Non ti sembra strano che abbia puntato proprio lì?” Chiese scioccata, mentre pensava: “Puntare alla gola ha un connotato ben più violento rispetto ad una qualsiasi altra parte del corpo… ed è pure inusuale”.
-“Certo che sì! Ma non è tutto, nel tardo pomeriggio di ieri è arrivato un biglietto firmato dalla banda che recitava: Domani ruberemo il dipinto ‘Il mare di notte’ alle 23:30. A noi due, signorina M. A.
-“M. A.?”
-“ È una palese minaccia a Mitsuko, Mitsuko Asatani. Penso che la vogliano fuori dalle indagini perché è stata quella che più volte ha messo loro i bastoni fra le ruote!”
-“Oh santo cielo…”
-“Vedi, Hitomi, lei non lo ammetterà mai, ma era decisamente scossa. Ho provato a tranquillizzarla e poi a dissuaderla dall’essere coinvolta nel nostro prossimo appostamento, per un attimo ha accettato a patto che mi aiutasse nel formulare insieme un piano per non far rubare l’opera.”
-“Per un attimo, dici?”
-“Sì. Quando te ne sei andata ieri sera per qualche motivo ha cambiato idea e non ha voluto sentire ragioni: vuole assolutamente essere presente. Non vorrei che andasse a finire male… Sono molto preoccupato.”
Hitomi si prese un attimo di silenzio per pensare. Mitsuko è stata la primissima a sospettare di lei e delle sue sorelle: “Non mi sorprende che abbia cambiato idea. È chiaro che quando mi ha visto abbia pensato che avrebbe potuto catturarmi in questa occasione, o forse vendicarsi credendo che fossi stata io a spararle… l’attentato alla sua vita potrebbe spiegare perché mi abbia urlato contro in quel modo. Mi ritiene colpevole.”
-“Che c’è Hitomi, perché non parli? Non mi credi per caso?”
-“No, ti credo, Toshio. Stavo solo pensando, tutto qui. Non avrei mai immaginato che la cena di ieri sera tra voi due fosse per un motivo tanto importante. Scusami.”
-“Ah… non importa, davvero.” Rispose, sorpreso dalla rapidità con la quale lo aveva perdonato. Fino a qualche mese prima gli avrebbe tenuto il broncio sì e no per qualche giorno.
-“Mi raccomando Toshio, proteggi Mitsuko stanotte. E vedrai che andrà tutto bene.”
-“C… certo.” Arrossì. “Ma ora parlami di te, che hai combinato in questi mesi?” Lei sorrise imbarazzata, quasi quanto lui.
-“Ne sono successe di cose, non mi basterebbe una giornata intera per raccontarle. Piuttosto, sono le 7:57, ce la fai ad andare a lav-”
-“NO NO NO, sono in ritardassimo, devo scappare! Ciao Hitomi, ci vediamo più tardi o domani, insomma, non lo so!”
-“Ti porto il pranzo in ufficio?” Chiese mentre lui già correva.
-“Sì, sì, va bene!” E sparì tra la folla. La ragazza si mise a ridere di gusto non appena si girò nella direzione di casa. “Quanto mi sei mancato, scemo”.
Tornata dalle sorelle, riprese un’aria più seria. Non aveva fatto in tempo a chiedere tutte le informazioni necessarie, per questo doveva insistere in seguito; in ogni caso aveva un’ulteriore conferma sulla pericolosità della nuova banda e del fatto che non si sarebbe fermata davanti a nulla.
-“Capisco.” Rispose Rui dopo aver ascoltato le novità di Hitomi. “La situazione è più complicata del previsto. Abbiamo decisamente bisogno di sapere di più su come operano.”
-“A me sembrano dei pazzi scatenati, a dirla tutta.” Disse Ai, con tono disinteressato.
-“Non sottovalutarli, Ai.” Rispose la sorella maggiore, dopo aver sorseggiato un caffè espresso.
-“Ai non ha tutti i torti, però.” Affermò Hitomi, fissando la sua tazzina.
-“Mi hai dato ragione due volte in due giorni? Chi sei, che ne hai fatto di mia sorella?!” Disse alzando teatralmente il piatto con la zuppa di miso bollente che teneva in mano.
-“Smettila, Ai. Intendo dire che generalmente i ladri più pericolosi sono quelli più inesperti, perché sono propensi ad usare la violenza anche quando non è necessario.”
-“Potresti aver ragione, Hitomi, dobbiamo stare attente e saper sfruttare questo potenziale punto debole. Tuttavia sono dell’idea che mirare alla gola sia un particolare che nasconde un significato preciso e inquietante.” Finì di bere il caffè. “Per il resto, il piano è quasi pronto, ma mancano dei dettagli di fondamentale importanza: quando andrai da Toshio a pranzo, assicurati di carpire le caratteristiche principali del loro modo di rubare. Dopodiché nel pomeriggio avremo tutto pronto per colpire.”
-“Un ritorno in grande stile! Rui, hai già spedito il nostro biglietto da visita?” Ai era visibilmente sull’onda dell’entusiasmo.
-“No sorellina, non questa volta: bruceremmo il vantaggio che abbiamo su questi ladri. Inoltre non dobbiamo far capire alle autorità che le vere Occhi di Gatto sono tornate, altrimenti sarebbe troppo palese il nostro coinvolgimento. Intese?” Spiegò Rui.
-“Intese!” Riposero in coro.
La sera arrivò in fretta ed era il momento di agire. La tensione degli agenti era alle stelle, soprattutto quella di Toshio, preoccupato per la collega che, al contrario, era più determinata che mai. Il Museo Nazionale di Tokyo era sorvegliato da un muro umano di poliziotti, distanziati tra loro di tre metri e posti lungo il perimetro. Toshio si trovava davanti al dipinto, insieme ad un consistente numero di agenti e dava le spalle all’opera: da una palette in cui blu di Prussia, oltremare e terra d’ombra prevalevano su tutto, spiccava il giallo ocra misto a lampi di arancione e pastoso bianco di titanio, a creare, più che una Luna, un sole potente contenuto dall’oscurità notturna, trincerato nel buio; in basso a destra una placida onda si infrangeva sulla sabbia, adornata di riflessi ammalianti, seppur cupi. Ma non c’era tempo di ammirare quel quadro per i poveri agenti, più che mai sopraffatti, non solo dal timore di fallire, ma dalla paura di perdere una stimata collega. Al rintoccare delle 23:34 ancora non c’erano segnali da parte della banda, finché un sibilo non riempì la stanza: le luci si spensero quasi all’unisono, e quando Toshio sentì una presenza alle sue spalle, tra lui e il dipinto.
-“Ti dichiaro in…!” Si bloccò di colpo quando sentì un tocco freddo sulla nuca e il rumore di una pistola pronta allo sparo.
-“Non un’altra parola, a meno che non sia un ordine ai tuoi agenti di non interferire.” Bisbigliò. Infatti tutti i poliziotti presenti avevano circondato Toshio e una donna vestita di nero, nascosta dal buio, eppure sotto agli occhi di tutti.
-“A… abbassate le armi.” La ladra respirava già aria di vittoria: fece esplodere un piccolo ordigno fumogeno per diminuire ulteriormente la visibilità, si girò ad afferrare la tela e, una volta arrotolata rapidamente su se stessa, scappò dal condotto di areazione da cui era arrivata, fino a trovare un’uscita all’esterno dell’edificio, dal lato in cui gli operatori erano meno numerosi. Con la sua abilità nel corpo a corpo fuori dal comune, riuscì a mettere fuori gioco tre poliziotti, presi alle spalle. Ormai tutto faceva pensare che i giochi fossero fatti, ma si fermò di colpo non riuscendo a fare nemmeno il primo passo verso la fuga vera e propria.
-“Non è così piacevole quando la pistola è puntata alla propria testa, vero?” Dietro di lei c’era l’agente Asatani, che teneva l’arma appoggiata alla nuca. “Mani in alto, ti dichiaro in arresto... Hitomi.” Si bloccò per un secondo. “Chi diavolo è Hitomi?!” La ladra si mise a ridere senza ritegno: eppure pensava che questa poliziotta fosse la più intelligente del dipartimento. “Pensa gli altri quanto sono idioti!” Continuò a ridere, convinta che tanto non avrebbe mai premuto il grilletto. Mitsuko non riusciva a riconoscere quella risata, nella confusione il suo sangue freddo diventò lavico e la mano inizio a tremare: “Che hai da ridere?! Ti dichiaro in…” La misteriosa donna si girò di scatto, colpendo con un calcio l’arma da fuoco della giovane, rincarando la dose con una ginocchiata sullo stomaco. “Non vale nemmeno la pena ucciderti.” Pensò. “Anzi, potresti rendere addirittura  più divertenti i prossimi colpi… Sì, sarà uno spasso!”
-“Eccola, è lì, prendiamola!” Toshio e gli altri agenti uscirono dal museo, pronti a catturarla, ma bastò un altro esplosivo fumogeno per recuperare il vantaggio. Raggiunse la macchina del suo complice, e partirono a tutta velocità su una berlina nera senza targa. Si tolse il passamontagna, a liberare la sua folta chioma, ed esclamò:  
-“Ah, che adrenalina! Il ruolo della gatta mi si addice proprio: giocare con le prede è molto più divertente che ucciderle subito, lo ammetto!” L’autista non rispose. La donna ne approfittò per ammirare la sua refurtiva. “Ed ora vediamo un po’ questo piccolo capolavor… Che cos’è questo?!” Urlò a quella vista inaspettata: sulla tela c’era dipinto un gatto stilizzato che faceva l’occhiolino, attaccato al quale un biglietto che recitava:
-“Non ti hanno mai detto che non si ruba a casa dei ladri? Firmato ‘Occhi di Gatto’ P.s.: quella vera ;)…”  Lesse. “Te la farò pagare cara, bastarda!” L’auto sfrecciò seminando quelle della polizia, contenendo a malapena le grida di rabbia della ladra, ormai uscita di sé.
-“ È stato il colpo più divertente della storia! Cosa pagherei per vedere la faccia di quell’imitatrice da strapazzo!” Ai fece ridere anche le sue sorelle, mentre tornavano a casa nella loro macchina. Rui, alla guida, rispose.
-“Ammetto che mi sono divertita molto anch’io. Nessuno può spacciarsi per noi e passarla liscia, dico bene?” L’umore era alle stelle.
-“Ridete pure, ma io non mi stavo mica divertendo! Scambiare la tela durante il blackout, quando Toshio aveva una pistola alla testa non è stato affatto facile, né esilarante!” Commentò Hitomi, mettendo il broncio.
-“Beh, ma è andato tutto bene! E poi di’ la verità, quanto avresti voluto vedere la sua reazione alla vista del mio capolavoro di arte contemporanea? Potrei fare carriera!”
-“Beh… lo ammetto, sì!” Si mise a ridere di gusto anche lei. “Ma sbaglio o Mitsuko lì fuori ha fatto il mio nome?” Tornò pensierosa per un secondo.
-“Sì, l’ho sentita” Rispose la sorella maggiore. “Forse sperava di coglierti sul fatto. Ma la ladra è sembrata sorpresa e divertita, con un po’ di fortuna la detective Asatani ha sentito dalla risata che non eri tu e desisterà dallo starti addosso, d’ora in poi. Almeno spero.”
-“Hai ragione, forse siamo riuscite a sfruttare tutto a nostro vantaggio, stasera, pur rimanendo in ombra. Ottimo piano, Rui!”
-“Non ti stai dimenticando di nessuno, eh?” Chiese stizzita Ai.
-“Sì sorellina, sei stata brava anche tu. I visori notturni sono stati una tua idea, dopotutto. Di quel capolavoro nemmeno a parlarne.” Srotolò la tela per osservarla meglio. “È veramente un quadro stupendo. Chissà quale spiaggia raffigura.”
-“Lo scopriremo, vedrai, potrebbe essere un indizio verso la verità. Ora torniamo a casa a recuperare un ciclo di sonno come si deve.”
-“Non ci ferma nemmeno il jet lag, siamo fortissime!” Esclamò Ai, che dopo una manciata di secondi passò dall’entusiasmo contagioso ad un sonno repentino e si addormentò in macchina.
-“Brutti scherzi che fa l’adrenalina!” Rise Hitomi.
-“Come darle torto. Mancava un po’ a tutte e tre questa vita, no? Nel bene e nel male.” Rispose Rui. “Siamo state impeccabili stasera. Questo non vuol dire che le cose andranno sempre perfettamente… Abbiamo iniziato una partita tosta: dobbiamo prepararci a scoprire le nostre carte al meglio con questa banda rivale, ormai.”
-“Certo che sì. Però pensiamoci domani, per favore. Non vedo l’ora di dormire anch’io.”
-“Hai ragione. Eccoci, siamo arrivate a casa.”

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Capitolo 3
*** Un viso familiare ***


-“Cinque giorni. In cinque giorni avremo avuto sì e no solo una ventina di clienti… è così frustrante.” Hitomi si teneva il volto con la mano, mentre era appoggiata al bancone. “Di cui uno è Toshio e un’altra è Mitsuko, anche se del caffè non le importa niente.”
-“Abbiamo chiuso il bar per mesi, ci vorrà un po’ prima di riavere il giro di una volta. A proposito di Mitsuko, si può sapere che cosa ti ha detto negli ultimi giorni? Ero sempre in cucina le ultime volte che è venuta.” Rui stava finendo di lavare le poche stoviglie utilizzate quella mattina.
-“Non ci crederai mai. Sono tre giorni che si presenta qui, mi chiede il caffè e poi mi racconta delle barzellette idiote che non farebbero ridere nemmeno i bambini. Mi dà sui nervi.” Rui cominciò a ridere. “Che hai tu?” Partì uno sguardo fulmineo verso la sorella.
-“Ah, Hitomi. Non lo hai capito? Vuole farti ridere per capire se la risata della ladra che l’ha colpita l’altra notte sia uguale alla tua. A meno che non voglia fare colpo su di te…” Rise maliziosamente.
-“Ma quante fesserie, Rui!” Hitomi arrossì di colpo.
-“Dai, sto scherzando. Ma sicuramente è per confrontare le risate, prova a lasciarti andare quando torna, potrebbe accorgersi della differenza e lasciarti in pace. Oh, guarda, un nuovo client-” Rui si bloccò di colpo e le si sbarrarono gli occhi. Sussurrò: “Guardalo, Hitomi, o mi prenderai per matta.”
-“Rui, che ti succ… No, non può essere! È…” cercò di tenere basso il tono della voce, ma sussultò. Dalla porta era appena entrato un giovane ragazzo atletico e dalla chioma bionda, vestito da una maglietta bianca coperta in parte da una giacca di jeans aperta. Gli occhi chiari e persi facevano intendere che fosse uno straniero.
-“Buongiorno, fate il caffè italiano?” Esordì timido appena trovato posto davanti al bancone vuoto. Hitomi fece cenno di assenso con la testa, salvo non accorgersi che il volto del ragazzo non era rivolto a lei, ma alla sorella. Rispose quindi Rui.
-“Sì, espresso. Lo preparo subito.” Non riusciva a fare a meno di porsi domande.“È uguale… ma no, è troppo giovane, non può essere…” Seguirono attimi di silenzio, interrotti dalla porta del locale che si aprì nuovamente.
-“Ah, ciao Mitsuko. Cosa ti preparo?” Hitomi dovette trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo e sorrise nel modo più convincente che poté.
-“Buongiorno! Il solito, per favore.” Si girò distrattamente, incrociando lo sguardo dello sconosciuto, e rimase come incastrata in quegli occhi cristallini. Egli le sorrise in modo amichevole, tornando poi ad osservare il bancone in attesa della sua colazione. Questo bastò per pietrificare in qualche secondo la giovane agente, che scosse la testa, tornando in sé. “Ah Hitomi, senti questa.”
-“Dimmi.” Rispose, servendo il caffè al nuovo arrivato. “Ecco a lei”. Lo straniero fece un cenno di ringraziamento.
-“Un cavallo triste entra in un bar. Sai cosa gli chiede il barista?” Hitomi sorrise imbarazzata.
-“No, cosa?” Con grande sorpresa rispose lo sconosciuto, anticipando Mitsuko.
-“Perché quel muso lungo?” Intervenne lo straniero, non sollevando o sguardo dalla tazzina. Dopo la prima reazione di stupore nel silenzio generale, le due sorelle e Mitsuko si misero a ridere di gusto. Solo in quel momento il ragazzo si rese conto di aver pensato ad alta voce.
-“Questo è anche meglio di quello che volevo dire io!” Risposo Mitsuko. Eppure dopo l’attimo di divertimento, cominciò a realizzare il motivo per cui era lì: “No, non è la stessa risata della ladra, ma com’è possibile? Me l’ha fatta sicuramente anche questa volta!”
-“Perdonate la mia intrusione, è una vecchia battuta che si fa nel mio paese”. Si scusò timidamente.
-“Si figuri.” Sorrise Hitomi e colse la palla al balzo per saperne di più. “Da dove viene? Parla molto bene la nostra lingua.”
-“Grazie. Vengo dagli Stati Uniti, ma le mie origini sono una lunga storia. Starò qui in Giappone per un po’”. Sorseggiò il suo caffè.
-“Mi permetta di indovinare: Germania?” Intervenne Rui, cercando di nascondere dietro un sorriso i suoi pensieri, qualcosa però traspariva ugualmente.
-“Fuochino.” Le sorrise con lo sguardo, più che con le sue labbra sottili e ne fu colpita in modo travolgente. Quelli erano occhi sconosciuti, eppure incastonati in un volto tremendamente familiare. Da vicino i tratti, però, non sembravano così riconoscibili.
-“Si è già fatto tardi, devo andare al distretto.” Pagò ed uscì velocemente, con fare ambiguo, come se volesse scappare da una situazione divenuta scomoda. O forse qualcosa le aveva fatto cambiare un umore repentinamente.
-“Anch’io devo andare.” Disse il nuovo cliente. “Quanto vi devo?” Rui voleva inventarsi qualcosa per farlo tornare: doveva assolutamente scoprire chi fosse quel ragazzo.
-“Nulla.” La sorella si girarono vero di lei, esterrefatte. Anche lo straniero non capiva. “Offre la casa, prendilo come un benvenuto in Giappone.”
-“Non posso accettare… Davvero, cosa vi devo?” Mise una mano dietro alla nuca, in imbarazzo.
-“Insisto.” Sorrise la sorella.
-“Mi costringete a tornare a saldare il debito, così. Vi ringrazio.Ci vediamo, buona giornata.” Salutò con cenno della mano e un sorriso contagioso, per poi uscire e raggiungere ed affiancare Mitsuko, avviata per la sua strada, accennando un segno di intesa.
-“Rui, lo hai visto?” Chiese Hitomi con voce tremante. “Gli assomiglia tantissimo”.
-“Sì, ma mantieni la calma. Quegli occhi non hanno nulla a che fare con nostro padre. Dobbiamo scoprire chi è, magari non c’entra nulla. Tornerà”. La porta del bar si aprì nuovamente, la voce di Toshio annunciò la sua stessa entrata.
-“Buongiorno Hitomi, mi faresti un caffè?”
-“Buongiorno. Certo, Toshio.” Si sorrisero a vicenda in assenza della solita complicità, come erano abituati a fare tempo addietro.
-“Per curiosità, mi sapete dire chi era il ragazzo che parlava con Mitsuko in strada? Non l’ho mai visto, non sembra di qui.”
-“Un nuovo cliente, viene dagli Stati Uniti.” Rispose Hitomi.
-“Cos’è, è rimasto così abbagliato da voi tre ragazze che vi ha seguito fino a qui?” Toshio rise alla sua battuta, ma le due sorelle si pietrificarono a quelle parole: non ci avevano minimamente pensato. “Che ho detto?” Guardò le ragazze. Rui finse una risata per stemperare.
-“Bella battuta, Toshio. Ma non credo proprio, non lo abbiamo mai visto.” Rispose.
-“Mi preoccupa solo che uno sconosciuto accompagni Mitsuko, non vorrei che…”
-“Che c’è, sei geloso che un altro ragazzo le stia vicino?” Sorrise maliziosa Hitomi appoggiandosi al bancone, mentre gli rivolgeva uno sguardo provocatorio.
-“Ma che ti salta in mente, certo che no!” Arrossì. “Posso essere preoccupato per una collega che è stata minacciata di morte qualche giorno fa? Se c’entra con quei ladri è sicuramente pericoloso!”
-“In effetti non hai tutti i torti, ma in questa città ci sono tantissime persone, non puoi essere così affrettato. Dovresti preoccuparti di chiunque.” Osservò Hitomi, eppure nemmeno lei era serena a riguardo.
-“Sì, sì, va bene. Ma lo terrò d’occhio lo stesso, ho deciso! Buona giornata!” Lasciò il compenso per la colazione e si diresse fuori dal bar, mentre al contempo nuovi clienti furono invogliati a ripopolare i tavolini grazie al gran via vai che si era creato.
-“Anche meglio del previsto, se Toshio lo controlla, mi dirà ogni suo movimento sospetto, no?” Disse Hitomi, mentre metteva a lavare le tazzine appena utilizzate.
-“Non sarebbe male, tuttavia credo che sarà meglio farlo in prima persona, se vogliamo tenerlo d’occhio”.
-“E noi abbiamo intenzione di farlo, dico bene?”
-“Ne parleremo con calma quando saremo sole con Ai, ma penso proprio di sì. Guarda quanti nuovi clienti abbiamo stamattina, dobbiamo darci da fare qui, ora.”
La giornata che si presentava loro era decisamente più dura rispetto a quelle precedenti, ed era un bene, poterono finalmente tirare un sospiro di sollievo: piano piano il locale sembrava riempirsi in parte, la voce tra i vecchi clienti abituali girava e gli affari potevano tornare lentamente alla normalità. Il vero stravolgimento avveniva nella parallela vita notturna, in cui ad affrontarle non c’erano più solo i poliziotti. Erano tanti i punti su cui indagare, tra i più importanti c’era di certo la finta banda Occhi di Gatto, sulla quale Rui aveva già cominciato a fare ricerche grazie all’aiuto di Nagaishi. Eppure i suoi pensieri non riuscivano a staccarsi da quel ragazzo: non tanto per il suo fascino, quanto più per il rischio che fosse un ulteriore ostacolo. La sua presenza era circondata da tante, troppe, piccole e incredibili coincidenze, ancora troppo sottili per essere preoccupanti.
La fine della giornata arrivò molto in fretta, e Ai, rientrata da scuola, si ritrovò dentro ad una strana aria di sospetto e pensieri, tanto da accorgersene subito.
-“Si può sapere che è successo? Siete davvero strane.” Chiese a Rui, che quindi la invitò a sedersi intorno al tavolo vicino a Hitomi, che si era appena tolta il grembiule da lavoro.
-“Oggi sono tornati i clienti, è stata una giornata più piena del solito. Forse non eravamo più abituate.”
-“Tapisco, è una buona notizia. Ma tutto qui, davvero? Mi sembrate stravolte.”
-“No, non è tutto qui. Oggi al bar è entrato un ragazzo: avresti dovuto vederlo, sembrava nostro padre. Siamo rimaste scioccate.” Spiegò Rui.
-“Nostro padre? È uno scherzo, dai, nessuno può assomigliare a nostro padre!” Alzò la voce, irritando non poco Hitomi.
-“Lo abbiamo visto con i nostri occhi, non fosse stato per la sua età mi sarebbe preso un colpo ben peggiore. Fosse stato solo un po’ somigliante non ci staremmo pensando così tanto, no?” Ribatté.
-“Perché vi preoccupate? Qui in Giappone non può esserci un uomo così simile a lui! Biondo, occhi azzurri…” Ai insisteva.
-“Non è giapponese – Rispose Rui - ma parla la lingua, e molto bene anche. Viene dagli Stati Uniti.”
-“Niente di sconvolgente, mi pare…”
-“E non è tutto. Ha origini europee.” Continuò Rui.
-“Molti americani le hanno… quindi?” La sorella minore cercava di far ragionare le due, svolgendo il ruolo dell’avvocato del diavolo.
-“Ma non tedesche, a suo dire. Solo vicino alla Germania.” Rifletté per un attimo Hitomi.
-“Quindi… Francia?” Provò Ai.
-“No, non credo… Però, ha chiesto un espresso oggi: Italia!” Disse Hitomi.
-“Può darsi. In ogni caso non possiamo indovinare la sua nazionalità da un caffè… magari è solo un buongustaio. Ma poi se avesse ordinato senza dirvi tutte queste cose, se ne sarebbe andato senza destare sospetti, come tutti gli altri, perché farsi notare? Almeno, ve le ha dette lui, credo, non lo avete già messo sotto la lente, no?” Rispose la sorella minore.
-“Su questo non hai tutti i torti – prese parola Rui – ma devi crederci quando ti diciamo che non era una somiglianza alla lontana. Inoltre viene dagli USA, dove siamo state da poco, e si presenta proprio nel nostro locale; una parte di me dice che stiamo parlando del nulla, ma l’istinto... per non parlare della preoccupazione di Toshio, sul fatto che la finta banda Occhi di Gatto abbia minacciato Mitsuko. Potrebbe essere un tirapiedi della donna che ha affrontato l’agente Asatani.”
-“O forse è solo un cliente straniero che si è ritrovato nel nostro locale a fare colazione. Comunque se ci tenete tanto possiamo provare a tenerlo d’occhio, ma se è come dite voi saprà sicuramente come sparire.” Ai alzò le spalle quasi rassegnandosi alla tesi delle sue sorelle. “Certo è che se assomiglia davvero così tanto a papà, voglio vederlo di persona.”
-“Ai, non so se è una buona idea...” Rispose Hitomi.
-“Perché no? Voi papà lo avete visto da bambine, io ricordo il suo viso solo grazie alle fotografie. Se mi dite che è uguale a lui, io voglio vederlo eccome!”
-“Potrebbe essere pericoloso. E poi non è nemmeno detto che lo rivedremo ancora...” Hitomi non era convinta.
-“C’è una possibilità che torni nei prossimi giorni, Ai.” Disse Rui, sotto lo sguardo attonito della sorella.
-“Rui, perché lo hai detto? Non ha senso-” Cercò di interromperla Hitomi.
-“Ne ha per Ai. Non può ricordare il volto di nostro padre, noi sì, e non possiamo capirla appieno. E poi fino a prova contraria, il ragazzo sconosciuto è un cliente come tanti, e questa è una coincidenza. Se può servire alla nostra sorellina per ricordare il viso di nostro padre, perché no?”
-“Grazie, Rui. Ma come fai a sapere che tornerà?” Chiese Ai.
-“Gli ho offerto il caffè, se è una persona a modo tornerà nei prossimi giorni... ma mi rendo conto che non c’è nessuna garanzia.”
-“Meglio di niente, dopotutto.” Continuò Hitomi, vedendo la faccia delusa di Ai. “Domani però dei tavolini ti occupi tu, se vuoi rimanere a casa da scuola.”
-“Tutti quanti?! Rui, dille qualcosa!” La sorella maggiore stava già ridendo per la situazione.
“Ce ne occuperemo a turno, come sempre. Andiamo a riposare ora, abbiamo molto da scoprire nei prossimi giorni. E anche da progettare: il prossimo colpo si avvicina.”

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Capitolo 4
*** Il primo scorcio ***


Rui si alzò prima del solito, con aria stanca. Era stata una notte quasi priva di sonno, la sua: un po’ come quando non vedi l’ora di chiudere gli occhi al sicuro nel tuo giaciglio, per poi essere improvvisamente catapultato in un vortice di pensieri sconclusionati, confusi, senza filtri. Quel ragazzo non le usciva dalla testa. Dopo anni e anni di furti e ricerche, niente le sembrava più vicino alla figura del padre di quel giovane straniero. I capelli, della stessa tinta biondo scuro, portavano un taglio leggermente più corto di quello del padre, e incorniciavano un viso rassicurante e squadrato, ma morbido nei tratti. Gli occhi erano quel particolare che, almeno così credeva, probabilmente la tenevano sveglia: due perle di ghiaccio che nulla avevano a che fare con quanto visto in tutta la sua vita, incluso il suo stesso padre. Si stava convincendo che, probabilmente, fosse stata colpita dalla somiglianza, e che i sospetti fossero solo una conseguenza della tensione emotiva alla vista di viso così familiare, seppure distante. Cominciò a preparare i tavoli nel locale ancora chiuso, in attesa che le sorelle si svegliassero per aiutarla e con un briciolo di stupore vide Hitomi raggiungerla qualche minuto dopo.
 
-“Cosa ci fai già sveglia a quest’ora? È presto.” Hitomi trattenne uno sbadiglio.
-“Potrei chiederti la stessa cosa. Anche tu hai dormito poco?” Chiese Rui.
-“Sì, ho avuto una strana sensazione per tutta la notte. Tu?”
-“Anch’io. Da troppo tempo ormai non vedevo qualcosa che mi ricordasse così tanto nostro padre. Nemmeno una delle decine di opere che abbiamo rubato si è mai avvicinato a tal punto. Ma ora è meglio metterci a lavoro e non pensarci.”
-“Come sempre, hai ragione.”
 
Il locale era pronto per essere aperto, quando Ai si svegliò per aiutare, e si sorprese di vedere i tavolini già apparecchiati. Non fece storie, in fondo era una buona notizia per lei: la penitenza invocata da Hitomi avrebbe aspettato. I primi clienti, i più mattinieri, presero posto per la colazione e la giornata ebbe ufficialmente inizio. Il primo volto conosciuto ad arrivare fu Toshio, che con cenno della mano salutò Hitomi al banco, che ricambiò con un sorriso.
 
-“Il solito, grazie.”
-“Buongiorno. Va bene. Come mai quell’aria sbattuta? È successo qualcosa?” Chiese Hitomi, vedendolo pensieroso.
-“No no, niente.” Prese un attimo per pensare. “Ieri ho seguito Mitsuko e lo sconosciuto. Non crederete mai a cosa è successo!” Ebbe l’attenzione delle tre sorelle, che si allarmarono immediatamente a quelle parole.
-“Avanti, cosa?” Hitomi lo incalzò.
-“L’ha accompagnata fino alla caserma, ma dico io, si può dare questa confidenza ad uno così sospetto?! Devo fare una lavata di capo a Mitsuko, è pericoloso!” Alzò la voce.
-“Toshio, sei un idiota!” Rispose impulsivamente la ragazza, mentre le altre due sorelle non poterono trattenere una risata nervosa sui loro volti perplessi. “È questa la cosa incredibile?!” Continuò Hitomi.
-“Magari è stato solo gentile e Asatani le piace… la cosa ti disturba parecchio, vedo.” Commentò Ai, mentre sistemava un tavolo vicino al bancone. “Tu non sei mai andato con lei al distretto a piedi, per fare un po’ di strada in compagnia?” Cercava di stuzzicarlo.
-“Ma no! Cioè, forse qualche volta, ma io sono io…” Rispose imbarazzato.
-“Ah, è così?!” Il tono di Hitomi si fece accusatorio, e le sue braccia si incrociarono. Toshio si sentiva intrappolato fra due fuochi, quello della malizia e quello della gelosia: ormai rassegnato ad una gran lavata di capo, fu salvato da dei movimenti dietro di lui. Per sua fortuna, era il rumore della porta appena aperta, la quale richiamò l’attenzione di tutti.
 
-“Bentornato, forestiero.” Esordì Rui con un sorriso a metà tra il gentile ed il compiaciuto, invitando anche Ai a girarsi verso il cliente che tanto aspettava. Nel voltarsi, ne rimase folgorata, tanto da pietrificarsi in pochi istanti: la bocca leggermente aperta sembrava voler parlare, ma non ne usciva alcun suono. La sorella maggiore cambiò repentinamente espressione nel volto appena lo notò e capì di dover fare qualcosa.
-“Pa… papà…” Sussurrò la più giovane, sentita solo dalla sorella maggiore, che la guardò preoccupata e le fece cenno di stare tranquilla. Proprio a lei lo straniero rivolse la parola, nel momento meno opportuno.
-“Buongiorno” Si avvicinò al bancone e diede un’occhiata confusa ad Ai. “Caspita, anche tu lavori qui? Ieri non ti ho vista, perdonami…”
-“No, tranquillo, ieri non c’era. Per cosa ti stai scusando, se posso chiedere?” Intervenne Rui, cercando di coprire la sorella che ancora non riusciva a rispondere.
-“Ho pensato di portarvi un omaggio per la vostra gentilezza, ma non ho pensato che avrebbe potuto esserci un’altra persona. Chiedo venia.” Porse a Rui un piccolo pacchetto regalo composto da una scatoletta a tema floreale ed un fiocco color rosa pesca.
-“Oh, grazie, ma ce n’era bisogno…” Disse Hitomi, sporgendosi con curiosità verso l’oggetto, aperto dalla sorella maggiore.
-“Ero in debito per la vostra ospitalità. È una cosa piccola, davvero.” Continuò. Rui tirò fuori due spille di vetro brillante, dal design stilizzato, ispirato ad un fiore di loto, di sfumature di colori che passavano dal rosa al viola.
-“Sono davvero graziose!” Disse Hitomi entusiasta, seguita a ruota da Rui.
-“Grazie, sono stupende.” Il ragazzo sorrise, felice della sorpresa riuscita.
-“Di nulla, davvero. Anzi, mi dispiace non aver pensato di portarne qualcuna in più, l’avrei data volentieri anche a… uh, non ci siamo nemmeno presentati, ora che ci penso. Mi chiamo Jack, piacere.” Seguì un inchino appena accennato, gesto che fece sorridere le due ragazze.
-“Sono Rui. Il piacere è nostro.”
-“Hitomi, molto piacere.” Entrambe ricambiarono con un piccolo inchino.
-“Ed io Ai.” Riuscì a presentarsi, con la voce tremante. Quando il suo sguardo incrociò nuovamente quello del ragazzo, le sembrò come di essere come sospesa nel vuoto.
-“Ed io sono Toshio, sempre se qualcuno se lo stesse chiedendo.” Il giovane detective interruppe improvvisamente la conversazione, rimanendo seduto al suo sgabello con aria infastidita e soprattutto sospettoso nei confronti dello statunitense.
-“Che modi sono…” Hitomi alzò gli occhi al cielo, mentre Jack non fece caso allo sgarbo.
-“Piacere di conoscervi, tutti e quattro. Ai, perdonami. Porterò qualcosa anche per te nei prossimi giorni, promesso.”
-“No, no, tranquillo... sei gentile…”
-“Non ho mai visto un vetro lavorato in questo modo, sono davvero raffinate.” Intervenne Rui, vedendo la sorella in difficoltà. “Non le hai acquistate qui, vero?”.
-“No, infatti. Le ho portate dall’America, ma il loro viaggio è stato molto più lungo. Le ho fatte realizzare per un mio progetto, l’Hasu Music Studios.”
-“Cosa sarebbe?” Chiese Hitomi.
-“Sto per aprire un’etichetta musicale indipendente che punta a promuovere i giovani talenti della musica giapponese. Voglio scoprire cosa ha da offrire questo splendido paese.”
-“Un progetto davvero ambizioso. Come mai proprio in Giappone?” Rui volle cogliere la palla al lazo per sciogliere almeno in parte i suoi dubbi.
-“Dopo le tante esperienze negli States, ho voluto cercare qualcosa di più culturalmente caratteristico e bisognoso di una rivalutazione generale nel resto del mondo. La musica giapponese è affascinante, e sono sicuro di poter trovare ragazzi di grande potenzialità, che possano fare da traino ad un movimento musicale. E perché no: portare un prodotto diverso al mercato odierno del pop. Sì, è qualcosa di molto ambizioso.” Rui rimase profondamente colpita dalla conoscenza lessicale e della quasi assenza di accento straniero, in quello che era stato a tutti gli effetti un discorso tutt’altro che banale. Egli guardò il grande orologio a muro appeso davanti al bancone. “Caspita, mi dispiace non aver preso nemmeno un caffè, ma devo assolutamente andare. Ai?” Si rivolse alla sorella minore, che fu colta di sorpresa.
-“S…Sì?” Cercò di rispondere.
-“Ti porterò qualcosa per farmi perdonare, promesso. È stato un piacere conoscervi, arrivederci.” Se ne andò, lasciando dietro di sé un silenzio tombale per qualche eterno secondo.
-“… Lo avete sentito? L’ho detto che era sospetto! Non posso notarlo solo io!” Esordì Toshio, che subito sorseggiò il suo caffè ormai quasi freddo.
-“Ma non dire scemenze!” Rispose Hitomi, non poco stizzita, mentre provava ad indossare il piccolo accessorio. “In cosa ti è sembrato sospetto? Sentiamo.”
-“Comunque devo andare anch’io.” Affermò senza rispondere, poiché subito gli balenò un pensiero in testa: ‘L’istinto di detective mi dice di seguir…’
-“Non penserai mica di seguirlo come hai fatto ieri, vero?” Hitomi interruppe il flusso dell’idea, intuendo le sue intenzioni.
-“Ma no! Vado e basta, arrivederci!” Lasciò i soldi sul bancone e sgattaiolò via in fretta e furia.
-“Uff, che maleducato. Prendersela così con un ragazzo tanto a modo…” Si tradì al punto di attirare la provocazione di Rui, che stava sistemandosi la spilla al suo maglioncino, un po’ più su della scollatura del grembiule.
-“Ma sentila, questo Jack ha fatto proprio centro, eh?” Si mise a ridere.
-“Non si tratta di questo, è troppo chiedere un po’ di educazione? Toshio mi dà sui nervi quando fa così.” Incrociò nuovamente le braccia, infastidita. Rui però sapeva che chi aveva bisogno di attenzioni in quel momento non era Hitomi.
-“Ai.” Si avvicinò a lei appoggiando una mano sulla sua spalla. “Va tutto bene? Sembravi sconvolta.”
-“Io non lo so.” Respirò per qualche secondo. “È uguale alle foto…”
-“Sì, ci assomiglia molto, te lo avevamo detto. Ma non è lui, nemmeno lentamente. Ora vai a riposare, non puoi lavorare in queste condizioni.”
-“Io però… voglio rivederlo.” Rui sospirò a quelle parole e la rimandò a nella sua stanza.
-“Tornerà. Ma cerca di staccare la spina, vai in camera ora.” Sospirò appena Ai lasciò il salone.
-“Lo avevo detto che non sarebbe stata una buona idea.” La ammonì la sorella.
-“Nei suoi panni anche tu avresti scalpitato per vedere un fantomatico straniero così simile a nostro padre. Passato lo shock iniziale, si riprenderà. Piuttosto, bisogna aggiornare Nagaishi e chiedergli di fare qualche ricerca su Jack e lo studio Hasu. Sono poche informazioni, ma almeno possiamo provare a verificarle.”
-“Va bene, lo faccio subito.” La porta si aprì e lasciò annunciare l’entrata di Mitsuko, che pareva essere di umore estremamente gioviale.
-“Temo che dovrai farlo più tardi” Sussurrò Rui, ridendo sotto ai baffi. Si rivolse poi alla cliente. “Buongiorno agente Asatani, cosa preparo?”
-“Buongiorno! Un caffè, grazie.” Rui si allontanò bisbigliando un sarcastico ‘Buona fortuna’ alla sorella, mentre Mitsuko continuò a parlare. “Ah, Hitmoni senti questa. Sai cosa serve ad un maiale che deve fare un viaggio all’estero?”. La ragazza sorrise rassegnata e aspettò con finta trepidazione alla chiusura della squallida battuta di giornata.
 
La giornata passò lentamente. Ai riuscì ad aiutare le sorelle dopo qualche ora di pausa, pur avendo la testa da un’altra parte. Rui però doveva richiamare tutte all’attenzione per una questione ben più pressante e, una volta chiuso il locale, si dedico ad ultimare con loro il piano del colpo che sarebbe avvenuto dopo qualche giorno. Non era facile: la più piccola aveva accusato il colpo più del dovuto, e, come successe a lei stessa e a Hitomi, non riusciva a pensare ad altro; nel mentre, l’altra sorella aveva sensazioni contrastanti, poiché i sospetti si erano in parte rasserenati, ma qualcosa ancora la teneva in allerta. Rui si chiedeva: saranno in grado di essere concentrate al massimo per quell’importantissimo furto?
 
-“Tra tre giorni colpiremo al Museo Nazionale di arte Moderna di Tokyo per rubare il quadro ‘L’uomo del bosco’, di Halmut Schmidt, uno dei primissimi dipinti dal tema paesaggistico entrati nella collezione Heinz. La sua particolarità sta nel fatto che l’artista abbia unito la rappresentazione della natura romantica ed un principio quasi impressionista del dipinto di Renoir, il quadro ‘Bal au Moulin de la Galette’, con dei riflessi sgargianti che attraversano i rami e si appoggiano a chiazze alla tela. È uno scorcio vitale della gioia di abitare in un mondo più grande di noi, che può sovrastarci con la sua potenza”.
 
-“E come mai questa lezione di storia dell’arte, Prof. Kisugi?” Domandò in tono sarcastico Hitomi.
 
-“Più sappiamo di un quadro, meglio possiamo carpire gli indizi che nasconde. Sembra che questo dipinto non abbia avuto particolare successo. E così, escluso dalla corrente romantica e anche da quella impressionista, ha viaggiato per il mondo senza troppa nostalgia dei posti che lo hanno ospitato. Un dipinto di questa fattura e dal prezzo relativamente basso potrebbe scappare dal Giappone da un momento all’altro.” Prese dalla libreria un libro e ne tirò fuori una piantina del museo.
-“L’opera fu scartata da parecchie esposizioni e criticata da innumerevoli esperti della fine dell’Ottocento, in quanto si vede un l’uomo a suo agio nella vastità brillante della natura, la quale non ha né l’essenza estetica del pittoresco, né la sensazione del sublime romantico, in cui l’essere umano è sovrastato dalla pericolosa bellezza di Madre Terra”.
Dispiegò la cartina sul tavolo in cui invitò le sorelle a sedersi.
-“Nostro padre ne riconobbe le peculiarità concettuali e tecniche, così decise di farlo entrare nella collezione. Ma anche questo dipinto venne confiscato dai nazisti in Germania, che lo rivendettero per finanziare le campagne belliche. E dopo aver toccato i musei più disparati, da qualche mese è qui in Giappone.” Indicò l’ala esatta del museo in cui il quadro è esposto. “Ecco come faremo. Il museo è diviso in due grandi complessi, suddivisi a loro volta in tre grandi sale. Il nostro dipinto si trova in quella più a sinistra rispetto all’entrata.”
-“Sarà facile bloccare la nostra fuga con queste premesse”. Osservò Hitomi. “Potrebbe servire un diversivo.”
-“Esattamente. È probabile che gli agenti siano distribuiti anche nelle altre sale, pronti a circondarci. Quindi non sarai sola, Hitomi. In quanto a te, Ai… Ai, ci sei?” Lo sguardo assente della sorella allarmò Rui.
-“Sì, sì, ci sono.”
-“Ci servi con la testa qui, devi concentrarti.” Ai cercò di scrollarsi i pensieri di dosso e tornò ad ascoltare la sorella. “Ci servirà una delle tue invenzioni, riesci a lavorarci in poco tempo?”
-“Sì, ci penso io.”
-“Ottimo. Domani manderemo il nostro avviso, nella speranza che la banda di impostori non decida di colpire in altri posti, o in generale di interferire con noi. Ma siccome questa possibilità è alta, dobbiamo anche valutare una possibile vendetta per lo scherzo che abbiamo fatto loro. Dobbiamo tenere gli occhi più aperti, in questo furto più che mai.”

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Capitolo 5
*** La Gatta Nera ***


Scese la notte nella città di Tokyo. Una brezza rinfrescante scompigliava i capelli degli avventurieri della notte: qualcuno tornava a casa, qualcuno usciva a sfidare il blu che faceva da sfondo al cielo stellato. Qualcun altro, invece, si trovava alla soglia un grande museo, diventato bersaglio della banda divenuta la più temuta e temibile dei Giappone. Per Toshio, quella sera, il quadro da sorvegliare era l’ultimo dei pensieri: Asatani non ne voleva sapere di tirarsi indietro, nonostante le serie minacce a lei arrivate dalla banda del terrore. Nonostante il concreto pericolo, voleva andare avanti. “È il mio lavoro”, gli ripeteva, “altrimenti che poliziotta sarei?”. Aveva ragione, senza dubbio. Da qualche mese, però, la posta in gioco si era alzata notevolmente e non si sarebbe mai perdonato se avesse in qualche modo permesso al peggio di avvenire. Scosse la testa nel tentativo di scacciare questi pensieri. “Mitsuko è in gamba”, si ripeteva, “Se la sa cavare”, come un mantra, fingendo che bastasse a convincersi.
 
L’appuntamento con il crimine era fissato per le 23:00 e il tempo sembrava di tanto in tanto fermarsi, per poi accelerare la sua inesorabile cavalcata. Il silenzio tombale accoglieva il rumore delle lancette dell’orologio da polso del detective. La schiera di agenti era schierata lungo tutta la parete che ospitava il dipinto e le finestre erano sapientemente sigillate; l’opera era illuminata non solo dalle luci della sala, ma anche da un faro alimentato indipendentemente rispetto alla corrente dell’edificio, per evitare un eventuale blackout. La lancetta aveva appena compiuto il movimento che identificava l’ultimo secondo delle ore 22:59. Deglutì, in attesa dell’arrivo della banda. “In questo museo è impossibile rubare qualcosa senza passare inosservati. Potrebbe finire male…”. Un tonfo all’entrata fece sobbalzare tutti i presenti. E poi un altro. Ed un altro ancora. Quando i rumori si fecero consequenziali, la sorpresa si fece allarme: gli agenti in esterna stavano cadendo, uno ad uno.
-“Rimanete in posizione! Nessun rumore di sparo verso gli agenti, li hanno messi KO! Agente Okamoto, chiami un ambulanza, tutti gli altri ai loro posti!”
-“Signor sì!” L’agitazione saliva insieme alla concitazione; rimanere lucidi risultava più difficile ad ogni minuto che passava. Un sibilo tagliente attraversò la stanza e colpi il proiettore che illuminava il dipinto, quasi contemporaneamente le luci dell’edificio si spensero. L’incubo era iniziato per il giovane detective e l’adrenalina cominciava a scorrergli nelle vene. Sentì una ventata d’aria sul viso preceduta da passi pesanti, in mezzo al buio, e d’istinto cercò di afferrare la figura invisibile che sentiva essergli passata dinnanzi. Si mosse più rapidamente che poteva.
-“Non puoi scappare, gatta!” Riuscì ad acciuffarla, mentre ella si dimenava tra un lamento e l’altro. “È stato un errore avvisarci del tuo arrivo, stavolta, non c’è via di fuga qui! Presto, una torcia, datemi una torcia! La voglio vedere in faccia.”. Provò a mettere alla cieca le manette alla ladra, riuscendo a tenerla ferma nonostante la fortissima resistenza. “Finalmente ti vedrò…”
-“Ecco la torcia, detective!” Un collega prontamente accese la fonte luminosa e puntò verso la ragazza, che con sguardo fulminante guardò Toshio negli occhi, provando a parlare senza successo.
-“Co…Cosa?!” La guardò incredulo e spaesato, mentre le avvicinò la mano al viso.
-“Asatani, perché sei qui?!” Le tolse il bavaglio di stoffa dalla bocca, per permetterle di parlare, dando uno rapido sguardo alla parete buia, che sembrava ormai orfana del dipinto.
-“Razza di un’idiota, la ladra era tra i tuoi agenti e mi ha spinto di fianco a te! Sta scappando vestita da agente, muoviti a liberarmi!” Si girò di scatto per guardare l’entrata del museo, giusto in tempo per scorgere un’ombra scura prendere la via della fuga, mentre gettava a terra il travestimento. “Come hai fatto a non accorgerti che ero io?!” Urlò la detective mentre il ragazzo goffamente cercava di aprire le manette con la chiave.
-“Tu non saresti nemmeno dovuta essere qui, ma nella volante qui fuori per l’inseguimento! Ecco fatto, ora andiamo!”
 
Una corsa frenetica li portò all’uscio del museo, dalla quale scorsero la silhouette della ladra in fuga, intenta ad arrampicarsi con agilità su un muretto che delimitava il giardino dell’edificio. Aveva ormai tutti i poliziotti alle costole, a centinaia di metri dalla galleria d’arte, ed era finalmente arrivato il momento di sparire dalla loro vista. Scese dalla recinzione di cemento per negare la sua figura agli occhi degli agenti, che ora erano costretti ad un inseguimento più confuso ed incerto. Nascosta sotto le fronde degli alberi dietro al muro, si voltò a guardarsi le spalle, per assicurarsi di essere sola e con sua soddisfazione era così; qualcosa però si mise di mezzo alla sua corsa, facendola cadere rovinosamente tra terra e ghiaia, ed insieme a lei la cornice della tela, che si spezzò in tre parti. “No, maledizione!”. Pensò.
-“Bene, bene, bene.” Una voce profonda riempì il silenzio interrotto solo dal brusio del vento tra le foglie. “Chissà quanti milioni hai appena fatto cadere dalle tue mani… dovresti stare più attenta, gattina.” Hitomi era stordita dal colpo e al suo tentativo di rimettersi in piedi fu spinta nuovamente a terra con forza.
-“Chi… Chi sei tu?”
-“Io sono colei che ha preso la vostra eredità tra le mani, gattina, quella che vi è caduta qualche tempo fa come questo quadro. Sai, è proprio vero il detto: quando incontri i tuoi miti, non faranno altro che deluderti… prima mi soffi un quadro in modo sleale e provocatorio, e poi cadi così, tra le mie grinfie con tale ingenuità.” Accennò ad una risata, mentre Hitomi provava a vederla in viso, protetto dalla penombra che faceva scorgere solamente la chioma corvina, la quale richiamava il colore della sua tuta, completamente nera, con piccolissime linee di dettaglio grigie sui fianchi e sulla scollatura. Era una donna dal fisico incredibilmente atletico e da uno sguardo di fuoco, che nemmeno con l’oscurità a favore poteva nascondere.
-“Altro che eredità, tu hai rubato la nostra identità!” Rispose, colma di rabbia.
-“Nostra? Hai dei complici allora. Interessante… continua.” Le schiacciò il piede sul petto, per tenerla al suolo, e farla gemere dal dolore. Ormai il danno era fatto e doveva assolutamente venirne fuori.
-“Sì… e i miei complici arriveranno molto presto se non mi vedranno dove abbiamo stabilito…” Cercò di prendere fiato. “… quindi lasciami andare, o ti conceranno per le feste una volta che ti troveranno!”
 
In realtà, era un bluff. Il quadro che Hitomi teneva sottobraccio non era che una tela bianca, usata come diversivo per far allontanare gli agenti dalla sala del museo e permettere a Rui di rubarla in completa sicurezza. Ai, nel frattempo, doveva essere in macchina al punto di ritrovo, pronta ad azionare un marchingegno nascosto al posto delle luci di illuminazione del dipinto, il quale sarebbe stato coperto da un telo bianco come la parete che, nel buio, nessuno avrebbe notato: lo scopo era far intendere che l’opera d’arte fosse già stata rubata da Hitomi nascosta fra gli agenti, anche se in realtà l’opera era ancora lì. In fine, aver trovato Asatani fuori posto rispetto al piano di Toshio era stato un imprevisto trasformato in un colpo di fortuna, un perfetto diversivo nel diversivo: Mitsuko fu quindi colta alla sprovvista nel buio silenzioso della sala e, imbavagliata in pochi secondi, fu spinta addosso a Toshio che non si rendeva conto di essere un complice delle ladre ammanettandola. Di conseguenza, Hitomi era convinta che nessuna delle sorelle l’avrebbe cercata nell’immediato, poiché impegnate nei loro rispettivi compiti. Insomma, doveva cavarsela da sola e lo sapeva.
 
-“Certo, certo… ma finché non arrivano, mi divertirò lo stesso con te.” Appena sollevò il piede per darle un altro colpo, Hitomi rispose con una ginocchiata alla caviglia del piede d’appoggio, facendole perdere momentaneamente l’equilibrio. In quella frazione di secondo si alzò in piedi, ma la Gatta Nera non era caduta e già era pronta a sferrare un calcio ai reni della ragazza, che saltò agilmente all’indietro per evitare il contatto.
-“Non ho motivo di combattere contro di te. Lasciami andare subito e nessuna delle due avrà problemi.” Si mise in una posizione di difesa, sapeva che non l’avrebbe mollata così facilmente.
-“Assolutamente no, il tuo nome ormai è il mio e non posso permettermi di fermarmi ora. Voglio trasformare gli agenti di polizia in un manipolo di ratti impauriti, e questa famosa gatta in un topino indifeso tra le mie fauci”. Sferrò un altro calcio, Hitomi perse la stabilità per evitarlo e in quel momento la nuova ladra volle colpire con un pugno il viso della sorella, che prontamente lo difese con le braccia davanti ad esso. Non era nello stile Occhi di Gatto ferire i propri avversari, eppure qui la ragazza sembrava non avere altra scelta. Hitomi riprese il controllo dello scontro e assestò un colpo calibrato allo stomaco, per poi puntare con la gamba al fianco, volendo causare niente di più che il solo dolore. Al grido di dolore della ladra in nero, la sorella prese in mano la tela e le diede le spalle per scappare, quando il suono di un grilletto pronto allo sparo la fece immobilizzare.
-“Un altro passo e sarà l’ultimo. Non finirà così.” La smorfia di dolore al suo viso era adornata da un sorriso arcigno, che Hitomi poteva solo immaginare. “Ma finirà qui”.
-“Sei solo una pazza!” La donna si mise a ridere, scuotendo la testa; la sorella continuò. “Hai detto di volere la nostra eredità di ladre, ma noi solo questo siamo. Non assassine.”
-“Molto nobile, non c’è che dire.” Sghignazzava. “Che criminali d’onore, che siete. Ma pur sempre criminali restate. Quindi perché non agire nel modo più facile? Con il terrore, con la violenza. O tutto o niente. Non si può essere criminali a metà”.
-“Ti sbagli, non sai quel che dici!”
-“No, io non credo. Ma questo torna a mio vantaggio: potrei ucciderti qui e ora e i tuoi amichetti non farebbero nulla per vendicarsi, giusto?” Mise di nuovo il dito sul grilletto. “Sei un topo difficile da addomesticare, lo ammetto. Meglio eliminarti subito.” Hitomi chiuse gli occhi, pensando al peggio.
Poi un sibilo nel vento spezzò una tensione densa come una fitta nebbia. La sorella si girò verso la gatta nera e le sembrò di vedere tutta la scena al rallentatore: qualcosa di sottile e affilato le fece gettare la pistola a terra tra le grida di dolore, il sangue scendeva da un taglio sulla sua mano. Hitomi sapeva che era il momento giusto per fuggire. “Era un nostro biglietto quello? Rui, grazie al cielo!” corse inseguita solo dall’urlo della dolorante rivale che, in preda alla rabbia, poté solo esclamare:
-“Non finisce qui, maledetta gatta!”
 
Hitomi corse all’impazzata verso la Porsche grigio chiaro, con il passo esasperato di chi vuole andare ovunque, purché non dov’era prima. Le vennero le lacrime agli occhi appena vide le sorelle aspettarla dentro alla vettura, pronte per partire e preoccupate di tanto ritardo. Salì in auto trattenendo a fatica un pianto liberatorio.
-“Che cosa è successo? Hitomi, stai bene?!” Ai, seduta nel sedile posteriore di fianco a lei vide la tensione nel viso della sorella. A quel punto le lacrime evasero dagli occhi che le confinavano nelle iridi marroni. Rui mise in moto e partì verso casa.
-“Stava per spararmi.”
-“Chi, Toshio?! No, non è possibile!” Ai era incredula, ma Hitomi scosse la testa.
-“No, non lui. È stata la Gatta Nera, mi ha teso una trappola. E ci ero cascata, come uno stupido topo.”
-“Ma che stai dicendo, non è da te parlare in questo modo! Sei qui, no? E stai bene, giusto?” La ragazzina stentava a riconoscere sua sorella, tanto era avvolta dalla paura e dall’agitazione. “Come hai fatto a scappare?”
-“Io… Sei stata tu a salvarmi, vero Rui? Ti devo la vita.” Guardò intensamente il sedile del conducente, su cui la sorella maggiore sedeva.
-“Hitomi, mi dispiace, ma non sono stata io a salvarti...” Il suo sguardo era invaso da mille pensieri, mentre quello delle due ragazze dietro di lei si sbarrò completamente, fossilizzandole per qualche secondo.
-“Non è il momento di scherzare, Rui, è stato lanciato un nostro biglietto da visita! Se non tu, chi allora?!”
-“Te lo giuro su quel che ho di più caro al mondo, Hitomi. Non ho idea di che cosa tu stia parlando.” L’auto sfrecciò verso la loro casa, in un’altra notte che prometteva tormenti e domande senza risposta.

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Capitolo 6
*** Insicurezze ***


Capitolo 6
-“Hitomi, credimi, c’è qualcosa che non va in questa storia”.
-“Perché dici questo, Toshio? Cos’è successo?”
-“Mi prenderai per matto, ne sono certo. Ieri sera la Gatta era… diversa. Anzi, ha agito come una volta, come se fosse tornata in sé dopo furti spericolati e aggressivi!”. Hitomi e Toshio avevano ripreso a vedersi, e stavano passeggiando per i marciapiedi della città lungo la strada verso il bar. Il giovane detective aiutava la ragazza con le buste della spesa, necessarie all’apertura del locale. La ragazza fingeva di non capire e sperava di riuscire in qualche modo a sviarlo dai suoi ragionamenti fondati: ma qualunque detective si sarebbe accorto delle differenze tra le varie rapine, e lei lo sapeva bene.
-“In che senso? Non avevi detto che era diventata violenta?”
-“Sì, sì, esatto! Ieri invece non ha minacciato nessuno, ha solo messo a terra cinque agenti di guardia fuori dall’edificio.”
-“Solo?! E ti pare poco?”
-“No, intendendo dire che non ha sparato colpi di avvertimento, non ha puntato un’arma contro nessuno, li ha solo messi K.O. senza far loro troppo male, mi spiego? Ha giocato d’astuzia e velocità, come era solita fare mesi fa.”
-“Capisco, e tu cosa pensi?”
-“Mi sento un pazzo solo a dirlo, ma… ho come l’impressione di dare la caccia a due persone diverse.”
-“Intendi dire… due persone della stessa banda che agiscono in modo diverso?” Hitomi cercò di sviare i suoi ragionamenti, tenendo a bada la sua immaginazione.
-“Sì, cioè… ah, non lo so proprio. Sono al punto di partenza. Ogni volta che mi sembra di capire qualcosa su queste criminali, ecco che cambia tutto!”
-“Eccoci, siamo arrivati. Grazie per avermi aiutato con le borse, ti offro un caffè se vuoi entrare.”
-“No, grazie. Vado a lavoro un po’ prima, così  prendo subito la solita sfuriata dal capo e poi mi do da fare.”
-“Il capo non dovrebbe essere sempre così duro con te, però… fai pur del tuo meglio.”
-“Lo so, Hitomi, ma in realtà ha ragione… da quanto tempo questa ladra mi sfugge? Avvisandomi prima del suo piano, poi! È davvero disonorevole, sai?” Scosse la testa. “Forse non sono fatto per fare il detective”.
-“Non dire mai più una cosa del genere!” Hitomi alzò la voce, attirando qualche sguardo indiscreto verso di sé. Continuò, modulando i toni. “Sei in gamba, sono sicura che con un po’ di pazienza riuscirai a catturarla. Non può averla sempre vinta, no? Commetterà un errore prima o poi.” Cercò di rassicurarlo, anche se sapeva che una cosa simile non aveva possibilità di succedere, per il suo bene e quello delle sue sorelle.
-“Vedremo se hai ragione. Buona giornata, Hitomi.” Sconsolato, cominciò a camminare verso la centrale di polizia, nella direzione opposta a quella percorsa poco prima. La ragazza si preoccupava del suo stato d’animo: prima che se ne andasse negli States, era sempre nel pieno di entusiasmo e di energia quando si parlava di Occhi di Gatto. Ora, invece, il suo umore era completamente diverso.
 
La ragazza entrò nel locale annunciandosi, ma venne ripresa dallo sguardo di rimprovero di Rui: “Sei in ritardo, Hitomi, che hai combinato in tutto questo tempo? Dobbiamo aprire!”
-“Oh caspita, metto a posto tutto subito e torno al bancone!” La sorella entrò nella cucina e Rui si lasciò sfuggire un sorriso: era felice di vedere che i due innamorati si stessero riavvicinando. Uscì dalla cucina, sistemò qualche tavolo e si diresse verso la porta di ingresso per girare il cartellino che annunciava l’apertura, quando, spalancata la porta, rimase per un attimo senza respiro: non aspettava di ritrovarsi davanti il giovane forestiero che tanto la turbava in quei giorni.
-“Scusami, non volevo spaventarti”. Con fare preoccupato, cercò di sincerarsi che stesse bene.
-“No, no, tranquillo, entra pure.”
-“Grazie. Giornata iniziata male?”
-“No, sono solo un po’ soprapensiero. Che cosa ti preparo?” Il ragazzo si sedette davanti al bancone, esattamente di fronte a Rui, che percepiva addosso il suo sguardo leggero, capace di accarezzarle la pelle nel modo più genuino possibile, privo di malizia.
-“Un caffè, per favore.”
-“Arriva subito.” Si mise a prepararlo, mentre Jack si girava a guardare l’esterno del locale attraverso il vetro delle grandi finestre.
-“Scusami se lo chiedo a te, ma… è vero quel che si dice? C’è una banda di ladri qui in città?” Rui si rivolse al ragazzo mentre porgeva una tazzina bollente.
-“Sì, è vero. Perché me lo chiedi?”
-“E voi non siete preoccupate? Insomma, potrebbero prendere di mira anche le nostre case, no?” La sorella maggiore tirò un invisibile sospiro di sollievo.
-“No, tranquillo. La banda di cui parli prende di mira solo oggetti d’arte, non ha mai derubato cittadini o attività, come questo locale.”
-“Mhm, capisco.” Assaggiò il caffè. Passò qualche istante di silenzio.
-“Che c’è, sei preoccupato per il tuo studio?”
-“Beh, sì, ci ho investito molto. I ladri sono pur sempre ladri ed un bottino è sempre un bottino. Oggi rubano opere, domani chissà… non mi aspetto alcun tipo di ragionamento etico da parte loro.” Rui non poteva contraddirlo, anche se avrebbe voluto; inoltre non era sicura che la nuova banda rivale avrebbe mantenuto la stessa linea morale delle tre sorelle. Già le loro azioni violente non lasciavano presagire nulla di buono.
-“Che sciocchezze! Occhi di Gatto non è mica una becera ladra da appartamenti!” Ai, che aveva ascoltato tutto defilata, arrivò in difesa del buon nome delle ladre, con Rui che non poté far altro che lanciarle uno sguardo per farle capire di smetterla.
-“O… Occhi di Gatto? Scusate, ma non è lo stesso nome del vostro locale?” Chiese il ragazzo, colto alla sprovvista. Ai, nella sua impulsività, capì che stava rischiando grosso.
-“Sì, è così, ma da molto prima della comparsa della banda. Per fortuna, nonostante questo, il nostro locale non ne ha mai risentito, né economicamente né in reputazione. D’altronde cambiare il nome del locale sarebbe stato un po’ come dargliela vinta.” Rui provò a mettere una pezza al piccolo disastro della sorella.
-“Caspita, una strana coincidenza… la polizia non si è mai chiesta se questa banda sia di questa zona oppure un vostro cliente? Insomma, qualcuno che sia stato ispirato dal nome del locale. Si potrebbe circoscrivere un’area più ridotta su cui indagare… No?”
 
-“Beh, questo non lo so, non mi sembra così semplice…” Rui e Ai vennero salvate dal suono della porta che si apriva: non furono mai più sollevate di vedere Mitsuko oltrepassare la soglia del proprio bar.
-“Buongiorno a tutti. Ciao Jack!” Si rivolse al giovane con inusuale confidenza.
-“Ciao Mitsuko, come stai?” L’agente si avvicinò per scambiare due baci sulle guance del ragazzo sotto gli occhi increduli delle due sorelle. Lui, dopo un momento di spaesamento, capì: “Caspita, qualcuno ha fatto i compiti a casa. Credevo che a voi giapponesi non piacessero certe effusioni in pubblico”.
-“Sì, ho letto che in Italia è il vostro modo di salutarsi; è un po’ strano, ma mi sembra un modo carino di metterti subito a tuo agio in questo paese!” Jack arrossì quasi impercettibilmente per l’imbarazzo.
-“Beh, sì, è un modo di salutarsi molto informale tra persone che si conoscono molto bene…” Nonostante l’obiettivo di Mitsuko non fosse stato esattamente raggiunto, Jack cercò di tranquillizzarla. “Apprezzo molto che tu voglia farmi sentire come a casa, Mitsuko. Ma sono a casa ovunque mi senta bene, e qui è così.” Le sorrise, e lei fece lo stesso.
-“Che cosa ti preparo, Mitsuko?” Rui interruppe lo scambio di sguardi, con tono leggermente infastidito.
-“Ah sì, un caffè italiano, per favore”.
-“Arriva”. ‘Italiano, eh?’ Quella confidenza sembrava turbarla: e se il ragazzo desse a Mitsuko l’idea di controllare la zona? E se lei invece parlasse a Jack dei suoi sospetti nei confronti di Hitomi? E se, se, se… “Ecco a te.” Eppure vedendoli parlare la sensazione che aveva Rui era ben diversa dalla pura preoccupazione.
-“Eccomi Rui, ho sistemato tutto. Oh, buongiorno Mitsuko, ciao Jack.” I due clienti ricambiarono il saluto, per poi tornare a parlare vivacemente tra loro. Una volta allontanatasi con Rui, Hitomi non poté far a meno di notare sottovoce: “Quei due sembrano già molto affiatati, non credi?”.
-“Sì, fin troppo”. Rispose la sorella maggiore, mentre sistemava alcune stoviglie.
-“Cos’è quell’espressione pensierosa? Almeno non ci proverà con Toshio come quando eravamo in America”. La sorella non rispose. “Terra chiama Rui. Ci sei? Tutto bene?”
-“Sì sì, tranquilla. È solo che Jack poco fa ha fatto delle considerazioni perspicaci su Occhi di Gatto e spero che non le condivida con Asatani. Dalla confidenza che hanno, non sono ottimista.”
-“Ma non sembra che stiano parlando di lavoro, guardali come ridono e scherzano. C’è altro che ti turba.” Hitomi si avvicinò alla sorella. Rui sospirò.
-“Più lo guardo da qui e più vedo nostro padre da giovane. Eppure prima me lo sono ritrovata a pochi centimetri da me: quegli occhi sono completamente sconosciuti; anche i lineamenti non combaciano. Avevo davvero sperato che fosse un segno, un indizio, qualsiasi cosa…”.
-“Forse è un segno che non stai interpretando nel modo giusto... O forse una semplice coincidenza. Ma già scoprirlo sarebbe un grande passo avanti: qualunque informazione nuova sarà tutto di guadagnato.”
-“Che cosa bofonchiate voi due?” Ai comparve da dietro di loro con aria polemica, spaventandole. “Non mi piace questa nuova abitudine di tenermi all’oscuro di tutto.”
-“Anche l’abitudine di metterci nei guai con la tua impulsività non è carina, sai?” Rui l’ammonì, senza alzare la voce: Ai subì il colpo e restò in silenzio. “Comunque nessuna scoperta, non ti preoccupare. Stasera ne parleremo meglio.”
 
La giornata trascorse e le fatiche si accumularono in una grande stanchezza. Rui e Ai chiusero il locale, per poi sedersi dopo le lunghe ore di lavoro che avevano affrontato. In una serata di poche parole, fu Ai ad esordire.
-“Ma quanto ci mette Hitomi? Lo sa che stasera dobbiamo organizzare il prossimo colpo, no?” Sbuffò. “Spero almeno che sia stato un motivo valido”.
-“Toshio sembrava serio quando l’ha chiamata. Si erano già visti oggi, deve essere successo qualcosa di importante.”
-“Vedremo. Credo che ci toccherà rimandare la discussione a domani.”
-“Lo penso anch’io. Stasera sono davvero esausta.” Rui si distese sul divano a guardare il soffitto.
-“E anche molto pensierosa, non ti ho mai vista così. Che ti passa per la testa?” Rui aspettò un attimo prima di parlare.
-“Ho fatto fare delle ricerche a Nagaishi su Lewis. Volevo essere sicura che non ci fosse niente di strano in questa particolare coincidenza.”
-“E che ti ha detto?”
-“Risulta che ci abbia detto tutta la verità sul suo lavoro: scrive musica, ha lavorato con molti artisti e anche lo studio aperto qui è in regola, ma mancano dei grossolani pezzi della storia. Ad esempio, non ha trovato collegamenti con l’Italia, se non qualche canzone scritta anni fa proprio in italiano. Il suo cognome poi sembra decisamente più inglese e non abbiamo nessun dato sulla sua famiglia.”
-“Ci sfugge qualcosa sicuramente… non ha senso mentire su un particolare così evidente come il cognome in paragone con la nazionalità. E poi mi sembra un normalissimo e affascinante ragazzo straniero venuto qui a cercare fortuna.” Cominciò a ridacchiare.
-“Questo normalissimo e affascinante ragazzo che assomiglia a nostro padre e viene dall’Europa, proprio come lui?” Senza volerlo, mise l’accento sul secondo aggettivo.
-“A cosa stai pensando, Rui?”
-“Sto pensando che sia collegato a noi, in qualche modo. Spero che Nagaishi mi sappia dire di più nei prossimi giorni.”
-“In che senso, Rui? Su, parla!”
-“Prendi con le pinze quello che ti sto per dire, è solo una mia ipotesi. Sto pensando… o forse sperando, non lo so, che Jack Lewis possa essere…”
-“Vai avanti… cosa?”
-“Sto pensando che potrebbe essere nostro fratello, Ai. O che abbia un legame di sangue con noi.” La giovane sbiancò di colpo.
-“No… No! No! come ti viene in mente? Non può essere e lo sai bene!”
-“Calmati, Ai, è solo...”
-“Papà non ce lo avrebbe mai nascosto! A che scopo poi?”
-“Ai, calmati, è un pensiero, solo Nagaishi potrà dirci se…”
-“Se nostro padre ci ha mentito?” Hitomi arrivò di corsa ed irruppe nella stanza interrompendo le due sorelle.
-“Non possiamo più rubare il quadro ‘Nascita di un’armonia’!”
-“Che succede? Sei tutta sudata, hai corso?” Chiese Rui.
-“Il capo ha dato un ultimatum a Toshio. Se lo rubiamo, verrà licenziato!”

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Capitolo 7
*** Il dilemma di Ai ***


Capitolo 7
Hitomi si girava e rigirava nel letto. ‘Non possiamo tirarci indietro’, le parole della sorella la tormentavano: se Toshio non l’avesse catturata, i suoi giorni da poliziotto sarebbero finiti e lei non se lo sarebbe mai perdonato. D’altra parte non poteva disattendere l’impegno preso per suo padre. Sbarrò gli occhi che poco prima erano fissi e vuoti sul soffitto: una folgorazione la colse nel più classico consiglio portato dalla notte. ‘Dovrei dirlo a Rui’. Fece per alzarsi, intenta a svegliarla, ma si bloccò di colpo. La sorella era esausta: parte della mattinata aveva lavorato da sola. “Meglio domani…”. Si gettò nell’abbraccio delle lenzuola, in un sonno tremendamente leggero.
-“Ai, svegliati.” Le ore notturne erano da poco passate.
-“Ma che… Hitomi, è presto! Dai…”
-“Se vuoi rimanere qui per vedere Jack devi almeno aiutare nel locale, hai visto quanto era stanca Rui. Da domani torni a scuola!”
-“Bel modo di essere svegliata, ora si che sono carica…” Il sarcasmo era padrone del suo tono, ma si rendeva conto che avesse ragione Hitomi. “Mi impegno di più, d’accordo. Però… non voglio che sia l’ultima volta che lo vedo...” Scese dal letto, trattenendo uno sbadiglio.
-“Non è detto che lo vedrai solo nel bar. E poi ora sai di chi si tratta, cos’altro devi guardare?”
-“Hitomi, tu non puoi capire. Lasciami stare.” Rispose stizzita, mentre andava in bagno a sciacquare il viso.
-“Siamo tutte e tre nella stessa situazione, sai?” Ai, ancora con il volto bagnato, sbatté le mani al bordo del lavandino. Si girò con lo sguardo torvo.
-“No, Hitomi, non è così! Voi papà lo avete visto in faccia, io no! Tutto quello che so di lui viene da pezzi di carta, quadri e foto. Io papà non l’ho mai vissuto!” Alzò la voce, svegliando anche Rui nella stanza accanto. “Sarà anche uno sconosciuto, ma è ciò che io sento più vicino a nostro padre. L’unico ricordo, seppur viziato, che io avrò di lui!”
-“Ai, non dire così…” La ragazza non ascoltò, le sue lacrime scesero silenziose, nascoste dalle altre gocce d’acqua che scendevano dal viso; andò a prepararsi, mentre Hitomi non poté far altro che sospirare.
-“Hitomi, che è successo?” La sorella maggiore entrò in camera vestita del solo scendiletto, e la vide sconsolata.
-“Temo di aver tirato un po’ troppo la corda con Ai.”
-“Non hai tutti i torti, ma vedi, lei sta vivendo qualcosa che noi non possiamo comprendere a pieno. Ha bisogno del nostro supporto.” Hitomi annuì. “Però hai fatto bene a strigliarla sulla questione lavoro, ieri non ho avuto tempo nemmeno per richiamarla all’ordine.” Scherzò Rui, e strappò un sorriso alla sorella.
-“Ah, Rui… ho un’idea per risolvere il problema, sia nostro che di Toshio.”
-“Ottima notizia, sono tutta orecchi.”
 
Nel frattempo, Ai indossò il grembiule da lavoro sopra alla camicetta di color rosa antico, bianco con una delle due spalline del suo amato arancione: non lo indossava da molto tempo e ciò le sembrava un piccolo passo nel passato. Aprì il cofanetto datole da Jack ed indossò la spilla dal motivo floreale sopra all’indumento da lavoro: sorrise ripensando al viso di suo padre, che forse, però, stava diventando un collage mentale del volto del carismatico straniero e degli autoritratti a grafite dell’artista scomparso. Sperava di rivederlo quel giorno: temeva che fosse l’ultima volta, e non era pronta.
I clienti arrivavano, il lavoro la distraeva almeno un po’, ma i suoi occhi sprofondavano in una pozza di delusione ogni qualvolta che la porta si apriva e ad entrare non era colui che desiderava. All’ora di pranzo il suo umore era lontano di molto dall’entusiasmo del primo giorno e chiese alla sorella di poter fare una pausa; Rui le fece cenno di andare.
-“Sembra a pezzi.” Notò Hitomi, prima di andare nella cucina.
-“Non possiamo farci nulla, se non aspettare e sperare.” Passò qualche minuto prima che quel desiderio venisse esaudito.
-“Buongiorno, Jack.”
-“Buongiorno, Rui.” Fece un piccolo cenno con la mano, in risposta al sorriso cordiale della donna.
-“Mattinata impegnata? È quasi ora di pranzo.”
-“Sì, molto. In realtà ho già mangiato qualcosa, ho proprio bisogno di un caffè per tenermi su.”
-“Ma è presto, a che ora pranzate da voi?” Lui rise.
-“No no, in Italia mangiamo più tardi di voi, ma mi sono svegliato prima dell’alba, così ho mandato giù un boccone a metà mattinata.”
-“Capisco. Se posso chiedere, come mai ti sei alzato così presto? Immagino che avrai molto da fare.”
-“Sì, è così. Dovevo finire di sistemare lo studio, più tardi arriva una band del posto che mi aiuterà un po’ ad orientarmi nella musica del posto.” Sorseggiò il suo caffè e si preparò a pagare.
-“Aspetta, Jack, questo te lo offro io...”
-“Dai, Rui, non di nuovo… Ho un deja-vu.” Rise di gusto, e la donna provò a ricambiare con un sorriso che non celava abbastanza la sua serietà.
-“Hai ragione, ma ho un grande favore da chiederti. Capirò se non vorrai aiutarmi.”
-“Sentiamo.”
Il ragazzo fu stranito dalla richiesta, e, con un po’ di titubanza accettò. Rui andò a chiamare la sorella minore, che appena entrò in sala incontrò lo sguardo amichevole della persona che stava aspettando. Le sue guance arrossirono e non riuscì a trattenere una piccola curva sul volto.
-“Vieni Ai, Jack mi stava parlando di una cosa.” Lo straniero la guardò sorpreso.
-“Ciao, Ai. Sono felice che ti sia messa la spilla, ti sta molto bene.”
-“Beh, io… grazie.” Il rossore non migliorò, tutt’altro.
-“Senti, stavo parlando con tua sorella del mio studio e pensavo ad una cosa: vorrei scrivere e produrre musica per i giovani giapponesi. Per scoprire nuovi talenti, devo capire i gusti di chi li ascolterà. Hai voglia di venire nel mio studio ad ascoltare qualcosa? Qualche consiglio sarà sicuramente utile.”
-“Ma io non sono un’esperta di musica, non saprei… e con il lavoro, Rui?” Guardò la sorella con sguardo che a metà chiedeva il permesso e l’altra metà una via di fuga. Inoltre le sorelle avrebbero dovuto studiare il nuovo piano e non poteva mancare.
-“Non serve essere esperti, mi basta solo conoscere cosa ti piace.” Un altro sorriso, un altro tonfo nel petto della giovane.
-“Hitomi ed io ce la caveremo, per tutto. Vai pure, se vuoi.”
-“Beh allora… vado a cambiarmi!” Corse nella sua stanza a disfarsi del grembiule, tra il volto felice di Rui e quello stranito di Jack.
-“Sei sicura di volerla lasciare con me? Mi conosci da poche settimane, dopotutto.” Continuava a non essere del tutto convinto di quella richiesta.
-“Difficilmente mi sbaglio sulle persone. In ogni caso, sappi che ho orecchie ed occhi in tutto il Giappone, quindi sta’ molto attento. Riportala qui non più tardi delle 16:00, va bene?” Il ragazzo alzò un sopracciglio ad ascoltare quel tono di voce, tant’è che Rui era stata lei a chiedere il favore. “Per favore.” Aggiunse, sorridendo, con leggero imbarazzo.
-“Va bene, capo.” Sollevò le mani in segno di rispetto delle condizioni date, per poi infilare una mano nel taschino della giacca. “Tieni – le porse un biglietto da visita – qui c’è l’indirizzo ed il numero di telefono del mio studio, nel caso possa servire. Una sorta di garanzia.” Lo afferrò e osservò con attenzione.
-“Grazie, sono in debito con te.” Ai tornò vestita con la sua camicetta arancione ben abbottonata ed un paio di pantaloncini corti di jeans; non rinunciò alla spilla regalata proprio da Lewis.
-“Basta che non lo salderai con altra caffeina! Ah, eccoti, Ai. Andiamo?” Sorrise, ancora una volta, vedendo quanto tenesse a quel piccolo fermaglio, a cui non aveva rinunciato.
-“Sì, andiamo.” Gli occhi le brillavano come mai prima di allora. Non poteva crederci: una vocina le ripeteva che non stava uscendo con suo padre, eppure la sensazione era quasi identica, come se per la prima volta potesse passare una giornata insieme a lui. Aveva anche un po’ paura, però: quello sconosciuto poteva distorcere oppure rovinare l’immagine che si era fatta del genitore scomparso. Ma poi, quando le rivolgeva parola con quel modo gentile, ogni preoccupazione sembrava cadere nel vuoto. Dopo dieci minuti a piedi, arrivarono allo studio, il giovane aprì la porta con la sua chiave e fece accomodare la ragazza.
 
-“Allora, che te ne pare? C’è ancora un po’ di disordine, non ho finito di sistemare.”
-“È bellissimo invece. Posso darti una mano?” Ai sprizzava nuovamente gioia ed energia.
-“Sei mia ospite oggi, non ti metterei mai a lavorare.” Rise, contagiando la giovane. Cominciò a spiegarle un po’ come funzionava il suo lavoro. “Vedi, questa è la stanza in cui di solito lavoro io, al di là del vetro invece ci saranno i musicisti ed i cantanti che verranno. Oppure sempre io, quando sorò da solo a fare le prove.”
-“Forte! Quindi mi fai sentire qualcosa?” Jack in realtà non aveva preparato nulla, si era limitato ad inventare una scusa. Dovette quindi escogitare qualcosa: “Come nel jazz, Jack, improvvisa” si disse.
-“Di registrato qui in Giappone non ho nulla, però negli ultimi giorni ho scritto una canzone, potrei farti sentire quella. Vieni, andiamo a preparare il pianoforte nell’altra sala.”
Entrarono e Ai fu sbalordita dalla quantità di spartiti appoggiati sugli sgabelli, vicino agli strumenti e talvolta per terra. Raccolse dal pavimento un piccolo blocco di fogli, ma invece di trovarvi note musicali vi vide schizzi e disegni: c’erano strumenti musicali, la prospettiva della stanza e in uno di essi sbucava il segno stilizzato del fiore di loto, che dava il nome allo studio. Sotto ad esso, vide effigiata una chioma di capelli a lei familiare, ma non fece in tempo a scorgere il ritratto che Jack le prendesse le carte dalle mani.
-“Grazie, ora li metto via. Mi dispiace per il disordine.” Portandole via velocemente gli schizzi, sporcò un dito di Ai con il carboncino del disegno ignoto, ma non se ne accorse.
-“No no, tranquillo… ma tu sai anche disegnare, quindi?”
-“Un po’. Volevo avere un’idea di come disporre gli oggetti e quindi li ho disegnati nella stanza, per mettere un po’ di ordine nella mia testa. Cos’è quella faccia?”
-“Sei bravo, invece.” Tornarono improvvisamente i pensieri.
-“Grazie. Il piano è pronto. Che dici, ti siedi qui di fianco a me?” Lei scosse la testa per scacciare la preoccupazione.
-“Sì, subito!”
 
La giornata passò in fretta ed era ora di tornare al bar. L’umore di Ai era a metà tra il toccare le stelle e lo sprofondare nella malinconia per la giunta al termine di quella piccola avventura. Infatti, dal giorno dopo avrebbe dovuto rimettere piede a scuola, rischiando così di non vedere più il ragazzo che tanto le stava entrando nell’anima. Bastarono poche ore per sciogliere la diffidenza tra i due e, in poco tempo, anche con quello straniero, arrivò ad essere la gioviale ragazza chiacchierona e allegra che le sorelle avevano conosciuto.
-“Buon pomeriggio, ragazze.” Jack fece entrare prima Ai tenendole la porta, poi entrò nel locale a salutare. Rui guardò subito l’orologio da parete davanti a lei.
-“Buon pomeriggio. Caspita, in leggero anticipo. Com’è andat..?” Provò a chiedere Rui.
-“Cavolo! Tra cinque minuti ho l’incontro con la band, devo scappare! Scusatemi, vado!” Stava per prendere la via dell’uscita, quando venne bloccato.
-“Aspetta, Jack!” Ai lo fermò e si strinse forte tra le sue braccia, facendo sciogliere l’iniziale imbarazzo del giovane, che in risposta le diede un morbido bacio sulla fronte. Non sapeva perché, non sapeva come, ma sentiva che quella ragazzina ne aveva profondamente bisogno e gli venne incredibilmente naturale. Lanciò uno sguardo rassicurante verso Rui e Hitomi, quest’ultima era appena arrivata a contemplare la scena, e si liberò dalla presa.
-“Devo andare, Ai. Ci vediamo presto.” La salutò con una carezza sulla guancia ed uscì dal locale, sparendo nella folla, lasciandole una sorta di vuoto.
-“Ai, che è successo, ti pare il modo di comportanti con un quasi sconosciuto?” La ammonì Hitomi, ancora scioccata da quello scambio eccessivo di effusioni.
-“Jack non è uno sconosciuto, è un ragazzo fantastico! Ed io…”
-“Tu cosa, Ai?” Rui temeva la risposta.
-“No, voglio dire, io mi sono trovata bene con lui, mi sono divertita! Mi ha insegnato qualche accordo di pianoforte e… abbiamo cantato insieme, è stato bellissimo!” Tirò un sospiro di sollievo.
-“Sono contenta. Non che tu dovessi farlo, ma per caso hai scoperto qualcosa di utile sul suo conto?” La sorella minore incrociò le braccia e la guardò, scocciata.
-“Jack è tutt’altro che sospetto, smettetela di stargli addosso.” Rui si appoggiò sul bancone per avvicinarsi alla sorella, per tranquillizzarla.
-“Non sto dicendo che lo sia, Ai. Ma magari qualche elemento in più può far sciogliere ogni dubbio. Parlo anche della remota possibilità che abbia un legame con noi.” Gli occhi di Rui caddero sulle mani della giovane, notando qualcosa di strano. “Ai, cos’è quel segno nero sul pollice?”
-“Che segno? Ah, questo. Non lo so, devo essermi sporcata toccando i disegni.”
-“Quali disegni? Ma questo…” Prese la mano di Ai per guardarla meglio.
-“Quelli che ha fatto Jack. Cos’è?”
-“È carboncino, Rui.” intervenne Hitomi, guardando la sorella più grande.
-“Lo vedo. Anche papà lo usava per gli schizzi…” Le sorelle si guardarono tra loro: un altro dubbio si era insinuato in quella strana faccenda che sembrava non districarsi più.

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Capitolo 8
*** A carte scoperte ***


Un solo click per avviare un vecchio registratore, nel buio di una stanza chiusa e silenziosa, vuota di oggetti e ricolma di segreti. Una sola piccola luce illuminava la scrivania davanti al quale la figura scura era seduta. Gli appunti vocali creavano una piccola collana di informazioni preziose, raccolte con perizia e precisione, in una sorta di inquietante e misteriosa indagine. Una voce stanca e appesantita si apprestava ad incidere sul nastro tutto ciò che era stato scoperto.

“Appunto numero 12, 29 giugno 1987. Penso che a questo punto l’operazione potrà cambiare nome in ‘Tana Nera’, in quanto sono convinto che non sia coinvolta solo una ‘Gatta’. Stando alle ultime informazioni da me raccolte, la ladra non si muove in solitaria come vuole far credere: ho per ora identificato una figura maschile con un ruolo di subordinazione, probabilmente un autista. Sembra inoltre avere un supporto esterno consistente, nei prossimi giorni svilupperò questa pista. Il 5 luglio, avverrà un’asta non regolamentata e autorizzata di dipinti, a Tokyo, e ho buone ragioni di credere che si tratti di opere rubate; per via dei prezzi di partenza, ho buone ragioni di credere che sarà una serata di nicchia, per ricchi e malavitosi. Se trovassi dei collegamenti, ciò spiegherebbe l’aumento di furti di questo genere negli ultimi mesi. In più, Il nome dell’organizzatore sembrerebbe essere tenuto sapientemente segreto, ma dalle mie ricerche dovrebbe avere come iniziale una o due tra queste lettere, ehm… Y, J, I o L; dalle pochissime descrizioni da me ritrovate, sono propenso a ipotizzare che si tratti di un occidentale. Indagherò approfonditamente sui seguenti punti: le tempistiche di questi furti legate all’organizzazione delle prossime aste segrete e… un eventuale coinvolgimento della mafia locale, che attualmente mi sembra un’ipotesi plausibile, ma a tratti incongruente. Chiudo la registrazione.”

Il secondo click mise fine alla registrazione, estrasse la cassetta per etichettarla ed archiviarla insieme alle altre. Sospirò. “C’è qualcosa di grosso, in quel di Tokyo.”Spense l’unico lume e si addormentò sulla sedia sulla quale era seduto.
 
-“Grazie per aver accettato l’invito.” Jack stava mescolando il suo drink alla frutta, guardandolo di tanto in tanto, mentre gli occhi cadevano spesso su quelli neri e intensi della donna seduta accanto a lui.
-“Un debito è pur sempre un debito.” Rui faceva altrettanto. Il suo sguardo così austero e deciso avrebbe messo in soggezione chiunque, complice anche il suo enorme fascino.
-“Non credo che tu abbia detto di sì solo per questo. O meglio, lo spero.” Sorrise nervoso, per poi assaggiare ciò che aveva ordinato. Si trovavano seduti ad un tavolino all’aperto di un bar a qualche centinaio di metri dalla casa delle sorelle, scelto appositamente per assicurarsi un po’ di tranquillità e privacy. Solo una leggera brezza proteggeva i due clienti dal caldo di quelle ore di metà giornata. I lunghi capelli mossi le cadevano perfettamente sulla camicia color azzurrino, sapientemente infilata sotto l’elastico della gonna blu oltremare, che arrivava alle ginocchia, e regolata da una cintura sottile ed elegante, che dava un leggero accenno alle sue forme.
-“Chi può dirlo.” Ricambiò il sorriso cordiale, con lo scopo di capire le intenzioni dell’uomo.
-“Poco prima di chiederti di venire qua, ho avuto come l’impressione che volessi chiedermi qualcosa, se posso aiutarti, dimmi pure.” La perspicacia del ragazzo la intrigava parecchio: riusciva a capirla, leggendo tra le righe dei suoi piccoli gesti.
-“Sì. Credo di doverti delle spiegazioni per quello che ti ho domandato di fare qualche giorno fa, con Ai.” Lui scosse la testa.
-“No, non mi devi nulla, credo a grandi linee di aver capito. Ai sembrava aver bisogno di un momento di spensieratezza, anche se confesso di non aver capito in quale modo io gliel’abbia dato. Ed affetto, anche. Non mi aspettavo fosse, appunto, così affettuosa.”
-“Non lo è mai stata, infatti.” Mandò giù un sorso, prima di continuare. “Almeno, non con una persona che conosce così poco. Senza offesa.”
-“Nessuna offesa, è vero. Sei preoccupata che si… come dire, che si avvicini troppo a me?”
-“Sì, in un certo senso, ma non quello che intendi tu. Vedi, le ricordi qualcuno a cui teneva molto e che ora non c’è più. Quindi non spaventarti di tanta confidenza.”
-“Ora capisco… Non è una situazione facile.” Prosciugò quasi del tutto il bicchiere e riprese. “Una curiosità. A che ora esce di casa per andare a scuola?”
-“Alle 7:45, perché me lo chiedi?”
-“Mhm, non saprei. Voi ragazze state facendo davvero molto per me, mi avete dato un appiglio in un paese a me quasi sconosciuto. Mi piacerebbe ricambiare il favore, magari venendovi a trovare a quell’ora. Così posso salutarla prima che vada via.”
-“Questo è molto gentile da parte tua, ne sarebbe davvero felice.”
-“Di nulla, mi sembra il minimo. Mi dispiace molto per il vostro lutto.”
-“V… Vostro?” Sussurrò Rui, che si rese conto di non aver mai specificato che riguardasse anche se stessa ed eventualmente anche Hitomi. Cercò di scacciare le paranoie.“Non è così strano il suo ragionamento, dopotutto…”
-“Tutto bene? Ho detto qualcosa di sbagliato?” Chiese, ingenuamente sorpreso. Lei scosse la testa e provò a prenderlo in contropiede: non riusciva ancora ad evitare la propria diffidenza nei suoi confronti.
-“No, no, non ti preoccupare. Posso chiederti qualcosa di indiscreto?” Lui rise, mentre la donna intendeva metterlo alle strette e fargli fare qualche eventuale passo falso, per sincerarsi della sua buona fede. Decise di affidarsi al suo sguardo magnetico, complice di parole taglienti, per colpirlo nel vivo.
-“Dimmi pure.” Aspettava in tranquillità il famigerato quesito.
-“Prima Mitsuko, poi Ai, ora me… sei venuto in Giappone a fare il Casanova, signor Lewis?” Appoggiò i gomiti sul tavolino, con una mano si reggeva il volto, mentre i suoi occhi ipnotici cercavano di scavare dentro di lui. “Magari metterlo a disagio potrebbe far cadere la maschera…”
-“Con Mitsuko c’è un bel rapporto, è stata la prima con cui abbia fatto una conversazione informale come si deve, ma niente di più. Ai, invece, me l’hai affidata tu, ricordi? Ed è escluso che io faccia lo stupido con una ragazzina, se permetti.” Al pronunciare quest’ultima frase, il suo tono si fece velatamente offeso, suscitando l’attenzione della donna. Jack allora ricambiò il suo tono malizioso, senza mostrare gli sperati segni di turbamento. “E poi essere gentili non è flirtare, signorina Kisugi… o forse dovrei dire… signorina Heinz?”
Tutta la sicurezza che aveva usato per scalfirlo si frantumò come un vetro colpito da un proiettile. Sbarrò gli occhi, quasi paralizzata. Lui alzò il sopracciglio, soddisfatto del suo affondo.
-“Non mi hai ancora chiesto perché dopo loro due, sono uscito con te. Che ti succede? Non ti interessa più?” Rise moderatamente.
-“Non so di cosa tu stia parlando.” Si ricompose, non poteva perdere il controllo. Non lo avrebbe mai permesso.
-“Lo so, invece. So tutto quello che devo sapere.”
-“Chi sei? Perché ci hai mentito? Mi hai mentito.” Enfatizzò, in un disperato tentativo di far leva sull’empatia, per distogliere l’attenzione da Occhi di Gatto.
-“Sono esattamente colui che si è presentato a voi. Solo che sono anche molto altro: omettere non è mentire.” L’iniziale soddisfazione cominciò ben presto a scemare. “Tuttavia, per ora potete stare tranquille. Non siete voi il mio obiettivo.”
-“Continuio a non capir-”
-“Rui, basta così.” Alzò la mano, per fermarla. “Non ho intenzione di essere preso in giro nel momento in cui vi sto dando una possibilità.” Si sentiva in trappola. Un solo passo falso e poteva essere la fine.
-“Va bene… Ti ascolto.”
-“Sono qui per l’altra Gatta, la cui identità mi è ancora sconosciuta.”
-“Come sai che esiste un’altra gatta? Nemmeno la polizia lo sa.”
-“Cos’è successo a Hitomi qualche tempo fa?” Quasi come in un gioco di prestigio, dalla sua manica alle sue dita comparve un biglietto da visita, simile in tutto e per tutto a quello delle sorelle.
-“Mettilo via.”
-“Non c’è di che. Non ho ancora deciso che cosa fare con le prove che ho contro di voi. Per quanto nobile sia il vostro intento, un ladro è pur sempre un ladro ai miei occhi.”
-“Che cosa vuoi?”
-“Molto semplice. Aiutami a far catturare la Gatta Nera alla polizia, a me non interessa il merito dell’arresto. Ho sentito dire che Toshio sarà nei guai, se non combina qualcosa al prossimo colpo.”
-“Come fai a sapere tutto questo?”
-“Domanda sbagliata. Ricapitolando, Toshio fa il suo arresto, voi vi liberate di una rivale ed io raggiungo il mio obiettivo. Affare fatto?”
-“Non ho garanzie che dopo tutto questo tu ci lascerai stare.”
-“Hai ragione, non ne hai. Non hai nemmeno scelta, solo la mia parola.” Si alzò in piedi, lasciando sul tavolo i soldi per entrambe le ordinazioni.
-“Prima che tu te ne vada, voglio sapere una cosa, una soltanto.”
-“Te lo concedo.”
-“Chi sei tu, veramente? Che legami hai con noi?”
-“Non quelli che potresti pensare, ma ogni cosa a suo tempo. bene, se questa conversazione verrà scoperta da chiunque altro al di fuori di noi due, il prossimo dialogo avverrà separati dalle sbarre di una prigione. Se invece vogliamo fare le cose a modo, ci aggiorniamo prossimamente. Sono stato chiaro?”
La donna annuì.
-“Non fare quella faccia, Rui. Posso anche essere un bastardo, ma non come potresti credere ora. A presto.” Si voltò dalla parte opposta, incamminandosi verso chissà dove, lasciando dietro di sé il terrore negli occhi di Rui.
 
-“Ehi, Rui, è arrivata una lettera, dai un’occhiata.” Era ormai l’orario di chiusura del locale e le tre sorelle stavano svolgendo le ultime pulizie prima di andare a cena. “Non c’è il mittente, però.” Hitomi girò la busta, senza trovare indizi. “Dice solo:‘Per le sorelle Kisugi’. Tieni”. Porse la busta alla sorella maggiore, che la prese e, dopo averla esaminata all’esterno, la aprì.
-“Ah, finalmente la giornata è finita, non vedo l’ora di andare a dormire!” Esclamò Ai, stiracchiando le braccia in alto e facendosi sfuggire uno sbadiglio, mentre si dirigeva al bancone con le sorelle.
-“Temo invece che questa notte non dormiremo.” La lettera recitava testuali parole, lette ad alta voce da Rui:
“Alla cortese attenzione delle signorine Kisugi. Questa lettera avvisa che anche le forze dell’ordine sono al corrente di tale informazione: la ‘Gatta Nera’ colpirà questa notte alle 23:30 al Museo delle Stampe Giapponesi per rubare l’opera ‘Fugaku Sanjurokkei’ (Vista del monte Fuji) di Hokusai. L’opera verrà restituita domattina al Sotheby’s, in Francia. Questa busta ed il suo contenuto dovranno essere bruciate una volta finita la lettura della stessa.
Il Meticcio.”
-“Che significa, Rui?”
-“Si tratta di qualcuno sa di noi. E che dobbiamo impedire che la Gatta Nera rubi quell’opera.”
-“Ma perché dobbiamo farlo noi? Non può pensarci la polizia? Chi è questo ‘Meticcio’?” Sbuffò Ai.
-“Forse è Nagaishi che è tornato in città e ci ha mandato queste informazioni. E poi la polizia crede che questa Gatta faccia parte della nostra banda. Significa che se Toshio non la cattura, sarà licenziato. Era già un nostro piano, ecco perché dobbiamo agire!” Rispose Hitomi alla sorella, che alzò gli occhi al cielo.
-“Perché dobbiamo sempre rimediare noi alla sua incompetenza?” Prima che la sorella le replicasse a tono, intervenne Rui a placare gli animi.
-“Silenzio. Dobbiamo far catturare questa ladra alla polizia, è troppo pericolosa. Ci guadagna il nostro buon nome e anche Toshio.” Ai la guardò esterrefatta.
-“Scusatemi, ma non vi salta nemmeno per l’anticamera del cervello che questa informazione potrebbe essere falsa? Oppure addirittura una trappola della polizia o della Gatta Nera stessa, per catturarci? O peggio ancora, ucciderci?!”
Aveva ragione. Arrivata a questo punto, non aveva certezze, la lettera poteva essere stata scritta da chiunque. Magari per conto della polizia: d’altronde Lewis e Asatani avevano una grande intesa e la loro identità non più un mistero da tempo. Presentarsi sarebbe stata la prova definitiva della loro seconda vita. Oppure, poteva trattarsi di una sfida tutt’altro che pacifica lanciata dalla rivale. ‘Qualcuno che sa di noi. Di certo non è stato Nagaishi’, pensò. ‘La sua firma sarebbe stata più familiare. Jack invece vuole la Gatta Nera e ha promesso di aggiornarmi: avrebbe senso averci mandato queste informazioni… Ma lui da che parte sta, nostra, della polizia o con..?’
-“Rui, a cosa pensi?” Hitomi aveva capito che la sorella stava elaborando qualcosa.
-“Leggete bene.” Rispose. “Con ogni probabilità conosce la nostra identità, ma non la rivela. Scrive che è una lettera per noi, ma non ci identifica come la banda Occhi di Gatto.”
-“E questo che vuol dire?”
-“Non lo so, ma è come se volesse evitare di creare una prova troppo evidente nei nostri confronti, nel caso questa lettera venga trovata da terzi.” Diede un altro sguardo allo scritto. “Inoltre l’informazione che vuole darci è che la polizia è al corrente di tale furto, ma non del furto in sé.”
-“E questo che significa? Che questo ‘Meticcio’ tiene alla nostra privacy?” Ai non era per nulla convinta.
-“Vuole che aiutiamo la polizia a neutralizzare questa criminale.”
-“E quanto ti sembrano affidabili queste informazioni, Rui?” Chiese Hitomi, ottenendo un sospiro in risposta.
-“Più di quanto dovrebbero. Andiamo,  abbiamo poco tempo per elaborare un piano.” Strappò in tanti pezzetti il foglio di carta insieme alla busta, tanto da non rendere più leggibile nemmeno un ideogramma, e lo gettò nella spazzatura.

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Capitolo 9
*** Il Meticcio ***


Sotto una Luna brillante da rendere vani i lampioni accesi della città, il misfatto era pronto a compiersi. Le tre sorelle si piazzarono in due diversi punti strategici, divise in Rui e Ai insieme, e Hitomi da sola: il piccolo museo era circondato da un giardino sapientemente curato, delimitato da una solida recinzione in muratura. La stampa era collocata nella sala principale, al centro di un percorso di piccole stanze che dividevano i temi e gli autori delle opere. Hitomi avrebbe tenuto una posizione sopraelevata, su un albero, che le permetteva di osservare discretamente l’uscita sul retro: era in prima fila, poiché la sfida della Gatta Nera la riguardava personalmente ed era un vantaggio non rivelare l’identità delle altre due ladre ad una così terribile rivale. Nel frattempo, un nervosissimo Toshio camminava avanti e indietro per la stanza in cui era custodita la stampa tanto preziosa: era la sua ultima occasione.
23:30. Le luci si spensero e un boato precedette una nuvola di fumo che riempì la stanza, ma l’ispettore Utsumi si precipitò a fare da scudo all’opera: ‘A costo della mia vita, questa volta non mi sfuggirai!’, pensò, quando un biglietto affilato sfiorò il suo viso, rigando con un graffio lo zigomo, e un piccolo rivolo di sangue cominciò a scendere sulla guancia. A quel punto, suonò l’assordante allarme acustico posto sopra all’opera, il quale stordì per qualche secondo anche il poliziotto, che sentiva un fastidioso fischio nelle orecchie.
-“Toshio, davanti a te, attento!” Mitsuko lo avvisò appena in tempo, in modo che potesse parare un colpo che non avrebbe mai potuto vedere, con le braccia incrociate sul petto. La sua resistenza fece quasi perdere l’equilibrio alla ladra, che, titubante sulla mossa da fare, rinunciò all’opera e scelse la via della fuga immediata.
-“Forza, inseguiamola!”
-“No Toshio, vai tu. Non può essersi arresa, sarà un diversivo! Vai, prendila, al dipinto penso io!”
-“Va bene, attenta!” Cominciò a correre dietro alla figura minuta vestita di nero, agile, in grado di sparire dalla vista in pochi movimenti: si infilò tra gli stretti vicoli in mezzo agli edifici nella città, cercando di seminare l’ispettore che vedeva davanti a sé un’opportunità. “Mossa sbagliata, Gatta! Arrenditi, non mi scapperai!” Urlò. A quelle parole, la ragazza tirò fuori delle sfere di metallo e le gettò dietro di sé, facendo cadere rovinosamente a terra Toshio, il quale faceva fatica a rimettersi in piedi, perdendo terreno prezioso nei confronti della criminale. Ma Hitomi, come un angelo custode a vegliare sul ragazzo, li stava seguendo dai tetti delle abitazioni che li circondavano: davanti alla scelta di un bivio, la ragazza scese improvvisamente per sbarrare con la sua presenza una delle due strade.
-“Da qui non si passa, impostora!” Al contrario delle sue aspettative, la figura rifiutò il confronto diretto ed imboccò la strada alternativa, lasciando spiazzata Hitomi. “Ma cosa…” Si girò di scatto, sentendo in lontananza il fiatone di Toshio, e si adoperò a diventare tutt’uno con le tenebre.
-“Non hai scampo!” Continuava a gridare, ma la giovane donna continuava a correre, fino a quando non dovette arrestarsi davanti ad una parete troppo alta da scavalcare. “Vicolo cieco! Errore da pivella!” Si avvicinò a lei, ancora di spalle, tirando fuori le manette. Rassegnata, quasi in lacrime, alzò le mani a mo’ di resa, e Toshio poté esclamare con entusiasmo: “Ti dichiaro in arresto, Occhi di Gatto! Ah-ah! Farò un’invidia pazzesca a Asatani!”
Hitomi, dopo aver visto la scena, iniziò a correre verso il museo: qualcosa non andava e doveva avvisare le sorelle.
-“Rui! Rui, mi ricevi?” Parlò al suo piccolo walkie talkie, dopo averlo attivato.
-“Hitomi, ti sento, dimmi.”
-“Toshio l’ha catturata.”
-“Ma è fantas…”
-“No Rui, non è la Gatta che mi ha affrontato, è stato fin troppo facile fermarla! Tenete gli occhi aperti, sto tornando!”
-“Al museo è tutto silenzioso e noioso, stai tranquilla.” Intervenne Ai, avvicinandosi al dispositivo della sorella maggiore.
-“Troppo silenzioso. Ai, dobbiamo controllare; Hitomi, ti aggiorniamo, se arrivi prima di noi, tieni d’occhio le uscite del museo.”
-“Ricevuto, chiudo.”
-“A cosa stai pensando, Rui?” Chiese la sorella minore.
-“Ho come l’impressione che ci sia sfuggito qualcosa, andiamo.” Si diressero verso l’edificio e, una volta affacciate ad una finestra laterale all’entrata, videro Asatani e la schiera di agenti sdraiati a terra, senza sensi; la parete dietro di loro era spoglia. Rui ruppe il vetro e si precipitò dentro a verificare le condizioni dei poliziotti. “Ai, vieni dentro e stai attenta che non ci sia nessun’altro all’esterno.” Annuì, e la sorella andò a sentire il polso di Mitsuko, poi quello di altri due agenti, fino a che non vide a terra due strani oggetti metallici dalla forma affusolata. “Uno per il fumo, l’altro per un sonnifero. Sono solo svenuti, dovrebbero stare bene tra circa mezz’ora. Il quadro, invece… è andato.” Constatò con tono rassegnato, e raggiunse Ai, facendole segno di tornare nel punto di raccolta. Rui non riusciva a pensare ad altro: la vera Gatta non era stata presa e la possibilità di essere tradita da Lewis si faceva concreta, doveva assolutamente impedirlo.
Hitomi era appena tornata nel posto programmato dalle tre sorelle, era necessario fare il punto della situazione.
-“La stampa è stata rubata, avevi ragione, Hitomi.” Cominciò Rui. “Deve essere uscita dal retro, dove eri appostata proprio tu, che giustamente hai inseguito l’esca. Non ci siamo accorte di nulla dal nostro nascondiglio.”
-“La buona notizia è che il lavoro di Toshio dovrebbe essere salvo, una gatta l’ha pur sempre presa, e la polizia non conosce il suo ruolo nella banda. Era molto agile, ma in quanto a strategie di fuga, veramente pessima.”
-“Da come ne parli, sembra dotata, ma parecchio inesperta. Non è un dettaglio irrilevante.” Sospirò.
-“Ecco perché persino Toshio è stato in grado di arrestarla!” Aggiunse Ai, divertita.
-“Ragazze, potrebbe essere un problema per noi.” Scosse la testa.
-“Di cosa stai parlando, Rui?”
-“Non lo so ancora di preciso. Penso di aver capito chi è il Meticcio e voglio scoprirlo stasera.”
-“Siamo stanche, ma va bene, dove dobbiamo…”
-“Da sola.” La interruppe. “Potrei sbagliare, e non voglio mettervi nei guai.”
-“Ma siamo una squadra, potremmo aiutarti!” Alzò la voce Ai.
-“Vi chiedo di fidarvi di me, non mi metterò nei guai, promesso. Ora andate a casa, se avrò bisogno di aiuto vi chiamerò con questo.” Indicò il walkie talkie che teneva sulla cintura.
-“Va bene, non farci stare in pensiero.” Rispose Hitomi, contrariata, ma senza le forze per controbattere. “Andiamo, Ai, sa badare a se stessa. In bocca al lupo, sorellona.” Si divisero, e Rui si fece inghiottire dalla notte.
 
Superata la soglia della mezzanotte, tornò nel suo angusto appartamento: davanti alla porta, prese le chiavi e, una volta girate e aperta l’entrata, si ritrovò una scena inusuale quanto inattesa.
-“Bentornato a casa, Jack.” Ancora vestita della sola tuta color viola che delineava perfettamente le sue curve, era seduta su una sedia al centro del piccolo salotto. Lui, senza scomporsi davanti a quell’immagine seducente, diede un’occhiata alla serratura, poi alla finestra, che vide aperta, e capì come fosse entrata. Per quanto fosse sorpreso, non aveva alcuna intenzione di darlo a vedere.
-“Che ci fai qui? Un altro dei tuoi giochetti?”
-“Sono solo venuta a parlare di stanotte.” Tornò seria per un attimo.
-“In altre parole, ad assicurarti che il nostro patto sia ancora valido dopo la cattura di una recluta della ladra, giusto?” Chiuse la porta e si diresse verso la cucina, senza degnare di un ulteriore sguardo la donna, leggermente delusa da tale maleducato comportamento.
-“Una recluta, dici? Ci ho pensato anch’io.”
-“Ti preparo qualcosa? Non è orario da caffè, ma un the, o… sei più tipo da un bicchiere di vino, per caso?” Lei sorrise a quella domanda.
-“Ci hai preso. Da bravo italiano avrai qualcosa di buono, spero…” Anche a lui si creò una curva sul viso, ma si premurò di non darla a vedere.
-“Così sia.” Tirò fuori una bottiglia, alla quale tolse il tappo, e prese due calici da un’anta della cucina. “Amarone della Valpolicella, abbastanza italiano per lei, madame?”
-“Lo vedremo.” Lui si sedette davanti a lei, vestito di una semplice camicia bianca e jeans. I capelli spettinati, di chi si era cambiato in fretta e furia, contornavano un volto stanco, di uno strano e palpabile umore.
-“La risposta alla domanda che non hai il coraggio di fare è sì, comunque. Il patto è ancora valido.” Versò il rosso nel calice dell’ospite, prima che al suo. “Dopotutto è stata una serata produttiva, anche grazie a voi.”
-“Una componente della banda rivale è stata arrestata.” Portò il bicchiere vicino al volto per sentirne il profumo e diede un assaggio, in una smorfia di apprezzamento.
-“Sì, lo so.” Ora, invece, la guardava intensamente.
-“Dov’eri? Non ti abbiamo visto.”
-“Ho vegliato su di voi, mettiamola così. Almeno, fino a che non ho trovato le tracce della Gatta.”
-“Tu l’hai vista? E non l’hai presa?”
-“Non vista. Mi ci è voluto qualche minuto per capire che Hitomi stava per prendere la persona sbagliata: era palesemente qualcuno di molto inesperto e mi sono fidato di lei, a ragione con il senno di poi. Sono tornato indietro e ho trovato…” Sospirò. “Ho trovato Mitsuko a terra nella grande sala del museo, e mi sono assicurato delle sue condizioni, poi anche quelle degli altri agenti.”
-“Tieni molto a lei, non è vero?” Non rispose a quella domanda, aspettò qualche secondo.
-“Stavano tutto sommato bene, quindi sono uscito dalla porta sul retro, e ho trovato delle impronte che si interrompevano vicino ad una fila di alberi, che ho seguito. In fine, dei segni di pneumatici mi hanno portato verso una strada a senso unico, lungo la quale c’è un garage abbandonato, alla periferia della città. Sono abbastanza sicuro che sia il luogo in cui la banda si ritrova dopo i colpi, ma non è un nascondiglio. Avrà dei collegamenti ad altri punti strategici.” Mandò giù un sorso di vino, guardando il vuoto. “È tutto.”
-“Ho molte domande da farti, Jack.”
-“Lo so, ormai sono in ballo. Ma non garantisco risposte a tutto.”
-“Ti vedo determinato nel catturare la Gatta e mi hai anche detto che per te un ladro è pur sempre un ladro… però non ci hai consegnate alla polizia. Infondo potresti arrivare a lei anche senza il nostro aiuto, sembri in gamba.”
-“Sì, è vero: volevo farlo dal primo giorno, ma avevo bisogno di prove, del movente… e quando ho trovato le risposte che cercavo, ho riflettuto. Probabilmente per mio padre avrei fatto lo stesso. Prima che tu ti preoccupi, no, non è stato facile identificarvi come Occhi di Gatto, potete stare serene.”
-“Hai scoperto qualcosa su nostro padre? Per noi sarebbe importante.”
-“Ho una pista che non ho ancora approfondito: uno scambio epistolare con un uomo tedesco, datata sei anni fa. Non ho indagato oltre perché non sono venuto qui per questo.” A quelle parole, gli occhi di Rui si illuminarono di energia.
-“Faremo catturare la Gatta Nera, ma ti prego, tu continua a cercare.” Allungò la mano e la appoggiò a quella del ragazzo. “Per favore.” Lui sospirò, quasi rassegnato.
-“Dietro alla Gatta Nera c’è molto, molto di più di una semplice ladra di musei. È un caso grosso che mi sta prosciugando, non so se riuscirei a gestire altre informazioni di tutt’altro tipo.”
-“Capisco cosa intendi, ma prova ad immedesimarti in Hitomi, Ai… in me. Non posso non chiedertelo, non posso non insistere.” ‘La verità è che mi immedesimo fin troppo bene’, pensò Lewis. La guardò negli occhi: faceva estrema fatica a negarsi al suo sguardo.
-“Non posso assicurarti nulla, ma se scoprirò altro lo saprai.” Sottrasse la sua mano a quella della donna, nel disperato tentativo di non subirne il fascino.
-“Ti ringrazio.” Lui sorrise, amareggiato. ‘Mi sono proprio rammollito negli anni…’. “Ti lascio riposare.” Finì il vino nel suo bicchiere, apprezzato fino all’ultima goccia, e si alzò in piedi.
-“Ti serve un passaggio?”
-“No, non vorrai mica che Ai e Hitomi ci vedano insieme a quest’ora…” Gli fece l’occhiolino.
-“Beh, tanto dovrai dar loro una spiegazione del perché nei prossimi tempi ci vedremo spesso. Sai, per il caso.” Ricambiò il suo fare finemente ironico e malizioso e la accompagnò alla porta, aprendola per lei.
-“I casi, volevi dire.” Lo corresse lei, facendogli girare gli occhi al cielo.
-“Va bene, come dici tu.” Oltrepassata la soglia, gli prese dolcemente il viso con una mano.
-“Grazie, Meticcio, non sei così bastardo, dopo tutto. Buonanotte.” Prima di andarsene, stampò un bacio sulla guancia del ragazzo, spiazzato da quel piccolo gesto. Si toccò il viso e sorrise. ‘Non le sfugge proprio nulla. Devo stare attento con lei’. Pensò, colpito dal suo carisma e, prima ancora, dalla sua perspicacia.

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Capitolo 10
*** La donna col cappello ***


-“E quindi è stato un buco nell’acqua, niente Meticcio.” Concluse Hitomi, ascoltando il racconto della sera precedente di Rui, mentre lavava alcune stoviglie usate da poco dai clienti. “Tanta fatica per nulla, insomma.” Rispose Hitomi, girandosi verso il bancone. “Guarda quei due.” Continuò, indicando Ai e Jack che parlavano davanti ad un caffè ad un tavolino defilato.
-“Sembra di vedere una di noi due con nostro padre da bambine, guarda come sorride.”
-“Sì, un po’ hai ragione. Peccato che debba interromperli o Ai non arriverà a scuola in orario.” Si diresse verso di loro, pronta a spezzare quel tenero momento ed a richiamare Ai all’ordine. Rui, pur senza sentire, da distante vedeva la piccola sorella mettere su il broncio alle parole di Hitomi, non senza un tentativo di polemica. La giovane, in fine, prese il necessario per uscire e abbracciò il ragazzo, rimasto seduto, prima di dirigersi a lezione. Subito dopo si rivolse a Lewis.
-“È davvero felice… ti ringrazio Jack, se vuoi questo caffè te lo offr…”
-“No, non se ne parla” Interruppe lui sorridendo, dopo aver appoggiato la sua mano sopra quella di Hitomi, che stava prendendo la tazzina vuota. “È sempre un piacere, non un favore.” Il suo sguardo penetrò gli occhi della ragazza, che a stento riuscì a rispondere, incatenata dal contatto visivo. Lo guadava, e le sembrava di vedere una maschera di serenità sopra un velo di malinconia.
-“Va bene, grazie per tutto questo, stai facendo davvero molto per lei.” Si ricompose. “Ma ti avverto, Jack: stai molto attento a come la tratti, non vorrei che per qualche motivo si affezionasse troppo a te, al punto di…”
-“Non succederà. O almeno, se proprio dovesse succedere, mi farò da parte, hai la mia parola.”
-“Va bene. Ti tengo d’occhio.” Ribatté scherzosamente, ma non troppo.
-“Oh, farò finta che la cosa mi dispiaccia.” Rise, lui.
 
Il rumore della porta aperta annunciò l’entrata di una cliente mai vista prima, vestita in modo ricercato ed ambiguamente originale: una camicetta bianca senza maniche le cingeva la vita, infilandosi sotto dei pantaloni attillati color nero, mentre le spalle erano coperte da una giacca corta dai motivi a fantasia animalier. Ornata di bracciali vistosi ed una collana d’argento, l’accessorio che davvero attirava l’attenzione era il grande cappello largo color pece, che nascondeva in parte la sua capigliatura fluente; i veri brillanti sembravano essere incastonati nei suoi occhi incredibilmente intensi e carichi di spirito. Una volta avvicinatasi per ordinare, Rui si apprestò a servirla.
-“Un caffè americano, se lo avete.” Chiese, sedendosi su uno sgabello davanti al bancone.
-“Certo, arriva subito.”
-“Che bel posto, qui! Così tranquillo, così intimo…” Esordì, dopo qualche secondo.
-“Grazie, ci piace far sentire tutti a casa. Ecco a lei.” Rispose Rui.
-“Perdoni la mia impertinenza, ma lo sa di essere una donna davvero bellissima?” Chiese, con sguardo calmo, ma colmo di brillante entusiasmo, causando anche la curiosità di Jack dal tavolino defilato nella sala.
-“Ehm, io… la ringrazio.” Sorrise imbarazzata Rui, completamente colta di sorpresa, mentre Hitomi la stava raggiungendo al banco. Lo sguardo di quest’ultima e quello della nuova cliente si incrociarono, facendo scoccare una scintilla trasformatasi in breve tempo in un brivido lungo la schiena.
-“Ma tu…” Cercò di capire, la donna dai capelli corvini. “Siete sorelle?”
-“Sì.” Rispose Hitomi, scrutando la figura.
-“Caspita, la bellezza è una questione di famiglia, quindi. Scusatemi, sembro terribilmente sfacciata… Mi presento, sono Hayami Nakano, mi occupo di fotografia artistica e voi due, ragazze, sareste delle modelle mozzafiato per il mio prossimo progetto!” In quel momento, Jack si alzò in piedi per prendere la via dell’uscita, e sollevò la mano con cenno di saluto.
-“Ciao Rui, ciao Hitomi; io vado, grazie per il caffè, buon lavoro.”
-“Caspita, ma questo posto è un covo di modelli mancati… Aspetti signore!” Hayami gli si avvicinò fino a toccare il suo braccio e cercò di attirare l’attenzione del ragazzo, che, a disagio, provò a smorzare l’entusiasmo.
-“La ringrazio, ma se è per quel progetto fotografico, rispondo subito che non fa per me. In cose del genere, mi si addice di più il ruolo dell’artista, rispetto a quello di modello. Ora devo andare, grazie lo stesso dell’offerta e dei complimenti.”
-“Arrivederci, Jack.” Rispose Rui, con tono affettuoso, al quale tornò di rimando un occhiolino da parte di Lewis. Nonostante il rifiuto, gli occhi della fotografa, che seguivano il ragazzo da dietro al vetro delle finestre, erano densi di energica curiosità.
-“Un altro spirito artistico, quale coincidenza del destino!” Appoggiò il gomito al tavolo e tenne il suo viso con la mano; si girò verso le due ragazze, incuriosite e al tempo stesso confuse da tale confidenza. “Sapete per caso se è sposato oppure libero?”
-“No, non ci è dato saperlo.” Rispose Rui, quasi indispettita, mentre cominciava a pulire il bancone con un canovaccio.
-“Non ha la fede al dito, questo è molto interessante…”. Le due si limitarono a lasciar perdere. “Ah, ma torniamo a noi. Siete interessate, Rui e Hitomi, giusto?” Se già dapprima  l’interesse delle due ragazze era scarso, ora quello della sorella maggiore era quasi pari allo zero.
-“Mi dispiace, non ci piace stare sotto i riflettori, e poi abbiamo già molto da fare qui al locale. Temo che dovremmo rifiutare.” Nonostante quelle parole, la donna non esitò a dare a due mani un biglietto da visita elegantemente decorato.
-“Sono una tipa molto testarda, come può vedere. Se cambiate idea, questo è il mio contatto: meritate una vetrina decisamente più in vista rispetto ad un bar sperduto in quel di Tokyo.” Finì quello che aveva ordinato, per poi passare il contante. “Grazie per il caffè, penso che verrò ancora qui, sembra essere proprio una calamita per…”
-“Buongiorno Hitomi, oggi si festeggia! Il solito, grazie!” Da entusiasmo ad entusiasmo, Toshio fece la sua entrata trionfale al Cat’s Eye, finalmente soddisfatto dopo una serata di lavoro, in seguito a mesi e mesi senza risultati.
-“Cos’è questo buon umore? Aspetta, non dirmi che..!” Hitomi, facendo finta di non sapere il motivo di tanta gioia, lo incalzò a raccontare.
-“Sì, amore mio, ho catturato un membro della banda Occhi di Gatto! Il capo era incredulo, non pensava che ce l’avrei fatta, ed invece eccomi qui, ancora con il mio lavoro tra le mani e una Gatta da pelare!” La ragazza rise a quella frase sconclusionata.
-“Ma è stupendo, Toshio, sono contentissima! Ma… cos’è quel segno sulla guancia, sei ferito? Che è successo?”
-“È solo un graffio, avresti dovuto vedermi! Ha provato a colpirmi prima con un biglietto della banda e poi con un calcio: non vedevo niente per colpa del fumo, ma con il mio istinto sono riuscito a bloccare il colpo, non mi ha mai messo all’angolo! E poi l’ho inseguita per mezza città, era velocissima. Non poteva nulla contro il grande ispettore Toshio Utsumi, infatti l’ho indotta verso un vicolo cieco e boom! La dichiaro in arresto, ah ah! Non esiste frase più bella!” Mimò una pistola con le mani, causando l’ilarità generale.
-“Ma che bravo. E dimmi, avete scoperto qualcosa di nuovo da lei e la sua banda?”
-“No, questa notte è stata muta come un pesce all’interrogatorio, ma vedrai: stamattina sono bello carico, la farò parlare senz’altro!”
-“Interessante, quindi… lei oltre ad essere un bel pezzo di ragazzo è anche un poliziotto! La mia teoria su questo locale si riconferma!” Interruppe Hayami, mimando un applauso con le mani.
-“Gr… Grazie? Ma lei chi è, di quale teoria parla?” Chiese Toshio, disorientato.
-“Hayami Nakano, fotografa artistica. E così ha catturato una delle famose ladre di quadri, deve essere una persona molto in gamba! Sarebbe proprio un gran soggetto per qualche scatto, poi il fascino del poliziotto non guasta mai!”
-“Sì, me la sono cavata bene, modestamente. Ma prendo molto seriamente il mio lavoro, non so… beh, se proprio insiste ci penserò.” L’aria spaesata dell’ispettore si fece subito fiera a quelle parole, provocando non poco la gelosia di Hitomi, che tossì rumorosamente.
-“Il tuo caffè, Toshio.” Passò l’ordinazione, stizzita.
-“Grazie, Hitomi.” Prese la tazzina. Resosi conto di aver giocato con il fuoco, rivolse uno sguardo alla ricerca di perdono per la troppa confidenza data alla sconosciuta.
-“Bene, io vado che si è fatto tardi. Tornerò qui sicuramente, non demordo! A presto.”
-“Arrivederci.” Risposero in coro Rui e Hitomi, guardandola uscire con la coda dell’occhio.
-“E lei da dove sbuca? È davvero una bella donna, caspita.”
-“Ma tranquillo Toshio, continua pure così.”
-“Dai, Hitomi, per favore, non intendevo…” Lei si girò dall’altra parte e si diresse verso la cucina fino a sparire dalla sua vista, con fare offeso. “Rui, insomma, dille anche tu che ho detto solo la verità oggettiva, niente di più!”
-“Sì, è vero, ma dire una cosa del genere davanti a lei non porta a nulla di buono, dovresti saperlo. E un po’ la capisco pure.”
-“Già, hai ragione… Uffa.”
-“Le passerà come sempre, stai tranquillo. Piuttosto, cosa avete scoperto dalla ladra che avete catturato?”
-“Non molto. Era davvero agile, e come vedi dal mio viso ha cercato di colpirmi con uno di quei biglietti. Ma che diavolo di carta usano perché tagli così, se parlo troppo mi fa ancora male!” In un sorso, bevette il suo caffè e riprese. “È fisicamente molto dotata, ma ha preso una strada per la fuga completamente senza senso, come se non conoscesse bene la città... è stato strano. Penso che sia inesperta, mi rifiuto di credere di essermela fatta fuggire fino ad ora.”
-“Mhm, capisco... Riguardati per quanto riguarda la ferita, e.. credo che dovrai farti perdonare da Hitomi, se non vuoi che si convinca che ti piaccia l’affascinante donna col cappello.”
-“Sì, hai ragione, devo inventarmi qualcosa. Ma ora perdonami, ho un interrogatorio da portare avanti. Vado!” Uscì dal locale, con la fretta e l’irruenza che lo contraddistinguevano.
 
-“Se n’è andato.” Disse Rui alzando la voce, per farsi sentire dalla sorella.
-“Non lo nominare nemmeno! Quella donna non mi piace per nulla, ha un che di subdolo, e lui che fa? Ci prova! Quello sciocco!”
-“Dai, lo sai come è fatto Toshio… ops, scusa, l’innominabile.” Sorrise per stemperare l’aria, mentre Hitomi tornava al bancone.
-“Brava, fai la spiritosa. Guarda che ho visto la tua faccia quando si è rivolta a Jack, non sembrava andarti a genio almeno come non va a genio a me in questo momento: che cosa mi nascondi?”
-“Niente, mi è sembrata solo sgarbata nei suoi modi, non lo conosceva nemmeno ed è andata subito diretta.”
-“Ah ah, solo sgarbata, certo.”
-“Che cosa vuoi insinuare, sentiamo?”
-“Intendo dire che sarei proprio curiosa di sapere cosa vi siete detti a quell’appuntamento al bar, perché lo guardi in modo parecchio diverso da quel momento.” Si appoggiò con la schiena al bancone e, a braccia incrociate, si rivolse verso la sorella più grande.
-“Non era un appuntamento. E ci siamo solo conosciuti un po’ meglio, mettiamola così.”
-“La cosa si fa seria, hai capito la nostra sorellona… non serve che ti dica che personalmente non mi fido così tanto di lui, vero? Gli hai pure affidato Ai, mi è sembrata una mossa fin troppo irresponsabile per essere stata una tua scelta. Sei sicura di quello che fai con lui?”
-“Fidati se ti dico che ho ragionato a lungo su quella questione… e infatti Ai sembra molto serena da quell’incontro.”
-“Sarà… Ma stai rischiando molto.”
-“Visto che sei in vena di fare l’osservatrice, che mi dici di quella donna? Sembravi titubante appena l’hai vista.”
-“Mi ha creato un senso di deja-vu, come se l’avessi già incontrata; non mi ha dato buone sensazioni.”
-“Capisco... Sicuramente sa il fatto suo ed ha grande carisma.”
-“Hai ragione. Continua a non piacermi, ma hai ragione.”
-“Non ti piace proprio nessuno in questo periodo, eh?” Rise Rui, per poi scuotere la testa. “Stiamo diventando fin troppo diffidenti nei confronti delle persone…”
-“Già… che ci sta succedendo, Rui?” Chiese, preoccupata.
-“Là fuori c’è qualcosa che ci minaccia e che pretende di prendere il nostro posto, è chiaro che siamo sempre allarmate, meglio un dubbio in più che una certezza in meno.” Si fermò un secondo a riflettere. “Per ora concentriamoci sull’arresto di Toshio, sappiamo che la ladra catturata è stata assoldata probabilmente di recente; e poi, se serve per farci stare tranquille, chiederò al signor Nagaishi di indagare un po’ sulla donna che sembra essere uscita da un quadro di Matisse. Intanto andiamo avanti con i prossimi obiettivi.”

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Capitolo 11
*** Un gioco pericoloso ***


-“Non è possibile, si sta per forza sbagliando.” Rui si appoggiò con le mani al bancone davanti al grande schermo in cui era proiettato il volto del signor Nagaishi. “Ce ne saremmo accorte se fosse davvero così.”
-“Nessuno sbaglio, Rui. Lewis nasconde qualcosa, fino ad un anno e mezzo fa era come se non esistesse, il suo nome non risulta in alcun fascicolo di cui sono entrato in possesso. In particolare, dai documenti che ho raccolto emergono due vuoti: dalla sua nascita fino al 1970; ricompare fino a tre anni fa e per poi sparire di nuovo, riapparendo nuovamente diciotto mesi fa. ”
-“E che cosa può significare? Ci deve essere una spiegazione logica.” Chiese Ai, confusa.
-“Può voler dire tantissime cose…” Accennò Rui, che venne interrotta dall’uomo.
-“Ad esempio cambi di identità frequenti, probabilmente quello che conoscete non è nemmeno il suo vero nome. Potrebbe essere un ricercato che è sfuggito alla legge, un criminale. Insomma, non escludo la possibilità che possa essere pericoloso per la vostra seconda vita… ”
-“No, non è così.” La sorella maggiore attirò su di sé gli sguardi di tutti, per il suo tono di estrema sicurezza, in quello che, più che un’affermazione, doveva essere un sussurro. Si accorse di aver pensato a voce alta e provò a correggere il tiro, ma era combattuta tra il rivelare la verità o meno. Si morse la lingua. “A me è sempre sembrato sincero in quello che ci ha detto e di solito non sbaglio”.
-“Sei stata tu a chiedermi di indagare, Rui, ed il tuo istinto aveva ragione…”
-“Signor Nagaishi, onestamente Jack non mi è mai piaciuto particolarmente, ma una cosa del genere da lui non me la aspetterei mai. Non so se sia possibile essere così bravi a mentire, inoltre stiamo solo facendo congetture...”
-“Infatti temo che non vi abbia mentito su alcune cose, la sua attività allo studio di registrazione è regolare e registrata, non sembra qualcosa di facciata.”
-“Allora lo ha visto anche lei che dice la verità, non è un criminale!” Intervenne Ai, alterata nei toni. L’uomo sospirò.
-“Non c’è niente di male a non accorgersi di qualcosa che non va quando è ben celato, ma mi fido del vostro giudizio. Di contro, mi aspetto che voi vi fidiate del mio: tenete gli occhi aperti e… non fatevi trascinare dalle emozioni.”
-“Certamente, come sempre.” Rispose Rui.
-“Bene ragazze, ci sentiamo presto. Aggiornatemi sul colpo di questa sera, anche se sembra ampiamente alla vostra portata.”
-“Non la deluderemo, Signor Nagaishi. Ci sentiamo.” Rispose Hitomi. “Ai, vieni a darmi una mano a sistemare i tavoli prima di andare a cena?”
 
-“Arrivo. Arrivederci, Signor Nagaishi.” Uscirono dalla stanza, poco prima che Rui si accingesse a spegnere il grande schermo, quando l’uomo le fece cenno di aspettare.
-“Aspetta Rui, due parole da soli prima di salutarci.”
-“Mi dica, di che si tratta?”
-“Che cosa c’è tra te e il ragazzo?” Rimase spiazzata da quella domanda.
-“Niente, che le salta in mente?”
-“Sei impulsiva nelle risposte, lo difendi davanti alle incongruenze, ti senti a disagio. Ti conosco molto bene, lo sai.” La donna abbassò lo sguardo per un secondo, scuotendo la testa e poi pensò.
-“So che per ora non è un pericolo per la nostra attività notturna, mettiamola così.”
-“Perché ne sei certa?” Rui chiuse gli occhi e incrociò le braccia, in un attimo di silenzio. “Che succede?”
-“Sa di noi, lo ha scoperto subito.” Nagaishi rimase gelato a quell’affermazione. “Ha promesso di non rivelare nulla alla polizia, se lo avessimo aiutato a catturare la Gatta Nera. Per ora non ha detto nulla, o saremmo già dietro le sbarre”
-“Non puoi essere certa che manterrà la parola.”
-“Jack è molto abile nell’investigazione, apparentemente. Sto provando ad addolcirlo nei miei… nei nostri confronti, e sono riuscita a strappargli la promessa di aggiornarmi su nostro padre, mi ha già dato qualche informazione frammentaria.”
-“L’importante è che non sia lui ad addolcire te…” Rui ignorò quella stoccata.
-“Di contro, questa conversazione non sarebbe mai dovuta avvenire, quindi la prego di non parlarne né con Hitomi e né con Ai.” L’informatore si portò la mano al viso, pensieroso.
-“Stai giocando ad un gioco pericoloso, Rui: presta attenzione, o tutto il lavoro di questi anni andrà in fumo.”
-“Si fidi di me. A presto.” Disattivò il dispositivo e si diresse nella sua stanza, davanti allo specchio. Si tolse la spilla a forma di fiore di loto, alla quale seguì la sua camicetta color lilla, stropicciata dopo esser stata sotto al grembiule da lavoro per tutto il giorno. Si infilò lentamente la calzamaglia viola, dalla quale si premurò di far uscire la chioma nera rimasta intrappolata durante il gesto. Era l’ora di andare.
 
Una notte senza stelle avvolgeva la capitale nipponica, divenuta vittima oramai delle scorribande criminali nel buio della sera. Un’atmosfera di timore surreale avvolgeva una città poco avvezza alla violenza e al crimine. Le tre sorelle si apprestavano a realizzare il più classico e semplice dei colpi, per assicurarsi il possesso dell’inquietante dipinto denominato “La Luna Rossa”: come un occhio in cui vi erano rinchiuse delle fiamme, il satellite si collocava decentrato alla destra, su sfondo cupo, buio, in cui però le sagome delle nubi erano delineate dalla luce calda dell’astro. Una sfera inanimata dalle tinte del fuoco si accingeva a scrutare l’anima dell’osservatore, perturbato dal senso di un giudizio che, in realtà, era inesistente, poiché derivante dalla rappresentazione di un oggetto non senziente.
In questa spedizione, il ruolo di diversivo era affidato a Hitomi e ad Ai, le quali avrebbero lasciato campo libero all’azione furtiva di Rui. Toshio aveva infatti organizzato in tre gruppi distinti i propri agenti, tra cui due che si dividevano in addetti alla guardia dell’opera e il secondo, invece, designato all’inseguimento. Tutto era pronto.
Ai, pochi minuti prima dell’ora designata, posizionò un registratore, appoggiato alla parete del muro di un corridoio buio, di cui l’entrata dava lateralmente sul salone in cui era custodito l’obiettivo del furto. Successivamente, proseguì dritta verso la finestra alla fine del percorso, che era già stata aperta in un primo momento, per garantirle un largo vantaggio sugli eventuali inseguitori da attirare. Davanti ad essa, la moto della giovane  era pronta per scatenare il motore durante la fuga; legata stretta al sedile c’era già una tela anonima arrotolata su sé stessa, vuota. Rui era invece intrufolata in un condotto dell’aria, la cui apertura era posizionata esattamente sopra alla collocazione del quadro. Hitomi, nel frattempo, si preparava a usare le sue conoscenze nelle arti marziali, per tenere impegnata una delle squadre designate alla cattura delle ladre, quella di guardia.
Tutto era posizionato, l’orario scattò: iniziavano le danze. Rui per prima cosa indossò una maschera antigas, utile a proteggerla dal fumo che stava per spargere con l’ausilio di una capsula metallica costruita da Ai: una volta attivata, diede il via ai primi attimi di caos. La sorella minore si attivò pochi secondi dopo, accendendo il registratore a distanza, grazie ad un prototipo di telecomando a raggi infrarossi. Dal dispositivo si cominciarono a sentire dei finti passi di corsa provenire dal corridoio. Asatani, sentendo quei rumori, guardò verso il dipinto e vide che la parete era già vuota. Rui lo aveva afferrato con una fune, la cui cima presentava un piccolo gancio, per poi ritirarsi silenziosamente.
-“Passi! Vengono da di là, presto, andiamo a prenderle!” Indicò la direzione alla sua squadra, che fece giusto in tempo a vedere una ladra con il casco integrale indossato: il rumore della moto appena accesa costrinsero in poco tempo a dare uno sguardo rapido al veicolo, notare la falsa tela e, in fine, agire. Si rivolse agli agenti presenti:
-“La ladra sta scappando con una motocicletta ed ha la tela, procediamo all’inseguimento con la volante.” Ordinò l’ispettrice.
“Distrarvi è sempre un gioco da ragazzi!” Pensò tra sé e sé Ai.
 
Rui, prima di ritirarsi, si assicurò che Hitomi avesse la situazione sottocontrollo contro i poliziotti rimasti di guardia. Con cieca fiducia verso la sorella, uscì dalla conduttura e, allontanatasi dalla zona calda, si soffermò a controllare cornice e tela per assicurarsi che fosse tutto a posto. “Che capolavoro meraviglioso… un passo in più verso di te, papà.” Pensò, e girò l’opera per visionare il retro. Sbiancò nel momento in cui trovò un bigliettino bianco con un’unica, breve scritta:
“Il nostro patto è stato infranto. Il cane sarà sguinzagliato.”
Ma come è possibile? Non può averlo saputo…” Le venne alla mente la chiamata avuta con Nagaishi. “Ci ha spiate per tutto questo tempo e non me ne sono accorta... No, questo è troppo: non finirà così.”
 
Corse all’impazzata verso l’abitazione di Lewis, piena di domande e colma di ira. Sapeva che sarebbe stato un contatto rischioso, eppure qualcosa le bruciava nel petto. Arrivò in poco tempo alla casa e trovò la finestra aperta, a mo’ di invito: questa volta era lui ad aspettarla, ma era pronta.
-“Tu! Ci hai spiato per tutto questo tempo!” Appoggiato al tavolo con le braccia incrociate, la guardava con il viso leggermente alzato e gli occhi socchiusi e viso grave. “Lo sai che ti abbiamo scoperto, parla: chi sei davvero?!”
-“Avevamo un patto, e lo hai infranto. Vorrei dirti che credevo di potermi fidare, ma con il tempo ho imparato che nessuno è mai completamente degno della nostra fidanza.”
-“Che cosa vuoi ora? Denunciarci?”
-“Te l’ho già detto. Volevo la Gatta Nera, ma forse ora è tempo di non fare distinzione tra voi e lei.”
-“Il signor Nagaishi non lo rivelerà a nessuno, hai la mia parola. Ma stai attento, perché se metti in pericolo le mie sorelle non ci sarà etica che tenga.” Lui rimase in silenzio, a fissarla con occhi seri e imperscrutabili, senza rispondere. Lei riprese. “Quello che mi hai detto la scorsa volta, anche su mio padre, era tutta una bugia, non è così?”
-“No, per niente.”
-“Allora perché ci hai tenuto d’occhio? Come hai fatto? Ero da sola nella stanza…”
-“Perché dovrei dirtelo se alla fine avevo ragione nel controllarti?” Rimase esterrefatta da tale cinismo. Dopo un secondo di silenzio, rispose.
-“Non è stato comunque corretto da parte tua. Perché io mi fidavo, invece.” Il volto di Jack si fece meno grave.
-“Le spille. Se da ora in poi vuoi essere sicura di non essere ascoltata, metti la tua spilla in una scatola. Questo è un favore che ti faccio.”
-“Dovrei ringraziarti per poter riavere la mia privacy? Finora ho creduto che fossi una persona corretta, ma sai già che Nagaishi mi ha detto molte cose su di te.”
-“Nagaishi non ha capito niente di me.”
-“Cosa c’è da capire? Questa cosa ne è la prova: puoi dirmi tutto quello che vuoi, ma non ti crederò più. Mi sono sempre sbagliata su di te.” Lui sospirò, con fare velatamente dispiaciuto. Subito dopo il suo sguardo, fisso a terra, si fece preoccupato.
-“È per questo che hai portato qui la polizia, in casa mia? Per incastrarmi?” In lontananza erano appena udibili le sirene delle volanti in avvicinamento.
-“Cosa? No, io non…”
-“Vai via…” Impose con tono di ordine.
-“Ti giuro che non ne so niente..!”
-“Ho detto vai via!” Urlò a pieni polmoni, a tal punto da spaventarla e convincerla a scappare dalla finestra, poco prima che l’abitazione fosse circondata; una volta uscita, con la complicità del completo buio della notte, riuscì a vedere una piccolissima luce rossa lampeggiante, nascosta tra cornice e tela. “Un localizzatore… avrei dovuto accorgermene, ho avuto troppa fretta…” Si mise le mani tra i capelli, rendendosi conto che le era sfuggita l’esistenza della terza squadra di polizia, guidata da Toshio. “Sto mettendo a rischio tutte e tre con queste disattenzioni, non posso più permettermelo. E ora lui?” Diede un ultimo sguardo alla casa e poi pestò il marchingegno, in fine gettò i residui il più lontano che poté. Dalla finestra ancora aperta, prima di scappare, riuscì a sentire solamente una voce euforica uscire dalla bocca dell’ispettore:
-“Jack Lewis, ti dichiaro in arresto!”

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Capitolo 12
*** Il segreto di Lewis ***


Di prima mattina, Rui prese la macchina e si diresse al distretto di polizia, ripetendo tra sé e sé il copione da recitare. Era tesa: doveva riprendere il controllo di una situazione sfuggita di mano e tornare nuovamente ad un equilibrio. Si rendeva conto che, con tanti imprevisti, la ricerca del padre sarebbe stata compromessa. Finita questa faccenda, era necessario tornare a focalizzarsi solo su quell’obiettivo. D’altronde non valeva la pena rischiare: facendolo diventare un fuggitivo e un ricercato per mano della banda, avrebbe dato solo un motivo in più per incriminarlo; in quel momento, senza prove, lo avrebbero liberato nel giro di poche ore. La donna parcheggiò vicino allo stabile, fece un respiro profondo e si concentrò. Un altro respiro, più lento e controllato. Scese e chiuse la porta del mezzo, per incamminarsi verso la destinazione a pochi metri di distanza. Una volta entrata, raggiunse la segreteria.
-“Buongiorno, come posso aiutarla?” La accolse una segretaria dai capelli corvini perfettamente raccolti e una voce pacata e cordiale.
-“Salve, avrei bisogno di parlare urgentemente con il Capo della polizia, si tratta di una questione molto importante.” Fece volutamente trapelare un tremolio nel suo tono.
-“Mi dispiace, per parlare con lui è necessario fare una richiesta formale e attendere che venga accettata, non può riceverla senza un appuntamento o un permesso. Le prendo un modulo.”
-“La prego, sono molto spaventata… Lo chiami per dirgli che lo cerca Rui Kisugi. Per favore.” La ragazza, leggermente contrariata, si assicurò che non ci fossero altre persone in attesa per consultarsi con lei e, titubante, acconsentì. Il telefono fisso nell’ufficio dell’uomo squillò per l’ennesima volta in quella mattina appena cominciata, e già faceva fatica a mantenere la calma. Le sue urla, infatti, si fecero sentire persino da Rui, tanto che la segretaria dovette staccare la cornetta dalle sue orecchie.
-“Ho già detto che non ho novità sul caso Occhi di Gatto, dica al suo distretto che quando il sospettato confesserà, lo saprà la polizia di tutto il Giappone! Arrivederci!” Interruppe la chiamata bruscamente, tra gli sguardi interdetti delle due donne, che si guardarono per un attimo.
-“Mi… mi faccia fare un altro tentativo.” Rui le sorrise, comprensiva. Prima ancora di sentire un altro grido invocare pietà, provò ad anticiparlo.
-“Segreteria del distretto, c’è Rui Kisugi che vorrebbe un colloquio con Lei.” Anticipò giusto in tempo la strigliata.
-“Rui Kisugi? Cosa serve alla signorina Kisugi?”
-“Dice che ha bisogno di parlarle urgentemente, ma le ho già detto di fare richiesta e…”
-“La mandi di sopra, non ho appuntamenti in questo momento!”
-“Ah…? Va bene, la mando subito, buona giornata.” Esterrefatta da quella risposta, la segretaria guardò la donna. “Secondo piano, porta a sinistra, c’è una targhetta con su scritto ‘Ufficio del Capo dipartimento’. Buona giornata.”
-“La ringrazio, buon lavoro.”
L’uomo dalla testa grigia e stempiata con gli occhiali color beige nel frattempo cambiò di colpo umore, e tra le mura del suo ufficio si potevano sentire, a tratti, alcuni dei suoi pensieri detti ad alta voce. “La bellissima sorella Kisugi ha bisogno di me, cosa potrebbe mai chiedermi? Di certo qualcosa di importante, sono il Capo della polizia! È la mia occasione per fare colpo, qualsiasi cosa sia, non ti deluderò, Rui!”. Proprio nel momento in cui batté due volte le mani e sorrise dal compiacimento, la donna bussò alla porta e gli diede appena il tempo di ricomporsi e sistemarsi la cravatta, che andava ad ornare la camicia bianca coperta dalla giacca color blu scuro. “Avanti!” Disse, dandosi un tono autoritario. “Ah, signorina Kisugi, si sieda pure.” Si alzò in piedi ed indicò la sedia posta davanti alla scrivania.
-“Buongiorno, grazie per avermi ricevuta.”
-“Si figuri, per così poco. Cosa la porta qui?” Si sedette, in modo elegantemente contenuto, tenendo la sua borsetta nera sulle gambe, coperte da un pantalone lungo di jeans. I suoi occhi si fecero smarriti e si incollarono a quelli del Capo della polizia, dei quali divennero calamita. L’uomo comincio a percepire il rossore sulle proprie guance, per quel contatto visivo così intenso.
-“Signore, ho saputo stamane dal giornale che avete catturato un uomo straniero che fa parte della banda Occhi di Gatto, è così?”
-“Abbiamo effettuato un arresto, ma non si deve preoccupare, perché stiamo lavorando per…”
-“Quell’uomo è Jack Lewis, non è vero?” La sua voce rotta lo mise in estrema difficoltà nel non dare ulteriori informazioni.
-“Signorina, non posso dirle…”
-“Se quell’uomo è davvero un ladro, vorrei saperlo. Gli ho affidato la mia sorellina, era diventato un amico di fiducia e… oh santo cielo, ho davvero messo in pericolo la mia famiglia? Mi dica qualcosa, la prego!” Prese le mani dell’uomo, prima appoggiate sopra al tavolo, rendendo vano ogni tentativo di porre una barriera emotiva tra i due da parte dell’uomo. Stava per cedere.
-“Signorina, capisco la sua preoccupazione. Le sue sorelle stanno bene? Quest’uomo ha fatto loro del male?”
-“No, niente affatto.” Scosse la testa e allentò il dramma nelle sue parole.
-“Allora deve stare tranquilla, se è davvero colpevole lo scopriremo presto e non vi darà più il tormento, lo posso garantire io in persona.” Il telefono squillò nuovamente, e il Capo non poteva che rispondere. Con un’iniziale stizza, appoggiò la mano sull’oggetto.
-“Potrebbero essere i miei agenti che mi aggiornano sulla situazione, le chiedo gentilmente di uscire per qualche minuto e accomodarsi nel corridoio, la chiamerò io.” Rui annuì e seguì le indicazioni. “Diamine, ci ero quasi riuscita… dovrò fare un altro tentativo.” Sospirò, per poi veder sbucare il Capo dal suo ufficio.
-“Signorina Kisugi, c’è un risvolto importante e devo catapultarmi nella sala interrogatori. Le chiedo di avere ancora un po’ di pazienza in più, potrebbe essere la soluzione del caso.” Con passo rapido, arrivò fino al fondo del corridoio, per poi sparire dietro la parete di destra. Seppur la voglia di mettersi ad indagare da sé fosse tanta, si decise a percorrere la via della prudenza e aspettare ulteriori informazioni. Guardò intorno a sé ed il via vai di agenti le sembrava a dir poco tranquillo: immaginava che gran parte delle forze fossero spiegate alla ricerca di prove a sfavore dell’unico vero e proprio sospettato che la polizia avesse mai avuto fra le mani. Ma doveva attendere: quelle prove, tanto, non potevano esistere. Nel giro di pochi minuti, il volto amico di Toshio uscì dall’angolo nel quale poco prima l’ufficiale si era avviato e le fece un cenno con la mano.
-“Ciao, Rui, il Capo mi ha chiesto di dirti di aspettarlo nel salone di questo piano e ha aggiunto di dirti di stare tranquilla. Ma per cosa, va tutto bene? Che ci fai qui?”
-“Ciao, Toshio. Avevo bisogno di parlare con lui di una preoccupazione. Sai, su Jack…”
-“Già, lo sapevo che doveva stare distante da voi, quell’approfittatore! Ma non temere Rui, tu, Hitomi e Ai siete al sicuro finché ci sarò io!” Batté il pugno sul petto, in un gesto teatrale. “Vieni, ti accompagno.” Prendendo la stessa strada che portava alla sala interrogatori si arrivava, qualche metro prima, nell’aula in cui il Capo l’avrebbe aspettata.
-“Toshio!” La voce di Asatani richiamò l’attenzione del detective. “Vieni, dobbiamo far firmare i documenti a Lewis.”
-“Firmare? Il Capo è riuscito a farlo confessare, allora! Quel vecchietto è riuscito a stupirmi stavolta.” Nemmeno il tempo di realizzare quello che stava dicendo, che vide sbucare dalla stanza degli interrogatori il ragazzo dalla chioma bionda, accompagnato dal dirigente, che gli rivolgeva la parola in modo cordiale. Era senza manette e senza scorta.
-“No, Toshio, lo stiamo rilasciando. Ordine del Capo.” Lo corresse la collega.
-“Che cosa?! Capo, mi dica, è impazzito!” L’uomo fulminò il detective con lo sguardo.
-“Cos’è questo baccano?! Utsumi, si ricomponga!” Fece valere il suo grado. Jack invece finse di ignorare lo screzio e seguì le indicazioni di Mitsuko. Rui lo guardava sorpresa, da lontano, mentre l’agente, gentilmente, prendeva la penna e i fogli da lui utilizzati. Un gesto della mano lo diresse verso l’uscita, il ragazzo ringraziò con un cenno del capo e prese quella via, passando di fianco proprio alla donna che lo aveva messo in quella scomoda situazione. La guardò con occhi ardenti e non si soffermò a rivolgerle parola: tanto bastò per farle correre una scossa lungo la schiena. Quasi si scordò di mettere furtivamente nel suo taschino della giacca un biglietto scritto di suo pugno. Mentre Toshio andava verso il Capo a chiedere polemicamente spiegazioni, Asatani pretese un faccia a faccia con Rui.
-“Voi tre ladre non avete ritegno, avete persino cercato di incastrare un ragazzo per bene come Jack! Questo è un avvertimento: al primo passo falso, io sarò lì pronta a sbattervi in prigione.” La superò senza lasciare il tempo di replica, per raggiungere Lewis fuori dall’edificio.
-“Rui, eccoti.” Il Capo si liberò dell’insistenza del giovane poliziotto. “Lewis è pulito, tu e le tue sorelle potete dormire sonni tranquilli.”
-“Ci sta sicuramente ingannando, non possiamo lasciarlo andare così!” Intervenne Utsumi con forza, senza trovare riscontro in nessuno dei presenti.
-“La ringrazio, signore, ora sono più serena.” Sorrise dopo aver chinato il capo.
-“Si figuri, per così poco!” Gli occhi dell’uomo brillavano di orgoglio, tanto teneva a soddisfare la richiesta di rassicurazioni della bellissima donna che aveva vicino a sé. E lei lo sapeva. “Mi dica, c’è qualcos’altro che posso fare per lei? Magari offrirle un caffè oppure una cena…” Rui sorrise con imbarazzo, alla ricerca di una scusa qualunque per declinare.
 
Pochi minuti prima, il ragazzo era stato interrogato dai due detective che da tempo indagavano sul caso. Utsumi non aveva dubbi:
-“Il segnale del localizzatore che abbiamo messo nella cornice ha ricevuto come ultimo segnale l’indirizzo di casa tua. Ti faccio il favore di chiedertelo un’altra volta, dove hai nascosto il dipinto?” Toshio era piegato in avanti, in piedi, appoggiato con le mani al bancone su cui era ammanettato Jack, in un’angusta e scura stanzetta grigia.
-“Ed io le farò il favore di non farvi perdere tempo chiamando un avvocato, detective. Non ho quel quadro, non l’ho nemmeno toccato. Mi faccia parlare con il vostro capo.”
-“Ma dove pensi di essere, credi che accettiamo tutte le richieste dei ladri come te? Non ti rimane che confessare!” L’uomo lo guardò intensamente negli occhi senza proferire parola, mandando su tutte le furie il poliziotto, che non reggeva il confronto visivo. “Non mi sfidare, Lewis!”
-“Toshio, basta, ci penso io ora.” Intervenne Asatani, da dietro di lui, captando il nervosismo del collega.
-“Dovrai fermarmi da mettergli le mani addosso, questo criminale è stato vicino a te, Hitomi, persino la piccola Ai…!”
-“Ora basta, vai fuori!” Rimproverò pesantemente il ragazzo, il quale mise il muso e uscì, lasciando dietro di sé una porta violentemente sbattuta. Mitsuko si sedette davanti a lui e lo guardò, quasi sconsolata.
-“Scusalo per i modi, ma ha ragione, ti conviene confessare… Dio, Jack, in che cosa ti sei cacciato?” Lui scosse il capo.
-“Mitsu… Ispettrice Asatani, non ho mai fatto parte della banda Occhi di Gatto e non ho idea di come il vostro localizzatore abbia segnalato la mia abitazione. È possibile che nella fuga le ladre siano passate sopra il tetto?”
-“Beh, effettivamente è possibile… ma proprio a casa tua il segnale si è interrotto, dopo essersi fermato al tuo indirizzo. Questo come lo spieghi?”
-“Non posso sapere quello che hanno fatto. Si saranno fermate per togliere il localizzatore, non ho idea. Dovete essere voi ad indagare, non io.”
-“Touché…” Bisbigliò.
-“Come, mi scusi?”
-“Niente. Però deve essere lei a dimostrare la sua innocenza. Abbiamo finito per ora. La avviso che non si mette bene per lei, quando verrà ritrovato il dipinto in casa sua soprattutto…”
-“Per favore, devo parlare con il vostro capo. Lui capirà, quando dirò quel che devo.”
-“Chiederò se è possibile, ma per ora resterà in centrale.” Raccolse i fascicoli sparsi sul banco e li portò via con sé, lanciando un ultimo sguardo di apprensione al ragazzo prima di uscire dalla stanza.
-“Non mi guardare così, lo so che stai facendo il tuo… il suo lavoro. Mi scusi.” Abbassò lo sguardo per l’errore e lei annuì.
-“Quando sarà tutto finito, ho bisogno di parlarti... parlarle.” Disse, e se ne andò, lasciandolo in attesa di essere portato in cella.

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Capitolo 13
*** Il mentore di Heinz ***


-“Quanto vuoi ancora mescolare quel caffè? Sei lì da cinque minuti, si raffredda così.” Hitomi cercò di riportare Rui nel mondo reale. “Ti vedo spenta, forse dovresti andare a riposare.”
-“No, sto bene, sono solo in preda a mille pensieri.”
-“Ma hai detto che il piano è andato addirittura meglio del previsto, Jack è libero, no? Hai scoperto perché è stato arrestato?” Rui bevve tutto in un sorso dalla tazzina, cercando un modo per eludere la domanda.
-“Sì, è libero, ma non ho capito cosa abbia detto al Capo per farsi rilasciare, perché non ci sono state nuove prove o altro a scagionarlo.”
-“Cosa ti preoccupa?” La donna fissò il vuoto davanti a sé.
-“Asatani. Si è visto con Asatani, in un bar appena fuori dal distretto. Lei è convinta che siamo state noi ad incastrarlo.”
-“E tu temi che gli stia mettendo la pulce nell’orecchio, facendolo sospettare di noi, dico bene?” Rui guardò per un attimo Hitomi senza capire, poi realizzò.
-“Ah sì, certo, sarebbe un guaio in più.” Si salvò in corner: stava pensando al biglietto datogli prima che uscisse dall’edificio: “Vediamoci al locale qui davanti, ti spiegherò tutto. Rui”, vi era scritto. Ma a quel bar Lewis non era mai arrivato e, davanti agli occhi della donna, camminò sul marciapiede lungo la strada affianco da Mitsuko, in un’animata conversazione durata per tutto il loro tragitto a piedi. Il suono della porta che si aprì accolse l’entrata di Ai.
-“Sono tornata! Ho saputo che Jack è uscito, è merito tuo, Rui?!” Le brillavano gli occhi.
-“Ciao Ai, no, non ho fatto nulla. Tu come lo sai?”
-“Mi ha aspettato fuori scuola e mi ha dato la notizia, sono stata troppo contenta di vederlo! Oh, mi ha detto che sarebbe passato molto presto per dirci una cosa.”
-“Che tipo di cosa?” Chiese Hitomi, curiosa.
-“Come faccio a saperlo se deve ancora dircelo? So solo che era molto serio. Vado a mettere giù lo zaino, arrivo.” Si diresse in camera sua per spogliarsi degli effetti scolastici.
-“Spero si muova, tra poco chiudiamo.” Aggiunse la ragazza con tono stanco, mentre si adoperò a pulire il bancone con uno straccio. In quel momento dall’entrata si fece avanti il ragazzo munito di un borsello color terra d’ombra bruciata, e con sguardo risentito. Egli salutò solo con un cenno del capo.
-“Ai è tornata?” Domandò, secco.
-“Hai dimenticato di colpo le buone maniere? Lascia stare nostra sorella, che devi dirci?” Rispose Hitomi.
-“Qualcuno mi ha detto di avere qualcosa da spiegarmi, e non sarà un problema se lo farà davanti a tutte. No?” Guardò Rui con quegli occhi che la scrutarono al loro primo appuntamento, e il suo cuore cominciò a battere a frequenze più alte. Qualcosa stava per succedere e avrebbe fatto tremare la terra sotto ai suoi piedi.
-“Di che cosa stai…” Hitomi non finì la frase.
-“Eccomi, sono… Jack, eccoti!” La ragazzina corse ad abbracciarlo, ma per la prima volta lui non ricambiò, nemmeno provò a fingere.
-“Siediti.” Si limitò a dire, guastando il suo entusiasmo.
-“Parla.” Rui raccolse la sua calma e lo affrontò apertamente.
-“Arrivo al dunque. So chi siete e cosa fate, Occhi di Gatto.” Hitomi provò prontamente a controbattere.
-“Ti sei fatto convincere da Mitsuko, non è vero? Lei non sa…” Lui rispose con una smorfia e mezzo sorriso.
-“Ma quale Mitsuko. Lo so da più di un mese ormai. Rui, vuoi dire qualcosa a riguardo?” Lui ricambiò la sfida, sotto gli sguardi increduli delle sorelle.
-“Rui, come hai potuto..?!” Scosse la testa, come a indicare il fraintendimento della ragazza.
-“Non è stata colpa sua, l’ho scoperto da solo. Fatela parlare.”
-“Non dovevo dire a nessuno che Jack ci avesse scoperte, ma ne ho parlato con Nagaishi e ho infranto il patto.” Rispose senza esitare e mantenendo lo sguardo, pronta a prendersi la sua responsabilità.
-“E?” La incalzò.
-“Toshio lo ha arrestato a causa mia. Ma non era voluto.” Lui si strofinò le mani, sotto lo sguardo atterrito di Ai, che credeva di star fissando un completo estraneo.
-“Bene, rapido e indolore. Ecco il piano…”
-“Frena, tu non detti nessun piano a noi!” Lo interruppe prepotentemente Hitomi.
-“Lascialo parlare.” La riprese Rui, con il disappunto della sorella.
-“Il mio obiettivo non siete voi, ma la Gatta Nera. Esigo massima collaborazione da parte vostra ed io non dirò una parola.”
-“Come facciamo a sapere che non ci tradirai?”
-“Non possiamo saperlo.” Anticipò la sorella maggiore, riprendendo le parole del ragazzo al precedente incontro.
-“Risposta corretta. Ma questa volta dalla mia parte ho una prova di fiducia da offrirvi.” La diffidenza e l’astio nei suoi confronti si dissiparono alle sue parole successive: “Si tratta di vostro padre.” Un momento di silenzio pervase la stanza, togliendo il fiato alle tre sorelle.
-“Hai… hai trovato papà? Tu hai..?” Gli occhi di Ai si riempirono di lacrime che scalfirono l’attitudine quasi impenetrabile di Lewis. Addolcì il suo tono.
-“No, non l’ho trovato, ma ho una pista. Portatemi dove tenete i dipinti.”
 
Rui aprì la porta di un magazzino nascosto in sotterranei ben nascosti sotto l’appartamento e fece strada all’ospite fino a quel momento indesiderato. Accolto il rischio di mostrargli l’enorme refurtiva, le ragazze non sapevano più cosa aspettarsi.
-“Dove avete messo l’ultimo quadro che avete rubato?” Chiese.
-“Da questa parte.” Gli venne indicato. Rui lo prese da uno scaffale ben tenuto, a destra della stanza, mentre Hitomi e Ai seguivano scrupolosamente ogni suo movimento. Lo appoggiò sul tavolino posto al centro della stanza e cominciò a scartarlo delicatamente dall’imballaggio di protezione. Maneggiando con cura e abilità l’opera, la fece tornare alla luce.
-“Vedete questo cartoncino posto tra il supporto di legno e la tela, grande come quest’ultima?” Lo puntò con il dito, sotto gli occhi basiti delle tre ladre. “Non ha senso di esserci, mi sono chiesto per tutta la notte a cosa potesse servire.” Rui era l’unica a sapere come facesse Jack ad essere a conoscenza di quel particolare: le aveva lasciato un biglietto proprio sul retro; eppure le altre non fecero domande. Lui si sedette al tavolo, ma fu il solo dei quattro a farlo, tanto nervosismo circolava nella stanza; sfilò l’oggetto misterioso da sotto al tessuto e lo appoggiò davanti a sé, allontanando il dipinto. Prese un accendino, suscitando la preoccupazione delle due più giovani.
-“Ma che fai, sei impazzito?!” Hitomi gli fermò la mano, provocando lo sguardo corrucciato dell’uomo. Solo con gli occhi, le intimò di mollare la presa, cosa che lentamente fece. Accese la fiamma e la passò vicino al foglio rovinato, posto distante dall’opera per non esporla al fumo. In pochi secondi affiorarono, come bruciacchiate, delle scritte.
-“Volevate una traccia di vostro padre: eccola.” Disse, constatando che il testo avesse un senso, e passò l’oggetto a Rui, che lesse.
-“Nel bacino dell’artificio / vi sono quarantacinque stanze  / con figure varie nell’ufficio / di cui la Maniera semina speranze. Sembra un indovinello.”
-“Che cos’è, che significa?” Intervenne Ai.
-“Che dovete cercare questo luogo.” Rispose Jack.
-“Sì, ma come? Parla di un… bacino artificiale con quaranta stanze, non ha senso… che diavolo c’entra con noi?” Non aveva intenzione nemmeno di ragionare su un indizio così fantasioso, tanto non ci credeva; Lewis non trattenne un sorriso, rivolse lo sguardo verso Rui e le lanciò un’altra sfida.
-“Non parla di un bacino, ma di un museo.” Fissò negli occhi il ragazzo che si godeva una beffarda piega sul viso. “Un museo dell’arte del Cinquecento.”
-“Parla della Galleria degli Uffizi, a Firenze. Enorme bacino di dipinti inestimabili, quasi cinquanta stanze che accolgono l’arte della Maniera.” Completò lui.
-“In Italia? Dovremmo andare fin lì per uno stupido indovinello che hai tirato fuori dal cilindro?! Ci stai prendendo in giro.”
-“No, forse non dovete.” Jack tirò fuori un depliant e lo appoggiò sul tavolo. “Tokyo, mostra del Cinquecento: il filo rinascimentale tra Germania e Italia. In collaborazione con il museo degli Uffizi, e non solo. Prego.”
-“Come facciamo a sapere che ciò che cerchiamo è in questa mostra temporanea e non è rimasto a Firenze?” Chiese Rui leggendo la presentazione dell’iniziativa, convinta che Lewis avesse già la risposta.
-“Perché cercate le opere di Franz Dürer, mentore artistico di vostro padre, e di Lambert Dürer, nipote di Franz e allievo a sua volta del vostro genitore scomparso. Franz ha insegnato le fondamenta dell’arte rinascimentale a Michael Heinz. Le sue sono opere minori in questa mostra, ma sono presenti. Inoltre, c’è una remota possibilità che troviate frammenti di lettere nascoste in questi dipinti, scritte proprio da Heinz o destinate a lui.”
-“Tutto questo è… straordinario.” Esternò Rui, con enorme sorpresa, mista a incredulità. “Hai indagato lo stesso, alla fine, nonostante tutto quello che ho….” Lui rimase in silenzio. “Grazie, grazie davvero.”
-“Aspetterei a ringraziarlo. Come fai a sapere tutte queste cose?” Lewis lanciò un’occhiata per far fronte alle parole di Hitomi.
-“Sono bravo.” Disse, poco più che sussurrando. Ai, ad un passo da scoppiare in lacrime, tirò uno schiaffo in viso a Jack, seguito da un lungo e strettissimo abbraccio.
-“Non ingannarmi mai più, ti prego. Aiutaci a trovare papà, ti scongiuro!” Le lacrime scrosciavano, nate da un miscuglio di emozioni contrapposte. Lo stava odiando per averle nascosto la verità, ma al tempo stesso aveva acceso in lei una nuova luce nella ricerca, che sembrava ormai infinita, del padre. Non era l’unica a provare sentimenti simili: anche le sorelle, seppur esternando in modo più moderato le loro sensazioni, provavano rabbia e allo stesso tempo gratitudine per quella nuova pista. Lui ricambiò l’abbraccio, tenendo forte tra le braccia la ragazza.
-“Mi dispiace, Ai. Spero tu mi possa perdonare.” Si liberò della stretta e asciugò le lacrime della giovane con la mano, dandole una carezza. “Vi auguro la verità, ma penso di essere di troppo nella vostra ricerca. Con il vostro permesso, andrei.” Prese la via dell’uscita.
-“Chi sei davvero?” Lo inchiodò con la domanda, Hitomi. Dopo un attimo di silenzio, rispose.
-“Sono colui che conoscete, ma di più non posso dire.”
-“Non sei di troppo.” Interruppe a bassa voce Rui, che poi alzò il tono. “Nessuno è di troppo se ci aiuta a riunire la nostra famiglia.” Batté le mani sopra al tavolo. “Aiutaci fino in fondo con nostro padre, e noi ti aiuteremo con la Gatta Nera. È una promessa.” Il suo modo autoritario fece voltare Jack ormai appostato sulla soglia del magazzino.
-“Un altro patto? No, non una seconda volta.”
-“Quando si tratta della mia famiglia, ogni patto è indistruttibile.” Lo guardò negli occhi, sotto gli sguardi spaventati delle sorelle. Non l’avevano mai vista così, prima di quel momento. La risposta si limitò ad un cenno del capo, e se ne andò nel silenzio generale.
-“Che ti è preso?” Intervenne Hitomi dopo qualche attimo di quiete. “Non sai se puoi fidarti di lui, guarda come ci ha ingannate per tutto questo tempo!”
-“Non ci ha ingannate, ci ha scoperte e ha mantenuto il segreto, è ben diverso. Avrebbe potuto farci arrestare mille volte e invece ci ha portato questo indizio fondamentale. Non abbiamo mai avuto niente del genere tra le mani, niente di così tangibile.”
-“Spiegami come ha fatto a sapere del cartoncino, allora.”
-“Lo ha sicuramente visto quando mi ha lasciato il bigliettino sul retro del…” Si fermò, realizzando il punto a sfavore della sua tesi.
-“Non ho idea di quale bigliettino tu stia parlando, ma ti rendi conto che potrebbe averlo messo lui stesso insieme a questo indizio fasullo?” Rui prese in mano il cartoncino, e ne controllò i bordi, sperando di poter ribattere a questa osservazione. Trovò quello che cercava.
-“Guarda qui: questa carta è piena di macchie gialle e addirittura della muffa; per l’inchiostro deve essere stato usato del limone, perché la scritta si rivelasse al calore. Vedi? Gli unici punti non rovinati sono i quattro bordi, rimasti coperti sotto alla cornice per anni. È un cartoncino vecchio e quindi attendibile.” Hitomi incrociò le braccia, suo malgrado convinta da quella spiegazione.
-“Allora qual è la prossima mossa?” Rui guardò prima Ai e poi Hitomi.
-“Prepariamo un piano per il prossimo obiettivo.” Concluse.
 
Jack era appena uscito dal locale e si precipitò a passo svelto e con volto grave alla prima cabina telefonica che incontrò lungo la strada. Tirò fuori dal taschino un biglietto da visita e digitò il numero lì scritto dopo aver inserito il gettone. Dopo pochi secondi di attesa, la risposta.
-“Buongiorno, parlo con, ehm… Hayami Nakano?” Rilesse il nome per memorizzarlo.
-“Sì, chi mi cerca?”
-“Sono il ragazzo del bar Cat’s Eye dell’altro giorno, ehm… Perdoni la timidezza, mi chiedevo solo se la sua offerta fosse ancora valida, vorrei… vedere come funziona, sa...” Cercò di dare una precisa immagine insicura di se stesso, attendendo la risposta.
-“Oh, non sa quanto sono felice di sentirlo! Può passare al mio studio domani mattina?”
-“Certo, ci sarò.”

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Capitolo 14
*** Il Circolo delle Ombre (1/2) ***


“Appunto numero 17, 4 luglio 1987.” Cominciò come di consueto la registrazione sul nastro. “La Tana è restia ad aprire le sue porte, ma dal piccolo spiraglio di luce che ne esce, si intravedono cunicoli numerosi, lunghi e stretti. Ah, ma perché parlo così, per metafore? Concentrati. Dicevo, tra i sottoposti gira una voce che riguarda la presunta identità di un capo, o comunque una figura in alto nelle gerarchie; questo mi porta a pensare che nemmeno nei medi ed alti ranghi dell’organizzazione si sappia per certo chi guida la baracca. Tale voce suggerisce che ci sia un uomo, caucasico, non troppo avanzato con l’età. Qualcuno si starà sicuramente chiedendo ‘Che ci fa uno straniero a guidarci?’; potrebbero crearsi crepe o addirittura scismi nel collettivo. Y, J, I e L rimangono le uniche indicazioni, seppur imprecise, per identificare il soggetto in questione. Domani avverrà l’asta e spero che la Gatta mi conduca al nascondiglio. Io sarò lì. Sono pronto a prenderti, caro organizzatore, eheh, non ci sono tunnel che tengano in questa Tana! Al diavolo, lo sto facendo di nuovo… Chiudo la registrazione. Che idiot-” Ripose nel suo cassetto.
 
-“No, non se ne parla.” Rispose categorico. “Voi tre non verrete. Tu non verrai, Rui.” Sottolineò il pronome personale, alzando il tono della voce.
-“C’è un quadro della collezione Heinz a quell’asta, lo sai che non possiamo tirarci indietro, potrebbe sparire chissà dove se non interveniamo sub…”
-“Che ne è della pista che vi ho dato io, invece? Anche quella è urgente.”
-“Ci stiamo già lavorando. Ti prego, portami con te.” Jack scosse la testa e dopo un attimo di silenzio, replicò.
-“Come fai a sapere che ci sto andando?”
-“Sei vestito di tutto punto per uscire alle undici di sera, con un completo che ti sarà costato una fortuna: di certo non devi andare per locali a fare nottata; inoltre hai noleggiato questa Lamborghini Jalpa, a che ti serve se non per mescolarti alla ricca clientela di questo evento clandestino?” Il ragazzo alzò un sopracciglio e mise meglio a fuoco la figura della donna davanti a lui.
-“Cos’è, un altro scherzetto di Nagaishi?” Lei incrociò le braccia, ignorando la domanda.
-“Passerai più inosservato con una donna al tuo fianco, sai?” Lo guardò con occhi provocatori. “Aspettami qui, vado a cambiarmi e poi andiamo.” Gli mise delicatamente una mano sulla spalla, passando oltre la sua figura. Rui sorrise, soddisfatta, ed entrò a casa per prepararsi. Jack guardò nervosamente l’orologio, più e più volte. “E così Nagaishi mi tiene d’occhio… se è questo il gioco a cui vuole giocare, così.” Non lo era, invece, per l’immagine che gli si sarebbe parata davanti. I minuti passavano lenti: fissava il vuoto, appoggiato alla costosa vettura, quando una sensuale voce lo riportò alla realtà.
-“Come mi sta?” Una domanda alla stregua della retorica, che spiazzò totalmente il ragazzo: un abito che di poco toccava il terreno e, con un vistoso spacco laterale, lasciava intravedere una lunga gamba uscire di tanto in tanto, passo dopo passo, mentre si avvicinava al ragazzo ammutolito; ricoperta da quella che pareva essere pura seta color viola iris, l’elegante scollatura rotonda terminava da un lato sopra la spalla, e dall’altro la lasciava scoperta. Il suo viso, invece, sembrava esser stato dipinto da Raffaello Sanzio in persona: un leggerissimo trucco le arrossava le guance e definiva il viso già perfetto, incorniciato dai suoi capelli lunghi, sciolti sulla spalla lasciata svestita: un orecchino di perla brillava tra la chioma corvina; il suo sguardo penetrante non aveva bisogno di decorazione alcuna, e sulle labbra non rinunciò al suo amato rossetto scarlatto. Lewis deglutì silenziosamente, cercando di non far trasparire emozioni, pur consapevole di non poter mentire all’evidenza.
-“Sei… bellissima.” Si mise composto e in piedi, mantenendo un tono serio e controllato, per poi finalmente riuscire a staccarle gli occhi di dosso. Si diresse verso il lato passeggero e le aprì la portiera. “Andiamo, o faremo tardi”. Accolse l’invito e, una volta entrata, lo fissò mentre si sedeva al suo posto e accendeva l’auto. Sentendosi osservato, si girò verso la donna con fare interrogativo.
-“Anche tu non sei male, stasera.” Con un sorriso sarcastico, Jack tornò a guardare la strada e partì.
 
Durante il viaggio, anche per Rui era difficile non guardarlo: nel suo completo grigio basalto, vestiva una camicia bianca semplice; la cravatta dello stesso colore completava l’opera. I capelli perfettamente pettinati discostavano la sua somiglianza dall’amato padre delle sorelle, facendogli acquisire un fascino quasi inedito agli occhi di Rui.
-“È vero, comunque. Nagaishi mi ha detto che ti stavi comportando in modo strano, ma non aveva capito quale fosse il tuo piano.”
-“Quindi è merito del tuo intuito, immagino. Invece che alla carriera di ladra, hai mai pensato darti alla professione di detective? Alzeresti la media del distretto.” Lei rise di gusto a quella battuta, inizialmente pensata per essere provocatoria, tanto che anche Lewis si lasciò andare ad un sorriso sincero.
-“Potrei dire la stessa cosa di te, sai? Ci hai scoperte quasi subito, non è da tutti.” E pensò, tra sé e sé: “Sei anche troppo bravo in ciò che fai, per essere solo un discografico.” Scherzando, lui replicò:
-“Modestamente. In ogni caso, siamo quasi arrivati e non mi hai ancora accennato al vostro piano… devo pur sapere cosa mi aspetta.”
-“Cosa ci aspetta. Dovremmo sembrare molto, come dire… intimi, perché tutto funzioni.” Lui rise.
-“Stai scherzando, vero? È questo il tuo piano?”
-“Questa è solo la premessa perché tutto sia credibile: che coppia saremmo, altrimenti, agli occhi della gente?” Girò del tutto il suo viso verso il ragazzo, con sguardo seducente, e si tenne il mento con la mano; lui la osservò per un solo istante, ma fu sufficiente. “Ho forse sopravvalutato le tue doti da attore, tesoro?”
-“Staremo a vedere.” Rispose piccato. Una volta arrivati davanti all’edificio, avrebbero dovuto condurre l’auto in un parcheggio sotterraneo, presidiato da un piantone vestito totalmente di nero, che intimò di abbassare il finestrino.
-“Con o senza pass?”
-“Senza. Bastano i mon, dopotutto.”
-“Bene. Posizioni l’auto in B7, ecco il biglietto del suo posto auto. Buona serata e che la fortuna l’assista.”
-“Grazie.” Entrò nell’immenso parcheggio al chiuso che occupava un intero piano e seguì l’indicazione. Prima di scendere, si rivolse sottovoce a Rui.
-“Due cose: per entrare e uscire senza invito dal garage, la parola chiave è ‘mon’…”
-“Come la moneta?”
-“Esatto. Secondo: al prossimo controllo fai parlare me, per favore.” Lei annuì. Jack ripeté il gesto di cortesia per farla scendere dalla vettura e le porse la mano per aiutarla. Insieme si diressero verso la seconda postazione delle guardie, questa volta davanti alle porte di un ascensore.
-“Codice?” Jack gli porse il foglio, rispondendo:
-“G2”
-“Bene, lei può passare. Signorina, tocca a lei.”
-“Veramente siamo venuto insieme.” Anticipò Lewis.
-“Non vi ho mai visti, quindi deve rispondere anche lei: se dico D9?”  Passò un eterno e silenzioso secondo: una sola parola sbagliata ed il fallimento del piano sarebbe stato l’ultimo dei loro problemi.
-“I4.” Disse, candidamente, sotto allo sguardo sorpreso e allo stesso tempo sollevato di Jack, camuffato sotto una maschera di fragile compostezza.
-“Bene, passate pure.” Diede il via libera ad entrare. In ascensore, Rui si accorse della sua reazione e sussurrò:
-“Scusami se ci ho messo un po’, sono fuori allenamento con questi giochi, ma non era difficile... Bastava dirmi di invertire l’ordine dei numeri con quello delle lettere e viceversa.” Gli fece l’occhiolino, lui sorrise guardando a terra.
-“Tu mi farai impazzire prima di domattina.”
-“Non fare finta che ti dispiaccia.” Si avvicinò a lui, appoggiando una mano sul suo petto. Proprio in quel momento arrivarono al piano designato e le porte si aprirono.
 
La bellezza della giovane donna impiegò pochi secondi prima di attirare gli sguardi delle decine e decine di uomini elegantemente vestiti, intenti a dialogare tra loro. Anche le donne sembravano essere interessate a loro volta a quella sorta di adone ben vestito.
-“Ed io che volevo essere discreto… Impossibile, in tua presenza.” Le disse piano.
-“Dovrei prenderlo come un complimento?” Gli sorrise, nuovamente a provocarlo.
-“Sì, lo è, tesoro.” Rispose per le rime e le prese delicatamente la mano per accompagnarla al bancone del bar posto in disparte rispetto alla grande sala contenente il casinò.
-“Sai, se non fossi venuta qui con te, ma con qualcun altro e fossi dell’ambiente… penserei che sei troppo galantuomo per questo posto.” Le loro mani erano ancora intrecciate, ora appoggiate al tavolo.
-“Cosa vi porto?” Chiese il barista, interrompendo.
-“Un Martini, per me.” Disse Rui.
-“Due. Grazie.” Si accodò Jack. Il lavoratore si allontanò per prepararli.
-“E invece, visto che sei venuta con me, cosa pensi?” La donna appoggiò il gomito sul bancone e lo fissò negli occhi.
-“Che a me piace la galanteria.” Lui sorrise, si liberò dalla leggera presa della mano, per recapitare in essa una piccola compressa. Lewis si avvicinò al viso di Rui, che chiuse gli occhi; le scostò lentamente i capelli e, coperto dalla facciata di un momento di fatale attrazione, abbassò la voce fino a farsi sentire solo da lei.
-“Mandala giù, impedisce di essere drogati o sedati; di contro, se qualcuno ci proverà, sentirai un forte mal di testa, ma resterai cosciente. In quel caso, cerca di stare attenta.” Si ricompose, gustandosi per qualche secondo la reazione della donna. Portò la sua mano davanti alla propria bocca e, con un movimento naturale e quasi impercettibile, ingerì la pillola bianca. Rui fece lo stesso, non senza qualche perplessità.
 
-“Ecco a voi.” Vennero portati i cocktail richiesti.
-“Grazie.” Risposero in coro, per poi brindare alla salute.
-“Dimmi, come fa un autore di musica, un esperto fonico e bravo polistrumentista ad avere gadget del genere, mhm? E perché è interessato ad una banda criminale?” Bevve un sorso.
-“Domanda giusta, momento sbagliato.” Si sentì replicare.
-“È il momento sbagliato anche per chiedere il tuo vero nome?” Si girò di scatto, incredulo per quella domanda.
-“Di che stai parlando?!” Cercò di correggere subito il suo tono innervosito, che rischiava di far saltare la copertura. Rui fece roteare il bicchiere lentamente, senza scomporsi.
-“Voglio solo che tu sia consapevole che giochiamo ad armi pari, adesso. Ne parleremo sicuramente un’altra volta, ma per stasera dimentichiamoci di questo...” Gli prese il braccio e lo invitò ad alzarsi, per poi appoggiare una mano sul suo viso adirato, in una carezza che invocava la tregua. “Siamo complici ora, non dimenticarlo. Portami all’asta, è quasi ora.”
-“Da questa parte.” Rispose.
 
Rui sentiva di aver ripreso il potere sulle sue azioni ed un maggiore controllo su ciò che la circondava. Grazie a Nagaishi e alle sue scoperte, aveva nuove carte da giocare nei confronti del misterioso e carismatico ragazzo europeo. Finalmente, pensava, non era più così tanto in balia delle onde degli eventi, e dirigere la nave in porto sarebbe stato molto più semplice. Jack la diresse verso un altro ascensore, dal lato opposto del primo, e le diede la precedenza per entrare. Al momento di scegliere il numero del piano, Rui rabbrividì, leggendo i numeri scritti sui pulsanti.
-“Sì, dobbiamo andare al -4, verso il basso.” La anticipò, capendo il suo disappunto.
-“Ma qui in Giappone non ci dovrebbe essere questo numero…”
-“Perché ha la stessa pronuncia di morte, giusto?” Lei non rispose, quindi non insistette: la scaramanzia era presa seriamente in terra nipponica e lui lo sapeva. “Tieni a mente questa cosa che ho detto.” Le porte si aprirono e davanti ad essi comparì un grande uomo, armato di pistola, con braccia incrociate e spalle imponenti, in una sala grigia e anonima.
-“Che ci fate qui? Non siete autorizzati.” Rui guardò stranita il ragazzo, credendo in un errore; egli, però, con sicurezza rispose:
-“Non serve esserlo se si conosce l’arte della vita.” La guardia rimase sorpresa da quella risposta, in quanto delle parole chiave erano a conoscenza solo pochi membri di vecchia oppure figure d’élite del circolo. Non avendolo mai visto, si fece largo anche il sospetto: avendole pronunciate, non poté far altro che concedergli l’accesso.
-“Prego.” Aprì loro la via per entrare in un’enorme sala dallo stile quasi teatrale, dove un palcoscenico prendeva posto in quasi tutta la parete che si stagliava davanti a loro, velato da un sipario rosso ancora chiuso; la stanza era costellata di tavolini rotondi, circondati da due sedie ciascuno. “La cerimonia inizierà tra 10 minuti. Buon divertimento.” La porta si chiuse dietro di loro.
-“Grazie.” Oltrepassarono la soglia e si accomodarono ad un tavolo leggermente arretrato rispetto allo spettacolo. Al responsabile della ‘sicurezza’, però, qualcosa non tornava, e si apprestò ad avvisare la centrale con il suo walkie talkie.
-“Guardiano matricola 7158 a comando: coppia sospetta al piano del grande evento, non sposati, un giovane caucasico biondo con una giovane donna estremamente attraente vestita di viola, non potete sbagliare. Teneteli d’occhio con le telecamere.”
 
-“Temo che quest’ultimo indovinello me lo dovrai spiegare, però.” Disse Rui, incuriosita, mentre si aggrappava al braccio del ragazzo.
-“Meno quattro, un segno negativo davanti al suono della parola ‘morte’, quindi il suo contrario: ‘vita’. Inoltre stiamo andando ad un’asta d’arte, quindi…”
-“L’arte della vita. Un po’ rischioso, per nulla scontato. Saresti un ottimo compagno di cruciverba, sai?” Reagì bene alla battuta.
-“Solo per quelli?” Rispose ironicamente. Sentiva la mano della sua partner accarezzargli i muscoli delle braccia e non poteva fare altro che chiedersi in quale punto finisse la recita e dove iniziasse la realtà. D’altronde era una donna dal grande fascino, indipendente, dal carattere importante e assolutamente in grado di calarsi in qualsiasi panno che la situazione avesse richiesto. Insomma, il limite era davvero sottile, così si ripeté mentalmente che era tutta una finzione. La donna si guardò il polso, dove il quadrante del suo grazioso orologio era posizionato e disse sottovoce. “Sei pronto? Stiamo per andare in scena. Precisamente tra tre, due, uno…”
Un blackout di pochi secondi coprì l’intera stanza, provocando un forte brusio fra i presenti. Era il segnale che le altre due Gatte erano arrivate. Lo spettacolo stava ufficialmente per cominciare nel Circolo delle Ombre.

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Capitolo 15
*** Il Circolo delle Ombre (2/2) ***


Un nervoso brusio si alzò nella grande stanza, seguito da un collettivo sospiro di sollievo al ritorno della luce. Tornata l’apparente quiete, l’unico movimento frenetico, ad un occhio attento, era quello di uomini in divisa e responsabili della sicurezza dell’evento. Nessuno del pubblico poteva, né doveva immaginare cos’era avvenuto dietro alle quinte. Un uomo di mezza età, dai lunghi e grigi capelli raccolti, prese posto al centro del palco, per scusarsi del piccolo inconveniente ed annunciare l’inizio dell’asta tanto attesa.
 
Nel frattempo Rui, con il favore dell’ombra, si era fatta rapidamente spazio verso il magazzino: cercava il segnale da parte delle due sorelle, il quale avrebbe comunicato che il quadro fosse stato prelevato senza intoppi. “Eccolo.” Pensò, alla vista di un fazzoletto intonato con il suo abito, posto sopra ad una scatola sigillata contenente manufatti originali di oreficeria. Lo prese con sé. “Finalmente anche ‘Il sole nascente’ è nelle nostre mani. Ci siamo quasi, papà.” In quel momento, le luci si riaccesero, prima del dovuto, e lei era esattamente sul luogo della rapina.
-“Ehi, tu! È zona vietata, vieni qui!” Si voltò di scatto e non fece in tempo a tentare di giustificarsi, che subito fu costretta a ripiegare sulla fuga. Un secondo uomo le si parò davanti, cercando di sbarrarle la strada, ma con un guizzo di estrema agilità, riuscì ad usare il muro alla sua sinistra per darsi una spinta tale da colpire con forza lo stomaco del suo oppositore e passare oltre. Quest’ultimo cacciò un urlo e, piegato in due dal dolore, riuscì ad avvisare gli altri inseguitori.
-“Non ha la tela, dovete prendere il ragazzo che era con lei, vivo o morto!” A quelle parole, la donna non poté che girarsi indietro per un brevissimo istante, lasciandosi scappare un grido di paura. Lui non c’entrava con il furto e, se gli fosse successo qualcosa, non se lo sarebbe mai perdonato.
-“No!” Fu l’unica parola che riuscì a proferire, prima di tornare a guardare davanti a sé e schiantarsi contro un terzo sottoposto, il quale la afferrò per il busto e le mise davanti alla bocca panno di stoffa, dall’odore dolciastro pungente, che a poco a poco provocò nella donna una fitta alle tempie, la quale non fece altro che agitarla ancora di più. “Se ti dimeni un altro po’ opterò per un proiettile in testa!” Disse la voce profonda e urlata di colui che la teneva. Rui a quelle parole si placò gradualmente, fingendo di aver perso i sensi. Una minuscola lacrima le rigò il viso. Venne portata via.
 
Tramite un passaggio segreto e parallelo al corridoio principale dietro al palco, Jack era riuscito a passare inosservato durante l’attimo di concitazione e trovò un ufficio vuoto fornito di quasi ogni comfort. Il sistema elettronico di chiusura della porta era disattivato grazie al blackout provocato da Ai e Hitomi: non gli rimaneva che eludere la normale serratura. Con grande abilità nell’utilizzo di un grimaldello tenuto ben nascosto sotto la suola delle scarpe, riuscì in pochi secondi ad entrare della stanza, di cui su due pareti erano appoggiati scaffali e cassettiere, tutti chiusi. “Non ho abbastanza tempo per trovare le chiavi di tutti questi cassetti…”
Chiuse la porta dietro di sé e si guardò intorno. Ragionava: “Dalla grandezza e dall’arredamento direi che si tratta di uno dei responsabili del palazzo, ma non colui che gestisce questa baracca; hanno cambiato la disposizione degli uffici dall’ultima volta… meglio di niente.” Cominciò ad osservare la scrivania, senza spostare gli oggetti più del necessario: su di essa c’era una pila di documenti, su cui per lo più erano indicati i conti delle entrate e delle uscite mensili dell’attività. Più della metà di essi erano stati già firmati e compilati. “Mhm… sono questa settimana. A volte scrive con penne blu e altre con penne nere, un po’ disordinato… Niente di interessante. Dove potrei nascondere dei dati sensibili qui dentro?”Il dialogo tra sé e sé lo spingeva nei vari angoli della stanza.
“Il classico dei classici sarebbe nascondere qualcosa qui dietro.” Sollevò un quadro senza spostarne la posizione e vide una piccola e robusta cassaforte. “Eccoti. È piccola, non per grandi quantità di contante. Ed ora la combinazione. Viene cambiata spesso, chissà se una persona così disordinata se la ricorda a memoria oppure ha bisogno di un appunto.” In quel momento, la corrente tornò e sigillò la porta che aveva precedentemente chiuso. “Fantastico, bloccato qui. Se le gatte li stanno tenendo impegnati dall’altra parte del piano, dovrei avere ancora un po’ di tempo.” Tornò alla scrivania e osservò ogni minimo dettaglio, fino a notare una penna quasi da collezione, dall’impugnatura usurata, realizzata in parte in vetro rosso, attraverso al quale poteva a tratti vedere l’inchiostro: completamente vuota, quindi inutile. Si apprestò a smontare rapidamente l’oggetto e tanta fu la soddisfazione nello scoprire che quella piccola intuizione si era rivelata corretta. All’interno, vi era un piccolo foglio arrotolato su se stesso che recitava:
 
“27/6 – 7/7: 18 53 96”
 
Ricompose la penna e la mise al suo posto, si diresse verso la cassaforte e in quel momento, dalla parete accanto, sentì un lamento di donna. Una voce roca, in risposta, le si rivolse con quella che aveva tutta l’aria di essere molto più di una minaccia. Guardò per un attimo la cassaforte quasi aperta, per poi tornare ad ascoltare appoggiando la fronte alla parete: silenzio. Tirò un pugno al muro, stringendo tra i denti un’imprecazione. La sua cautela non lo salvò: qualcuno lo sentì lo stesso e l’uscita, prima sigillata, si sbloccò di colpo, lasciando entrare due losche, armate e alte figure, persino più di Lewis.
-“State indietro se non volete farvi male.” Disse, talmente serio da far scoppiare dalle risate i due omaccioni schierati davanti a lui. Il più avanzato con l’età disse all’altro, indicando l’obiettivo.
-“Vuoi avere tu l’onore?”
-“Volentieri.” Fu la risposta. Diede due pacche alla pistola nella fondina, trovando più divertente usare le mani nude. Jack fece spallucce, e la guardia si scagliò contro di lui puntando al collo. Fu un attimo: il ragazzo schivò la presa e superò con il proprio busto quello dell’avversario; con un piede si assicurò di fargli cedere la gamba d’appoggio e con il ginocchio opposto lo colpì in pieno addome; il tutto, spingendo la sua faccia a terra con il gomito, la quale sbatté violentemente sul pavimento. Dopo aver accompagnato il tonfo, si rialzò in piedi lasciando giacere l’uomo svenuto, mentre l’altro tirapiedi estraeva la sua arma da fuoco, con mano tremante.
-“Non sparare. Portami dalla mia compagna, fammi essere certo che lei stia bene. Dopodiché vi dirò quello che volete sapere, lei non c'entra niente con tutto questo.”
-“Non mi interessa ciò che hai da dire.” Il dito sul grilletto era pronto.
-“Sono sicuro che ai tuoi capi invece interessi, eccome.” Fu convincente.
 
Lo condusse stando dietro di lui, con la minaccia di una pistola puntata alla nuca, in una stanza fredda e buia a poche decine di metri da dove si trovava prima. Aperta l’entrata, vide Rui distesa a terra: a quella vista sbarrò gli occhi e pensò al peggio.
-“Cosa le avete fatto, bastardi?!” Urlò, facendo aprire gli occhi alla donna, ancora intontita dal mal di testa; la guardia lo afferrò per i capelli, e lui gridò per il dolore.
-“Sto bene, Jack… Jack!” Esclamò. Nascosto nell’angolo più scuro della stanza, giaceva infatti colui che l’aveva rinchiusa lì: credendola svenuta, non si aspettava la sua mossa e fu questo a permetterle di assestare un preciso colpo al collo della guardia.
-“Se reagisci ancora, sparo prima a lei e poi a te, hai capito?!” Inferse un calcio dietro ad entrambe le ginocchia del giovane, facendolo cadere in avanti. Chiuse la porta a chiave e cominciò a colpirlo ripetutamente, sulla schiena. Dal canto suo, Jack cercava di proteggere la testa con le mani. Il dolore si propagava come una macchia d’olio sulle sue membra. Guardò per un attimo Rui, che cercava di alzarsi, o almeno di mettersi seduta: la vedeva mentre muoveva la bocca, in un grido disperato, ma era come se non la sentisse. Lesse una sola cosa dalle sue labbra: colpisci.
 
Fece un ultimo respiro: avesse sbagliato di un centimetro o di un secondo sarebbe stata la fine. Per lei e per se stesso. Chiuse gli occhi. Attese l’arrivo del colpo successivo. E non si trattenne più. Con le gambe che si chiusero a forbice, strinse quelle dell’aguzzino e non aspettò che cadesse per piegarsi sull’addome dolorante e sferrargli un gancio in pieno viso. Il colpo lo spinse lateralmente rispetto a lui; si affrettò a salirci sopra e a spingere rapidamente la sua pistola verso Rui. Nella foga, era pronto a colpirlo nuovamente dall’alto al basso, ma l’imponente figura era ormai docile sul pavimento, con il sangue a ricoprire una piccola parte del suo viso. Tra un respiro affannato e l’altro, abbassò il braccio pronto all’azione. Provò ad alzarsi, tossendo ripetutamente: il suo completo, sporco di rosso e di terra, non dava l’idea delle ferite e delle botte che affioravano sulla pelle. Cadde in ginocchio.
-“Dimmi... dimmi che non ti hanno fatto niente…” La guardò negli occhi, mentre lei si avvicinava, cercando di correre, ma senza forze. “Ti prego…”. Tossì ancora. Rui gettò le braccia al suo collo, per un attimo sollevata.
-“Io sto bene, grazie alla pastiglia… Ma ti vogliono morto, Jack.” Lui forzò un sorriso.
-“Dalle mie parti si dice che l’erba cattiva non muore mai, sai.” Si tenne il fianco, in una smorfia di dolore, mentre cercava di alzarsi.
-“Resta seduto, ti prego.” Gli ordinò. Le stette a sentire. “Le mie sorelle arriveranno presto. Dobbiamo avere pazienza.” Lui sospirò.
-“Va bene.” Appoggiò la schiena al muro e Rui si sedette di fianco a lui, cercando di capire le sue condizioni: quello che vedeva non era confortante. Il silenzio pervase per qualche momento la stanza.
-“Il mio vero nome è Giacomo, comunque.” Si ricordò della domanda fatta in precedenza e volle gettare il velo. “Giacomo Savoretti. Ma penso sia abbastanza impronunciabile per una persona giapponese.” Rise malinconicamente, provocando un mezzo sorriso da parte della donna. “Ho cambiato nome e cognome all’età di 12 anni, quando mi sono trasferito dall’Italia agli Stati Uniti.”
-“Perché questi cambiamenti?” Lui sospirò, cercando le parole giuste. Lei prese la sua mano tra le proprie, per cercare di rasserenarlo. “È qualcosa di cui non vuoi parlare?” Annuì a quella domanda posta con delicatezza, ma rispose comunque.
-“Sono stato adottato dall’uomo che mi ha trovato per strada, da solo, in fuga dalla mia vecchia casa, dopo la morte dei miei genitori. Era lì per lavoro, mi trovò per caso: fece l’impossibile e anche di più per portarmi con lui negli USA e per crescermi come un figlio. Gli devo tutto. Presi il suo cognome, e Jack diventò il mio nome, in quanto corrispettivo di quello italiano. Questa è la mia storia.”
-“Mi… mi dispiace per quello che hai passato.” Riuscì a proferire in risposta, lui scosse la testa come per scacciare il suo rammarico.
-“Se non altro tu e Nagaishi potete dormire sonni più tranquilli, a tal proposito.” Sorrise, con lo sguardo acceso verso gli occhi della donna, seppur indebolito dalla batosta. Rui si lasciò per un attimo andare ad una leggera risata per la battuta.
-“Ho come l’impressione che con te attorno sarà difficile rimanere sereni.”
-“Vorrei tanto togliere il disturbo, ma non credo di poterlo promettere nell’immediato.” Uno scambio di sorrisi riuscì ad attenuare di poco la tensione delle circostanze. Lui si fece nuovamente serio. “Voglio che tu sappia che sono ancora contrario a quello che fate e vi avrei denunciato alle autorità senza troppi rimorsi. Ma so anche che cosa significa perdere qualcuno che si ama. E se per riavere i miei genitori dovessi fare quello che fate voi per vostro padre… ti chiederei dove devo firmare.”
-“Ti ringrazio, per provare a capirci.” Passò qualche secondo.
-“Mi dispiace fare il guastafeste, ma come ci troveranno le tue sorelle?”
-“Non ti preoccupare, ho mandato loro un segnale.”
-“In che modo?”
-“Con questo.” Scostò i capelli, ormai in disordine, per mostrare l’orecchino di perla. “Ai ci ha inserito un piccolo localizzatore ed un pulsante di S.O.S., in caso fossimo stati in pericolo. E direi che è proprio questo il caso.” Il ragazzo cercò di ridere, salvo poi contorcersi dalle fitte causate dai colpi.
-“Quella ragazzina è fenomenale. Mi piacerebbe vederlo da più vicino, sarebbe un gadget molto utile anche per me…” Rui non se lo fece ripetere due volte, e avvicinò il suo viso a quello di Jack, per esaudire la sua richiesta. Prese la sua mano e se la portò sul viso, sul lato in cui si trovava il gioiello; il suo orecchio adornato poteva sentire i respiri del giovane farsi piano piano più lenti e profondi.
-“Così va meglio?” Gli chiese.
-“Ancora un po’ più vicino, se non ti dispiace…”. Le loro voci erano ormai un bisbiglio, pochi centimetri li dividevano l’uno dall’altra. Jack socchiuse gli occhi, mentre cominciava ad accarezzarle il viso che già teneva sul suo palmo. Una piccola pace in quel luogo di ombre scure. Il momento idilliaco venne interrotto dal suono della pesante serratura che veniva aperta con la forza, mettendo in allarme i due superstiti. Jack cercò di portarsi davanti a Rui per fare da scudo: tanta fu la liberazione quando videro comparire le due giovani ladre, arrivate in loro soccorso. Ai si fiondò subito da loro.
-“Sorellona! Jack! Che vi è successo? Sei sporco di sangue, cosa ti hanno fatto?!” Si rivolse al ragazzo. Hitomi, con più prudenza, si assicurò che nessun altro fosse presente e constatò che le condizioni di Lewis, al contrario di quelle di Rui, non fossero affatto buone. Lo guardò negli occhi, seria e imperscrutabile: immaginò che, in qualche modo, avesse protetto sua sorella, e per questo un’inedita sensazione di gratitudine affiorò nei confronti di Jack. Gli porse la mano, per aiutarlo ad alzarsi, mentre Rui riuscì da sola a mettersi in piedi.
-“Spero per te che a lei non sia successo nulla.” Lo sfidò con lo sguardo, senza lasciare la presa, salvo poi addolcirsi. “Se così è stato, ti ringrazio.” Lui rispose con un cenno del capo. Appena gli lasciò la mano, Ai si precipitò ad abbracciarlo, non curante delle sue ferite. Di risposta, lui cercò di trattenere i gemiti di sofferenza per non rovinare quel momento.
-“Dobbiamo andare via, ora.” Disse lui.
-“Esatto. Abbiamo fatto piazza pulita per venire qui, ma ora dobbiamo tornare ai piani superiori. L’elicottero ci aspetta.” Prese le redini Hitomi, nel guidare l’intera banda al di fuori di quell’angolo di terrore in quel di Tokyo.
 
In quella breve, ma interminabile tratta, tanti erano i pensieri ingombranti nelle menti dei fuggitivi. Rui, seppur troppo stanca e provata da quella vicenda, non poteva far altro che provare ad ordinare le nuove informazioni. E perché no, anche le emozioni: in quel palazzo in cui le ombre della malavita si allungavano a vista d’occhio, aveva trovato un valido compagno a cui affidare, seppur per una sola notte, la propria preziosissima fiducia. Si chiedeva se, dentro di sé, ci fosse solo questo.
Jack, invece, se ne tornava alla base senza bottino, tuttavia non provava rimorso alcuno: tutto ciò che aveva fatto non aveva portato al suo obiettivo, tantomeno ad un indizio o ad una direzione qualsiasi; ma aveva la certezza di aver fatto tutto il possibile per mettere al sicuro la persona che lo aveva accompagnato in quella folle avventura. Ora, doveva solo sforzarsi di rimanere sveglio, in quell’elicottero che stava portando tutti al sicuro. E ripetersi che ci sarebbero state altre occasioni.
D’altra parte, anche Ai e Hitomi vivevano sensazioni contrastanti. Quest’ultima, per la prima volta fu contenta che la sua diffidenza nei confronti dello sconosciuto fosse infondata. La sensazione di intimità e complicità data da quella strana coppia la mettevano, per qualche motivo, in allarme. Avrebbe scoperto solo poi quello che aveva fatto Lewis per sua sorella: in una situazione di pericolo condiviso, diventava facile avvicinarsi all’altra persona.
La sorella minore, vedendo i due fuggitivi stretti fra loro, non riusciva a decifrare le sue sensazioni. Solo il sollievo di vederli vivi alleviava uno strano e pungente fastidio, del quale non riconosceva l’origine. Continuava a dirsi che non era il momento per quel genere di pensieri, ma non poteva fare a meno di provare comprendere se stessa. In quella scellerata spedizione, le domande furono più delle risposte. E nonostante questo, a loro quattro andava bene così.
 
 
Arrivati al mezzo di fuga, era necessario inventare un piano rapido e fuori da ogni sospetto per portare il ragazzo, che a fatica teneva gli occhi aperti, in ospedale.
-“Resisti.” Ripeteva nervosamente Ai, intenta a medicarlo con quel poco che era a sua disposizione. “Devi rimanere sveglio, non fare scherzi.”
-“Sissignora”. Rispondeva, cercando di tenere alto il morale, mentre Rui lo fissava silenziosamente.
-“Quando starai bene, sarà il caso di insegnarti qualche base delle arti marziali, non potremmo salvarti sempre in questo modo”. Scherzò in modo sprezzante Hitomi, ignara della dinamica della vicenda.
-“Il gorilla che se l’è vista con lui avrebbe da ridire a tal proposito”. Replicò, ironica, ma non troppo Rui. Jack tentò di aggregarsi alle battute.
-“Quei due gorilla, volevi dire. Il primo è durato pochi sec…” Tossì più violentemente, e si portò su un fianco per far uscire un rivolo di sangue dalla sua bocca. Ai, quasi con le lacrime agli occhi, cercò di asciugarlo con un fazzoletto.
-“Jack, guardami negli occhi.” Lo chiamò Rui, cercando di tenerlo sveglio. Lui si girò per vederla. “Promettimi che non farai mai più una cosa del genere per me.” Non rispose, ma i suoi occhi socchiusi e gonfi parlavano da sé: se avesse dovuto scegliere di nuovo, lo avrebbe rifatto. “Reagisci, sempre.” Le due sorelle poterono solo intuire, e rimasero in silenzio.
 
Quella quiete rovinata dalle pale dell’aeromobile durò fino all’arrivo a destinazione. Una volta che Lewis fu inghiottito nelle sale bianche, solo l’angoscia e un’infinita attesa condizionavano l’umore delle tre ladre.

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Capitolo 16
*** L'artista degenerato ***


-“Se trovo chi ti ha ridotto in questo stato, giuro che lo spedisco in cella prima di subito!” Tuonò Asatani, attirando l’attenzione di mezzo piano dell’edificio su di sé.
-“Shh, abbassa i toni, gli altri pazienti stanno riposando.” Rise imbarazzato lui, in direzione dell’amica seduta su una sedia, al fianco del suo lettino.
-“Ops. Però c’è da dire che stai diventando una calamita di guai, guarda qui che taglio…” Gli accarezzò il sopracciglio, su cui si faceva largo una ferita già sottoposta a medicazione. Si limitò a replicare.
-“Non è niente, dai. E poi quella ha anche un certo stile, su.” Scherzò.
-“Grande e grosso e poi ti fai mandare in ospedale così…”. Si lamentò, quasi con disappunto. “Ti darò lezioni di judo, ho deciso.” Lui rimase quasi a bocca aperta per il disagio che attraversò la stanza.
-“Tu cosa?” Finse di non aver sentito.
-“Niente scuse, lo sai che sono brava. Quando uscirai di qui ci troviamo in palestra per un po’ di autodifesa, non mancare.” Lui sorrise di gusto a quella richiesta così audace e apprezzò la proposta.
-“Va bene, ci sto.” Si girò verso la porta della stanza, e riuscì appena ad intravvedere una figura, ma in quel momento Mitsuko gli gettò le braccia al collo in una sorta di abbraccio, che ricambiò con meno enfasi. “E questo cos’è?” Chiese, curioso e tutt’altro che infastidito.
-“Oh, questo… questo è un esempio di presa che ti insegnerò quando potrai muoverti da qui!” Imbarazzata, si staccò velocemente da Jack, che prima la fissò senza capire, e poi scoppiò in una risata così contagiosa da farle cadere il velo di titubanza e coinvolgerla in quel momento di ilarità. “E anche un modo per ordinarti di non fare più stupidaggini.”
-“Tranquilla, dalle mie parti il contatto fisico non è così raro, anzi, è molto apprezzato in certi casi.” Cercò di smorzare, e aggiunse. “Farò del mio meglio.”
-“Davvero? Buono a sapersi… Ora devo andare a lavoro. A presto.”
-“A presto.” Puntando la porta, trovò Rui sulla sua strada, che aspettava all’uscio il suo turno di visita. L’incrocio di sguardi, affilati lame bollenti, sembrava tagliare l’aria come burro. Non una sola parola venne proferita dalle loro bocche. Si superarono a vicenda, come in uno scambio di ruoli. Asatani si voltò indietro per osservarla ancora una volta, forse per tenerla d’occhio mentre si avvicinava a Jack, prima di andarsene.
 
-“Buongiorno, come stai?” La sua aria seria non passò inosservata.
-“Considerate le circostanze, sto bene. Tu piuttosto, sembri stanca… siediti.”
-“Stanca, sì, mettiamola così.” Accettò l’invito. I suoi occhi, nonostante la notte quasi insonne, erano comunque vibranti e profondi. Il suo viso, invece, era segnato dai numerosi pensieri notturni. “Avrei voluto passare la notte qui in caso avessi avuto bisogno di qualcosa, ma non me lo hanno permesso, non essendo tua familiare. Ti ho portato il pranzo, qui in ospedale il cibo è quel che è, spero ti piaccia.” Gli porse un cestino ricolmo di pietanze, da cui spuntavano su tutto il resto degli onigiri ancora tiepidi.
-“Non ti dovevi nemmeno preoccupare, ho la scorza dura. Wow, grazie mille… li hai fatti tu?” Lei sorrise leggermente, senza dire parola. Tenendosi il viso con la mano, di cui gomito era appoggiato a sua volta sul lettino, prese un’espressione velatamente maliziosa. “Penso che ne assaggerò uno subito, se non ti dispiace. Non mangio da ieri…”
-“Fai pure. E intanto magari mi racconti cosa c’è tra te e Asatani... eravate molto intimi poco fa.” Lei sorrise, come se lo avesse chiesto appositamente per imbarazzarlo. Jack, dal canto suo, non cedette alla provocazione.
-“Mi stava mostrando una presa di judo. Gelosa?” Con sguardo ironico, dal sopracciglio alzato, addentò la prelibatezza, che gli piacque a dir poco. “Mhm… è buono.” Lei non rispose, e lui tornò a guardare il suo pranzo. “Tra poco mi farò dimettere, quando esco mi daresti la ricetta? Non ho mai capito le dosi per il riso…”
-“Tra poco? Non dire fesserie, hai bisogno di restare sotto controllo almeno per qualche giorno.”
-“Devo tornare a lavoro.” Si alzò per mettersi seduto sul lettino, ma lei lo fermò mettendo una mano sul suo petto e lo spinse delicatamente indietro, per metterlo di nuovo disteso. Jack non riuscì a trattenere una smorfia di dolore.
-“Non esiste, devi riposare. Sentiti, sei ancora a pezzi.” Lui sospirò, contrariato. “Che strano, credevo che ti piacesse il… contatto fisico.” Disse lei, riferendosi sia alla notte precedente, che alla scena con Mitsuko, avvenuta pochi istanti prima. “Forse troppo.” Si fece seria, come ad ammonirlo per il suo comportamento ambiguo. Lui lo capì.
-“Rui, ieri notte, o meglio, questa notte, eravamo in una situazione particolare. Dopo aver subito le botte, ricordo ben poco, ma so per certo che non eravamo in noi. O almeno, io non lo ero.” Lei annuì.
-“Hai ragione, eravamo scossi...” La donna si alzò in piedi prima di salutarlo. “Guarisci presto, e non fare cose stupide.”
 
Alle porte del Cat’s Eye si presentò una gradita sorpresa poco prima dell’ora di cena. Le tre sorelle erano felici di riaccogliere nella loro casa una delle colonne portanti della ricerca interminabile del loro amato padre: l’uomo che più di tutti era stato, ed era ancora in quel momento, al loro fianco.
-“Si accomodi, signor Nagaishi. Com’è andato il viaggio?” Gli venne indicato uno dei due divanetti posti in salotto, davanti ai quali si presentava un tavolino di legno su cui poggiò una tazzina di caffè caldo. Le tre ragazze si sedettero davanti a lui.
-“Grazie, Rui. Esclusa una leggera turbolenza, tutto sommato le ore sono passate velocemente. Ditemi, avete fatto progressi in questi giorni?”
-“Sì, abbiamo una nuova pista.” Rispose Hitomi. “Nel penultimo dipinto che abbiamo rubato c’era un indizio che ci porta ad una mostra temporanea del Rinascimento e del Manierismo che si terrà eccezionalmente a Tokyo.” Si accodò Rui.
-“Inoltre abbiamo scoperto i nomi del maestro e di un allievo di nostro padre, ovvero Franz e Lambert Dürer. Alcune opere di Franz sono presenti a questa mostra e potrebbero nascondere indizi, che siano lettere o altro.” Nagaishi ascoltava le sorelle, bevendo il suo caffè.
-“Ah, un triangolo tra Giappone, Germania e Italia. È un collegamento molto importante. Avevo sentito parlare di un certo Franz Dürer, so che era molto fiero di essere un discendente diretto dell’artista tedesco Albrecht Dürer, tra i più importanti del Rinascimento. Non sapevo fosse stato uno degli insegnanti di Michael… Da quanto ne so è morto ormai da un po’ di tempo.”
-“Quindi è un vicolo cieco anche questa strada…” Pensò ad alta voce Ai.
-“Difficilmente ci avrebbe portato a qualche nuova informazione. Dubito fortemente che i rapporti tra loro siano continuati durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, almeno di persona… possiamo solo sperare in scambi epistolari ben camuffati.”
-“Perché pensa questo?” Chiese Hitomi.
-“Lo stile di pittura di Franz era famoso per il suo classicismo, più vicino all’arte di Settecento o Ottocento, che non della contemporaneità. La sua tecnica si adattava sicuramente ai gusti del regime di Hitler, che come sapete era un grande appassionato d’arte, tanto che nel 1937 fece fondare la Grande Mostra dell’Arte Tedesca per celebrare quella che per lui era la sola e unica forma di arte ammissibile. Suppongo che per Dürer deve esser stato facile far accettare i propri dipinti, molto vicini ai canoni richiesti: far parte di tale evento ti proteggeva, in qualche modo, dalle persecuzioni. Lo stesso anno, però, in contrapposizione a questa mostra, fu aperto anche un padiglione dedicato alla cosiddetta Arte Degenerata, una sorta di presa in giro dell’arte d’avanguardia o semplicemente diversa dai gusti del Führer. L’arte giusta contro l’arte sbagliata, i “grandi artisti” contro i degenerati. Se penso a vostro padre all’epoca, vedo un giovanissimo esuberante dal pennello svelto e dallo stile inconfondibile… Non mi sorprenderebbe se i suoi dipinti fossero finiti dal lato sbagliato.” Sospirò. “Ogni artista le cui opere fossero state esposte in quella mostra, avrebbe dovuto fuggire dalla Germania a qualunque costo.”
-“Sta dicendo che nostro padre potrebbe essere stato perseguitato per questo dai nazisti?” Nagaishi rispose a Hitomi.
-“Può darsi. Posso provare a verificare che Franz abbia davvero lasciato esporre le sue opere alla Grande Mostra, ma purtroppo scoprire se vostro padre sia finito con i suoi dipinti nella denominazione di Artista Degenerato sarà molto più difficile. Esistono centinaia di copie conservate dei cataloghi sulla vera arte tedesca, mentre quelli dell’altra mostra sono stati fatti sparire.”
-“Come abbiamo detto, nostro padre e Franz potrebbero comunque essere rimasti in contatto tramite delle lettere, che forse sono proprio nascoste nei dipinti che stiamo cercando ora. Inoltre, sarebbe utile anche provare a scoprire dove si trova Lambert: è stato suo allievo e nipote di Franz, potrebbe essere una fonte inestimabile di informazioni.” Intervenne Rui.
-“Ci sono troppi ‘se’ e troppi ‘forse’ in questo discorso.” Si appoggiò allo schienale della poltrona Hitomi, con le braccia incrociate, mentre l’uomo ragionava ad alta voce.
-“Hai ragione, Rui, ma dovete pensare ad una cosa alla volta. Raccogliete gli indizi, le idee e soprattutto pensate ai dipinti; io vi aggiornerò su Franz Dürer.” Scrutò per un attimo i volti delle tre ragazze. “Io ho la scusa del jet lag, ma anche voi sembrate tutt’altro che riposate…” Si aspettava una risposta, pur senza fare la domanda.
-“C’è stato un colpo non programmato ieri sera. Le cose si sono fatte difficili, ma alla fine ce l’abbiamo fatta.” Rui sapeva che avrebbe dovuto rendere conto a tutti e tre di cosa era successo.
-“Quale quadro?”
-“Il ‘Sole nascente’.” Nagaishi sbiancò di colpo.
-“Dove lo avete trovato?”
-“In quello che viene chiamato Il Circolo delle Ombre.” L’uomo si grattò la fronte.
-“Spero vi siate rese conto del grande rischio che avete corso. È una delle più spietate e invisibili organizzazioni criminali insediatesi qui in Giappone.” La sua voce, di natura profonda, si abbassò ulteriormente.
-“Insediate? Non è del posto?” Chiese Hitomi.
-“No, è stata portata qui dall’Occidente, da quel poco che ne so io.”
-“Jack crede che sia collegato alla Gatta Nera, la ladra che ci ha rubato l’identità mentre eravamo negli Stati Uniti.”
-“Jack, dici? Ancora vi fidate di quel ragazzo?” La sorella mezzana scosse la testa per dargli ragione, ma fu Rui a rispondere.
-“Mi ha salvato la vita ieri sera. E tempo fa lo ha fatto anche con te, Hitomi, nel tuo incontro ravvicinato con la ladra.” Il silenzio pervase la stanza. La donna ebbe l’attenzione completa dei presenti.
-“Continua.” Incalzò il signore.
-“Si è fatto picchiare quasi a morte perché non mi si fosse fatto del male.” Abbassò lo sguardo, a quelle parole: nella sua testa, riusciva ancora a evocare la cruda scena. Cercò di riprendere nell’immediato il controllo delle sue emozioni. “Mi ha anche confidato perché la sua esistenza nei documenti compaia dal nulla, come ha scoperto lei, Nagaishi. Il suo vero nome è italiano, ed è stato adottato da un uomo statunitense che lo ha salvato da una condizione difficile. Ha così preso il suo cognome e cambiato identità a soli 12 anni.” Nagaishi sospirò, per metà sollevato e in parte poco convinto.
Rui continuò. “Lo so che tante cose non tornano, so che ci sta nascondendo molto altro, ma io gli sono grata perché ci ha dato una nuova pista su nostro padre, grata perché ha salvato la vita mia e anche quella di una mia sorella. E se per la mia famiglia dovrò venire a patti con dei segreti, sono disposta ad accettarlo.” In uno sfogo alternato da gelida calma e foga emotiva, la donna fece uscire da sé tutti i pensieri che giustificassero la sua voglia di credere al giovane ragazzo straniero. Nessuno ebbe il coraggio di controbattere.
-“Avete valutato la possibilità che fosse una sua trappola, quella di condurvi in quel covo?” Chiese l'uomo. Ai provò ad aggiungere qualcosa alla tesi della sorella.
-“A dire il vero, Jack non voleva assolutamente che andassimo con lui in quel posto… credo che fosse a conoscenza della sua pericolosità e volesse tenerci a tutti i costi fuori di lì. Lo abbiamo convinto ad includerci nel piano prima che ci andasse da solo, non è stata colpa sua se abbiamo avuto difficoltà.” Con un tono ambiguamente calmo, si accodò a Rui. “Anche se ci ha mentito, tenuto d’occhio e se ci nasconde ancora qualcosa… io so che non vuole farci del male. Sono d’accordo con mia sorella.”
Stupiti dalla tranquillità matura della più giovane, tutti la guardarono con gli occhi di chi, ironicamente, stava pensando “Quasi quasi non ti riconosco”. Notato questo atteggiamento, Ai aggiunse, ai danni della sorellona: “Però tu potresti anche fare finta che non ti piaccia essere salvata da quel ragazzone, eh!” Un sorriso spontaneo sorse sui volti di tutti i presenti, e anche Rui si prestò al gioco con una risata. Il clima tornò sereno e ottimista nei confronti del successivo passo nella loro ricerca.
Il signor Nagaishi, ora dal volto più disteso, si alzò in piedi dopo aver appoggiato la tazzina sul tavolo. “Grazie per il caffè, dopo il viaggio ci voleva proprio. Fatemi sapere le vostre novità ed io farò lo stesso, in bocca al lupo.” Dopo dei saluti gioviali, l’uomo prese la strada verso la sua dimora, illuminato dalle caldi luci del tramonto.
 
Tornate alla propria serata, Rui esordì:
-“Bene, se siete d’accordo domani mattina all’alba farò trovare il biglietto di Occhi di Gatto alla stazione di polizia per annunciare il nuovo colp-”. Il campanello di casa cominciò a suonare all’impazzata, interrompendo ogni tentativo di conversazione.
-“Dite che Nagaishi si sia dimenticato qualcosa?” Domandò Ai, poco convinta. Rui si diresse alla porta.
-“Ne dubito, lui non farebbe mai tutto questo chiasso.” Aggiunse Hitomi. La sorella maggiore aprì e sbarrò gli occhi dalla sorpresa a quella visita inaspettata.
-“Ispettrice Asatani, cosa ci fa…?” Sudò freddo per qualche istante.
-“Non credevo che lo avrei mai detto, ma ho bisogno del vostro aiuto.” Il suo tono era più nervoso persino di quando urlava alle tre sorelle che un giorno le avrebbe scoperte e catturate. Una volta capito che non avesse intenzione di arrestarle per la precedente conversazione, la fecero parlare.
-“Che succede?” Si avvicinò Hitomi, infastidita dal suo modo di porsi.
-“Stavo andando a salutarlo in ospedale finito il mio turno al distretto, ma, quando sono arrivata, la sua stanza in ospedale era già occupata da un altro. Jack è sparito!”
-“Sparito? Come sparito?!” Anche Ai si avvicinò a quelle parole di Rui.
-“Mi hanno solo detto che ha firmato dei documenti per essere dimesso, nessun medico sano di mente lo avrebbe lasciato andare via in quelle condizioni! Non è a casa e nemmeno in studio, non risponde al telefono e non so dove altro cercarlo.”
“Temo di saperlo io, invece”,pensò tra sé Rui. Proprio a lei si rivolse la poliziotta.
-“Se non lo troviamo subito rischia di farsi molto male. Rui, sei l’ultima persona con cui ha parlato oltre al personale ospedaliero.”
-“Va bene, ispettrice, mi dica come possiamo aiutarla.” Disse, questa volta ad alta voce.

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Capitolo 17
*** Le combinazioni dell'amore ***


-“Davvero, colpiranno la mostra temporanea del Rinascimento, quella appena arrivata in città? Ci saranno opere inestimabili lì…”
-“Esatto! Per questo ci sarà un grande spiegamento di forze, non possiamo fare la figura degli idioti con delle opere prestate da altri paesi! Ne va della nostra reputazione.” Hitomi e Toshio stavano passeggiando senza meta lungo un marciapiede, verso la periferia della caotica Tokyo. Era un momento che per pian piano stava tornando ad essere consuetudine, dopo mesi trascorsi tra distanza geografica e leggera freddezza.
-“E qual è il vostro piano per fermarle?” Chiese la ragazza, con aria di innocente curiosità.
-“Pensavamo di cambiare prima di tutto la disposizione originale del dipinto all’ultimo momento, così che le gatte non sappiano in quale sala ci sia il loro obiettivo. Il museo ospitante è diviso in varie sezioni, quindi non sapere esattamente dove si trova il quadro potrebbe farle cadere più facilmente in errore.”
-“Sì, mi sembra una mossa intelligente.”
-“Beh, modestamente.” Commentò, vantandosi, il detective.
-“Ah, è stata una tua idea, quindi…” Chiese con tono scherzoso.
-“Perché scusa, avevi dubbi?” Per poco non si offese, ma la risata di Hitomi lo addolcì immediatamente.
-“Diciamo che è stato un 50/50 con Asatani, così va bene?” Si unì allo scherzo.
-“Ora ci credo un po’ di più!” Gli fece l’occhiolino.
-“Senti Hitomi, visto che siamo in vena di sincerità…” Esordì, con una velatura color rosso vivo sulle guance.
-“Sì?”
-“Credevo che non ti avrei mai più rivista quando sei partita per gli USA. Il giorno in cui sei tornata, sono stato la persona più felice del mondo.” Quelle parole le fecero nascere uno dei sorrisi più genuini che avesse mai sentito comparire sul suo volto. “Fino allo schiaffo, si intende!” Concluse, memore dell’infelice coincidenza in cui lo aveva colto, che da quel momento, però, diventò niente di più che un aneddoto.
 
L’uscita finì in una mezz’ora e la coppia tornò al Cat’s Eye, dove Hitomi avrebbe ripreso il turno di lavoro insieme a Rui. Quest’ultima, alla prese con pochi clienti, stava ascoltando una dubbiosa ispettrice Asatani, che teneva tra le mani un foglio di carta piegato in quattro parti.
-“Che succede?” Chiese la ragazza appena arrivata, a cui rispose la sorella maggiore.
-“Sembra che Jack si sia fatto almeno sentire, in qualche modo.” Un uomo con un cappellino sportivo, occhiali da sole e barba scura si avvicinò per pagare il conto, interrompendo la conversazione. Si limitò a lasciare il compenso vicino alla tazzina di caffè, chinare il capo e dirigersi all’uscita. “Grazie, arrivederci.” Prese parola Mitsuko.
-“Stamattina ho trovato questa lettera da parte sua. Dice di scusarsi per non aver avvisato della sua partenza improvvisa e di avere un problema urgente da risolvere negli Stati Uniti. Non ha scritto né di cosa si tratta né quando tornerà.”
-“Speriamo non sia successo nulla di grave.” Rispose Rui, convinta che fosse, in realtà, solo una scusa.
-“Ma perché vi preoccupate tanto di quello straniero? È grande, vaccinato e anche un po’ sospetto, lasciatelo perdere!” Commentò Toshio.
-“Capisco che non ti piaccia, ma perché devi essere sempre maleducato quando si parla di lui?” Lo rimproverò Hitomi. “Beh, almeno sembra che sta bene, no?” Chiese, rivolgendosi alle due donne.
-“Sì, questo è l’importante.” Concluse Asatani. “Grazie del vostro aiuto, anche se per fortuna non ce n’è stato bisogno. Arrivederci.” Andò verso l’uscita, per poi fermarsi un attimo ad un passo dalla porta. “Ah, Toshio, oggi il tuo turno doveva cominciare mezz’ora fa, che ci fai ancora qui a gingillare?”
-“COSA?! Diamine, è vero! Aspettami, arrivo!” Corse come un fulmine verso la collega, che si era già avviata in direzione del distretto.
-“Ops, colpa mia.” Ammise sorridendo Hitomi, che non trovò riscontro nello sguardo della sorella. “Va tutto bene, Rui?”
-“No, sono convinta che la storia di Jack negli Stati Uniti non sia vera. È tornato sicuramente nel Circolo, spero solo che quella lettera sia stata scritta davvero da lui.”
-“Un momento, non è detto, come fai a saperlo? Perché questo dubbio?” La sorella maggiore si girò verso di lei con sguardo grave.
-“Me lo ha detto in ospedale. Vuole finire il lavoro: l’altra notte non ci è riuscito perché ha sentito le mie urla ed è venuto a salvarmi.”
-“Non possiamo aiutarlo, se è questo a cui stai pensando. Rui, hai sentito che cosa ha detto Nagaishi: il rischio è troppo alto, quell’organizzazione è pericolosa. E lo hai provato sulla tua pelle.” Fu lapidaria.
-“Lo so, anche perché il messaggio indiretto è quello di non cercarlo… Per questo spero che l’abbia davvero scritta di suo pugno. E poi, onestamente, è chiaro che la scorsa volta il furto che abbiamo concluso gli sia stato solo di intralcio.”
-“Ehi, detta così sembra quasi che sia stata colpa nostra.” La donna aspettò un attimo prima di rispondere e si apprestò ad afferrare la tazzina lasciata da un consumatore al bancone.
-“È meglio lasciarlo fare, se avrà bisogno saprà come farcelo sapere… e questo cos’è?” Sotto al piattino che aveva appena sollevato, vide un foglietto piegato su se stesso. Lo prese in mano e all’esterno lesse solo il nome del mittente.
-“Dal Meticcio. È lui.”
 
Calò velocemente il buio nella capitale. Appostata in un luogo appartato e poco visibile, Rui era in attesa delle immagini di una telecamera piazzata in un punto strategico da Ai: posizionata poche ore prima in modo da vedere l’interno dell’edificio, ogni dieci secondi inviava una fotografia ad un computer di ultima generazione, fornito da Nagaishi. Questa rendeva conto dei movimenti compiuti dai componenti dell’intera scorta. Furono gli ultimi cinque minuti prima dell’orario stabilito ad essere i più interessanti: Toshio in persona, accompagnato da quattro agenti, entrava in una porta di servizio tenendo l’opera d’arte tra le mani. Pochi secondi dopo, tornò fuori con la tela sotto al braccio sinistro e chiuse a chiave l’anonima sala.
-“Che cos’è andato a fare in quella stanza?” Chiese Ai. “È entrato ed uscito portandosi dietro il quadro, non ha senso…”
-“Guardate, sta cambiando la posizione del dipinto: ora è nella sala simmetricamente opposta a quella originale di esposizione.” Commentò Hitomi. “Devo andare lì, mi preparo.”
-“No, ferma.” Richiamò l’attenzione Rui. “Dovrai entrare nella porta che Toshio ha chiuso a chiave: prima di entrare, ha tenuto il dipinto a due mani, poi è uscito afferrandolo in un altro modo. Lo ha sicuramente poggiato a terra e poi ripreso.”
-“E quindi?” Ai era perplessa. Rui diede un ulteriore sguardo alle immagini precedenti e trovò quello che cercava.
-“Ecco, guardate qua, il retro del quadro: il supporto prima è semplicemente il contorno di legno, subito dopo invece ha degli oggettini negli angoli, vedete? Servono a regolare la tensione della tela.”
-“Ha cambiato il quadro con una copia… e bravo il mio Toshio.” Fu sorprendentemente compiaciuta.
-“Oh no… guardate l’ultima immagine arrivata sullo schermo.” Hitomi e Ai si avvicinarono.
-“Ma quello è fumo, di certo non era nel nostro piano.”
-“Aveva ragione Jack, allora, stasera avremo compagnia: andiamo, ai nostri posti.”
 
Tra il disordine generale causato dal diversivo, quasi l’intero corpo di polizia si era concentrato nell’aula che sembrava essere colpita dall’agguato criminale. Così facendo, caddero nella trappola soporifera della ladra impostora. Un minuto prima rispetto all’ora segnata sul biglietto da visita delle rivali, la banda della Gatta Nera aveva anticipato le sorelle, cercando di vendicare il torto subito nel precedente incontro. Seppur con obiettivi diversi, le due parti si trovavano ad affrontarsi nuovamente, per principio più che per refurtiva. Hitomi, approfittando della confusione, si introdusse nel corridoio secondario e scassinò velocemente la porta del misterioso scambio di quadri, ignorata da tutti, chiudendola dietro di sé. Nel resto dell’edificio, dominava il buio: per questo non accese la luce della stanza, che si sarebbe vista dalle fessure dell’entrata, e si accontentò di una torcia più discreta, che mostrò davanti a sé una cassaforte.
“Questo non me lo aveva detto… maledizione.” Cercò prima di tutto di illuminare i numeri delle manopole, nel tentativo si scovare i numeri più usurati. “Proviamo questa.” Inserì una possibile combinazione a tre numeri da due cifre ciascuno, senza successo. “Pensa, Hitomi, pensa… Avranno impostato una sequenza mai usata per una maggiore sicurezza. Ma quale?” Provo ulteriormente con qualche tentativo quasi casuale, caduto nel vuoto. “Toshio è sempre stato una frana ad imparare a memoria numeri, combinazioni, date… Se doveva inserirla lui, l’avrà anche scelta, deve essere qualcosa che può ricordare facilmente.” Un flash improvviso le attraversò la mente, facendole dimenticare per un secondo cosa ci facesse lì in quel momento: “Oh, Toshio, sei davvero un ragazzo così romantico?” Inserì il primo numero, il secondo, ed in fine il terzo. Clic. Sotto i suoi occhi increduli, il marchingegno rivelò il suo contenuto: “Il bosco di querce: studio del naturale, di Franz Dürer. Ci sono anche delle lettere qui… non posso leggerle adesso, le prendo con me.” Appena afferrate, sentì altre esplosioni: sapeva che Rui la stava aspettando alla finestra da cui si era intrufolata, così uscì di fretta dalla stanza dopo aver richiuso la cassaforte, vide la sorella e le lasciò la refurtiva, esclamando:
-“Toshio e gli altri potrebbero essere in pericolo, torno dentro; coprimi le spalle.”
-“Stai attenta, conta due minuti di orologio perché io metta al sicuro il dipinto e poi sarò lì.”
Hitomi stavolta attraversò tutto il corridoio e si affacciò alla grande sala principale, in cui vide i due detective e la schiera di agenti privi di sensi a causa delle esalazioni ormai rarefatte. Due uomini vestiti di nero, alti e incappucciati, stavano portando fuori dall’edificio numerose tavole di inestimabile valore, mentre la figura dal corpo scolpito della ladra ere definito da pochi spiragli di luce della Luna piena. Si aggirava, a mo’ di scherno, attorno ad Asatani e Utsumi, distesi a terra, inermi e vulnerabili. Accarezzava, nel mentre, la sua fondina posta al fianco sinistro, la quale conteneva il letale oggetto da sparo.
-“Ci gioco ancora con questo topolino o no?” Si abbassò e prese ad una mano il viso di Asatani. “Più che farmi divertire, tu mi fai proprio dannare: prima ti elimino e meglio è per tutti.” Lasciò cadere la testa di colpo, senza alcun riguardo. “Tu, invece, tutto muscoli e poco cervello, un cliché vivente… a tratti esilarante.” Scostò i capelli del poliziotto, con sguardo malizioso e ambiguamente interessato. Estrasse la pistola e si rialzò in piedi. “Almeno uno dei due, da stasera, mi lascerà in pace. Chi sarà il fortunato?” Puntò l’arma contro i due e questo fece sobbalzare Hitomi, che prese tempo.
-“Ferma!” Le urlò, rimanendo dietro al muro che dava sul corridoio.
-“Bene bene, un po’ in ritardo, ma sei venuta, finalmente. Fatti coraggio, gattina, non mordo mica.”
-“No, certo, infatti vuoi solo sparare a persone incoscienti e disarmate, mi sembra assai peggiore.”
-“Sempre meglio di essere ipocriti come te: andiamo, rubi per mestiere, sbeffeggiando la polizia con i tuoi bigliettini patetici e poi ti fai scrupoli sulla loro incolumità?” Rise, mentre aveva individuato dove si nascondesse la rivale. “Esci da lì, prima che perda la pazienza.”
-“Così potrai spararmi? È questo che ti differenzia da noi: Occhi di Gatto non uccide e non lo farà mai, metti giù quell’arma e veditela con me ad armi pari!”
-“Come vuoi: prima sparo alla poliziotta, poi vengo da te.” Appena mise il dito sul grilletto, Hitomi sbucò dall’angolo attirando l’attenzione della Gatta per un secondo, il tempo necessario perché Rui la disarmasse con un biglietto che poco prima aveva sottovalutato. Alzò le sopracciglia dallo stupore, tenendosi la mano lievemente dolorante. “Ma guarda, ho uno strano deja-vu… certo che anche voi, sempre in due contro una, non siete leali… e poi venite a farmi la ramanzina?”
Dalla cintura, sganciò un piccolo coltello a serramanico che puntò contro Hitomi, per poi fiondarsi su di lei, che prontamente si defilò a lato, evitando danni più importanti di un graffio superficiale. Sfruttando la sua spinta in avanti, riuscì a sgambettarla e costringerla a rialzarsi dal pavimento, guadagnando tempo prezioso per mettersi in posizione di difesa. In quel momento, Toshio bisbigliò qualcosa di incomprensibile, e le contendenti capirono che era il momento di rimandare ancora una volta la diatriba.
-“La scampi sempre, tu, non è vero? Beh, almeno abbiamo ciò per cui siamo venuti! Andiamo, ragazzi!” Le criminali uscirono dall’edificio, mentre il detective cominciava a rimettersi in piedi, seppur tramortito. Quello che però la Gatta Nera trovò all’uscita furono i suoi collaboratori messi ko e le gomme bucate del tir contenente i quadri. Di fianco ad uno pneumatico a terra, un altro biglietto color rosso e bianco recitava ironico: “Alla prossima!” Si alzò al cielo un grido che svegliò del tutto Utsumi:
-“Maledette, ve la farò pagare!” Il detective uscì in fretta e furia, trovandosi davanti a due facili arresti, ma il terzo già sparito: i complici della pericolosa criminale furono ammanettati e il veicolo ricolmo di opere preziose venne svuotato. Quella che poteva essere la rapina più umiliante nella storia della nazione era stata, in qualche modo, sventata. O almeno, per grandissima parte.
 
Un’altra vittoria era stata portata a casa dalle ladre proprietarie del nome “Occhi di Gatto”, e la soddisfazione era difficile da contenere.
-“Dovresti lasciarmelo fare più spesso Rui, hai visto come gli ho stesi? Boom, prima uno e poi l’altro!” Seduta sul sedile posteriore insieme alla refurtiva, Ai era galvanizzata dal suo intervento pieno di azione.
-“Sei stata grande, ottimo lavoro. A te come è andata lì dentro, Hitomi? Confronto a parte.” La sorella più grande, al posto del conducente, guidava verso casa.
-“Bene, anche se ho avuto un contrattempo: Toshio non mi aveva parlato di alcuna cassaforte, ho rischiato di non riuscire ad aprirla.”
-“Ah no? E come hai fatto senza strumenti e senza combinazione?” Chiese la sorellina.
-“Con un po’ di fortuna ed un pizzico di ingegno. E anche un po’… di amore.” Fece l’occhiolino. Sembrava quasi essere intenzionata a tenerlo come un piccolo segreto, ma Ai insistette.
-“Dai, sputa il rospo, racconta.”
-“È stato merito di Toshio, in qualche modo.” Fece una piccola pausa e sorrise. “Ha scelto la data del nostro, o meglio, del mio ritorno in Giappone.”

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Capitolo 18
*** La missione del padre ***


-“Trovato nulla in quella busta?” Durante l’ora di pausa per il pranzo, le ragazze si misero a proseguire le ricerche degli indizi tra le lettere trovate nel precedente furto. Fino a quel momento, le misere scoperte erano state vane e spesso non rilevanti: trovarono descrizioni di altri dipinti di Dürer, lettere ai familiari, indicazioni e consigli diretti ad allievi con cui la distanza geografica si era fatta grande abbastanza da impedire il più classico lavoro da maestro d’arte.
-“No, ho trovato solo testi mai arrivati a destinazione e qualche risposta da parte di suoi studenti. Una cosa riesco a constatate: quest’uomo per sopravvivere ha perso quasi tutto.” Hitomi continuava a leggere mittenti, destinazioni e destinatari, le uniche cose che poteva riconoscere in una lingua straniera a lei poco affine. Rui allora si decise a maneggiare delicatamente la tela ed il supporto ligneo, alla caccia di un possibile messaggio nascosto sotto il cartoncino posto sul retro, come già successe la volta precedente.
-“Eccola, ci siamo, era dietro al dipinto: Per Michael Heinz. È scritta in tedesco, venite a sentire.” Rui chiamò le sue sorelle all’ascolto.
-“Parla di papà, quindi? Tu sai il tedesco, giusto?” Arrivò di corsa Ai, seguita da una più composta Hitomi.
-“Sì, temo di essere un po’ arrugginita, ma dovrei capirlo ancora bene.” Cominciò a leggere e tradurre le frasi, alternativamente: il testo recitava:
 
17-01-1938
“Caro mio figliol Michael,
la mia ultima speranza di riuscir a parlare con te risiede qui, in questo dipinto, pertanto attenderò con pazienza e speme tue nuove. Ti scrivo perché sono convinto che la mia dolce e amata moglie Adele sia, a ragione, adirata con me per la mia scelta, se così possiamo chiamarla,  di rimanere in questa Germania. Con nostro figlio è partita per il luogo di questo mondo che prima di tutti è baciato dal sole del mattino. D’altronde, altro non poteva fare nella sua condizione, lontano da lei resta il mio biasimo. Figliolo, fratello e amico mio carissimo: a te chiedo di ritrovarla e porgerle le mie scuse più sincere, e di strapparle la promessa che la rivedrò ancora, un giorno. Testardo io, che fui convinto che la mia arte mi avesse tratto in salvo da questo inferno terrestre, e come il peggiore degli illusi ho creduto che avrebbe potuto salvare anche lei. Invece me ne ha reso, in qualche modo, complice, e non vi sono vie d’uscita, se non quella definitiva di scena. E da codardo, lo sai, tremo al sol pensiero di ritrovarmi anzitempo davanti al giudizio di nostro Signore. Non ha più senso il mio creare, ora che odio il mio pennello, il cui crea forme che non m’appartengono, sotto ai tremori della paura che ogni segno possa essere l’ultimo. In fine a questa commiserazione, ti chiedo perdono. Un ragazzo così giovine tradito dal proprio Maestro non ha dovere alcuno nei suoi confronti, ma confido nella tua buon’anima, così pura e trasparente (lo si vede in ogni tuo tratto), quasi allo stesso modo in cui confido in Lui. Dio ti abbia in grazia se pensassi anche solo per un istante di adempiere a questa mia svergognata richiesta.
Abbi cura della tua famiglia, presente e futura che sia, più di quanto abbia fatto io in questa vita ormai gettata. E continua a dipingere la tua vera essenza, costasse quel che deve costare.
Tuo mentore e amico, Franz.”
 
Il silenzio avvolse per qualche istante la stanza, poiché le parole furono rapite dai pensieri.
-“Questo… questo è straordinario.” Commentò Rui. “Sapete che cosa potrebbe significare?”
-“Potrebbe voler dire molte cose, dobbiamo ragionare su ogni passaggio per cercare di capire qualcosa.” Aggiunse Hitomi. “Andiamo con ordine: per prima cosa, la lettera si apre con la sua speranza che il messaggio venga ricevuto. Perché questa preoccupazione?”
-“Forse lo so io. Tra le lettere che hai trovato poco fa, qualcuna accennava a questa Adele, la moglie?”
-“Mi sembra di sì, dammi un attimo.” Prese in mano una delle buste e ci trovò dentro quello che cercava. “Eccola qui, Adele Weiller, datata 8 ottobre 1937, la destinazione è stata erosa in qualche modo, è illeggibile.”
-“Durante il regime nazista era comune incappare facilmente in rigidi controlli sulle comunicazioni di qualsiasi genere, anche gli scambi epistolari ne erano soggetti. Probabilmente era a conoscenza di questo rischio, più che concreto.” Spiegò Rui. “Per questo avrà provato a nascondere la lettera all’interno del quadro; in più, parla del fatto che la moglie non potesse rimanere in Germania, quindi oserei supporre che fosse di origine ebraica.”
-“E perché non è andato via con lei, allora?” Domandò Ai.
-“Le sue opere furono scelte per essere esposte in una mostra nazionale voluta dal Regime, avrà pensato che quella fosse la sua grande occasione per un ulteriore passo nella sua carriera, poiché si trattava di artisti con il merito di aver elevato la cultura tedesca attraverso le loro opere. Inoltre, avrà creduto che essere dentro a quel contesto gli avrebbe garantito una sorta di protezione da parte del governo stesso, al contrario degli artisti considerati degenerati.”
-“Forse si sbagliava, visto che evidentemente controllavano ciò che spediva.” Osservò Hitomi.
-“Se andiamo avanti, ad un certo punto parla di ‘un luogo di questo mondo che prima di tutti è baciato dal sole del mattino’.” Intervenne Ai. “È possibile che stia parlando del Giappone, terra del Sol Levante?”
-“Più che probabile, ottima osservazione.” Sorrise Rui nella sua direzione.
-“Bel colpo, sorellina, allora in questa testa bacata gli ingranaggi a volte funzionano.” Hitomi la spettinò con una mano tra i capelli.
-“E smettila!” Si risistemò la chioma, con il viso a metà divertito e in parte scocciato. Però si accorse lo stesso che la sorella maggiore fissava un punto indefinito del salotto, con sguardo perso. “Tutto bene, sorellona? Che cos’hai?”
-“Niente, stavo andando un po’ troppo oltre con la fantasia: il fatto è che non sappiamo se nostro padre abbia effettivamente eseguito questa richiesta. Mi è venuto in mente… se fosse cercando questa Adele che nostro padre ha conosciuto mamma? Se fosse stato grazie a questo suo viaggio che… insomma, che noi tre siamo qui.” Hitomi si grattò il sopracciglio.
-“Non è così lontano da ogni logica…”
-“Dovremmo scoprire se nostro padre ha compiuto questo viaggio e magari trovare Adele per capire se sa qualcosa su di lui, se è riuscito nell’intento, se…” Ai venne interrotta da Rui.
-“Quello che dici è tutto giusto, ma lasciamo stare per un attimo questa suggestione. Non abbiamo abbastanza informazioni: non sappiamo se è arrivata veramente qui e se poi è rimasta in Giappone dopo la guerra. Potrebbe anche essere tornata in Germania, o in Europa. Insomma, abbiamo tanti frammenti sparsi da collegare per ricostruire la storia.” Chiuse gli occhi e si massaggiò la fronte, come a scacciare della pesantezza dalle sue tempie.
-“A cosa stai pensando?”
-“Abbiamo bisogno di una mano per mettere in fila per bene queste nuove notizie, magari Nagaishi saprà darci addirittura qualche dettaglio in più.”
-“Possiamo parlarne anche con Jack, secondo me.” Le sorelle più grandi guardarono stranite la giovane, cercando di capire il collegamento tra lui e le nuove notizie. “Ricordate il modo in cui ha scoperto di questo quadro, della mostra, di quante cose ha saputo su di noi e sulla nostra famiglia? Ed era da solo, in un paese a lui straniero. Sono convinta che lui saprebbe indagare su tutto questo, anche meglio di come farebbe un poliziotto qualsiasi, tipo... Che ne so, Toshio.”
-“Ehi, guarda che Toshio è un ottimo detective!” Ribatté Hitomi.
-“Sì, sì, va bene, era per dire… però ho ragione.”
-“Finitela, su.” Rui riportò l’ordine con autorità e calma.
-“E poi è tutto molto bello, Ai, ma ti ricordo che non abbiamo notizie di lui da qualche settimana , potrebbe anche non tornare mai più per quanto ne sappiamo.” Ammonì Hitomi, rivolgendo i palmi delle mani al cielo per enfatizzare il concetto.
-“Tornerà, ne sono certa. Ha molte cose in sospeso, qui.” Dopo un attimo di silenzio, Rui prese le redini del discorso.
-“Contatterò Nagaishi per un nuovo colloquio, poi penseremo sul da farsi. Per quanto riguarda Jack, penso che dovremmo cercare di cavarcela il più possibile da sole: per quanto il suo aiuto sia prezioso, non potrà esserci sempre, e dobbiamo metterlo in conto.”
 
L’ora di pranzo finì tra una nebbia di dubbi e qualche nuova speranza, perciò le ragazze tornarono ad occuparsi del bar in attesa di qualche viso, di lunga data oppure nuovo, tra i clienti che sarebbero arrivati. Non passò molto tempo prima che un’agitata mano aprì la porta del locale, attirando l’attenzione delle proprietarie.
-“Buongiorno! Avrei bisogno del vostro aiuto.” Pur avendola vista una sola volta, fu facile per Rui e Hitomi riconoscere l’eccentrica donna dal vistoso copricapo, apparsa tempo addietro nel loro locale. La sua voce acuta risuonò per l’intera sala, fortunatamente ancora libera da altri consumatori.
-“Buongiorno, come possiamo aiutarla?” Chiese Rui.
-“Sono giorni che cerco il ragazzo biondo che veniva sempre qui, Jack, lo avete visto da qualche parte, per caso?” Solo a risentire quel nome, di nuovo, alla sorella di mezzo venne l’istinto di girare gli occhi verso l’alto, ma si trattenne.
-“Anche da noi non si fa vedere da qualche tempo, sarà fuori città. Gradisce un caffè?” Rispose Hitomi, provando a spostare l’argomento di conversazione, ma fallì miseramente.
-“Ho come l’impressione che lei ed io ci siamo già viste o sentite, sa? La sua voce mi dice qualcosa.” La donna appoggiò i gomiti sul bancone e scrutò la ragazza da cima a fondo, e lei cominciò a sentire addosso una leggera punta di disagio. “Eppure mi sfugge proprio il dove e il quando, forse se lei invece lo ricorda.”
-“Si sarà sbagliata, non mi dimenticherei di certo di lei, se così fosse. Mi dispiace non esserle d’aiuto.” Sorrise cordialmente alla cliente.
-“Sarà. Fa niente, grazie lo stesso.” Ricambiò con una curva dalla velatura maliziosa, senza troppa delusione per il buco nell’acqua.
-“Se posso chiedere, come mai lo cerca? Mi sembrava di ricordare che avesse declinato il suo invito.” Chiese Rui, con curiosità, mentre si occupava di sistemare alcune stoviglie.
-“Ricorda bene, infatti, ma poche settimane fa ha chiamato il mio studio per un incontro e… oh, quel ragazzo è proprio fatto per me, cioè, intendo per il mio progetto, naturalmente. Ha il fuoco dentro…” Si tenne il volto con la mano mentre fissava dritta davanti a sé. “Il fuoco dell’arte, da modello, è chiaro.”
“Il fuoco dentro, eh?” pensò Rui, impulsivamente. L’ambigua donna riprese a parlare.
-“Mi aveva avvisato che sarebbe stato via per qualche tempo e che saremmo usciti a cena una volta tornato, ma non riesco proprio ad aspettare. Uomini così se ne trovano pochi al giorno d’oggi.” Quella frase, pronunciata con tono sognante, stranì non poco le sorelle. La maggiore, alzando un sopracciglio, sentì un’indecifrabile sensazione dai toni spiacevoli. Pensando a Ai, a Mitsuko, ma anche a se stessa, si interrogò sulle reali intenzioni di quel ragazzo, all’apparenza così serio e garbato: possibile che la sua impressione su di lui fosse stata davvero così imprecisa e fosse soltanto un donnaiolo? Oppure questa strana figura stava cercando di fare un po’ di piazza pulita attorno all’affascinante straniero? Di certo, questa donna non la convinceva per nulla, pur senza un motivo apparente. Si trattava di puro istinto. Un’arma che Rui sfoderava rare volte, preferendo utilizzare il suo straordinario acume, ma che fino a quel momento non l’aveva mai tradita.
-“Ha proprio ragione.” Rispose con un entusiasmo quasi sincero.
-“Bene, mi dispiace avervi disturbate per nulla, arrivederci.” Si congedò uscendo dal locale con passo elegante.
-“Quella donna è proprio strana, come può piacere a Jack? È impossibile, e poi sarebbero già arrivati a invitarsi a cena?!” Commentò Ai furibonda, facendo venire in mente a Rui un fatto che le scatenò una leggerissima risata.
-“Sono proprio curiosa di sapere se Jack è a conoscenza di cosa si dice qui in Giappone sui ragazzi che invitano le donne a cena.” Cogliendo la battuta al volo, l’aria si alleggerì di colpo e anche le sorelle si unirono all’ilarità generale.
 
La giornata trascorse in fretta e mancavano pochi minuti all’orario di chiusura. Ai iniziò anticipatamente a pulire i tavolini a ridosso delle pareti del bar, per portarsi avanti con il lavoro, ma proprio in quei minuti entrò un uomo con un berretto sportivo e occhiali dalle lenti scure. Fu Hitomi ad avvisarlo.
-“Buonasera signore, mi dispiace, ma stiamo per chiudere.” In risposta, si grattò distrattamente la barba, dirigendosi verso al bancone e scuotendo la testa.
-“Niente café?” Chiese, con un marcato accento spagnolo ed una voce dal timbro basso e roco. Era vestito con una tuta larga blu, come i pantaloni, sporca qui e là dopo chissà quante ore di lavoro. Hitomi guardò Rui per cercare una sorta di consenso, e, con uno sguardo, lo diede.
-“Va bene, ma purtroppo dobbiamo chiederle di non fermarsi troppo a lungo.” L’uomo sorrise genuinamente.
-“Gracias, davvero. Perdono por el mio giapponese, ma questo es el unico bar di qui che tiene buon café.” Rise imbarazzato, e le sorelle furono felici di quelle parole.
-“Non si preoccupi, signore, riesce a farsi capire molto bene invece. Grazie!” Rispose Ai, colpita dal tentativo di parlare una lingua così difficile e distante dalla sua. Un’altra risatina, questa volta più leggera e ironica, attraversò il viso dello straniero.
-“Però non riesco proprio a farvi capire chi sono. Davvero non mi riconoscete? Mi deludete, chicas.” La voce si fece d’un tratto limpida e perfettamente riconoscibile.
-“Ma cosa..?” Dissero quasi in coro, incredule.
-“Non siate così contente che io sia tornato, suvvia.”

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Capitolo 19
*** Dentro al covo ***


«Le giornate erano quasi tutte uguali dentro a quell’edificio così minimale e geometrico, e Pablo Rojas, un signore in lieve sovrappeso, vestito sempre con sole tute sportive larghe che ne coprivano un po’ le forme, aveva la schiena piegata dalla mattina prima dell’alba fino alla sera tardi, ma solo fino ad una certa ora. Dopo la mezzanotte, quel posto si trasformava in un ritrovo per ricchi imprenditori alla ricerca di qualche sfizio per decorare le proprie sfarzose ville di campagna: arrivavano da tutto il Paese. D’altronde, l’arte da sempre eleva ad uno status superiore colui che ne viene in possesso, poco importa se essa sia stata trafugata, ereditate, rubata o soggetta ad estorsione. Ogni tanto, questo goffo figuro si grattava la folta barba scura, per il prurito che gli provocava, tra una spazzata e l’altra in quei lunghi corridoi che davano su decine di stanze. In quel posto, era considerato alla stregua di una feccia: un essere insignificante, dallo scarso intelletto, un addetto alle pulizie che nemmeno conosceva la lingua locale. E forse proprio per questo, perfetto per girovagare da una stanza all’altra del grande edificio, senza recare disturbo o indiscrezione nei confronti delle persone che lavoravano in quel subdolo posto. Per una misera paga, avevano a disposizione una sorta di schiavo che tenesse lindo ciò che, in realtà, sporco lo era fin dentro le mura.
 
Gli succedeva, talvolta, di sentir parlare tra loro alcuni dei dipendenti, e addirittura dei pezzi grossi dell’organizzazione, che nei suoi primissimi giorni di lavoro lo avevano certamente preso di mira: dapprima con sguardi schivi e disgustati nei confronti di quell’uomo di così basso rango, più in basso dell’ultimo anello di quella catena; successivamente, con battute sprezzanti, spesso offensive, tanto erano nulle le sue reazioni; ed in fine un comportamento di superiorità quasi affettuoso, come quello che si ha nei confronti dei bambini, nei riguardi di qualcuno a cui bastava svolgere la sua umile mansione e tornare nella propria piccola dimora a fine giornata.
 
-“Mi raccomando, i documenti con questo contrassegno vanno distrutti entro questa settimana, quelli senza marchio invece posti nell’archivio in tale ordine.” A mezz’ora circa dalla chiusura di quel piano dell’edificio, un uomo alto, segnato da poche rughe, calvo e vestito elegantemente, stava istruendo un ragazzo molto più giovane su come organizzare dei dossier legati all’asta che si era svolta la sera precedente. Dal fondo del passaggio, si sentiva una voce seguire una sconosciuta melodia, alternata al cigolio delle rotelle di un carretto.
-“Haces muy mal, en elevar mi tensión en aplastar mi ambición, tu sigue así ya verás!”
Il novellino rimase sorpreso dal fatto che le indicazioni gli vennero riferite nel corridoio, in presenza di quell’uomo zuppo di sudore, che nulla doveva sapere per conto di chi stesse lavorando. E fu addirittura irritato dal suo comportamento, poiché era talmente convinto di essere solo da mettersi a canticchiare a ritmo di pulizie, ed affrontare con un po’ di leggerezza quel duro compito.
-“Signore, non dovremmo parlarne in ufficio?” L’uomo adulto alzò un sopracciglio e poi rivolse gli occhi verso Pablo, che nemmeno li stava guardando, e agitava velocemente una scopa per raccogliere il poco sporco residuo.
-“Per lui, dici? Non ti preoccupare, non capisce nulla di quello che diciamo, senti qui.” Portò le mani alla bocca per emettere un fischio, come si farebbe per richiamare un cane da riporto, e poi, con tono di falsissima gentilezza, gli rivolse la parola. “Ehi panzone, stai attento a non cadere, che sei più sporco tu del pavimento!” Rojas, riconoscendo solo il modo in cui quelle parole erano state pronunciate, abbozzò un sorriso e rispose cordialmente con un mezzo inchino ed una delle poche parole che conosceva:
-“Buonasera, señores.” Tornò a pulire, imbarazzato per essere stato ascoltato mentre gorgheggiava. A  ribattere, arrivò il sorriso divertito del signore.
-“Visto? Non ha compreso una parola, e a noi va bene proprio per questo.”
-“Oh, capisco.” Si grattò la fronte.
-“Bene, è tutto, dopo questo il turno è finito, ragazzo. Pablo! Pablo, ascoltami!” L’uomo si fermò dal pulire il pavimento per ascoltarlo. “Ufficio numero 9. Nu-me-ro no-ve, capito?” Scandì le parole e fece segno con le mani per indicare la cifra. Rojas annuì e si diresse verso la stanza con la giusta targhetta, senza fare domande.
 
Era esattamente l’ufficio del mistero, e tale occasione non poteva farsela sfuggire: quasi tutto il personale era andato a casa o stava organizzando la serata in un altro piano del palazzo. Una volta lì, non perse tempo e, tirando fuori uno straccio pulito dal suo carrello con gli strumenti del mestiere, inizio a pulire la scrivania, che non necessitava di chissà quale sistemata. Il giorno 7/7 era già passato da qualche giorno, e temeva che se avesse inserito il codice trovato tempo addietro, un sistema dall’allarme lo avrebbe potuto tradire. Speranzoso di ritrovare la sequenza nello stesso nascondiglio, con il panno, afferrò la penna in vetro rosso, per non lasciare impronte, e ci trovò dentro un nuovo foglietto, accuratamente arrotolato:
“8/7 – 18/7: 65 12 09”
Come sospettava. Ripose al suo posto l’oggetto, completò la pulizia di quella porzione per poi passare ad occuparsi del quadro appeso alla parete: a tema marino, esso rappresentava un’imbarcazione rudimentale in mezzo alla tempesta, e si rifaceva probabilmente a “La Zattera della Medusa” di Théodore Géricault, ma non aveva tempo di soffermarsi su ciò. Lo appoggiò delicatamente a terra, e, tendendo le orecchie il più possibile verso il corridoio, afferrò un flacone di uno strano prodotto che nulla aveva a che fare con l’igienizzazione degli ambienti: lo spruzzò sui tasti e sulla manopola della cassaforte, ed in pochi secondi comparvero delle macchie fluorescenti quasi in rilievo: erano impronte digitali. Con un vetrino da laboratorio, impresse le più visibili e complete, mise in sicurezza il rilievo e lo nascose accuratamente. Arrivò il momento del codice, così iniziò ad inserirlo: 65, 12, 09… click.
Dentro erano contenuti alcuni documenti accuratamente accatastati, ogni spostamento di questi ultimi avrebbe destato sospetti. Non poteva semplicemente rubarli: doveva affidarsi alla sua straordinaria memoria. Cominciò a leggerli in rapida successione, tenendo a mente i passaggi più importanti. Il tempo però scarseggiava, e, al contrario, le possibilità di essere scoperto si alzavano a dismisura. Mise al loro posto i fogli, chiuse la cassaforte e, bagnando lo straccio con un solvente, tolse ogni residuo delle macchie che aveva già prelevato.
Dei passi svelti risalirono le scale forsennatamente, fino a piazzarsi davanti alla porta chiusa della stanza. Tornato dal suo compito di archiviazione, sentiva che qualcosa non andava nell’ufficio del suo superiore, e sperava di cogliere in fragrante il responsabile per ottenere una sorta di riconoscimento: spalancò l’entrata per cogliere il farabutto sul fatto, ma la sala era stranamente tranquilla, vuota e diligentemente pulita. E mentre si domandava che cosa fossero quei rumori che aveva sentito arrivando, nel piano terra che si trovava sopra a quello in cui era, per i corridoi si sentiva solo il rumore del carrello delle pulizie, accompagnato da una voce roca che a bassa voce cantava candidamente:
“Donde esta nuestro error sin solución, fuiste tu el culpable, oh, no fuí yo. Ni tu ni nadie, nadie, puede cambiarme!”»
 
Le tre sorelle ascoltavano Jack, osservando attentamente il modo in cui stava togliendo pian piano il suo travestimento, a partire dalla barba finta.
-“Avrei preferito farmela crescere per risparmiarmi tutta questa irritazione, ma non avevo abbastanza tempo.” Si grattò il mento, infastidito da quella sensazione.
-“Non sarà il punto del discorso, ma con i capelli corti e neri non mi piaci proprio. Quella barba, poi…”  Si lamentò a gran voce Ai, provocando un sorriso spontaneo.
-“La tinta dovrebbe andare via dopo qualche lavaggio, e poi i capelli ricrescono. Pablo Rojas era la mia identità sottocopertura migliore per questa missione.”
-“Ci stai letteralmente dicendo che ne hai altre. Sei un poliziotto, allora.” Osservò Hitomi, scrutando ogni sua mossa.
-“È più complicato di così.”
-“Beh, abbiamo una lunga serata davanti a noi… Basta con i giochetti, racconta pure.”
-“Lascialo stare, Hitomi, non vedi che è stanco morto!” La sorella minore cercò di difenderlo.
-“Sì, è così. Tre settimane lavorando 12 ore in quell’inferno, e parallelamente svolgere il mio compito. Beh, devo dire che è stata tosta anche per me.” Si stropicciò gli occhi. “Pensò che appena tornerò a casa, mi butterò a letto senza pensarci.”
-“E non consideri che nelle tue condizioni non avresti dovuto fare nemmeno il minimo sforzo.” Rui lo guardò seria e preoccupata. “Non puoi permetterti di non mangiare stasera, devi rimetterti in forze. Resta per cena.” Le due sorelle minori ebbero espressioni diametralmente opposte nell’ascoltare quelle parole.
-“No, non vorrei disturbarvi ulteriormente…”
-“Insisto. Ai, ti dispiacerebbe iniziare a preparare la tavola anche per lui?”
-“Sì, certo.” La sorella maggiore sorrise per la velocità della risposta.
-“Se avessi saputo che bastava invitare te per non sentirla lamentarsi quando le chiedo un favore, quasi quasi lo farò più spesso.” Jack rispose con la stessa smorfia di piacere sul viso. “Vieni, avrai bisogno di fare una doccia, immagino.” Lui guardò i suoi indumenti sporchi e con aria fintamente sorpresa replicò.
-“Oh, tu dici?”
 
Sotto l’acqua corrente, parte del colore scuro che aveva sui capelli si era dissolto, così come il malessere che scivola via a fine giornata, sotto al flusso di una cascata calda che rilassa i sensi più dei muscoli. Seppur con molta avversità da parte di Hitomi, le sorelle trovarono dei vecchi indumenti di Toshio, lasciati in camera della fidanzata, da prestare al ragazzo, tra cui un paio di jeans ed una camicia bianca classica. Proprio mentre stava finendo di abbottonare quest’ultima davanti allo specchio, dietro di lui tre tocchi alla porta della cameretta richiamarono la sua attenzione. Non si girò.
-“Apri pure.” Rui accolse l’invito e non poté far altro che notare, oltre alla prestanza fisica che aveva davanti, la presenza di alcune bende e delle garze usate, gettate a terra. Non sentendo risposta, il ragazzo si voltò nella sua direzione per capire chi avesse bussato, finendo per notare quell’attenzione verso le medicazioni ormai inutilizzabili. “Anche se potrebbe sembrare, non sono del tutto un incosciente. Mi sono fatto medicare regolarmente, devi stare tranquilla.” Tornò a chiudere i bottoni.
-“Sì, hai usato la parola giusta: incosciente.” Stettero in silenzio per pochi secondi. “Fermo, non ti vestire subito, arrivo.” Stranito, ascoltò quella richiesta e raccolse da terra le bende, per piegarle in modo più ordinato. Come promesso, la donna tornò immediatamente, tenendo in mano tutto l’occorrente per una nuova fasciatura. “Siediti sul letto, così quando tornerai a casa non dovrai occuparti anche di questo.”
-“Non c’è bisogno, sai?”
-“Certo che ne hai bisogno.” Ribatté, con tono di ovvietà.
-“Sì, intendevo che non sei tenuta a… Niente, lascia stare.” Fece un gesto con la mano, quasi rassegnato nel doversi far aiutare più di quanto avrebbe voluto. Rui si sedette di fianco a lui e cominciò a sbottonare quel poco che Jack aveva già unito, invitandolo a togliere del tutto l’indumento. Dopo quel gesto, non poté far altro che gettare gli occhi su quel corpo, perfettamente definito nella muscolatura, ma macchiato da ematomi sulla via della scomparsa. Rui si mise la pomata su una mano e cominciò a massaggiare l’addome, rigido, lì dove erano ancora visibili le botte di quello scontro.
-“Puoi anche rilassarli ora, sai?” Lo punzecchiò, percependo la sua tensione fisica. Al contrario, il ragazzo non si tradì con quella emotiva.
-“Sono già rilassati, non vedi?” Rotto il ghiaccio, la donna non perse occasione per tirare qualche altra stoccata pungente, così come lo erano le sue dita alla ricerca dei punti giusti da toccare.
-“Senti un po’, hai idea di quante donzelle tu abbia fatto preoccupare con questa tua bravata?” Invece di replicare allo scherzo, sospirò, senza troppe ironie.
-“Già, devo scusarmi con Mitsuko, avrei dovuto avvertirla prima.”
-“Cosa che invece hai fatto con Hayami Nakano, la fotografa, giusto?” La guardò, non capendo. “Non fare quella faccia, è arrivata nel nostro locale dicendoci che eri partito dopo aver accettato di lavorare con lei e, cito testuali parole, ha aggiunto che tu abbia il fuoco dentro.”
-“Oh, santo cielo, dimmi che te lo sei appena inventato.” Con una risatina nervosa, scosse la testa e si portò la mano al volto. “Sì, ci siamo parlati e abbiamo cominciato a vedere il suo progetto, ma nulla di più. Niente… fuoco, diamine, qualunque cosa volesse dire!” Rui rise di gusto a quella reazione. “Che c’è?”
-“Niente, niente.” Spostò la sua mano sul fianco e cominciò a massaggiare lentamente, facendo scaldare la pelle sotto il suo contatto. I respiri dei due si fecero a poco a poco più pesanti.
-“Quindi non è vero che dovete uscire insieme, ora che sei tornato?”
-“Caspita, vi ha detto praticamente tutto… Beh, quello sì, mi sembrava giusto per farmi perdonare dalla sparizione. Non penso sia normale accettare di far parte di un qualsivoglia lavoro e poi andarsene, in questo caso io dovevo cogliere la palla al balzo.”
-“Se sapevi che avresti avuto questo tipo di missioni improvvise, perché dire di sì ad un altro impegno lavorativo?” Il viso di Rui si avvicinò a quello di Jack per metterlo in soggezione e cercare di indurlo ad una risposta sincera, mentre continuava a massaggiarlo con un moto lento e regolare.
-“Dovresti aver capito ormai che non faccio nulla per caso, tanto meno inutilmente. Dubito che tu non ci possa arrivare da sola.” In quel momento, però, i suoi pensieri erano orientati da tutt’altra parte, e i loro sguardi si stavano pericolosamente intrecciando sempre di più tra loro. Passarono pochi istanti di silenzio.
-“L’idea che tu fossi tornato in quel covo infernale dopo quello che ti avevano fatto a causa mia…” Le parole divennero ad un tratto sussurrate.
-“Mi dispiace averti fatto preoccupare, ma non è stata colpa tua.” Cercò di staccare i suoi occhi da quelli blu scuri della donna, che però, con un magnetismo surreale, lo incatenavano stretto a lei. Persino Jack, abituato ad incassare provocazioni ed a resistere ad ogni tipo di tentazione, stava vacillando di fronte a quei tocchi ed a quelle iridi così profonde di una donna dalla sensualità e dalla bellezza intellettuale, oltre che fisica, le quali lui trovava inaudite.
-“È pronto a tavola!” Sentirono dire ad alta voce dalla cucina, e il momento idilliaco si infranse quasi come una sorta di deja-vu.
-“Ora dovrei proprio vestirmi.”
-“Sì, hai ragione, lasciamo respirare la ferita, ti metterò una benda prima che tu vada. Ti aspetto di là.” Si alzò in piedi per raggiungere la porta, fermandosi poco prima di uscire. “Oh, comunque, a proposito della fotografa… sai cosa si dice qui in Giappone degli uomini che invitano una donna a cena?”
-“No, dovrei?”
-“Oh, certamente. Se ti invita a pranzo, è un bravo ragazzo, se ti invita a cena…” Gli si sbarrarono gli occhi dall’imbarazzo e non proferì una sola parola. “Ma tanto per te non dovrebbe essere un problema, no? Hai il fuoco dentro.” Gli fece l’occhiolino e se ne andò, trattenendo una risata e immaginandosi la sua faccia, impagabile, ora che aveva capito cosa si aspettava da lui la maliziosa Hayami.

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Capitolo 20
*** L'ospite... desiderato. ***


-“Ah, ‘il miglior modo di chiedere un favore è quello di restituirlo in anticipo’, dico bene? Mi avete preparato la cena solo perché vi aiutassi a cercare questa Adele, moglie di Franz.” Jack bevve un bicchiere d’acqua finito il pasto, sconsolato per quello che credeva essere un atto di gentilezza, rivelatosi ai suoi occhi come una mera opportunità. Sperava, almeno quella sera, di rimanere fuori da quelle tematiche: aveva capito che l’idea di ospitarlo doveva essere stata per forza di Rui, in quanto le altre sorelle furono sorprese di averlo al proprio tavolo. Tale comportamento lo deluse e non ne fece mistero.
-“Ti avremmo aiutato comunque, ma pensala anche così se preferisci.” Uno strano gelo si formò tra i due, che erano seduti l’una davanti all’altro ad un tavolo rettangolare, in cui Hitomi e Ai si guardavano dapprima a vicenda e poi riservavano lo sguardo ai rispettivi vicini di seduta, non riuscendo ad intervenire.
-“Approfittare di un mio momento di stanchezza… ti facevo meno cinica di così.”
-“Quando si tratta di nostro padre, faccio tutto ciò che è necessario e non troverò scuse per questo. Ma ti avrei chiesto di rimanere comunque, provato come sei.”
-“In realtà è stata una mia idea quella di parlarne con te.” Si fece coraggio la più piccola. “Però se sei stanco ci possiamo tornare più avanti, scusami per averti messo in questa condizione.” Il ragazzo si addolcì un po’ a quelle parole.
-“Quale condizione? Stai tranquilla, farò quel che posso, come sempre.” Le sorrise appena, per poi abbassare lo sguardo. “Ma non adesso, per favore, ho bisogno di riposare, e non è una frase che dico spesso. Appena toccherò una superficie morbida, perderò volentieri i sensi.” Si alzò in piedi e ringraziò con un piccolo inchino. “Penso di aver oltremodo abusato della vostra disponibilità, vi riporterò i vestiti che mi avete prestato quanto prima.”
-“So che ti chiedo molto, però prima che tu vada avrei bisogno di parlarti.” Ai si fece seria tutto ad un tratto. “Da soli.” Aggiunse, in risposta agli sguardi di attesa delle altre sorelle, sorprese da quella richiesta.
-“Hitomi, dammi una mano a sparecchiare.” Rui offrì l’assist alla sorellina, seppur pervasa da qualche dubbio.
-“Arrivo.” La raggiunse, altrettanto confusa.
-“Vieni, Jack, andiamo in camera mia.” Fece cenno con la mano per farsi seguire e lui, senza troppa forza per replicare, eseguì.
-“Che le prende? Cosa deve dirgli di così urgente?” Chiese alla sorella maggiore Hitomi.
-“Non ne ho proprio idea.”
 
-“Siediti pure qui.” Gli indicò uno dei due letti, posti l’uno di fianco all’altro, dove Ai si sedette per averlo davanti a sé.
-“Dimmi, Ai, che succede?” Chiese con tono gentile ed occhi esausti dalla prolungata mancanza di sonno. Le guance arrossate della ragazza accompagnavano un’espressione del viso che sembrava voler trattenere qualsiasi parola che potesse diventare in qualche modo inopportuna in quel momento. Fece un grande respiro, seguito da un altro, e poi un altro ancora. Jack alzò il sopracciglio.
-“La verità è che, Jack, tu… tu mi piaci.” Non riuscì a guardarlo negli occhi.
-“Anche tu mi piaci, Ai.”
-“Sì, ma non in questo senso.” Provò a rivolgere gli occhi verso di lui, lucidi. “Mi sento strana a dirlo… sai già che mi ricordi tanto le poche foto di papà che abbia mai visto.” Fece una piccola pausa. “E oggi, che ti vedo un po’ diverso da lui… non riesco a capirmi, a capire quello che sento dentro di me.” Il cuore di Lewis si sciolse in un istante e pensò per un attimo a cosa potesse rispondere.
-“Penso sia normale che tu sia in confusione. Ti è mancata una figura a cui per puro caso assomiglio, ti sei affezionata a questa immagine di me e, ora che qualcosa stona nel tuo ricordo, ti senti in subbuglio. È così?” Lei annuì, fissando il pavimento.
-“Faccio fatica a capire quello che sento nei tuoi confronti.”
“Ascolta.” Le prese delicatamente la mano, attirando i suoi occhi a sé. “Purtroppo o per fortuna, io non sono tuo padre e non potrò mai sostituirlo, in nessun modo. Ed è giusto che sia così. Posso solo provare a starti vicino e aiutarti quando ne avrai bisogno. Essere un tuo consulente, una sorta di zio acquisito… un amico che per te ci sarà in ogni momento.”
-“Un… un amico, eh?” Sembrava sconsolata da quella parola, che in quel momento non le piaceva proprio. Lui sorrise dolcemente e scherzò.
-“Diamine, Ai, sono troppo vecchio per te, scommetto che sarai circondata da baldi giovani molto più aitanti e belli del sottoscritto!” Riuscì a strapparle una risata sincera.
-“No, non è vero!” Scosse la testa, con ironico dissenso. “Non sono nemmeno la metà di te!”
-“Ma sì, ne sono convinto, arriverà la persona giusta, devi avere fiducia! Dai, ora vieni qui e abbracciami, su.” Ai non se lo fece ripetere, si alzò e si fiondò tra le sue braccia, stringendolo più forte che poteva. In quel momento le sussurrò: “Anche se non posso né essere tuo padre e né qualcos’altro, ricordati che puoi contare su di me. Ti voglio bene, Ai.”
-“Te ne voglio anch’io, Jack. Grazie.”
 
Sentendo quelle parole, appoggiata al muro su cui si reggeva la porta della stanza, Rui tirò un grande sospiro di sollievo. Si sentiva inizialmente preoccupata da quel discorso, ma comprendeva la confusione che provava Ai: l’adolescenza, di per sé, crea sconvolgimenti emotivi di grande entità e lei, così giovane, era stata sottoposta a tante sfide e diversi stimoli in grado di far vacillare persino una persona adulta. Ma quella ragazzina, quel piccolo vulcano di energia ed emozioni, era cresciuta e, anche se non era solita esternarlo a parole, Rui era davvero molto fiera di lei e di come avesse affrontato faccia a faccia il suo dilemma interiore. Ai aveva capito cosa c’era di stonato nel suo sentimento, ed ora, la sorella maggiore sentiva che era il proprio turno, di farsi quasi le stesse domande, che aveva ignorato così a lungo. Anche lei era attirata da quell’uomo solamente per la sua somiglianza così familiare? In quel momento, però, fu costretta a scacciare i pensieri più ingombranti e bussò alla porta chiusa della stanza.
-“Avanti, abbiamo finito.” Ai si asciugò rapidamente gli occhi, dopo aver mollato la presa, e invitò la sorella a farsi avanti, che decise di rimanere all’uscio.
-“Jack, dovremmo finire la medicazione.” Lewis non ne era particolarmente entusiasta, e Ai lo notò. Decise allora di sussurrargli:
-“Devi capirla, farebbe qualunque cosa per la famiglia, anzi, tutte e tre lo faremmo. Fate pace, per favore.” Il ragazzo provò a darle ascolto, e rispose ad alta voce ad entrambe.
-“Va bene, ma poi devo andare a casa.” Diede un bacio sulla fronte a Ai, alla quale tornò un po’ di arrossimento in viso. “Buonanotte, piccola.” Andò verso l’uscita della stanza, dove era atteso dalla donna dal volto severo, che gli fece strada verso la propria stanza singola, che, a differenza di quella delle sorelle, era provvista di un letto matrimoniale ed un bagno collegato ad essa. Dall’arredamento, emergevano molti dei lati del carattere e dello stile elegante e raffinato di Rui. Senza darlo troppo a vedere, l’uomo fu colpito particolarmente da alcuni scaffali colmi di libri dedicati all’arte e alla sua storia.
-“Prego.” Lo fece entrare per primo e chiuse la porta dietro di sé.
-“Ci stavi ascoltando, non è vero?” Si voltò verso di lei con sguardo accusatorio.
-“Perché me lo chiedi? Sembri paranoico, stasera.”
-“Perché stai superando più di qualche limite nei confronti della mia pazienza. Ai ti aveva chiesto che restassimo soli.” E poi bisbigliò: “Dopo quello che ho passato in queste settimane, sfiderei chiunque a non esserlo.” Rui ignorò quelle parole.
-“Non sono tenuta a giustificarmi quando cerco di badare alla mia famiglia.” Jack trovò ironico l’utilizzo della stessa frase pronunciata poco prima dalla sorella; il ragazzo provò a deporre le armi.
-“Ed io non posso permettermi di giudicare il modo in cui lo fai, anche se al momento lo trovo discutibile.”
-“Hai detto bene: non puoi. Non sai cosa ho affrontato e cosa ho fatto per Hitomi e Ai.”
-“A proposito di Ai: vede in te come una sorta di madre, non è vero?”
-“Sì, è così.” Con una mano, si teneva il braccio che restava lungo al corpo, stropicciando leggermente la camicetta color giallo chiaro che indossava. Jack si accorse che fosse un segnale di disagio, e cercò di rimediare.
-“Mi dispiace per quello che ho detto dopo cena, la stanchezza mi fa vedere tutto grigio... Nel mio campo, per sopravvivere, sei abituato a pensare sempre al peggio delle persone.”
-“Ti avrei chiesto di restare anche se non avessimo avuto nulla da chiederti, ma non nego di aver pensato di ricambiare questa sorta di favore. Quindi non avevi totalmente torto, siamo pari.”
-“Va bene, come vuoi.”
-“Anzi, in realtà temo che non sarò mai davvero in pari con te.” Il tono della voce si abbassò.
-“Perché dici questo?”
-“Basterebbe citare solo le occasioni in cui hai salvato la vita di Hitomi, la mia, e il tuo rapporto con Ai, ma la verità è che stai facendo anche molto di più. Con le ricerche, la Gatta Nera e il resto…”
-“Ho deciso di aiutarvi e così sto facendo, non si tratta di saldare debiti.”
-“Sarà.” Si fermò per un secondo e incrociò le braccia. “Il signor Nagaishi mi ha fatto sapere che ti sei messo in contatto con lui, mentre eri sottocopertura al Circolo clandestino, è così?” Rimasero entrambi impassibili.
-“Sì, è così.”
-“Ed è vero che stai lavorando in segreto per smantellare quell’organizzazione di contrabbando di opere d’arte?”
-“Ora non più tanto in segreto, però sì, è esatto.”
-“Perché gli hai rivelato tutto questo? Sapevi perfettamente che era sospettoso nei tuoi confronti.”
-“Sì, lo sapevo. Avevo bisogno di garantirgli che a voi tre non avrei mai torto un capello. È un ex militare: equilibrato, ma anche molto protettivo nei vostri confronti. Averlo contro di me avrebbe solo intralciato il mio, oltre che vostro lavoro. Sono giunto alla conclusione che se per voi è affidabile, lo è anche per me. Gli ho dato io l’autorizzazione di parlarne esclusivamente con te, Rui: voglio darti un’altra occasione di avere la mia completa fiducia, questa volta mi aspetto che non venga tradita.” Quelle ultime frasi la misero in leggera soggezione: era chiaro che non ci sarebbero state altre opportunità.
-“Non lo sarà, te lo prometto.” Distolse per un secondo lo sguardo dal ragazzo, presa da uno strano e contorto pensiero: lui lo notò immediatamente, e diede prova della sua grande maestria nel saper carpire ogni segnale del corpo di qualsiasi persona.
-“Stai cercando di capire se sia il caso di chiedermi di nuovo chi sono veramente, facendo leva sulla mia stanchezza, ma ti stai frenando a causa del discorso che abbiamo già affrontato prima, non è vero?” Rimase sconcertata dall’accuratezza con cui le lesse dentro, quasi meglio di quanto avrebbe potuto fare lei stessa. Ne fu a dir poco colpita: l’aveva capita in un istante. Rui rispose.
-“Non c’è proprio speranza che tu me lo dica, vero?” Lui scosse la testa sorridendo. “Caspita, comunque è vero quando mi dici di essere bravo.”
-“È il mio lavoro. Avevi forse motivo per dubitarne?” L’aria si rasserenò e prese una piega più distesa.
-“Dai, finiamo di darti una sistemata, così dopo potrai andare a riposarti. Distenditi pure sul letto a pancia in giù, così controllo anche i lividi sulla schiena.” Il ragazzo si spogliò della camicia ed eseguì, mentre aspettava che Rui recuperasse la pomata e le bende dalla stanza accanto. La donna ci mise pochi secondi.
 
-“Eccomi, sei pront-” Appena varcò la porta, rivolse quasi incredula lo sguardo verso il letto: il giovane era già crollato in un pesante sonno scandito da profondi respiri. Sorrise, un po’ imbarazzata per quella situazione imprevista dai tratti comici. “Non credevo facessi sul serio, quando hai detto che ti saresti addormentato al solo tocco di un materasso… forse dovevo aspettarmelo, però.” Non ricevette risposta a quella affermazione, né sperava di averla. Si sedette accanto a lui e delicatamente spalmò la crema dove serviva, senza disturbarne il riposo: la sua pelle era bollente, sopra a quei muscoli in rilievo, pur se rilassati. La sua mano passò leggera anche tra le scapole; all’altezza di una di esse, la destra, spiccava un tatuaggio che la rapì di interesse: due sagome a forma di drago cinese (una completamente nera dall’occhio bianco ed una di cui vi era solo il contorno e l’occhio nero) si rincorrevano in un moto circolare, in una rivisitazione del simbolo dello yin e dello yang. Sotto di essi, una scritta in caratteri romani: coniunctio animi maxima est cognatio. Accarezzò quelle lettere, senza capirne il significato, che doveva essere in qualche modo importante per essere stato reso indelebile sulla pelle. In Giappone i tatuaggi non erano ben visti, ma lei non dava peso a tali preconcetti.
 
Tornò al presente, chiedendosi cosa avrebbe dovuto fare in quella situazione: “Riesci ad essere affascinante anche da addormentato, signor Lewis.” Diede un ultimo sguardo a quel simbolo di inchiostro, per poi coprirlo con la camicia che si era tolto poco prima: non se la sentiva proprio di svegliarlo, per quanto sembrava beato, pur consapevole che lui probabilmente se ne sarebbe lamentato la mattina seguente. Non le importava molto, a dire il vero: le piaceva stuzzicarlo, dopotutto, perché, anche nelle situazioni di tensione, era in grado di tenerle testa come nessun altro prima di allora. Un uomo capace di resistere al suo fascino, seppur non ne fosse immune, abile nel contraddirla e di metterle talvolta addirittura pressione. Gli mise una coperta per la notte, avvicinò il proprio viso a quello del ragazzo e stampò un bacio color vermiglio sulla guancia, senza chiedersi il motivo di quel gesto così spontaneo. Si alzò in piedi per dirigersi verso il bagno, e si preparò con calma per andare a dormire a sua volta.

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Capitolo 21
*** Fatali incomprensioni ***


-“Un altro colpo? Dove, questa volta?”
-“Al Museo dell’arte Contemporanea di Tokyo. Diamine, ultimamente la frequenza dei furti sta aumentando a vista d’occhio, se non sapessi che si tratta di Occhi di Gatto direi che i ladri in questa città si sono moltiplicati…” Hitomi e Rui si guardarono a vicenda, nascondendo il sorrisino di chi sa qualcosa di troppo, e la prima porse una tazza di caffè caldo al suo amato poliziotto.
-“Ecco a te, Toshio.”
-“Grazie, sei un tesoro.” Il rumore della porta che si apriva annunciò un arrivo al Cat’s Eye.
-“Ah, buongiorno, ispettrice Asatani.” La voce di Rui fu cordiale ed a tratti quasi più raggiante del solito.
-“Buongiorno, prendo il solito, per favore.” Si sedette al bancone di fianco a Toshio, si voltò verso di lui e chiese, sarcastica. “Fammi indovinare, stavi spifferando tutti i dettagli del nuovo caso alla tua ragazza, non è vero?” Il suo tono prese una via a metà tra il rimprovero e la frecciatina.
-“Ma che stai dicendo, non lo farei mai!” Hitomi rise dolcemente, quasi per contraddirlo. Ne prese invece le difese.
-“No, non si preoccupi ispettrice, è molto più professionale di quello che sembra.”
-“Ecco, visto?” Rispose Toshio con tono fiero, salvo poi rendersi conto della battuta: “Aspetta, che significa più di quello che sembra, ehi?!” Le due ragazze si fecero per la prima volta complici dello stesso scherzo e risero di gusto.
-“Ah, se lo dici tu, Hitomi, c’è da fidarsi.” Affermò, senza scherzare troppo.
-“Eddai, Toshio, non fare il permaloso…” Hitomi si appoggiò al bancone con i gomiti per guardarlo intensamente, e gli provocò un arrossamento sulle guance. Fu Rui ad interrompere quella scenetta.
-“Ecco il caffè.” Lo passò a Mitsuko, che ringraziò. “Ispettrice, ma è vero che, come dice Toshio, i furti sono aumentati? Dobbiamo forse preoccuparci?”
-“Direi proprio di no, è esattamente per questo che i vostri loschi affari stanno andando meglio del solito, o sbaglio?” Affilò lo sguardo per sfidare Hitomi e Rui, delle quali aveva sempre sospettato, che furono colte in leggero controtempo. Nemmeno dopo giorni in cui sembravano esserci segni di tregua tra le due parti, voleva mollare la presa sulle tre sorelle.
-“Ancora con questa storia, Mitsuko? Non possono essere loro Occhi di Gatto, ti ricordo che i furti sono ricominciati prima del loro ritorno in Giappone!” Toshio si fece sentire.
-“Hai delle prove per dire che non siano tornate giorni prima di presentarsi alla tua porta? Dove tra l’altro c’ero anch’io, quindi conosco la risposta.” Il poliziotto rimase interdetto da quell’accusa, non avendoci effettivamente mai pensato.
-“In verità abbiamo conservato i biglietti dell’aereo preso dagli Stati Uniti per tornare qui, se proprio vuole togliersi il dubbio.” Fu il turno di Asatani, di essere smentita e rimase in silenzio per un istante. “Desidera che vada a prenderli?” Rui indicò con il pollice dietro di sé, con l’espressione più innocente possibile sul volto.
-“No, no, va bene così, grazie. Ma li tenga in caso l’indagine lo richieda.” Toshio le rispose sottovoce:
-“Indagine? Ma non c’è nessuna indagine  in corso sulle sorelle Kisugi... AAAH!” Mitsuko gli pestò il piede per non fargli svelare altro, mentre le due sorelle fecero finta di non aver sentito. “Ma dico, sei impazzita?!” Urlò saltellando su un piede solo per il dolore. Tale scenetta fu interrotta da una domanda in lontananza.
 
-“Oddio, che ore sono? Che cosa ci faccio ancora qui?!” Una voce, attutita dai muri di un’altra stanza, si sentì fino alla zona del bancone del locale e attirò l’attenzione dei presenti.
-“Vogliate scusarmi un secondo.” Rui si allontanò dalla sua postazione e, mentre operava per togliersi il grembiule ed aprire la porta che collega il locale all’appartamento, qualcuno lo fece per lei dalla parte opposta.
-“Rui, si può sapere che cos’è successo stanotte?” La domanda sembrava lecita, ma nel momento e nel luogo peggiori possibili.
-“Abbassa il tono, adesso ti spiego…” Cercò di non farlo uscire dalla porta, appoggiando delicatamente una mano sul suo petto.
-“Perché?” Gettò lo sguardo oltre al bancone e trovò dei volti esterrefatti nel senso negativo del termine.
-“Jack?! Ma cosa ci fai qui, tu..?” Jack rabbrividì riconoscendo quel timbro.
-“No, Mitsuko, posso spiegarti tutto…”
-“E quella è la mia camicia, ma come ti permetti di mettere mano sulle mie cose?!” Toshio non ci vide più, e Hitomi fu costretta a fermarlo dal creare ulteriore tensione con il ragazzo, che, a sua volta invece, si stava dirigendo verso Asatani.
-“Fammi capire: sparisci, non chiami, torni, non avvisi e ti intrattieni pure qui per la notte?! Ma pensi di prendermi in giro?!” Gli occhi della poliziotta erano lucidi, ma la voce non si ruppe nemmeno per un istante.
-“No, non è così… Ti prego, avrei voluto chiamare, ma-”
-“Ma hai pensato bene di non farlo, avevi altre priorità. Ero preoccupata per te!” In quel momento si accorse di un innaturale rossore su una delle sue guance e, seppure ne avesse tutte le intenzioni, non ebbe la forza di tirargli uno schiaffo per quell’ennesimo affronto: era rossetto. I sentimenti della giovane donna furono traditi. Dall’altra parte, lui non capiva il motivo di tale rabbia, non si era nemmeno reso conto della sfumatura presente sul suo viso. “Nemmeno una chiamata per dirmi che stavi bene… va’ al diavolo.” Uscì sbattendo la porta del locale, lasciando il ragazzo in una silenziosa rassegnazione, spezzata dal detective Utsumi.
-“Sei proprio un disgraziato, ti pare il modo di trattare le persone? E quella camicia è mia..!”
-“Gliela ricompro pure nuova se vuole, ma ora mi lasci stare.”
-“Toshio, è colpa mia, aveva bisogno di un abito pulito e gli ho prestato quello che avevi lasciato qui tempo fa.” Intervenne  Hitomi per far calmare il fidanzato, anche se, in principio, l’idea era stata tutt’altro che sua e ne fu contraria fin dal primo momento. “Vieni, andiamo a fare una passeggiata per sciogliere i nervi.” Jack le fece un cenno con il capo, a mo’ di ringraziamento muto, per avergli evitato un nuovo grattacapo.
-“Sì, Hitomi, è meglio.” La coppia uscì e lasciò sola Rui a sorvegliare il locale, la quale si dispiacque per Jack, che si appoggiò al muro dietro di sé e si tenne la fronte, come se fosse in preda ad un forte mal di testa.
-“Perché non mi ascolti mai, eh? Avevo detto di voler andare a casa.” Le chiese, con tono quasi arrendevole.
-“Eri stanco, dovevi riposare. Potevo forse lasciarti andare in strada di notte in quelle condizioni?” Si giustificò la donna.
-“Sì, sempre meglio di farmi dormire nel tuo letto, insomma… che figura.” Ridacchiò nervosamente, quasi, a pronunciare quelle parole.
-“Ma quale figura e figura, non mi hai dato alcun fastidio.” Rui si avvicinò e prese il volto del ragazzo in una mano e, quasi con intenzione di carezza, cercò di cancellare l’ormai pallido segno rosso che gli aveva lasciato la notte precedente, senza che lui se ne accorgesse. “Anzi, sei proprio carino mentre dormi.” Gli fece un occhiolino.
-“Uff, brava, prendimi pure in giro.” Alzò gli occhi al cielo.
-“Ammetterai che la situazione è stata abbastanza divertente, soprattutto considerando che hai dormito pressappoco quindici ore.” Lewis si imbarazzò ancora di più.
-“Solitamente è tanto se le dormo in tre giorni, tutte queste ore.” Ormai non poteva far altro che ridere di se stesso. “Altro da aggiungere al mio increscioso spettacolo comico?”
-“Forse, sì.” La donna fece combaciare il suo corpo a quello del ragazzo, mettendosi quasi faccia a faccia e si appoggiò a lui. Jack, da parte sua, le appoggiò una mano per cingergli il fianco, così definito e da una sinuosa curva da mozzare il fiato. “È stato un vero peccato che tu non sia rimasto sveglio neanche per un po’, sai?” Quelle parole gli fecero correre lungo la schiena uno strano brivido bollente.
-“Sei proprio sicura che non mi sia svegliato nemmeno una volta?” Lei sorrise e, con le dita che passeggiavano dal petto del suo ospite verso il collo, posò dei tocchi delicati sulla sua pelle coperta dal tessuto leggero di una camicia diventata quasi di troppo.
-“Allora spero che lo spettacolo ti sia piaciuto.” L’immagine di Rui addormentata e senza veli sotto alle lenzuola gli balzò d’improvviso alla mente e non poté far altro che deglutire a tale pensiero proibito. “Ma forse dovresti concentrarti di più per farti perdonare da Asatani, tu che dici?” La sua voce dal tono basso si fece improvvisamente intrisa di sarcasmo e malizia.
-“Ah, non ti basta avermi incastrato, per così dire, a dormire da te, ora fai anche la gelosa? Proprio tu?”
-“Al contrario, adoro quando le questioni si fanno così complicatamente interessanti.” Gli lanciò quasi un affilato sguardo di sfida. La competizione, in qualche modo, sembrava eccitarla. Jack cercò di resistere, a stento, a quelle provocazioni.
-“Ehm, bene, sì, andrò da lei, ma non subito. Quella donna non è solo arrabbiata, ma anche armata e pericolosa, come si suol dire, no?” Rui rise appena, divertita da quella battuta.
-“C’è chi ha una pistola e chi ha gli artigli… non sottovalutarla mai, una donna.” Si staccò da lui, senza spezzare il filo invisibile che univa i loro occhi: Soprattutto se innamorata, pensò, senza dirlo ad alta voce. “Stai molto attento.”
-“Quanta saggezza in una sola persona... È meglio che vada, ora.” Prese la direzione dell’uscita, ma si fermò prima di andarsene. “Ah, temo che io non sia l’unico a dovermi far perdonare da qualcuno: Ai aspetta risposte sul perché mi abbia trovato nel tuo letto, è stata lei a svegliarmi e non è molto contenta.”
-“Ai ti ha visto? E tu cosa le hai detto?”
-“Beh, la verità. Riporterò gli abiti di Toshio non appena saranno lavati, grazie di tutto.” Sollevò la mano a mo’ di saluto. Rui sospirò e si appoggiò nello stesso punto in cui poco prima era costretto il ragazzo. Dovette aspettare il ritorno di Hitomi prima di recarsi nella cameretta di Ai a dare spiegazioni: il locale, seppur deserto, non poteva essere lasciato incustodito nemmeno per un istante.
 
Il tramonto si apprestava a colorare i grigi palazzi di città nipponica e Asatani stava scendendo, a testa bassa, le scale davanti all’entrata del distretto di polizia. Camminando con la borsetta tenuta davanti a sé a due mani, i pensieri la spingevano a guardarsi le punte dei piedi, tanto che non si accorse che qualcuno la stava aspettando poco più in là.
-“Ehi, Mistuko.” Alzò finalmente gli occhi e si trovò davanti a sé una sagoma in controluce, di cui vedeva i chiaroscuri del viso e del corpo delineati dal sole. Lo vide, e quasi le prese un colpo: nei suoi abiti casual che gli stavano perfettamente, i capelli ordinati, seppur più corti e scuri di quanto ricordasse, una mano in tasca che faceva cadere parte della giacca aperta sul suo fianco. A quella vista, non riuscì a parlare. “Mi piacerebbe accompagnarti fino a casa, se sei d’accordo.”
I passi scanditi nella sera accompagnavano il suono di parole di scuse e di spiegazione.
-“Quindi ti hanno solo ospitato per via della tua stanchezza e tu ti sei addormentato per sbaglio mentre ti stavano medicando?” Jack si grattò la nuca.
-“Ammetto che è abbastanza surreale detta così, però sì, non c’è stata alcuna intenzione di qualunque tipo tu possa immaginare.”
-“Mmh, ho capito.” Continuava a fissare il pavimento sotto i suoi piedi.
-“Ti avrei chiamata appena tornato a casa, ma ora sai com’è andata.”
-“Sì, va bene.” La sua rabbia non si era ancora del tutto dissipata e Jack lo percepiva.
-“Che cosa posso fare per farmi perdonare?”
-“Lasciarmi da sola a pensare per qualche tempo, tanto per cominciare.” Si fermò, era infatti arrivata davanti alla porta di casa, e mentre stava per inserire la chiave nella serratura, si bloccò di colpo a fissare dritto davanti a sé. Il ragazzo era dietro di lei.
-“Va… tutto bene?” Chiese, confuso.
-“A dire il vero, c’è qualcosa che puoi fare.”
-“Dimmi, ti ascolto.”
-“Rispondi a questa domanda.” Si girò e lo guardò negli occhi. “Di che cosa avete parlato tu e il Capo, quella volta al distretto?” Lui alzò un sopracciglio, per via della domanda che non si aspettava. “Quando ti abbiamo arrestato, ti sono bastati pochi minuti con lui e ti ha lasciato andare. Voglio sapere il perché.” Jack si prese qualche secondo di tempo per pensare, in fine annuì.
-“Sì, meriti di sapere la verità. Ma non posso dirtela qui fuori, c’è bisogno di un posto sicuro.”
-“Che ne dici di casa mia?” Lo mise alla prova, lui sorrise imbarazzato.
-“Una persona intelligente non dovrebbe fare lo stesso errore due volte, specialmente in così poco tempo.”
-“Oh beh, allora ci vediamo in giro, Jack.” Si voltò dalla parte opposta con fare offeso e aprì la porta. Sentì un profondo sospiro alle sue spalle.
-“E va bene, ma niente cena, niente ospitalità, niente altro che qualche minuto per spiegare.” La ragazza nascose bene un sorriso compiaciuto per aver ottenuto ciò che voleva e lo invitò all’interno.
-“Comincia pure.” Non gli rivolse nemmeno lo sguardo, mentre sistemava la sua borsetta su un appendiabiti vicino all’entrata. Era la prima volta che Jack la vedeva così seria e sicura di se stessa, e la cosa gli piacque molto.
-“Bene, quello che ti dirò ora non deve uscire da questa stanza.” Mitsuko si avvicinò con aria scontrosa, non voleva mollare il suo modo di fare deciso.
-“E per qual disgraziato motivo?”
-“In questo momento, io non sto parlando con Mitsuko, ma con la detective Asatani. Con la te poliziotta, è chiaro?” Il volto dell’uomo si irrigidì fino a diventare di una serietà che sconcertò la ragazza, quasi mettendola in soggezione. La sua maschera rischiava di cadere.
-“Che… che cosa vuoi dirmi?” Con la mano destra, Jack spostò la giacca che superava in lunghezza la cintura dei pantaloni, permettendo di farle vedere una fondina nera sbucare dal nulla. Per un attimo la donna sbiancò, alla vista dell’arma. Lui rimase impassibile.
-“Ho intenzione di dirti chi sono davvero.”

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Capitolo 22
*** Il vero poliziotto ***


-“Ah, insomma, perché Asatani non è ancora arrivata? Occhi di Gatto colpirà  tra meno di mezz’ora, maledizione!” Toshio, solo nella sua volante, decise di uscire per fumare una sigaretta, in attesa della collega estremamente in ritardo, che vide arrivare di corsa. Si era innervosito parecchio.
-“Eccomi, Utsumi, andiamo!”
-“Si può sapere dov’eri finita?” Gettò a terra con stizza il mozzicone non ancora finito, rimproverando la poliziotta. “Forza, non perdiamo altro tempo.” Salirono sulla vettura dalle sirene accese e il brevissimo percorso da fare in auto per arrivare al museo sembrò dilatarsi, fino a diventare pesante. “Non è da te arrivare così tardi per Occhi di Gatto, che diavolo ti è preso?”
-“Ho avuto un contrattempo improvviso.”
-“Sì, sì, certo! Sei fortunata che avevo già disposto gli agenti di guardia, altrimenti la banda avrebbe potuto piazzare qualche strano marchingegno per fregarci di nuovo!”
-“Per una volta non hai tutti i torti, scusami.” Quella sorta di ammissione sorprese il ragazzo alla guida.
-“Eh? Sei davvero strana oggi… Potresti ripetere?”
-“Pensa a guidare, che è meglio.” In quegli ultimi tratti di strada, la donna ripensò per filo e per segno a quello che poco prima le era successo:
 
La giovane ispettrice si trovava nel suo appartamento, in una posizione difficile. Indietreggiò e posò a sua volta la mano sulla sua pistola, posta al proprio fianco destro nella fondina.
-“Che stai facendo?” Si chiesero, in coro.
-“Alza le mani, Lewis, lentamente.” Lui sembrò confuso a quelle parole.
-“No, Mitsuko, non hai capito.” Provò a smorzare il tono per non allarmarla. Sfilò l’arma dalla sua custodia e la appoggiò al tavolino che si trovava al centro del salotto, rendendosi così disarmato. Dalla stessa cintura, estrasse un oggetto che rifletteva in parte la luce della stanza, il quale fu mostrato alla poliziotta, che ne rimase esterrefatta.
-“Un… un distintivo?” Lo prese in mano quasi sgarbatamente, e lesse l’acronimo: “Agente speciale Lewis, dell’ISA. Santo cielo, la International Security Agency?! È quasi impossibile farne parte… E tu..?”
-“Esattamente, e tu te lo ricordi bene: hai partecipato al nostro concorso speciale qualche tempo fa, quando eri negli Stati Uniti, non è vero?”
-“Sì, ma… tu come lo sai?” La confusione non le permetteva di ragionare razionalmente.
-“Facevo parte della commissione di analisi dei punteggi ottenuti nelle varie prove, mi ricordo di te perché eri l’unica dal nome giapponese e una delle pochissime ad aver superato tutti i test. Quello che mi è dispiaciuto di più è che, nonostante tu fossi risultata idonea al nostro tipo di servizio, abbia deciso di rifiutare l’offerta all’ultimo momento. Saresti stata un ottimo innesto nel nostro team.”
-“Già, mi dispiace…”
-“Non devi dispiacerti. È stata una tua scelta, e poi hai ancora un anno di tempo per accettare, se cambiassi idea.”
-“Era una grande opportunità, ma non me la sono sentita. Mi erano arrivate voci di un detective che non riusciva a catturare una banda di ladre imprendibile, qui nel mio Paese. Ho voluto indagare per confermare o smentire i miei sospetti nei suoi confronti e, alla fine, quasi senza rendermene conto, sono diventata la sua partner.” Fu quasi imbarazzata nel pronunciare quelle parole. Lui si limitò ad annuire.
-“Sospetti su Toshio Utsumi?”
-“Sì, esatto, e successivamente sulle tre sorelle Kisugi. Salvo poi rendermi conto che è un imbranato di natura, ma tiene davvero a ciò che fa.” Sorrise nel pronunciare quelle parole, mentre dall’altra parte il ragazzo pensava a come dissuaderla dal seguire l’esatta pista verso Occhi di Gatto.
-“Sulle sorelle invece, a cosa pensi?”
-“Che rientrano perfettamente nel profilo che mi sono creata delle ladre, anche se… più di qualche volta hanno avuto degli alibi solidi durante i furti. Una sera addirittura sono state sotto ai miei occhi, mentre la rapina si svolgeva. Eppure l’istinto mi porta sempre da loro, non so spiegarlo.” Jack assottigliò gli occhi per scrutarla.
-“Anch’io una volta ero con loro al momento di un furto, però capisco cosa intendi. Hai fatto bene ad indagare, comunque, l’importante è sempre seguire una pista in base alle prove e mai le prove in base ad una pista, ricordalo. In questo caso, hai fatto la scelta giusta a rinunciare: quando un vero poliziotto fiuta una strada, deve verificarla ad ogni costo, anche a discapito di una grande occasione. La ricerca della verità è ciò che conta di più in questo lavoro.” Il ragazzo sentiva i brividi lungo la schiena per l’ipocrisia che sentiva di aver sviluppato: lui sapeva, conosceva quella verità che Mitsuko cercava. Ma tacque. Non era nuovo a farlo.
-“Anche se prende un abbaglio?”
-“Sì, anche se prende un abbaglio.” Ripeté le stesse parole, per rafforzarne il senso. Asatani si fermò a pensare per un secondo.
-“Quindi… quindi è questo che hai detto al Capo? Che sei un agente speciale?”
-“Sì, è così. Non potevo permettermi di essere arrestato e aspettare un’indagine infinita, anche se si fosse conclusa nel momento in cui fossi stato scagionato. Ho tenuto fuori te e il tuo collega perché del detective Utsumi non mi fiderei nemmeno se dovessi affidargli una pianta da annaffiare in mia assenza. Un po’ come eri diffidente tu, d’altronde.”
-“Lo comprendo. Nonostante tutto, devo dire che è un bravo poliziotto. Non il migliore, certo, ma bravo.”
-“Ti credo, ed è un bene che sia così. Ma lui non deve comunque saperne assolutamente niente, mi sono spiegato? Nessuno deve sapere di questa conversazione tra noi due.” La guardò con volto serio.
-“Sì, sì, ho capito.”
-“Bene. La fortuna è stata dalla mia parte e ha voluto che tu, agente di polizia adatta ai criteri dell’ISA, fossi qui, proprio dove sto operando ora, quindi saresti un appoggio importante per me. La domanda che ti pongo adesso è: vuoi aiutarmi con il mio bersaglio?” Mitsuko lo guardava incredula: quelle informazioni erano troppe e complesse da metabolizzare in così poco tempo. Doveva prendere una decisione. Raccolse tutta la convinzione di cui disponeva: una parte di lei avrebbe voluto mantenere la rabbia nei confronti del mare di bugie in cui fino ad allora aveva nuotato; dall’altra parte, si rendeva conto che consegnare quella verità così pesante e delicata era un atto di estrema fiducia, e, per lei, una prova di responsabilità. Prese coraggio.
-“Sì. Di che cosa si tratta?”
-“Di qualcosa di molto più grosso del solo furto di opere d’arte. Ascolta bene.”
 
-“Tutti ai vostri posti, dobbiamo difendere il quadro ‘Notturno sul Lago’ con ogni mezzo possibile, sono stato chiaro?!”  Toshio suonò la carica in quel salone che, da solo, costituiva la più considerevole porzione di quel piccolo museo privato di arte contemporanea.
-“Signorsì!” Risposero in coro tutti i poliziotti di guardia.
-“Questa volta le acciufferemo di sicuro: il museo è al settimo piano di questo palazzo e ogni livello ha una sorveglianza estremamente rigida, soprattutto quello terra. Ovunque passerete, ci sarà una schiera di agenti pronti a catturarvi!”
-“Già, questa volta ti sei superato con il numero di agenti di guardia, spero solo che siano disposti alla perfezione. Sei sicuro di riuscire a gestirli tutti al meglio? A volte la qualità della strategia è di gran lunga più proficua della quantità di forze spiegate.” Chiese, dubbiosa, Mitsuko.
-“Ma che domande, certo che sì! Ho dovuto penare per convincere il Capo, ma come si dice: più siamo e meglio è, non è vero agente?” Si girò verso il poliziotto di guardia più vicino al dipinto, che aveva gli occhi parzialmente coperti dal berretto.
-“Signorsì!” Rispose con la voce rauca e convinta, accentuando la posa di guardia.
-“Visto? Mai come ora siamo in netta maggioranza, sfruttiamo questa occasione! Manca meno di un minuto, voglio tutti pronti!” Il silenzio più assoluto scese nella grande sala. In pochi secondi, dei leggerissimi passi si fecero appena sentire, e Toshio avrebbe volentieri voluto strofinarsi le mani per il sentore di vittoria. “Eccoti, ladra!”, pensò, “Questa volta non puoi scappare.”
Improvvisamente, le luci si spensero e quel suono di passi si trasformò in una corsa ben udibile a tutti i presenti, che si agitarono subito.
-“Squadra A, seguite questo rumore, presto!”
-“Sì, ma… non vediamo nulla, capo!”
-“Insomma, siete degli incapaci! Andate!” Alla riaccensione delle luci, di istinto tutti si girarono in direzione del quadro, per notare con stupore la presenza della sola cornice, priva di tela.
-“Squadra A, andate dove si sono sentiti i passi! Squadra B, setacciate questo piano con me, ogni porta, ogni finestra, ogni fessura, tutto!” Prese in mano il walkie talkie che lo manteneva in contatto con il gruppo del piano terra e quello dei piani intermedi. “Squadra D, le ladre sono nell’edificio, non fate uscire nessuno!” Non ricevette alcuna risposta. “Squadra D?! Mi sentite?!” Solo un’interferenza usciva dal piccolo altoparlante. “Maledizione! Nemmeno la Squadra C mi sente?! Ehi!”
Mitsuko si fermò un momento per analizzare la situazione, prima di scegliere la mossa successiva, quando notò l’agente a cui poco prima Toshio aveva fatto la domanda: stava andando da solo verso una porta ignorata dal resto degli agenti.
-“Ehi, lei, dove va? Quella porta dà sulle scale verso il tetto del palazzo, che vuole fare?”
-“Lo so, ma ho come l’impressione che sia necessario controllare anche lì, non solo ai piani inferiori. Mi autorizza, detective?”
-“Ha ragione! Sì, vada pure, avvisi se trova qualcosa.” L’agente annuì e corse verso quella direzione.
-“Asatani, muoviti, da questa parte!” La incalzava Toshio a seguire il resto dei presenti. Solo per un attimo, Mitsuko eseguì l’ordine, salvo poi avere un’illuminazione.
-“No, Toshio, il tetto! È andata sul tetto!”
-“Come, quando?! L’hai vista e non hai detto nulla?!”
-“No, era vestita da agente, ne sono abbastanza sicura!” L’ispettrice corse verso la direzione delle scale che l’avrebbero portata al livello superiore, accompagnata dal suono delle imprecazioni del detective Utsumi, contrariato da quell’iniziativa.
-“Che stai dicendo, chi? Quale agente? Asatani, vieni qui!” La seguì con netto ritardo e lei non si fermò per dare spiegazioni, troppo prezioso era il suo fiato per correre verso il suo sospetto. Arrivata alla cima delle scale del tetto, trovò gettata a terra una divisa da agente di polizia. Guardò dritto verso il ciglio dell’edificio, giusto in tempo per vedere davanti a sé una sagoma in tuta blu notte e capelli sciolti saltare nel vuoto con delle ali artificiali dalla forma di un deltaplano. La figura sinuosa prese il volo tra le correnti di vento e sparì in lontananza verso l’orizzonte buio.
-“Dannazione, dannazione! Non è possibile!” Tirò un calcio all’aria per la stizza. Quelle parole irruente, tipiche del carattere di Toshio, vennero invece pronunciate dalla sua collega, la cui rabbia ribolliva dalla testa ai piedi. “Dovevo capirlo che era un travestimento!” Utsumi non era preparato a rispondere a tale sfogo, in quanto era lui che solitamente lasciava uscire dalla gola tale frustrazione.
-“Non fare così, è colpa di tutti, dovevamo fare di più!” Provò a balbettare.
-“E invece no, era fin troppo palese e me la sono lasciata scappare! Forse dovrei semplicemente accettare il fatto che come poliziotta mi sono sempre sopravvalutata.”
-“Ma che diavolo stai dicendo?! Sei completamente impazzita! Non è la prima volta che ci sfuggono, forse non sarà nemmeno l’ult-!”
-“Appunto, fai silenzio! Non è normale fallire in questo modo. Domani mattina darò le mie dimissioni.”
-“Ecco, brava, allora sì hai ragione a definirti una pessima poliziotta!” Quella frase la colpì al centro del suo orgoglio.
-“Come osi, Toshio?! Proprio tu che le hai perse-?!”
-“Sì, sì, proprio io! Il vero poliziotto a volte può fallire, ma se si arrende prima di aver fatto giustizia allora non deve avere nemmeno il coraggio di definirsi tale!” Arrabbiatosi anche lui, per via di quell’impulsivo discorso e dell’ennesima sconfitta subita, se ne andò via imbronciato. “Ma guarda te che discorsi sono costretto ad ascoltare, robe da matti!”
D’altro canto invece, Mitsuko aveva colto il profondo senso di ciò che aveva appena pronunciato il detective, forse di più di quanto lo avesse capito il suo stesso collega: “Ho rinunciato al quel lavoro prestigioso  per venire qui e mettermi alla prova con Occhi di Gatto. Ma se non riesco nemmeno a catturare delle ladre d’arte, come avrei mai potuto gestire gli incarichi speciali dell’ISA?” Pensò, camminando verso il ciglio del palazzo, ad osservare le ultime luci della città che si addormentava. “Come potrò aiutare Jack nella sua missione? Non posso deludere anche lui.” Passò qualche minuto e scosse la testa, per scacciare quei dubbi. “No, non posso mollare. Accetterò l’incarico dell’ISA solo quando catturerò Occhi di Gatto, è una promessa.” Sospirò, e rimase a prendere una lunga boccata d’aria, tra i mille pensieri, prima di decidere di tornare a casa da quell’infinita giornata.
 
Per una parte che si cullava nella delusione, l’altra si godeva la vittoria: un nuovo tassello era stato aggiunto all’enorme puzzle e le tre ladre, in viaggio in macchina verso la loro dimora, si coccolavano la tela del padre appena rubata.
-“Questo Notturno è davvero stupendo.” Lo contemplava attentamente Ai, seduta nei sedili posteriori.
-“Sì, è vero.” Rispose Hitomi, guardando fuori dal finestrino del passeggero. “Il piano stava andando tutto liscio come l’olio, peccato per Asatani, che è sempre una spina nel fianco.”
-“Il mio diversivo non ha funzionato abbastanza con lei? Ho sbagliato qualcosa?” Chiese la sorella minore.
-“No, era perfetto, Ai, sei stata bravissima.” Rispose Rui, che guidava la vettura.
-“Esatto, semplicemente invece di eseguire l’ordine di Toshio, ha deciso bene di corrermi dietro. Per fortuna avevo un buon vantaggio.”
-“Non è fortuna, è stato merito dell’ottimo piano. Ma sappiamo per certo che finché ci sarà lei in polizia, avremo sempre una difficoltà in più in tutto. Fa parte del gioco, sorelline.”
-“Guardiamo il lato positivo, almeno i nostri colpi sono sempre meno noiosi, con lei nei dintorni.” Commentò la più piccola, entusiasta della cosa.
-“Non scherzare, Ai. Preferisco mille furti noiosi rispetto al rischio di farci catturare ogni singola volta.” Hitomi la ammonì.
-“E va bene, uffa, era per dire...”
-“Però un aspetto buono in tutto questo c’è, a dire il vero.” Rui sorprese le due sorelle ed ebbe la loro attenzione.
-“E cioè quale?”
-“Avere una degna rivale aiuta a dare il meglio di noi, nei nostri furti così come nella vita di tutti i giorni.” Il suo sorriso sornione interrogò a lungo le sorelle durante quel viaggio di ritorno: chissà, infatti, a cosa si riferiva davvero l’enigmatica sorella maggiore.

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Capitolo 23
*** 24 ore da Ladro ***


Il sole sorse e con lui anche i lavoratori stacanovisti della città, alla ricerca di ristoro per sonno perduto in una tazza di caffè. Il Cat’s Eye era tornato affollato come prima che le proprietarie partissero per il viaggio all’estero e il suono della porta che si apriva era diventato quasi un piacevole concerto. Non era ancora l’ora di punta della mattinata, quando il solito, giovane ragazzo biondo fece sentire il suo saluto dopo aver fatto il suo ingresso al locale.
-“Buongiorno.” Accennò un gesto con la mano verso il bancone.
-“Buongiorno, Jack.” Rui era pronta ad accoglierlo, ma con sorpresa vide che, invece che andare verso di lei per ordinare, si diresse verso il tavolino più appartato, sul quale appoggiò immediatamente dei fogli tirati fuori da una valigetta in pelle color terra d’ombra bruciata. La cosa stimolò a dir poco la sua curiosità e non esitò nell’avvicinarsi con la pretesa di ricevere l’ordinazione. Si chinò furtivamente verso di lui che, distratto dalla sua lettura, non si era nemmeno accorto della presenza alle sue spalle. “Già a lavoro a quest’ora?” Gli chiese con sorriso cordiale. Lewis si girò a guardarla e rispose prontamente.
-“Beh, detto da te.” Sorrise, scrutando in modo plateale il grembiule indossato dalla donna.
-“Touché. Allora, cosa ti porto questa mattina?” Appoggiò una mano sullo schienale della sedia, attendendo risposta.
-“Un espresso, ma non subito, sto aspettando una persona.”
-“Certo, come vuoi.” Le caddero gli occhi sui documenti che stava sfogliando e lui lo notò, ma non se la prese.
-“Non serve che sbirci, ce n’è anche per te in questa plico. Appena finisco qui, vi mostrerò delle cose interessanti.”
-“Oh, va bene, scusami.” Non era abituata ad essere colta sul fatto e Jack, in qualche modo, ci riusciva quasi sempre. Tornò quindi alla sua postazione per ricevere gli altri clienti. Passò poco tempo prima che Mitsuko oltrepassasse la soglia e salutasse i presenti e le due sorelle più grandi, per poi dirigersi al tavolino occupato da Lewis, sedendosi di fronte a lui. Gli espressi da portare diventarono due e arrivarono in pochi minuti.
-“Secondo te di che cosa stanno parlando? Niente di buono su di noi, sicuramente…” Chiese Hitomi, intenta a pulire delle posate.
-“Non lo so per certo, ma nei fogli ho visto che c’erano delle informazioni riguardo alla Gatta Nera, e delle immagini che non sono riuscita a vedere. Non credo che Asatani sappia che le bande da ricercare siano due, ma non ci giurerei.”
-“A meno che il tuo amico non le abbia già spifferato più del necessario, sono sempre insieme dopotutto.” Il tono dispregiativo assunto nel pronunciare la parola ‘amico’ infastidì sensibilmente Rui.
-“Si può sapere che problemi hai nei suoi confronti? So che non ti va a genio, però quando fai così esageri.”
-“Che problemi ho? Rui, perdonami, hai fatto entrare non solo nella nostra vita, ma  anche nella nostra casa una persona di cui sappiamo solo che potrebbe tradirci da un momento all’altro, visto che sa chi siamo. Non vedi come sta facendo coppia con Asatani? Di solito ordina la Miscela Occhi di Gatto, è capace di aver preso un espresso solo perché lui lo prende sempre!” In quel momento, le due sorelle si girarono a guardarli e poterono notare la faccia allibita della detective che per la prima volta assaggiava un caffè ristretto, accompagnata dal sorriso ironico di Jack, che la prendeva dolcemente in giro. Quella scena comica non riuscì a smorzare per più di un attimo la discussione che stava tenendo banco.
-“Ha salvato la tua, oltre che la mia vita, ci ha portato finalmente una nuova pista su nostro padre e tu mi parli di caffè? Cos’altro dovrebbe fare per avere un minimo della tua fiducia?” Cercò di non alterare il tono più del dovuto, per quanto le risultasse difficile.
-“Questo non ti autorizza a rivelargli chi siamo, cosa facciamo e soprattutto di portartelo a letto!” La voce si alzò troppo per i gusti di Rui, che non aveva intenzione di accettare tali parole.
-“Intanto ti ricordo che stiamo lavorando, e che non devi parlarmi in questo modo. In più, anche se fosse successo qualcosa, su quel letto, tu, Hitomi, non sei autorizzata a dirmi come dovrei gestire le mie relazioni, hai capito?” Rispose con voce autoritaria, ma non urlata. “E non ti azzardare a lasciare questo bancone solo perché sei nervosa, è chiaro?” Aveva già intravisto la sua intenzione di togliersi il grembiule e ritirarsi nella sua stanza. In lontananza, si accorse che Jack aveva consegnato parte dei documenti alla poliziotta, che con un inchino lo salutò prima di dirigersi al distretto. Il ragazzo, invece, raccolse i fogli rimasti e si alzò per pagare.
-“Va bene, scusami.” Hitomi provò a calmarsi.
-“Ciao, ehm… è il momento sbagliato?” Si accorse immediatamente dell’aria pesante che tirava, mentre era intento ad appoggiare i soldi esatti sul bancone.
-“No, affatto.” Hitomi prese parola. “Buona giornata.” Lo liquidò in fretta, senza rivolgergli lo sguardo.
-“Veramente io… dovrei… parlarvi?” Pronunciò la frase come se fosse stata una domanda, cercando qualche generica spiegazione nello sguardo teso di Rui.
-“Certo. Potremmo parlarne stasera, per favore? Abbiamo molte persone da servire questa mattina.”
-“Certo, naturalmente.”
 
In quella giornata piena di lavoro, le ore passarono rapidamente e anche la sorella minore era tornata da scuola anzitempo per ascoltare le importanti novità che riguardavano la loro vita notturna. Raccolti, ormai quasi come di consueto, nel salotto della casa, c’erano ora tutte e tre. Il ragazzo non perse tempo e tra i fogli ben ordinati ne tirò fuori uno dalla cartella.
-“Ecco qui, lo riconoscete?” Appoggiò sul tavolo del salotto un’immagine che Ai raccolse senza esitare.
-“Santo cielo, questa pietra è enorme!” Poté constatare grazie alla foto del gioiello accostato ad un piccolo metro in legno che ne segnava virtualmente le dimensioni.
-“Sei sicuro che sia quella originale della collezione Heinz? Per lunghi anni sembrava oramai impossibile da ritrovare.” Domandò Rui.
-“Al cento per cento. Questo è il vostro Diamante Nero perduto.”
-“Credevo che fosse praticamente una leggenda, non abbiamo mai trovato uno straccio di prova per ritrovarlo.” Commentò Hitomi, piacevolmente sorpresa.
-“Sei proprio forte, Jack, grazie!” Ai lo abbracciò per la contentezza, lui sorrise e ricambiò la stretta in modo più controllato.
-“In realtà sono stato solo tempestivo e anche un po’ fortunato. Grazie a ciò che ho trovato nel Circolo, ho scoperto che ci sarebbe stata una nuova asta illegale, camuffata molto bene, poche sere fa. Il modus è sempre lo stesso: oggetti d’arte perduti da anni vengono improvvisamente venduti al miglior offerente, al quale poco importa della matrice criminale dietro a queste misteriose sparizioni. In questo caso, parliamo di un noto imprenditore di Tokyo, tale Signor Murakami, si è assicurato questo meraviglioso gioiello per una cifra a dir poco esorbitante. Per l’occasione, terrà una sorta di festa strettamente esclusiva in cui verrà presentato l’acquisto come la punta di diamante della sua collezione privata, passatemi la battuta.”
-“Non molto prudente far girare uno sciame di persone attorno ad un gioiello così prezioso, specialmente se acquisito in maniera molto sospetta, non trovate?” Osservò la piccola.
-“Beh, onestamente dubito che farà a meno controlli serrati, inoltre si entra solo su invito: ed io ci sarò.”
-“Sei riuscito a farti invitare?” Hitomi e le altre ne furono sorprese.
-“Sì, diciamo così. Vedete questa foto che vi ho mostrato? L’ha scattata Hayami Nakano, la mia amica fotografa, che ha realizzato uno stupendo servizio fotografico per la presentazione di questo pezzo. Il Signor Murakami ne è stato talmente entusiasta che le ha dato degli inviti extra per eventuali amici o colleghi. Ne ha riservati alcuni in più per me…” Li sventolò davanti al proprio volto.
-“E perché lo avrebbe fatto, non poteva tenerseli per sé quelli in più?” Chiese incuriosita Hitomi.
-“Mi ha detto che a lei ne sarebbero serviti solo due, per se stessa e… un cavaliere.”
-“Fammi indovinare.” La sorella di mezzo era molto divertita  da quella conversazione, poiché sembrava in parte legittimare la sua posizione nei confronti di Jack e nella discussione avvenuta poco prima. Il ragazzo colse il punto.
-“Sì, l’accompagnatore dovrei essere io.” Non fu compiaciuto nel pronunciare quelle parole.
-“E tu ovviamente non potevi rifiutare, dico bene?” Rui sembrò leggermente infastidita ad un orecchio attento.
-“No, non potevo, dato che ci sarà anche la Gatta Nera alla festa.” Le ragazze sbarrarono gli occhi a quelle parole.
-“Maledizione, ci mancava solo lei.” Hitomi alzò gli occhi al cielo.
-“È una ladra solita ad usare le armi e voglio impedire che questo succeda in mezzo a così tante persone, e posso farlo solo anticipando le sue mosse.” Posò due biglietti sulla superficie di legno, senza distogliere lo sguardo dalla sorella maggiore. “Per questo sarò io a rubare il diamante.” Totalmente spiazzate, le tre ladre si agitarono di colpo.
-“Ma tu ci prendi in giro? Pensi davvero che chiunque possa fare quello che facciamo noi? Tu non sei un ladro, neanche lontanamente.” Hitomi aveva raggiunto il limite.
-“Lo dici quasi come se fosse una cosa negativa.” Ribatté piccato il ragazzo.
-“Non è questo il punto!”
-“Smettila, Hitomi, lascialo parlare.” Intervenne Ai.
-“No, ha ragione, non sono un ladro. Ma posso essere molte altre cose.”
-“Dacci solo un motivo per cui non dovremmo svolgere noi stesse il colpo.” Interruppe tutti Rui.
-“Perché ho identificato la Gatta Nera.” Il silenzio si fece padrone della stanza. “Se ho ragione, questa volta ha fatto il passo più lungo della gamba ed io sarò lì a braccarla.” La donna ragionò su quella proposta, prima di esprimersi. “Pensateci: voi avrete il gioiello senza alcun sforzo ed io avrò in pugno una criminale pericolosa che cerco da tempo, la quale è anche vostra rivale. È tutto a vostro vantaggio.”
-“Va bene. Però Hitomi ha ragione, sei un ragazzo in gamba, non un ladro: che hai intenzione di fare? Ti serve un piano, lasciati aiutar...” Lui sorrise e interruppe il discorso.
-“Il mio piano è già pronto, anzi, vi dirò di più.” Indicò gli inviti che aveva precedentemente posto sul tavolino. “Voi assistere in prima fila allo spettacolo.” Dalla mano che aveva il dito puntato, precedentemente vuota, fece comparire un biglietto firmato Occhi di Gatto con un gesto naturale e veloce, per poi farlo scomparire nuovamente, destando curiosità in Ai e incredulità nelle altre due sorelle. “Voi credete nella magia, signorine Kisugi?”
-“Come… come hai fatto?” Lui sorrise per quella reazione così sorpresa di Hitomi.
-“Un trucchetto che ho imparato da un collega vostro concittadino. Ad ogni modo, ogni mago per riuscire nelle sue imprese necessita dell’aiuto di un’assistente. Ai, che ne dici di essere mia complice con le tue conoscenze tecniche ed elettroniche?” Le si illuminarono gli occhi.
-“Non vorrai mica coinvolgerla in questo tuo delirio, vero?”
-“Sarà la persona più al sicuro di tutte, comprese quelle presenti al party, te lo posso assicurare, Hitomi. E sono sicuro che si divertirà molto di più così che in una festa per altolocati.”
-“Ti prego Rui, posso?” Era oltremodo entusiasta di quella proposta e non voleva lasciarsela sfuggire.
-“Sì, va bene, preferisco che tu sia in un posto sicuro, piuttosto che in mezzo a ricchi e viscidi uomini di mezza età. Specialmente se ciò può aiutarci a recuperare un oggetto di nostro padre.”
-“Grazie, sorellona!” La abbracciò prendendola alla sprovvista. Non era solita a quel tipo di esternazioni, ma ricambiò.
-“Ti ringrazio per la fiducia, Rui.” Rispose Jack.
-“Mi aspetto che venga ripagata, signor Lewis.” Riprese il tono ironico che il ragazzo aveva precedentemente rivolto nei loro confronti e lui accettò quella velata sfida.
-“Che ne dite di fare una scommessa?” Rincarò la dose.
-“Hai la nostra attenzione, Jack.” La sorella più scettica era ora la più interessata.
-“Se scoprirete il mio trucco, vi offro una cena, sceglierete voi dove e quando che al resto penserò io.” Stuzzicata da quell’idea, Hitomi non perse l’occasione.
-“Pensi davvero che delle ladre come noi non conoscano tutti gli stratagemmi per rubare qualcosa? Comincia a guardare le prenotazioni del Bon Goût, è da tanto che non mangio francese. È praticamente una scommessa vinta, io ci sto.” Allungò la mano per suggellare l’accordo e Lewis la strinse in modo deciso.
-“Rui?” Il ragazzo la guardò maliziosamente.
-“Stai molto attento: se sei troppo sicuro di te stesso, potresti fare dei passi falsi. Ci sto.” Rispose, sorridendo.
-“Bene, così sia.”
-“Beh, ma a questo punto… non è che hai un invito in più?” Chiese Hitomi. “Potrei portare con me Toshio come mio accompagnatore.”
-“Penso che non sarà necessario, la Gatta Nera ha già mandato il suo avviso. Questo significa che saranno presenti sia Toshio che Mitsuko, che tra l’altro non hanno idea che si tratti di un diamante acquistato illegalmente. Presto saprò come agiranno.”
-“Oh no, se Asatani ci vedrà lì saremmo le sue prime sospettate…” Fece notare Hitomi.
-“Coglierò la palla al balzo per crearvi un nuovo alibi, vedrete.”
-“C’è qualcos’altro che dovremmo sapere su questo piano?” Chiese Rui, tenendosi il viso con una mano. Jack rifletté un attimo, poi sorrise.
-“Sì. Portatevi un cappotto.” Nessuna delle presenti capì il significato di quella frase, all’apparenza così casuale.
-“Ma siamo in estate.” Rispose Hitomi, però il ragazzo si limitò a sorridere ed alzarsi in piedi.
-“Bene, buon proseguimento, ragazze. Domani puntuali alle ore 19:00 al Palazzo Murakami, vi aspetto lì. Iniziano ufficialmente le mie 24 ore da ladro.” Fece l’occhiolino in direzione di Hitomi e alzò la mano prima di prendere la via dell’uscita, accompagnato dai saluti delle sorelle.
-“Dite che fosse serio oppure ci stava prendendo per i fondelli?” Chiese Hitomi.
-“Non so cosa volesse dire, ma ho capito che non ascoltarlo è peggio.” Alzò le spalle Rui, per poi dirigersi nella sua stanza a riposare dopo la lunga giornata di lavoro.

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Capitolo 24
*** Il Diamante Nero (1/2) ***


Il tintinnio dei calici ricolmi di champagne si univano all’atmosfera raffinata, creata dalla musica jazz suonata dal vivo da una band che contava di numerosi elementi. La sala, illuminata a festa, era ancora povera di ospiti, maggiormente interessati alla presentazione del pezzo di gioielleria di inestimabile valore che sarebbe stato mostrato al mondo poco più tardi. Il proprietario di casa, il Signor Murakami, era intento a strigliare la coppia di detective ed a sbeffeggiarli, ricordando loro lo straordinario dispositivo di controllo che aveva fatto mettere a punto per quella speciale occasione. In quei momenti, il piccolissimo gruppo di presenti fu rapito da una visione che parve a tutti stupefacente: bellissima in abito nero, Hayami Nakano era coperta da spalline che erano un continuo con la scollatura a V e ricamate in pizzo; a partire dai fianchi, evidenziati da una finta cintura creata da ricami in rilievo ton sur ton, il tessuto raffinato prendeva la forma di un pantalone coperto da un leggerissimo vero nero; la sua chioma raccolta, poi, le incorniciava il viso perfettamente truccato. Ad accompagnarla, ci fu un elegante Jack Lewis in camicia bianca e gillet color grigio scuro, cravatta nera e un cappotto che si fermava a qualche tonalità prima della tinta corvina; i suoi capelli, tornati al biondo naturale, erano accuratamente sistemati ed il viso era candido, perfettamente rasato. La coppia entrò sotto agli sguardi di invidia e stupore, talmente bene era assortita, a tal punto che persino il Signor Murakami in persona si prese la briga di accoglierla.
-“Oh, mia carissima signorina Nakano, vedo che la nostra artista ha portato un aitante cavaliere! Come sta? La trovo in forma smagliante.” Alto e dalle spalle larghe, egli era vestito in giacca e cravatta, mentre la sua mezza età era tradita da una stempiatura profonda tra i capelli grigi. Il viso, rotondo e cordiale, era votato alla massima ospitalità.
-“La ringrazio, gentilissimo come sempre. Ovviamente, Signor Murakami, sono lieta di presentarle Jack Lewis, uno dei miei modelli per il progetto di cui le parlavo, nonché musicista e discografico di gran talento.” Strinse il braccio del ragazzo a sé dopo quelle parole, mentre il giovane faceva a patti con l’imbarazzo di quell’introduzione.
-“Molto piacere di conoscerla, Signor Murakami. Sono onorato di poter vedere presto dal vivo il pezzo forte della sua collezione.” La sala era infatti decorata da numerosi quadri contemporanei di grande valore, risalenti al periodo poco precedente all’epoca dell’arte d’avanguardia. Porse la mano per una stretta e si fece sentire deciso, cosa che piacque molto al proprietario.
-“Il piacere è mio, giovanotto. Vede, sono sicuro che la signorina qui presente le abbia già mostrato le foto di questo mio gioiello e, mi creda, questa ragazza è riuscita a coglierne l’essenza quasi più completa. Non per questo non rimarrà stupito dal famoso diamante nero più grande del mondo, lo posso garantire.”
-“Non ne dubito, le aspettative sono alte: le fotografie di Hayami sono veramente spettacolari.” La guardò negli occhi intensamente e lei, per poco, non si sciolse tra le sue braccia. A quel punto abbassò la voce: “Oh, dimenticavo. È vero che la banda Occhi di Gatto ha annunciato il furto del diamante? Potrebbe essere pericoloso restare…” Il suo tono si fece improvvisamente serio e preoccupato.
-“Sì, è esatto. Ma si fidi, dopo aver visto il mio dispositivo di sicurezza, vivrà una serata decisamente tranquilla come mio ospite. Oh, ma che pessimo padrone di casa che sono… cameriere! Porta due calici ai signori, presto!” Il ragazzo sorrise.
-“Va bene, mi ha convinto.”
 
La grande stanza, ancora semivuota, si ammutolì nuovamente, per ammirare una seconda coppia, stavolta non di fatto, di ospiti inattesi. Questa volta, però, qualche bisbiglio si fece largo, nel commentare quella scena di una bellezza talmente disarmante da rimanere abbagliati. Hitomi, coperta da un leggero abito rosso lungo fino alle caviglie, entrò per prima nel salotto: il vestito era tenuto da due sottili spalline per ogni lato, le quali sorreggevano la morbida stoffa che cadeva in una scollatura a forma triangolare; a partire dai fianchi, la gonna si liberava, così come i suoi capelli sciolti, dall’apparente rigidità del busto, per poi cadere sulle gambe, scoperte solo dal movimento dei suoi passi. Di fianco a lei, il fascino di Rui era raccolto in un vestito lungo dalla tinta azzurro brillante, che copriva per intero le spalle; le sue maniche lunghe e larghe si stringevano non appena arrivate al polsino; la scollatura era contenuta, stretta, e si chiudeva poco prima dell’altezza dei fianchi, dove la vita si faceva più sottile, grazie ad un’elegante fascia larga dello stesso colore dell’abito; in fine, da una gonna lunga, che creava piccole onde di tessuto, ne usciva uno spacco importante sul lato destro, il quale permetteva di vedere quasi per intero la gamba. Le stesse onde caratterizzavano la sua acconciatura, la quale poneva i capelli accostati su un lato; il rossetto, suo marchio di fabbrica, invece del rosso acceso, presentava questa volta il color porpora, di un tono più freddo. In un attimo, l’attenzione dei presenti era totalmente attirata da tale visione e non più di quella del celeberrimo diamante.
Anche Toshio non ne fu immune: dovette allentare il nodo della cravatta, mentre la sua amata si dirigeva nella sua direzione per salutarlo.
-“Ciao Hi… Hitomi, sei bellissima.” Era ammaliato dalla sua bellezza. “Che ci fai qui? C’è anche Rui, vedo.” Per la detective Asatani la risposta a quella domanda era scontata, ma decise di tacere.
-“Grazie, Toshio. Jack ci ha procurato i biglietti, è stato un suo regalo per ringraziarci dell’ospitalità che gli abbiamo offerto giorni fa.” Il ragazzo alzò gli occhi al cielo.
-“Ho capito… è sempre in mezzo quel tipo, è incredibile.” Borbottò, pensando ad alta voce.
-“Oh, Toshio, perché non mi fai da cavaliere, mentre aspettiamo che inizi la vera festa? D’altronde la banda Occhi di Gatto colpirà tra mezz’ora, dico bene?”
-“Sai che mi piacerebbe molto, ma…” Asatani fece due esasperati colpi di tosse per riportare il poliziotto alla razionalità più assoluta. “Ecco, vedi, sono in servizio, non posso proprio.”
-“Beh, peccato. Facciamo così, allora: se sventerai questo furto, uno di questi giorni usciamo a ballare senza tutto questo contorno di ricchi spocchiosi, ti va?” La lanciò come fosse una sfida che, quasi quasi, non le sarebbe dispiaciuto poi tanto perdere. Toshio diventò rosso in viso, ma quelle parole diventarono uno sprone.
-“Oh tesoro, scegli giorno e posto, vedrai che ce la farò!” Batté il pugno sul petto, causando il sorriso compiaciuto della giovane fidanzata. “Ops, forse non dovevo incentivarlo così tanto… beh, almeno vedremo quanto è in gamba davvero il nostro ladro in erba.”
 
-“Signorina Nakano, signor Lewis, ecco qui il mio ingegnoso dispositivo di sicurezza, vi faccio vedere.” Fissato sul pavimento nella zona della stanza in cui si sarebbe svolta la cerimonia di presentazione, emergeva un contenitore di forma cilindrica chiuso, ricoperto da impenetrabili lamine di metallo. Di lato, dei pulsanti numerati permettevano la gestione di quel sofisticato oggetto tecnologico. Non molto distanti c’erano i due detective di guardia, che si avvicinarono immediatamente per assicurarsi che il signor Murakami non compiesse azzardi di alcun tipo.
-“Incredibile. Immagino che in questa fase non ne stiamo nemmeno ammirando tutte le potenzialità.” Quelle parole di Jack riempirono l’orgoglio del proprietario.
-“Esattamente.”
-“Oh, ci sono i detective Asatani e Utsumi, mi permetta di salutarli.”
-“Buonasera, signor Lewis.” Rispose immediatamente Mitsuko, che accennò ad uno sguardo di intesa con il giovane.
-“Già, ciao, Jack.” Toshio si accodò, controvoglia. Hayami non perse occasione di stringersi al braccio del suo cavaliere.
-“Buonasera a voi, detective.” Esordì la fotografa, irritando leggermente Mitsuko con quella inappropriata dimostrazione.
-“Oh, vedo che vi conoscete.” Sorrise Murakami. “Loro avranno il compito di sorvegliare il tutto, ma dubito che ce ne sarà bisogno con questa protezione: un gioiellino che contiene un altro gioiello, oserei dire.” Rise di soddisfazione.
-“Signor Murakami, vorrei farle una richiesta, se permette.” Si fece avanti Hayami, con tono sicuro.
-“Per lei assolutamente sì, mi dica pure.”
-“Jack mi ha confidato che gli piacerebbe poter vedere da molto vicino il diamante, ma si vergogna a chiederlo per via della… poca confidenza che ha con lei, mettiamola così.” Lo guardò con sguardo malizioso, e lui alzò gli occhi al cielo.   
-“Ehi! È… è vero, ma non c’era bisogno di dirlo così…” Riuscì a metterlo in imbarazzo, e questo la divertì molto.
-“Sei proprio un timidone…” Gli rispose. Adorava quel lato di lui.
-“Ma certo, si figuri, quale vergogna! Lei sì che sa apprezzare la vera bellezza, si avvicini.”
-“La ringrazio. È che non capita tutti i giorni, anzi, spesso in una vita intera, di poter toccare un gioiello del genere.”
 
-“Ma che stanno facendo lì in fondo?” Chiese Hitomi a Rui, riferendosi al teatrino che vedeva in scena il loro complice non troppo distante da loro. Le due sorelle erano in piedi vicino ad un tavolo imbandito a festa, con leccornie di ogni genere.
-“Penso che Jack stia studiando il marchingegno di Murakami, guardalo. Certo che se quello che gli sta per far toccare è il vero Diamante Nero, il proprietario è molto sicuro della sua strategia. Oppure molto sciocco.”
-“Beh, di certo non potrebbe prendere il diamante e scappare, sarebbe fermato ancor prima di pensarci. Però proviamo a studiare le sue mosse da qui, abbiamo una cena da vincere.” Le due risero di gusto.
-“Va bene, ci sto. Che cosa vedi?” La maggiore faceva oscillare delicatamente il calice di champagne portatole poco prima da un cameriere.
-“Il cilindro di metallo si è aperto, sembra che ci sia un ulteriore vetro protettivo sopra al diamante. È posto sopra ad una sorta di cuscinetto bianco.” Il signore si era appena chinato verso lo strano oggetto “Guarda, ha aperto il contenitore.”
-“Jack si sta infilando dei guanti in lattice neri e ha preso una lente di ingrandimento per gioielli.” Rui osservava attentamente ogni mossa.
-“Vorrà verificare che si tratti dell’originale. Certo che questa informazione avrebbe dovuto procurarsela prima di stasera, non trovi? Se non fosse il vero diamante, non potrebbe svincolarsi dalla serata per cercarlo e il colpo salterebbe.”
-“Già, su questo hai ragione.” Sorseggiò un po’ di vino. “Speriamo che sia in qualche modo tutto programmato.”
-“Vedremo. Lo ha rimesso a posto, il dispositivo è stato sigillato nuovamente, deve avere un codice per attivarsi e disattivarsi.”
-“Se così fosse, sarebbe facile rubarlo, ma in un contesto senza tutta questa gente.” Ragionò, per poi sorridere improvvisamente.
-“Che cos’hai? Hai forse capito il piano di Jack?” Chiese Hitomi.
-“No no, sono solo contenta del fatto che non saremo noi a doverci arrovellare per trovare una soluzione.” Alzò il calice in alto e ne bevve un sorso. La sorella fu un po’ stupita da quella certezza, come se fosse convinta che tutto sarebbe filato liscio.
 
Dall’altra parte, il prezioso era tornato sotto alla rigidissima protezione, rimanendo però visibile agli occhi di tutti poiché coperto dal solo vetro antiproiettile, spesso due centimetri. Il tutto veniva nascosto sotto un telo che serviva a rivelarlo poco più tardi al pubblico.
-“Come potete vedere, ora che ho chiuso il macchinario mi basta impostare la durata di tempo in cui esso non possa essere disattivato in nessun modo da nessuna persona, nemmeno da me.” Inserì il totale delle ore, tali per cui non potesse aprirsi fino a serata conclusa, e confermò il comando inserendo un codice. “Ora, nemmeno conoscendo la password, togliendo la corrente, o qualsiasi altra strana invenzione abbia architettato Occhi di Gatto, si aprirà prima della fine di questa festa. Quindi o la banda rimanderà il colpo, oppure non resta loro che la resa!” Rise di gusto, sotto gli sguardi infastiditi dei poliziotti appoggiati al muro alle spalle di Murakami, che tenevano le braccia conserte.
-“Ci vuole far sentire proprio inutili, non trovi?” Toshio bisbigliò alla collega.
-“Cerca di stare calmo, in fin dei conti ci potrebbe semplificare la vita.” Strinse le spalle, e seguì con tutto il corpo. “Ma sono io oppure qualcuno ha messo l’aria condizionata un po’ troppo alta?”
-“Si sta benissimo, invece, specialmente considerando che tra poco arriverà una marea di gente e l’aria comincerà a farsi pesante.”
-“Sì, non hai torto. Aspettami un attimo qui.” Senza lasciar tempo di replica, Mitsuko si diresse verso la coppia composta da Nakano e Lewis, intenti a scherzare sulla simpatica figura che Hayami avesse appena fatto fare al suo accompagnatore.
-“Perdonatemi se vi guasto per un attimo la serata. Jack, posso parlarti per un minuto? Prometto di rapirlo solo per un istante.” Si riferì, sorridente, alla donna con l’ultima frase. Il ragazzo si voltò verso la fotografa e sorrise, rassicurante.
-“Torno subito.”
-“Non tardare, mi raccomando.” Lui le fece l’occhiolino e seguì Mitsuko, sentendo lo sguardo della giovane donna non scollarsi mai dalla sua schiena.
-“Allora, è autentico?” Chiese a bassa voce la detective.
-“Sì, al cento per cento. Tu e Toshio dovete tenere gli occhi aperti.”
-“Ricevuto.” Rispose. “Senti, ma era proprio necessario invitare le sorelle Kisugi? Hitomi dice che sei stato tu a procurar loro i biglietti.”
-“Ci toglieremo il dubbio una volta per tutte circa la loro posizione rispetto a Occhi di Gatto, non trovi? Sono qui, davanti agli occhi di tutti, non potranno agire nell’ombra.”
-“Ma non c’è Ai, potrebbero essersi inventate qualsiasi cosa.”
-“Di Ai, in caso, me ne accerterò io, intesi?” Annuì. “Bene, ora fai finta di salutarmi sorridendo, così torno da Hayami.”
-“Sì, ma vedi di non farti mettere troppo le mani addosso, sai… qui in Giappone non è ben visto.” Disse tutto con la curva sul viso, concludendo così quello scambio di informazioni, e tornarono ognuno alla propria postazione.
 
Gli invitati cominciavano ad aumentare, così come il volume delle chiacchiere che erano intenzionati a scambiarsi. La musica si faceva sempre di più un sottofondo sporcato dalle voci della gente.
-“Rui, non mi piace, temo che Asatani sappia qualcosa di tutto questo.”
-“Odio ammetterlo, ma non torna nemmeno a me. Restiamo con gli occhi aperti.” Posò il calice, con l’intenzione di avvicinarsi e scoprire qualcosa di più di quell’ambigua situazione, ma venne fermata bruscamente.
-“Mi perdoni, signorina, ma una donna della sua bellezza in una festa del genere non può rimanere sola.” Un aitante ragazzo dai capelli corvini e occhi scuri le porse la mano, con fare sicuro di sé.
-“Lei mi lusinga, ma come vede non sono sola.” Guardò la sorella, a pochi metri da lei, provocando nell’uomo una risatina non troppo accentuata.
-“Converrà con me nel dire che non è la stessa cosa. Molto piacere, Yuito Fukuda, sono…”
-“Il più giovane presidente di una società multimilionaria qui in Giappone, ho sentito parlare di lei. Piacere mio, Rui Kisugi.” Nonostante la cordialità, non accettò il suo invito gestuale, e la cosa lo imbarazzò velatamente, tanto da ritirare la mano.
-“Una donna informata sull’attualità, quindi, Rui.” Lo guardava negli occhi, come ad incalzarlo nel proseguire quel discorso per fare colpo. Yuito, però, distolse lo sguardo per qualche istante. “Se cambia idea, mi troverà a quel tavolo. Con permesso.” Si congedò, ferito nell’orgoglio per quella doccia fredda.
-“Perché lo hai rifiutato così? Era un bell’uomo, non vorrai mica restare sola tutta la sera… o tutta la vita.” La rimproverò la sorella minore, alle sue spalle.
-“Un uomo che crede di far colpo solamente con il suo status non fa per me. Era tutta apparenza e poca sostanza, non riusciva nemmeno a reggere il mio sguardo.” Si girò verso di lei. “Se solo gli uomini si abituassero a guardarci negli occhi, invece di soffermarsi solo su tutto il resto…” Rise quasi amaramente.
-“Non posso che darti ragione.” Aggiunse Hitomi. “Accidenti, sembra che qualcuno abbia regolato male la temperatura della sala, comincia a fare molto freddo qui...”
-“In effetti è vero… oh, andiamo, sta per iniziare la cerimonia.” Il signor Murakami, infatti, stava invitando i presenti ad avvicinarsi, poiché di lì a poco avrebbero potuto vedere con i loro occhi quella straordinaria meraviglia. Un fitto muro di persone si stagliò davanti a lui che, calice alla mano, si apprestava a fare un breve discorso.
-“Gentili ospiti, amici miei, è con grande orgoglio che oggi presenterò a voi il gioiello più prezioso e grande che il nostro paese abbia mai potuto ammirare.” Attirò su di sé gli occhi dei presenti.
-“Lo senti anche tu questo leggerissimo odore di… fumo?” Chiese Hitomi a voce bassa a Rui, che di risposta guardò l’orologio da polso che indossava sul braccio sinistro.
-“Sì, lo sento. Credo che lo spettacolo vero e proprio stia per cominciare, e non parlo di quello del signor Murakami.

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Capitolo 25
*** Il Diamante Nero (2/2) ***


-“Gentili ospiti, amici miei, è con grande orgoglio che oggi presenterò a voi il gioiello più prezioso e grande che il nostro Paese abbia mai potuto ammirare.” Attirò su di sé gli occhi dei presenti. “Un minerale di una purezza unica, caratterizzato dal colore della notte. Signore e signori, è con grande gioia che mostro il più bel diamante nero del mondo.” Tolse il velo di seta color blu dal piedistallo che proteggeva il gioiello e lo rivelò al parterre, aspettandosi un’elegante, ma vigorosa acclamazione. Eppure fu sorpreso nel vedere che, invece di vedere una folla entusiasta e curiosa, i volti dei presenti fossero corrucciati e che tra loro si borbottava a causa dell’ormai bassa e insopportabile temperatura della sala. “Signori, rimanete calmi, stiamo già provvedendo a sistemare il problema del raffreddamento, vi prego di avere un attimo di pazienza.” Riprese con tono di finta tranquillità, mentre con lo sguardo incalzava alcuni tirapiedi a risolvere quello spiacevole inconveniente. “Nel frattempo invito la nostra band a suonare qualcosa, proviamo a scaldarci con un ballo, come in ogni festa che si rispetti.” Non in molti accolsero con piacere quell’invito; i musicisti stessi facevano fatica ad operare sulle corde ed i tasti degli strumenti, tanto erano intorpidite le mani.
-“Tieni.” Jack posò la sua giacca scura sulle spalle di Hayami, visibilmente provata e spaesata per quella situazione.
-“Grazie, per fortuna ho il mio gentiluomo.” Gli sorrise, e lui ricambiò. Dopodiché, cercò con lo sguardo gli operatori che sarebbero dovuti tornare per avvisare che il guasto era stato aggiustato: dovette aspettare qualche minuto per vederli correre verso il proprietario, ormai nervoso e con i nervi letteralmente a fior di pelle, e dargli una piccola buona notizia. Toshio sentì quelle parole e ordinò:
-“Apriamo le finestre, il freddo uscirà più velocemente, signor Murakami.” Quella notte d’estate, infatti, era particolarmente mite e piacevole. Fu però contraddetto immediatamente dalla detective Asatani.
-“No, Utsumi, questa potrebbe essere l’opera della banda Occhi di Gatto: se apri le finestre darai loro molte più vie di entrata e di fuga, deve essere proprio questo il loro piano!”
-“Ha ragione lei, non voglio perdere il mio diamante solo per un po’ di freddo!” Urlò esasperato il ricco imprenditore.
-“Beh, ecco, allora…” Il poliziotto provò a pensare il più velocemente possibile, fino a che non gli caddero gli occhi sul diamante, ancora protetto dal vetro. “Allora lo difenderò io con il mio corpo, dovranno passare sul mio cadavere!” Si gettò sopra al piedistallo con il proprio fisico, per impedire ad ogni costo il furto. Nonostante la mossa non esattamente ortodossa, sembrava quasi avere senso agli occhi degli altri responsabili alla guardia del gioiello.
Jack guardò l’orologio, con precisione svizzera: ore venti in punto. “Adesso.”, pensò nascondendo un sorriso. In quel momento ci fu uno sbalzo di corrente, che provocò un blackout di qualche secondo. Un fumo bianco cominciò ad uscire dai condotti di areazione, appannando la vista ai presenti: il panico generale era dietro l'angolo. A quell’ennesimo problema tecnico, qualcuno degli invitati decise di prendere la via dell’uscita con fare indispettito, per non avere ulteriori spiacevoli sorprese. La signorina Nakano, al contrario, provò ad avvicinarsi alla postazione del diamante.
-“Nessuno esca di qui, siete tutti sospettati! Signor Murakami, chieda ai suoi buttafuori di chiudere le porte e sorvegliarle!” Mitsuko cercò di prendere il controllo della situazione e afferrò la pistola.
-“S… sì, fate quello che dice lei!” Rispose l’uomo, terrorizzato da quel che per lui era ormai, a tutti gli effetti, un incubo. Tornò la luce e con lei anche una temperatura che sembrava a poco a poco più gradevole.
 
-“Finalmente non si congela più… Caspita, Ai starà facendo gli straordinari stasera.” Hitomi sussurrò a bassa voce all’orecchio di Rui.
-“Hai ragione, ma penso che si stia divertendo un mondo.” Accennò ad un leggero sorriso. “Senza di lei questo piano, da quello che vedo, non potrebbe funzionare… Forse è arrivato il momento che anche noi le dessimo così tanta fiducia, non è più una bambina ormai.”
-“Le hai sempre affidato dei ruoli piuttosto importanti, durante i nostri colpi… o forse quasi sempre, ma non è poco.” La sorella maggiore si fece silenziosa, non volle rendere palesi i suoi pensieri. “Non vorrai mica colpevolizzarti, spero.”
-“No, no, non è questo. Devo solo accettare il fatto che è diventata grande, e molto in fretta, per giunta.”
-“È vero, ma hai fatto davvero un ottimo lavoro.” La rassicurò Hitomi. “Basta vedere come hai cresciuto me.” Le fece l’occhiolino, strappandole una risata.
-“Forse hai ragione. Intanto vediamo come va a finire qui.”
 
I minuti passavano lenti, e la folla da spaventata diventò suscettibile: sembrava non dovesse succedere più nulla, dunque perché rimanere lì, fermi, come se fossero in ostaggio di un nemico invisibile?
-“Che ore sono, Mitsuko?” Chiese Toshio, ancora accartocciato a protezione del marchingegno. La ragazza osservò il quadrante del suo orologio, posto al polso sinistro.
-“Le 20 e 6 minuti.”
-“Nessuna traccia di Occhi di Gatto?” Domandò alla collega, che si guardò intorno per scrutare i presenti.
-“No, nulla. Forse ha perso l’occasione per colpire.” Riposizionò l’arma nella fondina e afferrò il proprio colletto della camicia per far respirare il collo. “Non so se sia stato il freddo di prima a condizionarmi, ma ora comincio a…” Le cadde l’occhio sul collega, intravvedendo sotto di lui lo spesso vetro di protezione del gioiello. Nonostante i gradi si fossero alzati di molto, sentì un brivido lungo la schiena.
-“To… Toshio… prova ad alzarti…”
-“Sei sicura che..?”
-“Toshio, fallo!” Senza controbattere eseguì, sotto gli sguardi tesi e interessati di tutti i presenti, che assistettero a quello che percepirono più come un gioco di prestigio che come un furto.
-“NON È POSSIBILE!” La voce urlata del detective raggiunse addirittura tutto il vicinato. Afferrò il vetro tra le mani e vi guardò attraverso da più vicino che poté.
 
Alla prossima, detective Utsumi! <3 Cat’s Eye
 
Così recitava il biglietto plastificato che aveva preso il posto del Diamante Nero. E mentre il signor Murakami cadeva in ginocchio per la disperazione, Mitsuko dovette avvicinarsi per credere che le ladre fossero davvero riuscite ad aggirare quel sistema di sicurezza così all’avanguardia, senza nemmeno farsi vedere né sentire.
-“Il… il sistema di controllo non è stato manomesso, guardate.” Fece notare Mitsuko. “Il timer impostato da Murakami non è stato disattivato, funziona tutto, non abbiamo sbagliato nulla...”
Una voce indistinta tra la gente incredula attirò l’attenzione dei presenti.
-“Guardate, fuori dalla finestra!” Alla vista di tre sagome nere in fuga su un deltaplano, evidenziate solo dalle poche luci notturne, le persone si riversarono davanti ai lucernari per ammirare la conclusione dell’incredibile spettacolo di magia, a cui avevano appena assistito.
-“Fate passare, fate passare!” Utsumi e Asatani sbracciarono per arrivare a poter vedere tale scena, che li riempì di una rabbia quasi mai provata prima: non riuscivano a spiegarsi cosa fosse successo e, forse, per questo il fallimento bruciava più del solito. “Come hanno fatto a farcela davanti al naso senza che ce ne accorgessimo? Come?!” Cercò una risposta, ma il viso della sua collega faceva trasparire quasi i suoi stessi sentimenti.
 
Rui e Hitomi, insieme a pochi altri, si avvicinarono al piedistallo, ancora perfettamente serrato, sbalordite da quel che era successo, ma con l’intenzione di svelare il mistero.
-“C’è ancora il segno del diamante sul cuscinetto, guarda.” Sussurrò Hitomi. “Dobbiamo capire come ha fatto.”
-“Osserva bene: il biglietto è leggermente sporco di grigio in un angolo… mentre sotto di esso sembra quasi bagnato.” La sorella minore scosse la testa, non riuscendo a capire. Rui passò una mano sul vetro, per trovare qualche segno o scanso sospetto. “È intatto.” Concluse. Guardò verso le finestre, per tentare di scorgere un’ultima volta il depistaggio ideato da Ai riguardo ad una finta fuga, l’unico punto del piano che era a lei comprensibile. Si accorse che, nonostante il suo accompagnatore continuasse a guardare con serietà i tre manichini volare lontano, Hayami Nakano uscì dall’edificio di fretta, cosa che non convinse la donna. Dopo qualche secondo, infatti, vide Jack cercare la sua compagna di serata con lo sguardo, per poi dirigersi anch’egli verso l’esterno dell’edificio.
-“Io mi arrendo, Rui, questo affare è intatto e perfettamente funzionante, non riesco proprio a comprendere come abbia fatto a tirare fuori da qui il diamante: devo dargliene atto.” Non rispose, si limitò ad osservare i presenti. Vide Toshio, rosso in volto sia per l’ira che per il caldo che a piano si stava attenuando, dirigersi verso il rinfresco.
-“Ho bisogno di acqua fresca, anzi, gelida, sto andando a fuoco!” Ancora irritato a dir poco, prese un bicchiere vuoto e guardò all’interno di un secchio che conteneva una bottiglia di vino, per cercare del ghiaccio da aggiungere all’acqua, salvo accorgersi che era quasi del tutto sciolto. “Maledizione, ti pareva che me ne andasse una dritta, stasera?!” Vedendo quella scena, si illuminarono gli occhi di Rui, a cui si accese una lampadina. “Ma certo, come ho fatto a non pensarci?.” Sorrise, per quell’intuizione regalata inconsciamente dal detective: “E bravo il nostro Jack, ecco come l’ha fatta a tutti… o meglio, quasi tutti.”  Il detective fece il gesto di buttare a terra il calice, ma vi rinunciò immediatamente e lo appoggiò sul tavolino e se ne andò via.
-“È meglio che io lo tenga d’occhio, stasera, non vorrei che facesse qualche stupidaggine.” Disse Hitomi.
-“Sì, sono d’accordo con te.”
 
Il suono di una moneta e di tasti numerati si faceva largo nella privacy garantita da una cabina telefonica. Uno squillo. Due squilli. La risposta.
-“Pronto? G?” Chiese.
-“Sì, G. Il piano è saltato, niente refurtiva.”
-“Capisco. L’acquirente non ne sarà contento.”
-“Meglio un cliente scontento che una copertura saltata.”
-“Te la vedrai tu con lui.” La chiamata si interruppe bruscamente e quindi riattaccò.
-“Mi mancava solo questa. Maledette gatte…” Sussurrò prima di uscire, soprapensiero, per poi schiantarsi addosso ad una persona che le ostacolava la strada. “Ehi, stai più att…” Alzò lo sguardo e si corresse immediatamente. “Oh, Jack, sei tu, scusami. Che ci fai qui?” Si rilassò per un secondo e appoggiò una mano sul suo petto, nel punto in cui aveva appena sbattuto.
-“Strana conversazione quella di poco fa, Hayami.” Rispose piccato.
-“Non so di che parli, penso che tu abbia sentito mal…”
-“Ho una buona e una cattiva notizia per te.” Sorrise leggermente il ragazzo. “Quella cattiva è che hai sia un cliente scontento che la copertura saltata.” La ragazza gli tolse la mano di dosso, prendendo un’espressione totalmente diversa.
-“E quella buona è che non so cosa tu abbia sentito, ma non ho rubato io il diamante, puoi perquisirmi quanto a fondo tu voglia, in tutti i sensi. Dovrai farti perdonare quando capirai di aver preso un abbaglio...” Vestì la maschera della malizia, cercando di sedurlo.
-“Diamante? Ho forse parlato di diamanti?” L’aveva colta in fallo e se ne accorse troppo tardi. “Mi dispiace deluderti, ma sei tu ad avere un debito con me, e di quelli grossi per giunta: com’era il tuo modo di dire? Meglio una copertura scoperta che una testa saltata, qualcosa del genere?” La prendeva in giro, non troppo sottilmente.
-“Di che cosa stai parlando?” Le provocazioni, almeno da una parte, stavano facendo effetto: si stava spaventando.
-“All’inizio pensavo facessi parte del Circolo: ti spacci per la banda Occhi di Gatto per rubare opere d’arte e gioielli e variare il tuo modus operandi. Ma non esegui furti solo per loro, anche per una tua personale rete di clientele… ti chiamano e ti pagano per il servizio, ma sei tutto sommato indipendente.”
-“Non sai quel che dici…” Ridacchiò, divertita.
-“Oh, sì invece. Vedi, il Diamante che tu volevi tanto rubare è stato acquisito per vie illegali dal Circolo circa nove anni fa, ben prima che tu cominciassi a collaborare con loro. Data la fama e il grande valore di questo articolo, hanno usato la massima cautela e pazienza prima di rivenderlo.” La ragazza sbarrò gli occhi, ora colmi di terrore, e cambiò totalmente stato d’animo. “Sai bene cosa succederebbe se si spargesse la voce che tu, ladra che lavora per procurare oggetti alle aste illegali, abbia tentato di rubare ad un rispettabile, si fa per dire, frequentatore proprio delle aste del Circolo. Non sarebbe carino, non trovi?” La donna cadde in ginocchio e il suo vivido sguardo si svuotò di ogni emozione. In un certo senso, quella scena inaspettata colpì molto l’agente dell’ISA.
-“Non credevo che tu…” Si fermò. Non finì la frase. “Preferisco morire qui e ora piuttosto che essere accusata di tradimento dal Circolo. Mettiti una mano sulla coscienza, se ne hai una, e uccidimi ora, ma non consegnarmi ai tuoi capi, lo sai cosa sono in grado di fare a chi è accusato di tradimento, soprattutto… soprattutto a noi donne. Ti scongiuro.” Jack si abbassò e le porse la mano, segno di aiuto.
-“Non sono uno di loro, su questo puoi stare tranquilla. Sono qui per darti una scelta.” Lei lo guardò ed in un primo momento non capì. “Aiutami a distruggere il Circolo dall’interno, dicendomi quello che sai e che scopri sui loro traffici, ed io ti proteggerò con ogni mezzo.”
-“Scusami, mi stai dicendo che per non far girare la voce su un mio presunto tradimento, dovrei tradirli per davvero? Dico, ma sei impazzito? E poi chi saresti tu per riuscire a proteggermi? Non hai idea di chi tu stia parlando e di quello che sono in grado di fare.”
-“Non mi sottovalutarei così tanto, se fossi in te.” Il suo sguardo deciso, per qualche motivo, la tranquillizzò. La mano era ancora tesa davanti a lei: doveva decidere se stringerla o meno.
 
-“Ehi, Jack, sono qui!” Il ragazzo vide Rui sul marciapiede in lontananza alzare una mano per chiamare la sua attenzione, sotto i lampioni che illuminavano la serata.
-“Oh Rui, credevo che tu e Hitomi foste già sulla via del ritorno ormai. A proposito, lei dove…?”
-“Sta accompagnando Toshio a casa per assicurarsi che non beva troppo per la disperazione. Allora, posso avere l’onore?” Non vedeva l’ora di ammirare il famoso gioiello.
-“Ma certo. Solo non qui, meglio stare a riparo da qualsiasi sguardo. Posso darti un passaggio fino a casa?”
-“Certamente.”
Saliti in macchina, tirò fuori dalla giacca, con orgoglio, una scatoletta pesante e la porse alla donna, che l’aprì per rivelarne il contenuto.
-“Non sia che valore abbia per noi: ti ringrazio molto per questo, non eri tenuto a farlo. Qual è il motivo per cui ti sei messo in pericolo? Intendo dire che tu sei un uomo onesto, non un ladro.”
-“Beh, te l’ho detto, avevo paura che la Gatta Nera potesse far del male a qualcuno per arrivare al suo obiettivo: c’era molta gente potenzialmente più in pericolo di me.” Qualcosa la spingeva a non credergli. Rimase in silenzio per un attimo, intanto che il ragazzo accendeva la macchina e metteva in moto.
-“Sei stato bravo, devo ammetterlo. Far credere a tutti che il diamante fosse ancora sotto la teca, quando in realtà lo avevi scambiato all’inizio della serata con uno di ghiaccio. Mossa ardita, davvero.”
-“Che ha pagato, però. Vai pure avanti.” La sfidò nel comprendere il resto del piano.
-“Hai usato dei guanti scuri per non sporcarti le mani con il colore con cui hai reso nero il falso diamante: infatti sul biglietto da visita che hai posto dentro al tuo gioiello c’era una macchia. Il gioco delle temperature gestito da Ai era volto a prendere tempo nella fusione del ghiaccio, per poi accelerarlo al momento opportuno: il blackout ha fatto credere che tutto si fosse svolto in quel momento. Oh, e ovviamente il diversivo della fuga è servito a scongiurare il rischio di perquisizioni all’uscita della sala.” Continuando a guardare la strada, Jack si fece scappare un sopracciglio alzato ed un sorriso a trentadue denti. Eppure non era affatto sorpreso.
-“Che dire, ogni promessa è debito.” Si fermò, arrivato a destinazione, per farla scendere e le aprì la portiera dell’auto. “Fammi sapere per il ristorant…” Lei si mise in piedi di fronte a lui e lo fermò facendo un cenno con un dito.
-“Passami a prendere domani alle 19:30, andremo Bon Goût. Puntuale, mi raccomando.” Il profumo di Rui, la quale era così vicina al suo viso, lo mandò per un secondo in confusione, facendolo sentire in imbarazzo. “La tua fotografa non sarà mica gelosa, vero?” Sorrise maliziosamente, posando la mano sul petto del ragazzo, al quale sembrava di vivere una sorta di déjà-vu.
-“Temo che abbia altro a cui pensare, in questo momento.” Faceva estrema fatica a resisterle.
-“Bene.” Si staccò da lui, permettendogli di uscire da uno stato di apnea e fece qualche passo verso la porta d’ingresso. “Oh, e non venire vestito meno elegante di stasera. Questo genere di abito ti dona.”
-“Vorrei dire lo stesso, ma mi sembrerebbero parole superflue nei tuoi confronti.” Pronunciò quelle parole con una voce profonda e controllata, per quanto potesse camuffarla.
-“Buonanotte, Jack.”
-“A domani.” Rispose con un secondo di ritardo, mentre la ammirava sparire dietro all’uscio. Finì per guardare il vuoto per qualche istante. Quella che era per lui, sulla carta, una scommessa persa, si rivelava essere, in realtà, tutt’altro: non troppo infondo, sapeva e sperava che il trucco dietro alla magia venisse rivelato da quella donna dalla chioma corvina.

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Capitolo 26
*** Un tavolo per due ***


-“Ah ah! Allora vi arrendete!” Ai si rivolse con aria di sfida nei confronti delle sue sorelle, seduta sul bancone del locale, mentre Hitomi e Rui sistemavano le stoviglie prima di riprendere il turno: era quasi finita l’ora di pausa per il pranzo. “Ero certa che non avreste mai capito come abbiamo fatto Jack ed io a organizzare questo colpo da maestri, è stato come lavorare nel dietro le quinte per un mago! Posso farlo di nuovo più avanti, Rui?” Le brillavano gli occhi.
-“Sai che i nostri piani sono molto più pratici che fantasiosi, ma ti prometto che se mi viene in mente qualcosa per cui farti sedere in cabina di regia, avrai il tuo da fare.” Le regalò un tiepido sorriso pieno d’orgoglio, più vicino quasi a quello di una madre che a quello di una sorella.
-“Evvai!” Alzò le braccia al cielo come se stesse esultando per una vittoria.
-“Visto che sei in vena di responsabilità, questa sera dovrai aiutare tua sorella a chiudere il locale.” L’entusiasmo si sbriciolò di colpo.
-“Oh, ma insomma, allora è una sorta di ricatto!” Rui rise divertita da quelle parole.
-“No Ai, nessuna punizione o altro, stasera vado fuori a cena e ho bisogno di un po’ di tempo per prepararmi.” Le due ragazze furono sorprese da quella rivelazione.
-“È una delle tue uscite informali con il signor Nagaishi per aggiornarci sulle novità?” Chiese Hitomi.
-“No, niente del genere.”
-“Edizione straordinaria del Telegiornale Nazionale, Rui Kisugi ha un appuntamento, ripeto, Rui Kisugi ha un appuntamento! Non è un’esercitazione! Ma ora sentiamo cos’ha da dire la diretta interessata.” Mimando con la mano la presa di un microfono, la porse davanti alla bocca della sorella come se la volesse intervistare, cosa che fece imbarazzare la donna.
-“Ma che fai, Ai, abbiamo appena finito di parlare di responsabilità e maturità…”
-“Ho capito, ma la notizia della sorella Kisugi dal cuore di pietra che ha un appuntamento non sarà da TG nazionale, ma almeno da regionale sì!” Continuava a prenderla in giro ed a lei non rimase che assecondare il gioco. “Allora, chi è il fortunato? Ce lo presenterai mai?” Si chinò in avanti, interessata.
-“No, non mi dire che è quel ricco imprenditore che ti ha adocchiata alla festa di Murakami, come si chiamava… Yuito Fukoda?”
-“Era Fukuda, Yuito Fu…”
-“Ricco imprenditore? E com’era, Hitomi, racconta!” Ai incalzò.
-“No, veramente non è…”
-“Vediamo, aveva occhi e capelli neri come la pece, di bella presenza, ma Rui non gli ha dato nemmeno il tempo di provarci che l’ha gelato, poverino.” Rise divertita, mentre la sorella maggiore alzava gli occhi al cielo.
-“State blaterando un po’ troppo per i miei gusti, la prossima volta non vi dico nulla.” Si fece un po’ più seria.
-“Eddai, non fare la permalosa, siamo felici se esci con qualcuno dopo tanto tempo.” Aggiunse affettuosamente Hitomi, cercando di non farla arrabbiare.
-“Non è da così tanto tempo, suvvia…”
-“No, infatti, solo da che io ne abbia memoria.” Rincarò la dose la più piccola, prendendosi una leggera gomitata da parte della sorella di mezzo.
-“Bene, allora sappiate che non dovrete aspettarmi, questa notte. Vado alla toilette.” Si slacciò il grembiule e lasciò la sala, con un broncio a malapena percettibile.
-“Aspetta, in che senso non aspettarla per la notte?” Chiese Hitomi, esterrefatta.
-“Beh, non tutti vanno a rilento come te e Toshio, sorellina!” Non perse occasione per punzecchiarla.
-“Oh, fa’ silenzio, Ai!” Si offese a dir poco, sotto al suono delle risate fragorose della sorella.
-“Ehi, ma quindi davvero a nessuno interessa come abbiamo fatto? Uffa!”
 
Parcheggiata la macchina non troppo vicino alla porta di casa delle tre sorelle, cercò di darsi una sistemata dell’ultimo minuto prima di scendere: con una mano passò sul blazer in velluto blu scuro, per appianare delle grinze che in realtà erano pressoché impercettibili. Si abbottonò fino in fondo la camicia bianca e guardò l’orologio: era in anticipo di tre minuti. Aprì il vano porta oggetti, in cui aveva posto accuratamente una cravatta abbinata al completo. “Non dovrei essere troppo formale, però…” la fissava, sospirando in modo nervoso. “Forse è meglio metterla, faccio in tempo a..?” Si accorse appena in tempo che la porta di casa Kisugi si stava aprendo e si apprestò a scendere velocemente dalla vettura, salvo poi vedere da lontano che si trattava di Hitomi, la quale non lo vide, intenta a portare l’insegna del bar all’interno. Il ragazzo scosse la testa. Sentiva una tensione inspiegabile attraversargli tutto il corpo. “È solo una cena per una scommessa persa, perché faccio così?” Si appoggiò all’auto, infilò le mani nelle tasche e si armò di pazienza. L’orario dell’appuntamento era passato solo di qualche giro di orologio e sapeva che la donna si sarebbe fatta attendere almeno un po’. E poi la vide: seppur ormai abituato a simili sfoggi di finezza, non riuscì a non accompagnarla con gli occhi mentre si avvicinava a lui: in abito lungo, nero, che le cadeva perfettamente sui piedi coperti da una scarpa a tacco alto dello stesso colore, che le cingeva la caviglia con gemme e brillanti. La gamba era libera grazie ad uno spacco profondo, che si concludeva poco prima di arrivare all’altezza della cintura. In fine, il corpetto dell’abito si allacciava intorno al collo, lasciando le braccia completamente scoperte, ed era cucito così da rendere protagonista il pizzo decorativo a fantasia orientale, il quale lasciava intravvedere qui e là la pelle candida. D’altronde a Rui piaceva suscitare espressioni di incredulità, eppure il ragazzo che le veniva incontro sorrideva, quasi divertito. La cosa la sorprese. -“Buonasera, ti vedo di buon umore, Jack.” -“Buonasera a te, difficile non esserlo davanti a tanta bellezza.” La invitò con un gesto a farsi accompagnare verso l’automobile, e appena la donna lo assecondò si vide ricevere un delicato baciamano. “Stavo solo pensando che abbiamo già vissuto un episodio simile… speriamo che il finale migliori sensibilmente.” Tornò a guardarla negli occhi: nonostante il modo di fare sicuro, messo a difesa davanti alla sua inquietudine, a Rui non sfuggì la leggera differenza tra il suo solito sguardo e quello di tale momento. Le aprì la portiera del passeggero e in pochi secondi furono in viaggio verso il rinomato ristorante francese della città. -“Spero di non averti fatto aspettare troppo, Hitomi mi ha avvisata che eri già lì.” Fu sorpreso da quelle parole.
-“Strano, ero convinto che non mi avesse nemmeno visto…”
-“Infatti penso abbia visto solo la macchina. È convinta, per qualche motivo, che io stia uscendo con l’imprenditore che ho conosciuto ieri, mentre tu davi il tuo spettacolo…” Sorrise, divertita.
-“Ah, qualcuno ti fa la corte, le cose si fanno interessanti… Un momento, ma le tue sorelle sapevano che se io avessi perso la scommessa vi avrei portate a cena fuori, quindi…” Le rivolse un breve sguardo prima di tornare a guardare la strada, e la vide con una mano sul volto ed occhi socchiusi, rivolti verso di lui, come volesse confermare quello che stava per dire.
-“Vai avanti, quindi…?” Lo incalzò, mentre scuoteva la testa per una finta disapprovazione divertita.
-“Non hai detto loro di averla vinta. Sei davvero tremenda.” Lo disse con il sorriso di chi aveva capito che, quella serata, lei non l’avrebbe condivisa con nessun altro.
  Il ristorante li accolse in una grande sala, ben illuminata, dai tavoli quasi del tutto pieni, occupati da quelli che parevano essere ricche o benestanti persone, per lo più coppie, vestite con il massimo del lusso e dell’eleganza. A quella vista, Jack passò involontariamente una mano tra il proprio petto ed il colletto della camicia, che in realtà non aveva bisogno di essere sistemata.
-“No, credo papillon o cravatta sarebbero state di troppo, la nostra non è mica una cena formale. Stai benissimo così.” Rui gli fece l’occhiolino, capendo cosa gli stesse passando per la testa. Nonostante non fosse abituato a ricevere complimenti di quel genere, la cosa lo mise a suo agio, tanto che scherzò:
-“Ehi, leggere nella testa degli altri è compito mio.”
-“Facciamo un po’ per uno. Vieni, andiamo.” Lo afferrò delicatamente per un braccio e gli fece strada. Fermò un cameriere e fu lei a chiedere: “Un tavolo per due, per favore.”
 
Il tempo tra un’ordinazione e l’altra sembrava passare in pochi secondi: erano seduti l’uno di fronte all’altra e i loro sguardi si intrecciavano senza alcun timore.
-“Allora, che ne dici di rivelarmi il vero motivo per cui hai voluto rubare con le tue mani il diamante? Avremmo potuto farlo anche da noi.”
-“A questa domanda ho già risposto, però.” Si limitò a rispondere, prima di assaggiare la bevanda da aperitivo portata da un cameriere poco prima.
-“No, non me la bevo.” Fece lo stesso e poi continuò, con fare tranquillo. “Che ne dici se questa sera ci impegniamo ad essere sinceri su tutto l’uno con l’altra? Senza nascondere piani, misteri, segreti…” Appoggiò il viso sulla sua mano e sfoggiò l’espressione più convincente che potesse fare. Il ragazzo annuì.
-“Va bene, sono d’accordo.” Posò il calice e si concentrò esclusivamente sulla donna.
-“Allora ci riprovo: perché uno dei migliori agenti dell’ISA dovrebbe rubare un diamante e poi darlo a delle ladre, quando non era strettamente necessario?” Il ragazzo alzò un sopracciglio a quelle informazioni, ma non si scompose. “Non sei l’unico a saper fare delle ricerche.”
-“Capisco. Beh, perché non solo sapevo che la Gatta Nera avrebbe provato a rubare il gioiello. Sapevo anche chi era.” Rui spalancò gli occhi. “E le ho fatto da accompagnatore.”
-“La signorina Nakano è colei che ha infangato il nostro buon nome e tu ci sei usci…”
-“Così come ho studiato voi, ho studiato anche lei, niente di più, niente di meno. Ora ho anche il suo appoggio nella battaglia contro il Circolo, mi può dare informazioni di prima mano.”
-“Jack, è rischioso, come fai a sapere che non ti tradirà?” Si prese un secondo per pensare.
-“Ne sono abbastanza certo, ma ovviamente nulla me lo può assicurare al cento per cento. In ogni caso, ho un piano per ogni evenienza, tu non devi preoccuparti per me: so fare il mio lavoro.” Invece lo era eccome.
-“D’accordo. E come hai fatto a scoprirla?”
-“I musei e le mostre private si affidano alla sua agenzia per scattare immagini delle opere d’arte da inserire in vari depliant, per fare inventari, o banalmente per i libri scolastici. Mi è bastato confrontare grossomodo il periodo dei furti delle opere e il momento in cui erano state fotografate da lei e catalogate. Scattando anche foto delle gallerie, può avere del materiale di studio per pianificare i suoi colpi.”
-“Beh, una copertura molto ingegnosa, non c’è che dire.” Arrivato l’antipasto, ci fu un attimo di silenzio. “E di noi come hai saputo, invece?” Jack si fermò per un secondo e poi la guardò.
-“In tutta sincerità, preferisco non parlarne, soprattutto qui in pubblico.” Percepiva la delusione di Rui e non voleva che la cena prendesse una direzione sbagliata. “Ti basti sapere che è stato molto più complicato. Spero tu mi perdonerai se ti chiedo il permesso di alleggerire un po’ la conversazione.” Le sorrise ed i suoi lineamenti definiti si fecero più morbidi. La ragazza non riuscì a far resistere la sua serietà.
-“D’accordo, ma non è finita qui.”
 
Arrivati al piatto principale, l’aria era decisamente più distesa: Rui fu piacevolmente sorpresa dall’interesse condiviso per la storia dell’arte, soprattutto per via delle spiccate competenze che Jack aveva a riguardo di Rinascimento e Manierismo italiano e non solo, ma pendeva dalle sue labbra anche nel sentirlo parlare della contemporaneità e dell’avanguardia. Dall’altra parte, il ragazzo italiano era affascinato nello scoprire che, come lui, la donna parlasse fluentemente più lingue europee.
-“Però confesso di non aver mai sentito uno straniero parlare e soprattutto scrivere così bene in giapponese, quasi senza accento e senza sbavature. Ti devo fare i miei complimenti.”
-“No, non è niente di che, è solo tanta pratica e studio, ma ti ringrazio.” Bevve un bicchiere d’acqua, consapevole che avrebbe dovuto guidare al ritorno. “Anche tu sei molto brava nelle altre lingue, non c’è che dire.”
-“Das ist nur eine Dinge von Praktisch und Studium.” Rispose, ripetendo in tedesco la stessa frase con cui Jack aveva risposto ai suoi elogi e lui, capendo, sorrise. “Certo che con tutti questi interessi e qualità che hai, non mi sorprende che tu faccia una strage di cuori. Passi Ai con la quale hai chiarito, ma con Hayami e Mitsuko… Sei proprio un latin lover, in tutti i sensi.” Lui rise per quella sottile battuta.
-“Non potevi scegliere espressione peggiore per definirmi, sai?”
-“Ah sì?” Assottigliò gli occhi e lo guardò intensamente, preparando la stoccata.
-“Ti ho detto il motivo per cui sono uscito con Hayami, era ed è solo una questione di lavoro.”
-“Anche se lei sembra presa nei tuoi confronti…” Lewis si limitò a sorridere, imbarazzato. “Bene, allora mi racconterai anche che cosa state tramando tu e la detective Asatani. Altre questioni di lavoro, immagino.” Fu sorpreso da quella domanda. “Ti ho visto che eravate d’accordo per qualcosa, ieri sera: il tuo bonus silenzio lo hai già usato per oggi, quindi…” Incrociò le mani sotto al suo mento, cogliendo ogni segnale non verbale del suo interlocutore.
-“Quindi risponderò.” Sorrise amaramente, e mimò lo stesso gesto di Rui. “Va bene, ti dirò tutto.”

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Capitolo 27
*** Sotto gli occhi della Luna ***


-“Aspetta, mi stai dicendo che lei non lo sa?” Non sapeva se credere a quelle parole pronunciate con tale nonchalance.
-“Esatto, Mitsuko è convinta che ci sia una sola banda Occhi di Gatto là fuori e non le ho mai fatto credere il contrario.”
-“E come mai?” Jack sorrise con fare ironico.
-“Non lo so, per un malsano ottimismo, forse.” Guardò per un attimo il vuoto e poi tornò ad osservare attentamente Rui, scuotendo la testa. “Niente, dimentica ciò che ho detto.”
-“Non ti sto seguendo, perdonami.” La donna posò il calice sul tavolo: qualcosa non le tornava e non se lo sarebbe lasciato sfuggire.
-“Finché c’è un’altra gatta, voi tre sorelle avrete un alibi in più di un’occasione, anche se dobbiamo ovviamente tenerla d’occhio, dato la sua predisposizione a furti violenti. Comunque, non ho finito.”
-“Vai avanti, ti ascolto.”
-“Ho deciso di metterla al corrente di alcune informazioni che ho raccolto sul Circolo, il minimo indispensabile per assicurarmi la totale collaborazione della polizia locale per quando deciderò di agire. Posso distruggere l’intero sistema da solo, ma non arrestare tutti i componenti ad uno ad uno.”
-“Sì, ho capito. Ma allora di che cosa avete parlato ieri sera, da Murakami? Sembrava quasi faceste entrambi parte di un unico piano.”
-“Le ho detto che volevo osservare come si sarebbe mossa la Gatta, ma senza intervenire, poiché non autorizzato dalla mia agenzia. Ovviamente la realtà è che sono un agente indipendente, quindi ho facoltà di intervenire in caso di reato. Ad ogni modo, ho giustificato la mia necessità di toccare il diamante con la scusa di verificare che fosse quello autentico, e sai già cosa ho fatto in realtà. Sapevo in largo anticipo che si trattasse dell’originale.” Rui stette per un attimo in silenzio, mentre guardava le bollicine risalire nel suo bicchiere. “Questa è la verità, non sa nulla di voi. Devi credermi.” La risposta non fu immediata.
-“Sì, ti credo.” Abbozzò un sorriso e tornò a fissargli le iridi azzurre. Lewis ricambiò. “Grazie per coprirci in questo modo, chiunque nella tua posizione farebbe l’opposto.”
-“Io stesso normalmente farei l’opposto.” Risero di gusto. “Vuoi ordinare il dolce, per concludere questa bella serata?”
-“No, niente dessert per me, e poi lo sai che due come noi devono essere sempre in forma. Anzi, ho un’idea migliore per mettere fine al nostro appuntamento.” Finì il contenuto del calice e fece cenno ad un cameriere di portare il conto.
-“Sono tutto orecchi.” Rispose incuriosito.
 
-“Ecco, fermati qui.” Indicò la donna, scendendo dall’auto non appena fosse stata messa in sosta da Jack. Confuso da quella innaturale fretta, che non gli aveva permesso di aprirle la portiera come di consueto, fu richiamato dalla soave voce della sua compagna di serata. “Avanti, non fare il timido, vieni.” Gli sorrise candidamente e lo convinse a seguirla. Attorno a lui vedeva una fila di alberi nel verde, interrotta da un sentiero, costeggiato da alcune panchine: ne dedusse che si trattasse di un parco. “Sai, sono pochi gli uomini ad essere più alti di me anche quando indosso i tacchi.” Commentò, girandosi verso di lui.
-“Lo prendo come un complimento?” Chiese, divertito, senza ricevere risposta. Rui camminava davanti a lui e si fermò nei pressi di un banco poco illuminato in cui si sedette, invitando con un gesto a fare altrettanto anche al suo accompagnatore. Jack eseguì senza fare domande e si mise a qualche centimetro di distanza, provando a viaggiare con la mente per intuire un’intenzione. Alzarono insieme gli occhi verso la notte limpida e ne furono rapiti. Fu il ragazzo a rompere il ghiaccio.
-“La Luna ci guarda, stanotte. Seppur un modo inconsueto per terminare un appuntamento, devo dire che è assolutamente approvato dal sottoscritto.” Il tono della sua voce si fece più caldo e le parole uscivano lente dalle sue labbra, davanti allo spettacolo del firmamento. Si prese solo un momento di distrazione, per sfilarsi la giacca e porla sulle spalle di Rui, che apprezzò il gesto di galanteria.
-“Grazie, non mi piace essere banale.” Gli fece l’occhiolino, mentre passava una mano sul soffice tessuto ricevuto in prestito. “È stata davvero una bella serata, nonostante i temi talvolta un po’… importanti. È difficile trovare qualcuno che apprezzi e comprenda la complessità di alcuni argomenti. Oh, e poi c’è anche la questione crimine, certo.” Risero per quella battuta, appena percettibile. Lo guardò per un momento. “Ti ringrazio, davvero.” La curva sul viso di Lewis si fece più marcata.
-“Ogni promessa è debito.” Rispose succinto, e tornarono a prestare attenzione alle gemme brillanti, ben incastonate come spille in quel telo blu chiamato cielo.
-“No, non mi hai capita. Un conto è una buona cena, la compagnia… un altro è stare bene con qualcuno. Ed io sono stata molto bene.”
-“Anch’io, Rui.” Jack capì che aveva intenzione di continuare e si mise in ascolto.
-“Vedi, quando ero piccola mio padre era solito portarmi in posti come questo, lontani dai rumori e dalle troppe luci della città, per ammirare le stelle insieme. Erano per lui una grande fonte di ispirazione, eppure sono davvero pochi i suoi quadri a riguardo.”
-“D’altronde i notturni sono più difficili da dipingere rispetto ai quadri in cui si rappresenta il giorno. Non solo per la dosatura meticolosa dei colori scuri, ma anche la profondità dello spazio e dello…”
-“E dello spirito.” Lo interruppe, cogliendolo di sorpresa. “Mi sembra quasi di sentir parlare lui in questo momento. Cerca non la forma, ma l’anima delle cose. E l’anima di una notte è difficile da cogliere, c’è spesso una dimensione che va oltre al naturale. E poi, per le mie sorelle e me è diventata praticamente un’amica.” Un velo di malinconia le attraversò il volto.
-“Tuo padre deve essere stato un uomo davvero illuminato dall’arte, oltre ad una bella persona e un bravo genitore.”
-“Sì, è così.” Cercò di ravvivare la sua voce. “Quando ti sentirai affranta, delusa o triste, ricordati di guardare questo cielo e pensa a quanto siano piccoli i tuoi problemi di fronte a codesta bellezza. E poi delle parole che a ripensarci suonano quasi profetiche: Se e quando non ci sarò, tu guarda gli astri del cielo, perché li starò guardando anch’io; e sarà come se le stelle fossero la luce nei nostri occhi riflessa lassù. È una frase che mi accompagna tutte le sere ormai da sedici anni.” Jack cacciò indietro una lacrima a quelle parole. Deglutì, pensando a quanto fossero affini anche alla sua vita. Non fece comprendere il suo stato d’animo.
-“Chissà se ti rendi conto di quanto tu sia una donna forte, Rui.” Si scambiarono un intenso e lungo sguardo reciproco.
-“Anche tu sei eccezionale.” Non gli staccò gli occhi di dosso. “Eppure è strano, sembri un uomo solo, è una mia impressione?”
-“Beh, in realtà negli Stati Uniti ho mio padre, i miei colleghi…” Lo interruppe.
-“No, intendo, come mai un uomo come te non ha nessuna donna accanto? Anche se piaci molto alle ragazze, basta guardarti intorno.” Non riuscì a rispondere a quella domanda, pur cercando le parole giuste. “È per il tuo lavoro? Immagino che tu debba viaggiare molto e mettere in pericolo la tua vita ogni giorno, non deve essere facile.” Continuò.
-“Sì, diciamo di sì.” Rui attese, come se sapesse che avrebbe voluto proseguire. “Avevo una partner con cui lavoravo, fino a quattro anni fa, ci sentivamo invincibili: c’era così tanta complicità, chimica, intesa che… oltre ad essere l’incubo delle organizzazioni criminali d’America, ci siamo anche innamorati follemente. Era contro le regole dell’agenzia, c’era il rischio di non essere più efficaci e troppo coinvolti nelle varie missioni. Nonostante questo riuscimmo a diventare ancora più uniti: sventavamo qualsiasi tipo di crimine, e al tempo stesso progettavamo la nostra vita insieme. Era tutto talmente perfetto che sembrava dovesse essere per sempre, come in un film.”
-“E invece non lo è stato?” Si prese un attimo di tempo.
-“No: stavamo per distruggere un noto cartello della droga in Sud America, avevamo progettato la retata e raccolto innumerevoli prove. La cosa che mi fa rabbia è che sapevamo di trovarci di fronte ad una trappola, eravamo piuttosto bravi.” Rise in modo leggero, amareggiato. “Avevamo preparato un contro-piano, ma siamo stati traditi da una soffiata: morì in un’imboscata in cui io mi salvai per un pelo. Mancava meno di un mese al nostro matrimonio.” Il suo volto si svuotò di ogni emozione, che si riversò in modo controllato sulla voce. “Dopo Sophia non ho più provato un amore così forte per nessuna anima vivente su questa Terra. Non so se per un blocco mentale o… perché eravamo davvero perfetti l’una per l’altro.” Fece fatica a trattenere la commozione e per questo guardò al cielo invece che alla sua accompagnatrice. “So solo che non me lo perdonerò mai.”
-“Oh, Jack…” Si avvicinò a lui di qualche centimetro. “Non è stata colpa tua, ne sono certa. Mi dispiace molto.”
-“Era mio dovere impedirlo.” La sua voce si fece di nuovo cupa. “Pensa, avevamo già individuato il nostro obiettivo successivo. Un nucleo criminale di compravendita illegale di opere d’arte, la più grande rete mai vista su scala internazionale.”
-“Quello che oggi conosciamo come Circolo delle Ombre.” Capì, Rui. “Per questo ci stai lavorando così tanto, lo fai per lei.”
-“Anche per lei, sì.” La donna non si interrogò ulteriormente su quelle parole. Jack si riprese da quello stato d’animo dopo qualche secondo. “Spero che il motivo per cui un’affascinante e intelligente donna come te sia ancora single abbia delle radici meno drammatiche delle mie.” Cercò di alleggerire nuovamente l’atmosfera e lei lo assecondò.
-“Sì, nemmeno la mia è una storia molto piacevole, ma niente di paragonabile a quello che mi hai detto tu.”
-“Ti ascolto, se vuoi.” Rui fece attendere qualche istante la sua risposta: era una domanda a cui non aveva mai dato spiegazioni nemmeno alle sue sorelle, che pure scherzavano, talvolta, sulla sua condizione sentimentale.
-“La versione breve è che non ho mai trovato qualcuno che mi osservasse dentro, e non solo fuori.” Comprendendo la delicatezza della domanda, Jack la incoraggiò.
-“Gravissimo errore da parte di questi uomini, non immaginano il mondo che si perdono.” Lo disse con tono leggermente scherzoso, ma autentico nel contenuto. Lei sorrise, poi riprese con il racconto.
-“Devi sapere che, qui in Giappone, la realizzazione sociale massima per una donna, ma anche per un uomo, è il matrimonio. Oltre al lavoro e a formare una famiglia, intendo. In particolare, le ragazze devono restare il più vicino possibile al modello di madre, di casalinga… della brava e discreta donna di casa. Non troppo agghindata, non troppo bella, non troppo capace. Non so se sia così anche da voi.” Lo guardò, in attesa di risposte.
-“Forse non in modo così esasperato, però sì, gran parte della gente si aspetta la stessa cosa da noi e se devo dire la mia non ne trovo davvero il motivo, è solo… limitante.”
-“Io mi riconosco le qualità che ho, non ne faccio mistero, e anche questo non è esattamente un punto a mio favore. Sono una donna appariscente, amo la mia libertà di agire, di parlare o di vestire. Talvolta un abito elegante, un’altra un costume più sgambato… tutti mi guardano, ma nessuno si avvicina veramente. Il fatto è che, da un uomo giapponese, vengo vista molto di più come eventuale buona amante, che non come buona compagna o moglie, capisci?” Annuì, con aria di dissenso per quelle parole così fastidiosamente vere. “Ed io, onestamente, non ho nessuna voglia né di fare un passo indietro, né di vedere ridotta la considerazione di me stessa alla sola estetica. A costo di attirare qualche squallida battuta da chi mi circonda sul fatto che sono una zitella, l’essere me stessa vale molto di più di questo. Io sono molto di più di tutto questo.” Il ragazzo fu rapito da quel discorso, così sofferto, eppure così consapevole: una sintetica fotografia della società a loro contemporanea. Ancora una volta, poté apprezzare la profonda intelligenza di una donna che metteva l’amore per se stessa secondo solamente a quello per le sue sorelle, la sua famiglia.
-“Ne hai il sacrosanto diritto, Rui. Ed è ingiusto che tu non possa esprimerti per quello che sei, senza essere giudicata.”
-“Tu, invece, Jack…” Si rivolse a lui, quasi chiamando i suoi occhi. “Tu sei diverso. Sei l’unico che io conosca a non avermi mai vista in quel modo, nemmeno per un istante. Da quando sei comparso al nostro bar, fino a questo momento.” Lui rispose, concentrandosi sulle iridi blu della ragazza, il cui viso si avvicinava al suo.
“Non potrei in alcun modo al mondo vederti in quella maniera così svilente. Sei molto, molto più di questo.” Rui posò una carezza sulla guancia di Jack, il quale appoggiò la sua mano su quella della donna, come se le sue intenzioni iniziali fossero quelle di respingerla. Ma invece non lo fece. Al contrario, scese sul fianco per cingerlo delicatamente, e in quel momento le delicate labbra dipinte di rosso bussarono a quelle del ragazzo, che accettò l’invito, assecondando quella dolce e appassionata danza di emozioni.
Per via dell’ora tarda, le poche luci rimaste dei lampioni si spensero all’unisono, senza scalfire però la passione dei due amanti della notte. La ladra, stavolta di cuori, rivolse un'ultima frase all’affascinante agente, quasi sospirata, più che sussurrata: “Andiamo a casa, Jack.”

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Capitolo 28
*** Il Triangolo no... ***


Rui si girò nel letto, senza preoccuparsi troppo di che ora fosse, per poi accorgersi solo in un secondo momento che di fianco a lei ci fosse una leggera depressione sul materasso. Si alzò quasi di scatto, spettinata, e coprì la sua pelle solo con le lenzuola bianche e leggere sotto cui si era coricata la notte precedente. Vide la camicia, candida e un po’ stropicciata, di Jack lasciata ai piedi del giaciglio, e la afferrò con l’intento di vestirsi. Nonostante questo, la luce mattutina rendeva un seducente effetto vedo non vedo sulle sue membra nude, coperte da quell’indumento fino a poco più giù del bacino. Agganciò il minor numero possibile di bottoni, lo stretto necessario. Sentì poi il rumore di una porta che si apriva e la cercò con lo sguardo dall’uscio della camera rimasta aperta: fu allora che vide il ragazzo, con indosso solamente un pantaloncino bianco, e aveva sul collo un asciugamano, che cadeva sui muscoli scolpiti e gonfi per il recente sforzo fisico. Lui si accorse che la sua ospite era sveglia e i due si incontrarono nel salotto di casa Lewis.
-“Non sei per nulla romantico, lo sai?” Rui sorrise nel pronunciare quelle parole, alludendo alla scelta di Jack di allenarsi, anziché di stare nel letto che li aveva ospitati la notte appena trascorsa.
-“Hai ragione, ma, come si dice? Prima il dovere e poi il piacere, a parte il fatto che questa volta ho invertito l’ordine.” La donna, indossando l’indumento a lui rubato, appoggiò le mani al petto scolpito. I due corpi aderirono quasi perfettamente tra loro. “Attenta, sono tutto sudato…” Si fece scappare una risatina, cingendole i fianchi.
-“Lo vedo, avresti proprio bisogno di una doccia calda… o meglio, abbiamo bisogno…” Una dolce malizia attraversò i volti dei due amanti, che si avvicinavano inesorabilmente tra loro. Quegli sguardi complici vennero tuttavia interrotti dallo squillo del telefono di casa, appeso sul muro più vicino alla coppia. D’istinto, Rui osservò l’orologio da parete: mancava ancora una manciata di minuti alle sette di mattina. “Chi ti chiama a quest’ora?” Nascose un leggero fastidio, misto a curiosità.
-“Non lo so, non aspettavo chiamate.” Senza staccarsi da Rui, allungò il braccio e portò la cornetta all’orecchio. “Parla Lewis, chi è?” Esordì.
-“Perdonami per l’orario, Jack, sono Hitomi, ho bisogno del tuo aiuto.” Dal tono capì che era presente della preoccupazione e, rivolgendo gli occhi verso Rui per attirare la sua attenzione, rispose.
-“Ah, Hitomi, di cosa hai bisogno? È successo qualcosa?” La sorella maggiore accolse l’invito ad ascoltare quella conversazione.
-“Rui non è tornata a casa stanotte, ho paura che le sia successo qualcosa.” Presa in causa, sbarrò gli occhi e fece cenno di no con la testa a Jack. Lui capì, seppur non fosse convinto di quella indicazione. “Mi aveva detto di non aspettarla, ma a quest’ora di solito si sta già preparando per aprire il locale, non è da lei trascurare il lavoro. Non so se chiamare la polizia …”
-“Capisco, Hitomi, Rui è una donna in gamba, ma la tua preoccupazione è comprensibile. Facciamo così: comincio ad indagare per conto mio, se non arriva a casa prima dell’orario di apertura del bar, allora avrai la certezza le è successo qualcosa e chiamerai la polizia, intesi?”
-“Va bene, ti ringrazio.”
-“Avvisami se torna, ci vediamo più tardi al locale.”
-“A dopo.” Concluse Hitomi. Jack posò la cornetta e, dopo un istante di silenzio, guardò Rui con aria velatamente accusatoria.
-“Preferisci che le tue sorelle si preoccupino per te piuttosto che dir loro che sei a casa mia?”
-“Beh, così su due piedi…” Jack cercò di nascondere il suo divertimento dietro ad un’espressione di serietà, ma lei se ne accorse. “Insomma, è da tanto che non ho una sfera così privata, fammela godere almeno un po’.” Rispose più tranquilla e gettò le braccia al collo del giovane uomo, capendo che non si fosse offeso per quella risposta.
-“A proposito di godersi qualcosa… direi che dobbiamo sbrigarci a fare la nostra doccia, prima che ti diano per dispersa.” Rui avvicinò il proprio viso a quello del ragazzo.
-“Hai ragione, andiamo.”
 
Hitomi e Ai, in un silenzio quasi surreale, avevano quasi terminato di sistemare i tavoli della sala. Mancava circa una ventina di minuti all’apertura. In quel momento, sentirono il rumore della porta che si apriva e poterono tirare un sospiro di sollievo.
-“Rui, finalmente.” Esordì Hitomi, con tono a metà tra il rimprovero e la contentezza di vederla. La scrutò dalla testa ai piedi: indossava una camicia bianca oversize raccolta dentro ai jeans, e le maniche, più lunghe del necessario, erano elegantemente girate su loro stesse. “Ci hai fatto preoccupare, non potevi chiamare per avvisarci che saresti tornata la mattina?” La ammonì.
-“Hai ragione, Hitomi, ma ho perso totalmente il senso del tempo. Beh, di certo non potevo tornare a casa in abito da sera, non trovi?”
-“Ne deduco che la serata sia andata a gonfie vele, sorellona, se ti sei presa tutta la notte...” Con la malizia negli occhi, continuò la più piccola.
-“Ai, insomma, ma che allusioni fai! Piuttosto, avvisa Jack che è tutto risolto. ” Le ordinò Hitomi.
-“Oh sì, ora lo chiamo.” Si diresse verso il telefono, lasciando parlare le due.
-“Beh, in realtà non ha tutti i torti.” Fece l’occhiolino, imbarazzando tremendamente la sorella di mezzo. “Ma cosa c’entra Jack, di cosa lo dovete avvertire?” Fece finta di non sapere.
-“Ehm, ecco… gli ho chiesto di capire dove fossi, prima che chiamassimo la polizia.” Si vergognò nel dirlo, e Rui rise.
-“Tu che chiedi aiuto a Jack? Dovevi essere decisamente preoccupata.” Hitomi alzò gli occhi al cielo. “Ad ogni modo, dovresti fidarti un po’ di più di me: se fosse successo qualcosa, ve lo avrei fatto sapere in qualche maniera. Oh, a tal proposito.” Frugò nella sua tasca alla ricerca di qualcosa.
-“Hitomi, Jack non risponde al telefono di casa, penso sia ancora in giro a cercare Rui.” Interruppe Ai, con fare deluso. In un tempismo quasi studiato, però, egli entrò dalla porta su cui il cartello recitava ancora la parola “Chiuso”.
-“Tu guarda, parli del diavolo...” Notò Hitomi, vedendolo entrare.
-“Buongiorno, ragazze, vedo che la fuggitiva è tornata alla base. Bella quella camicia.” Trasparì ironia dalle sue parole, ma fin troppo poca sorpresa.
-“Buongiorno. E quindi mi hai pedinata fino qui, per caso?” Rui chiese con tono altrettanto scherzoso. Il ragazzo, appoggiatosi al bancone, guardò Hitomi per cercare una sorta di approvazione.
-“Beh, qualcuno mi aveva affidato un compito, perciò…”
-“A quanto pare lo stavi facendo piuttosto bene. Approfitterei di questi minuti, e della presenza di Jack, per mostrarvi qualcosa, andiamo di là.” Li guidò verso la piccola stanza contenente l’enorme computer fornito tempo addietro dal signor Nagaishi. “Jack, ti va di illustrare cosa sono questi?” Sul palmo di mano, mostrò quelle che sembravano essere a tutti gli effetti delle normalissime perle.
-“Certamente. Mentre Ai ed io mettevamo in pratica il nostro piano per il diamante, la vostra piccolina mi ha dato una copia del suo progetto e mi ha spiegato come aveva costruito l’orecchino che sostanzialmente ha salvato la vita a Rui e la mia, mentre eravamo ostaggi del Circolo. Così ho apportato alcune modifiche.” Afferrò una delle sfere e la mostrò a sua volta. “Prima di tutto, ho ampliato il loro raggio d’azione, ora possono comunicare tra loro anche ad una manciata di chilometri di distanza.” Dopo aver premuto una protuberanza quasi impercettibile sulla superficie, si attivò un segnale prima acustico e poi luminoso negli altri dispositivi. “Più il suono è forte, più vicina è la persona in pericolo; inoltre, ognuno di questi marchingegni fa attivare una luce diversa agli altri: ad esempio, quella che ho premuto io, dà una sfumatura verde a quelle che ha in mano Rui.” La disattivò, facendo così spegnere anche le altre. “Se invece ne attivassi un’altra, il segnale luminoso sarebbe diverso, e così via: assegniamoci un colore a testa, in questo modo sapremo chi ha bisogno di aiuto.”
-“Wow, è davvero ingegnoso, sono sorpresa.” Affermò Hitomi, osservando attentamente.
-“E questo non è ancora niente, vero Jack?” Parlò Ai. “Mi avevi accennato anche ad un’altra idea.” Si sentiva orgogliosa di aver partecipato alla realizzazione di quello strumento.
-“Esatto, Ai, ma avrò bisogno del tuo aiuto al computer per questa funzione.”
-“Conta su di me!” Si portò il pugno al petto.
-“Ottimo! Allora, dopo che anche questo sarà pronto, potrete localizzare dal monitor il punto esatto da cui proviene l’allarme, il tutto inserendo sul computer un codice che sarà univoco per ogni dispositivo.”
-“Mi metto subito a lavoro, Jack!” Ai si rimboccò le maniche e si sedette davanti allo schermo.
-“È davvero una tecnologia fantastica, devo ammetterlo.” Ne fu piacevolmente sorpresa Hitomi. “Forse mi sbagliavo su di te, ci stai davvero aiutando.” Per la prima volta ci fu uno scambio di sorrisi sinceri tra i due.
-“Bene, vi lascio nelle mani di Ai, io vado.”
-“Aspetta, tanto adesso dobbiamo aprire, posso offrirti un caffè? È il minimo dopo questo regalo.” Chiese pacatamente Rui.
-“Magari un’altra volta, grazie lo stesso.” Questa volta la curva sul suo viso pareva più forzata. “Buona giornata, ragazze.” Se ne andò, senza farsi accompagnare alla porta.
-“Solo a me è sembrato strano?” Chiese Rui, spiazzata, dopo un attimo di silenzio.
-“Puoi dirlo forte.” Commentò Hitomi.
 
A inizio mattinata, il Cat’s Eye si era popolato di clienti come di consueto, tra cui anche il detective del cuore di Hitomi. I due, parlavano come erano soliti fare, separati solamente dal bancone, mentre Toshio sorseggiava una tazza di caffè.
-“In questi giorni Occhi di Gatto mi sta dando veramente problemi a dormire, continuo a chiedermi come abbia fatto. È stato davvero umiliante, non avrei voluto che tu mi vedessi in quel modo…” Affermò, con fare imbronciato e deluso.
-“Oh, Toshio, ho visto quello che hanno fatto, ma temo che questa volta nemmeno il miglior poliziotto del mondo sarebbe riuscito a prevedere le loro mosse.” Hitomi gli parlava in modo dolce per consolarlo.
-“Tu dici?” Non era molto convinto.
-“Sì, ne sono sicura. Cerca di pensare al prossimo furto, vedrai che andrà meglio.”
-“Mhm mhm.” Continuava ad essere sconsolato, così Hitomi incrociò le braccia.
-“Andiamo, non vorrai mica arrenderti così… non fare il bamboccione.”
-“No, no, certo che no! Le catturerò, vedrai!” Si riaccese il suo spirito e batté il pugno sul tavolo. Intanto, la porta del locale si aprì per l’ennesima volta in quei concitati minuti.
-“Buongiorno.” Dissero quasi in coro le tre sorelle, salvo accorgersi che ad entrare era un aitante gentiluomo dai capelli corvini, vestito in modo informale, ma pur sempre con ottimo gusto.
-“Oh, ma tu guarda.” Sussurrò Hitomi, attirando l’attenzione di Ai e Toshio, che si riunirono ad una certa distanza dalla scena.
-“Buongiorno. Oh, Rui, che coincidenza trovarti a lavorare qui.” Sorrise.
-“Benvenuto al Cat’s Eye, Yuito. Per qualche motivo una vocina mi dice che non si tratti di una semplice coincidenza, che cosa le preparo?”
-“Un caffè, e dammi pure del tu. Sei una donna perspicace, vedo, ma facciamo finta che non sia così.”
-“Arriva subito. Dovrei far finta che lei non mi abbia cercato?” Rimarcò, e, messo a disagio, l’imprenditore si grattò la nuca.
-“Sorellina, ma è quello il tipo di cui mi hai parlato ieri? Sei sicura che sia proprio lui con cui Rui ieri sera…” Ai bisbigliò nell’angolino a Hitomi e Toshio.
-“Con Rui, che cosa..?!” Quasi sputò il caffè.
-“Shh! Toshio!” Dissero all’unisono le due ragazze. “Comunque sì, è Yuito Fukuda, ci aveva provato con Rui anche alla festa di Murakami, senza molto successo.” Ridacchiò Hitomi.
-“Beh, nemmeno ora sta andando troppo bene.” Ai era a dir poco divertita da quella scena.
-“Ma perché voi donne dovete rendere tutto così complicato a noi uomini?” Chiese il poliziotto. “A me sembra uno a posto, un bel ragazzo, insomma.”
-“Quanto sei superficiale, Toshio… No, a me non piace, non starebbe bene con Rui.” La piccola si spazientì leggermente.
-“Perché no?” Il giovane detective non capiva.
-“Ma come perché? Non le tiene testa minimamente, guarda.”
-“In che senso?” Toshio e le altre si girarono nuovamente ad osservare, senza preoccuparsi più di tanto di essere beccati.
 
-“E quindi questo è il tuo bar… è molto bello.”
-“Mio e delle mie sorelle, sì. Ecco a te.” Porse la tazzina, senza far trasparire i suoi pensieri.
-“Bella, intelligente, intraprendente… hai mai pensato di entrare nel mondo dello spettacolo? Ti vedrei meglio nel grande schermo che in un qualsiasi locale di Tokyo a fare la cameriera.” In lontananza, si sentì il suono del telefono del locale squillare.
-“No, grazie, sto bene qui. Con permesso, vado un attimo a rispondere.” Ignorò l’opinione di Yuito e si allontanò per dirigersi nella stanza dietro al bancone, fermandosi un solo secondo a sussurrare a Hitomi, Ai e Toshio. “Se proprio volete fare i pettegoli, almeno non siate così palesi.” E se ne andò con aria scocciata lasciando i tre curiosi immersi in un percettibile imbarazzo.
-“Lo sapevo, parlare alle spalle di Rui è sempre una cattiva idea, è meglio smetterla.” Disse a bassa voce la sorella di mezzo.
-“Sì, è vero. Ma siamo sicuri che sia questo bellimbusto la sua fiamma? Da come si comportano non sembra mica…” Insistette, appoggiando il volto sulla mano.
-“Ai! Ho appena detto di non-” Provò ad intervenire Hitomi.
-“In realtà non li vedo così male insieme, si vede che il ragazzo ci sa fare con le donne.” Commentò Toshio.
-“Oh santo cielo, potete smett-”
-“No, mia sorella non può essere uscita con uno come lui.” L’espressione di Ai si trasformò in qualcosa di simile ad un broncio.
-“Cosa avete da borbottare tanto?” Chiese Fukuda, leggermente infastidito da quegli sguardi.
-“No, niente, signore, perdoni la nostra impertinenza.” Disse Hitomi, sorridendo per cercare di risolvere quello spiacevole disagio con il nuovo cliente. “Per il disturbo, le offriremo il caffè che ha ordinato”.
-“No no, lo pagherò, piuttosto, ditemi… Vedo che Rui non ha alcun anello al dito, è una donna libera, vero?” Ai cercò di frenare il suo entusiasmo sul nascere.
-“No, nostra sorella è una donna impegnata in tutti i sensi, fossi in lei mi rassegner-”
-“Ai, sono questi i modi di trattare un cliente? La perdoni, signor Fukuda.” La voce di Rui, che stava tornando al suo posto, risuonò dal corridoio.
-“Non ti preoccupare. Allora, tanto vale che lo chieda direttamente a te: posso invitarti ad uscire, una di queste sere?” A quella domanda, Rui cambiò espressione: gli occhi si assottigliarono, il volto diventò più dolce e le sue parole sorpresero tutti.
-“Sì, va bene.”

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Capitolo 29
*** Il peso di un guaio ***


-“Ah, quindi la fortuna vuole che Yuito Fukuda abbia una grande collezione privata di opere d’arte, per questo hai accettato il suo invito ad uscire.” Osservò acutamente Hitomi. “Però potresti dare lo stesso una possibilità a quel ragazzo, non sarebbe male per te se ti sistemassi…” Le ragazze erano sedute a tavola e stavano pranzando nel salotto di casa con la zuppa di miso preparata dalla sorella maggiore.
-“Farò finta di non aver sentito.” Replicò Rui, tra un boccone e l’altro. “Comunque è esatto, in particolare è proprietario del quadro Aria tropicale, dipinto da papà in uno dei suoi numerosi viaggi in giro per il mondo. Se riusciremo a recuperarlo, potremo cominciare a tracciare una sorta di mappa degli spostamenti prima della sua scomparsa, o almeno, questo è quello che mi ha detto Nagaishi al telefono.” Rispose Rui.
-“Come sempre, quell’uomo ha un tempismo quasi inquietante.” Commentò Ai, ridendo.
-“Sì, è vero, ma è una qualità preziosa.” Finì il suo piatto. “Bene, io esco per un po’, tornerò prima dell’orario di riapertura del locale.”
-“E dove andrai? Ultimamente sei sempre in giro.” La sorella minore si incuriosì.
-“Provo a indovinare: a casa di Jack, giusto?” Hitomi spiazzò le altre, Rui compresa. Riprese a parlare con tono pacato e serio, appoggiando il viso alla sua mano. “Pensavi davvero che non me ne sarei accorta? È evidente che negli ultimi tempi vi siete incontrati più spesso e anche al di fuori del bar. Altrimenti i localizzatori che ci ha fornito li avrebbe dati ad Ai, con cui li ha elaborati, oppure li avrebbe portati lui stesso da noi, non ti pare?” Non poteva negare, ma fu piacevolmente colpita dall’intuizione della sorella.
-“Sì, hai ragione, ci vediamo qualche volta per scambiarci delle informazioni su papà. E se ho imparato a conoscerlo almeno un po’, direi che stamattina nascondeva qualcosa che lo preoccupava: deve aver scoperto delle cose, e vorrei sapere di che si tratta.”
-“Va bene, facci sapere. E non sparire di nuovo, mi raccomando.” Rui rise appena per quella vena protettiva di Hitomi, e rispose.
-“Oh, va bene, mamma.” Alzò la mano a mo’ di saluto e uscì seguita dal suono della voce della sorella.
-“Mamma a me?! Ma tu guarda che insolenza!”
-“Effettivamente sembravi proprio Rui quando avevi da poco iniziato a frequentare Toshio al liceo!” Ai si stava divertendo per quella scena.
-“Ma che dici, non è vero!” Incrociò le braccia e mise il broncio.
 
Il campanello di casa Lewis suonò a vuoto per una volta, ma la donna era ben armata di pazienza e di un briciolo di testardaggine. Al secondo squillo, si vide aprire la porta dopo pochi secondi da un ragazzo visibilmente impegnato, dai capelli arruffati, vestito da una camicia celeste non abbottonata fino in fondo ed un paio di jeans.
-“Oh, ciao Rui, hai dimenticato qualcosa? Non sei ancora stanca di vedermi per oggi?” La vena sarcastica di Jack la fece sorridere, anche se in un modo un po’ differente dal solito.
-“Oh, ogni donna dotata di una buona vista non si stancherebbe di questa visione.” Fu colto in controtempo da quel complimento e non riuscì a ribattere.
-“Prego, entra. Che posso fare per te?” Rui accolse l’invito, pur sentendo che nel suo modo di fare qualcosa non andasse. Invece di accomodarsi, rimase in piedi.
-“Volevo dirtelo di persona, prima che tu fraintenda le mie intenzioni scoprendolo da solo: non so ancora quando, ma nei prossimi giorni uscirò con un uomo, e sarà solo per lavoro. Non dovrai preoccuparti.”
-“Certo, dopotutto fare la barista comporta anche a questo.” Seppure il suo fare fosse totalmente distante dal far trasparire gelosia, Rui non se la bevve.
-“Vedo che hai la battuta piuttosto pronta, oggi.” Era stranita da quel comportamento: percepiva del celato nervosismo.
-“Sì, hai ragione, perdonami. Ovviamente non c’è problema, sei una donna libera, dopotutto.” Il suo tono si abbassò, insieme al sarcasmo.
-“Libera?” Si chiedeva, a lui andava davvero bene considerarla libera da quel punto di vista, dopo la notte passata insieme? No, non le tornava. “Perché ho come l’impressione che qualcosa non vada? Che cosa ti è successo?” Si avvicinò a lui con aria preoccupata, e sentì i suoi respiri profondi, mentre cercava di guardare a terra invece che negli occhi della sua ospite. La sua dura corazza si scioglieva sotto ai dolci tocchi della donna, che non avrebbe esitato ad usare quella sua capacità per capire cosa gli passasse per la testa.
-“Sai perché lavoro così tanto e non sto mai fermo?” Lei fece silenzio e si limitò ad ascoltare. “Perché ho il bruttissimo, terribile, difetto di pensare troppo, a qualsiasi cosa: ragionamenti su di me, sui miei casi, sulle nuove prove raccolte e da raccogliere, sulle persone che mi circondano… ai mille possibili scenari futuri che scaturiscono dalle mie azioni e dalle mie scelte.” Con le dita si stropicciò gli occhi.
-“Che cosa stai cercando di dirmi? Non ti seguo.” La giovane donna si allarmò.
-“Purtroppo o per fortuna stamattina mi sono fermato e… Rui, non so se sia giusto quello che stiamo facendo, se sia giusto quello che c’è tra noi.” Il gelo calò nella stanza. “Non perché io non sia attratto da te, anzi, al contrario. Erano anni che non mi sentivo così.” La donna non rispose e lo incalzò con uno sguardo accusatorio: voleva più spiegazioni, non poteva accontentarsi. “Finita la mia missione, tornerò negli Stati Uniti, per poi inseguire un nuovo caso, in giro in un altro angolo di mondo, mentre tu… tu giustamente dovrai restare qui ad inseguire la tua, di missione. Ci faremo del male sapendo che un giorno…”
-“Correrò il rischio.” Rispose concisa. “Non ti lascerò andar via per così poco, non dopo tutto il tempo che ho aspettato.”
-“No, forse non hai capito, c’è dell’altro. Potresti anche essere presa di mira in quanto compagna di un agente segreto: anche questo è un rischio, ancora più grande. Il Circolo non aspetta altro che un'occasione, se scoprono che qualcuno si è avvicinato troppo a me…” Si fermò, e appoggiò la schiena sulla parete.
-“Vai avanti, che cosa c’è? Che succederebbe?” Sentì dei brividi lungo la schiena. Lui sospirò.
-“Stamattina ho ricevuto due soffiate molto importanti: la prima riguardava un pezzo grosso dell’organizzazione, la sua ipotetica identità, il suo ruolo. E la seconda…” Strinse involontariamente i pugni. “La seconda riguarda me. Il Circolo mi cerca, mi sta con il fiato sul collo, Rui: non voglio assolutamente tirarti in mezzo. E quindi gli scenari sono due, per la nostra storia: arresto questa organizzazione di delinquenti prima che possano fare altri danni, per poi tornare alla base e ricominciare a lavorare lontano da te; oppure saranno loro a trovarmi per primi, mettendo in serissimo pericolo sia te che le tue sorelle. E questa opzione non deve nemmeno esistere, anche a costo di-”
-“Non ti azzardare a far leva sulle mie sorelle per convincermi di questa follia, è una cosa tra noi.” Alzò i toni, senza scomporsi. “Detto questo, hai pensato a cosa voglio io? Non puoi prendere da solo questo tipo di decisioni per tutti e due!”
-“Rui, è l’unica scelta possibile, non lo capisci? Noi due non possiamo-”
-“C’è sempre un’altra scelta!” Anche se alterata, la voce della ragazza restava controllata.
-“Sì, Rui, è quella di vedere anche te, Ai e Hitomi morire a causa mia!” Al contrario di quella dell’uomo: il volume del suo tono la spaventò per un secondo, tanto da non consentirle replica. “E per cosa rischieresti così tanto?! Per un povero bastardo come il sottoscritto che è sempre a lavorare, sempre in pericolo, sempre in allerta? Non hai già troppo a cui pensare con le tue sorelle, con Mitsuko e Toshio, con Heinz?!” Rui si allontanò da lui, che si rese conto immediatamente di aver esagerato, seppur convinto di essere nel giusto. “Scusami, non volevo urlare in quel modo contro di te. Da ieri sera a stamattina…” Sospirò ancora. “Non avrei dovuto permettere che succedesse, è colpa mia.” Trascorse un infinito attimo di silenzio, in cui anche lei depose le armi.
-“E invece sì che sarebbe dovuto succedere.” Ribatté, riavvicinandosi e posando una mano sulla sua guancia, come a consolarlo. “Ci sono cose che, per quanto ci sforziamo, sembrano essere già scritte, sono sicura che lo sai anche tu. Non voglio rinunciare ai miei sentimenti, non dopo che ho aspettato una vita intera per provarli in questo modo.” Jack gettò il suo sguardo a terra. “E non voglio nemmeno che lo faccia tu, a causa di quello che hai già dovuto patire. Ogni storia è diversa a suo modo, non deve andare tutto per forza male.”
-“Rui, devi credermi, porto solo guai… Anche per me sarebbe più facile far finta che non sia così, gettare le mie responsabilità alle spalle per te.” Lei sorrise, con una vena malinconica.
-“Ogni guaio pesa la metà se lo si regge in due.” Sentì la guancia infiammarsi di uno strano calore a quelle parole, così forti e dolci allo stesso tempo, e afferrò piano la mano della donna, come ad accompagnarla.
-“Dammi almeno un po’ di tempo per risolvere questa questione, poi ne riparleremo e ascolterò la tua scelta, va bene?”
-“Sai già quale sarà la mia risposta, non cambierò idea.” L’aria si fece meno tesa, allo schioccare di un bacio di Rui sul volto di Lewis, che cercò di smorzare la serietà.
-“Sei sicura? Perché da quanto mi hai detto, non hai perso tempo, hai già trovato qualcun altro con cui uscire in alternativa.” Rise amaramente dicendo quelle parole, e Rui si staccò da lui.
-“Oh, dovresti saperlo bene che le donne come me non aspettano mai nessuno, mio caro.” Gli sistemò il colletto della camicia, stropicciata, che lasciava scoperto in parte il suo petto.
-“Colpito e affondato.” Ammise.
-“Forse la tua tensione di oggi è dovuta alla stanchezza, dovresti fermarti a riposare, possibilmente non facendo pensieri distruttivi... Non seguirci durante il prossimo colpo, ce la caviamo da sole come ai vecchi tempi.”
-“Va bene, come dici tu.”
-“Bravo. Augurami buona fortuna.” Gli sorrise.
-“Piuttosto, penso di doverla augurare al malcapitato che si vedrà irrimediabilmente fregato dal tuo fascino.”
-“Ehi.” Gli tirò un affettuoso pugno sull’addome, senza far alcun male.
-“Che c’è? Non è colpa mia se nessuno può resistere al fascino di una femme fatale dipinta da Gustav Klimt.”
-“Oh, quanto adoro quando mi fai complimenti di una certa cultura… Però non credere di esserti salvato in corner: dai, su..” Gli fece l’occhiolino.
-“Va bene, va bene. In bocca al lupo, stai attenta.”
 
“Santo cielo, mi sono proprio rammollito…” Pensò, mentre fuori dalla porta accompagnava con lo sguardo la schiena di Rui, che si allontanava da casa sua. “Allora perché mi sta bene così? Dovrei essere infuriato per averle permesso di farmi cambiare posizione su una cosa così importante. Tuttavia, vorrei anche pensare a ciò che fa stare bene me una volta tanto, a come mi sento io, non sempre e solo agli altri. Dio, se suona egoista come cosa. Però… questa volta la posta in gioco è più alta del solito, non dovrei cedere. Ah, maledizione, non era proprio l’occasione giusta per provare qualcosa del genere.” Sorrise amareggiato scuotendo la testa, mentre tornava dentro all’abitazione. “Papà, come sempre avevi ragione tu: i sentimenti bisognerebbe lasciarli stare in questo mestiere, sono solo un gran casino.”
 
-“Bene, il mio appuntamento con Yuito è fissato per domani alle diciassette in punto ed andrà avanti fino all’orario del furto. Ai, hai già spedito il biglietto di avvertimento?” A casa Kisugi si limavano gli ultimi dettagli dell’imminente colpo a danni del giovane e prestigioso imprenditore.
-“Certo che sì, capo!” Rispose alla sorella maggiore con convinzione.
-“Un attimo, quindi Ai ed io agiremo quando tu sarai ancora presente all’appuntamento? Cosa ti fa pensare che non lo annullerà a causa di Occhi di Gatto? Sarebbe la scelta più logica.” Chiese Hitomi.
-“In quel caso, mi avrebbe già chiamato per cancellarlo. Se ho capito bene che tipo di uomo è, non si farà sfuggire l’occasione di impressionare una fanciulla di suo interesse, specialmente se impaurita. In più, avrà anche degli addetti alla sicurezza privata, quindi forse non coinvolgerà la polizia.” Rui srotolò una cartina che mostrava la pianta del palazzo Fukuda. “La sua proprietà è divisa in diverse sezioni, ognuna con il proprio scopo. Qui ha un ricercato ristorante gourmet, qua invece un salone dedicato ai giochi come biliardo e freccette; questo invece è il piano che interessa a noi.” Indicò sulla carta.
-“Il quarto piano.” Osservò Hitomi.
-“Esatto, è dove si trova la sua galleria privata, che normalmente è possibile visitare solo con prenotazione in largo anticipo. È formata da un grande salone centrale, il quale contiene le opere più importanti; esso è circondato da sei stanze che invece ospitano opere suddivise per temi, datazione e autori. Essendo un museo chiuso per i meno abbienti, non sappiamo ancora in quale di queste sia tenuto il quadro di nostro padre. Ed è qui che entrerò in scena io.”
-“Posizionerai vari segnalatori per indicarci sia la sala che le vie di fuga prima del nostro arrivo, dico bene?”
-“Esattamente. Quindi, ricapitoliamo: dalle diciassette fino alle diciannove circa cercherò di farmi guidare nel suo museo, dopodiché sarà il turno della cena al piano del ristorante…”
-“E non appena avrete finito di cenare, sbucheremo Hitomi ed io a salvarti da una spiacevole o imbarazzante situazione con quel ricco belloccio.” La malizia di Ai era palpabile, e Rui ne fu divertita.
-“Un momento, tra ristorante e le altre sale Fukuda avrà dei clienti, dei frequentatori del giro: non sarà un ostacolo agire in mezzo a così tante persone?”
-“Lo sarebbe normalmente… Ma Nagaishi mi ha fatto sapere che Fukuda ha disdetto qualsiasi prenotazione a qualsiasi sala. Avremo il palazzo tutto per noi, sorelline.” Fece l’occhiolino.
-“Uh, vuole avere casa totalmente libera per Rui… dev’essere proprio pazzo di te, anche se a dir poco megalomane! Rimarrà scottato!”
-“Ai, insomma, smettila! Non è un gioco.” La sorella di mezzo la rimproverò e la tirò per un orecchio.
-“Bene, questo dovrebbe essere tutto. Preparati Hitomi, l’azione vera e propria sarà tutta per te.”
-“Questa è musica per le mie orecchie, sorellona, non ti deluderò.”

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Capitolo 30
*** Ladra di cuori (1/2) ***


-“Siamo arrivati a destinazione, signorina.” L’autista avvisò la donna.
-“La ringrazio.” Scese dal mezzo di lusso dopo che le fu aperta la poriera, e guardò davanti a sé: il grande palazzo Fukuda si stagliava nella sua sobria e moderna imponenza. A raggiungerla in un batter d’occhio fu un assistente sulla quarantina ben curato nel vestire e cordiale nei modi, il quale la invitò all’interno e le fece strada verso un ascensore nel grande pianterreno. Una volta che entrambi furono entrati, egli scelse dove farlo fermare: Rui, nell’osservare i tasti, non fu sorpresa di notare l’assenza del numero quattro *, segnato con la cifra successiva, che segnalava proprio il piano di suo interesse: “La scaramanzia questa sera avrà un senso, quantomeno.” Sorrise, tra sé e sé, pensando al colpo che lei e le sorelle avrebbero inflitto all’imprenditore.
-“Prego.” Le venne aperta la porta che la affacciava ad una grande ed elegantissima sala di ricevimento, in fondo alla quale vide il giovane proprietario, Yuito Fukuda, maneggiare delle fresche bottiglie di vino all’interno di un secchio di ghiaccio. L’uomo si voltò subito ad ammirarla, incantato: notò la sua camicetta bianca dalle sottili trame floreali, con un’importante, ma per nulla volgare scollatura; la fine dell’indumento era inserito delicatamente all’interno della morbida gonna nera che la cingeva dai fianchi alle ginocchia, rivelando parte delle lunghe gambe; il collo e le orecchie, invece, erano adornati da gioielli in perla, mentre dalla spalla le scendeva una borsetta elegante in pelle nera.
-“Buonasera, signor Fukuda.” Lo salutò, scrutando altrettanto la sua raffinatezza rappresentata da una camicia celeste e pantaloni da completo, un orologio vistoso e chioma sistemata ad arte dal gel. Sul suo volto squadrato e perfettamente rasato comparve una curva di contentezza.
-“Signorina Kisugi, si accomodi. Rosso o bianco?” Aveva capito che la troppa confidenza data fino a quel momento con lei non funzionava e Rui lo notò immediatamente.
-“Mi sorprenda.” Ordinò con compostezza.
-“Le propongo questo Merlot, direttamente dal uno dei miei ultimi investimenti, la Cantina Suntory Tominooka, ai piedi del Monte Fuji.” Le porse il calice e per prima cosa la donna ne sentì il profumo.
-“Mi sembra una buona scelta. Non sempre i vini più costosi e appariscenti sono quelli più adatti ad ogni occasione. È un appassionato, quindi?” Rui roteando delicatamente il bicchiere, fece infrangere piccole onde d’uva sulle piccole pareti di vetro.
-“Sì, molto. Mi piacerebbe essere un pioniere in questo ambito. Vede, entro un anno al massimo ho intenzione di creare qualcosa di mai visto prima sulla produzione vinicola locale.”
-“Ah sì? Ne sembra entusiasta, di che cosa si tratta?”
-“C’entra la stazione dei treni di Shiojiri, nella prefettura di Nagano. Ma non posso dire di più.” Si atteggiò con aria volutamente misteriosa.
-“Santo cielo, prima la formalità e la galanteria, poi il vino di sua produzione invece di quello industriale, ed in fine un piccolo segreto sulla sua fantastica, meravigliosa, superlativa attività lavorativa… quest’uomo si è letteralmente mangiato un manuale di seduzione prima di questo appuntamento, al cento per cento.” Dall’auricolare di Rui, la voce di Ai suonava come un invito a ridere in faccia al padrone di casa, ma forte di un invidiabile autocontrollo, la donna resistette.
-“Capisco.” Assaggiò il prodotto delle vigne dell’imprenditore, che aspettava con ansia il suo giudizio. “Gradevole, non c’è che dire.” Quel complimento non sembrò riempire totalmente l’ego del giovane: “G… gradevole?” si domandava. “C’è qualcosa che sorprenda questa donna?”. Si rassegnò sul tema e continuò.
-“Bene. Abbiamo ancora un po’ di tempo prima di andare a cena, può sedersi qui.” Le indicò uno dei due divanetti in pelle posti uno di fronte all’altro, divisi da un tavolino. “Mi dica, quali sono i suoi interessi?”
-“Oh, oltre alla mia attività al bar con le mie sorelle ho ben poco a cui dedicarmi. Però, sa, sono una grande appassionata di arte e di storia, leggo molto a riguardo e nel mio tempo libero cerco di vedere più mostre che posso.” Mandò giù un sorso, mentre gli occhi di Yuito si illuminarono.
-“È il suo giorno fortunato, mademoiselle.” Si alzò in piedi con malcelato entusiasmo e posò il calice vuoto sul tavolo. “Posso avere l’onore di accompagnarla tra le sale del mio museo privato?” Le porse la mano, e Rui sorrise entusiasta.
-“Quindi la collezione privata Fukuda non è di un suo omonimo, è davvero sua?” Si finse sorpresa, per accontentare quel desiderio di far colpo.
-“Certamente.” Le porse la mano, per invitarla ad alzarsi.
-“Quale onore, molto volentieri.” Lo assecondò, soddisfatta.
 
-“Hitomi! Hitomi!” Ai scese velocemente le scale per raggiungere la sorella, alle prese con le ultime pulizie del locale: mancava ancora del tempo alla chiusura, ma, considerato lo scarso numero di clienti, si portò avanti, prima di doversi precipitare al Palazzo Fukuda.
-“Che succede, Ai?” Si preoccupò. La giovane abbassò il tono della voce non appena si trovò vicino alla maggiore.
-“Ho perso il segnale, non sento più Rui da quando ha preso l’ascensore per il piano del museo. Ci deve essere un disturbatore di frequenze, che facciamo?”
-“Intanto manteniamo la calma. È probabile che sia un dispositivo di sicurezza fatto installare da Fukuda in vista dell’imminente furto, se fosse davvero in pericolo avrebbe attivato la perla-localizzatore, non ti pare?” Disse, mentre puliva alcune posate.
-“Sì, hai ragione. Senti un po’, visto che non c’è nessuno e abbiamo un po’ di tempo… mi dici cosa ne pensi della Gatta Nera? Tempo fa l’hai affrontata, giusto?”
-“Sì, è stato davvero difficile. Che cosa vuoi sapere in particolare?”
-“Non lo so, ultimamente non si è più fatta viva, non capisco quale sia il suo gioco. Io mi sono limitata a metterle i bastoni fra le ruote per evitarne la fuga…” Posò i gomiti sul bancone e il viso si appoggiò sulle mani.
-“Nemmeno io lo comprendo, ma è un bene che non giri più così tanto intorno a noi, credimi. Non è stato affatto facile.”
-“Però così mi dà l’impressione di poter comparire in una nostra missione da un momento all’altro, è snervante.”
-“Non posso darti torto. Dopotutto noi abbiamo un nostro codice: avvisiamo la polizia, non facciamo del male a nessuno, non usiamo armi che possano nuocere; mentre lei, al contrario, dà l’impressione di sovvertire ogni nostra regola, è incostante, imprevedibile e non conosciamo il suo criterio nei furti. Per questo è pericolosa.”
-“Già. Chissà come mai non si è presentata all’evento di Murakami, d’altronde aveva mandato l’avviso anche lei…”
-“Cavolo, hai ragione, non ci avevo pensato. Penso che il motivo sia l’essere rimasta spiazzata dal piano di Jack… ti confesso che ancora non ho capito come ha fatto.” Guardò il vuoto con fare pensieroso.
-“Vuoi dire come abbiamo fatto!” Si sentì esclusa. “Ma se non vuoi scervellarti troppo, te lo racconto ora!”
-“Me lo dirai un’altra volta, ora abbiamo da fare.” Smorzò l’entusiasmo della sorellina.
-“Oh, uffa…”
 
Il piccolo museo privato si estendeva geometricamente su tutto il piano: la stanza centrale, la più grande (al cui centro era posizionata un’antica statua, una copia romana in marmo), era circondata dalle altre sei, le quali erano tutte collegate tra loro da porte.
-“Prego, dopo di lei.” La invitò ad entrare nell’intima, ma sfarzosa galleria, per ammirarne il patrimonio artistico, di cui andava particolarmente fiero. Le aspettative della donna non vennero per nulla deluse.
-“Incredibile, non ho ancora visto le altre sale e già ho l’impressione di essere dentro ad un piccolo scrigno contenente grande arte.”
-“Lei è anche una donna di poesia, vedo, di raffinata sensibilità.” In risposta al complimento, sfoggiò il suo sorriso migliore, il quale fulminò all’istante l’uomo che l’accompagnava.
-“Ma no, è solo che mi piace ciò che è bello. Perché non mi fa da cicerone tra questi meravigliosi gioielli?” Yuito cominciò quasi a balbettare dopo aver assistito a tale irresistibile scena.
-“C… Certo, mi s… segua.” Abbassò per un secondo lo sguardo.
“Oh, signor Fukuda, basta davvero così poco per sciogliere la sua corazza da super uomo?” Rui se la rideva tra sé e sé, anche se speranzosa che quel gioco di seduzione potesse diventare da un momento all’altro più difficile e intrigante: le sembrava, invece, di avere già la sua completa attenzione. Entrata nella seconda stanza esterna, il suo sguardo captò all’istante l’oggetto di suo interesse. Davanti all’entrata, fece cadere appositamente a terra uno specchietto da borse.
-“Oh, che sbadata.” Approfittò di quella frazione di secondo in cui Fukuda le dava le spalle, assorto nella sua spiegazione, per applicare a terra un nastro all’apparenza trasparente. L’uomo si girò non appena sentì quelle parole.
-“Tutto a posto, signorina? Le serve una mano?” Il tempo di fare la domanda e Rui aveva già raccolto l’oggetto.
-“No no, mi era solo caduto questo. Mi perdoni, continui pure..” Lo rimise in borsa e il ragazzo proseguì nel proprio trasportato racconto.
 
Nonostante quella visita riguardasse strettamente il lavoro, Rui aveva tutte le intenzioni di godere dell’arte dinnanzi a cui si ritrovava. Era davvero appagata dalla vista dei disegni originali di epoca rinascimentale, dei dipinti settecenteschi di artisti ribellatosi al genere della pittura storica, di quel confronto diretto tra maestri accademici e illuminati avanguardisti intrappolati nel proprio tempo. Solo la pittura di genere e quella realista mancavano all’appello, probabilmente considerate troppo ‘rozze’ da un così raffinato uomo d’affari. Eppure, una vocina nella testa le chiedeva quando sarebbe finito quel giro: era quasi stanca di sentir parlare quel convinto e ricco imprenditore: “Questo l’ho acquistato a Miami per un milione di dollari, quest’altro arriva dal mio viaggio in Europa per ottocentomila euro, quest’altro ancora è un dipinto del periodo Edo, vinto ad un’asta a Sapporo, in Hokkaidō…”. Non sapeva riconoscere, e nemmeno narrare, il valore di un’opera andando oltre alla cifra di acquisto: non ne conosceva poetica, intensità, stile, passione, e ciò rendeva le sue parole sterili alle orecchie di Rui. “Questo ben di Dio è davvero sprecato sotto ai tuoi occhi così miopi, caro Yuito.” Pensava, osservando ed apprezzando da sé le particolari vibrazioni di ogni quadro che le si presentava davanti. Si distrasse per un solo secondo per pensare:“Chissà come me li avrebbe descritti Jack. Lui sembra riconoscere davvero il valore di qualcosa quando si parla di arte.”
 
Il suono della porta del locale che si apriva preoccupò leggermente Hitomi, ormai quasi pronta alla chiusura.
-“Ah, non ci voleva.” Bisbigliò. “Buonasera, la avviso che tra poco chiuderemo.” Solo dopo aver pronunciato quella frase, alzò gli occhi per riconoscere il cliente.
-“Ah, sei tu, Jack, scusami.” Sentendo quel nome, Ai, accorse dalla cucina.
-“Ehi, ciao Jack!” Salutò energeticamente.
-“Buonasera. Oh, tranquille, mi basta solo un caffè, appena deciderete che è tardi, mi dileguerò.”
-“Un caffè a quest’ora? Te lo preparo subito.”
-“Sì, grazie. Ho passato il pomeriggio a sistemare degli appunti, sono uscito per prendere una boccata d’aria e ho bisogno di un po’ di caffeina. Avrò altro da studiare stasera.”
-“Non ti fermi proprio mai, da come ce la racconti. Tieni, ecco a te.”
-“Ti ringrazio. Ma Rui dov’è? È uscita?” Qualcosa non gli tornava.
-“Non te l’ha detto quando è venuta da te? Ha un appuntamento stasera.” Jack guardò l’orologio da polso, dopo aver capito che la donna avesse parlato del loro incontro alle sorelle.
-“Sì, me lo aveva detto, ma non sono nemmeno le sei di sera, non pensavo andasse così presto. Voi la raggiungete più tardi?” Dopo un attimo di sgomento, anche Hitomi capì che la sorella lo avesse messo al corrente della missione.
-“Sì, l’intenzione è quella di far passare del tempo a Rui nel museo privato con il proprietario, così da segnalarci i punti strategici. E dopo la sua romantica cena, ruberemo il dipinto senza troppi problemi.” Era fiduciosa.
-“Un piano proprio perfido, lasciatevelo dire.” Rise, pronunciando quelle parole. “Quindi sta uscendo con un proprietario di una galleria… sì, sarebbe proprio da Rui.”
-“E tu come lo sai?” Hitomi affilò lo sguardo nella sua direzione, mettendolo in leggera soggezione.
-“Beh, rubate quadri di mestiere e vostro padre era un artista, in più Rui ha un senso estetico innato, perciò… Sarebbe strano il contrario.” La giovane fu quasi convinta da quella spiegazione.
-“Mhm, avresti anche ragione, ma in realtà si tratta più di un imprenditore, e oserei dire che è anche parecchio infatuato dalla nostra sorellona.”
“Come dargli torto…” Pensò Jack, con un sorrisino nascosto.
-“Anche se temo che dovrà rassegnarsi, può possedere chissà quante proprietà ed essere ricco sfondato, ma secondo me Yuito non è minimamente all’altezza di Rui.” Ai prese il tono di una scherzosa polemica, ma quel nome fece gelare il sangue all’uomo lì presente.
-“Ai, cortesemente, mi diresti nome e cognome di questo imprenditore?” I suoi occhi erano seri d’improvviso e la voce divenne bassa sia di volume che di tono. La piccola rimase spiazzata da quel cambio di umore.
-“S… sì, certo: si chiama Yuito Fukuda. Perché, lo conosci?” Ancora prima di sentire la domanda, Lewis batté un pugno sul bancone, in preda alla frustrazione.
-“No, no, no, no, merda!” Si alterò al punto da far preoccupare le due ragazze.
-“Che cosa c’è, che ti prende ora?” Chiese Hitomi.
-“Dobbiamo raggiungerla, immediatamente! Vi spiegherò andando, sbrighiamoci!” Le sorelle lo guardarono sbigottite, ma per l’agitazione che vedevano nello sguardo del ragazzo si levarono immediatamente il grembiule in favore delle loro vesti da ladre.
 
 
 
[* Il numero 4 in Giappone è il numero sfortunato per eccellenza, in quanto la sua pronuncia (四, shi) è identica a quella della parola “morte” (, shi).] 

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Capitolo 31
*** Ladra di cuori (2/2) ***


Attraverso i condotti di areazione, Hitomi cominciava l’esplorazione del famigerato quarto piano, segnato da ogni parte, però, con il numero cinque. Arrivata con largo anticipo rispetto all’annuncio del colpo, fu felice di vedere vuote e buie le stanze della mostra: le guardie non erano ancora state disposte e ciò le permetteva di trovare i nastri fluorescenti piazzati da Rui durante la sua precedente visita. Come da programma, studiò le vie d’uscita, il modo in cui appropriarsi del dipinto dell’amato padre e ripassò a mente il nuovo piano per strappare Rui da una situazione potenzialmente compromessa.
-“Ai, mi ricevi?” Chiese sottovoce, parlando al walkietalkie.
-“Forte e chiaro, sorellona.” Rispose dalla sua postazione, ovvero la stanza di controllo dei sistemi di sicurezza del museo. “Le telecamere sono disattivate. Qui è tutto pronto.”
-“Anch’io ci sono, ho trovato tutti i segnali: ho paura che il furto sarà solo la parte più facile, il resto potrebbe farsi addirittura pericoloso.”
-“Non sottovalutarci così, ce la faremo. Rui sarà fiera di noi, vedrai.” La sorella più piccola chiuse la comunicazione a distanza. “Hai ragione, Ai, ce la faremo anche questa volta.”
 
-“Questo posto è davvero magnifico, ma… anche un po’ inquietante, considerando che tutti gli altri tavoli vuoti.” Fece notare Rui, con un certo imbarazzo.
-“Può sembrarti un po’ strano all’inizio, ma ti abituerai presto. Vedila come una serata un po’ più… intima, rispetto alla classica cena fuori.” La mangiava con gli occhi, ben prima dell’arrivo dell’antipasto, e lei lo percepì: nell’abito rosso bordeaux di velluto, in tinta con il suo rossetto, su cui cadeva delicatamente la chioma libera da costrizioni, ma domata; Rui riusciva a trasformare ogni pezzo di stoffa in un’opera di ineguale eleganza. “Questo vestito le sta d’incanto, signorina.”
-“Tra quelli che mi ha messo a disposizione il suo entourage per la serata è stato davvero difficile scegliere…” Il ragazzo chinò la testa di lato.
-“Signori.” Un cameriere dal portamento rigoroso, capelli lunghi, raccolti meticolosamente a chignon, e con barba curata color castano chiaro, si avvicinò alla coppia. “Cosa vi posso portare?” In quel momento Rui si rese conto di non avere un menù da consultare.
-“Due piatti dello chef.” Rispose Fukuda, di sua iniziativa. Il lavoratore guardò la donna come per chiederle conferma, cosa che gli diede con un cenno della testa. l’imprenditore fu quasi scocciato da quella ricerca di approvazione.
-“Va bene, arriveranno tra poco.” Fece per chinare il capo a mo’ di saluto, quando venne fermato dalla voce del ragazzo.
-“Tu sei nuovo qui, vero?” Chiese con tono serio, quasi da interrogatorio.
-“Sì, signore, da pochi giorni.”
-“Nessuno dello staff ti ha detto delle norme rigide che abbiamo qui?” Incrociò le dita delle mani davanti al proprio viso.
-“Circa che cosa, signore?”
-“Dovrai toglierti quella barba dalla faccia e darti una sistemata ai capelli, siamo un ristorante di classe con precise regole igieniche ed estetiche, non una bettola qualsiasi di periferia. Vedi di servirci bene e ti darò tempo fino a domani per ripulirti, oppure ti licenzierò già stasera.”
-“Mi perdoni. Sarà fatto, signore.” Si inchinò verso i due ospiti e tornò in cucina.
-“Non le sembra di essere stato un po’ troppo duro? Sembra gentile e sicuro, nonostante sia nuovo.”
-“La mia attività, la mia impresa, tutto ciò che ho l’ho creato grazie a solide basi e regole per puntare sempre alla perfezione: non accetto di meno neppure dai miei dipendenti, tantomeno ad un cameriere conciato da samurai.”
-“Sì, lo capisco.” In realtà non era così.
-“Va tutto bene? La vedo meno disilvolta del solito.” Persino lui se n’era accorto: nonostante fosse ben consapevole del suo ruolo e dell’obiettivo di quella farsa, non riusciva a godersi appieno quella cena, così come alla vista dei graziosi dipinti della sala espositiva. Doveva inventarsi qualcosa per sviare la sua attenzione.
-“Sa, un conto è visitare un museo da soli, dove la pace regna sovrana e si può ammirare qualsiasi opera, ascoltando la storia e la poetica di un’artista, piuttosto che persone attorno a te che parlano del più e del meno, o che fanno commenti inopportuni su piccoli e grandi pezzi d’arte.” Si fermò un secondo. “Un altro conto è stare al centro di una grande stanza di un ristorante in cui i camerieri puntano solo noi, come se aspettassero ogni nostro movimento sospetto per chiederci che cosa desideriamo. Non trova anche lei che questo crei giusto un velo di disagio?” Aggiunse con vena ironica, e provocò una risata contenuta da parte di Yuito.
-“Ed io che avrei giurato che fosse una donna che amasse brillare al centro dell’attenzione di tutti.” Portò il calice alla bocca, mentre lei sorrideva.
-“Talvolta le apparenze ingannano, non lo sa? Si deve andare ben oltre la superficie.” Lo punzecchiò circa alla sua vocazione verso l’esteriorità, ma si accorse ben presto che il suo interlocutore aveva frainteso quelle semplici parole.
-“Se me lo chiede lei, lo farò di certo.” Mise della malizia in quella frase. Un leggero brivido di inquietudine attraversò la schiena della donna. “Ma prima di questo, ho anch’io una cosa da chiederle.”
 
L’orario prestabilito si avvicinava in fretta e la cena finì: l’uomo non sembrava minimamente preoccupato dall’arrivo delle ladre e faceva strada a Rui, la quale faticava a capire il suo gioco. Tornati al piano del museo, Yuito si fermò davanti ad una porta bianca qualsiasi su cui era affisso un cartellino: “Riservato allo staff.”
-“Prego.”La invitò. “Entri pure.”
-“Che cos’è questa stanza?” Eseguì timidamente, rimanendo in totale allerta per quell’imprevisto nel proprio programma. Fukuda appoggiò distrattamente la porta, senza chiuderla, troppo preso da quello che stava pensando di fare. Accese le luci e davanti ai loro occhi, dopo pochi passi di corridoio, apparve una stanza di raffinato gusto e di artistica imponenza. Rui non credeva a quel che stava vedendo.
-“Questo è il mio salotto privato per quando ho voglia di godere del meglio della mia collezione: ho tutti i pezzi migliori e anche le opere originali che più mi piacciono, mentre al museo spesso lascio delle copie alla visione del pubblico.” La donna guardò alle pareti, esterrefatta:
-“Van Gogh, Chagall, Poussin, Monet, Rubens… questa collezione è molto meglio di quella esposta alla mostra, perché la tieni qui dove nessuno può ammirarla? Le persone arriverebbero da tutto il Giappone per vedere questo genere di opere.” Si accorse che Aria Tropicale si trovava tra quelle mura, e capì che quella della galleria fosse una copia perfetta. Non poteva parlarne o fare domande, però: in mezzo a quel numero di inestimabili dipinti, chiedere della tela di un pittore tedesco quasi sconosciuto sarebbe stato fin troppo sospetto.
-“Ecco, vedi… non spaventarti per quello che ti dirò ora, intesi?” Tornò una confidenza non richiesta, forse perché emozionato. I due erano davanti ad un quadro impressionista, quando Yuito si girò verso Rui, che respirò profondamente. “Per quello che valgono, preferisco tenerli con me al sicuro, sono una persona un po’… gelosa delle sue bellezze.”
-“E qual è la parte di questo discorso che dovrebbe spaventarmi?” Cercò di provocarlo per fargli vuotare il sacco.
-“Mettiamola così… c’è qualche cavillo legale che mi impedirebbe di dormire sonni tranquilli, nel caso io decida di esporli.” Rui voleva sapere di più e lanciò un’ulteriore frecciatina, sorridendo.
-“Che cosa significa, che li hai forse rubati?” Quella battuta andò nel segno e Fukuda rise, salvo poi cambiare espressione in viso.
-“Oh no, li ho acquistati e pagati, eccome.” Si girò di scatto e le prese le mani della donna nelle sue, prendendola alla sprovvista. “Ascoltami, Rui, ti devo confessare una cosa importante.” La donna rimase in silenzio, impietrita. “Devi sapere che questa sera, esattamente tra pochi minuti, la banda Occhi di Gatto colpirà il mio museo, ma non me ne importa assolutamente niente. L’unica ladra di cui mi interessa davvero sei tu, Rui.” A quelle parole le si gelò il sangue: l’aveva scoperta? Che aveva intenzione di fare con lei? In pochi secondi, la sua testa fu invasa da un turbinio di domande, tanto da non riuscire ad esprimerne nemmeno una.
-“Che… che cosa vuoi dir…” Abbozzò, ma la interruppe.
-“Tu mi hai rubato il cuore, signorina Kisugi.” In quell’attimo di silenzio quasi eterno, la donna provò in tutti i modi di nascondere sia la sorpresa, sia l’imbarazzo, sia il sollievo: un mix di emozioni che rischiava seriamente di tradirla e lasciarla andare in una nervosa risata. Riprese il controllo immediatamente.
-“Signor… signor Fukuda, apprezzo il suo essere così trasparente e diretto, ma vede… ci siamo frequentati per troppo poco tempo per…” Cercò di trovare le parole giuste per un rifiuto cordiale.
-“No, Rui, non ho finito. Certo, è normale quello che mi stai dicendo, ma vorrei offrirti anche la possibilità di conoscermi meglio: desidero che tu venga a lavorare per me come esperta d’arte e responsabile del mio museo.”
-“E… esperta? Ma no, io non sono niente del genere, puoi trovare persone molto più preparate di me…” Fece un cenno negativo con la mano.
-“Pensi che non abbia visto la luce nei tuoi occhi quando hai mosso il primo passo qui dentro?” Allargò le braccia, indicando i suoi averi. “Questo è il tuo mondo,oramai  ne sono certo. Un bar di famiglia sta troppo stretto ad una donna di così grande cultura come te, pensa a quanti quadri potremmo vedere e acquistare, insieme! Possiamo creare una collezione invidiata da chiunque.” non aveva tutti i torti: a lei piaceva molto sfamare i suoi occhi con bellezza e arte.
-“Invidiata da chi, se non puoi esporla?” Quella domanda quasi sussurrata non ebbe risposta.
-“Questi dipinti li ho trovati grazie ad un’associazione che si chiama La Grotta, Gruppo di Ricerca di Opere in Tributo e Tutela dell’Arte. Recuperano le opere smarrite e danno loro una collocazione a quelle che musei nazionali non sono interessati ad acquistare, e quindi vanno al miglior offerente. Con una donna dai gusti come i tuoi, sono sicuro che la mia collezione conoscerebbe un nuovo rinascimento. Io ho le risorse, tu le conoscenze.”
-“Grotta, hai detto? Come le ‘grottesche’, il genere decorativo antico riscoperto alla fine del ‘400, dico bene?” Pensò ad alta voce, senza badare agli ultimi complimenti gratuiti.
-“Lo sapevo che eri perfetta per questo ruolo.” Ribatté, con un sorriso a denti scoperti, forse senza aver mai pensato a quel collegamento storico. Le porse la mano, su cui Rui notò un anello vistoso. “Posso farti avere la tessera di questo circolo e portarti alle più importanti aste di tutta l’Asia, oppure se non vuoi rendere la cosa ufficiale da subito, posso istruirti sulle parole chiave da utilizzare. Non c’è nulla da firmare, dalle mie parti si fa tutto con una stretta di man…”
-“Aspetta un momento.” Lo interruppe. “Ma quindi tu mi hai invitata stasera anche se sapevi che una banda di efferate ladre sarebbe venuta a rubare un tuo quadro?!” Si finse d’un tratto spaventata, per sviare il discorso, e lo colse in controtempo.
-“No, cioè, sì, ma fammi spiegar…”
-“Mi hai messo in pericolo consapevolmente, oh, santo cielo!” Cercò di drammatizzare il più possibile, mentre faceva un paio di passi all’indietro.
-“Sei al sicuro, qui, ci sono delle guardie davanti ad ogni porta di questo piano, e anche se prendessero Aria Tropicale non ruberebbero altro che un falso!” Le afferrò la mano con decisione, ma in quel momento qualcosa lo colpì sulle falangi a gran velocità, facendogli mollare la presa.
-“Ma quel biglietto è…” Rui tirò dentro di sé un sospiro di sollievo. Con la mano sporca di qualche goccia si sangue a causa della carta tagliente, raccolse il biglietto.
-Bel tentativo, Fukuda.” Alzò gli occhi e li rivolse verso la direzione da cui era stato lanciato, ma in quel momento le luci si spensero, causando l’urlo di finta paura nella sua ospite, che cominciò a correre verso l’uscita, sfruttando l’occasione che si era creata. “No, ferma!” Nel buio venne colpito da qualcosa di indefinito allo stomaco, in modo così fulmineo da non riuscire a capire se si fosse trattato di un pugno o di una ginocchiata. L’uomo cadde in avanti, facendo un rumore sordo, e Hitomi trovò in pochi secondi il suo obiettivo: lo tolse dalla parete e le vennero in mente le parole che Jack le aveva detto poco prima di entrare in azione, subito dopo aver compiuto il giro di ricognizione nelle aree dell’edificio: “Ci sono pochi uomini della sicurezza, niente polizia e ha a cena una donna a cui tiene molto: è sicurissimo di se stesso, anzi, vorrà dimostrare il suo totale controllo della situazione a Rui. Significa che ha sicuramente un piano alternativo, come ad esempio una trappola o di farvi rubare con facilità una copia. Dobbiamo scoprire qual è.”
“È stata proprio una bella intuizione, non c’è che dire.” Con sua sorpresa, Yuito, invece di impedire il furto, corse verso il corridoio in cui Rui cercava di fuggire per ricongiungersi con le sorelle. “È quasi un peccato doverla strappare dalle grinfie di qualcuno così preso da lei. Se solo non fosse un criminale...”
-“Ferma, resta qui o ti farai ammazzare da Occhi di Gatto!” Cercò di convincerla, senza successo. Questa, in un attimo, si sentì tirare per un polso verso una porta aperta che non aveva minimamente intravisto e lanciò un grido. Subito sentì una voce calda sussurrarle all’orecchio:
-“Va tutto bene, tranquilla.” Riconobbe quel timbro e il battito del suo cuore rallentò, mentre si stringeva tra le braccia che l’avevano appena strappata alla vista di Yuito. “Resta dietro di me.” Aggiunse, poco prima che Fukuda li raggiungesse. L’uomo, dai capelli raccolti e la barba curata, si parò davanti all’imprenditore e, puntandogli una pistola, e gli intimò: “Non faccia un altro passo.” Lo sfidò con lo sguardo.
-“Tu… dovevo capirlo che come cameriere eri troppo scarso per un ristorante come il mio, i miei manager non ti avrebbero mai assunto.” Jack, ancora travestito, ribatté.
-“Forse dovrebbe essere un capo più attento alle sue attività. Oh, prima di lasciarci uscire, prenda queste.” Gli lanciò delle chiavi che lui afferrò al volo. “Sono dello sgabuzzino in cui ho chiuso il suo vero cameriere, vada a liberarlo prima che io faccia una soffiata anonima alla polizia per sequestro di persona e per il possesso di quadri rubati.” Gli fece l’occhiolino e sparì attraverso l’uscio, senza dare il tempo di rispondere.
-“Figlio di…” Riuscì solo a sussurrare, mentre elaborava una sconfitta subita su tutta la linea: il suo quadro era stato rubato, la donna che tanto bramava non si sarebbe più fidata di lui ed il suo più grande segreto rischiava di essere rivelato.

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Capitolo 32
*** Un cupo presagio ***


-“Per il momento stiamo mettendo dei punti fissi su questa mappa geografica, e questo è molto importante per la nostra ricerca. Quello che ci manca da scoprire è la sequenza con cui vostro padre ha compiuto questi viaggi.” Disse l’uomo dai capelli grigi.
-“E come facciamo a capire quale sia l’ordine corretto da seguire?” Chiese Hitomi.
-“Prima di tutto, il signor Nagaishi ed io siamo d’accordo sul fatto che sia utile distinguere i luoghi in cui ha soggiornato prima e dopo la sua scomparsa, in questo modo possiamo individuare meglio le informazioni più utili per noi. Dico bene, signor Nagaishi?” Intervenne Rui.
-“Esattamente. Con queste puntine blu ho segnato i posti in cui è stato prima della sua sparizione, con relative date, le quali abbiamo rilevato grazie alle firme dei dipinti che avete rubato dall’inizio della vostra attività ad oggi; quelle in rosso invece sono dove pensiamo che si sia fermato dopo aver fatto perdere le sue tracce.” Ai si avvicinò al tavolino, protesa in avanti, e fece mente locale.
-“L’uomo nel bosco di Halmut Schmidt ottenuto da papà a Francoforte e l’opera di Franz Dürer a Berlino, entrambe in Germania; la stampa Vista dal monte Fuji acquistata qui in Giappone; poi c’è la Polinesia, per dipingere Aria Tropicale… però…” Si fermò per un istante, studiando la situazione.
-“Sì, Ai.” Sussurrò Rui. “Abbiamo solo due punti in cui pensiamo sia stato dopo la sua scomparsa.” Disse, osservando i puntini rossi.
-“Ancora Berlino e poi… Parigi.” Aggiunse Hitomi.
-“Esatto, Parigi, dove ci ha indirizzate il vecchio amico di papà, ucciso prima che potesse darci la posizione esatta. Almeno da lui abbiamo l’informazione che è ancora vivo.” Disse la sorella maggiore.
-“Quindi la Francia rimane l’ultimo posto in cui sappiamo per certo che sia stato nostro padre. Forse dobbiamo tornarci e indagare ancora, magari con i nuovi elementi raccolti possiamo scoprire dove si trova.” Nagaishi scosse la testa per contraddire la sorella di mezzo.
-“In realtà una mia fonte autorevole mi ha confidato di essere certa che vostro Heinz non si trovi lì, o almeno non più.”
-“Ma è possibile essere sempre punto e a capo, qualsiasi cosa facciamo? Questa situazione sta diventando ingestibile!” Ai non si trattenne, come sempre trasparente nel suo stato d’animo.
-“Cerca di calmarti, lo abbiamo sempre saputo che sarebbe stato difficile…”
-“Lo so, lo so, ma io…” Scosse la testa. “Niente, è meglio che andiamo avanti.” Rui capì lo stesso cosa le passava per la testa e provò a rassicurarla.
-“Non sei l’unica a provare questo sconforto, sai? Talvolta capita anche a noi di sentirci così.”
-“Dici davvero, sorellona?” In un certo senso, ne fu sollevata.
-“Certo, piccolina.” Hitomi si sedette di fianco a lei. “Quando si paragona l’enorme sforzo che abbiamo fatto in questi lunghi anni con gli indizi che ci troviamo tra le mani, può succedere di avere dei momenti di pessimismo. Di chiedersi se ne valga davvero la pena.” Rui si accodò immediatamente.
-“Sì, l’importante è riprendersi e ricordarci per quale motivo lo stiamo facendo.” La sorella maggiore accompagnò il discorso con un occhiolino.
-“Per papà.” Sussurrò Ai.
-“Sì, per papà.” Risposero in coro Hitomi e Rui, con un ulteriore commento di quest’ultima. “E per ritrovarlo ne varrà sempre la pena.”
 
-“Grazie per avermi portata via di lì, Jack. Anche mi avevi detto che saresti rimasto a riposarti a casa…”Fece una smorfia compiaciuta.
-“Non devi ringraziarmi. Andiamo, dobbiamo raggiungere le tue sorelle, ci aspettano da questa parte.” Le indicò la strada da seguire verso il punto di ritrovo.
-“Aspetta un secondo.” Rui lo interruppe. Afferrò il suoviso tra le proprie mani e si lasciò andare ad un dolce e breve bacio sulle labbra tiepide. “Ora possiamo andare, mio samurai.” Sorrise, non tanto per la battuta. Indossava ancora il suo travestimento, ma alla donna non faceva più di tanta differenza.
-“E questo per che cos’era?” Chiese, confuso, ma tutt’altro che dispiaciuto.
-“Per chiederti un appuntamento ufficiale, dopo quello tremendo che ho affrontato questa sera… magari in un museo, solo tu, io e l’arte, ti va?” Posò la mano sul suo petto. Lo faceva sempre, e sempre sentiva una scossa di piacere nel toccarlo in quel punto.
Rui stava pensando e ripensando all’avventurosa serata precedente, tanto che quando si lasciava andare a quel ricordo così giovane non riusciva a trattenere un’espressione di gioia nel suo volto, in genere così imperturbabile e di difficile lettura.
-“Solo piacere e niente ispezioni per furti?” La fece ridere.
-“Solo piacere e niente furti, promesso.” Rispose. “Solo piacere.” Insistette, abbassando il tono della voce.
-“Allora certo che mi va.” Un brivido le passò lungo la schiena al rivivere quella frase nella sua testa, pronunciata da una voce calda come le braccia che la tenevano stretta.
 
-“Rui, va tutto bene?” Qualcuno la fece tornare alla realtà. “Stai pulendo quella tazzina da quasi dieci minuti e fai delle facce strane da un po’.” Hitomi la colse in flagrante. “Non ti sarai mica innamorata di quel ricco bellimbusto?” Il suo tono non fu provocatorio, ma genuinamente meravigliato di vederla così distratta.
-“No, ma che dici.” Ridacchiò appena, senza prestare troppa attenzione allo sguardo indagatore della sorella.
-“Spero che tu ne sia convinta… è meglio stargli distante da ora in avanti. Jack dice che sia uno dei pezzi grossi del Circolo in cui ci siamo imbattute durante l’asta d’arte qualche tempo fa.” Rui sbarrò gli occhi.
-“Mhm… La Grotta.” Disse, fissando il vuoto.
-“Eh? Che c’entrano le grotte, ora?” Hitomi non capiva.
-“Yuito voleva farmi entrare dentro a quello che finora abbiamo chiamato il Circolo delle Ombre, ma credo che il vero nome dell’organizzazione sia Grotta. Stava cercando di assoldarmi.”
-“Oh santo cielo, se è davvero così quel Fukuda potrebbe insistere parecchio con te. Peccato che tu non l’abbia collegato subito, sarebbe stato utile averne parlato alla riunione di stamattina con Nagaishi. Organizziamo un altro incontro, magari anche con Jack che ne sa di più di noi?” Sentiva come se Rui non la stesse ascoltando. “Terra chiama Rui, stiamo discutendo di una cosa importante…”
-“E se io accettassi per infiltrarmi nel Circolo grazie a Yuito per avere più informazioni a riguardo? Magari hanno quadri della collezione di nostro padre che sono sparit…”
-“No no no, non dirlo neanche per scherzo, Rui, abbiamo abbastanza prove per poter dire che avere a che fare con quella gente sia una pessima idea... figuriamoci andare sotto copertura in mezzo a loro.” Le passò un asciugamano per asciugarsi dopo aver lavato le posate. “Non vorrai mica che il tuo adorato biondino finisca di nuovo in ospedale, o peggio, vero?”
-“No, hai ragione.” Si rese conto dopo un istante del tentativo di Hitomi di farle sputare il rospo. “E adorato biondino, Jack? Il prossimo che cercherai di accoppiare con me chi sarà, il Capo? O forse Toshio?” Cercò di sviare e prenderla in giro allo stesso tempo.
-“Ehi, non ti azzardare a dire queste sciocchezze!” Rui rise per quella reazione, aveva fatto centro. Ma non proprio del tutto. “Comunque non prenderla male, dico solo che sei diversa ultimamente, e non ci sarebbe niente di male se tu stessi provando dei sentimenti per qualcuno. Magari non Toshio, ecco.” Lo disse tra il serio e il leggermente offeso.
-“Lo pensi davvero, Hitomi?” Fu colpita da quella considerazione.
-“Ma certo, Rui. Ti sei sempre presa cura di noi senza mai ascoltare le tue esigenze, o almeno, questa è la sensazione che ci arriva. Anche Ai ne sarebbe felice, sai?” Rui la guardò negli occhi.
-“Dimmi un po’…” Attirò la sua attenzione.
-“Sì, che cosa c’è?”
-“Da quando ti sei fatta così saggia, sorellina?”
-“Oh insomma, devi sempre prendermi in giro...” Mise sul viso un’espressione imbronciata, che riuscì a mantenere solo per una manciata di secondi, prima di scoppiare in una sincera risata insieme alla sua sorella più grande. La verità era che Rui aveva davvero apprezzato quelle parole, non le importava se fossero scontate o meno: per un’intera vita si era occupata esclusivamente di Ai e Hitomi, lasciando distante ogni piccolo e sano egoismo che potesse far capolino nei sogni della sua giovane età, e ciò ricadeva obbligatoriamente sulla sua vita privata. Anche quella bambina che aveva cresciuto, divenuta ormai giovane donna, se n’era accorta. Sì, forse stava andando nella direzione giusta. Forse stava scegliendo per se stessa, non solo per gli altri. Nella sua testa, ora, le rimaneva solo un quesito da affrontare: quanto di questo rifiuto nei confronti dei suoi sentimenti era voluto da sé come senso del dovere e quanto lo percepiva come imposto da qualcosa di più grande? In quel momento non sapeva rispondere. Non le interessava nemmeno, probabilmente. Era solo consapevole del suo desiderio di evadere dalla pressione che la vedeva confinata al ruolo che le era stato da sempre affidato, rubandole infanzia e gioventù.
 
Si era ormai fatto primo pomeriggio e dopo un sostanzioso ed equilibrato pasto, l’agente segreto Lewis si preparava ad un’importante uscita. In quelle ore avrebbe dovuto raccogliere testimonianze e indizi fondamentali per la sua indagine e sentiva che, portando a termine tale determinato compito, avrebbe fatto dei passi in avanti sensibili nella ricerca della verità. Si sentiva in forma, mentalmente e fisicamente, concentrato come ogni qual volta che agganciava sulla cintura il proprio distintivo. Eppure sentiva un turbamento, una sensazione cupa nell’aria: non capiva se fosse un sesto senso o la sua enorme esperienza, nonostante la non troppo matura età di ventinove anni, a indicargli di prestare la massima prudenza e attenzione. D’altronde era un prodigio nel suo campo. Da un cassetto chiuso a chiave sotto alla scrivania da lavoro, estrasse la sua arma per porla accuratamente dentro la fondina: una Beretta Serie 81 divenuta da qualche tempo sua inseparabile compagna. Aveva un rapporto di amore e odio con quella pistola: ne conosceva perfettamente qualità e limiti, riuscendo quasi ad azzerare la propria possibilità di mancare il bersaglio; nonostante ciò, ogni volta che la infilava dentro alla sua custodia sulla cinta prima di entrare in servizio, ripeteva una frase diventata oramai un mantra: “Dio, fa che anche oggi io non debba usarla.” Era l’unica che preghiera che rivolgeva al cielo da ormai qualche anno a quella parte. Pochi secondi dopo aver invocato quel desiderio, il telefono del salotto cominciò a squillare. Sorpreso, rispose.
-“Pronto?” Chiese. Non aspettava alcuna chiamata,
-“Jack, sono Rui.” Si sentì rispondere da quella soave e riconoscibile voce. La sentiva tranquilla, quasi alleggerita da chissà quale peso.
-“Ciao, dimmi pure.”
-“Senti, ieri sera ti avevo chiesto di vederci per andare ad una mostra insieme e non abbiamo deciso nulla, ti va di fare già oggi? Ci sono anche delle cose di cui vorrei parlarti.” Il ragazzo guardò l’orologio da polso, già rassegnato all’idea di dover declinare l’invito.
-“Mi piacerebbe molto, ma sto uscendo proprio ora in missione e tornerò a casa stasera tardi, temo.” Rui sentì una leggera delusione per quelle parole, ma sapeva che il compito dell’uomo non permetteva posticipazioni o elasticità di ogni sorta.
-“Capisco, dovevo immaginarlo con così poco preavviso.” Jack capì il suo stato d’animo e cercò di rimediare.
-“Guarda il lato positivo, sto lavorando per toglierti dalle grinfie di quel delinquente di Fukuda.” Disse ironicamente, senza suscitare particolari reazioni. Era anche a quel proposito che la donna voleva parlargli: per quanto volesse abbracciare il proprio folle piano, la sua parte razionale le indicò di aspettare un confronto con Lewis. “Che ne dici di trovarci domani con calma? Mi prendo il pomeriggio e passo da te, se vuoi.” Continuò.
-“Sì, va bene. Verrai al bar domattina?”
-“Credo di riuscire, sì. Ma cosa…” Quelle ultime due parole si sentirono più distanti, come se il ragazzo si fosse staccato dalla cornetta.
-“Tutto bene? Jack? Mi senti?” Un rumore di fondo le riempì l’orecchio.
-“Sì, ti sento.” Il suo tono di voce era diverso rispetto a poco prima. “Ascoltami attentamente, Rui, devi-” La chiamata si interruppe bruscamente, senza lasciar finire la frase. La donna rimase in silenzio per qualche secondo, come impietrita, fintanto che la mente cercava di elaborare un senso per ciò che aveva appena ascoltato: doveva essere successo qualcosa di improvviso. Si decise a chiamare di nuovo, per capire la situazione. Uno squillo. Due squilli. Quattro squilli a vuoto. Mentre stava perdendo le speranze, ecco arrivare una risposta.
-“Ehi, scusami.” La sua voce era un paio di toni più bassa del consueto.
-“Che è successo, tutto a posto?”
-“Sì, era il gatto del vicino che si stava strusciando sulla finestra, l’avevo lasciato aperta.” Rui alzò un sopracciglio.
-“Ma non mi sembra di aver mai visto gatti girare attorno a casa tu…”
-“Certo, allora ci vediamo domani al museo di ombre cinesi, alle sei di sera.” Fu colta alla sprovvista da quel cambio di argomento. “Ora devo proprio andare.”
-“D’accordo, ma…” Non era affatto convinta.
-“A domani.” Fece una piccola pausa. Prese fiato, quasi sospirando. “Ti amo.” Il suono della chiusura della chiamata le trafisse il petto e quell’ultima frase le fece quasi bruciare quella ferita metafisica. Quelle cinque lettere ingarbugliarono ogni pensiero logico che volesse esprimere. Niente di tutto ciò che aveva sentito in quei minuti aveva un senso. Non riusciva a collegare quegli interventi così sconnessi tra di loro. Una sola e unica voce le parve chiara nella sua testa.
-“Rui, è ora di riaprire, i tavoli sono pronti. Rui? Di nuovo… ci sei?” Non le rispondeva. A Hitomi però non sfuggì lo sguardo atterrito della donna che guardava il muro davanti a sé e si precipitò verso di lei. “Che succede?!” Si girò lentamente verso di lei.
-“Jack… Jack è sicuramente in grave pericolo.”

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Capitolo 33
*** Verità sotto scacco ***


“Questa mattina è stata proprio incredibile, non ho mai sentito tutte quelle parole per dirmi che ho sbagliato a scrivere un rapporto.” Toshio camminava per il marciapiede pensando tra sé e sé. “Se si arrabbia per queste stupidaggini, avrà un attacco di cuore quando succederà qualcosa di davvero importante! Per fortuna esiste il mio amato caffè in questo mondo, oggi avrei bisogno di una dose doppia…” Si trovò davanti al Cat’s Eye e stavolta il flusso di ragionamenti uscì dalla sua bocca, invece di restare nella propria testa.

-“Oh, ma insomma! Come sarebbe a dire ‘chiuso’?! Per cosa? Gli dei devono proprio odiarmi, accidenti!” Attirò l’attenzione dei passanti che gli rivolsero gelidi sguardi. “Ehm, scusate! Ah, Hitomi dovrà darmi spiegazioni convincenti…” Abbassò il volume della voce e passò oltre.

 

-“La casa è tutta sottosopra, chi ha portato via Jack stava cercando qualcosa e di certo non i soldi.” Osservò Hitomi, constatando che il portafogli del ragazzo, prima di quel momento a terra, non fosse stato nemmeno aperto.

-“Eccomi, sono arrivata appena ho potuto!” Ai aprì la porta di casa Lewis e la sua aria preoccupata peggiorò sensibilmente alla vista di quella scena: era ancora vestita con l’uniforme scolastica, tanta era la fretta di arrivare a destinazione.

-“Prima di dire qualsiasi cosa, cerca di mantenere la calma, Ai. Innanzitutto capiamo la situazione e poi agiamo con intelligenza, senza farci prendere dal panico.” La più grande lo ripeteva quasi più a se stessa che non alle altre, mascherando i suoi turbamenti. Lei era inginocchiata a terra per cercare di capire qualcosa dalle impronte confusionarie lasciate sul pavimento, sporco come se qualcuno avesse usato le scarpe da esterno in casa*: c’erano dei sassolini piccoli e bianchi in giro, di certo non lasciati dalle pantofole.

-“Ora che c’è anche lei, ricominciamo da capo. Rui, quali sono state le parole precise che ti hanno allarmato durante la sua telefonata? Potrebbe averti dato degli indizi sottintesi.” La donna cercò di tornare a quel momento con la mente e ripercorrerlo passaggio dopo passaggio.

-“Inizialmente voleva dirmi qualcosa, era come se fosse allarmato: ma in quel momento ha chiuso la chiamata, lui o qualcun altro.” Fece un respiro profondo. “Mi ha parlato del gatto del vicino, ma sono abbastanza certa che non abbia animali domestici o li avrei sentiti.”

-“Rui, come fai ad esserne così sicura…?” La sorella minore provò ad avanzare una timida domanda, consapevole della sua ridotta rilevanza.

-“Non importa ora, vai avanti.” Incalzò Hitomi.

-“E poi ha detto… ci vediamo domani al museo di ombre cinesi, alle sei di sera.” Si fermò per un istante. “Poco prima stavamo parlando di rimandare la nostra visita in un museo che non avevamo ancora scelto, un attimo dopo era come se avessimo già deciso tutto. Era un discorso che non aveva senso alle mie orecchie.”

-“Quindi pensi che sia altamente probabile che fosse una sorta di messaggio in codice, dico bene?” Hitomi aveva intuito qualcosa.

-“Sì, secondo me sì.” Rispose Rui. “Sono informazioni che a me, che conosco il discorso di partenza, creano molti dubbi. Ma invece a qualcuno di esterno, che magari sta avanzando delle minacce… Possono risultare verosimili, insospettabili.” Le due sorelle annuirono, convinte da quell’ipotesi. Continuò: “Dobbiamo individuare le incongruenze nelle sue parole. Ad esempio, i musei alle sei di sera spesso vengono chiusi, oppure lo fanno di lì a poco: che senso ha invitarmi per un’uscita così breve? Dobbiamo capire che cosa significa questo numero.”

-“Per non parlare del fatto che qui in zona non ci sono musei che trattino autonomamente il tema delle ombre cinesi, al massimo sono mostre provvisorie all’interno di ambienti più grandi. Quindi dobbiamo ragionare anche su questo elemento.” Fece notare la sorella di mezzo.

-“Ci sono, ho capito.” Ai interruppe le altre con tono autoritario, attirando l’attenzione. “Ha usato la parola ombre per fare riferimento al Circolo: evidentemente ha capito chi sono i suoi rapitori e ha voluto comunicartelo.”

-“Sì, ha perfettamente senso. E il numero sei? Che sia un indizio sul luogo in cui l’hanno portato?” Rui scosse la testa verso Hitomi.

-“Jack è bravo, ma non penso che sapesse dove lo avrebbero recluso ancora prima di uscire di casa”, continuò subito dopo, “piuttosto credo che abbia a che fare con il numero di tirapiedi che sono venuti a prelevarlo." Ai sospirò.

-“Se fosse vero, sei uomini sono davvero tanti per neutralizzare una singola persona.”

-“Già, ma Jack non è un ragazzo qualunque, è il loro peggior incubo.” Ai e Hitomi non compresero del tutto quella frase, ma ricominciarono la ricerca di indizi: “Cercate di trovare possibili oggetti mancanti da questa casa, anche nello studio di registrazione qui adiacente. Io provo a capire dove possono averlo portato.”

 

Una secchiata d’acqua gelida gli arrivò in pieno viso e non poté far altro che tossire per liberare bocca e naso. Non poteva stropicciarsi gli occhi, arrossati dal getto violento, a causa delle mani legate dietro ad una sedia di legno.

-“Mettiamo subito le cose in chiaro, tu non mi piaci, e al mio capo neppure, quindi se rispondi alle nostre domande c’è qualche possibilità che tu possa tornare a casa sulle tue gambe.” Prese parola un omone stempiato dai capelli scuri e corti e corporatura robusta. Nei suoi occhi neri, segnati dalle occhiaie, si leggeva il piacere nel vedere il dolore altrui. La pelle pallida del suo viso dava l’impressione di preferire di gran lunga la notte al giorno.

-“Sei tu colui che guida questa operazione?” Chiese pacatamente Jack, senza scomporsi.

-“In carne ed ossa.” Rispose, arrogante, senza degnare di uno sguardo i propri sottoposti di guardia e dietro di lui.

-“Bene, prendi nota.”  Sorrise, illudendosi di star affrontando una facile missione. “Non ho. Niente. Da dirti.” Scandì, come in una dettatura da scuola elementare. Provocò una risata nervosa nel suo interlocutore, che si limitò a guardare un suo assistente a pochi passi da lui.

-“Nezumi.” Lo chiamò, e senza aver bisogno di impartire ordini, il ragazzo dai capelli castani ed il viso scavato tirò un pugno all’altezza dello zigomo del prigioniero. Le sue nocche, spigolose per via delle mani magre, lasciarono un segno ben visibile. L’agente si sforzò di non far rumore e incassò. Sentì il gusto del sangue all’interno della sua guancia. Cercò di tamponarla con la lingua.

-“Mhm… grazie, sentivo giusto un prurito, lì…”

-“Hai fegato, ragazzo, ma sei poco furbo a farti picchiare ancor prima che ti vengano poste delle domande, ne va della tua resistenza ai colpi. Dunque: abbiamo trovato numerosi registratori nascosti in alcuni scatoloni in casa tua, un mio uomo li sta ascoltando proprio ora. Anticipami quello che troveremo lì dentro e non ti faccio saltare subito in aria la testa: questa è solo una prova per capire quanto sei propenso a raccontare balle.” Indicò la Beretta che gli aveva sottratto al momento del sequestro.

-“Bene, sarò sincero al cento per cento, non vorrei mai che questo bel magazzino così ordinato si sporchi con il mio sangue.”

-“Fai poco lo spiritoso, ti conviene.” Non riusciva a trovare divertente quella che gli pareva solo folle e immotivata sicurezza.

-“Il tuo uomo troverà registratori nuovi, mai usati, dentro ad uno scatolone, e nell’altro qualche melodia improvvisata per canzoni che non sono ancora riuscito a scrivere. Sa, l’ispirazione arriva quando meno ce lo si aspetta, anche nei momenti meno opportuni.” Dopo un attimo di incredulità, il malvivente si mise a ridere sguaiatamente.

-“Non capisco proprio perché ai piani alti siano così preoccupati a causa tua, sei proprio uno stupido! Dai tuoi vocali scopriremo ugualmente tutto della tua indagine nei nostri confronti, quindi perché questa mossa suicida?” Afferrò la pistola appartenente all’agente e la puntò alla sua tempia. Si avvicinò alla sua faccia, fino a fargli sentire il suo cattivo odore. “Ritroveranno il tuo cadavere, un foro sulla tempia ed un giovane che proprio di suicidio è morto, il caso sarà chiuso in pochi giorni. Fai buon viaggio, piccola e insignificante spia.” Un altro sgherro, uscito da una sala adiacente, interruppe la discussione.

-“Signore.” Lo chiamò.

-“Che c’è?!” Sembrò seccato.

-“Nei registratori non c’è nulla, la maggior parte sono nuovi e ancora imballati, signor Bosu.” Lewis mostrò un sorriso soddisfatto e gli rivolse la parola.

-“Difficile chiederlo ad un criminale come te, ma se sei un uomo d’onore, manterrai la nostra promessa, dico bene?” Un verso grottesco uscì dalla gola di quel mastino.

-“Certo. Allora, partiamo dall’inizio: per quale Stato e agenzia lavori, spia?”

-“Lavoro per una casa discografica statunitense, con cui ho aperto uno studio indipendente di nome Hasu.” Lo guardava negli occhi mentre parlava e Bosu si innervosiva per quella presa in giro. “Che c’è? Non ti piace il nome? A me sembra ottimo per questa avventura in Giappone, fiore di loto... Poetico.”

-“Nezumi!” Un destro potente gli arrivò in pieno volto, e ancora una volta trattenne il grido di dolore.

-“Ragazzo, fattelo dire…” Biascicò al suo aguzzino più giovane. “Fossi in te pretenderei un appellativo migliore di ratto, fatti valere di più se vuoi far carriera**.”

-“Ignoralo, è lui il vero topo di fogna.” Ribatté, Bosu. “Piuttosto, prepara un altro secchio e lo straccio. Non sopporto questi finti duri americani.”

-“Peccato, invece voi veri e autentici giapponesi cominciavate ad essermi simpatici.”

-“Dei, quanto vorrei farlo fuori subito.” Sussurrò.  “Gokiburi!**” Alzò nuovamente la voce. “Prepara anche il TS04, nel caso il nostro eroe insista a fare tanto lo spiritoso.”

-“Santo cielo, gente, ribellatevi a questi nomignoli così brutti, per la vostra dignità!” Insisteva, tanto che quest’ultimo commento venne ignorato invece che punito.

-“Ora si comincia sul serio: che cosa sai del nostro gruppo?” Il tono si fece serio e freddo all’improvviso. Jack capì che il suo calvario sarebbe iniziato in quel momento.

-“Che siete solo dei ricchi e bastardi criminali senza dignità.” Rispose altrettanto secco, sollevando il mento a mo’ di sfida.

-“Risposta sbagliata.” Nezumi mise il telo sopra alla faccia del sequestrato e verso con tutta calma un grande secchio di acqua fredda lì dove si trovavano narici e bocca, impedendo a Jack di respirare. “E questo è solo l’inizio. Prossima domanda: che rapporto hai con la banda Occhi di Gatto?” Il ragazzo pensò per un istante, mentre gli veniva tolto lo straccio dal viso. Soffiò dal naso, per liberarsi dalle gocce che infastidivano le vie aeree.

-“A questa posso rispondere.” Questo sorprese Bosu. “Non ho nessun rapporto con loro, anche se mi è capitato di vederle all’opera, se così si può dire.” Aveva capito che era una domanda trabocchetto.

-“Loro dici, eh?” Sperava che gli scappasse un riferimento alla Gatta Nera: sarebbe stata una prova della loro complicità.

-“Sì, loro, o almeno così mi hanno detto, visto che quando hanno rubato il diamante nessuna di loro si è mostrata.”

-“Già, il diamante… Vedi, il fatto che tu tutto d’un tratto sia così loquace non mi convince affatto.” Sorrise maliziosamente e alzando un dito richiamò il suo subalterno. “Riempigli ancora un po’ i polmoni, non me la racconta giusta.”

-“Aspet-” Non fece in tempo a replicare, che fu colpito da un ulteriore getto, che stavolta riempì maggiormente il suo naso. Tossì con vigore.

-“Come hai detto? Non penso di aver capito bene.” Se la rideva sotto ai baffi. “Ha chiesto forse clemenza?” Domandò ironicamente ai suoi, che risposero con versi sguaiati. Lewis capì che doveva ritrovare il controllo psicologico di quella situazione. Abbassò la testa. Cominciò a ridere. Dapprima quasi sottovoce, divertito per quanto provato fisicamente, e poi con una risata piena e quasi esagerata. La parte razionale di Bosu credeva che non avrebbe resistito ancora a lungo, eppure dentro di sé si sentì turbato da quella reazione.

-“Ma che cazzo ridi? Che cosa ridi?” Strinse il pugno così forte che sembrava stesse per sferrare furiosamente un colpo.

-“Fallo, colpiscimi. Vedrai come ti sentirai meglio.” Quello dell’agente sembrava quasi un ghigno malevolo. Un invito provocatorio. Uno sgretolamento dell’autocontrollo. In risposta, l’omone allentò la presa e non cedette. “Sei un leader troppo indeciso, prima vuoi che io parli e poi ti lamenti se lo faccio…” Scosse la testa. “Non sei adatto ad occuparti di me, lo sai?” Quelle parole volevano far breccia non solo su di lui, ma anche sui suoi sottoposti. Bosu lo percepiva e si innervosiva ad ogni parola.

-“TS04, subito.” Ordinò, ignorando le ultime frasi e il giovane alle sue spalle gli passò una boccetta insieme ad una siringa. “Sai che cos’è? Tra poco ti scorrerà nelle vene talmente tanto tiopentale sodico che mi rivelerai anche i segreti scritti nel tuo diario delle elementari. Oh, dimenticavo: questo siero è sperimentale, non ho idea di quali siano gli effetti collaterali, ma lo scopriremo presto.” Con tranquillità olimpica, riempì il cilindrò trasparente tramite l’ago e abbondò nella dose. Jack scosse la testa.

-“Mhm, il siero della verità, eh? Fammi solo il favore di metterne meno, altrimenti nemmeno volendo potrei rispondere alle vostre domande.” In realtà era più preoccupato di come sarebbe stato ridotto.

-“Non mi sembra di averti chiesto un par-”

-“Mi… mi scusi.” Incredibilmente alle orecchie del capo arrivò la voce di Nezumi. Jack sorrise dentro di sé: aveva scatenato una minima reazione di dissenso nei malviventi. “Somministrare troppo siero vorrebbe dire anestetizzarlo totalmente, non risponderebbe più a nulla.” Seccato da quella interruzione, lo ammonì con lo sguardo, salvo poi assecondare quella implicita richiesta.

-“Sentirai giusto un pizzichino sulla pelle.” Affermò. Jack sapeva di non potersi ribellare, quindi scelse di rilassare i muscoli per limitare il dolore. In pochi secondi la vista si annebbiò, il respiro si fece più pesante. Fissò un punto indistinto del magazzino e gli parve, in un angolo in penombra, di scorgere una piccola luce, o forse un lieve riflesso.

“Finalmente.” Pensò.

 

 

 

 

 

* In Giappone è usanza consolidata togliere le scarpe prima di entrare in casa propria o altrui per indossare esclusivamente apposite ciabatte.

 

** Nezumi in giapponese significa “ratto”; Gokiburi significa invece “blatta”

 

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Capitolo 34
*** La descrizione di un attimo ***


-“Hanno messo a soqquadro anche lo studio di registrazione, e gli strumenti sono stati in gran parte rovinati in modo irreparabile… ho trovato solo fogli numerati sparsi ovunque con su scritte canzoni in una lingua che non conosco. Forse in italiano.” Ai tornò dal suo sopralluogo.

-“Cercavano sicuramente qualcosa, la vera domanda è… che cosa?” Si domandò Hitomi.

-“Informazioni. Se lo hanno rapito, forse non hanno trovato quello che speravano, altrimenti credo che lo avrebbero...” Rui fu interrotta da Ai.

-“Non pensarlo nemmeno.” Le disse. “Non fare questi strani pensieri”. La donna non proseguì la frase e tornò a guardare il pavimento.

-“Questi sassolini bianchi… li ho già visti da qualche parte, ma al momento non capisco da dove.” Affermò la sorella maggiore.

-“Mi sembra un indizio davvero misero da cui partire…” Hitomi osservò.

-“Non abbiamo di meglio.” Ribatté Rui. “Ci sono pochi posti intorno a Tokyo che non siano coperti da asfalto o da giardini.” 

-“Dobbiamo anche pensare ad un luogo adatto a tenere un prigioniero.” Intervenne Ai.

-“Se dovessi rapire una persona, quale sarebbe il luogo migliore in cui portarla? Secondo me un magazzino, un sotterraneo o un garage…” Continuò Hitomi.

-“Io sceglierei una posizione periferica, dove non si corre il rischio di essere visti o sentiti dai passanti. Un prigioniero può essere rumoroso.” Si accodò la sorella minore. “E questo spiegherebbe i sassolini sparsi sul pavimento. Cosa ne pensi, Rui? Rui, mi stai ascoltando?”

-“Penso di aver capito.” Non rispose alla domanda, sollevò lo sguardo da terra e guardò le sorelle. “C’è un magazzino per il riso dismesso non troppo lontano da qui, fuori città.”

-“Bene, non perdiamo altro tempo!” Incalzò la giovane.

-“Sì. Pensiamo ad un piano nel tragitto in macchina.”

 

-“Benissimo, cara spia, direi di dare inizio al questionario per i pazienti dopo la somministrazione di un farmaco. Come ti senti?” Chiese, con tono strafottente. Jack digrignò i denti, quasi a mordersi la lingua.

-“Di merda.” Rispose, senza filtri.

-“Brutalmente onesto… meraviglioso! Funziona.” Bosu si compiaceva. “E nello specifico, che cosa sta succedendo al tuo corpo?”

-“Sto… sudando freddo.” Stringeva gli occhi in smorfie di dolore, più mentale che fisico. “Calmati, calmati…” Pensava ad alta voce. I suoi muscoli erano tesi.

-“Segui il tuo stesso consiglio, d’altronde non dipende più da te che cosa ci dirai… tanto vale rilassarti.” Con un cenno della mano, si fece portare una sedia da Nezumi, che lo assecondò. Bosu si sedette e si piegò in avanti per osservare ogni ruga di sofferenza sul volto del giovane. “Cominciamo con le vere domande, adesso.” In quel momento Jack piegò la testa leggermente all’indietro e si mise a respirare profondamente, in modo anche volutamente esagerato ed esasperato, espirando più aria possibile. La cosa divertì l’aguzzino, che ridendo domandò: “Che stai facendo ora?”

-“Respirazione da battaglia.” Scosse la testa e sussurrò, cercando di non farsi sentire “Da battaglia persa…” continuò. Non poteva nascondere nemmeno i suoi pensieri.

-“Allora ristagna un po’ di saggezza nel tuo profondo, ragazzo. Bene, da dove vieni?”

-“Da Los Angeles, zona di palme, sole, Clippers, Dodgers, gente che surfa a tutte le ore del giorno, ma a me non piace né il basket né il baseball, squadre di calcio non ce ne sono, quindi qualche volta guardo i Rams… invece a surfare me la cavo dopo tutto, adoro fare il bagno al mare. Secondo voi quante botte in testa prendono gli atleti di football americano? A me non sembra molto salutare come sport…” Bosu lo guardò esterrefatto, quasi rimanendo senza parole.

-“Ma stai delirando, figliolo. È questo un effetto collaterale?” Quell’ultimo termine prendeva quasi una velatura di tenerezza, sovrastata da un senso di pena. “E dimmi, chi sei davvero?”

-“Sono nato nel 1958 in una famiglia non molto benestante e all’età di 12 anni ho…”

-“No no, ora! Dimmi che cosa fai ora, non la storia della creazione del mondo!” Ai suoi occhi quel siero stava funzionando fin troppo bene, ma doveva prendere la mano, ponendo le domande giuste.

-“Ora tra le altre cose produco canzoni per artisti emergenti, scrivo quelle mie e adoro cantare mentre mi accompagno al pianoforte, sapete quanto è terapeutico suonare il pianoforte? Anche la batteria ti dà un senso di sfogo niente male…”

-“Chiudi la bocca!” Si mise la mano sulla fronte, nuovamente innervosito da quello che stava ascoltando.

-“Ma come? Sto dicendo la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità!” Rise, avendo capito come aggirare l’enorme problema.” Il pugno che Bosu aveva trattenuto pochi minuti prima si scagliò con tutta la sua forza sul volto dello straniero, che questa volta si lasciò andare ad un contenuto gemito.

 

-“Ai, sbrigati a metterti in posizione, Jack sta guadagnando tempo, ma non so per quanto possa resistere. Se chiederà qualcosa su di noi o sulla sua operazione…” Rui parlò preoccupata al walkie talkie.

-“Ricevuto, ci sono quasi…” Rispose lei, che nella fretta mise in fila dei passi più pesanti del normale, attirando l’attenzione di Bosu.

-“Che cos’è stato? Gokiburi, vai a vedere.” Ordinò. Stava quasi per tornare ad interrogare l’agente, quando gli venne in mente la chiamata da lui fatta prima del rapimento. Mise insieme i pezzi. Un dubbio gli apparve in mente.

-“Tu… era davvero la tua amata o hai avvisato qualcuno, eh?!” Si alzò in piedi e lo prese per il collo, facendo alzare due gambe della sua seggiola. Jack deglutì e strinse i denti. “Parla, lurida spia!”

-“No, io… io credo di amarla davvero.” Chiuse gli occhi, rassegnato per quella sua intima confessione. Lo lasciò andare, credendogli. “E allora dov’è andato a finire Gokiburi?” Si voltò indietro per cercarlo con lo sguardo e in quel momento un biglietto lanciato da un punto ignoto del magazzino lacerò le corde che stringevano le mani del prigioniero, altri due quelle che tenevano i piedi saldi alla sedia. Di istinto, Jack si alzò in piedi.

-“Stai fermo dove sei.” Gli puntò contro la Beretta che gli aveva precedentemente sottratto. “Qui dentro c’è qualche tuo complice, e se sei riuscito a mentirmi anche con il siero vuol dire che sei più importante da morto che da vivo.” Un urlo femminile gridò “No!” ed un altro foglio plastificato venne lanciato contro l’uomo armato, che però rimase solo ferito lievemente alla mano. Non emise nemmeno un lamento di dolore. “Sai bene che ci vuole più di questo. Game over, americano, i tuoi complici ti raggiungeranno presto all’inferno.” Premette il grilletto. Quella frazione di secondo si dilatò negli occhi di Rui, Hitomi e Ai, quasi a sfiorare l’infinità. Click. Aspettavano ormai lo sparo, come una sentenza definitiva.

Non sentirono nulla. Guardarono il viso di Jack, dalle loro diverse posizioni: lì scorsero non paura, ma un ghigno di totale soddisfazione. Rapidamente, spostò l’arma che aveva puntata in faccia verso l’esterno e con l’avambraccio sinistro colpì violentemente il collo dell’aggressore, facendogli mancare il fiato. Riprese possesso della pistola e cercò riparo dai proiettili dei suoi sgherri dietro ad un container vicino al lato opposto di quello dell’entrata del magazzino. Proprio lì, nascosta, c’era Rui, che spontaneamente lo abbracciò da dietro. Jack, intontito dal farmaco, non si era nemmeno accorto di averla lì vicino. Si voltò di scatto, terrorizzato, ma alla vista della donna tirò un sospiro di sollievo.

-“Per fortuna stai bene. Ora lascia che ci pensiamo noi.” In quel momento, le altre due gatte sfondarono le finestre poste ai lati della porta d’entrata e colpirono due degli uomini di guardia, che non fecero in tempo a reagire. “Resta qui, vado con loro.”

-“Non esiste, Rui, vi do una man…” Poco prima di finire la frase, si sentirono altri due tonfi e poi calò il silenzio. Respirò profondamente e contò a mente il numero dei malfattori messi fuori gioco: era finita. Sorrise, distese i muscoli e guardò a terra, nel vuoto. “Sono felice che siate arrivate in tempo.”

-“Come ti senti? Guarda qua che botta…” Rui gli accarezzò lo zigomo, dove l’ematoma si faceva più visibile. Quel tocco così gentile gli regalò un brivido.

-“Mi gira un po’ la testa, ma ora sto meglio.”

-“Via libera, Rui! Jack, puoi venire fuori!” Affermò Hitomi, entusiasta, mentre si incamminava verso il nascondiglio dentro cui si erano riparati.

-“Datemi un minuto, adesso mi alzo.” Disse, mentre la donna andava incontro alla sorella di blu vestita.

-“Ottimo lavoro, sorelline. La polizia sarà qui a momenti per arrestare questi farabutti, li ho già chiamati: lasciamo il biglietto di spiegazioni e andiamocene subito.”

-“E così… voi sareste la famosa banda Occhi di Gatto…” La voce rotta dalla tosse e roca più di prima le fece spaventare: si girarono d’istinto a guardare verso la porta, davanti a cui Bosu si era piazzato, tenendo stretto a sé Ai sotto la minaccia di un pezzo di vetro delle finestre rotte puntato al collo. Sembrava non importargli minimamente né delle sorti della ragazza, né del sangue che gli colava dalla mano, che si tagliava tenendo quel frammento. “Incredibile, ladre disposte a collaborare con una spia.” Sputò per terra. “Ed io che vi consideravo colleghe.”

-“Lasciala andare.” Ordinò senza esitazioni Hitomi.

-“Non farle del male e ti permetteremo di andare via.” Incalzò Rui.

-“Sì, normalmente farei così… ma voi, ragazze, l’avete combinata davvero grossa, non sapete quanto.” Rideva, isterico. “Fallendo questa missione, io sono già morto. Quindi tanto vale avere la mia vendetta e farvi salutare la vostra cara ragazzina. Ditele addio!”

Il tempo si dilatò nuovamente: è così che fa quando senti che stia per accadere qualcosa di terribile. È come se in quel secondo tu potessi osservare la scena da tutte le angolazioni, individuare e memorizzare ogni piccolo dettaglio di quello che stai vedendo. Una macchia di sangue sull’indumento. Una piega sull’abito stropicciato sotto una presa serrata. La pelle raggrinzita ai lati del naso per espressione di rabbia o paura indomabile. La follia insediata negli occhi di chi stai guardando. E poi la fronte, piena di rughe di espressione. Ne guardi perfettamente il centro. Click. Bang. Il tempo comincia a fluire pian piano più velocemente, fino a tornare alla sua scansione regolare. Il battito rallentato dalla respirazione profonda accelera e quasi trema per l’adrenalina.

Ai sentì sempre meno pressione sul suo corpo. Il tonfo che derivò dalla caduta di Bosu fu sordo. La giovane scoppiò in lacrime correndo verso Rui e Hitomi, che la abbracciarono immediatamente. Subito, le due più grandi si girarono all’indietro per vedere Jack: pistola in mano, appena abbassato l’arma da dietro al container, occhi ancora fissi sul bersaglio. Gli era bastato un minuscolo istante in cui Bosu si scoprisse un po’ di più. Il fischio all’orecchio per lo sparo era niente in confronto al sollievo di vedere Ai sana e salva. Ce l’aveva fatta, anche se la preghiera che aveva rivolto quella mattina al cielo non era stata esaudita, per la prima volta dopo tanto tempo.

Il suono delle sirene cominciava a sentirsi in lontananza, era tempo di muoversi.

-“Forza, andiamo. Vieni, Jack.” Rui diede indicazioni.

-“No, io non posso. Andate voi, qua ci penso io.”

-“Ma non puoi, hai ancora il siero e ti…”

-“Devo. Ho ucciso un uomo, devo fare rapporto e costituirmi alla polizia locale. È la procedura: non sono al di sopra della legge.” Le tre ragazze non sapevano che fare. “Andate, coraggio.”

-“Ha ragione, andiamocene.” Hitomi si convinse.

-“Gr… grazie, Jack.” Abbozzò Ai. Lui sorrise malinconico.

-“Stai tranquilla, piccolina. Ci vediamo presto.” Le diede un bacio in fronte. “Non perdete altro tempo.”

Le tre ladre sparirono lasciando dietro di loro come unica traccia i biglietti con la loro firma. Ci volle poco prima che i detective Utsumi e Asatani facessero irruzione nel magazzino.

-“Polizia, gettate le armi!” Esordì Toshio, ma davanti a sé c’era già il ragazzo con le mani sopra la testa e la Beretta ai suoi piedi.

-“Jack, che ci fai qui?!” Mitsuko fu sorpresa. “Ci avevano chiamato per un sequestro di persona.”

-“La persona rapita ero io.” Ne fu ancora più scioccata.

-“Mitsuko, guarda qui! Quest’uomo è stato attinto da…”

-“Da quest’arma da fuoco, detective.” La indicò con un dito.

-“E ci sono anche questi fogl… Occhi di Gatto?!” Utsumi si agitò. “Lewis, ti conviene darmi una spiegazione valida per tutto questo! Che c’entrano le gatte?!”

-“Toshio, calmati, abbi rispetto!”

-“Detective Asatani, non c’è problema.” Jack la guardò intensamente, prima di tornare con gli occhi sul poliziotto. “La spiegazione è che sono stato io a sparargli.”

 

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Capitolo 35
*** Rosso fragola ***


-“Ecco, questo era l’ultimo, siamo pronte all’apertura.” Hitomi guardò Rui, riferendosi ad un tavolino del bar. La sorella maggiore annuì.
-“Sei sicura di riuscire a fare da sola stamattina? Tra poco è l’orario di punta per la colazione.”
-“Certo, vai pure all’ospedale.” Rispose la ragazza senza esitazioni. “Jack ha bisogno di te, e dobbiamo aiutarlo in qualche modo.”
-“Va bene.” Sospirò, fissando la strada attraverso il vetro delle finestre del locale.
-“Che aspetti? Forza, qua ci penso io, fidati di me!” A quella premurosa insistenza, Rui abbozzò un sorriso, posò il grembiule su uno sgabello e uscì dalla porta, alzando una mano in cenno di saluto.
-“Grazie, sorellina, a più tardi.” Disse. Assicuratasi che la donna se ne fosse andata, prese un respiro e aumentò il volume della voce.
-“Ai, vieni fuori!”
-“Eccomi, capo!” Sentì dall’altra stanza, e la ragazzina la raggiunse dall’altra parte del bancone. “Se n’è andata?”
-“Sì, poco fa. Allora, siamo d’accordo? Hai capito qual è la missione?” Chiese, alla ricerca della complicità della sorella.
-“Certamente! Questa mattina recupererò tutti i compiti arretrati, ripasserò le lezioni dell’intera settimana e poi ci diamo dentro con il piano di questa notte!” Batté il pugno sul palmo dell’altra mano, con gli occhi che le brillavano.
-“Fossi sempre così entusiasta nello studio avresti il massimo dei voti e molto più tempo per venire insieme a noi a rubare, lo sai, vero?” La prese in giro con tono affettuoso.
-“Questo non è vero, a volte mi lasciate a casa solo per il gusto di farmi un dispetto…” Fece l’offesa e questo divertiva la più grande.
-“Lo sai che non è così, è sempre stato per il tuo bene. Questa volta, però, faremo un colpo semplice e rapido, noi due insieme. Il nostro obiettivo è la‘Bimba tra le fragole’. Rui resterà sicuramente contenta di questa sorpresa, quindi non possiamo sbagliare.”
-“La renderemo orgogliosa di noi, ne sono sicura”. L’ottimismo era di casa.
-“Bene, ora fila in camera, che è arrivato il momento di far entrare i clienti.”
 
L’ospedale era più affollato del solito e questo creava confusione nei corridoi. In particolar modo, Rui notò la presenza di uomini dai tratti occidentali, elegantemente vestiti, lungo tutto il piano e fu stranita da tale visione: qualcosa stava succedendo. Cercando il numero della stanza occupata da Lewis, vide attraverso la porta due di quegli agenti caucasici parlare con Jack e prendere appunti su un taccuino. Non sapeva cosa pensare e di conseguenza rimase in attesa che quel colloquio così inusuale terminasse. Ci volle una quindicina di minuti prima di vederli uscire: li seguì con lo sguardo e aspettò che si allontanassero. Si avvicinò all’entrata della stanza e fu vista immediatamente dal ragazzo, pallido in volto e dal sorriso stanco.
-“Hai molte visite oggi, vedo.” Esordì la donna.
-“Già, ma la tua finora è l’unica di cortesia.” Ribatté, tenendo la voce bassa per non disturbare il riposo degli altri pazienti.
-“Chi sono quegli uomini? Che cosa volevano da te?”
-“Sono colleghi.” Rispose, pacato. “Da protocollo, sono gli agenti specializzati dell’ISA a dover indagare per capire se ho agito legittimamente, sparando e uccidendo quell’uomo. Sono arrivati questa notte, quindi non ho dormito molto.”
-“Oh, ma è chiaro che è così, se ne renderanno conto presto, vedrai. Specialmente se sono bravi come te.” Cercò di rassicurarlo. “Tu come stai? Lo vedo che non hai riposato...” Chiese un istante dopo, facendo cadere l’occhio sul polso del ragazzo: era ammanettato al lettino e questo la inquietava.
-“Ho ancora dei giramenti di testa e non voglio tornare in servizio finché i dottori non capiscono precisamente che cosa mi hanno iniettato, né finché ne avrò traccia in corpo. Sarei un pericolo e questo mi preoccupa.” Fissava il vuoto con occhi persi. “In realtà probabilmente lo ero già quando…” Sospirò, sopraffatto da dubbi. Poi riprese. “Quando ho sparato ho agito di istinto, poiché so di avere un’ottima mira e mi sono affidato ad essa. Ora però penso che se avessi avuto un malore proprio in quel momento…”
-“Non ci pensare, hai salvato una vita. E non c’è nulla che conti più di questo.” Lui annuì.
-“Già.” Rui si sedette di fianco a lui e gli afferrò dolcemente la mano libera da costrizioni: a intervalli irregolari di qualche secondo, questa gli tremava per gli strascichi lasciati dal siero. Provò a ricambiare la presa e sorrise, sarcastico. “Questa volta non è necessario che tu stia qui a controllarmi, non andrò da nessuna parte, come puoi ben vedere.”
-“È un vero peccato, avevo quasi intenzione di tenerti d’occhio anche stanotte, non si sa mai con te…”
-“Quasi, eh?” Rispose divertito.
-“Sì, quasi.” Gli sorrise.
-“Ho una domanda per te, se posso.” Si girò verso di lei, che era in ascolto. “Per quanto tempo hai ascoltato ciò che ho detto ieri, prima di intervenire?”
-“Se è un altro modo per chiedermi se ho sentito le tue parole nei miei confronti, la risposta è sì, ho ascoltato.” Rispose, senza sbilanciarsi ulteriormente. Egli respirò a pieni polmoni.
-“Ho capito.” Un silenzio intimo, eppure senza imbarazzo, scese tra i due e durò per qualche minuto. “Tra poco arriverà anche la detective Asatani ad interrogarmi, per conto della polizia di Tokyo. Ti voglio solo avvisare.”
-“Va bene. Sai già cosa le dirai?” Gli massaggiava la mano, mentre gli rivolgeva la domanda.
-“La verità.”
-“Tutta?” Jack capì che a che cosa si riferiva e rispose di conseguenza.
-“Sì, tutta. Dal rapimento, al siero, alle domande, fino all’intervento di Occhi di Gatto.” Rui riuscì a leggere nella mente del giovane dai capelli biondi: era consapevole della possibilità di essere ascoltato e il suo fu come un invito alla cautela.
-“Le famose ladre? E le hai viste?” Stette al gioco.
-“Sì, ma il viso era coperto e non saprei identificarle, è stata una questione di attimi.”
-“Non importa, lascia fare ai tuoi colleghi, pensa solo a riprenderti.” Gli accarezzò la fronte. “Vedo Mitsuko arrivare, è meglio che io vada… ho lasciato Hitomi da sola al locale. Ti porterò dei vestiti puliti stasera e passerò la notte qui con te, se non ti dispiace.”
-“Non ho modo di oppormi, quindi…” Si leggeva dell’ironia nel suo viso. “Non sei costretta a restare e dormire su una sedia scomoda, lo sai. Sto bene.”
-“Certo che lo so.” Disse, come se questo fosse ininfluente. Posò le sue mani delicate sul viso di Jack, e, mentre una scendeva verso il collo, le sue labbra vermiglie si posarono su quelle dell’uomo, il quale, preso di sorpresa, cercò di ricambiare con altrettanto coinvolgimento. Quella scena, così dolce per qualsiasi occhio esterno, fece tossire nervosamente Mitsuko, appena arrivata sulla soglia della camera d’ospedale. Rui, staccandosi dal ragazzo, si lasciò andare ad un sorriso rilassato, forse anche compiaciuto. “Ci vediamo stasera.”
-“A stasera.” Rispose, come fosse appena caduto da una nuvola, e la osservò andarsene con passo elegante superando Asatani, alla quale rivolse un cordiale sguardo di saluto non ricambiato.
-“Si… Signor Lewis!” Più che un richiamo all’attenzione sembrò quasi un rimprovero. “È pronto a procedere?” Domandò con rigidità eccessiva: ciò che aveva visto l’aveva incomprensibilmente turbata.
-“Come? Ah, detective. Sì, certamente.” Reagì, in modo distratto, mentre le guance della poliziotta si velavano di rosso.
-“Bene, iniziamo allora.”
 
La notte calò sulla grande città giapponese. Sotto quel cielo così limpido, le stelle avrebbero potuto far da bussola ad ogni avventore. Una brezza fresca di fine estate attraversava i capelli delle due ladre, appostate in attesa che i rintocchi dell’orologio pronunciassero l’ora prestabilita. Le loro sagome, delineate dalle luci artificiali, apparivano su un albero, nascoste tra le fronde fruscianti che celavano i corpi, ma anche le parole dedicate agli ultimi dettagli del piano, attimi prima di entrare in azione. Al mancare di sessanta secondi esatti, si guardarono negli occhi e, dopo aver annuito, sparirono entrambe per poi ricomparire nei punti prestabiliti.
-“Tutti pronti, stanno per arrivare!” Esclamò Toshio, al centro della sala principale. Con lui c’era una decina di agenti, a colmare il vuoto lasciato dall’assenza di Mitsuko, impegnata nel caso che coinvolgeva Lewis. “E così oggi è come i vecchi tempi, solo io e Occhi di Gatto, senza Asatani. Nessuna sgridata, nessuna lavata di capo, nessuno che si crede chissà quanto migliore di me. Beh, vedrà che posso cavarmela senza alcun aiuto… Che dico, cavarmela? È l’occasione perfetta per dimostrare a tutti che ce la posso fare benissimo anche da solo!” Pensò tra sé e sé e, mentre faceva scudo con il corpo davanti alla tela da proteggere, gli parve di sentire il suono di passi leggeri. Si guardò intorno: quella sala aveva da ambo i lati un corridoio che portava ad altre stanze del museo. Il suono veniva dalla sua sinistra.
-“Shh, avete sentito?” Chiese a bassa voce. Le risposte dei colleghi, dello stesso tono, si dividevano in affermative e negative. Dopo pochi secondi di totale silenzio, dei rumori attirarono l’attenzione del detective e di tre agenti alla loro destra.
-“Capo, ha sentito? Andiamo?”
-“Aspettate, potrebbe essere un diversivo.” Bisbigliò e ragionò un secondo. “Voi due, andate a controllare. Noi altri rimaniamo qui in posizione, segnalate se avete problemi.” Indicò un paio di agenti con il dito.
-“Ricevuto.” Risposero in coro e si avviarono per eseguire l’ordine.
-“Stasera non voglio distrazioni, mi raccomando!” Non fece in tempo a concludere la frase, che ogni fonte luminosa dentro alla galleria si spense. “Eccole: accendete il faro di emergenza!” Un occhio di bue venne puntato direttamente sulla tela e la illuminò per renderla visibile nonostante il buio. “Ci avrai dato anche poco preavviso, gatta, ma non ci faremo cogliere impreparati!”
-“A sinistra! Rumore di passi veloci!” Un agente indicò il corridoio.
-“Bene, non può sfuggirci! Circondatela!” Toshio era fiducioso.
-“No, aspettate! Io sento correre a destra, di qua!” Interruppe un altro, mandando in confusione i presenti. I poliziotti, quindi, si trovarono in mezzo ad un vortice di distrazioni chiassose, e non riuscivano a capire da quale parte cercare la ladra.
 
Hitomi, entrata all’interno dello stabile di soppiatto, sentì il frastuono causato da Ai al piano di sopra: la missione si era indirizzata nel modo giusto e non restava altro da fare che trovare l’oggetto del desiderio in quel magazzino sotterraneo. “Povero il mio Toshio.” Pensava. “Già è difficile starci dietro, se poi nemmeno il proprietario collabora con te e nasconde l’opera originale senza dirtelo…” Avanzò senza farsi sentire e prima di girare l’angolo, controllò la situazione: “Ah, guardie private: sono nel posto giusto.” Erano in tre davanti ad una porta chiusa a chiave, alti e di stazza considerevole. “Due potrei anche farcela, ma tutti insieme…” Cercò di escogitare un piano. Si guardò intorno e le venne un’idea.
-“Che ore sono, Hideki? Non dovrebbero essere già qui quelle ladre?” Chiese uno, spazientito.
-“Non senti questo casino? Potrebbero aver abboccato al piano del signor Ashikawa, quell’uomo ne conosce una più del diavolo.” Rise il secondo. “Sento starnazzare i poliziotti da ormai cinque minuti, se solo sapessero che stanno proteggendo un quadro fasullo!” Scatenò l’ilarità dei presenti, interrotta da un suono metallico proveniente da una zona avvolta dalle tenebre.
-“Sentito? Vai a controllare, Daichi.” Ordinò Koshiro, colui che coordinava la protezione del dipinto.
-“Mah, dubito che sia qualcosa di rilevante, capo…”
-“Ci pagano per questo, scansafatiche… e pure bene. Su, va’, renditi utile una volta tanto.” Insistette. I due rimasti lo videro entrare nell’oscurità. “Allora, tutto a posto?” La risposta a quella domanda fu un grido di dolore ed un tonfo sordo.
-“Daichi? Daichi, ma che cavolo!” Esclamò Hideki, avvicinandosi di fretta al punto in cui lo aveva visto andare. “Dovresti guardare dove metti i piedi, razza di… AH!” Un colpo allo stomaco che non vide nemmeno partire lo stese in una manciata di centesimi di secondo. “E siamo a due.” Disse tra sé e sé Hitomi.
-“Gatta… e così sei arrivata fin qui. I miei complimenti, ti avevo sottovalutato.” Non si scompose. “Ma vedi, il signor Ashikawa detesta gli intrusi, specialmente se il loro scopo è quello di rubare dalla sua collezione.” Mise la mano sulla propria fondina e scrutò verso il buio per trovare con gli occhi il suo bersaglio. “Per questo ho l’ordine di spararti a vista: fidati, gattina, non sarà una sconfitta per te se deciderai di alzare i tacchi e tornare nella tua tana.” Minacciò. La risposta a quella provocazione fu una risata appena accennata.
-“È evidente che sia lei che il suo capo non mi conoscete affatto.” In quel momento la figura della ragazza sembrò intravvedersi dalla distanza, l’omone impugnò l’arma e sparò in tale direzione. “Abboccato”, pensò la ragazza, e lanciò uno dei celeberrimi biglietti firmati dalla banda, il quale colpì la mano della guardia e lo disarmò. Gli bastò un istante per veder sfrecciare Hitomi davanti a sé, con un braccio alzato a coprire il volto da eventuali colpi. Koshiro riuscì a bloccare un calcio che gli sarebbe arrivato sui reni. Sbilanciata da quella risposta, la ladra schivò ugualmente un pesante gancio e con rapidità sferrò una ginocchiata alla bocca dello stomaco del suo avversario. Un destro al viso fu il colpo di grazia che lo mise ko.
-“Ecco cosa succede quando voi uomini grandi e grossi vi affidate alle pistole per colmare le vostre lacune nel combattimento…” Osservò, per poi sfondare la porta del magazzino e cercare la tanto bramata tela.
 
Nella sala del museo, tutti gli agenti erano piegati in due o appoggiati alle pareti per la fatica di quell’inseguimento a vuoto e il loro fiatone era, in quel momento, l’unico rumore udibile. Le luci si riaccesero e Toshio guardò d’istinto il dipinto: era ancora lì. Strinse i pugni e quasi non trattenne la commozione.
-“Ce l’abbiamo fatta… ce l’abbiamo fatta! Il quadro è salvo! Abbiamo battuto Occhi di Gatto!” Tale gioia fu interrotta da passi pesanti e quasi trascinati che salivano le scale più velocemente che potevano.
-“Lo hanno preso! Hanno rubato la ‘Bimba tra le fragole’, dovete inseguirle!” Daichi si era risvegliato e provava ad attirare l’attenzione del detective.
-“E lei chi è? Non vede che l’opera è ancora qui sulla parete dietro di noi? Occhi di Gatto stavolta ha fallito!”
-“Quella è solo una copia, l’originale era in magazzino come da disposizione del signor Ashikawa, datevi una mossa!”
-“Come sarebbe a dire che… Ci avete dato appositamente un quadro falso da proteggere?! Razza di idioti!” L’eco delle imprecazioni di Toshio si sentivano fino al di fuori delle mura dell’edificio e facevano da sottofondo ad una serena fuga in macchina di Hitomi e Ai.
 
Erano ormai le due di notte. La porta di casa Kisugi si aprì all’improvviso e ciò colse di sorpresa le due sorelle, che ancora non avevano sistemato la refurtiva.
-“Accidenti, non doveva stare via tutta la notte?!” Chiese Ai cercando di non farsi sentire.
-“Fa’ silenzio, spegni la luce della camera!” Ordinò Hitomi. Rui non fece in tempo a girare la chiave che già si era accorta di movimenti sospetti. Si diresse verso la camera della sorella minore e la trovò con occhi chiusi sotto le lenzuola, le quali avevano però una forma inusuale. Dei passi provenivano dal bagno.
-“Oh, Rui, che ci fai qui? Non dovevi rimanere in ospedale?” Domandò Hitomi, bisbigliando e stropicciandosi gli occhi.
-“L’infermiera mi ha mandata via. Sembra che se il paziente non abbia determinate difficoltà, non sia minorenne o non si abbiano legami di parentela con lui, non si possa restare. Tu piuttosto, che cosa ci fai sveglia a quest’ora? E perché Ai finge di dormire?” Il suo sguardo stanco non si fece sfuggire nulla. Sentitasi chiamata in causa, la ragazzina si sedette sul letto, tenendosi le coperte fino al collo, quasi a nascondersi. Hitomi sospirò.
-“Doveva essere una sorpresa, ma visto che siamo tutte in piedi… mostrale, Ai.” La ragazza scoprì ciò che celava e Rui si vide porgere un pacco marrone rettangolare e dallo spessore di una tela. “Questo è per te, sorellona.”
-“Che significa?” La donna scostò la carta che avvolgeva l’oggetto e gli occhi le si riempirono di commozione: il viso candido di una bambina era il centro di un paesaggio immerso nel verde e incorniciato da cespugli di fragole selvatiche; la protagonista era intenta a staccarne una, ma la bocca sporca di rosso tradiva la sua golosità per quel frutto dal gusto dolce e aspro. “Ma questo è… il mio ritratto, il quadro che più ho amato di papà, dove lo avete..?”
-“Non fare domande e goditelo.” Hitomi le fece l’occhiolino, come a dissuaderla dall’affaticare la mente alla ricerca di risposte ininfluenti.
-“Non sei cambiata di una virgola, sai?” Notò Ai affiancando la sorella maggiore, per sbirciare l’opera con lei: si era innamorata di quel faccino fanciullesco colto nell’innocente attimo di gioia. “Persino le tue labbra sono rimaste rosso fragola, come nel quadro.” Sorrise, provocando un moto di felicità dell’espressione di Rui.
-“Sì, hai proprio ragione.” Rispose. Appoggiò il dipinto e allargò le braccia, come invito per un abbraccio di famiglia, accolto da entrambe. “Grazie. Siete le sorelline migliori del mondo.”

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Capitolo 36
*** Piacevole distrazione ***


-“Questa è una splendida notizia!” Rispose Ai a sua sorella maggiore. “Anzi, due! Ma è tutto ufficiale oppure sono solamente voci?” Smise per un attimo di mangiare la cena, per ascoltare attentamente la risposta.
-“Sono praticamente confermate. Dalle indagini condotte dai colleghi di Jack risulta che abbia agito nel modo migliore possibile e la polizia di Tokyo, aggiornata dall’ispettrice Asatani, sembra essere d’accordo. Inoltre i suoi ultimi esami del sangue hanno dato un buon esito, sarà dimesso a minuti.” Replicò Rui, rasserenando gli animi.
-“Tutto è bene ciò che finisce bene.” Intervenne Hitomi, mal celando la mancanza di entusiasmo. “Colleghi, quindi, eh… eravamo consapevoli che non fosse un semplice discografico in cerca di fortuna, ma non pensavo che lavorasse a questi livelli. Da quanto mi dici si tratta di un’agenzia davvero importante.”
-“Sì, si occupa di sicurezza internazionale. Ci teneva che anche voi lo sapeste e mi ha chiesto di riferirvelo, dopo questa brutta esperienza. ‘Per rassicurarvi sul fatto che non avrebbe mai rischiato di sparare così vicino ad una di noi se non fosse stato consapevole delle sue capacità’, ha detto di aggiungere.”
-“Beh, ce ne siamo accorte.” Disse Hitomi.
-“Perché non spiegarcelo di persona invece di farlo fare a te? Insomma, se l’ha tenuto segreto fino ad ora avrà avuto motivi molto validi e avrà temuto di venir scoperto, anche da noi…” Osservò la più giovane.
-“È un’ottima considerazione, Ai. Secondo me si tratta di un attestato di fiducia nei miei, nei nostri, confronti e allo stesso tempo… beh, credo che aver ucciso un uomo lo abbia scosso parecchio e non voglia più affrontare l’argomento.” In quel momento Rui pensava alla parole che si erano scambiati poche ore prima, mentre il ragazzo aspettava i moduli da firmare per essere dimesso dalla struttura.
 
-“Capisco che tu ti senta in questo modo, ma perdona la mia domanda inopportuna… mi hai confessato che non è la prima volta che ti succede, anzi, ti è accaduto spesso. Allora perché i tuoi occhi sono così vuoti?” Gli aveva chiesto, guardandolo seduto sul lettino mentre infilava le maniche di una camicia pulita portata dalla donna. E la risposta la colpì dritta al petto. Fece un respiro profondo.
-“Perché se passassi oltre ad ogni morte che io abbia causato, pur non avendo altra scelta, sentirei di aver perso la mia umanità.” Fece una breve pausa.”Ogni volta che premo il grilletto, un piccolo frammento del mio cuore muore sepolto dalla polvere da sparo. Ma va bene così… preferisco questo che diventare un mostro senz’anima.”
 
-“Secondo me ha proprio bisogno di una vacanza dopo tutto questo stress che ha accumulato… anzi, che abbiamo accumulato.” Ai interruppe il flusso di pensieri della sorella, spiazzando anche Hitomi. “Che c’è? Ha appena finito di affrontare qualcosa di terribile, io ho rischiato la vita facendo spaventare anche voi, quindi…”
-“Andiamo, Ai…” Si intromise la ragazza dai capelli lisci.
-“Falla finire.” Sembrava invece interessata l’altra.
-“Sono convinta che debba riposare, ma allo stesso tempo, conoscendolo, penso che farebbe l’errore di buttarsi totalmente sul lavoro per non pensare.”
-“E questo alla lunga gli porterebbe solo ulteriore pressione, considerando l’entità del suo compito…” Ragionò ad alta voce Rui, appoggiando la testa sulla mano. La sorella di mezzo la prese sul ridere.
-“Ehm, abbiamo aperto un’agenzia di viaggi e non lo sapevo? Dovremmo convincerlo a intraprendere una vacanza, e come? Con che scusa? È grande abbastanza per scegliere da sé.” Non ricevette alcuna risposta, ma solo espressioni di chi aveva già una soluzione e occhi che la fissavano intensamente. “Non vorrete mica…?”
 
-“Venire lì al mare con voi?” La mattina seguente, Lewis si era presentato per la prima volta al locale in seguito alla settimana di convalescenza in ospedale. Nella sua voce si sentiva un leggero imbarazzo destinato a crescere. “Non lo so, sono nel bel mezzo di una missione e sono appena tornato operativo, non credo sia il caso… non vado in vacanza da anni, ormai.” Non era per nulla convinto, ma la promotrice di tale idea non voleva demordere.
-“Proprio per questo dovresti staccare la spina, dopo tutto quello che è successo te lo meriti…”
-“Quello che è successo fa parte dei miei doveri, Ai, non ho fatto niente di speciale.”
-“Jack.” Rui si avvicinò alla sorellina e si appoggiò al bancone che le separava dall’uomo, con il suo usuale fare sensuale e persuasivo. “Hai ragione quando dici che è solo il tuo lavoro, ma non pensi che un agente con un compito così importante debba essere sempre al massimo delle energie? Sei stato rapito, torturato e…” La interruppe per non sentire il proseguo di quella dolorosa lista, e fu conciso.
-“Dalle mie parti si dice ‘chi si ferma è perduto’ sai…” Fissava il contenuto della propria tazzina di caffè come se oltre ci fosse il vuoto. Sapeva che se l’avesse guardata negli occhi si sarebbe sciolto come neve ad agosto.
-“E va bene, non volevo arrivare a tanto, però ora mi costringi a farlo.” Quell’irruenza immotivata fece risollevare lo sguardo del giovane dai capelli biondi verso la studentessa, che quella mattina sembrava voler ignorare in blocco i propri impegni scolastici.
-“Oh no.” Commentò Hitomi, in disparte, osservando la scena insieme a Toshio. Aveva capito che Ai stava per attuare quello che aveva chiamato “il piano infallibile”.
-“Che cos’hai?” Le chiese il detective.
-“Non lo vuoi sapere, fidati.” Il poliziotto era più confuso di prima. Vide solo Ai prendere di scatto le mani di Jack, delle quali una teneva ancora il cucchiaino in mano per mescolare la miscela che aveva ordinato. A quel gesto, i volti di Rui e di Lewis si fecero quasi speculari: colti di sorpresa, quasi impauriti, senza sapere cosa aspettarsi da tale comportamento drammatico. Gli occhi della ragazzina si ingrandirono e diventarono più espressivi che mai. Abbassò il volume della voce per non farsi sentire dai pochi clienti presenti.
-“Jack, mi hai salvato la vita. Lascia che io, anzi, noi, ricambiamo il favore in piccolissima parte, portandoti con noi.” Il disagio di Jack si tagliava con un coltello e provò a ribattere, senza successo.
-“Ai, ma io…”
-“Tanto noi ci dobbiamo andare lo stesso, e poi confesso di sentirmi molto più al sicuro se tu sarai con noi, dopo quello che mi è successo…” Strinse la presa, tanto da costringerlo a mollare la posata che teneva tra le dita. Dopo un attimo infinito di silenzio, Jack, con il viso ormai infuocato, si girò verso Rui quasi come a chiederle il permesso.
-“Sarei una persona insensibile a rifiutare questa offerta, non è vero?” La donna si fece velatamente seriosa, un po’ scocciata che avesse ceduto alla richiesta di Ai invece che alla propria.
-“Molto insensibile.” Assecondò la sorella, nascondendo diligentemente il suo essere contrariata per tali modi bruschi e dall’uso di un tema delicato. Lui sospirò profondamente a quella risposta.
-“Va bene, d’accordo.” Disse a bassa voce. Gli occhi di Ai si illuminarono. “E quando vorreste..?” Non lo lasciò finire.
-“Domani! Faremo un lungo weekend a Chiba, lì abbiamo una casa delle vacanze. Vedrai che belle che sono le spiagge di Makuhari!”
-“Ai, non esagerare, ti ricordo che viene dall’Italia, ne sa qualcosa di spiagge meravigliose.” La più grande la corresse.
-“Hai ragione, però mi piace lasciarmi sorprendere.” Non aveva ancora smaltito totalmente il rossore sulle guance. “Allora vado a casa a sistemare il disastro che hanno fatto quei criminali.” Non aveva una grande euforia in merito e Rui capì che aveva bisogno di ulteriore distrazione da ciò che gli era accaduto. Gli serviva tempo per riprendersi, ma lui era il primo a non darselo.
-“Lascia perdere, ti aiuteremo noi quando una volta tornati. Piuttosto, ce l’hai qualcosa per andare al mare?” Gli chiese.
-“Che intendi dire?”
-“Sono convinta che uno come te, tutto lavoro e dovere, non si sia portato nulla in vista di una vacanza in Giappone…” Lo guardò con malizia, e lui sorrise amaramente: ci aveva preso.
-“No, infatti, ehm… Andrò a prendere qualcosa oggi pomeriggio, grazie per avermelo ricordato.”
-“Ora che ci penso, anch’io ho bisogno di costumi nuovi, quelli dell’anno scorso non mi vanno più bene…” Osservò Ai guardando la sorella: alludeva al fatto che volesse andare con lui per negozi. Drizzò le antenne: il suo sentimento materno le impediva di immaginare la sorella minore indossare un costume da sola con un uomo maturo, pur affidabile che fosse. O almeno, questa era la spiegazione che si stava dando.
-“Pure io dovrei trovare qualcosa da indossare.” Ribatté Rui.
-“Hitomi, ma staranno mica battibeccando per quel delinquente mancato che se l’è cavata anche questa volta?” Chiese Utsumi alla sua interlocutrice, infastidito e incredulo per la scena a cui stavano assistendo, pur non sentendo le parole del discorso.
-“Vorrei dirti che ti sbagli, ma non saprei…” Anche lei non credeva ai suoi occhi e temeva che la questione poggiasse sulla gelosia. “Tu piuttosto, verresti insieme a noi a Chiba per un weekend di fine estate?”
-“Non te lo so dire, come ben sai dipende tutto dai turni extra gentilmente offerti da Occhi di Gatto… per ora non si sono fatte sentire, chiederò un permesso al Capo.”
-“Oh, grazie tesoro. Sai, mi sentirei un po’ a disagio con le mie sorelle e un uomo invitato da loro per una nostra vacanza…”
-“Aspetta, ci sarà anche Lewis?!” Hitomi non riuscì a trattenere un pensiero polemico nella sua testa: ‘Ma di cosa credi che stiano parlando quei tre proprio in questo momento?!’ Non riuscì a rispondere a quella domanda. “Allora certo che vengo, delle giovani e avvenenti donne come voi non possono restare da sole con uno del genere, avete bisogno di un uomo fidato! Vado subito a prendermi le ferie!” Uscì di fretta dal locale semivuoto prima ancora che arrivasse il suo caffè. Fu divertita da quella buffa reazione e si avvicinò all’altro gruppo per ascoltare le loro decisioni sul da farsi. Purtroppo per lei, la discussione era appena finita e le due sorelle si erano allontanate dal ragazzo, il quale sembrava abbastanza provato da ciò che era stato detto.
-“Che è successo? Sono andate via perché non puoi unirti a noi? Oh, accidenti, ti si è raffreddato il caffè, te ne faccio un altro…”
-“No, tranquilla, lascia stare, lo bevo lo stesso.” Il suo sorriso di cortesia era a dir poco tirato. “Va tutto bene. Mi aspetta solo un pomeriggio di compere compulsive di costumi da mare con due sorelle in competizione, che cosa potrebbe andare sorto?” Hitomi colse il sarcasmo e gli diede una pacchetta sulla spalla.
-“D’altronde sei stato e sei il loro eroe, ti aspettano onori e oneri, caro mio.” Lui stette al gioco e finì di bere, per poi pensare ironicamente tra sé: ‘E menomale che almeno tu ti sei dimenticata di quando ti salvai la vita contro la Gatta Nera…’
 
Il giorno seguente il viaggio in macchina verso Chiba era stranamente silenzioso. Rui era alla guida, affiancata da Hitomi, seduta sul sedile del passeggero che per nulla al mondo volle cedere all’ospite. Sui sedili posteriori, senza proferire parola, c’erano Ai, semiaddormentata e Jack, che le faceva da cuscino. Il ragazzo aveva gli occhi affaticati, tipici di chi aveva dormito a singhiozzo nella notte precedente. Guardava fuori dal finestrino.
-“Jack, stai bene? Hai l’aria stanca.” Chiese ingenuamente Hitomi. A Lewis tornarono in mente i flashback del pomeriggio del giorno appena trascorso.
 
“Jack, ti piace questo costume intero tinta unita? Oppure è meglio quest’altro a fantasia? Non so scegliere.”
“Con questo bikini rosso trovo davvero bene, ma anche lilla non è male, tu che dici?”
“Meglio helter oppure classico?”
“Scusate, ma non ero io quello che doveva comprarsi un paio di costumi per il weekend?”
“Ma voi uomini siete fortunati, state bene quasi con tutto… Oddio, ma quelli sono tatuaggi? Fai vedere!”
 
-“No, è una tua impressione.” Rispose. La verità era che persino un uomo dal cuore di pietra avrebbe avuto le immagini delle due sorelle per tutta la notte, pur senza volerlo. Aveva addirittura scoperto generi di costumi da bagno che nemmeno conosceva e li aveva ammirati tutti su quei corpi così atletici e sensuali.
-“Sei riuscito a mettere a posto casa, alla fine?” Chiese Rui, per cambiare argomento. Al contrario delle altre due, aveva capito perfettamente lo sforzo a cui lo avevano sottoposto.
-“No, l’ho lasciata com’era, visto che i miei colleghi si sono offerti di fare una pulizia da cima a fondo di cimici, spie o chissà cosa. Prima hanno dovuto fotografare nuovamente la scena per fare un rapporto esaustivo del furto. Ho preso solo alcune cose da vestire, qualcosa da mangiare e… un ukulele.”
-“Un che cosa?” Chiese Ai, tenendo gli occhi chiusi.
-“Una sorta di piccola chitarra, era uno dei pochi strumenti integri che ho trovato in studio. Se voglio totalmente rilassarmi, ho bisogno di qualcosa da suonare.”
-“Ci farai sentire qualcosa, allora.” Hitomi era curiosa: nonostante i mesi passati con lui, solo Ai lo aveva sentito strimpellare. Cominciava a provare una leggere simpatia per quel ragazzo, forse perché finalmente si era lasciato andare rivelando chi fosse davvero.
-“Certo.” Abbozzò un sorriso, senza smettere di ammirare il paesaggio.
-“Devo dire che i tuoi colleghi sono stati davvero in gamba a risolvere la questione così in fretta.” Osservò Rui. “A tratti mi è quasi sembrato che ti trattassero come un superiore.”
-“Sì, sono dei ragazzi veramente in gamba, alcuni addirittura amici da una vita, altri più giovani ed hanno un grande rispetto nei miei confronti ed io nei loro. Di alcuni sono stato anche insegnante. Mi hanno raccontato un po’ che cosa succede nelle loro aree di competenza, il mondo sembra impazzito.”
-“Ad esempio?” Chiese Ai, non tenendo a freno la curiosità.
-“Beh, in Italia, negli scorsi due mesi, ci sono state delle rapine insolitamente violente ad alcuni caselli autostradali, con bottino relativamente basso. Di solito non ci occupiamo di casi di questo tipo, ma il panico generato da questo gruppo purtroppo è più che giustificato... Sembrano che la loro aggressività si scateni per nulla e siano armati fino ai denti.”
-“È terribile…” Commentò Rui.
-“Già. Ho dato loro qualche consiglio, devono ancora capire se si tratta di una sola banda oppure molteplici. Ad ogni modo, la morale della favola per voi tre è: finché non userete la forza bruta, non sarò autorizzato ad indagarvi.”
-“Questo è molto rassicurante.” La risposta della donna fu scherzosa tanto quanto l’affermazione che la precedette.
-“Ma Toshio, invece? Non doveva venire anche lui per difendere le tre donzelle o qualunque cosa abbia detto?” Chiese Lewis.
-“Sì, solo che il Capo gli ha detto che finché non finisce di compilare il rapporto sugli ultimi furti di Occhi di Gatto non lo lascerà partire. Ci raggiungerà più tardi.” Tutti sorrisero, immaginando la scena del detective preso a sistemare pile e pile di scartoffie.
-“Quindi se volessi farvi del male avrei ancora qualche ora a disposizione, buono a sapersi. Grazie, Toshio!” Disse Jack, con ilarità.
-“Ehi, non prenderlo in giro!” Hitomi alzò la voce e si girò verso il sedile a lei posteriore, tra le risate delle altre sorelle che però, alla fine, finirono per contagiare anche lei.

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Capitolo 37
*** Vacanze roventi (1/3) ***


-“Et voilà, crepes alla mornay per tutti, e… spero anche per Toshio, se ne lascerete qualcuna.” Jack, in tenuta da cuoco con grembiule, mise sul tavolo la pietanza appena cucinata, stuzzicando la curiosità generale.

-“Tu sottovaluti la fame di un’adolescente.” Scherzò Hitomi, cominciando a tagliare quello che sembrava un cofanetto ripieno e impacchettato con delle striscioline di verdure. “Sembra delizioso, anche se forse è un po’ troppo caldo per questo periodo dell’anno”.

-“Hai ragione, ma sto ancora cercando di adattarmi agli ingredienti del posto, nei prossimi giorni cercherò di fare qualcosa di più fresco.”

-“Non sapevo che sapessi cucinare, non sembra una ricetta facile.” Ai era piacevolmente sorpresa, oltre che affamata.

-“Ma no, è stato più difficile trovare i prodotti, solo da qualche settimana riesco ad orientarmi nei vostri supermercati. Poi magari ho un’idea per una ricetta e scopro che qui alcuni ingredienti non esistono.” Rise con autoironia.

-“Quindi gli uomini che fanno la spesa esistono e sono tra noi? Credevo fossero esseri mitologici.” 

-“Spiritosa.” Rispose lui, guardando negli occhi Rui, la quale aveva appena causato l’ilarità delle sorelle. “Lo chiamano istinto di sopravvivenza." Si unì anche lui alle battute.

-“Arrivo, arrivo, arrivo!” Si sentì del trambusto appena fuori dalla porta e Hitomi si avvicinò ad aprirla, trovandosi davanti il suo imbranato poliziotto.

-“Ce ne hai messo di tempo, meno male che ti serviva solo un’ora…” Si rivolse a Toshio, che non fece in tempo nemmeno a bussare.

-“Hai ragione, perdonami, ma non è colpa mia, lo giuro!” Cercò di giustificarsi.

-“E di chi, allora?” La ragazza non capiva, nemmeno quando il suo amato indicò una persona nella stanza senza pensarci due volte.

-“Di questo disgraziato!” Guardò dritto negli occhi Jack, che sentì i suoi nervi affiorare sulla pelle.

-“Come, scusa?!" Si trattenne, mentre il poliziotto mollava la sua valigia in mezzo al corridoio per andare faccia a faccia con il ragazzo. Nemmeno il tempo di un saluto, che un’accusa gratuita, dal suo punto di vista, gli arrivò dritta addosso e questo era sufficiente per farlo esplodere.

-“Toshio, ora stai davvero esagerando a…” Hitomi non riuscì né a mediare la situazione né a finire la frase.

-“Il motivo per cui ci ho messo tanto è perché il qui presente signor Lewis ha raccontato una balla bella e buona, perciò ho dovuto riscrivere il rapporto sul suo caso di presunto rapimento ben tre volte, e ancora non ho capito quale sia la verità!”

-“Di quale bugia parli, Toshio?” Rui si mise in allarme a quella affermazione.

-“Avanti, quale?” Incalzò il ragazzo dai capelli biondi.

-“Hai raccontato che il capo dei malviventi ha puntato la tua pistola contro di te per simulare un suicidio.” Mimò l’arma con le dita e gliele puntò sulla fronte, gesto che non gradì per nulla. “E che questa non abbia sparato.” Le tre sorelle si tranquillizzarono nel sapere che non parlava della loro presenza sulla scena del crimine.

-“È corretto.” Affermò, mantenendo la calma a stento.

-“Ma con quella stessa pistola, alla fine di tutto, lo hai colpito a morte: come è possibile, se era inceppata? Come lo spieghi?!” Jack gli afferrò rapidamente la mano che poggiava sul suo viso, e quello scatto fece pensare ad una ingestibile escalation della discussione.

-“Calmatevi, tutti e due!” Urlò Ai, che con sorpresa invece vide il ragazzo accompagnare lentamente il braccio del detective distante dal proprio volto. La tensione era palpabile, eppure Lewis non cambiò di una virgola il suo sguardo.

-“Non ho mai detto che si fosse inceppata, ma solo che non avesse sparato. Se è davvero un bravo detective, come spero, analizzerà la pistola e scoprirà il vero motivo, anche se non ce ne sarebbe bisogno, dato che Asatani lo ha già scoperto.” Lo fissò negli occhi neri. “Ha finito l’interrogatorio, detective?” Ripeté, come sfottò.

-“S… sì, ho finito, per ora.” Faceva fatica a reggere il confronto di sguardi. Jack mollò la presa.

-“Bene. Il suo pranzo è già a tavola, ma se si fida così poco di me può sempre farlo esaminare dalla scientifica prima di mangiarlo, sa… l’ho preparato io.” Si tolse il grembiule e lo piegò, per poi appoggiarlo sopra una sedia e prendere la via dell’uscita.

-“Dove stai andando?” Domandò Rui.

-“A farmi un giro.” Chiuse la porta dietro di sé, senza sbatterla, anche se dentro stava ribollendo. Rimase, per un attimo, un silenzio colmo di imbarazzo, spezzato da un sospiro emesso dalla sorella maggiore.

-“Dovevi per forza porti in questa maniera così maleducata, Toshio?” Quel pacato rimprovero quasi materno spiazzò il nuovo arrivato, che però ebbe l’audacia di rispondere.

-“Rui, forse non vi state rendendo conto del fatto che state ospitando un uomo che ha sparato ad una persona…”

-“O forse ci comportiamo in questo modo perché ce ne rendiamo conto più di te.” Lasciò intendere che era proprio quello il motivo del viaggio, ma il detective non ci arrivò.

-“Mangia, prima che si freddi.” Cambiò argomento Hitomi, per troncare quella spiacevole conversazione.

 

Il sole del primo pomeriggio si stava pian piano raffreddando, e superava di qualche ora la metà della giornata: l’acqua limpida era più che mai invitante e chiunque si trovasse nella spiaggia, anche solo di passaggio, avrebbe desiderato farsi un tuffo. Eppure il popolo giapponese è difficile da trarre in tentazione, così ligio e dedito ai propri impegni, tanto che solo chi aveva programmato una giornata di riposo si concedeva il fresco ristoro. Tutti, tranne uno che, invece, la vacanza l’aveva pianificata eccome, eppure era concentrato a fare altro di più faticoso.

-“Non vedo l’ora di arrivare e buttarmi in acqua!” Ai non stava più nella pelle.

-“Certo che potevamo andare in macchina, invece che a piedi…” Aggiunse Toshio, il quale sentiva la fatica di portare ombrellone e un paio di sdraio, al contrario delle tre sorelle che avevano con loro una borsa da spiaggia per una. Gli rispose la più piccola.

-“Beh, se non avessi fatto arrabbiare Jack magari potevate dividervi il carico, no?” Tirò una frecciatina.

-“Sì, sì, certo… Dove si sarà andato a cacciare quel teppista?”

-“Siamo arrivati.” Annunciò Rui, guardando di fronte a sé e avendo la visione paradisiaca della distesa d’acqua salata che si infrangeva delicatamente sulla sabbia calda. Diede uno sguardo quasi panoramico, scrutando tutto il bagnasciuga visibile, e proprio in lontananza vide una sagoma appena individuabile muoversi più velocemente delle altre. Sorrise. “Se lo conosco abbastanza bene, credo che avremo la risposta molto presto. Andiamo a mettere le nostre cose.” Gli altri non capirono subito a cosa si stava riferendo, ma obbedirono.

A Toshio, munito di costume rosso e maglietta a maniche corte dello stesso colore, toccò il compito di piantare l’ombrellone, mentre Hitomi e Rui, vestite rispettivamente da bikini di color rosa carne e lilla coperti da camicette lunghe semitrasparenti, aprivano gli sdraio. Ai con il suo costume celeste, dall’altra parte, era già pronta a scattare verso la distesa azzurra.

-“Prima devi metterti la crema, altrimenti ti ustioni.” Venne rimproverata immediatamente. Si sentì un “Uffa!” quasi sospirato dal bagnasciuga, dopodiché tornò indietro verso le sorelle.

-“Sbrighiamoci però, prima che arrivino troppe persone!” Aggiunse, per poi accorgersi che proprio nella sua direzione si stava avvicinando una sagoma in controluce in corsa.

-“Ma cosa…” Ci mise un secondo per riconoscerlo. “Jack! Siamo qui!” Alzò una mano nella sua direzione, ed il gesto fu ricambiato. Mano a mano che si avvicinava, poteva vederlo in modo più definito: indossava solo il costume blu scuro e la camicia bianca con cui era uscito faceva ormai da asciugamano attorno al collo. Si fermò di fianco alla piccola e diede un’occhiata al resto della combriccola. 

-“Che tempismo.” Osservò Ai.

-“Eccomi, che mi sono perso?” Esordì, come se nulla fosse, asciugandosi il sudore dalla fronte.

-“Il viaggio a piedi per portare la roba.” Rispose sarcastico Toshio.

-“Vorrà dire che al ritorno me ne occuperò io.” Mantenne un tono sorprendentemente pacato. Si avvicinò a passo spedito verso l’altro ragazzo, preso alla sprovvista. “Ah, detective, una parola, prima di tornare allo svago.” Si fermò esattamente di fronte a lui. “Dalle mie parti si dice patti chiari e amicizia lunga: lei non piace a me ed io non piaccio a lei, ma non siamo soli in questa vacanza, quindi mettiamo da parte queste stupide scaramucce da ragazzini e cerchiamo di rilassarci.” Gli porse la mano ed il viso del poliziotto fuori servizio si fece serio.

-“D’accordo, ci sto.” Ricambiò la stretta.

-“Le do un consiglio, se posso. Quando si sente nervoso o frustrato per il lavoro, provi a fare una corsa o ad allenarsi un po’, lo sforzo fisico aiuta molto contro lo stress… e anche nella caccia ai delinquenti, si intende.”

-“Gr… grazie, ci proverò.” Non riusciva ancora totalmente a mettere da parte il suo orgoglio.

-“Magari non nelle ore più calde del giorno come ha fatto il signorino qui presente.” Rui gli tirò una frecciatina poco velata, unita ad un pugnetto goliardico sulla spalla. La cosa lo imbarazzò, e si mise una mano dietro alla nuca.

-“Come sempre, hai ragione tu.” Rispose, ridendo nervosamente, a mo’ di scuse. 

-“Jack, prima di chiudere questa discussione, posso chiederti una cosa molto importante?” Il viso di Toshio si fece ancora più cupo, tanto che i presenti cercarono di capire la gravità della situazione.

-“Certamente.” Cercò di trovare le parole giuste.

-“Mi… mi daresti la ricetta delle crepes? Non erano male.” A quella domanda tutti e quattro gli ascoltatori si ammutolirono, presi alla sprovvista.

-“O… ovviamente, sì.” Gli venne risposto. La conversazione riprese dopo qualche secondo.

-“Tutto molto toccante, avete fatto le persone mature, ma ora possiamo metterci la protezione solare, così posso andare in acqua?” L’impazienza, sotto a quel caldo secco, si faceva sentire.

Tolte le vesti superflue, qualcuno preferì prendere posto sotto il sole, qualcuna raccogliersi i capelli per restare più fresca, qualcuno prese un pallone da mare e corse verso l’acqua più bassa, richiamando l’attenzione:

-“Toshio, Jack, venite a giocare?” La voce squillante di Ai non ammetteva rifiuti da parte loro.

-“Arrivo.” Risposero quasi in coro.

-“Rui, Hitomi, voi?” 

-“Eccomi!” La sorella di mezzo rispose presente.

-“Arrivo tra qualche minuto, andate pure.” Sorprese tutti Rui.

-“D’accordo, ma non farci aspettare troppo!” Fu la raccomandazione di chi già si apprestava a rinfrescarsi le membra. Jack la osservò per poco più di un secondo prima di avviarsi ed ebbe l’impressione che la donna avesse in mente qualcosa, ma non volle indagare e si tuffò con gli altri.

Rui tirò fuori dalla sua borsa da mare un libro dalla copertina grigia e anonima, accuratamente appuntato di riflessioni e nozioni, e aprì dove un segnalibro divideva i numerosi fogli di carta. Cominciò a leggere: Capitolo 4, Scorci di mare in tela in Giappone, pagina 64. 

 

Il tempo passava velocemente tra gli schizzi delle onde, tanto che nessuno si accorse che una mezz’ora era passata a suon di battute e palleggi, di tuffi e di scherzi. L’aria si era distesa e fra i ragazzi si spense l’astio in favore di una sana competitività nel gioco.

-“Mia!” Urlò Toshio, ricevendo palla e la passò alta a Hitomi, che con un palleggio la passò dall’altra parte. Si erano create, senza volerlo, due squadre opposte composte dai due amanti da una parte e la sorella minore con l’ospite dall’altra. 

-“Eccola!” Disse Ai, facendola arrivare a Jack, il quale saltò per schiacciare vicino a Toshio e bagnarlo con gli spruzzi generati dal pallone che si infrangeva in mare. I due esultarono come se fossero in un campo da beach-volley e quello fosse stato un punto sulla sabbia.

-“Yes!” Gli scappò l’inglese, e Ai corse a battergli il cinque.

-“Ben fatto, siamo troppo forti!” 

-“Toshio, potevi prenderla, era vicinissima!” Hitomi si fece prendere dall’agonismo del momento.

-“Tesoro, ma hai visto che razza di bolide? Era impossibile!” In quel momento il gruppo si accorse che Rui li stava raggiungendo a passo lento. 

-“Alla buon’ora, sorellona! Ti unisci a noi?” Chiese Ai.

-“Non proprio, vado a farmi una nuotata un po’ più a largo, qualcuno vuole venire?” Domandò.

-“Vengo io, ne ho proprio bisogno.” Rispose Jack senza malizia, cosa che non sorprese affatto Rui, ma nemmeno qualcun altro nella combriccola. 

-“Ma come, li stavamo stracciando!” La più piccola si lamentò a gran voce. Il ragazzo le fece l’occhiolino.

-“Infatti li batteremo quando tornerò, dai loro un attimo di tregua, poverini.” Li provocò scherzosamente.

-“Dopo ti faremo vedere noi, insolente!” Toshio non l’aveva presa bene, ma gli altri sorrisero e seguirono con lo sguardo i due allontanarsi.

-“Mi fai strada?” Le chiese, prima di tuffarsi.

-“Certo. Ho un posticino da farti vedere.” Gli sorrise, per poi affondare le prime bracciate e lasciarsi dietro di sé un incuriosito e affascinato giovane non più straniero.

 

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Capitolo 38
*** Vacanze roventi (2/3) ***


-“Ci siamo quasi.” Bracciata dopo bracciata, i due nuotarono oltre a un molo circondato da scogli, a debita distanza, uno dietro l’altra. A stile libero, si ritrovarono soli a più di qualche minuto dal punto di partenza.

-“La corrente porta verso le rocce. Fortunatamente il mare è calmo, però è meglio se ci allarghiamo di qualche metro.” Fece notare Jack.

-“Sì, è vero.” Rui accolse il suo invito e poco dopo arrivarono a destinazione. “Eccoci, ci siamo, prova a metterti in piedi.” Gli disse.

-“È una secca.” L’acqua gli arrivava poco più in basso delle spalle, mentre quelle della donna erano immerse. Si sistemò i capelli bagnati spostandoli all’indietro e scostò alcune gocce dal viso con una mano. “E siamo anche nascosti da sguardi indiscreti… che hai in mente?” Le chiese con voce suadente, mentre lei, dal portamento impeccabile e con qualche ricciolo ribelle inumidito dalle onde, gli si avvicinava per appoggiare le mani sul suo petto.

-“Più di qualcosa.” Confessò in modo altrettanto seducente, accarezzando la pelle salata del giovane. “Direi di cominciare da una di quelle serie, tu che dici?”

-“Non so a cosa tu ti riferisca, ma va bene.” La assecondò, nonostante pensasse che la direzione di quella mattinata sarebbe stata un’altra.

-“So che detesti parlarne però…” Lewis chiuse gli occhi per un istante, intuendo il tema del discorso. “Sarò breve, lo prometto. Mi dispiace per come ti ha trattato Toshio e ho apprezzato la tua reazione equilibrata, so quanto ti renda nervoso questo argomento.” Fissava dritta davanti a sé il punto in cui lo stava massaggiando.

-“Appunto, quindi arriva al dunque. Per favore.” Aggiunse, per non sembrare scontroso.

-“Però ha ragione, la tua pistola prima si è bloccata e poi ha sparato… C’era Ai dall’altra parte, se qualcosa fosse andato storto…”

-“Non c’è mai stato questo pericolo.” Rui alzò lo sguardo e i loro occhi si incrociarono: doveva capire. “L’arma non si è inceppata, semplicemente ha una modifica grazie a cui solo io so come togliere totalmente la sicura.”

-“Per questo non ti sei liberato della Beretta e l’hai lasciata a loro disposizione, non poteva essere un errore così grossolano da parte tua…”

-“Esatto. Nella nostra agenzia, se la nostra arma di servizio o quella personale viene rubata, rispondiamo di ogni reato commesso con il suo utilizzo, per questo non deve sparare in mano ad altri. Si tratta di un’alterazione sottoposta a rigidi criteri, poiché teoricamente anche manometterla è illegale. È una proposta che sono riuscito a far accettare pochi anni fa nella nostra organizzazione.”

-“Quindi non hai assunto alcun rischio, per quanto la situazione lo permettesse.” Tornò a guardare innanzi a sé. “Non smetterò mai di ringraziarti.” I suoi occhi sorridevano dolcemente.

-“Non avrei fatto bene il mio lavoro, altrimenti.” Abbozzò una curva sul viso, mentre con una mano le cingeva teneramente il viso.

-“Sempre questa retorica del dovere… lascia che ti si ringrazi come meriti.” Qualche idea le stuzzicava la mente.

-“Temo che però non abbiamo finito gli argomenti seri.” Stavolta fu lui a stroncare le sue fantasie. 

-“Ah sì, ad esempio quanto ti fai desiderare?” Le sue dita erano giunte ormai al collo e il fare quasi ieratico dell’uomo stava per avere dei cedimenti. Le afferrò delicatamente i fianchi, senza respingerla, ma continuò a farla aspettare.

-“Sarò conciso anch’io: che hai tramato alle nostre spalle prima che arrivassi da noi in acqua?” Rui sorrise e lui altrettanto, compiaciuto di averla colta in flagrante. Lei, che era sempre così imperscrutabile, faceva di questa caratteristica gran parte del suo fascino e avere accanto qualcuno che riusciva a leggere i suoi gesti la faceva sentire da una parte capita e dall’altra vulnerabile.

-“Sei un buon osservatore, ma questo lo sapevo già. La risposta non ti piacerà.” Disse con tono rilassato, come se nulla fosse.

-“Fallo valutare a me.” Era per metà incuriosito e per metà guardingo.

-“D’accordo. Qui in zona c’è un museo che potrebbe avere un dipinto appartenuto a nostro padre, ma non c’è alcuna urgenza di rubarlo, quindi mi sto solo informando. La vacanza non sarà compromessa, puoi stare tranquillo.” Il ragazzo fece una strana smorfia, della quale non comprese il significato. “Che cosa c’è?”

-“Io non ne sarei così sicuro…” Stavolta fu Rui a lanciare un’occhiata interrogativa, senza proferire parola. “Mi pentirò molto presto di aver tirato fuori l’argomento, ma ad ogni modo… c’è un museo nautico che forse potrebbe interessarvi di più.”

-“Più di un dipinto della collezione Heinz?”

-“Molto di più. Appena sono uscito di casa, era davvero troppo caldo per andare a correre, così girando per la zona turistica mi sono imbattuto in questa mostra di cimeli a tema navale, ma essendo ora di pranzo era chiuso, così mi sono fatto dare una brochure. Leggendola ho notato che nella collezione c’è un diario di bordo illustrato ritrovato in una nave tedesca affondata nel 1954.”

-“E per quale motivo pensi che sia importante?” Domandò garbatamente.

-“Perché era una nave che trasportava quasi esclusivamente europei, in particolare tedeschi. E perché l’unico nome parzialmente decifrabile dai fogli deteriorati è di un certo Franz D.”

-“Franz Dürer.” 

-“È un’ipotesi, sì.” Sospirò. 

-“Ma non capisco, c’è un buco di più di quindici anni tra l’ultima lettera del mentore di nostro padre a questi appunti, forse è una falsa pista.”

-“Sì, può darsi. Ne dovremmo parlare con le tue sorelle prima di andare troppo avanti con i ragionamenti.” Non era convinto nemmeno lui. “Comunque, lo sai anche tu che è troppo rischioso rubare qualcosa proprio ora che voi tre siete, guarda il caso, qui nel luogo del furto, dico bene?” Rui guardava davanti a sé: i sofisticati ingranaggi della sua mente si erano messi in moto, tanto che non rispose immediatamente. “Dico bene?” Ripeté, con tono più deciso, per avere una conferma.

-“Sì, certo, per chi mi hai preso?” Lo guardò sorridendo maliziosamente. “Questa è un’ulteriore prova che tu saresti un ottimo ladro, ragioni come noi.” Disse, per dargli fastidio, e infatti alzò gli occhi al cielo. “Non ti permettere di fare così, non è cortese.” Affermò scherzosamente, mentre gettava le braccia sul collo di lui. Erano pelle contro pelle.

-“Ed ora?” Chiese Jack, che già aveva capito cosa sarebbe successo di lì a poco.

-“Ed ora le cose davvero importanti.” Lo baciò esattamente nel momento in cui le labbra di entrambi erano piegate in un sorriso complice. “Qui non è il posto più adatto, ma so dove trovarne uno.” Sussurrò, senza far trasparire la sua impazienza.

-“Ti seguo, come sempre.” Rispose lui, altrettanto trepidante.

 

-“Sai Hitomi, era da tanto che non passavamo tutto questo tempo insieme.” Toshio e la sua amata erano distesi l’uno di fianco all’altra, il primo su un telo da mare e la seconda sullo sdraio, intenti ad asciugarsi al sole nella totale tranquillità. “Dovremmo farlo più spesso.”

-“Beh, se il tuo lavoro lo permetterà, potremmo fare qualcosa prima della fine dell’estate.”

-“Non dire quella parola, per favore, già vivo con l’ansia di essere convocato d’urgenza dal Capo da un momento all’altro.” 

-“Se così fosse, sarebbe la prova che sei davvero indispensabile, non trovi?” Si intromise nella discussione Ai, supina alla destra di Toshio, con aria scherzosa: aveva le mani incrociate dietro la nuca e gli occhi, coperti da occhiali da sole, rivolti verso l’alto, poiché stava prendendo il sole.

-“Grazie dell’incoraggiamento, mica è perché c’è una banda di ladre che mi tormenta a giorni alterni.” Pur volendo rispondere in modo un po’ seccato, in realtà la battuta non gli era dispiaciuta.

-“Bene, allora che ne dite di archiviare l’argomento e goderci questo riposo?” Chiese Hitomi, distesa a pancia in giù alla sinistra del poliziotto, con i capelli sciolti.

-“Sono d’accordo.” Il ragazzo si mise sul fianco, rivolto verso la sua amata. “A proposito, è stato gentile da parte di Rui portarsi via Jack per farci stare un po’ da soli, non trovi?”

-“Guarda che sono qui!” Ai alzò il busto e abbassò leggermente gli occhiali per guardarlo negli occhi.

-“Infatti potevi capire la situazione e andare anche tu, no? Ogni coppia ha bisogno della sua privacy.” Ribatté, mentre Hitomi cominciava a ridere genuinamente.

-“Davvero pensi che si siano allontanati per farci un piacere? Lasciandoci Ai, tra l’altro?”

-“Io sono sempre qui, eh!” Si sentiva quasi come se fosse invisibile e di troppo.

-“E per quale altro motivo? Non mi vorrai mica dire che Rui si sia innamorata!” Rise a quella sua stessa affermazione, ma vide che Hitomi, sedutasi, lo fissava come a dire ‘Dai, ci sei arrivato’. Toshio non ci voleva credere. “Cioè, mi stai dicendo che si è innamorata, parliamo della stessa Rui? Non l’ho mai vista attratta da nessun altro uomo… proprio di quello lì, poi?!”

-“Un bel ragazzo, acculturato, elegante, gentile, intelligente… decisamente il tipo di Rui, o almeno credo. Non ricordo sue frequentazioni recenti, a dire il vero avevo perso le speranze.” Rispose la sorella di mezzo, portandosi una mano al mento per riflettere. “Aspetta, perché hai detto nessun altro uomo?” Hitomi era confusa da quella affermazione.

-“Non puoi negare che qualche occhiata interessata l’abbia data anche a me, specie quando sono venuto a vivere da voi- AHIA!” La sua ragazza gli martellò un pugno non troppo forte sulla testa, offesa per quello che aveva appena sentito

-“Ma dai, non è stata colpa mia!” Disse per difendersi.

-“Possiamo parlare di qualcos’altro, per piacere?” La più piccola sembrava seccata per via di tale conversazione, senza apparente motivo.

-“Sì, sono d’accordo. Sei sempre il solito!” Hitomi mise presto da parte la sua indole permalosa per osservare il comportamento di Ai: aveva capito che il suo stato d’animo era di colpo cambiato.

 

Non passò più di qualche minuto che i due nuotatori comparvero tra le onde più vicine al bagnasciuga, e che si alzassero in piedi una volta raggiunta l’acqua più bassa. I tre, parzialmente distesi, vedevano la coppia sorridente parlare e scherzare: il feeling tra i due era evidente a quasi chiunque. Usciti dal blu, Jack mostrò il palmo per salutare e arrivarono fianco a fianco all’ombrellone, dove Rui cercò e tirò fuori dalla sua borsa due piccoli asciugamani per il viso.

-“Altro che nuotata, vi siete preparati per le Olimpiadi come minimo.” Hitomi fece notare la lunga assenza.

-“Si stava talmente bene che abbiamo perso la cognizione del tempo.” Commentò il ragazzo. 

-“È stato molto piacevole.” Aggiunse la donna, alludendo a qualcosa che solo il suo amante poteva sapere, ed egli sorrise in modo discreto a quelle parole. “Abbiamo un telo in più per Jack?” Chiese, considerando che era uscito di casa senza avere nulla con sé.

-“Eccolo, al volo.” La sorella minore lanciò l’asciugamano al ragazzo, che lo afferrò e lo distese per sdraiarsi a sua volta, con la schiena pronta a scaldarsi sotto al sole. “Dove siete andati di bello?” Ai mostrò una certa curiosità.

-“Abbiamo superato un paio di spiagge e poi siamo tornati indietro.” Rispose la più grande.

-“Davvero? Ce ne avete messo di tempo…” Fingeva di punzecchiare, quando in realtà voleva comprendere cosa nascondessero quei due; o meglio, desiderava smentire il dubbio avanzato dalla sorella di mezzo, anche se in fondo sapeva già la risposta.

-“Colpa mia, dopo i chilometri fatti a piedi prima ho chiesto di andare con calma.” Era effettivamente affaticato, anche se in realtà non solo per quel motivo. “Ho visto un paio di moli da cui mi piacerebbe provare a lanciare una lenza, sembrano posti davvero adatti.” Sviò il discorso.

-“È proprio una fortuna che io abbia portato qualche canna da pesca, allora.” Affermò Toshio. “Sono quasi un esperto dei pesci di questo mare, vedrai che ti darò del filo da torcere.” Jack fino a quel momento si era dimostrato in gamba in ogni ambito che lo avesse coinvolto e, nella appena sbocciata rivalità tra i due ragazzi, questa sembrava l’occasione giusta per Toshio di dimostrare le sue capacità e sentirsi alla pari. Lewis lo aveva capito, tanto che gli venne naturale rivolgersi a lui non più in quanto detective, ma con un registro più informale. Infatti il diretto interessato non si accorse di questa differenza.

-“Fantastico, ma se permetti allora le esche le andrò a prendere io, visto che metti a disposizione l’attrezzatura. Facciamo stasera?”

-“Ci sto.” Erano d’accordo.

-“Mi dispiace interrompervi, ma proprio questa sera? Non cenate insieme a noi?” Osservò Hitomi.

-“Non ci avevo pensato, hai ragione.” Rispose il suo compagno.

-“Una cosa non esclude l’altra.” Lewis interruppe gli altri, ed ebbe la loro attenzione. Si appoggiò sulle braccia, rimanendo disteso. “Potremmo cenare in spiaggia, così mentre Toshio ed io peschiamo voi potete comunque divertirvi qui. Mai fatto il bagno di mezzanotte?”

-“Si può davvero fare il bagno di notte? Ma non è troppo freddo?” Ai sintetizzò lo stupore di tutti a quelle parole. Jack sorrise, capendo che in Giappone non fosse una pratica così diffusa.

-“Al contrario, con l’abbassarsi della temperatura della notte, quella del mare aumenta, l’importante è che stiate distanti a dove getteremo la lenza.” Scherzò. “Se a voi va bene, tra qualche minuto torno a casa per cucinare qualcosa al volo da mangiare qui, così non serve che vi scomodiate.”

-“Ricordati di portare le mie canne da pesca, le trovi vicino all’entrata.” Si raccomandò il detective.

-“Vengo anch’io con te.” Hitomi non fu affatto sorpresa che Rui avesse appena pronunciato quella frase. “Devo ancora insegnarti la mia ricetta degli onigiri, ti ricordi? Sarebbero perfetti da mangiare al volo.”

-“Caspita, hai ragione, ne è passato di tempo da quando te l’ho chiesto.” Se n’era quasi dimenticato, al contrario della donna.

-“Però ci vuole tempo per farli, forse è meglio avviarci.” 

-“Se è così, vengo anch’io.” Ai si alzò e rovinò la festa alla sorella, che già pregustava nuovi attimi di intimità. La ragazzina notò lo stupore nel suo viso. “Che c’è? Hai sempre detto che devo imparare a cucinarli anch’io, cogliamo l’occasione, no?”

-“Sì, è vero.” Le bastarono pochi secondi per accettare quella sorta di intrusione, tanto che poi la prese sul ridere, senza destare ulteriori sospetti. “Così finalmente lasciamo soli i nostri due piccioncini.” Volse la situazione a proprio vantaggio, li guardò e scaricò l’attenzione su Hitomi e Toshio, a cui fece l’occhiolino. I due si imbarazzarono appena, ma in realtà tale osservazione, a loro, non dispiaceva affatto.

-“Bene, è deciso!” Decretò la sorellina, aggrappandosi al braccio di Jack senza dargli tempo di replica. Alzò una mano per salutare coloro che sarebbero rimasti. “A più tardi!”

 

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Capitolo 39
*** Vacanze roventi (3/3) ***


-“Prendi questo!” Il ragazzino biondo schizzò l’acqua con la mano e colpì sulla schiena asciutta uno dei suoi amici.

-“Ah! Ma è gelida, ora te la faccio vedere io!” Rispose l’altro, dai capelli castani e il viso squadrato. Indossava un costume color nero, il quale faceva sembrare, a torto, la sua abbronzatura nella media, quando in realtà era molto accentuata. Il compagno dalla chioma chiara aveva invece una carnagione un po’ più chiara e sensibile al sole.

-“Ma insomma, perché voi ragazzi dovete sempre comportarvi da bambini?” Rimproverò una voce fresca e femminile, seppur intrattenuta da quella scena.

-“Andiamo Sophia, siamo al mare per divertirci, mica per fare i seri!” Rispose Marcus. “Piuttosto, sei troppo asciutta per i miei gusti, vieni qui!” La inseguì fino a prenderla per le spalle e farla cadere nell’acqua.

-“Te la farò pagare, mascalzone!” Se all’inizio era arrabbiata con suo fratello più grande, presto si unì al gioco. “Jack, aiutami, facciamolo tuffare!”

-“Agli ordini!” Anche lui si unì all’inseguimento e il ragazzo, più grande di un anno rispetto ai due complici, si vide bagnare da cima a fondo.

-“Va bene, mi arrendo, mi arrendo!” Alzò le mani, mentre i più piccoli batterono il dieci tra loro tra sguardi di intesa. “Ora che siamo fradici tutti e tre, direi di fare una bella nuotata!”

-“Hai dieci secondi per uscire da lì, Jackson Lewis.” Un timbro ruvido, autoritario e adulto interruppe l’atmosfera di svago che si era formata in quella spiaggia. Il ragazzo biondo la riconobbe e ne cercò il proprietario per lanciargli un’occhiata di disappunto. Appena individuato sul bagnasciuga un uomo abbigliato con vestiti da ufficio, fuori luogo in quel contesto, si rivolse a lui.

-“Ma è domenica e ho finito tutti i compiti, stavamo solo…” In tutta risposta, egli guardò l’orologio e cominciò a contare.

-“Sei, cinque, quattro…” Non sentiva ragioni e l’adolescente, che tutto avrebbe voluto fare tranne che assecondare quella assurda richiesta, sapeva che non ascoltarlo avrebbe comportato gravi conseguenze. Si premurò quindi di mettere i piedi fuori dall’acqua prima che finisse il conteggio, il quale si fermò in tempo; solo poi salutò nervosamente i suoi compagni di gioco. Si avvicinò a quel signore: era esausto di quel suo comportamento e persino lui, che era un ragazzino con la testa sulle spalle, raggiunse il limite della sopportazione. Allargò le braccia:

-“Contento? Ti diverte rovinarmi i pochi momenti liberi che posso concedermi dopo aver eseguito tutte le tue stupide commissioni? I tuoi ordini? I tuoi esami?” Quell’atteggiamento polemico e di sfida non avrebbe portato a nulla di buono. Lo sapeva, ma non riusciva più a trattenersi. 

-“Asciugati e fila in macchina, veloce.” Il giovane gli sfilò accanto senza degnarlo di uno sguardo, mentre l’uomo lanciava un’occhiata ammonitrice ai due ragazzini rimasti in mare, senza proferire parola, ritenendoli quasi alla stregua di complici di un comportamento inammissibile. Marcus fece un timido gesto con la mano per salutare, mentre Sophia fissava con odio il signor Lewis.

-“Quando il signor Jerry fa così mi mette i brividi. Eppure non è sempre così duro…” Commentò il ragazzo, ancora scosso da ciò che era appena successo.

-“A me fa soltanto incazzare.” Rispose lei e Marcus fu sorpreso dal lessico scurrile della sorellina. “Si comporta come se Jack non avesse una propria volontà, come se esistessero solo doveri.”

-“Hai ragione, ma è pur sempre suo padre…” Ribatté il giovane.

-“No, in realtà non lo è nemmeno.” La ragazzina continuava a fissare quelle due piccole figure allontanarsi, e il silenzio calò sui fratelli, che persero ogni voglia di giocare tra le onde.

 

Sbatté violentemente la portiera del passeggero, per rabbia, ma anche per innescare una discussione che non poteva essere più rimandata. Suo padre era seduto sul lato del guidatore: era un uomo alto e leggermente stempiato, il cui viso era definito da un pizzetto nero con qualche pelo grigio, così come i suoi capelli; si infastidì senza scomporsi.

-“Lo stai facendo di proposito, vero? Vuoi alzare i toni, ti conosco.”

-“Sì, voglio litigare, Gerald.” Pose enfasi sul nome del padre adottivo: sapeva provocarlo. I due si fissarono negli occhi così intensamente che quasi l’aria all’interno della vettura si fece elettrica.

-“Non ti azzardare.” Odiava essere chiamato in quel modo. Mise in moto l’auto e partì. “Hai un test importante il mese prossimo, non puoi permetterti di perdere così il tuo tempo.”

-“Ho superato qualsiasi tipo di simulazione con il massimo punteggio, che dovrei fare ancora?” Incrociò le braccia e guardò fuori dal finestrino. “Sto facendo quello che mi chiedi, ce la sto mettendo tutta, ma io ho anche il diritto di divertirmi ogni tanto!”

-“Un giorno mi ringrazierai.”

-“Col cavolo, ti odierò se continui così!” A quelle parole l’uomo strinse fortissimo il volante tra le sue mani. “Ho quindici anni, mi sono rimasti solo due amici perché siamo sempre in viaggio e tu vuoi farmi perdere anche loro! E per quale motivo? Perché non devo avere legami con nessuno, giusto? Perché sarei un soldatino più vulnerabile, eh?!”

-“Ne hai quasi sedici, dovresti mettere la testa a posto invece di fare questi discorsi.”

-“La testa a posto?! Ho i migliori voti dell’istituto che tu hai scelto per me, seguo alla lettera i tuoi stupidi allenamenti e mi preparo su ogni aspetto che mi indichi: almeno lasciami vivere!” La stradina che stavano percorrendo per andare via dalla spiaggia era semideserta e suo padre inchiodò di colpo. Si girò a guardarlo scuotendo la testa: quelli che sentiva gli sembravano superficiali e futili discorsi da adolescente. Per la prima volta alzò la voce.

-“Per l’amor del cielo, Jackson, stai per diventare l’agente più giovane della storia dell’ISA, non stai per entrare in un college, stai per essere una spia internazionale! Non puoi essere un ragazzino come gli altri!” Batté entrambe le mani sullo sterzo. “Prima capirai tutto questo e meno probabilità avrai di farti ammazzare lì fuori, hai capito?!”

-“Il ruolo di padre protettivo non ti si addice per niente dato che sei stato tu che hai deciso di darmi in pasto a questo mondo.” Quelle parole placarono il tono della discussione, ma non i sentimenti d’ira.

-“Scendi.” Rispose soltanto.

-“Perché? Posso tornare dagli altri?” Non credeva a questa possibilità, ma lo chiese comunque, dopo essere uscito molto volentieri da quell’atmosfera pesante.

-“No. Tornerai a casa da solo. Correndo. Ti schiarirà le idee.”

-“Stai scherzando? E se io non volessi?” 

-“Lo farai.” Non aveva alcun dubbio. lo fissò in modo torvo, attraverso il finestrino per metà aperto. “Ti conviene. E vedi di starmi dietro, ti terrò d’occhio dallo specchietto.” Accese il motore e partì, senza lasciargli tempo di replica. Jack strinse i pugni dalla collera e imprecò contro la macchina che sfrecciava davanti a sé. Usò quell’energia per inseguire l’automobile, guidata a velocità sostenuta, per non imbattersi in una delle punizioni di suo padre.

 

-“Non so davvero che dire, è… terribile.” Rui era mortificata, così come la sorella minore.

-“Perdonami, ero convinta che fosse una domanda innocente… non volevo farti rivivere ricordi di questo genere.” Aggiunse Ai, se possibile ancora più dispiaciuta.

-“Non fa niente, davvero, non potevate saperlo.” Era molto sereno nel raccontare il motivo per cui andasse a correre quando si sentiva sopraffatto dalle emozioni negative. “È stata una lezione che mi ha insegnato ad incanalare i sentimenti distruttivi e alla fine è anche grazie a queste esperienze che sono la persona che conoscete. Inoltre, sapendo io molto di voi, mi sembra anche giusto raccontarvi qualcosa di me, qualche volta, ma non troppo.” Fece l’occhiolino. “È ora di sciacquare il riso in acqua.” I tre stavano preparando i manicaretti da portare in spiaggia e da condividere con la coppia di fidanzatini, lasciati nella loro privacy. 

-“D’accordo. Puoi sempre raccontarci cose un po’ più serene magari, ad esempio… quella Sophia, invece? Era la tua ragazza? Ti piaceva?” Era convinta di spostare il discorso su un lato più piacevole, ma così non fu.

-“Basta così, Ai.” La sorella maggiore la ammonì con la voce bassa e con lo sguardo serio la più piccola, che non poteva essere a conoscenza del fatto che quello fosse un capitolo della storia ancora più doloroso.

-“Che cosa ho detto di male?” Chiese, sorpresa di quel rimprovero, ai suoi occhi gratuito.

-“Non sono domande da fare, prepara il condimento.” Ordinò Rui in modo deciso, la quale si accorse del sorriso malinconico del ragazzo, che sparì quasi nell’immediato.

-“Scusami Ai, io... vado un attimo in bagno, torno subito.” Si tolse il grembiule e si diresse dove aveva indicato: temeva di poter avere una reazione emotiva e non voleva farsi vedere in quello stato. Prima di fare un’ulteriore osservazione alla sorellina, Rui aspettò di sentire la porta chiudersi.

-“Dovresti imparare a tenere a freno la lingua qualche volta.”

-“Ah è così? Parli proprio tu che invece la stai usando nelle maniere più sfrontate, sorellona?” Si riferiva alla relazione, non più troppo segreta, tra i due amanti. Tali parole taglienti come lame squarciarono il velo di equilibrio di Rui.

-“Ai, ma come ti permetti?” Alzò il braccio per tirarle uno schiaffo, ma tornò subito in sé. “Ti sembra il modo di rivolgerti a tua sorella?” Non l’aveva mai sentita osare fino a quel punto: fu una situazione inedita.

-“Guarda che lo abbiamo capito tutti che c’è qualcosa tra te e Jack!” Ribatté, convinta di centrare il segno.

-“E che ti aspetti, che la cosa mi sorprenda? Di certo non mi vergogno di provare qualcosa per una persona, sono una donna libera.” Rispose con superiorità: non avrebbe mai provato imbarazzo per una cosa del genere.

-“Ecco perché ti ha dato tanto fastidio che gli abbia chiesto di quella ragazza, non ti facevo una tipa da gelosia del passato…” Anche lei stava sfidando la figura in quel momento genitoriale.

-“Non dovresti parlare di cose che non sai.” Rui stava perdendo la sua proverbiale pazienza. “Piuttosto, sei tu ad avere problemi di gelosia e la cosa mi preoccupa… pensavo che Jack fosse stato chiaro con te a riguardo.”

-“Non hai capito proprio niente!” Le toccò un nervo scoperto.

-“Basta voi due!” Una voce dura nei toni arrivò dall’altra parte della porta della toilette, che si spalancò nel sentire quel litigio. Il viso dell’uomo era ancora umido, come se lo avesse sciacquato e non avesse avuto il tempo di asciugarlo adeguatamente. 

-“Jack, noi…” Rui provò a spiegare.

-“No, questa storia deve finire una volta per tutte.” Si avvicinò alle due sorelle, con fare quasi minaccioso. “Sì, tua sorella ed io ci stiamo frequentando.” Si rivolse in primo luogo ad Ai. “Ora dimmi, perché questo ti disturba?” Fu talmente diretto da metterla in soggezione.

-“Ecco, io…” Non riusciva a rispondere a caldo.

-“Pensaci. E tu, Rui, ascoltala.” Affermò seriamente, tanto da lasciare senza parole la donna. “Insomma, ho parlato con entrambe in privato e questo evidentemente non è bastato. L’ultima cosa che voglio è che la mia presenza qui vi faccia litigare ancora e ancora: quindi ora non usciremo da qui finché non vi sarete chiarite, avete capito?” Riuscì ad imporre la sua autorità. “Con toni civili. Per favore.” Concluse. Rui sospirò: anche lei voleva chiudere la faccenda.

-“Ha ragione, Ai.” Guardò negli occhi il ragazzo. “Ci lasci qualche minuto?” Lui annuì e prese la via della sua camera da letto. Tornò a dare tutte le sue attenzioni alla ragazzina. “Qual è il problema, tesoro? Lui piace anche a te, non è così?” Provò a sorridere, forzatamente e indicò le sedie attorno al tavolino del salotto, su cui sedersi.

-“Sì e molto, ma non credo sia questo il punto.” Abbassò lo sguardo. 

-“Allora cosa c’è? Puoi parlare con me, lo sai.” Cercò di metterla a suo agio.

-“D’accordo. Qualche giorno fa sono arrivati due nuovi compagni di classe a scuola, sono gemelli: Mi-Cha e Dae-Jung Kim. Ho legato in fretta con loro e mi hanno raccontato che i loro genitori sono praticamente separati e quindi la madre, giapponese, li ha portati qui dalla Corea del Sud, dove invece è rimasto il padre.”

-“Mi dispiace per i tuoi nuovi amici, ma cosa c’entra con noi?" Invitava a raccontare di più.

-“Se c’è una cosa che non capivo all'inizio era perché fossero infastiditi dal fatto che la loro madre avesse conosciuto un altro uomo oltre al padre, anche se ovviamente non ci esce per ovvi motivi.” Si riferiva al fatto che non fosse divorziata. Fece un respiro profondo. “Lo ammetto, Jack mi piace molto e sì, mi ricorda tanto anche papà, e questo già lo sai. Ma credo che ciò che mi renda nervosa non sia questo… È che per me sei come una madre, Rui, e vedere il tuo affetto per un’altra persona mi fa sentire a disagio. Non c’è una ragione logica per quello che sento in questo momento, o meglio, io non l’ho trovata. Dovrei essere felice per te, invece, è da tanto che aspetti quello giusto.”

-“Oh, tesoro.” A fatica riuscì a trattenere la commozione nell’ascoltare quelle parole tanto profonde e la abbracciò calorosamente, cogliendola anche un po’ di sorpresa: non era solita ad esternazioni così passionali. Le bastarono pochi secondi per lasciarsi andare e stringere a sua volta la sorella. “Finalmente capisco quello che stai provando, avrei dovuto accorgermene prima. Perdonami se ho fatto qualcosa che ti ha dato fastidio, non era mia intenzione.” Una linea d’acqua rigò il viso della più giovane. Sentiva un peso sciogliersi lentamente nell’aria, dopo averlo esternato.

-“No, non hai fatto nulla se non seguire i tuoi sentimenti ed è giusto così.” Ai quasi singhiozzava. Le braccia si sciolsero e le due si guardarono negli occhi.

-“Ricordati che non c’è amore più grande di quello che provo per te e per Hitomi, nessuno mi porterà via da voi, hai capito bene?” Le sorrise, accarezzando la sua guancia. La ragazzina annuì. “Bene, ora ti insegno a cucinare queste delizie, andiamo a chiamare Jack.” Disse la sorella più grande, mentre la minore ritrovò il sorriso e l’entusiasmo perduti.

 

Bussarono alla porta chiusa della stanza privata, fu Ai a prendere la parola.

-“Abbiamo finito, ci serve l’aiuto cuoco. Possiamo entrare?" Non aspettò la risposta, che sarebbe stata affermativa, e le due ragazze videro l’uomo intento a chiudere la finestra. 

-“Bene, spero siate riuscite a chiarire." Si girò verso di loro senza far trasparire troppo coinvolgimento.

-“Sì, è così. Vieni di là con noi?” Chiese la donna. Jack diede un rapido sguardo oltre al vetro che aveva appena serrato per poi tornare con gli occhi alle due.

-“Certo, eccomi.” 

 

Rui assottigliò gli occhi per decifrare quel comportamento che le sembrava sospetto: le parve che egli avesse un'aria circospetta, ma non riusciva ad individuare la causa di quel modo di fare così inusuale. Per tutta la durata della preparazione culinaria, lo tenne, con discrezione, sotto osservazione nel tentativo di comprendere cosa fosse successo in quei pochi minuti: il suo istinto aveva suonato un allarme e Rui aveva imparato a non ignorarlo mai.

 

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Capitolo 40
*** Patto col Diavolo ***


Sei del mattino. Dopo una serata serena e festosa conclusasi in tarda notte, era impensabile sentire anche solo un rumore provenire dalla casa delle vacanze delle sorelle Kisugi. Nonostante il pescato non fosse stato eccezionale da parte dei due avventurieri da spiaggia, il gruppo si era in ogni caso divertito. Toshio e Jack sembravano aver sancito una duratura tregua, anche se condita dalle solite scaramucce: “Smettila di sbraitare, o scapperanno tutti i pesci” uno avrà rimproverato per una decina di volte; “Ma che dici, è perché hai annodato male la lenza!” rispondeva l’altro, talvolta cambiando la causa della battuta quasi fallimentare. Le ragazze, invece, si divertivano a prenderli in giro restando sulla sabbia e portavano loro, di tanto in tanto, uno spuntino da mangiare. Insomma, una sera diversa dal solito, piacevole, accarezzata dalla brezza del mare calmo.

A questo pensava Rui, ancora coperta dalle leggere lenzuola e con gli occhi chiusi, mentre fingeva di dormire. Ebbene sì, perché invece di suoni, seppur leggeri, ne stava udendo da qualche minuto: c’era del movimento nella stanza del ragazzo dalla chioma bionda, senza apparente motivo. Inizialmente immaginò che volesse andare a correre, oppure a fare esercizio come quella volta in cui lei si era fermata a casa sua, era un’abitudine troppo particolare perché lei se ne dimenticasse. Eppure non riusciva a smettere di pensare alla sensazione avuta il pomeriggio precedente: doveva essere successo qualcosa, non smetteva di ripeterlo tra sé e sé. Si odiava anche un po’ per questo… insomma, erano in vacanza! Avrebbe dovuto riposare, rilassarsi, godersi quei giorni. Era inoltre la prima volta che trascorreva del tempo così a stretto contatto con quel giovane venuto da lontano e che le cullava quel sentimento che da tanto tempo si era assopito.

Sentì la porta d’ingresso aprirsi molto lentamente e poi richiudersi, come se fosse stata accompagnata per fare meno rumore possibile. La donna non resistette e si alzò in piedi, indossò rapidamente un pantaloncino abbinato ad una camicetta smanicata color terra di Siena e si affrettò a seguirlo. Davanti all’uscio, però, scorse due piccoli pezzi di carta strappati. Li raccolse, cercò di renderli meno stropicciati e vi lesse solamente: “molo s-” e “-yami Nak-”. Voleva comprenderne il significato, ma il tempo passava in fretta e decise di seguirlo. 

 

Prima di tutto doveva comprendere in quale direzione fosse andato e individuarlo con gli occhi. Infilò passi rapidi e frettolosi finché non scorse una chioma bionda al di là di un muretto che separava il quartiere residenziale da un marciapiede, il quale portava alla spiaggia. Rallentò, misurò il rumore dei suoi piedi, coperti da comodi sandali a tacco basso e si mimetizzò tra gli ostacoli visivi che la separavano dal suo obiettivo. Dalla rotta presa da Jack, capì il significato del primo frammento: “Deve essere ‘molo sud’, un appuntamento al molo sud… ma con chi? Per tutta questa segretezza, dovrebbe essere qualcosa di lavoro, non dovrei seguirlo.” Però proseguì nella sua missione. Egli, d’altra parte, intraprese una strada quasi deserta, con pochissime anime in giro per lo più per portare a spasso il proprio cane, ma priva soprattutto di ingombri che avrebbero potuto fungere da nascondiglio. Sospirò in modo poco convinto: “Io che mi metto a spiare una spia di prima mattina… non dovevo aspettarmi che fosse facile, non ho nemmeno il favore della notte.” Pensò. “Ma sono pur sempre una ladra”. Sorrise sotto i baffi. Il compiacimento durò poco, la concentrazione non doveva venire meno, soprattutto in quel momento in cui i piedi del ragazzo incontravano la fresca sabbia baciata dall’alba e solo alcuni scogli potevano fare da scudo ai suoi attentissimi occhi. Si accorse, prima di posizionarsi dietro ad una roccia, che qualcuno lo stava aspettando: una figura femminile, elegante, dai capelli raccolti color platino, che teneva qualcosa con entrambe le mani. I due, dopo qualche minuto di dialogo, si affiancarono e la donna misteriosa si aggrappò al braccio di Lewis, mentre si allontanavano dalla parte opposta a quella di Rui. La ladra assottigliò gli occhi, come per mettere a fuoco quella scena: i suoi dubbi sulla moralità di quello che stava facendo caddero in secondo piano, avrebbe scoperto il motivo di quell’incontro così segreto. Riuscì ad avvicinarsi di qualche metro, con la complicità di altri scogli e in quel momento la coppia sospetta si fermò per parlare l’uno di fronte all’altra. I metri che la separavano da quella conversazione erano molti, perciò non le riusciva leggere le loro labbra, e si dovette accontentare di vedere in lontananza lo scambio di sguardi e parole.

 

-“Ti ringrazio per il rischio che ti sei assunta per procurarmi queste.” Esordì Jack. “Spero non ti abbiano causato problemi.”

-“Non è che tu mi abbia lasciato molta scelta.” Sorrise malinconicamente la donna, mentre lui alzava le sopracciglia. 

-“Lo sai che so essere persuasivo.” Scherzò. “Non sarebbe stato meglio che queste me le portasse un agente? Non è stata una mossa prudente quella di venire qui di persona, sai cosa mi è successo di recente…”

-“Sì, me lo hanno detto anche i tuoi colleghi, ma tenevo molto a rivedere il tuo bel faccino ancora una volta, sai… prima di dover sparire.” Lui scosse la testa, divertito e imbarazzato da quelle attenzioni non richieste.

-“Non demordi mai, eh, Hayami?” 

-“Sarei ancora più ostinata se tu non fossi un poliziotto… o forse è proprio per questo che mi attiri?” Jack rinunciò a specificare che non fosse esattamente un semplice detective di distretto.

-“Sprezzante del pericolo, come sempre.” Le rispose. “A tal proposito, mi preme ricordarti che, se qui dentro c’è tutto il materiale che mi hai promesso, l’agenzia chiuderà un occhio sui tuoi crimini commessi fino ad ora, ma per qualsiasi infrazione futura non ci saranno sconti. Una mossa falsa e potresti ritrovarti proprio il sottoscritto alle calcagna per arrestarti, e tuoi colleghi possono assicurarti che non sia affatto piacevole. Hai capito?” Affermò seriamente, mentre lei faceva un passo in avanti verso il suo interlocutore.

-“Oh, lo sai che questo è un incentivo e non una minaccia, vero? Vivo per essere inseguita da uomini come te…” Il ragazzo rispose con una poco accennata smorfia di disappunto. “E quindi è giunto il momento di dirci addio… niente più incontri segreti, niente più case sicure, niente più bigliettini furtivi… cosa farò, adesso?” La domanda, importante nel contenuto, fu pronunciata con tono sensuale.

-“Andiamo, non ti sta bene questa veste così drammatica… Te la caverai come hai fatto finora. Legalmente però, si intende.” La prese un po’ in giro, quasi come a creare una barriera per le sue avances.

-“E in quale veste mi vedresti meglio, allora?” Hayami stava facendo sfoggio della sua arte fascinatoria. 

-“Tanto per cominciare senza questa parrucca, hai dei capelli che escono da qui sotto.” Mimò sulla propria capigliatura per indicarle di riflesso l’imperfezione del travestimento. Lei fu presa da un piccolo attimo di panico e cercò di sistemarla, paurosa di aver compromesso la copertura. “Aspetta, ci penso io.” La rassicurò, e nascose il ciuffo nero sotto alla finta chioma. Era anche per quei accorti gesti che quella audace delinquente si sentiva attratta da quello che doveva essere il suo peggior nemico. “Tornando seri, ti preferisco quando indossi gli abiti di una donna per bene che non si mette nei guai né con i delinquenti né con la giustizia. Cerca di rigare dritto, perché in caso contrario dovrai pagarne le conseguenze e butteresti alle ortiche il grande sforzo fatto per arrivare fin qui, con queste prove fondamentali in mano.” Sospirò. “Pensi di farcela?”

-“Credo di sì, anche se sarà difficile… se così fosse, ho una possibilità di incontrarti ancora, in futuro?” Domandò, questa volta senza malizia.

-“No, credo sia meglio di no, per l’incolumità di entrambi.” Rispose in modo schietto e leggermente dispiaciuto. Per quanto lei ci provasse, Lewis non aveva mai avuto un debole per lei, nonostante ciò si era ormai abituato al suo modo di fare e di trattarlo, sempre pronta a stuzzicarlo con battute pronte.

-“Allora non so se posso promettertelo.” Fece finta di scherzare, anche se in fondo lo credeva davvero. Era convinta di non saper fare altro se non rubare, o meglio, che niente le avrebbe mai dato la stessa emozione: sentire l’adrenalina nel compiere i colpi più difficili e disparati, ingannare e far tremare le forze dell’ordine, vincere inseguimenti e duelli fisici... Sì, perché in realtà non aveva bisogno dei soldi e dei dipinti: quello che mancava nella sua agiata vita era il brivido. E quel brivido lo cercava nel crimine, fino a sfociare in gravi e impuniti gesti.

-“Allora farò controllare dai miei colleghi te e anche la tua banda, che spero vivamente che tu abbia sciolto.” Ribatté, ricordandosi dei suoi complici incontrati in precedenza: autisti, allievi, assistenti, un piccolo gruppo di seguaci che la aiutavano dietro alle quinte. La ragazza catturata dalla polizia qualche mese prima ancora le era fedele e taceva.

-“Se proprio ci tieni.” Si mostrò poco interessata alla questione. Passò qualche secondo di silenzio.

-“Direi che è il tempo dei saluti.” Riprese lui.

-“Quindi è anche il momento in cui mi darai il bacio di addio, giusto?” Tornò ad essere la donna spregiudicata che aveva conosciuto al primo incontro, ma con una velatura di dolcezza in più. La sua ultima carta per rendere uno dei pochissimi “no” della sua vita in un “sì”.

-“Mi dispiace, non in questa vit-.” Stava ridendo e chiudendo la frase, quando fu colto di sorpresa dall’iniziativa della donna che posò le sue labbra su quelle dell’agente, il quale d’istinto fece un passo all’indietro.  

-“Arrivederci, timidone.” Fece l’occhiolino e se ne andò, con aria tutto sommato soddisfatta, lasciando Jack dapprima scuotere la testa e subito dopo realizzare ciò che era appena successo. 

-“Dio, in che guaio mi hai appena cacciato.” Sussurrò a Nakano, senza farsi sentire, mettendosi la mano sulla fronte. E se ne andò, sconsolato, avviandosi dentro ad una recinzione che divideva la spiaggia dalla zona abitata.

 

Rui camminava sul passaggio pedonale, accostato alla carreggiata principale della piccola città di mare costellata di piccoli negozi di artigianato e angoli di ristoro. Il passo lento e l’espressione distaccata lasciavano intendere che fosse in una bolla di pensieri, i quali provavano a ricostruire un puzzle di piccoli gesti che aveva visto per provare a capire le intenzioni e i contenuti dell’incontro di cui era stata spettatrice poco prima. Non aveva riconosciuto la donna da quella distanza, ma aveva avuto l’impressione che si trattasse di un appuntamento legato al caso che Jack stava seguendo, almeno all'inizio: la cartella di cartone poteva contenere carte, informazioni, indizi o altro di simile. Verso la fine, però, vide un qualcosa di privato, quasi intimo e sperava per la prima volta che i suoi cinque sensi l'avessero tradita. Seppure avesse intuito la non complicità di Lewis nei confronti di quella figura sconosciuta, non poteva ignorare la propria sensazione di disagio. E se le stava nascondendo qualcosa? Se quella donna fosse una persona importante per lui? E se, e se…

 

-“Saresti un’ottima spia, lo sai?” Una voce il cui viso era nascosto da un quotidiano attirò la sua attenzione. La riconobbe subito.

-“Jack, ma tu…” Seduto ad un tavolino rotondo all’aperto di un bar, si fece vedere in viso.

-“Sì, ti ho fatto credere che andassi verso casa per la via periferica, speravo davvero che passassi di qui.” Disse, chiudendo il giornale, dietro cui nascondeva l’oggetto da poco acquisito. Le indicò la sedia di fronte alla sua. “Siediti pure se ti va.” Così fece.

-“Ho una sensazione di deja-vu.” Esordì Rui, divertendo il ragazzo, che sembrava di buon umore.

-“Ora che mi ci fai pensare, hai proprio ragione.” Le sorrise. “Insieme in un bar che non sia quello della tua famiglia, tu che credi di fregarmi ed io che ti rovino la festa.” Cercò di mettere allegria nell’atmosfera, la quale sarebbe potuta diventare pesante da un momento all’altro.

-“Se sono stata così brava, come hai fatto a scoprirmi?” Cercò di girare attorno al punto della questione.

-“Ho avuto un incontro molto delicato, perciò ero più attento del solito a ciò che mi circondava, alla stregua del paranoico. I tuoi bei capelli sono stati traditi dal vento della mattina presto e li ho visti sbucare da dietro ai tuoi vari nascondigli. In tenuta da ladra, di notte, probabilmente non me ne sarei accorto.” Cercò di farle un complimento. Normalmente se la sarebbe presa per essere stato seguito: tale mancanza di prudenza avrebbe potuto portare a qualche problema di troppo, ma si rendeva conto che Rui dovesse essere rassicurata su ciò che aveva visto.

-“Oh, io credo di sì, invece, perché sei bravo anche tu.” Ricambiò, ma il sorriso di circostanza si spense poco dopo.

-“Partirei dalla cosa più semplice da spiegare, se non ti dispiace.” Rui si limitò ad annuire a quella proposta. “Il bacio che hai visto non lo volevo e ho cercato di metterlo in chiaro, forse non abbastanza e di questo ti chiedo scusa. Fatto sta che se tutto va secondo i piani, quella donna non la rivedremo mai più, il che per te sarà un doppio sollievo, almeno credo.”

-“Sì, ti sei tirato indietro, lo so. Aspetta, quali piani? Che sollievo? Di cosa parli?” Era stranamente meno rilassata del solito.

-“Quella donna era l’altra Occhi di Gatto.”

-“Aspetta, quella che ha rubato il nostro nome e cercato di farci fuori più di una volta? E tu non l’hai arrestata?” Quella scelta le sembrava sospetta.

-“Non l’ho fatto, ma non vi darà più alcun fastidio, te lo posso garantire.” Lui era soddisfatto del suo operato.

-“Come fai a dirlo?” Non riusciva a comprendere il motivo di quale gesto. “Come puoi aver lasciato andare una persona tanto pericolosa, che ha cercato di uccidere me, le mie sorelle e persino la detective Asatani?”

-“Aspetta, Rui, stai calma.” Cercò di far rientrare i toni nel binario giusto e spiegare le sue ragioni.

-“Aspettare, calmarmi? Che razza di agente sei?” Nonostante fosse alterata, non urlò mai. “Rispondimi, come puoi essere venuto a patti con un’assassina? Ti facevo migliore di così.”

-“Abbassa la voce, sono cose delicate.” Inspirò ed espirò a pieni polmoni. “Se ti dicessi che la Gatta Nera mi ha dato tutto quello di cui ho bisogno per smantellare l’intera banda a cui do la caccia? Ci hai pensato?” Rui non rispose alla domanda.

-“È una questione di principio, Jack, non dovresti negoziare con quel genere di criminali, sei un uomo impeccabile.”

-“Tu che rubi quasi per mestiere mi parli di questioni di principio?” Abbassò la voce per non farsi sentire. Un brivido scorreva lungo la schiena della donna nell’ascoltare quella provocazione. “Non ho mai giudicato quello che fate tu e le tue sorelle, gradirei lo stesso rispetto per il mio lavoro.”

-“Hai ragione, ma tu fai parte delle forze dell’ordine, hai una responsabilità maggiore della nostra. Inoltre io ti conosco come una persona dai principi solidi, non è da te scendere così a compromessi. Quasi mai il fine giustifica i mezzi.” Ribatté.

-“Solo quando il fine è il tuo, evidentemente.” Fu una stoccata non da poco. “Se permetti, ho rinunciato alla mia nomea di agente perfettino nel momento in cui ho scelto di coprire voi tre, che per un motivo a mio parere nobile vi siete poste al di sopra della legge.” Sibilò, irritato. “Ormai ho già questa macchia sulla mia carriera e sulla mia coscienza. Tanto vale allargarla un po’ per smantellare un’associazione a delinquere da milioni di dollari e migliaia di vittime l’anno, non trovi?” Riprese il controllo delle sue emozioni. “E comunque, qui dentro ci sono informazioni che interessano anche alla vera Occhi di Gatto, perciò fammi sapere se le vuoi o se per te sono troppo sporche.” Prese con sé la cartellina color indaco, la mise sottobraccio e tirò fuori dalla tasca qualche centinaio di yen da posare sul tavolo. “Ho già consumato, se vuoi ordinare qualcosa, offro io.” 

-“Aspetta, dove vai ora?” Chiese la donna.

-“La vacanza per me è finita, torno a lavoro. Mi trovi a casa mia se hai bisogno di qualcosa.” Se ne andò, quasi offeso per quelle osservazioni che la donna gli aveva posto. Fu in quel momento che Rui realizzò quanto quella missione muoveva nell’animo di Jack, addirittura da scende a patti con l’ambiguo. Maturò in lei un nuovo dubbio, che però, stavolta, sarebbe stato difficile da sciogliere.

 

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Capitolo 41
*** I quattro scorci ***


-“Se torni a casa tu, lo facciamo anche noi.” Disse Ai, dopo aver ascoltato le parole di Jack, il quale aveva annunciato di voler concludere la permanenza al mare. Tutti seduti intorno al tavolo del soggiorno cercavano di trovare una sorta di accordo. “Eravamo venute qui per te, alla fin fine.”

-“Ma scusate, se lui deve riprendere a lavorare allo studio di registrazione, perché dovremmo andarcene noi? Abbiamo altri due giorni di vacanza da fare…” Era da tanto che il detective non si prendeva una pausa, e aveva l’intenzione di godersela tutta. D’altro canto, il ragazzo aveva necessità di studiare e analizzare a fondo le informazioni che aveva ricevuto ed era convinto che queste lo avrebbero portato ad un punto di svolta nelle sue indagini.

-“Ragazze, Toshio ha ragione, non c’è bisogno che mi seguiate. Sono stato bene, mi sento già più in forma di quando sono arrivato qui, dunque posso tornare alle mie faccende.”

-“Sono d’accordo con Ai.” Si accodò, seria, Rui, guardando negli occhi Lewis. “Hitomi, Toshio, se voi volete rimanere qui potete restare nel nostro appartamento a passare un po’ di tempo insieme.” Nemmeno lei intendeva perdere tempo per scoprire cosa Jack avesse tra le mani: si poteva trattare di indizi legati anche a loro padre e questo veniva prima di tutto.

-“Che dici, Hitomi, ti va?” Chiese il poliziotto alla sua amata.

-“Certo che mi va, Toshio, però non voglio lasciare sole le mie sorelle al locale con così poco preavviso, ci saranno molti clienti non appena riapriremo…” Cercò una scusa: in realtà aveva capito perfettamente che ci fosse qualcosa sotto a quella partenza improvvisa ed era interessata a scoprirlo. Il suo ragazzo sospirò a quella decisione. 

-“Come volete, d’altronde siete voi le padrone di casa.” Incrociò le braccia dietro la testa per poi alzarsi in piedi di colpo. “Dato che però è ancora mattina, se non vi dispiace, vorrei entrare in acqua per un’altra nuotata, non vedrò il mare per troppo tempo una volta tornato a Tokyo… voi venite?” Chiese, indicando la porta. 

-“Non hai tutti i torti, ti raggiungiamo subito.” Gli rispose Hitomi, il ragazzo alzò la mano in segno di saluto e uscì: non era d’accordo, ma accettò la decisione. “Allora, qual è il vero motivo della tua fretta di tornare alla base?” Si rivolse a Jack.

-“Avevo già intenzione di spiegarvi tutto, ma è meglio non parlarne qui. Una volta tornati, vi aspetto davanti a casa mia alle quindici in punto, il tempo di fare mente locale su alcune cose. Si tratta di grossi cambiamenti, perciò siate puntuali.” Affermò e, constatando il silenzio riflessivo sceso nella stanza, continuò dicendo. “Beh, prima però… ultimo bagno?” Le sorelle sorrisero, qualcuna più di altre. 

-“E ultimo bagno sia!” Ai raccolse il consenso di tutte e tre.

 

Il viaggio di ritorno fu stranamente tranquillo, o meglio, quasi silenzioso. Jack e Ai, seduti sui sedili posteriori, guardavano per lo più fuori dal proprio finestrino, talvolta scambiandosi pareri e conversando del più e del meno. Dall’altra parte, Hitomi stava tornando a casa sull’auto di Toshio, che seguiva quella guidata dalla sorella più grande del trio. Rui usò il tempo alla guida per pensare e cercare di accettare le decisioni che Jack, oramai, aveva già preso in sua assenza: era il suo lavoro, ed era anche molto bravo a svolgerlo, per questo doveva dargli fiducia; tuttavia, un briciolo dell’uomo ideale che le sembrava di aver avuto davanti agli occhi si era sgetolando, come se la fase dell’innamoramento, in cui tutto sembra perfetto, si fosse arrestata per un secondo e avesse perso smalto. D’altro canto lui, però, era disposto ad accettare il lato oscuro della Luna della donna, nonostante fosse addirittura suo dovere impedire lo svolgersi della sua seconda vita da gatta; si disse che, in fondo, anche lei talvolta aveva dovuto accettare compromessi ed eludere i propri principi per arrivare alla meta e per questo non avrebbe dovuto guardare con occhi diversi il ragazzo che tanto la faceva ridere ed emozionarsi.

 

Il campanello suonò con un minuto di anticipo e si sentirono dei passi avvicinarsi progressivamente alla porta. 

-“Eccovi, accomodatevi.” Le ospitò nel salotto, dove era già accomodata una loro conoscenza, la quale era per loro inaspettata. 

-“Grazie. Oh, signor Nagaishi, non sapevo che ci sarebbe stato anche Lei.” Rui fu piacevolmente sorpresa dalla sua presenza e diede un’occhiata quasi di rimprovero a Lewis per non averla avvisata. 

-“Buonasera, signorine Kisugi.” Si alzò in piedi per salutarle con un inchino.

-“Bene, ci siamo tutti. Vorrei offrirvi qualcosa da bere, ma magari lo faccio dopo le cose importanti. Seguitemi.” Non aveva tempo per tergiversare. Fece strada verso quello che aveva l’aria di essere un ripostiglio un po’ più grande della media, composto da due ante che egli aprì dal centro verso l’esterno. Lì dietro era affissa una piastra di metallo, su cui Jack posò la mano: attorno ad essa si compose una sagoma di luce verde in seguito alla quale si sentì un “click”. Dopo quel suono, sporse una maniglia e l’agente speciale la usò: comparve davanti a loro una scalinata che portava ad una stanza sotterranea. Una volta entrati tutti, la massiccia porta blindata si chiuse alle loro spalle, facendo spaventare Ai e Hitomi. Gli altri rimasero impassibili. Dopo aver concluso la serie di gradini, si ritrovarono tutti in una stanza piena di tecnologia all’avanguardia per quegli anni: il computer dallo schermo grande quasi come la parete era massiccio, ma avanzato; appoggiati ai muri vi erano armadi chiusi con lucchetti che contenevano piccoli marchingegni di ogni genere, probabilmente di elevato valore scientifico. 

 

-“Benvenuti nel mio regno.” Allargò le braccia e sorrise nel vedere lo stupore nei volti dei suoi ospiti. “Questo è il mio piccolo quartier generale, rimasto fortunatamente immacolato dal blitz di quei criminali.” Si mise dietro alla sua scrivania, ordinata e con qualche foglio impilato e vi ci si appoggiò con le mani.

-“Davvero notevole.” Osservò il signor Nagaishi: da uomo dell'esercito abituato a certe visioni, poteva apprezzare maggiormente ciò che lo circondava. 

-“È più grande del nostro.” Notò Hitomi, che continuava a guardarsi intorno esterrefatta. “E tutto questo nascosto perfettamente, ma come…” Non terminò la domanda, tanto era sorpresa.

-“Wow!” Ai era entrata in una sorta di suo mondo dei sogni. “Posso dare un’occhiata a tutto… questo?!” Era entusiasta.

-“Assolutamente no, non toccare nulla.” Jack si accorse di aver usato un tono troppo duro e cercò di mitigarlo. “Mi dispiace, Ai, ma questa è tutta tecnologia che deve rimanere assolutamente segreta, già solo per avervi portato qui sto rischiando l’espulsione dall’agenzia. Quindi vi prego, sedetevi lì e cominciamo, dobbiamo fare in fretta.” Spiegò, indicando davanti alla sua postazione delle sedie messe l’una di fianco all’altra. Rui rimase taciturna fino a quel momento, aveva intenzione più di ascoltare che di parlare.

-“Sono d’accordo: per quale motivo ci hai voluti tutti qui?” Il signor Nagaishi lo stava analizzando dalla testa ai piedi e voleva vederci chiaro. Jack accese lo schermo che era alle sue spalle.

-“È presto detto.” Si appoggiò alla scrivania dando le spalle al computer. “Sono venuto in possesso di informazioni di una rilevanza senza precedenti su quello che noi fino ad ora abbiamo denominato Circolo delle Ombre e che per comodità continueremo a chiamare così.” Sul monitor comparve uno schema. “Dunque, questa organizzazione criminale viene dall’estero e lo vediamo anche dal fatto che la sua struttura interna e il modo di agire si discostano totalmente dal comportamento della Yakuza, a cui siete abituati qui in Giappone. Questo dovrebbe essere il sistema gerarchico.” Passò alla slide successiva. “Abbiamo quattro grossi rami della criminalità: traffico d’armi, traffico di sostanze stupefacenti, traffico di esseri umani e, infine, il vostro ambito, ovvero quello delle opere d’arte, che abbiamo scoperto essere denominato La Grotta dai suoi seguaci.” Fece una pausa. “Ogni ambito è un'entità autonoma che fa riferimento ad una persona che la gestisce. Grazie al mio informatore, so che questi boss vengono chiamati, in modo informale, rispettivamente Manul, Yaguarondi, Caracal e Ocelot.”

-“Sono nomi molto particolari, hanno un significato?” Osservò Hitomi.

-“Si tratta di felini selvatici, alcuni di loro tra i cosiddetti grandi gatti. Seguendo questa logica, è facile credere che anche i soprannomi rispettino le gerarchie.”

-“Quindi la Gatta Nera non è altro che una sottoposta semplice.” Osservò Rui, pronunciando le sue prime parole da quando era entrata in quella sorta di bunker.

-“Esattamente.” La guardò per qualche secondo. Erano ancora entrambi scottati dalla discussione avuta quella mattina. “E poi c’è il capo, colui che muove le fila di tutto: il suo compito non è solo quello di amministrare il ricavato dei suoi traffici in modo da espanderli a macchia d’olio, e se possibile molto peggio.”

-“Cosa c’è di peggio di un nucleo criminale in crescita su tutto il territorio nazionale?” Chiese Nagaishi.

-“La creazione di uno Stato nello Stato.” Ribatté Jack. “Una rete di protezione di stampo mafioso di tipo italiano, che nessuno ha mai avuto il coraggio di trapiantare in Giappone; questa minaccia può puntare a prendere le redini anche delle istituzioni pubbliche.”

-“Ma come sarebbe possibile una cosa del genere?” Hitomi non riusciva a concepire la portata di quello che aveva appena ascoltato. 

-“Lo so che per voi è difficile da comprendere, la criminalità organizzata giapponese lavora con modalità e su piani diversi da quelli che vi sto elencando, ecco perché ribadisco che questo nucleo arriva dall'estero al cento per cento. E ho intenzione di sradicarlo prima che sia troppo tardi.” Tutti i presenti furono catturati dal quel rovente sguardo di convinzione che usciva dagli occhi del ragazzo. “Il mio obiettivo è il Capo di questo anti-Stato: viene chiamato la Tigre Bianca.”

-“Molto interessante, peccato però che sia una missione molto ambiziosa persino per una spia internazionale, figuriamoci per noi comuni cittadini.” L’uomo più avanti con l’età era ancora diffidente. “Che cosa vuoi da noi? Cosa vuoi da loro tre?” In risposta, Jack premette un pulsante che fece comparire un’ulteriore grafica sullo schermo.

-“Questi quattro rami sono autonomi, come detto, ma non a compartimenti stagni: i trafficanti d’armi riforniscono gli altri settori per la propria difesa, ogni componente può comprare piccoli lotti di droga da rivendere nei propri mercati e così via. Questo significa che i quadri rubati possono essere venduti anche internamente all’organizzazione ad alcuni privati, tra cui i boss stessi.” 

-“Non ci diresti tutto questo, se non avessi le prove che ci siano in gioco dipinti di nostro interesse, non è vero?” Rui aveva colto il punto.

-“Sì, esatto. Si tratta di opere paesaggistiche tutte a firma di vostro padre: di troppo poco valore nel mercato per essere vendute, ma allo stesso tempo troppo raffinate per essere buttate al macero.” 

-“Quali sono i titoli di questi scorci?” Domandò Nagaishi.

-“Manul, il trafficante d’armi, ha in suo possesso il quadro realizzato ai confini della Germania intitolato Mittenwald sotto la neve, un quadro giovanile di Michael Heinz. Yaguarondi, che gestisce la circolazione di sostanze proibite, possiede Lava dal Fuji, con ogni probabilità dipinto durante i primi anni di permanenza nel vostro Paese. A Caracal, sotto cui si svolge il traffico di esseri umani, appartiene Il deserto di Taklamakan conosciuto anche come Il mare della morte. Infine, il vostro obiettivo principale, Ocelot, colui che vi contende i dipinti della collezione Heinz, che per sé ha tenuto il romantico quadro intitolato Muraglie di glicine.” Nagaishi fu sorpreso nell’ascoltare quel discorso.

-“Sono quadri spariti da anni, credevo che fossero andati ormai perduti.” Lewis non diede troppa importanza a quello stupore.

-“Ora il nostro problema è come fare ognuno i propri interessi, senza ostacolarci a vicenda.” Affermò il ragazzo. “Non mi vedrete più per settimane, probabilmente mesi, in cui lavorerò con la mia squadra allo smantellamento dell’organizzazione. Tuttavia, voi dovrete agire con largo anticipo rispetto alle nostre retate, perché una volta arrestati i componenti della banda, tutto ciò che è in loro possesso verrà sequestrato, quadri compresi. Vi darò io i segnali.” Prese un respiro profondo. “Inoltre, quando colpirete il Circolo, non dovete assolutamente avvisare la polizia, sono stato chiaro?” Quella richiesta fece spalancare gli occhi ai suoi ascoltatori.

-“Lo sai che non possiamo farlo.” Rui sembrava inamovibile. “I nostri biglietti ci assicurano un potere mediatico con cui possiamo raggiungere nostro padre, così che sappia dove trovarci. Non avvertire le forze dell’ordine renderebbe praticamente inutile il furto.”

-“Ha ragione, la presenza della polizia inoltre può essere un deterrente ai comportamenti più violenti del Circolo, devo ricordarti cos’è successo al casinò?” Anche Nagaishi era sulla stessa linea d’onda.

-“Perché per ora ha funzionato avvertire Toshio e compagni, giusto?” Il gelo scese nella stanza a quella provocazione, veritiera, ma cinica. “Se poi credete che vi lascerei sole, vi sbagliate. C’ero al casinò e ci sarò anche in questi casi, in qualche modo.” La sua voce passò da rigida e fredda a riflessiva. “Vi offro un compromesso. Avvisate la polizia solo quando i quadri si trovano in abitazioni private, ma se si trovano in edifici in cui c’è la microscopica possibilità che si svolgano pratiche criminali, allora dovrete fare a modo mio. Mi giocherei tutta l’operazione se così non fosse.”

-“Ci stiamo.” Ai prese l’iniziativa, capendo la situazione. “Per quanto sia importante trovare nostro padre, non possiamo mettere a rischio l’incolumità di Jack e rischiare che il Giappone cada in un mare di illegalità.” Il ragazzo biondo le sorrise, quasi sollevato. Le sorelle la seguirono.

-“D’accordo, così sia.” Rui, a braccia conserte e occhi chiusi, accettò le condizioni, per poi osservarlo intensamente. “Sii prudente, per favore.” Disse, a metà tra un ordine e una raccomandazione.

-“Come sempre.” Cercò di rassicurarla. “Ho finito, se non avete domande.” Si mise in piedi, lo stesso fecero gli altri, tranne una.

-“Io ce l’ho, se posso.” La sorella minore alzò la mano come fosse a scuola. “In che modo possiamo sapere se stai bene?” Un’espressione di finta sorpresa lo colse, come a prenderla in giro.

-“Ma come, Ai, non ti ricordi del gadget che abbiamo progettato insieme?” Aprì un cassetto e afferrò una di quelle piccole sfere tra le dita. “È arrivato il momento di usarle.” Le fece l’occhiolino. Nonostante quell’aria allegra, era il primo ad essere leggermente nervoso.

-“Sì, hai ragione, però se non avessi la possibilità di usarli…” L’aria che c’era in quella stanza era sempre più rarefatta. Rimise al suo posto l’oggetto e si avvicinò a lei, abbassandosi per parlarle faccia a faccia.

-“Faccio questo lavoro da tanto tempo, so cavarmela. Abbi fede.” Le arruffò i capelli un le dita, conscio che la cosa le avrebbe dato fastidio.

-“Ehi, smettila!” Rise per il solletico. Si alzò in piedi anche lei e il ragazzo li accompagnò alla porta, ma prima di aprirla sussurrò all’orecchio di Rui, senza farsi sentire dagli altri.

-“Guarda i notiziari nelle prossime settimane per sapere se è successo qualcosa di rilevante; e verifica sempre le informazioni incerte di persona.” Non le diede il tempo di replicare che era già passato avanti per inserire il codice di sblocco dell’uscita di quella stanza.

 

Gli ospiti si trovarono di nuovo nel soggiorno, un po’ tramortiti da tutte quelle nozioni: erano consapevoli che non c’era più margine di errore. 

-“Vi posso offrire qualcosa? Mi dispiace per il disordine, non ho ancora avuto modo di sistemare tutto dopo… il fattaccio.”

-“No, grazie.” Rispose Nagaishi.

-“Lei non si fida molto di me, ancora.” Lo guardò negli occhi: era un po’ più alto di lui. “Portarla qui è stato il mio attestato di fiducia nei suoi confronti, spero che presto la cosa diventerà reciproca.” Gli tese la mano e l’uomo dai capelli grigi ricambiò, colpito da quella stretta così decisa.

-“Lo vedremo.” Il contatto visivo si interruppe dopo qualche secondo.

-“Jack.” Lo chiamò la sorella maggiore, che chiese la sua attenzione. “Possiamo vederci stasera a cena?” Spiazzò tutti, specialmente il signor Nagaishi, a parte il diretto interessato, che comprendeva il bisogno di un dialogo lontano da occhi indiscreti.

-“D’accordo. Dove e a che ora?”

-“Vieni a prendermi alle 19:00, per il posto invece… sorprendimi.” 

-“Va bene.” Rispose, come se gli altri non fossero presenti. Non appena dopo i saluti, Nagaishi sussurrò all’orecchio di Rui con fare contrariato:

-“Ti stai cacciando in un guaio, che cosa pensi di fare?”

 

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Capitolo 42
*** Labbra di cenere ***


05/07/1983, ore 7:00.

 

-“Io sono quasi pronto, tu come sei messa, amore?” Disse, mentre si infilava i pantaloni della divisa. 

-“Sto uscendo dalla doccia, potresti venire ad aiutarmi se non sei troppo impegnato…” Il tono della ragazza era malizioso e questo lo fece sorridere; si parlavano da una stanza all’altra della casa.

-“Non è proprio il momento adatto per tentarmi, faremmo tardi altrimenti.” L’idea lo stuzzicava, ma non avrebbe ceduto così facilmente.

-“Certo, potremmo fare ritardo sul tuo anticipo di un’ora, vorrai dire.” Lo prendeva in giro per tanta apprensione, mentre metteva un piede fuori dal box. Si asciugò in modo superficiale nell’accappatoio e si diresse verso il soggiorno, presentandosi sulla porta. Si appoggiò allo stipite e cercò qualcosa nel cassetto del mobile in prossimità del muro, attirando l’attenzione dell’aitante giovane ancora a petto scoperto.

-“Sophia, sei…” Bisbigliò, per poi scuotere la testa nel vederla portare alla bocca una sigaretta. I suoi capelli castani, ancora bagnati, le scendevano sulle spalle sinuosamente, in un modo in cui chiunque avrebbe creduto di aver assistito all’apparizione di una Venere.

-“Che cosa?” Lo incalzò, accendendo la cicca e posando poi sul tavolo del soggiorno l’accendino. 

-“Metti giù quella cosa, lo sai che fa malissimo.” La rimproverò, mentre si infilava la camicia. 

-“Solo se finisci la frase che stavi pronunciando. E quando tornerai a battermi nei test al poligono, quindi…” Lo sfidò, fece un tiro e si avvicinò verso di lui. Con la mano libera gli impedì di abbottonarsi.

-“Dicevo che sei tremenda.” Rispose. “Ma anche tremendamente sexy.” Le sorrise e respirò sul suo collo: non riusciva a resisterle, e questo era reciproco. Jack cercò il sapore di quelle labbra di cenere, che erano per lui come un canto irresistibile, e l’espressione della vittoria comparve sul viso della giovane sfrontata.

-“Nessuno si offenderà se l’agente perfettino si presenterà solo una mezz’ora prima del turno, non temere.” Quella rassicurazione aveva la sfumatura della presa in giro. 

-“Lo scopriremo.” Ribatté, mentre Sophia appoggiava il mozzicone nel posacenere al centro del tavolo. "Quello dopo lo devi far sparire." Aggiunse, facendo alzare gli occhi alla sua compagna.

-“Certo, certo." Rise, per poi tornare alla passione del momento.

 

06/07/1983, ore 02:20.

-“Eccoci, siamo arrivati.” Jack guidava una piccola formazione di quattro persone su una collina, dove poco distante si era collocato il capitano della spedizione, Robert Collins. Quella postazione sopraelevata permetteva loro di osservare dall’alto l’obiettivo: un enorme capannone in mezzo al nulla contenente quintali di droga, collegato a decine di cartelli e organizzazioni criminali sparse per tutto il mondo, dal traffico colombiano all’esportazione della ‘Ndrangheta italiana. 

-"Squadra Alpha in posizione.” Diede conferma al walkie-talkie, in seguito alla quale risposero, in ordine dell’alfabeto greco, gli altri gruppi. Si rivolse poi ai propri compagni, srotolando una cartina e indicando su di essa. Qualche goccia di sudore scorreva lungo il viso, per via dell’afa in quell'angolo sperduto del Messico. “Ripassiamo per l’ultima volta: il lato sud dell’edificio è volutamente scoperto per indurre ogni minaccia a passare di lì, per questo motivo asseconderemo l’invito, in modo da far credere loro di avere un vantaggio. Nel momento in cui attireremo l’attenzione su di noi, i nostri compagni prenderanno il controllo del lato nord per poi schiacciare insieme a noi le resistenze. È fondamentale che subito dopo il primo attacco, noi quattro troviamo riparo o addirittura battiamo in ritirata, perché abbiamo il compito più rischioso di tutti.”

-“Sissignore.” Risposero gli altri in coro. Nonostante la giovane età, egli avanzava più velocemente della media nella gerarchia dell’ISA e per questo era a capo del team. Anche Sophia Kelly aveva tutte le carte in regola per ottenere l’avanzamento di grado, il quale le era stato offerto qualche settimana prima. Eppure, all’insaputa del suo compagno di vita e di lavoro, temporeggiava: la chimica che percepiva tra lei e il suo partner era impareggiabile e non aveva alcuna voglia di avere un grado superiore se avesse comportato a essere affiancata da un qualsiasi altro agente di minor esperienza.

-“Kelly ed io, in quanto agenti più anziani, faremo da ariete, mentre voi, White e Cruz, ci coprirete le spalle. Tenete gli occhi e le orecchie aperte per ogni comando, le cose si possono mettere male in pochi secondi, quindi aspettiamoci sempre un cambio di piano.” Dalla radiolina si sentì la voce di Collins, disturbata da piccole interferenze, dare nuove indicazioni.

-“L’operazione avrà inizio in tre minuti, posizionatevi nella sede definitiva.” 

-“Mhm, il segnale non è ottimo… Però avete sentito, andiamo.” Lewis si fece apri fila e si posizionò sul lato sinistro della porta, seguito da Cruz, mentre Kelly e White furono dal lato opposto in modo simmetrico. “Dieci secondi al via. Nove, otto…” Continuava il conteggio, guardando negli occhi la collega davanti a sé. “Quattro, tre…” saltò un numero, per mimare con la bocca a Sophia un ‘Sii prudente’, al quale lei annuì. “Via!” 

Sfondata la porta, il caposquadra, armato come tutti gli altri di mitraglietta Heckler & Koch MP5, identificò la squadra: “Agenti ISA, gettate le armi!” Ma, come previsto, nessuno ascoltò tale intimidazione e subito si udirono fin dall’esterno del capannone suoni ripetuti di spari. Era il segnale per gli altri gruppi di incursori. Gli agenti si nascosero dietro a delle casse di legno che usarono come postazione per rispondere al fuoco. Vedendo Jack alzarsi in piedi per colpire, Sophia fece lo stesso per non renderlo un bersaglio facile: fu in quel momento che l’agente veterano analizzò la situazione: ‘Uno, due, tre… sei tiratori’. Dopo aver scaricato qualche colpo, la coppia aveva preso due bersagli e aspettarono la mossa avversaria.

-“Sono in sei! È tutto troppo facile, Sophia!” La ragazza si era appena accucciata dietro al suo riparo: la voce del giovane era dal volume elevato per via del rumore assordante dei botti.

-“A cosa pensi?” Gli chiese, mentre faceva cenno agli altri due agenti di prendere parte alla sparatoria. Lewis pensò per un secondo, per poi avere un’illuminazione tutt’altro che positiva. 

-“ Sono troppo pochi perché si aspettassero un attacco totale da qui… sanno tutto, significa…!”

-“Una talpa… maledizione!” Sbucò dal suo riparo per consumare le cartucce appena inserite e prendere in pieno petto il terzo uomo e sfiorare il quarto. “Ne mancano solo tre!” Informò il suo superiore. “Se è davvero come dici, dobbiamo cambiare le carte in tavola.” Affermò.

-“Niente follie, ragioniamo!” Le ordinò, quasi intuendo la sua prossima mossa: la conosceva troppo bene. 

-“Io vado avanti, voi tre copritemi le spalle, una volta superati questi possiamo andare ad aiutare nel lato nord e avvisare gli altri!”

-“Assolutamente no, Kelly, è un suicidio!”

-“Ci sono amici e colleghi dall’altra parte, qui stanno solo tenendo a bada la miglior squadra di agenti!” 

-“Abbi fiducia nei nostri compagni! Sophia, no!” Non lo ascoltò e si diresse verso il pericolo. ‘Cazzo.’ Riuscì a pensare solo ad imprecare Jack, mentre con Cruz e White seguirono il suo esempio e spararono contro gli obiettivi che avevano puntato la donna. Mentre i gregari si stavano egregiamente occupando di permettere un’avanzata sicura a Sophia, Jack cercò di concentrarsi e analizzare tutto il contesto. Fu in quel momento che vide un riflesso di luce in cima ad un cumulo di casse più alto degli altri e il suo cuore, sempre così gelido in azione, mancò un battito. “Kelly, a riparo!” Non fece in tempo a prendere la mira che il suono successivo a quello di un grilletto nemico rimbombò per tutta la stanza. Lo sparo che aveva esploso colpì il nemico, ma non ci fece caso: il flusso dei secondi quasi si fermò e la vide cadere a rallentatore, in uno spazio-tempo surreale e parallelo dove il suo stesso urlo gli pareva una voce fuoricampo. “Agente a terra, vado in soccorso! Cruz, White, bersagli a ore dieci e tredici, copertura!” I suoi colleghi lo presero in parola, mentre scavalcava il proprio riparo, metteva l’arma, agganciata all'imbracatura, dietro la schiena e si fiondava tra proiettili vaganti per recuperare la sua amata. La afferrò da sotto le braccia e la trascinò dietro al primo ostacolo, mentre alle sue spalle sentì qualcuno, a cui apprestò poca attenzione, gridare “Obiettivi colpiti, signore, via libera!”

Appoggiò la donna a terra: il proiettile l’aveva colpita al collo, mancando la carotide di poco, ma non per questo era fuori pericolo: respirava affannosamente e gli stringeva forte la mano.

-“Resisti, siamo qui.” Le disse.

-“Capo, segnalano difficoltà al lato nord, che cosa facciamo?” Domandò White, correndo con Cruz verso di loro. Intuirono il delicato stato emotivo di Lewis, ma dovevano riportarlo con la mente sulla Terra.

-“Portiamola dai paramedici, subito.” La prese in braccio e la sollevò.

-“Ci pensiamo White ed io, signore.” Jack non capiva quella affermazione: la sua lucidità stava scemando. “In due faremo più in fretta, e c’è bisogno della sua abilità sull’altro fronte, capo.” 

-“D’accordo.” Non voleva lasciarla sola, ma d’altro canto non aveva tempo per ribadire le gerarchie di comando e nemmeno gli interessava. Doveva solo fare il meglio per Sophia e per i colleghi.

 

La scena in cui la manciata di trafficanti superstiti sfilava verso le volanti dell’agenzia si era fatta attendere più del dovuto, mancava poco all’alba, ma alla fine la retata si concluse con il più grande sequestro della storia del continente. Ciò poteva bastare ai superiori, che persero più uomini di quanto previsto, ma non a Lewis. Il ragazzo, conclusi gli arresti, voleva correre verso l’ospedale da campo, ma fu Collins a fermarlo.

-“Un altro grande show per il ragazzo prodigio, eh? Hai salvato il culo a Beta e Omega, il tuo arrivo è stato davvero provvidenziale.” Lasciò andare la tensione accumulata, anche con qualche parola non consona al contesto. 

-“Dovere, signore.” cercò di liquidare in fretta la questione e passare oltre: la fretta si univa alla scarsa simpatia per quell’ex generale dell’esercito.

-“Aspetta un momento, perché sei arrivato solo tu della tua squadra? Non dirmi che…” Il suo entusiasmo si spense di colpo e non oppose più resistenza alla voglia di Jack di andarsene.

-“Con permesso.” Si sfilò da quella conversazione e corse alle tende bianche, riconoscibili dalla croce rossa disegnata su di esse. Dentro vi vide compagni feriti più o meno gravemente, ma dal morale tutto sommato alto per il successo dell’operazione. Fermò un infermiere, preso dalla frenesia: “Sophia Kelly, distintivo 8347, dov’è?” Egli non sapeva rispondere. A sentire quella voce, Alejandro Cruz e Steven White, seduti in un angolo vicino ad un lettino si alzarono in piedi per farsi vedere dal loro superiore. Li raggiunse a passo spedito e, anche se dai loro volti traspariva chiara la risposta, lo chiese comunque: “Dov’è lei?”

-“Signore.” Bisbigliò il giovane dai tratti latini. “Ci ha detto di riferirle due cose… la prima è che non è stata colpa sua, signore.” Lewis divenne rosso in viso e si fece coraggio.

-“Qual è la seconda?” Temeva di non riuscire a reggere il dolore per la successiva risposta.

-“Non so spiegarlo, forse era in uno stato oniroide… ha detto ‘Ora finalmente potrà battermi al poligono’... non ho idea di cosa significhi, probabilmente non si stava rendendo conto…” Il ragazzo era mortificato, ma con sua sorpresa Jack ebbe una smorfia quasi di dolore fisico, ma simile ad un sorriso.

-“Sei… tremenda.” Sospirò, tra l’incredulità generale dei suoi interlocutori, che si strinsero intorno a lui.

 

La cerimonia era finita da pochi minuti, ma come tanti altri si era fermato davanti alla terra appena smossa. Intorno a lui era tutto ovattato: le parole del pastore, i pianti dei presenti, le frasi di condoglianze, gli addetti ai lavori che si allontanano in un paziente rispetto. Fu una voce a riportarlo, per così dire, alla realtà.

-“Hai una grande faccia tosta, Lewis.” Si ritrovò davanti a sé, a pochi centimetri, uno sguardo iracondo e ancora bagnato dalle lacrime.

-“Marcus, per favore…” Disse, a tono basso. Non riusciva a guardarlo negli occhi.

-“Me lo avevi promesso…” Digrignò i denti e afferrò la stoffa del completo che gli cadeva sul collo. “È così che l’hai protetta? Rispondi!” Jack provò a scrutarlo. Vedeva un uomo dal viso perfettamente rasato, castano e dagli stessi occhi della ragazza il cui nome era ormai sulla pietra incisa. Era distrutto quanto lui; un fratello privato di una metà di cuore troppo importante.

-“Ho fatto il possibile, Marcus, te lo giuro.” Trattenne il singhiozzo a malapena, eppure il suo volto non lasciava trasparire alcuna emozione.

-“Stai zitto.” Mollò la presa, senza suscitare reazioni. “È colpa tua, l’hai portata in questo maledetto mondo, ti ha seguito ovunque fino alla morte… Ed ora eccoti qui, davanti a me, che non sai nemmeno cosa dire. E vedo che la vita di mia sorella non vale nemmeno una tua lacrima, eh?! È così che l’amavi?” Un pugno di una forza che non aveva mai sentito prima gli colpì in pieno lo zigomo, rischiando di farlo cadere. Sentì il calore sulla sua guancia. Restò immobile. Si alzò la voce rotta di una madre che, nonostante il dolore, non perdeva la propria dignità.

-“Marcus, per l’amor del cielo, smettila!” A quelle parole il ragazzo indietreggiò, coprendosi le nocche sbucciate. “È così che onori la memoria di Sophia?”

-“Se mai è lui che..!” Cercò di rispondere, ma la donna lo interruppe.

-“Non ti ho cresciuto così! Non aggiungere dolore al dolore, Marcus.” Lo fulminò con gli occhi, gonfi, intimandogli così di allontanarsi. “Perdonalo, Jackson, penso che senta di aver perso ben due fratelli in un colpo solo… Sophia e te. Ma si accorgerà che tu ci sei ancora.” Tirò fuori dalla tasca un fazzoletto e tamponò il sangue che usciva dalla ferita fresca del ragazzo.

-“Ha ragione lui, signora Kelly, non avrei dovuto lasciarla…”

-“No, Jackson, aveva tanti difetti, ma sulle persone ci vedeva lungo… sono sicura che su di te non si sia mai sbagliata. Si fidava ciecamente, ti avrebbe affidato la sua vita.” A quelle parole ebbe quasi un mancamento.

-“E lo ha fatto, Odette, lo ha fatto di nuovo, ma stavolta… Stavolta non…” Era da tempo che non la chiamava per nome come forma di rispetto: era sintomo che quella maschera di apatia non avrebbe resistito ancora a lungo. O almeno così lui sperava, perché il suo cuore era come sospeso in un limbo.

-“Stavolta Dio ha scelto così. Si è preso la mia bambina in cambio di un mondo meno malato…” Anche la forza di quella signora, così stoica, era venuta meno, e cadde in ginocchio, piangente, abbracciata da quel ragazzo che amava quasi come un figlio.

 

A fine giornata tornò in una casa che era stata vuota nei tre giorni appena trascorsi. Accese la luce e vide che tutto era come l'aveva lasciato, come se niente fosse accaduto. Si diresse in bagno e sciacquò il viso, ancora sporco ed emaciato. Odiava quello che vedeva allo specchio, così uscì in fretta da quella stanza. Si tolse la giacca nera e sbottonò qualche punto della camicia dello stesso colore e si sedette sul divano del soggiorno, con mani congiunte e dita incrociate, come in preghiera. Alzò di poco lo sguardo, rapito dal posacenere: dentro c’era ancora il mozzicone spento, causa dei suoi rimproveri, quasi paterni, alla ragazza che amava. E fu quello il momento in cui crollò in un pianto a dirotto, durato per lunghe ore.


-“Sii prudente, Jack.” Ripeteva a se stesso, attendendo il momento migliore per agire in quella afosa notte di Tokyo. “Sii prudente.”

 

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Capitolo 43
*** Colpo Doppio ***


-“Un caffè, per favore.” Mitsuko si rivolgeva al bancone, senza ottenere una risposta immediata. Ci volle qualche secondo.

-“Mhm? Ah, sì, arriva subito.” Rui aveva la testa da un’altra parte, e seppure la detective lo avesse notato, sorvolò. Non aveva alcuna voglia di svolgere un interrogatorio pubblico, anche perché forse non ce ne sarebbe stato bisogno. Le due donne avevano stati d’animo simili, che cozzavano con l’aria frizzante che si era creata in un angolino del locale: da qualche tempo, un anziano signore dai modi di fare buffi era diventato la mascotte del bar Occhi di Gatto e intratteneva clienti e lavoratrici con la sua simpatia. Rui e Mitsuko, però, non erano in vena.

-“Nemmeno tu hai sue notizie, non è vero?” Pensò ad alta voce, mentre la domanda giungeva alle orecchie della barista. 

-“No, nessuna.” Si limitò a porgere la tazzina calda. La tensione tra le due era diventata talmente normale che quasi non si percepiva. Il cicalino alla porta del negozio attirò l’attenzione della donna verso due volti, quello di Toshio e quello sconosciuto di un uomo dai tratti occidentali ed espressione apparentemente spaesata, ma allo stesso tempo concentrata su una sorta di obiettivo. “Buongiorno.” Rui gli sorrise, mentre si avvicinava lo straniero dai capelli corvini ed i lineamenti morbidi del viso.

-“Buongiorno, ehm… posso caffè americano? Scusa, non parlo ancora bene lingua.” La donna apprezzò lo sforzo di comunicare e provò ad aiutarlo.

-“Certamente. Preferisce parlare in inglese?” Domandò, mentre preparava la miscela.

-“No no, devo imparare.” Nonostante l’accento marcato e qualche imprecisione, la voce profonda non gli tremava.

-“D’accordo, ecco a lei.” Consegnò l’ordinazione. 

-“A me normale, invece, come al solito.” Il detective prese parola, con lo sguardo basso.

-“Buongiorno, Toshio. Arriva subito, intanto vuoi che ti chiami Hitomi? È in cucina.” La sbrigativa risposta del poliziotto la sorprese.

-“No, no, tanto devo andare via subito, sai…” Grazie alla posizione delle sue braccia appoggiate al bancone, la barista si accorse che teneva stretto tra le dita qualcosa di piccolo, e, osservando con più attenzione, scorse una piccola pietra brillante sbucare dalla presa. Non appena l’uomo si sentì osservato, nascose quel grazioso oggettino in tasca, in modo tanto celere quanto impacciato.

-“Tutto bene, caro? Sei strano.” Cercò di farlo aprire con lei.

-“S… Sì, va tutto bene, grazie.” Tirò fuori il portafoglio per pagare, ma a Rui bastò uno sguardo per capire che il ragazzo si trovava in difficoltà.

-“Lascia stare, Toshio, offre la casa.” Gli andò incontro, e il ragazzo ne fu grato.

-“Davvero? Oh, Rui, sei veramente la migliore cognat… cioè, volevo dire, sei la migliore, grazie! Ripagherò il favore, lo prometto.”

-“Non ce n’è bisogno, buon lavoro.” Sorrise con il suo consueto fare gentile e lo accompagnò con gli occhi verso l’uscita.

 

In una mezz’ora il locale si svuotò, complice l’orario in cui le persone cominciavano generalmente a lavorare.

-“Rui, stiamo solo perdendo tempo.” La voce di Hitomi irruppe nel silenzio che si era creato. 

-“Di cosa stai parlando?” Domandò la sorella.

-“È passato più di un mese dal nostro ultimo colpo e da ben tre settimane Jack non si fa sentire per darci istruzioni. Tanto vale portarsi avanti con altri obiettivi, non ti pare?”

-“Avresti anche ragione, Hitomi.” Sospirò, slegandosi i lacci del grembiule dietro al collo. “Però non saprei, una situazione così delicata necessita delle dovute cautele.”

-“Ma necessita anche di una certa dose di iniziativa.” La ragazza si pose davanti alla sua interlocutrice, così da poterle parlare faccia a faccia. “Ho una proposta.”

-“D’accordo, ti ascolto.” 

-“Da qualche mese hanno allestito una piccola mostra permanente nel quartiere di Suginami, dove è custodito il dipinto ‘Tempio buddista in autunno’. Essendo un museo di nicchia, non ha grandi dispositivi di sicurezza, potrebbe essere un colpo facile.” Concluse.

-“Non esistono colpi facili.” Ribatté Rui, con aria severa.

-“Meno impegnativo, va meglio?” La donna più grande sospirò.

-“Dopotutto, se le cose non succedono, bisogna farle succedere. D’accordo, facciamolo.” Sul viso della sorella di mezzo apparve un’espressione di vittoria.

-“Spedisco il biglietto. Non appena finisce di studiare, ci penso io ad aggiornare Ai.”

-“Oh, non sapevo che fossi tu la stratega del gruppo.” La prese in giro. “Già che ci sei, perché non elabori anche il piano?” Le fece l’occhiolino

-“Ah, ora dovrei fare tutto io?” Rispose alla provocazione.

-“Bisogna avere una certa dose di iniziativa, non ti pare?” Riportò le sue stesse parole, facendole un occhiolino.

-“Ah. Ah. Molto divertente, però accetto la sfida.” Si rimboccò le maniche.

 

Il primo pomeriggio arrivò con una certa rapidità, tanto l’abitudine aveva plasmato la percezione del tempo delle sorelle impegnate nel locale. Lo stesso non si poteva dire di Ai, intenta a recuperare gli argomenti didattici saltati durante il periodo di soggiorno negli Stati Uniti nei suoi primi giorni di scuola del nuovo anno tra i libri, l’ultimo per lei. Ogni scusa era buona per alzarsi e allontanarsi da quella scrivania piena zeppa di appunti e manuali e infatti era di ritorno da una di queste piccole pause dallo studio.

-“Sono andata a vedere la posta, è arrivata una lettera!” Disse, non appena aperta la porta, e quelle parole fecero drizzare le antenne alle sorelle, specialmente a Rui.

-“Da parte di chi?” Domandò Hitomi prontamente.

-“Ora guardo.” Girò la busta tra le mani per leggere, mentre si avvicinava al tavolo in soggiorno a cui erano sedute le due donne. “Non c’è scritto, a dire la verità.” Rui sorrise, intuendone la natura. Ai non perse tempo e tirò fuori il foglio.

-“Le falene volino attorno alla luce azzurra del parco dei petali, dove il guardiano si assenta fino all’alba dell’indomani per farvi ritorno. Il Meticcio. C’è scritto solo questo, nulla di più.”

-“Che significa? È un messaggio in codice, giusto?” Hitomi cercò di capire.

-“Non solo è un messaggio in codice di Jack.” Rui riprese le parole della sorella. “Sono istruzioni precise di un furto che dobbiamo compiere entro stanotte.” 

-“Come fai ad esserne così sicura? Abbiamo già avvisato del nostro colpo di stanotte, non possiamo eseguirlo un altro giorno?” Chiese la sorella di mezzo, mentre la più piccola ragionava sul messaggio.

-“Non credo, dice che il guardiano tornerà domani, penso sia un esplicito invito ad agire al più presto.” Notò Ai. “Però dove? E per rubare cosa?” Rui porse la mano per farsi passare il biglietto e interpretare il significato.

-“Le falene siamo noi, mentre il parco dei petali dovrebbe riferirsi all’Hanabira Park. C’è un museo nei suoi dintorni…” Si fermò a ragionare, finché non le venne un’intuizione. “Nel catalogo della collezione Heinz c’è un una pietra chiamata Cristallo celeste di cui non sapevamo l’ubicazione, potrebbe trattarsi di quella. Chiamo Nagaishi, potrebbe avere delle informazioni utili a riguardo.”

-“Ah, ora ricordo!” Ai batté il pugno sulla sua mano: le era venuto in mente qualcosa. “Sono stata in quella mostra un paio di anni fa con la scuola, ma non ricordo nessun cristallo color azzurro.” L’entusiasmo si smorzò.

-“Questo significa solo una cosa.” Rui ottenne l’attenzione delle altre. “La pietra è stata ottenuta in modo illegale, probabilmente ad un’asta della Grotta, spiegherebbe perché non sia esposta pubblicamente.”

-“E anche perché Jack lo abbia scoperto: ha a che fare con il circolo.” Concluse Hitomi, che sospirò. “Caspita, in tanti anni non abbiamo mai mancato un singolo furto, ma non possiamo essere in due posti contemporaneamente…” Il silenzio scese nella stanza per qualche secondo.

-“O forse sì. Credo di avere un’idea, ma mi servirà il tuo permesso, Hitomi.” Sorrise in modo malizioso.

-“Mi fai paura quando fai così, lo sai?” Ribatté la sorella presa in causa, provocando la risata della minore.

-“Io invece so già che ci si divertirà parecchio!” Appoggiò una mano sulla spalla di Hitomi, che alzava gli occhi al cielo.

 

Il suono di uno squillo di telefono si fondeva ai frenetici rumori nella seconda sezione criminale del distretto di polizia Inunaki. Il Capo, infatti, rispose quasi in malo modo.

-“Pronto? Siamo già abbastanza indaffarati per… Aspetta, come dice?” Toshio e Mitsuko, nella stessa stanza, ma alla ricerca del piano perfetto per arrestare la banda Occhi di Gatto, si distrassero ascoltando le parole del loro superiore, che stava annotando su un pezzo di carta. “Mi dia l’indirizzo, per favore… Ah ah… Aspetti, ne è sicura?... D’accordo, le manderò alcuni dei miei agenti… Come dice? Utsumi? Non è possibile, attualmente è già impegnato in un altro caso e… Oh, questo cambia tutto. Va bene, signora Takahashi, non si deve preoccupare, ci pensiamo noi. A risentirla.” Concluse la chiamata. “Utsumi!” Chiamò a gran voce il detective.

-“Qualsiasi incarico sia, per me è no! Non vede che Mitsuko ed io stiamo lavorando per il colpo di stanotte?” Ancora non gli era stato chiesto nulla, ma dalla conversazione qualcosa aveva intuito.

-“Razza di babbeo, se mi lasciassi parlare capiresti che un’altra banda colpirà stanotte alla stessa ora del furto a Suginami. Inoltre la proprietaria, donna ricca e potente, ha fatto esplicita richiesta di te, in quanto poliziotto più esperto in questione di furti di opere d’arte del distretto.”

-“Su questo avrei i miei dubbi.” Infilò una stoccata Mitsuko.

-“Inoltre dal nome di questa banda si potrebbe addirittura ipotizzare che sia al comando di Occhi di Gatto stessa!” Cercò di convincerlo il capo.

-“Veramente?!” Ne fu sorpreso.

-“E come si farebbero chiamare questi nuovi farabutti?” Chiese Asatani, anche lei curiosa.

 

-“Orecchie di Tigre! Ma che razza di nome è per una banda di ladri?!” Toshio camminava nervosamente da venti minuti davanti all’entrata serrata del museo in questione. “Perché non Denti, Artigli oppure… Fauci di Tigre! È tutta un’altra cosa!” L’agitazione prese il sopravvento e si avvicinò alla porta per sbattere con il pugno per bussare in modo non ortodosso. “Ehilà, c’è qualcuno qui dentro?! Sono della polizia, mi avete chiamato voi!” Appoggiando la fronte alla barriera trasparente e riparandosi dalla luce con la mano sopra la testa, poté scorgere una donna elegantemente vestita quasi correre verso la sua direzione. Il pomello sotto la sua mano aprì l’entrata e Toshio rimase un secondo immobile dalla sorpresa, per poi raddrizzare la schiena e scrutare la figura che le si porgeva davanti: un’alta signora dal viso gentile, marcato solamente da piccole rughe di espressione che lasciavano intravedere un’età portata egregiamente, ma non nascosta da un trucco coprente; i capelli raccolti in uno chignon erano sfumati di un tono rossastro naturale, colore caldo richiamato anche dal completo beige composto da tailleur e pantaloni della stessa tinta; due occhiali tondi le davano un’aria da intellettuale. 

-“Oh, signora Takahashi… sono il detective Utsumi, del distretto…!”

-“Perdoni il mio ritardo, per fortuna non se n’è andato! Venga, ho bisogno del suo aiuto!” Non gli diede il tempo di finire la frase. “Presto, venga, sono ancora scossa!” La sua voce stridula e tremante colpì il giovane poliziotto.

-“Non si preoccupi, ci sono qui io ora, non le capiterà nulla, rimanga tranquilla e mi mostri la pietra.”

-“Oh, ma certo, da questa parte.” Fece strada verso una stanza raggiungibile solamente scendendo le scale verso i sotterranei. Durante il tragitto, Toshio si guardava intorno per studiare la situazione, e infine si trovò davanti ad una teca di vetro che la signora aprì senza accortezza alcuna. 

-“Non vorrei sembrarle scortese, ma non le sembra che questo gioiello sia troppo poco protetto?”

-“Oh, ma proprio per questo ho chiesto del detective migliore.” Gli sorrise, imbarazzandolo. “Comunque non è finita qui, il nostro è un piccolo museo, quindi abbiamo scelto con minuzia i nostri dispositivi di sicurezza.” Lì dentro c’era infatti un piccolo cofanetto in cui la pietra era posta. “Il Cristallo celeste è qui dentro, protetto da una serratura molto scorbutica, anche se non impossibile da aprire usando un bel po’ di irruenza… tuttavia è quello che basta per indurre i ladruncoli a prendere la scatolina.”

-“Non capisco, in che modo questo proteggerebbe l’oggetto?”

-“Nascosto sotto al cuscinetto su cui poggia il gioiello c’è un chip che fa scattare l’allarme nel momento in cui il cofanetto esca dal perimetro del museo e segnala la posizione del criminale.”

-“Beh, questo cambia davvero tutto. Allora non c’è nulla da temere, questa nuova banda sparirà ancor prima di compiere il suo primo furto, questo è certo!” Esclamò.

-“Spero proprio che abbia ragione. Bene, ora che sa tutto ho solo un’ultima richiesta, se posso…”

-“Ma certo, mi dica pure.”

-“Vorrei che tenesse con sé la scatola quando verrà l’orario del furto. Così anche se i ladri troveranno questa stanza, non troveranno ciò che cercano…”

-“Nessun problema, penserò io a tutto.” Era sicuro che quella sera l’arresto sarebbe andato a buon fine. “D’accordo, tornerò qui due ore prima del furto per limare gli ultimi preparativi. Con permesso, andrei in centrale a ultimare il mio piano.”

-“Oh, ma certo. Grazie davvero.” Sfoggiò il suo sguardo più riconoscente. “A presto, bel detective.” Quell’ultima frase lo fece arrossire in viso, mentre prendeva la strada verso l’uscita. Assicuratasi che il poliziotto se ne fosse andato, prese il walkie-talkie che aveva nascosto dietro alla teca e lo attivò. “Missione compiuta, ci è cascato in pieno. Ma se avessi tardato ancora un istante nel trovare questo nascondiglio, probabilmente se ne sarebbe andato…”

-“Ottimo lavoro sorellona!” Rispose una voce entusiasta. “È incredibile quanto un po’ di trucco e parrucco possano trasformare una persona.” Aggiunse.

-“Bene, ora rientro, passo e chiudo.”

 

Il sole fece posto alla Luna nell’infinita coperta blu e stellata che avvolge la Terra. Ai e Rui incisero, grazie ad un piccolo attrezzo munito di ventosa, filo e puntina affilata, un cerchio sul vetro sul retro per aprire la finestra dall’interno e irrompere nel museo. Il silenzio all'interno di quell’edificio era quasi spettrale e la sorella più grande invitò, con un gesto, alla cautela.

-“Vai in posizione, conta 120 secondi da ora. Fai attenzione, con Mitsuko non si scherza.” Ordinò ad Ai, più pronta che mai.

-“Ricevuto.” Disse concisa. 

L’orario era giunto e la detective Asatani faceva buona guardia davanti al dipinto, chiuso in quelle quattro pareti color porpora a rimandare i colori caldi e aulici di un tempio antico. Insieme a lei era schierata una decina di poliziotti, poiché era dell’idea che fosse più efficace un numero ristretto di uomini, ma ben organizzati, piuttosto che il contrario: a coppie erano disposti ai quattro angoli della stanza, mentre due colleghi erano all’esterno, lungo gli stipiti della porta d’ingresso. 

-“L’obiettivo principale di questa notte è quello di impedire il furto di questo capolavoro: catturare la banda Occhi di Gatto richiede energie ed un piano ben congegnato, tuttavia oggi le carte sono state rimescolate senza darci la possibilità di essere efficienti al 100%. Per questo motivo, concentriamoci sul vincere questa battaglia, penseremo alla guerra quando avremo i mezzi necessari. Tutti pronti.”

-“Sissignora!” In quell’esatto momento, uno strano odore arrivò alla narice della caposquadra. 

-“Ma che cosa..? Fumo?” Dai condotti dell'aerazione uscì un gas grigio che in poco tempo fece tossire tutti i presenti.

-“Sento dei passi! È andata di là!” Urlò uno dei poliziotti all’esterno, che intendeva inseguire la sospettata. 

-“Mantenete la posizione! Non muovetevi!” L’allarme antincendio attivato dal fumo fece scendere a pioggia acqua battente che si unì alla foschia, la quale impediva una nitida visuale della situazione.

-“Ma capo, il quadro non c’è più!” Urlò un sottoposto.

-“Che cosa?!” Riuscì solo ad intravedere l’omogeneo colore del muro. “Maledizione… Avanti, inseguitela!” La stanza, da che era piena di agenti, divenne deserta, così da permettere a Rui di uscire dal condotto posizionato sopra al quadro, indossando una maschera antifumo, e posizionarsi davanti all’obiettivo. Con il dissiparsi di quella scura nebbia artificiale, fu evidente il panno della stessa tinta dell’intonaco che copriva il telaio.

“Far credere che la magia avvenga prima o dopo il suo reale svolgimento. Forse stiamo un po’ abusando di questo trucchetto.” Pensò, togliendo il velo purpureo, contornato da magneti nascosti nella stoffa che lo tenevano saldo alla cornice e staccò il dipinto dalla parete. “Bene, Asatani e i suoi hanno ritardato molto prima di inseguire Ai, non dovrebbe avere problemi. Speriamo che a Hitomi stia andando altrettanto bene.”

 

-“Ancora trenta minuti…” Toshio guardava in continuazione il suo orologio da polso, camminando su e giù per la stanza principale. “Se la Gatta vuole rubare questo gioiello, deve per forza vedersela a tu per tu con me… Oh, coraggio, idiota, aspetti da anni questo momento!”, si incoraggiava. Ad un certo punto, sentì tre colpi battere sulla porta principale. “Ma cosa… deve essere una delle loro trovate, per forza…” Si avvicinò lentamente, ma con l’oscurità non riusciva a vedere oltre al vetro. Si fece forza e mise la mano sul pomello. “Coraggio… tre, due, uno…” Aprì, spaventandosi. “Hi…Hitomi! Che ci fai qui, non puoi…!”

-“Che accoglienza nervosa, sono solo passata a darti qualche spuntino, due ore fa mi hai detto che non avresti cenato…” Fece l’offesa.

-“S… Sì, hai ragione, ma non puoi fiondarti qui poco prima di un’operazione di polizia, è pericoloso.” Il suo tono diventò più premuroso.

-“D’accordo, allora queste delizie le riporto a casa.” Girò i tacchi, per poi essere fermata immediatamente.

-“No, aspetta, mancano ancora dei minuti e tu hai fatto tanta strada per portarmeli… facciamo così, lasciameli pure, ne mangerò uno al volo prima che arrivi la banda.”

-“Ora ti riconosco. Tieni.” Gli sorrise, porgendogli un sacchetto di stoffa contenente le leccornie promesse, da cui ne tirò fuori una per far sì che avesse entrambe le mani occupate. Appoggiò il cestino da pranzo per terra e cominciò a sistemargli il colletto e le grinze della camicia. Mentre lui balbettava di fronte a quelle attenzioni, Hitomi infilò la mano nella sua tasca ed estrasse il cofanetto serrato. “Ecco, così dovrebbe andare. Ora vai pure, non voglio rubarti altro tempo.” Concluse.

-“Grazie, sei un tesoro.” Disse.

-“A domani.” Salutò con la mano ed uscì dalla porta. Assicuratasi che non la vedesse più, appoggiò il cesto per terra, e con l’aiuto di un biglietto fatto passare nella fessura della scatolina riuscì ad aprirla. Si accorse solo in quel momento di aver afferrato qualcos’altro insieme ad essa, che le poggiava sul palmo. “Un… un anello? Ma Toshio…” Dopo un momento di sorpresa, sorrise. “Dovresti stare più attento a queste cose, amore mio.” Prese la pietra, compiendo la sua missione.

 

-“Sono passati due minuti dall’orario prestabilito… strano, sono molto puntuali di solito.” Il suono di un allarme riempì le orecchie del detective, che si mise subito sull’attenti e iniziò a correre verso la stanza dove originariamente era custodito il pezzo da collezione. “Dev’essere un trucco, avranno manomesso il sistema di sicurezza. Non possono sapere che in realtà il cristallo ce l’ho io.” Spalancò la porta, non vide nessuno. “Dove sei..?” Ripeté, perlustrando anche altri ambienti del museo. L’allarme suonò di nuovo e, vedendo un movimento fuori dalla finestra, si precipitò all’aperto e proprio lì vide a terra la scatoletta. “Oh santo cielo, no… dimmi che è ancora qui dentro…” La raccolse, provò a scuoterla e il rumore assomigliava più ad un tintinnio che ad un suono sordo. La serratura era scassinata. “Oh no…” Con timore, guardò all’interno: un biglietto firmato Occhi di Gatto gli faceva assaporare il gusto della sconfitta. Lo prese in mano, e lesse: “Caro detective, il solo momento giusto è ora. Cat’s Eye.” Per capire il significato di quella frase, gli bastò dare un’altra occhiata. “Ma è il mio anello… caspita, lo avevo dimenticato nella tasca! Pensa tu se devo pure ringraziare quella farabutta di una ladra!” Rise, in antitesi alla sua sensazione di fallimento, per poi mettersi ad urlare: “Questa volta ti sei proprio presa gioco di me, ma la prossima non sbaglierò, hai capito?” La sua voce arrivò fino alle orecchie di Hitomi, appostata a distanza sopra ad un albero per osservare il suo amato avversario.

-“Questo è tutto da vedere, caro il mio Toshio.” Rispose senza farsi sentire, per poi scomparire nella notte.

 

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Capitolo 44
*** Saggezza popolare ***


-“Vi rivedo molto nei suoi dipinti, sai?” Disse il ragazzo, mentre le versava del vino nel bicchiere.

-“Grazie. Davvero? È un artista che non conosco, puoi raccontarmi qualcosa?” Chiese Rui, assaggiando il rosso d’annata che le era stato offerto. Cercavano entrambi di tenere la conversazione entro binari piacevoli. “È davvero buono.”

-“Certo. Di lui non so moltissimo, ma Felice Casorati ha partecipato alla Biennale di Venezia quando era molto giovane e l’anno successivo invece le sue opere vennero acquistate per le mostre di Palazzo Ca’ Pesaro, che hanno dato inizio a quella che viene definita Secessione Capesarina. Parliamo di circa dei primi anni del Novecento. Banalizzando, la prima accoglieva artisti più accademici, mentre chi esponeva nel secondo era considerato un artista ribelle. Non a caso si formò un gruppo denominato ‘I ribelli di Ca’ Pesaro’, non un movimento artistico in senso stretto, ma un gruppo di persone con la volontà di modernizzare il linguaggio artistico.” Bevve un sorso a sua volta. “Se guardo te penso al suo quadro ‘Notturno’, dove il corpo si muove in uno spazio senza orizzonti, coperto esclusivamente da un velo, mentre si libera dalla sua forma.” Rui non poteva far altro che pendere da quelle parole. Amava la cultura.

-“Ti ascolterei per ore quando fai così, lo sai?” Lo mise in imbarazzo tale da farlo sorridere, senza però che proferisse parola. Ci fu un momento di silenzio. “Quanto tempo dovrò aspettare prima di rivederti ancora?” Nemmeno a questo sapeva rispondere.

-“Non ti so dare un tempo preciso, oltre a indagare potrei anche dover andare sotto copertura se le situazioni lo prevederanno. Ci vuole pazienza.” Mescolò il nettare d’uva dando movimenti circolari al calice. “Settimane, forse mesi. Ma avrai mie notizie puntualmente, te lo prometto.”

-“D’accordo. Sii prudente.”

-“Come sempre.” Rispose. Non serviva ripeterlo: quelle parole erano ormai da anni tatuate nella sua mente.

 

-“Aspetta, quindi ci sarebbe una seconda banda di ladri, ho capito bene?” Hitomi si stava intrattenendo con il suo detective.

-“Sì, e sono convinto che abbia a che fare con Occhi di Gatto, forse addirittura dà loro gli ordini.” Rispose Toshio.

-“E cosa te lo fa credere?” Lo incalzò.

-“Intanto il loro nome, ha a che fare con le tigri, insomma… è un felino decisamente più importante del gatto, no?” La ragazza cercò di dargli corda, con un filo di imbarazzo, davanti a quell’affermazione.

-“Certo, ma non è detto che…”

-“E non è tutto.” La interruppe prima che potesse dissuaderlo dal proseguire quella strada. “Ieri sera, mentre cercavo di sventare il colpo, ho trovato un biglietto identico a quello della banda, firma compresa: Cat’s Eye.” Quelle parole attirarono immediatamente l’attenzione della sorella maggiore e un senso di mortificazione per Hitomi. Aveva lasciato un indizio inequivocabile e non era affatto il momento di commettere passi falsi. “Caspita, si è fatto tardi, devo andare al distretto. Ci vediamo, Hitomi.” Uscì dal locale velocemente, ignaro di aver lasciato dietro di sé una scia di inquietudine. Rui la prese in disparte e sussurrò, contenendo di molto la sua voce.

-“È vero ciò che ha detto? Come hai potuto fare un errore così banale?” Non era da lei tale distrazione e nemmeno era da Rui agitarsi in quel modo: si poteva percepire che non fosse serena.

-“Hai ragione, mi sono lasciata prendere dal momento perché ho trovato…”

-“Buongiorno signorine!” Quasi si spaventarono. “Vorrei un… oh, sembra un brutto momento.” Una voce rauca diventata familiare nelle ultime settimane si levò, gentile, ma con una punta di irriverenza. Rui provò a ricomporsi.

-“Salve signor Iwamoto, nessun brutto momento, mi dica.” Cercò di ricomporsi.

-“Gradirei un tè caldo, ma solo se vi confidate con nonno Kokoro. Si vede che qualcosa vi turba, a volte il consiglio disinteressato di un vecchietto è più utile di quel che sembra.”

-“La ringraziamo, ma preferiremmo non parlarne, spero che non si offenda.” Il tono della sorella maggiore era dolce e rispettoso nei confronti di quell’uomo così curioso. Di nascosto, fece cenno a Hitomi per indicarle che avrebbero finito il discorso più avanti, la quale annuì e si allontanò.

-“Chiedere è la vergogna di un giorno, non chiedere è la vergogna di una vita. Non creda che non abbia notato che i suoi occhi così luminosi si siano spenti a poco a poco negli ultimi giorni.” La guardò, con quel viso pieno di rughe che sapevano di esperienza e saggezza, così provò a dare voce alle sue sensazioni.

-“D’accordo.” Accettò, pensando che forse le avrebbe fatto bene parlare. “Quest’anno ho conosciuto un uomo che è riuscito a rivoluzionare i miei punti di vista, i miei progetti futuri… i miei sentimenti.” Il signore fu leggermente sorpreso da quella rivelazione e, con il silenzio tutt’altro che giudicante, la invitò a proseguire nel racconto. “Da qualche tempo è partito per motivi di lavoro ed è come se… non ricordassi più come stavo prima che arrivasse nella mia vita. È banale, non è vero?” Rise, realizzando quello che aveva appena detto. Non era da lei, perché da sempre riteneva superficiali i drammi di cuore.

-“Mi sembra improbabile che possa trovare una collega più interessante di lei, signorina Kisugi.” Disse con tono energico, ma senza scherzare eccessivamente. Rui sorrise imbarazzata e capì di non essersi spiegata bene.

-“Ah, no no, non sono gelosa. Il tipo di lavoro che fa è… pericoloso e non avere sue notizie mi tiene sulle spine, ma preferisco non parlarne, altrimenti ci penso ancora di più.” Cercò di non sbilanciarsi oltre.

-“Capisco. Se c’è una cosa che ho imparato in questa mia lunga vita è che amare vale ogni rischio possibile. E poi da come me lo descrive sembra in gamba, altrimenti non si butterebbe in mezzo ai guai per mestiere.” Cercò il lato positivo, mentre Rui con il suo sguardo rispondeva in modo affermativo. “Come diceva mia madre, tra i fiori il ciliegio, tra gli uomini il guerriero. Inoltre, non si offenderà se lo dico, ha un gran bel motivo per tornare a casa.” Rise con gusto, contagiando anche la donna.

-“Ha ragione, grazie per la piacevole chiacchierata, signor Iwamoto, ne avevo davvero bisogno.” Si sentì più leggera.

-“Sempre felice di rendermi utile con le parole, visto che le mie membra poco possono fare in questo mondo, oramai. A proposito, spero di non risultare scortese ma vedo che anche con sua sorella c’è qualcosa che non va. Riguarda il locale?”

-“S… sì, diciamo di sì.”

-“Non la rimproveri più del dovuto. Se c’è un problema, non cerchi il colpevole, ma la soluzione.”

-“Grazie per il consiglio, signor Iwamoto, lei è davvero molto saggio.” La porta del locale si aprì e si fece vivo lo straniero dai capelli castani. “Buongiorno.” Salutò cordialmente Rui.

-“Buongiorno.” Rispose l’uomo, prima di presentarsi al bancone. 

-“Caspita, devo proprio andare, ho un torneo di shogi che mi aspetta. Arrivederci, ragazze!” Bevve il tè tutto d’un fiato e lasciò il compenso con una certa fretta, prima di sgattaiolare velocemente fuori dal bar.

-“Quell’uomo è proprio un personaggio.” Disse, senza avere un reale interlocutore. Si rivolse poi al nuovo cliente. “Cosa le preparo?”

-“Oggi niente per me, vorrei informazioni.” Il suo accento aveva subito un leggero miglioramento.

-“Se posso aiutare, volentieri.” Replicò la donna.

-“Cerco un uomo, straniero come me, capelli chiari, ehm… Più o meno alto così.” Mimò con la mano, portandola leggermente più in alto della propria testa. “Si chiama Lewis.” La barista alzò un sopracciglio.

-“Veniva a bere un caffè qui di tanto in tanto, ma non lo vediamo da settimane. Come mai lo cerca?” Cercò di capire chi avesse di fronte.

-“Sono un collega e non riesco a contattarlo da qualche tempo ormai.”

-“Ah, anche lei è un discografico o un produttore musicale, quindi.” Constatò, furbamente.

-“Che cosa? Un…?” All’inizio non capiva a cosa si riferisse. “Oh, sì sì, intende lavorare con la musica, giusto? Sto ancora imparando a parlare, mi perdoni.” Lei sorrise: aveva l’impressione che non ci fosse stato un problema di comprensione della lingua.

-“Non si scusi, sta migliorando molto.” Replicò.

-“Grazie. Allora fa niente, buona giornata.” Salutò in fretta e si dileguò come era apparso. Rui fece cenno a Hitomi di avvicinarsi.

-“Sono abbastanza sicura che quell’uomo sappia chi è Jack. Temo che sia in pericolo.”

-“A proposito di Jack.” Hitomi si avvicinò alla sorella, facendo segno di allontanarsi dai clienti. “Mentre pulivo un tavolo ho trovato questo sotto ad una tazzina. Sono le nuove istruzioni.” bisbigliò.

-“D’accordo, prepariamoci.”

 

Click. Click. Meno di ventiquattro ore prima, solo il suono attutito dello scatto di una fotocamera di ultima generazione riempiva il silenzio di quel boschetto sperduto di periferia. Vi era un grande nascondiglio difficile da raggiungere, ma soprattutto da trovare senza avere alcuna coordinata: si trattava di una struttura resistente alle intemperie, ma leggera, formata da diverse sezioni e modellata da un design compatto e minimalista. Era composta da moduli facili da smontare e da far sparire nel giro di poche ore in caso di necessità, per questo era importante non dare alcuna avvisaglia di pericolo ai guardiani di quel fortino, armati fino ai denti e dal grilletto facile. Appostato tra le fitte fronde di un albero secolare, in tenuta color verde militare, aveva con sé solo l’arma di ordinanza, uno zaino leggero con l’essenziale per un’escursione di qualche giorno e la macchina fotografica che avrebbe usato per raccogliere le prove di cui aveva bisogno. Era ormai accampato lì da qualche giorno, privato del sonno a tal punto che solo la pittura mimetica sul viso copriva le rughe della stanchezza. Ma, proprio come un predatore, la sua pazienza non dava segni di cedimento. Sentì il rumore di un motore provenire dalla parte di sentiero nascosta dalle foglie: un quad, di tecnologia innovativa per quei tempi, sbucò dal verde. Scattò nella sua direzione e catturò l’immagine di un uomo di mezza età dalla corporatura tozza e non particolarmente alta. L’agente Lewis lo riconobbe subito. 

“Hiroji Kawabata, detto Manul.” Ripeteva tra sé ciò che ricordava di lui. “47 anni, imprenditore nel settore agricolo. Non ama farsi vedere in giro e tanto meno avere a che fare con le persone… cosa ti ha spinto ad uscire dalla tana di città, akutō*” Si rivolse retoricamente a lui e lo guardò entrare nell’ala che la spia pensava ospitasse l'armamentario destinato al rifornimento interno. “Se sei qui di persona, significa che qualcosa non ti torna. Non è un buon segno.” La personalità di quell’individuo era schiva e imprevedibile: prendeva qualsiasi decisione che non gli fosse stata direttamente ordinata dalla Tigre. Nemmeno a Caracal, l’unico membro prima di lui nella gerarchia dei traffici, dava ascolto; se poi si aggiungeva il suo tratto paranoico, ecco che si era di fronte al più instabile criminale nelle alte sfere del Circolo. “Non posso attendere oltre: ora che ho le prove del suo coinvolgimento è necessario velocizzare i tempi della retata, prima che smantellino questo posto per chissà quale motivo.” Scese furtivamente dal suo nascondiglio e senza emettere un fiato sparì nel grande bosco, come un’ombra spettrale, camminando fuori dalla terra battuta. Aveva tra le sue mani l’opportunità di strappare un arto di vitale importanza all’organizzazione e non aveva alcuna intenzione di commettere errori. Non lo avrebbe fatto. 

 

Tornato nella zona abitata, sembrava quasi un eremita tornato alla cattività. I pochi segni di colore rimasti in volto davano una sensazione, a ragione, di sudicio, ma non se ne preoccupò più di tanto. Si infilò in una cabina telefonica, infilò il gettone, e si grattò la corta barba cresciuta in quei giorni da selvaggio in attesa di una risposta, che arrivò al terzo squillo.

-“La battuta di caccia si può e si deve fare.” Una voce dall’altra parte della cornetta sembrava soddisfatta di quella risposta. “Il meteo nei prossimi giorni è favorevole.” Rispose ad una domanda del suo interlocutore. “Sì, la organizzo io. Bene.” Concluse quella conversazione. “E domani toccherà al vecchio Kokoro.” Pensò, tra sé e sé con un piccolo ghigno tra le guance.



 

*akutō: dal giapponese; canaglia, mascalzone.

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Capitolo 45
*** Nella tana di Manul ***


Le tre ragazze aspettavano in auto il momento giusto per quell’operazione delicata. Il buio che era stato loro amico fino a quel momento avrebbe potuto addirittura tradirle. L’aria sembrava rarefatta come quando si raggiunge una vetta innevata: proprio le lamelle di ghiaccio erano il soggetto del loro obiettivo di quella sera, posatesi su un comune all’estremo sud della Germania, parecchio distante dalla capitale. Attendevano in auto le tre sorelle, a debita distanza da Palazzo Iwabata, in pieno centro. Come fare per non essere notate della quieta, ma vivace vita notturna? Rui aveva ormai imparato a memoria l’indovinello che aveva portato lì la sua collaudata squadra:

 

“A coloro che la notte aiuta,

La tana del predatore fa delle tenebre il suo scudo, e attraverso esse egli vede: tra le rocce più fitte è la sua dimora, dove paesaggi bianchi hanno sede;

Ingannevole agli occhi è una figura minuta.

Come in ogni battuta di caccia,

non c’è errore più grande da commettere per un animale di grossa taglia

del trasformare in predatore la preda dando una qualsiasi avvisaglia:

anche il silenzio taccia.”

 

-“D’accordo, vediamo di capirci qualcosa.” Ai si sedette sul sofà in salotto con le gambe incrociate e occhi serrati, in modo da concentrare i suoi pensieri. Hitomi, invece, smaltiva la sua tensione camminando avanti e indietro per la stanza. Seduta al tavolino con il foglietto di carta tra le dita, Rui ripeteva nella mente le frasi per associarle al loro significato nascosto.

-“Come sempre, la prima parte si riferisce a noi tre.”Iniziò la sorella in piedi, tenendosi il mento con una mano.

-“La tana è il nostro obiettivo. Un museo?” Chiese Ai.

-“No, la metafora della caccia mi fa pensare che si tratti di uno dei componenti del Circolo. Usano i nomi dei felini selvatici, ricordate? Significa che probabilmente si tratta di un edificio privato.” Fece notare Rui. “Dovremo essere più attente del solito, per il nostro bene ma anche per la missione di Jack.”

-“Contaci.” Risposero in coro, con lo stesso volto serio e determinato. Quell’attitudine rassicurò molto la donna.

-“Bene.” Proseguì. “Il buio è suo alleato, oltre che nostro. E poi le rocce…”

-“Credo che faccia riferimento ad altre tane.” Provò la ragazzina. “I gatti selvatici spesso fanno delle rocce la loro tana, e se la tana simboleggia la casa…”

-“Significa che si trova in pieno centro, tra altre strutture. Ottima osservazione, Ai.” Rispose Hitomi. “Tra le tante luci della Tokyo notturna, forse dobbiamo cercare una struttura discreta, avvolta dal buio.”

-“Siamo a buon punto.” Constatò Rui. “Credo di aver decifrato anche il passaggio sul paesaggio: è probabile che si parli del dipinto 'Mittenwald sotto la neve’, in possesso di Manul… il trafficante di armi, se la memoria non mi inganna.”

-“Caspita.”Si grattò la fronte Hitomi. “Avremo un arsenale puntato contro.”

-“Infatti l’indovinello ci invita a non mandare alcun avviso. Dobbiamo per forza agire di nascosto.” Disse la più piccola. “Solo una parte non riesco a capire: la metafora della figura minuta…”

-“Già, nemmeno io riesco a decifrarla.” Ammise Rui. “Intanto, Ai, contatta il signor Nagaishi e chiedigli di provare a identificare un palazzo privato in una zona centrale della città, ma distante dalle luminarie.”

-“D’accordo, ma… è un po’ generico, non credi?” Fece notare. La donna guardò nuovamente il pizzino e pensò per qualche secondo.

-“Aggiungi che il proprietario risponda al profilo di un uomo facoltoso con buone risorse e magari che abbia uno stile di vita ancora più agiato di quanto possa permettersi con gli affari legali: per mantenere i seguaci devi avere liquidità, e probabilmente ne avrà più di quanto guadagni onestamente. Inoltre, se il suo soprannome coincide con il suo carattere, fai cercare una persona schiva e solitaria. Non è molto, ma confido in Nagaishi.” Ai annuì ed eseguì quella richiesta.

 

-“È lì, esattamente come ha descritto Nagaishi.” Puntò il dito Ai, riconoscendo il luogo. 

-“È il momento. Ricordatevi che se il rischio si fa troppo elevato, dovete ritirarvi, l’importante è non lasciare nessuna di noi indietro.” Disse Rui.

-“Mai.” Risposero in coro. 

-“Bene. Andiamo a prenderci quello che è nostro.” Sentenziò. La ragazzina premette un pulsante di un marchingegno. “Si comincia.”

A quel comando, da una collinetta distante una cinquantina di metri cominciarono a partire graziosi e colorati fuochi d’artificio e subito una notte qualunque si riempì di una piccola magia creata dal gioco di luci e scoppi. Le persone per le strade, esauste dopo ore di durissimo lavoro, alzavano gli occhi al cielo e trovavano motivo di un nuovo sorriso nonostante la fatica; altre più giovani che si dirigevano nei luoghi della vita mondana frenarono la loro fretta e si misero a guardare il cielo. Tanto abituati ai lumi di pubblicità e insegne, sembrava quasi un miracolo riuscire a guardare il grande blu impreziosito dai fuochi senza distrazioni.

In quel momento di spensieratezza per una piccola parte della popolosa città, una banda di ladre approfittava di quel diversivo per entrare furtivamente al secondo piano del palazzo più oscuro della notte attraverso una finestra. Mentre Ai monitorava il perimetro e analizzava nuovamente la planimetria dell’edificio, Hitomi e Rui si coprivano a vicenda le spalle nel loro avanzare quieto e ponderato.

-“Appena entrate, attraversate il corridoio alla vostra destra.” Le guidava, nascosta tra le fronde di un albero, nel buio fitto attraverso dei sofisticati auricolari provvisti di un piccolo bottone al centro. Sia Rui che Hitomi lo usarono per inviare la risposta affermativa al messaggio: dovendo parlare il meno possibile, Ai riceveva riscontro tramite due lucine su una sorta di telecomando, una per sorella, che si illuminavano in concomitanza con il click del dispositivo. “Ora dovreste andare dritte finché non troverete tre porte. Da qui non capisco quale potrebbe essere la stanza che contiene il dipinto, mi dispiace.” Le due luci si accesero quasi in contemporanea e lei sospirò. “Questa volta non le invidio proprio. Buona fortuna, ragazze.” Disse, senza riferirsi direttamente a loro.

 

La coppia ben collaudata si accingeva a spingere la prima maniglia. Anche dal buco della serratura si vedeva esclusivamente oscurità: ne dedussero che la stanza fosse vuota. Hitomi fece per compiere l’azione e guardò Rui prima di avanzare: quest’ultima annuì, accompagnando il movimento poco visibile con un “Mhm mhm” di assenso. Così, la prima spinse lentamente e richiuse senza far rumore, mentre la seconda accendeva una torcia per puntarla contro le pareti. “Un quadro così poco famoso non desterebbe sospetti se esposto in una stanza, deve essere da qualche parte.” Pensò, osservando.

-“Niente.” Si permise di sussurrare.

-“D’accordo.” Uscirono. Della seconda porta, invece, uno spiraglio uscì dalla fessura. Rui non era impreparata: una pistola era pronta ad essere estratta dalla fondina; non serviva necessariamente usarla, ma sarebbe stata in ogni caso d’aiuto. 

-“Vai.” Sussurrò l’ordine alla sorella, che ancora, come un felino, si presentò all'uscio senza rumore alcuno: davanti a loro videro una donna poco più bassa della media, intenta a guardare i fuochi artificiali dalla finestra, sconsolata e con una vena di irritazione. Non potevano vedere il viso, ricoperto da piccole rughe, che cercava di dimenticare il motivo del proprio fastidio. Attorno a lei, si presentava una stanza raffinata, con un tavolo da biliardo che ospitava delle palline non ancora imbucate, ma sparse: dava l’impressione che avesse voluto ammazzare il tempo, ma che la noia avesse preso oltremodo sopravvento. Rui fece dei passi in avanti e lei abbassò leggermente il capo. La ladra, allora, appoggiò l’arma sulla sua nuca, intimando:

-“Non urli, e tra pochi minuti sarà tutto finito.” Non emise un fiato. “Dov’è il dipinto ‘Mittenwald sotto la neve’?” Alzò il braccio destro, per indicare la parete adiacente a quella a cui era rivolta: in corrispondenza, si trovava effettivamente un quadro di altezza cinquanta centimetri e settanta di lunghezza, appeso, ma non del genere che le due si aspettavano. “Non ci prenda in giro, quella non è Mittenwald e non c’è nemmeno la neve.” Replicò la maggiore.

-“Quella cornice è particolare, contiene due tele sovrapposte.” Disse, così Hitomi si avvicinò per verificare quella affermazione.

-“È vero, sono due.” Non fece in tempo a scostare il tessuto su cui erano dipinti verdi monti quasi del tutto spogli dal ghiaccio che la piccola e scattante signora si girò all’improvviso e tirò un violento colpo alla mano armata della donna che la minacciava, quasi prendendola in contro tempo con un pugno in direzione dello stomaco, prontamente deviato da Rui. Approfittando dello sbilanciamento di quest’ultima, la signora Iwabata raggiunse il tavolo da gioco a pochi metri da lei e prese la stecca da biliardo per attaccarla. Con tenacia e abilità, la sorella maggiore schivò e incassò qualche colpo, il tempo di permettere a Hitomi di aggirarla, attirare l’attenzione su di sé e permettere all’altra di farle perdere l’equilibrio con un sgambetto. L’esile profilo cadde a terra, la ladra dalla calzamaglia blu lo disarmò e pose il bastone all’altezza delle sue clavicole per tenerla a terra. 

-“Preso.” Disse Rui riferendosi al quadro, dopo aver recuperato anche l’arma da fuoco. “La chiave della stanza è nella serratura interna, chiudiamola qui dentro.” Hitomi non esitò e in pochi secondi uscirono entrambe.

-“Figlie di…” Imprecò la donna di mezza età, già alzatasi in piedi, mentre componeva un numero sul telefono di cui quella stanza era provvista. Qualcuno dall’altra parte rispose dopo due squilli. “Ci sono delle ladre, fai qualcosa!” Gridò a colui che era dall’altra parte della cornetta.

 

Correvano verso il punto da cui erano entrate, senza badare troppo al rumore dei loro piedi lesti. Trovata l’apertura, un suono assordante e metallico cominciò a pervadere quello spazio lungo e stretto: sbarre di ferro chiudevano tutte le finestre della casa. Dovevano pensare in fretta.

-“Andiamo di qua!” Scelse una direzione Rui, mentre premeva ripetutamente il pulsante sull’auricolare, nella speranza che la sorellina capisse. “Aiutaci, Ai.” Hitomi fece lo stesso.

 

La ragazza si accorse dapprima dello strano trambusto proveniente dall’edificio, e poco dopo delle luci impazzite sul suo dispositivo.

-“Santo cielo, ragazze, che sta succedendo?” Chiese consapevole di non poter avere una risposta verbale, così aprì l’audio per comunicare con le sorelle. “Se siete in pericolo, premete due volte.” Così fecero. “D’accordo, ehm… potete uscire da lì? Premete una volta per no, due per sì.” Le due, nella loro corsa frenetica, risposero negativamente. “Oddio, cosa posso fare..?” 

Rui intuì la sua incertezza. 

-“Hitomi, nascondiamoci qui sopra, ho un’idea.” Le due si infilarono nei condotti di areazione e la maggiore provò, una volta lontano da occhi indiscreti, a darle un segnale più preciso, accendendo e spegnendo il dispositivo ad intervalli irregolari. 

“Ma cosa…?” Si chiese la ragazzina, mentre cercava di comprendere la sequenza. Non le ci volle molto a decifrarla.

-“È codice morse!” Dall’altra parte dovettero contenere l’esultanza per non farsi scoprire. 

-“Brava piccolina, forza…” Rui continuava a comunicare.

-“C, o, r, r, e, n… Corrente, volete che tolga la corrente! Lo faccio subito, resistete!” Prima di andare, si prese due secondi per riflettere: mise la mano dentro la tasca ed estrasse una perla. “È arrivato il momento di scoprire se funziona. Speriamo bene”. 

 

Le due ladre tirarono un sospiro di sollievo, fino a quando sotto di loro non si sentirono delle voci.

-“Dove sono andate?!” Un uomo imponente e di altezza sopra la media sembrava al comando dei tre sgherri che aveva al seguito. “Trovatele e ammazzatele, altrimenti ve la vedrete con il signor Iwabata!” Ordinò con tono rauco e rabbioso. Davano l’impressione di non conoscere altro linguaggio diverso da quello della violenza.

-“È una situazione a dir poco fuori controllo, Rui.” Persino Hitomi, abituata all’azione, sentiva una crescente preoccupazione. Era nuova a quel tipo di sensazione.

-“Non dobbiamo perdere la lucidità, ragioniamo su ogni passo. Non appena Ai riuscirà a sbloccare le grate, probabilmente potremo alzarle manualmente.”

-“Probabilmente?!” 

-“Hitomi, non potevo di certo dirle di cercare i comandi per disattivarle, sarebbe stato come mandarla in pasto ai leoni.”

-“Non è più una bambina, dovremmo poter contare su tutte e tre allo stesso modo!”

-“Non alzare la voce.” Rimproverò. “Mi fido ciecamente di lei, ma noi siamo insieme in questo momento e abbiamo più possibilità di cavarcela, lei invece è da sola. Dobbiamo proporzionare i rischi, capisci?” Non era un caso se la tattica di ogni furto era da sempre affidata a lei, e lo dimostrò una volta di più.

-“Hai… hai ragione, ma ti confesso che non la vedo bene questa volta, per niente.”

-“La faremo andar bene.” Rispose Rui con tono fermo, per rassicurarla. Ci fu solo un attimo di silenzio tra le due.

-“Che cos’è questo odore?” Notò Hitomi. La sorella si concentrò un attimo.

-“È gas, usciamo, presto!” Tolse la grata da cui si erano infilate ed entrambe uscirono dal condotto, ma qualcuno ne sentì il rumore metallico e presto si ritrovarono in un inseguimento.

-“Stanate!” Una voce si alzò quasi con tono sadico dietro all’angolo del corridoio. “Prendetele!” Alle gatte non restava che correre nella direzione opposta, consapevoli di poter cadere in un’ulteriore trappola; inoltre, fino a quel momento, il loro vantaggio sugli inseguitori era stato tale da impedire a questi ultimi di puntare le loro armi, ma ben presto il rumore di spari raggiunse le loro orecchie e sfiorò i loro corpi. Fu in quel momento che le luci si spensero. “Tempismo quasi perfetto, Ai”, pensarono le due all’unisono, senza smettere di correre. Neppure quella mossa impedì al gruppo ristretto di uomini di fare fuoco, anzi, nel buio sembravano sentirsi perfettamente a loro agio. L’edificio, in più, agli occhi delle ladre sembrava un labirinto, a quelli dei loro inseguitori, invece, il giardino di casa.

-“Mi dispiace, Hitomi. Corri, non fermarti per alcun motivo.” Il suo ottimismo ormai non riusciva più a tenere il passo con la cinica razionalità: stava per finire male.

-“Non ti azzardare ad affrontarli da sola, Rui…!”

-“Salva il dipinto, non pensare a m…” Un bagliore accecante di pochi istanti avvolse tutti i presenti, e delle piccole sfere di metallo corsero sul pavimento dietro di loro, che udirono tonfi di cadute e gemiti di dolore, seguiti da scoppi stordenti. “Ma cosa?!” Entrambe si sentirono tirare per le braccia in una direzione a loro ignota, fino a che videro un’ombra davanti a loro fare strada verso una finestra aperta dalle sbarre alzate. Saltarono sulla fiducia, rotolando per terra senza aver dato peso ai metri d’altezza e fu allora che riconobbero quella figura.

-“Salite in macchina, presto!” Il corpo di Rui si muoveva velocemente, ma il suo viso si era impietrito nel riconoscere quel timbro. “Vai Ai, vai!” Il suono dell’acceleratore sull’asfalto riempì le loro orecchie e mentre Hitomi si teneva la testa per l’adrenalina che svaniva nelle proprie vene, quasi sdraiandosi sul posto del passeggero, la sorella maggiore riuscì a malapena a dire una manciata di parole.

-“Jack, sei… sei davvero tu..?” Egli si girò nella sua direzione, richiamato dalle mani della donna che gli cingevano il viso. Le sorrise, sotto ad uno strato sottile di barba dello stesso colore dei capelli, con fare agrodolce. 

-“Sono qui, stai tranquilla.”

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Capitolo 46
*** I segreti delle due tele ***


-“Non ci hanno seguiti.” Affermò il ragazzo, mentre Ai spegneva i motori. Sapeva che la ragazzina, nonostante la sua minore età, sapesse già guidare in modo impeccabile. Scesero dal veicolo una volta parcheggiato al chiuso di un garage sotterraneo collegato alla loro dimora, quando Rui gettò le braccia al collo di Jack, quasi in lacrime per tutta la tensione che aveva accumulato. Sul suo viso, che non aveva familiarità con l’emotività esposta al pubblico, delle gocce d’acqua salata facevano brillare gli occhi. Nemmeno il ragazzo era abituato a tali esternazioni, ma comprese il momento.

-“Grazie.” Disse, senza far tremare la voce. Una voce fioca le diceva di ricomporsi,ma dentro di sé sentiva di non avere nessuna intenzione di lasciare quel caldo e rassicurante abbraccio. E quindi non lo fece.

-“Vi copro le spalle, lo sai.” Le posò una mano sulla nuca, come un invito a lasciarsi andare alle emozioni. “Venite qui anche voi, forza.” Invitò le altre nella stretta per stemperare la pesante pressione a cui il gruppo si era sottoposto, e abbandonarono volentieri il pacato e riservato lato nipponico.

-“Non farlo mai più, Rui.” Disse Hitomi, riferendosi a tale sconsiderata scelta.

-“Concordo.” Si accodò l’uomo dallo sguardo duro, eppure dolce nelle intenzioni, che liberò le tre ragazze dalla presa. “Non ho molto tempo, tra poco devo andare.”

-“Ma a quest’ora? Di già.” Chiese Ai delusa.

-“Purtroppo sì.” Ribatté. “So che siete ancora scosse, ma prima di lasciarvi vorrei analizzare insieme a voi questo dipinto, credo vi sarà molto d'aiuto."

-“Certo, entriamo in casa.” Rui fece strada.

 

La donna posò il dipinto sul tavolo all’interno del loro magazzino preposto a conservare ogni refurtiva e iniziò ad illustrare la situazione ai presenti.

-“Quello che vedete non è Mittenwald sotto la neve, bensì il quadro di un anonimo, o comunque di qualcuno di cui non riconosco i tratti distintivi. Il soggetto sembra essere un’isola montuosa con un piccolo porto, circondata da un’atmosfera minacciosa. Sotto a questa tela, dovrebbe esserci quello che cerchiamo.” Da un coltellino svizzero estrasse una lama non troppo affilata, ma resistente, e con questa fece pressione affinché i chiodini puntati sul supporto ligneo si staccassero senza provocare danni. “Eccolo, è lui.” Il suo sguardo si illuminò e così anche quello delle sorelle sedute attorno allo stesso banco. Era rimasto in piedi, quasi in disparte, Jack, con il suo fare serio e oltremodo taciturno.

-“Mittenwald…” Pensò ad alta voce Ai. “È molto specifico e inusuale, deve essere un posto in cui papà è stato, dico bene? È un indizio non da poco. Dove si trova precisamente?”

-“Hai ragione.” Constatò Rui. “Non è una città molto conosciuta, aspetta che prendo una cartina.” Si mosse per alzarsi in piedi, salvo essere interrotta.

-“Si trova al Sud della Germania, al confine con l’Austria.” Jack anticipò tutte le presenti, appoggiandosi al muro con la schiena a braccia incrociate. “Credo che l’abbia dipinto durante la sua fuga clandestina dal Paese. I controlli tra le frontiere erano serrati per disertori o ricercati, quindi potrebbe essersi spostato grazie all’ospitalità di qualche famiglia lungo il viaggio.”

-“E aver dipinto nel mentre.” Aggiunse Rui.

-“Già. Purtroppo le mie informazioni si fermano qui.”

-“Sulla tela che ricopre quella di papà cosa sappiamo, invece?” Chiese la ragazzina, mentre Rui osservava minuziosamente i dettagli per scovare piccoli indizi.

-“Non so dirvi molto, a parte che si tratta di qualcosa di molto insolito che vale la pena indagare.” Disse Lewis.

-“Che intendi?” Hitomi era confusa.

-“Solitamente quando un artista ha bisogno di una tela se ne procura una nuova, oppure, in mancanza di altro, utilizza un supporto già dipinto. Si tratta di una pratica più comune di quello che si pensi anche per grandi pittori; qui invece abbiamo una tela sopra l’altra, sovrapposte, come se si volesse nascondere, ma non cancellare.” Fece notare, indicando le due opere. 

-“Hai ragione, non ci era mai capitato.” Rispose colei che pose la domanda. Riprese il poliziotto.

-“Inoltre l’olio ha un tempo di asciugatura molto lungo, può metterci mesi o addirittura più di un anno perché la pellicola pittorica sia stabile. Ci sono dei segni del primo quadro sul retro della tela del secondo?” Rui non perse tempo e controllò.

-“Aspetta, qualche segno leggero c’è. Non molto, ma sembra in corrispondenza dei colori che sono stati diluiti di più nel medium.” Affermò, affiancando i due oggetti in esame.

-“Rui, tu sei esperta di storia dell’arte, che cosa deduci da questo quadro? Può aiutarci in qualche modo o è un vicolo cieco?” Hitomi non sembrava ottimista a riguardo.

-“Non lo so ancora. Quello che posso dirvi è che mi ricorda molto il simbolismo romantico di Arnold Böcklin, dove il tema dell’isola è ricorrente e porta ad un significato altro.”

-“Hai ragione, un’isola può rappresentare figurativamente svariati concetti.” Jack voleva aggiungere elementi al ragionamento. “Hai parlato di simbolismo: l’isola può essere una proiezione di una realtà utopica, irraggiungibile.”

-“Oppure di un universo in miniatura.” Rui capì il ragionamento che l’uomo stava tessendo e si unì.

-“O ancora, l’isola è il paradigma di un mondo altro, un confronto con l’alterità.” Ribatté l’agente.

-“E con l’aldilà. Proprio come la intendeva Böcklin.” Un attimo di silenzio pervase la stanza, tagliata a metà da sguardi di un’intesa ormai indissolubile.

-“Tu ci stai capendo qualcosa di quello che stanno blaterando questi due?” Ai sussurrò le sue perplessità all’orecchio di Hitomi.

-“Non me lo chiedere nemmeno, mi sono persa a ‘realtà utopica’.” Rispose con franchezza.

-“Potrebbe essere tutto più semplice se riuscissimo a decifrare questa firma nell’angolo in basso, leggo una F e…” Fece notare Ai, mentre anche la sorella maggiore si concentrò su di essa, per poi strabuzzare gli occhi. “Sembra una D, e questi due puntini…” Jack e Rui si guardarono nuovamente negli occhi e lui scattò in avanti verso il tavolo, per poi dire insieme alla compagna:

-“Franz Dürer!” L’emozione per quella scoperta era tanta da far scappare ad entrambi un sorriso sincero, al quale seguirono quelli delle altre.

-“Questo spiegherebbe perché ha nascosto la tela senza dipingerci sopra, probabilmente per rispetto di nostro padre.” Fece notare Hitomi.

-“Non voleva che il quadro fosse trovato dai nazisti.” Ai si unì al discorso.

-“E la trovata pochi mesi dopo che fosse stata dipinta, il suo maestro si era messo sulle sue tracce quindi.” Continuò Rui.

-“È probabile, ma è ancora presto per fantasticare: dobbiamo capire chi ha commissionato l’opera ad Heinz, in quale momento ha lasciato il paese per arrivare in Giappone e soprattutto come le tele sono arrivate fin qui. Solo così potremmo mettere in fila i pezzi del puzzle.” Fece notare Jack.

-“In che modo?” Chiese Ai. Mentre Lewis pronunciava la risposta, Rui stava già pianificando il passaggio successivo della ricerca.

-“Il museo vicino alla vostra casa al mare. È arrivato il momento di trovare il diario di Dürer: lì potrebbero esserci le risposte che cercate.” Affermò Lewis. 

-“Che cerchiamo.” Venne corretto dalla più grande. “Volente o nolente fai parte della banda ormai.” Lo prese in giro, consapevole che ciò gli avrebbe dato fastidio.

-“Non dire mai più una cosa del genere.” Si sforzò di infondere autorità, ma il suo fare divertito e l’indice alzato per negare quella affermazione lo tradirono. L’aria si distese, ma Hitomi tirò un sospiro e constatò.

-“Cavolo, almeno ne è valsa la pena, sono molti passi in avanti rispetto a quelli a cui siamo abituate da un singolo furto.”

-“E con il prossimo tassello sarà tutto ancora più chiaro, se risulterà essere come pensiamo.” Seguì Rui. “Grazie, Jack.” Gli sorrise con gli occhi, e lui rispose con un cenno della testa.

-“Sapete quello che dovete fare, il mio lavoro qui è finito.” Si stava per congedare.

-“Aspetta, vai di già?” Chiese la piccolina. “È da tanto che non ti vediamo, non sappiamo cosa fai, come sta andando la tua missione…”

-“Beh, lo scopo è proprio quello, Ai.” Accennò un sorriso. “Nessuno lo deve sapere. È già tanto che io sia qui davanti ai vostri occhi.”

-“Non puoi fermarti una notte qui a riposare prima di riprendere le tue mansioni? Nemmeno dopo una notte come questa?” Chiese la donna, con scarse speranze.

-“No, soprattutto dopo una notte come questa.” Accentuò, dando poi un’occhiata alla porta prima di uscire.

-“In bocca al lupo. Per questo colpo è probabile che io non possa coprirvi le spalle, quindi state attente.” Precedette l’obiezione che avrebbe voluto porre Hitomi. “Ma d’altronde lo avete fatto per anni prima che io arrivassi qui, quindi già lo sapete, dico bene?” Prima ancora che ricevesse una risposta, si girò di spalle e alzò una mano per salutare, lasciando nella stanza un silenzio riempito di qualche risposta in più. 

 

La mattina seguente al bar sembrava tutto come al solito. I gentili consumatori di inizio giornata sorseggiavano la propria bevanda calda sparsi nella grande sala, talvolta intrattenendosi con il giornale che illustrava le notizie dei giorni precedenti. Né la stampa né la polizia sapevano cos’era accaduto la sera precedente, in quel palazzo avvolto da un alone di omertà e impunità generale, tanta era la paura di chi percepiva qualcosa di strano nell’aria, ma sceglieva volontariamente di girarsi dall’altra parte. Persino i vicini avevano ormai intrapreso la via della noncuranza verso quei rumori che, nonostante tutto, si mescolavano in modo eterogeneo con quelli della città viva. A far fremere i cittadini della frenetica Tokyo sarebbe stata un’edizione straordinaria che di lì a poco sarebbe andata in onda nel primo canale della televisione.

-“Buongiorno, signorine!” Solo una persona poteva essere così squillante alle primissime ore del mattino.

“Signor Iwamoto, dovrebbe svelarci il segreto della sua energia.” Lo accolse Hitomi con sguardo accogliente, distraendosi per un attimo dal discorso che stava portando avanti con Toshio. “Soprattutto al detective qui presente, senza un litro di caffè è difficile persino parlargli.” Lo prese affettuosamente in giro.

-“Ma dai, lo sai che non è vero! È che lavoro sempre fino a tardi ultimamente.” Rispose, meno polemico del solito.

-“Buongiorno signor Iwamoto, le preparo il solito?” Rui si rese disponibile a servirlo. 

-“Certamente, come solo lei sa fare!” Quel complimento la fece sorridere. Mentre Rui serviva il vecchio Kokoro, anche il giovane statunitense che da qualche tempo si presentava al locale fece la sua comparsa.

-“Un americano, grazie.” Conciso, come aveva abituato fino a quel momento.

-“Arriva subito. Visto che ormai sembra un cliente abituale, mi piacerebbe sapere come posso chiamarla. Io sono Rui, piacere.” Si presentò per prima.

-“Mi chiami pure Mark, grazie per l’accoglienza.”

-“Si figuri, ecco a lei, Mark.” Ripeté, per memorizzare il nome. Appena pronunciate quelle parole, si sentì del trambusto nella cucina, separata da un muro rispetto allo spazio dietro il bancone. “Ma cosa..?” Sussurrò, prima di veder sbucare Ai dalla porta.

-“Venite a vedere, presto!” Si accorse di aver alzato la voce.

-“Ai, dovresti essere già per la strada di scuola a quest’ora.” Venne rimproverata, anche se non sembrava importarle molto.

-“Davvero, è urgente, è al telegiornale!” Abbassò il tono, senza diminuire l’enfasi.

-“Vai pure, mi occupo io dei clienti.” La incalzò Hitomi.

-“D’accordo”. Sospirò, sperando che il motivo di quella interruzione fosse qualcosa di rilevante. Al suo primo passo verso la sorella, sentì un sussurro provenire dalle sue spalle.

-“The bastard made it.” Quelle parole la incuriosirono per un istante, ma non riuscendo a capire proseguì e si trovò davanti un servizio del telegiornale già iniziato da qualche secondo. Ascoltò:

 

“...Molti sono stati gli arresti di questa retata, ben 27 persone, che dovranno rispondere delle accuse di detenzione di armi da fuoco illegali, organizzazione a delinquere e di terrorismo. A questo fa pensare l’impressionante arsenale sequestrato alle ore 5.02 dai reparti speciali della polizia di Tokyo. Tra gli arrestati, anche l’imprenditore di 47 anni Hiroji Kawabata, incensurato, incastrato grazie ad un inedito insieme di prove ritrovate in una proprietà di periferia intestata a suo nome e ad immagini che lo avrebbero visto frequentare il capannone dove sono stati ritrovati gli oggetti sequestrati. Con noi in studio abbiamo un esperto di criminalità organizzata, il signor Furuta: cosa ne pensa di questo blitz e di quale cellula della malavita stiamo parlando?...”

 

-“Santo. Cielo.” Scandì le parole Rui. “Capisco perché doveva andarsene così di fretta.” Constatò.

-“Già. Guarda i video, è impressionante.” Furono quasi ipnotizzate dai frame che scorrevano sullo schermo.

-“Rui, sono arrivati altri clienti, ho bisogno di… oh porca miseria, ma è mica..?” Si bloccò anche lei davanti a quell’inquietante spettacolo. 

-“Sì. Tutto questo in un singolo covo.” Aggiunse Ai.

-“È impressionante che tutte queste armi avrebbero circolato senza restrizioni per il nostro Paese… senza contare quelle che sono già in mano ai criminali.” Fece una pausa, osservando ancora tali scene spaventose. 

-“Sono felice che lui sia dalla nostra parte.” Hitomi commentò.

-“Anch’io.” Disse Rui.

 

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Capitolo 47
*** Capitulum XLVII ***


Il ragazzo dalla chioma bionda si trovava dall’altra parte della città e si spostava a piedi, calpestando i pensieri che lasciava andare durante il cammino. Raggiunse una cabina telefonica e vi sparì all’interno per qualche minuto: non una parola uscì dalle sue labbra, si diede al puro e concentrato ascolto di ciò che veniva proferito dalla parte opposta della cornetta. La mascella serrata e il volto quasi corrucciato lo facevano sembrare più minaccioso di quanto in realtà non fosse in quell’esatto momento. Si passò una mano sul mento da poco rasato e interruppe la chiamata con il finire del tecnico monologo, sospirando accentuatamente. Dopo tutta la fatica che aveva fatto, era consapevole di essere solo all’inizio e la sensazione di essere ai chilometri preliminari di una lunga maratona lo lasciò senza ottimismo per la vittoria della prima battaglia. Uscì da quella claustrofobica scatoletta rossa a gettoni, diventata da tempo sua consigliera.

-“Era ora.” Sentì alle sue spalle, in lingua inglese. Abbassò il capo, prima di voltarsi: avrebbe riconosciuto quel timbro tra mille altri. “Ce ne hai messo di tempo per cominciare questa cazzo di missione.”

-“Finalmente scopri le tue carte, Marcus.” Era a conoscenza che si trovasse in città, poiché era in grado di avere occhi e orecchie in tutta la città di Tokyo e dintorni, ma quale fosse lo scopo della sua presenza rimaneva una supposizione. Lo guardò finalmente negli occhi. “Perché sei venuto fin qui?” Non fece giri di parole.

-“Nonostante tutto si parla ancora molto bene di te in agenzia, sai? Non so proprio come tu faccia.” Lo sguardo strafottente di sfida era accompagnato dal movimento delle braccia che si piegavano per infilare le mani nelle tasche della giacca. “Mi chiedo solo se sia perché sei tu, il figlio del capo. Il ragazzo prodigio. Il golden boy…”

-“Che cosa vuoi?” Stava iniziando a irritarsi. Detestava tali delegittimazioni nei suoi confronti, che sentiva ripetere da tutta la vita.

-“Vedi, c’è qualcosa che non mi torna.” Fece un passo in avanti. “Sei qui da quanto tempo, quattro mesi o giù di lì? E ancora sei alla prima fase del piano per smantellare questa fantomatica organizzazione, che ti succede?”

-“Succede che parli peggio dei tipi in giacca e cravatta degli Affari Interni.” Non appena nominò quell’ente, l’uomo tirò fuori dal taschino un distintivo che ne riportava la sigla, innescando un accenno di divertimento in Lewis. “Dovevo immaginarlo, sei passato al lato oscuro.” Cercò di scherzare per smorzare dei toni che però rimasero immutati.

-“Nessuno ha mai avuto il coraggio di indagarti per quella volta in Messico. Due volte sei finito nei guai qui, e nessuno ha battuto ciglio. Ed è strano, perché quando sei in missione è facile capire se qualcosa non va.” Si avvicinò ancora. “Per quanto io possa detestarti, sei un maestro della tattica, un cazzo di chirurgo dell’anticrimine, per questo sono d’accordo con tutti quelli che ti danno del predestinato. Allo stesso tempo, se la tua marcia verso un obiettivo rallenta così tanto, significa che qualcosa non va o che stai nascondendo dei particolari molto rilevanti. Ed io li scoprirò, stanne certo.”

-“Era da tanto che non mi facevi così tanti complimenti, Marcus. Gli ultimi mi hanno lasciato un brutto livido sullo zigomo per diverso tempo, come ricorderai.” Lo guardò, glaciale, negli occhi. “Tutto ciò che hai bisogno di sapere sta nei rapporti che ho compilato fino ad ora, spero possano aiutarti a chiudere presto questa caccia alle streghe.”

-“Lo farò sicuramente. Eppure, se in nome della nostra passata amicizia per caso volessi venirmi in contro, senza passare per la burocrazia… puoi farlo ora.” Lo incalzò, con falsissimo buonismo. Jack lo assecondò solo in parte, sospirando.

-“Questo caso è molto importante per me e nel piano originale doveva essere condotto a due.” L’agente Kelly strinse i pugni. Ancora non lo aveva fatto, ma quasi non sopportava di sentir pronunciare il nome di Sophia da quell’uomo che egli considerava alla stregua dell’assassino materiale. “È stata lei a trovarlo, saremmo venuti qui dopo il Messico. Per anni ho messo da parte questa pista, perché non credevo di potercela fare da solo, non dopo tutto quello che è successo.” Si mosse anche lui verso il suo interlocutore, consapevole che il sapore del sangue avrebbe potuto riempire le sue guance di lì a poco. “Sto provando a finire ciò che non abbiamo fatto in tempo ad iniziare insieme e voglio farlo nel migliore dei modi.” Gli porse la mano, auspicando una stretta che sancisse la tregua. “È come se fosse il suo testamento non scritto e sento il dovere di rispettarlo. Lo voglio fare al meglio.” Già sentiva le nocche incidere il suo viso, eppure con sua estrema sorpresa ciò non accadde. Marcus si limitò a fare una smorfia di disappunto e girare i tacchi, ignorando il gesto di pace dell’ex collega. Il ragazzo fece un respiro profondo, deluso e sorpreso al tempo stesso dalla reazione.

“Scusami Sophia. Prima o poi gli dirò la verità, te lo prometto.”

 

-“Bene, siamo arrivate. Manca ancora un paio di ore prima del colpo, usiamo questo tempo per tracciare un perimetro e individuare i possibili punti di accesso.” 

-“Caspita Rui, che termini specialistici… devi aver passato davvero tanto tempo con il tuo amato prima di metterci al corrente della tua relazione.” Scherzò Hitomi.

-“Non è il momento, per fav…”

-“Con lui intorno, bravo com’è, non puoi non aver assimilato il suo fare da poliziotto. Dobbiamo preoccuparci?” Continuò Ai, appena scese dall’auto a noleggio per scaricare i bagagli leggeri contenenti il materiale necessario per il furto.

-“Possiamo cambiare argomento?” Rui non aveva intenzione di stare al gioco e ciò non era da lei.

-“Oh, d’accordo.” Rispose la sorella. “Credevo che ti facesse piacere parlare di Jack, sembrate stare bene insieme. Le battute erano un modo per farti sapere che Ai ed io siamo felici per te e…”

-“Ho capito, ora basta però. Dobbiamo pensare al lavoro.” Prese uno dei bagagli più ingombranti dell’auto e lo portò verso l’entrata della casa al mare, lasciando perplesse le due ragazze, le quali non poterono interrogarsi a vicenda con lo sguardo.

 

Il colpo di quella notte si presentava come tra i più classici: nessun super criminale spietato e nessuna organizzazione all’orizzonte. Come in un teatro della commedia dell’arte, erano presenti dei tipi fissi che si sintetizzavano in un nervoso Toshio nel ruolo di antagonista imbranato, una precisa Rui alla regia, Ai alla parte tecnica e Hitomi al centro dell’azione nel ruolo di scaltra protagonista. Quella era la formula magica che aveva portato più tele e artefatti nella grande collezione di famiglia. Quasi tutto era pronto per aprire il sipario.

 

Allo scattare dell’ora, il detective Utsumi era sull’attenti, ma aveva una strana sensazione. Forse per la mancanza di Asatani o forse per il semplice impianto di allarme di quel piccolo museo, per la prima volta si sentì in svantaggio, quasi nudo, nei confronti della sua acerrima nemica. Solitamente, anche quando l’odore di sconfitta era nell’aria, si contraddistingueva per il suo inesauribile ottimismo, seppur ingenuo, che gli dava una sorta di spinta adrenalinica ulteriore in quell’infinita caccia. Guardò la cassaforte a parete che conteneva il piccolissimo dipinto di un anonimo tedesco, intitolato dagli studiosi La piccola onda, trovato insieme ad alcuni diari (tra cui alcuni di bordo) in una nave transatlantica ormai in disuso, approdata al Porto di Chiba nel 1940. I suoi cimeli erano stati quindi raccolti ed esposti in raccolte ed eleganti sale allestite sobriamente, le quali ospitavano per lo più documenti. Tra queste, c’erano carte e manoscritti firmati dal tormentato maestro di Michael Heinz in fuga dalla Germania.

 

Toshio sentì dei lamenti provenire dal corridoio: erano sicuramente i suoi agenti. D’istinto prese in mano la radio di servizio e si mise tra la porta d’ingresso della stanza e l’oggetto del desiderio della banda. 

-“Che cosa sta succedendo? Se qualcuno ascolta, risponda!” Aspettò qualche secondo. “Allora?! Rispondete!” 

-“Ca… capo.” Una voce affaticata si fece sentire sulla stessa frequenza. “Sta arrivando.” Un tonfo diede l’impressione che l’agente non potesse più continuare la conversazione.

-“Porca miseria…” Sussurrò, prima di alzare il volume della voce. “Ehi, Gatta! Siamo di nuovo tu ed io, voglio proprio vedere come…” Si spensero le luci, così in qualche secondo accese una torcia ad illuminare l’uscio. “Anche se non riuscirò a prenderti, almeno ti vedrò in faccia! E allora lì sì che per te si metterà mal- Ah!” Sentì un rumore alle spalle e una botta alla base del collo, poi più nulla: quel piccolo momento di buio le era bastato per entrare e coglierlo di sorpresa.

-“Sarà per un’altra volta, tesoro.” Divertita, gli arruffò i capelli e prese in prestito la torcia, mentre il volto del detective aderiva comicamente al pavimento. Hitomi si portò una mano all’orecchio. “Ai, hai trovato il codice?” Chiese, attendendo una risposta che sarebbe dovuta arrivare dall’ufficio del direttore del museo.

-“Credo di esserci vicina. Questo posto è ordinato a tal punto da farmi inquietudine.” Disse, mentre sfogliava dei fascicoli all’interno di grandi cassetti.

-“Potresti prendere spunto per la tua camera, ogni volta che entro sembra che sia esplosa una bomba.”

-“Sei sempre spiritosa tu, eh?” Rispose, più indaffarata che infastidita.

-“Ragazze, concentratevi.” Le riprese la voce più matura, alla gestione del piano.

-“Sì, sorellona, spero solo che Ai si sbrighi, perché non avevo alcuna intenzione di colpire Toshio più forte di così: tra poco si sveglierà.”

-“Abbi pazienza, questo posto è pieno di informazioni e non capisco dove cercare! Oh… Sicurezza, deve essere questo, vediamo.”

-“Oh, ce l’abbiamo fatta.” La sorella di blu vestita commentò ironicamente.

-“Ricordati che ho in mano la tua copertura, simpaticona.” Il detective Utsumi cominciò a bofonchiare qualcosa nel sonno.

-“Ecco Ai, questo è il preciso momento in cui mi dovresti dare il codice.” Le mise fretta.

-“Questo è strano…” Quelle parole non piacquero alle sue interlocutrici. “Sulla dicitura cassaforte Dürer non ci sono numeri o kanji, ma lettere dell’alfabeto, solo che non sembrano parole… ci sono tante X e I, L… che significa?”

-“Santo cielo, Ai! Cerca altrove, allora!” La ragazza si stava spazientendo.

-“No, aspetta: Ai, riesci a leggerli in ordine?” Rui attirò la loro attenzione.

-“Certo. IIIVXXX, VIX…”

-“No, al contrario, leggili all’occidentale: da sinistra verso destra.” Era quasi sicura di aver capito.

-“D’accordo, vediamo: LXXXI…”

-“Dovrebbe essere 81.” Rispose Rui, mentre Hitomi eseguiva, senza comprendere il ragionamento della compagna di furto.

-“LIV?”

-“54. Forza, veloci.” Esortò.

-“XIV.”

-“14.”

-“Manca l’ultimo.” Hitomi sentiva il poliziotto muoversi con fatica.

-“Questo è lungo, ehm… XXXVIII?” Quasi domandò.

-“Caspita, mi sembra sia…” A stento sapeva il motivo per cui ricordava un tale codice numerico.

-“Che cosa è…?” Si sentì la voce di Toshio, il quale toccò la propria nuca dolorante e Hitomi non poteva più nemmeno aprir bocca.

-“38!”

-“Eh?! Dove sei, ladra?!” Si alzò in piedi di scatto e si voltò verso la cassaforte. I suoi occhi si sbarrarono di colpo. “Non è possibile.” Ripeté più di una volta. “Non è possibile!” Si avvicinò, a passo lento, fino a che non ne ebbe la certezza. Allungò la mano improvvisamente, estrasse un biglietto dall’interno del non più sicuro nascondiglio. “Me l’hanno fatta di nuovo sotto al naso, accidenti!”

 

Era da qualche tempo che i furti non andavano in modo così liscio. Tutto per un istante sembrava essere tornato ai bei vecchi tempi: pericoli ce ne erano sempre stati, è vero, ma sempre superabili da quel tocco di acume che scorreva nelle vene delle tre ladre. Tale astuzia le aveva salvate anche questa volta.

-“Numeri romani, eh? Non li avevo mai visti prima e a scuola non li insegnano, come hai fatto a capirli?” Ai non poteva fare altro che provare ammirazione per le conoscenze di sua sorella: non finiva mai di sorprenderla.

-“Nel tempo libero ho iniziato ad avvicinarmi alla cultura latina, l’arte classica ha il suo fascino. Non avrei mai pensato che mi sarebbe tornata utile in questo senso.” Confessò.

-“Ah sì? E ti sei interessata alle arti figurative oppure a quelle letterarie?” Hitomi sembrava incuriosita l’improvviso interesse della sorella. La verità era che Rui, nella mente, aveva ormai tatuata una frase che aveva letto tempo addietro sulla pelle: coniunctio animi maxima est cognatio. Non ne aveva ancora trovato il significato.

-“Un po’ tutte e due.” Rimase vaga.

-“O forse vuoi fare colpo su Jack studiando le radici della sua lingua.” Ai, come al suo solito, provocava, anche se stavolta con non troppa malizia. La donna cercò di sorvolare. Hitomi provò a sviare il discorso, comprendendo gli stati d’animo.

-“A parte la fretta finale, sento come se fossero stati secoli che non andava tutto così bene, non abbiamo lasciato il minimo scampo al mio povero Toshio." Sorrise, seduta sul sedile posteriore dell'auto avviata verso casa, mentre teneva la valigetta con i documenti davanti alle gambe. Aveva ragione: nell’ultimo periodo tutto si era complicato e, nemmeno a dirlo, il punto di non ritorno coincideva con l’arrivo del ragazzo d’oro, così gentile e appassionato, eppure inseguito da orde di guai di crescente misura. Era bravura nel suo lavoro oppure un talento nell’attirare calamità antropiche? Rui non riusciva a colpevolizzarlo, anche se un’inedita voce le ispirava rinnovata cautela nei suoi confronti. Le immagini che scorrevano nel piccolo schermo dalla mattina stessa avevano mosso qualcosa in lei.

 

Dopo poco più di un’ora di guida, le tre giovani erano di nuovo tra le mura di casa, affaticate dopo una notte che di lì a poco avrebbe lasciato spazio al giorno.

-“Se non vi dispiace, analizzerei domani con calma il nuovo materiale, ho bisogno di riposare.” Le sorelle minori la seguirono volentieri.

-“Hai ragione, domani abbiamo la sveglia presto.” Hitomi si dimostrò concorde. 

-“Va bene, porto il tutto al magazzino, intanto voi andate a dormire.” Quella frase di Rui fu accompagnata da cenni di assenso e Ai si diresse verso la propria camera da letto. 

Con la valigetta in mano, entrò nel caveau dove erano conservate tutte le opere d’arte e gli indizi raccolti in quel lungo viaggio. Iniziò a sistemare con cura la refurtiva, quando sentì dei passi dietro di lei. D’istinto, afferrò uno dei taglienti biglietti da una tasca, pronta ad usarlo.

-“Ehi, Rui.” Riconobbe la voce e quella immotivata tensione sparì. D’altronde, chi poteva essere, se non sua sorella? Non aveva motivo di essere così sul ‘chi va là’.

-“Hitomi, non dovresti essere già a letto?”

-“Sì, ma non riuscirei a dormire bene se prima non ti chiedessi come stai. Hai lo sguardo spento, che ti succede?” Un piccolo sorriso forzato uscì dalle sue labbra vermiglie.

-“Si nota così tanto?”

-“No, in realtà no. Ma sono tua sorella, ti conosco giusto un pochino.” Si sedette su una cassa di legno usata per il trasporto dei manufatti artistici.

-“È solo che è diventato tutto più grande di noi.” Si sedette anche lei, di fronte a Hitomi. “Ho fatto finta di non accorgermene perché sembrava più facile da gestire, ma dalla notizia di quell’arresto… Insomma, non dovevo portarvi in mezzo a tutto questo.”

-“Rui.” Le prese le mani. “Non abbiamo mai fatto così tanti passi in avanti come negli ultimi mesi. Sono aumentati i rischi, è vero, ma anche i nostri mezzi, le nostre consapevolezze... i nostri alleati.” Fece una pausa, per guardarla negli occhi. “Ed è soprattutto per merito tuo: sei davvero una grande sorella maggiore.” Rui quasi si commosse a quelle parole di conforto e si lasciò andare ad un abbraccio affettuoso.

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