Salazar's Code

di Stillathogwarts
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. Ricominciare ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. Piccoli Passi ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. Cambiamenti ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. Collaborare ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5. Babbanologia ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6. Il Gruppo ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7. La Camera dei Segreti ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8. Invasione ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9. Hogsmeade ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10. Domande ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11. Anime Gemelle ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12. La Festa di Halloween ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13. Il Ragazzo del Diario ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14. La Ragazza del Diario ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15. Ritorni Inaspettati ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16. Cicatrici e Ferite Aperte ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17. Arresto Momentum ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18. Ipotesi e Timori ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19. Rivelazioni Shock ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20. La Testa di Porco ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21. Lacrime Amare ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22. Scegliere ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23. Il Bagno dei Prefetti ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24. Il Ballo di Natale ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25. Un Natale Dolceamaro ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26. Scosse di Assestamento ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27. Sussurri ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28. Il Veleno della Serpe ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29. Brutte Notizie ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30. Dubbi e Riflessioni ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31. Game Changer ***
Capitolo 33: *** Capitolo 32. I Consigli di Ginny ***
Capitolo 34: *** Capitolo 33. Lasciarsi Andare ***
Capitolo 35: *** Capitolo 34. L'Interrogatorio ***
Capitolo 36: *** Capitolo 35. L'Ospite Indesiderato ***
Capitolo 37: *** Capitolo 36. Congetture ***
Capitolo 38: *** Capitolo 37. La Festa del Lumaclub ***
Capitolo 39: *** Capitolo 38. Malfoy Manor (Parte 1) ***
Capitolo 40: *** Capitolo 39. Malfoy Manor (Parte 2) ***
Capitolo 41: *** Capitolo 40. Oasis ***
Capitolo 42: *** Capitolo 41. La Squadra Investigativa ***
Capitolo 43: *** Capitolo 42. L'Isola Che Non C'è ***
Capitolo 44: *** Capitolo 43. Amortentia ***
Capitolo 45: *** Capitolo 44. Adrian Pucey ***
Capitolo 46: *** Capitolo 45. La Torre di Astronomia ***
Capitolo 47: *** Capitolo 46. Questione di Controllo ***
Capitolo 48: *** Capitolo 47. Ardemonio ***
Capitolo 49: *** Capitolo 48. L'Elfo e il Burattino ***
Capitolo 50: *** Capitolo 49. Il Prisma e il Codice di Salazar ***
Capitolo 51: *** Capitolo 50. I Diari Gemelli ***
Capitolo 52: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO
 
 

 
 
 
 
 
Il bicchiere di vetro colpito da quel poco di luce solare che filtrava dalla finestra produceva strane immagini luminose contro la cupa parete dell’ufficio principale di Malfoy Manor.
Draco Malfoy se ne stava seduto scomposto sulla sedia che fino a poco tempo prima era appartenuta a suo padre, con lo sguardo perso nel vuoto. Aveva allentato la cravatta, che sembrava sempre soffocarlo negli ultimi tempi, e aveva aperto i primi bottoni della camicia; la giacca che indossava quando era entrato nella stanza giaceva sgraziatamente su una poltroncina dall’altro lato della scrivania.
Si passò distrattamente una mano tra i capelli, mentre con dei movimenti circolari del polso giocava con il liquido ambrato all’interno del bicchiere, facendolo ondeggiare pericolosamente; una bottiglia di Firewhiskey era aperta, poggiata casualmente sul legno pregiato del tavolo, ormai vuota a metà.
Se lo avesse visto, sua madre lo avrebbe rimproverato per non essersi premurato di far scivolare qualcosa al di sotto. “Quello è mogano!” avrebbe obiettato, guardandolo con disapprovazione.
Ma a Draco non importava; a dirla tutta, non gli importava quasi di niente in quei giorni.
Non avrebbe saputo dire se aveva bevuto tutta quella quantità di alcol quella sera stessa o se parte di essa l’aveva consumata la sera prima.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter spegnere i suoi pensieri e non era ancora pronto ad arrendersi all’evidenza, ad accettare il fatto che l’alcol non gli sarebbe stato di alcun aiuto in tal senso.
Non ad un ragazzo, - uomo? Giovane uomo? -, come lui, che portava sulle spalle il fardello di una famiglia antica e nobile, ma ormai sull’orlo del declino; non ad un ragazzo di soli diciassette anni che aveva visto troppe cose, cose terribili, che nessun suo coetaneo avrebbe mai dovuto vedere; non ad un ragazzo che aveva fatto cose orribili a sua volta e che doveva convivere con i demoni spaventosi che infestavano la sua mente ormai da due anni. Non ad un ragazzo che avrebbe dovuto avere tutto e che invece si era ritrovato con un pugno di mosche e un passato da cui riscattarsi. Non ad un ragazzo i cui rimorsi e sensi di colpa stavano lentamente logorando l’anima.
Sbuffò sonoramente, facendo sollevare un paio di ciocche di capelli biondo platino che gli erano ricadute pigramente sugli occhi.
Il suo processo davanti al Wizengamot si sarebbe tenuto il giorno dopo.
Sapeva di non avere scampo, aveva quel maledetto marchio sbiadito, ma sempre visibile, sul braccio.
Sapeva che sarebbe finito ad Azkaban.
Il suo Magi-Avvocato gli aveva detto che la sua opzione migliore per difendersi era quella di giocare la carta dell’età, - dal momento che era minorenne quando lo avevano praticamente obbligato a prendere il Marchio Nero -, e il fatto che non si fosse mai macchiato di crimini definitivi; dubitavano che si sapesse dell’uso della Cruciatus su Thorfinn Rowle, ma l’avvocato era certo di poter raggirare la cosa in suo favore in caso la vicenda fosse divenuta di dominio pubblico; Voldemort gli puntava contro la bacchetta mentre lo costringeva a farlo, quindi rientrava nella categoria di azioni eseguite sotto minaccia, e Rowle stesso era tutt’altro che innocente: era un Mangiamorte a sua volta.
«Al massimo, ti daranno la pena minima» gli aveva detto. «Due anni o giù di lì.»
Un suono amaro, molto simile a una risata sarcastica, lasciò la gola di Draco al ricordo di quella conversazione.
Con i livelli di sensi di colpa che provava e la quasi totale assenza di felicità nella sua vita, o di qualcosa a cui aggrapparsi per il bene della sua sanità mentale, due anni ad Azkaban con la sola compagnia dei Dissennatori sembravano più che sufficienti per farlo scivolare rapidamente nella pazzia.
Era già a un buon punto su quella strada, soprattutto da quando aveva perso anche la sua unica fonte di consolazione ed era rimasto completamente solo con i suoi demoni.
L’aveva trovata un cupo pomeriggio di ottobre a Hogwarts, poco prima che l’Esercito di Silente si impadronisse della Stanza delle Necessità e ne bloccasse l’accesso al resto della scuola; uno degli ultimi giorni in cui Draco Malfoy aveva potuto trovare un po’ di pace, isolandosi dal mondo esterno, nascondendosi proprio in quella Stanza.
Un diario, abbandonato nel luogo in cui tutto era nascosto.
Un diario che rispondeva a quello che scriveva.
Aveva iniziato a riversare i suoi pensieri più intimi e tormentati in quelle pagine in un momento di estrema vulnerabilità; aveva scribacchiato le parole con violenza, in uno sfogo atto a buttar fuori tutti quei sentimenti contrastanti e dolorosi che stava provando e che non riusciva più a compartimentalizzare nella sua mente.
Lo aveva trovato liberatorio.
Allora aveva continuato a scrivere.
E un giorno, qualcuno aveva risposto alle sue parole.
Era andato nel panico, in un primo momento.
Non gli piaceva che qualcuno avesse accesso alla sua sfera interiore, che qualcuno potesse avere modo di conoscere Draco Malfoy al di fuori di quello che aveva sempre presentato al resto del mondo, al di fuori dell’immagine pubblica di sé che aveva costruito.
Ma c’era qualcosa, forse la garanzia dell’anonimato, che lo aveva spinto a continuare quella insolita corrispondenza.
Aveva bisogno di una valvola di sfogo, comunque, di qualcosa che gli permettesse di restare lucido, di non soccombere definitivamente all’oscurità, di non annegare nel buio.
Quel diario era stata la sua luce durante i cupi giorni di guerra.
All’inizio, Draco non sapeva se il suo interlocutore fosse un vecchio proprietario del diario e a rispondergli fosse la sua coscienza mantenuta intatta in quelle pagine o se ci fosse qualcuno, da qualche parte, con un diario gemello a intrattenere quelle conversazioni con lui; ma sapeva, lo aveva intuito, che anche quel qualcuno necessitava di parlare.
E allora aveva continuato.
Aveva conosciuto la persona dall’altro lato in un senso completamente nuovo per lui.
L’aveva conosciuta come non aveva mai conosciuto nessuno prima, instaurando un livello di intimità che non aveva mai avuto con altri.
Aveva continuato a scrivere e a rispondere, riversando in quelle pagine vuote la sua essenza più vera, finché una notte, durante le vacanze di Pasqua, nascosto nella sua stanza al Manor nel vano tentativo di non pensare alla compagna di scuola che era rinchiusa nelle segrete proprio in quel momento, non aveva avvertito la necessità di porgere al suo interlocutore la domanda che lo tormentava di più.
‘Credi che potrei essere degno di perdono?’
La risposta era arrivata qualche secondo dopo e lo aveva immediatamente fatto allarmare.
‘Credo che perdonerei Draco Malfoy se mi porgesse delle scuse sincere.
Quindi, non vedo perché tu, che da quello che scrivi mi dai l’aria di essere profondamente pentito delle tue azioni, non debba essere considerato degno di perdono.
La vita è troppo breve per sguazzare nel risentimento.
E tutti meritano una seconda opportunità, se fanno qualcosa per guadagnarsela.’
Si era pietrificato.
Quelle che aveva letto erano delle parole di incoraggiamento significative, che avrebbero dovuto consolarlo, ma… Ma.
La sua interlocutrice aveva fatto il suo nome e per un terribile istante aveva temuto che lo avesse riconosciuto, per qualche inspiegabile motivo.
‘Draco Malfoy?’
Dopo e solo dopo, Draco si era reso conto che l’errore non era stato suo, ma del suo interlocutore.
‘Era per lo più lui a tormentarmi quando andavo a scuola, non ho pensato che frequentando ancora Hogwarts tu potresti conoscerlo. Almeno, credo che sia ancora lì.
Non era questo il punto, comunque. 
Stavo solo facendo un esempio.’
Si era rilassato a quelle parole, ma era durato solo un istante; perché c’era una persona che lui aveva infastidito più delle altre e quelle parole avevano risvegliato in lui la curiosità di scoprire chi fosse la sua interlocutrice…
Sapeva alcune cose di lei, dai loro discorsi meno grevi.
Che era una lei, per esempio; che era stata una studentessa di Hogwarts.
‘In che Casa eri?’
‘Grifondoro. Tu?’
‘Serpeverde.’
‘Ahi. Importa?’
‘Non ti rivolgerò mai più la parola. Che schifo!’
‘Come vuoi.’
‘No, non è vero.
Non proprio.
Sono solo, sai?’
‘I Serpeverde non hanno una Sala Comune?’
‘Non in quel senso…
Mi sento solo.
Più del solito.’
‘Posso ascoltarti, se vuoi parlare.
Ehm, leggere.’
Le aveva scritto ancora, ovviamente. Non gli importava davvero, che fosse stata una Grifondoro… e poi lei non sapeva chi fosse lui.
Gli aveva detto che non andava più a scuola e non aveva pensato neanche per un istante che in passato le loro strade avevano potuto incrociarsi.
A quel punto, Draco era certo che qualcuno avesse un diario gemello, però.
Aveva avuto la certezza di ciò quando aveva menzionato per la prima volta il contesto storico in cui stavano vivendo, l’ascesa del Signore Oscuro… Anche la persona al di là del diario aveva i suoi timori al riguardo.
‘Sei viva?’
‘Per ora.’
‘Sei… in fuga?’
‘Sì.’
‘Sei una Nata Babbana?’
‘Sì. Qualche problema?’
Aveva tardato a rispondere, quella volta.
Aveva trascorso due notti insonni sentendo quella domanda rimbombare nella sua testa.
Il timore di perdere la sua unica fonte di distrazione e sollievo, la paura di restare veramente solo, dopo mesi in cui aveva potuto fare affidamento su quella sconosciuta, alleviando anche solo momentaneamente la sua disperazione grazie alle sue parole…
‘No, non più.
Credo.’
Aveva visto abbastanza sangue versato da capire che non c’era assolutamente alcuna differenza di sangue tra i Maghi. Aveva visto i Mangiamorte compiere gesti talmente atroci da capire che non erano i nobili della situazione.
Non poteva dirlo a voce alta, ma poteva confidarlo al diario.
Forse, le sue parole avrebbero dato speranza alla persona dall’altra parte, come lei la stava dando a lui.
Per la prima volta nella sua vita, Draco Malfoy aveva avvertito l’esigenza di ricambiare, dopo aver ricevuto.
‘Cosa ti ha fatto cambiare idea?’
‘La guerra.’
‘Cambia tutti.’
‘Già.’
Gli echi di quelle conversazioni lontane lo avevano colpito tutti insieme, mentre collegava i puntini e la sua interlocutrice cominciava ad assumere una forma nella sua mente.
‘Come fai a sapere che non sono Draco Malfoy?’
Glielo aveva chiesto, troppo curioso per lasciar perdere prima di togliersi l’ultimo sassolino dalla scarpa.
Ed era una delle rare volte in cui le risposte stavano arrivando rapidamente; i botta e risposta che erano riusciti ad avere erano pochi, in genere potevano anche trascorrere giorni tra una risposta e l’altra.
‘Draco Malfoy non avrebbe più scritto dopo aver saputo che sono una Nata Babbana.
Anzi, forse avrebbe smesso di rispondere direttamente dopo aver saputo che a scuola ero in Grifondoro.’
Magari persino Draco Malfoy avrebbe potuto sorprenderti.
Per qualche motivo, il ritmo del suo cuore era aumentato dopo quella finta battuta.
‘Draco Malfoy ti direbbe che l’aver parlato con me così a lungo ti ha contagiato con la roba da Grifondiota, portandoti a credere un po’ troppo nei miracoli.
N.B. Non lo direbbe in maniera così gentile.’
Qualcosa in quella risposta lo aveva irritato.
Così era passato oltre.
Aveva deciso di strappare il cerotto.
‘Sei Hermione Granger?’
«Fa’ che non sia lei» aveva pregato, senza sapere esattamente chi. «Fa’ che non sia lei
Ma la risposta a quella domanda non era mai arrivata.
Draco sbuffò, poggiando il bicchiere rumorosamente sulla scrivania.
Afferrò la bottiglia e lo riempì di nuovo.
Del liquido cadde sul tavolo, quando il sonoro pop! dell’elfa domestica che appariva nella stanza all’improvviso lo fece sobbalzare.
Non riusciva a non restare all’erta, all’interno del Manor; ogni suono pareva in grado di risvegliare in lui ricordi torridi e sanguinolenti del periodo in cui il luogo era stato infestato da Mangiamorte e scagnozzi di Voldemort.
«Credevo di aver detto che non volevo essere disturbato», asserì irritato, scrutando in tralice la creaturina.
L’elfa si piegò in un inchino profondo, abbassando le orecchie come per scusarsi.
«A Trixy dispiace molto, Padroncino» disse l’elfa con una vocina stridula e acuta. «Ma Trixy stava pulendo il salotto e ha trovato qualcosa. E Trixy ha pensato che forse il padroncino può averla persa tempo fa, visto che non ci va più lì dentro, Padroncino.»
Draco sollevò un sopracciglio, mentre l’elfa posava un taccuino di cuoio sulla scrivania davanti a lui.
I suoi occhi si allargarono immediatamente, riconoscendone le fattezze.
«Che ci faceva nel salotto?»
«Trixy non lo sa, signore» mormorò l’elfa, spaventata. «Trixy lo ha trovato sotto un divano.»
Aver servito a Lestrange Manor per quasi tutta la vita doveva averla traumatizzata permanentemente.
«Puoi andare.»
Quando la creaturina si fu smaterializzata, Draco fece scorrere le dita sull’oggetto, perso nei suoi pensieri.
Era sicuro di averlo nelle sue stanze.
Aveva riprovato a scrivere, nella speranza di ricevere una risposta; nella speranza che la sua interlocutrice, quella che aveva desiderato, a un certo punto, di poter conoscere di persona, non fosse lei.
Perché lo avrebbe distrutto scoprire che la ragazza che lo aveva tenuto a galla per tutti quei mesi era la stessa che in passato lui aveva ferito più di quanto avesse mai fatto con chiunque altro al mondo.
Perché se fosse stata veramente lei, non avrebbe avuto alcuna speranza di poterci parlare dal vivo.
Forse non avrebbe neanche potuto dirle che era lui la persona che le scriveva dall’altra parte del diario; avrebbe rovinato quel ricordo, dicendole la verità.
E lui avrebbe perso qualcosa che non aveva mai saputo di volere, senza mai averla avuta veramente.
Ma non appena aprì le pagine del diario e le parole corrispondenti ai suoi ultimi messaggi cominciarono a prendere forma davanti ai suoi occhi, i nodi iniziarono a venire definitivamente al pettine.
E la sua certezza divenne realtà.
Aveva tra le mani il gemello.
Ed ormai era ufficialmente comprovato che fosse appartenuto a Hermione Granger… Fino al momento in cui era stata portata a Malfoy Manor il precedente marzo.
‘Sei Hermione Granger?’
‘Non ti venderò ai Mangiamorte, lo giuro. Rispondimi e basta. Devo… sapere.’
‘È inutile non rispondere. So che sei tu e non ho modo di carpire la tua posizione attuale attraverso il diario, comunque. Non hai nulla da temere.’
‘In questo caso, evitare di rispondermi equivale a darmi una conferma… Granger.’
‘Sei viva?’
‘Come stai?’
‘Ti prego, dimmi che sei ancora viva.’
‘Rispondi, per favore…’
‘Sono… Sono Draco Malfoy.
E avrei dovuto fare qualcosa.’
‘Granger… mi dispiace.’
‘Li ha uccisi tutti… I Goblin, gli elfi del Manor…
Sangue… c’è così tanto sangue…
Vedo solo sangue ormai…’
‘Ho bisogno di parlarti.
Rispondimi.
Per favore.’
‘Continuo a riviverlo.
Sto impazzendo.
Devo sapere se sei viva.’
‘Non ce la faccio più.’
‘Mi sento come se stessi cadendo in pezzi.’
‘Per favore, dimmi che sei ancora viva.’
‘Dimmi come… cosa devo fare?’
‘Voglio uscirne. Ho bisogno di aiuto.’
‘Aiutami, ti prego.’
‘Non abbandonarmi anche tu, anche se non merito niente da te.
Per favore.’
‘Un fottuto drago, Granger???’
E poi l’ultimo.
L’ultimo messaggio, scritto prima che si arrendesse all’evidenza che non avrebbe mai più ricevuto una risposta.
L’ultimo messaggio, scritto due giorni dopo la Battaglia di Hogwarts, subito dopo essersi riconfermato per l’ennesima volta un vile codardo.
‘Perdonami.’
Draco chiuse gli occhi, mentre una consapevolezza prendeva forma nella sua mente: Hermione non sapeva che aveva parlato con lui per tutti quei mesi, che si era confidata lui e che aveva aiutato per tutto il tempo la stessa persona che era rimasta a guardare mentre lei veniva torturata sul pavimento del salotto di casa sua.
E dopo quella vicenda, Draco ne era certo, la sua precedente disponibilità nel perdonare persino lui, non era più valida.
Non importava quanto di lui avesse conosciuto veramente tra le pagine di quel diario.
Aveva perso la sua penultima occasione per redimersi quel 2 maggio, quando aveva deciso di attaccare comunque il trio nella Stanza delle Necessità, in preda alla rabbia per aver visto Potter stringere la sua bacchetta tra le mani come se fosse sempre appartenuta a lui, Weasley così vicino alla Granger e lei che faceva finta di niente nonostante le avesse scritto rivelandole la sua identità.
Ma in verità, lei non aveva mai scoperto di aver parlato con lui, tra le pagine di quel diario; solo che lui non lo sapeva e non era mai stato bravo a gestire il rifiuto. E in quel momento, rifiutato da lei era esattamente come si era sentito.
Aveva perso la sua ultima occasione per fare la cosa giusta sempre quel 2 maggio, quando aveva scelto di seguire i suoi genitori un’altra volta e non aveva combattuto accanto ai suoi compagni di scuola.
E Draco sapeva anche che Hermione Granger non si sarebbe presentata in tribunale a dare testimonianza dei suoi veri pensieri su quello che stava vivendo e sulla guerra in generale. Forse non lo avrebbe fatto neanche se avesse avuto modo di scoprire che era lui il ragazzo tormentato che le aveva confidato i suoi pensieri più intimi, che l’aveva inconsapevolmente designata come l’unica persona al mondo a conoscere veramente Draco Lucius Malfoy.
Perché lei era anche la persona che Draco Lucius Malfoy aveva tormentato di più nel corso della sua patetica vita.
E lui non meritava il suo perdono.
Non meritava la sua amicizia.
Non meritava il suo supporto.
Lui non meritava assolutamente niente.






N.d.a.

Salve a tutti!
So di avere due storie ancora in corso, il fatto è che sono già complete su Wattpad e mi sono arretrata nella pubblicazione qui, soprattutto visto che ho deciso di reiscrivermi a EFP solo tempo dopo, il sito non permette la creazione delle bozze e non sempre ho il modo di collegarmi.
Siccome non voglio che succeda anche con questa storia, visto che ho appena iniziato a pubblicarla, ho deciso di pubblicarla in parallelo su entrambi i siti fin dall'inizio.
Volevo ringraziare chiunque abbia seguito le mie storie finora e chiunque deciderà di dare una possibilità anche a questa.
Se vi va lasciatemi una recensione, per me è molto importante ricevere un feedback di qualsiasi tipo (non solo per una questione di soddisfazione personale, ma anche per migliorarmi laddove ci siano critiche costruttive).

Ora tolgo il disturbo, promesso.
Aggiungo solo che l'aggiornamento della storia avverrà ogni lunedì e ogni giovedì
A presto!

PS. Tutte le parti tra virgolette, in corsivo sottolineato, corrispondono ad estratti dai diari. Ho scelto di usare anche la sottolineatura per rendere visivamente l'idea delle righe di un diario, ma se la lettura vi risulta pesante fatemelo sapere e provvederò a trovare un'altra soluzione. Grazie :)

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. Ricominciare ***


CAPITOLO 1
Ricominciare





 
 
Hermione
 
«Finire gli studi è molto importante», disse Hermione battendo con forza i pugni sopra al tavolo.
«Non posso credere che stiate davvero considerando l’idea di saltare l’ultimo anno e passare direttamente al corso di Addestramento Auror!»
«Ma, Mione!» esclamò in protesta Ron. «Abbiamo sconfitto Voldemort! È più importante di un diploma!»
La ragazza fece ruotare gli occhi. «Harry ha sconfitto Voldemort», precisò in tono puntiglioso.
«Ma noi lo abbiamo aiutato!» la interruppe il rosso. «Diglielo anche tu, Harry!»
«E per la cronaca» proseguì imperterrita Hermione, «dovrebbe tornare a Hogwarts anche lui. Ci sono ancora tante cose che non sappiamo!»
«Ma a noi non piace studiare!», obiettò Ron, incrociando le braccia al petto.
«Hermione, Neville sta iniziando il corso quest’anno!» s’inserì il moro. «Saremo noi tre…»
«Sì, ma Neville il settimo anno lo ha frequentato, noi no!»
«Sai che affare, con i Carrow e i Mangiamorte a capo della disciplina… Utilissimo» borbottò Ron sbuffando.
«Oh, fate come volete!» sbottò alla fine la ragazza. «Pensavo solo che sarebbe stato carino finire tutti insieme, visto che nessuno di noi era a Hogwarts lo scorso anno.»
I due si scambiarono un’occhiata colpevole.
«Ma ci sarà Ginny con te», cercò di rincuorarla Harry.
«E Luna», aggiunse Ron, speranzoso.
«Non voglio che torniate perché ho paura di restare sola, grazie tante», s’indispose Hermione. «È che… siamo sempre stati noi tre», mormorò addolcendo il tono di voce. «Con gli altri ho un rapporto diverso e senza di voi non sarà la stessa cosa... Ma se credete che saltare l’ultimo anno sia la scelta giusta, non vi fermerò.»
I ragazzi si diedero il cinque sotto il tavolo, stando ben attenti a non farsi notare dalla loro amica.
«Vado a fare le valigie…»
§
Hermione si sedette sul bordo del letto e chiuse gli occhi.
Respirò a fondo, rassegnata.
Aveva sperato fino all’ultimo momento che Harry e Ron decidessero di tornare a Hogwarts per recuperare il settimo anno.
Erano liberi di fare quello che meglio credevano, ovviamente, anche se lei era davvero convinta che ultimare gli studi fosse una cosa essenziale da fare prima di inserirsi nel mondo del lavoro.
Ma forse loro non avevano bisogno di un anno in più per capire cosa fare della loro vita.
Lei non ne aveva la minima idea.
Harry era sempre stato entusiasta all’idea di diventare un Auror e Ron aveva messo gli occhi su quella carriera prima ancora del moro, per cui aveva solo senso che non perdessero ulteriore tempo.
Ma lei? Lei non aveva mai capito quale strada prendere dopo Hogwarts.
E allora tornarci era un imperativo; forse, quell’anno le avrebbe finalmente aperto gli occhi.
Forse era un bene anche che ci tornasse sola.
Di solito, veniva sempre assorbita da ciò che riguardava Harry e Ron e non aveva abbastanza tempo per pensare a sé stessa, studio a parte.
Ma sperava, dopo un anno vissuto in fuga tra i boschi e qualche mese di vacanza, di poter tornare ad avere un pizzico di normalità.
Hogwarts senza gli altri due terzi del trio non dava affatto l’idea di normalità.
Sospirò, poi tirò fuori la sua bacchetta e iniziò a piegare i suoi vestiti per sistemare il baule.
Normalmente lo avrebbe fatto senza l’uso della magia, ma Hermione negli ultimi tempi si sentiva troppo esausta semplicemente per fare qualsiasi cosa.
Voleva andare a dormire, anche se poi non riusciva mai a farlo veramente.
Se solo avessi ancora il mio diario…”, pensò distrattamente, mentre controllava di aver messo tutto l’occorrente in valigia.
Poco prima della fine del sesto anno, aveva trovato un diario nella Stanza delle Necessità.
C’era una lettera al suo interno che l’aveva colpita.
Risaliva a secoli prima ed era da parte di un ragazzo Purosangue per la sua amata Nata Babbana; nella missiva, il giovane le parlava dell’oggetto in questione, spiegandole di aver lanciato un Incanto Proteus su di esso e sul suo gemello, cosicché avrebbero potuto tenersi in contatto senza destare i sospetti della propria famiglia tradizionalista.
A Hermione, i due amanti avevano ricordato di Romeo e Giulietta e aveva deciso di tenere il diario con sé.
La storia che sembrava esserci dietro, sebbene non avesse idea del suo finale e il resto fosse letteralmente lasciato alla sua immaginazione, le aveva dato, per qualche motivo che non aveva mai capito appieno, speranza.
E in quel periodo, lei aveva un bisogno immenso di speranza.
Per un po’ aveva cercato di recuperare le pagine del diario, ma non importava quello che aveva tentato, quelle si erano ostinate a rimanere vuote.
Finché una notte, quando ancora si trovava a Grimmauld Place e non riusciva a dormire, delle frasi erano apparse all’improvviso davanti ai suoi occhi.
E lei aveva risposto.
Sapeva che non fossero le vecchie note dei due proprietari originari, perché la persona che le scriveva usava un gergo comune e a lei contemporaneo, e quella sua supposizione era stata confermata tempo dopo, quando parlando con quel lui misterioso, aveva avuto la certezza che dall’altra parte ci fosse un Serpeverde, probabilmente parte di una famiglia di Mangiamorte e a disagio con il ruolo della propria famiglia nella guerra.
Hermione era consapevole di quanto fosse rischioso continuare a parlargli, ma non aveva potuto farne a meno; ascoltare i suoi sfoghi e cercare di aiutarlo la faceva sentire utile e se poteva contribuire almeno in parte a salvare uno di quei ragazzi, a far comprendere ad almeno uno di loro che l’ideologia purosanguista era sbagliata e discriminatoria e non poggiava su alcuna base reale, allora lo avrebbe fatto.
Sapeva che ci fosse il rischio di avere incrociato il suo interlocutore a Hogwarts, che quello stesso ragazzo avrebbe potuto essere qualcuno che in passato aveva dato man forte a Draco Malfoy nel tormentarla, ma non le importava veramente.
Tutto ciò che lei aveva intravisto dalle parole che aveva letto su quelle pagine era una persona sola, ferita e tremendamente confusa. E non era il tipo da voltare le spalle a qualcuno in difficoltà.
Così come non era stata capace di abbandonare al loro destino Malfoy e Goyle nella Stanza delle Necessità in fiamme durante la Battaglia di Hogwarts.
Lei non era così.
E forse era la differenza più grande tra lei e i suoi rivali scolastici.
Ad un certo punto, Hermione aveva iniziato a confidarsi a sua volta con quello sconosciuto e sapere di poter parlare tranquillamente, lasciar uscire quello che spesso teneva dentro, senza essere giudicata, le era stato d’aiuto.
Finché non si era lasciata scappare una parola di troppo.
Finché non aveva perso il diario prima di poter scoprire chi fosse venuto in possesso del diario gemello.
Forse, aveva concluso alla fine, era stato meglio così.
Qualcuno bussò alla porta, distogliendola dai suoi pensieri e facendola sussultare leggermente.
«Avanti.»
Harry entrò silenziosamente nella stanza e le rivolse un sorriso dolce.
«Ho scritto alla McGranitt», le disse. «Torno a Hogwarts con te.»
«Che cosa?»
Hermione quasi iniziò a saltellare per la gioia. «Ron?»
Il moro scosse la testa. «Non c’è stato verso di convincerlo. Comunque, Kingsley mi ha assicurato che l’anno prossimo mi ammetterà al corso Auror a prescindere dai risultati finali dei M.A.G.O.»
La ragazza annuì rassegnata. «Cosa ti ha fatto cambiare idea?»
«La foto dei miei genitori sul divano. Continuava a fissarmi accusatoria. Credo che… Insomma, magari mio padre non avrebbe avuto nulla in contrario con la scelta di saltare l’ultimo anno, ma mia madre…»
Hermione sorrise. «Sono sicura che siano entrambi orgogliosi di te, qualsiasi cosa tu scelga di fare, Harry.»
Il giovane rispose al suo sorriso con uno altrettanto caloroso e la strinse forte tra le braccia.
«Tornerò comunque a scuola con te», asserì in tono deciso. «Sento che è la cosa giusta da fare.»
 
***
 
Draco
 
Draco si era svegliato tardi quella mattina.
Non gli era ancora ben chiaro come si sentisse in merito al ritorno a Hogwarts quell’anno.
Era convinto di potersi lasciare alle spalle quella parte della propria vita e se per un attimo aveva creduto che trascorrere il suo anno agli arresti domiciliari al castello, da studente, ripetendo l’ultimo anno dato che per via delle accuse a suo carico e del processo non aveva potuto sostenere i M.A.G.O., fosse preferibile al restare chiuso al Manor in compagnia dei suoi genitori, ora non era più tanto sicuro.
Ci aveva provato, a dare una seconda possibilità a suo padre; era stato amorevole nei suoi confronti nei primi tempi dopo la Battaglia di Hogwarts, lo aveva sostenuto durante il suo processo… Ma aveva anche messo in chiaro una cosa fin dall’inizio: Draco non avrebbe più seguito l’ideologia purosanguista.
E per Lucius Malfoy quello era stato abbastanza per guardarlo con disdegno e ignorare tutti gli sforzi del giovane nei suoi confronti. Non era cambiato poi molto e le sue priorità restavano sempre le stesse. Come potesse non aver imparato nulla dalla guerra e da quello che aveva significato per lui e per la sua intera famiglia, agli occhi di Draco restava un mistero.
Anche sua madre non sembrava apprezzare il suo cambiamento di vedute, ma per lo meno, continuava a comportarsi come al suo solito con lui; non in maniera amorevole, ma neanche come se fosse la più grande delusione sulla faccia della terra. Forse aveva semplicemente deciso di ignorare la faccenda e se questo significava che non gli avrebbe messo i bastoni tra le ruote e che non avrebbe tentato di farlo desistere, a Draco stava più che bene.
Ma il Manor era diventato soffocante, tra le nuove pressioni da parte di Lucius e i ricordi orribili delle cose che aveva visto accadere tra quelle mura durante la guerra.
E Draco era stato così concentrato sull’idea di non vedere i suoi genitori, suo padre in particolare, per un anno, che non aveva riflettuto sulla quantità d’odio che era sicuro di ricevere una volta rimesso piede a Hogwarts.
Potter poteva anche aver testimoniato in suo favore, poteva anche aver visto qualcosa in lui che lo aveva convinto di essere meritevole di un’altra occasione, idea che il Magi-Avvocato dei Malfoy aveva corroborato abbastanza bene da portare il Wizengamot ad assolverlo da tutte le accuse, ma Draco era certo che per il resto del mondo magico le cose stessero molto diversamente.
A partire da lei.
Una parte di lui aveva sperato di vederla comparire accanto a Potter da un momento all’altro, quel giorno… il giorno del suo processo.
Ma Hermione Granger non si era neanche presentata al Ministero quella mattina.
Non che avesse alcun motivo per farlo; durante i loro anni a Hogwarts, Draco era stato orribile nei suoi confronti e lei non aveva la minima idea di aver conosciuto il vero Draco Malfoy dalle pagine di quel diario. Il suo avvocato gli aveva anche detto che l’assenza della ragazza era stata un bene, dal momento che la Granger era stata l’unica dei tre a venire in qualche modo identificata quella notte al Manor, cosa che avrebbe potuto invalidare una delle poche decisioni giuste che Draco aveva preso durante la guerra.
Ma a lui non importava niente di tutto ciò, perché voleva vederla.
Sperava di parlarle.
Non sapeva esattamente da dove avrebbe iniziato, né cosa le avrebbe detto una volta davanti a lei, ma sperava ugualmente di avere la possibilità di scambiare due parole con lei.
C’erano tante cose che voleva fare in merito a Hermione Granger.
Voleva chiederle scusa per come l’aveva trattata a scuola.
Voleva chiederle scusa per non essere intervenuto mentre Bellatrix la torturava.
Voleva dirle che era lui la persona con cui aveva scambiato quella corrispondenza inusuale.
Voleva dirle che era il Draco di quelle pagine quello vero, che l’immagine di sé che lasciava trapelare all’esterno non rappresentava la sua vera essenza.
Voleva chiederle di dargli una possibilità.
Voleva sapere se anche per Hermione quelle conversazioni scritte avessero significato qualcosa, se quello strano rapporto che avevano instaurato con la complicità dell’anonimato poteva avere un futuro, un seguito, nella vita, magari di persona.
Voleva avere il suo perdono.
E soprattutto, voleva diventare meritevole del suo perdono.
Draco era stato sempre solo, ma prima almeno aveva i suoi genitori e un paio di scagnozzi a permettergli di chiudere un occhio sulla questione; ora non aveva neanche quello.
I suoi genitori erano la causa di tutti i suoi mali e lui non era più in grado di fingere che Goyle e Crabbe fossero qualcosa di più di due semplici tirapiedi, di fingere che fossero suoi amici.
Non lo erano mai stati.
Sospirò, mentre ultimava di controllare di aver messo tutto nel suo baule e lo richiudeva.
Si guardò allo specchio per tre lunghi minuti e controllò che tutto fosse al suo posto; la camicia era perfettamente stirata e priva di pieghe, la cravatta perfettamente annodata, i capelli impeccabili come al solito.
Afferrò la sua valigia e si diresse verso il cancello, senza salutare nessuno dei suoi genitori.
Mentre varcava la soglia del Manor e si voltava a dare uno sguardo al luogo in cui era cresciuto, prese una decisione.
Avrebbe tratto il meglio da tutta quella situazione.
Non essere finito ad Azkaban ed essersela cavata solo con un anno di arresti domiciliari e l’obbligo di intraprendere un percorso con un Magi-Psicologo era un buon risultato.
Ma avere la possibilità di tornare a Hogwarts era anche meglio.
Decise che non gli importava di quello che avrebbero pensato le persone, che si sarebbe concentrato esclusivamente su una cosa: redimersi agli occhi di Hermione Granger, guadagnarsi il suo perdono.
Niente Quidditch, niente club, niente perdite di tempo inutili.
Sarebbe stato in disparte, si sarebbe fatto gli affari suoi e si sarebbe concentrato sugli studi, tenendosi lontano dai guai, ignorando occhiatacce varie e sussurri malevoli.
E avrebbe fatto di tutto per ottenere l’amicizia della Granger.
Perché quella era l’unica cosa di cui gli importasse veramente.
E a lui quello sembrava un buon piano di azione.
Mentre si lasciava alle spalle l’enorme cancello di Malfoy Manor, Draco decise di illudersi che per una volta nella sua vita le cose avrebbero potuto girare in suo favore.
 
******
 
'Se avessi saputo tutto questo all'età di undici anni, forse non sarei mai venuta a Hogwarts.
Sarei rimasta con i miei genitori e avrei ignorato la mia magia per il resto della mia vita.
Forse sarei stata su quel ponte lo scorso anno e sarei morta, forse no.
Ma almeno non avrei conosciuto la morte e la disperazione e l'odio.
Non avrei mai capito cosa significa veramente venire perseguitati, considerati inferiori e indegni di essere trattati come esseri umani.'
 
(Dal diario di Hermione, durante la guerra.)

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Capitolo 3
*** Capitolo 2. Piccoli Passi ***


CAPITOLO 2
Piccoli Passi





 
 
Hermione
 
Le cose che perdiamo trovano sempre il modo di tornare da noi. Anche se non sempre come ce l’aspettiamo.”
Luna lo diceva spesso.
Ma come tutte le cose che uscivano dalla bocca della Lovegood, Hermione non ci aveva mai creduto veramente.
Finché non lo aveva trovato.
Due settimane dopo il suo arrivo a Hogwarts, aveva ritrovato il suo diario nel bagno di Mirtilla Malcontenta.
Non aveva idea di come fosse finito lì.
Forse, aveva pensato, era scivolato via dalla sua borsetta di perline quando era andata nella Camera dei Segreti con Ron durante la Battaglia di Hogwarts e nessuno si era premurato di dare un’occhiata a quell’area del castello.
In fondo, era nota per essere in disuso.
Doveva essere così, ma in quel momento non le importava veramente; ciò che contava era averlo riavuto indietro.
Non aveva scritto nulla, però.
Non subito.
C’era qualcosa di diverso nello scrivere quando si trovava in fuga dai Mangiamorte rispetto all’idea di farlo adesso. Sembrava più sicuro farlo in quel periodo, quando era certa di essere lontana dal destinatario delle sue parole.
Adesso, invece, c’era il rischio che la persona dall’altra parte fosse a Hogwarts insieme a lei in quel momento, c’era la possibilità di scoprirne l’identità e che la sua venisse scoperta a sua volta.
Non era sicura di volere che ciò accadesse.
Una parte di lei era curiosa di sapere chi fosse quella persona così tormentata, così complessa, sola e sofferente, per poterla aiutare in maniera più esplicita, per poterci essere in tutti i sensi. Perché da come le scriveva, Hermione aveva dedotto che avesse bisogno di qualcuno su cui poter contare nella vita, qualcuno di affidabile e che potesse costituire una figura, un’influenza, positiva per lui.
Ma l’altra parte di lei era terrorizzata dall’idea di trovarsi faccia a faccia con la persona a cui aveva aperto il suo cuore in quel modo, con qualcuno che non solo le aveva confidato i suoi più intimi pensieri, ma a cui lei, a sua volta, aveva mostrato le proprie debolezze e insicurezze, i propri timori. Il custode dei suoi segreti.
Forse, quel rapporto era bello solo perché fondato sull’anonimato e limitato alla dimensione epistolare. Forse avrebbero rovinato tutto rivelandosi l’uno all’altra.
Tutte quelle possibilità le erano state portate via quando il diario era sparito dalla sua borsetta, il peso di dover decidere come procedere in merito, perché non c’era nulla che potesse fare se non aver cura di quel ricordo.
E anche se le era mancato parlargli, se ne aveva sentito il bisogno più volte da quando aveva perso il diario, Hermione ora non sapeva se averlo ritrovato fosse un bene o un male.
Una settimana dopo esserne tornata in possesso, però, aveva ceduto.
Perché il fatto che non le fosse apparso alcun messaggio quando lo aveva riaperto per la prima volta era un dato allarmante.
Gli era successo qualcosa?
Era morto?
O semplicemente non aveva sentito la sua mancanza come lei aveva sentito la sua?
Per lui il diario non aveva la stessa importanza che aveva per lei?
Lei non significava niente per quella persona con cui aveva condiviso tanto?
‘Hey, ciao. Avevo perso il diario. Ci sei ancora?’
La risposta era arrivata qualche minuto dopo.
‘Sono sempre qui.’
§
«Ti sta fissando di nuovo» bisbigliò Ginny, chinando il capo per avvicinarlo a quello di Hermione senza che gli altri sentissero quelle parole.
Hermione sbuffò. «È dall’inizio dell’anno che fa così» borbottò stizzita. «Che cosa gli prende? Credi che stia tramando qualcosa?»
La rossa scrollò le spalle. «Sai quello che ha dichiarato durante il Processo…»
«Non c’entra» la interruppe l’altra. «Malfoy mi odia a prescindere da quello che pensa sul mio sangue. È con me in generale che ha dei problemi.»
«Beh, non mi sembra che-»
«E comunque, fissare le persone non è educato. Proprio lui che si vanta sempre della sua educazione!»
Hermione sarebbe stata a lamentarsi dell’atteggiamento strano e ambiguo del biondino per almeno un’altra ora, se Dean non avesse preso posto accanto a lei distraendola dalla questione.
Dean era tra gli studenti che erano ritornati per concludere gli studi.
Non tutti avevano optato per immergersi direttamente nel mondo del lavoro, come Ron, senza prima finire il percorso scolastico. Alcuni di coloro che non avevano potuto fare ritorno a scuola durante la guerra avevano ripreso gli studi; ad esempio, nel suo gruppo, ve n’erano altri tre oltre a lei e Harry: Dean, Seamus e Justin Finch-Fletchley.
Justin era stato tra quelli più dubbiosi nel dare a Hogwarts una seconda opportunità, o meglio, al mondo magico in generale; venire discriminati prima e poi perseguitati in quel modo lasciava cicatrici indelebili, che fossero sottopelle come quelle del Tassorosso o visibili, come la scritta Sanguemarcio che Bellatrix Lestrange aveva inciso sul braccio di Hermione.
I quattro trascorrevano il loro tempo per lo più con Ginny, Luna e Dennis Canon, tutti un po’ diffidenti nei confronti della gente che cercava di attirarli. I più li vedevano come dei fenomeni; non erano interessati alla loro persona, a conoscerli, a instaurare una vera amicizia.
Draco Malfoy, invece, era lì come parte del suo percorso riformativo per essere reintegrato in società; Hermione sapeva che il Wizengamot gli aveva posto due alternative: un anno di arresti domiciliari al Manor o ripetere l’ultimo anno di scuola e completarlo.
Non sapeva, però, il motivo che lo avesse spinto a optare per la seconda.
Malfoy aveva abbastanza soldi per rigirarsi i pollici per il resto della sua vita, probabilmente anche per altre cinque vite, non aveva bisogno dei M.A.G.O., non aveva bisogno di assicurarsi una carriera futura, non doveva guadagnarsi da vivere; e non capiva neanche perché non avesse preferito rinchiudersi al Manor invece di affrontare la vergogna e l’emarginazione pubblica che, ne era certa, rappresentavano da sempre il suo peggior incubo.
Perché non erano solo gli studenti delle altre Case, o quelli che si erano scontrati con i Mangiamorte o che avevano perso qualcuno a causa loro, ad evitarlo, ma anche gli stessi Serpeverde che un tempo solevano stendere un tappeto rosso ai suoi piedi prima del suo passaggio. Parte di loro lo reputava un traditore, l’altra, quella che si era discostata dal lato estremista, un Mangiamorte, e i restanti, quelli che erano sempre stati neutrali, temevano di farsi cattiva pubblicità facendosi vedere assieme a lui in alcun modo.
«Buongiorno», esordì Dean sbuffando. «Mi sono scontrato con Nott mentre arrivavo. Chi sostiene che sono cambiati in qualche modo, ha preso un bel granchio.»
Hermione lanciò uno sguardo vittorioso a Ginny, poi chiese al ragazzo se stesse bene.
Dean annuì. «È solo la solita vecchia solfa, sai? Su quanto il loro lignaggio li renda superiori anche se ‘in teoria’, - e sto citando -, ‘non vi è alcuna differenza di sangue’.»
Le due ragazze sbuffarono.
«Non posso credere che gli abbiano permesso di tornare» s’inserì Dennis. «Quelli come Malfoy hanno ucciso mio fratello.»
Un silenzio gelido calò tra di loro.
«Non stavamo parlando di Malfoy» disse Dean, sentendosi adesso a disagio. «Sembra intenzionato a farsi gli affari suoi, quest’anno.»
Harry annuì in appoggio del suo compagno di Dormitorio.
Harry aveva detto a Hermione che, qualche giorno prima del processo, lui e Dean avevano parlato di Malfoy in separata sede e il ragazzo gli aveva confidato delle cose interessanti in merito al biondino; ad esempio, gli aveva rivelato che quando erano a Villa Conchiglia, Luna gli aveva raccontato che durante il suo periodo di prigionia al Manor, Draco faceva sempre in modo di farle avere del cibo e dell’acqua, che a volte scendeva lui stesso a portarglieli, fingendo con i suoi genitori di andare lì a tormentarla un po’.
«La vergogna dev’essere già un problema abbastanza grande da gestire, per lui» commentò aspramente Justin, che stava passando davanti a loro proprio in quel momento.
Salutò Hermione e Ginny con un bacio sulla guancia e i ragazzi con un cenno del capo. «Ci vediamo all’ingresso dopo colazione e poi andiamo a Hogsmeade insieme?»
I Grifondoro annuirono all’unisono.
«Avvisi Luna, per favore?» domandò la rossa. «Non la vedo da ieri ad Astronomia.»
Il Tassorosso annuì e poi riprese la sua camminata verso il tavolo della propria Casa.
«Insomma, pare che i Nott abbiano perso gran parte dei propri averi, non tutti sono stati furbi come Lucius Malfoy» affermò Ginny. «Di nuovo. Assurdo che il Wizengamot lo abbia graziato una seconda volta» precisò poi, «immagino che Draco abbia bisogno dei M.A.G.O. per trovare un lavoro, dopo.»
«Ginny, senza il contributo di Narcissa-», fece per ricordarle Harry, ma non gli lasciarono terminare la frase.
«Di quale lignaggio parlava Nott, allora? Non è manco più ricco da far schifo» considerò Dennis.
Tutti scrollarono le spalle.
«Non facciamoci rovinare la giornata» esclamò positiva Hermione. «Ron e Neville hanno detto che forse riusciranno a raggiungerci, oggi.»
 
***
Draco
 
La guardava.
Non poteva farne a meno.
Ogni volta che entrava in Sala Grande o in un’aula in cui si teneva una lezione a cui sapeva ci sarebbe stata anche lei, - e frequentavano praticamente gli stessi corsi -, la cercava con lo sguardo.
In giardino o a Hogsmeade.
Non lo faceva di proposito, era semplicemente più forte di lui.
Ed era consapevole di fissarla un po’ troppo, perché a volte si girava nella sua direzione, probabilmente sentendosi osservata… Ormai era persino diventato bravo a dissimulare quando accadeva.
Ma lui proprio non poteva farne a meno.
Il mondo iniziava e finiva con Hermione Granger da un bel po’.
Avrebbe voluto trovare il coraggio di avvicinarla, chiederle scusa per tutto ciò che aveva fatto, in particolare per ciò che aveva fatto a lei, ma… ma restava un codardo.
“Un maledetto codardo è tutto ciò che sono sempre stato” si rimproverava mentalmente.
Due settimane dopo l’inizio della scuola, però, verificata la sua incapacità nel parlarle e sentendosi soffocare da quella nuova quotidianità che lo aveva destabilizzato, portandolo a desiderare di leggere le parole rassicuranti della Grifondoro, Draco aveva preso una decisione.
Avrebbe trovato il modo di farle riavere il diario.
Era rischioso, certo, ma non aveva molte altre opzioni a sua disposizione.
Aveva bisogno di parlarle, in qualche modo.
Anche se lei non avrebbe mai saputo che era lui.
Poteva accontentarsi di quella magra consolazione, per il momento.
Lo aveva lasciato nel bagno di Mirtilla Malcontenta, perché durante la Battaglia di Hogwarts aveva sentito dire a lei e Weasley di essere stati nella Camera dei Segreti e forse ritrovarlo lì non le avrebbe destato troppi sospetti.
Aveva scelto una sera in cui, durante la ronda, il fantasma aveva deciso di allagare il bagno e sapeva che Hermione si sarebbe fiondata a risolvere la situazione, che avrebbe trovato lei il diario.
Era rimasto nascosto dietro una colonna per accertarsene.
E alla fine lo aveva trovato davvero, anche se non gli aveva scritto per una settimana; per un momento, Draco aveva pensato che non lo avrebbe fatto mai più.
Era stato più volte sul punto di iniziare la conversazione egli stesso, ma non avrebbe retto il rifiuto di parlargli una seconda volta, sebbene la prima non fosse dipesa da lei.
Avevano pian piano ripreso a parlare, a scriversi, e le cose sembravano andare un po’ meglio adesso che poteva di nuovo confidarsi con lei.
Ma ben presto, per Draco quello non era più abbastanza. Non quando sapeva che la persona che lo faceva stare bene si trovava a due passi da lui e non poteva parlarle.  
Le aveva scritto anche quello nel diario, che era un codardo, che c’era qualcuno con cui doveva parlare e non riusciva a farlo, ma quello gli aveva risposto che il coraggio si trovava nelle piccole cose.
E allora aveva iniziato dalle piccole cose; come passarle un libro poggiato su uno scaffale troppo in alto o gli ingredienti di Pozioni se era in coda dietro di lui… ma lei si limitava a sgranare gli occhi, battere le palpebre una volta più del necessario, borbottare un «ehm, grazie» confuso e dileguarsi subito dopo.
Continuava a studiarlo come se si aspettasse che le giocasse qualche tiro mancino da un momento all’altro o che la potesse insultare nei corridoi.
Ma lui voleva solo fare l’opposto.
Voleva scusarsi.
Avvicinarla era impossibile; l’eroina del mondo magico aveva sempre gente attorno che cercava di diventare suo amico, o qualcosa di più, o di ingraziarsela in qualche modo.
E lui, invece, era un emarginato; un ex-Mangiamorte che aveva fatto entrare i seguaci di Voldemort tra le mura del castello e giocato un ruolo nell’assassinio di Albus Silente.
Se solo avesse provato ad avvicinarsi a lei, l’intera scuola gli sarebbe saltata alla gola immediatamente.
Era esattamente come aveva immaginato che sarebbe stato prima di partire.
Non importava che Potter avesse testimoniato in suo favore, o che non avesse mancato neanche una seduta con la sua Magi-Psicologa, o che avesse ammesso sotto Veritaserum di aver fatto quello che aveva fatto durante la guerra sotto minaccia e di non dare più alcuna importanza alla differenza di sangue, per la gente lui sarebbe stato sempre il ragazzo che non aveva fatto altro che prendere decisioni sbagliate per tutta la vita.
Bullo. Snob. Viziato. Prepotente. Razzista. Mangiamorte.
Ma Draco non era più niente di tutto quello… solo che a nessuno importava di scoprirlo.
Poteva andargli peggio, comunque.
Poteva venire bersagliato; invece, lo isolavano e basta.
Solo un mese prima lo avrebbe trovato perfetto; niente distrazioni, focus sullo studio, mantenere un profilo basso e tenere lontana qualsiasi fonte di guai, nella speranza di riacquistare il minimo di rispettabilità che gli avrebbe concesso anche solo di sperare di poter intraprendere una carriera dopo Hogwarts. Non perché ne avesse bisogno, ma perché si sentiva un po’ sprecato a rigirarsi i pollici nel Manor, luogo che comunque ormai odiava a causa degli avvenimenti accaduti lì durante la guerra.
Uno in particolare.
La tortura di Hermione Granger per mano di Bellatrix Lestrange.
Era il suo incubo più ricorrente e il suo rimorso più grande; aver permesso che le accadesse quello davanti ai suoi occhi e non aver avuto il fegato di muovere anche solo un muscolo per aiutarla.
Ci avrebbe dovuto convivere per sempre.
E non se lo sarebbe perdonato mai.
§
Draco sapeva che si sentiva osservata.
Come al solito, come sempre.
Ma non c’era nessuno attorno a lei, nessuno che potesse vedere.
Lui era ben nascosto dietro una colonna; Hermione era da sola sotto un albero ad attendere i suoi amici.
Avrebbe potuto parlarle; avrebbe potuto uscire dal suo nascondiglio, avvicinarsi a lei e dirle che gli dispiaceva.
Gli avrebbe creduto?
Lo leggeva nei suoi occhi quando lo guardava che si aspettava ancora il peggio da lui; era evidente. Sospirò e scosse la testa, per poi scivolare lungo il corridoio e dirigersi verso il suo dormitorio.
Lui a Hogsmeade ci andava solo se aveva bisogno di acquistare qualcosa, scortato da un docente perché non gli era concesso andarci autonomamente; e anche se avesse potuto farlo, comunque, non ci sarebbe andato ugualmente. Non era molto divertente andarsene in giro in compagnia di sé stessi, d’altronde… anche se Draco non era mai solo veramente. I suoi demoni interiori e i suoi sensi di colpa non lo abbandonavano mai.
Entrò nella sua stanza e sbuffò sonoramente.
Una stanza privata, nei Dormitori dei Caposcuola.
Aveva riso quando aveva scoperto di essere stato nominato Caposcuola; si era interrogato sulle motivazioni che avessero potuto spingere la McGranitt ad affidargli una tale carica, ipotizzando qualche sorta di giustificazione del tipo ‘dimostrare alla gente che si può cambiare’ o ‘l’importanza di dare una seconda possibilità’… finché non era tornato a scuola e aveva realizzato che probabilmente lo aveva scelto solo perché nessuno a Serpeverde lo voleva attorno, figurarsi condividere il Dormitorio con lui.
Il suo problema principale era che divideva quella sede con la Granger, ma era come se ci vivesse da solo; poteva sembrare facile parlare con una persona che doveva attraversare la sua stessa Sala Comune per raggiungere le proprie stanze o per uscire dal Dormitorio per andare a lezione, ma non lo era. Lei evitava sempre di farsi trovare in giro quando lui non era in camera sua.
Draco non capiva come facesse.
Aveva studiato i suoi orari?
Non poteva essere.
In fondo, aveva anche tentato di agire fuori dagli schemi e non era comunque riuscito a beccarla neanche una volta.
Sbuffò nuovamente, lasciandosi cadere pesantemente sul materasso del suo letto.
Si sentiva solo, tremendamente solo.
“Sei sempre stato solo”, rammentò a sé stesso, per poi scuotere la testa.
«Questo è diverso», sussurrò tristemente.
Non scese in Sala Grande per la cena, quella sera.
Non aveva fame.
Non aveva quasi mai fame, ormai.
Mangiava, ma lo faceva come un atto ordinario e meccanico.
Sentì la porta della stanza della Granger sbattere e il rumore riecheggiare nel silenzio della loro Sala Comune.
Restò a guardare il cassetto del suo comodino per una manciata di minuti, poi scattò a sedere e lo aprì.
Tirò fuori un taccuino di cuoio e vi fece scorrere le dita sopra con lentezza, cercando di stabilire se fosse una buona idea o meno aprirlo.
Qualsiasi cosa gli suggerì di fare la sua mente, perse d’importanza, perché alla fine Draco lo fece ugualmente.
Afferrò una piuma e la intinse in una boccetta d’inchiostro.
Quello era il suo modo di gestire la solitudine.
Buonasera.
Attese qualche secondo, mentre si mordicchiava l’interno della guancia.
Buonasera a te.’
Rispondeva sempre.
Il diario rispondeva sempre.
Il diario non lo odiava.
Ma la persona dietro ad esso probabilmente sì.
E se quella avesse scoperto la sua identità, lo avrebbe odiato anche il diario e sarebbe diventato silente per sempre.
Il diario non sapeva il suo nome.
‘Oggi è una giornata un po’ più dura delle altre.
Ho di nuovo mandato all’aria l’occasione di parlarle…’
E non avrebbe mai dovuto saperlo.
Draco sapeva che era rischioso parlarle così schiettamente, e di sé stessa, tra l’altro. Le stava chiedendo consiglio su come comportarsi con la ragazza che gli stava mandando in pappa il cervello e lei non aveva la minima idea che si trattasse di sé stessa. Era un gioco pericoloso da fare, ma non aveva nessuno a cui rivolgersi, nessuno a dargli consiglio.
A parte quel diario.
Non era preoccupato del fatto che potesse capire che ci fosse lui dietro a quelle parole; se c’era una cosa che aveva ormai appurato, era che Hermione non aveva preso in considerazione neanche per un secondo l’idea che lui potesse essere veramente cambiato, o avere qualche interesse nei suoi confronti. Inoltre, non era l’unico Serpeverde a disagio nella propria pelle, solo che gli altri che si trovavano nella sua stessa situazione, - o meglio, in una situazione simile alla sua dato che era l’unico con quello schifoso Marchio impresso sul braccio -, come ad esempio Blaise Zabini e Daphne Greengrass, si spalleggiavano a vicenda.
Ma lui non aveva nessuno.
Molti di loro lo odiavano anche solo per il fatto di essere il figlio di Lucius, che aveva spedito ad Azkaban più di un genitore dei suoi compagni per salvarsi la pelle, e non gli avrebbero mai dato una possibilità. Goyle non era tornato a Hogwarts dopo la morte di Crabbe e Draco non era neanche sicuro che avrebbe voluto averlo attorno, comunque; voleva tagliare i ponti con il suo passato. Con ogni aspetto del suo passato.
Non poteva neanche fare gruppo con gli altri figli di Mangiamorte che avevano voltato le spalle all’ideologia purosanguista, perché lui, a differenza loro, era stato in risalto durante la guerra. Per via del Marchio sbiadito che aveva sull’avambraccio e continuava a guardarlo accusatorio, giudicandolo, costantemente. Rigirando il coltello nella piaga, impedendogli di reprimere in alcun modo il disgusto verso sé stesso. Ricordandogli costantemente chi fosse stato e quello che aveva fatto. Un promemoria perenne dei suoi sbagli.
‘Ricordati quello che ti ho detto.
Piccoli passi.’
Draco sbuffò.
‘Non importa cosa faccia! Anche se le chiedessi scusa, non mi crederebbe mai.
Penserebbe che sto tramando qualcosa per umiliarla o farla soffrire.
Il diario si prese qualche istante prima di rispondergli, quella volta.
‘Allora, mostrale che sei cambiato.
Falle vedere che non sei più la stessa persona di prima e, da quello che mi hai detto di lei, la incuriosirai abbastanza da portarla ad ascoltarti.
Abbastanza da darti una possibilità di farti conoscere veramente da lei.’
Il biondino non riuscì ad impedirsi di ridere brevemente a quelle parole.
«Questo è ridicolo!» esclamò tra sé e sé. Si passò le mani sul volto, frustrato.
«Al San Mungo dovevano rinchiudermi…»
Non poteva continuare così, ne era consapevole.
Quel diario sarebbe stato la sua rovina.
In quelle pagine, Hermione continuava ad alzargli il morale, a incoraggiarlo… ma lui i suoi consigli non riusciva a seguirli e al contempo, per colpa di quelle briciole di speranza che gli dava, non riusciva a scrollarsi la cosa di dosso.
Ma non riusciva neanche a smettere di scrivere.
Perché il diario era l’unico a parlare con lui.
Perché attraverso il diario, almeno, riusciva a parlare con lei.
‘Come sai se sono veramente cambiato?
Tu non sai chi sono e cos’ho fatto.’
Scribacchiò freneticamente.
‘Hai ucciso qualcuno? Hai mai fatto qualcosa di irreparabile?’
Draco impallidì davanti a quella domanda.
Non lo avrebbe fatto mai; non avrebbe mai ucciso qualcuno, neanche sotto costrizione.
Non sarebbe mai stato capace di farlo e di certo non lo era mai stato.
Aveva usato la Cruciatus su Rowle, con le minacce che Voldemort gli sussurrava in sottofondo nel caso in cui si fosse rifiutato di farlo o se avesse fallito, ma non sarebbe mai arrivato a tanto.
Non avrebbe mai usato l’Avada Kedavra.
Come aveva potuto chiedergli una cosa del genere?
Le aveva detto abbastanza da poter pensare di conoscerlo, no?
‘NO!’
Le sue mani iniziarono a tremare. Avrebbe fatto meglio a tenere per sé quello sbotto. Ma era difficile restare lucido quando attraverso il diario lei gli faceva capire di credere in lui, mentre quando la incontrava per i corridoi rendeva palese che lo facesse solo perché non pensava che ci fosse lui dall’altra parte.
Gli faceva saltare i nervi quella dicotomia tra i suoi atteggiamenti.
Gli faceva sospettare che se la Granger avesse saputo di aver parlato con lui per tutto quel tempo, si sarebbe rimangiata tutto quello che gli aveva detto, solo per il semplice dettaglio che fosse Draco Malfoy. Che tutto ciò che le aveva confidato avrebbe immediatamente perso importanza, se avesse scoperto che non era un altro Serpeverde qualsiasi, ma lui.
‘Cosa pensi dei Nati Babbani?’
Rispose ancora il diario.
Draco sospirò.
‘Il vostro sangue è uguale al mio.’
‘E cosa pensi dei Mangiamorte?’
Il ragazzo si mordicchiò il labbro inferiore.
‘Sono degli invasati psicopatici.
Mio padre incluso.’
Il diario attese qualche istante. Forse avrebbe dovuto smettere di riferirsi ad esso come ‘il diario’. Era un tentativo di separarlo dalla persona che ci scriveva e ciò non poteva portargli alcun beneficio, solo incasinargli ulteriormente la testa.
Se lo avesse detto alla sua Magi-Psicologa, ci sarebbe andata a nozze.
O si sarebbe messa le mani tra i capelli per la disperazione di dover capire come aiutare un tipo incasinato come lui.
‘Cosa faresti se potessi tornare indietro?’
Draco chiuse gli occhi e scribacchiò distrattamente la sua risposta.
‘Chiederei aiuto.
Me ne tirerei fuori fin dall’inizio.’
‘E con lei? Come ti comporteresti con lei se potessi tornare indietro nel tempo?’
Strinse la mano sinistra in un pugno, avvertendo l’odio e la rabbia verso sé stesso riemergere e irradiarsi in ogni fibra del suo corpo.
‘Cambierei tutto.’
Ci fu un momento in cui non comparve più alcuna parola sul diario e per un istante, il biondino pensò che la Granger si fosse messa a dormire. Ma poi l’inchiostro apparve lentamente, formando un ulteriore quesito.
‘Allora, pensi di essere cambiato?’
Draco sospirò sconfitto.
‘Sì. Ma lei no.’
‘Non importa cosa possa pensare io, o cosa pensi lei adesso. Sai di essere una persona migliore, ora. Stai provando a diventare una persona migliore. E sicuramente hai ancora tanta strada da fare. Ma se per te è così essenziale che lei capisca che stai cambiando, fagli vedere questo. Fagli vedere questi passi avanti che hai fatto. E soprattutto, apprezzali tu stesso.’
Draco si morse il labbro inferiore e restò a fissare quelle parole finché non svanirono, lasciando nuovamente la pagina immacolata.
‘Credi che questo sia abbastanza?’
Scarabocchiò con dita tremanti, la sua scrittura che rifletteva l’insicurezza che provava in quel momento.
‘Per me lo sarebbe.’
Il biondino chiuse gli occhi e lasciò ricadere il capo pesantemente sul cuscino.
Falle vedere i piccoli passi avanti che hai fatto”, ripeté a sé stesso.
Trova il modo di farglieli notare. Ha detto che per lei sarebbero abbastanza. Forse sarebbero abbastanza anche se sapesse che si tratta di me.”
 
******
 
‘Non era quello che mi aspettavo quando ho accettato di frequentare Hogwarts.
Non credevo facesse alcuna differenza da dove provenivo.

Ora so che avrà sempre importanza…
Che per qualcuno non sarò mai abbastanza degna della mia bacchetta.
Che qualcuno penserà sempre che dovrei morire, anche se non ho fatto nulla di male per meritare una cosa del genere.
Adoro la magia, ma forse non vale il prezzo che bisogna pagare per averla, se si è come me.
Di certo, non vale quanto ho dovuto pagare io.'
 
(Dal diario di Hermione, durante la guerra.)

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Capitolo 4
*** Capitolo 3. Cambiamenti ***


CAPITOLO 3
Cambiamenti





 
 
Hermione

 
«È assurdo!», sbottò Seamus, lasciando cadere sul tavolo i libri che aveva recuperato dagli scaffali della biblioteca.
Hermione gli rivolse un’occhiataccia, ma non dovette dire nulla perché Madama Pince, attirata dal tonfo causato dal gesto del Grifondoro, intervenne al posto suo, rimproverandolo prontamente.
«È una biblioteca questa, signor Finnigan!», trillò facendo sbucare il capo tra le mensole. «E ai libri si porta rispetto.»
«Mi scusi, Madama Pince», cantilenò lui senza alcuna traccia di sincerità.
Hermione sbuffò.
«La McGranitt e gli altri insegnanti devono essersi bevuti il cervello!» continuò poi, accomodandosi e spostando lo sguardo da un compagno all’altro.
«Coppie miste per i progetti, sedersi ai banchi accanto a qualcuno di un’altra Casa, obbligatoriamente… Insomma, non ho problemi a sedermi e collaborare con quelli di Tassorosso e Corvonero, ovviamente. Ma i Serpeverde…»
«Stanno cercando di incentivare la cooperazione tra le Case, Seamus», lo interruppe la ragazza, irritata. «E i Serpeverde fanno parte di una delle Case di Hogwarts, nel caso in cui lo avessi dimenticato.»  
«Sì, ma…»
«Escluderli non ci renderebbe migliori di quanto non lo siano stati loro finora», intervenne Harry. «Dobbiamo impegnarci per fare meglio di quanto non abbiamo fatto prima della guerra. Tutti noi. Anche loro possono cambiare, se gli diamo la possibilità di farlo.»
«Beh, non abbiamo iniziato noi l’astio tra le nostre Case, no?», insisté Seamus, sbuffando.
«Se vengono esclusi è solo colpa loro. Sono degli emeriti idioti!»
«Alcuni di loro non sono così male», lo interruppe il Prescelto, arrossendo leggermente.
Hermione non riuscì a reprimere un sorriso a quelle parole.
Harry faceva coppia con Daphne Greengrass già da una settimana e i due sembravano andare molto d’accordo. Hermione era convinta che si piacessero, ma pensava fosse troppo presto per sollevare la questione con il suo migliore amico.
Piccoli passi avanti e un passo alla volta, soprattutto.
Tutto a suo tempo.
Il loro compagno di Grifondoro esibì un’espressione scettica a quelle parole. «Voi a Trasfigurazione non siete in coppia con Pansy Parkinson!»
Dean soffocò una risata. «Ti è andata male, amico. A me è capitata Tracey Davis, non parla molto, ma è tranquilla.»
«Hermione, tu stai con Zabini, vero?», chiese allora Seamus. «Dimmi che almeno lui è uno stronzo.»
La ragazza rise. «No, sei stato l’unico sfigato, mi dispiace. Blaise è, in realtà, uno spasso.»
«Beh, vedi di arrivare presto a Pozioni, allora. Perché se arrivo prima di te e Lumacorno aderisce a questa iniziativa, te lo soffio e con la Parkinson ci stai tu in quella materia.»
«Non se ne parla», asserì lei, convinta. «A me darebbe il tormento molto più di quanto non faccia con te.»
«Chi primo arriva meglio alloggia, Hermione.»
§
«Quindi, Ron non sa che ti vedi con Blaise», dedusse Hermione mentre si recavano presso il bagno dei Prefetti per fare un bagno.
Ginny scosse il capo.
Era diventata Prefetto quando Hermione aveva ottenuto il ruolo di Caposcuola, mentre Harry aveva sostituito Ron, mantenendo anche la carica di Capitano della squadra di Quidditch.
Non c’era nessuno a protestare per il titolo perso, dal momento che i Mangiamorte avevano abolito il Quidditch l’anno prima.
«Non vedo perché dovrei dirglielo. Insomma, siamo solo amici e lui ne farebbe una tragedia.»
Un sorrisetto malizioso comparve sul viso di Hermione a quelle parole. «Sì? Solo amici?»
«Giuro. L’anno scorso, Blaise mi ha coperta con i Carrow più di una volta e nel frattempo ci siamo avvicinati, ma non sono sicura che sia abbastanza affinché Ron gli dia una possibilità come persona.»
«È simpatico, Zabini», disse Hermione sprofondando nell’acqua calda e schiumosa dell’enorme vasca al centro della stanza. «Sono in coppia con lui nelle ore di Trasfigurazione.»
«Sì, già lo scorso anno sembrava aver accantonato i suoi pregiudizi da Purosangue snob, quest’anno poi… Insomma, li ha completamente superati ora. Ha detto che la guerra ha aperto gli occhi a molti di loro, sebbene alcuni fatichino ancora ad accettarlo o ad abbandonare le vecchie abitudini.»
Hermione scrollò le spalle. «Altri invece non le supereranno mai, temo. Tipo la Parkinson.»
Ginny annuì. «Non so come si possa essere così ottusi. Perché è qui, tra l’altro?»
«Harry pensa che sia tornata nella speranza di riuscire a recuperare la sua presa su Malfoy.»
«Sul suo patrimonio, vorrai dire», precisò la rossa.
Una smorfia comparve sul viso di Hermione a quelle parole.
«La loro politica è veramente disgustosa e retrograda.»
«Ti sorprende?», le chiese l’amica, sollevando un sopracciglio.
Hermione scosse il capo. «Purtroppo, no.»
«Non l’ho vista molto attorno a Malfoy, però», considerò Ginny, mentre giocava distrattamente con le bolle di sapone che si levavano dalla vasca.
«Pare che abbia chiuso con lei a metà dell’anno scorso e che da quando siamo tornati non faccia che evitarla», aggiunse poi, ripetendo le parole che aveva sentito dire qualche giorno prima a un gruppo di ragazzine pettegole del quinto anno.
«Draco è strano, quest’anno», commentò Hermione sovrappensiero. «Intendo, più del solito. È come se avesse smarrito sé stesso all’inizio del sesto anno e ora stesse cercando di ritrovarlo in qualche modo. Ha quello sguardo un po’ perso…»
«Perché credi che abbia allontanato la Parkinson?» indagò Ginny. «Insomma, non è che abbia molti amici… è sempre da solo, per i fatti suoi. Non ha nemmeno tentato di riavere il suo posto da Cercatore nella squadra di Quidditch.»
Hermione fece spallucce. «Chi potrebbe dirlo? Cosa sappiamo veramente di Draco Malfoy per poter fare delle supposizioni?»
La rossa le rivolse un sorrisetto beffardo. «Sappiamo che ti fissa continuamente mentre crede di non essere visto.»
La compagna di Casa scoppiò a ridere. «Stai insinuando che Malfoy possa avere un qualsiasi tipo di interesse verso di me adesso, Ginny?»
Lei scrollò le spalle. «Non si sa mai, di questi tempi. Hai visto Harry e la Greengrass?»
«Per favore», la interruppe Hermione, ridendo. «Malfoy potrà anche aver abbandonato alcuni dei suoi vecchi modi, ma non ci vedrai mai seduti allo stesso tavolo a parlare amichevolmente.»
La rossa le rivolse un’occhiata dubbiosa, ma non obiettò. «Sai se tra Harry e Daphne c’è qualcosa? Li ho visti spesso insieme in giardino, anche dopo le lezioni…»
Hermione si mordicchiò il labbro inferiore. «No, Ginny. Non so niente, mi dispiace. Ma… pensi ancora a lui?»
«No, non in quel senso… cioè, le cose si sono raffreddate dopo un anno trascorso lontani l’uno dall’altra e per via delle esperienze diverse che abbiamo fatto durante la guerra… Ma gli voglio bene, non voglio che soffra. E fidarsi di un Serpeverde non è mai facile... è praticamente un salto nel vuoto.»
Hermione annuì. «Harry sa badare a sé stesso. E posso dire altrettanto di te» rispose alludendo a Blaise, un amo a cui la piccola di casa Weasley non abboccò.
Invece, le rivolse un ampio sorriso. «Tu e Ron avete più discusso del, ehm, vostro rapporto?»
«No, credo che continuiamo ad essere entrambi d’accordo sul fatto che una relazione romantica tra noi due non porterebbe da nessuna parte», le rispose l’altra, facendosi d’un tratto pensierosa. «Ci conosciamo troppo bene e siamo troppo diversi. Siamo stati insieme per tre mesi e non è scattato nulla di tutto quello che avevo pensato sarebbe scattato tra di noi, se ci fossimo dati una possibilità.»
Ginny sospirò. «Peccato, mi sarebbe piaciuto averti come cognata.»
«Fai sempre e comunque parte della mia famiglia, per me, Ginny.»
 
***
Draco
 
Come facesse Theodore Nott a non accorgersi che Pansy fissava Draco per tutto il tempo, - anche se restava appiccicata al suo braccio -, restava un mistero per il biondino.
Lo trovava incredibilmente irritante.
C’era stato un tempo in cui Pansy era l’unica persona in tutta Hogwarts che gli piaceva veramente; un tempo in cui era stupido e viziato e indossava un paraocchi che gli impediva di osservare la realtà e di interpretarla correttamente, per quello che era veramente.
Quel paraocchi era andato distrutto tempo prima, quando si era reso conto di cosa significasse davvero essere un Mangiamorte e di quanto l’ideologia purosanguista fosse sbagliata, di quanto male quelle convinzioni bigotte ed errate avessero causato e di quanto lui stesso fosse stato un idiota a crederle vere e a rendersene prosecutore.   
Ma Pansy Parkinson non faceva parte dell’elenco dei figli dei Mangiamorte che avevano riconosciuto gli sbagli dei propri padri e se n’erano dissociati; i precetti con cui era stata cresciuta erano rimasti ben radicati in lei, non aveva mai vacillato, né prima, né dopo, né durante la guerra.
Draco l’aveva lasciata una sera in cui non era stato più in grado di sopportare il tono carico di orgoglio con cui parlava del Marchio sul suo braccio.
Aveva notato, durante un momento di improvvisa realizzazione, che Pansy amava di lui tutto ciò che lui odiava di sé stesso; aveva realizzato che, nonostante gli anni trascorsi assieme, la ragazza non si era minimamente accorta di quanto lui stesse male, di quanto stesse soffrendo in realtà. Aveva capito che per quanto a Pansy Parkinson potesse importare di lui, ci sarebbe stata una cosa, sopra a tutto il resto, di cui le sarebbe sempre importato di più: i suoi soldi, il suo lignaggio.
Perché lei non era come la persona che gli scriveva nel diario e che a quel tempo ancora non sapeva fosse Hermione Granger.
Pansy non lo avrebbe mai messo al primo posto e restare con lei avrebbe significato arrendersi a un futuro caratterizzato da rapporti freddi e distaccati, puramente politici, senza alcun tipo di supporto emotivo reciproco. Perché le emozioni erano debolezze nel loro mondo e in quanto tali dovevano essere soppresse.
Pansy era come tutte le altre ragazze Purosangue che aveva sempre avuto attorno, che erano state cresciute come lui e con valori distorti dai quali lui si stava progressivamente e rapidamente allontanando.
E non poteva restare al suo fianco.
Perché lui voleva di più, voleva di meglio.
E anche perché lei non avrebbe mai accettato le sue nuove posizioni e lui non sarebbe mai tornato indietro da quella scelta.
Era l’unica scelta giusta che avesse mai fatto in vita sua.
Pansy ci aveva impiegato un po’ prima di arrendersi con lui, ma alla fine i suoi genitori dovevano averle fatto pressioni e aveva dovuto cercare un altro candidato da sposare un giorno, perché al suo ritorno a Hogwarts, Draco l’aveva trovata a braccetto con Theodore Nott.
La famiglia Nott era caduta molto più in basso dei Malfoy nel dopoguerra.
Nott Senior non era tra coloro che erano fuggiti quando Potter si era rivelato ancora vivo e neanche tra quelli che avevano deposto le armi e si erano rifiutati di combattere al fianco di Voldemort. Era stato arrestato dopo la Battaglia di Hogwarts e condannato alla prigione a vita. I Nott avevano perso gran parte dei loro averi per ripagare i danni di guerra e non erano mai stati ricchi quanto i Malfoy, per cui l’impatto della condanna sul loro patrimonio era stato ingente.
Draco aveva udito da voci di corridoio che Pansy avesse messo prima gli occhi su Zabini, ma che il ragazzo non le avesse affatto dato corda; tornando a Hogwarts, il biondino aveva capito perché: Blaise e le Greengrass erano tra i pochi Serpeverde che avevano dichiarato pubblicamente di non condividere le azioni e gli ideali dei propri genitori e di volersi distaccare da essi e dalla loro immagine.
Era stato facile per la gente credere alla loro buona fede; loro non avevano il Marchio Nero impresso sull’avambraccio, non avevano attirato molta attenzione quando avevano sbeffeggiato qualcuno a Hogwarts durante i primi anni di scuola, non avevano aiutato i Mangiamorte ad entrare nel castello.
Draco sbuffò e lasciò cadere la sua forchetta nel piatto, senza preoccuparsi minimamente del tintinnio che l’impatto avrebbe prodotto.
Che senso aveva preoccuparsi delle proprie maniere, quando tutti lo giudicavano comunque una persona negativa, qualcuno da cui tenersi alla larga?
Si alzò scocciato e irritato dal suo posto al tavolo dei Serpeverde, dove sedeva un po’ isolato dal resto dei compagni di Casa, per poi lasciare la Sala Grande a grosse falcate.
Non ne poteva più di sentire lo sguardo di Pansy su di sé, che lo fissava avida e come se non fosse altro che un pezzo di carne; una volta realizzato che la Granger non era più seduta al tavolo dei Grifondoro, comunque, aveva perso qualsiasi parvenza di appetito, per cui indugiare oltre non aveva alcun senso.
Durante il pasto era stato così immerso nei suoi pensieri da non essersi neanche accorto che se ne fosse andata.
E in quel momento era così nervoso da non essersi acconto che Pansy lo aveva seguito.
«Draco!», si sentì chiamare all’improvviso, quando era a metà strada dal suo Dormitorio.
«Draco, aspetta!»
«Che vuoi, Pansy?», domandò sbuffando, senza neanche voltarsi a guardarla o arrestare, né rallentare, i suoi passi.
«Volevo solo… Senti, mi manchi, ok?»
Il biondino alzò gli occhi al cielo. «Nott ti ha regalato qualcosa al di sotto delle tue aspettative per il tuo compleanno?»
«E questo cosa vorrebbe dire?», ribatté lei con un acuto. «Non dirmi che sei geloso.»
Draco si arrestò di colpo e si lasciò andare ad una risata sardonica. «Non sono geloso, Pansy. Sto semplicemente constatando dei fatti.»
La ragazza sbuffò e incrociò le braccia al petto. «Non dev’essere così tra noi, sai? Ho capito che davanti al resto del mondo fingi di essere cambiato, ma con me non devi farlo. Puoi essere te stesso. A me piaci così.»
Le sopracciglia del biondino si sollevarono all’insù.
«Io non sto fingendo», le disse gelido. «E tu non sai niente di quello che sono veramente.»
La risata stridula di Pansy lo costrinse a voltarsi nuovamente verso di lei. «Ti sono stata a fianco per anni, Draco.»
Draco si inumidì le labbra e assottigliò gli occhi. «Non sono più quella persona.»
«Certo», commentò lei ruotando gli occhi, poi iniziò a guardarlo lasciva. «Smettila di negare con me, Draco… Non ne hai bisogno, non ne hai mai avuto bisogno… sai che so come farti stare bene.»
Gli si avvicinò e fece scivolare le mani sul suo petto; si alzò sulle punte, sorridendo quando vide il volto del biondino andarle incontro, tendersi verso di lei, farsi strada tra i suoi capelli, fino a raggiungere il suo orecchio.
«Tieni il tuo culo opportunista lontano da me, Pansy», sibilò freddamente Draco, poi arretrò bruscamente e riprese a camminare così velocemente che, quando Pansy si fu riscossa dalla delusione che quelle parole le avevano causato, lui era già sparito dalla sua visuale.
§
Entrò nel Dormitorio dei Caposcuola sbuffando sonoramente e lasciando che la porta sbattesse alle sue spalle.
Era ancora irritato per via della sua conversazione con Pansy quando un urletto spaventato e il rumore di una tazza che si infrangeva sul pavimento lo fecero sobbalzare.
Draco alzò lo sguardo e la vide lì, in piedi davanti a sé, che dava le spalle alla finestra.
Si pietrificò all’istante.
La Granger lo fissava con gli occhi sgranati e con la bacchetta sguainata, puntata dritta contro di lui.
Draco sbatté le palpebre per qualche istante, spiazzato, poi alzò le braccia e le mostrò i palmi delle mani in segno di pace.
«Malfoy, dannazione!» esclamò lei sospirando e mettendo via la bacchetta. «Non sbucarmi alle spalle in quel modo!»
La ragazza si piegò sulle ginocchia e aggiustò la tazzina con un Incantesimo, poi ripulì il pavimento.
«Lo sai che avrebbero potuto farlo gli elfi?» le disse in tono piatto, alzando un sopracciglio.
La Grifondoro rispose rivolgendogli un’occhiataccia.
Bella mossa, Draco”, pensò irritato da sé stesso. “Ora ti ascolterà di sicuro.
Era la prima volta che la sorprendeva da sola, nella Sala Comune di quel dormitorio che condividevano esclusivamente loro due e in cui avrebbero potuto parlare senza interferenze da parte di terzi, ed era riuscito a mandare all’aria persino quell’occasione di parlarle, dopo aver aspettato per settimane che tale circostanza si verificasse.
Decise di riprovarci.
«Non era mia intenzione spaventarti.»
Hermione scrollò le spalle e si voltò per rimettere la tazzina al suo posto.
«Vecchie abitudini.»
Dai tempi della guerra, sicuramente”, rifletté lui, ma non ribatté; invece, si limitò ad annuire.
«Senti, Granger…»
«No», lo interruppe lei sul nascere. «Non ho le forze per gestire anche te in questo momento.»
L’enfasi con cui si riferì a lui diede una stilettata al petto di Draco.
«Ne ho avute abbastanza, per oggi. Tieniti qualsiasi cosa tu voglia sputarmi contro per un’altra volta.»
E sparì dalla sua vista prima ancora di completare la frase, risalendo al Dormitorio femminile in cui il Serpeverde non avrebbe potuto accedere.
Draco imprecò e poi sospirò, scuotendo la testa esasperato.
Mi odia!” esclamò nella sua testa. “Non ce la farò mai!

 
******
 
‘È passato tanto tempo dall’ultima volta che ho parlato con qualcuno.
La gente non mi rivolge la parola. Mi evita.
Per un po’ ho provato a parlare con i miei genitori, ma parlare è inutile se dall’altra parte non c’è nessuno disposto ad ascoltare.
Non si può ragionare con loro, sono chiusi nelle loro posizioni.
Non molto diversamente da com’ero io prima della guerra, immagino, ma almeno io da tutto quello che è successo ho imparato qualcosa.
Loro no.
I miei genitori non accetteranno mai la mia decisione di non seguire più la linea purosanguista.
Credono che sia solo una fase transitoria dovuta al trauma della guerra, ma io sono sicuro che non sia questo il caso.
Perché non potrei mai tornare indietro, non dopo tutto quello che ho visto e vissuto.
Non dopo aver capito come stanno veramente le cose.
Allora, alla fine, ho smesso di parlare anche con loro.’


(Dal diario di Draco, dopo il ritorno a Hogwarts nel dopoguerra.)

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Capitolo 5
*** Capitolo 4. Collaborare ***


CAPITOLO 4
Collaborare





 
 
Hermione

 
C'e
ra qualcosa in Draco Malfoy che le stava facendo saltare i nervi, quell’anno.
Forse era il fatto che la fissava continuamente, - e in tal proposito Hermione si domandava se veramente fosse convinto che lei non se ne accorgesse o se semplicemente non gli importasse di essere scoperto -, o che se ne stava talmente tanto per i fatti suoi che sembrava non essere neanche tornato a scuola. O forse era il modo in cui sembrava tranquillo, troppo tranquillo per essere vero, ad agitarla.
Oppure, più probabilmente, era il fatto che non riusciva a capirlo.
Se durante i loro primi anni a Hogwarts era stato solo un borioso bullo e durante il sesto anno era stato palesemente sconvolto e spaventato, adesso Hermione non riusciva a classificare il suo comportamento.
Evitava accuratamente di incrociarlo nel loro dormitorio, perché già l’idea di condividerlo con lui, e solo con lui, la metteva a disagio, il pensiero di trovarsi da sola in sala comune proprio con il Serpeverde era decisamente troppo da gestire.
Si era fatta prestare la Mappa del Malandrino da Harry non appena aveva scoperto che l’altro Caposcuola nominato era proprio lui, con sua iniziale sorpresa.
Riflettendoci dopo, però, Hermione era arrivata alla conclusione che la cosa non avrebbe dovuto sconvolgerla più di tanto; Draco era un ex-Mangiamorte e suo padre aveva fatto incarcerare più di un genitore tra i Serpeverde, rigorosamente Mezzosangue. Hermione immaginava che Lucius Malfoy non avrebbe mai tradito la sua cerchia di compari dal sangue puro. Ma alla luce di ciò, la McGranitt non avrebbe mai fatto tornare Draco nella sala comune della sua Casa, per via delle possibili ritorsioni che avrebbe potuto subire. Avrebbe ricoperto quella carica solo per un anno, comunque, e non sembrava interessato a prevaricare su nessuno studente già dal sesto anno. Per la Preside doveva essere stato sufficiente affinché quella soluzione le sembrasse appropriata al suo caso, senza perdere troppo tempo a vagliare altre opzioni.
Hermione controllava che Draco fosse nella sua stanza, o altrove nel castello, prima di rientrare al Dormitorio ogni singola volta.
Non sapeva neanche lei perché continuasse ad evitare così testardamente un eventuale confronto con lui, pur sapendo che sarebbe accaduto, prima o poi. Harry, alla fine, le avrebbe richiesto indietro la Mappa e lei non avrebbe avuto più modo di impedirlo.
Magari Draco l’avrebbe semplicemente ignorata e non le avrebbe neanche rivolto la parola.
Era quello che Hermione sperava.
Non ci teneva a litigare con lui in uno spazio così ristretto e quando non ci sarebbe stato alcun testimone dello scontro, non perché lo temesse in alcun modo, ma perché semplicemente voleva starsene tranquilla ed era già un miracolo che la Parkinson e Nott non avessero ancora cercato di infastidirla durante le lezioni.
Voleva che quell’anno fosse normale.
Voleva, per una volta, non sentirsi chiamare Sanguemarcio per i corridoi della scuola.
Voleva continuare a sperare che la gente avesse imparato qualcosa dalla guerra e che tutti quei morti non fossero stati invano.
E poi era successo.
Troppo distratta e troppo arrabbiata per l’ultima lettera di Ron, in cui blaterava circa il suo disappunto nel saperla a condividere uno spazio ristretto da sola con il biondino, e per lo scontro a cui aveva assistito per i corridoi tra Theodore Nott e Justin Finch-Fletchley, Hermione aveva dimenticato di tenere d’occhio la Mappa e non si era accorta che Draco stava tornando al Dormitorio.
E in verità se non fosse stata così alterata per quei due avvenimenti, forse non lo avrebbe neanche trattato in quel modo sgarbato.
Lui non si stava rivolgendo a lei in maniera scontrosa, dopotutto.
Se Malfoy aveva intenzione di mantenere dei rapporti civili in favore del quieto vivere, come le sembrava arrivati a quel punto, lei avrebbe fatto altrettanto.
Ma era stata una circostanza sfortunata in cui incontrarsi per la prima volta in quel contesto.
Si lasciò ricadere pesantemente sul letto, prese il suo taccuino tra le mani, impugnò la penna e iniziò a scrivere.
Ciao.
La risposta comparve qualche secondo dopo.
‘Ciao.’
‘Come stai?’
‘Come sempre. Tu?’
‘Oggi va peggio degli altri giorni.
Un ragazzo che conosco è stato attaccato nei corridoi.
Credevo che le cose sarebbero andate meglio, dopo la guerra.
Ma forse era una speranza vana.’

‘Non tutti hanno vissuto la guerra allo stesso modo.
Forse per alcuni non è cambiato niente.
Forse, loro non hanno visto il genere di cose che abbiamo visto noi due.’

Hermione sospirò.
Non era così ingenua da pensare che le cose sarebbero state rose e fiori, da quel momento in poi; che tutti i Purosangue avessero compreso di non essere superiori proprio a nessuno, o che avessero superato i propri pregiudizi, o che si sarebbero sforzati di aderire al progetto di cooperazione tra le Case in tutti gli ambiti scolastici e non solo durante le lezioni.
Ma aveva sperato che non ci sarebbero stati più scontri fisici né verbali negli spazi ricreativi.
Che la gente come lei avrebbe potuto godere di un attimo di tranquillità dopo le persecuzioni di cui era stata vittima negli anni precedenti.
‘Sono così stanca di tutto questo. A volte penso che dopo la scuola dovrei semplicemente riporre la mia bacchetta e tornarmene nel mondo babbano.’
‘Non lo pensi veramente. Il tuo posto è qui.’
‘Lo so. È solo che è estenuante dover combattere continuamente. Sono stanca di lottare. Voglio solo vivere.
In pace, possibilmente.’
‘Lo capisco.
Ma non ti arrendere.
Per favore.’
Hermione sorrise a quelle parole.
‘Grifondoro, ricordi? Non mi arrendo facilmente.
Anche se a volte posso pensare di gettare la spugna.’
‘Con mia estrema riluttanza, sono costretto ad ammettere che in questo momento la vostra cocciutaggine mi farebbe comodo.
Inizio a pensare che non ce la farò mai a parlare con lei.’
‘Abbi pazienza. Verrà il momento.
Prima o poi, avrai l’occasione di farlo.
Non far ruotare la tua intera esistenza attorno a questo.
Apprezza i tuoi progressi a prescindere da quello che pensano gli altri.’
‘Non capisci… Ho bisogno del suo perdono.
Senza di esso, nulla ha senso.
Nulla ha importanza.’
‘Perché è così importante per te?’
‘Perché lei è la persona che ho ferito di più al mondo.
E se lei mi perdona, forse c’è davvero speranza, per me.’
Hermione si morse il labbro inferiore.
Era di nuovo sul punto di chiedergli di più su sé stesso per cercare di scoprire l’identità del suo interlocutore, per capire come poterlo aiutare meglio.
Era sicura che fossero entrambi a Hogwarts in quel momento, ma non aveva la minima idea dell’anno in cui si trovava lui; era certa che non fosse qualcuno dei primi anni, però. La persona con cui parlava da ormai un anno era più matura di quanto ricordava essere i suoi compagni prima del sesto anno.
Quel pensiero la fece congelare sul posto.
Poteva essere uno dei suoi compagni di corso.
Qualcuno dei Serpeverde che aveva deciso o era stato obbligato dal Wizengamot a ripetere l’anno; la maggior parte dei figli di coloro che erano stati condannati come Mangiamorte rientravano in questa seconda categoria. Molti avevano addirittura perso gran parte dei loro averi e necessitavano dei M.A.G.O. per assicurarsi una carriera lavorativa dignitosa.
Il suo interlocutore anonimo poteva avere l’età di Ginny o poteva essere un suo coetaneo.
Chiuse il taccuino con uno scatto e lo mise via.
Continuare a parlargli diventava sempre più rischioso.
E l’esigenza pressante di farlo che avvertiva cominciava a spaventarla.
Non poteva affezionarsi al suo ‘amico di penna’.
Non poteva essersi affezionata a lui.
Non avrebbe portato a nulla di buono.
E lei aveva vissuto abbastanza drammi da aver fatto il pieno per una vita intera.
§
Stava di nuovo pensando a Malfoy.
Si stava di nuovo chiedendo cosa diavolo avesse da fissare tutto il tempo.
Aveva la strana sensazione che stesse tramando qualcosa, ma al contempo sapeva che Malfoy non era stupido; che per quell’anno avrebbe fatto di tutto per tenersi lontano da qualsiasi forma di guai.
Ne valeva del suo futuro.
Se l’anno fosse passato liscio, sarebbe stato libero.
Se avesse causato problemi, sarebbe stato agli arresti domiciliari al Manor per altri due anni dopo i M.A.G.O.
Erano le condizioni che aveva posto il Wizengamot, stando a quanto le aveva riferito Harry dopo il suo processo.
Hermione non lo aveva accompagnato, non se l’era sentita.
Lei era stata l’unica ad essere stata identificata quella notte al Manor; l’unica Nata Babbana del gruppo, ovviamente.
Per quale assurdo motivo Malfoy avrebbe dovuto rischiare per lei e negare una volta che sua madre aveva dato segno di averla riconosciuta?
Lei valeva meno di niente per lui, in fondo.
E seguendo la sua stessa logica, per quale assurdo motivo, invece, lei avrebbe dovuto intercedere in suo favore?
Draco Malfoy non aveva fatto o detto assolutamente nulla per meritarsi il suo perdono.
Aveva apprezzato il fatto che si fosse rifiutato di identificare Harry e in un certo senso era grazie a quel suo gesto che erano sopravvissuti a quella notte… e aveva apprezzato che Narcissa Malfoy avesse mentito a Voldemort sulla morte di Harry, nella Foresta, ma…
Ma non era abbastanza.
Non affinché lei potesse credere nella sua buona fede; non affinché lei potesse credere che si fosse veramente pentito delle sue azioni passate, che fosse in qualche modo cambiato o stesse cercando di farlo.
Non era abbastanza perché lei decidesse di abbassare la guardia quando si trattava di lui.
Draco Malfoy non era il ragazzo del diario e non poteva lasciarsi influenzare da un caso su mille. Non poteva dare a chiunque una seconda possibilità, ciecamente, solo perché sapeva di qualcuno senza volto che ne meritava una e a cui non stava venendo propriamente data.
Probabilmente Draco Malfoy non era affatto in cerca di perdono; probabilmente, stava solo cercando di sopravvivere a quell’ultimo anno scolastico forzato.  
Persa nelle sue riflessioni, Hermione sgusciò distrattamente per i corridoi, in tutta velocità, o sarebbe arrivata tardi a Pozioni.
E di fatti, fu l’ultima ad entrare in classe, ma Lumacorno non era da nessuna parte, quindi andava tutto bene.
Più o meno.
La prima cosa che fece fu puntare lo sguardo sul suo posto usuale, per notare che era stato occupato da Pansy Parkinson e Theodore Nott, che ghignavano divertiti nella sua direzione.
Hermione alzò gli occhi al cielo e si accinse a trovare un altro banco a cui sedersi.
Peccato che ci fosse un solo posto vuoto.
Ed era accanto a Malfoy.
Se non fosse stata a conoscenza delle recenti dinamiche tra il biondino e la Parkinson, avrebbe certamente pensato che fossero d’accordo e che avessero architettato qualcosa a suo discapito… ma sapeva che i rapporti tra i due si erano notevolmente freddati dopo la guerra e che a malapena riconoscevano la presenza dell’altro quando si trovavano nella stessa stanza.
Sbuffò e si sedette vicino a Draco senza dire nulla.
«No, fai pure» esordì in tono asciutto lui. «Non è che stia aspettando qualcuno.»
Hermione lo guardò e sollevò un sopracciglio. «Non stai aspettando nessuno.»
«No?»
«No, Malfoy» rispose lei stizzita.
«Come fai ad esserne sicura?»
«Uno, tutta la classe è già seduta e due» sottolineò Hermione con il suo solito fare saccente, «questo posto è sempre vuoto
Il sorrisetto beffardo sul viso di Draco si congelò a quel commento.
Era vero, ovviamente; ogni volta l’ultimo arrivato in aula si stringeva tra due altri studenti pur di non sedersi accanto a lui, ma evidenziare la cosa era stato un colpo basso da parte di Hermione e persino lei ne era consapevole.
Ingoiò la punta di senso di colpa che aveva iniziato ad avvertire, perché sinceramente, non doveva alcuna carineria a Draco Malfoy.
Lui di certo non ne aveva mai avute nei suoi confronti.
«Già» mormorò Draco in maniera quasi inudibile, poi riportò lo sguardo sul suo libro di Pozioni e prese a ignorarla.
Davvero?” pensò Hermione perplessa. “Neanche una piccola minaccia o un insulto?
Lumacorno fece il suo ingresso in quel momento, annunciando agli studenti che da quel momento in poi avrebbero lavorato a coppie.
Miste.
Obbligatoriamente.
Esattamente quello che ormai tutti si aspettavano che facesse.
Hermione si guardò attorno.
Ginny era già accanto a Zabini, Harry parlottava tutto concitato con la maggiore delle Greengrass…
Non c'era un Serpeverde in quella classe con cui avrebbe potuto collaborare senza problemi.
Aveva spedito gran parte dei genitori di quegli studenti ad Azkaban.
Dopo che loro avevano cercato di ucciderla.
E i loro figli la odiavano e la disprezzavano.
Gli unici che avevano condannato pubblicamente le azioni dei propri genitori erano già presi.
Ginny le rivolse uno sguardo dispiaciuto.
«Prendi tu gli ingredienti e io preparo il calderone, o facciamo il contrario?»
Hermione ci mise qualche istante prima di rendersi conto di chi fosse il proprietario della voce che le aveva posto quella domanda; si voltò a guardare Draco e sbatté le palpebre incredula.
«Eh?»
Lui fece ruotare gli occhi. «Ti ho chiesto se-»
«No, ho capito, Malfoy» lo fermò subito. «La gente ti evita al punto da dover fare coppia con me a Pozioni?»
Draco le rivolse un'espressione indecifrabile, ma i suoi occhi restavano inespressivi come sempre.
«Non ho nessun problema con te, Granger», ribatté serio.
Le sopracciglia di Hermione scattarono all'insù istantaneamente, poi scosse il capo.
Ne dubitava altamente.
«Prendo gli ingredienti» scelse alla fine, più per non dover processare quella frase, - e non rischiare di discutere con lui nel mezzo di un progetto -, che perché preferisse quello o volesse lavorare con lui in primo luogo; certo, tra tutti sembrava quello più intenzionato a stringere i denti e non attaccar briga, ma... era pur sempre Malfoy.
Poteva sentirlo mentre la chiamava Sanguemarcio anche quando non lo faceva, anche se non lo faceva forse dai tempi del suo sesto anno a Hogwarts.
Hermione accantonò quelle riflessioni in un angolo della sua mente; non era il momento e non valeva la pena arrovellarsi il cervello su Malfoy. Doveva concentrarsi sulla pozione che Lumacorno aveva assegnato loro e cercare di sopravvivere a quella giornata.
§
Presero entrambi una ‘E’ e guadagnarono dieci punti a testa, per ciascuna delle loro Case.
La loro pozione era la migliore mai stata preparata durante una sua lezione, a detta di Lumacorno; fatta eccezione per il Distillato della Morte Vivente di Harry al sesto anno.
Hermione aveva a stento represso uno sbuffo a quella precisazione da parte del docente; il suo amico aveva ottenuto quel risultato grazie agli appunti sul libro del Principe Mezzosangue… praticamente, era come se Piton gli avesse suggerito le risposte degli esami.
«Grazie al cazzo» borbottò Draco mentre raccoglieva la sua roba.
Hermione si fermò un istante e lo guardò interrogativa.
Lui scrollò le spalle.
«Siamo i migliori del corso» affermò, come se stesse semplicemente dichiarando un dato di fatto. «Era scontato che avremmo preparato la pozione migliore.»
La ragazza si rimise la cartellina in spalla e ignorò il commento del Serpeverde.
Le stava davvero parlando come se niente fosse? Come se non avessero un trascorso complicato e burrascoso alle spalle? Come se la sua famiglia non l’avesse torturata per poi tentare di ucciderla solo pochi mesi prima?
«Mai che ci sia in palio una dose di Felix Felicis quando la competizione è corretta.»
Quella considerazione mormorata sottovoce la fece voltare e ritornare sui suoi passi.
«Per cosa la useresti?»
Hermione non riuscì a impedirsi di chiederglielo.
Stava tramando qualcosa?
“Parlarti”, pensò immediatamente Draco. “Senza fraintendimenti.”
«Rubare tutte le scorte di alcolici della Cooman senza essere scoperto, per iniziare» fu quello che disse invece. «Capire che accidenti sono le creature che, ehm, Hagrid sta propinando questa volta a quelli del terzo anno» aggiunse portandosi in spalla la sua cartellina.
Erano rimasti solo loro due nell'aula a quel punto.
Hermione fece ruotare gli occhi a quelle parole, anche se lei per prima non aveva ancora capito che creature fossero quelle che Hagrid le aveva mostrato quando era andata a prendere un tè da lui e che si era definito ‘entusiasta’ di affrontare con i suoi nuovi studenti.
«Riuscire a trovare cinque minuti in cui avere una conversazione decente con te.»
Hermione sgranò gli occhi a quell'ultimo esempio.
Deglutì forte.
Cosa poteva avere Malfoy da dire a lei?
Draco la stava guardando con un’espressione che non riuscì a interpretare, chiaramente in attesa di una sua risposta.
«Se devi dirmi qualcosa, puoi farlo, Malfoy.»
«Non qui» disse solo lui, inumidendosi le labbra.
«Certo, non vorrei che la gente pensasse male di te» mormorò Hermione in tono asciutto.
«Di te» la corresse prontamente. «Sono io l'ex Mangiamorte che tutti odiano, ti ricordo.»
Le labbra della Grifondoro si dischiusero sentendo quelle parole; aprì la bocca per parlare, ma la voce di Seamus Finnigan, che era tornato indietro per recuperare la sua piuma e aveva fatto il suo ingresso nell’aula, le impedì di dire qualsiasi cosa.
«Tutto bene, qui?»
I due, inizialmente, non risposero.
Restarono immobili l’uno davanti all’altra a guardarsi negli occhi.
«Hermione?»
La ragazza si voltò verso il compagno di Casa. «Ehm, sì, Seamus. Tutto bene.»
«Ti sta infastidendo?»
Hermione sentì Draco borbottare un «appunto» quasi impercettibile e poi sbuffare; il suo respiro caldo le colpì una guancia, facendola arrossire leggermente.
Si nascose il volto dietro i capelli per cercare di non farlo notare.
«No», rispose seccamente lei. «Stavamo solamente parlando… della pozione che Lumacorno ci ha assegnato per la settimana prossima.»
 
***
Draco
 
Quell’idiota di Finnigan!
Era finalmente riuscito a chiederle di parlare e quel babbeo aveva bruscamente interrotto la loro conversazione, privandolo di una risposta da parte della Granger.
E aveva anche insinuato che le stesse dando fastidio, il che era letteralmente l’ultima cosa che Draco intendeva fare.
Ma d’altronde, si era aspettato quel genere di diffidenza nei suoi confronti.
Si nascose dietro una colonna per qualche minuto, per assicurarsi di non incrociare Pansy lungo il corridoio, e poi sfrecciò verso l’aula di Aritmanzia.
Entrò in classe e notò che la professoressa Vector era già dietro alla sua scrivania.
Aritmanzia era una lezione particolare per lui; la Vector era una di quei professori che fin dal primo giorno aveva proibito agli studenti di sedersi da soli, ma non aveva mai imposto loro di farlo con qualcuno di un’altra Casa.
Per cui Draco, fino a quel momento, aveva sempre preso posto accanto a Blaise Zabini, che aveva avuto l’audacia di sedersi vicino a lui il primo giorno, anche se non gli aveva rivolto parola neanche per sbaglio.
Quella mattina, però, gli studenti erano divisi in Case diverse e Draco capì che anche la Vector non avrebbe sorvolato sul progetto del corpo docenti di incentivare la cooperazione tra le Case.
Non posso crederci”, pensò, notando che l’unico posto libero era quello accanto alla Granger.
Trasse un respiro profondo e si accomodò al suo fianco.
«No, fai pure», disse lei lanciandogli uno sguardo di sfida. «Non è che stia aspettando qualcuno.»
Draco la fissò a metà tra il divertito e l’incredulo, spiazzato da quell’esordio.
Stava… scherzando con lui? O era una frecciatina?
«Non stai aspettando nessuno», le rispose allora, ripetendo anche lui le parole che lei gli aveva rivolto durante la lezione precedente, sforzandosi di mantenere un tono appropriato, quasi giocoso. «Sono già tutti seduti.»
La vide nascondersi il volto dietro due ciocche di capelli, ma notò comunque gli angoli delle sue labbra incurvarsi leggermente all’insù prima di sparire dalla sua visuale.
Draco non riuscì a reprimere un mezzo sorriso, né a sopprimere la punta di soddisfazione per averla quasi fatta sorridere che era affiorata nel suo petto.
Voltò lo sguardo in direzione della lavagna, ma, prima di dedicare la sua attenzione alla professoressa, chiuse gli occhi per qualche secondo e sospirò silenziosamente.
“Per favore, fa’ che la ruota stia girando.
Fa’ che le cose stiano iniziando a girare per il verso giusto.
§
Avrebbe voluto parlarle dopo Aritmanzia, ma Finch-Fletchley l’aveva raggiunta alla fine della lezione e i due si erano volatilizzati subito dopo.
Aritmanzia, come anche Antiche Rune, era una di quelle materie seguite da pochi studenti, per cui le lezioni erano miste, con membri di tutte e quattro le Case.
Draco aveva sbuffato per quasi tutto il tempo a pranzo.
Tra le occhiatine che gli lanciava Pansy e la conversazione accesa al tavolo dei Grifondoro, - in cui erano coinvolti sia la Granger, sia Finnigan, quindi poteva immaginare quale fosse l’argomento della discussione -, quel poco, e ormai a lui estraneo, buon umore che lo aveva pervaso durante la lezione di Aritmanzia era svanito rapidamente.
Era tornato al loro Dormitorio deciso ad aspettarla lì, ma Hermione non si era fatta vedere.
Sapeva che non l’avrebbe incontrata a lezione quel pomeriggio, perché lui aveva Incantesimi con i Corvonero e lei sicuramente sarebbe stata a Erbologia con i Tassorosso.
Quando durante il suo sesto anno Draco aveva scelto le materie da continuare a studiare per conseguire i M.A.G.O., non si era neanche reso conto di aver scelto le stesse della Granger. Lo aveva realizzato solo quell’anno, quando aveva fatto caso al fatto che la ragazza era in quasi tutte le sue classi.
Inoltre, entrambi seguivano il corso aggiuntivo di Alchimia, - materia che per Draco era diventata persino più interessante di Pozioni -, che normalmente si sarebbe tenuto quella sera, ma il professore aveva annullato la lezione del giorno.
Sbuffò, riflettendo che Hermione probabilmente facesse coppia proprio con Finch-Fletchley quando i Grifondoro erano con i Tassorosso e per qualche motivo la cosa lo infastidiva.
Li aveva visti insieme molto spesso, soprattutto in giardino, durante le ore libere, quando ancora il carico di compiti non era eccessivo.
Ma la verità era che la Granger era sempre insieme a qualcuno.
Draco invidiava tutte le persone che facevano parte della sua vita; loro non sembravano avere tutti i problemi che aveva lui nel parlarle.
E nonostante la parte più razionale di lui sapesse che in realtà non avere il tempo di confrontarsi con lei quello stesso giorno era un bene, non poteva fare a meno di sentirsi irritato dall’aver perso quell’occasione.
Il fatto che la Granger non gli avesse sbattuto la porta in faccia a priori, però, lo aveva comunque rincuorato.
Gli aveva detto che lo avrebbe ascoltato e per lui, per quel giorno, era abbastanza.
Anche se il diario era rimasto silente quella sera.
 
******
 
‘Non la riconosco più, la mia voce.
Quando occasionalmente mi viene posta una domanda e io sono obbligato a rispondere, il suono che esce risulta estraneo alle mie orecchie.
Ma forse è meglio così.
Forse è meglio il silenzio.
La mia voce ha ferito tanta gente.’

(Dal diario di Draco, dopo il ritorno a Hogwarts nel dopoguerra.)

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Capitolo 6
*** Capitolo 5. Babbanologia ***


CAPITOLO 5
Babbanologia





 
 
Hermione

«Stai bene?»
Justin scosse il capo, poi lo poggiò pesantemente contro il tronco dell’albero sotto il quale si erano seduti.
«Credevo davvero che sarebbe andata meglio, quest’anno», mormorò il ragazzo. «Sono tornato per questo. E invece è sempre la stessa storia. C’è sempre qualcuno pronto a giudicare e offendere le persone come noi.»
Hermione sospirò. «Non permettergli di entrare nella tua testa.»
Justin si girò leggermente verso di lei e la guardò per qualche istante, in silenzio.
«Tu come fai?»
La Grifondoro si portò istintivamente la mano destra sull’avambraccio sinistro, dove la cicatrice che le aveva lasciato Bellatrix Lestrange aveva preso a pulsare, ricordandole della sua presenza.
Del suo significato.
«Non sono brava come credi, in questo», ammise Hermione. «A volte è troppo anche per me, soprattutto dopo lo scorso anno. Ma farsi abbattere sarebbe come darla vinta ai Mangiamorte e non ho intenzione di farlo.»
Justin annuì. «Dev’essere difficile, collaborare con Malfoy dopo… Insomma…»
La ragazza deglutì.
Non voleva affrontare quel discorso.
«Non mi dà fastidio», rispose sbrigativamente. «Fa la sua parte di lavoro e finisce lì, senza troppe storie.»
«E nel Dormitorio?»
«Non ci incontriamo quasi mai», lo rassicurò Hermione.
Il Tassorosso si prese qualche istante per metabolizzare quelle parole. «Sembra diverso, quest’anno.»
Hermione non sapeva esattamente cosa dire, per cui non commentò quella considerazione.
«All’inizio ero molto dubbioso nei suoi confronti, ma dopo averlo osservato per un mese… Sai, Ernie mi ha detto che lo scorso anno era tra quelli che esitavano di più ad usare la Cruciatus sui primini quando i Carrow costringevano gli studenti a farlo.»
Gli occhi della Grifondoro dardeggiarono sul compagno. «Malfoy? Non ha mai perso l’occasione di ferire qualcuno. Non puoi aspettarti che io creda-»
Justin fece spallucce. «Era già diverso al sesto anno. E la Cruciatus non è una Fattura Allunga Denti, no?»
Hermione deglutì.
Aveva ragione, ovviamente.
Forse avrebbe dovuto seguire l’esempio di Harry e concedere a Malfoy il beneficio del dubbio. Era chiaro che non lo conoscesse bene quanto credeva.
«Magari è cambiato veramente. O ci sta provando.»
L’espressione sul viso della ragazza tornò scettica. «Non ci credo neanche per sbaglio che ha abbandonato la linea purosanguista», disse sprezzante. «Avrà abbassato le ali e avrà deciso di starsene buono, ma ti ricordo che ero l’unica Nata Babbana nel gruppo che è stato portato a Malfoy Manor quella notte…»
«Non è che avrebbe potuto fare molto per aiutarti, anche se lo avesse voluto, no? Lo hai detto tu stessa.»
«Non mi sto riferendo a quello. Sto solo dicendo che si è rifiutato di identificare Harry e Ron fino alla fine», raccontò cercando di respingere i ricordi di quell’orrenda esperienza. «Ma appena sua madre ha fatto un accenno alla mia identità, Draco non ha speso molte energie per dissuaderla. E sua madre mi aveva vista soltanto un paio di volte.»
Justin si mordicchiò l’interno della guancia sinistra, poi sospirò. «Solo il tempo potrà darci delle risposte. L’importante è che non ti tormenti.»
Hermione scosse il capo. «No, te l’ho detto. Non mi dà fastidio.»
«Forza, andiamo», sbuffò il Tassorosso. «Abbiamo Difesa tra dieci minuti.»
§
Difesa Contro Le Arti Oscure era una delle sue materie preferite, anche se non era brava quanto Harry.
La cattedra era andata a Hestia Jones, che aveva fatto parte dell’Ordine della Fenice durante la Seconda Guerra Magica, e per la prima volta dopo Lupin, la scuola poteva dire di aver guadagnato un’insegnante competente in materia.
«Non avevo speranze di batterti», commentò Hermione, rivolgendo un ampio sorriso a Harry. Avevano dovuto duellare l’uno contro l’altro e ovviamente aveva vinto il ragazzo.
«Tu hai paura di fare male all’avversario», rispose l’amico. «È per questo che se capiti contro di me o qualcun altro che conosci a lezione, non riesci a vincere.»
Lei si limitò a sorridergli. «È solo un esercizio, Harry.»
Lui la guardò per qualche secondo, sbattendo le palpebre, un po’ perso. «Lo so, Herm», disse. «Lo so.»
Nessuno dei due commentò oltre la lezione.
Avevano entrambi delle problematiche che si portavano dietro dalla guerra.
Harry, ad esempio, continuava ad avere incubi, anche se non erano più correlati alla cicatrice; durante i duelli in classe, inoltre, la sua mente si ritrovava spesso nei boschi o nel mezzo della Battaglia di Hogwarts, il che risultava con l’uso di qualche Incantesimo un po’ più aggressivo del necessario.
Hermione, dal canto suo, non aveva perso i suoi riflessi; scattava in continuazione, specie in caso di rumori improvvisi, e faticava a dormire la notte.
Il ricordo di quanto accaduto a Malfoy Manor sembrava non volerla lasciare in pace.
Si passò distrattamente una mano sulla cicatrice e poi scosse la testa.
Quell’evento la tormentava nei suoi incubi quasi ogni notte, non poteva permettergli di incupire anche le sue giornate.
«Granger!»
Hermione sobbalzò e si voltò immediatamente a controllare chi l’avesse chiamata.
In realtà, sapeva perfettamente a chi appartenesse quella voce, era solo perennemente incredula per il fatto che non sembrava celare più alcun accenno di disgusto o disprezzo quando pronunciava il suo nome.
«Malfoy.»
Quando il ragazzo l’ebbe raggiunta, lei riprese a camminare.
«Possiamo parlare?»
Hermione lo studiò con la coda dell’occhio e si sorprese non poco dello sguardo speranzoso che il Serpeverde le stava rivolgendo in quel momento.
«Sono qui, Malfoy» rispose la ragazza. «Parla.»
Draco sbuffò. «Non così, Granger», le disse. «Per favore. Andiamo al dormitorio…»
«Ho promesso a Dean che lo avrei aiutato con un incantesimo», spiegò Hermione. «Questa sera?»
Il biondino sospirò. «D’accordo. Ma niente più scusanti, Granger. Questa sera mi ascolterai.»
Hermione annuì, ma l’insistenza di Malfoy sul parlarle la lasciava sempre più perplessa.
Non riusciva a capire cosa avesse da dirle, perché volesse parlarle ad ogni costo.
E il fatto che quell’anno il Serpeverde pareva non parlare affatto, perché non rivolgeva la parola letteralmente a nessuno, non faceva che destabilizzarla ulteriormente.
Loro non avevano niente da dirsi.
O almeno, lei non aveva niente da dire a lui e non necessitava di parole da parte di Draco Malfoy.
 
***
Draco
 
Entrò nel dormitorio sbuffando sonoramente.
Era stata una giornata interminabile.
Le lezioni sembravano pesare il doppio non avendo qualcuno con cui dividerne il tedio e Draco non faceva parte di nessuno dei gruppi di studio che si erano formati quell’anno.
Era parte del progetto in favore della cooperazione tra Case.
Gli studenti potevano organizzarsi in gruppi e studiare insieme in biblioteca o richiedere un’aula vuota ed era complementare ai progetti e ai lavori di coppia che i professori stavano assegnando loro. Solo che a differenza di questi ultimi, i gruppi di studio non erano obbligatori e nessuno studente si sarebbe costretto a sopportare la presenza di Draco Malfoy di propria volontà.
A lui la cosa non faceva né caldo né freddo, d’altronde non aveva mai avuto bisogno dell’aiuto altrui in ambito accademico, se non per il fatto che la solitudine iniziava a rendere le sue giornate interminabili ed estenuanti.
Non avere nessuno con cui scambiare una parola, neanche per caso, era deprimente.
E incredibilmente noioso.
E, nel suo caso, anche deleterio; perché restare da solo con i suoi pensieri non faceva altro che indirizzarlo verso i suoi demoni, con il risultato di tormentarsi da solo e crogiolarsi ulteriormente nei suoi rimorsi e sensi di colpa.
La sua seduta successiva con la Magi-Psicologa era prevista solo la settimana seguente e l’ultima volta non aveva avuto modo di discutere con lei di quelle nuove sensazioni che stava provando, né tanto meno dei suoi progressi, - se così poteva definirli -, con la Granger.
Avrebbe voluto poterle chiedere consiglio; su cosa dirle, su come iniziare la conversazione…
La Granger, attraverso il diario, gli aveva dato qualche punto su cui lavorare, ma non poteva essere molto esplicito o si sarebbe scoperto; doveva misurare tutto quello che le diceva, perché ci avrebbe messo appena qualche secondo a capire che dall’altra parte del diario era lui a scrivere.
E quella era un’altra cosa di cui avrebbe voluto parlarle, solo che non in quel momento.
Sarebbe stato troppo e tutto troppo in fretta.
Studiò la piccola Sala Comune con lo sguardo, ma non vi era alcun segno della presenza della ragazza.
Sospirò, iniziando a chiedersi se non avesse intenzione di dargli buca anche quella volta.
La cena era ormai finita da un pezzo e non era di ronda quella notte.
Si sedette su un divano e avvicinò a sé un tavolino, poi aprì uno dei suoi libri per scrivere il tema di Babbanologia per la lezione seguente.
Babbanologia era diventata obbligatoria per tutti gli studenti che non fossero Nati Babbani o che non avessero un genitore Babbano o Nato Babbano, e non era la materia che Alecto Carrow aveva insegnato l’anno precedente.
Non era neanche una materia interessante, a detta della quasi totalità degli studenti che seguivano il corso, ma non c’era niente che potessero fare al riguardo e opporsi all’obbligo di frequenza non era un’opzione vagliabile per nessuno in quel momento storico.
Per Draco era una materia di troppo; la maggior parte degli studenti non seguivano tutte le classi che invece seguiva lui e il suo programma di studi era abbastanza fitto anche senza l’aggiunta di Babbanologia.
Sbuffò, mentre cercava di comprendere il funzionamento dell’elettricità.
«Malfoy!»
Era così concentrato su quella lettura incomprensibile, da non essersi accorto dell’ingresso della Granger, che ora se ne stava di fronte a lui, con le braccia conserte, a guardarlo con un mezzo sorriso divertito stampato sulla faccia.
«Granger!» esclamò deglutendo. «Non ti ho sentita arrivare.»
«Eri molto concentrato sul tuo tema. Qualcosa di interessante?»
Draco chiuse il libro con uno scatto e lo spostò al lato del tavolino.
«No, solo un capitolo particolarmente insidioso.»
«Per?»
Il biondino si morse il labbro inferiore. «Babbanologia…»
Le sopracciglia di Hermione scattarono all’insù. «La tua nuova materia preferita, scommetto.»
Draco sbuffò spazientito. «Diciamo che non rientra tra i miei interessi principali.»
«Non avevo dubbi.»
Il Serpeverde la fissò per qualche secondo, poi fece ruotare gli occhi. «Intendo dire che è un po’ noiosa e il professore riesce a rendere le cose ancora più complesse, per noi.»
A quelle parole, la ragazza prese a fissarlo con evidente scetticismo nello sguardo.
«Non capisco perché affidare l’insegnamento di Babbanologia a un professore Purosangue», continuò Draco. «Credi sul serio che Arthur Weasley possa insegnare a dovere questa materia?»
«Me ne vado di sopra», disse Hermione alla fine, dandogli le spalle e prendendo a camminare in direzione della sua stanza.
«No, Granger, aspetta!»
Draco scattò in piedi e la raggiunse a grosse falcate; le afferrò un braccio e la costrinse a voltarsi.
Gli occhi di Hermione caddero e si fissarono sulla mano del biondino chiusa su di lei; poi alzò il capo per guardarlo negli occhi, con un’espressione palesemente scioccata dipinta in volto.
Draco ritrasse la mano immediatamente, a disagio, e si schiarì la gola.
«Non intendevo insultare il professor Weasley», chiarì prontamente. «È solo che… sto cercando veramente di capire. E lui a volte mi dà l’impressione di non comprendere, ehm, appieno, quello che spiega.»
La Grifondoro soppesò quelle parole per qualche istante, poi qualcosa nell’espressione sul volto del giovane la fece scoppiare a ridere.
«Perché non le capisce appieno», commentò, spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Sicuramente ne sa molto più di tanti altri maghi, ma… non quanto un Nato Babbano.»
«Ed ecco perché è inutile. Insomma, potresti spiegarmele tu quelle cose e l’obbligo di frequenza avrebbe un senso perché sarebbero delle lezioni efficaci.»
Hermione lo studiò incredula per qualche istante. «Mi stai chiedendo di aiutarti? Con… Babbanologia
C’era una punta di divertimento nella sua voce.
A Draco occorse qualche istante per registrare quelle parole.
No, lui voleva solo parlarle. Non gli importava veramente di quel maledetto compito!
Ma Hermione sembrava aver deciso diversamente e non gli lasciò tempo per ribattere.
«Vieni…»
Draco rimase immobile a guardarla mentre si dirigeva nuovamente verso il divano e prendeva posto; la vide afferrare il suo libro e controllare l’argomento del compito e poi voltarsi nuovamente verso di lui.
«Non ho intenzione di fare il tema al tuo posto, Malfoy.»
Il biondino si riscosse a quelle parole e la raggiunse, ancora incredulo per la piega che gli avvenimenti avevano appena preso.
«Allora, l’elettricità…»
§
 «Ehm, Granger», farfugliò Draco, in evidente difficoltà. «Gr-grazie, per questo. Sai, sto davvero cercando di capire…»
Era la prima volta che ringraziava qualcuno, a parte Potter, dopo il processo; quella parola risultava strana pronunciata dalla sua voce e persino la Granger sembrava sorpresa di sentirgliela dire.
Hermione gli sorrise. «Questo lo hai già detto.»
Il biondino annuì e si grattò la nuca a disagio.
Era la prima volta che la Granger gli sorrideva veramente?
Un sorriso ampio e dolce e genuino?
Era sicuro che lo fosse.
Ed era bellissimo.
Forse non era stata una serata sprecata, dopotutto.
«Non hai tutti i torti, comunque», proseguì la ragazza, lasciandosi cadere pigramente contro lo schienale del divano. «Al terzo anno ho provato a seguire Babbanologia, trovando interessante l’idea di studiare i Babbani dal punto di vista dei maghi… Ma anche la professoressa Burbage a volte non sembrava comprendere appieno…»
Lasciò in sospeso la frase, vedendo che Draco era improvvisamente impallidito e si era visibilmente irrigidito sul posto.
«Malfoy?»
Guardava un punto indefinito su una parete lontana, mentre nella sua mente si alternavano immagini di serpenti, sedie alte e figure vestite di nero che deridevano una donna moribonda sospesa a mezz’aria su un lungo tavolo in legno pregiato.
«Malfoy? Stai bene?»
Hermione fece sventolare una mano davanti al viso di Draco, per attirare la sua attenzione, ma lui non sembrò farci caso.
Era ormai perso nei suoi ricordi terrificanti.
«Avada Kedavra!»
Un tonfo sordo.
«Nagini, la cena…»
La voce serpentina e glaciale di Voldemort era ancora vivida nella sua mente.
Fu colto da un improvviso conato di vomito.
Si alzò con uno scatto e corse verso la sua stanza.
«Malfoy!»
Sentiva la Granger chiamarlo dalla Sala Comune, ma la sua voce gli arrivava alle orecchie come ovattata, distante, come l’eco di un sogno.
Si liberò della sua cravatta, d’un tratto diventata soffocante, e si sfilò la maglietta.
Aprì la porta del bagno e vi entrò di fretta, per poi vomitare quel poco che era riuscito a mandare giù a cena.
Non aveva mangiato molto, tant’era nervoso e trepidante di parlare finalmente con la Granger.
Non era andata come si era immaginato.
Si rialzò a fatica e raggiunse il lavandino.
Fece scorrere l’acqua fredda e se ne gettò un po’ sul volto.
Parve riacquistare lucidità per un istante.
Fissò il suo riflesso nello specchio e per un momento rivide il sé stesso sedicenne in quella figura.
Sconvolto, spaventato.
Senza via d’uscita.
Disperato.
Senza nessuno su cui poter contare.
Abbandonato a sé stesso e al suo destino.
Disgustato dalla sua stessa immagine.
Tormentato dai suoi ricordi.
Faticava a respirare, boccheggiava in cerca d’aria.
Non si accorse di quanto tempo passò in quella posizione, cercando di regolarizzare il proprio respiro e di calmare i battiti del suo cuore.
Fu solo quando chiuse gli occhi e permise alle lacrime e ai singhiozzi di uscire che si sentì leggermente meglio.
Meglio, ma non libero dal peso del suo passato.
Non sarebbe mai stato libero.
Non veramente.
 
***
 
Hermione
 
 
Non sapeva cos’avesse detto per far fuggire via Draco in quel modo, ma restò nella Sala Comune per circa un’ora, ad aspettare in caso avesse deciso di tornare.
Si risedette al suo posto e prese a scarabocchiare distrattamente una serie di note su un foglio di pergamena.
Quando l’orologio ormai segnava la mezzanotte, aveva riposto gli appunti nel libro di Draco, in modo che potesse ultimare il suo tema il giorno seguente affidandosi ai suoi chiarimenti sull’argomento, e si rintanò nella sua stanza.
Si distese sul letto e iniziò a fissare il soffitto.
Non aveva sonno e lo sguardo di Draco prima che corresse via continuava a balenargli nella mente.
Sembrava così perso, tormentato, come se fosse intrappolato nella sua stessa testa e non riuscisse a venirne fuori.
Non aveva idea di cosa fosse successo o di cosa stesse pensando il biondino, ma per un momento aveva avuto paura che svenisse lì, davanti ai suoi occhi.
Si girò su un fianco e recuperò il suo diario, ma quando vi ebbe scritto sopra, non ricevette alcuna risposta; Hermione lo richiuse, sospirando, e spense la luce.
Poggiò il capo sul cuscino e si rannicchiò su sé stessa.
Che diavolo stava succedendo nella testa di Draco Malfoy?
 
******
 
‘Non ho mai pensato veramente alla morte, prima della guerra.
A quello che volesse dire davvero.
Ci ho persino riso su qualche volta, da ragazzino.
Finché non ho visto una persona venire assassinata davanti ai miei occhi, senza pietà e senza alcun vero motivo.
E dopo, durante la Battaglia, ho visto morire qualcuno con cui sono cresciuto.
Non era esattamente un amico, ma era la cosa più vicina a un amico che avessi.
Spesso rivivo quel momento nei miei incubi.
Non il più frequente, ma uno di quelli che fanno più male.
C’è un modo per sfuggirvi?
Come si supera la morte di qualcuno che si conosceva bene?’

 
(Dal diario di Draco, primi tempi dopo il ritorno a Hogwarts.)

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Capitolo 7
*** Capitolo 6. Il Gruppo ***


CAPITOLO 6
Il Gruppo







Draco
 
Aveva preso una pozione per il sonno senza sogni ed era andato a dormire.
La mattina dopo, si era alzato con una forte nausea e un mal di testa allucinante, per cui aveva saltato la colazione.
Non aveva incrociato la Granger al dormitorio, ma sapeva che l’avrebbe rivista ad Antiche Rune.
In un primo momento, si era maledetto per aver tirato fuori il tema di Babbanologia, perché gli aveva rubato quel poco tempo che aveva lottato per avere con lei, impedendogli di parlarle, ma poi aveva notato il foglietto di pergamena che la ragazza aveva lasciato nel suo libro e aveva sorriso nel vedere quelle spiegazioni veloci appuntate con la sua familiare calligrafia.
Si era presa la briga di aiutarlo ugualmente e non poté fare a meno di avvertire un senso di contentezza diffondersi dentro di sé.
Nelle classi in cui lavoravano insieme, Draco evitava accuratamente di fare anche solo intravedere alla Granger la sua scrittura, perché l’avrebbe riconosciuta immediatamente e avrebbe capito che era lui il ragazzo del diario.
Era estenuante dover stare sempre sull’attenti e convincerla a scrivere quando serviva stava diventando sempre più difficile, visto che stava terminando le scuse per non farlo lui stesso, ma non poteva davvero permettersi che scoprisse tutto.
Non era sicuro che avrebbe capito, non ancora; doveva prima assicurarsi che notasse e riconoscesse i suoi cambiamenti, che sapesse che non la stava prendendo in giro in alcun modo con quel diario… che per lui era la cosa più importante che aveva.
Aveva perso il controllo, la sera prima, quando la Granger aveva nominato la professoressa Burbage.
E sapeva che la ragazza avrebbe indagato, ma era pronto a darle una spiegazione se l’avesse richiesta.
Trasse un respiro profondo e si incamminò verso l’aula di Antiche Rune, deciso a chiederle un’altra occasione per parlare.
§
«Granger.»
«Malfoy», lo salutò lei incerta, prendendo posto al suo fianco.
Non era chiaro a nessuno dei due come fossero finiti a collaborare insieme in quasi tutte le materie che avevano in comune.
La Granger era in coppia con Zabini a Trasfigurazione, ma per il resto era sempre con lui.
Draco ne era più che felice, anche perché a conti fatti era l’unica a trattarlo come una persona e da quando lo aveva notato le lezioni avevano iniziato a sembrargli un po’ meno tragiche.
Non gli dispiaceva nemmeno essere in coppia con la piccola Weasley a Trasfigurazione, perché lei sembrava decisa a seguire la linea di comportamento di Potter e incline a concedergli il beneficio del dubbio, se non a dargli una possibilità.
O quantomeno, non sembrava odiarlo e volerlo infastidire, o affatturare, per partito preso.
«Stai bene?», gli domandò con aria guardinga la ragazza. «Ieri sera hai assunto una cera orribile e poi sei sparito.»
Draco deglutì. «Possiamo… non qui?»
La vide corrugare la fronte e poi annuire lentamente.
«Grazie per gli appunti, comunque.»
Hermione rispose con un semplice cenno del capo.
Aveva sempre un’espressione strana quando la ringraziava, ma Draco in realtà non ne era sorpreso.
Non aveva mai ringraziato nessuno prima, non era tra le cose Lucius Malfoy gli aveva insegnato a fare; secondo suo padre, gli era tutto dovuto solo per il fatto di essere un Malfoy.
Draco adesso sapeva che non era così e non solo perché il suo cognome era ormai caduto in disgrazia.
Cercava di non pensare molto a quella conseguenza delle azioni e delle scelte di suo padre, perché significava che il compito di risollevare il nome dei Malfoy spettava a lui ed era un altro degli obblighi di cui era costretto a farsi carico solo per colpa di Lucius Malfoy e della linea purosanguista che si ostinava a seguire così fervidamente.
Sarebbe sempre stata una macchia rossa sul suo registro.
Alla fine della lezione, si mise la sua tracolla in spalla e rivolse un cenno del capo alla Granger prima di sparire in tutta fretta.
Lei lo seguì di corsa.
«Allora?» gli domandò sollevando un sopracciglio.
Draco sbuffò e prese a guardarsi intorno per verificare che non ci fosse nessuno.
Non voleva parlare della Burbage.
Non voleva parlare della crisi della sera prima.
Voleva dirle che gli dispiaceva per come l’aveva trattata in passato e che avrebbe cercato di rimediare.
Ma voleva dirglielo quando nessuno li avrebbe interrotti, perché quella conversazione avrebbe portato sicuramente a discorsi che non voleva rischiare udissero altre persone.
La Granger era un conto, gli altri…
Ovviamente, lei non sapeva che lui era ormai abituato a parlare con lei, ad aprirsi con lei; ed era il motivo per cui accettava con più facilità l’idea di farlo.
Gli altri però non erano inclusi.
A lui importava solo che capisse lei.
«Si può sapere cosa ti importa di quello che mi succede?», le chiese. «Ho avuto solo un semplice mal di testa, tutto qui.»
«Mal di testa», ripeté lei, ma il tono di Draco doveva averla indisposta o convinta a desistere dal richiedere informazioni. «D’accordo. Spero che tu stia meglio, ora. E scusa se ho avuto l’audacia di pensare che mi avresti rivolto la parola al di fuori delle lezioni.»
Quando il biondino aprì di nuovo la bocca per parlare, lei non era più accanto a lui; aveva girato i tacchi e aveva raggiunto Finnigan e Thomas in uno degli atri del castello.
Draco sbuffò.
Avere a che fare con persone che non sarebbero state accomodanti nei suoi confronti a priori si stava rivelando più stancante di quello che pensava.
§
Era seduto in biblioteca da solo e sfogliava distrattamente un pesante tomo di Alchimia, con la guancia poggiata sulla sua mano.
«Possiamo sederci?»
Lo sguardo di Draco scattò all’insù.
Non era solo il fatto che qualcuno gli aveva chiesto di sedersi al suo tavolo ad averlo sorpreso, - era sempre vuoto quando lui era lì e la gente lasciava la biblioteca piuttosto che accomodarsi con lui -, ma anche la voce che aveva espresso quella domanda.
Perché quella voce apparteneva a Harry Potter.
Sbatté le palpebre una, due, tre volte. «Ehm, sì?»
Il moro prese posto davanti a lui e Daphne Greengrass si accomodò accanto al Prescelto.
Draco era perplesso, ma non disse nulla.
I tavoli erano tutti occupati o ad un tratto era diventato la nuova opera di carità di San Potter?
E se lui era lì, dov’era la Granger?
Come avrebbe dovuto comportarsi?
Non aveva mai avuto alcun problema con Daphne, per cui quando la ragazza lo salutò con un cenno del capo, Draco ricambiò senza esitazione, ma Potter…
Due secondi dopo, Zabini e la Weasley sbucarono da un angolo e si sedettero anche loro al tavolo, senza dire niente.
«Malfoy», lo salutò la rossa con estrema nonchalance.
Il biondino spostò lo sguardo dall’uno all’altro.
Che diavolo stava succedendo?
«Ehm…»
Un tonfo lo fece sussultare e girò il collo così in fretta da farsi male.
La Granger era arrivata e aveva sbattuto un volume pesante davanti a Blaise Zabini.
Il ragazzo si era voltato a guardarla, perché lei era alle sue spalle.
«Lo sapevo!» esclamò trionfante. «Guarda, avevo ragione io!»
Draco si scoprì inspiegabilmente infastidito dalla vicinanza del volto della Granger a quello di Zabini.
«Granger, ma io non avevo dubbi che avessi ragione tu.»
Gli occhi della Grifondoro si allargarono. «Cosa?»
«Ho scommesso con Potter sul tempo che ci avresti impiegato per trovare le prove della tua affermazione», rivelò con un ghigno sul volto.
Poi si portò la mano in tasca, ne estrasse un portafogli raffinato, tirò fuori tre galeoni e li passò a Harry.
«Scusa, Herm. Per farmi perdonare, la Burrobirra a Hogsmeade domenica la offro io», asserì il Prescelto.
Daphne e Ginny scoppiarono a ridere.
Blaise si girò verso Draco. «Capito come funziona? Dannati Grifondoro!»
Un angolo delle labbra del biondino si sollevò impercettibilmente, senza che potesse impedirlo in alcun modo. Poi incrociò lo sguardo della Granger e ci lesse una punta di confusione nel vederlo lì, seduto con loro, come se fosse normale amministrazione.
Il cervello di Draco era andato nel pallone.
Neanche lui capiva cosa stesse accadendo ed era dannatamente strano avere tutta quella gente attorno all’improvviso, dopo mesi di solitudine, soprattutto quando tre su cinque erano Grifondoro e fino all’anno prima si erano detestati con tutte le loro forze.
«Ti siedi?» chiese Potter alla ragazza, ma lei scosse il capo.
«Devo lavorare con Justin a una ricerca di Erbologia», rifiutò gentilmente lei. «Ma grazie per avermi fatto perdere venti minuti del mio tempo.»
Harry le sorrise. «Hai stabilito un nuovo record, Hermione.»
Delle risatine divertite si levarono dal tavolo, ma la Grifondoro si limitò a rivolgere loro una smorfia indispettita e a correre fuori dalla biblioteca con la cartellina carica di libri.
Draco sospettava che non dovesse fare proprio nulla con Finch-Fletchley, visto che lo aveva sentito salutare dei Tassorosso poco prima, dicendo che aveva una riunione al Club di Incantesimi a cui partecipare.
Daphne rivolse la sua attenzione a Draco, distogliendolo dai suoi pensieri e dal fastidio che aveva provato nell’apprendere l’intento di evitarlo della Granger.
«Allora, Principino», disse. «Sei stato punito abbastanza. Pronto a tornare a vivere?»
Il biondino si morse il labbro inferiore, sempre più perplesso.
«Non vorrei sembrare scortese-»
«E questa è una novità», commento sarcastico Blaise.
Draco lo ignorò, ma tutti gli altri sghignazzarono a quella battuta.
«Ma sono un po’ confuso.»
«Ti abbiamo studiato per tutto l’ultimo mese», spiegò Daphne. «Blaise ed io non eravamo sicuri che fossi veramente uno di noi, all’inizio. Ma dopo averti visto lavorare con la Granger nell’ultimo periodo…»
«Benvenuto nel nostro gruppo», tagliò corto Zabini. «Potter, stai contagiando Daph con i sentimentalismi. Voi due passate decisamente troppo tempo insieme.»
Draco continuò a fissarli perplesso, con le labbra leggermente dischiuse.
Lui voleva solo concentrarsi sullo studio e sul risolvere la situazione con la Granger.
Quello… non era contemplato nei suoi progetti per quell’anno.
Quando Potter aveva testimoniato in suo favore, al processo, non credeva che per ‘dargli una seconda possibilità’ intendesse… questo.
Pensava che lo avrebbe semplicemente lasciato da solo a cercare di capire come venire a capo della situazione e rimettere insieme i cocci della sua vita.
Non gli doveva niente e quello che aveva fatto per lui, la benevolenza che gli aveva concesso, era già più di quello che meritasse dal Prescelto dopo le azioni riprovevoli che aveva commesso.
Harry scrollò le spalle.
«Allora, Malfoy», s’intromise Ginny improvvisamente. «Siamo tutti mooolto entusiasti del progetto per l’incentivazione della cooperazione tra Case dei professori, soprattutto visto che nessuno di noi è finito in coppia con la Parkinson o Nott, ma noi ne abbiamo uno nostro.»
«E crediamo che sia migliore e più efficace, ovviamente» affermò Blaise con convinzione.
«Feste!» esclamò Daphne con entusiasmo. «Segrete, ovviamente.»
«La prima sarà a Halloween», proseguì Potter, mentre studiava con interesse la reazione di Draco.
Le sopracciglia di Blaise si alzarono e si abbassarono ripetutamente, ammiccando verso di lui. «Mostriamo a questi Grifondioti come si divertono le serpi, Malfoy.»
Il biondino li guardò incerto.
Erano tutti ubriachi?
Li avevano obliviati e non ricordavano del Marchio sbiadito sul suo avambraccio? Di tutto quello che aveva fatto in passato? Dei loro vecchi dissapori?
«Voi ve lo ricordate che io sono Caposcuola, vero?» asserì in tono piccato. «E che voi, in teoria, siete Prefetti
Ginny borbottò qualcosa all’orecchio di Zabini, di cui Draco comprese solo il nome “Hermione”, ma gli altri sembravano completamente intenzionati ad ignorare le sue precisazioni.
«È una sfida», aggiunse Daphne. «Noi Serpeverde organizzeremo Halloween, mentre i Grifondoro penseranno a Capodanno. Chi organizzerà la festa più divertente vincerà la scommessa.»
Draco sorrise nel sentire quelle parole.
Così aveva più senso, certe cose non cambiavano mai.
Come la rivalità tra Grifondoro e Serpeverde, anche se ora pareva dispiegarsi in termini più amichevoli.
Una sfida a colpi di feste sembrava meglio dei vecchi duelli tra i corridoi o negli atri del castello.
«Saranno comunque tranquille, limitate agli studenti dell’ultimo anno», precisò Ginny.
«Quelli che ci piacciono, almeno» chiarì prontamente Daphne.
«Abbiamo deciso di squalificare dalla gara Tassorosso e Corvonero a priori, però», specificò ancora Blaise. «Non li abbiamo coinvolti, quattro feste illegali darebbero troppo nell’occhio.»
L’angolo delle labbra di Draco si incurvò di nuovo, mentre scuoteva il capo divertito.
«Capodanno, eh?»
«Beh, sì» disse Daphne. «Stiamo rimanendo tutti al castello.»
«A meno che tu non preferisca andare a trovare mamma e papà durante le vacanze», commentò sardonicamente l’altro Serpeverde.
Draco fece una smorfia.
«D’accordo», disse alla fine. «Sono dei vostri.»
Zabini e la Greengrass si scambiarono il cinque, ma Draco pensò solo alle parole che la Granger aveva scritto nel diario qualche tempo prima.

‘Quando la gente vedrà che ti stai impegnando, che stai veramente cambiando… ti perdonerà.
E tutto andrà meglio, vedrai.

Ma non chiudere le porte in faccia alla possibilità di ricominciare, o sarà stato tutto inutile.
Potrai anche pensare di stare meglio per conto tuo, ma nessuno vuole veramente essere solo.
E quando qualcuno ti tenderà una mano, perché credimi, qualcuno lo farà prima o poi… Non rifiutarla per orgoglio.
L’orgoglio non porta mai a nulla di buono.’

Draco si chiese se quella fosse la mano di cui parlava la Granger.
«Solo una piccola raccomandazione» asserì Potter, serio. «Non dite niente a Hermione, soprattutto della competizione.»
Ginny scosse il capo con altrettanta convinzione, poi si lanciò in una perfetta imitazione della loro amica. «Direbbe qualcosa del tipo “siete Prefetti! Dovete dare il buon esempio! Non potete organizzare festini illegali nel castello e oltre il coprifuoco per giunta!”»
Tutti i presenti scoppiarono a ridere, ma non Draco, che si stava domandando che senso avessero quelle feste per lui se la Granger non ci sarebbe andata.
«La trascineremo alla festa a cose fatte», aggiunse il Prescelto. «Una volta che le regole saranno state infrante, verrà comunque per tenere d’occhio la situazione.»
 
***
Hermione
 
 
«Che ci facevate al tavolo con Malfoy?»
Harry alzò lo sguardo su di lei e posò la forchetta nel suo piatto, poi fece spallucce.
Hermione lanciava delle rapide occhiate al tavolo dei Serpeverde, dove il biondino sedeva per la prima volta in compagnia, anche se erano solo lui, Zabini e la più grande delle sorelle Greengrass, un po’ in disparte rispetto agli altri compagni.
Pansy Parkinson osservava la scena con disappunto poco più in là, lanciando occhiate truci in direzione di Daphne, che sedeva accanto a Draco, nel posto che un tempo soleva occupare lei.
«Daphne e Blaise erano convinti che meritasse una seconda possibilità», spiegò Harry. «E sinceramente, lo penso anche io.»
Hermione si morse il labbro inferiore.
«Andiamo, Herm. Lo hai detto anche tu che ti sembra diverso.»
«Non vuol dire niente», rispose lei evasiva.
«Solo perché tiene la testa bassa e non mi infastidisce a lezione non vuol dire che sia cambiato, Harry.»
«No, ma hai detto che collaborate tranquillamente, no? Magari non sta fingendo, magari ha davvero imparato qualcosa da quello che ha vissuto durante la guerra, no?»
Hermione scosse il capo. «Magari sarà… aperto alla possibilità di conoscere voi, ma non si farà mai vedere in giro con me.»
Il moro sollevò un sopracciglio.
«Sono giorni che mi chiede di parlare», argomentò la ragazza. «Ma gli prende il panico ogni volta che l’occasione per farlo gli sembra troppo pubblica.»
Harry assottigliò gli occhi a quell’informazione. «Hermione, hai mai pensato che potrebbe non voler rischiare di essere interrotti o ascoltati da terzi perché quello che ti deve dire è personale?»
«Personale?» fece lei, perplessa. «Perché Malfoy dovrebbe volermi dire qualcosa di personale?»
§
Lo trovò seduto sul divano ad aspettarla quando tornò al dormitorio dopo cena.
Si stava torturando le mani e aveva lo sguardo basso.
«Malfoy?»
Lui non la guardò.
«Ero lì quando… Voldemort ha ucciso la Burbage.»
Hermione sussultò a quella rivelazione improvvisa.
E nel sentirgli pronunciare quel nome, letteralmente l’ultima cosa che si sarebbe aspettata di sentire uscire dalla bocca del biondino.
Lo vide deglutire e passarsi le mani sul volto.
«Al Manor. L’ha uccisa e l’ha data in pasto al suo serpente per cena. Sullo stesso tavolo su cui fino a quel momento avevo consumato i miei di pasti. Mentre i Mangiamorte ridevano
La ragazza si pietrificò.
Quella confessione arrivava come un fulmine a ciel sereno, anche se spiegava perfettamente la reazione di Draco della sera prima alla menzione della professoressa Burbage… e anche il motivo per cui non aveva voluto parlarne nei corridoi.
Harry aveva ragione.
E lei si sentiva una persona terribile per averlo evitato tutto il giorno, per aver tratto rapidamente le sue conclusioni.
«Per cui Granger, la prossima volta che ti dico che non voglio parlare di una cosa in pubblico, non pensare di aver capito tutto, di sapere tutto», sputò risentito il Serpeverde. «Perché sinceramente a questo punto dovrebbe esserti chiaro, se solo non ti piacesse tenere su un paraocchi quando si tratta di me. A me non frega un cazzo del tuo sangue. Non mi importa più di tutte quelle stronzate! Ho visto abbastanza merda per rendermi conto da solo della realtà dei fatti.»
«Malfoy…»
«E non ti sto evitando perché non voglio essere visto in pubblico mentre parlo con te. Dannazione, è da quando siamo tornati in questo maledetto castello che non faccio che cercare un pretesto per parlarti, per poterti dire che mi dispiace, cazzo!» urlò Draco e poi sgranò gli occhi, rendendosi conto di averle finalmente detto quelle due paroline… Ma nel modo sbagliato.
Hermione divenne scarlatta.
Il biondino deglutì forte e poi trasse un profondo respiro per calmarsi e poter cercare di salvare la situazione; addolcì il tono della sua voce. «Mi dispiace. Per tutto. Per il ruolo che ho avuto durante la guerra… e per quello che ho fatto prima.»
Quindi, era quello che voleva dirle.
E lei aveva evitato di trovarsi da sola con lui per quasi un mese e mezzo, impedendoglielo; credendo che non fosse una cosa importante, perché lei non aveva mai pensato che Draco Malfoy potesse dispiacersi del modo in cui l’aveva trattata in passato, né tantomeno scusarsi per il suo comportamento, né che avesse qualcosa di importante da dirle in generale. Non a lei, nonostante le sue dichiarazioni al processo.
«Non mi piace espormi. Ma ho deciso di farlo, con te», mormorò ancora, abbassando il tono della voce fino a farla divenire quasi un sussurro. «E ancor meno mi piace essere interrotto o l’idea che qualcuno possa sentirmi mentre lo faccio. Per questo ti chiedevo di vederci in privato. Volevo solo dirti che mi dispiace, Granger.»
Restò a guardarla carico di aspettativa per un po’.
Hermione non sapeva come reagire.
Non si sarebbe mai aspettata delle scuse da parte di Draco Malfoy.
Non pensava nemmeno di volerle, né di averne bisogno.
Ma era stato bello sentirglielo dire.
Specie quando aveva appena messo da parte l’orgoglio e cercato di tendergli una mano e aveva interpretato la sua ritrosia a parlarle in pubblico come vergogna di essere visto con lei. Specie quando i suoi amici avevano appena deciso di dargli una vera possibilità, di ammetterlo nel loro gruppo.
Hermione annuì semplicemente.
«Non avrei dovuto giudicarti così tanto in fretta», disse soltanto, abbassando lo sguardo sulle sue scarpe.
«No, non avresti dovuto.»
Lei annuì una seconda volta.
«Ci sono tante cose che non sai di me, Granger» sospirò Draco. «Cerca solo di decidere se vuoi scoprirle o meno.»
E poi se ne andò nel suo dormitorio, lasciandola sola, mentre parole lontane che aveva letto sul diario venivano rievocate dalla sua mente.

‘Lo so che la gente non ci pensa mai, a come dev’essere la guerra vissuta dal mio punto di vista.
Perché sono bloccato sull’altro fronte, costretto a stare dal lato che è in torto.
Ma a scuola, quando i Carrow ci costringono ad usare la Cruciatus sugli studenti in punizione, io non rido come molti altri Serpeverde.
Io non mi diverto affatto.
Una Fattura Languelingua mi diverte.
Una Fattura Tarantallegra mi diverte.
Magari una Fattura Orcovolante.
Come divertono tutti, solo che io non sono così ipocrita da negarlo solo perché qualcuno tempo fa ha deciso che le Fatture sono poco etiche da usare.
Ma non la Cruciatus.
Non quello che ho visto fare ai Mangiamorte.
Non ho mai tratto alcun piacere da tutto quello.’

Hermione deglutì.
Per la prima volta, realizzava che, ragazzo del diario escluso, non aveva mai creduto che potessero esserci altri Serpeverde che si sentivano in qualche modo come lui in merito agli eventi della guerra. Neanche quando era tornata a Hogwarts e contro ogni previsione aveva stretto un’improbabile amicizia con Zabini e la Greengrass.
E soprattutto non aveva mai concesso a Draco Malfoy il beneficio del dubbio, non veramente; non aveva mai pensato che potesse essere uno di quei Serpeverde.
Per la prima volta, Hermione si accorgeva di non essersi mai chiesta come fosse stato per Draco dall’altra parte, come lui avesse vissuto la guerra.
Perché sì, lei era stata quella perseguitata e si era lanciata in imprese eroiche, aveva combattuto i Mangiamorte, ma per la maggior parte del tempo era stata nei boschi con Harry e Ron. Aveva avuto dei momenti di luce nell’oscurità, i suoi amici.
E quello che aveva visto e vissuto in prima linea era stato comunque orribile.
Ma Draco era stato invischiato in quello per due anni.
Era stato circondato dai Mangiamorte per due anni, costantemente.
Cos’aveva visto lui?
Cos’aveva vissuto Draco?
E poi, una domanda ancora più terribile.
Cos’era stato costretto a fare per avere salva la vita?
Era stata troppo veloce a giudicare.
Hermione salì nella sua stanza e tirò fuori il diario.

‘Mi dispiace.’

Scrisse trattenendo a stento le lacrime.

‘Perché avrei dovuto imparare molto di più dalle nostre conversazioni.
Invece a quanto pare non ho imparato abbastanza.
Non ho imparato a dare il beneficio del dubbio a chi mi ha fatto male in passato.
Credevo di non avere dei pregiudizi, ma forse non è così.’

La risposta arrivò qualche istante dopo.

‘Sei stata tu quella ferita.
L’altra persona può aspettare.
Può adattarsi ai tuoi tempi.
Ti ha fatto del male.
Ti deve almeno questo.’

******

‘Con la morte si convive, non si supera mai veramente.
Tutto quello che possiamo fare è accettarla, anche se fa male.
Possiamo solo sperare che un giorno ne farà un po’ di meno.’


(Dal diario di Hermione, primi tempi a Hogwarts dopo la guerra.)

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Capitolo 8
*** Capitolo 7. La Camera dei Segreti ***


CAPITOLO 7
La Camera dei Segreti







Draco
 
Non sapeva cosa gli fosse preso quella sera, né perché fosse così arrabbiato con lei.
Forse perché non capiva o si rifiutava di vedere.
Di vedere lui.
Di notare i suoi cambiamenti.
Di interpretare correttamente i suoi gesti, preferendo vederci dietro malizia e furbizia.
Forse perché era stanco della dicotomia tra gli atteggiamenti della Granger; del suo essere comprensiva quando parlava con lei nel diario, per poi trattarlo con freddezza e sospetto nella vita.
Sapeva che non era colpa sua, lei non aveva idea del fatto che era con lui che scambiava quelle note.
Draco cercava di tenerlo a mente, ma non era facile.
Forse se le avesse detto tutto avrebbero potuto continuare il rapporto che avevano instaurato per corrispondenza anonima anche nella vita reale.
O forse non avrebbe voluto mai più avere a che fare con lui.
Forse l’avrebbe persa totalmente dicendole la verità.
Aveva desiderato per mesi di poterle parlare e poi gliele aveva urlate contro, le sue scuse.
Forse aveva rovinato tutto di nuovo.
Non gli aveva detto che lo avrebbe perdonato.
Non gli aveva detto assolutamente niente.
Forse non poteva perdonarlo.
Forse arrovellarsi il cervello per trovare il modo di redimersi ai suoi occhi era stata solamente fatica sprecata.
Forse non pensava che uno come lui fosse redimibile, salvabile.
Forse la Granger aveva dei limiti più severi di quelli di Potter.
Forse la Granger non avrebbe ritenuto redimibile neanche il ragazzo del diario, se avesse saputo che aveva il Marchio Nero sul braccio e che aveva aiutato i Mangiamorte ad entrare nel castello.
Che aveva usato la Cruciatus.
Che era stato a guardare mentre veniva torturata sul pavimento del salotto di casa sua.
Forse non avrebbe più risposto, se avesse saputo tutto.
Forse era stato stupido da parte sua sperare nel suo perdono, illudersi che essere dispiaciuto per le sue azioni passate potesse fare una qualche differenza.
Forse era stato stupido illudersi che quello che diceva al ragazzo del diario potesse valere anche per lui.
Forse lui non meritava affatto una seconda possibilità e Potter si sbagliava.
Daphne e Blaise si sbagliavano.
Forse, forse, forse…
§
La Granger non si presentò a lezione il giorno dopo.
A Draco non importava dover lavorare da solo, ma iniziava a temere che non si fosse fatta vedere perché voleva evitarlo.
Le aveva detto che gli dispiaceva e anche se non poteva perdonarlo, poteva almeno continuare a comportarsi come aveva fatto fino a quel momento, no?
Fingere che fosse tutto come sempre, collaborare a lezione e poi ignorarsi per il resto del tempo.
Draco avrebbe preferito anche quello al silenzio.
Il silenzio lo riportava ai suoi demoni.
E lui era stanco di vederli.
Blaise sbucò da dietro un angolo e lo afferrò per un braccio, trascinandolo per i corridoi di tutta fretta.
«Zabini, che diavolo stai-»
«Zitto e seguimi.»
Draco sbuffò, ma si diede da fare per stare dietro al suo compagno di Casa.
Entrarono in un’aula vuota, poi Blaise sigillò la porta.
«Cosa succede qui?»
Udire la voce di Potter lo sorprese, ma poi vide l’espressione furbastra sul volto di Blaise e Daphne e comprese immediatamente che avessero qualche sorta di piano.
Sperava solo di non essere stato coinvolto in qualcosa di problematico.
Lui non voleva guai.
Ne aveva avuti a sufficienza da farseli bastare per tutta la vita.
«Daphne, cosa significa?»
«Abbiamo un favore da chiederti», disse Blaise fischiettando.
«Per la location della festa», aggiunse la ragazza. «Abbiamo pensato, essendo Halloween, che la Camera dei Segreti sarebbe il posto perfetto.»
Harry li fissò come se fossero impazziti per un attimo, con un sopracciglio sollevato.
«Avete organizzato tutta questa cosa solo perché volete che vi dica come entrare nella Camera dei Segreti?»
«Io non ne sapevo nulla», precisò prontamente Draco. «Gli avrei detto che era un’idea stupida, se mi avessero spiegato prima cosa avevano in mente.»
Blaise e Daphne si scambiarono un’occhiata imbarazzata.
«Bastava chiedere», aggiunse il Prescelto, visibilmente basito.
«Abbiamo pensato che non volessi divulgare la cosa, insomma…»
«Quella Camera è solo una stanza, ormai» continuò Harry. «E comunque, appartiene alla vostra Casa. Si trova al secondo piano, nel bagno di Mirtilla Malcontenta. C’è un lavandino con un serpente inciso e se lo apri non scorre l’acqua. Ma dovete dire qualcosa in Serpentese per passare.»
«Ah», esclamò delusa Daphne.
«Ci puoi accompagnare tu allora?» propose Blaise.
Draco sbuffò.
Non aveva tempo per quello, doveva finire i compiti e poi correre a lezione di Alchimia.
«Non lo parlo più il Serpentese», fece Harry pensieroso. «Da quando… insomma, ci riuscivo solo perché avevo un frammento dell’anima di Voldemort dentro di me.»
I tre Serpeverde si scambiarono un’occhiata per metà orripilata e per metà scioccata, rabbrividendo in reazione a quelle parole.
«Però Ron e Hermione ci sono entrati durante la Battaglia cercando di ripetere qualcosa che mi avevano sentito dire nel sonno. Potremmo provare con “Apriti.”»
Quello cambiava tutto.
Draco non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di entrare nella Camera dei Segreti.
Era una di quelle cose che aveva desiderato di vedere da sempre.
«Vale la pena fare un tentativo, no?»
§
Draco non sapeva come avrebbero fatto i Grifondoro ad organizzare qualcosa di meglio di una festa di Halloween nella Camera dei Segreti.
Quel posto era da pazzi.
Era enorme, tetro e cupo; lo stile era palesemente quello di Salazar Serpeverde, perché ricordava molto la Sala Comune della sua Casa, ma al contempo era più tenebrosa.
Non vi erano camini, né finestre; solo una passerella fiancheggiata da statue di serpenti e poi un ampio spiazzo, con la ricostruzione del volto del Fondatore in pietra bianca, circondata da un piccolo corso d’acqua.
Una luce verdognola diffusa ovunque contribuiva a dare l’impressione di trovarsi sotto il Lago Nero.
«Piscina!» esclamò Blaise vedendo la piccola vasca, prefigurandosi immediatamente una festa in costume da bagno.
«Ci sguazzava il Basilisco, lì dentro», fece notare Harry, con le sopracciglia unite.
Una smorfia di disgusto apparve sul volto di Draco. «Io non ci entro.»
Quando Draco tornò nel dormitorio quella sera, dopo la cena, si sentiva inquieto.
La Granger non si era fatta vedere per tutto il giorno, aveva persino saltato i pasti.
E nella loro Sala Comune non vi era alcuna traccia del suo passaggio.
Sbuffò e si diresse direttamente nel suo bagno per fare una doccia.
Se per un attimo aveva creduto che lo stesse evitando, adesso non era più sicuro che il motivo della sua ‘sparizione’ fosse correlato a quello che era successo tra loro il giorno prima.
Potter non aveva detto nulla al riguardo, né gli era sembrato particolarmente preoccupato, per cui non aveva motivo di esserlo lui, di pensare che fosse accaduto qualcosa alla ragazza.
Ma sentiva che ci fosse qualche problema, qualcosa che non andava.
Non era da Hermione Granger saltare le lezioni in quel modo, senza un motivo valido.
Si infilò i pantaloni di una tuta con cui era solito dormire, afferrò il taccuino e si lasciò cadere pesantemente sul letto.
‘Ehi, tutto bene?’
‘No. Non è una bella giornata per me.’
‘È successo qualcosa?’
‘È il compleanno di mia madre.’
Draco corrugò la fronte.
Non aveva senso, non poteva essere quella la ragione del suo isolamento.
‘E vorresti essere lì con lei? Sei triste per questo?’
‘Sono triste perché lei non ricorda neanche di avere una figlia.’
Il biondino si irrigidì leggendo quelle parole. Non avevano senso.
C’era qualcosa che non sapeva?
‘Che cosa vuoi dire?’
‘Li ho obliviati. Ho obliviato i miei genitori, durante la guerra, dopo la morte di Silente.
E li ho mandati via, dove sarebbero stati al sicuro.
Loro non sanno di avere una figlia.’
Ci mise un po’ a processare quelle parole, a registrare le implicazioni di quanto gli stava raccontando la Granger… a capire pienamente cos’avesse fatto.
Comprese improvvisamente quello che gli aveva detto tempo prima sui diversi tipi di coraggio; quello che aveva dimostrato di avere lei rimuovendo sé stessa dalla memoria dei suoi genitori per salvarli, rientrava in una categoria a sé stante.
E lo aveva lasciato senza parole, mentre una nuova forma di senso di colpa andava diffondendosi dentro di lui.
‘Mi dispiace.’
Fu tutto ciò che riuscì a dirle.
Lui era stato parte del problema che l’aveva costretta a ricorrere a una misura così drastica.
La sua famiglia faceva parte di coloro che avevano dato la caccia ai Nati Babbani e ai loro genitori.
‘Non è colpa tua.’
Un gemito lasciò la sua gola.
Lui non la vedeva allo stesso modo.
‘Non posso fare a meno di sentirmi responsabile per quello che hai dovuto fare per proteggere la tua famiglia.’
La risposta impiegò qualche minuto prima di arrivare.
‘Tu non sei i tuoi genitori.’
No”, pensò Draco amaramente. “Ma sono stato a un passo dal diventare come loro.”
Il suo sguardo cadde sull’avambraccio sinistro e la ormai familiare smorfia di disgusto comparve sul suo viso.
Ma ho comunque la cicatrice dello stesso Marchio che ha mio padre sull’avambraccio.
Chiuse il diario e lo ripose nel cassetto, poi prese a fissare il soffitto, consapevole che ad aspettarlo ci fosse un’altra notte insonne.
 
***
Hermione
 
«No… no… basta…»
«Malfoy.»
Erano forse cinque minuti che lo chiamava, cercando senza successo di svegliarlo.
Draco Malfoy era disteso su uno dei divani nella loro Sala Comune e dormiva.
Non sembrava tranquillo; Hermione poteva vedere le sue pupille muoversi agitate sotto le palpebre chiuse, il suo petto alzarsi e abbassarsi rapidamente e il suo corpo venire scosso da movimenti frantici e involontari.
«Smettila… per favore… basta…»
Parlava con un tono quasi supplichevole, che la ragazza non aveva mai sentito uscire dalla sua bocca, né tantomeno si sarebbe aspettata di associare un giorno alla voce del Serpeverde.
Era stato già abbastanza difficile per lei accettare il suo cambiamento di tono nei suoi confronti, accogliere come nuova normalità il fatto che non le si rivolgesse con il suo solito andamento freddo e strascicato, carico di disgusto verso di lei; aggiungere questa nuova sfumatura al suono della sua voce era un'altra novità che la lasciava leggermente spiazzata.
«Fermati…»
«Draco!» esclamò a voce più alta, destandolo.
Il biondino sgranò gli occhi e scattò a sedere.
Si guardò attorno confuso per qualche istante, con la fronte leggermente corrugata e lo sguardo perso e spaventato, gli occhi lucidi di lacrime non versate.
Stringeva la bacchetta tra le mani con una presa ferrea, mentre studiava l’ambiente circostante in cerca di una minaccia da contrastare, la sua fronte era imperlata di sudore.
Draco incrociò lo sguardo preoccupato della ragazza e lasciò andare un breve sospiro di sollievo, allentando la presa sulla bacchetta, che rotolò di lato sul divano, accanto a lui.
«Draco, stai-»
La domanda che Hermione gli stava per rivolgere venne troncata di netto, quando il giovane, senza alcun preavviso, le afferrò le braccia e se la portò contro il proprio petto, stringendola forte e facendola ricadere sul divano a sua volta.
La Grifondoro si irrigidì e restò immobile con gli occhi sbarrati, mentre Draco affondava il volto nell’incavo del suo collo e lo nascondeva tra i suoi capelli voluminosi.
Poteva sentire il suo respiro, caldo e accelerato, contro la propria pelle e le sue mani muoversi disperatamente sulla sua schiena, alla ricerca di qualcosa che Hermione non conosceva.
Fu solo dopo qualche lungo istante che la ragazza si riscosse e poggiò esitante una mano sulla spalla di lui, mentre faceva scivolare l’altra, leggermente tremolante, tra i suoi capelli biondi; erano morbidi come la seta e Hermione si sorprese a provare una sensazione di piacere nel percepirli tra le sue dita. Si fermò un attimo a riflettere sul suo profumo, perché era la prima volta che si trovava così vicina a lui e aveva modo di inspirarlo appieno; era intenso, inebriante quasi, ma di una fragranza che non riusciva esattamente a collocare.
«Draco…» sussurrò, senza neanche accorgersi di aver iniziato a chiamarlo per nome, abbandonando il distaccato ‘Malfoy’ con cui si rivolgeva a lui di solito.
Un singulto scosse il corpo del Serpeverde al suono del suo nome che lasciava la bocca della ragazza, facendolo tremare tra le sue braccia.
«Era solo un sogno…»
Lo avvertì scuotere il capo, ancora celato alla sua vista dai suoi stessi capelli.
«No, non lo era…»
Hermione deglutì, capendo quello che il biondino intendesse dire con quell’affermazione.
Anche lei era ancora tormentata dagli incubi della guerra, esattamente come Harry, Ron e chiunque l’avesse in qualche modo vissuta in prima linea o più da vicino.
Sapeva quanto potessero essere reali quei sogni, quanto fosse difficile tornare alla realtà una volta svegli e convincersi di essere al sicuro. Ricordare a sé stessi che era tutto finito, che le cose andavano bene ora.
Hermione posò le mani sulle sue spalle delicatamente ed esercitò una leggera pressione per allontanarlo da sé e guardarlo in volto.
Draco si rifiutava di incrociare il suo sguardo.
Forse si vergognava di quel momento di debolezza che aveva avuto davanti a lei, forse si stava maledicendo per aver fatto una cosa tanto stupida come abbracciarla. Anche se Hermione non pensava affatto che fosse stupida, non in quel contesto, comunque.
«Ti preparo qualcosa per calmarti» gli disse sommessamente, rimettendosi in piedi e dirigendosi verso la propria stanza senza aspettare la sua risposta.
Sentì un gemito di protesta lasciare la gola di Draco e i suoi occhi grigi seguirla per tutto il percorso. Quando Hermione tornò in Sala Comune con una tazza fumante tra le mani, lo trovò ancora intento a fissare il punto in cui era sparita poco prima.
Il biondino distolse subitaneamente lo sguardo dalla sua figura e lasciò ricadere pesantemente la testa sul divano; strinse forte gli occhi e cercò di respirare a fondo, deglutendo.
«È camomilla, un infuso babbano», spiegò Hermione tendendogli la tazza. «L’ho preparata con la magia, ti aiuterà a calmare i nervi.»
Draco studiò il liquido con aria diffidente per un paio di secondi.
«Non sto cercando di avvelenarti, Malfoy.»
Il giovane allungò un braccio e agguantò la tazza con mano malferma, senza proferire parola; la Grifondoro prese posto sulla poltrona davanti a lui e lo osservò bere l’infuso in silenzio.
Nessuno dei due disse niente per quelle che parvero ore.
Quando il giovane ebbe finito di bere, posò la tazza sul tavolino tra loro e poi sembrò rilassare i muscoli, distendendosi contro lo schienale del divano.
«Grazie», mormorò il Serpeverde, chiudendo gli occhi e giocando distrattamente con l’anello che portava al dito.
Hermione, attirata da quel gesto, si ritrovò a fissare le sue dita lunghe e sottili, a seguirne attentamente i movimenti, come se stessero facendo qualcosa di incredibilmente interessante e non di ordinario e meccanico. Doveva essere un’abitudine del biondino, rigirarsi quell’anello attorno al dito.
Si mordicchiò l’interno della guancia, mentre sollevava lo sguardo per studiare il ragazzo semidisteso davanti a sé.
Aveva i capelli leggermente spettinati, il che strideva con la sua immagine impeccabile che era abituata a vedere nei corridoi della scuola praticamente da sempre, cosa che probabilmente dipendeva da lei e dal modo in cui li aveva accarezzati poco prima nella speranza di aiutarlo a tranquillizzarsi; se la cosa lo aveva infastidito in qualche modo, Draco non lo aveva dato a vedere. Lei arrossì lievemente al pensiero, ma continuò a osservarlo. La sua cravatta era allentata e ricadeva penzoloni attorno al colletto, mentre i primi tre bottoni della camicia erano aperti; gli eleganti e raffinati pantaloni neri che indossava, - Hermione ipotizzò che fossero stati fatti su misura per lui -, aderivano alle sue gambe per via della posizione che aveva assunto.
Il primo pensiero che attraversò la mente della Grifondoro nel vederlo così, tranquillo, ma palesemente tormentato, fu che Draco le ricordava un angelo caduto.
Bello, ma un po’ cupo.
Affascinante, ma pericoloso.
Misterioso, ma tormentato.
Distante, ma incompreso.
Impeccabile all’esterno, ma irrimediabilmente danneggiato all’interno.
Freddo, ma bisognoso di affetto.
Forse, pensò per la prima volta la ragazza, Draco Malfoy aveva semplicemente bisogno di qualcuno su cui fare affidamento, qualcuno che gli mostrasse un altro modo di vivere e di relazionarsi con le persone, diverso da quello che era stato cresciuto per seguire.
Hermione sospirò e quel suono dovette attirare l’attenzione del biondino, perché i suoi occhi grigi dardeggiarono immediatamente nei suoi.
Erano di un colore singolare, un grigio ghiaccio che probabilmente apparteneva solo alla sua famiglia e non aveva eguali; se in passato la ragazza li aveva trovati freddi e privi di espressione, di emozioni, adesso ne notava la profondità e la tempesta che sembrava imperversare dietro quelle iridi argentee.
Lo sentì schiarirsi la gola.
«Non volevo metterti a disagio», esordì Draco, distogliendo lo sguardo da lei e risvegliandola dai suoi stessi pensieri.
«Non mi hai messa a disagio», rispose lei con un tono di voce calmo e pacato.
Il giovane annuì con poca convinzione.
«Sai, Draco» sussurrò Hermione dopo una lunga pausa di silenzio, «sono qui, se vuoi parlarne.»
Il biondino deglutì, ma tornò a guardarla.
Aveva un’espressione leggermente incredula stampata sul volto.
Sembrò ponderare per qualche istante l’idea di parlarle veramente, ma poi scosse lentamente il capo e si alzò. Poco prima di sparire dietro la porta che conduceva al lato maschile del dormitorio, però, Draco esitò per un secondo.
«Non smetterò mai di odiarmi per quello che ti è successo in casa mia», ammise con un filo di voce, talmente basso che Hermione si chiese se non avesse immaginato quelle parole, poi sparì nella sua stanza senza aggiungere altro.
Lasciandola sola ad elaborare quella strana, insolita, successione di eventi.
Lasciandola sola a interrogarsi sul grande enigma che era diventato Draco Malfoy.

 
******
 
‘Hai mai pensato che i tuoi genitori non ti volessero bene? Immagino di no.
Io non l’ho mai messo in dubbio, prima della guerra.
Poi è iniziato tutto e mi sono reso conto che qualcuno che ti ama non ti metterebbe mai in determinate situazioni.
Che qualcuno che ti vuole bene non ti spingerebbe mai a prendere… una strada del genere.
Qualcuno che ti vuole bene avrebbe fatto di tutto per proteggerti da questo.
Forse è vero, che i Serpeverde non sanno amare.’


(Dal diario di Draco, primi tempi a Hogwarts dopo la guerra.)

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Capitolo 9
*** Capitolo 8. Invasione ***


CAPITOLO 8
Invasione







Draco
 
Non era sua intenzione addormentarsi sul divano della Sala Comune due giorni prima.
E non avrebbe mai voluto svegliarsi dopo un incubo davanti a lei.
Soprattutto, non dopo quell’incubo.
Quella notte al Manor lo tormentava da mesi e, Draco ne era assolutamente certo, non avrebbe mai smesso di farlo.
Ma c’era stata una nota diversa quel giorno.
L’aveva vista, subito dopo essersi risvegliato.
Aveva visto che stava bene.
Che erano al castello.
Che erano al sicuro.
Che lei era al sicuro.
E per la prima volta, dopo aver riaperto gli occhi ed essere uscito da quel ricordo sempre vivido nella sua mente, sempre orrendo, Draco aveva provato un pizzico di sollievo.
Non era riuscito a fermarsi, a stroncare in tempo quell’impeto che lo aveva colto con violenza e lo aveva portato ad afferrarla e a stringerla tra le braccia.
Perdonami”, aveva pensato dentro di sé, mentre si aggrappava a lei con tutte le sue forze.
“Perdonami, Granger.”
Tra tutte le cose orribili a cui aveva assistito, quella era la più brutta, quella che lo aveva segnato di più.
Aveva spezzato qualcosa in lui, aveva fatto crollare definitivamente tutte le sue certezze, quelle poche che erano ancora in piedi in quel momento.
Ed era stato anche il momento in cui Hermione Granger era diventata il suo chiodo fisso.
Il senso di colpa per essere rimasto fermo a guardare.
Il senso di colpa per non aver fatto assolutamente niente per aiutarla, per non aver cercato di proteggerla, di coprirla in alcun modo, cosa che invece aveva fatto con più zelo per gli altri.
Il senso di colpa dovuto al forte sospetto che ci fosse lei dietro al diario, che fosse stata lei a supportarlo durante quell’anno infernale, e quando invece era venuto il suo turno le aveva voltato le spalle.
L’ammirazione per la sua fierezza e il suo coraggio nel non crollare, nel non farsi spezzare da Bellatrix.
L’ammirazione verso di lei quando l’aveva ritrovata durante la battaglia di Hogwarts, pronta a combattere nonostante tutto, impugnando la stessa bacchetta che l’aveva torturata solo un mese prima.
La gratitudine verso lei e Potter per averlo salvato nella Stanza delle Necessità in fiamme, nonostante lui non si fosse dimostrato minimamente meritevole della loro preoccupazione e del loro sforzo.
Il disgusto verso sé stesso al ricordo della sua scelta di non rimanere con i compagni di scuola, dal lato giusto del fronte, per raggiungere invece i propri genitori, - sua madre -, quando lo avevano chiamato durante la Battaglia di Hogwarts.
La vergogna, ricordando lo sguardo della Grifondoro su di sé, che lo scrutava con la chiara speranza che non muovesse un passo, che per una volta scegliesse di fare la cosa giusta… e lui che ignorava quella muta richiesta.
L’odio verso sé stesso per come l’aveva trattata in passato.
Il desiderio di redenzione e perdono, quando aveva avuto la conferma che fosse lei la ragazza del diario.
Quando aveva capito che lei era la sua ancora di salvezza.
E il dolore quando aveva realizzato di non meritarla.
Perdonami, Granger. Ti prego.
§
Non ne avevano più parlato e la Granger non aveva menzionato niente che lo riguardasse nel diario, a parte quel breve accenno alla discussione che avevano avuto il giorno in cui era sbottato e si era scusato con lei in quel modo penoso.
Non sapeva se essere contento della cosa oppure irritato da essa.
Da una parte, gli piaceva l’idea che non andasse in giro a parlare di lui e delle sue recenti confidenze, dall’altra il timore che quelle ammissioni e le sue scuse non avessero significato assolutamente niente per lei lo spingeva a desiderare che la Granger scrivesse sul diario una qualsiasi cosa in merito.
Non era facile per lui dirle quelle cose, non a voce.
Non quando poteva vedere i suoi bellissimi occhioni marroni puntati su di sé, studiarlo attentamente e con vivida curiosità.
Non quando poteva leggere tutto quello che provava in reazione alle sue parole nella trasparenza delle sue espressioni facciali.
Eppure, ci provava ogni volta che ne aveva l’occasione, sperando che lei potesse in qualche modo capire.
Che potesse capire lui.
Era chiaro che la Granger non riuscisse ad aprirsi allo stesso modo con lui e Draco lo capiva; a differenza sua, lei non sapeva che non avevano fatto altro nell’ultimo anno se non confidarsi cose personali l’un l’altro.
Ciò che lo innervosiva maggiormente, però, era il fatto che non accennasse minimamente a riconoscere quelle conversazioni quando lo rivedeva il giorno seguente.
Si comportava come se non le avesse detto assolutamente nulla, sebbene fosse gentile nei suoi confronti e l’atmosfera tra di loro si fosse notevolmente rilassata quando studiavano insieme, al punto da lasciarsi andare a qualche scambio di battute di tanto in tanto.
Il che era comunque più di quello che meritava, indubbiamente.
Cosa si aspettava, d’altronde?
Che gli gettasse le braccia al collo e gli dicesse che lo perdonava?
Che lo ringraziasse per aver finalmente capito che sorta di imbecille fosse stato in passato?
Che gli fosse grata per essersi scusato?
Lei non gli doveva niente.
Era lui quello in debito con lei.
Era lui quello in torto, quello che doveva dimostrarle qualcosa.
Ma la sua indifferenza davanti ai suoi sforzi di aprirsi ed esporsi con lei gli faceva comunque male.
Era persino ritornata a chiamarlo per cognome il giorno dopo il loro piccolo rendez-vous non programmato in sala comune.
Gli aveva dato fastidio, perché il modo con cui pronunciava il suo nome era il suono più bello che avesse mai sentito e non voleva che smettesse, voleva continuare a sentirlo.
«Chiamami con il mio nome, Granger» le aveva dovuto dire, sperando di non suonare troppo supplichevole. «Chiamami Draco
Sbuffò quando udì un fracasso insolito provenire al di fuori della porta del dormitorio dei Caposcuola, distogliendolo dal ricordo dell’espressione meravigliata sul viso della Granger quando gli aveva sentito enunciare quelle parole.
«Ma che diavolo succede?» borbottò irritato, alzandosi dal divano e dirigendosi verso l’entrata.
«Potter, non posso farti entrare se non mi dici chi sei e cosa vuoi!» stava urlando il quadro di Sir Cadogan.
«Ma fa sul serio?», la risposta di Blaise arrivò pronta e piccata subito dopo.
«Tu lo sai chi sono! Mi hai visto in giro per i corridoi con Hermione per sette anni!», obiettò il Prescelto, evidentemente spazientito.
«Non posso lasciarvi entrare senza parola d’ordine! Questi dormitori sono riservati ai Caposcuola, potreste avere brutte intenzioni o in mente atti osceni!»
«Siamo Prefetti! Prefetti!», scandì bene Ginny, ma Sir Cadogan restava irremovibile.
«Prefetti, non Caposcuola
«Oh, dannato quadro!» sbottò Daphne, proprio mentre Draco apriva la porta e gli si parava di fronte.
«Che accidenti state-»
«Oh! Finalmente!», lo interruppe la Greengrass. «Stavi facendo un riposino di bellezza, Principino?»
Il biondino fece ruotare gli occhi.
«Stavo studiando. Sai, sono tornato a scuola per questo», ribatté piccato, ma il gruppo lo ignorò e si fiondò all’interno della Sala Comune, trascinandolo nuovamente dentro.
«Merlino, parli come Hermione!» esclamò Ginny sbuffando.
«Avete questo posto tutto per voi e siete una noia mortale. Potreste fare fuochi d’artificio e invece lo usate per studiare?», commentò Blaise incredulo.
Draco sbuffò, ma ringraziò il cielo per il fatto che Hermione non fosse entrata prima di quella battuta carica di allusioni di Zabini.
«Che cosa succede qui?», domandò la ragazza, guardandosi attorno sbigottita.
«Siamo stati invasi, Granger», rispose il biondino, annoiato. «Ecco cosa succede!»
La Grifondoro spostò lo sguardo su tutti i presenti e si portò le mani sui fianchi.
«Quella è la mia borsetta di perline, Harry?»
Un sorrisetto malizioso comparve sul volto del Prescelto, mentre puntava la bacchetta all’interno dell’accessorio.
«Accio!»
Dei bicchieri e diverse bottiglie di Burrobirra, Firewhiskey e Aquaviola saltarono fuori e si posarono sul tavolino al centro dei divani.
«Party privato!» esclamò Blaise, entusiasta.
Draco e Hermione sgranarono gli occhi e si scambiarono uno sguardo sconvolto.
«ASSOLUTAMENTE NO!» dissero all’unisono, ma nessuno nel gruppo parve dar loro ascolto.
«Siamo anche passati dalle cucine prima di venire», aggiunse Blaise facendo un cenno del capo a Harry, che tirò fuori del cibo dalla borsetta di perline e lo sistemò sul tavolo.
Hermione sembrava sempre più irritata. «Non potete fare sul serio!»
«Come abbiamo detto prima che arrivassi», asserì Ginny con grande enfasi. «Questo posto è sprecato per voi due. Un musone secchione e una secchiona musona con tutto questo spazio privato a disposizione? Avete bisogno di noi!»
«Musone secchione
«Secchiona musona
Ripeterono sdegnati i due ragazzi.
Tutti i presenti annuirono con convinzione.
«E non credete che la nostra assenza a cena in Sala Grande potrebbe destare dei sospetti?» considerò Hermione, accigliata come Draco l’aveva vista poche volte.
«Che motivo hanno di sospettare qualcosa di male?», chiese Harry. «Va tutto bene.»
Il biondino sbuffò, ma si diresse comunque verso il divano libero e vi si lasciò sprofondare.
«Draco!» protestò l’altra Caposcuola, con voce acuta, realizzando di aver perso il suo appoggio sulla questione.
«Draco?» le fecero eco tutti gli altri.
Hermione ringhiò dalla frustrazione e il giovane dovette impiegare tutte le sue forze per impedirsi di scoppiare a ridere.
«Siediti, Granger», disse rassegnato. «Ormai siamo in campo. Giochiamo.»
La Grifondoro sbuffò, ma andò a prendere posto nell’unico spazio disponibile, ovvero accanto a Draco.
«Amici dell’anno!», bofonchiò sottovoce, ma il Serpeverde la sentì ugualmente e le sue labbra si incurvarono leggermente all’insù in risposta.
 
***
Hermione
 
Draco Malfoy non sorrideva.
Mai.
Hermione non ricordava l'ultima volta in cui aveva visto il suo viso dispiegarsi in un sorriso, o in un ghigno, o in qualsiasi espressione di ilarità in generale.
Forse l'ultima volta che lo aveva visto sorridere veramente era stata durante il quinto anno.
C'erano stati dei momenti in cui il Serpeverde era sembrato sul punto di farlo da quando erano tornati a Hogwarts. Ma poi, come se a un certo punto ricordasse di non esserne più capace, le sue labbra restavano una linea dritta, o al massimo si incurvavano di un millimetro. Impercettibile.
Draco Malfoy non sorrideva.
Neanche ora che aveva di nuovo della gente attorno.
Neanche ora che era libero dalla minaccia Voldemort sulla sua testa e sulla sua famiglia.
Forse il pensiero di quanto fosse caduto in basso il nome dei Malfoy, di cui andava così fiero prima della guerra, lo aggravava a tal punto.
O forse era il peso del suo passato a impedirgli di sorridere.
Hermione non ne aveva la minima idea.
Non sapeva neanche perché stesse pensando a quello.
Non reggeva molto bene gli alcolici e Blaise le aveva passato un paio di bicchieri di troppo, forse tre.
Non si era neanche resa conto che i loro amici avevano già lasciato il Dormitorio.
«Siamo Prefetti! Non possiamo violare così tanto il Coprifuoco!» aveva sentito dire a Ginny, che probabilmente la stava prendendo in giro, ma in quel momento non le importava minimamente. Aveva trovato divertente quella battuta e la verità era che si sentiva così leggera che delle regole se ne stava infischiando altamente.
Era il suo problema da sempre; aveva il disperato bisogno di staccare la spina e dimenticare per un secondo i pesi che portava sulle spalle, ma il timore di lasciarsi andare e non riuscire a tornare indietro la fermava sempre.
La guerra aveva peggiorato le cose.
Se si fosse ubriacata, sarebbe stata vulnerabile. Come si sarebbe difesa in caso di attacco?
La guerra era finita nel mondo magico, ma non nella sua testa.
«Stai bene, Granger?» le domandò Draco, fissandola con la fronte sollevata e una strana luce negli occhi, che poteva benissimo essere una punta di divertimento o l’effetto del Firewhiskey che aveva bevuto.
Hermione si guardò attorno spaesata.
«Dove sono gli altri?»
Il biondino si morse il labbro inferiore.
«Andati.»
«Andati?»
«Sono tornati nei loro dormitori. È tardi. Dovresti andare a dormire anche tu.»
La ragazza corrugò la fronte. «E tu?»
«Difficilmente dormo, Granger. Ma se mi stai invitando, posso fare un tentativo.»
Hermione non capì a pieno quello Draco le aveva appena detto, ma l’immagine di lui che provava a salire le scale del dormitorio femminile e veniva respinto dall’incantesimo che vigeva su di esse per poco non la fece scoppiare a ridere.
Era una delle regole più rigorose del castello: i ragazzi non potevano accedere ai dormitori femminili.
«Ti prego! Vieni su con me, muoio dalla voglia di vederti rotolare giù dalle scale!»
Non era sicura di dove avesse trovato l'audacia di dare una risposta del genere e non era abbastanza lucida da notare l’allusività nella battuta fatta dal biondino, né tanto meno la sua natura.
Avrebbe dovuto chiedersi se avesse qualche problema; loro non scherzavano mai, di certo non... flirtavano?
Se l’era immaginato o Draco Malfoy aveva appena flirtato con lei?
Forse aveva bevuto troppo.
Forse avevano entrambi bevuto troppo.
Doveva andarsene alla svelta, prima che le cose diventassero eccessivamente imbarazzanti.
Hermione arrossì leggermente.
Si scrollò quei pensieri di dosso e provò ad alzarsi, ma inciampò nei suoi stessi passi e ricadde sul divano una frazione di secondo dopo.
Sbuffò sonoramente, cercando di togliersi i capelli dal volto.
E poi la sentì.
Leggera e quasi inudibile.
Una risata.
La risata di Draco.
Flebile, ma vera, divertita.
«Sei ubriaca, Granger?»
Hermione si voltò di scatto verso di lui e sbatté le palpebre più volte del necessario.
Lo aveva fatto ridere.
Da quanto tempo Draco Malfoy non rideva?
La testa le girava vorticosamente.
Provò a rimettersi in piedi, ma perse di nuovo l'equilibrio.
«Lo prendo per un sì.»
La voce di Draco sembrava una melodia lontana. «Non avrei mai pensato di vedere il giorno in cui Hermione Granger si sarebbe ubriacata.»
«Sei insopportabile, Draco Malfoy.»
Lui rise di nuovo.
Una risata limpida, cristallina.
Genuina.
«Forza, ti aiuto.»
Aiutarla?
Draco Malfoy la voleva aiutare?
Dove aveva messo la bacchetta? Quello... non era possibile. Aveva sicuramente un piano per farle del male o prenderla in giro ulteriormente.
Però aveva riso.
Due volte.
Due secondi dopo, Hermione si chiese quando le aveva circondato la vita con un braccio.
Lo guardò con una strana espressione dipinta sul volto.
Era vicino, quasi quanto la sera in cui l'aveva abbracciata e aveva potuto osservarlo come non aveva mai avuto modo di fare prima, con minuzia e attenzione ai dettagli.
La sua colonia aveva un profumo singolare e intenso, di quelli che restavano nel naso anche a distanza. Respirarla le fece perdere ulteriore lucidità.
Le labbra di Hermione si incurvarono.
«Stai sorridendo», gli disse con voce dolce, ma incerta e leggermente strascicata per via del suo attuale stato. «Non sorridevi da tanto.»
Il biondino si immobilizzò per qualche istante e restò a fissarla sorpreso, con gli occhi leggermente sgranati.
Ghiaccio.
I suoi occhi erano grigi come il ghiaccio.
Le venne da ridere.
Quell'espressione le suonava strana... il ghiaccio non aveva un colore.
Però era un grigio freddo e nel realizzarlo, Hermione fu percorsa da un brivido.
A volte, se guardava bene e si concentrava, scorgeva sprazzi di tempesta in quelle iridi, ma in quel momento erano tranquille.
Si chiese se la ragione per cui quegli occhi risultassero così freddi era che Draco occludeva.
Da qualche parte nella sua mente, riemerse il ricordo di Harry che le diceva di aver origliato una conversazione tra Piton e il biondino in cui il professore accennava alle sue doti in Occlumanzia.
Forse le erano sempre sembrati privi di emozione perché Draco non ne lasciava trapelare alcuna.
Occludeva.
Occludeva da sempre, sopprimeva ciò che provava.
Forse.
Forse c’era di più in Draco Malfoy di quanto lasciasse trapelare all’esterno.
Si rese conto all'improvviso di averlo fissato negli occhi a lungo e non aveva idea di quanto tempo fosse rimasta lì, imbambolata a guardare quelle iridi grigie, persa nei suoi pensieri o in esse, Hermione non avrebbe saputo dire quale delle due.
La presenza di Draco, ancora fermo al suo fianco mentre la studiava con evidente interesse, si fece improvvisamente più pesante.
Allora Hermione fece un passo avanti, ma adesso non era più solo la sua testa a girare; anche la stanza non riusciva a stare ferma al suo posto.
«Ti sei presa proprio una bella sbronza, Granger. Sei fortunata che domani è domenica» commentò Draco.
Ed eccola di nuovo, la sua risata.
Le suonava estranea alle orecchie, perché era priva di qualsiasi scherno o accenno di cattiveria e lei non ci era abituata.
Quando erano arrivati alla porta che conduceva alle scale del dormitorio femminile?
«Adesso devi concentrarti però, Granger. Non posso accompagnarti fino alla tua stanza. Scherzi a parte, non ci tengo a rischiare di rompermi l'osso del collo ruzzolando giù dalle scale.»
Hermione alzò gli occhi al cielo e quel gesto le provocò una fitta alle tempie. «Sei sempre così drammatico.»
«E tu cocciuta come un mulo.»
Gli fece una linguaccia e arrossì subito dopo.
Che cosa stupida da fare!” pensò in preda all’imbarazzo.
Ma lui le sorrise e Hermione era certa che stesse trattenendo un'altra risata.
«Non ricordavo che il tuo sorriso fosse così bello» gli disse. «Forse non lo avevo mai notato, prima.»
E poi, come se avesse recuperato lucidità all'improvviso e si fosse resa conto di quello che aveva detto, del fatto che lo aveva detto a voce alta e dell'espressione scioccata comparsa sul volto di Draco, Hermione scivolò rapidamente dietro la porta.
«Buonanotte, Malfoy» biascicò e se la richiuse alle spalle senza neanche aspettare la sua risposta.
Si sorresse alle pareti finché non raggiunse la sua stanza a passi incerti e una volta dentro barcollò fino al letto.
Anche quello girava.
Hermione non capiva se fosse meglio restare con gli occhi chiusi o sforzarsi di tenerli aperti.
Le veniva da piangere e quando le lacrime cominciarono a scendere incontrollate, Hermione prese una decisione: non avrebbe mai più bevuto se Blaise Zabini era nei paraggi.

 
******

‘Sono sicura che i tuoi genitori ti vogliano bene, anche se a modo loro.
Anche se non te lo dimostrano.’


(Dal diario di Hermione, primi tempi a Hogwarts dopo la guerra.)

*

‘Non capisci, non parlo con loro da mesi.
Dopo la fine della guerra, gli ho detto che non voglio più seguire la linea purosanguista.
Mi hanno risposto di non rivolgergli la parola finché loro figlio non sarà tornato.
Non hanno capito che quel ragazzo è morto durante la guerra.
Non tornerò mai quello che ero.
Non voglio farlo.
Anche se dovessi finire col perderli per questo.
Loro non si sono fatti problemi a rischiare di perdere me.’


(Dal diario di Draco, primi tempi a Hogwarts dopo la guerra.)
 

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9. Hogsmeade ***


CAPITOLO 9
Hogsmeade







Draco

Un ebete.
Draco si sentiva un’ebete.
Non riusciva a smettere di sorridere.
Non era stato capace di farlo per due anni e mezzo e ora che lo aveva fatto di nuovo non riusciva a smettere.
E sorrideva per lei.
«Non ricordavo che il tuo sorriso fosse così bello. Forse non lo avevo mai notato, prima.»
Fissava il soffitto con le parole della Granger che riecheggiavano nella sua mente, come se qualcuno avesse premuto il tasto replay troppe volte e questo si fosse bloccato, riavviando il nastro in continuazione.
La Granger pensava che il suo sorriso fosse bello e nient’altro al mondo sembrava avere più importanza di quello, ormai.
Non riusciva a togliersi quel sorrisetto compiaciuto dalla faccia.
Non riusciva neanche a capire perché si sentisse in quel modo e cosa fosse la strana sensazione che lo aveva colto all’altezza dello stomaco nel sentirle pronunciare quelle parole.
«Non ricordavo che il tuo sorriso fosse così bello. Forse non lo avevo mai notato, prima.»
Magari era solo ubriaca e non si rendeva conto di quello che stava dicendo, ma a Draco non interessava più di tanto quel dettaglio.
Lo aveva detto ed era ciò che contava.
Forse significava che stava iniziando a vederlo veramente.
Finalmente.
Forse significava che aveva una speranza di ottenere il suo perdono.
«Non ricordavo che il tuo sorriso fosse così bello. Forse non lo avevo mai notato, prima.»
Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dalla sua voce fino a scivolare in un sonno profondo e, per la prima volta dopo tanto tempo, tranquillo.
§
Quando Hermione si presentò in Sala Comune verso mezzogiorno la mattina seguente, Draco era sul divano a leggere già da due ore.
Non stava veramente facendo caso alle parole scritte sul libro, perché la sua mente continuava a scivolare via e doveva tornare indietro e rileggere una frase sì e una no; non ne stava neanche assimilando il significato, perché il suo cervello era troppo impegnato ad elaborare un altro tipo di dati.
La verità era che stava aspettando che la ragazza si facesse vedere, di quella lettura non gli importava assolutamente niente in quel momento; era un modo come un altro per tenersi impegnato e far trascorrere il tempo senza morire di aspettative.
La vide uscire dalla porta massaggiandosi le tempie con vigore, gli occhi leggermente socchiusi.
«Buongiorno», le disse immediatamente.
E da che mondo e mondo, lui restava Draco Malfoy e persino la dannazione eterna era preferibile al lasciarsi sfuggire l’occasione di punzecchiarla; allora, le rivolse un sorriso così ampio che i muscoli facciali iniziarono a fargli male.
Hermione lo guardò per qualche istante, cogliendo immediatamente l’allusione dietro quel gesto, e poi arrossì violentemente.
«Oh, sta’ zitto!» esclamò, nascondendosi il volto dietro i capelli e riempiendosi un bicchiere d’acqua dalla caraffa sul tavolino della Sala Comune.
Draco si morse il labbro inferiore per non ridere.
«Dormito bene?»
Io come un bambino, grazie a te” pensò tra sé e sé, ma si trattenne dal fare un commento del genere a voce alta.
Hermione gli rivolse un’occhiataccia. «Blaise Zabini è il diavolo in persona.»
Draco rise. «No, sei tu che non reggi l’alcol.»
La Grifondoro sbuffò stizzita. «Continuava a passarmi ogni volta un bicchiere di una cosa diversa», rammentò al giovane. «E la regola base quando si beve è di non mischiare il tipo di alcolici assunti.»
Il biondino fece spallucce, ma l’espressione divertita non accennò a svanire dal suo volto.
«Avresti potuto dire di no.»
«Non mi andava», replicò lei in tono asciutto, lasciandosi ricadere pesantemente sul divano di fronte a quello dove sedeva il Serpeverde.
Si distese, chiudendo gli occhi.
«Non ti andava», ripeté lui, sollevando un sopracciglio.
Hermione sbuffò. «Harry e Ron pensano che io non sappia staccare la spina», disse aspramente. «Che io non sappia divertirmi.»
Draco sorrise. «Non è poi così falso.»
«Sta parlando il musone!»
«Secchiona!»
Hermione scattò a sedere, cosa che gli provocò un giramento di testa che soppresse con tutte le sue forze, e lo guardò con gli occhi ridotti a due fessure.
Il biondino alzò le mani in aria. «D’accordo, Granger. Tregua!»
La ragazza sospirò. «Sono l’unica che si è quasi uccisa ieri sera?»
Draco annuì. «Gli altri sono a Hogsmeade.»
«Perché tu non ci sei andato?», domandò con fare indagatore lei. «Non puoi lasciare il castello?»
«Posso», confermò lui con una nota di irritazione nella voce. «Ma sotto supervisione di un professore.»
Hermione fece un cenno col capo per esprimere comprensione. «Chi ti accompagna di solito?»
«Hagrid.»
Il tono con cui il Serpeverde pronunciò quel nome non aveva nulla di sprezzante, né di malevolo. La verità era che il Mezzogigante stava iniziando a piacergli, soprattutto con tutto quel suo parlare di apertura mentale e seconde occasioni, ma non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce.
«Perché non ci sei andato oggi?»
Draco sbuffò. «Sei una ficcanaso colossale, Granger.»
Non poteva dirle che era rimasto lì per assicurarsi che stesse bene, nonostante Blaise e Daphne fossero andati da lui a chiedergli se volesse andare con loro prima di lasciare il castello quella mattina.
«Beh, scusa se ti ho indisposto con la mia curiosità, Principino
Hermione mise una particolare enfasi su quell’appellativo con cui spesso i suoi compagni di Serpeverde si riferivano a lui.
Il biondino alzò gli occhi al cielo. «Lo odio quel soprannome.»
«Blaise e Daphne ti chiamano così.»
«Forse persino ‘furetto’ è meglio di quello», borbottò lui in risposta.
«Okay, furetto
Draco la fissò per qualche secondo con aria calcolatrice. «Sei insopportabile in post-sbornia, Granger.»
Hermione ignorò quel commento e si rimise in piedi. «Dai, vieni. Andiamo a vedere se Hagrid è alla sua capanna e poi raggiungiamo gli altri a Hogsmeade.»
 
***
Hermione
 
«Allora lo lascio con te Hermione», disse Hagrid esitante. «Ma mi raccomando, nessuno deve sapere che mi sono allontanato.»
«Non preoccuparti, Hagrid» affermò Hermione con evidente divertimento. «Lo terrò d’occhio io.»
Draco sbuffò.
Era sicuro che la Granger ci stesse prendendo un sacco di gusto in tutta quella faccenda.
«Ti diverte, Granger?»
«Non posso negarlo», rispose soddisfatta.
«Sai, un giorno potrei vendicarmi» la punzecchiò il Serpeverde, seguendola per le vie della cittadina.
«Ne dubito altamente, Malfoy.»
Quando entrarono ai Tre Manici di Scopa, individuarono Harry, Daphne, Ginny e Blaise seduti in uno scompartimento appartato.
Hermione sapeva che Harry cercava di attirare meno attenzione possibile quando usciva, perché era stanco della gente che lo fermava per strada e lo adulava in continuazione, cercando di ingraziarselo senza mai capire effettivamente a quale scopo.
Era solo uno studente, cosa potevano volere da lui?
Forse un po’ di fama riflessa, la possibilità di poter dire in giro di aver parlato con il famoso Harry Potter, il ragazzo di soli diciassette anni che aveva sconfitto il Mago Oscuro più temibile di tutti i tempi.
Avanzarono verso i loro amici, ma Hermione si arrestò sul posto quando vide che insieme a loro, nascosto da una colonnina alla loro vista fino a qualche istante prima, c’era anche Ron.
Ron che non aveva mai capito perché Harry si fosse preso il disturbo di testimoniare in favore di Draco.
Ron che non si capacitava del fatto che il Serpeverde era Caposcuola e dividesse il dormitorio con lei.
Ron che non aveva la minima idea del fatto che Draco era cambiato.
Hermione non ne era ancora sicura al cento per cento, ma il biondino non aveva fatto né detto niente che la potesse portare a mettere in dubbio le sue intenzioni, così aveva deciso di dargli una possibilità e di credere che anche Draco Malfoy fosse capace di diventare una persona migliore, nonostante quello che era stato in passato.
«Tutto bene, Granger?», le chiese corrugando la fronte, ma poi seguì la traiettoria del suo sguardo e comprese cosa la stesse frenando. «Ah, c’è la Donnola. Posso tornare da Hagrid, se pensi che la mia presenza possa creare problemi.»
«No», rispose Hermione, forse un po’ troppo in fretta. «Non essere sciocco. È solo che Ron non sa… A meno che Harry non gli abbia detto…»
«Granger, non preoccuparti» taglio corto Draco, con aria annoiata. «Non mi faccio di certo intimorire da Weasel.»
Non era quello che intendeva dire lei, ma due secondi dopo il biondino stava nuovamente camminando in direzione del tavolo e Hermione dovette riscuotersi in fretta per seguirlo.
«Oh! Ce l’avete fatta!», li accolse Blaise con un gran sorriso. «Tutto a posto, Granger?»
Hermione arrossì imbarazzata al riferimento alla sera prima. Stava cercando di non pensarci. Non era tanto l’idea di essersi sbronzata in pubblico a metterla a disagio, quanto il ricordo delle parole che avevano lasciato le sue labbra, rivolte al biondino.
«Non ricordavo che il tuo sorriso fosse così bello. Forse non lo avevo mai notato, prima.»
Davvero non lo aveva mai notato prima, ma il suo sorriso era veramente bello.
Solo che ora, a mente lucida e fredda, non riusciva a capire l’impellenza di esperire quel pensiero a voce alta che aveva provato la sera prima, non riusciva trovare un singolo motivo per cui Draco Malfoy doveva sapere la sua opinione in merito.
Eppure, quando aveva dato voce ai suoi pensieri, dirglielo le era sembrato di vitale importanza.
Annuì brevemente e poi rivolse un timido sorriso a Ron, che ricambiò con uno sguardo a metà tra il confuso e il preoccupato.
Vedere Hermione Granger arrivare ai Tre Manici di Scopa in compagnia di Draco Malfoy non era una cosa che si vedeva tutti i giorni, ma il rosso non commentò in alcun modo il loro ingresso.
Anzi, Ron non parlò affatto, cosa che fece supporre a Hermione che Harry avesse già chiarito la situazione con lui in merito al Serpeverde al suo fianco.
Draco la superò rapidamente e allontanò la sedia da sotto il tavolo, poi con un gesto del braccio la invitò a sedersi.
Quella galanteria, però, parve sorprendere solo i tre Grifondoro.
«Ehm, Draco…» fece Daphne, probabilmente per avvisarlo che gli altri non si comportavano in quel modo, - Blaise aveva vissuto lo stesso momento leggermente imbarazzante con Ginny qualche tempo prima -, ma Hermione sorrise al biondino e lo ringraziò, prendendo posto senza proferire altra parola, anche se le sue guance erano diventate leggermente rosee.
Draco si schiarì la gola e si accomodò a sua volta.
Ron li osservò con una strana smorfia disgustata sul volto per qualche istante, poi scosse forte la testa.
Probabilmente pensava di aver visto male.
Hermione non aveva idea di cosa stessero dicendo al tavolo, perché il suo cuore continuava a pulsare furiosamente e non le permetteva di udire alcun suono a parte il tum tum assordante che produceva nella sua cassa toracica.
Deglutì forte, mentre si domandava se anche gli altri potessero sentirlo.
Non capiva cosa le stesse accadendo, perché tutto d’un tratto il biondino seduto alla sua sinistra sortisse quello strano effetto su di lei.
Non era la prima volta che qualcuno le riservava una carineria di quel tipo, - anche Viktor Krum, con cui si era frequentata durante il suo quarto anno a Hogwarts era solito osservare le norme sociali aristocratiche che contraddistinguevano quasi tutti i maghi Purosangue, anche se di certo non aveva la grazia e l’eleganza di Draco Malfoy nella loro esecuzione -, ma il fatto che era stato proprio il biondino a farlo, attribuiva al gesto una portata maggiore.
Forse, pensò Hermione, Draco la considerava un’amica ora; doveva solo abituarsi a quella novità, - e non era facile visti i loro trascorsi -, senza arrovellarsi molto il cervello al riguardo; doveva tenere in mente che, nonostante tutto, Malfoy aveva un’educazione e delle abitudini molto diverse dalle loro, anche senza considerare gli ideali purosanguisti con cui era stato cresciuto e che sembrava non condividere più.
Hermione si schiarì la gola e si puntellò sul suo posto, mentre ordinava distrattamente una cioccolata calda con panna a Madama Rosmerta.
La donna studiò Draco di sottecchi per qualche secondo, ma poi fece scorrere rapidamente lo sguardo sulla compagnia seduta attorno al tavolo e non trovò nulla da ridire o temere; prese la comanda e sparì dietro il suo bancone per preparare l’ordine.
«Allora, Ron», disse Hermione, la voce un po’ più stridula del solito. «Come procede il corso per Auror?»
Il rosso le rivolse un sorriso che le sembrò molto falso. «Bene, grazie. Non c’è neanche bisogno che ti chieda come va a te a scuola.»
Il silenzio calò immediatamente su di loro.
Draco fissava Ron con gli occhi leggermente socchiusi e sfregava con forza il labbro superiore contro quello inferiore, come se fosse sul punto di dire qualcosa, ma alla fine non proferì parola perché l’arrivo fortuito della barista lo distrasse da qualsiasi cosa stesse attraversando la sua mente in quel momento.
Hermione si concentrò sulla sua tazza di cioccolata, improvvisamente divenuta la cosa più interessante nell’intera stanza, al punto da non udire più il chiacchiericcio che era ripreso al tavolo.
Vide Ron aprire bocca per parlare, forse per puntualizzare qualcosa, ma la mascella gli cadde a terra e le parole gli morirono in bocca quando un gesto di Draco Malfoy attirò l’attenzione di tutti i presenti.
«Hai un po’ di panna qui», sussurrò sommessamente rivolto a Hermione e poi, con il pollice, rimosse il cibo dall’angolo delle labbra della ragazza, che avvampò immediatamente, mentre le altre dita del Serpeverde le sfioravano il mento.
«Okay, questo è troppo.»
Ron si alzò di scatto, strascinando la sedia mentre la spostava indietro per districarsi e lasciare il locale a grosse falcate.
«Ron!»
Hermione distolse bruscamente lo sguardo da Draco e si accinse a seguire il suo amico.
«Ron, aspetta!» gli gridò dietro una volta uscita dai Tre Manici di Scopa. «Non c’è bisogno di reagire così! Draco sta quasi sempre con noi, ormai! Credevo che Harry te ne avesse parlato!»
Il rosso si voltò a guardarla e finalmente si decise a fermarsi. «Non è quello il problema. Che aveste deciso di dargli una possibilità, lo potevo capire. Ma arrivo qui oggi e mi ritrovo Harry che si fa gli occhi dolci con Daphne Greengrass, Ginny e Blaise che non fanno che ammiccare l’uno verso l’altro in continuazione e tu, Hermione, tu e Draco Malfoy che vi comportate come se foste amanti di lunga data quando fino a ieri non potevate incrociarvi nei corridoi senza insultarvi!»
«Oh, Ron, stai esagerando! Come al solito!» ribatté Hermione furente. «Okay, è abbastanza palese che Ginny e Blaise e Daphne e Harry si piacciano, ma se Ginny e Harry non hanno un problema con questo, non vedo perché debba averlo tu! Le cose a Hogwarts sono cambiate rispetto a prima! Passiamo un sacco di tempo con gli studenti delle altre Case, ora! E io e Malfoy siamo in coppia in quasi tutte le lezioni, il che spiega anche il fatto che siamo più in confidenza, ora.»
«Quello», replicò il rosso, livido in volto, «non è essere in confidenza, Hermione. È essere intimo con qualcuno.»
La ragazza arrossì a quella constatazione. «Oh, smettila! Non ha mai fatto niente del genere prima, probabilmente stava solo cercando di farti innervosire!»
«Beh, ci è riuscito!» esclamò Ron. «Io me ne vado.»
«Ron…»
Ma il rosso si Smaterializzò un attimo dopo.
Hermione sospirò e scosse il capo, rassegnata; prima o poi, Ron si sarebbe calmato e sarebbe stato disposto a sentire ragioni. Tornò ai Tre Manici di Scopa e avvisò Harry che il loro amico era andato via.
«Sa essere un vero imbecille a volte», commentò Ginny irritata.
L’amica annuì.
«Herm, noi torniamo al castello», annunciò il moro. «Voi venite?»
«Finisco di mangiare perché ho un mal di testa assurdo e devo prendere un’aspirina, prima», rispose la ragazza.
«Un’aspi-cosa?», chiesero in coro Daphne e Blaise.
«È un farmaco babbano», spiegò brevemente lei.
«Utilissimo in caso di post-sbornia», aggiunse Harry con una risatina.
«Non ditelo a Madama Chips», si raccomandò Hermione con un mezzo sorriso.
Aveva attentamente rifuggito lo sguardo di Draco per tutto il tempo.
Una volta rimasti nuovamente da soli, però, evitarlo non era più un’opzione.
«Se vuoi tornare al castello, sono sicuro che Hagrid sia nei dintorni…»
«Ho fatto qualcosa che ti ha infastidita?», domandò lui, ignorando le sue parole.
Hermione alzò il capo e trovò gli occhi grigi del biondino che la studiavano attentamente, ma inespressivi.
Occlude sicuramente”, si ritrovò a riflettere. “Non è possibile che a volte ci possa vedere il mondo lì dentro e altre il nulla cosmico.
«No», rispose Hermione dopo un breve attimo di pausa. «A meno che non ci sia qualcosa oggi che hai fatto appositamente per fare un dispetto a Ronald.»
Il biondino sbuffò. «È un po’ suscettibile, la Donnola, lo sai?»
«Beh, mettiti nei suoi panni…»
Draco si morse il labbro inferiore. «Quindi, ti ha dato fastidio.»
Hermione sospirò. «Che accidenti stavi pensando, Draco?»
«Volevo solo essere… gentile nei tuoi confronti. Tutto qui.»
«Mi hai tolto del cibo dal viso», rimarcò lei con un filo di voce, arrossendo nuovamente al pensiero. «La sedia è stata una carineria, ma quello…»
«Non era mia intenzione metterti a disagio.»
Hermione fu tentata di ringhiare per la frustrazione.
Come poteva spiegarsi con Malfoy?
Vivevano su due pianeti completamente differenti.
Non che non le fosse chiaro fin dall’inizio, ma le cose sembravano complicarsi sempre di più invece che divenire più semplici quando si trattava del biondino.
Dopo la sera in cui lo aveva sorpreso nel mezzo di un incubo, i due si erano ritrovati più volte a parlare nella loro Sala Comune, talvolta anche fino a notte fonda.
Hermione pensava che lo facesse perché non riusciva a tenersi più tutto dentro, che dovesse dire quelle cose almeno a una persona e che il fatto che fosse lei era una semplice coincidenza dettata dal caso; se Ginny fosse stata eletta Caposcuola e forzata a dividere quello spazio con lui, forse sarebbe lei la custode delle sue confidenze ora.
Era chiaro che Draco non riuscisse a fare affidamento esclusivamente sull’Occlumanzia e sulla sua capacità di compartimentalizzare e sopprimere le emozioni per superare il ricordo della guerra e parlare con la sua Magi-Psicologa non era esattamente come sfogarsi con un amico, qualcuno che quella guerra l’aveva vissuta quanto lui, anche se in maniera differente.
Quelle conversazioni al chiaro di luna le avevano dato una nuova chiave di lettura in merito al biondino, ma non rendevano più semplice cercare di comprenderlo.
Hermione aveva capito solamente che Draco Malfoy era una persona più complessa di quanto avesse mai pensato in precedenza.
Le aveva raccontato di essere ai ferri corti con Lucius perché l’uomo continuava a rifiutarsi di accettare il suo cambiamento di vedute; le aveva detto che sua madre, nonostante la paura di perderlo l’avesse guidata durante la guerra, non era divenuta di certo più affettuosa nei suoi confronti; le aveva raccontato del motivo per cui aveva rotto con Pansy e di quanto odiasse stare al Manor; le aveva spiegato che era tornato a Hogwarts pur di non restare lì e perché sperava di avere l’opportunità di riscattarsi agli occhi della comunità magica. Le aveva detto che riconosceva i suoi errori passati e che sperava solamente di porvi rimedio, se era possibile farlo.  
Hermione sapeva che c’era molto di più oltre a quello da scoprire su Draco Malfoy e lei era incredibilmente curiosa di risolvere quel puzzle; non cercava più di evitarlo, anzi, era sempre più tentata di vederlo e di parlarci, per cercare di aggiungere quanti più tasselli possibili al quadro che stava costruendo nella sua mente.
«Ci sono tante cose che non sai di me, Granger. Cerca solo di decidere se vuoi scoprirle o meno.»
Le aveva detto quelle parole una volta e lei aveva deciso che voleva scoprirle.
Draco Malfoy la intrigava, ma più ci parlava, più lo conosceva, più diventava una grossa incognita. Soprattutto in termini di relazioni; non sapeva mai come comportarsi con lui.
Il Serpeverde sembrava del tutto intenzionato a fare tabula rasa del suo passato e ricominciare costruendo tutto dalle fondamenta, ma il loro passato non faceva che riemergere nella mente di Hermione e frenarla su tanti aspetti.
Non riusciva ad avere un contatto fisico con lui, perché la sua voce di quattro anni prima la redarguiva dallo sfiorarlo anche per sbaglio.
Non riusciva a trattarlo come trattava il resto delle persone che conosceva, perché la sua voce di tre anni prima le toglieva dei punti ‘per essere una Sanguemarcio’.
Non riusciva a considerarlo un amico, perché lei i suoi occhi puntati su di sé mentre Bellatrix la torturava li aveva avvertiti, sebbene fosse certa che avesse distolto lo sguardo quasi subito, e il ricordo di quella sensazione le permetteva ancora di capire quando la stava guardando e quando no.
Hermione sospirò stancamente. «Non mi hai messa a disagio, è solo che è tutto molto strano e Ron non… lui non è a Hogwarts con noi, non sta vivendo questi cambiamenti nello stesso modo in cui lo stiamo facendo noi.»
«Non sapevo che comportarmi da galantuomo potesse disturbare qualcuno, Granger.»
«Con me», rispose prontamente lei. «È quella la cosa destabilizzante per gli altri… per Ron. Vederti comportarti in quel modo con me, quando fino a poco tempo fa eri tutt’altro che gentile nei miei confronti…»
«Non sapevo neanche di non poter cercare di rimediare ai miei sbagli perché facendolo potrei destabilizzare la gente», ribatté Draco in tono sprezzante.
La Grifondoro lo guardò sorpresa, con le labbra leggermente dischiuse, incerta su cosa dire, spiazzata dall’amarezza nelle sue parole.
Il biondino scosse il capo e poi si alzò. «C’è Hagrid», le fece notare. «Direi che per me è arrivato il momento di tornare al castello. Buon proseguimento, Granger.»
Chiamarlo non sortì alcun risultato, per cui Hermione si ritrovò presto da sola.
Si prese la testa tra le mani e poi tirò fuori una pergamena dalla sua borsetta, con un solo obiettivo in mente: mandare una Strilettera a Ronald Bilius Weasley.
§
Spedì la lettera una volta tornata al castello e poi andò direttamente in Sala Grande per la cena.
Era stata una giornata un po’ persa.
Aveva dormito troppo e l’uscita a Hogsmeade era stata un disastro; l’unica nota positiva era stata la breve fermata alla capanna di Hagrid… finché non si era messo a parlare di Draco Malfoy e del cambiamento che aveva notato in lui.
«Draco è stato orribile con te, in passato.»
«Sì, ma adesso è a posto, no? Insomma, Silente mi ha insegnato che è giusto dare una seconda possibilità a chi lo merita, a chi si impegna per rimediare ai propri sbagli…»
Hermione lo sapeva benissimo che Draco si stava impegnando in tal senso e in una certa misura ne era anche contenta, per lui, ma era un po’ risentita per la loro ultima discussione e voleva distrarsi, non sentir parlare di lui.
L’aveva evitata a cena, ma poi si erano scontrati nella loro Sala Comune prima di andare a dormire.
«Ehi», lo salutò timidamente.
Il biondino rispose con un breve cenno del capo.
Quella mattina erano lì, nello stesso punto, a scherzare e punzecchiarsi, e ora erano ai ferri corti, di nuovo.
«Possiamo parlare?»
«Non mi va, Granger.»
La freddezza nel suo tono di voce urtò qualche nervo sensibile della Grifondoro, portandola ad esplodere.
«Si può sapere cosa ti aspetti da me?», gli domandò in tono asciutto. «Che da un giorno all’altro dimentichi i nostri trascorsi come se niente fosse? Come se non avessero importanza?»
Draco si voltò a guardarla e la fissò inespressivo per qualche secondo. «Non ho mai detto questo. Ma più provo a rimediare, più sembro infastidirti. Quindi dimmi, Granger, cosa devo fare?»
Hermione non si aspettava quella risposta.
Inizialmente non reagì a quelle parole, non sapendo bene cosa dirgli, ma il moto di rabbia che l’aveva assalita poco prima si dissolse immediatamente.
«Non ti ho criticato per quello che hai fatto, ho solo detto che non è stato appropriato.»
Draco rise, ma non c’era ilarità nella sua voce. «Se fosse stato Finch-Fletchley o Dean Thomas lo avresti reputato comunque inappropriato o non ci avresti neanche fatto caso, Granger? Rispondi onestamente.»
Hermione boccheggiò spiazzata da quella domanda.
Non avrebbe dato alcuna scusante a Ron se non si fosse trattato di Draco.
E forse il Serpeverde aveva anche ragione, non ci avrebbe fatto neanche caso…
Ma il problema era che quel gesto non lo aveva fatto Dean, né Justin, né Harry… lo aveva fatto Draco.
E il problema non era neanche il gesto in sé.
Il problema era che lei stava iniziando a sentirsi strana in merito al biondino.
A notare gesti o cose che normalmente sarebbero passate inosservate o dismesse in quanto poco significative.
E quella consapevolezza la stava destabilizzando.
Perché essere incuriosita da lui era un conto, ma provare un interesse di qualsiasi altro tipo per Draco Malfoy era un problema.
Ovviamente, non poteva dirgli niente di tutto ciò.
«Cosa vuoi da me, Draco?» mormorò con un filo di voce, sospirando stancamente, anche se la domanda che avrebbe voluto fare veramente era un’altra e non era rivolta a lui, ma a sé stessa.
Cosa vuoi da Malfoy, Hermione?
Draco la fissò per qualche istante, prima di parlare. «Non ho mai voluto niente da te, Hermione», rispose addolcendo la voce, chiamandola per la prima volta per nome.
Il suono che uscì dalle labbra del Serpeverde mentre lo pronunciava la fece rabbrividire.
Il suo nome sembrava diverso quando era la sua voce ad enunciarlo.
«Solo il tuo perdono. È l’unica cosa di cui mi importi veramente.»
Hermione sbatté le palpebre per qualche istante, poi gli si avvicinò lentamente.
«Se è perdono che cerchi, Draco», sussurrò sommessamente. «Te lo posso dare.»
Era a pochi passi da lui, ora.
«Io ti perdono, Draco Malfoy.»
E un attimo dopo era contro il suo petto e le braccia di Draco erano strette attorno alla sua schiena.
E tutto ciò a cui Hermione riusciva a pensare era che non le sarebbe importato neanche di bruciare tra le fiamme dell’inferno, se avesse significato prolungare quel momento per il resto della sua vita.
Anche se non riusciva a comprenderne il perché.

 
******
 
‘Odio essere tornato a casa.
Non so neanche più se la considero ancora tale.
Se potrò mai più farlo… Non credo di esserne capace, dopo quello a cui ho assistito qui.
C’è tanto spazio, ma le mura sono comunque opprimenti.
È come se questo posto si restringesse sempre di più, cercando di soffocarmi, di rinchiudermi al suo interno.
Una prigione, un luogo degli orrori.
E anche se è casa mia, non mi sento al sicuro.
Sento le urla e a volte vorrei urlare anche io.
Vorrei solo che tutto questo finisse.
Vorrei che non fosse mai accaduto.’

 
(Dal diario di Draco, durante la guerra, qualche giorno prima degli eventi a Malfoy Manor.)

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Capitolo 11
*** Capitolo 10. Domande ***


CAPITOLO 10
Domande







Draco

«Amico, che ti è saltato in mente?»
Erano seduti in Sala Grande, al tavolo dei Serpeverde e Blaise lo fissava sconcertato.
Draco era distratto; continuava a ripensare al fatto che la Granger gli aveva finalmente concesso il perdono che agognava da mesi.
Non capiva cosa fosse cambiato rispetto all’inizio, forse aveva solo deciso di dargli una seconda occasione, ma per lui andava benissimo così.
Continuava a pensare al modo in cui gli aveva permesso di abbracciarla e al fatto che aveva ricambiato a sua volta; e non come aveva fatto la sera in cui si era risvegliato da uno dei suoi ricorrenti incubi e se l’era ritrovata davanti. Quella volta aveva avvertito tutta l’esitazione che provava nel suo tocco incerto, mentre la sera prima, invece, l’aveva sentita abbandonarsi completamente tra le sue braccia.
Non si era aggrappata a lui come se ne dipendesse della sua stessa vita, come aveva fatto il biondino con lei, ma aveva comunque avvertito i palmi della sua mano sulla schiena, fermi e decisi, esercitare una leggera pressione sul suo corpo.
Poteva ancora sentire il suo profumo nelle narici, il calore del suo respiro che gli solleticava il collo, l’inspiegabile sensazione che aveva provato all’altezza dello stomaco nel percepirla contro di sé. Era stata un’esperienza travolgente per lui che non era abituato a ricevere quel tipo di gesti.
Draco pensava che avrebbe potuto vivere anche solo di quel ricordo.
«Non ho la più pallida idea di cosa tu stia parlando.»
Blaise sbuffò. «Di come ti sei comportato con la Granger ieri ai Tre Manici di Scopa.»
«Ho solo tirato fuori la sedia per lei, Blaise», disse Draco con indifferenza. «Educazione di base. Cinque anni, Madame Deneuve, lezione tre.»
L’amico rabbrividì. «Merlino, hai deciso di risvegliare un trauma?»
Il biondino rise. «Sapeva essere un po’ intimidatoria, Madame Deneuve, sì…»
«Un po’?» commentò l’altro, con un’alta quantità di sarcasmo nella voce. «Ad ogni modo, lei sarebbe fiera di te... Se solo non avessi passato i precedenti sei anni ad insultare la Granger.»
«Blaise, non c’è niente che tu possa dirmi che non ho già detto a me stesso in merito.»
«Le hai tolto la panna dalle labbra, Draco. Questo non c’entra nulla con l’Etichetta, semmai ne infrange due o tre punti. C’è qualcosa che vorresti dirmi?» rimarcò Zabini, sollevando entrambe le sopracciglia e assumendo uno sguardo altamente inquisitorio.
Draco si passò la mano sulle labbra più volte per calmarsi, poi sospirò.
«Non c’è nulla da dire.»
«Non la vedo allo stesso modo.»
«Non c’è nulla da dire perché non so cosa dirti, Blaise!», esclamò spazientito il biondino. «Non so cosa mi sia preso, non so perché non ho troncato quell’istinto immediatamente e non so perché mi sia dimenticato tutto a un tratto che c’erano altre cinque persone sedute al tavolo con noi. Contento?»
Un sorrisetto malizioso e compiaciuto comparve sul volto di Blaise. «Io lo so il perché», asserì come se avesse per le mani una certezza assoluta. «Ti piace la Granger.»
«No.»
«Ah! Ti piace Hermione Granger, ammettilo!»
«Blaise», sibilò a denti stretti Draco. «Chiudi quella maledetta boccaccia.»
Guardò con la coda dell’occhio alla sua sinistra, dove Pansy Parkinson tendeva un orecchio nella loro direzione, cercando di ascoltare la loro conversazione.
Blaise sembrò cogliere l’avvertimento e cambiò prontamente discorso, sebbene non avesse la minima intenzione di distogliere l’attenzione dall’argomento ‘Hermione Granger’.
«Non cambia il fatto che ho ragione», rimarcò abbassando la voce.
Il biondino fece ruotare gli occhi. «Non mi piace. E anche se fosse non avrei alcuna possibilità con lei. Quindi, non montarti troppo la testa.»
«Se lo dici tu», asserì l’altro, per niente convinto dalle argomentazioni dell’amico. «Comunque, l’hai vista la faccia di Weasley?»
Draco scoppiò a ridere, incapace di trattenersi. «Sembrava che avesse di nuovo vomitato lumache.»
Blaise aveva le lacrime agli occhi. «Non so davvero come abbia fatto quell’idiota a farsi scappare una come la Granger.»
Una smorfia comparve immediatamente sul volto del biondino. «Quindi è vero, stavano insieme?»
Il ragazzo annuì in risposta. «Sono durati solo tre mesi, però.»
«Alla piccola Weasley piace parlare?»
«A sentire Ginny, la scintilla non è scattata alla fine», confermò Blaise. «Ma Molly è stata quella più delusa dalla cosa.»
«Magari la Donnola fa pena a letto», commentò Draco con un ghigno. «Immagina se la tua prima volta fosse stata con Weasel!»
«Oh, tu non lo sai! Non c’eri quando abbiamo giocato a verità o sfida, il mese scorso!»
Il biondino lanciò uno sguardo interrogativo all’amico, che sogghignò.
«Weasley non è stato la prima volta della Granger.»
Gli occhi di Draco si allargarono a quell’informazione. «Che cosa? Allora chi?»
«Non lo so. Non l’ha voluto dire» rispose Blaise, alzandosi dal tavolo e raggiungendo di corsa Ginny che stava lasciando la Sala Grande proprio in quel momento.
Draco volse lo sguardo al tavolo dei Grifondoro, con un’espressione scioccata ancora stampata in viso e prese a fissare la Granger, tutta presa da un’accesa conversazione con i suoi amici.
Che cosa nascondi, Granger?
***
Hermione
 
«Allora, che cosa succede tra te e Malfoy?»
Hermione fece ruotare gli occhi al cielo. «Niente, Ginny.»
«Quello che ho visto ieri ai Tre Manici di Scopa non era niente, Mione.»
La ragazza sbuffò e per un momento invidiò i Serpeverde; loro si facevano, di norma, gli affari propri. O almeno, così sembrava.
«Probabilmente Draco stava solo cercando di irritare Ron.»
«No», fece allora la rossa. «Dopo che te ne sei andata per seguire mio fratello, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, non hai idea della faccia che ha fatto. Sembrava… davvero preoccupato di aver fatto qualcosa di sbagliato.»
«Beh, lo ha fatto no? Ha esagerato. Hanno entrambi esagerato», asserì in tono asciutto la ragazza. «Il gesto di Draco è stato altamente fuori luogo. E Ron potrebbe crescere e smettere di reagire alle cose che non gli vanno a genio d’impulso come faceva quando aveva quattordici anni.»
«Credo che Draco stia semplicemente cercando di capire come comportarsi con te», le fece notare Ginny, sorpassando l’argomento ‘Ron’, nonostante ritenesse che Hermione avesse ragione. «Chiaramente vuole esserti amico. E chiaramente si sente in colpa per… beh, probabilmente tutto quello che ha fatto in passato. Sta con il gruppo da un po’ ormai e vede che tra di noi siamo così aperti e magari avrà cercato di farti capire che non ha assolutamente più alcun pregiudizio nei tuoi confronti. O forse non ha pensato affatto ed è stato una sorta di istinto. Credo che tu gli piaccia.»
Hermione avvampò a quelle parole. «Io? Piacere a Malfoy? Ma fammi il piacere!»
Ridacchiò a disagio, cercando di ignorare le farfalle che stava iniziando ad avvertire nello stomaco.
Come si uccidevano?
Tutto quello era troppo assurdo, non aveva alcun senso… oltre ad essere incredibilmente sbagliato.
«Sarà. Ma poi avete risolto?»
«Sì. E spero che quella vicenda imbarazzante non venga menzionata mai più
Hermione sperò che l’amica capisse la sua richiesta velata, ma la questione perse d’importanza quando Harry, Dean e Seamus le raggiunsero al tavolo di Grifondoro.
«Hey, Mione! Stiamo organizzando un’amichevole di Quidditch, squadre miste. Abbiamo il permesso della McGranitt. Secondo te le due Serpi apparentemente redente ci affatturano se gli chiediamo di giocare?» esordì Harry, accomodandosi al suo fianco.
La ragazza fece spallucce. «Fate un po’ come credete, basta che non vada a finire a Fatture e Maledizioni, se decidete di giocare.»
Ginny rise e si alzò dal tavolo. «Io ci sto. Lo dico a Blaise.»
«Hai sul serio intenzione di invitare Malfoy?» domandò Seamus una volta che la rossa si fu allontanata, palesemente irritato dalla cosa.
«Squadre miste», ripeté Harry. «E Malfoy è un bravo cercatore.»
«Sì, ma è anche Malfoy… insomma, persino la squadra della sua Casa non lo ha voluto, no?», insisté Finnegan. «Perché dovremmo invitarlo noi
Hermione sbuffò. «Per tua informazione, Malfoy non ha proprio fatto i provini per entrare nella squadra di Quidditch di Serpeverde quest’anno.»
Il compagno la guardò con gli occhi assottigliati. «Subito pronta a difendere il tuo nuovo amichetto, Hermione?»
«Non dovrei difendere proprio nessuno, se tu non parlassi a sproposito!»
«Ti ha fatto gli occhi dolci per qualche giorno e ti sei già dimenticata di tutte le volte in cui ti ha dato della Sanguemarcio e ti ha umiliata pubblicamente?»
«Vaffanculo, Seamus!» ringhiò Hermione a quel punto. «Voglio solo un po’ di pace! È così tanto da chiedere?» aggiunse con voce acuta, poi corse via dalla Sala Grande, sentendo gli occhi pizzicare a causa delle lacrime di rabbia che minacciavano di fuoriuscire da un momento all’altro.
***
Draco
 
Draco non capiva esattamente perché il suo momento di défaillance ai Tre Manici di Scopa avesse turbato praticamente l’intero gruppo e fosse l’argomento di conversazione numero uno tra i suoi nuovi, - vecchi e di recente ritrovati? -, amici.
Persino Daphne si era sentita in dovere di esprimere la sua opinione in merito quando lo aveva raggiunto per colazione.
«È che il modo in cui lo hai fatto, il modo in cui la stavi guardando… sembrava qualcosa di intimo, Draco.»
Il biondino non credeva che fosse un gesto così eclatante, in realtà, ma tutte quelle supposizioni e allusioni al fatto che poteva provare qualcosa per la Granger che andasse oltre quello che aveva considerato fino a quel momento, lo stavano facendo innervosire e non poco.
«Non hai mai guardato Pansy in quel modo e ci sei stato insieme per quattro anni!»
Draco sbuffò. «Non la guardavo in alcun modo. Merlino, avrei fatto la stessa cosa con te.»
«Non è vero. E comunque, sarebbe stato ugualmente diverso.»
«Perché?»
«Perché quella è la Granger», berciò Daphne come se fosse un’ovvietà e in realtà, pensava Draco, lo era; fece ruotare gli occhi e si concentrò sulla sua colazione.
Forse avrebbe dovuto dargliela vinta, così magari lo avrebbe lasciato mangiare in santa pace. Tra lei e Blaise era a malapena riuscito a svuotare metà bicchiere di Succo di Zucca e Blaise, lanciando la bomba sulla prima volta della Granger, gli aveva già fatto passare abbastanza la fame.
Il pensiero che fosse stata con Weasley lo disturbava, anche se non riusciva a comprenderne il motivo, ma l’idea che ci fosse stato qualcun altro prima di lui e il fatto di non avere un nome erano un tarlo di cui veramente non aveva bisogno in quel momento.
«Senti, Draco, va bene se ti piace, sai…»
Draco sbuffò. «Solo perché tu e Blaise avete una cotta per i Grifondioti, non vuol dire che la cosa valga anche per me.»
La Greengrass alzò un sopracciglio. «Va bene l’Etichetta, Draco. Ma di solito non osserviamo le norme in posti come I Tre Manici di Scopa, non lo abbiamo mai fatto perché la verità è che non siamo mai stati invasati quanto i nostri genitori. Quando mai hai tirato fuori la sedia per Pansy?»
«È stato istintivo! È davvero una cosa così allucinante?»
«No. Dico solo che anche Blaise ha avuto un momento del genere, con Ginny, qualche settimana fa. E a Blaise, Ginny piace.»
Draco lasciò cadere le posate nel piatto. «Siete veramente insopportabili.»
Si alzò dal tavolo e corse verso il suo dormitorio, la fame ormai un ricordo lontano.
Forse, lì sarebbe riuscito ad avere cinque minuti di pace prima di andare a lezione.
O forse no, visto che la Granger era nella Sala Comune e sembrava avere un diavolo per capello peggio di lui.
«Granger.»
«Malfoy.»
Non lo guardò neanche; stava cercando qualcosa e aveva ribaltato quasi tutti i divani.
«Hai perso qualcosa?»
«Un orecchino», ammise distrattamente la ragazza. «Ci tengo, erano di mia madre.»
Draco avvertì un groppo alla gola, ricordando quello che gli aveva raccontato dei suoi genitori nelle pagine del diario.
«Ti aiuto a cercarlo.»
«Non ce n’è bisogno, faccio da sola», disse subito la ragazza. «Grazie», aggiunse poi, temendo di essere risultata scortese.
«Stai bene, Granger?»
«No.»
La Grifondoro ringhiò di frustrazione. «Oh, al diavolo!»
«Ti si è annodata la bacchetta?», le domandò inarcando un sopracciglio, perplesso.
«No, ho solo degli amici piuttosto idioti.»
Draco avrebbe veramente voluto approfittarne per fare qualche battuta vecchio stile sui Grifondoro, ma era così nervoso con Blaise e Daphne che invece colse l’occasione per criticare i suoi di compagni di Casa.
«Siamo in due.»
Hermione si voltò finalmente a guardarlo. «Almeno i tuoi si sanno fare gli affari propri.»
Il biondino scoppiò a ridere. «Ma chi?» chiese tenendosi lo stomaco con un braccio, «Blaise e Daphne? Non sanno neanche dove stia di casa, il farsi i fatti propri!»
La Grifondoro sollevò un sopracciglio.
«Non siamo così freddi come sembriamo, Granger. Non noi, almeno.»
«Sono fatti gli uni per gli altri, allora», borbottò acidamente la ragazza, facendolo sorridere.
«Dai, Granger», le disse alla fine. «Andiamo a lezione, cercheremo l’orecchino dopo.»
Hermione annuì.
«E ti dirò di più, se abbiamo preso ‘E’ al compito di Aritmanzia oggi, ti farò un regalo.»
Lei gli rivolse un’occhiata perplessa. «Un regalo?»
«Un bel sorriso, Granger. Che ne dici?» domandò, ammiccando divertito. «Se la memoria non mi inganna, hai detto che il mio sorriso ti piace
Hermione divenne scarlatta fino alle orecchie e gli tirò un pugno su un braccio.
«Ahi, Granger!»
«Ero ubriaca, dannato furetto!»
«Sei sempre così violenta?»
«Parla un altro po’ e forse lo scoprirai da solo.»
Ma le labbra di Draco si dispiegarono in un ampio sorriso a quelle parole; si chinò verso il suo orecchio, mentre lo sorpassava per uscire dal dormitorio.
«Quindi, non pensi veramente che il mio sorriso sia bello?»
Hermione non rispose, ma avvampò ancora di più.
E per Draco, quella equivaleva a una risposta.
Una altamente soddisfacente, per giunta.
§
‘So che la guerra è finita. So che il mondo sta andando avanti. Ma io ho ancora paura. Nella mia testa, la guerra non è mai finita.’
Draco la capiva.
Era il motivo per cui si trovava nella Sala Comune alle tre di notte dopo aver fatto un giretto nelle cucine.
Una tempesta imperversava all’esterno del castello e i lampi illuminavano il cielo di un colore violaceo che si infiltrava dalle finestre, colorando a loro volta gli ambienti.
‘Come si può tornare alla quotidianità dopo che sono successe tante cose brutte? Dopo aver visto cose tanto orrende e disumane?’
Rispose distrattamente, il ricordo dell’incubo che lo aveva fatto risvegliare di soprassalto quella notte ancora vivido davanti ai suoi occhi.
I piedi scalzi di Voldemort, coperti di sangue, che giravano in tondo tra i corpi degli elfi domestici del Manor e dei goblin che aveva massacrato senza pietà. Sua madre in piedi davanti a lui, completamente rigida, e lui che non riusciva a guardare perché temeva che se avesse alzato lo sguardo e gli occhi del mago oscuro avessero incontrato i suoi, egli avrebbe capito come si sentiva veramente in quel momento, nonostante l’Occlumanzia. Suo padre, piegato davanti al suo padrone senza vergogna pur di avere salva la vita un’altra volta. Lo stesso Lucius che si era sempre creduto superiore a tutto e a tutti e che si ostinava a sostenere quelle maledette idee purosanguiste anche dopo quello che avevano causato alla loro famiglia.
Un rumore dietro di lui lo fece sussultare leggermente e si affrettò a mettere via il diario, a nasconderlo alla vista della Granger che stava sicuramente per fare capolino nella stanza.
«Malfoy», disse, ormai così abituata a trovarlo sveglio di notte da non sembrare neanche più sorpresa di vederlo lì.
«Tè, Granger?»
Lei annuì, prendendo posto sulla poltrona accanto al suo divano.
«Sono stato nelle cucine, ne ho preso un po’ di più anche per te. E gli elfi mi hanno dato anche dei biscotti.»
Hermione sembrava così provata da non avere neanche le forze di contestare lo sfruttamento degli elfi da parte della scuola, com’era solita fare normalmente.
«Come facevi a sapere che sarei venuta?»
«Ci sei sempre quando fuori piove», rispose semplicemente.
Era vero.
Gran parte delle notti che si erano ritrovati in Sala Comune insieme, a condividere i ricordi che li tormentavano sperando che dividendone il peso sarebbero andati via o divenuti più tollerabili, c’era sempre un temporale all’esterno.
Forse il boato dei tuoni favoriva l’insorgere degli incubi, o forse era solo un po’ più difficile gestirli da soli con tutto quel rumore e quella luce intermittente attorno a rendere l’atmosfera più tetra e inquietante.
Hermione arrossì, se per il suo gesto o per le sue parole, Draco non lo sapeva, ma la cosa parve riscaldarlo dall’interno.
«Grazie.»
Il biondino annuì. «Cosa ti ha tolto il sonno stanotte, Granger?»
«Grayback», ammise tirando fuori un profondo sospiro; non argomentò oltre, ma Draco non aveva veramente bisogno di spiegazioni. «A te?»
«Voldemort.»
Hermione deglutì. «Usi il suo nome, ora.»
Il Serpeverde restò in silenzio per qualche istante, a fissare la sua tazza fumante ormai vuota per metà.
«Ci ho messo un po’ ad abituarmi a farlo», ammise debolmente. «Ma la mia Magi-Psicologa ha insistito. Diceva che servisse a esorcizzare la paura.»
«La paura di un nome non fa che incrementare la paura della cosa stessa», mormorò Hermione, ma suonava distante, come l’eco di ciò che una volta aveva avuto l’audacia di ringhiare in faccia a suo padre.
Quando aveva solo dodici anni.
Lui aveva trovato il coraggio di opporsi a lui e alla sua volontà solo dopo la guerra, solo dopo essere stato marchiato come una bestia da macello e mandato a morire a causa sua.
Draco annuì lentamente.
«Funziona, per te?»
«Un po’», concesse il giovane. «Ma non ho comunque intenzione di parlare di lui come il Signore Oscuro, né tantomeno di usare ‘Tu-Sai-Chi’. Non ho intenzione di essere spaventato dal suo ricordo come lo ero da lui quando era ancora in vita.»
Hermione si mordicchiò il labbro inferiore per qualche istante, poi trasse un respiro profondo e fissò lo sguardo su di lui.
«Cosa ti ha costretto a fare, Draco?»
Gli occhi di Draco dardeggiarono nei suoi nell’udire quella domanda, freddi e vuoti, come se il biondino fosse perso nei suoi pensieri.
E un po’ lo era, solo che si era smarrito nei suoi ricordi più oscuri.
«Oltre a quello che ti ha chiesto di fare al sesto anno e alla tortura di Rowle?»
Il ragazzo si riscosse sentendo quella precisazione e assottigliò gli occhi. «Che ne sai tu, di Rowle?»
«A volte, Harry aveva delle visioni di Voldemort, di quello che faceva o pensava, o sentiva», spiegò brevemente lei. «Lo ha visto mentre ti costringeva a usare la Cruciatus su Rowle.»
«Sei stata tu, non è vero?» chiese il Serpeverde con una punta di curiosità nel tono della voce. «Sei stata tu a obliviare lui e Dolohov quando gli siete sfuggiti?»
Hermione annuì.
Non ne aveva dubbi.
Era stata maledettamente brava, come sempre.
Aveva fatto un lavoro impeccabile, anche se Voldemort aveva capito ugualmente cosa fosse accaduto e con chi si fossero scontrati.
Draco prese a osservare un punto distante e indefinito della stanza.
«A tormentarmi di più non è quello che mi ha chiesto di fare, ma quello che gli ho visto fare» sussurrò poi, con voce tremula. «Sono stato a Hogwarts per la maggior parte del tempo lo scorso anno, il che mi ha risparmiato da ulteriori richieste da parte di Voldemort… Anche se i Carrow si aspettavano da me cose che non ero in grado di fare… che non avevo la volontà di fare.»
«Cose tipo?»
Il biondino si inumidì le labbra e poi scosse il capo.
«Non sono una brava persona, Granger» ammise alla fine, dopo un attimo di silenzio. «Non sono il tipo di persona che estrae la bacchetta e si lancia in battaglia per combattere per una giusta causa, se questa non mi coinvolge. E non sono il tipo di persona da beccarsi una Cruciatus al posto di un altro studente.»
«Eri tra i Serpeverde che usavano la Cruciatus sugli studenti in punizione», dedusse lei e la sua voce sembrava incredibilmente distante mentre le parole lasciavano le sue labbra.
Draco si decise finalmente a guardarla, ma ora era lei che evitava il suo sguardo.
«No!» aggiunse subito il biondino, avvertendo una sorta di panico diffondersi dentro di sé. «Mi è stato chiesto di farlo a volte… Amycus Carrow ha giudicato la mia Cruciatus ‘inefficace’, perché non volevo veramente usarla e… e non era abbastanza, secondo loro. Crabbe, Goyle e Nott erano sempre i primi a offrirsi volontari.»
Hermione deglutì, lasciò la tazza sul tavolo e si alzò dalla poltrona.
«Granger…»
La ragazza non si voltò a guardarlo, ma continuò a camminare verso la porta che nascondeva le scale per il dormitorio femminile.
Draco scattò; la raggiunse con un balzo e le afferrò un polso, costringendola a guardarlo.
«Non avrei dovuto chiedere», gli disse. «Mi sta venendo da vomitare, se vuoi scusarmi…»
Il Serpeverde interpretò quella frase come un’ammissione di repulsione nei suoi confronti e avvertì il suo cuore sprofondare.
Non avrebbe dovuto rispondere a quella domanda.
Aveva appena mandato tutto all’aria.
«Non ho mai tratto piacere dall’uso delle Maledizioni Senza Perdono» asserì con fermezza. «E non c’è giorno in cui non mi penta di averle usate.»
Hermione restò in silenzio per qualche istante, poi si liberò della sua presa e riprese a dirigersi verso le sue stanze.
«Buonanotte, Malfoy
Draco deglutì e si mise le mani tra i capelli, avvertendo per la prima volta dopo mesi il forte bisogno di piangere.
Aveva appena ottenuto il suo perdono e aveva già rovinato tutto.
Perché glielo aveva concesso prima di sapere tutto quello che c’era da sapere.
Perché aveva creduto che fosse migliore di quello che era.
E quando aprì il diario e vide la risposta che Hermione gli aveva lasciato, Draco ebbe la certezza di aver fatto un passo falso, quella notte.
‘Come si fa a credere che una persona che ha fatto cose orribili possa veramente cambiare?
Come si fa a dare una seconda possibilità sapendo questo?’

Chiuse il diario con uno scatto e avvertì la rabbia verso sé stesso affluire al cervello; un attimo dopo, stava scagliando oggetti contro la parete.
Dannazione!” ruggì la sua voce interiore, mentre le sue mani iniziavano a tremare e i suoi occhi si stringevano per ricacciare indietro le lacrime amare che pungevano richiedendo ansiose di essere versate.
 
******
 
'È come se questo posto si restringesse sempre di più, cercando di soffocarmi, di rinchiudermi al suo interno.
Una prigione, un luogo degli orrori.
E anche se è casa mia, non mi sento al sicuro.
Sento le urla e a volte vorrei urlare anche io.
Vorrei solo che tutto questo finisse.
Vorrei che non fosse mai accaduto.’
 
(Dal diario di Draco, durante la guerra, qualche giorno prima degli eventi a Malfoy Manor.)

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Capitolo 12
*** Capitolo 11. Anime Gemelle ***


CAPITOLO 11
Anime Gemelle








 
Hermione
 
Quando Hermione aveva perdonato Draco Malfoy per quello che le aveva fatto in passato, sapeva che il biondino era stato costretto a fare delle cose brutte durante la guerra, cose di cui non era a conoscenza.
Sperava che fossero solo quelle che gli aveva raccontato la sera precedente.
In cuor suo era sempre stata consapevole del fatto che aveva dovuto usare la Cruciatus su qualche studente, non c’era verso che i Carrow non avessero coinvolto Malfoy nella loro sadistica gestione della scuola dal momento che aveva il Marchio e probabilmente lo vedevano come uno di loro, con le stesse inclinazioni perverse, ma era stato comunque difficile sentirglielo dire a voce alta.
Però, sapeva anche che aveva mostrato un po’ di gentilezza nei confronti di Luna quando era stata tenuta in ostaggio al Manor; e sebbene l’avesse in un certo senso identificata quando lei, Harry e Ron erano stati portati lì a loro volta, gli era comunque grata per non aver confermato l’identità di Harry, concedendogli il leggero vantaggio che gli aveva permesso di fuggire. Anche se poi aveva provato di nuovo a catturarli quando erano tornati a Hogwarts…
Hermione sbuffò sonoramente.
Lasciare andare il passato si stava rivelando più difficile del previsto, nonostante stesse facendo del suo meglio.
Se fossero stati solo i loro trascorsi accademici, sarebbe stato più semplice perdonarlo.
Ma non era così.
Quello era riuscita a oltrepassarlo, glielo aveva anche detto.
Il difficile era superare le azioni che il biondino aveva compiuto durante la guerra; la cicatrice sul suo braccio bruciava ancora e continuava ad avvertire l’eco delle Cruciatus di Bellatrix sul proprio corpo a distanza di mesi, ad avvertire lo sguardo di Draco su di sé, senza che muovesse un dito o dicesse una parola anche solo per tentare di farla smettere in qualche modo.
Trasse un profondo respiro e scese in Sala Comune.
Non c’era modo di evitare il Serpeverde, dal momento che erano in coppia in quasi tutte le lezioni e condividevano il dormitorio. Non era arrabbiata con lui o altro, aveva solo bisogno di riflettere su quanto aveva appreso, sulla loro situazione. Sentiva che tutto stesse accadendo troppo velocemente.
Doveva essere una giornata particolarmente sfortunata per lei, però, perché lo beccò proprio mentre stava per uscire dal ritratto.
Sentendola, Draco si voltò di scatto a guardarla e parve ripensarci, perché arretrò nuovamente e la raggiunse.
«Granger», mormorò a voce talmente bassa che Hermione per un attimo dubitò di averlo sentito parlare veramente.
Era evidente che non avesse chiuso occhio; era pallido e aveva delle occhiaie violacee sotto gli occhi, spaventosamente simili a quelle che era solito esibire durante il sesto anno. Avvertì una piccola morsa al petto nel constatarlo.
«Devo sapere una cosa», gli disse a bruciapelo, senza dargli il tempo di formulare alcuna frase.
Lui la studiò attentamente per qualche istante, con evidente timore dello sguardo, ma alla fine annuì.
«Perché non hai identificato Harry, quella notte?»
Draco dischiuse le labbra e rimase in silenzio così a lungo che Hermione per un attimo pensò che non le avrebbe risposto affatto, ma poi lo vide trarre un respiro profondo e deglutire forte.
«Non volevo che Voldemort vincesse la guerra», ammise con un filo di voce. «E Potter era la migliore possibilità di sconfiggerlo. E poi io… sinceramente, non volevo causare la morte di nessuno.»
«Ma dopo hai cercato di catturarlo nella Stanza delle Necessità per consegnarlo a Voldemort.»
Draco scosse il capo, piano. «Volevo solo riavere la mia bacchetta.»
«Non è quello che hai detto quella notte», ribatté freddamente lei, incrociando le braccia al petto.
«Dicevo un sacco di cose che non pensavo o intendevo veramente, in passato.»
La ragazza restò per qualche istante immobile a fissarlo; valutò quelle risposte e giunse alla conclusione che Draco in quel periodo fosse solo un ragazzino spaventato, che procedeva a tentoni, cercando di capire come salvarsi strada facendo… come tanti altri, ma al contempo incredibilmente solo, senza nessuno su cui contare, lasciato ad affrontare una guerra senza alcuna protezione o supporto di alcun tipo.
Forse davvero non aveva avuto l’intenzione di consegnarli quella notte, in fondo quello che aveva fatto per Harry al Manor era una prova a favore delle sue parole. Il vecchio Draco Malfoy, quello che avevano conosciuto durante i primi anni a Hogwarts, non avrebbe esitato a confermare l’identità del suo storico rivale per salvare sé stesso e la sua famiglia... a meno che ciò che le aveva rivelato fosse vero.
Hermione strinse gli occhi per un istante, mentre rifletteva sulle nuove informazioni che il biondino le aveva dato, e poi sospirò.
«Dobbiamo andare a lezione.»
«Granger, aspetta!»
Con uno scatto, Draco le afferrò il polso e lei si voltò automaticamente a quel contatto, venendo subito immobilizzata dai suoi profondi occhi grigi. La tempesta dietro ad essi era tornata.
«Stiamo…» mormorò esitante e deglutì. «Va tutto bene, tra noi?»
Le sopracciglia di Hermione si sollevarono leggermente; sbatté le palpebre una volta in più del necessario, totalmente spiazzata dalla domanda, ma annuì.
«Sì», asserì con una lieve nota indecisa nella voce. «Va tutto bene, Draco.»

 
***
Draco
 
Draco non si sarebbe mai capacitato di quanto facilmente le cose con la Granger potessero andare a rotoli.
Costruire un rapporto con lei al di fuori dal diario era come cercare di tenere su un castello di carte; il minuscolo soffio di vento poteva spazzare via progressi che avevano impiegato settimane per fare e radere al suolo tutto, costringendolo a ricominciare daccapo.
Non importava che fossero trascorse quasi due settimane, Blaise continuava a tormentarlo con le sue allusioni inopportune e anche Daphne sembrava non essersi ancora stancata di commentare la sua uscita brillante ai Tre Manici di Scopa.
Okay, forse sul finale aveva fatto un passo più lungo della gamba; avrebbe dovuto semplicemente dirle che aveva della panna sulle labbra e starsene fermo, ma vederla in quel modo aveva instillato in lui una tentazione troppo forte per frenarla.
La possibilità di sfiorare il suo viso, le sue labbra…
Non aveva nemmeno pensato al fatto che non fossero soli, che non era una delle serate che trascorrevano insieme nella familiarità della loro Sala Comune.
Draco non sapeva cosa gli stesse accadendo.
Ogni passo avanti che faceva con lei, non gli sembrava mai abbastanza.
Dopo qualche giorno di imbarazzo, avevano ripreso a parlare; continuavano a confidarsi cose piuttosto intime e personali risalenti al periodo della guerra o alla loro infanzia, non doveva per forza fare affidamento al diario per avere il suo consiglio o la sua attenzione.
Anche se aveva finalmente ottenuto il suo perdono, però, lui si sentiva comunque insoddisfatto.
«Cosa vuoi da me, Draco?»
Da quando l’aveva abbracciata per la prima volta, non aveva fatto altro che desiderare che la cosa si ripetesse ancora e la sera della loro disastrosa prima uscita a Hogsmeade tutti insieme si era finalmente presentata l’occasione di ripetere l’esperienza.
Ciò non aveva fatto altro che incrementare il suo desiderio di stringerla tra le braccia, di avvertire il suo corpo sotto il palmo delle proprie mani, aderente al proprio.
Draco non faceva che desiderare di sentire il suo profumo dolce e il suo tocco delicato tra i capelli, sulla schiena, costantemente; agognava anche solo il minimo contatto con lei, ma lei sembrava sempre guardarsi bene anche solo dallo sfiorarlo per sbaglio.
«Cosa vuoi da me, Draco?»
Si era interrogato sulla questione giorno e notte, negando a sé stesso l’eventualità che Blaise e Daphne potessero aver ragione, che a lui piacesse la Granger, cercando un’altra spiegazione a tutto quello che provava; finché non era successo il fatto che lo aveva costretto ad aprire gli occhi una volta per tutte, rivelando le risposte alle sue domande in una maniera così chiara da non poter più mentire a sé stesso.
Terry Steeval, che quell’anno era tornato a Hogwarts per tenere i M.A.G.O. visto che dopo la Battaglia di Hogwarts era stato bloccato al San Mungo per mesi e non aveva potuto sostenere gli esami, si era avvicinato al loro tavolo in biblioteca con estrema tranquillità e glielo aveva chiesto, spudoratamente, davanti a tutti.
«Hey, Hermione. Ti va se ci andiamo insieme, alla festa di Halloween?»
Terry Steeval non doveva preoccuparsi della reazione delle altre persone, quando si relazionava con Hermione Granger.
Nessuno al tavolo era stato scioccato o contrariato dalla sua proposta, nessuno ne aveva discusso dopo, nessuno lo aveva guardato come se fosse impazzito tutto d’un tratto.
No, quel tipo di paranoie spettavano solo a lui, perché era stato un totale imbecille nei suoi confronti per tutta la loro carriera scolastica; perché lei era una Nata Babbana e lui aveva il maledetto Marchio Nero sbiadito a imbrattargli il braccio e tutti lo sapevano.
Draco si era congelato sul posto sentendo quella domanda; il suo cervello era andato in tilt e le sue funzioni respiratorie sembravano aver interrotto la loro usuale attività tutto d’un colpo.
Il suo sguardo era saettato immediatamente sulla ragazza, seduta al lato opposto del tavolo; il tempo si era fermato e aveva avvertito una sorta di oppressione al petto che non aveva mai sperimentato prima e a cui in un primo momento non aveva saputo dare un nome.
«Certo, Terry. Perché no?»
Il suo cuore era sprofondato a quelle parole, mentre il suo cervello riusciva ad elaborare un solo, unico, disperato, pensiero: “No. No. Non andarci con lui, per favore. No…
Draco aveva chiuso gli occhi e aveva tratto dei profondi, lunghi, respiri, invocando la sua Occlumanzia come se ne valesse della sua stessa vita, poi si era scusato sbrigativamente, aveva raccolto le sue cose in quattro e quattr’otto ed era sparito.
Letteralmente.
Si era rintanato nella sua stanza e da quel momento non ne era più uscito.
Non era andato a lezione il giorno seguente e l’unica persona con cui aveva parlato, Hermione, non aveva idea di averlo fatto perché si era limitato a scribacchiare qualche breve riga sul diario.
Dopo interminabili riflessioni e discussioni con sé stesso, Draco era finalmente riuscito a dare un nome a quello che aveva provato nell’ultimo periodo nei confronti della ragazza.
In ordine: desiderio, rifiuto, gelosia.
Perché la reazione di lei ai suoi tentativi di essere carino nei suoi confronti era sembrata un rifiuto agli occhi del biondino e forse era il motivo per cui aveva a sua volta sbottato; Draco non era mai stato bravo a gestire quel tipo di emozione.
Inoltre, era ormai consapevole che l’esigenza di toccarla, o di sedersi il più vicino possibile a lei, la voglia di abbracciarla, nascevano tutte dal fatto che la desiderava.
«Cosa vuoi da me, Draco?»
Ora Draco sapeva che non era solo il suo perdono che voleva, perché lei glielo aveva dato e non era stato abbastanza, neanche lontanamente; perché non era normale cercarla ovunque con lo sguardo, in ogni momento, e tranquillizzarsi solo dopo averla individuata, o avvertire l’esigenza bruciante di averla vicina; perché non era da lui sentirsi così vulnerabile con qualcuno e lasciarsi influenzare in quel modo dalla sua presenza.
«Cosa vuoi da me, Draco?»
«Te», ammise all’eco della voce della ragazza nella sua mente. «Voglio te, Hermione
Chiuse gli occhi e respirò a fondo.
Si era innamorato della ragazza del diario.
Forse era stato innamorato di lei fin dall’inizio, solo che non se n’era mai reso conto prima o comunque non era ancora pronto ad ammetterlo a sé stesso; forse non aveva mai pensato di potersi innamorare veramente, di essere davvero in grado di amare qualcuno.
Il problema era che la ragazza del diario non avrebbe mai ricambiato quel sentimento e non solo, aveva appena accettato di uscire con un altro.
Qualcuno che aveva combattuto al suo fianco per anni.
Qualcuno che la meritava più di lui.
Qualcuno che poteva amarla meglio di quanto avrebbe mai potuto fare lui.
§
‘A chi credi siano appartenuti i diari?’
Non si era mai interrogato prima di quel momento sulla questione, ma non riusciva a dormire e quella domanda gli era balenata in testa all’improvviso.
Cercava di pensare a lei il meno possibile, nel vano e disperato tentativo di togliersela dalla testa, ma era difficile quando la sua unica distrazione era il diario.
‘Nel mio c’era una lettera. Da quello che vi era scritto, pare appartenessero a una coppia di amanti svenutati. Un Purosangue, probabilmente proveniente da una famiglia purosanguista, e una Nata Babbana. E che lo usassero per comunicare in segreto.’
Doveva essere una notte insonne anche per la Granger, perché gli rispose immediatamente.
‘Come credi che sia andata a finire?’
‘Durante la guerra, l’idea che loro due potessero essere ancora da qualche parte, insieme e felici, mi consolava. Una sorta di piccola utopia. Ora, a mente lucida, non faccio che domandarmi se il proprietario fosse uno dei Mangiamorte che ho combattuto in battaglia.’
Draco deglutì.
La guerra era riuscita a toglierle anche quello; l’ottimismo, il romanticismo che era certo prima avesse fatto parte di lei in qualche misura.
‘Era innamorato di una Nata Babbana, dubito che abbia mai preso il Marchio, anche se non dovessero essere rimasti insieme, alla fine.’
Lui quella speranza gliela voleva restituire, un po’ perché gli faceva male il cuore al pensiero che potesse abbandonarla, un po’ perché si sentiva toccato nel vivo dalla questione.
‘Conoscevo qualcuno che ha preso il Marchio anche se era innamorato di una Nata Babbana. Non vedo perché loro dovrebbero essere diversi. Hanno lasciato i diari nella Stanza delle Necessità. Probabilmente non stavano più insieme quando hanno finito gli studi.’
Piton.
Draco aveva sentito Potter parlare dei sentimenti del professore verso la madre, una volta. La notizia lo aveva colpito notevolmente, specie perché l’idea di Piton innamorato suonava alquanto strana nella sua testa… non riusciva proprio a immaginarselo.
‘Oppure li hanno lasciati perché non gli servivano più e hanno pensato potessero essere d’aiuto a qualcun altro.’
‘Possiamo solo ipotizzare. Non c’erano nomi, né iniziali, non c’è modo di saperne di più.’
Il biondino si morse il labbro inferiore.
‘Allora perché non credere in un lieto fine?’
‘Perché ci sono cose che sono troppo difficili da superare e sarebbe ingenuo da parte mia credere che quel ragazzo sia stato in grado di sfidare la sua famiglia per amore.
Non dovrei essere io a dirtelo, dato che sicuramente sai meglio di me come funzionano le cose nel mondo purosanguista e qual è il finale più probabile, più realistico, per questa storia.’
Draco deglutì.
Cercò di mettersi nei panni di quel ragazzo.
Cos’avrebbe fatto lui se si fosse innamorato della Granger prima della guerra? Avrebbe trovato la forza di opporsi a Lucius, di voltare le spalle alla sua famiglia, di combattere per lei? O sarebbe rimasto il codardo che era sempre stato, non avrebbe preso posizione o avrebbe comunque fatto quello che gli veniva chiesto?
Avrebbe sacrificato il suo amore pur di restare fedele alla sua famiglia?
Cosa farebbe se riuscisse a conquistarla e suo padre si opponesse alla loro relazione? Perché Draco ne era certo, non lo avrebbe accettato mai.
Scosse forte il capo.
Non aveva senso tormentarsi con quelle riflessioni; le prime, non lo riguardavano. Le seconde, era improbabile che diventassero un suo problema, perché la Granger non avrebbe mai ricambiato i suoi sentimenti.
‘Credi che i diari possano essere letti solo se i messaggi vengono scambiati tra un Purosangue e una Nata Babbana? Come credi che funzioni? Chiunque potrebbe leggere l’ultimo messaggio non visualizzato se aprisse uno dei due diari?
‘Non ne ho idea. Me lo sono chiesta anche io.
Ma credo che qualsiasi cosa abbiano usato per incantarli sia una variante dell’Incanto Proteus.’
Poi un pensiero fulmineo sfiorò la mente di Draco, che non riuscì ad impedirsi di scarabocchiare quel quesito sulla pagina bianca davanti ai suoi occhi.
‘Pensi che i diari siano in grado di riconoscere le anime gemelle?’
Forse aveva esagerato con quella domanda, forse era stato di nuovo inappropriato... Ma in fondo, la Granger non sapeva che era lui e avrebbe potuto rigirare la cosa, in caso se la fosse presa.
‘Un Serpeverde romantico…
Strano, ma carino.’
Una risposta evasiva e sarcastica, estremamente ambigua.
Draco deglutì.
‘Non volevo metterti in imbarazzo…
Non intendevo dire che, noi due, insomma…’
Non finì di scrivere la frase e quella venne recapitata al destinatario con i puntini di sospensione… perché Draco non era affatto sicuro di averle scritto la verità; probabilmente era tutto il contrario e quello era proprio ciò che intendeva dire.
Quello che sperava fosse realmente il principio alla base del funzionamento di quegli oggetti comunicanti.
‘Non lo hai fatto. Anime gemelle non vuol dire per forza qualcosa di romantico.
Ed io sono tra i pochi che credono che sia un concetto che interessa di più l’amicizia, comunque.’
Quella risposta lo deluse in qualche modo, ma non ebbe il tempo di scrivere nulla perché altre parole della Granger comparvero sulla pagina.
‘E poi, noi due non sappiamo neanche chi siamo... Non avrebbe senso.’
Peccato che io sappia perfettamente chi sei, Granger” pensò Draco. “E probabilmente mi sono innamorato di te ancor prima di scoprirlo.
***
Hermione
 
‘Chi se ne frega se soffro? Insomma, i più direbbero che me la sono cercata no? Che posso incolpare solo me stesso per quello che ho vissuto.
Ma cosa fai quando non hai amici su cui contare e i tuoi genitori sono quelli che ti hanno messo nei casini in primo luogo?
Cos’avrei dovuto fare?
So di aver sbagliato, ma non credevo veramente di avere una scelta. E non potevo di certo rischiare che Voldemort uccidesse la mia famiglia voltandogli le spalle, nonostante tutto.
Ora sto pagando il prezzo di quello che ho fatto e forse è giusto che non importi a nessuno come sto.
Forse è giusto che non pensino che abbia il diritto di stare male e di curare le mie ferite di guerra, perché ero dal lato sbagliato.’
Hermione sospirò leggendo quelle parole.
Parlava con il ragazzo del diario da quasi un anno ormai; lui non le aveva mai detto di preciso quello che era stato costretto a fare, per lo più si concentrava su come si sentiva, su cosa provasse, su quello che vedeva accadere attorno a lui. Non aveva idea di quello che il ragazzo aveva a tutti gli effetti dovuto fare.
Forse era un azzardo concedergli una sorta di fiducia e continuare a scrivergli; forse era completamente inopportuno da parte sua tirargli su il morale, ma sapeva perfettamente, dalle loro conversazioni durante la guerra, quanto avesse sofferto per il fatto di esservi coinvolto.
La guerra era guerra per tutti e gli adulti erano i veri colpevoli; i Mangiamorte avevano trascinato i loro figli in quella situazione, esattamente come avevano trascinato i membri dell’Esercito di Silente. Alcuni avevano scelto di combattere, altri non avevano avuto altre opzioni... Ma nessuno di loro aveva scelto la guerra in primo luogo.
Quella guerra risaliva a generazioni lontane e loro erano stati gli sventurati che si erano dovuti rimboccare le maniche per terminarla.
Si ritrovò a pensare a Draco Malfoy; sicuramente, lui era quello che si era trovato più invischiato nell’altro lato rispetto a qualunque altro studente di Serpeverde.
Sebbene Hermione fosse consapevole della sua situazione e di cosa lo avesse portato a compiere le azioni di cui si era reso autore, spesso si ritrovava ancora a biasimarlo, a pensare che avrebbe potuto agire diversamente, se davvero avesse voluto farlo. Ma era anche vero che settimane e settimane di confidenze l’avevano portata a vedere il biondino sotto una luce diversa e che spesso riusciva a scorgere il dolore nei suoi occhi.
Il tormento.
Il senso di colpa.
Il disgusto verso sé stesso.
Lo stesso tipo di repulsione che ora traspariva dalla pagina di diario sulla quale stava leggendo l’ultimo sfogo del suo ‘amico di penna’.
‘Il dolore degli altri non è meno importante solo perché è diverso dal nostro.
Anche tu hai vissuto delle brutte esperienze e come tutti meriti di riuscire a superarle.
Hai il diritto di andare avanti e lasciarti il passato alle spalle.
Ciò che conta veramente è che tu abbia imparato dai tuoi errori e che tu possegga la volontà di non ripeterli, che ti impegni in tal senso.’
A volte si sentiva poco onesta con il ragazzo del diario, perché in realtà non sapeva se tutto ciò fosse abbastanza; Hermione non era affatto certa che sarebbe riuscita a mettere da parte il suo passato, se lo avesse conosciuto. Lei era una Nata Babbana e anche se ora la persona dall’altra parte non aveva più pregiudizi verso i suoi simili, in passato li aveva avuti.
Il suo rapporto con Malfoy era un’altra prova di ciò.
C’erano giorni in cui riusciva a tenere a bada il rancore, altri in cui faticava enormemente a chiudere fuori dalla sua mente il ricordo dei loro trascorsi e altri ancora in cui pensava che non sarebbe mai stata in grado di perdonarlo completamente.
‘Cosa importa, in realtà? Il mondo mi vedrà e mi giudicherà sempre per quello che sono stato, non importa cosa faccia per dimostrare che sono cambiato.’
Hermione si morse il labbro inferiore.
Anche Malfoy sembrava aver superato i suoi pregiudizi nei confronti del resto del mondo, eppure lei non riusciva comunque a dissociare totalmente l’immagine del Serpeverde per quello che pareva essere diventato da quello che era stato in passato.
Però, dovette ammettere a sé stessa, diventava sempre più facile relazionarsi con lui, metteva sempre meno in discussione le sue intenzioni.
‘Dai tempo al tempo. Se sei sincero nelle tue azioni e parole, tutto andrà meglio, alla fine.’

 
******
‘Ci sono giorni che sono più duri di altri.
Lo so che potrebbe andare peggio, che c’è gente che non ha il lusso di poter scappare o che è rimasta sola e non ha la possibilità di nascondersi.
So anche che in questo stesso momento, mentre io sono qui a scrivere, c’è gente che combatte in prima linea.
Ma non è comunque facile.
Non è che io non stia facendo niente, sto facendo l’impossibile...

Ma a volte mi sembra di restare ferma, immobile in un limbo.
Di non fare abbastanza, senza poter, di fatti, fare di più.’

 
(Dal diario di Hermione, durante la guerra.)

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Capitolo 13
*** Capitolo 12. La Festa di Halloween ***


CAPITOLO 12
La Festa di Halloween








 
 
Draco
 
 
Draco ricordava bene il giorno del suo processo.
Ricordava quando, uscendo dall’aula dove si era tenuta l’udienza, si era avvicinato a Potter e per la prima volta in vita sua aveva pronunciato la parola ‘grazie’.
Ricordava di quando aveva messo l’orgoglio da parte e gli aveva teso nuovamente la mano in segno di amicizia, o quanto meno per simboleggiare una separazione in rapporti civili, e Potter l’aveva stretta.
Ricordava quanto quel gesto gli fosse sembrato inaugurare un nuovo inizio, garantendogli in qualche modo la possibilità di ricominciare, ma senza sapere veramente fino a che punto le cose sarebbero cambiate per lui, da quel momento in poi. Fino a che punto lui stesso sarebbe cambiato.
Non avrebbe mai potuto immaginarlo in anticipo.
Draco Malfoy aveva finto per tutta la vita di non dare peso all'amore e poi per amore della sua famiglia si era ritrovato con un avambraccio imbrattato dell'oscurità, coinvolto fino al collo nel mezzo di una guerra e senza avere la minima idea di cosa significasse veramente ‘guerra’, gettato in prima linea e lasciato da solo quando non avrebbe mai voluto combattere in primo luogo. E sempre per amore, - per amore di sua madre -, aveva fatto quel passo verso il fronte opposto, invece di restare al fianco dei suoi compagni, bruciandosi l'ultima possibilità di fare la cosa giusta in quel contesto.
Nonostante ciò, Draco Malfoy non aveva mai pensato che si sarebbe innamorato.
Era stato cresciuto con una condizione ben chiara nella mente, quella per cui un giorno si sarebbe dovuto sposare con una Purosangue tradizionalista e generare il successivo erede delle nobili casate dei Black e dei Malfoy.
Nei suoi anni a Hogwarts, non si era mai preoccupato di conoscere nessuno veramente, perché tanto, alla fine, ci avrebbe pensato Lucius a scegliere la persona che reputava più idonea a diventare la futura signora Malfoy. Il fatto che avesse stretto un rapporto intimo con Pansy Parkinson, e che ai suoi genitori lei piacesse particolarmente in quei termini, era stato solamente un caso.
Riflettendoci a mente fredda, Draco era giunto alla conclusione che probabilmente Pansy era stata istruita fin dall'inizio dalla sua famiglia per dare l'impressione di essere perfetta per lui e fare colpo sui coniugi Malfoy.
E nonostante Pansy gli piacesse ai loro tempi, sicuramente più di chiunque altro in quella scuola, Draco non si era mai immaginato di poter avere con lei niente di più di quello che avevano già: una sorta di complicità e un muto accordo. I matrimoni tra i Purosangue funzionavano così, per cui non credeva che ci fosse alcun motivo di fingere che avessero qualcosa di completamente diverso e di definire il loro rapporto in termini che non gli appartenevano. Non c'era motivo di sfilare per i corridoi mano nella mano, o di baciarsi in pubblico, perché i Serpeverde e i nobili Purosangue non si lasciavano andare a pubbliche dimostrazioni di affetto, - Pansy lo faceva con Nott di recente e Draco era abbastanza sicuro che lo facesse per infastidirlo in qualche modo o sperando di farlo ingelosire, ma la cosa in realtà non lo scalfiva minimamente -, e perché nessuno si sarebbe mai permesso di azzardare una mossa nei confronti di Pansy sapendo che era nel mirino di un Malfoy, - non ci sarebbe stata competizione, comunque -, anche se lui non l'aveva mai definita ufficialmente la ‘sua ragazza’.
Draco Malfoy aveva sempre pensato che alla fine dei giochi si sarebbe ritrovato incastrato in un matrimonio combinato, freddo e fondato sulla politica purosanguista, mentre ora era su una linea completamente opposta, ai ferri corti con suo padre e fermamente deciso a non permettergli di controllare più nessun aspetto della sua vita, a non permettergli di determinare più chi dovesse essere, né di stabilire chi dovesse frequentare, né tanto meno di scegliere per lui se potesse avere la libertà di amare qualcuno o meno, e chi quel qualcuno dovesse essere.
Draco Malfoy l'amore non lo aveva mai conosciuto, né tanto meno era in grado di riconoscerlo. Non ci aveva mai creduto, perché l'amore non era mai stata un'opzione per lui, e alla fine si era innamorato di una ragazza senza volto che avrebbe potuto non conoscere mai; e quando l'aveva trovata, aveva scoperto che la ragazza di cui si era innamorato era la stessa ragazza che un tempo non avrebbe mai immaginato di poter volere.
Riusciva a cogliere l'ironia in tutto ciò.
Era perfettamente in linea con la sua intera esistenza, che ormai Draco interpretava come un enorme scherzo del destino.
Forse, il cosmo si divertiva a giocare con lui.
A dargli delle aspettative, delle speranze, delle certezze... e poi a portargliele via brutalmente. A dargli qualcosa di bello, per poi fargli scoprire che aveva perso tutto in partenza, quando ormai era troppo tardi per proteggersi in alcun modo, e che di ciò poteva incolpare solo sé stesso.
Forse, il cosmo non lo reputava degno di un minimo di felicità o, esattamente come aveva fatto Voldemort in passato, stava facendo pagare a lui gli errori di suo padre, con gli interessi.
Erano quelli i pensieri che gli affollavano la mente, già offuscata dall'alcol, mentre osservava Hermione Granger, la ragazza di cui era innamorato e che non avrebbe mai potuto avere, ballare tra le braccia di Terry Steeval al centro della pista.
Rideva quando il Corvonero si chinava e le sussurrava qualcosa all'orecchio,
e Draco non poteva fare a meno di riflettere che la Granger non aveva mai riso in quel modo con lui.
Non aveva remore quando voleva toccarlo, perché Steeval non le aveva mai detto di non azzardarsi a farlo in passato.
Non aveva motivo di tenere su delle barriere difensive, perché Steeval non l'aveva mai ferita, né offesa, né schernita, in passato.
«Amico, perdona la franchezza, ma hai una cera veramente di merda.»
Blaise allungò un braccio e si fece passare un calice di vino pieno dal banco degli alcolici gestito dalla piccola di casa Greengrass, Astoria.
«Mi piace la Granger» rispose in tono aspro, anche se quella frase non riassumeva minimamente quello che provava per lei.
«Ma no! Davvero?» esclamò Blaise fingendo di essere scioccato da quell’ammissione. «Non lo avrei mai detto!»
Il biondino gli scoccò un'occhiataccia.
«Steeval ha l'aria di essere un idiota.»
«E tu hai l'aria di essere mezzo sbronzo e sul punto di piombare in pista e prenderlo a pugni.»
Un ghigno comparve sul volto di Draco nel sentire quelle parole. «Potrei farlo. Insomma, mi sembra una buona idea.»
«Non lo è» si affrettò a precisare Blaise. «Certo, a meno che tu non intenda perdere la tua occasione con la Granger prima ancora di aver capito come fare ad ottenerne una.»
L'amico sbuffò. «Allora prendo un altro calice di vino.»
«Forse sarebbe meglio di no?» fece l’altro, esibendo uno sguardo piuttosto apprensivo.
«Ehi, Blaise, guarda! La Weasley ti sta cercando!»
«Oh, caspita! Le avevo detto che le avrei portato da bere, ma mi hai distratto. Sta' buono, okay?»
Draco rispose con un sorriso fintissimo e si rivolse ad Astoria, notando che lo stava fissando con un'espressione strana in volto.
«Tutto bene, piccola Greengrass?»
«No, si, cioè, ehm...» biascicò lei, abbassando lo sguardo e arrossendo violentemente.
Draco si era reso conto, ovviamente, che lo aveva fissato per tutta la sera; alzò un sopracciglio e gli scoccò un’occhiata interrogatoria.
«È che Daphne mi ha promesso, insomma, che se avessi accettato di gestire il bancone, ehm, mi avresti concesso un ballo...»
Il biondino chiuse gli occhi e respirò a fondo, imprecando mentalmente contro Daphne.
Poi, però, pensò che fosse una buona scusa per vagliare la reazione della Granger se lo avesse visto ballare con una ragazza… ed era appena partito un lento.
«D'accordo.»
Quel ballo non durò a lungo e la Granger, che Draco aveva osservato per tutto il tempo con la coda dell'occhio, non sembrava neanche essersi accorta che lui si fosse avvicinato alla pista.
Non sapeva se fosse peggio quello, il fatto che non lo vedesse affatto, o se sarebbe stata peggio una reazione di totale indifferenza.
«C'è la fila al bancone» si scusò la ragazza, diventando ancora più rossa in volto. «Devo andare, mi dispiace.»
Draco non era affatto dispiaciuto, ma annuì per educazione.
Aspettò che Astoria si fosse allontanata abbastanza, poi si voltò nuovamente a guardare in direzione della Grifondoro e quello che vide gli parve decisamente troppo.
Troppo da sopportare.
Il lento era appena finito, ma Steeval non accennava minimamente a rimuovere la mano dalla vita della ragazza, che anzi pareva scivolare sempre più giù.
O almeno, così sembrava a Draco.
Troppo giù.
Il suo cervello si sconnesse per qualche istante e quando recuperò lucidità due minuti dopo, si ritrovò a camminare per i corridoi deserti, mentre stringeva la mano della Granger tra la sua e la trascinava verso il loro dormitorio.
 
***
Hermione
 
Terry Steeval era incredibilmente simpatico e Hermione lo aveva sempre considerato un caro amico.
Sapeva che fosse da solo quell'anno, dal momento che il suo gruppo di amici non era tornato a scuola o aveva terminato gli studi l'anno prima, e gli altri della loro comitiva sembravano essere già suddivisi in coppie, per cui le era sembrato normale che le chiedesse di andare alla festa insieme.
Hermione aveva accettato di buon grado e così il loro intero gruppo; Terry era simpatico anche a Harry e i due si sentivano tremendamente in colpa per non aver cercato di includerlo maggiormente da quando erano tornati a Hogwarts. Ma si erano presi una nota mentale di non ripetere più quell'errore.
Stavano ballando tranquillamente un lento, con Daphne che cercava di guidare Harry e rideva divertita per il suo essere impacciato e Blaise e Ginny a poca distanza da loro che parlottavano concitatamente mentre danzavano. Quando la canzone terminò, Terry fece ricadere una mano lungo il fianco, ma lasciò l'altra poggiata sulla schiena di Hermione mentre si chinava a chiederle all’orecchio se volesse qualcosa da bere.
Hermione non fece in tempo a dargli una risposta, perché sentì qualcuno afferrare la sua mano libera.
Riuscì a scorgere una serie di sguardi nei pochi secondi che tardò a voltarsi: Blaise fissava la scena scioccato, Harry aveva un'espressione sgomenta sul viso, Ginny aveva gli occhi spalancati, ma tratteneva a stento un sorrisetto eccitato e Daphne stringeva forte le labbra per non scoppiare a ridere a sua volta. Terry sembrava, invece, semplicemente perplesso e incerto su cosa fare.
Hermione in cuor suo sapeva a chi appartenesse quella mano prima ancora di voltarsi a guardare e trovarsi davanti gli occhi grigio ghiaccio di Draco Malfoy che la osservavano, indecifrabili, e che in quel momento sembravano decisamente più scuri, anche se la giovane non avrebbe saputo dire se fosse dovuto all'atmosfera nella stanza o a un'emozione forte che il ragazzo stava provando. 
La presenza del Serpeverde era di per sé ingombrante dal momento che era più alto di lei di almeno dieci centimetri ed equilibratamente largo di spalle, il che le permetteva di stabilire quando le fosse vicino immediatamente, senza neanche aver bisogno di verificarlo con i propri occhi.
In più, sentiva il freddo dell'anello che il biondino portava al dito contro la propria pelle.
La guardò intensamente per qualche secondo, poi aumentò leggermente la presa sulla sua mano, si girò di spalle e prese a camminare, allontanandola dalla pista da ballo.
Hermione era consapevole di avere tutti gli occhi dei presenti puntati su di sé, ma in quel momento non si sentiva in controllo del proprio corpo.
Non sapeva cosa le stesse succedendo, perché seguì il biondino senza esitazione e senza mettere in discussione le sue azioni neanche per un istante.
Per tutto il tempo, non riuscì a staccare gli occhi dalla sua figura, che avanzava spedita e con passo determinato, né a udire eventuali suoni attorno a loro, eccetto un ronzio che pareva venire dall'interno del suo stesso cervello, e si riscosse solo una volta raggiunto il sesto piano, quando ormai erano nei pressi del loro dormitorio.
«Malfoy.»
Il biondino non parve sentirla, ma aumentò la velocità dei suoi passi.
«Malfoy!», riprovò, ma ancora niente, continuava a non ottenere alcuna reazione da parte del giovane.
Attraversarono il ritratto e poi Hermione, finalmente, si decise ad inchiodare e ad impuntarsi sul posto.
«MALFOY!»
L'intoppo nei movimenti e il tono alto e fermo della sua voce dovettero farlo ritornare in sé, perché il Serpeverde finalmente si arrestò e si voltò a guardarla.
Per qualche secondo il suo sguardo sembrò perso, come se si stesse rendendo conto solo in quel momento di quello che aveva fatto, poi tornò inespressivo come sempre.
«Si può sapere che diavolo ti passa per la testa?», domandò Hermione in tono piccato, ma visto che lui si ostinava a non proferire parola, dovette insistere.
«Che diavolo stai facendo? Cosa significa tutto questo?»
Draco era visibilmente arrabbiato, ed era chiaro che non stesse pensando lucidamente. Aveva lo sguardo di una persona che non sapeva bene cosa stesse facendo, né perché lo stesse facendo.
«Sei ubriaco?»
«Ti ha messo le mani addosso», disse gelidamente il Serpeverde.
Hermione sgranò gli occhi leggermente e boccheggiò per qualche istante, senza parole.
«Eh?»
«Quell’idiota, ti stava… toccando
La ragazza arrossì lievemente, ma scosse il capo incredula.
«Sì, tende a succedere quando balli con qualcuno», rispose sarcasticamente.
«Quello aveva ben altro in mente», ribatté lui con voce fredda e strascicata.
Hermione quasi gli rise in faccia. «Merlino, in questo momento sembri Ron al quarto anno.»
«Non osare, Granger…» iniziò Draco, ma lei lo interruppe con un gesto della mano.
«Non mi stava toccando in quel senso, siamo andati alla festa insieme, da amici
Il biondino sollevò un sopracciglio e con tono scettico borbottò: «Non era quello che sembrava.»
«Stavamo solo ballando!» protestò ancora la ragazza, totalmente spiazzata dal discorso di Draco. «Non c’è nulla di male!»
Hermione stava iniziando a innervosirsi seriamente; oltretutto, non gli doveva alcuna spiegazione.
Lui si lasciò andare ad una risata sardonica.
«Ma certo, io non posso essere gentile nei tuoi confronti che diventa un affare di stato, ma Terry Steeval può ballare con te senza che nessuno alzi neanche un sopracciglio!»
«Lo sanno tutti che Terry ha una ragazza, fuori da Hogwarts!»
«Ah. Quindi è anche inaffidabile», commentò sprezzante il biondino.
La Grifondoro lo fissò allibita.
«Ti ho detto che siamo amici! Era con me solo perché tutti i suoi amici più stretti non sono qui e non voleva venirci da solo! E anche se fosse, non sarebbero affari tuoi!»
«Quindi ti ho fatto un favore», continuò Draco, ignorando la sua ultima frase. «Non volevi andarci veramente con lui, alla festa.»
«E credi che vorrei essere qui con te, invece?»
Lui sembrò ferito da quell’osservazione caustica, ma proseguì ugualmente. «Sicuramente non volevi restare lì per molto altro tempo, quindi non ha senso arrabbiarsi, ora.»
«Volevo restare!», urlò irritata Hermione. «Mi stavo divertendo, per una volta!»
«Tu odi quel genere di cose.»
«Che ne sai tu! Siamo civili l’uno con l’altra da quanto? Cinque minuti? Come puoi pretendere di conoscermi?»
«Io ti conosco, va bene? Forse anche meglio di quanto tu conosca te stessa!»
Hermione alzò le braccia in aria e ringhiò di frustrazione.
«Non posso crederci. Questo è fottutamente assurdo! Che diavolo ti salta in testa, Malfoy?»
Draco scosse il capo con convinzione. «Se vuoi tornare alla festa, se vuoi tornare dal tuo ‘amico’, sei libera di andare. Ma non lo vuoi.»
«Chi è adesso quello che pensa di sapere tutto?» sputò acidamente la Grifondoro.
«Non penso di sapere tutto, ma ne so abbastanza… perché ti conosco.»
«Ah, davvero? Tu non sai niente di me!»
Hermione era sempre più allibita; quella situazione non aveva senso, Malfoy non aveva senso e quello che le stava dicendo aveva ancora meno senso.
Probabilmente era solo ubriaco e non stava ragionando, altrimenti nulla di tutto ciò si poteva spiegare in modo razionale; avrebbe dovuto invitarlo a mettersi a letto e tornarsene alla festa o andarsene a dormire anche lei, però il suo tono arrogante e la sua sicurezza sul fatto di conoscerla alla perfezione dopo a malapena un paio di mesi di rapporto civile l’avevano indisposta particolarmente.
Ma quando udì la risposta alla sua ultima replica, Hermione si ritrovò definitivamente e completamente spiazzata.

 
***
Draco
 
Gli venne quasi da ridere, nel sentirle dire che lui non sapeva niente di lei, ma fece di tutto pur di trattenersi; non aveva intenzione di lasciar perdere la questione, però, né di darle la ragione sapendo di averla lui.
Aveva intenzione di dimostrarle che stava parlando con cognizione di causa, anche se in cuor suo era consapevole che non fosse una mossa saggia da fare in quel momento.
«Ah, no? Bene, vediamo un po’. So che quando ti innervosisci ti compare una ruga sulla fronte, proprio qui», affermò Draco, indicando un punto preciso sopra l’occhio destro. «So che quando sei nervosa ti massaggi il collo talmente tanto forte che ti si arrossa la pelle. So che ti piacciono le piume di zucchero e che quando ridi arricci il naso. Ogni. Singola. Volta. So che quando sorridi e stringi la mano della persona che ti parla, stai mentendo quando dici di stare bene. So che anche se ti mostri al mondo come una ragazza invincibile, soffri come tutti gli altri. E a volte metti il dolore degli altri avanti al tuo. So che quando ragioni intensamente, ti mordicchi l’interno della guancia e assottigli gli occhi. So che a volte hai ancora paura della tua stessa ombra, perché quando senti un rumore alle tue spalle, scatti immediatamente. So che quando qualcosa ti colpisce positivamente ti si allargano gli occhi e che quando qualcosa ti delude tiri su col naso, ma poi fai finta di niente per non mostrare le tue debolezze… So che non hai ancora superato le conseguenze della guerra…»
Hermione lo fissò sbalordita, con la mascella a terra, e Draco si interruppe bruscamente, sgranando gli occhi.
Da quando sapeva tutte quelle cose sulla Granger?
La maggior parte di esse non erano neanche cose che poteva aver appreso dal diario.
Quanto tempo aveva passato a guardarla, veramente?
E perché gli batteva così forte il cuore, aspettando una sua reazione?
Ma lei non disse niente. Si limitò a restare immobile, a guardarlo con un’espressione totalmente scioccata dipinta sul volto, nel silenzio più assordante.
Allora Draco strinse i pugni e, senza rifletterci su, raggiunse la sua stanza a grosse falcate.
Quando tornò nella Sala Comune, dove Hermione era ancora ferma dove l’aveva lasciata una manciata di minuti prima, all’apparenza sempre più sbigottita, il biondino aveva in mano il diario.
Si rese conto improvvisamente di quello che aveva fatto e di non poter più tornare indietro.
Hermione lo aveva visto e lui era dannatamente sicuro che avesse riconosciuto la fattura dell’oggetto.
Cercò di calmarsi e di recuperare abbastanza lucidità da essere in grado di gestire quella situazione in cui si era cacciato agendo molto impulsivamente e in una maniera molto poco da Serpeverde.
Le porse il libricino, deglutendo, poi si schiarì la gola e addolcì il tono della sua voce. «Ti conosco perché ci sono io dall’altro lato.»
Hermione osservò il taccuino per diversi, lunghi, opprimenti, istanti, con aria incredula e scioccata al contempo. «Cosa… Come fai ad averlo tu? Come lo hai trovato?»
«L’ho trovato nella Stanza delle Necessità, Granger. Lo sai.»
«Da quanto è in tuo possesso?» continuò la ragazza imperterrita, ingoiando saliva a vuoto.
A Draco sembrò quasi che non stesse ascoltando veramente le risposte che stava dando alle sue domande, ma proseguì con le spiegazioni che la Grifondoro gli stava chiedendo.
«L’ho sempre avuto io, Granger. Fin dall’inizio. Sono sempre stato io. È con me che hai parlato nell’ultimo anno.»
Hermione lo fissò per qualche istante con le labbra schiuse e lo sguardo perso, poi prese a scuotere il capo con un movimento frenetico, come se stesse per andare nel panico. «No…» mormorò con un filo di voce. «Non può essere…»
Per Draco, udire quell’esclamazione, fu come ricevere una stilettata dritta al cuore.
«Granger… Hermione» disse supplichevole. «Te lo giuro.»
«No!» gridò allora lei, facendolo sobbalzare per il repentino cambiamento nel tono e nel volume della sua voce. «Non puoi essere tu! Non… non voglio che sia tu
Il biondino avvertì la gola seccarsi improvvisamente e il cuore sprofondare nell’oblio più assoluto; deglutì con forza, cercando di recuperare la facoltà di parola.
«Granger…»
La Grifondoro continuava a scuotere il capo con forza e i suoi occhi erano lucidi, pieni di lacrime che si rifiutava categoricamente di lasciare uscire.
«Sarebbe mortificante sapere che per tutto questo tempo stavo parlando con te!»
Un’altra stilettata al cuore, più violenta della precedente.
Lo sapevo. Lo sapevo. Lo sapevo! Dannazione, non avrei dovuto… Non avrei dovuto dirglielo… che diavolo mi è saltato in mente?”, pensò nel panico Draco.
«Hermione, ti prego…»
«Da quanto tempo?», domandò sprezzante la ragazza, interrompendolo bruscamente. «Da quanto tempo sai che sono io?»
Poteva sentire l’odio e il rancore trapelare dalle sue parole, dal suono della sua voce.
Gli veniva da vomitare.
Che cosa ho fatto? Che accidenti ho combinato?
Draco ingoiò la saliva con forza una prima e una seconda volta prima di parlare nuovamente. «L’ho capito quando mi hai nominato, l’ultima volta in cui abbiamo parlato prima che lo perdessi. E poi ne ho avuto la conferma quando la mia elfa lo ha trovato… al Manor... nel s-salotto.»
Hermione sbatté gli occhi, incredula e senza parole, per qualche secondo.
Draco poteva quasi sentire il suo cervello lavorare a mille per processare le sue parole.
«Quindi mi stai dicendo che quando mi hai identificata, quella notte a casa tua, tu eri già certo che ci fossi io dietro il diario?»
Il biondino sbiancò. «Non… Non sapevo cosa fare, Granger… Volevo aiutarti, ma non sapevo come… Mia madre ti aveva riconosciuta e… Bellatrix… Avevo paura per mia madre…»
Lo sguardo di disgusto che gli rivolse non aveva precedenti.
«Perdonami, ti prego!» esclamò immediatamente, vedendo scivolare via davanti ai suoi occhi tutto ciò che avevano costruito nel corso di quei mesi, tutto ciò che aveva a cuore e che gli era rimasto.
Ma lei continuava a scuotere il capo, con un’espressione profondamente nauseata dipinta sul viso.
«Rivivo quella notte ogni giorno, nei miei incubi, e mi odio per non aver fatto niente.»
«Sei stato tu, non è vero?», domandò ancora, il tono sempre più aspro e distante.
Era come se ad ogni risposta, ad ogni chiarimento, la stesse perdendo un po’ di più.
Draco si chiese se gli sarebbe rimasto niente, di lei, alla fine di quella conversazione e poi si affrettò ad accantonare quel pensiero.
Doveva restare lucido.
Doveva restare calmo.
Doveva salvare il salvabile.
Doveva farle capire.
«Lo hai messo tu nel bagno di Mirtilla all’inizio dell’anno.»
Non stava più ponendo domande, ormai deduceva le risposte da sola, basandosi sulle informazioni che già le aveva dato, ma il Serpeverde«»il SerpeverdeIl deglutì e annuì comunque. «Avevo bisogno di parlarti. E non riuscivo a farlo di persona…»
Hermione si portò le mani tra i capelli e li tirò leggermente; un singhiozzo sfuggì incontrollato dalla sua gola, mentre qualche lacrima iniziava a scivolarle lungo le guance.
Draco poteva avvertirla trarre le sue conclusioni e fu colto da un moto di terrore.
Fa’ qualcosa… dì qualcosa… qualsiasi cosa… o finirai con il perderla…
«Hermione…»
«No!» esclamò lei, spingendo avanti le mani per fermarlo, per impedirgli di avvicinarsi a lei. «Io… Credevo davvero che tu fossi cambiato…»
Il giovane spalancò gli occhi a quelle parole e fece un altro passo avanti per avvicinarsi a lei, ma Hermione arretrò subitaneamente.
«Sono stata così stupida! Sai, ero davvero disposta a darti una possibilità…»
«Cosa? Granger, io sono cambiato! Sono diverso ora! E tu lo sai meglio di chiunque altro! Qui dentro», urlò Draco in preda alla disperazione, sventolandole davanti il diario, «c’è il vero Draco Malfoy e tu sei l’unica persona sulla faccia della terra a poter dire di averlo conosciuto! Sei l’unica persona che può dire di conoscermi veramente, maledizione!»
Una risata fredda, una risata che non le apparteneva minimamente, lasciò le sue labbra. «Davvero?» esclamò sarcasticamente, poi assottigliò gli occhi fino a ridurli a due fessure minuscole. «Almeno ti rendi conto di quello che hai fatto, Malfoy?»
Il suo tono diveniva più caustico ad ogni frase che enunciava.
«Hai lasciato il diario nel bagno di Mirtilla, assicurandoti che lo avrei trovato. Hai iniziato a chiedermi consigli su come comportarti con me stessa e io come una dannata stupida ti ho aiutato a prendermi in giro! Questa si chiama manipolazione, Draco. Ed è la cosa più da Draco Malfoy che tu abbia fatto in tantissimo tempo.»
«Cos’avrei dovuto fare, Granger?» gridò esasperato, ma lei alzò ancora di più la voce, sovrastando la sua.
«Dirmi tutto fin dal principio! Non appena siamo tornati a Hogwarts!»
«Non potevo! Ti avrei persa! Tu mi odiavi!»
Le parole gli morirono in gola. Draco aprì la bocca per aggiungere altro, ma non riuscì ad emettere alcun suono; restò immobile, come se fosse stato pietrificato dal collo in giù, a boccheggiare.
E poi Hermione iniziò a piangere. «Questa cosa… quel diario, significava qualcosa per me! E invece era solo un altro dei tuoi piani crudeli per ferirmi.»
«No! Te lo giuro!» si riscosse immediatamente Draco, mentre il panico si impossessava di lui, portandolo a tremare convulsamente.
Non poteva pensare quello.
Non poteva lasciarle pensare che fosse una sorta di scherzo di cattivo gusto.
Non… non può pensarlo veramente… Non dopo tutto quello che le ho scritto…
«Intendevo ogni singola parola che ho scritto, non ho mai voluto prenderti in giro! Per me quel diario significa tutto! È stata… sei stata l’unica cosa che mi ha tenuto a galla lo scorso anno! Non hai idea di com’è stato quando hai smesso di rispondermi e non sapevo che avessi perso il diario, mi sentivo perso e solo e…»
Hermione tirò su col naso e lo guardò per la prima volta dopo tanto tempo con ostilità. «Sta’ lontano da me», sibilò a denti stretti, quasi ringhiando, impedendogli di finire di parlare.
«No, Granger, ti prego! Per favore, non…»
Ma la sua supplica cadde nel vuoto, perché un secondo dopo Hermione si era già volatilizzata.
Draco si passò le mani sul viso e cominciò a singhiozzare.
Corse nella sua stanza e si liberò della camicia, per poi accasciarsi contro il letto e prendersi il volto tra le mani.
L’ho persa. L’ho persa per sempre…
E mentre una nuova forma di dolore a lui sconosciuta si impossessava del suo corpo, Draco non poteva fare a meno di chiedersi se fosse effettivamente una cosa positiva essere così diverso da quello che i suoi genitori volevano, così diverso da loro, di essere capace di amare.
Perché se amare voleva dire quello, pensava il biondino, faceva fottutamente male.
 
******
 
‘Non faccio che pensare alle persone che conosco, agli altri Nati Babbani nel mondo magico.
Quanti sono ancora vivi?
Quanti sono già morti?
Quanti stanno venendo torturati in questo preciso istante?
Sarò io la prossima?
Avrò mai la possibilità di rivedere qualcuno di loro?
I ricordi di Hogwarts hanno un retrogusto dolce-amaro.
Perché se da un lato posso chiudere gli occhi e, sforzandomi abbastanza, fingere di trovarmi nel caldo e accogliente dormitorio di Grifondoro, dall’altro la nostalgia dei tempi migliori, ormai andati, l’eco delle risate, la consapevolezza che niente sarà mai più come prima… tutto ciò non è altro che sale sulle mie ferite.
Scusami, ma oggi è un giorno più duro degli altri.’
 
(Dal diario di Hermione, durante la guerra.)

 




N.d.a.

Salve!
Dal momento che ci saranno 3 capitoli delicati per la storia (e a me non piace lasciare i lettori con l'amaro in bocca), ho deciso, solo per questa settimana, di pubblicare un capitolo in più. Il prossimo aggiornamento sarà venerdì. Dalla settimana prossima gli aggiarnementi torneranno, come al solito, ad avvenire di lunedì e di giovedì.
Ne approfitto per ringraziare chi ha avuto il pensiero di lasciarmi una recensione, per me è molto importante leggere l'opinione di chi legge. Spero che la storia continui a piacervi e se vi va, continuate a dirmi cosa ne pensate, a me fa davvero tanto piacere.
Volevo inoltre ricordarvi che mi trovate anche su Wattpad (
https://www.wattpad.com/user/stillathogwarts). 
A presto :)

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13. Il Ragazzo del Diario ***


CAPITOLO 13
Il Ragazzo del Diario








 
 
 
Hermione
 
Si gettò sul suo letto e pianse come non aveva fatto per mesi.
Si sentiva una stupida, perché pensava di aver trovato un confidente che la capisse veramente e invece era solo Draco Malfoy che giocava con i suoi sentimenti. Lo era stato per tutto il tempo.
Lei gli aveva rivelato i suoi pensieri più intimi, le sue insicurezze, le sue sofferenze… le stesse incertezze su cui il Serpeverde era solito far leva per ferirla i primi anni a Hogwarts. Gli aveva fornito tutte le sue debolezze su un piatto d’argento, senza sapere che stava già sfruttando quella più grande: il diario stesso.
Stupida, stupida, stupida!
Non aveva mai pensato, neanche per un attimo, che potesse esserci lui dall’altra parte, che il ragazzo così tormentato e solo con cui scambiava quelle note potesse essere lo stesso ragazzo che l’aveva infastidita per anni; nemmeno quando lo aveva rivisto a Hogwarts e aveva trovato un Draco Malfoy che aveva riveduto le proprie posizioni e le proprie credenze, perché aveva desiderato con tutto il cuore che fosse qualcun altro e forse alla fine se n’era convinta, rifiutandosi di vedere come stavano le cose realmente.
Perché adesso che ci ripensava, aveva tutto perfettamente senso.
Tra i Serpeverde figli di Mangiamorte erano davvero pochi quelli che erano stati coinvolti in prima linea dai genitori e da quello che le scriveva, dalle cose che sosteneva di aver visto o sentito, dal modo in cui parlava della sua famiglia e dei suoi obblighi verso di essa… lei avrebbe dovuto capirlo subito. Malfoy era stato sotto i riflettori più di chiunque altro, ma il fatto che le aveva rivelato di non avere più nulla contro i Nati Babbani l’aveva destabilizzata al punto da indurla ad accantonare definitivamente ogni sospetto verso di lui.
Perché Hermione non avrebbe mai immaginato che il biondino avrebbe rivalutato le sue vedute. Capire i propri errori durante la guerra era un conto, abbandonare l’ideologia che vedeva i Purosangue come superiori alle altre tipologie di maghi era un’altra cosa. Per Draco Malfoy, quello significava rinunciare a tutto ciò che lo rendeva sé stesso e ricostruirsi da zero. Non lo aveva mai creduto in grado di fare una cosa del genere, non veramente.
Eppure, ora capiva tante cose.
Il perché non gli andasse mai di scrivere a lezione, per esempio; temeva che potesse riconoscere la sua scrittura associandola a quella del diario e al contempo realizzava perché le fosse sempre sembrata familiare, fin dall’inizio di tutta quella storia. Non era la prima volta che vedeva la calligrafia di Draco Malfoy, ma al contempo non la conosceva abbastanza bene da collegare i puntini immediatamente.
Adesso sapeva perché il modo in cui il Serpeverde le parlava durante le conversazioni più gravose le suonava familiare, anche quando non era ancora abituata a sentirlo parlare normalmente con lei.
Era stata una stupida a non realizzare che Draco stava facendo esattamente quello che il ragazzo del diario le confidava in cerca di consiglio; scusarsi con una persona che aveva ferito, trovare il modo di parlarle… Perché mai avrebbe pensato che lui potesse voler fare ammenda con lei.
Si rese conto che Malfoy quei consigli aveva cercato di seguirli veramente e dovette riconoscere la sua tenacia nell’instaurare un rapporto con lei… che, però, ormai non significava più niente.
Perché l’aveva manipolata e le aveva mentito.
Perché se già sarebbe stato difficile farlo prima, ora non avrebbe mai più potuto fidarsi di lui.
Perché non c’era verso che potesse continuare a credere nella sua buona fede e nelle sue buone intenzioni.
Anche se le aveva detto che all’inizio non sapeva che fosse lei, Hermione non riusciva più a credere a una singola parola di quello che le aveva scritto nel diario.
Si sentiva solo presa in giro.
Se la sua intenzione era ferirla, ci era riuscito alla perfezione.
Draco sosteneva di essere cambiato? Beh, il nuovo Draco aveva avuto successo laddove la sua vecchia versione aveva fallito.
Bell’upgrade.
Hermione lo odiava.
Odiava tutto di quella storia, di quella situazione.
Perché ora era bloccata in quasi tutte le classi con lui e avrebbe dovuto sforzarsi di essere civile nei suoi confronti durante le lezioni… e lei non voleva vederlo neanche per sbaglio.
Perché aveva perso la sua unica valvola di sfogo, perdendo il ragazzo dietro il diario.
Perché era stata troppo disponibile e troppo avventata nel dargli una seconda occasione così presto.
Perché non aveva riflettuto abbastanza, non aveva individuato gli indizi.
Eppure, a volte le aveva detto cose così simili a quelle che aveva scritto sul diario…
All’improvviso, tutto aveva finalmente senso e Draco Malfoy non sembrava più un enigma.
All’improvviso, lei sapeva più di lui di chiunque altro sulla faccia della terra, solo che non sapeva se le sue informazioni fossero affidabili o solo una presa in giro.
All’improvviso, e questa era la cosa che Hermione odiava di più, Draco Malfoy era la persona che la conosceva meglio al mondo.
§
Quando Hermione si presentò a lezione il giorno seguente, - aveva fatto di tutto per coprire le occhiaie, ma aveva avuto scarso successo in tal senso -, tutti gli occhi erano puntati su di sé e una volta che Draco prese posto accanto lei, le loro occhiate si fecero persino più insistenti.
«Granger.»
«Preparo io il calderone e tu prendi gli ingredienti?», chiese lei immediatamente, per evitare qualunque tipo di conversazione con lui che non fosse relativa all’ambito accademico. Gli rivolse quella domanda senza neanche voltarsi a guardarlo.
Non voleva vederlo, le faceva male.
Sentire la sua voce era già abbastanza da sopportare.
Adesso non era più solo la sua versione fredda e strascicata che detestava, ma anche quella che usava normalmente; quella che a volte le aveva provocato dei brividi in tutto il corpo o che l’aveva rassicurata dopo un incubo; quella che a volte l’aveva fatta ridere durante una sessione di studio o un progetto in classe; quella che le aveva chiesto scusa e parlato dei suoi rimpianti.
«Possiamo parlare? Per favore…»
Hermione sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
«Dopo la lezione, ti aspetto al dormitorio. Vieni, ti pre-»
«Prepara tu il calderone allora, io prendo gli ingredienti», disse in tono asciutto la Grifondoro e si diresse verso l’armadio delle scorte senza aggiungere altro.
Non ci sarebbe andata.
Non voleva parlargli.
Non voleva avere niente a che fare con lui.
Aveva preso abbastanza da lei.
Aveva voluto il suo perdono e lei aveva messo da parte il suo orgoglio e glielo aveva concesso, perché credeva che si stesse veramente impegnando per guadagnarselo.
E invece lui ci aveva sputato addosso, come se non valesse nulla.
Si sentiva incredibilmente svuotata.
«Granger», ci riprovò ancora una volta che fu tornata al banco, ma lei serrò gli occhi e trasse un profondo respiro; iniziò a parlare, troncando il suo discorso sul nascere.
«Senti», sibilò a denti stretti, l’irritazione palpabile nel tono della sua voce. «Ci fissano tutti dopo la tua scenata del cavolo alla festa di Halloween. Non ho niente di cui discutere con te e siamo nel mezzo di una lezione. Se non ti dispiace, vorrei concentrarmi sulla Pozione. Quindi smettila o chiederò a Lumacorno di cambiare compagno di lavoro.»
Lo sentì deglutire, ma continuava a rifiutarsi di incrociare il suo sguardo.
Fanculo a Malfoy e ai suoi maledetti occhi grigi.
Non voleva vederli mai più, non voleva perdersi in quelle pozze argentee mai più.
«Come desideri, Granger.»
§
«Insomma, si può sapere cos’è successo ieri?» mormorò Ginny mentre si incamminavano a passo svelto verso la Sala Grande per il pranzo.
«Non è successo niente», rispose freddamente Hermione.
«Niente? Quello lo chiami niente?» esclamò indignata la rossa. «Malfoy ti ha afferrato la mano e ti ha trascinata via! E dovevi vedere la sua faccia mentre tu e Terry ballavate… Scommetto che era geloso, te lo avevo detto che gli piaci!»
«Falla finita, Ginny!», urlò Hermione, spazientita.
Sentiva di nuovo le lacrime pizzicarle gli occhi, ma non aveva la minima intenzione di mettersi a piangere in pubblico come una bambina.
«Non è successo niente e io e Draco Malfoy non siamo altro se non compagni di studio. E non saremo mai nient’altro. Quindi, falla finita! Non c’è assolutamente nulla da dire e non ci sarà mai nient’altro da dire, okay?»
La ragazza la fissò sbalordita dalla sua reazione per qualche istante e poi rimase immobile, a guardarla allontanarsi a grosse falcate.
A quanto pareva, Hermione avrebbe saltato anche il pranzo quel giorno.
Decise di fare una passeggiata in giardino, dal momento che era una giornata relativamente bella per essere novembre; non faceva troppo freddo e lei aveva bisogno di restare da sola.
Cosa che ovviamente non fu possibile per più di un’ora.
Harry la individuò poco dopo pranzo e la raggiunse in giardino, per poi accomodarsi con lei sotto un albero.
«Ginny ti ha parlato e quando hai visto che non ero a pranzo mi hai cercata sulla Mappa?»
Il moro si grattò il retro della testa e le rivolse un mezzo sorrisetto colpevole.
Hermione sospirò. «Non era mia intenzione essere così dura con lei, ma non avevo la minima voglia di parlare di Malfoy. E non ce l’ho tutt’ora.»
Harry annuì. «Non voglio forzarti a parlare di lui con me, ma sembrate tutti e due estremamente avviliti, oggi.»
La ragazza fece ruotare gli occhi. «Malfoy raccoglie ciò che semina, come al solito.»
Il rancore nella sua voce non passò inosservato alle orecchie del Prescelto. «Cosa ti ha fatto?»
«Pensavo che non volessi forzarmi a parlare di lui.»
«Voglio solo accertarmi che non ti abbia ferita», mise le mani avanti Harry. «So che ho detto che vedo del cambiamento in lui e che sono disposto a tendergli una mano, ma non sono così ingenuo da dargli fiducia. Non così presto.»
«Fiducia è qualcosa che non andrebbe mai data a Draco Malfoy», ribatté in tono asciutto la ragazza.
«Allora ti ha fatto qualcosa.»
Hermione sbuffò sonoramente e chiuse il volume che stava consultando con un tonfo.
«Ti ricordi quando ci nascondevamo nella foresta di Dean e ti ho raccontato del diario?», disse alla fine, decidendo che non avesse senso non confidarsi con Harry, dal momento che prima o poi gli avrebbe dovuto delle spiegazioni una volta iniziato ad evitare il gruppo in presenza del biondino.
Perché lei di una cosa era certa, ovvero che voleva evitarlo il più possibile.
Il moro annuì, confuso. «Cosa c’entra questo con Malfoy?»
«Era lui», rivelò sbrigativamente la ragazza. «Per tutto il tempo.»
Gli occhi del suo amico si allargarono. «Malfoy? Hai parlato per tutto questo tempo con lui?»
Hermione fece un cenno di assenso con il capo e poi si passò le mani sul viso. «E lui aveva già capito che ero io quella notte al Manor.»
Harry dischiuse le labbra, completamente spiazzato dalla notizia.
«E ti dirò di più, ho ritrovato il diario all’inizio dell’anno ed è stato lui a metterlo nel bagno di Mirtilla. Mi ha manipolata per tutto il tempo, chiedendomi come fare ad avvicinarsi a me stessa. Ti rendi conto?»
Il ragazzo si mordicchiò il labbro inferiore per qualche secondo, mentre elaborava quelle informazioni. «Hermione, non per difenderlo, ma hai mai pensato che magari non sapesse come comportarsi? Che te lo stesse chiedendo perché aveva paura di sbagliare?»
Un gemito di protesta lasciò la gola di Hermione. «Credevo che avessi detto di non essere ingenuo, Harry. Mi stava solo prendendo in giro, come sempre.»
«Ma… hai detto che il ragazzo del diario si confidava con te… perché avrebbe dovuto dirti cose non vere?»
La giovane gli rivolse un’occhiataccia, corrugò la fronte e non disse nulla, così Harry proseguì.
«Insomma, che senso avrebbe avuto? Non capisco cosa avrebbe potuto pensare di ottenere da questo, nel caso in cui ti stesse mentendo o prendendo in giro.»
«Ferirmi?», ipotizzò Hermione. «Provare che sono una stupida senza speranza?»
Il ragazzo arricciò il naso. «Credi sul serio che non avesse cose più importanti da fare, o di cui preoccuparsi, durante la guerra? Se i Mangiamorte lo avessero scoperto, lo avrebbero ucciso. E all’inizio lui non sapeva che eri tu. Magari era sincero e poi si è ritrovato invischiato in questa cosa e non sapeva come uscirne, soprattutto dopo, ehm, il Manor.»
Lei sollevò un sopracciglio, scettica.
«Oh, andiamo, Herm. Cos’avresti fatto se l’uno settembre fosse venuto da te e ti avesse detto: “Ehi, Granger. Sai che ero io che ti scrivevo sul diario? Mi dispiace per il nostro passato, puoi darmi un’altra possibilità?”. Ti saresti arrabbiata ugualmente e non gli avresti mai più rivolto la parola!», la fece riflettere Harry. «Magari sperava di farti vedere che era cambiato, prima di dirti tutto.»
Hermione si alzò in piedi e sbuffò. «Da che parte stai, Harry?» chiese irritata.
«La tua, Hermione, lo sai. Sei come una sorella, per me», rispose in tono fermo il giovane. «E se Malfoy volesse veramente ferirti, gliela farei pagare. Ma non sono sicuro che sia questo il caso, non a questo giro.»
«Come fai ad essere ancora così sicuro che sia cambiato dopo quello che ti ho detto? Mi ha manipolata, Harry! È una cosa da Malfoy vecchia scuola!»
Harry scrollò le spalle. «Glielo si legge in faccia che è diverso. Dimmi, Hermione, quando è stata l’ultima volta che lo hai guardato e hai visto superbia e altezzosità dietro le sue espressioni?»
«Non è che possa vantarsi di essere superiore a nessuno di questi tempi.»
«Sì, ma si vede lontano un miglio che in qualche modo e per qualche motivo ci tiene. A risolvere le cose con te, a integrarsi nel gruppo… sebbene alcuni dei suoi modi, temo, avranno sempre la meglio su di lui», concluse Harry, raccogliendo le sue cose e seguendo l’amica per raggiungere l’aula di Difesa Contro le Arti Oscure. «Hermione, io non credo che volesse ferirti.»

 
***
Draco
 
Era così concentrato a scrutare una ad una le teste degli studenti seduti al tavolo di Grifondoro che quasi non si accorse del grosso barbagianni che volava nella sua direzione. L’uccello emise un suono infastidito quando il ragazzo tardò a prendere la lettera che doveva consegnargli e dovette beccarlo un paio di volte sulle mani affinché gli prestasse attenzione.
Draco sbuffò, constatando che la Granger non si fosse presentata neanche a pranzo, e poi afferrò la busta di malavoglia. Sapeva già da parte di chi fosse la missiva e non aveva alcuna voglia di leggere qualsiasi cosa vi fosse all’interno.
Diede qualcosa da mangiare al barbagianni e quando quello ebbe spiccato il volo, si alzò e si diresse verso il dormitorio dei Caposcuola, sperando che la Granger avesse deciso di presentarsi al loro appuntamento.
Ma di lei non vi era alcuna traccia.
Non che non se lo aspettasse, aveva reso abbastanza palese che aveva tutta l’intenzione di evitarlo quel giorno, ma non vedendola a pranzo ci aveva quasi sperato.
Voleva spiegarsi come si deve, prima che lei prendesse una decisione definitiva scegliendo di tagliarlo completamente fuori dalla sua vita.
La prospettiva di non poterle mai più parlare era dolorosa, quasi intollerabile per lui.
Per anni non aveva fatto altro che desiderare di non vederla più ed ora l’eventualità di non fare parte della sua vita lo terrorizzava come poche cose avevano fatto in precedenza.
Sbuffò e si lasciò cadere pesantemente sul divano, rigirandosi la lettera tra le mani.
Trasse un respiro profondo e la aprì.
 
Caro Draco,
ho saputo che l’anno scolastico sta procedendo nel migliore dei modi.
Non ho intenzione di commentare la nuova oltraggiosa politica intrapresa dalla scuola e volta alla cooperazione tra le Case, - sembra che Hogwarts abbia tutta l’intenzione di procedere nel suo declino e di perseverare nella sua incompetenza -, ma ti scrivo ugualmente per via di alcune voci indiscrete che ci sono giunte riguardo la quantità di tempo che stai passando con Potter e i suoi pari e, in particolare, con la Granger.
Ci è stato riferito che lavori con lei in quasi tutte le classi e volevamo accertarci che tu ricordassi qual è il tuo posto nel mondo magico e qual è il suo. So che non condividi più l’ideologia purosanguista, ma non vorrei che quei ragazzi instillassero delle stupide idee nella tua testa.
Tu resti sempre e comunque un Malfoy e in quanto tale ci sono delle aspettative secondo le quali devi agire e vivere.
Per cui, per favore, cerca di non trascorrere più tempo del necessario con quella gente; abbiamo perso molto credito nel mondo magico nell’ultimo periodo e se gli altri dovessero iniziare a considerarti un traditore del tuo sangue diventerebbe praticamente impossibile trovare una famiglia Purosangue disposta a darti in sposa sua figlia.
Ti chiediamo inoltre di cercare di riavvicinarti a Pansy Parkinson, in quanto lei resta una perfetta candidata per diventare la futura signora Malfoy; la ragazza ha da sempre un debole per te e i Nott non sono abbastanza ricchi per reggere il confronto con noi, per cui non sarebbero affatto un ostacolo.
Per favore, Draco, non farmi sentire nient’altro di allarmante.
E sta’ il più lontano possibile da Hermione Granger.
Ricorda sempre chi sei.
Con affetto,
Narcissa
 
Draco fece schioccare la lingua e lanciò la lettera nel fuoco.
Fissò le fiamme divorare la pergamena, riflettendo sul fatto che sì, sua madre aveva anche potuto scrivere la lettera, ma dietro le parole il pugno di Lucius Malfoy era più che evidente.
Avrebbe voluto che sua madre si accorgesse di quanto fosse deleterio assecondare le folli concezioni del padre, ma dubitava che la donna si sarebbe mai schierata contro di lui.
Aveva letto la lettera con un’espressione che era divenuta sempre più disgustata e accigliata man mano che procedeva, sollevando nella sua mente domande quali “come possono ragionare ancora così? Com’è possibile che non abbiano imparato nulla dalla guerra? Perché non possono semplicemente lasciarmi in pace e permettermi di vivere la mia vita secondo i miei termini, dopo quello che mi hanno fatto passare dal sesto anno in poi?
Draco era fermamente convinto che i suoi genitori glielo dovessero.
Le aspettative ricadute su di lui in quanto Malfoy non avevano fatto altro che rovinargli la vita e la reputazione; erano il motivo per cui si era ritrovato con il Marchio Nero sul braccio all’età di soli sedici anni, la ragione per cui non aveva mai avuto degli amici e la causa di tutti i suoi mali e del suo tormento interiore.
Adempiere a quelli che suo padre definiva “i doveri dell’erede del casato dei Malfoy” non era tra gli interessi del biondino; le uniche cose che cercava lui erano redenzione e pace, tranquillità.
E non aveva la minima intenzione di riavvicinarsi a Pansy Parkinson, né di tenersi alla larga dalla Granger, sebbene lei al momento non sembrasse dello stesso avviso.
Non preoccuparti, madre” pensò seccato. “Ho già rovinato tutto da solo. Sono spaventosamente bravo nel mandare all’aria le cose belle.
Ma non glielo scrisse e non solo perché non aveva alcuna intenzione di risponderle.
In cuor suo, Draco lo sapeva, non era ancora pronto ad arrendersi.
Quella volta avrebbe lottato.
Avrebbe fatto di tutto per riavere la Granger nella sua vita e per tenersela.
§
Due settimane dopo, era ancora in una situazione di stallo.
Hermione non era più particolarmente caustica nei suoi confronti, ma gli rivolgeva la parola solo in contesti accademici e sembrava non voler affrontare il discorso ‘diari’ con tutta sé stessa. Draco aveva provato a parlarle più volte, ma lei non glielo aveva mai permesso. Non gli aveva neanche risposto le volte che aveva tentato di comunicare con lei attraverso il diario.
Continuava a farlo, però, ogni sera, nella speranza di leggere qualsiasi cosa da parte sua, ma Hermione probabilmente quel diario non lo apriva più; forse, se n’era addirittura disfatta.
La ragazza aveva inoltre iniziato ad evitare lo studio di gruppo, molto probabilmente per non vederlo, così come le uscite a Hogsmeade e la serata in dormitorio che Blaise aveva organizzato il sabato prima.
Si era ritrovato con lei solo una volta al di fuori delle lezioni, quando la piccola Weasley aveva organizzato una serata nel bagno dei Prefetti con il resto del gruppo al completo.
Avrebbe dovuto essere un evento piacevole, se non fosse stato per Seamus Finnigan che aveva avvertito l’esigenza di far sentire il biondino di troppo e fuori posto, rovinando l’atmosfera e caricandola di tensione.
«Che cosa ci fa lui qui?», aveva ringhiato non appena lo aveva visto.
«È con noi», lo avevano difeso subito Blaise e Daphne. «È a posto.»
«È un Mangiamorte.»
E a quel punto Potter era intervenuto dicendogli di chiudere il becco e che il passato doveva rimanere nel passato da quel momento in poi, che stavano tutti cercando di fare di meglio di quanto non avessero fatto prima e che se avesse avuto qualche problema con la presenza di Draco avrebbe potuto anche andarsene.
Justin Finch-Fletchley e Dean Thomas gli avevano stretto la mano in segno di pace, probabilmente per dare l’esempio e incoraggiare i più scettici, ma Finnigan non aveva ceduto e al contempo non se n’era neanche andato, mentre l’atmosfera era stata rovinata irrimediabilmente.
E in tutto ciò, la Granger era rimasta in disparte a guardare.
Non aveva neanche accennato una mezza parola in sua difesa, cosa che gli aveva riferito Blaise era solita fare prima che scoprisse tutta la storia del diario.
Lui non credeva che valesse la pena di prendersi il disturbo di difenderlo, ma ne era stato lusingato al tempo… e ora era ferito dalla sua indifferenza.
Era quasi come se neanche lei lo volesse lì.
Probabilmente era così.
Draco aveva inoltre il terribile sospetto che sua madre avesse scritto a Pansy, perché la ragazza aveva ricominciato a tallonarlo per i corridoi e lui si ritrovava spesso a correre di qua e di là per evitarla. Come in quel momento, dopo che aveva dovuto fare il giro del castello per raggiungere i sotterranei senza incontrarla e alla fine si era dovuto mettere a correre per non arrivare in ritardo alla lezione di Pozioni.
Quando entrò in aula, notò che la disposizione degli alunni era diversa dal solito; quel giorno non erano suddivisi in coppie di Case miste, ma ognuno doveva aver preso posto dove voleva.
Notando che la Granger era già seduta accanto a Ginny, Draco si avvicinò a Blaise, il quale gli riferì che Lumacorno aveva stabilito di farli lavorare individualmente per quel giorno.
Non riuscì ad evitare di lanciare uno sguardo in direzione della Granger, diverse file più avanti.
Appena aveva potuto, aveva subito messo quanta più distanza possibile tra loro due.
Strinse i pugni e respirò a fondo per calmarsi.
Non riusciva più a sopportare quella situazione.
Il suo silenzio, la sua indifferenza, lo stavano distruggendo.
Doveva darsi una mossa e decidersi ad attirare la sua attenzione.
Doveva fare qualcosa che l’avrebbe sorpresa al punto da spingerla ad aprire il diario e leggere quello che le aveva scritto.
Strappò un pezzettino di pergamena e vi scarabocchiò qualcosa sopra e poi lo fece scivolare nel libro della Granger, che si era avvicinata alla cattedra del professore per riconoscere alcune pozioni.
Continuò a fissarla per tutto il tempo, sperando che trovasse il foglietto e quantomeno si voltasse nella sua direzione.
Ma lei non aprì il libro neanche per sbaglio.

 
******

‘Voglio fare meglio, sai.
Essere migliore di quanto non sia stato fino ad ora.
Solo che non so come si fa e non ho nessuno che me lo spieghi.
Le poche persone che mi sono rimaste attorno sono le stesse che mi hanno mandato all’inferno.
E continuano ad essere quello che sono sempre state.
Continuano ad essere quello che io non voglio essere più.
Non ho più neanche quel poco di sostegno che avevo.
Sono sempre solo.
E convivere con me stesso non è facile.’

 
(Dal diario di Draco, primi tempi a Hogwarts dopo la guerra.)

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Capitolo 15
*** Capitolo 14. La Ragazza del Diario ***


CAPITOLO 14
La Ragazza del Diario








 
 
 

Hermione
 
«Dov’è Dennis?» domandò Hermione, prendendo posto al tavolo dei Grifondoro.
«Di nuovo in infermeria, a quanto pare», rispose distrattamente Dean.
«Sta male?»
Harry annuì, ricambiando il suo sguardo preoccupato.
«La sua Magi-Psicologa crede che il malessere fisico sia collegato al suo dolore per la perdita di Colin, almeno questo è quello che mi ha detto», spiegò Ginny, con aria triste. «Un po’ come quello che sta succedendo a George.»
L’atmosfera divenne molto mogia dopo quella conversazione.
Nessuno di loro aveva veramente superato la morte di Fred; per la maggior parte del tempo cercavano di non pensarci ed era già abbastanza difficile essendo tornati al castello.
Hermione sospettava che uno dei motivi per cui Ron si era rifiutato categoricamente di rimettere piede a Hogwarts era correlato a quell’evento traumatico, al fatto che era il posto in cui ha perso suo fratello.
George era quello che se la stava cavando peggio però e Hermione lo capiva.
Non avendo i mezzi per andare a cercare di riprendersi i suoi genitori e volendo prima risolvere il più possibile il trauma della guerra, la ragazza era andata a vivere alla Tana per un po’.
Aveva visto George affrontare la morte di Fred, o almeno tentare di farlo, in prima persona ed era stata la cosa più struggente a cui avesse testimoniato.
Non era stata in grado di aiutarlo in alcun modo, perché niente sembrava riuscire a tirarlo su di morale.
Era come se George avesse perso tutta la sua luce nel momento in cui il cuore di Fred aveva smesso di battere. Si era chiuso in sé stesso, anche se Hermione sapeva anche che c’era una persona con cui si confidava, l’unica persona con cui parlava veramente: Angelina Johnson. Hermione immaginava che si comprendessero molto bene, visto che lei era la ex ragazza del gemello. Sperava, in cuor suo, che potessero farsi forza a vicenda e aiutarsi a superare il lutto.
Dennis, però, la preoccupava, perché lui non aveva nessuno a cui aggrapparsi.
Qualche settimana dopo l’inizio dell’anno aveva smesso di presentarsi ai loro incontri, aveva iniziato ad isolarsi e ad evitare chiunque.
In un primo momento, Hermione aveva sospettato che lo facesse perché non approvava la scelta del gruppo di dare una possibilità a Malfoy, - Dennis serbava ancora molto rancore nei suoi confronti per via di ciò che il biondino rappresentava ai suoi occhi, ovvero un Mangiamorte, uno di quelli che gli avevano portato via il fratello -, ma dopo aver saputo della frequenza con cui il ragazzo si dirigeva in infermeria, non era più così sicura che quello fosse il motivo dietro il suo comportamento. Ma Hermione sapeva anche che se gli avesse parlato non le avrebbe detto assolutamente nulla; l’orgoglio dei Grifondoro imponeva di non far vedere alla gente quanto si stesse soffrendo in realtà, obbligava a dimostrarsi forti a qualunque costo.
Ed era quello che stava facendo anche lei con Malfoy.
Perdere il ragazzo del diario le aveva fatto più male di quanto ci tenesse ad ammettere, ma non aveva la minima intenzione di riprendere quella farsa.
Non aveva neanche più senso, perché non avrebbe mai più visto quell’oggetto allo stesso modo; non avrebbe mai più letto le parole che comparivano sulle pagine come soleva fare prima; non avrebbe mai più tratto conforto da esse, perché sapeva da chi provenivano.
Si diresse verso la sua stanza poco prima della fine della cena, con l’intenzione di scrivere il tema di Pozioni che Lumacorno aveva assegnato quella mattina e poi andarsene a letto.
Si sentiva profondamente esausta.
Evitare Malfoy era estenuante e il biondino sembrava essere ovunque, costantemente. Se non lo avesse conosciuto meglio, Hermione avrebbe pensato che la stesse seguendo. Per un momento se l’era chiesto veramente, ma poi aveva scoperto che, invece, stava solo cercando di evitare Pansy Parkinson, la quale, per qualche motivo a lei sconosciuto, sembrava aver ravvivato il suo interesse verso di lui.
Si lasciò cadere sulla sedia svogliatamente, sbuffò e tirò fuori il libro di Pozioni; lo aprì e corrugò la fronte nel notare un foglietto di carta scivolare sulla scrivania davanti ai suoi occhi. Lo afferrò tra le dita, perplessa, e poi lo dispiegò, rivelando una calligrafia che la ragazza conosceva ormai alla perfezione.

‘Mi manchi.’

Malfoy.
Non aveva bisogno di una firma per capire che si trattava di lui.  
Leggere quelle parole fu come ricevere un pugno nello stomaco e all’improvviso le sue mani iniziarono a tremare. Serrò forte gli occhi, cercando di rimandare indietro le lacrime, poi richiuse il libro di scatto e si gettò sul suo letto.
Sapeva che non avrebbe concluso niente quella sera.
Si rigirò il fogliettino tra le mani per quelle che le parvero ore, guardandolo di sfuggita di tanto in tanto, incapace di resistere alla tentazione di farlo.

‘Mi manchi.’

Un dolore acuto la colpì al petto, mentre si mordeva l’interno della guancia cercando di stabilire il corso d’azione da intraprendere da quel momento in poi.
Non poteva andare avanti così, questo le era chiaro.
Non poteva evitarlo per sempre.
E, soprattutto, quello non era il modo in cui i Grifondoro erano soliti comportarsi.
Loro non scappavano dai problemi, li affrontavano.
Doveva sentire cos’aveva da dirle e poi decidere se troncare i ponti con lui o perdonarlo ancora una volta, dargli una terza ed ultima possibilità.
Si girò su un fianco e prese il diario.
Era stata sul punto di bruciarlo più volte, nei momenti in cui la rabbia la coglieva all’improvviso e ripensava a quell’oggetto e a quello che Malfoy aveva fatto.
C’erano state volte in cui il dolore era diventato troppo da tollerare e aveva pensato che disfacendosene sarebbe andata meglio, ma non aveva mai avuto il coraggio di farlo veramente.
Quel diario significava troppo per lei.
Avrebbe solo preferito che ci fosse qualcun altro dall’altra parte.
Respirò a fondo e poi lo aprì.
I suoi occhi si sgranarono immediatamente, quando una serie di messaggi presero ad apparire sulle pagine vuote.
‘Hermione, per favore. Ti chiedo solo di ascoltarmi, poi potrai anche decidere di non volermi vedere mai più. Ma fammi prima spiegare.’
‘Mi fa male, il modo in cui mi guardi. Non mi guardavi così neanche prima.’
‘Il silenzio è insopportabile, Hermione.’
‘Per favore, non lasciarmi solo nell’oscurità. Tu mi tiravi sempre fuori, quando il buio si faceva troppo fitto.’
‘Non posso tornare a quando ci ignoravamo per i corridoi. Non posso tornare a quando non ci parlavamo. Ho bisogno di parlare con te.’
‘Per favore, perdonami. Non volevo manipolarti, non era mia intenzione. Non avevo cattive intenzioni. Avevo solo bisogno di te. Sono stato sincero con te per tutto il tempo.’
‘Per favore, vediamoci. Permettimi di spiegarti. O almeno rispondimi.’
‘Ti prego, dimmi che non ti sei liberata del diario. Dimmi che ci tieni ancora, dimmi che significa ancora qualcosa per te. Dimmi che io significo ancora qualcosa per te.’
Non era riuscita a trattenere le lacrime silenziose che sfuggirono dai suoi occhi, nell’imbattersi nuovamente con quel lato del ragazzo del diario, di Draco, - tanto valeva usare il suo nome, magari, facendolo, alla fine si sarebbe abituata a quell’associazione -, che aveva sempre avuto la meglio su di lei, che l’aveva sempre sopraffatta o spinta a desiderare di stare al suo fianco e alleviare il suo dolore.
‘Lo hai preso tu “Metodo avanzato per la decodifica delle Antiche Rune” dalla biblioteca? È una domanda retorica, ovviamente, so che lo hai tu. Possiamo studiare insieme?’
Quasi sorrise, leggendo quest’ultimo messaggio; si chiese come avesse risolto, poi, perché lei quel libro lo aveva riportato in biblioteca solo qualche giorno prima.
‘Spero non ti dispiaccia se continuo a scrivere, anche se non dovessi mai leggere o rispondermi. Mi aiuta a restare sano di mente. Non posso rinunciarci.’
‘Non pensi più che io sia salvabile, non è vero?’
‘Non mi volevi neanche tu alla festa. Non… non mi vuoi più attorno.’
‘Vorrei che tu mi ascoltassi. Se non volessi più avere nulla a che fare con me, lo accetterei. Ma solo dopo avermi ascoltato.’
‘Salti spesso i pasti. Dimmi che almeno fai un salto nelle cucine.’
‘Sono preoccupato. E mi manca parlare con te.’
Hermione sospirò.
Dalle parole di Draco trapelava sempre una sorta di angoscia e dolore che non aveva mancato di farle avvertire una morsa al cuore neanche una volta.
Le conversazioni leggere erano state più uniche che rare.
Era come se affidasse a quelle pagine tutto quello che non permetteva di trapelare dai suoi occhi.
Hermione si distese sul letto e continuò a rigirare quel foglietto tra le mani, dando una sbirciata a quel ‘mi manchi’ più spesso di quanto avrebbe voluto fare realmente.
Poi la sua attenzione fu attirata da qualcosa di lungo che aveva iniziato a comparire sulla carta.
‘Granger,
non so se leggerai mai questa nota o se davvero non riaprirai mai più il diario, ma devo provarci.
È… più facile, così.
A quanto pare, così riesco a parlarti meglio di quanto non sappia fare di persona e visto che non mi dai il modo di farlo faccia a faccia, tanto vale fare un tentativo con il diario.
Mi dispiace.
Mi dispiace di non averti detto tutto subito, ma temevo che… beh, che avresti reagito così.
Volevo avvicinarti, parlarti, farti capire che sono cambiato e che non condivido più l’ideologia con cui sono stato cresciuto.
Scusarmi con te.
Volevo meritarmi il tuo perdono.

Ma non sapevo come fare.
Lo sai perfettamente, io non ho nessuno a cui chiedere consiglio, nessuno che possa aiutarmi a capire come comportarmi.
Tranne te. Tranne il diario.

Ed era per questo che scrivevo a te, chiedendoti cosa dovessi fare.
Perché ho, avevo, solo te.
Non avevo intenzione di ferirti.
In realtà, stavo cercando di fare l’esatto opposto.
Perché se eri tu a dirmi cosa fare, non potevo sbagliare, no?
Seguendo i tuoi consigli, non ti avrei fatto del male.
Era questo che pensavo veramente.
Non stavo cercando di manipolarti.

Avevo bisogno di te.
Ho bisogno di te.
Sei stata la ragione per cui sono sopravvissuto alla guerra, il motivo per cui non mi sono semplicemente buttato giù dalla Torre di Astronomia lo scorso anno.
Non sono sicuro di essere stato onesto con te quando ti ho detto per la prima volta che non mi importava se fossi una Nata Babbana o meno, ero semplicemente troppo solo e perso per dare importanza a quel dettaglio.
Ma ora ne sono sicuro.
Non mi importa niente.
Mi importa solo di te.
Tu mi hai dato forza quando credevo di non averne più.
E sono perfettamente consapevole di non averti dato niente in cambio.
Di non aver fatto nulla quando eri tu ad aver bisogno di me.
Questo è il mio più grande rimpianto.
Speravo veramente di riuscire a diventare una persona meritevole del tuo perdono.
Speravo di avere l’occasione di redimermi ai tuoi occhi.
Ma forse non è una cosa che ho in me, perché ho rovinato tutto, di nuovo.
E se tu non vorrai mai più avere a che fare con me, lo capirò.
Anzi, forse sarebbe anche meglio così, per te.
Forse è meglio che tu metta quanta più distanza possibile tra di noi.
Io non merito di averti nella mia vita, non merito la tua luce.
Ma egoisticamente, spero che tu decida di non farlo.
Perché la vita fa troppo male senza di te, Hermione Granger.
Qualunque sia la tua scelta, voglio che tu sappia che qui, in queste pagine, hai conosciuto il vero Draco Malfoy.
A me forse questo può bastare, che tu sappia chi sono veramente... e quanto sei importante per me, ragazza del diario.
Perché intendevo ogni parola che ho scritto.
Perché per me, davvero, nulla conta più del tuo perdono.
E sono qui a chiederti nuovamente di perdonarmi e a chiedere quello che non ho avuto il coraggio di chiedere anni fa.
Perdonami, Hermione.
Perdonami.
Aiutami a cambiare.
Salvami.
Tuo,
D.M.’
Hermione deglutì e si asciugò le lacrime dagli occhi; li strinse forte, poi prese a fissare il soffitto.
Che cosa devo fare?
Chiedere a sé stessa di sacrificare il proprio orgoglio un’altra volta le sembrava troppo.
Ma anche perdere il ragazzo del diario, Malfoy, in quel momento le sembrava troppo.
Forse era come diceva Harry.
Forse non lo aveva fatto con cattiveria.
Forse la rabbia l’aveva tratta in inganno, inducendola a sminuire quello che avevano costruito inconsapevolmente con il diario, a mettere in dubbio quello che si erano detti.
Ma lui le aveva aperto il suo cuore lì dentro, Hermione lo sapeva benissimo.
Lo aveva fatto prima che capisse chi fosse e aveva continuato a farlo anche dopo.
Non c’era modo che avesse potuto premeditare tutto quello, durante la guerra.
E se avesse voluto usare quelle note per ferirla, lo avrebbe fatto molto prima; aveva molte informazioni da usare come arma, ma non aveva mai fatto nulla.
E soprattutto, se il suo intento fosse stato quello di giocare con lei o prenderla in giro, non le avrebbe dato a sua volta informazioni che lei avrebbe potuto usare contro di lui.
Forse, dopotutto, Draco Malfoy era stato sincero.
E lei era stata troppo testarda e non aveva voluto ascoltare.
Abbandonandosi totalmente all’istinto, Hermione afferrò una piuma e la intinse nella boccetta di inchiostro, poi prese a scrivere.
Dannato furetto” pensò mentre faceva scivolare la punta della piuma sulle pagine bianche, calcando con più forza del necessario. “Mi sei entrato dentro, sottopelle. E ora non riesco più a fare a meno di te.”

 
***
Draco
 
Aveva controllato il diario ogni maledetta sera per sedici giorni, nella speranza di trovarci una qualsiasi risposta da parte della Granger.
Non c’era mai.
Allora lui scriveva ancora.
Un po’ per abitudine, un po’ perché ne aveva bisogno.
Anche se sapeva che non ci fosse nessuno a leggere dall’altra parte.
Non più.
Era riuscito a perdere anche quello.
Era stato capace di rovinare anche l’unica cosa bella che avesse mai avuto.
Durante l’ultima seduta, la sua Magi-Psicologa gli aveva consigliato di non arrendersi, di continuare a provare a parlarle.
Lui lo aveva fatto.
Lo avrebbe fatto anche se gli avesse suggerito di optare per la cosa opposta, perché lui non poteva permettersi di perdere la Granger.
In realtà, non sapeva neanche se potesse dire di averla mai avuta in alcun modo; avevano scambiato delle missive, si erano confidati l’uno con l’altra, ma non si erano mai definiti ‘amici’.
Anche se, in tutta onestà, lui non voleva essere suo amico.
Lui voleva che lei fosse sua.
E voleva essere suo, nonostante si considerasse già tale.
Ma si sarebbe accontentato di qualsiasi cosa pur di far parte della sua vita, di contare qualcosa per lei.
Gli aveva detto che il diario era importante per lei, ma aveva fatto in fretta a rimuoverlo dalle sue priorità.
Non sembrava che significasse così tanto per lei, quando non si dimostrava neanche tentata di aprirlo.
O se lo aveva fatto, voleva dire che era lui a non significare nulla per lei, perché lo ignorava bellamente e senza porsi problemi.
O più semplicemente, quel diario non aveva significato per lei quello che aveva significato per lui, quanto aveva significato per lui.
In fondo, lei non era sola, non lo era mai stata.
Anche durante la guerra, la Granger aveva Potter e Weasley e tutte quelle persone a cui importava di lei.
Lui no.
Draco aveva solo il diario.
Le altre due persone che avrebbero dovuto tenere a lui, alla sua vita, lo avevano gettato tra le fiamme dell’inferno.
Lui aveva solo la Granger.
E in fondo era stato lui ad innamorarsi di lei.
Lei non gli aveva mai fatto promesse, non gli aveva mai detto niente per indurlo a provare qualcosa per lei, o a pensare che potesse accadere qualcosa di più tra di loro.
Era successo e basta.
Draco si era innamorato della sua essenza, del suo modo di pensare e ragionare; si era innamorato del modo in cui gli parlava e lo rassicurava, del modo in cui lo salvava ogni volta che gli faceva capire di credere in lui.
Gli aveva dato comprensione e gli aveva insegnato cosa volesse dire sperare; gli aveva fatto desiderare di diventare un uomo migliore e credere di poterci riuscire.
Gli aveva fatto capire che era in grado di amare e quello, per lui, faceva tutta la differenza del mondo.
Perché significava che non era come suo padre.
Perché significava che forse valeva la pena di essere salvato.
E non importava quello che gli dicevano i suoi genitori, quante volte avrebbero tentato di tenerlo lontano da Hermione, se lei gli avesse mai concesso un’altra possibilità, - e soprattutto una possibilità in quel senso -, lui avrebbe smosso mari e monti pur di tenersela stretta.
Non avrebbe mandato tutto all’aria un’altra volta.
Non si sarebbe mai più condannato all’infelicità.
Perché se c’era qualcosa di sicuro, per quanto riguardava Draco Malfoy, era che imparava dai suoi errori, alla fine.
E anche se non credeva di meritare l’amore, avrebbe comunque fatto di tutto per averlo.
Aprì meccanicamente il diario, la piuma già in mano, certo che avrebbe nuovamente parlato al vento, ma quella sera fu diversa.
Quella sera, la Granger gli aveva risposto.
‘Ciao, ragazzo del diario.
Draco.
Potrei essere stata estremamente testarda e aver sbagliato a non lasciarti spiegare.
Mi sono sentita tradita dal diario, ferita nel profondo.
Perché in queste pagine ti ho rivelato cose che neanche i miei migliori amici sanno di me, perché ti ho dato le armi per distruggermi.
Ma non mi sono fermata a riflettere sul fatto che tu hai fatto altrettanto e che questo può solo voler dire che non avevi intenzione di usare il diario contro di me.
Mi dispiace di averti tagliato fuori dalla mia vita senza darti la possibilità di dirmi la tua versione dei fatti, dando per scontata quella che avevo dedotto da sola in un momento in cui ero completamente in balia della mia rabbia.
Non è stato facile accettare che fossi tu.
Ti ho perdonato e voglio superare i nostri trascorsi, ma non posso fingere che non abbiano importanza.
Non ti avrò mai dato soddisfazione in merito, ma il secondo e il terzo anno il tuo continuo buttarmi giù solo perché sono una Nata Babbana, mi ha fatto male. Mi ha fatto dubitare di me e delle mie capacità.
La tua passività al Manor, mentre una persona che hai visto crescere si contorceva dal dolore sul pavimento del salotto di casa tua, mi ha fatto male.
Anche io non avevo una buona opinione di te, ma non avrei lasciato comunque che ti venisse fatta una cosa del genere, non senza cercare di fare qualcosa, di fermarlo.
Ma noi siamo diversi, lo siamo sempre stati.
E tu ora sei diverso anche da quello che eri prima.
Non posso prometterti fiducia, non posso assicurarti che sarò in grado di superare il passato e non posso assolutamente dirti che proverò a dimenticarlo, perché so già che non sarebbe possibile.
Ma posso dirti che voglio conoscere il ragazzo del diario anche nella vita, che voglio conoscere questo nuovo Draco Malfoy e che sono disposta a dargli un’ultima possibilità.
Questo è tutto ciò che so, tutto ciò che posso dirti e concederti al momento.’
Draco rilasciò un sospiro profondo, permettendo all’aria di riempire i suoi polmoni, mentre il cuore gli si gonfiava nuovamente di una speranza tutta nuova.
Voleva dargli un’ultima possibilità.
Una che non avrebbe sprecato, anche se quella fosse stata l’ultima azione di Draco Lucius Malfoy sulla terra.
Trasse dei lunghi respiri, perché non si era reso conto di aver trattenuto il respiro per tutta la prima parte della missiva, poi riprese a leggere con avidità quello che la Granger gli aveva scritto.
Era affamato delle sue parole.
‘Sai, per la maggior parte delle persone le cose di solito sono bianche o nere.
Ma la vita è fatta di sfumature.
E anche le persone.
Noi siamo tutti sfumature.
E tra il bianco e il nero c’è il grigio.
E nel grigio, una persona può scegliere cosa vederci: se vedere solo l’oscurità o anche la luce.
Se c’è una cosa che ho capito di te è che non sei il nero.
Sei il grigio.
E io scelgo di vedere la luce in te, Draco Malfoy.
Magari un giorno riuscirai a vederla anche tu.
E qualora non dovessi riuscire a farlo da solo, proverò ad aiutarti io.
 
Ps. Mi sei mancato anche tu, ragazzo del diario.
Tua,
H.G.’
******

‘È fottutamente difficile, tornare alla normalità.
A volte penso che non ci sia alcuna normalità a cui tornare.
Il letto è troppo morbido per dormire, o forse sono io che ormai sono troppo abituata a farlo su una brandina dura.
La guerra è finita da mesi, ma la mia mente non riesce a comprenderlo.
Gli incubi la rendono ancora troppo attuale per farlo.
Mi chiedo se un giorno i temporali smetteranno di farmi paura.’


(Dal diario di Hermione, primi tempi a Hogwarts dopo la guerra.)

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Capitolo 16
*** Capitolo 15. Ritorni Inaspettati ***


CAPITOLO 15
Ritorni Inaspettati








 
 
Hermione
 
La cosa brutta del diario, pensava Hermione, era che una volta scritto qualcosa non c’era modo di tornare indietro.
Si era lasciata prendere dalla foga del momento e per un istante aveva dimenticato che ora doveva misurare le parole, perché la persona dall’altro lato lei la conosceva anche al di fuori di quelle pagine.
Si era aperta come era solita fare, anche se non avrebbe dovuto farlo come prima.
Ripensando alla risposta che gli aveva dato, Hermione avvertiva un profondo senso di imbarazzo.
Avrebbe potuto scrivergli semplicemente che lo perdonava ancora una volta, che gli avrebbe dato un’altra, un’ultima, occasione e di non sprecarla, se in qualche modo ci teneva.
E invece no, aveva dovuto strafare e ora non sapeva dove trovare il coraggio per guardarlo negli occhi quando lo avrebbe rivisto in carne e ossa.
Patetica! Sono dannatamente patetica!
Sospirò, afferrò la sua cartellina e scese rapidamente le scale, sperando vivamente di non incontrarlo in Sala Comune.
L’idea di ritrovarsi lì, da soli, la faceva andare nel panico; per qualche motivo, credeva che rivederlo a lezione o in Sala Grande sarebbe stato molto meglio, perché avrebbero avuto altro a cui pensare o sarebbero stati circondati da persone e non avrebbero potuto discutere dei recenti avvenimenti.
Tirò un respiro di sollievo quando non lo vide, ma non appena aprì la porta per uscire andò a scontrarsi direttamente contro il suo petto, visto che il biondino stava rientrando nel dormitorio nello stesso momento.
La prima cosa che Hermione avvertì dopo l’impatto furono le mani di lui chiudersi decise sulle sue spalle e stabilizzarla, impedendole di cadere per terra; serrò gli occhi e imprecò mentalmente.
Perché non può mai andarmene una per il verso giusto?
Quando incrociò il suo sguardo, però, Draco aveva un’espressione divertita sul viso.
Forse, ipotizzò Hermione, era dovuta al fatto che era arrossita leggermente e stava per punzecchiarla.
«Tutto bene, Granger?»
«Stavo uscendo…»
«…E io stavo entrando, sì» terminò per lei il ragazzo, inumidendosi le labbra e trattenendo un mezzo sorrisetto.
Hermione deglutì e distolse lo sguardo da lui, puntandolo sulle sue scarpe.
«Ehm… devo… vediamo… lezione», biascicò imbarazzata lei e poi sfrecciò via lungo il corridoio.
Stupida, stupida, stupida!” si rimproverò mentalmente, avvertendo ancora lo sguardo del Serpeverde sulla sua schiena mentre la osservava fuggire via. “Hai fatto la figura di una dannata stupida!
Raggiunse la Sala Grande appena in tempo per non perdersi la sorpresa.
Tra il gruppo di amici con cui era solita sedere al tavolo dei Grifondoro per i pasti, Hermione lo notò subito, c’era qualcosa di diverso e allo stesso tempo di incredibilmente familiare.
C’erano due teste che non era più abituata a vedere spiccare tra i compagni di scuola.
Una rossa e l’altra corvina.
Il suo primo istinto fu quello di correre verso Ron e abbracciarlo, ma poi rammentò che l’ultima volta che si erano visti avevano avuto una brutta discussione.
Neville la vide per primo e si alzò dal tavolo per raggiungerla a grosse falcate.
La strinse forte, mentre le spiegava che lui e Ron avevano deciso di lasciare il corso di Addestramento Auror e di tornare a Hogwarts e che la McGranitt aveva fatto un’eccezione e glielo aveva concesso, dal momento che entrambi avrebbero seguito pochi corsi e avrebbero potuto recuperare facilmente i quasi tre mesi di lezioni arretrate.
Il rosso incrociò il suo sguardo per un momento e si mordicchiò la guancia per diversi secondi; quando finalmente si decise ad alzarsi, Hermione era già vicina al tavolo.
Le sorrise timidamente e poi l’abbracciò.
«Mi dispiace», le disse in un orecchio. «Non avrei dovuto cedere alle provocazioni di Malfoy.»
«Lui… fa parte del gruppo ora, Ron.»
Il ragazzo annuì. «Cercherò di non affatturarlo.»
Hermione gli rivolse un debole sorriso, che lui ricambiò; le scostò una ciocca di capelli dal viso e poi la bloccò dietro il suo orecchio.
«Senti, Mione. Io non critico il tuo giudizio, ma quello è sempre Malfoy. Non ho intenzione di dirti nulla al riguardo, se non… stai attenta, okay?» aggiunse Ron, tornando serio.
Lei fece un breve cenno d’assenso con il capo, poi sospirò.
«Come stai? Sono contenta che tu sia tornato.»
«Non è stato facile e non ero sicuro di riuscirci, sai. Ho perso mio fratello qui. Solo pochi mesi fa piangevo sul suo corpo senza vita proprio in quel punto», considerò Ron indicando con lo sguardo un’area precisa della Sala Grande. «Ma ho voi, no? Ce la posso fare.»
Hermione gli rivolse un ampio sorriso di incoraggiamento. «Sempre, Ron.»
«Andiamo a fare colazione, su», sviò il discorso il ragazzo. «Raccontami un po’ cosa mi sono perso in questi mesi.»

 
***
Draco
 
Quando Blaise gli aveva detto di aver visto Weasley in giro per il castello quella mattina, Draco non gli aveva creduto.
Era dovuto tornare al dormitorio per prendere il libro di Rune Antiche, visto che Daphne gli aveva chiesto di parlare dopo colazione e non voleva rischiare di fare tardi a lezione, perché la Granger considerava essenziale ogni minuto per la riuscita dei test in classe e sicuramente gli avrebbe tenuto il broncio se fosse arrivato in ritardo o quantomeno gli avrebbe scoccato una bella frecciatina.
Draco non voleva sfidare la sorte, non il giorno dopo che si era dichiarata disponibile a recuperare il rapporto che erano a malapena riusciti a costruire dall’inizio dell’anno a quella parte.
Si era scontrato con la Grifondoro mentre entrava al dormitorio e per un istante aveva sperato di poterci avere una conversazione, - gli mancava, parlare con lei -, ma la Granger si era comportata in maniera evasiva e ambigua e poi si era defilata in un battito di ciglia.
Aveva letto una serie di emozioni sul suo viso: disagio, forse perché aveva finalmente realizzato l’intimità dei loro discorsi sul diario e di quello che si erano detti nelle ultime due missive; agitazione, - corroborata dal fatto che si stesse torturando le mani in quei trenta secondi che era stata in sua presenza -, sicuramente perché non sapeva di nuovo come comportarsi con lui; imbarazzo, perché gli era praticamente finita addosso e se lui non l’avesse prontamente afferrata sarebbe caduta rovinosamente per terra.
Draco, in realtà, si sentiva allo stesso modo.
Era solamente più bravo di lei a nasconderlo e a ostentare sicurezza.
Blaise gli aveva consigliato di cercare di recuperarne un po’ dal suo sé passato, perché secondo lui stava diventando più melenso dei Tassorosso e quella considerazione aveva inferto un duro colpo al suo ego; d’accordo, la sua autostima aveva subito una bella batosta nell’ultimo periodo della sua vita e certo, stava cercando di diventare una persona migliore, ma ciò non voleva dire che tutto ciò che era stato fino a quel momento fosse da buttare.
Aveva bisogno almeno di un po’ di fiducia in sé stesso e avrebbe fatto meglio a ritrovarla al più presto.
Soprattutto se aveva veramente intenzione di provare a conquistare la Granger.
Quello a Blaise non lo aveva detto, però; se l’era tenuto per sé e non aveva la minima intenzione di farne parola con anima viva, anche perché sicuramente non sarebbe riuscito ad ottenere da lei niente di più di un’amicizia concessa per pietà.
E la scena che gli si parò davanti una volta ritornato in Sala Grande non fece altro che confermare quel suo timore.
Weasley e la Granger, in piedi tra il tavolo di Grifondoro e quello di Tassorosso.
Weasley che le spostava una ciocca di capelli dal viso.
Weasley che la stringeva in un abbraccio appassionato.
La smorfia di disgusto sul suo viso apparve immediatamente, senza che potesse fare niente per impedirlo; il fastidio era già abbastanza da dover tenere a bada senza aggiungere il controllo delle sue espressioni facciali.
Scosse la testa e raggiunse Blaise e Daphne al tavolo dei Serpeverde.
«Te l’avevo detto che lo avevo visto», bisbigliò l’amico non appena l’ebbe raggiunto.
Draco non rispose, si limitò ad infilzare la forchetta nel cibo con più aggressività del necessario.
«Oi, Principino, datti una calmata!» esclamò la Greengrass, trattenendo a stento una risata. «Qualcuno ha preso male il ritorno di Weasley.»
«Non lo sopporto», sibilò il biondino.
«Non sopportavi neanche la Granger e Potter», sottolineò Blaise.
«È diverso», ribatté piccato Draco. «Con Weasley è diverso.»
La cosa che lo irritava di più era la certezza che il rosso avrebbe interferito nel suo rapporto con la Granger; il fatto che i due fossero stati amanti a un certo punto della loro vita non lo aiutava a mitigare i sentimenti negativi che provava verso il Grifondoro e di certo non contribuiva a dissolvere i suoi timori. Semmai, li accentuava.
E se trovandosi di nuovo a Hogwarts insieme ci fosse stato un ritorno di fiamma tra i due? Se trascorrendo del tempo insieme si fossero resi conto di volere una vita insieme e di aver commesso un errore quando si erano lasciati, credendo di desiderare altro?
E se con il ritorno di Weasley la Granger non fosse riuscita più a trovare del tempo per lui?
«Non lo è», affermo Blaise. «Puoi dare una possibilità a lui come l’hai data a Potter e alla Granger.»
«Ti dico che invece è diverso. C’è troppa storia tra le nostre famiglie e la nostra antipatia reciproca è innata, non sviluppata nel corso del tempo per qualche assurdo motivo.»
«Tra te, Potter e la Granger correva cattivo sangue molto più che con Weasley», insisté la Greengrass con grande enfasi.
Draco alzò un sopracciglio. «Davvero, Daph? Una battuta sul sangue?»
Blaise sogghignò. «Era azzeccata.»
«Draco, ammetti che il principale problema che hai con Weasley ora è che è l’ex della Granger e sei geloso», tagliò corto la ragazza.
Il biondino sbuffò. «Non so di cosa tu stia parlando.»
Daphne alzò gli occhi al cielo. «Avevo lo stesso problema con Harry e Ginny, ma tra loro non c’è più niente.»
«Vedi, noi non abbiamo problemi ad ammettere a voce alta che Potter e la Weasley ci piacciono. Perché fai tante storie? Nessuno qui ti giudica.»
«Perché non esiste che io possa essere geloso di quel poveraccio di Weasel, Blaise.»
«Ma lo sei», puntualizzò Daphne. «Perché “quel poveraccio di Weasel” è stato nel letto della Granger.»
Draco arricciò il naso e scoccò un’occhiataccia torva alla ragazza.
«Daph, questa è una cosa che non piace immaginare a nessuno», mugugnò Zabini esibendo una smorfia schifata. «E comunque, sono molto più curioso di scoprire con chi l’ha fatto per la prima volta la Granger. Devo inventarmi qualcosa per farle vuotare il sacco. Ci sto perdendo il sonno dietro a questa faccenda!»
In tutta onestà, Draco la pensava come Blaise e iniziò a sperare che l’amico riuscisse veramente a trovare il modo di tirar fuori un nome dalle labbra della Granger.
Aveva una brutta sensazione in merito, come se sapesse già che la risposta a quell’enigma non gli sarebbe affatto piaciuta, anche se non riusciva a capire perché.
Non sapeva neanche perché gli importasse così tanto, visto che, in fondo, faceva parte del passato della Grifondoro, esattamente come Pansy faceva parte del suo.
Poteva essere stato Krum? Draco era convinto che non poteva essere stata così stupida da dare la sua verginità a Cormac McLaggen al sesto anno e non era a conoscenza di altre sue relazioni prima di Weasley.
«Pensate se è stato Potter e non hanno mai detto niente a nessuno!» esclamò Blaise con aria estasiata. «Oh, il dramma
Sia Daphne, sia Draco gli scoccarono un’occhiataccia, entrambi contrariati da quell’eventualità.
«No, davvero, pensateci… quanto tempo sono stati da soli alla ricerca degli Horcrux? E c’era una guerra in corso, magari…»
«Draco», lo chiamò la ragazza, rivolgendo nuovamente l’attenzione verso il biondino e ignorando le sbuffate e i borbottii di Blaise che si lamentava del loro essere poco giocosi. «A prescindere da quello che dici, se vuoi continuare a sperare di avere una possibilità con la Granger, cerca di non mandare tutto all’aria per la tua insofferenza nei confronti di Ronald Weasley.»
Il biondino si morse il labbro inferiore, poi sospirò e annuì.
«Farò il bravo», commentò, esibendo un sorrisetto palesemente falso.
«Draco» lo ammonì lei, sollevando le sopracciglia. «Te lo dico in tutta onestà. Sai meglio di me che se dovessero arrivare al punto di dover fare una scelta, sceglierebbero sempre il loro trio. Tutti e tre
«Seriamente, Draco» si inserì Blaise a quel punto. «Per una volta abbiamo la possibilità di costruire qualcosa di vero. Non mandare tutto a rotoli. Fa’ buon viso a cattivo gioco con la Donnola. Non comportarti da Malfoy, comportati da Serpeverde
Draco sospirò.
«D’accordo, d’accordo», si arrese. «Mi controllerò.»
«Bene», esclamarono all’unisono i suoi amici.
«Ora andiamo a lezione.»
***
Hermione
 
Era stanca, ma non riusciva a dormire.
Aveva trascorso tutta la giornata con Ron, approfittando del tempo libero per aggiornarsi a vicenda e per dargli indicazioni sul recupero delle classi che aveva perso fino a quel momento; aveva accettato di dargli una mano e dopo cena avevano trascorso la serata insieme nella Sala Comune di Grifondoro, lei, il rosso e Harry, come ai vecchi tempi.
Era tornata al suo dormitorio rifiutando l’invito di Ginny a restare in quello femminile della loro Casa, - c’era un letto libero perché se non avesse avuto il dormitorio a parte dei Caposcuola, lei sarebbe stata assegnata a quella stanza -, perché ormai si era abituata al suo letto ed era già difficile addormentarsi lì, figurarsi in un’altra stanza.
E poi preferiva stare da sola, perché spesso veniva svegliata dagli incubi e lei non voleva essere di disturbo a nessuno, né mostrare a terzi quanto la guerra continuasse a tormentarla.
Il ritorno di Ron era stato fortuito, oltre che una piacevole sorpresa.
Non solo le aveva dato la possibilità di risolvere il loro recente disguido, ma le aveva anche fornito una scusa per non dover affrontare Draco Malfoy senza venire biasimata in alcun modo; era semplicemente stata impegnata e non lo aveva visto al di fuori delle lezioni. Era perfetto.
Non voleva entrare nei dettagli dei recenti eventi che li avevano visti protagonisti, soprattutto non di persona.
Quando parlavano tramite i diari era tutto più semplice, perché non doveva fissare i suoi occhi grigi e cercare di formulare frasi di senso compiuto allo stesso tempo.
C’era qualcosa in quelle iridi argentee che la destabilizzavano.
Prima non era così, forse perché l’atteggiamento che Malfoy era solito tenere finiva per offuscare tutto ciò che poteva attrarla in lui, ma da quando erano tornati a Hogwarts e aveva iniziato ad averlo attorno e a conoscere meglio questa sua nuova versione, le cose stavano progressivamente e irrimediabilmente cambiando.
Da quando erano al castello, inoltre, Hermione sembrava aver sviluppato una sorta di sesto senso verso il diario, come se potesse percepire quando il biondino le scriveva; partiva come una sorta di solletico dietro la nuca e si diffondeva rapidamente in tutto il corpo, facendola rabbrividire.
Aprì il cassetto e tirò fuori l’oggetto.
Quando lo aprì, le parole comparvero immediatamente.

‘Sei sveglia?’

‘Sì.’

‘Scendi di sotto?’

Hermione sospirò, arrendendosi.
Aveva intenzione di usare i diari come una sorta di cellulare babbano o un gufo ora?
Scese dal letto e si infilò le pantofole, poi si incamminò giù dalle scale.
Prima o poi avrebbe dovuto affrontarlo e rompere quell’atmosfera tesa che si era andata a creare tra loro due.
Draco era in Sala Comune e fissava con sguardo perso le fiamme che scoppiettavano nel caminetto.
«Ehi», mormorò mentre si sedeva sul divano di fronte al suo, portandosi le ginocchia al petto.
«Ehi», rispose lui, facendo immediatamente scattare lo sguardo su di lei. «Sei venuta.»
Hermione si chiese se anche lui si sentisse a disagio in quel momento, se stesse semplicemente facendo finta che tutto fosse normale… Se stesse occludendo.
Iniziava seriamente a pensare di dover prendere lezioni di Occlumanzia.
Non sapeva più come comportarsi con lui, né dove e quali fossero i limiti nel loro rapporto; forse lo stesso valeva per lui, perché nessuno dei due sembrava sapere cosa dire dopo.
Hermione sospirò. «D’accordo, cosa… come dobbiamo fare?»
Draco corrugò la fronte e le rivolse uno sguardo perplesso.
«Come funziona adesso? Cosa facciamo?», continuò a ripetere le sue domande confuse la ragazza. «Fingiamo che i diari non siano mai esistiti? O, non lo so, che facciano parte del nostro… rapporto, o qualsiasi cosa sia?»
Il biondino la fissò come se non la vedesse realmente per qualche istante.
«Non lo so», ammise sospirando. «È… strano
Hermione si lasciò sfuggire un gemito lamentoso e annuì, accasciandosi arrendevolmente contro lo schienale del divano.
«Immagino che qualsiasi rapporto civile tra noi non possa definirsi altrimenti.»
Draco puntò lo sguardo sul pavimento a quelle parole e strinse i pugni. «Immagino di no.»
La giovane realizzò in quel momento che neanche lui aveva la minima idea di dove andare da quel momento in poi, di come procedere.
Forse avrebbero dovuto semplicemente lasciar cadere tutto nell’oblio e ripartire da zero.
Farlo una terza volta, però, sembrava troppo difficile a Hermione.
Quello che si erano detti nei diari aveva un peso troppo grande per poterlo ignorare.
Volse lo sguardo sul biondino e lo studiò attentamente.
Si stava passando la mano sull’avambraccio, distrattamente, mentre osservava il pavimento con sguardo perso.
La ragazza si chiese cosa gli avesse tolto il sonno quella notte.
Le parole lasciarono le sue labbra prima che potesse riflettere davvero su quello che stava per chiedergli.
«Lo volevi?» gli domandò all’improvviso; la sua voce sembrava distante mentre enunciava quel quesito. «Il Marchio… lo volevi?»
Draco deglutì, ma alzò il viso per incrociare i suoi occhi.
«Sì», rispose. «O almeno, credevo di sì, all’inizio.»
Hermione non emise alcun suono, né commentò in alcun modo quella rivelazione.
Lo aveva sempre sospettato, in fondo.
Almeno, pensava, non le stava mentendo, anche se la verità le stava facendo più male di quello che si era aspettata. Restò in attesa che il biondo aggiungesse altro per minuti interminabili e poi, finalmente, il Serpeverde sospirò e scosse la testa.
«Devi capire, Granger, che sono cresciuto idolatrando mio padre. Credendo che tutto ciò che sosteneva fosse un nobile ideale e stronzate del genere. Pensavo di voler essere come lui, finché non ho capito cosa volesse dire veramente.»
Lei si limitò ad annuire, ma distolse i suoi occhi dalla figura del biondino e li indirizzò verso le fiamme scoppiettanti.
«Ero orgoglioso di quello che stavo facendo, finché non si è trasformato nella cosa che mi stava uccidendo», proseguì con voce fredda e atona il giovane. «Finché non ho visto con i miei occhi quello che stava accadendo, quello che i Mangiamorte facevano realmente, anche se sapevo già da prima che non era niente di buono. E non posso neanche dirti che se non lo avessi voluto veramente, mi sarei rifiutato di prendere il Marchio. Volevo vivere. Dire di no a Voldemort sarebbe stato solo il modo più rapido per finire ammazzato.»
Hermione continuava a fissare il fuoco senza proferire parola, cercando di metabolizzare quelle rivelazioni.
Sentì Draco sospirare nuovamente e poi riprendere a parlare con amarezza nella voce.
«Te l’ho già detto, non sono una brava persona, Granger.»
«Non sei neanche un mostro, però» sussurrò lei. «Non sei… come lui. Quello che facevano i Mangiamorte non ti piaceva, così almeno scrivevi nel diario.»
«No», confermò lui. «Non mi piaceva. Lo odiavo. E ci ho messo molto poco ad iniziare a odiare anche il Marchio sul mio braccio.»
La Grifondoro tornò silente dopo quella considerazione, continuando a rifiutarsi di guardarlo negli occhi.
Era più facile parlare se non vedeva la tempesta e il tormento dietro quelle iridi, o la più totale freddezza; Hermione non sapeva quale delle due opzioni preferiva e trovava più facile gestire.
«Non so chi sono, Granger», riprese a parlare dopo qualche attimo di silenzio. «Sto cercando di capirlo. So solo che non voglio più essere quello che ero. Che voglio diventare un uomo migliore del ragazzino che sono stato.»
La ragazza si mordicchiò l’interno della guancia e si voltò, finalmente, a guardarlo.
«Anche se il mondo mi vedrà sempre in quel modo. Come il ragazzino patetico che ero e che ha fatto quelle cose durante la guerra.»
«La guerra è guerra per tutti e cambia le persone senza fare distinzioni» disse Hermione a quel punto. «Ma se siamo fortunati c’è del buono che può venire dopo. Dobbiamo solo accettarlo e farlo nostro. E in questo caso, credo che tutti possiamo imparare qualcosa.»
Draco la guardava, ma non sembrava affatto convinto dalle sue parole; continuava a scuotere il capo con decisione, come se avesse capito fin da subito di non avere alcuna speranza e di essersi ormai rassegnato a quella che per lui era ormai una certezza.
«Ho mandato all’aria tutte le mie occasioni per fare la cosa giusta, Granger. Ora è troppo tardi.»
«Non è troppo tardi! Il passato non è una condanna, Draco. Non ci definisce. Hai solo diciotto anni, hai tutta la vita davanti per capire chi sei veramente senza l’influenza di tuo padre sulla tua esistenza. E hai tutto il tempo di dimostrarlo al resto del mondo.»
«Il resto del mondo ha già deciso chi sono veramente.»
«E tu continua a cercare di dimostrargli che si sbagliano. Non ti arrendere. Alla fine, capiranno.»
Lui le rivolse uno sguardo scettico. «Sai già che non cambieranno mai idea sul mio conto, non importa cosa faccia per dimostrargli che si sbagliano.»
Hermione gli sorrise. «Io ho cercato di dimostrarti per tutta la nostra infanzia che merito di essere qui, che sono degna della mia magia», asserì ancora. «E tu ti rifiutavi di vederlo. Ti sei rifiutato di vederlo per anni, ma io ho continuato a provartelo. Ad ogni lezione, ad ogni esame, persino in battaglia. Dimmi ora, Draco… Cosa pensi?»
Draco assottigliò gli occhi. «Sei una strega dannatamente cocciuta, Granger. Lo sai?»
Il sorriso sul viso della Grifondoro si allargò. «Da’ tempo al tempo.»
Il biondino sospirò e annuì.
«Questa è la tua storia, Draco Malfoy», aggiunse Hermione, alzandosi e dirigendosi verso le scale. «Scrivila di tuo pugno. Vivila come ti pare. Definisci chi vuoi essere. Non permettere agli altri di farlo al posto tuo. Non spetta a loro. Combatti per te stesso.»
Una risata amara lasciò la gola del Serpeverde. «Non sono sicuro di sapere come fare, non sono mai stato bravo a combattere… non credo di avere quello che serve.»
«Beh, sei fortunato allora», rispose Hermione. «Questa è una cosa che posso insegnarti.»
Sentì il suo sguardo perforarle la schiena, mentre si richiudeva la porta alle spalle e ritornava nella sua stanza, incerta se credere o meno lei stessa a quello che gli aveva appena detto.
 
******
 
‘Le cose che mi chiedono di fare… sono troppo, per me.
È da più di un anno che pretendono che io compia azioni che non voglio compiere.
Che mi renda autore di crudeltà che non voglio commettere.
Non voglio fare del male a nessuno, ma non voglio neanche morire.
E se mi rifiuto di eseguire gli ordini, verrò ucciso.
Tutta la mia famiglia verrà uccisa.’


(Dal diario di Draco, durante la guerra).

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Capitolo 17
*** Capitolo 16. Cicatrici e Ferite Aperte ***


CAPITOLO 16
Cicatrici e Ferite Aperte








 
 
 
Hermione
 
«È solo che quando sono con lui lo vedo che sta male per quello che ha fatto, che vuole riscattarsi e… gli dico queste cose che in quel momento penso veramente, ma poi quando sono di nuova sola e ci rifletto, non sono sicura di crederci veramente. Un po’ come quando mi ha detto per la prima volta che non gli importava che fossi una Nata Babbana, parlando tramite il diario.»
Doveva dare credito a Harry per il fatto che stava seguendo il suo discorso da una ventina di minuti senza battere ciglio né dirle che stava perdendo il senno.
«Ma lui non ha più quel tipo di pregiudizi.»
«Non più, ma non è questo il punto!» esclamò Hermione, sbuffando. «Ha detto che lo voleva, il Marchio, all’inizio… è abbastanza che poi si sia reso conto del contrario? Dei suoi sbagli?»
«Beh», fece il moro, con un’espressione pensierosa in volto. «Anche Regulus lo voleva, all’inizio, no? Era fermamente convinto di voler diventare un Mangiamorte, ma poi quando ha realizzato cosa volesse dire veramente ha cambiato fronte. Insomma, mi piace pensare che Sirius lo avrebbe apprezzato e che lo avrebbe perdonato. Non puoi ragionare allo stesso modo con Malfoy?»
«Malfoy non ha fatto nulla per rimediare ai suoi sbagli.»
«Sì, ma non mi ha identificato quella notte al Manor. E sono qui grazie a sua madre. Insomma, le devo almeno una seconda possibilità a suo figlio», ribatté in maniera evasiva Harry. «Nel suo piccolo, per quello che poteva o era capace di fare in quel momento, anche Draco ha fatto qualcosa, no? Ci ha permesso di prendere tempo…»
«Sì, Harry, ma… è abbastanza?» chiese in un sussurro Hermione, puntando lo sguardo sull’erba innevata del giardino.
Harry sfregò le mani coperte dai guanti l’una contro l’altra per riscaldarsi. «Non lo so, Hermione. Sta a te decidere se la sua esitazione durante la guerra e il suo impegno attuale sono abbastanza, per te.»
La ragazza annuì distrattamente e sospirò.
Non avrebbe mai capito quale fosse la cosa giusta da fare quando si trattava di Draco Malfoy.
Voleva credere nella sua buona fede con tutta sé stessa, credere in lui, credere che potesse diventare una persona migliore, ma il passato era sempre lì, pronto a frenarla, a rammentarle di andarci piano.
Alcune ferite erano ancora aperte, non importava quanto si impegnasse per fingere che si fossero rimarginate, quanto desiderasse che fossero già chiuse.
Sanguinavano ancora.
Erano le ferite interne, quelle più dolorose.
Quelle che non si potevano curare con Pozioni e Incantesimi di Guarigione.
Alzò lo sguardo per osservare il suo migliore amico, con tutto l’intento di chiedergli come facesse lui a credere ancora nel buono della gente dopo tutto quello che aveva passato e perso, ma lo trovò intento a fissare un punto indefinito in lontananza, mentre si mordicchiava l’interno di una guancia.
«Stai bene, Harry?»
Il ragazzo non rispose in un primo momento; continuò a fare quello che stava facendo, perso nei suoi pensieri.
«Credi che lo sapesse?» le chiese alla fine, sospirando. «Silente…»
«A cosa ti riferisci?»
«Credi che sapesse che sarei sopravvissuto all’Anatema che Uccide dopo la distruzione del frammento di anima di Voldemort che viveva in me? O credi che mi abbia semplicemente mandato a morire?» articolò il giovane, senza incrociare il suo sguardo.
«Non lo so, Harry» ammise amaramente lei. «Silente era piuttosto ambiguo. Nessuno può dire cosa sapesse veramente e cosa fosse un azzardo. Ma ti voleva bene… anche se dovesse averti chiesto di sacrificarti.»
«Lo avrei fatto ugualmente, non fraintendermi» si sbrigò a precisare Harry. «Se morire era l’unico modo per assicurarsi che Voldemort tornasse mortale, avrei fatto anche quello. La mia vita non vale la vita di tutti quelli che sarebbero morti se avesse vinto lui.»
«Harry…»
«È solo che… mi fa rabbia, va bene? Mi fa rabbia che nessuno si sia degnato di parlare chiaro con me fin dall’inizio! È sempre stato un groviglio di segreti e manipolazioni… E tutto è successo così velocemente che me ne sto accorgendo solo ora!» esplose lui e Hermione non sapeva esattamente cosa rispondere, perché il ragazzo aveva assolutamente ragione.
Non c’era nulla che potesse cambiare tutto quello, così si limitò ad abbracciarlo e lui la strinse forte a sua volta.
«Credi che staremo mai bene, Harry?» gli chiese, riflettendo che forse avevano troppe cicatrici a fare da promemoria costante per poter superare veramente quello che avevano vissuto.
«Non lo so, Mione», ammise il giovane. «Ma lo spero. Spero che ci sia davvero la quiete, dopo la tempesta. E che duri a lungo.»
La ragazza annuì, ma sbirciando dalla spalla dell’amico individuò Ginny avvicinarsi, seguita dalle Serpi, così si districò da quell’abbraccio e avvisò l’amico dei nuovi arrivati.
Quando Harry avviò una fitta conversazione con Daphne, Draco le si affiancò.
«Tutto bene, Granger?» mormorò chinando il capo leggermente verso di lei.
Lei fece un breve cenno con la testa e abbozzò un mezzo sorriso, ma non dovette risultare molto credibile perché il biondino spostò lo sguardo sul Prescelto e poi di nuovo su di lei, scrutandola con una muta domanda negli occhi.
«Oh, quello non… non riguardava me», rispose evasivamente e per l’ennesima volta si sentì la più terribile delle bugiarde, perché per l’ennesima volta aveva mentito a Draco Malfoy.
***
Draco
 
I Tre Manici di Scopa erano sempre più affollati nei mesi invernali; era sempre stato così e Draco ne era stato perfettamente consapevole prima di decidere di unirsi agli altri per quel fine settimana a Hogsmeade.
Le occhiatacce e i sussurri della gente sembravano avere minor peso quando era circondato dal suo nuovo gruppo di amici.
La Granger gli sembrava leggermente strana quella mattina ed era da quando l’aveva vista stretta tra le braccia di Potter che avvertiva un nodo all’altezza dello stomaco.
Sapeva che i due erano praticamente come fratello e sorella, ma per la milionesima volta si ritrovava ad invidiare il Prescelto e si odiava con tutto sé stesso per quello. Anche lui voleva poterla abbracciare liberamente, ma era solo colpa sua se non gli era concesso di farlo.
Non era tra le cose che avrebbe dovuto desiderare, comunque. Draco Malfoy non andava in giro ad abbracciare la gente come un Tassorosso o un Grifondoro qualsiasi.
Quel tipo di effusioni non erano per i Serpeverde. Eppure, Blaise aveva un braccio attorno alle spalle di Ginevra Weasley mentre se ne stavano seduti attorno al loro tavolo del locale.
Quel giorno si erano uniti al gruppo anche Justin Finch-Fletchley e Dean Thomas.
Non ci parlava molto, ma a Draco la loro presenza non dispiaceva; trovarsi in un gruppo numeroso senza subire commenti acidi e frecciatine da nessuno era come prendere una boccata d’aria, come poter godere di una pausa dalla sua stessa, miserabile, esistenza.
Era come tornare ad essere normale per un momento.
Draco viveva di quelle occasioni, anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce.
Quella mattina, si era seduto dal lato opposto rispetto a quello della Granger, onde evitare il crearsi di situazioni imbarazzanti come la volta precedente.
Non sapeva perché il suo cervello si spegnesse automaticamente nei momenti meno opportuni quando si trattava della Grifondoro e il suo corpo sembrava agire di sua spontanea iniziativa, infischiandosene di quello il suo cervello e la sua ragione potevano pensare.
Draco odiava perdere il controllo in quel modo.
La Granger sfidava il suo autocontrollo costantemente, minando alla sua capacità di tenere a bada le proprie emozioni e le proprie azioni. Se da un lato la cosa lo intrigava, dall’altro lo irritava e lo spaventava, perché la ragazza era proprio la persona con cui più al mondo necessitava di lucidità.
«Spero non vi dispiaccia, ho invitato un’amica oggi» esordì Weasley, prendendo posto al tavolo e introducendo una ragazza che tutti conoscevano, almeno di vista.
«Astoria», esclamò sorpresa sua sorella Daphne, invitandola a sedersi con un gesto della mano.
La nuova arrivata prese immediatamente posto accanto alla sorella, trovandosi così tra lei e Draco; Weasley, invece, si accomodò tra la Granger e Potter, ma non prima di aver sbuffato in direzione di Ginny e Blaise, che parvero entrambi ignorare bellamente quella frecciatina velata.
«Ciao, Draco», mormorò Astoria con aria leggermente imbarazzata.
«Ehm, ciao Astoria» rispose lui, prendendo un lungo sorso di Burrobirra.
La piccola di casa Greengrass lo metteva sempre a disagio. Aveva una cotta per lui da tempo immemore, ma non aveva mai cercato di parlargli o di avvicinarsi a lui prima di quell’anno.
Improvvisamente realizzò che il fatto che era arrivata ai Tre Manici di Scopa con Weasley non potesse essere una coincidenza. Forse la Donnola stava cercando di distrarlo dalla Granger sperando che potesse ricambiare l’interesse di Astoria nei suoi confronti.
Quel pensiero lo urtò profondamente, ma si costrinse a relegarlo in un angolino remoto della sua mente, per assicurarsi di non commettere passi falsi e di trattenersi dall’affatturare il Grifondoro seduta stante.
«Insomma, ve lo giuro» stava dicendo Ginny quando finalmente si riscosse dai suoi pensieri e tornò ad ascoltare la conversazione in corso al tavolo, «probabilmente è stata la prima volta che ho provato simpatia nei confronti di Zacharias Smith.»
Blaise ridacchiò, visibilmente esilarato. «Pansy ricoperta di pustole, Merlino questa sì che avrei voluto vederla!»
Daphne aveva le lacrime agli occhi. «Ha risposto con una Fattura Languelingua, ma Lumacorno è arrivato in quel momento e l’ha messa in punizione!»
«Sarebbe potuta finire meglio solo se la punizione se la fossero beccata entrambi», commentò ridendo Ronald.
«Che problema avete con Smith?», chiese Blaise corrugando la fronte. «Credevo fosse anche lui un membro dell’ES.»
«Oh, è un tale idiota!», esclamò Ginny. «E antipatico da morire. Persino Hermione è stata sul punto di affatturarlo una volta!»
La ragazza annuì. «Ve lo giuro, qualcosa nel tono della sua voce mi urta come poche altre cose al mondo.»
«Ma la signorina Granger non farebbe mai niente di così impulsivo come affatturare qualcuno solo perché la irrita», asserì Blaise punzecchiandola.
Gli occhi del trio furono immediatamente su Draco e Hermione arrossì leggermente.
«Veramente, la signorina Granger qui mi ha tirato un pugno in faccia una volta», disse il biondino sbuffando.
Hermione arrossì ancora di più. «Te lo eri meritato!» trillò con voce così acuta che per poco Draco non scoppiò a ridere. «Ed era uno schiaffo!»
«Oh, buon Merlino! Ecco da dove ha origine tutta la tensione sessuale tra voi due! Ora si spiega tutto!» esclamò Blaise, come se avesse appena vissuto un momento di improvvisa epifania.
«Che diavolo vai dicendo, Zabini?» biascicò imbarazzata Hermione, all’unisono con Draco che berciò un secco: «Attento a quello che dici, Blaise.»
Ma Daphne stava annuendo con convinzione. «Ora ha tutto più senso!»
Weasley, nel frattempo, era diventato paonazzo, ma si stava evidentemente frenando dal commentare.
«Io, ehm, devo andare a comprarmi delle piume nuove», affermò la Granger, alzandosi di scatto e fiondandosi fuori dal locale come un fulmine.
Draco sbuffò.
Ovviamente, Blaise non poteva tenere la bocca chiusa… Doveva per forza farla scappare via mettendola a disagio.”
Ma Ginny, Blaise e Daphne non sembravano preoccupati, anzi, continuavano a sogghignare e persino Potter sembrava sforzarsi di trattenere le risate.
Il biondino decise che ne aveva avuto abbastanza, ma quando fece per andarsene e raggiungere Hagrid alla Testa di Porco, Astoria si alzò, dicendogli che lo avrebbe accompagnato.
Lui non rifiutò la sua compagnia, ma non appena furono soli, optò per il chiarire immediatamente le cose con la ragazza.
«Senti, Astoria… Volevo solo mettere in chiaro una cosa…»
«Non preoccuparti, Draco», lo interruppe lei. «Lo so già. Ce li ho gli occhi e ho visto che non stacchi i tuoi da Hermione Granger per più di due secondi.»
Draco dischiuse le labbra a quella risposta, sbalordito dall’osservazione della Greengrass.
Merlino, è così evidente?
Hagrid uscì dal locale un istante dopo, troncando qualsiasi sviluppo di quella che il biondino era certo sarebbe stata una conversazione estremamente imbarazzante.
Si incamminò verso il castello senza poter evitare di domandarsi se anche la Grifondoro se ne fosse accorta e facesse semplicemente finta di niente.
§
Non aveva intenzione di affrontare Ronald Weasley, o almeno questo era ciò che aveva deciso quella mattina.
Poi però lo aveva visto camminare per il giardino della scuola a braccetto con la Granger e tutti i suoi buoni propositi erano andati al diavolo.
Così come la sua iniziale fermezza nel controllarsi.
Lo aveva incontrato casualmente per i corridoi, mentre si stava dirigendo al dormitorio dei Caposcuola dopo cena e non era riuscito a trattenersi.
Weasley lo aveva visto e gli aveva rivolto un breve cenno del capo, niente più, mentre lo superava con aria svogliata; Draco immaginava che neanche lui fosse molto contento di ritrovarsi nella stessa comitiva, se così volevano definirla.
«Ehi, Weasel» lo chiamò per attirare la sua attenzione e dovette funzionare, perché il rosso si arrestò e si voltò a guardarlo.
«Cosa vuoi, furetto?»
Draco assottigliò leggermente gli occhi, indisposto dal suo uso di quell’appellativo, ma gli sorrise beffardo. «Due parole», disse, aprendo la porta di un’aula vuota e sgusciandovi dentro.
Lo sentì sbuffare, mentre lo seguiva nella stanza.
«Non farmi perdere troppo tempo.»
«Certo, scommetto che vorresti correre dalla Granger. Che c’è, hai intenzione di provare a riprendertela per asfissia?»
«Se vuoi attaccare briga, Malfoy, sappi che-»
«Assolutamente, Weasley. Voglio sapere che intenzioni hai», lo interruppe troncando la sua replica.
Ron lo fissò con aria perplessa per qualche secondo. «Non credo di capire bene cosa stia succedendo qui.»
«Bene, fa’ pure finta di niente. Sappi solo che, qualunque siano le tue intenzioni, non ti permetterò di metterti in mezzo tra me e la Granger.»
Il rosso corrugò la fronte. «Ora sono sicuro di non capire bene cosa stia accadendo in questo momento.»
Draco sbuffò. «Fingi o sei davvero così tonto, Weasley?»
«Malfoy, non so come dirtelo in maniera più esplicita di così: non ho la più pallida idea di cosa tu stia parlando!»
«Ah no? Vediamo un po’ di chiarire le tue perplessità, allora» articolò Draco. «Tra tutte le ragazze a Hogwarts, tu ti tiri dietro proprio Astoria Greengrass e ti presenti con lei ai Tre Manici di Scopa. Guarda caso, l’unica altra ragazza in tutto il castello, oltre a Pansy, ampliamente nota per avere una cotta per me da sempre.»
«Non lo sapevo! L’ho conosciuta per caso a lezione, abbiamo parlato un po’ e mi sta simpatica. Sua sorella è nel nostro gruppo e ho pensato di invitarla, è davvero tutto qui!»
Il biondino gli rivolse un’occhiata scettica.
«Malfoy, l’ho promesso a Hermione che mi sarei tenuto fuori da qualsiasi cosa sia il vostro strano e insensato rapporto. Magari per te non sarà così, ma io do peso alle promesse che faccio», ribatté caustico il Grifondoro. «Ma lascia che chiarisca un punto, perché sinceramente io non ero propenso a darti una seconda possibilità e perché in fondo lo sai anche tu di non meritare la bontà che Hermione e Harry ti stanno mostrando… Onestamente, non capirò mai perché lei voglia darti una seconda occasione, ma non sono affari che mi riguardano. Però, se la ferisci in alcun modo, Malfoy, te la farò pagare. Perché Hermione è importante per me e tu le hai già fatto abbastanza male per una vita intera.»
Draco, rimasto spiazzato e anche colpito da quelle parole, si limitò ad arricciare il naso e sfrecciare fuori dall’aula irritato.
In qualche modo, Weasley era riuscito a ribaltare la situazione.
In qualche modo, era di nuovo lui il cattivo della situazione, quello che stava tramando qualcosa alle spalle di tutti e che aveva appena avviato un battibecco per futili motivi.
Non credeva neanche un po’ che Ronald non avesse un piano per separarlo dalla Granger, ma in quel momento non gli importava, perché il Grifondoro aveva toccato un tasto dolente: gli aveva sbattuto in faccia la verità che sapeva da sempre, ovvero che lui non meritava la Granger e che in tutta la sua vita non aveva fatto altro che ferirla. E Draco temeva con ogni fibra del suo corpo l’eventualità di farlo di nuovo, senza neanche avere modo di accorgersene.
Entrò nel Dormitorio come una furia e, incapace di ragionare lucidamente, scaraventò una poltrona contro il pavimento; posò le mani su un tavolino e chiuse gli occhi, cercando di regolarizzare il respiro e di calmarsi.
«Draco?»
Sentire la voce improvvisa della Granger riecheggiare nella stanza lo fece sussultare.
Non credeva che fosse lì.
«Draco, va tutto bene?»
«Sì, Granger», rispose seccamente, stringendo forte i bordi del tavolo tra le dita.
«Sei sicuro? Ho sentito un rumore-»
«Ho detto che sto bene, Granger!» le urlò contro e quando si voltò a guardarla, la trovò con gli occhi sgranati per lo stupore dovuto a quella reazione esagerata.
«Ehm, d’accordo» farfugliò lei, deglutendo forte.
«Va’ via», le disse gelidamente.
Non voleva che restasse lì.
Non voleva che lo vedesse in quel modo.
Non voleva rischiare di dire qualcosa di cui si sarebbe pentito un attimo dopo.
Vedendo che la ragazza non aveva mosso neanche un passo e che, invece, continuava a guardarlo con aria preoccupata, tirò fuori un sospiro rumoroso e poi ripeté: «Vattene
Hermione tirò su con il naso e gli rivolse un’occhiata indecifrabile. «D’accordo», disse. «Me ne vado.»
Due secondi dopo, Draco era di nuovo solo nella Sala Comune.
Dieci secondi dopo, Draco sapeva di essersi già pentito di averla mandata via, perché tutto ciò che voleva in quel momento era sentirla vicina.
§
«Oi, Granger! Aspetta!»
La individuò per caso mentre passeggiava nel giardino la mattina seguente e le corse subito incontro.
«Malfoy.»
«Io… Mi dispiace, per ieri», le disse tutto d’un fiato. «Ero arrabbiato e… mi sentivo vulnerabile in quel momento, non mi piace che la gente mi veda quando non sono in me.»
La ragazza si morse il labbro inferiore e poi annuì.
«Non… non sei arrabbiata?»
«No», affermò lei. «Non mi devi alcuna spiegazione, Malfoy. E poi, non a tutti piace mostrare le proprie emozioni. Spesso imbottiglio tutto io stessa, me lo hai detto anche tu.»
Gli occhi del biondino si allargarono a quelle parole.
Qualcosa nell’idea che le stesse bene non sapere cosa gli fosse preso la sera prima lo infastidiva, perché sembrava come se non le importasse abbastanza di lui perché l’ignoranza la perturbasse in qualche modo.
Probabilmente, si ritrovò a pensare, era così.
Perché avrebbe dovuto importarle di lui più di tanto?
«Però, Draco, dovresti capire che a volte non c’è nulla di male nel fare affidamento su qualcun altro, nell’accettare che qualcuno ti stia vicino quando le cose diventano difficili o non vanno bene, o dopo aver avuto una brutta giornata.»
Draco deglutì.
«Non sto dicendo che devo essere io, quel qualcuno» aggiunse subito la ragazza, buttando avanti le mani, forse temendo che si mettesse subito sulla difensiva.
«Solo che da quello che ho capito di te, chiuderti in te stesso non ti fa bene.»
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli, cercando di capire come spiegarle il momento di debolezza della sera prima senza rivelarle che aveva avuto una discussione con Weasley, - confronto che aveva iniziato lui stesso e che a causa del quale probabilmente ora era creduto fuori di testa dalla Donnola, non che prima la sua opinione di lui dovesse essere più alta, ma insomma aveva peggiorato le cose -, e senza farle capire che provava qualcosa per lei e che il senso di colpa per come l’aveva trattata in passato lo stava logorando dall’interno. Senza confessarle che l’idea di non meritarla e di non poterla avere lo stava uccidendo lentamente.
«Sono sicura che Daph e Blaise ti ascolterebbero volentieri. Parla almeno con loro, magari.»
Draco avvertì una piccola stilettata al cuore nel sentire quell’ultima precisazione; poi la Grifondoro gli rivolse un’ultima occhiata preoccupata e si indirizzò verso la Sala Grande subito dopo, senza permettergli di risponderle in alcun modo.
«Io riesco a parlare solo con te», mormorò ormai a sé stesso, lasciandosi ricadere le braccia lungo i fianchi, sconfitto.
Io voglio parlare con te.”
 
***
Hermione
 
Hermione non era esattamente una fan del bagno al secondo piano e ancor meno le andava a genio il fantasma che lo abitava.
Tra lei e Mirtilla Malcontenta non correva alcuna simpatia e la cosa non era un mistero per nessuno, ma un’urgenza era pur sempre un’urgenza e alla fine aveva optato per andarci e rischiare quell’incontro indesiderato.
Non era di Mirtilla che avrebbe dovuto preoccuparsi, però.
Si stava lavando le mani, quando udì la porta dietro di lei sbattere con un tonfo.
«Bene, bene, guarda un po’ chi abbiamo qui!»
Hermione si voltò e sbuffò, mentre la figura di Pansy Parkinson entrava nel suo campo visivo.
«Parkinson», disse sbrigativamente e poi si incamminò verso l’uscita a passo spedito, cercando di evitare un qualsiasi possibile scontro con la Serpeverde.
Non aveva voglia di discutere ed era affamata.
«Non così in fretta, Sanguemarcio.»  
Pansy le afferrò un polso con forza e la costrinse a voltarsi, spingendola contro la porta di un box alle sue spalle.
«Che accidenti vuoi, Parkinson?» ringhiò Hermione, sforzandosi di trattenere una smorfia nonostante la fitta di dolore che si irradiava dalla sua schiena a causa dell’impatto.
«Solo fare una piccola chiacchieratina», asserì con finta indifferenza la ragazza, «riguardo a Draco Malfoy.»
La Grifondoro sbuffò. «Io ho un’idea migliore», replicò piccata. «Perché non lo vai a cercare e parli direttamente con lui?»
Pansy non sembrò recepire il messaggio e proseguì con il suo interrogatorio.
«Vi ho visti insieme», andò avanti, gli occhi ridotti a due fessure. «Passate molto tempo in compagnia l’uno dell’altra.»
Hermione fece ruotare gli occhi. «Che cosa stai insinuando, Parkinson?»
«Oh, io niente», affermò con aria innocente. «Ma non vorrei che tu ti fossi messa idee strane in testa. Che intenzioni hai con lui?»
Le sopracciglia della Grifondoro scattarono all’insù. «Stai scherzando», disse spiazzata. «Non puoi essere seria.»
«Sono tremendamente seria, Granger» insisté lei. «Ma se proprio non vuoi parlare, per sicurezza, ti do un piccolo promemoria.»
Pansy le afferrò nuovamente il braccio e sollevò la manica della camicia, facendo saltare i bottoni dei polsini e scoprendo la cicatrice che Bellatrix le aveva lasciato incisa sulla pelle durante la guerra.
Sanguemarcio.
«Ricordati chi è lui… e cosa sei tu.»
Hermione sgranò gli occhi, incapace di reagire in alcun modo; aveva la mano destra chiusa sull’impugnatura della bacchetta, ma ogni traccia di energia sembrava aver lasciato il suo corpo, inchiodandola sul posto e impedendole di difendersi.
«Non dovrebbe essere così difficile. Guarda, è scritto proprio qui
Hermione fissava Pansy in cagnesco e quest’ultima teneva ancora la mano serrata sul suo polso, mentre esponeva la cicatrice affinché potesse vederla bene.
La Grifondoro pensò che fosse una scena totalmente inutile, visto che era impressa sulla sua pelle e la vedeva ogni maledetto giorno, ma c’era qualcosa in tutta quella situazione che la stava ferendo, anche se non sapeva dire esattamente cosa.
Nessuna delle due fece in tempo ad aggiungere altro, però, perché una voce fredda e strascicata rimbombò tra le pareti, facendole sobbalzare entrambe per la sorpresa.
«Toglile immediatamente le mani di dosso, Pansy.»
La ragazza parve recuperare lucidità all'istante, perché la sua presa sul polso di Hermione sparì bruscamente e il braccio di quest’ultima le ricadde lungo il fianco, ancora scoperto.
La Grifondoro si tirò subito la manica giù, mentre guardava la Parkinson voltarsi in direzione del nuovo arrivato ed esibire un sorriso ampio, ma chiaramente falso.
«Draco», disse come se non fosse affatto sorpresa di trovarlo lì, nel bagno di Mirtilla Malcontenta, in quel preciso momento.
Hermione si riscosse all’improvviso, raccolse la sua cartellina e sfrecciò in direzione della porta. Con la coda dell’occhio vide Draco tendere un braccio verso di lei e provare ad aprire la bocca per parlare, ma lei alzò semplicemente la mano, senza guardarlo in volto, e scosse il capo decisa, per poi lasciare la stanza definitivamente.
Non poteva gestire Draco Malfoy in quel momento.
Voleva solo mettere quanta più distanza possibile tra lei e i due Serpeverde.
Che si occupassero loro due dei loro panni sporchi, lei non c’entrava niente.
Hermione voleva solo essere lasciata in pace.
 
***
Draco
 
«Che cosa le hai fatto?» sibilò Draco, serrando i pugni.
Stava passeggiando tranquillamente per i corridoi del secondo piano, quando delle voci che provenivano dal bagno di Mirtilla Malcontenta avevano attirato la sua attenzione.
Si era avvicinato e aveva notato che la porta era socchiusa.
Era stato sul punto di andarsene, non aveva bei ricordi in quel luogo, ma poi aveva riconosciuto la voce di Pansy Parkinson.
«Non dovrebbe essere così difficile. Guarda, è scritto proprio qui
Quelle parole erano state sufficienti a trattenerlo e a mandare un brivido di terrore lungo la sua spina dorsale.
Avrebbe potuto riferirsi a qualsiasi cosa, ma il tono nella sua voce gli suggeriva che quella non era una conversazione amichevole e che non stava commentando un passaggio su un libro scolastico. C’era cattiveria e superiorità nel modo in cui stava enunciando quelle parole e l’aveva sentita parlare così molto spesso, soprattutto nei confronti di una persona…
Hermione Granger.
Era entrato nel bagno senza fermarsi a riflettere un secondo di più e aveva appurato che non si era affatto sbagliato.
Il sangue gli si era gelato nelle vene quando aveva visto la Grifondoro in un angolo, con l’avambraccio sinistro scoperto e portato all’altezza dei suoi occhi.
Non poteva vederlo dal punto in cui si trovava, ma Draco sapeva perfettamente che lì ci fosse la cicatrice che le aveva inferto Bellatrix quella notte a Malfoy Manor.
Sanguemarcio.
Il momento in cui aveva visto il rosso gocciolare da quelle lettere incise nella sua pelle senza pietà era stato quello in cui l’evidenza che tra il loro sangue non ci fosse alcuna differenza era diventata troppo palese per continuare ad ignorarla. Il momento in cui tutto era crollato definitivamente davanti ai suoi occhi e la sua vita si era trasformata in un miscuglio di tormenti e rimorsi per le sue azioni nei riguardi di quella ragazza.
L’aveva vista ricoprirsi il braccio in fretta, con lo sguardo puntato sul pavimento, e quando aveva cercato di parlarle, lei non lo aveva nemmeno guardato in faccia.
Avrebbe voluto abbracciarla, circondarla con le sue braccia e stringerla a sé, schermarla dal resto del modo e tenerla lì, al sicuro, per sempre.
Avrebbe voluto proteggerla dalla cattiveria della gente, nonostante in passato, tante volte, fosse stata vittima della sua, di cattiveria.
Della cattiveria che Lucius Malfoy aveva instillato in lui fin dalla nascita, spacciandola per superiorità e nobiltà.
Pansy lo guardava sorridendo e quel ghigno sul suo volto non fece che incrementare la rabbia che Draco stava provando in quel momento; strinse le dita sull’impugnatura della sua bacchetta.
«Cosa le hai detto?» ringhiò ancora.
Pansy rise. «Cosa vuoi fare, Draco? Affatturarmi
C’era sfida nel tono della sua voce. «Un po’ ipocrita da parte tua, non trovi?»
Il biondino aumentò la presa sulla bacchetta.
«Oh, come ti sei ridotto», proseguì Pansy con fare tragico. «Andare in giro con Potter e il suo gruppo di sfigati disadattati, difendere una Sanguemarcio invece di prendere le mie parti e darmi manforte…»
«Non la chiamare in quel modo», l’ammonì Draco a denti stretti.
La ragazza rise di nuovo. «Smettila con questa farsa! Non ci crede nessuno alla storia che Draco Malfoy non presta più fede agli ideali purosanguisti.»
«Non me ne frega un cazzo di quello che pensa la gente», disse il biondino con voce fredda e strascicata. «Mi basta che lo sappia lei.»
Pansy divenne seria tutto d’un tratto e assottigliò gli occhi, studiandolo per qualche istante.
«Cosa c’è tra di voi?»
«Non sono fatti che ti riguardano», replicò in tono asciutto il biondino.
Una smorfia di disgusto comparve sul viso della Serpeverde e per un istante non disse altro; poi i suoi occhi si allargarono, mentre comprendeva da sola quello che Draco si stava rifiutando di rivelarle.
«Tu la vuoi.»
Draco non rispose.
Dare la conferma a Pansy Parkinson di quanto Hermione significasse per lui equivaleva a mettere un bersaglio sulla schiena della ragazza che amava e non poteva farle quello.
Pansy non era una grande minaccia, ma restava una piaga quando si impuntava… e la Granger gli aveva detto di volere un anno tranquillo, di desiderare solo un po’ di pace.
Forse quello faceva parte dei motivi per cui aveva deciso di lasciarsi alle spalle il loro passato.
«Te lo leggo in faccia che la vuoi», insisté Pansy. «Non posso crederci!»
Un ringhio lasciò la gola di Draco, mentre la fissava con una nota di avvertimento nello sguardo.
«Te lo ripeto un’ultima volta» sibilò minaccioso. «Fatti gli affari tuoi.»
E poi allentò la presa sulla bacchetta, girò i tacchi e si diresse verso l’uscita del bagno senza degnarla di ulteriore attenzione.
«Lei non va bene per te!», gli urlò dietro Pansy. «Lo sai anche tu!»
Ma Draco si fece scivolare addosso quelle considerazioni non richieste, perché se avesse dovuto risponderle, ci sarebbe stata solo una cosa che avrebbe potuto dire.
Che non era la Granger a non andare bene per lui, era lui a non andare bene per la Granger.
Solo che lui era un maledetto egoista e se avesse avuto l’occasione di farla sua, l’avrebbe colta al volo.
E non l’avrebbe mai più lasciata andare.
Perché non era un Grifondoro e non era un Tassorosso.
Non era un eroe.
Era Draco Malfoy.
Era il grigio.
Ma la luce in lui era Hermione Granger e l’unico modo per far sì che continuasse a vederla era avere lei al suo fianco.

 
******
 
‘È un incubo.
Un incubo da cui non ho modo di svegliarmi.
Non importa quanto lo desideri al mattino, prima di riaprire gli occhi.
L’incubo è sempre lì, ad aspettarmi.
Anche quando sono sveglio.
Non finisce mai.’
 
(Dal diario di Draco, durante la guerra.)
 



n.d.a.

Salve!
Innanzitutto grazie a chi mi ha lasciato una recensione, a chi mi ha dato del feedback sulla storia, fa davvero tanto piacere ricevere commenti con le vostre opinioni, soprattutto dopo mesi in cui sono stata impegnata nella scrittura di questa storia.
Volevo inoltre avvisarvi che ho pubblicato un trailer pov Draco per la prima parte della storia (potete vederlo qui: 
https://www.youtube.com/watch?v=Qm08YVCjLXM) e che, dal momento che ho ultimato anche la seconda parte di questa fanfiction, ho deciso di aggiungere un aggiornamento settimanale, per cui i nuovi giorni di pubblicazione saranno: lunedì, mercoledì e venerdì.
Grazie ancora per aver dato una possibilità alla mia storia e lasciatemi un feedback, se vi va :)
A presto!

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17. Arresto Momentum ***


CAPITOLO 17
Arresto Momentum








 
 
 
 
Draco
 
Non era riuscito a parlarle nel corso di quella giornata.
Durante le lezioni pomeridiane si era comportata come se nulla fosse, ma Draco la conosceva abbastanza bene da notare che la luce nei suoi occhi era flebile quel giorno.
Voleva sapere cosa fosse accaduto con Pansy nel bagno di Mirtilla.
Voleva dirle di non dare alcun peso a quello che la Serpeverde poteva averle detto, che non aveva importanza, né significato alcuno.
Voleva abbracciarla.
Era passato troppo tempo da quando aveva sentito il calore del suo corpo, stretto contro il proprio. Quando ci ripensava avvertiva dolore ovunque, come se ogni singola vena gli andasse a fuoco. Draco si domandava se un abbraccio potesse provocare dipendenza, se quello che provava erano sintomi di astinenza.
O forse la semplice verità era che la desiderava come non aveva mai desiderato nient’altro al mondo e non poterla avere vicina come voleva gli stava facendo perdere la testa.
La Sala Grande era scossa da mormorii eccitati quella sera. La McGranitt aveva anticipato durante il pranzo che ci sarebbe stato un annuncio importante durante la cena.
Draco non aveva il minimo interesse per la questione; rigirava la forchetta nel piatto e dopo aver raccontato a Blaise e Daphne quanto accaduto tra la Parkinson e la Granger, anche i suoi amici avevano perso l’appetito.
Si erano affezionati a Hermione. Lei aveva dato loro una possibilità quando il resto del castello gliel’aveva negata, aveva creduto nel loro potenziale in quanto persone, non volevano che soffrisse.
La McGranitt suonò la campanella per attirare l’attenzione degli studenti.
«Bene, bene» esordì la Preside, alzandosi in piedi e raggiungendo il leggio di fronte al tavolo dei professori. «Credo che sia arrivato finalmente il momento di darvi questa notizia. Dal momento che i lavori per la restaurazione del castello sono ufficialmente terminati e vista la tetraggine che ci ha circondati negli ultimi anni, il corpo docenti ed io abbiamo pensato che un lieto evento potesse rivelarsi un’ottima idea per inaugurare un nuovo inizio per la scuola. Abbiamo quindi deciso di indire un ballo per la Vigilia di Natale, aperto a chiunque di voi decida di trascorrere le vacanze qui a Hogwarts e ad alcuni ospiti speciali.»
Draco sbuffò, mentre un mormorio eccitato riecheggiava nella sala.
Quella notizia sarebbe stata entusiasmante per lui solo se la prospettiva di andarci con la Granger fosse stata un po’ meno una mera fantasia irrealizzabile.
«Appena finisce la cena, vado a invitare la Weasley» asserì Blaise con convinzione.
«Io spero che la Granger pressi Harry per invitarmi, altrimenti dovrò farlo io» commentò Daphne ridacchiando.
«Per essere il Salvatore del mondo magico e l’emblema di Grifondoro gli manca un po’ di coraggio in ambito sentimentale», affermò ancora Blaise. «È incredibile. Quel ragazzo ha sconfitto Voldemort e non riesce a chiederti un appuntamento. Eppure, l’hanno capito tutti che gli piaci. E che a te piace lui.»
La ragazza rise ancora più forte. «Nessuno è perfetto, Blaise. E poi, io lo trovo adorabile quel suo lato un po’ impacciato.»
Il giovane arricciò il naso. «Io penso di essere perfetto, Daph.»
«Sai, per quanto il Principino qui sia sempre stato il più altezzoso Serpeverde mai visto nella storia di Hogwarts…»
«Perché non sai com’era mio padre quando studiava qui», s’inserì borbottando Draco.
«…Nessuno ha mai avuto la tua sicurezza. Quasi ti invidio, Blaise. Prestamene un po’.»
Il biondino scosse il capo, ma non riuscì a reprimere il mezzo sorriso che comparve sul suo viso.
Era strano avere dei rapporti così.
Semplici.
Veri.
Dove per fingere di stare bene non si doveva insultare qualcun altro, dove ci si sfotteva senza malizia e nessuno veniva ferito dalle battute degli altri perché tutti consapevoli che si stesse scherzando.
Leggeri.
Non sapeva neanche di essere capace di fare qualcosa del genere.
«E tu Dray?» chiese Blaise. «Inviterai la Granger?»
«Non. Chiamarmi. Dray.»
«D’accordo, Principino» lo prese in giro Blaise, facendogli alzare gli occhi al cielo. «Ma dovrai comunque rispondere alla mia domanda.»
«Il giorno che svilupperò tendenze suicide», rispose Draco, «inviterò la Granger al ballo. Ma temo di non aver passato abbastanza tempo con i Grifondioti da raggiungere quel livello di sconsideratezza monumentale.»
Daphne alzò gli occhi al cielo. «Invitala», lo incoraggiò e poi esibì un ghigno provocatorio, in una perfetta imitazione di quello che fino al quinto anno era stato il marchio di fabbrica di Draco Malfoy stesso. «Prima che lo faccia qualcun altro.»
La ragazza si alzò e gongolò per qualche istante per il pallore che aveva assunto il viso del biondino alla prospettiva di un altro studente che invitava la Granger al ballo, poi li salutò con un cenno della mano e un sorrisetto impertinente stampato sul volto, mentre si allontanava per dirigersi presso i sotterranei.
«Sai, Dray» commentò Blaise, gustandosi con un po’ di enfasi di troppo l’ultimo cucchiaino di budino che gli era rimasto. «Non ha tutti i torti. La Granger è attraente, è un’eroina ed è intelligente. Faranno la fila per invitarla.»
Draco gli scoccò un’occhiataccia.
«Non. Chiamarmi. Dray.», sibilò a denti stretti, mentre si alzava dal tavolo e correva via nervoso.
La risata di Blaise lo seguì fino a quando non fu finalmente fuori dalla Sala Grande.
 
***
Hermione
 
Scappare via in quel modo dopo l’ennesima trovata di Pansy Parkinson per darle il tormento era stata una mossa patetica e deludente.
Mentre Hermione discuteva dell’accaduto con Justin, - l’unico che la capiva veramente perché a sua volta sapeva come ci si sentiva ad essere discriminato per le proprie origini e aveva avuto una percezione della guerra molto simile alla sua, anche se l’avevano vissuta in maniera differente -, si rendeva conto che congelarsi sul posto era stata una mossa molto poco da Grifondoro e molto poco da Hermione Granger.
Non aveva mai permesso a sé stessa di venire ferita dalle angherie delle Serpi, eccetto ‘l’effetto Draco Malfoy’ che durante i suoi primi anni a Hogwarts l’aveva portata a oberarsi di lavoro e a dedicarsi ad uno studio matto e disperato solo per il desiderio di provare a sé stessa che veramente il biondino non avesse ragione su di lei.
E anche in quel caso si era data della stupida in continuazione per avergli permesso di influenzarla fino a quel punto.
Si era ripromessa che quella sarebbe stata l’ultima volta, ma non era stato così, perché la Parkinson aveva tirato in mezzo quella dannata cicatrice e per quanto potesse essersi rimarginata sulla pelle, quella ferita era ancora aperta per la Grifondoro.
E faceva male, maledettamente male.
Non importava il coraggio che aveva dimostrato in quella situazione nel mentire in faccia a Bellatrix mentre veniva torturata con la Cruciatus, non importava che fosse stata abbastanza forte da riprendersi e da ricominciare a combattere subito dopo, non importava quanto dicesse a Harry e Ron di stare bene, il ricordo di quanto accaduto a Malfoy Manor la tormentava ancora.
Sanguemarcio.
Vedeva quella parola incisa sulla sua pelle ogni giorno, impedendole di non pensare al modo in cui era stata discriminata nel mondo magico fino a quel momento, rammentandole che non sarebbe mai stata veramente al sicuro perché ci sarebbe sempre stato qualcuno che avrebbe voluto eliminare o sottomettere la gente come lei.
«Ricordati chi è lui… e cosa sei tu. Non dovrebbe essere così difficile. Guarda, è scritto proprio qui.»
Quella frase riecheggiava ancora nella sua testa ed era troppo concentrata ad impedire al pensiero di Draco di fare capolino nella sua mente per chiuderla fuori.
«Crede che tra te e Malfoy ci sia qualcosa?» domandò stupito Justin quando ebbe finito di raccontargli l’allucinante sequenza di eventi.
Hermione scrollò le spalle. «Ti giuro che non ne ho idea. Deve essere impazzita.»
«Ma poi, non sta con Nott?»
La Grifondoro fece spallucce una seconda volta. «Onestamente, ho rinunciato a provare a capirli. Seguono una logica tutta loro… E antiquata.»
Il Tassorosso annuì. «Fatto sta che pensare che tu e Malfoy possiate essere amanti mi sembra un po’ troppo persino per la Parkinson.»
«Lo so, è assurdo» commentò Hermione, facendo ruotare gli occhi. «Nessuno sano di mente potrebbe mai pensare una cosa del genere.»
«Perché, la Parkinson ti sembra sana di mente, Mione?»
La ragazza rise. «Dieci punti a Tassorosso.»
La risata cristallina di Justin seguì immediatamente la sua, poi, però, il ragazzo si fece subito serio.
«Sai, io sono tra quelli che durante la guerra ha scelto di scappare e nascondersi», disse. «Nessuno mi biasima, perché ero tra le file di quelli che i Mangiamorte stavano cercando di uccidere ed ero spaventato. Ma anche quando ero via… Non mi sono mai sentito al sicuro. Forse non ci riuscirò mai.»
Hermione annuì con accondiscendenza.
Era esattamente quello che intendeva quando dichiarava che Justin fosse la persona che riusciva a capirla più di tutti. Anche se avevano diverse esperienze, ciò che avevano provato internamente era lo stesso.
«Faccio degli incubi anche io. E ultimamente, sarà l’arrivo dell’inverno e il maltempo che favoriscono l’insorgere dei brutti sogni, va sempre peggio.»
La ragazza deglutì.
Capiva anche quello e non aveva niente da dirgli per alleviare il suo tormento, perché neanche lei era riuscita a farsi venire in mente una soluzione per combattere gli incubi che non rischiasse di causare l’insorgere di effetti collaterali devastanti, come, ad esempio, la dipendenza da Pozione della Pace o da quella del Sonno Senza Sogni.
«Faccio questi strani incubi… posti che non ho mai visto, ma dannatamente inquietanti. E c’è un continuo sibilare… Spesso mi sveglio di scatto con un dolore alle tempie allucinante.»
«E tornare qui e trovare ancora un gruppo di Serpeverde che vive nel passato non è d’aiuto» commentò Hermione sospirando rassegnata.
«No, non lo è.»
«Ma credevo che le sedute con la Magi-Psicologa ti stessero aiutando.»
Justin era stato molto colpito dagli eventi della guerra, ed era stato tra quelli che per primi si erano resi conto di non riuscire a superare il trauma per conto proprio e aveva cercato aiuto professionale.
A quanto ne sapeva Hermione, la Magi-Psicologa che seguiva il Tassorosso era la stessa che aveva in cura Draco Malfoy e visti i progressi del biondino, la ragazza nutriva molta fiducia nella donna.
«Sì, finché non chiudo gli occhi per dormire. Non posso controllare quello che sogno e al contempo non riesco a chiudere fuori il ricordo di quegli incubi quando mi sveglio. Com’è possibile che li ricordi così vividamente, comunque? Sono sogni! Nessuno li ricorda nei dettagli!»
Hermione fece spallucce. «Prova a parlarne con Madama Chips, Jus. Forse lei potrà esserti d’aiuto.»
§
Quando la McGranitt aveva dato l’annuncio del Ballo di Natale, Hermione era stata sul punto di imprecare sgraziatamente a gran voce.
Un ballo equivaleva a sentire le allusioni di Ginny sul fatto che Malfoy l’avrebbe invitata a breve almeno una volta ogni ora, perché a quanto pareva Pansy Parkinson non era l’unica convinta che Draco fosse interessato a lei, cosa che invece la Grifondoro continuava a trovare completamente assurda.
Un ballo equivaleva ad avere gente che sbucava da ogni angolo per chiederle di andarci insieme, tutto il contrario di quanto le era accaduto al quarto anno per il Ballo del Ceppo, quando solo Viktor Krum aveva mostrato interesse nei suoi confronti.
Hermione non aveva un bel ricordo dei balli o delle feste in generale.
La prima volta, Ron aveva rovinato tutto con la sua gelosia immotivata e con la sua scontrosità nei confronti del bulgaro.
La seconda, Hermione aveva fatto l’errore di andarci con Cormac McLaggen come cavaliere ed era fuggita via a metà evento.
La terza, durante la guerra, era capitata in concomitanza con la caduta del Ministero ed era stata interrotta bruscamente dall’arrivo dei Mangiamorte alla Tana.
La quarta, Draco Malfoy l’aveva trascinata via davanti a tutti e le aveva fatto una rivelazione che le aveva stravolto l’esistenza.
Non ci teneva particolarmente a dare una quinta possibilità a quel tipo di eventi.
«So che Anthony Goldstein ha intenzione di invitarti, l’ho sentito dire a Padma. Insomma, sei conosciuta per essere la strega più brillante della tua generazione, è ovvio che attiri Corvonero da ogni dove» asserì Ginny dopo averle detto che Blaise l’aveva invitata al Ballo e che gli aveva risposto con un enigmatico «ti farò sapere.»
Hermione le aveva domandato perché non gli avesse detto direttamente di sì, dato che aveva ammesso più volte di essere attratta dal Serpeverde, ma la rossa le aveva semplicemente detto: «Beh, è sempre bene tenerli un po’ sulle spine. Soprattutto le Serpi. Se sono veramente interessati, non si arrenderanno. Altrimenti, passeranno subito oltre.»
Hermione aveva commentato con una semplice alzata di spalle, non essendo sicura di cosa dirle in merito a quell’osservazione.
«O forse ci andrai con Terry?» le chiese ancora Ginny, - ed era la quarta volta che tirava fuori il discorso quel giorno, nonostante andassero avanti così dalla sera dell’annuncio, due giorni prima -, «o aspetterai che te lo chieda Malfoy?» 
Hermione sbuffò. «Ancora con questa storia? Sei fuori di testa quanto la Parkinson se pensi veramente che Malfoy possa essere interessato a me
«No, pensaci», insisté la rossa. «La Parkinson gli è stata alle costole per anni. Lo conosce, sa cosa voglia dire essere nel radar di Draco Malfoy. Se lei crede che tu gli piaccia, probabilmente è così.»
L’amica fece ruotare gli occhi. «È Draco Malfoy, Ginny. Draco Malfoy
«Ti stai ripetendo», proseguì imperterrita la piccola di casa Weasley. «“È Draco Malfoy” non è un’argomentazione valida e suona tanto come qualcosa che direbbe Ron.»
«Non interesso a Malfoy!» esclamò spazientita Hermione. «Dacci un taglio con questa storia! Avrà riveduto alcune delle sue convinzioni, ma uscire con una Nata Babbana è tutta un’altra storia. Oh, non fare quella faccia, Ginny! Andiamo, è più facile che il sole inizi a tramontare ad est e a sorgere ad ovest.»
«Guarda che è abbastanza palese», continuò la ragazza, «ma tu fai finta di non vedere, perché ricambi l’interesse e la cosa ti terrorizza.»
«Non essere sciocca!»
«Senti a me, Mione» disse Ginny sospirando rassegnata. «Non arriverete a Capodanno senza aver almeno pomiciato pesantemente.»
Hermione divenne scarlatta, mentre nella sua mente prendeva vita l’immagine di lei e Malfoy che si baciavano senza ritegno sul divano del loro dormitorio.
Scosse il capo con forza per scrollarsi quel pensiero di dosso. «Tu sei uscita di senno.»
«Tu sei uscita di senno se pensi che Draco Malfoy si sia aperto con te senza provare qualcosa nei tuoi confronti. Insomma, come dici tu, è Draco Malfoy. Non parla con nessuno. Non so cosa ti ha detto di preciso, ma da come ne parlavi, tra i diari e le vostre “serate svegli al chiaro di luna”, Hermione, sembra roba abbastanza intensa.»
«Ci andrò da sola, va bene?» strillò Hermione con un acuto, sperando che il cambiamento di discorso distraesse l’amica dall’argomento ‘Draco’. «E mi auguro che sia sufficiente a tenere a freno chiunque voglia rovinarmi la festa, in modo che possa godermene una, per una volta nella mia vita!»
Ginny la studiò con un ghigno stampato sul volto.
«Prevedo dramma», le disse soltanto.
§
Di solito, durante le ronde, lei e Draco si dividevano due aree del castello e procedevano ognuno per conto proprio.
Non quella sera.
I due prefetti che avrebbero dovuto essere di turno erano entrambi bloccati in infermeria dopo la partita di Quidditch della mattina e loro avevano dovuto coprire il doppio giro.
La cosa non aveva fermato Draco dal decidere di effettuare l’intera ronda insieme, nonostante in quel modo lo svolgimento dell’incarico avrebbe richiesto il quadruplo del tempo per essere portato a termine.
«Non abbiamo niente da fare, siamo in pari con tutti i compiti e fuori sta diluviando» era stata la sua risposta alle proteste della ragazza. «Finiremmo comunque in Sala Comune a bere qualche intruglio babbano.»
«Se non ti piacciono, puoi smetterla di berli» aveva obiettato Hermione in tono asciutto.
«Non ho detto che non mi piacciono, smettila di essere così suscettibile!»
«Io non sono suscettibile!»
L’acuto con cui aveva pronunciato quell’ultima frase l’aveva tradita leggermente, così la Grifondoro aveva incrociato le braccia al petto ed era rimasta zitta per l’intera durata del primo turno di ronda.
Erano a metà del secondo giro, quando Draco si decise a rompere il silenzio.
«Allora, hai intenzione di raccontarmi cos’è successo con Pansy l’altro giorno o no?»
Hermione trasalì leggermente a quelle parole. «Non c’è niente da raccontare.»
Il biondino sbuffò. «Voglio sapere che cosa ti ha detto. Mi eviti da quella sera.»
La Grifondoro si fermò sul posto. «Io non ti evito.»
Lo stava evitando davvero, in realtà, ma per tutt’altro motivo.
Non voleva dare ulteriori motivi a Ginny per insistere sulla questione della tensione sessuale tra di loro, argomento portato in auge da Blaise Zabini durante il loro ultimo fine settimana a Hogsmeade e accentuatosi spropositatamente dopo l’annuncio del Ballo di Natale, innanzitutto. E secondo, temeva che lui le avrebbe posto delle domande a cui non aveva la minima voglia di rispondere, cosa che, di fatti, stava facendo.
Draco fece schioccare la lingua. «Non sono Weasley, Granger. Io mi accorgo delle cose.»
Il tono del biondino la indispose. «Strano. Ci hai messo sette anni a renderti conto del fatto che ti stavi comportando come un emerito coglione.»
Il biondino assottigliò gli occhi e si inumidì le labbra. «Vaffanculo, Granger.»
Hermione gli rivolse una smorfia e poi riprese a camminare con fare nervoso.
Voleva finire quella ronda e tornarsene nel suo dormitorio, provare a dormire.
Avrebbe potuto anche tuonare per tutta la notte, lei non sarebbe scesa in Sala Comune.
Ebbe dieci minuti di pausa, di assoluto silenzio e se lì godette appieno; chiedere di più avrebbe comunque significato chiedere troppo.
«Voglio sapere che cos’è successo», insisté nuovamente Draco con voce fredda e strascicata.
«Oh, Merlino!» trillò Hermione, agitando le mani per aria, esasperata. «È successo quello che è successo per sette anni di fila, Draco! Non era niente. Non c’è niente da dire! Ci sono abituata! Dovresti saperlo meglio di chiunque altro!»
E poi il biondino l’afferrò per un braccio e la trascinò di peso dietro una colonna appartata.
Hermione si ritrovò con la schiena pressata contro la parete rocciosa e il contatto con la superfice fredda la fece rabbrividire.
O forse era il fatto di trovarsi il volto di Draco Malfoy a pochi millimetri dal proprio ad averle provocato quei brividi, ma non avrebbe saputo dirlo con certezza, né avrebbe voluto comprendere quale fosse l’opzione corretta tra le due.
Il biondino non sembrava più arrabbiato, però; a Hermione parve di vedere solo preoccupazione nelle sue iridi grigie, ma con lui non riusciva mai a distinguere chiaramente le emozioni che provava, quelle rare volte in cui lasciava trapelare qualcosa dai suoi occhi che non fosse il gelo polare artico.
La mano di Draco si sollevò e si posò leggermente sull’avambraccio sinistro di lei; fece scorrere un dito sull’esatto punto in cui la cicatrice che le aveva lasciato Bellatrix pulsava sotto la manica della sua camicia, lentamente.
«Non sembrava niente», mormorò con un filo di voce.
Hermione ritrasse il braccio come se quel contatto l’avesse bruciata e seguì con gli occhi il pomo d’Adamo del Serpeverde alzarsi e riabbassarsi mentre deglutiva con forza.
«Hermione», sussurrò ancora e se non lo avesse conosciuto meglio, avrebbe detto che ci aveva scorto una nota di supplica nel suo tono di voce. «Per favore, parlami. Non… non mi parli più come prima
Sapeva che si stesse riferendo ai diari.
Forse Draco aveva sperato di riuscire a traslare quel rapporto nella vita, ma a Hermione risultava molto difficile aprirsi con lui, in entrambe le modalità ormai.
«Disse quello che quando siamo in gruppo si limita ai convenevoli e poi non fiata neanche per sbaglio.»
Non poteva dirgli che la Parkinson era convinta che ci fosse qualcosa tra di loro e che le stava ‘semplicemente’ ricordando che lui era il Principe dei Purosangue, un ex-Mangiamorte, il figlio di un Mangiamorte scampato ad Azkaban per miracolo e ancora fervido sostenitore dell’ideologia purosanguista, mentre lei restava solo una ragazza ordinaria, che per giunta era anche una Nata Babbana.
Loro erano opposti.
Troppo opposti per attrarsi.
E sarebbe comunque stato troppo imbarazzante parlare dei sospetti della Parkinson con lui.
Perché non risolvevano la questione tra di loro e basta? Erano loro ad avere quelle assurde usanze medievali, perché doveva andarci di mezzo lei?
Draco corrugò la fronte. «Ti rendi conto che sono le stesse persone a cui davo il tormento fino a due anni fa?»
Una risata priva di ilarità lasciò la bocca di Hermione.
«E io? Io sono quella con cui ci sei andato più pesante», commentò in tono piccato lei, mentre vedeva chiaramente un lampo di dolore misto a rimorso guizzare negli occhi argentei del Serpeverde in reazione a quella constatazione. «Eppure con me ci parli.»
Forse anche troppo”, pensò tra sé e sé la ragazza.
Non le dava fastidio, anzi, lo apprezzava, ma in quel momento desiderava con tutta sé stessa il silenzio più assoluto, che dimenticasse lo scontro a cui aveva assistito e non tirasse fuori quel discorso mai più.
«È diverso» rispose lui in un sussurro. «Con te è diverso.»
«In che modo è diverso, Malfoy?»
«I diari», replicò prontamente. «I diari fanno tutta la differenza del mondo.»
Hermione deglutì.
«Tu mi conosci, Granger. Mi conosci veramente
«Ma se non ti chiudessi in te stesso in quel modo potrebbero conoscerti anche gli altri. Tutti capirebbero che sei sincero e che sei cambiato davvero.»
«Non mi interessa quello che credono gli altri», affermò il Serpeverde e il passo in avanti che fece dopo sembrò un passo di troppo a Hermione. «Mi interessa solo di quello che credi tu.»
La mano di Draco era sulla sua guancia ora e la accarezzava con dolcezza.
Hermione era come pietrificata.
Non riusciva a muoversi e si era dimenticata come si facesse a respirare.
Aveva bisogno di respirare per continuare a vivere o bastavano le iridi grigie di Draco e la sua colonia dal profumo intenso e singolare a mantenerla in vita?
Poteva vivere solo di quello?
«Hermione…»
Le fissava le labbra.
Inumidiva le sue.
Poteva vedere il suo cervello fare dei calcoli riflesso in quelle pozze argentee.
Il petto di Hermione si alzava e si abbassava rapidamente, il suo cuore pulsava come non aveva mai fatto prima.
L’espressione “sentirsi come se il cuore dovesse sfondare la gabbia toracica e venir fuori da un momento all’altro” era solo un’espressione, giusto?
Non poteva succedere veramente.
Incrociò il suo sguardo di nuovo e a Hermione sembrò di precipitare.
Giù, giù, nelle profondità dei suoi occhi.
Giù, in un abisso sconosciuto e pieno di pericoli.
Sempre più giù, con il rischio di ritrovarsi circondata solo dal ghiaccio.
Il volto di Draco era sempre più vicino al suo e le sfiorava il labbro inferiore con un dito, lentamente.
Un secondo o ore dopo, entrambe le mani del biondino erano a coppa sulle sue guance.
I suoi occhi ora erano chiusi.
Li chiuse anche lei, chiedendosi se il calore che avvertiva in tutto il corpo fosse dovuto alle fiamme dell’inferno che si stavano avvicinando per reclamare la sua anima.
«Hermione…»
Il rumore di una porta che sbatteva con violenza li fece sobbalzare e sgranare gli occhi.
Draco si voltò di scatto, tendendo un braccio per bloccare Hermione; si affacciò sul corridoio e quando individuò la nota stonata nell’ambiente, la Grifondoro si era già precipitata al suo fianco.
«Dennis!» gridò la ragazza, ma lo studente non parve udirla, continuava a procedere spedito.
«Dennis, fermati!»
Niente. Nessuna risposta, nessuna reazione.
Hermione corrugò la fronte e poi si mise a seguirlo a grosse falcate, temendo di perderlo di vista.
«Dennis, che accidenti stai facendo?» urlò ancora. «Fermati o saremo costretti a detrarti dei punti e Grifondoro è ancora la mia casa, dannazione!»
«Guarda che glieli tolgo comunque, Granger» sogghignò il biondino, - che sembrava irritato nonostante la stesse punzecchiando -, beccandosi un’occhiataccia da parte sua in risposta.
Lei aveva altro su cui concentrarsi, però, perché non importava quanto gridassero, il giovane continuava a camminare imperterrito, senza neanche voltarsi nella loro direzione.
Draco camminava rapido al suo fianco, esibendo adesso un’espressione confusa sul viso.
«Che accidenti sta passando?» le chiese perplesso, ma Hermione non poté fare altro se non scuotere le spalle impercettibilmente, mentre alzava il passo per raggiungerlo.
E poi il biondino si arrestò bruscamente.
Un attimo dopo, Hermione realizzò che si trovavano davanti alle scale che conducevano alla Torre di Astronomia.
«Stai bene?» gli domandò. «Resta qui, salgo io-»
«Non se ne parla», rispose lui, riscuotendosi, sedando la tempesta nella sua testa. «Non ti lascio andare lassù di notte da sola.»
Normalmente, la Grifondoro avrebbe obiettato e avrebbero battibeccato su quella scelta di termini discutibile, perché storicamente, tra i due, era lei quella più affidabile in caso di scontro, ma non disse nulla; si precipitò direttamente sulle scale e le risalì di corsa.
Quando giunsero in cima alla Torre, trovarono Dennis in piedi sulla ringhiera.
Non avevano idea di come stesse mantenendo l’equilibrio.
Aveva lo sguardo vacuo, ma Hermione notò con orrore che aveva il volto coperto di sangue.
Sembrava essergli fuoriuscito dal naso e dagli occhi.
Sembrava come se stesse piangendo sangue.
E poi un piccolo istante di lucidità baluginò nelle sue iridi e quelli erano di nuovo gli occhi di Dennis Canon e riflettevano solo mera paura e puro terrore.
Una muta richiesta di aiuto.
La Grifondoro mosse un passo in avanti, cercando di ragionare, di capire cosa fare, ma un secondo dopo il ragazzo cadde di peso all’indietro e precipitò giù, come Silente aveva fatto quell’oscura notte, durante il loro sesto anno a Hogwarts.
Giù, giù, sempre più giù.
Hermione scattò.
«Granger!»
L’impatto della ringhiera contro il suo stomaco le mozzò il respirò, ma riuscì comunque a levare la bacchetta e a urlare l’incantesimo.
«Arresto Momentum!»
Il corpo di Dennis si bloccò a pochi centimetri dal suolo, ma lui non si muoveva ugualmente.
Draco comparve accanto a lei un attimo dopo, circondandole la vita con un braccio e serrando la mano sul suo fianco con fare protettivo, in un gesto completamente spontaneo; poi si affacciò a guardare e deglutì.
Hermione arretrò bruscamente, liberandosi dalla presa del giovane, e si diresse correndo verso le scale.
«Vai a chiamare Madama Chips» gli disse in tono perentorio. «Io chiamo la McGranitt.»
Il Serpeverde annuì.
Quando giunsero nel corridoio, prima di separarsi, le afferrò il polso e la costrinse a guardarlo.
Quello che Hermione vide nei suoi occhi era nuovo e non aveva idea di come interpretarlo.
«Fai attenzione, Granger.»
 
******
 
‘Sono una grandissima bugiarda.
Mento continuamente.
A me stessa, alle persone che mi stanno intorno.
Dico che sto bene, ma non è vero.
Ripeto che mi sento al sicuro, ma è una bugia.
Affermo di credere che le cose possano andare meglio, ma in realtà non mi illudo troppo perché so che la storia non fa che ripetersi.
Non posso dimenticare quello che vissuto, né posso ignorarlo.
Spero almeno di riuscire a superarlo, un giorno.
Nel frattempo, mi accontento di fingere di essere andata avanti.’
 
(Dal diario di Hermione, primi tempi a Hogwarts dopo la guerra.)

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Capitolo 19
*** Capitolo 18. Ipotesi e Timori ***


CAPITOLO 18
Ipotesi e Timori








 
 
 
Draco
 
Draco dovette bussare con forza contro la porta dell’infermeria per dieci minuti prima che Madama Chips si degnasse di aprirgli. Non appena lo vide e constatò che stesse bene, gli rivolse un’occhiataccia irritata, rimproverandolo per aver svegliato gli studenti ammalati, ma Draco la ignorò e invece le raccontò quello che era successo, quello che aveva visto con la Granger, tutto d’un fiato; la voce gli tremava leggermente mentre narrava quell’orripilante successione di eventi.
Era ancora scosso dagli avvenimenti dell’intera serata e dalle emozioni contrastanti che aveva provato e che si erano alternate talmente rapidamente da impedirgli di compartimentalizzarle in alcun modo.
Aveva quasi baciato la Granger.
Era stato sul punto di colmare la distanza tra di loro e posare le labbra sulle sue.
Aveva sentito il suo respiro caldo contro il viso, il pulsare del suo cuore contro il suo petto.
Aveva percepito il calore della sua pelle sotto i palmi delle mani.
La cosa più degna di nota in tutto ciò era che lei non sembrava avere intenzione di ritrarsi.
E poi tutto era andato a rotoli in una manciata di minuti che gli erano parsi piuttosto delle ore.
Quello a cui avevano assistito era stato raccapricciante, scioccante.
Draco non avrebbe mai più dimenticato l’immagine di Dennis Canon con il volto rigato dal sangue, mentre si gettava all’indietro dalla Torre di Astronomia.
Sperava che con la fine della guerra non avrebbe mai più dovuto essere testimone di eventi orribili.
Chiaramente si sbagliava, al terrore non c’era mai fine.
Aveva capito che qualcosa non andava nell’esatto momento in cui lui e la Granger avevano individuato Canon e lui non aveva dato segno di udire le loro voci; aveva subito notato che i suoi movimenti sembravano automatici, quasi meccanici, come se fosse in trance. Lo sguardo vacuo che gli aveva rivolto prima di quell’attimo di lucidità aveva confermato la sua teoria: il Grifondoro non aveva il controllo sul proprio corpo in quel momento.
«Portalo in infermeria, Poppy» disse la McGranitt con voce agitata. «È ancora vivo. Siete stati tempestivi», aggiunse rivolgendosi ai due Caposcuola.
«Ripetetemi di nuovo cos’è successo.»
Hermione raccontò per la seconda volta l’accaduto alla Preside, che ascoltò con estrema attenzione, mentre Lumacorno si avvicinava a loro per sentire a sua volta la testimonianza in prima persona.
«Sembrava come in trance», disse Draco a un certo punto.
«Non ci sentiva, non si fermava. Proseguiva meccanicamente» confermò Hermione. «Crede che potesse essere sotto l’effetto della Maledizione Imperius? Anche se non si manifesta in questo modo…»
«No, signorina Granger. Ma le posso assicurare che indagheremo a fondo sulla questione», asserì la McGranitt. «Ora ho bisogno che voi due rientriate nei vostri dormitori, che ci rimaniate e che mi si garantiate totale riservatezza sugli eventi di questa notte, finché Poppy, Horace, Hestia ed io non avremo delle risposte. Dateci il tempo di capire come gestire questa cosa.»
I due ragazzi annuirono.
«Oh, signorina Granger» precisò poi la donna. «Visti i trascorsi, devo chiedere a lei e ai suoi amici di non indagare per conto vostro su quanto accaduto. Tenetevi fuori dai guai.»
Hermione si morse il labbro inferiore internamente per qualche istante, ma alla fine fece un segno d’assenso con il capo.
Draco non credeva minimamente che lei, Potter e Weasley avrebbero mantenuto fede a quella promessa.
Sicuramente, lui stesso non lo avrebbe fatto. Non quando quello avrebbe potuto non essere un caso isolato e la prossima vittima avrebbe potuto essere la Granger. Le origini di Dennis non erano un dettaglio che era passato inosservato agli occhi del Serpeverde.
E neanche a quelli dei professori, a quanto pareva, perché mentre lui e Hermione si stavano dirigendo verso il castello, la voce dei docenti che discutevano in lontananza gli diede la conferma che i suoi timori non erano affatto infondati.
«Minerva, credi che sia una coincidenza o che si tratti di un attacco a un Nato Babbano?» udirono Lumacorno chiedere con aria preoccupata.
Rallentarono entrambi il passo per avere modo di ascoltare la risposta della Preside.
«Non lo so, Horace. Questa è un'altra cosa di cui dovremo accertarci.»
Draco strinse i pugni e si irrigidì, mentre con la coda dell’occhio studiava la reazione della Grifondoro a quelle parole.
Impassibile.
Hermione manteneva un atteggiamento stoico di fronte a quell’eventualità.
Il biondino non capiva come facesse, soprattutto dopo quello che aveva passato in quegli anni.
Lui aveva già iniziato ad avvertire la paura che potesse accadere qualcosa a lei.
Aveva già iniziato ad avvertire il terrore di perderla, quando ancora non era neanche sua da perdere.
§
Tornò dalle cucine con del tè caldo e del cibo che era sicuro né lui, né Hermione avrebbero toccato quella sera.
Draco si sentiva come se il suo stomaco si fosse contratto su sé stesso e chiuso in una morsa ferrea, mentre una sensazione di nausea accompagnava il suo malessere generale.
Ogni volta che chiudeva le palpebre rivedeva il viso insanguinato di Dennis, il suo corpo precipitare nel vuoto, che si alternava al ricordo di Silente che volava giù dalla ringhiera due anni prima sotto il suo sguardo scioccato e terrorizzato.
Hermione era seduta sul divano e fissava il fuoco con aria persa.
«Ti ho portato del tè» mormorò Draco sedendosi al suo fianco.
Erano rare le volte in cui si accomodavano l’uno accanto all’altra, forse perché sembrava sciocco stare stretti quando avevano tutti quei posti a sedere a disposizione e nella stanza c’erano solo loro due.
Draco avrebbe optato per l’altra alternativa ogni giorno, ma sarebbe stato difficile da spiegare alla Granger in condizioni normali.
Quella sera, però, avevano entrambi bisogno di quella vicinanza e lei non fece domande.
«Grazie», sussurrò distrattamente la ragazza, prendendo la tazza con mani malferme.
Il biondino la studiò per qualche istante e notò che stava tremando.  
Evocò una coperta e la posizionò con cautela sulle spalle della Grifondoro, che si voltò a guardarlo e gli rivolse un timido sorriso in segno di gratitudine.
Sorseggiarono i loro infusi in silenzio per un po’, poi Draco si fece forza, deglutì e parlò. «Cosa pensi che sia successo?»
Hermione sospirò; posò la sua tazza vuota sul tavolino e poi si lasciò ricadere contro lo schienale del divano. «Non ne ho la più pallida idea.»
«Nessuna teoria?»
La ragazza scosse il capo lentamente. «Non ho mai visto niente del genere», disse sommessamente. «Né letto di qualcosa di simile.»
La vide stringersi tra le sue stesse braccia come se volesse abbracciarsi da sola.
«Neanch’io», ammise Draco. «Credi che i sospetti di Lumacorno possano essere fondati? Che si tratti di un attacco contro i Nati Babbani?»
La Grifondoro si morse il labbro inferiore e ponderò la risposta da dargli. «Credo che sia troppo presto per dirlo», affermò scoraggiata. «Ma… onestamente, a questo punto, la cosa non mi sorprenderebbe neanche più.»
Il biondino restò per qualche istante a fissarla in silenzio.
Hermione aveva riportato lo sguardo sulle fiamme che scoppiettavano nel caminetto e si era raggomitolata sotto la coperta, con le ginocchia al petto e le braccia chiuse attorno alle sue gambe piegate.
Draco avvertì una morsa al petto nel vederla in quello stato.
Sapeva che stava male, era evidente, anche se non stava dicendo niente.
Si avvicinò di più a lei, quel poco che mancava per far sì che i loro corpi si toccassero e tese un braccio nella sua direzione; esercitò una leggera pressione sulla spalla di Hermione per trarla a sé e poi la strinse con decisione.
In un primo momento, la ragazza si irrigidì nel trovarsi il viso premuto contro il petto di Draco, ma poi i motivi circolari e lenti che le dita di lui stavano tracciando sul suo braccio dovettero rilassarla, perché finalmente si abbandonò a quel contatto.
Il biondino prese a giocare distrattamente con i suoi capelli con la mano libera e la guardò rapito per tutto il tempo, finché non la vide chiudere gli occhi e udì il suo respiro farsi pesante.
Sorrise nel realizzare che si fosse addormentata tra le sue braccia.
Per lui equivaleva a una dichiarazione di fiducia, perché voleva dire che si sentiva abbastanza al sicuro con lui da abbassare la guardia e dormire in sua presenza.
E questo gli dava speranza.
Si sentiva irrequieto, però, perché temeva che i Nati Babbani fossero stati di nuovo presi di mira e aveva paura per lei.
Era così che si sentivano le persone durante la guerra?
Quelli che avevano dei Nati Babbani o dei Babbani tra i propri cari?
Era così che la sua famiglia aveva fatto sentire degli innocenti?
Era questo quello che si provava quando qualcuno che amavi veniva preso di mira in quel modo?
Era una minaccia che lui conosceva benissimo, l’aveva sperimentata in prima persona quando Voldemort era in vita, ma quello era diverso. Lui e sua madre erano stati vittima degli errori di Lucius, mentre la Granger, Canon e gli altri Nati Babbani erano innocenti… quello non era il risultato delle loro azioni o di quelle di qualcuno a loro vicino.
La paura che potesse accadere qualcosa di brutto, il terrore di perdere una persona importante… La rabbia, perché alla base di tutto c’era uno stupido pregiudizio infondato, uno che un tempo lui stesso aveva contribuito a promulgare… Un pregiudizio che non avrebbe dovuto sopravvivere alla guerra.
Strinse più forte a sé Hermione e posò una guancia sulla sua testa, perdendosi in quei pensieri funesti. Non si rese conto di aver chiuso gli occhi, né del fatto che il calore emanato dal corpo della Granger, acquattata contro di lui, lo stesse cullando, facendolo sprofondare lentamente tra le braccia di Morfeo.
§
Era stato divertente vederla rotolare giù dal divano, con le guance arrossate, mentre farfugliava parole confuse.
Non c’era veramente un modo diverso con cui reagire nel realizzare di essersi addormentata tra le sue braccia, dopo essersi quasi baciati la sera prima, Draco ne era consapevole; non si era aspettato niente di diverso quando aveva deciso di non svegliarla e di restare lì con lei, aveva semplicemente optato per il godersi quel momento, perché una parte di lui temeva che non avrebbe mai più avuto l’occasione di farlo.
E lo aveva fatto, si era goduto ogni istante.
Ma se il rossore sulle guance della Grifondoro e il fatto che non riuscisse a formulare mezza frase di senso compiuto erano indice di qualcosa, pensava, stavano a significare che aveva un qualche effetto su di lei.
Era corsa via come un fulmine, dirigendosi a passo spedito verso le scale e rintanandosi nella sua stanza, mentre il biondino se la rideva sommessamente. Era rimasto seduto sul divano per un ulteriore quarto d’ora, con il sorriso ad aleggiare ancora sul suo volto.
La tentazione di aspettarla era forte, ma iniziava ad avere fame e se la Granger avesse deciso di saltare la colazione avrebbe dovuto scegliere tra il rinunciare a nutrirsi e l’arrivare tardi a lezione, il che si sarebbe sicuramente tradotto in un battibecco con la ragazza che non aveva alcuna intenzione di avere.
Quando raggiunse il tavolo dei Serpeverde, Blaise e Daphne erano pronti per l’interrogatorio.
«La McGranitt ha detto a tutti quello che è successo ieri notte», bisbigliò l’amico nel suo orecchio. «E pare che stamattina il Ministero abbia mandato una squadra di Auror a perlustrare il castello. Non hanno trovato niente, nessuno, ovviamente.»
«Vogliamo sentire la storia da chi l’ha vissuta in prima persona», lo incalzò ancora Daphne.
Draco sospirò e raccontò loro la sequenza di eventi della notte prima, tralasciando le parti che riguardavano lui e la Granger, ovviamente.
«Credi che qualcuno abbia preso di nuovo di mira i Nati Babbani?» domandò la Greengrass con aria preoccupata.
Il biondino scrollò le spalle. «Hermione dice che è presto per fare supposizioni.»
«Hermione, eh?» commentò Blaise, ammiccando nella sua direzione.
Draco sbuffò e ignorò l’allusione. «È stata una cosa orribile. Cosa vi ha detto la McGranitt?»
«Che sono riusciti a stabilizzare Canon», gli riferì Daphne, «e che hanno dovuto chiamare un team di Guaritori dal San Mungo, pare che uno di loro resterà qui per tenerlo d’occhio costantemente. Sembra che sia scivolato in un sonno profondo e che non riescano a svegliarlo.»
Il biondino deglutì.
«E che probabilmente è stato vittima di qualche maleficio», aggiunse Blaise in un tono così serio che fece quasi rabbrividire Draco, accentuando la sua ansia.
Blaise non era quasi mai serio e sentirlo parlare in quel modo sortiva un certo, macabro, effetto.
«Stanno indagando per capire che tipo di Maledizione possa avergli fatto una cosa del genere e chi potrebbe esserci dietro.»
«Beh, speriamo che trovino in fretta i responsabili», bofonchiò il biondino.
«Temi che… possano pensare che sia stato tu?»
«Scusami?» esclamò spiazzato Draco alla domanda dell’amico.
«Beh, insomma… Probabilmente sarai il primo di cui sospetteranno, se dovessero appurare che si tratti di un attacco a un Nato Babbano» considerò Blaise. «Non per fare l’uccello del malaugurio o altro, cioè lo so che non ci credi più a quelle stronzate…»
«…Ma ho il Marchio Nero sul braccio», concluse per lui Draco.
Daphne si era pietrificata durante quello scambio tra i due e quando tra loro cadde un silenzio lugubre, scoccò un’occhiataccia in direzione di Blaise.
«Ovvio che no», asserì con convinzione. «Non possono accusare Draco solo perché ha fatto degli errori quando non era altro che un ragazzino, spaventato e sotto pressione!»
«Invece, Daph, possono» ammise il biondino. «E lo faranno, vedrai.»
«Beh, noi testimonieremo in tuo favore!» esclamò ancora la ragazza. «E anche la Granger e Potter. Lei era con te, sa che non sei stato tu!»
Draco annuì, ma non era del tutto convinto che quella situazione non gli avrebbe portato dei guai, guai che non poteva permettersi di avere, perché se fosse accaduto qualcosa e lui fosse stato ritenuto responsabile, sarebbe finito ad Azkaban e addio alla benevolenza del Wizengamot nei suoi confronti.
Addio alla sua occasione di redenzione.
«Devo andare a lezione», si scusò sbrigativamente e poi lasciò la Sala Grande senza dare molte spiegazioni.
Quel discorso aveva portato a galla altri timori, che lui non aveva ancora preso in considerazione perché troppo assorbito dalla paura che potessero ferire Hermione, che gli avevano fatto perdere l’appetito.
Soprattutto visto che una Maledizione poteva essere scagliata anche a distanza.
La Granger avrebbe sospettato di lui, se avessero appurato che si trattava di un attacco contro i Nati Babbani?
Draco pensò che forse fosse stupido preoccuparsi di ciò che poteva pensare una sola persona, quando era il resto del mondo a decidere delle sue sorti.
 
***
Hermione
 
Due settimane dopo, Dennis era ancora privo di sensi in infermeria e non era stato individuato alcun responsabile dell’accaduto.
Alle vicende di quella notte erano seguiti molti bisbigli, teorie nate per i corridoi e tramandate da un orecchio all’altro, al punto che alcuni Nati Babbani avevano fatto le valige e se n’erano tornati a casa.
Justin era stato tra quelli che avevano valutato quell’opzione, quando il sospetto di essere nuovamente un bersaglio era divenuto intollerabile per lui.
Aveva passato un intero pomeriggio a discutere con Hermione e alla fine aveva deciso di restare solo perché la ragazza lo aveva fatto riflettere sul fatto che a Hogwarts sarebbero stati più al sicuro di quanto non avrebbero potuto essere al di fuori delle mura del castello.
«Insomma, se è una Maledizione contro quelli come noi potremmo essere stati già colpiti e non saperlo», gli aveva fatto notare molto stoicamente. «Se gli effetti si rivelano con il tempo, intendo. Qui c’è chi ci potrebbe aiutare, a casa no.»
Ma non c’erano stati altri attacchi e tutti sembravano ormai fermamente convinti che si trattasse di qualcosa di personale, anche se Hermione non riusciva a credere che ci fosse qualcuno che avrebbe potuto voler fare del male al ragazzo.
Dennis era pressoché tranquillo e da quando erano tornati al castello era sempre stato per lo più in disparte, perché aveva già il suo da fare con il cercare di superare il trauma della perdita del fratello e non era in cerca di ulteriori problemi che rendessero la sua vita ancora più complicata.
Quella mattina, Hermione camminava nel giardino innevato con Ron, ma nessuno dei due stava parlando. Sembravano entrambi assorti nei propri pensieri, finché il rosso non decise di averne abbastanza del silenzio e si schiarì la gola.
«Hai già… ehm… un accompagnatore per il ballo?» le chiese l’amico, arrossendo visibilmente.
Oh, no, Ron. Non chiedermelo…” pensò Hermione, con il panico che iniziava a farsi strada dentro di lei.
«No. Ci andrò da sola», rispose prontamente la ragazza. «Voglio dire, nonostante abbia ricevuto degli inviti, ho deciso di andarci da sola.»
Il giovane annuì distrattamente. «Beh, ehm, io… ci vado con una persona», ammise esitante. «Volevo dirtelo per essere certo che non ci fossero problemi… per te… visto, insomma… noi due stavamo insieme…»
«Astoria è molto carina», disse Hermione rivolgendogli un ampio sorriso. «Sono contenta che tu sia andato avanti, Ron.»
Era sincera. Pensava veramente che Astoria potesse essere un buon match per lui e che l’amico meritasse un po’ di felicità, quella felicità che non erano stati in grado di trovare insieme, perché si conoscevano troppo bene e la cosa aveva smorzato il loro interesse, o perché avevano trascorso il periodo della guerra l’uno accanto all’altra e la presenza reciproca non faceva che rammentare loro di quei tempi… Hermione non sapeva dare una vera e propria spiegazione dei motivi che avevano causato la rottura tra di loro. Per entrambi sembrava la cosa giusta da fare, non c’era stato veramente molto altro da dire al riguardo.
«Ehm, come fai a sapere di me e Astoria? Oh, lascia stare», farfugliò a disagio il rosso. «Tu sai sempre tutto tanto.»
La ragazza sghignazzò divertita. «Beh, lo hanno notato tutti che passate molto tempo insieme e poi…»
«E poi Harry esce con sua sorella», concluse Ron al suo posto. «Sai che l’ha invitata al ballo e che avranno un appuntamento a Hogsmeade il prossimo fine settimana?»
Hermione gli sorrise. «Sì, me l’hanno detto. Era anche ora! Si girano intorno dall’inizio dell’anno scolastico, quei due!»
Ron annuì e poi restò in silenzio per qualche secondo, prima di dare voce ai suoi pensieri.
«Sai, pensavo che alla fine ci saresti andata con Malfoy, al Ballo.»
Hermione quasi si strozzò con la sua stessa saliva. «Perché siete tutti così ossessionati dall’idea di me e Malfoy?»
Ringraziò Merlino e Morgana che facesse così freddo e che potesse imputare al vento sferzante il rossore che sicuramente era comparso sulle sue guance nel sentire quell’affermazione.
Il ricordo della notte che aveva trascorso addormentata tra le braccia del biondino la mandava ancora a fuoco internamente.
Aveva evitato accuratamente il discorso con Draco e lui sembrava essere d’accordo nel non rivangare nessuno dei momenti che avevano condiviso quella sera, per cui non aveva senso arrovellarsi il cervello con quei pensieri.
Una parte di Hermione aveva pensato, per un momento soltanto, che intendesse baciarla, quella notte, ma chiaramente si era sbagliata.
Aveva incolpato le allusioni continue dei loro amici per quell’idea assurda che le era saltata in testa, aveva concluso che si fosse lasciata suggestionare dalle loro battutine.
Non c’era niente che facesse pensare che Malfoy potesse essere interessato a lei.
Perché Malfoy non potrebbe mai interessarsi a me”, precisò nella sua mente come se stesse cercando di autoconvincersi della cosa, ma facendolo con una nota di dispiacere che si affrettò a soffocare.
Il rosso fece spallucce. «Beh, considerando che la Parkinson ti uccide con lo sguardo ogni volta che ti vede con lui e che lui stesso mi ha intimato di non mettermi in mezzo tra di voi…»
«Di cosa stai parlando, Ron?»
«È successo poco dopo il mio ritorno a Hogwarts», le raccontò. «Credeva che fossi venuto ai Tre Manici di Scopa con Astoria perché sapevo che era interessata a lui da sempre e volevo fare in modo che si allontanasse da te… qualcosa del genere. Non ci ho dato peso inizialmente, ma quando l’ho detto a Harry ha riso e se n’è uscito con un “probabilmente è solo geloso”. Il che è comunque strano, ma riflettendoci a mente fredda sembrava proprio geloso
Hermione sbuffò. «Mezzo gruppo è convinto che Malfoy sia interessato a me», gli spiegò in tono asciutto. «E a quanto pare, solo io, te e Justin pensiamo che sia una teoria assurda.»
«Sì, ma visto quello che è andato a pensare e… insomma, te lo ripeto, sembrava davvero geloso, Hermione.»
La ragazza alzò gli occhi al cielo. «Vorresti farmi credere che Draco Malfoy, che non mostra mai le sue emozioni a nessuno al punto che tre quarti del castello è convinto che non ne provi affatto, avrebbe mostrato a te di essere geloso di me
Ron la guardò perplesso. «Okay, ammetto che suona un po’ come un’assurdità, ma-»
«Oh, niente ma, Ronald!» esclamò spazientita lei. «Anche se fosse non si farebbe vedere a un ballo con me. Può essere cambiato, ma è sempre un Malfoy. Ed io non sono il suo… tipo, mettiamola così.»
«Se lo dici tu», affermò lui scrollando le spalle, per niente convinto dalle sue argomentazioni.
Hermione decise di far decadere il discorso.
«Blaise sta organizzando qualcosa per questa sera», gli disse invece. «Nel dormitorio dei Caposcuola, ovviamente. Venite, se vi va.»
 
******
 
‘Vorrei comprarmi una casa in mezzo al nulla, magari una foresta.
Un posto isolato, tranquillo, dove vivere serenamente.
È stato un pensiero stupido che ho avuto durante la guerra, quando mi nascondevo nei boschi per non essere catturata dai Mangiamorte o dai Ghermidori.
Immaginavo di spegnere tutto, chiudere il mondo in un cassetto e restare lì, ad invecchiare, immersa nella neve e nella natura.
Era un’idea che mi dava un senso di pace, sebbene fosse solo un’illusione momentanea.
Perché per essere una vera opzione, avrei dovuto essere una persona completamente differente, ed essere con qualcun altro in quel momento.
Avrei dovuto abbandonare troppe persone al proprio destino… e non è una cosa da me.’
 
(Dal diario di Hermione, primi tempi a Hogwarts dopo la guerra.)

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Capitolo 20
*** Capitolo 19. Rivelazioni Shock ***


CAPITOLO 19
Rivelazioni Shock








 
 
 
Draco
 
Voleva invitarla al ballo.
Era stato sul punto di farlo più volte, ma le parole erano rimaste bloccate da qualche parte tra la sua gola e le sue labbra, incapaci di venire fuori.
Adesso si sedevano più vicini quando studiavano in biblioteca; Draco poteva sentire chiaramente il suo dolce profumo e spesso le loro braccia si sfioravano inavvertitamente. Lui veniva percorso dai brividi ogni singola volta che accadeva.
«Hermione», provava a dirle, mentre si tormentava le mani accuratamente nascoste sotto il tavolo. «Mi chiedevo…»
E poi se ne usciva con qualche domanda stupida come “credi che Lumacorno ci farà fare un test prima delle vacanze?” o “pensi che la Vector abbia già corretto i compiti della scorsa lezione?”, le cui risposte non gli interessavano minimamente, ma mai che riuscisse a formulare la domanda giusta, quella che avrebbe voluto farle con tutto sé stesso.
“Vuoi venire al ballo con me?”
Draco sapeva che non avrebbe mai trovato il coraggio di chiederglielo.
Un momento di debolezza durante una nottata infernale non voleva dire niente, non significava che la Granger ricambiasse in alcun modo il suo interesse, i suoi sentimenti. Perché chi poteva provare qualcosa nei confronti di un ex-Mangiamorte senza spina dorsale, come lui? Di certo non lei, che era stata vittima della sua cattiveria per anni.
E lui non voleva perdere quel poco che era riuscito ad ottenere, temeva di mandare all’aria tutto in partenza facendo una mossa affrettata.  
Sospirò e si trascinò pigramente in Sala Comune.
Hermione era seduta su una poltrona e leggeva un libro con aria assorta, senza dare l’impressione di averlo sentito arrivare.
Draco si lasciò cadere pesantemente su uno dei divani. «Cosa leggi?»
La Grifondoro sussultò leggermente, accorgendosi finalmente della sua presenza. «Oh, niente che possa suscitare il tuo interesse.»
Il biondino fece schioccare la lingua. «Mettimi alla prova.»
«È un libro babbano, Draco.»
«E di che parla?» chiese lui alzando un sopracciglio. «Se non so di cosa tratta, come faccio a dirti se mi interessa o meno?»
Hermione gli rivolse un’espressione vacua e sbatté le palpebre una volta più del necessario, prima di sospirare e aprire la bocca per dare una risposta a quel quesito, senza però averne modo. Infatti, un fracasso si levò dal retro del ritratto proprio in quel momento e la ragazza sospirò, abbandonando il libro sul divano.
«Devono venire gli altri, questa sera?» domandò con voce annoiata il biondino.
Non gli andava di avere il gruppo in giro per il dormitorio quel giorno. Sperava di trascorrere una serata tranquilla in compagnia della Granger e magari di riuscire finalmente a invitarla al ballo.
Non si era mai sentito così stupido in vita sua.
Da quando una cosa così banale come un ballo lo turbava così tanto?
Da quando invitare una ragazza a uscire insieme lo terrorizzava in quel modo?
Che fine aveva fatto tutta la sua sicurezza? La sua spavalderia?
Non è una ragazza. È la Granger. E ti importa davvero di lei”, si rispose mentalmente.
Hermione annuì e lui sbuffò in risposta.
«Essere un po’ più socievole non ti ucciderà, Malfoy» gli disse lei divertita, posando una mano sulla sua spalla prima di dirigersi verso la porta. «Lo sai vero?»
Draco alzò gli occhi al cielo, ma poi si rese conto del gesto della Granger e fissò lo sguardo sul punto dove fino a un secondo prima era stata appoggiata la mano della ragazza. Ne riusciva ancora a percepire il tocco delicato.
«Credevo fossi contraria ad infrangere le regole del dormitorio in questo modo.»
«Abbiamo tutti bisogno di staccare la spina, Draco», asserì lei, poi aprì il ritratto e il loro strano gruppo di amici si riversò nella Sala Comune.
Prima apparvero Potter e Daphne, poi Blaise e la piccola Weasley; c’erano persino Ron e Astoria, - Draco fece una smorfia nel vederli, ancora convinto che il rosso stesse tramando alle sue spalle per separarlo da Hermione -, Dean Thomas, Neville Paciock, Terry Steeval e Luna Lovegood.
Troppa gente per i suoi gusti e solo due con cui non aveva trascorsi burrascosi, come al solito. Si preparò mentalmente a una serata di Occlumanzia sfiancante e perpetua.
«Dov’è Justin?», chiese Hermione, senza rivolgersi a qualcuno in particolare.
«Oh, non è potuto venire», rispose la voce trasognata di Luna. «L’ho incontrato mentre andava in infermeria. Non si sentiva bene.»
La Grifondoro corrugò la fronte a quelle parole e Draco si irrigidì nel vedere la sua reazione. Aveva il terribile sospetto che la Granger si fosse fatta una sua idea di quello che era successo a Dennis Canon e che stesse nascondendo informazioni, o ipotesi, non solo a lui, ma anche ai suoi migliori amici, forse per non agitare gli animi destando preoccupazioni che potevano rivelarsi inutili.
«Cos’è successo?»
«Ha solo un po’ di mal di testa, niente di grave», ribatté la Corvonero. «Ma ha detto che si sarebbe fatto dare qualcosa da Madama Chips e che poi sarebbe andato a dormire.»
Draco poteva vedere gli ingranaggi nel cervello della Granger lavorare furiosamente, ma alla fine dovette concludere che non fosse nulla di allarmante, perché sospirò, trasfigurò una coperta in un cuscino e vi si sedette sopra, posizionandosi tra il divano su cui sedeva lui e quello su cui si erano accomodati Thomas, Paciock e la Lovegood.
Il biondino chinò il capo nella sua direzione e sussurrò «Granger, qui c’è posto, sai?»
La ragazza arrossì leggermente, ma poi accettò la sua mano e si alzò per spostarsi e occupare il posto vuoto accanto al Serpeverde.
Draco incrociò lo sguardo di Blaise per un breve istante e fece ruotare gli occhi quando vide che il suo amico se la stava sghignazzando divertito.
«Oggi giochiamo a ‘Non ho mai’» annunciò entusiasta il ragazzo, mentre Potter, Ginny e Daphne si accingevano a distribuire cicchetti di Firewhiskey.
«Con il Firewhiskey?» protestò Hermione. «Stai cercando di ucciderci, Blaise?»
Il giovane fece spallucce. «Se dobbiamo giocare, cerchiamo di farlo seriamente. L’idea è stata di Potter, comunque.»
«Chi avrebbe mai detto che San Potter sapesse come divertirsi?», lo punzecchiò Draco, ghignando divertito.
Harry si limitò a una scrollata di spalle, ma sorrideva.
«Ripetimi perché lo sto facendo?» domandò Dean Thomas a Ronald.
«Perché sei uno spostato quanto il resto di noi», rispose il rosso e dal gruppo si levò prontamente una sonora risata.
«Bene, inizio io» disse Blaise, attirando l’attenzione di tutti. «Non ho mai… baciato una Grifondoro.»
Draco e Daphne sbuffarono.
Harry, Dean, Terry e Ron bevvero un sorso e poi Blaise si alzò con uno scatto, si diresse verso la piccola Weasley e le stampò un bacio sulle labbra sotto gli occhi di tutti.
Draco desiderò di avere lo spirito di intraprendenza di Blaise in quel momento.
O la totale non curanza delle possibili conseguenze di un’azione del genere, comunque, anche se ripensandoci, forse lo aveva fatto semplicemente perché era totalmente certo che la Weasley fosse quantomeno attratta da lui.
Blaise era una Serpe, dopotutto. Era calcolatore quanto lui.
«Non esiste che io non beva» spiegò con nonchalance Zabini e poi vuotò il contenuto del suo bicchiere.
Risero tutti, tranne Ron.
«Questo è barare, Zabini» commentò Ginny divertita, ma lui si limitò a scrollare le spalle. «Mi ringrazierai dopo» le assicurò, facendole l’occhiolino.
Draco si domandò cos’avesse in mente l’amico, dal momento che l’espressione sul suo viso non lasciava presagire niente di buono.
«Non ho mai… preso ‘E’ in Pozioni», dichiarò Ron.
Gli unici a non bere furono lui, Neville e Dean.
«Avevo dimenticato del Distillato della Morte Vivente», borbottò il rosso, scoccando un’occhiataccia a Harry che se la rideva di gusto alla sua destra.
Il turno di Ginny fu molto interessante.
«Non ho mai… fatto sesso nell’aula di Divinazione.»
Terry, Blaise e Daphne bevvero.
«Che cosa?» trillò Dean disgustato.
La Serpeverde scrollò le spalle. «Quei pouf sono comodi.»
«Confermo» le diede ragione Steeval.
«Hai capito i Corvonero!» commentò Blaise sghignazzando. «E io che pensavo che scopaste mentalmente o qualcosa del genere.»
Terry alzò gli occhi al cielo. «Non siamo una banda di secchioni, sai? È solo uno stereotipo e anche alquanto scadente, se permetti. Dovresti sapere qualcosa al riguardo.»
Il Serpeverde incassò il colpo e annuì.
«Non ho mai…» iniziò Luna, «conosciuto uno studente che abbia visto un Nargillo.»
Tutti soffocarono una risata e bevvero. Loro conoscevano lei, che sosteneva di vederli continuamente… e probabilmente era l’unica al mondo a farlo.
Draco piegò il capo verso Hermione e le sussurrò in un orecchio «se continua così, la Lovegood ci farà tutti fuori prima di Blaise.»
La Grifondoro ridacchiò. «È una bella sfida.»
«Non ho mai fatto sesso nella Stanza delle Necessità», ammise Astoria.
Gli unici a non bere in quel caso furono Harry e Hermione.
«Ron?», chiese delle spiegazioni il moro.
«Al sesto anno», disse soltanto lui e nessuno commentò in alcun modo, perché capirono subito che si stesse riferendo a Lavanda e la ragazza era morta durante la Battaglia di Hogwarts, nessuno se la sentiva di scherzare, soprattutto tra coloro che sapevano quanto la vicenda avesse colpito Ron.
«Ginny?» chiese subito il rosso per sviare il discorso e impicciandosi come al solito negli affari della sorella minore.
La rossa si scambiò un’occhiata fugace e imbarazzatissima con Dean, poi si rivolse a Neville e Luna.
«E così ci avete dato dentro nella Stanza delle Necessità eh?»
Draco pensò che fossero degli scarica barile eclatanti.
Le orecchie di Neville divennero scarlatte e nella speranza di distogliere l’attenzione da sé stesso e dalla sua ragazza, incitò Terry a porre la sua domanda.
Il biondino piegò le labbra di lato; Paciock, sorprendentemente, aveva gestito quella domanda scomoda meglio e più correttamente degli altri. Era impressionato.
«Non ho mai preso un voto inferiore a ‘O’.»
Harry, Neville, Dean e Ron furono gli unici a bere, memori dei voti orrendi che Piton era solito affibbiargli.
Dean socchiuse gli occhi e poi sorrise malefico. «Non ho mai avuto una cotta per qualcuno di una Casa diversa dalla mia.»
Quasi tutti bevvero, inclusa Hermione.
Draco notò immediatamente l’espressione furbesca che era apparsa sul volto di Blaise e capì immediatamente le sue intenzioni: avrebbe provato ad ottenere informazioni sulla prima volta della Granger.
Si portò il bicchiere alle labbra e bevve; era una domanda innocua, dopotutto, che senso aveva mentire?
«Non ho mai preso un voto inferiore a ‘E’ in Erbologia», disse Neville e a parte Draco e Hermione dovettero bere tutti.
Erbologia era una di quelle materie che gli studenti di solito prendevano sottogamba perché ritenuta noiosa. Eppure, Draco non se lo spiegava: le nozioni di Erbologia erano molto utili in ambito pozionistico.
«Non ho mai…» affermò Hermione, mordendosi il labbro inferiore.
Il biondino si rese conto che la voce della ragazza iniziava ad essere leggermente strascicata.
«…baciato qualcuno sotto il vischio.»
Harry fu il primo a bere, dopo averle scoccato un’occhiataccia.
«Scusa Harry» sghignazzò lei. «Non ci avevo pensato.»
Daphne prese il comando. «Non sono mai stata innamorata.»
Draco avvertì una punta di panico.
Ufficialmente, lui non avrebbe dovuto bere.
Nessuno sapeva che era innamorato della Granger e se avesse pagato il pegno, Blaise e Daphne avrebbero capito quello che provava veramente per la Grifondoro e non gli avrebbero più dato pace.
Così mentì e non bevve.
I Serpeverde furono gli unici a non farlo, ma nessuno commentò la cosa; non doveva essere sorprendente, ai loro occhi. Draco pensò che probabilmente lo trovassero profondamente triste… E lui si scoprì d’accordo.
«Non ho mai…» mormorò Potter quando fu il suo turno di porre una domanda. «Non ho mai passato un anno tranquillo a Hogwarts.»
Quella volta, fu il trio miracoli l’unico a non bere.
Dopo Potter toccava a Draco e lui non aveva la minima idea di cosa chiedere.
Un ghigno comparve sulla sua faccia quando finalmente gli venne in mente qualcosa. «Non ho mai preso una punizione con Piton.»
Tutti i presenti sbuffarono e bevvero, fatta eccezione per Blaise e Daphne.
«Grazie al cazzo», borbottò Dean. «Eri il suo prediletto.»
«E Piton non puniva mai i Serpeverde», precisò Neville.
Draco scrollò le spalle con nonchalance.
La palla passò nuovamente in mano a Blaise, che aveva di nuovo la sua espressione furbesca dipinta sul volto.
Il biondino notò che mentre pronunciava la sua nuova domanda fissava intensamente la Granger.
«Non ho mai baciato un ragazzo Serpeverde.»
Daphne, Astoria e Ginny, che comprese il motivo per cui il ragazzo le aveva assicurato che dopo lo avrebbe ringraziato per quel bacio, bevvero.
E poi un silenzio imbarazzante calò nella stanza.
Perché c’era anche un’altra ragazza che aveva bevuto, una che non si sarebbero mai aspettati di vedere alzare il bicchiere e portarselo alle labbra in seguito a quella domanda.
Il sorriso sul volto di Blaise si fece ampio di trionfo.
Hermione Granger aveva bevuto.
§
Due secondi dopo quell’ammissione, avevano tutti iniziato a tempestarla di domande, ma lei aveva solo confessato che fosse accaduto durante il sesto anno e poi si era rifiutata categoricamente di fornire ulteriori informazioni in merito.
Era stato impossibile riprendere a giocare, però, tra gli sbuffi di Weasley e l’euforia di Blaise per quella notizia bomba.
Draco era rimasto in silenzio per gran parte del tempo mentre quegli avvenimenti si dispiegavano, con un rumore assordante nelle orecchie che sembrava sentire solo lui.
Tempo prima, il biondino aveva sospettato che non gli sarebbe piaciuto scoprire l’identità della persona con cui la Granger aveva perso la verginità.
Non aveva torto, perché per qualche motivo l’idea che potesse essere successo con un Serpeverde lo infastidiva molto di più di quanto non facesse quella che fosse stato con Weasley prima di scoprire che non era così.
Si era innervosito al punto che le tempie avevano iniziato a fargli male e quando le voci degli amici erano divenute insopportabili, decise di mettere un punto a quella serata prima di diventare scontroso nei confronti di tutti, soprattutto dal momento che stranamente l’alcol sembrava iniziare a fargli effetto, minacciando la sua lucidità e il suo autocontrollo.
Hermione si fermò in Sala Comune anche dopo che gli altri se ne furono andati per sistemare il disordine che avevano lasciato e non sembrava fare caso agli occhi di Draco che la guardavano insistentemente dalla poltrona su cui si era lasciato ricadere una volta rimasti soli.
«Chi era, Granger?» domandò bruscamente il biondino, non riuscendo a soffocare l’impulso di farlo.
La ragazza si voltò a guardarlo come se non capisse la domanda, poi ritornò a fare quello che stava facendo, ignorandolo.
«Chi era il Serpeverde che hai baciato?» precisò allora, sbuffando.
«Di sicuro non qualcuno della ‘tua cerchia’», rispose evasiva lei.
Draco strinse forte i braccioli della poltrona e trasse un respiro profondo.
«Non sapevo che avessi una propensione verso le Serpi», proseguì imperterrito. «Mi sembra un tantino problematico, considerato come funzionavano le cose prima della fine della guerra.»
Doveva scoprirlo. Doveva avere quel nome.
Gli sembrava una cosa di vitale importanza in quel momento.
Hermione in un primo momento non disse altro, poi sospirò e, forse convinta che lui non sarebbe riuscito a udirla, si lasciò sfuggire un sommesso: «lui era diverso.»
Quel commento riuscì ad irritare Draco ancora di più. «Che cosa vorresti dire?»
«Lui non… si è mai comportato come la maggior parte di voi. Neanche quando era ancora a Hogwarts. E comunque, fare di tutta l’erba un fascio non è mai stata una mia abitudine.»
Il biondino assottigliò gli occhi. «Quindi è più grande di noi. Chi è, Granger?»
Lei non rispose e, quando Draco si accorse che si stava incamminando verso la porta che conduceva alle scale per il dormitorio femminile, si alzò di scatto e la raggiunse a grosse falcate. Le afferrò un polso e la voltò per guardarla negli occhi.
«Malfoy…»
«Chi è?» ripeté freddamente il biondino.
Sapeva di non aver alcun diritto di esigere una risposta e sapeva ancora meglio che non avrebbe dovuto mai usare quel tono autoritario con la Granger, ma non era riuscito a controllarsi.
Gli sembrava di impazzire.
Poteva gestire il fatto che la ragazza aveva un passato sentimentale alle spalle, era normale, ma aveva sempre supposto che ogni suo ex fosse stato qualcuno migliore di lui.
Non aveva mai pensato che potesse essere stato un Serpeverde.
Chiunque fosse era troppo simile a lui ai suoi occhi perché la cosa gli scivolasse semplicemente addosso e la archiviasse sotto la voce ‘trascorso non rilevante’.
Hermione sospirò. «Adrian Pucey, d’accordo? Ma non lo sa nessuno, quindi per favore tieni la bocca chiusa.»
Draco la lasciò andare di scatto. «Pucey?» domandò perplesso.
Però, dovette ammettere tra sé e sé, quella rivelazione aveva senso; Adrian Pucey si era sempre contraddistinto per una correttezza che non era mai stata distintiva dei Serpeverde. Draco ricordava che al terzo anno Flint gli aveva negato un posto in squadra perché, durante le partite di Quidditch, Pucey non infrangeva mai le regole, anche a costo di perdere. Non lo aveva mai sentito insultare un Nato Babbano, né visto prendere parte a un duello o a una rissa, né andarsene in giro con gli altri Purosangue di spicco del suo anno; frequentava per lo più quei pochi Mezzosangue smistati in Serpeverde che non avevano mai condiviso gli ideali purosanguisti e che quella che la Granger aveva poco prima definito ‘la sua cricca’, o qualcosa del genere, non prendeva neanche in considerazione. E, cosa più importante, lo aveva visto combattere tra le file dell’Ordine della Fenice durante la Battaglia finale.
Le file a cui lui, invece, aveva voltato le spalle fino alla fine.
La Grifondoro annuì, poi tornò a sedersi sul divano, lentamente, come se si fosse arresa definitivamente all’idea di rivelargli ciò che bramava di sapere.
«Suo padre era stato ucciso dai Mangiamorte durante la Prima Guerra Magica perché si era rifiutato di unirsi a loro» raccontò la ragazza con un filo di voce. «Così dopo aver lasciato Hogwarts, quando Voldemort stava accrescendo il suo seguito, ha deciso di iscriversi all’Accademia Auror. In quel periodo la necessità di Auror sul campo andava aumentando rapidamente e Adrian era il primo del suo corso. È stato promosso dopo neanche sei mesi di addestramento e affiancato a un Auror qualificato per terminare l’addestramento sul campo. Erano stati assegnati ai miei genitori.»
Draco le si sedette di fronte e ascoltò avidamente ogni singola parola che veniva fuori dalle labbra della ragazza. «Ne eri innamorata?»
Hermione si lasciò sfuggire una risatina priva di ilarità. «No, non avrei avuto il tempo di innamorarmi. Non ci credo all’amore a prima vista, Malfoy.»
Poiché il biondino continuava a scrutarla con aria interrogativa, la ragazza articolò ulteriormente. «Sono tornata a casa per le vacanze di Natale, durante il sesto anno, e all’inizio non mi fidavo affatto di lui. Ma poi abbiamo iniziato a parlare, ci siamo avvicinati. Solo che in quel periodo gli attacchi andavano aumentando giorno dopo giorno e tutto quello che riuscivo a pensare era “e se morissi da un momento all’altro? Ci sono tante cose che non ho ancora avuto modo di fare. Cose che vorrei fare prima di morire”. E l’ultima sera prima che partissi per tornare a scuola, lui era semplicemente lì. Più grande di me, bello e affascinante… non so neanche dove ho trovato il coraggio di baciarlo» ammise ridendo. «Non credevo che un Serpeverde potesse essere così, credo che facesse parte dei motivi per cui mi sentivo attratta da lui.»
A Draco veniva da vomitare.
Sapere che non fosse innamorata di Pucey non lo aiutava affatto a mitigare l’intensa ondata di gelosia che stava provando nei confronti del suo ex compagno di Casa.
«Adrian Pucey è il motivo per cui sono stata aperta all’idea di darvi una possibilità in primo luogo» rivelò ancora la giovane. «È stato lui che per primo mi ha fatto capire che non tutto è come sembra.»
Quelle parole lo colpirono con la forza di un pugno nello stomaco.
Per tutto quel tempo era stato convinto di essere stato lui a farlo, con il diario.
Represse l’impulso di mordersi la mano per la rabbia.
«Ci sei andata a letto?»
La domanda sfuggì dalle labbra di Draco senza che potesse impedirlo.
Non che volesse farlo, gli importava solo di venire a capo di quella situazione... e aveva abbandonato ogni razionalità già da un po’.
Hermione parve non notare il tono freddo e tagliente con cui il quesito era capitolato dalla bocca del Serpeverde, perché annuì semplicemente.
Il mondo si fece buio nella mente del biondino dopo quell’ultima rivelazione.
«Ma è successo solo una volta e dopo abbiamo deciso di restare solo amici.»
«Sei stata così stupida da dare la verginità a un Serpeverde, Granger?», le domandò in tono tagliente. «Cosa ti aspettavi? Che ti giurasse amore eterno e iniziaste una relazione da favola?»
Non intendeva ferirla, ma in quel momento era lui che stava male e preoccuparsi dei sentimenti altrui gli veniva difficile.
Era pur sempre Draco Malfoy.
Ma la Grifondoro sorrise. «Niente di tutto ciò. Avevamo entrambi bisogno di qualcuno quella notte e ci siamo stati l’uno per l’altra. Sapevo già che era tutto lì in partenza.»
«E non ti sei pentita?» chiese ancora il biondino. «Voi ragazze non avete tutte quella fissa di ‘aspettare quello giusto’?»
«Non mi sono mai pentita, no» ammise Hermione. «‘Quello giusto’ può avere significati diversi, Draco. E Adrian era quello giusto in quel momento della mia vita. Mi ha dato speranza in un momento in cui tutto ciò che vedevo era l’oscurità. Il fatto che sia sopravvissuta, alla fine, non cambia le cose.»
«Ma non avresti preferito che fosse qualcuno di cui eri innamorata?»
La ragazza fece spallucce. «È stato molto premuroso. Ho un bel ricordo di quella notte ed è tutto ciò che conta per me.»
Hermione si alzò dal divano e sbadigliò, incamminandosi per raggiungere la sua stanza. «Come ti dicevo, non lo sa nessuno. Spero che tu sappia mantenere un segreto, Draco Malfoy» disse infine, per poi richiudersi la porta alle spalle.  
Draco restò in Sala Comune per il resto della notte, incapace di muoversi, con lo sguardo perso nel vuoto. Ci avrebbe messo un po’ per digerire l’enorme quantità di informazioni indigeste di cui era venuto a conoscenza quella notte.
Tese un braccio sul tavolino e prese un appunto mentale di ringraziare Blaise per aver lasciato lì la bottiglia di Firewhiskey che non avevano finito, il giorno dopo; probabilmente, l’amico sapeva che ne avrebbe avuto bisogno e lo aveva fatto di proposito.
 
***
Hermione
 
Tutto ciò a cui Hermione riusciva a pensare dalla notte precedente era il motivo per cui aveva raccontato quelle cose a Draco Malfoy.
Non aveva mai voluto parlarne con nessuno, si era rifiutata di dare spiegazioni in merito persino a Ron quando stavano insieme, ma non era riuscita a negare delle risposte al biondino.
Era stato più forte di lei. C’era stato qualcosa nel tono della sua voce, o forse nel suo sguardo, quando le aveva chiesto chi avesse baciato, che l’aveva indotta ad assecondare la sua richiesta di conoscenza e non era stata capace di impedire alle parole di uscire dalla sua bocca.
Se n’era pentita il secondo dopo essersi richiusa alle spalle la porta del dormitorio femminile e aveva imprecato contro sé stessa per tutte le scale.
Aveva sempre custodito Adrian Pucey come un segreto prezioso, vedendolo come un qualcosa di interamente suo che voleva nascondere agli occhi e alle orecchie indiscrete del mondo esterno, sempre pronte a giudicare… eppure, aveva raccontato di lui all’ultima persona sulla faccia della terra che potesse avere la pretesa di accedere a quelle informazioni, l’ultima persona che potesse avanzare quella richiesta, l’ultima persona la cui curiosità avrebbe dovuto soddisfare.
Hermione sbuffò sonoramente, gettandosi di peso sul letto e prendendo a fissare il soffitto.
Che cavolo gli importa comunque?”, si domandò irritata. “Che gliene frega a Malfoy del Serpeverde con cui ho avuto una liaison in passato?
Non sapeva se fosse più infastidita dall’atteggiamento pressante del biondino in merito alla questione o dal fatto che lei aveva ceduto e gli aveva spifferato tutto senza riuscire a trattenersi.
Perché Draco Malfoy sembra aver sviluppato una sorta di potere su di me?”, si chiese ancora, deglutendo con forza, mentre una leggera paura iniziava ad opprimerle il petto.
Le parole di Ginny che cercava di convincerla che Malfoy avesse messo gli occhi su di lei riemersero indesiderate dai meandri più oscuri della sua mente.
«Tu fai finta di non vedere, perché ricambi l’interesse e la cosa ti terrorizza.»
Hermione scosse il capo, decisa.
Non poteva essere.
Ginny non poteva aveva ragione.
Malfoy non poteva provare qualcosa per lei.
E soprattutto, lei non poteva provare qualcosa per Malfoy.
Sarebbe stato il passo decisivo verso l’autodistruzione totale.
Un passo che Hermione non poteva permettersi di fare.
 
******
 
‘Da quando sono tornata nel mondo comune, tutto è così rumoroso.
Forse, semplicemente, non sono più abituata alla gente.
Forse ho passato troppo tempo da sola, isolata, e il minimo suono diventa un rumore alle mie orecchie.
Un’intrusione.
Forse non mi riabituerò mai più alla vita quotidiana in mezzo alle persone.
Forse, alla fine, mi comprerò una baita in mezzo al nulla e sparirò dalla faccia della terra per sempre.’
 
(Dal diario di Hermione, primi giorni a Hogwarts dopo la guerra)

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Capitolo 21
*** Capitolo 20. La Testa di Porco ***


CAPITOLO 20
La Testa di Porco
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
Draco

«Allora, si può sapere cosa sta succedendo tra te e Hermione?» gli chiese Potter alzando un sopracciglio e scrutandolo con aria interrogativa. «Lei non mi dice niente al riguardo.»
Draco sbuffò.
Incontrare il Prescelto durante la ronda quella sera non era stato già di per sé quello che avrebbe definito un colpo di fortuna, non aveva la benché minima intenzione di farsi fare il terzo grado da lui.
«Non so di cosa tu stia parlando, Potter.»
Il moro rise. «Siete davvero due idioti. Credete veramente che le persone attorno a voi non vedano come vi guardate? O che io non mi sia accorto del tempo che trascorrete insieme, da soli, di notte, nella vostra Sala Comune "privata"?»
Il Serpeverde si voltò a guardarlo, con gli occhi ridotti a due fessure. «E cosa vorresti saperne tu, sentiamo?»
Potter infilò una mano sotto il mantello, tirò fuori un oggetto dalla tasca interna, che assomigliava a una vecchia pergamena e gliela sventolò davanti con aria compiaciuta.
«E quella cosa sarebbe, Potter?»
«La Mappa del Malandrino», rispose attivandola. «Mostra tutti quanti a Hogwarts, dove sono, cosa fanno, ogni minuto, ogni giorno. Quasi ovunque.»
Draco arricciò il naso. «Da quanto tempo hai questa diavoleria?»
«Dal terzo anno.»
Il biondino fissò il Grifondoro come se si fosse trasformato tutto ad un tratto in uno Schipodo Sparacoda.
«Oh, non fare quella faccia! Come credevi che li sgamassi tutti quegli studenti fuori dal letto?» sogghignò divertito Potter. «Ed è inutile precisare», proseguì poi, indicando il punto sulla Mappa che corrispondeva alla Sala Comune dei Caposcuola, «che qui i nomi Draco Malfoy e Hermione Granger vengono spesso riportati insieme.»
Draco sbuffò di nuovo, ma si girò dall'altro lato, sperando che la complicità del buio della notte fosse sufficiente a nascondere il leggero rossore che era apparso inevitabilmente sulle sue guance.
«Alla faccia dell'etica e della privacy, Potter.»
«Non posso credere che proprio tu mi stia facendo il discorsetto sulla correttezza», commentò Harry. «La useresti anche tu se l'avessi.»
Il biondino fece spallucce. «È una cosa molto da Serpeverde.»
«In effetti», replicò l'altro, facendosi pensieroso. «Non lo sa nessuno, ma il Cappello Parlante ha considerato di Smistarmi in Serpeverde in un primo momento.»
Lo sguardo di Draco saettò su di lui, basito. «Cosa? E come ci sei finito in Grifondoro allora?»
Il Prescelto scrollò le spalle. «Ron mi aveva detto che quasi tutti i maghi diventati cattivi venivano da Serpeverde, allora ho chiesto al Cappello di mandarmi altrove.»
Il silenzio calò pesantemente tra loro dopo quella rivelazione e la mente di Draco scivolò via, lontano dalla sua esistenza per come l'aveva vissuta fino a quel momento.
Avrebbe dovuto dirgli che ringraziava Merlino e Morgana per il fatto che alla fine non fosse stato Smistato nella sua stessa Casa, o qualcosa del genere, esserne contento in qualche misura. Invece, Draco immaginò la sua vita se Ronald Weasley si fosse fatto gli affari suoi e Harry Potter fosse stato smistato in Serpeverde, non in Grifondoro.
Si chiese se in tal caso si sarebbero uccisi a vicenda o se alla fine sarebbero diventati amici... se Potter lo avrebbe portato sulla giusta strada o se sarebbe comunque stato abbandonato a sé stesso com'era accaduto veramente.
La sua fantasia stava prendendo il sopravvento, mentre immagini di una vita completamente diversa dalla sua prendevano forma nella sua mente.
Magari avrebbe avuto degli amici veri fin dall'inizio.
Magari avrebbe abbandonato l'ideologia purosanguista molto tempo prima, prima di commettere tutta quella serie di stupidi errori che lo avevano segnato per sempre e gli avevano distrutto la reputazione probabilmente per l'eternità.
Magari non avrebbe mai preso il Marchio e Potter gli avrebbe insegnato ad essere coraggioso, a lottare, ad opporsi al volere di suo padre e a voltare le spalle all'idea di futuro che gli aveva sempre prospettato davanti fin da quando era in fasce.
Magari non avrebbe mai trattato Hermione come aveva fatto, forse addirittura sarebbero stati amici.
Forse gli avrebbe insegnato ad amare prima e sarebbe andato al Ballo del Ceppo con lei, al quarto anno.
Forse avrebbe potuto averla, senza avvertire il senso di colpa costante per quello che le aveva fatto in passato, sempre pronto a torturarlo internamente.
Sarebbe intervenuto al Manor, l'avrebbe portata via, l'avrebbe tenuta al sicuro.
L'avrebbe protetta.
Avrebbe potuto meritarla.
Avrebbe potuto amarla ed essere amato da lei.
E sarebbe stato lui la sua prima volta, non quell'idiota di Pucey.
Non ci sarebbe stato nessun Ronald Weasley nel suo cuore, non romanticamente almeno.
E quell'anno avrebbe trascorso ogni notte con lui, l'avrebbe stretta tra le sue braccia e l'avrebbe amata come era certo né il rosso, né Pucey avevano saputo fare in passato.
O forse, invece, sarebbe stato ugualmente ottuso al punto che la presenza del Prescelto in Serpeverde non avrebbe fatto alcuna differenza nella sua vita e avrebbe avuto il medesimo percorso e lo stesso miserabile destino del sé attuale.
«Senti, Malfoy» disse Potter, interrompendo il flusso dei suoi pensieri allo sbaraglio. «Non so cosa ci sia tra di voi e sinceramente non mi interessa. In qualsiasi caso, mi fido di Hermione. E ho deciso tempo fa di darti una seconda occasione, per vedere quello che puoi fare quando non hai il cappio al collo. Ma se le fai del male-»
«Non ho intenzione di ferirla, Potter», lo interruppe in tono fermo Draco. «Io... lei è importante per me.»
Il Grifondoro lo guardò completamente spiazzato per qualche istante.
Evidentemente non era quello che si era aspettato di sentire uscire dalle labbra di Draco Malfoy, ma il biondino era semplicemente stanco di negare l'evidenza al resto del mondo.
E se mettere in chiaro le cose gli avrebbe permesso di essere lasciato in pace e di non avere gente in mezzo a sindacare sul suo rapporto con la Granger, lo avrebbe fatto volentieri altre mille volte. Anche se definire Hermione "importante per lui" gli sembrava estremamente riduttivo.
Potter si schiarì la gola e poi annuì distrattamente, massaggiandosi il retro della testa a disagio. «Ehm, sì. Bene.»
«Ci si vede in giro, Potter.»
§

Prima o poi, Hermione Granger lo avrebbe fatto impazzire.
O meglio, la naturalezza con cui fingeva che niente fosse successo il giorno dopo aver condiviso una conversazione intensa lo avrebbe condotto alla pazzia, alla fine dei giochi.
Forse il Wizengamot gli aveva offerto la grazia di tornare a Hogwarts perché era convinto che subito dopo i M.A.G.O. sarebbe finito dritto al San Mungo.
Tutta la questione di Pucey continuava a tormentare Draco, senza che avesse alcun modo di capire perché lo turbasse tanto solo perché si trattava di un Serpeverde, mentre Hermione sembrava non dare alcun peso alla conversazione che avevano avuto la sera del gioco.
La cosa avrebbe dovuto tranquillizzarlo, ma non era esattamente così, perché il biondino non era ancora sicuro di dove si collocasse il rapporto tra lei e Pucey.
Gli aveva detto che erano rimasti amici dopo quella vicenda, ma lo erano ancora?
Pucey cosa provava per lei?
E soprattutto, lei cosa provava per Pucey?
Era un'altra persona di cui doversi preoccupare o si sarebbe tenuto alla larga?
Perché era così convinto di poter conquistare la Granger, ad ogni modo?
Sembravano tutti sicurissimi che l'interesse tra i due fosse reciproco, ma tutto ciò che Draco aveva colto fino a quel momento erano segnali contrastanti da parte della ragazza.
L'aveva quasi baciata e lei glielo aveva quasi lasciato fare, ma poi aveva evitato l'argomento con estrema accuratezza; non solo, non era più scesa in Sala Comune durante la notte. La sera del gioco l'aveva bloccata lui, ma era dalla notte in cui si erano quasi lasciati andare che la Grifondoro faceva di tutto pur di non restare da sola con lui più di quanto non fosse necessario.
Il Serpeverde odiava con tutto sé stesso quella nuova dinamica.
Si voltò verso Hagrid e gli rivolse un cenno del capo. Il Guardiacaccia si raccomandò di farsi trovare all'entrata della Testa di Porco quando aveva finito ai Tre Manici di Scopa con i suoi amici e poi si separarono.
Draco sapeva che la fiducia che il Mezzogigante riponeva in lui di recente era dovuta semplicemente al fatto che nel suo gruppo ci fossero anche Potter, Weasley e la Granger, e che forse non era affatto fiducia nei suoi confronti ma consapevolezza che lo avrebbero tenuto d'occhio loro, ma era comunque grato di avere un minimo di libertà durante i fine settimana a Hogsmeade.
Entrò nel locale e individuò il tavolo di Blaise, per poi notare subito che c'era una nota stonata in quel quadretto: mancava la Granger.
Sapeva già dell'assenza di Potter e Daphne, che a quanto pare avevano un appuntamento quel giorno, finalmente, ma non aveva la minima idea del motivo dell'assenza della Grifondoro.
Si andò a sedere e rivolse un cenno del capo ai presenti in segno di saluto. Seamus Finnigan passò davanti a loro e fece un passo per avvicinarsi, ma quando scorse la testa biondo platino di Draco sembrò avere un ripensamento e procedette in direzione opposta.
Dean si scusò con loro per il comportamento dell'amico e poi lo raggiunse.
Draco non disse niente; Seamus Finnegan, d'altronde, non significava assolutamente nulla per lui e poteva pensare quello che gli pareva senza che lui ne venisse scalfito in alcun modo.
Gli prudevano le mani, però, perché Hermione non si era fatta viva neanche un'ora dopo.
Di soppiatto, tirò una gomitata a Blaise e il ragazzo capì immediatamente cosa volesse comunicargli.
«Ehm, Ginny», disse con nonchalance Zabini. «La Granger non è venuta a Hogsmeade oggi?»
«Oh, sì», affermò lei sorridendo.
Malfoy sospettava che la rossa sapesse perfettamente il motivo per cui Blaise le aveva rivolto quella domanda, perché anche se non menzionò la faccenda, scoccò uno sguardo eloquente nella sua direzione, che il biondino decise di ignorare bellamente.
«Ma ha incontrato un amico per strada e si è fermata a parlare con lui. Ha detto che se farà in tempo ci raggiungerà dopo, altrimenti ci vedremo direttamente al castello.»
Draco si irrigidì sentendo quelle parole.
«Un amico?» ripeté, cercando di suonare il più disinteressato possibile.
Quella domanda non fece che accentuare la consapevolezza nello sguardo della rossa.
«Un amico» confermò, senza argomentare oltre.
Draco non avrebbe abboccato all'amo.
Fece una smorfia di indifferenza e scrollò le spalle, anche se dentro stava morendo.
Con chi era Hermione?
Finch-Fletchley?
Gli altri, in fondo, erano tutti lì.
Persino Weasley, seduto un tavolo più avanti con Astoria e si tenevano per mano.
Forse aveva preso un granchio quando aveva creduto che il rosso volesse usare la Serpeverde per allontanare lui dalla Granger.
Forse usare le persone era una prerogativa dei Serpeverde o nello specifico, dei suoi genitori. Draco si sforzò di rimandare il pensiero dei coniugi Malfoy nell'abisso da cui erano riemersi. Stava diventando sempre più complicato tenere in ordine la sua mente.
La Granger non li raggiunse mai, così, due ore di silenzio dopo e temendo che iniziasse a uscirgli del fumo dalle orecchie, Draco decise di raggiungere Hagrid e tornarsene al castello.
Fu proprio dalla finestra della Testa di Porco che li vide.
Seduti a un tavolo appartato, Hermione e Adrian Pucey, che si guardavano intensamente, con le mani poggiate sul tavolo e strette una in quella dell'altra.
Draco serrò i pugni, mentre una strana sensazione molto simile agli attacchi di panico che era solito avere durante il sesto anno, ma allo stesso tempo completamente diversa, iniziava ad assalirlo.
Non riusciva a respirare e il cuore gli batteva furiosamente nel petto.
Non era una sensazione bella.
Gli sembrava di essere sul punto di morire o di scoppiare.
La prima cosa che fece di ritorno al dormitorio fu ficcarsi sotto la doccia e aprire l'acqua fredda. Chiudere gli occhi e cercare di trattenere le lacrime, perché Draco Malfoy aveva pianto in passato, ma mai per cose futili come quella. Non aveva intenzione di iniziare ora.
Ma scoprì cinque minuti dopo che il suo cuore delle intenzioni del suo cervello se ne infischiava alla grande.
"Ti prego", si ritrovò a pensare angosciato. "Ti prego non tornare da lui. Ti prego, sii mia, Hermione. Anche se non ti merito. Scegli me. Almeno tu... scegli me."
 
***
Hermione

Seguì Adrian tra le vie di Hogsmeade e raggiunse la Testa di Porco con poco entusiasmo.
Hermione sapeva che quel locale non era il luogo ideale per avere una conversazione privata, ma i Tre Manici di Scopa sarebbero stati sicuramente troppo affollati e tutti i suoi amici sarebbero andati sicuramente lì.
Harry e Daphne, inoltre, avevano un appuntamento e avevano scelto l'unico altro locale in cui mangiare una cosa nelle vicinanze, per cui non aveva veramente altre opzioni.
Si accomodarono al tavolo più appartato e quando Aberforth Silente gli piazzò davanti due bottiglie di Burrobirra, i due si scambiarono uno sguardo d'intesa.
«Credi che sia sicuro berla?» bisbigliò Adrian, facendola quasi scoppiare a ridere.
Hermione agitò leggermente la bacchetta e igienizzò le bevande per buona misura.
«Non si sa mai», commentò facendogli un occhiolino.
Il ragazzo rise e bevve un lungo sorso.
Adrian Pucey era alto e aveva i capelli color biondo cenere e gli occhi più azzurri che Hermione avesse mai visto. Un tempo aveva avuto un fisico slanciato, ma gli allenamenti da Auror erano stati generosi con lui, perché laddove un tempo c'erano delle semplici definizioni ora i muscoli erano evidenti anche se coperti dalla camicia.
«Come stai, Hermione?»
La ragazza esibì il sorriso più convincente che riuscì a fare. «Sto bene, e tu?»
Incontrare Adrian a Hogsmeade era stata la cosa più bella che le fosse accaduta nelle ultime settimane.
Si erano tenuti costantemente in contatto dopo la guerra, ed erano più che semplici amici, indipendentemente da quello che aveva detto a Malfoy.
Per lei, Adrian faceva parte della sua famiglia.
«Se ti dicessi che sto bene, mentirei come hai appena fatto tu», rispose il giovane, sorridendo amaramente.
La Grifondoro abbassò lo sguardo sul tavolo e sospirò.
«È difficile credere che sia veramente tutto finito», ammise la ragazza. «Non... non riesco a sentirmi al sicuro.»
«Soprattutto quando ti confinano in un dormitorio con Draco Malfoy», asserì lui, studiandola attentamente.
Hermione dischiuse le labbra. «Oh, no. Draco, lui non... non è una minaccia per me, assolutamente» farfugliò colta alla sprovvista. «Lui... è diverso, ora.»
«Diverso», ripeté in tono scettico Adrian. «Malfoy
Hermione annuì con convinzione. «Il problema è un altro», si sbrigò ad aggiungere. Non voleva parlare di Malfoy con Adrian, non quando aveva il sospetto di aver iniziato a provare per lui qualcosa che mai avrebbe dovuto provare per Draco Malfoy.
«Non so se hai saputo di quello che è successo a Dennis Canon...»
Pucey fece un cenno d'assenso con il capo e divenne serio. «Credi che sia stato preso di mira in quanto Nato Babbano?»
Hermione fece spallucce. «Non ci sono presupposti che lascino pensare una cosa del genere. Ma dopo tutto quello che è successo... è difficile credere che non sia così. Temere che non sarò la prossima. Ed è dannatamente difficile anche fingere di esserci abituata, che la cosa non mi ferisca più come una volta... che le cose possano cambiare davvero...»
Il giovane si passò una mano sulla mascella e poi scosse il capo. «Io credevo veramente che sarebbe andata meglio, dopo la guerra. Che la gente avrebbe imparato. Invece torno a Hogsmeade e la prima cosa che vedo sono Pansy Parkinson e Theodore Nott che spingono Justin Finch-Fletchley nella neve apostrofandolo con quel termine.»
«Alcuni di loro sono cambiati», lo informò Hermione distrattamente. «Blaise e Daphne escono con noi, ora. Alcuni hanno dichiarato pubblicamente di aver abbandonato l'ideologia purosanguista. Altri si fanno gli affari propri e restano all'interno della loro cerchia ristretta. Altri, invece, sono sempre gli stessi.»
«Non so perché si comportano così», ammise sconsolato Adrian. «C'è più di un Serpeverde decente al castello, ma è come se tutti seguissero una regola non scritta e preferissero nascondere la parte migliore di sé.»
Hermione si mordicchiò una guancia, ma arrivata a quel punto concordava con lui.
«Forse sono così abituati ad essere visti dal mondo come i cattivi della situazione, che ormai si limitano a dargli dei motivi per farlo con una ragione» considerò ancora il ragazzo.
La mente della Grifondoro volò immediatamente a Draco, al modo in cui si era rivelato una persona completamente diversa da quella che aveva sempre mostrato al mondo esterno; al modo in cui sembrava aprirsi veramente solo con lei e mantenere le distanze da tutti gli altri, sebbene regolasse i livelli di scontrosità quando si trovava in compagnia del resto del gruppo; al modo in cui non parlava mai veramente, non con gli altri, perché considerava essenziale non esporsi, non dare la possibilità alla gente di conoscerlo a fondo per evitare di lasciar loro capire che aveva delle debolezze e che esse venissero usate contro di lui. Probabilmente, se non ci fossero stati i diari, non le avrebbe mai dato tutto quell'accesso alla sua sfera più intima.
Forse, pensò Hermione, Draco aveva paura di essere ferito come chiunque altro, semplicemente.
Scosse forte il capo per scrollarsi di dosso il pensiero del biondino; quando la sua testa tornava a lui, si perdeva nelle riflessioni per ore e quello non era il momento adatto per farlo.
Hermione sospirò. «Magari un giorno il nome della Casa di Serpeverde verrà ripulito. Tu sei un esempio del buono che può venirne fuori.»
Adrian le rivolse un sorriso dolce. «Magari.»
Restarono in silenzio per qualche istante, poi il ragazzo si fece incredibilmente serio. Posò entrambe le mani sul tavolo e si chinò per avvicinarsi a lei.
«Hermione, devo dirti una cosa» bisbigliò concitatamente. «Ho bisogno che non ti entusiasmi troppo e che non ti faccia sopraffare da false speranze, però.»
Gli occhi della ragazza si allargarono e le sue labbra si dischiusero, mentre deduceva da sé dove Adrian volesse andare a parare.
«Li hai trovati» sussurrò sorpresa. «Hai trovato i miei genitori.»
Il giovane annuì brevemente. «Sto cercando di capire come ripristinare i loro ricordi. Sono in contatto con un Guaritore del San Mungo. Se qualcuno può aiutarci a riaverli indietro, quello è lui.»
Hermione si portò le mani sul viso ed esalò un gemito, avvertendo le lacrime pungere per fuoriuscire dai suoi occhi.
«Per favore, non... non ti illudere troppo» la supplicò lui. «Non voglio... non voglio che tu viva nell'illusione di poter risolvere la situazione e poi rimanga irreparabilmente ferita dalla delusione, se non dovessimo riuscirci. Non ti mentirò, è... complicato. Il Guaritore mi ha detto che le probabilità di successo sono... scarse
La ragazza si costrinse ad annuire e a non cedere al dolore che stava provando in quel momento.
Quando aveva rimosso sé stessa dall'esistenza dei suoi genitori, Hermione era perfettamente consapevole del rischio che l'incantesimo non fosse reversibile; sapeva che avrebbe potuto perderli per sempre facendolo.
Manomettere la memoria di qualcuno era sempre un affare rischioso, complicato, e cancellare diciotto anni di ricordi... le probabilità di non riuscire a ripristinarli mai più erano altissime, Hermione aveva fatto le sue ricerche prima di valutare quel piano. Ma in quel periodo, la sicurezza dei suoi genitori veniva prima di tutto e obliviarli era stato l'unico modo per mandarli lontano senza che cercassero di portarla via con loro.
Non avrebbero mai accettato di lasciarla e lei avrebbe sempre costituito un pericolo per loro, anche se avesse rinunciato alla ricerca degli Horcrux per restare al sicuro con la sua famiglia; non che quella fosse veramente un'opzione, al tempo.
Anche Harry era parte della sua famiglia e non lo avrebbe mai abbondato a sé stesso.
Sconfiggere Voldemort era più importante di qualsiasi altra cosa, era l'unico modo per avere un po' di pace dopo anni di tormenti e preoccupazioni. Era l'unico modo per garantirsi un futuro, per assicurarsi che i Nati Babbani e i loro sostenitori ne avessero uno.
Adrian le afferrò una mano e la strinse forte, forse nel vano tentativo di darle conforto.
«Ti terrò aggiornata, d'accordo?»
Hermione annuì di nuovo.
Prima di lasciare il pub, Adrian si offrì per accompagnarla fino all'entrata del castello.
Aveva ricominciato a nevicare, ma non aveva voluto saperne di lasciarla andare da sola.
«È passato troppo poco tempo perché mi senta tranquillo sapendoti in giro da sola.»
Lo vide stringersi forte nelle spalle e affondare le mani nelle tasche del pesante, ma elegante, cappotto che indossava.
«Beh, io sono arrivata», disse la ragazza, tirando su col naso. «Grazie per quello che stai facendo.»
«I tuoi genitori sono anche la mia famiglia, Hermione» rispose lui. «L'unica che mi è rimasta. Non devi ringraziarmi.»
Lei annuì, lo abbracciò dolcemente e lo salutò; poi si diresse verso il castello, ma fu richiamata nuovamente dalla voce del giovane.
«Hermione.»
Si voltò a guardarlo con la fronte corrugata.
«Ci... ci pensi mai, a quella notte?» le chiese esitante. «A... come avrebbero potuto essere le cose tra di noi se in quel momento non fossimo stati nel mezzo di una guerra?»
Hermione si morse il labbro inferiore per qualche istante e poi annuì stancamente.
«Sì», ammise. «Ci ho pensato spesso. Ma immagino che sia una di quelle cose che non potremo mai sapere.»
Adrian annuì debolmente. «Buonanotte, Hermione.»

******
'È davvero difficile smettere di chiedersi come diavolo abbia fatto a non accorgermene prima, a non aprire gli occhi prima.
Mi vergogno di quello che sono stato.
Dell'entusiasmo che ho provato in certe occasioni, prima di rendermi conto che stavo indugiando in una visione distorta della realtà e che non c'era alcun piacere da trarre da tutto quello che stava accadendo.
Mi torturo con i "se", però ho esaurito i "ma".
Immaginare la mia vita ora se avessi fatto delle scelte diverse è una tortura e un conforto allo stesso tempo, ma tu...
Tu mi darai del masochista e mi dirai di smetterla di alimentare i miei tormenti in questo modo, che aver cambiato le mie idee è significativo.
Non lo farò.
Questo è quello che merito.
Qualcuno mi deve punire, in qualche modo devo pagare.
Le occasioni che avevo per fare la cosa giusta quando aveva ancora importanza le ho bruciate.
Forse, il dolore è l'unico modo che mi è rimasto per espiare i miei peccati.'

(Dal diario di Draco, primi tempi a Hogwarts dopo la guerra.)

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21. Lacrime Amare ***


CAPITOLO 21
Lacrime Amare








 
 
 
Hermione
 
Gettò cappotto, cappello, sciarpa e guanti sul divano e poi si mise le mani tra i capelli.
Si sentiva drenata da tutte le energie; doveva solo assicurarsi di arrivare alla sua stanza, bastava un ultimo, piccolo sforzo e avrebbe potuto buttarsi sul suo letto e crollare, piangere.
Voleva solo piangere e urlare, lasciar uscire quel dolore opprimente.
«Granger?»
Non sentì la voce di Draco chiamare il suo nome; proseguì in direzione delle scale, sorreggendosi alla parete con una mano.
«Hermione!»
Si sentì afferrare per un braccio e voltare di lato; pensò che in quel momento dovesse proprio sembrare una bambola di pezza, priva di forze e incapace di opporsi a quei movimenti.
Sapeva di avere le guance rigate dalle lacrime, perché aveva smesso di riuscire a trattenerle nel momento in cui aveva voltato le spalle ad Adrian ed aveva varcato la soglia del castello.
Non appena si era ritrovata da sola.
«Cos’è successo?» le domandò Draco e Hermione poté avvertire chiaramente la preoccupazione nella sua voce. «Hermione, per favore, parla!»
Ma lei poté solo scoppiare a piangere a dirotto e l’unico passo che fu in grado di fare era quello che separava il suo corpo da quello del Serpeverde.
Si aggrappò a lui come se stesse precipitando da un dirupo e Malfoy fosse l’unica cosa che si frapponeva tra lei e la morte; affondò il volto nel suo petto e chiuse gli occhi, mentre tremava stretta tra le sue braccia.
Le mani di Draco si muovevano rassicuranti sui suoi capelli, sulla sua schiena, Hermione le sentiva ovunque e da nessuna parte.
«Hermione», le sussurrava dolcemente di tanto in tanto, ma lei non riusciva a parlare.
Era consapevole che dovesse sembrargli pazza, ma cos’altro poteva fare se non piangere?
Rimasero in quella posizione per quelle che sembrarono ore e poi finalmente, riuscì ad articolare una frase di senso compiuto.
«Oggi a Hogsmeade, ho incontrato Adrian…»
Gli aveva inzuppato la camicia di lacrime, credeva che meritasse almeno di sapere il perché.
«È stato lui a ridurti così?», le chiese immediatamente il biondino. «Che cosa ti ha fatto?»
Ma Hermione scosse il capo. «No, lui non… mi farebbe mai del male.»
Vide Draco corrugare la fronte, confuso e chiaramente indeciso se porgerle altre domande o aspettare che parlasse da sola.
«Mi… mi ha detto che ha trovato i miei genitori. Che è in contatto con un Guaritore del San Mungo», si sforzò di spiegare. «E che pensano che probabilmente non riusciranno ad annullare il mio Incantesimo di Memoria.»
Hermione scoppiò di nuovo a piangere e le braccia di Draco l’accolsero nuovamente, stringendola forte.
«Ho distrutto la mia famiglia, Draco!»
«No», mormorò subito lui, «non l’hai distrutta, Granger. L’hai salvata.»
La Grifondoro si allontanò leggermente da lui e lo guardò con aria interrogativa. «Cosa sai? Che cosa non mi stai dicendo?»
Il biondino deglutì forte e le rivolse uno sguardo carico di dispiacere. «Sei tornata a casa tua dopo la guerra?»
Lei scosse il capo debolmente.
«Non lo fare.»
Hermione si portò una mano sulle labbra. «C-cosa…»
«Greyback e tutti e tre i Lestrange sono stati mandati a casa dei tuoi genitori nell’esatto momento in cui le protezioni del Ministero sono cadute.»
La giovane si nascose il volto tra le mani, mentre la crisi di pianto ricominciava.
Il suo corpo era scosso violentemente dai singhiozzi, quando Draco la avvicinò nuovamente a sé per confortarla. «Li hai salvati, Hermione.»
§
Quando Hermione non aveva più forze neanche per piangere e le palpebre erano troppo pesanti per restare aperte, sentì le braccia di Draco spostarsi sul retro delle sue ginocchia e in corrispondenza delle sue spalle, per poi sollevarla con delicatezza.
Si sforzò di riaprire gli occhi quanto bastava per incrociare il suo sguardo e porgergli una muta domanda, ma lui si limitò a rivolgerle un piccolo sorriso.
La adagiò con dolcezza sul materasso del suo letto e le sussurrò un flebile «Dormi, Granger», prima di accennare ad allontanarsi da lei per tornare nella Sala Comune.
Hermione tese un braccio per prendergli una mano, ma riuscì solo ad agguantare debolmente una delle sue dita lunghe e sottili.
Draco si voltò immediatamente verso di lei.
«Resta» bisbigliò in maniera a malapena udibile. «Per favore.»
Il biondino la osservò sbattendo le palpebre per qualche secondo, totalmente spiazzato da quella richiesta, ma poi si diresse nuovamente verso di lei e si distese al suo fianco.
Hermione fece scivolare una mano lungo la sua schiena, mentre si rannicchiava contro il Serpeverde e chiudeva gli occhi, stanca.
«Non lasciarmi sola.»
Draco la rinchiuse nuovamente tra le sue braccia e la strinse a sé.
«Mai, Granger» le disse e il tono della sua voce la faceva sembrare la più dolce delle promesse alle orecchie di Hermione. «Non ti lascerò mai.»
E mentre la Grifondoro si chiedeva come fosse possibile che stesse veramente trovando conforto tra le braccia di Draco Malfoy e che potesse trovarle rassicuranti, che potesse sentirsi così al sicuro tra di esse, scivolando lentamente tra le braccia di Morfeo, sentì Draco mormorare parole che le aveva detto più di una volta negli ultimi mesi, ma che per la prima volta suonavano come la chiusura di un cerchio.
«Mi dispiace, Granger. Mi dispiace per tutto.»
§
Quando Hermione si svegliò la mattina seguente, Draco non era al suo fianco.
Borbottò qualcosa sui tempi record che aveva impiegato per infrangere la promessa che le aveva fatto la sera prima, mentre si tirava su a sedere con estrema fatica, poi una testa biondo platino fece capolino dalla porta, con un vassoio pieno di cibo tra le mani.
Draco sbuffò. «Credevo che sarei riuscito a tornare prima che ti svegliassi» le disse amareggiato. «Ti ho portato qualcosa da mangiare, visto che era già tardi per la colazione.»
La ragazza si sentì leggermente in colpa per aver pensato immediatamente male di lui, ma gli sorrise debolmente. «Grazie.»
Non aveva molto fame, ma non voleva neanche essere così scortese da rifiutare un gesto del genere… tra l’altro, da parte del più grande scansafatiche del castello, in termini di lavori domestici.
Le si sedette accanto e le tolse una ciocca di capelli dal volto, bloccandola dietro il suo orecchio.
«Non me la sento di venire a lezione, oggi» sussurrò lei tra un sorso di Succo di Zucca e l’altro. «Posso restare qui?»
Sentiva di non avere abbastanza forze per raggiungere la sua stanza.
Draco le sorrise ed acconsentì con un breve cenno del capo. «Vuoi che resti con te?»
«Non puoi saltare le lezioni se non per motivi validi, Draco.»
«Tu sei un motivo valido» obiettò lui, deglutendo subito dopo.
Gli angoli delle labbra di Hermione si incurvarono all’insù. «Temo che il Wizengamot la penserebbe diversamente.»
Il biondino sbuffò. «Dillo che vuoi i miei appunti, Granger.»
«Sono entrambi buoni motivi per cui non dovresti saltare le lezioni.»
Draco rise e poi le si avvicinò pericolosamente, accarezzandole una guancia mentre la guardava con un’espressione che Hermione non riuscì a decifrare.
«Stai bene, Granger?»
La ragazza ingoiò saliva, realizzando quanto poca distanza ci fosse tra il suo viso e quello del Serpeverde in quel momento.
«Meglio», rispose dopo essersi schiarita la gola.
Lui annuì e restò a guardarla un istante più del necessario.
Due secondi dopo, Hermione sentì le labbra del biondino contro la propria tempia.
«Torno a controllarti prima di pranzo e a portarti qualcosa da mangiare» le sussurrò prima di richiudersi la porta alle spalle e dirigersi a lezione, senza rivolgerle un altro sguardo.
La Grifondoro udì solo metà di quella frase, perché il cuore le batteva talmente tanto velocemente da impedirle di sentire gran parte dei suoni attorno a lei.
Si lasciò ricadere sul letto, afferrò il cuscino su cui aveva dormito Draco e se lo premette sulla faccia per soffocare un gemito disperato.
Il profumo singolare del giovane, rimasto impresso sulla stoffa, le invase le narici, inebriandole i sensi.
Aveva proprio un buon odore Draco, pensò chiudendo gli occhi e lasciandosi pervadere da quell’aroma intenso, lasciandosi quasi cullare dal ricordo delle braccia del biondino che la stringevano nella notte.
”, ammise rassegnata. “Draco ha un buon odore. E tu sei completamente fottuta.

 
***
Draco
 
C’erano diversi modi di salvare la propria famiglia e Draco lo sapeva bene.
A volte, le scelte necessarie per mettere in sicurezza le persone care non venivano apprezzate da queste ultime, ma non per questo erano meno necessarie.
Sua madre aveva tradito Voldemort per salvare lui.
Draco aveva tradito Voldemort per salvaguardare la sua unica speranza di libertà, per proteggere l’identità dell’unica persona al mondo che avrebbe potuto mettere fine al regno del terrore del mago oscuro.
Lucius pensava che avessero distrutto il nome dei Malfoy.
Draco era certo che lo avessero salvato dalla rovina più totale, che avessero salvato il salvabile.
Non importava l’opinione di suo padre in merito.
Era il motivo per cui aveva potuto rassicurare la Granger in quel modo la notte prima.
La ragione per cui le aveva potuto assicurare che non aveva distrutto la sua famiglia, ma che al contrario l’aveva salvata.
Si era sentito morire quando le aveva dovuto rivelare quello che aveva udito al Manor la notte della caduta del Ministero.
E per un momento aveva visto il vuoto nelle iridi della ragazza e aveva temuto che lo avrebbe respinto per il resto della loro vita.
Ma non era successo, forse perché in quel momento aveva troppo bisogno del suo sostegno o forse perché aveva capito.
Per Draco andava bene in ogni caso.
Quando l’aveva vista in quello stato, tutta la sua gelosia per il saperla con Pucey e per l’averli visti insieme era svanita bruscamente, rimpiazzata dalla preoccupazione.
Era andato in Sala Comune con l’intenzione di scoprire cosa stesse succedendo, ma non aveva capito che ci fosse in ballo qualcosa di così serio, né che il suo rapporto con Pucey fosse così profondo.
Ma aveva dormito con lui.
Aveva dormito di nuovo tra le sue braccia e poteva ancora avvertire il sapore della sua pelle contro le labbra dopo averle baciato la tempia.
E per quel momento era abbastanza.
Abbastanza da tenere a bada il mostro che sembrava aver preso possesso del suo stomaco e permettergli di mettere da parte le domande che gli avevano fatto arrovellare il cervello finché non era ritornata al castello la sera prima.
Se ci fosse stata ancora qualcosa tra lei e Pucey, Hermione non avrebbe dormito con lui e di questo Draco era estremamente certo. 
E c’era anche un’altra cosa di cui era assolutamente sicuro: non voleva vederla soffrire in quel modo mai più.
Fosse stata l’ultima cosa che avrebbe fatto, Draco si sarebbe assicurato personalmente che non sarebbe successo un’altra volta.
§
Il ballo si avvicinava sempre di più e lui non aveva ancora trovato il coraggio di invitare Hermione.
Si era ritrovato più volte ad assistere ai tentativi di invitarla da parte di qualche studente, un Corvonero e almeno due Tassorosso, un Grifondoro e persino un Serpeverde che Draco non aveva mai degnato di uno sguardo in vita sua, tanto che non aveva neanche la minima idea di chi fosse.
Hermione aveva gentilmente declinato tutti gli inviti.
Una parte di lui si chiedeva se lo stesse facendo perché aspettava il suo, ma poi la parte più razionale del suo cervello gli dava dello stupido e abbandonava l’idea.
A sentire Blaise, la piccola Weasley sosteneva che la Granger aveva semplicemente deciso di andarci da sola e a Draco quella sembrava una spiegazione molto più plausibile di quella che il suo recentemente nato lato sognatore aveva abbozzato.
Non c’era verso che avrebbe accettato se le avesse chiesto di farle da cavaliere, - perché avrebbe dovuto? Probabilmente si sarebbe anche vergognata di farsi vedere a un evento di quel tipo con lui, che aveva la reputazione sottoterra in quel periodo -, e anche se fosse, tentare gli sembrava la cosa sbagliata da fare.
Se aveva detto di volerci andare da sola, non aveva senso gettarle addosso la pressione di dover capire come rifiutare il suo invito senza ferire i suoi sentimenti.
Non che pensasse che la Granger dovesse preoccuparsi di non ferire i suoi sentimenti, non dopo tutto quello che le aveva fatto in passato.
Blaise non era d’accordo con lui, pensava che dovesse almeno rischiare un rifiuto, cercare di assicurarsi la sua compagnia al ballo, ma Draco aveva ormai deciso che ci sarebbe andato da solo anche lui e che avrebbe improvvisato una volta lì.
Il rumore sordo di un tomo che veniva sbattuto con prepotenza sul tavolo lo distolse dai suoi pensieri, portando i suoi occhi a posarsi sulla piccola di Casa Greengrass che era appena arrivata al tavolo dei Serpeverde.
Sembrava avere un diavolo per capello; alcune ciocche erano sfuggite alla sua complicata e usuale pettinatura ed era letteralmente livida in volto.
Draco corrugò la fronte. «Tutto bene, Astoria?»
La ragazza non lo degnò di uno sguardo e lui scambiò un’occhiata perplessa con Daphne, che si limitò a scrollare le spalle.
«Astoria?» la richiamò per attirare la sua attenzione e finalmente la ragazza sembrò ritornare in sé.
«Frottole» ringhiò a denti stretti. «Tutte frottole. Non si salva niente, niente! Non che non lo avessi già capito prima che erano tutte delle maledettissime frottole, ma persino questo!»
Blaise deglutì.
Astoria sapeva essere inquietante, soprattutto quando era fuori di sé e livida dalla rabbia.
Pansy Parkinson ne sapeva qualcosa, rammentò Draco, perché quando aveva avuto la brillante idea di segnare il territorio con la ragazza, - durante il loro quarto anno a Hogwarts, all’incirca nel periodo degli inviti per il Ballo del Ceppo, forse temendo che il biondino potesse chiederle di andarci insieme al posto suo -, Astoria le aveva lanciato una Fattura talmente ben assestata che Pansy non aveva mai più provato a ripetere l’esperienza. Aveva sempre detto che il fatto che era andata al ballo con Blaise aveva chiuso la faccenda tra di loro, ma Draco sospettava che in realtà temesse di venire nuovamente colpita dalla furia della ragazza.
Stava quasi per sorridere al ricordo di quegli eventi, quando Astoria riprese a parlare.
«Sto facendo la ricerca di Babbanologia, sapete» disse la ragazza, «visto che dovrebbe essere un lavoro di gruppo, ma voi sembrate esservene completamente dimenticati.»
Draco, Daphne e Blaise si scambiarono uno sguardo colpevole.
«Insomma, leggete qui! Le statistiche riportano che la maggior parte dei Magonò sono nati in famiglie Purosangue, altro che pericolo di disperdere i geni magici sposando Babbani o Nati Babbani!» s’infervorò la ragazza. «Leggete! Leggete! Oh, sono così incazzata! Un mucchio di frottole, dall’inizio alla fine! Se solo avessi trovato questi registri prima li avrei tirati in faccia a mamma e papà! Mi dicevano che ero pazza a sostenere che quella roba non fosse vera!»
«Astoria…»
«No, Daph! Hanno alimentato un odio sulla base del nulla e noi siamo stati delle pecore totali a starli a sentire!» la interruppe sul nascere la sorella minore. «Erano loro e la loro assurda ossessione per la purezza del sangue la causa del declino demografico nel mondo magico! Voglio dire, siamo fortunati che l’incesto vada molto addietro nei secoli come pratica, perché altrimenti tanto varrebbe darci fuoco, no? E pensa a tutti quei deficienti che si sono fatti marchiare come degli animali da macello per seguire un pazzo furioso convinti che volesse ‘purificare’ il mondo magico per il suo bene, quando lui stesso discendeva da una Magonò e da un Babbano ed era un mago potentissimo! Una massa di cretini senza cervello, avevano le prove di essere nel torto davanti ai loro occhi e si sono rifiutati di vederle! E l’unica cosa che hanno ottenuto è stata quella di far estinguere metà delle famiglie presenti su quella maledetta lista delle Sacre Ventotto! Viene quasi da dire che ben gli sta!»
Draco si irrigidì sentendo quelle parole ed Astoria dovette realizzare, anche se troppo tardi, quello che aveva detto, perché gli rivolse uno sguardo carico di rammarico.
«Mi dispiace Draco, non intendevo dire…» si scusò immediatamente, ma lui la interruppe bruscamente.
«No, hai detto solo le cose come stanno veramente.»
«Davvero, non volevo offenderti… È solo che sono arrabbiata con i miei perché premono per il contratto di matrimonio e io non voglio sposarmi in quel modo…»
«Tranquilla», intervenne Ron passandole accanto. «Dopo il Ballo di Natale, quando tutti sapranno che stai con un traditore del proprio sangue, ritireranno le proposte in un baleno.»
Astoria si voltò a guardarlo e gli sorrise. «Sei un idiota, Ronald Weasley.»
Il rosso scrollò le spalle. «Me lo dicono spesso e non m’importa. Ci vediamo a lezione.»
Le fece un occhiolino e si andò a sedere al tavolo dei Grifondoro che, Draco notò con estremo orrore, era quasi interamente rivolto verso di loro, così come il resto dei tavoli.
Astoria non era stata discreta con il tono della voce.
Il biondino si alzò e si diresse a grosse falcate fuori dalla Sala Grande, senza sapere bene dove stesse andando.
Si ritrovò al settimo piano, in un corridoio che conosceva benissimo, perché era quello dove si trovava la Stanza delle Necessità.
La porta monumentale apparve davanti ai suoi occhi riportando a galla ricordi dolorosi che aveva cercato di reprimere per mesi.
Non ci era più tornato, dopo la morte di Crabbe.
Arretrò contro il muro e lo urtò con violenza quando si scontrò contro la parete rocciosa; per un momento gli mancò il fiato e scivolò sul pavimento, per poi poggiare il capo e chiudere gli occhi.
«Pensa a tutti quei deficienti che si sono fatti marchiare come degli animali da macello per seguire un pazzo furioso convinti che volesse ‘purificare’ il mondo magico per il suo bene, quando lui stesso discendeva da una Magonò e da un Babbano ed era un mago potentissimo! Una massa di cretini senza cervello, avevano le prove di essere nel torto davanti ai loro occhi e si sono rifiutati di vederle!»
Le parole che Astoria aveva urlato poco prima continuavano a ripetersi nella sua mente in loop e Draco non sapeva come fare a spegnerle.
La rabbia con cui le aveva pronunciate, la stessa ragazzina che un tempo lo guardava con ammirazione e desiderio e che ora probabilmente vedeva in lui solo quello che restava di un ex-Mangiamorte che aveva capito troppo tardi di aver sbagliato tutto nella vita e non sapeva più come convivere con sé stesso e con i suoi errori passati.
Sussultò quando un movimento d’aria al suo fianco annunciò la presenza di qualcun altro e riaprì gli occhi, per scoprire che Hermione Granger era seduta accanto a lui.
Draco fece ricadere nuovamente il capo contro il muro e fissò il soffitto pietroso.
«Stai bene?»
Nessuna risposta uscì dalle sue labbra.
«Sono sicura che Astoria non avesse intenzione di ferirti…»
«No, credo che invece abbia colto nel segno» la interruppe bruscamente. «Parafrasando, “un coglione patetico che non riusciva a vedere la realtà dei fatti neanche quando la teneva sotto il naso”, sembra proprio una descrizione accurata di me.»
«Draco…»
«Per non parlare della parte sul “farsi marchiare come animali da macello”», aggiunse Draco con una risata priva di ilarità. «Poesia!»
Chiuse gli occhi e respirò a fondo.
Non era arrabbiato con Astoria, né con Hermione; con nessun altro, solo con sé stesso, con quel ragazzino idiota che anziché mettere in discussione quello che suo padre gli insegnava come aveva fatto la piccola di casa Greengrass, lo aveva eletto suo idolo e aveva cercato in tutti i modi di essere come lui.
La fiducia che aveva riposto in suo padre lo aveva portato solo alla rovina e all’autodistruzione.
«Sei troppo duro con te stesso.»
«Dillo alla te dodicenne che veniva insultata nel campo da Quidditch da quel coglione del me dodicenne che aveva la testa piena delle puttanate che suo padre gli ripeteva sulla superiorità dei Purosangue», sbottò Draco. «Dillo alla te quattordicenne che veniva colpita dalla mia Fattura Allunga-Denti o alla te quindicenne a cui da membro della Squadra di Inquisizione ho tolto punti per essere una Nata Babbana. E poi vai dalla te tredicenne e dille di venire a tirarmi un altro cazzotto in faccia!»
«Era uno schiaffo», disse Hermione seria.
Lo sguardo del biondino saettò su di lei. «Che cosa?»
«Era uno schiaffo», ripeté lei in tono saccente. «Non un pugno. Avevo la mano aperta.»
Draco batté le palpebre per qualche istante. «Fai sul serio, Granger?»
Hermione gli sorrise, ma quando vide che il suo tentativo di sdrammatizzare non era andato in porto sospirò rassegnata e si lasciò ricadere a sua volta contro la parete.
«Ti ho già perdonato per il tuo passato. Perché ora non cerchi di perdonare te stesso?»
«Non ci riesco», ammise stancamente il biondino. «Ci ho provato e non ci riesco. Sentirmi ricordare ogni giorno quanto fossi un coglione non è una punizione abbastanza soddisfacente per i miei gusti.»
«Se vuoi posso darti un cazzotto al giorno per, mmh, sei anni. Cosa ne pensi?»
Draco, suo malgrado, rise.
«Cerchi una scusa per restarmi attorno a lungo termine, Granger?»
Potrei dartene una migliore”, aggiunse mentalmente, ma lei ignorò quella battuta.
«Colpevolizzati quanto vuoi», asserì invece Hermione, tornando seria. «Passa le tue giornate a rimuginare sul passato e a crogiolati nel disprezzo verso te stesso, se ti fa sentire meglio. Ma sappi che c’è gente per cui vedere che sei cambiato fa la differenza.»
Il biondino tornò di nuovo a guardarla. «Forse sei tu che sei troppo buona.»
«Sono la ragazza che ti ha tirato uno schiaffo e ha sfregiato a vita una sua compagna di scuola», rispose Hermione. «Ho anche io la mia dose di battaglie con l’oscurità.»
«Non è la stessa cosa.»
«No, ma il fatto che tu abbia riconosciuto i tuoi sbagli per me è importante, conta più di quanto tu creda.»
Draco deglutì e scosse il capo. «Ero un Mangiamorte, Hermione.»
«Se non hai mai abbracciato il loro stile di vita, se non ti sei mai comportato da tale, se non ti piaceva quello che facevano, non lo sei mai stato veramente» affermò decisa lei. «Non importa cosa ci sia sul tuo avambraccio.»
«Hai finto per così tanto tempo di vedere del buono in me che alla fine te ne sei convinta?»
Hermione si passò la lingua sul labbro inferiore e poi si rimise in piedi.
«È il contrario. Ho smesso di far finta di non vederlo», rispose semplicemente. «Ho ricordato a me stessa perché al sesto anno non credevo che avessi preso il Marchio nonostante ti avessi visto con i miei stessi occhi mostrare l’avambraccio a Borgin. Magari avevo torto in quel momento e forse quella volta stavo cercando di convincere me stessa perché l’idea di dovermi scontrare in battaglia con un compagno di scuola mi ripugnava, anche se eri tu. Ma conoscendoti un po’ meglio ora posso comunque affermare che i motivi per cui non credevo a Harry quando sosteneva che eri diventato un Mangiamorte restano validi.»
Quando notò che la ragazza aveva iniziato a camminare, Draco si alzò di scatto e la raggiunse con due grosse falcate.
La afferrò per un braccio e la tirò dietro una colonna.
«Perché?», le chiese quasi con disperazione. «Perché eri così sicura che non avessi preso il Marchio?»
«Perché anche se ti eri sempre comportato come un coglione, razzista, snob, superbo e viziato, Malfoy» rispose in tono fermo la ragazza. «Non ho mai pensato che avessi l’indole di un Mangiamorte. Non ho mai pensato che potessi diventare un assassino o godere di una tortura. E su questo, guarda un po’, avevo ragione.»
Draco arretrò di qualche passo, con gli occhi leggermente sgranati e poi corse via.
Lei credeva in me. Credeva in me quando non aveva alcun motivo per farlo. Quando aveva tutte le ragioni per assumere il peggio. E io non ho fatto altro che deludere le sue aspettative.”
Una lacrima solitaria, amara, rigò la sua guancia.
Come poteva imparare a convivere con sé stesso quando odiava così tanto ciò che era stato? Ciò che aveva fatto? Ciò che le aveva fatto?

 
******
 
Prima di tutto questo, credevo che tortura significasse due ore di fila con Rüf con il caldo ancora soffocante di settembre.
Ma adesso nei corridoi del castello la gente urla.
È come non essere mai tornato a scuola, Hogwarts non è più un porto sicuro e felice.
La gente soffre davvero ed è in pericolo ogni giorno.
Urla e non come quando una ragazzina del primo anno vede un ragno.
C’è dolore puro nelle loro grida.
Ti entra dentro e ti congela il sangue nelle vene.
Mi chiedo quanto possano resistere prima che si spezzino.
Può succedere?
Si può veramente morire di terrore e di angoscia?’

 
(Dal diario di Draco, durante la guerra.)

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Capitolo 23
*** Capitolo 22. Scegliere ***


CAPITOLO 22
Scegliere








 
 
 
Hermione
 
Dal momento che Draco non si era fatto vedere per tutto il resto del giorno, Hermione non aveva avuto altra scelta.
Tornata nella sua stanza quella sera aveva tirato fuori il diario per lasciare una piccola nota per lui, ma invece si era ritrovata a leggere una serie di domande confuse da parte del biondino.

‘Perché lo fai? Perché mi aiuti? Perché credi in me dopo tutto quello che ti ho fatto? Non ha senso. Dovresti odiarmi. Dirti che mi dispiace non è abbastanza per rimediare.’

‘Non spetta a te deciderlo.’

Rispose prontamente Hermione.

‘Come fai a sopportare di avermi attorno? La mia presenza dovrebbe ripugnarti.’

‘Tra i Babbani esiste un detto. “Errare è umano”.
Credo che sia la risposta migliore che possa darti.
L’importante è saper riconoscere i nostri errori e imparare da essi.

Migliorare, non ripeterli.
E tu, comunque, eri soltanto un ragazzo.’

‘I miei non erano semplici errori, Hermione.
Non è che per sbaglio abbia rivelato il segreto di un amico che avevo giurato di portare nella tomba,
non sono stato l’autore di uno scherzo che poteva finire male.

Sono stato un Mangiamorte.
Ho preso il Marchio.
Per un momento ne sono stato persino fiero.
Hai mai pensato che forse io non meriti il perdono di nessuno?
Che forse sono solo un codardo?
Che forse sono già andato troppo oltre per avere la possibilità di redimermi?’


‘È questo che cerchi, Draco? Redenzione?’

Il diario restò silente per un bel po’, tanto che Hermione iniziò a pensare che si fosse addormentato. Avrebbe preferito tenere quella conversazione faccia a faccia in Sala Comune, ma il biondino le aveva fatto capire benissimo che gli veniva più semplice aprirsi e parlare tramite i diari.
Sperava di riuscire a fargli vedere quello che vedeva lei quando lo guardava.

‘Sappiamo entrambi che sarebbe una speranza vana.
Dovresti stare lontana da me, Hermione.
Non ti merito.
Non sarò mai degno di averti accanto.
Non dovresti appoggiarmi.
Non dovresti difendermi.
Non dovresti aiutarmi.
Soprattutto, non dovresti consolarmi.
Dovresti solo mettere quanta più distanza possibile tra te e un essere danneggiato come me.
Dovresti correre il più lontano possibile da me.’

Qualcosa nell’idea di tornare a fingere di essere dei perfetti sconosciuti le faceva mancare il respiro, le faceva venir voglia di piangere.
Il cuore prese a batterle velocemente nel petto.
Draco non voleva più avere nulla a che fare con lei?
Lo faceva per via dei suoi sensi di colpa, perché credeva di non meritare la sua bontà, o era solo una scusa?
Hermione si chiese se avesse ricevuto qualche strana lettera da parte dei suoi genitori che gli intimavano si stare alla larga ‘dalla sporca Sanguemarcio’ e se Draco avesse deciso di eseguire i loro ordini, come aveva sempre fatto in passato.

‘Vedi? È proprio questo il punto.
Io non devo fare proprio niente.
Se non vuoi il mio supporto, dillo e basta.’

‘Ho bisogno del tuo supporto come dell’aria che respiro, Granger!
Ma non capisci?
Io non me lo merito!’

Hermione sospirò e scosse la testa, esausta.
Non lo avrebbe mai capito veramente, non importava quanto potessero parlare o aprirsi l’uno con l’altro: Draco Malfoy era troppo complesso.
In passato, aveva pensato che non fosse altro se non un bullo viziato che per stare bene con sé stesso doveva sopraffare gli altri, che per apprezzarsi dovesse per forza far sentire una nullità il resto del mondo.
E poi si erano avvicinati, erano arrivati i diari, e aveva visto talmente tante sfaccettature in quel ragazzo da arrendersi all’evidenza che racchiudesse mille universi dentro di sé.
Solo che aveva bisogno di scegliere quale di quei mondi voleva che lo rappresentasse veramente e non sapeva come fare, perché tutti i modelli da seguire che aveva avuto fino a quel momento erano quelli sbagliati; lei aveva sperato di poterlo portare sulla giusta strada, aveva sperato di poterlo salvare.

‘Ti insegno una cosa, Draco.
Ti insegno a prenderti delle responsabilità.

Scegli.
Scegli se essere rotto da solo, o se essere rotto insieme ad altre persone che, esattamente come te sono a pezzi,
ma hanno deciso di darti una seconda possibilità ugualmente e nonostante tutto.

Anche se la tua logica da Serpeverde non riesce a comprendere la nostra scelta.
Forse potremo guarirci a vicenda.
O forse ci faremo solo del male.
È un rischio.
La vita è fatta di rischi e ognuno di noi deve scegliere quali correre.
Allora scegli, Draco.’

‘Continui a non capire.’

‘No, infatti.
Senti, c’è stato un momento in cui ho pensato di averti mentito, non lo nego.
Quando ti ho detto per la prima volta che potevo lasciarmi il nostro passato alle spalle, per esempio;
quando ti ho detto per la prima volta che credevo che meritassi una seconda occasione, persino;
forse anche quando per la prima volta ti ho detto che ti perdonavo.

Ma ora so di pensarle veramente quelle cose, perché mi hai dimostrato che ne vali la pena.
O potresti valerne la pena, se te ne dessi la possibilità.
Ora sei tu che devi decidere se vuoi darti una seconda occasione,
noi la nostra scelta l’abbiamo già fatta.’


Draco non sembrava volere rispondere, quella volta, ma Hermione non aveva intenzione di lasciare perdere.

‘Tu pensi che io sia di parte quando si tratta di te per via dei diari.
Ma Draco, ti dirò una cosa.

Se non capisci veramente il mio punto di vista, te lo spiego subito.
Sai cosa vedo quando cammini per i corridoi e qualcuno si diverte a gridarti ‘Mangiamorte’ alle spalle?
La me dodicenne che viene chiamata ‘Sanguemarcio’, che si sente dire di non meritare la magia, nonostante non facessi altro che dimostrare quanto valessi.
Isolarti quando hai dimostrato di non avere più pregiudizi e di essere cambiato, vorrebbe dire avere io stessa dei pregiudizi.
Vorrebbe dire non essere migliore di quanto non lo fossi tu prima della guerra.
Perché ti starei giudicando a priori sulla base di cose che non sono vere.
Cose che mi hai dimostrato non essere più vere.
È vero, Draco Malfoy, in passato mi hai fatto del male.
Ma io non ho intenzione di ripagarti con la stessa moneta.
Non mi importa se è quello che pensi che dovrei fare.’

Era sicura che non avrebbe più ricevuto risposte per quella sera, ma attese ugualmente dieci minuti prima di riporre il diario nel cassetto e proprio quando si era decisa finalmente a farlo, le parole comparvero sulla pagina.

‘Sono egoista, Granger.
Non sono un Grifondoro e decisamente non ho nulla dei Tassorosso.
Non è nella mia natura sacrificarmi per il bene degli altri.
Mi prenderò tutto.
Anche se non merito niente.
Ed è per questo che dovresti essere tu ad allontanarti da me.’

Hermione deglutì con forza. Non era più sicura che stessero parlando della stessa cosa. 
Intinse la penna nella boccetta di inchiostro e, esitante, scarabocchiò una singola parola sul foglio bianco.

‘Scegli.’
§
Era la quarta volta che mentiva a Draco Malfoy.
Era la quarta volta che le chiedeva se potesse voltare la pagina del volume che stavano consultando per una ricerca di Aritmanzia e lei affermava di sì, quando in realtà aveva smesso di leggere veramente otto pagine prima.
Per esser precisi, quando la sedia di lui si era fatta più vicina alla sua e il suo braccio era scivolato attorno alle sue spalle come se fosse il più casuale dei movimenti.
Non si era mai seduto a così poca distanza da lei, nonostante non fosse la prima volta che leggevano un libro contemporaneamente.
Hermione ci aveva provato, a stare dietro alle parole che si susseguivano sulle pagine ingiallite di quel vecchio tomo, ma il suo cervello riusciva solo a pensare al braccio di Draco, abbandonato pigramente sullo schienale della sua sedia.
Non la stava abbracciando o altro, non la stava neanche sfiorando in realtà; la sua mano, quella con il dito a cui portava ancora il suo anello storico, era a qualche centimetro dalla sua spalla. Ma lei poteva sentire il suo profumo e avvertire il calore emanato dal suo corpo, troppo vicino al proprio per ignorarlo.
A volte il suo respiro le colpiva il collo e a stento riusciva a impedire ai brividi di scuoterla visibilmente. Solo la colonia di Draco era sufficiente a far vacillare la sua concentrazione, di solito. Quel tipo di vicinanza era qualcosa che non sapeva come gestire, non con lui.
Perché era lui.
La mattina dopo quella discussione tramite i diari, Draco si era comportato normalmente, come se tutto quel dramma non fosse mai accaduto.
Eccetto per un piccolo dettaglio: le stava attorno più del solito.
Quando era in biblioteca, Draco era sempre dietro di lei, pronto a porgerle i libri che le servivano dagli scaffali più in alto. Quando andavano a lezione, Draco faceva sempre in modo di giungere alla porta della classe prima di lei e la teneva ferma per farla passare.
A volte, quando la sua cartellina sembrava troppo pesante, se l’era presa in spalla al suo posto.
E sorrideva, sorrideva spesso; esibiva quel maledetto sorriso che la faceva scogliere dall’interno molto più di frequente adesso, soprattutto quando erano soli.
Era persino andato a vedere la partita di Quidditch di Grifondoro contro Corvonero e si era seduto tra gli spalti rosso-oro insieme a lei.
In realtà, in quella occasione c’erano anche Blaise e Daphne, ma per Hermione quel dettaglio non era rilevante.
«Granger, mi stai ascoltando?»
Hermione ritornò in sé bruscamente. «Mi sono distratta un attimo, scusa. Potresti ripetere?»
«Ho detto che forse nel volume numero due l’argomento è più approfondito. Non puoi chiedere alla Lovegood quando ha intenzione di restituirlo? L’ho vista prenderlo in prestito quando sono arrivato.»
Rispose con un cenno del capo abbastanza impacciato e poi avvampò, quando la mano del Serpeverde si chiuse all’improvviso sulla sua, sfiorando con la punta delle dita la pelle tenera del suo collo.
«Smettila», le disse. «Finirai per farti male.»
Per un istante, la ragazza non capì di cosa stesse parlando.
E poi se ne accorse.
Non si era resa conto di essersi torturata il collo per quasi tutto il tempo, con talmente tanta foga che la pelle le si era indolenzita lievemente e aveva assunto un colore rosso, ormai tendente al violaceo.
Draco la rendeva nervosa.
Si sentiva tutta un fascio di nervi ormai, quando era da sola con lui.
Non ne capiva il motivo, o forse non voleva capirlo, perché ammetterlo avrebbe significato dare ragione a Ginny e lei non aveva alcuna intenzione di riconoscere l’attrazione che provava per quel maledetto furetto platinato.
«Stai bene, Granger?» le chiese dopo un po’, corrugando la fronte, ma qualcosa le diceva che c’era del divertimento celato nel tono della sua voce e anche del compiacimento, ne era sicura.
E quel qualcosa poteva essere il modo in cui si inumidiva le labbra, lentamente, mentre la guardava con un’intensità tale da disarmarla completamente.
Forse lo sapeva.
Forse si era accorto dell’effetto che aveva su di lei.
Quella prospettiva la terrorizzava.
«No, si, ehm, cioè…» farfugliò arrossendo violentemente. «Sono solo stanca. Credo che faremmo meglio a continuare domani.»
Si alzò di scatto e corse via dalla biblioteca come se fosse inseguita da un’orda di Schiopodi Sparacoda inferociti.
Che cosa si era messo in testa ora?
Era la sua nuova idea di tormento?
Torturarla con la sua vicinanza fisica?
Lo trovava divertente, vedere il modo in cui i suoi nervi si tendevano in sua presenza?
O forse era lei che si stava immaginando tutto perché finalmente stava iniziando a venire a patti con la terribile verità sulla natura di quello che provava per lui?
E poi, come un fulmine a ciel sereno, una consapevolezza la colpì in pieno.
Ritornò all’ultima conversazione che avevano avuto tramite i diari, al momento in cui non era più stata sicura che stessero parlando della stessa cosa.
Mi prenderò tutto.”
Le parole che le aveva scritto quella sera riecheggiarono nella sua mente, assordanti e cariche di un nuovo significato.
Non può essere”, disse a sé stessa. “Non poteva intendere… non in quel senso. Io non sono il suo tipo.”  
§
Raggiunse la Torre di Grifondoro in una manciata di minuti, correndo disperatamente per i corridoi e poi arrancò alla ricerca di Ginny per un po’.
Conosceva la parola d’ordine del dormitorio femminile perché rientrava tra i suoi privilegi di Caposcuola e in vita sua non era mai stata così grata a Merlino quanto in quel momento, quando trovò la rossa sola nella stanza circolare occupata da sei letti a baldacchino con le tende rosse e oro.
«Ginny!» gridò in preda al panico, quasi sul punto di scoppiare a piangere o urlare, non lo sapeva neanche lei.
«Hermione, che succede?»
La ragazza la studiò con evidente preoccupazione nello sguardo.
Hermione si prese il volto tra le mani ed esalò un gemito lamentoso che diede un tocco tragico a quell’atmosfera già tesa in partenza.
«Sono attratta da Draco Malfoy», confessò tutto d’un fiato. «Sono attratta da Draco Malfoy e devi aiutarmi a togliermelo dalla testa.»
La reazione di Ginny non fu quella che si era aspettata.
Non ci fu comprensione nei suoi riguardi, né apprensione alcuna; non la abbracciò per consolarla, né le urlò contro di essere pazza; non cercò di rassicurarla, né la guardò come se quella fosse la più grande disgrazia capitatale nella vita.
Non le disse che l’avrebbe aiutata a risolvere la situazione, perché evidentemente per Ginny non c’era alcun problema da risolvere.
Scoppiò a ridere. «Era ora!» esclamò divertita. «Finalmente lo ammetti!»
Hermione sbarrò gli occhi. «Fai sul serio? Dovresti aiutarmi a tirarmene fuori, non prendermi in giro! Dovresti essere preoccupata, Ginny!»
«Oh, ma io sono preoccupata, Mione» commentò con enfasi l’altra, ma con il sorriso ancora stampato sul volto. «E ti aiuterò, ma non a fare quello che mi stai chiedendo.»
«Che cosa vorresti dire?» domandò con voce acuta Hermione.
Il sorriso sul viso di Ginny si trasformò in un ghigno.
«Quello che voglio dire è che sono preoccupata che tu finisca per mandare tutto all’aria con la tua ostinazione» articolò con tono cantilenante. «E quindi ti aiuterò.»
«Continuo a non capire che diavolo stai dicendo, Ginny! Dovresti aiutarmi a dimenticarmi di lui!»
«Hermione», la interruppe bruscamente. «L’unico aiuto che riceverai da me sarà quello per entrare nel letto di Draco Malfoy.»
La ragazza deglutì con forza. «Ma è esattamente la cosa opposta a quella che ti sto chiedendo!»
Ginny sbuffò. «Per una volta, Hermione, smettila di pensare. Vuoi Malfoy? Vai a prendertelo.»
«Non posso, Ginny! È Malfoy! Non va bene! Essere amici è un conto, andarci a letto è un po’ troppo. E poi, a prescindere dalla storia del sangue, è sempre stato molto eloquente nel rendere palese che non gli piaccio esteticamente!»
La risata della rossa rimbombò nella stanza colma di ilarità, ma a Hermione sembrò più una marcia funebre.
Una lugubre nenia in apertura del suo triste funerale.
«Malfoy ti vuole» la contraddisse con convinzione. «È pazzo di te e tu sei così stupida in questo ambito da non essertene neanche accorta.»
Hermione la guardò sbattendo le palpebre e boccheggiando per qualche istante, in cerca delle parole giuste da dire.
«Ma lui non può volermi!» farfugliò, le guance che le diventavano sempre più scarlatte. «Non è possibile. No, no, no. Sei l’amica peggiore del mondo, giuro!»
Ginny le sorrise beffarda. «Ti correggo», asserì dirigendosi verso il suo baule e tirandone fuori qualcosa di rosso e incredibilmente vistoso. «Sono l’amica migliore del mondo.»
«Che cos’è quello?» strillò terrorizzata Hermione, portandosi le mani sulle labbra.
«Questo, Hermione» rispose in maniera inutilmente solenne la rossa. «È il tuo abito per il Ballo di Natale.»
«Oh, no!» protestò l’altra, all’apparenza orripilata dalla sola idea di indossare l’indumento. «No, no e poi no! Ginevra Weasley, che cosa ti sei messa in testa? Io al ballo ci andrò da sola! Mettilo tu quell’abito no? Tu hai un cavaliere! Ne vale la pena. Su di me sarebbe sprecato.»
«Sappiamo entrambe che anche se andrai da sola a quel ballo, non resterai in compagnia di te stessa per più di cinque minuti.»
«Quell’abito attirerebbe troppa attenzione!» obiettò ancora Hermione, ma prima che potesse aggiungere altro, Ginny la interruppe.
«Esattamente. Avrai gli occhi di tutti puntati addosso, ma a noi ne interessa solo un paio.»
La ragazza iniziò a scuotere il capo convulsamente, mentre un ghigno malizioso si apriva sul volto della rossa.
«E sono color grigio ghiaccio.»
***
Draco
 
Era stato onesto con lei.
Sincero.
Glielo aveva detto senza mezzi termini.
L’aveva avvisata.
Se lei non si fosse tenuta lontana da lui, lui si sarebbe preso tutto.
Tutto di lei.
Ed era quello che aveva intenzione di fare veramente.
Le avrebbe anche dato tutto ciò che aveva da darle e molto di più, ma ciò non voleva dire che sarebbe stato mai degno di averla.
Aveva deciso che non gli importava.
Perché se non importava a lei, allora perché lui doveva obbligarsi a rinunciare a loro due?
Era egoista, lo sapevano benissimo entrambi.
E lui voleva Hermione Granger con tutta l’anima, quella stessa anima che lei aveva inconsapevolmente e poi consapevolmente salvato più e più volte.
E sarebbe stata sua.
«Che cosa hai intenzione di fare?», gli domandò Zabini, come se gli avesse appena letto nel pensiero.
«Non sono fatti tuoi, Blaise» replicò in tono asciutto il biondino.
Aveva deciso di smettere di autocommiserarsi e tirare fuori l’artiglieria pesante, perché non poteva continuare ad andare avanti in quel modo.  
«Draco, se ti conosco anche solo un po’, e credimi, ti conosco abbastanza per poter essere certo di questo, combinerai un disastro.»
«So quello che faccio.»
«Senti, la Granger non è come le ragazze che siamo abituati ad avere attorno. Fidati, ti serve il mio aiuto!» insisté Blaise. «Non puoi regalarle una bella collana costosa per Natale e aspettarti di averla nel tuo letto per il resto dell’anno come facevi con Pansy.»
Draco sbuffò. «Perché credi che mi piaccia così tanto? Lei è diversa», ribatté con ovvietà. «Ho in mente solo un po’ di corteggiamento vecchio stile, niente di allarmante. Sono sicuro che la Granger sia il tipo che apprezza la galanteria. E da come ha reagito fino ad ora al mio approccio, direi che ci sono buone probabilità che alla fine ceda al mio fascino.»
Blaise ruotò gli occhi. «Ti prego, non dirmi che stai prendendo in considerazione le lezioni di seduzione di Madame Deneuve.»
«Certo che no, non sono un idiota, Blaise!» esclamò indignato l’altro. «Ma ho intenzione di fare le cose per bene e con calma.»
«Fino al ballo» precisò Blaise.
«Che stai dicendo? Il ballo è tra due settimane! Non è esattamente la definizione di ‘calma’.»
«Sì, ma Gin ha dato alla Granger il vestito che aveva comprato inizialmente per lei», rivelò l’amico. «E io l’ho visto. È il motivo per cui ho dovuto supplicare Madama McClan per farne recapitare un altro per Ginny in tempo per Natale. Credimi quando ti dico che il tuo piano fallirà miseramente non appena la Granger varcherà la soglia della Sala Grande.»
Draco lo fissò con gli occhi leggermente sgranati e l’aria trasognata.
«Non dire che non ti vogliamo bene», aggiunse Blaise, ammiccando.
«La Weasley… approva?» domandò spiazzato il biondino.
Blaise scrollò le spalle. «Diciamo che apprezza il tocco Serpeverde in camera da letto. Forse vuole che anche la Granger ne scopra i vantaggi.»
Draco alzò gli occhi al cielo.
«Anche se ripensandoci, probabilmente la Granger li conosce già», considerò l’altro. «Insomma, sono fermamente convinto che Pucey sia stato la sua prima volta, dopo quel loro incontro a Hogsmeade.»
«Blaise…»
«Sai, in fondo ti è andata anche bene. Se fosse stato, che ne so, Potter avresti dovuto impegnarti tanto per vincere la competizione, stando a quello che dice Daphne», proseguì imperterrito Blaise. «Non chiedermi di elaborare, ti prego. Daph ha una passione esagerata per i dettagli. Weasley invece non credo che sia preoccupante…»
«Blaise!»
«… Certo, nessuna si è mai lamentata di Adrian a letto, tutt’altro anzi, ma d’altronde Pansy ha sempre elogiato le tue performance, per cui non mi farei troppe paranoie se fossi in te.»
«Blaise
Il tono di Draco nel pronunciare il suo nome aveva subito un crescendo pericoloso dall’inizio di quel discorso: da esasperato, a irritato, a minaccioso.
«Non avverto affatto la competizione in quell’ambito» asserì con tono definitivo, ansioso di mettere un punto a quella conversazione indisponente.
È tutto il resto il problema”, pensò amareggiato tra sé e sé.
«D’accordo, d’accordo! Non ti scaldare!» esclamò arrendendosi Zabini.
«Sai, forse ti preferivo cupo e introverso com’eri al sesto anno, quando te ne stavi semplicemente in un angolo a giudicare il resto del mondo», commentò irritato il biondino.
«Giudico ancora il resto del mondo, per tutto il tempo», ribatté lui. «È il motivo per cui sono venuto a discutere dei tuoi piani di conquista della Granger. Solo che l’influenza di Daphne nel corso dei mesi ha avuto un certo effetto su di me. Non so se ringraziarla o meno.»
«Io di certo non le manderò dei fiori» borbottò acidamente Draco.
Blaise ghignò. «Lo so che nel profondo mi adori», lo punzecchiò, tendendo le braccia come se intendesse abbracciarlo.
«Risparmia le effusioni per la piccola Weasley, Zabini» lo bloccò Draco, con una smorfia disgustata sul viso. «E non montarti la testa.»
 
******

‘A volte incolpare i miei genitori mi sembra troppo semplice, una scusante che non regge e non giustifica veramente nulla.
È vero che non avevo scelta?
È quello che ho sempre pensato, ma non ne sono così sicuro.
Forse, alla fine, ho scelto, in base a quello che per me era importante in quel momento, la mia famiglia, le loro aspettative, il modo in cui ero stato cresciuto.
Forse, dovrei accettare di aver fatto la scelta sbagliata e smetterla di incolpare altra gente.
Forse sono io la causa di tutti i miei problemi.
Potevo scegliere di comportarmi diversamente fin dall’inizio, no?
Di farmi domande… di non essere spregevole.
Forse non merito alcuna scusante.

Ha importanza che fossi stato cresciuto per seguire una certa linea d’azione, un determinato atteggiamento? Forse no. Spero solo che un giorno avrò pagato abbastanza per i miei errori, che avrò modo di liberarmi dal peso del mio passato.
O forse non merito neanche quello?’


(Dal diario di Draco, primi tempi a Hogwarts dopo la guerra.)

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Capitolo 24
*** Capitolo 23. Il Bagno dei Prefetti ***


CAPITOLO 23
Il Bagno dei Prefetti








 
 
 
Draco
 
Il bagno dei Prefetti era il suo posto preferito per rilassarsi, soprattutto quando Mirtilla Malcontenta non si appostava in qualche lavello per spiare, o irritare, la gente.
A Draco, in realtà, Mirtilla non dava fastidio.
C’era una parte di lui che riconosceva alle sue conversazioni con il fantasma il credito per non essere completamente impazzito durante il sesto anno a Hogwarts.
Questo non voleva dire che gli facesse piacere essere visto nudo da lei, solo che gli impediva di lanciarle contro qualcosa per scacciarla.
«Bubotubero» disse sottovoce ed entrò nell’ampio bagno.
La prima cosa che vide furono degli indumenti sparsi sul pavimento e fu quasi sul punto di andarsene, quando la chioma familiare della Granger, che da qualche anno sembrava essere perfettamente in grado di domare, fece capolino dalla vasca colma d’acqua e bolle di sapone.
Non si accorse della sua presenza in un primo momento, essendo di spalle ed essendo Draco estremamente silenzioso nei movimenti.
Il biondino si leccò il labbro inferiore, mentre valutava rapidamente le sue opzioni.
La Grifondoro era terribile nell’arte della dissimulazione; se credeva che Draco non si fosse accorto del fatto che non riusciva a concentrarsi quando le si sedeva troppo vicino, - ovviamente, da quando lo aveva capito aveva iniziato a farlo sempre più spesso -, o del fatto che sussultava leggermente ogni volta che la sfiorava anche solo per sbaglio, - ovviamente, era raro che non si trattasse di gesti calcolati -, o del modo in cui le sue guance si tingevano automaticamente di rosso ogni volta che le rivolgeva una gentilezza, - ovviamente, era sempre più incline a lasciarsi andare a carinerie varie nei suoi confronti -, Hermione era completamente fuori strada.
Draco sapeva di avere un qualche effetto su di lei.
Non sapeva esattamente cosa fosse, ma per lui la consapevolezza che non le fosse indifferente era più che sufficiente.
Era abbastanza da far riemergere un po’ della sua vecchia spavalderia.
«Ti godi un bagno al chiaro di luna, Granger?»
La battuta lasciò le sue labbra prima che decidesse veramente se enunciarla o meno; pensando che forse Blaise era stato un po’ troppo ottimista con i pronostici puntando sul ballo, vista l’occasione che gli si era appena presentata davanti, Draco si avvicinò lentamente alla vasca.
Hermione sobbalzò e si voltò a guardarlo con gli occhi sgranati.
«Malfoy! Esci immediatamente da qui!»
Draco fece una smorfia contrariata. «Ma io ero venuto a fare un bagno», obiettò fingendo indignazione.
«Aspetta fuori e quando avrò finito potrai farlo, no?» ribatté seccamente lei.
Il biondino sbuffò. «Ma la vasca è abbastanza grande per tutti e due! Non dirmi che sei nuda lì dentro, Granger. Sai che tutti i Prefetti hanno accesso a questo bagno?»
La vide arrossire leggermente, ma lei continuò a tenergli testa ugualmente, come al solito… E sempre come al solito, la cosa gli provocava dei brividi di eccitazione lungo la spina dorsale.
Draco non aveva idea di come Hermione stesse prendendo quel cambio di atteggiamento nei suoi confronti, ma lui era semplicemente stufo di stare lì a guardare, mentre altri provavano liberamente a portarla al Ballo o a invitarla a uscire nei fine settimana a Hogsmeade.
Non aveva intenzione di lasciarsela scappare.
Se avesse mai avuto una possibilità di essere felice nella vita, quella sarebbe stata con Hermione Granger al suo fianco.
Per lui era arrivato il momento di entrare in azione.
«Certo che no, Malfoy!» esclamò la ragazza con un acuto e il sorriso sul viso di Draco si allargò.
«Allora non vedo perché non potrei semplicemente unirmi a te.»
Non distolse mai gli occhi da lei; mentre scioglieva il nodo della cravatta della divisa, mentre si sbottonava la camicia, mentre faceva cadere sul pavimento i pantaloni, le sue iridi grigie restarono fisse in quelle della Grifondoro.
Hermione non fu meno caparbia di lui.
Draco sapeva che avrebbe colto la sfida nel suo sguardo e che il suo orgoglio da Grifondoro le avrebbe impedito di cedere.
Quando le sue dita si chiusero sull’elastico dei boxer, però, lei scattò.
«Che cosa pensi di fare?» trillò con voce acuta. «Non vorrai mica…»
«Cosa, Granger? Finisci la frase», la provocò lui, passandosi la lingua sulle labbra, con un’espressione esilarata dipinta sul volto, le labbra aperte in una via di mezzo tra un sorriso e un ghigno.
«Non penserai mica di fare il bagno nudo
Le guance di Hermione erano ormai divenute di un rosso scarlatto, ma il suo sguardo restava fiero e determinato.
Draco adorava quel suo lato.
Il biondino rise. «Ti stavo solo prendendo in giro.»
Si tuffò in acqua senza alcun preavviso, schizzandola con un getto in piena faccia.
«Idiota!», la sentì borbottare mentre riemergeva.
«Dovremmo dire a Blaise e Ginny di organizzare qualcosa qui, una sera. Un paio di incantesimi, Mirtilla di guardia…»
«Mirtilla chiamerebbe subito la McGranitt, se ci fossi io», lo interruppe lei. «Mi odia.»
Le sopracciglia di Draco scattarono all’insù. «E perché mai?»
Hermione scrollò le spalle e in un tono di finta innocenza disse «non ci siamo mai sopportate.»
«Credo che abbia una cotta per me», rivelò con nonchalance il biondino.
«Anche per Harry», ribatté in tono asciutto lei.
Lui fece ruotare gli occhi.
«È disgustoso che si apposti per spiare la gente nei bagni.»
Gli angoli delle labbra del biondino si incurvarono in un sorriso malizioso; probabilmente Hermione non si era accorta di aver arretrato fino al bordo della vasca mentre lui si avvicinava lentamente a lei.
Il serpente e la sua preda.
«Beh, mettiti nei suoi panni. Immagina che noia doversi limitare ad esistere senza mai poter fare veramente qualcosa.»
«Potrebbe essere nascosta da qualche parte in questo momento, con gli occhi puntati su di noi. È irritante e profondamente sbagliato, anche se è un fantasma», obiettò lei, come se si stesse sforzando in tutti i modi di restare focalizzata su quel discorso per non pensare ad altro.
«Perché non darle qualcosa di interessante da vedere allora, Granger?» mormorò Draco, facendo scorrere l’indice della mano destra sulle labbra di lei.
Hermione fece uno scatto indietro e urtò contro il bordo della vasca.
Draco riconobbe nel suo sguardo l’esatto momento in cui prese consapevolezza del fatto che si fosse appena messa in trappola da sola.
Il sorriso sul suo volto si allargò, poggiò entrambe le mani sul marmo, ai due lati della ragazza, poi avvicinò il volto al suo.
Lei aveva lo sguardo basso, fisso su un punto imprecisato del suo addome.
«Che cosa stai facendo, Draco?» farfugliò con una punta di panico Hermione, mentre cercava di deglutire con forza. Aveva il respiro corto; Draco poteva notare chiaramente la rapidità con cui il suo petto si alzava e si abbassava.
«Credo che tu lo sappia già, Granger», mormorò con voce strascicata lui, mettendole un dito sotto il mento e costringendola ad alzare il capo per guardarlo negli occhi. «D’altronde, sei una strega dannatamente intelligente.»
Hermione esalò un gemito, mentre la mano di Draco si spostava sul suo viso per accarezzarla con dolcezza.
La avvertì rabbrividire a quel contatto.
«Draco…»
La Grifondoro posò le mani sul suo petto, probabilmente con l’intenzione di respingerlo, ma lui le prese prontamente tra le sue e le fece scivolare attorno al proprio collo.
Un secondo dopo, aveva il corpo premuto contro quello di lei e i loro nasi si sfioravano; laddove la loro pelle si incontrava, sembrava ardere il fuoco.
Avvicinò le labbra al suo orecchio, lentamente.
«Te l’ho detto, Hermione» sussurrò con voce roca. «Mi prenderò tutto
E quello era il momento in cui avrebbe dovuto fare un passo indietro e andare via, lasciandola sola a rimuginare su quello che sperava di averle fatto provare, carica di aspettativa per ciò che sarebbe potuto succedere tra di loro se lui fosse rimasto, nella speranza di instillare in lei desiderio e curiosità. La sua intenzione, quando aveva deciso di cogliere al balzo quell’occasione, era semplicemente quella di creare hype.
Una frazione di secondo dopo, però, Draco decise di mandare all’aria il suo piano iniziale.
Ritrarsi da lei in quel momento, quando era a un passo dallo scoprire che sapore avessero le sue labbra, sembrava più una tortura per lui che per lei, una tortura a cui non aveva alcuna intenzione di sottoporsi.
Affondò la mano destra tra i suoi capelli e la spinse verso di sé con un movimento deciso, ma non prepotente, e dal momento che la ragazza non stava opponendo resistenza, azzerò le distanze tra di loro, facendo scontrare le labbra con quelle di lei.
Non era preparato ad affrontare la valanga di emozioni che lo investì a quel contatto.
Hermione aveva un sapore dolce e le sue labbra erano timide e passionali allo stesso tempo mentre inseguivano bisognose quelle di lui in un gioco lascivo e pericoloso.
Nell’esatto momento in cui l’aveva baciata, Draco si era sentito finalmente completo, come se fosse appena entrato in possesso di qualcosa che gli era mancato per tutta la vita e che non aveva mai saputo di volere, di necessitare, prima di quel momento.
Dovette impiegare tutte le sue forze per appellarsi al suo autocontrollo e non far scivolare le mani sul suo corpo, nudo e bagnato, bloccato tra il proprio e il bordo della vasca.
Le mani di Hermione si erano spostate tra i suoi capelli biondi e sembrava cercare di spingerlo ulteriormente contro di lei, anche se c’era solo un modo in cui avrebbero potuto essere più vicini di così, che Draco non si sarebbe mai azzardato a cercare di raggiungere quella sera, perché farlo avrebbe significato giocarsi la sua unica possibilità di averla veramente.
Lui non voleva Hermione per una notte.
La voleva per tutta la vita.
La voleva in eterno.
E poi lei si staccò da lui all’improvviso e lo spinse indietro con un movimento brusco e repentino che vista la sua ricettività al bacio non si aspettava minimamente.
Draco avvertì il suo cuore sprofondare; si sentiva come se di punto in bianco il pavimento fosse scomparso da sotto i suoi piedi e avesse iniziato a precipitare nel vuoto, avvolto dall’oscurità e dal freddo, come se gli avessero risucchiato via tutto l’ossigeno dai polmoni, togliendogli il respiro.
Lo guardò terrorizzata per un momento, mentre boccheggiava in cerca d’aria e di parole che sembravano non voler arrivare.
«Che… che cosa stiamo facendo?» biascicò confusa e spaventata allo stesso tempo.
Il biondino si schiarì la gola e provò e fare un passo in avanti, ma lei alzò una mano per bloccarlo.
«No», esclamò con fermezza. «Resta lì.»
«Hermione…»
La ragazza scosse il capo e tirò su col naso. «Questo… Questo non è mai successo
Un secondo dopo era uscita dalla vasca e si stava rivestendo incurante di essere ancora completamente fradicia e di stare inzuppando anche la divisa.
Draco era come paralizzato; quelle parole lo avevano colpito con la forza di una Cruciatus. Non riusciva a fare altro se non quello che gli aveva chiesto di fare un attimo prima.
Restare lì, fermo, a non fare niente… A non dire niente.
Restare lì a guardarla allontanarsi da lui, a guardarla fuggire come se stesse scappando per mettersi in salvo la vita.
Restare lì ad osservarla mentre si dileguava dalla sua vista, mentre faceva proprio ciò che lui stesso le aveva chiesto di fare una settimana e mezzo prima nelle pagine del diario: mentre metteva quanta più distanza possibile tra loro due e mandava in frantumi un cuore che Draco, fino a qualche mese prima, prima di lei, non sapeva neanche di avere.
 
***
Hermione
 
Era cupamente ironico il fatto che l’ultima volta che aveva corso in quel modo era stata nei boschi, durante il periodo di ricerca degli Horcrux, mentre lei, Harry e Ron venivano inseguiti dai Ghermidori, nell’occasione che li avrebbe poi portati a Malfoy Manor.
La Torre di Grifondoro non le era mai sembrata così distante prima. La sua divisa era bagnata fradicia, cosa che le impediva di muoversi agevolmente, ma non si fermava.
Correva, correva e correva.
«Te l’ho detto, Hermione. Mi prenderò tutto.»
Avrebbe voluto smettere di sentire l’eco della sua voce riverberare in tutto il corpo, il fantasma delle sue labbra aleggiare sulle proprie e la sensazione del suo tocco a bruciarle la pelle.
Avrebbe dovuto lasciare il bagno nel momento in cui lo aveva sentito parlare per la prima volta, rompendo il silenzio rassicurante che l’aveva confortata inizialmente; avrebbe dovuto capire che aveva qualcosa in mente, erano quasi due settimane che si comportava in maniera piuttosto bizzarra con lei.
Hermione non poteva fare a meno di domandarsi se stesse giocando con lei.
Non ci avrebbe dato così tanto peso, se non ci fossero stati i suoi sentimenti in ballo; perché stupida com’era, si era innamorata di quel furetto platinato che la tormentava da tutta una vita e che, ormai lo sapeva, non avrebbe mai smesso di farlo.
Non aveva senso continuare a negarlo dopo quel bacio, dopo quello che aveva provato, dopo il modo in cui si era lasciata sopraffare dalle sue sensazioni, dopo la facilità con cui si era lasciata travolgere dalle sue emozioni…
Hermione si era innamorata di Draco Malfoy.
Stupida! Una dannata stupida!” si rimproverò, inviperita con sé stessa.
I suoi occhi pungevano di lacrime che necessitavano di essere versate profusamente.
Perché mi sta facendo questo?
Lo aveva perdonato. Tutto quello che aveva cercato di fare dall’inizio dell’anno, e considerando i diari anche da prima, era stato aiutarlo, tentare di salvarlo, credere in lui.
E lui la ripagava in quel modo, giocando con i suoi sentimenti, sentimenti che sapeva benissimo lui non avrebbe mai potuto ricambiare, perché lei era una Nata Babbana e lui era Draco Malfoy… ma soprattutto, perché lei era Hermione Granger.
Non era ingenua, sapeva benissimo che qualsiasi cosa tra loro non avrebbe mai avuto un futuro e forse era esattamente per quello che la stava ferendo.
Stava cercando di costringerla ad allontanarsi da lui? Era quello che desiderava, no?
Ci era riuscito, Hermione non voleva vederlo mai più.
Farle provare quelle sensazioni per condannarla a una vita di mancanze era stato l’atto più crudele che avesse mai fatto contro di lei.
Scivolò attraverso il ritratto della Signora Grassa e raggiunse il dormitorio in cui riposava Ginny.
Ringraziò con tutto il cuore che ci fosse solo lei, dal momento che le sue compagne erano tutte ritornate a casa per le vacanze di Natale.
Il Ballo non aveva allettato molti, soprattutto tra coloro che avevano subito pesanti perdite durante la guerra. Non tutti reagivano ad esse allo stesso modo; se Ron aveva pensato di approfittare delle poche cose belle che gli capitavano per usarle come faro nei momenti bui, altri studenti invece sguazzavano nell’oscurità e nel dolore senza trovare una via d’uscita.
Hermione non biasimava nessuna delle due parti, lei si sentiva esattamente nel mezzo.
Aveva la volontà di reagire come Ron, ma le mancava la forza di lottare per raggiungere la luce, perché le sue energie le aveva esaurite tutte.
«Ginny!» la chiamò disperata, singhiozzando. «Ginny, svegliati!»
«Hermione, cos… cosa succede? Stai bene?»
Sapeva di essere in uno stato pietoso, di essersi presentata lì in lacrime, bagnata dalla testa ai piedi, scossa da tremiti violenti.
«Mi ha baciata» le disse tra un singhiozzo e l’altro. «Ci… ci siamo baciati
«Oh, finalmente!» esclamò Ginny. «Perché diavolo stai così, allora? Sono abbastanza certa che Draco non sia così terribile a baciare. Pansy non faceva che elogiarlo, non può aver mentito anche su quello.»
«È maledettamente bravo», ringhiò Hermione. «Lo odio.»
«Eh?», fece la rossa, evidentemente perplessa. «Sto facendo veramente fatica a seguirti, Mione.»
«Lo odio, perché mi fa sentire tutte queste cose meravigliose e so che non potrebbe mai funzionare», specificò Hermione. «Lo odio perché non volevo sapere cosa si provasse a baciarlo, non volevo capire cosa provo veramente per lui. Lo odio perché non volevo sentire la sua mancanza su di me e invece ora non posso più fingere! Non posso più guardarmi allo specchio e convincermi di non essere perdutamente innamorata di lui!»
«Ma… Hermione!» protestò Ginny. «Gli piaci! Draco ti vuole! Me lo ha detto anche Blaise! Perché stai facendo così? Qual è il problema?»
«Il problema è che io non posso amarlo!» sbottò Hermione. «E lui non può amare me! Perché non lo capisci? C’è troppa storia tra noi due e troppa gente che cercherebbe di separarci! E continuo a non essere convinta che sia veramente interessato a me. Forse stava solo cercando di mandarmi via.»
«Baciandoti?» ripeté esasperata Ginny. «Secondo te stava cercando di allontanarti… baciandoti? Ma ti senti quando parli?»
Hermione la guardò e ringhiò a denti stretti.
«Senti, io ti voglio bene Mione, ma a volte credo che tu abbia passato un po’ troppo tempo con mio fratello, perché sembri ottusa quanto lui in certi casi», asserì in tono asciutto la rossa. «Vuoi sapere come la penso? Credo che tu sia terrorizzata, perché essere innamorata di Draco Malfoy ti spaventa come niente ti ha mai spaventata prima.»
«Oh, davvero?» sbottò l’altra, agitando le braccia per aria convulsamente. «Chissà perché!»
Ginny scosse il capo lentamente. «Ho visto Malfoy prima e anche durante la guerra, Hermione. Ero qui a Hogwarts lo scorso anno e lui non era la stessa persona degli anni precedenti. E la persona che ci è tornata questo settembre non è quella che ha lasciato il castello dopo la Battaglia. Te lo posso assicurare, nel caso in cui nutrissi ancora dei dubbi al riguardo.»
«No, non è quello che intendevo…»
«Ho visto come ti guarda», la interruppe la rossa. «Come si comporta attorno a te, con te, l’attenzione che ti presta. Non hai la più pallida idea di quanto faccia strano vedere Draco Malfoy che pende dalle tue labbra e cerca in tutti i modi di starti vicino, di attirare il tuo sguardo su di sé, di ottenere la tua approvazione quando dice o fa qualcosa di cui non è sicuro, eppure succede!»
Hermione deglutì, continuando a scuotere il capo, ma Ginny non desisté.
«Ascoltami bene, so come sono i Serpeverde quando tengono a una persona. Credimi quando ti dico che è palese che Draco ci tenga, a te.»
«Gin…»
«Persino Pansy Parkinson non è in grado di ignorarlo, Hermione. Se gli sguardi potessero uccidere, ora saresti morta almeno cento volte.»
Hermione si prese il volto tra le mani e singhiozzò. «Non posso, Ginny. Non posso dare a Draco Malfoy il potere di distruggermi completamente.»
«Se ti fa così tanta paura, forse vale la pena di correre il rischio, Hermione. Ci hai pensato?» mormorò l’amica, stringendola tra le braccia.
«Non mi sono mai sentita così prima», ammise Hermione. «Nessuno mi ha mai fatta sentire così. Lui è arrivato e ha sconvolto la mia vita interamente e ora mi fa provare cose che non avrei mai pensato di poter provare prima, tanto meno per lui! Non è di lui che ho paura, ma di quello che provo per lui. Di come mi ha fatta sentire in quel bagno, mentre mi stringeva e mi baciava. Ho paura di come mi sento quando sono con lui. È tutto… troppo, Ginny. Troppo. Ed è… è Draco Malfoy, maledizione!»
Ginny la tenne a sé per qualche istante, accarezzandole i capelli per tranquillizzarla.
«È così che dovrebbe essere, Hermione» sussurrò alla fine, sommessamente; Hermione chiuse gli occhi.
«È così che l’amore dovrebbe farti sentire. Come se fosse troppo. Ma non lo è, fidati di me. Perché a un certo punto, Mione, non ne avrai mai abbastanza.»
 
***
Draco
 
«Per la cronaca» affermò Blaise in tono serio. «Questo è il motivo per cui normalmente non tendo ad essere ottimista. Ti ho dato troppo credito concedendoti tempo fino al ballo.»
Draco sbuffò.
«Accidenti, hai davvero sbaragliato ogni mia aspettativa, Principino
«Non doveva andare in quel modo!» sbottò il biondino. «Volevo solo provocarla un po’.»
«Limonare duro nel bagno dei Prefetti con indosso solo l’intimo sembra l’ideale in quel senso. Non avrò più bisogno di usare la fantasia quando andrò a farlo io, il bagno lì.»
«Ricordami perché parlo ancora con te, Blaise?» chiese Draco in tono caustico, una smorfia di repulsione a distorcergli il viso.
«Perché Daph e io siamo gli unici amici che hai», rispose con ovvietà l’altro. «Credo che la Granger non rientri più in questa categoria, ormai. Ehi, ma non mi hai detto, avete usato la lingua?»
Lo guardò con gli occhi assottigliati, mentre lo osservava tirare fuori la lingua e muoverla oscenamente nella sua direzione, poi ringhiò di frustrazione.
Non rise. «Mi odia. Ho rovinato tutto!»
«Amico, seriamente» rispose Blaise, lasciando cadere il tono giocoso. «Credo che si sia solo spaventata.»
«Spaventata?»
«Beh, mettiti nei suoi panni. Sei il ragazzo che l’ha tormentata per anni, che inspiegabilmente e inaspettatamente è divenuto il suo confidente segreto e poi l’ha baciata senza ritegno, probabilmente quando ancora non aveva neanche ammesso a sé stessa di provare qualcosa per te. Amico, l’hai terrorizzata. Fidati.»
«Dovrebbe farmi sentire meglio?» chiese Draco, perplesso.
«Beh, non è un rifiuto, no?»
«È corsa via, Blaise» gli ripeté incredulo. «Mi ha letteralmente intimato di non avvicinarmi a lei.»
«Magari non si fida di sé stessa quando le sei vicino.»
«Smettila di darmi speranze! Ho rovinato tutto! Non mi parla, non mi guarda, anzi, mi evita completamente! Probabilmente la prima cosa che farà nel prossimo semestre, sarà chiedere di cambiare compagno di studio» ribatté con una punta di disperazione il biondino.
«Mai hai preso lezioni di teatro da piccolo?» chiese Blaise, sollevando la parte sinistra del naso.
«Cosa?»
«Smettila di essere così drammatico!» quasi gli urlò contro l’amico. «Con te tutto è una tragedia! Le cose si sistemeranno, vedrai. Devi solo darle tempo.»
«Guardala!» bisbigliò al suo orecchio quando la vide entrare in Sala Grande.
Hermione aveva di nuovo gli occhi gonfi e rossi, la sua espressione era sempre più atterrita.
«Ha pianto, di nuovo. Non sembra spaventata, sembra ferita. Ma io non ho fatto niente per farla soffrire questa volta!»
Blaise fece spallucce. «Magari c’è stato un fraintendimento. Posso solo dirti di non arrenderti, amico. Continua a provare a parlarle.»
Draco sospirò e scosse il capo; poggiò il mento sulla mano e si perse nei suoi pensieri oscuri.
Quella sera ci sarebbe stato il ballo, forse avrebbe potuto parlarle lì.
Non avrebbe potuto evitarlo davanti a tutta quella gente senza fare scenate.
Forse avrebbero potuto chiarire.
Forse avrebbe potuto sistemare le cose.
 
******
 
‘È dura non avere notizie delle persone a cui tengo… vivere alla giornata, senza sapere se è il giorno in cui ho perso qualcuno e non ne ho la minima idea.
Il silenzio attorno a me è assordante, ma il minimo rumore è anche peggio, manda il cuore in gola e ti lascia lì a pensare che forse è arrivato il tuo momento, che stai per morire.
E poi vedi che è solo uno scoiattolo, ma non ridi.
Non hai la forza per ridere.
Non ti senti neanche sollevata dallo scampato pericolo.
Hai solo paura.
E non puoi dirlo a voce alta, perché devi continuare ad autoconvincerti di non averne.
Perché se vuoi sopravvivere, devi essere forte e non lasciarti schiacciare come i tuoi oppressori vorrebbero.
È un circolo vizioso.
Ma io non so per quanto ancora avrò la forza di restare in azione, di resistere.
La fame rende tutto ancora peggiore, risucchia via quel poco di speranza, di ottimismo, per quanto ottimismo si possa avere quando si è in fuga con una taglia sopra alla propria testa.
Forse, alla fine, morirò di stenti e tutta la fatica per evitare un fascio di luce verde non sarà servita a nulla.
Sarebbe ironico, non trovi?’
 
(Dal diario di Hermione, durante la guerra.)

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Capitolo 25
*** Capitolo 24. Il Ballo di Natale ***


CAPITOLO 24
Il Ballo di Natale








 
Hermione
 
Si guardò allo specchio per un quarto d’ora abbondante.
Non era il tipo da pensare troppo al proprio aspetto, ma i balli tiravano fuori un lato di lei che restava dormiente per tutto il resto del tempo.
Il vestito che Ginny le aveva prestato, - obbligandola a indossarlo, in realtà -, era molto più appariscente di quello che aveva scelto lei.
Non che non fosse semplice, ma era vistoso nella sua semplicità; il genere di cose che avrebbero sicuramente attirato l’attenzione pur non sembrando progettate con quel fine ultimo. A Hermione avere molti occhi puntati su di sé semplicemente non piaceva.
Il vestito era lungo e stretto in vita, rosso, con le spalline che ricadevano a metà della parte superiore delle braccia; la scollatura era più profonda di quelle che normalmente usava indossare.
La faceva sentire un po’ a disagio l’idea di attraversare la Sala Grande con un vestito del genere, era pur sempre a scuola.
Ma la cosa che la turbava di più era il fatto di avere le braccia interamente scoperte; il vestito che avrebbe dovuto mettere inizialmente aveva le maniche lunghe.
L’idea di rivelare al mondo la cicatrice che Bellatrix le aveva lasciato durante la guerra le provocava disagio, le faceva accapponare la pelle. Non voleva che la gente la vedesse.
Non era visibile quanto lo era stata mesi prima, ma restava chiaramente riconoscibile e sapeva che i più audaci avrebbero puntato gli occhi in quella direzione, alla ricerca della famosa parola che quella Mangiamorte svitata le aveva inciso nella carne viva.
Si morse il labbro inferiore, mentre pensava a una soluzione. Le scoppiava la testa; avvertiva fitte di dolore alle tempie da giorni e non accennavano a passare.
Aprì il suo baule e si mise a frugare tra la sua roba, finché non li trovò: un paio di guanti lunghi ed eleganti, cui cambiò il colore da nero a rosso; se li infilò, per poi osservare il risultato complessivo finale.
Una volta stabilito che tutto sommato la mise le piaceva, sospirò e si sistemò i capelli.
Cercava con tutta sé stessa di evitare di pensare a Draco Malfoy.
Aveva trascorso la prima parte delle vacanze rintanata nella Torre di Grifondoro; era tornata al dormitorio dei Caposcuola soltanto una volta, per prendere le sue cose, e lo aveva fatto con l’ausilio della Mappa del Malandrino per accertarsi di non incrociare il biondino strada facendo. Dopo i pasti si dileguava talmente tanto in fretta da non dargli alcuna possibilità di avvicinarsi a lei.
Sapeva in cuor suo di non poter andare avanti in quel modo, che prima o poi avrebbe dovuto parlargli; al rientro dalle vacanze, sarebbero tornati ad essere partner durante le lezioni.
Forse doveva chiedere un cambio ai professori… Ma non voleva farlo.
Si trovava bene a lavorare con Draco; la capiva al volo, compensava le sue lacune quanto lei compensava quelle di lui; le loro idee si incastravano alla perfezione, le loro abilità si combinavano proficuamente. Era facile e divertente e stimolante affrontare le lezioni e svolgere i compiti insieme a lui. Imparavano l’uno dall’altro e si miglioravano a vicenda. E poteva essere ambiziosa nei progetti da realizzare, perché lui era un mago capace e gli piaceva sperimentare con la magia, approfondire le cose, non si accontentava mai di un risultato passabile: ricercava la perfezione, come lei. Non voleva perdere l’intesa che avevano costruito sotto quel punto di vista, ma non poteva neanche ignorare il modo in cui il suo corpo sembrava sfuggire al suo controllo quando si trovava con lui, l’intensità con cui lo desiderava.
Per lei quello era un fattore totalmente nuovo.
Nella sua vita aveva provato attrazione fisica solo per due ragazzi, prima di Draco: Adrian e Ron.
Con Adrian tutto era sparito dopo essere stati insieme, ma il contesto in cui la vicenda era accaduta era particolare e poteva aver influenzato il suo modo di sentirsi in quel momento.
Con Ron era tutto bello idealmente, ma nella realtà dei fatti le cose erano risultate per lo più imbarazzanti ed impacciate e la fiamma si era spenta subito.
Non aveva mai provato niente che non riuscisse a tenere sotto controllo.
Draco, al contrario, faceva saltare in aria tutte le sue barriere e difese; la sua vicinanza era troppo travolgente, il suo tocco la incendiava dentro, il suo profumo la stordiva e la sua presenza la faceva sentire instabile e vulnerabile.
Draco Malfoy era semplicemente troppo.
Non importava quello che pensava Ginny, lei non poteva lasciarsi andare ai suoi sentimenti per il biondino, perché non sarebbe andata a finire bene per lei se lo avesse fatto.
E Hermione era fermamente convinta che prevenire fosse meglio che curare.
 
***
Draco
 
Non aveva alcuna voglia di andare a quello stramaledetto ballo, ma non aveva altra scelta.
Lei sarebbe stata lì e dal momento che voleva parlarle a tutti i costi, quella era l’occasione ideale.
E poi non poteva rischiare che conoscesse qualcuno. La sola idea di vederla ballare con un altro ragazzo gli faceva contorcere lo stomaco in maniera dolorosa.
Sarebbe stato più facile gestire il rifiuto se non avesse avuto la sicurezza che alla base di esso non ci fosse una mancanza di interesse da parte sua; perché lo aveva sentito, quella notte, lo aveva capito che lo voleva anche lei. Il modo in cui lo aveva toccato e l’ardore con cui aveva ricambiato i suoi baci erano stati troppo eloquenti per passare inosservati.
Ci aveva impiegato un po’, ma alla fine era giunto alla conclusione che Hermione Granger stesse scappando, rifiutandosi di accettare quello che provava per lui; rifiutandosi di vedere che fossero fatti per stare insieme, che si adattavano perfettamente l’uno all’altra, che fossero una combinazione vincente, un incastro armonioso, e che si compensavano a vicenda.
Aveva dovuto ammettere, però, che Blaise poteva aver ragione.
C’erano tutti i motivi per cui la Grifondoro avrebbe dovuto essere spaventata da tutto ciò.
Doveva tranquillizzarla, doveva darle delle certezze. Merlino, forse ne aveva bisogno più lui di lei, ma ci avrebbe provato ugualmente.
Si guardò allo specchio per assicurarsi di essere in ordine; non aveva messo la cravatta quella sera, ma aveva indossato uno dei suoi completi migliori.
Trasse un respiro profondo, invocando il coraggio che troppo spesso si era negato a lui nel corso della sua vita e lasciò il dormitorio, ormai così solitario da essere diventato opprimente.
§
Entrò in Sala Grande e puntualmente tutti gli occhi gli furono addosso, seguiti da un miscuglio di bisbigli di cui riuscì a cogliere giusto qualche parola come ‘solo’, ‘Mangiamorte’ e ‘fottuto idiota’. Qualcuno aveva persino nominato Pansy, che in quel momento era aggrappata al braccio di Nott e sogghignava guardando nella sua direzione.
Draco fece ruotare gli occhi. Essere andato a quel ballo da solo non era affatto un problema per lui, perché c’era una sola persona con cui avrebbe voluto trascorrere la serata e non aveva potuto invitarla.
Si sentiva tutto un fascio di nervi, mentre si guardava intorno in cerca della familiare chioma della Granger, senza riuscire a trovarla; sbuffò e si avvicinò al banco delle bevande per prendere un calice di vino elfico.
Il bicchiere rimase sospeso sulle sue labbra, quando la vide arrivare.
Era meravigliosa. Indossava un vestito rosso di una semplicità e di un’eleganza disarmante, irradiava una luce quasi accecante.
Non gli ci volle molto a comprendere il perché dei guanti, - lui era il primo a non lasciare gli avambracci scoperti da tempo ormai – e com’era successo al quarto anno durante il Ballo del Ceppo, il suo portamento sembrava diverso dal solito; i suoi movimenti erano aggraziati, ma spontanei e naturali, non avevano l’artificiosità che si poteva notare per esempio in Pansy.
Vuotò il bicchiere tutto d’un sorso e poi lo posò sul tavolo, mentre notava con estremo disappunto che tutti la stavano guardando e che molti lo stavano facendo in modo lascivo.
Se fossero andati insieme all’evento, sarebbe stato diverso; l’avrebbero guardata ugualmente, ma almeno sarebbe stata sua. L’avrebbe tenuta vicina, sottobraccio e nessuno avrebbe avuto il coraggio di avvicinarsi a lei per invitarla a ballare.
E lui avrebbe quantomeno avuto il diritto di essere infastidito e geloso come si sentiva in quel momento, ma non avrebbe avuto importanza perché lei sarebbe stata al suo fianco e l’interesse degli altri studenti per lei non avrebbe significato nulla.
La vide salutare Blaise e Ginny e poi avvicinarsi a fare altrettanto con le sorelle Greengrass che erano al braccio di Potter e Weasley.
Lui e Hermione non erano gli unici ad essere andati al ballo da soli; più di un ragazzo le si era già avvicinato e lui l’aveva vista declinare gli inviti una volta dopo l’altra. La cosa lo aveva fatto sentire meglio, finché non si era reso conto della presenza di Adrian Pucey.
Gli studenti non erano gli unici invitati alla festa, gli rammentò la vocina nella sua testa.
Gli si contorsero le viscere quando vide il viso di Hermione aprirsi in un sorriso radioso nel trovarsi l’ex Serpeverde davanti e avvertì il sangue affluire al cervello quando lei gli posò una mano sul braccio e lo seguì al centro della pista da ballo.
Aveva respinto tutti, ma non Pucey.
Forse aveva davvero male interpretato i segnali.
Forse alla Granger non importava assolutamente niente di lui, non in quel senso almeno, ed era arrivato a desiderarla così tanto da autoconvincersi che per lei fosse lo stesso.
Prese un altro calice di vino elfico e lo vuotò più rapidamente di quanto non avesse fatto con il precedente.
«Vacci piano, Principino», lo ammonì Daphne, apparendo al suo fianco con un cipiglio severo spaventosamente simile a quello della Granger e, di conseguenza, a quello della McGranitt. «Non credo ci sia bisogno di ricordarti com’è andata a finire l’ultima volta.»
Il biondino sbuffò e si riempì un altro calice.
«Non ho bisogno di una baby sitter, Greengrass.»
«Non c’è bisogno di alterarsi, Principino», replicò lei divertita. «E non negare di esserlo, quando passi ai cognomi sei sempre irritato da qualcosa.»
Draco fece ruotare gli occhi. «Cosa ci trova in Pucey?»
«Beh, è dannatamente attraente», rispose onestamente la ragazza. «E ha combattuto al suo fianco durante la guerra. E…»
«D’accordo, non volevo davvero una risposta!» bofonchiò lui, interrompendola.
«Senti, lascia perdere i consigli di Blaise e anche quello che ti salta in mente. Ascolta me», asserì in tono fermo Daphne. «Quando questa canzone finirà, se loro si allontanano dalla pista da ballo, andrò a parlare con Adrian. Lo tratterrò abbastanza a lungo da darti il tempo di ballare con la Granger. Non fare cazzate. Non comportarti da stronzo sbruffone. Non mandare all’aria l’occasione.»
Draco si morse il labbro e annuì. «D’accordo, Greengrass. Facciamo a modo tuo.»
Lei gli sorrise e si allontanò per tornare al braccio di Potter.
La canzone terminò e Adrian si chinò per dire qualcosa all’orecchio della Granger, poi si avviò verso il bancone, presumibilmente per prendere da bere.
Vide Daphne partire all’attacco, vuotò il suo bicchiere di vino e marciò risoluto verso Hermione, deciso ad assicurarsi che il resto della serata lo avrebbe passato con lui.
 
***
Hermione
 
«Dovrei tornare dalla mia dama», le sussurrò in un orecchio Adrian. «Sarebbe scortese da parte mia separarmi da lei per più di un ballo.»
Hermione gli sorrise. «Ma certo, figurati. Sono contenta che tu abbia trovato qualcuno che ti rende felice, comunque. Te lo meriti.»
Il ragazzo annuì e le strinse il braccio in segno di affetto. «Buon proseguimento, Mione.»
Rimasta da sola, decise di andare a prendersi qualcosa da bere o comunque di allontanarsi dal centro della pista, perché era imbarazzante starsene lì in piedi senza nessuno con cui conversare o con cui ballare.
Prima che potesse muovere anche solo un passo, però, avvertì una mano sfiorare la sua e un corpo aderire alle spalle del proprio; sapeva chi fosse prima ancora di voltarsi leggermente per controllare.
Arrossì immediatamente quando incrociò gli occhi grigi di Draco Malfoy, specie per il modo in cui la stava guardando. La sua mano era ancora chiusa in quella di lui, quando il biondino avvicinò le labbra al suo orecchio e sussurrò suadente: «Mi concederesti un ballo, Hermione?»
Non fece in tempo a rispondere che Draco l’aveva già riportata al centro della pista e aveva posato una mano sulla sua vita.
Lei lo seguì senza opporre alcuna resistenza, esattamente com’era successo nel bagno dei Prefetti qualche notte prima, o la sera della festa di Halloween.
Nel momento in cui aveva puntato gli occhi in quelli magnetici di lui, aveva dimenticato che avesse intenzione di evitarlo e i motivi per cui avrebbe dovuto farlo; finiva sempre per perdersi, in quelle iridi argentee, per farsi guidare dalla sua voce… per perdere il controllo, appunto.
Draco chinò nuovamente il capo per farsi sentire da lei. «Sei bellissima», le sussurrò con voce roca ed effettivamente la stava guardando come se fosse la cosa più bella che avesse mai visto in vita sua.
Hermione deglutì con forza e represse a stento il brivido che le attraversò la spina dorsale.
Ovviamente doveva essere un lento. Un lento che ballarono senza interrompere il contatto visivo neanche per un istante; era come se non ci fosse nessun altro nella sala in quel momento, oltre a loro.
Danzavano e lei non riusciva a distogliere gli occhi da quelli grigi di lui, dal suo volto regale e così maledettamente bello da invitarla a toccarlo; riuscì a reprimere a stento quell’impulso inappropriato. 
Fu solo quando la musica finì, - dopo quelli che avrebbero potuto essere cinque minuti o due ore -, che si accorsero di essere rimasti da soli in pista e di avere gli occhi di tutti puntati addosso, professori inclusi, intenti ad osservarli con un’espressione di puro shock stampata sul viso.
Hermione, aiutata da quel silenzio improvviso e assordante, si riscosse bruscamente e si guardò attorno.
Sentì l’aria venire meno, il panico montare dentro di sé e impossessarsi di lei, l’imbarazzo divampare in tutto il suo corpo.
Fece l’unica cosa a cui riuscì a pensare in quel momento: scappò.
Corse fuori dalla Sala Grande, per i corridoi, senza sapere esattamente dove stesse andando.
Si sentiva soffocare; la testa le girava vertiginosamente e le pareva di essere in fiamme.
Si precipitò nel bagno di Mirtilla Malcontenta e aprì un rubinetto per gettarsi dell’acqua fredda sul collo; era così frastornata che il suo primo tentativo fu il lavandino che in realtà non funzionava perché era l’entrata della Camera dei Segreti, nonostante conoscesse benissimo la sua vera funzione.
Avvertì la sua presenza alle sue spalle prima ancora che aprisse bocca e serrò gli occhi.
«No», disse con una punta di panico nella voce. «Vattene.»
«Granger…»
Non si voltò a guardarlo, perché sapeva che facendolo si sarebbe immediatamente scontrata con quelle due pozze argentee e avrebbe perso anche quel poco di lucidità che era stata capace di ritrovare.
«Per favore, Draco. Vai via.»
Ma lui fece un passo avanti e un altro ancora; Hermione li sentiva riecheggiare nella stanza… O forse era il battito accelerato e prepotente del suo stesso cuore ciò che avvertiva.
«No», rispose categorico lui.
Le si avvicinò lentamente, come se temesse di spaventarla con dei movimenti troppo repentini, cosa che a Hermione ricordò un cacciatore davanti alla sua preda ed era esattamente come si sentiva. Una minuscola preda indifesa, - perché quando si trattava di lui ormai sembrava non avere più armi a sua disposizione -, che si stava lasciando avvolgere tra le spire di un serpente pericoloso.
Le dita di Draco sfiorarono la pelle nuda delle braccia di Hermione, mandandole una scarica elettrica che la attraversò da parte a parte.
«Per favore, non…»
«Smettila, Hermione
Sentiva il suo sguardo addosso, talmente intenso che per un momento le tremarono le gambe; la sua voce era ferma, ma c’era una nota quasi di supplica nel tono che aveva usato.
Perché il suo nome suonava così melodioso uscendo dalle sue labbra? Perché la sua voce pareva accarezzare sensualmente la sua pelle?
Hermione scosse la testa, strinse le dita sul marmo del lavandino davanti a sé.
«Smettila di scappare da me», mormorò ancora Draco.
Ora le stava praticamente addosso. Il petto di lui premeva contro la sua schiena, rendendola ancora più consapevole della sua vicinanza, il suo respiro le sfiorava il collo, provocandole brividi in tutto il corpo.
«Smettila di scappare da noi», le sussurrò tra i capelli.
Le mani del biondino si posarono sulle sue spalle e la voltarono con delicatezza, una sorta di delicatezza che non avrebbe mai associato a Draco Malfoy prima di quel momento.
«Draco, non possiamo…» gemette disperata, continuando a rifiutarsi di incontrare i suoi occhi.
Lui posò la fronte contro quella di lei e sospirò.
«Non possiamo solo se tu non vuoi» ribatté con convinzione. «Dimmi che non mi vuoi, Hermione. Dimmi che mi sono immaginato tutto, che l’altra notte non hai sentito niente, che quel bacio non ha significato niente per te. Dimmi che non provi per me quello che io provo per te e mi farò da parte immediatamente.»
Hermione serrò gli occhi e trasse un respiro profondo.
Le dita di Draco erano sulla sua guancia ora, si muovevano con dolcezza sulla sua pelle.
La ragazza sospirò arrendevolmente. «Cosa vuoi da me, Draco?»
La risposta arrivò dopo una pausa di silenzio assordante e la colpì con la forza di mille fulmini, spiazzandola completamente.
«Vorrei soltanto amarti», disse sommessamente, con una semplicità disarmante.
Hermione spalancò gli occhi e finalmente incontrò il suo sguardo deciso, determinato, privo di qualsiasi scherno.
Le sfiorò le labbra con le dita, si inumidì le sue.
«Permettimi di amarti, Hermione.»
La ragazza dischiuse le labbra e quando quelle di Draco si richiusero su di esse, seppe immediatamente che non ce l’avrebbe più fatta a resistergli.
Cedette completamente.
Gli gettò le braccia al collo e si premette contro di lui, spingendo per approfondire quel bacio e affondando le mani tra i suoi capelli.
Gemette, quando la sua lingua richiese un maggiore accesso e sentì la sua presa farsi più salda sulla sua schiena in risposta a quel suono di piacere che le era sfuggito incontrollato dalla gola.
Sussultò quando la parete fredda entrò a contatto con la pelle nuda delle sue spalle, lasciata scoperta dal suo abito, ma fu grata di avere un appoggio stabile, perché non sentiva di potersi fidare del proprio corpo in quel momento.
Non quando le labbra di Draco si muovevano in quel modo sul suo collo esposto, non quando le sue mani cercavano di ricoprire avidamente ogni centimetro del suo corpo che potevano raggiungere.
E poi lui rallentò i movimenti, si allontanò leggermente da lei e posò la fronte contro la sua; aveva gli occhi chiusi ed il fiato corto.
Respirò a fondo mentre si passava la lingua sulle labbra, poi la guardò negli occhi e le chiese: «ti va… ti va di tornare al nostro dormitorio?»
Hermione affondò il capo contro il suo petto, sentendosi ancora terribilmente frastornata, e annuì.
In realtà, non sapeva se sarebbe riuscita a raggiungere il ritratto; la testa le girava pericolosamente.
Fortunatamente, Draco sembrava deciso a non lasciarla andare.
Le lasciò una scia di baci, sul viso, sul collo, sulla spalla; poi fece scivolare un braccio attorno alla sua vita e se la strinse contro.
Hermione posò esitante una mano sul suo fianco, mentre si lasciava condurre presso il dormitorio dei Caposcuola.
Era una sua impressione o stava tremando leggermente?
La presa di Draco, però, era decisa su di sé, stabile.
Non avrebbe mai pensato di vedere il giorno in cui si sarebbe sentita al sicuro nelle sue mani.
§
Non appena il ritratto si chiuse alle loro spalle, la sospinse contro la parete.
Il muro freddo a contatto con la sua pelle nuda la fece rabbrividire.
Le tolse una ad una le forcine dai capelli, accompagnando con le dita le ciocche che man mano ricadevano libere sulla sua schiena.
La guardava con un misto di meraviglia e beatitudine, quasi come se non credesse che gli stesse permettendo di fare veramente tutte quelle cose.
La baciò di nuovo, con trasporto, ma più lentamente di quanto non avesse fatto poco prima nel bagno di Mirtilla, quando l’aveva baciata con urgenza e disperazione.
Le sue mani vagavano erranti su ogni pezzo di pelle che poteva toccare e ad ogni loro passaggio, Hermione avvertiva il fuoco divampare dentro di lei.
La prese in braccio, senza smettere di baciarla e si diresse verso il divano; la distese con delicatezza sui soffici cuscini e in qualche modo riuscì a incastrarsi tra le sue gambe.
Le sue labbra si spostavano dalla bocca di lei, al suo collo, giù lungo la scollatura del suo vestito.
Lasciò che le sue mani vagassero sulle sue gambe, nude sotto al vestito, e sapeva che avrebbe dovuto fermarlo, ma era l’ultima cosa che voleva fare in quel momento.
Forse era giusto lasciarsi andare completamente, pensava, ormai che aveva ceduto.
Che senso aveva trattenersi quando le sue attenzioni erano così piacevoli?
Il cuore di Hermione le batteva furiosamente nel petto; chiuse gli occhi e lasciò cadere la testa all’indietro, mentre Draco esplorava il suo corpo senza remore e lei si abbandonava al suo tocco gentile e a quelle sensazioni favolose che non aveva mai provato in precedenza.
Non sapeva più dove fossero le sue dita e dove le sue labbra, non le importava… tutto ciò che contava era che non si fermasse; lo strinse a sé con forza, facendo scivolare le mani sul suo petto nudo, fino a raggiungere la sua schiena.
Quando gli aveva sbottonato la camicia?
«Granger?»
Il suo nome arrivò alle sue orecchie come ovattato, ma dal tono sembrava che l’avesse già chiamata più di una volta.
«Granger, ti senti bene?»
«S-sì», disse lei, schiarendosi la gola e riaprendo gli occhi per incontrare i suoi.
Era maledettamente bello in quel contesto, spettinato, con la camicia aperta, le guance leggermente rosee e le labbra gonfie per via della veemenza con cui la stava baciando.
Deglutì e cercò di respirare per restare lucida.
«Per un momento ho pensato fossi svenuta o peggio ubriaca o chissà che cosa.»
«No, sto bene. Ho bevuto solo un bicchiere di vino», lo informò corrugando la fronte, confusa.
«Ti ho chiesto se va bene», le ripeté preoccupato. «Questo
Hermione arrossì violentemente.
Adesso che glielo stava chiedendo non ne era più così sicura.
Troppo veloce… stava accadendo tutto troppo in fretta. Aveva completamente spento il cervello, si era lasciata travolgere al punto da non sentirlo mentre le stava chiedendo il permesso di proseguire.
Quel dettaglio la spaventò.
«Ehm, forse è meglio se…»
Le urla provenienti dal corridoio interruppero quella frase a metà.
C’era qualcuno all’esterno che stava litigando in maniera accesa con Sir Cadogan.
Draco sbuffò. «Ti giuro, se è qualcuno dei tuoi amici convinto che ti abbia rapita o qualcosa del genere, affatturo tutti.»
Hermione non riuscì a reprimere un sorriso a quelle parole. Raccolse tutte le sue forze e si rialzò, cercando di aggiustare al meglio il proprio abito e i propri capelli ormai totalmente in disordine, mentre Draco si dirigeva verso la porta per controllare cosa stesse accadendo all’esterno.
Per quanto tempo erano spariti?
Per quanto tempo erano rimasti nel ballo di Mirtilla a baciarsi?
Da quanto tempo erano tornati al dormitorio?
Hermione aveva perso ogni cognizione del tempo e della realtà circostante, aveva permesso alle sensazioni che il biondino le stava facendo provare di assorbirla completamente. Non si sentiva ancora completamente lucida, la testa le girava vagamente e il suo respiro non si era ancora regolarizzato appieno; decise di restare seduta sul divano, perché non si fidava della stabilità delle sue gambe in quel momento.
Avvertiva ancora le mani di Draco sulla sua pelle, come se l’avesse reclamata per sé e il suo corpo non potesse più liberarsi della sensazione regalata dal suo tocco.
Il pensiero la fece arrossire nuovamente.
«Che fine avete fatto?»
Sentì la voce di Harry chiedere al Serpeverde una volta che ebbe aperto la porta.
«Non importa, dov’è Hermione?»
«Potter, se stai insinuando che-»
«Draco, non è il momento! È successa una cosa, devo parlare con Hermione!» lo interruppe sul nascere il moro.
La ragazza, allarmata dalle parole e dal tono del suo migliore amico, si alzò e raggiunse i due nel corridoio a grosse falcate.
«Che succede?»
Le sue guance erano leggermente rosee; sapeva che lo stato in cui versava, per quanto si fosse impegnata per rendersi il più presentabile possibile, era assai allusivo, ma le battutine che si aspettava non arrivarono mai.
Ginny la guardò con occhi gonfi e rossi, stretta tra le braccia di Blaise.
Daphne aveva lo sguardo perso e sembrava spaventata.
«Justin ha cercato di buttarsi dalla Torre di Astronomia», disse Harry senza fare troppi preamboli. «E ci è quasi riuscito. È vivo solo perché Blaise e Ginny erano in giardino e lo hanno visto in tempo.»
 
******

‘Durante la guerra ero solita ripetermi che ne sarebbe valsa la pena.
Lottare, rischiare, non arrendersi mai e per nessuna ragione…
Perché una vita passata a nascondersi non valeva la pena di essere vissuta e allora meglio morire cercando di risolvere la situazione, nel tentativo di rendere il mondo un posto migliore, piuttosto che fuggire.
Ma pensavo anche che qualcosa sarebbe cambiato, una volta finito tutto.
Non è propriamente così.
I pregiudizi ci sono ancora.
L’odio c’è ancora.
Forse è vero che il male non si può mai sradicare completamente.
Pensavo anche che avrei finalmente trovato il mio posto nel mondo, che avrei capito dove appartengo.
Ma non è stato così.
Non so ancora dove sia la mia casa, cosa voglio dal mio futuro.
Mi rendo conto che, forse, non ho mai creduto veramente di poterne avere uno.’

 
(Dal diario di Hermione, primi tempi a Hogwarts dopo la guerra.)

 
 

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Capitolo 26
*** Capitolo 25. Un Natale Dolceamaro ***


CAPITOLO 25
Un Natale Dolceamaro







 
Draco
 
Hermione stava parlando con la McGranitt, Pucey, Potter e la piccola Weasley da una mezz’oretta abbondante.
Draco, Blaise e Daphne attendevano fuori dall’infermeria, in un silenzio alquanto angosciante.
Dalla Sala Grande non proveniva più alcun rumore; il ballo era stato interrotto quando Ginny era piombata nel mezzo della stanza, urlando terrorizzata in cerca di aiuto, con le mani coperte di sangue e il viso completamente privo di colore. Gli studenti erano stati mandati a letto.
«Cos’è successo?» chiese alla fine Draco, rivolgendosi a Blaise. C’era stanchezza nella sua voce, impazienza e anche un accenno di ansia.
«Non ci ho capito molto, ti dico la verità» rispose l’amico. «È successo tutto così in fretta e io non stavo… prestando attenzione. Insomma, un attimo avevo la mano a un passo dalle mutandine di Ginny e quello dopo la vedo tirare fuori la bacchetta e lanciare un incantesimo. Per un momento ho pensato che volesse affatturarmi per qualche motivo, soprattutto visto che mi ha spinto via di forza.»
«Vai al punto, Blaise» lo incitò Daphne, sbuffando seccata. «Poi dici che sono io quella che esagera con i dettagli.»
«Sì, insomma, la seguo con lo sguardo e vedo che Justin Finch-Fletchley è sospeso in aria a un centimetro da terra», proseguì Blaise, deglutendo e rabbrividendo al ricordo degli eventi. «Un centimetro e non sto esagerando. Una frazione di secondo di ritardo e sarebbe morto davanti ai nostri occhi.»
Draco si passò una mano sul viso, ormai pallido come uno straccio.
Si trattava di un altro attacco, ne era certo… E anche quella volta la vittima era un Nato Babbano.
«La McGranitt ha chiesto immediatamente a Lumacorno di fare l’appello», continuò il racconto Daphne, per dargli informazioni su ciò che era accaduto dopo al ballo. «Tutti gli studenti rimasti al castello erano in Sala Grande, beh eccetto voi quattro, ovviamente, e Paciock e la Lovegood che credo fossero nella Stanza delle Necessità. Ron e Astoria sono andati a chiamarli.»
Nessuno commentò in alcun modo la notizia, anche se normalmente si sarebbero tutti concessi una serie di battutine al riguardo.
Draco si sfregò con forza gli occhi.
Un attimo era in paradiso e quello dopo era ritornato dritto nelle fiamme dell’inferno, che ardevano più vive che mai.
Un attimo era felice, forse per la prima volta in tutta la sua miserabile vita, e quello dopo era di nuovo preda di quell’ansia ormai tremendamente familiare che lo accompagnava dal sesto anno.
Aveva paura che potesse accadere qualcosa alla Granger, alla splendida creatura che stringeva tra le braccia solo mezz’ora prima, totalmente incredulo della piega inaspettata che aveva preso la serata, alla ragazza che desiderava dall’inizio dell’anno e che stava finalmente per diventare sua.
Non provò neanche a cercare di autoconvincersi di non essere spaventato. Fingere di essere spavaldo non lo aveva mai portato a niente.
Scattò sull’attenti nel sentire il rumore della grossa porta dell’infermeria che si riapriva.
La Granger, Potter e la Weasley li raggiunsero con aria afflitta.
«Lo hanno stabilizzato», annunciò Ginny.
«Ma come Dennis è caduto in un sonno profondo e non riescono a svegliarlo», terminò Potter. «Pucey sta facendo rapporto al Ministero, non sappiamo cosa accadrà ora. Nessuno sa dirci niente, neanche una misera teoria su quello che sta succedendo.»
Draco avvertì la rabbia montare dentro di lui.
Perché non poteva avere un attimo di tranquillità?
Perché non poteva avere un momento per godersi quelle poche cose belle che gli erano rimaste nella vita?
Perché doveva sempre vivere nella paura costante che le poche persone a cui teneva potessero venirgli portate via?
Non c’era modo che fosse tutto un caso. Lui non aveva mai creduto alle coincidenze: c’era qualcuno che stava prendendo di mira i Nati Babbani. Di nuovo.
Il suo pugno si scontrò forte contro la parete pietrosa dietro di lui e il dolore che si irradiò dalla mano al resto del braccio, raggiungendo il suo cervello con prepotenza, parve fargli recuperare lucidità.
«Draco!»
«Malfoy!» esclamarono in coro quasi tutti i presenti, scioccati da quel gesto improvviso e violento.
Hermione gli fu subito accanto, con un’espressione preoccupata dipinta sul viso; gli mise una mano sulla schiena, mentre lui guardava la parete davanti a sé, prendendo corti respiri.
«Sto bene», le disse in tono asciutto, ma lei iniziò a tirarlo per la camicia per trascinarlo da Madama Chips e rimediare a quello scatto irrazionale, borbottando qualcosa di molto simile a un «maledetto idiota».
La Preside li raggiunse in corridoio e batté le mani tre volte per interrompere i loro mormorii concitati.
«Tornate tutti nei vostri dormitori», ordinò perentoria. «Subito.»
§
«Si può sapere che ti è preso?» gli chiese un’esausta Hermione mentre lasciavano l’infermeria. Si era quasi rotto la mano.
«Lascia stare, Granger» brontolò lui, ma dall’occhiata che gli rivolse capì che non aveva la minima intenzione di assecondarlo.
«Sono solo stanco», le disse allora. «Stanco di non poter avere un attimo di pace.»
Probabilmente la Grifondoro capì subito cosa intendesse dire, perché annuì mesta e non pose ulteriori domande.
La guardò poggiare un braccio sul muro e togliersi le scarpe con un paio di movimenti fluidi, per poi prenderle nella mano sinistra e lasciarsi andare a un gemito di sollievo.
A Draco quel suono sembrò spaventosamente simile a quello di piacere che aveva emesso qualche ora prima nel bagno di Mirtilla Malcontenta, mentre la baciava con ardore, anche se ancora aveva sentito poco uscire dalle labbra della Granger in quel senso. Il solo ricordo di quel momento gli provocò una vampata di calore.
Chiamare a raccolta tutto il suo autocontrollo per fermarsi era stata la cosa più difficile che avesse fatto nelle ultime settimane, ma non voleva bruciare le tappe, rischiare che la ragazza potesse pentirsi e finire col perderla prima di subito.
Non poteva permettersi altri errori con Hermione Granger.
La guardò e sentì nuovamente la preoccupazione attanagliargli lo stomaco; sembrava sfinita ed estremamente provata. Le cinse le spalle con un braccio e se la tirò contro, un po’ per sorreggerla, un po’ per sentirla su di sé, e fu incredibilmente sollevato dal fatto che non si fosse ritratta da lui.
Temeva ancora che potesse ricominciare a scappare da loro.
Camminarono in silenzio fino al dormitorio dei Caposcuola, senza commentare in alcun modo quanto accaduto con Justin, né tanto meno quanto era successo tra di loro prima che la notizia li raggiungesse, rovinando il loro momento.
Una volta nella Sala Comune, Draco la trattenne per un braccio, le prese il volto tra le mani e la baciò.
Doveva farlo, doveva assicurarsi che non lo avrebbe respinto di nuovo, che sarebbe rimasta con lui, che aveva smesso definitivamente di negare l’evidenza.
Che non avrebbe più rifiutato di riconoscere che tra di loro c’era qualcosa di profondo e che andava ben oltre l’amicizia, che non si sarebbe più rifiutata di accettare che si appartenevano.
«Resta con me», sussurrò quasi supplichevole, la sua voce un sussurro rauco. «Resta con me stanotte.»
Non voleva allontanarsi da lei; non solo perché temeva che l’indomani mattina sarebbe nuovamente fuggita via da lui, ma anche perché aveva paura che le sarebbe potuto accadere qualcosa se l’avesse persa di vista anche solo per un attimo.
«Draco…» esordì la ragazza, sospirando, leggermente imbarazzata, «prima mi sono lasciata andare un po’ troppo, non sono pronta a-»
«Non proverò a fare niente, Hermione» la interruppe per rassicurarla. «Non finché non mi dirai di volerlo. Voglio solo… stare con te.»
Lei lo guardò per qualche istante senza dire niente e alla fine annuì semplicemente. «Però vado prima a cambiarmi, va bene?»
Draco fece un breve cenno d’assenso con il capo.
Forse non voleva stare da sola neanche lei.
§
La mattina seguente, dopo essere andato a prendere la colazione dalle cucine, la svegliò con dei baci sul collo, mentre pregava di non ricevere un buongiorno a suon di schiaffi per questo.
Hermione esalò dei gemiti involontari e inarcò il bacino verso di lui spontaneamente, suscitando la comparsa di un ghigno sul suo viso, prima di destarsi completamente e riacquisire un briciolo di lucidità.
«Buongiorno», disse con voce impastata la ragazza.
«Sono le undici», la informò lui, «ti ho lasciata dormire visto che alle quattro eri ancora sveglia e ti dimenavi come una Mandragola.»
«E tu?» chiese lei corrugando la fronte, ignorando la sua battutina pungente.
«Sono un tipo mattiniero», affermò lui scrollando le spalle. «Indipendentemente da quante ore dormo.»
La verità era che non dormiva molto, non più.
Ogni volta che chiudeva le palpebre per più di qualche secondo, un incubo dal suo passato era pronto a manifestarsi e a tormentarlo.
Non aveva un sonno tranquillo da anni, ormai.
Ma non le disse nulla al riguardo, ne avevano parlato a sufficienza nei diari e non voleva rischiare di sollevare questioni spinose o di instillare tensione tra di loro proprio quando pareva che lei si stesse, finalmente, sciogliendo.
Le stampò un bacio sulle labbra, giusto per assicurarsi ancora una volta che non si sarebbe ritratta, che fossero sulla stessa lunghezza d’onda e che avesse capito bene il significato di quello che era successo la notte prima, almeno dal suo punto di vista.
Hermione lo spinse via e lo guardò con un’espressione orripilata che gli fece saltare un battito, gettandolo immediatamente in preda al panico.
«Draco!» esclamò con un gridolino acuto e un’aria scandalizzata. «Non ho nemmeno lavato i denti!»
Il biondino esalò un respiro di sollievo che si impegnò con tutte le sue forze a rendere impercettibile. «Chi se ne frega.»
Le sopracciglia di Hermione scattarono all’insù. «Tanto schizzinoso e poi questo non ti crea problemi?»
Draco fece spallucce. «Sono andato nelle cucine per prendere qualcosa da magiare», le disse, cambiando discorso e, dal momento che non rispondeva, si voltò a guardarla, trovandola intenta a mordicchiarsi una guancia con fare pensieroso.
«Quindi mi stai dicendo che Draco Malfoy è il tipo di ragazzo che ti fa trovare la colazione in camera?»
Draco si leccò il labbro inferiore, lentamente, e la studiò con sguardo calcolatore; il suo viso si aprì in un sorriso malizioso. Le si avvicinò nuovamente e le catturò le labbra, stringendole tra le sue un’altra volta.
«Ti sto dicendo che Draco Malfoy è il tipo a cui piace viziare la propria ragazza» sussurrò tra un bacio e l’altro. «E fidati quando ti dico che ci sono innumerevoli modi in cui posso farlo.»
Hermione sorrise contro le sue labbra e una piccola risatina sfuggì dalla sua gola.
«La propria ragazza, eh?» ripeté con enfasi. «Interessante.»
Il biondino si immobilizzò e il sorriso morì sul suo viso.
Che cosa intendeva dire?
Forse non erano sulla stessa lunghezza d’onda, dopotutto.
«Non scherzare, Granger», asserì in tono fermo, alzando il viso per guardarla, serio come non mai. «Tu sei mia ora.»
Intrappolata sotto al suo corpo, la avvertì rabbrividire a quelle parole e vide il divertimento scivolare via dai suoi occhi scuri.
Si chinò a baciarla nuovamente e lei rispose in maniera del tutto ricettiva, entrambi dimentichi della colazione che li attendeva in un vassoio abbandonato sul comodino accanto al letto. Le dita di Hermione giocavano con i suoi capelli alla base della nuca.
«Il che mi riporta a ieri sera», proseguì Draco, inumidendosi le labbra e allontanandosi leggermente da lei per studiarla con attenzione. «Cosa voleva Pucey?»
Hermione fece ruotare gli occhi. «Davvero? Non sono passate neanche ventiquattro ore e tu sei già geloso?»
«Non sono geloso» obiettò facendo una smorfia lui.
«Sì che lo sei», ribatté lei, nel suo tono saccente che era solito irritarlo negli anni precedenti. «Geloso e possessivo. Perché non mi sorprende?»
Draco sbuffò e si mise a sedere davanti a lei, visibilmente accigliato. «Non sono passate neanche ventiquattro ore e già ti lamenti di me?»
«Sto solo mettendo in chiaro le cose, Draco» rispose la ragazza, totalmente seria. «Non so come funzionano le cose tra voi Serpeverde, Adrian non fa testo in questo senso, ma se pensi di potermi controllare…»
«Oh, smettila, Granger! Sai benissimo perché te l’ho chiesto!» esclamò Draco, stizzito.
Non poteva credere che stessero già litigando, ma soprattutto, non poteva credere che non capisse il suo punto di vista sulla questione Adrian Pucey.
«È stato la tua prima volta! E stavate ballando insieme
Hermione sospirò. «E se fossi stato più attento, invece di ingozzarti di vino elfico per tutto il tempo, avresti notato che Adrian è venuto al ballo con la sua nuova ragazza.»
«Ah», commentò spiazzato lui, mentre si grattava la nuca in imbarazzo, le guance che avevano assunto un colorito vagamente roseo.
«Che ne sai tu di quello che stavo facendo io?» domandò allora, per sviare l’attenzione altrove.
Funzionò, perché il volto della giovane assunse d’un tratto una tonalità rossastra e distolse immediatamente lo sguardo da lui, sporgendosi verso il comodino e afferrando il vassoio con un movimento più brusco del necessario.
«La colazione si fredda, Draco.»
Lui sorrise beffardo. «È incantata per mantenersi calda, Granger. Lo sai perfettamente.»
Hermione avvampò ancora di più.
«Oh, sta zitto e mangia, dannato furetto!»
«Sai, credo che dovresti smetterla di chiamarmi così», affermò lui, alzando un sopracciglio, mentre si metteva a sedere accanto a lei e dava un morso ad un biscotto.
«No.»
«Invece credo proprio di sì.»
«E io ho detto di no.»
«Granger» intimò con tono ammonitore.
«Malfoy», gli fece il verso lei e Draco dilatò le narici, soffiando dal naso come se fosse sul punto di perdere la pazienza.
«Che c’è? Eri un furetto carino», insisté Hermione, guardandolo con gli occhi dolci, a cuoricino.
Draco sbuffò e scosse la testa, rassegnato.
Lei rise, assaporando la vittoria.
«Vediamo se almeno mentre mangi riesci a tenere la bocca chiusa», le disse esibendo la sua migliore smorfia dispettosa.
«Idiota.»
***
Hermione
 
Non aveva la più pallida idea di come si sentisse in quel momento.
Dalla sera prima, aveva l’impressione di essere in un giro infinito sulle montagne russe; passava da un’emozione all’altra in maniera talmente rapida da non poterne metabolizzare alcuna e Draco non le lasciava abbastanza tempo da permetterle di assimilare nulla, ma mentre la stringeva a sé e la baciava con dolcezza, Hermione era felice.
Chi lo avrebbe mai detto che Draco Malfoy fosse capace di comportarsi in quel modo? Di toccare con tenerezza e di essere premuroso?
Quando si separarono per fare una doccia, si ritrovò a riflettere sul fatto che il biondino era caldo; lei era sempre stata convinta che al tatto sarebbe risultato in qualche modo maledettamente freddo.
In quei brevi momenti in cui si era ritrovata da sola, però, i suoi pensieri erano subito stati sbaragliati altrove; non poteva fare a meno di sentirsi in colpa nei confronti di Justin.
Era contenta di averlo convinto a restare, se fosse tornato a casa non era assicurato che qualcuno si sarebbe accorto di quello che stava accadendo e che avrebbero fatto in tempo a salvarlo. Persino a Hogwarts, ci era mancato poco: una frazione di secondo e sarebbe morto, che fossero lodati i riflessi pronti di Ginny.
«Ti ho preso questo», sussurrò Hermione, prendendo posto sul divano e spingendo un pacchetto verde verso di lui.
Draco lo guardò sorpreso per qualche istante. «Mi hai fatto un regalo?»
«È solo un pensiero», rispose lei arrossendo. «Niente di che, davvero.»
Poteva solo immaginare quanto gli sembrasse strano quell’oggetto.
«Granger, non sono sicuro di sapere cosa sia», disse infatti, con un tono di voce esitante che le fece pensare che temesse di offenderla.
Lei sorrise e indicò il cerchio legno lavorato. «I Babbani li chiamano ‘Acchiappasogni’», iniziò a spiegare, «il cerchio simboleggia il ciclo della vita e l’universo. Si dice che la rete di perline serva a trattenere i sogni positivi.»
Faceva scorrere le dita sulle linee nel cerchio mentre parlava, lentamente. «I buchi invece dovrebbero risucchiare i sogni negativi e restituirli all’universo.»
Draco la ascoltava come rapito. «E le piume?»
«Rappresentano l’aria e il volo degli uccelli», terminò lei, poi alzò lo sguardo su di lui, completamente rossa in viso. «Merlino, sembra decisamente stupido ora che te l’ho dato! Ho solo pensato che… insomma… mi avevi detto dei tuoi incubi… è simbolico ovviamente… Ma per i maghi forse queste cose…»
La baciò, zittendola.
Hermione poteva solo sperare che avesse capito la simbologia del regalo nonostante il suo balbettare e le sue spiegazioni confuse.
«Grazie.»
Grazie.
Probabilmente quella parola usciva raramente dalle labbra di Draco Malfoy e l’aveva detta a lei, per una cosa stupida come un Acchiappasogni, che probabilmente per lui non significava assolutamente nulla.
«Anch’io ho qualcosa per te.»
La ragazza sbatté le palpebre spiazzata; poteva giurare di aver visto le guance di Draco colorarsi di un rosa più intenso.
«Non mi aspettavo…»
Il biondino fece ruotare gli occhi e sbuffò, così non finì la frase.
Hermione aprì il pacco con mani tremanti.
Non sapeva cosa aspettarsi da lui. Insomma, il suo era stato giusto un pensiero, che aveva fatto senza immaginare di ricevere nulla in cambio, ma quello era Draco Malfoy.
Non aveva pensato a quanto sarebbe stato ampio il divario tra il genere di regali che si sarebbero fatti prima di quel momento.
Quei pensieri e il panico scivolarono via dalla sua mente tutto d’un tratto, perché Hermione lo riconobbe immediatamente, ancor prima di aver rimosso tutta la carta da regalo che lo ricopriva: un libro, la prima edizione di Storia di Hogwarts per l’esattezza.
«Come… Dove… Draco
La voce le venne fuori in un acuto che lo fece scoppiare a ridere.
«Merlino, questo è… troppo! Non posso accettarlo, sarà costato una fortuna!»
«Calmati, Granger», la prese in giro sghignazzando. «L’ho semplicemente rubato dalla biblioteca di famiglia.»
Hermione aveva ancora le mani sul viso. «Non posso comunque accettarlo…»
«Non hai scelta in merito, potrei seriamente offendermi se lo rifiutassi e sono famoso per serbare rancore davvero a lungo.»
Lei emise un gemito divertito, poi lo ringraziò ripetutamente, gettandogli le braccia al collo e baciandolo con entusiasmo. Probabilmente doveva sembrargli una bambina sovreccitata in quel momento e di fatti non riusciva a smettere di ridacchiare contro le sue labbra.
Quel pensiero la costrinse a darsi un po’ di contegno e si obbligò a calmare gli animi, anche se lui la stava guardando con una luce negli occhi che non gli aveva mai visto prima e con un sorrisetto soddisfatto a illuminargli il viso.
Hermione si schiarì la gola, la curiosità che iniziava a prendere il sopravvento in lei. «Ma come hai fatto a…?»
«Gli elfi possono Materializzarsi dentro e fuori il castello», le ricordò il ragazzo, capendo al volo la sua domanda. «E lo stesso vale per il Manor. Ho portato Trixy con me, non l’avrei mai lasciata con i miei genitori. Le ho chiesto di fare un salto nella biblioteca dei Malfoy l’altro giorno.»
«Trixy?»
«La mia elfa domestica.»
Il sorriso svanì dal viso di Hermione. «Tu hai… un’elfa?»
Quella notizia la turbò infinitamente, perché già era abbastanza grave che lui possedesse un’elfa, se la trattava come sapeva che Lucius Malfoy aveva trattato Dobby al suo tempo, allora avrebbero avuto un problema e insormontabile anche.
Draco sbuffò. «Chi credevi che te le preparasse quelle colazioni o quegli spuntini notturni buonissimi, Granger?»
«Tu…»
«Non iniziare con quella storia del C.R.E.P.A.» borbottò lui, interrompendola.
«La tratto bene. E no, non posso liberarla perché non vuole. E sì, c’è qualcosa che puoi fare visto che prima che la ereditassi era l’elfa di Bellatrix ed è traumatizzata al punto che non riesco ad impedirle di punirsi per qualsiasi sciocchezza, nonostante glielo abbia ordinato mille volte. E indovina? Dopo si punisce anche perché mi ha disobbedito.»
Hermione si portò le mani sulle labbra, sconvolta, emettendo un gridolino. «Perché non me ne hai parlato prima, Draco?»
«Perché da quando siamo arrivati a Hogwarts pare che si sia calmata», rispose il biondino. «Grazie per la fiducia, comunque, Granger.»
Hermione sospirò e scosse il capo. «Penserò a cosa fare», disse, optando poi per la scelta più sicura: abbandonare quel discorso e ignorare la sua frecciatina.
«Credo che sia ora di scendere di sotto, comunque», mormorò allora.
Draco esalò un gemito di protesta.
«È il pranzo di Natale, Draco» gli fece notare. «Non sarà molto allegro quest’anno, ma dovremmo presentarci.»
Arrossì mentre lo diceva, perché all’improvviso realizzò che l’ultima volta che erano stati visti insieme, stavano ballando nel mezzo della Sala Grande e si guardavano negli occhi, incuranti del resto del mondo, come se ci fossero solo loro due in tutta la stanza.
«Sei tesa», notò lui, studiandola con attenzione.
Hermione annuì, non aveva senso mentirgli, ormai la conosceva troppo bene per sperare di avere successo in quel senso. «Ieri… ci stavano guardando tutti. Si erano fermati, addirittura. E noi non ce ne siamo neanche accorti.»
«Chi se ne frega» rispose lui con aria annoiata. «Appena scoperto di noi, avrebbero parlato ugualmente. Che dicano quel che gli pare, sono stanco di preoccuparmi di quello che crede o pensa la gente.»
E poi Hermione si portò le mani sul viso con fare estremamente teatrale. «Oddio! Ti immagini se ti avessi pestato i piedi in quel momento?», asserì orripilata. «Avrei fatto una figuraccia clamorosa!»
Draco rise. «Ti preoccupi di questo quando sei stata vista ballare un romantico lento con un ex-Mangiamorte? Sei fottutamente strana, Granger, fattelo dire.»
«Draco», lo rimproverò lei con un’occhiata eloquente.
Non le piaceva quando parlava così e ne era consapevole anche lui, glielo aveva ripetuto mille volte nell’ultimo periodo.
Hermione sapeva che il biondino si sentiva terribilmente in colpa per le sue azioni passate, ma non pensava neanche che dovesse darsi addosso in quel modo, per tutto il tempo.
E poi lei non si vergognava di farsi vedere in giro con lui, sperava solo che la cosa valesse anche al contrario.
«Siamo stati bravi, Granger. Altrimenti li avremmo trovati con le lacrime agli occhi per le risate e non avrebbero pensato al fatto che eravamo noi due quelli al centro della pista. Cosa che era alquanto scontata, in realtà, perché sono un ballerino provetto.»
Hermione socchiuse gli occhi. «Te l’hanno mai detto che sei un narcisista di prima categoria o in Casa Serpeverde ti venivano rivolti solo complimenti, che fossero sentiti o meno?»
Draco sbuffò. «Granger, tu sei una ficcanaso clamorosa, ma non te lo ripeto in continuazione perché sono gentile
Lei scoppiò a ridere. «Me lo hai detto continuamente per… mmh, vediamo… sei anni di fila, tipo.»
Il biondino alzò un sopracciglio. «Credevo avessimo deciso di lasciarci il passato alle spalle.»
«Solo per quanto riguarda le cose serie», ribatté lei con un mezzo sorriso. «Furetto», aggiunse poi, per rimarcare il punto.
Draco scosse il capo. «Dai, su. Scendiamo per questa pagliacciata.»
Hermione sospirò e si alzò svogliatamente dal divano.
Non era dell’umore neanche lei, in realtà, ma era una di quelle cose che andavano fatte e basta.
«Perché ti pesa così tanto?» gli chiese dopo una pausa di silenzio.
Lui fece spallucce. «Il Natale è sopravvalutato», asserì con indifferenza.
«Ne hai mai passato uno decente?» domandò ancora lei, temendo subito di aver fatto un passo falso ponendogli un quesito così personale e mirato, ma lui non sembrò irritarsi.
«No», rispose in tono asciutto e onesto.
Non aveva bisogno di elaborare, non con lei; le aveva confidato abbastanza nei diari da poter trarre le conclusioni da sé.
«Beh, questo è andato», sussurrò Hermione rassegnata. «Ma l’anno prossimo vedremo di rimediare. Chissà che tu non cambi idea anche su questo.»
Draco la guardò con uno sguardo meravigliato. «Conti già di tenermi con te a lungo termine, Granger?» le chiese cercando di suonare ironico, ma la sua espressione trasognata lo tradì. Lei non disse niente; lo guardò con un’espressione indecifrabile per qualche istante e poté vedere la sicurezza nelle sue iridi grigie vacillare per un breve, fugace, momento.
«La vera domanda qui», disse prima di spalancare la porta della Sala Grande e superarlo, la voce appena un sussurro, «è se tu conti di restare con me a lungo termine.»
Draco non fece in tempo a risponderle, perché gli occhi di tutti furono immediatamente puntati su loro due; agli sguardi seguirono i sussurri e ai sussurri le occhiatacce disgustate e quelle incuriosite, altre erano incredule, altre ancora divertite; il mormorio esprimeva a tratti dissenso, a tratti eccitazione e più di qualche mieloso «ooh!» si levò dai tavoli.
Hermione fece del suo meglio per ignorarli, per farsi scivolare tutte le loro reazioni addosso e far finta di niente; corrugò la fronte quando individuò Harry, Ron e Ginny e notò che Blaise, Daphne e Astoria erano seduti con loro al tavolo di Grifondoro. Si voltò verso Draco e gli fece un rapido cenno con il capo.
«Oh, no!» esclamò il biondino non appena li ebbe raggiunti, accigliato. «Questo non vi sembra un po’ troppo
Blaise e Daphne quasi si strozzarono con il vino elfico.
«Ci lasciano sedere dove ci pare oggi», lo informò Astoria, «allora ci siamo spostati qui. L’atmosfera è più calda al tavolo rosso e oro.»
Seamus Finnigan si voltò verso il gruppo e gli rivolse uno sguardo disgustato. «Ma voi non fate altro che bere?»
Blaise esibì una smorfia impertinente e alzò un calice nella sua direzione. «Alla tua faccia, Finnegan», gli disse. «Nella speranza che Babbo Natale ti abbia portato un po’ di sale da mettere in zucca, quest’anno.»
Hermione vide chiaramente Ron e Harry mordersi un labbro con forza per non scoppiare a ridere.
Rassegnato, Draco prese posto accanto alla ragazza. Hermione, con molta nonchalance, fece scivolare la mano sotto il tavolo, trovando quella di lui pronta ad accoglierla nella sua stretta più delicata, intrecciando impacciatamente le loro dita tremanti.
«Hai dei regali in Sala Comune alla Torre», la informò il rosso, mentre si riempiva il piatto di leccornie. «Quest’anno mamma non ha fatto maglioni per nessuno. Mi sento un po’ in colpa ad essere rimasto al castello, ora. Insomma, è il primo Natale senza Fred e noi l’abbiamo lasciata sola per uno stupido ballo che è andato a finire malissimo, tra l’altro.»
Astoria gli prese la mano e la strinse con fare consolatorio.
«Mamma è andata da Bill e Fleur», lo informò Ginny. «E hanno portato di forza anche George. Possibile che tu non abbia neanche scritto a casa?»
Ron divenne scarlatto.
«Ronald!» esclamarono Harry e Hermione all’unisono, con un esplicito rimprovero nel tono della voce.
«Oh, maledizione!» brontolò il rosso. «Spedirò un gufo dopo pranzo, va bene? Penseranno che Leo si sia perso o qualcosa del genere.»
Hermione alzò gli occhi al cielo e riempì il suo piatto con le poche pietanze che la ispiravano. La vicenda di Justin le aveva tolto gran parte della fame e aveva da poco bevuto la cioccolata calda con i biscotti che Draco aveva reperito dalle cucine.
Fin dall’inizio, aveva accuratamente evitato di commentare lo sfruttamento degli elfi per non avviare una discussione che, come ormai sapeva benissimo per esperienza, non avrebbe portato a niente. Insomma, non era mai riuscita a convincere i Weasley a sostenere attivamente il C.R.E.P.A. e la sua causa, che speranze aveva di poter avere successo con un Malfoy?
«Ci sono novità su Justin?» chiese a Harry, ma lui scosse il capo, mogio.
Draco era stranamente taciturno e non sembrava avere fame neanche lui.
«La McGranitt è preoccupata, però. Glielo si legge in faccia, guardala
Hermione rivolse un rapido sguardo al tavolo dei professori, che mangiavano senza la minima ombra di allegria sul volto. Ogni tanto abbozzavano qualche sorriso in direzione degli studenti, ma si vedeva lontano un miglio che erano solo di facciata.
La Grifondoro sospirò.
«Iniziano a pensare che siano più di semplici attacchi», disse Ron prima di agguantare una coscia di pollo e tirarne via la carne con voracità. Con la coda dell’occhio, Hermione vide comparire sul volto del biondino l’accenno di una smorfia di disgusto.
Non poteva biasimarlo su quello, era sempre stata la prima a criticare il rosso per le sue maniere a tavola.
«Hermione…», fece Ginny guardandola preoccupata, ma esitante nel formulare i suoi pensieri a voce alta.
«Sto bene», si affrettò a chiudere la questione lei. «Tutto normale. Niente di preoccupante.»
Sentì le iridi grigie di Draco su di sé nell’esatto momento in cui pronunciò quelle parole e come ogni volta che gli diceva qualcosa di cui non era fermamente convinta, si sentì una maledetta bugiarda.
§
«Strano che i tuoi amici non abbiano commentato in alcun modo la nostra relazione», disse casualmente Draco mentre si dirigevano al dormitorio per cambiarsi prima di uscire in giardino.
«Credo che abbiano commentato a sufficienza prima che arrivassimo noi», gli rispose in tono divertito lei. «Mi aspetto il terzo grado quando ci ritroveremo in sedi separate, però. Conoscendo Blaise, dovresti fare altrettanto.»
Draco rise. «Dobbiamo proprio andare? Non possiamo starcene qui?» le chiese poi, abbracciandola da dietro e lasciandole un bacio sulla tempia.
«Guarda quanto è invitante quel divano, così vicino al fuoco scoppiettante del camino, così caldo… sei sicura di volere uscire a mettere le mani nella neve gelida?» aggiunse suadente, per poi simulare un teatrale brivido di freddo.
Hermione ruotò gli occhi e lo fissò sbalordita per qualche secondo. «Ti giuro che credevo che lo facessi di proposito», commentò poi, ridendo. «Ma forse sei eccessivamente drammatico per indole.»
«Farò in modo che non ti trovi mai da sola in una stanza con Blaise» asserì deciso lui, sollevando il naso. «Mi terrorizza quello che potreste dire di me.»
«Sono sicura che avremmo molto di cui parlare», considerò la Grifondoro; poi gli chiuse una sciarpa rosso e oro attorno al collo.
«Non se ne parla» berciò lui, togliendosela di dosso con una smorfia disgustata.
Hermione gli fece la caricatura, poi gli lanciò addosso una delle sue sciarpe Serpeverde, - era solito seminarle in giro per la Sala Comune -, lo tirò per un braccio e lo trascinò fuori dal dormitorio prima che desse voce ad ulteriori proteste.
Era strano, si ritrovò a pensare mentre si incamminavano verso i giardini, stare in quel modo con lui, scherzare in quel modo innocente con lui, ma le piaceva, le piaceva veramente tanto.
Gli altri avevano insistito per fare un pupazzo di neve.
Il biondino aveva risposto che era roba da primini, ma nessuno gli aveva dato corda e alla fine si era dovuto arrendere.
«Smettila di essere così rigido» aveva protestato Hermione. «Non ti ucciderebbe essere un po’ meno cinico una volta ogni tanto.»
«Granger, fammi capire. Ce l’ho qualche pregio per te o stai con me solo per il mio aspetto?» le aveva chiesto allora, imitando il suo cipiglio.
«Quello gioca senz’altro a tuo favore.»
Draco aveva sbuffato a quella risposta, ma poi aveva quasi sorriso, perché lei era scoppiata a ridere e Hermione aveva notato che non riusciva a restare serio o imbronciato dopo averla fatta ridere per qualche motivo.
«Muoviti, furetto dei miei stivali, o per quando raggiungeremo gli altri la neve si sarà già sciolta!»
«E poi sono io quello drammatico!» borbottò lui, facendosi pazientemente trascinare da lei per i corridoi, che lo tirava per una mano con più entusiasmo di quanto lui fosse probabilmente disposto a tollerare.

 

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Capitolo 27
*** Capitolo 26. Scosse di Assestamento ***


CAPITOLO 26
Scosse di Assestamento







 


Hermione
 
«Giusto per la cronaca», le disse una volta tornati al loro dormitorio, «è quello che voglio.»
Hermione corrugò la fronte e lo guardò perplessa. «Eh?»
«La domanda che mi hai fatto prima di pranzo» precisò il biondino. «Io ho intenzione di restare, a lungo termine. Se… se è quello che vuoi anche tu.»
I suoi occhi erano imperscrutabili come sempre.
La ragazza sospirò. «Perché non possiamo comunicare come le persone normali?»
Draco scrollò le spalle. «Sai che noia in quel caso.»
Non riuscì a impedire a un angolo delle sue labbra di sollevarsi. «Andiamo, non ha senso discutere di questo ora.»
Era quello che pensava veramente. La loro relazione non era e non sarebbe mai stata semplice, Hermione aveva tutt’ora delle remore in merito e soprattutto tante paure, ma erano appena agli inizi, era troppo presto per discutere del futuro. Non avrebbe dovuto sollevare quella questione, era stata avventata.
Sapeva di amarlo, perché una semplice attrazione non poteva farle provare tutte quelle sensazioni inebrianti, ma di lì ad illudersi che ci fosse la speranza che la loro relazione potesse continuare al di fuori della scuola a Hermione sembrava un po’ un azzardo, perché lui restava sempre un Malfoy e lei non era ingenua, sapeva che prima o poi avrebbe dovuto scegliere tra lei e quello che la sua famiglia si aspettava da lui.
E la storia dimostrava che Draco non era bravo ad opporsi al volere dei suoi genitori, non totalmente.
Aveva iniziato quella cosa tra loro due nonostante in cuor suo fosse perfettamente consapevole che sarebbe andata a finire con un cuore spezzato, - il suo, sicuramente -, ma un cuore spezzato le sembrava sempre meglio di un rimpianto, del domandarsi in eterno cosa sarebbe accaduto se avesse deciso di dare una possibilità al loro amore, sempre ammesso che per Draco si trattasse effettivamente di amore.
Per lei lo era, ma le parole che le aveva detto la sera del ballo potevano anche essere state studiate e calcolate per abbattere le sue difese, elaborate a puntino per rendere speciale quel momento, non era detto che il biondino le intendesse alla lettera.
«Permettimi di amarti, Hermione.»
Sentì la mano di Draco opporre resistenza e trattenerla, trascinarla sul divano della Sala Comune su cui si era seduto.
«No, Granger» asserì il biondino, con fermezza. «Invece penso che dovremmo farlo, sai? Chiarire i punti spinosi immediatamente per evitare fraintendimenti poi.»
C’era determinazione nei suoi occhi grigi.
Hermione capì immediatamente che non sarebbe riuscita a rimandare quel discorso e quasi si maledisse per non aver tenuto la bocca chiusa.
«Di cosa vuoi parlare esattamente, Draco?» si arrese sospirando, lasciandosi cadere contro lo schienale comodo del divano.
«Innanzitutto», disse lui, «questo per me non è un gioco, non è un passatempo. E voglio che sia chiaro.»
La ragazza deglutì e si limitò a sbattere le palpebre senza proferire parola.
«Non sono il tipo che si dedica a cose senza importanza.»
Non sapeva come reagire a quella precisazione; non sapeva neanche cosa pensare, men che meno cosa credere.
Voleva solo mantenere le aspettative basse, perché cadere le avrebbe fatto troppo male se si fosse illusa che lui non sarebbe mai tornato indietro sui suoi passi e poi, invece, lo avesse fatto.
Era stanca di soffrire, dannatamente esausta.
Voleva solo andarci piano, vedere a cos’avrebbe portato il loro rapporto, senza interrogarsi sul futuro, senza pianificare niente.
Draco la studiò attentamente per un po’, ma quando vide che lei non proferiva parola, proseguì. «E secondo, voglio sapere… Perché sei scappata via, l’altra notte, nel bagno dei Prefetti?»
Hermione si irrigidì. Sperava che il biondino avrebbe lasciato perdere, che si sarebbe accontentato di essere riuscito a far crollare le sue barriere, di essere riuscito ad averla e che quello che era accaduto nel bagno dei Prefetti giorni prima sarebbe caduto nel dimenticatoio.
«Io… mi sono spaventata, Draco», ammise in un sussurro, abbassando lo sguardo sulle sue stesse dita, che si stava torturando con agitazione; se ne vergognava terribilmente, era la cosa meno da Grifondoro che avesse mai fatto in vita sua e confessarlo a voce alta non era bello. Ma d’altronde, mentire in faccia a Draco Malfoy non era un’opzione; a volte le sembrava che il biondino fosse in grado di leggerle attraverso e in quel caso lui poteva avvalersi del contatto visivo per ponderare la sincerità delle sue parole. Se con il diario talvolta aveva potuto spacciare per vere cose di cui ancora non era convinta fermamente, di persona non aveva quella possibilità, non con lui.
Lo vide corrugare la fronte. «Non avrei fatto niente che non avresti voluto anche tu. Una parola e mi sarei fermato. Avremmo parlato… come ieri.»
«No, non… non per quello.»
«Allora… credevi che ti stessi prendendo in giro? Che volessi farti del male?» la incalzò lui, nella voce una punta di amarezza. «Non potrei mai, Granger. Ferirti ora distruggerebbe anche me. Non lo so che cosa mi stai facendo, so solo che mi sei entrata dentro e ora sei tutto ciò di cui mi importa. Non voglio farti soffrire. Voglio renderti felice. Quindi smettila di guardarmi con quegli occhi terrorizzati, non ti farò del male!»
«Non ho paura di te» obiettò lei con voce flebile. «Non ne ho mai avuta.»
«E allora cosa ti spaventa?»
«Quello che provo per te. Draco, alcune volte… è troppo» sospirò Hermione. «I nostri trascorsi, i diari, il modo in cui mi sento quando sono con te… alcune volte, mi sembra di non riuscire a respirare. A volte è semplicemente troppo da gestire.»
Draco strinse il labbro inferiore tra i denti; per qualche secondo non disse nulla, poi deglutì. «Credi che per me sia semplice? Che non sia troppo
Lei non rispose, continuò a mordicchiarsi l’interno della guancia, nervosamente.
«Lo è, dannazione!» esclamò lui con voce soffocata; si passò una mano sul viso, poi si massaggiò la nuca. Stava evidentemente affrontando una lotta con sé stesso, una battaglia all’ultimo sangue tra la sua indole introversa e la sua voglia di chiarirsi con lei, apertamente. «È solo che non voglio scappare questa volta. Sono stanco di scappare, stanco di essere un codardo.»
Hermione lo scrutava con attenzione, ma le parole continuavano a non venirle; Draco si chinò verso di lei, le prese il viso tra le mani e la guardò con un’espressione quasi supplichevole. Era una cosa strana da vedere, perché lui non supplicava mai.  
«Però ho bisogno del tuo aiuto. Guidami. Se qualcosa per te è troppo, dillo e io mi fermo. Possiamo andare piano, seguire i tuoi tempi. Non ti farò mai alcuna pressione, Hermione. Farò… farò tutto ciò che mi chiederai. Ma non… non mi allontanare.»
Lei gli sorrise dolcemente, le guance arrossate. «Credevo avessi detto che allontanarmi da te sarebbe la cosa migliore da fare.»
Draco fece una smorfia. «È proprio questo il punto. Dovresti farlo, ma non ho mai detto che voglio che tu lo faccia veramente. Te l’ho detto, Granger. Sono egoista. E poi, contavo sul tuo lato anticonformista. Quando mai hai fatto quello che gli altri ti dicevano di fare, per quanto sensato potesse essere?»
Le sopracciglia di Hermione si sollevarono all’insù, la sua bocca era ancora dispiegata nella forma di un sorriso. «Sei particolarmente difficile da interpretare, Draco Malfoy.»
Lui rise. «Sono sicuro che se c’è qualcuno che può scoprire come fare, quella sei tu, Hermione Granger.»
Lei ridacchiò piano, poi affondò il viso nell’incavo del suo collo e inspirò il suo profumo.
Si chiese se Ginny avesse ragione, se un giorno quel ‘troppo’ si sarebbe trasformato in qualcosa di cui non avrebbe avuto mai abbastanza. Ma per quel momento, le bastava sapere che Draco era disposto ad andarle incontro, a tenere i suoi ritmi nella loro relazione e che qualunque cosa sarebbe successa, le sue intenzioni erano buone.
Le sollevò il capo posando un dito sotto il suo mento e le lasciò un leggero bacio sulle labbra, poi allontanò di qualche centimetro il viso da quello di lei e scostò le ciocche di capelli che le erano ricadute sul volto con entrambe le mani; all’improvviso, c’era preoccupazione nel suo sguardo.
«Granger… stai bene?» le domandò sommessamente.
Hermione capì subito che c’era stato un cambiamento di argomento nel loro discorso, ma seguire il filo dei pensieri di Draco non si stava rivelando meno insidioso del solito.
«Eh?»
Il biondino sospirò. «Hai detto ai tuoi amici che è tutto normale. Stavi mentendo?»
La Grifondoro sgranò leggermente gli occhi. «No, certo che no. Sto bene, davvero.»
Non sembrava convinto della sua risposta.
«Per favore, non tenermi nascoste le cose…»
«Draco, dico sul serio. Non avverto niente di strano.»
Cercò di infondergli sicurezza con lo sguardo e dovette riuscirci, perché lui annuì e la strinse nuovamente a sé.  
«Me lo diresti, non è vero? Se ci fosse qualche problema?»
Hermione si morse il labbro inferiore, ringraziandolo per non averle rivolto quella domanda guardandola in faccia. Poteva sentire il cuore di lui palpitare rapidamente contro il suo orecchio.
«Sì, Draco» sussurrò, cercando di tenere un tono di voce fermo. «Te lo direi.»    
§
La McGranitt li convocò nel suo ufficio due giorni dopo.
Se la festa dei Grifondoro che avrebbe dovuto avere luogo a Capodanno non fosse stata rinviata a Pasqua per via di quello che era accaduto a Justin, Hermione sarebbe entrata nel panico, pensando di essere stati scoperti.
Arrivata nell’ufficio della Preside, però, e sentito dove voleva andare a parare la donna, desiderò che si trattasse veramente della festa.
Non sapeva che Draco fosse stato convocato a sua volta, per cui quando lo vide seduto su una delle due poltrone davanti alla scrivania della McGranitt, che si reggeva il mento sul braccio piegato, con aria annoiata, Hermione impallidì; si arrestò sul posto e vi rimase immobile per un istante, poi corrugò la fronte e si morse con un po’ troppa forza il labbro inferiore, avvertendo l’ansia diffondersi dentro di sé rapidamente.
Si accomodò a fatica, con le gambe che le tremavano leggermente e si strinse le mani una nell’altra per fare stare ferme anche quelle.
«Non farò molti preamboli e non sono interessata ai dettagli di questa… cosa, qualunque cosa sia», esordì la Preside guardandoli di sottecchi. «Ma quello a cui abbiamo assistito durante il Ballo di Natale è stato abbastanza eloquente da spingermi a ritenere necessaria questa conversazione.»
«Mi scusi, professoressa» intervenne Hermione, incerta. «Si riferisce a quello che è successo a Justin?»
«Mi riferisco a voi due, signorina Granger» ribatté in tono asciutto la McGranitt, spostando l’indice dall’uno all’altra, e la ragazza divenne scarlatta. Sentì Draco agitarsi a disagio sulla poltrona accanto a lei, assumere immediatamente una posizione più rigida e composta.
«Non credo che il mio rapporto con la Granger la riguardi, professoressa» affermò caustico il Serpeverde.
Hermione gli scoccò un’occhiataccia e lui fece ruotare gli occhi quando se ne accorse; per un momento, la ragazza pensò che avrebbe avuto l’audacia di sbuffare in faccia alla Preside.
«Si dà il caso, signor Malfoy, che invece siano affari miei» replicò la McGranitt aspramente, «soprattutto quando siete entrambi Caposcuola e condividete un dormitorio da soli.»
Il viso della giovane divenne ancora più scarlatto dopo quelle parole cariche di allusività.
Non riusciva a formulare nessuna frase di senso compiuto per intervenire; riusciva a pensare solo a quanto sarebbe stato bello se il pavimento fosse all’improvviso diventato liquido o sabbioso e l’avesse inghiottita, facendola scomparire.
«Dal momento che l’accesso al dormitorio maschile non è protetto allo stesso modo di quello femminile e visto che apporre degli incantesimi nel vostro caso sarebbe inutile, considerato che la Sala Comune è frequentata solo da voi due…»
Oh, no. La prego professoressa, non lo faccia…” pensò Hermione avvertendo l’imbarazzo salire alle stelle. “Non continui questo discorso…
Chi l’avrebbe mai detto che Hermione Granger avrebbe lasciato il mondo in quel modo, dopo tutte le vicissitudini a cui era sopravvissuta?
Si sentiva morire. Persino le guance di Draco avevano assunto un colorito purpureo del tutto inusuale, cosa a cui la Grifondoro non avrebbe mai pensato di assistere un giorno.
«È mio dovere assicurarmi che non abbiate dimenticato le regole della scuola» proseguì la Preside, enunciando quelle parole con severità. «E che teniate bene a mente che i rapporti sessuali all’interno del castello sono categoricamente proibiti, anche se siete oltre l’età usuale della frequenza scolastica, oserei aggiungere.»
Hermione provò un moto di gioia vendicativa nel constatare che la donna era arrossita a sua volta nel pronunciare quegli avvertimenti.
«Sì, professoressa.»
«Certo, professoressa», farfugliarono confusamente all’unisono, parlando l’uno a ridosso dell’altra, ed evitando entrambi con accuratezza di alzare lo sguardo e incrociare quello della McGranitt. Le loro mani erano d’un tratto divenute la cosa più interessante che avessero mai visto fino a quel momento.
«Bene, se sono stata chiara, potete andare.»
I due si congedarono frettolosamente e si allontanarono dall’ufficio della Preside con la rapidità di un fulmine.
«Merlino, è stato così imbarazzante!» esclamò Hermione, ancora rossa in viso; le veniva quasi da piangere.
Draco, invece, sghignazzò, sfrontato. «Crede veramente che la gente qui non faccia sesso?»
La Grifondoro lo guardò di traverso. «Beh, sicuramente nessuno studente è stato convocato nell’ufficio del Preside per un motivo del genere, prima di noi.»
Il biondino rise. «Ne dubito. E comunque, sono abbastanza certo che la questione riguardi più me che te», disse. «Avrà ritenuto necessario assicurarsi che io non attenti alla tua virtù.»
Un’altra vampata assalì la ragazza.
«È inutile tentare di mostrarti spavaldo, Malfoy» ribatté piccata. «Me ne sono accorta che sei arrossito anche tu.»
Draco si accigliò. «Non dire sciocchezze», affermò contrariato e risoluto allo stesso tempo. «Io non arrossisco, Granger.»
Hermione trattenne a stento una risata. «Ah, no? Eppure, lì dentro, credevo di aver visto perfettamente le tue guance diventare-»
La afferrò per un braccio, la tirò dietro una colonna e le tappò la bocca con un bacio rovente.
«Sai, Granger» mormorò contro le sue labbra. «A volte parli davvero troppo. Sono contento di avere un modo per farti stare zitta, finalmente.»
«Idiota di un furetto plat…»
Draco ingoiò la serie di insulti che gli stava lanciando contro, apportando con soddisfazione delle prove alla sua tesi.
 
***
Draco
 
«Quando tuo padre scoprirà che stai con la Granger sarà contentissimo», commentò sghignazzando Blaise.
Il biondino alzò gli occhi al cielo. «Preferirei che non lo scoprisse affatto
«Draco! Non dirmi che ti stai facendo problemi-» iniziò Daphne, ma lui la interruppe sul nascere.
«Assolutamente no», disse accigliandosi. «Ma inizierebbe a darmi il tormento e a cercare di mettersi in mezzo. Non gli permetterò di separarmi da lei.»
«Beh, se volevi tenerlo segreto», precisò Blaise, «forse avresti dovuto evitare la scenata al Ballo di Natale. E non menziono neanche il fatto che in tutta la scuola non si parla d’altro se non di te e della tua audacia nel mandare al diavolo il divieto non scritto di dimostrazioni d’affetto in pubblico che vige nelle famiglie Purosangue da secoli e con una Nata Babbana, per giunta.»
Draco sbuffò.
Era vero.
Ci aveva provato per i primi giorni a non stringerla a sé quando camminavano per i corridoi o a Hogsmeade o in giardino, ma gli era presto diventato chiaro che non riusciva a toglierle le mani di dosso. Avvertiva continuamente quell’opprimente necessità di sentirla vicina, sempre più vicina, come se non fosse mai abbastanza.
E allora faceva scivolare il braccio attorno alla sua vita, la mano sul suo fianco, o sulla sua spalla ogni volta che ne aveva la possibilità, incurante di chi poteva vederli e di dove si trovassero. Non riusciva proprio a evitarlo.
Era una cosa che erano stati educati a non fare, in quanto rientrava nella sezione ‘contegno e decoro in pubblico’.
Draco non poteva infischiarsene di meno di quelle stupide regole, anche se essere lui quello che le stava infrangendo attirava molta attenzione indesiderata; avrebbe potuto scrivere un saggio su tutti i motivi per cui era importante che continuasse su quella strada.
Innanzitutto, mantenere una certa distanza da lei davanti agli altri implicava che la gente potesse pensare che lei fosse libera, che qualcuno potesse avere la faccia tosta da invitarla a uscire a Hogsmeade o addirittura di insinuare che lui si vergognasse di farsi vedere con lei.
E non aveva intenzione di favorire nessuna di queste incresciose eventualità.
Non avrebbe saputo controllarsi se qualcuno le avesse fatto delle avances, ne era certo; era già abbastanza impegnativo trattenersi dal tirare un pugno a Weasley o dallo sbuffare quando Potter la abbracciava, ma sapeva che Hermione gli avrebbe dato torto, perché loro erano i suoi migliori amici, la sua famiglia, avevano sempre fatto parte della sua vita e quello era il rapporto che avevano sempre avuto. Quindi, anche se Draco non condivideva la loro quasi totale assenza di restrizione in termini di dimostrazioni di affetto, stringeva i denti e restava zitto.
Ma l’idea che qualcun altro potesse toccarla lo faceva uscire di testa.
E non era come quando stava con Pansy, non riusciva a starsene tranquillo perché tanto nessuno avrebbe mai osato andargli contro e fargli un torto del genere; le cose erano molto diverse ormai. Non c’era un singolo mago che rispettasse ancora il nome dei Malfoy e quella non era Pansy, che quasi tutta la scuola trovava sgradevole, era la Granger, la brillante eroina di guerra ammirata dall’intera popolazione magica.
Semmai, almeno la metà degli studenti nel castello, - e del mondo magico quando la notizia sarebbe divenuta pubblica -, avrebbe voluto separarli, perché lui non era degno di lei e lei meritava di meglio. Lui era un’ombra sulla sua luce e Draco ne era consapevole, ma la sua giustificazione al fatto che non aveva la minima intenzione di rinunciare a lei era “sono egoista” e tanti saluti.
Inoltre, le cose erano diverse anche perché il suo rapporto con la Granger era diverso, quello che provava per lei era diverso; non aveva mai sentito con Pansy il bisogno di stringerla o di baciarla, quell’esigenza bruciante di avere un contatto fisico, come se averla accanto ne valesse della sua stessa vita.
Lui non aveva mai amato Pansy, non aveva mai amato nessuno prima della Granger e ne era certo, non avrebbe mai amato nessun’altra all’infuori di lei, in primo luogo perché non era il genere di persona che si poteva dimenticare e in secondo luogo perché i Malfoy si innamoravano solo una volta nella vita; lo aveva capito leggendo i diari dei suoi antenati che erano conservati nell’antica biblioteca del Manor, quei diari a cui anche i più freddi e calcolatori esponenti della nobile casata dei Malfoy avevano affidato i loro più reconditi pensieri e turbinosi segreti.
Da piccolo Draco li aveva presi in giro, con una smorfia sul viso e il naso arricciato ad esprimere il proprio disgusto, ma ora li capiva, in un certo senso; erano solo quattro i Malfoy che erano riusciti a sposare la persona che amavano in tutta la sua storia familiare, - e uno di questi era quel bastardo sempre fortunato di suo padre, per la cronaca -, se non si contavano quei pochi che avevano avuto il coraggio di sfidare la tradizione ed erano stati rimossi dall’albero genealogico e da quasi tutti i registri di famiglia.
Draco aveva tutta l’intenzione di diventare il quinto e far sì che tutte le future generazioni di Malfoy avessero la possibilità di scegliere. E non da una lista di ragazze pescate dall’elenco delle eredi delle Sacre Ventotto, no; lui voleva estinguere qualsiasi forma di obbligo matrimoniale vigesse all’interno della sua famiglia, affinché i futuri Malfoy fossero liberi di sposare la persona di cui erano innamorati, indipendentemente da status e altre sciocchezze di poco conto.
Scosse con forza il capo, costringendosi ad abbandonare il suo divagare mentale e a tornare al presente.
«Non ho intenzione di nascondermi», affermò in tono fermo. «Voglio che tutti sappiano che lei è mia
Daphne sogghignò. «Sei proprio fottuto, Principino.»
«E allora tuo padre lo verrà a sapere, Draco», gli fece notare Blaise. «Non hai scampo. Forse lo sa già. Prima o poi, ti arriverà una lettera dai tuoi genitori.»
Non fece in tempo a proferire parola, che i gufi con la posta si riversarono nella Sala Grande e un grosso barbagianni lo raggiunse, facendo cadere nel suo piatto una lettera con il vistoso stemma dei Malfoy in ceralacca verde e nera a sigillarla.
Blaise gli rivolse un sorriso sardonico. «Come volevasi dimostrare.»
Draco sbuffò e fece scivolare la lettera nella sua cartelletta senza degnarla di alcuna considerazione.
«E qualcosa mi dice che sanno del ballo, Draco» commentò Daphne, esibendo una smorfia e tendendogli una copia della Gazzetta del Profeta.
Draco divenne una statua di marmo nel leggere il titolo in prima pagina.
“EROINA DEL MONDO MAGICO VA AL BALLO CON UN EX-MANGIAMORTE IN RIFORMAZIONE: è UN AMORE COMPLICATO CHE CI FARà SOGNARE AD OCCHI APERTI O UN VILE INGANNO?”
Non si prese il disturbo di dare una scorsa al resto dell’articolo.
«Dannata Skeeter» ringhiò tra i denti, poi rivolse uno sguardo al tavolo dei Grifondoro e notò che anche la Granger stringeva tra le mani una copia del giornale e le sue dita erano chiuse così forte sulle pagine da averne stropicciato i bordi.
Il cuore iniziò a battergli ferocemente.
Non penserà mai che stare con lei faccia parte di qualche assurdo piano”, ripeté a sé stesso per tranquillizzarsi. “Sa perfettamente che le mie intenzioni sono serie e che la Skeeter non è altro che uno schifoso scarafaggio che lucra dalle sventure altrui. A questo punto, dev’esserle entrato in testa che ci tengo a lei.”
La vide sbuffare e gettare la Gazzetta del Profeta sul tavolo con fare nervoso; parlava con Potter e Weasley e il moro, l’unico che riusciva a vedere in faccia dal punto in cui era seduto, aveva appena fatto ruotare gli occhi.
I tre avevano i loro trascorsi funesti con la giornalista.
Quell’articolo avrebbe causato un terremoto e tutto ciò che potevano fare era prepararsi alle scosse di assestamento che sarebbero seguite all’esposizione della loro relazione.
Draco chiuse gli occhi e respirò a fondo per calmarsi.
Non c’era speranza che quella lettera da parte dei suoi genitori non contenesse alcun riferimento a lui e alla Granger. Non aveva ancora ben chiaro come gestire la cosa con la sua famiglia, principalmente perché non aveva mai pensato che lei potesse ricambiare i suoi sentimenti, non davvero, e quindi non si era posto il problema. E in secondo luogo perché dal ballo, quando era divenuto chiaro che si sbagliava sul precedente punto, era stato troppo preso da lei per pensare a qualsiasi altra cosa che non fossero le sue labbra.
Ma la verità era che a lui dell’opinione di Lucius e Narcissa Malfoy non importava assolutamente nulla, non più, e qualsiasi cosa avessero da dire, o da ridire, non avrebbe cambiato assolutamente niente per lui.
«Beh poteva andarti peggio», considerò Daphne richiudendo il giornale. «Insinua solo che tu stia con lei per riscattare il nome della tua famiglia, che lei abbia un qualche trauma dalla guerra che l’ha portata a sviluppare un attaccamento malsano per te e che si augura che tutto vada a finire per il meglio e che tu non le spezzerai il cuore.»
Draco arricciò il naso. «È un’arpia.»
«Farai meglio a farti bloccare la posta», gli consigliò Blaise. «Il mondo magico la adora e odia te. Prevedo una shitstorm in arrivo.»
«Blaise, sai che forse Ronald ha ragione?» disse la Greengrass sollevando un sopracciglio. «Dovresti insegnarla tu Divinazione.»
Risero tutti e tre, anche Draco suo malgrado.
«Che dicano quello che gli pare», disse poi il biondino. «Basta che lascino in pace lei.»
O avranno dei problemi con me”, aggiunse deciso, ma tenne quel pensiero per sé.
Non voleva far preoccupare i suoi amici, perché erano tutti perfettamente consapevoli che anche il minuscolo errore, per Draco, poteva significare dover vivere il resto della sua vita imprigionato ad Azkaban o rinchiuso nei confini di Malfoy Manor e non gli avrebbero più dato pace, se avessero fiutato il minimo sentore di rappresaglia.
§
La trascinò dietro una colonna riparata non appena si divisero dagli studenti delle altre Case di ritorno ai loro dormitori dopo cena e la baciò con urgenza.
Hermione rise contro le sue labbra. «Non potevi aspettare di arrivare almeno in Sala Comune?»
«È tutto il giorno che aspetto di poterlo fare, Granger», ribatté lui impazientemente, ma il resto della frase gli morì in gola e si irrigidì, mentre la sua attenzione scivolava via da lei.
L’aveva notata con la coda dell’occhio: Pansy Parkinson li aveva visti e si era bloccata nel mezzo del corridoio come pietrificata.
Ora li osservava e sembrava livida in volto, furente quasi.
Hermione, vedendolo portare le dita sull’impugnatura della bacchetta che teneva in tasca, si tese a sua volta e di riflesso fece altrettanto, per poi voltarsi a controllare cos’avesse allertato il biondino.
Anche Pansy stringeva la bacchetta tra le mani con forza.
Draco la guardava con gli occhi socchiusi, studiandola e al contempo sfidandola a fare una mossa, ma lei si limitò a rivolgergli una smorfia carica di rancore, rabbia e disgusto e a fare dietrofront.
Il braccio di Draco scivolò attorno alle spalle di Hermione, ma non allentò la presa sulla sua bacchetta, al contrario, la estrasse completamente.
«Andiamo», le sussurrò serio, stringendola a sé con fare protettivo. «Torniamo al dormitorio.»
Continuava a dare delle occhiate alle loro spalle, mentre camminavano.
«Credi che ci stia seguendo?», sentì Hermione chiedergli, ma lui non le rispose in un primo momento.
Lo conosceva bene quello sguardo negli occhi di Pansy; era arrabbiata e ferita e una serpe ferita poteva essere pericolosa.
Ma Draco era stato chiaro con lei, più e più volte.
Non che non gli fosse dispiaciuto lasciarla durante il settimo anno, perché passando tanto tempo con una persona era impossibile restare totalmente indifferenti, esattamente come la morte di Crabbe lo aveva toccato anche se non era mai stato veramente un suo amico, a meno che di non essere davvero come le loro famiglie, ma lui non ce la faceva più a fingere. Non voleva finire come i suoi genitori e chiudere con Pansy era stato il primo passo per assicurarsene, nonostante sapesse che la cosa l’avrebbe ferita. Non aveva mai avuto intenzione di farla soffrire e aveva cercato di farglielo capire con le buone, ma adesso aveva completamente esaurito la pazienza. E soprattutto, se pensava che le avrebbe permesso di fare del male alla Granger, Pansy si sbagliava.
Non lo avrebbe permesso a nessuno, mai più.
«Mai fidarsi di una Serpe, Granger», disse a denti stretti, guidandola per i corridoi.
«E me lo dici quando ho le tue mani addosso e passo le mie serate a pomiciare con te sul divano da quasi due settimane?»
Draco si voltò a guardarla.
«Per non parlare dell’anno che abbiamo trascorso a rivelarci pensieri intimi e privati.»
Non riusciva a capire se fosse seria o se stesse scherzando, così si limitò a sbuffare. «Sì, ma io sono una Serpe devota, Granger.»
Hermione corrugò la fronte. «E a cosa, di grazia?»
«A te
La spinse all’interno del dormitorio un secondo dopo e si fiondò sulle sue labbra senza concederle il tempo di proferire parola, le dita affondate tra i suoi capelli e il suo corpo premuto contro quello di lei.
«La Skeeter ha dato il peggio di sé oggi…» considerò Hermione a un certo punto, mentre il biondino lasciava una scia di baci lascivi sul suo collo.
«Granger, vuoi davvero discutere di Rita Skeeter mentre ti sto baciando?» obiettò Draco in tono contrariato.
«Voglio solo sapere… insomma, io ci sono abituata…»
«Non me ne frega un accidente di quello che dice la Skeeter, discorso chiuso» rispose secco lui. «Possiamo riprendere da dove mi hai interrotto ora?»







N.d.a.
Salve!
Innanzitutto, grazie a chiunque stia leggendo la mia storia e in particolare a chi di voi mi ha lasciato una recensione, sapete ormai che ci tengo particolarmente. 
Scrivo questa nota perché vi devo qualche spiegazione, prima di tutto in merito alla sparizione degli estratti dai diari.
La storia è internamente divisa in due parti (Prologo-cap24), che sono due parti di building della Dramione (i diari avevano per lo più questa funzione), di formazione di nuove amicizie... nella seconda parte della storia (cap 25-Epilogo) invece verrà affrontata la grande nuova minaccia sul castello e la relazione tra Draco e Hermione vedrà pieno sviluppo. Ho deciso di non continuare con gli estratti nella seconda parte perché miro ad un'apetura maggiore tra di loro, anche di persona, quindi spingerli a trovare la confidenza che avevano con i diari anche faccia a faccia. 
Le cose ora si faranno più intense e più oscure. 
Sì, in pratica erano due idee per due storie diverse, che ho deciso di unire in un'unica storia; l'alternativa poteva essere suddividerla in due storie, la prima parte + la seconda come sequel, ma per una questione di ordine sul profilo preferisco pubblicare tutto insieme (ho fatto lo stesso ragionamento con l'altra mia long Dramione, Fine Line.)
Grazie ancora a chi sta seguendo la mia storia! Lasciatemi le vostre opinioni se vi va, sono qui anche per migliorare, non solo per condividere con voi le mie idee... E poi fa sempre piacere ricevere del feedback :)
Spero che la storia continui a piacervi/interessarvi.
A presto :)

Ps. I giorni di aggiornamento ora sono: lunedì, mercoledì e venerdì, questo perché ho già ultimato la scrittura della storia e non vedo perché farvi attendere più del necessario. 

 

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Capitolo 28
*** Capitolo 27. Sussurri ***


 
CAPITOLO 27
Sussurri







 
 


Draco
 
Figliolo,
alla luce delle recenti e turbanti notizie che abbiamo appreso da fonti sicure e dalla Gazzetta del Profeta, ci siamo sentiti in obbligo di scriverti questa lettera.
Siamo estremamente delusi dalla tua condotta.
Farneticare sull’abbandonare la linea purosanguista e sollazzarsi con una Nata Babbana sono due cose molto diverse.
Non accetteremo questa tua follia e non abbiamo intenzione di tollerarla ulteriormente, si è spinta fin troppo oltre ogni limite della decenza.
Qualsiasi cosa tu stia facendo, qualsiasi siano le tue intenzioni, ti sollecitiamo a mettere un punto a questa torbida storia.
Hai dei doveri nei confronti della famiglia, doveri ben precisi e che ti sono stati spiegati a lungo e a fondo sin dalla tua nascita.
Dovresti concentrarti su quanto ti abbiamo chiesto di fare e riavvicinarti alla giovane Parkinson o sceglierti una strega che incontri i prerequisiti necessari per divenire un giorno la tua consorte. Apprezza il fatto che ti permettiamo di sceglierla da te.
Se Zabini e le Greengrass si sentono liberi di frequentare certa gentaglia, non vuol dire che tu lo sia.
Ricordati che a prescindere da quello che credi di pensare in questo momento di vulnerabilità e dalle frottole che quella Magi-psicologa ti racconta, sei un Malfoy e come tale devi comportarti.
Non vogliamo più vedere il tuo nome accostato a quello di Hermione Granger e non stiamo scherzando, Draco.
Non farci pentire di non averti rinchiuso in camera tua e impedito di farti tornare in quella scuola indegna del suo nome.
Smettila di gettare ombra sul nome dei Malfoy e di mettermi in imbarazzo davanti agli occhi dell’intera società Purosangue.
Lucius
 
Draco fece ruotare gli occhi e gettò la lettera nel fuoco davanti a sé, lo sguardo fisso sulle fiamme che divoravano implacabili la pergamena.
Le mani di Hermione scivolarono sul suo petto dalle sue spalle e quando la ragazza parlò, il suo respiro caldo gli colpì il collo, mandandogli un brivido di piacere in tutto il corpo.
«Tutto bene?»
Il biondino annuì distrattamente, già dimentico di quello che aveva appena letto e completamente inebriato dalla sua presenza; le afferrò un braccio e la guidò davanti a sé, portandosela in grembo.
«Era da parte dei tuoi genitori?»
Lui non rispose, preferendo concentrarsi sulla porzione di pelle lasciata scoperta dalla magliettina che la Grifondoro indossava quella sera.
Non era mai stato un amante degli abiti babbani, a parte quelli eleganti, ma doveva ammettere che quando aderivano al corpo della Granger in quel modo e le lasciavano scoperte generose porzioni di pelle, non riusciva a trovare nulla da obiettare. Specie se era l’unico a poterla vedere.
«Draco…»
«Non voglio parlarne, Hermione.»
Il tono della sua voce era categorico, eppure lei sospirò ugualmente.
«Non approvano, non è vero?», gli domandò posando le mani sul suo petto e allontanandolo leggermente da sé. «Ti hanno detto di mettere fine alla nostra relazione.»
«Non ho alcuna intenzione di farlo», disse solamente lui, provando ad azzerare di nuovo le distanze tra di loro, ma Hermione glielo impedì.
Deglutì forte e abbassò lo sguardo. «Non voglio… renderti le cose più difficili di quanto non lo siano già.»
Un suono gutturale molto simile ad una risata sarcastica lasciò la gola del biondino. «Sei l’unica cosa che rende la mia vita sopportabile al momento, Granger.»
Le labbra di lei si incurvarono leggermente, ma quel flebile sorriso era intriso di tristezza.
«Ascolta», le disse prendendole il volto tra le mani. «Non mi importa se i miei genitori non hanno voluto imparare niente dalla guerra, se non ci accetteranno mai. Non gli permetterò mai di separarci.»
«Non fare promesse che non sei sicuro di poter mantenere, Draco» sussurrò lei di rimando, abbassando di nuovo lo sguardo sulle sue mani.
Draco emise un gemito e sospirò rumorosamente. «Perché ti rifiuti così ostinatamente di credere che io possa voler lottare per noi?»
«Perché non posso permettermi di illudermi» rispose prontamente la ragazza. «Non chiedermi questo.»
Il biondino si passò una mano sul viso. «Granger, lo so che stiamo insieme da poco. Ma io ho avuto mesi per riflettere su quello che voglio. E se proprio non vuoi credermi sulla parola, allora ti chiedo di non trarre le tue conclusioni affrettate e di concedermi il tempo di dimostrarti che dico la verità.»
Hermione gli rivolse un sorriso dolce. «È quello che sto facendo, Draco.»
Ma la tristezza velata non abbandonò comunque i suoi occhi color cioccolato.
§
Quando gli studenti che erano tornati a casa per le vacanze rientrarono al castello e le lezioni ripresero, Draco non ne era stato molto entusiasta.
Molti di loro erano stati informati via gufo dell’accaduto a Justin Finch-Fletchley durante il ballo, infervorando gli animi al punto che alcuni primini e alunni del secondo anno non avevano più fatto ritorno e altri avevano trovato estremamente sospetta l’assenza del biondino in Sala Grande al momento del fatto.
Si era diffusa largamente anche la voce della sua relazione con la Granger, ma i più sembravano dare credito alle parole della Skeeter e considerarla una qualche sorta di manovra da parte sua per convincere il mondo magico di aver cambiato le sue vedute o per coprire la sua colpevolezza in merito ai recenti attacchi ai Nati Babbani, o comunque per allontanare i sospetti al riguardo.
Come potessero ancora credere alle parole che uscivano dalla penna di quell’arpia, non era ben chiaro a Draco e ai suoi nuovi, - in cuor suo lo sperava, ma non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce -, amici, ma Zacharias Smith rientrava in questa categoria di persone e sembrava aver fatto del tormentare e provocare il biondino l’obiettivo primario della sua carriera scolastica. Era stato più volte tentato di fargli presente che quella non era una materia di studio e che avrebbe fatto meglio a spendere le sue energie sugli argomenti dei corsi che avrebbero potuto portarlo ad ottenere qualche M.A.G.O., ma la Granger gli aveva espressamente chiesto di non dargli corda.
Restava il fatto che Smith, ogni volta che lo incrociava per i corridoi, si lasciava andare a qualche battuta o insulto tagliente o a qualche accusa velata, che il Serpeverde si era sempre fatto scivolare addosso prontamente, stringendo i pugni e tirando dritto, cercando di ignorare quelle parole, occludendo o al massimo scoccandogli occhiatacce infuocate… Finché non aveva tirato in mezzo lei.
«…probabilmente le ha somministrato un filtro d’amore. Assurdo che nessuno muova un dito per salvarla da quello schifoso Mangiamorte.»
Si arrestò sul posto e né Potter, né Weasley, né Blaise furono abbastanza repentini da afferrarlo e impedirgli di agguantare il colletto della camicia di Smith per poi inchiodarlo contro la parete.
«Che cosa hai detto?» sibilò a denti stretti.
«La verità», ribatté sfrontatamente il Corvonero. «Che sei un lurido Mangiamorte.»
«No, non quello», disse Draco freddamente, una minaccia nel tono per niente velata. «La prima parte.»
Zacharias gli rivolse un sorrisetto beffardo. «Che ti stai approfittando della Granger.»
Il pugno del Serpeverde si scontrò violentemente con il suo volto, trasformando le risate del ragazzo in gemiti di dolore.
«Sai, per essere un Corvonero, Smith, sei maledettamente infame
«Sempre meglio dell'essere uno stolto, come quegli idioti che credono che tu sia cambiato veramente.»
«Dai, Draco, vieni via…» la voce di Daphne arrivò come ovattata alle sue orecchie, come se fosse l’eco di un sogno lontano.
«Non me ne può fregare di meno di quello credi tu, Smith. Buffo che ti reputi migliore di me, quando la verità è che non sei poi così diverso dalla persona che sono stato in passato.»
Fu il turno di Draco di venire colpito; il sangue iniziò a sgorgare dal suo naso subito dopo l’impatto e solo la presa di Potter e Blaise sulle sue braccia gli impedirono di scagliarsi contro il Tassorosso e sferrargli un altro pugno.
«Non osare, Malfoy! Io ero dalla parte giusta della guerra! Ero nell’Esercito di Silente!»
Una risata gelida lasciò le labbra di Draco. «Ah sì? Sbaglio o eri tu quello che spingeva via i primini durante l’evacuazione del castello, cercando di raggiungere al più presto possibile l’uscita?»
Zacharias si divincolò dalla presa dei due compagni di Tassorosso che cercavano di trattenerlo dal fiondarsi nuovamente addosso al Serpeverde.
«Perché, tu cosa sei rimasto a fare?» sputò velenoso il ragazzo. «Te ne sei stato in un angolo a piangere tra le braccia di mammina per tutto il tempo.»
Draco ringhiò. «Sono rimasto perché credevo nel fottuto Harry Potter, come tutti!»
La mano di Blaise si chiuse sulla sua spalla, ma il gesto non riuscì a calmarlo.
«Perché se avesse vinto Voldemort, tanto valeva farsi piantare un Avada Kedavra in faccia, piuttosto che vivere in quel modo!»
Il biondino continuava a gridare e tutti i presenti erano ammutoliti di colpo a quella serie di ammissioni crude, da parte sua, per di più; poi la sua voce tornò pacata, in una improvvisa presa di consapevolezza dell’enorme quantità di studenti sulla scena che stavano ascoltando le sue parole indescrivibilmente personali in quel momento, e Draco parve riuscire a ristabilire una parvenza di controllo su sé stesso. «È davvero così terribile che volessi vivere
Un vociare indistinto si levò tra il gruppo di testimoni a quelle parole, in reazione alla voce spezzata con cui avevano lasciato le sue labbra.
«Dai Malfoy, lascia perdere», il Prescelto gli sussurrò nell’orecchio.
Aveva sentito i suoi nuovi amici incitarlo a ignorare Smith per tutto il tempo, invitarlo ad andarsene, anche se non aveva capito una parola di quello che gli avevano detto.
Blaise lo strattonò per la manica del mantello e supportato da Weasley lo iniziarono a trascinare via. Poi però Zacharias parlò di nuovo e lui ignorò le sue parole per qualche istante, finché non toccò un altro tasto dolente e si arrestò sul posto, incapace di obbligarsi una seconda volta a lasciare perdere.
«Te ne vai in giro come se niente fosse, come se non fossi un lurido Mangiamorte e meritassi una seconda possibilità! E nel frattempo i Nati Babbani stanno venendo di nuovo presi di mira e non c’è nessuno che si renda conto di avere il responsabile sotto il naso!»
Draco si voltò a guardare Smith con gli occhi ridotti a due fessure.
«Non sono stato io» asserì con voce strascicata. «Non ho più nulla contro i Nati Babbani. Non credo più a quelle stronzate, non so quante volte lo devo ripetere!»
Il Tassorosso gli rivolse una risata sardonica. «La mela non cade mai troppo lontano dall’albero, Malfoy. La gente come te con cambia. Non merita il perdono. Nessuno smette di essere un Mangiamorte» sibilò con una smorfia di odio dipinta sul viso. «Per quanto tu possa sforzarti, resterai sempre il codardo che non ha avuto le palle di cambiare fronte, di combattere per la scuola. Resterai sempre e solo uno schifoso Mangiamorte, perché sei esattamente come quella feccia di tuo padre
Draco si liberò della presa dei suoi amici con uno strattone e corse verso Zacharias, colpendolo di nuovo. I nasi rotti probabilmente erano due, a quel punto.
«Che cosa sta succedendo qui?»
La voce della McGranitt mise fine al trambusto e a quella rissa degenerata, bloccando i contendenti contro il muro con un Incantesimo ben assestato.
«Oh, buon Merlino! Voi due», asserì indicandoli, guardando con disapprovazione il sangue sui loro volti, «in infermeria. Punizione per un mese, entrambi. Questo genere di atteggiamenti non verrà tollerato minimamente sotto la mia Presidenza.»
Ma prima che potesse anche solo accingersi a fare quello che gli era stato imposto, fermò Draco con una mano. «Non tirare troppo la corda, signor Malfoy. Non posso proteggerti da tutto», lo avvertì a voce bassissima, in modo che potesse sentirla solo lui.
Il biondino arricciò il naso il un gesto spontaneo che gli fece vedere le stelle, dal momento che era probabilmente rotto.
«Sì, signora.»
§
Si rinchiuse nella sua stanza subito dopo essere tornato dall’infermeria, saltando la cena.
Era grato che la Granger dovesse aiutare Paciock quel pomeriggio e non fosse con loro per assistere a quello spettacolo penoso.
«Sei esattamente come quella feccia di tuo padre.»
Quelle parole rimbombavano ancora nella sua testa, facendogli ribollire il sangue nelle vene. Sapeva perfettamente che non avrebbe mai dovuto cedere alle provocazioni di quell’idiota, la McGranitt aveva ragione, non poteva permettersi di essere coinvolto in stupidaggini come risse o duelli di corridoio, ma quando aveva insinuato che si stesse approfittando di Hermione, che la stesse manipolando in qualche modo, non ci aveva visto più dalla rabbia, non era riuscito a trattenersi.
Potevano dire tutto di lui, glielo avrebbe persino lasciato fare, ma non quello.
Era ancora così nervoso da non sentire il rumore della porta della sua camera che si apriva e si richiudeva con uno scatto.
«Draco.»
Sussultò nel sentire il suo nome venire pronunciato all’improvviso e si voltò appena a guardare, sapendo benissimo chi avesse parlato prima ancora di vederla lì, in piedi a pochi passi dal suo letto, chiaramente incerta su come comportarsi; aveva poggiato un vassoio con del cibo sul comodino e lo guardava con aria apprensiva.
Draco sbuffò e si rigirò dall’altra parte. «Vattene, Granger.»
«No.»
«Non ho bisogno della tua ramanzina sul perché non dovevo reagire in quel modo», disse con voce fredda e strascicata. «Ci ha già pensato la McGranitt a ricordarmi della mia… situazione
«Non sono qui per questo», rispose lei sommessamente. «Non ho neanche capito bene cos’è successo, in realtà. Sono corsa in infermeria non appena mi hanno detto che eri lì, ma quando sono arrivata eri già andato via e sono venuta subito qui. Volevo solo accertarmi che stessi bene e portarti qualcosa da mangiare.»
Draco non le rispose e dopo qualche secondo la sentì sospirare; avvertì il letto abbassarsi leggermente sotto il suo peso e capì che si era seduta sul materasso.
«Draco…»
«Non voglio parlarne e non ho fame» affermò in tono definitivo, ma poi addolcì la voce. «Puoi… restare qui e basta?»
Merlino, odiava sembrare così vulnerabile, debole persino… ma quella era la Granger, non doveva veramente preoccuparsene, con lei. Solo con lei.
Hermione lo cinse con le braccia dolcemente, facendo aderire il petto alle spalle di lui e infilando le mani tra i suoi capelli, senza dire niente.
Cullato dalle sue carezze, Draco dopo un po’ si calmò.
«Ha detto che sono come lui», mormorò con tono distante. «Ha detto che sono come mio padre. Ma io non sono un mostro. O almeno, è quello che mi hai detto nel diario.»
La presa di Hermione su di lui aumentò leggermente e il biondino si voltò finalmente a guardarla. «Mi hai mentito, Granger?»
La ragazza scosse il capo lentamente. «No, non ho mentito. Non sei un mostro, Draco.»
Lui chiuse gli occhi nel leggere la sincerità nel suo sguardo e sospirò di sollievo; fece scivolare le braccia attorno alla sua schiena e l’avvicinò di più a sé, per poi rannicchiarsi contro il suo corpo e stringerla forte, abbandonandosi al suo tocco rassicurante.
Non era così brutto aver bisogno di qualcuno, quando si sapeva di poter contare su quel qualcuno.
«Allora, cosa sono?» domandò Draco in un sussurro quasi inudibile.
Hermione si inumidì le labbra.
«Sei solo un ragazzo che ha fatto delle scelte sbagliate» rispose dopo una pausa impercettibile. «E non c’è niente di più umano di questo.»
 
***
Hermione
 
«Quell’idiota!» esclamò Hermione con rabbia. «Dirgli una cosa del genere è stato un colpo troppo basso persino per un cretino come Zacharias Smith!»
«Aspetta», la interruppe Harry, corrugando la fronte. «È questo che ti ha detto?»
«Che cosa intendi dire?»
«Che lo ha aggredito perché gli ha detto che è come suo padre? Perché non è partita da lì, non è stato quello a fargli perdere il controllo» rispose Ron, prendendo del budino, come se stessero discutendo del tempo o dell’ultima canzone di Celestina Warbeck.
La ragazza spostò lo sguardo dall’uno all’altro, perplessa. «Non ha voluto raccontarmi i dettagli. Non so se lo avete notato, ma Draco non è esattamente uno che parla molto.»
L’espressione sui loro visi a quella constatazione sarcastica era tutto un programma: erano palesemente indecisi tra il convenire e l’approfittarne per fare qualche battuta sconcia; Hermione decise di scongiurare quest’ultima eventualità.
«Insomma, con me si apre un po’ più rispetto a quanto non faccia con gli altri, ma… è pur sempre Draco.»
«Hermione, è impazzito perché Zacharias ha insinuato che si sta approfittando di te o che comunque ti sta manipolando» le disse Ron. «Una frazione di secondo Malfoy era in mezzo a noi, rigido, ma tranquillo, quella dopo Smith era a terra con la mano sulla guancia gonfia.»
«E credimi quando ti dico che Zacharias lo ha provocato per tutta la settimana, lo ha chiamato in tutti i modi, insultato in tutte le maniere… ma Draco non aveva mai reagito prima», aggiunse Harry.
Neville annuì freneticamente, come se corroborare le parole del Prescelto con la sua testimonianza fosse di vitale importanza.
«È normale» intervenne Ginny, sedendosi accanto alla ragazza. «Loro sono fatti così quando tengono veramente a qualcuno e le insinuazioni che ha fatto Zacharias erano accuse molto pesanti, nessuno si sarebbe stato fermo. Se contate poi che sono molto protettivi…»
Dean alzò un sopracciglio, scettico.
«Sai, solo perché sembrano anaffettivi e freddi non vuol dire che lo siano veramente», sbuffò la rossa. «O che gli venga facile controllare le proprie emozioni.»
«Ehi, calma» esclamò il ragazzo. «Non sto dicendo niente. È solo che è fa ancora strano da morire stare dalla loro parte quando succedono queste cose. In genere erano loro quelli in torto.»
Ron annuì. «A volte stento ancora a crederci.»
Hermione e Ginny ruotarono gli occhi.
«Hai una Serpe nel letto, Ronald» commentò la sorella in tono cantilenante. «Da due mesi, dovresti essertene fatto una ragione a questo punto.»
«No, Gin, è sempre sconvolgente», ribatté lui, deglutendo. «Insomma, siamo tutti finiti con dei Serpeverde. Come diavolo è successo?»
Harry fece spallucce.
Nessuno di loro aveva esattamente deciso di infatuarsi di membri della Casa che per eccellenza era considerata quella rivale della propria, era successo e basta. Se avessero avuto alcun potere decisionale in merito, Hermione era sicura che nessuno di loro avrebbe optato per un voto favorevole alla cosa, Serpi e Grifoni allo stesso modo.
«Certo, Hermione e Malfoy restano imbattuti, ma…»
«Me ne vado», disse la ragazza, prima che la conversazione potesse degenerare e sfociare in una litigata.
«Non ti sto criticando!» precisò immediatamente Ron. «Ti ho detto che mi fido del tuo giudizio e tu mi hai assicurato che ti tratta con rispetto, per cui… è la tua vita, non ti dirò niente.»
Lei lo studiò per qualche istante con gli occhi assottigliati, sospettosa, ma alla fine riprese posto al tavolo.
«Io continuo a non capire come tu possa farlo», asserì, però, Seamus. «Cioè sono d’accordo nel non attaccar briga o altro e posso capire le Greengrass e Zabini, ma Malfoy, Hermione?»
«Oh, non iniziare tu ora!»
«Dico solo che… insomma, quante volte ha insultato i genitori di Neville o quelli di Harry con cattiveria inaudita? Quante volte ha insultato te? Suo padre ha persino umiliato i tuoi di genitori nel mezzo del Ghirigoro. E non sto neanche considerando le stronzate che ha fatto durante la guerra», insisté il giovane. «Ti ho solo chiesto come diavolo puoi passare sopra a tutto questo. È un dubbio lecito, no?»
Hermione aveva gli occhi lucidi per le lacrime di rabbia.
Non era facile per lei gestire la convivenza nella sua testa dell’immagine del Draco Malfoy di cui era innamorata e quella del Draco Malfoy della loro infanzia; preferiva non affrontare l’argomento, evitare di pensarci, sperando che prima o poi avrebbe avuto abbastanza ricordi belli con la prima da offuscare quelli risalenti agli albori della loro conoscenza. All’inizio di tutta quella faccenda, ci aveva quasi perso la testa, perché aveva trovato davvero estenuante non riuscire a smettere di detestare la sua vecchia versione, dal momento che non riusciva a smettere di amare quella nuova e alla fine si era dannatamente stufata di provarci, aveva ormai accettato questo paradosso nella sua esistenza, prendendolo per quello che era: un assurdo paradosso.
In generale, lo riassumeva così: odiare Malfoy, amare Draco.
Non era più difficile dell’andare in giro alla ricerca degli Horcrux senza alcuna indicazione, comunque.
Certo, in un primo momento, avrebbe voluto con tutta sé stessa rimanere fedele al suo orgoglio da Grifondoro e respingerlo? Sì.
Avrebbe voluto rinnegare quello che provava per lui per il resto della sua esistenza? Sì.
Ne era stata capace? No.
Si era aspettata che i suoi sentimenti verso il biondino potessero essere così travolgenti? No.
Aveva scelto di innamorarsi di lui? No.
Ma Hermione non se ne era neanche pentita, perché nonostante tutto, nonostante il loro passato, lui, in quel momento, la rendeva felice, anche se la loro storia era destinata a fallire miseramente, anche se un giorno sarebbe finita e le avrebbe fatto male.
Non aveva intenzione di permettere alla gente di giudicarla per aver scelto di vivere la loro relazione, quel breve momento di utopica felicità che stavano condividendo dopo gli orrori a cui avevano assistito.
Lei e Draco avevano tutto il diritto di leccarsi le ferite a vicenda se lo desideravano, di provare rimettere insieme i cocci delle loro anime spezzate dalla guerra e di essere lasciati in pace nel mentre.
Non erano affari di nessuno se non suoi, se aveva deciso di tagliare i ponti con il passato e di ricominciare da zero con lui; perché a conti fatti Draco Malfoy non era quello che si aspettava e più ci passava insieme del tempo, più si avvicinavano, più lo capiva e più se ne innamorava.
Non aveva intenzione di vedere quel briciolo di felicità che aveva guadagnato con fatica venire attaccato a destra e manca.
Loro non capivano e non l’avrebbero mai fatto, perché loro non conoscevano veramente Draco, non sapevano quanto fosse tormentato dai suoi errori, non avevano la più pallida idea che il motivo per cui gli insulti sussurrati nei corridoi al suo passaggio non lo scalfivano era il fatto che lui era dieci volte più duro con sé stesso e quelle parole non erano niente in confronto a quelle che si ripeteva da solo costantemente, nei più bui angoli della sua mente o urlandosele contro il suo riflesso nello specchio.
Hermione sperava che un giorno sarebbe riuscito a perdonare sé stesso, ma la verità era che Draco sembrava totalmente intenzionato a fare in modo che ciò non accadesse; c’erano altissime probabilità che si sarebbe assicurato di pagare per sempre il prezzo dei suoi sbagli, non aveva bisogno di gente che cercava di sminuire e vanificare i suoi sforzi di redimersi agli occhi della comunità magica o, se non quello, di migliorarsi in quanto persona.
Seamus fece schioccare la lingua e la guardò con tutta l’aria di essere sul punto di dirle un «Ma per favore!» molto seccato, cosa che la seccò pesantemente.
«Vuoi smetterla di considerarti uno stinco di santo, Seamus?» ringhiò, dunque, Hermione. «O devo ricordarti del quinto anno?»
Harry e Ron seguivano il battibecco aprendo e richiudendo la bocca dopo ogni battuta, cercando di inserirsi, se per supportare Hermione o per mettere un punto a quella litigata non lo sapeva nessuno, ma i due combattenti si colpivano con tanta rapidità da non lasciargli alcun raggio d’azione. Era quasi un duello magico, ma con parole taglienti.
«Resta, comunque, più comprensibile della tua scelta di andare a letto con un Mangiamorte!» esclamò il ragazzo, alzandosi di scatto e battendo le mani con violenza contro il tavolo, versando più di qualche bicchiere di Succo di Zucca.
La Sala Grande piombò in un silenzio tombale.
Lo aveva gridato. Seamus aveva urlato quelle parole talmente tanto forte che erano riecheggiate nella stanza e avevano zittito tutti, professori inclusi.
Hermione lo fissava livida in volto, con gli occhi sbarrati e i pugni serrati, incerta se essere più arrabbiata o imbarazzata, se sentirsi umiliata o indignata. Un attimo di esitazione dopo, la ragazza stava per ribattere, intimargli di farla di finita e ribadirgli per l’ennesima volta di non aprire bocca su cose che non lo riguardavano minimamente, quando la avvertì: la familiare sensazione di due occhi grigio ghiaccio puntati su di lei, seguita da un movimento quasi impercettibile al suo fianco e seppe immediatamente che Draco si era alzato dal tavolo di Serpeverde e si era precipitato verso quello di Grifondoro, ancor prima di averne avuto conferma visiva.
Il panico minacciò di paralizzarla, ma si tenne lucida e, infine, decise di agire secondo priorità; si voltò verso il biondino, afferrandogli un braccio con entrambe le mani e stringendolo leggermente.
«Lascia stare, Draco.»
Lui non parve sentirla minimamente.
Draco aveva le narici dilatate e i suoi occhi erano scuriti dalla rabbia.
«Te lo dirò una sola volta, Finnigan», disse con voce talmente gelida da far rabbrividire più di qualcuno tra i presenti. «E stammi a sentire bene, perché non mi piace ripetermi e stai urtando i miei nervi sin dal primo giorno», ringhiò ancora a denti stretti. «Di’ quello che ti pare su me, ma lascia fuori lei
«Altrimenti?» replicò impertinente l’altro. «Userai la Cruciatus su di me?»
«Draco, per favore…»
Hermione tirava il suo braccio, ormai con disperazione; stava sudando freddo: il biondino non poteva venire coinvolto in una rissa per due giorni di seguito e Seamus era una testa calda. Sarebbe stato un disastro se le cose fossero degenerate.
«Signor Finnigan!»
La voce della McGranitt li fece sussultare tutti all’unisono. Hermione deglutì.
«Sarà pure vero che non sono più la Direttrice di Grifondoro, ma ci tengo ancora che la mia Casa faccia una bella figura» asserì in tono severo. «Non verrà accettato un simile linguaggio nella mia scuola. Dieci punti in meno a Grifondoro. Signor Malfoy, ritorni al tavolo di Serpeverde.»
La giovane diede un altro strattone al braccio di Draco, lo guardava supplichevole, ma lui continuava a fissare Seamus in cagnesco; Hermione fu quasi certa che non avesse mai visto tanto odio trapelare dagli occhi del biondino prima e trattandosi di lei, ciò la diceva lunga.
«Signor Malfoy» ripeté con una nota d’avvertimento la Preside e Draco parve finalmente ritornare in sé.
«Sì, Preside» sibilò tra i denti.
La sua voce sembrava distante mentre pronunciava quella resa, ma non staccò gli occhi di dosso da Seamus per tutto il tragitto, il naso arricciato in una smorfia di cieca rabbia.
Hermione sospirò di sollievo quando lo vide sedersi accanto a Blaise e Daphne, che cercarono immediatamente di tranquillizzarlo, e si lasciò ricadere sulla panchina, con il capo tra le mani e gli occhi lucidi. Ginny le mise una mano sulla spalla per darle supporto e Harry e Ron la fissavano con delle espressioni alquanto lugubri stampate sul volto.
Seamus, invece, lasciò la Sala Grande subito dopo, palesemente adirato.
Si voltarono tutti a controllare che il Serpeverde non lo avesse seguito e a quella verifica seguì un altro sospiro di sollievo, collettivo questa volta.
«Mi dispiace, Hermione», le disse Dean sommessamente.
«Smettila di scusarti perché il tuo migliore amico è un completo idiota. Nessuno te ne fa una colpa, non c’entri niente tu
Il giovane annuì e tornò a consumare la colazione in silenzio.
La Sala Grande riprese vita, animata da un acceso chiacchiericcio, ma Hermione sapeva perfettamente che non stavano discutendo di Quidditch o delle lezioni a seguire. La consapevolezza che stessero commentando l’accaduto le piombò addosso, opprimendole il petto. A volte lo dimenticavano che dietro le cose che giudicavano ‘eccitanti’ c’erano persone in carne ed ossa a viverle.
«Fanno paura quando gli tocchi la ragazza o il ragazzo», commentò Ron dopo un po’. «L’altro giorno Nott mi ha chiamato traditore del mio sangue davanti ad Astoria e vi giuro che sembrava diventata alta dieci metri ed era sul punto di sputare fumo dalle narici.»
Hermione non riuscì a reprimere un sorriso alla fantasiosa rappresentazione del suo amico, ma l’ilarità durò solo per un fugace istante.
«Draco non può permetterselo, però», sussurrò, voltandosi a guardare il biondino seduto all’altro lato della stanza con aria preoccupata.
§
Lo afferrò per il mantello subito dopo Alchimia e lo trascinò in un armadio delle scope in disuso senza dire una parola. Non erano riusciti a parlare prima delle lezioni pomeridiane.
Il biondino ghignò immediatamente e fece per baciarla, ma lei lo fermò subito con un gesto deciso della mano e un cipiglio severo stampato in faccia, cancellando quel sorriso beffardo dal suo viso.
«Devi smetterla.»
Draco sgranò gli occhi. «Fai sul serio? Sei arrabbiata con me?»
«Non sono arrabbiata», affermò lei. «Sono contrariata
Lui rispose con un grugnito sardonico. «Ah, menomale allora.»
Hermione alzò gli occhi al cielo, ma poi sospirò. «Draco, non puoi permetterti altre scaramucce. Seriamente, sono preoccupata per te.»
«Devono lasciarti fuori da quelle stronzate» disse lui in tono perentorio, ignorando completamente l’apprensione della ragazza. «Li ho avvisati.»
«Draco, tu lo sai che sono perfettamente in grado di difendermi da sola» replicò lei in tono asciutto. «Te lo ricordi, vero?»
Mimò il gesto di un pugno ben assestato: un tentativo di sdrammatizzare… o forse un semplice promemoria a favore delle sue argomentazioni; Hermione decise che poteva andare bene come duplice allusione.
Lui deglutì e fece ruotare gli occhi. «Non è questo il punto.»
«Sì che lo è», asserì Hermione, impuntandosi. «Credevi che non sapessi quello che sarebbe successo quando ho deciso di stare con te? Credi che non sia in grado di gestirlo?»
«Ti ho detto», ripeté lui, «che non è questo il punto.»
La Grifondoro alzò un sopracciglio. «E qual è, allora? Sentiamo!»
«Non voglio che ti buttino addosso merda a causa mia.»
«Draco, non ho mai dato peso alle stronzate che dice la gente!» esclamò esasperata lei. «Lascia perdere! Non rispondere alle provocazioni!»
«Non ci riesco!» sbottò lui, spazientito. «Non ci riesco, capito? Non quando riguarda te! Non riesco a controllarmi, non riesco ad occludere. Non riesco a trattenermi! Io devo…»
Si interruppe e deglutì forte; respirava rapidamente, ed era palesemente nervoso.
Chiuse gli occhi e si passò una mano sulle labbra.
«Devi cosa, Draco?» domandò Hermione in un sussurro.
La guardò con il più tormentato degli sguardi che le avesse mai rivolto e poi serrò nuovamente le palpebre e sospirò, prima di rispondere a quella domanda con voce talmente bassa che la ragazza la udì a malapena.
«…proteggerti. Devo proteggerti, Hermione
Lei restò in silenzio per qualche secondo a quelle parole, elaborandole il più in fretta possibile.
«Qual è il vero problema, Draco?» chiese cautamente, dopo aver tratto un lungo e profondo respiro.
Lo vide prendersi il viso tra le mani ed esalare un suono confuso e indistinto, simile a un gemito di dolore; due secondi dopo, Hermione realizzò con estremo shock che Draco stava piangendo.
«Avrei dovuto proteggerti», disse confusamente. «Al Manor… avrei dovuto…»
Gli occhi della Grifondoro si sbarrarono.
La mente di Draco era forse la cosa che più la attraeva di lui; era complessa, il modo in cui ragionava e il filo logico che seguivano i suoi pensieri… Hermione non aveva mai conosciuto qualcuno che sfidasse la sua mente come faceva il biondino.
Ma a volte era anche frustrante, perché raramente riusciva a prevedere le sue mosse o le sue parole e se da un lato questo la elettrizzava, dall’altro la destabilizzava completamente.
Come in quel momento.
Che menzionasse Malfoy Manor non rientrava affatto nelle sue aspettative.
Draco si lasciò scivolare contro il muro e si accovacciò sul pavimento pietroso, posando il viso contro le ginocchia piegate, coperto sempre dalle sue mani.
«Avrei dovuto fare qualcosa… qualsiasi cosa…»
Hermione si accorse solo in quel momento che aveva smesso di respirare quando lui aveva fatto riferimento a quella maledetta notte, la notte più brutta della sua vita.
Cercò di riempire i suoi polmoni d’aria e poi gli si sedette accanto.
«Draco», sussurrò, sforzandosi di mantenere un tono calmo e fermo. «Non… non avresti potuto fare niente.»
Era vero ed era l’unica risposta che aveva da dargli al riguardo.
«Non farlo, Hermione», disse lui, facendo dardeggiare i suoi occhi su di lei. «Non osare darmi delle scusanti. Non ce ne sono. Lo sai. Me lo hai detto in passato. Non ho negato che fossi tu quando mia madre ti ha riconosciuta. Non ti aiutata in alcun modo. Non ti ho protetta, quando era tutto ciò che avrei dovuto fare.»
Hermione serrò gli occhi e ingoiò saliva, nel tentativo di rimediare al fatto che la sua gola si era improvvisamente seccata.
Non poteva dirgli nulla.
Non aveva nulla da dirgli, perché quel ricordo era troppo vivido nella sua mente, sulla sua pelle, e faceva troppo male per capire come lenire il suo dolore in merito ad esso.
Una parte di lei pensava di non doverlo fare affatto, che fosse lei la sola ad avere il diritto di soffrire per quanto accaduto quella notte e di essere consolata, semmai avesse avuto la forza di ammettere a sé stessa e agli altri che non lo aveva mai superato veramente.
Posò il capo contro il muro freddo. «Abbiamo deciso di ricominciare da zero.»
Lui scosse il capo lentamente. «Non posso permettermi di essere la causa del tuo dolore. Neanche indirettamente. Non posso non proteggerti, in nessun caso, non di nuovo, non più. Non azzardarti a chiedermi una cosa del genere, Granger.»
Hermione sospirò e si chinò verso di lui; gli prese il viso tra le mani e asciugò le lacrime che rigavano le sue guance.
«Voglio finire quest’anno con te», gli disse decisa. «Voglio che tu esca di qui da uomo libero e che abbia la possibilità di compiere le tue scelte, di dimostrare quanto vali veramente, di mostrare al mondo chi sei davvero.»
Fece una pausa per guardarlo negli occhi, per assicurarsi che stesse recependo il messaggio.
«Comportandoti in questo modo, rischierai di cacciarti nei guai», continuò scandendo le parole con lentezza. «E lasciamelo dire, sarebbe davvero stupido da parte tua se alla fine finissi ad Azkaban, o confinato al Manor per più tempo del necessario, per aver dato un cazzotto a un idiota.»
Draco si portò una mano tra i capelli ed emise un ultimo singhiozzo sofferto.
«Io… voglio solo che tu stia bene.»
«Allora fai questo per me», asserì decisa. «Tieniti lontano dai guai, non importa quanto ti urti quello che dicono.»
Lui alzò gli occhi al cielo, ma Hermione gli bloccò il viso per costringerlo a guardarla. «Mettiamola così, allora. Vediamo se lo capisci» precisò spazientita. «Se finisci nei guai, Draco, io non starò bene

 

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Capitolo 29
*** Capitolo 28. Il Veleno della Serpe ***


CAPITOLO 28
Il Veleno della Serpe







 
 
Hermione
 
Le lezioni erano più difficili da seguire ora che lei e Draco stavano insieme.
Lui riusciva a mantenere una faccia impassibile per tutto il tempo, ma lei continuava ad arrossire come una perfetta idiota ogni volta che la sfiorava, o che le si avvicinava troppo, o che le sussurrava qualcosa nell’orecchio mentre lavoravano, ed era sicura che lo facesse di proposito.
Studiare nel dormitorio era divenuto impossibile. Aveva iniziato ad obbligarlo a fare i compiti rigorosamente in biblioteca, perché ogni volta che si ritrovavano nell’intimità della loro Sala Comune, si lasciava distrarre dal biondino al punto che finivano ingarbugliati sul divano a baciarsi per ore senza alcun ritegno.
Il suo corpo non sembrava rispondere ai comandi del suo cervello quando si trattava di Draco Malfoy.
Non avevano fatto molto se non toccarsi e baciarsi, anche in maniera più spinta, e sinceramente Hermione non capiva appieno perché si rifiutasse ancora di portare la loro relazione su un altro livello, ma ogni volta che era sul punto di iniziare qualcos’altro, la sua testa glielo impediva. Un po’ per le paranoie, un po’ per i timori, c’era sempre qualcosa che la frenava, nonostante lo volesse immensamente.
Si voltò a guardarlo; era seduto sul divano e fissava il fuoco nel caminetto con lo sguardo perso.
Le aveva scritto sul diario, chiedendole se fosse sveglia e lei ovviamente lo era, come ogni dannata volta che tuonava.
Non gli aveva neanche risposto, era direttamente scesa in Sala Comune, certa che lo avrebbe trovato lì.
Gli si sedette accanto e lui sussultò leggermente quando si riscosse dai suoi pensieri; le permise di poggiare le gambe sulle sue e di posare il capo sul suo petto. Intrecciò una mano con la sua, ripensando vagamente a quanto le sue dita tremassero nell’iniziare un contatto all’inizio della loro storia, ancora timorosa di essere respinta da lui.
«Non riesci a dormire?»
Il biondino scosse il capo.
«Il rumore è troppo forte, stanotte.»
Hermione non sapeva esattamente se si riferisse al rombo dei tuoni o al vociare dei suoi pensieri.
Si strinse di più a lui, mentre la stanza si intingeva di un colore violaceo per qualche secondo e veniva scossa da un boato. Trasalirono entrambi.
Restarono in silenzio per un po’, in quella posizione, riscaldandosi a vicenda.
«Cosa ti frulla in testa?»
Draco ci impiegò quasi un minuto prima di dare segno di aver udito la domanda. Sospirò e si agitò leggermente sul posto, spostandosi per stare più comodo, poi sospirò.
«C’è una domanda che mi tormenta da un po’», rivelò parlando con voce bassa e greve.
«Cioè?» lo incalzò lei, allertata dall’improvvisa serietà sul suo volto.
Lo vide passarsi una mano tra i capelli; lo faceva spesso quando era nervoso.
«Mi avresti aiutato?» chiese senza guardarla in faccia. «Al sesto anno, se ti avessi chiesto aiuto… mi avresti aiutato?»
Continuava a fissare il fuoco scoppiettante come se pensasse che studiandolo abbastanza avrebbe potuto dargli le risposte che cercava.
Hermione corrugò la fronte e sospirò. «Perché ti ostini a tormentarti in questo modo?»
Lui scosse il capo brevemente. «Perché ci ho pensato, per un momento», ammise tristemente. «Non sarei mai andato da Potter o da Weasley, persino da Silente o Piton, ma tu… tu eri un’altra storia. Ho considerato l’idea di venire da te e parlarti, per un po’.»
La ragazza si irrigidì leggermente e deglutì. «Perché non lo hai fatto?»
Lui rise amaramente. «Il fatto che Weasley era quasi morto avvelenato a causa mia sembrava un buon motivo per non farlo. Avevo il sentore che mi avresti mollato un altro cazzotto e mi avresti voltato le spalle, che mi sarei fatto scoprire per niente. Mi sarei fatto ammazzare e avrei condannato la mia intera famiglia allo stesso destino.»
Hermione restò zitta, mentre cercava di processare e valutare quelle informazioni.
Perché lei era un’altra storia? Perché aveva pensato di andare proprio da lei, quando si rifiutava di prendere in considerazione tutti gli altri?
«Cos’avresti fatto, Granger?» le domandò ancora, notando che non accennava a dargli una risposta in merito.
Lei scrollò le spalle. «Probabilmente, in un primo momento, ti avrei mandato a quel paese», ammise in un sussurro, mentre lui annuiva e si leccava il labbro inferiore con aria rassegnata.
«Ma poi sarei venuta a cercarti. Era alquanto palese che… non stessi bene. Non sono mai stata il tipo di persona che abbandona la gente in difficoltà, a prescindere dai trascorsi che potremmo avere.»
Forse si aspettava che gli dicesse che non lo avrebbe mai aiutato per come stavano le cose in quel periodo, ma Hermione non mentiva se poteva evitarlo; sapeva che non gli avrebbe mai negato il suo aiuto, se glielo avesse chiesto veramente, perché neanche per un secondo aveva creduto che Draco Malfoy avesse in sé la natura del Mangiamorte e quella sensazione non era svanita neanche quando era diventato chiaro che avesse preso il Marchio.
Avvertì gli occhi grigi del ragazzo su di sé e quindi si voltò leggermente per guardarlo in volto; si era messa a sedere normalmente, con i gomiti sulle sue gambe. Fino a quel momento anche lei aveva semplicemente osservato le fiamme che crepitavano pigramente nel camino. Non riuscì a decifrare quello che vide nelle sue iridi non appena ebbero stabilito un contatto visivo.
«Vorrei averlo fatto», mormorò con rimpianto il biondino. «Vorrei essere venuto da te. Forse ora potrei vivere con me stesso più tranquillamente, se lo avessi fatto. Nonostante… nonostante il Marchio.»
«Non ha senso tormentarti con i se, Draco» asserì lei. «Non ha senso piangere sul latte versato.»
«Eh?»
«Lascia stare, è un’espressione babbana…» spiegò sbrigativamente Hermione. «Quello che intendo dire è che il passato è il passato e non si può cambiare. Puoi solo cercare di fare meglio in futuro. Per cui smettila di tormentarti pensando a cosa sarebbe potuto succedere se avessi preso anche solo mezza decisione diversa, perché non puoi saperlo e non ha senso farlo.»
Draco deglutì e annuì, poi tornò a fissare il fuoco.
«Hanno ragione, sai?» disse dopo un po’. «Non ti merito e non ti meriterò mai.»
Hermione sbuffò. «Non ricominciare con questa storia…»
«No, è vero», insisté lui, facendo scivolare un braccio attorno alla sua vita e attirandola a sé con un movimento deciso. «E lo sai benissimo anche tu. Ma se riesco a convivere con me stesso è solo grazie a te.»
Le prese una mano e se la portò sulle labbra. «Grazie per non averli ascoltati», sussurrò, fissandola con un’intensità tale da smuovere qualcosa dentro di lei. «Per avermi dato una possibilità.»
Hermione gli rivolse un sorriso dolce. «Mi hai dimostrato di meritarla.»
Draco si limitò a scuotere il capo, ma non aggiunse altro e non le lasciò proferire parola, preferendo baciarla e godere della sua presenza nella sua vita, come faceva ogni giorno, da quando gli aveva dato una possibilità.
§
Quando Pansy Parkinson l’afferrò per un braccio mentre camminava per il corridoio deserto durante una ronda e la fece sbattere con violenza contro la parete, Hermione non era affatto sorpresa.
Si era aspettata un confronto con la Serpeverde fin dalla sera del ballo; in fondo, aveva già provato a intimorirla una volta e ancor prima che capisse di provare qualcosa per Draco, per giunta. Il fatto che non si vedesse più in giro a braccetto con Theodore Nott, inoltre, non aveva fatto altro che intensificare il sentore di guai a venire.
«Allora, Sanguemarcio» esordì con un ghigno stampato in faccia. «Quand’è che la smetterete con questa pagliacciata?»
Hermione alzò gli occhi al cielo.
«Quand’è che imparerai cosa significa avere una dignità, Parkinson?»
La mora rispose assottigliando gli occhi e trasformando in una smorfia l’espressione di divertimento sul suo viso. La lasciò andare e incrociò le braccia al petto.
«Buffo che queste parole escano dalla tua bocca. Non sei tu quella che va a letto con la persona che più ti ha derisa e umiliata in questa scuola?»
La Grifondoro incassò il colpo stoicamente. «Sempre meglio del fare la figura della ex psicopatica che non riesce a farsi una ragione dell’essere stata scaricata.»
Pansy arricciò le labbra e poi fece scoccare la lingua. «Credi sul serio di potergli dare quello di cui ha bisogno, di poterlo amare come me? Tu non lo conosci veramente.»
Hermione sbuffò dal naso, allargando le narici. «Credo di poterlo capire e amare meglio e di più di quanto non potresti mai fare tu… credo di potergli dare di più di ciò che hai da offrire tu, sul piano delle cose che contano veramente, almeno.»
La Serpeverde si lasciò andare ad una risata gelida, falsa e priva di ilarità; avvicinò di più il viso a quello di lei e sussurrò con malignità: «E dimmi, Granger. Credi di poterlo soddisfare quanto posso fare io?»
Hermione arrossì, ma non rispose, sentendosi improvvisamente a disagio, divenendo tesa come una corda di violino.
Pansy dovette avvertire il suo turbamento, perché sorrise soddisfatta. «Sta con te solo per far vedere alla gente che non ha più pregiudizi, cosa a cui, tra parentesi, credete solo voi idioti. Draco ha sempre un piano, non fa mai nulla per nulla. Non gli interessi veramente, non ti vuole davvero
«Tu non sai niente, Parkinson.»
«Andiamo, Granger, non ti facevo così ingenua», proseguì imperterrita la Serpeverde. «Dovrebbe essere chiaro, te l’ha sempre detto. Non gli sei mai piaciuta e non c’entrava il tuo sangue con quello.»
La Grifondoro deglutì, mentre quelle parole la trafiggevano come una stilettata al cuore, cogliendo l’allusione che celavano.
Era vero.
Draco aveva sempre reso palese che non la sopportasse a prescindere, che non la reputasse una bella ragazza, nonostante non avesse mai avuto alcun motivo per farlo, perché lei non aveva mai dato importanza al suo aspetto fisico; la insultava per il suo sangue e quello era già il massimo del male che poteva farle con le parole.
«Non puoi essere così stupida da credere che ti voglia veramente. Scommetto che non ti ha mai neanche toccata
E quella era una seconda verità, perché a parte la sera del ballo, quando sapeva che aveva bevuto un bicchiere di troppo nonostante fosse ben lontano dall’essere brillo, Draco non aveva mai provato neanche a sfiorarla in maniera più approfondita, figurarsi a cercare un’intimità maggiore di quella che avevano costruito in quelle settimane.
Una parte di sé pensava che lo stesse facendo per restare fedele alla parola che le aveva dato quando le aveva promesso che non avrebbe fatto nulla se prima lei non gli avesse detto di volerlo, di essere pronta, ma l’altra parte di sé, quella più critica della sua persona e infima, credeva che il biondino fosse per lo più attratto dalla sua mente; cosa che comunque avrebbe dovuto farle piacere perché era quello a cui dava più valore e per cui desiderava essere riconosciuta maggiormente… ma in quel momento, per qualche motivo, l’attrazione fisica sembrava avere un’importanza vitale nella sua testa.
E forse era il modo in cui Pansy stava mettendo la questione, forse la consapevolezza appena presa di non occuparsi più di tanto del suo aspetto quando Draco aveva sempre avuto la Parkinson accanto, perfetta e curata, impeccabile, che la stava facendo sentire in difetto. Forse era proprio a quello che mirava la Serpe e ci era riuscita.
Un altro ghigno carico di cattiveria comparve sul viso della mora. «Non durerete. Non ti affezionare troppo» asserì con aria di sufficienza. «È un Malfoy e forse in questo periodo ha smarrito la strada, ma alla fine dovrà tornare in sé e prendersi le sue responsabilità. Dovrà trovarsi una nobile Purosangue, sposarsi e avere l’erede che i suoi genitori si aspettano, non un moccioso Mezzosangue da una come te. E ne sei perfettamente consapevole anche tu.»
Hermione provò a pensare a qualche risposta arguta e pungente da darle, ma non le venne niente in mente; probabilmente, se avesse provato a parlare, non sarebbe stata in grado di emettere alcun suono.
«Divertiti finché dura, se proprio devi, ma fallo tenendo a mente che, alla fine dei giochi, resti sempre inferiore» il ghigno sul viso di Pansy si allargò ulteriormente. «Fallo con la certezza che alla fine, Draco dovrà tornare da me
Tornò a respirare solo dopo che la Parkinson se ne fu andata ed ebbe svoltato l’angolo, sparendo dalla sua vista.
Quella notte, la Serpeverde aveva portato il giocare con i punti deboli degli altri su un livello del tutto nuovo, al punto che si era persino dimenticata di toglierle dei punti per la violazione del coprifuoco, cosa che moriva dalla voglia di fare da quando le era stata sottratta la spilla da Prefetto.
Deglutì cercando di rinvigorire la gola secca e poi terminò il giro di ronda con gli occhi che pizzicavano scomodamente.
Per tutto il tempo, si ripeté di non dare adito a quelle parole, di non permettere a Pansy Parkinson di entrare nella sua testa e influenzarla in alcun modo, di non permetterle di rovinare l’unica cosa che, sorprendentemente, l’aveva fatta stare bene, veramente bene, dopo la guerra.
Ma quella conversazione l’aveva scossa troppo e aveva toccato troppe ferite aperte e nervi scoperti per ignorarla; si era presa gioco delle sue debolezze come nessuno aveva mai fatto prima, neanche il vecchio Draco Malfoy nel suo giorno peggiore.
Scivolò attraverso il buco del ritratto il più silenziosamente possibile e corse su per le scale che conducevano al suo dormitorio.
Cercò di rilassarsi facendo un lungo bagno caldo, ma l’inquietudine non accennava a sparire.
E quando finalmente fu al buio, sotto le coperte, nascosta dietro le tende chiuse del suo letto a baldacchino, lasciò che le lacrime cadessero silenziose.
Forse doveva solo farle uscire.
Forse piangere sarebbe stato uno sfogo sufficiente.
Forse, dopo avrebbe smesso di sentire le parole velenose di Pansy Parkinson riecheggiare nella sua testa.
 
***
Draco
 
Hermione non scese per colazione quella mattina e dal momento che non lo aveva avvisato in alcun modo, la cosa lo fece preoccupare.
La sera precedente, si erano salutati prima della ronda e poi, nonostante avessero concordato di trovarsi in sala comune, non l’aveva più vista.
Le aveva scarabocchiato un paio di frasi sul diario e lei aveva semplicemente risposto di essere stanca e di aver bisogno di dormire.
Non voleva sembrare troppo appiccicoso, - dato che Blaise continuava a sfotterlo dicendogli che se non avesse allentato la presa, lei si sarebbe stufata di lui e avrebbe finito per perderla -, e allora aveva preferito non insistere, ma avvertiva una strana sensazione proprio alla bocca dello stomaco, un fastidioso sentore che gli faceva sospettare ci fosse qualcosa di sbagliato in tutto ciò, qualcosa che non andava.
Quella sensazione si aggravò nel corso della giornata, visto che Hermione non si presentò né a Trasfigurazione, né ad Aritmanzia, né tanto meno a pranzo.
Draco camminava per i corridoi senza pensare a dove stesse andando, perso nei suoi pensieri, mentre valutava se mandare a quel paese i consigli di Blaise e precipitarsi da lei o se trattenersi e aspettare di incontrarla in Sala Comune, o di vedere prima se si sarebbe presentata alla lezione serale di Alchimia e in caso negativo di considerare l’idea di scriverle qualcosa sul diario.
Questa storia delle relazioni è estenuante”, si ritrovò a pensare sbuffando, soprattutto per uno come lui che non era abituato a doversi guadagnare le cose, né tanto meno a ponderare così tanto le sue azioni, - prima della guerra gli era concesso tutto a prescindere dalla gente che gli stava attorno -, o a preoccuparsi così tanto delle loro conseguenze sugli altri… O degli altri in generale.
«Ma che cavolo!?» esclamò spiazzato quando Daphne e Potter lo afferrarono un braccio ciascuno e lo trascinarono di peso in un vecchio armadio delle scope, senza preavviso o spiegazione alcuna.
Draco alzò un sopracciglio. «Spero che non stiate per propormi di fare una cosa a tre, perché non vorrei offendere nessuno, ma sarei costretto a rifiutare.»
Si guardò attorno con una smorfia disgustata e poi aggiunse: «soprattutto se avete intenzione di farlo qui dentro.»
«Stai passando troppo tempo con Blaise, Principino», ribatté alzando gli occhi al cielo la Greengrass.
«Siamo venuti a parlarti di quello che è successo ieri notte», disse il Prescelto, con aria preoccupata.
Il biondino corrugò la fronte. «Di che diavolo stai parlando, Potter?»
Il Grifondoro sbuffò e poi borbottò tra sé e sé: «Lo sapevo che non ti avrebbe detto niente!»
«Ieri, Harry ed io eravamo nascosti in un armadio delle scope in disuso a… farci gli affari nostri, quando abbiamo sentito dei rumori e delle voci nel corridoio» prese a raccontare Daphne. «E a un certo punto abbiamo le abbiamo riconosciute ed erano Hermione e Pansy.»
Draco si allarmò immediatamente a quelle parole. «Che cosa è successo?»
Harry e Daphne riferirono l’accaduto, cercando di ricordare la maggior parte della conversazione che avevano origliato.
«E l’avete lasciata andare via da sola dopo?» domandò infervorandosi. «Che razza di amico sei, Potter?»
«Il tempo di rivestirci ed era sparita, Draco!» esclamò la Greengrass, in pronta difesa del suo ragazzo. «Non è che potevamo inseguirla in giro per il castello nudi
Il giovane imprecò e uscì di fretta dal loro nascondiglio, con tutta l’intenzione di mandare al diavolo la lezione seguente e precipitarsi da Hermione.
Si fermò solo un istante, per voltarsi a guardare i due alle sue spalle con aria perplessa.
«Ehm, non era questo l’armadio dove ci avete dato dentro ieri sera, vero?»
I due si morsero il labbro inferiore all’unisono, un mezzo sorriso malizioso e colpevole che minacciava di apparire sui loro volti.
Draco arricciò il naso. «Siete disgustosi», disse con tono definitivo e nauseato, poi si incamminò verso il dormitorio dei Caposcuola.
Fanculo a quello che dice Blaise e al non sembrare appiccicoso.
Io sono appiccicoso, è risaputo.
E lei lo sapeva prima di darmi una possibilità, quindi ora è un problema suo farselo stare bene.”
Non poteva far finta di niente ora che sapeva quello che era accaduto la sera prima.
Maledetta Pansy e la sua ossessione…”
Sembrava proprio che la ragazza non avesse recepito il messaggio, o piuttosto che non volesse farlo; o forse, considerò ancora, i suoi sospetti erano fondati e suoi genitori avevano davvero avuto l’ardire di scriverle, nonostante le risposte alle loro assurde lettere che lui mancava costantemente di inviare loro.
Ignorarli era l’unica cosa che si sentiva di fare in quel momento, nella speranza che si stancassero di tormentarlo; era un vano desiderio, ne era consapevole, ma aveva deciso di provare ugualmente a seguire quel corso d’azione, perché non aveva la minima voglia di rovinare il buon umore che lo aveva accompagnato in quei giorni e che non aveva da tempo.
Quando entrò nel dormitorio, la trovò intenta a sistemare dei libri nella sua cartella, visibilmente sovrappensiero; aveva raccolto i capelli in una coda, così gliela tirò leggermente per attirare la sua attenzione.
«Ehi» esclamò lei stancamente. «Credevo fossi ancora in Sala Grande.»
Draco si inumidì le labbra. «Ho incontrato Potter e Daphne per strada», le disse, poggiando la schiena contro il tavolo e incrociando le braccia al petto. «Mi hanno raccontato delle cose… interessanti
Hermione sollevò un sopracciglio e lo guardò con aria interrogativa.
Il biondino sospirò. «Credevo avessi detto che se dovessero esserci problemi, me ne avresti parlato.»
«Sto bene», rispose lei, corrugando la fronte. «Non ho nessun sintomo strano.»
Draco chiuse gli occhi e scosse il capo lentamente. «Io non mi riferivo solo alla storia degli attacchi.»
La vide deglutire e distogliere gli occhi da lui. «Credo che dovremmo incamminarci, non vorrei rischiare di arrivare tardi a Difesa…»
Le prese un polso e la voltò verso di sé, inchiodandola con lo sguardo. «Non farlo.»
Aveva già lasciato cadere la questione Pansy Parkinson una volta, dopo che la vicenda degli attacchi aveva rubato tutta la loro attenzione, distogliendola dalla Serpeverde, non aveva intenzione di farlo una seconda volta; non dopo quello che Daphne e Potter gli avevano riferito. Non avrebbe permesso a quella maledetta Serpe di avvelenare tutto con i suoi morsi tossici.
«Non fare finta che non sia accaduto niente.»
Non poteva ostinarsi a fingere, non quando le sue palpebre si chiudevano pesantemente ogni volta che sbatteva gli occhi, facendogli dedurre che aveva passato la notte a piangere.
«Non c’è niente di cui parlare», asserì allora lei, risoluta. «È solo Pansy Parkinson ed è una cosa che posso gestire. Ho a che fare con lei da otto anni.»
Draco la squadrò con attenzione. «Stando a quanto hanno detto i nostri amici, questa volta non sei riuscita a tenerle testa come al solito.»
Hermione sbuffò. «Ma che ne sanno loro?»
«Questo non vuoi saperlo», disse lui, arricciando il naso.
«Non dirmi che erano nascosti da qualche parte a…»
Il biondino annuì lentamente. «L’armadio delle scope in disuso al quinto piano.»
La ragazza fece una smorfia, poi scosse il capo. «Non posso credere che abbiamo ancora la faccia di togliere i punti a chi infrange le regole, dopo la quantità immane che ne ignoriamo noi…»
«Non cambiare discorso», protestò allora Draco, troncando il suo tentativo di abbandonare la questione. «Si vede lontano un miglio che non stai bene.»
«Sto bene!», sbuffò spazientita lei.
«Hai chiaramente pianto.»
«Sai, Malfoy, essere eccessivamente apprensivo non ti dona.»
Il biondino alzò gli occhi al cielo. «Senti, se non vuoi parlarne, va bene. Ma mi hanno raccontato cosa ti ha detto e volevo…»
La vide arrossire violentemente. «Ecco, bene. Allora non parliamone, non hai bisogno che io ti spieghi l’accaduto.»
Distolse lo sguardo da lui, si ricaricò la cartellina in spalla e si diresse quasi correndo verso la porta del dormitorio.
Draco sospirò rassegnato.
Se non avesse voluto parlarne, avrebbe rispettato la sua volontà, come faceva lei quando era lui che non se la sentiva di aprirsi, ma sentiva anche la necessità di precisare una cosa.
«Ti ho fatto una promessa, Granger» le disse in tono fermo, mentre la raggiungeva a grosse falcate. Circondò il suo ventre con un braccio e la spinse a sé, facendo scontrare la schiena di lei contro il suo petto con un più forza del necessario, rubandole un flebile singulto di sorpresa.
«E ora te ne faccio un’altra» sussurrò con un tono basso e solenne, poggiando le labbra contro il suo orecchio. «Un giorno, quando mi dirai che sei pronta e mi darai il via libera, ti dimostrerò in molteplici e diversi modi quanto Pansy Parkinson si sbaglia.»
La sua voce era roca, mentre il respiro di Hermione si faceva sempre più affannoso; Draco posò e chiuse le labbra con un piccolo risucchio su un punto particolarmente sensibile del suo collo, facendola sussultare leggermente ed esalare un piccolo gemito di piacere al guizzo della sua lingua sulla pelle morbida, per poi farle ritornare in corrispondenza del suo orecchio.
«E credimi, Granger, lo farò in una maniera così eloquente che non metterai mai più in dubbio che io ti voglia.»
La sentì tremare tra le sue braccia, mentre le dita di Draco le si chiudevano sul fianco in risposta alla ricettività del corpo di lei alla sua sola voce.
Il biondino chiuse gli occhi e deglutì, mentre la teneva premuta contro di sé ancora per qualche istante; respirò a fondo per recuperare il controllo sul suo di corpo, dal momento che quello era stato sufficiente ad accendere il suo di desiderio per lei, poi la voltò con delicatezza e le prese il viso tra le mani.
«Non permettere a Pansy di entrarti in testa», mormorò in tono fermo, guardandola negli occhi. «Per favore.»
Lei annuì lentamente, pendendo dalle sue labbra, come sempre.
«E perdonami.»
Hermione corrugò la fronte. «Tu non c’entri niente.»
Draco scosse il capo lentamente. «È per colpa mia che ti ha presa di mira e tu non volevi altro se non un anno tranquillo.»
Lei gli sorrise mestamente. «Sono abituata a vedere quel desiderio non realizzarsi mai.»
Il Serpeverde esalò un respiro rassegnato e strinse il labbro inferiore tra i denti per qualche secondo.
«Allora perdonami perché sono stato io ad insegnarle come individuare e sfruttare le debolezze della gente.»

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Capitolo 30
*** Capitolo 29. Brutte Notizie ***


CAPITOLO 29
Brutte Notizie







 
 
Draco
 
Il fulmine squarciò il cielo all’improvviso, illuminando la stanza di viola; la luce si insinuò prepotentemente sotto le palpebre chiuse di Draco, il rombo del tuono gli riverberò nelle ossa, facendolo scattare a sedere. Delle goccioline di sudore colarono dalla sua fronte, mentre dischiudeva le labbra boccheggiando in cerca d’aria; il suo cuore martellava incessantemente contro il petto.
La risata maniacale e inquietante di Bellatrix Lestrange sembrava riecheggiare tra le pareti.
Urla agghiaccianti bloccate nelle sue orecchie.
Le sue urla.
Si guardò attorno allarmato e deglutì una, due, tre volte; si passò una mano tra i capelli, poi si sfregò gli occhi con forza.
Lacrime.
Colavano dai suoi occhi, salate, e si mischiavano al sudore freddo sulla sua pelle.
Si passò una mano tra i capelli bagnati, poi scostò le lenzuola di lato e si mise in piedi.
Afferrò la camicia che aveva lasciato scomposta su una sedia e se la mise addosso per coprirsi il torso, per nascondere la cicatrice del grosso teschio sul suo avambraccio, e si diresse in Sala Comune.
Lei non c’era, ma non le scrisse.
Draco aveva un disperato bisogno di bere.
Firewhiskey.
Da qualche parte doveva esserci una delle bottiglie che Blaise aveva lasciato al dormitorio dei Caposcuola durante l’ultima serata che avevano trascorso tutti insieme.
Evocò un bicchiere e lo riempì quasi interamente.
Il liquido ambrato gli bruciò la gola e lo riscaldò dall’interno mentre viaggiava verso il suo stomaco.
Il fuoco scoppiettava flebile nel camino, come se fosse in procinto di spegnersi, ma Draco sapeva perfettamente che non sarebbe successo, perché era incantato per restare acceso.
Un brivido percorse la sua schiena, quando il familiare urlo riemerse nella sua mente.
Svuotò il bicchiere tutto d’un fiato, lo riempì di nuovo.
Il suo sguardo era fisso sulle fiamme che, danzando, sembravano evocare i suoi demoni interiori per tormentarlo.
Durante la guerra c’era stato un momento in cui aveva pensato di essere finito all’inferno.
Adesso pensava che l’inferno fosse quello. Che fosse in una sorta di luogo di passaggio, in attesa di oltrepassare una porta e venire inghiottito dal fuoco perenne degli inferi.
Avvertì la presenza di Hermione alle sue spalle prima ancora che parlasse.
«Sapevo che saresti stato qui.»
Percepì lo sguardo della Granger soffermarsi brevemente sul bicchiere che stringeva nella mano e sulla bottiglia mezza vuota che era certa fosse chiusa fino a poco tempo prima.
Il calore emanato dal camino aveva fatto asciugare i suoi capelli chiari, lasciandoli scombinati, con delle ciocche che gli ricadevano pigramente sugli occhi, ma a lui non importava.
Chiuse le palpebre e sussultò impercettibilmente quando Hermione gli si sedette lentamente in grembo e iniziò a far scorrere le dita lungo le cicatrici sul suo corpo.
«Sono le cicatrici del Sectumsempra?» domandò in un sussurro, mentre percorreva le linee biancastre sulla sua pelle. 
Draco annuì impercettibilmente, ma non la guardò.
Se fino a un attimo prima aveva pensato di bruciare, la sensazione provocatagli dal tocco delicato della ragazza lo aveva fatto ricredere. Respirò profondamente, mentre le mani di lei risalivano lungo il suo torso scoperto; la sua camicia ricadeva pigramente ai lati dei suoi fianchi, aperta.
Perché avrebbe dovuto chiuderla, se tanto le fiamme dell’inferno ardevano dentro di lui, consumandolo?
Draco il freddo non lo sentiva, perché il freddo era lui.
Deglutì e quando riaprì gli occhi li puntò nuovamente verso il camino.
Non riusciva a guardarla in quel momento.
Non riusciva a sopportare di incontrare le sue iridi color cioccolato e vederci un affetto che non meritava; a far scorrere gli occhi sulla sua figura perfetta, con la consapevolezza di averla ferita talmente tante volte che ricordarle tutte era praticamente impossibile.
Quella splendida e pura creatura che non avrebbe mai, per nessun motivo, dovuto essere sua.
Si portò il bicchiere alle labbra e dopo aver bevuto un lungo sorso, avvertì le mani di lei chiudersi sulla sua e sfilarglielo lentamente dalle dita.
Non meritava neanche che si preoccupasse per lui.
«Draco…»
Un brivido corse lungo la sua spina dorsale.
Non si sarebbe mai abituato al suono che emetteva la sua voce quando pronunciava il suo nome di battesimo, al calore che gli faceva avvertire dentro di sé la dolcezza con cui lo enunciava, così in contrasto con il modo astioso in cui anni prima era solita dire il suo cognome.
«È inutile Occludere, con me. Lo vedo comunque il tuo dolore. Me ne accorgo lo stesso, se stai male.»
Lui chiuse di nuovo gli occhi e deglutì; la sentì inclinarsi di lato e poi udì il rumore secco del bicchiere che veniva poggiato sul tavolino.
Hermione alzò una mano verso la sua fronte, scostò le ciocche di capelli ribelli e gli prese il volto con entrambe le mani.
«Parlami
Il respiro caldo della ragazza sul suo viso gli fece venire la pelle d’oca.
Draco sentiva il suo sguardo su di sé, un po’ indagatore, un po’ preoccupato; per un po’ non proferì motto.
«Che cosa vedi, Granger?» mormorò con voce bassa e greve alla fine. «Cosa vedi quando mi guardi?»
Era certo che le sue iridi argentee riflettessero tutto il suo tormento interiore quando incontrarono gli occhi della ragazza. La fissò intensamente, seguendo avidamente i lineamenti del suo volto; lo guardava con un’espressione indecifrabile dipinta sul volto, mentre si mordeva ripetutamente un angolo del labbro inferiore.
«Un angelo caduto», sussurrò in maniera quasi inudibile. «Vedo un bellissimo, ma tormentato, angelo caduto, Draco.»
Il biondino deglutì, mentre il respiro caldo di lei si infrangeva nuovamente contro il suo viso, in una morbida, dolce, carezza.
«Il mio angelo caduto.»
Le sue mani si mossero automaticamente sulla schiena di lei, per spingerla più vicino a sé e stringerla, per sentirla ovunque, mentre le catturava le labbra tra le sue.
La baciò lentamente, come gli piaceva fare di più, godendosi a fondo il suo sapore, prolungando il più a lungo possibile le sensazioni che scatenava dentro di lui.
Nelle sue labbra, pensava Draco, risiedeva la sua salvezza.
Fece risalire una mano verso l’alto, fino alla sua testa, incastrando i suoi capelli tra le dita, mentre si sporgeva maggiormente verso di lei.
Gli sembrava sempre troppo lontana.
Baciarla era come morire e rinascere dalle proprie ceneri, tornare a respirare dopo una vita trascorsa restando in apnea; se il termine ‘casa’ indicava il posto in cui si stava bene, rifletté Draco, allora le braccia della Granger erano la sua.
«Ancora non riesco a credere che tu sia veramente mia» mormorò con voce roca, senza staccarsi da lei.
Nel sentire quelle parole, o il suono della sua voce, mentre la toccava possessivamente, Hermione emise un gemito di piacere che fece confluire tutto il suo sangue verso il basso.
La sua presa su di lei si fece più ferma, il suo respiro frenetico; le sue labbra scivolarono sulla gola di lei e la sua lingua guizzò per un istante lungo un’altra delle cicatrici che Bellatrix le aveva lasciato quella maledetta notte.
Sentiva le mani di lei aggrapparsi alla sua schiena, le sue dita affondare nella sua pelle e poi risalire su, muoversi tra i suoi capelli, tirare leggermente ogni tanto.
Draco raggiunse pian piano lo scollo della maglietta che Hermione indossava, mentre le mani si insinuavano sotto il tessuto, sfiorando la pelle nuda della sua schiena con la punta delle dita, reclamandola esercitando una leggera pressione sul suo corpo, spostandosi sul suo ventre…
Mia…”, l’unica parola che attraversava la sua mente, ripetendosi in continuazione.
Mia… la mia ragazza…
Hermione sussultò all’improvviso e gemette, arretrando leggermente da lui e tutto d’un tratto il cervello di Draco si riavviò, facendogli recuperare lucidità. Sgranò gli occhi, le sue mani scattarono sul volto di lei, mentre la sua fronte si corrugava in un’espressione dispiaciuta.
«Scusami» biascicò ancora inebriato da lei, dal sapore della sua pelle, stordito dal suo profumo delicato. «Scusami, per favore… Non volevo spingerti a… Non era mia intenzione farti pressioni…»
La Grifondoro lo guardò scioccata per qualche istante, probabilmente spiazzata dal fatto che gli stava sentendo pronunciare la parola ‘scusa’ per la prima volta in vita sua.
Draco serrò nuovamente gli occhi e posò la fronte contro quella di Hermione, poi esalò dei respiri profondi per calmare lo scalpitio del suo cuore.
«Draco…»
«Capisci perché non posso smettere di Occludere? Soprattutto con te…» sussurrò lui ansante. «Mi fai perdere la testa, Hermione… non posso permettermi di scivolare via, di perdere il controllo… di sbagliare…»
«Draco, non è successo nulla…» mormorò lei, tranquilla.
«Mi sono lasciato andare troppo…»
Avvertiva l’agitazione irradiarsi in ogni angolo del suo corpo, il rimorso pungerlo vivamente.
«Draco, calmati! Guardami
Gli prese il viso con entrambe le mani e lo costrinse ad alzare lo sguardo su di sé.
Gli stava sorridendo con dolcezza, muovendo i pollici sulla sua guancia con fare rassicurante.
«Va tutto bene.»
***
Hermione
 
Stava diventando sempre più difficile resistergli, non lasciarsi andare quando tutto ciò che il suo corpo desiderava era donarsi a lui completamente.
Continuava a pensare che fosse troppo.
Le sensazioni che lui le faceva provare, l’intensità con cui la guardava, il modo con cui la toccava…
La verità era che tutto in Draco Malfoy era troppo.
Era lui ad essere maledettamente intenso.
Solo che ora non riusciva più a mantenere le distanze, a imporsi di non lasciarsi travolgere interamente… Era come le aveva detto Ginny, di quel troppo non ne aveva mai abbastanza, anche se spesso Hermione si sentiva sopraffatta dai suoi sentimenti e aveva paura che se si fosse abbandonata totalmente a lui, sarebbe tutto svanito all’indomani, che quello che lui provava per lei si sarebbe dissolto, volando via come polvere al vento.
Hermione credeva che sarebbe morta dentro, se fosse accaduto veramente.
Aveva iniziato quella relazione con l’idea di godersi il momento e non pensare al futuro, a quello che sarebbe accaduto; si era imposta di non fare progetti a lungo termine, perché le probabilità che non sopravvivessero come coppia al termine degli studi erano altissime… Ma non era più sicura che sarebbe riuscita a superarlo, se lo avesse perso.
Perché, ne era certa, non avrebbe mai conosciuto un’altra persona capace di farle provare tutte quelle cose, con quell’intensità, perché nessun’altra persona era come lui.
Se Draco Malfoy fosse scomparso dalla sua esistenza, lei avrebbe sentito freddo per il resto della sua vita.
§
La Gazzetta del Profeta giaceva sul tavolo più grande della Sala Comune del dormitorio dei Caposcuola; Hermione fissava la prima pagina senza dare l’impressione di vederla veramente.
“Fenrir Greyback fugge da Azkaban durante la Luna Piena: indagini aperte suLLA SOSTITUZIONE DI UNA fiala di Pozione Antilupo.”
Il titolo lampeggiava come un segnale d’allarme, riportando a galla eventi traumatici della guerra che si succedevano nella sua mente a ritroso.
La morte di Lavanda.
Il ponte.
Malfoy Manor.
La foresta.
L’attacco a Hogwarts e Bill Weasley.
Il Marchio Nero sopra la Torre di Astronomia…
Sussultò leggermente quando le mani di Draco scivolarono sui suoi fianchi, per poi avvolgerla tra le sue braccia.
«Cosa leggi…?»
La frase rimase in sospeso quando anche i suoi occhi caddero sul giornale e lei avvertì chiaramente il suo corpo irrigidirsi contro la sua schiena.
Hermione chiuse gli occhi e trasse un respiro profondo.
Tra i due, inspiegabilmente, era Draco quello che si era aperto di più per quanto riguardava gli orrori della guerra; aveva sempre pensato che dipendesse dal fatto che, mentre lei aveva avuto Harry e Ron, Ginny, con cui parlare per tutto il tempo, lui fosse stato sempre incredibilmente solo, cosa che alla fine lo aveva fatto cedere quando tutto era diventato troppo da affrontare per conto proprio.
Hermione, che inizialmente aveva perso il diario e quando lo aveva ritrovato era impuntata sull’evitare in tutti i modi di pensare a qualcosa nello specifico, non aveva mai commentato degli eventi in particolare, ne aveva solo parlato in linee generali, focalizzandosi di più sui suoi sentimenti in merito alla guerra nella sua complessità.
Tuttora, Draco non aveva la minima idea di come si sentisse riguardo a quello che era accaduto a Malfoy Manor; sapeva solo che Bellatrix andava ancora a farle visita nei suoi incubi peggiori, ma ogni volta che aveva cercato di discuterne, forse convinto che l’argomento pendesse un po’ troppo sulla loro relazione e pesasse tonnellate, Hermione aveva ostinatamente sviato il discorso.
«Durante la guerra, quando Harry, Ron ed io ci nascondevamo nei boschi», sussurrò deglutendo, con voce tremula. «Una sera, siamo stati a un soffio dall’essere catturati dai Ghermidori. Le protezioni ci hanno salvati, per fortuna, ma… lui, Greyback, riusciva ugualmente a sentire il mio profumo.»
Le dita di Draco si arricciarono sui suoi fianchi, mentre la stringeva un po’ più forte contro il suo petto.
«È stata una cosa raccapricciante. Il modo in cui parlava, come mi sono sentita…», la voce le morì in gola, mentre un brivido di orrore la attraversava. «Anche quella notte, al Manor… nonostante le torture di Bellatrix, il momento in cui sono stata più terrorizzata è stato quando ha detto a Greyback che…» il resto della frase si perse in un singhiozzo acuto.
Draco la voltò con uno scatto e la abbracciò; Hermione affondò il volto nel suo petto e si lasciò stringere, consolare dalle sue mani che si muovevano rassicuranti sulla sua schiena.
Non avrebbe dovuto essere così, ma lo era.
L’universo aveva uno strano senso dell’umorismo.
«Mi dispiace», disse Draco con voce strozzata. «Mi dispiace…»
Hermione si limitò a premersi un po’ di più contro il suo petto.
«Non permetterò a nessuno di farti del male» sussurrò quando sentì un singhiozzo lasciare la sua gola. «Mai più. Te lo giuro, Hermione.»
Lei si obbligò a credergli.
§
Da quando lei e Draco stavano insieme, le serate tra amici nel loro dormitorio sembravano sempre una di troppo.
Quel giorno in particolare, però, Hermione era particolarmente stanca.
Per tutta la settimana non avevano fatto altro che discutere di Greyback, con lei che cercava di acquietare Harry e di tranquillizzare Ron.
«Sapevo che tornare era una perdita di tempo», aveva borbottato più volte il Prescelto. «Dovevo procedere con l’Addestramento Auror e iniziare subito a cercare i fuggitivi…»
«Smettila, Harry!» lo ammoniva puntualmente lei. «Smettila di caricarti il peso del mondo sulle spalle! Hai il diritto di vivere una vita normale, ad avere un attimo di tranquillità, soprattutto dopo tutto quello che hai fatto per il mondo magico!»
E poi c’era Ron, che la fuga di Greyback l’aveva presa anche peggio.
«Non avrei dovuto mollare il corso», ruggiva di continuo. «Quel bastardo non deve farla franca!»
Hermione era d’accordo su quell’ultimo punto e sapeva benissimo cosa stesse facendo perdere le staffe al rosso, dal momento che il lupo mannaro aveva ucciso la sua ex ragazza, Lavanda, e anche se si erano già lasciati in quel periodo, lei sapeva che Ron ci teneva ugualmente e che la sua morte lo aveva scosso profondamente.
«Ron, lo troveranno… Adrian è a capo della squadra di ricerca, è un ottimo Auror, te lo posso garantire io.»
Non sapeva bene ancora come comportarsi con lui.
Aveva mantenuto la sua promessa di non interferire nel suo rapporto con Draco e di sforzarsi di andare d’accordo con il biondino, ma non aveva neanche preso bene l’evoluzione della loro storia; da quando lei e il Serpeverde erano una coppia, Ron preferiva non partecipare ai loro ritrovi, se poteva evitarlo e l’unica cosa che le aveva detto in merito era che non approvava e non lo capiva appieno, ma che non avrebbe detto niente al riguardo.
Dal momento che Ron era felicemente impegnato con Astoria, né Hermione, né Harry avevano pensato che potesse in qualche modo essere geloso, il che scongiurava il rischio di un’eventuale esplosione da parte del giovane da un momento all’altro.
«Deve solo abituarsi», l’aveva rassicurata Harry quando aveva sollevato la questione con lui. «Non è facile, sai? Nonostante gli ultimi mesi, fa davvero strano vedervi insieme, anche a noi del gruppo. Soprattutto visto quanto è, ehm, fisico nei tuoi confronti. Evidentemente a Ron serve più tempo per metabolizzare la cosa, ma non è arrabbiato.»
In realtà un po’ lo capiva, perché a volte faceva ancora strano persino a lei e in qualche modo riusciva a comprendere il suo punto di vista, la sua difficoltà nell’adattarsi a quella novità, a quello sviluppo inaspettato; aveva bisogno di tempo e lei era decisa a rispettare quella sua esigenza senza fargli alcuna pressione, apprezzando il suo sforzo di non interferire e di non agire d’impulso come era solito fare in passato.
Dopo la sua reazione spropositata mentre erano alla ricerca degli Horcrux, infatti, Ron aveva lavorato molto su quell’aspetto impulsivo del suo carattere e Hermione non riusciva a fare a meno di essere orgogliosa di lui per i progressi che aveva ottenuto in tal senso.
Hermione guardò l’orologio e sospirò.
Dal momento che mancava solo un quarto d’ora all’arrivo dei loro amici, decise di scendere in Sala Comune e controllare se Draco avesse già avuto un esaurimento nervoso o se fosse tutto tranquillo.
Non appena uscì dalla porta, però, il mondo attorno a lei prese a girare vorticosamente, costringendola a posare un avambraccio contro la parete per sorreggersi. Strinse forte gli occhi e respirò a fondo, pregando che tutto smettesse presto di ruotare.
Le sembrò immediatamente chiaro che quella sera non avrebbe potuto bere nemmeno un bicchiere, anche se sperava che Blaise non se ne uscisse affatto con qualche gioco strano.
Non era dell’umore per fingere che le cose andassero bene.
Justin e Dennis erano ancora privi di sensi, bloccati in un letto dell’infermeria.
Draco non lo sapeva, ma Pansy aveva ripreso a infastidirla in ogni momento in cui non era con lui; il suo nuovo argomento preferito era come il biondino l’avrebbe scaricata una volta riuscito ad infilarsi nelle sue mutandine. Hermione cercava di non darle corda, di ignorare le sue battute velenose e di non darle alcuna importanza.
I suoi mal di testa erano diventati sempre più costanti e Draco non sapeva neanche questo. Iniziava a chiedersi se non fosse il caso di andare in infermeria, dal momento che le aspirine babbane non sembravano più farle alcun effetto.
Quando il mondo parve stabilizzarsi, Hermione provò a riaprire gli occhi lentamente, traendo brevi e rapidi respiri per calmarsi.
Non si era accorta dell’arrivo di Draco al suo fianco, per cui sussultò leggermente quando se lo trovò davanti, che la sorreggeva per le spalle e la studiava con aria preoccupata.
«Stai bene?» le chiese agitato. «Cos’era quello?»
«Solo un capogiro» rispose evasiva. «Devo essere stanca. È stata una settimana difficile.»
Lui non parve convinto, ma l’avvicinò a sé e la guidò fino al divano, sedendosi al suo fianco. Hermione lasciò ricadere la testa sul cuscino e chiuse gli occhi, mentre le dita di Draco disegnavano dei rilassanti cerchi concentrici sui suoi polsi.
«Se non te la senti, appena arrivano gli altri dico loro che la serata è annullata e-»
«Non c’è bisogno, Draco» sussurrò lei, abbozzando un debole sorriso. «Sto bene.»
Lui sospirò, ma c’era apprensione nel suo sguardo. «È quello che dici sempre» mormorò quasi rassegnato, «ma non sembri mai stare bene veramente.»
Gli si strinse contro il petto e gli lasciò un casto bacio sulle labbra. «Sto bene» ripeté. «Con te.»
Draco le sorrise debolmente. «Non è quello che intendevo. Hermione, sono preoccupato…»
Poteva vedere le sue barriere da Occlumante vacillare in quel momento, i suoi occhi tramutarsi da cielo nuvoloso a cielo un attimo prima della tempesta.
La riconobbe immediatamente per quello che era: ansia.
«Sei sempre distratta ultimamente, come se non riuscissi a concentrarti veramente su niente… tipo l’altro giorno a Pozioni, dovevamo preparare la Pozione Rimpolpasangue e sei tornata con gli ingredienti della Pozione Rinforzante, che avevamo fatto la settimana prima. Non è da te…»
Hermione arrossì violentemente. «Mi dispiace», sussurrò.
«Non mi sto lamentando per le lezioni, stupida» sbuffò il biondino. «Voglio sapere cosa ti succede. Sono davvero preoccupato per te.»
La Grifondoro deglutì e prese a mordicchiarsi la guancia, il viso nascosto nel petto di Draco, mentre valutava la possibilità di rivelargli che non si sentiva affatto bene e di raccontargli di quei maledetti mal di testa allucinanti.
Il problema era che Draco sarebbe andato nel panico, l’avrebbe trascinata di peso in infermeria e si sarebbe fatto prendere dall’ansia e dall’apprensione; non aveva intenzione di caricarlo di pensieri inutili per un semplice mal di testa.
Lo aveva visto in quello stato abbastanza volte da non sorprendersi più quando si trovava davanti a quel suo lato che celava con accortezza al resto del mondo.
La sua insicurezza, la sua fragilità, la paura di perdere il poco affetto che aveva nella sua vita… l’avrebbe affatturata se avesse potuto sentire i suoi pensieri al riguardo e probabilmente avrebbe smesso di mostrarli anche a lei, erigendo una nuova barriera apposita; non era sicura che si accorgesse di tutte le volte in cui il velo sui suoi occhi cadeva leggermente, quando era con lei. Si chiedeva spesso cosa ci avrebbe visto dietro quelle iridi argentee se avesse smesso di Occludere totalmente.
Alzò il capo e gli sfiorò una guancia con le dita. «Sto bene», asserì ancora una volta. «Solo una settimana estenuante.»
Lui chiuse gli occhi e sospirò.
Le sarebbe piaciuto trascorrere quella serata da sola con lui, accoccolati sul divano, a bere cioccolata calda davanti al camino acceso; quando era tra le sue braccia si sentiva sempre meglio. Voleva solo restare lì, con il viso sepolto nel suo petto, gli occhi chiusi, le sue dita tra i capelli… Ma l’arrivo dei loro amici proprio mentre stava per insistere ulteriormente sulla questione della sua salute le parve comunque un salvavita.
«Li mando via» borbottò Draco serio e lei gli afferrò il polso per fermarlo.
«Falli entrare» lo avvisò sorridendo. «O ti chiamerò ‘furetto’ per tutta la settimana a venire.»
Lo sbuffo del biondino a quel suo monito la fece scoppiare a ridere.
§
Hermione era seduta scompostamente sul divano, con il volto ancora sprofondato nel petto di Draco, mentre lui le accarezzava distrattamente la spalla con il pollice.
Aveva resistito per un’oretta, lieta che gli altri volessero solo conversare e bersi un bicchiere insieme anziché dilettarsi in uno dei loro giochi alcolici, ma alla fine aveva iniziato ad accusare i colpi della stanchezza. Si sentiva incredibilmente debole; le parole dei loro amici sembravano un sussurro lontano, ma si sforzava ugualmente di ascoltare. Nonostante fosse tremendamente stanca, però, non aveva avuto il cuore di mandare via tutti, soprattutto sapendo che non aspettavano altro se non il sabato sera per stare un po’ tutti insieme in tranquillità.
Come sospettava, Ron non si era presentato; Daphne aveva detto che aveva rifiutato di vedere anche Astoria quella sera, il che voleva dire che era ancora estremamente turbato e arrabbiato per la fuga di Greyback da Azkaban.
Hermione aveva cercato di tranquillizzarlo più volte, garantendogli che Adrian Pucey, che era stato messo a capo della squadra di ricerca del fuggitivo, era un ottimo Auror e che aveva assoluta fiducia nelle sue capacità, che lo avrebbe trovato… evidentemente, non era stato abbastanza da calmare il suo animo o da far sfumare il suo malumore.
«Merlino» stava dicendo Blaise, «Ma nessuno ha notato che quest’inverno a Hogwarts fa un caldo innaturale?»
Sentì Daphne e Ginny concordare, mentre Harry replicava: «Gli altri anni dovevamo girare per i corridoi con i guanti, quest’anno si soffoca anche nelle divise più leggere.»
Hermione si strinse di più a Draco.
Lei aveva freddo.
«Mione, stai bene?»
Le sue palpebre si aprirono di scatto quando udì la voce preoccupata di Ginny richiamare la sua attenzione, forse avendo notato che per tutta la sera non era stata molto loquace, e si voltò leggermente a guardarla, abbozzando un breve sorriso. «Sì, Gin. Ho solo un po’ di sonno.»
Peccato che contemporaneamente Draco se ne uscì affermando che non si sentiva affatto bene.
«Cos’hai?» domandò Harry, immediatamente all’erta.
Hermione lanciò un’occhiata di traverso al biondino. «Niente, sono solo un po’ stanca…»
«Al punto che per poco non sveniva, prima» proseguì il ragazzo, imperterrito.
«Uhm, piccolo Malfoy in arrivo?» ironizzò Blaise, ammiccando nella loro direzione, mentre Ginny gli tirava uno schiaffo sul braccio a mo’ di rimprovero.
«Chiudi il becco, Blaise!» ringhiò Draco, sbuffando.
Nel frattempo, Harry aveva continuato ad osservare Hermione con aria circospetta.
«Maledizione, Harry!» esclamò spazientita. «Non è niente…»
Lei e Draco avrebbero dovuto fare un bel discorsetto dopo, non apprezzava quel tipo di agguati.
«Sei andata in infermeria?» chiese ancora lui, in tono apprensivo.
«No, sto prendendo delle aspirine e funzionano!»
«Quindi non è la prima volta?»
La guardò come se non potesse credere alle sue orecchie; Hermione non si voltò verso Draco, perché aveva dato via un’informazione di cui lui non era a conoscenza e poteva sentire perfettamente i suoi occhi indagatori addosso.
«No, ma…»
«Hermione!»
«Senti, Harry» sbuffò lei. «Draco e tutti voi. Non vivrò nella paranoia, non l’ho mai fatto, non ho intenzione di iniziare ora! Non andrò in infermeria per un semplice mal di testa
«Ehm», fece Daphne timidamente, forse notando che l’aria si era surriscaldata leggermente. «Forse è il caso che torniamo ai nostri dormitori…»
«Sì, si è fatto tardi comunque» commentò Ginny, alzandosi e tirandosi dietro Blaise.
«Harry», disse la Greengrass con una nota di avvertimento nella voce.
Hermione non capì perché all’improvviso avesse tutta quella fretta di tagliare la corda finché non si voltò a guardare Draco.
Deglutì. «Ci… vediamo domani, Harry.»
Daphne afferrò il ragazzo per la manica della maglietta e lo trascinò fuori praticamente di corsa; lui non si oppose, dopo il congedo da parte di Hermione.
La ragazza si voltò verso il biondino, con le mani sui fianchi.
«Si può sapere perché lo hai fatto?»
«Perché con me non ci parli!» sbottò lui, frustrato. «Ho pensato che con Potter avresti vuotato il sacco e guarda! Avevo ragione!»
«Mi avete teso praticamente un’imboscata!» protestò lei in tono acuto. «Vi ho detto che non è niente che non possa gestire!»
«Hai appena ammesso di avere questo mal di testa da giorni!»
Hermione ringhiò, esasperata. «Senti, ti ho detto che se dovessi riscontrare qualcosa di sospetto te lo farei sapere», sbuffò alla fine.
«Puoi almeno andare in infermeria?» chiese Draco, il tono della sua voce quasi supplichevole. «Così possiamo stare tutti più tranquilli?»
«È solo un mal di testa! Ho sempre sofferto di mal di testa, cosa che sapresti benissimo se ti fossi preso la briga di conoscermi prima!»
Il biondino incassò la frecciatina abbastanza stoicamente.
«Potter era preoccupato» considerò, riducendo gli occhi a due fessure. «E lui ti conosce bene da otto anni.»
Hermione deglutì. «Harry è apprensivo. Ha perso tante persone e ha paura di perderne altre…»
«E io ho solo te!» sbottò allora lui. «Perché io non ho il diritto di aver paura che ti possa succedere qualcosa?»
«Se dovevi restare un continuo promemoria del mio status di sangue e dei rischi che corro, tanto valeva starmi alla larga, perché non ne ho bisogno, Malfoy!»
Lo vide sgranare gli occhi e spalancare la bocca, guardarla ferito.
Sapeva che era stato un colpo basso da parte sua e che le intenzioni di Draco non erano quelle, ma aveva perso la testa, la stessa testa che in quel momento le stava scoppiando, facendole desiderare solo il suo letto caldo.
Non voleva che nessuno di loro si preoccupasse per lei, ma soprattutto non voleva vivere costantemente nel timore, nella paranoia, cedere alla paura anche per le piccole cose.
«Draco, io…»
Il biondino deglutì e abbassò lo sguardo sul pavimento. «Sono solo preoccupato per te», sussurrò flebilmente.
«Lo so, lo so» mormorò lei, avvicinandosi a lui e facendogli scivolare le mani lungo i fianchi, intrecciandole dietro la sua schiena; affondò il viso nel suo petto e si lasciò cullare dalle sue braccia. «Non avrei dovuto, scusami.»
«Non chiedermi scusa», ribatté lui in tono fermo. «È l’ultima cosa che dovresti fare.»
«Draco…»
«Senti, andiamo a dormire, d’accordo?» propose il giovane, forse notando quanto fosse provata. «Ne riparliamo domani con calma.»
Hermione sospirò rassegnata e annuì. «Buonanotte, allora.»
Fece per indirizzarsi verso le scale, ma lui le prese il polso e la voltò nuovamente verso di sé.
«Dormi con me», le sussurrò con dolcezza. «Resta con me.»
Lei lo guardò spiazzata, sbattendo le palpebre.
«Prometto che non proverò a fare niente, anche se ormai dovresti saperlo già. Voglio solo… Non voglio più stare senza di te.»
Hermione gli sorrise genuinamente e fece scivolare un braccio attorno al suo fianco; la presa di Draco attorno alle sue spalle era sempre rassicurante, in qualche modo.
«E poi» aggiunse in un sussurro tra le sue orecchie. «Quando ci sei tu, gli incubi non fanno così tanta paura.»

 

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Capitolo 31
*** Capitolo 30. Dubbi e Riflessioni ***


CAPITOLO 30
Dubbi e Riflessioni







 
 


 
Draco
 
Lo sapeva, era certo che la Granger stesse nascondendo qualcosa. Ne aveva avuto il sentore altre volte prima, ma negli ultimi giorni i suoi sospetti si erano intensificati; aveva passato troppo tempo a guardarla, a studiarla, per non accorgersi che c’era qualcosa che non andava in lei.
Era così preoccupato da non essersi neanche goduto appieno la felicità quando aveva accettato di dormire nel suo letto, da quel momento in poi.
Lei si era addormentata subito, stretta contro di lui, continuando a sostenere che facesse freddo.
Il punto era che Blaise e Potter avevano ragione: quell’anno il castello era insolitamente caldo.
Era rimasto sveglio a guardarla per ore, prima di scivolare in un sonno inquieto.
Le aveva detto la verità; quelle poche volte che avevano dormito insieme aveva giovato di un sonno veramente ristoratore, cosa che quando era solo era un’utopia, e averla al suo fianco al risveglio, soprattutto quando i suoi incubi vertevano su quella maledetta notte al Manor, lo aiutava a ritrovare lucidità e serenità, a tornare al presente.
Non era un motivo così egoista ad averlo spinto a chiederle di restare con lui, però; voleva realmente passare le sue notti con lei, anche se doveva reprimere il desiderio che provava di farla sua. E visto che non stava bene, voleva essere accanto a lei nel caso fosse accaduto qualcosa; nel suo dormitorio, lui non ci sarebbe potuto andare.
La mattina seguente, mentre si dirigevano verso la Sala Grande, riuscì a farsi promettere che sarebbe andata a parlare con Madama Chips.
Non aveva spiattellato la notizia del suo stato di salute per cattiveria; sperava veramente che con Potter si sarebbe aperta, che avrebbe ammesso qualcosa, anche se l’idea che non parlasse con lui lo feriva.
Per tutto quel tempo che erano stati in una relazione, Draco non si era mai interrogato su una questione che in realtà avrebbe dovuto essere fondamentale fin dall’inizio: la fiducia.
La Granger si fidava di lui?
Perché lui avrebbe messo la sua vita nelle sue mani senza esitazione e probabilmente lo aveva già fatto quando le aveva chiesto di salvare la sua anima.
Ma lei?
Lei si sentiva al sicuro con lui?
 
***
Hermione
 
D’accordo”, si disse sbuffando. “Facciamo questa cosa.”
Subito dopo pranzo, Hermione salutò i suoi amici, rivolse lo sguardo al tavolo dei Serpeverde e fece un eloquente gesto verso la porta, guardando Draco negli occhi, come a chiedergli “contento?” e si diresse presso l’infermeria della scuola.
Aveva concesso a Draco, - e poi a Harry e a Ron, che era stato informato dal moro e aveva deciso di dire la sua opinione riguardo a quello che avrebbe dovuto fare, premurandosi di sottolineare che “per una volta era d’accordo con Malfoy e probabilmente il mondo sarebbe presto finito per questo” -, il suo consenso alla loro richiesta di andare a parlare dei suoi ordinarissimi mal di testa con Madama Chips, ma in realtà sperava solo di poter fare visita a Justin e Dennis.
Il grosso portone era come al solito chiuso, da quando ospitava le vittime dei recenti attacchi, per garantire loro la maggior privacy e sicurezza possibile.
«Hermione?»
La ragazza si voltò sentendo il suo nome e la voce familiare che lo aveva pronunciato; il suo viso si aprì in un sorriso entusiasta.
«Ernie!» esclamò, abbracciando il suo vecchio amico.
Draco passò di lì proprio mentre i due si districavano, camminando a passo deciso insieme a Blaise e Daphne; si sporse leggermente verso i due e berciò un caustico: «Tieni le mani a posto, MacMillan. Quella è la mia strega
E poi tirò dritto.
Ernie sollevò entrambe le sopracciglia e Hermione alzò gli occhi al cielo. «Ignoralo.»
L’ex Tassorosso fischiò. «Quindi è vero», asserì incredulo. «Tu e Malfoy…»
La ragazza annuì. «Storia lunga.»
Il giovane rispose con un semplice cenno del capo. «Stavi andando a trovare Justin?» le domandò, lasciando cadere il discorso ‘Draco Malfoy’, come se non fosse l’affare di stato che il resto dell’universo reputava tale e Hermione ne fu infinitamente contenta.
Perché la gente non riusciva a capire che i suoi motivi erano suoi e basta? Che era la sua vita e spettava solo a lei la scelta delle persone da frequentare? Non doveva delle spiegazioni a nessuno, neanche se riguardavano Malfoy.
«La McGranitt è stata così gentile da concedermi la possibilità di vederlo», aggiunse ancora, mentre bussava al grosso portone.
«Sì, danno raramente il permesso», rispose lei, mordendosi il labbro inferiore e chiedendosi come diavolo avrebbe fatto a discutere con la Chips dei suoi mal di testa senza farsi scoprire da Ernie.
Non voleva allertare nessuno, soprattutto visto che considerava esagerata la reazione e apprensione dei suoi amici in merito alla questione.
«Sono convinta che a Justin farà bene sentire la tua voce.»
§
«Quindi alla fine sei andata in infermeria.»
Hermione annuì. «Tra Draco, tuo fratello e Harry non c’era molto da fare se non accontentarli», sospirò rassegnata. «Quasi quasi preferivo quando non si sopportavano. Averli coalizzati a mie spese è un inferno, giuro.»
Ginny rise. «Non ti invidio. Che ti ha detto la Chips?»
«Che va tutto bene», rispose lei. «Mi ha dato delle pozioni. E comunque, inutile che ti reputi ‘salva’ dagli atteggiamenti iperprotettivi dei nostri amici, farebbero lo stesso con te, se non peggio.»
«Sì, ma io ne avrei uno in meno», commentò arricciando il naso divertita.
«Certo, Blaise ti direbbe ‘fai che vuoi, se muori è un tuo problema’, vero?»
«No, okay» convenne Ginny. «Sarebbero sempre tre.»
Hermione ridacchiò sommessamente, scuotendo la testa.
«Sono un po’ strani, non trovi?» le domandò Ginny, facendosi pensierosa. «I Serpeverde. Sembrano così freddi e distaccati con il resto del mondo e poi con la persona di cui sono innamorati sono completamente diversi.»
«Blaise ti ha detto le due paroline?» indagò Hermione, lanciandole addosso una palla di schiuma.
Il bagno settimanale nel bagno dei Prefetti era una loro tradizione.
Ginny annuì, mentre si mordeva il labbro inferiore. «Draco no?»
La ragazza rise. «Ti prego», disse divertita, «te lo immagini Draco Malfoy innamorato? E soprattutto, a dirlo? Resta con i piedi per terra, Gin.»
La rossa scosse il capo. «Sei davvero ottusa quando si tratta di capire cosa prova la gente per te, sai?»
Hermione fece ruotare gli occhi. «Draco non è innamorato di me», sussurrò sommessamente. «Sarà un’attrazione temporanea o qualcosa del genere…»
«Ma non ti accorgi di come ti guarda?»
«Smettila, Gin» tagliò corto l’altra. «Non ho bisogno di illudermi così tanto. Fammi godere questa cosa finché dura senza alzarmi troppo le aspettative, okay?»
La rossa scrollò le spalle. «Come vuoi…»
Poi Hermione sospirò. «La Parkinson sostiene che vuole solo portarmi a letto e che non appena ci sarà riuscito perderà tutto l’interesse.»
«E tornerà da lei, scommetto» concluse Ginny. «Bla, bla, bla. Deve rosicare proprio tanto.»
«E… se avesse ragione?» chiese con un velo di timore nel tono della voce.
Era la prima volta che si concedeva di prendere in considerazione veramente le parole della Parkinson e ne capiva perfettamente il motivo: quell’eventualità le faceva male anche solo a pensarla.
Un getto d’acqua la colpì in pieno viso.
«Ma ti prego!» esclamò Ginny incredula. «Lasciala perdere proprio.»
«No pensaci… cioè è un po’ strano, no?» insisté lei, sputacchiando acqua e guardando torva l’amica per quel gesto eccessivo. «Il modo in cui si comporta con me e il fatto che sia io in generale…»
«Io ti ho già detto come la penso», affermò l’altra. «Tu non mi vuoi credere. Voi parlate di roba pesante e seria e intima da un anno e mezzo, non è che avete fatto pace intrecciando il mignolo nel cortile della scuola a inizio anno.»
Hermione arrossì leggermente, mentre quella scena bizzarra prendeva forma nella sua immaginazione, facendola ridacchiare per la sua assurdità.
«Non hai motivo di dubitare di lui no?»
Lei scosse lentamente il capo.
«E le cose vanno bene tra di voi, vero?»
«Sì, sì…»
Hermione si mordicchiò l’interno della guancia.
«Non sembri convinta.»
La ragazza sospirò.
Sì, le cose andavano bene e Draco era… semplicemente, la loro relazione era troppo perfetta per essere vera.
Le dava l’impressione che sarebbe caduta e si sarebbe fatta male molto presto e c’erano alcuni aspetti di lui che la lasciavano ancora leggermente perplessa.
«È che è così possessivo, a volte mi dà seriamente sui nervi», ammise Hermione. «Tipo prima, stavo salutando Ernie e doveva per forza mettere in chiaro che stiamo insieme.»
Ginny rise. «È solo geloso, voleva mettere in chiaro le cose. Ed effettivamente, Ernie non è qui, poteva non sapere se le dicerie della Gazzetta del Profeta fossero vere o meno. Lo infastidisce l'idea che qualcuno possa provarci con te, secondo me.»
«Potrebbe fidarsi di me e basta?»
«Ma lui si fida di te», commentò l’altra. «Non si fida di nessun altro, però.»
«Beh, a me dà fastidio. È iperprotettivo, a volte mi ricorda Ron al quarto anno quando era geloso di Krum.»
«Fammi capire, perché mi sa che devo spiegarti una cosa», considerò Ginny. «Che cosa è successo di preciso con Ernie?»
Hermione le raccontò la breve sequenza.
«Visto? Se n’è pure andato subito dopo e hai detto che la voce non era, che ne so, minacciosa o arrabbiata. Magari era il suo modo di fare una battuta.»
«So come suona quando scherza, Ginny.»
«Dai, non esagerare, ora. Non è che prova a tenerti lontana o a vietarti di parlare con gli altri o cose del genere. Gli dà solo fastidio che ti tocchino, sono fatti così loro
«Tu non hai di questi problemi con Blaise.»
Ginny rise. «Non fanno mai scena davanti agli altri, ma non hai idea di quanto si sia incazzato a Natale, quando ha visto Dean abbracciarmi per farmi gli auguri.»
Hermione fece ruotare gli occhi.
«E Daphne, lei ha il compito di organizzare i turni per le ronde. Credi che abbia mai messo Harry insieme a un Prefetto del sesso opposto?»
«In che cosa ci siamo cacciati, Ginny?» chiese dubbiosa la giovane con un filo di voce.
«Devi solo avere pazienza e aspettare. Una volta che capirà che non ti perderà solo perché sei affettuosa nelle tue amicizie, la smetterà. È una cosa a cui loro non sono abituati e tendono a vederla male.»
Hermione le rivolse un’occhiata scettica. «Tu dici?»
«Blaise ha smesso», affermò lei, facendo spallucce. «Smetterà anche Draco. Anche perché credo che gli pesi veramente farti capire che è geloso.»
La ragazza sghignazzò. «"Non sono geloso"» ripeté lanciandosi nella migliore imitazione del biondino che riuscisse a fare. «Non riesce neanche a dirlo. Tipo che gli si strozza la voce sulla parola gelosia
Ginny quasi pianse dal divertimento. «Mi uccidono! Con Blaise lo facevo di proposito giusto per chiamarlo gelosone e irritarlo. Poi lo ha capito e ha smesso di darmi soddisfazione.»
Hermione su fece seria. «Sì, ma Blaise non rischia di prendere a pugni chiunque abbia da ridire su di voi» obiettò, sbuffando. «E sicuramente anche Daphne e Astoria non danno particolare credito alle provocazioni della gente.»
«Questo lo dici tu», rispose lei, con un mezzo sorriso. «È solo che con te e Draco ci vanno giù più pesantemente di quanto non facciano con me e Blaise, Harry e Daphne o Ron e Astoria.»
«Sono solo preoccupata per lui», sospirò Hermione, mesta. «Insomma, si controlla per tutto il tempo, è un Occlumante con i fiocchi, ma come qualcuno apre bocca sulla nostra relazione o su di me, perde completamente la testa. Al contempo sostiene che non gli importi quello che dice la gente.»
«Credo che sia vero, nel senso che non gli importa se i purosanguisti lo reputano un traditore del suo sangue, ma gli importa se insinuano cose come che ti sta prendendo in giro o peggio, come ha fatto Zacharias Smith», rispose Ginny. «Insomma, sono accuse orrende e pesanti nei suoi confronti. Per la faccenda del suo cambiamento potrà anche accontentarsi del fatto che tu gli credi, ma per il resto…»
«Continuo a pensare che dovrebbe fare uno sforzo», insisté l’altra. «Finirà per cacciarsi nei guai e non voglio che succeda.»
«Quello che devi capire, Hermione» considerò la rossa, traendo un lungo respiro. «È che loro sono diversi da noi. Lo so che pensi di capire il modo in cui è stato cresciuto, ma non è così. Non completamente. Voglio dire, tolta la parte purosanguista che lui sembra aver superato, non hai idea del tipo di educazione rigida che gli è stata data.»
Hermione le rivolse un’occhiata confusa, non riuscendo a seguire il filo logico di quel discorso che sembrava sbalzare da un argomento all’altro senza alcuna coerenza.
«I Purosangue vengono sempre educati in modo diverso» elaborò Ginny. «A prescindere dall’eventualità che seguano la linea purosanguista o meno, sono considerati ‘nobili’ nella comunità magica.»
«Ginny, sono cresciuta con voi
«No, mamma e papà non ci hanno mai obbligati a seguire l’étiquette dei Purosangue, voglio dire è alquanto inutile se non fai più parte del gruppo elitario e ricco no?» specificò l’amica. «Anche mamma e papà hanno avuto quel tipo di educazione, anche se poi hanno perso quasi tutti i loro possedimenti durante la Prima Guerra Magica. Il poco che era rimasto dei Prewett è stato ereditato da un suo lontano cugino, perché in teoria le donne entrano a far parte di un’altra famiglia dopo il matrimonio, - si, lo so è sessista e bigotto, ma la politica Purosangue funziona così -, mentre Villa Weasley è stata saccheggiata e rasa al suolo dai Mangiamorte. E con sette figli, il poco che era rimasto a papà alla Gringott, considerando che era anche l’ultimo di tre fratelli, è sparito presto.»
Hermione pensò che la perplessità sul suo viso dovesse essere più che evidente; non capiva dove Ginny volesse andare a parare.
«Il punto è che a noi hanno spiegato i fondamenti, anche se non ci hanno mai imposto di comportarci in quel modo, lo hanno scoraggiato, semmai. Però prendi Ernie, o lo stesso Krum, Adrian Pucey… anche loro sono sempre composti e ‘regali’ negli atteggiamenti, pomposi a volte, se così vogliamo dire. C’è la linea purosanguista è c’è l’educazione Purosangue, sono due cose diverse.» 
«Continuo a non capire dove vuoi andare a parare.»
«Sto solo cercando di darti uno spunto per interpretare meglio Malfoy» sbuffò Ginny. «Se mi fai finire di parlare.»
Hermione alzò le mani in aria in segno di resa.
Le sembrava che stesse parlando da ore.
«Insomma, l’idea di base è che la famiglia è tutto e va protetta a qualunque costo. È il primo principio che viene insegnato. Se pensi che Daphne, Blaise e Draco hanno praticamente perso le loro, o che comunque hanno perso fiducia in esse, è naturale che adesso considerino noi in quanto tale. Perché le uniche persone a cui tengono sono famiglia. Da qui, l’iperprotettività.»
«Dubito che Draco mi consideri la sua famiglia, Ginny…»
La rossa alzò gli occhi al cielo. «Inoltre», proseguì ignorando la sua constatazione, «durante la fase educativa, si presuppone sempre che finiscano con persone cresciute come loro, a cui è stato insegnato che il proprio compagno è tutto ciò che conta. Se noti, non hanno molti amici, proprio perché per loro la famiglia è l’unica cosa che conta. Probabilmente ci hanno messo un’infinità ad ammettere a sé stessi di volere delle amicizie vere. E gli è stato insegnato che le dimostrazioni d’affetto, soprattutto in pubblico, non vanno bene, che sono equivoche o inappropriate. Per noi non è così e questo li destabilizza a volte. È il motivo per cui possono sembrare esageratamente gelosi o spesso vedono cose che non ci sono negli atteggiamenti degli altri verso di noi.»
«Sì, ma Draco non sembra avere problemi con Harry o Ron, eppure quest’ultimo è un mio ex, mentre non riesce a tollerare minimamente l’idea di Adrian, per esempio. Ogni volta che viene nominato, gli viene il malumore.»
Aveva raccontato di Adrian ai suoi amici qualche tempo dopo aver vuotato il sacco con Draco; Ron aveva commentato dicendo che aveva sviluppato una “malsana attrazione per le Serpi” e… Astoria gli aveva tirato una gomitata, ricordandogli che anche lei era Serpeverde. Quasi rise al ricordo. Il rosso pareva totalmente incapace di accettare che la sua ragazza fosse veramente nella Casa verde e argento.
«Rifletti, Hermione!» esclamò Ginny esasperata, riportandola all’attenzione. «Quante volte lo hai visto girare nei corridoi con Pansy e quante di quelle volte lui la stringeva a sé, cosa che invece con te non manca di fare mai
Hermione si morse il labbro inferiore.
«E non potrebbe neanche farlo, in teoria, secondo l’étiquette! Ma per la prima volta non è sicuro di quello che ha, sta con qualcuno verso cui anche altri potrebbero provare interesse e ci scommetto quello che vuoi che in questa fase della sua vita Malfoy sia insicuro su tutto. Ha paura di perderti
Hermione si leccò le labbra.
«Se non vuoi credere a questo, pensa a quanto era preoccupato ieri sera» concluse Ginny. «Quel ragazzo è innamorato perso di te e ha il terrore di sbagliare qualcosa e perderti per sempre.»
L’amica ridacchiò, ma non sembrava divertita e le sue guance erano leggermente arrossate.
Aspettative basse, aspettative basse… Piedi per terra” si ripeté a mente.
«Harry dice che Draco è estremamente fisico.»
«Non ti toglie le mani di dosso» confermò Ginny ridendo.
«È così evidente?»
«Ti vuole e sì si vede a chilometri di distanza.»
Hermione espirò sonoramente. «Ginny, ti devo parlare di una cosa.» 
 

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Capitolo 32
*** Capitolo 31. Game Changer ***


CAPITOLO 31
Game Changer







 
 

 
Hermione
 
Si allentò leggermente la cravatta mentre una vampata di calore l’assaliva.
Da quando assumeva gli intrugli della Chips per curare i suoi mal di testa, la sua percezione delle temperature era tornata normale, ma in quel momento, sentire freddo le avrebbe fatto comodo.
Doveva veramente smetterla.
Forse era il caso di chiedere un cambio di partner per Pozioni.
Ma come lo avrebbe spiegato a lui?
«Non posso più essere la tua compagna per Pozioni, Draco, mi dispiace. Le tue mani che fanno cose fanno provare cose inappropriate a me.»
Non poteva certo dargli una giustificazione del genere.
Oltre al fatto che, se lo avesse scoperto, lui avrebbe esibito quel ghigno beffardo e compiaciuto che puntualmente le faceva desiderare di gettargli le braccia al collo e divorarlo o di tirargli un altro pugno in faccia.
Non sapeva quale delle due, forse entrambe e non importava neanche in quale ordine; l’importante, ai suoi occhi, era toglierglielo dalla faccia.
Il punto era che a Pozioni la situazione era davvero insostenibile; Draco stava sempre a sminuzzare ingredienti o a tagliarne altri e aveva quel maledetto vizio di tamburellare con le dita sul banco quando ragionava.
Il dito con l’anello.
Gloriosamente non ignorabile.
Hermione non riusciva ad evitare di immaginarsi quelle mani addosso, di pensare alle cose che potevano fare a lei, se solo avesse detto una parola.
Di conseguenza, non riusciva a concentrarsi e arrossiva a caso ogni volta che ricordava dove fossero, ovvero in un’aula, circondati da altri studenti, davanti a un professore.
Di questo passo sarebbe finita per prendere un pessimo voto ai M.A.G.O., quindi doveva trovare una soluzione al più presto.
Si chiese se la soluzione in questione non fosse soffocare le proprie remore, i propri timori, e urlargli di scoparla non appena fossero tornati al dormitorio.
Perché diavolo continuava a farsi tutti quei problemi, comunque?
Ci dormiva assieme tutte le notti e quello le sembrava più intimo del sesso, a volte.
«Stai bene?»
Si voltò a guardarlo di scatto e le sue guance divennero leggermente scarlatte, sentendosi colta in flagrante.
«Sì», rispose con un tono un po’ troppo stridulo, esibendo un sorriso palesemente nervoso. «Vado a prendere le radici di asfodelo in polvere.»
Lo sguardo perplesso di Draco la seguì per tutto il tragitto.
Mentre trafficava nell’armadio delle scorte, avvertì una presenza al suo fianco.
«Mione, stai bene?»
Harry la studiava preoccupato e lei annuì, mordicchiandosi le labbra a disagio.
«Sei strana ultimamente» bisbigliò il Prescelto, raccogliendo distrattamente gli ingredienti di cui aveva bisogno.
«Quello lo hai già preso, Harry», gli fece notare indicando una delle fiale che aveva tra le mani.
«Ah, già» commentò lui. «Insomma, dicevo, cos’hai per la testa?»
«Oh, non vuoi sapere la risposta» sibilò tra i denti lei. «Credimi.»
Ma lui capì ugualmente, perché soffocò a stento una risata.
«Le mani di Malfoy hanno qualcosa a che fare con questo?» le chiese divertito. «Non fai che guardarle. Cos’hanno di così interessante?»
Hermione gli tirò una gomitata, mentre diveniva scarlatta e si chiedeva se anche Draco se ne fosse accorto.
Harry lo aveva notato e non era seduto accanto a lei per tutto il tempo.
«Va bene, calmati! Era solo per dirti che se vuoi parlare di qualsiasi cosa ti stia turbando…»
«Assolutamente no!» scandì le parole lentamente e con enfasi, poi si diresse tutta impettita al suo banco.
Sentì che Harry stava ancora sghignazzando quando le passò accanto per tornare al suo posto.
Hermione sbuffò e gli scoccò un’occhiataccia, imprecando mentalmente per l’ampia conoscenza che l’amico aveva di sé stessa.
Non poteva conoscerla a tal punto!
Non che lei conoscesse meno lui; capiva subito quando lui e Daphne avevano appena avuto dei rapporti intimi, perché se ne andava in giro con un sorrisetto compiaciuto e le guance leggermente rosee, o i suoi capelli erano più arruffati del solito e lui era distratto a livelli astronomici.
Si chiese come fossero i capelli post sesso di Draco.
Se lo immaginava con la camicia aperta e quei fili biondi tutti scombinati dal passaggio delle sue mani, leggermente sudato…
L’ultima notte di temporale aveva giocato brutti scherzi alla sua mente.
«Granger?»
Abbassò lo sguardo sulle dita di lui chiuse sul suo avambraccio sinistro, il dito sul quale portava l’anello che sfiorava appena la pelle della sua mano.
«Professore», asserì a voce alta, alzando la mano, senza neanche dare uno sguardo al biondino. «Posso andare in bagno?»
Lumacorno acconsentì e lei corse via, ritraendo bruscamente il braccio dalla presa leggera del suo ragazzo e avvertendo le iridi grige di Draco sulla sua schiena finché non fu fuori dall’aula.
Non volendo rischiare incontri con nessuno di quella classe, corse al secondo piano, nel bagno di Mirtilla e si sciacquò la faccia con l’acqua fredda.
«Hermione…»
Serrò gli occhi e imprecò.
Perché diavolo l’aveva seguita?
Quella scena le sapeva tremendamente di déjà-vu.
«Stai bene?»
Si voltò a guardarlo con gli occhi ridotti a due fessure, gesto a cui lui ricambiò con uno sguardo spaesato.
«Ehm… ho fatto qualcosa di-»
Hermione gli corse incontro e lo zittì con un bacio ardente, mentre lo spingeva nel box più vicino. Chiuse la porta e la sigillò con un incantesimo non verbale, gettando anche un Muffliato per buona misura.
Draco, come sempre, rispondeva in maniera ricettiva ai suoi baci, stringendola a sé con decisione, affondando le dita tra i capelli di lei.
«Ti odio», gli sibilò contro le labbra. «Sei davvero irritante, te lo giuro!»
Prima che Draco potesse risponderle, Hermione azzerò di nuovo le distanze tra di loro, sollevandosi sulle punte per riuscire ad artigliare i suoi capelli con maggiore facilità.
«Maledettamente insopportabile…»
Il biondino si riscosse leggermente e posò le mani sulle sue spalle, allontanandola leggermente da sé.
«Si può sapere che ti prende?» mormorò quasi preoccupato. «Hai dimenticato che è in corso una lezione-»
«Draco», disse lei traendo un profondo respiro. «Hai due opzioni in questo momento: puoi chiudere il becco e arrivare in terza base, o tornartene in classe a finire quella dannata pozione.»
Draco la fissò come se stesse parlando un'altra lingua e di fatti Hermione non era sicura che nel mondo magico si usasse quell'espressione.
«Granger, non credo di seguirti…»
Attraversata da un moto di audacia improvvisa, Hermione fece un passo avanti, lo sguardo fisso in quello di lui, e posò la mano nell'ultimo posto dove Draco si sarebbe aspettato di vederla in quel contesto, stringendo leggermente.
«Oh.»
Il respiro del biondino si mozzò e lei gli sorrise. «Terza base. Espressione babbana. Prendi appunti.»
Poteva vedere nel suo sguardo perso che il cervello di Draco era andato in tilt, le barriere della sua Occlumanzia vacillare pericolosamente.
«Appunti presi» biascicò ancora leggermente sorpreso. «Ne sei sicura?»
Poi si guardò intorno, perplesso. «Qui
«D'ora in poi, ogni volta che mi dirai che parlo troppo, ti ricorderò di questo momento.»
Un attimo dopo, l'aveva afferrata per i fianchi e premuta contro il muro.
«Tu mi farai impazzire, maledetta strega!»
§
«Ma tu guarda» sbuffò Draco mentre cercava di ridare contegno ai suoi capelli. «Io provo a fare il romantico, a comportarmi bene, e tu mi salti addosso nel bagno di Mirtilla Malcontenta!»
«Impara a lavorare gli ingredienti come le persone normali» borbottò sottovoce lei.
Draco le rivolse un'occhiata maliziosa, con un ghigno stampato sul volto; si avvicinò a lei, il volto a un soffio dal suo, e si inumidì le labbra, facendo scivolare la lingua su di esse, lentamente.
«Vedere le mie mani che si muovono ti eccita, Granger?» sussurrò suadente, un dito a sfiorarle le labbra, una mano che giocava casualmente con una ciocca dei capelli di lei. «Le immagini addosso a te?»
«Te n'eri accorto» rispose lei in tono asciutto; non una domanda, ma una mera constatazione. «Harry è due banchi avanti a noi e lo aveva notato. Impossibile che ti sia sfuggito. Lo facevi apposta.»
Il ghigno sul volto di Draco si allargò.
«Maledetta Serpe!»
Lui scrollò le spalle con fintissima indifferenza. «Sapevi in cosa ti stessi andando a cacciare, Granger.»
Hermione socchiuse leggermente gli occhi, poi gli rivolse un sorrisetto beffardo. «Sì», disse piccata. «Ma tu no.»
Il ghigno di Draco vacillò per un momento.
Gli si avvicinò ancora di più, con cadenza studiata; quando le sue labbra furono quasi contro la pelle di lui, tirò fuori la lingua e la fece scorrere sul suo collo, lentamente.
«Vuoi giocare, Draco?»
Il Serpeverde deglutì, ma cercò di mantenere una parvenza di controllo sulla situazione.
«Granger, non scherzare col fuoco.»
«Credo tu abbia male interpretato i ruoli» asserì lei, la linea curva sul suo volto che si allargava e uno strano luccichio ad illuminarle gli occhi. «Tu sei il ghiaccio, Draco» avvicinò le labbra al suo orecchio. «Il fuoco sono io. Vediamo quanto ci metto a farti sciogliere.»
Quando allontanò il viso da lui, tirandolo per la cravatta e facendolo sbattere contro la parete, lui pendeva completamente dalle sue labbra.
Era così spiazzato dal suo comportamento che per un attimo Hermione fu tentata di ridergli in faccia. Era particolarmente esilarante, avrebbe potuto prenderci gusto.
Mantenne il contatto visivo mentre lentamente gli sistemava la cravatta, sorridendo all'idea delle barriere mentali da Occlumante provetto di Draco che tremavano, minacciando di infrangersi sotto il suo potere. Era inebriante la consapevolezza di esercitare una tale influenza su di lui.
Il biondino aveva già una mano attorno alla sua schiena, insinuata sotto il mantello, a premere contro la maglietta che, Hermione ne era certa, in quel momento gli sembrava decisamente di troppo.
Avvicinò le labbra alle sue e sussurrò: «Aspetta cinque minuti prima di tornare in classe.»
Poi si allontanò da lui, lasciandolo a bocca asciutta, senza la soddisfazione di un ultimo bacio.
Quando la raggiunse al banco, lo sentì borbottare un eloquente «maledetta strega» che la fece tremare dalla soddisfazione.
Era facile provocarlo ora che sapeva l'effetto reale che sortiva su di lui.
Con la coda dell’occhio, vide Pansy rivolgergli un’occhiata furente e per poco non le sorrise; Hermione si chiese se la ragazza riuscisse a riconoscere la soddisfazione sul viso di Draco... e a cosa associarla.
«Fottiti, Pansy Parkinson» pensò trionfante, prima di venire attratta dall'occhiata eloquente che si scambiarono Blaise e Harry.
Avvampò per l'imbarazzo dell’essere stata scoperta, poi sfiorò leggermente, - in un gesto così casuale da sembrare premeditato -, la sua bacchetta sul tavolo e sussurrò un incantesimo.
Le code di rospo sui banchi dei due ragazzi saltarono fuori dalle fiale, finendo dritti sulle loro facce. Blaise fu quello più sfortunato perché stava ridendo apertamente e la sua bocca era aperta in quel momento.
Draco si chinò verso di lei. «Chi sei tu?» le chiese. «Che ne hai fatto di Hermione Granger?»
Hermione si voltò a guardarlo. «Ci sono tante cose di me che ancora non sai, Draco Malfoy.»
 
***
Draco
 
Dannata strega!
Aveva cambiato le regole tutto d'un tratto, senza avvisarlo minimamente.
L'aveva seguita in bagno perché era strana e temeva che i suoi mal di testa fossero tornati; poi inavvertitamente le aveva toccato il braccio con la cicatrice che Bellatrix le aveva lasciato e sapeva quanto odiasse che la gente lo facesse; aveva pensato che si fosse arrabbiata.
E invece lei gli aveva dato l'orgasmo migliore della sua vita e la soddisfazione di regalarne uno a lei… dopo avergli detto che lo odiava, ma se ciò significava ottenere quello, dovette ammettere Draco, gli stava più che bene.
Non faceva che chiedersi come sarebbe stato il sesso con lei se solo i preliminari avevano rischiato di farlo morire per quella che aveva definito come ‘iperventilazione da Granger’.
Era dalle prime ore del mattino che la sua mente era affollata dalle immagini e dal ricordo della sensazione delle sue mani attorno a lui e adesso, all'improvviso, per la prima volta in otto anni, servivano fragole come frutta a pranzo.
Fragole.
Non c'erano sempre state solo le mele verdi?
Tre tavoli più in là, la Granger sembrava particolarmente interessata al frutto rosso.
Il fatto che ad ogni morso lanciasse casualmente un'occhiata al tavolo di Serpeverde, nello specifico a lui, come se sapesse perfettamente che avrebbe trovato i suoi occhi grigi puntati nella sua direzione, mentre nella sua testa ancora riecheggiava il modo in cui aveva sussurrato il suo nome mentre la faceva venire, nel posto più orribile dove potesse accadere per la prima volta, lo stava facendo impazzire.
Per la fine del pranzo, Draco era fermamente convinto che la Granger avesse deciso di vendicarsi di lui per i loro trascorsi passati facendolo finire al San Mungo.
Ma quella guerra non aveva più alcun senso e comunque sarebbe sempre finita con una situazione di stallo, perché lei avrebbe continuato a farlo impazzire, provando il suo punto del 'chi disprezza vuol comprare' e lui prima o poi l'avrebbe avuta in ginocchio davanti a lui.
Nessuno dei due avrebbe mai vinto.
Ma mentre Hermione Granger si alzava dal tavolo di Grifondoro e si voltava verso di lui con un sorrisetto compiaciuto stampato sul volto, lanciandogli un'occhiata eloquente, mentre percorreva il tragitto verso la grossa porta della Sala Grande, Draco capì che in realtà aveva già vinto lei.
Aveva vinto prima ancora di iniziare quel gioco. Questo era solo il suo modo di reclamare il suo premio.
Lui.
§
«È la quarta volta che sbuffi nel giro di quindici minuti.»
Draco sbuffò. «Non è vero.»
«Quinta
Il biondino alzò gli occhi al cielo. «È solo che... cazzo, Granger! Dormi nel mio letto ogni notte da quasi due settimane e la prima volta che decidi di fare qualcosa è nel bagno di Mirtilla?» disse contrariato, bisbigliando nel suo orecchio per non farsi sentire dagli altri studenti nel corridoio. «Non era esattamente come immaginavo di toccarti per la prima volta.»
Hermione lo guardò sbattendo le palpebre, poi sollevò un sopracciglio. «Potevi dire di no, allora.»
Lui la fissò allibito.
Stava scherzando, non c'erano altre spiegazioni.
L'aveva aspettata pazientemente per oltre due mesi e l'avrebbe aspettata anche all'infinito, ma non poteva credere veramente che avrebbe mai avuto la forza di respingerla.
Aveva dimenticato con chi aveva a che fare, poi?
«Sono un ragazzo premuroso» soffiò lui in modo accattivante, con entrambe le sopracciglia alzate. «Sono molto attento alle tue... esigenze, lo sai.»
Le labbra di Hermione si incurvarono all'insù. «Grazie allora, per esserti sacrificato per soddisfarle.»
Draco si morse il labbro inferiore. «Difficilmente lo considererei un sacrificio.»
«Allora smettila di lamentarti.»
«Voi ragazze non andate pazze per il romanticismo e tutta quella roba lì?», chiese perplesso.
«Non sono particolarmente avvezza alle sdolcinatezze», puntualizzò lei. «Non dovevi smettere di lamentarti?»
«Come posso farlo quando hai ucciso il mio lato romantico solo qualche ora fa?» fece lui con fare drammatico.
La ragazza alzò gli occhi al cielo. «Draco, tu non hai un lato romantico.»
Il biondino si portò le mani al petto e una smorfia di dolore comparve sul suo viso. «Ahi, questo ha fatto male. Il mio povero cuore…»
«Vai in infermeria», ribatté lei sorridendo. «Potresti farti esonerare dai duelli a Difesa per almeno un mese.»
Draco socchiuse gli occhi. «Sei proprio una stronza, Granger.»
E poi le sciolse il nastro che teneva raccolti i suoi capelli e corse via.
«E tu un idiota colossale, Malfoy!» gli urlò dietro irritata.
Non poté fare a meno di ridere, mentre svoltava per la classe di Erbologia.
Si sentiva di nuovo felice.
Hermione sembrava aver risolto i suoi problemi con quegli strani mal di testa e la loro relazione aveva preso una piega piuttosto interessante.
Non poteva chiedere di meglio.
E aveva appena affossato uno dei suoi drammi esistenziali; perché Blaise lo aveva sfottuto per settimane dicendogli che non era romantico e che la Granger non portava al livello successivo il loro rapporto per quel motivo, piantando, a lungo andare, il seme del dubbio, anche se lui sapeva perfettamente che avrebbe avuto più chance di farla eccitare presentandole qualche sfida particolarmente stimolante per il suo cervello o facendo una deduzione particolarmente perspicace.
Era una delle cose che adorava di più in lei; Pansy, che era quella che in teoria avrebbe dovuto essere fredda e distaccata, non faceva che lamentargli la sua incapacità di dirle qualcosa di dolce.
La Granger non se ne fregava nulla.
«Che cos’avete fatto stamattina?»
Non appena varcò la soglia della serra, Blaise gli fu addosso in un baleno; non era ancora arrivato nessuno.
«Sporcaccioni!» lo prese ancora in giro. «E durante una lezione per giunta!»
«Non ho intenzione di rispondere a queste oltraggiose accuse», affermò solennemente lui. «Sono un Caposcuola, io!»
«Oh, sta zitto!» trillò Daphne comparendo alle sue spalle. «Pansy era furiosa. Ha riconosciuto la tua faccia post-orgasmo.»
«Io non ho una faccia post-orgasmo» obiettò Draco, corrugando la fronte.
«Tutti hanno una faccia post-orgasmo», puntualizzarono all’unisono gli altri due.
«Merlino, siete irritanti da morire!» esclamò il biondino. «Vi odio, lo sapete?»
«Il sentimento è reciproco» gli assicurarono.
«Comunque, prima abbiamo origliato una conversazione tra Pansy e Millicent», gli rivelò Blaise. «Non faceva che lamentarsi delle volte in cui ti ha provocato durante le lezioni e tu l’hai ignorata bellamente.»
«Non avevi mai fatto le cose sporche nel mezzo di una lezione, Principino?» rincarò la dose Daphne.
Draco sbuffò. «Prima non potevo permettermi di perdere neanche mezzo secondo di lezione», gli rammentò lui. «Era già abbastanza difficile stare dietro alla Granger seguendole per filo e per segno. Questa volta lei era con me.»
«Cazzo, la prendevi proprio sul serio quella cosa della competizione», commentò Blaise sghignazzando.
«Non credere che lei fosse da meno» aggiunse la ragazza. «Non hai idea di quante volte si voltava verso il banco di Draco a Pozioni per vedere se aveva già finito.»
Il biondino scoppiò a ridere. «Fai sul serio?»
«Giuro.»
«Sei un’amica terribile», affermò Draco. «Perché cavolo non me lo hai detto prima? Questa è un’arma!»
«Sì, ma lei ora ha l’arma più potente, non dimenticarlo», mormorò Blaise nel suo orecchio, mentre gli studenti iniziavano ad affluire nella serra.
«Cioè?» fece lui, alzando un sopracciglio
«Il controllo assoluto sul tuo cazzo, Draco.»
§
«Potter!»
Il Prescelto si voltò a guardarlo perplesso, mentre gli afferrava il mantello e lo trascinava in un’aula vuota.
«Malfoy, ti si è annodata la bacchetta?» domandò allibito lui. «O trascinare bruscamente la gente nelle aule è un vizio di voi Serpeverde?»
Draco sbuffò. «Credo che la Granger sia impazzita», asserì serio. «Questa è una conversazione importante, Potter e anche potenzialmente imbarazzante.»
Harry corrugò la fronte.
«Ti ha lanciato in faccia code di rospo, credo che tu sappia a cosa mi riferisco.»
«Oh», fece lui, improvvisamente divertito. «Quello
«Non ha voluto fare niente per mesi e ora mi salta addosso all’improvviso?» chiese lui.
Potter gli rise in faccia.
E pensare che Draco aveva davvero un’espressione preoccupata sul volto!
«Non sto scherzando, non è… normale. Credi che qualcuno le abbia dato qualcosa?»
Ci aveva pensato per tutto il tempo.
Per quanto la cosa lo eccitasse, il comportamento di Hermione era troppo strano e troppo improvviso perché fosse normale e lui aveva il terrore di commettere errori.
Non poteva permettersene, soprattutto non in quell’ambito.
«Credi che le pozioni per il mal di testa abbiano qualche effetto collaterale perverso?»
Il Prescelto continuava a ridersela di gusto.
Draco tirò fuori la bacchetta.
«Oi, calma, Malfoy!» esclamò il giovane, con le lacrime agli occhi, sforzandosi di non ridere. «È solo che Hermione è fatta così. Si trattiene sempre e poi scoppia. Fa così con tutto.»
Il biondino lo fissò perplesso, con le sopracciglia unite.
«Come la storia del rispetto delle regole, no?» gli fece notare Harry. «Ne è tipo ossessionata e le segue ciecamente per un tot di tempo e poi all’improvviso ne infrange più in un giorno di quante ne abbia rispettate in tre mesi.»
Draco assottigliò gli occhi. «Regole», ripeté scettico.
Potter annuì. «Inoltre, credo che si annoi.»
«Annoi?»
«Beh, prima aveva te da battere con i voti… ora i tuoi voti sono i suoi voti e viceversa. Credo che le serva la competizione in qualcosa.»
«Mi prendi per i fondelli, Potter?»
«Chi lo sa», affermò lui facendo spallucce. «Ci si vede, Malfoy.»
«Ehi, aspetta!»
Lo afferrò per il cappuccio del mantello e lo tirò indietro. «Ti ha detto niente dei mal di testa?»
«Ha detto che da quando prende le pozioni non ne ha più. Credi stia mentendo?»
«Io… No. Solo… tenetela d’occhio anche voi, va bene?» gli chiese in tono serio. «Ho come l’impressione che non ci stia dicendo tutto, non so perché. È sempre evasiva…»
«Io lo so il perché, Malfoy» rispose Harry. «Se le cose stanno così, non sta parlando per non farci preoccupare.»
.
.
.


N.d.a.

Salve a tutti/e!
Scrivo questa breve nota per dire qualcosa su questo capitolo, perché probabilmente ora sarete sconvolti/e o sorpresi/e quanto Draco! 
Ho deciso di dare questo lato nascosto al carattere di Hermione all'improvviso, quando, mentre scrivevo, mi sono resa conto che sarebbe stato interessante vederla, dopo i suoi dubbi instillati da Pansy, ritrovare sicurezza e rivelargli un lato sconosciuto al resto del mondo. 
Ad alcuni potrebbe sembrare ooc da parte sua, dipende, credo, dall'immagine che ognuno ha del personaggio, anche se in realtà non possiamo sapere come sia in una relazione, non in quell'ambito, perché ovviamente non c'è nulla su questo nel canon. Possiamo immaginarla come vogliamo ed io ho deciso, in questa storia, di darle questo aspetto e vedere cosa succedeva, di vedere come si evolvevano le dinamiche tra lei e Draco. Il risultato mi è piaciuto, l'ho trovato originale (e spero che lo sia), per cui ho optato per lasciarlo. Spero che lo troviate interessante anche voi e che la storia continui a piacervi. Fatemi sapere le vostre impressioni nelle recensione, se vi va. Ne approfitto per ricordarvi che ricevere un feedback fa sempre piacere e per ringraziare di cuore chi di voi lo ha già fatto. Grazie!

Volevo inoltre ricordavi che mi trovate anche su Wattpad, dove potrete trovare qualche OS in più (nella raccolta Dramione), la mia long Fine Line già interamente pubblicata e una nuova storia che ho appena iniziato a pubblicare (sempre Dramione).

A presto!

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Capitolo 33
*** Capitolo 32. I Consigli di Ginny ***


CAPITOLO 32
I Consigli di Ginny







 
 

 
Draco
 
«Mi hai provocato per tutto il giorno, dannata strega!»
Hermione rise contro le sue labbra.
«Temi di perdere il controllo, Malfoy?»
Draco pensò che l’avesse perso già molto tempo prima, ma non glielo disse.
La guardò con un’espressione indecifrabile e si leccò le labbra; poi la afferrò per le natiche e se la portò in braccio.
Hermione chiuse immediatamente le gambe attorno al suo bacino e quando le loro labbra si scontrarono, avvertì che fosse ricettiva e vogliosa quanto lui.
Allora mi vuoi anche tu, brutta stronza…
Ne aveva seriamente dubitato, anche se solo per un brevissimo momento, - perché lui restava Draco Malfoy e sapeva perfettamente di essere dannatamente attraente, “un dato di fatto” aveva detto spesso negli anni precedenti.
La adagiò sul letto, senza allontanare le labbra da lei, ma quando le sue mani raggiunsero il colletto della camicetta di lei rallentò l’andamento.
«Posso toglierla?» sussurrò contro il suo collo, alzando gli occhi nella sua direzione per guardare la sua reazione.
Hermione annuì, le guance arrossate; sorrise, Draco, perché quella ragazza era una contraddizione vivente.
Poteva fargli perdere la testa a via di provocazioni senza molto sforzo e poi lasciarsi sopraffare dalla timidezza quando finalmente otteneva quello per cui aveva lavorato per tutto il giorno.
Sfilò la sua camicia con lentezza, poi percorse la linea delle sue braccia con la punta delle dita; Hermione si irrigidì leggermente quando sfiorarono la cicatrice sul suo avambraccio e la mano di Draco si chiuse sulla sua, mentre sollevava l’arto e se lo premeva dolcemente contro le labbra.
La guardava intensamente negli occhi man mano che i suoi baci si spostavano dal palmo della mano, al polso, alla cicatrice che marchiava la sua pelle, lungo il braccio fino alla sua spalla… cercando approvazione nel linguaggio del suo corpo.
La vide chiudere gli occhi e lasciare ricadere il capo contro il cuscino; una resa definitiva, il segnale che stava aspettando.
Allora Draco andò avanti così, in un gioco che, dal piccolo sorriso sulle sue labbra, era certo Hermione trovasse piacevolmente estenuante.
Gli aveva detto una volta che praticamente tutto ciò che lo riguardava lui dava l’impressione di essere un paradosso e forse quella era proprio la definizione più accurata per descrivere loro due.
Ancora non credeva che stesse esplorando il suo corpo in quel modo; che stesse muovendo le mani sui suoi fianchi nudi, facendole scivolare sempre più su, per accarezzare la pelle dei suoi seni resa accessibile dalla biancheria, con estremo riguardo.
Era il modo con cui la toccava sempre; un misto tra venerazione e devozione, premura e profonda ammirazione.
Sapeva che non stavano per fare niente di nuovo e che avevano avuto la loro prima esperienza in merito già quella mattina, - il che rendeva assurda ai suoi occhi l’entità della voglia che provava in quel momento -, ma non poteva fare a meno di guardarla estasiato e meravigliato di poterla definire veramente sua, di vedersi concessa la possibilità di vederla senza veli; era incantato dalla sua figura, inebriato dal suo profumo e dalla sua stessa presenza.
Quando le dita raggiunsero il gancetto del reggiseno di lei, alzò nuovamente lo sguardo sul suo viso.
«E questo?» chiese con voce talmente roca che per terminare la domanda dovette schiarirsi la gola. «Questo lo posso togliere?»
Hermione annuì senza neanche aprire le palpebre; vedeva il suo petto alzarsi e abbassarsi rapidamente a un soffio dal suo volto.
Deglutì quando i suoi seni scoperti apparvero nella sua visuale, gli stessi che aveva avuto tra le mani solo quella mattina, ma che non aveva ancora visto.
La vide stringere forte le lenzuola tra le dita, aprire gli occhi lentamente e divenire scarlatta.
Draco le catturò le labbra con uno scatto rapido, prima che potesse dire qualsiasi cosa, per smorzare ogni imbarazzo, estinguere ogni suo timore.
«Fottutamente bella…» biascicò, discendendo lungo la linea del suo collo, avvertendo contro di sé il brivido che la percorse quando udì quelle parole.
Le sue mani esploravano avide il suo corpo, mentre le sue dita affondavano dolci, ma decise nella sua pelle, finché non si imbatterono con la zip della sua gonna.
«E questa…»
«Puoi togliere tutto, Draco!» esclamò lei in un singulto impaziente che innescò un ghigno immediato su sul volto, prefigurandosi già di sentire il suo sapore sulle labbra.
«Mi farai impazzire, Granger» mugugnò armeggiando nervosamente con la cerniera, «ma è un bel modo per perdere la testa.»
Le mani di Hermione artigliarono i suoi capelli quando le labbra di Draco si spinsero più vicine alla sua intimità.
«Draco, aspetta…» la sentì sussurrare con una punta di panico nella voce.
Alzò lo sguardo su di lei e deglutì.
Non chiedermi di fermarmi ora, ti prego…” pensò quasi disperato.
«Io non… non ho mai…»
Qualcosa scattò dentro di lui nel sentirla ammettere che nessuno le aveva mai fatto quello; un lampo illuminò i suoi occhi, mentre si leccava le labbra rinvigorito da un’eccitazione del tutto nuova.
«Fidati di me, Granger.»
Si guardarono negli occhi per qualche istante, intensamente, in uno scambio muto di timori e rassicurazioni, e poi, dopo quelle che al biondino parvero ore, finalmente, lei annuì lentamente, dandogli il consenso a proseguire.
§
I suoni che le aveva fatto emettere riecheggiavano ancora nella sua testa, stordendolo leggermente, anche ora che aveva le sue mani letteralmente ovunque.
Le sue labbra si muovevano bramose contro le proprie, incurante dell’eco del suo sapore ancora presente, e le sue dita si intrecciavano avide ai suoi capelli, lungo il suo petto nudo, scivolavano sulle sue spalle…
Le mani di Draco si chiusero sui suoi polsi con uno scatto. «No.»
Hermione si tirò leggermente indietro, confusa. «Perché?»
Perché non voleva permetterle di togliergli la camicia definitivamente?
Era una domanda dannatamente stupida da parte sua.
«Non oggi, Granger. Scusami.»
Si alzò con uno scatto e iniziò a riabbottonarsi la camicia.
Sentiva i suoi occhi addosso perforare la sua schiena.
«Ho fatto qualcosa che ti ha infastidito?»
Draco chiuse gli occhi e sospirò profondamente; posò la fronte contro la parete fredda e sobbalzò leggermente quando avvertì la mano di Hermione poggiarsi esitante sulla sua spalla e ricadere lungo il suo braccio, costringendolo a voltarsi.
«Draco, qual è il problema?» la sua voce era un sussurro preoccupato.
Si mise con la schiena contro il muro, le palpebre ancora serrate.
«Si vede ancora» mormorò deglutendo. «Non brucia più, ma è sempre lì. La sento ancora la sua presenza sulla mia pelle, costantemente, a rammentarmi che sono macchiato per sempre. A ricordarmi dell’oscurità che è in me.»
Esalò un gemito quasi di dolore. «Non voglio che lo ricordi anche a te. Non voglio che tu lo veda…»
Quando riaprì gli occhi, la trovò intenta a mordersi l’interno della guancia e a studiarlo, come se stesse ragionando su qualcosa. Probabilmente stava solo cercando le parole giuste da usare.
«Non ci hai pensato più di tanto, quella notte nel bagno dei Prefetti», disse alla fine lei, facendogli sgranare gli occhi.
Era vero. Draco non ci aveva proprio pensato quella notte e non aveva ancora realizzato che erano già stati quasi nudi l’uno di fronte all’altra e che lei non si era ritratta, anche se il Marchio era lì, in bella vista; che non si era mai dimostrata disgustata da lui, nonostante tutto.
Come gli fosse sfuggito, quella volta nel bagno dei Prefetti, restava un mistero; la presenza di lei a volte riusciva quasi a farglielo dimenticare, per qualche minuto almeno, ed erano istanti che cercava come l’aria, momenti in cui si sentiva quasi normale, leggero.
«Non significa niente, Draco» sussurrò ancora lei. «È una cicatrice come un’altra…»
«Eccetto che non è vero…»
Hermione sospirò. «I simboli, come i nomi, o gli insulti… hanno potere solo se noi gliene diamo» gli disse allora. «Non ti permetterò di continuare a credere che quella cosa ti definisca. Non quando non ha più importanza. Non ti rappresenta, non lo ha mai fatto… è tutto ciò che conta.»
Ripercorse il tragitto dei suoi bottoni, aprendoli nuovamente; poi prese entrambe le sue mani e lo ricondusse sul letto, spingendo leggermente contro il suo petto per farlo sedere e accomodandoglisi in grembo.
Draco la fissava agitato, mentre portava di nuovo le mani sulle sue spalle e lentamente faceva scivolare via il tessuto. Anche se non era la prima volta che lo vedeva, era la prima volta in cui lui era totalmente consapevole che lo stesse facendo.
Il biondino serrò gli occhi, avvertendo tutta la vergogna che provava per il suo passato emergere.
«Guardami», soffiò con un filo di voce e lui si sforzò di assecondare la sua richiesta.
Hermione fece scivolare le dita lungo le sue braccia, lentamente, forse per dargli modo di ritrarsi prima che arrivasse dove intendeva veramente; sentì le sue dita scivolare lungo le linee orrende della cicatrice sul suo avambraccio e rabbrividì al pensiero che potesse avvertirle sotto le sue dita delicate.
Ma lei continuava a fissarlo intensamente, nessuna traccia di disgusto o orrore nel suo volto.
«Non mi importa di chi sei stato» sussurrò ancora. «Mi importa di chi sei adesso.»
La fissò per qualche secondo sbattendo le palpebre, poi Draco le afferrò il volto con entrambe le mani e azzerò la distanza tra di loro con uno scatto.
«Merlino, quanto non ti merito, strega.»
 
***
Hermione
 
«Vedi?» asserì Draco, ghignando soddisfatto. «Era così che immaginavo di toccarti per la prima volta.»
Hermione rise e fece ruotare gli occhi. «Ripeto, potevi dire di no se ti pesava così tanto.»
Lui sbuffò sonoramente. «Credi sul serio che sarei in grado di respingerti?»
Un angolo delle labbra di lei si incurvò leggermente in su, prima che si girasse e prendesse a fissare il soffitto.
Con enorme disappunto di Draco si era rivestita, ma almeno, così le aveva detto, era la sua camicia l’indumento che aveva addosso; non aveva mai pensato che avrebbe potuto desiderare di vederla nei suoi abiti, che la cosa gli avrebbe fatto un effetto simile, ma era così. Hermione non ne capiva a pieno il significato, ma aveva altro per la testa in quel momento.
«Per un momento ho creduto che Pansy avesse ragione, sai?» ammise con un filo di voce.
«Che cosa?» domandò allibito. «Non puoi non esserti accorta di quanto ti voglio.»
Hermione si morse un labbro e arrossì leggermente.
«Beh, immagino di aver pensato che, visto il modo ‘intellettuale’ in cui ci siamo avvicinati, forse era dalla mia mente che ti sentivi attratto, d’altronde non hai mai fatto un mistero-»
«Granger, te l’ho detto» soffiò lui. «Dicevo tante cose che non pensavo veramente, prima. Dannazione!» esclamò passandosi una mano sul volto. «Sei fottutamente bella, Granger e non posso credere che tu abbia dato peso alle stronzate che dicevo il quarto-»
«Non veramente» lo interruppe lei. «Non mi importava… Questo è un altro discorso.»
«Te lo giuro, stavo solo aspettando una parola da parte tua.»
«Però non hai mai provato neanche a fare… questo» mormorò Hermione, voltandosi a guardarlo.
«Perché ti ho promesso che non avrei provato a fare niente finché non mi avessi detto che eri pronta», le ricordò.
Lei rise. «Draco, io ti avevo detto di non sentirmela di andare fino in fondo, non ho mai detto nulla sul resto.»
La mascella del biondino cadde a terra. «Stai scherzando?»
Lei scosse leggermente il capo.
«Ma se mi fermavi non appena ti sfioravo!» protestò lui.
«Per avvisarti, insomma, dirti che andava bene anche se non me la sento ancora di andare fino in fondo in fondo in fondo. Ma tu non mi hai mai lasciata parlare.»
La faccia di lui era tutto un programma.
«Che cazzo, Granger!» sbuffò, ma la afferrò per la spalla e se la portò contro il petto.
«Qualcos’altro che devo sapere?» chiese in tono leggermente esasperato.
«No», rispose lei sghignazzando, ma notò che il respiro di Draco sembrava eccessivamente pesante.
«Ti sei arrabbiato?»
«No, no, assolutamente», mormorò con voce bassa. «È che… stavo pensando…»
Lo sentì deglutire, allora sollevò una mano e la posò sulla sua guancia per costringerlo a guardarla.
«Granger, cos’è che ti frena, con me?» domandò deglutendo.
Hermione sbatté le palpebre, sorpresa dalla domanda. 
«Credevo che ti andasse bene aspettare…»
«Infatti, non è per metterti fretta o altro», precisò lui. «Solo che chiaramente ci sono delle incomprensioni tra di noi in questo ambito e ho fatto qualche calcolo. Pucey lo conoscevi appena e con Weasley ci sei stata per tre mesi e avete fatto un po’ di tutto… Noi stiamo insieme da quasi tre mesi e mi hai appena permesso di toccarti… Non… non ti fidi di me, non è vero?»
Il timore nel suo sguardo le fece avvertire una morsa al cuore; sospirò e si mise a sedere.
«Non è questo» disse con un filo di voce. «È solo che… non ho mai provato niente di così intenso prima e… Draco, non tutti siamo Occlumanti esperti. A me le emozioni arrivano addosso tutte insieme e tutte di colpo.»
Le labbra del biondino si schiusero leggermente.
«Ho solo bisogno di prenderti a piccole dosi.»
Gli sorrise dolcemente e lui fece altrettanto, mentre chiudeva una mano a coppa sulla sua guancia. «Va bene, Granger. Volevo solo essere sicuro che non ci fossero problemi.»
«Premuroso da parte tua», commentò divertita lei.
«Ancora non te ne sei fatta una ragione?» ribatté lui sollevando un sopracciglio, ma sorridendo appena.
«Sinceramente, se viene fuori che hai veramente un lato romantico» rispose Hermione, «non mi riprenderei mai più dallo shock.»
Draco sghignazzò. «Niente del genere, non farti illusioni» disse. «Ho solo dei piccoli momenti brillanti che ti renderanno impossibile non innamorarti di me.»
Hermione ridacchiò nervosamente e si lasciò ricadere nuovamente sui cuscini.
Sentiva lo sguardo del biondino addosso, mentre il cuore le palpitava furiosamente; ringraziò di essersi rivestita, altrimenti le probabilità che se ne accorgesse sarebbero state altissime.
«Affascinante», sussurrò cercando di mantenere giocoso il tono della sua voce, mentre pensava che lei in quel senso fosse già bella e andata, irreparabilmente perduta.
Era consapevole di amarlo, ma non vedeva il motivo per cui doveva farglielo sapere.
§
Hermione non credeva che sarebbe stata mai capace di dimenticare l’immagine del viso di Draco Malfoy tra le sue gambe; continuava a balenarle nella mente ogni volta che si lasciava distrarre da qualcosa.
«Dal sorriso sulla tua faccia direi che è andata bene» commentò Ginny soddisfatta non appena la vide la mattina seguente. «I miei consigli hanno funzionato.»
Hermione si riscosse dai suoi pensieri, arrossendo lievemente, poi rise. «Non montarti la testa, ora.»
«Sul serio, dovreste assumermi come consulente» asserì convinta, «o qualcosa del genere. Potrei tenerla in considerazione tra le mie prospettive di carriera lavorativa.»
«Saresti bravissima», affermò l’altra, annuendo con fervore. «Ma penso che perseguirai una carriera nel mondo del Quidditch.»
Ginny scrollò le spalle. «Beh, se dovesse andarmi male, avrei un piano B.»
«Potresti mettere “esperienza sul campo” come voce del tuo curriculum» convenne Hermione. «Ti scriverei una lettera di referenza.»
§
«Di nuovo tu» borbottò Hermione, facendo ruotare gli occhi.
«Non dovrei prendermi la briga di parlarti, se tu ricominciassi ad usare quel cervello che ti ritrovi, Sanguemarcio
La Serpeverde la attendeva fuori dalla porta del bagno.
Perché erano sempre vuoti quando ci andava lei?
«Non hai altri insulti in repertorio?» fece Hermione piccata. «Sanguemarcio puzza di vecchio, ormai.»
Pansy scrollò le spalle. «Sono una persona tradizionalista», disse. «E anche Draco.»
La Grifondoro sbuffò; si asciugò rapidamente le mani e si rimise la sua cartelletta in spalle.
«Mi piacerebbe stare qui ad ascoltare i tuoi avvertimenti non richiesti, Parkinson», asserì sardonica, «ma temo di essere di fretta. Sai, a Draco non piace aspettare.»
La ragazza le rivolse un sorriso affettato. «Lo so perfettamente, non devi certamente venirmelo a dire tu.»
«Bene», berciò Hermione, ma quando fece per uscire dal bagno, la voce di Pansy la costrinse ad arrestarsi un’altra volta.
«Ci vediamo ancora, lo sai?»
Si voltò a guardarla, con un sopracciglio sollevato. «Ne sono sicura.»
Il sorriso sul volto della Parkinson non vacillò davanti al suo sarcasmo. «Sono tremendamente seria, Granger. Perché credi che abbia mollato Nott? È sempre stato un gioco di potere e controllo tra me e Draco. Quasi mi dispiace che tu e Theo ci siate andati di mezzo.»
Hermione deglutì e fece rapidamente mente locale.
Non riusciva a capire quando avessero l’occasione di vedersi, visto che Draco trascorreva quasi tutto il suo tempo con lei o al massimo con Blaise e Daphne.
«E perché me lo stai dicendo? Non dovresti parlarne con lui, in caso? Non avrai mica l’audacia di chiedermi di fare da intermediario?»
«Te lo sto dicendo» sibilò ampliando il ghigno sul suo viso, «per chiarire i tuoi dubbi, nel caso in cui ti fossi chiesta dove trascorre le sue notti.»
Hermione le si avvicinò e quando il suo volto fu a pochi centimetri da quello della Serpeverde, sorrise.
Pansy corrugò impercettibilmente la fronte.
«Avresti dovuto dire che vi vedete dopo Erbologia o Incantesimi, essendo le uniche lezioni che non seguiamo insieme» sussurrò soddisfatta. «Il resto del tempo, Draco è sempre con me.»
Si prese un momento per godersi l’espressione sul volto della sua rivale storica, poi allargò il suo sorriso.
«Notti incluse, Parkinson.»
§
Il caldo di marzo iniziava a rendere meno sopportabili le divise scolastiche, soprattutto quando si era costretti a correre per i corridoi perché in ritardo e lo stesso castello pareva essere surriscaldato da una forza soprannaturale.
Se non avesse fatto il pieno delle stronzate di Pansy Parkinson mesi prima, avrebbe trovato il suo patetico tentativo di instillare in lei dubbi sulla fedeltà di Draco quasi divertente; toglierle quel ghigno crudele dal volto era stata una soddisfazione immensa.
Si fece strada tra gli studenti, - notando quanto fosse palese che i test dei professori prima delle vacanze di Pasqua si stessero avvicinando, perché la biblioteca era insolitamente gremita di persone -, e si diresse immediatamente al tavolo che il loro gruppo era solito occupare.
Quel pomeriggio sarebbero stati solo lei e Draco, perché gli altri avevano un allenamento di Quidditch e Daphne e Blaise erano andati a vederlo. A Hermione non dispiaceva, perché lei e il biondino avevano dei compiti arretrati da recuperare.
Compiti arretrati.
Non ne aveva mai avuti in vita sua e ora, tra l’incapacità di togliersi le mani di dosso che avevano e l’aver deciso di ‘andare a letto’ proprio con lo studente che più di tutti innescava e alimentava il suo spirito competizione in ambito accademico, ne aveva a bizzeffe.
«Scusa il ritardo», esordì sbuffando. «Sono stata trattenuta.»
Fece cadere la sua cartellina su una sedia vuota e gli sedette accanto.
«Cos’è successo?»
«Niente», rispose lei con indifferenza, iniziando a tirare fuori i libri.
«Sei irritata», considerò il ragazzo. «Chi ti ha trattenuta, Granger?»
Hermione fece ruotare gli occhi. «Non è importante, possiamo lasciar perdere le cose di poco conto e concentrarci sullo studio? Ho davvero bisogno di finire con dei M.A.G.O. eccellenti, sai?»
«Hermione
Qualcosa nel suo tono la fece arrendere; sospirò e scosse il capo. «La tua ex», borbottò. «Devo dirvelo, se la usaste per qualcosa di buono e produttivo ogni tanto, la vostra determinazione sarebbe invidiabile.»
Draco ignorò la battuta. «Che ti ha detto questa volta?»
«Niente che valga la pena di discutere.»
«Hermione
La Grifondoro sbuffò. «Cercava di convincermi che andate ancora a letto insieme» disse, «ma le sue argomentazioni erano fragili.»
«Che ti ha detto?»
«A quanto pare “dormite insieme”» rivelò con enfasi, simulando delle virgolette con le dita e alzando gli occhi al cielo.
Il biondino fece una smorfia. «Non sono mai rimasto a dormire con lei in vita mia.»
Quella rivelazione la sorprese, dal momento che era stato lui a chiederle di restare nella sua stanza la notte, ma non commentò la cosa in alcun modo; dispiegò la sua pergamena e aprì il volume di Aritmanzia.
La mano di Draco si chiuse sulla sua. «Ehi» mormorò. «Non le credi, vero?»
«Certo che no», rispose lei. «Sarebbe fisicamente impossibile. A meno che tu non abbia un sosia, una GiraTempo, o non lasci qualcuno sotto Polisucco con me ogni sera.»
Parve pensarci su per un attimo. «Oddio, non lasci qualcuno sotto Polisucco con me ogni sera, vero?»
«Non che non lo faccio, Granger!» ringhiò lui, indignato. «Non permetterei mai che qualcun altro… Come puoi pensare…?»
«Calmati», lo interruppe lei, sghignazzando. «Stavo solo scherzando. E poi, ti scoprirei subito.»
I muscoli di Draco parvero rilassarsi d’un colpo. «Ah, sì?»
«Sì», fece lei con aria saccente, «sarebbe impossibile comportarsi da te senza essere te, sarebbe troppo evidente.»
«Grazie per la fiducia» borbottò lui, tirando fuori la sua piuma e la sua boccetta di inchiostro.
«Non c’è di che, Malfoy.»

 

 

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Capitolo 34
*** Capitolo 33. Lasciarsi Andare ***


CAPITOLO 33
Lasciarsi Andare







 
 

 
Draco
 
«Ho solo dei piccoli momenti brillanti che ti renderanno impossibile non innamorarti di me.»
La risata di Hermione a quella sua frase gli faceva ancora avvertire una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
Ovvio che lo avesse trovato divertente!
Come avrebbe potuto una persona buona come lei innamorarsi di lui?
Non si spiegava neanche come fosse possibile che lo volesse realmente al suo fianco.
«Comunque», disse la piccola Weasley mentre lavoravano a un compito in classe di Trasfigurazione, Blaise e Hermione a qualche banco più indietro rispetto a loro.
«Non vedo ancora la statua in mio onore.»
Draco fece una smorfia confusa. «Che vai dicendo, Weasley?»
«Beh, considerando che ho dato a Hermione una piccola spinta per fare quel passo nel fantastico modo degli orgasmi di coppia», considerò lei con nonchalance, «mi aspettavo un minimo di gratitudine da parte tua.»
Le sopracciglia del biondino scattarono all’insù. «Sei stata tu?»
«Voleva farlo da un sacco», commentò lei. «Ma sono dovuta intervenire per farla passare ai fatti.»
«Non ti seguo.»
«La Parkinson le aveva messo strane idee in testa», rivelò sbuffando. «Dovevo fare qualcosa. Le ho solo dato qualche consiglio non proprio innocente, comunque. Una piccola spintarella. Merlino, Blaise sta avendo una brutta influenza su di me!»
Avrebbe adorato interrogarla su quei consigli con più precisione, ma la sua attenzione era stata catturata da altro.
«Ti riferisci al fatto che Pansy ha cercato di convincerla che la sto tradendo con lei?»
«Ah», esclamò Ginny. «Il resto ha fallito e quindi è arrivata a questo? Inizia a sembrare un po’ troppo disperata e patetica.»
«Il resto?» indagò ancora Draco.   
«Senti, normalmente non vado in giro a spifferare le confidenze dei miei amici, ma visto che a questo punto sono sicurissima che lei non ti abbia detto niente e che la cosa potrebbe ripercuotersi sulla vostra relazione, il che finirebbe per farla soffrire… te lo dico. È da quando vi siete messi insieme che ogni volta che la becca da sola le dà il tormento, rifilandole stronzate…»
«Del tipo?»
Il respiro del Serpeverde si fece irregolare. Strinse i pugni.
Perché la Granger non gli diceva mai nulla?
«Del tipo che non appena sarai riuscito a fartela, la lascerai. Che stai con lei perché hai un qualche piano, o qualcosa del genere.»
Il colore defluì dal volto già pallido di lui. «Non le avrà mica creduto?»
«Non esattamente», affermò Ginny. «Ma a lungo andare le ha instillato un minimo di dubbio. Onestamente, a volte quella ragazza è assurda. Per tua fortuna ci sono io a riportarla alla realtà.»
Draco deglutì.
Stava realizzando con suo immenso orrore che la Granger aveva ancora un’infinità di dubbi su di lui, su di loro, di cui non sospettava minimamente perché era dannatamente brava a non darlo a vedere.
Che cosa doveva fare di più per farle entrare in testa quanto ci tenesse alla loro relazione, possibilmente in maniera permanente?
«Cosa pensa esattamente?» sbuffò. «Che stia con lei per passare il tempo?»
«No, credo solo che a volte per lei sia un po’ difficile crederci veramente» sussurrò la rossa. «Ha paura di farsi male e ci va con i piedi di piombo.»
«Non le farò del male.»
«Certo, Malfoy», asserì la ragazza. «Perché se lo facessi, te la farei pagare.»
Draco ruotò gli occhi. «Non di certo perché ho paura di te! Non le farò del male perché… ci tengo a lei, per davvero
Ginny gli rivolse un sorrisetto malizioso, poi tirò su col naso e tornò seria. «Un’altra cosa di cui pare fermamente convinta è che sparirai dalla sua vita dopo i M.A.G.O., per andare a cercarti una qualche principessina Purosangue perfetta, bla bla bla.»
La sua mascella cadde.
Glielo aveva chiesto solo poco tempo prima se a frenarla nel loro rapporto fosse una questione di fiducia, o se avesse dei dubbi su di loro, e lei non aveva accennato a niente di tutto ciò; all’improvviso, tutte le volte in cui l’aveva beccata a guardarlo con un sorriso triste sulle labbra, che si era subito affrettata a celare, tutte le volte in cui aveva troncato qualsiasi discorso sul periodo post M.A.G.O., - come quando le aveva proposto di andare a Parigi per festeggiare e lei aveva liquidato il discorso con un breve e secco «Vedremo» -, avevano assunto un senso molto chiaro.
«Weasley, perché mi dici queste cose?», sospirò perplesso.
«Perché voi due siete un completo disastro senza il mio aiuto e quello di Blaise» asserì in tono asciutto. «Pensate decisamente troppo, il che può esservi d’aiuto in classe, ma per il resto…»
«Continuo a non capire perché sei dalla mia parte.»
Ginny fece spallucce. «Ho visto come la guardi», dichiarò. «So che sei innamorato di lei.»
Draco sbiancò e si irrigidì.
«Tranquillo, Principino», esclamò la rossa, «il tuo segreto è al sicuro con me.»
Il biondino sospirò. «Non riesco a dirglielo», ammise sospirando.
Che senso aveva negare? Probabilmente si vedeva lontano un miglio.
Chiunque si fosse preso la briga di osservarlo in passato poteva vedere che il suo modo di comportarsi con lei era fuori dall’ordinario, per i suoi standard.
«Ho paura di spaventarla e so che… non siamo ancora lì, non è ancora il momento.»
So che lei non proverà mai la stessa cosa per me” aggiunse a mente. “Ma non voglio averne la certezza assoluta.
«Oh, forse dovrei dirti che quando ho provato a farglielo notare, non mi ha creduta» rivelò ancora Ginny, poi afferrò la loro relazione, si diresse verso la cattedra per consegnarla alla McGranitt e con un cenno del capo si diresse verso Blaise e Hermione, che ridevano in fondo all’aula.
Draco si voltò a guardarli e vide che la Granger lo stava scrutando perplessa, forse in attesa che la raggiungesse, così si diede da fare per raccogliere le sue cose e andare a pranzo.
Perché la Weasley gli aveva detto quell’ultima cosa?
Stava cercando di fargli capire qualcosa?
Stava cercando di dirgli che stava sbagliando qualcosa? Che doveva impegnarsi di più o cambiare qualche suo atteggiamento?
O stava provando semplicemente a fargli capire che la Granger si stava facendo le sue stesse paranoie in merito alla questione ‘sentimenti’?
§
Non avrebbe dovuto farlo, lo sapeva, ma ne aveva avuto abbastanza.
Pansy si era attardata nell’atrio di ritorno dalla lezione di Erbologia di quel pomeriggio e Draco aveva sentito la rabbia montare dentro di sé.
La sua tecnica perfettamente definita di compartimentalizzazione e repressione delle emozioni stava vacillando pericolosamente, come se ci fosse un glitch nel suo sistema a interferire con il suo usuale funzionamento.
I suoi piedi si mossero automaticamente; la afferrò per un braccio e la voltò bruscamente.
«Draco» gli sorrise entusiasta. «Era così che di solito iniziavano le nostre scopate migliori.»
«Devi smetterla» sibilò tra i denti.
«Oh, sei arrabbiato» constatò lei, con uno strano luccichio negli occhi. «Vuoi sfogarti come eri solito fare tempo fa?»
«Pansy, non sto scherzando» ringhiò lui. «Mi stai seriamente facendo perdere la pazienza!»
La ragazza sbuffò. «La stai facendo perdere tu a me! Per quanto ancora hai intenzione di portare avanti questa pagliacciata con la Granger e tutta la scena sul tuo cambiamento di posizione?»
«Ancora con questa storia!» esclamò esasperato. «Non sto fingendo!»
«Sei un Malfoy, Draco!»
«E ora suoni come i miei genitori, grandioso» borbottò più a sé stesso che a lei.
«Senti, scaricala. Possiamo fare finta che niente sia mai successo, posso conviverci. Certo, il pensiero che tu ci abbia fatto cose fa abbastanza schifo, ma-»
«Dacci un taglio!» sbottò Draco. «Non ti voglio nella mia vita, lo vuoi capire? Resta fuori dalla mia relazione con la Granger!» e sottolineò il termine ‘relazione’ con una particolare enfasi. «Io e te non abbiamo più niente da spartire.»
Il naso della giovane si arricciò. «Non puoi fare sul serio!»
«Ne abbiamo parlato mille volte, Pansy» le rammentò. «Sono sempre stato chiaro e sai perfettamente che non mi piace ripetermi. Hai già oltrepassato il limite della mia pazienza mesi fa. Ti avverto un’ultima volta: falla finita
Detto questo, Draco fece per andarsene, ma la voce della Parkinson lo fermò.
«E tu sai perfettamente che io ottengo sempre quello che voglio, Draco!»
Il biondino serrò le labbra in una linea sottile, tornò sui suoi passi e la fissò con gli occhi ridotti a due fessure. «Non questa volta.»
«Cos’ha di così speciale?» sibilò Pansy con rancore. «Le stai appiccicato tutto il tempo, te ne vai in giro per i corridoi stringendola a te, quando in passato non facevi altro che scrollarmi via di dosso, rifiutandoti persino di tenermi per mano. Dicevi che non lo sopportavi, che avevamo delle regole di comportamento da seguire. Che fine ha fatto quella dedizione?»
«Non seguo più quelle scemenze. Mi hanno rovinato abbastanza.»
«L’hai baciata in giardino, l’altro giorno» continuò Pansy. «L’hai baciata davanti a tutti, Draco! Ci dormi insieme, per Salazar! Mi mandavi sempre via dopo aver scopato! Hai idea di come sia per me? Non hai mai fatto niente di tutto questo nei miei confronti, non hai mai ignorato una singola norma per me e ti sono stata accanto per anni! Anni
Draco deglutì. «Non ero innamorato di te, Pansy. E smettila di fingere che tu lo fossi di me, eravamo entrambi consapevoli della natura del nostro rapporto!»
Il volto della Serpeverde si aprì in un’espressione di shock puro. «Mi stai dicendo che ti sei innamorato della Sanguemarcio
Il biondino strinse i pugni. «Non chiamarla così.»
«Rispondimi!» urlò allora lei.
«Sì!» gridò lui in risposta, completamente spazientito. «Sì, Pansy, sono innamorato di Hermione! E gradirei che la smettessi di cercare di metterti in mezzo, sinceramente, ti fa sembrare parecchio disperata e se permetti, anche patetica. Abbi un minimo di dignità, cazzo!»
Pansy dischiuse le labbra e boccheggiò per qualche istante; arretrò di qualche passo e Draco notò con orrore che si stava guardando attorno.
Il tempo di voltarsi e capì di avere lo sguardo di tutti puntato addosso.
Aveva appena ammesso pubblicamente di essere innamorato di Hermione Granger… E lei era lì, con una mano poggiata su una colonna di pietra come per sorreggersi e lo fissava con gli occhi sbarrati.
Trasse un respiro profondo, mentre si scambiavano uno sguardo indecifrabile e poi lei fuggì, veloce come un razzo.
§
L’aveva cercata in biblioteca, in giardino, aveva fatto chiamare la Weasley da un primino che aveva bloccato fuori dalla Torre di Grifondoro per sapere se Hermione fosse lì, aveva persino controllato nelle serre e sulla Torre di Astronomia, - dove lui odiava andare -, ma lei sembrava essersi volatilizzata.
Draco era fermamente convinto di averla spaventata.
Demoralizzato, decise di saltare la cena e si trascinò verso il dormitorio dei Caposcuola con lo sguardo basso; sapeva che non l’avrebbe trovata lì, che non l’avrebbe stretta tra le sue braccia quella notte.
Aveva perso il controllo.
Lui voleva solo che Pansy si mettesse l’anima in pace, che la smettesse di infierire in un rapporto che era complicato per definizione anche senza il suo intervento, un rapporto a cui lui teneva più di ogni altra cosa al mondo.
Sbuffò mentre attraversava il passaggio per la Sala Comune, ma non appena ne varcò la soglia se la ritrovò davanti, a voltarsi di scatto non appena lo sentì entrare.
«Lo hai detto solo per togliertela davanti?» gli chiese senza preamboli. «O è vero?»
Draco deglutì.
Non riusciva a decifrare l’espressione sul suo viso, né tanto meno il non detto nel suo sguardo, ma decise che non le avrebbe mentito, che non se lo sarebbe rimangiato mai.
Non poteva e, soprattutto, ora che era venuto fuori, non voleva farlo.
«È vero, ma non volevo che lo venissi a sapere così» ammise lui sospirando. «E non devi-»
Le labbra di Hermione si scontrarono contro le sue con un impatto quasi doloroso.
Per una frazione di secondo non realizzò neanche quello che stava succedendo, perché era letteralmente l’ultima cosa che si aspettava accadesse, ma quando il suo cervello registrò il fatto che la ragazza lo stava baciando, il che implicava con ogni probabilità che non aveva rovinato nulla con la sua rivelazione improvvisa e oltremodo plateale, affondò le dita tra i suoi capelli, mentre con la mano libera la stringeva con forza e decisione a sé.
La sospinse contro il muro, intrappolandola tra la parete e il suo corpo e lasciò che le sue labbra scivolassero sulla sua pelle in maniera frenetica, mordendola di tanto in tanto.
Hermione gli afferrò il viso con entrambe le mani e lo costrinse ad alzarlo, allontanandolo dallo scollo nella sua camicetta, per poi azzerare nuovamente le distanze tra di loro; posò i palmi sul suo petto e vi esercitò una leggera pressione per guidarlo verso il divano.
Il suo mantello era da qualche parte sul pavimento, insieme alla sua cravatta e la sua lucidità mentale lo aveva abbandonato per andarsene via chissà dove.
Hermione lo spinse a sedere e si mise cavalcioni su di lui, senza allontanare le labbra dalle sue neanche per un istante, anche se probabilmente a quel punto i suoi polmoni bruciavano quanto quelli di Draco per la carenza di ossigeno. Armeggiò impazientemente con i bottoni della sua camicia per un po’ e poi gliela tolse bruscamente di dosso; la sua pelle sembrava bruciare nei punti in cui le mani di lei lo sfioravano.
Si affrettò a disfarsi della camicetta di lei, che in quel momento sembrava decisamente troppo vestita per i suoi gusti, e si fiondò sui suoi seni pieni, mentre faceva risalire le dita lungo le sue gambe, stringendo la sua pelle in morsi bramosi, gemendo nel constatare che Hermione aveva già smesso di indossare le calze.
«Cazzo, adoro queste divise» grugnì contro le labbra di lei, raggiungendo con una mano la superficie delle sue mutandine, giocandovi quasi distrattamente, per poi scostarla di lato.
Ghignò contro la sua pelle nell’incontrare il suo desiderio, caldo e liquido sulla sua intimità e fece scivolare due dita dentro di lei.
«Come osate trattarmi in questo modo irrispettoso e incivile?»
La voce di Sir Cadogan proruppe improvvisa e in quel momento molesta dall’esterno della Sala Comune, ma arrivò come un suono indistinto e remoto alle loro orecchie.
Hermione esalò un gemito che Draco si affrettò a soffocare con un bacio travolgente.
«Non dovremmo farlo se tu ci lasciassi entrare!»
La Weasley.
La mano della ragazza si chiuse sul suo avambraccio e cercò di tirarlo leggermente indietro. Draco grugnì in segno di protesta, mentre lei tentava invano di separare le loro labbra.
«Questo è il dormitorio dei Caposcuola, non è consentito l’accesso ai Prefetti! Quante volte ve lo devo ripetere?»
«Si, d’accordo. Bla bla bla! Ora apri questa maledetta cosa!»
Blaise.
Un suono strozzato lasciò la gola di Hermione, mentre il biondino continuava a far scorrere le sue labbra sul suo collo, in un gioco di lingua e piccoli morsi che la stava facendo tremare tra le sue braccia.
Draco avvertì i suoi muscoli irrigidirsi sotto le sue mani e ne capì le intenzioni.
«Non pensarci neanche, Granger» sussurrò contro la sua gola, in tono perentorio.
La sentì schiarirsi la gola. «Potrebbe… essere… im-importante, Dra-Draco
«Quello che sto per farti è più importante» dichiarò lui in un ringhio sommesso, mentre la afferrava le natiche e la distendeva sul divano, per sovrastarla con il suo corpo.
Lei gemette e sentì il suo corpo venire percorso da un brivido di eccitazione.
Bum! Bum! Bum!
«Ahi! Non potete prendermi a pugni! Come li scelgono i Prefetti al giorno d’oggi in questa maledetta scuola?» protestava Sir Cadogan, indignato.
«Maledizione!» sibilò Draco serrando i denti. «Che razza di rompipalle!»
Hermione rise in maniera stranamente stridula, poi fece per mettersi a sedere e lui dovette indietreggiare; sbuffò e si lasciò sprofondare nello schienale del divano, indescrivibilmente frustrato.
La guardò rialzarsi e rivestirsi in tutta fretta; desiderò che non si fosse legata i capelli, perché quel gesto sortì l’effetto contrario a quello di cui necessitava in quel momento.
«Datti una sistemata» sussurrò Hermione sorridendogli.
«Non puoi proprio evitare di scompigliarmi i capelli, vero?» protestò Draco, cercando di appiattirseli contro il capo.
Lei gli rivolse uno sguardo malizioso. «I tuoi capelli spettinati mi eccitano, Draco.»
«I miei capelli?» ripeté lui, sollevando un sopracciglio, con aria scettica. «Sei fottutamente strana, Granger, lasciatelo dire.»
«Non i capelli in sé!» esclamò lei ridendo. «L’insieme. Tu con i capelli spettinati… ehm… Danno l’idea del post sesso, anche se ovviamente noi non abbiamo ancora… ehm…»
La vide arrossire violentemente e non riuscì a fare a meno di ghignare divertito dal suo imbarazzo completamente fuori luogo.
«Vado ad aprire», borbottò Hermione, mordendosi un labbro.
Poteva leggere nel suo sguardo la sua fretta di sfuggire alla situazione in cui si era cacciata.
Merlino, mi farà finire al San Mungo prima o poi, ma la amo…
La sua risata limpida e cristallina la seguì per tutto il tragitto, mentre si risistemava la cravatta.
«Oh, era ora!» esclamò Ginny.
«Cosa succede?» chiese Hermione preoccupata, mentre la testa di Draco faceva capolino da sopra la sua spalla.
«Oh, niente» disse Blaise. «Andiamo a fare un bagno nel bagno dei Prefetti tutti insieme, venite?»
Il biondino strinse i pugni e dovette impiegare tutto il suo autocontrollo per non ringhiare contro i loro amici.
«Ci infiliamo i costumi e vi raggiungiamo» disse la ragazza.
Quando furono lontani, Draco scostò Hermione e uscì dal dormitorio, per puntare il dito contro Sir Cadogan.
«Non lasciarli entrare» disse in tono categorico. «Mai
Hermione scoppiò a ridere.
 
***
Hermione
 
Sebbene non avesse fatto altro che stringerla a sé per tutta la sera, Hermione poteva percepire chiaramente l’irritazione di Draco; ebbe la conferma del suo stato d’animo quando il biondino non proferì parola durante l’intero tragitto di ritorno al dormitorio.
In realtà, Hermione trovava esilarante quella sua attuale irritazione, ma non lo avrebbe mai ammesso a voce alta perché l’unico risultato che avrebbe ottenuto se lo avesse fatto, sarebbe stato quello di farlo arrabbiare.
Lo guardò dirigersi direttamente verso la sua stanza e si prese giusto un attimo per ingoiare l’attacco di risate che la stava per sopraffare, prima di seguirlo; lo vide fare un Incantesimo di Appello non verbale verso il suo baule e afferrare al volo un bicchiere e una bottiglia di Firewhiskey.
Draco si diresse verso la finestra, fece scivolare il bicchiere sul tavolo e lo riempì.
«Sei arrabbiato…»
«No.»
Hermione si morse la lingua per non ridere, dal momento che il suo tono diceva tutt’altro.
«Beh», commentò incapace di trattenersi. «Non hai spiccicato parola per tutta la sera e se gli sguardi potessero uccidere, ora saremmo senza amici.»
Lui non si voltò a guardarla. «Non mi piace essere interrotto Granger, specie se una parte del mio corpo è già dentro di te» sbuffò sonoramente. «E comunque, potevi dire di no.»
Ancora estremamente divertita, gli si avvicinò alle spalle silenziosamente e fece scorrere una mano sulla sua schiena.
Sentì immediatamente i muscoli del suo corpo tendersi al suo tocco.
Il biondino si voltò leggermente verso di lei e chiuse gli occhi mentre una mano di Hermione si alzava a sfiorargli la guancia.
La ragazza si inumidì le labbra e si sollevò leggermente sulle punte. «Nessuno ha detto che non possiamo portare a termine ora quello che abbiamo cominciato prima.»
Gli catturò il labbro inferiore tra i denti e sentì il rumore del bicchiere che veniva poggiato malamente sulla scrivania, poi le braccia di lui circondarla.
«O fare qualcosa di più», aggiunse in un sussurro lieve.
Gli occhi di Draco si spalancarono e si incatenarono ai suoi; erano dannatamente scuri, cosa che la fece sorridere maliziosamente.
«Voglio fare l’amore con te, Draco.»
Lui deglutì e poi le prese il volto tra le mani, nei suoi occhi una luce nuova e indescrivibile; il suo petto si alzava e si abbassava con rapidità elevata.
«Te lo chiederò soltanto una volta, Hermione» mormorò con voce roca. «Ne sei sicura
Il sorriso di lei si allargò. «Sì, Draco
E poi lui si avventò sulle sue labbra, affamato del suo sapore, mentre la guidava a passo deciso verso il letto, mentre si preparava per renderla completamente la sua strega.
§
Avvertiva ancora il fantasma del suo tocco gentile e delicato sulla sua pelle, dei suoi sguardi riverenti su di lei, dei suoi baci travolgenti sulle sue labbra; l’eco della sua voce, bassa e rauca, che le sussurrava quanto aveva atteso quel momento, quanto la desiderava, quanto fosse bella, riecheggiava ancora nella sua mente.
Sorrise, pensando al modo in cui le aveva chiesto se stesse bene subito dopo, al modo in cui l’aveva guardata, al suo sorriso; alle sensazioni che aveva provato nel sentirlo dentro di sé, premuto contro il suo corpo, avvolgerla interamente.
Aprì gli occhi lentamente e si voltò per vedere se anche lui fosse sveglio; sembrava perfettamente lucido e la fissava, con un ghigno soddisfatto stampato sul volto.
Hermione sbatté le palpebre, poi sbuffò. «Giuro che prima o poi ti toglierò quel maledetto ghigno dalla faccia, Malfoy.»
Il ghigno si trasformò in una risata genuina a quelle parole. «No, Granger» rispose con convinzione. «Una volta che lo avrai associato al tuo post-orgasmo non vedrai l’ora di vederlo.»
Non riuscì a reprimere la risata provocata da quella sua uscita. «Tu sei tutto scemo!»
Fece scivolare le mani dietro al suo collo e lui si chinò immediatamente verso di lei, per catturarle le labbra nelle sue in un bacio dolce.
«Sei ancora qui…» sussurrò Hermione, appena udibilmente, ricordando quanto avesse temuto che dopo quello sarebbe sparito dalla sua vita, quando invece era lì e la toccava sempre in quel modo bramoso di contatto che le faceva percepire quanto la desiderasse.
Non credeva che l’avesse sentita, invece era così.
«È la mia stanza, Granger» rispose lui ironicamente, mentre le sue labbra scivolavano sulla sua guancia, sul profilo della sua mascella, sul suo collo…
«Il tuo lato romantico è difettoso, Draco» commentò lei, ridendo più forte.
Lui rise a sua volta, ma poi alzò lo sguardo su di lei, serio. «Io ti amo… E non vado da nessuna parte, Hermione.»

 

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Capitolo 35
*** Capitolo 34. L'Interrogatorio ***


CAPITOLO 34
L'Interrogatorio







 
 

Draco
 
Non ci credeva ancora e forse non ci avrebbe creduto mai che Hermione fosse la sua strega. La guardava muoversi sopra di lui, estasiato, domandandosi come avesse potuto in passato reputarla inferiore a chiunque, quando in realtà era superiore al mondo intero.
Hermione era una fottuta dea, la sua dea, e lui l’avrebbe venerata per l’eternità intera, se glielo avesse permesso.
La sua mano era chiusa attorno alla sua nuca, mentre le spingeva il capo verso il proprio per baciarla. I gemiti che lasciavano le sue labbra gli penetravano dentro, troppo vicini al suo orecchio, facendolo rabbrividire di piacere. E dopo che entrambi ebbero raggiunto il culmine del loro piacere, se la tirò addosso, accarezzandola dolcemente; le prese il viso tra le mani, le sorrise.
«Sei meravigliosa.»
Lei arrossì leggermente, cosa che per poco non lo fece scoppiare a ridere.
Era diversa, da quando le aveva detto quelle due paroline.
Non aveva ricambiato, ma a lui andava bene ugualmente; perché ora la mano di lei non era più esitante nel prendere la sua per i corridoi, perché spesso ora era lei a far scivolare un braccio attorno al suo fianco per prima o a stringersi contro di lui in cerca di contatto. Gli sorrideva più spesso, ma al contempo era più concentrata a lezione da quando sfogavano i loro desideri in separata sede. Una sede appropriata, non lo schifoso bagno di Mirtilla Malcontenta.
«Allora», disse dopo un po’, «Parigi, dopo i M.A.G.O.»
Hermione ridacchiò nervosamente e si districò da lui con delicatezza, lasciandosi ricadere tra le lenzuola sfatte. «Pensavo avessimo concordato di discuterne successivamente…»
«No», obiettò lui. «Tu lo hai proposto, ma io ho deciso diversamente.»
Lei sollevò un sopracciglio, un angolo delle labbra incurvato all’insù.
«Non te lo sto proponendo, Granger» precisò in tono fermo. «Ti sto dicendo che ti porterò a Parigi dopo i M.A.G.O.»
Quello che la Weasley gli aveva detto durante l’ultima lezione di Trasfigurazione continuava a tornargli in mente, facendogli sentire l’esigenza di rendere più chiari alcuni punti della loro relazione agli occhi della Granger.
Se solo avesse saputo come esprimersi al riguardo!
Il viso di lei si aprì in un timido, rassegnato, ma triste sorriso. «D’accordo», disse con un filo di voce.
«Sono maledettamente serio, Hermione» insisté, poggiando un dito sotto il mento di lei per obbligarla a guardarlo. «E lo ero anche quando ti ho detto che non vado da nessuna parte. Non senza di te, comunque.»
Hermione sospirò. «Draco», iniziò flebilmente. «Per favore, non farmi promesse.»
Il cuore di lui sprofondò a quella premessa.
«Le cose sono già difficili qui al castello, quando usciremo di qui…»
«Non mi interessa» la interruppe lui. «Draco Malfoy e Hermione Granger d’ora in poi sono un pacchetto unico, d’accordo?»
Lei chiuse gli occhi e tirò su col naso. «Credi seriamente che i tuoi genitori-»
«Non me ne frega nulla, Hermione!» sbottò Draco. «Per quanto mi riguarda hanno due opzioni: farsene una ragione o uscire definitivamente dalla mia vita. E non so in quale delle due nutro più speranza, onestamente.»
Era la verità, non era affatto sicuro di volerli vicino ai suoi futuri figli, per esempio; avevano rovinato lui e non gli avrebbe mai permesso di influenzare negativamente la sua di famiglia, quella che si era reso conto di sperare di poter avere un giorno… con lei.
Hermione fece per rispondergli, ma delle urla provenienti dal corridoio la fermarono.
Si scambiarono uno sguardo allarmato e si precipitarono a rivestirsi, poi fuori dal dormitorio. Potter stava già correndo verso di loro, seguito a ruota da Weasley.
«C’è stato un altro caso» disse il moro con il fiatone. «Uno studente del quarto anno, era tra i Nati Babbani che non sono tornati a Hogwarts dopo Natale.»
«Lo hanno trovato nel giardino di casa sua…» aggiunse Ronald. «Non c’è stato nulla da fare.»
Un morto.
Un ragazzino di quattordici anni era morto.
Draco avvertì le mani iniziare a tremare; si avvicinò istintivamente a Hermione e le circondò le spalle con un braccio, per stringerla a sé con fare protettivo.
«Mione» fece Weasley, preoccupato. «Uno è un incidente…»
«…Due una coincidenza…» mormorò lei, mesta.
«…Tre uno schema*» concluse Potter, sospirando grevemente.
«Dobbiamo fare qualcosa» disse il rosso.
Draco pensò che non ci fosse affatto bisogno di specificarlo.
 
***
Hermione
 
Erano stesi sul divano e Draco la stringeva protettivamente a sé.
Non l’aveva persa di vista neanche per mezzo secondo quel giorno.
Hermione sospettava che quella sarebbe diventata la loro nuova routine e che avesse persino chiesto a Harry, Ron e Ginny di non lasciarla sola quando lui non avrebbe potuto essere al suo fianco; non avrebbe fatto storie, però. La morte di quel ragazzino le aveva fatto accettare che avere sempre qualcuno accanto che potesse intervenire in caso di emergenza era una cosa positiva.
Le mani del biondino tremavano leggermente, così Hermione ci posò sopra le sue e le strinse per fermare il tremore, nel tentativo di rassicurarlo.
«Sto bene» gli disse, cercando di suonare convinta.
«Come fai?» le chiese deglutendo. «Come fai a stare tranquilla?»
«È dal secondo anno che non faccio che pensare che prima o poi toccherà a me. Ci sono abituata» rispose lei, sospirando. «Sono stanca, non ho combattuto una guerra per vivere comunque nella paura il resto dei miei giorni.»
«Io no», affermò lui. «Non sono mai stato da questa prospettiva prima d’ora e sono terrorizzato dall’idea che ti possa accadere qualcosa. Lo sono fin dall’inizio di tutta questa faccenda.»
Hermione si morse il labbro, incerta su cosa dire.
Non poteva promettergli che non sarebbe accaduto nulla, avrebbe fiutato la menzogna immediatamente. Non poteva assicurargli che sarebbe andato tutto bene.
Quello era Draco Malfoy, non Harry o Ron, non avrebbe tratto alcun conforto da rassicurazioni che celavano false speranze.
«Granger, non gestisco bene questo tipo di situazioni, questo genere di minacce» mormorò lui con voce tremula. «Al sesto anno, quando mia madre era in pericolo… Ho quasi perso la testa. Ma ora il pensiero di perdere te mi spaventa ancora di più.»
Si voltò verso di lui e gli prese il volto tra le mani. «Non posso dirti che non succederà niente, Draco. Ma posso assicurarti che affronteremo tutto nel migliore dei modi. È quello che faccio da una vita.»
Quello che lei e i suoi amici facevano da una vita; prendere di petto i problemi, sopprimere la paura, lottare.
Hermione si chiedeva se avrebbe mai potuto smettere di combattere.
«E se le cose dovessero andare male?»
«Promettimi che andrai avanti» sussurrò lei, con aria quasi supplichevole. «Che non ti chiuderai di nuovo in te stesso, che non farai alcun passo indietro.»
Lui rispose con una smorfia.
«Promettimelo, Draco Malfoy.»
Stringeva i palmi contro le sue guance in maniera quasi disperata.
Aveva bisogno di quella promessa.
«Per favore.»
«Non posso, Hermione», soffiò lui, sbuffando.
Hermione chiuse gli occhi. «Se dovessi morire», fece per aggiungere, ma lui la interruppe.
«No!» urlò, facendola sussultare. «Mi rifiuto di prendere in considerazione questa eventualità!»
Draco si alzò dal divano con uno scatto e si mise le mani tra i capelli.
«Ho bisogno di sapere che se dovesse succedermi qualcosa, tu starai bene!» gli gridò lei, rimettendosi in piedi e avvicinandosi a lui. «Mi darebbe pace.»
Gli mise una mano sulla spalla, mentre lui continuava a scuotere il capo e lo voltò per costringerlo a guardarla.
«Promettimelo, Draco.»
Sì, gli occhi di Draco quando le sue barriere mentali vacillavano pericolosamente sembravano il cielo in tempesta, con tanto di lampi. La cosa non smetteva di sbalordirla.
Lo vide deglutire con forza.
«Promettilo…» lo pregò un’ultima volta, la voce un sussurro flebile.
«Te lo prometto» riuscì a tirare fuori in un grugnito di dolore. «Ma non lasciarmi, Hermione. Ti prego.»
Quella promessa aveva tutta l’aria di essere un contentino, ma lei se lo fece stare bene ugualmente. Si alzò sulle punte e lo strinse forte a sé, sorprendendosi della veemenza con cui lui ricambiò l’abbraccio.
«Forza, Principino» asserì dopo un po’. «Andiamo a dormire. Domani abbiamo del lavoro da fare.»
«Vi giuro, se non la smettete con quel soprannome…»
§
Nessuno sembrava essere dell’umore per seguire le lezioni il giorno dopo che la notizia dello studente ritrovato morto aveva fatto capolino sulla Gazzetta del Profeta.
Hermione aveva notato una marea di gufi volare verso il castello quella mattina e sospettava che fossero i genitori degli allievi che contattavano la Preside chiedendo spiegazioni, rassicurazioni, forse persino il ritorno dei figli a casa.
Sobbalzò quando la porta si spalancò interrompendo bruscamente la lezione e Gazza fece il suo ingresso, tutto trafelato.
«Professoressa Babbling, chiedo scusa per l’interruzione» esordì con voce gracidante. «Il signor Malfoy è desiderato in Sala Professori.»
Un improvviso moto di panico la colse.
La McGranitt aveva scoperto che dormivano insieme? O Lucius Malfoy ne aveva combinata un’altra delle sue che avrebbe incasinato la vita di Draco ulteriormente?
La stanza calò in un silenzio tombale per i successivi dieci secondi dopo quelle parole; il tempo sembrava come essersi fermato. Poi iniziarono i sussurri, gli sguardi, la gente che mormorava coprendosi la bocca con la mano, come se l’aria silenziosa non rendesse udibili ugualmente i loro commenti senza filtri.
«Certo, signor Gazza, nessun problema. Signor Malfoy, può andare.»
Hermione gli strinse la mano e lui le rivolse uno sguardo indecifrabile.
La ragazza pensò, per un momento, che avesse intenzione di baciarla lì, davanti a tutti, nel mezzo di una lezione.
«Sta’ tranquillo» gli sussurrò incoraggiante. «Non sarà niente.»
Sperò di essere stata convincente, ma lui annuì distrattamente, come se non ci credesse, come se avesse sempre saputo che quel momento, prima o poi, sarebbe arrivato.
Lo vide seguire il custode con aria afflitta e rassegnata.
Cinque minuti dopo, Hermione era troppo irrequieta per restare in classe e continuare a seguire la lezione come se niente fosse.
«Mi scusi, professoressa» disse alzando la mano. «Potrei andare in bagno?»
 
***
Draco
 
Non era esattamente sorpreso di trovarsi davanti due grossi uomini in divisa; le spille con il logo del Ministero e quello del Dipartimento Auror brillavano minacciose, appuntate sul tessuto. Lo guardavano torvo mentre si avvicinava a loro, testa alta e andamento sicuro nonostante fosse in preda all’ansia.
«Deve venire con noi, signor Malfoy.»
«Motivo?» chiese freddamente lui.
«Credo che lei lo sappia già», insisté l’altro Auror.
«No, non lo so» ribatté in tono piccato.
«È morto un ragazzo. Un Nato Babbano. Non possiamo più permetterle di restare in questa scuola.»
Un sopracciglio di Draco si sollevò leggermente. «Io non c’entro nulla con questa storia», asserì fermo. «Sto rigando dritto da quando sono stato assolto.»
«Lei non è stato assolto, signor Malfoy» lo corresse l’Auror più robusto. «Lei era in prova.»
«Ero?»
«Esattamente. Non pensava certo che l’avrebbe fatta franca, vero?»
Il biondino iniziò ad agitarsi e innervosirsi. «Io non ho fatto niente!» urlò stizzito. «Non potete giudicarmi colpevole senza neanche avermi interrogato!»
L’Auror gli afferrò il braccio sinistro e strappò la sua camicia lungo l’avambraccio.
L’umiliazione dovuta all’esposizione forzata del Marchio lo colpì con la potenza di un pugno nello stomaco.
«Questa è già una risposta a tutte le domande che le avremmo posto» replicò gelido l’Auror. «Ci consegni la sua bacchetta e venga con noi senza opporre resistenza, altrimenti dovremo agire di conseguenza.»
Non lo stavano facendo parlare.
Draco capì immediatamente che quei due avevano già deciso che era colpevole.
Si ritrovò a pensare a Hermione; lo stavano portando via, probabilmente per rinchiuderlo in una cella ad Azkaban per poi gettarne la chiave e lui non aveva neanche potuto salutarla. Avrebbe pensato che fosse stato lui? Che l’avesse usata per tutto quel tempo e che Pansy avesse ragione nel sostenere che frequentandola stava solo seguendo un piano costruito per salvare le apparenze?
«Se lo faccio, posso parlare con una persona, prima di andare?» si arrese sospirando rassegnato; non aveva senso inimicarseli ulteriormente e comunque parte di lui era fiduciosa che il suo avvocato avrebbe risolto la situazione. Era innocente, dopotutto.
«Non è nella posizione di poter richiedere favori, signor Malfoy.»
Lo sguardo dell’Auror era severo, mentre gli ritirava la bacchetta e agganciava dei bracciali inibitori di magia ai suoi polsi, che si ancorarono nella sua carne con violenza, perforando la sua pelle diafana.
«Dove avete intenzione di portarlo?»
La McGranitt fece il suo ingresso spalancando la porta della sala con un cipiglio arrabbiato. «Non potete interrogarlo senza che io faccia da testimone.»
«Non mi hanno interrogato» borbottò Draco sbuffando.
«Che cosa?» esclamò allibita la Preside. «Lasciatelo andare immediatamente.»
«Stiamo eseguendo degli ordini.»
«Dubito che Shacklebolt vi abbia dato queste indicazioni» affermò decisa lei. «Lo conosco bene. E il signor Malfoy è un mio studente, esigo che i suoi diritti vengano rispettati.»
Draco non udì bene quello che si dissero successivamente, perché il suo sguardo fu catturato da una figura che si avvicinava, correndo come una forsennata.
Hermione.
I suoi occhi si sbarrarono quando riconobbe il metallo che sopprimeva la sua magia e lui ingoiò la vergogna che risaliva come bile, corrosiva.
«Cosa state facendo?» gridò la ragazza e lui avvertì immediatamente il panico nella sua voce.
«Come sono certo che lei sappia già, signorina Granger, è in corso un attacco ai Nati Babbani nel castello ed è senza precedenti» le spiegò l’Auror. «Siamo venuti ad arrestare il responsabile.»
La mascella di Hermione cadde a terra. «Non è stato lui!» strillò in tono acuto.
Il cuore di Draco prese a battere velocemente: lei non lo reputava capace di fare una cosa del genere. Il resto iniziava a perdere d’importanza ai suoi occhi.
«Lui non c’entra niente! Draco non ha fatto niente!»
«Cosa le fa pensare che un Mangiamorte non sia responsabile di ciò che sta accadendo?»
«Sta scherzando?» esclamò lei, visibilmente indisposta. «Draco non ha neanche più pregiudizi-»
«Non accetto questo tipo di linguaggio nella mia scuola» la interruppe la Preside, fronteggiando l’Auror. «Non quando il ragazzo in questione non ha fatto altro che cercare di migliorare sé stesso da quando ha rimesso piede al castello e le posso assicurare che ha dimostrato ampiamente di aver superato i pregiudizi con i quali è stato cresciuto.»
L’uomo assottigliò gli occhi. «Non può chiederci di lasciare in libertà qualcuno con il Marchio Nero solo perché una ragazzina ingenua ha una cotta per lui.»
Hermione ringhiò. «Questa ragazzina ha passato gli ultimi sette anni della sua vita a fare il vostro lavoro al posto vostro!» sibilò, poggiando le mani sui fianchi. «E da quando la regola dell’innocente fino a prova contraria non è più alla base dell’azione del Dipartimento Auror? Da quando si arresta un ragazzo senza prove e senza interrogatorio regolare?»
Draco non sapeva come stesse facendo a rimanere così lucida. Lui non riusciva ad emettere alcun suono, ma al contempo desiderava che Hermione la smettesse, che si tenesse fuori da quella faccenda. Non voleva pesare su di lei in quel modo.
«Il Marchio sul suo avambraccio è una prova più che sufficiente!» tuonò l’Auror, livido in volto.
«No che non lo è!» replicò gridando lei. «Draco, tra l’altro, ha un alibi per tutte e tre le notti in cui si sono verificati gli eventi e lo so per certo perché era con me!»
«Considerando il modo in cui la Maledizione sembra funzionare, potrebbe non essere necessaria la presenza del mago che l’ha lanciata al momento dello svolgimento dei fatti», considerò uno dei due.
«E poi abbiamo tutti quanti letto quell’articolo sul Profeta», la informò l’altro uomo, sbuffando. «Una relazione di copertura, senza dubbio.»
Il biondino sentì la rabbia ribollirgli nelle vene. «Non si permetta», disse a denti stretti. «Mi insulti quanto vuole se crede che sia necessario, ma non osi neanche provare ad insinuare-»
«Le ho già detto che non è nella posizione di fare richieste, signor Malfoy.»
«Questo è assurdo!» trillò ancora Hermione con le lacrime agli occhi, provando a raggiungere Draco.
L’Auror l’afferrò per le braccia e la spinse indietro.
«La lasci andare!» gridò allora il biondino, che intanto veniva bloccato dal secondo uomo.
«Ora basta!» urlò la McGranitt, «questo è inaccettabile! Invierò delle lamentele al Ministro in persona!»
«Stiamo soltanto facendo il nostro lavoro.»
«Non più.»
Draco vide il volto di Hermione rilassarsi immediatamente e le sue labbra dispiegarsi in un sorriso tronfio, probabilmente riconoscendo subito la voce che aveva appena parlato.
Adrian Pucey entrò nella stanza e avanzò verso di loro con postura composta e rigida, autorevole. «Siete sospesi», affermò in tono tassativo.
«Per ordine di chi?»
«Mio», disse. «Ho portato a termine la missione sulla ricattura di Greyback e abbiamo arrestato il responsabile della pozione sostituita, con prove tangibili, come il nostro Ufficio è solito operare, nel caso in cui lo abbiate dimenticato. Sono a capo di questo caso, ora. Avreste dovuto aspettarmi prima di presentarvi al castello, come da disposizioni del Ministro. E per la miseria, togliete le mani di dosso a Hermione Granger!»
L’Auror lasciò ricadere le braccia lungo le spalle, liberando la ragazza, che si massaggiò le braccia e lo guardò torva. I muscoli del corpo di Draco si distesero.
«Sarete sottoposti ad un’indagine e tutti vostri casi fino ad ora saranno rivalutati, avete la più pallida idea di quanto le vostre azioni oggi siano state stupide
Gli uomini non risposero, si limitarono a lasciare la stanza con lo sguardo rivolto al pavimento.
La Preside salutò il suo vecchio allievo e poi andò a sedersi sulla sua poltrona, sospirando di sollievo, preparandosi ad assistere all’interrogatorio che doveva sicuramente essere effettuato di lì a poco.
Lo stomaco di Draco si contorse quando Pucey posò le mani sulle spalle di Hermione e le sorrise. «Stai bene?»
Hermione annuì. «Adrian, non è stato lui», la sentì dire, anche se stava parlando a bassa voce e l’ex Serpeverde sospirò.
Draco era ormai al limite della sua pazienza ed era sul punto di commentare qualcosa di caustico, come “puoi togliere le mani dalla mia ragazza?”, quando la domanda che il giovane le pose gli fece morire le parole in gola.
«Hermione, tu sei assolutamente certa che Malfoy abbia superato i pregiudizi contro i Nati Babbani? Me lo puoi assicurare?»
E lui lo vide: un momento di incertezza lampeggiare negli occhi della Granger, un secondo di esitazione che gli tolse il respiro, comprimendogli i polmoni in una morsa soffocante e facendogli sprofondare il cuore nel petto.
Hermione fissava Adrian negli occhi e un attimo dopo quella titubanza fu sostituita da determinazione pura.
«Sì», affermò, decisa. «Te lo posso assicurare.»
Il giovane annuì, poi, finalmente, si allontanò dalla ragazza e si avvicinò a lui.
«Secondo la legge devo comunque interrogarti, con i bracciali ancora addosso e sotto Veritaserum, dal momento che hai precedenti in questo tipo di… situazioni e sei noto per essere un Occlumante», lo informò in tono neutro. «Ma se sei innocente come sembrate sostenere tutti quanti, non avrai nulla da temere.»
Draco pensò che lo avrebbe fatto comunque, dal momento che sembrava sapere della sua storia con la Granger. Soffocò l’irritazione nei suoi confronti, sorprendendosi di quanto gli venisse facile reprimere le sue emozioni anche in un frangente in cui la sua magia era momentaneamente soppressa. D’altronde era sempre stato un talento naturale in quello, anche prima di studiare l’Occlumanzia; la facilità con cui l’aveva appresa, semmai, derivava dalla sua abilità innata nel reprimere ciò che provava.
«Possiamo darci una mossa?» chiese con voce fredda e strascicata. «La mia ragazza diventa particolarmente irascibile quando abbiamo tanto da studiare e si perde tempo.»
Adrian, inspiegabilmente, sorrise all’enfasi che aveva posto su quelle due parole, ma non commentò in alcun modo.
«Possiamo procedere.»
 
***
Hermione
 
«È davvero inaudito!» borbottò furente mentre percorrevano il corridoio per raggiungere il loro dormitorio. «Quello che è successo è indecente! Non possono accusarti senza avere uno straccio di prova, è davvero ingiusto!»
Draco non aveva aperto bocca, né le si era avvicinato in alcun modo, da quando aveva terminato il suo interrogatorio ed era stato lasciato andare; era persino rimasto rigido e impassibile mentre lei lo abbracciava e strofinava le dita sui suoi polsi, dove i segni dei bracciali soppressori rendevano la sua pelle ancora rossiccia, nonostante i tagli fossero stati prontamente guariti da Madama Chips.
Hermione scivolò attraverso il buco del ritratto, ipotizzando che forse fosse semplicemente scosso dagli eventi della mattina.
«Davvero, Granger?» chiese e il gelo nella sua voce la fece arrestare sul posto e voltare verso di lui.
Il passaggio si richiuse sonoramente, rimbombando in un suono lugubre tra le parenti.
«Si può sapere che diavolo ti prende, ora?» sbottò accigliata. «Sembri arrabbiato con me, ma non ne vedo il motivo.»
Draco tirò su col naso. «Hai esitato.»
Hermione corrugò la fronte.
«Quando ti ha chiesto se potessi dire con assoluta certezza che io abbia superato i vecchi pregiudizi, Granger, hai esitato» e prima che avesse il tempo di ribattere qualsiasi cosa, aggiunse: «Non negare, te l’ho letto in faccia!»
Hermione deglutì. «Draco, io…»
Se lo ricordava quel momento. Era stato quando la voce della Parkinson che le sibilava che Draco stava con lei perché aveva un piano, un secondo fine e non perché la volesse veramente, era riemersa nella sua mente per un breve istante, facendola vacillare.
«Posso accettare che tu abbia delle incertezze, Granger, lo capisco e non ti biasimo neanche. Ma che tu possa considerare anche minimamente che potrei fare qualcosa che nuocerebbe alla tua salute, che minaccerebbe la tua vita… che io possa uccidere dei ragazzini, quando tra l’altro sai perfettamente che non sono mai stato in grado di togliere una vita, che non ho mai voluto farlo…»
Draco si interruppe e si passò una mano sul volto, mentre la frase cadeva nel vuoto. «Come puoi avere ancora dei dubbi? Dopo tutto quello che c’è stato tra di noi, come puoi ancora dubitare di me?»
«Non lo faccio, va bene?» ribatté lei piccata. «Ho dato la mia parola, o ti sei perso quella parte?»
«Ma ci hai dovuto riflettere un secondo di troppo prima di farlo, Granger, considerato quello che c’è tra di noi», replicò il biondino. «O a quanto pare, quello che pensavo ci fosse tra di noi.»
Hermione avvertì il cuore sprofondarle nel petto.
«Draco, non esagerare!» esclamò lei, con le lacrime agli occhi e la gola che iniziava a bruciare. «Devi capire che la mia vita non è l’unica in ballo, in quel momento ho avvertito piombarmi addosso il peso della responsabilità di tutti i Nati Babbani che hanno rimesso piede a Hogwarts quest’anno!»
«Ti rendi conto che questo non fa che confermare che una parte di te dubita ancora di me?» domandò lui con voce fredda e strascicata; i suoi occhi erano privi di qualsiasi emozione, ghiaccio puro.
Hermione si ritrovò a boccheggiare in cerca di parole e fiato per esperirle, ma nessun suono uscì dalla sua bocca.
Draco scosse il capo, una smorfia di delusione a distorcergli il viso; quando fece per andarsene nella sua stanza, Hermione scattò e gli afferrò un braccio, che lui si scrollò bruscamente di dosso.
«Draco…»
La ragazza azzardò un altro passo in avanti per seguirlo, ma lui la fermò con un gesto della mano, rifiutandosi persino di guardarla in faccia.
«Ho bisogno di stare da solo.»
 
 
 
 
*Cit. Stiles Stilinski, Teen Wolf





N.d.a.
Slave!
Innanzitutto volevo ringraziare chi di voi sta seguendo la mia storia e in particolar modo chi dedica un attimo del suo tempo per lasciarmi una recensione, 
sapere la vostra opinione significa tanto per me. Scrivo questa nota per informarvi che ho pubblicato il nuovo trailer della storia, per chi di voi fosse interessato/a a vederlo.
Lo potete trovare qui: 
https://www.youtube.com/watch?v=7jCa3zvCiXw&list=PLwzbaT26ntK-G5BzvhsBGtwT1rZ7hWEM8&index=6
Spero che il trailer e il nuovo capitolo vi siano piaciuti!
A presto :)

 

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Capitolo 36
*** Capitolo 35. L'Ospite Indesiderato ***


CAPITOLO 35
L'Ospite Indesiderato







 
 

 
Hermione
 
Erano passati tre giorni dall’ultima volta che aveva parlato con Draco, o avuto un contatto qualsiasi con lui in generale. Si era fatto esonerare dalle lezioni per il resto della settimana e la McGranitt doveva averglielo concesso reputandolo comprensibile dopo quanto accaduto la mattina dell’interrogatorio.
Hermione aveva provato a parlargli più volte, ma lui non aveva voluto saperne di ascoltarla; aveva bloccato l’accesso alla sua stanza con qualche incantesimo e se per caso cercava di uscire e lei era in Sala Comune, tornava sui suoi passi e si richiudeva la porta alle spalle con un tonfo, senza neanche degnarla di uno sguardo.
Hermione era stanca di piangere e le mancava terribilmente; una parte di lei non faceva che chiedersi se la loro ultima conversazione avesse segnato la fine della loro relazione, se l’avesse lasciata e lei non aveva recepito il messaggio.
Era successo esattamente quello che aveva a lungo temuto: donarsi completamente a lui e poi venire abbandonata, perché era così che si sentiva.
Sebbene avesse compreso cosa aveva ferito il Serpeverde, non riusciva a fare a meno di pensare alla facilità con cui aveva liquidato il loro amore; sempre se la sua confessione circa ciò che provava per lei era reale.
L’atmosfera al dormitorio era così opprimente che si era quasi pentita di aver assicurato alla McGranitt che avrebbero continuato a rispettare le regole, - mentendole spudoratamente in faccia dal momento che le avevano già infrante tutte e ampiamente, per giunta -, pur di non farsi trasferire alla Torre di Grifondoro e restare con lui.
Neanche quando Draco si decise a tornare a lezione le cose parvero andare meglio; le rivolgeva la parola solo per questioni accademiche ed era sempre freddo e distaccato, i suoi occhi una lastra di vetro inaccessibile. Studiavano rigorosamente in biblioteca e correva sempre via una volta ultimati i compiti; durante i pasti non la guardava più, cosa che invece era solito fare costantemente, né rispondeva ai suoi messaggi sul diario. Era come se avesse deciso di tagliarla completamente fuori dalla sua vita, di nuovo.
A un certo punto, però, Hermione aveva dovuto ammettere a sé stessa che non poteva perdersi dietro alle sue esagerazioni, perché aveva qualcosa di urgente e dannatamente importante da fare: indagare sugli attacchi.
Alla faccia del terrore che mi possa accadere qualcosa”, pensò con rancore, considerando il modo in cui il biondino la stava evitando.
Quel pomeriggio, Draco aveva Incantesimi con i Tassorosso, per cui aveva chiesto a Harry, Ron e Ginny di raggiungerla nel dormitorio per discutere delle indagini che avevano intenzione di condurre senza rischiare di farsi sentire da qualcuno come sarebbe potuto accadere alla Torre di Grifondoro.
«Penso che sia il caso di rispolverare una delle nostre vecchie tattiche», sussurrò Hermione, lasciandosi sprofondare nel divano. «Dal momento che non sappiamo da dove partire.»
Harry e Ron si scambiarono uno sguardo perplesso.
«Facciamoci suggerire qualche Serpeverde stupido come Crabbe e Goyle da Blaise e dalle Greengrass e verifichiamo se Nott e la Parkinson sanno qualcosa.»
«Credi che possa essere la Parkinson?» le domandò Ginny. «Che abbia tipo escogitato un piano per farti fuori e potersi accaparrare Draco? Ma lui non la sposerebbe comunque!»
«Dico solo che non possiamo escluderla», rispose atona Hermione. «Lei è una di quelli che non hanno mai neanche provato a sforzarsi di adattarsi ed essere civili nei nostri confronti.»
Il moro si morse l’interno della guancia, poi sospirò rassegnato. «Non posso crederci che ci risiamo di nuovo.»
«Già», commentò Ron con un’espressione funebre sul volto. «Possiamo almeno scegliere qualcuno che non abbia un’essenza di merda come quella di Crabbe e Goyle questa volta?»
«A me basta che non abbiano animali», ribatté Hermione e tutti risero, rammentando vividamente la brutta esperienza della giovane quando erano solo al secondo anno di scuola. Poi lei tornò seria. «Non date nell’occhio quando indagate su chi potremmo prendere di mira.»
«Non vuoi coinvolgere le Serpi?» chiese Ginny schiudendo le labbra.
«Nessuno di noi vuole», disse prontamente Harry. «Cerchiamo sempre di non coinvolgere le persone che amiamo in queste faccende, ricordi?»
La ragazza deglutì e distolse lo sguardo da lui.
Quello era il motivo per cui l’aveva lasciata durante la guerra. Ginny ne aveva compreso le intenzioni, ma al contempo aveva trovato stupido che lo facesse, dal momento che tutti sapevano di loro due e non era di certo mettendo un punto alla loro relazione che l’avrebbe protetta, non quando suo fratello era il suo migliore amico.
«Se non te la senti di nascondere questa cosa a Blaise fino a cose fatte…» fece Hermione, ma lei scosse il capo decisa.
«No, no» dichiarò. «Ci sto.»
§
Hermione era avvolta dal buio, nel mezzo di una foresta; persino le stelle sembravano essere spente, quella sera. Tirò fuori la sua bacchetta e mormorò «Lumos!» sottovoce, in cerca di un minimo luce per vedere dove stesse mettendo i piedi.
C’era un continuo sibilare che riecheggiava nel silenzio e quello era l’unico suono che riverberava tra gli inquietanti alberi.
Si portò le mani sulle labbra con orrore.
Erano bruciati. Tutto, in quella foresta, era morto.
Spostò lo sguardo sul pavimento e urlò di terrore.
Corpi.
Sangue.
Morti.
Innumerevoli morti.
E un grosso, enorme, serpente, che si dirigeva verso di lei, strisciando nel denso liquido rosso.
“Uccidere” sibilava e per qualche motivo, Hermione riusciva a comprenderlo.
“Uccidere…”
Due familiari occhi gialli la fissavano, mentre la sua pelle diveniva dura e rigida.
Il suo corpo, divenuto ormai di pietra, crollò sul terreno con un tonfo sordo.
Un cadavere. Sapeva di essere morta, ma continuava ad essere consapevole di ciò che accadeva attorno a lei.
Le zanne del serpente perforarono la sua pelle e il suo sangue iniziò a colare copiosamente, mischiandosi a quello delle altre vittime…
 
Si risvegliò di scatto sudando freddo e si precipitò in bagno per vomitare.
Le venne difficile, perché la sera prima aveva saltato la cena e non aveva niente nello stomaco se non un po’ di Succo di Zucca, ma l’esigenza di rimettere era troppo forte.
Scoppiò a piangere senza rendersene conto, cercando disperatamente di calmarsi e darsi un contegno, ma nulla di ciò che provò a fare riuscì a tranquillizzarla.
Non l’acqua fredda sul suo viso, non gli esercizi di respirazione che il Magi-psicologo con cui aveva parlato qualche volta dopo la guerra le aveva consigliato di fare per scacciare via l’effetto dei suoi incubi. Di solito funzionava, ma quella volta era diverso, perché quel sogno sembrava più reale di quando erano i ricordi della guerra a tornare nella sua mente per tormentarla e il terrore che aveva provato nel vedere il Basilisco sembrava non volersi dissipare.
§
«Millicent Bulstrode e Malcom Baddock sembrano i candidati migliori» commentò Hermione. «La Bulstrode è da sempre quella che credo possa avvicinarsi a una migliore amica per la Parkinson e Baddock gira sempre attorno a Nott da quando sembra aver superato la sua fase da idiota allampanato.»
Ron soffocò una risata. «Avere accesso alla sua eredità deve aver fatto bene al suo ego.»
«Non che i Nott abbiano molto di cui vantarsi, di questi tempi» commentò Ginny, sprezzante.
Hermione sapeva che si era sfidata più volte con Nott dall’inizio dell’anno scolastico e i loro duelli durante Difesa Contro le Arti Oscure erano sempre molto accesi. Blaise si era addirittura preso due fine settimana di punizione per avergli tirato un pugno talmente forte da rompergli il naso.
«Come facciamo a fargli assumere la pozione soporifera?» chiese il ragazzo. «Non sono scemi quanto Crabbe e Goyle.»
Hermione si morse il labbro inferiore. «Ci penseremo a tempo debito. Ci serve un mese perché la Polisucco sia pronta, è comunque un piano B questo. Dobbiamo indagare per conto nostro, nel frattempo, magari setacciare la biblioteca…»
Il passaggio si aprì all’improvviso e Draco apparve nella loro visuale, bloccandosi immediatamente alla scena che si parò davanti ai suoi occhi.
Hermione sentì il cuore accelerare i suoi battiti.
«Cosa succede?» chiese freddamente il biondino. «Che state tramando questa volta?»
La ragazza sbuffò dal naso, mentre la rabbia si diffondeva nuovamente dentro di lei.
Come poteva pretendere risposte quando ignorava la sua esistenza da quasi due settimane?
Uno spostamento d’aria alle sue spalle attirò la sua attenzione e Hermione decise che ripagare il Serpeverde con la sua stessa moneta fosse la cosa più giusta da fare, optando per ignorare bellamente le sue domande.
«Lo hai preso?» chiese, rivolgendosi direttamente a Harry che sbucava da sotto il Mantello dell’Invisibilità proprio in quel momento.
«Dannazione, Potter! Come diavolo sei entrato?» esclamò irritato Draco, ma il moro scrollò le spalle.
«Ero dietro di te», gli rispose con nonchalance, poi lanciò una fiala a Hermione.
«Ora speriamo che Lumacorno non tenga conto delle sue scorte quanto Piton» commentò Ron e lei non poté che convenire con lui.
Sentì il biondino sbuffare e raggiungerli a grosse falcate. «Qualcuno mi può spiegare che sta succedendo?»
«Prepariamo la Polisucco per infiltrarci nella Sala Comune di Serpeverde e scoprire se Nott e Parkinson sanno qualcosa degli attacchi», rispose sbrigativamente Ginny.
Hermione le scoccò un’occhiataccia. «Pensavo avessimo deciso di non coinvolgere-»
«Siete impazziti?» tuonò Draco, interrompendoli.
Ron sghignazzò. «Non è che sarebbe la prima volta che facciamo qualcosa del genere! Anzi, a questo punto, direi che potremmo quasi considerarla una nostra specialità.»
«E questo che vorrebbe dire?» domandò il biondino, perplesso.
Hermione avvampò, mentre Harry sospirava e raccontava a Draco del secondo anno.
«Avevamo bisogno di informazioni e pensavamo che tu potessi essere l’erede di Serpeverde», disse concitata in loro difesa, vedendo l’espressione di accusa sul viso del giovane. «Insomma “ora tocca a voi, Sanguemarcio”» citò ancora, scimmiottando la sua voce da bambino.
Draco impallidì a quelle parole e le rivolse un’occhiata indecifrabile; poteva vedere i suoi muscoli irrigidirsi anche se nascosti sotto la stoffa della divisa. Ingoiò a vuoto, poi arretrò senza dire niente e sparì nella sua stanza, sbattendosi la porta alle spalle con un tonfo.
Hermione sospirò.
Era sicura di aver appena peggiorato le cose tra di loro, ma non poteva di certo cancellare i loro trascorsi. Se Draco pensava che sarebbe stata in grado di farlo, aveva preso un bel granchio.
I suoi amici le rivolsero dei sorrisi tristi e la sollecitarono per convincerla ad andare a cena con loro. Mentre si dirigevano verso la Sala Grande, Harry la trattenne nel corridoio per parlare da soli.
«Siete ancora ai ferri corti, eh?»
Hermione annuì triste. «Crede che io nutra ancora dei dubbi su di lui», spiegò brevemente, «sulle sue posizioni
«Ed è vero?» le chiese il giovane, alzando un sopracciglio.
Lei sospirò. «In parte, immagino. C’è una piccola parte di me che non è ancora pronta a mettere la mano sul fuoco per lui e non so, molto onestamente, se lo sarà mai. Sto scegliendo di vedere il buono e di credere in lui, ma Harry… dannazione, è così sbagliato che per un momento non sono stata sicura di volermi fidare, visto che ci va di mezzo la vita di tanta gente? Di un gruppo di ragazzini innocenti che per l’ennesima volta è divenuto il bersaglio di qualche psicopatico bigotto?»
Harry scrollò le spalle. «Forse no, forse sì. Io la penso come te, non fraintendermi, ma credo che dipenda dal punto di vista? Cioè ha ammesso pubblicamente di amarti, un po’ capisco che si sia sentito ferito dalla tua esitazione.»
«Se l’unica vita a rischio fosse stata la mia non avrei esitato neanche per quel secondo, ma quando si ha sulle spalle la responsabilità di tanta gente… insomma…»
«Mione, lo so e ripeto, io sono d’accordo con te. E probabilmente avrei fatto la stessa cosa se fossi stato al tuo posto e dall’altra parte ci fosse stata Daphne», ammise lui a malincuore. «Qualche mese non basta a fare ammenda per anni. E mi dispiace, perché credo che la cosa lo abbia ferito dal momento che tutto ciò che ha fatto negli ultimi mesi è stato cercare di diventare una persona migliore e renderti felice… Ma non credo che tu sia biasimabile per esserti presa mezzo secondo di riflessione prima di dare la tua parola per lui. Dovrebbe capirlo.»
Hermione annuì lentamente e poi si lasciò abbracciare dal suo migliore amico, sentendosi immediatamente sollevata.
«È stato solo un attimo, però» disse prima di entrare in Sala Grande. «E si sta comportando come se mi fossi presa giorni per prendere una decisione.»
«Se ne accorgerà», la rassicurò Harry. «Draco non è stupido e sa che il suo passato ha un peso, che ne deve passare di acqua sotto i ponti prima che la gente possa essere pronta a mettere la mano sul fuoco per lui. Anche se sei tu.»
Lei gli rivolse un sorriso triste, cercando di fargli credere che l’avesse rincuorata, ma la verità era un’altra: Draco le mancava terribilmente e iniziava a pensare che non sarebbe mai più tornato da lei.
 
***
Draco
 
C’era una parte di lui che era fermamente convinta di stare sbagliando.
Era perfettamente consapevole del fatto che il breve momento di esitazione della Granger fosse comprensibile, che stava esagerando, ma non riusciva a calmarsi, perché vedere quel barlume di dubbio nei suoi occhi lo aveva ferito come niente aveva fatto prima di allora. Anche se un solo secondo di esitazione era in realtà molto più di quanto meritasse; chiunque altro ci avrebbe impiegato molto di più a decidere se credere in lui o meno e, probabilmente, alla fine avrebbe optato per la posizione opposta a quella che aveva preso Hermione.
La verità era che aveva paura di dire qualcosa di sbagliato, perché quando era arrabbiato o ferito Draco era pericoloso con le parole, allora la stava tenendo a distanza nel tentativo di evitare scivoloni dai quali non si sarebbero mai più ripresi.
Doveva prima sbollire, ritornare lucido.
Il dolore alla schiena gli era diventato quasi intollerabile, però; continuava a dormire nel salotto, in modo da poter intervenire nel caso in cui la Granger fosse caduta in trance come Canon e avesse tentato di lasciare il dormitorio. Quello era l’unico modo in cui poteva farlo visto che erano quasi due settimane che non dormivano insieme.
Peggio del dolore fisico, c’era solo quello che provava internamente, perché lei gli mancava; il suo letto profumava ancora di lei e quando la sua mente ritornava ai momenti che avevano condiviso insieme, il cuore gli pareva sanguinare dal desiderio di stringerla tra le braccia.
Sussultò nel sentirla bussare con forza contro la porta della sua stanza.
«Draco, per quanto tempo hai intenzione di portarla avanti?» la sentì tuonare dall’esterno. «Possiamo parlare?»
Lui sbuffò, aprì la porta e la guardò con gli occhi ridotti a due fessure. «No.»
Poi richiuse di nuovo la porta, sbattendogliela praticamente in faccia.
La sentì borbottare qualcosa sulla sua drammaticità e ingestibilità mentre usciva dal ritratto; un silenzio innaturale seguì quella breve e brusca interazione.
Era rimasto all’erta per ore e quando l’orologio segnò le ventitré di sera, la sua irrequietezza aveva ormai raggiunto livelli stellari.
Non l’aveva sentita rientrare.
Si gettò giù dal letto, ingoiò le sue paure e si incamminò verso la Torre di Astronomia.
Soppresse il ricordo degli eventi traumatici di cui aveva fatto esperienza in quel luogo e risalì le scale; si affacciò alla ringhiera e sospirò di sollievo nel constatare che non fosse accaduto niente.
Ma allora, dov’era?
«Potter!»
Fu grato di incontrarlo mentre era di ronda; gli corse incontro quasi disperato.
«Malfoy.»
«Hai visto Hermione?» gli chiese con urgenza.
«Cosa ti importa?» ribatté lui. «Eravamo d’accordo sul non lasciarla da sola e tu la sbatti fuori dalla tua stanza proprio ora?»
Draco sbuffò. «Sto dormendo sul divano per questo, Potter. Potrò anche essere arrabbiato con lei, ma i miei sentimenti sono sempre gli stessi. La voglio proteggere, voglio saperla al sicuro.»
Il Prescelto fece ruotare gli occhi. «Sei un imbecille se pensi di poterti fare la ragione riguardo a come la stai trattando, soprattutto visto che non le dai modo di parlarti. Continua ancora per un altro po’ e la perderai.»
Il biondino si morse il labbro inferiore, registrando quelle parole che era consapevole fossero vere, poi sospirò e abbassò il tono della sua voce. «Allora, l’hai vista o no?»
«È tornata alla Torre di Grifondoro. Ha detto che avrebbe dormito lì.»
Draco annuì e poi gli voltò le spalle per tornare al dormitorio dei Caposcuola, mentre avvertiva una strana sensazione all’altezza dello stomaco e delle fitte colpirlo in corrispondenza del suo petto.
«Malfoy», sentì Potter gridargli dietro. «Ti stai comportando come un maledetto idiota!»
Lui ignorò l’avvertimento, ma quando si ritrovò da solo nella Sala Comune e il primo lampo di una violenta tempesta di marzo che si prospettava durare per tutta la notte illuminò la stanza, l’oppressione al petto divenne quasi insostenibile per lui.
Sarebbe riuscita ad addormentarsi senza le sue braccia che la stringevano forte? Avrebbe avuto degli incubi che nessuno si sarebbe premurato di aiutarla a scacciare via? avrebbe pianto, desiderando di averlo vicino? O lo avrebbe odiato, sentendosi abbandonata?
Si ritrovò a chiedersi se la ragazza avvertisse la sua mancanza, come lui avvertiva quella di lei.
La sua incapacità di affrontare la questione faccia a faccia con lei e il suo comportamento freddo l’avevano fatta andare via… E pensare che il motivo principale per cui continuava a rimandare il confronto era che temeva di sentirsi dire che non si sarebbe mai fidata completamente di lui.
§
Si scontrò con Hermione prima di lasciare il dormitorio la mattina dopo.
Stava rientrando, probabilmente per recuperare il materiale per le lezioni del giorno, e si arrestò per un secondo quando lo vide e incrociò il suo sguardo, ma lo distolse quasi subito e si affrettò a raggiungere la scala, superandolo senza più degnarlo di attenzione.
Draco la raggiunse a passo spedito, le afferrò un polso con decisione e la intrappolò tra il muro e il suo corpo.
«Che diamine ti salta in mente, Granger?» sibilò prendendole il volto tra le mani. «Mi hai fatto morire di paura ieri sera.»
Hermione sollevò un sopracciglio. «Vado di fretta, Draco.»
«Hermione, per favore» rispose lui. «Mi dispiace, va bene? Ho esagerato e avrei dovuto reagire diversamente.»
«Tu credi?»
«Sì, ma mi hai ferito…»
«E allora tu mi ferisci a tua volta?» lo interruppe lei caustica.
Draco corrugò la fronte. «Scusami?»
«Come credi siano state per me queste due settimane?» gli urlò contro. «Con te che mi trattavi come se non ti importasse più nulla della mia esistenza? Senza poter capire se eravamo ancora una coppia o meno?»
«Granger, non ti lascerei mai!»
Lei ignorò quell’obiezione. «Credi che io sia stata tranquilla, che non sia stata male per questa situazione? Che tu non mi sia mancato? Che io non mi sia sentita abbandonata
Draco deglutì, realizzando in pieno la cazzata che aveva fatto. Avrebbe dovuto capirlo prima. La Weasley gli aveva parlato dei suoi timori e lui… l’aveva allontanata al primo problema. «Volevo solo sbollire, evitare di dire qualcosa di sbagliato…»
«Non puoi mettere in stand-by la nostra storia perché non sai gestire i conflitti, Draco. Non puoi allontanarmi in quel modo solo perché sei arrabbiato, perché ad un certo punto, potresti non trovarmi lì ad aspettarti ancora quando avrai deciso di tornare. Io non sono Pansy Parkinson, chiaro?» ringhiò poggiando le mani sul suo petto e spingendolo via esercitando una pressione secca e determinata.
«Mi dispiace che esitare per una frazione di secondo nel garantire per te ti abbia ferito così tanto», aggiunse guardandolo torvo. «Ma non mi scuserò con te per essermi presa un momento prima di decidere della vita di altre persone.»
«Granger…» fece per parlare, ma lei glielo impedì.
«No», sibilò, mostrandogli il palmo della mano. «Ora ho bisogno di sbollire io.»
§
Non dormì al dormitorio neanche quella notte, né quella successiva.
Le uniche parole che gli disse in quei giorni furono delle fredde parole scarabocchiate frettolosamente sul diario.

‘Resto alla Torre di Grifondoro.’

‘Non aspettarmi.’

Non aveva pensato neanche per un istante che lei potesse interpretare il suo silenzio in quel modo. Avrebbe dato qualsiasi cosa per potersi fare perdonare da lei, per poterla stringere a sé di nuovo, ma ora era Hermione a evitare lui.
«Hai detto di amarmi», gli aveva detto il giorno prima, quando le aveva chiesto di tornare nella sua stanza. «E poi mi hai lasciata da sola per due settimane, al primo problema. Se è questo che vuol dire essere amata da te, non sono più sicura di volerlo.»
Quelle parole erano state come una pugnalata nel petto per lui e non aveva smesso di riudirle neanche per un secondo; la paura di perderla si faceva sempre più forte dentro di sé e iniziava a sentirsi leggermente disperato.
Sbuffò nel realizzare che quella mattina non sarebbe passata dal dormitorio; probabilmente si era portata dietro la cartellina già sistemata… o forse aveva trasferito tutte le sue cose nel dormitorio femminile della Torre di Grifondoro.
Il pensiero gli fece sprofondare il cuore nel petto.
Quello significava averla già persa.
§
Non pensava, onestamente, che la sorte gli si sarebbe accanita contro in quel modo; anche se ormai avrebbe dovuto essere abituato a ciò.
Infatti, quando raggiunse la Sala Grande quella mattina, trovò una sorpresa orrenda ad attenderlo.
La McGranitt aveva annunciato che Viktor Krum era in visita al castello e che si sarebbe fermato lì per un paio di giorni.
Con la coda dell’occhio, aveva visto Pansy scostare bruscamente Millicent Bulstrode per fare spazio all’ospite, ma Draco era più che certo che fosse una premura inutile, che lui non avesse affatto l’intenzione di sedere al tavolo di Serpeverde quella volta e infatti, Krum puntò dritto verso quello di Grifondoro.
Dritto verso di lei.
Draco sbatté un pugno sul tavolo, ma il fracasso dovuto al suo gesto si perse tra i chiacchiericci concitati che si levavano tra gli studenti.
«Stai calmo», sussurrò Daphne al suo orecchio.
«Come faccio a stare calmo?» sbottò lui, guardando accigliato il bulgaro che baciava la mano di Hermione e le si sedeva accanto, mentre lei gli sorrideva con calore.
A Draco mancavano quei suoi sorrisi genuini.
Il suo stomaco sembrava contorcersi dolorosamente e i morsi della fame sembravano ormai un ricordo lontano.
«Non so neanche se stiamo ancora insieme e quell’idiota decide di tornare proprio ora!»
«Si fermerà solo due giorni», lo rassicurò Blaise.
«Due giorni di troppo!» ringhiò ancora il biondino.
Zabini si morse il labbro per non ridere. «Se piombi lì e fai una scenata di gelosia è la volta buona che ti lascia seriamente.»
Draco sbuffò. «Non sono stupido.»
«Io credo di sì, invece» obiettò Daphne. «Insomma, hai reso una frazione di secondo un affare di stato.»
«Era una frazione di secondo di troppo!» sbottò lui, incrociando le braccia al petto.
Blaise scosse il capo. «Smettila di comportarti come un bambino capriccioso! Visti i vostri trascorsi, i tuoi soprattutto, avresti dovuto sentirti lusingato che ci avesse messo così poco a decantare la tua innocenza davanti al Ministero, invece di arrabbiarti.»
Il biondino sospirò. «Lo so», ammise sommessamente. «Non stavo ragionando…»
«Ovviamente», commentò la Greengrass in tono asciutto. «Ora vedi di startene buono, prima di peggiorare irreparabilmente le cose.»
Draco diresse di nuovo lo sguardo al tavolo dei Grifondoro e non ci pensò minimamente a rassicurare Daphne dicendo che non avrebbe fatto nulla.
Krum cercava in tutti i modi di tenere l’attenzione di Hermione incentrata su di sé, lei gli parlava tranquillamente, Potter ascoltava e di tanto in tanto annuiva distrattamente, mentre la faccia di Weasley era tutto un programma.
Il fatto che il rosso guardasse Krum con un’espressione schifata che non aveva mai rivolto neanche a lui gli diede una leggera soddisfazione, anche se non lo avrebbe mai ammesso a voce alta. Condivideva totalmente quel sentimento nei confronti del Cercatore, comunque, sentimento che andava inasprendosi sempre più man mano che studiava e analizzava il suo atteggiamento nei confronti di Hermione.
Quando li vide alzarsi e dirigersi fuori dalla Sala Grande, Draco si alzò con uno scatto e li raggiunse quasi correndo.
«…bere una cosa insieme a Hogsmeade, Hermiùn» stava dicendo Krum, speranzoso.
Draco fu al fianco della ragazza in un baleno; la sua mano scivolò possessiva attorno alla sua vita e anche se la sentì irrigidirsi, lei non si scostò, né protestò in alcun modo.
«Krum», esordì gelidamente.
Il bulgaro li fissò sconcertato per un momento, poi fece un passo indietro. «Malfoy.»
Alla sua comparsa, l’ospite del castello era diventato improvvisamente rigido e lo guardava con un’espressione dura e circospetta dipinta sul viso arcigno.
«Temo di aver sentito male, o stavi chiedendo alla mia ragazza un appuntamento?»
Hermione gli tirò una gomitata nel fianco, ma Draco si obbligò a reprimere il gemito di sorpresa che ne seguì.
«Allora è vero, Hermiùn?»
Lei deglutì e annuì, guardandolo negli occhi con determinazione.
«Tu afere pessimi gusti.»
«Io invece direi che ha fatto un salto di qualità dal quarto anno» ribatté piccato il Serpeverde, le labbra distese in un sorriso affettato e gelido.
Krum arricciò il naso e poi si rivolse a Harry. «Ci fediamo per partita a Quidditch.»
Il Prescelto annuì e poi Viktor si allontanò, probabilmente per raggiungere il luogo dove avrebbe passato la notte; Draco non aveva idea di dove lo avesse sistemato la McGranitt, sperava solo non fosse nella Torre di Grifondoro.
«Ti giuro, Harry» esclamò Ronald, nella voce un tono di avvertimento e una velata minaccia. «Se non gli soffi il boccino ti ammazzo.»
«Ma vedi un po’» commentò sardonico Draco. «Io che concordo con Weasley per la prima volta nella storia e probabilmente anche l’ultima!»
Harry sgranò gli occhi e guardò Hermione. «Come diavolo dovrei fare a prendere il boccino prima di un Cercatore affermato a livello internazionale?»
«Ignorali», rispose lei, alzando gli occhi al cielo. «E poi, è solo un’amichevole.»
«No», ribatté Ron. «È più importante di Grifondoro-Serpeverde della prossima settimana.»
«Hai sconfitto Voldemort» aggiunse Draco. «Sono sicuro che troverai il modo di battere Viktor Krum durante una partita di Quidditch.»
La mascella di Harry cadde a terra. «Voi due state fuori!»
Draco e Ron scrollarono le spalle, come se le loro pretese fossero normali.
Hermione sbuffò e prese a camminare. «Buonanotte Harry, buonanotte Ron.»
Draco le corse dietro. «Torni al dormitorio?»
«Sì.»
«Nella mia stanza?» le chiese ancora, con tono speranzoso.
«Al dormitorio», rispose lei, secca.
«Nella mia stanza» replicò il biondino, rivolgendole un sorriso sornione. «Per favore?» aggiunse poi, incerto, vedendo che il cipiglio della giovane non accennava a sparire.
Hermione fece ruotare gli occhi. «Se mi prometti di non ripetere quello che hai fatto poco prima con Viktor.»
«Viktor?» ripeté lui stizzito.
«Forse è il caso che resti alla Torre anche questa sera…»
«No, no» fece Draco. «La smetto. Ho davvero… bisogno di parlarti, risolvere questa cosa.»
Hermione lasciò andare un sospiro di rassegnazione. «Andiamo… serpe dei miei stivali.»

 
 

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Capitolo 37
*** Capitolo 36. Congetture ***


CAPITOLO 36
Congetture







 
 

 

 
Hermione
 
Restare lontana da Draco si era rivelata l’impresa più difficile che avesse mai compiuto.
La distanza le aveva fatto realizzare che quando non erano insieme, quel furetto platinato le mancava terribilmente e anche se l’aveva fatta sentire uno schifo per due settimane invece di prendere la situazione di petto e affrontarla, Hermione era contenta che tutta quella faccenda si fosse risolta.
Aveva sbollito la rabbia dopo due giorni. A urtarla era stato principalmente il fatto che dopo tutto quel silenzio e tutte le volte in cui le aveva sbattuto la porta in faccia quando gli aveva chiesto di parlare, il biondino si fosse riavvicinato all’improvviso pretendendo delle spiegazioni da lei, invece di discutere del problema da cui era scaturita tutta quella situazione. Non le importava neanche di ricevere delle scuse per il suo comportamento, voleva solo che Draco comprendesse dove aveva sbagliato e che non le propinasse mai più una simile reazione, a prescindere dall’entità dell’eventuale problema.
«Non capisco perché debba essere io quello che ha sbagliato nella conversazione con Krum.»
«Perché ti stava provocando e tu ci sei cascato in pieno», disse lei con ovvietà.
Draco sbuffò. «Non sono come te, non riesco a tenermi le cose. Anche quando ti infastidivo, non capivo come riuscissi ad ignorarmi.»
«Tu mi infastidisci ancora» replicò Hermione, ma abbozzò un mezzo sorriso.
«Rispondere alle provocazioni dà solo più soddisfazione a chi le fa», affermò poi. «Dimmi che il mio silenzio non ti faceva infuriare di più di una qualsiasi risposta.»
Lui fece schioccare la lingua e alzò gli occhi al cielo. «E comunque, non ci saresti potuta andare a Hogsmeade con quell’idiota.»
La ragazza si voltò a guardarlo. «E perché mai?»
«Hai già un impegno per domani», asserì in tono convinto lui, poi disse la parola d’ordine a Sir Cadogan e tese la mano per invitarla a entrare per prima.
«Non credo», sussurrò lei pensierosa.
«Sì invece.»
«Illuminami.»
«Hai un appuntamento con me» affermò il biondino.
Hermione arrossì. Quella era una cosa che non avevano potuto ancora fare perché le uscite a Hogsmeade erano state sospese dopo l’attacco a Justin e per qualche motivo l’idea di avere un appuntamento con lui la innervosiva terribilmente.
Non era brava in quelle cose e persino le cene fuori con Ron nei tre mesi di relazione che avevano avuto erano state un disastro.
«Non ricordo che tu mi abbia mai chiesto-»
«Te lo sto chiedendo ora», commentò lui, sollevando un sopracciglio. «E comunque, sei la mia ragazza. Avrò pure il diritto di invitarti fuori a pranzo, no?»
Hermione gli sorrise. Si ritrovò intrappolata tra il muro e il corpo del biondino senza neanche rendersene conto, come spesso le accadeva.
Le dita di Draco si muovevano dolcemente sulle sue guance ed erano più vicini di quanto non fossero stati in quelle due settimane; chiuse gli occhi, respirò a fondo il suo profumo.
«Mi sei mancato, sai?»
Il biondino posò la fronte contro quella di lei. «Anche tu.»
Le sue labbra erano vicine e al contempo troppo lontane; esitavano a un soffio dallo scontrarsi con violenza, in una tortura che per lei era decisamente superflua, così scattò in avanti e colmò le distanze tra di loro. Affondò le dita nella sua pelle e lo strinse contro di sé, facendo scivolare la mano tra i suoi capelli biondi; Draco la afferrò per i fianchi, dirigendosi in fondo alla stanza, la fece sedere sul tavolo e si posizionò tra le sue gambe, mentre le sue mani percorrevano lascive e bramose le linee lasciate scoperte dalla divisa. Quando esse si insinuarono sotto la sua camicia, con le dita che risalivano lungo la sua spina dorsale alla ricerca del gancetto del suo reggiseno da liberare, Hermione sobbalzò leggermente.
«Aspetta, Draco…»
Lui grugnì la sua protesta, ma si allontanò leggermente da lei e le rivolse uno sguardo carico di desiderio che la fece deglutire.
«Dovremmo prima parlare.»
Il biondino sospirò rassegnato e arretrò, per poi lasciarsi cadere pesantemente sul divano; sbuffò con forza, facendo sollevare un ciuffo ribelle dei suoi capelli spettinati. Le sue guance erano già arrossate e il suo labbro inferiore era leggermente gonfio dopo il morso un po’ troppo forte che Hermione gli aveva lasciato mentre si stavano baciando.
La ragazza prese posto al suo fianco e restò in attesa che lui parlasse.
Dopo qualche minuto di silenzio impiegato per regolarizzare il respiro, Draco si passò una mano sul volto e deglutì.
«Quello che mi ha ferito» iniziò in un sussurro, tirando su col naso, «è che per un istante hai considerato l’idea che potessi essere capace di elaborare un piano che potrebbe ferirti, che ha ucciso un ragazzino e potrebbe continuare ad uccidere.»
«Non ho mai detto questo!» rispose lei, con un acuto indignato. «Mi è stato chiesto se fossi certa che non avessi più pregiudizi, non se fossi certa che non avessi ucciso nessuno o che non ne avessi l’intenzione! Differenza che ti avrei fatto notare subito, se tu non fossi stato così ostinato a farti la vittima, come al solito.»
«E tu credi che questo invece non faccia male?»
Le rivolse un’occhiata indecifrabile, estremamente sofferta.
C’era qualcosa in lui, una sorta di aria malinconica e tormentata, che riusciva ad avere sempre la meglio su di lei; le faceva stringere il cuore, perché in realtà sapeva perfettamente quanto soffrisse e rimpiangesse le sue azioni passate, l’ideologia che aveva appoggiato ciecamente perché non aveva mai pensato che gli insegnamenti dei suoi genitori potessero essere errati.
«Sapere che non ti fiderai mai completamente di me? Che una parte di te metterà sempre in dubbio i miei sentimenti per te, l’opinione che ho di te o il rispetto che nutro nei tuoi confronti? E lo so che è colpa mia, ma io non so cosa… come fare, per farti capire che non penso più niente di tutta quella merda.»
Hermione sospirò. «Questo lo so, non sarei qui con te altrimenti…»
«Allora cosa c’era da dubitare?»
Lei deglutì, poi piantò lo sguardo sul pavimento. «Immagino che per un momento abbia ripensato alle cose che mi ha detto Pansy Parkinson…»
Draco soffiò dal naso e chiuse gli occhi; si prese il volto tra le mani, scosse il capo.
«Mi avevi promesso che non le avresti permesso di entrarti in testa.»
«È stato solo un momento…»
«Non credo», la interruppe lui. «Hermione, so tutto.»
Lo guardò sbattendo le palpebre per qualche istante. «Cosa?»
«So che ti ripete scemenze da mesi, che non mi hai parlato di molti scontri che avete avuto…»
«Oh», esclamò sorpresa la Grifondoro. «Non dirò mai più nulla a Ginny, giuro…», borbottò stizzita.
Il biondino fece ruotare gli occhi. «Credo che dovremmo entrambi ringraziarla, invece» ribatté lui. «O smettere di nasconderci le cose e iniziare a discutere dei nostri dubbi.»
«Prego», lo incoraggiò lei, deglutendo, perché era l’ultima cosa che volesse fare in quel momento. «Comincia tu.»
In tutta onestà, lei preferiva attendere, vedere come si sarebbero evolute le cose e poi trarre le conclusioni analizzando i fatti. Una comunicazione totalmente aperta con Draco Malfoy poteva essere un’arma a doppio taglio, la risoluzione a tutti i loro problemi, o la tomba della loro storia.
«Io non ne ho, Hermione.»
Hermione dischiuse le labbra per la sorpresa, soprattutto per la completa assenza di esitazione nella sua voce, e Draco sospirò sconfortato.
«Senti, possiamo smetterla e basta?» le chiese sommessamente. «Non ne posso più. Mi manchi… Ho voglia di te
La afferrò per un braccio e se la tirò contro, chiudendo una mano a coppa sulla sua guancia. C’era disperazione nel suo sguardo. «Possiamo lavorare sui nostri problemi un’altra volta?»
La giovane sorrise debolmente. «Mi sembra un buon piano.»
§
I suoi incubi continuavano a tormentarla quasi ogni notte. Scenari cupi e macabri che si susseguivano, serpenti striscianti, sibili penetranti e sangue, tanto sangue.
Dormire con Draco non l’aiutava più come prima; quando i brutti sogni erano dovuti alle conseguenze della guerra, la sua presenza era in grado di tranquillizzarla e rilassarla, ma ora era come se fosse di nuovo da sola nella sua stanza del dormitorio femminile.
Non riusciva a spiegarseli e ancor meno riusciva a comprendere come mai a volte le sembrasse di sentire il sibilare anche da sveglia, come in quel momento.
Si alzò dal banco dov’era seduta e si avvicinò alla tenda rossa e oro che copriva una delle finestre nella Sala Comune di Grifondoro; tese la mano per scostarla…
«Hermione?»
La voce di Harry la fece sussultare.
«Ehi, Harry!» disse lei, con un acuto stridulo che si affrettò a mascherare, mentre dava una sbirciatina rapida dietro la stoffa.
Niente.
Non c’era niente, eppure il verso sembrava venire da lì.
Harry si lasciò cadere sul divano e sbuffò. «Abbiamo setacciato l’intera biblioteca», annunciò, mentre Ron faceva il suo ingresso con aria sconfitta.
«Anche il Reparto Proibito», specificò il rosso, sedendosi accanto all’amico.
«Niente, non abbiamo trovato assolutamente niente» concluse il Prescelto, demoralizzato.
Hermione sospirò e prese posto su una delle poltrone vuote di fronte a loro.
«Non che mi aspettassi un’illuminazione o altro», mormorò mestamente. «Sospetto che Silente abbia fatto sparire tutti i testi più oscuri dopo la storia di Tom Riddle e degli Horcrux. Questa è comunque una scuola…»
«Sì, beh» fece Ron, mordendosi un labbro. «Abbiamo anche pensato che forse dovremmo cercare altrove…»
La ragazza corrugò la fronte. «Tipo?»
«Tipo», disse Harry, sospirando. «Potresti chiedere a Draco se ci consentirebbe l’accesso alla biblioteca di Malfoy Manor.»
Hermione li guardò come se fossero impazziti.
«Andiamo, è il tuo ragazzo, no?» esclamò il rosso. «E vuole risolvere questa faccenda quanto noi, pare…»
«Sì, ma dubito che suo padre sarebbe contento di vederci piombare lì.»
«L’ultima volta non sembrava dispiacergli» commentò sardonicamente lui.
«Non è divertente, Ron» lo rimbeccò Harry.
La loro ultima e unica visita a casa Malfoy non era un bel ricordo per nessuno e non se la sentivano affatto di scherzare sulla cosa; Ron, invece, aveva ereditato la tendenza a ironizzare su tutto dai suoi fratelli Fred e George, sebbene anche lui rivivesse quell’esperienza traumatica nei suoi incubi più volte di quanto era solito ammettere davanti ai suoi amici.
«Scusate, avete ragione, è stato inopportuno.»
«Prova a chiederglielo, no?» insisté il moro. «Insomma, lì abbiamo sicuramente più possibilità di trovare qualcosa!»
«Non credo ci sia rimasto niente di esageratamente oscuro dopo tutte quelle ispezioni del Ministero…» divagò ancora lei.
«Cosa ci costa tentare?» rincarò la dose Ron. «Sempre meglio di arrendersi e non fare nulla, no?»
Hermione sospirò. «Anche se fosse… Io lì non ci posso tornare», disse deglutendo. «Non riesco e non voglio. Per cui posso chiederglielo, ma nel caso in cui dicesse di sì, ci dovrebbe andare uno di voi due.»
«Bene, ci vado io» asserì in tono fermo Harry.
«E ci occorrerebbero diverse autorizzazioni… Una del Ministero per far uscire Draco dal castello… e una della McGranitt.»
«Una lettera a Kingsley dovrebbe fare la magia, no?» affermò rinvigorito il rosso.
La giovane si puntellò sul posto a disagio. «D’accordo allora, stasera glielo chiedo…»
Non voleva chiederglielo. Avevano deciso di tenere le Serpi fuori da quella storia, perché dovevano coinvolgere Draco?
«E poi stavo pensando» riprese a parlare il Prescelto. «Insomma, chi ci dice che la Maledizione o qualsiasi cosa sia, sia stata scagliata all’interno del castello?»
Ci aveva pensato anche lei a quell’eventualità.  
«Cioè, mettiamo caso che sia stato uno dei Mangiamorte ancora in libertà a causare tutto questo, quanto pensate possa essere difficile imbucarsi a Hogsmeade?»
Ron socchiuse gli occhi. «Soprattutto se quel qualcuno fosse un Animagus. Potrebbe attraversare le protezioni senza esser visto o notato, come faceva Sirius.»
Harry annuì. «Potrebbe averla scagliata mentre eravamo lì. Dovremmo fare un controllo incrociato dei nominativi degli studenti che hanno trascorso dei fine settimana a Hogsmeade, forse se siamo onesti con la McGranitt ci permetterà di indagare…»
Ron emise un suono simile a un grugnito e a una risata insieme. «Per poi chiederci di farci da parte quando la situazione diventerà pericolosa. Non è cambiato niente, per loro siamo comunque solo dei ragazzi e, nonostante ciò, dobbiamo fare tutto noi, come al solito.»
«Ho sempre pensato che fosse strano», considerò Hermione a quel punto, la voce distante come se fosse persa nei suoi pensieri. «Che solo Sirius sia riuscito ad introdursi nel castello prima d’ora. Non può essere l’unico a conoscere i passaggi segreti, anche se quasi tutti sono stati chiusi ora…»
I due la fissarono scioccati.
«Perché prendersi la briga di far aggiustare l’Armadio a Draco allora?» chiese il rosso, perplesso.
«Perché per entrare a Hogsmeade serve l’autorizzazione, ricordi? Sirius ha eluso gli allarmi perché era nella sua forma da Animagus, se un gruppo di Mangiamorte avesse oltrepassato le barriere avrebbe fatto un bel po’ di scena, dando il tempo di inviare l’allarme al castello…»
Il silenzio calò pesantemente tra di loro, mentre metabolizzavano quella riflessione ed elaboravano congetture su congetture.
«Hermione… Credi che ci sia un Mangiamorte nascosto nel castello?» domandò Ron arricciando il naso.
«Beh, se fosse un Animagus potrebbe essere possibile. Entrando da Mielandia, no? O dalla Stamberga…»
Il Prescelto iniziò a mordersi l’interno della guancia. «È una teoria» sospirò, prendendo a massaggiarsi le tempie.
«Hermione, non te la prendere» iniziò il rosso, «ma non hai mai pensato che Lucius Malfoy possa avere qualcosa a che fare con tutto questo?»
Le sopracciglia della ragazza scattarono all’insù. «Lucius Malfoy non può lasciare il Manor, no?» rammentò loro, iniziando ad avvertire una punta di panico.
Non voleva che Draco si ritrovasse altri problemi addosso a causa di suo padre. 
«E non può usare la bacchetta.»
«No, ma sua moglie sì» insisté Ron. «Se fossero d’accordo… intendo, hanno un movente, no?»
Lei.
Lo aveva sempre saputo, fin dall’inizio, che non c’era speranza che i coniugi Malfoy potessero accettare la storia tra lei e Draco.
Che fosse il loro modo di provare a separarli?
Che stessero cercando di… ucciderla, per assicurarsi di tenerla lontana dal figlio? E se la incolpassero per il suo cambiamento di posizione? Se sapessero dei diari…
Hermione si portò le mani alle tempie; la testa le faceva di nuovo male e in quel momento sembrava sul punto di esplodere.
«O potrebbe aver chiesto a qualcuno dei suoi ‘vecchi amici’ di occuparsene» aggiunse ancora il rosso. «Il bastardo è stato furbo, ha fatto solo nomi di Mangiamorte Mezzosangue, i Purosangue potrebbero essergli ancora fedeli…»
«Hermione, tu cosa ne pensi?» chiese Harry. «Credi che Draco abbia detto loro di voi due?»
La ragazza sbuffò. «No, non credo. Ma potrebbero averlo saputo da chiunque, in caso. E c’è stato quell’articolo sulla Gazzetta del Profeta… solo che gli attacchi sono iniziati prima, no?»
I due annuirono distrattamente.
«Sentite, non me la sento di escluderli dalla lista dei sospettati, ma… Potete non farne parola con Draco?» chiese con aria supplichevole. «A meno che non saltino fuori prove, ovviamente…»
«No, sì…»
«Certo…»
«…Assolutamente…»
Biascicarono confusamente, poi Harry sbadigliò e si alzò. «Forse è per il meglio se non sarai tu ad andare con lui, allora» commentò. «Ricorda di chiedergli quel favore. Ci vediamo domani.»

 
***
Draco
 
«Giuro che sei assurda» affermò convinto. «Un controsenso vivente.»
Draco la guardava a metà tra il perplesso e il divertito, mentre osservava le sue guance prendere colore.
«Tre mesi di relazione e l’idea di avere un appuntamento con me ti manda nel pallone.»
«Oh, chiudi il becco, Malfoy!» esclamò lei sbuffando, ma era arrossita maggiormente.
Il biondino rispose con una sonora risata che contagiò anche lei e poi allargò un braccio per circondarle le spalle e stringerla a sé.
«Seriamente, inizio a pensare che tu abbia una gemella e che vi scambiate regolarmente, altrimenti non si spiega», insisté lui. «Spesso passi le tue giornate a provocarmi, a lezione, mentre studiamo, durante i pasti… Ho perso il conto delle cose che abbiamo fatto a letto e poi ti porto a pranzo fuori e non fai che balbettare e arrossire continuamente come una ragazzina.»
Oh, si stava divertendo un mondo a prenderla in giro sulla questione, anche se in realtà la trovava adorabile.
Hermione sbuffò. «Stai ingigantendo la cosa…»
Draco le afferrò le mani e le portò all’altezza del suo viso, per farle vedere quanto fossero arrossate e indicò persino alcune pellicine sollevate. «Sì?», chiese alzando un sopracciglio, l’eco di un ghigno che ancora aleggiava sul suo volto.
«Sei insopportabile», sospirò lei, diventando se possibile ancora più scarlatta.
«Non sono brava in queste cose e potrebbe essere stato letteralmente l’unico appuntamento della mia vita a non essere finito in tragedia
«Addirittura», commentò lui, sghignazzando. «Sono lusingato, anche se non mi sorprende. Gli altri non erano me.»
Lei fece ruotare gli occhi.
«Probabilmente dipende dal fatto che ho evitato di aprire bocca», precisò piccata. «Incasso la vittoria e porto a casa.»
Il Serpeverde si arrestò per farla entrare nel loro dormitorio, e quando le fu alle spalle la abbracciò da dietro, tornando serio.
«Voglio che tu sia tuo agio con me» le sussurrò in un orecchio, «sempre
Le tolse il suo cappotto babbano dalle spalle e lasciò un bacio sull’incavo del suo collo, facendola rabbrividire di anticipazione.
Il profumo di Hermione lo invase immediatamente, attraendolo nuovamente alla sua pelle, invitandolo ad assaggiare il suo dolce sapore ancora e ancora e ancora…
Il sospiro esalato da lei, preceduto da un breve suono di apprezzamento, lo scosse dall’interno; una cosa così semplice e il suo desiderio di lei era già acceso.
In realtà, rifletté Draco, difficilmente si spegneva.
«Draco, aspetta un attimo…»
Lui gemette in protesta. «Perché hai sempre qualcosa da dire ogni volta che sto per spogliarti?»
Hermione sorrise. «Scusa», disse ridacchiando, «ma è importante.»
Draco sospirò, la prese per mano e la condusse nella sua stanza; si slacciò la cravatta e iniziò a sbottonarsi la camicia, restando in silenzio a guardarla, in attesa che parlasse.
Lei deglutì, prima di avanzare la sua richiesta. «Abbiamo bisogno di un favore», sussurrò esitante.
«Abbiamo?»
Hermione annuì. «Harry, Ron ed io.»
Le sopracciglia di Draco si unirono leggermente.
«Volevamo chiederti se fosse possibile accedere alla biblioteca di Malfoy Manor.»
Draco rimase in silenzio per qualche secondo, valutando le sue parole. «State indagando sugli attacchi?»
Lei fece un breve cenno di assenso con il capo.
Il ragazzo si accigliò. «E perché non ne sapevo niente?»
«Avevamo deciso di non coinvolgere-»
Draco sbuffò. «Così non va, Hermione», affermò irritato, interrompendola. «Sai che farei di tutto per proteggerti. Che voglio aiutarvi a risolvere questa faccenda. Ti fiderai mai di me?»
«Non è una questione di fiducia!» obiettò lei stridulamente. «Solo che non ci piace l’idea di trascinare nei casini le persone a cui teniamo!»
Le persone a cui teniamo.
La Granger teneva a lui.
Il pensiero lo fece quasi sorridere, ma si trattenne dal farlo; in quel momento doveva essere urtato da quello che gli aveva tenuto nascosto, non esaltato da quella confessione.
«Credi sul serio di potermi tenere lontano da questa faccenda?»
Hermione sospirò. «No», ammise, «ed è per questo che sono qui a chiederti questo favore.»
Draco sbuffò di nuovo. «Certo che posso farvi accedere alla biblioteca dei Malfoy, anche se molti libri sono stati confiscati dal Ministero», la informò. «Dobbiamo richiedere le autorizzazioni alla McGranitt e al Ministero, però, perché io non posso lasciare il castello senza.»
«Ci penseremo noi.»
Il biondino annuì. «Quando vuoi andare?»
Hermione arrossì e deglutì. «Oh, non… non io», farfugliò a disagio. «Sarà Harry a venire con te.»
«Ah», esclamò in un sussurro. «Parlerò direttamente con lui, allora.»
Draco gettò la camicia e i pantaloni su una sedia, per poi distendersi sul letto; si era fatto taciturno e anche dal lato di lei, mentre indossava la sua vestaglia e sprofondava sotto le coperte, si avvertiva una certa tensione.
Gli era passata la voglia di farlo; si sentiva leggermente strano e il suo cervello stava lavorando freneticamente per venire a capo di quello che stava accadendo dentro di lui.
Hermione era girata su un fianco e gli dava le spalle; le si avvicinò e le cinse la vita con un braccio, affondando il volto nei suoi capelli profumati.
Ripensandoci, non gli era passata la voglia di farlo.
Iniziò a lasciare una lunga scia di baci sulla sua pelle, mentre faceva scivolare le dita sulle sue gambe nude, insinuando le mani sotto la vestaglia, impazienti.
Lei si voltò finalmente verso di lui, permettendogli di rimuovere il tessuto e poi gli si posizionò sopra.
Draco si leccò le labbra.
«Sei fottutamente bella, Hermione.»
§
Restarono in silenzio per un po’.
Draco le accarezzava distrattamente un braccio, ma nessuno dei due diceva niente.
Hermione si voltò, alzò lo sguardo per studiarlo e lui puntò gli occhi su di lei immediatamente.
«Sei vivo?» gli chiese con un angolo delle labbra sollevato.
Il biondino rise brevemente. Le prese una mano e premette le labbra sul palmo.
«Non riesco a credere che tu sia veramente la mia ragazza.»
«Beh, è un po’ assurdo se ci pensi…»
«Sono serio, Granger» disse lui. «Dovresti stare tipo con un Tassorosso, che ne so. Qualcuno che ti meriti.»
Lei scoppiò a ridere. «Smettila di fare lo scemo.»
Draco, però, si fece ancora più serio e ammutolì per un po’.
«Mi fa male», rivelò alla fine, con un filo di voce, «il pensiero che tu non possa venire con me a casa mia…»
La ragazza si morse il labbro inferiore. «Non è per te», si affrettò a dire. «I-io mi fido di te, so che non mi faresti del male.»
Lui fece scivolare una mano lungo la sua spina dorsale e poi esercitò una leggera pressione sulla sua schiena per stringerla a sé, le baciò una tempia.
«È solo che non me la sento di tornare
Non c’era bisogno che gliene spiegasse i motivi; nemmeno lui aveva mai dimenticato quella notte, ed era sicuro che non ci sarebbe mai riuscito.
Ma la cosa lo feriva ugualmente.
La sua ragazza avrebbe dovuto sentirsi al sicuro in casa sua, tutto quello… semplicemente non era giusto.
«Lo so», mormorò rassegnato. «Non preoccuparti.»

 

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Capitolo 38
*** Capitolo 37. La Festa del Lumaclub ***


CAPITOLO 37
La Festa del Lumaclub







 
 

 

 
Hermione
 
Contrariamente a quanto aveva sospettato inizialmente, Draco non era il tipo che faceva l’amore ogni notte; sembrava avere le sue tempistiche nei rapporti e a Hermione stava più che bene, specie dato che pareva essere in grado di stabilire dei ritmi perfetti tra una volta e la successiva, come se sapesse determinare il tempo necessario a farla impazzire completamente o a portarla a desiderarlo senza farla diventare un’abitudine.
C’era un’altra cosa di cui non si capacitava: il modo in cui le faceva perdere la testa quando le parlava o la toccava, quanto le piacesse che le sussurrasse di essere sua mentre facevano l’amore. Non avrebbe dovuto e invece ne andava pazza; non glielo avrebbe mai detto, però, anche se sospettava che sotto sotto Draco lo sapesse già e continuasse a farlo solo per quello.
Anche se dormivano insieme ogni notte e capitava comunque che avessero rapporti di seguito, non facevano solo quello. Parlavano, si baciavano semplicemente, o leggevano insieme; discutevano di teorie, ipotizzavano esperimenti da fare nell’area Incantesimi o Pozioni, commentavano le lezioni di Alchimia più delle altre, probabilmente perché era la branca nuova che avevano iniziato a studiare più recentemente e che costituiva maggiormente una novità per entrambi.
E poi c’erano i giorni in cui Hermione decideva di fare impazzire lui; la cosa che preferiva era tenerlo sulle spine per tutto il giorno, provocandolo e stuzzicandolo, per poi raccogliere i frutti dei suoi sforzi una volta ritornati al dormitorio.
Draco aveva messo dei paletti, però; ad esempio, le aveva assicurato che non sarebbe successo mai nulla a meno che lui non avrebbe reputato adeguato il luogo in cui si sarebbe verificato l’atto, - e Draco era assai schizzinoso sulla questione, tanto che la lista di luoghi da lui ritenuti idonei si era ridotta a qualsiasi parte del loro dormitorio e al bagno dei Prefetti -, le aveva proibito di provocarlo durante le lezioni, - Hermione si era convinta alla sua domanda «non vorrai mica che ne risentano i tuoi voti?» -, e aveva richiesto una comunicazione aperta sull’argomento, sostenendo che sarebbe stata proficua per entrambi, - e su questo lei concordava pienamente; aveva scoperto così che il suo sogno proibito era di farlo contro gli scaffali della biblioteca, ma che non lo avrebbe mai fatto perché non avrebbe mai sopportato l’idea che qualcuno potesse scoprirli e vederla, o anche solo sentirla.
Draco continuava a sostenere che non fosse geloso di lei.
Eppure, finché Krum non se n’era andato, era stato costantemente imbronciato e appiccicato al suo braccio. In realtà ne era stata lieta, perché con il biondino sempre al suo fianco, Viktor aveva evitato di avvicinarsi a lei, il che era un bene visto che riusciva sempre a metterla a disagio in qualche modo quando si rivedevano; lo aveva fatto al matrimonio di Bill e Fleur e anche la sera in cui era arrivato a Hogwarts quell’anno. Lei ci aveva seriamente provato a fargli capire che non era interessata a lui romanticamente, che qualsiasi cosa avessero condiviso durante il suo quarto anno era sfumata già da molto, moltissimo, tempo, ma lui non sembrava recepire il messaggio.
E poi, era quasi divertente vedere Draco geloso.
Quasi.
«Draco.»
Il ragazzo alzò lo sguardo su di lei, posizionando un dito sulla frase che stava leggendo per non perdere il segno.
«Mmh?»
«Quel quadro non è sempre stato lì, vero?»
Il biondino seguì la traiettoria degli occhi di Hermione e notò il quadro a cui si stava riferendo; corrugò la fronte.
«Non credo.»
Hermione divenne paonazza. «Oh, buon Merlino!» esclamò portandosi le mani sulle labbra. «E se fosse stato sempre lì? Se la McGranitt sapesse…»
Draco sbuffò. «Chi se ne frega?»
«Ti sei dimenticato di tutte le volte che abbiamo avuto dei rapporti qui?»
Anche le guance di lui assunsero una sfumatura rosea, sebbene si sforzò chiaramente di non dare a vedere il suo turbamento.
«Granger, se chiunque abita quel quadro ci avesse visti, non sarebbe stato zitto. È più probabile che la McGranitt lo abbia fatto mettere dagli elfi questa mattina.»
«Non sono per niente tranquilla», bisbigliò agitata. «Le ho praticamente mentito in faccia assicurandole che non avremmo mai infranto le regole sui rapporti sessuali, quando in realtà avremmo dovuto essere espulsi mesi fa!»
Draco grugnì. «Trixy!»
Una piccola elfa apparve un paio di secondi dopo.
«Il Padroncino ha chiamato Trixy, signore?»
«Sì», disse lui. «Sai per caso dirmi se questa mattina è stato fatto mettere un quadro in questa Sala Comune?»
«Sì padroncino, quello lì», affermò l’elfa, indicando l’oggetto della loro conversazione con il suo lungo indice, saltellando.
Draco si voltò a guardare Hermione con un sorriso tronfio, ma lei si era già alzata ed era corsa a interrogare la creaturina. Il biondino, alzò gli occhi al cielo, ignorò tutta la conversazione tra le due e proseguì la sua lettura.
La cosa che era immediatamente saltata agli occhi di Hermione era il fatto che la toga dell’elfa era incredibilmente pulita e integra; era insolito, perché persino Kreacher continuava ostinato ad indossarne una vecchia e logora, sbrindellata in alcuni punti.
«Granger, vuoi smetterla di traumatizzare la mia elfa?» sbottò alla fine. «Le ho ordinato di lavare la toga quando è passata a mio nome, quella cintura che vedi lì è incantata e serve a mantenerla integra e pulita, visto che non vuole essere liberata, te l’ho spiegato mille volte!»
Hermione arricciò le labbra e tornò a sedersi al tavolo.
«Puoi andare Trixy.»
La creaturina svanì con un sonoro pop!
«Ha l’ordine di eseguire tutte le tue richieste, comunque, se dovessi aver bisogno.»
«Ti ucciderebbe essere più gentile con lei?» chiese Hermione, incrociando le braccia al petto e ignorando l’ultima informazione.
Gli occhi di Draco si allargarono. «Più gentile?» ripeté attonito.
«Già, tipo, non so, dirle ‘per favore’ e ‘grazie’?»
«A parte che faccio uno sforzo immane a impedirle di picchiarsi solo per il fatto che chiedo invece di ordinare», berciò lui, «non ti pare di tirare un po’ troppo la corda?»
La ragazza sbuffò e lui ruotò gli occhi in risposta. «Torna a studiare, Granger.»
«Incivile!»
Draco alzò gli occhi al cielo.
«Ad ogni modo», asserì ancora lei, recuperando compostezza, «credo che non dovrei più restare a dormire da te.»
«Sul serio?» protestò il Serpeverde, visibilmente contrariato, «perché non dico ‘grazie’ alla mia elfa?»
«Perché se quel quadro è lì», lo corresse Hermione, «vuol dire che la McGranitt lo verrebbe a sapere e finiremmo nei guai.»
«Non se ne parla», ribatté il giovane. «Tu continui a dormire con me.»
«Ma Draco…»
«Se la McGranitt vuole continuare a ricevere le donazioni della mia famiglia a questa scuola, dovrà chiudere un occhio sulla questione.»
Hermione sollevò un sopracciglio. «Se la McGranitt lo dicesse a tuo padre, lui raddoppierebbe le donazioni per tenerci separati.»
Draco assottigliò gli occhi e soffiò dal naso. «Tu resti con me.»
«Sei incorreggibile.»
«Sei insopportabile.»
«Stronzo.»
«Suscettibile.»
«Sai, Draco Malfoy, sei proprio un-»
La baciò, zittendola; le dita di una mano aggrovigliate tra i suoi capelli, l’altra mano che già si faceva strada sotto la sua gonna.
«Draco!»
La prese in braccio e lei scoppiò a ridere, mentre la portava velocemente nella sua stanza.
«Se fai così», disse lui tra un bacio e l’altro, «mi fai eccitare, dovresti saperlo benissimo ormai. Inizio a pensare che tu lo faccia di proposito.»
«Non lo saprai mai.»
 
***
Draco
 
C’era stato un momento, durante il suo sesto anno, in cui Draco era stato invidioso di tutti i compagni ammessi al Lumaclub; la cosa che lo aveva irritato profondamente ai tempi era che normalmente anche lui ne avrebbe fatto parte, - e non solo per il suo nome, dato che era lo studente che più eccelleva in Pozioni -, ma per colpa di suo padre non era stato possibile. Quell’anno, invece, la colpa della sua esclusione ricadeva interamente su di lui, sulle sue scelte passate, sulla cicatrice sul suo avambraccio, sul ruolo infimo che aveva avuto durante la guerra.
Draco pensava che fosse giusto così, ma la Granger ne faceva ancora parte e i membri avevano la possibilità di portarsi dietro un più uno quasi a tutti gli eventi. Da quando si erano messi insieme, quella era la prima festa organizzata dal professor Lumacorno a cui Hermione avrebbe dovuto partecipare. Sulle prime, quando gli aveva chiesto di accompagnarla, le aveva detto di no.
«Oh», aveva risposto lei, visibilmente delusa. «Ti vergogni di me?»
Draco le aveva quasi riso in faccia. «Sei stupida?» aveva berciato. «Ti sto praticamente attaccato come una cozza per tutto il tempo!»
E lei era arrossita, aveva abbassato lo sguardo, e aveva iniziato a martoriarsi il labbro inferiore con i denti. «Allora pensi che ti potrei mettere in imbarazzo in un contesto di quel tipo?»
Il sopracciglio di lui era scattato all’insù donandogli un’espressione estremamente scettica.
«Credi che non sappia come comportarmi o come vestirmi?»
Draco, che fino all’anno prima si sarebbe affatturato da solo anziché ammettere che non aveva mai superato l’immagine di lei al Ballo del Ceppo del quarto anno, le rivolse un’occhiata accigliata.
«Hai finito di dire stronzate?» 
Lei aveva risposto incrociando le braccia e mettendo su il broncio. «Perché non ci vuoi venire, allora?»
Draco aveva sbuffato. «Perché mi sembra una noia mortale.»
«Lo è», aveva convenuto Hermione. «Ma se ci fossi tu…»
«Granger, smettila.»
Era così difficile per lei capire che non gli andava di ficcarsi in situazioni dove tutti lo avrebbero guardato male e giudicato? Le occhiatacce e i commenti che si sorbiva quotidianamente, spesso improntati su quanto non meritasse di averla al suo fianco, non erano più che sufficienti? Era davvero necessario che desse voce a queste sue ragioni? La strega più brillante della loro generazione non poteva arrivarci da sola?
Fatto stava che alla fine Hermione si era arresa e non aveva più insistito sull’argomento, solo che poi era arrivato Blaise.
Blaise che lo aveva informato che a quella cena ci sarebbero stati degli ex studenti come ospiti speciali.
Blaise che lo aveva avvisato che McLaggen aveva subito dato la conferma della sua presenza.
Blaise che gli aveva raccontato di come la guardava durante il sesto anno, della volta che a uno di quegli eventi ci erano andati insieme e di quanto poco galante fosse stato nei suoi confronti. E lo aveva fatto con una minuzia di dettagli che avevano evocato delle immagini disturbanti nella mente di Draco, le quali lo avevano tormentato per tutto il giorno. Così, alla fine, si era sistemato ed era rimasto ad aspettare che lei scendesse dal dormitorio femminile.
Deglutì quando la vide; indossava un vestito semplice, dorato, con un motivo argentato in perline sulla parte superiore. Un’immagine vagamente familiare che avrebbe riconosciuto immediatamente se il suo cervello non fosse andato in tilt.
«Sei fottutamente bella.»
Hermione arrossì violentemente e abbozzò un sorriso.
La mano di lui salì sul suo volto, a immobilizzare un ricciolo ribelle dietro il suo orecchio.
«Grazie…»
Draco si morse il labbro inferiore. «Vengo con te.»
I suoi occhi saettarono in alto, a incontrare quelli grigi del biondino, improvvisamente luminosi. «Davvero?»
Le sorrise dolcemente, mentre faceva un cenno d’assenso con il capo.
«Cosa ti ha fatto cambiare idea?»
«Credevi sul serio che ti avrei lasciata andare da sola?» sbuffò lui, ridendo. «E menomale, perché sarei impazzito a saperti così in mezzo a un branco di lupi affamati.»
«Quanto cazzo sei drammatico!» Hermione scoppiò a ridere, ma il suono si soffocò immediatamente quando il ragazzo fece scivolare una mano sul suo fondoschiena, per poi sfregare il suo fianco e posarsi definitivamente su un punto del suo basso ventre che Draco sapeva perfettamente essere “un po’ più in basso del normale”.
La vide deglutire. «Quindi hai deciso ora su due piedi?»
Lui rise. «No, ho deciso a pranzo. Non vedi che indosso il mio abito migliore?»
Hermione gli rivolse un’occhiata perplessa, ma poi gli sorrise contenta; era evidente che non notasse alcuna differenza con i suoi soliti completi eleganti, - perché non c’era, lui adorava semplicemente prenderla in giro -, tuttavia, lasciò cadere la questione, perché l’immagine evocata dal vestito che aveva addosso lei divenne improvvisamente chiara nella sua mente, distraendolo dal resto.
«Il motivo sul tuo abito», disse alla fine in tono compiaciuto, «è la Costellazione del Dragone*.»
Hermione annuì in imbarazzo, le guance sempre più rosse. «Sapevo avresti apprezzato.»
Un grugnito confuso lasciò la gola del Serpeverde a quel commento.
Apprezzare era un eufemismo.
«Credevo non avessi intenzione di assecondare in alcun modo… com’è che le hai chiamate? Ah sì, “eventuali tendenze possessive da Serpeverde troglodita”», considerò imitandola. «Ora indossi praticamente un’insegna con il mio nome sopra e non te l’ho neanche chiesto io.»
Lei sbuffò. «Era solo un piano per tenere alla larga McLaggen, anche se non sono sicura sia abbastanza sveglio da comprendere l’antifona», borbottò farfugliando. «Non ti montare troppo la testa.»
Draco rise. «Andiamo, Granger», mormorò suadente. «Il tuo intero essere adora l’idea che tu sia mia, solo che ti piace mentire a te stessa.»
Lei mormorò un irritato “metaforicamente” che ampliò il ghigno sul suo viso, poi oltrepassò il ritratto di Sir Cadogan tutta impettita, intimandogli di darsi una mossa.
Draco la seguì.
§
Non era andata così male la festa, soprattutto dal momento che il resto della gente avrebbe potuto benissimo non esistere per lui, per quanto era catturato da lei.
Stringerla tra le braccia mentre ballavano insieme gli faceva sempre un po’ quell’effetto, come se si catapultassero in una dimensione tutta loro, in cui erano gli unici presenti.
«Maledettamente bella…»
Le loro labbra si scontravano con violenza, mentre la guidava impaziente all’interno della sua stanza buia.
Il sangue nelle sue vene ribolliva ancora dal nervoso per come McLaggen l’aveva guardata per tutta la sera; gli avrebbe volentieri spaccato la faccia, se Blaise e Daphne, che erano lì con Ginny e Harry, non lo avessero tenuto calmo per tutto il tempo.
Quell’idiota era un fottuto pervertito e non faceva neanche finta di provare a nasconderlo; lo aveva beccato a guardarla mentre si leccava le labbra, i suoi pensieri più che palesi, e non era riuscito a trattenersi, gli si era avvicinato.
«Fossi in te, McLaggen, troverei qualcos’altro su cui focalizzare i tuoi pensieri perversi» gli aveva sibilato minaccioso, «perché ho solo un nervo saldo e tu lo stai urtando altamente.»
Hermione era arrivata a salvare la situazione, portandolo via, e la mano di lui era rimasta salda sulla sua schiena o sul suo fianco per il resto della serata, mentre la ragazza affondava le dita nel suo braccio per tenere a freno la sua lingua tagliente o il suo pugno che minacciava di scattare e chiudersi sulla faccia da pesce lesso di Cormac McLaggen ogni cinque minuti circa.
Draco fece scivolare le sue mani sulle sue gambe, sollevando il vestito con un movimento secco, poi la prese per i fianchi e la fece sedere sulla scrivania con gentilezza; si piegò sulle ginocchia per toglierle le scarpe, risalì lungo il polpaccio lasciando una scia di baci sulla sua pelle calda, finché non raggiunse il punto a cui mirava… quello che gli avrebbe permesso di assaggiarla. I versi che Hermione emetteva durante quella specifica attività lo facevano sempre impazzire, i suoi movimenti involontari, spontanei… le cose che sussurrava nell’impeto del momento.
Era ancora ansante e aveva ancora gli occhi chiusi quando si rimise in piedi per guardarla, constatando che vederla così sfatta lo eccitava forse ancora di più di quanto non avesse fatto all’inizio della serata, quando le sue mani impazienti non avevano ancora rovinato la sua acconciatura curata e sgualcito il suo elegante vestito.
«Dannatamente bella», ripeté avventandosi sulle sue labbra, mentre si sistemava tra le sue gambe.
Hermione sussultò e gemette, mentre cercava affannosamente di rimuovere la camicia dal corpo del ragazzo e armeggiava con la zip dei suoi pantaloni.
«Mi perdonerai se questa sera non ti toglierò il vestito di dosso, vero?»
 
***
Hermione
 
Aprì gli occhi di scatto e si mise a sedere; il cuore le pulsava violentemente e sudava freddo. Nelle sue orecchie, il sibilare del Basilisco che l’aveva terrorizzata nel suo incubo era più rumoroso che mai. La testa le scoppiava e avvertiva un forte senso di nausea; tremava convulsamente.
«Hermione?»
Si guardava attorno allarmata, in cerca del maledetto serpente; tirava via le lenzuola, piangeva.
«Hermione!»
Le mani di Draco si chiusero sulle sue braccia, forti, decise; non lo sentiva parlare, perché udiva solamente quel minaccioso e penetrante sibilare. I suoi occhi guizzarono sul resto della stanza, scansionandola con attenzione, terrore puro riflesso nelle sue iridi color cioccolato. Poi le mani del ragazzo si chiusero sulle sue guance e dopo una breve lotta gli occhi grigi del biondino riuscirono a catturare quelli di lei abbastanza a lungo da riportarla alla realtà definitivamente.
«Hermione...»
La Grifondoro deglutì più volte, senza smettere di tremare e piangere, poi si gettò tra le sue braccia, aggrappandosi a lui con forza, conficcando le unghie nella sua pelle, singhiozzando.
«Era solo un incubo» sussurrò scioccato Draco, accarezzandole la schiena, nel disperato tentativo di tranquillizzarla. «Solo un incubo…»
Hermione non ne era ancora sicura; sentiva ancora il calore delle fiamme e il sibilare del serpente, l’odore metallico del sangue sembrava bloccato nelle sue narici, come se fosse stato reale.
«Va tutto bene…»
Si calmò solo un’ora dopo, ma non si riaddormentò più; restò accoccolata contro il biondino, stretta tra le sue braccia, in silenzio, pur essendo consapevole che anche lui fosse rimasto sveglio, anche se non proferiva parola. Poteva percepire il suo cuore battere rapidamente contro la propria schiena.
«Allora», mormorò esitante una volta che il sole fu sorto. «Mi vuoi raccontare cos’è successo questa notte?»
«Mi dispiace di averti svegliato e di non averti fatto dormire.»
«Granger…»
«Era solo un incubo» liquidò la faccenda lei, cercando la sua divisa per indossarla.
«Li conosco i tuoi incubi, le tue reazioni ad essi» insisté il giovane. «Questo era diverso.»
«Era solo più vivido del solito» cercò di giustificarsi Hermione, ma Draco non sembrava affatto convinto.
«Perché mi nascondi le cose?»
«Draco, smettila, per favore» sospirò lei stancamente. «Sto bene, era solo un maledettissimo incubo come un altro.»
«Eri terrorizzata, Hermione!» esclamò il ragazzo, prendendola per le spalle e costringendola a guardarlo. «Che cosa hai sognato?»
Le prese il mento tra le mani e la studiò preoccupato. Lei sospirò, rassegnata.
«Il Basilisco, in realtà» disse a voce bassa. «È stato solo un sogno molto vivido, te l’ho detto.»
Abbozzò un mezzo sorriso e gli lasciò un veloce bacio sulle labbra.
«Allora perché ho di nuovo l’impressione che tu mi stia nascondendo qualcosa?»
Hermione esalò un respiro triste. «Draco, mi porto dietro problematiche anteriori alla guerra», ammise in un sussurro. «Davvero è tutto normale, per me. Mi dispiace non averti fatto dormire…»
«Non me ne frega niente di questo, Hermione», la interruppe tirandola a sé. «Mi importa solo di te, perché non vuoi capirlo?»
La giovane si lasciò stringere da quelle braccia familiari e rassicuranti per un po’.
«Ho bisogno che tu stia bene», mormorò ancora lui, il viso seppellito tra i suoi capelli. «Nient’altro ha importanza.»
§
Avevano ottenuto un permesso per recarsi a Malfoy Manor. Harry e Draco sarebbero partiti di lì a due giorni.
«Sarà orrendo stare lontano da te», le disse stringendola forte a sé.
Hermione rise. «Sono solo due giorni.»
«Al Manor», ribatté lui, secco. «Sembreranno due mesi.»
Lei si fece seria e alzò il capo per guardarlo. «Draco, se non vuoi tornarci, non sei costretto a farlo.»
«No», la interruppe lui. «È importante. Potremmo trovare qualcosa di utile.»
Hermione deglutì, ma lui la esortò a girarsi su un fianco con un movimento deciso e prese a baciarle la schiena lentamente, impedendole di parlare; le sue mani si muovevano sul suo ventre, risalivano a richiudere il seno a coppa.
Il modo in cui la toccava, con cui le sue labbra la reclamavano, le sensazioni provocate dall’avere le sue dita sulla pelle… tutto di Draco le faceva perdere la testa. E a volte le faceva odiare la quantità di tempo che si prendeva a letto.
«Per favore…» sussurrò lei, con un suono tremulo.
«Cosa?», domandò con finta innocenza il biondino, ma la sua voce roca e sensuale tradiva la consapevolezza che sapesse perfettamente ciò che intendeva la ragazza.
«Devi per forza andare così con calma ogni singola volta?»
Sentì chiaramente il suo ghigno aprirsi sulla sua pelle, le sue labbra che interrompevano quella dolce tortura.
«Quando abbiamo tempo, Granger, » rispose semplicemente. «Lo sai che mi piace assaporare ogni singolo momento con te… ogni singola parte di te
E poi una luce abbagliante inondò la stanza all’improvviso, facendoli sobbalzare: era un Patronus dalla forma felina. Hermione quasi urlò dal terrore, mentre si portava le lenzuola al petto per coprirsi. Le braccia di Draco si chiusero attorno a lei, come a proteggerla da qualsiasi cosa fosse appena apparsa a disturbare la loro quiete.
«Signor Malfoy, deve urgentemente venire nel mio ufficio. La parola d’ordine è: fenice» tuonò la voce severa della McGranitt. «E porti la signorina Granger con lei. Sì, lo so che siete insieme.»
Il Patronus sparì subito dopo quell’ultima frase pronunciata in modo palesemente contrariato e pungente.
La Grifondoro si portò le mani sulle labbra scioccata.
«Te lo avevo detto!» trillò agitata, ma il Serpeverde si limitò a dare una scrollata di spalle, a sospingerla nuovamente sul letto e ad avventarsi sul suo seno scoperto.
«No, Draco!» esclamò lei. «Dobbiamo andare ora
«Granger, quale parte di “odio essere interrotto mentre sto per-»
«Muoviti!»
***
Draco
 
Lo odiava veramente, essere interrotto mentre stava per farla sua.
Era la cosa che più lo faceva alterare, irritandolo a non finire; per non parlare del disagio fisico che ne conseguiva.
Stava sbuffando pesantemente da quando avevano lasciato il dormitorio.
«Sembri proprio un bambino quando fai così», commentò Hermione, visibilmente nervosa, ma comunque sorridente.
«Chiudi il becco, Granger.»
Lei ridacchiò flebilmente, ma la sua risata tradiva l’agitazione che la stava tormentando dentro.
«Non succederà nulla, va bene?», la rassicurò. «Se dovesse dire qualcosa riguardo alle nostre… attività, penserò ad una soluzione.»
Hermione sollevò un sopracciglio, pungente. «Tu credi veramente di poter risolvere tutto con i soldi, non è vero?»
Draco rispose con una smorfia di indifferenza. «Quasi tutto, sì.»
La ragazza sospirò e scosse la testa. «Verremo espulsi, te lo dico io», borbottò nervosamente. Il Serpeverde alzò gli occhi al cielo e si sforzò di non ridere, si obbligò a non sfotterla ulteriormente, nonostante la tentazione.
Le scale a chioccola sembravano più faticose del solito, specie con la sua erezione che tentava ancora di protestare nei suoi pantaloni. Le aveva chiesto di aspettare qualche minuto prima di precipitarsi lì, ma era entrata nel panico e alla fine si era arreso.
«Signorina Granger, signor Malfoy…»
La voce della Preside era infastidita, ma almeno non sembrava arrabbiata.
«Professoressa, io-»
«Non siamo qui per discutere delle vostre trasgressioni, signorina Granger, si tranquillizzi» la interruppe causticamente lei, «sebbene sia molto contrariata in merito.»
Draco le strinse forte la mano, incoraggiandola a muoversi per prendere posto di fronte alla donna. Il suo viso era scarlatto dall’imbarazzo, ma lui la trovava adorabile.
«Vi ho convocati perché è sorto un problema. Il signor Potter non sarà in grado di lasciare l’infermeria per i prossimi cinque giorni, potete ringraziare il signor Nott per il tiro mancino durante la partita contro Serpeverde di oggi per questo.»
«Cosa?» esclamò Draco. «Ma dovevamo andare al Manor!»
«Esattamente, signor Malfoy.»
«Come sta Harry?» chiese subito Hermione. «Madama Chips non fa più entrare nessuno in infermeria, non me lo ha neanche lasciato salutare…»
«Non sta morendo, signorina Granger, ma ha bisogno di restare sotto osservazione» la tranquillizzò la Preside. «Capite però che non è possibile ricontattare il Ministero per cambiare i piani…»
«Quindi?» chiese impazientemente il biondino.
«Quindi qualcun altro dovrà venire con lei, signor Malfoy» precisò con ovvietà lei. «Forse il signor Weasley…»
Un’espressione inorridita apparve immediatamente sul volto di Hermione. «Ci vado io.»
Draco si voltò di scatto per guardarla; stava deglutendo ed era visibilmente pallida, ma sembrava determinata.
«Signorina Granger…»
«Dico sul serio, Professoressa. Va bene, vado io.»
«Ne è sicura?»
Hermione annuì brevemente.
«Bene. Potete andare», disse allora, ma sembrò cambiare idea sul lasciarli andare via così in fretta un secondo prima che lasciassero l’ufficio. «Non devo farvi il discorsetto sulla prevenzione, non è vero?»
Divennero entrambi rossi, mentre farfugliavano rassicurazioni confuse sul fatto che non ce ne fosse alcun bisogno.  
«Normalmente vi dividerei, ma sarebbe complicato spiegarne i motivi agli altri studenti senza finire per l’incoraggiare atteggiamenti simili da parte di altri, dato che la pena usuale prevista per questo genere di trasgressioni sarebbe l’espulsione» precisò scocciata la donna. «Potete ringraziare il fatto che siete gli studenti migliori del vostro anno per la vostra fortuna sfacciata.»
§
Quando erano usciti dall’ufficio della Preside, Draco le aveva chiesto di aspettarlo un attimo, perché aveva dimenticato di chiedere una cosa alla donna, ed era corso di nuovo dentro. L’idea gli era balenata in mente non appena le carte in tavola erano cambiate, ma lei era così sovrappensiero da non badare alla cosa, da non esserne incuriosita al punto da fare domande al riguardo. Tanto di guadagnato.
Hermione restò in silenzio per tutto il tragitto di ritorno al dormitorio, chiusa nel suo senso di colpa, nel suo imbarazzo e in qualcos’altro che Draco stava cercando di decifrare, finché non gli divenne palese quando la vide iniziare a torturarsi le mani con fervore. Il suo senso di disagio era palpabile, così come l’ansia che trasudava dal suo corpo; Draco intrecciò le dita alle sue e si portò la mano di lei sulle labbra. Le sfiorò una guancia con la mano libera, con delicatezza.
«Sarai al sicuro, Hermione.»
Lei deglutì e il cuore gli si strinse nel petto nel leggere la paura e il dolore nel suo sguardo.
Casa sua.
La ragazza che amava aveva il terrore di mettere piede in casa sua.
Si domandava se la cosa avrebbe mai smesso di fargli male, se il ricordo di quanto era accaduto al Manor durante la guerra avrebbe sempre pesato su di loro in quel modo; perché anche se non ne parlavano mai da quel punto di vista, Draco sapeva perfettamente che quella vicenda era un fantasma che aleggiava costantemente sulla loro relazione.
«Senti, non devi venirci per forza tu», sussurrò in tono fermo. «Posso andare con Weasley.»
«Non farò venire Ron con te», disse decisa. «Vi ammazzereste a vicenda, probabilmente.»
E i suoi genitori sarebbero stati orrendi con lui, ma non era come se la situazione che li aspettava andando con lei fosse alquanto diversa. Quella che si prefigurava per lei era, in realtà, una prospettiva persino peggiore.
«Granger…»
«Non è la fine del mondo, Draco» gli sorrise incertamente, poi fece scivolare le mani lungo il suo petto, incrociandole dietro la sua nuca.
«Sarai al sicuro» ripeté lui, «te lo prometto.»
Il sorriso di Hermione vacillò per un istante.
La capiva.
Avrebbe dovuto studiare un modo per tenere i suoi genitori lontani da lei, non era sicuro di essere in grado di contenersi se le avessero detto qualcosa di meschino, né era certo che non avrebbero provato a farle del male. A conti fatti, rifletteva, forse avrebbe preferito essere accompagnato da Weasley.
«Hermione», disse guardandola negli occhi intensamente e lei lo fissò interrogativa, unendo leggermente le sopracciglia.
«Ti amo» soffiò debolmente, poi le catturò le labbra tra le sue.
Se Hermione avesse voluto rispondergli, avrebbe potuto farlo dopo quel bacio; altrimenti, le avrebbe dato una via di fuga anche quella volta.
E lei scelse proprio quella seconda opzione.
Di nuovo.
 
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*Chi ha letto la mia storia “Fine Line” ricorderà questo abito 😉

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Capitolo 39
*** Capitolo 38. Malfoy Manor (Parte 1) ***


CAPITOLO 38
Malfoy Manor
(Parte 1)







 
 

 

 

 
Draco
 
Trixy li fece Apparire a circa metà strada dal cancello.
Non appena aprì gli occhi e la sua visuale fu occupata interamente dall’enorme villa in cui era cresciuto, Draco si voltò immediatamente a guardare Hermione, scoprendola incredibilmente pallida e con il respiro affannoso e accelerato.
Le si posizionò di fronte, le prese entrambe le mani tra le sue e strinse forte.
«Sei con me, d’accordo?» sussurrò cercando di suonare il più rassicurante possibile. «Non permetterò che ti accada nulla di male.»
Hermione deglutì, poi scosse il capo rapidamente. «Non… Draco io non posso…»
I suoi occhioni erano pieni di terrore e lucidi, come se fossero colmi di lacrime che si stava sforzando di non versare.
«Ehi», mormorò ancora, prendendo ad accarezzarle il volto, i capelli. «Te lo giuro, sei al sicuro.»
Iniziò a tremare, mentre stringeva gli occhi e continuava a scuotere il capo. «Non ce la faccio…»
La avvolse tra le sue braccia, posò le labbra sulla sua tempia, sperando che quei contatti riuscissero a rasserenarla.
«Hermione», disse in tono accomodante, «non ti lascerò da sola neanche per un momento… Te lo prometto.»
Restarono così per un po’; lei che crollava, - e Draco ne era certo, stava odiando la cosa, pur non essendo in grado di impedirla -, lui che tentava di tranquillizzarla, ingoiando il dolore che provava.
In quel momento, stava desiderando come non mai di poter tornare indietro nel tempo e fare tabula rasa di tutti i loro trascorsi, cancellare permanentemente quell’orribile notte dalle pagine della loro storia.
Era casa sua.
Era casa sua e lei non riusciva neanche a guardarla, non sarebbe mai stata in grado di sentirsi al sicuro, neanche con lui al suo fianco, - perché anche lui era lì quella notte e anche se non lo fosse stato, avrebbe avuto comunque paura -, e non poteva assolutamente biasimarla.
Ma lo odiava ugualmente.
«Hermione», sussurrò ancora, incoraggiante, prendendole il volto con entrambe le mani, incatenando gli occhi a quelli spaventati di lei. «Siamo insieme. Sei al sicuro. Non ti accadrà nulla. Non permetterei mai che ti venisse fatto del male.»
Il suo respiro parve finalmente iniziare a regolarizzarsi.
«Fidati di me, Hermione» aggiunse, iniziando a suonare quasi implorante e disperato. «Per favore.»
La ragazza tirò su col naso ed esalò un sospiro pesante e tremulo, ma alla fine annuì impercettibilmente. Draco le circondò le spalle con un braccio, facendo aderire il suo corpo al proprio, e la tenne stretta a sé saldamente per tutto il tragitto.
L’enorme faccia che appariva sul cancello di Malfoy Manor lo guardò con un’espressione accusatoria e disgustata, a cui lui rispose assottigliando gli occhi, come a sfidarlo a parlare o a impedirgli l’accesso alla villa.
Il cancello si spalancò con un rumore sordo che fece sussultare Hermione e Draco la tranquillizzò esercitando una piccola pressione sulla sua spalla; il suo cuore batteva velocemente. Infatti, nonostante stesse cercando di comportarsi stoicamente, anche lui era piuttosto agitato dalle prospettive correlate a quella breve visita.
La guidò nel giardino, evitando la porta principale, perché sarebbero andati direttamente nella sua ala del Manor, dove aveva mandato avanti Trixy per farle applicare delle protezioni che avrebbero impedito ai suoi genitori l’accesso all’area; la avvertì volgere il capo per guardarsi intorno, probabilmente incapace di tenere a bada la sua curiosità nonostante il terrore, e sorrise quando un flebile «oh» meravigliato lasciò le sue labbra.
Aveva visto i pavoni.
«Ti vuoi avvicinare?», le sussurrò in un orecchio, ma lei scosse il capo.
«Sono innocui, te lo giuro», ribatté sorridendo. «Non si trasformeranno in arpie e non tenteranno di mangiarti.»
Un angolo delle labbra di Hermione si sollevò nell’accenno di un sorriso; lasciò che la guidasse più vicina a un esemplare e quando questo spalancò la coda maestosa, gli occhi le si allargarono per la meraviglia.
«Non c’erano quella notte», rammentò in un sussurro. «Anche se forse non li ho notati io.»
Draco scosse la testa lentamente. «No, Granger, non c’erano», mormorò mesto. «O meglio, ce n’era solo uno. Bellatrix, lei… Mio padre si è fatto importare dei nuovi esemplari dopo il processo.»
La avvertì rabbrividire contro il suo corpo e deglutire con forza.
Non avrebbe mai dimenticato il giorno in cui aveva visto quelle creature, normalmente di un bianco immacolato, macchiate di un rosso intenso; le risate di Bellatrix che, saltellando in giro per casa, entusiasta, si vantava di averle massacrate.
La loro esistenza non aveva senso, per lei; erano inutili, avevano una funzione puramente estetica, un sentimentalismo che non si addiceva a un luogo come Malfoy Manor, secondo la sua opinione.
Draco della sua opinione ne avrebbe volentieri fatto a meno.
«Protocollo standard dei Mangiamorte: lasciare un sopravvissuto che possa testimoniare il terrore ed esserne tormentato al solo ricordo, ogni qualvolta fosse possibile.»
Hermione trasalì.
«Quando ero piccolo li odiavo, sai» rivelò sottovoce mentre riprendevano a camminare. «I pavoni… Mio padre li curava e li addestrava, dedicava a loro molta più cura di quanto non facesse con me.»
La mano di Hermione aumentò la presa sul suo fianco sentendo quella confidenza.
«Ho sempre pensato che se fossi stato io a morire durante la guerra si sarebbe scomposto meno del giorno in cui ha scoperto che Bellatrix li aveva uccisi quasi tutti.»
Lucius era, infatti, andato letteralmente fuori di testa quando aveva scoperto che fine terribile avevano fatto i suoi preziosissimi pavoni bianchi.
«Non dire sciocchezze…»
Il biondino abbozzò un sorriso triste. «Vorrei poter dire che sto esagerando, ma non ne sono sicuro.»
Qualsiasi cosa stesse per ribattere, si perse nel momento in cui giunsero davanti a una grossa porta. Draco ci passò sopra un dito e quella si spalancò.
«Il Manor è pregno di una sorta di magia di famiglia per cui la struttura stessa è in grado di percepire il sangue di un Malfoy e rispondere ad esso» le spiegò, consapevole che la domanda su come funzionassero gli ingressi fosse balenata nella sua mente. Lei annuì distrattamente.
Non appena varcarono la soglia, Hermione riprese a tremare e si premette ulteriormente contro di lui.
«Respira», le disse. «Non vedrai niente di quello che hai visto quella notte. Questa è la mia ala.»
Lei deglutì e fece un cenno con il capo. Draco si domandò se avesse intenzione di non proferire parola per tutta la durata della loro permanenza lì, ma non diede voce ai suoi pensieri. Era troppo concentrato sullo studiare le reazioni lei all’ambiente circostante.
Hermione, infatti, si guardava attorno a metà tra l’intimorita e l’affascinata, mentre la guidava lungo i corridoi antichi e lussuosi, facendole strada; Trixy apparve davanti a loro nell’esatto momento in cui raggiunsero la zona notte.
«Hai messo su le protezioni di cui ti ho parlato?»
L’elfa annuì con vigore. «Nessuno della sua famiglia a parte lei può accedere a questa zona del castello, signore.»
Hermione si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo nel sentire quella notizia e i suoi muscoli iniziarono finalmente a rilassarsi; Draco li percepì distendersi nei punti in aderiva al suo corpo.
«Bene», commentò lui, continuando a massaggiare la parte superiore del braccio della ragazza, che continuava a tenere stretta a sé.
«Il padroncino non ha detto a Trixy quale stanza preparare per la signorina Granger.»
«La signorina Granger starà nella mia stanza, Trixy.»
«Ma Trixy non ha preparato la stanza grande, signore!» esclamò terrorizzata l’elfa. «Trixy non aveva capito, signore. Trixy corre a prepararla!»
«No, starà nella mia stanza» ripeté in tono fermo e allusivo. «Puoi andare, Trixy.»
Hermione alzò lentamente il volto su di lui e non dovette guardarla per sapere che aveva una muta domanda nello sguardo.
«Nessuno è mai entrato nella mia stanza», le spiegò riprendendo a camminare.
«Pansy…»
«Potrebbe dirti di averlo fatto, ma non è così» commentò con un mezzo sorriso. «Facevo preparare la stanza più grande dell’ala e la spacciavo per la mia.»
Draco allungò il dito con l’anello e premette il serpente incastonato sulla serratura; la porta della sua camera si spalancò, rivelando quello che non aveva mai mostrato a nessuno prima di quel momento.
Era nervoso, perché stava condividendo qualcosa che aveva custodito gelosamente per sé per tutta la vita, reputandola troppo personale perché avesse dei testimoni oltre a lui, ma Hermione era diversa.
A lei voleva dare accesso a tutto sé stesso.
La sua camera non era la stanza più grande di quell’area di Malfoy Manor; i colori di Serpeverde spiccavano sulle tende e sulle lenzuola, e una grande libreria occupava gran parte della parete laterale. Sotto la finestra, c’era un divano su cui Draco era solito leggere, con vista sui vasti, curati e rigogliosi giardini; una grande scrivania era posizionata contro la parete, frontale al letto al baldacchino che era almeno una piazza in più del normale. Le sole foto presenti erano di Draco in divisa di Quidditch o sulla sua scopa, una di quando aveva solo quattro anni; c’era una foto di gruppo della sera del Ballo del Ceppo che lo ritraeva con Crabbe, Goyle, Blaise e Astoria, Daphne e Pansy; l’unica che raffigurava anche i suoi genitori risaliva ai suoi primi anni di vita, con Narcissa che lo stringeva a sé e Lucius che li guardava fiero. Forse l’unico momento in cui era stato orgoglioso di lui e non aveva ancora neanche detto la sua prima parola.
Draco deglutì e finalmente trovò il coraggio di guardarla, trovandola a studiare l’ambiente circostante con attenzione.
«Quelli sono i tuoi libri preferiti?» chiese esitante dopo quelle che gli parvero ore di silenzio.
I libri, ovviamente.
Cos’altro avrebbe potuto suscitare il suo interesse?
Draco non riuscì a trattenere una risata. «Sì, Granger.»
«Posso avvicinarmi?»
«Puoi fare tutto quello che vuoi», affermò. «Eccetto prendermi in giro perché mi manca un dente in quella foto», precisò poi, in tono esageratamente serio, indicando con un cenno del capo la foto del sé bambino sulla scopa. «Ero caduto di faccia il giorno prima, mentre stavo cercando di imparare a mantenermi in equilibrio.»
Hermione gli sorrise. «Io a quell’età perdevo i denti facendo a pugni con i ragazzini che mi infastidivano.»
Il sopracciglio del biondino si sollevò automaticamente. «Lo sapevo che il tuo gancio dentro fosse troppo buono per non avere pratica alle spalle.»
Lei ridacchiò divertita, mentre riverente faceva scorrere le dita sulle copertine pregiate dei libri e ne leggeva i titoli con evidente curiosità sul viso.
Draco si sentiva come se si stesse esponendo con lei in un modo del tutto nuovo; si sentiva messo a nudo come non mai, salvo forse nel caso delle confidenze che le aveva fatto quando parlavano tramite i diari.
«Oh, adoro questo libro!» commentò Hermione all’improvviso, indicandone uno dalla copertina blu. «È stato uno dei primi libri di letteratura magica che ho letto…»  
Draco si schiarì la gola e si grattò il naso con fare incerto. «Se… Se c’è qualcosa che ti interessa puoi prenderla.»
Si voltò a guardarlo e gli rivolse un sorriso ampio e genuino; poi si fece seria e gli si avvicinò lentezza.
Espirò sonoramente dal naso. «Draco, perché sono qui?»
Lui corrugò la fronte, non comprendendo appieno la domanda.
«Se non ci fai mai entrare nessuno, perché sono qui?» precisò.
Il biondino sospirò rassegnato e si inumidì le labbra.
«Non vuoi proprio capirlo, vero?» sussurrò, afferrandole le braccia e attirandola a sé; le accarezzò dolcemente una guancia. «Io voglio darti tutto di me.»
Hermione fremette tra le sue braccia e lui si chinò a baciarla, poi la afferrò per i fianchi e la adagiò sul suo letto con gentilezza.
«E poi, ho sognato di prenderti su questo letto troppe volte per non farlo davvero ora che ne ho l’occasione.»
Le sue mani si diressero immediatamente a sbottonare la camicia della ragazza, ma lei stava già ridendo contro le sue labbra.
«Draco, non siamo qui per farlo in ogni posto del Manor su cui hai immaginato di scoparmi.»
Il biondino ringhiò tra i suoi capelli. «Non usare quella parola.»
«Cazzo, hai davvero un lato romantico allora!» esclamò fingendosi scioccata.
Lui scrollò le spalle e si allontanò da lei di qualche centimetro, togliendole una ciocca di capelli dal volto. «Io te l’ho detto mille volte, sei tu che non mi credi.»
«È comunque un po’ antiquato» commentò ancora e il biondino sbuffò. 
La Grifondoro sorrise, mentre lui si lasciava ricadere sull’altro lato del letto, girato su un fianco, la testa poggiata sul braccio piegato.
«Non ci sono quadri», constatò lei, fissando le pareti, probabilmente in cerca di qualsiasi cosa avrebbe potuto prendere vita da un momento all’altro e insultarla.
«Li ho fatti rimuovere da quest’ala del Manor dopo la guerra.»
Hermione si voltò a sua volta per poterlo guardare negli occhi. «Perché la tua stanza non è la più grande dell’ala?» domandò curiosa.
Draco immaginò che avere accesso a quel lato di sé la stesse intrigando, facendo passare tutto il resto in secondo piano; si sentì lusingato dalla cosa, soprattutto quando notò il luccichio nei suoi occhi, famelici di informazioni.
«La mia stanza è sempre stata il mio rifugio in questo posto» mormorò con voce distante. «E preferivo questa perché era più piccola delle altre e più… calda, non so se rende l’idea.»
Gli rivolse uno sguardo così dolce che il suo cuore smise di battere per un istante.
«Mi dispiace che nessuno ti abbia dato affetto, Draco.»
Lui deglutì, chiuse gli occhi quando la sua mano si spostò sul suo viso per accarezzarlo e giocare distrattamente con i suoi capelli.
«Non dovresti», le rispose con un filo di voce. «Tu sei l’unica persona al mondo ad avermene dato.»
§
«Ascolta, Granger… Nessuno, a parte me e gli elfi, può accedere a quest’ala del Manor, me ne sono assicurato», le disse mentre si rivestivano. «Ma la biblioteca si trova nella parte centrale della villa, al di fuori delle protezioni. Se preferisci, puoi restare qui.»
Lo sguardo di lei saettò su di lui, spaventata. «Hai detto che non mi avresti lasciata sola…»
Le fu immediatamente accanto, le mani chiuse a coppa sulle sue guance. «E non ho intenzione di farlo. Ma una volta fuori di qui, i miei genitori potrebbero farsi vedere. Se non te la senti di rischiare di incontrarli…»
«Voglio restare con te» tagliò corto Hermione. «Per favore.»
La determinazione nella sua voce lo indusse a non insistere; l’ansia lo stava logorando.
Non c’era alcuna speranza di evitare una discussione con i coniugi Malfoy, Draco lo sapeva.
Il biondino annuì e le stampò un bacio sulle labbra. «Andiamo, allora…»
Come aveva fatto quando erano arrivati alla villa, la tenne stretta a sé per tutto il tragitto, esercitando una pressione maggiore sul suo braccio una volta raggiunti i corridoi della zona neutrale, le cui pareti erano tappezzate di quadri arcigni che rifilarono loro i peggiori insulti e le occhiatacce più torve che potessero rivolgergli.
«Quando il Manor sarà mio», borbottò burberamente Draco, «li farò bruciare, giuro.»
Hermione non rise.
Erano quasi dentro la biblioteca quando la udirono: la voce di Narcissa Malfoy, fredda e chiara, provenire dalle loro spalle.
«Allora è vero», disse con enfasi. «Mio figlio è tornato a casa e non si è degnato neanche di venire a salutarmi.»
Avvertì Hermione irrigidirsi tra le sue braccia e tentare istintivamente di allontanarsi da lui, ma Draco glielo impedì, rifiutandosi di staccarsi da lei anche mentre si voltava a fronteggiare la madre.
«Madre», rispose gelidamente. «Buongiorno.»
Sentì i muscoli della ragazza tendersi ulteriormente a quella stoccata sardonica, ma la donna ci era ormai abituata, sapeva che non avrebbe commentato in alcun modo. Erano anni che le dava risposte del genere e se l’era sempre cavata senza troppi rimproveri.
Avvertì una punta di orgoglio nel constatare che la Grifondoro manteneva la testa alta e lo sguardo fiero, esattamente come quando aveva fronteggiato Bellatrix durante la guerra, non lasciandosi intimorire dalla presenza di Narcissa.
Gli occhi della donna si posarono su Hermione, severi e carichi di disapprovazione.
«Vedo che hai portato con te un’ospite.»
«S-signora Malfoy», balbettò lei a mo’ di saluto e palesemente a disagio.
Draco la strinse un po’ più forte. «Abbiamo da fare, faccende scolastiche», asserì sbrigativamente. «Dobbiamo usare la biblioteca. Spero ci perdonerai se non ci fermiamo a conversare…»
«Draco!»
La voce austera di Lucius Malfoy tuonò all’improvviso, rimbombando tra le pareti.
Il biondino spinse istintivamente Hermione alle sue spalle, un braccio teso come a schermarla dal nuovo arrivato. Sua madre era un conto, sapeva che si sarebbe contenuta per amor suo, ma suo padre…
«Che storia è questa?» domandò raggiungendoli, visibilmente alterato, scrutandoli con una smorfia disgustata a distorcergli il volto. «Che ci fai qui e con quella Sanguemarcio, per giunta?»
Draco strinse i pugni. «Non chiamarla così», sibilò a denti stretti.
L’uomo alzò un sopracciglio. «Siamo in casa mia, ragazzo. Userò il linguaggio che più mi aggrada.»
Il giovane lo guardò in cagnesco, mentre il respiro gli diveniva accelerato dalla rabbia.
«Non è la benvenuta qui» insisté Lucius, con voce fredda e strascicata.
«Temo che allora la cosa si estenda anche a me» replicò Draco, in tono sprezzante.
«Quando hai intenzione di finirla con questa storia aberrante, Draco?»
«Quando hai intenzione di finirla con queste stronzate, padre?»
Hermione tremò leggermente alle sue spalle, ma il giovane non aveva la minima intenzione di darla vinta a suo padre.
«Modera i toni, piccolo-»
«Lucius!»
Narcissa fece un passo avanti, la mano serrata sul braccio del marito e lo sguardo severo.
«Basta così. Datti un po’ di contegno per amor di Salazar!»
«Narcissa, non ho intenzione di tollerare la presenza di una Sanguemarcio in casa mia solo perché mio figlio ha deciso di abbandonare ogni decoro e intrattenersi con lei!»
Draco avvertì il sangue ribollirgli nelle vene, affluire alle tempie, offuscargli la mente e per un momento vide nero. Alcune lampade da parete andarono in frantumi, esplodendo sonoramente; Hermione strillò e sussultò, inciampando nei suoi stessi piedi e finendo contro la sua schiena.
Il biondino si voltò di scatto e la afferrò con entrambe le mani. «Mi dispiace», le bisbigliò tra i capelli. «Non l’ho fatto apposta.»
Narcissa aveva ancora una mano sul petto e lo guardava sconvolta.
Non era accaduto mai, prima; Lucius aveva spesso spinto Draco al limite, ma lui non aveva mai perso il controllo in quel modo.
«Hermione e io resteremo per un paio di giorni. Siete pregati di non avvicinarvi alla mia ala del Manor, a cui comunque vi sarebbe negato l’accesso, e vi chiedo gentilmente di tenervi lontani anche dalla biblioteca. Non vi disturberemo in alcun modo», disse gelidamente Draco, recuperando contegno.
Lucius arricciò il naso e lo guardò con disapprovazione e disgusto, prima di girare sui tacchi e sparire in fondo al corridoio borbottando insulti e imprecazioni alla rinfusa.
«Madre», asserì il biondino a mo’ di congedo, poi spinse Hermione all’interno della biblioteca e chiuse la porta con un tonfo, sigillandola con un potente Colloportus.
 
***
Hermione
 
Ci aveva provato con tutta sé stessa a non dare soddisfazione ai coniugi Malfoy, a non mostrarsi vulnerabile in quella situazione, ma alla fine aveva ceduto.
Le lampade esplose erano state troppo.
Sapeva che Draco non lo avesse fatto intenzionalmente, ma quel rumore assordante, i vetri che tintinnavano sul pavimento… non erano lampade nella sua mente, ma un candelabro antico che crollava e si rompeva, mentre lei veniva sbalzata in avanti.
Erano state le mani di Draco ad afferrarla quella volta, però, non quelle di Ron.
Stava ancora tremando.
«Hermione…»
Il biondino la stringeva tra le sue braccia, le accarezzava la schiena con fare rassicurante.
«Mi dispiace veramente tanto…»
Lei scuoteva il capo, sperando che capisse che non ce l’aveva con lui in alcun modo, ma non riusciva a parlare in quel momento.
«Per favore, non dare peso alle loro parole…»
Non lo stava ascoltando veramente, troppo impegnata a maledirsi mentalmente, a rimpiangere di non essere stata egoista e aver mandato Ron al suo posto.
Non sarebbe dovuta andare a Malfoy Manor.
C’era stata una parte di lei che era troppo curiosa di vedere il luogo in cui Draco era cresciuto con la consapevolezza che nessuno avrebbe cercato di ucciderla quella volta, ma adesso desiderava con tutta sé stessa di averla soppressa per dare ragione alla sua mente razionale che non aveva fatto altro se non suonare il campanello d’allarme da quando aveva acconsentito ad andare.
Dopo neanche un paio d’ore era assolutamente certa che tornare in quel posto avrebbe avuto delle conseguenze; era ormai in grado di gestire meglio gli incubi su quella notte, ma il suo corpo sembrava ricordare tutto perfettamente e la sola aria che circolava in quel luogo pareva riportarla indietro nel tempo. Il suo avambraccio sembrava dolere di nuovo.
«Hermione…»
Non avrebbe dovuto essere lì.
L’intera casa, persino le pareti, sembravano urlarle contro, accusandola, insultandola, rammentandole che quello non era il posto per lei.
Che Draco non era per lei.
«Draco, possiamo andarcene?» riuscì a formulare quella domanda senza sapere dove avesse trovato la forza di enunciarla; odiava sentirsi in quel modo, mostrarsi debole, ma era tutto troppo per lei in quel momento.
Il ricordo delle mani di lui sulla sua pelle appariva un ricordo remoto, distante nel tempo, come se non si fossero amati nel suo letto solo un’ora prima. 
Quel breve momento in cui aveva pensato di poter affrontare quella situazione…
«Hermione, scusami, scusami… non ho avuto abbastanza tempo per pensare a un modo di tenerli lontani anche da qui… ho perso il controllo… mi dispiace…»
Lei scosse il capo. «Portami via, per favore…»
«Hermione», lo sentiva che si stava sforzando in tutti i modi di mantenere la calma; la strinse con forza contro il suo petto, le sue braccia che la racchiudevano come a formare uno scudo protettivo. «Sei tra le mie braccia, okay? Sei al sicuro… Non sei al Manor, sei solo tra le mie braccia…»
Solo tra le sue braccia
Era vero, ne sentiva il calore, la loro forza sul proprio corpo; era con Draco, solo con Draco e quella realizzazione parve tranquillizzarla un po’, ridarle un minimo di lucidità.
Avvertì due mani decise premerle le guance.
«Apri gli occhi», le diceva voce di Draco. «Hermione, apri gli occhi e respira.»
Lo fece e si sentì immediatamente più leggera, mentre iniziava a ritornare al presente, alla realtà, lentamente, dolorosamente.
Non si era resa conto di aver smesso di respirare, i suoi polmoni pizzicavano.
Per quanto tempo aveva trattenuto il respiro?
La mano di lui si spostò sul suo polso. «Brava, così, respira… ora fermati», le disse ancora il biondino. «Ti stai facendo male, per favore, fermati…»
Hermione, finalmente, aprì un occhio e poi l’altro; la manica sinistra della sua maglietta era lacerata e il suo avambraccio era ricoperto di graffi recenti.
Non si era accorta neanche di quello, di aver iniziato a martoriare il suo avambraccio.
La scritta Sanguemarcio era ricoperta di sangue; spostò lentamente lo sguardo su Draco, stordita, e lo trovò a fissarla spaventato, pallido in volto.
Le sue guance erano bagnate.
Tirò un altro respiro profondo e tremulo. «Cosa…»
Il giovane si passò le mani sul viso. «Continua a respirare…»
Le circondò le spalle con un braccio e la condusse verso un divano da lettura, poi la distese su di esso ed evocò una coperta che le mise addosso; stava ancora tremando. Lo sentì dire a Trixy di portarle qualcosa di caldo e degli unguenti, poi le si accovacciò davanti.
«Prendo i libri e torniamo nella mia stanza», le disse con fare rassicurante. «Trixy qui si occuperà di te, okay? E domani mattina presto andremo via, d’accordo?»
Hermione annuì distrattamente, lo sguardo vacuo.
«Cazzo, avrei dovuto immaginarlo», farfugliò Draco, una punta di panico nella sua voce, mentre si accingeva a cercare i volumi di cui avevano bisogno. «Non avrei dovuto portarti qui…»
§
Si svegliò di soprassalto con la gola che le bruciava.
In realtà, tutto il suo corpo sembrava essere in fiamme.
La voce di Bellatrix Lestrange rimbombava nella stanza.
La sua bacchetta era stretta tra le sue mani e veniva puntata in ogni angolo, mentre i suoi occhi cercavano di abituarsi alla penombra e vedere qualcosa.
«Hermione», sussurrò Draco. «Era solo un incubo…»
Sentì le sue dita scivolare lungo il suo braccio, chiudersi attorno alla sua bacchetta, portargliela via e poi ritornare attorno alla sua vita; la trasse a sé e la strinse forte.
Si era addormentata. Contro ogni previsione e dopo ore di inutili tentativi, era riuscita a prendere sonno… e aveva rivissuto quella maledetta notte.
«È morta», le sussurrava Draco tra i capelli, mentre disegnava dei cerchi circolari sulla sua schiena con i palmi della sua mano. «Non può farti del male. Siamo nella mia stanza, non può venire nessuno. Ci siamo solo noi, Hermione. Solo noi…»
Gli occhi di Hermione si fermarono sul suo avambraccio fasciato.
La guerra era finita.
Sentì le labbra del biondino chiudersi tremanti sulla sua spalla, il suo naso sfiorarle l’incavo del collo; il suo petto aderire con forza alla sua schiena.
Draco era suo, ora.
Era con lui.
Andava tutto bene.
«Mi dispiace», sussurrò con un filo di voce. «Io pensavo di farcela…»
«Non ti azzardare a scusarti», le rispose a denti stretti. «Neanche per sogno…»
Hermione chiuse le mani sulle braccia di lui e le strinse, spingendole ulteriormente contro il suo corpo.
«Ho… ho urlato?»
Il giovane annuì alle sue spalle, accogliendo il chiaro desiderio di lei di essere abbracciata con più forza.
Hermione supponeva che non fosse così che aveva immaginato di averla nel suo letto…
«Non ti sto facendo dormire…»
«Smettila», le mormorò nell’orecchio. «Sono io che dovrei dispiacermi…»
«Ho deciso io di venire…» obiettò lei, ma non aveva abbastanza energie per articolare frasi più lunghe; si sentiva drenata e incredibilmente confusa.
«Non avrei dovuto permettertelo.»
Si sforzò di suonare convincente. «Niente di tutto questo è colpa tua, intesi?»
Lo sentì tirare su con il naso. «Ti ho promesso che ti avrei protetta… che non sarebbe accaduto niente di male…»
«Sono io che ho sbagliato, Draco» lo rassicurò. «Credevo di essere più forte…»
«Tu sei la strega più forte che io conosca, Hermione.»
Lei sorrise, mesta.
«È solo che non sei invincibile e a volte ce lo dimentichiamo un po’ tutti.»
«Anche se sono di spalle, posso sentirti lo sai?», gli disse sospirando. «Stai tremando.»
Si obbligò a voltarsi, per lasciarsi avvolgere completamente da lui; alzò il viso per guardarlo. Era incredibilmente pallido ed era evidente che lui non avesse chiuso occhio neanche per mezz’ora. «Dovresti dormire…»
Draco scosse il capo; quando le dita di Hermione sfiorarono le sue guance, le trovò bagnate di lacrime.
«So cosa stavi sognando…»
«Draco…»
«Lo so che non ti va di parlare di quella notte, non hai mai voluto farlo», la interruppe lui. «Ma… cazzo, le tue urla… io non riuscirò mai a dimenticarle… è il mio incubo più ricorrente», rivelò deglutendo; sembrava sul punto di scoppiare a piangere. «A volte è l’intera sequenza, altre la scena è sfocata, mischiata alle fiamme nella Stanza delle Necessità, alle grida di Crabbe…»
Hermione rabbrividì tra le sue braccia.
«C’è solo una costante, ogni volta… non ho mai capito se fosse reale o meno, perché quella notte, a un certo punto, ho perso così tanta lucidità che sentivo solo rumore, respiravo appena e vedevo nero…»
Draco iniziò a tremare più forte; Hermione non capiva dove volesse arrivare con quel discorso, perché lo stesse tirando fuori ora. Non era la prima volta che aveva un incubo su quella notte; il fatto di trovarsi al Manor doveva solo averlo reso più vivido del normale.
«…Ho sempre pensato che forse era frutto del mio senso di colpa… ma stasera tu lo hai… devo saperlo…»
La guardò finalmente negli occhi e Hermione sentì il mondo attorno a sé cadere in pezzi, il suo stomaco attorcigliarsi su sé stesso e stringersi in una morsa ferrea.
Draco non stava occludendo.
E non come gli aveva visto fare spesso mentre facevano l’amore, quando abbassava le sue difese per poterla sentire a pieno, come le aveva spiegato quando glielo aveva chiesto, visto che se n’era accorta per via del cambiamento che aveva scorto nei suoi occhi. 
In quel momento lui non stava occludendo affatto, era completamente vulnerabile, completamente scoperto, come se la sua capacità di tenere a bada le sue emozioni fosse totalmente venuta meno.
Nelle sue iridi argentee c’era dolore, rimorso, un tormento profondo… le venne un’improvvisa voglia di darsi uno slancio, stringersi a lui così forte da far sparire tutto il mondo esterno e proteggerlo dall’universo, da sé stesso e dal suo passato, dal futuro e da chiunque avesse provato a fargli del male in alcun modo.
«Devo saperlo, Hermione…»
Ripeteva quelle parole, ma non poneva mai la domanda.
La Grifondoro deglutì. «Cosa, Draco?»
Le sue labbra iniziarono a tremare. «Hai gridato il mio nome, quella notte?»
Hermione dischiuse le labbra, scioccata.
Sì.
Lo aveva fatto, in un momento particolarmente disperato, quando aveva capito che sarebbe morta e aveva desiderato aggrapparsi alla vita con le ultime gocce di forza che le erano rimaste in corpo; quando era così sopraffatta dal dolore da arrivare a sperare che lui facesse qualcosa per fermare tutto, anche lanciarle un Avada Kedavra addosso.
Ma non poteva dirglielo.
Anche solo il pensiero che se lo fosse immaginato lo logorava e lo distruggeva internamente, non poteva dargli quella conferma.
Così ingoiò saliva a vuoto e esalò un sospiro pesante. «No, Draco.»
Una lacrima lasciò i suoi occhi grigi in tempesta e lui li serrò, stringendoli forte, mentre il suo viso si accartocciava su sé stesso.
Hermione sprofondò le mani nei suoi capelli e lo strinse a sua volta; non avrebbe saputo dire dove finiva lui e dove iniziava lei, erano un groviglio di braccia e gambe che cercavano di proteggersi e farsi forza a vicenda.
Si rese conto, dopo tanto tempo, che nonostante fossero felici insieme, restavano irrimediabilmente rotti, entrambi. E a quel punto, Hermione pensava, l’unico modo che avevano per tornare interi era unire assieme i pezzi delle loro vite, delle loro anime.
Forse così ce l’avrebbero fatta.
«Hermione», sussurrò lui, singhiozzando contro il suo collo. «Lo sai che sollevi leggermente il sopracciglio destro, quando menti?»

 

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Capitolo 40
*** Capitolo 39. Malfoy Manor (Parte 2) ***


CAPITOLO 39
Malfoy Manor
(Parte 2)







 
 

 

 

 

 
Hermione
 
Si svegliò con un profumo di torta al cioccolato a solleticarle le narici. Aveva dormito forse giusto un paio d’ore e gli occhi le bruciavano per le lacrime versate durante la notte.
Era stata in una sorta di stato confusionale per quasi tutto il giorno, ma vedere Draco crollare completamente l’aveva distrutta definitivamente.
Nonostante lo conoscesse meglio ora e fosse consapevole di quanto il giovane imbottigliasse le sue emozioni, avere prova della sua reale fragilità era sempre destabilizzante; anche se non aveva più quell’aria austera e di superiorità, Draco continuava ad andarsene in giro come se niente lo potesse scalfire, ostentando sicurezza e indifferenza verso il resto del mondo, a parte lei. E anche se Hermione era testimone del repentino cambiamento in lui una volta soli nel loro dormitorio, vederlo piangere o mostrarsi vulnerabile a quei livelli la colpiva con la potenza di cento lame.
Draco Malfoy soffriva e il fatto che non permettesse a nessuno di stargli vicino non faceva che accentuare il suo dolore. Si era fermamente convinta, a quel punto, che fosse una sorta di punizione autoinflitta per via della sua totale incapacità di perdonare sé stesso per gli errori fatti da ragazzino e durante la guerra e che credesse veramente di meritare quel dolore perpetuo, che fosse in qualche modo giusto che lo provasse.
Tuttavia, quella notte si era lasciato stringere, le aveva permesso di consolarlo, di vederlo senza alcun filtro, di esserci davvero per lui.
Sentì il suo braccio serrarsi attorno al suo ventre e premerla contro il suo corpo, il suo volto sfregarsi delicatamente contro la pelle scoperta del suo collo.
«Sei sveglia?»
Hermione annuì brevemente.
Gli eventi del giorno prima stavano improvvisamente diventando più chiari nella sua mente. Lo scontro con Lucius Malfoy, le sue parole e le loro implicazioni… con un paio di frasi era riuscito a farla sentire inadeguata come nessuno era mai riuscito a fare prima; avrebbe voluto fingere che non fosse assolutamente diverso dal tipo di discriminazione che aveva subito fino a quel momento, ma non era vero, perché ora lei stava con Draco e tutto quello a cui si era ormai abituata da tempo faceva di nuovo male come al secondo anno, se non di più. La cosa che le permetteva di ignorare gli insulti, in passato, era la consapevolezza che le persone a cui teneva non la pensassero in quel modo su di lei e per la prima volta dopo tanto tempo si chiese come ci fosse finita in una relazione con il biondino, come riuscisse a sopprimere l’eco delle sue parole velenose che a volte ancora riemergeva dai suoi ricordi.
«Mi dispiace, avevi bisogno di me e non sono riuscito a reggere…»
«Sto bene», gli disse interrompendolo e voltandosi verso di lui; intrecciò le loro dita e prese a far ruotare il pollice attorno al suo, distrattamente. «Tu?»
Sembrava aver recuperato il controllo su sé stesso; i suoi occhi erano di nuovo limpidi, grigio ghiaccio, quasi impenetrabili persino per lei. A volte la infastidiva il fatto che le nascondeva quello che provava quando erano insieme; a parte la gelosia, che gli veniva davvero difficile sopprimere, Draco tendeva a tenere per sé i suoi sentimenti, concedendole di vedere le sue emozioni solo quando erano in situazioni particolarmente intime. Sperava che un giorno le avrebbe dato un accesso più ampio alla sua sfera emotiva e non solo quando sentiva troppo e tutto insieme al punto da dover scegliere tra lo scoppiare e il lasciar trapelare le cose. Ma sapeva che fargli pressioni non sarebbe stata la cosa giusta da fare; era una sua scelta, doveva decidere lui di includerla fino a quel punto. Voleva che fosse lui ad abbandonarsi a lei, non che lo facesse perché lei glielo aveva chiesto. Per cui, per il momento, si limitava a godersi quello che le concedeva, a sentirsi lusingata per ogni aspetto di sé che le permetteva di conoscere, perché sapeva che nessun altro aveva, o aveva avuto, quel privilegio, solo lei.
Il biondino rispose con un cenno del capo.
«Trixy ha portato la colazione», constatò, tirando su col naso; era a disagio, i suoi muscoli erano visibilmente tesi.
Non gli piaceva essere vulnerabile e non importava quante volte Hermione gli ripetesse che era nella natura umana avere dei momenti di debolezza, Draco non riusciva a farsene una ragione.
«Dovremmo sistemarci, prendere le nostre cose e sparire da qui.»
La giovane deglutì. «Draco, mi dispiace di averti causato problemi con tuo padre…»
«No», la fermò subito lui. «È lui quello che causa problemi, che non vuole capire. Dovrebbe essere lui a dispiacersi, scusarsi perfino. Non ti permetterò di fare dei pensieri del genere, di sentirti in colpa per questo.»
Poi prese a guardarla talmente intensamente che le sue gambe divennero di gelatina; succedeva spesso, Draco aveva su di lei un effetto che le faceva quasi provare imbarazzo per sé stessa. La travolgeva totalmente e più volte aveva temuto che tra le sue braccia si sarebbe sciolta per quanto si abbandonava a lui e alle sensazioni che le faceva provare; era capace di accenderla con un solo sguardo, di toglierle il respiro con un sorriso, di farla tremare con un semplice sfioramento, di spegnerle il cervello con un cenno. E lo faceva mentre nel frattempo occludeva.
Si era chiesta spesso se si fosse accorto di quello che le provocava quando facevano l’amore e lui smetteva di occludere, ma non gli aveva mai rivolto domande al riguardo.
«La mia dolce strega…»
La sua voce faceva le fusa alle sue orecchie; Draco aveva un dito sotto il suo mento e scorreva il pollice sul suo labbro inferiore con una lentezza estenuante che la indusse a fremere di impazienza e anticipazione. I denti di lui si strinsero sul suo labbro, facendola gemere; mentre la baciava, la sua mano aveva iniziato a vagare, indugiando sul suo seno, i suoi occhi erano divenuti argento fuso, scuri, e il suo ginocchio si era insinuato tra le sue gambe, aprendo un varco apposito per lui.
«Ti amo così tanto, cazzo…»
Hermione inarcò il bacino verso di lui e gli conficcò le unghie nelle spalle, quando scivolò in lei senza alcun preavviso. In genere si prendeva molto tempo per prepararla, anche se non ne aveva affatto bisogno, perché quando le sussurrava cose in quel modo il calore la invadeva immediatamente, rendendola subito pronta ad accoglierlo.
Una volta aveva detto a Ginny che fosse fermamente convinta del fatto che “Draco che le sussurrava cose all’orecchio” andasse aggiunto alla lista dei preliminari. Adesso ne aveva quasi la certezza più assoluta.
Avrebbe voluto dirgli quelle due paroline a sua volta.
Lo desiderava con tutta sé stessa, perché lo amava così tanto che quando ci pensava le faceva male il petto. Lo sentiva nelle sue ossa il bisogno di farglielo sapere, ma ogni volta che dipartiva le labbra per parlare, la sua gola si chiudeva in una morsa e il panico le stritolava il petto, allora si limitava a urlarglielo nella sua testa.
E così ogni volta che tra una spinta e l’altra Draco le sussurrava «Mia…» all’orecchio, lei rispondeva nella sua mente: “Tua…
«Sei mia…»
Ti amo.”
§
«Ascolta, Hermione», mormorò mentre si riabbottonava la camicia, una visuale su cui lei cerca sempre di non indugiare troppo o dal letto non ci sarebbero usciti mai.
«Mi è venuto in mente un altro testo da prendere dalla biblioteca, te la senti di aspettarmi qui?»
Lei deglutì e annuì.
La pozione della pace che le aveva dato aveva fatto il suo lavoro, facendole domandare perché diavolo non ci avessero pensato prima, così avrebbe potuto aiutarlo nella ricerca dei volumi e avrebbe potuto soddisfare la sua curiosità riguardo a una delle biblioteche più antiche e rinomate del mondo magico, in barba alla cattiveria gratuita di Lucius Malfoy.
Le lasciò un bacio sulla tempia e poi uscì a passo svelto dalla stanza.
Hermione si prese del tempo per studiare ulteriormente il luogo.
Si chiedeva se prima della guerra ci fossero altre foto in giro; con Crabbe e Goyle, magari, o con la Parkinson…
Sorrise, perché anche lei aveva uno scaffale interamente dedicato ai testi scolastici e quasi le venne da ridere nel constatare che Draco non aveva conservato il Libro Mostro dei Mostri, - non lo aveva fatto neanche lei, non riusciva a dormire con gli occhi sulla copertina che saettavano ovunque e la osservavano -, e il cuore le si strinse nel petto quando notò che aveva invece fatto riporre in una teca la sua prima scopa, così piccola, custodita con cura affinché venisse preservata dal trascorrere del tempo.
Le dita le formicolarono per l’impulso di toccarla, ma non le sembrava giusto farlo senza l’espresso consenso di Draco. Qualcosa le faceva percepire quel gesto come un’intrusione non autorizzata nella sua sfera privata. Aprì uno scrigno di legno pregiato che si trovava sulla sua scrivania e osservò gli oggetti che probabilmente il biondino reputava più preziosi per lui, ma non si arrischiò a toccare niente; per la prima volta, si trovò a chiedersi se ci fossero, in giro per casa, cimeli o oggetti pericolosi per lei, su cui vigevano maledizioni contro i Nati Babbani…
C’era un boccino d’oro, probabilmente il primo che aveva catturato; come lo avesse avuto, non ne aveva idea. C’era l’anello della famiglia Black, probabilmente ereditato dal nonno materno alla sua morte; una piuma pregiata, uno scatolino sigillato.
Hermione si domandò cosa contenesse…
Sussultò quando udì un sonoro pop! alle sue spalle; lo spavento la indusse a ritrarre entrambi le mani, facendo richiudere lo scrigno con uno scatto.
«Signorina, Tinky ha un messaggio per lei!»
L’elfo la guardò con una strana espressione in volto.
«Tinky?» gli fece eco Hermione, confusa.
«Il Padrone vuole vederla, signorina!» disse ancora la creatura, ignorando la sua richiesta di spiegazioni.
Il Padrone… Draco aveva solo Trixy e se avesse avuto bisogno di lei, sarebbe andato a prenderla personalmente o avrebbe mandato da lei la piccola elfa.
Tinky stava parlando di Lucius Malfoy.
Deglutì con forza.
«Il Padrone vuole che prenda un tè con lui subito» aggiunse con una punta di ansia l’elfo.
Hermione prese a torturarsi le mani; cos’avrebbe dovuto fare?
Non aveva il tempo di far chiamare Draco, né di riflettere su un modo per evitare quell’incontro senza risultare sgarbata o una codarda. Né poteva rifiutarsi di andare, diventando la responsabile del dolore che sicuramente Lucius Malfoy avrebbe inflitto a quel povero elfo se si fosse presentato senza di lei.
Tese la mano alla creatura e si Smaterializzarono.
Quando aprì gli occhi, il sangue le si gelò nelle vene.
L’ampia stanza in cui si trovava era spaventosamente familiare, cupa e minacciosa.
Lucius Malfoy la guardava con un mezzo sorrisetto dal divano su cui sedeva, probabilmente gustandosi la tortura indiretta che le stava infliggendo.
Era nel salotto dove Bellatrix l’aveva fatta torturare.
Hermione strinse i pugni e respirò a fondo, ringraziando la pozione della pace che scorreva nel suo corpo.
«Signorina Granger», disse gelido Lucius Malfoy. «Si accomodi.»
No. Non aveva intenzione di sedersi sulla poltrona che era stata fatta posizionare nell’esatto punto dove era stata gettata sul pavimento, mentre Bellatrix le incideva la parola Sanguemarcio sulla pelle.
«Preferisco restare in piedi», asserì freddamente lei.
L’uomo le rivolse un sorriso affettato. «Credo che ieri abbiamo iniziato con il piede sbagliato, signorina Granger. Fossi in lei, mi accomoderei. Abbiamo diverse cose di cui discutere.»
«Sto bene qui» ribadì la ragazza. «E io non ho niente da dirle e poco tempo a disposizione, per cui, se quello che lei ha da dirmi è di qualche importanza, le conviene iniziare a parlare.»
Era sicurissima che Draco avrebbe perso la testa se avesse scoperto di quanto stava accadendo in quel momento ed era certa che sarebbe successo.
«La faccio breve allora, signorina Granger», sibilò intrecciando le mani e scrutandola con un’espressione rigida e severa. «Cosa vuole?»
Hermione corrugò la fronte. «Non credo di seguirla.»
Lucius dilatò le narici ed espirò sonoramente. «Quanto vuole per stare lontana da mio figlio?»
La mascella della giovane cadde a terra. «Sta scherzando…»
«5000 galeoni potrebbero andarle bene?»
Un moto di disgusto verso quell’uomo si diffuse in tutto il suo corpo quando comprese che non stesse affatto scherzando.
«Crede veramente di potermi comprare con i soldi, signor Malfoy?»
Lui arricciò il naso. «10000 galeoni?»
Hermione gli rivolse una smorfia nauseata. «La smetta. Non mi interessano i suoi soldi! È pazzo se crede che rinuncerò a Draco per-»
«15000 galeoni, signorina Granger?» insisté l’uomo. «Posso andare avanti per tutta la mattina, prima o poi cederà.»
«No che non lo farò!» esclamò lei indignata. «Quanto dev’essere patetico per non rendersi conto che quello che provo per suo figlio non è quantificabile sulla base di una cosa materiale come il denaro? Non voglio i suoi soldi, voglio stare con Draco!»
Lucius strinse le labbra in una linea sottile. «Tutti hanno un prezzo, signorina Granger. Ci dev’essere qualcosa che desidera con tutta sé stessa… Io posso aiutarla ad ottenerla. Se lei gira al largo da mio figlio. Sappiamo entrambi che non lei non va bene per lui, non è… neanche lontanamente adatta
Hermione soffocò il dolore per quella stilettata nel petto. «Non c’è niente che lei possa offrirmi, niente al mondo, per cui valga la pena sacrificare quello che ho con Draco.»
«Lei si aspetta che io creda veramente che è interessata a mio figlio e non alla sua eredità?»
La Grifondoro trasse un respiro profondo, perché c’era qualcosa di fottutamente ironico nel fatto che stava ammettendo davanti a Lucius Malfoy quello che ancora non aveva il coraggio di dire in faccia a Draco. «Non mi aspetto che lei possa comprendere un sentimento come l’amore, ma…»
«L’amore non è rilevante per gente come noi, signorina Granger», la interruppe l’uomo. «Draco sposerà una Purosangue tradizionalista, una donna nobile, alla sua altezza. Non una patetica, ordinaria, Sanguemarcio che è riuscita in qualche modo a infilarsi nel suo letto.»
Le mani iniziarono a tremarle convulsamente. «Draco non crede più all’ideologia purosanguista…»
Lucius si lasciò sfuggire una risata fredda. «Mi faccia il piacere, signorina Granger. Sta solo attraversando un periodo di ribellione.»
«Non mi risulta.»
«Non la credevo così ingenua, signorina Granger» ribatté sprezzante. «Dovresti sapere che anche se mio figlio ha smarrito la strada, prima o poi tornerà in sé. I suoi doveri nei confronti della famiglia avranno la meglio.»
L’uomo tirò un sospiro lungo e profondo, poi con finta gentilezza le disse: «Si faccia un favore. Prenda quello che può ora, perché alla fine, Draco la getterà via come faceva quando era piccolo con i suoi giocattoli una volta che lo avevano stancato. E lei non avrà niente
Le venne un’improvvisa voglia di piangere, ma era fermamente decisa a non dare quella soddisfazione a Lucius Malfoy, così si impedì di farlo.
«Non può essere così sciocca da pensare veramente che la vostra storia possa avere un lieto fine.»
Strinse i pugni con forza. «Se Draco vorrà terminare la nostra relazione a un certo punto, me ne farò una ragione, signor Malfoy» sibilò tra i denti. «Ma non baratterò mai il mio amore per un pugno di galeoni o la richiesta inopportuna di un partito esterno.»
Lucius digrignò i denti.
«Non so cosa mi faccia provare più pena per lei», aggiunse Hermione. «Che non sappia cosa sia l’amore o che non riesca a vedere suo figlio per la persona incredibile che potrebbe diventare. Ha passato tutta la sua vita a fare del suo meglio per rovinarlo, ma non avrà il mio aiuto per continuare a farlo. Tutto ciò che Draco avrà da me è quello che lei non è mai riuscito a dargli. Amore, fiducia, affetto, supporto, comprensione. Per cui si tenga i suoi maledetti soldi e si risparmi gli sforzi per cercare di convincermi a lasciarlo, perché sarebbero inutili. Anche se dovessi finire per essere lasciata e con il cuore spezzato… non abbandonerò mai Draco.»
Non seppe mai cosa stesse per ribattere Lucius Malfoy, perché la porta del salotto si spalancò con un tonfo e il biondino fece irruzione, furente.
Hermione non lo aveva mai visto così arrabbiato.
 
***
Draco
 
«DRACO!»
Sentire la voce di Hermione urlare il suo nome, supplichevole, terrorizzata, agonizzante, lo aveva lacerato internamente.
Aveva sempre pensato che quel dettaglio dei suoi incubi fosse un prodotto del suo subconscio per torturarlo maggiormente, il culmine del suo senso di colpa che emergeva nel momento in cui era più vulnerabile per spargere sale sulle sue ferite. Hermione non aveva mai menzionato quel particolare, neanche nelle poche volte che avevano accennato a quel discorso, ma, in fondo, non aveva mai voluto parlarne veramente.
Gli era convenuto, pensare che non fosse accaduto realmente; che lei non avesse veramente invocato il suo aiuto quella notte, che non fosse stato sordo a quella richiesta disperata e implorante da parte della ragazza che amava.  
«DRACO!»
E poi, lei lo aveva gridato nel cuore della notte.
Draco non stava dormendo, perché era troppo occupato a vegliare su di lei, a stringerla nella speranza che sentisse che lui era lì e che era protetta, al sicuro. Le sue barriere mentali erano andate in frantumi, mentre quel suono agghiacciante penetrava nelle sue ossa e la realtà lo colpiva dolorosamente al petto, una realtà che lei aveva avuto il coraggio di provare a negare, quando le aveva chiesto spiegazioni; una bugia in cui lui non aveva potuto annegare, perché l’aveva riconosciuta immediatamente in quanto tale.
Conosceva Hermione troppo bene e mentire non era esattamente il suo forte. Lui non meritava che lei indorasse la pillola, che cercasse di alleviare i suoi rimorsi.
«DRACO!»
Era successo veramente.
Si chiedeva se il ricordo di quel suono avrebbe mai smesso di tormentarlo o se alla fine lo avrebbe condotto alla pazzia.
Si domandava anche quale diritto avesse di farsi abbracciare da lei e di stringerla a sua volta, di averla accanto.
E mentre le giurava di amarla, affondando in lei, e lei soffocava qualsiasi risposta a quella dichiarazione, Draco lo sapeva.
Sapeva che Hermione non avrebbe mai potuto innamorarsi di qualcuno come lui e che lui non sarebbe mai stato degno di essere amato da lei.
Persino avere l’audacia di farla sua, dimostrava quanto fosse indegno di averla al suo fianco. Era un maledetto egoista che avrebbe dovuto solamente allontanarla e permettere a qualcuno migliore di lui di renderla felice e godere del suo amore, ma sapeva anche che non avrebbe mai avuto il coraggio di lasciarla andare, perché perderla avrebbe significato condannarsi a un tipo di morte forse persino peggiore di quella fisica: la morte interiore.  
§
Fece scorrere la mano sulla copertina del libro che era andato a prendere dalla biblioteca.
Non lo aveva portato via il giorno precedente perché non voleva che Hermione lo vedesse; quella era una ricerca che doveva fare per conto proprio e condividere con lei solo nel momento in cui avrebbe avuto dei risultati incoraggianti, non poteva illuderla perché se fosse stato tutto inutile ne avrebbe sofferto troppo.
Diede un rapido sguardo agli altri volumi nel reparto degli Incantesimi di Memoria e ne afferrò qualcun altro, convenendo poi che gli altri libri erano troppo poco rari perché Pucey non ci avesse già messo le mani sopra, e li fece scivolare in una sacca.
«Trixy, li puoi portare nella mia stanza a Hogwarts e poi tornare qui?»
L’elfa annuì freneticamente. «Trixy ci pensa subito, signore!»
Si lisciò la giacca con le mani e fece per uscire, ansioso di tornare da Hermione il prima possibile, quando la figura di sua madre comparve davanti a sé, impedendogli il passaggio.
«Madre», la salutò. «Sono di fretta.»
Lei lo ignorò. «Si può sapere cosa stai combinando, Draco?»
Draco sbuffò. «Con permesso…»
Fece per oltrepassarla, ma la mano di Narcissa si chiuse ferrea sul suo braccio e lo spinse indietro, nuovamente all’interno della biblioteca.
«Lei non va bene per te.»
«Sono io che non vado bene per lei!» ribatté lui, ringhiando tra i denti. I suoi genitori lo avevano portato ben oltre il limite della sua pazienza già il giorno prima e il sangue nelle sue vene ribolliva ancora di rabbia. «Smettetela di non rendervi conto di chi sia veramente quello sporco, qui!»
Narcissa trattenne il respiro per un attimo, ma recuperò subito contegno. «Vedila come vuoi, ma metti un punto a questa storia.»
Draco si lasciò andare a una risata gelida. «Non vi permetterò mai più di decidere della mia vita al posto mio», le assicurò con voce fredda e strascicata. «Restate fuori dalla mia relazione con Hermione, perché non avete voce in capitolo.»
La donna assottigliò gli occhi. «Ho visto come la guardi ed è estremamente preoccupante. Non dirmi che te ne sei innamorato.»
Il biondino deglutì. «Sì», ammise in un sussurro. «Con tutto me stesso.»
«Draco, è una Sanguemarcio!» protestò indignata lei. «Tuo padre non lo accetterà mai!»
Il ragazzo strinse i pugni e digrignò i denti. «Non. Chiamarla. Così.»
Narcissa trasse un respiro profondo. «Ascolta, tuo padre è stato furbo. Ha rivelato solo i nomi dei Mezzosangue al Ministero, sei ancora un buon partito per chiunque nelle famiglie Purosangue… se la signorina Parkinson non ti interessa più, se preferisci una Purosangue non tradizionalista, possiamo trovare un’altra candidata che faccia al caso tuo.»
«Vediamo se riesco a farmi capire una volta per tutte», sibilò con rabbia. «Non voglio la vita che volete per me. Non voglio sposare una maledettissima Purosangue. Voglio solo lei. Voglio la Granger. Ho smesso di sacrificarmi nel nome di questa famiglia!»
«Draco, cerca di ragionare…»
«Voglio quello che mi dà lei e che nessuno in quest’ambiente malato potrebbe mai darmi. Amore, supporto, affetto… niente che voi possiate capire, comunque.»
«Questo è ridicolo» commentò sprezzante sua madre.
«No, è il vostro mondo ad essere ridicolo!» sbottò lui, impaziente di tornare da Hermione e lasciare il Manor, si auspicava per sempre.
«Non ti abbiamo cresciuto affinché ti perdessi dietro sciocchezze del genere!» insisté Narcissa, impuntandosi sui piedi.
«No, mi avete cresciuto per diventare uno stronzo con la puzza sotto il naso incapace di riconoscere le cose che contano veramente nella vita, mi avete allevato per divenire uno schifosissimo Mangiamorte!» urlò in preda alla rabbia. «Hai idea di quanto mi disgusti essere me stesso? Di quanto mi ripugni la persona che sono stata finché ho seguito i vostri precetti?»
«Resti comunque un Malfoy, Draco! Hai dei doveri nei confronti del tuo retaggio, sei un nobile!» gridò a sua volta la donna. «Sposerai una donna adatta al tuo rango! Smettila con queste scemenze…»
«Non capisci, vero?» sputò il giovane, serrando la mascella. «Eppure, tu ti sei sposata per amore. Perché vuoi togliermi a tutti i costi la possibilità di essere felice? Perché non hai lasciato che Voldemort mi uccidesse se preferisci veramente vedermi costretto a una vita miserabile piuttosto che permettermi di costruirne una con la ragazza che amo?»
Lo schiaffo della donna lo colpì con forza su una guancia. «Non osare mai più parlarmi in questo modo» lo avvertì gelida. «Tutto quello che ho fatto… quello che faccio, è solo per il tuo bene.»
Draco arricciò il naso. «Allora smettila di impicciarti nella mia vita.»
«Non ho intenzione di tollerare una faccenda simile un’altra volta, Draco!»
Il biondino ringhiò dalla frustrazione. «Non me ne importa nulla di quello che hai intenzione o non hai intenzione di fare!» berciò agitando le mani in aria. «Io resterò con lei, finché lei mi vorrà accanto! E pregherò per tutta la vita affinché continui a non rendersi conto di meritare di meglio di me!»
«Quella ragazzina è fortunata anche solo per aver ricevuto un tuo sguardo-»
«Sono io quello fortunato! Dannazione!» gridò. «Non capisci? Mi sono innamorato di lei senza sapere che aspetto avesse, senza sapere con chi stessi parlando, tra le pagine di un diario. Lei non sapeva neanche chi fossi e mi ha salvato la vita, letteralmente e figurativamente! E mi ha dato una possibilità anche dopo che l’ho ripagata dei suoi sforzi con l’indifferenza e la codardia. Non la deluderò di nuovo.»
La donna sgranò gli occhi a quelle parole.
«Questa è la mia nuova idea di purezza, madre», sospirò il biondino. «Il rapporto che ho con la Granger è puro. Il resto non conta niente.»
«Oh, non di nuovo questa sciocchezza dei diari!» chiosò Narcissa, accigliandosi.
«Che cosa intendi dire?»
Lei arricciò il naso, ma non rispose.
Il suo silenzio, però, valeva più di mille parole per Draco.
«Andromeda… tua sorella, quella che non ho mai conosciuto» dedusse, iniziando a ragionare a voce alta, facendo due più due. «Erano lei e suo marito i precedenti proprietari…»
«Quelle stupidaggini hanno distrutto la mia famiglia una volta, Draco. Non permetterò che accada di nuovo!»
«Non sono stati i diari a distruggere la tua famiglia», disse lui. «Siete stati voi con il vostro bigottismo.»
Narcissa si irrigidì.
«Quei diari hanno dato la felicità a tua sorella e i Mangiamorte gliel’hanno strappata via» aggiunse in un sussurro. «Ora tu cerca di non portarla via a me.»
Lasciò la biblioteca prima che sua madre potesse impedirglielo una seconda volta. Aveva tardato anche troppo, doveva raggiungere Hermione; le aveva dato una pozione della pace, ma non sapeva se fosse sufficiente a farla stare tranquilla tra le mura del maniero, anche se si trovava nella sicurezza della sua stanza.
Un moto di panico si impossessò di lui quando aprì la porta della sua camera da letto e la trovò vuota; entrò nel bagno per controllare se la ragazza fosse lì, ma non c’era nessuno.
«Padroncino!»
Trixy apparve davanti a lui, visibilmente agitata, gli occhioni spalancati e terrorizzati, le mani premute contro il volto. «Padroncino! La signorina è con il signor Lucius! La signorina, oooh!»
Draco sgranò gli occhi e si abbassò a guardare la piccola elfa, terrificato. «Portami subito nell’ufficio di mio padre.»
«Non sono nel suo ufficio, Padroncino!» squittì la creaturina, coprendosi gli occhi con le orecchie. «Sono n-nel s-salotto! Qu-quello che mi a-avevi f-fatto s-s-sigillare!»
Il giovane vide nero, mentre il piano dei suoi genitori veniva rivelato all’improvviso; Narcissa aveva tampinato lui, Lucius…
«Portami subito lì.»
§
Le afferrò le braccia con entrambe le mani e la studiò con attenzione. «Stai bene?»
Sapeva di avere puro ghiaccio negli occhi, gli succedeva sempre quando la rabbia lo colpiva con quell’entità, a quanto gli aveva detto Hermione.
Sentiva il sangue pulsare nelle sue tempie, ribollire nelle sue vene; la stanza sembrava chiudersi attorno a lui, toglierli l’aria. La odiava, l’aveva fatta sigillare per un motivo. Non voleva vederla mai più.
E suo padre aveva portato Hermione lì.
Bastardo…”
Lei lo guardò con gli occhi lucidi, deglutì e annuì.
«Quale parte di sta’ lontano da lei non ti era chiara, padre?» tuonò rivolgendosi all’uomo, che mantenne una calma calcolata.
«Via, via Draco» disse con una risatina priva di ilarità, «stavamo solo parlando.»
«Ne dubito altamente!» ruggì il giovane. «Non ricevi mai la gente fuori dal tuo ufficio e questa stanza dovrebbe essere chiusa per mio ordine!»
«Sono io il padrone di casa, Draco» gli ricordò suo padre con una nota ammonitrice nel tono della voce. «Non avevo alcun motivo per tenere il salotto sigillato. L’ho fatta sistemare dopo il tuo ritorno a Hogwarts.»
Draco strinse i pugni. «Lo hai fatto di proposito…»
Lucius sollevò un sopracciglio, fingendo di non capire. «Non capisco, cos’avrei fatto di proposito?»
«Mi fai schifo, giuro» sibilò con astio. «Sta’ lontano da lei… e sta’ lontano da me.»
«Altrimenti?»
Sapeva di avere la mano di Hermione posata sul braccio, un vano tentativo di calmarlo, che non stava affatto sortendo l’effetto desiderato. Avanzò finché non fu a un passo dal padre e digrignò i denti e, scandendo ogni singola parola, ringhiò: «Ricordati fino a dove sono stato disposto a spingermi quando ho dovuto proteggere la mamma.»
Tornò nuovamente al fianco di Hermione, che lo fissava con gli occhi sgranati e le labbra dischiuse, i muscoli del suo corpo visibilmente tesi. Le circondò le spalle con un braccio e la trascinò fuori dal salotto, respirando pesantemente.
«Non ho intenzione di tollerare un simile oltraggio, ragazzo!» gli urlò dietro il padre. «Non ti permetterò di insozzare il retaggio della nostra famiglia lasciandoti frequentare una lurida Sanguemarcio
Draco si arrestò, inchiodando ed estraendo la bacchetta.
«Ti ho detto di non chiamarla così.»
«Draco, per favore…»
Hermione lo stava tirando per la manica della giacca, la sua voce era un sussurro tremulo.
«Basta con queste scemenze! Vedi di ritrovare il senno ragazzo, o giuro che…»
La frase cadde nel vuoto e la stanza divenne improvvisamente gelida, l’aria sembrava pesare tonnellate.
«Continua», lo sfidò il biondino. «Dillo, avanti, coraggio!»
Lucius arricciò il naso, ma tentennò sul suo posto.
«DILLO!» gridò ancora Draco, mentre il braccio iniziava a tremargli. «Forza, liberami dal peso di essere un maledetto Malfoy! Che cazzo stai aspettando, ah?»
L’uomo fece per aprire la bocca, ma la voce di Narcissa rimbombò impetuosa tra le pareti.
«Lucius.»
Era ferma, autoritaria, decisa. «Non osare
Lucius rivolse una smorfia adirata e disgustata a tutti loro, poi ritornò tutto impettito all’interno del salotto, sbattendosi la porta alle spalle.
«Draco», disse poi sua madre, avanzando un passo verso di lui.
«No», sibilò il biondino, rifiutandosi di restare ad ascoltare anche solo un’altra singola parola pronunciata da uno dei suoi genitori. «Ce ne andiamo.»
Afferrò Hermione per un braccio e poi diede l’ordine a Trixy di Smaterializzarli. L’elfa li prese entrambi per mano ed eseguì la richiesta.
 
***
Hermione
 
Era come pietrificata, completamente incapace di muovere anche solo un muscolo. Guardava Draco agitare la bacchetta, sistemare tutti i suoi averi in un baule, ridurlo e infilarlo nel baule più grande, quello dove avevano messo i libri selezionati per le ricerche sugli attacchi.
La foto di famiglia di quando era piccolo cadde sul pavimento, mandando la cornice in frantumi, ma il biondino non ci badò.
Non riusciva a parlare, Hermione.
Non lo aveva mai visto così fuori controllo, prima, così arrabbiato.
Quando finì di sistemare le cose, finalmente, si voltò a guardarla e lei ingoiò saliva a vuoto, scoprendo che la sua gola bruciava.
L’espressione sul volto doveva essere estremamente eloquente, perché lo sguardo di lui si addolcì subito; le si avvicinò, si sedette sul letto accanto a lei e l’abbracciò.
«Non volevo spaventarti.»
Poteva sentire il cuore di lui pulsare rapidamente contro il petto e il suo viso era ancora livido, le sue dita ancora tremanti di rabbia.
Hermione fece scivolare le mani lungo la sua schiena, poi si spostò alle sue spalle e iniziò a fargli dei massaggi, nella speranza di allentare la sua tensione.
Lui chiuse gli occhi e sospirò profondamente, a lungo. Quando li riaprì, era di nuovo calmo e controllato.
«Dobbiamo andare», sussurrò alzandosi e tendendogli la mano.
Trixy li aspettava paziente, compressa contro un angolo della stanza. Non le piacevano i rumori esattamente quanto non piacevano a Hermione e Draco non aveva badato ai suoi modi mentre raccoglieva le cose da portarsi dietro in tutta fretta.
La Grifondoro le diede una stretta sulla spalla esile e le sorrise incoraggiante, per tirarla su; l’elfa arrossì e le tese una mano per prepararsi alla Smaterializzazione elfica.
«Sai dove portarci, Trixy.»
«Che cosa?» domandò Hermione perplessa.
«Non torniamo a Hogwarts, non ancora.»
Draco le passò un foglio di pergamena, su cui erano apportate le firme della McGranitt e di Kingsley: l’autorizzazione per lasciare il castello e i luoghi in cui sarebbero andati.
«Non capisco, hai chiesto un giorno in più?» chiese sempre più confusa. «E cos’è Oasis
Il biondino le sorrise, una strana luce gli illuminava lo sguardo. «Lo vedrai.»

 

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Capitolo 41
*** Capitolo 40. Oasis ***


CAPITOLO 40
Oasis







 
 

 

 

 

 
Hermione
 
Non appena giunsero a destinazione, Draco le passò una fotografia.
Hermione si guardava attorno perplessa, cercando di capire perché l’avesse portata in quel posto deserto e pieno di rovine, ma quando prese la foto tra le mani capì immediatamente.
«Oh, è un Incanto Fidelius?» commentò sorpresa.
«Una specie», confermò lui. «Serve più a tenere lontani occhi indiscreti e a garantire protezioni di alto livello.»
«E mi stai passando il testimone?»
Lui annuì, sorridendole dolcemente; il calore nel suo sorriso fece fare una capriola al suo cuore.
Si mordicchiò le labbra, mentre memorizzava la formula, poi alzò lo sguardo in attesa che la realtà prendesse forma davanti ai suoi occhi.
Hermione dischiuse le labbra, meravigliata dal paesaggio che si distendeva dinnanzi a lei.
Un enorme cancello e delle alte mura bianche racchiudevano un fiabesco castello, circondato da un immenso campo verde; dall’esterno, Hermione riusciva a scorgere l’immagine di un maestoso e curato giardino, diverse fontane, gazebi e panchine, fiori variopinti, piante magiche e alberi cespugliosi.
Il posto era decisamente più grande del Manor all’esterno, più luminoso e colorato, anche se la dimora in sé sembrava più piccola, relativamente piccola per gli standard di un Malfoy, comunque.
«Questa è Oasis», sussurrò Draco, mordendosi il labbro inferiore. «I Malfoy risiedono al Manor, è vero, ma ognuno di noi ha delle proprietà a proprio nome. Questa è… casa mia, Granger.»
Hermione era senza parole. «L’hai presa dopo la guerra?»
Draco scosse il capo. «L’ho sempre avuta, ma l’ho fatta ristrutturare dopo il processo, per renderla più accogliente e quanto più diversa possibile dal Manor.»
Draco le spiegò che faceva parte dell’eredità che aveva ricevuto alla morte del nonno materno in quanto ultimo discendente diretto della famiglia Black, quando era solo al secondo anno a Hogwarts; che aveva trascorso lì i suoi giorni dopo il processo, in modo da finalizzare il progetto di ristrutturazione prima di tornare al castello, sperando di poter rendere quel posto la sua dimora fissa in caso fosse stato scagionato completamente alla fine dell’anno scolastico; le disse che non sopportava l’idea di dover restare al Manor, che non voleva farlo, e che desiderava che non ci fosse nulla nella sua nuova casa che gli rammentasse quella vecchia.
«Hanno finito i lavori la settimana scorsa e quando è stato deciso che saresti venuta tu con me ho chiesto un giorno in più alla McGranitt e la possibilità di portarti qui», spiegò ancora. «Non ti ho detto niente perché non ne ho avuto conferma fino a poco prima di partire. Sai, ho un’altra biblioteca, anche se è più piccola di quella di famiglia.»
«Ecco cosa dovevi dirle quella sera…»
Il biondino annuì. «In realtà le probabilità di trovare un libro utile qui sono quasi sotto lo zero, ma non c’era motivo di farlo sapere anche a lei.»
Hermione rise e riprese a guardarsi attorno estasiata. «Non hai alcun concetto di modestia, comunque.»
«È un concetto superfluo.»
«Non esattamente», obiettò lei, ma continuando a sorridere.
Draco le tese una mano e lei la afferrò, cercando di impedire alle sue dita di tremare come stavano facendo, ma senza successo alcuno. «Vogliamo andare?»
§
Le mostrò l’interno della villa con una sorta di impazienza che Hermione non riusciva a comprendere pienamente. Era meravigliosa e non c’era niente in quel posto che urlasse “famiglia dedita alle Arti Oscure con problemi di bigottismo e dubbie inclinazioni vive qui”.
Draco aveva fatto installare delle finestre grandi che illuminavano le stanze a giorno, con le tende tirate; i colori alla base dell’arredamento erano comunque scuri, ma venivano compensati dal livello di illuminazione garantito dall’esterno e i mobili erano sì pregiati, ma non antichi e tetri; non vi erano neanche pezzi di oggettistica inquietanti e lugubri, né quadri a ricoprire le pareti.
Era molto moderno, per essere una sottospecie di castello.
Trixy trottolava per la casa esagitata, lasciandosi andare a delle esclamazioni acute di tanto in tanto, laddove trovava qualcosa che giudicava fuori posto o della polvere; Draco non doveva averla mandata in anticipo a sistemare il luogo, però, perché non cercava di punirsi come se quella fosse in qualche modo colpa sua. Hermione ne era sollevata.
«Sai cosa non capisco?» gli domandò distrattamente, curiosando tra gli scaffali della sua biblioteca. «Cosa te ne fai di tutte queste stanze?»
Le rivolse uno sguardo un po’ perso che la fece ridere e scuotere il capo, ma tornò seria quasi subito, perché lui la stava fissando con una strana espressione sul viso.
«Stai bene?» gli chiese avvicinandosi. «Sei ancora arrabbiato?»
«Sono sempre arrabbiato con i miei genitori, Granger» rispose lui, sospirando. «Non sopporto il modo in cui si sono comportati con te.»
Lei abbozzò un sorriso che sperò vivamente non sembrasse triste. «Non mi aspettavo di essere accolta con baci e abbracci», gli disse ironizzando.
Lui strinse il labbro inferiore tra i denti e distolse lo sguardo da lei.
«Ti ha portata lì… Lo ha fatto per ferirti… E io ti avevo promesso che-»
«Draco…» sospirò lei, stancamente. «Non addossarti colpe di cose che sono fuori dal tuo controllo. Ti butti giù abbastanza senza caricarti di pesi superflui.»
«Ho passato giorni a studiare il modo per tenerlo lontano da te. Mi spieghi perché diavolo ci sei andata?» mormorò scuotendo il capo. «Dannati Grifondoro e il vostro orgoglio…»
«Non c’entra niente l’orgoglio», obiettò lei, anche se non era esattamente sicura di non averlo fatto per quello. «Ero in casa sua e sarebbe stato maleducato da parte mia-»
«Maleducato», ripeté lui sbigottito, interrompendola. «Ti preoccupi di risultare sgarbata con persone che non ti hanno mai riserbato rispetto?»
Hermione fece spallucce e restarono in silenzio per qualche istante, poi lui si leccò le labbra e tornò a guardarla. «Cosa ti ha detto?»
La giovane deglutì, poi si arrese. Non aveva senso cercare di evitare il discorso, Draco non avrebbe mai lasciato perdere. «Mi ha offerto del denaro per starti lontana» rivelò in un sussurro.
Il biondino rispose con una smorfia di disgusto. «Sentiamo, quanto vale per Lucius Malfoy la felicità di suo figlio?»
Hermione si puntellò sui piedi a disagio; non voleva avere quella conversazione con lui, sapeva che lo avrebbe ferito, ma non c’era modo di evitarlo. «5000 galeoni, ma se ti può consolare al mio terzo no sono diventati 15000.»
Lui sollevò un sopracciglio. «Hai rifiutato 15000 galeoni per tenermi con te, Granger?»
Lei scrollò le spalle e gli rivolse un mezzo sorriso. «Sei bravo a letto.»
Draco rise; la afferrò per un braccio e se la tirò contro.
La sua risata le riscaldava sempre il cuore.
Si lasciò stringere da lui per qualche istante, respirando il suo profumo, godendosi il suo tocco gentile sulla schiena, con gli occhi chiusi; era rilassante, il modo in cui le sue dita la accarezzavano.
Poi un senso di malessere improvviso rovinò quel momento; Hermione divenne seria, triste. «Lui… non crede che io sia alla tua altezza.»
Draco aumentò la presa su di lei. «Un giorno capirà che è il contrario» ribatté in tono asciutto. «O almeno me lo auguro.»
La Grifondoro si morse il labbro inferiore, pensierosa; si ritrasse, allontanandosi leggermente da lui per guardarlo.
«Draco…»
«Non dire una parola», le intimò con un filo di voce, ma autorevole al contempo.
«Ti giuro che se ti sei lasciata influenzare da lui…»
«Non è questo e lo sai», sussurrò lei.
«No, spiegati, perché non lo so
«Lo hai sfidato a farti diseredare, Draco…» disse deglutendo.
«E quindi?», fece lui con indifferenza. «Credi che rinuncerei a te per i soldi della mia famiglia? Ne ho abbastanza per non farci mancare niente per una vita intera e questo mi basta. E tra parentesi, anche se non avessi i soldi dei Black, sceglierei comunque te.»
Hermione deglutì; quando parlava in quel modo si sentiva sempre un po’ a disagio.
Odiava l’idea di iniziare a pensare al loro futuro e poi finire per essere messa da parte come se non valesse niente, venire abbandonata esattamente come Lucius Malfoy le aveva prospettato.
Draco socchiuse leggermente gli occhi e la studiò per qualche istante. «Sputa il rospo, Granger.»
«È che a volte non riesco a fare a meno di pensare che questa non sia altro che un’altra bolla che ti sei creato e in cui ti ostini a vivere» asserì con voce incerta. «È quello che fai da sempre. L’idea che noi due possiamo stare insieme, restare insieme…»
«Siamo noi a deciderlo, va bene?» la interruppe con fermezza. «Siamo noi a decidere se stare insieme o meno.»
«Draco» sospirò esausta. «Tu sei il Principe dell’élite Purosangue, io una Nata Babbana…»
«Ti è entrato in testa» ringhiò lui, stringendo i pugni. «Stai parlando come lui!»
«Non è così…»
«Non hai mai parlato in questi termini prima, Hermione!» sbottò, per poi passarsi una mano sulla mascella e infine tra i capelli; lo faceva sempre quando si stava alterando e voleva mantenere la calma.
«Non voglio che un giorno torni ad odiarmi per quello che sono o rappresento, o perché potresti incolparmi per averti allontanato-»
La afferrò nuovamente per i polsi e la attirò a sé, zittendola con un bacio. «Sei una maledetta stupida.»
Hermione scosse la testa, tirò su col naso. «Credi sul serio che andrà a finire bene?»
«Credo solo che tu sia l’amore della mia vita», soffiò lui, a un passo dalle sue labbra. «È tutto quello che so, tutto quello che mi interessa. Non mi importa più nulla delle altre definizioni, questa è l’unica che conta per me.»
Hermione strinse le mani attorno alle sue spalle, perché non si fidava più delle sue gambe dopo quelle parole. «I tuoi genitori non lo accetteranno mai, Draco, e alla fine…»
«Alla fine niente, Hermione» affermò sbuffando. «Voglio stare con te, non so più come dirtelo, come fartelo capire!»
Le prese il volto con entrambe le mani e la inchiodò con lo sguardo. «Io ho già deciso. Voglio te. Voglio una vita con te, una famiglia nostra. E se i miei genitori non lo vorranno accettare, vorrà dire che non faranno parte del nostro futuro. Voglio stare con te e non importa a cosa dovrò rinunciare per riuscirci, d’accordo?»
Draco prese una boccata d’aria e riprese a parlare prima che potesse farlo lei. «Sono stanco di sacrificare la mia vita e la mia felicità in nome delle loro aspettative nei miei confronti o delle stronzate in cui credono. Ho sacrificato abbastanza e non ho la minima intenzione di sacrificare anche noi. Anche se dovesse significare combattere contro il mondo intero.»
Hermione lo guardò boccheggiando, con gli occhi lucidi; non sapeva cosa rispondergli, perché cosa si poteva dire dopo una dichiarazione del genere?
Niente che si potesse esprimere a parole. Allora si alzò sulle punte, fece scivolare le braccia attorno al suo collo e lo baciò con trasporto finché non le mancò l’aria dai polmoni.
Draco la prese in braccio e le premette la schiena contro gli scaffali della biblioteca.
Gli occhi di Hermione si allargarono di stupore.
«Te l’avevo detto, Granger», le rammentò con un ghigno stampato sul volto. «Che prima o poi ti avrei presa contro gli scaffali della biblioteca.»
Un guizzo nei suoi occhi le fece tremare nuovamente le gambe. «Non ho mai detto che intendevo quella di Hogwarts.»
§
«Oh.»
Il retro della Villa si apriva su un campo ancora più ampio; in lontananza si intravedeva un piccolo lago.
«Vieni con me.»
La prese per mano e si diresse verso le stalle.
«Hai dei cavalli qui?» domandò entusiasta Hermione.
Lui annuì, sorridendo. «Sai cavalcare?»
«Sì», disse lei.
«Ah», commentò con aria delusa il biondino.
Lei corrugò la fronte, non comprendendo quale fosse il motivo del suo dispiacere.
Draco fece spallucce. «Speravo di avere una scusa per farti stringere a me.»
Hermione rise. «Allora rettifico, non sono mai andata a cavallo in vita mia.»
Lui rise a sua volta.
Le vicende al Manor sembravano distanti anni luce da quando si erano lasciati avvolgere dalla tranquillità di quel posto, eppure erano trascorse solo poche ore.
Oasis.
Il nome era azzeccato, sembrava proprio una piccola oasi di pace.
«Questo è Pegasus», asserì Draco, accarezzando un grande cavallo bianco. 
«Ovviamente dovevi avere un rarissimo purosangue bianco», commentò lei alzando gli occhi al cielo.
«In realtà è marrone, gli ho solo trasfigurato il colore del pelo», ribatté lui, continuando a strigliare il cavallo.
«Davvero?» fece lei sbattendo le palpebre, perplessa.
«No», rispose Draco, iniziando a sghignazzare.
Lei sbuffò. «Giuro, non so come ho fatto a crederci anche se solo per un istante.»
«Quella è Artemis», disse ancora il biondino, indicando un cavallo nero dall’altra parte della stanza.
«I cavalli dei miei genitori sono a Villa Black, ci trascorrevamo le vacanze estive prima della guerra. Oasis, invece, apparteneva a mia nonna, Druella. È morta prima che nascessi. Era Tenuta Rosier prima, ma dopo la ristrutturazione l’ho ribattezzata con il nome di Oasis.»
Era la prima volta che Draco si apriva in quel modo sulla sua infanzia, Hermione lo ascoltava rapita. Era una parte di lui che aveva sempre desiderato conoscere, ma su cui aveva sempre temuto di indagare, vista l’eventualità che non la prendesse bene; con Draco era sempre meglio lasciare che fosse lui ad aprirsi, pazientare… Prima o poi lo avrebbe fatto, quello ormai l’aveva capito.
«Di chi è Artemis?»
«Mia», disse lui. «L’ho vista durante una corsa, anni fa. Si era ferita e volevano abbatterla. Io non ero d’accordo.»
«Oh.»
«Sempre quel tono sorpreso, Granger», esclamò lui, con un mezzo sorriso. «È così sconvolgente che anche il vecchio me avesse un cuore?»
Hermione arrossì e deglutì; effettivamente, dovette ammettere a sé stessa, aveva superficialmente sempre pensato che prima della guerra a lui importasse veramente solo della sua persona. Se ne vergognò terribilmente.
Come poteva essere ancora così superficiale nei suoi confronti, quando si trattava del Draco Malfoy della loro infanzia? Non le aveva forse già dimostrato ampiamente che non tutto fosse come appariva, persino in quel periodo della sua vita?
«Corre bene, anche se ovviamente non è più adatta alle competizioni» proseguì a raccontarle lui. «Qui sta bene però.»
Draco montò in sella a Pegasus e le tese una mano per aiutarla a salire; Hermione finse di averne bisogno.
«Sei una pessima bugiarda, lo sai?» commentò lui sghignazzando. «Soprattutto quando devi fingere di non sapere o di non saper fare qualcosa.»
«Oh, sta’ zitto!»
Si aggrappò a lui e si inebriò dell’aria di marzo che le sferzava il volto, il profumo dei fiori a solleticarle le narici, mentre Draco la guidava nell’esplorazione del vasto terreno circostante alla villa.
Hermione pensò che se avesse annusato l’Amortentia di nuovo, avrebbe sicuramente sentito qualche fragranza correlata a quel posto. Nessun luogo in cui era stata in precedenza era meraviglioso quanto Oasis. ‘Paradisiaco’ era forse il termine più adatto per descriverlo.
Si fermarono vicino al lago, accomodandosi sotto un albero; Draco poggiò le spalle contro il tronco e lei si accoccolò contro il suo petto, tra le sue gambe.
«Perché non hai proposto al Wizengamot di trascorrere qui quest’anno?» gli domandò curiosa. «Invece di ripetere il settimo anno?»
«Mi avrebbero comunque fatto restare al Manor, perché gli sarebbe stato più facile tenerci sotto controllo se fossimo stati tutti nello stesso posto», spiegò lui. «E poi, Oasis non era agibile prima della ristrutturazione.»
«Capisco», mormorò lei; chiuse gli occhi e si abbandonò contro di lui.
«Comunque, volevo tornare a scuola» aggiunse Draco, iniziando a giocherellare distrattamente con una ciocca dei suoi capelli. «Volevo i miei M.A.G.O. e avevo anche altre cose importanti da fare lì.»
Hermione voltò leggermente il capo e lo guardò interrogatoria.
«Sei tu il vero motivo per cui sono tornato a Hogwarts, Granger», mormorò il biondino. «Dovevo risolvere le cose con te. Non avrei avuto pace altrimenti.»
Qualcosa nel suo sguardo le suggeriva che non avrebbe avuto pace ugualmente.
«Perché Oasis?» si azzardò a chiedergli, lasciando cadere quel discorso che avrebbe appesantito il momento.
Draco staccò un fiorellino selvatico e prese a rigirarselo tra le dita.
«Perché spero di viverci una vita tranquilla e felice» sussurrò con aria seria. «E poi, questo posto dà un senso di pace.»
Hermione era d’accordo. «Il nome è perfetto.»
Draco lasciò cadere il fiorellino tra l’erba fresca, la circondò con le braccia e intrecciò le loro dita. «Ti piace, qui?» le chiese, sussurrando tra i suoi capelli.
Lei sorrise e annuì. «È meraviglioso.»
«E… riesci a immaginarti a vivere qui con me, dopo i M.A.G.O. e dopo Parigi?»
Tutti i muscoli del suo corpo si tesero a quella domanda.
Draco deglutì, arretrando leggermente con la schiena.
Hermione ruotò quasi completamente, per guardarlo negli occhi; lo trovò a fissarla con aria ansiosa, in attesa di una sua risposta.
«Tu vuoi che… m-mi stai chiedendo…»
«Ti sto chiedendo di venire a vivere con me dopo la scuola, sì.»
 
***
Draco
 
Stava morendo dentro.
La guardava riflettere, ponderare la risposta da dare alla sua proposta, e ad ogni secondo che tardava il suo cuore sprofondava un po’ di più nel petto.
Non l’aveva portata a casa sua con l’intenzione di chiederglielo; non aveva neanche capito perché cercasse così ostinatamente la sua approvazione riguardo a quello che aveva fatto con il posto finché non l’aveva vista aggirarsi per gli scaffali della biblioteca e aveva avvertito il forte desiderio che quella scena si tramutasse in quotidianità per loro. Allora aveva realizzato ciò che voleva veramente, aveva capito che non sarebbe mai stato in grado di vivere lontano da lei dopo aver condiviso il dormitorio con lei così a lungo; non voleva che la fine della scuola sancisse un allontanamento tra di loro, di nessun tipo.
Non gli bastava restare con lei, Draco voleva vivere con lei.
«Non ti sembra di correre un po’ troppo?» gli chiese alla fine, la sua voce un sussurro tremulo.
«No», rispose prontamente lui. «Mi sembra di aver sprecato già troppo tempo con te.»
Lei sollevò un sopracciglio e gli rivolse un mezzo sorriso allusivo.
«Colpa mia», aggiunse allora, abbozzando un sorriso triste e colpevole. «Ma non vedo perché dovremmo andare a stare in due posti diversi, quando persino a Hogwarts viviamo praticamente insieme da mesi.»
Draco intrecciò nuovamente le dita a quelle di lei e la guardò spostare gli occhi su di esse, studiare ammaliata il modo in cui si intersecavano.
Erano perfette. Ogni parte dei loro corpi si incastrava alla perfezione.
La cosa non smetteva mai di estasiarlo.
«Non devi darmi una risposta ora», le sussurrò dopo un po’, vedendola in difficoltà e temendo di rovinare tutto con la sua proposta impulsiva. «Voglio solo che tu sappia che… Hermione, io non voglio più stare senza di te.»
Le aveva già rivelato quel suo desiderio ardente, ma pensò che ribadire il concetto, in quel contesto nuovo, non poteva far male.
§
«Una piscina?»
Draco rise della sua incredulità. «Non dirlo a Blaise.»
Si poggiò con una spalla allo stipite della porta e prese a studiarla con attenzione ed evidente curiosità.
Quanto tempo ci avrebbe impiegato per accorgersene?
Capiva dal suo sguardo che aveva avvertito il sentore di una magia particolare, che gli ingranaggi del suo cervello si erano messi in moto.
«Oh», disse alla fine, guardando il soffitto.
Il biondino sorrise.
«È finto» commentò sorpresa. «Il cielo su quest’area è finto. La piscina è al chiuso, in realtà.»
Si voltò a guardarlo in cerca di una conferma di cui non aveva veramente bisogno e lui annuì, avvicinandosi a lei. «Mi sono ispirato al soffitto di Hogwarts. Mi piaceva l’idea di poterla utilizzare anche d’inverno.»
Le avvicinò mordicchiandosi il labbro inferiore, un’espressione calcolatrice in viso che lei riconobbe immediatamente.
«Vuoi fare un bagno?» le chiese, iniziando a sbottonare lentamente la sua camicia.
«Non ho il costume…»
Draco sorrise. «Ci sono solo io qui», le ricordò. «Non ti serve.»
E con una spintarella, Hermione finì in acqua.
«Cazzo, Malfoy!» trillò indignata, rispuntando in superficie. «Sei proprio uno stronzo!»
Lui, però, se la rideva di gusto. «Andiamo, è incantata per restare calda!»
Si sfilò gli abiti e si tuffò a sua volta.
«I miei vestiti non sono incantati per restare asciutti però.»
«Possiamo restare qui dentro per tutto il pomeriggio», affermò lui con nonchalance. «Una volta sera, non ti serviranno neanche quelli.»
Hermione fece ruotare gli occhi, ma poi gli sorrise. Non sarebbe stato comunque un problema, asciugarli con un Incantesimo.
«Togliteli però», la punzecchiò ancora. «Non è giusto che tu sia ancora vestita.»
Lei sbuffò, ma eseguì la richiesta; poi lo raggiunse e si sistemò tra le sue braccia.
«Cavolo, è idromassaggio», realizzò all’improvviso, entusiasta.
«Ovviamente.»
«Ovviamente», ripeté ridendo. «Sei schifosamente viziato.»
«E schifosamente intenzionato a viziare te.»
«Quell’enorme biblioteca è più che sufficiente», affermò Hermione. «Sono una ragazza semplice.»
«Certo», commentò sardonicamente lui. «Non è esattamente come ti descriverei.»
«Come mi descriveresti, allora?»
Draco fece spallucce. «Mia.»
«Il mio sogno», disse sprezzate a quel punto. «Essere definita in base a un uomo che pensa di-»
Lui sbuffò, ma la strinse più forte a sé, tornando serio. «Brillante» le sussurrò in un orecchio, interrompendo la sua protesta. «Intelligente. Scaltra. Piena di risorse. Indipendente. Cocciuta come un mulo…»
Hermione gli tirò una gomitata sull’ultimo appellativo.
«Bellissima. Fottutamente sexy…» proseguì ugualmente lui, baciandole il collo e lei fremette tra le sue braccia.
«Continua», sussurrò la giovane.
«A fare cosa?» chiese Draco. «Baciarti o tessere le tue lodi?»
«Entrambe.»
«Da quando sei così vanesia, Granger?»
La Grifondoro fece spallucce e si voltò a guardarlo con un’espressione furbesca sul viso. «La quindicenne in me trova esilarante avere Draco Malfoy che le dice questo tipo di cose…»
Il biondino si leccò le labbra e la studiò per qualche momento, con aria estremamente seria; poi la afferrò per i fianchi e la fece sedere sul bordo piscina, per poi sfilarle lentamente le mutandine.
«Che stai facendo?» gli domandò lei spiazzata dal repentino cambiamento di atmosfera.
«Non è ovvio?» fece lui, alzando un sopracciglio. «Do alla te quindicenne qualcosa di meglio su cui gongolare.»
§
«DRACO!»
Aprì gli occhi di scatto e si mise a sedere; si guardò attorno, ansante, cercando di mettere a fuoco l’ambiente circostante.
Non era al Manor. Quella era Oasis e si trovava sdraiato sul grande divano del salotto.
Doveva essersi addormentato mentre aspettava che la Granger si facesse la doccia.
Quanto tempo aveva dormito? Di lei non c’era alcuna traccia… una familiare punta di panico iniziò a formarsi all’altezza del suo stomaco.
Si alzò, senza preoccuparsi di richiudere la camicia e si diresse verso il bagno, dal quale però non proveniva alcun rumore; si diresse allora verso la biblioteca, certo che se Hermione fosse andata in qualche posto, sarebbe stato sicuramente quello.
La trovò intenta ad ordinare i libri che si era portato via da Malfoy Manor quella mattina, prima di partire, con addosso solo la sua vecchia maglietta da Cercatore, che arrivava appena a coprirle i glutei. La scritta Malfoy 07 spiccava sulla sua schiena.
Adorava vederla indossare le sue camicie e lei lo sapeva, doveva aver scelto quella maglietta per ridurre la sua soddisfazione in merito. Non aveva funzionato neanche minimamente.
«Con la magia ci metteresti un secondo.»
Lei si voltò a guardarlo sorridendo. «Mi piace farlo manualmente.»
Le si avvicinò e la strinse leggermente a sé, lasciandole un bacio sulla tempia, mentre i muscoli del suo corpo si rilassavano, sapendola al sicuro, e l’urlo del suo sogno cominciava a sfumare nella sua testa.
«Non mi hai detto se vuoi prenderne qualcuno in prestito.»
«Li ho letti quasi tutti, Draco» ammise lei, mordendosi il labbro. «E “Storia dei più famosi Cercatori internazionali” non mi entusiasma particolarmente. Non mi piace il Quidditch, lo reputo uno sport pericoloso.»
Il biondino rise. «Non avevo dubbi.»
«Hai portato via tutte le tue cose…»
«Non ho intenzione di rimettere piede al Manor mai più», disse prontamente Draco. «A meno di non ricevere delle scuse da parte dei miei genitori e sappiamo entrambi che non avverrà mai.»
«Draco…»
«Hermione, no» la interruppe. «Non ho intenzione di transigere su questo. Chiunque abbia dei problemi con te, ha automaticamente dei problemi con me.»
«Sono i tuoi genitori, non voglio che…»
«Smettila.»
«Non voglio che tu stia male a causa mia» sospirò in un sussurro triste.
Draco le prese il volto tra le mani. «Punto numero uno, non è a causa tua, ma a causa loro, come sempre» le disse scandendo le parole una ad una. «Secondo, l’ultima cosa di cui ti devi preoccupare è ferirmi», continuò e prima che potesse proferire parola, aggiunse: «terzo, sei l’unica cosa bella nella mia vita e se non fosse stato per te, non avrei mai conosciuto la felicità.»
Hermione abbozzò un sorriso e si alzò sulle punte per baciarlo.
«Ti va se la preparo io la cena, Draco?»
§
«Qual è il tuo problema con il numero di stanze?», sbuffò Draco alla sua ennesima battuta riguardo all’inutilità di averne tante.
Hermione sospirò e si rigirò sulla schiena, prendendo a fissare il soffitto.
«A casa mia, ne avevamo due inutilizzate», raccontò, assorta tra i propri pensieri. «Crescendo le ho trasformate in una piccola palestra e una sala lettura, ma…»
Deglutì con forza. «So che quelle stanze erano lì perché i miei genitori pensavano di avere più figli, ma credo fossero troppo assorbiti da quello che accadeva con me.»
Il biondino si girò su un fianco, la guancia poggiata sulle mani giunte, per guardarla mentre si apriva con lui su un argomento che non aveva mai menzionato prima.
Si era fatto delle domande, soprattutto negli ultimi mesi; si era chiesto come funzionasse per i Nati Babbani, come fosse la loro infanzia o come vivessero la loro natura i loro genitori… ma non aveva mai avuto il coraggio di chiedere nulla in merito, avendolo classificato subito come “argomento sensibile”.
«Gli ho causato un sacco di problemi, sai?» raccontò Hermione. «Facevo succedere un sacco di cose strane, soprattutto quando mi arrabbiavo o stavo male. E c’era questo ragazzino che adorava darmi il tormento, quindi succedeva spesso.»
La ragazza sospirò. «Non sai in quanti studi medici sono passata, prima di ricevere la lettera per Hogwarts e avere una spiegazione a tutte le mie stranezze.»
Draco si rese conto che la giovane stesse tremando, per cui tese una mano e strinse la sua.
«Mi sento un po’ ingrata nei loro confronti», ammise debolmente. «Loro hanno fatto di tutto per me, e io ero via quasi per tutto il tempo e spesso non tornavo neanche per le vacanze. Perché dovevamo fare delle cose importanti, o perché, semplicemente, restare nel mondo magico per me era più facile.»
Si voltò finalmente verso di lui. «Mi chiedo se, qualora dovessimo capire come restituirgli la memoria, saranno spaventati da me, da quello che posso fare. Non credo ne abbiano mai compreso appieno le potenzialità.»
Il biondino corrugò la fronte. «Lo hai fatto per proteggerli, penso che lo capiranno, Granger.»
Lei scosse debolmente il capo. «Non faranno che chiedersi se ho fatto altro, cosa sono capace di fare…»
Le lacrime iniziarono a rigarle le guance, silenziose, e lui la abbracciò forte.
«Non gli ho mai spiegato veramente cosa stesse succedendo nel mondo magico» rivelò ancora, «non sanno che… che ero in pericolo per via delle mie origini. Loro sapevano solo che c’era un Mago Oscuro che con i suoi seguaci stavano facendo brutte cose…»
Draco serrò gli occhi e deglutì; le prese il volto tra le mani e la costrinse a guardarlo.
«Granger» mormorò in tono fermo. «Per quanto drastiche possano sembrarti ora le misure che hai preso durante la guerra, non hai nulla da rimproverarti, va bene?»

 

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Capitolo 42
*** Capitolo 41. La Squadra Investigativa ***


CAPITOLO 41
La Squadra Investigativa







 
 

 

 

 

 
Draco
 
«Granger.»
«Mmmh», mugugnò lei, tirandogli un cuscino in faccia.
«Granger, devi svegliarti, dobbiamo tornare al castello…»
«Non voglio», si lamentò lei, girandosi dal lato opposto e raggomitolandosi maggiormente sotto le coperte.
Draco sorrise.
Non gli aveva ancora detto di sì, ma il fatto che non volesse lasciare Oasis era abbastanza eloquente da fargli supporre che la ragazza si sarebbe trasferita lì con lui dopo la scuola.
«Beh, a meno che tu non voglia venire a farmi visita ad Azkaban per i prossimi anni, e bada bene, non avremmo neanche le visite coniugali perché non siamo sposati, dobbiamo tornare.»
Hermione si voltò verso di lui e gli rivolse uno sguardo indecifrabile.
«Cazzo», esclamò, allibita. «Giuro che non riesco a capire se i tuoi momenti tragici siano seri o se siano un tuo modo tutto strano di ironizzare o scherzare.»
«Sono maledettamente serio, Granger» rispose lui. «Non voglio rinunciare al sesso.»
La ragazza prese il cuscino tra le mani e glielo risbatté in faccia.
«Questo letto è illegalmente comodo», borbottò. «Potrei denunciarti.»
«Chi è quella drammatica ora?» ridacchiò il biondino, rialzandosi e iniziando controvoglia a vestirsi.
«Oh, sta zitto…»
Hermione si trascinò giù dal letto. «Hai idea di quanto tempo sia passato dall’ultima volta che ho trascorso una notte tranquilla?» gli domandò. «Anni! E mi ero così abituata alla brandina su cui dormivamo quando ci nascondevamo che per mesi ho dormito sul pavimento duro, quando la guerra è finita! Devi dirmi dove diavolo lo hai comprato!»
«No», disse lui. «Così sarai costretta a venire a vivere qui dopo i M.A.G.O.»
La Grifondoro lo guardò di sottecchi. «Non puoi corrompermi con un materasso, Malfoy.»
«Sì, ma insieme a questo letto guadagneresti anche questo» affermò con convinzione lui, indicando il suo corpo con i pollici.
Hermione gli rivolse un sorrisetto beffardo. «Come se non potessi averlo in qualsiasi momento.»
Draco si accigliò. «Potrei lasciarti a secco per un po’.»
Il sorriso di lei si trasformò in un ghigno pericolosamente simile al suo. «E sarebbe una tortura per me o per te, Malfoy?»
Il biondino sbatté le palpebre per qualche istante, poi sbuffò e imprecò sottovoce. «Merlino, sei veramente insopportabile!»
Trixy era già pronta per riportarli a Hogwarts quando scesero giù in salotto. Nessuno dei due sembrava entusiasta di lasciare Oasis, ma non avevano veramente altra scelta.
Rivedere il cancello che conduceva alla scuola non era mai stato così amaro.
«Ops, Draco!» esclamò Hermione, portandosi teatralmente una mano sulle labbra. «Credo di aver lasciato la mia gonna nel tuo armadio.»
Draco sorrise. «Non ti piace proprio parlare esplicitamente, vero, Granger?»
«E la cosa ti fa andare fuori di testa», rispose lei facendo spallucce.
Il giovane scosse il capo, mentre la guardava incamminarsi verso il castello. «Il nostro armadio, Granger» la corresse, raggiungendola a grosse falcate. «Tanto vale che ti abitui all’idea.»
Lei rise, ma non disse altro.
§
Trascorsero buona parte delle vacanze di Pasqua rinchiusi nel dormitorio dei Caposcuola con i loro amici a setacciare i libri che si erano portati via dalla biblioteca di Malfoy Manor.
L’umore di Draco peggiorava di giorno in giorno.
L’idea che Hermione si fosse sottoposta a quello sforzo emotivo per niente lo stava facendo innervosire come non mai; avevano quasi ultimato i volumi e non avevano trovato assolutamente niente che potesse essergli d’aiuto per capire cosa stesse succedendo ai Nati Babbani nel castello.
Come se non bastasse, aveva spesso beccato la Grifondoro a massaggiarsi le tempie quando pensava di non essere vista e a un certo punto le aveva chiesto se stesse ancora prendendo le pozioni di Madama Chips; quando aveva confermato, le aveva domandato se stessero facendo effetto. Lei aveva annuito, ma non lo aveva convinto per niente.
Draco aveva una brutta sensazione.
Hermione continuava a fare incubi che la lasciavano terrorizzata anche al risveglio, ma insisteva per non raccontargli ciò che aveva sognato, problema che non era mai sussistito tra di loro, da ambedue le parti, quando il sonno di uno dei due veniva disturbato da ricordi-incubo.
«Stai ancora leggendo?»
Le mani della ragazza scivolarono lungo il suo petto con lentezza studiata. Lui annuì in risposta, ma si era già distratto.
«Avevamo deciso di fare una pausa per Pasqua…»
Draco si leccò il labbro. «Non mi va di perder tempo», soffiò stanco, passandosi una mano tra i capelli. «Non quando la tua vita è a rischio.»
«Questa è una cosa che non possiamo sapere…»
«Non dal mio punto di vista», obiettò lui e non era solo perché non si fidava delle sue rassicurazioni, ma anche perché l’assenza di indizi o sintomi palesi non significava affatto che Hermione non rischiasse di essere la prossima vittima, o una delle successive.
«Solo per oggi, allora?» insisté con tono implorante. «Volevo andare in giardino, è una bella giornata…»
Draco fece ruotare gli occhi; quando lo guardava in quel modo, non era mai in grado di negarle quello che gli chiedeva.
In realtà, rifletté, non era mai in grado di negarle quello gli chiedeva.
Sentì la voce di Blaise levarsi da un angolino della sua mente e rammentargli di stare diventando un vero rammollito.
«Andiamo…» si arrese, passandosi una mano sul volto, rassegnato.
Era veramente una bella giornata; il sole splendeva in cielo e non c’era ombra di nuvole; non era certo che sarebbe stato così fino a sera, perché il tempo di marzo cambiava rapidamente.
Si sedettero sotto un albero, una cosa che gli fece immediatamente pensare alla loro giornata idilliaca trascorsa ad Oasis; avrebbe voluto essere un uomo libero, per restare lì con lei per il resto delle vacanze, ma era ancora in una specie di libertà vigilata mista ad arresti domiciliari ed era stato costretto a tornare subito a Hogwarts.
«Mi sono dimenticato di raccontarti una cosa», disse all’improvviso.
Era stato così arrabbiato con i suoi genitori quando erano praticamente fuggiti dal Manor che la questione era finita in un angolino della sua mente e se n’era quasi dimenticato.
Lei lo guardò curiosa.
«Ho scoperto i nomi dei precedenti proprietari dei diari quando eravamo al Manor» le rivelò e i suoi occhi si allargarono a quella notizia, luminosi. «Ti sbagliavi, non erano un Purosangue e una Nata Babbana, ma il contrario.»
«Oh, beh allora potrebbe essere che siano rimasti insieme, dopo Hogwarts.»
Draco si accigliò. «Perché ora la pensi così?»
Hermione fece spallucce. «È più facile che una ragazza scelga l’amore al posto della famiglia, credo.»
La mascella del biondino cadde a terra e si puntò i pollici in faccia in una muta esclamazione teatrale.
Lei sorrise e scosse il capo. «Drammatico.»
«Fai sul serio?», sbuffò contrariato. «Sei allucinante…»
Ma lei sghignazzava soddisfatta. «Ti prendo in giro, Draco.»
«Beh, non farlo.»
«Ma mi piace», protestò lei. «Dai, dimmi di più dei diari. Come hai fatto a scoprire chi erano i vecchi proprietari?»
«Me lo ha detto mia madre», rispose il giovane. «Non di proposito, ma l’ho capito ugualmente.»
«Andromeda e Ted?» chiese stupefatta lei, deducendo da sola i nomi dei due in questione e Draco annuì, confermandoli.
«Oh», esclamò con aria trasognata. «Probabilmente li hanno lasciati qui con la speranza che fossero d’aiuto per qualcuno che ne aveva bisogno.»
«Missione compiuta», commentò lui, ma qualche istante dopo l’espressione sul suo viso si incupì leggermente. «Credi che mia zia sarebbe disposta a incontrarmi?»
«Vuoi conoscere Andromeda?» chiese Hermione, sorpresa.
«Sì», ammise il biondino, esitante. «Ma temo che non vorrà vedermi. Insomma, i Mangiamorte hanno ucciso Ted, e io ho…»
«Smettila di lasciarti influenzare così tanto da quel maledetto Marchio», lo rimproverò lei, interrompendolo bruscamente. «Non sei quello
«È comunque lì, no?» ribatté lui. «Non capisco neanche come sia possibile che non ti faccia schifo.»
Hermione ruotò gli occhi. «Abbiamo fatto questo discorso un centinaio di volte, Draco Malfoy.»
«Uh, nome e cognome», constatò il Serpeverde. «Ti stai irritando.»
«Sei bravo a farmi irritare.»
«Talento naturale», la punzecchiò sghignazzando.
«Se vuoi possiamo scriverle», gli disse poi, tornando seria. «Chiederle se possiamo farle visita dopo gli esami…. vorrei vedere Teddy, comunque.»
Draco deglutì, ma annuì brevemente; lei gli rivolse un sorriso incoraggiante e gli diede una strizzatina alla mano, poi tornò a studiare il Lago Nero che si stagliava indisturbato di fronte a loro.
«Ti devo dare una cosa», disse di punto in bianco il biondino, tirando fuori uno scatolino e porgendoglielo. Hermione arrossì violentemente.
«È il tuo regalo per Pasqua», precisò lui, esitante.
L’aveva vista a Diagon Alley molto tempo prima, quando gli avevano concesso una giornata di libertà, - vigilata -, per andare a comprare il materiale per Hogwarts e l’aveva acquistata; non aveva mai avuto l’occasione di dargliela, un po’ perché era un regalo troppo intimo da farle quando non avevano una relazione, un po’ perché poi gli era sembrato troppo presto. La ragazza prese il pacchetto con mani tremanti e lo scartò.
«Oh, Draco» esclamò in un sussurro, mentre tirava fuori la collana con il ciondolo a forma di lontra che il giovane sapeva essere il suo Patronus. «Grazie, è bellissima…»
Lui sorrise, prese la collana dalle sue mani e aprì il gancetto.
«Girati», mormorò dolcemente e deglutì quando lei scoprì il collo per permettergli di metterle addosso il gioiello.
Si chiese se prima o poi avrebbe smesso di avere quell’effetto su di lui, se prima o poi la voglia di lei si sarebbe smorzata o ridotta. Ne dubitava, dal momento che più gli dava, più lui desiderava. Era così fin dall’inizio.
«Ora mi sento in difetto, però» ammise lei, «io ti ho preso un semplice uovo.»
Draco assottigliò gli occhi. «Quello con le miniature delle scope da corsa come sorpresa?»
Hermione sorrise e annuì.
«Merlino, mi conosci così bene!»
Catturò le sue labbra in un bacio carico di dolcezza.
«Seriamente, non puoi fare un regalo del genere per Pasqua» commentò Hermione, ancora in imbarazzo.
«Io ti faccio i regali che voglio quando voglio, va bene?» sbuffò lui, scompigliandole i capelli con la mano e ridendo della sua espressione contrariata, poi lei si lasciò andare con la schiena contro il suo petto e chiuse gli occhi.
«Draco, non mi hai mai detto che forma ha il tuo Patronus.»
I muscoli nel suo corpo si irrigidirono, sospirò mesto. «Non sono mai riuscito ad evocarne uno, Granger.»
La voce gli uscì flebile e tremula, mentre ammetteva una delle cose più lo abbattevano: non essere capace di eseguire l’Incanto Patronus.
Hermione voltò il capo per guardarlo. «Vuoi che ti aiuti a-»
«No, Granger» tagliò corto lui, interrompendola sul nascere. «Non è il tipo di magia consona a uno come me.»
Non era sicuro di avere un ricordo abbastanza felice per evocare un Patronus e, comunque, non voleva avere la conferma di essere troppo macchiato dall’oscurità per riuscire a farlo. Era un dubbio che preferiva lasciare irrisolto, perché scoprire che non avesse in sé abbastanza luce da poter esercitare quel tipo di magia lo avrebbe distrutto e fatto sentire ancora più indegno di lei.
Draco pensava che di motivi per non meritarla ne avesse abbastanza così.
«Ma…»
«Per favore, Hermione» sussurrò con voce spezzata. «Non insistere.»
 
***
Hermione
 
«Ehi, sentite qui» esclamò all’improvviso, il dito puntato su un passaggio del volume sui Fondatori che stava leggendo; lo aveva preso dalla biblioteca di Oasis perché incuriosita dagli argomenti che conteneva, non perché pensasse ci potesse essere qualcosa di effettivamente utile, eppure…
«…La leggenda narra che Salazar Serpeverde avesse elaborato un piano di riserva nel caso in cui il mostro nella Camera dei Segreti avesse fallito nel portare a compimento la sua missione, ma le informazioni sull’argomento sono ancora più esigue di quelle che corroborano la teoria dell’esistenza della sopracitata Camera...»
«Che sappiamo tutti esistere veramente» sospirò stancamente Harry.
«Con tanto di mostro», puntualizzò Blaise. «Anche se schiattato. Un applauso a te, Potter!»
Daphne fece ruotare gli occhi. «Finiscila, idiota!»
«Cosa può aver pensato quel pazzo questa volta?» domandò con una smorfia Ginny.
«Una maledizione?» ipotizzò Astoria, con voce incerta.
«Credete che ci convenga fare un giretto di perlustrazione nella Camera dei Segreti?» propose ancora Ron.
«Pensate sul serio che fosse così stupido da nascondere due armi nello stesso posto?», obiettò Hermione, ma Draco si affrettò a dire che valeva la pena di fare un tentativo.
«Sempre meglio dello starsene con le mani in mano, no?»
Hermione sospirò; il biondino stava diventando quasi ossessionato dalla ricerca sugli attacchi e la situazione era peggiorata da quando la McGranitt aveva dato loro l’effettivo consenso a condurre le indagini, con la condizione che tutte le scoperte venissero immediatamente recapitate nelle sue mani e che non agissero autonomamente in alcun modo in relazione alla faccenda. Tutti loro avevano acconsentito, ma nessuno aveva creduto a quella promessa, probabilmente neanche la stessa Preside, visto che li teneva d’occhio più del solito.
A Blaise piaceva definire il loro gruppetto la “Squadra Investigativa”.
I ragazzi si guardarono demoralizzati, poi si alzarono per dirigersi verso la Sala Grande e cenare.
«Vi raggiungo tra un attimo», disse Draco, accingendosi a rileggere il passo che aveva individuato poco prima Hermione.
«Dra-»
«Vai con gli altri intanto, vi raggiungo dopo, okay?»
La ragazza sospirò e si incamminò a sua volta verso il piano terra, rassegnata. Si muoveva distrattamente e svogliatamente; i suoi amici erano usciti dal dormitorio prima di lei e il suo umore era pessimo. Non dormiva da tre notti e cercare di non svegliare Draco stava diventando sempre più un’impresa; in generale, tenerlo all’oscuro dei suoi mal di testa atroci e dei suoi orrendi e torbidi incubi stava diventando quasi impossibile. Ultimamente, il biondino era estremamente vigile e attento a ogni sua mossa, non la lasciava sola neanche per un attimo e la tempestava di domande quando pensava che fosse più facile da cogliere alla sprovvista, per ottenere delle risposte. Hermione sapeva che sospettava qualcosa, ma non c’era niente nei suoi incubi che si potesse correlare agli attacchi precedenti, per cui si era convinta che non avesse senso preoccuparsi al riguardo.
Aveva quasi raggiunto Harry e gli altri quando un dolore lancinante la attraversò all’improvviso e il braccio prese a pulsare per l’impatto; il suo corpo perse equilibrio, facendola finire per terra.
«Levati di mezzo, Sanguemarcio.»
Theodore Nott la oltrepassò sghignazzando, seguito dal suo gruppetto di Purosangue estremisti. Faceva quasi strano non vedere l’usuale quadretto che includeva Crabbe e Goyle e, suo malgrado, Malfoy, quando qualcosa del genere accadeva nei corridoi.
Hermione vide Harry e Ginny trattenere Ron e Daphne, Astoria tenere fermo Blaise.
Due forti mani furono sulle sue spalle un attimo dopo, aiutandola ad alzarsi.
«Stai bene?»
La voce di Draco era fredda e il suo sguardo glaciale, il genere di ghiaccio che emergeva quando spegneva tutte le emozioni che provava eccetto una: la rabbia.
«Sì», si affrettò ad assicurargli, tendendo una mano per afferrare il suo braccio, ma quello le sfuggì all’ultimo secondo.
«Ehi, Nott!»
L’intero gruppo si allarmò immediatamente, mentre il biondino si dirigeva a passo spedito verso l’altro Serpeverde.
«Draco Malfoy!» esclamò Theodore, allargando le braccia e ridacchiando beffardo. «Di cosa vuoi darci prova oggi, Principino? Ipocrisia?»
Draco serrò le mani sul colletto del suo compagno di Casa e lo sbatté contro il muro senza troppe cerimonie. Hermione li raggiunse quasi correndo, mentre gli altri si affaccendavano per tenere a bada la comitiva di Nott, che minacciava di intervenire a sua volta.
«Draco, lascia stare…»
«Dovresti ascoltare la tua Sanguemarcio, Malfoy.»
La presa del biondino sul colletto dell’avversario si fece visibilmente più ferrea.
«Non chiamarla così» ringhiò lui, la voce un sibilo freddo e strascicato. «E poi, perché dovrei lasciar perdere, quando mi stai praticamente supplicando di spaccarti la faccia dall’inizio dell’anno scolastico, Nott?»
«Sei un fottuto ipocrita», gli sputò contro lui, con gli occhi ridotti a due fessure. «E il bello è che continui a crederti migliore di tutti noi, quando sei solo un codardo e uno schifoso traditore.»
Draco arricciò il naso, in un’espressione di disgusto misto a disprezzo spaventosamente familiare per Hermione; vide le sue mani iniziare a tremare dalla rabbia.
«La maggior parte di noi viene emarginata e tu, l’unico stronzo che il Marchio lo ha preso veramente, lo stesso Marchio di cui ti sei vantato a gran voce e su cui ora sputi con tanto zelo, non solo la passi liscia, ma ottieni una seconda possibilità, un gruppetto di cretini che ti asseconda e un fottuto dormitorio privato, la carica di Caposcuola…»
Nelle parole di Nott c’era una quantità di rancore e repulsione che Hermione aveva raramente sentito prima.
«…Ti mettono persino una Sanguemarcio a scaldarti il letto…»
Il respirò del Serpeverde si mozzò con un gemito quando la bacchetta di Draco affondò un po’ troppo nella sua gola.
«Draco, non lo ascoltare…» cercò di riportarlo alla lucidità Hermione. «Vieni via…»
«Non dirmi che non ti chiedi se lei abbia qualche problema per essere arrivata a permetterti di scoparla», sibilò imperterrito Nott, con un ghigno malvagio stampato in volto, incurante della minaccia che premeva contro la sua giugulare. «O forse sei tu che hai sviluppato qualche tendenza perversa durante il tuo fallimentare periodo da Mangiamorte?»
Il rumore del naso di Theodore che si rompeva e il suo gemito di dolore sembrò far arrestare il tempo attorno a loro; il gruppetto di Purosangue estremisti si dileguò all’istante e Blaise, Ron e Harry furono immediatamente su di loro, impegnati a tenerli separati.
«Mollatemi!», ringhiò Draco, dimenandosi dalla presa dei suoi amici, mentre Ron spingeva via Nott per costringerlo ad allontanarsi.
«Sta’ lontano da lei Nott o ti giuro che non te la caverai con così poco la prossima volta!»
Hermione fissava la scena con le mani sul volto, sull’orlo delle lacrime, spaventata dalle possibili ripercussioni di quell’atto sconsiderato di Draco.
Nott si allontanò ridendo, ma non andò in Sala Grande, cosa che le fece tirare un sospiro di sollievo; se si fosse presentato a cena in quelle condizioni, con in volto sporco di sangue e il naso probabilmente rotto, sarebbero state sollevate troppe domande.
«Cazzo Malfoy, anni ad abbaiare senza mordere e ora che non te lo puoi permettere tiri fuori i denti?» sospirò Ron con gli occhi sgranati.
«Fottiti, Weasley» rispose lui, scrollandosi di dosso le mani di Harry e Blaise che ancora provavano a tenerlo calmo; si voltò verso di loro e puntò l’indice facendolo scorrere da un viso all’altro. «Non fatelo mai più.»
Zabini alzò un sopracciglio. «Cosa? Salvarti il culo?»
«Mettervi in mezzo in cose che non vi riguardano!» berciò allora Draco.
«Malfoy, non puoi attirarti addosso guai del genere…», intervenne Harry, nel tentativo di farlo ragionare, ma Hermione sapeva che quando Draco era così arrabbiato niente avrebbe potuto riportarlo alla lucidità tanto in fretta.
Si avvicinò al biondino con cautela e gli posò una mano sul braccio, congedando gli altri con uno sguardo eloquente. «Noi ceniamo al dormitorio stasera, andate pure.»
Quando si voltò a guardarlo, Draco aveva gli occhi serrati e traeva dei respiri lunghi e profondi, le mani chiuse in pugni.
«Andiamo…», sussurrò Hermione con aria afflitta. Lui la seguì senza obiettare.
Arrivati al dormitorio, si occupò della sua mano screpolata e non proferì parola, perché conosceva il biondino abbastanza bene da sapere che qualsiasi conversazione riguardo all’accaduto sarebbe stata più proficua se si fosse calmato prima.
«Ecco fatto», sussurrò quando finalmente ebbe finito, rialzandosi e accomodandosi al suo fianco sul divano. «Vuoi-»
«Non farmi la ramanzina», la bloccò immediatamente lui, pronunciando quelle parole con una nota di avvertimento nella voce.
Hermione sospirò. «Stavo per chiederti se vuoi che vada nelle cucine a prendere qualcosa da mangiare.»
«Non ho fame.»
Lo vide alzarsi e dirigersi verso la sua stanza; restò qualche istante seduta, interrogandosi su come fosse meglio comportarsi in quel momento, ma alla fine decise di raggiungerlo.
Si tolse il mantello e sciolse il nodo alla sua cravatta, poi recuperò gli abiti che di solito indossava per la notte.
«Vado a fare un bagno nel bagno dei Prefetti», mormorò allora Hermione, una volta appurato che il biondino non avesse intenzione di proferire parola. «Se vuoi venire.»
Draco le rivolse uno sguardo di sbieco, poi sospirò. «Vengo.»
Hermione quasi sorrise; sapeva già che non l’avrebbe lasciata andare da sola, perché aveva troppo timore che entrasse in trance da un momento all’altro e decidesse di buttarsi giù dalla Torre di Astronomia come Dennis e Justin avevano fatto prima di lei.
Non parlò per un bel po’; persino l’incantesimo per tenere la porta bloccata lo aveva lanciato in maniera non verbale, ma non appena si immerse nell’acqua calda, esalò un sospiro di sollievo. Forse Draco aveva bisogno di quel bagno molto più di lei.
Quando Hermione incrociò il suo sguardo di nuovo, i suoi occhi erano tornati miti; aveva recuperato il controllo. Le si avvicinò lentamente e poi la intrappolò tra il suo corpo e la parete della vasca; le controllò le braccia una alla volta.
«Hai un livido», constatò con voce gelida.
Non si era accorta che la gomitata di Nott le aveva lasciato un livido e per un momento si pentì di aver avuto l’idea del bagno al chiaro di luna.
«Non è niente…», provò ad allentare la tensione, prima che il biondino scivolasse via nuovamente; aveva il naso leggermente arricciato, ma fece scivolare le mani lungo il suo corpo, sperando che quel contatto lo distraesse dalla questione.
«Draco, non ho intenzione di farti la ramanzina», disse alla fine. «Ma per favore, ricordati che anche un solo, piccolo, passo falso potrebbe avere conseguenze spropositate.»
«Lo so», la interruppe lui. «Ma non ho intenzione di lasciare che questo genere di cose continuino a succederti.»
«So difendermi da sola», asserì lei in tono fermo.
«Se dici che dovrei saperlo me ne vado di testa», la avvisò Draco, in un ringhio mormorato. Si scostò da lei con un movimento brusco e nascose il capo sotto l’acqua.
Hermione fece ruotare gli occhi. Posò la schiena contro il bordo della vasca, le braccia conserte e attese che il giovane riaffiorasse in superficie; quando lo fece, era dal lato opposto della vasca e dopo aver poggiato le mani sul marmo, dandole le spalle, finalmente, parlò.
«Non lo sopporto» sibilò a denti stretti. «Non sopporto che ti chiamino in quel modo, non sopporto che ti facciano del male… e, soprattutto, non sopporto di averlo fatto io stesso in passato.»
La Grifondoro deglutì con forza, poi nuotò finché non fu al suo fianco.
«È nel passato, Draco», sussurrò lei, accondiscendente; fece scorrere le dita sulla sua schiena. «Devi lasciarti quella parte della nostra storia alle spalle, perché è solo al passato che appartiene.»
Lui scosse la testa lentamente.
«Draco», sospirò lei stancamente, «non puoi reagire così ogni volta che qualcuno mi chiamerà San… in quel modo», si corresse quando la fulminò con lo sguardo, «perché ci sarà sempre qualcuno che lo farà. È una cosa con cui sono venuta a patti molto tempo fa e, sinceramente, sono anche abbastanza insensibile al termine ora.»
Una smorfia distorse il viso del giovane a quelle parole, la vergogna verso sé stesso che traspariva perfettamente dall’espressione che aveva assunto. «Ti ho davvero abituata così tanto a sentirti chiamare così?»
Classico di Draco, torturarsi pensando che ogni male nella sua esistenza fosse stato causato da lui. Hermione sbatté il suo avambraccio sul bordo vasca e la cicatrice infertale da Bellatrix parve luccicare sotto la luce lunare che riempiva la stanza.
«È lì, ogni giorno della mia vita» gli ricordò con voce assente. «La prima cosa che vedo al mattino, l’ultima prima di andare a dormire, Draco.»
Il biondino deglutì con forza e distolse lo sguardo da lei.
«Ho scelto come combattere questa battaglia anni fa», affermò ancora la giovane. «Ron e Harry non sono mai stati bravi ad assecondare la mia decisione, spero che tu possa fare meglio in tal senso, perché se davvero hai intenzione di restare al mio fianco, sappi che andrà avanti per molto altro tempo. Forse non finirà mai.»
«Cosa mi stai chiedendo, Hermione?»
«Di ignorarli», disse lei. «Lo sai già che questa è la mia linea d’azione al riguardo.»

 

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Capitolo 43
*** Capitolo 42. L'Isola Che Non C'è ***


CAPITOLO 42
L'Isola Che Non C'è







 
 

 

 

 

 
 

Draco
 
Non se n’era mai accorto prima. Non si era reso conto che il suo avambraccio fosse veramente l’ultima cosa che guardava prima di addormentarsi e la prima che vedeva al suo risveglio; era sempre stato così intento a bearsi della sua vicinanza, del trovarla lì nel suo letto al mattino e dell’averla lì con lui di notte, che non era stato attento a quel dettaglio. Eppure, lo faceva sempre. Ora che ci faceva caso, era evidente e Draco era fermamente deciso a cambiare quella sua abitudine.
Ogni mattina, si assicurava di svegliarsi per primo, in modo da costringerla a guardare direttamente lui; ogni sera, richiudeva il suo braccio attorno a quello di lei, per coprire quella maledetta scritta dalla sua vista. Il fatto che poi venisse nascosta anche la cicatrice del Marchio era la ciliegina sulla torta.
Si era chiesto spesso se in assenza di quelle ferite, gli sarebbe venuto più semplice fingere di essere dei ragazzini qualsiasi.
A parte il fatto che ormai non erano più ragazzini. Per la comunità magica erano adulti, poco importava che non avessero mai avuto modo di essere adolescenti o, come nel caso di Hermione e del resto del Trio Miracoli, bambini.
Quel tempo era perso e non c’era nulla che potessero fare al riguardo.
Non sapeva se la Granger sospettasse di quali fossero le sue vere intenzioni con quei gesti, ma non aveva detto nulla, né tanto meno lo aveva fatto lui; gli bastava sapere che non si addormentasse e si svegliasse con la parola Sanguemarcio davanti agli occhi.
Draco lo odiava veramente quell’insulto.
Forse Nott aveva ragione ed era un maledetto ipocrita o forse era normale che lo detestasse con tutto sé stesso, dal momento che adesso ne capiva appieno le implicazioni e dato che era, tra tutti i Serpeverde, quello che aveva visto più da vicino il marciume che caratterizzava l’ambiente di gran parte dei loro genitori.
Odiava ancor più che lo dicessero a lei.
Aveva il diritto di difendere la Granger? Di volerla proteggere da coloro che la trattavano ancora come lui stesso l’aveva trattata in passato? Di sentirsi in quel modo quando ciò avveniva? La rabbia accecante che aveva provato era rivolta a Theodore o a sé stesso? O verso entrambi?
«Granger, smettila di strillare» sbuffò voltando leggermente il capo per guardarla con un sopracciglio sollevato. «Mi farai arrestare.»
«Te l’avevo detto che non era una buona idea!», affermò lei con convinzione, gli occhi serrati e una strana smorfia sul viso.
Draco fece ruotare gli occhi. «Non ti farò cadere.»
«Non penso che mi butterai di sotto», precisò lei. «È solo che non mi piace volare, non mi piacciono le scope e odio non essere io a guidare. E questa è una scopa da corsa. Una fottuta Nimbus 2001!»
Il biondino ridacchiò. «Reggiti forte, stupida. Sto per dimostrarti che in realtà le scope sono affidabili.»
Lei esalò un gemito scettico.
«Volo da quando avevo quattro anni e gioco a Quidditch da altrettanto tempo, Granger», le disse. «So quello che faccio.»
Le prese le mani e se le portò attorno alla vita, stringendole forte. «Reggiti.»
«Non andare troppo veloce.»
Draco sorrise, poi, finalmente, si diede uno slancio per partire.
La presa di Hermione sul suo dorso era ferrea. «Granger, se stringi così forte mi soffocherai.»
«Scusa», esclamò con voce stridula.
«Apri gli occhi o ti girerà la testa.»
La Grifondoro emise un singulto mentre lo assecondava e tratteneva il respiro. «Oddio, siamo sopra il Lago Nero!»
«Ti comporti come se non avessi mai volato prima…»
«Lo faccio solo se costretta», asserì a denti stretti. «Situazioni di vita o di morte, per intenderci. Ricordami perché ho accettato di fare questa cosa?»
«Perché ho insistito», rispose Draco con nonchalance. «Perché ti piace starmi appiccicata e perché sei curiosa di scoprire qual è il mio posto preferito qui a Hogwarts.»
Hermione grugnì. «Pessima idea…»
Il biondino ridacchiò, scuotendo il capo. «Stiamo per scendere, Granger.»
La scopa iniziò a planare e due secondi dopo la ragazza stava urlando.
«DRACO!»
Tutti i muscoli del suo corpo si irrigidirono a quel suono. Posò i piedi per terra, la fece scendere e poi lasciò cadere la scopa sull’erba.
Sentiva solo rumore, le tempie pulsavano ferocemente.
«Cazzo», imprecò, cercando di regolarizzare il respiro. «Non farlo mai più.»
«Cosa?» domandò lei spaventata. «Non ho fatto niente!»
«Non urlare il mio nome in quel modo mai più, Hermione!» gridò senza voltarsi a guardarla. Teneva gli occhi chiusi, la fronte poggiata contro il tronco di un grosso albero. Per un momento, aveva visto nero e aveva temuto veramente di perdere il controllo sulla scopa.
«Mi sono vista cadere nel lago!» protestò Hermione confusa, ma si congelò sul posto quando lui si voltò a guardarla.
«Ti ho detto», ripeté gelidamente Draco, «di non farlo mai più.»
Il suo tono si addolcì subito dopo, l’espressione dura sul suo viso vacillò per un istante, mentre un lampo attraversava i suoi occhi argentei. «Troppo simile…» mugugnò talmente sottovoce da essere quasi inudibile.
Troppo simile al modo in cui lo aveva supplicato quella notte al Manor, la notte in cui era rimasto a guardare.
Hermione, però, lo sentì. Il suo volto si rilassò e si schiuse in un’espressione compassionevole che al Serpeverde per poco non provocò un conato di vomito; non meritava la sua compassione, non riguardo a quella vicenda.
La ragazza gli prese una mano e se la portò alle labbra. «Mi dispiace.»
Draco scosse il capo e posò la guancia sulla sua testa, dandole un piccolo strattone per tirarla a sé; la strinse con forza e poi chiuse gli occhi.
«È a me che dispiace.»
Non sapeva a cosa si stesse riferendo; forse a tutto o a niente; forse ancora a quella notte, o al fatto di averla spaventata o per aver insistito così tanto per portarla lì, o per averle urlato contro in quel modo.
«Allora, mi fai vedere questo posto o no?» lo incalzò lei, cercando di alleggerire la tensione.
Draco annuì e la prese per mano; la guidò nell’aggirare una serie di alberi, avvertendola nei punti che avrebbero potuto essere pericolosi si avesse poggiato il piede nel posto sbagliato.
«Siamo appena entro i confini di Hogwarts…»
«Quante regole stiamo infrangendo in questo momento?»
Il biondino sghignazzò. «Che io sappia, niente vieta di volare sul Lago Nero, sebbene in teoria serva l’autorizzazione per farlo.»
«Che non abbiamo chiesto» puntualizzò lei.
Draco scrollò le spalle. «Non mi hanno mai beccato.»
«Siamo Caposcuola…»
«Non sembri così dedita al ruolo quando lasci che ti prenda nella mia stanza», disse lui con un ghigno stampato in faccia, a cui Hermione rispose con uno schiaffo sul braccio.
La mente del giovane era ancora ferma su come tutta quella storia era iniziata.
Stava rileggendo forse per la terza volta i volumi che avevano portato dal Manor e Hermione si stava lamentando ancora del fatto che quella ricerca fosse diventata un’ossessione per lui, che staccasse solo per lo studio e i pasti, quando erano in vacanza e le mancava trascorrere del tempo con lui in serenità; Draco le aveva chiesto di dargli qualche altro minuto, ma lei non era d’accordo, così si era infilata sotto il tavolo e aveva ridotto in poltiglia la sua concentrazione sulla questione “ricerca” per il resto della giornata.
C’era qualcosa di profondamente assurdo nel sentire Hermione Granger dirgli che stava leggendo troppo o nel vederla prendere iniziative del genere, quando ancora faticava a credere che quel suo lato esistesse veramente.
Quando finalmente raggiunsero la radura, la ragazza allargò gli occhi meravigliata.
«Oh», si lasciò sfuggire, mentre scrutava l’ambiente circostante.
Era una piccola insenatura tra gli alberi, tranquilla, silenziosa, illuminata dai raggi del sole che le conferivano un’atmosfera magica senza, di fatti, uso di magia alcuna.
Hermione prese posto sotto un albero e lui si sedette accanto a lei, poggiando la testa sulle sue gambe; chiuse gli occhi e si lasciò cullare dalle dita della Grifondoro che si muovevano tra i suoi capelli in maniera estremamente rilassante.
Non gli pose alcuna domanda, come al solito; aspettò che fosse lui a parlare.
«L’ho trovata durante il sesto anno», mormorò Draco dopo un po’. «Ci venivo spesso, almeno quando il tempo lo permetteva. È un bel posto per isolarsi e pensare. Venivo qui e per un’ora potevo fingere di essere chiunque altro sulla faccia della terra, ma non Draco Malfoy, il sedicenne idiota con il Marchio Nero sul braccio.»
«Draco», mormorò incerta la giovane, «avevi qualcuno che ti stesse accanto in quel periodo?»
Lui rise tristemente. «Non credo di aver mai avuto qualcuno su cui fare affidamento in generale, Granger, figurarsi in quel periodo» ammise. «Persino i Serpeverde mi stavano alla larga, se per rispetto o paura, non ne ho idea.»
Sfiorò la sua mano con le dita, lentamente, poi le intrecciò a quelle di lei. «Il diario era la cosa più vicina a un amico che io avessi mai avuto. Beh, prima che Blaise, Daphne ed io facessimo voto di ricominciare da zero, almeno.»
Hermione gli rivolse un sorriso mesto. «Quando eravamo nascosti nei boschi, alla ricerca degli Horcrux, i diari… parlare con te, mi faceva sentire meno sola. Eravamo così tagliati fuori dal resto del mondo… Nei miei giorni peggiori, non potevo dire a Harry che stavo perdendo la speranza. Dovevo restare forte per lui. Ma… potevo parlare con te e, credimi, era qualcosa.»
La Grifondoro sospirò e lasciò cadere la testa contro il tronco dell’albero. «E nei periodi morti, quando mi sembrava che non stessimo andando da nessuna parte… il pensiero di stare almeno aiutando il ragazzo del diario a non crollare, mi faceva sentire utile a qualcosa. Il pensiero che tra i figli dei Mangiamorte, tra i miei compagni di scuola, ci potesse essere più di qualcuno che in qualche modo non condivideva quanto stava accadendo mi dava speranza. Non per me, ma per chi sarebbe venuto dopo di me. E avevo bisogno di speranza per trovare la forza di lottare per un futuro che neanche sapevo se avrei avuto.»
Draco si voltò sul fianco, poggiandosi sul gomito, per osservarla.
«Credo che una parte di me lo abbia sempre saputo», ammise Hermione. «Credo che una parte di me sapesse già che eri tu, ma non volevo vederlo. Perché così avrei potuto continuare ad essere arrabbiata con te.»
«Arrabbiata?» chiese lui, corrugando leggermente la fronte.
La giovane annuì lentamente. «Lo sono stata per tanto tempo, Draco. Ho passato il sesto anno a ripetere a Harry che non eri diventato un Mangiamorte, nonostante ti avessi visto chiaramente mostrare il Marchio a Borgin» mormorò, la voce distante, come se fosse persa nei suoi stessi pensieri e non stesse veramente parlando con lui, ma riflettendo con sé stessa. «È una distinzione che ho sempre fatto. Avere il Marchio per me non equivaleva ad essere un Mangiamorte. Avevo letto di troppa gente fare quello che Voldemort chiedeva sotto minaccia. Il fatto che te ne andassi in giro in quelle condizioni, pallido, con le occhiaie, visibilmente dimagrito… non faceva che confermare la mia teoria. Ma ero arrabbiata con te, Draco. Da morire. Perché non hai chiesto aiuto, perché hai aggiustato gli armadi. Mi sono sentita come se avessi tradito la mia fiducia, anche se non avevo alcun diritto di sentirmi così perché non mi avevi mai chiesto di dartene, né me ne avevi dato alcun motivo, avevo fatto tutto da sola…»
Draco deglutì. Quelle rivelazioni gli stavano facendo male, voleva che smettesse ma voleva anche che proseguisse, forse per avere qualche altro strumento per tormentarsi, per continuare a punirsi per i suoi sbagli.
«… E al contempo, nonostante mi fossi accorta che qualcosa non andava, io… non ho provato a fare niente. Perché avrei dovuto? Mi avresti dato della Sanguemarcio, mi avresti mandata via… Ma la verità è che avrei dovuto farlo lo stesso.»
«No», la bloccò lui. «Non meritavo che tu ti preoccupassi per me, non esiste che ti ponga questo problema e neanche che te lo sia posta allora!»
«Non è una questione di ciò che meritavi o meno, Draco», ribatté lei. «È la differenza tra luce e oscurità. Avrei dovuto farlo lo stesso, perché era la cosa giusta da fare. Perché non mi sarei dovuta ostinare nel vedere la persona che mi ha fatto del male per anni, ma avrei dovuto concentrarmi solo sul ragazzino spaventato che stava vivendo qualcosa di più grande di lui, che era in difficoltà e andava aiutato.»
«Non avrei accettato il tuo aiuto. Ho respinto persino Piton.»
«Non importa, avrei dovuto offrirtelo ugualmente.»
«Io non ti ho aiutata quando me lo hai chiesto», replicò ancora lui, deciso a darle torto e farle capire che si stava sbagliando. Non voleva sentirla parlare in quel modo, non voleva che si sentisse in colpa per non aver fatto qualcosa che non aveva alcun motivo per fare, ai tempi. Lui non le avrebbe offerto aiuto a parti inverse, anni addietro, e di certo non meritava che lei si tormentasse al riguardo.
«Draco, non mi è ben chiara l’idea che ti sei fatto quella notte al Manor», sospirò Hermione, «ma io non ti stavo chiedendo aiuto. Quando ho gridato il tuo nome, non ti stavo supplicando di Schiantare Bellatrix, di voltare le spalle alla tua famiglia, di cambiare fronte o qualcosa del genere. Ti stavo chiedendo di uccidermi
«Cosa?» biascicò lui, improvvisamente pallido e sconvolto.
La ragazza annuì lentamente. «Era quello che volevo facessi, il resto non l’ho mai preso in considerazione. Non ho mai pensato che mi avresti aiutata né te lo avrei mai chiesto.»
La mascella di Draco cadde a terra. Non sapeva come sentirsi in merito a quell’ultima, orrenda, confessione.
«Credevi che avrei potuto fare una cosa del genere?» domandò con un filo di voce. «Credevi che avrei, cosa? Che ti avrei tranquillamente potuto lanciarti contro un Avada? È così che mi vedevi?»
Hermione chiuse gli occhi e scosse lentamente il capo. «No, sapevo che non lo avresti fatto», ammise. «Non solo per le ripercussioni che quell’azione avrebbe avuto, ma anche perché mi era perfettamente chiaro che non eri capace di uccidere. Harry mi ha detto che stavi abbassando la bacchetta quella notte sulla Torre di Astronomia.»
«E allora perché…»
«Volevo solo che tutto finisse, Draco.»
 
***
Hermione
 
C’era stato qualcosa di profondamente liberatorio in quella conversazione che aveva avuto con Draco.
Hermione era arrivata al punto di credere che dovessero affrontare quelle questioni spinose e irrisolte correlate al loro passato, per poter andare veramente avanti; nonostante la sua ritrosia e le evidenti barriere mentali che tirava su, aveva anche compreso che Draco fosse in realtà d’accordo con lei.
C’era una parte di lei che non riusciva a smettere di domandarsi se Draco avrebbe preso delle scelte diverse nel caso in cui avesse avuto al suo fianco qualcuno su cui contare veramente, un amico che fosse degno di esser definito tale, ma cercava sempre di soffocare quelle incognite, perché come aveva detto anche a lui in precedenza, tormentarsi con i se e con i ma non aveva alcun senso.
«Si può sapere dove mi stai portando?»
Hermione ridacchiò. «Mi hai mostrato il tuo rifugio qui al castello», disse lei. «Ora voglio mostrarti il mio.»
Draco si arrestò sul posto, il colore che defluiva dal suo volto. «Quella è la Stanza delle Necessità, Granger», constatò freddamente. «Io non ci entro, lo sai.»
La ragazza si voltò a guardarlo con un’espressione incoraggiante sul viso. «Quando siamo andati al Manor, mi hai chiesto di fidarmi di te e l’ho fatto», gli ricordò. «Ora ti chiedo di fare altrettanto.»
Lo vide deglutire, mentre valutava se afferrare la sua mano o fuggire nella direzione opposta; sospirò e decise di assecondarla.
«A volte mi chiedo se il tuo piano non sia quello di distruggermi, Granger.»
Lei lo guardò con un angolo delle labbra leggermente sollevato. «L’opposto, in realtà», dichiarò con solennità. «Spero di rimetterti insieme.»
Lui scosse lentamente il capo, trasse un respiro profondo e la seguì.
La Stanza aveva immediatamente preso le sembianze di una foresta con piante esotiche e colorate, molte a lui sconosciute.
«Non ero sicura che la Stanza potesse farlo, la prima volta che ci ho provato», rivelò Hermione, inoltrandosi nel luogo con la mano ancora stretta attorno a quella di lui.
Non credeva neanche la Stanza sarebbe sopravvissuta all’Ardemonio, eppure lo aveva fatto; era dotata di una magia incredibile e che non avrebbe mai compreso appieno, ne era sicurissima.
«Una foresta, Granger?»
Lei rise. «Non è una foresta, Draco» ribatté divertita. «Questa è l’Isola Che Non C’è. È il posto perfetto per i ragazzi sperduti. Mi sono sentita in quel modo per tanto, tanto tempo... e credo che a un certo punto lo abbia fatto anche tu.»
«Lo sai che non ho idea di cosa tu stia parlando vero?»
«Peter Pan», spiegò la giovane, «una fiaba babbana. Per inciso, le vostre fiabe sono racconti orrendi da rifilare ai bambini.»
Il biondino sollevò un sopracciglio. «Non ti piacciono perché non indorano la pillola e danno lezioni di vita crude?»
«Le trovo solo un po’ inquietanti per essere considerate fiabe per bambini, tutto qui.»
Hermione si lasciò cadere sull’erba e prese a guardare il cielo finto sopra di loro; quando Draco le si distese accanto, riprese a parlare.
«Nel mondo Babbano, il cuore di un bambino è sempre diviso tra l’Isola Che Non C’è e il Paese Delle Meraviglie», mormorò sottovoce. «Il primo, un luogo incantato dove il tempo non scorre e non si diventa mai adulti, il secondo un posto dove tutto è possibile, magico.»
«E il tuo cuore appartiene all’Isola Che Non C’è?» domandò lui; doveva essere ancora un po’ perso perché la sua voce lasciava trapelare un velo di perplessità.
Hermione immaginava gli ingranaggi del suo cervello lavorare per decifrare la simbologia di ciò che gli stava mostrando e dicendo e quasi sorrise; la cosa le dava un certo senso di soddisfazione dato che quel tipo di lavoro lei doveva farlo costantemente con lui per via della sua costante Occlumanzia, anche se ora le veniva più semplice interpretarlo.
«Beh, nel Paese Delle Meraviglie ci vivo da quando avevo dodici anni, no?» sussurrò con ovvietà, mentre avvertiva lo sguardo intenso del biondino fermarsi su di sé, studiarla.
«È il modo in cui ho sempre visto il mondo magico, almeno. Per cui l’Isola Che Non C’è era la mia sola alternativa.»
«Cos’ha di così bello?» domandò Draco. «A parte la promessa di non dover mai pensare alle cose serie, che, devo ammetterlo, è allettante.»
Hermione sorrise. «Qui puoi essere quello che vuoi» disse soltanto, prima di rimettersi in piedi. «Alzati.»
Il biondino sbuffò, ma eseguì l’ordine. Restò in silenzio, mentre lei si posizionava alle sue spalle e si sollevava sulle punte per sussurrare nel suo orecchio. «Chiudi gli occhi, Draco.»
Lui deglutì, ma lo fece. «Cosa vorresti essere, se fossimo veramente sull’Isola Che Non C’è?»
Draco aprì un occhio e le lanciò un’occhiata cinica. «Fai sul serio, Granger?»
«Sul serio», replicò lei sorridendo.
«Questo è ridicolo.»
«Smettila di essere così logico, per la barba di Merlino! Rispondi e basta.»
Detto da lei, la diceva lunga.
«Non ho intenzione di assecondare questo tipo di sciocchezze.»
«Bene, inizio io», propose lei, imperterrita. «Mi piacerebbe essere una farfalla.»
«Una farfalla», ripeté lui, perplesso. «Vivono in media solo un mese e alcune giusto qualche ora.»
La ragazza fece spallucce. «Se sai che hai solo quel tempo per vivere, lo fai appieno, no?»
«Non credo che loro lo sappiano.»
Hermione sbuffò. «Allora sono una farfalla che ne è consapevole!»
Draco alzò gli occhi al cielo. «Diventa un giochino sempre più stupido, Granger.»
«Merlino, sei irritante!» esclamò lei, puntando i piedi. «D’accordo, non sono una farfalla. Sono una fata, di quelle dei cartoni babbani, non quelle reali. E il mio potere è il fuoco.»
Il biondino rise. «Dovrebbe migliorare le cose?»
«Perché non puoi assecondarmi e basta?»
«Salazar, che brutta fine sono andato a fare», borbottò lui, richiudendo gli occhi.
Ma Hermione stava già sorridendo, assaporando il gusto della vittoria. «Spegni il cervello», gli sussurrò, «immagina che tutto questo sia vero. Cosa sei, Draco?»
Il giovane restò in silenzio per quelle che parvero ore, poi, finalmente, la sua voce si levò in un sussurro a malapena udibile. «Solo un ragazzo qualsiasi», ammise. «Senza nome, senza storia… che si trova su un’isola sperduta con la ragazza più bella che abbia mai visto e che non ha problemi a dirglielo perché non sente la costante impellenza di occludere e tenere tutto dentro di sé, nel timore di essere ferito.»
Aveva ancora gli occhi chiusi, ma conosceva il suo corpo così bene da riuscire a muovere le mani su di esso senza guardare. Hermione rabbrividì al suo tocco, al respiro del biondino che le solleticava il volto.
«E la ragazza non deve accontentarsi di immaginare la mia voce dire certe cose, perché la può sentire veramente.»
«Alla ragazza non importa» soffiò lei, avvicinando le labbra alle sue. «La ragazza ha capito che il ragazzo ha altri modi per esprimere le cose che non riesce a dire a voce e lei è in grado di notarli.»
Hermione apprezzava il modo in cui si lasciava andare con lei e solo con lei, il fatto che si sforzasse di aprirsi e di farle capire le cose, anche se di fatti raramente usava le parole per farlo; per lei non era veramente un problema, il fatto che esprimesse le cose più in maniera fisica invece che a voce.
Draco aprì gli occhi e la guardò per qualche istante. «Non ti importa veramente?», le chiese. «Non pensi che io sia freddo?»
Chiuse gli occhi e posò la guancia sul suo palmo.
No, non credeva che lui fosse freddo, non quando le sue dita e la sua sola voce erano in grado di farla bruciare dall’interno.
«Non ho bisogno di stupide paroline dolci quando mi tocchi o mi guardi in questo modo.»
Lui le sorrise con una dolcezza che le scaldò immediatamente il cuore.
«E poi», aggiunse Hermione, tirandolo per una mano, «la possibilità che io scoppi a ridere davanti a roba troppo sdolcinata è altissima. Non so come facciano le persone a credere nella spontaneità di certe cose o a compiacersene.»
«Il tuo lato romantico è più difettoso del mio, Granger.»
«Dimmi quanto sono intelligente e cadrò ai tuoi piedi.»
«È quello che ho fatto», rise lui.
Draco la seguì in giro per la stanza e quando individuò un piccolo ruscello sgranò gli occhi. «Come Merlino è possibile?»
Hermione si morse l’interno di una guancia. «Come il cielo, suppongo. Se guardi bene si nota che si interrompe in corrispondenza delle pareti, senza andare a finire da nessuna parte. Ma se spegni il cervello puoi tranquillamente illuderti che sia vero.»
«Hermione Granger che spegne il cervello» commentò lui, sbigottito. «Questo è davvero sconvolgente.»
«Chiudi il becco.»
Si accomodarono in un angolino, proseguirono la rilettura dei libri che avevano preso al Manor; Hermione era ossessionata da quello sui Fondatori, sebbene quella pista non avesse ancora portato a nessun risultato concreto né ad ulteriori informazioni. Dopo un paio d’ore, sbuffò e si distese nuovamente sull’erba, con le braccia incrociate sotto la testa.
«Se potessi scegliere un momento della tua vita in cui rimanere bloccato per sempre, quale sarebbe?»
Era certa che lo avrebbe sentito sbuffare pesantemente e rifilarle una qualche battuta sarcastica, ma lui non proferì parola; si girò leggermente per guardarlo in faccia e si soprese nel trovarlo intento a ponderare realmente una risposta da darle.
«Quarto anno, Ballo del Ceppo», disse alla fine. «Stavi scendendo le scale, io ti stavo guardando e per un momento ho messo in discussione tutto. Mi sono chiesto più volte se indugiare in quel momento mi avrebbe portato a svegliarmi prima, cosa sarebbe accaduto se Pansy non mi avesse strattonato riportandomi alla realtà, strappandomi a quei pensieri. Perché li ho chiusi in un angolino remoto della mia mente, quando non avrei dovuto farlo.»
Lei lo guardò con le labbra dischiuse, completamente spiazzata da quell’ammissione.
«Se c’è un momento nella mia vita in cui penso che le cose sarebbero potute cambiare e andare diversamente… è quello. Se solo fosse durato qualche secondo in più.»
«È un po’ riduttivo, non ti pare?»
«Eri bellissima», mormorò lui. «Sai che trauma notare che mi stavo chiedendo che diavolo ci facessi tu con Krum invece del contrario?»  
Hermione scoppiò a ridere. «C’è qualcosa di soddisfacente in questa tua confessione, Draco Malfoy.»
Lui le rivolse una smorfia insofferente. «Diventa anche peggio, perché per un momento mi sono chiesto che sapore avrebbero avuto le tue labbra.»
Lei lo fissò incredula.
«Ovviamente, anche se quel momento fosse durato di più, io non avrei avuto modo di scoprirlo ugualmente», sospirò Draco, poi il suo viso assunse un cipiglio contrariato. «Immagino che Krum l’avrà fatto, però.»
Hermione si accigliò. «Non so perché Viktor vi indispone tutti in questo modo.»
«È il modo in cui ti guarda», disse seccamente. «Lo faceva anche al quarto anno. Tu eri lì, in biblioteca a studiare e lui ti fissava continuamente. È inquietante e sembra un pervertito, un po’ come McLaggen, non so se mi spiego. Pensavo che a un certo punto saresti esplosa e lo avresti affatturato, perché era evidente che...»
«… odiassi che mi guardasse mentre studiavo, sì», ammise lei. «Mi dava fastidio.»
«Mi sono seduto sul tavolo di fronte al vostro per quasi tutto il tempo, aspettando quel momento, ma non è mai successo», rivelò con nonchalance Draco. «Peccato, mi sarebbe piaciuto vederlo colpito da una Fattura Tarantallegra o qualcosa del genere.»
Hermione scosse il capo, rassegnata.
«Mi sono sempre domandato come facessi a distinguere i suoi grugniti dalle sue parole.»
«La gente potrebbe chiedermi la stessa cosa in merito alla tua lingua tagliente, Draco», lo canzonò lei, ma quella battuta non fece che provocare un ghigno sul suo viso.
«Tu adori la mia lingua, Granger», la punzecchiò. «Specie quello che sa fare quando tocca i punti giusti.»
Hermione avvampò e gli tirò un foglio di pergamena accartocciato in faccia.
«Sei incorreggibile.»
«Te le cerchi», rispose lui facendo spallucce.
«E comunque, per tua informazione, Krum non parlava molto, quindi il problema non sussisteva, in realtà.»
Draco si irrigidì. «Che cosa ci hai fatto, con lui?»
«Non ti riguarda», si accigliò lei.
«Granger…»
«Ci siamo solo baciati stupido», sbuffò Hermione, facendo ruotare gli occhi e lo vide rilassarsi immediatamente in seguito a quella precisazione.
Scosse il capo, perché davvero non credeva che fossero affari suoi, poi tornò a fissare il cielo finto che andava magicamente scurendo sopra le loro teste.
«Draco», sussurrò con un filo di voce, ma continuò la frase solo una volta che avvertì i suoi occhi sulla propria figura, ritornando alla conversazione che avevano avuto solo qualche ora prima.
«Io non ti ferirò.»







_________
n.d.a.

Salve a tutti!
Scrivo questa breve nota per informarvi che mancano 8 capitoli + epilogo alla fine della storia. Come potetete immaginare dal prossimo capitolo in poi ne accadranno di tutti i colori, mi dispiace solo che per puro caso i capitoli meno soft sono finiti nella settimana di Natale ahah vi avviso già da ora. Come al solito ci tengo a ringraziare chi di voi mi sta lasciando delle recensioni, sono molto importanti per me. Spero che la storia vi stia piacendo e che i capitoli finali non vi deludano!
A presto :)

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Capitolo 44
*** Capitolo 43. Amortentia ***


CAPITOLO 43
Amortentia







 
 

 

 

 

 
 



Hermione
 
Se c’era stata una costante nella vita di Hermione Granger, quella era il fatto che non sopportava Draco Malfoy.
Essersi innamorata di lui non faceva alcuna differenza.
Arrivata a quel punto era ormai fermamente convinta che si potesse amare e odiare qualcuno allo stesso tempo.
Aveva ancora la sua risata compiaciuta nelle orecchie e le mani le tremavano ancora, da quando quella mattina aveva finalmente avuto un momento di epifania e aveva realizzato a che gioco stesse giocando il biondino.
Quel maledetto furetto platinato!
Proprio quando pensava di aver visto tutto di lui, se n’era uscito tirando fuori un nuovo lato di sé che l’aveva colta di sorpresa, spiazzandola completamente.
Spostare la loro competizione storica in un altro ambito, più precisamente a letto, era stata la decisione migliore che avessero mai preso, ma Hermione, fino a quel momento, era stata assolutamente certa che Draco non sarebbe mai stato in grado di battere la rivelazione sul suo lato provocatorio e invece… invece lui aveva iniziato a parlare e lo sapeva fare maledettamente bene. E non come aveva fatto fino a quel momento, il “parlare” che lei, già così, avrebbe volentieri aggiunto alla lista dei preliminari; Malfoy sapeva fare di peggio, o di meglio, non era certa di come definire la cosa. Solo che ci aveva messo un po’ a capire che la sua voce, se usata in un determinato modo, e quello che le diceva, se carico di determinate allusioni, la eccitavano terribilmente, soprattutto se sincronizzato a un gioco di sfioramenti e gesti che la mandavano in visibilio. E una volta che ne aveva avuto la conferma, ovviamente, si era dimostrato determinato a coglierne frutti e vantaggi, lasciando a lei il compito di inventarsi qualcosa di nuovo e sconvolgente per superarlo.
A quel punto, Hermione era arrivata persino a prendere in considerazione l’idea di legarlo, ma qualcosa le diceva che Draco Malfoy sarebbe andato a nozze con una iniziativa del genere e che presto sarebbe divenuta un’arma a doppio taglio che lui avrebbe puntato contro di lei con estrema maestria.
«Sei dannatamente sexy quando ragioni in quel modo.»
Hermione represse a stento un brivido, arrossendo violentemente, mentre le labbra del Serpeverde si allontanavano dal suo orecchio e le sue dita, a malapena poggiate sul suo fianco, scivolavano via da lei facendole sentire freddo.
Non l’aveva nemmeno toccata, dannazione e lei già avvertiva l’esigenza di stringere le cosce!
«Chiudi il becco!»
Draco rise. «Sei ancora arrabbiata.»
Lei rispose con un’occhiataccia truce.
«Non riesci proprio a sopportare che io abbia scoperto un tuo punto debole di tale portata, non è vero?»
«Ribalterò presto la situazione», fece la ragazza, fingendo indifferenza. «Di nuovo.»
«Ne sono sicuro, ma potrebbe volerci un po’», considerò lui, ammiccando. «Nel frattempo, mi godrò i vantaggi dell’avere il coltello dalla parte del manico. È meraviglioso essere in vantaggio su di te
Hermione assottigliò le labbra. «Te ne farò pentire, te lo giuro.»
Un ghigno si aprì sul volto del biondino. «Ci conto, Granger.»
Hermione fece schioccare la lingua e ruotare gli occhi.
«Smettila di fingere», le sussurrò chinandosi sul suo orecchio. «Ti piace essere in competizione con me. Ti eccita, persino.»
Si girò verso di lui per rispondergli a tono, ma non fece in tempo a pronunciare neanche la prima parola, perché Lumacorno fece il suo ingresso nell’aula, agitando la bacchetta e facendo comparire dei calderoni pieni, ma sigillati, su ogni banco.
«Buongiorno, ragazzi», esordì il professore, con aria entusiasta. Hermione era ancora scioccata dalla diversità dell’atmosfera in quell’aula rispetto a quando le lezioni le teneva Piton. «Oggi faremo un piccolo test.»
Tutti i muscoli del corpo di Hermione si tesero a quelle parole; sentì Draco reprimere a stento una risata alla sua sinistra e gli tirò una leggera gomitata che lo fece ridere definitivamente. «Oggi ti affatturo, Malfoy.»
«Con quale bacchetta, Granger?»
Si tastò la tasca per realizzare solo in quel momento che il biondino, al suo passaggio, le aveva rubato la bacchetta, che ora giaceva sul suo lato del banco, bloccata sotto la sua mano.
«Ti odio» sibilò lei, cercando di riprendersela e al contempo di ascoltare il professore.
«Ciascuno dei calderoni che ho fatto apparire sui vostri banchi ha al suo interno una pozione differente. Il vostro compito è quello di prepararne l’antidoto», spiegava Lumacorno, senza dare la minima impressione di accorgersi della piccola scaramuccia che stava accadendo in fondo alla classe.
«Ripetilo un’altra volta, Granger» sussurrò Draco, beffardo. «Forse riuscirai a convincerti che sia vero.»
Hermione lo guardò con gli occhi ridotti a due fessure. «Chiudi il becco, Malfoy.»
Le rifilò il suo ghigno del cavolo e lei prese veramente in considerazione l’idea di mollargli un altro pugno in faccia.
Come poteva essere così diverso e al contempo così sé stesso?
Come poteva farla sentire così felice da toccare il cielo come un dito e allo stesso tempo irritarla al punto da volerlo soffocare con le sue stesse mani?
O con le sue labbra. Ecco, così andava meglio.
«D’accordo, la smetto», si arrese lui, tornando serio. «Voglio restare il primo della classe. Però prima dimmi una cosa. Ti giravi veramente a controllare se avessi già finito, gli altri anni?»
Hermione avvampò.
Come diavolo lo aveva scoperto?
«Non dire sciocchezze.»
«Sei una pessima bugiarda, Granger.»
La Grifondoro sbuffò, decisa a mettere un punto a quel battibecco senza senso e alzò il coperchio per identificare la pozione che gli era stata assegnata e capire quale fosse l’antidoto da preparare. Desiderò immediatamente di non averlo mai fatto.
«Cazzo», imprecò Draco al suo fianco, deglutendo con forza. «Amortentia
Il bastardo e la sua maledetta Occlumanzia, che lo rendeva pressoché impassibile e odiosamente lucido e controllato anche davanti a una pozione del genere.
Hermione non aveva quella fortuna.
Lo aveva già detto o pensato, quel giorno, che lo odiava terribilmente?
I suoi occhi si fecero velati, mentre l’essenza si insinuava nelle sue narici. Era diversa da quella che ricordava. Cercò di distinguerne le fragranze.
Pergamena nuova, quello non era cambiato.
Erba fresca, ma ora mista a una fragranza floreale che ricordava bene… Oasis, ci aveva visto giusto, quella mattina. Non si sarebbe tolta quel posto paradisiaco dalla testa tanto facilmente.
E l’odore singolare e distinto di una colonia ormai troppo familiare, quella che non aveva mai saputo discernere nelle sue componenti e che aveva ormai imparato a descrivere semplicemente come “il suo profumo”.
Il profumo di Draco.
E poi tutto finì, riportandola bruscamente alla realtà, all’odore di ingredienti misto ai vari esemplari di pozioni presenti nella stanza, le cui essenze si mischiavano nell’ambiente, disperdendosi in un’unica fragranza confusa.
Un sospiro di protesta e di delusione lasciò la sua bocca. Sbatté le palpebre due, tre volte; la mano del biondino era chiusa sul coperchio del calderone, che ora era tornato al suo posto, inibendo l’effetto dell’odore dell’Amortentia, ricomprimendolo all’interno del paiolo.
Blaise e Ginny, seduti al tavolo davanti a loro, erano voltati verso il loro banco, con quella che Hermione immaginava fosse la stessa espressione persa che aveva il proprio volto.
Si schiarì la gola sonoramente, risvegliando anche i loro amici da quello stato trasognato cui l’Amortentia, se preparata correttamente, induceva.
«Cazzo», commentò Blaise guardandoli come se non li vedesse veramente. «Menomale che non è capitata a noi.»
Ginny ridacchiò, poi si rivolse a Hermione. «Buona fortuna.»
Lei scosse il capo per riscuotersi definitivamente; avvertì il volto di Draco avvicinarsi nuovamente al suo orecchio.
«Tutto bene, Granger?»
Quel maledetto ghigno.
Cosa non avrebbe dato per cancellarglielo dalla faccia, soprattutto quel giorno! Perché quando si svegliava con la luna storta, le cose non potevano mai filarle lisce?
«Tutto bene», rispose forse troppo stridulamente per risultare anche solo leggermente credibile. «Vado a prendere gli ingredienti per l’antidoto.»
Allontanarsi dal biondino per un attimo le sembrava la cosa ideale da fare, aveva bisogno di prendersi un momento per riacquistare completamente la sua lucidità. Quando tornò, Draco aveva ancora un’espressione esilarata stampata in volto.
«Siamo sicuri che non mi salterai addosso da un momento all’altro?» la punzecchiò lui, preparando il piano di lavoro. «Insomma, non mi dispiacerebbe, ma come ben sai, non sono propenso all’idea che altri possano vederti o sentirti
Hermione arrossì, ma rimase composta e aveva recuperato abbastanza lucidità da potersi permettere di stare al gioco. «Chi ti dice che ci sento te, nell’Amortentia?»
E finalmente, quel maledetto ghignò sparì dal suo volto. «Cosa vorresti dire?»
«Solo che non capisco come tu possa essere così sicuro che io senta qualcosa di correlato a te nell’Amortentia.»
Le ci volle tutto il suo impegno per non scoppiare a ridere; poteva chiaramente vedere ogni muscolo del suo corpo tendersi e irrigidirsi, persino con il mantello a nasconderlo ai suoi occhi.
«Granger…»
«Avete un’ora di tempo, ragazzi, poi visionerò a che punto siete arrivati. Avete il compito di ultimare i vostri antidoti e presentarne una fiala durante la prossima lezione in modo che possa valutarla.»
La voce del professore sovrastò quella di Draco, impedendole di comprendere la parte finale della sua frase.
«Muoviti, furetto» lo esortò, ora esibendo lei un ghigno compiaciuto. «Non abbiamo tutta la giornata.»
 
***
Draco
 
«Si può sapere perché sei così irritato?»
Draco sbuffò.
Blaise lo fissava perplesso dall’altro lato del tavolo di Serpeverde.
Daphne rideva sotto i baffi. «Ho sentito la Granger chiedergli come facesse ad essere sicuro che lo sentiva nell’Amortentia», rivelò sghignazzando. «Probabilmente è per quello che è così irritato.»
«Chiudete il becco, maledizione», sibilò il biondino, guardando le pietanze sul tavolo alla ricerca di qualcosa che stuzzicasse il suo appetito. Non aveva molta fame.
«Ti stava prendendo in giro», commentò Blaise con le lacrime agli occhi. «Non la biasimo, sei esilarante
«Lo trovi divertente, Blaise?» berciò lui, lanciandogli un’occhiataccia torva. «Io non sto ridendo.»
«Sei maledettamente drammatico», gli diede man forte la Greengrass.
«E comico nel mentre», aggiunse Astoria, ridendo a sua volta.
«E voi siete i peggiori amici del mondo», constatò gelidamente il giovane.
«Vorrei conoscere i tuoi mezzi di paragone», asserì Blaise. «Perché credo che abbiamo battuto Crabbe e Goyle già il primo giorno del nostro rinnovato spirito d’amicizia.»
Draco sbuffò dal naso. Era vero, ma non aveva intenzione di dirglielo, né tanto meno di fargli sapere che li considerava veramente suoi amici, probabilmente gli unici che avesse mai avuto. Gonfiare l’ego di un Serpeverde non si rivelava mai una buona mossa.
«È chiaro che ti stesse prendendo in giro», disse poi Astoria, tornando seria. «Non vi togliete praticamente le mani di dosso.»
«Non dire stupidaggini, piccola Greengrass.»
«Se non te ne rendi conto è anche peggio e tu sei ancora più fottuto, Draco», gli fece notare lei, sorridendogli impertinente. Mentre la guardava con gli occhi ridotti a due fessure, Draco pensò per un momento che forse sarebbe stato meglio da solo.
Quei bastardi non facevano che esporlo, in barba alle sue affinate doti da Occlumante e al suo desiderio di tenere per sé la sua sfera emozionale, che tollerava al massimo di condividere un po’, - solo un po’ -, con la Granger. Probabilmente tiravano a indovinare, rifletté, e lui come gli idioti dava loro ragione con la sua irrefrenabile irritazione. Eppure, la sua insofferenza verso il resto del mondo non era mai venuta meno e come facessero a discernere le due cose gli era del tutto oscuro.
Sarei più certo che stesse scherzando se la nostra relazione fosse un po’ meno delicata”, commentò tra sé e sé, ma non disse nulla a voce alta perché non aveva assolutamente intenzione di mettere a nudo le sue insicurezze davanti ad alcun essere vivente.
«Ho qualcosa per voi», soffiò allora, sperando che la chicca li distraesse a sufficienza dalla sua persona, «e per le vostre Grifondiote controparti.»
«Perché non puoi sforzarti di essere un po’ più gentile nei loro confronti, Draco?» chiosò la piccola di casa Greengrass e lui le rispose con un ampio sorriso affettato.
«Per te e la Donnola niente, allora» commentò beffardo. «D’altronde, non credo che sia così audace a letto da considerare l’idea di utilizzare questo.»
Tirò fuori delle fiale oscurate.
«Cosa c’è lì dentro?» chiese Blaise incuriosito.
Draco fece cenno a tutti di chinarsi per avvicinare le loro teste e parlare sottovoce.
«Ho rubato una fiala di Amortentia a Pozioni, oggi» sussurrò talmente tanto piano che per un momento pensò che non lo stessero sentendo neanche loro che avevano le orecchie quasi premute contro la sua faccia.
D’altronde, non poteva rischiare di essere sentito, le accuse nei suoi confronti erano già abbastanza pesanti in giro per il castello… e quello che aveva fatto gli sarebbe sicuramente costato l’espulsione e un indesiderato, ma assicurato, viaggetto ad Azkaban.
«E ci ho fatto un estratto afrodisiaco.»
Tre paia di occhi eccitati e bramosi saettarono su di lui, poi guardarono le fiale, infine tornarono sul biondino.
«Dura un’ora, non fatevi scoprire, - e se lo fate io non vi ho dato niente, o mi avrete sulla coscienza -, e soprattutto: divertitevi!»
«Ne voglio uno anche io» protestò Astoria, a braccia conserte, l’aria imbronciata.
«Spiacente, piccola Greengrass», rispose lui, scrollando le spalle. «Solo maggiorenni.»
«Malfoy, io ce li ho diciassette anni!»
«Ah», fece a quel punto il biondino, «allora solo gente che non va a letto con Weasley.»
«Riprenditi quella di Blaise allora!»
«Ho detto Weasley, non piccola Weasley no?» insisté lui.
«Sei un maledetto idiota, Malfoy!» ringhiò la ragazza. «Ti rendi conto che potrei ricattarti per averla ugualmente, vero?»
Draco sbuffò. «Dannate Serpi», commentò, arrendendosi e facendole scivolare una fiala in mano. «Tieni va’, magari per una volta Weasley non fa schifo.»
Gliene restava soltanto una, ora.
E serviva a lui.
«Non una parola con nessuno, intesi?»
§
«Oi, Granger!»
La trovò intenta a passeggiare in giardino e la raggiunse quasi correndo.
La Grifondoro lo accolse con uno sguardo circospetto. «Che cosa state tramando?»
«Eh?»
«Acquattarsi sul tavolo e parlare concitati e sottovoce nel mezzo del pranzo non è un comportamento che non desta sospetti, Malfoy.»
«Smettila di chiamarmi per cognome, mi stai facendo saltare i nervi» rispose lui, sbuffando.
«Questo è esattamente il motivo per cui non lo farò, Malf
La zittì con un bacio. Era il suo modo preferito di farla smettere di parlare, sinceramente, specie perché emetteva un piccolo singulto e le si mozzava il respiro tutto di colpo; lo trovava adorabile ed eccitante al contempo. Se poi fingeva di volerlo spingere via, per lui era anche meglio.
«Smettila di scalpitare», le sussurrò in un orecchio. «Andiamo al dormitorio.»
La afferrò per una mano e la trascinò via prima che potesse dire una parola, portandola dritta nella sua camera da letto.
«Che c’è, hai annusato troppa Amortentia, Draco?» lo prese in giro lei, ma lui rise contro le sue labbra.
«L’Amortentia non mi fa alcun effetto, Granger.»
«Non può essere vero» dichiarò lei, saccentemente.
Lui si allontanò e la fissò perplesso.
«Tutti siamo attratti da qualcosa» affermò ancora, in tono deciso. «E ad occhio e croce, direi che persino tu ci sentiresti almeno due cose.»
Draco sollevò un sopracciglio. Non aveva davvero bisogno di un’altra persona che infierisse dei duri colpi al suo ego da Occlumante provetto, quel giorno. «Ovvero?»
«Mela verde», fece lei senza esitazione, «e petricore. Vai sempre a volare dopo che smette di piovere e c’è stato bel tempo per molti giorni; quindi, suppongo ti piaccia l’odore lasciato dalla pioggia sul terreno bagnato.»
Il ragazzo la fissò allibito nel sentire l’ultimo punto. «Come fai a saperlo?»
«Sono una buona osservatrice», disse lei con nonchalance. «E di solito, in biblioteca, sedevo al tavolo che dà sulla finestra con la visuale sul campo da Quidditch.»
«Mi guardavi?» chiese cogliendo la balla al balzo per sfotterla, anche se c’era sorpresa nella sua voce.
«Conosci il tuo nemico, è un detto babbano.»
Ah, giusto. Che pensiero stupido aveva avuto, per un momento? Come poteva la Granger avere alcun interesse per lui, prima?
«E comunque, i tuoi capelli sono praticamente un’insegna che urla “Malfoy” anche a chilometri di distanza.»
Draco sbuffò. «Cosa ci senti tu?»
«Non te lo dico», asserì lei, arrossendo.
«Ma tu sai cosa ci sento io, perché non vuoi dirmelo?»
In realtà, mancava qualche pezzo alla sua ricostruzione, ma non doveva dirglielo per forza, no?
«Tu non me lo hai detto, no?» insisté lei. «L’ho dedotto da sola.»
«Va bene, Granger, maledizione! Al sesto anno ci sentivi pergamena nuova, erba fresca e qualcosa alla menta. Sono…» deglutì, esitò per una frazione di secondo, «…sono ancora quelli?»
«Più o meno», ammise Hermione.
Draco avvertì il mondo sparire attorno a lui.
«Ci senti ancora Weasley…»
Non era una domanda, era una constatazione.
Si ritrasse bruscamente da lei e si passò una mano sul viso.
«Draco, che stai dicendo?»
«La menta. È qualcosa che riguarda lui, non è vero?»
«Oh», mormorò lei arrossendo leggermente. «Lo era, ma non… non lo sento più quello.»
Gli parve di tornare a respirare, ma il suo cuore batteva furiosamente contro il suo petto.
«Dimmi cosa ci senti, Granger.»
«Merlino, sei assurdo quando fai così!», esclamò Hermione, facendo per alzarsi ed andarsene, ma lui la raggiunse e la bloccò afferrandola per un polso. La sospinse lentamente contro il muro, intrappolandola tra il proprio corpo e la parete.
«Voglio sapere cosa senti» le sussurrò in un orecchio. «Dimmelo e io farò altrettanto.»
Non pensava veramente che fosse necessario dirglielo; gli sembrava abbastanza scontato che il suo profumo fosse nella sua maledettissima Amortentia perché ironicamente era lui quello che fino a quel momento aveva dato più certezze a lei. Non aveva fatto altro, se lo era imposto, perché credeva che fosse l’unico modo per farle capire che ci tenesse veramente.
Draco, però, iniziava a non sopportarlo più. Si era esposto come non mai con lei, ma quando si toccavano argomenti delicati della loro relazione, Hermione trovava sempre il modo di svignarsela. Non glielo avrebbe lasciato fare anche quella volta. Era arrivato il suo turno di ricevere delle rassicurazioni, perché l’idea che lei non ci tenesse abbastanza a lui, a loro, era insopportabile.
Perché non voleva essere abbandonato.
Perché non voleva più chiedersi se un giorno si sarebbe svegliato e non l’avrebbe più avuta accanto a sé.
Perché in cuor suo, temeva che non potesse provare qualcosa di abbastanza forte per lui da arrivare a sentirlo in qualche modo in una pozione come l’Amortentia e se le cose fossero state veramente così, avrebbe voluto saperlo.
«Draco, cosa vuoi che ci senta?» mormorò lei debolmente. «Cosa pensi che possa sentirci, se non il tuo profumo?»
Lui chiuse gli occhi e posò la fronte contro la sua.
«Non lo so neanche descrivere» ammise deglutendo. «Sei semplicemente tu
La sua mano scivolò sulla parte bassa della schiena di lei ed esercitando una leggera pressione la avvicinò a sé e la baciò.
«Pensavo avessi detto-»
«Non ho detto niente», soffiò lei, fermandolo sul nascere. «Ci stavamo prendendo in giro da prima di colazione…»
«Hermione…»
La ragazza sorrise contro le sue labbra. «Non ho bisogno che tu mi dica cosa ci senti.»
«Perché lo sai già», dedusse Draco con un filo di voce, arretrando di mezzo passo dalla giovane; afferrò una ciocca dei suoi capelli e se la portò al naso, mantenendo il contatto visivo con lei mentre lasciava che la fragranza che lo cullava ogni notte e che gli aveva irretito i sensi nell’Amortentia lo invadesse ancora una volta.
«Smettila di mettere in dubbio i miei sentimenti per te, Draco Malfoy.»
«Non lo faccio perché dubito di te…»
«Allora smetti di dubitare di te stesso» lo interruppe la Grifondoro. «Un tempo eri bravo in questo.»
«Non sono più quella persona.»
Le mani di Hermione si chiusero dietro la sua nuca, mentre si sollevava sulla punta e portava i loro visi quasi a sfiorarsi.
«Lo so», disse. «Ma credo che recuperare un po’ di fiducia in te stesso ti possa far bene.»
Il resto della conversazione si perse tra sospiri, baci e gemiti di piacere, e ben presto, mentre la avvertiva tremare sotto di sé provocata solo da sfioramenti leggeri attraverso i vestiti, si domandò come avesse potuto veramente mettere in discussione l’attrazione della ragazza verso di sé. Forse era letteralmente tutto ciò che aveva di lei.
«Granger», mormorò guardandola negli occhi. «Lo hai mai fatto sotto estratto di Amortentia?»
Hermione sollevò un sopracciglio, mentre seguiva con lo sguardo la sua mano che estraeva la fiala dalla tasca della divisa.
«Da dove viene fuori?»
Draco fece una smorfia indifferente. «Mentre tu sniffavi il mio profumo, io mi sono adoperato per il bene del nostro gruppo di disadattati.»
La mascella della ragazza cadde. «Hai rubato dell’Amortentia dal calderone?»
Lui quasi scoppiò a ridere. «Vuoi togliermi dei punti? Perché ti ricordo che non puoi, ho il tuo stesso ruolo.»
«Draco! Potresti finire nei guai, è una pozione pericolosa…»
«Non ci sono più le prove, l’ho usata tutta per sintetizzare questi estratti» le assicurò. «Sono innocui, l’effetto dura un’ora e sono dei semplici afrodisiaci, neanche pesanti. E soprattutto, sono legali. Te lo giuro. Ma non devi sentirti obbligata a dirmi di sì, se non vuoi provare.»
«Ecco che diavolo stavate combinando a pranzo», commentò invece lei, ruotando gli occhi e scuotendo il capo con leggero disappunto.
«Una fiala di Amortentia, quattro dosi di estratto» confermò il biondino. «Chiedi a Potter e Weasley com’è andata, poi. Sono curioso.»
«Sei un idiota, Draco Malfoy.»
«Vorrei che la smetteste di dirlo» berciò Draco. «Insomma, sono io che vi rifilo le cose divertenti e mi insultate anche di sopra.»
«Non batti comunque Blaise.»
Lui sollevò un sopracciglio, come a sfidarla.
La fiala scintillò nella sua mano.
«Non sarebbe corretto», mormorò lei. «Non avrebbe su di te lo stesso effetto che avrebbe su di me.»
Draco deglutì; una parte di lui si era aspettato quella considerazione, quella ritrosia da parte di Hermione nell’esporsi così tanto in quel senso, sapendo di essere l’unica a mettersi in gioco. Trasse un respiro profondo e chiuse gli occhi.
Era una cosa che aveva fatto solo una volta in vita sua ed era accaduta perché aveva perso completamente il controllo sulle sue emozioni. Era una cosa di cui odiava anche solo l’idea di fare, ma era con la Granger e sapeva che lei non se ne sarebbe approfittata, che non gli avrebbe fatto del male, che poteva essere vulnerabile con lei. Abbassò tutte le sue difese e prima che una valanga di sentimenti negativi lo assalisse, - il dolore, il tormento, il senso di colpa… riusciva già a sentirli confluire nel suo petto tutti assieme, tutti in una volta… -, spalancò gli occhi e si concentrò sulle iridi color cioccolato di Hermione, che si allargarono immediatamente quando stabilirono un contatto visivo con le sue grigie.
«Così va meglio?»
§
«Granger, così mi consumi.»
Lei arrossì leggermente, ma mantenne comunque lo sguardo su di lui.
Si voltò a guardarla, serio e la trovò intenta a studiarlo con un’aria leggermente trasognata. Per un momento, si domandò se l’effetto del filtro fosse svanito solo per lui, se ci fossero delle differenze di durata o effetto che variavano da soggetto a soggetto, o dei possibili effetti collaterali, ma Hermione sembrava essere normale.
«Stai bene?», le chiese, togliendole una ciocca di capelli ribelle dal volto e bloccandola dietro l’orecchio.
Lei annuì, abbozzando un sorriso. «Non è poi così diverso dal solito.»
Draco rise. «No, non lo è» convenne, «non per noi, almeno.»
Hermione si sollevò leggermente per catturare le sue labbra in un dolce bacio e lui avvertì le emozioni iniziare a sopraffarlo. Ora che l’effetto disinibitorio dell’estratto di Amortentia era svanito, stava iniziando a sentire un po’ troppo; stava finalmente comprendendo appieno l’esigenza della ragazza di andarci piano, di scoprirsi a piccole dosi alla volta, ammesso che anche lei si sentisse in quel modo in merito a lui. Provava davvero tutto con quell’intensità, costantemente? Come faceva a non soffocare in quelle sensazioni? Per lui era già troppo anche quando usava l’Occlumanzia per smorzare le cose.
Sentì le mani di Hermione premere sulle sue guance in un tocco quasi disperato.
«No…», la sentì sussurrare supplichevole, con voce tremula.
Il biondino corrugò la fronte.
«Per favore», gli disse, «dammi solo una serata… solo un altro paio d’ore…»
Lo aveva capito. Aveva capito che stava rialzando le sue barriere.
Non era mai riuscito a scoprire come facesse ad accorgersene.
Draco deglutì. Poteva farlo, poteva concederle un altro paio d’ore. Era ormai sceso a patti con la sua completa incapacità di negarle quello che desiderava, e quando lo guardava in maniera così implorante non c’era alcuna speranza che riuscisse a resisterle. Non quando ancora stava lottando per capire come gestire tutte quelle sensazioni insieme.
Come facevano gli altri a vivere senza Occlumanzia? Da che ne aveva memoria, lui aveva sempre compartimentalizzato, soppresso quello che era necessario sopprimere e forse anche di più, isolato le emozioni per affrontarle una ad una, se proprio non poteva impedirsi di farlo.
Riabbassò le sue barriere mentali totalmente. L’effetto del suo tocco su di sé gli sembrava triplicato, nei suoi baci gli sembrava di annegare, il suo cervello non riusciva a pensare ad altro se non al suo nome, a quanto la amasse e la desiderasse. Era tutto più intenso persino di quando abbassava leggermente le difese per fare l’amore con lei, perché credeva che meritasse di vedere quello che gli faceva stare insieme a lei. Perché voleva sentirla.
Ora, però, non era più sicuro di averla mai sentita appieno veramente; si stava quasi pentendo di aver usato l’estratto di Amortentia quella sera, sedotto dal pensiero di amarla senza alcun filtro. Sarebbe morto, ucciso dalle sensazioni che avrebbe provato, se l’avesse fatta sua senza tutelarsi emotivamente in alcun modo?
«Hai intenzione di passarle a fissare i miei occhi, quelle due ore?»
Non gli rispose inizialmente; continuò a scrutare le sue iridi grigie, mentre con la mano gli lasciava dolci carezze sul volto.
«Pianeti» sussurrò alla fine e doveva essere così assorta nei suoi pensieri che la voce venne fuori in un suono remoto e distante. «Quando non occludi, i tuoi occhi sembrano pianeti.»
Draco deglutì. «Non capisco», mormorò perplesso. «È un complimento?»
Hermione gli sorrise con calore. «Sì, Draco» confermò, posando il capo contro il suo petto. «Lo è.»
Restò in silenzio ad accarezzare la sua pelle nuda per un po’, disegnando ghirigori sul suo corpo che la facevano rabbrividire di tanto in tanto, quando le dita sfioravano i suoi punti più sensibili, anche se quella era una delle rare volte in cui quell’azione non era calcolata, perché il biondino era perso nei suoi pensieri.
«Cosa hanno di diverso?»
Hermione si inumidì le labbra. «Beh, sono più caldi, non so se ha senso» mormorò imbarazzata. «Sono sempre maledettamente belli, ma quando occludi sono di un limpido grigio ghiaccio. Tipo… gli iceberg. Ne vedi la punta, ma non la parte che sta in profondità. Quando non occludi, invece, prendono vita propria. È come se acquisissero più sfumature di grigio e le fondessero. Sono sempre loro, sempre chiari… solo leggermente più caldi
Rabbrividì. Non capiva completamente il discorso, ma sentirla parlare in quel modo gli sembrava un qualcosa di estremamente intimo.
«Imperscrutabile», sussurrò ancora lei.
«Cosa?»
«Se mi avessi chiesto di descriverti con una parola all’inizio dell’anno, avrei usato “imperscrutabile”. Ti rendi davvero inaccessibile alla gente, Draco. E i tuoi occhi riflettono ciò.»
«Non a te» soffiò lui esitante.
«Mi hai dato gli strumenti per vedere oltre la tua imperscrutabilità, sì» ammise lei, abbozzando un sorriso. «Sono lusingata.»
Un angolo delle labbra del biondino si sollevò.
«Riusciresti a scrivere un tema anche su una cosa semplice come un paio d’occhi, Granger, non è vero?» 
«Non c’è niente di semplice negli occhi di una persona, Draco», affermò lei con convinzione. «Non per chi sa come guardare.»
Quella conversazione lo stava mandando in tilt.
Non poteva dirgli “trovo che i tuoi occhi siano belli” e fine della storia?
Decise di baciarla, perché non avrebbe retto ulteriori decantazioni sull’intensità dei suoi occhi che lo avrebbero fatto sentire ancora più esposto di quanto non facesse già il suo breve abbandono dell’Occlumanzia.
Hermione si mosse lentamente, sistemandoglisi in grembo.
«Draco…» soffiò contro le sue labbra e quando incrociò il suo sguardo, forse, per un momento, capì veramente perché si focalizzasse tanto sui suoi occhi, comprese il genere di profondità che gli attribuiva.
«Voglio dirti una cosa, vorrei farlo ora, ma non sono sicura che sia corretto da parte mia farlo in questo momento.»
Draco ingoiò saliva a vuoto, il cuore che batteva furiosamente contro il suo petto.
«Non sono sicura che tu voglia sentirtelo dire mentre hai le difese abbassate…»
«Cosa mi vuoi dire, Hermione?»
Era indecifrabile, il suo sguardo; poteva leggerci dietro una vulnerabilità che non aveva mai visto sul viso di Hermione Granger prima di quel momento. La vide dischiudere le labbra, mentre traeva un piccolo respiro tremante.
«Mi sono innamorata di te, Draco Malfoy.»
Quelle parole si infransero su di lui come una valanga a valle, trascinando via qualsiasi altra cosa, finché non rimase solo lei; il cuore sembrava sul punto di esplodergli nel petto, lo stomaco liquefarsi e il suo sangue confluire al volto e nella zona inferiore del suo corpo. Affondò le dita nella sua pelle e poi si avventò sulle sue labbra. Aveva bisogno del suo respiro per poter respirare a sua volta, perché da solo non ce l’avrebbe fatta.
Con un movimento deciso, ribaltò la posizione, portandola sotto di sé, senza smettere di assaporare quella bocca che aveva appena pronunciato le parole più belle che si fosse mai sentito dire in vita sua.
Una parte di lui voleva piangere.
Nessuno gli aveva mai detto di volergli bene, figurarsi di essere innamorato di lui; non aveva mai pensato che Hermione avrebbe potuto ricambiare quel tipo di sentimento nei suoi confronti. Eppure, gli aveva appena confessato che era così e anche se sapeva di non meritarselo, non gliene importava assolutamente nulla.
«Dillo ancora», gemette con urgenza, senza staccarsi da lei. «Hermione, dimmelo di nuovo.»
Le sue mani la stringevano come se la sua stessa vita dipendesse da quel contatto, gli ansiti di lei erano l’aria che gli consentiva di continuare a respirare.
«Ti amo, Draco Malfoy.»
Chiuse gli occhi, poggiò la fronte contro quella di lei e trasse un respiro profondo. Poi, entrò di nuovo in lei con una spinta decisa ed esalò un gemito di piacere, completamente impreparato alla sensazione di lei senza filtri e senza barriere a smorzarne la sua percezione.
Fu come una prima volta per lui e forse, finalmente, Draco comprese cosa volesse dire veramente fare l’amore con qualcuno.
§
Si lasciò cadere pesantemente di lato, gli occhi chiusi, Hermione sempre stretta a sé, che tremava leggermente per l’eco del piacere che aveva provato; decise una volta per tutte che non avrebbe mai più fatto ricorso all’Occlumanzia, in alcun grado, durante i loro momenti di intimità e poi sprofondò il volto nei suoi capelli e ne inspirò il dolce profumo.
«Nessuno mi hai mai detto di tenere a me, prima» confessò con un filo di voce. «Nessuno mi ha mai detto di amarmi.»
Hermione gli sorrise con dolcezza. «È il tuo modo di chiedermi di farlo spesso?»
Una piccola e breve risata sfocata lasciò la gola di Draco. «Non mi lamenterei. È… è una bella sensazione, sentirselo dire.»
La giovane fece scorrere le dita tra i suoi capelli, sfiorandogli la fronte con il palmo della mano. «Allora te lo dirò ogni giorno, Draco» mormorò con solennità e lui seppe immediatamente che avrebbe tenuto fede alla parola data.
Le aveva concesso due ore senza Occlumanzia, ma dopo quella dolce promessa, Draco decise di darle l’intera notte.
§
«Non ti ringrazierò mai abbastanza per quel filtro», soffiò Blaise estasiato. «Probabilmente l’idea migliore che tu abbia avuto in tutta la tua patetica esistenza, Dray
«Non. Chiamarmi
«Sì, sì, lo so. Non ti piace» lo liquidò il ragazzo, «chi se ne frega. Non scegliamo i nostri soprannomi, non lo fa mai nessuno. È una di quelle cose che vanno accettate e basta, capisci?»
Draco alzò gli occhi al cielo, ma non rispose; nella sua testa era ancora fermo alla notte precedente, al risveglio di qualche ora prima, alla Granger che gli diceva che era innamorata di lui.
Nient’altro sembrava avere importanza, in quel momento. Forse nient’altro avrebbe avuto importanza nella sua vita, da quel momento in poi.
«Tu lo hai usato?» stava chiedendo Blaise a Daphne, quando la McGranitt suonò la campana per attirare l’attenzione degli studenti.
«Prima di lasciarvi alle vostre lezioni quotidiane, devo fare un piccolo annuncio», disse la Preside, spostando lo sguardo da un tavolo all’altro. «Ci sono stati degli sviluppi nelle indagini riguardo ai recenti attacchi ai Nati Babbani e pare che la maledizione sia partita proprio dal castello. Il Ministero ha pertanto richiesto la presenza di un Auror sul suolo scolastico per monitorare la situazione e indagare, per cui siamo lieti accogliere tra noi, o meglio di dare il bentornato tra noi, a un nostro ex studente, ora Auror, Adrian Pucey…»
L’ex Serpeverde apparve sulla porta un secondo dopo e fece il suo ingresso tra i plausi degli studenti.
«…Un esempio di luce che non si lascia soffocare dall’oscurità, quello che spero possa essere per voi Serpeverde un modello a cui aspirare.»
Draco non stava ascoltando veramente, per lui quella notizia era stata come una doccia fredda in pieno inverno.
Seguì l’ex compagno di Casa che si faceva strada tra i tavoli con aria alquanto imbarazzata, poi voltò lo sguardo in direzione del tavolo rosso e oro.
Hermione guardava Pucey con una punta di orgoglio e un fastidioso sorriso ad illuminarle il volto.
Strinse forte i pugni e si appellò alla sua Occlumanzia con tutte le sue forze; quando la ragazza guardò nella sua direzione e incrociò i suoi occhi, vide chiaramente il sorriso spegnersi sul suo viso.
Draco si alzò bruscamente e si precipitò fuori dalla Sala Grande, rapido come un fulmine.

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Capitolo 45
*** Capitolo 44. Adrian Pucey ***


CAPITOLO 44
Adrian Pucey







 
 

 

 

 

 
 

Hermione
 
Lo aveva cercato ovunque anche se era assolutamente certa, fin dall’inizio, che non lo avrebbe trovato all’interno del castello. Ne aveva avuto la conferma quando aveva visto che la sua Nimbus 2001 era sparita dalla sua stanza, il che probabilmente significava che si era rintanato nella radura in mezzo al lago. Era un bel posto; da riva sembrava che facesse parte della sponda opposta a quella del castello, ma in realtà era una piccola isoletta circondata dall’acqua che rientrava nei confini della scuola e davvero, Hermione non aveva idea di come avesse fatto a non notarla prima.
Sperava che trascorrere qualche ora lì lo avrebbe aiutato a mitigare qualsiasi sentimento contrastante o negativo lo avesse portato a fuggire dalla Sala Grande quella mattina.
Non avrebbe potuto raggiungerlo neanche se avesse voluto, comunque; lei non aveva una scopa, richiederne una in prestito alla scuola avrebbe sollevato domande e non aveva la minima intenzione di provare a guidare la Firebolt di Harry.
Draco era sempre stato suscettibile all’argomento Adrian Pucey; nell’esatto momento in cui aveva incrociato il suo sguardo, dopo il suo arrivo a Hogwarts e l’annuncio della sua permanenza futura sul suolo scolastico, Hermione aveva desiderato che Adrian l’avesse avvertita prima del suo ritorno invece di decidere di farle una sorpresa. Sorpresa che, però, lei aveva apprezzato ugualmente; avrebbe gestito il biondino a tempo debito, prima o poi avrebbe capito anche lui, ne era sicura.
Bussò alla porta dell’ufficio di Adrian e attese che la sua voce calda la invitasse ad entrare; venne accolta da un sorriso e un abbraccio caloroso.
«Potevi almeno mandarmi un gufo per avvisarmi», lo canzonò quando si sedette sulla poltrona davanti alla sua scrivania.
Lui rise. «Ho destabilizzato Malfoy presentandomi all’improvviso?»
Hermione scosse il capo. «Non hai intenzione di muovere battaglia, vero?»
«Proteggerti è il mio compito.»
La ragazza fece una smorfia. «E ora parli come lui, maledette Serpi», commentò sbuffando. «Non ho bisogno di protezione e Draco non mi farà del male.»
Adrian strinse il labbro inferiore tra i denti e socchiuse leggermente gli occhi. «Sei innamorata di lui.»
«Mentirei se provassi a negarlo.»
Il giovane esalò un sospiro corto. «Non ti dico che mi piace l’idea di voi due insieme, ma se sei arrivata a provare qualcosa per lui devi averci visto qualcosa di buono.»
«Draco ha un bel potenziale», rispose lei. «Con me è… diverso. Così diverso che a volte penso seriamente che un giorno mi sveglierò una mattina e scoprirò di aver sognato tutto o qualcosa del genere.»
Adrian rise di nuovo. «Lo shock dell’essere il destinatario dell’amore di un Serpeverde. Comprensibile, o così mi dice Susan.»
«Come va tra di voi?»
Hermione era convinta che Susan Bones fosse perfetta per Adrian; c’era qualcosa, tra l’unione tra Serpeverde e Tassorosso, che la incuriosiva e non poco.
«Bene», ammise lui, sorridendo. «Credevo che avremmo avuto dei problemi di compatibilità caratteriale, ma… Non pretende che io cambi il mio essere, che parli come invece fa lei.»
«Avete i vostri modi per esprimervi.»
«Se ci riesce Draco Malfoy, immagino di avere speranza.»
Un angolo delle labbra di Hermione si sollevò. «Si sta impegnando seriamente, sai?»
Adrian annuì. «Non sono qui per te e Malfoy, Mione. Mi fido di te, anche se ho ancora dei dubbi sulla vostra improbabile relazione. Non ho il quadro completo della situazione e pur volendo non sono affari miei, comunque. A meno che non ti faccia soffrire, in tal caso avremmo un problema.»
La Grifondoro scosse il capo, rassegnata. «Ci sono novità sugli attacchi?»
«Beh», disse lui, distendendosi contro lo schienale della sedia. «Tutte le vittime sono state al castello, non ce ne sono state di esterne. Ho richiesto i registri delle visite a Hogsmeade e non sono mai stati presenti al villaggio tutti nello stesso giorno. Immagino che significhi che la maledizione è stata lanciata tra le mura della scuola.»
«Quindi sei certo che si tratti di una maledizione?»
Adrian fece un cenno d’assenso con il capo. «So che state indagando anche voi, me lo ha detto la McGranitt. D’ora in poi mi unirò anche io al vostro… ehm, gruppo?»
«Squadra Investigativa» precisò lei, ridacchiando. «Per favore, Blaise ci tiene.»
Il giovane scosse la testa, divertito. «Avrò bisogno che mi aggiorniate su quello che avete scoperto.»
«Niente di che in realtà», ammise Hermione. «Abbiamo solo una fragilissima teoria priva di supporto in termini di prove. Una leggenda su Salazar Serpeverde.»
Le sopracciglia di Adrian si unirono a quelle parole. «Il Codice», dedusse. «Credete che si tratti di quello?»
«Come scusami?»
«Il Codice di Salazar» specificò. «Il suo piano B al Basilisco.»
«Credo tu ne sappia più di noi.»
«Non c’è molto da sapere, Mione», sospirò mesto l’Auror. «Non si hanno molte informazioni. Si dice che esista questo Codice, ma non vi è alcuna traccia di quello che dovrebbe fare o di come dovrebbe funzionare. È una teoria un po’ campata in aria.»
«Lo era anche la Camera dei Segreti» obiettò prontamente Hermione.
Non avrebbe abbandonato la sua intuizione solo perché il Codice veniva classificato nella categoria “leggende”. Doveva pur esserci un motivo se il suo istinto la portava a indagare più a fondo sulla questione.
«Touché.»
«Ti va se ne parliamo tutti insieme domani?» gli chiese alla fine. «Mi fa strano senza Harry e Ron…»
Adrian sorrise. «Certo.»
«E… ci sono novità su… mamma e papà?» domandò ancora la ragazza, esitante.
Il giovane si incupì, mentre muoveva il capo sconsolato. «Mi dispiace, nessun progresso.»
Lei tirò su col naso e annuì. «Non mi aspettavo buone notizie, comunque.»
Adrian si sporse in avanti e le strinse una mano.
«Non sono ancora pronto a darmi vinto.»
Gli sorrise mestamente. Sapeva benissimo che più il tempo trascorreva, più le sue probabilità di riuscire a ripristinare la memoria dei suoi genitori andavano diminuendo.
§
Draco non si presentò a lezione quel giorno, o, quantomeno, a nessuna di quelle che avevano in comune. Era quasi come se stesse cercando di evitarla.
Hermione iniziava a sentirsi irrequieta; non poteva aver preso così male il ritorno di Adrian.
Si stava incamminando pigramente verso il dormitorio, quando avvertì la sua presenza alle sue spalle; non fece in tempo a voltarsi a guardarlo, che lui la afferrò per un braccio e la trascinò fino alla loro Sala Comune, per poi intrappolarla tra il muro e il suo corpo. Era arrabbiato.
«Ehi, che fine avevi-»
«Perché ti stava abbracciando?»
La sua voce era fredda e tagliente.
«Eh?»
«Non fare la finta tonta.»
Hermione deglutì. «Draco, di cosa stai parlan-»
«Pucey!» esclamò a denti stretti. «Perché cazzo aveva le sue mani addosso a te?»
La domanda gli uscì dalla bocca in un urlo che le sferzò il viso, facendola sussultare e stringere gli occhi. Quando li riaprì, trovò Draco intento a fissarla allibito, con le labbra dischiuse per lo sconcerto.
Il biondino arretrò di un passo e si inumidì le labbra, poi tirò su col naso. «Hai paura di me, adesso?»
«Si può sapere perché sei così arrabbiato?» domandò lei, perplessa, ma lui ignorò il quesito.
«Pensi che ti farei del male?» proseguì invece, «te lo ha messo in testa lui?»
Fu il turno di Hermione di guardarlo sbigottita. «Adrian non è qui per cercare di separarci, Draco!»
Lui si lasciò sfuggire un grugnito scettico.
«Senti, fai un favore a entrambi», disse lei. «Vienimi a cercare quando ti sarai calmato, così potremo parlare. È inutile farlo quando sei così, parlerei al vento.»
Fece per sorpassarlo e lasciare la stanza, ma lui la afferrò prontamente per il polso e la costrinse a girarsi nuovamente nella sua direzione.
«Non avevamo finito.»
«Invece sì» replicò lei in tono piccato, «fino a nuovo avviso. Sono stata chiara fin da subito con te, Draco. Non ho intenzione di tollerare questo genere di scenate.»
«Non ti dispiaceva quando l’oggetto del mio astio era Cormac McLaggen.»
«Falla finita…» biascicò irritata Hermione, cercando di districarsi da quella posizione che le impediva di correre via. «Tutto questo è ridicolo!»
«La fai sembrare come se stessi esagerando!» sbottò il giovane, più seccato di lei.
«Perché stai esagerando!» esclamò la ragazza. «Mi hai urlato contro, Draco!»
Il biondino sembrò registrare solo la prima parte della sua replica. «Ci sei andata a letto e ora torna all’improvviso e pensa di poterti abbracciare come se niente fosse? E tu glielo permetti? Pensi veramente che questo dovrebbe starmi bene?»
«Ti ho detto mille volte che tra me e Adrian non c’è niente!» ribatté Hermione, spazientita. «Merlino, perché sei così impuntato su questa cosa? Ti ho detto cos’è successo e ti ho ripetuto più volte che non c’è mai stato altro!»
Draco grugnì, poi arricciò il naso; la giovane lasciò andare un sospiro triste.
«Perché ti risulta così difficile fidarti di me?»
Il biondino, finalmente, arretrò; deglutì, si passò una mano sul volto, ispirò ed espirò a fondo un paio di volte.
«Dimmi una cosa, visto che tiri in mezzo la fiducia e sei così pronta a insistere che tra i due sia io quello che sta sbagliando», berciò alla fine. «Rispondi a questa domanda e rispondi onestamente.»
Hermione lo incalzò con un cenno del capo.
«Se non fossi stata con me, se non dormissi con me ogni notte, Hermione… Avresti creduto a Pansy quando ti ha detto che andavo ancora a letto con lei?»
La Grifondoro sgranò gli occhi e aprì la bocca per rispondere, ma la richiuse subito dopo, realizzando solo in quel momento che l’unica risposta che avrebbe potuto dargli era “probabilmente sì” e non poteva farlo.
«Il tuo silenzio vale più di mille parole» disse Draco a denti stretti, poi scosse il capo, evidentemente deluso, ed esibì un’espressione talmente ferita che il cuore le sprofondò nel petto. Le si avvicinò di nuovo, chinando il volto in corrispondenza del suo orecchio.
«E vieni a parlare a me di fiducia, Granger», mormorò gelidamente tra i suoi capelli, per poi lasciare il dormitorio correndo veloce come un razzo.
Hermione chiuse gli occhi e si lasciò cadere contro il muro.
«Che cazzo», imprecò, mentre le lacrime scendevano incontrollate a rigare il suo viso.
§
Stava congelando.
La notte sembrava più fredda senza il corpo di Draco a stringerla mentre dormiva. Era riuscita ad addormentarsi dopo ore trascorse a rigirarsi nel letto e aveva goduto di un breve sonno durato due ore prima che il sibilare e il Basilisco tornassero a farle visita nei suoi incubi, destandola di soprassalto.
Si mise a sedere talmente tanto in fretta che le venne un capogiro e un conato di vomito; non riuscì a reprimere quell’esigenza, così si fiondò in bagno, lasciandosi cadere sul pavimento e rigurgitando quel poco che aveva mandato giù a fatica per cena.
Quando riaprì gli occhi, però, un moto di orrore la investi: non era cibo quello che aveva vomitato.
Era sangue.
Si portò le mani sul viso e quando le riabbassò per guardarle, erano rosse, colme di liquido denso e scuro.
Vomitò ancora, mentre veniva scossa da singhiozzi spaventati.
Tremava e cercava di reprimere la voglia di urlare il nome di Draco a gran voce.
Aveva paura, ma non poteva chiamarlo. Lui non sarebbe comunque potuto entrare nella sua stanza o forse era così arrabbiato che non ci avrebbe neanche provato.
Con un enorme sforzo, riuscì a rialzarsi e a darsi una ripulita. Afferrò il suo mantello e uscì dal dormitorio cercando di non fare rumore, anche se la vista del biondino che dormiva sul divano per poco non la fece strillare.
Cosa ci faceva lì?
Lo superò con cautela, poi oltrepassò la soglia del ritratto. I corridoi erano deserti, ma lei continuava a guardarsi attorno.
«Sangue… sento odore di sangue…»
Il sibilare rimbombava ancora nella sua testa e Hermione non riusciva ancora a spiegarsi come fosse possibile per lei comprendere cosa dicesse; normalmente, sarebbe andata nella Camera dei Segreti a controllare che la carcassa del Basilisco fosse ancora lì, per assicurarsi che il grosso serpente non fosse realmente in giro per il castello, ma sapeva perfettamente che i suoi amici l’avevano rimossa quando avevano sistemato il posto per la festa di Halloween, per cui fare una capatina nella Camera sarebbe stato solo tempo sprecato. Non poteva di certo essere rinato dalle sue ceneri, solo le fenici avevano quel potere.
In mancanza di alternative, Hermione fece l’unica cosa che poteva fare: andare in infermeria.
Lo sguardo di Madama Chips quando la vide comparire alla sua porta a quell’ora della notte era apprensivo; Hermione si era guardata allo specchio prima di lasciare la sua stanza e si era trovata pallida, spaventata e con gli occhi gonfi.
Raccontò all’infermiera cosa fosse accaduto e lei le somministrò diverse pozioni, invitandola a trascorrere il resto della notte lì, ma Hermione non dormì affatto.
Continuava a guardare le tende dietro alle quali giacevano da mesi Dennis e Justin, domandandosi se a breve ci sarebbe stata anche la sua brandina, lì dietro.
La mattina seguente, chiese a Madama Chips di non riferire l’accaduto a nessuno dei suoi amici e di domandare alla McGranitt di fare altrettanto quando avrebbe fatto rapporto a lei.
«Signorina Granger, le parlerò francamente» le disse la donna. «Presenta gli stessi sintomi delle altre vittime della Maledizione. Mal di testa, incapacità di concentrarsi, incubi terrorizzanti, vomitare e tossire sangue… Dovrebbe restare qui, sotto monitoraggio costante…»
«Sto bene, Madama Chips», tagliò corto lei. «E non sono mai sola. Posso, però, chiederle le cartelle degli altri per proseguire nelle indagini?»
L’infermiera sospirò, ma andò a prenderle. «Gliele consegno solo perché ha l’autorizzazione della Preside per indagare e acconsentirò a non lasciar trapelare la notizia sulla sua condizione, se mi promette di parlarne almeno con l’Auror Pucey.»
Hermione annuì. «Ci andrò subito.»
§
Fece colazione nell’ufficio di Adrian. Sapeva che se Draco fosse andato in Sala Grande e non avesse visto né lei, né il giovane si sarebbe fatto qualche strana idea e si sarebbe arrabbiato ancora di più, ma lei aveva questioni più urgenti di cui occuparsi.
«Potrei essere la prossima» commentò stoicamente dopo aver raccontato l’accaduto ad Adrian. «Queste sono le cartelle cliniche degli altri Nati Babbani che sono stati attaccati. Ho cerchiato ed evidenziato tutti i sintomi comuni… e questa è la mia cartella.»
I termini registrati dalla Chips erano i medesimi. C’era persino il freddo. Anche gli altri sentivano costantemente freddo, nonostante le temperature al castello quell’anno risultassero più alte del solito al resto degli studenti.
«Hermione, devi parlarne con i tuoi amici…»
«No, non ho intenzione di farli preoccupare», lo interruppe lei. «Mi tampinerebbero e questo rallenterebbe le mie indagini.»
Adrian le rivolse uno sguardo indecifrabile.
«Stai dicendo che Malfoy non sa niente di tutto questo?»
Hermione deglutì, ma scosse brevemente il capo.
«Perderà la testa quando scoprirà che glielo stai tenendo nascosto.»
La giovane pensò che già fosse estremamente arrabbiato con lei, per cui aggiungere un altro motivo alla lista di quelli inutili da cui era scaturito il loro ultimo litigio non faceva veramente alcuna differenza. Non fece menzione della loro momentanea crisi.
«Voglio solo avere una possibile soluzione o almeno qualche informazione in più prima di dirglielo» asserì in tono fermo. «Non ha senso dargli più ansia di quanta ne provi già. A volte, quando lo vedo indagare su quello che sta accadendo, mi ricorda come stava al sesto anno…»
«Ti ripeto che stai sbagliando con lui», la avvisò Adrian. «Dovresti dirglielo.»
Non poteva, Draco sarebbe impazzito, si sarebbe lasciato sopraffare dalla paura. Non era bravo a gestire quel tipo di minaccia, lo aveva detto lui stesso.
«Dammi due giorni» si arrese stancamente lei. «Il tempo di verificare una cosa e poi dirò tutto anche a Draco, Harry, Ginny e Ron, d’accordo?»
Adrian sospirò pesantemente. «Basta che mi prometti di non restare mai da sola, neanche per un attimo.»
Hermione fece un cenno d’assenso con il capo.
 
***
Draco
 
Ci aveva provato con tutto sé stesso a mantenere la calma. Si era rifugiato alla radura per ore, per riassumere il controllo di sé dopo il ritorno di Pucey.
Pensava di esserci riuscito, ma quando li aveva visti abbracciarsi aveva perso la testa.
Confrontarsi con la Granger non aveva fatto altro che peggiorare il suo stato d’animo.
Era arrabbiato.
Vero, era costantemente arrabbiato da mesi, per un motivo o per l’altro, ed era terribilmente stanco di sentirsi in quel modo, al punto che più volte era stato tentato di bloccare Weasley alla fine di una lezione per chiedergli come avesse fatto lui a imparare a gestire il suo temperamento, senza l’aiuto dell’Occlumanzia per giunta. La stessa arte che lo aveva salvato innumerevoli volte, mantenendo egregiamente la sua utilità per anni, e che ora, invece, lo stava progressivamente tradendo.
«Dovresti smetterla di usare l’Occlumanzia per smorzare le emozioni buone e usarla piuttosto per gestire meglio la tua rabbia.»
La Granger glielo aveva detto tante volte dopo che aveva perso il controllo per le accuse o gli insulti della gente in merito alla loro relazione, ma quella che stava sperimentando in quel preciso momento era un tipo diverso di rabbia.
O forse non era affatto rabbia, ma gelosia, un sentimento che non era mai stato bravo ad affrontare, che non aveva mai imparato a reprimere.
Hermione non c’era a colazione e Pucey era l’altro grande assente.
Draco si sentiva ormai sul punto di scoppiare.  
Poi, però, lo aveva visto passeggiare per i corridoi come se niente fosse e aveva deciso di confrontarsi con lui, mettere in chiaro le cose, senza però rifletterci a sufficienza.
«Pucey!»
Adrian si voltò a guardarlo e lo osservò come se fin dal suo arrivo a Hogwarts non si fosse aspettato altro se non di vederlo comparire alla sua porta tutto a un tratto.
«Malfoy.»
Draco si inumidì le labbra, lo fissò con gli occhi leggermente socchiusi; l’impassibilità di Pucey lo stava irritando e anche l’eco del ghigno che aleggiava sul suo volto urtava i suoi nervi.
«Sarò breve e conciso», sibilò freddamente. «La Granger è mia, sta con me. Resta fuori dalla nostra relazione.»
Adrian, inspiegabilmente, gli sorrise. «Sei dannatamente prevedibile, Malfoy.»
Il biondino assottigliò le labbra a formare una linea dritta.
L’atteggiamento dell’ex compagno di Casa lo stava facendo innervosire ogni secondo di più.
«Un consiglio spassionato», proseguì il giovane, «se non vuoi perderla, evita questo genere di stronzate.»
«È una minaccia, Pucey?»
Adrian scoppiò a ridere, scuotendo il capo; sembrava genuinamente esilarato dalla situazione. «Assolutamente no, è solo un consiglio. Hermione è importante per me, voglio che sia felice. Anche se è con te.»
Draco corrugò la fronte. «Che cosa?»
Il suo interlocutore fece schioccare la lingua. «Non mentirò, non sono stato esattamente contento quando ho scoperto di voi due. E tutt’ora non sono ancora convinto che tu… vada bene, per lei. Ma Hermione sembra pensarla diversamente e mi fido del suo giudizio, per cui, mi farò gli affari miei.»
«Chi se ne frega della tua opinione?» ringhiò il biondino, stringendo i punti.
«A te dovrebbe importare», replicò con finta nonchalance lui. «Insomma, se non dovessimo riuscire a riportare indietro i suoi genitori e un giorno tu volessi chiedere la sua mano, sarebbe a me che dovresti rivolgerti.»
Le sopracciglia di Draco scattarono all’insù, esprimendo tutta la sua confusione per le parole dell’Auror.
«Non fare quella faccia, sappiamo entrambi che sei un tipo tradizionale e che dai peso a queste stronzate», sbuffò Adrian, «anche se hai abbandonato gran parte di esse. E sono cresciuto come te, quindi risparmiati il tentativo di convincermi che quello che ho appena menzionato non sia nella tua lista di cose da fare per il futuro.»
«Per quale assurdo motivo dovrei volere la tua benedizione?» domandò freddamente il biondino, incrociando le braccia al petto, ma l’altro si limitò a sorridergli beffardo.
«Oh», esclamò, allargando gli occhi. «Non te l’ha ancora detto! Beh, spiega tutta questa faccenda, quanto meno», considerò, spostando l’indice da sé stesso a lui. «Lo capirai, prima o poi. Buona giornata, Malfoy.»
Draco era troppo spiazzato dalla piega che aveva preso quell’ultima parte di conversazione per fermarlo e dirgli quello per cui gli si era avvicinato in primo luogo; lo guardò allontanarsi, accigliato e confuso, poi si grattò la testa e arretrò a sua volta, per dirigersi a Erbologia, mentre si faceva sempre più strada in lui la sensazione che qualcosa, in tutta quella storia, gli fosse sfuggita… Qualcosa che doveva essere importante.
§
Si fece strada tra la calca di studenti riversi nei corridoi a suon di spintoni.
La notizia era esplosa durante la lezione di Incantesimi e, nonostante i tentativi del professor Flitwick di farli stare calmi, l’agitazione nella classe era giunta a livelli così estremi che alla fine gli alunni erano stati mandati in Sala Grande ad attendere la disposizione ufficiale della Preside.
Draco non era diretto lì, però. Lui stava cercando Hermione, nelle orecchie il pulsare incessante del proprio cuore a fare da colonna musicale alle sue paure.
C’era stato un altro attacco, ma nessuno aveva saputo dirgli chi fosse la vittima; sapeva solo che si trattava di una ragazza. Era terrorizzato.
«Dove diavolo sei, Granger?»
L’aveva cercata ovunque, ma di lei non c’era alcuna traccia; l’assenza in giro di Potter e dei Weasley era in egual modo preoccupante. 
«Paciock!» esclamò quando vide Neville svoltare l’angolo all’improvviso. «Hai visto la Granger?»
«Credo sia ancora al San Mungo», rispose lui.
Draco impallidì. «Al San Mungo?»
«Sì, ma in caso prova a cercarla in infermeria, potrebbe essere tornata e-»
Corse in direzione dell’infermeria prima che Paciock potesse finire la frase; faticava a respirare, i suoi polmoni e la sua gola sembravano essere in fiamme, bruciavano. Nelle sue orecchie riecheggiava un rumore assordante.
L’imponente porta dell’infermeria si spalancò un secondo dopo il suo arrivo e Hermione ne uscì, intenta a parlottare sottovoce con Weasley e Potter, come se niente fosse.
Il tempo parve rallentare per Draco, mentre realizzava che la ragazza stesse bene, che non era lei la nuova vittima, e rilasciava il sospiro di sollievo che aveva trattenuto forse per tutto il tragitto.
Un istante dopo aveva rotto le loro fila, le aveva preso il suo volto tra le mani e aveva fatto scontrare le loro labbra con così tanta forza che la ragazza barcollò leggermente all’indietro. Draco la afferrò prontamente, la stabilizzò e poi si ritrasse da lei ansante.
«Stai bene», biascicò mentre analizzava ogni centimetro della giovane con lo sguardo.
Hermione lo fissava confusa. «Ehm, sì?»
Il biondino si portò le mani sul viso e si sfregò gli occhi con i palmi. «Hanno detto che c’è stato un altro attacco, che la vittima è una ragazza», farfugliò agitato, la voce un sussurro basso e inquieto. «Che eri al San Mungo e io… io…»
E lui era andato nel panico più totale. Il cuore martellava ancora nel suo petto.
Lo sguardo sul viso della Grifondoro si addolcì. «Oh, Draco, no…»
«Si tratta di una Nata Babbana del sesto anno che non è tornata a Hogwarts dopo Natale», lo informò Ronald. «Pare si sia Materializzata in cima a un monumento Babbano e che abbia cercato di buttarsi sotto.»
«La cosa strana», intervenne Potter, «è che la ragazza in questione aveva appena iniziato il corso di Apparizione prima di lasciare la scuola. Non avrebbe dovuto essere in grado di farlo.»
«Ovviamente sappiamo queste cose solo perché Hermione era al San Mungo quando hanno portato la vittima lì, ora la stanno trasferendo a Hogwarts, perché l’equipe specializzata si trova qui…» proseguiva Weasley, ma Draco ignorò la quantità di informazioni che gli stavano rivelando e tornò a concentrarsi su Hermione.
L’idea che le fosse successo qualcosa, la paura di perderla, il pensiero che la sua ultima interazione con lei fosse stata un brutto litigio… Le sue emozioni erano nel caos più totale.
«Perché eri al San Mungo?» le domandò deglutendo.
Hermione strinse il labbro inferiore tra i denti. «Non qui, Draco…» sussurrò solamente, poi rivolse un cenno del capo ai suoi amici, agguantò il braccio del biondino e lo trascinò di corsa presso il loro dormitorio.

 

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Capitolo 46
*** Capitolo 45. La Torre di Astronomia ***


CAPITOLO 45
La Torre di Astronomia







 
 
 
 

 
 



 
Hermione
 
Aveva trascorso la mattina cercando di dare un senso alle informazioni che erano in suo possesso.
Si era chiusa nel suo dormitorio, aveva messo su una lavagna investigativa improvvisata, in pieno stile telefilm Babbano, ci aveva appeso le poche informazioni che aveva raccolto, scarabocchiate su pezzetti di fogli di pergamena e, infine, aveva cercato di collegare i puntini, applicando il suo metodo di studio a quel quadro.
Filo verde per le cose che capiva.
Filo giallo per quelle su cui aveva dei dubbi.
Filo rosso per ciò che non comprendeva affatto.
Aveva usato per lo più quest’ultimo e per lei questo costituiva una prima volta.
Si sentiva persino più in alto mare dell’anno prima, quando cercava di capire perché Silente le avesse lasciato nel suo testamento la prima edizione de Le Fiabe di Beda il Bardo.
Mentre gli altri erano a lezione, aveva persino “preso in prestito” il Mantello di Harry e si era introdotta nel Reparto Proibito alla ricerca di volumi che potessero contenere informazioni sul Codice di Salazar.
Sapeva che per logica avrebbe dovuto lasciar perdere quella teoria, ma il Basilisco nei suoi incubi la tormentava ormai anche da sveglia e aveva preso la sua esistenza e persistenza come un indizio; se quello fosse stato indice di qualcosa, avrebbe potuto avere un solo significato: Salazar Serpeverde.
Aveva scoperto alcune cose, ad esempio che cosa fosse il Codice di Salazar; si trattava di una sequenza di rune che serviva ad attivare un oggetto dalla forma sconosciuta, ma di una potenza tale da scagliare una Maledizione su ampi territori… Territori come quello su cui si stagliava Hogwarts. D’altronde, il Codice probabilmente era stato elaborato dal Fondatore per essere utilizzato proprio sul suolo scolastico
Hermione aveva anche provato a ipotizzare chi potesse essere il colpevole di ciò che stava accadendo. Adrian le aveva assicurato che fosse più che convinto che nessun Mangiamorte latitante si stesse nascondendo nel castello all’insaputa di tutti e che non c’erano stati avvistamenti di gente ricercata susseguenti alla fuga e ricattura di Greyback.
«Non sono così stupidi da tentare di fare qualcosa così presto. Sospettiamo che stiano riformando i ranghi altrove, se proprio hanno in mente qualcosa e dubito anche di questo per il momento», le aveva detto in tono fermo.
Questo, però, - e Adrian aveva convenuto con lei -, lasciava spazio solo a un sospetto che poteva avere una parvenza di movente: Lucius Malfoy.
Ma come aveva fatto?
Non poteva lasciare il Manor, non poteva usare la magia…
E ancora, era davvero capace di fare una cosa del genere solo per assicurarsi di separare lei e Draco?
«Non può essere così sciocca da pensare veramente che la vostra storia possa avere un lieto fine.»
L’eco delle sue parole quella notte al Manor riemerse nella sua mente; in quel momento non aveva fatto caso alla velata minaccia nel tono della sua voce, alla consapevolezza nel ghigno sul suo viso, alla totale confidenza che nutriva nelle sue constatazioni, la quale cozzava così tanto con la determinazione con cui Draco gli aveva assicurato che non aveva alcuna intenzione di assecondare le sue richieste.
Deglutì con forza, mentre appuntava sulla lavagna la foto di Lucius Malfoy, distrattamente ritagliata da un vecchio articolo di giornale, accanto a un grosso punto interrogativo lampeggiante in inchiostro rosso.
Perché aveva cercato di corromperla, se aveva già quel piano in moto?
Forse perché non pensava che Hermione avrebbe avuto l’audacia di tornare al Manor, che avrebbe avuto l’occasione di confrontarsi con lei faccia a faccia e provare a risolvere la faccenda in altro modo… alla fine, era Harry quello che avrebbe dovuto accompagnare Draco in primo luogo. Oppure, la loro conversazione era stata un mero tentativo di sviare i sospetti, una tattica di depistaggio… Ma se davvero c’era Lucius Malfoy dietro a quegli attacchi, chi lo aveva aiutato? Viste le condizioni dei suoi arresti domiciliari a vita, era impossibile che avesse fatto tutto da solo.
Narcissa Malfoy la fissava con sguardo severo da un altro ritaglio di giornale; Hermione si soffermò su quella foto per lunghi minuti, gli ingranaggi del suo cervello che ruotavano rapidamente e piccole gocce di sangue che arrossavano le sue labbra laddove le mordeva involontariamente con troppa forza, tanto era assorta dei nei suoi pensieri.
Osservò il modo in cui la donna stringeva la spalla di Draco, rammentò la veemenza con cui lo aveva difeso da Lucius, la sua determinazione nell’impedire all’uomo di diseredarlo… aveva mentito in faccia a Voldemort solo per sapere se il biondino fosse vivo o meno. Mise via il ritaglio, scuotendo la testa. Narcissa Malfoy poteva essere ottusa quanto un qualsiasi Purosangue elitario e assolutamente convinta della fondatezza dei valori purosanguisti, ma qualcosa le diceva che non avrebbe mai sacrificato la felicità di Draco in quel modo.
Chi altro poteva volerla fuori dai giochi?
Un’ora dopo, le foto di Lucius Malfoy, Pansy Parkinson e Theodore Nott, appiccicate alla lavagna mentre cercava di venire a capo della situazione, ridevano di lei e dei suoi disperati tentativi di far venire i nodi al pettine.
Come si collegava tutto quel caos?
Come avrebbe fatto a trovare una soluzione ad esso, se davvero si trattava del Codice di Salazar, di cui si sapeva poco e niente?
Forse erano comunque tutti condannati, anche se avesse trovato le risposte alle sue domande, anche se avessero individuato e catturato i colpevoli…
Un sonoro pop! la fece sobbalzare, ridestandola dai suoi ragionamenti senza preavviso.
«Il signorino Harry e la Preside McGranitt hanno mandato qui Kreacher per accompagnare il signor Pucey e la signorina Granger al San Mungo per il suo appuntamento!»
Giusto. Il suo appuntamento al San Mungo… se n’era totalmente dimenticata.
«Dammi due minuti Kreacher, per favore.»
§
«Che cosa hai fatto al labbro?»
Il dito di Draco sfiorò la pelle ormai richiusa, ma ancora leggermente rigonfia per via del taglio che si era fatta da sola quella mattina, mentre ragionava.
«Mi sono morsa…»
Il biondino sollevò un sopracciglio.
«Stavo riflettendo su alcune cose e non me ne sono resa conto.»
Lui scosse il capo con lentezza; Hermione vide chiaramente una battuta, - probabilmente sulla sua goffaggine -, restargli bloccata in gola, ma dovette decidere che non fosse importante o essenziale enunciarla, perché tornò alle cose più urgenti.
«Perché eri al San Mungo?» ripeté ancora Draco, lasciando cadere il precedente discorso e studiandola con sguardo serio e preoccupato. «Hai dei sintomi, non è vero? Non mentirmi…»
Hermione sospirò. «Il motivo per cui ero al San Mungo non c’entra assolutamente nulla con la Maledizione, Draco.»
Il biondino corrugò la fronte. «Allora… c’è qualche problema di cui non mi hai parlato? Non stai bene?»
«Sto bene» gli assicurò lei, «solo che sono sotto terapia. Probabilmente, andrà avanti per qualche anno.»
Draco deglutì e la esortò a continuare con un cenno del capo.
«Hai presente la cicatrice sul mio addome?» domandò in un sussurro Hermione e quando lui annuì, riprese finalmente a spiegare. «Al quinto anno, durante la Battaglia all’Ufficio Misteri, Dolohov mi ha lanciato contro una Maledizione oscura che mi ha quasi uccisa. Ho dovuto fare una lunga e sfiancante terapia per riprendermi… solo che quanto accaduto con Bellatrix ha fatto riemergere dei vecchi problemi correlati a quella vicenda e il fatto che non sia stata trattata da veri e propri professionisti dopo le sue Cruciatus ha reso necessari dei cicli di terapia una volta che la guerra è finita.»
Il Serpeverde si passò una mano tra i capelli; lo sguardo sul suo volto era indecifrabile.
«Inizialmente lo facevo mensilmente, ora un mese sì e uno no e presto potrò ridurre le sedute a una ogni due mesi, sta procedendo bene. Non è niente di cui valga la pena preoccuparsi. Il trattamento mi rende solo molto stanca.»
Le si avvicinò e la strinse a sé. «Di cosa si tratta?», le domandò in un sussurro.
Hermione sospirò; per la prima volta si domandò se per tutto quel tempo, Draco avesse pensato che le sue difficoltà respiratorie nei loro momenti più intimi dipendevano esclusivamente da ciò che lui le faceva provare. Doveva aver capito che erano rese più intense da qualcos’altro, no? Sarebbe stata veramente patetica se solo la sua presenza fosse stata sufficiente a farla quasi svenire.
«Io ho… una frequenza cardiaca leggermente superiore al normale e un po’ di difficoltà a respirare», mormorò lei in risposta, gli occhi chiusi contro il suo petto. «Soprattutto in situazioni di alto stress emotivo o fisico, o tensione, o quando il cuore mi batte troppo velocemente. All’inizio era molto peggio, però. Adesso va sempre meglio e i Guaritori sono convinti che riusciranno ad arginare totalmente il problema con la terapia.»
«Non capisco come possa non essermi accorto che in passato sei sparita per un pomeriggio intero», mormorò lui.
«A dicembre non stavamo ancora insieme» rispose Hermione. «A febbraio l’appuntamento è capitato nel periodo in cui non mi parlavi.»
Draco deglutì, chiuse gli occhi per qualche istante, poi sospirò sonoramente e tornò a guardarla. «Perché non me lo hai detto?»
«Perché è tutto sotto controllo, non lo reputavo necessario.»
Lo sentì trarre dei respiri profondi e ciò le fece pensare che probabilmente quella risposta non gli era affatto piaciuta, ma non le disse niente al riguardo.
«Hai bisogno di qualcosa?», le domandò invece, dopo un po’. «Soldi per la terapia o…»
Hermione si irrigidì e arretrò bruscamente da lui. «No
«Granger…»
«Senti, Draco. Non te l’ho detto anche perché non volevo compassione e non volevo questo» affermò lei decisa. «L’unica cosa di cui ho bisogno in questo momento è un po’ di riposo, sono stanca.»
«Perché la sola idea di accettare il mio aiuto ti fa così schifo?» soffiò lui in un sussurro, una punta di rancore nel tono della voce.
«Non è questo», disse la ragazza.
«No?» fece lui, sollevando un sopracciglio. «Hermione, chi c’era con te a quell’appuntamento?»
La giovane trattenne il respiro per un lungo istante, poi ingoiò saliva.
«Adrian» rispose in un bisbiglio quasi inudibile che Draco carpì ugualmente.
«Adrian», ripeté lui, annuendo lentamente, facendosi passare la lingua sui denti.
«Due giorni fa mi hai detto di amarmi, Granger» asserì freddamente poi, tirando su col naso. «Ieri mi hai fatto capire che pensi ancora che ti potrei fare del male, oggi rifiuti il mio aiuto perché non ne hai bisogno, ma accetti di buon grado quello di Pucey. Come credi che dovrei sentirmi in merito a tutto questo?»
«Non penso che tu possa farmi del male», obiettò lei, accigliata. «E di certo non ho paura di te.»
«Non è quello che traspariva dalla tua reazione…»
«È solo che non mi piace che mi si urli in faccia, Draco... È quello che ha fatto lei, quella notte. Eri solo troppo vicino» mormorò Hermione, abbassando lo sguardo sulle sue scarpe.
Il biondino serrò gli occhi e imprecò sommessamente contro sé stesso, poi deglutì con forza. «Mi dispiace, non avrei dovuto alzare la voce con te.»
Lei alzò il capo e abbozzò un mezzo sorriso incerto.
«È solo che non lo capisco, il tuo rapporto con Pucey! E tu non me lo spieghi! Questa cosa mi fa impazzire… Il modo in cui fai affidamento su di lui, quando respingi me…»
«Oh, Draco, ma io non ti respingo!» esclamò Hermione. «Non lo capisci? Non mi piace addossare i miei problemi agli altri o far preoccupare le persone inutilmente…»
«Sono il tuo ragazzo, Hermione! Dovresti parlarmi di queste cose, dovrei essere io quello che hai bisogno di avere al tuo fianco in queste situazioni, dovrei essere io ad aiutarti quando sei in difficoltà!» ribatté lui tutto d’un fiato. «Invece sono l’ultima persona che coinvolgi, l’ultima a cui ti rivolgi. Tu non… è come se tu non volessi contare su di me, perché a questo punto dovresti sapere benissimo che puoi farlo, che io voglio esserci per te!»
Gli occhi le si riempirono di lacrime. Non poteva davvero credere che lei pensasse queste cose, che non lo volesse accanto… era semplicemente assurdo!
«Non è così, Draco…»
«Allora spiegami perché è Pucey quello di cui non puoi fare a meno, quando sostieni di amare me. Spiegami perché è lui che ti accompagna al San Mungo, lui quello che ti aiuta a cercare un modo per risolvere la faccenda dei tuoi genitori… Lui che fa ogni singola cosa che dovrei fare io per te
Hermione boccheggiò per qualche istante, ma non riusciva a mettere insieme le parole per dare a Draco le risposte che le stava chiedendo. Perché aveva ragione, ora che glielo metteva davanti in quei termini… il biondino aveva assolutamente ragione e meritava tutte le spiegazioni del mondo, ma lei non sapeva come dargliele.
«E non osare dirmi che sto esagerando, che sono insensatamente geloso o che mi sto immaginando le cose quando penso che lui ti voglia ancora!»
«Draco, Adrian è tutto ciò che resta della mia famiglia» rivelò tutto d’un fiato Hermione, che non era per niente disposta a sorbirsi accuse di un coinvolgimento di natura romantica o sessuale tra lei e Adrian.
«Come scusa?»
Draco la fissò con occhi sgranati, totalmente allibito.
«Ok, non… lasciami parlare, va bene? È una cosa strana da spiegare, specie visto che sai di quella breve liaison che abbiamo avuto al sesto anno…»
«Gli hai dato la tua verginità, non è stata “una liaison”» precisò gelidamente lui.
Hermione ora stava perdendo la pazienza. «Dannazione, vuoi smetterla di focalizzarti sulla biologia? Sto cercando di spiegarti come stanno le cose qui!»
«Biologia?» le fece eco lui, indignato. «Quello che facciamo in quella stanza per te è solo biologia, Granger?»
«NO!» gridò Hermione, ormai esasperata. «Maledizione, vuoi chiudere il becco e farmi parlare?»
Aveva tirato fuori la sua bacchetta e lo aveva Silenziato senza neanche accorgersene.
«Merlino, scusami!» trillò qualche secondo dopo, dispiaciuta, per poi annullare l’incantesimo. «Non l’ho fatto intenzionalmente…»
La mascella di Draco era a terra in seguito a quella sua reazione, ma almeno era servita a farlo tacere.
«Non hai alcun motivo di essere geloso di Adrian, Draco.»
Il biondino sbuffò. «Non sono geloso.»
«Quello che vuoi allora», bofonchiò lei, facendo ruotare gli occhi, poi andò a sedersi sul divano, lasciandosi cadere pesantemente. «Vuoi delle risposte? Vuoi che ti spieghi perché siamo così vicini? Quella notte al sesto anno non c’entra assolutamente nulla con questo.»
Il giovane la seguì e le si sedette accanto. «Vai avanti…»
«Quando Voldemort è tornato e la madre di Adrian ha capito che la sua famiglia era in pericolo, ha provato a proteggerla. Ha stretto un contratto di matrimonio tra Adrian e Millicent Bulstrode, nella speranza di mitigare gli animi e cercare un compromesso con la parte non neutrale dell’élite purosanguista, ma Adrian ha proseguito ugualmente con la sua carriera di Auror e i Mangiamorte, alla fine, hanno ucciso sua madre. È successo dopo che sono tornata a Hogwarts, dopo le vacanze di Natale, dopo l’unica e sola notte che siamo stati insieme…»
Draco la guardava divorando ogni singola parola del suo racconto, studiando le sue espressioni mentre gli chiariva la situazione una volta per tutte; il suo naso si arricciò in una smorfia alla menzione della notte che Hermione aveva trascorso con Adrian anni prima e lei dovette impiegare tutto il suo autocontrollo per impedirsi di sbuffare o alzare gli occhi al cielo.
«Dopo la mia partenza, Adrian è rimasto con i miei genitori e stava impazzendo riguardo a quel maledetto contratto di matrimonio da cui non sapeva come liberarsi, perché non aveva la minima intenzione di sposare la Bulstrode. I miei genitori gli sono stati vicini e… alla fine, loro tre hanno trovato una soluzione» spiegò senza avere il coraggio di guardarlo in faccia. «Hanno adottato Adrian, Draco. Il suo nome completo è Adrian Granger-Pucey, ora. Ovviamente, il fatto che facesse parte di una famiglia di Nati Babbani ha portato i Bulstrode a tirarsi indietro… e Adrian ora è libero. Io non sapevo niente di tutto questo, prima della fine della guerra.»
Tirò su col naso quando un singhiozzò sfuggì al suo controllo. «Non avevo idea del rapporto che si era creato tra i miei genitori e Adrian e… Merlino, sono stata terribile! Quando li ho obliviati, lui era in missione per conto dell’Ordine e io li ho mandati via senza che potesse neanche salutarli, non l’ho coinvolto nella cosa in alcun modo! Gli ho mandato un maledetto Patronus dicendogli che “i suoi servizi non erano più richiesti”, che mi ero occupata io della sicurezza dei miei genitori… e lui… lui…»
La sua voce si ruppe e non riuscì finire la frase; si voltò finalmente a guardare il biondino che era divenuto improvvisamente pallido. Temeva il suo giudizio più di ogni altra cosa.
«Lo so che è strano, ed è il motivo reale per cui non ho detto a nessuno, neanche ai miei amici, quello che c’è stato tra di noi quella notte del sesto anno, almeno finché Blaise non mi ha costretta a farlo… Ed è il motivo per cui non è successo mai nient’altro e non succederà mai niente. Adrian è la sola famiglia che mi è rimasta, Draco e sono molto fortunata che non mi abbia sbattuto la porta in faccia dopo il trattamento che gli ho riservato, anche se era dovuto a una mia mancanza di informazioni.»
Il biondino restò in silenzio per quelle che parvero ore, valutando quelle informazioni. «D’accordo, i tuoi genitori e Pucey hanno stretto un accordo politico, Granger, questo lo posso comprendere, sono abituato a questo tipo di ragionamenti, per me non è strano» commentò alla fine. «Anzi, credimi, ho sentito di peggio. Niente di tutto questo cambia le cose, per come la vedo io.»
«Che cosa?» esclamò lei, sbigottita.
Non poteva fare sul serio! Non poteva non capire!
«Lui non è veramente tuo fratello, non siete cresciuti insieme e non siete imparentati», sussurrò alla fine. «Il fatto che i tuoi genitori lo abbiano adottato per salvarlo da un matrimonio combinato, - e hanno tutta la mia simpatia per questo, nessuno meriterebbe di finire legato a vita con la Bulstrode -, per me non significa che non si vuole intromettere nella nostra storia.»
«Non ne ha intenzione, te lo posso assicurare!»
Draco scosse il capo, fermamente. «Non sopporto che tu gli lasci fare cose per te che a me non permetti di fare.»
«Tipo cosa, Draco? Mi ha solo accompagnata a un appuntamento medico, poteva essere anche Harry o Ginny…»
«Avrei dovuto essere io! Avresti dovuto chiederlo a me!» replicò ostinato il Serpeverde. «Non a Pucey, non a Potter, non a uno dei Weasley. Avresti dovuto volere che ci venissi io con te.»
Draco si passò una mano tra i capelli, poi se la portò alle labbra. «Come anche la questione dei tuoi genitori, Hermione» aggiunse ancora, riabbassando il tono della sua voce. «Perché non mi hai chiesto di aiutarti a trovare una soluzione? Neanche dopo aver visto quanto cavolo lavoriamo bene insieme…»
«Non ci ho pensato», ammise lei. «Ci stavo già lavorando su con-»
«Adrian», la interruppe lui, ruotando gli occhi. «Perché non riesci a capire il mio punto di vista? Perché pensi che tutto questo dovrebbe starmi bene?»
Hermione chiuse gli occhi e sospirò. «Guardami, Draco Malfoy.»
Lui oppose una leggera resistenza quando gli premette le mani sulle guance e cercò di costringerlo ad assecondare la sua richiesta, ma alla fine ci riuscì. Incatenò le sue iridi a quelle di lui, cioccolato contro argento vivo.
«Io sto con te, okay?» scandì le parole lentamente. «Voglio te. Smettila. Di. Mettere. In. Dubbio. I. Miei. Sentimenti. Per. Te. Non voglio più doverlo ripetere.»
Draco deglutì e le rivolse una smorfia di sofferta rassegnazione. «Tu non hai alcun bisogno di me, Granger.»
«Sei un’idiota, Draco Malfoy», sbuffò lei. «Giuro, se potevo avere qualche dubbio in merito fino a poco tempo fa, ora è assodato.»
Lui le lanciò un’occhiata estremamente eloquente.
«Ogni ruolo nella tua vita è già coperto», mormorò con un filo di voce il biondino, «non mi permetti di starti accanto in alcun modo. Non hai più bisogno del ragazzo del diario.»
Hermione lo fissò sgomenta. «Non puoi pensarlo sul serio», sussurrò, ma lui non rispose, al contrario, fece per alzarsi e andarsene nella sua stanza.
«No, per favore, aspetta… Draco!»
Lo afferrò per un braccio e prese a trascinarlo di nuovo verso il divano.
«Vuoi smetterla di allargarmi le camicie?»
«No», ribatté lei, secca. «Senti, mi dispiace se hai percepito questo, se ti ho fatto pensare che non ci fosse spazio per te, anche se, sinceramente, trascorro quasi tutto il mio tempo con te e la reputo un po’ una grandissima stronzata…»
«Non riguarda la quantità di tempo che passi con me!» soffiò lui, chiaramente spazientito e irritato dal fatto che non lo stesse capendo. «È dalle cose importanti che mi escludi.»
«Ma non è vero, io… non voglio darti preoccupazioni, tutto qui.»
Draco la guardò per qualche momento, poi le afferrò il volto tra le mani. «Io sono costantemente preoccupato per te, dannata stupida! E il fatto che mi tagli fuori da quello che ti succede peggiora solo le cose! Come posso pensare di arrivare a meritarti un giorno, se non mi permetti di esserci per te quando conta veramente?»
«Ancora con questa storia…»
«Hermione, potrai anche esserti innamorata di me per qualche miracolo divino, ma non cambia il fatto che io non ti merito, che ho anni per cui fare ammenda e la totale intenzione di farlo. E che indipendentemente da questo, voglio esserci per te. Voglio starti accanto, voglio fare tutto quello che tu fai per me. Voglio aiutarti, supportarti, prendermi cura di te… amarti non mi basta.»
Hermione schiuse le labbra, incapace di reagire in alcun modo. «Mi dispiace…» farfugliò confusamente, mentre la consapevolezza di non potergli promettere di smettere di cercare di proteggerlo dai suoi problemi le attanagliava lo stomaco in una morsa ferrea. Avrebbe dovuto dirgli dei suoi sintomi, della notte che aveva trascorso in infermeria… Ma non aveva ancora delle rassicurazioni da dargli in merito e le restava un giorno, in base alla promessa che aveva fatto ad Adrian, per indagare, prima di doverne parlare con lui… Non voleva vederlo crollare o farsi vincere dalla paranoia.
«E a me dispiace di aver perso le staffe in quel modo in merito a Pucey. È solo che è dannatamente estenuante sapere che l’intero mondo non aspetta altro se non di avere l’occasione di separarci e avere quella costante sensazione alla bocca dello stomaco che mi ricorda che potrei perderti da un momento all’altro, non importa cosa io faccia per impedire che accada.»
La ragazza scosse la testa lentamente. «Draco, lo avevamo messo in conto fin dall’inizio. Sapevamo che sarebbe successo, da entrambe le parti… e posso capire la pressione che avverti, ma il punto non è quello che fanno loro, quanto gli altri provino a separarci. Il punto è che pensi che io glielo lascerei fare.»
Il biondino sgranò gli occhi a quella constatazione.
«E io non glielo permetterei mai» sussurrò ancora, premendogli le mani sul volto, incatenando lo sguardo a quello di lui un’altra volta. «Io sono tua, Draco Malfoy. Il resto del mondo può dissentire quanto vuole, ma non cambierà mai questo fatto.»
 
***
Draco
 
Non si sarebbe tolto dalle scatole Pucey per il resto della sua vita, ma la Granger quella sera gli aveva fatto la più dolce delle promesse e a lui andava bene ugualmente.
Si trascinò più avanti per stringerla a sé, ma il suo braccio, teso sull’altro lato del letto, trovò solo il vuoto.
Draco corrugò la fronte e spalancò gli occhi.
Non riusciva a toccarla perché Hermione, accanto a lui, non c’era.
Si mise a sedere immediatamente e accese la luce; il terrore lo invase nel notare che la porta della stanza era aperta… lei si premurava sempre di chiuderla, perché sapeva benissimo che a lui dava fastidio che rimanesse aperta, anche se in quel dormitorio c’erano solo loro due.
Si buttò giù dal letto e si infilò rapidamente un paio di pantaloni e una camicia, che si accinse a richiudere mentre la cercava nella Sala Comune.
Non era neanche lì.
Il panico iniziò ad insinuarsi nel suo corpo, a inondargli la mente.
Dopo essersi affacciato alla porta che dava sulle scale per la stanza femminile e averla chiamata a gran voce, non ricevendo però alcuna risposta, si precipitò fuori dal dormitorio e vagò per i corridoi deserti. Era presto, i Prefetti dovevano essere ancora in giro per la ronda… Forse era successo qualcosa e l’avevano chiamata.
Forse…
«Potter!»
Raggiunse il Prescelto quasi di corsa. «Hai visto Hermione?»
Harry corrugò la fronte. «Era con te», farfugliò confuso, dispiegando la Mappa tra le sue mani. «Ho visto i vostri nomi vicini solo qualche minuto fa…»
Fecero scorrere lo sguardo sulla vecchia pergamena rapidamente e la individuarono nello stesso momento.
Hermione era sulle scale che conducevano alla Torre di Astronomia.
«Tu vai giù, io vado su», decretò Potter e si divisero senza aggiungere altro, entrambi alle prese con una corsa contro il tempo.
La brutta sensazione che lo aveva svegliato non accennava a sparire, mentre scendeva rapidamente le scale, piano dopo piano, e si precipitava in giardino, correva, diretto alla zona sottostante la Torre, lo stesso terreno erboso su cui Silente era precipitato due anni prima…
E poi la vide, in lontananza, una figura che conosceva troppo bene, in equilibrio precario sulla ringhiera lasciarsi andare, cadere giù, sempre più giù, in picchiata….
L’incantesimo lasciò le sue labbra in un urlo disperato, mentre con uno slancio la raggiungeva e la afferrava tra le sue braccia appena in tempo per impedirle di schiantarsi al suolo.
Il suo viso era coperto di sangue, il suo corpo veniva scosso da tremiti violenti e i suoi occhi erano colmi di dolore e dispiacere…
«D-Draco…»
Una lacrima mista a sangue le colò lungo la guancia, mentre le sue palpebre si chiudevano e il suo respiro si faceva pesante.
«No, Hermione, svegliati», iniziò a farfugliare spaventato. «Per favore, non dormire… ti prego, svegliati…»
La scuoteva, ma lei non dava alcun segno di volersi ridestare. «Hermione, resta con me, svegliati…»
«Malfoy», la voce di Potter gli arrivò come un eco remoto alle orecchie; le mani del giovane Grifondoro si chiusero attorno alle sue spalle con forza, scrollandolo per attirare la sua attenzione. Non aveva la più pallida idea di quante volte avesse già pronunciato il suo nome.
«Malfoy, dobbiamo portarla in infermeria…»
Draco tremava, la sua mente era come offuscata da una nebbia fitta e densa che gli impediva di processare quello che stava accadendo.
«Lascia fare a me, la porto io…»
«No!» esclamò all’improvviso Draco, sussultando e stringendo a sé il corpo di Hermione. «Ci penso io!»
Si mise in piedi invocando tutte le sue energie e si diresse verso la grande porta dell’infermeria.
Quando Madama Chips gli fu davanti, l’espressione sul suo viso divenne orripilata.
«Oh, benedetta ragazza! L’avevo avvertita… l’avevo avvertita…»
Per un momento, Draco non registrò quelle parole, ma quando si ritrovò da solo, con la schiena contro il muro, a due passi da Potter che si teneva il volto tra le mani, disperato quasi quanto lui, la consapevolezza del loro significato lo colpì in pieno petto.
«Tu lo sapevi?» si sforzò di chiedere al Prescelto. La sua voce era rotta e priva di energie. «Sapevi che aveva dei sintomi oltre ai mal di testa e agli incubi?»
Il moro scosse il capo lentamente. Draco si passò la mano sulle labbra, le strinse tra i denti, poi posò la testa contro il muro e iniziò a fissare il soffitto, sperando che guardare all’insù facesse tornare dentro le lacrime che minacciavano di riprendere a uscire.
«Ero accanto a lei… ho il sonno leggero, Potter» disse tremante. «Non dormo veramente da quasi tre anni, ormai. È come se si fosse volatilizzata all’improvviso…»
«Andrà tutto bene», cercò di rassicurarlo l’altro. «Hermione è forte. Ha… ha superato di peggio.»
Draco scosse il capo impercettibilmente.
Potter non sapeva che Hermione si svegliava ancora urlando a Bellatrix che non avevano preso niente dalla sua camera blindata alla Gringott.
Potter non sapeva che a volte, mentre dormiva, la sentiva supplicarlo di non andare ad affrontare Voldemort nella Foresta Proibita.
Potter non sapeva che, nel diario, Hermione una volta gli aveva rivelato che desiderava che tutto il dolore che provava finisse, in un modo o nell’altro, perché era dannatamente stanca di combattere.
Per favore, Granger” si ritrovò a pensare, “lotta ancora una volta. Lotta per me, per noi. Non lasciarmi.
La McGranitt uscì dall’infermeria con aria afflitta e addolorata.
Draco non riuscì neanche a trovare la forza di alzarsi dal pavimento.
«È stabile», comunicò loro la Preside con voce malferma. «Ma come gli altri, non si sveglia.»
E nel sentire quelle parole, che in cuor suo si aspettava, il biondino non poté far altro che arrendersi, restare immobile, mentre i frammenti delle sue barriere si infrangevano sul terreno della sua mente e la sua Occlumanzia veniva totalmente meno, perché lui di energie per tenere tutto su non ne aveva più, esponendolo a un dolore così acuto da lacerargli l’anima.
Fece l’unica cosa che poteva fare, insensibile al mondo esterno, incurante alla presenza di altre persone che avrebbero potuto vederlo.
Draco iniziò a piangere.

 

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Capitolo 47
*** Capitolo 46. Questione di Controllo ***


CAPITOLO 46
Questione di Controllo







 
 
 
 

 
 


 
Draco
 
Draco stava urlando contro Madama Chips e la McGranitt da una mezz’oretta abbondante, perché le due donne erano ostinate a tenerlo fuori dall’infermeria e lui insisteva per restare al fianco di Hermione.
Aveva provato a farle cedere in tutti i modi; promesse di donazioni, finanziamenti e sponsorizzazioni, la minaccia di restare dietro la porta a far baccano finché non lo avessero fatto entrare, persino quella di dare fuoco al Platano Picchiatore, ma la Preside sapeva che non lo avrebbe mai fatto veramente perché non si sarebbe giocato la sua sola occasione di libertà per niente al mondo, non quando aveva ancora la speranza di poter trascorrere il resto della sua vita con Hermione Granger.
«Cosa succede?»
La voce di Adrian Pucey sovrastò sia le urla di Draco, sia i tentativi di Potter di farlo calmare, sia le proteste delle due donne.
«Oh, signor Pucey!» esclamò Madama Chips, con aria grave. «C’è stata un’altra vittima! La signorina Granger… Le avevo detto di avvisarti della sua condizione…»
Il biondino cessò di agitarsi tutto d’un colpo. Studiò la reazione di Pucey con una smorfia in volto, mentre lo guardava irrigidirsi e deglutire forte.
Lui sapeva. A Pucey, ovviamente, lo aveva detto.
«Ero stato informato, in effetti», confermò l’ex Serpeverde dopo qualche istante di silenzio. «Hermione era convinta di avere ancora tempo. Un mio errore di giudizio fidarmi delle sue rassicurazioni in merito.»
Se Potter non avesse avuto le mani serrate sulle sue braccia, Draco ne era sicuro, si sarebbe scaraventato contro il giovane e lo avrebbe preso a pugni. Era sul punto di urlargli contro, di chiedergli dove diamine fosse l’onnipotente Auror mentre la sua ragazza si buttava giù dalla Torre d’Astronomia, - e forse lo avrebbe anche fatto, se il senso di colpa per non essersi accorto che si era alzata dal letto non fosse stato così acuto -, quando Pucey lo spiazzò completamente.
«Entro a vederla», disse Adrian in tono fermo. «Malfoy viene con me.»
Potter dovette sentire i suoi muscoli rilassarsi, perché lo lasciò andare immediatamente.
Non proferì parola, mentre lo seguiva all’interno dell’infermeria.
Hermione giaceva in una brandina, nascosta alla vista di occhi indiscreti da ampie tende; era stata lavata dal sangue che aveva perso e le avevano messo addosso una vestaglietta da ospedale. Sembrava così piccola e indifesa, immobile su quel materasso duro, che Draco riuscì appena a sopprimere l’impulso di scoppiare a piangere di nuovo.
Deglutì forte e le si avvicinò lentamente, inginocchiandosi al suo fianco per guardarla da vicino e accarezzarle i capelli con dolcezza; era innaturalmente pallida e sul suo volto aleggiava ancora la stessa espressione di dolore che le aveva visto quando l’aveva afferrata al volo; Draco aveva sperato, almeno, che il sonno in cui era sprofondata fosse tranquillo, ma sembrava più che fosse bloccata in un incubo e non riuscisse a svegliarsi. Fu tentato di baciarla, di stringerla, di sussurrare il suo nome per vedere se poteva riportarla a sé come faceva quando era in procinto di fare un brutto sogno ed erano a letto insieme… le prese una mano e la sollevò, portandosela alle labbra; le premette contro la sua pelle, serrando gli occhi, desiderando con tutto sé stesso che potesse percepire la sua presenza, il suo amore.
Non si accorse neanche di Pucey che, in piedi dall’altro lato del letto, le aveva appena sfiorato una guancia con le dita.
«Te la senti di raccontarmi quello che è successo?», gli domandò, attirando la sua attenzione. «Se non sei in condizione di farlo, posso parlare con Potter…»
Draco ingoiò saliva, ma scosse il capo e iniziò a riferirgli gli eventi che li avevano condotti a quel momento, in quella stanza.
«Ero accanto a lei», mormorò con un filo di voce dopo aver finito il resoconto della serata. «Io la sento sempre, sai? Il minimo movimento, un respiro più pesante, un gemito inudibile… ma stanotte, è stato come se si fosse Smaterializzata via dalle mie braccia.»
Pucey si passò le mani sul viso e finalmente, dalla sua espressione, trasparì disperazione.
«Avrei dovuto prestare più attenzione…»
«No», lo interruppe l’altro. «Se c’è qualcuno da biasimare qui sono io. Non avrei dovuto concederle quei due giorni…»
«Di cosa stai parlando, Pucey?»
«L’altra notte è stata male, ha vomitato sangue ed è venuta qui. Madama Chips l’ha costretta a parlarne almeno con me e quando lo ha fatto, ho provato a convincerla di dire cosa stava succedendo anche a te, Potter e Weasley. Mi ha chiesto due giorni per trovare informazioni, perché non voleva farvi preoccupare», spiegò il giovane. «Perché non voleva far preoccupare te, in particolare.»
«Avresti dovuto dirmelo tu», rispose a denti stretti Draco. «Ero io quello che doveva saperlo, io quello che la stava tenendo d’occhio! Dovevo saperlo! Che fine ha fatto il Regolamento Serpeverde?»
Non era sicuro che il regolamento che vigeva tra i compagni della loro Casa continuasse a valere anche una volta terminati gli studi, - d’altronde tra l’intera Casa al momento vi era una frattura esponenziale -, ma gli sembrava un’ulteriore argomentazione a suo favore e una stoccata in più a Pucey.
«Sicuramente dovevi esserne informato», convenne lui. «Ma vorrei ricordarti che se non avessi perso le staffe inutilmente lei sarebbe stata con te quando si è sentita male e non avrebbe potuto nasconderti proprio niente.»
Il biondino registrò quella constatazione come una pugnalata al petto.
Aveva ragione, ovviamente.
A quanto pareva, cercava ancora il modo di incolpare chiunque tranne sé stesso, anche per i suoi fallimenti.
Le aveva promesso che non avrebbe più permesso a nessuno di farle del male e non ci era riuscito, non era stato in grado di proteggerla; lei era in un letto d’ospedale, priva di coscienza e nemmeno i Guaritori avevano idea di come risvegliarla.
Adrian si sistemò la giacca e gli rivolse uno sguardo pensieroso. «Do il cambio a Potter» annunciò, «e cercherò di convincere la Preside a lasciarti restare qui.»
Draco non sapeva se essergli grato o continuare a detestarlo con tutte le sue forze.
«Perché?»
La domanda sfuggì dalle sue labbra prima che potesse impedirselo. «Perché lo fai?»
Pucey si limitò a spostare lo sguardo sulla ragazza e a riportarlo su di lui. «Per lei.»
§
«Malfoy, dovresti andare a riposarti un po’.»
La voce di Potter giunse come il ricordo di un sogno lontano alle sue orecchie; si voltò lentamente a guardarlo, il viso drenato da ogni espressione di emozione.
«Non me ne vado.»
Potter sospirò, mentre Weasley si lasciava cadere su una poltrona dall’altro lato del letto; Draco non aveva neanche la forza di infastidirsi per la sua presenza.
«La teniamo d’occhio noi.»
«Ho detto che resto qui, Potter» ripeté gelido. «Non la lascio sola.»
Era fermamente convinto di non doversi muovere da lì; continuava a sperare che potesse sentirlo, che percepire la sua presenza potesse darle la forza di lottare, di svegliarsi e tornare da lui.
S’illudeva che lei avesse bisogno di lui, di averlo vicino… perché in realtà era lui ad aver bisogno di lei e non voleva tornare nella sua stanza al dormitorio, dove la sua assenza lo avrebbe tormentato e l’eco dei loro battibecchi innocenti lo avrebbe perseguitato, accentuando ulteriormente la mancanza e il senso di colpa, quello di impotenza per non essere stato in grado di impedire che tutto ciò accadesse, la consapevolezza di non poter fare, di fatti, nulla per aiutarla.
«Malfoy…» provò allora il rosso, ma la frase cadde nel vuoto quando Dennis Canon, qualche letto più in là, iniziò ad agitarsi convulsamente.
Sentirono Madama Chips urlare qualcosa su delle scottature, chiedere loro di andarsene, ma tutti e tre erano troppo concentrati a fissare Hermione, che aveva preso a sussultare a sua volta, mentre la pelle sul suo braccio destro si arrossava e si increspava, lasciando il posto a un’ustione.
Chiamarono Madama Chips a gran voce e la donna fu al loro fianco un attimo dopo, i capelli spettinati e lo sguardo vigile, poi li cacciò via.
Potter afferrò Draco per un braccio un attimo prima che la porta si richiudesse alle loro spalle, lo spinse sotto al Mantello dell’Invisibilità e i tre si intrufolarono nuovamente nell’infermeria.
L’infermiera si affaccendava a trattare il braccio di Hermione, mentre l’equipe di Guaritori che il San Mungo aveva mandato al castello gestivano Canon, che continuava ad agitarsi tra le lenzuola.
La cosa più inquietante era che nessuno dei due emetteva alcun suono.
Draco tremava e l’unica cosa che gli impediva di saltar fuori dal telo e fiondarsi nuovamente al fianco della Granger era la presa ferrea di Potter e Weasley sulle sue braccia.
Quando finalmente Dennis si fu calmato, i Guaritori si spostarono al capezzale di Hermione per controllare anche lei.
«Sembra che questa povera ragazza avrà un’altra cicatrice con cui convivere…» sussurrò Madama Chips, afflitta, poi si rivolse ai colleghi per avere informazioni sull’altro paziente coinvolto.
«È di nuovo stabile e abbiamo trattato le ustioni, ma non crediamo che sopravvivrebbe a un’altra crisi del genere.»
«Alcuni di loro sono qui da mesi e non è mai successo niente» sussurrò una Guaritrice, quella che era a Hogwarts fin dall’inizio di tutta la storia. «Cos’è cambiato?»
«Forse sono privi di coscienza da troppo tempo…»
«La signorina Granger è arrivata solo tre giorni fa…»
Il biondino iniziò ad avvertire il panico sopraffare la sua razionalità, il suo respiro farsi pesante, il sangue ribollire nelle sue vene, affluire al cervello…
Si guardò attorno e si rese conto che Potter e Weasley lo avevano trascinato fuori dall’infermeria e che erano già intenti a formulare teorie, ma Draco aveva ben altro per la testa.
Voltò loro le spalle, mentre si liberava della cravatta che sembrava sul punto di soffocarlo e si diresse correndo verso i sotterranei; entrò nella Sala Comune di Serpeverde come una furia, i capelli spettinati, le occhiaie profonde, la camicia sgualcita e le mani tremanti.
Anzi, tutto il suo corpo sembrava tremare di rabbia.
«Chi è stato?» urlò talmente forte che alcune ragazze dei primi anni strillarono, altri studenti arretrarono istintivamente e sbatterono contro le pareti. «Chi di voi bastardi ha iniziato tutta questa maledetta storia?»
I più lo guardavano sbigottiti, con la mascella a terra; non sapeva se lo facessero perché fosse scombinato come nessuno l’aveva mai visto prima o perché sembrava totalmente fuori di sé, un altro stato di cui nessuno in quel posto era mai stato testimone quando si trattava del controllato, Occlumante, Draco Malfoy.
«Quindi è vero, la tua preziosa Sanguemarcio è la nuova vittima.»
La risata di Theodore Nott gli entrò in testa come benzina sul fuoco e l’esplosione fu violenta. Lo afferrò per la collottola e lo sbatté con forza contro il muro.
«Sei stato tu, non è vero?» gli ringhiò in faccia Draco, «Fottuto bastardo, io-»
«Draco, basta!»
Sentiva a malapena le voci impaurite di Blaise e Daphne gridargli di calmarsi, di smetterla, di allontanarsi, di non fare cazzate e ancor meno percepiva le loro mani addosso, mentre cercavano con tutte le loro forze di separarlo da Nott.
Quell’idiota continuava a ridere, nonostante le minacce del biondino, nonostante il pugno che gli aveva rifilato e quello dopo ancora.
«Che cazzo ti aspetti quando decidi di scoparti una Sanguemarcio, Malfoy?»
Quando anche Astoria si mise in mezzo a dare manforte a Blaise e Daphne, i tre riuscirono finalmente ad allontanarlo da Theodore, a trascinarlo verso la porta tra le urla e i commenti che riecheggiavano nella Sala Comune; lo portarono il più lontano possibile da lì.
«Scoprirò chi di voi bastardi è il colpevole, ve lo giuro!» gridava Draco, ancora dimenandosi dalla presa dei suoi amici, all’apparenza ignaro di essere ormai in un’aula vuota e di non avere più nessuno da minacciare. «Maledetti-»
«DRACO.»
Due paia di occhi verdi erano puntati nei suoi e lo fissavano a metà tra lo spaventato e il preoccupato.
Trasse dei respiri corti e profondi, mentre metteva a fuoco i volti delle sorelle Greengrass e le mani di Blaise, in reazione al rilassamento dei suoi muscoli, allentavano la presa sul suo busto, liberando il suo petto; in qualche modo, non avere più il peso delle braccia dell’amico a comprimergli la gabbia toracica, lo aiutò a rifornire d’aria i suoi polmoni, ma il suo corpo tremava ancora e i suoi occhi bruciavano d’ira e di lacrime represse.
«Amico», sussurrò Blaise, posizionandosi di fronte a lui, tra le due ragazze. «Stai bene?»
Draco, per un po’, non rispose; restò immobile a guardarli, tirando su col naso, gemendo di tanto in tanto dal dolore. E poi ci fu un forte singulto e le lacrime irruppero senza controllo, rigandogli le guance, bagnando la sua camicia.
Scosse la testa.
No, non stava bene.
Non sarebbe stato mai più bene, se Hermione non si fosse risvegliata.
Si portò le mani in viso, per nascondersi e sorreggersi al contempo, e le due Serpeverde dovettero capire il suo desiderio di non farsi vedere, perché lo abbracciarono all’unisono, celandolo completamente con le loro figure.
Da qualche parte nella stanza si levava la voce di Potter e Weasley, che discutevano con Blaise di quanto accaduto e decidevano che fosse meglio portare Draco nel dormitorio dei Caposcuola e richiedere alla McGranitt che lo esonerasse dalle lezioni per il resto della settimana.
Le sorelle Greengrass protestarono quando i giovani dissero loro di tornare nella Sala Comune di Serpeverde e smisero di lottare solo quando Blaise gli fece notare che serviva qualcuno lì per monitorare la situazione e vedere se qualcuno si lasciava sfuggire qualcosa.
Draco non era esattamente consapevole di quello che stava accadendo attorno a lui.
Una parte di sé stesso era semplicemente troppo stanca per sforzarsi di accendere il cervello, l’altra parte cercava di applicarsi in Occlumanzia, ma ogni suo tentativo si rivelava inutile, perché lui non aveva alcuna energia né per muoversi, né per praticare magia alcuna.
«No», riuscì a mugugnare a un passo dalla porta della sua camera, «non voglio stare lì.»
Non poteva dormire in quel letto senza Hermione; ci aveva provato la sera prima e il suo profumo era ovunque, l’impossibilità di stringerla gli faceva troppo male.
«Ehm, dove dovremmo metterlo?» bisbigliò Ronald, mentre facevano dietrofront e Blaise indicava il divano più grande con un cenno del capo.
Potter evocò una coperta e gliela passò; anche se Draco se la sistemò addosso, sapeva benissimo che il suo corpo non stava tremando per il freddo.
«È stato Nott, ne sono sicuro» sibilò dopo un po’, gli occhi fissi su un punto indefinito dell’altro capo della stanza.
«Malfoy, credi sul serio che Nott sia abbastanza sveglio da riuscire a compiere qualcosa del genere senza destare sospetti?» azzardò Potter, in tono dubbioso.
«Non è stupido come sembra, né tantomeno innocuo, Potter.»
«Potrebbe aver ricevuto aiuto», ipotizzò Weasley. «Insomma, Blaise ha detto che se la rideva…»
Draco strinse i pugni talmente forte da far sbiancare le nocche.
«Calmati», gli sussurrò Blaise, posando una mano sulla sua spalla.
«Draco, devi tornare in te», aggiunse ancora. «Abbiamo del lavoro da fare, dobbiamo scoprire che diavolo sta succedendo se vogliamo aiutare quei ragazzi, se vogliamo aiutare Hermione
Il biondino parve riacquistare lucidità dopo quelle parole.
«Lei ha bisogno di te» gli disse in tono fermo. «Ha bisogno che tu faccia questo per lei.»
«Lei ha bisogno di risvegliarsi, maledizione!» imprecò Draco, scrollandosi la sua mano di dosso con un movimento brusco.
«E pensi che piombando nella Sala Comune di Serpeverde e prendendo a pugni chiunque ti capiti a tiro tra coloro che ancora si dichiarano sostenitori della linea purosanguista possa risolvere in qualche modo la situazione?» puntualizzò Potter.
Il ragazzo lo fulminò con lo sguardo. «Voi invece che state facendo?»
Weasley alzò gli occhi al cielo. «Siamo andati da Pucey a farci dire quello che sa», asserì in tono cantilenante. «Pare che Hermione stesse seguendo una pista, che avesse delle nuove informazioni, solo che…»
«…solo che noi dovevamo incontrarci il pomeriggio dopo… l’accaduto» concluse per lui il Prescelto. «Hai idea di dove possa aver conservato gli appunti o qualcosa del genere? Conosco Hermione troppo bene per non pensare che abbia lasciato dei fogli in giro per noi, in caso fosse accaduto qualcosa.»
«È tutto lì» rispose Draco, indicando con un cenno del capo il tavolo su cui erano soliti fare le ricerche insieme, «o nella mia stanza. Nella sua non ci possiamo entrare.»
«Noi no», disse allora Blaise. «Ma Ginny sì.»
«La vado a chiamare», si offrì il fratello della ragazza e un attimo dopo scomparì dietro il ritratto.
«C’è anche un’altra cosa», riprese a parlare Potter, lasciandosi cadere pesantemente su una poltrona. «Stanotte ho fatto un sogno strano. Credo di aver sentito la voce di Hermione…»
Blaise e Draco corrugarono la fronte.
«Ha detto solo: Il Codice di Salazar
 
***
Hermione
 
Aprì lentamente gli occhi e si mise a sedere; non ricordava di aver deciso di alzarsi, ma le sue gambe si erano messe in movimento e la stavano guidando per i corridoi.
O forse non erano le sue gambe, ma il suo corpo ammaliato dalla musica, la stessa musica che l’aveva svegliata da quel sonno insolitamente privo di sogni.
Forse, pensò, era quello il sogno?
Forse stava ancora dormendo?
Forse non si stava aggirando per il castello deserto, in realtà; probabilmente era ancora stretta tra le braccia forti e rassicuranti di Draco.
Se si fosse sforzata solo un pochino, avrebbe potuto avvertirle attorno a sé.
Ma non sembravano essere lì, dove avrebbero dovuto essere.
Voleva tornare indietro, ma non ne era capace.
Il suo corpo non rispondeva ai suoi comandi.
La musica diventava sempre più forte, tamburellava nelle sue tempie, le rimbombava nelle orecchie.
Le venne da piangere.
Non era una brutta melodia, solo incredibilmente triste.
Le faceva pensare ai funerali.
Alla morte.
Quando le lacrime iniziarono a cadere, Hermione avvertì dolore agli occhi.
Qualcosa di caldo scivolava sul suo volto, dal naso, colava sulle sue labbra, giù fino al mento, poi sul pavimento.
Voleva alzare la mano e tastare la sua pelle, per vedere di cosa si trattasse.
Le lacrime non risultavano così dense al suo viso di solito e non le facevano provare dolore fisico quando uscivano.
Non aveva la minima idea di dove stesse andando, ma capiva che si stava dirigendo su.
Su, su, sempre più su.
C’era vento che le sferzava il volto e la scuoteva, ma lei doveva raggiungere la sua meta per forza.
Era necessario che lo facesse.
Avvertì freddo sotto le dita, la sensazione del metallo contro il palmo della sua mano… e poi il nulla attorno a sé.
Si sentiva leggera… come se fosse sospesa in aria…
Un attimo dopo, però, stava andando a fuoco.
Letteralmente.
Voleva urlare, ma non poteva farlo.
Non ci riusciva, come se avesse d’un tratto perso completamente la voce.
Il dolore acuto della carne in fiamme la risvegliò per un momento.
Harry le correva incontro con il viso devastato dalla paura; vedeva le sue labbra muoversi, sembrava che stesse gridando il suo nome.
Anche lei voleva urlare, voleva fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma il suo corpo non glielo permetteva.
Riconobbe il luogo dove si trovava: era sulla Torre d’Astronomia.
E quello poteva significare soltanto una cosa.
Stava accadendo.
Stava succedendo a lei.
La Maledizione…
Sentì un’onda colpirla con forza e il suo corpo ribaltarsi all’indietro; un istante dopo, aveva di nuovo il controllo, ma ormai era troppo tardi, perché stava precipitando e non aveva con sé la sua bacchetta.
Avvertì l’energia di un Incantesimo colpirla, rallentare i suoi movimenti, un paio di braccia familiari stringerla con forza.
Due occhi grigi, in quel momento terrorizzati e disperati, ma sempre bellissimi.
Hermione pensò che non fosse poi così male andarsene vedendo quelle iridi meravigliose e magnetiche.
«D-Draco…»
Le sue palpebre si chiusero, pesanti.
E dopodiché, ci furono solo le fiamme dell’inferno.

 

 

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Capitolo 48
*** Capitolo 47. Ardemonio ***


CAPITOLO 47
Ardemonio







 
 
 
 

 

 
Hermione
 
Aprì gli occhi e la prima cosa che vide furono le fiamme.
Riconobbe il castello, invaso da alte e minacciose lingue di fuoco, ma non fuoco normale… quello era chiaramente Ardemonio.
Si mise a sedere, lo sguardo che saettava ovunque… Hogwarts stava veramente bruciando? Doveva trovare gli altri il più presto possibile.
Draco, Harry, Ron, Ginny, Adrian…
Draco.
Era con lei fino a un attimo prima, stavano dormendo insieme… allora perché lei si trovava nella Sala Grande in quel momento?
Com’era possibile?
Sentiva qualcosa sul suo viso, appiccicoso e denso… provò a tastarselo con le mani, un po’ per ripulirsi, un po’ per capire di cosa si trattasse, ma nonostante quei tentativi le sue dita restarono intonse e la sensazione disgustosa sul suo volto intatta.
«È inutile che ci provi, non verrà via» disse una voce familiare alla sua sinistra. «È il tuo sangue. È lì per ricordarci perché siamo qui.»
«Dennis?» chiamò con voce tremula, incerta se essere sollevata o sentirsi terrorizzata dalla cosa.
Individuò il compagno di Grifondoro e notò che aveva il volto coperto di sangue; non era rappreso, ma non colava neanche. Era ciò che anche lei aveva sul viso? Quello che le stava provocando quella sensazione disgustosa? E se era veramente il suo sangue, da dove stava uscendo?
«Hermione?» si levò un’altra voce, questa volta proveniente dall’area frontale al punto dove si trovava lei.
«Justin!» gridò disperatamente, avvertendo la voglia di piangere.
«Hermione?» chiese una terza voce, che però Hermione non riconobbe. «Hermione Granger è qui?»
«Chi sei?»
«Dayane Haywood» rispose la sconosciuta, con voce tremula. «Corvonero. Non sono tornata a scuola dopo Natale, pensando di salvarmi. Invece mi sono ritrovata all’Inferno.»
Hermione si congelò sul posto. «Credete che siamo all’Inferno?»
Le era ormai chiaro quale fosse il significato di ciò che stava vivendo, ovvero che qualsiasi cosa fosse quel posto avesse a che fare con la maledizione che li aveva colpiti.
Era addormentata, in quel momento?
Si costrinse a non pensare a Draco e ai suoi amici, a come potessero stare in quel momento; loro erano l’unica speranza che avevano, ma non sapevano delle sue ultime scoperte, non aveva fatto in tempo a dirgli nulla. Doveva restare lucida, però, capire cosa fare da quel momento in avanti.
«Beh, guardati attorno» replicò Dennis in tono asciutto. «È quello che sembra.»
«Quindi o si muore nell’impatto o si finisce qui?» ponderò Hermione, deglutendo.
«È morto qualcuno?» chiesero i due ragazzi in coro.
«Un ragazzo…»
Restarono in silenzio per un po’ dopo quella notizia, ma in qualche modo il silenzio rendeva tutto peggiore.
«Sta diventando più veloce», considerò alla fine Justin. «Tra te e Dayane c’è stato pochissimo tempo di distacco. Non che abbiamo modo di misurarlo, qui.»
La Corvonero emise un singhiozzo disperato.
«Siamo stati qui per tutto questo tempo» indagò Dennis. «Hanno capito che cosa sta succedendo? O come svegliarci?»
Hermione non rispose.
Come poteva dir loro che dall’altra parte erano ancora in alto mare?
Che forse non c’era alcun modo per tirarli fuori di lì?
«Lo prendo per un no», ringhiò di frustrazione Dennis. «Cazzo, non ce la faccio più.»
«Dennis, devi avere fiducia» cercò di incoraggiarlo lei. «Harry e gli altri, noi… stavamo indagando e so che continueranno a farlo.»
«Sono qui da mesi, Hermione!» gridò in risposta il ragazzo. «Per i primi tempi sono stato qui da solo! Hai idea di quanto scorra lento il tempo qui? Di quanto ti trascini lentamente nella pazzia, fino a farti desiderare di lasciarti divorare dalle fiamme?»
«Dennis, che cosa stai facendo?» domandò Justin, allarmato.
«Dennis, torna indietro!» strillò Hermione, ma il giovane scuoteva la testa.
«Non ho intenzione di stare qui un secondo di più!» urlò. «Non sanno come salvarci, non possiamo fare niente! Siamo spacciati! Tanto vale farla finita subito!»
Un secondo dopo, Dennis si stava scagliando contro le fiamme e Hermione incanalava la sua magia, pregando di riuscire ad aprire un varco anche senza la sua bacchetta, per impedire al giovane di commettere quell’errore.
Gli finì addosso, spingendolo indietro e crollando entrambi sul pavimento bollente.
Hermione imprecò, avvertendo la pelle del suo avambraccio destro bruciarsi, ma Dennis stava peggio; i suoi abiti erano coperti di buchi e il suo corpo recava ustioni in corrispondenza di essi. Si tolse la maglietta, restando in canottiera, e la usò per estinguere il fuoco dalla stoffa.
«Sei impazzito?» gridò con le lacrime agli occhi. «Dopo tutto questo tempo ancora metti in dubbio le capacità di Harry e degli altri?»
Dennis emise un rantolo di dolore misto a dispiacere, mentre si rotolava sul pavimento con gli occhi serrati.
«Non so come aiutarti con il dolore», si scusò poi Hermione. «Cerca di resistere e basta, mentre mi faccio venire in mente qualcosa.»
§
Fissava Dennis dormire a qualche centimetro di distanza da sé, meravigliandosi che in quel luogo gli fosse, di fatti, concesso di dormire.
Lei sapeva già che non ci sarebbe riuscita.
Come avrebbe potuto, con l’Ardemonio che bruciava costantemente tutto intorno a loro?
Forse Dennis era semplicemente esausto, dopo mesi di veglia, dopo le ferite che si era procurato…
«Inizi a sentirti sempre più debole», mormorò Justin con voce assente. «Come se la vita e la magia stessero progressivamente abbandonando il tuo corpo… forse a un certo punto smetteremo di esistere e basta.»
Hermione valutò le sue parole per qualche istante.
«Oh», esclamò dopo un po’. «Si nutre di noi, questo posto. Della nostra magia… ecco come si alimenta il fuoco.»
«Spiega perché sentivo sempre freddo…»
«…e le temperature troppo elevate al castello, per essere inverno» dedusse ancora lei. «Solo che noi non ce ne rendevamo conto…»
«…Perché questo posto ci stava già risucchiando le forze vitali» terminò allora Justin. «E più gente viene spedita qui, più velocemente ci indeboliamo… più questo posto si rafforza.»
«Ma sono riuscita a usare la magia, prima», considerò Hermione, «per fermare Dennis. Forse sono ancora abbastanza forte da fare qualcosa.»
Il ragazzo si lasciò andare a una risata priva di ilarità. «Cosa vorresti fare?» le domandò mesto. «Stai dormendo, Hermione.»
«Non qui», rispose, la voce appena un sussurro.
Si morse il labbro con forza; sentiva la puzza di sangue nelle narici; avvertiva il suo sangue, denso sul suo volto, tirare la sua stessa pelle.
«Potrei inviare un messaggio agli altri» ragionò, parlando più a sé stessa che a lui. «In fondo, siamo a Hogwarts… se riuscissi ad avvicinarmi abbastanza al posto in cui si trova uno dei miei amici e questo fosse addormentato…»
«Sono davvero tante variabili, Mione» considerò Justin. «E non abbiamo idea di quale momento della giornata sia per loro.»
Lei esalò un gemito di frustrazione. «Quali alternative abbiamo? Non so neanche per quanto tempo riuscirò a tenere su queste poche energie!»
Lui non aggiunse altro.
«Devo provare a fare qualcosa, Jus.»
Doveva spingerli ad andare nella sua stanza, dar loro l’indizio fondamentale per avere anche solo la speranza di una risoluzione della faccenda.
Se loro non potevano salvarsi, almeno potevano evitare che ci fossero altre vittime.
Poteva provare a insinuarsi nella mente di uno di loro… poteva provare a contattare qualcuno…
La sua mente andò immediatamente a Draco, ma scosse subito il capo con forza; non poteva ragionare con il cuore in quel momento. Ammesso che ciò che pensava di fare fosse plausibile e che potesse funzionare in alcun modo, aveva solo una possibilità. Non era abbastanza forte per ritentare una seconda volta. Sentiva già le forze e l’energia lasciare il suo corpo, mentre quel posto cercava di prosciugarla della sua magia.
Draco era troppo ferrato in Occlumanzia, era inaccessibile, persino per lei, soprattutto visto quant’era debole in quel contesto. Non aveva alcuna possibilità di forzare la sua mente, anche se fosse stato addormentato, per cui… Harry.
Harry era la sua opzione migliore, aveva sempre fatto schifo in Occlumanzia.
«Devo raggiungere la Torre di Grifondoro», asserì in tono fermo. «Subito.»
Justin sospirò. «Vengo con te. Non so quanta magia mi resta, né tantomeno quanta energia, ma posso provare ad aiutarti… basta che tu mi prometta che se succede qualcosa, non cercherai di fare l’eroina della situazione.»
«Vale anche per te.»
«Difficilmente mi considererei un eroe, Hermione. Ma tu…»
«Va bene, Jus! Non è il momento per darsi addosso», tagliò corto lei. «Proverò a domare le fiamme abbastanza da permetterci di sgattaiolare di sopra.»
Chiuse gli occhi, raccolse tutte le sue forze, tese le mani davanti a sé, cercando di far confluire la sua magia in un punto preciso della sala, desiderando ardentemente di aprire un varco tra le alte lingue di fuoco.
Le faceva male ogni singola parte del suo corpo, ma strinse i denti e proseguì, persino quando il sangue riprese a sgorgare sul suo volto.
Chissà se stava succedendo anche dall’altra parte…
«Ora!»
Le fiamme si estinsero giusto il tempo per consentirgli di lasciare la Sala Grande.
«Cazzo!» esclamò Justin, appurando che anche il resto del castello era in fiamme.
«Maledizione» mugolò Hermione, abbattuta.
Non era più sicura di riuscire a farcela.
Aveva abbastanza forza per aprirsi dei varchi fino alla Torre di Grifondoro?
Doveva almeno provarci.
Allora chiuse gli occhi e ripeté la cosa finché fu necessario.
Raggiunsero il dormitorio maschile di Grifondoro, quello di Harry, con Justin che ormai doveva sorreggerla con un braccio.
«Jus, se io… se mi succede qualcosa, non tornare indietro. Aspetta qui, ok?»
Il Tassorosso deglutì. «Non farti accadere nulla.»
Hermione gli rivolse un sorriso incerto, poi si incamminò verso il letto di Harry.
Non aveva molte forze, la sua magia iniziava ad essere pericolosamente instabile.
Per gli ultimi due piani, aveva dovuto fare svariati tentativi e sempre più lunghi prima di riuscire a domare le fiamme.
Trasse un respiro profondo, chiuse gli occhi, svuotò la mente…
«Legilimens
Pronunciò l’Incanto a voce, sperando di conferirgli più forza, ma non accadde nulla.
Serrò i pugni e ci riprovò una seconda e poi una terza volta.
«E se non fosse qui?» chiese a quel punto Justin. «O se… se non fosse possibile contattare l’altro lato neanche così?»
«Non ho intenzione di arrendermi» sibilò Hermione a denti stretti.
«Legilimens
«Legilimens
«Legilimens
Sentiva la rabbia e la frustrazione prendere il sopravvento, sopraffarla, impossessarsi di lei…
«LEGILIMENS
E poi lo percepì.
Vento freddo, come se stesse volando…
Pensò che fosse proprio da Harry sognare una partita di Quidditch, ma almeno era un sogno in cui poteva giostrarsi, perché lo aveva visto giocare tante volte.
Lo individuò subito, ma non sapeva come raggiungerlo.
Forse bastava che lo pensasse, o… il boccino luccicò davanti a sé e Harry si diresse verso di lei in picchiata, rapido come un fulmine.
Lo afferrò e toccò terra, tra le urla che provenivano dagli spalti.
Hermione premette le labbra contro le sue orecchie.
«Harry, sono io, Hermione!» urlò, ma lui non sembrava dar segno di averla udita.
Poteva solo sperare che dall’altra parte, stesse in qualche modo carpendo il messaggio, che lo avrebbe ricordato al risveglio.
«Nella mia stanza. Appunti. IL CODICE DI SALAZAR.»
E poi tutto finì, lasciandola sola, piangente, circondata dal fuoco, con il corpo che minacciava di andare in pezzi da un momento all’altro.
Justin si piegò accanto a lei e la strinse in un abbraccio finché non smise di piangere, poi la sollevò, prendendola tra le braccia e cercò di fare quello che durante il tragitto d’andata aveva fatto lei: domare le fiamme.
«Non ho molte forze, né molta magia residua in me» mormorò mesto, «ma posso provarci. A meno che tu non voglia restare qui…»
«Se credi che Dennis non riproverà a farla finita, possiamo restare qui.»
Justin iniziò a far loro strada, finché non giunsero a metà Sala Grande e crollarono entrambi sul pavimento, completamente sfiniti, ma a due passi da Canon.
Erano tutti nello stesso punto, ora.
Forse, il giorno dopo, avrebbero potuto raggiungere anche Dayane…
Hermione alzò lo sguardo su Dennis e lo trovò in stato di shock.
«Io ho… provato a fermarla…» farfugliava confusamente, «ma… ha detto che non aveva intenzione di restare qui a impazzire per l’eternità… ero troppo debole per fermarla…»
Si voltarono nell’angolino su cui era rintanata Dayane, ma videro solo una spilla di Corvonero riflettere nell’argento le fiamme dell’Ardemonio che divampava attorno a loro.
 
***
Draco
 
Draco guardava torvo Weasley da quando aveva rimesso piede al dormitorio.
Erano d’accordo che sarebbe andato a chiamare la sorella, ma nessuno gli aveva chiesto di recuperare anche Adrian Pucey.
Non capiva neanche perché si impuntasse ancora sulla questione, visto che il giovane aveva più volte affermato di non avere alcuna intenzione di mettersi in mezzo nella sua relazione con la Granger, ma il fatto era che Draco continuava a non sopportarlo.
La sua attenzione, però, venne presto catturata da altro.
Ginny Weasley scese dalle scale che collegavano il dormitorio femminile alla Sala Comune con un’espressione funerea sul viso; era pallida e visibilmente agitata.
«A quanto pare, Hermione era un passo avanti a tutti noi», annunciò sospirando. «Come sempre.»
Posò un piccolo oggetto dalla forma rettangolare sul muro e quando con cautela lo riportò alle sue dimensioni normali, tutti i presenti trattennero il respiro.
Hermione aveva fatto le cose per bene; aveva lasciato loro tutte le sue scoperte più recenti, la traccia dei suoi ragionamenti e… una lista di sospetti.
Una lista di sospetti che fece raggelare il sangue nelle vene di Draco, perché erano tutti collegati a lui.
E al primo posto, spiccava la foto di suo padre.
Deglutì con forza, certo di essere divenuto bianco come uno straccio, quando gli altri si voltarono a guardare la sua reazione; lui si limitò a fissare la lavagna con sguardo vacuo, le mani chiuse in pugni ferrei.
Pucey si schiarì la gola.
«Vedo che ha lavorato molto nel giro di una mattina», commentò con malcelata sorpresa. «Quella ragazza è strabiliante.»
«Draco», avvertì la mano di Blaise sulla sua spalla un secondo dopo, forse pensando che sarebbe sbottato con Adrian per quell’affermazione, o credendo che avrebbe dato di matto nel vedere la foto di suo padre come sospettato principale, ma lui non aveva la forza per fare assolutamente nulla di tutto ciò.
Era sceso a patti con il fatto che Lucius Malfoy non fosse una brava persona anni prima e aveva capito che non era qualcuno da idolatrare durante la guerra, ma non pensava che potesse spingersi tanto oltre in nome di un ideale malsano, bigotto ed errato… o forse, al contrario, la sua assenza di sorpresa, provava che lo reputava perfettamente in grado di compiere un’azione di tale atrocità.
Ma cercare di uccidere la ragazza di cui suo figlio era innamorato…
«Sto bene», disse gelidamente, scrollandosi di dosso la mano di Blaise. «Cerchiamo di decifrare questa roba.»
Si sedettero sui divani a studiare le informazioni che Hermione aveva raccolto e un’ora dopo erano giunti alla conclusione che qualcuno, - probabilmente Lucius -, attraverso un aiuto interno, - quasi sicuramente Pansy o Nott -, aveva trovato e attivato il Codice di Salazar, il quale era un piano B del Fondatore qualora il Basilisco avesse fallito nella sua missione di uccidere i Nati Babbani nel castello. Il Codice, probabilmente, serviva a scagliare una Maledizione mortale che avrebbe colpito solo tali soggetti, ma Hermione non aveva lasciato indizi su dove reperire a loro volta il Codice o su come scoprire cosa riguardasse concretamente.
«Come facciamo a trovare qualcosa di cui nessuno ha lasciato testimonianza prima?» domandò Weasley con voce stridula. «Non sappiamo dove trovarlo, né se sia un oggetto o…»
«Grazie per averci deliziati con il tuo acume da quattro soldi, Weasel», sbuffò Draco, beccandosi più di un’occhiataccia.
«Senti, Malfoy. Capiamo tutti la pressione che senti addosso in questo momento, ma ciò non giustifica che tu ti rivolga alla gente in questo modo» lo canzonò Potter, irritato.
«Non sono sotto pressione, Potter, sto impazzendo!» ringhiò Draco, scagliando una sedia dall’altro lato della stanza.
«Teniamo tutti a Hermione e vogliamo tutti risolvere questa faccenda», mormorò Pucey con fare conciliante, le mani alzate in avanti. «Ma se vogliamo avere una possibilità di successo, dobbiamo mantenere la calma…»
«Non è la vostra ragazza quella sospesa tra la vita e la morte!» tuonò allora il biondino, «Non venitemi a dire come dovrei sentirmi, che mi capite o che dovrei calmarmi!»
«Ehi, Malfoy, Hermione è nostra amica da otto anni!» protestò Weasley e la frecciatina nel tono della sua voce lo colpì come un pugno nello stomaco.
Stava forse insinuando che lui non aveva il diritto di soffrire in quel modo?
«Weasel-»
«Zitti.»
La voce di Pucey era autoritaria mentre enunciava quell’ordine.
«Che cosa?» esclamarono in coro i presenti, ma il giovane si dimostrò irremovibile.
«Ho detto: chiudete la bocca
Draco tremava, se dalla rabbia, dall’ansia o dalla preoccupazione, non lo sapeva.
Il braccio di Adrian si chiuse attorno alle sue spalle e lui lo fissò con il naso arricciato, ma prima che potesse sputargli contro qualsiasi cosa, l’ex Serpeverde parlò di nuovo.
«Respira e vieni con me.»
Lo trascinò fuori dal dormitorio, in silenzio, e lo portò davanti alla porta della Stanza delle Necessità.
«Io non ci entro-»
«È l’unico posto dove posso farti sfogare, Malfoy» disse semplicemente lui, interrompendolo. «Quindi decidi, o ti calmi da solo o entri lì dentro, spacchi qualche manichino, butti fuori tutto quello che ti sta mandando in pappa il cervello, recuperi il controllo su te stesso e poi ritorni al dormitorio, dove potremo collaborare per capire cosa diavolo sta succedendo, riportare indietro quei ragazzi, salvare Hermione e mettere in sicurezza il resto dei Nati Babbani.»
Il biondino deglutì e una volta constatato che non riusciva a praticare l’Occlumanzia a dovere e che necessitava urgentemente di tornare lucido, perché doveva riprendersi la ragazza che amava il più presto possibile, decise di dare una possibilità alla trovata di Pucey.
«Posso venire con te, se vuoi.»
Draco scosse la testa.
Forse era arrivato il momento che imparasse ad affrontare i suoi demoni da solo.
 
*
 
«Nessuno può entrare in infermeria oggi.»
La voce della McGranitt era intransigente.
«Professoressa!» obiettarono lui, Harry e Ron all’unisono, ma la donna scosse il capo con fermezza.
«Credevo avessimo risolto questa-» fece per parlare Draco, ma la Preside alzò una mano e sospirò pesantemente.
«Andate in Sala Grande», disse stancamente, «ho un annuncio da fare.»
Il tono nella sua voce non gli piacque minimamente.
Qualsiasi cosa avesse da dire, non era niente di buono, il biondino ne era certo. Iniziò ad avvertire il panico impossessarsi di lui.
«Mi duole avvisarvi che questa notte c’è stato un decesso tra gli studenti colpiti dalla Maledizione, nonostante i nostri sforzi di tenere i pazienti al sicuro e nel cercare di guarirli.»
Rumore.
Fu tutto ciò che Draco sentì per un po’, mentre la McGranitt spiegava l’accaduto agli studenti.
A lui importava solo una cosa: il nome, lui voleva solo sapere il nome della vittima.
«…Dayane Haywood.»
Era una brutta persona come suo padre se aveva provato sollievo nel sentire quella notizia?
No”, si disse, “ma neanche una brava persona, visto che tutto ciò di cui ti importa in questa faccenda è che la Granger si salvi e sia al sicuro.”
Una persona.
Una persona in tutto il mondo era in grado di suscitare in lui abbastanza preoccupazione da costringerlo a fare qualcosa; il resto del mondo, per Draco Malfoy, poteva anche bruciare.
Si vergognò per un istante di quel pensiero; lei non sarebbe stata contenta di ciò.
Ma non lo avrebbe neanche saputo e comunque, in tal caso, non ne sarebbe stata sorpresa, perché Hermione, d’altronde, era consapevole della sua natura fin dall’inizio.
Si alzò di scatto e si precipitò fuori dalla Sala Grande, iniziando a correre a perdifiato; i polmoni gli pizzicavano quando raggiunse il bagno al secondo piano e vi entrò ansando.
«Non ora Mirtilla», tagliò corto, ignorando i lamenti indignati del fantasma che, alla fine, si lanciò in un gabinetto sparendo in uno splash misto alle sue urla stridule.
Si strappò via di dosso il mantello, rompendo il gancetto, e poi si liberò della sua cravatta e del gilet. Aveva una strana sensazione di déjà-vu, mentre si gettava acqua fredda sul volto e cercava di respirare, di non soccombere all’ansia, al dolore, alla preoccupazione… di non scoppiare a piangere.
Una parte di lui era fermamente convinta che quella fosse l’ennesima punizione per i suoi peccati e che, quella volta, ci fosse andata di mezzo anche la Granger, insieme a un numero ancora non quantificabile di innocenti.
Due morti.
C’erano stati due morti.
Due minorenni.
Gli sembrava di essere stato nuovamente scaraventato del mezzo del suo sesto anno al castello.
Quel senso di oppressione, il senso di colpa, la voglia di fuggire via da tutto e al contempo di dar fuoco a ogni cosa che gli capitasse a tiro, la solitudine, la consapevolezza che nessuno capisse veramente… la certezza di essere solo, che quella volta faceva ancora più male, perché adesso sapeva cosa volesse dire avere qualcuno accanto, solo che non era lì per sostenerlo. Avrebbe potuto non essere mai più al suo fianco per sostenerlo.
Come si era ridotto in quel modo, lui che non aveva mai avuto bisogno di nessuno, o così aveva sempre pensato? A dipendere in quel modo da una ragazza per mantenere la propria sanità?
Come era passato dallo schifare il resto del mondo, allo sperare che qualcuno semplicemente si avvicinasse a lui e gli stringesse la mano?
Come era possibile che la sua fidata Occlumanzia non gli stesse consentendo di chiudere fuori il miscuglio di sentimenti opprimenti e debilitanti che stava provando in quel momento?
Eppure, ne aveva bisogno, ne aveva dannatamente bisogno, perché lei necessitava che restasse focalizzato. Doveva scoprire cosa fosse il Codice e come fare a trovare una contro-Maledizione.
Mentre si sciacquava nuovamente il volto, Draco si scoprì a desiderare ardentemente che Piton fosse ancora vivo; lui avrebbe potuto aiutarli, avrebbe potuto avere delle informazioni, avrebbe potuto scoprire come trattare le vittime…
Sobbalzò, quando delle dita lunghe e affilate tracciarono il percorso lungo la sua spina dorsale; afferrò la bacchetta, riconoscendo immediatamente quel tocco malizioso e freddo allo stesso tempo e quando si voltò il viso di Pansy Parkinson apparve nella sua visuale.
Sorrideva.
«Draco.»
«Cosa vuoi?» le chiese gelidamente e lei mosse un altro passo avanti, afferrò i due lati del colletto della sua camicia, aperta sui primi bottoni.
Con un gesto della mano, allontanò quelle di lei da sé. «Non toccarmi.»
«Oh, andiamo» commentò lei sbuffando, ma con aria giocosa, come se fosse convinta per qualche motivo che lui stesse flirtando con lei.
«La tua Sanguemarcio ormai è andata, non hai più motivo di respingermi.»
Avvertì la rabbia travolgerlo come un’ondata di vento gelido.
«Lei non è andata» ringhiò, stringendo i denti. «E non chiamarla in quel modo.»
La presa sulla sua bacchetta si faceva sempre più ferrea.
«Quello che volevo dire è che ormai è fuori dai giochi…»
«Non c’è nessun gioco, Pansy!» gridò lui. «È su un letto d’ospedale, incosciente! Non è un fottuto gioco! Non lo è mai stato, quando cazzo vuoi svegliarti e capirlo?»
Lei, però, rise. «D’accordo, stai male…» accennò un altro passo verso di lui, «…ma sai benissimo che so come tirarti su.»
E poi provò ad avventarsi sulle sue labbra, ma lui le afferrò prontamente entrambi i polsi e girò il viso di lato. Quando lei si fu nuovamente ritratta da lui, tornò a guardarla, con gli occhi iniettati di rabbia.
«Non ci riprovare mai più.»
«Oh, Dray smettila di-»
«Pansy, non sto scherzando!» urlò, furente. «Tieni le tue sudicie mani lontane da me!»
Il palmo della ragazza colpì la sua guancia con un sonoro smack!
Draco non registrò l’avvenuto per qualche istante, poi espirò rumorosamente, narici dilatate e occhi ridotti a due fessure. Si inumidì le labbra lentamente.
«L’unica cosa sudicia qui è quella tua sporca Sanguemarcio, ma per fortuna non resterà in giro ancora per molto! Non la rivedrai mai più, maledetto stupido!» sibilò Pansy, guardandolo disgustata. «Sei tu che devi svegliarti! Lo sai che tanto alla fine finirai con me!»
La bacchetta del biondino balzò verso il petto della ragazza, che arretrò fino a sbattere contro la fredda parete.
Draco avanzò verso di lei con lentezza studiata, come un serpente pronto ad attaccare.
Avrebbe veramente voluto affatturarla, o maledirla, perché le sue parole lo avevano reso livido, ma al contempo… al contempo, avevano fatto scattare qualcosa nel suo cervello, riportandolo a una fredda lucidità. Chinò il viso sul suo orecchio, mentre la punta della sua bacchetta premeva contro la stoffa della divisa di Pansy.
«Sei completamente pazza se pensi che ti toccherei di nuovo» mormorò gelido. «E te lo giuro, Pansy, se tu c’entri qualcosa con tutta questa storia, te la farò pagare amaramente.»
Si ritrasse, continuando a fissarla con il naso arricciato e una smorfia di puro odio e disgusto stampata in volto; prese le sue cose e si diresse a grosse falcate presso il dormitorio dei Caposcuola.
Ripercorse quella conversazione nella sua testa più volte durante il tragitto.
Una volta giunto nella sua Sala Comune, Draco staccò la foto di Theodore Nott dalla lavagna.

 

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Capitolo 49
*** Capitolo 48. L'Elfo e il Burattino ***


CAPITOLO 48
L'Elfo e il Burattino







 
 
 
 

 

 
Draco
 
 «Quindi sei certo che Nott non c’entri nulla?» chiese Blaise per l’ennesima volta.
«Te l’ho detto, è solo una pedina nelle mani di Pansy.»
Per quanto la ragazza gli avesse fatto perdere le staffe, si era rivelato un incontro, o meglio scontro, estremamente proficuo quello che avevano avuto in bagno, perché finalmente avevano qualcosa da cui partire, qualcuno da poter manipolare finché non avrebbe vuotato il sacco…
Si rivolse a Potter e Weasley. «La Polisucco è pronta?»
«No», risposero all’unisono, affranti. «Non abbiamo avuto abbastanza tempo.»
Draco ringhiò. «Avremmo dovuto semplicemente acquistarne un po’ a Diagon Alley.»
«Non è che qualcuno di noi può lasciare il castello a proprio piacimento, Draco» considerò Daphne.
«Pucey sì» ammise a malincuore il biondino, rendendosi veramente conto, e forse per la prima volta, della risorsa che l’ex-Serpeverde rappresentava.
«Potremmo mandarlo ora» propose Ginny, «l’avremmo entro fine giornata.»
«No», considerò Draco. «Sono stato così impulsivo da minacciare Pansy. Lei sa che sospetto di lei, starà troppo attenta ora. Non è stupida come sembra.»
L’ombra dell’albero sotto cui si erano riuniti tracciava immagini inquietanti sul terreno umido.
«Quindi…» esordì Potter, esitante. «Malfoy, tu credi veramente che tuo padre possa c’entrare qualcosa?»
Il biondino trattenne il respiro per qualche istante, ma poi fece un cenno d’assenso col capo.
«Insomma, è scampato ad Azkaban per miracolo e adesso si mette a uccidere i Nati Babbani?» asserì Ginny, perplessa. «Non vi sembra un piano troppo stupido?»
Draco sospirò. «Lui…»
«…Lucius Malfoy è ossessionato dall’idea della purezza del sangue e con il retaggio della sua famiglia», gli venne in aiuto Blaise. «E…»
«…E Hermione rappresentava un pericolo per entrambe», concluse Daphne in un sussurro.
Il biondino strinse i pugni.
Quella era tutta colpa sua.
Quei morti gravavano sulla sua coscienza.
I Nati Babbani sospesi tra la vita e la morte erano in quello stato a causa sua.
Perché si era innamorato della Granger.
E ora, lei, a causa di quell’amore che neanche aveva chiesto, rischiava di morire.
«…Ma Draco e Hermione si sono messi insieme solo dopo Natale», fece notare loro Ron. «Insomma, gli attacchi sono iniziati prima…»
Draco corrugò la fronte, pensando che quella fosse una buona osservazione e che forse il cervello della Donnola non era poi così limitato.
«Le lettere» disse all’improvviso il giovane, facendo mente locale e collegando il periodo di inizio degli attacchi con il momento in cui i suoi genitori avevano iniziato a tartassarlo di lettere nelle quali gli chiedevano di allontanarsi da tutti loro. «Mi mandavano delle lettere, perché non approvavano che andassi in giro con voi.»
«Continuo a non capire come tuo padre possa aver pensato di fare una strage di Nati Babbani solo perché hai iniziato a frequentarci», ammise Blaise, confuso.
«Quello e la mia pubblica dichiarazione di non voler più seguire la linea purosanguista, il mio totale rifiuto di assecondarlo, forse per la prima volta nella mia vita e… le voci al castello sul mio rapporto con la Granger, che hanno iniziato a diffondersi quando la gente ha notato che lavoravamo insieme in quasi tutte le classi…»
«Un po’ di gossip e lui mette in moto un piano del genere?» asserì Potter, a metà tra il disgustato e il perplesso.
Draco scrollò le spalle. «Ci ha già provato una volta e non c’era nessun gossip in giro che minasse al suo adorato albero genealogico Purosangue.»
Il riferimento alla Camera dei Segreti e alle vicende del secondo anno non sfuggì a nessuno; vide la piccola Weasley irrigidirsi a quelle parole e per la prima volta si domandò dove avesse pescato il coraggio di ritornare in quel posto per una stupidissima festa.
Grifondoro”, pensò, trattenendo a stento uno sbuffo.
Avrebbe tanto voluto sapere dove trovassero tutto quel coraggio, perché lui ne aveva dannatamente bisogno. Avrebbe voluto scoprirlo prima della sua lunghissima lista di sbagli e atti vili e codardi…
Un gufo pressocché anonimo gli finì contro il petto, distraendolo dai suoi pensieri. Le sue sopracciglia scattarono all’insù, mentre sfilava una missiva indirizzata a lui.
Stava già per buttarla via, riconoscendo la calligrafia elegante della madre, quando notò che era stata sigillata con l’emblema dei Black e non con lo stemma dei Malfoy.
La cosa lo incuriosì abbastanza da fargliela aprire, ma non vi era alcuna lettera al suo interno, solo un paio di frasi che lui lesse ad alta voce:
«“Se devi chiedere, non lo saprai mai. Se lo sai, devi solo chiedere.”»
Potter scattò sull’attenti. «La Stanza delle Necessità.»
§
Draco era ancora estremamente perplesso nei riguardi dell’indizio che sua madre gli aveva mandato. Sempre che fosse realmente un suggerimento.
Non poteva semplicemente dirgli cosa cercare?
A meno che… a meno che non temesse di essere tenuta d’occhio.
A meno che non volesse evitare di rischiare di allertare Lucius.
A meno che non avesse scoperto qualcosa e non volesse far capire a Lucius di aver appreso quello che stava facendo.
Forse sua madre non era coinvolta, dopotutto. Non aveva preso il Marchio durante nessuna delle due guerre, non aveva mai ucciso nessuno in prima persona… forse, come lui, non ne era mai stata capace, non ne aveva mai avuto l’intenzione, né la volontà.
Passeggiavano davanti alla Stanza da quasi due ore, cercando di capire cosa diavolo dovessero chiederle di mostrargli, ma si stava rivelando un’impresa impossibile fare la richiesta corretta.
Weasley sbuffò. «Davvero?» esclamò esasperato al ventesimo tentativo. «Questa è solo una dannatissima stanza vuota!»
«Merlino» commentò Blaise con fare drammatico. «Abbiamo rotto la Stanza delle Necessità!»
Daphne ruotò gli occhi. «Non è il momento di fare lo scemo, Zabini
«Non chiamarmi per cognome, Greengrass
«Non è una stanza vuota», disse alla fine Potter. «Guardate.»
Indicò una cunetta quasi nascosta alla vista che Draco non aveva la minima idea di come avesse fatto a notare.
«Cosa sarebbe?»
Il Prescelto si avvicinò ad essa e tirò qualcosa, rivelando una specie di giaciglio improvvisato.
«Oh», soffiò Ronald. «È simile al covo di Kreacher prima che gli diventassi simpatico.»
Potter annuì. «Malfoy, quanti elfi possiede la tua famiglia?»
«Due», rispose prontamente lui. «Trixy, che è mia, e Tinky, che è l’unico elfo sopravvissuto a Voldemort e… appartiene a mio padre.»
Strinse il labbro inferiore tra i denti con forza, mentre all’improvviso capiva come avesse fatto Lucius ad ottenere tutte quelle informazioni su di lui, il perché si sentisse costantemente osservato, anche quando, di fatti, non c’era nessuno a poterlo guardare… aveva sempre incolpato le occhiatacce della gente per quella sensazione, ma a volte ne aveva avvertito il disagio anche quando era da solo con Hermione al dormitorio.
Chiamarono Trixy e Kreacher all’unisono e ordinarono loro di trovare Tinky immediatamente e di portarlo al dormitorio dei Caposcuola.
Cinque minuti dopo, erano seduti in Sala Comune, in un’inquieta attesa.
Scattarono tutti in piedi quando il ritratto si aprì, ma l’unico a fare il suo ingresso nella stanza fu Pucey, che aggiornarono immediatamente raccontandogli gli ultimi risvolti del caso e poi, finalmente, ottennero delle risposte in merito alla ragazza che era morta.
«A quanto pare ha letteralmente preso fuoco all’improvviso», gli spiegò rabbrividendo. «Senza alcun mezzo per farlo… era immobile e addormentata, d’altronde. Ma qualsiasi cosa sia accaduto, ha radici oscure, perché non riescono a sistemare il punto in cui è accaduto, né a rimuovere il segno della bruciatura.»
Draco strinse i pugni.
Quanto tempo avevano a disposizione?
Quella ragazza era arrivata in infermeria poco prima che ci finisse anche Hermione, Dennis era lì quasi dall’inizio dell’anno, Justin da Natale… stando a quegli sviluppi, non c’era alcuna correlazione temporale con quello che accadeva alle vittime.
Un pop! più sonoro del solito lo distrasse da quei ragionamenti.
Trixy e Kreacher tiravano Tinky per le braccia, strattonandolo a destra e manca, indecisi se portarlo da Potter o da lui.
«Tenetelo fermo», ordinò Draco, avvicinandosi all’elfo.
Lo guardò con gli occhi ridotti a due fessure, poi sibilò soltanto un gelido: «Parla
«Paroncino Malfoy, signore! Perché ha mandato due elfi pazzi alle costole di Tinky? Tinky ha fatto qualcosa di male, signore?»
«Tinky sa perfettamente di aver fatto qualcosa di male» sibilò il biondino, che stava veramente perdendo la pazienza a quel punto. «Il punto è che non so bene cosa. Mi hai spiato fin dall’inizio dell’anno scolastico, Tinky, non è vero?»
«Tinky non sa di cosa sta parlando il padroncino!»
«Hai riferito a mio padre ogni mia singola mossa da quando ho rimesso piede al castello, non è vero?» ruggì allora, alzando il tono della voce. «Parla, dannato elfo!»
La creatura squittì. «Tinky non può, signore!» trillò con gli occhi improvvisamente acquosi. «Tinky non può!»
«Lo prendo per un sì», decise allora Draco.
Adrian si fece avanti e iniziò a porgli una serie di domande da Auror a cui l’elfo si ostinava a dare risposte evasive, vaghe o inconcludenti.
«Ascolta, dannato elfo», ringhiò spazientito il biondino. «O mi dici come stanno le cose o ti giuro che appena passerai a mio nome, la prima cosa che farò sarà liberarti.»
Probabilmente Hermione avrebbe provato a liberarlo ugualmente, ammesso che a quel punto si fosse risvegliata, ma l’elfo non lo sapeva, per cui la minaccia sussisteva.
Un suono stridulo lasciò la gola di Tinky e le sue orecchie si abbassarono; tirò su col naso e poi, finalmente, ammise di averlo spiato e di aver fornito informazioni a Lucius.
«E poi?», lo incalzò Adrian, tendendosi verso di lui. «Quali altri compiti ti ha assegnato Lucius Malfoy?»
L’elfo emise un suono lamentoso e implorante, però, sotto lo sguardo severo di Draco, cedette ugualmente. «Tinky doveva assicurarsi che le lettere finissero in mano alla signorina Parkinson» rivelò piagnucolando. «E Tinky doveva portare le risposte al padrone immediatamente.»
Draco rilasciò un sospiro greve.
Allora era vero, era tutto vero.
I responsabili di quella faccenda erano suo padre e Pansy.
Il che significava che Hermione era in quello stato per colpa sua.
§
«Potter, il tuo elfo è maledettamente scorbutico», commentò Draco, accigliato.
Il Prescelto fece spallucce. «Apparteneva ai Black, che ti aspettavi?»
Il biondino represse a stento una risposta acida. «Beh, Trixy apparteneva a Bellatrix…»
«…Ed è traumatizzata probabilmente a vita», concluse Weasley, sollevando un sopracciglio come se volesse sfidarlo a ribattere.
Draco si limitò a grugnire.
Ci avevano messo un bel po’ per impedire a Tinky di farsi del male; alla fine, dopo una strenua lotta, erano riusciti a convincerlo, rigirando le parole, che non aveva affatto disobbedito a un ordine diretto e gli avevano ordinato di restare al castello, lasciando Trixy e Kreacher di guardia.
Pucey era andato a prelevare Pansy dalla Sala Comune di Serpeverde.
Il biondino si sentiva impaziente; i nodi stavano finalmente venendo al pettine, sperava solamente di essere ancora in tempo, di poter riabbracciare Hermione il più presto possibile. Voleva stringerla a sé e non lasciarla andare mai più.
La voce di Astoria che litigava con Sir Cadogan li riportò tutti alla realtà; quando le garantirono l’accesso al dormitorio, lei li guardò tenendosi lo stomaco con una mano e poi parlò, senza fiato: «Vi vogliono nell’ufficio della Preside.»
Scattarono all’unisono e cominciarono a correre a perdifiato per i corridoi.
«Api frizzole», disse Draco, che giunse al grosso gargoyle di pietra per primo.
In quanto Caposcuola e quindi tramite diretto tra studenti e Preside, gli veniva comunicata la parola d’ordine ogni volta che cambiava.
Si affrettarono sulle scale e quando raggiunsero l’ufficio della McGranitt trovarono Pansy che sedeva su una poltrona, ammanettata con dei bracciali inibitori di magia, i capelli spettinati come se avesse provato a dare battaglia e l’aria furente.
«Siete arrivati appena in tempo», esordì la McGranitt, tendendo verso di loro l’autorizzazione del Ministero a quanto stavano facendo in quel momento. «Le abbiamo appena somministrato il Veritaserum.»
§
Attesero per qualche minuto che la pozione facesse il suo effetto, tempo durante il quale Pansy e Draco si osservarono vicendevolmente in cagnesco, poi, finalmente, Pucey iniziò a fare le domande.
«Per il verbale: Nome e cognome?»
«Pansy Parkinson.»
«Anni?»
«Diciannove, stupido! Come se non lo sapessi…»
Pucey la ignorò. «Casa e anno di studio?»
Pansy alzò gli occhi al cielo. «Ottavo anno, non per mia scelta. Serpeverde.»
«Bene, Pansy», disse poi il giovane, «Perché non inizi a parlare?»
Lei sollevò un sopracciglio.
«D’accordo, ti farò io le domande allora», proseguì lui, poggiando la schiena alla scrivania e incrociando le braccia al petto.
Draco voleva che si sbrigasse; sentiva Potter e Weasley fremere accanto a sé e capì che anche loro stavano perdendo la pazienza. La piccola Weasley si azzardò persino a sbuffare.
«Perché non ci descrivi il tuo rapporto con Lucius Malfoy?»
Blaise emise un gemito disgustato per quella scelta ambigua di parole e Draco vide Daphne ruotare gli occhi e tirargli una gomitata. L’allusione per poco non gli provocò un conato di vomito.
«Abbiamo scambiato delle lettere…»
«In cui vi dicevate cosa?»
Pansy arricciò il naso, cercando di non parlare, ma non riusciva a resistere alle pozioni che le avevano somministrato.
«Mi stava dando informazioni», rispose a denti stretti. «Avevamo un patto.»
«Ovvero?»
La McGranitt tamburellava con le dita sul suo stesso avambraccio, mentre seguiva l’interrogatorio con occhio vigile e le orecchie aguzzate.
«Io lo avrei aiutato e lui mi avrebbe garantito un contratto di matrimonio con Draco.»
Il biondino strinse i pugni e per poco non tirò fuori la bacchetta; lo sguardo di Pucey su di sé, fermo e ammonitore, lo indusse a restare al suo posto.
«Cosa dovevi aiutarlo a fare, Pansy?»
La ragazza gemette e divenne rossa nel tentativo di desistere dal rivelare quelle informazioni, ma cedette una seconda volta. «Dovevo attivare il Prisma di Salazar.»
«Il cosa?» chiesero tutti insieme i presenti e in quel momento, Pansy rinunciò definitivamente a resistere, optando invece per esternare il suo compiacimento per il lavoro svolto fino a quel momento.
Un ghigno malvagio apparve sul suo viso. «Credevate sul serio che il suo unico piano fosse quello di far strisciare un enorme serpente per il castello e mandarlo a caccia di Nati Babbani? Che non avesse elaborato un piano B nel caso in cui il Basilisco avesse fallito?»
Draco ringhiò di frustrazione. Quelle erano informazioni che loro avevano già! Desiderava che quell’arpia si desse una mossa, che gli spiegasse come svegliare le vittime della Maledizione, così da poter andare via e non doverla mai più vedere.
«Spiegati, dannazione!» gridò, sbattendo le mani sulla scrivania con forza.
Pansy gli rise in faccia.
La mano della McGranitt si posò sulla sua spalla, fermando il suo fremito. «Signor Malfoy, se intende restare qui, e immagino che lei lo voglia,», gli sussurrò, «le consiglio di sforzarsi di mantenere la calma.»
Draco inspirò ed espirò a fondo, poi si leccò il labbro inferiore. «Le mie scuse», sibilò serrando la mascella.
«Spiegati, signorina Parkinson», la incitò allora Adrian.
«Secondo la leggenda, Salazar Serpeverde ideò il Prisma subito dopo aver abbandonato Hogwarts, lasciandolo in eredità a suo figlio. Si dice che una notte sia riuscito a reintrodursi nel castello senza farsi notare, essendo un Fondatore sapeva perfettamente come aggirare le protezioni e muoversi in incognito…»
Il biondino era fermamente convinto che Pansy la stesse portando alle lunghe con l’intento di farli innervosire, ma si obbligò a non interromperla, non aveva bisogno di allungare ulteriormente i tempi, né voleva rischiare di essere mandato via.
«…Si diceva che avesse lasciato da qualche parte nella Camera dei Segreti un Codice runico che, se riprodotto sul Prisma, lo avrebbe attivato e che poi si sia assicurato che l’oggetto venisse tramandato di generazione in generazione, così che il suo Erede potesse adempiere al suo volere, se il Basilisco non fosse stato sufficiente. Ovviamente, il Signore Oscuro non ha eredi, ma caso vuole che quella stupida Magonò di sua madre avesse venduto il Prisma in cambio di denaro, ignara del suo potere e valore immenso, ad un quindicenne Abraxas Malfoy, in quel periodo a casa durante le vacanze di Natale.»
Draco arricciò il naso, provando un improvviso moto di disgusto per la sua intera linea di predecessori.
«Questo, ovviamente, ha portato il Prisma dritto nelle mani di Lucius Malfoy…»
Lo fissava mentre raccontava quelle cose, lo sfidava con lo sguardo e lui stava impiegando tutte le sue energie per non reagire in alcun modo a quelle provocazioni esplicite.
«Come ha fatto a sfuggire ai controlli del Ministero un oggetto del genere?» mormorò Ron, allibito.
Pansy non sembrò badare al fatto che la domanda le fosse stata rivolta da un altro e non da Pucey e che quindi non fosse obbligata a rispondere.
«Il signor Malfoy è scaltro e lungimirante, lo ha nascosto nella Stamberga Strillante durante la Battaglia di Hogwarts, giusto per precauzione.»
Draco vide Weasley e Potter scambiarsi uno sguardo scioccato a quell’informazione.
«E poi ha detto a me come recuperarlo qualche mese dopo l’inizio dell’anno scolastico, quando le voci sul fatto che Draco andasse in giro con la Sanguemarcio Granger sono arrivate alle sue orecchie.»
Il biondino le scoccò un’occhiataccia furente e disgustata e persino Pucey dovette stringere i pugni e appellarsi al proprio autocontrollo nel sentirle parlare di Hermione in quei termini.
«Come ha trovato il Codice, signorina Parkinson?» s’intromise la McGranitt a quel punto, incalzandola a parlare, forse temendo che l’effetto del Veritaserum si esaurisse.
Pansy sorrise. «Questi idioti hanno organizzato una festa di Halloween clandestina nella Camera dei Segreti, a cui, ovviamente, io non ero invitata, ma sono riuscita ugualmente ad andarci, Confondendo una ragazza di Tassorosso e assumendo le sue sembianze con la Pozione Polisucco.»
Madama Chips, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, rivelò: «C’è stata una ragazza di Tassorosso che l’uno novembre si è presentata in infermeria in stato confusionale, Minerva. Ricordi?»
La Preside annuì.
«Vai avanti», ruggì Potter, rivolto a Pansy. Draco notò che gli tremavano le mani dalla rabbia.
«Una volta nella Camera, ho trovato il Codice di Salazar, mentre tutti erano distratti dalla scenata di Draco che afferrava la Granger mentre ballava con Steeval. Tutti gli occhi erano puntati su di lui che la trascinava via dalla festa, così ho avuto via libera. Ho attivato il Prisma quella sera stessa.»
Adrian si tese ulteriormente verso l’interrogata. «Dove si trova l’oggetto?»
«Nella Camera dei Segreti, attualmente. Proprio nel mezzo della “bocca” di Salazar Serpeverde, nascosta alla vista dal buio garantito dalla profondità del foro.»
«Cosa volevate ottenere da tutto questo?» chiese ancora Pucey, iniziando ad agitarsi.
Pansy inchiodò Draco con lo sguardo e un ghigno crudele le si aprì sul viso. «Che la Sanguemarcio morisse.»
E Draco scattò. Si scagliò contro di lei in un lampo, gridandole i peggiori insulti, dimenandosi, mentre le mani di Potter, Weasley e Blaise lo trattenevano e cercavano di tirarlo indietro.
«Non ho finito, Malfoy!» urlò Pucey e qualcosa nei suoi occhi dovette convincerlo ad acquietarsi per altro un po’.
«Come si disattiva? Come si annulla la Maledizione?» chiese, suonando quasi disperato.
Pansy ridacchiò e tornò nuovamente a guardare Draco. «Non si può. I Sanguemarcio che ne sono già caduti vittima oramai hanno solamente due opzioni: dormire finché il loro corpo non si deteriorerà o lasciarsi consumare dall’Ardemonio.»

 

 

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Capitolo 50
*** Capitolo 49. Il Prisma e il Codice di Salazar ***


CAPITOLO 49
Il Prisma e il Codice di Salazar







 
 
 


 
Draco
 
Si ritrovò nel corridoio, a qualche passo dal gargoyle, premuto contro il muro dalle braccia Blaise. Doveva aver urlato molto, perché la gola gli faceva male. Riusciva ad avvertire un’unica, singola, emozione che aveva soffocato tutte le altre: disperazione.
Se Pansy aveva detto la verità, ed era sotto Veritaserum quindi le probabilità che le cose stessero davvero così erano altissime, non avrebbe potuto risvegliare Hermione.
Se Pansy aveva ragione e quella sua affermazione non era data solo dalla quantità di informazioni in suo possesso, Hermione era veramente andata.
Si rese conto solo in quel momento di aver basato la sua esistenza futura sulla presenza della strega nella sua vita; si sentiva come se non sarebbe mai stato in grado di andare avanti se l’avesse persa davvero. Ed era tutta colpa sua, perché nulla di tutto quello sarebbe accaduto se si fosse tenuto lontano da lei.
Si scoprì a provare una forma d’odio del tutto nuova verso suo padre, quell’uomo che avrebbe dovuto tenere a lui e che invece lo aveva mandato all’inferno quando aveva solo sedici anni e che, non contento, aveva deciso di portargli via anche il suo futuro, quella poca felicità che era riuscito ad avere, la ragazza che amava.
E poi odiò anche sé stesso, per aver pensato, in tenera età, che fosse una persona da ammirare, per aver cercato di essere come lui, per aver provato orgoglio nell’essere suo figlio. Desiderava con tutto sé stesso che venisse mandato ad Azkaban, che ci restasse per il resto della sua vita. Se lo meritava. Se Hermione non avesse potuto avere il futuro glorioso e felice che meritava, Lucius avrebbe dovuto pagare per i suoi crimini e amaramente, anche.
E Draco… Draco avrebbe trascorso il resto della sua esistenza colpevolizzandosi per quanto accaduto, struggendosi per il desiderio di rivederla, tormentandosi con i loro ricordi e con la promessa di una vita serena insieme che non avrebbero mai avuto.
«Malfoy?»
Potter lo guardava con un sopracciglio sollevato.
Forse aveva smesso di gridare senza neanche rendersene conto.
Lo avevano trascinato fuori dall’ufficio della McGranitt subito dopo la fine dell’interrogatorio a Pansy Parkinson, quando era stato travolto da una rabbia cieca e dalla disperazione più totale per le rivelazioni finali della ragazza.
Il suo respiro era affannoso e frammentato, mentre Potter scostava Blaise e avvicinava il viso al suo; quando gli parlò, lo fece scandendo molto lentamente le parole.
«Ascolta, non importa quello che ha detto la Parkinson», sussurrò cautamente, «noi troveremo una soluzione, d’accordo? Non ci arrenderemo, continueremo a cercare finché Hermione non sarà di nuovo sveglia e tra noi.»
Draco non era mai stato propenso a crogiolarsi in false speranze e nell’illusione del “tutto andrà bene”, ma quella volta, non aveva alcuna scelta, doveva crederci, se avesse voluto sopravvivere. Quella volta, doveva di nuovo credere che il Prescelto avesse ragione, che alla fine avrebbero avuto successo.
«Pansy era sotto Veritaserum, ma non è detto che le cose stiano davvero come sostiene lei» considerò Blaise. «Potrebbero essere vere per le informazioni che ha. Potrebbe non sapere qualcosa. Non tutto è perduto, amico.»
Sentì il tocco delicato di Daphne sulla sua spalla e i suoi occhi incrociarono il suo sorriso incoraggiante. Era pallida anche lei e si reggeva con un braccio incrociato a quello della piccola Weasley, come se stessero tentando di sostenersi a vicenda.
Ronald e Astoria erano seduti sul pavimento qualche passo più in là, con il rosso che aveva il capo sprofondato nel petto della ragazza e lei che gli accarezzava i capelli con fare consolatorio.
Draco si chiese come facesse Potter a restare così lucido.
Sangue freddo e fibra morale.
Silente glielo aveva detto più volte, pubblicamente.
Provò, per la prima volta dopo tanto tempo, una punta di invidia nei suoi confronti; lui era un Occlumante provetto, eppure il Prescelto restava più lucido di lui in una situazione del genere.
Draco la pressione non l’aveva mai gestita bene; era un’abilità che, con suo sommo dispiacere, non aveva mai posseduto. Ma d’altronde, rifletté, era lui che rischiava di perdere l’amore della sua vita.
Si sforzò di annuire e di liberare la mente.
Hermione aveva bisogno che si concentrasse sul trovare una soluzione, per quanto disperata e persa fosse la loro situazione al momento.
Respirò a fondo e poi la sua attenzione venne catturata da un gruppo di Auror che si dirigeva verso l’ufficio della Preside, accompagnati dal Ministro Shacklebolt in persona.
Dieci minuti dopo, scortavano Pansy lungo il corridoio e Kingsley consegnava una pergamena a Pucey, probabilmente un mandato autorizzato, ordinandogli di andare a prelevare Lucius Malfoy dal Manor e di portare Narcissa Malfoy al Ministero per svolgere un interrogatorio regolare.
Draco tenne gli occhi fissi su Pansy, la bocca arricciata in una smorfia carica di rancore, disgusto e puro odio.
La ragazza strattonò il braccio sinistro di uno dei due Auror che la tenevano in sicurezza e si fermò proprio davanti a lui.
Restò in silenzio per qualche istante, poi assottigliò gli occhi. «Perché lei?» gli chiese solamente. «Io ho tutto quello che dovresti volere. Sono bella, Purosangue, ho ricevuto un’educazione aristocratica e sono ricca. Ti sono sempre stata vicino. Perché lei?»
Il biondino avrebbe voluto urlarle contro una serie di insulti, riversare su di lei tutto quello che stava provando, ma gliene mancarono le forze.
«Lei ha tutto quello che tu non hai e non avrai mai.»
Pansy sollevò un sopracciglio. «Ovvero?»
«La purezza, la bontà, l’intelligenza» sussurrò lui, con voce assente. «La capacità di amare veramente, persino un essere danneggiato e tormentato come me.»
La giovane rise. «Da quando ti importa dell’amore?»
«Da quando ho scoperto di essere in grado di provarlo e soprattutto di darlo. Da quando lei mi ha detto che crede che io possa meritare di averlo nella mia vita.»
Pansy fece ruotare gli occhi. «Stai diventando veramente patetico.»
Draco scosse lentamente la testa. «E comunque Pansy… lei è bellissima» aggiunse, per poi scoccarle un’occhiata così gelida che, ne era sicuro, le fece capire immediatamente che la frase successiva che stava per lasciare le sue labbra avesse un’unica funzione: distruggerla internamente.
«Non penso di doverti ricordare quello che hai dovuto fare per riavere la mia attenzione al Ballo del Ceppo.»
§
Draco si trascinò in infermeria a fatica.
Dopo tutto quello scalpitare e urlare e quelle rivelazioni scioccanti, dopo una notte in bianco trascorsa a colpevolizzarsi, si sentiva ormai svuotato.
Aveva lasciato andare avanti Potter e Weasley, perché lui non era pronto a rivederla in quel letto con la consapevolezza di essere la causa di quello che le era capitato, ma alla fine si era obbligato a muovere i piedi e ad andare da lei.
I muscoli del suo corpo si tesero quando il suo sguardo si posò sulla grossa macchia nera che ricopriva una vasta porzione di muro e pavimento dell’infermeria, nel punto dove prima c’era una brandina, la stessa su cui era giaciuto in prima persona quando al terzo anno Fierobecco l’Ippogrifo gli aveva ferito un braccio.
Deglutì con forza e riprese a camminare, raggiungendo il capezzale di Hermione. Si lasciò sprofondare nella poltrona accanto al letto e si avvicinò alla ragazza; posò la fronte sul suo corpo inerte.
«Mi dispiace», sussurrò. «Questa è tutta colpa mia. Avrei dovuto… avrei dovuto starti lontano, era quello il modo migliore per proteggerti, ma sono un maledetto egoista Hermione… Tu non meriti questo.»
La ragazza restò sorda a quelle sue parole miste a lacrime amare.
«Abbiamo trovato i colpevoli, ma tu lo sai già perché avevi capito tutto fin dall’inizio. Abbiamo scoperto come funziona il Codice, cosa fa… Pucey ha recuperato le rune e l’oggetto catalizzatore della Maledizione dalla Camera dei Segreti. Hanno organizzato un gruppo di ricerca… capiremo come portarvi indietro.»
Sperava solo che lei potesse sentirlo, che le sue parole potessero rassicurarla… ma l’espressione sul suo viso rimase carica di dolore.
Stava soffrendo? Per tutti quei giorni, lei era stata costretta a una perenne agonia?
Non aveva molto tempo, doveva tornare al gruppo di traduzione di Rune Antiche per risolvere il mistero del Codice di Salazar e cercare di dedurre come disattivarlo in sicurezza; la professoressa Babbling e gli studenti dell’ultimo anno si erano messi a disposizione per indagare in tal senso e lui restava lo studente migliore, in assenza della Granger.
«Signor Malfoy», lo chiamò la voce della McGranitt, arrivando quasi ovattata alle sue orecchie. «Dovrebbe venire. C’è stato uno sviluppo.»
Draco corrugò la fronte, ma si alzò immediatamente; strinse forte la mano di Hermione e la guardò per qualche secondo, per poi seguire la Preside in silenzio.
Aveva passato ore a osservare il Prisma, cercando di capire come funzionasse; insieme alla professoressa Vector, avevano cercato di svelarne i misteri attraverso l’uso dell’Aritmanzia e della Geometria magica, ma quello restava immutabile.
Non potevano arrischiarsi con tentativi privi di supporto teorico, perché se lo avessero distrutto e la Maledizione fosse rimasta attiva, tutti quei Nati Babbani sarebbero morti.
Hermione sarebbe morta.
«La signorina Lovegood e il signor Steeval hanno fatto una scoperta straordinaria oggi, nella Sala Comune di Corvonero» annunciò la McGranitt quando ebbero raggiunto Weasley e Potter. «Hanno trovato la Biblioteca Segreta di Priscilla Corvonero.»
Draco aguzzò le orecchie. «Possiamo avervi accesso?»
Quello poteva essere un punto di svolta.
Lì dentro, nell’ennesima stanza nel castello che avrebbe dovuto essere solo una leggenda, potevano esserci le risposte e le soluzioni di cui avevano bisogno.
Per un momento, però, si concesse di immaginare l’espressione sul viso di Hermione quando le avrebbe riferito della Biblioteca di Corvonero… perché finalmente, intravedeva uno spiraglio di luce, la speranza di riaverla indietro.
La McGranitt annuì. «Il gruppo di ricerca è già lì, se volete seguirmi…»
§
La versione più giovane di sé avrebbe avuto tanto da ridire se avesse scoperto che sarebbe finito in un angolino a consultarsi con Luna Lovegood nel tentativo di salvare Hermione Granger, di cui era perdutamente innamorato.
Avevano trascorso un giorno intero nella Biblioteca di Corvonero alla ricerca di libri che li aiutassero nella decifrazione di quelle rune, - Draco non era veramente sorpreso della bravura della Lovegood in materia, perché per qualche motivo quell’abilità le si addiceva -, e si erano fermati a lavorare per tutta la notte alla loro traduzione.
Nel frattempo, Potter e Weasley avevano trovato un libro consunto dal titolo ormai illeggibile, - Draco sospettava che quella fosse l’unica copia esistente di quel volume -, scritto a mano probabilmente dalla stessa Fondatrice di Corvonero, che spiegava come funzionasse la Maledizione.
A quanto pareva, creava una dimensione onirica che si alimentava dalla forza vitale e dalla magia delle persone intrappolate al loro interno e di quelle all’esterno che erano state designate e colpite come target; ciò andava a spiegare i sintomi che i Nati Babbani andavano mostrando prima che la dimensione onirica li chiamasse a sé, l’instabilità della loro magia, - Draco aveva riso più volte quando Hermione aveva fatto esplodere degli oggetti in momenti in cui l’aria tra di loro si era surriscaldata esponenzialmente, ma il ricordo non lo divertiva più perché ora sapeva che non era lui a farle perdere il controllo in quel modo, ma la Maledizione -, la perdita di controllo sul proprio corpo… Probabilmente, Salazar Serpeverde aveva modificato quella Maledizione affinché colpisse esclusivamente i Nati Babbani.
Due giorni dopo, finalmente, insieme alla Babbling, Steeval, Pucey e alla Lovegood, Draco riuscì a trovare e tradurre il Codice che gli avrebbe permesso di disattivare il Prisma.
Adrian aveva recuperato l’oggetto ed avevano inserito il codice di disattivazione; fino a quel momento, il Prisma era stato avvolto da una luce rossa intermittente, come se al suo interno contenesse una fiamma di Ardemonio, ma dopo l’inserimento del nuovo Codice, quello si spense totalmente, tramutandosi in un banalissimo esempio di geometria.
Potter gli aveva detto che gli ricordava un cubo di Rubik babbano, ma dalla forma prismatica, non che lui avesse capito di cosa stesse parlando, né nutrisse alcun interesse nel risolvere quel mistero. Aveva cose più importanti a cui pensare.
Madama Chips corse in infermeria un attimo dopo e i ragazzi la seguirono speranzosi; si consultò con l’equipe del San Mungo per qualche minuto e poi i Guaritori si affaccendarono sui pazienti addormentati e, dopo quelle che parvero ore, si affacciarono alla porta, dove il gruppo attendeva ansioso di avere notizie.
«Potete entrare.»
Draco deglutì con forza e il suo corpo si mosse spontaneamente, automaticamente, portandolo dritto da lei.
Si fermò per qualche istante nel mezzo della stanza quando la vide.
Hermione era sveglia, sempre molto pallida e dall’aria troppo stanca per aver dormito per giorni interi, ma non sembrava più in agonia e… gli stava sorridendo.
Il suo sorriso gli scaldò il cuore.
Le corse incontro e quando finalmente la raggiunse e la strinse a sé, Draco si infranse contro di lei, scoppiando a piangere, baciandola con disperazione e urgenza, ridendo assieme a lei per la gioia di aver messo un punto a quella storia.
«Hermione» continuava a ripetere il suo nome come se fosse una preghiera, mentre le sue labbra cercavano di sfiorare ogni punto scoperto della sua pelle e lei tentava di ricambiare la sua stretta, ma era talmente debole che tutto ciò che Draco riusciva ad avvertire era uno sfioramento gentile da parte delle sue dita tremanti.
Potter e Weasley furono al suo capezzale qualche istante dopo, forse perché avevano voluto concedere loro quel momento d’intimità, ma non erano più stati in grado di trattenersi.
«Hermione!» la salutarono in coro.
«Devi smetterla di finire in infermeria, dico sul serio» commentò ironicamente Ron e lei rise alla sua battuta.
«Ci proverò», rispose con voce rauca e debole, poi si rivolse a Potter. «Harry, grazie per fare schifo in Occlumanzia.»
Lui rise. «Ho capito subito che non era un sogno qualsiasi e che in qualche modo mi stavi incasinando la testa», disse grattandosi il naso. «Il boccino non si muove in quel modo, non posso crederci che dopo tutte le partite che hai visto, ancora non hai capito come funziona.»
«Beh, in mia difesa, per la maggior parte del tempo non lo vedo o sono troppo occupata a pregare che tu non venga buttato giù dalla scopa o colpito da un bolide, Harry.»
Le chiesero come stesse, cosa fosse accaduto, ma Hermione affermò di non essere pronta a parlare di quello che era successo dall’altra parte; in fondo, Justin e Dennis avevano già rilasciato la loro testimonianza alla McGranitt e il loro racconto doveva essere sufficiente a proseguire con le indagini e la costruzione del materiale per l’accusa nei confronti di Lucius e Pansy.
Quando le rivelarono che i suoi sospetti erano fondati, Hermione guardò Draco con un’espressione apprensiva che gli fece rivoltare lo stomaco; non capiva che era tutta colpa sua? Che era lui quello che doveva dispiacersi, che ancora una volta non meritava la sua preoccupazione, né tantomeno la sua compassione?
Potter e Weasley le spiegarono del Prisma, del Codice, della Biblioteca di Corvonero, - «Credete che la McGranitt mi concederà di visitarla?» -, della Maledizione… e poi Madama Chips si avvicinò a loro, dicendogli che era arrivato il momento di uscire dall’infermeria, ma che avrebbe concesso a uno di loro di restare.
Hermione intrecciò le dita a quelle di Draco e gli altri andarono via senza obiettare.
Stava fissando il punto con la macchia nera, quando l’infermiera parlò di nuovo.
«Signorina Granger, deve sapere che la Maledizione si nutriva della sua forza vitale e della sua magia…»
«Sì, quello lo avevamo capito», affermò Hermione debolmente.
«Oh, quindi eravate in contatto tra di voi… dall’altra parte?»
La Grifondoro annuì brevemente.
«Bene, ad ogni modo, nel suo caso le raccomandazioni sono le stesse degli altri, anche se è stata lì per meno tempo. Niente magia fino ai M.A.G.O., signorina Granger.»
«Che cosa?» protestò lei, ma Madama Chips fu irremovibile.
«Deve lasciare il tempo al suo corpo e al suo nucleo magico di ristabilirsi, signorina Granger. È essenziale, se vuole recuperare le sue normali funzionalità.»
Hermione sospirò, ma alla fine acconsentì.
Draco restò silente per diversi minuti quando si trovarono soli. Sentiva lo sguardo della giovane su di sé, indagatore.
«Quindi», mormorò dopo un po’, «hai davvero comunicato con Potter attraverso un sogno.»
Lei si morse il labbro inferiore. «Volevo venire da te», ammise in un sussurro. «Ma la tua mente è protetta da un muro d’acciaio e io avevo poche energie e non sono molto versatile in Legilimanzia, figurarsi a doverla esercitare senza bacchetta. Avevo solo una possibilità. Speravo di poterci riuscire con Harry perché… beh, Voldemort lo aveva fatto, in passato. Ho fatto affidamento sul mio lato presuntuoso» ridacchiò nervosamente mentre lo diceva, ma Draco annuì e basta.
Una parte di lui si era risentita della scelta della Granger di non contattare lui, ma Potter, pensando che si fidasse più dell’amico, però, riflettendoci aveva dovuto ammettere che lui al posto suo avrebbe fatto la stessa cosa, perché quella era tatticamente l’opzione migliore. Ma se solo Hermione avesse saputo quanto poco era riuscito ad Occludere in quei giorni, quanto sarebbe stato facile per lei insinuarsi della sua testa in quel periodo…
«Draco, stai bene?»
Il biondino quasi scoppiò a ridere. «Mi stai sul serio facendo questa domanda? Tu? A me
Lei gli sorrise. «Solo perché ero io quella bloccata qui, non vuol dire che per te sia stato una passeggiata.»
«Non lo fare, Granger» le disse serio. «Assolutamente no.»
«Smettila di autoflagellarti, Draco» sospirò esausta, ma lui scosse forte la testa e le scoccò un’occhiata accigliata.
«Smettila di essere schifosamente altruista, anche con chi non lo merita, Granger.»
 
***
Hermione
 
«Mi dispiace.»
Justin si voltò a guardarla, perplesso.
«Non volevi tornare al castello, ti ho convinto io a farlo» sospirò stancamente Hermione. «Ti avevo promesso che saresti stato al sicuro.»
E invece, probabilmente, lei era il motivo per cui adesso si ritrovava all’inferno.
«Non è colpa tua», la rassicurò lui. «Io… volevo tornare, in fondo, sai? Hogwarts è sempre la mia casa.»
Era successo tutto molto in fretta.
Un momento rannicchiata su sé stessa, con le gambe strette al petto e parlava con Justin, circondata dalle fiamme, quello dopo l’Ardemonio si era estinto bruscamente e lei si era ritrovata distesa su un letto d’ospedale, mentre veniva scossa da tremiti violenti.
«Signorina Granger», le disse la voce calda di Madama Chips, «bentornata.»
§
Venne dimessa qualche giorno dopo.
Draco continuava ad andare a farle visita in infermeria, ma era strano. C’era qualcosa nel suo comportamento, nel tono della sua voce, che le faceva pensare che stesse cercando, per qualche motivo, di mantenere le distanze.
Raggiunse il dormitorio dei Caposcuola del tutto intenzionata a fargli una sorpresa, ma quando provò ad aprire la porta della sua stanza e la trovò bloccata, Hermione sospettò che lui sapesse perfettamente che era stata autorizzata a tornare lì.
«Draco?»
Sapeva che era lì dentro, anche se nessun suono proveniva dalla stanza, perché le lezioni erano finite e non era con gli altri, li aveva visti tutti insieme in giardino da una finestra.
Sospirò e scosse lentamente la testa, mentre le lacrime minacciavano di fuoriuscire dai suoi occhi.
Voleva stare con lui. Voleva stringerlo, lasciarsi cullare dalle sue braccia, sentire il suo corpo contro il proprio, inebriarsi del suo profumo, avvertire la sua pelle sotto le dita.
«Draco…» sussurrò di nuovo e la sua voce si spezzò, impedendole di aggiungere altro alla sua fragile supplica.
La porta restò sigillata.
Hermione tirò su col naso e si diresse lentamente al ritratto, uscì dal dormitorio e corse alla Torre di Grifondoro. Aveva bisogno del conforto delle persone che amava ed  evidentemente Draco non voleva dargliene, ma lei non poteva restare nella loro Sala Comune ad aspettarlo, non quella volta.
«Mi sta evitando», mormorò sconsolata, stretta tra le braccia di Ginny.
«Si sente in colpa», le disse Ron sospirando. «Insomma, suo padre ha messo in moto tutta quella storia solo perché studiavate insieme…»
«Non lo hai visto in quei giorni», le raccontò Harry. «Era molto peggio del sesto anno, credo che lui non ricordi la metà delle cose che ha fatto o detto. Ha preso a pugni Nott e lui rammenta di averlo colpito solo una volta, ma non è stato così… Nott è rimasto a letto per tre giorni, dopo.»
«Era completamente impazzito, sembrava una specie di fantasma solido, ed era sempre sul punto di scattare» asserì ancora Ginny, «insomma, Nott è stato un cretino, perché nessuno sano di mente stuzzicherebbe Malfoy in un momento in cui è palesemente instabile e in preda alla rabbia, ma… Mione, aveva veramente perso la ragione.»
«Se è stato così male perché temeva di perdermi, perché ora mi evita?»
«Perché si sente responsabile per quello che ti è successo, forse» ipotizzò il rosso, «o teme che tu possa incolparlo e lasciarlo o odiarlo per questo.»
«Ma…»
«Hermione, sei tu quella che sa meglio di tutti noi come funziona la mente di Malfoy» commentò Harry, «e qualcosa mi dice che non la comprendi appieno neanche tu, come puoi aspettarti di capire che sta pensando se non ti parla? Lo sai che non ragiona come il resto degli esseri umani.»
«Appunto! Vorrei che almeno mi parlasse!»
Pensò di tornare al dormitorio e tirare fuori i diari, ma accantonò l’idea; quella volta, lei voleva sentire la sua voce. Hermione sapeva, però, che anche se fosse andata nuovamente da lui, non avrebbe fatto altro che scontrarsi contro un muro, così trascorse la notte alla Torre di Grifondoro, nel letto con Ginny, ma senza addormentarsi.
Restò immobile a fissare il soffitto, perché lei, ormai, aveva paura di chiudere gli occhi.
§
Stava male, fottutamente male.
Erano due giorni che Draco faceva di tutto per evitarla ed era stanca di piangere.
A quanto pareva, dormire per oltre una settimana non la risparmiava dagli effetti della mancanza di sonno e lei si rifiutava anche solo di chiudere gli occhi per più di qualche istante, perché temeva che se si fosse abbandonata tra le braccia di Morfeo non sarebbe riuscita a risvegliarsi.
Si era concentrata sulla ripetizione per gli esami, lavorando con Dennis e Justin per aiutarli con le materie in cui erano arretrati e per trovare un modo per prepararsi senza utilizzare la magia, visto che Madama Chips gli aveva proibito di usarla.
Nessuno di loro aveva voluto discutere degli eventi traumatici che avevano vissuto. Hermione ne era contenta; non si era aperta neanche con Harry e Ron, nonostante fosse consapevole che la McGranitt avesse riferito loro quello che Justin e Dennis le avevano raccontato.
I momenti più brutti erano quelli in cui si ritrovava da sola, perché a volte immaginava ancora le fiamme divampare per i corridoi, la disperazione che aveva provato quando era nella dimensione onirica; aveva il terrore di riprendere a sentire il sibilare minaccioso del Basilisco da un momento all’altro… e le mancava Draco.
Tutto il suo corpo sembrava provare dolore per la sua assenza.
Si distese sul divano e si portò le ginocchia al petto, rannicchiandosi sotto le coperte, tirate su fino a coprirle la testa; le lacrime bruciavano quando discendevano lungo le sue guance, ma lei non riusciva a fermarle.
Il rumore del ritratto che si apriva la fece sobbalzare e scattare a sedere.
Il biondino la fissava immobile dall’ingresso, pallido e smunto, e per un momento parve essere sul punto di fare dietrofront.
«Se te ne vai, Draco Malfoy, giuro che ti affatturo.»
Lui espirò sonoramente. «Non puoi usare la magia.»
«Raramente faccio quello che mi viene detto di fare.»
Draco assottigliò gli occhi, ma iniziò a camminare verso di lei, a passo lento. Lo vide deglutire quando la mise bene a fuoco; Hermione immaginava di avere una cera orribile.
«Perché mi stai evitando?»
La voce le uscì fuori come un gemito spezzato, lamentoso, totalmente diversa da come aveva intenzione di farla suonare. Non voleva fargli capire di essere ferita dal suo comportamento, né bisognosa della sua attenzione… eppure lo era come non mai.
Il Serpeverde aprì la bocca per parlare e poi la richiuse subito dopo; ripeté quel gesto per un paio di volte, ma alla fine sospirò, rassegnato. «Non ti sto evitando.»
«Draco, stai cercando di rompere con me?» gli chiese a bruciapelo. «Perché se è così, trova il coraggio di farlo parlandomi in faccia, non comportandoti in questo modo.»
L’occhio destro del biondino tremò leggermente a quelle parole. «Credo che sia la cosa migliore da fare», disse alla fine, con voce distante.
I suoi occhi erano limpidi e vuoti, come se avesse spento tutte le emozioni che era in grado di provare e non fosse altro che un guscio vuoto. Il tempo sembrò dilatarsi dopo quella risposta, fermarsi quasi, mentre il cuore della ragazza sprofondava nell’oblio più totale.
Hermione strinse il labbro inferiore tra i denti con forza, sperando che il dolore fisico le desse la lucidità necessaria ad affrontare quel discorso senza scoppiare a piangere, senza soccombere al dolore che stava provando all’altezza del petto.
«Per chi?» sussurrò flebilmente.
«Cosa?»
«Per chi è la cosa migliore da fare?»
Draco non rispose.
«Sei un maledetto codardo, Draco Malfoy» sibilò Hermione a denti stretti. «Non importa quanti passi avanti tu possa fare, questa cosa non cambierà mai.»
Si alzò con uno scatto, del tutto intenzionata a sparire nel suo dormitorio e a non uscirne prima degli esami, a mettere tutta la distanza possibile tra lei e quel furetto platinato. Avrebbe dovuto immaginare che sarebbe andata a finire così; la colpa era solo sua, se si era lasciata illudere che le cose potessero avere un epilogo differente.
Il biondino strinse i pugni. «Non osare
Hermione si voltò lentamente a guardarlo, sollevando un sopracciglio. «No? La verità fa male, Malfoy
«Quale parte di trovare il coraggio di fare la cosa migliore per te mi rende un codardo in questa situazione, Granger?» sibilò lui a denti stretti.
La Grifondoro rise, ma priva di ilarità. «Tu non lo stai facendo perché pensi che sia la cosa migliore per me», disse gelidamente. «Stai scappando davanti al primo problema… e lo stai facendo perché hai finalmente capito che la mia vita sarà sempre così incasinata e non sei disposto ad affrontare la cosa insieme a me. E il bello è che lo capirei anche, se me lo dicessi in faccia. Ma non hai il coraggio di dire le cose come stanno veramente e allora stai optando per comportarti come quello che “si sacrifica” per il mio bene, cosa che io non ti ho chiesto di fare, tra parentesi. Ti aspetti anche che ti ringrazi?»
«Ma non capisci?» urlò allora lui, agitando le braccia per aria. «» «Dovresti stare lontana da me! Tutto questo... tutto questo ti è successo per colpa mia! Perché mio padre non voleva che stessimo insieme! Ti ho già fatto abbastanza male, io non voglio essere la causa... non posso... dimenticati di me, Granger. Per favore. È per il meglio.»
Hermione avvertì un moto di rabbia invaderla.
Come osava chiederle quello? Quando all’inizio lei aveva cercato di mettere un punto alla loro storia prima ancora che iniziasse e lui aveva fatto di tutto per portarla tra le sue braccia? Per convincerla a cedere a quello che sentivano?
Come si permetteva di dirle una cosa del genere dopo che le era entrato sottopelle e aveva lasciato un segno indelebile dentro di lei?
«Non posso!» ringhiò furente.
Merlino, quanto ti odio” urlava nella sua mente, mentre cercava di resistere all’impulso di piangere o di tirargli un altro schiaffo.
«Perché?» soffiò lui, abbassando il tono di voce. «Non porto mai a nulla di buono, Granger, non vedi? Qualsiasi cosa tocco muore! Se voglio salvarti, devo lasciarti andare!»
La malinconia nel suo tono prosciugò la rabbia che sentiva, ma aprì la strada a un altro tipo di malessere, ad altri dubbi.
«Dimmi la verità... lo fai perché ti sei pentito?» sussurrò con voce spezzata. «Ti sei pentito di quello che c’è stato tra di noi?»
La mascella di Draco cadde a terra, i suoi occhi si sbarrarono, poi deglutì forte. «Non rimpiangerò mai di essermi innamorato di te, Hermione» ammise tremante, «ma è proprio il motivo per cui devo lasciarti. Per proteggerti. Devo fare ciò che è meglio per te. Lasciami andare.»
«Non posso! Non così, non… questo non è giusto!»
«Dannazione, perché? Non vedi che non vado bene per te? Che non sono la persona giusta da avere accanto? Io non ti merito e non ti meriterò mai. Non sarai mai al sicuro con me al tuo fianco!»
«Sono una Nata Babbana, Draco! Non sarò mai al sicuro in generale, come non lo sono mai stata finora, e questo non ha niente a che fare con te!» tuonò allora lei, gli occhi lucidi. «Qualsiasi difficoltà… potremo affrontarla e superarla insieme…»
Sembrava quasi supplichevole ormai; non poteva accettare che la loro storia finisse così.
Sarebbe stato peggio dell’essere lasciata perché si era pentito o perché aveva deciso di fare ciò che la sua famiglia si aspettava di lui… quello che stava proponendo Draco significava condannarsi all’infelicità per paura, per niente. Perché quella decisione, presa così, per quelle motivazioni, non aveva senso.
Cosa gli faceva credere che spezzare il cuore a entrambi le avrebbe permesso di essere al sicuro?
Draco scosse il capo lentamente. «Meriti di meglio di me» le disse con un filo di voce. «Perché non puoi lasciami andare e basta?»
«Lo sai perché», gemette lei. «Io ti amo… e non voglio perderti. Preferisco affrontare mille pericoli piuttosto che vivere senza di te. Mi sei entrato dentro, Draco Malfoy. Io ti amo. Non allontanarmi. Non mandarmi via, se provi le stesse cose per me», un singhiozzo sfuggì al suo autocontrollo e per un momento ebbe il timore di non riuscire a mantenere la sua compostezza. «Non rinunciare a noi per paura, se davvero non ti sei pentito, se non lo stai facendo perché non vuoi stare con me, ma perché per qualche motivo ti sei autoconvinto che starò meglio senza di te, il che non è vero… Non… non lasciarmi.»
Le forze e la voce le vennero meno sul finale; abbassò lo sguardo sui suoi piedi, sentendosi vergognosamente esposta e umiliata dal tono quasi implorante con cui aveva pronunciato quelle parole. Sentì le dita di Draco sfiorare il suo mento ed esercitare una leggera pressione per costringerla ad alzare il viso e guardarlo in faccia.
«Non sopporto di essere la causa delle tue sofferenze…» soffiò lui e il suo respiro, caldo contro il suo volto, la fece rabbrividire. «Ti avevo promesso che non avrei permesso più a nessuno di farti del male…»
«Quello che è successo non è colpa tua», gli disse in un sussurro. «Non sei responsabile delle azioni di tuo padre o di Pansy.»
«Non lo avrebbero fatto se io non mi fossi interessato a te in primo luogo.»
«Non puoi saperlo con certezza», obiettò lei. «E non ti rende ugualmente colpevole.»
Il biondino chiuse gli occhi. «Hermione…» mormorò con voce incerta, «non ho le forze per respingerti un’altra volta, per allontanarti di nuovo…»
Hermione fece un altro passo verso di lui. «Allora non lo fare.»
Draco deglutì con forza, strinse il labbro tra i denti. «Per favore, vai via ora…»
«Se vuoi chiuderla qui, Draco, dovrai andare via tu, perché io non ho intenzione di muovermi.»
Il giovane serrò le mani in pugni, mentre cercava di regolarizzare il proprio respiro.
«Scegli, Draco. E fallo con la consapevolezza che di questo sarai tu il solo responsabile» aggiunse ancora la Grifondoro.
Due secondi dopo, aveva la schiena premuta contro il muro, il biondino tra le sue gambe e le sue labbra fameliche che si muovevano sulle proprie, baciandola con bramosia, urgenza e disperazione tutto insieme.
«Io appartengo a te, Hermione Granger» ringhiò contro la sua pelle, mentre la prendeva in braccio e si dirigeva verso la sua stanza, quasi correndo. «Ti voglio. Ti amo. E sono notoriamente incapace di fare la cosa giusta, di sacrificarmi per gli altri.»
La adagiò sul letto e la immobilizzò con l’intensità dei suoi occhi argentei. «Cosa cazzo credi che possa scegliere di fare, se non renderti mia per sempre?»
§
«Non dormi?»
La voce di Draco riverberò tra le pareti della stanza silenziosa nel cuore della notte, penetrando dritta nelle sue ossa.
Hermione si strinse di più contro il suo dorso nudo e scosse la testa.
Aveva trascorso le ultime due ore a rivivere nella sua mente quella precedente; Draco che le sfilava i vestiti con lentezza, che baciava dolcemente ogni centimetro del suo corpo, che la stringeva possessivamente, che l’amava senza alcun freno inibitore, facendola sua con un ritmo quasi punitivo, anche se Hermione non sapeva se stesse punendo sé stesso per aver pensato di lasciarla andare o lei per non averglielo permesso.
Non avrebbe mai rinunciato a lui per un motivo così inconsistente, non quando nessuno dei due voleva veramente mettere un punto alla loro storia; ma era lei quella coraggiosa e quindi era a lei che era spettato l’arduo compito di obbligarlo a vedere la realtà dei fatti, anche a costo di sacrificare il suo orgoglio nel processo.
«Parlami, Hermione», la supplicò quasi, serrando ancora di più le braccia attorno a lei.
La ragazza alzò il viso verso il soffitto. «Ogni volta che chiudo gli occhi, ho paura di ritrovarmi di nuovo lì.»
«Dove, Granger?»
Lei sospirò, la sua voce un sussurro tremulo. «Era Hogwarts, ma non lo era» iniziò a raccontare per la prima volta, rabbrividendo al solo ricordo di quel posto infernale.
«C'era Ardemonio ovunque, faceva caldo. Quel posto, qualunque cosa fosse, si stava nutrendo di noi, della nostra linfa vitale... o magica, non saprei dirlo con certezza, ma potevamo avvertirlo. Potevamo sentire che più noi diventavamo deboli, più le fiamme guadagnavano forza. Era come trovarsi all'inferno, senza avere la minima idea di come ci eravamo finiti. Ti veniva spontaneo chiederti per cosa stessi venendo punito.»
Fece una pausa e deglutì. «La risposta è sempre la stessa. Non cambia mai.»
Hermione ruotò leggermente il braccio, esponendo il lembo di pelle su cui era impressa la sua cicatrice più brutta e dolorosa, anche se ormai rimarginata.
Sanguemarcio.
«Non mi vergogno delle mie origini, anzi, ne vado fiera» mormorò ancora, «è bello non essere estranea a nessuno dei due mondi, poter approfittare dei vantaggi di entrambi, godere delle bellezze peculiari di ognuno di essi. Ma non capisco, non l’ho mai fatto. È solo sangue
Draco chiuse la sua mano sull’avambraccio di lei, coprendo quelle lettere con le sue dita lunghe e sottili.
«Perché la nostra esistenza disturba così tanto alcuni maghi? Non obblighiamo nessuno ad avere dei rapporti con noi, non basta ignorarci?»
Il biondino sospirò contro il suo collo, poi si voltò su un fianco, fissandola con aria un po’ persa; giocava distrattamente con una ciocca dei suoi capelli.
«Mia madre non ha mai approvato la scelta di mio padre di unirsi a Voldemort» rivelò dopo un po’. «Lei… crede nell’ideologia purosanguista, ma non nella sua versione estremista… quella che poi è diventata la causa dei Mangiamorte. Quella in cui crede mio padre.»
Hermione non capiva il perché di quel discorso in quel momento, ma lo lasciò parlare ugualmente.
«Per tutta la vita l’ho sentito addossare ai Nati Babbani le colpe del calo demografico nella popolazione magica, dell’esistenza dei Magonò… stronzate che in realtà sono riconducibili alle usanze conservatoriali e alle pratiche discutibili del mondo purosanguista. Ma ad oggi, Granger, credo fermamente che gli estremisti siano spinti dalla paura.»
«Paura?» ripeté lei, confusa.
Draco annuì impercettibilmente. «Di quello che potete fare. Siete fottutamente potenti, Granger. Tu e Finch-Fletchley avete eseguito magia senza bacchetta in un posto che si stava nutrendo di voi da mesi… sei arrivata persino ad usare la Legilimanzia in quel modo, senza neanche averla studiata prima… Voldemort era figlio di una Magonò e di un Babbano… Alcuni estremisti sono semplicemente scellerati, altri… sono mossi dalla paura. È la spiegazione più plausibile che sono riuscito a darmi.»
«Nessun Nato Babbano ha mai minacciato di fare fuori tutti i Purosangue e conquistare il mondo magico.»
«Non sto dicendo che sia razionale, Granger. È solo che il potere fa paura e gola al contempo. E alcuni Purosangue vedono la vostra esistenza come una minaccia alla propria, al proprio potere, riconoscendo al contempo la vostra forza. I più folli ritengono che abbiate rubato la magia da loro. È completamente assurdo, ovviamente, ma non penso che ci sia niente di razionale dietro. Ti crescono con queste stronzate in testa e non ti fermi mai a chiederti veramente se siano vere o meno, perché le dai per assodate, perché credi che i tuoi genitori sappiano tutto, ti fidi delle loro opinioni... e la problematica si tramanda di generazione in generazione…»
Draco sospirò. «Prendi me, ho sempre ripetuto le cattiverie che sentivo dire a mio padre e una parte di me si sentiva veramente superiore al resto del mondo, ma quella cosa non aveva niente a che fare con le mie capacità o con il sangue. Era semplicemente perché appartengo a una famiglia nobile e antica, non ho mai pensato di essere più potente di te, per esempio. È il motivo per cui non ho mai cercato uno scontro con te, cosa che invece non mi risparmiavo di fare con Potter e Weasley, per esempio.»
Hermione si girò su un fianco a sua volta e prese finalmente a guardarlo.
«Sapevo già come sarebbe andata a finire se lo avessi fatto» ammise con una finta smorfia contrariata, «ti ho sempre trovata fottutamente terrificante, Granger.»
Lei gli sorrise, ma tornò seria quasi subito. «Non lo rende meno sopportabile, sai? Anche se avessi ragione…»
«Lo so», disse Draco. «Perché non è giusto e non è giustificabile, ed essere spinti dalla paura non è una scusante. Perché credi che non riesca a perdonarmi per quello che ho fatto?»
Hermione dischiuse le labbra. «Non hai fatto cose gravi quanto loro…»
«No, ma ho pur sempre commesso azioni riprovevoli. Tu meriti una brava persona al tuo fianco, non uno come me. Non merito la felicità che tu mi dai e non ho alcun diritto di desiderare di essere quello che rende felice te.»
La ragazza chiuse gli occhi e tese le mani verso di lui per stringerlo a sé. «Mi sono stancata di ripeterti che se ti impegni per rimediare ai suoi sbagli, allora meriti di essere felice anche tu, Draco Malfoy», sussurrò alla fine, rassegnata. «Quindi fatti andare bene che io voglia renderti felice ugualmente e basta.»
 

 

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Capitolo 51
*** Capitolo 50. I Diari Gemelli ***


CAPITOLO 50
I Diari Gemelli







 

 
Hermione
 
 
Avevano appena finito gli esami e si stavano godendo una bella giornata in giardino, quando Adrian Pucey si presentò al castello e li raggiunse con un’espressione greve in volto. Hermione sentì Draco irrigidirsi alle sue spalle, così gli posò una mano sulla gamba per infondergli calma.
«Malfoy», lo salutò il giovane, poi diede un bacio sulla guancia a Hermione, gesto che il biondino trovò abbastanza importante da commentare con un sonoro sbuffo di irritazione, ma che gli altri due decisero di ignorare.
Adrian prese posto davanti a loro. «Hermione, ho delle cose di cui discutere con te e non potevo aspettare che lasciassi Hogwarts.»
La ragazza sospirò. Sapeva già che cosa riguardasse tutta quella faccenda.
«Sputa il rospo.»
Lui si inumidì le labbra e tirò fuori dei documenti, che le porse con cautela.
«Oh», commentò Hermione. «Sono…»
«I tuoi genitori sono ufficialmente considerati morti, Mione», spiegò Adrian. «Il procedimento per la rilevazione della tua eredità si è avviato, serve la tua firma lì.»
«Perché stai rinunciando alla parte che i miei hanno deciso di lasciare a te?»
«Perché non è veramente mia, Hermione e comunque non ne ho bisogno», rispose lui, abbozzando un sorriso.
«Non c’è un modo per farla avere a loro?» chiese ancora la ragazza. «Per trasferire tutto questo sui loro conti, o…»
Adrian scosse il capo. «Come lo giustificheresti?»
Lei sospirò rassegnata. «Quindi… non c’è proprio più speranza di riaverli indietro?»
L’ex-Serpeverde trattenne il respiro per un secondo e scambiò un’occhiata fugace con Draco che destò i sospetti della Grifondoro.
Hermione si accigliò. «Cosa succede?»
«Ho trovato qualcosa, in effetti» rivelò Adrian, «sui libri che mi ha passato Draco…»
Lei si voltò di scatto a guardare il biondino, ma lui aveva improvvisamente sviluppato un interesse per il Platano Picchiatore che si contorceva in lontananza.
«Il problema è che sono passati due anni, sarebbe comunque rischioso tentare il procedimento, perché la loro mente ormai si è stabilizzata su quella realtà e ripristinare la vecchia potrebbe comportare complicazioni gravi» mormorò mesto. «I Babbani hanno una costituzione diversa dalla nostra, Hermione…»
La ragazza trattenne un singulto, mentre le mani di Draco si chiudevano con più forza attorno alle sue spalle.
«Ovviamente sta a te decidere, ma prima che tu lo faccia, dovresti sapere le… novità.»
«Quali novità?»
Adrian esitò per un istante, ma alla fine parlò. «Hanno… loro hanno adottato due bambine, Hermione» dichiarò in un sussurro.
«Oh», esclamò lei spiazzata.
Non sapeva come sentirsi in merito a quella notizia.
Rimpiazzata? Triste perché non le avrebbe conosciute mai? Felice di sapere i suoi genitori contenti e al sicuro?
«Come… come si chiamano?»
«Le hanno chiamate Jeanine e Adrienne», disse lui, sorridendo appena.
Gli occhi di Hermione si riempirono di lacrime: avevano scelto dei nomi che ricordavano i loro; Draco la abbracciò da dietro, ma non disse nulla. Non lo avrebbe mai fatto davanti agli altri. Dopo, quando sarebbero rimasti nuovamente da soli, l’avrebbe rassicurata, l’avrebbe confortata e le avrebbe permesso di sfogarsi con lui. Le avrebbe sussurrato dolci paroline che avrebbero fatto le fusa alle sue orecchie e le avrebbe dato la forza di sorridere di nuovo.
«Ora, Mione, se tu vuoi provare comunque a…»
«No», disse lei, tirando su col naso. «Non ho intenzione di tentare un procedimento che potrebbe danneggiare il loro cervello, rischiare di lasciare sole quelle bambine… preferisco saperli felici e in salute al riaverli con me, se in tal caso c’è il pericolo di compromettere la loro sanità.»
Adrian annuì. «Sapevo che avresti fatto la scelta giusta», disse lui. «Ecco perché avevo lasciato a te la decisione in merito a questo.»
Le passò il documento da firmare, con una postilla aggiuntiva: Adrian avrebbe appoggiato qualsiasi decisione avrebbe preso lei.
«Voi Serpeverde vi date davvero poco credito», sbuffò Hermione e il giovane fece spallucce in risposta.
La ragazza si sporse in avanti e iniziò a compilare i fogli, con il cuore appesantito da un grosso macigno. Stava praticamente dicendo addio ai suoi genitori in quel momento, per sempre.
«Adrian, ho bisogno di un favore», disse poi, tornando a guardarlo. «Se a te non serve o non la vuoi… puoi mettere in vendita la casa? Io non posso tornare lì.»
 
***
Draco
 
Settimo Piano, ore 21.
Corridoio della Stanza delle Necessità.
Porta il diario.
 
Draco percorse il corridoio in uno stato che versava a metà tra il confuso e il terrorizzato.
Hermione non aveva lasciato detto altro e lui non riusciva proprio a capire il motivo per cui gli avesse chiesto di raggiungerla in quel luogo e di portarsi dietro il diario, per giunta.
Avrebbero lasciato Hogwarts per l’ultima volta il giorno dopo; avevano le valigie da fare e Draco voleva sfruttare il tempo che gli rimaneva da trascorrere nella stanza dove avevano condiviso una quantità innumerevole di momenti piacevoli, non andarsene in giro per la scuola a vagabondare.
La intravide in lontananza, mentre camminava avanti e indietro agitatamente; vederla in ansia non fece che fargli tendere i nervi ulteriormente.
«Ehi», la salutò per attirare la sua attenzione, con voce leggermente tremante.
«Lo hai portato?» gli domandò senza fare preamboli.
Draco allungò un braccio e le mostrò il diario che teneva stretto in mano.
E poi lei gli sorrise e il mondo divenne così luminoso che i suoi muscoli si rilassarono tutti in una volta.
«Che cosa succede?»
«Draco Malfoy, ti fidi di me?»
Draco corrugò la fronte, ma annuì.
Hermione tirò fuori anche il suo diario. «Ho bisogno che tu entri con me nella Stanza delle Necessità, ora.»
«Perché? Cosa vuoi fare?»
«Lasciare i diari dove li abbiamo trovati, ovviamente» asserì lei con convinzione.
«Che cosa? Ma… è grazie ai diari se siamo insieme ora!» obiettò lui, guardandola come se fosse impazzita tutto d’un tratto.
«Esattamente» affermò lei, come se quello fosse un argomento a sostegno della sua tesi e non contro. «Magari un giorno faranno per qualcun altro quello che hanno fatto per noi.»
«Hermione! Non voglio lasciare i diari! Hanno un… valore affettivo» protestò indignato Draco, pronunciando i termini finali in un suono soffocato, quasi buffo da sentire per via dello sforzo che stava facendo dell’ammettere di dare peso a un sentimentalismo del genere.
«È grazie a questo se ho capito che sei la mia anima gemella! Io!» aggiunse teatralmente, «Draco Malfoy! Io che neanche ci credevo a questa roba!»
Lei gli sorrise; si stava evidentemente impegnando a non scoppiare a ridere per la sua drammaticità. «E non credi che sarebbe orrendo da parte nostra negare a qualcun altro di godere della medesima possibilità?»
Draco sbuffò. «Cosa ti importa di qualcuno che potrebbe non esistere?»
«Oppure, potrebbe esistere. Magari lì fuori c’è o ci sarà un ragazzino come te, che avrà bisogno di quel diario per avere speranza. Che troverà l’amore tra le pagine ingiallite di questi diari e quell’amore potrebbe salvarlo» insisté lei. «O semplicemente renderlo felice.»
«Oppure no e avremmo abbandonato la cosa che ci ha avvicinati inutilmente. Non se ne parla. Sono egoista, Granger, ricordi?»
«Ricordo anche che qualche mese fa eri disposto a lasciarmi perché credevi che fosse la cosa migliore per me, per proteggermi», disse lei. «Questo si chiama altruismo, Draco. Anche se in una forma che non condivido.»
Draco sbuffò di nuovo. «Sì, non ti ci è voluto molto a convincermi a desistere però, no? Perché sono egoista, Granger.»
Hermione alzò gli occhi al cielo. «Draco, sei felice?»
«Cosa?»
«Con me» specificò lei. «Sei felice?»
«Che domande fai, Granger?» le domandò, afferrandola con il braccio libero e attirandola a sé. Le accarezzò il viso dolcemente e poi si chinò a lasciarle un bacio casto, ma carico di sentimento, sulle labbra.
«Non sono mai stato così felice in vita mia», rispose con gli occhi chiusi. «Mi correggo, non sono mai stato felice in vita mia, prima di te.»
Lei sorrise di nuovo. «E non ti piacerebbe sapere che un giorno qualcuno potrebbe essere altrettanto felice grazie a questi stessi diari?»
Draco sospirò. «Mi convincerai in un modo o nell’altro, non è vero?»
Hermione annuì.
«Andiamo, allora» sospirò con un gemito lamentoso. «Prepotente.»
«Draco Malfoy che dà della prepotente a me!» commentò lei sghignazzando. «Come cambiano le cose…»
«Chiudi il becco, Granger.»
Non aveva intenzione di smettere di sbuffare.
Voleva che Hermione percepisse tutto il suo disappunto; si sarebbe assicurato di ricordarglielo per il resto della loro esistenza. Non solo lo stava facendo entrare un’altra volta nella Stanza delle Necessità, ma lo stava obbligando a separarsi dagli oggetti a cui teneva di più al mondo alla luce di uno sconfinato altruismo che non approvava minimamente.
«Che cos’hai messo nel tuo diario?» le domandò quando la vide inserire un foglio all’interno del taccuino.
«Oh, solo una lettera.»
«E cosa ci hai scritto?» indagò ancora, curioso.
«La storia dei diari. Trovare la lettera dei proprietari originari mi aveva dato speranza durante la guerra. Spero che la mia faccia altrettanto per quelli futuri.»
«E poi?» chiese cercando di afferrare la missiva per leggerla. «Cos’altro ci hai scritto?»
Hermione allontanò il braccio da lui e gli rivolse un sorriso beffardo.
«Un giorno te lo dirò, Draco Malfoy», dichiarò con aria solenne. «Forse.»
«Forse
«Potrei sempre decidere di lasciare che resti un segreto tra me e chi verrà dopo.»
«Non sono d’accordo, Granger» affermò lui, incrociando le braccia al petto.
«Non mi importa, Malfoy.»
§
Il giorno del processo a Lucius Malfoy, non avevano ancora finito di sistemarsi nella villa di Oasis.
Avevano lasciato Hogwarts tre settimane prima, ma erano stati sommersi dalle cose da fare, faccende da sbrigare, - molte concernenti la sua stessa eredità -, gente che la Granger teneva a salutare, - come la famiglia Weasley al completo, per rammarico di Draco -, e persone che voleva presentargli, ovvero sua zia Andromeda e il suo cuginetto di secondo grado, Teddy.
Andromeda si era dimostrata molto aperta e benevola nei suoi confronti e lo aveva accolto fin da subito come un membro della famiglia, sostenendo che, in fondo, non si erano mai conosciuti veramente e che era disposta a perdonarlo per i suoi sbagli, a concedergli una possibilità. E se per la prima ora di cena Draco aveva cercato con tutte le sue forze di restare indifferente al cuginetto e di tenere un atteggiamento sobrio, per la fine della serata si era ritrovato a ridere delle buffe esibizioni che il piccolo faceva del suo potere di Metamorfomago e a scherzare con lui e con gli altri commensali come se tutto ciò fosse stato normale per lui; una settimana dopo, Teddy era divenuto il destinatario di gran parte delle uscite del conto alla Gringott della famiglia Malfoy, conto di cui, alla luce della dipartita di Lucius, era ora titolare.
Il risultato di tutto quell’affaccendarsi in giro, era stato che la loro villa a Oasis era ancora invasa da scatoloni, bauli e mobili da sistemare e loro sarebbero dovuti partire per Parigi due giorni dopo; Hermione aveva insistito per viaggiare con i mezzi Babbani e Draco era sicuro che quello facesse parte di un suo piano per terrorizzarlo e poi prenderlo in giro per gli anni a venire.
Aereo.
Sembrava il nome di un Artefatto Oscuro, alle sue orecchie.
«Se succede qualcosa puoi sempre Smaterializzarti», gli aveva risposto quando aveva esternato i suoi dubbi circa l’affidabilità del mezzo. «Ci è concesso usare la magia davanti ai Babbani in caso di vita o di morte. Però te lo dico, se dovessi farlo e non cercassi di portare via quanti più passeggeri possibili, ti farei rinchiudere ad Azkaban.»
«Non sono un eroe, Granger!»
«Neanche Deadpool, eppure salva la gente ugualmente.»
«Chi
«Lascia stare. Hai davvero tanto da recuperare, Draco Malfoy.»
La mano di Hermione sulla sua schiena lo distrasse da quei pensieri; si voltò lentamente a guardarla, mentre lei abbozzava un debole sorriso e si accingeva a fare il nodo alla sua cravatta.
«Non dovresti bere così presto al mattino.»
«Oggi è solo un’eccezione, Granger» rispose in un sussurro flebile; lei gli diede una strizzatina sul braccio, appena sopra il gomito.
Draco si morse l’interno della guancia, poi sospirò. «Non so cosa aspettarmi» ammise stancamente, «cosa augurarmi.»
Lei lo abbracciò di lato e lui chiuse gli occhi.
«Voglio che paghi per quello che ha fatto» sussurrò, «ma al contempo…»
«Speri che non lo condannino al bacio del Dissennatore» terminò Hermione per lui.
Il biondino annuì. «Sono una cattiva persona se mi importa comunque di quello che gli succede?»
«No», gli disse lei, senza esitazione. «Resta pur sempre tuo padre. E il bacio è… insomma, sto presentando quella mozione al Ministero per rimuovere i Dissennatori da Azkaban per un motivo.»
Lui si passò una mano tra i capelli e poi si voltò verso di lei, tirandola a sé.
La baciò con dolcezza. «Sei sicura di voler venire?» le chiese, «Non devi sentirti obbligata…»
«Voglio starti accanto, Draco», affermò lei decisa. «Sempre.»
Draco la strinse un po’ più forte.
Non ti meriterò mai…”, pensò tra sé e sé, ma non espresse quel pensiero a voce alta, perché Hermione gli aveva proibito categoricamente di indugiare in quel tipo di considerazioni e non voleva contrariarla. Ovviamente, questa sua accondiscendenza in merito a quella richiesta non aveva nulla a che fare con la minaccia di venire trasformato in un furetto e lasciato sotto Trasfigurazione per due giorni interi; Hermione aveva specificato che non si sarebbe privata della sua compagnia più a lungo di così, per quanto carino lo potesse trovare in versione furetto bianco.
«Andiamo, è ora.»
§
Lucius si era dichiarato colpevole senza neanche provare a difendersi. Aveva anche confessato di non pentirsi assolutamente delle sue azioni, perché per lui niente aveva più importanza del preservare il retaggio della sua famiglia e impedire che suo figlio lo disonorasse.
Draco aveva ringraziato per tutto il tempo di avere la mano di Hermione da stringere, nascosta sotto il banco e quando il Wizengamot aveva emesso la sentenza, condannando Lucius alla pena massima, ovvero il bacio dei Dissennatori e Azkaban a vita, il biondino non era più certo di come si sentisse al riguardo.
Aveva parlato con una tale cattiveria della ragazza che amava, delle atrocità che aveva desiderato per lei, di come fosse intenzionato a distruggere la loro felicità e il futuro che lui aveva lottato per avere, che non era più sicuro che gli dispiacesse del destino a cui stava andando incontro suo padre.
Avevano optato per un’esecuzione immediata.
Quando erano state fatte scendere le barriere protettive e il Dissennatore era stato liberato nell’ambiente, Draco aveva trascinato Hermione contro il suo petto e le aveva bloccato la visuale.
«Non guardare», le aveva sussurrato in un orecchio e anche se aveva avvertito una leggera resistenza iniziale da parte sua, quando l’effetto, seppur mitigato, della creatura iniziò a farsi sentire anche su di loro, la ragazza si arrese e restò immobile contro di lui.
Lei aveva dei trascorsi orrendi con quegli esseri; era quasi stata sul punto di ricevere il bacio lei stessa, insieme a Potter e Sirius Black, quando erano solo al terzo anno a Hogwarts, su tentata esecuzione di circa un centinaio di creature oscure, non un singolo Dissennatore come in quel caso.
«Neanche tu», sussurrò flebilmente la giovane, ma quello era un lusso che Draco non poteva permettersi; si limitò a stringerla più forte a sé, chiedendole in silenzio solo un po’ di calore umano.
Si voltò a guardare sua madre, rigida e impassibile; poteva vedere chiaramente l’intensità con cui si stava affaccendando a ricorrere all’Occlumanzia in quel momento, la disperazione con cui si stava aggrappando alle sue abilità con tutte le forze che aveva in corpo. Per quanti errori Lucius potesse aver fatto anche nei confronti di sua madre, per quanto in disaccordo potessero essere stati spesso, Draco sapeva che lei lo amava e che quello a cui stavano assistendo non era semplice per Narcissa Malfoy.
Le tese una mano e la donna, con sua sorpresa, la strinse.
§
Narcissa era stata ritenuta all’oscuro delle azioni di Lucius e contraria ad esse, anche alla luce dell’indizio che aveva inviato a Draco non appena aveva carpito delle informazioni in merito a quella faccenda.
Pansy, invece, era stata condannata a dieci anni di reclusione; non abbastanza innocente da svignarsela, ma neanche la mente dietro a quel piano folle e crudele, una ragazza facilmente manipolabile da Lucius, cosa che lui stesso aveva ammesso durante il suo processo. Un burattino nelle sue mani, di cui si era approfittato facendo leva sui suoi sogni da ragazzina e sulle sue ambizioni alimentate dalla famiglia Parkinson stessa.
Hermione sorrise debolmente a Draco e indicò un punto alle sue spalle con un cenno del capo, poi si allontanò per raggiungere Potter e Weasley e concedere al biondino del tempo da solo con la madre.  
«Draco.»
«Madre.»
Restarono a guardarsi senza proferire silenzio per un po’, anche se nel loro modo singolare stavano, in realtà, comunicando.
Alla fine, dopo quelle che parvero ore, Draco sospirò. «So che non sei d’accordo in merito allo stile di vita che ho abbracciato nell’ultimo anno. Ma non capisco, perché mi hai aiutato?»
Narcissa mantenne la sua compostezza, mentre rispondeva al suo quesito. Si comportava come se non avesse visto il suo compagno di vita avere l’anima risucchiata da un Dissennatore solo mezz’ora prima, ma il suo stoicismo poteva ingannare il resto del mondo, non suo figlio.
«Ho avuto molto tempo per pensare dopo le ultime vicende al Manor, Draco» ammise con tono neutro. «Sai, dopo la guerra ho sperato a lungo che tu e tuo padre poteste riconciliarvi, che se tu avessi sposato una Purosangue e prodotto un erede maschio, sarebbe successo.»
«Puoi evitare di parlare in questi termini?» grugnì lui, interrompendola. «Non voglio eredi, voglio dei figli. Smettila di riferirti a me come se non fossi altro che una faccenda politico-economica.»
Narcissa si irrigidì. «Perdonami, figliolo.»
Lui sospirò sonoramente, ma poi la esortò ugualmente a continuare.
«Ho fatto quello che mi ha chiesto per questo, ti ho scritto quelle lettere e ho cercato di convincerti a lasciare perdere quella San-» le rivolse un’occhiataccia raggelante, che la costrinse a correggersi sul nascere, «ragazza, per questo motivo. Volevo solo riunire la famiglia. Te lo giuro, non sapevo del piano di tuo padre quando sei tornato a casa, ma quando l'ho sentito mandare Tinky a Hogwarts per spiarti, ho capito gran parte di quello che stava accadendo. Non sono riuscita ad avvisarti prima che la tua... ragazza ci finisse di mezzo, ma l'ho fatto immediatamente. Non avevo intenzione di assecondare un'altra volta le follie di Lucius, non importa quanto possa amarlo. Essere coinvolta in due guerre che non ho mai voluto combattere per me è stato un sacrificio più che sufficiente in nome del nostro amore, soprattutto visto che nell’ultima ho quasi perso il mio unico figlio.»
Draco deglutì, ma annuì in segno di comprensione.
«Quella volta… Mi hai chiesto di non portarti via la felicità» aggiunse ancora Narcissa. «E anche se non ne approvo la fonte, non ti farei mai una cosa del genere.»
Gli mise una mano sulla spalla. «Non voglio perdere mio figlio.»
Il giovane si passò la lingua sui denti, incerto su cosa dire.
«Draco, ho sempre e solo agito per il tuo bene» mormorò ancora lei, sospirando. «Sei l’unica famiglia che mi è rimasta e voglio fare parte della tua vita.»
Draco annuì brevemente. «Ti conviene iniziare a mostrare più apertura mentale e rispetto verso la ragazza che amo allora, madre», disse con fare autoritario. «Perché su questo non transigo. E se vuoi che continui a considerarti ancora parte della mia famiglia, la devi accettare nella sua interezza.»
Narcissa deglutì, ma fece un segno d’assenso con il capo.
«Mi aspetto che tu le porga delle scuse, comunque.»
La donna si irrigidì a quelle parole, ma non si scompose. «Assolutamente», convenne con un finto sorriso.
Il biondino represse a stento l’istinto di alzare gli occhi al cielo, poi fece per raggiungere nuovamente Hermione. Si fermò dopo qualche passò e si voltò verso la madre. «Non sono l’unica famiglia che ti è rimasta», mormorò a voce bassa, ma sapeva che lei lo stesse sentendo ugualmente.
Narcissa tornò a guardarlo e seguì la traiettoria del suo sguardo, per poi individuare la Granger che, insieme ai suoi amici, intratteneva un buffo bambino che esibiva delle orecchie da cane e un muso di papera; accanto a lei, composta e pacata, c’era Andromeda Tonks e li guardava tutti con estremo affetto.
La donna deglutì forte.
«Puoi venire con me, se vuoi», la informò Draco e la guardò speranzoso per qualche momento.
«Io… non credo che sia una buona idea.»
«Come preferisci», rispose il giovane. «Ma sappi che zia Dromeda è una donna comprensiva e tendente al perdono.»
«Zia Dromeda?» ripeté sorpresa Narcissa.
Il biondino annuì con un singolo cenno del capo.
Narcissa trasse due lunghi e profondi respiri, poi si rimise dritta e, inaspettatamente, seguì il figlio.
Quando furono vicini al gruppetto, il silenzio cadde immediatamente tra loro, mentre le due sorelle si scambiavano dei lunghi e intensi sguardi.
«Cissy», disse alla fine Andromeda, a mo’ di saluto.
Il labbro della donna tremò leggermente. «Dromeda.»
Continuarono a fissarsi senza proferire di parola per qualche altro istante, mentre Draco incrociava gli occhi di Hermione chiedendosi se la sua fosse stata una buona idea; Potter e Weasley fissavano la scena con gli occhi sbarrati e il piccolo Teddy trasformava il suo viso di continuo nel tentativo di riguadagnare l’attenzione dei presenti.
E poi successe l’impensabile: Andromeda allargò le braccia e, inspiegabilmente, il muro di vetro che era sempre stata Narcissa Malfoy andò in frantumi e andò incontro alla sorella con uno slancio, accettando la sua offerta di conforto.
«Dromeda», ripeté con voce strozzata, ma l’altra si limitò ad annuire.
«Lo so, lo so», le disse con fare rassicurante, «fa male. Ma andrà tutto bene, Cissy. Vedrai. Nessuno viene lasciato da solo nella nostra famiglia.»
§
«È stato surreale» commentò Draco, ancora scioccato, mentre tirava il braccio di Hermione per spingerla dentro la piscina; la posizionò con la schiena contro il suo petto e posò il mento nell’incavo del suo collo.
«Mia madre che perde il controllo», mormorò incredulo. «Credo che sia la prima volta nella storia che accade una cosa del genere.»
La ragazza sospirò. «Era in un momento di estrema fragilità, Draco», sussurrò comprensiva. «È un essere umano anche lei. Tu… vuoi parlare di… del processo?»
Il biondino scosse il capo. Non voleva pensare a Lucius, non voleva pensare ai Dissennatori e non voleva assolutamente rivivere quello a cui aveva assistito quella mattina, non in quel momento.
Non sentiva, comunque, che ci fosse molto da dire al riguardo.
Lucius Malfoy era stato graziato già troppe volte nel corso della sua vita; alla fine, aveva raccolto ciò che aveva seminato e si era scavato la tomba con le sue stesse mani. Draco era solo lieto che nel farlo non avesse trascinato lui e sua madre con sé. La volta precedente ci erano già andati troppo vicini.
«Vorrei sapere… che cosa ti ha detto mia madre, quando ti ha presa in disparte?» le domandò invece, sforzandosi di non suonare nervoso e di non farle percepire la tensione nel suo corpo.
«Mi ha chiesto scusa», rispose esitante Hermione; aveva la fronte corrugata, come quando stava cercando di risolvere un enigma.  
Draco chiuse gli occhi e sorrise tra sé e sé, prendendolo come un passo di sua madre verso la loro riconciliazione; il passo più importante e significativo che poteva fare, quello di cui lui aveva bisogno per riuscire a darle un’altra opportunità.
«Glielo hai chiesto tu?»
«Magari è solo in cerca di un nuovo inizio, Granger» affermò lui, «vorrebbe far parte della mia vita, a quanto dice.»
La ragazza si voltò a guardarlo. «Che cosa hai intenzione di fare?»
«Beh, le premesse sono buone, no?»
Hermione gli rivolse un sorriso incoraggiante.
«Tu cosa ne pensi?»
«Qualsiasi cosa ti renda felice, Draco, per me va bene» gli disse, accarezzandogli una guancia.
«Lo sai quello che intendo…»
«Io le ho detto che la posso perdonare, Draco.»
Il biondino la baciò. «Sei troppo per essere vera, giuro», mormorò tra un sospiro e l’altro, «troppo per essere mia…»
«Smettila…» iniziò a protestare, probabilmente già pronta a riesumare la minaccia della trasfigurazione, ma quando le labbra del biondino si spostarono sul suo collo, poi, lentamente, lungo le sue spalle, Hermione emise un singulto. «Oh», esclamò estasiata, «questo no, continua pure.»
Draco rise. «Allora», asserì afferrandola per i fianchi e voltandola, intrappolandola tra il proprio corpo e la parete del bordo piscina. «Pronta per Parigi, signorina Granger?»
§
Un gufo affannato planò sul loro tavolo mentre stavano facendo colazione in giardino. Era una bella giornata di sole estivo e non vedevano l’ora di tuffarsi in piscina e rilassarsi in tranquillità.
Draco sfilò le lettere dalle zampe dell’uccello e Hermione gli diede qualcosa da mangiare, poi, quando il gufo ebbe spiccato il volo, posò gli occhi su di lui, agitata.
«Sono i M.A.G.O.» disse con voce stridula. «Dimmi la verità.»
Il biondino alzò gli occhi al cielo, ma annuì.
La ragazza si portò le mani tra i capelli e scattò in piedi, iniziando a camminare avanti e indietro, freneticamente.
«Mi stai facendo girare lo stomaco, Granger.»
Hermione ignorò quella frecciatina e tornò a guardarlo; Draco la fissava con un sopracciglio sollevato.
Non poteva fare sul serio, non poteva essere veramente così ansiosa di sapere i suoi risultati… sapeva benissimo di aver preso il massimo in tutte le materie.
«Dammi quella lettera», ordinò in tono piccato. «Anzi, no! Fermo!» urlò quando la vide a mezzo centimetro dalla sua mano. «Io leggo i tuoi e tu leggi i miei, d’accordo?»
Draco rise. «D’accordo.»
Invertì le lettere e aprì quella di Hermione. «Tutte E», la informò, sorridendo. «Un vero spreco di carta, se vuoi sapere la mia. Si sapeva già.»
Lei strillò di felicità e gli gettò le braccia al collo con fervore. «Oh, sta’ zitto!» esclamò. «Stavo morendo nell’attesa!»
Il biondino scosse il capo, sghignazzando. «Dimmi i miei!»
«Tutte E, tranne una O…» rispose lei, «…in Babbanologia.»
Draco si accigliò. «Cosa?»
Allontanò leggermente il capo da lei e le strappò di mano la pergamena con i suoi voti. «Come posso aver preso O in Babbanologia quando tu sei la mia ragazza?»
Hermione fece ruotare gli occhi. «Era una delle poche materie che non facevi con me.»
«Sì, ma mi facevo te», ribatté lui, come se la cosa fosse in qualche modo pertinente all’ambito scolastico.
«Che battuta scadente persino per i tuoi standard, Malfoy» commentò la giovane, ridacchiando, ma il biondino continuava ad essere imbronciato e anche un po’ confuso.
Non era possibile!
«Sono serio», insisté. «Dev’esserci un errore. Voglio dire, abbiamo persino un feletono… e quel coso che usi per vedere i pupazzi animati…»
«Telefono e cartoni animati, che si vedono sul televisore», lo corresse ridendo con le lacrime agli occhi, poi si fece seria e si morse un labbro, probabilmente per fermare le risate. «Oltre Ogni Previsione, per l’appunto.»
Draco gettò la pergamena sul tavolo e sbuffò.
«Oh, andiamo» lo canzonò lei, alzandosi e afferrandogli una mano. «Hai tutto il tempo per imparare come si deve.»
Il biondino le rivolse un sorriso malizioso. «Tutto il tempo vuol dire tutta la vita, non è vero?»
Hermione si limitò a esibire un ghigno provocatorio, ma l’anello che portava al dito scintillò sotto la luce del sole per un momento, rispondendo al posto suo.

 

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Capitolo 52
*** Epilogo ***


EPILOGO
 
 

 
 
 
 
 
H
ermione si Smaterializzò davanti al grosso cancello di Oasis e sbadigliò stancamente mentre lo attraversava per tornare a casa da una lunga giornata di lavoro.
Vedeva ancora quel luogo come una piccola oasi paradisiaca, ma c’erano giorni, o meglio sere, in cui era così stanca quando lasciava il Ministero che quasi ne malediceva le dimensioni eccessive, perché ogni metro non necessario che doveva percorrere equivaleva a un passo in più che le sue gambe dolenti dovevano fare per giungere alla villa. La sua insofferenza, però, finiva sempre per essere sopraffatta dai ricordi che aveva in quei giardini, momenti felici della vita serena e tranquilla che conduceva lì con la sua famiglia, l’eco delle risate dei suoi bambini che venivano puntualmente rievocate dalla sua mente, facendola sorridere e quelle di Draco mentre la sfidava a una corsa con i cavalli o mentre la afferrava per gettarla in piscina, stringendola in quel modo tutto suo che era solo diventato più intenso nel corso degli anni, soprattutto dopo il matrimonio.
«Ehi.»
Le sue labbra l’accolsero calorosamente come ogni sera, mentre lui le sfilava la giacca e poi si allontanava per appenderla all’appendiabiti.
Hermione aveva arredato Oasis con una componente di oggetti Babbani di cui Draco aveva, alla fine, dovuto riconoscere l’utilità, soprattutto visto che lei amava continuare a fare alcune cose manualmente anche se avrebbe potuto utilizzare la magia, risparmiandosi magari anche del tempo; ma non aveva mai obiettato niente in merito, perché sinceramente non ne aveva mai visto veramente il problema.
«Ehi», ricambiò il saluto lei, afferrando i lembi del colletto della sua camicia e attirandolo a sé per un assaggio più approfondito delle labbra del marito, di cui sembrava non avere mai abbastanza.
«Giornata stancante?» le chiese, facendo scorrere un braccio attorno alle sue spalle e guidandola verso la sala da pranzo.
«Ti dico solo che Blaise si è presentato al Ministero oggi», disse la donna, «me lo sono ritrovata in ufficio in preda al panico, perché a quanto pare Alanis e James hanno annunciato che avrebbero fatto un viaggio a Roma insieme e lui non aveva ancora capito che si stessero frequentando.»
Draco soffiò. «Povero Blaise, immagino il trauma. Avere una figlia che un giorno potrebbe diventare una Potter…»
Hermione fece ruotare gli occhi; anche se erano tutti amici ora, nessuno sembrava aver abbandonato il vizio di punzecchiarsi con quel genere di battute, ma nessuno di loro, al contempo, aveva mai mostrato l’intenzione di lamentarsene o di trovarle fastidiose. Forse era un po’ la loro cosa, il loro modo di tramutare un passato burrascoso in un presente allegro.
«Non si è lamentato tanto quando il nostro Sirius ha iniziato a uscire con Edith», considerò lei, sospirando.
«Una Zabini che diviene una Malfoy non è scandaloso quanto una Zabini che diviene una Potter, Hermione» affermò con veemenza lui, tirandole fuori la sedia per farla sedere a tavola.
«Smettila di trovarlo divertente! Ci ho messo due ore per togliermelo di torno. Ho persino provato a mandarlo nell’ufficio di Harry, sostenendo che le sue lamentele sulla questione erano meglio se indirizzate a lui.»
Draco ridacchiò, poi prese posto a sua volta. «I ragazzi sono già nelle loro stanze», le disse, «ho aspettato te per cenare.»
«Il mio marito perfetto!»
«Sempre questo tono sorpreso», commentò lui sbuffando. «Come se non sapessi fin dall’inizio che sono un perfezionista.»
Lei scosse il capo, sorridendo. «Com’è stata la tua giornata?»
Gli occhi di lui si illuminarono a quella domanda. «Ho incontrato l’amministratore della mia Casa Editrice. Pubblicheranno le mie scoperte in merito alla soluzione alchemica che studio da mesi.»
Draco era diventato un Alchimista e ricercatore di grande successo; trascorsi i primi anni dopo la dipartita di Lucius, dopo sforzi e fatiche per riacquistare credibilità e rispetto nel mondo dei maghi, aveva alla fine trovato qualcuno disposto a pubblicare le sue scoperte.
Aveva inoltre aperto la sua azienda di produzione di Pozioni commerciali, che era il suo impiego principale e più redditizio, ma essere il capo e poter disporre delle ore lavorative a proprio piacimento aveva i suoi vantaggi e gli lasciava una grande quantità di tempo libero per dedicarsi all’Alchimia. Il fatto che Blaise e Daphne fossero i suoi bracci destri, poi, faceva sì che le ore che trascorreva in ufficio fossero ridotte ulteriormente, soprattutto quando i ragazzi erano a Hogwarts.
Hermione batté le mani, orgogliosa. «Te lo avevo detto!» esclamò entusiasta. «Oh, prendo il vino, dobbiamo festeggiare.»
«L’ultima volta che abbiamo festeggiato per qualcosa, poi è nata Cassie» le ricordò lui, leccandosi le labbra.
«Draco Malfoy», lo avvertì lei, voltandosi a guardarlo e puntando l’indice verso la sua figura. «È la terza volta che tiri fuori il discorso, non starai davvero considerando di averne un altro?»
«Perché quel trono allibito?» domandò l’uomo, fingendo perplessità. «Possiamo permetterci un altro figlio.»
«Perché non saresti tu a dover affrontare una gravidanza per la quinta volta nella vita.»
«Siamo ancora giovani», rise lui. «E comunque, non credere che sia facile gestirti durante-»
«Non osare, furetto platinato dei miei stivali!» lo interruppe la donna, minacciosa, ma con un’espressione divertita stampata in volto a suggerire che stesse scherzando.
«Hermione», l’ammonì lui, «non chiamarmi così. E comunque, vorrei ricordati della volta che mi hai fatto prendere una PassaPorta internazionale per Parigi affinché ti potessi portare quel dolce babbano che ti piace tanto…»
«Sei stato tu a volermi viziare!» esclamò lei, fingendo indignazione. «Ora mi sopporti!»
Il biondino rise e subito dopo Trixy apparve per servire loro la cena.
Hermione si era dovuta arrendere ai fatti e aveva dovuto ammettere che l’aiuto dell’elfa le era essenziale nella gestione della casa; non era riuscita a liberarla, ma era riuscita a farle accettare un salario decente. Peccato che Trixy usasse spesso quei soldi per comprare dei regali a loro, o ai ragazzi, come ringraziamento.
«Seriamente, stiamo per spedire l’ultima a Hogwarts, vorresti davvero averne un altro?» chiese poi, tornando seria, mordendosi il labbro inferiore.
Un ghigno si aprì sul volto di Draco. «Ci stai pensando anche tu.»
«Oh, sta’ zitto, Malfoy.»
«Smettila di usare il mio cognome! È anche il tuo, da anni ormai!»
«No», berciò lei, sorridendogli impertinente. «E il mio cognome è Granger-Malfoy.»
«Stessa cosa», ribatté lui con una smorfia dispettosa.
«Comunque, spero che Cassie finisca a Serpeverde» affermò poi, sorseggiando il primo bicchiere di vino. «Sarebbe la cosa più corretta. Avremmo due Grifondoro e due Serpeverde.»
«No, Cassie sarà la prima Corvonero della famiglia», lo contraddisse lei. «Vedrai.»
Draco sbuffò. «Non potete restare in maggioranza!»
«Potrai sempre andare ad annegare i tuoi dispiaceri nell’alcol con Blaise» lo tirò su di morale lei, «Perché ci scommetto che Nate finirà a Grifondoro come Alanis.»
«Edith era in Serpeverde. Magari loro saranno fortunati e le Serpi in famiglia saranno in vantaggio, Nathaniel è abbastanza nel mezzo.»
«Come ti pare», commentò Hermione, sempre più divertita.
Draco e Ron erano gli unici a prendere la faccenda delle Case così seriamente, in realtà.
Blaise e Ginny avevano avuto due gemelle, Alanis e Edith, Smistate una in Grifondoro, con il loro Sirius e James, il primogenito di Harry e Daphne, e una in Serpeverde; avevano poi avuto Nate, che, invece sarebbe andato a Hogwarts per la prima volta con Cassie; Draco aveva tenuto il muso per un bel po’, anche se aveva detto a Sirius di essere orgoglioso di lui.
Quando Scorpius era finito a Serpeverde, il suo animo si era pacato perché, diceva, “l’equilibrio si era finalmente ristabilito”; l’unica cosa che lo aveva reso più felice di quella notizia era stato apprendere che anche il secondogenito di Potter e Daphne, Albus, era finito nella Casa verde e argento; lo prendeva ancora in giro, anche se stavano molto attenti a non farsi sentire dai ragazzi per non alimentare competizioni di alcun tipo, lo stesso genere di cose che avevano lottato attivamente per estinguere durante il loro ultimo anno a Hogwarts.
I figli di Adrian e Susan, Jason e Katherine, invece, erano entrambi finiti in Serpeverde; Hermione supponeva che crescere con un padre che è un Auror rinomato e ampiamente riconosciuto come esempio di rettitudine e con una madre impiegata in una posizione di rilievo al Ministero rendesse particolarmente ambiziosi.
Ron e Astoria avevano avuto due Grifondoro, Rose e Hugo.
Rose aveva una storia con Scorpius già da due anni, ma Draco e Ron si rifiutavano ancora di ammettere a voce alta che c’era la probabilità che le loro famiglie avrebbero potuto, eventualmente, unirsi.
Hermione a volte pensava che avessero fatto trascorre un po’ troppo tempo insieme ai loro figli; aveva spesso temuto che quei loro avvicinamenti potessero tradursi in causa di disarmonia tra di loro, in caso di rottura, ma fortunatamente non era ancora successo nulla.
Per la fine della cena, Hermione era ormai completamente esausta, drenata totalmente delle sue energie.
«Ti va di fare un bagno?», le sussurrò Draco tra i capelli, con voce suadente. «Vado a prepararlo io…»
Lei si morse un labbro e annuì. «Vado a dare un’occhiata ai ragazzi.»
«Scorp è rimasto a dormire da mia madre e mia zia», la informò prima di sparire sulle scale, diretto nel bagno collegato alla loro stanza.
Hermione raggiunse pigramente la cameretta della piccola Cassie e sorrise quando la trovò addormentata, stringendo tra le braccia il suo pupazzo preferito.
Mentre si spostava lungo i corridoi, lanciò uno sguardo malinconico alla porta della stanza di Sirius, vuota da un anno, da quando aveva iniziato a girare il mondo assieme alla sua ragazza, Edith; non era ancora tornato stabilmente in Inghilterra, ma Hermione sapeva benissimo che quando lo avrebbe fatto si sarebbe preso direttamente un posto tutto suo. Nonostante ciò, preservava gelosamente la sua cameretta come il giovane l’aveva lasciata prima della sua partenza.
Prestando molta attenzione, aprì la porta della stanza di Lyra e vi si affacciò per guardarla per qualche istante, addormentata scompostamente sul letto, con la mano posata su qualcosa di estremamente familiare…
Hermione sgranò gli occhi e corse a chiamare Draco, talmente di fretta che gli finì addosso.
«Impaziente di vedermi nudo, moglie?»
Lei ignorò quella battuta, avrebbe rimpianto dopo di non averla colta al balzo.
«Draco, devi venire con me. Subito
Il biondino la guardò allarmato. «Che succede?»
«Devo mostrarti una cosa» bisbigliò lei, guidandolo nella stanza di Lyra. «Fai piano.»
Schiuse la porta un altro po’, per permettere al marito di dare uno sguardo a sua volta.
«Guarda», sussurrò. «Guarda cosa c’è sotto la sua mano.»
Gli occhi di Draco si allargarono e le sue iridi argentee dardeggiarono in quelle di lei immediatamente, assumendo poi un’espressione indecifrabile. Due secondi dopo, l’uomo fece per entrare della stanza.
«Che stai facendo?» mormorò lei, tirandolo per una manica con forza.
«Me lo riprendo!» bisbigliò lui, risoluto.
«Draco! Non ti azzardare!» ringhiò Hermione con una nota di avvertimento nella voce, trascinandolo di peso al di fuori dalla stanza e richiudendo la porta. «Potrebbe esserci la sua anima gemella dall’altra parte!»
Lui ridusse gli occhi a due fessure, unì le labbra in una lunga linea sottile.
«È la mia bambina!» sibilò contrariato, in quella che Hermione riconobbe come un’espressione di gelosia, seppur diversa da quelle a cui era solita assistere lei, e che per poco non la fece scoppiare a ridere.
«E non vorresti che la tua bambina avesse quello che abbiamo noi?»
Draco sospirò e arretrò, dirigendosi nuovamente verso la loro stanza, imprecando sottovoce. Hermione si prese un attimo per soffocare quel moto di risate, poi lo raggiunse e, prima che potesse aggiungere anche una sola parola sulla faccenda “diario”, che casualmente aveva ereditato proprio la loro piccola, gli tappò la bocca con un bacio.
Senza perdere tempo, Draco le sbottonò la zip del vestito che indossava e lo fece scivolare sul terreno.
«Se chiunque ci sia dall’altra parte prova a fare questo con la mia bambina», disse in tono fermo, «io lo ammazzo.»
Hermione rise, ma un battito di ciglia dopo gli aveva afferrato le mani e lo aveva trascinato nella vasca da bagno. Gradualmente, nella mente di Draco, quella scoperta inaspettata si fece sempre più lontana.
 
***


Sei mesi dopo, Vigilia di Natale, Oasis
 
Hermione imprecò mentalmente, mentre cercava con fatica di richiudere la zip del suo vestito; non aveva ancora indossato i tacchi e già i piedi le dolevano.
«È troppo stretto» le sussurrò tra i capelli Draco, facendo scivolare le mani sul suo ventre pieno. «Prova questo.»
La voltò e si trovò davanti un bellissimo vestito verde, disteso con cura sulle lenzuola del loro letto.
«Oh», esclamò sorpresa e meravigliata, anche se non aveva la più pallida idea di come facesse ancora a sorprendersi delle attenzioni del marito nei suoi confronti.
Avrebbe dovuto esserci abituata a quel punto, ma era ormai fermamente convinta che non sarebbe mai accaduto; un po’ come non era mai riuscita ad abituarsi all’effetto che l’uomo aveva su di lei, alle sensazioni che le provocava ogni volta che la sfiorava e che non si accennavano a ridurre di intensità neanche dopo quasi venticinque anni insieme.
«Verde?» domandò poi con un sorrisetto divertito e un sopracciglio sollevato.
«Mi ringrazierai dopo», rispose lui con un ghigno. «Lo sai che vederti vestita di verde mi fa impazzire.»
Hermione si passò la lingua sulle labbra. «Se fai così, mi farai passare la voglia di andare a questa cena.»
Draco rise. «Sono io quello impaziente, tra i due.»
«Non farmi dubitare del tuo livello di conoscenza della mia personalità dopo oltre vent’anni di matrimonio, Draco.»
Lui si morse il labbro per non ridere una seconda volta e cambiò discorso.
«Lyra non vuole riportare i suoi occhi al colore naturale», la informò facendo ruotare gli occhi. «Insomma, perché la magia dei Metamorfomaghi non è considerata un’infrazione del Decreto per la Ragionevole Restrizione delle Arti Magiche tra i Minorenni?»
«Perché non utilizzano incantesimi per usarla, è vista come un’abilità. Un po’ come quando svolazzavi attorno al Manor alla tenera età di quattro anni, Draco. Stesso principio.»
Il biondino sbuffò. «Che ha che non va il grigio?»
«Niente, ho sempre avuto un debole per i tuoi occhi», gli disse lei sorridendo. «Non mi spiego ancora come sia possibile che tutti i nostri figli siano venuti fuori platinati e con i tuoi occhi, quando i miei tratti sono più facilmente trasmissibili, ma va bene.»
Sirius e Cassie avevano i capelli mossi, però, e tutti loro avevano ereditato i tratti delicati del viso della madre e il suo sorriso luminoso.
Draco corrugò la fronte. «Ti dà fastidio?»
«Certo che no», commentò lei. «Sono bellissimi. E tu stai solo cercando lodi, quindi la smetto di assecondarti.»
Il biondino sbuffò. «Mi stava piacendo questo discorso.»
«Non ne dubito.»
«Si, ma perché proprio il viola?» insisté lui, tornando a discutere della figlia, sempre più perplesso.
Hermione scoppiò a ridere. «Sta leggendo una saga fantasy babbana e si è convita che discendi da una delle famiglie in quei libri» gli spiegò con le lacrime agli occhi. «I Targaryen. Per via dei capelli e perché sono noti come “i signori dei draghi” e il tuo nome deriva dalla Costellazione del Dragone. Hanno gli occhi viola.»
Draco la fissò sgomento. «È una cosa stupida.»
«Finché non ci chiede di adottare un drago come animale domestico, io non mi preoccuperei.»
«E per la faccenda del diario, invece?» colse la palla al balzo lui. «Neanche quella ti preoccupa?»
«Merlino, Draco, perché sei così contrariato da questa cosa?» chiese Hermione, sbuffando. «Credevo che fossi felice con me.»
«Stupida, lo sai che lo sono», replicò lui. «Schifosamente felice, grazie tante. Non è questo il punto.»
«Perché lo trovi così problematico quando quei diari hanno portato tanta gioia nelle nostre vite?»
«Perché oltre alla gioia e alla felicità, Hermione, hanno portato tanto, ma proprio tanto, sesso», ribatté Draco, in tono asciutto. «E la mia bambina è troppo piccola per fare tutte le cose che ricordo di aver fatto con te durante il nostro ultimo anno a Hogwarts.»
«Non avrei mai creduto di vedere il giorno in cui saresti stato geloso di qualcuno che non fossi io.»
«Non sono geloso» ribatté lui, piccato.
«Ne sei davvero ancora convinto, Draco Malfoy?» ridacchiò lei.
«Cento per cento sicuro.»
Lei scosse il capo, sghignazzando. «Io lo trovo bellissimo, il fatto che nostra figlia abbia trovato uno dei diari.»
«E poi sostieni di non essere romantica», borbottò lui.
«E tu di esserlo», controbatté Hermione.
«Il mio lato romantico è solo difettoso», rimarcò l’uomo. «Lo hai sempre detto. Il tuo dovrebbe essere inesistente. Perché ora si è risvegliato tutto di colpo?»
«Perché voglio che nostra figlia sia schifosamente felice quanto lo sono io», disse la donna, sorridendo. «E quei diari hanno dei precedenti verificati in fatto di riunire anime gemelle. Mi piace l’idea che Lyra abbia la possibilità di avere quello che abbiamo noi, un giorno.»
Draco sbuffò, ma era palesemente incapace di fingere di non condividere quella linea di pensiero. Non lo avrebbe mai ammesso a voce alta, però.
«E per quanto riguarda il sesso?» insisté lui. «Hai dimenticato di tutte le volte che ti ho fatto urlare il mio nome mentre-»
«D’accordo, ho capito!» esclamò esasperata Hermione. «È arrivato il momento di fare il discorso sulla prevenzione anche a lei!»
«Dove prevenzione significa astinenza», precisò Draco.
«Non l’hai posta in questi termini quando è stato il turno di Sirius e Scorpius. Non essere sessista.» 
«Non sono sessista, sto solo proteggendo la mia bambina!»
Hermione lo fissò spazientita. «Lyra è un’adolescente, Draco. Prima o poi succederà e tu mi stai facendo saltare i nervi.»
«E va bene! Vogliamo parlare, invece, di Sirius, James e le gemelle Zabini che decidono di trascorrere le vacanze di Natale a New York e ci danno buca?» cambiò discorso lui, di nuovo. «Non approvo.»
«Oh, lasciali in pace!»
«Cosa? Dopo tutto quello che hai fatto per iniziare le nostre tradizioni di famiglia per le festività, mi vuoi far credere che tu non ci sia rimasta male?»
Hermione gli sorrise dolcemente. Sapeva che Draco era così deluso dall’assenza dei figli perché sapeva che lei ci teneva, ma anche perché, anche se non lo avrebbe ammesso mai a voce altra, era importante anche per lui trascorrere il Natale tutti insieme. Era riuscita a fargli cambiare idea quasi subito in merito, le era bastato fargli capire quanto fosse bello festeggiarlo con i propri cari e quanto il calore natalizio fosse confortante.
«È solo un anno, non è la fine del mondo, verranno a Pasqua» lo tranquillizzò lei. «E poi un po’ li capisco, New York è bellissima a Natale.»
«Hermione!» esclamò lui, indignato. «Se volevi andarci perché non me lo hai mai detto? Ti ci avrei portata!»
«Lo sai vero che sono perfettamente in grado di organizzare un viaggio da sola?»
«Sì, ma è più bello se lo faccio io» ribatté l’uomo. «E poi tu mi guardi con quegli occhioni dolci e felici…»
«Merlino, hai ancora vent’anni!» sogghignò lei, scuotendo il capo. «Rendimi felice richiudendomi la zip del vestito.»
«Ti rendo più felice quando svolgo il processo inverso…»
«Dopo», gli assicurò lei. «Dopo, signor Malfoy.»
E mentre lo trascinava di sotto per radunare i loro ragazzi e recarsi a casa Potter per la cena della Vigilia, rendendosi conto di non domandarsi più da anni perché Draco non reputava eccessivo il numero di stanze in quella Villa, Hermione era assolutamente certa che il Natale successivo lo avrebbero trascorso negli Stati Uniti.
 
*
 
Godric’s Hollow, Casa Potter, Vigilia di Natale
 
«Hermione! Quanto sei bella!»
Daphne la accolse con un caloroso abbraccio, poi rivolse un’occhiata maliziosa a Draco, ammiccando in direzione del pancione.
«Quanti altri ne avete in cantiere?» domandò fingendo serietà. «State cercando di mettere insieme una squadra di Quidditch al completo?»
Il biondino sbuffò. «Una battuta del genere me la sarei aspettata di più da Blaise, Daph» commentò, aiutando Hermione a sfilarsi il mantello.
«A proposito, dov’è quel bastardo?»
«Attento a chi chiami bastardo, amico!»
Blaise apparve qualche istante dopo e gli diede una pacca sulle spalle.
«Dobbiamo fare qualcosa che farà rosicare i nostri figli traditori per non essere qui con noi.»
Daphne scoppiò a ridere. «L’ha presa a male.»
«Non è l’unico», commentò Hermione indicando Draco con un cenno del capo.
«E pensare che erano i più restii a trascorrere le festività tutti insieme, all’inizio.»
«Creature meravigliose, i Serpeverde!» esclamò con fare teatrale Harry, per poi abbracciare Hermione con affetto.
La famiglia Pucey arrivò qualche minuto dopo; Draco non ebbe niente da obiettare quando Adrian corse verso sua moglie e la strinse calorosamente a sé.
Non aveva niente da ridire da un bel po’, riguardo a Pucey; quella storia aveva fatto il suo corso. Erano persino diventati amici e Adrian era anche il padrino di Scorpius, come Harry era quello di Sirius, Ginny quella di Lyra e Daphne quella di Cassie. Il che lasciava Ron e Blaise a contendersi il ruolo per il nuovo nascituro. Dal momento che Hermione ne aveva scelti tre su quattro, la decisione in merito, quella volta, spettava a lui. Draco scherzava spesso sull’idea di optare per Astoria, anche solo per vedere le facce dei due quando avrebbero dato loro la notizia, ma la moglie era perfettamente consapevole che alla fine avrebbe scelto Blaise.
«Allora, come avete deciso di chiamarlo?» domandò Adrian, indicando il pancione della donna.
«Leo», rispose prontamente Hermione.
«Non ho intenzione di chiamare nostro figlio con un nome così Grifondiota, quante volte-»
«Ti ho accontentato con Scorpius», gli ricordò lei, dopo aver controllato che i ragazzi non fossero nei paraggi. «Ora non puoi tirarti indietro. I patti sono patti. Ti è solo andata bene che dopo sono venute due femmine, ma non avevamo concordato dei limiti di tempo.»
Draco sbuffò, poi si voltò verso Adrian, ed esibì un sorriso tirato. «Leo» confermò.
Il Prescelto represse a stento una risata. «Non cambierete mai voi due, eh?»
«No», dissero all’unisono.
«E continueranno a darci dentro come dei ragazzini per mooooolto altro tempo» aggiunse Blaise sghignazzando. «Cinque pargoli, amico. Dove lo trovate il tempo?»
«Ehi, signora Zabini», Draco chiamò Ginny, che corse a salutarli. «Tuo marito ti trascura a letto?»
La donna gli tirò uno schiaffo sul braccio. «Ci sono i ragazzi!»
«Scommetto che molti di loro fanno già sesso. I tempi sono cambiati» disse Blaise, ma prima che qualcun altro potesse rispondere, Ron e Astoria fecero il loro ingresso.
Scorpius piombò subito nella stanza e si mosse istintivamente verso Rose, in un gesto che ricordò molto Draco a quasi tutti i presenti, portandoli ad elencare tutti i motivi per cui il ragazzo era la copia sputata del padre, sebbene fosse molto più espansivo e notoriamente dolce.
«Hermione, puoi venire un momento?», mormorò Harry al suo orecchio.
La donna corrugò la fronte e annuì.
«Niente lavoro stasera Potter!» lo redarguì Draco, ma il moro ridacchiò e gli assicurò che non si trattava di una faccenda di lavoro.
«Ti volevo dare questo», le disse tendendogli una busta. «C’è dentro un fogliettino, leggi quello e poi la lettera. Quando sarai a Casa, lontana dai ragazzi.»
Hermione restò a guardarlo, perplessa, mentre si allontanava da lei ammiccando.
Che diavoleria aveva in mente il suo migliore amico?
Il biondino le si avvicinò e le sventolò una mano davanti agli occhi. «Tutto bene?»
«Sì, sì» si riscosse lei, sorridendo, mettendo in sicurezza la lettera nella sua borsa. «Andiamo.»
§
«Albus! È tardi» lo chiamò suo padre, bussando forte alla sua porta. «Sono arrivati tutti.»
«Arrivo, papà!» gridò il giovane, poi sbuffò e si voltò nuovamente, chinandosi sulla scrivania; intinse la piuma nell’inchiostro e tornò a scrivere.
 
‘Scusami, ma ora devo scappare, la mia pazza famiglia allargata è qui.
Anche se penso che ormai sarai andata a cena anche tu.
Buon Natale, ragazza del diario.
 
 
*
 
Oasis, qualche ora dopo
 
«Quella cos’è?»
Hermione si lasciò cadere pesantemente sul divano, la lettera che Harry le aveva dato in una mano, mentre Draco le toglieva le scarpe.
«Una lettera che mi ha dato Harry, raccomandandosi che la aprissi in privato» rispose distrattamente lei. «Merlino, com’è possibile che né la tecnologia Babbana né la magia abbiano ancora capito come rendere meno scomodi i tacchi?»
Il biondino rise. «Mi stai chiedendo di pensarci su?»
«Con la Pozione Lisciante di Lunga Durata ha funzionato» commentò lei, facendo spallucce. «Io ci provo, non si sa mai che la tua tendenza a soddisfare i miei desideri non compia il miracolo.»
Lui ridacchiò un po’ più forte. «Posso sedermi qui con te o devo lasciarti sola con quella?»
«No, puoi restare», fece lei, sorridendo.
Draco posò un braccio sullo schienale del divano, attorno alle sue spalle e prese a guardarla, perdendosi nei suoi lineamenti, scoprendosi ancora meravigliato del fatto che la donna era veramente la sua strega, anche dopo tutto quel tempo. Poi Hermione emise un gemito che lo distrasse dal suo momento di contemplazione della moglie.
«Oh.»
Stringeva tra le mani un fogliettino con un messaggio scritto con la calligrafia di Harry.
 
Guarda un po’ cos’ho trovato in camera di Albus.
Era in un oggetto che ti ho visto stringere spesso, nei lunghi e bui giorni in cui ci nascondevamo nella Foresta di Dean.
Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere riceverne una copia.
Harry 
Ps. Io non l’ho letta.
 
«Che succede?»
«Draco, questa è… la lettera», disse lei sbalordita. «Quella che ho lasciato nel mio diario prima di rimetterlo al suo posto nella Stanza delle Necessità.»
«Come…»
«Credo che Albus abbia l’altro diario» sussurrò lei, sorridendo meravigliata.
«Oh, no, maledizione!», imprecò il biondino. «Non bastava una Weasley, ora anche un Potter?»
Hermione gli tirò una gomitata, poi aprì il foglio di pergamena e si perse nelle sue stesse parole.
«Posso leggerla, questa volta?»
Lei gli rivolse il più dolci dei sorrisi.
«Sì, Draco. Ora puoi leggerla» mormorò. «E se vuoi, puoi anche aggiungere il finale.»
 
Ai nuovi proprietari dei diari,
Ciao.
Vi starete chiedendo come funzionano, ma non ho una risposta da darvi in merito.
Nonostante la mia natura curiosa, ho deciso, per questa volta, di non indagare, di non svelare il mistero che aleggia attorno a questi due oggetti.
Non so dirvi cosa siano veramente, né parlarvi di quale magia li leghi, né posso svelarvi per cosa sono stati creati veramente, ma posso dirvi cosa sono stati per me: un’ancora di salvezza, un fidato confidente, la strada per la felicità.
E posso assicurarvi che è stato così anche per i proprietari precedenti.
Non so quale sia il fine ultimo dei diari, se siano loro a scegliere i proprietari o se tutto è dettato dal caso, ma il mio mi ha dato modo di essere riunita con quella che credo sia la mia anima gemella e senza di essi, probabilmente, non sarei stata così fortunata.
Perché, senza di essi, probabilmente noi due non ci saremmo mai visti veramente.
Non vi dirò il nostro nome, ma vi parlerò con il cuore in mano.
Inizialmente, sarete restii a fidarvi di chi c’è dall’altra parte, ed è normale.
Valuterete l’idea di non confidarvi l’un l’altro, persino di sbarazzarvi dei diari.
Non lo farete, perché sarete troppo tentati dal mistero dell’anonimato, dall’idea di avere accesso alla sfera più nascosta di un’altra persona e di permettere a quella persona di vedere la vostra, una cosa che di solito ci spaventa un po’ tutti. Ma c’è un confortante senso di sicurezza nell’anonimato che vi spingerà a parlare e prima o poi, scoprirete il nome della persona che vi ha ascoltati e consolati e supportati e… non vi mentirò, ne sarete terrorizzati, anche se nel vostro caso probabilmente non sarà qualcuno che fino all’anno precedente avevate considerato un ‘nemico’, com’è successo a me. Perché la consapevolezza di esservi messi completamente a nudo davanti a qualcuno di fisico, che esiste veramente, che è uno studente come voi e gira per i corridoi di Hogwarts come voi, in un primo momento, vi schiaccerà.
E a quel punto, vi servirà il mio consiglio: non arrendetevi; perché uno dei due cederà per primo e andrà a cercare l’altro. Non respingete quello che i diari vi porteranno, perché non avrà eguali e vi porterà a formare un legame che altrimenti potreste solo sognare di avere.
Non fuggite, siate coraggiosi e accoglieteli.
Anche se per difendere ciò che avrete costruito dovrete lottare e sfidare il mondo intero, i limiti di ciò in cui avete sempre creduto.
Ne varrà la pena, ve lo posso assicurare.
Non ve ne pentirete.
A me hanno portato alla luce in tempi bui, alla felicità, all’amore… a voi chissà.
Magari una bellissima amicizia, o forse veramente sono in grado di individuare e riunire le anime gemelle e la persona che troverete dall’altra parte sarà quella che vorrete avere al vostro fianco per il resto della vita e oltre.
Abbiate fiducia.
E se, come ai miei tempi, vi starete chiedendo se noi abbiamo avuto il nostro lieto fine, mi dispiace, ma non posso dirvelo, perché stiamo lasciando Hogwarts in questo momento e ho sempre fatto schifo in Divinazione.
I diari non portano a una fine, vi danno la possibilità di un nuovo inizio.
E in tal senso, una cosa che posso rivelarvi c’è.
Noi abbiamo avuto un lieto inizio…
E spero che duri per sempre.
Perché non ho mai pensato che sia possibile amare qualcuno così intensamente e lui, invece, mi ha dimostrato che è possibile.
Perché a me una vita non basta.
Io, lui, voglio amarlo per l’eternità.
 
Draco restò a fissare la lettera per un po’, deglutendo con forza.
Era da tanto tempo che non avvertiva l’impulso di piangere.
Gli era successo quando, durante una romantica cena a lume di candela su una Torre Eiffel prenotata interamente per loro due, molti anni prima, Hermione aveva accettato di sposarlo e poi quando, l’anno dopo, sempre sul famoso monumento, aveva effettivamente pronunciato il fatidico sì.
Gli era successo quando Hermione aveva annunciato di aspettare il loro primo figlio, quando Sirius era venuto al mondo e lo aveva visto per la prima volta, e poi, di nuovo, per tutti gli altri.
Gli era successo quando, arrivato ad un punto della sua vita in cui era riuscito a fare pace con sé stesso, aveva finalmente provato ad evocare un Patronus e ci era riuscito, - un drago, Draco si ritrovò a pensare che Lyra non dovesse scoprirlo o la sua teoria assurda non avrebbe fatto altro che rafforzarsi… -, anche se Hermione aveva dato di matto quando aveva scoperto che la sua piccola lontra si era tramutata in un’esemplare femminile di drago; ma tutte le volte era stato un impulso dato dalla gioia, che alla fine Draco smetteva di trattenere, perché quello era un pianto piacevole a cui lasciarsi andare.
Draco non sapeva neanche fosse possibile.
Lui, per dolore, non aveva più pianto ed era stata Hermione ad assicurarsene.
Mise via la lettera e incrociò lo sguardo di sua moglie, che forse continuava a non avere la minima idea di quanta gratitudine nei suoi confronti evocasse in lui; posò la fronte contro quella di lei e, mentre una lacrima solitaria rigava la sua guancia, Draco sussurrò
«Per l’eternità», rinnovando la loro promessa. E poi, dopo averla baciata con trasporto, le sue labbra pronunciarono due parole che non aveva mai detto prima, né si era mai immaginato di dire, nonostante tutto. In quel momento, però, quelle due paroline premevano violentemente per uscire:
«Amore mio
 


[FINE]





N.d.a.

Ciao,
Eccoci qui, con questa storia che volge al termine.
Ho iniziato a scrivere Salazar's Code subito dopo Fine Line, quando ero ancora convnta che sarebbe stata più breve di quest'ultima (di fatti lo è, ma di poco. Ho solo reso i capitoli più lunghi, con meno aggiornamenti) e invece è venuta fuori un'altra long lunghissima. È stato un lavoro durato mesi, preceduto da un dibattito interiore su quale delle due trame utilizzare (i diari, o il codice?), conclusosi quando ho deciso di optare per entrambi (perché no?)
Un lavoro iniziato quest'estate e portato a termine solo di recente con la revisione finale.
Dal momento che il Prologo era interamente pov Draco, mi è sembrato giusto che a concludere la narrazione fosse Hermione.
Mentirei se vi dicessi che non mi dispiace nemmeno un po' che sia finita, tendo ad affezionarmi quando si tratta di storie così lunghe, ma i personaggi hanno ormai fatto il loro percorso ed è giusto lasciarli alle loro vite. Andare avanti, con nuove storie che lavorerò per raccontarvi nei prossimi mesi (altre Dramione, ma, spero, anche la storia originale che ho in cantiere, se sarete così gentili da dare un'opportunità anche a quella).

Con questa piccola nota ci tengo semplicemente a ringraziare di cuore chiunque di voi abbia letto Salazar's Code, ma soprattutto a rivolgere un ringraziamento speciale a voi che avete recensitoto la storia, ormai sapete quanto apprezzi ricevere un feedback, quanto sia importante per me sapere le vostre opinioni, oltre che estremamente gratificante, dal momento che ogni singola storia che pubblico ha alle spalle ore, giorni, mesi di lavoro (le long in particolare), costante.
Infine, grazie a anappleformalfoy , la mia Parabatai, senza la quale probabilmente avrei continuato a impedirmi di tornare a scrivere con ogni scusa possibile.
Spero che la storia vi sia piaciuta (fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va) e in tal caso, se avete ancora la pazienza e la voglia di leggere ciò che scrivo, restate sintonizzati/e per le nuove Dramione in arrivo (e per il continuo di The Weight of Us).

A presto!

 

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