L'uomo e il bambino

di Quebec
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Parte seconda ***
Capitolo 3: *** Parte terza ***
Capitolo 4: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Quando il bambino guardava dalla finestra, loro erano sempre lì. Barcollavano, gemevano, gorgogliavano. La strada era gremita di vampiri. Alle prime avvisaglie dell'epidemia, il bambino aveva creduto fossero zombie. Poi la madre era stata presa e dissanguata fino all'ultima goccia. La pelle cadaverica, secca come cuoio, gli occhi vitrei e le labbra bluastre. Era l'ultimo ricordo della madre. Lei che gridava, si dimenava, i vampiri che si ammucchiavano sopra di lei fino a formare una piccola montagnola. Poi le urla atroci si affievolirono e il bambino rimase in un cassonetto per due giorni. Piangeva, si addormentava e ripiangeva.
La madre lo aveva sistemato lì, aveva ostruito il veicolo con la propria dodge caravan e si era fatta inseguire da un branco di vampiri. Si muovevano come iene affamate, le mani sull'asfalto, i denti affilati, le teste glabre puntellata da vene nere. La donna aveva percorso solo pochi passi, quando un vampiro le era balzato addosso, raggiunto dagli altri.
Il bambino non faceva che rivivere quella scena ancora e ancora.

Nei due giorni a seguire, un uomo entrò nel vicolo. Sulla quarantina, basso, tarchiato, spalle larghe e occhi verdi. Indossava indumenti sporchi e laceri. Stivali da lavoro, pantaloni neri, una maglione verde e un impermeabile nero.
Quando aprì il cassonetto, il bambino gli lanciò una buccia di banana in faccia e cercò di scappare. L'uomo lo acchiappò dalle spalle e gli tappò la bocca con una mano. Il bambino si dimenò, cercò di gridare, ma alla fine si arrese. La mano dell'uomo puzzava di whisky.
- Non voglio farti del male - disse l'uomo.
Il bambino lo fissò con gli occhi arrossati dal pianto.
L'uomo lo squadrò in cerca di morsi. Non ne trovò. - Sei da solo?
Il bambino annuì.
- Griderai, se ti tolgo la mano di bocca?
Il bambino scosse la testa.
L'altro allontanò la mano e lo guardò per un momento. Poi si tolse lo zaino dalle spalle, pescò una tavoletta di cioccolata e gliela allungò. - Tieni.
Il bambino spostò gli occhi dalla tavoletta all'uomo, e dall'uomo alla tavoletta con l'acquolina in bocca. La prese timidamente e la divorò in pochi morsi.
L'uomo abbozzò un sorriso e si guardò attorno. Prima di trovare il bambino, aveva spinto la dodge caravan per accedere al vicolo e ora guardava oltre la strada, verso il negozio di ferramenta. L'edificio era intatto. Nessun segno di presenza di sopravvissuti dall'esterno.
Il bambino lo fissava e ogni tanto posava lo sguardo sul suo zaino. L'uomo prese una bottiglietta d'acqua e gliela diede. Il bambino la tracannò velocemente, l'acqua che rivolava ai lati della bocca. Poi si portò una mano sulla pancia, il viso contratto dal dolore.
- Dovevi mangiare e bere lentamente - disse l'uomo. - Non mangi da giorni, non è vero?
Il bambino gli lanciò uno sguardo e vomitò.
L'uomo si fermò accanto al dodge caravan e guardò entrambi i lati della strada. Nessun vampiro. Gettò un'occhiata alle spalle. Il bambino lo stava raggiungendo.
- Da quanto sei da solo? - chiese l'uomo.
Il bambino alzò le spalle.
L'altro corrugò la fronte pensieroso. Voleva domandargli dove fossero i suoi genitori. Forse erano morti, oppure erano diventati vampiri o lo avevano abbandonato. Non era la prima volta che succedeva. Aveva già visto padri o madri gettare i figli tra le braccia dei vampiri per salvarsi la pelle e abbandonarli da qualche parte. Nei primi giorni dell'epidemia ognuno pensava a sopravvivere.
Una madre aveva abbandonato un neonato in un vicolo, perché attirava i vampiri. Poi, afflitta dai sensi di colpa, era ritornata indietro e aveva trovato solo il passeggino vuoto macchiato di sangue. Il corpicino dalle pelle raggrinzita giaceva su una scala antincendio lì vicino. Un vampiro l'aveva portato là per non condividerlo con gli altri e succhiargli lentamente il sangue.
L'uomo era stato tentato di spaccare la testa alla donna con il martello, ma non ne aveva avuto il coraggio. Come poteva una madre abbandonare il proprio figlio per paura di essere dissanguata? Non era come nei film, nei libri. La gente era disposta a tutto pur di sopravvivere. La pietà era solo una parola vuota.
L'uomo raggiunse la ferramenta, seguito dal bambino. Spiò all'interno dalla larga finestra. Tutto era in ordine, nessun segno di vampiri o sopravvissuti. La porta-finestra era chiusa a chiave. Si guardò attorno e tirò una gomitata. Una parte del vetro andò in frantumi. Calò la mano all'interno e girò la maniglia.
Una volta dentro, il bambino si guardò intorno con fare rapito. L'uomo cercò tra gli scaffali chiodi, sega, cacciavite, martello e accetta. Li trovò nel magazzino.
Quando entrò in una piccola stanza adiacente, si bloccò. Un uomo gli dava le spalle seduto su una sedia d'ufficio davanti alla scrivania. Quando lo raggiunse con il martello alzato, abbassò l'arma e tirò un sospiro di sollievo. L'uomo seduto era stato sgozzato, camicia e pantaloni sporchi di sangue rappreso.
C'era una pistola sulla scrivania. La afferrò e controllò il caricatore. Era vuoto. Qualcuno aveva rubato i proiettili o forse non c'erano mai stati. Magari l'uomo morto l'aveva usata solo per spaventare i malintenzionati. E forse era stato ucciso proprio da loro. Se fosse stato un vampiro, ci sarebbe stato poco sangue sui vestiti.
Rumori di passi.
L'uomo si voltò, il martello alzato pronto a colpire, ma l'abbassò subito. Il bambino fissava l'arma spaventato. - Pensavo... Non arrivarmi alle spalle senza avvisare, capito?

Tornarono in strada. L'uomo con lo zaino pieno, il bambino con una sparachiodi. Proseguirono rasenti lungo gli edifici. Palazzi in fiamme, negozi saccheggiati. Una colonna di fumo nero oscurava il sole. Un furgone si era schiantato contro la porta di un pub. Due auto divorate dalle fiamme, i corpi carbonizzati nell'abitacolo. Una donna giaceva tra il marciapiede e l'asfalto, il retro della testa squarciata da una pallottola, i capelli biondi sporchi di sangue.
Passarono lungo un negozio di giocattoli. Il bambino si fermò con le lacrime agli occhi, posò le dita tra gli spazzi della saracinesca e guardò all'interno.
L'uomo lo raggiunse. - Dobbiamo andare. È pericoloso qua fuori.
- La mia... la mia mamma mi portava qui - rispose il bambino.
L'uomo gli posò una mano su una spalla affranto - Andiamo.
Il bambino non si mosse, le lacrime che gli rigavano il viso.
L'uomo lo prese per un braccio e lo trascinò via con la forza.
Il bambino si coprì il viso con le mani e scoppiò in un pianto sommesso, un'alzata di spalla, un singhiozzo. Piangeva in silenzio.

Quando arrivarono davanti alla stazione di benzina, il sole stava calando dietro i grattacieli che si ergevano tetri sulla città. Durante il giorno i vampiri rimanevano in uno stato di dormiveglia, ma bastava poco per svegliarli.
Tre giorni prima, mentre era alla ricerca di medicine, l'uomo era finito in un loro covo. Pensava che i succhiasangue si trovassero solo in cima agli edifici, al buio. Invece erano nel retro, sotto un sole che illuminava la loro pallida pelle puntellata da vene nere, come lucertole appostate sulle pareti nei caldi pomeriggi estivi.
Aveva fatto cadere una forbice per terra, quando si era ritrovato una dozzina di vampiri alle calcagna. Si era salvato per puro caso. Un uomo era entrato nella farmacia, aveva scorto l'altro e gli aveva sparato una fucilata. I proiettili si erano conficcati contro gli scaffali e addosso a due vampiri. Quelli avevano cambiato bersaglio e gli si erano lanciati contro, seguiti dagli altri. Lo avevano dissanguato e fatto a pezzi. L'uomo ne aveva approfittato per fuggire.
Adesso aveva imparato la lezione. Quei vampiri non erano come quelli dei film o dei libri. Che fosse giorno o notte, doveva fare molta attenzione. I succhiasangue erano sempre attivi. E alcuni amavano persino il sole e le fonti di calore.
Quando l'uomo raggiunse la porta secondaria della stazione di benzina, diede una veloce occhiata all'interno e proseguì verso lo stanzino. Aprì la botola, fece scendere il bambino, la richiuse e premette un bottone. Le luci si accesero e illuminarono un'ampia stanza con due letti a castello, un tavolo, quattro sedie, un frigo e un fornello. Una televisione a schermo piatto era sul muro e un laptop sulla poltrona. Cinque scaffali pieni di cibo e acqua si allungavano verso una spessa porta di ferro corrosa dalla ruggine. L'uomo non l'aveva mai aperta.
Il bambino sgranò gli occhi con fare sorpreso. Gli sembrava di essere nel bunker che aveva visto in un film di guerra.
L'uomo posò lo zaino sul tavolo, tirò fuori la roba che aveva preso e la sistemò su uno degli scaffali mezzi vuoti. Il bambino lo osservava curioso. Poi cenarono con una scatoletta di tonno e un tozzo di pane raffermo bagnato nell'acqua.

L'indomani mattina la stazione di benzina era circondata dai vampiri. Mentre i due dormivano, una donna era entrata nell'edificio per sfuggire ai succhiasangue e si era nascosta sotto un bancone. I vampiri erano entrati, annusato l'aria e contratto la testa in tic nervosi. Alcuni erano usciti in strada, ma tre erano rimasti all'interno. Non erano molto svegli, ma sapevano che lei era entrata qui. E uno di loro era affamato, non beveva da giorni.
Quando l'uomo aprì la botola, comprese che qualcosa non andava. La scatola di cartone, che prima di dormire aveva sistemato al centro nel corto corridoio come ogni sera, era stata spostata.
Qualcuno era entrato.
Richiuse piano la botola e scese giù.
Il bambino lo guardava turbato. Non aveva bisogno di parole per capire che qualcosa non andava. Glielo leggeva negli occhi. Sua madre aveva sempre lo stesso sguardo terrorizzato. Un terrore che la paralizzava per ore. Ma l'uomo non gli sembrava così. Aveva paura, ma non terrore.
L'uomo afferrò il martello in una mano e il fucile nell'altra. Lanciò uno sguardo al bambino, poi si legò il fucile intorno alla spalla e aprì lentamente la botola.

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Capitolo 2
*** Parte seconda ***


Il vampiro barcollava avanti e indietro nel corto corridoio. Annusava l'aria, si girava e rigirava, la testa preda di tic nervosi, eccitati. Aveva percepito un odore, ma non capiva da dove provenisse. Si bloccò davanti all'uscio dello stanzino, gli occhi nero pece fissi sul montante della porta, la bocca spalancata da cui colava la saliva giallastra.
L'uomo lo guardava dalla fessura creata tra la botola e il pavimento. Aveva già veduto i vampiri comportarsi in quella maniera e non era un buon segno. Aveva fame. E quando un vampiro aveva fame e aveva sentito anche l'odore di una preda, lo si doveva ammazzare o non sarebbe più andato via.
Il vampiro digrignò i denti aguzzi e si voltò lentamente verso la botola. L'uomo la socchiuse un poco fino a lasciare uno spiraglio per sbirciare. Il succhiasangue barcollò nello stanzino e si fermò ai piedi della botola. L'uomo si tolse il fucile dalla spalla e lo puntò in alto. Se il vampiro avesse sollevato la botola, lui gli avrebbe fatto saltare la testa. Lo sparo avrebbe attirato i succhiasangue vicini, ma l'uomo avrebbe bloccato la botola e loro non sarebbero mai entrati. Non avrebbero capito cosa fosse successo. Non erano molto svegli e prima o poi sarebbero andati via. Doveva solo aspettare.
Il vampiro restò fermo per un lungo momento, il corpo percorso da forti tremiti. Era inquieto e logorato dalla fame. Se non avesse trovato del sangue, sarebbe impazzito e avrebbe attaccato gli altri vampiri. E questi lo avrebbero fatto a pezzi.
Il vampiro si girò, barcollò verso il corto corridoio e si fermò sulla soglia.
L'uomo aprì lentamente la botola, posò il fucile sul pavimento, lo raggiunse alle spalle e gli sferrò una martella in testa. Il sangue nero gli schizzò in faccia. Il vampiro si afflosciò in avanti, ma l'uomo lo afferrò da sotto le braccia per non farlo cadere. Poi lo trascinò dietro a una cassa vuota e lo fissò negli occhi per un attimo. Era morto. I suoi occhi neri si facevano via via più vitrei.
Quando l'aveva colpito, non immaginava che sarebbe morto. Credeva che dopo averlo tramortito, doveva piantargli un paletto nel cuore, invece era bastato un colpo in testa.
Nei primi mesi dell'epidemia, in televisione avevano parlato di persone prosciugate, fatte a pezzi o infettate dai vampiri. Mostri invincibili, impossibile da uccidere. E ora per la prima volta aveva ucciso un vampiro. L'uomo cominciava a credere che quelli non fossero veri vampiri, ma qualcosa di molto simile.
Ritornò alla botola, prese il fucile e la richiuse sopra la sua testa.

L'uomo e il bambino sedevano attorno al tavolo. Il primo con gli occhi puntati sullo schermo del laptop acceso, il secondo con la sparachiodi in mano. Il bambino la esaminava con fare curioso. Credeva fosse una pistola speciale che avrebbe fermato qualsiasi vampiro. E l'idea lo rendeva più sicuro di sé.
L'uomo controllava l'ultima pagina del Baywood Times. L'ultima notizie risaliva a quattro giorni fa. L'esercito aveva sigillato la città per contenere l'infezione e si preparava a evacuare i cittadini. L'uomo corrugò la fronte con fare pensieroso. Nessuno sarebbe venuto a salvarli. Erano da soli.
Nelle due settimane che seguirono il caos, l'esercito si era fatto vedere solo con i cacciabombardieri che sfrecciavano di continuo nei cieli. L'uomo pensava che prima o poi avrebbero raso al suolo la città e tanti saluti. E chi andava ai posti di blocco sul confine della città per tentare la fuga, veniva allontanato a colpi di M60.
La corrente andò via.
Il bambino mollò la sparachiodi, girò attorno al tavolo e si strinse all'uomo. Lui lo circondò con un braccio.
- E se i vampiri ci trovano? - chiese il bambino spaventato.
- Non ci troveranno.
- Forse sono stati loro a spegnere le luci? Vogliono spaventarci.
- Alcune volte la corrente va via. Tra poco ritornerà.
Il bambino guardò lo schermo del laptop e i suoi occhi si illuminarono. - La mia mamma parlava sempre al computer. C'erano le persone e lei rideva sempre. Perché non ci sono le persone?
- Forse era in videochiamata.
Il bambino abbassò gli occhi per un momento. - Posso chiamarla?
- Chi?
- La mamma. Forse è casa in videochiamata. Magari si è dimenticata di prendermi perché sta ridendo troppo.
L'uomo lo fissò con gli occhi lucidi. Strinse il bambino sul suo petto.
- Posso chiamarla? - chiese il bambino.
Qualcosa urtò contro la botola. Lui allontanò bambino, afferrò fucile e martello e raggiunse velocemente la botola. Il bambino si nascose sotto il tavolo impaurito. Pianse. Il rumore gli aveva riportato alla mente la morte della madre.
L'uomo puntò il fucile verso la botola. Qualcuno cercava di aprirla con colpi lenti, discontinui. Abbassò il fucile con fare pensieroso. Un vampiro farebbe molto più rumore. Non cercherebbe di aprirla, ma di abbatterla con pugni e calci. Forse c'era una persona dall'altra parte. Poggiò una mano sulla scala a pioli, ma si bloccò.
E se dall'altra parte ci fosse qualcuno che gli avrebbe piazzato una pallottola in fronte appena aperto? Arretrò e guardò il bambino. Non poteva permettersi errori. Lui veniva prima. Doveva proteggerlo.
E se invece ci fosse una brava persona? Magari un altro bambino? Più pensava, più l'istinto gli suggeriva di controllare. Se non l'avesse fatto sarebbe stato divorato dai sensi di colpa.
Salì la scala, sbloccò la botola e puntò il fucile in alto con una mano. La botola si aprì e ne emerse il viso scioccato e sporco di una donna dai capelli crespi e luridi.
I due si fissarono per un attimo. Poi lei piantò gli occhi sul fucile.
- Scendi - disse l'uomo.

Quando l'uomo richiuse la botola, la donna si guardò intorno spaventata. Si aspettava di scorgere altra gente nella penombra in cui era inghiottita lo scantinato, ma i ragnetti erano gli unici ospiti che zampettavano sulle ragnatele agli angoli.
Il bambino uscì da sotto il tavolo e la fissò esitante. La donna ricambiò lo sguardo sorpresa. Non vedeva un bambino vivo da più di una settimana.
L'uomo non le toglieva gli occhi di dosso. La superò e si fermò accanto al tavolo. - Siediti.
L'unica fonte di luce era lo schermo del laptop che illuminava una parete crepata dello scantinato.
Il bambino si portò dietro l'uomo. La donna si avvicinò cauta, lo sguardo fissò sul fucile.
- Avrai fame - disse l'uomo.
La donna non rispose e si sedette. Il bambino la squadrava da capo a piede. Gli ricordava la madre. Aveva gli stessi capelli corvino lunghi fino alle spalle e le labbra sottili. Ma non era lei. Sua madre era morta. Scoppiò a piangere.
La donna si accigliò, confusa. L'uomo gli posò una mano sulla spalla, ma il bambino si allontanò e si arrampicò su un letto a castello. Il silenzio interrotto dai singhiozzi.
L'uomo andò a prendere una busta di patatine da uno scaffale e le posò sul tavolo. La donna la guardò con fare avido. Non mangiava da giorni.
- È tuo - disse l'uomo.
Lei abbassò lo sguardo. L'ultima volta che aveva accettato cibo da qualcuno era finita male.
Lui aprì le patatine e gliele avvicinò.
L'odore le fece venire l'acquolina in bocca, lo stomaco brontolava. Voleva afferrare le patatine, mettersele in bocca, masticarle. Strinse le mani a pugno. Doveva resistere.
L'uomo aggrottò le sopracciglia confuso. - Se non ne vuoi, le mangio io. - Allungò una mano, ma la donna prese la busta e divorò le patatine con voracità, le mani sporche di terra. Ogni tanto alzava lo sguardo per controllare l'uomo. Non voleva che l'assalisse mentre non guardava. Ma lui restava guardingo sulla sedia, il fucile in grembo.
Quando la donna ebbe finito di mangiare, si irrigidì e incassò la testa nelle spalle. Spostò lo sguardo dal fucile all'uomo, e dall'uomo al fucile. Era pronta a scattare in piedi e scappare al primo movimento.
- Avevi davvero fame - disse l'uomo.
La donna trasalì
Lui posò il fucile contro una gamba del tavolo. - Se avessi voluto farti del male, non ti avrei dato del cibo.
- L'ultimo che mi ha dato da mangiare ha preteso che facessi sesso con lui - rispose la donna con voce cupa, graffiata. - E io non ho voluto. Lui... - Serrò gli occhi irata. - Lui mi ha picchiata e violentata per giorni. Diceva che avevo mangiato il suo cibo e che poteva fare di me ciò che voleva.
L'uomo si fece serio. - Mi dispiace.
La donna gli lanciò un'occhiata diffidente. L'uomo che aveva davanti poteva essere come lui.
- L'hai ucciso? - chiese l'uomo.
- Chi?
- Il tizio che ti ha violentato.
La donna non rispose subito. - Avrei voluto, ma ci ha pensato un vampiro.
Restarono in silenzio per un momento.
- Come sei riuscita a scappare? - domandò l'uomo.
- È un terzo grado?
L'uomo abbozzò un sorriso. - Io non ti conosco. Per quanto ne so potresti rifilarmi queste cazzate per farmi abbassare la guardia. Forse di sopra ci sono i tuoi amici che aspettano che tu mi faccia fuori.
Gli occhi della donna erano due strette fessure cariche di rabbia. - Ho detto la verità!
L'uomo si alzò e prese il fucile. La donna scattò in piedi impaurita.
- Voglio crederti - disse l'uomo. - Sembri troppo spaventata per fingere. E non credo tu stia fingendo. Ma non voglio abbassare la guardia. Là fuori è pieno di gente che ucciderebbe per questo posto. E tu potresti essere una di loro.
La donna aveva troppo paura per guardarlo in faccia e si limitava a fissare il fucile. Le gambe tremanti, le labbra asciutte, lo stomaco in subbuglio. Ora che aveva mangiato il suo cibo, si aspettava che prima o poi l'uomo le mollasse un pugno, la prendesse a calci, si sbottonasse la patta e le venisse sopra con un sorriso sinistro, compiaciuto.
- Riposati - aggiunse l'uomo. - Resteremo qui ancora per molto.

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Capitolo 3
*** Parte terza ***


Seguirono tre giorni tra silenzi e sguardi diffidenti. L'odore di muffa che ammorbava l'aria, i ragnetti che zampettavano lungo le pareti crepate. La donna era rimasta per tutto il tempo a letto. Dormiva, si agitava nel sonno e si svegliava di soprassalto tutta sudata. Cercava l'uomo con lo sguardo e si riaddormentava con il suo volto. Voleva tenerlo d'occhio, ma la stanchezza prendeva il sopravvento. Il secondo giorno si svegliò con un ragnetto che le sgambettava sulla guancia. Smorzò un grido e se lo levò di dosso con una manata. L'aracnide fuggì sotto il letto.
L'uomo se ne stava seduto davanti al laptop, il bambino accanto. Leggeva e rileggeva le stesse notizie. Voleva convincersi che forse sbagliava sull'esercito. Magari ora erano già entrati in azione. Poi guardava il bambino e tornava alla realtà. Loro non sarebbero mai venuti. Toccava a lui cercare una via di fuga. E quella via, seppure non sua, l'aveva già in mente da un po'.
Si alzò, si mise lo zaino in spalla e afferrò il martello.
Il bambino lo guardava con fare curioso. - Dove vai?
- Esco.
- Dove?
- Devo vedere un amico.
- Posso venire?
- No.
Il bambino si aggrappò al suo fianco. - Ti prego, farò il bravo.
- No, devi restare qui, al sicuro.
Il bambino scoppiò in lacrime. - Non te ne andare.
L'uomo si piegò sulle ginocchia e lo guardò negli occhi. - Tornerò. E mi raccomando, se vuoi giocare al computer muta il suono come ti ho fatto vedere, ok?
Il bambino annuì, ma non si staccò da lui. Voleva stare con l'uomo. Non gli importava di giocare. - Non voglio stare da solo.
- Non sei da solo.
- Non voglio stare con lei. Non mi piace.
L'uomo si alzò e allontanò le mani del bambino. - Devi stare qui. Non puoi venire là fuori. È pericoloso. - Lanciò uno sguardo alla botola, poi al bambino. - Se qualcuno cerca di entrare, non aprire. Non importa chi sia, tu non aprire. E non fare aprire nemmeno a lei.
- Ma così tu non potrai entrare.
- Entrerò.
- E come?
- Ti dirò di aprirmi.
- Però tornerai, vero? Non mi lascerai qui da solo?
- Tornerò.
Il bambino lo abbracciò forte.
L'uomo si sciolse dall'abbraccio, salì la scala e lanciò un ultimo sguardo al bambino. Non sapeva se fosse una buona idea lasciarlo con la donna. Lei non aveva fatto altro che mangiare e dormire. Non alzava mai lo sguardo e stava sempre in allerta. Ormai aveva capito che la sua storia era vera. Non poteva fingere di avere gli incubi. Forse stare un po' insieme al bambino le avrebbe giovato.
Non aveva altra scelta. Sollevò la botola.

La stazione di benzina era deserta. Il succhiasangue che aveva ucciso giaceva con le spalle al muro. Lui lo guardò per un momento. Poi lasciò l'edificio e proseguì lungo la strada secondaria che portava a downtown.
Veicoli abbandonati, cadaveri sull'asfalto. Due auto della polizia messe di sbieco sulla via. Tutt'attorno, cinque poliziotti morti e chiazze di sangue. Il quinto piano di un palazzo divorato dalle fiamme, le colonne di fumo nero che si levavano al cielo.
L'uomo si era abituato a quel tetro panorama. In ogni strada, in ogni angolo, in ogni edificio aleggiava la morte. E la morte non faceva distinzione.
Arrivò a downtown senza scorgere un solo vampiro e ciò lo rese guardingo. Era raro che accadesse. I succhiasangue erano sempre attivi e c'era sempre un vampiro solitario che vagabondava in giro. Altri che si nascondevano in agguato dietro gli angoli, sui tetti o dietro i veicoli, ma nemmeno loro si erano fatti vedere.
L'uomo si fermò accanto a una cabina telefonica e spaziò lo sguardo verso la centrale di polizia, le finestre sbarrate da assi di legno. Sacchi di sabbia circondavano il portone abbattuto e una moltitudine di bossoli puntellavano il marciapiede. Fori di pallottole sulle mura e sulle fiancate dei veicoli. Finestrini rotti, parabrezza distrutti.
Il suo piano era andato in fumo.
Forse erano morti tutti o erano fuggiti altrove. Sospirò e si guardò intorno. Il silenzio che aleggiava nell'aria non era un buon sogno. I vampiri potevano essere tutti nella centrale, magari in dormiveglia. Oppure non c'erano affatto.
L'uomo si avvicinò cauto al portone e sbirciò nel grande atrio. Nessuna traccia di sangue, cadaveri o vampiri. Forse i sopravvissuti erano fuggiti. Che l'esercito li avesse evacuati? Più ci pensava, più gli sembrava impossibile.
Entrò e si diresse verso l'ufficio del suo amico poliziotto Ethan Lindsay. Salì la tromba delle scale al secondo piano, percorse un lungo corridoio e aprì la porta.
Pistola e distintivo sulla scrivania. La sedia d'ufficio ribaltata. L'uomo raggiunse la scrivania e guardò confuso pistola e distintivo. Perché Ethan li aveva lasciati qui? Pensò nuovamente all'esercito. Magari era vero. Poi cacciò via quel pensiero.
Mentre scendeva al pianoterra, un vampiro entrò nell'atrio. Si muoveva lento, la testa sollevata a fiutare l'aria. Aveva percepito l'odore dell'uomo, ma non n'era sicuro.
L'uomo si poggiò dietro un pilastro e sbirciò. Aveva sbagliato a credere che non ci fosse nessuno nei paraggi. Questo chiuse definitivamente la questione dei sopravvissuti. Poteva essere fuggiti nel condotto fognario che lui aveva intenzione di usare. Ma senza la guida di Ethan sarebbe stato impossibile orientarsi in quel dedalo di canali maleodoranti.
Il vampiro barcollò nell'atrio per un momento, il corpo percorso da tremiti. Poi si diresse verso la tromba delle scale con il viso sollevato in aria. Appena fu vicino al pilastro, l'uomo gli piantò una martellata nel cranio. Il succhiasangue indietreggiò un poco, stordito. L'uomo lo colpì un'altra volta e il vampiro indietreggiò di nuovo. Allora l'uomo gli sferrò una serie di martellate finché il succhiasangue crollò sul pavimento, il sangue che sgorgava e formava una chiazza sotto la testa tumefatta e squarciata.
L'uomo si piegò in avanti per riprendere fiato, incredulo. Aveva ucciso un altro vampiro. Si pulì il sangue nerastro dalla faccia con la manica dell'impermeabile e si voltò.
Un altro succhiasangue gli balzò addosso con uno strillo acuto.

Il bambino e la donna si tenevano d'occhio da ormai tre ore. Entrambi non si fidavano dell'altro, ma i loro sguardi si cercavano spesso.
Il bambino avviò il flipper sul computer e la musichetta del gioco riverberò nello scantinato. La donna si voltò verso di lui. - Abbassa! Abbassa!
Il bambino andò in panico. Invece di mutare il suono, alzò il volume al massimo per un attimo. Poi lo mutò.
La donna si portò le mani nei capelli, gli occhi sbarrati dalla paura. - No, no, no! Ora arriveranno qui!
Il bambino abbassò lo sguardo.
Attimi dopo una moltitudine di grida acute si levarono in strada. I vampiri correvano eccitati verso la stazione di polizia. Alcuni si calpestavano nella fretta di arrivare primi, altri saltavano da un tetto all'altro. Salti di diversi metri, impensabili per un uomo.
Entrarono nell'edificio come un fiume in piena.
Il bambino chiuse il laptop e guardò la donna. Lei ricambiò lo sguardo, per poi spostarlo verso la botola. Non immaginava che sarebbero venuti così in fretta. Pensava che si fossero sparpagliati negli altri quartieri in questi ultimi tre giorni. Il bambino si arrampicò sul letto a castello e si rifugiò sotto le coperte, la testa affondata nel cuscino.
La donna si alzò dal letto, afferrò il fucile sul tavolo e lo puntò alla botola con le mani tremanti. Non aveva mai tenuto un fucile in mano. Nei film lo facevano sembrare facile, magari era davvero così. Doveva solo puntare e premere il grilletto. Non poteva essere difficile.
I vampiri si riversarono nello stanzino, altri si ammassarono e si incastrarono sull'uscio. Le loro grida giungevano come urla demoniache nello scantinato. E cominciarono a martellare la botola di pugni e calci.
Il bambino scoppiò in un pianto sommesso. La donna trasalì e quasi si lasciò cadere il fucile dalle mani. Non sapeva cosa fare. Avvicinarsi alla botola era l'ultima cosa che intendeva fare. Si guardò intorno. Una spessa porta di ferro arrugginita si trovava in fondo alla stanza. La raggiunse, posò il fucile contro il muro e girò la manovella. Non si spostava. Impresse forza nelle braccia e tentò nuovamente. Niente. Sembrava incastrata, oppure non era abbastanza forte da aprirla. Sospirò e ci riprovò finché i palmi della mani cominciarono a bruciare. Allora digrignò i denti e represse un urlo di frustrazione e di rabbia.
Si voltò verso la botola con un nodo alla gola. I vampiri picchiavano la botola con colpi violenti, veloci.
La donna raggiunse il suo letto con le gambe e le mani tremanti, gli occhi lucidi per la paura. Era in trappola. Se i succhiasangue fossero entrati, sarebbe stata la fine. E lei non voleva morire. La bocca asciutta, il cuore che le martellava in petto. Le sembrava di impazzire. Quei colpi la facevano impazzire. Si portò le mani sui capelli unti e increspati, se li tirò, si tappò le orecchie, si alzò, camminò in tondo e si sedette nuovamente. Voleva gridare, urlare.
Poi i vampiri allentarono i colpi sulla botola finché cessarono. Gemiti e gorgoglii giungevano dallo stanzino. I succhiasangue si erano calmati e barcollavano dentro e intorno all'edificio. Quelli incastrati sotto l'uscio presero a graffiarsi, a mordersi e presto si liberarono e girarono a zonzo.
Il bambino sbirciò da sotto le coperte. Il suo sguardo vagava nella stanza alla ricerca dei vampiri, finché si posò su un viso sporco e pallido. La donna si torturava la pellicina delle unghia e biascicava parole senza senso.
Il bambino si affossò nelle coperte, la faccia affondata nel cuscino, gli occhi arrossati per il pianto. - Mamma... dove sei? Vienimi a prendere. Ho paura... Vienimi a prendere... Mamma...

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Capitolo 4
*** Epilogo ***


L'uomo spinse a lato il vampiro, ma lui gli balzò di nuovo addosso e scattò i denti aguzzi a pochi centimetri dal suo collo. L'uomo gli sferrò un pugno sul fianco e scattò in piedi. Il succhiasangue gli saltò ancora una volta addosso, ma lui si spostò dalla traiettoria. Appena il vampiro si voltò, l'uomo gli piantò il martello in fronte.
Il vampiro crollò sul pavimento, il corpo percorso da violenti fremiti.
L'uomo riprese fiato. Doveva andarsene da lì. La centrale poteva essere una trappola mortale. Nessuna traccia di sangue e nessun corpo da quando ci era giunto. Doveva capirlo prima che c'era qualcosa di strano.
Si precipitò fuori dall'edificio e si guardò intorno. Le strade deserte. Se fosse stata una trappola i vampiri dovevano già saltargli addosso.
Si diresse lungo la strada secondaria che portava a una delle entrate del condotto fognario che si snidavano sottoterra per chilometri. Non sapeva se fosse una buona idea andare a darci un'occhiata, ma doveva farlo. Non poteva portare qui il bambino senza prima controllare che non ci fosse un covo di vampiri all'interno.
Quando arrivò nello spiazzo che portava alle fogne, una pila di corpi era ammassata ai piedi della porta di ferro. Ethan era tra loro, la testa pallida, la pelle secca.
L'uomo si portò una mano sulla testa con fare sconvolto. Erano tutti morti. Questo spiegava perché non c'era sangue nella centrale di polizia, ma non spiegava perché Ethan avesse lasciato pistola e distintivo sulla scrivania. Che senso aveva? Che le avesse dimenticati?
Si alzò e raggiunse i cadaveri rivolti verso la porta. Avevano tentato di aprirla. Allora perché erano fuggiti senza prima accertarsi che fosse aperta?
L'uomo girò la maniglia. Chiusa. Forse erano stati chiusi fuori? Probabile.
Si allontanò dalla porta e lanciò un'occhiata ai tetti dei palazzi che lo attorniavano. Nessun vampiro lo osservava dalla cima. Chi aveva banchettato con il sangue dei sopravvissuti ormai doveva essere molto lontano. Si disperdevano sempre dopo aver ucciso la preda.
Lasciò lo spiazzo e proseguì lungo le strade secondarie. Il vento ululava tutt'attorno. Un colpo di pistola lontano. Un urlo. Qualcuno era morto.
Aumentò il passo finché cominciò a correre. Dopo tre isolati si fermò a riprendere fiato.
Quando svoltò l'angolo, un autobus si fermò davanti a un supermercato, l'intera carrozzeria protetta da lastre di metallo. Un veicolo corrazzato su ruote. L'uomo si nascose dietro un furgone e sbirciò. Un gruppo di uomini armati scese dal veicolo. Due si piazzarono all'entrata, gli altri entrarono dentro.
L'uomo sgattaiolò da un veicolo all'altro e si nascose dietro una fila di siepi. Dall'interno provenivano delle voci.
- ...interessa. Cazzo, guarda! C'è ancora della roba!
- Dove?
- Qua! Vieni!
- Ma non basta per tutti.
- Che cazzo ti aspettavi? Ogni fottuto negozio è stato saccheggiato!
L'uomo fiancheggiò il muro del supermercato, superò il piccolo spiazzo posteriore, scavalcò il basso muretto e proseguì sulla strada. Ogni tanto si guardava alle spalle per paura che quegli uomini lo stessero seguendo. Se avessero trovato il suo rifugio, avrebbero ucciso lui e il bambino. Doveva tenerli lontani.
Svoltò un angolo, appoggiò le spalle contro il muro e sbirciò nella direzione da cui era venuto per un lungo momento. Non sembravano averlo seguito. E poi come minimo gli avrebbero sparato addosso prima di inseguirlo. E se fossero tipi svegli? Allora si sarebbero limitati a seguirlo. Sparare voleva dire attirarsi addosso i vampiri nei paraggi. L'uomo stesso non aveva portato il fucile per non essere tentato di usarlo.
Scacciò dalla mente quegli uomini e si incamminò rasente agli edifici. Quando raggiunse l'incrocio, l'autobus blindato veniva alla sua sinistra. L'uomo si abbassò e si rifugiò dietro una macchina.
L'autobus si fermò davanti al veicolo. Un vociare concitato giungeva dall'abitacolo, ma l'uomo era troppo lontano per capire cosa dicessero. Poi l'autobus si allontanò e svanì dietro una curva.
L'uomo restò al suo posto per un lungo momento. Forse l'avevano scorto all'incrocio o al supermercato. Allora perché non erano scesi?
Si alzò e si inoltrò per gli stretti vicoli, dove l'autobus non poteva passare. Ma più camminava, più aveva la sensazione di essere seguito. Eppure non c'era nessuno alle sue spalle, nessun motore acceso. E non credeva che sarebbero scesi dall'autobus per seguirlo.
Quando arrivò a tre isolati dalla stazione di benzina, una raffica di spari echeggiò tra i palazzi. Urla, strilli, gemiti. L'uomo sbarrò gli occhi e corse a perdifiato lungo il marciapiede. Forse i vampiri erano riusciti a entrare nel rifugio. Come poteva aver abbandonato il bambino? Forse l'avevano già ucciso.
Girò l'angolo e si pietrificò. Più di un centinaio di vampiri affollavano la strada. Una fitta allo stomaco lo piegò in avanti, i sensi di colpa arrivavano come pugnalate nello stomaco.
Altri spari e urla. Grida deliranti. L'autobus spiaccicava i vampiri al suo passaggio e dondolava sotto i loro corpi. Gli uomini sparavano dai finestrini un poco abbassati e ridevano a crepapelle, gli occhi spiritati.
- Centrato!
- Ventotto!
- Come cazzo fai a essere a ventotto, se poco fa eri a tre?
- Non rompermi i coglioni!
- Sei un fottuto bugiardo!
- Pensa a sparare, coglione!
- Stronzo!
- Vaffanculo!
- Vaffanculo tu!
I vampiri si lanciarono contro l'autobus. Alcuni si arrampicarono sopra al tettuccio e cominciarono a tartassarlo di pugni. Gli uomini a bordo chiusero un altro po' i finestrini e altri spararono contro il tettuccio. Ridevano, ricaricavano l'arma e ridevano.
L'uomo non capiva perché si fossero buttati in mezzo ai vampiri. Solo dei pazzi l'avrebbero fatto e forse lo erano per davvero.
Gli strilli dei succhiasangue soppressero le urla degli uomini. Alcuni ne arrivavano dalle strade adiacenti e altri saltavano giù dai tetti o dalle finestre come una cascata umana. L'autobus blindato si bloccò sui corpi, le ruote posteriori che ruotavano alla massima velocità e maciullava la faccia di un vampiro morto. I vampiri si ammassarono sul veicolo fino a farlo scomparire sotto i loro corpi.
L'uomo sgattaiolò rasente al muro e arrivò davanti alla stazione di benzina. Centinaia di vampiri crivellati di pallottole giacevano attorno all'edificio. Serrò gli occhi e corse all'interno. Quando trovò la botola chiusa, tirò un sospirò di sollievo. I vampiri non erano entrati. Allora chi aveva attirato tutti quei succhiasangue? L'autobus? Era improbabile. Certamente gli spari ne avevano attratti di nuovi e altri ne sarebbero arrivati nelle ore successive.
Bussò alla botola. Attese. Bussò di nuovo. - Sono io, apri.
La botola si aprì con uno scatto e l'uomo la sollevò.
Il bambino era ai piedi della scala e cercava di alzare a fatica il fucile più grande di lui. Quando si accorse che oltre la botola c'era l'uomo, sgranò gli occhi per la felicità.
Lui chiuse la botola e scese la scala. Il bambino lo abbracciò con le lacrime agli occhi.
- Non eri sicuro che ero io? - chiese l'uomo.
- No.
- Allora perché hai aperto?
- Mi sembrava la tua voce.
L'uomo lanciò uno sguardo nello scantinato e trovò la donna seduta sul letto con gli occhi vacui. Sembrava appena uscita da una crisi isterica.
Lui si chinò verso il bambino. - Stai bene?
- Sì.
Gli posò una mano sulla spalla, prese il fucile e raggiunsero il tavolo. Mentre il bambino si sedeva, l'uomo si avvicinò alla donna. - Ehi.
La donna mormorava parole senza senso.
- Ehi!
Lei lo guardò dritto negli occhi. - Stanno arrivando.
- Chi?
- I vampiri. Loro arrivano sempre.
L'uomo guardò le unghia arrossate e insanguinate che la donna continuava a tormentarsi e le posò una mano sul polso per fermarla. La donna tentò di graffiargli la faccia, ma lui si spostò appena in tempa. - Ehi, non voglio farti del male! Calmati.
La donna lo fissava con gli occhi infiammati.
Lui mantenne lo sguardo per un momento, poi si girò e raggiunse il bambino. - Da quanto è così?
- Da un po'.
- Ti ha fatto del male?
- No. Io...
- Cosa?
- Ho attirato i vampiri. E lei è impazzita. È colpa mia.
L'uomo gettò uno sguardo alla donna, poi al bambino. - Sei uscito?
- No, no. Voleva mutare la musichetta del gioco, invece ho alzato al massimo. Ma poi l'ho mutato. Davvero. È stato un incidente. Non volevo farlo.
L'uomo sospirò. Adesso capiva la presenza di tutti quei vampiri. - Non preoccuparti.
- Sei arrabbiato con me?
- No.
- Sicuro?
- Sicuro.
Il bambino abbassò lo sguardo afflitto dai sensi di colpa.
L'uomo gli spettinò i capelli con una mano. - Va tutto bene. Davvero.
Una raffica di spari, gli stessi calibri usati dagli uomini sull'autobus. Erano ancora vivi.
La donna si rannicchiò nel letto dando loro le spalle.
- Sono i tuoi amici? - chiese il bambino.
- No.
- Se non sono i tuoi amici, allora chi sono? Non dovevi vedere un amico? Dov'è adesso? Ci porterà via di qui? Dov'è?
L'uomo raggiunse la botola e controllò che fosse chiusa. Poi si levò lo zaino dalla spalla e cominciò a riempirlo di cibo e acqua, il bambino che lo seguiva in silenzio.
L'uomo posò lo zaino contro la parete e osservò la spessa porta di ferro arrugginita. Non sapeva cosa si celasse oltre. Forse era un sottopassaggio che conduceva fuori città. Lo sperava, ma forse pretendeva troppo.
Lo scantinato era stato trasformato in una specie di bunker dal proprietario della stazione di benzina patito della sopravvivenza. E l'uomo se n'era servito quando l'epidemia si era diffusa a macchia d'olio sulla citta. Lui e l'amico l'avevano condiviso per due giorni. Al terzo giorno l'amico era scomparso come centinaia di altre persone inghiottite negli abissi della città.
E ora l'uomo fissava la porta divorato dai dubbi.
Il bambino lo raggiunse. - Dobbiamo andare, vero?
- Sì.
- Dove andremo?
- Lontano da qui.
- A casa mia?
L'uomo lo guardò. - Molto più lontano.
- Dove non ci sono vampiri?
- Sì.
Il bambino sorrise, poi si voltò verso la donna. - Viene con noi?
- Non lo so.
- Lei ha paura dei vampiri. Forse viene, se glielo chiedo. Ma credo sia ancora arrabbiata con me.
L'uomo gli mise una mano sulla spalla. - Magari dopo.
Il bambino aggrottò la fronte con fare confuso. - Perché?
- Deve riposare.
Il bambino gettò uno sguardo alla donna e si sedette sul letto.
L'uomo posò le mani sulla manovella e girò con tutta la forza che aveva in corpo. Quella grattò sugli ingranaggi e si spostò un poco. L'uomo mollò la presa, stiracchiò le dita, li appoggiò sulla manovella e girò, la faccia arrossata per lo sforzo. Mollò la presa e si asciugò il sudore dalla fronte con la manica dell'impermeabile. Ci riprovò.
La manovella scattò.
L'uomo afferrò il martello e aprì lentamente la porta, i palmi delle mani arrossati e doloranti.
La galleria proseguiva a perdita d'occhio, illuminata a intervalli da lampadine che correvano lungo la parete.
L'uomo e il bambino spalancarono gli occhi sorpresi.
- È come nei film di guerra - disse il bambino. - Forse ci sono i soldati. Cosa facciamo se ci sono i soldati?
- Non ci sono.
- Sicuro? Secondo me ci sono. Nei film ci sono sempre.
- Qui non ci sono.
- E se ci sono i vampiri?
L'uomo non rispose. Potevano esserci e come. Era questo che lo aveva spinto a non aprire la porta. Ma ora l'aveva fatto e tornare in superficie non era impossibile. Gli spari continuavano senza sosta, segno che gli uomini nell'autobus stavano facendo una carneficina. E lui non voleva trovarsi di mezzo.
- Ci sono i vampiri? - chiese il bambino spaventato.
- Non ci sono.
- Come fai a saperlo?
- Lo so.
- Sì, ma come lo sai?
- Perché non vivono sottoterra.
Il bambino piantò le mani sui fianchi e lo fissò con fare incerto. - Non ti credo.
L'uomo raggiunse la donna ancora rannicchiata sul letto. - Noi stiamo per andare. Vuoi...
La donna si voltò di scatto, gli occhi arrossati, le labbra screpolate. - Non lasciarmi qui, ti prego.

Mezz'ora dopo proseguivano lungo la galleria.
L'uomo aveva socchiuso la porta nel caso fossero ritornati di corsa al rifugio, ma sperava che non ce ne fosse bisogno.
- Quanto manca ancora? - chiese il bambino. - Mi fanno male i piedi.
- Continua a camminare - rispose l'uomo.
La donna li osservava in silenzio. Si era calmata e aveva riacquisito la ragione. Tutto quello che l'era capitata poca prima le sembrava solo un sogno. Un orrendo incubo che voleva cancellare.
Venti minuti dopo arrivarono a un incrocio a T.
La donna e il bambino guardarono l'uomo. Lui spostava lo sguardo da un corridoio all'altro. Non sapeva quale percorrere. Cercò un segno o una traccia sui muri che indicasse l'uscita, ma non trovò niente.
- Da che parte andiamo? - domandò il bambino.
L'uomo scrutò in fondo ai due corridoi. Forse entrambi portavano lontano dalla città o fuori città. Ormai si era messo in testa che doveva essere così. Doveva crederci.
Il bambino gli tirò un lembo dell'impermeabile. - Allora?
- Da questa parte - rispose l'uomo.
Seguirono il corridoio di sinistra. Un'altra lunga camminata, finché si fermarono a un punto in cui alcune luci erano spente a intervalli irregolari.
La donna si mise dietro di loro.
Il bambino guardò l'uomo. - Andiamo dall'altra parte.
Lui osservò le zone buie e quelle illuminate che si intervallavano senza fine. Poi spostò lo sguardo sulla donna e sul bambino. - Statemi accanto, ok?
- Non voglio andarci - rispose il bambino spaventato. - E se ci sono i vampiri?
- Non ci sono. Qui non c'è nessuno.
- Perché alcune lampadine sono spente?
- Si sono rotte.
- Le hanno rotto i vampiri?
- Si sono rotte da sole.
Il bambino non era tanto convinto. - Ma possono essere stati i vampiri?
L'uomo si piegò in avanti. Doveva mentire. - Ascolta, questa è l'unica via che ci porterà lontano da qui, magari fuori città. E posso assicurarti che qui dentro c'è nessuno. Posso giurartelo, se vuoi.
- Giurarlo.
L'uomo si fece la croce sul cuore. - Lo giuro.
Il bambino si strinse a lui. - Ti credo, però io resto attaccato a te.
- Va bene.
La donna li guardava con un mezzo sorriso. La scena le aveva riportato in mente lei e suo padre. Quando era bambina non voleva che lui andasse a lavoro e si attaccava alle sue gambe con tutta la sua forza. Abbozzò un sorriso triste.
Quasi un'ora dopo arrivarono davanti a una porta di ferro arrugginita. L'uomo ci si avvicinò cauto, girò la manovella e la aprì lentamente.
I tre inorridirono.
Le pareti erano invase da sacche o bubboni organici che pulsavano di vita. Una sostanza rossastra appiccicosa colava dal soffitto e dai muri. Il pavimento cosparso di ossa e vampiri morti. Cosa ci facevano i vampiri qui sotto? Alcuni sembravano bassi come bambini.
L'uomo vagò con lo sguardo in mezzo a quel macabro panorama da film di fantascienza, finché i suoi occhi si posarono sul fascio di luce. Era il sole. Il corridoio portava fuori città. Un formicolio di felicità gli pervase la testa.
La donna si precipitò in quella direzione, i passi che sguazzavano nelle pozzanghere appiccicose e maleodoranti. Quando stava per arrivare alla scalinata, un tentacolo uscì dall'ammasso organico nella parete e la schiacciò sul pavimento. Il sangue schizzò tutt'attorno.
Il bambino urlò in lacrime e si strinse al fianco dell'uomo.
Lui fissò la testa della donna rotolare lungo il pavimento, l'espressione di gioia ancora impressa nel suo volto insanguinato. - Almeno non si è accorta di niente...
Il bambino alzò lo sguardo. - Cosa? - Posò gli occhi sui resti della donna e affondò la testa nel fianco dell'uomo.
- Va tutto bene - disse lui.
- Ho paura.
- Siamo quasi fuori.
- Non voglio andare di là.
- È l'unica via di uscita.
Il bambino lo guardò. - E se quella cosa ci schiaccia?
- Non ci schiaccia.
- Ma ha schiacciato lei.
L'uomo non se la sentiva di mentirgli di nuovo. - Forse ci schiaccerà, oppure no. Ma non possiamo restare qui o tornare indietro. Dobbiamo passare.
- Perché non possiamo tornare indietro? Prendiamo l'altro corridoio.
- Non sappiamo dove conduce.
- Non lo sapevamo nemmeno di questo.
L'uomo scosse la testa con un sorriso. Il bambino era davvero cocciuto e sveglio.
- Perché sorridi?
- Niente.
- Dai, perché sorridi?
- Così.
Il bambino lo scrutò con fare guardingo. - Non ti credo.
L'uomo guardò oltre le spalle del bambino e sbarrò gli occhi scioccato. Un ammasso di vampiri si precipitava verso di loro. Nessun suono, nessuno grido, nessun gemito. Niente. Correvano silenziosi come foglie al vento. Erano nudi e alti quanto un bambino di cinque anni, la pelle pallidissima, le teste e le spalle sproporzionate al corpo e gli occhi rossi che mandavano vividi bagliori come alimentati da un fuoco interno, malvagio.
- Che c'è? - chiese il bambino. Poi si voltò e restò paralizzato dalla paura.
L'uomo mollò il fucile, prese il bambino e si precipitò verso la fine della galleria. Doveva solo compiere una cinquantina di metri e sarebbe stato fuori. E poi? I vampiri li avrebbero inseguiti e fatti a pezzi. Erano molto più veloci di quelli incontrati in città.
Scivolò sulla sostanza appiccicosa e crollò sul pavimento, ma non lasciò andare il bambino. Scattò in piedi e corse. L'unica priorità era il bambino. Lui era la speranza, non poteva morire. Si fermò davanti al tentacolo, si tolse lo zaino dalle spalle e lanciò il bambino dall'altra parte. Lui atterrò su un ammasso organico e si mise subito in piedi.
Poi l'uomo gli lanciò lo zaino. - Mettitelo sulle spalle! Adesso!
I vampiri erano vicini.
Il tentacolo si sollevò e scaraventò l'uomo contro la parete organica. Non lo prese in pieno, ma quanto bastava per fargli mancare l'aria dal petto per un momento.
Il bambino urlò.
L'uomo si rialzò. - Scappa!
- No!
- Scappa! Mettiti in salvo!
Il bambino non sapeva cosa fare.
Il tentacolo si sollevò e si scagliò contro l'uomo, ma lui si getto a terra in tempo. I piccoli succhiasangue si riversarono nel corridoio organico come tante formiche uscite dal formicaio.
L'uomo sorrise per l'ultima volta al bambino in cima alla corta scalinata e scomparve sotto i piccoli corpi dei vampiri. Un attimo dopo il tentacolo li schiacciò a più riprese. Altre ossa e corpi si aggiunsero a quelli semisepolti nella massa organica che colava dai muri al pavimento e li inghiottiva.
Il bambino osservò l'impermeabile dell'uomo chiazzato di sangue. Lo cercava con gli occhi, lo aspettava, le spalle che sussultavano per il singhiozzavo, il muco che colava dal naso.
Abbassò gli occhi arrossati dal pianto e chiuse il cancello di ferro.

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