Primula Vulgaris

di Johnee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** In Comune ***
Capitolo 3: *** Una Signora Rispettabile ***
Capitolo 4: *** Grazia ***
Capitolo 5: *** La Salita ***
Capitolo 6: *** Tra lo Zest e la Polpa del Limone ***
Capitolo 7: *** Primula ***
Capitolo 8: *** Oltre ***
Capitolo 9: *** Statue ***
Capitolo 10: *** Gambetto ***
Capitolo 11: *** Reciprocità ***
Capitolo 12: *** Chaos ***
Capitolo 13: *** Dolore Binario ***
Capitolo 14: *** Aftercare ***
Capitolo 15: *** Tollerarsi ***
Capitolo 16: *** Una Linea Molto Sottile ***
Capitolo 17: *** Due Draghi in Quattro Atti ***
Capitolo 18: *** Hospitalité Orlésienne ***
Capitolo 19: *** Vhenas ***
Capitolo 20: *** Reale ***
Capitolo 21: *** Carburante ***
Capitolo 22: *** Gale ***
Capitolo 23: *** Gradualmente, con un senso ***
Capitolo 24: *** Make it Make Sense ***
Capitolo 25: *** Fragile ***
Capitolo 26: *** Rialzarsi ***
Capitolo 27: *** Vigilia ***
Capitolo 28: *** Vittoria ***
Capitolo 29: *** A Metà ***
Capitolo 30: *** Divorare ***
Capitolo 31: *** Tempo ***
Capitolo 32: *** Misure ***
Capitolo 33: *** Big Mistake. Big. Huge. ***
Capitolo 34: *** Prospettiva Diversa ***
Capitolo 35: *** Come un Asino ***
Capitolo 36: *** Convenienza ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Nel bosco che segnava il confine occidentale dei Sobborghi, il sole brillava nel punto più alto del cielo, disperdendo i suoi raggi morbidamente attraverso una fitta ragnatela di foglie ingiallite.

Aleggiava un fresco profumo di erba bagnata, che si sposava audacemente con il classico olezzo mentolato di radice elfica caratterizzante quell'area delle Terre Centrali. Questi odori coprivano degnamente il fetore causato da una massiccia presenza di montoni, spinti a ripararsi in quella zona per via del conflitto tra Maghi e Templari che vessava i pascoli circostanti.

Inoltre, i suoni tipici del bosco in autunno erano disturbati frequentemente dal clangore dell'acciaio e dal fragore delle evocazioni, che nemmeno la fitta vegetazione di arbusti e sempreverdi non riusciva a schermare correttamente.

Nel mezzo di quel panorama, che di bucolico aveva solo le intenzioni, un ragazzino correva a rotta di collo lungo un sentiero in pendenza, cinto da arbusti di erica e resti di antichi totem avaar mangiati dal tempo e dal muschio. Si guardava spesso alle spalle con aria terrorizzata, e ciò lo portava a incespicare spesso, nonostante fosse chiaro che stesse seguendo una direzione che conosceva.

Difatti, nel riconoscere la popolosa macchia di castagni al terminare del sentiero, il suo sguardo assunse una chiara sfumatura di sollievo.

Accelerò l'andatura, sbracciandosi nel fare lo slalom tra i residui di una frana recente, finché non raggiunse un pezzo di terra coltivato, antecedente a una cascina modesta, costruita in legno a pianta rotonda.

Si schiantò sulla porta d'ingresso, credendo che fosse aperta.

-Aprimi, sono io!- gemette, picchiando i pugni sulla superficie. Diede una rapida occhiata alle sue spalle, poi prese a bussare con più veemenza.

Una volta che gli fu stata aperta la porta, si ritrovò a fare i conti con lo sguardo attonito di una bambina alta la metà di lui. La scansò e si proiettò all'interno, dirigendosi di gran carriera verso un baule ai piedi di un letto matrimoniale disfatto.

-Dov'è la mamma?- domandò la bambina, raggiungendolo con aria incerta.

Il ragazzino, nel frattempo, aveva disteso un lenzuolo di cotone per terra e stava procedendo a radunare sopra di esso tutto ciò che avrebbe potuto servire a lui e alla sorella, in vista della fuga. -Svelta! Chiudi la porta!- le ordinò, scacciandola con un cenno brusco del braccio.

La bambina esitò, poi fece come le era stato chiesto.

-Aspetteremo che se ne siano andati, poi andremo dai nonni a Honnleath.- annunciò il ragazzino, dopo aver annodato i lembi del lenzuolo per creare un fagotto. -Hai chiuso bene a chiave?-

La bambina annuì, nervosamente, poi si affiancò al fratello, per aggrapparsi alla manica del suo cappotto alla ricerca di rassicurazioni.

Il ragazzino le rivolse un sorriso tutto fuorché convincente, quindi l'abbracciò. -Andrà tutto bene. Penserò io a...-

Si zittì immediatamente, perché aveva percepito un rumore di passi di corsa, proveniente dall'esterno.

Spinse sua sorella al riparo, dietro al letto, facendole cenno di restare in silenzio, poi recuperò un coltello da caccia dal baule, brandendolo minacciosamente verso la porta d'ingresso.

Non ci volle molto prima che chiunque fosse all'esterno si facesse riconoscere. -Ehi, di casa!- gracchiò una voce maschile.

Il viso del ragazzino si trasformò in una maschera di paura e ogni centimetro del suo corpo prese a vibrare, incapace di rispondere con fermezza al pericolo.

-Sei sicuro di averlo visto entrare qui?- domandò una voce femminile.

Il suo compagno la ignorò. -So che sei lì dentro! Non ti faremo del male, abbiamo solo bisogno di un po' di provviste.- gridò, accompagnato da una serie di risate maliziose.

La bambina si sporse dal suo nascondiglio, rivolgendo uno sguardo impregnato di insicurezza al fratello. Quest'ultimo le impose di stare al riparò con un cenno brusco della mano libera.

Dopo una manciata di secondi di silenzio, che agli inquilini della casa parvero un'eternità, al di là della porta si udì un sospiro seccato. -La sfondiamo?- domandò la donna.

Non ottenne una risposta udibile.

Il ragazzino era talmente teso che vedeva l'ambiente attorno a sé tremare, come se si trovasse all'interno di una fornace. Percepiva distintamente un rumore di passi continuo, localizzato tutt'attorno all'edificio, segno che gli aggressori stessero perlustrando il perimetro alla ricerca di un punto d'accesso alternativo.

La bambina sobbalzò, in risposta a un tonfo secco, localizzato sulla parete in cui era addossato il letto. Spaventata, lasciò il suo nascondiglio e corse a ripararsi dietro al fratello, stringendosi a lui saldamente. Il ragazzino, che non sapeva più come comportarsi, si abbandonò a un pianto silenzioso, lasciando cadere il coltello per aggrapparsi alla sorellina.

Improvvisamente, dalle intercapedini delle assi che rinforzavano le pareti iniziarono a fuoriuscire delle serpentine di fumo, accompagnate dal crepitio del fuoco che lambisce il legno.

-Vedi come ci apre, adesso!- scherzò la voce maschile, supportata da grida di giubilo e grasse risate.

La bambina prese a tossire sonoramente, mentre il fratello esplorava la casa con occhi carichi di terrore, alla ricerca disperata di una via d'uscita. -Creatore, aiutami! Andraste, guidami!- pregò, passando una mano sul capo della sorella, per farsi coraggio.

Vedendo che entrambi non avrebbero resistito a lungo, recuperò la chiave della serratura dalle mani della bambina e si avventò sulla porta, per cercare di aprirla. Purtroppo, fu costretto a ritrarre le mani dal lucchetto, agitandole lungo i fianchi per alleviare il dolore derivato dalle scottature.

-Andraste benedetta!- gemette, riprovandoci per fallire di nuovo.

Si ritrovò a sussultare, in risposta a un tonfo sordo al di là dell'ingresso.

Indietreggiò istintivamente, dato che oltre al rumore soverchiante dell'incendio se ne erano associati altri, legati chiaramente a un combattimento.

Strinse lo sguardo, cercando di dare un'identità ai suoni che percepiva. Udì grida che si interlacciavano in una cacofonia di intenti, acciaio che si scontrava con altro acciaio e scoppi secchi dovuti, probabilmente, all'intervento di diverse evocazioni.

Lo sguardo del ragazzino si spalancò, mentre lui ritornava dalla sorella per prenderla in braccio. Esitò giusto un istante, poi si diresse nuovamente verso la porta. -Dobbiamo approfittarne!- esclamò, iniziando a prendere a pedate la serratura, mettendoci tutta la forza che aveva per farla cedere.

Purtroppo, fu un'operazione inconcludente, perché la porta era fin troppo solida per le sue gambe, reduci dalla corsa e rese rigide dalla tensione. Continuò ugualmente, perché non aveva altre opzioni.

Ci si accanì, ruggendo contro di essa con occhi carichi di lacrime. -Andraste, guidami!-

In risposta alla sua preghiera, una buona porzione della parete alla sua destra esplose, facendo gridare di paura la bambina.

Tra il fumo dell'incendio e la polvere che volteggiava nell'aria, al ragazzino parve di intravedere la sagoma sottile di una donna armata di arco.

Sbarrò gli occhi, correndo immediatamente a recuperare il coltello da terra per puntarlo nella sua direzione.

A discapito delle aspettative del ragazzino, però, la donna rinfoderò l'arma e alzò le mani in segno di resa. -Va tutto bene, siamo dell'Inquisizione.- disse, con un tono di voce squillante.

Nel sentire quel nome, che non aveva di certo un'accezione rassicurante, il ragazzino esitò, ma si rese subito conto di non avere altre opzioni. Allora, si affrettò a raggiungere la nuova arrivata, permettendole di trarre in salvo lui e sua sorella.

Una volta all'esterno, si ritrovò a strizzare le palpebre per via dell'intensità della luce solare e dalla presenza invasiva del fumo nell'atmosfera. Cercò di mettere a fuoco la sua salvatrice, che stava conducendo lui e sua sorella ai margini di uno scontro acceso, dall'apparenza impari per i nuovi arrivati.

Il metallo dell'elmo della donna catturava la luce solare in una mezzaluna che ne definiva giusto il contorno, ma impediva al ragazzino di individuare i tratti del suo viso.

Una volta al sicuro, lei si chinò su di lui, appoggiandogli una mano sulla spalla. -Restate qui.- gli suggerì, guardandolo dritto negli occhi. Per un attimo, prima che la loro salvatrice se ne andasse, a lui parve di intravedere un guizzo luminoso che le percorreva le cornee, ma fu un'immagine talmente rapida da costringerlo a non fidarsi di ciò che stava vedendo.

Appoggiò una mano sulla nuca di sua sorella, per rassicurarla, poi si accucciò assieme a lei dietro al tronco di un vecchio castagno.

Quando la sua vista fu in grado di delineare l'ambiente esterno, notò che l'arciera era affiancata unicamente da tre compagni d'arme: un Nano balestriere, un Mago elfico e una guerriera umana. Sorprendentemente, questi stavano tenendo testa a una brigata composta, come minimo, da una dozzina di cacciatori di taglie.

Il Mago congiurava evocazioni con la grazia e la decisione di un direttore d'orchestra; al contrario, il Nano aveva un approccio alle armi più sbrigativo, nel controllare il perimetro dello scontro con colpi precisi di balestra; ultima, ma solo perché accerchiata costantemente dai nemici che la nascondevano allo sguardo, la guerriera combatteva con fluidità e fermezza, concatenando parate e cavazioni con la destrezza di un maestro spadaccino.

La donna che aveva salvato il ragazzino e sua sorella, invece, era presente sul campo di battaglia solo tramite il numero di nemici che abbatteva.

Gran parte di essi cadevano semplicemente a terra, come se fossero preda di uno svenimento improvviso. Solo in un secondo momento si potevano notare le frecce che li avevano colpiti.

Ogni tanto al ragazzino pareva di vedere con la coda dell'occhio una sagoma che volteggiava ai margini del campo di battaglia, ma non appena si voltava quella scompariva, per poi riapparire da tutt'altra parte.

Non fu uno scontro lungo, o particolarmente cruento, ma tra tutti quelli a cui aveva assistito il ragazzino negli ultimi giorni, sarebbe stato decisamente il più memorabile.

Una volta messa in sicurezza l'area, la donna riapparve, muovendosi con passo deciso verso i due che aveva salvato.

Il ragazzino sollevò la testa nella sua direzione, guardandola con tanto d'occhi. Il suo elmo era sovrastato da un drago in volo e indossava un'armatura media in cuoio, tinta degli stessi colori caldi del bosco che la circondava. Tendeva appena la corda di un arco lungo, sulla quale era incoccata una freccia e si guardava intorno con circospezione.

-Grazie.- le disse, stringendo a sé la sorellina, che guardava la loro salvatrice con ammirazione.

Una volta raggiunti, quella rimase a fissarli per qualche istante, poi rinfoderò le armi, sostituendole con una borraccia d'acqua che porse immediatamente alla bambina. -Mi dispiace per il muro.- fece.

Dopo essersi ripulita la gola dall'arsura, la più piccola si scostò i capelli dal viso, per poter guardare bene la sua interlocutrice. -Chi sei?- le chiese.

La donna parve pensarci su, poi si sfilò l'elmo.

I due scorsero un'occhiata sorpresa sull'intricato Vallaslin a foggia di quercia che le ricopriva il viso asciutto, squadrato e bruciato dal sole sulle guance e sul naso, poi spostarono lo sguardo sulle orecchie a lama di coltello. Esse erano ben esposte, così come lo era la borchia d'oro posta sulla fossa scafoidea dell'orecchio sinistro, dato che la donna portava i capelli, di un ricco biondo antivano, legati sulla nuca.

I suoi occhi erano di un verde giada intenso, con venature castane concentrate attorno all'iride che si assottigliavano mano a mano che raggiungevano l'orlo esterno della pupilla. Ricambiavano le attenzioni con uno sguardo indagatore, affamato di dettagli, tanto da apparire costantemente in movimento.

Una volta appagata la sua fame di informazioni, la donna rivolse ai due un sorriso eloquente. 

-L'ispettore edilizio.- rispose, allegramente.

 

*

 

Senza più niente da reclamare come proprio, eccetto i vestiti che indossavano, il ragazzino e sua sorella si ritrovavano a occupare una tenda assieme ad altri profughi nelle loro stesse condizioni.

Si trattava di un alloggio provvisorio, parte di una tendopoli costruita nell'area del Crocevia. Esso era protetto e controllato dai soldati dell'Inquisizione, che garantivano un posto sicuro alle vittime della guerra prima che riprendessero in mano ciò che restava della propria esistenza.

Lavellan sedeva su uno sgabello di fronte alla branda su cui il ragazzino aveva adagiato la sorella minore, sbucciando una mela con un coltello da caccia grande quanto il suo avambraccio. -Ve la siete vista brutta.- disse, infilzando uno spicchio con la punta del coltello, per poi allungarlo verso il suo interlocutore.

Il ragazzino, che aveva preso posto sul margine del materasso, raccolse il cibo con fare esitante.

Lavellan diede l'esempio, staccando un morso dal frutto per poi mostrarglielo. -L'ultima mela dell'estate. Ti conviene approfittarne.- gli suggerì, a bocca piena.

Il suo interlocutore ci rifletté, fissandola con sospetto, poi finì lo spicchio in un boccone, più per fame che per dimostrare gratitudine. -Dove ci portate?- le domandò, dopo qualche istante di raccoglimento.

-Dipende da dove vuoi andare.- gli rispose Lavellan, passandogli un altro spicchio. -Ma ti conviene restare nei paraggi del Crocevia per un altro po', dato che dobbiamo finire di ripulire la zona dagli squarci.-

-Quelle cose verdi vicino al lago?-

-Quella, in particolare, non c'è più.- precisò lei, consegnandogli direttamente la mela. -Sì, comunque. Le cose verdi a cui i demoni fanno la posta. Ce ne sono per tutto il Thedas.-

-Anche a Honnleath?-

-Probabile.-

Il ragazzino chinò uno sguardo preoccupato a terra. -Quindi non esiste un posto sicuro.- dedusse, con la voce incrinata dalla paura.

Lavellan accavallò le gambe con un gesto fluido, sporgendosi verso di lui nell'appoggiare il gomito sul ginocchio. -Ci sto lavorando, capo. Dammi tregua.- lo rassicurò, rivolgendogli un sorrisetto. -La tua famiglia è lì?-

-I miei nonni.- rispose lui, con gli occhi velati di lacrime.

-Puoi scrivergli una lettera?-

Il ragazzino scosse la testa.

Lavellan si prese i suoi tempi per osservarlo, poi rinfoderò il coltello, sostituendolo con un foglio di pergamena e un carboncino. -Dettami i loro nomi, così più tardi posso chiedere al Caporale Vale di cercarli a nome tuo. Se sono in salute, aspetta che la strada dell'ovest sia libera, poi monta sulla prima carovana che trovi.- recuperò tre sovrane d'argento da un borsello che teneva agganciato alla cintura, poi gliele consegnò.

Il ragazzino le raccolse, stringendole nel pugno. -Greystone. Si chiamano Greystone.- riferì. Deglutì l'ultimo boccone, approfittando che finisse di scrivere prima di rivolgersi nuovamente a lei. -E se fossimo rimasti solo noi?-

Lavellan ripiegò il biglietto con cura, poi lo intascò. -In quel caso, ti conviene muoverti verso sud, in direzione della Torre della Guardia Invernale. Tua sorella sarà al sicuro lì.-

Lui le rivolse un'occhiataccia. -Sarebbe più al sicuro senza di me.- dichiarò.

Lavellan inarcò un sopracciglio sopra un'espressione scettica. -Ma sarebbe sola.-

-Troverebbe qualcuno di meglio disposto a difenderla. Io sono inutile!- sbottò il ragazzino, gettando il torsolo di mela a terra. -Li ho portati dritti in casa nostra e non sono riuscito a rassicurarla quando ne aveva bisogno.- fece una pausa, per asciugarsi gli occhi con un gesto brusco. -Sono un pessimo fratello maggiore.-

Lavellan si sporse per raccogliere la mela, poi cercò il contatto visivo con il suo interlocutore. -Erano in quindici e tra loro c'erano dei cacciatori di taglie professionisti.- gli riferì, con voce ferma.

-Avrei dovuto correre più velocemente e condurli altrove.-

-Non ci saresti riuscito.-

-Avrei dovuto provarci.-

-Così adesso tua sorella sarebbe sola al mondo.-

-E sarebbe meglio così!-

-Sarebbe meglio per te, o per lei?-

Il ragazzino si zittì, spostando lo sguardo altrove.

Lavellan sospirò. -Ascolta: capisco perfettamente cosa provi, ma a volte bisogna semplicemente accettare i nostri sbagli e usare ciò che abbiamo imparato da essi per usarlo in un momento successivo.- disse, porgendogli il torsolo. -Nessuno di noi è preparato a tutto.-

-Tu si. Ci hai salvati dalle fiamme e hai ucciso quei briganti.-

Lavellan sorrise appena. -Perché ci sono abituata, ma se mi chiedessi di fare una trapunta a uncinetto, finirei per cucirmi le mani.-

-Non è esattamente la stessa cosa.-

-Hai mai visto quanto sono acuminati quei cosi?-

Il ragazzino le rivolse un'occhiata madida di scetticismo, poi raccolse il torsolo, per mordicchiarlo. -Come faccio a tenerla al sicuro se non posso nemmeno proteggerla in casa mia?-

Lavellan ampliò il sorriso, dandogli una sfumatura rincuorante. -Il vero senso di sicurezza è molto di più di sapere come si impugna una spada. È sapere di poter contare su qualcuno che si preoccupa realmente per te, che ti consola quando fai un errore e ti stringe tra le braccia quando i tuoni sono troppo forti.- spiegò. -In realtà, la vera sicurezza viene dalla reciprocità.-

-Reciprocità?-

-Lei deve contare su di te così come tu devi contare su di lei.- elaborò Lavellan. -Se fosse da sola, chi la prenderebbe in braccio quando le sue gambe saranno stanche? E tu come faresti senza nessuno da poter abbracciare quando ti sembra di avere tutto il mondo contro? Finché sarete insieme, sarete sempre al sicuro.-

Il ragazzino la guardò a lungo, poi trasse un respiro profondo e annuì. -Va bene.- disse, sforzandosi di ricambiare il sorriso. -Ci proverò.-

Lavellan gli passò una mano sul capo, poi si rialzò. -Ne sono sicura.- affermò, per poi dirigersi verso l'uscita della tenda.

Il suo interlocutore la seguì con lo sguardo, che poi chinò sul torsolo di mela, annerito dalle ditate. Quella conversazione gli aveva dato molto a cui pensare, ma, in qualche modo, era riuscita a confortarlo.

-L'Araldo di Andraste ha salvato anche me.- intervenne una signora molto anziana, distesa in una branda poco distante.

Il ragazzino aggrottò la fronte. -L'Araldo di Andraste?- ripeté.

La signora annuì piano. -La signora gentile con cui hai appena discusso. Lei è l'Araldo di Andraste.- replicò.

Lui assunse immediatamente un'espressione sorpresa, fissando l'apertura della tenda con tanto d'occhi. Senza pensarci, corse all'esterno per raggiungere la sua salvatrice.

Fece un giro su se stesso, esplorando con lo sguardo il dedalo di tende che lo circondavano. Lei però era sparita, così com'era successo poche ore prima, nel campo di battaglia.

-Allora ci hai aiutati davvero.- mormorò, aprendo un sorriso intriso di stupore tra le labbra nel rivolgere lo sguardo al cielo.




 

-Nota-

Ehilà! Grazie mille per essere arrivati fin qui!

Spero davvero che la storia vi piacerà e che questa premessa non sia troppo ridondante (I blame the adhd, ma personalmente ho un problema in materia decisionale e tendo ad aggiungere e aggiungere e aggiungere… tipo questa parentesi che farebbe fare seppuku a un editor). In realtà, questa long avrebbe dovuto essere una cosa “feel good” solo per me, per catarsi, poi è diventato un vero e proprio progetto, uno di quelli che si portano a termine (fortunatamente lol).

Insomma, state tonnati che venerdì prossimo iniziamo con la ciccia (?).

Abbracci <3

 

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Capitolo 2
*** In Comune ***


 

1 - In Comune


I vertici dell'Inquisizione erano impegnati a leggere silenziosamente dei documenti, quando Lavellan indicò il Ferelden meridionale nella mappa tattica.

-Honnleath dovrebbe essere più o meno qui, o sbaglio?- domandò, senza rivolgersi a nessuno in particolare.

Le rispose Leliana, dopo aver riposto nelle mani di Cassandra il rapporto che stava studiando. -No, a dire il vero è molto più a nord delle Selve Korcari.- disse, facendo il giro del tavolo per affiancarsi a lei. Picchiettò l'indice un paio di volte sulla mappa. -Qui, poco distante dalla regione dei laghi.-

Cullen sollevò lo sguardo dal manifesto commerciale che Josephine gli stava illustrando, quindi prese a osservare con perplessità il punto indicato. -Guarda che ti sbagli.- intervenne, per poi raggiungerle. -Non si trova così a nord. Lì è piena campagna.-

Leliana aggrottò la fronte, mentre lui posizionava un segnalino di metallo in un'area molto distante da quella da lei individuata. -Ne sei sicuro?-
Cullen la sfiorò appena con lo sguardo. -Sono nato da quelle parti, direi che ne sono più che sicuro.-

Lavellan si prese i suoi tempi per calcolare mentalmente le distanze, poi si voltò interamente in direzione del collega. -Quanto disterà da qui? Sei, sette ore a cavallo?- gli chiese, alla ricerca di conferme.

-Anche meno.- rispose lui, fissandola con interesse. -Perché?-

-Perché vorrei andarci.-

-L'avevo intuito, ma perché?-

Lavellan tornò a guardare la mappa. -Il caporale Vale mi ha riferito che nessuno è riuscito a contattare la famiglia dei due ragazzini che abbiamo salvato la settimana scorsa. Pensavo di fare un tentativo io, dato che abbiamo un giorno di tregua, prima di ripartire.- elaborò.

Lo sguardo di Cullen indugiò a lungo sul suo viso, prima che lui le rispondesse, come se fosse alla ricerca di una maniera eloquente e sintetica per introdurle una situazione difficile da digerire. -Honnleath era nella traiettoria dell'orda di Prole Oscura, durante l'ultimo Flagello. È probabile che i suoi parenti non siano più lì, o perché si sono trasferiti, o perché sono morti.-

-Vorrei controllare comunque. Magari qualcuno del posto potrebbe avere delle informazioni al riguardo.-

-Eminenza, non c'è più nessuno "del posto". Solo un terzo del territorio delle colline occidentali è rimasto integro, dopo il Flagello.-

-Allora cercherò degli indizi e risalirò a loro in un'altra maniera.-

-Potrei inviare una squadra di esploratori.- suggerì Leliana.

-No, preferisco andarci personalmente.- disse Lavellan. -Sai come arrivarci?- domandò, rivolgendosi a Cullen.

Quest'ultimo strinse lo sguardo su un'espressione scettica, poi annuì.

-Posso disegnarti una mappa.-

-Potresti accompagnarmi.-

Il gruppo intero, anche chi non era intervenuto, fece convergere gli sguardi su di lui.

-Non è una buona idea.- affermò Cullen.

-Per me lo è, invece.- disse Lavellan, tranquillamente.

-Siamo in disaccordo.-

Cassandra, che stava consultando l'ordine del giorno, inarcò un sopracciglio. -Che sorpresa!- commentò.

Prima che Cullen potesse articolare una protesta più accorata, Lavellan gli appoggiò una mano sulla schiena e lo guidò fuori dalla sala del consiglio, accompagnando la loro uscita di scena con un: -Ci vediamo domani.-

 

*

 

Una volta raggiunte le pendici delle Montagne Nebbiose, il panorama da bianco si tinse della secchezza cinerea tipica dell'inverno umido e rigido del Ferelden meridionale.

Gli scheletri delle foglie secche che erano cadute durante l'autunno ricoprivano un sentiero fangoso e irto di ciottoli, incastonati nel terreno.

Una linea di profughi diretti a Haven osservò con invidia i due cavalieri che percorrevano la strada nella direzione opposta, dato che al contrario loro potevano evitare di inzaccherarsi di poltiglia fredda e fangosa fino al ginocchio.

-Oh, è finalmente del sano silenzio quello che sento?- scherzò Lavellan, con tutte le intenzioni di provocare Cullen, che cavalcava al suo fianco.

Quello le gettò addosso un'occhiata per niente divertita. -Hai idea di quanti impegni abbia dovuto delegare per questa scampagnata?- protestò, così come aveva fatto durante la stragrande maggioranza del percorso.

-Sì.- rispose lei, divertita.

-Avresti potuto chiedere a chiunque di accompagnarti.-

-Ma io non volevo farmi accompagnare da chiunque.- replicò lei, rivolgendogli un sorrisetto. -Suvvia, il tuo secondo se la caverà benissimo al posto tuo!-

-Il Capitano dovrebbe sostituirmi in via eccezionale, non certo per...-

-Una scampagnata, l'hai già detto.- lo interruppe lei. -Così come io ti ho già detto che non me ne importa un accidente. A quel ragazzino non è rimasto niente, solo tante responsabilità. Se ha ancora un parente in vita, è necessario che si ritrovino.-

Cullen deglutì una protesta sul nascere, per evitare che le sue lamentele diventassero una vera e propria litania. Si limitò ad emettere un lungo verso di disapprovazione, poi prese la testa della fila, mentre lei lo osservava con una punta di soddisfazione nello sguardo.

 

*

 

Trascorsero due ore prima che i cavalli mostrassero le prime avvisaglie di stanchezza.

Il panorama, da boschivo divenne campestre. Brevi macchie di faggi si alternavano ad appezzamenti di terra dedicati alla coltivazione del grano e del luppolo, arricchendo il grigiore invernale con una delicata tonalità di verde.

Era da poco passata l'ora di pranzo, ovvero il momento più caldo della giornata, ma il sole restava ben nascosto al di sopra di una fitta cortina di nuvole viola, indicando ai viandanti che presto avrebbe piovuto.

Si fermarono alle pendici di un colle ferroso, dove Lavellan aveva individuato un ruscello abbastanza pulito per permettere alle bestie di abbeverarsi e brucare un po' d'erba per recuperare le energie.

-Dovrebbe mancare poco alla regione dei laghi.- annunciò Cullen, osservando l'orizzonte con aria cupa.

Prima di raggiungerlo con una borraccia, Lavellan passò lo sguardo sui suoi vestiti da viaggio, soffermandosi poi sul suo viso, avendo individuato in esso un accenno di preoccupazione. -Non ci credo che sia tutto perduto.- disse, mentre lui beveva. -Può essere che i villaggi siano stati ricostruiti, dopo che il pericolo è passato.-

Cullen si pulì le labbra con un lembo del fazzoletto che portava al collo, poi esalò un sospiro di rassegnazione. -Il Flagello non si conclude solo con la morte dell'Arcidemone.- disse, restituendole la borraccia. Si sollevò il fazzoletto per coprirsi naso e bocca, poi indicò a lei di fare ugualmente. -Lo vedrai tu stessa.-

 

Quando Lavellan vide ciò che Cullen aveva premesso, si disse che le sue parole non erano riuscite per niente a rendere giustizia al cambiamento che era stato imposto a quei luoghi.

La terra della vecchia mulattiera che stavano percorrendo aveva il colore e la consistenza della cenere, mentre il terreno dei campi tutt'attorno era talmente arido che appariva ferito da una ragnatela di crepe profonde.

L'odore che si percepiva era stantio e stagnante, come quello prodotto dalle pagine di un libro che viene riaperto dopo secoli dalla sua creazione. Le poche pozze d'acqua presenti apparivano nere, dense e viscose e da esse fuoriusciva un pungente odore di putredine.

Ciò che turbò maggiormente Lavellan però fu il silenzio derivato dalla mancanza totale di qualsiasi forma di vita organica. Gli alberi erano scuri e avvizziti, come se fossero stati prosciugati dalla linfa. In più, il suo sguardo non riusciva a scorgere tracce di vegetazione parassitaria, come muschio e funghi, suggerendole che la natura si fosse arresa alla morte.

Lavellan scese da cavallo, guardandosi attorno con un'espressione attonita, incapace di dare un senso a ciò che stava vedendo. Per lei, che credeva nella trasformazione della materia, vedere il ciclo della natura interrompersi in quella maniera fu uno shock.

Cullen si voltò appena, notando che si era fermata, quindi frenò e portò il cavallo ad affiancarsi a lei, per raggiungere l'obiettivo del suo sguardo.
In mezzo a quello che un tempo avrebbe dovuto essere un campo di grano rigoglioso, c'era un idolo chasind fatto di paglia e ricoperto da ghirlande di rami secchi e fiori di stoffa bianchi. Il suo volto aveva le fattezze di un orso ed era circondato da una distesa di cadaveri in diversi stadi di decomposizione, dallo scheletro al manichino di carne, radunati lì affinché la divinità raffigurata dall'idolo potesse condurli al sicuro, nell'aldilà. Evidentemente, la terra era talmente malata da impedire qualsivoglia sepoltura, o l'erezione di una pira, quindi quei corpi erano costretti a riposare in quel modo, con il cielo come soffitto.

-La corruzione divora la terra dalle sue fondamenta.- disse Cullen, con la voce attutita dalla stoffa. Le sue parole però risuonarono come un applauso in una sala di teatro vuota. -È il prezzo che dobbiamo pagare per aver violato la Città Nera, tradendo la fiducia del Creatore.-

Lavellan si sistemò nervosamente il fazzoletto sul naso, mentre gli gettava un'occhiata stupita. -Credi davvero che sia una punizione divina?-

-Una punizione all'altezza del crimine commesso.-

-Nessun crimine vale una punizione del genere.-

Cullen si prese qualche istante per scorrere lo sguardo sulla desolazione che li circondava, poi incitò il cavallo a proseguire. -Andiamo, ti faccio vedere dove sono nato.- fece, con la più totale assenza di entusiasmo nel tono di voce.
Lavellan esitò, poi rimontò a cavallo, affrettandosi a raggiungerlo.

 

Il sentiero terminava in una biforcazione. Al centro di essa, c'erano i resti di quello che una volta avrebbe dovuto essere un cartello direzionale, ma che dopo il Flagello era diventato un inquietante spiedo di teschi di Hurlock.

A sormontarlo, c'era una scultura di palchi di halla, ornati con foglia d'oro, collane e ninnoli di legnoferro che oscillavano delicatamente al vento. In qualche modo, il tintinnio provocato da quelle decorazioni contribuì a dare all'intera costruzione un aspetto di bellezza surreale, costringendo i viaggiatori a fermarsi a guardarla.

-Vir Banal'ras.- disse Lavellan, accigliata.

Cullen inarcò un sopracciglio. -L'ha fatto un Elfo?- domandò.

-Non un Elfo qualsiasi. Un cacciatore.- replicò lei, suggerendogli con un cenno del capo di smettere di fissare quel macabro totem e proseguire.

-È lì per segnalare ai viandanti la buona riuscita della sua caccia. Evidentemente, quegli Hurlock l'hanno fatta grossa.-

-Non devo aspettarmi qualcosa del genere al nostro accampamento, vero?- domandò lui, aspettandosi un commento, o una battuta, per allentare la tensione.

Lavellan, che non aveva assolutamente voglia di scherzare su un argomento così delicato per la sua cultura, voltò un'occhiata intrisa di serietà nella sua direzione. -Io non credo nelle punizioni.- disse, semplicemente.

Cullen la guardò a lungo, mantenendo il contatto visivo alla ricerca di indizi, ma dovette rinunciarci perché a breve sarebbero arrivati dove lui voleva.

L'obiettivo era una conca insinuata tra colli originariamente dedicati all'agricoltura a terrazzamento, i quali cullavano lo scheletro di un piccolo villaggio di cui restava ben poco, se non le fondamenta delle case e, di tanto in tanto, l'armatura degli edifici più grandi.

Era l'impronta di uno stivale nel calcestruzzo.

Cullen scese da cavallo, quindi si incamminò attraverso il villaggio, osservando i resti della sua infanzia con una smorfia di fastidio che gli turbava i lineamenti del viso.

Lavellan lo imitò, mantenendosi abbastanza distante per garantirgli i suoi spazi, ma anche abbastanza vicina da permettergli di cercare conforto nella sua presenza.

Percorsero l'unica via che collegava il sentiero al centro abitato, finché non raggiunsero uno spiazzo delimitato da un perimetro di pietre e colonne di metallo, troppo solide per crollare, o venire estirpate. Lì, Cullen si fermò.

-Casa tua?- domandò Lavellan, osservando una pila di macerie annerite nell'estremità opposta al punto in cui sostavano.

Lui ci mise un po' a rispondere. -No, il santuario.- la corresse, con una punta di rassegnazione nel tono di voce. -Ti sembrerà bizzarro, ma non ho idea di dove sia casa mia.-

Istintivamente, Lavellan gli passò una mano sulla schiena, per confortarlo. -Eri piccolo quando te ne sei andato. È normale.-

Cullen voltò la testa nella sua direzione. -Potrei dirti che avevamo una magnolia nel giardino e un pollaio nel retro. I nostri vicini erano affabili e la dirimpettaia aveva un albicocco che io e mio fratello depredavamo ogni estate.- fece una pausa, abbassando il tono di voce. -Come se fosse un'impresa eroica, staccare della frutta dai rami più bassi di un albero alto quanto te se ti prendessi sulle spalle.- commentò.

Lavellan gli rivolse un sorriso composto, da sotto il fazzoletto.

-Il problema è che non è rimasto niente di tutto questo.- proseguì lui, per poi spostare lo sguardo su un cumulo di pietre che nel santuario avrebbe dovuto essere il supporto di un bel braciere dedicato ad Andraste.

-Questa desolazione rispecchia fedelmente la validità dei ricordi che posseggo di questo posto. Prima di tornarci fisicamente, nella mia testa c'erano solo macchie di colore, echi e un'urgenza adolescenziale di vedere cosa ci fosse al di là delle colline.-

Lavellan rimase in silenzio, per dargli il tempo di processare i sentimenti provocati dall'ambiente attorno a lui, poi recuperò due frecce dalla faretra e le spezzò, attirando l'attenzione su di sé. -Vieni con me.- l'invitò, scavalcando il perimetro di pietre per raggiungere i resti del braciere.

Cullen tentennò, poi mollò le redini del suo cavallo, per seguirla.

La vide spazzare con ampie manate la polvere che si era accumulata sul vertice del piedistallo, per poi spezzettare i resti delle frecce sopra di esso. Quando capì cosa stava cercando di fare, le rivolse un'occhiata madida di gratitudine.

-Qualcosa di vivo vorrei lasciarcelo, prima che ce ne andiamo.- mormorò lei, recuperando una fiala dalla cintura per versarne un paio di gocce sui resti delle frecce. Usò un acciarino e subito apparve un lieve fuocherello verde che iniziò a mangiare il legno con ingordigia. -Così resterà acceso anche se dovesse piovere.- spiegò, facendo un passo indietro.

Cullen le rivolse un sorriso triste, poi si soffermò a osservare le fiamme, giungendo le mani in grembo. -"Fa che sia il ricettacolo che regge la Luce della tua promessa al mondo in attesa".- recitò.

-"Che l'equilibrio venga restaurato e al mondo venga data vita eterna".- aggiunse lei, spostando lo sguardo verso il cielo.

 

Iniziò a piovere poco prima che abbandonassero il perimetro del villaggio.

Accompagnarono i cavalli in silenzio, osservando unicamente il percorso che dovevano intraprendere in direzione di Honnleath, senza arrischiarsi di guardare alle loro spalle. C'era tutto e niente da vedere e nessuno dei due avrebbe serbato un bel ricordo di quella visita, nemmeno la flebile speranza data da un po' di legno che brucia.

-Mi dispiace averti costretto a venire.- disse Lavellan, realmente desolata.

Cullen mantenne il silenzio per un po', prima di rivolgerle la parola. -Non avrei mai avuto il coraggio di farlo da solo.- ammise. -Grazie per avermi concesso di fare questa deviazione.-

Lavellan gli sfiorò il braccio con una carezza. -La prossima volta ti porto in spiaggia, promesso.-

Cullen diede una risata sommessa, poi entrambi montarono a cavallo, per dirigersi finalmente verso la destinazione primaria di quell'uscita.

 

Al contrario dei villaggi che popolavano la vallata, Honnleath era rimasto in piedi.

Si trattava di una città fantasma, con ancora i resti cristallizzati della quotidianità della gente che l'aveva abbandonato. Nel sentiero che lo anticipava, infatti, sopravvivevano i carri di vettovaglie abbandonati dai profughi e i resti delle pire che i missionari della Chiesa avevano innalzato per i funerali di chi era rimasto vittima dell'orda.

-Avrei dovuto ascoltarti.- ammise Lavellan, una volta che ebbero varcato i cancelli della città. -E questa sarà la prima e l'ultima volta che me lo sentirai dire.- si affrettò ad aggiungere, notando il principio di un'espressione eloquente formarsi sul viso del suo compagno di viaggio.

Honnleath non era un grande centro, come Denerim, o Gwaren, eppure era palese che in passato fosse stato il punto di riferimento di gran parte dei villaggi che costellavano i Colli Occidentali, vista la cura con cui erano state erette le botteghe e gestite le infrastrutture.

Lavellan notò con sollievo che, contrariamente a molti posti toccati dal Flagello, a Honnleath qualcosa ancora respirava. Le facciate di diversi edifici erano rivestiti da folti strati di edera e la vegetazione ricopriva il selciato a chiazze, dando l'idea che l'orda di Prole Oscura non si fosse accanita sul centro abitato, come invece era successo nelle campagne.

Di tanto in tanto, si poteva persino sentire il frullare delle ali di qualche uccello nella distanza.

Cullen guidò Lavellan fino alla piazza centrale, poi si fermò improvvisamente giusto di fronte al recinto che la caratterizzava, assumendo un'espressione confusa.

-Che strano.- disse, esplorando l'area con lo sguardo. -Avrei giurato che qui ci fosse la statua di un golem.-

Lavellan legò i cavalli allo steccato, per poi muoversi verso il suo interno.

Si accucciò davanti a un piedistallo basso, dov'era stato abbandonato un cesto di vimini ammuffito, circondato da scheletri di piccione. Le ossa erano tutte frantumate, come se qualcuno li avesse pestati per bene.

Cullen nel frattempo fece il giro del perimetro, senza sforzarsi di nascondere la propria perplessità su quella situazione in particolare.

-Devono averla spostata, o peggio, rubata.- affermò, indugiando con lo sguardo sul piedistallo. -Il che è molto stupido, considerato che non aveva altro valore se non quello di essere molto ingombrante.-

Lavellan si raddrizzò, portandosi di fronte a lui per scavalcare il recinto con un volteggio pigro. -Ti piaceva proprio quella statua.- commentò, divertita dall'atteggiamento del suo compagno di viaggio. Insieme si mossero verso quello che prima del Flagello avrebbe dovuto essere un emporio.

-Non piaceva a nessuno.- replicò Cullen, dando occhiate dubbiose alle sue spalle mentre l'affiancava. -Le tiravamo addosso la frutta secca per attirare i pappagallini.-

Lavellan si chinò di fronte a una porta chiusa, per forzare la serratura con un grimaldello. -Pappagallini?- chiese, mentre il meccanismo d'apertura dava uno schiocco secco, segnalandole che fosse possibile accedere al locale interno.

Cullen la seguì dentro al negozio, appiattendosi il fazzoletto sulle guance. -Erano verdi con il becco giallo paglierino e mia sorella li adorava. Una volta ho provato a catturarne uno per lei, con risultati disastrosi.- spiegò.

Lavellan ridacchiò. -Hai messo dei semini sotto a una gabbietta?-

-No, gli sono corso dietro con un retino.- rispose lui, spostando una cassa ingombrante con la punta dello stivale per poter camminare oltre. -Non ero un bambino molto astuto.- aggiunse, con una punta di divertimento nel tono di voce.

-Gli uccellini non sono difficili da catturare, ma guadagnarsi la loro fiducia è un processo lungo.- spiegò lei, aprendo uno a uno i cassetti della scrivania di un contabile. -Sono bestie sociali, non serve la scienza per attirarli in trappola. A meno che non siano molto territoriali, come le oche, i cigni e i tacchini.- fece finta di rabbrividire. -Quelli sono grossi e cattivi.-

-Non pensavo ti intendessi pure di uccelli.- disse lui, che stava sfogliando un registro alla ricerca di indizi.

Lavellan diede una risata isterica, attirando su di sé dapprima uno sguardo confuso che si trasformò immediatamente in una maschera di paura, mista a imbarazzo. -Mi riferivo alla cacciagione! Alla cacciagione!- gemette lui, agitando le mani di fronte a sé per annullare il fraintendimento. -Ti facevo una da prede di grossa taglia, ecco tutto.-
-Stai peggiorando la situazione.- lo punzecchiò lei, senza smettere di ridere.

Cullen era mortificato. Balbettò diverse consonanti, intervallate dal trascinarsi di vocali che insieme avrebbero potuto benissimo creare un discorso di senso compiuto, se non fosse stato che chi era dietro al leggio fosse un individuo socialmente inetto. Alla fine, ci rinunciò, dando uno sbuffo sonoro. -Lo sai cosa intendevo.- borbottò, tornando a consultare il registro.

Lavellan lo osservò rifugiarsi nella sua zona di conforto con aria interessata, poi scosse la testa, schioccando più volte la lingua sul palato. -Questa me la segno.-
Cullen le scoccò un'occhiataccia, facendola ridere di gusto.

 

Esplorarono ogni edificio con perizia, finché non ne rimase uno solo da controllare.

Si trattava di un'abitazione dall'aria antica, con una massiccia porta di legno e acciaio divelta.

Cullen indugiò di fronte a essa, con aria incerta. -Quando venivamo qui, nostra madre ci diceva di tenerci alla larga da questo posto.- disse, rispondendo a una domanda implicita di Lavellan, incuriosita dal suo atteggiamento. -Non ricordo bene il motivo, ma anche Mia manteneva le distanze, come se anche solo l'idea di avvicinarsi a questa porta le mettesse i brividi. E lei era una che non si faceva spaventare facilmente dalle superstizioni.-

-Probabilmente, ci viveva qualcuno di interessante.- intervenne Lavellan, scavalcando i resti dell'ingresso per intraprendere una rampa di scale che si affacciava su un corridoio immerso nell'oscurità.

Quando lo raggiunse, la sua mano sinistra prese a vibrare, sconvolta da un formicolio improvviso. Lavellan la sollevò di fronte a sé, poi si sfilò il guanto, esponendo l'Ancora, che aveva preso a brillare intensamente.

La mostrò a Cullen ed entrambi si scambiarono un'occhiata d'intesa, prima di imbracciare le armi.

Illuminati unicamente dall'azione dell'Ancora, i due percorsero una stanza madida di polvere, il cui pavimento era ricoperto di sangue rappreso e pagine di libri che aderivano perfettamente alle piastrelle.

L'odore che emanava quel connubio riportò entrambi nelle campagne che avevano dovuto attraversare per raggiungere Honnleath.

Raggiunsero un'altra scalinata che portava a un piano addirittura inferiore. Si trattava di un corridoio angusto e impregnato di umidità, nonché del classico fetore di uova marce che suggeriva la presenza di uno o più demoni.

Cullen anticipò Lavellan nella discesa, muovendosi piano per non attirare l'attenzione di qualsiasi presenza si nascondesse in quell'inquietante scantinato. Quest'ultimo in realtà era un vero e proprio labirinto di gallerie e biblioteche; anche se l'Ancora era un'ottima bussola, i due dovettero ritornare sui propri passi più volte.

-Credi ancora che sia una scampagnata?- mormorò Lavellan, quando si furono ritrovati di fronte all'ennesimo corridoio di scale in discesa.

Cullen si scostò il fazzoletto dal viso, per rivolgerle un sorriso. -Se ti dicessi che preferisco di gran lunga ritrovarmi in una situazione del genere, piuttosto che passare il pomeriggio sommerso dalla burocrazia ad Haven, come la prenderesti?-

Lavellan si liberò il viso a sua volta, ricambiando il sorriso, poi gli fece cenno di proseguire.

Il tacco dello stivale di Cullen non fece in tempo ad appoggiarsi sull'ultimo gradino che subito gli artigli di un Wraith della Polvere tentarono di chiudersi sulla sua caviglia.

Lui reagì velocemente, assestando al demone un colpo di scudo per evitare che lo ferisse.

Lavellan nel frattempo scoccò una freccia in direzione di un altro Wraith, dissuadendolo dall'avvicinarsi, poi ne lanciò una seconda, colpendolo con precisione laddove era localizzata la sua faccia.

Si ritrovarono ben presto accerchiati da sei di quelle creature, una identica all'altra, che cercavano in ogni modo di colpirli e graffiarli.

Lavellan si liberò da una presa con una capriola, atterrando sul pavimento di una stanza che, all'apparenza, sembrava un'enorme biblioteca.

Si prodigò per evitare che Cullen finisse sopraffatto dal numero di nemici, attirandone la metà verso di sé per disperderli lungo tutta la stanza. Per buona misura, la tempestò di triboli, in modo da rallentarli e gestire la situazione con calma.

-Questi non li avevo mai visti!- annunciò, dopo aver colpito un Wraith che rischiava di sorprendere Cullen alle spalle.

Lui, che in realtà non aveva davvero bisogno del suo aiuto, assestò un paio di fendenti precisi che misero fuori gioco un nemico e ne ferirono un altro. -Sono Wraith della Polvere, o della Cenere. Attenta alle fiammate!- l'avvisò, giusto in tempo per permetterle di individuare un attacco e schivarlo, evitando di finire abbrustolita. -Sono fatti così. Gli piace giocare con le fiamme vive.- aggiunse lui, con aria stranamente divertita.

-L'ho notato!- commentò lei, ridendo.

Fu un combattimento poco impegnativo ed entrambi non riportarono ferite, se non un paio di bruciature a testa sui vestiti.

-Lo squarcio dev'essere più in basso.- ipotizzò lei, dopo aver raccolto da terra le frecce ancora utilizzabili.

Cullen la osservò sistemarsi la faretra sulla schiena, con aria assorta. -Com'è che in combattimento abbiamo una buona sincronia, ma in sala di consiglio non facciamo che scannarci?- le domandò.

Lavellan fece un giro su se stessa, alla ricerca di una luce più stabile dell'Ancora su cui fare affidamento. -Le decisioni che prendiamo sono il risultato di un insieme di fattori e una somma non è altro che l'unione degli addendi. Magari ne abbiamo qualcuno in comune.- rispose, raggiungendo una fila di torce agganciate a una parete che dava su un corridoio in pendenza.

Cullen ci rifletté, ma quell'idea non riusciva a convincerlo. -Tu dici che abbiamo qualcosa in comune?-

-Più di qualcosa, o non ti avrei chiesto di accompagnarmi.- disse lei, procedendo ad accendere le torce. -Solo perché abbiamo un approccio diverso, non significa che non ritenga importante la tua opinione. Siamo una squadra, mi fido di te.-

-Per me vale lo stesso.-

-E allora cosa stiamo discutendo a fare?-
Cullen le rivolse un sorriso, poi si affrettò ad aiutarla. -Questione d'abitudine.- replicò.

Lavellan rise.

Finalmente, riuscirono a dare un'identità al posto in cui si trovavano. Si trattava di uno studio, carico di piani di lavoro e ampie librerie votate all'arcano, riempite di letteratura sulle arti magiche e oggetti di natura mistica. -Quando torniamo, ricordami di dire a Josephine di mandare qualcuno a recuperarli.- disse Lavellan, sfiorando le coste di libri più vecchi di lei, disposti ordinatamente in uno scaffale molto polveroso.

Cullen le si avvicinò, osservando con aria attenta i dintorni. -Ti interessano i libri sulla magia?-

-Alchimia.- lo corresse lei, recuperando un libello dall'apparenza molto fragile per infilarlo in un borsello che teneva legato alla cintura. -Lo studio delle reazioni, degli elementi, delle rocce, dei liquidi...-

-Cose che se mischiate insieme fanno "bum", insomma.-

-Non necessariamente. A volte fanno "fzz!" o "wham!". Lo sapevi che la maggior parte delle reazioni alchemiche presenti al mondo si trovano nelle ricette di cucina?-

Cullen la guardò con un pizzico di rassegnazione nello sguardo, quindi si mosse verso il corridoio in pendenza. -Coraggio, finiamo il lavoro, poi penseremo a fare esplodere le cucine.-

Lavellan alzò gli occhi al cielo, poi gli trotterellò dietro, con aria divertita.

 

Non incontrarono altri Wraith nel corridoio. In compenso, la temperatura scese drasticamente, così come accadeva di solito quando si era nelle vicinanze di uno squarcio nel Velo. Difatti, a confermare la sua presenza, c'era un alone di luce verde e pulsante che imbeveva il terminare della stanza.

-Come vi comportate voi quattro, in questi casi?- domandò Cullen, in un sussurro, diminuendo l'andatura di marcia.

Lavellan si sporse nella sua direzione. -Di solito faccio un giro di ricognizione e riferisco tutto a Cassandra. Molto spesso però andiamo a braccio.-

Cullen si voltò verso di lei. -Stai scherzando, spero.- disse, con una nota d'indisposizione nel tono di voce. Scorse lo sguardo sul suo viso, riconoscendo una traccia d'ilarità nei suoi lineamenti. -Non stai scherzando.- confermò, secco.

-Non preoccuparti, sono una che pensa velocemente.- sussurrò lei, aprendo un sorriso malizioso in direzione della luce. -Soprattutto quando sono sotto pressione.- aggiunse, muovendo qualche passo a ritroso, prima di prendere la testa della fila.

Cullen evitò di contestarla, nonostante fosse realmente insoddisfatto di quella risposta, e si limitò a seguirla, con aria preoccupata.

 

Varcarono la soglia di una stanza sotterranea circolare, ampia e sorretta da colonne di pietra leccate di umidità.

Al suo centro esatto c'era un tappeto di piastrelle, illuminato perfettamente da uno squarcio nel Velo di medie dimensioni, attorniato da fuochi fatui e da un circolo di Wraith che fluttuavano a un metro dal pavimento, senza seguire una direzione precisa.

Non appena Lavellan mise piede nella stanza, l'Ancora emise un rumore stropicciato in risposta all'attività spiritica. Come conseguenza, al di sotto dello squarcio si materializzarono immediatamente un demone dell'Ira e due demoni della Disperazione.

Lavellan eseguì un tiro lungo da manuale, trafiggendo due Wraith che si dissolsero all'istante. Cullen invece sollevò lo scudo, parando in tempo una mina di ghiaccio e deflettendone una seconda, per poi muoversi di corsa al fine di intercettare il demone dell'Ira, il quale strisciava in direzione di Lavellan.

-Vedi che non serve sempre avere un piano?- gridò lei, che eliminava i Wraith sistematicamente. -A volte è solo questione di logica. Io faccio fuori quelli noiosi mentre tu ti occupi del più grosso senza doverti preoccupare troppo di guardarti le spalle.-

Cullen, che si stava riparando dietro allo scudo da una fiammata improvvisa, le gettò un'occhiataccia. -Semmai ne usciremo vivi…- affondò la lama della spada nella materia viscosa e bollente di cui era composto il demone dell'Ira, poi usò le sue abilità per benedire la lama, in modo da danneggiare il nemico. -Ti farò una ramanzina talmente pesante che ti toccherà cavalcare curva!- concluse.

Lavellan nel frattempo faceva lo slalom tra le colonne per confondere i demoni della Disperazione, che volteggiavano da una parte all'altra della stanza con tutte le intenzioni di acchiapparla. -È una minaccia o una proposta ambigua?- domandò, fermandosi per prendere la mira sull'ultimo Wraith. Lo eliminò con un colpo esplosivo la cui detonazione ferì il demone dell'Ira abbastanza da distrarlo e permettere a Cullen di finirlo.

-Ti stai divertendo un po' troppo, per i miei gusti.- disse lui, cercando con lo sguardo un nuovo bersaglio.

-Tu no?- domandò lei, schivando una scheggia di ghiaccio. -Vuoi che ti racconti una barzelletta?-

Cullen trattenne a stento una risata.

Unirono le forze, concentrandosi finalmente sui demoni della Disperazione. Questi li fecero correre avanti e indietro lungo tutta la stanza per dieci minuti buoni, prima di ingaggiare un combattimento vero e proprio. Sconfiggerli fu una questione di pazienza.

-Preparati, di solito ne arrivano altri prima che possa usare l'Ancora.- avvisò Lavellan, una volta conclusa l'azione.

Cullen osservò con aria concentrata lo squarcio allungarsi e contrarsi a mezz'aria, mentre espelleva tre fili luminosi lungo il pavimento di piastrelle. Si mise in guardia di fronte a un nucleo di energia verde che andava via via prendendo la forma di un demone, quindi sollevò lo scudo di fronte a sé, per evitare di finire preda di un attacco improvviso.

Durante la seconda ondata, apparvero due Wraith della Polvere e un demone del Desiderio.

-Vieni verso di me!- gridò Lavellan, che per tutta la durata della materializzazione aveva riposto l'arco, prendendo a correre da una parte all'altra della stanza senza un motivo apparente.

-Sto bene dove sto, così posso permetterti di ripiegare, nel caso in...-

-Capo, vieni e basta!- gemette lei, incoccando e scoccando frecce a velocità sostenuta.

Cullen si prese i suoi tempi per esaurire un assalto, poi approfittò del fuoco di copertura per arretrare e affiancarsi a lei.

-Il fazzoletto.- gli suggerì, quindi lui seguì il suo esempio, coprendosi naso e bocca.

-Hai un piano?- le chiese.

-Ne ho trovato uno per strada.- rispose Lavellan, facendogli cenno di arretrare. Si ritrovarono in uno spazio angusto tra due colonne, in evidente svantaggio dato che alle loro spalle c'era un muro e la mobilità era limitata.

Cullen imprecò a denti stretti, mentre lei gli indicava di attendere.

I Wraith strisciarono fino a loro per primi, poi fu il turno del demone del Desiderio, la quale si insinuò nell'apertura tra le due colonne per raggiungerli.

Non appena furono a portata, Lavellan afferrò Cullen per un braccio e lo spinse ad appiattirsi alla parete. Allora, recuperò una fiala che teneva nascosta sotto al parabraccio e la scagliò a terra.

Subito, si alzò una colonna di fumo talmente spessa e odorosa che Cullen fu costretto a ripararsi il viso dietro allo scudo, per evitare che il fumo gli andasse negli occhi.

Si sentì trascinare lontano e, una volta che la visibilità fu tornata, brandì la spada di fronte a sé, finalmente certo che non avrebbe ferito Lavellan nel compiere quel gesto. Rilassò brevemente la postura di guardia, sorpreso che le posizioni fossero ribaltate.

Infatti, i demoni erano rimasti intrappolati nello spazio angusto, disorientati dal fumo e dall'azione imprevedibile di Lavellan. Nelle due colonne e nel muro, attorno a essi, erano apparsi dei sigilli rudimentali che brillavano di luce azzurra.

-Vedi che fare esplodere le cucine serve a qualcosa?- scherzò lei, dirigendosi verso lo squarcio speditamente.

-Li hai vincolati?- domandò Cullen, realmente impressionato.

Lavellan sbuffò una pernacchia. -Non essere idiota, li ho solo confusi temporaneamente. Non sono mica un Mago!- rispose. Gli lanciò una provetta, che lui prese al volo, poi impose la sinistra sullo squarcio. -Lanciagliela non appena ho finito!- gli ordinò, mentre l'Ancora agiva sulla ferita nel Velo, che in quel momento stava cercando di proteggersi per permettere ai demoni di restare sul piano reale. Difatti, aveva assunto la forma di un nucleo di cristalli di quarzo.

Cullen guardò quella formazione, poi il muro di fumo, infine si rivolse a Lavellan, con aria tesa. -Eminenza!- la chiamò, mentre i demoni iniziavano a capire la situazione, applicandosi per liberarsi dall'azione dei sigilli, ostacolati unicamente dalla viscosità della nebbia.

-Ci sono quasi!- lo rassicurò lei, a denti stretti, mentre lo squarcio emetteva una vibrazione sonora talmente distorta da infastidire l'udito di entrambi.

Il demone del Desiderio emise un urlo agghiacciante, raccogliendo le energie sui palmi delle mani per evocare un cono di ghiaccio.

Lavellan allora raccolse il filo di congiunzione tra l'Ancora e lo squarcio e lo strattonò con tutta la forza che aveva nel braccio sinistro. -Ora!- gridò.
Cullen lanciò la provetta. Rompendosi, quella reagì al contatto con la nebbia che, istantaneamente si tramutò in un ammasso di lingue di fuoco, coinvolgendo i tre demoni già storditi dalla scissione dello squarcio. I Wraith non ebbero scampo e le loro essenze vennero risucchiate nell'Oblio mentre il demone del Desiderio gridava di dolore, contorcendosi per liberarsi dalle fiamme.

Lavellan, che aveva già preso la mira, colpì il nemico restante al cuore con un tiro lungo da manuale. La freccia gli trafisse il cuore così violentemente da farla arretrare. -Tutta tua, capo!- esclamò, notando che a Cullen prudevano le mani dall'impazienza.

Lui non replicò nemmeno. Fece scontrare spada e scudo, producendo un suono limpido nell'evocare un'onda d'urto di energia purificatrice.

Dopo aver stordito il demone, mulinò la spada per garantirle più forza d'impatto, quindi calò un fendente obliquo, frantumando il corpo del nemico.

Ufficialmente disintegrato, il demone raggiunse placidamente i suoi compagni d'arme al di là dello squarcio, finalmente indebolito.

Lavellan rinfoderò l'arco e impose nuovamente la sinistra, permettendo all'Ancora di saldare la frattura con una linea di scintille che procedeva dal basso verso l'alto, inesorabile.

Cullen osservò quella manovra con tanto d'occhi. Anche se aveva già visto Lavellan all'opera, la chiusura degli squarci era uno spettacolo unico nel suo genere e colei che comandava quell'azione diventava sempre più abile nell'esecuzione mano a mano che faceva pratica.

-Tre, due, uno...- Lavellan trasse a sé la fune spirituale, rattoppando definitivamente il Velo.

La stanza piombò nell'oscurità, mentre Cullen esalava un lungo sospiro di sollievo, misto a soddisfazione.

Sobbalzò, sentendo la mano di Lavellan appoggiarsi sul suo petto. -Pensi ancora che sia sconclusionata?- domandò lei, mantenendo la sinistra tra loro, per garantire a entrambi una fonte di luce. Non era abbastanza per capire dove fossero situati nella stanza, ma delineava i contorni delle dita di Lavellan, riflettendosi sul tappeto lucido dei suoi occhi.

Cullen esalò una risata. -No, ma sei un'irresponsabile di prima categoria.- disse, guardandosi attorno alla ricerca di un ulteriore riferimento luminoso. -È andata meglio di quanto pensassi.- commentò.

Anche Lavellan rise, mentre lo guidava attraverso il pavimento di piastrelle, colpevole di vederci meglio al buio. -Sono sorpresa quanto te. Pensavo che a furia di appiattirti il culo dietro a una scrivania, ti fossi arrugginito.-

Rimasero un istante in contemplazione l'uno dell'altra, nella semioscurità, finché Lavellan non voltò lo sguardo in maniera inconsulta in direzione dell'uscita.

Entrambi puntarono le armi verso una luce che descriveva il punto d'accesso al corridoio che portava ai piani superiori e che si avvicinava inesorabilmente alla loro posizione.

Sorprendentemente, apparve una giovane donna, munita di torcia. La puntò verso di loro, osservandoli con un'espressione attonita.

-Benedetta Andraste, come avete fatto?- domandò, con un tono di voce acuto.

I due si scambiarono un'occhiata confusa. Solo allora Cullen si rese conto di quanto Lavellan si fosse fatta vicina e si affrettò a distanziarsi, con lo sguardo macchiato di disagio.

Lei non parve farci caso, perché era impegnata a squadrare la nuova arrivata da capo a piedi. Le si avvicinò con cautela, abbassando l'arco gradualmente. -Un po' di calce e tanta buona volontà.- scherzò.

Cullen seguì il suo esempio, facendo attenzione a non inciampare sui resti ossei di un gatto nel procedere.

La portatrice di luce era una ragazza sui venticinque anni, con dei profondi occhi scuri e imbevuti di sorpresa. Anche lei portava un fazzoletto sul viso e il suo corpo era protetto in maniera integrale, fatta eccezione per lo sguardo e un ciuffo di capelli chiari sfuggito al cappuccio, segno che fosse abituata a interagire con il Flagello.

-Non prendermi in giro, sono settimane che cerco di farlo sparire, senza successo.- disse, indicando con un cenno del capo il bastone da mago che teneva legato alla schiena. -Nemmeno la Custode che ho consultato ha saputo aiutarmi.-

-La tua Custode non aveva i mezzi per farlo, evidentemente.- replicò tranquillamente Lavellan, esponendo brevemente la mano sinistra.

La ragazza guardò lei, poi Cullen, infine sollevò le sopracciglia. -Siete dell'Inquisizione?- domandò, con una punta di eccitazione nel tono di voce.

-Dipende. Ti dobbiamo i soldi delle riparazioni?- scherzò Lavellan.
Cullen le scoccò un'occhiata truce.

-Non importa di che fazione siete.- si affrettò a dire la loro interlocutrice. -Mi chiamo Amalia e questa era casa mia, prima del Flagello. Oggi mi avete un gran favore. Cosa posso darvi in cambio?-

Lavellan guardò brevemente Cullen, prima di rispondere. -Informazioni e, possibilmente, un posto sicuro dove passare la notte.- fece una pausa. -Se c'è, ovviamente.-

Amalia fece loro cenno di seguirla all'esterno. -Allora vi conviene lasciare Honnleath il prima possibile. Quelli che hanno cercato di ristabilirsi qui, dopo il Flagello, hanno contratto la Corruzione entro una settimana di permanenza.- spiegò, aumentando il passo non appena ebbe la conferma che le stessero andando dietro.

Cullen inarcò un sopracciglio sopra un'espressione scettica. -Così tanto? Di solito basta qualche ora di esposizione.-

-Fortunatamente no, o voi due sareste già morti.- rispose lei, alludendo al fatto che entrambi non avessero la testa coperta, o un vestiario appropriato per quel genere di situazione. -Non è tanto l'esposizione diretta, ma il vento che porta con sé le polveri infette. Mio padre ne è caduto vittima per contatto indiretto, sei anni dopo il Flagello, perché è stato trattenuto nelle campagne a causa di un acquazzone improvviso.- proseguì, mentre i due rinfoderavano finalmente le armi. -Gli è bastato respirare la polvere per qualche giorno, poi ha iniziato a stare male.-

-Mi dispiace.- disse Cullen. -Mi assicurerò di accendere una candela in sua memoria, quando saremo tornati a Haven.-

Amalia si strinse nelle spalle. -Non basterebbe una cattedrale intera per commemorare ciò che è successo qui.- fece, con macabra rassegnazione.

Aspettò di essere all'esterno, prima di guardare in faccia i suoi benefattori, poi spense la torcia. -Oh, ma allora è vero che l'Inquisizione accetta gente di ogni tipo nelle sue fila. Sei Dalish, vero?- domandò, rivolgendosi a Lavellan.

-Con il sigillo di origine protetta.- rispose lei, guardandosi attorno con preoccupazione crescente. -Quindi, rischiamo di contrarre la corruzione?-

-Dipende da quanto tempo siete stati esposti. Vi converrà bruciare i vestiti e lavare bene l'equipaggiamento per buona misura.- replicò Amalia, soffermandosi a osservare Cullen con aria interessata.

Lavellan sbuffò. -Meno male che hai insistito che dovessimo indossare abiti diversi.-

Cullen aggrottò la fronte. -Era una misura precauzionale, ma non pensavo che l'influenza del Flagello fosse così volatile.- si giustificò.

Lavellan si soffermò a guardarlo, per niente convinta. -Ammettilo, non volevi rovinare l'armatura.-

-Decisamente.- confermò lui, senza accenni di rimorso.

-Seguitemi, vi porto al mio villaggio. È a una mezz'ora di cavallo da qui.- intervenne Amalia, muovendosi attraverso la piazza centale per raggiungere il recinto dov'erano stati legati i cavalli. A far loro compagnia c'era un baio pezzato e tutti insieme brucavano tranquillamente da un sacchetto di iuta riempito di fieno fino all'orlo.

-Mi sono permessa di dar loro da mangiare, per evitare che si abbuffassero di erba corrotta.-

Lavellan rifilò un'occhiata macchiata di rimprovero a Cullen, che aveva assunto un'espressione desolata. -Avevo sottovalutato la situazione.- ammise lui.

-Nessuno è preparato per una cosa del genere. Anche noi abbiamo dovuto andare a tentativi.- lo rassicurò Amalia, raccogliendo il sacco da terra per richiuderlo. -Una volta a Forte Elanor vi spiegheremo tutto a modo, nel caso in cui doveste tornare per chiudere un altro di quei portali luminosi. Il siniscalco dice che ce n'è uno gigantesco a Ostagar.-

-Uno squarcio a Ostagar? Dov'è iniziato il Flagello?- domandò Lavellan, con una scintilla d'eccitazione nello sguardo. -Quanto dista da qui?-
Fu la volta di Cullen di lanciarle un'occhiata di rimprovero. -Troppo.- affermò. -Ti ricordo che domani pomeriggio dovete ripartire per le Terre Centrali.-

Lavellan sbuffò. -Guastafeste!-

-Piuttosto, qui non c'era un golem?- domandò Cullen, impedendo a Lavellan di trovare ulteriori scuse per guardarlo male.

Amalia montò a cavallo, aspettando che lo facessero anche i suoi nuovi ospiti prima di rispondere. -Sì, si chiamava Shale.-

-Che fine ha fatto?-

-Se l'è portata via l'Eroe del Ferelden, dopo che ha salvato il villaggio.-

Cullen ritrasse il capo, spostando uno sguardo confuso tra la sua interlocutrice e lo spiazzo. -Come accidenti ha fatto? Quella cosa era enorme!- sbottò, con il tono di voce più alto di un'ottava.

-Così dicon tutte.- commentò Lavellan, assicurandosi un’occhiataccia davvero poco convincente.

-L'ha attivata e si è fatta seguire.- spiegò Amalia, precedendoli nell'intraprendere la strada che conduceva ai cancelli del villaggio.

Cullen rimase a fissarla, inebetito, e questa reazione fece sorridere Lavellan, che trovava quella situazione incredibilmente buffa. -Ovvio, no?-

Lui alzò gli occhi al cielo. -Come ho fatto a non pensarci?- borbottò, evitando di lesinare sul sarcasmo.

 

 

 

 

-Nota-

Ehilà!

Metto le mani avanti sull’uso dei poteri dell’uomo™, dato che è una cosa un po’ borderline.

Mi sono scervellata sulla timeline e non è specificato quanto tempo intercorra tra Cassandra che prende a picchi Varric e la fondazione dell’Inquisizione, ma in giro si parla di una manciata di mesi. Dato che gli effetti del lyrium perdono efficacia generalmente entro un anno dalla disintossicazione e non penso che dopo Kirkwall Cullen abbia abusato delle sue capacità, immagino che qualcosina gli sia rimasto.

A parte questo, ringrazio chi ha letto il prologo e chi è arrivato fin qui.

Avevo promesso il capitolo venerdì, ma viene fuori che ho il weekend invaso dagli impegni, quindi mi sembrava il caso di anticipare, anziché far venire fuori il capitolo a ridosso del successivo, dato che entrambi sono lunghetti.

Abbracci <3

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Capitolo 3
*** Una Signora Rispettabile ***


CW: Razzismo
 

2 - Una signora rispettabile

 

Oltrepassarono una frazione delle campagne meno tormentata rispetto a quella che avevano attraversato nel primo pomeriggio, eppure il paesaggio manteneva la grigia desolazione che sembrava accomunare tutta la regione dei laghi.

Attraversarono due guadi che lambivano piccole foreste di faggi e giovani frassini, piantati in un periodo successivo al Flagello per ripopolare le zone che non erano state toccate dall'orda. Fortunatamente, la flora aveva attecchito bene e aveva permesso l'insediamento di pesci e insetti, portando con sé, come conseguenza, una discreta popolazione di uccelli acquatici. Lavellan provò un sollievo unico nel notare una fila di paperotti che seguivano un germano reale intento a insegnare loro come tuffarsi sott'acqua per nutrirsi.

Una volta avuta la conferma che si trovavano in un luogo sicuro e l'aria era respirabile, i tre abbandonarono le protezioni.

Amalia aveva un bel viso a cuore, sfiorato da un tappeto di lentiggini e incorniciato da un'acconciatura semplice. Una ciocca di capelli ribelle, castano chiaro, le sfiorava un grazioso naso all'insù e un paio di labbra piccole e piene, lievemente dischiuse a causa di un sovramorso.

Quando lei si voltò per dare un'identità ai suoi ospiti, il suo sguardo si soffermò sul viso di Cullen e da quel momento in poi, non smise di rivolgergli la parola. Lavellan non gliene fece un torto, dato che era colpevole di avere fatto le stesse identiche considerazioni quando lo aveva visto per la prima volta.

-Il lago Calenhad dovrebbe essere a un centinaio di chilometri da qui.- disse lui, indicando un punto preciso a nord durante l'ennesimo dialogo con la loro guida. -All'epoca prendemmo la Via Imperiale e ci mettemmo giorni per raggiungere Kinloch, ma è possibile arrivare a Redcliffe seguendo il corso del fiume a ritroso. Se le acque sono calme, ci puoi arrivare con una barca in metà del tempo.-

-Conosci bene questi posti?- gli domandò Amalia, voltandosi nella sua direzione.

Cullen scosse la testa. -Sono cresciuto nei Colli Occidentali. Non ho idea di cosa ci sia quaggiù. Però ho una buona memoria.-

-E un terribile senso dell'orientamento, dato che Redcliffe è lì.- intervenne Lavellan, indicando una direzione lievemente più a est con un cenno del capo.

Cullen alzò gli occhi al cielo. -Non tutti sono una bussola dotata di gambe.- borbottò, piccato.
Lavellan gli rivolse un sorrisetto.

-Ci siamo quasi.- annunciò Amalia, spronando il cavallo per aumentare lievemente l'andatura.

Arroccato sopra una collina cinta dai cipressi c'era un modesto villaggio fortificato il cui perimetro era segnalato da una muraglia di tronchi saldati con il ferro. Tutt'attorno, il territorio era costituito da appezzamenti rettangolari, divisi da strade fangose che convergevano tutte su un lungo sentiero in salita, largo abbastanza da farci passare tranquillamente due carri affiancati.

Non c'era un gran traffico, eppure dalla strada si poteva tranquillamente sentire il rumore dei paesani al lavoro all'interno del villaggio, segno che fosse abbastanza popolato da garantire una certa vivacità.

I tre raggiunsero un grande cancello, controllato da due sentinelle sulla strada e da una vedetta che in quel momento osservava l'orizzonte dalla cima del muro, riparata da una piccola cabina di legno.

-Chi sono i tuoi ospiti, Amalia?- le domandò una delle guardie, osservando i due con sospetto.

-Sono dell'Inquisizione.- disse lei, scendendo da cavallo. -Hanno chiuso lo squarcio nel Velo che avevo in cantina.-

La guardia piantò uno sguardo impressionato su Cullen. -Sarà il caso di aprire le botti buone, allora!- disse, per poi rivolgergli un sorriso. -Benvenuto a Forte Elanor, signore.-

Cullen scese da cavallo, poi gli rispose con un cenno del capo, lo stesso fece Lavellan, ma il suo saluto venne totalmente ignorato dai presenti.

La pianta del villaggio era a griglia regolare. C'era una lunga strada centrale, suddivisa in tre incroci, segnalati con un cartello intitolato a un individuo di particolare valore. Le case erano di legno imbevuto dall'umidità di piogge frequenti e dovunque, lungo la strada principale, si potevano notare servizi e bancarelle in chiusura, dal fabbro al panettiere.

-Quindi, il nome di famiglia Greystone non ti dice proprio niente?- domandò Lavellan, facendo un giro su se stessa nel notare molte finestre che si aprivano davanti agli sguardi curiosi di chi si affacciava.

-Giusto qualcosa, ma chiederei conferma a Osric per sicurezza.- replicò Amalia, conducendoli nei pressi di una stalla.

Lavellan aspettò che fosse il suo turno per approfittare del servizio, poi cedette a sua volta le redini del cavallo al garzone dello stalliere, un ragazzino rachitico che aveva più occhi che buonsenso. Gli appoggiò due monete d'argento sulla mano, rivolgendogli un sorriso di circostanza.

Quello la osservò con aria offesa, poi le ritornò i soldi bruscamente. -Per chi mi hai preso, orecchie a punta? Non li voglio i tuoi fondi di bottiglia!-

Amalia intervenne ancor prima che lo facesse Lavellan. -Sono miei ospiti, Aron. Sono dell'Inquisizione.-

Il ragazzino guardò l'obiettivo del suo disprezzo in cagnesco. -Possono anche essere la Divina resuscitata, ma se questa pensa di fregarmi con dei soldi finti ha sbagliato proprio persona!-

Lavellan appoggiò una mano sul braccio di Cullen, impedendogli di dire la sua. -Nah, il trucco dei soldi finti è una cosa che non funziona più da anni.- disse, per minimizzare.

-E con cosa mi paghi, eh? Con le collanine di legnoferro?-

-Non pagherà proprio nessuno!- sbottò Amalia, assestando una sberla sulla nuca al ragazzino. -Razza di maleducato, che figura mi fai fare con l'Araldo di Andraste!-

-L'Araldo di Andraste?- gemette il garzone, massaggiandosi la parte lesa. Posò lo sguardo su Cullen, assumendo un'espressione stupita.

Quello gli indicò Lavellan. -Lei. Lei è l'Araldo di Andraste.- precisò, infastidito.

-Oh.- il ragazzino assunse un'espressione delusa.

Amalia allora lo afferrò per le spalle, lo voltò di schiena e lo spinse via con fermezza.

-Sono desolata.- si scusò, conducendo i suoi ospiti dall'altra parte della strada, dove era situata una bella porta a vetri sormontata da un'insegna dipinta; essa recava l'araldica della famiglia Cousland che cingeva un bel boccale di birra riempito fino all'orlo.

-Tranquilla, per me è routine.- disse Lavellan, senza darci troppa importanza. Al contrario suo, Cullen portava ancora una smorfia di seccatura dipinta in viso.

Amalia aprì la porta e li guidò all'interno dell'edificio, che in realtà era una bella locanda molto accogliente, con un bel braciere centrale attorniato da una ricchezza di tavoli apparecchiati con tovaglie di cotone e una sputacchiera di ceramica a testa. Raggiunse un bancone posto dall'altro capo dell'ingresso, dove un signore calvo e rubicondo, con un bel paio di baffi a spazzola, stava lucidando una fila di boccali. Appena notò Amalia, l'uomo scorse uno sguardo interessato su di lei. -Sono questi i tizi che ti hanno liberato la cantina?- domandò.

-Le notizie circolano in fretta.- commentò Lavellan, posando lo sguardo su una statuetta oscena posta a un lato del bancone. Raffigurava un maiale vestito elegantemente, che teneva il naso all'insù con piglio altezzoso. La indicò a Cullen, ridacchiando. -Sembra il cancelliere Roderick.-

Quello non riuscì a trattenere un sorrisetto, rilassando finalmente i muscoli del viso.

-Esatto. Ho un debito di gratitudine nei loro confronti.- disse Amalia, sfilandosi il bastone da mago per appoggiarlo su un tavolo poco distante. -Hai posto per stanotte?-

-C'è sempre posto per gli eroi, alla locanda della Nobile e il Bastardo.- annunciò il signore, schiaffandosi lo straccio sopra la spalla, prima di porgere la mano a Cullen. -Osric Mileforth, al suo servizio.-

Cullen ricambiò la stretta con vigore. -Cullen Rutherford, grazie per l'ospitalità.- poi si scostò di lato, dato che il locandiere sembrava non voler prestare attenzione alla sua compagna di viaggio. -Lei è dama Lavellan, l'Araldo di Andraste.-

Il locandiere sbuffò una risata secca, smezzando un'occhiata divertita su entrambi. Quando ebbe realizzato che nessuno sembrava dargli corda, assunse un'espressione perplessa. -L'Araldo di Andraste è... un orecchie a punta?-

Lavellan fece spallucce. -Ho protestato anch'io, ma i vostri santi non accettano resi.- tagliò corto. -Dove possiamo dormire?-
Il locandiere la guardò a lungo, lisciandosi i baffi, poi annuì con decisione. -Ho un paio di camere libere, al secondo piano.- disse, muovendosi per fare loro strada verso una rampa di scale scricchiolanti.

Amalia raccolse il bastone per dirigersi verso l'uscita. -Vado e torno.- li rassicurò, prima di lasciare l'edificio.

Il corridoio del secondo piano era angusto e ogni locale era forzatamente umile, segno che le camere venissero utilizzate primariamente dagli avventori del locale, probabilmente troppo intossicati per ritornare a casa la notte. -Mi sono rimaste una doppia e una matrimoniale.- annunciò il locandiere, aprendo due porte con fare sbrigativo. -Posso darvele entrambe al giusto prezzo.-

-Prendiamo la doppia, no?- domandò Lavellan, affacciandosi all'interno della stanza più piccola.

-Assolutamente no.- replicò Cullen. -Tu prendi quella,- le indicò la matrimoniale -io questa.- concluse, segnalando con un cenno la doppia.
Lavellan gli gettò un'occhiata madida di stanchezza. -Non ti ci mettere anche tu, per favore. Non puoi prendere la peste se dormi nella stessa stanza con un Elfo. È scientificamente provato.- fece una pausa. -A meno che l'Elfo non abbia la peste, ma di solito lo noti al volo.- si indicò la faccia con un gesto circolare. -Bubboni, pustole e via dicendo.-

Cullen appoggiò le mani sui fianchi. -Per costume, Eminenza, non per razzismo.- la corresse, con una nota di nervosismo nel tono di voce.

Lavellan aggrottò la fronte, inclinando appena la testa. -Non capisco dove sia il problema. Non dormivi con altri Templari, al Circolo?-

-Non è la stessa cosa.- la corresse, per poi schiarirsi la voce. -Intendevo dire che sarebbe inappropriato per una signora dormire nella stessa stanza con uno scapolo.-

-Il signore è un gentiluomo. Ha ragione.- intervenne il locandiere, infilandosi una pipa tra le labbra con noncuranza. -Solo le mogli e le prostitute dividono il talamo con un uomo fuori dalle mura di casa. Per le signorine a modo è solo sconveniente. Poi la gente parla.-
Lavellan esalò una risata nervosa. -A me sembra un discorso un tantino paranoico. Possiamo prendere la doppia e farla finita qui, per favore?-

-No.-

Lavellan afferrò un braccio di Cullen e lo spinse all'interno di una delle due stanze, chiudendo la porta dietro di sé. Lo fronteggiò a lungo, perdendo gradualmente ogni traccia di divertimento dal viso. -Quelli fra poco mi prendono a sputi in faccia anche solo per il fatto che ho del denaro mio e tu ti fai venire queste stupide ossessioni da gran signore, costringendomi a dormire da sola?-

-Non sono ossessioni, è...-

-Fottuto costume, l'ho capito.- lo interruppe lei, passandosi una mano sul viso per farsi scivolare di dosso a forza il senso di frustrazione che le provocava quello scambio di idee.

Cullen mosse un passo verso di lei, alzando le mani in segno di resa. -Sono stanze limitrofe, sarò comunque vicino nel caso avessi bisogno di assistenza.- si impuntò, cercando di rassicurarla. Ottenne un'occhiataccia in tutta risposta.

Lavellan prese un paio di respiri profondi, poi spostò lo sguardo altrove, nel tentativo di calmarsi. -Se in due ore non avrai cambiato idea, allora vuol dire che sei stupido forte.- affermò, per poi dirigersi verso la porta. -Sconto gratitudine?- domandò, una volta uscita dalla stanza.

Il locandiere sbuffò una nuvola di fumo dal naso, poi si strinse nelle spalle. -Sono venti pezzi d'argento a notte. A testa.-

-Alla faccia dello sconto!-

-Il vitto è incluso.-

Dato che non c'erano altre opzioni, Lavellan evitò di soffermarsi troppo su quel furto in piena regola e recuperò il giusto prezzo dal borsello, ficcandoglielo tra le mani. -Sono veri.- aggiunse, notando con la coda dell'occhio un'espressione dubbiosa.

Aspettò che Cullen la raggiungesse, ignorando ogni suo tentativo di conversazione, poi seguì l'uomo giù dalle scale.

-Qualcosa da bere?- propose Amalia, porgendo un boccale di birra a entrambi i suoi ospiti. Lavellan accettò con il tentativo di un sorriso, poi finse di prendere un sorso, rigirandosi il boccale tra le mani a lungo, prima di appoggiarlo sul bancone.

Cullen, che aveva notato quella manovra, provò a distrarre Amalia per evitare che la notasse a sua volta. -Dove possiamo trovare un cambio di vestiti?-

-Ci ho già pensato io, non vi preoccupate.- rispose la ragazza, recuperando due fagotti per consegnarli a Cullen. -Spero che questi vadano bene.-

-Grazie.- rispose lui, dando una scorsa veloce al loro interno, prima di affidare il più piccolo a Lavellan. Prese un'altra sorsata di birra, poi indicò alla sua compagna di viaggio le scale. -Prego.-

Lei gli scoccò un'occhiataccia, stanca di quella signorilità forzata. -Tu non vieni?- gli domandò.

Cullen ripropose il gesto. -Intendevo suggerirti di salire le scale per prima, Eminenza, non di salire da sola.- precisò.

Lavellan rilassò i lineamenti del viso, poi si avviò, consolata dal fatto di essersi sbagliata.

 

Una volta entrata nella sua stanza, Lavellan si diede una strigliata epocale, assicurandosi che sul suo corpo e sul suo equipaggiamento non fossero rimasti residui di corruzione. Disse addio ai suoi vestiti da viaggio, infilandoli in un sacco, poi appoggiò gli indumenti che le aveva procurato Amalia sul bordo del letto.

Dalle condizioni delle coperte e del materasso, Lavellan dedusse facilmente che quella stanza era frequentata principalmente da coppie clandestine ed era certa che venisse utilizzata per fare qualsiasi cosa, eccetto dormire. Si appuntò mentalmente di rinfacciarlo al suo compagno di viaggio, il prima possibile.

Dopo aver analizzato con un'espressione incerta gli abiti, si infilò in una camicia turchese e in un paio di pantaloni decisamente fuori misura per lei. Aprì le braccia, tenendole parallele al pavimento, mentre osservava la sua figura venire inglobata dalla stoffa. Quell'immagine le provocò una risata istintiva, risollevandole decisamente il morale.

-Almeno non è un vestito.- commentò, recuperando dal letto una sciarpa che Amalia aveva allegato al suo soprabito. Con essa si fasciò la vita, assicurandosi che quel corsetto rudimentale aderisse bene al suo corpo, poi lo fermò con due giri di cintura, annodandola sulla fibbia. Dopo aver sistemato le maniche della camicia e infilato i pantaloni negli stivali (attenta che aderissero bene ai polpacci), passò al suo equipaggiamento, dato da una cinta larga, oberata da sacche e borselli, che si legò sui fianchi. Controllò velocemente che tutto fosse al suo posto, poi si mise sulle spalle un cappotto pesante (il quale in realtà era solo una giacca troppo larga) e recuperò arco e frecce, dirigendosi verso l'uscita.

Una volta fuori, spostò lo sguardo alla sua destra, dove Cullen l'aspettava, con la schiena aderente alla porta della sua stanza e le braccia incrociate sul petto.

Lui passò uno sguardo interessato su di lei, prima di spostare la sua attenzione altrove. -Ti è andata bene.- chiosò, raddrizzandosi.

Lavellan si ritrovò a pensare che a lui fosse andata decisamente meglio. Esteriormente, almeno, perché il guscio era lo stesso. Il contenuto però presentava delle ammaccature talmente sottili da sembrare invisibili per un occhio poco allenato all'analisi.

Lavellan, che era tanto razionale quanto compassionevole, si ritrovò nel limbo dell'indecisione perché la reazione che avrebbe voluto avere fu molto diversa da quella che lui ottenne. Stretto in un completo grigio chiaro, Cullen sembrava stanco e aveva un alone di tristezza nello sguardo. Lavellan ipotizzò che fosse dovuto proprio a quegli abiti, che portavano con sé lo spettro di un destino da cui si era allontanato molti anni prima, perché alla ricerca di uno scopo diverso dall'umiltà forzata derivata dalla vita di campagna.

Non era la prima volta che lo vedeva in abiti diversi da quelli che di solito indossava in sede di consiglio, o durante gli allenamenti delle reclute, ma vederlo in quel contesto le fece realizzare quanto la fragilità di quell'uomo, estirpato dalla sua professionalità, fosse naturalmente attraente per lei.

-Sembro mastro Dennet.- borbottò Cullen, raddrizzandosi le falde del cappotto pesante che indossava, per farsi scivolare di dosso l'imbarazzo. Grazie a quel gesto brusco, Lavellan riuscì finalmente a uscire dal torpore. Gli si fece vicina, alzandosi sulle punte per sistemargli la sciarpa pesante che portava sopra il bavero, poi gli batté più volte una mano sul petto.

-Un perfetto gentiluomo del sud! Mancano solo un bel fiocco e un biglietto d'auguri e tutte le ragazze del borgo faranno la fila per offrirti un fiore.- scherzò, rivolgendogli un sorrisetto.

Cullen esalò una breve risata nervosa, abbassando lo sguardo. -Eminenza, se non fossi sicuro che tu mi stia lusingando con tutta l'intenzione di prendermi in giro, ricambierei il complimento volentieri.-

-E cosa mi vorresti dire, che sei lieto che mi sia lavata via il Flagello di dosso in tempo per evitare di appestarti?- scherzò lei, procedendo verso le scale che portavano al piano di sotto.

Lui la guardò a lungo, silenziosamente, poi si mosse per raggiungerla. -Decisamente non questo.- rispose.

 

Una volta arrivati al piano di sotto, Amalia li accolse con un gran bel sorriso. Osric, invece, allungò semplicemente un'occhiata, per poi tornare a lavare il bancone in preparazione all'apertura serale. Dopo che Amalia ebbe tempestato i suoi ospiti di complimenti, il locandiere si rivolse a Cullen. -Ho sentito che state cercando Delia Greystone.-

-La conosce?- domandò il suo interlocutore, sorpreso.

Osric annuì. -È la vedova del pasticcere. Suo marito è morto durante un pellegrinaggio e lei ha dovuto cedere l'attività al Siniscalco.-

-Ma serannas, Falon'Din!- mormorò Lavellan, indossando il sollievo come una medaglia. -Non abbiamo fatto un viaggio a vuoto!-

Cullen le rivolse l'accenno di un sorriso. -Sa dove possiamo trovarla?-

Il locandiere appoggiò i gomiti sulla superficie del bancone, sporgendosi verso di lui. -Può trovarla dove si trovano tutte le signore a modo del villaggio dopo le sei: in chiesa per lettura serale.-

-Che tipa è?- domandò Lavellan.

-Una signora rispettabile.-

Lei si costrinse a farselo bastare, perché era chiaro che lui non volesse distribuire troppe informazioni su una sua concittadina a due sconosciuti. -La ringrazio.- disse, semplicemente.

Una volta congedato il locandiere, Amalia li condusse all'esterno, per salutarli.

La strada maestra era immersa nella penombra serale e la temperatura si era abbassata drasticamente, formulando nuvole di condensa tra le labbra dei passanti, che si dirigevano di fretta nelle loro abitazioni dopo il lavoro. Dietro alle finestre si poteva scorgere la luce delle lanterne, accompagnata dallo sferragliare tipico dei tavoli che vengono apparecchiati.

-Va preparata la cena e vanno fatti i mestieri.- disse loro Amalia, con una vena di tristezza nel tono di voce. -Mi dispiace non esservi stata molto d'aiuto.-

-Sciocchezze! L'Inquisizione ti è debitrice.- replicò Cullen, chinando la testa in segno di rispetto. Le guance della ragazza si tinsero di imbarazzo.

Lavellan le rivolse un bel sorriso. -Grazie mille, Amalia. Spero di rivederti presto.- disse, per poi sporgersi ad abbracciarla brevemente.

Una volta che fu lontana, i due si scambiarono un'occhiata d'intesa. -Prego!- disse Lavellan, accompagnando l'esclamazione con un gesto del braccio. Cullen sbuffò una risata, poi la precedette verso l'edificio che era stato loro indicato.

 

La chiesa non era sicuramente un luogo sacro paragonabile alla cattedrale di Haven, ma non era scevro dell'austera solennità che caratterizzava il credo lì professato.

Era poco più grande di un edificio residenziale ed era costituita da un'unica navata che conteneva una scarsa quantità di panche. I fumi dell'incenso che provenivano dalla zona dell'abside, lievemente rialzato dal pavimento, fluttuavano pigramente sopra una popolazione misera di fedeli intenti ad ascoltare la lettura del Canto, a opera di una cantrice dal timbro di voce stridulo e nasale.

Lavellan si affrettò a seguire Cullen, che dopo aver reso grazia al Creatore si apprestava a dirigersi, con passo sostenuto, verso un Templare che vegliava sulla funzione con aria attenta.

-Pensavo che fossero andati tutti a est.- disse Lavellan, a bassa voce per evitare di disturbare la funzione. Cullen scosse la testa. -Non tutti. Quelli che non si sono schierati sono rimasti a vegliare sui fedeli.- rispose.

Il Templare, dopo che ebbe notato la presenza degli estranei, sollevò una mano nella loro direzione, suggerendo di mantenere le distanze. Quando si furono fermati, si avvicinò lui stesso, con aria circospetta.

Era armato e indossava un'armatura integrale, completa di elmo. Da come si muoveva, sembrava parecchio infastidito di doversi distrarre dal suo compito. -Madre Ilena sarà impegnata ancora a lungo. Vi consiglio di prendere posto, o di portare qui i vostri affari in un secondo momento.- disse, con voce autoritaria.

Cullen sollevò le sopracciglia dalla sorpresa, inclinando il capo per sbirciare attraverso la visiera dell'elmo del loro interlocutore. -Ser Kavanaugh?! È davvero lei?- domandò.

Nel sentirsi preso in causa, il Templare si ritrovò a esitare. Si sfilò l'elmo, rivelando ai nuovi arrivati un bel viso affilato, segnato da un'età avanzata. Passò dapprima uno sguardo confuso su Cullen, poi i suoi lineamenti si macchiarono d'incredulità. -Rutherford?- domandò.

Quello annuì, aprendo un bel sorriso tra le labbra. Lavellan guardò l'uno, poi l'altro. -Lo conosci?- domandò al collega.

-Certo!- rispose Cullen. -Mi ha insegnato le basi della scherma.-

Il Templare perse immediatamente la smorfia di fastidio che aveva indossato fino a quel momento. Sorrise a sua volta, poi appoggiò una carezza sul viso di Cullen, battendogli un paio di buffetti sulla guancia. -Che sorpresa!- esclamò. -Come ti sei fatto grande!-

-Beh, sono passati vent'anni dall'ultima volta che ci siamo visti, signore.- rispose Cullen, il cui subconscio sembrava costringerlo a raddrizzare la postura sempre di più mano a mano che la conversazione andava sviluppandosi.

-Mi fa piacere vedere che stai bene, soprattutto con l'aria che tira nell'Ordine.- disse Ser Kavanaugh, facendosi seguire in un punto della navata in cui la loro conversazione non sarebbe stata di disturbo alla funzione. -Anche a te è arrivata la lettera di convocazione di Lord Lucius, immagino.-

Cullen e Lavellan si scambiarono un'occhiata d'intesa. -No e non penso che mi arriverà mai.- rispose il primo, ritornando immediatamente serio. -Ho lasciato l'Ordine sette mesi fa, ora lavoro con l'Inquisizione.- spiegò.

Ser Kavanaugh lo squadrò da capo a piedi, con aria severa. -Stai bene?- gli domandò, tornando a guardarlo negli occhi.

Cullen si prese i suoi tempi, prima di rispondere. -Sono in perfetta forma.- tagliò corto, per poi scostarsi appena, nell'appoggiare una mano sulla schiena di Lavellan.

Era la prima volta che la toccava deliberatamente, da che si erano conosciuti e lei visualizzò immediatamente la richiesta di supporto emotivo che le stava lanciando. Si ritrovò a pensare, infatti, che quell'atto totalmente fuori dal suo personaggio non fosse un modo di sviare l'attenzione su un altro argomento, ma una vera e propria ricerca di sicurezza, quindi si sentì in dovere di dargli corda, accorciando immediatamente le distanze da lui.

-Ser Kavanaugh, vorrei presentarle Sua Eminenza, dama Lavellan.- la introdusse Cullen, stringendo brevemente la presa sulla stoffa della sua giacca, prima di scindere il contatto. -L'Araldo di Andraste.- si affrettò ad aggiungere.

-È un piacere conoscerla.- disse lei, allungando la mano per farsela stringere.

Il suo interlocutore reagì a quel titolo aggrottando la fronte su un'espressione allibita, come se avesse appena ascoltato una bestemmia. Guardò entrambi con una punta di disprezzo nello sguardo, prima di concentrarsi su di lei. -Ho a che fare con una santa, o con un'eretica?- domandò.

Lavellan, che aveva sentito di peggio, trasformò la stretta di mano in un cenno di saluto sbrigativo. Gli rivolse un sorriso tirato, poi fece spallucce. -Non sono stata ancora colpita da un fulmine, se questo può aiutare il suo discernimento.- scherzò.

Cullen strinse le labbra, impedendosi di esprimere quanto fosse fuori luogo quella risposta. Fortunatamente, Lavellan corresse la traiettoria in tempo per evitare un incidente.

-Non parlo a nome di nessuno, signore, è solo un titolo che mi è stato assegnato perché sono l'unica persona nel Thedas in grado di chiudere gli squarci nel Velo. Per i fedeli della Chiesa, è un dono che mi è stato affidato da una figura mistica che chi era presente dopo l'esplosione del Conclave ha riconosciuto come Andraste.- articolò. -In realtà, lavoro con l'Inquisizione per stabilizzare le aree coinvolte dalla rottura del Velo e assisto la sua leadership in materia decisionale.-

-Sua Eminenza ha riportato l'ordine nell'area meridionale delle Terre Centrali in meno di una settimana. Grazie al suo intervento, possiamo finalmente garantire stabilità ai civili dopo gli eventi di Kirkwall e del Conclave.- intervenne Cullen.

-Parli come un banditore, Rutherford.- lo rimproverò Ser Kavanaugh, per niente convinto. -Mi chiedo cosa ti abbia spinto ad abbandonare i tuoi confratelli nel momento del bisogno per associarti a un'organizzazione radicale e impulsiva come l'Inquisizione. La Chiesa disapprova le vostre azioni, ma questo lo sapete già, suppongo.-

-La Chiesa è nel caos.- affermò Cullen. -Sono più impegnati a gestire questioni politiche che a fare del bene effettivo per le vittime di questa situazione. Al contrario loro, noi abbiamo ben chiare le nostre priorità.-

-I veri Templari hanno sempre fatto del bene effettivo per la gente.- ribatté Ser Kavanaugh. -Ora più che mai, è necessario restare al nostro posto, tra i fedeli, a guidarli e proteggerli.-

Cullen lo guardò con un accenno di delusione nello sguardo, poi rilassò la postura, come se l'aria che avesse appena esalato dal naso avesse trascinato via con sé gran parte del nostalgico rispetto che Cullen aveva per l'individuo che gli stava di fronte. -Non possiamo ostinarci a innaffiare l'orto quando il mondo oltre al recinto brucia.- disse.

-E adesso il mondo sta andando decisamente a fuoco.- aggiunse Lavellan, di rinforzo. -Lo era anche prima dell'esplosione, ma nessuno ha mai voluto distribuire dell'acqua per placare l'incendio.- si voltò appena verso la madre superiora, intervenuta nella funzione per interpretare le parole del Canto ai fedeli tramite una predica. -Si da il caso che noi ne abbiamo in eccesso e non abbiamo paura di usarla.-

Cullen sorrise appena. -Eccesso?- ripeté, con scetticismo.

-Quella prodotta da tutto il vapore che tu e Cassandra sbuffate a ogni riunione del consiglio.- rispose lei, ricambiando il sorriso con un'occhiata eloquente. -Abbiamo un'autonomia idrica considerevole.- aggiunse, appoggiandogli una mano sulla spalla.

Ser Kavanaugh spostò lo sguardo dall'una all'altro. -Molto divertente, ma se siete venuti per convincere me e i miei confratelli a unirci alla vostra causa, temo che abbiate fatto un viaggio a vuoto.- disse, categorico.

Cullen alzò immediatamente una mano in segno di diniego. -In realtà, il nostro obiettivo è un altro.-

-Siamo qui per rintracciare la famiglia di un ragazzo in difficoltà.- intervenne Lavellan. -Ci è stato riferito che la sua parente più prossima, Delia Greystone, è un'assidua della lettura serale.-

Ser Kavanaugh inarcò un sopracciglio, mentre il suo viso si macchiava di un accenno di divertimento. -Ma come? Non hai intenzione di insistere?- domandò, rivolto a Cullen. -Che fine ha fatto il ragazzino ostinato che mi tormentava giorno e notte affinché lo addestrassi?-

Quello ampliò di poco il sorriso. -Ha imparato a scegliere bene le sue battaglie.- rispose, tranquillamente. -Mi limiterò a dirle che, semmai la sua comunità avrà bisogno di supporto, l'Inquisizione sarà pronta ad assistervi.-

-Ovviamente.- esalò Ser Kavanaugh, per poi voltare lo sguardo verso le panche. Si accostò ai due e indicò loro una signora dai capelli sale e pepe, seduta di fronte al podio della cantrice. -Delia Greystone.- annunciò.

Lavellan si soffermò a osservarla bene. Si trattava di una donna anziana che indossava l'austerità granitica derivata da una vita segnata dalla resilienza a traumi e sacrifici. Portava i colori del lutto, eppure si stringeva in uno scialle rosa e i suoi capelli erano acconciati in maniera tutto fuorché umile. Il suo sguardo sembrava bloccare la predica, nonostante il suo corpo fosse prostrato in direzione delle officianti.

-Non avevo idea che avesse altri parenti, all'infuori del marito.- ammise Ser Kavanaugh, perplesso. -Sua figlia è morta in età adolescenziale.-

Lavellan, che per natura era un'impicciona, annusò immediatamente il dramma familiare e subito le si drizzarono le orecchie. -Si sa com'è successo?- chiese.

Ser Kavanaugh scosse la testa. -In quel periodo stavamo indagando sulla presenza di un Maleficar nei colli. L'unico Templare rimasto a Honnleath, purtroppo, è morto durante il Flagello.-

-C'erano molti Greystone a Honnleath?-

-Solo Delia, Thomas e la figlia.-

Cullen ritrasse la testa, confuso. -Ne è sicuro?-

-Sicuro come il tramonto.- rispose Ser Kavanaugh, spostando lo sguardo verso i fedeli che si erano appena alzati dalle panche, dopo che la madre li aveva congedati.

Lavellan non attese un istante di più. Si diresse verso la donna, intercettandola in tempo per evitare che uscisse. -Mi scusi.- la chiamò, sollevando appena l'indice.

La signora Greystone spalancò un paio di occhi grigi e seccati nella sua direzione, dopo essersi ritratta per istinto. -Non ho soldi.- affermò.

-Mi dispiace.- replicò Lavellan, scrollandosi così di dosso la provocazione. -Posso fare due parole con lei? È urgente.-

Delia Greystone la squadrò da capo a piedi, poi si diresse verso l'uscita senza degnare la sua interlocutrice di una risposta. Lavellan però non demorse e la seguì. -Sono dell'Inquisizione, signora Greystone. I suoi nipoti hanno bisogno del suo aiuto.- disse, affiancandosi a lei per evitare di alzare troppo la voce. -Attualmente, sono al Crocevia, senza nient'altro che loro stessi e un nome di famiglia. Potrebbe farmi il piacere di...-

-Per la grazia del Creatore, lasciami in pace!- gemette la signora, stringendosi nello scialle, realmente infastidita. -Non mi interessa cosa fanno i miei nipoti!-

Lavellan provò a insistere ma si vide immediatamente bloccare la strada da due uomini.

-La signora ha detto che non è interessata ad ascoltarla.- disse il primo, fronteggiandola con aria minacciosa.

Lavellan alzò immediatamente le mani in segno di resa. -Sono dell'Inquisizione. Non intendevo spaventare la signora, ma solo metterla al corrente di una situazione delicata che la riguarda.-

-Truffare una vedova indifesa per spillarle dei soldi. Ecco cosa volevi fare!- intervenne il secondo, accorciando le distanze. -Non hai un minimo di vergogna?-

Lavellan alzò gli occhi al cielo. -Non ho bisogno di soldi.- ribadì, per poi voltarsi verso Cullen, che si era portato di fianco a lei con un'espressione allibita. -Te lo giuro, l'unica cosa che le ho chiesto era se potessimo fare due parole in privato.-

Ancora prima che lui potesse aprire bocca, però, il primo uomo gli rivolse la parola. -Tenga a bada la sua serva, signore. Questo è un luogo di preghiera, non una taverna!- lo rimproverò.

-Ma come si permette?!- sbottò Cullen, che non sapeva da che parte iniziare a offendersi. -Sua Eminenza non è serva di nessuno, né tantomeno una ladra. Che razza di atteggiamento è questo? Accerchiare una signora per accusarla ingiustamente di un'offesa che non ha commesso quando è palese che volesse solo trasmettere un'informazione.- li rimproverò.

-Hanno fatto bene! La stava decisamente importunando.- intervenne una giovane madre con un ragazzino attaccato alla gonna. -Ho sentito che le chiedeva dei soldi.- aggiunse.

-Evidentemente, ha sentito male.- disse Lavellan.

Il secondo uomo inalò rumorosamente dalla bocca. -Osi mettere in dubbio la parola di una madre? Nella casa del Creatore?-

Cullen fece per ribadire l'assurdità di quella situazione, ma Lavellan glielo impedì, appoggiandogli una mano sul braccio. -Avete ragione.- disse, ricevendo uno sguardo sconvolto in tutta risposta. -La nostra è una missione urgente e delicata, ma non avrei mai dovuto coinvolgere la signora Greystone in maniera così diretta in un luogo del genere.- chinò allora la testa. -Chiedo scusa.-

-Chiamiamo il Siniscalco, vediamo un po' quanto valgono queste scuse!- sbottò la ragazza, proprio mentre Delia Greystone varcava l'uscio e lasciava definitivamente l'edificio.
I due uomini si scambiarono un cenno d'intesa. -Già, a me sembra proprio il caso di...- iniziò il primo, ma venne interrotto dall'arrivo di Ser Kavanaugh, che avanzò con calma per frapporsi alle due parti.

-Mi meraviglio di voi, signori. Aggredire verbalmente qualcuno per un malinteso non è di certo un comportamento da gentiluomini.- disse, dando la schiena a Cullen, per fronteggiare i due. -E tu, Brona, che esempio stai dando a tuo figlio additando ingiustamente un'altra donna solo perché ti pare di aver sentito una cosa diversa da quella che ha detto?-

-Non si sa mai, con questi qui.- borbottò la ragazza, scoccando a Lavellan un'occhiata truce per poi trascinarsi dietro il bambino verso l'uscita dell'edificio.

-Pensate davvero che sarei rimasto in disparte, se avessero costituito un problema per Delia?- domandò allora Ser Kavanaugh, rivolgendosi ai restanti. Quelli scorsero un'occhiata poco convinta su di lui, ma grazie al suo intervento vennero dissuasi dall'accanirsi ulteriormente su Lavellan. Prima di allontanarsi, però, uno di loro si voltò nella sua direzione, indicandola con un gesto sommario. -Sarà il caso che ti comporti bene. I vagabondi della tua razza durano poco qui.- la avvisò, per poi lasciare a sua volta la chiesa.

Lei, che non aveva mai smesso di stringere il braccio di Cullen, si riservò di esalare un moderato sospiro di sollievo.

-Perché non mi hai permesso di difenderti?- le domandò il collega, a mezza voce.

-Perché io ero impegnato e doveva prendere tempo. Se tu fossi intervenuto, la situazione sarebbe degenerata.- spiegò Ser Kavanaugh al suo posto. -Ti ricordo che sono io l'autorità qui, non l'Inquisizione.-

Lavellan mollò la presa, per poi lisciargli la manica della giacca laddove l'aveva stropicciata. -Grazie per avermi assecondata. Di solito Cassandra si mette ad abbaiare come un mastino e ci ritroviamo sempre a dover affrontare una rissa.- disse.

-A che prezzo? Ti hanno umiliata. In un luogo come questo, per giunta!- protestò Cullen, infastidito.

Lavellan inarcò un sopracciglio. -La prossima volta allora usa la testa e cerca di mediare tu stesso, anziché rimproverare me per aver impedito che ci aggredissero.-

-Mi hai chiesto tu di non intervenire, se non ricordo male.- puntualizzò lui, per poi esalare un sospiro stanco. -Non è stato piacevole, per usare un eufemismo.-

Lavellan si strinse nelle spalle. -Guarda il lato positivo: almeno abbiamo scoperto un nuovo indizio.-

Cullen assunse un'espressione perplessa, al che lei si affrettò a fornirgli una spiegazione. -Ha rivelato di avere dei nipoti, involontariamente. Non penso che mi abbia voluto allontanare solo per razzismo.- disse.

-Questo è... realmente strano.- ammise Ser Kavanaugh, aggrottando la fronte. -Sua figlia è morta. Com'è possibile che...- si zittì, per poi sollevare un'occhiata preoccupata verso Cullen. -Avete intenzione di contattarla nuovamente, suppongo.-

-Decisamente.- rispose lui. -Quei ragazzini hanno bisogno di un posto dove stare. Qui sarebbero al sicuro.-

-Potrei intercedere per voi.- suggerì Ser Kavanaugh, incrociando le braccia sul petto.

Lavellan annuì con decisione. -Mi sembra un'ottima idea. Quando potrebbe assisterci?- gli chiese.

Il suo interlocutore si voltò verso il braciere, reso vivace dalla cantrice che lo stava consultando. -Tempo di farmi dare il cambio e infilarmi in qualcosa che non le farebbe temere il peggio.- rispose, tornando a guardare Cullen. -Uscite dal retro e aspettatemi lì. Non ci vorrà molto.-

-Grazie, signore.- disse lui, accompagnando le parole con un cenno del capo.
Ser Kavanaugh gli batté una mano sulla spalla, poi si allontanò, per permettere loro di uscire dall'edificio.

 

Aveva iniziato a piovere. Non si trattava di una pioggia regolare, o di un acquazzone intenso, piuttosto l'atmosfera era intrisa di particelle di umidità che sostavano a mezz'aria come se vi fossero incastonate, adagiandosi unicamente su ciò che passava loro attraverso.

Lo spazio che intercorreva tra la facciata posteriore della Chiesa e il muro che cingeva Forte Elanor era angusto, umido e scarsamente illuminato. Fortunatamente, era anche abbastanza riparato dagli occhi e dalle orecchie degli abitanti del villaggio, quindi garantiva un certo senso di sicurezza a chi era costretto ad aspettare all'aperto.

-Qual è il piano?- domandò Cullen, cercando lo sguardo di Lavellan nella penombra.

Lei, che aspettava la loro guida con una spalla appoggiata al muro della chiesa, reagì a quella domanda ammiccando, perché l'aveva distratta da un'opera minuziosa di sorveglianza guardinga. -Prima di tutto, voglio sapere cosa ci sta nascondendo la vecchia, poi cercherò di convincerla a dare asilo ai suoi nipoti.- spiegò. -Che non è troppo diverso dal piano che avevamo stabilito all'inizio. È solo diventato un po' più interessante.-

Cullen si portò di fronte a lei. -Te l'ho chiesto perché ho un brutto presentimento.- disse, a mezza voce. -E, dato che oggi sembra che condividiamo la stessa clessidra, mi domandavo se anche tu avessi dei sospetti al riguardo.-

Lavellan si soffermò a guardarlo per diversi istanti, prima di rispondergli. -Questo è il punto in cui di solito espongo a Varric la mia teoria e lui rilancia di dieci pezzi di rame che la situazione in realtà è ben peggiore di quanto sembri.- disse, confermandogli implicitamente di essere sulla sua stessa lunghezza d'onda.

-Quell'uomo ha l'aria di una persona che vince molto al tavolo, ma guadagna solo sofferenza nella vita.- commentò lui, infilando le mani in tasca. Rimase in silenzio a lungo, poi esalò un sospiro nervoso. -Davvero pensi che non sarei riuscito a stemperare la tensione, là dentro?-
Lavellan, che stava ancora riflettendo sulla sua analisi incredibilmente accurata a proposito di Varric, gli rivolse un'occhiata perplessa. -Non lo so.- ammise, dopo un po'.

-Volevi gestire la cosa a modo tuo e ti ho dato fiducia, ma da lì a riprendermi per non aver usato la testa...- Cullen aggrottò la fronte. -Gestisco situazioni del genere da una vita intera e sentirmi dare dell'incapace in quel modo è stato degradante.-

Lavellan si avvicinò di un passo, rendendosi conto solo in quel momento delle conseguenze del suo atteggiamento. -Non ti ritengo un incapace e mi dispiace averti ripreso in quel modo.- si scusò, trovando ingiusto addossare le sue colpe al nervosismo.
Cullen la fissò con aria severa. -Hai il timore che ti voglia difendere perché provo pietà per te?-

Lavellan prese un respiro profondo, poi scosse la testa. -Non per pietà, ma per i motivi sbagliati.- lo corresse. -Quelli erano solo dei bifolchi gonfiati di pregiudizi. Avresti perso solo tempo e loro non avrebbero cambiato idea. Lo so che tu non mi vedi così. Non serve che tu mi difenda per dimostrarmelo.-

-Non voglio dimostrarti proprio niente. Voglio che tu non debba sentirti costretta a gestire certe cose da sola perché temi che voglia atteggiarmi a cavalier servente.- ribatté lui, accorciando le distanze per non dover alzare la voce. -L'hai detto tu che siamo una squadra, d'altronde.- disse, appoggiandole una mano sul braccio.

Lavellan gli rivolse un sorrisetto. -Sei un po' un cavalier servente, ammettilo.- scherzò.
Lui sbuffò una risata, poi mollò la presa. -Si, ti piacerebbe!- disse, dando un gesto circolare con l'avambraccio. -Vuole camminare sulla mia giacca per evitare di sporcarsi le zampine, o preferisce che la porti direttamente in braccio, Altezza?- la canzonò.

Lavellan gli offrì un'occhiata intrisa di falsa tenerezza. -Guardalo, gliene dai vinta una e si gonfia subito come un gallo cedrone!- commentò, sporgendosi verso di lui. -Te ne approfitti perché sai che sono in difficoltà.-

-Non sei in difficoltà, sei con me.- replicò lui, con una certa nonchalance che sembrava più forzata di una porta di vetro chiusa a doppia mandata.

Lavellan strinse le palpebre, rivolgendogli un'espressione per niente convinta. -Ecco, su questo dovremo continuare a lavorarci.- disse, battendogli un paio di pacche sul petto.

Cullen ridacchiò, chinando appena il capo. -Non stavo flirtando, dicevo sul serio.- disse, tornando a guardarla negli occhi.

Si scambiarono un sorriso che avrebbe fatto sciogliere un ghiacciaio perenne, poi fecero convergere gli sguardi sull'uscita posteriore della chiesa, dov'era appena apparso Ser Kavanaugh, che aveva smesso l'armatura per indossare l'uniforme.

Fece loro cenno di seguirli, prendendo a muoversi verso la strada maestra senza aspettare che lo affiancassero. -La sua casa non è molto distante da qui, ma in realtà niente è troppo distante in generale, a Forte Elanor.- disse, una volta che furono a portata d'orecchio. -Vi consiglio di lasciar parlare me per primo, così da introdurle la situazione senza stressarla.

Delia è una donna all'apparenza dura, ma in realtà è molto fragile. La conosco da...- il suo viso si contrasse in una smorfia di fastidio. -...da quando non aveva ancora i capelli bianchi.- concluse, in un sussurro.

Cullen e Lavellan si scambiarono un'occhiata d'intesa, trattenendo a fatica un sorrisetto.

-Insomma, che tipa è?- gli domandò Lavellan. -Cosa dobbiamo aspettarci?-

Ser Kavanaugh ci rifletté su per diversi istanti, prima di rispondere: -È una persona rispettabile.-

-Questa l'ho già sentita.- borbottò Lavellan. -Qualcosa di meno vago?-
Il suo interlocutore le gettò un'occhiata veloce. -Ho detto che la conosco, non che sono il suo confidente.- rispose.

Lavellan inarcò un sopracciglio, sospettosa, dato che non le pareva un'affermazione plausibile. Cercò la sua stessa perplessità nel viso di Cullen ma trovò ad aspettarla solo un'espressione totalmente ignara della domanda telepatica che gli stava lanciando, quindi decise di lasciar perdere.

Una volta attraversata la strada maestra si trovarono in un vicolo a malapena illuminato dalle finestre e dalle porte schiuse delle abitazioni che si trovavano ai lati del percorso. Lo sguardo di Lavellan studiò accuratamente i paraggi, alla ricerca di rassicurazioni per placare la sua paranoia, ma la sua fu una raccolta dati fallimentare perché servì solo a rinforzarla.

Difatti, durante il tragitto si ritrovarono a passare di fianco a diverse porte aperte, piantonate da individui dall'aria preoccupata. Nemmeno la presenza di Ser Kavanaugh sembrava infondere loro la sicurezza necessaria per identificare i nuovi arrivati come una presenza inoffensiva.

A proposito della scorta, quest'ultima si fermò a pochi passi dal terminare del vicolo, per indicare a Cullen una porta con un cenno del capo. -Siamo arrivati.- annunciò, voltandosi in direzione del duo. -Restate qui, ci metterò un attimo.-

Lavellan anticipò Cullen di un millesimo di secondo, nell'aprire bocca. -Se non le dispiace, verremmo con lei.- disse.

Ser Kavanaugh le rivolse uno sguardo penetrante, rimarcando in quel modo quanto fosse ovvia la sua contrarietà al piano. Quando però si rese conto che il vicolo si stava trasformando in un anfiteatro a cielo aperto di persone malate di disapprovazione, a cui mancava solo la frutta marcia per ottenere la certificazione di folla inferocita, decise di non insistere e si limitò a bussare con decisione alla porta.

-Delia, sono io. Puoi aprire?- rispose, alla domanda dell'inquilina di identificarsi.

Le ci volle un minuto per aprire, ma neanche un istante per cambiare idea, dopo essersi affacciata all'esterno.

Stavolta fu il turno di Cullen di anticipare Lavellan. Infilò un piede tra la porta e la cornice, impedendo alla signora di abbandonare una conversazione obbligatoria per la seconda volta. -Mi dispiace, ma è urgente.- disse, permettendo a Lavellan di sgusciare dentro l'abitazione sotto allo sguardo madido di rimproveri inespressi di Ser Kavanaugh.

-Ve l'ho detto: non sono interessata alle opere di carità per gli Elfi!- sbottò la signora Greystone, cercando di scacciare gli ospiti indesiderati da casa sua con un bastone da passeggio, recuperato al volo da un'ombrelliera.

-La sua carità può tenersela, io sto meglio di lei!- replicò Lavellan, schivando i colpi con facilità. -Lo stesso però non si può dire dei suoi nipoti.-

-Non m'interessa. Uscite subito da casa mia!-

Ser Kavanaugh afferrò il bastone al volo, prima che la signora fracassasse un quadro fatto all'uncinetto. Le scoccò un'occhiata infastidita, poi si affrettò a richiudere la porta, mentre Cullen passava uno sguardo approfondito sull'atrio dell'abitazione, carico di polvere e ninnoli nostalgici. -Delia, falla finire di parlare, per favore.- disse il primo, con un accenno di rimprovero nel tono di voce.

-No, perché so esattamente cosa vuole chiedermi!- esclamò la signora Greystone, riprendendosi il bastone da passeggio con un gesto brusco per riporlo, altrettanto bruscamente, laddove l'aveva trovato. Una volta a mani libere, si strinse nervosamente nella vestaglia che indossava per la notte. -Quelli come lei prima ti stringono la mano, poi ti rubano anche le ossa del braccio. Passano la vita a rincorrere scoiattoli, poi quando vedono come viviamo bene noi, approfittano della nostra compassione e si piazzano nelle nostre case come degli stramaledetti topi!-

Lavellan si guardò intorno con aria incerta. -Onestamente, preferisco gli scoiattoli.- commentò. -Almeno quelli non si portano dietro macchie di muffa e odore di vecchio.-
-Lo diceva anche quel perdigiorno di mio genero, prima di costringere mia figlia a vendere la sua dote e a scappare con lui verso chissà dove.-

-Ooh.- esalò Lavellan, con una scintilla di soddisfazione nello sguardo. -Allora ci avevo visto giusto. Non ce l'ha con gli Elfi solo perché la Chiesa dice che siamo poco più sviluppati degli animali, c'è davvero di mezzo del dramma.- si prese il suo tempo per godersi quella vittoria effimera, poi la sua espressione divenne improvvisamente seria. -Mi piacerebbe restare qui a pretendere che le sue offese mi tocchino, signora Greystone, ma la situazione è molto grave. Come le dicevo, i suoi nipoti sono in seria difficoltà e hanno bisogno di un porto sicuro per ritrovare la stabilità.-

Delia Greystone esclamò una risata scevra di divertimento. -Ben le sta, a quella sprovveduta di mia figlia! Ha rinunciato alla sua eredità e al supporto della sua famiglia. Ora...-

Cullen si passò una mano sulla fronte, con aria insoddisfatta. -Signora, non ha più importanza.- intervenne, interrompendola. -Mi dispiace informarla che sua figlia e suo genero sono morti. È il caso di lasciarsi questa storia alle spalle e pensare al futuro. Come ha detto Sua Eminenza, i suoi nipoti hanno urgenza di trovare un posto dove stare e lei è la loro parente più prossima.-

La signora Greystone strinse le labbra, davvero indispettita per essere stata interrotta. Il suo sguardo era intriso di disprezzo, nonostante la notizia che aveva appena ricevuto. -Cosa dovrei fare? Far finta di niente e accogliere il frutto del tradimento di mia figlia sotto al mio tetto?-

-Sono due ragazzini, vittime di un conflitto troppo grande per essere compreso persino da noi adulti. Non hanno la più pallida idea della gravità di quello che è successo tra di voi e, francamente, penso sia l'ultimo dei loro problemi.- rispose Cullen.

-Ah, certo!- sbottò Delia Greystone, guardandolo dall'alto in basso. -Così l'Inquisizione potrà vantarsi di aver fatto un'opera di carità, mentre io sarei costretta a convivere con le conseguenze dell'irresponsabilità di una figlia che ho disconosciuto.-

-Non sono conseguenze, Dels, sono bambini.- intervenne Ser Kavanaugh.

-Non sono solo bambini.- si aggiunse Lavellan, che osservava la signora con disprezzo crescente. -Per lei significherebbe ammettere al mondo che ha preferito dire che sua figlia è morta, piuttosto che rivelare il suo fallimento come madre.-

-Piano con i giudizi, orecchie a punta!- la redarguì Delia Greystone, scoccandole un'occhiata tremenda. -Io gliel'avevo detto che sarebbe dovuta rimanere. Avrebbe sposato il signor Thrustdale, come d'accordo, dandogli dei figli normali. Poi avrebbe ereditato l'attività di suo padre e aiutato la sua famiglia ad andare avanti, come ci si aspetta da una ragazza responsabile.- fece spallucce, spostando la testa altrove. -Non mi aspetto che una selvaggia capisca cosa significhi la decenza.-

-No, non lo capisco. La decenza a cui sono abituata è permettere alle persone che ami di sbagliare e supportarle nelle loro decisioni, anche se non siamo d'accordo con le loro scelte. È dare un porto sicuro quando si ritrovano in difficoltà, nonostante abbiano scelto una strada diversa da quella predisposta per loro.- Lavellan fece una pausa, per deglutire. -Che cosa se ne fa dell'identità di persona rispettabile se non è nemmeno in grado di trovare due dannati materassi per dei bambini che non possiedono niente se non la disperazione?-

Delia Greystone la guardò a lungo, realmente infastidita da quella che lei riteneva una predica, poi si voltò verso Ser Kavanaugh. -L'avevo detto che sono tutti uguali, o no? Pronti ad approfittarsene non appena gli dai la possibilità di aprire bocca.-

-A dire il vero, non le abbiamo ancora detto dell'indennizzo.- disse Cullen, incrociando le braccia sul petto.

Lavellan lo ringraziò mentalmente per aver preso la parola, perché facendo così aveva aperto una nuova scorciatoia nella contrattazione.

-Come avrà sentito, l'Inquisizione è guidata dalla Mano Sinistra e dalla Mano Destra della Divina. I fondi non ci mancano.- proseguì lui, tranquillamente. -Potremmo offrirle una somma per coprire le spese di viaggio e di mantenimento per un certo periodo, in modo da facilitare questa difficile transizione per lei e i suoi nipoti.-

Ser Kavanaugh lo guardò con tanto d'occhi, tanto allibito quanto preoccupato da quella proposta. Difatti, si voltò verso Delia Greystone, pronto a scusarsi per l'atteggiamento del suo vecchio allievo. Venne accolto da un'espressione macchiata d'interesse, che lo dissuase dall'aprire bocca, lasciandolo basito.

-L'Inquisizione sarebbe realmente disposta a compensare il disturbo, se decidessi di ospitare i bambini fino alla maggiore età?- domandò la signora, moderando il tono di voce per la prima volta che era iniziata quella conversazione.

Cullen annuì. -Sempre che entrambe le parti accettino, ovviamente.-

Delia Greystone si soffermò ad analizzare la proposta, accarezzandosi il labbro inferiore con l'indice, con aria assorta.

-Non vorrai mica prendere in considerazione questa idea, Dels.- intervenne Ser Kavanaugh. Lei scacciò quel rimprovero con un cenno. -E quanto sarebbe disposta a darmi l'Inquisizione per il loro mantenimento?-

Lavellan guardò Cullen, poi la signora. -Considerati il viaggio, l'installazione e le spese generali, direi che una sovrana d'oro a testa potrebbe bastare, a meno che lei non lo ritenga un prezzo che non corrisponde al disturbo arrecato.- azzardò.

-Quattro.- rilanciò la signora, categorica. -All'anno.- aggiunse, appoggiando le mani sui fianchi.

Cullen si passò una mano dietro al collo, mentre spostava lo sguardo su Lavellan. La sua espressione grondava di insofferenza.

-La faremo contattare da un agente dell'Inquisizione, in settimana.- dichiarò Lavellan, portandosi di fianco al collega. -Le suggerisco di non sbattergli la porta in faccia, o accusarlo di ladrocinio, perché le nostre colleghe sono molto meno accomodanti di noi, nella gestione delle ingiurie.-

Delia Greystone non si lasciò intimidire. -Lo terrò presente.- disse, semplicemente, poi indicò loro la porta, senza troppe cerimonie. -Ora, se non vi dispiace...-

Cullen non si disturbò nemmeno a salutarla. Accorse alla porta e la tenne aperta per gli altri, aspettando che fossero usciti prima di abbandonare l'abitazione lui stesso, con tutta l'aria di aver appena ingoiato un rospo delle dimensioni di un vitello.

 

-"Una signora rispettabile".- disse Lavellan, una volta in strada. Si stava chiaramente rivolgendo a Ser Kavanaugh, che appariva realmente deluso da come si era svolta la questione.

Quello, infatti, sembrava aver perso la voglia di schierarsi. -Darei la colpa al trauma che ha subito e al lutto recente, ma...- si voltò verso Cullen, che si era portato al fianco di Lavellan per appoggiarle una mano sulla schiena. -Era davvero l'unico modo per convincerla, vero?- gli domandò.

Cullen sospirò. -Purtroppo si. Era la prassi, quando contrattavo con le famiglie molto povere per convincerle a cedere i loro figli al Circolo.- spiegò. -Mi sorprende che abbia accettato al volo. Persino nella miseria, una nonna mostrerebbe un minimo di indignazione, di fronte a una proposta del genere.-

-Peccato che la sua vergogna fosse più pressante.- commentò Lavellan, sollevando lo sguardo nella sua direzione. -Abbiamo fatto bene a parlarle, adesso almeno abbiamo altre soluzioni da vagliare.-

Cullen sollevò le sopracciglia su uno sguardo sorpreso. -Pensavo che questa fosse l'unica opzione viabile.-

Lavellan scosse la testa, rivolgendogli un mezzo sorriso. -Ci sono sempre...-

Si dovette per forza interrompere, perché un manipolo di sei persone si era appena radunato a pochi metri da loro, con tutta l'intenzione di capire cosa stesse succedendo.

Ser Kavanaugh si affrettò a intervenire. -Circolare.- disse, portandosi a difesa del duo.

-Cosa vuole l'Inquisizione da Delia?- domandò un uomo tozzo e dall'aria minacciosa, in testa al gruppetto di curiosi. Lavellan lo riconobbe immediatamente, perché era la guardia che li aveva accolti al loro arrivo.

-Si tratta di questioni private, Moran, non serve essere aggressivi.- lo rimproverò Ser Kavanaugh, muovendo un passo nella sua direzione. -Delia sta bene, potete chiederglielo voi stessi una volta che ce ne saremo andati.-

-Dai toni della conversazione, mi sembra che sia andato tutto fuorché bene.- intervenne una donna altrettanto alterata, puntando il dito verso Lavellan. -Reg e Brona mi hanno detto che questa orecchie a punta l'ha aggredita durante la funzione delle sei e l'aiutante dello stalliere ci ha riferito che ha cercato di truffarlo con dei fondi di bottiglia.-

-Illazioni.- affermò Cullen, piccato.

-Garantisco io per queste persone.- proseguì Ser Kavanaugh, appoggiando istintivamente una mano sull'impugnatura della spada. -Dovreste fidarvi della mia parola, dato che sono al servizio della comunità da molto prima del Flagello.-

-Si dice che i Templari dopo una certa età impazziscano.- tornò alla carica Moran, avvicinandosi di un passo. -Magari è il caso di discutere del vostro discernimento, dato che avete dato asilo a dei ladri. Si sa che l'Inquisizione è costituita da un manipolo di eretici.-

-Andiamo, Moran! Ho benedetto tua figlia appena nata giusto la settimana scorsa!- sbottò Ser Kavanaugh, aprendo una mano nella sua direzione. -Secondo te darei davvero asilo a delle persone che potrebbero mettere a rischio la sicurezza del villaggio? Vi ricordo che siamo stati io e Matthias a condurvi fin qui, durante il Flagello.-

-Vogliamo vederci chiaro, Evan. Tutto qui.-

-Più chiaro di così c'è il vetro!- ribatté Ser Kavanaugh, fronteggiando la folla con aria severa.

Cullen si sporse appena verso Lavellan. -Posso intervenire, adesso?- le domandò, in un sussurro.

Lei esalò un sospiro stanco. -Giuro che se finisce in una rissa, ti strappo i capelli uno a uno e ci faccio una parrucca per i manichini di Cassandra.- lo minacciò.

-Rilancio di dieci pezzi di rame che andrà tutto bene.- scherzò lui, distanziandosi per raggiungere il suo vecchio mentore. Alzò le mani in segno di resa, muovendosi con passo lento, ma sicuro, verso la discussione.

-Signori, buonasera.- disse, guardando ogni individuo presente nel gruppo negli occhi. -Il mio nome è Cullen Rutherford, sono il comandante in carica delle forze armate dell'Inquisizione.- si presentò, abbassando gradualmente le mani per assumere una posa marziale. -Non siamo qui né per arrecare disturbo, né per causare preoccupazioni. Abbiamo approfittato dell'ospitalità di Amalia Sulzbacher in cambio dell'aiuto che le abbiamo fornito a Honnleath, nel primo pomeriggio, dove l'Araldo di Andraste- indicò Lavellan con un cenno del braccio -ha chiuso uno squarcio nel Velo nell'abitazione dove Amalia è nata e cresciuta.-

-Questo non giustifica le vostre azioni!- esclamò Moran. -Non avete il diritto di molestare una signora anziana durante le funzioni e di irrompere in casa sua come dei malviventi!-

Cullen inarcò un sopracciglio. -A me risulta che l'unica persona vittima di molestie qui presente sia Sua Eminenza, che nonostante fosse qui per riunire una famiglia sia stata additata ingiustamente per dei crimini che non ha commesso.- precisò. -Noi abbiamo seguito le regole fin dall'inizio, così come avrebbe fatto ognuno di voi nelle nostre stesse condizioni. Ci siamo rivolti persino alle autorità, quando avremmo benissimo potuto usare la nostra influenza per farci aprire la porta con molti meno preamboli.- aggrottò la fronte. -D'altronde, io comando un esercito e non penso che la Mano Sinistra si farebbe molti problemi a consentirmi di sfondare una porta, se legittimato dalla gravità della situazione.-

La donna del gruppo scosse la testa con veemenza, poi rivolse un'occhiata carica di disprezzo a Ser Kavanaugh. -Ecco chi ti stai ostinando a proteggere, Evan. Sono solo dei bulli.-

-No, se lo fossimo davvero, avremmo già richiesto supporto alla nostra scorta.- precisò Cullen. -Invece l'Araldo ha preferito agire alla luce del sole, personalmente, pur sapendo che non avrebbe ricevuto altro che insulti.- fece una pausa, per lasciare che le sue parole attecchissero. -Vi converrebbe ringraziarla.-

Lavellan si strinse nelle spalle, schiaffeggiando l'aria una singola volta nel dimostrare noncuranza. Cullen le rivolse un breve sorriso, poi tornò a rivolgersi alla folla. -Gradiremmo passare, adesso.-

-Non prima di aver chiarito il vero motivo della vostra visita a Delia e quanto a lungo vi tratterrete.- tornò alla carica la donna, incrociando le braccia sul petto.

-Ce ne andremo domani mattina, al sorgere del sole.- replicò Cullen, tranquillamente. -Per quanto riguarda il motivo, è una faccenda tra la signora Greystone e l'Inquisizione. Semmai volesse condividere la nostra conversazione con voi, è liberissima di farlo, ma noi preferiremmo evitarlo, nel rispetto delle parti coinvolte.-

Moran e la donna si scambiarono un'occhiata poco convinta, quindi il primo si rivolse a Ser Kavanaugh. -Le sue parole rispondono al vero?-

Il Templare annuì. -Rutherford ha la mia completa fiducia.-

La folla si apprestò a discutere brevemente di ciò che era appena successo, facendo attendere i tre davvero poco, prima di aprire un varco per permettere loro di passare. -Se succede qualcosa, Evan, faremo il tuo nome al Siniscalco.- disse uno dei presenti, fallendo nell'intimidire Ser Kavanaugh, che fece semplicemente cenno al duo di seguirlo.

-Buona serata.- salutò Cullen, chinando appena il capo per poi affrettarsi ad affiancare Lavellan, appoggiandole una mano sulla schiena istintivamente.

Lei si lasciò guidare, indossando un'espressione a tratti sorpresa, a tratti soddisfatta. -E io che ero già pronta con le forbici.- scherzò.

Cullen si concesse di rivolgerle un sorrisetto. -Perché sei una donna di poca fede.-

-Come facevi a sapere della scorta, a proposito?-

Cullen inarcò un sopracciglio. -Era un bluff.- rispose, abbassando il tono di voce.

Lavellan gli indicò una sagoma appostata su un tetto, alla quale rivolse un saluto veloce. Cullen la osservò ricambiare con tanto d'occhi, davvero sconvolto. -Come ha fatto a trovarci così presto?- gemette, per poi aggrottare la fronte. -Ma di che mi sorprendo? È Leliana.- aggiunse, in un borbottio.

Lavellan rise di cuore di fronte a quella reazione.

Ser Kavanaugh si voltò appena nella loro direzione, quindi li condusse di fronte alla locanda, già affollata di avventori. Là trovarono Amalia, che si stringeva in un mantello pesante, sfregandosi le mani per allontanare il freddo.

Alla domanda implicita scritta nell'espressione curiosa della ragazza, Lavellan rispose con un cenno di noncuranza. -Siete davvero personcine a modo, qui.- commentò, portandosi di fronte a lei.

-Ho provato a farli ragionare, ma non è valso a nulla. Mi dispiace. Spero che non vi abbiano dato troppo fastidio.- disse Amalia, passando lo sguardo sui presenti. -Siamo gente un po' guardinga. Tendiamo a guardarci le spalle a vicenda.-

Ser Kavanaugh si passò una mano tra i capelli, nervosamente. -Ne parlerò alla madre superiora, prima di cena. Sicuramente sarà desolata quanto me per il trattamento che avete ricevuto.- intervenne. -Nel frattempo, vi prego di accettare le mie, di scuse.-

Lavellan si strinse nelle spalle. -Ho visto e sentito di peggio, non si preoccupi.-

Cullen invece gli rivolse l'accenno di un sorriso. -La ringrazio.- disse.

Amalia guardò i due, poi la locanda, infine si schiarì la voce. -Domani mattina ho in programma di ritornare a Honnleath, per un ultimo sopralluogo. Potremmo fare la strada insieme.- propose, con un sottile accenno di nervosismo nel tono di voce. Lavellan sorrise appena nel notare formularsi un certo rossore sulle sue guance, mentre si rivolgeva esclusivamente al suo collega.

Cullen, che stava stringendo la mano a Ser Kavanaugh, anche lui in procinto di congedarsi, si affrettò ad annuire. -Sarebbe l'ideale. Così potremmo proseguire la nostra conversazione sulle misure da prendere nel caso in cui fossimo costretti a...- sobbalzò, in risposta a una gomitata.

-Intendeva dire che ne saremmo davvero entusiasti.- lo corresse Lavellan. -Ci fai compagnia per un po'?-

Amalia si portò immediatamente una mano sul petto. -Oh, no, la locanda a quest'ora non è posto per una signorina.- replicò, scuotendo il capo.

Lavellan perse immediatamente il sorriso, così come l'uso della parola. Fortunatamente, Ser Kavanaugh riuscì ad attirare l'attenzione su di sé, nel congedarsi ufficialmente. -Non sono bravo a intrattenere una corrispondenza regolare, ma mi piacerebbe avere tue notizie, di tanto in tanto.- disse, battendo una mano sul braccio di Cullen.

Quest'ultimo sbuffò una risata, allacciando le mani dietro la schiena. -Adesso che sa dove mi trovo, potrebbe anche venire a farmi visita.- suggerì. -Solo il Creatore sa quanto abbiamo bisogno di ufficiali esperti.-

-Il mio posto è qui, Rutherford. Mi sembrava di essere stato chiaro.- rispose Ser Kavanaugh, rivolgendogli un sorriso gentile. Spostò allora lo sguardo verso Lavellan, porgendole una mano da stringere. -È stato un piacere, Eminenza.-

Lei assecondò il gesto. -Altrettanto, signore.-

-Ah, Rutherford, un'ultima cosa.- disse Ser Kavanaugh, abbassando drasticamente il tono di voce, nel prendere da parte il suo vecchio allievo. -Quella che stai affrontando è una strada molto, molto pericolosa. Arriverà il momento in cui nutrirai dei seri dubbi su ciò che è reale e ciò che è frutto di una delusione.- fece una pausa, per guardarlo dritto negli occhi. -Quando succederà, ricordati che non è peccato chiedere aiuto.-

Cullen si prese i suoi tempi, prima di annuire. -Ho tutto sotto controllo, signore.- lo rassicurò.

Ser Kavanaugh però non sembrava convinto di quella risposta. Gli passò una mano sul capo, poi gli rivolse un breve sorriso. -Che Andraste ti protegga in questa tua impresa.- gli augurò, per poi dirigersi verso Amalia. -Vieni, signorina, ti accompagno a casa. Non è bene che una ragazza della tua età si trattenga fuori di casa a quest'ora.-

Cullen ritornò al fianco di Lavellan, agitando una mano in direzione dei due, mentre si allontanavano. -Hai sentito tutto, immagino.- disse, con una nota di fastidio nel tono di voce.

Lei, che davvero aveva sentito tutto, ma non aveva assolutamente intenzione di infierire, scosse il capo. -Mi sono distratta dopo essermi fatta dare della donnaccia da quella che pensavo fosse l'unica persona decente di questo posto.- rispose, per poi esalare un sospiro nervoso. -Avrei dovuto origliare? Era importante?- domandò, per fugare ogni dubbio.

Cullen ci rifletté diversi istanti, optando per sorvolare direttamente sulla questione. -Posso tentarti con una birra di consolazione?- le domandò, porgendole il braccio per accompagnarla all'interno della locanda.

Lavellan gli rivolse un sorriso sghembo. -Ammettilo che sei tu a volere una birra e facciamo prima.- disse, aggrappandosi a lui con aria allegra. -Ti devo dieci pezzi di rame, d'altronde.-

-Non li voglio i tuoi fondi di bottiglia!- scherzò lui, ricevendo uno spintone poco convinto in tutta risposta.

 

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Capitolo 4
*** Grazia ***


3 - Grazia

 

La locanda era gremita di gente e tutti possedevano un'opinione diversa riguardo agli ospiti di Amalia. Fortunatamente, dopo il terzo giro di birre la maggior parte degli avventori aveva iniziato a rilassarsi, rinunciando ai commenti e alle occhiatacce per dedicarsi a giochi, canzoni, tirate d'orecchie reciproche e pettegolezzi.

Lavellan accolse quel cambiamento con un certo sollievo, ma si sforzò di rimanere in allerta.

Dovendo nutrirsi, in qualche modo, Cullen e Lavellan si erano visti costretti a occupare un tavolo e a ordinare qualsiasi cosa fosse disponibile da consumare velocemente, in modo da potersi ritirare senza attirare su di sé ulteriori problemi. Quando però gli era stato posato davanti un pollo arrostito intero, completo di frittura di cavolo, pane fresco e birre alte e schiumose d'accompagnamento, i due avevano mandato all'aria il piano, perché gli pareva brutto rifiutare un buon pasto per paura di qualche avventore troppo ubriaco per completare una frase senza un intermezzo di risate e singhiozzi.

-Prima hai detto che la conversazione ti ha portato a pensare a delle alternative.- disse Cullen, dopo essersi pulito il palato sazio con un sorso di birra. -Ti andrebbe di esporle?-

Lavellan, che stava spezzettando un tozzo di pane, si guardò velocemente attorno. -Il fatto che quei ragazzini siano probabilmente dei Mezzelfi, mi ha fatto pensare immediatamente ai Dalish.- spiegò, rigirandosi un pezzo di mollica tra le dita. -Potrei contattarli personalmente e consegnare i ragazzini a un Guardiano, in modo che vengano cresciuti seguendo l'eredità paterna.-

Cullen inarcò un sopracciglio. -Non ti vedo troppo convinta.-

-Dici bene. Non è la soluzione logica.-

-La soluzione logica?-

Lavellan lo osservò a lungo, incerta se elaborare, poi rilassò i lineamenti. Creò tre sfere di mollica di pane e le dispose a triangolo, nello spazio che intercorreva tra i loro piatti.

-Esistono sempre tre generi di soluzioni a un problema. La soluzione logica,- indicò la sfera più vicina a lei -la soluzione emotiva- indicò la sfera più vicina a lui -e la soluzione di comodità.- concluse, afferrando la mollica più distante tra le dita per mostrargliela. -Noi abbiamo preso in considerazione solo questa.-

-La Greystone.-

-Esattamente.-

-Quindi, andando per esclusione, la scelta dei Dalish sarebbe la soluzione emotiva.-

-Già, perché mi rivolgerei a loro immediatamente e, con la nomea che mi sono fatta durante l'ultimo Arlathvhen, diversi clan accoglierebbero quei ragazzini senza rifletterci troppo.- ammise Lavellan. -Il problema è che vivrebbero una vita di isolamento e nomadismo. Sarebbero felici da un lato, ma si vedrebbero privati delle libertà sociali che avrebbero in un ambiente come questo. Sono praticamente Umani, nati e vissuti in un ambiente umano. Sarebbe un cambiamento drastico.-

Cullen annuì piano. -Un po' come rinchiuderli in un monastero.-

-Solo che in quel caso non rischierebbero la lapidazione nel caso di una visita al villaggio più vicino.-

-Quindi, quale sarebbe la soluzione logica?-

Lavellan appoggiò un gomito sul tavolo, sporgendosi nella sua direzione. Lo osservò a lungo, passando lo sguardo sul suo viso come se fosse alla ricerca di qualcosa. Quando lo trovò, si decise ad aprire bocca. -In base alle informazioni che abbiamo raccolto, tu cosa faresti?-

Cullen allontanò il piatto vuoto da sé, assumendo la stessa posizione di Lavellan, nell'avvicinarsi di poco a lei. Prese un'espressione pensosa, sollevando lo sguardo verso i resti della loro cena. -Metterei al corrente il ragazzino di entrambe le opzioni che ha, compresi i pro e i contro, poi farei decidere a lui.- rispose, tornando a guardarla. -Da ciò che dici, è abbastanza grande per prendere una decisione così importante per conto suo.-
Lavellan aprì un sorriso tra le labbra. -Qual era il modo di dire che hai usato prima? Quello con le clessidre.-

Cullen esalò una risata. -Che condividiamo la stessa clessidra.- le rispose, con una nota di divertimento nel tono di voce. -Quindi la soluzione logica è la soluzione più semplice.-

-Solitamente. Ma non sempre è la migliore, anche se è la mia preferita.- ammise Lavellan. Rimase in silenzio per diversi istanti, giocherellando con le palline di mollica sul tavolo, prima di iniziare a ridere sommessamente.

Cullen, che non aveva smesso di osservarla nemmeno per un istante, inarcò un sopracciglio sopra un sorriso confuso.

-Se Cassandra fosse qui, penso che opererebbe un esorcismo in piena regola.- disse Lavellan.

-E perché mai?-

-Abbiamo trovato un consenso. Per diverse volte in un solo giorno, tra l'altro.-

Cullen scoprì i denti nell'ampliare il sorriso. Per qualche strano motivo, in quel contesto gli veniva naturale farlo, cosa che succedeva di rado. -Capisco.- disse, semplicemente.

-Pensavo che ci sarebbero voluti mesi, prima di arrivare a questo punto.- tornò alla carica lei. -Quello in cui saresti stato a tuo agio in mia presenza.-

-Di cosa stai parlando?-

Lavellan gli rivolse un'occhiata eloquente. -Siamo a una distanza tale da poter sentire i nostri reciproci pensieri e tu non ti sei ancora ritratto, in preda all'imbarazzo.- spiegò.

Cullen si irrigidì, trattenendo il respiro nel realizzare quanto realmente fossero vicini.

Lavellan, realmente divertita, decise di rincarare la dose. -La chiamano "distanza da bacio".- lo punzecchiò, sforzandosi di trattenere una risata.

Cullen si passò una mano sul viso, tornando a sedere composto. Solo in quel momento si rese conto che Lavellan non aveva toccato la birra e il suo piatto era immacolato.

Provò a commentare, ma venne subito interrotto da un paio di mani che erano andate ad abbrancargli le spalle.

Si irrigidì, mentre il viso di un uomo sulla trentina si affacciava alla sua destra, indossando un sorriso che inquietante era un eufemismo. Era vestito secondo la moda di Denerim, portava i capelli neri legati in una treccia e aveva uno sguardo astuto. -Osric mi dice che fai Rutherford di cognome. Conoscevo un Rutherford, molti anni fa. Branson.-

Cullen sollevò le sopracciglia, sorpreso. -È mio fratello.- confessò.

L'uomo scoppiò a ridere, poi lo indicò a un gruppetto di avventori dall'aria alticcia, seduti a un tavolo vicino. -Te l'ho detto o no che era destino?- fece, prendendo posto accanto a Cullen. -Saremmo dovuti partire oggi per Altura Perenne, ma il mio socio in affari si è buscato una polmonite coi fiocchi e abbiamo dovuto rimandare il viaggio.- appoggiò una mano sulla spalla della sua vittima, stringendo la presa nell'accorciare le distanze. -Ma guarda te, il fratello di Bran, tutto cresciuto!- commentò, per poi spostare uno sguardo malizioso su Lavellan. -Ti sei fatto pure la servitù elfica. Bravo, bravo.-

Abituata ad aspettarsi il peggio quando interagiva con gli Umani, Lavellan slacciò preventivamente la chiusura del coltello da caccia, perché dalla voce quell'uomo le dava l'impressione di avere un temperamento scostante.

-In realtà lavoriamo insieme per l'Inquisizione.- replicò Cullen, liberandosi dalla presa per indicare la collega. -Lei è l'Araldo di Andraste.-

-Quella che chiude gli squarci?- domandò un ragazzetto che si era avvicinato al tavolo, squadrandola da capo a piedi, con aria poco convinta.

-So anche camminare sulle mani.- scherzò Lavellan, senza metterci troppo entusiasmo.
L'uomo ci rifletté giusto un istante, poi tornò ad aggredire fisicamente la spalla di Cullen. -Il fratello di Bran.- ripeté, sommessamente. -E che fine ha fatto Rosalie? Si è più sposata, alla fine?-

Cullen esitò. -Alla fine?- ripeté.

L'uomo assunse un'espressione talmente maliziosa da rasentare il viscido. -Aveva uno stuolo di pretendenti, all'epoca.-

-Ammetto di non sentire i miei fratelli da un po'.- disse Cullen, reprimendo a malapena un accento di fastidio. -Con chi ho il piacere di parlare, a proposito?-

-"Piacere".- gli fece eco Lavellan, scettica, nascondendo il viso dietro al bicchiere d'acqua che si stava accingendo a bere.

Il nuovo arrivato spalancò un braccio verso l'esterno. -Sono la maleducazione in persona!- esclamò, facendo ridere i suoi accoliti. Raccolse la mano di Cullen dal tavolo, intrappolandola tra le proprie. -Hugh Underhill, al tuo servizio!- si presentò, per poi rivolgersi a Lavellan. -Già che non stai facendo niente, che ne dici di riempirci i boccali?-

Lei non si scompose. -Desidera anche un piatto di salumi, assieme all'accidente che le sto mandando?- replicò, asciutta.

Il ragazzo alle spalle di Hugh diede una risata sprezzante. -Occhio, capo, questa ha la lingua affilata!-

-Non è l'unica a non saper stare allo scherzo.- intervenne un avventore di quelli seduti al tavolo, raggiungendo Lavellan con un'occhiata obliqua.

Cullen si liberò dalla presa, per recuperare un sorso di birra. -Fossi in voi, starei molto attento a come vi rivolgete a Sua Eminenza.- suggerì loro, con eloquenza. -Se continuate in questo modo, rischiate di non infastidire solo lei.-

L'atmosfera attorno al tavolo prese una sfumatura di nervosismo. L'avventore che era intervenuto si allungo verso di lui, mentre gli altri presero a osservarlo con aria nervosa.

-Ah, sono tutto fumo e niente arrosto!- minimizzò Hugh, schioccando le dita per attirare l'attenzione del locandiere, che stava servendo un paio di clienti piuttosto brilli. -Due birre, vecchio mio! Qui siamo a secco.- ordinò.

-Sono a posto.- affermò Cullen, sollevando appena il boccale, pieno solo fino a metà. -Domani dobbiamo affrontare un viaggio lungo, ci ritireremo nelle nostre stanze a breve.-

Il viso di Lavellan assunse una sfumatura di sollievo. Al contrario suo, Hugh mostrò a Cullen il suo disappunto con un verso di fastidio. -Andiamo, la notte è giovane! Osric non ha ancora aperto la botte buona!- disse, cercando di convincerlo a restare. -Quando mi ricapita di fare due chiacchiere con un vecchio amico?-

Cullen passò uno sguardo dubbioso su di lui.

Hugh però non mollava la presa. -Il fratello di Bran.- ripeté, sfregandosi le mani. -Sei diventato un cavaliere, alla fine. Osric dice che sei addirittura uno importante, nell'Inquisizione.-

Il locandiere, sentendosi preso in considerazione, finì di appoggiare le birre sul tavolo, sollevando il capo verso Hugh. -Non mettermi in mezzo a queste cazzate.- lo rimproverò, battendogli una mano sul braccio con fare amichevole, nell'allontanarsi.

-Ho sentito che avete fatto prendere un colpo a un'anziana durante la messa.- disse Hugh, circondando le spalle di Cullen con un braccio.

-Un malinteso.- rispose quello, divincolandosi immediatamente.

Hugh, vedendosi ritornare l'arto, decise di appoggiarlo sul tavolo, battendo una mano di fronte a Lavellan. -Renditi utile. Passami quel pollo.-

Lei gli rivolse un sorriso falso come l'ottone. -Spiacente, ho appena perso l'uso delle mani.- rispose.

L'uomo diede una risata rumorosa, rivolgendosi a Cullen. -Te la sei scelta davvero male.- disse. -Sei come tuo fratello: troppo tenero con gli inferiori. Se vuoi, posso insegnarti come metterla al suo posto.-

Cullen lo fulminò con lo sguardo. -Sta' molto attento a come parli.- lo avvisò.

Hugh gli rivolse un sorriso sornione, annuendo piano, come se avesse appena scoperto quello che per lui era l'indizio chiave per risolvere un crimine già archiviato da mesi. -Tu sei proprio un furbone!- esclamò, indicandolo con eloquenza. -Non l'avrei mai detto, dato che non hai l'aria di uno di quelli, ma capisco benissimo.- disse, suscitando l'ilarità dei suoi accoliti. -Un uomo ha le sue esigen...-

Lavellan lo interruppe, piantando il coltello da caccia sul tavolo con un gesto secco. Gli rivolse un'occhiata tremenda, talmente estranea alla sua personalità da modificare profondamente i suoi lineamenti. Nella sua azione si poteva leggere un chiaro invito a non andare oltre, ma il suo sguardo lo contraddiceva, dando l'idea che se quella conversazione fosse proseguita, lei sarebbe passata volentieri ai fatti, senza remore.

Gli sguardi di chi non era troppo ubriaco per soffrire di preoccupazione conversero su di lei e diverse conversazioni cessarono istantaneamente. Il locandiere, che stava servendo un tavolo vicino, assunse un'espressione intimorita.

Cullen, la cui espressività indossava lo stesso fastidio di Lavellan, si schiarì la voce. -La signora si è espressa.- disse, semplicemente.

Hugh passò uno sguardo spaventato sulla lama, deglutendo. -Era solo un discorso da bar. Non serviva alterarsi.- protestò, arretrando piano nell'alzare le mani in segno di resa.

-Sei ancora qui?- domandò Lavellan, con un tono di voce particolarmente autoritario.

L'uomo annuì velocemente, poi si defilò, guardandosi le spalle con aria nervosa.

Lavellan lo seguì con lo sguardo, osservandolo raggiungere il tavolo dei suoi accoliti per correre a lamentarsi, ma nessuno di loro pareva voler passare ai fatti, certi che quella situazione non li avrebbe favoriti in nessun modo.

Quando fu abbastanza lontano, Lavellan sfilò il coltello dal legno con facilità e lo sostituì con una manciata di monete. -Dovrebbero bastare per la riparazione.- disse, rivolta al locandiere, che non aveva smesso di guardarla da che era iniziato l'alterco.

Quello rilassò i muscoli della schiena, poi tornò a servire ai tavoli come se non fosse successo niente.

Ci volle un minuto prima che l'atmosfera di tensione scemasse, permettendo agli avventori della locanda di riprendere vivacità. Minuto che Cullen usò per vuotare il boccale di birra, per sciogliere il nodo di disgusto che gli ostruiva i visceri.

-Possiamo andare, adesso?- domandò Lavellan, per niente intenzionata a sdrammatizzare.
Lui si alzò direttamente in piedi, aspettandola per permetterle di anticiparlo.

Raggiunsero il secondo piano in religioso silenzio, muovendosi senza fretta per dare l'idea che la situazione non li avesse disturbati. Una volta che Cullen fu di fronte alla sua camera, appoggiò una mano sulla maniglia, poi prese un respiro profondo. -Un attimo.- disse.
Lavellan si impedì di continuare, per prestargli attenzione.

-Mi ci è voluto meno del previsto, per realizzare quanto denigrante fosse questa situazione per te.- iniziò lui, con aria nervosa. -Ma sono stato ugualmente stupido a non ascoltarti. Mi dispiace.-

Lei non rispose, piuttosto prese a guardarlo con interesse crescente.

Cullen si voltò interamente nella sua direzione, appoggiando le mani sui fianchi. -Non posso assisterti adeguatamente, se dormiamo in camere separate.- disse, indicandole la sua porta con un cenno del capo.

Lavellan sollevò le sopracciglia, curvando le labbra in un mezzo sorriso. -Sei sicuro? Non hai paura che possano pensare male di me?- gli domandò, avanzando di un passo nella sua direzione.

Lui si schiarì la voce, spostando lo sguardo altrove. -Sì, ma sono più preoccupato per la tua sicurezza.- ammise.

Lavellan gli batté una pacca sulla spalla, poi lo sorpassò, fiondandosi all'interno della stanza. Lui liberò la tensione con un breve sorriso, poi la seguì, richiudendosi la porta alle spalle.

 

Decisero di fare turni di guardia di due ore a testa, fino all'alba.
Lavellan propose di coprire il primo lei stessa, ma Cullen insistette, dato che la preoccupazione gli aveva tolto il sonno.

Lei, che non aveva alcuna intenzione di discutere, rinunciò a contestare quella decisione e occupò il letto più vicino alla finestra, dando le spalle al suo coinquilino per evitare di metterlo più a disagio di quanto già non fosse.

Niente da dire, quella gentilezza permise a Cullen di rilassare i muscoli, consentendogli di concentrarsi sul suo compito senza sentire la pesantezza dello sguardo di Lavellan sulla nuca. Si sedette a terra, appoggiando la schiena sul bordo del materasso, quindi allungò le gambe sul pavimento, prendendo a fissare la porta come se dovesse esplodere da un momento all'altro.

Passarono pochi minuti, prima che udisse uno sbuffo di noia, alle sue spalle. Dapprima, si sforzò di ignorarlo, ma dopo il terzo rumore di fastidio in meno di cinque minuti si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo, con aria rassegnata. -Non riesci a dormire?- domandò.

Lavellan si strinse nella coperta, sforzandosi di tenere gli occhi chiusi. -Pensavo, purtroppo. E quando inizio, è impossibile fermare gli ingranaggi.- spiegò, a mezza voce.

Lui, che soffriva della stessa sindrome, appoggiò la nuca sul bordo del letto, sfiorando il soffitto con lo sguardo. -Che cosa ti turba?-

Lei prese un respiro profondo, prima di versargli sul capo una carriolata di pensieri. -Penso che il Siniscalco non sia nel villaggio, perché sennò ce lo saremmo ritrovato tra i piedi istantaneamente. Immagino che l'abbiano mandato a chiamare, ma che si sia tirato indietro. Se avesse voluto davvero intervenire, a quest'ora saremmo già stati trattenuti da qualche parte. Probabilmente, ritiene che i suoi affari siano più urgenti di un colloquio con due cariche importanti dell'Inquisizione.-

-Considerata l'opinione che la Chiesa ha di noi, immagino che non voglia avere niente a che fare con la situazione.-

-Significa anche che non ci ritiene pericolosi e questo mi va fin troppo bene.-

Cullen si strinse nelle spalle. -Siamo in due. Ci avrebbe trattenuti inutilmente per una faccenda che ci ha rubato solo qualche ora.-

-Poi, penso che Amalia non sia una Maga. Lo dico perché l'Ancora non ha reagito ad altre magie, così come fa con Solas quando combattiamo fianco a fianco. In più nella casa non c'erano sigilli o protezioni magiche per tenere alla larga i demoni.- riprese fiato. -Inoltre, se fosse una Maga scappata dal Circolo, o un'eretica, non si sarebbe avvicinata a te nemmeno per darti il buongiorno. Che poi, in un villaggio dove regna il bigottismo, sarebbe sorprendente vedere un Mago trattato meglio di un Elfo.-

-E perché porterebbe con sé un bastone?-

-Immagino che sia un'eredità di famiglia che si porta dietro perché le infonde sicurezza. Non aveva vesciche, o scheggie, sui palmi delle mani, l'hai notato?-

-Portava i guanti.-

-Non stanotte.-

Cullen inarcò un sopracciglio. -Era molto buio.-

Lavellan si rigirò nel letto, per voltarsi nella sua direzione. -Era molto buio per te.- precisò, puntandosi lo sguardo, che rifletteva la poca luce presente nella stanza. -Una che usa regolarmente un bastone come quello, non dovrebbe avere mani più curate di quelle di Josephine.-

Cullen rise tra sé e sé. -Te la sei presa perché ti ha dato della donnaccia, ammettilo.-

-In realtà, non è l'unica cosa a cui stavo pensando.- ammise Lavellan, ignorando la provocazione. -Dove lo tieni il pettine?-

Cullen ritrasse il capo, aggrottando la fronte. -Cosa c'entra il pettine, adesso?-

-Siamo fuori da stamattina, zuppi di umidità e tu non hai un capello fuori posto. Anche dopo gli allenamenti, il tuo secondo è sempre arruffato come un anatroccolo mentre la tua testa sembra scolpita nella roccia. Dubito che usi la magia, quindi ci dev'essere di mezzo per forza un pettine. Non ti ho mai visto usarlo, però, e questa cosa mi manda in bestia!-

-Addirittura!-

Lavellan esalò un sospiro sommesso. -No.- ammise, in un sussurro.

Rimasero in silenzio per diversi minuti, entrambi assorti. Il problema non erano un pettine, o un bastone da mago. Il problema era che Lavellan non riusciva a sentirsi al sicuro e l'idea di allontanarsi da un luogo rischioso per ritornare in un ambiente dove si ritrovava regolarmente in difficoltà per via della sua identità alimentava la sua fame di facezie, trasformandola in nevrosi. Sapeva che, se avesse riflettuto realmente sul carico di problemi che aveva sulle spalle, avrebbe ceduto sotto al suo peso.

Cullen questo lo capiva abbastanza bene da sentirsi in dovere di venirle incontro.

Infilò una mano nella tasca dei pantaloni e ne estrasse una piccola custodia di cuoio rettangolare, sventolandola sopra la testa. -Pettine, rasoio e una lisca di sapone. Per un Templare, è necessario essere sempre in ordine.-

Lavellan batté una mano sul materasso, con enfasi. -Lo sapevo!- esclamò, per poi indicarlo. -Dovremmo dare uno di quelli a ogni soldato. Saremmo l'invidia di ogni nobile!-

-Ci ho provato, cosa credi! Purtroppo, sono riuscito a convincere solo quelli che vogliono lisciarmi per avere una promozione.- si lamentò lui, dopo aver riposto l'oggetto. -Noi soldati siamo una razza testarda.-

-Davvero?- domandò lei, con evidente sarcasmo.

Cullen si voltò nella sua direzione, per guardarla di traverso. -Davvero.- ripeté, ritornando a sedere composto, per nasconderle un'espressione divertita. -Lascia che ti faccia io una domanda, adesso. Perché non bevi? Non ti piace, o c'è un motivo particolare?-

-C'è un motivo particolare.- gli fece eco lei. -Non digerisco l'alcol.-

Cullen assunse immediatamente un'espressione incerta. -Non digerisci... Eminenza, è praticamente un liquido!-

-Un liquido fatto con cose che non posso digerire.-

-Quindi il problema non è l'alcol, è il frumento.-

-Il frumento, il pane, il latte...- elencò lei.

-Sul serio?-

-Sul serio.-
-Ecco spiegato perché prima non hai toccato cibo.-

Lavellan indugiò su quel commento per un po'. -Già.- disse. Si strinse nella coperta, prendendo a osservare la sua nuca con interesse. Era indecisa se alzare il tiro, o lasciar perdere, ma la sua curiosità ebbe la meglio. -Giusto perché siamo finalmente al punto in cui stiamo esaurendo i motivi per cui essere in imbarazzo...- iniziò. -Non intendevo prenderti in giro, quando ti ho detto che quel completo ti stava bene. Cercavo solo di sdrammatizzare, perché mi sembravi molto in difficoltà.- abbassò il tono di voce. -Se non l'avessi capito, sdrammatizzare è una cosa che mi riesce bene.-

Cullen deglutì. -Era così palese?-

-No.- lo rassicurò lei. -E sembri davvero un gentiluomo del sud. Uno di quelli che ti porgono la mano per aiutarti a scendere da cavallo.- articolò. -Il problema è che sei già quel tipo di persona, quindi è un complimento un po' futile.-

-Non ti ho mai aiutata a scendere da cavallo.- precisò lui, sorridendo appena.

Lavellan esitò, poi scoppiò direttamente a ridere. -Vorrei ricordarti che ci hai fatto sprecare venti pezzi d'argento per una camera che non stiamo nemmeno utilizzando!- esclamò, passandosi una mano sulla fronte.

-Ci tengo, d'accordo? Checché ne dica una contadinella, chiunque ti conosca non oserebbe mai considerarti niente di meno che un esempio di grazia e dignità.- affermò lui, indicando un punto di fronte a sé con la mano tesa. -Perché è quello che sei, al di là della tua carica, e mi confonde vedere che ogni volta tutto si riduce a una questione razziale.- bloccò una sua replica sul nascere, con un cenno brusco. -Non provare a sdrammatizzare!-

Lei ammiccò, tappandosi istintivamente la bocca con un lembo della coperta.

Cullen prese un respiro profondo, incoraggiato dalla possibilità di esprimersi senza dover per forza guardare negli occhi la sua interlocutrice mentre portava alla luce un sentimento che sicuramente si stava trascinando dietro da diverse ore. -Ho detto "grazia", si. Traspare dal modo in cui combatti, con cui ti muovi e nella maniera in cui ti approcci alle decisioni.- fece una pausa, per deglutire il nervosismo. -Ne possiedi tutte le sfaccettature. Sei gentile, generosa, cortese... è un aspetto di te che brilla molto di più del marchio che hai addosso. Poche persone ce l'hanno, molti fingono di possederla, invece a te viene naturale.- chinò la testa, abbassando drasticamente il tono di voce. -Avrei voluto dirti questo prima, quando ti ho vista uscire dalla camera.-

Lavellan rimase talmente stupita da quell'analisi da restare senza parole. Lei, che aveva una risposta pronta per tutto, in quel momento si sentì in difetto a voler intervenire su una cosa così preziosa. Se avesse cercato di eguagliare il complimento, lo avrebbe sminuito. Se invece avesse ringraziato sentitamente Cullen, sarebbe stato limitante. Usare l'umorismo per uscire dall'imbarazzo sarebbe stato altrettanto controproducente.

Fortunatamente per lei, Cullen era una persona socialmente maldestra, che quando era in difficoltà agiva come se si trovasse di fronte a un bivio. A sinistra c'erano balbettii ed espressioni contrite, a destra invece si trovava sempre un diversivo legato al lavoro.
In quel caso, prese di gran carriera il sentiero di destra, dopo essersi schiarito la voce. -Vorrei che mi tenessi informato sulla questione. Non potendo venire al Crocevia personalmente, sarà difficile che ti presti un'opinione immediata, ma ti verrò in aiuto come potrò.-

Lavellan annuì, per poi ricordarsi che non poteva vederla. -Certamente.- disse. -Gli parlerò domani, non appena avrò fatto il punto della situazione con il Caporale.-

Cullen fece il suo stesso errore, dando dapprima un cenno d'assenso poi si voltò appena nella sua direzione per rimediare. -D'accordo.- disse, semplicemente.

Rimasero in silenzio a lungo, finché il buon cuore di Lavellan non ebbe la meglio. -Questa è la parte in cui fingo di addormentarmi e domani mattina, quando me lo chiederai, ti dirò che non ricordo assolutamente nulla di questa conversazione.- suggerì, a mezza voce, faticando a trattenere un sorriso.

Cullen esalò un sospiro di sollievo. -Sia ringraziato il Creatore.- mormorò.

 

*

 

Era un pomeriggio molto freddo, nell'area meridionale delle Terre Centrali.

Le terrazze della Torre della Guardia Invernale erano ricoperte da una patina brillante di ghiaccio e il vento soffiava rumorosamente attraverso le crepe nei muri del forte, facendo vibrare i vetri delle finestre.

Lavellan fece cenno al ragazzino di accomodarsi al suo fianco, a ridosso della ringhiera di una terrazza che dava sul cortile, unico posto toccato dal sole in una sinfonia di gelo e spifferi. Gli porse una tazza di té caldo, prima di dare inizio alla conversazione.

-Perdonami se ci ho messo tanto.- iniziò, sistemandogli la sciarpa che portava sul collo. Notò che, da quando l'aveva visto l'ultima volta, aveva ripreso colore sulle guance e una scintilla di vitalità nello sguardo. -Come te la stai cavando?- gli domandò.

Il ragazzino si strinse nelle spalle. -Meglio qui del Crocevia. Almeno adesso Violet ha un letto tutto suo.- rispose. -Hai trovato i miei nonni?-

-Tua nonna.- precisò Lavellan, per poi spostare lo sguardo su Cassandra, che osservava i due con aria attenta, in piedi a braccia incrociate sull'ingresso della terrazza. -E la famiglia di tuo padre: il clan Oranavra.-

Il ragazzino spalancò uno sguardo curioso. -Mio padre ha una famiglia?-

-Non ti ha passato un po' del suo retaggio elfico?-

-No, non... so solo come si saluta e come si dice arrivederci.-

Lavellan annuì piano. -Lo sospettavo.- ammise. -In ogni caso, ho due soluzioni per te, ma entrambe potrebbero essere rischiose.-

-In che senso?-

-Non voglio mentirti. Tua nonna non è esattamente nelle condizioni di trasmettere amore a te e a tua sorella, dato che siete Mezzelfi e il clan Oranavra applica una politica isolazionistica nei riguardi degli Umani.- spiegò Lavellan, diretta come un pugno nello stomaco. Infatti, a quelle parole, Cassandra le rivolse un'occhiata di totale disapprovazione.

Il ragazzino, fortunatamente, non ci fece troppo caso. -Pensi che potremmo stare qui per un altro po', prima di decidere? Ser Trevor mi sta insegnando a usare la fionda. Dice che ho qualcosa che chiama "stoffa".-

Lavellan inarcò un sopracciglio. -Ser Trevor?- ripeté voltandosi verso Cassandra. -Ser Trevor "L'Alfiere" di Amaranthine? Quello con la zeppola che ci ha aiutato a ripulire l'ingresso meridionale?-

Cassandra annuì con decisione.

-Quello che ha perso la figlia durante le rivolte e che ha urgente bisogno di uno scudiero?- tornò alla carica Lavellan, mettendoci enfasi.

Di nuovo, Cassandra annuì, senza cogliere la richiesta che le veniva fatta.
Lavellan roteò lo sguardo. -Quello che mi deve evidentemente un favore per avergli salvato la vita?- domandò, indicandole il cortile.

Cassandra fece per annuire di nuovo, poi si rese conto di ciò che stava succedendo e ci rinunciò, affrettandosi a convocare la persona in questione. Lavellan esalò un sospiro di sollievo. -Alla buon'ora!- commentò, per poi voltarsi verso il ragazzino. -Cosa ne pensi? Ti piace questo ser Trevor?-

Il ragazzino spalancò lo sguardo, poi aprì un bel sorriso tra le labbra. -Dici sul serio? Pensi che ci terrebbe con sé?-

Lavellan gli passò una mano sulla testa, scompigliandogli i capelli. -Tu impara a usare bene la fionda, al resto ci penso io.- affermò, ricambiando il sorriso con aria divertita.

 

*

 

Erano passati poco più di tre giorni dalla gita fuori porta che aveva privato la leadership dell'Inquisizione di due dei suoi cinque membri e che aveva permesso ai soldati di prendersi una meritata pausa dalle critiche assillanti del loro comandante.

Quella sera, Haven era immersa nella foschia e questa portava con sé un gelo penetrante che nemmeno i falò che costellavano l'accampamento delle forze armate dell'Inquisizione riuscivano ad attenuare. Il capitano Rylen infatti faticava a riscaldarsi, nonostante fosse rivolto interamente verso le fiamme vive del bivacco, nel tentativo di sciogliere le scie di ghiaccio che gli striavano il mantello pesante.

Cullen, che stava scrivendo una nota sotto a un rapporto ufficiale, scorse su di lui un'occhiata veloce. -Se continui così, ti abbronzi.- commentò, per poi consegnare il documento a un messaggero lì di fianco.

Rylen lo ignorò, allungando apposta le mani a ridosso del fuoco. -Dama Pentaghast non poteva scegliere come base un'isola tropicale?- si lamentò.

-Non è colpa sua se il Varco si è aperto proprio quassù.-

Rylen inarcò un sopracciglio su un'espressione scettica. -Ah, si? Spero di avere voce in capitolo, la prossima volta che viene indetto un Conclave. Che ne pensi della baia di Rialto?-
Cullen gli rivolse un mezzo sorriso. -Conoscevo un Templare di Seleny. Diceva che Città d'Antiva d'estate è più calda di un altoforno e d'inverno la visibilità è impossibile.-

-Vuoi dire che ci è andata bene?!- gemette Rylen, per poi esalare un sospiro impregnato di disappunto. -Ser Cullen, la prossima volta che mi senti ingiuriare Porto Brullo, buttami una secchiata d'acqua addosso.-

Il suo interlocutore ridacchiò. -Si, così poi finiresti a lamentarti pure di quello!- lo punzecchiò, per poi spostare lo sguardo verso la strada che fiancheggiava il campo d'addestramento, dov'era appena apparsa la sagoma sfocata di un uomo a cavallo di un corsiero delle Anderfel nero.

Si trattava di una figura scura e ammantata, che i colori della sera e la nebbia contribuivano a rendere eterea e inquietante. Era diretta giusto verso i due, che cessarono le chiacchiere immediatamente per osservarla con aria guardinga.

Fermò il cavallo a un paio di metri da loro, guardandoli brevemente con un paio di occhi grandi e luminosi, poi smontò con grazia e si avvicinò, per presentarsi.

-Il Comandante, suppongo.- disse, con voce grave.

Mano a mano che veniva illuminata dal fuoco, la figura prese le sembianze di un Elfo che vestiva abiti grigi, seguendo la moda nevarriana. Togliendosi il cappuccio, scoprì un viso pallido e giovane, marchiato degli stessi Vallaslin di Lavellan, solo che in una forma meno complessa. I capelli erano tanto rossi quanto le fiamme che bruciavano nel bivacco, creando un netto contrasto con il grigiore della nebbia e di ciò che indossava.

-Suppone correttamente.- replicò Cullen, passando uno sguardo veloce su di lui, prima di tendergli la mano in segno di saluto.

L'Elfo osservò quel gesto con una punta di sorpresa, poi gliela strinse. Al contrario di Cullen, la sua stretta mancava di vigore, ma era altrettanto decisa. -Il mio nome è Shaan, sono qui per recapitarle un messaggio di Ankh, del clan Lavellan.- annunciò. -Mi è stato chiesto di specificare che è l'Araldo di Andraste, nonostante lei stessa e l'Arlathvhen non approvino questo titolo.-

-Arlathvhen?- ripeté Rylen, perplesso.

Shaan sollevò le sopracciglia. -Ottima pronuncia, signore.- si complimentò, chinando appena il capo in segno di rispetto. -È un termine che viene usato sia come nome per il concilio dei leader della nostra gente che come identificativo per i suoi partecipanti.- spiegò, recuperando una busta dalle falde del mantello per consegnarla a Cullen. -Mi pare di capire che lei dev'essere il capitano Rylen.-

-In persona.- disse quello, allungando la mano a sua volta in segno di saluto. Shaan la strinse. -Un vero piacere. Gli individui che godono della stima di Ankh sono pochi, soprattutto tra gli Umani.- disse, passando un'occhiata approfondita su Cullen.

Quello, dopo aver sfilato una lettera dalla busta, curvò gli angoli della bocca nell'accennare un sorriso. -È un sentimento reciproco.- disse, iniziando a leggere.

Shaan esplorò il suo viso attentamente, aggrottando la fronte nell'assumere un'espressione pensosa. -Già.- disse, procedendo quindi a squadrarlo da capo a piedi.

La manovra non passò inosservata a Rylen, che smezzò un'occhiata curiosa su entrambi, prima di dare un colpo di tosse. -Allora, cosa dice Sua Eminenza?-

Cullen, visibilmente soddisfatto, si portò al suo fianco, mostrandogli il contenuto della lettera.

-I bambini resteranno alla Torre della Guardia Invernale fino alla fine della settimana.- articolò Shaan. -Un cavaliere di passaggio ha offerto un lavoro da scudiero al ragazzino e se li porterà dietro nella sua tenuta di Denerim.- fece una pausa. -A quanto pare, i poteri persuasivi di Ankh hanno fatto un'altra vittima.-

Rylen finì la lettura e ritornò la missiva al suo superiore in comando. -Insomma, ha convinto l'Alfiere di Amaranthine a prenderseli.- ricapitolò, piacevolmente impressionato. -L'uomo più burbero della costa settentrionale.-

-È una donna che sa il fatto suo.- replicò Shaan, tranquillamente. -D'altronde, ha convinto la signora Pentaghast a risparmiarle la vita. Un cavaliere è poca cosa, in confronto.- l'ultima frase la pronunciò con una certa enfasi, passando un'occhiata veloce su Cullen, troppo distratto a rileggere la lettera per rendersene conto.

Da buon braccio destro, Rylen però riuscì a registrare quell'azione.

-Faceva le cose come pareva a lei anche prima di entrare a far parte dell'Inquisizione?- domandò Cullen, dopo un po'.

Shaan si strinse nelle spalle. -Perché, se la sua gente fosse in pericolo, lei cosa farebbe?-

Il suo interlocutore sorrise appena. -Accetterei un posto di lavoro nell'angolo più remoto delle Montagne Gelide al servizio di un'organizzazione radicale con una leadership impulsiva.- replicò. -Mi dia due minuti, vorrei scriverle un messaggio di risposta.- aggiunse, portandosi alle spalle di Rylen. Appoggiò la lettera sulla sua schiena, per usarla come superficie. Il suo secondo, che ormai era abituato alla cosa, gli porse direttamente un pennino. -Non essere formale.- gli suggerì, recuperando dalla tasca una scatoletta di inchiostro solido, già bagnato.

Cullen lo sfiorò con un'occhiata descrittiva. -Come se non fosse la settantesima volta che scrivo un messaggio, stasera.- borbottò.

Rylen rivolse un sorriso tirato a Shaan, che si strinse nelle spalle per tutta risposta. -Ho visto di peggio. Il mio precedente datore di lavoro usava la schiena di mio nonno come uno sgabello.- ammise l'ultimo.

-Non gli dia strane idee.- borbottò Rylen, per niente divertito.

-Si procuri un cuscino da mettere sotto alle ginocchia, nel caso.-

-Penso che in quel caso le ginocchia sarebbero l'ultimo dei miei problemi. È un falso magro.-
Shaan sorrise appena. -Ho notato.- ammise, con nonchalance, voltandosi verso il suo cavallo per richiamare la sua attenzione.

Rylen strinse le palpebre su uno sguardo sospettoso, mentre recuperava il pennino dalle mani del suo comandante, per riporlo in tasca assieme all'inchiostro.

-Non sono un despota.- puntualizzò Cullen, imbustando la lettera per consegnarla al messaggero eccezionale. -La vedremo ancora nei paraggi?- domandò, una volta che Shaan ebbe recuperato l'oggetto.

-Mi farò vivo quando lo reputerò necessario.- rispose il suo interlocutore, montando a cavallo. -Nel frattempo, arrivederci.-

Cullen gli rivolse un breve sorriso, Rylen invece si limitò a salutarlo con un cenno del capo.
Shaan si sistemò il cappuccio sulla testa, poi spronò il cavallo, intraprendendo il sentiero al galoppo. Quando la sua figura venne inghiottita dalla nebbia, Rylen si ritrovò inevitabilmente a commentare la situazione. -Insomma, tutto è andato per il meglio. Elfo inquietante a parte.-

Cullen allungò le mani verso il fuoco, sfregandole l'un l'altra con vigore per allontanare il freddo. -Direi di si.- disse, senza riuscire a smettere di sorridere.

Rylen lo osservò con sospetto. -Sai, le uniche volte che ti ho visto davvero di buonumore, da che ti conosco, sono state mai e poi mai.- affermò. -Eppure, da quando sei tornato, hai quell'espressione ebete fissa in viso.- lo indicò. -Come un cucciolo di mabari. Ti mancano solo la lingua penzoloni e il respiro affannoso.-

Cullen lo guardò di sottecchi. -Ti ricordo che sono io quello che decide i turni di guardia, Ser Rylen.-

Quello alzò le mani in segno di resa, rivolgendo alle fiamme vive un sorrisetto compiaciuto. -Sono solo perplesso, Comandante. Da quello che mi hai riferito, il vostro viaggio è stato il punto d'unione tra una perdita di tempo e un calcio nelle palle.-

-Non ho mai usato quei termini.- lo rimproverò Cullen, con una nota di fastidio nel tono di voce. -Ho detto che è stato un viaggio spossante, tutto qui.-

-Allora perché mi sembri tutto fuorché stressato?-

-Non so se voglio sapere dove vuoi andare a parare.-

Rylen rivolse un'espressione madida di rassegnazione a un interlocutore immaginario, poi esalò un sospiro sommesso. -Era una considerazione.-

-Candida come la neve gialla.-

Rimasero in silenzio a lungo, cercando di raggranellare abbastanza calore prima di tornare a lavoro. Per tutta la durata di quella pausa doverosa, Rylen si rifiutò di guardare negli occhi il suo superiore in comando, sul cui viso appariva di tanto in tanto l'ombra di un'espressione felice. Dopo aver intercettato l'ennesimo sorriso ebete, però, la sua curiosità ebbe la meglio. -Mi sono sempre chiesto di che colore fossero gli occhi dell'Araldo. Non abbiamo avuto molte occasioni di parlare.-

Cullen gli rivolse un'occhiata stranita. -Gli occhi?-

-Quelli che stanno in mezzo alla faccia e che la gente usa per vederci.- rispose Rylen, in tono scherzoso. -Strano, no? Di solito è la prima cosa che si nota quando si conosce qualcuno per la prima volta.-

Cullen ci rifletté abbastanza, poi chinò appena la testa, impensierito. -Dipende, in realtà. Durante il giorno sono verdi, ma non è un verde annacquato, come quello di Burrows.-

-Burrows ha gli occhi verdi? A me quelli paiono giallini, piuttosto.-

-Appunto. I suoi invece sono molto saturi, come un fascio di fili d'erba umidi, durante la primavera. Hanno una sorta di...- diede un movimento circolare con l'indice, aiutandosi a mettere nero su bianco un pensiero. -uniformità. È un verde uniforme e saturo, ma screziato da venature più chiare verso l'interno, come una giada.-

-Una giada.- ripeté Rylen, con un lieve accenno di sarcasmo.

-Sì, è una pietra dura. Quando arriva la sera, invece sono neri come l'onice. Del verde rimane solo un sottile contorno che però è abbastanza evidente, dato che ha le ciglia bion...- si impedì di continuare, per assestare al suo secondo un'occhiata truce. -Mi hai preso per un cretino?-

Rylen gli rivolse un'occhiata eloquente. -Lei ti piace di più di quanto a me piacerebbe trascorrere una giornata alle terme.- affermò.

Cullen si guardò intorno, irritato, facendogli cenno di moderare i toni. -Ci manca solo che i soldati si mettano a spettegolare su una cosa del genere!-

-Già lo fanno.- minimizzò Rylen, abbassando comunque la voce. -Intendi corteggiarla?-

Cullen rispose assestandogli una pacca sul braccio. -Torna al tuo posto e va' a prepararti per la missione. Quei nobili non si scorteranno da soli al cratere.-

Rylen si massaggiò la parte lesa, sbuffando sonoramente. -D'accordo, permalosone!- fece, accingendosi a ritornare alla tenda degli ufficiali. -Ma sappi che non è finita qui.- lo avvisò, puntandogli il dito contro.

Cullen lo osservò allontanarsi, con aria divertita, poi prese un respiro profondo e si decise a tornare alle sue mansioni, lasciando che quella conversazione si esaurisse assieme al fuoco del bivacco.

 

 

 

 

-Nota-

E così si conclude la gita in camporea! I prossimi quattro capitoli saranno ambientati ad Haven, finalmenty.

Avviso già che pubblicherò il resto dei capitoli a settimane alterne, in modo da facilitarne la lettura, dato che sono un po’ lunghetti (ma anche per evitare di fare quella egocentrica e spammare nella home della sezione lmao).

Spero che finora vi siate divertiti, dai!
Abbracci <3

 

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Capitolo 5
*** La Salita ***


CW: Razzismo

 

4 - La Salita

 

Il cielo abbracciava Haven come lo sfondo di un fine acquerello antivano.

Era di un bianco etereo che andava ad arricchirsi con una delicata tonalità azzurro pastello mano a mano che l'occhio risaliva. Le nuvole, che passeggiavano placidamente, sospinte dal vento, sembravano dei merletti ricamati nell'aria da una mano abile e accentuavano l'imponenza del Varco che incoronava le Montagne Gelide.

Un'eleganza imparagonabile alla bruttezza che caratterizzava il panorama rasoterra.

Le strade attorno alla roccaforte dell'Inquisizione erano impregnate di fango ghiacciato ed erano brutalmente ferite dalle impronte dei carri, dei profughi di guerra e dei pellegrini alla ricerca della benedizione dell'Araldo di Andraste.

Quest'ultima, che si sentiva tutto fuorché la portavoce di una divinità in cui non credeva minimamente, stava percorrendo una via esterna, parallela alle fortificazioni lignee che la neonata Inquisizione aveva apportato attorno alla chiesa e al villaggio di Haven.

Nonostante tutti avessero applaudito l'Araldo, dopo che aveva stabilizzato il Varco nel cielo, erano bastate poche settimane di lontananza da Haven per far dimenticare ai frequentatori della roccaforte temporanea dell'Inquisizione che faccia avesse la loro eroina. Tra le altre cose, durante la sua camminata era stata rimproverata da una domestica per non aver ripulito le latrine pubbliche in tempo per la fine del Canto. Inoltre, un nobile di passaggio le aveva affidato il suo bagaglio, forzandola a seguirlo affinché lo sistemasse nel suo alloggio. Infine, un messaggero dell'ambasciatrice Montilyet le aveva schiaffato tra le mani un plico di lettere da consegnare a se stessa, scambiandola per la domestica elfica che provvedeva alla pulizia del suo alloggio in sua assenza.

Lavellan gli perdonò l'errore, dato che la somiglianza tra le due donne era evidente. La domestica infatti era una sedicenne mora, pallida e seriosa, proveniente da un'enclave orlesiana e non sapeva distinguere una punta di freccia da un ciottolo. Gemelle, insomma.

Più divertita che altro, Lavellan si recò verso uno dei moli deperiti e mangiati dalla neve che attorniavano il lago ghiacciato di Haven, per sedersi a leggere la corrispondenza. Si trattava di una lista di doveri, un ordine del giorno da seguire durante la riunione che si sarebbe tenuta nel primo pomeriggio e una serie di problematiche su cui nessuno dei suoi illustri colleghi era ancora riuscito a trovare un terreno comune.

Non era la prima volta che Lavellan si ritrovava a mediare in una stanza di persone urlanti e non la preoccupava l'idea di prendersi la responsabilità delle conseguenze di una decisione sbagliata.

Prima che entrasse a far parte dell'Inquisizione, infatti, il suo clan si affidava a lei quando c'era da scegliere la pista migliore da seguire, per portare tutti al sicuro in caso di pericolo.

La differenza tra decidere nel clan e farlo nell'Inquisizione stava nella rosa di competenze di chi la circondava. I suoi colleghi avevano quattro approcci diversi a un'unica situazione, derivati dal loro background professionale e culturale, inoltre erano avvezzi a risolvere problemi legati alla natura volubile della politica umana. Di quest'ultima Lavellan non si intendeva molto, date le sue origini, ma si riteneva essere una donna razionale, con una morale solida e non aveva problemi a scendere a compromessi qualora chi la circondava fosse in disaccordo. Il che era vitale quando si trovava ad affrontare quattro personalità forti come quelle dei suoi colleghi, che parevano regredire all'adolescenza, esibendo un'indisposizione tragicomica quando si trattava di cedere terreno agli altri occupanti del tavolo di guerra.

Pregando Ghilan'nain che le donasse la pazienza necessaria ad affrontarli, Lavellan finì di leggere la corrispondenza, infilò le lettere nella borsa che teneva sotto al tabarro e si alzò per dirigersi verso l'interno delle mura, con tutta l'intenzione di fare l'inventario dell'equipaggiamento prima della sua partenza per la Palude Desolata, che sarebbe avvenuta l'indomani.

Non fece in tempo a raggiungere l'ingresso del molo che lo stesso messaggero che le aveva affidato le lettere prese a urlare nella sua direzione, indicandola a un gruppo di tre soldati che lo attorniavano. In tutta risposta, Lavellan inarcò un sopracciglio, voltandosi stranita verso il lago, credendo che stesse interagendo con qualcuno alle sue spalle.

-Ha sottratto con l'inganno la corrispondenza privata dell'Araldo!- esclamò il messaggero, senza smettere di puntare il dito.

Lavellan mise immediatamente le mani avanti, mentre i quattro avanzavano nella sua direzione, a passo sostenuto. -C'è chiaramente un equivoco.- fece, recuperando le lettere per mostrarle loro. Nel farlo, espose il fianco, mostrando involontariamente il coltello da caccia che teneva assicurato alla cintura.

-È una spia!- gemette il messaggero, dopo che ebbe notato l'arma, interrompendola dal provvedere spiegazioni.

Il soldato a lei più vicino tentò di afferrarla per un braccio e lei istintivamente si ritrasse. Provò ad articolare una frase che il secondo soldato aveva già estratto la spada dal fodero, avanzando minaccioso nella sua direzione.

-Mi lasciate parlare?- gemette lei, indignata, mentre schivava in mille modi i tentativi di cattura. -Sono mie! Sono Lavellan! L'Araldo!-

-Se tu sei l'Araldo, io sono la regina dell'Orlais.- chiosò uno dei suoi aggressori, abbracciando lo spazio in cui si trovava Lavellan pochi istanti prima.

-Se l'avessi saputo prima, mi sarei inchinata.- borbottò lei, prima di voltarsi di scatto e correre verso il lago. Spiccò un balzo dal terminare del molo, pregando che il ghiaccio fosse abbastanza spesso da sostenerla. Era una mossa azzardata, a malapena calcolata, ma funzionò.

Lavellan sfruttò la spinta per scivolare sul ghiaccio finché la superficie sdrucciolevole glielo consentiva, poi tentò di mettersi in equilibrio per raggiungere un punto della riva il più vicino possibile al campo d'addestramento. Era imperativo che si disfacesse del guanto sinistro e mostrasse il marchio, così da chiarire l'equivoco, ma nel caso non fosse bastato era certa che Cassandra sarebbe intervenuta in suo aiuto.

Proprio mentre raggiungeva la riva del lago, notò con la coda dell'occhio che i soldati avevano chiamato rinforzi. Adesso erano in sei a inseguirla.

Un moto di preoccupazione si formò nello stomaco di Lavellan, che cercava di slacciare il fermaglio di chiusura del guanto, muovendosi rapidamente verso la fila di manichini che Cassandra usava per allenarsi. Non vedendola, la preoccupazione diventò paura.

Si strappò il guanto di dosso e lo lanciò a terra, poi si fermò di scatto per permettere ai suoi inseguitori di vedere l’Ancora. -Sono Lavellan!- ripeté, con fermezza.

-È una Maga! Attenzione!- gridò uno dei soldati, indicando agli altri di circondarla.

Lavellan sbuffò dall'impazienza, sventolando la mano nella loro direzione mentre cercava di spiegarsi.

-Cosa sta succedendo qui?-

Sentire l'accento orlesiano di Lysette, che la conosceva bene, per Lavellan fu un vero e proprio sollievo.

-Sta' attenta, Lys! È una spia!- esclamò il messaggero per mettere in allerta la nuova arrivata, che aveva appena raggiunto il gruppo di soldati, parandosi tra essi e la fuggitiva.

Lysette spalancò lo sguardo su un'espressione allibita. -No, deficiente!- sbottò. -Stai braccando l'Araldo di Andraste!-

-Non è l'Araldo di Andraste!- intervenne uno dei soldati, gettando una mano in avanti. -L'Araldo di Andraste è...- si fermò, per osservare bene Lavellan, che continuava a tenere il marchio in bella vista, indicandolo con piccoli cenni del capo.

Un terrore viscerale si impadronì dei volti dei suoi assalitori, mentre realizzavano di aver appena compiuto un errore che avrebbe comportato una punizione esemplare.

-Sta bene, Eminenza?- domandò Lysette, addolcendo il tono di voce.

Lavellan si sforzò di rilassare la postura. Prese un respiro profondo, poi contrasse le labbra sul viso, formulando un mezzo sorriso. -Ho i piedi un po' freddi.- replicò.

 

Nonostante fosse abbattuta per il fatto di non riuscire a identificarsi nemmeno tramite lo squarcio luminescente che le percorreva la mano sinistra, Lavellan tranquillizzò il messaggero e i soldati che non li avrebbe puniti, o fatto presente il loro errore in sede di consiglio. Quindi, ringraziò Lysette, promettendole di offrirle da bere non appena avrebbe avuto tempo di passare alla locanda, incamminandosi infine attraverso il campo d'addestramento con l'imperativo di cercare Cassandra.

Aveva bisogno di stemperare la tensione e se c'era una cosa che apprezzava della sua collega e compagna di squadra era la sua capacità di trasmettere il suo senso di risolutezza a chiunque la circondasse, persino nei momenti in cui si sentiva insicura.

La cercò a lungo, con perizia, senza però fermarsi a chiedere indicazioni ai soldati, cosa che avrebbe fatto in una situazione normale. Lo spazio attorno a lei sembrava popolato da manifestazioni di Fen'Harel sotto sembianze umane e, anche se era certa che tutto sarebbe ritornato al suo posto una volta che si fosse tranquillizzata, in quel momento, purtroppo, si sentiva tutto fuorché al sicuro.

Dopo fin troppo tempo e fin troppi giri in tondo, Lavellan si accovacciò nello spazio che intercorreva tra due tende, così da prendere fiato e rielaborare la sua strategia.

Osservò a lungo due soldati di guardia che discutevano animatamente di fronte alla tenda di Cullen poi, tutto d'un tratto, il suo istinto la spinse a smettere di nascondersi e a muoversi verso di essa.

Approfittò del fatto che entrambe le guardie fossero distratte dalla discussione e scivolò tra i due lembi dell'apertura della tenda, senza farsi notare.

Era un ambiente spartano, ma spazioso, diviso in due parti da un telo porpora con l'emblema dell'Inquisizione. Lavellan ci era entrata un'unica volta, molte settimane prima, giusto il tempo di riferire qualcosa a uno dei sottoposti del Comandante. Eppure, ricordava benissimo la scrivania divorata dalle scartoffie, poi l'odore di pietra per affilare bagnata e quello di cera fusa che impregnavano l'atmosfera.

Il pavimento era rivestito da travi di legno e perfettamente pulito, così come lo era ogni superficie, persino quelle sormontate dal peso dei libri e della burocrazia. Lavellan sospettava che quella nettezza non fosse opera solo dei domestici, ma si trattenne dall'elucubrare troppo e preferì annunciarsi.

-Comandante?- chiamò, raggiungendo la scrivania.

-Appoggia tutto sul tavolo.- le rispose la voce decisa di Cullen, dall'altro capo del telo.

Ufficialmente sconosciuta, persino per uno dei suoi illustri colleghi, Lavellan chinò uno sguardo macchiato di delusione sulle scartoffie. -Non ho niente da appoggiare.- dichiarò, mettendo le mani sui fianchi.

Dopo un istante di silenzio, in cui Lavellan sentì chiaramente il trascinarsi di un lungo sospiro, Cullen si schiarì la voce. -Stanno ancora discutendo di formaggi orlesiani, là fuori?- domandò, evidentemente seccato.

Lavellan si strinse nelle spalle. -Onestamente, c'è da dar loro ragione. I formaggi orlesiani puzzano di putredine e sanno di burro sciolto.- commentò. -Te l'ho già raccontato della forma di formaggio stagionato che abbiamo trovato nel centro di un circolo di evocazione a Redcliffe?-

Un gemito soffocato.

-C'era questo squarcio giusto sopra di esso e un demone dell'Ira che ci girava attorno. Varric ha...- Lavellan si fermò di botto, in risposta a un rumore sordo e un'imprecazione. -Va tutto bene, là dietro?- domandò, facendo il giro della scrivania con aria preoccupata.

-Egregiamente, dama Lavellan!- si affrettò a rispondere Cullen, ostentando un tono di voce fin troppo sicuro per qualcuno che lo è realmente.

Lavellan aggrottò la fronte e sillabò silenziosamente “dama”, mentre osservava il telo con uno sguardo sospettoso.

Si decise a raggiungere il suo interlocutore, in un misto di curiosità e preoccupazione, perché i rumori che provenivano dal punto in cui era localizzato la insospettivano. Si affacciò al di là del telo, sporgendosi per controllare la situazione e quello che vide le fece ritrarre la testa dalla sorpresa.

Cullen era curvo su una ciotola riempita d'acqua, con una buona porzione della parte inferiore del viso insaponata e le guance tinte di imbarazzo. Un rivolo di sangue fuoriusciva da un taglio sotto lo zigomo destro e scendeva lungo il collo fino a macchiargli la camicia.

-Falon'Din Lethanavir, cosa sta succedendo?- gemette Lavellan, raggiungendolo per sottrargli dalle mani quello che a lei sembrava un coltello. Cullen la lasciò fare, probabilmente troppo preso a pensare alle modalità in cui avrebbe voluto scomparire dalla vergogna per realizzare cosa stesse succedendo. -Mi hai colto alla sprovvista e mi è scivolata la mano.- si giustificò, recuperando un asciugamano di tela per strofinarselo sul viso.

Lavellan lo guardò, allibita, sollevando l'arma di fronte a sé. -Cosa accidenti stavi facendo con un coltello così vicino alla faccia? Non è la maniera più astuta di controllare se hai qualcosa tra i denti, visto che hai uno specchio proprio lì.- e indicò la lastra lucida di rame posizionata poco sopra la ciotola.

-Non è un coltello, è un rasoio.- precisò Cullen, tamponandosi lo zigomo mentre osservava il suo riflesso distorto allo specchio con gli occhi stretti a fessura. -Va bene che mi consideri un cretino, ma non lo sono a questi livelli.- borbottò, riducendo il tono di voce.

Lavellan tarpò le ali a una replica sul nascere e osservò bene la refurtiva. -Ooh!- esalò, dopo qualche istante di raccoglimento. -La barba...- aggiunse, appoggiando l'oggetto sul bordo della ciotola con cura. Diede quindi un colpo di tosse per schiarirsi la voce. -Mi dispiace.-
Cullen sbuffò una risata lieve. -Non preoccuparti, sarebbe successo comunque. Mi sono dimenticato di affilarlo prima dell'utilizzo.-

Lavellan si sforzò di sorridere a sua volta, muovendo un passo nella direzione del suo interlocutore per rimediare all'errore. Recuperò l'asciugamano dalle sue mani, ne inzuppò un lembo nella ciotola e glielo appoggiò sulla ferita per pulirla. Quindi, tamponò l'area lesa con la parte asciutta della tela, per permettere alla pelle di cicatrizzarsi a modo. Incrociò lo sguardo sorpreso di Cullen proprio mentre ritraeva la biancheria dal suo viso per ripiegarla e si rese conto solo in quel momento che il suo imbarazzo non era dovuto solo a un taglio maldestro.

Per la seconda volta, nell’arco di poco tempo, lo sorprendeva fuori dal suo guscio professionale. Indossava una camicia umile quanto l'ambiente che lo circondava, dei pantaloni di lana comodi ed era a piedi nudi. I suoi capelli, sempre ordinati, erano un fitto intrico di ricci scomposti che gli incorniciavano il viso come un fascio di grano appena falciato. Lavellan stava nuovamente osservando la persona dietro al comandante e, per un istante, si chiese se lui glielo avrebbe mai perdonato.

-Meglio.- dichiarò lei, ripiegando l'asciugamano con un gesto deciso. Si affrettò a consegnarglielo, un po' troppo bruscamente. -Ti aspetto nell'altra...- iniziò, indietreggiando per raggiungere la scrivania. Indicò il telo con il pollice. -...stanza? Parte?-

Cullen annuì frettolosamente, in difficoltà, poi riprese a prepararsi senza nemmeno rispondere.

 

Per Lavellan fu un'attesa breve, ma interminabile, in cui non smise di domandarsi perché aveva smesso di rintracciare Cassandra per affidarsi a un'altra figura autoritaria, aggiungendo preoccupazioni ulteriori a una situazione già di per sé snervante. Assisté all'andirivieni di esploratori e messaggeri che venivano regolarmente annunciati e che appoggiavano plichi e ulteriori scartoffie sul tavolo, contribuendo all'incubo burocratico per poi scomparire. Più frequentemente di quanto avrebbe desiderato, le veniva assestata un'occhiata perplessa, che scompariva immediatamente quando lei mostrava la mano sinistra per identificarsi.

-Un inchino o un saluto formale sarebbero d'obbligo.- fu il rimprovero che Cullen rivolse a un messaggero, durante uno di quegli scambi.

-Non importa.- replicò Lavellan, scontenta, dopo che l'ospite ebbe fatto una riverenza fin troppo eloquente con tutte le intenzioni di defilarsi il più velocemente possibile per evitare un ulteriore rimprovero. -Però non mi dispiacerebbe se la smettessero di consegnarmi la biancheria sporca.- scherzò. -Il lago è ghiacciato e non ho ancora capito dov'è la lavanderia.- concluse, passando uno sguardo veloce sul suo interlocutore.

Cullen era tornato a essere l’ufficiale altero e impettito di sempre, curato dalla testa ai piedi. Non c'era traccia del minimo imbarazzo nel suo viso, mentre prendeva posto alla scrivania e indicava a Lavellan di fare lo stesso. Lei esitò, poi fece come le era stato suggerito, recuperando uno sgabello e muovendosi per posizionarlo al fianco della poltrona del padrone di casa. Si sedette e appoggiò un gomito sul bordo della scrivania, rischiando di provocare una valanga di pergamene.

Cullen indicò la parete di letteratura ed esalò un sospiro stanco. -La corrispondenza urgente.- spiegò. -La maggior parte di essa proviene da qualche somma sacerdotessa a cui è stato detto che prima di venire qui ero nell'ordine dei Templari.- proseguì, recuperando una busta chiusa con un sigillo nobiliare. -Per lo più, sono lettere indignate, ma gran parte delle mittenti cerca sempre di coinvolgermi in qualche schema per sbugiardare la Cercatrice Pentaghast e sorella Leliana e rinunciare alla mia posizione per un ruolo di Alto-Comandante da qualche parte nell'Orlais.- aprì la busta, poi la passò a Lavellan. -Di solito le faccio leggere ad alta voce al mio secondo in comando, per farmi una risata in compagnia prima di chiudere la giornata.-

-“Comandante Clemence Robesport”?- recitò Lavellan, divertita.

-Ci mettono così tanto impegno nel sollecitare la priorità della missiva, che si dimenticano di controllare il resto.-

-Pensano davvero che tu sia l'individuo più ragionevole del gruppo. È esilarante.-

Cullen inclinò appena la testa. -Per te sono meno ragionevole di Cassandra?-

Lavellan gli rivolse un mezzo sorriso. -Entrambi avete l'elasticità di un ariete.-

Cullen prese a osservarla di sottecchi, con aria divertita. -Sei venuta fin qui per lusingarmi, o hai qualcosa di importante da riferirmi prima della riunione?-

Il cervello di Lavellan prese a correre un percorso a ostacoli lungo chilometri, scartando e capriolando come una gallina braccata da un branco di donnole sul ciglio di un dirupo. -A dire il vero ero nei paraggi.- fu la prima cosa che le venne in mente, ma fu una risposta di poco successo, credibile quanto la presenza di una forma di formaggio stagionato in mezzo a un circolo di evocazione.

-E qual è il vero motivo?- la incalzò Cullen, prendendo a ordinare le lettere sulla scrivania. -Avrò l'elasticità di un ariete, ma questa è una bugia palese.-

Lavellan ritornò a pensare, racchiudendo a intervalli regolari il palmo della mano sinistra tra le dita per aiutare il cervello a ingranare. -Qui è sicuro.- ammise, con un filo di voce.

Cullen smise immediatamente di fare quello che stava facendo, assumendo un'espressione seria. -Dovrebbe esserlo dovunque, a Haven, soprattutto per te. C'è un problema di sicurezza?-

Lavellan aggrottò la fronte. -Al contrario. Le guardie sono fin troppo zelanti.- disse, poi esalò un lungo sospiro stanco. -Come hai fatto a capire che ero io, prima? È stata la storia del formaggio, vero?-

-La tua voce era diversa, prima che iniziassi a scherzare.-

Lavellan strinse lo sguardo sopra a un sorrisetto perplesso, al che Cullen articolò ciò che intendeva. -Era fioca e rassegnata. Due aggettivi totalmente incoerenti con la tua persona.- fece. -Ciò conferma che è successo qualcosa di grave e che hai il timore di condividerlo con me.- si sporse appena verso di lei. -Oppure, sei preoccupata che riferendomi ciò che è successo, la parte in torto subirebbe delle conseguenze gravi.-

Lavellan gli lanciò un'occhiata eloquente. -È già tutto risolto, davvero. Non credo nelle punizioni, a meno che la persona in torto non sia un demone da rispedire nell'Oblio.- affermò. -Ferirebbe di più loro che me.-

-Se non fosse che sei già ferita e questo è inaccettabile.-

Lavellan sbuffò. -Non ho bisogno di qualcuno che difenda il mio onore, ho bisogno di un amico.- ammise, nervosamente.

Cullen sollevò le sopracciglia su un’espressione sorpresa.

-Lo so già da me che è un comportamento puerile.- aggiunse lei, interrompendo una sua replica sul nascere. Riprese quindi a ordinare la corrispondenza da dove lui aveva lasciato, per dare alle mani qualcosa da fare in un frangente fin troppo delicato. -Ma sei... diciamo che sei la persona che mi trasmette più fiducia qui, dopo Cassandra.- affermò, evitando di incrociare il suo sguardo. -Anche se ti ostini a chiamarmi per titoli.- aggiunse, per sdrammatizzare.

Cullen la studiò con uno sguardo attento, carezzandosi il mento con l'indice. Dopo un po' prese a ridacchiare, scuotendo la testa. -Ti piace circondarti di arieti, insomma.-

Lavellan sorrise istintivamente. -Ho usato un paragone sbagliato, temo. Per un gruppo caotico come il nostro, è rassicurante poter contare su qualcuno che sembra avere il pieno controllo della situazione.-

-Pensavo che fossi tu quel qualcuno.-

-Allora mi dispiace riferirti che sei proprio nei guai, Comandante.-

Si scambiarono un'occhiata divertita, poi unirono le forze per affrontare il demone della burocrazia. Di fronte a quello, ogni problema si ridimensionava sempre e l'imbarazzo scemava in virtù di una molto più confortante noia.

 

*

 

-Va molto meglio.-

Solas sollevò appena lo sguardo su Lavellan, poi tornò a consultare l'Ancora, con un sorriso appena accennato sulle labbra. -Lo vedo.- confermò, passando il pollice delicatamente lungo lo squarcio.

Era pomeriggio inoltrato, ad Haven. Una lieve brezza montana carezzava la superficie del lago ghiacciato, sollevando scintille di polvere fredda al suo passaggio. Il vociare dei soldati in pieno allenamento risuonava lungo tutta la vallata, sovrastando la placidità di una giornata altrimenti molto tranquilla.

Solas e Lavellan si trovavano in cima a uno sperone roccioso, decorato da un gruppo di giovani abeti che sovrastavano l'area occidentale dell'accampamento militare. Erano abbastanza lontani dal caos proveniente dai soldati, ma soprattutto erano posizionati in modo da poterli tenere sempre d'occhio. Infatti, Lavellan non smetteva di perlustrare l'accampamento con occhiate preoccupate, contraendo di tanto in tanto le dita qualora vedesse qualcuno farsi troppo vicino al sentiero in salita.

-Ho quasi finito.- la rassicurò Solas, pacatamente, dopo l'ennesimo fremito.

Lavellan tornò a concentrarsi sul momento, assecondando i gesti del suo compagno di viaggio per permettergli un'analisi corretta dell'Ancora.

Quando Solas ebbe finito, raccolse la mano sinistra di Lavellan tra le proprie, chiudendola delicatamente a pugno. -Falon'Din.- disse, una volta che l’ebbe liberata dalla stretta.

Nel riprendersi la mano, lei inarcò un sopracciglio, notando una scintilla di curiosità nell'espressione del viso del compagno di squadra, caratterizzato da un sorriso enigmatico.

-Non è un Vallaslin comune, soprattutto nella sua forma più complessa.- le riferì Solas, raccogliendo le mani dietro la schiena nel curvarsi lievemente su di lei. -Significa che hai un'affinità con la morte, o con il comando?-

-Si.- rispose semplicemente lei, ricambiando il sorriso.

Solas rise. -Ottima risposta per una domanda molto scontata.- affermò, quindi si mise a sedere su una roccia ricoperta di muschio secco, sulla quale aveva precedentemente riposto il bastone da mago. Lavellan prese posto al suo fianco, per assorbire il suo calore corporeo, così come era abituata a fare nel suo clan, nei casi in cui la temperatura atmosferica fosse particolarmente ingestibile. -La mia Guardiana dice che una volta il nostro popolo era immortale. Ha ragione?- gli domandò, slacciandosi il tabarro per passarne un lembo sopra le sue spalle.

Solas accolse quel gesto gentile di buon grado, chinandosi appena per permetterle di coprirlo adeguatamente. -Sì, ha ragione.-

Lavellan aggrottò la fronte. -Onestamente, faccio fatica a farmelo piacere. L'immortalità, per come me l'ha descritta, mi da l'idea di qualcosa di statico, mentre ogni essere vivente è in uno stato di perenne evoluzione. Per esempio, in questo preciso istante, io sono una persona diversa da quella a cui hai mosso questione pochi istanti fa.-

-In che modo?-

-Sono seduta.- rispose lei, ridendo.

Anche Solas si unì alla risata, in maniera più composta. -L'immortalità è tutto fuorché statica.- disse. -Gli spiriti possono vivere per sempre, eppure nonostante la loro identità specifica portano i loro interlocutori ad approcciarsi a un problema secondo una prospettiva sempre diversa. Vale lo stesso per noi. Interagendo con loro, diamo una forma pratica all'idea che li identifica, dandogli la possibilità di approfondirla.-

Lavellan annuì, colpita. -Non ci avevo mai pensato, ma ora che me lo dici mi pare un concetto abbastanza ovvio. Uno spirito della Saggezza potrebbe consegnarti più rispose allo stesso dilemma morale, dato che esistono condizioni culturali ed emotive che lo costringono all'identità dell'individuo che pone la domanda.-

-Continui a pensare che l'immortalità sia immobile?-

Lavellan ci rifletté. -No, ma lo è una vita senza la necessità della morte. Se restassimo, cosa daremmo in cambio alla natura?- domandò. -Ci penso ogni giorno, a dire il vero. Gli esseri viventi si preparano una vita intera alla morte, così preoccupati di arrivarci intonsi che si dimenticano sempre che stanno vivendo in un contesto dove la morte non è la somma di tutte le cose che gli sono successe nella vita, ma una necessità della natura di trovare nuove risorse per funzionare bene.- si scostò dal viso un ciuffo di capelli scampato all'acconciatura, per raccoglierlo dietro all'orecchio. -Noi non siamo niente, eppure siamo parte di un sistema incredibilmente affascinante, in costante evoluzione.- sorrise, realmente eccitata di poter esprimere quel concetto ad alta voce in presenza di qualcuno curioso quanto lei sul funzionamento delle cose. -Se non esistesse la morte, nostra e degli organismi che costituiscono gli elementi, tutto resterebbe fermo e immutabile.-

Solas contrasse appena le palpebre. -Mi stai dicendo che la morte non è altro che un cambio di stato, quindi.-

-Certo che sì! Ogni cultura si affanna a renderla poetica per dare un senso al dolore della perdita, ma la realtà dei fatti è molto più altruistica di qualsiasi teoria.-

-É per questo che hai accettato di allontanarti dal tuo clan? Per paura dell'immobilità?- le domandò Solas, esplorando il suo viso con uno sguardo curioso.

-Non è lo stesso motivo per cui tu ti addormenti sempre in posti diversi?-

-Ti hanno mai detto che rispondere a una domanda con un'altra domanda è il modo più noioso per evitare di rispondere?-

Lavellan gli assestò una lieve spinta giocosa, poi spostò lo sguardo a est, posandolo sul Varco. -Pensavo che noi Dalish fossimo creature stagnanti, ma anche gli Umani non scherzano. Sono sempre in movimento, eppure odiano cambiare, l'hai notato?-

Solas si prese qualche secondo per scrollarsi di dosso l'orgoglio e accettare che la sua interlocutrice avrebbe continuato a deflettere, anziché fornirgli una risposta sincera a una domanda fin troppo personale. -Una peculiarità che condividono con tutte le altre razze del Thedas, purtroppo.- rispose.

-Noi però ricordiamo i nostri errori, loro invece continuano ad aggrapparsi a essi come se fossero trofei da esporre.- ammise Lavellan, lasciando che il sorriso abbandonasse il suo viso gradualmente. -Cassandra ieri mi ha chiesto se ci fosse spazio nel mio pantheon per una divinità in più, senza rendersi conto che è a causa di questa stessa richiesta che la mia gente non ha più una casa alla quale tornare.-

Solas le appoggiò una mano sulla schiena. -Per loro, l'idea che non esista un Creatore è inconcepibile.-

-Lo è di più l'idea di convivere con realtà culturali diverse dalla loro, diciamoci le cose come stanno.- sbottò lei, tornando a guardarlo. -Io l'ho accettato, ma nessuno è intenzionato a eguagliare il mio sforzo.-

-Perché è una battaglia senza vincitori, Ankh.- rispose tranquillamente Solas. -Se ti è di consolazione, ritengo che un'apertura mentale come la tua sia stata la cosa migliore che sia potuta capitare all'Inquisizione.- aggiunse, rivolgendole un sorriso gentile.

Lavellan ricambiò, poco convinta. -O la peggiore, a detta di tutti. Un folletto dei boschi che detta le regole? Cosa potrebbe capitare dopo, che a un cavallo venga dato un seggio nel Concilio degli Araldi?-

-Per come le cose stanno andando nell'Orlais, non penso sia un'idea così irrealizzabile.- rispose lui, facendola ridere. -Porta pazienza. Troverete un punto d'accordo, in un modo o nell'altro.-

-Pensi che me lo lascerebbero fare?-

Solas si alzò, invitandola a fare lo stesso nel porgerle la mano. -La mia causticità ti impedirebbe di provarci?- le domandò, mentre lei assecondava il gesto per portarsi al suo fianco.

-Penso di no.- rispose Lavellan, buttandosi un lembo del tabarro dietro alla spalla, in attesa che Solas recuperasse il suo equipaggiamento, prima di affrontare la discesa. Si mosse al suo fianco, mantenendo una distanza minima. -Grazie per la fiducia.- disse, mentre percorrevano il sentiero di neve battuta che portava alle pendici dello sperone di roccia.

Solas le circondò la schiena con un braccio, appoggiando le dita sul gomito opposto a quello che gli stava sfiorando lo stomaco, per assecondare il contatto fisico pur evitando un abbraccio diretto. -Per essere una persona così espansiva, hai un sacco di riserve nei confronti di chi ti circonda.- commentò.

Lei spostò uno sguardo attento sul campo d'addestramento, ora nelle loro immediate vicinanze. -Puoi biasimarmi per essere prudente?-

Lui si soffermò a esplorare i suoi lineamenti con occhi macchiati di curiosità. -No, ma è un contrasto che trovo affascinante.- ammise.

Lavellan sbuffò una risata nervosa. -Tra gli abitanti dei Liberi Confini c'è un detto: "il calderone che chiama grassa la teiera".- gli rivolse un'occhiata eloquente. -Mi sembra che nemmeno tu stia facendo troppi sforzi per stringere nuove amicizie.-

Solas le passò una mano sulla schiena, prima di riprendere le distanze. -Perché loro non sono interessati a farlo.- rispose, prendendo ad aggrapparsi al bastone da mago con entrambe le mani. -Tu si.- aggiunse, curvando le labbra in un sorriso tinto di compiacimento.

-Ti stupisce che cerchi la tua amicizia?-

-Saresti la prima Dalish che lo fa attivamente.-

-Perché molte delle informazioni che possiedi entrano in conflitto con quello che ci riferiscono i Guardiani, Solas.-

-Per te non sembra essere un problema.-

-Dovrebbe esserlo? Come ti ho detto, non mi interessa la staticità. Le storie che ci raccontano gli anziani e i Guardiani sono ferme nel tempo, morte e non prendono in considerazione il nostro ruolo nel presente. Tu mi hai confermato che un tempo la nostra gente era capace di un'evoluzione di cui oggi ha paura.- Lavellan si ritrasse di scatto per permettere il passaggio di un ufficiale che rischiava di travolgerla. -Le tue conoscenze mi danno speranza.-

-Quindi il tuo è solo un interesse accademico?- domandò Solas, schivando un proiettile di balestra, sfuggito a un soldato maldestro.

Lavellan si affrettò ad allontanarsi dall'area di tiro, facendogli cenno di seguirla. -Ovviamente no! Tu è Varric siete le uniche persone che conosco dotate di ironia.- spiegò. -L'idea di poter affrontare tutto questo al vostro fianco mi fa stare bene.-

Solas sollevò le sopracciglia su uno sguardo sorpreso. -Ah!- esclamò, spostando lo sguardo altrove. -Sei la prima persona che lo nota, dopo tanto tempo.- ammise, procedendo al suo fianco nell'oltrepassare la fila di tende che anticipavano il portale di accesso alle fortificazioni.

Lavellan si strinse nel tabarro, dando un cenno del capo a Lysette, che la salutava compostamente dall'ingresso della sua tenda. -Dici che puoi aiutarmi a ripulire un po' il mio elfico, durante i nostri colloqui?- gli domandò, cambiando direttamente discorso.

Solas le rivolse un bel sorriso, poi annuì. -Sarebbe un piacere.- le rispose, in elvhen.

-Sarebbe un piacere.- gli fece eco lei, cercando di imitare la sua pronuncia. -Ma serannas.-

-Serànnas.- la corresse lui, con gentilezza. -Puoi venirmi a trovare anche fuori dalle visite, se ti va bene. Se non ti dispiace, potrei fare lo stesso.-

Lavellan ci mise diversi secondi per tradurre nella sua testa ciò che le stava dicendo. Una volta che ebbe infilato le parole che conosceva in una frase di senso compiuto, gli rivolse un bel sorriso. -Sarebbe un piacere!- rispose, per poi rivolgergli un cenno e dirigersi verso la fucina, dove la aspettava Blackwall per provare il nuovo equipaggiamento. -Dareth shiral!-
Solas ricambiò il saluto con un sorriso composto. -Dareth shiral.- mormorò, osservandola con aria malinconica, prima di ritornare ai suoi studi.

Lavellan lo ringraziò mentalmente per la conversazione che avevano appena avuto, perché l'aveva aiutata finalmente a distendere i nervi che, ultimamente, erano tesi più della corda del suo arco.

Ripercorse velocemente gli impegni che aveva in programma durante la giornata, accelerando il passo di poco perché era impaziente dalla voglia di consultare il suo nuovo compagno di squadra, così come aveva fatto con Solas.

Nella fretta, passò vicino a un gruppetto di nuove reclute, provenienti dai Liberi Confini, calpestando accidentalmente il mantello di una di esse.

-Ehi!-

Lavellan voltò immediatamente la testa, ritrovandosi a fare i conti con una donna molto alta, stretta in un'armatura pesante con l'emblema di una casata nobiliare sullo spallaccio. Dopo essersi resa conto dell'errore, assunse immediatamente un'espressione desolata. -Non me n'ero accorta.- si giustificò, indicando l'impronta con un cenno del capo. -È solo neve, tranquilla. Ti aiuto a smacchiarla al volo appena ho finito.-

La donna la squadrò da capo a piedi, allibita. -Questo è broccato, non si smacchia.- sbottò. -E non è questo il punto, imbranata!-

-Lasciala perdere, mia signora.- intervenne una delle reclute che l'attorniavano. -Non vedi che ha quella roba in faccia? Quelli non hanno nessuna considerazione della proprietà altrui.-

-Lo vedo!- esclamò lei, alterata, muovendo un passo verso Lavellan. -E non sanno nemmeno cosa sia il rispetto.- squadrò la sua interlocutrice dalla testa ai piedi. -Chiedi scusa.- le intimò.

Lavellan drizzò la schiena, inacidita da quell'arroganza. -Mi pare di averlo già fatto.- protestò.

-Non è abbastanza. Rivolgiti a me con rispetto, non vedi che sono una persona importante?-
Lavellan fu realmente tentata di risponderle a tono, o di metterla al suo posto, ma sapeva che non sarebbe valso a nulla. Avrebbe attirato l'attenzione su di sé, causando una scenata di fronte a tutti che avrebbe messo in difficoltà entrambe le parti. Rischiare di rimettersi in una situazione imbarazzante, con la prospettiva di doversi rivolgere nuovamente a qualcun altro per risolvere i suoi problemi la dissuase in maniera definitiva dal controbattere.

Allora prese un respiro profondo, poi rivolse alla sua interlocutrice un cenno sommario. -Magari un'altra volta.- disse, per poi fare un giro su se stessa e defilarsi.

-Ehi, torna qui!- gridò una delle reclute, facendo per seguirla, ma Lavellan ormai aveva deciso che non ne valeva assolutamente la pena. Scappò dal problema, semplicemente, sentendo qualcosa rompersi dentro di sé nel processo.

Non si rese conto che era passata di fianco al Capitano Rylen, ignorando il suo saluto tanto era grande l'umiliazione che stava provando in quel momento. Lui la osservò raggiungere Blackwall, confuso, poi spostò lo sguardo verso il sentiero, dove le reclute si stavano lamentando sonoramente dell'accaduto.

Le raggiunse, guardingo, soffermandosi a studiare la donna nello specifico, dato che gli sembrava di aver riconosciuto l'emblema della sua casata.

-Capitano!- esclamò lei, subito dopo aver notato la sua presenza. Si mise sull'attenti e così fecero le altre reclute.

Rylen diede un cenno sbrigativo con il braccio, ordinando il riposo. -È tutto in ordine?- domandò.

La donna, che manteneva comunque una posa marziale, diede un cenno d'assenso. -Siamo pronti per prendere servizio.-

-Orecchie a punta a parte.- commentò una delle reclute, per poi sputare a terra.
Rylen spostò immediatamente lo sguardo su di essa. -Iniziamo male, malissimo.- commentò. -Cos'è successo?-

-Niente di grave signore. Una serva mi ha calpestato il mantello e non si è scusata appropriatamente.- si affrettò a spiegare la donna. Gli indicò la fucina. -Quelli come lei a casa mia li frustiamo.-

Rylen inarcò un sopracciglio, fissandola con uno sguardo penetrante. -Peccato che questa non sia casa tua e tu abbia appena offeso l'Araldo di Andraste in presenza di un suo diretto sottoposto.-

Scese un silenzio dapprima incredulo, poi intriso di terrore. -Non ne avevo idea, signore.- disse la donna, in un filo di voce.

-Allora è il caso che ti togli la testa dal culo e impari a comportarti come un ufficiale, anziché prendertela con qualsiasi cosa respiri.- la rimproverò Rylen, fronteggiandola. -Non sei più a Hercinia, dove te le facevano passare tutte perché sei figlia di qualcuno con un nome importante, sei nell'Inquisizione. Qui un comportamento del genere non è ammissibile, non solo nei confronti di Sua Eminenza.- fece una pausa, per lasciare che le sue parole attecchissero. -Questa te la perdono perché abbiamo bisogno di qualcuno che riordini il campo dopo l'allenamento, ma alla prossima sei fuori. Ci siamo capiti?-

La donna strinse le labbra su una replica piccata, spostando la testa altrove, poi si rimise sull'attenti. -Sissignore.-

-E ora togliti questi stracci e mettiti una dannata divisa!- le disse, indicandole con enfasi l'accampamento militare. -Tanto pronti e scattanti e poi state qui a perdere tempo dietro a una macchietta! Voglio proprio vedere come sopravviverete all'allenamento mattutino.- batté le mani una singola volta. -Muoversi!- li incitò, mentre il gruppetto si affrettava ad allontanarsi.

Stette a osservarli per un po' con il disprezzo dipinto nello sguardo, poi si sfilò l'elmo, per passarsi una mano tra i capelli con il fine di dissipare il nervosismo. Una volta calmo, individuò il profilo di Cullen, che diramava ordini dall'altro capo del campo d'allenamento e prese un respiro profondo. -Fa' che sia di buonumore.- pregò, muovendosi a passo spedito nella sua direzione.

 

*

 

L'aria era frizzante, segno che durante la notte c'era un'altissima probabilità che la neve arrivasse nuovamente ad Haven.

Lavellan diede un cenno di saluto ai suoi nuovi compagni, prima di abbandonare la locanda e sfidare le strade ghiacciate del borgo. Lanciò un lembo del tabarro sopra la spalla, poi affrontò la rampa di scalini che conduceva all'alloggio dello speziale poiché, prima di andare a dormire, voleva assicurarsi che il carico di loto sanguigno che aveva raccolto nelle Terre Centrali fosse arrivato a destinazione, dato che ce n'era una grave carenza.

Con la coda dell'occhio, intravide Cassandra e Cullen parlottare di fronte alla facciata di un edificio, presi da una discussione decisamente animata. Il suo istinto di persona che non è in grado di farsi gli affari suoi la spinse a raggiungerli, accantonando la sua idea iniziale. -Chi è nel torto?- domandò, per stuzzicarli.

Cassandra la colpì con uno sguardo affilato, Cullen invece la accolse con un sorriso.

-La risposta è "io".- gli suggerì Lavellan, affiancandosi a lui. -O nella prossima discussione potrebbe portarsi dietro la spada.-

-Non esco mai senza.- la corresse Cassandra, pizzicandole giocosamente il mantello all'altezza del braccio.

Lavellan fece finta di risentire del colpo, massaggiandosi la parte lesa.
Cassandra minimizzò quella recita con un cenno sbrigativo, poi si accinse ad allontanarsi.

-Vado a tirare le orecchie a Sera.- disse, poco prima di scomparire nella notte.
Lavellan schioccò la lingua sul palato, seccata. -E io che già mi pregustavo uno spettacolo a base di belati di guerra e cornate.-

Cullen le diede una squadrata veloce. -Spiacente di non essere d'intrattenimento.- commentò.

-Qual era il problema?-

Cullen parve rifletterci, poi alzò la testa verso l'alto, indicandole la cornice del tetto dell'edificio alle sue spalle. Legato a una freccia, c'era un fazzoletto quadrangolare che garriva al vento come una bandiera.

Lavellan si passò la lingua sui denti, annuendo. -Ora capisco il perché della tirata d'orecchie.- disse. -Di chi è?-

-Mio. Mi sono rifiutato di sbloccarle un trabucco, dato che voleva caricarlo a torte.- spiegò Cullen, con una nota di fastidio nel tono di voce. -Ora mi toccherà recuperare una scala e...-

Osservò con tanto d'occhi Lavellan arrampicarsi senza fatica sul tetto, seguendola con lo sguardo mentre recuperava il fazzoletto e se lo assicurava alla cintura. Ancora prima che Cullen potesse articolare una frase di senso compiuto, lei atterrò con grazia poco distante a lui, porgendogli l'oggetto con aria soddisfatta. -Ecco fatto!- annunciò, per poi rivolgergli una riverenza giocosa.

Cullen scorse uno sguardo sorpreso su di lei, poi soffiò una risata. -Considerami colpito.- fece, avvolgendosi il fazzoletto sulla mano per evitare che il vento lo portasse via.

Lavellan si strinse nelle spalle. -Una roba da niente.- disse, prendendo a osservarlo con attenzione. Era palese che l'argomento della conversazione che stava avendo con Cassandra non verteva su una marachella, così come era palese che Cullen non avesse nessuna intenzione di aprirsi con lei a tal proposito. Decise quindi di lasciargli i suoi spazi e indietreggiò di un passo, per riprendere la via che stava percorrendo prima di incontrarlo.

-Buonanotte, allora.- lo salutò, rivolgendogli un bel sorriso.

-Buonanotte, Eminenza.- disse lui, poi provò a sforzarsi di ritornarle il sorriso, esibendo invece una smorfia contrita.

Lavellan risalì la scalinata che conduceva al capanno dello speziale velocemente, fermandosi giusto in cima. Sapeva che non avrebbe dovuto impicciarsi, ma la sua curiosità ebbe la meglio. Si voltò di scatto, cercando Cullen con lo sguardo e quando lo trovò, proprio dove l'aveva lasciato, attirò la sua attenzione agitando una mano. -Se mi dai cinque minuti, ti accompagno ai cancelli, che dici?- propose.

Lui non rispose subito, assumendo un'espressione dubbiosa nel rifletterci. Quando si fu deciso, le rivolse semplicemente un cenno d'assenso.

 

Dopo aver ricevuto un plauso e un rimprovero dallo speziale per aver esagerato con la quantità di materiale raccolto, Lavellan uscì dall'edificio con aria soddisfatta.

Trovò Cullen ad aspettarla giusto in mezzo alla piazzetta, che si scaldava le mani sul fuoco assieme a un messaggero di Leliana. Quest'ultimo gli stava leggendo ad alta voce il contenuto di una pergamena sulla quale Lavellan riconobbe immediatamente la scrittura di Harding.

-Dille che il Capitano Rylen farà rapporto direttamente a lei in mattinata.- gli rispose Cullen, in tono autoritario. -E rassicurala che, ora che gli squarci alla Palude Desolata sono chiusi, l'evacuazione dei superstiti dell'epidemia sarà un'operazione che ci distruggerà davvero poche risorse.- concluse, voltandosi verso Lavellan, che gli si era appena affiancata. -Ottimo lavoro laggiù, a proposito.-

Lei si strinse nel tabarro, elargendo un mezzo sorriso. -Una bazzecola.-

Il messaggero rivolse loro un breve inchino. -Comandante, Eminenza.- li congedò, per poi dileguarsi.

Lavellan non riuscì a trattenere una smorfia di sorpresa, che Cullen riuscì a intercettare all'ultimo secondo, prima che abbandonasse il suo viso. -Ser Rylen mi ha detto cos'è successo stamattina.- ammise, abbassando il tono di voce. -Avresti dovuto farlo presente in sede di consiglio.-

-A che pro? In sede di consiglio è necessario concentrarsi su problemi ben più gravi di un alterco.- disse lei, che avrebbe preferito combattere a mani nude un demone della Disperazione, piuttosto che affrontare un discorso del genere.

-Proteggere la tua dignità è altrettanto importante.- ribadì Cullen.

Lavellan sbuffò una risata tutto fuorché divertita. -Quel poco di rispetto che mi state dando deriva dalla mia utilità, non negarlo.- si passò una mano sulla gola, nervosamente. -Non posso farvi presente qualcosa a cui assistete regolarmente senza fare niente per porci rimedio. Così come io non posso accettare di avere un trattamento privilegiato solo perché mi sono trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato.-

Cullen prese un respiro profondo, stringendosi nel mantello. -Hai finito?-

Lavellan rilassò la postura, poi si ritrovò ad annuire.

-Sai bene che non era mia intenzione rimproverarti.-

-Lo so.- rispose Lavellan, distogliendo lo sguardo. -Non serviva chiarirlo.-

-Ne avevo bisogno.- esalò lui, chinando la testa. -Così come ho bisogno che tu sappia che puoi contare su di noi per qualsiasi cosa.- fece una pausa. -Puoi contare su di me per qualsiasi cosa.- si corresse, a mezza voce.

Lavellan si avvicinò di un passo al fuoco, realmente abbattuta. -Finché sono le persone esterne all'Inquisizione a farmi pesare le mie origini posso gestirlo, ma è straziante sapere che qui nessuno rispetta la mia persona quando non riescono a riconoscermi.- si voltò appena nella sua direzione. -Fenedhis lasa, lethallan! Non dovrebbero come minimo darmi il buongiorno, dato che sto per chiudere una dannatissima voragine celeste con la sola imposizione delle mani?-

Lui diede un cenno di diniego secco. -A quanto pare no. Ma sta' tranquilla che lo capiranno, a forza di doppi turni e pulizie intensive.- le rispose.

-Mi sembrava di averti detto che odio le punizioni.- disse lei, con una punta di rimprovero nel tono di voce.

-Non sono punizioni, sono provvedimenti disciplinari.- la corresse. -Quando qualcuno sotto la mia responsabilità sbaglia in maniera così patetica, lo ritengo un fallimento personale.-

-Si ma facendo così tu agisci per conto mio. Non sei un mio scagnozzo!- protestò Lavellan, voltandosi direttamente nella sua direzione.

Si voltò anche lui, con aria severa. -Allora affrontali.-

-Non posso!-

-Perché? Lo fai continuamente quando sei in missione!-

-Qui è diverso.-

-In che modo, di grazia?-

-Perché adesso che ho lasciato il mio clan, è questa la mia famiglia ed è mio dovere proteggerla. Anche a costo di rimetterci.- gli suggerì lei, al limite della pazienza.

-Noi quattro siamo famiglia.- la corresse lui, indicandosi. -E quando ti offendono, offendono indirettamente anche noi. Se tu non vuoi fare niente al riguardo, continuando a evitare lo scontro piuttosto che dare una lezione a chi se lo merita, siamo noi che dobbiamo porci rimedio.-

-Hai finito?-

-Ho finito.-

Si scambiarono un'occhiata lunga e intensa, poi rilassarono la postura all'unisono.

Rimasero in silenzio, a scaldarsi davanti al fuoco, finché lei non ne poté più ed esalò uno sbuffo seccato. -Parliamo di lavoro, per favore?-

Istintivamente, Cullen fece per passarle una mano attorno alle spalle con l’obiettivo di confortarla, ma si rese conto immediatamente delle implicazioni di quel gesto, cambiando direzione all’ultimo istante. Infatti, ritrasse immediatamente le dita, racchiudendole sul palmo per qualche istante, poi le posò sulla spalla che gli era più vicina, con delicatezza.

-Volentieri.- rispose, dolcemente, conducendola verso i cancelli.

 

*

 

-Su con quella schiena!-

Lavellan fece immediatamente come le era stato detto, perché era lo scotto da pagare quando era nei paraggi di madame Vivienne.

Seduto su una poltrona morbida e circondato da libri più grossi di lui, Dorian le rivolse un sorriso malizioso. -Dovresti metterle qualcosa in equilibrio in testa. Con me ha funzionato.- suggerì a Vivienne, solleticandosi il mento con la piuma della penna che stava utilizzando.

-Ma tu da che parte stai?- si lamentò Lavellan.

Quest'ultima si era offerta di aiutare i due a catalogare una collezione di libri donati all'Inquisizione dal seguito della Grande Incantatrice Fiona. Si trattava di un compito lungo e ingrato, ma a lei non dispiaceva, dato che si trattava di un'ottima occasione per curiosare su generi di letteratura con i quali entrava raramente in contatto.

Infatti, i tre avevano passato la mattinata intera a stilare l'inventario dei titoli, facendo un'unica pausa per il pranzo e alternando dialoghi volti al completamento dell'incarico a bisticci veri e propri legati alla natura caratteriale dei due Maghi.

-Sua Eminenza non ha bisogno di esercizi di equilibrio, ma di un tutore.- disse Vivienne, sfogliando distrattamente un manuale di evocazioni per apprendisti.

Dorian singhiozzò una risata. -Vorresti davvero imporle un tutore? Sottile com'è, è capace che scompaia.-

-Proprio perché è sottile come un foglio di lato è necessario che mantenga una postura sempre corretta.-

Lavellan roteò lo sguardo. -Potete evitare di parlare di me come se non ci fossi?-

Vivienne si voltò nella sua direzione per squadrarla da capo a piedi. -Mia cara, se vuoi controllare una conversazione, devi avere i mezzi per farlo e adesso, mi dispiace dirlo, ma sei totalmente disarmata.- fece una pausa. -Sei una donna intelligente e curata, ti manca solo di sfruttare un po' di quella grinta che dimostri in combattimento per situazioni meno sanguinolente.- chiuse il libro, per riporlo in uno scaffale di fronte a sé. -Non sottovalutare mai il potere di un sorriso suadente e di un bel portamento.-

Dorian sospirò teatralmente. -Mi sembra di sentire parlare mia madre.- commentò. -"Il tuo valore verrà sempre riconosciuto per come ti poni, non per come sei realmente."-

-Tua madre è una donna astuta.-

-Mia madre è una megera.-

-Farò finta di non aver colto l'offesa.-

-Posso ripeterla, così da permetterti di rivolgermi una di quelle occhiate cariche d'indignazione che ti danno tanta soddisfazione.-

Lavellan trattenne a stento un sorriso, mentre tornava a riordinare i tomi ai piedi di Dorian. -Non penso che una postura corretta sia abbastanza per convincere i nobili che non sono solo un marchio divino attaccato a un paio di orecchie a punta.-

-Mi sembrava una cosa ovvia.- disse Vivienne, con un certo disappunto. -Così come mi sembrava altrettanto ovvio che i miei suggerimenti non fossero volti a cambiarti intimamente, ma a modificare il tuo atteggiamento in base alle sfide sociali che ti vengono proposte.- fece una pausa, per depennare una voce da una lista. -Questo mi dimostra che stai sottovalutando l'importanza che hai in un'organizzazione come questa. Dovresti renderti conto che, in questo momento storico, la tua voce è molto più rumorosa di quelle dei tuoi colleghi.-

-Ed è tutto dire, dato che l'ugola delicata di Cassandra riuscirebbe a fare uscire un orso dal letargo.- commentò Dorian, alzandosi per controllare la lista a sua volta.

-Che tu sia credente o meno, mia cara, i pellegrini marciano da tutto il Thedas per vedere l'Araldo di Andraste. Sì, l'Araldo, non la Mano Destra della Divina.- proseguì Vivienne, ignorando in toto l'intervento del collega.

-Eppure continuano ad affidarmi i cappotti e a chiedermi di pulirgli la biancheria.- si lamentò Lavellan, sgranchendosi la schiena dopo aver spostato un tomo sulla trasfigurazione del cibo più grosso di lei.

Vivienne scrollò le spalle, in un atto di profonda frustrazione. -Perché ti stai comportando esattamente come non vuoi che ti percepiscano: come se fossi un marchio attaccato a un paio di orecchie a punta. Non sei più una cacciatrice, sei un'icona, agisci come tale.-

-E come agisce un'icona?-

-Esaltando ciò che la renderebbe tale e proiettandolo dovunque sia possibile.-

Dorian sospirò. -Quello che intende dire è che un diamante è solo un pezzo di pietra, se lo tieni chiuso in uno scrigno. Per farlo brillare, devi esporlo al sole con fierezza.-

-Una metafora molto pigra.- commentò Vivienne, voltandosi verso di lui con un sorriso macchiato di soddisfazione dipinto sulle labbra. Lui ricambiò, accettando quel complimento silenzioso.

-Non intendo creare più conflitti di quanti già ne abbia involontariamente provocati.- ammise Lavellan, con aria incerta. -Sono abituata a evitarli, a meno che il confronto non sia strettamente necessario.-

Vivienne si portò di fronte a lei, giungendo le mani di fronte al petto. -Non farlo più. I conflitti servono a chi guidi per conoscere il tuo valore.- spiegò, aprendo le dita nella sua direzione. -Usali a tuo vantaggio per definire la tua leadership.-

Lavellan inarcò un sopracciglio. -In che modo?-

-Quello devi capirlo tu, mia cara. Io non ti conosco profondamente, ma ho visto il modo in cui affronti le sfide che ti riserva il mondo esterno. Potresti essere tanto temuta quanto amata, se lo volessi.-

Lavellan scosse la testa, con convinzione. -I despoti si temono, madame e io non voglio lasciare un'impronta di quel tipo, nell'Inquisizione. Quello che chiedo è solo un briciolo di rispetto.-

-Allora smetti di nasconderti. Fatti vedere e sii onnipresente. Gli occhi di tutti devono gravitare verso di te quando entri nel loro campo visivo.- Vivienne fece una pausa, per voltare la testa verso Dorian. -Potremmo ovviare fin da subito a quest'ultima parte, a dire il vero. Che ne pensi, maestro Pavus?-

Lui esalò un lungo sospiro, poi prese a fissarla con aria stanca. -Penso che in questo periodo siano in voga le tinte naturali con un accento di colore. Le starebbe bene il rosso.-

-Allora gli accessori e le fibbie dovranno essere placcati in rame.-

-Acciaio, o silverite. Il rame puzza di povero. Vuoi aiutarla a diventare un'icona o farla sembrare una stalliera?-

-Oro vulcanico sia, allora. L’argento spegne i suoi colori.-

Lavellan passò uno sguardo confuso su entrambi. -Farò finta di aver capito di cosa state parlando.- borbottò. -Ancora.-

-Perfetto! Lavoro meglio quando ho carta bianca.- replicò Vivienne, raggiungendola per prenderla sottobraccio e condurla altrove.

Dorian si affrettò ad appoggiare il libro che stava trasportando e le raggiunse, prendendo Lavellan per l'altro braccio. -Esistono i parrucchieri, nel Ferelden, o sono rimasti allo sputo e al pettine d'osso?- domandò.

-Il fatto che tu me lo stia chiedendo è già di per sé una risposta.- replicò Vivienne, secca.

Lavellan emise un lungo lamento acuto a bocca chiusa, conscia di essersi infilata in una situazione senza via d'uscita.

 

*

 

La sala dove si raggruppavano i vertici dell'Inquisizione, nella sagrestia della cattedrale di Haven, era un locale contenuto, ingombro di libri e pergamene e privo di finestre, per evitare che le conversazioni potessero essere viste e ascoltate. Nonostante la chiusura ermetica della stanza garantisse un bel tepore a chi partecipava alle riunioni, era purtroppo diventata un concentrato di odori forti e disperazione, dato che il grasso del candelabro che pendeva dal soffitto e i fumi dell'incenso sostenevano conversazioni sempre più accese sulla situazione in corso.

Lavellan era entrata nella sala nel bel mezzo di un litigio, reggendo un plico di pergamene dall'aria vissuta.

-Non possiamo dedicare tutte le finanze solo per supportare le spie e i mercanti!- diceva Cullen, indicando con veemenza un rapporto recente dell'esploratrice Harding sul tavolo. -Dovremmo iniziare a investire sui soldati. Siamo a corto di Templari. I pochi che abbiamo sono stremati e c'è carenza di lyrium. È vitale che inviamo i messaggeri in direzione dei Liberi Confini a richiedere diverse unità, dato che nel Ferelden i pochi che non sono rimasti fedeli all'Ordine o sono già qui, oppure si sono dati alla macchia.-

-Vista la situazione nei Circoli, a nord, dubito che i signori delle città importanti si arrischieranno a mandare qualcuno.- intervenne Cassandra, altrettanto irritata.

-La Grande Incantatrice ci ha assicurato che sono attrezzati per ogni evenienza.- tagliò corto Leliana, incrociando le braccia sul petto. -I Maghi sono perfettamente in grado di autogestirsi.-

Nel frattempo, Lavellan si era portata al fianco di Cassandra, appoggiando il plico sul tavolo.

-Garantirci una rotta commerciale sicura è altrettanto importante.- affermò Josephine, lanciando un'occhiata approfondita alla nuova arrivata. -Gran parte delle merci che ordiniamo dal Ferelden arrivano danneggiate e il cibo è marcio.-

-Sono merci di lusso, non risorse.- la corresse Cullen, piccato. -Le bolle di carico sono imbarazzanti. Cosa ce ne facciamo di venti chili di velluto quando non abbiamo abbastanza lana per rinforzare le tende dei profughi?-

-I tessuti si misurano per lunghezza, non per peso.- lo corresse Leliana.
-Le nostre truppe hanno bisogno di divise adeguate.- replicò Josephine. -Il velluto è un tessuto impermeabile e si pulisce facilmente. Sarà più facile che siano ordinati nel caso di un'occasione importante.-

Cullen spalancò gli occhi su un'espressione allibita, mentre Lavellan si sporgeva per raccogliere il rapporto. Lesse della possibilità di ricavare una via di comodo che congiungeva la Palude Desolata a un percorso sulle Montagne Gelide, limitrofo ad Haven e capì immediatamente il motivo per cui i suoi colleghi non riuscivano a trovare un accordo.

-Si disintegra dopo due stoccate e non protegge minimamente dalle intemperie!- sbottò Cullen, che si era impuntato sul velluto, facendone una vera e propria questione d'onore. -Certo, è più carino e presentabile del cuoio, ma è uno spreco di...-

-La strada di comodo sarà destinata agli esploratori e alle spie.- decretò Lavellan, continuando a scorrere lo sguardo sul rapporto di Harding. -È necessario che abbiano una maniera veloce e sicura per trasmetterci le informazioni. Senza di esse, i soldati sarebbero ciechi e intempestivi e i mercanti a rischio di brigantaggio.- fece una pausa, notando con piacere che i suoi colleghi le avevano ceduto completamente la parola, cosa che succedeva raramente mentre erano coinvolti in discussioni accese. -Useremo il velluto in eccesso per rivestire l'interno dell'infermeria e dei ritrovi. È ottimo per bloccare gli spifferi e abbastanza resistente da permetterci di superare l'inverno senza contrarre malattie derivate dal freddo.- appoggiò il rapporto su un angolo del tavolo e recuperò il plico. -Ho discusso con madame Vivienne, in questi giorni. L'ho messa in grado di coordinarsi con diversi Incantatori e Alti-Comandanti dell'Orlais, già in contatto con lei, in modo che possano inviare all'Inquisizione personale specializzato, tra educatori e Templari.- spostò un foglio di pergamena in direzione di Cullen. -So che non sono numeri altissimi, ma possono permettere al Capitano Rylen di tirare un po' il fiato.- aggiunse, mentre lui recuperava il documento per leggerlo.

-Prima di andarmene da Redcliffe, il caporale Vale mi ha garantito il supporto di nuove reclute.- continuò Lavellan, approfittando della mancanza di interattività prima che qualcuno potesse rubarle la parola. -I profughi sono stati ridistribuiti tra il Crocevia e la Torre della Guardia Invernale, in modo da poter ricevere assistenza immediata su più fronti e, allo stesso tempo, rendere più tempestivo l'intervento delle truppe che abbiamo sul territorio. Inoltre, abbiamo ripulito la strada dell'est dai banditi.-

-E dal drago.- aggiunse Cassandra, rivolgendo a Lavellan un'occhiata eloquente. -La strada è sgombera per permettere ai nostri una tratta commerciale sicura.- confermò.
Josephine rivolse un sorriso macchiato d'orgoglio a entrambe, poi si affrettò ad appuntarsi qualcosa sul leggio che teneva stretto tra le dita. -Ottimo! In questo modo, il lyrium arriverà più velocemente.-

Lavellan recuperò l'ultimo foglio dal plico, costituito da una serie di note. Si prese una pausa doverosa, prima di esporre quel punto, dato che le stava particolarmente a cuore. -Ho contattato diversi clan, garantendo loro protezione in cambio di erbe medicinali per la nostra infermeria e interventi rapidi sulle aree colpite dagli squarci che, al momento, non possiamo raggiungere. Inoltre, ho richiesto l'arrivo di diversi cacciatori che ci aiuteranno a sfruttare le risorse locali per evitare di farci spedire il cibo, dato che nella vallata è pieno di druffali e ungulati. Non è carne pregiata, ma almeno i soldati e i profughi saranno ben nutriti e non saremo costretti a buttare via casse intere di cibo.- spostò lo sguardo verso Cullen. -La pelle di druffalo è difficile da conciare, ma può essere usata per costruire armature leggere molto resistenti.-

Cullen, che sembrava essersi calmato, si passò una mano dietro al collo, per sgranchirselo. -I cacciatori locali saranno contenti di avere un aiuto in più.- disse, rilassando finalmente i lineamenti.

Cassandra inclinò appena il capo, osservando Lavellan con aria attenta. -Pensavo che non volessi coinvolgere la tua gente negli affari dell'Inquisizione.- intervenne, con una punta di sorpresa nel tono di voce.

Lavellan radunò i fogli per impilarli sotto alla pergamena dell'ordine del giorno, poi esalò un sospiro sommesso. -Puoi darmi torto?-

-No.- rispose Leliana, al posto della collega, rivolgendole un sorriso composto. -Non dev'essere stato facile convincerli.-

-Non si aspettano un tappeto rosso, quello è certo.- ammise Lavellan, ricambiando il sorriso. -Ma so di essere in grado di tenerli al sicuro.- fece una breve pausa. -E che posso contare su di voi per qualsiasi cosa.- aggiunse, raccogliendo le mani dietro la schiena.

-Ovviamente.- si affrettò a dire Cassandra, appoggiandole una mano sulla spalla.

Cullen non riuscì a trattenere un sorriso macchiato di soddisfazione, mentre recuperava i fogli dal tavolo per riporli altrove.

 

*

 

-Insomma, accogliere madame Vivienne nelle file dell'Inquisizione è stata un'ottima decisione.- commentò Josephine, intercettando Lavellan che, dopo essersi consultata con madre Giselle, stava percorrendo la navata orientale della cattedrale, diretta verso l'uscita.

Si scambiarono un cenno di saluto.

-Hai sistemato i capelli in maniera deliziosa.- tornò a dire Josephine, osservando la sua interlocutrice con un sorriso raggiante. -Mi sembrava inappropriato farlo notare durante la scorsa riunione, ma mi fa davvero piacere che tu abbia deciso di sperimentare uno stile diverso.-

-Come direbbe madame Vivienne: "è consono e più affine a una personalità come la mia".- disse Lavellan.

Josephine inarcò un sopracciglio. -Non ti vedo troppo convinta.-

-Non è qualcosa a cui sono abituata, Ambasciatrice. Tutto qui.- ammise Lavellan, facendo scivolare lo sguardo sulla navata centrale, dove Madre Giselle si apprestava a condurre una lettura solenne del Canto della Luce. Individuò Cullen, che l'ascoltava con aria assorta, a capo chino, e si chiese quanto tempo sarebbe passato prima che un messaggero lo interrompesse. -Non mi sto lamentando, non mi fraintendere. Fortunatamente, non è difficile adattarsi a un po’ di completi nuovi e a un'acconciatura diversa.-

-Molte donne la pensano diversamente.- dichiarò Josephine, per poi sporgersi nella sua direzione e coprirsi la bocca con le dita. -Per non parlare degli uomini.- aggiunse, a voce bassa.

Lavellan le rivolse un'espressione divertita. -Sono una persona pratica. Se questo mi aiuterà a far passare meglio il messaggio, non vedo perché non sfruttarlo.- ammise.

Josephine le raddrizzò il colletto della giacca, affettuosamente. -Accetta il consiglio di un'antivana: non perdere tempo a cercare di raggiungere aspettative impossibili. Sii la versione migliore di te stessa, non ciò che gli altri ritengono consono, o adeguato.- le suggerì. -Il tuo impegno per la causa è abbastanza per definire il tipo di persona che sei, il resto è una cosa in più.-

Lavellan annuì, sollevata che una persona posata ed elegante come Josephine la vedesse in quel modo. Non erano opinioni in contrasto con quelle di Dorian e Vivienne, tutt'altro, ma erano altrettanto utili per una persona in difficoltà come Lavellan, che era costretta a fare del suo meglio in un ambiente ostile. In qualche modo, quell'intervento le diede un gran suggerimento su come approcciarsi alle sfide future.

-Se però avessi bisogno di un'opinione in più per questioni di abbigliamento...- Josephine la prese sottobraccio, abbassando drasticamente il tono di voce. -Io e Leliana avremmo davvero bisogno di una serata frivola tra donne.-

Lavellan ridacchiò. -Lo terrò presente.-

Si congedarono con un bel sorriso, poi Josephine si diresse verso l'abside della cattedrale e Lavellan si incamminò dalla parte opposta, finalmente verso l'esterno.

Nell'uscire, notò con la coda dell'occhio un drappello di esploratori, in coda per poter presentare a Cullen una serie infinita di messaggi e si ritrovò a ridere tra sé e sé, scuotendo la testa.

Quando però si rese conto che ad aspettarla fuori dalla chiesa c'era una fila di persone lunga il triplo, la giustizia che regolava le sfere celesti le spazzò via il sorriso dalla faccia.

 

*

 

-Hanno l'aria di essere comodi.- disse Sera, che giocava a spostare il ciuffo di Lavellan da una parte all'altra della sua testa, raccogliendolo di tanto in tanto in cima per passare le dita sulla rasatura che partiva dalle tempie e arrivava fin dietro alla nuca.

Lei, che era completamente esausta, la lasciava fare, rivolgendo sovente a Varric un'occhiata supplichevole affinché intervenisse, invano.

I tre sedevano sul muretto della fucina, a prendere una boccata d'aria prima che Lavellan fosse costretta a ritornare ai suoi doveri. Ormai, quello era diventato il loro punto di ritrovo quando avevano bisogno di passare un momento di leggerezza durante giornate fin troppo estenuanti e lo trattavano come se fosse di loro proprietà, scacciando chiunque volesse occuparlo al loro posto.

-Anche "colui che non nominiamo perché se siamo qui è anche colpa sua" li ha portati in quel modo per un certo periodo.- disse Varric, sporgendosi verso le ragazze con aria curiosa. -Poi si è reso conto che Hawke non l'avrebbe calcolato nemmeno se si fosse messo a camminare a quattro zampe, quindi ha smesso di provarci.-

Lavellan aggrottò la fronte, inclinando la testa in risposta a un gesto brusco di Sera. -Ecco, a proposito dei tuoi amici controversi, spero che non mi descriverai mai come hai descritto loro nell'Epopea. Soprattutto i due Elfi.-

Varric si strinse nelle spalle. -Troppo tardi, Manina. Ho già trovato venti diversi sinonimi di "nevrotica" da sfruttare.-

Sera grugnì una risata. -Trovane altri venti per "inquietante", anzi quaranta! Ti ricordi quando ha spiegato a quel contadino come i boia orlesiani disponevano delle teste nell'Era Benedetta?-

Il viso di Varric si contrasse in una smorfia di fastidio. -Ed ecco che anche stasera mi ritrovo a saltare la cena.- dichiarò.

-È cultura generale!- protestò Lavellan. -Che ne sapevo che quell'infame avrebbe vomitato sugli stivali di Cassandra?-

Varric recuperò un blocchetto dalla tasca per prendere un appunto veloce. -"...gnito di disappro-va-zio-ne".- ripeté a mezza voce, per poi rigirarsi il carboncino tra le dita. -Non è cultura generale, Manina. Cultura generale è sapere le capitali dei regni del Thedas, non i metodi di imbalsamazione preferiti dei Mortalitasi.-

-Per essere precisi, i Mortalitasi non imbalsamano i...- fece per precisare Lavellan, ma Sera la interruppe con un -Nevrotica.-, spostandole il ciuffo per coprirle il viso.

Varric ridacchiò, per poi spostare lo sguardo verso il campo d'allenamento. -Ma che accidenti succede laggiù?-

Lavellan strinse lo sguardo, altrettanto incuriosita. -Me lo stavo chiedendo anch'io, onestamente.-

-Magari il Ricciolino ha avuto un esaurimento nervoso.- ipotizzò Varric.

-O è in piena crisi di mezza età.- propose Sera, attirando su di sé due sguardi poco convinti.

Dopo essere scivolata giù dal muretto con un balzo, Lavellan si raddrizzò il tabarro, poi fece un cenno di attesa ai due. -Vado a controllare.- disse, muovendosi verso est.

Varric esitò giusto un istante, poi fece altrettanto, affrettandosi a raggiungerla. -Questa non me la voglio perdere.- disse.

Sera li osservò a lungo, indecisa se unirsi al gruppo o continuare a farsi i fatti suoi. -Penso che riempirò i vostri materassi di pesce marcio.- annunciò, infine, schioccando le dita in aria con un gesto secco.

 

Il campo d'allenamento era stato completamente rivoluzionato,

L'attrezzatura e i manichini erano stati spostati per fare posto a un rettangolo esteso, segnato agli angoli con sacchi di sale e sui lati da una fila di sassi di dimensione variabile. Diversi ufficiali, Rylen compreso, erano al suo interno, in tenuta d'allenamento. Fuori da esso, invece, c’era un buon numero di soldati che incitavano a gran voce l’inizio di un evento.

Lavellan scorse uno sguardo interessato sui paraggi e, una volta individuato Cullen, lo raggiunse per chiedergli spiegazioni. Lui era in piedi, a braccia conserte, giusto al di sopra del lato più corto del rettangolo e teneva un piede appoggiato su un sasso, osservando con aria severa i suoi ufficiali, mentre la folla lo supplicava di darsi una mossa.

-Che succede?- gli domandò Lavellan, affiancandosi a lui.

Cullen voltò appena il capo nella sua direzione. -Giochiamo.- rispose, semplicemente.

Lei inarcò un sopracciglio. -Sei il suo gemello buono, o quello cattivo?- scherzò, con una punta di sorpresa nel tono di voce.

Lui esalò una risata sommessa, poi si girò direttamente verso di lei. -È una cosa che facevamo al Circolo, regolarmente. Dato che di solito sono gli ufficiali a mettere sotto i soldati, oggi sono loro a faticare. Fa bene al lavoro di squadra e umanizza la catena di comando.- fece una pausa, abbassando il tono di voce per evitare che gli gli stava attorno potesse sentirlo. -All'epoca, era anche un modo per dimostrare ai soldati che gli ufficiali erano stati scelti per merito, non per lotteria.-

-Mi sembrava che ci fosse qualcosa di terribilmente educativo sotto! Per un attimo ho pensato che fossi uscito di senno.- lo punzecchiò Lavellan, facendogli alzare gli occhi al cielo. -Perché hanno un fazzoletto infilato nei pantaloni?- tornò alla carica, inclinando la testa nel notare sempre più dettagli bizzarri. -E, molto più importante: cosa mangiate per essere tutti così...- palpò lo spazio di fronte a sé, davvero colpita.

-È l'aria di montagna.- replicò lui, che aveva preso a osservarla con interesse crescente. -Già che ci sei, ti andrebbe di assistermi?-

Lavellan guardò lui, poi il rettangolo. -Cosa vorresti che facessi?-

-Signori, un istante di attenzione, prego!- gridò lui, facendola sobbalzare. Un gran numero di soldati si radunò attorno al perimetro, assieme a quelli già presenti, mentre gli ufficiali si portavano di fronte al loro comandante.

Rylen esalò uno sbadiglio rumoroso, poi schioccò la lingua sul palato. -Scusa, signore. Vorrei trovarmi da tutt'altra parte.- ammise, tranquillamente.

Cullen si limitò a fulminarlo con un'occhiataccia, evitando di dargli corda. -Siamo fortunati.- annunciò. -Oggi l'Araldo di Andraste ci farà l'onore di assistere ai giochi.- indicò Lavellan, che sollevò velocemente una mano in segno di saluto, con aria allegra. -Ehilà!-

Rylen le rivolse un cenno col capo, mentre gli altri ufficiali le rivolgevano un saluto composto.
-Dato che non conosce le regole, mi appresterò quindi a rinfrescarle per lei, in modo che possa assistermi adeguatamente.- proseguì Cullen, giungendo le mani sull'impugnatura della spada nel raddrizzare la postura. -È un gioco a eliminazione e, solitamente, si partecipa a coppie. L'obiettivo finale è quello di rubare i fazzoletti delle squadre avversarie. Se un componente della squadra viene eliminato, l'altro giocatore continua comunque a partecipare alla partita.-

-E cosa c'è in palio?- domandò Lavellan, passando uno sguardo incuriosito sui partecipanti.

-Conoscendolo, una pacca sulla spalla.- replicò Rylen, osservando il suo superiore in comando con rassegnazione.

-Una cena a spese mie in una taverna di Redcliffe.- lo corresse Cullen.

-La Lanterna, o la taverna di Lloyd?- domandò una giovane donna dai capelli biondo cenere con i gradi di tenente che Lavellan riconobbe perché aveva reclutato personalmente, nelle Terre Centrali.

-In ogni caso, è una pacca sulla spalla.- protestò Rylen.

-Alziamo il tiro.- propose Lavellan, attirando l'attenzione su di sé. Cullen studiò il suo viso approfonditamente, poi curvò gli angoli delle labbra in un sorriso intrigato. -Sono tutto orecchie.-

Lavellan dovette rifletterci poco, allargando sul viso un ghigno sempre più malizioso mano a mano che il tempo scorreva. -Allora porgimene una.- disse, poi si sollevò sulle punte, raggiungendo il suo orecchio per comunicargli la sua idea.

Dopo averla ascoltata, lui ammiccò, sorpreso. -Ah!- esclamò, colpito. -Pensavo peggio.- ammise, dopo che si fu allontanata di un passo.

Chiunque fosse nei paraggi allungò la testa nella loro direzione, in attesa. -Allora?- domandò Rylen.

Cullen si schiarì la voce. -D'accordo. Oggi giocheremo in maniera diversa. Le regole rimangono, a parte che giocherete singolarmente. Tutto è concesso, tranne i colpi sotto alla cintola; chi esce dal perimetro è fuori e avete a disposizione due pause e due ammonizioni a testa.-

La tenente sollevò le sopracciglia, perplessa, mentre Rylen prendeva a ridacchiare sommessamente, avendo capito dove il suo superiore in comando voleva andare a parare con quelle modifiche.

Lavellan infatti entrò nel perimetro, indossando un'espressione eccessivamente allegra.

-Oh, no.- gemette un veterano, attirando l'attenzione su di sé. Dalla folla di soldati fuoriuscì una cacofonia di commenti, dall’esultante al perplesso. Chiunque, però, dovette convenire che quella novità aveva appena dato più spessore al gioco.

-Il primo che le prende il fazzoletto ha due giornate intere di irreperibilità.- proseguì Cullen, rifilando a Lavellan un pezzo di stoffa, lo stesso che lei gli aveva recuperato il giorno prima. -Nel senso che ci dimenticheremo della vostra esistenza persino nel caso in cui, cito: "un drago a tre teste attaccasse Haven a bordo di una nave volante condotta da demoni della Superbia".- fece una pausa. -Domande?-

Rylen alzò la mano. -Puta caso che uno volesse, che ne so, andare alle terme. Le spese sarebbero a carico nostro, o...?-

-E se uno volesse ritirarsi?- domandò il veterano scontento, indicando Lavellan.

-Andiamo, siamo in dieci contro uno. Sarà una passeggiata!- intervenne una chevalière che si stava sgranchendo le braccia.

-Una maratona, vorrai dire.- soggiunse la giovane tenente che aveva posto la primissima domanda.

-Seriamente, devo pagarmele da solo le terme o c'è la possibilità che me le offra...?-

-Perfetto, nessuna domanda. Possiamo iniziare!- affermò Cullen, battendo un paio di volte le mani. -Pronti?-

Lavellan si sfilò velocemente il tabarro, gettandolo a bordo pista, poi indietreggiò di un passo, carica come una molla. -Pronto a perdere, Comandante?-

-Via!- la interruppe lui. Osservò Lavellan fare un paio di saltelli sul posto, quindi assunse immediatamente un'espressione soddisfatta, notando che solo due dei dieci ufficiali riuscivano effettivamente a starle dietro mentre correva da una parte all'altra del rettangolo, come se la cosa non le costasse fatica.

Varric si avvicinò a lui giusto dopo un paio di minuti dall'inizio, sfregandosi le mani con aria divertita. -Chi tiene le scommesse?- domandò, mentre Lavellan falciava a gamba tesa il veterano e gli rubava il fazzoletto.

-Ammonizione!- gridarono diversi soldati, in un’eco di disapprovazione.

-Concessa.- rispose Cullen, attirandosi un’occhiataccia sia da parte del veterano, che sarebbe dovuto rientrare in campo, che da parte di Lavellan, alla quale però non ci volle molto per riprendersi il trofeo.

Varric ridacchiò. -Allora, queste scommesse?- tornò alla carica.

-Sono l'autorità qui, non ne ho la minima idea.- replicò Cullen, indicandogli con un cenno del capo un gruppetto di soldati dall'altro capo del rettangolo. -E, già che ci sei, punta dieci pezzi d'argento su una finale a due tra lei e Rylen.- aggiunse, sollevando le sopracciglia dalla sorpresa in risposta a una schivata impossibile del suo secondo. -Quell'uomo tradirebbe sua madre per un soggiorno alle terme.-

-Devo anticiparli io, suppongo.- disse Varric, sobbalzando in risposta a una brusca caduta della chevalière, che dalla faccia sembrava volersi rimangiare il commento che aveva espresso in precedenza sulla facilità del gioco.

-Te l'ho detto, io non ho niente a che vedere con questi passatempi.-

Varric passò uno sguardo poco convinto su di lui, poi si affrettò a dirigersi nel punto indicato, afferrando la borsa dei soldi con un gesto brusco.

In meno di dieci minuti erano stati eliminati quattro ufficiali e Lavellan non sembrava provare il minimo senso di fatica. Il pubblico era diviso tra chi voleva che fallisse miseramente e chi non vedeva l'ora di vedere i propri superiori cadere a gambe all'aria dopo l'ennesimo volteggio dell'Araldo di Andraste.

-Domani mi sveglierò con un polmone in più.- gemette la chevalière, che aveva approfittato della sua pausa per consultarsi con Cullen, alla ricerca di una strategia. Era piegata in due, cercando di riprendere fiato, ignorando i suoi sottoposti che le chiedevano a gran voce di rientrare.

-Sei tu che hai detto che sarebbe stata una passeggiata, o sbaglio?- la punzecchiò lui, mentre Harding le porgeva un asciugamano.

-Oue, mais je savais pas qu'elle fois une sauterelle!- sbottò lei, indicando Lavellan con un cenno brusco del braccio. Quella era appena sgusciata via da una presa, attutendo la caduta con una capriola che completò dandosi la spinta per atterrare il quinto ufficiale e rubargli il fazzoletto. -On est foutu, mon commandant! Ci sta facendo sembrare degli idioti!-

-Perché lo siete. Dovete agire in gruppo, non da soli.- la riprese Cullen, spingendola nuovamente dentro al rettangolo. -Ricordati cosa c'è in ballo.-

-Avrei tanto bisogno anch'io di una licenza.- intervenne Harding, raggiungendo Cullen con la delusione dipinta nello sguardo. -Cosa succederebbe, nel caso vincesse lei?-
Il suo interlocutore assunse subito una smorfia contrita. -Coraggio, Ser Rylen! Pensa alle terme.- incitò, a mezza voce.

Ma il suo secondo non aveva bisogno di grandi incoraggiamenti, perché si stava facendo valere in maniera eccezionale nel rettangolo. La sua strategia era quella di mantenere le distanze da Lavellan il più possibile, organizzando l'attacco e la difesa dei suoi sottoposti come se fossero effettivamente a caccia. La sua espressione si era mantenuta seria dall'inizio del gioco e nel suo viso si poteva leggere un gran senso di determinazione.

-Tranquillo, le terme non sono così speciali!- gli gridò dietro Lavellan, sventolando il sesto fazzoletto mentre la chevalière usciva dal rettangolo zoppicando. -Lo sapevi che i fereldiani permettono ai mabari di fare il bagno nelle stesse vasche che usano i loro padroni?- proseguì, facendo lo slalom tra gli ufficiali per evitare una concatenazione di prese. -Vuoi davvero puzzare come un cane bagnato per due giorni consecutivi?- assestò un calcio sullo stomaco a un avversario che aveva tutte le intenzioni di colpirla con un pugno per stordirla, poi fece un giro di campo, per visualizzare la situazione complessivamente.

Rylen la schivò appena in tempo per evitare che gli rubasse il fazzoletto, mancando di poco il suo braccio per eseguire una presa efficace. -Non osare rovinarmi le terme, Emine'!- la rimproverò, posizionandosi in modo da poter studiare le sue mosse, per quanto imprevedibili apparissero.

-Non te le sto rovinando, ti dico le cose come stanno perché ci tengo! Non vorrei mai che restassi troppo deluso, quando ti eliminerò.-

I soldati nei suoi paraggi accolsero quella provocazione con un “Ooh” gutturale, approvando quello scambio con aria divertita.

-Se mi eliminerai.- la corresse lui, indicando ai suoi sottoposti di prendere posto in tre punti specifici, per intercettarla. -Ma non succederà mai.-

Lavellan frenò la sua corsa, per rivolgergli un'espressione intrigata. Si diede diversi secondi per esplorare il suo viso, poi scoppiò a ridere e alzò la mano. -Pausa per me!- gridò.

-Sia ringraziato il Creatore!- esclamò la giovane tenente, contenta quanto i suoi colleghi rimasti di poter riprendere fiato.

Seguita da un applauso contenuto, a rimarcare la validità della sua performance fino a quel momento, Lavellan trotterellò verso Harding, che le stava porgendo un asciugamano da bordo campo. Si pulì le mani velocemente, poi glielo ritornò, rivolgendole un sorriso.

Cullen passò uno sguardo veloce su di lei, poi spostò l'attenzione su Rylen, che gli si era appena portato di fronte alla ricerca di supporto morale. -Sto risparmiando le forze per quando inizierà a fare sul serio.- disse l'ultimo, dopo aver bevuto un sorso d'acqua.

-Ah, perché cos'ha fatto fino ad adesso?- domandò la chevalière, riprendendosi il bicchiere per sostituirlo con un asciugamano.

Harding rise. -Vuoi davvero che faccia sul serio? Hai sentito, Lav?-

Quest'ultima, che stava scaricando la tensione muscolare saltellando sul posto, rise a sua volta. -Pensavo fosse un gioco, non una sfida all'ultimo sangue.- rispose.

-Putain!- esclamò la chevalière, realmente impressionata.

-Anche a te e famiglia!-

Rylen scrollò le spalle, assumendo un'espressione contrita. Cullen gli appoggiò una mano sul braccio, stringendo saldamente la presa. -Se vinci, è tutto a spese mie.-

Il Capitano si riebbe immediatamente. Inarcò un sopracciglio, sporgendosi verso di lui. -"Tutto" tutto? Anche i souvenir?-

Cullen trattenne il fiato, esalandolo sotto forma di un gemito rauco. -Anche i souvenir.- gli fece eco, per niente esaltato dall'idea.

Rylen passò un'occhiata sorpresa sul suo viso. -Il suo premio dev'essere particolarmente umiliante per te, se sei così disperato.-

-Nah! È solo un brontolone.- lo tranquillizzò Lavellan, seriamente divertita. Si sfilò gli stivali, sotto allo sguardo confuso dei presenti, poi si tolse la giacca e la consegnò ad Harding. -Va bene, allora. Facciamo sul serio.- affermò, scrollandosi il divertimento dal viso mentre si legava i capelli sulla nuca.

Fare sul serio, per lei, implicava l'eliminazione di due dei quattro ufficiali restanti nell'arco di trenta secondi e l'annichilimento del terzo, che aveva erroneamente tentato di placcarla durante un volteggio. Questo portò la folla a reagire istintivamente con grida di sorpresa, quasi all’unisono, nonostante le inclinazioni della tifoseria.

Senza gli stivali e senza la giacca a impedirle i movimenti, la sua agilità era aumentata, permettendole giri di campo più veloci e una padronanza del rettangolo assoluta.

Dal canto suo, Rylen aveva dalla sua un'esperienza tattica superiore e un'ottima attitudine a risolvere i problemi ancora prima che si presentassero. Manteneva la posizione come una torre, impedendole di sorprenderlo alle spalle e rendendo futili i suoi tentativi di coinvolgerlo in prese di sottomissione sempre più articolate.

Varric faceva ovviamente il tifo per Lavellan, indicandole i punti deboli del suo avversario nell'inseguirla da bordo campo, ma questo non faceva altro che aiutare Rylen a correggere il tiro.

Ebbero due collutazioni. Durante la prima, in cui lui riuscì in qualche modo a placcare Lavellan per buttarla a terra, lei trasse a sé metà del fazzoletto dell'avversario, senza però sfilarlo. Durante la seconda, invece, ci fu uno scambio di colpi talmente veloce in cui Rylen dovette ricorrere a tutta la sua destrezza pur di raggiungere la schiena della sua avversaria, fallendo nel tentativo.

Gli ufficiali che avevano ancora fiato contribuivano al tifo in maniera accorata, incitando entrambi i giocatori in maniera equa, proprio perché il risultato non era per niente scontato, ma anche perché Rylen aveva la pessima abitudine di essere orribilmente schietto e tendeva a metterli in difficoltà come minimo una volta al giorno.

Quella partita, in generale, fu una dimostrazione del valore inestimabile dell'Araldo di Andraste, che sapeva stare al gioco e, allo stesso tempo, era in grado di dominarlo. Era la riprova che era una donna capace e che non considerava l’idea di arrendersi e questo le fece guadagnare istantaneamente il rispetto di chi ancora non l’aveva vista all’opera.

Cullen osservava la situazione con una punta di nervosismo nello sguardo. Non potendo unirsi al tifo, si limitava a guardare i due fare di tutto pur di vincere, cercando di concentrarsi sullo scontro, piuttosto che sulle sue conseguenze. A dire il vero, sembrava morire dalla voglia di entrare lui stesso in campo, ma la sua neutralità glielo impediva.

Lavellan tirò su con il naso, sgranchendo la mascella dopo aver subito un colpo accidentale. Rylen approfittò di quel momento di pausa per indietreggiare e riprendere fiato. -Mi dispiace.- disse. -Fanno entrare davvero i cani nelle vasche?- domandò, mantenendo lo sguardo fisso su di lei.

Lavellan aumentò le distanze a sua volta, per prendere la rincorsa. -Tanto non ci andrai mai, fattene una ragione!- esclamò, scattando nella sua direzione.

Rylen, che era arrivato a ridosso del perimetro, l'attese finché non fu terribilmente vicina, scansandosi all'ultimo istante. La contromossa di Lavellan, che aveva intuito il suo piano, fu di piantare i piedi a ridosso dei sassi per darsi abbastanza spinta da raggiungerlo al volo e rovinare a terra assieme a lui.

Harding alzò un pugno verso il cielo. -Sapevo che non ci sarebbe cascata!- esclamò.

La chevalière esalò un rantolo insoddisfatto, facendo voltare appena Cullen.

-L'unico modo per eliminarmi è farmi uscire dal rettangolo, insomma!- commentò Lavellan, una volta che i due giocatori ebbero preso nuovamente le distanze. -Ecco spiegato perché stiamo fissi sul perimetro.-

Rylen partì alla carica, con tutte le intenzioni di confinarla in un angolo. -Ci sei arrivata tutta da sola, o hai usato il suggeritore?- la provocò, impedendole di passare per riprendere il centro del rettangolo, dov'era solita attaccare.

Lavellan gli fece cenno di avanzare, con aria divertita. -Mi risulta che il suggeritore abbia aiutato più te che me. Non mi serve l'aiuto di nessuno per batterti.-

Rylen sbuffò una risata. -Mi fa piacere sapere che ti sei stancata di lasciar fare a noi il lavoro sporco quando ti mancano di rispetto, Eminenza.- disse.

-Oh, sta' buono! Per merito della mia testardaggine le latrine non sono mai state così pulite!- scherzò lei, rivolgendogli un sorriso malizioso. -Vuoi farmi perdere la pazienza, Capitano? Sei così in difficoltà?-

Rylen ricambiò il sorriso. -Funziona?-

Lavellan gli rispose con un'occhiata eloquente. -Scordati le terme.- disse, mentre lui tentava un ultimo assalto.

Harding trattenne il fiato, Varric si chinò istintivamente e Cullen drizzò la schiena in risposta all'azione.

Rylen aprì gli occhi, ritrovandosi a incrociare lo sguardo di una buona parte dei suoi sottoposti, che lo fissavano con aria incredula.

Distesa al suo fianco, Lavellan esalò un gemito di disapprovazione che avrebbe fatto invidia a Cassandra, massaggiandosi la schiena per averla appena scontrata su un sasso particolarmente gibboso.

Si misero a sedere, realizzando di essere finiti entrambi fuori dal perimetro, con ancora i fazzoletti attaccati alla schiena.

I soldati esultarono comunque, congratulandosi con i due e applaudendo per quella performance che li aveva tenuti sulle spine fin dalle prime battute.

-Non ho capito, abbiamo vinto, pareggiato o abbiamo perso?- domandò Lavellan.

Ogni soldato aveva una risposta diversa da darle, quindi lei si voltò verso Rylen, che condivideva la sua stessa confusione.

-Una parità mi andrebbe bene, ma potremmo fare uno spareggio. Carta, forbici e sasso?- propose lui.

-Potreste continuare a darvele finché non c'è un vincitore certo.- suggerì una soldatessa, alle loro spalle.

I due contendenti si scambiarono un'occhiata d'intesa, quindi entrambi si mostrarono il pugno chiuso, bussando tre volte prima di scegliere una figura.

Varric e Harding diedero un grido di totale esultanza, mentre Lavellan avvolgeva il pugno di Rylen con aria divertita. Lui trasformò quel gesto in una stretta di mano, quindi si sfilò il fazzoletto e glielo consegnò, accettando la sconfitta con sportività.

Arrivarono a stento dal detentore del premio, nuotando tra la folla che si era raggruppata attorno a loro per complimentarsi a pieni polmoni. Essendo uno dei rari eventi d'intrattenimento per i soldati, che lavoravano incessantemente dalla mattina alla sera, nessuno dei due protestò troppo per il contatto fisico non richiesto, le infinite strette di mano e le tifoserie opposte che sostenevano che la vittoria in realtà fosse un pareggio.

Cullen li accolse con un'espressione soddisfatta, battendo un paio di volte la mano sulla schiena a Rylen, prima di stringere la mano alla vincitrice. -Un'ottima partita. Ser Camille?- si voltò verso la chevalière. -Te la sentiresti di liberare il campo e organizzare le prossime partite della giornata?-

Ser Camille si mise subito sull'attenti, con aria allegra. -Agli ordini!- esclamò. -Sua Eminenza, sarebbe così gentile da darmi la rivincita, in futuro?- aggiunse, rivolgendo a Lavellan un sorriso incerto.

-Come preferisci che te lo faccia, la prossima volta? A strisce o a fettine?- replicò lei, ridendo.

La chevalière le strizzò l'occhio, poi si allontanò per riportare ordine tra le truppe.

Cullen appoggiò il polso sull'impugnatura della spada, rivolgendosi a Rylen con aria solenne. -Nel caso avesse vinto, l'Araldo ha espresso il desiderio di darti un giorno di licenza e che ti vengano risarcite metà delle spese durante il tuo soggiorno alle terme di Halamshiral.- annunciò.

Rylen spalancò lo sguardo, poi afferrò la testa di Lavellan per scoccarle un bacio sulla tempia. -Anche meno, ma va bene.- commentò lei, tra gli applausi di lode di chi apprezzava la generosità.

-Tutto qui?- domandò Varric, deluso da quella pochezza.

Cullen strinse le labbra, poi sbuffò un sospiro secco dal naso. -No.- rispose, per poi allontanarsi.

Sotto allo sguardo confuso dei presenti e del ghigno di compiacimento di Lavellan, si diresse con calma verso il molo meridionale del lago. Raggiunse il suo terminare, attirando l'attenzione di un paio di abitanti di Haven che praticavano la pesca nel ghiaccio per affidare a uno di essi la sua spada.

Si sfilò l'armatura, gli stivali, restando solo in maniche di camicia e pantaloni. Dopodiché prese un respiro profondo e si tuffò, accompagnato dagli applausi e dalle risate dei soldati.

Lavellan si inchinò profondamente, mentre una cacofonia di grida di giubilo e di ringraziamenti sentiti convergevano su di lei. Fu un momento di catarsi generale, poiché la severità di Cullen come comandante era seconda solo alla sua tendenza a pretendere una disciplina ferrea dai suoi sottoposti. Vederlo in difficoltà diede soddisfazione a molti, insomma.

Cullen riemerse dal lago, passandosi una mano sui capelli prima di mettersi a sedere sul ghiaccio e trascinarsi a riva per evitare di finire assiderato.

Harding lo raggiunse di corsa per avvolgerlo dentro un mantello, seguita a ruota da Rylen, che rideva come un ossesso mentre recuperava l'equipaggiamento del suo comandante dal molo.

-Prima che ti lamenti perché non ho seguito la tua richiesta alla lettera, ricordati che siamo in pieno inverno e fra un'ora dobbiamo decidere le sorti del Thedas.- borbottò Cullen, mentre Lavellan gli frizionava la schiena per fargli riprendere calore. -Cane di un Maferath, mi si sono gelati pure gli spazi tra le dita!-

-Su, su! Sii sportivo!- lo rimproverò Rylen, coprendogli la testa con un lembo del mantello e iniziando a sfregargli i capelli con vigore. Gettò un'occhiata divertita a Lavellan, accompagnata da un sorriso sornione. -Diamine, Eminenza, sei una birba! Tutto questo casino per un pezzo di pelle.-

Lavellan si strinse nelle spalle. -Ho fatto di peggio per molto meno.- ammise, ricambiando il sorriso. -Non era lui che voleva distrarre i soldati?-

-Non penso che intendesse farlo in questa maniera.-

Harding ridacchiò. -Molto altruista, Lavellan, molto altruista.- commentò, allungando una mano verso di lei per farsi dare il cinque.

-State parlando male di me?- bofonchiò Cullen, cercando di divincolarsi dalla presa del suo sottoposto. Harding gli porse gli stivali, ridendo. -No, signore, cosa glielo fa pensare? Parlavamo del tempo.-

Rylen alzò gli occhi al cielo. -Sì, c'è un'umidità pazzesca, ultimamente.- l'assecondò, spingendo il suo superiore a muoversi verso l'accampamento. -Vergognose.- sillabò, fingendo immediatamente noncuranza quando Cullen lo raggiunse con lo sguardo.

Lavellan e Harding li osservarono allontanarsi, seguiti dai fischi di canzonamento e dagli applausi dei soldati.

-Gli avevo dato due opzioni, a dire il vero.- ammise la prima, rigirandosi il fazzoletto tra le mani. -O tuffarsi nel lago nudo come un verme unicamente per darmi soddisfazione, oppure accontentare Rylen e dargli quella dannata licenza, dato che ero certa in una finale tra me e lui.- fece una pausa. -In realtà quella del lago non era nemmeno un'opzione, era un modo per spingerlo ad accontentare il Capitano.-

Harding esalò un lungo verso che trasudava tenerezza. -Quindi ce l'ha davvero un cuore, sotto quella scorza di fereldiano burbero!-

Lavellan osservò a lungo il fazzoletto, ringraziando mentalmente il suo proprietario per quell'ennesima mano tesa nei suoi confronti. Una volta che la sua mente ebbe finito di cullarsi nel calore di quel gesto, Lavellan sbuffò, sollevando le sopracciglia su un'espressione colpita. -E che scorza! Temo che mezza Haven dovrà farsi un bagno ghiacciato a sua volta, dopo questa.-

-Con mezza Haven intendi tu, immagino.-

Lavellan le rivolse un'occhiata che confermava in pieno quella teoria, poi si mosse a sua volta verso il campo d'addestramento, con il sorriso tra le labbra e lo spirito più leggero.

 

 

 

 

-Nota-

Anche se il razzismo non è il tema dominante, ma lo è la difficoltà di Lav di relazionarsi a un ambiente dal quale, per forza di cose, si è dovuta tenere alla larga per tutta la sua vita e che adesso deve trattare come se fosse la sua nuova casa… spero di non aver minimizzato o di aver trattato certe implicazioni con troppa leggerezza. Se il capitolo dovesse risultare inappropriato, non abbiate problemi a dirmelo e farò in modo di sistemare le cose.

Grazie mille per essere arrivati fin qui <3

Un abbraccio

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Capitolo 6
*** Tra lo Zest e la Polpa del Limone ***


CW: Razzismo

 

5 - Tra lo Zest e la Polpa del Limone

 

1. Vino a bollore, cannella arancia e noce moscata

Il consiglio si stava riunendo durante una tempesta di neve che faceva sentire la sua voce tramite l'ululato del vento e il costante rumore dei rami di pino che schiaffeggiavano la zona esterna all'abside della cattedrale.

Lo stato d'animo di due dei tre consiglieri presenti rispecchiava fedelmente l'austerità del tempo atmosferico. Difatti, il viso di Cassandra era contratto in una smorfia di fastidio e la fronte di Cullen era talmente aggrottata che si poteva tranquillamente contare ogni ruga che la solcava con precisione.

Josephine li osservava con una punta di curiosità nello sguardo, carezzandosi il labbro inferiore con il vertice di un pennino. Ormai si era abituata a trascorrere ore al fianco di quelle espressioni, ma di solito erano accompagnate da scontri verbali, quindi suppose che i due non fossero in contrasto, piuttosto era possibile che li accomunasse un pensiero che li metteva entrambi in difficoltà.

-Ho letto decine di trattati di filosofia dogmatica.- affermò Cassandra, tutto d'un tratto.

-Mi fa piacere.- replicò Josephine, rivolgendole un sorriso incerto.

Cassandra appoggiò le mani sui fianchi, in un gesto nervoso. -Stamattina, l'Araldo mi ha fatto leggere un estratto...-

-Aspetta un po'!- intervenne Cullen, interrompendola. -Iniziava per caso con l'autore del testo che mangiava un barattolo di vernice gialla a cucchiaiate?- domandò, con aria interessata.

Cassandra assunse immediatamente un'espressione sorpresa. -Sì, proprio quello. Tu ci hai capito qualcosa?-

-Assolutamente no!- rispose lui, per poi passarsi una mano sulla fronte dal sollievo. -Meno male! Credevo di essere diventato stupido.-

Josephine passò uno sguardo divertito dall'una all'altro. -Sareste così cortesi da farmi partecipe?- chiese loro.

Cullen annuì, ma fu Cassandra a rispondere. -Dicevo che stamattina l'Araldo mi ha fatto leggere un estratto di un manuale di alchimia che consulta spesso.- fece una pausa, per fare una precisazione. -Manuale di alchimia che se lo vedesse il Cancelliere gli verrebbe un infarto, per inciso.- lanciò quindi un'occhiata eloquente a Josephine. -Non ho idea di cosa parlasse. All'inizio, appunto, il narratore si ritrovava in una stanza sotterranea a mangiare vernice gialla, elucubrando su... cos'era?-

-Non guardare me.- si affrettò a dire Cullen, alzando le mani in segno di ferma. -Ho sentito distintamente rompersi qualcosa nel mio cervello, quando ho letto: “la condizione dello scisma del cristallo del vento è progenie imperfetta delle protuberanze del seme dell'aria”.-

Cassandra gli scoccò un'occhiata madida di frustrazione, prima di proseguire. -Il narratore poi sale di un piano, lecca da una tavolozza un residuo di vernice blu e inizia a parlare di come la vita tra i ghiacci delle terre bruciate sia stata la cosa più bella che gli sia capitata. Poi sale di nuovo, si reca al suo giaciglio e improvvisamente l'estratto finisce con lui che osserva “il mefitico verde dell'Oblio attraverso il metallo con la vergogna nel cuore ma l'anima leggera”.-

-Quale metallo?- gemette Cullen, aprendo le braccia in un gesto nervoso. -Perché è mefitico?-

-E cosa significa che la sua anima è leggera? Ha mangiato colori per tutto il tempo!- intervenne Cassandra, realmente in difficoltà. -Dobbiamo capire cosa vuol dire prima che arrivi. Fatti venire un'idea.-

-Non potete semplicemente farvelo spiegare da lei?- domandò Josephine.

-No.- le risposero gli altri due, all'unisono.

-Se ce l'ha fatto leggere, significa che ci ritiene due persone capaci di capirlo al volo.- elaborò Cullen. -Dev'essere qualcosa per forza più complesso di quello che sembra.-

Cassandra gli scoccò un'occhiata interessata. -A te cosa sembra?-

Cullen esitò. -Una cosa molto volgare che mi ha fatto ridere per mezz'ora.- ammise, spostando uno sguardo colpevole altrove. -Non penso valga la pena spiegarmi in quei termini di fronte a due signore.-

-Grazie, ma no grazie.- sbottò Cassandra. -Ora lo dici.-

Cullen si prese qualche istante per rielaborare, poi si schiarì la voce. -Lo dirò nella maniera più garbata possibile, ma sicuramente non è quello il significato dell'estratto.- fece. -Uno non può passare due pagine a trattare di filosofia teorica quando in realtà la storia riguarda svuotare lo stomaco dopo aver mangiato male.-

-Svuotare...- Cassandra gli rivolse un'occhiata tinta della più totale rassegnazione. -Per la Grazia di Andraste, Cullen! Non è decisamente quello!-

-E io che cosa ti avevo detto?- protestò lui, al limite della pazienza.

-Effettivamente, il blu e il giallo fanno il verde.- borbottò Josephine, abbassando lo sguardo sulla mappa tattica. -No, non penso che l'Araldo vi abbia fatto leggere qualcosa di intenzionalmente volgare. Non a voi due, almeno.-

Cassandra le indicò Cullen con il pollice. -Vorrei ricordarti che lui ha riso per mezzora di un uomo che fa la cacca.-

-Non ho riso di...- Cullen sbuffò, sonoramente. -Ridevo del contrasto tra il linguaggio eccessivamente forbito del narratore, così estremo da essere incomprensibile, e l'atto volgare in sé.-

Cassandra alzò gli occhi al cielo. -Posso fartelo leggere, Josephine? Sono sicura che riuscirai dove noi abbiamo fallito.- propose, recuperando un foglio da sotto a una pila di appunti per porgerglielo.

Josephine annuì, facendo il giro del tavolo per raggiungerla. Lesse attentamente l'estratto, una, due, tre volte e mano a mano che ripeteva la lettura assumeva un'espressione accigliata, simile a quella che indossavano i suoi colleghi da che si erano ritrovati in sede di consiglio.

-Scusatemi, ma non riesco a trovare un senso alle metafore del colore.- disse, manifestando la sua delusione nello sguardo. -Ora mi sento stupida anch'io.-

-O forse è l'Araldo a essere troppo intelligente per noi.- disse Cassandra, con aria sconfitta. -Per lui, soprattutto.- puntualizzò, indicando Cullen con un cenno del capo.

Josephine si sforzò di non dire nulla, ma dalla sua espressione era chiaro che condividesse in pieno l'ultima affermazione.

Cullen fece per replicare, stizzito, ma proprio in quel momento la porta della stanza si aprì. Lavellan e Leliana parlottavano attorno a un resoconto umido e reso illeggibile dalla neve in diversi punti. Entrambe avevano i vestiti completamente zuppi e il viso arrossato dal freddo.

Mentre si riscaldavano di fronte al caminetto, i tre si guardavano con aria tesa, alla ricerca di un modo per introdurre il problema anche a Leliana, che grazie alla sua astuzia avrebbe capito ciò che loro non avevano colto.

-Scusate il ritardo, è colpa della tempesta. Se non avessi chiesto al Toro di scortarci, saremmo volate via.- disse Lavellan, sfregandosi i capelli con un asciugamano di tela. Non sentendo risposta, si soffermò a guardare i presenti, uno a uno, assumendo un'espressione preoccupata.

-Che succede?- domandò Leliana, prendendo il suo posto al tavolo con in faccia la stessa confusione di Lavellan.

-Assolutamente niente.- rispose Josephine, mentre Lavellan si affiancava a Cassandra, che si sporse su di lei per aiutarla ad asciugarsi a modo. Approfittando del momento di distrazione, Cullen recuperò l'estratto prontamente e lo sovrappose a una cartellina per mimetizzarlo, poi lo passò direttamente a Leliana.

Josephine le fece immediatamente cenno di leggerlo, per poi posarsi l'indice sulla bocca, indicandole di mantenere il riserbo.

Leliana guardò l'uno, poi l'altra, con incertezza, poi si apprestò ad affrontare la lettura.

-Voi siete sospetti.- bofonchiò Lavellan, aggiustandosi i capelli dopo essere riemersa dalle brusche premure di Cassandra. -Volete dirmi cosa sta succedendo?-

Leliana alzò uno sguardo attonito su Josephine, poi tornò a leggere, aggrottando la fronte su un'espressione che era l'emblema della perplessità.

-Le Terre Centrali, eh?- intervenne Cullen, con tutta l'intenzione di sviare il discorso.

-Già. Ora che abbiamo messo in sicurezza la zona meridionale, possiamo affrontare la strada dell'est.- si aggiunse Cassandra.

-No, scusate, non ce la faccio.- ammise Leliana, mettendo fine al teatrino prendendo a sventolare il foglio di fronte al suo viso. -Dovete dirmi cos'è per forza, perché io non ho capito un accidente di niente di quello che c'è scritto qui sopra.-

Lavellan esalò un gemito di puro imbarazzo, coprendosi la bocca con entrambe le mani. Si voltò verso Cassandra, con aria di rimprovero. -Perché gliel'hai fatto leggere?-

Nella stanza scese un silenzio teso. Allora, Cassandra prese il coraggio a due mani e fece quello che i suoi colleghi si rifiutavano categoricamente di ammettere. -Perché nessuno di noi ci ha capito un accidente, Lav.- disse, evitando di guardarla negli occhi.

Quella risoluzione permise a Lavellan di scrollarsi di dosso l'imbarazzo. -Oh, meglio, allora! Era molto volgare.- disse, allegramente. -Strano, però che l'abbia capita solo Varric.-

-Varric?!- gemette Cassandra, sconvolta.

Cullen si schiarì la voce, con una strana aria di rivalsa nello sguardo. -Riguardava per caso un atto liberatorio dopo aver mangiato male?-

Lavellan tirò su con il naso in maniera secca, producendo un suono che somigliava pericolosamente a una risata. -Il giallo e il blu fanno il verde.- disse, cercando in tutti i modi di trattenersi dal ridere.

-Il giallo e il blu fanno il verde.- ripeté Cassandra, sempre più incredula.

-No, ma non è tanto quello che fa ridere.- spiegò Lavellan, sforzandosi di restare composta. -È...-

-Il contrasto tra il linguaggio forbito e l'atto volgare in sé.- concluse Cullen, al suo posto.

Lavellan si sporse verso di lui per afferrargli un braccio. -L'hai notato che tutte le lettere con cui iniziano i paragrafi formano la parola “cacca”?-

Cullen prese a ridere, isterico. -Diamine com'è bello aver ragione!- commentò, facendola ridere a sua volta.

Nel frattempo le altre tre non smettevano di essere basite, guardandosi tra loro come se fosse appena apparsa la Santa Andraste a benedirle con un coppino sulla nuca per ciascuna.

-Non è lei a essere troppo intelligente, siamo noi a non essere abbastanza scemi.- gemette Cassandra, per poi assumere immediatamente un'espressione intrisa di soddisfazione.

-Tranne lui.- aggiunse, indicando Cullen con un cenno del capo. Quello che se la rideva con Lavellan, rileggendo con lei i passaggi più buffi dell'estratto, non ci fece nemmeno caso.
 

2. Purea di pesca e vino bianco frizzante


-Non è possibile che tu mi debba contraddire ogni santa volta!- sbottò Leliana, diretta a Cullen.

Josephine scorse uno sguardo sconsolato sul tavolo delle operazioni, esausta da quell'ennesimo litigio. Senza Lavellan a oliare le frizioni tra loro, sdrammatizzando, ogni riunione diventava un cozzare di personalità forti, portando i leader dell'Inquisizione a uscire dalla sala del consiglio sempre con un gigantesco mal di testa.

Quella mattina, la discussione verteva sulla richiesta di un Bann di schierarsi con l'Inquisizione, permettendo a essa di sfruttare le sue ingenti risorse a patto che la sua branca diplomatica trovasse una maniera per affossare un proprietario terriero minore, suo rivale in una contesa pubblica.

-Non ti sto contraddicendo, sto ribadendo l'inutilità della situazione.- protestò Cullen, che dall'espressione del viso sembrava condividere la stessa stanchezza emotiva di Josephine. -Bann Olivier dovrebbe capire che in questo momento siamo tutto fuorché interessati a una stupidissima bagarre tra nobili.-

Leliana esalò un sospiro seccato, passandosi una mano sulla fronte in un gesto che denotava tutta la sua frustrazione. -Lo siamo, invece. Bann Olivier ha un certo peso politico a corte e noi abbiamo davvero bisogno di alleati.-

-Alleati interessati alla nostra causa, non ai nostri talenti nascosti.- precisò lui, spostando una mano a indicare l'uscita. -Le vedi anche tu le condizioni in cui versa il cielo, o ho le traveggole?-

Quell'intervento, se possibile, infastidì Leliana in maniera peggiore. -Certo che lo vedo, Comandante, ma quando il Varco sarà chiuso non potremo contare solo su noi stessi.- ribadì.

-Siamo un organismo neutrale, Leliana. Dovremmo restare fuori da questi giochi il più possibile.-

-Non siamo neutrali.- intervenne Josephine, cercando di imporsi come voce della ragione. -Siamo schierati con il popolo e, per farlo adeguatamente, dobbiamo far valere la nostra influenza in una varietà di ambienti in cui il popolo non è incluso, in modo da rappresentare i suoi interessi. I mezzi di Bann Olivier potrebbero fare la differenza per molte persone che noi siamo impossibilitati ad assistere per via del nostro impegno primario.-

Leliana diede un cenno d'assenso, poi si voltò verso Cullen. -Hai capito adesso?-

Cullen, che durante l'intervento di Josephine aveva rilassato appena i lineamenti, si irrigidì istantaneamente. -Era un concetto chiaro fin dall'inizio.- disse, indignato. -Non sono l'ultimo arrivato e non mi merito questa condiscendenza.-

-Se davvero avessi capito fin da subito, non mi staresti dando contro!- gemette Leliana, appoggiando le mani sul tavolo per sporgersi nella sua direzione.

-Ti do contro perché se oggi aiutassimo Bann Olivier, domani dovremmo assistere un altro nobile e dopodomani dovremmo screditare entrambi per ottenere i favori di un pesce più grosso.- elaborò Cullen, accigliato. -Non è un gioco a cui vale la pena partecipare.-

-Le cose funzionano così, Comandante. Non cambieranno da un giorno all'altro solo perché a te non va bene.-

Cullen fece un gran respiro profondo. -A me sta bene la diplomazia. Quello che non mi sta bene è dover mettere in previsione che saranno i miei uomini a farne le spese.- disse. -Si sono uniti a noi per cambiare le cose, non per venire schierati per il capriccio di qualcuno che...-

Fu nuovamente il turno di Leliana di indignarsi. -Ah, i tuoi uomini? Perché, secondo te a me provoca piacere inviare gli agenti in missioni senza vie d'uscita?-

-Non ho detto questo.-

-Era implicito.-

-Assolutamente no!-

Josephine si frappose ai due, onde evitare che la situazione degenerasse. -Esporremo la situazione a Cassandra e all'Araldo, in modo che anche loro possano trarre una valutazione opportuna.- decretò, smezzando uno sguardo intriso di determinazione su entrambi. -Saranno qui a breve, quindi vi consiglio di trattenere le vostre opinioni fino a quel momento.-

Leliana strinse le labbra per impedire a una replica di fuoriuscire, Cullen fece egualmente.

Josephine si riservò di non esibire il suo sollievo per aver disinnescato il litigio, mentre ritornava a consultare l'ordine del giorno.

Quando però vide che il punto successivo da discutere riguardava un altro argomento spinoso, si ritrovò inevitabilmente a pregare Andraste, alla ricerca di conforto.

 

Seduta alla scrivania del suo ufficio, con un panno fresco sulla fronte per mitigare l'emicrania terribile conseguente alla seduta del consiglio, Josephine sperò che Lavellan tornasse presto. Possibilmente, con un bel sorriso e una battuta per sdrammatizzare ciò che la sua mente riteneva un rapporto di lavoro irrecuperabile.

-Signora, il Bann di Greenhorne richiede la sua presenza urgentemente.- annunciò una giovane dama alle sue dipendenze.

Josephine prese un respiro profondo, poi ripiegò il panno con cura sul tavolo, prolungando il gesto per recuperare la compostezza. -Riferiscigli che sarò da lui il prima possibile.- disse, prendendosi i suoi tempi per rialzarsi.

Una volta che la dama ebbe lasciato la stanza, Josephine controllò il suo viso allo specchio che teneva sulla scrivania, si tamponò le guance con un po' di cipria per mascherare la stanchezza e assunse una postura elegante, recuperando il suo leggio per dirigersi laddove il Bann la attendeva.

L'atmosfera profumava di aspettativa per il ritorno dell'Araldo dalla Costa Tempestosa. Il chiacchiericcio eccitato dei soldati era secondo solo all'entusiasmo degli addetti alla manutenzione della Cattedrale, che si scambiavano storie fin poco credibili sulle imprese di Sua Eminenza a proposito di scontri con giganti selvaggi e battaglie epiche con branchi di mabari nell'accampamento delle Lame di Hessarian.

Josephine era certa che metà delle cose che sentiva erano un mucchio di esagerazioni, ma una piccola parte del suo organismo sperò che ci fosse un fondo di verità nelle storie, perché le avrebbero fornito qualcosa su cui fantasticare durante i colloqui interminabili con la nobiltà locale.

A proposito di questa, il Bann l'attendeva in una comoda sala d'aspetto che l'Inquisizione aveva installato all'interno di un edificio nei pressi della cattedrale. Molti ospiti provenienti dalle classi sociali più elevate la ritenevano indegna e sgradevole, ma in realtà era uno degli ambienti più confortevoli della roccaforte, dotato di una stufa, poltrone comode divise da un elegante tavolino da tè e modi variegati per garantire della diversione.

-Mi scuso per l'attesa.- disse Josephine, dopo aver richiuso la porta alle sue spalle. Si sedette di fronte a un nobile magro come un chiodo, il cui naso sfiorava il soffitto mentre il suo sguardo felino scandagliava tutto ciò su cui andava a posarsi. La mente di Josephine associò la sua figura a quella di un roditore che agita i baffi mentre scandaglia l'aria per individuare, tra i tanti odori che lo circondano, una scia di formaggio.

-Ambasciatrice Montilyet.- la salutò il Bann, in tono asciutto. La sua voce era tanto gradevole quanto la sua presenza, agendo sull'udito di Josephine come un foglio di carta vetrata sulla carne viva. -Avevo richiesto un colloquio immediato. L'attesa è stata interminabile.- la rimproverò.

-Me ne rendo conto, ma è un momento molto delicato per l'Inquisizione. La ringrazio per la sua pazienza.- replicò Josephine, appoggiando il leggio in grembo. -A cosa devo la sua illustre presenza?-

Il Bann ammiccò, sconvolto. -A quanto pare, le mie lettere sono state ignorate.- chiosò. -Avevo richiesto di poter fare un sopralluogo, mesi fa. Visita che è stata accordata a chiunque facesse parte del mio salotto, eccetto il sottoscritto. Lo trovo, come minimo, indelicato.-

Josephine abbassò appena lo sguardo su una nota di Cullen, seguita da un'altra scritta da suo pugno di Leliana. Entrambi descrivevano il Bann in modi pittoreschi, non riferibili in sua presenza e concordavano che di fronte a lei ci fosse un individuo noioso quanto un brufolo sul viso alla vigilia di un evento importante.

-Lei che è una donna raffinata dovrebbe capire in che posizione mi avete messo.- proseguì l'ospite, piccato. -Persino donna Trevors è venuta a visitare il cratere... e lei è figlia di mercanti.-

Josephine inclinò appena la testa di lato, cercando di non dare a vedere che quell'offesa implicita l'avesse toccata. -Mio signore, abbia pazienza, purtroppo in questo momento non posso concordarle una visita. Come le ho già detto, è un momento molto delicato per noi.-
Il Bann strinse le palpebre su uno sguardo scettico. -Com'è che i miei amici hanno potuto godere di una visita con tanto di guida eccellente e poi, nel momento in cui arrivo io, tutto d'un tratto siete in un momento delicato?-

-I suoi amici non sono giunti a ridosso di un'operazione. Lei si.-

-La verità è che pensate che non sia abbastanza importante.-

-Posso assicurarle che non è così. Le prometto che le accorderemo una visita non appena il Varco sarà stato chiuso.-

-Non sarebbe la stessa cosa!- protestò il Bann, evidentemente seccato. -Voglio avere la stessa esperienza che hanno avuto i miei amici il mese scorso.-

Josephine contò mentalmente fino a dieci, prima di rispondere. -Temo che non sia possibile.-

Il Bann era livido. -Finora sono stato molto paziente, Ambasciatrice, ma lei non mi lascia altra scelta se non che riferire all'Arlessa della vostra maleducazione nei miei riguardi.- arricciò le labbra. -Abbiamo accolto i vostri profughi per la stagione, sotto vostra insistenza, dandogli cibo e vestiario per l'inverno. Non le dispiacerebbe se, tutto d'un tratto, queste accortezze dovessero venire meno?-

Josephine inarcò un sopracciglio. -Mi sta minacciando? Per una visita guidata?-

-Non la sto minacciando, Ambasciatrice. Le sto dicendo che ogni azione ha una conseguenza.- precisò lui, rivolgendo il palmo della destra verso il soffitto.

Lei fece per replicare, ma venne interrotta dal rumore della porta d'ingresso che si apriva.

Il Bann schioccò la lingua sul palato, per poi esalare un sospiro seccato. -È troppo chiedere un po' di riservatezza?- sbottò, mentre Lavellan accedeva al locale. -Puoi andare. Sono stato già servito.- cercò di liquidarla.

Lei, che indossava ancora i vestiti da viaggio, passò un'occhiata da lui a Josephine. -Ben per lei. Io darei un braccio per una tazza di tè.- sollevò la mano sinistra, dopo essersi sfilata il guanto.

Il Bann strinse le labbra, mentre Josephine si alzava in piedi, per accogliere la nuova arrivata. -Bentornata, Eminenza!- la salutò, con un gran sorriso intriso di sollievo.

Lavellan le fece l'occhiolino, poi si rivolse al loro ospite. -E lei che fa, non si alza?- lo riprese, scherzosamente.

Il suo interlocutore corresse il suo comportamento senza metterci troppa enfasi, reggendosi la giacca sullo stomaco nel sollevarsi in piedi. -Sua Eminenza.- la salutò. -Non l'avevo riconosciuta.-

-Succede spesso.- minimizzò lei, indicandosi il viso nell'alludere ai Vallaslin. -Ora può spiegarmi perché sta aggredendo la mia collega?-

-Questa affermazione non risponde al vero.- rispose lui, aggrottando la fronte sopra un'espressione forzatamente stupita. Indicò Josephine con un cenno del capo. -Semmai sono io a essere stato trattato in maniera indecorosa. Mi è stata negata una visita al cratere, cosa che invece è stata accordata ai membri del mio salotto. La ritengo un'ingiuria riferita alla mia persona e, ora che lei è qui, gradirei che venissero presi provvedimenti al riguardo.-

-Certo.- rispose tranquillamente Lavellan, appoggiando una mano sullo schienale della poltrona di Josephine, per suggerirle di sedersi. -Mi ricordi chi è quest'uomo e che importanza ha per la nostra causa?- le domandò.

Josephine dovette ricorrere a tutta la sua compostezza pur di non rilasciare un sorriso di pura soddisfazione, mentre il suo ospite arrossiva violentemente. -Il Bann di Greenhorne è un valvassore dell'Arlessa Stormhedge. Sua signoria ci ha permesso di installare una roccaforte nei suoi territori per vigilare sugli squarci e prestare aiuto immediato ai profughi.-

Lavellan annuì piano, assorta. -La sua minaccia ha un fondamento, dunque.- disse, per poi voltarsi verso l'ospite. -D'altronde, è compito dell'Arlessa venire incontro alle esigenze dei suoi vassalli, per quanto futili esse siano.-

-La mia reputazione non è materia futile!- gemette il Bann, indignato. -Sono l'unico del mio salotto a non aver visto il cratere!- ribadì.

-Ma è anche l'unico che ha visto in faccia l'Araldo di Andraste.- soggiunse Josephine, appoggiando le mani sul leggio.

-No.- intervenne Lavellan, alzando una mano per fornire una precisazione. -È l'unico che è stato definito "un omuncolo vanitoso ed egoista" dall'Araldo di Andraste.-

Il Bann trattenne il respiro teatralmente, spalancando gli occhi. -Questa è un ingiuria bell'e buona! Come osa?- sbottò.

-Oso, oso.- disse Lavellan, prendendo posto con aria tranquilla. -Così come lei ha osato ricattare l'Ambasciatrice Montilyet, nonostante abbia cercato di venirle incontro.- assunse immediatamente un'espressione impregnata di serietà. -Riferisca pure ai suoi compagni di salotto che non è più persona gradita per l'Inquisizione e ci faccia il piacere di lasciare questo posto con le sue gambe prima che il suo atteggiamento mi spinga a bandirla dal nostro territorio in maniera molto più dannosa per la sua reputazione.-

Il suo interlocutore, diventato paonazzo, era l'indignazione in persona. -Non so chi vi crediate di essere, ma sappiate che le vostre offese avranno delle conseguenze gravi.-

-E questa è la seconda minaccia che ci rivolge.- annunciò Lavellan, voltandosi in direzione di Josephine.

Quella scosse la testa con aria sconfitta. -Certi nobili peccano di fretta nel volersi scavare la fossa da soli.- commentò.

Il Bann gonfiò le guance, espletando un'ingiuria nei riguardi delle origini delle presenti, poi puntò loro il dito contro. -Non è finita qui.- ringhiò.

-E tre.- disse Lavellan, rialzandosi per aprirgli la porta. -Si faccia un favore, egregio, si tolga dai piedi ed eviti di farci perdere altro tempo.- gli suggerì, indossando un sorriso falso come l'ottone.

L'ospite spostò uno sguardo rabbioso su entrambe, poi lasciò l'edificio, espletando lamentele a gran voce in modo che tutti potessero ascoltarle.

Una volta che Lavellan si fu richiusa la porta alle spalle, Josephine rilassò la postura, adagiandosi sullo schienale con aria esausta. Rilasciò infine un sospiro, passandosi una mano sulla fronte.

Lavellan si attrezzò per preparare del tè lei stessa, in modo da poter aiutare entrambe a digerire quella conversazione. Dopo che ebbe appoggiato una tazzina tra le mani di Josephine, le rivolse un sorriso gentile. -Te l'ho mai detto che adoro lavorare con te?-

Josephine esalò una risata. -Un paio di volte, Eminenza, ma è sempre un piacere sentirtelo dire.- rispose.

-Spero che tu non gli abbia detto della prossima visita guidata.-

-E attirarmi addosso il sarcasmo assassino di Ser Rylen?-

Lavellan ridacchiò. -Ottima scelta.-

Si presero il loro tempo per sorbire il tè, cullate da un silenzio necessario per recuperare le energie, poi si scambiarono un'occhiata tinta di sollievo.

-Cos'hanno combinato, stavolta?- domandò Lavellan, recuperando la tazzina vuota dalle mani della collega per appoggiarla sul tavolino.

Josephine si aggrappò al leggio. -La colpa è condivisa, purtroppo.- confessò. -Come hai fatto a saperlo?-

-Cullen, ovviamente.- rispose lei. -Quando litigate, è il primo che mostra rimorso.-
Josephine inarcò un sopracciglio, perplessa. -Sul serio?-

-Sul serio.- confermò Lavellan, divertita. -Non è palese, perché è più orgoglioso di Cassandra quando si tratta di mantenere la posizione, ma si vede lontano un miglio che il suo broncio è tutta scena.- elaborò.

Josephine accennò un sorriso. -Insomma, non sono la sola a crederti indispensabile in sede di consiglio.-

Lavellan ridacchiò. -Immagina se l'Ancora fosse finita nelle mani di Varric.- scherzò.

Josephine sollevò le sopracciglia su un'espressione stupita. -Non mi ci far pensare! A quest'ora Cassandra avrebbe già presentato le dimissioni minimo tre volte.- ipotizzò, facendo ridere la propria interlocutrice.

-Cambiando discorso.- principiò quella, dopo un po', prendendo a frugarsi le tasche. Ne estrasse una boccetta di vetro dipinto e la consegnò a Josephine. -Questo è per te.-

Lei se la rigirò tra le dita, dando un sorriso incerto. -Cos'è, una qualche sostanza alchemica che previene le emicranie?-

-Un profumo.-

-Un profumo?-

Lavellan le rispose annuendo. -Spero che ti piaccia.-

Josephine studiò il suo viso a lungo, poi stappò la boccetta. Immediatamente, il suo naso venne sopraffatto dalla fragranza pungente di limone, allietata da una scia fiorita e da una base legnosa che formularono nella sua testa una chiara immagine partorita dalla nostalgia. Il suo corpo fece un volo temporale, raggiungendo la Baia di Rialto in un assolato pomeriggio estivo, in cui l'unico modo per sfuggire all'afa era quello di ripararsi all'ombra della chiglia di un grande veliero, sorseggiando vino bianco allungato con il succo di frutta stagionale.

-Eminenza...- mormorò, dopo essersi inumidita i polsi. -Non ho parole, davvero.- disse, passando i pollici sul vetro della boccetta, cullata da un piacevole senso di conforto.

Lavellan si sporse nella sua direzione, per appoggiarle una mano sull'avambraccio. Josephine si affrettò a stringergliela, regalandole un'occhiata madida di gratitudine. -Sei... un'amica inestimabile.- le confidò.

-Ce la metto tutta.- rispose lei, allegramente.

Si guardarono a lungo, dividendosi un sorriso malinconico che in realtà era un'infinita stuola di ringraziamenti, poi si diedero coraggio e si diressero verso la sala del consiglio, a braccetto come due amiche di vecchia data che si ritrovano dopo anni senza che la loro amicizia sia stata sciupata dal tempo.
 

3. Rosso secco e bacche di melograno


Quando Cassandra si muoveva attraverso la roccaforte dell'Inquisizione, chiunque le cedeva il passo.

La sua figura emanava forza e speranza, ma ciò che la contraddistingueva sopra ogni sua qualità era la determinazione. Possedeva il paradigma di un buon leader: credente, appassionata, volitiva e pronta al sacrificio. Fin dalle prime settimane, infatti, chiunque ad Haven le rivolgeva ogni genere di attenzione affiliata al rispetto.

Negli ultimi tempi, però, l'attenzione della gente si era spostata inevitabilmente in un'altra direzione. Il che era legittimo, viste le vittorie sul campo dell'Araldo di Andraste, ma se prima il suo sforzo era concentrato unicamente sul campo di battaglia e in sala di consiglio, in quel momento storico la sua presenza stava assumendo un'importanza sociale e politica considerevole. Questo era dovuto, tra le altre cose, alla sua presenza costante negli affari interni dell'Inquisizione.

Quando era presente ad Haven, l'Araldo faceva sempre in modo di assistere agli allenamenti, comunicando con gli ufficiali regolarmente, ma anche con chiunque avesse un problema da sottoporle, appuntandoselo per un secondo momento. Non era suo dovere occuparsi di questioni gestionali, ma lei sembrava volenterosa di aiutare, qualora ci fosse il reale bisogno del suo intervento. Questo nuovo taglio sociale nei confronti del suo ruolo le permise di acquisire popolarità in tempi brevissimi, facendo sì che si garantisse la stima della grande maggioranza dei membri dell'Inquisizione.

A Cassandra andava più che bene, perché il fatto che l'attenzione fosse sulla sua collega le permetteva di concentrarsi meglio sul suo lavoro, senza distrazioni. In più, non la riteneva una competizione, perché condivideva il sentimento che spingeva tutti a fidarsi di lei, dato che era perennemente al suo fianco, quando abbandonavano Haven per affrontare missioni che le vedevano costantemente a rischio.

Quella mattina, infatti, lei e Lavellan avrebbero dovuto trovarsi e programmare insieme una breve visita nelle Terre Centrali, per occuparsi di indagare su una banda di mercenari che vessava i profughi nella zona sud-occidentale del territorio. Dato che lavoravano bene insieme, senza grossi attriti di natura strategica, Cassandra era positiva che avrebbero trovato un modo eccellente per affrontare il problema.

Percorse le strade ghiacciate di Haven con piglio deciso e ampie falcate, diretta alla fucina, quindi raggiunse il recinto dei cavalli, dove Lavellan stava intrattenendo conversazione con uno degli ingegneri che lavoravano sotto Harritt. Si trattava di un giovane uomo di origini chasind che dall’espressione del viso e dalla gestualità sembrava decisamente infastidito.

Lavellan vestiva un cappuccio e dei vestiti adatti per la caccia, bianchi e marroni per simulare il panorama invernale. Teneva le braccia incrociate sul petto e la sua espressione era la perfetta rappresentazione della seccatura.

-No, signora, non posso rifare il lavoro daccapo.- protestò l'ingegnere, appoggiando una mano sullo steccato che caratterizzava il recinto per provare la sua solidità. -Vede? È perfetto.-

Lavellan però sembrava essere di tutt'altra opinione. Si portò di fianco alla costruzione, indicandone l'altezza, poi la scavalcò con un volteggio pigro, facilmente. -Vedi qual è il problema? Se ci riesco io che sono alta quanto una scala messa in orizzontale, figurati un cavallo!- gli fece notare. -Guarda che quelli saltano, eh!-

-Ma no, Eminenza, li facevamo così anche a Gwaren e non è mai successo niente.- minimizzò il suo interlocutore, ribadendo a gesti la solidità della sua opera. -I cavalli hanno bisogno di avere spazio, fuori dalle scuderie.-

Lavellan ammiccò, esplorando il quadrato di tre metri per tre con aria allibita. -Ti pare che sia spazioso per una bestia di duecento chili?-

Cassandra si affiancò alla discussione, dando un cenno di saluto a Lavellan.

L'ingegnere rivolse un breve inchino alla nuova arrivata, in maniera fin troppo sbrigativa perché coinvolto dal confronto. -Non posso ricavare dello spazio dove non ce n'è, Eminenza.- protestò.

Lavellan si appoggiò al recinto, allungandosi verso il suo interlocutore. -Persino un halla soffrirebbe di claustrofobia qui dentro.- disse. -Mi organizzerò con Harritt e cercheremo un'alternativa.-

-E non potevate discuterne prima di farmi passare una giornata a lavorare inutilmente?-

-Sei un ingegnere, diamine, non ti posso imboccare le soluzioni!-

-E lei non può lamentarsi di problemi che non esistono.-

Cassandra sollevò le sopracciglia su un'occhiata sorpresa, dato che oltre a vedere anche lei i chiari problemi della struttura, riteneva davvero inappropriati i toni di quella discussione.

Lavellan però non si scompose. -I problemi ci sono, che tu li veda o meno. Ti verrò in aiuto per quanto riguarda l'area da recintare, perché non dipende da te, ma entro la settimana prossima il resto dev'essere perfetto, o mastro Dennet rimarrà molto scontento del trattamento che gli ha riservato l'Inquisizione.-

L'ingegnere esalò uno sbuffo seccato, poi appoggiò le mani sui fianchi. -Non si lamenterà, Eminenza. L'unica che ha avuto da ridire sul mio lavoro è lei, a essere sinceri.-

-Perché devo affidarmi a voi quando non ci sono e se fate una cazzata ricade tutto sulle mie spalle.- spiegò Lavellan, scavalcando nuovamente il recinto per portarsi vicina a Cassandra.
-Non ho fatto una...- iniziò l'ingegnere, per poi bloccarsi. Passò un'occhiata sommaria sulla sua interlocutrice. -Ma cosa vuole saperne un'Elfa di costruzioni!- commentò, all’apice della frustrazione.

-Non sono "un'Elfa".- affermò Lavellan, guardando l'ingegnere con severità. -Sono quella che ti manderà a tagliare legna con un coltello da burro, se non mi tirerai su un recinto degno della sua funzione.- fece una pausa. -Ci siamo capiti?-

Lui esitò, prima di rispondere, poi annuì. -Sissignora.- disse, con poco entusiasmo.

-No, sissignora un accidente! Sai quante persone abili e appassionate ci sono nell'Inquisizione, pronte a prendere il tuo posto?-

-Nessuno è più abile e appassionato di me, Eminenza.-

-E allora rimangiati questo atteggiamento da novellino e fammi un recinto che possiamo usare.- decretò lei, per poi indicargli la fucina con un gesto deciso. -Hai sette giorni.-

L'ingegnere deglutì una puntualizzazione, poi fece come gli era stato ordinato, andandosene con la coda tra le gambe.

Lavellan aspettò che si fosse allontanato abbastanza, poi si voltò verso mastro Dennet, che stava strigliando un baio poco distante dal recinto. -Ingegneri, huh?-

-Ah, sfonda una porta aperta!- disse quello, seriamente divertito.

Cassandra allora ne approfittò per rivolgere la parola alla sua collega. Le appoggiò una mano sulla spalla, stringendo appena la presa. -Sei stata fin troppo permissiva.- commentò, mentre Lavellan la accoglieva con un bel sorriso.

-Ah, in confronto a te anche gli orsi sono gentili!- scherzò la sua interlocutrice, che sembrava davvero contenta di vederla. -Avresti potuto intervenire, sai?-

-E perché?- domandò Cassandra, facendosi guidare verso il lago ghiacciato. -In questi casi, preferisco che siate tu e il Comandante a gonfiare i polmoni. Io mi arrabbierei e basta.- elaborò. -E poi, pareva che te la stessi cavando in maniera eccellente. Il mio intervento sarebbe stato superfluo.-

Lavellan le rivolse un sorriso scettico. -Una volta mi avresti corretta.-

-Una volta pensavo che mi volessi uccidere nel sonno.-

-Giustamente.-

Si scambiarono un'occhiata d'intesa, poi Lavellan proseguì verso nord, a passo deciso.

Vennero inseguite da una catena di saluti e benedizioni, finché non furono troppo distanti dalle mura di Haven per poter incontrare un flusso frequente di persone. Allora, Lavellan esalò un sospiro stanco. -Siete volubili voi Umani, eh? Prima mi odiano, poi mi elogiano, poi mi dimenticano e ora pare che sia di nuovo l'eroina delle cause perse. In tutto ciò... dov'è il mio dannato grifone?-

Cassandra esalò una risata roca, muovendosi al suo fianco attraverso un sentiero che correva parallelo al lago ghiacciato. -Assieme al tuo senso dell'umorismo: estinto.- scherzò, prendendola sottobraccio con un gesto fluido.

Lavellan emise una risata sguaiata.

Giunsero all'interno di un semicerchio di abeti scheletrici, che abbracciavano una spiaggia di ciottoli nella riva sud-orientale del lago. Era un luogo baciato costantemente dal sole, quindi il terreno era perlopiù scevro dalla neve.

Una volta lì, Lavellan si fermò, sciogliendosi da Cassandra per sfilarsi il cappuccio dalla testa. -Non ridere, d'accordo?- premise.

Cassandra inarcò un sopracciglio, confusa. Quando realizzò a cosa si stesse riferendo la sua collega, le sue labbra formarono una "o" che identificava la sua sorpresa.

Lavellan si passò una mano tra i capelli, del cui ricco biondo antivano restava ben poco, localizzato sulle punte e su diversi ciuffi che le striavano una chioma biondo chiaro. Li ravviò, raggruppandoli su un unico lato, poi rivolse alla collega un sorriso complice.

Cassandra le rivolse un'occhiata laconica. -Ecco perché hai insistito per passeggiare.- commentò. -O perché sono tre giorni che porti il cappuccio persino in chiesa.-

Lavellan recuperò una scatoletta di metallo da uno dei suoi borselli e gliela lanciò. Dopo che Cassandra la ebbe presa al volo, si sfilò la giacca del completo e si scoprì le spalle, per evitare che la camicia si macchiasse. -Pensavo che, dato che mi hai resa partecipe di un po' di dettagli della tua vita privata, ti facesse piacere sapere qualcosa di me che non riguardasse il lavoro.- spiegò, procedendo a inumidirsi i capelli con l'acqua fredda del lago, per prepararli a essere trattati.

Cassandra aprì la scatoletta e ne osservò il contenuto. Passò uno sguardo schifato su una poltiglia castana che emanava un intenso profumo balsamico. -Che roba è?-

-Rabarbaro e disperazione.- rispose Lavellan, raccogliendone un po' sulle dita per spalmarla sui capelli, che aveva diviso a ciocche.

-Se volevi mantenere il segreto, perché non l'hai fatto nei tuoi alloggi?-

-Perché c'è bisogno dell'azione del sole affinché funzioni.-

-Oh.-

Lavellan ridacchiò. -Perché credi che ogni tanto sparisca?-

-Pensavo andassi a caccia.-

-Non caccio se non ce n'è bisogno, lethallin. Sarebbe uno spreco di risorse.-

-A me risulta che ce ne sia il bisogno. Urgente, oserei dire.- la contraddisse Cassandra, sfilandosi i guanti per darle una mano.

Lavellan la lasciò fare, perché così avrebbe velocizzato il processo. -Ho chiamato i miei apposta. Se mi mettessi a cacciare anch'io non potrei presenziare alle sedute del consiglio.- spiegò. -Non posso mica lasciare Josie in mezzo al fuoco incrociato!-

Cassandra le scoccò un'occhiata divertita. -È quella tra di noi che ha meno bisogno del tuo aiuto.- disse, mettendosi alle sue spalle per affrontare le ciocche sulla nuca.

-Lo so, ma un po' di supporto morale in più non guasta mai. Tra te che ti impunti, Cullen e Leliana che litigano e i nobili che non le danno tregua, ha decisamente bisogno di un'alleata in più.-

-Io non mi impunto.-

-Lo stai facendo anche adesso.-

Cassandra sbuffò una risata. -Tua madre non ti ha insegnato che non si sveglia il drago dormiente?-

Lavellan indugiò qualche istante su quella frecciatina. -No.- rispose, semplicemente.

La sua interlocutrice si zittì, di fronte a quel lieve cambio d'atteggiamento. -Mi dispiace, Lav.- disse, perdendo il sorriso nell’intuire le implicazioni di quella risposta secca. -Quando è successo?-

Lavellan si strinse nelle spalle. -Molto tempo fa, non preoccuparti.-

-Quanti anni avevi?-

-Dodici.-

Cassandra procedette nel lavoro per un po', prima di rivolgerle di nuovo la parola. -E tuo padre?-

Lavellan sbuffò una risata asciutta. -Il potere della cosmesi! Hai mai notato che i discorsi più profondi risalgono sempre a galla mentre ci occupiamo di noi stesse?-

Cassandra sorrise appena. -Sarà perché è un momento di grande vulnerabilità.- rispose. -Vestirsi, truccarsi, profumarsi... sono tutti modi per prepararci a relazionarci al mondo esterno nel modo in cui preferiamo apparire. C'è chi lo fa per gusto personale e chi lo fa per trasmettere un'immagine precisa di sé. In ogni caso, è una maschera, che sia un'esaltazione o una forma di difesa.-

Lavellan soppesò quel pensiero nella testa, trovandosi d'accordo con quell'analisi. Quel lato riflessivo di Cassandra la affascinava, tanto quanto la sua impulsività. Entrambi erano sfaccettature di un carattere molto più complesso del crudo paradigma che chiunque associava alla sua persona e Lavellan le era grata per averle permesso di scoprirli, tanto da spingerla a sforzarsi di fare altrettanto.

-Conosco a malapena mio padre.- ammise, dopo che ebbero finito di applicare la tintura. Si legò i capelli sulla nuca, portandosi più vicina alla riva del lago per permettere al riflesso dell'acqua di regalarle più luce e velocizzare l'effetto. -L'unico ricordo che ho di lui è un vecchio giocattolo che uso per sfogarmi quando ho la testa piena di pensieri.- proseguì, mentre Cassandra si portava al suo fianco. -Ma non si è mai fatto vivo, se non per conoscermi. Era... come li chiamate voi? Farfalle? Marinai?-

-Farfalloni?- suggerì Cassandra, incerta.

-Un farfallone, ecco.- confermò Lavellan, tranquillamente. -A mia madre non importava e, di conseguenza, non importava nemmeno a me. Ognuno gestisce le proprie relazioni come meglio crede e io non ho sofferto della sua assenza, perché la mia Guardiana è molto protettiva e quando mamma se n'è andata, mi ha tirata su come se fossi sangue del suo sangue.-

-Non ti è mai dispiaciuto che non fosse presente?-

Lavellan esitò. -Ho sentito poco la sua mancanza, a dire il vero. Sai, un clan di per sé è come quella che voi Umani definireste una famiglia numerosa. I più piccoli vengono tirati su dalla comunità, se i genitori non possono occuparsene e lo stesso vale per quelli che arrivano da altri clan. Ci prendiamo cura l'uno dell'altro.-

Cassandra passò lo sguardo sulla superficie crepata della riva del lago, con aria assorta. -Ti mancano?-

Lavellan si strinse nelle spalle. -A volte sì, a volte no... so solo che qui mi trovo bene, nonostante tutto.- si voltò nella sua direzione, per rivolgerle un mezzo sorriso. -Non mi dispiace avere un posto tutto mio, piuttosto che dover dividere la branda con qualcuno.-

Cassandra esalò una risata. -Ma non è quello che fai con me, quando siamo in missione?- disse, con una nota di rimprovero nel tono di voce.

Lavellan le rispose con un'occhiata divertita. -Quando scatta il "nonostante tutto", tendo a soffrire d'incoerenza.- ammise.

Cassandra le passò una mano sulla schiena, energicamente, poi tornò a guardare il lago.
Lavellan fece altrettanto, contenta di aver condiviso quella conversazione così personale con lei senza sentire il riflesso di tenere i suoi sentimenti imbottigliati, com’era costretta a fare solitamente.

Intrapresero allora una discussione sulla missione che sarebbero andate a svolgere, intervallate di tanto in tanto dal gracchiare di due corvi che erano andati ad appollaiarsi sull'abete alle loro spalle. Fortunatamente, non furono interventi abbastanza validi per distrarle.
 

4. Vino rosso, miele e frutti di bosco pestati sul fondo


Era un bel pomeriggio, a Haven; ultimo di una serie di bei pomeriggi che, fortunatamente, si susseguivano da quasi una settimana.

Le tormente di neve e le nevicate improvvise avevano finalmente concesso al sole di mostrarsi e lui non aveva perso tempo, permettendo alle strade di asciugarsi, cosicché chiunque fosse rimasto intrappolato nella roccaforte dell'Inquisizione a causa del maltempo potesse approfittarne per andarsene.

Per recuperare il tempo perduto ad aspettare che il tempo migliorasse, tutti si stavano impegnando il doppio del previsto. L'atmosfera attorno al campo d'allenamento, di conseguenza, era costellata di sbadigli.

Lavellan, che si era offerta di dare uno sguardo alle truppe di arcieri, su richiesta di Cullen e Cassandra, si ritrovò presto con la mascella indolenzita, a furia di esserne contagiata.

Ser Camille, che l'affiancava, era nelle sue stesse condizioni, seppure cercasse in ogni modo di mantenere la sua compostezza per evitare di sfigurare di fronte all'Araldo. Difatti, sorvegliava i suoi sottoposti con una posa marziale: il suo mento era tenuto alto, le mani erano saldamente intrecciate dietro la schiena, dritta come una colonna, e il suo viso era teso in uno stato di profonda austerità.

Lavellan si perdeva a osservarla, di tanto in tanto, riconoscendosi un po' in tutti quei tentativi di impressionare qualcuno che si ammira, perché quando condivideva la sua età si ritrovava a fare esattamente la stessa cosa, in presenza dei cacciatori più anziani.

-Che ne pensa?- chiedeva Ser Camille, ogni volta che Lavellan ritornava a bordo campo dopo un giro di ricognizione per correggere chi era in difficoltà.

Lei le propinava sempre un commento neutro, ricordandole che stava facendo un ottimo lavoro per buona misura.

Quando Cullen si unì a loro, Ser Camille si ritrovò inevitabilmente ad assumere una rigidità che la trasformò in una statua scolpita nell'ansia, preoccupando lievemente Lavellan, che sentiva chiaramente i nervi dell'ufficiale scricchiolare ogni volta che si ricordava di respirare.

-È tutto in ordine?- domandò Cullen, passando uno sguardo attento sulla fila di arcieri che affrontavano l'addestramento. Era severo e impettito quanto Ser Camille, ma scevro della tensione che tormentava la sua sottoposta.

Lavellan, che soffriva di compassione, si affrettò a correre in soccorso dell'ufficiale.

-Perfettamente in ordine. Penso che, grazie a Camille, anche le reclute più deboli riusciranno a mettersi in pari in tempo breve.-

-Lo immaginavo.- disse Cullen, facendo emettere alla sua sottoposta un composto sospiro di sollievo. -Ma dato che non ho il tuo stesso livello di esperienza in materia, ho ritenuto opportuno consultarti.-

-Quindi non teme che i miei ragazzi non siano all'altezza?- domandò Ser Camille, aprendo uno sguardo sorpreso nella sua direzione.

Cullen sbuffò una risata. -Sono anche i miei ragazzi, madame, è ovvio che siano all'altezza. Volevo solo un'opinione esterna.-

-La mia non bastava, Comandante?-

Lavellan anticipò Cullen nel rispondere. -Penso che volesse che vedessi quanto siete bravi, più che metterti alla prova.- le suggerì, a mezza voce. -Come i leoni che agitano la criniera per mettersi in mostra quando qualcuno minaccia il loro territorio.- aggiunse, accarezzandosi le punte dei capelli con un gesto eloquente.

Ser Camille rilasciò una risata nervosa, per poi ricomporsi immediatamente. -Compris.- disse, sollevata.

Cullen smezzò un'occhiata severa su entrambe, disapprovando in toto quel paragone.

Lavellan rispose facendogli l'occhiolino, Ser Camille invece si riservò di assumere una smorfia divertita, per poi posare lo sguardo su una delle sue reclute, che indossava un parabraccio in maniera scorretta. -Un momento.- disse, prima di allontanarsi per correggerla.

Lavellan approfittò del fatto che fossero rimasti soli per accostarsi a Cullen, appoggiandogli una mano sul braccio brevemente, in segno di saluto. Lui regalò a quel gesto di benvenuto l'accenno di un sorriso.

-Volevi tenerla sulle spine, ammettilo.- disse lei, con aria di rimprovero.

-Certo! È l'ultima arrivata.- confermò lui, senza scomporsi troppo.

Lavellan non si stupì troppo della sua sincerità, ma gli rivolse comunque un'occhiata contrariata. -Sono bravi, capo, davvero.- ribadì. -Devono solo variare un po' gli esercizi e usare l'arco fuori dal campo d'addestramento. Su bersagli veri, possibilmente.-

-Se non sapessi che stai parlando di bestie, questo tuo suggerimento mi preoccuperebbe.-

-Non sto parlando solo di bestie.-

-Mi rimangio subito quello che ho detto.-

Lavellan rise. -Cretino! Parlavo di mettere qualche macchia di vernice sugli alberi e le rocce del bosco per fargli fare pratica con qualche tiro obliquo in un percorso che non sia in piano.- elaborò. -Ho già dato qualche idea a Camille, più tardi la aiuterò con i preparativi.-

Cullen annuì, per poi voltarsi a guardare i soldati al lavoro. Si soffermò a osservare la sua ufficiale, che correggeva chi falliva con una decisione incoraggiante. -Ce la sta mettendo tutta, no? È un po' ansiosa di dimostrare a tutti quanto vale, ma anch'io ero così alla sua età.-

Lavellan ormai aveva smesso di sorprendersi quando trovava altri punti di comunione con lui. -Non lo eravamo tutti?- gli domandò, con una lieve nota di malinconia nel tono di voce. -Se sapessi anche solo la metà delle idiozie che facevo, non saresti più in grado di prendermi sul serio.-

-Non che adesso tu sia l'emblema della serietà.- scherzò lui, assicurandosi una pacca scherzosa sullo stomaco. Ridacchiò, appoggiando le mani sull'impugnatura della spada. -Grazie per averle dato un po' di fiducia in se stessa. Le servirà.-

Lavellan percorse il suo viso con lo sguardo, indugiando sulla cicatrice che gli tagliava il labbro superiore. -Potresti farlo anche tu, invece di metterla sempre in difficoltà, sai?-

-Sono il suo superiore in comando, non il suo educatore.-

-Come se non sapessi che molti di questi ragazzi ti considerano una figura paterna.- lo punzecchiò lei, intenerita da quella sua ritrosia.

Cullen sbuffò una pernacchia. -Non sono così vecchio.-

-Lo sei abbastanza da avere un paio di mocciosi a ridosso dell'adolescenza.- replicò lei, alzando il tiro.

-Ah, beh, non sono il solo. Ma sono troppo beneducato per scherzare sull'età di una signora.- la provocò, guardandola di sottecchi.

Lavellan ricambiò l'occhiata. -Sfido che sei scapolo, se tratti così tutte le donne che ti circondano!-

Cullen rise, chinando un sorriso a terra. -Colpa di chi mi ha educato.-

-Non delegare la tua incapacità di flirtare alla Chiesa, capo. È troppo comodo, così.- replicò lei, spostando l'attenzione su Ser Camille, che stava tornando da loro accompagnata da un messaggero. Il suo viso era contratto da una smorfia di fastidio.

-Di' al Tenente Burrows che deve iniziare a farsi bastare l'equipaggiamento che gli viene assegnato.- diceva, con l’accento orlesiano più marcato del solito. Il messaggero nel frattempo prendeva appunti sul retro di un biglietto, con aria stanca, cercando di ignorare il malumore che gli veniva riversato addosso.

-Che succede?- domandò Cullen, una volta che lei ebbe fatto ritorno.

Ser Camille congedò il messaggero con un cenno, poi rivolse al suo superiore in comando un'occhiata esausta. -La truppa mista richiede più pozioni di lyrium di quante gliene sono state assegnate. Di nuovo.- spiegò, con un'evidente nota di frustrazione nel tono di voce. -In due giorni hanno fatto fuori la scorta settimanale.-

-Beh, sono Maghi. È normale che consumino pozioni come se fosse acqua durante una siccità.- replicò lui, tranquillamente.

-Non è quello il problema, suppongo.- ipotizzò Lavellan, analizzando la nuova arrivata con aria attenta.

Ser Camille esitò, prima di esprimere un'opinione. -Non mi piace parlare male dei miei colleghi.- dichiarò.

-Eppure, ho la netta sensazione che tu muoia dalla voglia di farlo.- la punzecchiò Lavellan, intrigata dal venire a conoscenza di un nuovo pettegolezzo.

Ser Camille strinse le labbra, seriamente dubbiosa, poi decise di sputare il rospo. -Sa che cosa dicono dei nati in Agosto, Eminenza?-

Sia Cullen che Lavellan le rivolsero un'occhiata indagatrice, all'unisono. -Agosto è... Matrinalis, vero?- domandò la seconda.

-Corretto.- rispose Cullen, in tono asciutto.

Lavellan ammiccò. -Oh.- esalò. -Che cosa dicono dei nati in Agosto, insomma?- si affrettò a domandare.

-Che soffrono di un egocentrismo appassionato e quando non viene assecondato creano mille espedienti per mettersi al centro dell'attenzione.- spiegò Ser Camille, con un'espressione ferma al centro tra la rassegnazione e la seccatura.

Cullen aggrottò la fronte, mordendosi il labbro inferiore mentre scorreva uno sguardo scettico sulla sua sottoposta. Lavellan incrociò le braccia con un gesto fluido, osservandola con aria divertita. -Io sono nata in Agosto.- rivelò, sforzandosi di trattenere una risata.

Ser Camille ci mise qualche secondo per introdurre quell'informazione nella sua testa e quando si rese conto di aver appena dato al suo capo dell'egocentrica viziata, il suo viso assunse un pallore cinereo. -Eminenza, non intendevo...- balbettò.

-Oh, no, intendevi, intendevi.- disse lei, spostando lo sguardo su Cullen. -Intendeva, no?-

-Intendeva, sì.- rispose lui, continuando a fissare la sua sottoposta con aria attenta. -Ti farà piacere sapere che anch'io sono nato in Agosto.-

Se avesse avuto una vanga e una lapide, Ser Camille si sarebbe volentieri sotterrata all'istante, senza aiuti esterni. Riprese immediatamente la rigidità che aveva faticato a smaltire, guardando entrambi con occhi carichi di imbarazzo.

Fortunatamente, Lavellan era più interessata all'ultima rivelazione. Si sporse verso Cullen, con aria curiosa. -Aspetta, dici sul serio?- gli domandò.

-No, mi piace tormentare i miei ufficiali a caso.- rispose lui, rivolgendole un'occhiata macchiata di sarcasmo. -Certo che dicevo sul serio.-

Ser Camille fece un passo indietro, per svicolare dalla conversazione, ma entrambi la presero per un braccio, forzandola a restare.

-Ma dai!- esclamò Lavellan, aprendo un sorriso incerto tra le labbra. -Quindi anche tu sei un appassionato di egocentrismo.-

-Ha detto egocentrismo appassionato. È diverso.- la corresse Cullen, virando la sua attenzione in seguito all'interesse di Lavellan. -Ecco spiegato perché facciamo di tutto per primeggiare in sala di consiglio.-

-Parla per te, a me non serve primeggiare.-

Cullen sbottò una risata sprezzante. -La descrizione ti calza a pennello.-

-Sono ancora in tempo per rimangiarmi tutto quello che ho detto?- domandò Ser Camille, in un filo di voce.

Ricevette un paio di occhiate eloquenti, al che alzò le mani in segno di resa. -Posso tornare ad allenare le truppe, mon commandant?- chiese, per darsi una ragione valida per defilarsi.

-Certo, ma sappi che ho una memoria di ferro.- rispose Cullen. -Soprattutto quando decido i turni di guardia. Quelli serali, all'aperto.- precisò.

Ser Camille, che in quel momento soffriva di una fretta atavica, annuì. -C'est bien.- disse, per poi muoversi velocemente verso i suoi uomini, alla ricerca di una distrazione.

Lavellan la osservò allontanarsi con aria divertita, poi mosse un passo verso Cullen. -Se proprio vuoi vendicarti, a ridosso di mezzanotte i gufi cantano in maniera lugubre, sulla soglia dei boschi.- gli suggerì. -Roba che fa venire i brividi.-

-Non eri tu che mi accusavi di pretendere troppo da lei?- la rimproverò lui, in maniera non troppo convincente.

-Sì, ma questo era prima di farmi dare dell'egocentrica per superstizione.- ammise lei, ridendo. -Però è buffo, ammettilo, assegnare degli stereotipi caratteriali in base al mese di nascita di una persona.-

-Più che buffo, a me pare stupido.- la contraddisse Cullen, rilassando i lineamenti del viso. Controllò il campo d'addestramento con uno sguardo attento, poi tornò a rivolgersi a lei.

-Assecondami un istante. In che giorno sei nata?-

-Alla faccia della beneducazione!-

-Ti ho chiesto il giorno, mica l'anno.-

Lei infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, poi esalò un sospiro stanco. -Il ventitré, a ridosso del ventiquattro. Tu?-

Cullen spalancò lo sguardo, fissandola con interesse crescente. Non le rispose, facendole intendere che le avrebbe riferito la stessa identica cosa.

Rimasero in silenzio a fissarsi, con tanto d'occhi, poi spostarono l'attenzione sui soldati che si allenavano, stupiti da quella coincidenza.

-Ora mi verrai pure a dire che siamo nati nello stesso anno.- borbottò lei, sollevando entrambe le mani a formare un numero.

Cullen le guardò con aria incerta, poi si passò una mano sulla barba, voltandosi altrove. -Allora è proprio destino.- mormorò.

Lavellan ridacchiò. -Come sei fatalista.- commentò, tornando a guardarlo.

Lui le rivolse un sorriso affascinante. -Avevi ragione su una cosa, insomma.-

-Toh, nevica?- scherzò lei, ricambiandolo. -Su cosa?-

Cullen inspirò l'aria fredda dei monti nei polmoni, rilasciando un sospiro sommesso. -Niente.- affermò, indietreggiando di un passo per ritornare ai suoi doveri. -Buon proseguimento, Eminenza.-

Lavellan, che odiava restare senza una risposta pratica su cui fare affidamento, ma al contempo apprezzava ragionare sugli enigmi, si ritrovò nel limbo dell'indecisione. Un limbo in cui viaggiava regolarmente, quando si ritrovava a connettersi con quell'uomo all'apparenza così palese da rasentare il pragmatico, ma allo stesso tempo così riservato da catturare la sua curiosità con un magnetismo disarmante.

Rilasciò la sua frustrazione con una scrollata di spalle, passandosi una mano sul capo, poi si sforzò di tornare a occuparsi della responsabilità che si era presa.
 

5. Vino rosso e zest di limone


Era notte inoltrata quando Lavellan ricevette un avvertimento da parte di una cacciatrice del suo clan.

Le venne riferito a voce, dallo stesso tramite che aveva consegnato il suo resoconto a Cullen dopo la loro uscita a Honnleath.

L'abitazione dove risiedeva Lavellan era immersa nella penombra. Un fuocherello verde, intrappolato in un barattolo grazie alla magia, illuminava un disordine eccezionale, bagnando i contorni della mobilia oberata da pile di libri e sfiorando un pavimento tappezzato di scatole riempite di meccanismi dall'aria complessa.

Lavellan era miracolosamente riuscita a recuperare due sedie, mettendole in equilibrio tra il disordine per permettere al suo ospite di prendere posto, ma lui aveva preferito restare in piedi, così lei lo aveva imitato, posizionandosi di fronte a lui, nei pressi dell'uscio.

-Laetha riferisce che li hanno scoperti facilmente, anche se sono riusciti a mimetizzarsi bene tra i tuoi.- disse Shaan, mantenendo un tono di voce moderato. -Hanno detto di far parte del clan di Flisiel e hanno iniziato a fare domande molto personali sul tuo conto, per quello Laetha ha supposto che si trattasse di spie.-

Lavellan aggrottò la fronte sopra un'espressione preoccupata, tamburellando le dita nervosamente sullo schienale della sedia. -Ha supposto bene. Flisiel è uno che non ama farsi gli affari degli altri e il suo clan segue la sua stessa filosofia.- spiegò. -Chi mai potrebbe volere tutte quelle informazioni sul mio conto?-

Shaan la guardò dritta negli occhi. -Non penso che ti piacerà la risposta che sto per darti.-

Lei lo invitò a parlare con un cenno del capo.

Il suo interlocutore fece una lunga pausa, prima di risponderle. -Sono stati mandati dalla tua capospia.-

Lavellan ammiccò, per poi spostare lo sguardo altrove. Si masticò il labbro inferiore, consultando un fantomatico archivio mentale per procurare alla sua collega una giustificazione, ma non riuscì a trovare un senso pratico a quell'atteggiamento. -Quando è successo, di preciso?-

-Un paio di settimane fa.-

In quel periodo storico, in cui Lavellan era certa che i cinque leader dell'Inquisizione godessero di fiducia reciproca, quella rivelazione fu piacevole quasi quanto ricevere una carezza sul viso da una mazza chiodata. Lei, che aveva fatto una fatica immonda a scrollarsi di dosso il senso di alienazione e insicurezza che le provocava stare in un ambiente umano, si ritrovò di nuovo con le caviglie immerse nella viscosità del dubbio. -E io che pensavo di poter finalmente abbassare la guardia.- commentò, sfiorando la porta, sprovvista di lucchetto, con lo sguardo.

Shaan inarcò un sopracciglio. -Non sei così sprovveduta, Ankh.-
Lei sospirò. -No, ma ogni tanto sarebbe bello potersi togliere il secondo paio di occhi da dietro la testa senza la preoccupazione che qualcuno possa pugnalarti alle spalle.- gli confidò.

Lui le rispose con un sorriso tirato.

-A proposito, hai riflettuto sulla mia proposta?- gli domandò Lavellan, avvicinandosi di un passo.

Shaan annuì. -A fondo e lungamente.-

-Quindi?-

-Quindi arrivederci, per ora.- replicò lui, battendole un paio di buffetti sulla spalla. -Resterò nei paraggi del clan di Brecilian per un po'. Quando avrai qualcosa di lievemente più concreto da offrirmi, verrò a darti una mano.-

Lavellan alzò gli occhi al cielo. -Sei complicato, lethallan.- sbottò, muovendosi per aprirgli la porta.

-Lo siamo tutti a questo mondo, lethallin.- disse lui, agitando una mano in segno di saluto, prima di scivolare nel buio della notte.

Lavellan seguì la sua figura con uno sguardo accigliato, finché non fu scomparso dal suo campo visivo. Allora, prese un respiro profondo e si accinse a vestirsi per uscire a sua volta.
Il suo cervello, corrotto dall'insonnia e dal risentimento, non le permise di formulare una bozza di discorso molto razionale. Eppure, lei sapeva di dover affrontare la sua collega il prima possibile, per metterla di fronte allo scivolone che aveva fatto.

Mentre si posava il tabarro sulle spalle, cercò di ricordare le considerazioni che aveva tratto su Leliana in quei pochi mesi di convivenza. Sapeva che, come lei, promuoveva la parità tra razze e fazioni, odiando con tutto il cuore ogni forma di repressione. In realtà, era stata la sua opinione sui Maghi a spingere Lavellan a prendere la decisione di coinvolgerli come alleati, perché le sembrava lungimirante. Anche se era una donna molto religiosa, Leliana sapeva che molte situazioni di conflitto, passate e future, erano derivate dalla repressione culturale della Chiesa e non osava giustificarla, piuttosto promulgava un cambiamento necessario.

Lavellan la riteneva un'alleata della sua gente; per quello le risultava difficile processare il suo tradimento.

Percorse le vie di Haven diretta alla cattedrale con un grande peso sul cuore, ma soprattutto sconvolta da una profonda confusione in testa.

Notò che davanti alla tenda che Leliana di solito usava per gestire la sua rete di spie ed esploratori le lanterne erano rimaste accese. A dirla tutta, non era un evento eccezionale, dato che nessuno dei colleghi di Lavellan riusciva ad andare oltre alle cinque ore di sonno a notte per via del troppo lavoro. Infatti, era sicura che Cassandra fosse ancora al cratere a spostare casse di lyrium assieme a Cullen, mentre Josephine smaltiva la corrispondenza nella sala del consiglio.

Lavellan si avvicinò alla tenda con cautela, scostando appena il drappeggio che caratterizzava l'ingresso, quindi si affacciò all’interno.

Per fortuna, Leliana era presente. Teneva entrambe le mani appoggiate sulla superficie della scrivania, sulla quale era curva. La luce della lanterna che illuminava il mobile accarezzava anche il suo viso, tormentandolo allo stesso tempo con ombre nette nell'evidenziare la stanchezza fisica ed emotiva che vessavano la sua proprietaria.

-Certi giorni mi dispiace di aver bollato come inutile l'idea del Comandante di mantenere la cucina sempre aperta.- disse Leliana, senza distogliere l'attenzione dai documenti che stava consultando.

Lavellan si avvicinò alla scrivania, lentamente. -Avevamo i nostri buoni motivi per bocciarla.- ammise, scorrendo distrattamente lo sguardo su una mappa delle Terre Centrali. -E poi, è divertente contraddirlo.-

Leliana sorrise appena. -Tanto da giustificare il tuo perenne rifiuto dei suoi suggerimenti?-

-Li rifiuto solo quando sono poco intelligenti.- tagliò corto lei. -A proposito di idee poco intelligenti, la prossima volta che hai intenzione di scoprire qualcosa sul mio conto, scegli degli alleati più affidabili. Questi li abbiamo sgamati subito.-

Leliana non si scompose. Si raddrizzò con calma, per rivolgerle finalmente l'attenzione che meritava. -Il fatto che siate riusciti a risalire a me è lodevole.-

-Ti stai sopravvalutando. Non è stato difficile.-

Leliana allacciò le mani dietro alla schiena. -Sei delusa, lo capisco, ma era un male necessario.-

-Necessario per chi? Per me che sono evidentemente impegnata per la causa, o per te che ti senti insicura quando i rapporti con le altre persone iniziano a farsi troppo personali?- replicò Lavellan, con decisione. -Ti affascina così tanto l'idea di poter avere qualcosa contro di me nel caso le cose tra noi andassero male?-

Leliana prese un respiro profondo. -Non so chi sei, Eminenza.- ammise, candidamente. -E questa cosa mi mette in allarme. Eri venuta fin qui per un lavoro di spionaggio, d'altronde. Chi mi dice che tu non stia agendo per conto di qualcuno? O che il tuo compito, primariamente, non si limitasse davvero a quello di osservatrice?-

Lavellan dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per evitare di offenderla. Anzi, si sforzò davvero di mettersi nei suoi panni e rifletterci, nonostante il suo corpo le stesse presentando un gran senso di rifiuto.

-Sei una persona eccessivamente analitica, a tratti glaciale, capace di disconnettersi dalle sue emozioni con una facilità impressionante. A volte mi sembra quasi che tu non possegga dei veri sentimenti, ma imitazioni molto credibili di essi.- proseguì Leliana. -Poi, altrettanto facilmente, butti giù la maschera e diventi un tripudio di allegria e battute al limite del sopportabile. Il problema è che nemmeno in questo caso riesci a condividere con noi qualcosa di te. Questo, Eminenza, è un comportamento da spia.-

A quel punto, Lavellan rinunciò alla diplomazia. -Sai come la penso?- domandò, contraendo i lineamenti in una smorfia di fastidio. -Che qualsiasi cosa facessi, non andrebbe bene. Se ti offrissi una risposta emotiva per contraddirti, ribaltando la scrivania per esempio, mi daresti contro con più veemenza. Nel caso in cui invece ti proponessi una risposta razionale, o troppo analitica, proverei esattamente il tuo punto. Non vincerei in entrambi i casi.- la guardò dritta negli occhi, offrendole disprezzo. -Sai, sono un po' stanca di dover provare a tutti il mio valore. Gli Umani pensano che sia un'incapace, gli Elfi sostengono che abbia troppa familiarità con i nostri oppressori per una che ha davvero a cuore gli interessi della sua gente.- raccolse il ciuffo dietro le orecchie, per sedare un minimo il nervosismo, poi alzò i palmi verso il soffitto, esibendo un'espressione macchiata di rassegnazione. -Speravo che tu, tra tutti, avresti fatto uno sforzo in più per capirmi, ma a quanto pare ho fatto uno sbaglio madornale.-

Leliana studiò i cambiamenti del suo viso in silenzio, dando l'aria di stare registrando mentalmente una valutazione. Dopo che Lavellan ebbe finito, strinse appena le palpebre, chinando la testa per guardare la sua interlocutrice di sottecchi. -Capisco.- disse, semplicemente.

Lavellan reagì a quella reazione con un sospiro impregnato di disappunto. -È quello che è.- affermò, rivolgendosi a se stessa. Allora, si mosse verso l'uscita, per abbandonare la conversazione.

-Lavellan? Un secondo.-

Quella si sforzò di fare come le era stato chiesto, fermandosi sulla soglia.

Leliana la raggiunse con calma, quindi si portò di fronte a lei, a una distanza tale da poterla fronteggiare senza rischiare ripercussioni. -Non è niente di personale, voglio che ti sia chiaro. Questo è il lascito di Justinia.- fece una pausa. -Devo tenerlo al sicuro, capisci?-
Lavellan sbuffò una risata tutto fuorché divertita. -Hai una grandissima faccia tosta, questo te lo concedo.- disse. -Non chiedermi di capirti, quando non sei disposta a fare altrettanto nei miei riguardi.- concluse, bloccando a prescindere una replica con un cenno della mano. Quindi, chiuse la conversazione, andandosene definitivamente.

La confusione che aveva provato prima di confrontarsi con lei si era trasformata in una delusione cruda. Allo stesso tempo, quella risoluzione l'aveva aiutata a mettere un capo e una coda all'atteggiamento della collega nei suoi riguardi.

Capì che non era lei il problema, ma la natura protettiva al limite del paranoico di Leliana, eppure quest'idea non riuscì minimamente a riscattarla.
Infatti, nonostante Lavellan fosse brava a sdrammatizzare, in quel momento non si sentì assolutamente in colpa a volersi estraniare dal comportamento abusivo della collega, perché le giustificazioni non compensavano all'ingiustizia che aveva operato nei suoi riguardi.

Entrò nella sua abitazione e, per la prima volta dopo settimane, recuperò un lucchetto per sigillare adeguatamente la porta.

 

Le ci volle molto per smaltire il nervosismo e, quando successe, lo corresse in automatico con una buona dose di sospetto.

L'idea di non avere uno spazio sicuro nemmeno nel momento in cui si relazionava ai suoi colleghi provocò un cambio di atteggiamento drastico nei loro riguardi.

La logica le suggeriva che in quel modo avrebbe fatto esattamente il gioco di Leliana, ma il suo istinto la riportava alla loro discussione, ricordandole che era una battaglia a cui non aveva piacere di partecipare.

In sala di consiglio, mise un passo in più di distanza da Cassandra, alla quale di solito stava tanto vicina da esserle a ridosso e fece di tutto pur di non partecipare alle chiacchiere che precedevano ogni riunione, limitandosi ai convenevoli.

-No, non possiamo sempre usare i soldati come diversivo per le tue dannate spie!- gemette Cullen, dopo che Leliana gli ebbe chiesto di schierare le truppe in una zona delicata dei bannorn. -Vorrei ricordarti che abbiamo già usato questa tattica e, l'ultima volta, abbiamo riportato due perdite, tra cui un ufficiale.-

-Dobbiamo recuperare assolutamente quelle informazioni, Comandante.- ribadì Leliana, che non aveva nessuna intenzione di mollare la presa. -Bann Olivier è una voce di spicco a corte, nella cerchia ristretta della Regina. Se lo portassimo dalla nostra parte, dandogli quello che ci ha chiesto, potrebbe servirci semmai incontrassimo attriti con la Corona, in futuro.-

Cullen però non sembrava per niente convinto. -Per una volta, possiamo trattare i soldati come uomini e non come pedine per il Gioco? E poi, le diversioni sono la strategia meno sicura in assoluto.-

-Se hai altre opzioni, ti prego di offrirle.-

-Corrompiamo un servitore e facciamo in modo di reperire quelle informazioni senza spargimenti di sangue. Di sicuro, chi vive nel castello sa esattamente dove e come cercare.-

-Ottimo, ma chi ci assicura che una volta finito il lavoro quello non faccia il doppio gioco e riferisca i nostri piani alla nostra vittima?-

-Si accorgerebbe comunque che mancano dei documenti dal suo archivio e noi saremmo i primi sospettati. Se schierassimo i soldati nel suo territorio, capirebbe immediatamente che si tratta di una distrazione e si andrebbe a lamentare con i suoi alleati. Ci perderemmo comunque in credibilità, qualsiasi cosa facessimo.-

Leliana contrasse appena i lineamenti del volto. -I miei sono dei professionisti, non lascerebbero tracce e riuscirebbero a sostituire i documenti con dei falsi eccellenti.-

-Usando il tempo preso in prestito dai morti sul campo di battaglia.-

-Cullen, è il loro mestiere. Non credere che i miei siano meno a rischio.-

-Si ma non possiamo sprecare le loro vite in maniera così brutale. Dobbiamo...-

Lavellan lo interruppe, schioccando le dita per attirare l'attenzione dei suoi colleghi. Smezzò un'occhiata su entrambi, che la fissavano con, tra le labbra, ancora una replica sul punto di essere espressa. -Non ci sarà bisogno né dei soldati, né delle spie.- decretò.

Leliana inarcò un sopracciglio, Cullen invece appoggiò le mani sui fianchi, porgendole un'occhiata confusa.

Lavellan si affrettò a elaborare. -Lasceremo entrambi a bordo campo, semplicemente. Contatteremo la vittima tramite un'ambasceria, la metteremo al corrente della situazione e le chiederemo di darci parte dei documenti, in modo da poterci garantire un'alleanza solida da entrambe le parti. Allo stesso tempo, otterremo il modo di poter fare leva su di loro nel caso ci ripensassero.-

Josephine annuì. -Ci stavo pensando anch'io, Eminenza. Se riuscissimo a giocarcela bene, copriremmo una zona d'influenza maggiore.-

-Sarebbe molto più rischioso delle nostre idee combinate, Eminenza.- intervenne Leliana, scettica. -Non è detto che la nostra vittima accetti di partecipare all’inganno, così come è incerto che il nostro committente resti all'oscuro della faccenda.-

Lavellan si voltò verso l'Ambasciatrice. -Josie, è fattibile?-

Quella ci dovette riflettere poco, prima di offrirle una risposta. -Ci vorrà molto lavoro, ma sono sicura di riuscirci.-

Lavellan annuì con decisione. -Perfetto, allora. Seguiamo questa idea.-

-Non sono d'accordo, Eminenza.- soggiunse Cullen, sollevando un palmo verso l'alto. -La diplomazia è una strada lunga e i profughi hanno bisogno di rifugio adesso.-

-Mi associo.- disse Cassandra. -Le zone del bannorn colpite dagli squarci collimano con quelle più vessate dal Flagello. Se avessimo più supporto a corte, potremmo avere aiuto immediato.-

-Non hai pensato che escludere un giocatore piccolo per favorirne uno eccellente ridurrebbe la nostra influenza in generale? Non dobbiamo solo pensare alla corte della Corona, ma anche ai salotti e a quelle frange di nobiltà minore che s'interessano solo di politica locale.- Lavellan osservò i suoi colleghi con aria stupita. -Possibile che debba essere una dannata orecchie a punta a farvi la lezioncina sulla politica frammentaria del Ferelden? Ai mezzadri non gliene frega niente della Corona, dato che hanno il pieno controllo sulle loro terre e hanno potere di veto sulle decisioni dei loro feudatari. Bisogna per forza giocare a zona, senza marcare esclusivamente i pesci grossi per impazienza, o ci precluderemmo troppe opzioni per il futuro.-

Josephine annuì. -Concordo con lei.- disse. -E intendo avvallare la sua idea.-
Leliana ci rifletté a lungo, passandosi una mano sul mento con aria assorta. -Potrebbe funzionare.- ammise.

-Funzionerà.- dichiarò Josephine, con sicurezza. -I rischi rimangono, ma è una scelta che non porterà perdite in vite umane.-

-Eccetto i profughi.- borbottò Cassandra.

-Non rischieremo la nostra gente per assecondare i giochi di potere di un paio di nobili.- sbottò Lavellan, battendo una mano sul tavolo. -Dobbiamo essere noi a fare le regole, non loro a imporcele. Voglio che sia ben chiaro che non ho più intenzione di usare i nostri come delle fottute pedine! Se devono andare incontro alla morte, deve esserci un motivo valido e questo non lo è.-

Cassandra prese un respiro profondo. -Nemmeno noi vogliamo che i nostri muoiano, Lav. Ma è un rischio che dovremmo prendere in considerazione, prima o poi.-

Lavellan si voltò direttamente nella sua direzione, allibita. -Mi hai preso per una ragazzina che raccoglie margherite nei campi?- domandò. -Lo so, diamine! Non sto dicendo che dovremmo prenderci per mano e cantare cori di chiesa, sto dicendo che è nostro dovere scervellarci per trovare delle alternative, anziché scegliere sempre la soluzione più rapida.- riprese fiato. -Il nostro dovere di leader non copre solo i profughi e gli indifesi, copre anche quelli che combattono per noi. Se c'è la possibilità che tornino a casa, ben venga un'ora in più di consiglio e un'ora in meno per dormire.-

-E non è quello che stiamo già facendo?- la riprese Cassandra, passando un'occhiata incerta su di lei.

Lavellan la guardò a lungo, poi si rivolse a Josephine, che condivideva il suo stupore. -Sto parlando in elfico senza rendermene conto?- le chiese.

-No, il tuo punto di vista è chiaro.- le rispose Cullen, al suo posto. -Ed è bene che tu l'abbia espresso.-

-Grazie della concessione.- disse Lavellan, con evidente sarcasmo. -Ora possiamo smettere di dare all'Elfa della sprovveduta e procedere con il dannato piano?-

-Con vero piacere.- replicò Josephine, interrompendo sul nascere una replica piccata di Cassandra.

Cullen, dopo qualche istante di perplessità, fece per aprire bocca, ma Lavellan fu pronta a smorzare la sua opinione. -C'è altro all'ordine del giorno?- domandò, secca.

Josephine scosse la testa. -Penso che sia tutto.- dichiarò.

Leliana annuì, in supporto.

Lavellan allora batté un paio di pacche sul tavolo, alzò una mano in segno di saluto e lasciò per prima la seduta, senza guardarsi indietro.

Cassandra osservò la porta richiudersi alle sue spalle, a bocca aperta, quindi si voltò verso i suoi colleghi, alla ricerca di spiegazioni.

-Cos'è appena successo?- domandò Cullen, che era altrettanto stupito.

Dopo un attimo di smarrimento, gli occhi di tutti conversero su Leliana, certi che fosse a conoscenza di qualcosa che a loro era sfuggito.

Lei, invece di dissimulare con un'alzata di spalle e un sorriso enigmatico, com'era solita fare, esalò un sospiro stanco. -Indagherò.- mentì, per poi lasciare la seduta a sua volta.

 

*

 

Lavellan piantò la mannaia sul ceppo, creando un taglio netto sulla coscia del daino che stava trattando.

Nelle cucine, nessuno osava rivolgerle la parola, mentre macellava la spoglia che aveva cacciato poche ore prima. Si vedeva lontano un miglio che non aveva nessuna intenzione di condividere il suo compito e, anche se nessuno dei cuochi aveva competenze sui tagli di carne all'elfica, non sembrava ideale correggerla su un controfiletto troppo poco spesso, dato che era armata e nel suo sguardo si poteva leggere un profondo senso di insofferenza.

Il capocuoco, che in realtà apprezzava un aiuto in più nel trattamento della carne, fece in modo di tenere libera l'area attorno al ceppo e al tavolo di macellazione, in modo che l'unica vittima di quello sfogo fosse il daino.

Con gli avambracci e il grembiule ricoperti di sangue e materia organica, Lavellan terminò il suo lavoro sulle zampe della spoglia, quindi si voltò verso il Capitano Rylen, che era appena entrato nelle cucine per consegnarle un messaggio imbustato e sigillato.

Scorse un'occhiata veloce su di lui, poi tornò al lavoro. -Che c'è, hai perso una scommessa?- gli domandò.

-Mi sono offerto volontario.- rispose Rylen, portandosi alle sue spalle con una tranquillità esemplare.

Lavellan corrugò la fronte. -Ti piace il rischio.-

-Non sono a rischio.- la corresse lui, facendosi aria con il messaggio. -Penso che mi avvertiresti, semmai lo fossi.-

-Come fai a esserne così sicuro?-

Rylen si strinse nelle spalle. -Intuito.- ammise. -E poi, volevo ringraziarti di persona per aver evitato ai miei di lasciarci le bracioline per una stupida diversione.-

Lavellan passò una mano sul dorso del daino, dandogli tregua per qualche istante.

Rylen ne approfittò per avvicinarsi di un passo. -Un bravo condottiero manda i suoi uomini in battaglia solo quando non ci sono alternative.- disse. -E se tutti i regnanti avessero la metà del tuo valore, molti ragazzi eviterebbero di imparare a usare la spada.- fece una pausa, per raggiungere il suo sguardo. -Per quello che mi riguarda, la scelta che hai fatto oggi definisce la tua persona meglio di qualsiasi prova di abilità.-

Lavellan contrasse appena le labbra, poi riprese a lavorare. -Lo apprezzo, Capitano.- disse. -Ma non posso assicurarti che ti andrà sempre così bene.-

Lui annuì in maniera sbrigativa. -Sono un soldato da una vita, Eminenza. So come vanno le cose.- rispose. -Ma so anche che c'è qualcuno oltre al Comandante che ha davvero a cuore la mia vita e quella dei miei ragazzi, dentro quella sala di consiglio. E questo mi dona un sollievo inimmaginabile.-

Lavellan incrociò il suo sguardo, poi diede un unico cenno d'assenso. Prese un respiro profondo, poi ritornò al lavoro. -Non credere di riuscire a sfuggire alle tue responsabilità con qualche complimento, Capitano. Devi comunque ripulire l'area attorno al Varco entro domani mattina.- fece finta di rimproverarlo.

Lui sbuffò fin troppo teatralmente. -Sissignora.- bofonchiò, sventolando il messaggio, prima di riporlo al sicuro tra le falde del soprabito di Lavellan.

Lei aspettò che se ne fosse andato, prima di abbandonarsi a un pianto necessario.

Era un lacrimare composto e silenzioso, come se fosse provocato dal fastidio di un corpo esterno tra le palpebre.

Ogni lacrima però pesò sul viso di Lavellan come un chilo di piombo fuso, solcandole le guance nel trascinarsi appresso tutto il nervosismo che aveva accumulato nel corso dei mesi.

Si sforzò di completare il lavoro, per dare la colpa del suo sfogo agli odori forti e alla fatica, cercando al contempo di regalare un po' di pace alla sua testa, che non riusciva a smettere di ripeterle quanto fosse infantile quella perdita improvvisa di controllo.

Far tacere il cervello era difficile, soprattutto quando ribadiva con insistenza che niente era abbastanza e avrebbe continuato a sbattere la testa all'infinito contro un muro che veniva ristrutturato a ogni colpo, incrinando la sua anima irrimediabilmente.

I suoi pensieri giravano in circolo, come lo stufato di verdure che il capocuoco mescolava con decisione, a pochi metri da lei.

-Delltash, quanto puzza 'sto fegato!- commentò Lavellan, sforzandosi di ridere. -Andranno usati sette chili d'aceto per spurgarlo, eh?-

Il cuoco assecondò la risata, mentre lei si ripuliva le guance con un gesto brusco del polso.

-Poi ti credo che nessuno vuole avvicinarsi a me quando macello la carne.- disse, imponendosi la stessa tattica di sdrammatizzare che usava in sede di consiglio, al fine di riprendere il controllo. Si voltò verso il capocuoco, indicandosi ampiamente. -Guarda, sembro un Corvo di Antiva a lavoro finito!-

L'intera brigata al lavoro in cucina rise di quel paragone rischioso, mentre un garzone le porgeva un panno pulito per ripulirsi le mani e il viso.

Lei, nonostante non avesse per niente voglia di scherzare, si fece violenza e continuò imperterrita a scambiare battute con il personale, rassicurandoli in quel modo che tutto fosse finalmente al suo posto.

 

*

 

Per la riunione del consiglio pomeridiana, indetta da Josephine, Lavellan si preparò come mai aveva fatto, imponendosi la perfezione. Consultò persino madame Vivienne, facendosi aiutare a scegliere un completo elegante per ribadire il concetto che aveva espresso in mattinata: lei sapeva quello che stava facendo, le sue intenzioni erano chiare e non aveva più intenzione di farsi mettere una lente di ingrandimento addosso. Non ne aveva bisogno ed era arrivato il momento che i suoi colleghi capissero che lei non era solo una mediatrice, ma l'anima di quel consiglio.

Si presentò per prima, appositamente, dando ai suoi colleghi un'unica occhiata e un unico saluto, mano a mano che arrivavano.

Leliana, che raggiunse la stanza per ultima, si soffermò a guardarla con aria interessata, prima di prendere posto.

-Vi ho convocati perché mi è stato riferito che...- provò a iniziare Josephine, ma Lavellan la interruppe con un semplice cenno di ferma.

Josephine si portò il pennino allegato al leggio sulle labbra, zittendosi.

-Due cose, prima di iniziare.- disse Lavellan, passando lo sguardo sui suoi colleghi. -La prima riguarda la cucina. Ho chiesto al capocuoco se potesse gestire dei turni di notte fino alla chiusura del Varco e lui ha accettato, a patto che gli venga garantito uno staff più numeroso.- si soffermò su Cullen. -Il cibo servito negli orari notturni verrà preparato durante la giornata, quindi dì ai tuoi ufficiali di non richiedere piatti specifici all'ultimo minuto, o metterebbero in difficoltà le cucine.-

Cullen assunse immediatamente un'espressione soddisfatta. -Sono contento che tu abbia cambiato...-

-Seconda cosa.- lo interruppe Lavellan, spostando l'attenzione su Leliana. -Non ammetto che vengano impiegate spie e infiltrati per scavare sul passato dei presenti. Se hai una domanda personale da pormi, gradirei rispondere io stessa e sono certa che i presenti la pensino come la sottoscritta.-

Cassandra guardò lei, poi Leliana, assumendo un'espressione stupita. -Spie? Hai mandato delle spie a scavare sul nostro passato?-

Leliana non provò nemmeno a negare.

-Ha compiuto un atto precauzionale.- la difese Lavellan, senza esibire la minima traccia di emozione sul suo viso. -Al suo posto, con quello che abbiamo in ballo, avrei fatto esattamente lo stesso.- affermò.

-No, non lo avresti fatto.- la contraddisse Leliana, inclinando appena la testa di lato. -Perché non hai mai pensato di aver bisogno di armi da usare contro di me, nel caso in cui mi rivelassi una persona diversa da quella che ti aspettavi.-

-Oh, ma io non ho armi. Ho un arsenale.- puntualizzò Lavellan, calma come la superficie di uno stagno in un giorno senza vento. -E se avessi davvero voluto farti del male, a quest'ora non saresti qui.- aggiunse. -So dove dormi, conosco i tuoi ritmi e mi basterebbe davvero poco a convincere gran parte degli Elfi dell'Inquisizione che dentro la sala di consiglio c'è un individuo a cui vale la pena fare la barba durante la notte.- fece una pausa. -Volevi che ti dicessi questo, l'altra notte? Svelando la mia vera natura al riparo dalle orecchie delle persone che stimo di più, qua dentro?- si strinse nelle spalle. -La prima volta che mi ha visto, Cassandra ha minacciato di uccidermi, dandomi la colpa di essere l'unica responsabile dell'esplosione del Conclave. Josephine ha usato la mia lingua erroneamente, per farsi bella ai miei occhi. Cullen mi ha accusata di aver sprecato le vite di decine di soldati per permettermi di raggiungere il Varco. Sono abituata a essere denigrata, ma ora non ho più intenzione di farvela passare liscia. Ah e prima che vi prostriate, staccatevi la coda di paglia dal culo e chiedete scusa alle persone che avete di fianco per le ingiurie a cui le sottoponete quotidianamente, dimenticandovi che stiamo combattendo tutti dalla stessa parte.-

Leliana passò uno sguardo attento su di lei. -Risponderai a ogni mia domanda senza muovere questione?-

-Con il tempo.- le rispose Lavellan, asciutta. -So cosa vuol dire sentirsi accerchiati e se le mie risposte permetteranno di chiarire ulteriormente la mia posizione, allora sono disposta a fare questo sforzo.-

-No.- intervenne Cullen, allibito. -Quello che ha fatto non è corretto e ci meritiamo tutti delle scuse. Tu per prima.-

-Sono d’accordo.- fu l’intervento minimo di Cassandra, che osservava Leliana con la delusione dipinta nello sguardo.

-Lo ha fatto per tenervi al sicuro.- replicò Lavellan.

-Al sicuro da cosa, da te?- Cullen sbuffò una risata arida di divertimento. -Non ha il benché minimo senso.-

Leliana si schiarì la voce, poi appoggiò le dita sul tavolo, sporgendosi su di esso. -Hai ragione.- disse, per la prima volta da che avevano iniziato a lavorare insieme. -Così come ha ragione Sua Eminenza. Stiamo combattendo tutti dalla stessa parte e ciò comporta una fiducia reciproca incondizionata. In questo ho fallito. Vi ho fallito.- si rivolse direttamente a Lavellan. -E sono davvero dispiaciuta.-

Cassandra e Josephine, che la conoscevano da una vita, lasciarono le redini dell'ira e rilassarono i lineamenti del viso nel vederla prostrarsi e cedere il controllo in quella maniera a un'altra persona.

Lavellan scoccò uno sguardo che sapeva di imperativo a Cullen, il quale manteneva un broncio esemplare, per niente intenzionato a cedere. Di fronte a quella richiesta di darle fiducia, però, lui si costrinse a mollare la presa a sua volta.

-Puoi giurare, qui e adesso, che non succederà più?- domandò, rivolgendosi a Leliana.

Lei recuperò il rosario che teneva al collo, avvolgendolo sulla mano sinistra. -Lo giuro sulla Santa Andraste e sul mio onore.- disse, porgendogli la mano.

Lui esitò un istante per cercare conferma negli sguardi delle sue colleghe, Lavellan in primis. Quando la sua mente arrivò a una conclusione, strinse la mano di Leliana con fermezza.

Allora, Lavellan si schiarì la voce. -Ora che abbiamo chiarito...- iniziò, voltandosi in direzione di Josephine. -Prego, Ambasciatrice. A te la parola.-

Josephine, ancora intontita da quello scambio, ammiccò. Cercò con lo sguardo un appunto che aveva preso sul leggio, quindi si affrettò a riportarlo al gruppo.

Quel cambio di atmosfera permise al consiglio di procedere rapidamente fino a una conclusione naturale, senza litigi o scambi di opinione accesi.

Lavellan accolse quella novità con sollievo, lieta di non dover per forza usare l'umorismo per abbassare i toni. Oltre al sollievo, la sua anima si tinse di un certo compiacimento, dato che dopo che veniva vagliata ogni proposta i suoi colleghi facevano virare lo sguardo su di lei, alla ricerca della sua approvazione.

Al momento di concludere, Lavellan si diresse verso il caminetto, recuperando le bucce di mandarino che soleva mettere a ridosso delle braci per profumare la stanza. Dato che avevano esaurito la loro funzione, le gettò nel fuoco, poi strofinò le mani l'una con l'altra, per ripulirle.

-Allora, queste domande?- chiese, portandosi al fianco di Leliana per aiutarla a riordinare i documenti.

Quella le rivolse una breve occhiata. -Non ha più importanza, Eminenza. Ho capito la lezione.-

-Non c'era nessuna lezione. Ero seria.- replicò Lavellan, tranquillamente.

Leliana ci rifletté a lungo. -Ne ho una, per ora.- ammise. -Hai intenzione di restare?-

Il resto del gruppo si voltò immediatamente verso di lei, come se dalle sue labbra fosse appena fuoriuscita una bestemmia. Lavellan aggrottò la fronte, rivolgendole un'occhiata altrettanto stupita. -Finché respiro, ovviamente.- rispose. -E, semmai morissi, mi piacerebbe che usassi il mio teschio come portacandela. Checché ne dicano gli Avaar, i teschi sono pessimi boccali.-

Cullen trattenne a stento un sorrisetto, mentre Cassandra alzava gli occhi al cielo.

Leliana, sorprendentemente, liberò una risata limpida nella stanza, suggerendo a Lavellan che, forse forse, aveva fatto la mossa giusta.




-Nota-

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E so che è un’opinione impopolare, perché tutti dicono che è un Leone, o un Capricorno (ma dove??? D O V E??).
Aggiorno ora anziché mercoledì perché non avrò sottomano il PC per una decina di giorni, quindi preferisco anticipare anziché postare due capitoli a botta.
Ecco, questo non era un capitolo previsto, di conseguenza non ha subito le trecentomila revisioni classiche che ho fatto per gli altri. Diciamo che avevo un paio di pezzi in più nel folderone della storia che non sapevo come collegare, quindi ho dovuto studiare un attimo come inserirli senza fare disastri.
Speriamo bene!
Grazie per essere arrivati fin qui. Un braccio <3

 

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Capitolo 7
*** Primula ***


6 - Primula


-Perché ho come l'impressione che manchi un pezzo?-

Cullen voltò la testa di scatto, distraendosi dal supervisionare l'allenamento delle reclute.

Lavellan era in piedi dietro di lui e reggeva tra le mani un tomo grosso quanto la parte superiore del suo corpo, senza fatica. Lo teneva aperto, scorrendo uno sguardo corrucciato su una pagina madida di caratteri dipinti in maniera raffinata.

Pareva quasi che fosse uscita dai suoi alloggi involontariamente, perché troppo concentrata sulla lettura. Difatti, era scalza, portava i capelli legati sulla nuca disordinatamente e le sue spalle erano coperte da una vestaglia pesante, aperta su vestiti leggeri. Sul suo viso c'era giusto un accenno di trucco, che falliva a mascherare le profonde occhiaie che le circondavano lo sguardo.

Cullen assunse immediatamente un'espressione confusa, perché oltre a non averla sentita arrivare, gli sembrava strano che lo consultasse su questioni esterne a ciò che discutevano in sede di consiglio. Era anche vero, però, che le conversazioni mondane che intratteneva con Lavellan non gli consentivano di prepararsi psicologicamente in maniera adeguata e preventiva, dato che avevano il difetto di spiazzarlo regolarmente. Tuttavia, al contrario di molte situazioni sociali improvvise che Cullen era costretto ad affrontare, quel caos interattivo non gli mandava la giornata di traverso.

-A cosa manca un pezzo?- le domandò, girandosi direttamente nella sua direzione.

Lavellan schioccò la lingua sul palato, strofinando tra le dita il bordo della pagina. -Al Canto della Luce.- rispose, sollevando lo sguardo su di lui. C'era un'evidente nota di frustrazione nella sua voce.

Cullen sollevò le sopracciglia. -Hai ragione. Manca il Cantico di Shartan.-

Lavellan batté un paio di volte le ciglia, spostando la testa lievemente in avanti. -Il Cantico di Shartan?- ripeté. Insoddisfatta, chiuse il tomo, per osservare con perplessità la costa. -Leliana mi ha dato una versione incompleta del Canto, insomma.-

-No, non è incompleta.- spiegò lui, affiancandosi alla sua interlocutrice per consultare il sommario. Lo scorse brevemente con l'indice, che picchiettò un paio di volte prima di raggiungere la pagina indicata. -Dovrebbe essere più o meno tra il Cantico di Andraste e le Trasfigurazioni.- disse, sfiorando il verso finale della strofa che chiudeva il primo. -Vedi? Non c'è una chiusura logica e c'è un riferimento a una strofa successiva che non è presente.-

-Perché?-

-Perché è stato escisso dal Canto, così come la maggior parte dei riferimenti agli Elfi e a Shartan, dopo la Sacra Marcia delle Valli, nell'età della Gloria.- rispose lui, senza pensarci.

Lavellan strinse le labbra, poi esalò un sospiro lungo dal naso. -Shartan il Liberatore. Ecco perché il suo nome mi era familiare.- disse, in un sussurro.

Cullen notò un'ombra di delusione abbassarsi sul suo viso, allora si schiarì la voce. -“A una parola di Shartan il cielo si fece scuro di frecce. Con la Nostra Signora, diecimila spade vennero estratte dalle guaine. Un grande inno si levò sopra i Campi Valari, proclamando: coloro che erano schiavi ora sono liberi.”- recitò, tenendo un tono di voce basso. -Qualcosa è rimasto.- aggiunse, sorridendo appena nel vedere lo sguardo di Lavellan tingersi di curiosità.

-E dove posso trovare questo qualcosa?- gli domandò lei, con una punta di eccitazione nel tono di voce.

Cullen si guardò intorno, con aria circospetta. -Dato che è un libro bandito dalla Chiesa, dubito che lo troverai qui, a Haven.- ammise, sfiorandola con uno sguardo significativo. -E poi, a un uomo di fede come me non verrebbe mai in mente di dirti che quello che cerchi si trova nei Versi Dissonanti di Sorella Petrine, reperibile tranquillamente alle Meraviglie del Thedas di Denerim.- fece una pausa. -Sarebbe un vero e proprio incoraggiamento all'eresia.-

Lavellan gli rivolse il tentativo di un sorriso, ma si costrinse immediatamente a fingersi seria. -Tranquillo, non ti chiederei mai una cosa del genere.- replicò, indietreggiando per andarsene. -Scusa il disturbo.-

-Quando vuoi.- rispose lui, passando uno sguardo divertito su di lei, prima di ritornare a concentrarsi sul lavoro.

 

*

 

Rylen si sfilò l'elmo, per passarsi una mano tra i capelli. Ser Darrow, che era sull'attenti alle sue spalle, gli gettò un'occhiata veloce, poi tornò a guardare Cullen, che leggeva un rapporto con attenzione.

I tre si trovavano a sostare su una chiazza di terra battuta a pochi metri dalla fucina, posto che Rylen aveva scelto perché era abbastanza riparato dal vento e così permetteva loro di conversare senza dover alzare troppo la voce.

-Sono numeri molto bassi.- commentò Cullen, passando uno sguardo macchiato di insoddisfazione sui suoi sottoposti. -Il Capitano Farris ce ne aveva promessi il doppio.-

-Sappiamo contare anche noi, signore.- replicò Rylen, altrettanto deluso. -Forse la bottiglia lo ha confuso. Non sarebbe la prima volta.-

Ser Darrow guardò il suo mentore con tanto d'occhi, ma Cullen parve non offendersi dalla schiettezza del suo secondo. -Gli scriverò io stesso, nel pomeriggio.-

-Se non gli fa venire la strizza la tua firma, non so cos'altro potremmo inventarci.- replicò Rylen. -Sempre che Belinda non cambi idea.-

-Non mi metterò a sculacciare un mio superiore, nemmeno se me lo ordinasse l'Araldo in persona!- affermò Ser Darrow, indispettita.

Sul viso di Rylen apparve l'ombra di un sorriso. -A proposito di Araldo...- fece, chinando il capo al passaggio di Lavellan, diretta alla fucina. -Ehi, Emine'!-

Lei, distratta perché stava districando un gomitolo di corde d'arco, alzò un'espressione sorpresa nella sua direzione. -Oh, sei tornato!- lo salutò, con un bel sorriso.

Rylen notò la postura di Cullen irrigidirsi con la coda dell'occhio. -La prossima volta che mi mette a scortare nobili, che ne dice di fare una bella selezione preventiva?-

Lavellan si avvicinò al gruppo, con aria allegra. -Sono stati così indisciplinati?-

-Sono nobili, signora, per di più orlesiani.- replicò Rylen, come se quello fosse abbastanza per definire l'entità del problema.

Ser Darrow indossò un'espressione laconica, ma non osò intervenire.

-Vuoi una mano?- domandò Cullen, alludendo alla matassa che ormai inglobava gli avambracci di Lavellan da quanto era intricata.

Lei ridacchiò, rinunciando direttamente a risolvere l'inghippo. -“Una mano”.- ripeté, divertita dal fatto che le sue fossero temporaneamente impossibilitate ad agire. -Tranquillo, so che hai altro di meglio da fare.-

-Insiste.- intervenne Rylen, assicurandosi un'occhiataccia da parte di Cullen.

-No, oggi non ha la faccia di uno che insiste.- replicò Lavellan, intercettando quello scambio.

-Sto risparmiando le forze per dopo.- replicò Cullen, dissimulando con un sorrisetto.

-Ti converrà usarle per qualcos’altro, capo, perché non penso proprio che te la daremo vinta.- lo provocò lei, indietreggiando per dirigersi nuovamente verso la fucina.

-Questo è tutto da vedere!- concluse lui, per poi voltarsi di nuovo verso i suoi sottoposti, che lo fissavano con tutta l'aria di aver compreso il significato dell'esistenza umana per poi scoprire che si trattava di una truffa. -Che c'è?- domandò, perplesso.

-Vi date del tu. Questa è nuova.- commentò Ser Darrow, mentre Rylen tratteneva a stento un sorriso.

-Me l'ha chiesto lei.- rispose Cullen, osservando i due con sospetto.

Rylen scosse la testa, esalando un sospiro di rassegnazione. -Sei sempre della tua idea, Bel?- domandò.

-Forse un'eccezione potrei farla, in questo caso.- rispose tranquillamente Ser Darrow.

Cullen passò uno sguardo severo su di loro. -Ve lo ricordate che sono io che vi firmo gli stipendi, vero?-

Rylen schioccò le dita. -Al lavoro! Su, su!- esclamò, incitando Ser Darrow a seguirlo all'accampamento dei soldati. Quella non se lo fece ripetere due volte e si affrettò a camminare sulla scia del suo mentore.

Cullen li guardò allontanarsi con aria divertita, poi si soffermò a scrutare la fucina, abbandonandosi in un sorriso struggente nello scorgere l'espressione allegra di Lavellan mentre si faceva sgridare da Harritt.

 

*

 

-Quanti anni ha Sua Eminenza?-

Harding, che stava terminando di affilare il suo coltello da caccia, rivolse a Rylen uno sguardo incerto, poi si voltò verso Cullen, alle prese con uno dei picchi di lettere che creavano una vera e propria catena montuosa sulla sua scrivania. -Lei lo sa, Comandante?-

Cullen sollevò appena la testa dalla nota che stava analizzando. -No, non lo so.- mentì.

-Dovrebbe interessarti.- affermò Rylen, raggiungendolo per aiutarlo a trovare la luce in fondo alla burocrazia.

-Non sono affari miei, né tantomeno tuoi.- lo rimproverò Cullen, bloccando in tempo una pila di comunicati che Rylen aveva rischiato di far crollare a terra al suo passaggio. -E poi, non si chiede l'età di una signora, Harding.-

-Anch'io sono una signora, eppure non ho problemi a dire quanti anni ho.-

Rylen le scoccò un'occhiata scettica. -Non vale se dici a tutti una cifra diversa.-

Harding si strinse nelle spalle. -Funziona così, quando la gente è maleducata.- ammise.

-A me ha detto che ha settantacinque anni.- intervenne un Mago elfico con i gradi di tenente. Portava un forte accento di Cumberland e aveva un'espressione perennemente trasognata, incorniciata da una pioggia di capelli biondo platino e accentuata da un paio di occhi verde chiaro, grandi, incavati e circondati da borse piene di stanchezza.

-Burrows, questa cosa si gioca a ribasso. È impossibile che abbia tutti quegli anni!- affermò Harding, con sicurezza. Poi si soffermò a rifletterci. -A dire il vero... sai che non ho mai visto un Elfo con i capelli grigi?-

Cullen le rivolse un'occhiata allibita.

-Ora gli interessa.- commentò Rylen, fraintendendo l'origine della sua sorpresa.

Burrows ridacchiò, per niente offeso dalle implicazioni razziste dell’uscita della collega. -Posso chiederglielo di nuovo, se volete, ma ho il timore che stia facendo un'operazione più caotica di quella di Harding. Mallory sostiene che ne abbia diciannove.-

-Non penso che abbia problemi a far sapere la sua età, allora.- intervenne Cullen, accennando un sorriso. -Conoscendola, è probabile che voglia solo mettervi un po' di confusione in testa.-

Rylen gli gettò un'occhiata veloce, tornando quindi a riordinare. -Perché la conosci bene, eh, signore?-

-Non bene quanto vorrebbe.- intervenne Harding, facendolo ridacchiare.

-Sono a tanto così dal degradarvi tutti.- sbottò Cullen, pizzicando l'aria con un gesto secco.

-E io che c'entro?- protestò Burrows, indignato. -Siete voi che state facendo pizzi e merletti su una donna impegnata!-

Ricevette tre occhiate indagatrici. -Impegnata?- domandò Rylen, facendo le veci di chi era davvero interessato ad avere risposte.

Burrows si strinse al suo bastone, intimidito da quelle attenzioni. -Direi di sì. Passa tutto il suo tempo libero con la signora Pentaghast. Che dormono nella stessa tenda lo sapete, vero Harding?-

-Sei sicuro?- domandò quella, stranita.

-Già, sei sicuro?- ripeté Rylen, appoggiando una mano sulla spalla di Cullen, che fingeva di concentrarsi sulla corrispondenza.

Burrows fece spallucce. -Abbastanza. Le ho viste tenersi per mano e Mallory dice che sono sempre attaccate come la tinea e il paguro.- affermò. -Io non mi tengo per mano con i miei amici. Se proprio devo, lo faccio con quelli con cui mi voglio...-

-Può bastare.- decretò Cullen, interrompendolo. -La prossima volta che vi sento parlare in questi termini dell'Araldo e della Cercatrice Pentaghast, vi degrado sul serio.-

Burrows si morse un labbro, poi annuì con decisione.

-Sissignore.- disse Harding, con aria perplessa, mentre Cullen tornava realmente ad affrontare l'incubo burocratico che era la sua scrivania.

Rylen lo osservò a lungo, indeciso su come intervenire, poi decretò che era il caso di rinunciare, proprio perché conosceva il suo superiore abbastanza bene da sapere che quando metteva un punto a una questione non c'era modo di farlo ragionare. Come aveva detto l'Araldo, il suo confratello non era una persona che amava insistere, soprattutto su argomenti che lo toccavano intimamente.

 

*

 

-Soffia.-

Lavellan si chinò sulla mano di Cassandra, le cui dita tenevano fermo un ciglio, poi fece come le era stato chiesto.

Cullen registrò quel gesto nella sua mente anche senza vederlo direttamente, distraendosi giusto un istante dall'annotazione che stava scrivendo sotto a un rapporto. Si sforzò di riprendere subito la concentrazione.

I cinque erano all'aperto, approfittando dell'unico sole che vedevano dopo giorni di tempo nuvoloso e nevicate per scambiarsi un'opinione veloce su una questione. Dato che era una cosa realmente breve, si erano radunati nel misero giardino di pini sul lato orientale della cattedrale, anziché chiudersi in sala di consiglio in maniera immotivata.

-Cos'hai desiderato?- domandò Leliana, leggendo velocemente l'annotazione di Cullen da sopra la sua spalla.

Lavellan inarcò un sopracciglio. -Dovevo esprimere un desiderio?-

-Certo, Lav. Sennò te l'avrei tolta e basta.- rispose Cassandra, passandole una mano sul capo per riordinarle i capelli. -E di solito i desideri non si svelano.- aggiunse.

Lavellan ci rifletté giusto un istante, poi sulle sue labbra si formò un sorrisetto. -Per una volta, so qualcosa che l'Usignolo non sa.- affermò, soddisfatta.

Leliana schioccò le dita teatralmente. -Mannaggia!- scherzò.

-Possiamo concludere?- intervenne Cullen, passando il rapporto a Josephine con fare sbrigativo. -I miei ufficiali si staranno chiedendo dove sono finito.-

-Sono d'accordo. Prima finiamo, meglio è.- si aggiunse Cassandra, abbassando lo sguardo sul foglio, dopo che Josephine lo ebbe passato a Lavellan.

Quest'ultima infatti lo aveva messo in modo che lo leggessero entrambe, appoggiando una mano sulla spalla della collega. -Una guardia d'onore che presenzi alla veglia mi sembra un'ottima idea.- disse. -Anche se si tratta solo di una piccola celebrazione, è il caso di onorare l'invito del Teyrn Cousland adeguatamente.-

-Non è necessaria una dimostrazione di forza a una veglia, Eminenza.- chiosò Josephine, con scetticismo.

-Non è una dimostrazione di forza, è una risposta a un invito di pari valore alla mano di chi l'ha scritto.- ribatté Lavellan, per poi ritornarle il rapporto.

-Mi associo nel supportare l'idea del Comandante.- intervenne Cassandra, scorrendo uno sguardo veloce sul gruppo.

Cullen però non sembrava per niente lusingato. Si limitava a tenere la schiena dritta, in attesa del responso finale.

Leliana diede un breve cenno d'assenso, quindi tutti attesero che Josephine confermasse il piano d'azione. Quando anche lei fu finalmente d'accordo, ritornarono tutti a svolgere i loro doveri nelle loro rispettive postazioni.

-Come procede con le nuove reclute?-

Cullen, che si stava dirigendo a passo spedito verso il campo d'addestramento, si voltò appena verso Cassandra, che era corsa ad affiancarlo. -Procede.- rispose, secco.

-Pensavo di chiedere all'Araldo se le andasse di supervisionare gli arcieri che sono arrivati da Amaranthine.- tornò alla carica Cassandra, precedendolo di un passo nello scendere le scale che anticipavano i cancelli. -Mi sembrano validi, ma lei tende archi da quando era piccola. Di sicuro potrà scrivere una valutazione più accurata della mia.-

-Mi sembra un'ottima idea.- rispose lui, trattenendo egregiamente una nota di fastidio in gola.

-Perché è un'ottima idea, ma il comando è tuo. Non posso agire senza la tua approvazione.- precisò Cassandra, battendogli una mano sulla schiena.

Cullen prese un respiro profondo, poi si sforzò di rivolgerle un sorriso. -Cos'è che oggi siete così accomodanti nei miei confronti?- domandò.

Cassandra lo guardò con aria perplessa. -Guarda che mi confondi con le persone sbagliate. Io approvo sempre le tue mozioni in sede di consiglio.- puntualizzò. -Tutto bene, Comandante?-

Cullen esitò, poi diede un sospiro stanco. -Ho molte cose da fare, tutto qui.- minimizzò, per poi dirigersi verso la sua tenda, con tutte le intenzioni di concentrarsi su altro.

Cassandra diminuì l'andatura, per permettergli di prendersi i suoi spazi, quindi smise di seguirlo, intuendo che l'ultima cosa che gli sarebbe servita in quel momento fosse la sua insistenza.

Quando Cullen fu sicuro di essere finalmente da solo, rilassò la postura, passandosi una mano sulla fronte per scrollarsi di dosso la frustrazione. Entrò nella sua tenda, per concludere la riunione con i suoi ufficiali, che aveva messo in pausa per discutere con le sue colleghe.

Una volta finiti i suoi doveri, si ritirò al di là del telo divisorio per sciacquarsi il viso velocemente, indugiando a massaggiarsi le tempie per placare il cerchio alla testa che lo stava tormentando dalla mattina. Quando alzò lo sguardo per specchiarsi, per poco non si ritrovò a sobbalzare.

La lastra di rame che usava di solito era stata sostituita da uno splendido specchio di vetro ovale, finemente decorato sui bordi. Vedere il suo viso ritratto con un'accuratezza alla quale si era disabituato gli fece sgranare gli occhi dalla sorpresa.

Carezzò la cornice con la punta delle dita, percorrendola dalla cima, dov'erano intagliate le sagome di due teste di mabari, fino al fondo, seguendo i contorni dello stemma di Re Calenhad il Grande. Lì trovò il fazzoletto che aveva prestato a Lavellan, pulito e stirato, su cui era stato appoggiato un biglietto di carta piegato in due. Si affrettò ad aprirlo.

-“Penso che potrebbe esserti utile così come a me è stato utile il libro che non mi hai consigliato di trovare.”- recitò, in un sussurrò. Si ritrovò a sorridere, istintivamente, ma fu una cosa molto breve.

Ripiegò il biglietto con cura, lisciando la piega con il pollice. Prese a fissarlo con un'enorme confusione nello sguardo, indeciso se trattarlo come un comune foglio di carta e regalarlo alla stufa, o conservarlo per ricordo.

In realtà, non aveva nemmeno idea del perché un misero pettegolezzo sulla vita privata delle sue colleghe lo stesse turbando in quella maniera, dato che conosceva poco di Lavellan al di fuori della sfera professionale. Inoltre, rispettava profondamente Cassandra. Se tra loro era nato un bel sentimento, non c'era motivo di provare il senso di tradimento corrosivo che stava sperimentando lui in quel momento.

Schifato dal suo subconscio, decise di rimettersi addosso il buonsenso a forza, imbottigliando l'emotività per concentrarsi sul lavoro e viaggiò spedito come un corsiero per tutto il pomeriggio, finché il buio della notte non lo sorprese.

Fu allora che, impossibilitato a dormire per via della spossatezza data dal sovraccarico di responsabilità che si era imposto, decise di fare una breve passeggiata al freddo per rilassarsi. Non appena raggiunse il campo d'addestramento, però, si ritrovò a fare di nuovo i conti con il senso di tradimento che aveva provato a reprimere strenuamente per tutto il pomeriggio. Gli esplose tra le mani, ferendolo irrimediabilmente.

Lavellan era china di fronte a una fila di manichini, radunando le frecce che non erano andate a segno nella sua faretra. Poco distante da lei, Cassandra la aspettava con pazienza, reggendo il suo tabarro sottobraccio. Stavano parlando di qualcosa eccessivamente divertente per la prima, ma abbastanza frustrante per la seconda, che la stava rimproverando con fare fin troppo permissivo.

Per lui, quella scena fu più dolorosa di un'ingiuria.

-Non vuoi fare proprio niente?-

Cullen si voltò appena verso Rylen, che si era affiancato a lui pochi istanti prima. -A che proposito?- gli domandò, facendo finta di niente.

Rylen gli lanciò un'occhiata eloquente. -Andiamo, è palese a tutti che ti piace! Devi solo dirglielo.-

-E rovinare due amicizie in un colpo solo per qualcosa di cui non sono nemmeno troppo sicuro?- soggiunse Cullen, passandosi una mano dietro al collo con aria esausta.

Rylen gli diede un buffetto sul braccio, per attirare la sua attenzione. -Guarda che tifiamo tutti per te, in caserma. Non puoi lasciarci con un pugno di mosche.- lo incoraggiò. -Chiedi a Lysette. Lei ci ha pure scommesso!-

Cullen gli rivolse un sorriso triste. -Spero che non abbia scommesso qualcosa di valore.- disse, spostando lo sguardo verso le due. Cassandra stava sistemando il tabarro sulle spalle di Lavellan, amorevolmente. -Mi comporterò come se fosse un'altra delusione derivata dalla deprivazione da lyrium. Una bella parentesi tra un impegno e l'altro, che mi scrollerò di dosso al momento opportuno.-

Rylen gli appoggiò una mano sulla spalla, stringendo appena la presa. -Come posso aiutarti?-

-Smettendo di fare pizzi e merletti su una donna già impegnata, come direbbe Burrows.- replicò semplicemente Cullen, tornando da dov'era venuto.

 

*

 

Scommettere sul numero di strofe del Canto che Cullen avrebbe ascoltato, prima di venire assalito da un messaggero, era diventato il passatempo preferito di Threnn e Leliana.

La seconda riusciva sempre ad arrivare a cifre pericolosamente vicine a quelle effettive, vincendo a mani basse. Threnn, da buona fereldiana da manuale, continuava comunque ad alzare la posta, accanendosi testardamente a partecipare a un gioco che non avrebbe mai vinto.

-Quanto le devi, adesso?- le domandò Varric, che per fare un favore a Lavellan stava consegnando una cassa di unguenti al tavolo degli approvvigionamenti.

Threnn osservò Cullen allontanarsi dalla cattedrale al fianco di un'esploratrice, seguendolo con uno sguardo truce. -Due sovrane.- disse, con la voce impastata dal disappunto.

-Due sovrane e cinque pezzi di rame.- precisò Leliana, avvicinandosi al duo con aria soddisfatta. -Vuoi unirti al gioco, mastro Tethras?-

Varric sbuffò una risata. -Fossi matto! Se scommettessi con te arriverei a giocarmi la casa, e devo ancora rivincerla dal Toro.-

-Se proprio vuoi scommettere con qualcuno di meno ostico, puoi provare giù all'accampamento. Ho sentito che Lysette è sul punto di perdere il cavallo.- gli suggerì Threnn, controllando velocemente la nota di carico associata alla cassa portata da Varric, prima di prendere a frugare nel borsello delle monete.

-Che cosa scommettono di bello?- domandò lui, rivolgendo un sorriso malizioso a Leliana, pronta a incassare.

-Non dovrei dirvelo, ma suppongo che sorella Usignolo ne sia già al corrente.- replicò Threnn, una volta che ebbe consegnato alla sua compagna di gioco la cifra pattuita. -Gira voce che l'Araldo e la Cercatrice abbiano una storia.-

Varric scoppiò a ridere sonoramente, Leliana invece si limitò a rivolgerle un'occhiata divertita.

-Ma da dove è uscita questa?- gemette Varric, reggendosi lo stomaco.

-Non ne ho idea, davvero, ma se basta a mantenere alto il morale ben vengano i pettegolezzi.- ammise Leliana. -Finché si limitano al tifo, per me va bene.-

-Anche se è alle spese delle tue colleghe?-

-Colleghi.- precisò Leliana. -Ci siamo dentro tutti, me inclusa. Cassandra è la prima della lista unicamente perché passano più tempo insieme.-

-Su chi punteresti tu, Nano?- domandò Threnn, che aveva tutta l'aria di stare prendendo appunti mentalmente. Varric, capendo l'antifona, unì il pollice e l'indice, scorrendoli sulle labbra.

Leliana ridacchiò, per poi fare un cenno di saluto a Rylen, che le stava porgendo un messaggio.

-Oh, andiamo! Dammi una dritta, almeno!- protestò Threnn. -Ser Rylen, tu per chi hai puntato?-

-Non muoio dalla voglia di scommettere su una cosa così personale. Al contrario tuo, io questa gente la rispetto.- rispose quello, con un velato accenno di rimprovero.

Varric notò una bizzarra sfumatura di malinconia nello sguardo del nuovo arrivato, mentre sosteneva con fermezza la sua riluttanza a partecipare allo scherzo. Lo studiò a lungo, con le braccia incrociate sul petto, poi sospirò. -Va bene, vi darò una dritta.- disse.

-Così non vale, mastro Tethras.- intervenne Leliana, ripiegando il messaggio di Rylen per apporvi una nota sul retro.

-Vale eccome!- fece lui, scacciando quel rimprovero con un cenno della mano. Attese qualche secondo, per enfatizzare la rivelazione, poi si rivolse direttamente a Rylen. -All'Araldo non interessano le donne.- affermò.

-Merda!- esclamò Threnn, battendo una mano sul tavolo degli approvvigionamenti, in preda allo sconforto. -Ne sei sicuro?-

Varric si strinse nelle spalle, infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni. -Piuttosto sicuro.- replicò.

Lo sguardo penetrante di Rylen si fissò sul suo viso. -Cosa te lo fa dire? Magari è come quella storia della sua età che varia in base a chi gliela chiede.-

Leliana mosse un passo nella sua direzione, forzando il contatto visivo. -Ha la sua stessa età, le piacciono decisamente gli uomini e giuro che se non corri a dirglielo ti metto di scorta alla comtesse Rivière per un mese.- replicò, appoggiandogli il messaggio tra le mani con un'espressione categorica.

Rylen annuì con decisione. -Sissignora!- esclamò, recuperando il messaggio al volo per poi muoversi verso l'accampamento dei soldati come se avesse le ali ai piedi.

Varric le scoccò un'occhiata divertita. -Così non vale, Usignolo.- la riprese, senza dare l'idea di crederci realmente.

-Vale eccome.- rispose lei, per poi regalargli un sorriso macchiato di compiacimento.

 

*

 

-Aggiornamenti?- domandò Lavellan, riunendosi a un consiglio eccezionale, di nuovo situato all'esterno della cattedrale. Stavolta, però, si svolgeva di sera.

Josephine recuperò un foglio di carta intestata dal leggio. -Un messaggio scritto di suo pugno dal Teyrn Cousland.- disse, consegnandoglielo.

Lavellan lo lesse attentamente, poi diede un sospiro di sollievo. -Con te non si può mai sapere.- si giustificò, intercettando l'espressione scontenta di Cullen.

-Perché sei una malfidata, ecco quanto.- si lamentò lui, con una leggera sfumatura di soddisfazione nel tono di voce.

-Ho i miei buoni motivi.- replicò Lavellan, ritornando il messaggio a Josephine. -Se puoi, mantieni i contatti con lui, d'accordo?- le suggerì.

Quella annuì. -Consideralo fatto.-

Cassandra sbadigliò sonoramente, coprendosi il viso con la mano intera. -C'è altro?- biascicò.

-Direi che è tutto.- dichiarò Leliana, allacciando le mani dietro la schiena. -Possiamo occuparci di questioni meno pressanti domani mattina.-

Josephine rivolse un sorriso a ciascun componente del consiglio. -Buonanotte, signori.- li salutò, muovendosi per prima verso l'interno della cattedrale.

-Posso rubarti un minuto?- mormorò Cullen, rivolgendosi a Lavellan, che era in procinto di andarsene.

Lei gli sorrise. -Anche due.- rispose, accompagnandolo attraverso il cortile.

Cassandra li seguì con lo sguardo finché non furono scomparsi dal suo campo visivo, poi si voltò verso Leliana. -Ci è arrivato da solo, o c'è di mezzo il tuo zampino?- le domandò.

Leliana le lanciò un'occhiata madida di tenerezza. -Era pronto a farsi da parte per via dell'amicizia che vi lega.-

Cassandra esalò un rantolo di fastidio. -Gli sarebbe bastato chiedermelo! C'è voluto il nano malefico per farmi capire cosa ci fosse che non andava.- alzò gli occhi al cielo. -Neanche fossimo in età adolescenziale!-

Leliana ridacchiò. -L'amore ci rende sempre un po' bambini.- affermò.

 

-L'ho trovato in una casa in fiamme nei pressi del Crocevia, per quello ha il retro un po' bruciacchiato.- spiegò Lavellan, sfregandosi le mani per allontanare il freddo.

Cullen la precedette nella discesa, poi allungò una mano verso di lei, per evitarle di calpestare un mucchio di neve che si era agglomerato alla base della scalinata che stavano percorrendo. Lavellan osservò quel gesto con aria confusa, ma decise comunque di assecondarlo. Appoggiò le dita sul suo palmo, scavalcò l'ostacolo con un saltello e atterrò al suo fianco agilmente.

-Quindi, l'hai sottratto a qualcuno.- suggerì lui, liberandola immediatamente dalla presa.

-Ho pensato che il cadavere carbonizzato all'ingresso non ne avesse più bisogno.- rispose lei, stringendosi nel tabarro. -Di solito mettiamo quegli oggetti in una cassa e usiamo il ricavato di quelli che non vengono reclamati per migliorare la situazione dei profughi al Crocevia.-

-Uno specchio così bello deve valere molto. Avresti potuto venderlo, piuttosto che darlo a me.-

Lavellan si portò di fronte a lui, impedendogli di proseguire. -Insomma, ho fatto male.- disse, aggrottando la fronte. -Ho pensato che, dato che stiamo tutto il tempo a discutere e a interromperci in sede di consiglio, sarebbe stato carino dimostrarti che non ce l'ho con te, anche se abbiamo idee diverse.- si sfregò le mani di nuovo, stavolta per disperdere la tensione. -In realtà era anche un modo per ringraziarti, dato che sei sempre molto disponibile nei miei confronti.- fece una pausa. -Mi dispiace. Non volevo metterti in difficoltà.-

Cullen esalò un sospiro stanco. -L'ultima cosa che volevo era fare la figura dell'ingrato con te.- ammise. -Adoro lo specchio e ti sono molto grato per il pensiero che c'è dietro.- le rivolse un mezzo sorriso. -Erano mesi che non riuscivo a guardarmi in faccia.-

Lavellan rilassò la postura, regalandogli un sorriso tinto di sollievo. -Non sei abituato a ricevere regali, vero?-

-I Templari non hanno la possibilità di tenere beni materiali, al di fuori dalla fede e dell'armatura, che in realtà non è neanche nostra, dato che siamo costretti a restituirla a fine mandato.- spiegò lui. -I regali che ci vengono fatti sono più simbolici, che materiali. A volte è un'offerta alla Chiesa, o al Circolo, in cui serviamo. Altre volte invece è un atto di ospitalità nei nostri confronti, come un pasto caldo e un letto quando siamo sulle tracce di un eretico.- proseguì, riconoscendo una scintilla di curiosità nello sguardo di Lavellan. -Tra confratelli era più uno scambio di favori. Se a qualcuno si sgualciva la veste, lo aiutavamo a ricucirla, o coprivamo il suo turno nel caso in cui fosse troppo affaticato per gestirlo.-

-Abbiamo un’altra cosa in comune, allora! La condivisione dei doni e il supporto reciproco.- intervenne lei. -Teniamo degli oggetti solo nostri, ovviamente, ma se qualcosa beneficia il benessere del clan è bene metterlo a disposizione di tutti. Josephine dice che è una cosa che si fa in famiglia.-

-In qualche modo, l'Ordine era la mia famiglia.- replicò Cullen. -Così come il clan lo era per te.-

Lavellan rise. -Così sembra che siamo scappati di casa.- scherzò, riprendendo a camminare.

-Tecnicamente, siamo scappati di casa.- ammise lui, con aria divertita. Allungò le braccia, per mostrarle l'armatura.

-Ma allora non l'hai restituita!- disse lei, percorrendo con i polpastrelli il simbolo della spada fiammeggiante inciso sul suo parabraccio.

-Ho tenuto giusto qualcosa, ma il resto me lo sono lasciato alle spalle.- replicò Cullen, seguendo il movimento delle sue dita con gli occhi. -Come te, suppongo.-

Lavellan sollevò lo sguardo su di lui. -Immagino che anche tu passi le notti a strapparti i capelli davanti all'idea di poter finalmente cedere alla vanità.-

Lui si passò una mano sul capo, lisciandosi i capelli folti con un gesto eloquente. Lei scoppiò a ridere, aggrappandosi brevemente al suo braccio. -L'emblema dello sconforto!-

Arrivarono di fronte alla porta dell'alloggio di Lavellan, fermandosi giusto sulla soglia. Si scambiarono una lunga occhiata, poi lei sollevò una mano nella sua direzione, lasciandola ricadere subito sul fianco, in un gesto che denotava imbarazzo. -Siamo nei tempi.- annunciò.

Lui, invece, spostò lo sguardo altrove, posandolo su un cespuglio di radice elfica. -Non vorrei trattenerti più a lungo del dovuto, ma la curiosità mi sta divorando dall'interno.- fece.

Lavellan sollevò le sopracciglia, al che Cullen si affrettò a elaborare. -Ogni tanto mi poni delle domande sulla Chiesa e io cerco di risponderti al meglio delle mie possibilità. Perché quelle stesse cose non le chiedi a Cassandra, o a madre Giselle, piuttosto? Loro hanno una conoscenza della fede molto più vasta della mia.-

-Ti dispiace che venga a consultarti?-

-No, per niente. Sono solo preoccupato di non riuscire a darti le risposte che cerchi.-

Lavellan studiò con attenzione il suo viso, trovandoci effettivamente una nota di inadeguatezza, quindi gli rivolse un sorriso confortante. -Tu ottimizzi.-

Cullen inclinò appena la testa, confuso.

-Se vi chiedessi di che colore è il cielo, madre Giselle citerebbe il Canto prima di darmi una risposta su cui posso fare affidamento. Cassandra mi direbbe che è rosa al mattino, azzurro al pomeriggio e rosso la sera. Tu me lo indicheresti.- si strinse nelle spalle. -Ottimizzi.-

-Non è sempre un bene, quando si tratta di religione. Gli studiosi della Chiesa passano la vita a cercare di interpretare il Canto della Luce, io è anche tanto se riesco ad ascoltarne una strofa, ultimamente.-

-Si, ma passano anche il tempo libero a ribadire che l'epurazione dei miscredenti sia un atto giustificabile.- replicò Lavellan, con una nota di fastidio nel tono di voce. -Eppure, non siamo stati noi a bruciare Andraste sul rogo. Perché il vostro Creatore dovrebbe punirci per qualcosa che non abbiamo fatto?-

Cullen scorse uno sguardo accigliato sul suo viso. -A questo non ti so proprio rispondere.- ammise.

-Non era una domanda.-

-Ma ti preme discuterne.-

-Discuterne? No, non ha senso discutere su qualcosa su cui non possiamo trovare un punto d'accordo.-

-Pensi che il fatto che abbiamo credi diversi potrebbe impedirci di trovarci d'accordo?-

-Sulla religione, ovviamente. Crediamo in due cose diametralmente opposte.-

Cullen aggrottò la fronte. -Permettimi di farti un'altra domanda. Perché la sposa del Creatore avrebbe dovuto inviare un'Elfa per salvarci, anziché un Umano?-

-Non sono una salvatrice, né la prescelta di nessuno, Cullen.- rispose lei, con decisione. -Mi trovavo nel posto sbagliato al momento sbagliato. Fortuna vuole che sia una con la testa sulle spalle.-

-Non esiste il caso. Penso che la tua presenza qui sia una dimostrazione di come la dottrina praticata da molti dei Suoi fedeli sia fallace. Hanno cancellato l'esistenza di uno dei Suoi seguaci più leali per giustificare una scelta politica, ricordi?-

-Insomma, sarei qui a nome di Andraste per dire a quei fedeli che stanno sbagliando?-

-È chiaro che si sbaglino! Forse, ora che la Nostra Signora ha scelto una campionessa del tuo popolo per rappresentarla se ne renderanno conto.-

-Al momento attuale, temo che l'unica cosa di cui si rendono conto è che c'è un'eretica che si sta impicciando degli affari loro, circondata da pazzi.-

Cullen si strinse nelle spalle. -Dov'è la bugia?-

Lavellan non riuscì a trattenere un sorriso che lui ricambiò al volo.

-Mi dispiace che tu pensi che non riusciremo mai a trovare un punto d'accordo. Per me sarebbe importante.- ammise Cullen.

-Anche per me. Se non avessimo credenze così diverse, sarebbe più facile venirsi incontro a metà strada.-

-Si, ma una cosa non esclude l'altra.-

Lavellan ritrasse appena il capo, perplessa. -Come, scusa?-

-L'esistenza del Creatore non esclude la presenza dei Numi.- elaborò lui. -Così come Lui esiste per me, Loro esistono per te.-

-Ma tu non credi in Loro.-

-Così come tu non credi in Lui, ma non hai mai delegittimato la mia fede. Mi sembra corretto fare altrettanto.- aprì una mano nella sua direzione. -Credere in qualcosa e ammettere la sua esistenza sono due cose diverse, d'altronde.-

Lavellan procedette a fissarlo con un sorriso intrigato, poi sbuffò una risata, coprendosi immediatamente la bocca nel voltare la testa altrove. -Fen'Harel ar ghilana.- mormorò. -Alla faccia dell'incoraggiamento all'eresia!-

-Lo hai detto tu che sono uno che ottimizza.- protestò lui, osservandola con aria divertita.

-Questo non è ottimizzare, Cullen.- disse lei, con aria di rimprovero. -Se avessi voluto farlo, mi avresti ringraziato per lo specchio e basta.-

-Ma così non avrei potuto sapere di che colore vedi il cielo.- replicò lui, regalandole un sorriso affascinante.

Lavellan indugiò sulla maniglia della porta per un discreto lasso di tempo, senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso. -Giustamente.- sussurrò, per poi sforzarsi di distogliere lo sguardo. -Buonanotte, Comandante.- concluse, con una nota d'imbarazzo nel tono di voce.

-Buona...- Cullen s'interruppe, perché aveva appena dato un'identità a qualcosa che aveva intravisto nel fogliame. Si mosse verso il cespuglio di radice elfica e si chinò su di esso.

Lavellan lo osservò dapprima frugare tra le piante, poi raggiungerla nuovamente. Le porse delicatamente un piccolo fiore dai petali bianchi, leggermente macchiati di rosso sul centro. -A te che convivi con l'ironia, forse troverai molto buffo che l'unica Grazia di Andraste di Haven sia spuntata proprio di fronte ai tuoi alloggi.-

Lavellan raccolse il fiore tra le dita, accarezzando lo stelo con aria assorta. -Sì, così com'è ironico che sia cresciuta assieme alla radice elfica. Ma la radice elfica cresce anche dentro le grotte, quindi non fa troppo testo.-

Cullen allacciò le mani dietro la schiena, poi indietreggiò di un passo, rivolgendole un sorriso che avrebbe fatto arrossire un monolite. -Buonanotte, Lavellan.- disse, allontanandosi.

Lei sollevò le sopracciglia su uno sguardo macchiato di sorpresa nel sentire che aveva smesso di chiamarla con il suo titolo. Si ritrovò a ridere tra sé e sé, mentre affondava il naso tra i petali del fiore, trovando esilarante il contrasto tra un gesto realmente galante e l'inettitudine di scambiare una normalissima primula per una Grazia di Andraste.

 

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Capitolo 8
*** Oltre ***


7 - Oltre

 

La notizia che, a distanza di tre giorni, il Varco che feriva il cielo sarebbe stato ricucito in maniera definitiva portava con sé una discreta tensione.

Lavellan era impaziente di finire il lavoro, ma allo stesso tempo sapeva che dopo aver esaurito il suo scopo, la strada che stava percorrendo non avrebbe variato la sua pendenza.

Per quello Madame Vivienne, con cui si consultava regolarmente, le aveva suggerito l'importanza di rendersi indispensabile, di modo che continuasse a tenere salda la presa sulle redini della leadership. Josephine, che era una donna altrettanto astuta, nonostante fosse molto più giovane dell'Incantatrice, non solo concordava con quell'idea, ma faceva in modo che la sua collega avesse sempre qualcosa da studiare per mettersi alla pari con gli altri membri del consiglio dell'Inquisizione.

Lavellan, giustamente, si affidò ai loro suggerimenti senza discutere troppo.

Difatti, decise di impegnarsi il doppio di quanto le venisse richiesto in materie che fino al momento di unirsi all'Inquisizione non aveva mai approfondito, procedendo con costanza e determinazione.

Quando smetteva di studiare religione, costumi umani e politica, passava il tempo nei boschi che circondavano Haven, dove Solas l'aiutava a decifrare i segnali che le inviava l'Ancora e, al contempo, le permetteva di prepararsi per la chiusura del Varco. Inoltre, durante la notte approfittava della mancanza di interazione con il prossimo per chiudersi nel suo alloggio a lavorare su trappole, mine e formule alchemiche, dato che oltre a essere qualcosa che aiutava concretamente a rilassarla, le permetteva di raggiungere discreti vantaggi persino in campo tattico.

Non era una donna particolarmente rapida a imparare, ma quello che le mancava di testa lo compensava con la costanza. Una costanza al limite della nevrosi.

Fortuna voleva che Lavellan, oltre a possedere un'attitudine al sacrificio, fosse una donna iperattiva, cerebralmente e fisicamente, con un sonno breve e leggero. Nella quotidianità del suo clan questa particolarità, considerabile come un difetto, era costretta a concentrarla unicamente sulla caccia e sulla difesa, perché si trattava di un ecosistema circoscritto. Nell'Inquisizione, che richiedeva una capacità gestionale molto più dinamica, l'iperattività era diventata un prerequisito fondamentale da richiedere ai colloqui di lavoro, quindi lei non aveva fatto troppa fatica ad adattarsi, limitandosi ad amplificare ciò che già aveva in eccesso.

-Se ti metti qualcos'altro in testa esploderai.- la canzonò Varric, che la stava aiutando ad affilare dei triboli alla fucina, dopo cena. -Ti suggerirei di trovarti un hobby, ma saresti capace di trasformare anche quello in un lavoro.-

-Come Donnen Brennokovic e le navi in bottiglia?- domandò Lavellan.

Varric la guardò di sottecchi. -Il fatto che, con tutta la roba che hai da fare, tu abbia pure trovato il tempo di leggere i miei libri è preoccupante.- affermò, appoggiando l'ultimo tribolo sul piano di lavoro. -Mi fa piacere, ovviamente, ma potevi anche farne a meno.-

Lavellan impilò gli oggetti per infilarli in una tracolla da indossare, rivolgendo a Varric un sorrisetto. -Anche a me fa piacere averli letti. Sono una boccata d'aria fresca rispetto alla narrativa umana a cui sono esposta di solito.- ammise. -Quella roba è ridondante e boriosa, piena zeppa di riferimenti iperbolici alla Chiesa e...-

-E il resto è pornografia.- concluse Sera, facendo lo slalom tra i fabbri e gli apprendisti reggendo una strana scatola adornata con un fiocco sproporzionato. Raggiunse i suoi compagni di squadra agilmente, spingendo il regalo sottobraccio per rivolgere a entrambi un'occhiata divertita. -Che si dice?-

-Per chi è quello?- domandò Lavellan, stringendo le palpebre su un'espressione curiosa.

-La vera domanda è: vuoi davvero saperlo?- replicò Varric, facendo loro strada verso l'uscita.

Sera emise una risata isterica, trotterellandogli dietro. -Lo scoprirà comunque domani mattina.- annunciò, ricevendo come risposta da Lavellan un lamento insoddisfatto.

-La caricatura del Ricciolino sul fianco del trabucco con le corna e i denti cariati era carina, lo ammetto.- disse Varric, stringendosi nel cappotto per contrastare una folata di vento gelido.

-Il palo la pensa diversamente.- protestò Sera, strizzando l'occhio a Lavellan.

- Il palo è solo seccato perché è rimasta a distrarre i soldati di guardia per mezz'ora all'addiaccio, mentre tu ti struggevi con il blocco dell'artista.- replicò quella, dando un buffetto sul braccio alla sua interlocutrice.

-L'arte ha bisogno dei suoi tempi.- si giustificò Sera, passandosi il regalo di mano in mano come se fosse una palla. -Facciamo una partita?-

Varric annuì con decisione, rivolgendole un'occhiata eloquente. -Anche due! Ho promesso una rivincita all'Elegantone.- ammise, prendendo a camminare verso i cancelli. -È un caso disperato.-

-Meglio! Più pezzi d'argento per noi!- esclamò Sera, anticipandolo e prendendo a camminare a ritroso. -E tu, pezzo grosso? Vieni a offrirci una birra?-

Lavellan scosse la testa. -Mi dispiace, ragazzi. Devo fare cose da pezzo grosso, appunto.- rispose. -E poi lo sai benissimo che non bevo.-

Varric fece spallucce, per niente sorpreso. -Ci mancherebbe altro.- borbottò.

-A furia di passare tutto il tempo con le persone più noiose del mondo, ti prenderai la depressite.- la canzonò Sera.

Varric esalò una risata gutturale. -Meglio la depressite della facciadaculite.-

-La facciadaculite dove la prendi? Chi te la passa?- domandò Sera, rischiando di inciampare.

Lavellan la afferrò in tempo, rigirandola per spingerla a camminare decentemente.

-Te la passa un po' chiunque e la prendi un po' dovunque, ma soprattutto nell'Orlais.- replicò Varric, salendo faticosamente i gradini di pietra che anticipavano i cancelli.

-Tra i nobili c'è una vera e propria epidemia.- intervenne Lavellan, dandogli corda nel fingere una serietà esemplare. -Il brutto è che non esiste l'antidoto.-

Sera guardò i suoi compagni uno per volta, con aria smarrita. -Aspetta, ma così sembra una cosa grave. Non è divertente!- si lamentò.

Lavellan le passò una mano sul capo, spettinandola giocosamente.

Raggiunsero uno dei falò che erano stati eretti entro il perimetro della roccaforte, per riprendere un po' di calore prima di separarsi. Sera continuava a giocare con il pacchetto, girando su se stessa come se fosse alla ricerca di qualcuno, o qualcosa.

-Sicura di non voler passare nemmeno a salutare?-

Lavellan, che si era distratta un istante, rivolse a Varric un'espressione confusa. -Puoi ripetere?-

Lui raggiunse l'obiettivo del suo sguardo, intravedendo quella che lui riteneva essere la personificazione della noia ed emise un -Oh.- sommesso, accompagnandolo con un sorriso sornione.

-Allora le "cose da pezzo grosso" erano una metafora zozza!- scherzò Sera, piantando una gomitata sullo stomaco a Lavellan nel raggiungere le medesime conclusioni di Varric. Quella fulminò entrambi con lo sguardo, allibita. -A voi non serve la birra, siete già oltre la sbronza!- gemette, massaggiandosi la parte lesa.

-Non ti stavo giudicando. Ognuno ha i suoi gusti.- commentò semplicemente Varric, fingendo indifferenza. -Magari sotto tutti quegli strati di trauma, stakanovismo e olio per capelli c'è qualcosa di gradevole e non un uomo triste ed emozionalmente costipato.-

Sera gli gettò un'occhiata significativa. -Ma proprio sotto sotto. Nel sottobosco del bassopiano. In una grotta sommersa sotto a una miniera nel sottobosco del bassopiano.-

Lavellan sbuffò, passandosi una mano sulla gola, nervosamente. -Sono ancora in tempo a dirvi che stavo guardando il culo a un abete?-

-Ah, tranquilla!- la rassicurò Varric, battendole una mano sulla schiena. -Niente che non si possa risolvere con una birra ghiacciata e una partitina a Grazia Malevola tra amici.-

-Cos'è, la soluzione a tutti i mali del mondo?- chiese Sera, ridendo.

-No, ma è un ottimo diversivo per dimenticarli.- puntualizzò Varric, facendo cenno di seguirlo. -Andiamo, Manina, le robe da pezzo grosso possono aspettare.-

Lavellan lo osservò allontanarsi, con una smorfia contrita a deformarle il viso, poi esalò un sospiro di rassegnazione e lo assecondò.

 

Il sole non era ancora sorto, ma Haven era già sveglia. Si poteva dire che non aveva dormito direttamente, proprio come Lavellan, che aveva passato la notte in bianco per rivedere con Cassandra gli ultimi dettagli prima della chiusura del Varco, che sarebbe avvenuta il giorno successivo.

Una volta uscite dalla sala del consiglio, si erano rese conto che era già mattina e avevano deciso, di malavoglia, di restare sveglie anziché dormire poco e male.

Cassandra reagì all'aria gelida dell'esterno con un rantolo di insofferenza. -Ho bisogno di un bagno caldo e un bicchiere di vino.- confessò, sgranchendosi le braccia energicamente.

-Un bagno caldo nel vino?- biascicò Lavellan, che saltellava sul posto per riattivare la circolazione.

Cassandra diede una risata roca. -Un'idea abominevole.- affermò. -Raggiungerò il Tempio di corsa per darmi una svegliata. Vieni con me, Lav?-

Lavellan schioccò la lingua sul palato, dispiaciuta. -Verrei volentieri, ma devo controllare le trappole.- si lamentò. -Ho detto a Varric che avrei preso dei conigli.-

-Ah, già, il banchetto! A che ora è, a proposito?-

Lo sguardo di Lavellan si tinse di entusiasmo. -Pensavo che non volessi partecipare!-

Cassandra alzò gli occhi al cielo. -Fa' come se non ti avessi chiesto niente.- disse, passandole davanti nell'allontanarsi.

-Poco dopo la lettura serale del Canto, comunque!- esclamò Lavellan, ridendo. La osservò aumentare il passo finché non scomparve dalla sua vista, quindi esalò un sospiro sognante, stringendosi nel tabarro.

Trovare un rapporto di mutuale rispetto con Cassandra era l'ultima cosa che si sarebbe aspettata che nascesse da quell'esperienza, considerati i loro trascorsi. Eppure, più il tempo scorreva, più si ritrovava a ringraziare gli dei per quell'amicizia, non tanto per il supporto reciproco che si fornivano, ma per la volontà di entrambe di mettersi in discussione per aiutare il mondo a guarire nel modo migliore possibile.

Lieta che il freddo le venisse in aiuto per svegliarsi, Lavellan recuperò arco e frecce e si recò alle stalle con aria allegra. Anche se avrebbe dato un braccio pur di passare la mattinata a stuzzicare Cassandra, l'idea di tornare nei boschi e passare del tempo in solitudine la consolava adeguatamente.

Recuperò le briglie del destriero fereldiano che l'aveva accompagnata da che aveva preso contatti con il mastro stalliere nelle Terre Centrali e lo condusse all'esterno, mormorando una preghiera rivolta ad Andruil. Se la caccia sarebbe stata fortunata, avrebbe risparmiato una preda nel bosco per i suoi messaggeri, come da tradizione.

Percorse la strada che viaggiava in parallelo al campo d'addestramento, buttando l'occhio in direzione di uno dei falò che usavano gli istruttori per fare il punto della situazione prima che suonasse la campana della sveglia. Non si sorprese di trovarlo acceso, così come non si sorprese di trovare sveglio Cullen, che conversava con il suo secondo in comando e uno degli ufficiali anziani dell'esercito.

Lavellan agitò una mano in segno di saluto nella loro direzione, per cortesia, e in tre la invitarono ad avvicinarsi. Il Capitano Rylen la accolse con un cenno del capo sbrigativo e una tazza di tè appena fatto.

Prima di accettare quella gentilezza, lei passò un'occhiata attenta sulla sua armatura. -Perché brilli?-

Rylen, le cui braccia rilucevano alla luce del falò come se fossero intarsiate di cristalli di quarzo, la guardò di sottecchi, facendole intuire che fosse stato vittima di uno scherzo. Sapendo benissimo chi fosse il perpetratore, vista la presenza di un pacchetto familiare che stava venendo usato come combustibile per il fuoco, i due si limitarono a scambiarsi un'occhiata d'intesa.

-Piuttosto, non è un po' troppo presto per una passeggiata a cavallo?- le domandò lui, facendole posto accanto al fuoco.

Lavellan prese una sorsata di tè, stringendo le palpebre per via dell'amarezza. -Decisamente. Sto andando a caccia, infatti.-

-Con questo freddo, l'unica cosa viva nel bosco sono le foglie mosse dal vento.- intervenne il veterano.

-Anche lei è di Porto Brullo, serah?- domandò Lavellan, riconoscendo la parlata cantilenante e madida di rotacismi.

-Ci sono nato, cresciuto e invecchiato.- rispose l'altro, sollevando la sua tazza di tè a mo' di brindisi. Era un robusto signore sulla sessantina, con un cesto di ricci sale e pepe in testa e un paio di occhi piccoli, chiari e carichi di vitalità. -Il suo clan è stato per un po' nelle vicinanze del mio paese, diversi anni fa. Brava gente.-

-La ringrazio, anche se la sua è un'opinione impopolare.- commentò Lavellan, spostando lo sguardo su Cullen, che non aveva ancora aperto bocca, limitandosi a sorseggiare una tazza di tè con aria stanca. -Ci siamo dovuti spostare quasi subito da lì, per evitare di... creare fastidi.-

-Eh, i pregiudizi sono duri a morire.- aggiunse Rylen, accarezzandosi il mento con un gesto veloce. -Allora, quest'offerta?-

Lavellan ritrasse appena il capo, rivolgendogli un'occhiata dubbiosa.

-L'offerta ad Andruil.- precisò il suo interlocutore. -L'ho pronunciato bene?-

-L'abbiamo chiamata apposta.- ammise il veterano, appoggiando le mani sui fianchi. -Gli altri cacciatori si rifiutano di partire se prima non l'hanno fatta.-

Lavellan rimase in silenzio qualche istante, soffermandosi a osservare tutti, uno a uno, con tanto d'occhi. -Volete davvero che mi spogli completamente nuda per ballare intorno al fuoco imitando il bubolare dei gufi sotto effetto di funghi psicotropi?- fece una pausa. -Con questo freddo?-

Ci fu un istante di profondo silenzio imbarazzato, al quale Lavellan rispose con una risata sonora. -Tranquilli, davvero, non c'è pericolo. L'unica cosa che vedrete esposta della mia persona è la mia faccia.- li rassicurò, appoggiando una mano sulla schiena di Rylen, che la osservava come se gli avesse appena trascinato gli intestini fin sotto alle caviglie.

-Ma allora cosa fanno tutto quel tempo davanti al fuoco, mormorando e bruciando radice elfica?- borbottò Cullen, che sembrava stesse facendo di tutto pur di non scoppiare a ridere a sua volta.

Lavellan ci rifletté qualche istante, approfittandone per scaldarsi la gola con il tè. -Penso che vogliano purificare l'area attorno al falò dai demoni e dagli spiriti malvagi, in segno di ringraziamento per averli accolti e trattati bene.- spiegò. -Così, anche se sono lontani, il campo è al sicuro.-

-L'avevo detto! Brava gente!- ribadì il veterano, indicandola ai suoi superiori con enfasi.

-Perché mentire, allora?- domandò Rylen, chinando uno sguardo truce sul fuoco. -Spero non per farmi fare la figura del viscido con l'Araldo.-

-Per paura che vengano fraintesi, suppongo.- ipotizzò Cullen, passandosi stancamente una mano dietro al collo. -Recitare un rito di purificazione in presenza di Templari e vantarsene non è una mossa astuta, anche se si tratta di qualcosa di innocuo.-

Lavellan annuì. -È una tradizione simbolica, legata al culto di Mythal. La magia non c'entra.- specificò, appoggiando la tazza vuota tra le mani di Rylen, che continuava a esibire un'espressione adirata. -Piuttosto, ci sarete stasera al banchetto?-

Rylen e il veterano spostarono uno sguardo carico di rassegnazione su Cullen. Lui ricambiò con un'occhiataccia, poi si schiarì la voce. -Purtroppo...- iniziò.

-Dagli una botta in testa, legalo come un salame e portatelo dietro, a costo di trascinarlo.- lo interruppe Lavellan, rivolgendosi direttamente al suo secondo in comando. Rylen le lanciò un'occhiata eloquente. -La fai facile, tu. Questo è un testardo.- sbottò, indicandolo con un ampio cenno del braccio.

-Seriamente, non posso liberarmi. Non adesso che siamo così vicini al traguardo.- decretò Cullen, in difficoltà. -Siamo ancora indietro con i preparativi per domani ed è necessario che sia tutto disposto alla perfezione.-

-Persino Leliana è riuscita a trovare il tempo!- si lamentò Lavellan, senza riuscire a reprimere una nota di rimprovero nel tono di voce.

Cullen scosse la testa. -Mi dispiace, non posso permettermelo.- decretò.

Lavellan si soffermò a fissarlo, cercando mentalmente un modo di fargli cambiare idea. Notando che anche lui sembrava realmente amareggiato, si sforzò di lasciar perdere e annuì. -Grazie per il tè.- disse, rivolgendo un sorriso veloce ai presenti.

-Ci mancherebbe altro, Eminenza!- replicò il veterano, chinando la testa in segno di rispetto.

-'nenza.- la salutò Rylen, seguitando a guardare il suo diretto superiore con aria di profondo disappunto.

Lavellan carezzò il muso del cavallo e montò in sella, spronando la bestia al trotto per raggiungere il limitare del bosco e allontanarsi dalla conversazione il prima possibile. Quando fu circondata da nient'altro che alberi e silenzio, esalò un lungo respiro imbevuto di stanchezza, chiudendo gli occhi.

Smontò di sella e legò il cavallo, seguendo un percorso accidentato troppo stretto e pericoloso per essere affrontato in sicurezza dalla bestia.

Mentre procedeva, sentiva il rifiuto di Cullen pesarle sull'anima, come se si trattasse di una questione personale, anziché un'evenienza fuori dal suo controllo. Fortunatamente, il lato sinistro del suo cervello le fece la cortesia di prendere le redini della situazione, spingendola a dare la colpa di quella sua reazione esagerata alla stanchezza. Infatti, dopo essersi scrollata di dosso un fastidio non necessario, si sforzò di concentrarsi sulla caccia.

Lavellan controllò la prima trappola con cautela, trovandola vuota. Nonostante fosse un accadimento più che normale, viste le condizioni atmosferiche, quell'evento ebbe come conseguenza di riportare alla luce il nervosismo che si stava accanendo a reprimere.

Prese un respiro profondo, per ricomporsi, quindi si diresse verso la seconda trappola, poco distante.

Improvvisamente, percepì un frullare d'ali sopra la sua testa e si immobilizzò.

Lentamente, per evitare che le creature notturne si rendessero conto della sua presenza, spostò lo sguardo in direzione del rumore, identificando la sagoma di un rapace notturno tra i rami ossuti di un abete.

La luce fioca dell'ora che precedeva l'alba mostrò a Lavellan un fagotto di piume candide, dotato di occhi piccoli e neri e un becco sottile e affilato, incastonati in un viso piatto. Quell'apparizione le fece capire immediatamente perché quella zona del bosco fosse scarsa di roditori e, allo stesso tempo, riuscì a liberarle la mente dalla delusione, ricordandole quale fosse il suo ruolo nella storia.

Senza togliere al barbagianni gli occhi di dosso, si mosse con cautela verso la trappola e si chinò a controllarla. In quel caso, la trovò piena e se ne sorprese.

Liberò la carcassa di una lepre di montagna e la gettò ai piedi dell'albero che il messaggero di Andruil aveva scelto per fare il nido, poi si allontanò per ritornare al cavallo, con il cuore più leggero.

 

Rimase concentrata sulla caccia fino al sorgere del sole, soddisfatta di trovare gran parte delle trappole scattate, e piene, e buona selvaggina da integrare con la carne di coniglio. Una volta conclusa la sua missione, decise di osservare il sole sorgere da uno spiazzo preliminare a uno strapiombo, che offriva una vista completa di Haven e del lago ghiacciato che l'abbracciava. Accese un fuoco e appoggiò la schiena sui resti di un albero colpito da un fulmine, per riposare le gambe e godersi il panorama.

Si prospettava una giornata splendida, senza una nuvola. Il Varco macchiava il cielo di luce fredda, in netto contrasto con il calore del sole, che risaliva pigramente alle spalle delle Montagne Gelide, delineandone i contorni con una precisione brillante.

Lavellan si strinse nel tabarro, chiudendo gli occhi per godersi il calore e il silenzio, contenta di ritrovare un po' di pace dalla frenesia che caratterizzava la roccaforte.

Sonnecchiò per diversi minuti, finché le sue orecchie non colsero uno scalpitio proveniente dal sentiero, costringendola a ritornare vigile. Recuperò velocemente l'arco e incoccò istintivamente una freccia, cercando di individuare la fonte del rumore.

Tese la corda, scandagliando il luogo dove aveva legato il cavallo con cura, facendo lunghi respiri per evitare che il suo corpo entrasse in uno stato di rigidità. Sapeva di non essere l'unica a cacciare in quella zona e conosceva personalmente molti di coloro che la battevano, ma la prudenza non era mai troppa.

Nel riconoscere la sagoma dell'estraneo, che conduceva a piedi il suo cavallo, Lavellan assunse un'espressione sorpresa. Rilassò il braccio destro, mantenendo comunque la freccia incoccata, quindi abbandonò lo spiazzo, per andare incontro al nuovo arrivato.

Cullen diede una carezza energica sul collo al suo destriero, poi rivolse un'occhiata sprezzante a Lavellan, che lo guardava con uno sguardo carico di domande. Le indicò con un cenno del capo il dorso del cavallo, dov'era sistemata la carcassa di un cinghiale maschio adulto, poi appoggiò le mani sui fianchi. -Dovevo farmi perdonare per stasera.- disse, gonfiando il petto. -Niente di meglio del re del bosco per riempire uno stomaco deluso, no?-

Lavellan aprì la bocca per replicare, aggrottando la fronte su un'espressione madida di indecisione, ma si limitò a esalare la sua frustrazione con un sospiro secco.

Cullen ridimensionò immediatamente il suo ego, mantenendo comunque un pizzico di presunzione. -Avevo in programma di passare la mattinata a supervisionare l'addestramento, che è l'unica cosa che posso delegare.- spiegò. -Se non ti basta una caccia al cinghiale a bruzzico per perdonarmi, posso inventarmi qualcos'altro sulla via di ritorno.-

Lavellan rilassò i lineamenti, inclinando la testa di lato. -Quando l'hai abbattuto?- domandò, con un accenno di rassegnazione nel tono di voce.

Cullen corrugò la fronte, incerto. -Prima.- le rispose.

-Quantifica.-

-Una mezz'oretta fa...?-

Lavellan ripose arco e frecce su una roccia al fianco del suo cavallo, poi si sfilò il tabarro e la giacca, appoggiandoli sul dorso della bestia. Prese a sfilarsi i guanti con calma, silenziosamente, poi li infilò nella cintura, rivolgendo al suo interlocutore un'occhiata divertita. -Come hai fatto a trovare un cinghiale adulto in pieno inverno e ad abbatterlo senza uscirne come un colabrodo?-

Cullen si strinse nelle spalle, fingendo falsa modestia mentre la osservava rimboccarsi le maniche fin sopra ai gomiti. -Me la cavo con la lancia.- replicò.

-Non sapevo che al Circolo vi insegnassero a cacciare con la lancia.- lo punzecchiò lei, slegando il cinghiale per trascinarlo a terra. -Ti avranno insegnato anche che la selvaggina va evirata al massimo entro un'ora dall'abbattimento, suppongo.-

Cullen si schiarì la voce, poi accorse ad aiutarla a spostare la spoglia. -Già.- confermò, con un'impercettibile nota di dubbio nel tono di voce.

-Allora, devo immaginare che tu abbia voluto lasciare a me questo compito per via della mia esperienza con il coltello, non per ignoranza.-

Cullen sbuffò. -Sei impossibile da compiacere, Lavellan!- affermò, seccato.

-L'hai fatto per compiacermi, o per impressionarmi?-

-Entrambe le cose, ma in realtà...- le rivolse un sorrisetto. -Volevo togliermi uno sfizio.-

Lavellan si rigirò il coltello da caccia tra le dita, assumendo un'espressione colpita. -Non ti facevo una persona competitiva.- ammise, squadrandolo da capo a piedi. -Pensi davvero che potresti battermi nella caccia?-

Cullen sollevò le sopracciglia, indicandole con un cenno del capo il cesto di selvaggina che pendeva dal fianco del suo cavallo. -Coniglietti adorabili- fece, per poi aprire una mano verso la sua preda -Re della foresta.-

-Ho abbattuto un drago giusto la settimana scorsa.- intervenne Lavellan, realmente intrigata da quell'atteggiamento da sbruffone.

-E l'hai fatto tutto da sola, immagino. Non c'era forse Cassandra a distrarlo, in prima linea?-

Lavellan si inginocchiò di fronte al cinghiale, ridendo. -Allontanati, ser tronfio, sennò rischi di sporcarti.- lo avvisò.

Cullen invece si accucciò al suo fianco, al culmine della presunzione. -Preferisco restare a osservare il lavoro. Sai, vorrei evitare che me lo rovinassi perché non hai mano ferma.-

Lavellan sospirò teatralmente, poi fece spallucce. -Poi non dire che non ti avevo avvisato.-

 

Senza cercare di celare il suo divertimento, Lavellan si accostò a Cullen, passando lo sguardo su di lui. -Ti avevo avvisato.- lo incalzò, per la terza volta in meno di mezz'ora.

Cullen, che sembrava essere uscito da una battaglia contro uno stormo di gavettoni riempiti di frutta marcia, le rivolse un'occhiata patibolare.

Lei sollevò le mani in segno di resa, ridendo. -D'accordo, smetto di infierire.-

Ritornavano verso Haven, portando i cavalli a mano, dato che la neve era troppo alta, avevano un carico pesante e il terreno era rischioso per le caviglie delle bestie. Fino a quel momento era stato un viaggio tranquillo e abbastanza silenzioso, accompagnato dalla musicalità tipica del bosco invernale di prima mattina.

-Dico solo- tornò alla carica Lavellan, avanzando per prima verso un'ampia radura di cedri. -che se proprio vuoi fare lo sbruffone, allora devi essere sicuro di poter vincere. Così non c'è...-

La sua testa scattò in avanti in risposta all'impatto della nuca con qualcosa di freddo e compatto, impedendole di finire la frase.

Lavellan si passò una mano sul capo e sollevò lo sguardo verso l'alto, pensando che fosse caduto qualcosa, dato che il suo cervello si rifiutava di proporle che fosse vittima di una vendetta infantile. Quando si voltò verso Cullen per ricevere spiegazioni, ottenne in risposta di venire colpita in piena faccia da una seconda palla di neve.

Si pulì il viso, per riacquistare la visibilità, poi si chinò di scatto per evitare di venire colpita nuovamente e si armò a sua volta. -Tu non hai proprio idea della situazione in cui ti sei infilato!- sbottò.

Un boscaiolo di passaggio esalò un sospiro di rassegnazione, osservando quei due bambini troppo cresciuti rincorrersi e provocarsi, inzaccherati come due pulcini di papera al primo tuffo. Il fatto che facessero parte dei vertici di un'organizzazione che come prerogativa aveva quella di salvare il mondo conosciuto non migliorava assolutamente la situazione.

-Arrenditi! Sono il campione imbattuto dei giochi invernali dei Circoli del Ferelden. Non hai nessuna possibilità!- gridò Cullen, usando un albero come copertura temporanea per raggruppare una montagnola di munizioni.

Lavellan approfittò di quell'attimo di pausa per affiancarlo. Apparve alla sua destra e gli colpì una spalla con una palla di neve, poi si buttò di lato, compiendo una capriola per evitare di essere colpita a sua volta. -Voi ex-Templari vi vantate così tanto del rigore dell'Ordine, ma per come me l'hai messa oggi, pare tanto che siate un gruppo di bambini in gita.- lo stuzzicò, schivando un colpo al volo e ricambiando il lancio con agilità.

Cullen si chinò giusto in tempo per vedere il proiettile di neve schiantarsi sulla corteccia del suo riparo, poco sopra la sua testa. -È tutto quello che sai fare?- domandò, recuperando abbastanza munizioni per trovare un punto di vantaggio.

Lavellan non rispose alla provocazione, riparandosi dietro a un cespuglio di rovi mentre finiva di sistemare una trappola a scatto. Attese che Cullen fosse nella posizione più indicata, poi raccolse un sasso e lo scagliò addosso a un albero, in modo da attirare l'attenzione della sua vittima in quel punto.

Avrebbe voluto che quell'immagine di perfezione tattica venisse immortalata in un libro, perché in testa sua non aveva previsto un risultato altrettanto soddisfacente. Vedere il comandante dell'Inquisizione a gambe all'aria, finalmente senza parole e con la sorpresa dipinta in faccia per essere appena caduto in una trappola per roditori, le regalò un buonumore che si sarebbe trascinata dietro per giorni.

Lo raggiunse tranquillamente, torreggiando su di lui con le mani appoggiate sui fianchi e un sorriso che era il ritratto della vittoria. -Sì, è tutto quello che so fare.- lo scimmiottò.

Cullen, disteso sulla schiena, esalò una risata stanca, abbandonando il capo sulla neve. -Hai imbrogliato.- la rimproverò.

-E tu mi hai colpita alle spalle.- puntualizzò Lavellan. -Te la sei cercata.-

-Me la sono cercata.- ripeté lui, placidamente.

Lavellan si chinò per liberargli le caviglie dalla corda, poi si sedette al suo fianco, allungando le gambe. -Te l'ho detto, se vuoi fare lo sbruffone con me, devi essere sicuro di poter vincere.-

-Non è sempre una questione di vittoria e sconfitta. Il bello è mettersi alla prova con qualcuno più bravo di te.- replicò Cullen, appoggiandosi una mano sullo stomaco. -In queste cose, almeno.- aggiunse, in un sussurro.

Lavellan gli rivolse un'occhiata scettica. -Sembra una di quelle frasi che le signore umane di una certa età ricamano all'uncinetto e appendono in giro per casa per motivarsi a non soffocare il marito mentre dorme.- lo punzecchiò.

Entrambi risero.

-Toglimi una curiosità.- premise lui, dopo essersi sistemato a sedere compostamente.

-Per essere uno che si lamenta di essere occupato giorno e notte, hai un sacco di tempo da perdere.- commentò Lavellan, agitando le dita tra i capelli per disperdere la neve.

L'espressione di Cullen si arricchì con una sfumatura di disappunto, che lei smorzò sul nascere, rivolgendogli un'occhiata divertita.

-Sono tutta orecchie.- disse Lavellan, indicandosele con enfasi. -Letteralmente. Perché sono un'Elfa. Capita?-

Cullen si impedì di sorridere di fronte alla sua stupidità, ma fu un tentativo fallimentare. -Benedetta Andraste.- esalò, spostando la testa altrove.

Lavellan rise, poi gli diede un buffetto sul braccio. -Dai, dimmi quello che ti passa per la testa!-

-Che staresti benissimo con una torta di neve in faccia.-

Lei si appoggiò una mano sul petto, schiarendosi la voce. -Giuro solennemente che resterò seria.- pronunciò.

Cullen la guardò con occhi carichi di scetticismo. -Non fare promesse che non puoi mantenere.- la rimproverò, per poi rilassare i lineamenti della fronte nel curvare le labbra in un mezzo sorriso. Aspettò che fossero entrambi tranquilli, poi disse semplicemente: -Vir Banal'ras.-

Le emozioni traslocarono dal viso di Lavellan, lasciando unicamente spazio a un'espressione enigmatica, sfiorata dal dubbio.

Cullen reagì a quel cambio d'atteggiamento stringendo appena le palpebre. Quello gli confermò che era chiaramente un argomento che valeva la pena di essere discusso. -Puoi spiegarmi di che cosa si tratta e perché ti mette così tanto in soggezione?-

Lavellan descrisse il suo viso con uno sguardo indagatore. -Non mi mette in soggezione.-

-E allora cosa ti blocca?-

-Ti interessa per vana curiosità, o per altri motivi?-

-Te l'ho detto il mio motivo.-

-Allora hai già la tua risposta.-

Cullen esalò un sospiro di frustrazione. -Non ho intenzione di ridicolizzare la tua cultura, se è questo che ti preoccupa. Voglio solo sapere perché hai avuto quella reazione, quando abbiamo incontrato il totem nelle campagne.-

Lavellan, che era sempre sulla difensiva, rimase in silenzio quanto bastava per favorire alla sua testa un'analisi dei pro e dei contro, prima di rivelargli un'informazione così delicata. -Solitamente, una persona sceglie il suo cammino in base alle sue inclinazioni, che siano pratiche o religiose. Io seguo il Vir Tanadhal.-

-Le Vie del Cacciatore?-

Lavellan annuì. -Molti Dalish però seguono Vie diverse. Non serve sempre saper impugnare un arco, o una spada, a volte è più efficace sapere come applicare un unguento in maniera che non peggiori una ferita, o come preparare una cena per molte persone usando efficientemente le poche risorse di cui dispone un clan.- spiegò. -Il Vir Banal'ras diventa una scelta obbligata, quando il torto che ti viene fatto richiede un pagamento di sangue.-

-Una vendetta, quindi.-

-Una sublimazione della vendetta.- precisò Lavellan, guardandolo dritto negli occhi. -La caccia termina sempre con l'abbattimento della preda.- aggiunse.

-Sempre?-

-Chi segue il Vir Banal'ras sacrifica ogni cosa per adempiere al suo compito. Clan, famiglia, affetti... niente ha più significato, esiste solo il bersaglio.- elaborò lei. -Certi sono morti, altri sono rimasti sfregiati fisicamente ed emotivamente da un'esperienza simile.- fece una pausa, incupendosi. -Ma non ho mai sentito di un cacciatore che abbia fallito.-

Cullen strinse le labbra su una smorfia contrita. -Ora capisco perché non vuoi scherzarci sopra.-

-Va completamente contro alla mia natura.- dichiarò lei, con sicurezza.

Cullen ponderò a lungo sulle informazioni ricevute e fu diverse volte sul punto di esprimersi. Aveva l'aria di essere particolarmente toccato dal discorso e Lavellan sapeva che quando le cose andavano troppo sul personale con lui, c'era una buona possibilità che sviasse la conversazione. -A cosa pensi?- gli chiese, per mantenerlo in carreggiata.

Cullen fuoriuscì immediatamente dal circuito di "forse" che stava correndo nella sua testa. -Stavo riflettendo su ciò che mi hai detto a proposito del fatto che odi le punizioni.- disse.

Lavellan si prese qualche istante per pensarci, poi raccolse un lembo del ciuffo dietro all'orecchio, in un gesto nervoso. -Immagino che lo trovi incoerente, dato che non mi faccio problemi a uccidere i miei nemici.-

-Un pochino.-

-Hai ragione.-

Cullen sollevò le sopracciglia, sorpreso. -Questa è nuova.- commentò.

Lavellan roteò lo sguardo. -Sono d'accordo che le conseguenze di un'azione criminale debbano essere tanto pesanti quanto il crimine commesso da chi lo perpetra.- elaborò, sollevando una mano nella sua direzione. -Ma allo stesso tempo, credo nella riabilitazione. Se un individuo sbaglia, deve avere la possibilità di capire l'errore e rimediare.- fece una pausa. -Inoltre, punire qualcuno senza prendere in considerazione il contesto in cui si è svolta l'azione è una soluzione di comodità.-

-Credo di aver capito.- Cullen curvò appena la schiena per cercare il contatto visivo con lei. -Ma devi ammettere che non sempre la persona che ti ritrovi davanti è recettiva al cambiamento.-

-Esiste questa possibilità, si, ma il cambiamento è un processo graduale. Deve avere la possibilità di maturare.- proseguì lei. -Molto spesso, chi commette certi errori ne è vittima finché non riesce a vedere se stesso secondo una prospettiva diversa. È lì che di solito si riesce a fare una distinzione tra chi vuole effettivamente rimediare e chi no.-

Lui ci rifletté a lungo, con una punta di preoccupazione nello sguardo. Per molte volte sembrò sul punto di elaborare sull'argomento, ma dalla sua espressione pareva come se si volesse trattenere dal dire quello che effettivamente pensava sulla questione. Quando si decise ad aprire bocca, ne sembrò quasi insoddisfatto. -Secondo il tuo ragionamento, anche la Chiesa potrebbe avere una speranza di redenzione ai tuoi occhi, nonostante il male che ha fatto alla tua gente.-

Lavellan lo raggiunse con un'occhiata penetrante. -Non credo nella redenzione. È come dare una caramella a un bambino dopo le lezioni. Gli errori non sono macchie, sono un punto di riferimento per chi sbaglia per spronarsi a fare di meglio. Vanno accolti tanto quanto i pregi di una persona. Esistono per chi li subisce e per chi li compie, per aiutarli a dare una direzione al loro cammino.- spiegò. -Nel caso della Chiesa, quello che hanno fatto alla mia gente è imperdonabile e, purtroppo, non siamo le uniche vittime della loro tirannia culturale. Temo che le cose cambieranno solo molti secoli dopo la mia e la tua morte.-

-Grazie per la schiettezza.- disse lui, inarcando un sopracciglio.

Lavellan esalò un sospiro pesante. -Scusa, è un argomento che mi obbliga a essere cinica.-

-L'ho notato.- replicò Cullen, inclinando appena la testa in avanti.

-Dovrò pur proteggermi, in qualche modo.- disse lei, chinando lo sguardo sulle sue mani, che aveva giunto in grembo.

Cullen la studiò a lungo, prima di intervenire. -Sei preoccupata?-

Lavellan si sfregò le mani, nervosamente. -Molto.- confessò, a mezza voce. -Voglio aiutare, non solo perché posso farlo, ma perché mi sento in dovere di farlo. Eppure, devo continuare a tenere alta la guardia, perché la tua gente ha una memoria storica inesistente e quando arriverà il momento in cui inizieranno a notare le imperfezioni e le scelte sbagliate dell'Inquisizione, devo essere preparata a venire ridotta a un paio di orecchie a punta malata del "delirio di onnipotenza vittimistico tipico della mia gente".- sollevò uno sguardo triste nella sua direzione. -Per ora sono solo pensieri di sottofondo, fortunatamente.-

-Se e quando arriverà il momento, saremo pronti a spalleggiarti.- disse lui con decisione, appoggiando una mano sulla sua schiena.

-Lo apprezzo. Davvero.-

Cullen increspò appena le labbra, regalandole un sorriso.

Lei lo ricambiò, al meglio delle sue possibilità. -Sono concentrata, lethallan. La mia priorità adesso è il Varco.- lo rassicurò. -Come ti ho detto, sono solo pensieri.-

-Pensieri che sono contento tu abbia condiviso con me.-

Lei sbuffò una risata. -L'hai detto tu che vuoi sapere di che colore vedo il cielo.-

Si scambiarono un'occhiata intensa, poi lui si schiarì la voce, spostando lo sguardo e le mani altrove, per dissipare l'imbarazzo.

-Ci sono riuscita?- domandò Lavellan, dopo un po'.

Cullen le rivolse un'occhiata dubbiosa.

-A toglierti la curiosità.- elaborò lei, divertita.

-Oh, certo, certo.-

-Non mi sembri troppo convinto.-

Lui tornò a cercare il suo sguardo. -Perché mi hai spiazzato. Mi aspettavo una risposta buonista, o molto ingenua, ma temo che l'unica persona abbia peccato d'ingenuità tra noi due sia stato io, proprio per colpa delle mie aspettative.-

Lavellan esalò una risata sommessa. -Non so se sentirmi ferita perché mi hai data per scontata, o compiaciuta per averti sorpreso.- replicò, scherzosamente. -Tu come la pensi?-

Di nuovo, Lavellan intravide l'indecisione sul suo viso, come se stesse reprimendo le sue reali opinioni. -Sono un soldato. Le punizioni sono un passaggio fondamentale dell'educazione alle armi.- rispose lui. -Aiutano a formare caratterialmente un individuo e, molto spesso, a rafforzarlo.-

-Poi non chiederti perché i tuoi soldati dicono che sei un despota.- lo punzecchiò lei, intuendo che non fosse pronto a sviscerare l'argomento, nonostante gli premesse di farlo.

Cullen sorrise e il suo sguardo assunse una sfumatura di sollievo. -Anche ingiuriare i propri superiori in comando è parte del processo formativo.- disse.

-"Quando saranno sul campo di battaglia, mi ringrazieranno!"- bofonchiò Lavellan, imitando la sua voce.

Cullen assottigliò lo sguardo, con disappunto, poi recuperò un mucchio di neve e glielo appiattì in faccia. La guardò lamentarsene, indossando un'espressione soddisfatta. -Avevo ragione. Ti sta proprio bene!- dichiarò.

Lei gli assestò una pacca d'indignazione sul petto, facendolo ridere.

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Capitolo 9
*** Statue ***


8 - Statue

Il vento ghiacciato schiaffeggiava gli alberi, ululando attraverso le fronde e sferzando senza ritegno i visi della linea di profughi che erano appena sfuggiti all'assedio di Haven.

Josephine si stringeva in un mantello di pelliccia liso che aveva recuperato durante la fuga mentre, dalla cima di un carro, faceva la conta dei superstiti. Cercò di ignorare la disperazione negli occhi di chi era riuscito a scampare al pericolo e la frustrazione di chi non aveva potuto restare al fianco di chi era caduto, ma la certezza di non essere al sicuro ebbe la meglio sul suo spirito ottimista, costringendola a macchiarsi il viso di lacrime.

Il roboare della valanga avvenuta ore prima persisteva nelle orecchie dei sopravvissuti che, dopo una lunga marcia, erano riusciti a trascinarsi tra le rovine di una vecchia torre di guardia, lontano dalla battaglia. Non avevano altra scelta se non quella di fermarsi, al riparo dalle intemperie, in attesa di notizie mentre le condizioni atmosferiche miglioravano.

-I corvi non possono volare, con questo tempo!- gridò Leliana, cercando di sovrastare il fischio assillante del vento. Era rivolta a Cullen, che stava aiutando Josephine a mettere in salvo un soldato ferito.

-Mandiamo i messaggeri, allora. Qualcuno dei nostri contatti risponderà all'appello.- rispose l'ultima, con decisione.

-Nessuno ci aiuterà, in queste condizioni, soprattutto i nobili. Dobbiamo cavarcela da soli.- disse Cullen, attirando l'attenzione di un suo ufficiale. -Mettete in sicurezza il perimetro e controllate che nessuno sia rimasto indietro. Ci accampiamo qui finché non finisce questa maledetta tormenta!- gli ordinò.

Dal canto suo, Josephine fece cenno alla guaritrice che era accorsa a occuparsi del soldato. -Bisogna fare un inventario delle risorse e improvvisare un'infermeria. Veloce!- le disse.

La sua interlocutrice annuì con aria tesa, poi si gettò un braccio del soldato dietro al collo e se ne andò per adempiere alla richiesta.

Leliana fece un giro su se stessa, riparandosi gli occhi dalla neve per valutare la situazione complessiva. Inspirò rumorosamente la sua sorpresa, nel notare l'arrivo di Cassandra e Solas, che si trascinavano sulla neve assieme all'ultimo drappello di sopravvissuti.

-Dobbiamo tornare indietro!- disse Cassandra, affranta, afferrando il braccio di Leliana nell'indicare un punto nella distanza. -Non possiamo abbandonarla.-

-Abbandonarla?!- le fece eco Josephine, appoggiandosi una mano sul petto. -Pensavamo fosse con te!-

-Ci siamo dovuti separare.- spiegò Solas, che si appoggiava precariamente al suo bastone, stanco morto.

Varric arrancò fino a Cullen, appoggiando le mani sulle ginocchia per riprendere fiato. -È rimasta indietro per darci modo di raggiungervi.- disse, con la voce sporcata di amarezza. -Mi dispiace.-

La maschera di risolutezza, alla quale Cullen si era aggrappato fino a quel momento, scivolò dal suo viso bruscamente, portandolo a guardare il suo interlocutore con occhi carichi di incredulità.

I lineamenti di Varric assunsero una smorfia di delusione. -È colpa mia.- affermò.

-Dobbiamo tornare indietro.- ripeté Cassandra, con fermezza.

Josephine annuì, nervosamente. -D'accordo, possiamo formare un gruppo di ricerca e...-

-No, non abbiamo tempo.- decretò Cullen, riprendendo il controllo. I presenti voltarono uno sguardo carico di incertezza nella sua direzione. -Lei per prima vi direbbe che è un'idea stupida.- elaborò lui, indicando agli altri il poco che restava dell'Inquisizione. -Abbiamo promesso di proteggere questa gente. Adesso è questa la priorità.-

Solas trasse un composto sospiro di sollievo, dandogli così un plauso per la sua ragionevolezza. Cassandra invece sfoggiò un'espressione schifata, scuotendo la testa in disaccordo. -L'Araldo...- iniziò.

-Ci ha dato un vantaggio.- la interruppe Leliana, spostando lo sguardo altrove. -Dobbiamo sfruttarlo, o il suo sacrificio non sarà valso a nulla.-

-Allora andrò da sola!- sbottò Cassandra, dando le spalle al gruppo per ritornare sui suoi passi.

Cullen sollevò una mano in direzione di Josephine per rassicurarla che aveva in mano le redini della situazione, quindi raggiunse Cassandra, afferrandole un braccio per impedire che si allontanasse.

Lei osservò quel gesto con tanto d'occhi, rivolgendo a chi lo perpetrava un'occhiata più affilata della spada che portava sul fianco. -Prova a fermarmi.- lo provocò.

-Non voglio fermarti, voglio che ragioni.-

Lei si riprese il braccio con un brusco strattone. -Cosa c'è da ragionare? Lav ha bisogno di me adesso e solo il Creatore sa quanto noi abbiamo bisogno di lei!-

Cullen aspettò che gli altri si allontanassero, prima di affrontare la situazione. -Non potrei essere più d'accordo, ma dobbiamo usare la testa.- affermò. -Andremo a cercarla non appena la tormenta sarà finita e saremo certi che la gente sia al sicuro.-

-Potrebbero passare giorni e lei è in pericolo ora!-

-Credi che non lo sappia?- domandò lui, con la voce rotta dalla frustrazione. -Dobbiamo restare sul pezzo, o non ce lo perdonerebbe mai. Noi non ce lo perdoneremmo mai.-

Cassandra strinse le labbra, trattenendo una replica brusca sul palato. Prese due respiri profondi, poi si passò una mano sulla fronte, all'apice della disperazione. -Avrei dovuto restare al suo fianco.-

Cullen non provò nemmeno a consolarla, perché se l'avesse fatto sarebbe arrivato a darle ragione. Piuttosto, si portò davanti a lei, con cautela. -Sei con me?- le domandò, allungando una mano nella sua direzione.

Cassandra si prese qualche secondo per ingoiare il senso di disfatta, poi si sforzò di stringerla.

 

*

 

-Posso tentare di dissuadervi?- domandò Leliana, pur sapendo già la risposta che avrebbe ottenuto. Sarebbe stata la stessa che era stata fornita a lei e a Josephine almeno una dozzina di volte nell'arco di quella rigida serata.

All'interno della tenda che i vertici dell'Inquisizione stavano usando come quartier generale temporaneo, Dorian si assicurò il bastone da mago sulla schiena, poi si voltò verso Cassandra, che era già pronta alla partenza. -Se non aveste tutti quell'aria preoccupata, sembrerebbe quasi una gita in famiglia.- commentò.

Blackwall, poco distante, gli rifilò un sorrisetto. -Ecco perché ci stiamo portando dietro pure i bambini.-

Sera, che per una volta non aveva assolutamente voglia di scherzare, spostò lo sguardo verso l'ingresso della tenda, dov'era appena apparso Cullen, seguito a ruota da madre Giselle.

-Dovete avere fede nel suo ritorno e restare.- diceva lei, cercando di convincerlo. -Senza di voi, saremmo condannati.-

-Senza di lei, lo sarà il Thedas.- affermò lui.

-Chi comanderà l'esercito in vostra assenza, Comandante? Cosa faremo senza l'aiuto dell'Inquisizione?-

Cullen indicò l'ambiente esterno con enfasi. -Non esiste più nessuna Inquisizione.- disse. -Ci guardi. Siamo allo sbaraglio, sopraffatti e senza un posto dove stare.-

-E senza di voi moriremo.- intervenne Josephine, rivolgendosi a Cassandra. -Se fosse possibile, andrei a cercare Lavellan personalmente, lo sapete. Ma in questo momento c'è bisogno che tutti facciano la propria parte, specialmente noi quattro. Non possiamo dividerci adesso.-

Il Toro di Ferro, che era rimasto estraneo alla situazione fino a quel momento, esalò un sospiro grave e sommesso. -Mi rendo conto che è una questione personale, Cercatrice, e sono con te, ma l'Ambasciatrice ha ragione. Lascia che io e le Furie ci occupiamo della cosa. Siamo pagati per questo, d'altronde.-

Dorian abbracciò con un gesto d'enfasi la sezione della tenda dov'erano localizzati i compagni di squadra di Lavellan. -Ah, perché noi siamo qui per fare le trecce ai cavalli?-

Blackwall annuì vigorosamente, condividendo il sentimento dietro le parole del compagno di squadra. -Sono mesi che combattiamo demoni al fianco dell'Araldo. È nostro dovere da compagni d'arme andare in suo soccorso.- aggiunse, di rinforzo.

-Quello che ha detto lui.- intervenne Sera, portandosi al suo fianco.

Cassandra osservò i suoi colleghi, uno a uno, con la mascella serrata e uno sguardo carico di frustrazione.

-Resta, per favore.- la incoraggiò Josephine, giungendo le mani in segno di preghiera.

-Stiamo perdendo tempo.- la incalzò invece Cullen, già pronto alla partenza. -Se non agiamo subito, la perderemo.-

Cassandra chinò la testa, prendendo a mordersi un labbro nervosamente. Chiuse gli occhi, poi trasse un respiro profondo.

"Esistono tre soluzioni, sempre." disse Lavellan, nella sua testa. "Quando le linee che le dividono sono offuscate dai sentimenti, per me non ha senso seguire l'istinto, perché le emozioni lo compromettono. Se posso, preferisco affidarmi all'esperienza."

-Qual è la soluzione logica?- mormorò Cassandra, stringendo l'impugnatura della spada con forza.

Il gruppo si voltò nella sua direzione, in attesa. Leliana si avvicinò a lei, riconoscendo quella frase, dato che Lavellan soleva ripeterla spesso quando loro quattro non riuscivano ad accordarsi in sede di consiglio. -Metteva sempre per primi i più deboli.- affermò, appoggiandole una mano sul braccio, dolcemente. -Come Justinia.-

Cassandra sollevò lo sguardo su di lei. -E, come con Justinia, dovrò trascinarmi la sua morte nella coscienza per il resto dei miei giorni a causa della mia inefficienza. È questo che mi stai chiedendo.-

Varric, poco distante, si passò una mano sulla fronte, pesantemente. -Non è colpa tua, Cercatrice. Se c'è da puntare il dito, allora puntalo su di me.- la corresse, attirando la sua attenzione.

Cassandra lo fulminò con lo sguardo. -Di cosa stai parlando, adesso?- lo redarguì.

-Di Corypheus.-

Nell'udire quel nome, Cassandra sentì scattare il meccanismo dei ricordi. Fece mente locale su un capitolo inesistente dell'Epopea di Kirkwall che Varric le aveva riferito a voce, molti mesi prima e lo sovrappose all'immagine oscena del condottiero che guidava i Templari Rossi nella battaglia. -L'Antico è Corypheus?!- gemette. Osservò il compagno di squadra alla ricerca di conferme, al che lui diede un cenno d'assenso, esibendo un’espressione a mezza via tra il perplesso e il mortificato.

-Possiamo restare sul pezzo?- gemette Dorian, che nel frattempo aveva affiancato Cullen. -Vorrei ricordarvi che Lavellan è l'unica persona in tutto il Thedas che sa chiudere gli squarci, tanto per aggiungere un motivo per cui sbrigarsi.-

-Allora andate.- affermò Cassandra, continuando a fissare Varric, con aria preoccupata. -Noi quattro ci occuperemo di ciò che è rimasto.- fece una breve pausa. -E di ciò che andrà fatto.-

-Voi tre.- la corresse Cullen, con una nota di evidente delusione nel tono di voce. -Non parlare a nome mio.-

Leliana e Josephine si scambiarono un'occhiata stanca, ma fu Cassandra a intervenire. -Anche se l'Inquisizione è allo sbaraglio, come dici tu, non possiamo lasciare le nostre posizioni. Hai preso un impegno come comandante, Cullen, devi rispettarlo.-

Cullen appoggiò le mani sui fianchi, nervosamente. -Da che ho messo piede a Haven, Cassandra, io ho sempre rispettato il mio ruolo, accettandone gli onori e gli oneri.-

-Allora rimani!- sbottò Josephine, esausta di doversi ripetere.

-Una causa ha bisogno di una guida.- affermò Cullen, quindi indicò sommariamente Cassandra. -Vogliamo davvero un capitano che cambia idea a seconda di come soffia il vento?-

Il Toro alzò le braccia in segno di resa, poi si mosse per lasciare la tenda. -Quando vi sarete decisi, io sarò qui fuori.- disse. Solas, Blackwall, Varric e Sera lo seguirono a ruota, altrettanto stanchi di quel continuo bisticciare.

Nessuno, all'interno della tenda, osò aprire bocca, dopo l'uscita assassina del Comandante. C'era chi la vedeva come un'affermazione ingiusta, come Josephine, e chi la approvava silenziosamente, come Vivienne. In ogni caso, c'era una spaccatura drastica nella leadership, senza nessun collante a mantenerne saldo il timone.

Dopo fin troppo tempo passato a guardarsi in cagnesco, Leliana prese la parola. -Ho una rete di spie di cui occuparmi.- affermò, secca, recuperando un leggio nell'andarsene.

-Qualcuno deve continuare a credere nella visione di Justinia.- soggiunse Josephine, profondamente delusa da quello scambio. -Io resterò al mio posto, come è giusto che sia.-

Cassandra ci mise un po’ a metabolizzare la situazione, poi si rivolse a Cullen. -Riportala a casa.- disse, con decisione.

Lui diede un unico cenno d’assenso, mentre al suo fianco Dorian assumeva un'espressione soddisfatta. -Non era poi così difficile.- chiosò.

 

La sconfitta però era evidente, soprattutto per chi, all'esterno, assisteva a quella divisione dopo aver perso ogni cosa. Gli ufficiali cercavano di mantenere l'ordine tra i soldati, il cui morale era totalmente devastato. Anche se gran parte di loro supportava l'idea di Cullen di cercare l'Araldo, in molti erano certi che se se ne fosse andato, c'era un'alta probabilità che non avrebbe fatto più ritorno.

I profughi e gli esuli di Haven invece erano lo specchio di ciò che stava succedendo alle loro guide. I litigi si facevano sempre più frequenti e la disperazione era talmente densa nel loro spirito che persino la preghiera aveva smesso di recare loro conforto.

Cassandra osservò quello scenario con aria affranta, mentre la neve scendeva dal cielo silenziosamente.

Il vento aveva smesso di soffiare, sostituito dal frullare delle ali dei corvi e dal loro gracchiare acuto. Il suono di un'invocazione lontana, inascoltata, accompagnava i preparativi del gruppo, come la macabra colonna sonora per qualcuno che sta andando incontro a morte certa.

Tra tutti, però, Solas sembrava distratto. Si stringeva al bastone con aria assorta, fissando con intensità il limitare del bosco che creava un perimetro naturale attorno all'accampamento principale. Cassandra raggiunse l'obiettivo del suo sguardo, aggrottando la fronte nel notare un rapace notturno fare la spola di albero in albero, planando sulla neve e risalendo tra le fronde in un moto continuo e nervoso.

-Per gli Elfi, i gufi sono i messaggeri di Andruil.- la istruì Josephine, portandosi al suo fianco.

-La dea della caccia?-

Josephine annuì, stringendosi nel mantello pesante. -Per i Dalish, rappresenta la loro stessa sopravvivenza.- rispose.

Cassandra deglutì, poi cercò nuovamente Solas con lo sguardo. Analizzò la sua figura a lungo, poi si ritrovò a trattenere il fiato. -Pensa che sia un segno!- disse, con una nota di speranza nella voce.

Si mosse velocemente in direzione del bosco, trascinandosi nella neve con decisione. Passò di fianco al gruppo, facendo voltare gran parte dei suoi componenti verso di lei, poi prese direttamente a correre, incespicando nell'alto strato di neve e spalandola addirittura con le braccia pur di raggiungere il punto in cui Solas aveva identificato il gufo. Notò con la coda dell'occhio che Cullen, il Toro e Blackwall stavano facendo lo stesso, complici di aver intuito ciò che stava cercando di fare.

Grazie a quello sforzo congiunto, l'aiutarono a creare un corridoio e insieme raggiunsero il fitto del bosco. Cassandra fece scattare lo sguardo di ramo in ramo, alla ricerca del rapace e quando se lo ritrovò davanti, che si puliva le piume di un'ala con aria pacifica, il cuore prese a batterle furiosamente nel petto.

-Andraste benedetta, eccola!- gridò Cullen, precipitandosi attraverso un sentiero totalmente innevato al di là del quale si poteva intravedere un minuscolo alone di luce verde che volteggiava nell'aria, come una lucciola che ha aperto gli occhi nella stagione sbagliata.

Cassandra sussultò, poi prese a correre a sua volta, finché non riconobbe la sagoma di Lavellan, che arrancava verso di loro usando l'arco come sostegno per non crollare a terra. Superò Cullen e la prese tra le braccia, sorreggendola per evitare che cadesse a faccia in giù nella neve.

-Chiamate un guaritore, presto!- esclamò Blackwall. -L'Araldo è tornato!-

-Sia ringraziato il Creatore.- mormorò Cassandra, imprimendo una carezza sul capo di Lavellan, che si era aggrappata a lei pur di non cadere.

-Scusate se ci ho messo tanto.- biascicò la nuova arrivata, gelida e rigida come una stalattite. Si voltò verso Cullen, che le frizionava la schiena per farle riprendere calore, poi gli rivolse un sorriso stentato. -Ho trovato traffico.- disse, prima di svenire.

 

-Non avrei dovuto parlarti in quel modo.-

Cassandra, di ritorno dall'infermeria improvvisata dell'accampamento, sollevò uno sguardo stanco su Cullen. -No, non avresti dovuto, anche se avevi ragione.- ammise, raccogliendo tra le mani la borraccia di liquore che le stava porgendo. -Per un attimo, ho perso il senso dell'orientamento.- aggiunse, dopo essersi riscaldata con un bel sorso.

-Ora che Lavellan è tornata, possiamo concentrarci su questioni più urgenti.- intervenne Leliana, raggiungendoli. Fece cenno a Josephine di avvicinarsi. -Dobbiamo ritrovare la strada, il prima possibile, o tutto quello che abbiamo fatto finora non sarà valso a niente.-

Josephine annuì, con decisione. -Sono certa che possiamo mettere le cose a posto.-

Cullen guardò le sue colleghe, una a una. -Non ci è rimasto più niente. Siamo indifesi, nel mezzo del nulla e senza alleati a cui rivolgerci.- riassunse, con una punta di frustrazione nel tono di voce.

-Lo sappiamo. Smettila di constatare l'ovvio!- sbottò Leliana. -Non è il momento di disperarsi.-

-Così come abbiamo costruito l'Inquisizione dal nulla, saremo in grado di riformarla.- affermò Cassandra, in supporto alla collega.

-Perdonatemi se sono realista! Non posso lavorare se non ho niente su cui mettere le mani.- ribadì Cullen, con evidente scetticismo. -Finora ci siamo arrangiati, ma non possiamo contare sulla fortuna per sempre.-

Cassandra fece per replicare, ma si dovette interrompere, nel notare che madre Giselle si stava muovendo a passo spedito nella loro direzione. -L'Araldo di Andraste si riprenderà completamente.- comunicò loro la religiosa, senza lesinare sul disappunto nel guardarli uno per volta. -Ammetto di essermi preoccupata molto, quando ho visto le condizioni della sua mano. Però, il vostro Mago elfico, Solas se ne sta occupando assiduamente e sembra essere sicuro che non sia una questione grave.-

Cassandra rilassò la postura. -La ringrazio, madre.-

-Possiamo fare qualcosa?- domandò Josephine, sporgendosi sulla nuova arrivata.

Madre Giselle rimase in silenzio qualche istante, poi sbuffò un sospiro secco dal naso. -Ritrovare la fiducia in voi stessi.- dichiarò, per poi ritornare da dove era venuta.

I quattro si scambiarono un'occhiata lunga e penetrante, poi si voltarono all'unisono verso l'infermeria, dove Solas massaggiava con aria assorta il palmo della sinistra di Lavellan, come se volesse predirle il futuro.

-Se non fosse tornata…- provò a dire Josephine, a mezza voce, ma si impedì di dare adito a quel pensiero. -Sono felice che sia qui, ecco quanto.- disse, invece.

-Non sei la sola.- ammise Leliana, sorprendentemente.

-Parli dal punto di vista strategico, o personale?- le domandò Cullen, dubbioso.

Leliana non rispose, ma dalla sua espressione si poteva capire benissimo che la risposta si trovava a mezza via tra quelle opzioni, senza riuscire a inclinarsi verso una in particolare.

Cassandra esalò un sospiro stanco. -Coraggio, questa gente ha bisogno di noi.- disse, muovendosi verso il centro dell'accampamento.

Gli altri la seguirono a ruota, con l'animo turbato dall'indecisione. Da un lato, l'idea che Lavellan fosse viva e si sarebbe ripresa sollevava un peso drastico dalle loro spalle, dall'altro però c'era la consapevolezza che avrebbero dovuto ricostruire tutto ciò per cui avevano lavorato duramente negli ultimi mesi, senza nessuna certezza di succedere nel tentativo.

Fortunatamente, questa insicurezza non sarebbe durata a lungo.

 

*

 

Lavellan scrutava l'orizzonte da uno sperone di roccia, alla ricerca di una pista.

Solas, poco distante da lei, fischiò per attirare la sua attenzione.

Si trovavano tra i resti di un antico ghiacciaio che dalle vette dei monti scendeva a valle come una colata di argento fuso, illudendo lo sguardo di chi lo osservava che fosse in movimento.

Le nuvole, nel cielo sereno, venivano inseguite dal vento di montagna, accumulandosi in agglomerati di cotone che cambiavano forma rapidamente, mano a mano che il tempo scorreva.

Erano in viaggio da due giorni. Due giorni in cui Lavellan aveva dormito poco e mangiato ancora di meno, così come succedeva quando il suo clan era in pericolo e c'era bisogno di trovare una via di fuga il prima possibile.

-Che succede?- domandò Lavellan, in elvhen, raggiungendo velocemente il compagno di squadra.

Solas le indicò la carovana che si districava a un centinaio di metri dietro di loro. -Sono fermi. Dev'essere successo qualcosa.- rispose.

-Non c'erano ostacoli sul cammino. Forse hanno bisogno semplicemente di riprendere fiato.- ipotizzò Lavellan, stringendo lo sguardo verso l'obiettivo segnalato. -Aspettami qui, lethallan. C'è profumo di fiori nell'aria, forse siamo vicini a una vallata adatta per accamparsi.-

Solas le rivolse un bel sorriso, poi si affacciò all'orizzonte. -Un profumo delizioso, per davvero.- rispose.

 

Dopo aver percorso a ritroso il sentiero che portava al ghiacciaio, Lavellan raggiunse la testa della carovana e per poco non fece l'errore che aveva fatto un carro coperto, rovesciandosi su un'enorme lastra di ghiaccio che ricopriva gran parte della strada.

Si trattava di un ostacolo evidente che però nessuno degli esploratori aveva visto e questa mancanza la fece sentire una perfetta imbecille per non aver controllato il percorso personalmente.

-Dobbiamo per forza aggirarla.- propose un veterano dell'esercito, lo stesso con cui Lavellan aveva speso qualche parola il giorno prima di richiudere il Varco.

-Non è una zona mappata. Potremmo deviare troppo dal percorso e finire in problemi addirittura peggiori.- intervenne un'esploratrice elfica al servizio di Leliana, che Lavellan ricordò chiamarsi Charter.

I due facevano parte del gruppo di testa, il più leggero, che dava il ritmo alla carovana e allo stesso tempo registrava i problemi tempestivamente per riportarli sia a Lavellan che al gruppo centrale.

-Eminenza, hai visto una strada alternativa, da lassù?- chiese Charter.

Lavellan scosse la testa, dopo averla raggiunta. -Le alternative sono troppo pericolose. Siamo a ridosso di un burrone. Se deviassimo, anche di poco, dovremmo abbandonare i carri e portarci risorse e feriti in spalla.-

-Non abbiamo abbastanza assi da coprire il ghiaccio.- intervenne Cullen, fuoriuscendo dal carro rovesciato assieme all'esploratrice Harding. -Costruirne di nuove ci bloccherebbe qui per ore.-

Lavellan passò uno sguardo accigliato sull'ostacolo, notando che creava una fascia divisoria sulla strada e, allo stesso tempo, fungeva da collante tra le parti. -Se sciogliessimo la lastra intera, potremmo causare una frana.- constató, cercando di scrollarsi di dosso la frustrazione in maniera produttiva.

-Potrei creare un corridoio, ma non sarebbe un lavoro di precisione.- intervenne il tenente Burrows, che stava consultando il suo grimorio, addossato alle ruote di un carro poco distante dal gruppo. -Tanto vale usare delle picozze.-

Cullen si affiancò a Lavellan, disperdendo la neve accumulata sui guanti con un applauso involontario. -È escluso. Per un lavoro del genere c'è bisogno di accuratezza.-

-Il tempo non è dalla nostra parte, signore.- intervenne Harding, con aria preoccupata.

Lavellan si chinò sulla lastra, appoggiandoci le mani per valutarne la stabilità. -Fortuna vuole che sia una che pensa troppo.- mormorò, stringendo le palpebre sopra un'espressione interessata. -Ho bisogno di Dorian.- disse, voltandosi appena verso Charter, mentre infilava una mano in uno dei borselli che teneva appesi alla cintura.

Cullen le lanciò un'occhiata confusa. -Dorian?- ripeté.

Lavellan si rigirò un taccuino tra le mani, poi annuì. -Baffi perfetti, risposta pronta e con il bastone da mago più costoso che tu abbia mai visto.- lo descrisse. - Quel Dorian. E ne ho bisogno subito, anzi, ieri.-

-Sissignora.- fece Charter, per poi precipitarsi in coda alla carovana.

-Cos'hai in mente?- le domandò Harding, spazzandosi la neve dalle ginocchia.

-Di accamparci per la notte in tempo per evitare la tempesta.- replicò Lavellan, bussando sulla lastra di ghiaccio come se si stesse annunciando.

Il veterano alzò il capo, confuso. -Il cielo è limpido.- commentò, mentre lei scribacchiava un'annotazione.

-Fidati dell'esperta. Se Sua Eminenza dice che c'è una tempesta in arrivo, non chiedere niente e riparati al volo.- affermò Cullen. -Cosa ci propone la montagna, stavolta?-

Lavellan sollevò la testa dai suoi calcoli, per rivolgergli un sorriso stanco. -Nell'aria c'è profumo di fiori e di cacca di fennec. Dovremmo disperderci un pochino, ma sembra un posto accogliente, ben riparato dal vento.-

Harding ridacchiò. -"Fiori e cacca di fennec". Diamine, capo, sei proprio un'Elfa certificata!- chiosò.

-Ci danno il certificato di garanzia assieme alle orecchie.- replicò Lavellan, appoggiando il carboncino tra le pagine per non perdere il segno, una volta richiuso il taccuino.

Finì i suoi calcoli, poi si mise a sedere sulla neve, in attesa, con l'espressione di chi ha il reale bisogno di una vacanza.

Cullen si accucciò di fronte a lei, porgendole un pezzo di carne essiccata. Lavellan fece per rifiutarlo, ma lui insistette, spingendoglielo tra le mani. -Lo capisco, hai tutti noi sulle spalle, ma non puoi sopravvivere ad aria.- disse, a voce bassa in modo da farsi sentire solo da lei. -Se continui così, ti accartoccerai su te stessa.-

Lavellan masticò il boccone malvolentieri, poi curvò gli angoli delle labbra in un sorriso malizioso. -Sì, mamma.- lo canzonò, facendogli alzare gli occhi al cielo.

-Sedevo comodamente sulla schiena di un Bronto, spiegando a Josephine che esistono altri colori oltre al blu e al giallo...- li interruppe Dorian, con al seguito una Charter dall'aria infastidita. -...poi è arrivata questa orfanella di guerra a dirmi che l'Araldo di Andraste richiedeva urgentemente la mia presenza. Sia mai che io rifiuti una richiesta d'aiuto accorata da parte di Sua Santità in persona!- proseguì, aprendo le braccia con enfasi.

Cullen allungò una mano verso Lavellan, aiutandola a rialzarsi, poi lei raggiunse Dorian, per prenderlo sottobraccio e condurlo di fronte alla lastra di ghiaccio. -Mi serve il tuo tocco magico.- disse, facendolo partecipe dei suoi calcoli nel mostrargli il taccuino.

Dorian scorse uno sguardo attento dapprima sull'idea, poi sull'oggetto dei loro problemi, infine le rivolse un'occhiata macchiata di disappunto. -E tu mi hai chiamato solo per questo? Volevi rifarti lo sguardo, ammettilo.-

Lavellan rise. -Allora? Pensi di riuscire a farlo?-

Dorian recuperò il bastone da mago dalla schiena, piantandolo a terra con un gesto secco. -Così mi offendi.- disse, evocando fiamme vive sulle dita della mano destra per poi spingerle verso l'ostacolo.

Il fuoco mangiò il ghiaccio gradualmente, in maniera stabile e ordinata, liberando un corridoio obliquo abbastanza ampio per far passare i carri in fila. Dorian e Lavellan collaborarono dall'inizio alla fine, con cautela, e riuscirono a finire il lavoro nell'arco di un quarto d'ora, sotto allo sguardo sorpreso dei presenti.

-Impressionante!- commentò Harding.

-È il mio secondo nome.- rispose Dorian, flettendo le dita per osservarsi le unghie con aria di finta noia. -C'è altro?-

-C'è che tu da ora in avanti resti nel gruppo di testa.- disse Cullen, osservando il terreno sgombro con aria soddisfatta.

Dorian assunse un'espressione scherzosamente infastidita, rivolgendosi a Lavellan. -Devo proprio?-

-Devi proprio.- rispose lei, battendogli una pacca sulla schiena per consolarlo.

Il suo interlocutore sospirò, scrollando le spalle. -Troverò il modo di farmelo piacere.- disse, facendo l'occhiolino ad Harding, che gli sorrideva. -La prossima volta che vuoi la mia benedizione, fammelo sapere per corrispondenza.- scherzò, mentre Lavellan si allontanava, ridendo.

-Non ho assolutamente idea di cosa stia parlando.- mentì Harding, in tempo per intercettare l'espressione perplessa di Cullen.

 

*

 

La carovana proseguì senza altri intoppi, giungendo in una bella radura invasa da edera e fiori di mughetto a metà pomeriggio. La vicinanza tra gli alberi non consentiva l'installazione di tende signorili, ma permetteva comunque un ottimo riparo dal vento montano. Della tempesta, che ruggiva in alta quota, infatti, si poteva solo sentire un'eco distante.

Lavellan e Solas giunsero all'accampamento poco dopo il tramonto, per fare il punto della situazione con il resto degli esploratori prima di cena. Nessuno aveva ancora avvistato il rifugio di cui parlava Solas, nonostante avessero battuto a tappeto la zona circostante al passo montano che stava affrontando la carovana, quindi molti di essi iniziavano a dubitare della validità della parola del Mago.

-Non ce n'è motivo.- disse Lavellan, con sicurezza, rivolgendosi a un cacciatore dalish di sua conoscenza. -Solas mi ha salvato la vita in più di un'occasione e conosce le tradizioni meglio di tutti noi messi insieme. Troveremo quello che stiamo cercando, molto presto.-

Solas, alle sue spalle, le rivolse un'occhiata penetrante, ma non disse niente.

-Da'len, siamo in cammino da giorni e non abbiamo trovato niente.- intervenne un’esploratrice elfica, che proveniva da un clan che viveva sulle Montagne Gelide da che le Valli erano cadute. -Questa zona è talmente remota che nessuno si arrischia a esplorarla da secoli.-

-Proprio per questo è vitale che troviamo questo posto.- ribatté Lavellan. -Devo portare tutti al sicuro e non c'è luogo migliore che una zona del genere, poco battuta e per niente mappata. Qui saremo in grado di riorganizzarci.-

-Non so perché vi stiate dando così tanta pena per questa gente.- commentò il cacciatore, scettico. -Ci considerano alla stregua di animali e se non fosse che gli sei utile, lethallin, non ci penserebbero due volte a giustiziarti come spia.-

-Questa gente- intervenne Harding, incrociando le braccia al petto con un gesto nervoso -crede che il futuro appartenga a tutti, che siano Elfi, Nani o Maghi. L'Inquisizione merita di sopravvivere.-

-Ci credi davvero?- domandò l'esploratrice delle Montagne Gelide, rivolgendosi a Lavellan.

Lei annuì con fermezza. -L'Inquisizione in cui credo è nata dalle ceneri di un mondo vecchio per aiutare il Thedas a guarire. Ci siamo dentro tutti, che agli Umani piaccia o meno, e insieme possiamo cambiare le cose.-

-Sei troppo idealista, da'len. Degli Shem non ci si può fidare.-

-E allora fidati di me, dei miei intenti e della mia esperienza come cacciatrice.- disse Lavellan. -Ho consegnato io nelle mani del tuo Guardiano le mappe aggiornate dei percorsi sicuri nei Liberi Confini per l'ultimo Arlathven, non dimenticarlo.-

L'esploratrice scosse la testa. -Non l'ho dimenticato. Così come non ho dimenticato la tua abilità nella caccia.- fece una pausa. -Ir abelas, da'len.-

Lavellan allora si schiarì la voce. -Domani amplieremo il raggio di ricerca.- annunciò. -Solas sostiene che troveremo il nostro obiettivo a nord, quindi ci concentreremo unicamente sul settore settentrionale, viaggiando in parallelo. Consegnate le annotazioni odierne a sorella Leliana e aggiornatela così come avete fatto con me.- passò lo sguardo sui presenti, con fare autoritario. -Mangiate, riposatevi bene e ripartite non appena sarete in forze. Il tempo è agli sgoccioli e la gente inizia ad ammalarsi. L'ultima cosa che vogliamo è un'epidemia di raffreddore.- fece una pausa. -E state attenti alle lastre di ghiaccio. Non voglio che si ripeta più quello che è successo prima.-

Gli esploratori si congedarono, lasciando lei e Solas ad affrontare il buio in silenzio.

-Ora capisci perché ho accettato al volo l'opportunità di lasciare il mio clan?- mormorò lei, in elvhen, appoggiando il dorso sul tronco di una betulla.

Solas si strinse al bastone da mago, spostando uno sguardo accigliato altrove. -La tua gente ha sacrificato l'empatia per la cautela.- rispose, mantenendo l'elvhen.

Lavellan gli gettò una rapida occhiata. -Questa non è cautela, è mancanza di decenza. Se un uomo è in bilico sul ciglio di un burrone, lo porti in salvo, non gli vai a controllare le orecchie!- sbottò. -E non venirmi a dire che è un meccanismo di difesa, o dico a Sera dove dormi.-

Solas le rivolse un sorriso composto. -Non era mia intenzione farlo.-

Lavellan prese un respiro profondo, per distendere i nervi. -Dimentica le mie lamentele e riposa, per favore.- disse, raddrizzandosi per appoggiargli una mano sulla spalla.

Solas raggiunse la sua mano per stringerla brevemente, poi diede un cenno d'assenso. -Manca poco, ormai. Mala suledin nadas, lethallin.-

-Ghilan'nain enansal, lethallan.- disse lei, per poi inoltrarsi nell'accampamento.

 

-Non mi ci abituerò mai.-

Cullen sollevò lo sguardo dalla pergamena che stava leggendo, rivolgendo al suo secondo in comando un'occhiata curiosa.

Per fare il punto della situazione privatamente, i due avevano occupato uno spazio ricavato da due abeti, riparato in alto e sui lati da un ampio telo e illuminato da una torcia dal fusto lungo e sottile.

Rylen indicò con un cenno del capo il gruppo di esploratori che parlottavano al buio, poco distante. Gli occhi degli Elfi presenti brillavano nelle tenebre, riflettendo la poca luce delle torce come minuscoli fuochi fatui attaccati a sagome scure, magre e curve. Sembrava l'illustrazione di un gruppo di spettri, proveniente da un libro di fiabe chasind.

-Quando ero di ronda notturna, al Circolo, li cioccavo sempre quando facevano finta di dormire. Soprattutto i bambini.- disse Rylen, continuando a guardarli con sospetto. -Per non parlare di quelli che trovavo nei corridoi dopo il coprifuoco. Facevo finta di non vederli, poi la mattina gli facevo una predica lunga ore.-

Cullen ripiegò la pergamena, la ripose tra le pieghe del mantello, poi si accostò a lui, appoggiandogli una mano sulla spalla. -E la notte successiva li ritrovavi a correre liberi per i corridoi, immagino.- ipotizzò.

Rylen gli gettò un'occhiata indicativa. -Ovviamente.-

-Non li hai mai riportati al tuo comandante?-

-Solo una volta, ma avevo i miei motivi per farlo.- rispose Rylen, abbassando il tono di voce. -Possibile che più mi sforzi di trovare dei ricordi positivi del Circolo, più vengono a galla quelli negativi?- si lamentò.

Cullen strinse le labbra su un'espressione dolorante, come se il suo stomaco fosse chiuso in una morsa. -Pensavamo di essere nel giusto.- disse, semplicemente.

Rylen rimase per un po' in un silenzio assorto, poi sbuffò. -Dimmelo chiaro e tondo: secondo te, lei cambierà le cose?-

-Se non ne fossi sicuro, non avrei premuto per andarla a cercare personalmente.- affermò Cullen. -Nel caso avessi fallito, adesso sarei diretto da qualche parte nel Ferelden, alla ricerca di un signore a cui offrire la mia lama.-

-Stavo giusto per dirti che siamo ancora in tempo per fare una capatina ad Amaranthine. Ho sentito che lo stipendio come guardia cittadina è buono e il cibo è...- si baciò la punta delle dita.

Cullen ridacchiò. -Amaranthine è umida e puzza come il fondo di un barile di pesce. Saresti tutto il tempo a lamentarti, come se non fosse già il tuo passatempo preferito.-

-Ecco, ora ho voglia di pesce.- si lamentò, appunto, Rylen, aggrottando la fronte. -Un bello stufato ustionante di salmone.-

-Proprio perché è facilissimo trovare il salmone in alta montagna.-

-Conoscendola, l'Araldo sarebbe capacissima di trovarne un banco anche qui.-

Cullen fece per ribattere, ma si ritrovò a dargli mentalmente ragione. Senza dire niente, cercò di individuare la sagoma di Lavellan nell'ombra, per dare un'identità visiva al suo senso di fiducia.

Attese che gli esploratori si disperdessero, sforzandosi di pazientare e quando riconobbe il suo obiettivo, alzò istintivamente una mano in segno di saluto.

-Che occhiaie, Emine'!- commentò Rylen, con aria preoccupata.

Lavellan, che si era avvicinata per rispondere al saluto, gli rivolse un'occhiata laconica. -Salve anche a te, Rylen.- fece, per poi rivolgersi a Cullen. -C'è qualcosa che non va?- domandò, stancamente.

Lui rimase interdetto per qualche secondo, poi scosse la testa, riprendendo immediatamente la sua solita compostezza. -La sistemazione per la notte è ideale.- affermò. -Ho discusso con Leliana e posso confermarti che siamo in grado di darvi una giornata d'anticipo, come concordato.-

Lavellan annuì. -Perfetto. Allora procederemo come stabilito. Grazie, Comandante.- si voltò quindi verso Rylen. -Siamo troppo in alto per i salmoni, ti dovrai accontentare delle trote.-

Rylen ritrasse il capo, sorpreso. -Vanno benissimo.- rispose. -Hai sentito tutto, insomma.-

-Sono l'Araldo di Andraste, Rylen. Io vedo e sento sempre tutto.- scherzò lei, sgranchendosi il collo per dissipare la stanchezza.

Cullen approfittò del suo momento di distrazione per indicarsi un orecchio, facendo notare al suo secondo che era evidente che il suo udito fosse più sviluppato rispetto al loro. Lavellan intercettò quel gesto, ma non ci prestò più di tanta attenzione. -Harding ha preso un nug, poche ore fa.- disse. -Vi conviene affrettarvi, prima che il Toro senta il profumo di carne abbrustolita.-

-Non mangi con noi?- intervenne Cullen, con aria di rimprovero.

Lavellan passò una rapida occhiata su di lui. -Ora c'è troppo da fare. Mangerò quando sarà il momento.- rispose, asciutta.

Cullen si limitò a guardarla di sottecchi, al che lei alzò gli occhi al cielo. -Prenderò qualcosa al volo dal barile di carne fermentata, prima di andare a dormire.- lo rassicurò.

-Sarà il caso.- disse lui. -Ti sei appena ripresa dalla battaglia, devi trovare il tempo per badare anche a te stessa.-

-Quand'è che sei diventato il mio infermiere?-

-Prendimi in giro quanto vuoi, ma sai benissimo che ho ragione.-

Lavellan gli rivolse un sorriso tirato, poi si voltò per andarsene. -A più tardi.- disse, congedandosi.

Cullen la seguì con uno sguardo accigliato, ritrovando ad aspettarlo un'occhiata carica di rassegnazione.

-Gliel'hai detto?- gli domandò Rylen, dopo che Lavellan fu abbastanza distante da non riuscire a origliare la loro conversazione.

Cullen esitò, rispondendo implicitamente alla domanda.

Rylen addolcì i lineamenti. -Fammi un favore, Comandante: non aspettare troppo.- gli suggerì.

Il suo interlocutore prese un respiro profondo, poi tornò a concentrarsi sulla missiva che stava studiando prima che venisse interrotto. -Adesso non è il caso.- disse, dando una chiusura drastica alla conversazione.

Rylen dibatté con se stesso se insistere o meno, ma ci rinunciò quasi subito, preferendo confortare il suo superiore in comando in una maniera congeniale per entrambi anziché offrirgli un aiuto che avrebbe fatto più danno che altro. Infatti, lo assisté nei suoi compiti fino a tarda notte, limitando le loro interazioni al lavoro, pur restandogli vicino.

Niente da dire, Cullen si congratulò mentalmente con se stesso per aver avuto fortuna a trovare nel suo secondo un professionista eccellente, ma soprattutto un ottimo amico.

 

*

 

Essere l'unica ancora sveglia, assieme alle sentinelle, mise una certa tensione sulle spalle di Lavellan.

Sapeva di doversi sforzare di dormire, perché l'Inquisizione intera contava su di lei, eppure, la sua testa non le dava tregua, proponendole scenari sempre più drastici mano a mano che i minuti passavano.

Si voltò verso Cassandra, che dormiva beatamente al suo fianco e le sorrise. Anche lei soffriva di insonnia e tensione, in quei giorni, quindi vederla riposare con successo, nella più totale rilassatezza, le regalò un po' di sollievo. Le rimboccò la coperta sul collo, dolcemente, poi le cedette la sua, preferendo tentare di conciliare il sonno tramite una camminata, anziché restare immobile a stressarsi nel buio.

Si infilò nel tabarro e respirò profondamente l'aria gelida e frizzante della notte, procedendo lentamente attraverso l'accampamento per cercare di svuotare la testa dalle preoccupazioni. Ogni volta che ci provava, però, veniva tormentata dal pensiero che il tempo era agli sgoccioli e che la montagna li avrebbe uccisi molto prima di fornire loro un riparo.

Sbuffò, reprimendo l'istinto di rimettersi in marcia immediatamente, quindi prese a saltellare sul posto, per disperdere la frustrazione.

Una volta che ebbe calmato i nervi, tornò a camminare, stringendosi nel tabarro più per conforto che per necessità. Fece pochi metri, prima di rendersi conto che lei e le sentinelle non erano le uniche a soffrire d'insonnia.

Corrugò la fronte, sentendo un senso di preoccupazione risalirle la colonna vertebrale.

Cullen era in piedi, in maniche di camicia, con la fronte appoggiata sulla corteccia di un pino, come se stesse facendo la conta in attesa che qualcuno si nascondesse.

Cautamente, gli si avvicinò, chiamandolo per nome, poi gli appoggiò una mano sulla schiena. Il suo corpo emanava un calore anormale, come se il freddo non lo toccasse.

-Sto bene. È solo un'emicrania passeggera.- disse lui, rauco.

Lavellan si guardò intorno velocemente, cercando di individuare qualcosa con cui coprirlo. Nel frattempo, si sfilò il tabarro, assicurandolo bene sulle sue spalle. -Non sembrerebbe che tu stia bene.- mormorò, con un accenno di rimprovero. -Dammi due...- iniziò a dire, mentre il suo corpo agiva ancor prima che la sua mente potesse formulare una frase da riferire alle sue labbra.

In poco meno di cinque minuti, e miracolosamente, recuperò un pentolino, lo riempì a metà di neve e accese un fuoco sotto di esso. Strappò una manciata di aghi di pino e li pulì alla meglio, aspettando che la neve si sciogliesse in acqua ed essa bollisse, prima di metterli in infusione.

-C'è una gavetta...- biascicò lui, indicandole a gesti un riparo poco distante. Lavellan si precipitò a cercare la stoviglia e, quando l'infuso fu pronto, si affrettò a versarlo e a portarglielo.

Gli appoggiò un polso snudato sulla fronte, mentre lui beveva, traendo un sospiro di sollievo nel realizzare che, nonostante il calore profuso dal suo corpo, non aveva febbre. -Sará la pressione dell'aria, o forse hai mangiato qualcosa che non andava.- ipotizzò.

Cullen trangugiò la bevanda a occhi chiusi, poi si ripulì le labbra con il dorso della mano. -Non ho mangiato.- replicò.

-Incoerente.- lo rimproverò Lavellan, recuperando la gavetta dalle sue mani con cura per appoggiarla a terra.

Lui le rispose con un sorriso debole. -Almeno io ho una scusa valida.- disse, facendosi aiutare a raddrizzarsi. Quando fu abbastanza in forze da restare in piedi autonomamente, si sfilò il tabarro, ritornandolo alla sua proprietaria. -Era un rimedio elfico?- le domandò, alludendo all'infuso.

-Umano, a dire il vero.- lo corresse lei, facendogli cenno di sedersi su una roccia poco distante. Recuperò una coperta pesante dal rifugio, mentre lui prendeva posto, quindi gliela avvolse sulle spalle, frizionandogli la schiena energicamente. -Come stai?- gli chiese, dopo un po', passandogli una mano sulla testa con dolcezza.

Cullen sospirò. -Meglio. Quella cosa è orribile, ma miracolosa.-

-Non esageriamo, adesso. È acqua calda con aghi di pino.-

-Sto bene, Lavellan, davvero. Avevo solo bisogno di prendere un po' d'aria.-

Lei gli scoccò un'occhiata di rimprovero. -Farò finta di crederci.- dichiarò, accucciandosi di fronte a lui.

-Meglio così.- disse Cullen, spostando lo sguardo verso il fuocherello. -Posso chiederti un favore?-

-No, non te lo compro il cavallo nuovo. Ne abbiamo già tanti a casa.-

Cullen sbuffò una risata lieve. -Volevo solo un po' di compagnia, a dirla tutta.-

Lavellan si alzò per riempire nuovamente la gavetta e gliela riportò. -Ecco, questa è già una richiesta molto più accettabile.- scherzò, prendendo posto al suo fianco. Lo osservò bere un buon sorso, poi gli sorrise. -Ti sorprendo sempre a brache calate, come direbbe Sera. Immagino che per te non sia una cosa facile da gestire.-

Cullen le lanciò una rapida occhiata. -Frustrante.- la corresse. -Ma a quanto pare, non è una cosa che posso controllare. Non con te, almeno.-

Lavellan si costrinse a trattenere un sorriso soddisfatto, con poco successo. -Oh.- disse, semplicemente.

-Forse è perché il mio istinto mi dice che posso fidarmi di te, incondizionatamente.- spiegò lui, evitando il contatto visivo. -Non solo per quanto riguarda questioni professionali.-

Lavellan ci rifletté per qualche istante, prima di approfondire. -Fa' conto di essere in una situazione normale, in cui sei in forma. Che persona vuoi che veda, quando ti guardo?- gli domandò, abbassando il tono di voce.

Cullen ammiccò, passandosi una mano tra i capelli. -Quella che dovrei essere, suppongo. Un uomo che ha il totale controllo su se stesso e che svolge il suo dovere con integrità e passione.- rispose. -Una persona affidabile e volta al sacrificio.-

-Questa è la descrizione di una statua, non della persona che ho stracciato a palle di neve pochi giorni fa.- intervenne lei, raccogliendo le mani in grembo. Decise di alzare il tiro. -La stessa persona che avrebbe mollato tutto per cercarmi può convivere con quella che stai cercando di essere a tutti i costi?-

Cullen voltò la testa nella sua direzione. -Ti ho detto che potevi contare su di me per qualsiasi cosa. Quando prendo un impegno, io vado fino in fondo.-

-Anche a costo di sacrificare tutto quello per cui hai lavorato così duramente?-

Lui annuì, senza esitazione. -Tu non ci hai pensato due volte prima di partire per la Palude Desolata. Se sei disposta ad affrontare un esercito di non morti per salvare un gruppetto di soldati, per me e per Cassandra cosa faresti?- le domandò.

Lavellan gli rivolse un sorriso triste. -Chiederei al Toro se ha voglia di spezzare un po' di gambe e mi precipiterei in vostro soccorso.-

Cullen ricambiò il sorriso. -E comunque tu non mi hai stracciato, hai imbrogliato.- precisò, stringendosi nella coperta.

Lavellan gli assestò un buffetto sul braccio. -Hai iniziato tu, colpendomi alle spalle. Alla faccia dell'integrità!-

Rimasero fianco a fianco, a cercare di sdrammatizzare per gran parte della notte, crollando poche ore prima che facesse giorno, troppo stanchi per continuare. Quando il sole sorse, le responsabilità che avevano faticosamente accantonato li colpirono in pieno viso, risvegliando anche la fretta e il nodo allo stomaco che si portavano dietro da giorni.

Prima di andarsene, Lavellan scrisse una nota veloce, appoggiandola sotto alla gavetta, in modo che Cullen la trovasse facilmente al suo risveglio.

Quando successe, lei era già partita da un'ora, pronta a portare a termine la sua missione. Leggendola, lui si ritrovò a sorridere. "Una cosa non esclude l'altra." diceva.

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Capitolo 10
*** Gambetto ***


-La nostra fuga da Haven... c'è mancato poco. Mi rincuora che tu... che molti ce l'abbiano fatta.-

-Se fossi rimasta indietro, forse saresti... Non permetterò che si ripetano gli eventi di Haven. Hai la mia parola.-

 

9 - Gambetto

 

Lavellan si sforzò di mantenere un'andatura decisa, ma calma, mentre si allontanava dal cortile che abbracciava il grande portale d'accesso di Skyhold dopo quello che avrebbe definito un momento di svolta nella sua vita personale.

Non era la prima volta che Cullen la spiazzava e anche lei era colpevole di inviargli dei segnali che lasciavano intendere il suo interesse nei suoi riguardi. Superficialmente, certo, perché ai suoi occhi lui era molto bello, intrigante e insieme condividevano la praticità di chi è abituato a risolvere i problemi bene e subito. Inoltre, era schietto con lei, pur rispettando i paletti che gli venivano messi durante conversazioni fin troppo personali, che era una qualità che Lavellan ammirava.

In quell'occasione, però, il suo cuore aveva mancato un battito, improvvisamente e senza motivo, facendole capire che c'era la possibilità che nessuno dei due stesse giocando. In quel dialogo era apparsa la possibilità di un coinvolgimento sentimentale serio, anzi, peggio: ogni parola puzzava di vero e proprio amore.

Lavellan simulò un pianto finto, singhiozzando teatralmente nel rendersi conto di essersi messa nei guai con le sue stesse mani.

Si diresse verso la nuova armeria, perché era certa di aver bisogno di una gran bella lavata di capo e, quando ne varcò la soglia, abbandonò la dignità sullo zerbino e si precipitò a risalire le scale, come se fosse una questione di vita o di morte.

Nel vederla apparire nella sua stanza all'improvviso, trafelata e paonazza, Cassandra smise immediatamente di lucidare il suo scudo e le rivolse un'occhiata preoccupata.

-Sono innamorata.-

Cassandra sgranò gli occhi, coprendosi la bocca con entrambe le mani, realmente sconvolta.

-No, no, no.- la redarguì Lavellan, indicandola con enfasi. -Dove sono il grugnito di disapprovazione e gli occhi al cielo?-

La padrona di casa però restava immobile a fissarla, proprio perché quella rivelazione era giunta imprevista.

Lavellan si portò di fronte a lei, con aria affranta, al che Cassandra si riebbe, sporgendosi nella sua direzione per evitare di farsi sentire, nonostante la stanza fosse completamente vuota. -Di chi?- mormorò.

Lavellan le rivolse un'occhiata scettica. -Davvero non ne hai idea?-

Cassandra la prese per le spalle e la scosse, in tutta risposta.

-Cullen. È Cullen!-

Nello sguardo di Cassandra apparve una distinta sfumatura di quella che Lavellan lesse come delusione. -Oh.- disse solo.

-Lo so!- gemette Lavellan, con il tono di voce più alto di un'ottava.

-No, non è per quello. Lui va bene. Non sono come Varric che giudica le persone basandosi sul tipo di birra che bevono.- elaborò l’altra, agitando una mano tra loro per scacciare via quella reazione. -Per come me l’hai messa, pensavo che si trattasse di una novità.-

Lavellan batté le palpebre pesantemente, guardandola con aria scettica.

-Sono solo sorpresa!- si lamentò Cassandra. -Il fatto che l'abbia capito prima lui è preoccupante, però, visto che è meno percettivo di un bronto senza orecchie.- aggiunse, aggrottando la fronte.

-Avevo capito di piacergli, non pensavo che ci saremmo caduti entrambi in questo modo.- precisò Lavellan, chinando lo sguardo a terra.

Cassandra alzò gli occhi al cielo, poi le pizzicò un braccio, per costringerla a concentrarsi. -Insomma, cosa intendi fare?-

-Perché credi che sia qui?- protestò Lavellan, massaggiandosi la parte lesa.

Cassandra spalancò lo sguardo. -Vuoi una mano... da me?- domandò, indicandosi. -Ne sei davvero, davvero sicura?-

Lavellan scrollò le spalle. -Non sono sicura proprio di niente, lethallin.- sussurrò. -So solo che è una pessima idea, per entrambi. Non ho idea di chi sia e lui non ha idea di chi sia io.-

-Siete persone che hanno sofferto tanto e che hanno perso fin troppi pezzi per strada.- replicò Cassandra, sistemandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio. -Ma entrambi avete il cuore al posto giusto, Lav, è quella la cosa importante.-

Lavellan si nascose il viso tra le mani. -Quindi dovrei dare una possibilità a questa... cosa? Non sarebbe meglio sopprimerla sul nascere?-

-Se proprio vuoi la mia onesta opinione, questa cosa potrebbe addirittura farvi bene reciprocamente.- ammise Cassandra, rivolgendole un sorriso rassicurante. -Il problema è uno solo: hai a che fare con un brocco. Uno di quelli con il sigillo di qualità. Se vuoi intraprendere una relazione con lui, devi essere tu a fare la prima mossa.-

Lavellan le rivolse un'occhiata eloquente. -E tu vuoi davvero spingermi tra le braccia di una persona così?- le domandò.

Cassandra annuì con consapevolezza. -Non sono io ad essermene innamorata.- la punzecchiò.

Lavellan gemette, avvicinandosi per appoggiare la fronte sulla sua spalla.

 

*

 

Cullen finì di riporre l'ultimo libro che possedeva nello scaffale alle spalle della sua scrivania, poi indietreggiò di un passo, per ammirare l'opera appena compiuta. Nonostante i pochissimi effetti personali che era riuscito a salvaguardare da Haven, arredare il suo nuovo ufficio gli aveva fatto perdere mezzo pomeriggio. Nel suo sguardo si manifestò una scintilla di autocompiacimento, ma non durò a lungo, dato che era solo il primo passo di un percorso realmente accidentato.

Sollevò la testa verso il grande gufo che sovrastava la stanza, vigilando su di essa con grandi occhi rotondi e subito gli tornò in mente ciò che gli aveva riferito Cassandra, il giorno prima, ovvero che aveva trovato Lavellan nella neve seguendo un gufo. All'inizio, si era limitato ad assimilare la notizia con scetticismo, poi aveva iniziato a prestare attenzione alle numerose statue di gufo che tempestavano Skyhold, ritrovandosi a riflettere sull'effettiva validità della leggenda elfica che vedeva la dea Andruil servirsi di quei messaggeri alati per indicare la strada migliore da seguire alla sua gente.

Cassandra aveva seguito il gufo e aveva trovato Lavellan, Lavellan aveva seguito le Vie del Cacciatore e aveva trovato Skyhold. In qualche modo, tutto si collegava ad Andruil e i segnali erano talmente evidenti da iniziare ad acquisire una certa legittimità.

Per una mente disabituata a riconoscere la validità di una religione che la Chiesa ripeteva costantemente quanto depravata fosse, era decisamente destabilizzante prendere in considerazione anche solo lontanamente il valore del simbolismo elfico sul piano terreno. Eventualmente, informarsi, o leggere per pura curiosità un tomo in merito alla questione, metteva nel cuore di Cullen un gran senso di rifiuto, ma era vitale che iniziasse a mettere in pratica la promessa implicita che aveva fatto a Lavellan, diverse settimane prima.

 

Messo di fronte a una serie di domande senza che chi gliele stesse porgendo avesse il contesto culturale adatto per formularle correttamente, Solas si ritrovò a doversi fermare nella sua opera di illustrazione, sporgendosi dall'impalcatura del suo studio per rivolgere a Cullen un'occhiata tinta di sorpresa. -Cosa vuole sapere da me esattamente, Comandante?- gli domandò, cercando di mostrarsi gentile, nella più totale perplessità.

Cullen, seriamente in difficoltà, aprì un braccio verso una direzione vaga. -I gufi. Cosa mi dovrebbero rappresentare?- domandò.

Solas appoggiò il pennello nel vaso di vernice, con cautela, poi discese con calma dall'impalcatura. -Messaggeri, guardiani, compagni di caccia... ha importanza? Sono passati mille anni dalla caduta di Arlathan. Molti simboli mutano di significato mentre la storia fa il suo corso, questi non fanno eccezione.- disse, mentre lo raggiungeva.

-Dovranno pure avere un ruolo specifico! Non possono esserci tutte queste discrepanze.-

Solas gli rivolse un'occhiata penetrante. -Lei è la seconda persona che me lo chiede oggi, Comandante.- gli rivelò. -E, per la seconda volta, dirò che a mio avviso state guardando al Nume sbagliato.-

Cullen inarcò un sopracciglio. -Quindi quel gufo, questi gufi non sono i messaggeri di Andruil?-

Solas passò uno sguardo attento su di lui. -Vorrei ricordarle che solo perché l'Inquisitrice segue il Vir Tanadhal, non significa che sia esclusivamente votata alla dea della caccia.- gli suggerì. -I Dalish si affidano ai Numi per essere guidati nella quotidianità, nei mestieri e nelle imprese. Un fabbro in procinto di forgiare uno scudo si affiderebbe a June affinché la sua mano sia salda, pur indossando i Vallaslin propri di Sylaise, la dea del focolare. Un lavoro non definisce la complessità dell'individuo che lo sta svolgendo, è solo un lavoro. Perciò, anche se un cacciatore prega Andruil nello svolgimento del suo dovere, può smettere di affidarsi alla sua guida quando la caccia è conclusa.- fece una pausa, per permettergli di assorbire il concetto.

-A che divinità sarebbe votata Lavellan, dunque?-

Solas strinse le palpebre, con scetticismo. -A lei non interessa realmente la mia, la nostra cultura, Comandante. A lei interessa altro e non ha niente a che vedere con la presenza fortuita di un animale notturno nel suo ambiente naturale.- disse, con un tono più affilato di una lama. -Mi faccia un gran favore, non faccia finta di provare interesse per dei concetti che non vuole e non è in grado di capire. Sarebbe ingiusto nei riguardi dell'Inquisitrice.-

Cullen inarcò un sopracciglio. -La mia era una curiosità innocua. Farla soffrire è l'ultima delle mie intenzioni.- si difese.

-Allora non vada oltre ciò in cui crede. Chiami quel segno casualità.-

-Cos'ho fatto per guadagnarmi questa ostilità improvvisa?-

Nonostante la compostezza che ostentava, Solas era chiaramente infastidito da quell'ostinazione. -Lei è l'eredità di una cultura che ha spazzato via la mia gente e che continua a protrarre stereotipi che ci dipingono come figli della foresta. Primitivi. Trovate la nostra cultura tanto affascinante da studiare quanto lo sarebbero le interiora di una viverna. Per la Chiesa, noi siamo bestiame.- drizzò la schiena, osservandolo con fierezza. -E per lei e Cassandra hanno importanza le spiegazioni semplici, non ciò che c'è dietro, ovvero il fatto che gli Elfi si aggrappano a quel poco che resta della loro identità perché la vostra gente è davvero brava a ribadire che non c'è spazio per loro nel Thedas.- prese un respiro profondo, per riprendere la calma. -Ora, se non le dispiace, avrei un lavoro da finire.-

Cullen alzò le mani in segno di resa, rimangiandosi al volo una replica. Aspettò che Solas risalisse l'impalcatura, poi si diresse verso il grande salone di Skyhold, con la coda tra le gambe.

Rammentò di aver sperimentato lo stesso senso di rabbia e di frustrazione di Solas, in passato, per ingiustizie su una scala decisamente inferiore e si chiese quanto profonde fossero le radici del trauma della gente di Lavellan. Per lui non era un concetto troppo difficile da capire, anzi, ma non aveva nessuna intenzione di mettere il suo trauma sullo stesso piano di un'intera popolazione. Sarebbe stato sciocco.

Il contrasto con Solas però fece sorgere una domanda legittima: era davvero disposto ad assegnare una validità a una religione che andava nettamente in contrasto con la sua, o era qualcosa che stava facendo per motivi superficiali?

Combattuto, fece per dirigersi verso la sala di guerra, ma cambiò idea all'ultimo istante, preferendo continuare a procedere lungo la navata, dov'era localizzato l'ingresso delle stanze dell'Inquisitrice. Dopo che Solas l'aveva attaccato in quella maniera, si sentiva pervaso da un'insicurezza atavica, ma allo stesso tempo era certo che le sue intenzioni fossero al posto giusto.

Aprì la porta, mosse diversi passi lungo il corridoio che portava ai piani superiori, ma venne immediatamente fermato da un Elfo dai capelli rossi con in mano un leggio.

Lo riconobbe immediatamente, perché gli aveva consegnato un messaggio molti mesi prima, a Haven. Stavolta, però, portava vesti meno sfarzose, pur mantenendo un'aura di austerità.

-Buongiorno, Comandante.- lo salutò.

Aveva una voce particolarmente grave, incoerente con il suo aspetto giovanile. Cullen ricordava bene quel dettaglio, eppure non riuscì a non sorprendersi nuovamente di quel contrasto particolare. -Salve Shaan. Sei tornato.- constatò.

-Gliel'ho detto che mi sarei fatto vivo qualora ce ne fosse stato il reale bisogno.- rispose il suo interlocutore, prima di rivolgergli un breve sorriso composto. -L'Inquisitrice non è nelle sue stanze.- aggiunse, intuendo il motivo della sua presenza lì.

Cullen squadrò Shaan da capo a piedi, con aria dubbiosa. -Dove posso trovarla?-

-Aspetti solo un istante, Comandante.- lo bloccò quello, recuperando dalle tasche della giacca un blocchetto di fogli cuciti insieme per consultarlo. -D'accordo, a lei è consentito saperlo.- affermò, per poi rivolgergli un cenno. -Mi segua, stavo andando giusto alla fucina per sollecitarla.-

Senza nemmeno riuscire a rispondere, Cullen dovette affrettarsi a correre dietro al nuovo segretario, che si muoveva tanto velocemente quanto un furetto ebbro di estratto di radice di ginseng. -Non è una cosa urgente.- provò a dire, ma quello era già scattato in avanti, per tenergli aperta la porta che conduceva alle fucine.

-Dopo di lei.- gli venne suggerito.

Cullen esitò un istante, poi superò la sua guida, affrontando la ripida discesa di scale che oltre l’ingresso si districava fino a uno spiazzo che dava su una cascata.

Una volta lì, Mastro Harrit lo salutò con un cenno del capo, mentre immergeva una lama incandescente in un catino di legno riempito d'acqua. -Ho appena rispedito al mittente un suo messaggero con l'inventario dei metalli, ser.- gli riferì.

-È qui per l'Inquisitrice.- chiarí il segretario, anticipando una risposta di Cullen, che sembrava visibilmente stanco di essere trattato come la coda di un frac.

Harrit appoggiò la lama su un'incudine, recuperando un martello da un tavolo limitrofo. -Siamo tutti qui per l'Inquisitrice.- disse, per poi assestare una martellata precisa sul metallo.

Il segretario si mosse attraverso la fucina, raggiungendo un tavolo da lavoro sito in un punto abbastanza vicino alla cascata da risentire di una lieve pioggia di schizzi.

Lì, Lavellan era di spalle, con i capelli legati in una crocchia scomposta e un grembiule di pelle ad avvolgerla. Il suo sguardo, coperto da spessi occhiali protettivi, era concentrato nell'osservazione di una sfera blu luminosa, mentre le dita della destra si muovevano velocemente attorno a un cacciavite.

Cullen si soffermò a osservarla, con una vena di indecisione nell'espressione del viso. Si chiese se fosse stata una buona idea presentarsi da lei senza un motivo, con una curiosità insensibile e, soprattutto, dopo essere stato rimproverato per non avere a cuore altro se non una donna scevra della sua identità culturale.

-Inquisitrice.- la salutò Shaan, avvicinandosi a lei.

-Aneth ara. Garas quenathra?- borbottò Lavellan, appoggiando il cacciavite sul tavolo nel voltarsi nella sua direzione.

Il suo segretario si schiarì la voce, poi indicò un punto alle sue spalle con un cenno del capo. Lavellan si sfilò gli occhiali, rivolgendo a Cullen dapprima un sorriso, poi uno sguardo confuso. -Sono in ritardo per il consiglio?-

-Sei in ritardo per sette impegni, ma non per il consiglio.- le rispose Shaan, osservandola con occhi carichi di rassegnazione. -La domestica della comtesse mi ha riferito che la sua signora è molto scontenta dell'attesa.-

-Non può pensarci Josephine?-

-L'Ambasciatrice si è occupata della comtesse abbastanza, per oggi. Le ho fatto recapitare una fetta di torta e un calice di vino frizzante a nome tuo, liberandola dall'impegno e assicurandole che ti saresti premurata di ascoltare le lamentele il prima possibile.-

-Mi occuperò dei timori della comtesse più tardi. Questo è più importante.- replicò Lavellan, sfilandosi il grembiule per riporlo sul tavolo. -Sai fare un lancio a parabola?- domandò, rivolta a Cullen.

Quello, che per un istante si era perso nei dettagli dei suoi Vallaslin, ammiccò. -Non è così difficile.- disse.

-Sentito, mastro Harrit? “Non è difficile”.- fece Lavellan. Il fabbro espulse da sotto ai baffi un grugnito di disapprovazione, continuando il suo lavoro con aria irritata.

Lavellan si avvicinò, appoggiò la sfera blu tra le mani di Cullen, poi recuperò il suo arco velocemente, incoccando una freccia. -Lanciala direttamente sulla cascata, lì.- gli indicò.

Cullen soppesò l'oggetto, poi fece come gli era stato chiesto. Lavellan scoccò qualche istante dopo, colpendolo. La sfera si frantumò, generando un piccolo nucleo di spine di ghiaccio che rimasero sospese a mezz'aria per un istante, prima di venire trascinate a valle dalla spinta dell’acqua.

-Fenedhis lasa!- sbottò Lavellan, battendo un piede a terra dalla frustrazione.

Cullen, che si era coperto il viso istintivamente con l'avambraccio, prevedendo erroneamente una pioggia di schegge, osservò la cascata con aria delusa. -Era una mina?- domandò.

-Una bomba.- lo corresse Lavellan, seriamente irritata. -Non riesco a capire dove sto sbagliando. Le proporzioni delle essenze sono bilanciate, l'innesco è perfetto...- si interruppe, rendendosi conto di essere l'unica interessata all'argomento. -Mi cercavi per un motivo particolare, o vuoi rinfacciarmi anche tu che sono in ritardo per qualcosa?- domandò, mentre appoggiava l'arco a terra.

Cullen gonfiò le guance, soffiando un respiro per prendere tempo. -Nessun motivo.- mentì. -Mi trovavo nei paraggi puramente per caso e ho pensato di venire a controllare come te la stavi cavando. È dalla tua investitura che ci vediamo unicamente in sede di consiglio.-

Il segretario sollevò lo sguardo dal suo leggio, guardando l’ospite di sottecchi per qualche istante, prima di ritornare a riorganizzare la scaletta di impegni della sua datrice di lavoro con l'aria di chi la sapeva lunga.

-Oh, beh.- Lavellan si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, avvicinandosi al suo interlocutore di un passo. -Va tutto bene direi, comtesse esclusa. Ora ho persino una cabina armadio grande quanto quella di Leliana.- scherzò, facendo un giro su se stessa per mettere in mostra la sua nuova tenuta: un completo marrone e verde opaco. -Non pensavo esistesse una distinzione tra abito da interno e da esterno. Prima mi buttavo il tabarro sulle spalle pregando che non piovesse.-

-Lo stai dicendo a qualcuno che ha vissuto in una divisa per vent’anni.-

Lavellan scoprì i denti in un sorriso malizioso. -Oh, andiamo! Concedimi un po' di vanità, tra un pericolo e l'altro.- si lamentò.

Cullen ricambiò il sorriso. -Non fraintendermi, stavo solo dicendo che non sono la persona più adatta per discutere di moda. Semmai mi dovessi chiedere un'opinione su un vestito, ti direi che è splendido unicamente perché sei tu a portarlo.- rispose, senza pensarci troppo. Quando si rese conto di essere stato troppo azzardato, spostò la testa altrove, fingendo di interessarsi ad altro. -Gufi. Anche qui ci sono i gufi.- borbottò, indicando una sagoma bianca e piccola all'interno di un anfratto nel muro alla sua sinistra.

Lavellan si schiarì la voce, aggrappandosi al discorso di divagazione per toglierlo dall'imbarazzo. -Quello è un barbagianni.- precisò. -Sono bravi ad acchiappare i topi.-

-Chi l'ha impagliato ha fatto un ottimo lavoro.-

Lavellan trattenne a stento una risata. -Non lo offendere, sta solo dormendo.-

-Oh.-

-Stava qui da prima che arrivassimo.- intervenne Harrit, continuando a lavorare. -L'Inquisitrice mi ha convinto non so come a lasciarlo in pace. Se gli scudi sono coperti di guano, sa con chi deve lamentarsi.-

Lavellan si strinse nelle spalle. -I gatti non si avventurano qua sotto, è utile avere l'aiuto di un esperto. Ci ha evitato di passare la settimana a piazzare trappole in ogni angolo, come è successo nelle stalle.- spiegò.

-A proposito, ti ricordo che devi occuparti di quel nido di pipistrelli nelle prigioni, prima che venga notte.- disse Shaan.

Lavellan alzò gli occhi al cielo, rivolgendo quindi a Cullen un'occhiata stanca. Lui replicò con un sorriso tirato. -Sai dove trovarmi, nel caso avessi bisogno di asilo.- mormorò.

-Mi troverebbe e mi farebbe leggere tutti i rapporti di manutenzione che trova sul suo cammino.- protestò lei, scontenta.

-Mi hai preso a lavorare per te per questo.- intervenne il segretario, senza scomporsi troppo. -Hai un impegno con la Grande Incantatrice in meno di cinque minuti. Sistema la tua roba e mettiti in ordine i capelli.-

Cullen chinò la testa educatamente, per congedarsi. -Eminenza.- disse, dando un accento di complicità al sorriso che non riusciva a smettere di indossare.

Lavellan, che si stava slegando i capelli, fece esattamente lo stesso. -Comandante.- rispose, divertita. Aspettò che se ne fosse andato, poi ridacchiò fra sé e sé, scuotendo la testa.

-Lo sai che è tutto nelle tue mani, vero?- le suggerì Shaan, rivolgendole un'occhiata eloquente.

Lei si strinse nelle spalle, rigirandosi il fermacapelli tra le dita con aria assorta. -Quando succederà, succederà.- mormorò. -Per ora, va bene così.-

 

*

 

La melodia che suonava Zither, che stava in piedi su una cassa al centro esatto del gazebo dei giardini, era complessa e a tratti graffiante.

Lavellan e Solas, che si erano trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato, assistevano alla performance del virtuoso con aria confusa, mentre lui pizzicava le corde del suo liuto con entusiasmo.

Sedevano su due vasi di coccio rovesciati, indecisi se trovare una scusa e andarsene, o continuare a farsi martoriare le orecchie per evitare di offendere l'artista. -Ecco l'assolo!- annunciò quello, per poi piegarsi lievemente all'indietro, mentre le dita della sinistra si muovevano freneticamente sul manico dello strumento.

Dopo esattamente tre minuti di melodia complessa e caotica, Zither si sporse verso i suoi spettatori, battendo il piede a ritmo. -L'acustica qui è perfetta!- disse, eseguendo un arpeggio complesso.

-Si, perfetta.- ripeté Lavellan, esibendo un sorriso molto forzato. Solas le rivolse un'occhiata divertita, poi prese ad applaudire in maniera composta.

-No, no, no, non è finita!- gemette Zither, seguitando a suonare dopo una breve pausa. -Ecco, aspetta...- eseguì esattamente quattro note, poi aprì le braccia, con aria soddisfatta.

Lavellan esitò un istante, poi applaudì a sua volta.

Zither si inchinò al suo pubblico, due volte, poi scese dalla cassa con un balzo. -Allora, che ne pensa?- domandò, mentre Lavellan si rialzava, per sgranchirsi la schiena.

-Molto... all’avanguardia.- rispose lei, non sapendo come altro descrivere il genere di musica che aveva appena ascoltato.

Zither la indicò con enfasi, mentre i suoi occhi dietro alla maschera davano una scintilla di soddisfazione. -Lo sapevo che era una buongustaia, Inquisitrice!- disse. -Quando ritornerò a calcare i palchi dell'Orlais, le dedicherò un intero concerto.-

Lavellan aprì un sorriso su un'espressione contrita. -Sarò in prima fila, vicino all'uscita di sicurezza.- disse, agitando il pugno in segno di vittoria. -Continua così!-

Zither mimò di togliersi il proverbiale cappello, poi trotterellò verso l'uscita con aria allegra.

Solas aspettò che fosse lontano, prima di prendere a massaggiarsi le orecchie. Lavellan ridacchiò. -Ma chi era?- domandò, in elvhen.

-Pensavo lo sapessi. È uno dei nuovi agenti.- spiegò Solas, cambiando lingua a sua volta. Si alzò, per riporre i vasi. -È arrivato in mattinata, assieme ad Hall e Neria.-

Lavellan lo aiutò. -C'è un sacco di gente nuova.- disse, una volta che ebbero finito. -Così tanta che è difficile camminare da un punto all'altro di Skyhold senza nessuno che mi fermi per presentarsi.-

-Sembra estenuante.-

-Al contrario!- esclamò lei, raggiungendo nuovamente il gazebo. -Come procede con la Rotonda, piuttosto?- gli chiese.

Solas le rivolse un'occhiata divertita. -Bene, anche se io, al contrario tuo, non apprezzo troppo le distrazioni.- ammise.

Lavellan gli diede un buffetto sul braccio. -Avresti potuto dirglielo e basta, o mandarla da me.- lo rimproverò.

-Non è quello che hanno fatto, dopo che li ho sgridati?-

Lei lo guardò con una scintilla di curiosità. -Perché parli al plurale?-

Solas si soffermò a osservarla, come se nella sua testa stesse scegliendo le parole adatte da rivolgerle. -Suppongo di essermi sbagliato.- commentò, aggrottando la fronte.

-Questa è nuova.-

Lui ridacchiò, per poi appoggiarle una mano sulla spalla. -A domani, lethallin.- la salutò, muovendosi verso l'uscita.

Lei gli rivolse un cenno col capo, rinunciando a chiedere spiegazioni. -Sarò al solito posto: alla fucina. A dare sfoggio della mia incapacità.- disse, seguendolo con lo sguardo.

Sguardo che si posò immediatamente sulla porta d'accesso al santuario dedicato ad Andraste, di fronte al quale Cullen e Ser Darrow intrattenevano una conversazione.

Sorrise istintivamente, così come faceva ogni volta che scorgeva il profilo del Comandante. Notò che era in maniche di camicia, segno che fosse reduce da un allenamento, o da uno dei duelli di scherma che di solito faceva in serata con Blackwall e il Toro. Il fatto che non portasse segni di fatica, però, le fece supporre che fosse stato uno scontro breve, dal quale era uscito vittorioso.

Aspettò che si rendesse conto della sua presenza, prima di sollevare una mano in segno di saluto. Così come succedeva a lei, che viveva di pretesti per parlargli, Cullen non esitò un solo istante a congedare la sua sottoposta per raggiungerla.

-Chi hai picchiato, stavolta?- gli domandò Lavellan, a mo' di rimprovero, una volta a portata d'orecchio.

Cullen, dopo che si fu posizionato di fronte a lei, appoggiò l'avambraccio sull'impugnatura della spada, assumendo una posa rilassata. Scorse uno sguardo divertito sulla sua interlocutrice. -Nessuno. Ho arbitrato un regolamento di conti tra ufficiali.- spiegò. All'espressione perplessa di Lavellan, si affrettò ad approfondire la questione. -Significa che avevano un paio di cose su cui chiarirsi e hanno preferito giocarsela tirando di scherma, piuttosto che continuare a battibeccare di fronte alle truppe. È sana competizione. Catartica per loro, che hanno potuto sfogarsi, e ottima per i soldati, che si sono potuti distrarre con un po' di tifo.-

Lavellan esalò un sospiro sognante. -Sembra divertente. La prossima volta invitami, ti prego. Almeno avrei una buona scusa per saltare i colloqui con i nobili della valle.-

Cullen ridacchiò, muovendo un passo nella sua direzione. -Ammettilo, verresti solo per assistere mentre le prendo.- la punzecchiò, inclinando appena il capo per incrociare il suo sguardo. -Oppure, saresti capace di partecipare tu stessa per darmele, ma non penso che sarebbe uno scontro alla pari.-

Lavellan lo sfiorò con un'occhiata laconica. -Pensi davvero di avere una chance contro di me?-

-Più di una, sì. Ho visto come impugni la spada.- le rivolse un sorriso sprezzante. -Hai una postura terribile.-

Lei si mosse di un passo per fronteggiarlo. Scorse lo sguardo sul suo viso, soffermandosi a osservare le sue labbra incurvarsi sempre di più. -Perché dobbiamo per forza seguire le solite regole? Potremmo lasciare le armi a bordo pedana.- lo guardò dritto negli occhi. -Non si direbbe, ma sono eccezionale nel corpo a corpo.-

Cullen inarcò un sopracciglio. -Ah, si?-

Lavellan recuperò il vertice del laccio di chiusura della sua camicia, prendendo a rigirarselo tra le dita. -Sono particolarmente flessibile.- ammise, in un sussurro.

-Ci vuole una presa molto salda, per bloccarmi.- la avvisò lui, appoggiando a sua volta lo sguardo sulle sue labbra. -Ti inchioderei a terra e non ti lascerei più andare.-

Lavellan sentì il suo cuore accelerare i battiti.

Sapeva che avrebbe dovuto rispondergli per le rime, che era quello che le imponeva di fare il cervello, ma si ritrovava a combattere strenuamente contro l'impulso di divorarlo di baci.

Per lei, quel viso era equiparabile al cielo che si dipana dopo una tremenda tempesta di fulmini. In esso coesistevano il sollievo e la malinconia, capaci di trasmetterle un gran senso di appartenenza.

Esalò piano il respiro che si era ritrovata istintivamente a trattenere, perché a quella distanza era molto difficile mantenere il controllo.

Tutti le ripetevano che avrebbe dovuto fare lei la prima mossa e quella era decisamente una situazione ideale. Eppure, qualcosa nell'atteggiamento di Cullen la bloccò. Per la prima volta, in amore, sentì il bisogno di mettere in secondo piano le sue esigenze, cercando conferme nello sguardo della persona di cui si era innamorata. Non voleva agire senza prima aver chiarito la situazione con lui e quello le confermò che le sue intenzioni nei riguardi di quell'uomo erano incredibilmente serie.

Il suo corpo reagì a quell'idea rilasciando una quantità eccessiva di calore, che le tinse le guance di imbarazzo.

-Sto migliorando. Ti ho zittita.- commentò lui, prendendo a ridere sommessamente.

Lavellan rise a sua volta, lieta che quell'intervento avesse interrotto i suoi pensieri. -Per la seconda volta in un giorno. È un traguardo ineccepibile!- ammise, lasciando che si godesse quella stupida vittoria.

Lo sguardo di Cullen si tinse di soddisfazione, mentre lui accorciava nuovamente le distanze. -Se fosse davvero una competizione, sarei ancora a pochi passi dalla linea di partenza.- mormorò, appoggiandole una mano sul fianco nel protendersi per baciarla.

-Sarebbe una competizione cretina.- ammise lei, percependo il calore del suo respiro sulle labbra, che la spinse a chiudere gli occhi. -Cullen, dovremmo...-

-Quisi! Quisi! Quisi!-

Cullen si ritrasse improvvisamente, lo stesso fece Lavellan, disorientata da quel brusco cambio d'atmosfera.

Dagna stava correndo nella loro direzione, con la testa e le spalle ricoperte di una sottile patina di ghiaccio. Dopo averli raggiunti, rivolse a entrambi un sorriso pieno, poi afferrò un braccio a Lavellan, con entusiasmo. -Funziona!- esclamò, saltellando sul posto.

Lei, ancora intontita, ammiccò, finché la sua testa non ritornò a correlarsi con l'ambiente esterno in maniera funzionale. Allora, strinse le spalle di Dagna tra le dita, curvandosi per guardarla dritta negli occhi. -Quant'è il raggio dell'esplosione?-

-Tre metri. Bastava aumentare di un millimetro il diametro del serbatoio.-

Lavellan ci mise qualche istante per incanalare la notizia, quindi prese a saltellare con lei, per poi prenderle il viso tra le mani e scoccarle un bacio sulla fronte. -Sei semplicemente geniale!- disse, per poi voltarsi verso Cullen. -È geniale!- ripeté, indicandola con enfasi.

Lui fece di tutto per trattenere un'espressione delusa, esibendo un sorriso tirato in tutta risposta.

-Ne ho costruita un'altra al volo, Sera ci aspetta per provarla.- disse Dagna, divincolandosi per fare cenno a Lavellan di seguirla.

-Va' avanti, ti raggiungo subito.- disse quella, raddrizzandosi per recuperare in altezza. Si voltò verso Cullen, con la contentezza che le caratterizzava i lineamenti. -Bastava aumentare il diametro del serbatoio. Ti rendi conto? E poi dicono che il lavoro dell'artificiere non è sorprendente.- chinò lo sguardo a terra. -Un millimetro.- ripeté, sommessamente.

Cullen annuì piano, con aria poco convinta. -Cambiano così tante cose in così poco spazio?-

-Un'infinità, a dire il vero, se pensi che per gli studiosi nevarriani ogni materiale è composto da frammenti microscopici di materia. In realtà...- si interruppe, mordendosi un labbro per impedirsi di vomitargli addosso un discorso sull'alchimia. -Il tempismo, eh?- commentò, invece.

Lui le rivolse un mezzo sorriso, poi spostò lo sguardo altrove. -Penso che tu abbia ragione. Dovremmo parlare, prima di ritrovarci di nuovo in una situazione del genere.- ammise, in difficoltà.

Lavellan ritrasse appena il capo, colpita. -Allora la telepatia esiste.- mormorò.

Cullen ridacchiò. -L'hai detto poco prima che...- indicò se stesso e lei, velocemente, poi il suo viso assunse una sfumatura di serietà. -Appena puoi, vieni nel mio ufficio. Vorrei discutere con te di una cosa, prima della prossima seduta del consiglio.- prese un respiro profondo, liberando la sua espressività da ogni emozione. -È importante.-

Lavellan si soffermò a guardarlo, con aria preoccupata, poi diede un cenno d'assenso. -Ho un buco di venti minuti stasera, dopo il colloquio con Josephine e la comtesse De Fourier. Può andare bene?-

Lui ci rifletté per qualche istante. -Andrebbe bene.- ammise, abbassando di poco il tono di voce. -A te va bene?-

Lavellan si allontanò di un passo. -L'ho proposto io.-

-Ah, già.-

Si scambiarono un'occhiata intrisa di dialoghi inespressi, poi un breve sorriso.

 

*

 

Nelle stanze dell'Inquisitrice regnava una strana quiete, nonostante i presenti avessero una natura chiacchierona.

Lavellan era seduta alla sua scrivania, reggendo uno specchio in modo che Dorian potesse controllare il lavoro di taglio che stava svolgendo sulle punte dei suoi capelli bagnati. In realtà, era un'azione pressoché inutile, dato che lui poteva tranquillamente vedere quello che stava facendo solo spostandosi, ma Lavellan gli aveva chiesto in che modo gli sarebbe stata d'aiuto e lui non aveva trovato niente di meglio da proporle.

Cassandra, seduta dal lato opposto del tavolo, approfittò del fatto che lo specchio fosse immobile e finì di truccarsi gli occhi con facilità, quindi ripose il pennello da sfumatura con cura dentro alla sua custodia. -Posso rubarti un po' di tintura per le labbra, Lav?- domandò.

Lavellan annuì, distrattamente.

Cassandra scoprì una scatola azzurra, finemente decorata, sollevando un sopracciglio nel notare una quantità esagerata di prodotti al suo interno.

Dorian si fermò per un istante, dato che la sua attenzione era stata catturata a sua volta da quell'eccesso.

-Me li ha regalati un mercante orlesiano di passaggio.- spiegò Lavellan, senza metterci troppo entusiasmo. -Ci sono dieci tonalità diverse di rosso per labbra, ma non riesco a distinguerne nemmeno una.- ammise.

Cassandra mise in fila sulla scrivania una serie di scatoline dipinte, poi fece lo stesso con delle boccette e dei portacipria, finché i prodotti non furono tutti ordinati per altezza e funzione. -Non c'è un rosa neutro a pagarlo oro.- borbottò, guardando in controluce una boccetta che pareva un filatterio.

-Quello evitalo come la peste.- intervenne Dorian, posando le forbici delicatamente su un telo ripiegato. -L'unica persona qui dentro a cui starebbe bene un rosso primario è Leliana.-

-Ma neanche tanto.- commentò Cassandra, macchiandosi l'indice per provare la tinta sul dorso della mano. Gliela mostrò. -Lo trovo un po' volgare. Che dici, Lav?-

Lavellan, che era chiaramente distratta, sollevò uno sguardo confuso nella sua direzione.

Dorian, dal canto suo, le rivolse un'occhiataccia. -Ti ha appena detto che non sa distinguere i rossi e tu le chiedi consiglio su un rosso?- la rimproverò.

Cassandra sbuffò sonoramente, pulendosi la mano con un fazzoletto di stoffa. -Anche se vede il mondo in scala di giallo, è capace di capire se una cosa è volgare o meno.-

-Non vedo il mondo in scala di giallo. I vostri occhi descrivono lo spazio in maniera differente dalla mia, tutto qui.-

-Quindi non ci vedi verdi.-

-Per l'ennesima volta, no. Non so nemmeno cosa intendiate per “verde”.- protestò Lavellan, scrollando le spalle. -Ecco, questa è una cosa su cui non riusciremo mai a capirci.-

Dorian le rivolse un sorrisetto. -Divertente come tu riesca tranquillamente a spiegare concetti complessi in poche parole, eppure non riesci a farci capire con che colori vedi il mondo.-

-Fortunatamente, il nero e il bianco li abbiamo in comune.- si aggiunse Cassandra, picchiettandosi l'indice sul labbro inferiore per distribuire il colore in modo che apparisse naturale. -Anche se Solas sostiene che in natura il bianco e il nero puri non esistano.-

-Solas non è una fonte di verità incondizionate.- disse Dorian, facendole cenno di sostituirlo.

Cassandra finì di applicare la tinta e si portò velocemente alle spalle di Lavellan, dividendo il ciuffo sopra la rasatura sinistra in tre piccole sezioni. -Come la vuoi la treccia. Come la mia, al solito?- le domandò.

Lavellan rimase in silenzio, osservando la sua immagine allo specchio a lungo, prima di rendersi conto che la sua opinione era richiesta. -Si?-

-Come la vuoi la treccia?- ripeté Cassandra, passando un'occhiata preoccupata su di lei.

-Come la tua, al solito.- rispose Lavellan, rivolgendole un breve sorriso.

Dorian prese posto dall'altro capo del tavolo, riordinando i cosmetici. Mise subito da parte un paio di ciprie per lui, affiancandole a quelle che si era accaparrata Cassandra. -Oggi sei decisamente fuori fase, Ankh. A cosa pensi?- chiese.

Lavellan rimase in silenzio a lungo, accigliata, poi esalò uno sbuffo seccato dalle narici. -Una questione privata.- rispose.

Cassandra fermò la treccia con due giri di corda, assicurandosi che la chiusura fosse solida, prima di recuperare lo specchio dalle mani di Lavellan per mostrarle il risultato. -Privata lo è, ma entrambi ne siamo a conoscenza.- le rivelò.

Dorian incrociò le braccia sulla superficie della scrivania. -Ti riferisci al mezzo bacio che le ha dato l'altro giorno?- domandò, divertito. All'espressione sorpresa di Cassandra, si ritrovò a doversi ricredere. -Di cosa stiamo parlando, esattamente?- si affrettò a correggersi.

Cassandra appoggiò lo specchio, dopo aver capito che non sarebbe stato utile. -Del fatto che il Comandante abbia smesso di prendere il lyrium.- precisò.

Dorian annuì. -Allora capisco perché sei preoccupata. È una decisione encomiabile, ma uscirne richiede uno sforzo caratteriale considerevole.-

Lavellan assunse immediatamente la stessa espressione di ferma austerità che prendeva ogni volta che doveva considerare una decisione importante. -Potrebbe ucciderlo?- domandò.

Dorian si strinse appena nelle spalle, aggrottando la fronte. -Potrebbe impazzire.- rispose, schietto.

-Dipende, Lav. Questa è terra di nessuno.- lo corresse Cassandra, osservando con aria assorta il cielo terso al di là delle porte finestra. -Si sa tutto dell'assunzione prolungata al lyrium e delle conseguenze fisiche e psicologiche che essa comporta. Purtroppo, ci sono poche testimonianze in merito ai successi della cessione del suo utilizzo.-

-Il problema è che, come tutte le sostanze che vantano proprietà magiche, gli effetti del lyrium permangono nell'organismo di chi lo assume anche dopo aver smesso. Una disintossicazione totale non esiste.- articolò Dorian, aprendo una mano verso Lavellan. -Per farti un esempio pratico, se ti staccassero un dito continueresti a usare la mano. Avresti delle limitazioni, non grossissime, e con il tempo ti abitueresti alla sua assenza, ma c'è una possibilità incredibilmente alta che a tratti continueresti a sentire dolore al dito mancante.-

Cassandra si voltò appena. -Cullen è un uomo determinato e, soprattutto, disciplinato. Sta gestendo la situazione nella maniera migliore possibile.-

-Non lo metto in dubbio.- affermò Lavellan. -Ma non ho idea di quale sia questa situazione. Se il lyrium non può essere completamente rimosso dal suo corpo, significa che resterà nel suo sangue a tormentarlo per il resto dei suoi giorni.-

Cassandra annuì. -Le abilità spirituali che derivano dall'assunzione scompaiono nel giro di un anno, soprattutto se vengono usate costantemente. Il lyrium però non è solo un carburante, è una sostanza che piano piano prende possesso del tuo corpo e della tua mente, rafforzandoti e indebolendoti allo stesso tempo. Per quello la Chiesa controlla le dosi e assegna una scorta di lyrium qualora un Templare arrivi al pensionamento. Se le scorte dovessero finire, o se dovesse passare troppo tempo tra una dose e l'altra...- s'interruppe. -Vuoi davvero sapere qual è la situazione?-

Lavellan le rivolse un'occhiata eloquente, spingendo Cassandra a proseguire.

-Durante i primi mesi, perdi totalmente il controllo del tuo corpo e dell'ambiente che ti circonda. La tua mente invece ti propone paranoia, delusioni, allucinazioni e cambi repentini d'umore. Il mal di testa è costante. Un mal di testa da febbre, talmente intenso da impedirti di restare lucido troppo a lungo.- spiegò.

Il viso di Dorian si contrasse in una smorfia di fastidio, ma Lavellan rimase impassibile. -Mesi, hai detto?- domandò lei.

Cassandra esitò. -Tutti i Templari di mia conoscenza che ci hanno provato prima di lui non sono andati oltre il nono mese, poi hanno dovuto iniziare a riprenderlo, con risultati disastrosi.- rispose. -Gli altri sono impazziti.-

-Considera che un'evenienza del genere succederebbe anche nel caso in cui continuasse a prenderlo.- soggiunse Dorian, intenzionato a non indorare la pillola.

Lavellan si passò una mano sulla fronte, poi esalò un respiro nervoso. -Mi ha detto che lo stai tenendo d'occhio. È così?-

Cassandra annuì.

-D'ora in avanti, rendimi partecipe delle tue considerazioni. Tutte. Soprattutto quelle che non voglio sentire.- disse Lavellan, assestandole un'occhiata che non ammetteva scusanti. -Se è in difficoltà, voglio essere in grado di aiutarlo.-

Cassandra le rivolse un sorriso gentile. -Te l'ho detto, sta reggendo botta.- la rassicurò. -Ma un aiuto in più gli farebbe solo che bene.-

-Dato che a me non hai chiesto niente, se dopo passi per la biblioteca posso aiutarti a cercare un paio di libri sulla materia.- intervenne Dorian, osservandosi le unghie nel fingere noncuranza. -Così, nel caso in cui avessi qualche interrogativo sugli aspetti arcani della questione, potrei guidarti nella comprensione del testo.-

Lavellan scorse uno sguardo macchiato di gratitudine su di lui. -Sarebbe perfetto, grazie.-

Dorian si strinse nelle spalle. -Sappi che lo faccio per amicizia nei tuoi confronti. Non mi è ancora chiaro se il Comandante voglia prendermi a calci o uccidermi nel sonno.-

Cassandra inarcò un sopracciglio. -Ma se giocate sempre insieme a scacchi fereldiani!-

-Faccio un sacco di cose che non sono buone per la mia salute.- replicò Dorian, tranquillamente. -Quell'uomo è interessante come un filo d'erba calpestato, ma è una persona che quando vince mi stringe la mano per complimentarsi della partita e quando perde non minaccia di spaccarmi una bottiglia in testa.- sospirò. -Quando tutti ti considerano la personificazione del male, devi accontentarti del meno peggio.-

-Grazie, eh.- commentò Lavellan.

-Cretina, è ovvio che tu fossi esclusa dalla categoria!- la rimproverò Dorian, gettandole addosso un portacipria che lei intercettò in tempo prima che la colpisse. -La prossima volta toglitele da sola le doppie punte!-

Cassandra sollevò uno sguardo macchiato di rammarico su di lui, muovendosi per raggiungerlo. -Ho avuto le mie riserve sul tuo conto per molto tempo, ma da come ti sei comportato a Haven e sulla Costa...-

-No, non iniziare!- protestò lui, sollevandosi in piedi e prendendo a scacciare quell'incipit con cenni nervosi. -Un discorso melenso al giorno basta e avanza!-

Cassandra esalò una risata roca, scuotendo la testa. -D'accordo, mi scuserò a modo un altro giorno. Per ora, sappi solo che hai il mio rispetto, Dorian e semmai qualcuno volesse spaccarti una bottiglia in testa, vieni da me e indicamelo, che lo rivolto come un guanto.-

Lui scoccò un'occhiata soddisfatta a Lavellan. -Vedi? Prima o poi anche gli individui più testardi si piegano al mio fascino esotico.- disse, facendo alzare gli occhi al cielo a Cassandra.

Lavellan rivolse un sorriso grato a entrambi, poi si alzò a sua volta. -Quindi, stamattina niente saccheggio?- domandò, molto più rilassata.

Dorian e Cassandra le rivolsero un'occhiata eloquente, poi trotterellarono entrambi verso il suo nuovo guardaroba, senza degnarla di una risposta.

 

*

 

Per poco non si scontrarono, sulla soglia dell'ufficio di Josephine.

Lavellan recuperò al volo la cartellina di Cullen, che stava cadendo a terra, cosa che si stava accingendo a fare lui stesso. Ci fu un momento di stallo, ma che in realtà era un susseguirsi di gesti lasciati a metà. Dalla prospettiva di un osservatore esterno, pareva quasi che due uccelli stessero sbattendo le ali durante una contesa territoriale.

Lavellan allora fece un passo indietro, sollevando una mano a dividerli e l'altra a tenere lontana la cartellina in modo da metterla in sicurezza. -Ce l'ho.- disse.

Lui si fermò di colpo, annuì, poi rilassò la postura. -Grazie.- rispose, secco. Scorse quindi un'occhiata sommaria su di lei, mentre gli restituiva l'oggetto e si accinse a muoversi verso la sala del consiglio.

Lavellan però gli impedì di proseguire, portandosi di fronte a lui. -Puoi dedicarmi due minuti?- gli domandò, con voce calma.

Cullen, che tutto era fuorché calmo, ci mise un po' a rispondere. -Ovviamente, Inquisitrice.- disse, ostentando un controllo esemplare.

Rimasero in silenzio per un po', spostandosi frequentemente per permettere al flusso di esploratori e messaggeri di scorrere dalla sala del consiglio all'atrio, poi lei gli appoggiò una mano sul braccio, conducendolo verso la scalinata che portava al piano interrato. Per avere il minimo indispensabile di riservatezza, si posizionarono nella penombra che anticipava la discesa, l'uno di fronte all'altra, ma quando vennero sorpresi nuovamente dall'andirivieni di persone che fluivano dal basso verso l'alto e viceversa, lei decise nuovamente di spostarsi.

-Ma è mai possibile che non si possa fare un discorso senza venire interrotti almeno cento volte?- protestò lui, realmente indispettito da quel trasloco in piena regola.

Lavellan esalò una risata. -A quanto pare dovremo farci l'abitudine.- replicò, anticipandolo alle cantine, di solito sgombre a quell'ora. Aspettò che lui entrasse, poi chiuse la porta alle loro spalle, per evitare che venissero disturbati.

Una volta da soli, con i rumori di Skyhold attutiti dalla nuda roccia, si riservarono di scambiarsi uno sguardo macchiato giusto con un po' di sollievo.

Cullen però se lo lasciò sfuggire subito di mano e appoggiò lo sguardo su un fiasco di Dolcino di Rialto, concentrandosi sull'etichetta pur di non lasciarsi prendere dal nervosismo. Così almeno la intese Lavellan, a cui non dava problemi essere messa in secondo piano, se ciò metteva più a suo agio il suo interlocutore.

-Penso che tu l'abbia già capito che vorrei tornare su quello di cui abbiamo discusso ieri sera.- disse lei, accorciando di poco le distanze.

Cullen aggrottò la fronte. -Speravo che non lo facessi.- ammise.

-Beh, non ho intenzione di togliere o aggiungere niente dal discorso, su quello puoi stare tranquillo.- parlò Lavellan, recuperando una scatola di piccole dimensioni dalla tasca. -Ci ho pensato su e forse ho una cosa che potrebbe esserti utile.- disse, porgendogliela.

Prima di assecondarla, Cullen spostò lo sguardo sul suo viso, alla ricerca di qualcosa che era sicuro che avrebbe trovato. Quando ebbe confermato la sua teoria, i suoi lineamenti si contrassero in una smorfia di fastidio, mista a delusione. -Farti perdere il sonno dietro a un mio problema era l'ultima delle mie intenzioni.-

-Sai, succede quando scopri che una persona a cui tieni sta attraversando un periodo delicato.- disse lei, sorridendogli gentilmente. Gli prese le mani e appoggiò la scatola sui suoi palmi. -Guarda se ti può servire.-

Cullen indugiò sul suo viso, prima di spostare l'attenzione sull'oggetto. Aprì la scatola e ne estrasse un giocattolo di legno, composto da due piramidi le cui basi combaciavano in maniera irregolare. Lo osservò a lungo, notando che ogni faccia dei solidi aveva una possibilità di movimento, in modo da poter essere combinata per creare forme differenti.

-È un rompicapo elfico. Lo uso quando penso talmente tanto da farmi scivolare la materia grigia fuori dalle orecchie.- spiegò Lavellan, avvicinandosi per mostrargli il suo funzionamento. -Mi aiuta ad assegnare una priorità ai pensieri.-

Cullen la guardò muovere i pezzi secondo una logica che comprendeva solo lei, affascinato.

-Sono giochi antichi, non so nemmeno se provengano da Arlathan o dal Tevinter. Magari sono stati ideati in un periodo successivo, chi lo sa.- proseguì Lavellan. -Questo, in particolare, viene risolto nel momento in cui si riesce a formare un parallelepipedo combinando i solidi che lo compongono.- fece una pausa, per permettergli di prendere dimestichezza con il gioco. -In vent'anni, non mi è mai riuscito di finirlo.-

Cullen la guardò con aria confusa. -E pensi che io potrei riuscirci?-

-No, perché è impossibile.-

-Scusa?-

-I rompicapi elfici non hanno soluzione. Sono giochi che i Guardiani danno ai bambini per tenerli impegnati.- elaborò Lavellan, rivolgendogli un sorrisetto. -Quando le cose si fanno troppo difficili, concentrarsi su una cosa del genere ridimensiona tutto.-

Una volta capito il punto, Cullen rilassò la fronte. -Mi stai dando qualcosa da fare quando...- si fermò a metà frase, in dubbio se rivelare altri dettagli della sua condizione.

-Ti sto dando un semplice diversivo, lethallan.- disse lei, passandogli una mano sul braccio per rassicurarlo. -Ironicamente, usarlo stanotte per sbrogliare i pensieri mi ha portata qui e adesso.- fece una pausa, per sorridergli. -Sai, penso che la cosa di pensare troppo sia un problema che abbiamo entrambi. Dato che a me aiuta, ho pensato che potrebbe funzionare anche con te.-

Cullen liberò una lieve risata. -Potrebbe, sì, ma non voglio toglierti una cosa che ti fa stare bene per...- si indicò, istintivamente, troncando di netto una frase per la seconda volta.

-Per stare bene tu stesso?- lo aiutò lei. Si prese i suoi tempi per consegnargli una risposta delicata, anziché accusarlo di starsi facendo troppi problemi per un semplice atto di gentilezza. Infilò il rompicapo nella sua scatola, poi chiuse le mani di Cullen su di essa. -Te lo sto dando proprio perché per me ha un grande valore. So che tu pensi che non ne valga la pena, quindi mi sembrava necessario che ci fosse qualcuno a contraddirti.- disse, avvolgendo le sue dita con le proprie.

Cullen descrisse il suo viso con occhi colpevoli, mentre il suo fisico intero sembrava rifiutarsi di dare adito a quel favore troppo ingombrante per essere assimilato come tale. La stessa Lavellan era una presenza ingombrante e lei ne era consapevole, dato che poteva percepire chiaramente il binomio tra il conforto e il rifiuto che emanava lo sguardo del suo interlocutore. Lui era in crisi e non riusciva a nasconderlo, perché dare aiuto era più facile che riceverlo e questa era un'altra di mille cose che avevano in comune.

-A cosa pensi?- gli chiese, semplicemente.

-Di aver rovinato tutto.- fu la risposta sincera.

-Non l'hai fatto.- ammise lei, cercando di trasmettergli chiarezza, anziché conforto. -Tra noi due non è cambiato niente. Ci siamo sempre presi cura l'uno dell'altra perché siamo una squadra. Una famiglia. Che tu ne abbia bisogno o meno, io per te ci sono.- elaborò, indugiando con il pollice sul dorso della sua mano. -E poi, sai che sono incapace di farmi gli affari miei.- aggiunse, per sdrammatizzare.

Cullen ci mise un po' per far passare quelle nozioni attraverso lo spesso strato di difese che aveva messo attorno a sé. Quando arrivarono, finalmente, si manifestarono sul suo sguardo sotto forma di una sottile sfumatura di sollievo. -Sei l'Inquisitrice, Lavellan, impicciarsi degli affari degli altri rientra nei requisiti di assunzione.- disse, imponendosi di assecondarla. -Grazie del pensiero.- concluse, rivolgendole un sorriso imbarazzato.

Lavellan si sollevò appena sulle punte e gli appoggiò un bacio sulla guancia, pericolosamente vicino all'angolo esterno delle sue labbra. Era una cosa che voleva fare da giorni, possibilmente da mesi, ma si era sempre rifiutata di avvicinarsi troppo. In quel momento, più che mai, sapeva che era lui a dover dettare le regole nel caso avessero deciso di andare oltre. C'era troppa confusione nella sua testa e coinvolgerlo in un affare altrettanto confuso, come l'amore, non gli avrebbe fatto bene.

Si accontentò di serbare il suo profumo nelle narici (un connubio di crema da barba ed essenza di elettricità) come trofeo di partecipazione, registrando con una punta di soddisfazione la sua reazione incerta.

-Dovrebbe toglierteli, i pensieri. E dire che te l'ho pure spiegato!- lo punzecchiò, lasciando la presa sulle sue mani per distanziarsi.

Cullen liberò una risata genuina, indugiando a sorridere. -Sei incontentabile!- protestò, riponendo il regalo al sicuro, in tasca.

Lavellan gli rivolse un sorrisetto. -In realtà, sono una che si accontenta di poco.- lo corresse, aprendo la porta delle cantine per concedergli una via di fuga.

Lui afferrò al volo l'occasione di allontanarsi dal discorso, seppur mantenendo un certo grado di compostezza. Infatti, allungò una mano verso l'esterno, permettendole di anticiparlo. -Non ci crederei nemmeno se me lo dicesse il Creatore in persona.- disse.

Si diressero in sala di consiglio, senza soffrire troppo del silenzio che si era venuto a creare naturalmente tra di loro, come conseguenza alla pesantezza dell'interazione che avevano appena avuto. Una volta lì, si unirono a Josephine e Leliana, già presenti, nella discussione che stavano affrontando.

-Ben trovati.- li accolse la seconda, soffermandosi con uno sguardo divertito sulla guancia di Cullen. Lui rispose con un semplice cenno di saluto.

-Allora, cosa ci propone lo chef, oggi?- domandò Lavellan, applaudendo una singola volta per poi trasformare il gesto in un breve sfregamento dei palmi delle mani. -Razzie? Demoni? Tortine?-

Josephine, che si era distratta a osservare a sua volta il viso di Cullen, recuperò immediatamente il foglio dell'ordine del giorno, per citarlo.

Leliana sembrava particolarmente di buon umore, alternando sguardi descrittivi sui nuovi arrivati a sorrisetti enigmatici. Lavellan finse una serietà esemplare, concentrandosi sulla riunione finché Josephine non ne ebbe abbastanza e il suo istinto di sorella maggiore ebbe la meglio.

-Che c'è?- le domandò Cullen, osservandola appoggiare il leggio sul tavolo per sostituirlo con un fazzoletto ricamato.

Josephine gli prese il mento tra le dita con un gesto deciso, leccò un lembo del fazzoletto e iniziò a sfregarglielo sulla guancia sbrigativamente.

-Ma che diamine…!?- gemette Cullen, cercando di divincolarsi.

-E sta' fermo!- lo riprese Josephine, mentre dall'altro capo del tavolo Lavellan cedeva al divertimento e prendeva a ridacchiare, seguita a ruota da Leliana.

-Che ti è preso? Mi hai fatto male!- sbottò Cullen, accarezzandosi la guancia, arrossata da quella manovra.

Con aria rassegnata, Josephine gli mostrò il fazzoletto, macchiato dello stesso colore della tintura per le labbra di Lavellan. -Prego.- disse, bruscamente, per poi infilarsi il fazzoletto nella manica del completo.

Cullen ci mise un istante a realizzare la situazione e quando accadde il suo sguardo andò a posarsi inevitabilmente su Lavellan, che fingeva di leggere un rapporto con una nonchalance realmente poco credibile.

-Insomma, avete passato una bella mattinata.- lo punzecchiò Leliana, senza lesinare sull'allegria che aveva imposto al suo tono di voce.

-Ottima.- replicò Lavellan, rincarando la dose.

Cullen chinò appena il capo, nascondendosi lo sguardo in un misto di imbarazzo e rassegnazione. Josephine, che ormai aveva deciso che la dignità del collega era diventata affar suo, intervenne in suo soccorso. -Concludiamo la riunione, brutte arpie!- le riprese, facendo ridere entrambe.

Tutto era tornato alla normalità, si disse Cullen, confortato dall'idea di non aver segnato la sua fine, uscendo allo scoperto. Vedere le sue colleghe scherzare a sue spese, senza soffermarsi su gentilezze inappropriate per via di una condizione che si era autoimposto, gli regalò un grandissimo senso di pace.

 

 

 

 

-Nota-

Un appunto su Solas. Da come l'ho inteso io, giocando, è una persona che dà adito alla curiosità, ma solo se c'è un interesse genuino alle spalle. Le domande non lo intimidiscono, ma se vengono poste in maniera superficiale scatta l'orgoglio e inizia a vederci rosso. Spero che il suo atteggiamento non venga frainteso come gelosia, è solo protettivo nei confronti della sua cultura e della sua gente, com'è giusto che sia.
Altro appunto, stavolta sugli Elfi e la loro percezione dei colori. Questo è mezzo headcanon a dire il vero, perché a quanto pare la teoria degli spiriti non è proprio campata per aria. Per me i loro occhi non vedono il mondo come lo vedrebbe un daltonico, o qualcuno colorblind, ma percepiscono una sorta di desaturazione generale perché sono fatti per vedere il mondo come lo vedrebbe uno spirito lontano dall'Oblio. If you know what I mean…
Insomma, niente scala di gialli, solo colori un po' spenti/sfasati.

-Che bel rosa!-
-Lav questo è un bordeaux…-

Cioè, ti credo che poi una ci rinuncia a spiegarsi.
Mi sorge il dubbio: devo aggiungere un glossario per i termini e le frasi in elvhen? Chiedo perché io personalmente non penso che ce ne sia bisogno, dato che è tutto nella wikia, ma se serve metto asterischi e significati alla fine dei capitoli. Ditemi vobis.
Mi scuso per la maxi-nota lol
Grazie per essere arrivati fin qui <3 spero che la storia vi stia piacendo!

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Capitolo 11
*** Reciprocità ***


10 - Reciprocità


Se alla domanda "ti piace lavorare con Lavellan" Cullen rispondeva istintivamente di si, in testa sua sapeva che non era semplicemente un piacere dal punto di vista professionale.

Il problema sussisteva nel momento di collegare un pensiero di quel tipo alla realizzazione che era effettivamente innamorato di lei. Quella dinamica era già parte di lui, d'altronde, non aveva senso rifletterci troppo, ma di solito in amore le parti coinvolte sono due e l'oggetto del suo sentimento non era stato assolutamente consultato sulla questione.

Due, si è detto?

Nel suo caso, le parti in causa erano molteplici e convivevano sotto forma di pretesti nella sua testa che, sfortunatamente, era un contenitore ben sigillato di traumi, residui di indottrinamento e scusanti. Ogni volta che lo apriva, restava esattamente un minuto con il coperchio tra le dita a osservare una matassa di materia urlante, poi lo richiudeva, alzava le mani in segno di resa e tornava a fare quello che stava facendo con lo sguardo di chi aveva appena assistito alla morte stessa dell'Umanità.

L'idea che Lavellan venisse sottoposta a quel vaso di vermi delle dimensioni di un Titano lo rendeva nervoso, per usare un eufemismo. Non tanto perché credeva che l'avrebbe spaventata, dato che era sicuro che lei in vita sua aveva visto di peggio. Piuttosto, era certo che, nel caso in cui le fosse capitato di mettere le mani sul suo cervello, l'avrebbe aperto con il fine di dividere per categoria ogni singola problematica, forzandolo ad affrontarle una per una e lui aberrava quell'idea.

-Se c'è tempo, mettiamole in ordine alfabetico.-

Cullen ammiccò, sollevando il capo per incrociare lo sguardo di Lavellan.

Il suo corpo e la sua mente precipitarono nel presente. Alla fucina, di preciso, dove lui aveva deciso di trattenersi per supervisionare la forgiatura delle nuove spade da allenamento.

Una scusa, neanche troppo credibile, per poter passare del tempo nello stesso ecosistema di Lavellan.

Quest'ultima stava lavorando a un congegno dall'aria complessa.

-Un meccanismo di chiusura per una cassaforte.-

Di cui a Cullen importava relativamente, dato che era concentrato su tutt'altro. Si finse interessato, giusto per mandare avanti la conversazione, ma la sua attenzione era catturata dai movimenti decisi delle mani di Lavellan e dal modo in cui riusciva ad articolare un discorso senza perdere la concentrazione sul lavoro che stava compiendo.

-In questo modo, quando la serratura scatta, si sblocca un comparto ma gli altri restano sigillati.-

Cullen rimase spiazzato dalla sfumatura di compiacimento sul viso di Lavellan, tanto da restare in silenzio per diversi istanti. -Ottimo lavoro.- disse, affrettandosi a reagire in una maniera che non sarebbe apparsa fraintendibile.

Lei inclinò la testa, indossando un sorriso perplesso. -Ottimo?- ripeté.

Cullen sbuffò una risata. -D'accordo, è geniale.- si corresse.

Lavellan schioccò la lingua sul palato. -Molto meglio.- disse, sfilandosi i guanti da lavoro per riporli a lato del suo progetto. -Come sta Ser Scarlett?-

-Bene.- rispose lui, senza pensarci troppo. Quando realizzò che Ser Scarlett era un habitué della fucina, però, sentì qualcosa agitarsi dentro di sé. -Perché?- domandò, sospettoso.

Lavellan parve cogliere al volo quel qualcosa, affrontandolo con aria divertita. -Era pour parler. Di solito è lui che si occupa dell'attrezzatura, o sbaglio?-

La testa di Cullen, nel frattempo, gli propose una visione esagerata delle interazioni che Scarlett avrebbe potuto avere con Lavellan durante le sue visite alla fucina, mentre le offriva mazzi di rose e declamava sonetti in suo nome. -Non sbagli.- disse, cercando di reprimere quella gelosia insensata nei confronti di uno dei soldati che rispettava di più. -Oggi ho preferito scendere io.-

-Ecco, se lo vedi digli che mi deve un paio di forbici.-

-Glielo farò presente dopo la riunione di stasera.-

-Durante l'allenamento?-

Cullen annuì.

-Posso chiederti un favore?-

-Tutto ciò che desideri, Inquisitrice.- rispose lui, percependo nella sua voce una pateticità orripilante. -A meno che non sia qualcosa di estremamente sconveniente, o un assassinio mirato.- si affrettò ad aggiungere.

Lavellan ridacchiò. -No, niente del genere. Per ora, almeno.- scherzò. -Mi chiedevo se potessi dedicarmi una mezzoretta, una di queste sere. Cassandra dice che sono completamente negata per la scherma, perché perdo la concentrazione facilmente. Mi chiedevo se tu potessi...- si strinse nelle spalle. -Darmi una mano al suo posto.-

Cullen la guardò a lungo, con un accenno di sospetto. -Cosa mi stai chiedendo, esattamente?-

Lavellan prese un respiro profondo, assumendo immediatamente un'espressione seria. Incrociò le braccia sul petto, spostando lo sguardo altrove. -Continuate a darmi delle spade in mano e io non ho la più pallida idea di come comportarmi. Quando arriverà il momento in cui dovrò effettivamente usarle come arma e non come ornamento...- lo guardò dritto negli occhi. -Vorrei essere in grado di portare a termine il lavoro. Efficacemente.-

Purtroppo per Cullen, lo sguardo che gli stava venendo proposto in quel frangente era il primissimo motivo per cui il suo subconscio lo aveva spinto a fidarsi automaticamente di Lavellan la prima volta che l'aveva vista. Quel genere di determinazione per lui era come ricevere una secchiata d'acqua gelida nell'anima: lavava via scusanti e pretesti, mettendolo di fronte all'urgenza del presente.

Le appoggiò una mano sulla spalla, mantenendo il contatto visivo. -Conta su di me.- le disse, proponendole a parole la stessa decisione che gli era stata mostrata.

Lavellan sorrise appena. -Grazie. Mi rendo conto che si tratta di un favore… importante. Per non dire gravoso.-

-Non dirlo nemmeno.- rispose lui, sciogliendola dalla presa. -Domani al sorgere del sole, ai manichini dietro al Riposo. Ti potrebbe andare bene?-

Lavellan aprì le braccia, alzando i palmi verso l'alto nell'assumere un'espressione divertita. -È un appuntamento.- rispose.

Cullen ridacchiò. -Magari.- ammise.

Si scambiarono un'occhiata d'intesa, poi lui si schiarì la voce, per uscire da una situazione in cui avrebbe fatto una fatica immonda a restare con i piedi per terra. Spostò lo sguardo verso Harrit, che stava sistemando le spade d'allenamento ultimate dentro a un cesto. Quel pretesto gli permise di raccogliere i frammenti di compostezza che gli erano scivolati sotto ai talloni e smettere di dare adito a ciò che il suo istinto gli chiedeva a gran voce. Una richiesta così indulgente che lo terrorizzava.

-Buon lavoro, Inquisitrice.- la salutò, rivolgendole un mezzo sorriso, prima di allontanarsi.

-Non sono una che si accontenta di un "buon lavoro", Comandante.- si affrettò a dire lei, sempre più divertita. -Dovresti saperlo.-

Cullen si caricò il cesto sulle spalle, fingendo rassegnazione. -Questo è perché sei incontentabile.- la punzecchiò, per poi allontanarsi definitivamente dalla fucina.

 

*

 

Le mattine a Skyhold erano rigide, ma prevalentemente soleggiate.

In qualche modo, la fortezza era stata benedetta dal tempo sereno e a tutti andava fin troppo bene, dato che il sole compensava al freddo derivato dal costante soffio del vento. Questo proveniva da nord, est, sud, ovest, sotto, sopra e di lato. Le uniche variabili erano date dall'intensità e dal grado di freddo che si portava dietro.

Per quello, la mattina dell'appuntamento, Cullen aveva scelto di sistemare l'attrezzatura da allenamento nell'unico punto accarezzato dal pallido sole del mattino.

Sbadigliò sonoramente, mentre si sistemava la chiusura dei parabracci.

Era abituato a svegliarsi molto prima dell'alba, perché quando era ancora un Templare le funzioni iniziavano molto presto, seguite dall'assunzione del lyrium.

Saltare quel passaggio, che oltre a essere assuefacente era pure un'abitudine, faceva sì che ogni volta che metteva un piede fuori dal letto, il suo corpo prendesse a remargli contro. Il suo naso era più sensibile agli odori, garantendogli uno stato di nausea perenne, il suo corpo risentiva di una fiacchezza snervante e il suo viso era talmente gonfio che se messo di fianco a quello di un Hurlock che ha appena preso una padellata in faccia nessuno sarebbe riuscito a capire la differenza.

Cullen pensò che l'unico modo per evitare che quegli impedimenti lo disturbassero, quella mattina, sarebbe stato: svegliarsi tre ore prima, affrontare quella routine di bruttezza con una schiaffata di acqua gelida sulla faccia e passare il resto del tempo a mandare occhiate truci alla sua immagine allo specchio per convincerla a cambiare idea. Fortunatamente, la terapia d'urto funzionò, permettendogli di fare i conti unicamente con le conseguenze di un po' di sonno arretrato.

-Ehi, bel ragazzo!-

Cullen sollevò una mano in segno di saluto, mentre Lavellan lo raggiungeva ai manichini con aria allegra. Gli porse una tazza fumante che lui accettò con uno sguardo carico di gratitudine. -Salvatrice della patria.- la appellò, prima di prendere una sorsata di tè bollente.

Lavellan si sfilò la giacca, la fece indossare a un manichino, poi trotterellò al fianco del suo maestro, indossando un sorriso radioso. In quel momento preciso, Cullen si sentì scivolare di dosso ogni residuo di stanchezza e si disse che ne era valsa la pena di buttarsi giù dal letto qualche ora prima, se il premio era quello. Ma forse il calore che sentiva sulle guance era semplicemente la conseguenza di aver appena trangugiato senza cautela alcuna del tè ustionante.

-Quindi, non hai mai preso in mano una spada.- disse, sostituendo la tazza con due spade da allenamento.

-Per farlo, l'ho fatto, ma...-

-Al volo!-

Lavellan afferrò l'impugnatura della spada che le era stata lanciata, in tempo per evitare che le sfuggisse. Prima diede un'espressione sorpresa, poi soddisfatta.

Cullen la squadrò da capo a piedi, con aria attenta. -Prova a passartela da una mano all'altra.- le suggerì.

Lavellan fece come richiesto, al che lui scosse la testa. -Troppo lunga, troppo pesante.- commentò, per poi recuperare un'altra spada. -Questa dovrebbe andare meglio.- disse, porgendole la sostituta. -Come la senti?-

Lavellan la soppesò, scambiandosela di mano diverse volte come le era stato indicato in precedenza. -Più gestibile, suppongo.- rispose.

-Allunga il braccio e prova a mantenerlo teso di fronte a te.-

Cullen attese esattamente un minuto, osservandola compiere quel gesto, poi diede un cenno d'assenso. -Perfetto. La punta vira lievemente verso il basso, ma è normale.-

-Così dicon tutte.- scherzò lei, abbassando finalmente la lama.

Cullen ridacchiò. -Una spada non deve essere né troppo leggera, né troppo pesante. Dev'essere proporzionata al tuo peso corporeo, alla tua altezza e alla portata del tuo braccio.- spiegò, portandosi di fianco a lei per paragonare la sua arma a quella che stava impugnando Lavellan. -Se pesasse troppo, rischieresti di slogarti il polso durante le parate e gli affondi non sarebbero precisi.-

-Quindi è una questione di bilanciamento.- intervenne Lavellan.

-Bilanciamento e destrezza.- la corresse lui, mostrandole come impugnare la spada, in modo che lo imitasse. -Un'arma è un oggetto inanimato, inflessibile. Sei tu a doverti muovere. Se ti fai governare da lei, hai già perso in partenza.- fece una pausa, per mettersi in posizione di guardia, di fronte a lei. Lavellan lo imitò, maldestramente.

Cullen non riuscì a trattenere un sorrisetto, ricomponendosi subito dopo aver ricevuto un'occhiataccia. -Riprova.- la incitò.

Dopo la terza volta, Lavellan riuscì ad assumere una postura accettabile. Cullen indicò con un cenno del capo la posizione delle sue gambe, lievemente piegate e abbastanza divaricate, con il piede destro puntato verso l'avversario. -Il vincitore di uno scontro di solito è quello che ha il gioco di gambe migliore. Una buona postura ti permette di restare in equilibrio durante un assalto, ma soprattutto ti garantisce un'ottima mobilità durante le parate.-

-Quindi non è solo una questione di muscoli.-

-Oh, quelli servono, perché anche la spada più leggera inizia a pesare come un macigno dopo ore che la brandisci. Però si, non è solo una questione di muscoli.-

-Quindi, uh, ora che faccio?- domandò lei, perplessa.

-L'istinto come ti suggerisce di attaccarmi?-

Lavellan esitò, poi provò un assalto: un fendente di lato che Cullen parò facilmente. Rimasero in quella posizione per diversi secondi.

-Ora prova a risolvere il problema.- le suggerì lui. Lavellan ci rifletté, poi indietreggiò, provando un altro assalto.

Ogni volta che lei falliva, il suggerimento era sempre lo stesso: -Risolvi il problema.-, seguito da una breve correzione sulla postura.

Guardando come si muoveva Cullen e seguendo le sue indicazioni, Lavellan acquisì una buona mobilità, seguita a ruota da un certo livello di automaticità che le infusero sicurezza nell'approcciarsi alla disciplina.

Dopo esattamente una mezzora, Cullen la fermò, imponendole di appoggiare la spada a terra. Le mostrò come sgranchirsi le braccia in modo da rilassare i muscoli in maniera proattiva. -Non è difficile, davvero.- la rassicurò, mentre le massaggiava un polso. -Sei abituata a risolvere i problemi. Guarda alla scherma allo stesso modo in cui approcceresti uno dei tuoi marchingegni: una serie di gesti meccanici che portano al conseguimento di un obiettivo. Nel momento in cui trovi un ostacolo, cerca un modo di aggirarlo con la logica.-

Lavellan gli rivolse un'occhiata divertita. -Me la stai mettendo come se non ti ci fossero voluti anni per raggiungere il livello di bravura in cui ti trovi adesso.-

Cullen rise. -Guarda che non ti metto il voto a fine giornata. Puoi smettere di lisciarmi.- disse, riprendendo la spada da terra. -Ne hai abbastanza, o vuoi che alziamo il tiro?- le domandò.

Lavellan gli rivolse un'occhiata eloquente, poi recuperò l'arma a sua volta. -Fa' del tuo peggio.- lo provocò.

Cullen, che non chiedeva altro, passò uno sguardo intrigato su di lei, poi riprese l'allenamento.

 

Era un contatto continuo, tra correzioni e buffetti.

Appoggiare le mani sui fianchi di Lavellan, mentre le mostrava le varie torsioni del petto e del bacino, non lo metteva in difficoltà. Anzi, sembrava la cosa più naturale del mondo, così come quando lei appoggiava le dita sul suo petto e sulle sue braccia, per evitare di cadere dopo essersi sbilanciata.

Era un'allieva eccezionale, non perché fosse veloce nell'apprendimento, ma perché non le mancava la determinazione di rialzarsi ogni volta che falliva. Non era un talento naturale per la scherma, eppure ascoltava attivamente le critiche, mettendo in pratica le correzioni senza protestare.

Dopo due ore, fu lui a doverla fermare, dato che iniziava a compiere errori dovuti alla stanchezza, nonostante riuscisse a mascherarla bene.

Ripose le spade, realmente soddisfatto di quella prima sessione d'allenamento. Una soddisfazione condivisa dalla sua allieva, che lo riempiva di sorrisi mentre lo aiutava a riordinare.

Gli faceva domande, chiedeva chiarimenti e sembrava davvero interessata a quello che lui avesse da dirle, cosa che nel campo d'allenamento trovava in ben pochi elementi e, di solito, era una maniera per imbonirselo e avere un turno di lavoro meno pesante.

-Pensi che potremmo continuare?- domandò Lavellan, quando fu il momento di separarsi.

Cullen le rivolse un sorriso confuso. -Pensavo che fosse scontato.- ammise. -Domani alla stessa ora?- propose.

L'espressione entusiasta di Lavellan gli bruciò le retine e gli strappò il cuore per lanciarlo al di là della muraglia difensiva di Skyhold.

-Perfetto!- gli disse, dandogli un colpetto amichevole sul braccio. L'ultimo e l'ennesimo, ma il più doloroso, perché avrebbe potuto essere altro.

 

Ci ripensò qualche giorno dopo, durante la sera, perché se c'era qualcosa per cui avesse un talento naturale, oltre a pensare troppo, era lo sbattere la testa sulle rivelazioni retroattive.

Solitamente gli capitava di avere un'illuminazione improvvisa, che lo spingeva a un'immobilità fisica momentanea, seguita da un imbarazzo viscerale. Metaforicamente parlando, era come se la sua memoria scontrasse la fronte sullo stipite di una porta troppo bassa mentre il suo stomaco veniva colpito da un pugno. Tutto questo, sbattendo il mignolo del piede su una cassettiera, di fronte a un pubblico composto da tutte le persone con le quali si era messo in imbarazzo nel corso della sua vita.

Professionalmente parlando, Lavellan era una lavoratrice ineccepibile, capace di processare decisioni rapidamente senza mancare di umiltà e compassione. Era palese che le sue doti non fossero innate, ma dovute a tanti anni di disciplina e sacrifici. Dato che la carriera di Cullen si era sviluppata in maniera analoga, e non gli era stato regalato niente, lui provava una grande affinità nei suoi riguardi e si sentiva in dovere di restare al passo.

Avevano opinioni diverse, approcci diversi, ma le fondamenta erano le stesse.

Sul piano personale, quell'affinità era molto più evidente e questo metteva Cullen con le spalle al muro.

Lavellan non aveva paura di essere stupida. Non perché mancasse di intelligenza, tutt'altro. Era una donna che non si prendeva troppo sul serio e questo fattore influiva sulle persone che aveva attorno, smorzando le forti conseguenze emotive di situazioni realmente traumatiche. Lui era l'esatto contrario e, proprio per questo, il suo subconscio gli imponeva di pensare a lei quando si ritrovava inevitabilmente a fare i conti con le sue ferite.

La sua sola esistenza contribuiva a rilassarlo e se da un lato questa era un'idea confortante, dall'altro lo terrorizzava. Più tempo passavano insieme, più Cullen scopriva lati del proprio carattere che non aveva mai avuto modo di esplorare, sottoponendolo a lunghe sessioni di autocritica assieme a se stesso, che in quel momento storico era la persona che disprezzava di più al mondo.

Il fatto che le bastasse un sorriso per metterlo in quella condizione lo faceva imbestialire, soprattutto perché era una cosa che gli serviva realmente, anche se lui non l'aveva mai chiesto.

La realizzazione retroattiva arrivò durante una di quelle sessioni.

Si ricordò della gravità della richiesta di Lavellan, a cui non servivano vere e proprie lezioni di scherma, ma un modo per approcciarsi a quella che sarebbe potuta diventare una necessità in sede di giudizio. Lui se n'era completamente dimenticato, associando a quegli incontri un'atmosfera positiva, a tratti romantica. Ciò di cui lei aveva bisogno, invece, era il senso di conforto che lui in sede di allenamento le rubava regolarmente e, soprattutto, egoisticamente.

 

Conscio di essersi comportato come una sanguisuga, la mattina successiva a una nottata costellata di sensi di colpa, decise di infilarsi i pantaloni da uomo adulto e assumersi le sue responsabilità.

Aspettò Lavellan di fianco al manichino a cui lei affidava regolarmente la sua giacca pesante, lo stesso che Cassandra massacrava due volte al giorno per sfogare la tensione. Qualcuno durante la notte gli aveva disegnato una faccia beota, con tanto di lentiggini e dentoni da coniglio, umanizzandolo nella speranza che la sua carnefice si intenerisse e lo risparmiasse da un destino di trucioli e disperazione.

-Ehi, raggio di sole!-

Cullen si voltò verso Lavellan, muovendo automaticamente la mano nella sua direzione per raccogliere la tazza di té bollente che gli veniva offerta ogni mattina.

Era parte della loro routine, così come il saluto scherzosamente ammiccante, la vestizione del manichino e il modo in cui lei si legava i capelli con qualsiasi cosa avesse a disposizione nelle tasche, prima che lui le porgesse la spada d'allenamento. Elementi di conforto che lo facevano sentire ancora di più in colpa.

Prima che Lavellan si potesse sfilare la giacca, Cullen si fece violenza e decise di mettere in chiaro la situazione. -Camminiamo, che dici?- propose.

Lavellan si soffermò a guardarlo con aria inquisitoria, rigirandosi uno dei bottoni di chiusura della giacca tra le dita. -D'accordo.- disse.

Cullen finì il té, consegnò la tazza nelle cure del manichino, poi fece cenno a Lavellan di seguirlo.

La condusse presso la stanza più alta della torre diroccata occidentale, dove era sicuro che la loro conversazione si sarebbe svolta nella più totale tranquillità, al riparo dal vento e da orecchie indiscrete.

-Che ci facciamo qui?- domandò Lavellan, appoggiando la schiena sulla parete opposta a quella dov'era situata la scala. Il suo tono di voce era macchiato di curiosità, così come il suo sguardo.

Cullen si portò di fronte a lei, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni. -Due chiacchiere.- le rispose. -Ma anche il punto della situazione.-

Lavellan ammiccò, poi si ritrovò ad annuire piano. -Punto della situazione.- ripeté, sommessa. -Significa che smetterai di darmi lezioni?-

-Significa che sei pronta a portare a termine il lavoro.- la corresse lui, mollando la presa sulla colloquialità per assumere un'espressione grave. -A dire il vero, ti sarebbero bastate un paio di lezioni mirate, ma l'idea di condividere con te qualcosa in cui eccello mi ha fatto perdere di vista l'obiettivo finale.- fece una pausa. -Per questo, ti prego di accettare le mie scuse.-

Lei diede un breve sorriso tirato, che si trasformò subito in un'aura di delusione. -Non mi hai contraddetta.- disse, a mezza voce.

Cullen si avvicinò di un passo. -E tu mi hai riferito cose che non rispondono al vero.- puntualizzò. -Non sei negata per la scherma e non ti manca la concentrazione necessaria per impararla. Solo un imbecille direbbe queste cose e Cassandra è lontana chilometri da questo aggettivo.-

Lavellan sbuffò, passandosi una mano tra i capelli, nervosamente. -Non sono io, Cullen.- sbottò. -Odio l'idea che in futuro potrei trovarmi nella posizione di dover emettere un verdetto del genere. Non sono io. Io odio le punizioni.-

-Lo so.-

-Ma non è una cosa che posso delegare.-

-So anche questo.-

-Non so se sono pronta per una cosa del genere.-

Cullen rimase a guardarla struggersi in silenzio, descrivendo con lo sguardo il suo viso, a partire dal lieve tremore che le innervosiva le labbra fino alla linea d'espressione creata dall'aggrottarsi delle sue sopracciglia. Tolse le mani dalle tasche e le appoggiò sulla nuca e sulla schiena di Lavellan, traendola a sé delicatamente per abbracciarla.

-Andrà tutto bene.- sussurrò, al suo orecchio.

Lavellan assecondò il contatto, ricambiando la stretta nell'appoggiare la testa sulla sua spalla. Il calore che emanavano le sue guance e il soffio del suo respiro irregolare aderirono al collo di Cullen come la più morbida delle carezze.

Ogni cellula del suo essere rilasciò nel suo organismo un senso di profonda tranquillità. Era una sensazione neutra e confortante, sospesa a mezz'aria tra la malinconia e l'affetto. Gli massaggiò i muscoli, permettendogli di distenderli, poi spinse delicatamente via la stanchezza, consentendo alla calma di prevalere.

-Grazie.- mormorò Lavellan.

Cullen appoggiò un bacio sulla sua fronte, mantenendo il contatto il più a lungo possibile, a occhi chiusi, prima che il tempo ricominciasse a scorrere. Per una volta, voleva godersi l'imprevisto, anche se sapeva che gli sarebbe tornato addosso a distanza di qualche giorno, imbarazzandolo profondamente.

-Vuoi davvero smettere di darmi lezioni?- gli domandò lei, rompendo il silenzio.

Cullen ritrasse il capo, per incontrare il suo sguardo. -No, a dire il vero.- ammise, allentando la presa su di lei. Le rivolse un sorriso macchiato di disagio -È bello avere qualcosa da condividere, fuori dalla sala del consiglio.-

Lavellan si distanziò, spostando le mani sul suo petto. -Allora continuiamo.- propose. -Magari non di primo mattino, già che ci siamo.-

Cullen ridacchiò. -Incontentabile e pure pigra!- la punzecchiò.

Lei inclinò la testa nel rivolgergli un'espressione divertita. -Al contrario tuo, a me le occhiaie non donano. E non hai la minima idea di quanto tempo mi ci voglia per apparire così.- disse, indicandosi con un gesto ampio.

-Ti ho mai dato l'idea di...- si dovette bloccare, perché aveva appena realizzato che lui stava facendo esattamente la stessa cosa. Ma se in principio curava il suo aspetto per evitare che i deficit della deprivazione da lyrium fossero palesi, dopo un po' aveva iniziato a farlo perché voleva apparire perfettamente in ordine per lei. Era anche quello parte della routine e l'idea di privarsene lo metteva tanto in difficoltà quanto perdere il resto.

Sarebbe stato da solo, senza quel qualcosa in più che lo spronasse ad alzarsi dal letto con l'idea di passare una mattinata tranquilla, distraendolo dalla voragine che il lyrium aveva creato nella sua quotidianità.

-Va bene.- si sforzò di rispondere, allontanandosi di un passo. -Troveremo un orario meno deleterio per entrambi.-

Lavellan esalò un respiro di sollievo piuttosto teatrale, che smorzò immediatamente con una risata. Lui, che già sentiva il richiamo del nucleo di preoccupazioni che aveva in testa, si limitò a offrirle un sorriso.

-Vuoi sapere una cosa buffa?- domandò lei, una volta che ebbe rilassato i lineamenti. -In realtà non ti ho mentito. Cassandra ha detto realmente quelle cose.-

Cullen aggrottò la fronte, osservandola con aria scettica.

-Sul serio! Puoi chiederglielo.- insistette Lavellan. -Mi ha mollata dopo una lezione.-

-Cassandra è un'ottima maestra di scherma, com'è possibile?-

Lavellan si strinse nelle spalle. -Può essere che tu sia un maestro più paziente di lei.- ipotizzò. -Oppure, è solo una questione di alchimia.- aggiunse, a mezza voce.

-Cosa c'entra l'alchimia?-

Lavellan rimase a fissarlo, immobile, in silenzio, spiazzata da quella domanda. Dopo un po', esalò un sospiro di rassegnazione, che terminò in una risata nervosa. -Fammi sapere quando ti verrà in mente.- lo liquidò, muovendosi per abbandonare l'edificio.

 

Gli venne in mente durante l'ennesima realizzazione retroattiva, la mattina successiva.

Si era svegliato automaticamente, molto prima dell'alba, per abitudine. Incapace di riprendere sonno, aveva deciso di affrontare la routine da solo, dato che non voleva sprecarne i benefici. Sarebbe stato un ottimo pretesto per imparare a confortarsi autonomamente, iniziando a costruire le basi di un processo di riappacificazione con se stesso e con le sue intenzioni.

Avrebbe approfittato del tempo in eccesso per prendersi avanti con la lettura dei rapporti che erano stati pervenuti sulla sua scrivania durante la notte.

Proprio mentre stava per scrivere un'annotazione, sul retro di un documento ufficiale, si ritrovò improvvisamente a fissare un punto imprecisato di fronte a sé, con gli occhi sgranati e la penna ancora a mezz'aria che sgocciolava d'inchiostro.

Capì che Lavellan non si riferiva alla scienza, ma alle dinamiche che caratterizzavano il loro rapporto e si diede immediatamente del rimbambito.

Un rimbambito idiota, si disse, giusto per rincarare la dose, dato che aveva sprecato di nuovo un'occasione per dirle che per lui quel loro rincorrersi aveva smesso di essere un gioco da mesi.

Era vero, c'era un'alchimia inequivocabile tra lui e Lavellan. Quando si ritrovavano nella stessa area d'azione, si attiravano come i poli opposti di un magnete, favorendo naturalmente le interazioni. Un giorno era lui a precipitarsi da lei, il giorno successivo accadeva il contrario.

La realizzazione che per Cullen fu di un'importanza vitale però era data dalla conferma definitiva che si appoggiassero reciprocamente, quando avevano bisogno di processare situazioni difficili, cercando il conforto nella metodicità dell'altra parte. Mentre fornivano aiuto, davano aiuto, curando ambo le parti nel processo e fornendo i mezzi a ciascuna di esse per saltare l'ostacolo e proseguire.

Quella cosa che li legava andava oltre al piacere di guardarsi e stare insieme: era una relazione ben avviata, intrappolata nel corpo di un sentimento neonato.

Ciò che era avvenuto nei giorni precedenti ne era la prova lampante.

Dopo essersi sottoposto a decine di offese sul piano personale, che una volta lo avrebbero portato a sbattere virtualmente la testa contro un muro per ore, Cullen prese a ridere di gusto. Ripose la penna dentro al calamaio, poi si passò una mano sulla fronte, smorzando la risata con un sospiro di rassegnazione.

 

*

 

Con il viso ben riposato, dopo la prima dormita decente che faceva da settimane, Lavellan si presentò alla fucina, per ultimare il suo progetto.

Salutò Dagna, scambiò un paio di convenevoli con lei, poi si infilò i guanti e gli occhiali da lavoro, dirigendosi fischiettando verso la sua postazione.

Si fermò di fronte a essa, con un'espressione sorpresa.

La sua attrezzatura, forbici comprese, era stata rimessa in ordine e riorganizzata in modo da poter essere riconosciuta e riposta facilmente una volta utilizzata. -Questa è nuova.- commentò, facendo un passo indietro nel notare due scaffali sistemati ai lati opposti del tavolo. In quello alla sua sinistra c'erano tutti i progetti che aveva in corso, mentre in quello alla sua destra c'erano quelli che aveva completato da che era arrivata a Skyhold.

Si accucciò, recuperando una scatola dallo scaffale di sinistra, contenente un progetto che non aveva riconosciuto. La appoggiò sul tavolo e l'aprì, sbirciando all'interno con aria curiosa.

Si allontanò di scatto, portando le mani di fronte a sé, in segno di ferma.

Dopo essersi presa un minuto esatto per processare la situazione, tuffò letteralmente testa e mani dentro alla scatola, iniziando a sventrarla per disporne il contenuto sul tavolo.

Liberò una risata isterica, mentre passava le dita su un modellino di macchina d'assedio a contrappeso. Era la versione aggiornata di un prototipo datato, completo di un progetto madido di annotazioni più o meno recenti, atte a risolvere problemi palesi di un marchingegno che, se funzionante, avrebbe potuto creare varchi su muraglie molto solide.

Studiò quel progetto per un quarto d'ora buono, controllando ogni singola annotazione e verificandola matematicamente su un foglio a parte. Erano soluzioni valide, ma ogni correzione portava a un nuovo problema che si ripercuoteva sull'intera anatomia della macchina, costringendo il fautore dei calcoli a correre in cerchio.

Quando Lavellan si rese conto della portata di quel rompicapo ingegneristico, il suo interesse prese la forma di una sfida. Ci perse un altro quarto d'ora, prima di rendersi conto che al progetto era allegato un biglietto.

C'era scritto semplicemente: "Può funzionare come pretesto?", con affiancato il disegno stilizzato di una tazza fumante.

Lavellan scoprì i denti in un bel sorriso, rileggendo quelle parole più e più volte, prima di formulare mentalmente una risposta. Quando la trovò, si affrettò a scriverla sotto al messaggio, senza smettere di sorridere un solo istante. -È un appuntamento.- mormorò, ripiegando il biglietto con cura.

 

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Capitolo 12
*** Chaos ***


11 - Chaos


Tra la ristrutturazione di Skyhold e le preparazioni per la partenza dell'Inquisitrice per Crestwood, i tempi erano così stretti che nessuno aveva il tempo materiale per andare oltre al "buongiorno".

La giornata per Lavellan era un'insieme di rapporti da leggere, persone da giudicare, cantine da disinfestare e fin troppe scale da salire e scendere. In tutto ciò, doveva trovare il tempo per allenarsi a padroneggiare l'Ancora, imparare una disciplina accessoria per migliorare le sue prestazioni durante le missioni e spiegare alla sarta che i suoi occhi le impedivano di distinguere il cremisi dal magenta.

A metà pomeriggio del giorno precedente alla sua partenza, Lavellan dovette imporsi di fermarsi e lo fece esattamente al centro della navata del salone principale. Afferrò un braccio a Cullen e a Josephine, che le stavano esponendo un problema meno serio del dovuto e smezzò un'occhiata madida di stanchezza su entrambi, frenandoli dal proseguire il cammino.

-Ora, per la durata esatta di un minuto, respireremo e basta e, se proprio dobbiamo, parleremo del tempo.- decretò. -Ci siamo capiti?-

Josephine esalò un sospiro stanco, sgranchendosi il collo con aria sofferente. -Sia ringraziato il Creatore, non ne potevo più!- disse.

Cullen eseguì un paio di esercizi per stirare le braccia, guardandosi attorno con aria guardinga, la stessa che manteneva da quando il Campione di Kirkwall era apparso sulle mura di Skyhold.

La domanda incessante che le sue tre colleghe erano costrette a sentirsi porre era: -Dov'è Hawke?- e, dopo essersi fatto rispondere, Cullen cercava di concentrare i suoi impegni il più lontano possibile dal luogo indicato.

Lavellan individuò un movimento sospetto all'altezza del portale d'ingresso, giusto dove Varric aveva deciso di gestire i suoi affari, al che si voltò, spinta dalla curiosità. Notò immediatamente la presenza di Hawke, che si nascondeva sotto alla scrivania del suo compagno di viaggio, facendole cenno di non rivelare la sua posizione, nonostante fosse chiaramente visibile e stesse attirando numerose occhiate perplesse nella sua direzione.

Hawke era il classico esempio di una persona che eccede nei vizi, ma che allo stesso tempo li gestisce in maniera funzionale. Varric, che soffriva della stessa sindrome, definì le abitudini del suo migliore amico “un problema con delle belle gambe”.

I suoi capelli lunghi, color mogano, inquadravano un viso attraente, ma rovinato dal sole e dall’alcol. L’abbronzatura metteva in risalto gli occhi di un peculiare giallo ambrato, nascosti da una gabella prominente e divisi da un naso importante, reduce da più di una rottura. Le guance erano gonfie, accarezzate da una barba che s’infoltiva mano a mano che raggiungeva la mascella. Era un’opera di tutto rispetto e, da come veniva tenuta, si vedeva lontano un miglio che crescerla era costato al suo proprietario una fatica immane.

Chiuso nelle sue vesti da Campione, Hawke era un’unità. Aveva una corporatura robusta, a partire dagli arti possenti, fino alla pronunciata pancia da birra. Portava un tatuaggio sul braccio, rosso quanto la striscia di Kaddis che gli divideva il viso orizzontalmente ed era costituito da un turbine di piume di corvo che partivano dal dorso della mano fino alla clavicola destra.

-Ti stressa così tanto che il Campione sia a Skyhold?- domandò Josephine, che pareva non essersi accorta della scenetta in atto.

Cullen fece un giro su se stesso, guardandosi attorno con circospezione. -Se lo conoscessi così come lo conosco io, saresti altrettanto preoccupata. Quell'uomo è un agente del caos.- rispose, proprio mentre Hawke sfuggiva al suo sguardo per ripararsi dietro al palo di un'impalcatura talmente sottile da non nasconderlo minimamente.

Dalla sua scrivania, Varric seguì le imprese di spionaggio del suo migliore amico con uno sguardo carico di rassegnazione, ridacchiando e scuotendo la testa di tanto in tanto.

-A me ha fatto una buona impressione.- intervenne Lavellan, sforzandosi di non ridere.

-Fa a tutti una buona impressione. È così che ti inganna!- sbottò Cullen, voltandosi di scatto in risposta a un rumore di stoviglie rovesciate. Osservò con sospetto una cameriera impilare una serie di piatti rotti dentro a un vassoio, poi si voltò nuovamente verso le sue colleghe, permettendo ad Hawke di smettere di fingersi una statua. -Parlare con lui è come avere qualcuno che bussa insistentemente sulla tua fronte e ti ripete: "te l'avevo detto, te l'avevo detto, te l'avevo detto" all'infinito.-

Hawke, che era riuscito ad avvicinarsi abbastanza per ascoltarli, si sporse dal suo ennesimo nascondiglio inutile e prese ad annuire, ridendo e indicandosi.

-Ha insegnato una canzoncina oscena alle reclute...- Cullen si dovette bloccare, girandosi di nuovo in risposta all’ennesimo campanello d’allarme. Hawke, che era arrivato a pochi passi da lui, si cristallizzò sul posto.

-...che parlava in dettaglio del mio...- Cullen si impedì di continuare, ricordandosi di essere in presenza di due signore. -Era oscena, vi basti sapere questo.- tagliò corto.

-Insomma, avete dei trascorsi.- disse Josephine, cercando di attirare l'attenzione su di sé.

Cullen però continuava a scandagliare la stanza. -So che è qui, devo solo capire dove e correre dalla parte opposta.-

Con una mossa fulminea, Hawke sgusciò fuori dal suo ultimo nascondiglio e trotterellò fino alle sue spalle, abbrancandolo. Cullen starnazzò un gemito, mentre veniva sollevato da terra come un sacco di farina. -Bel bisteccone!- lo salutò Hawke, riponendolo bruscamente per potergli pizzicare i fianchi.

Josephine si aggrappò al braccio di Lavellan, che osservava la scena con un sorriso d'incredulità.

Cullen indietreggiò d'un passo, alzando una mano per impedire che Hawke continuasse a trattarlo come una bambola di pezza. Aveva gli occhi sgranati e le guance tinte di rosso.

Hawke si abbassò di scatto, camminando a granchio scherzosamente per schivare la mano che Cullen agitava a mezz'aria per tenerlo a distanza. -È una cosa nostra.- si giustificò, dopo che entrambi si furono stancati.

Cullen si raddrizzò il mantello con un gesto secco, lanciandogli un'occhiata truce. -Non lo è, invece!- affermò. -Sei un bullo e un irruento, è sempre stato così.-

-Se mi odiassi davvero, non mi avresti copiato il pellicciotto.-

-É una criniera!-

-Non ci avevo fatto caso.- ammise Josephine, riconoscendo la somiglianza. Hawke le lanciò un'occhiata divertita. -Ha ancora problemi a pronunciare la parola "bordello"?-

Cullen sbuffò una risata arida di divertimento, spostando lo sguardo altrove. -Sei l'emblema della volgarità!-

Hawke si posò una mano sul petto, inclinando la testa, intenerito. -Anche a me sei mancato, Culls.- si voltò verso Lavellan. -Paragona ancora i Maghi agli animali, o ha trovato qualche altra minoranza da vessare?-

Lei perse immediatamente il sorriso, lo stesso successe a Josephine, che sciolse la presa sul braccio della collega per ricomporsi.

Dopo un istante di profondo imbarazzo, Cullen intrecciò le dita dietro la schiena, guardando Hawke dritto negli occhi. -Era una cosa inaccettabile da esprimere all'epoca e, ora più che mai, è il caso che ti ripeta le mie scuse.- disse. -Puoi rinfacciarmi tranquillamente tutte le schifezze che ho detto su di te e sui Maghi di fronte a una platea di centinaia di persone e io ammetterò ogni colpa senza ritrarmi dalle conseguenze che potrebbe...-

Hawke portò entrambe le mani ai lati della bocca e inspirò profondamente. -Cullen è un idiota represso con la faccia come il culo di un mabari!- gridò, a pieni polmoni.

-...costarmi.- concluse Cullen, per poi roteare lo sguardo. -L'avevo detto o no che è un agente del caos?-

-L'hai detto.- esalò Lavellan, massaggiandosi le orecchie.

-Ara seranna-ma*, Ankh.- si scusò Hawke, passandole affettuosamente una mano sul braccio.

Lei sospirò. -Tel'enfenim**.- rispose. -E da novello datore di lavoro di "idiota represso con la faccia come il culo di un mabari", posso garantirti che non c'è stata occasione in cui non abbia trattato ogni Mago dell'Inquisizione o alleato con il rispetto che meritava.- aggiunse.

Cullen distolse immediatamente lo sguardo, serrando la mascella su un'espressione tesa. Al che, Lavellan si rese conto di avergli fatto più un torto che una gentilezza nello spezzare una lancia in suo favore.

-Posso confermarlo.- intervenne Josephine, prontamente. -Ora, se potessimo lasciare certi atteggiamenti fuori dal salone dove accolgo gli ospiti di rilievo con cui devo stringere alleanze delicatissime, sarebbe l'ideale.- disse, congedandosi con un cenno del capo per andare a scusarsi con il seguito dell’arlessa Stormhedge che aveva reagito alle oscenità svenendo in maniera particolarmente teatrale.

Hawke circondò immediatamente le spalle di Cullen con un braccio, battendogli una pacca sullo stomaco con decisione. Quello si passò una mano sulla fronte, stancamente, per poi presentare al Campione un'occhiata arrendevole. -Non posso proprio sperare in una tregua?- domandò.

Hawke batté le ciglia, eloquentemente, rivolgendogli un gran sorriso.

 

*

 

Le lanterne erano state accese da poco a Skyhold e, a causa del vento perenne, proiettavano una luce scostante sulle facciate delle mura e degli edifici, come una sequela di schiaffi luminosi.

Seduto alla scrivania del suo ufficio, Cullen sollevò il capo dal tomo che stava leggendo, facendo per alzarsi in risposta alla porta che si apriva.

Lavellan sgusciò all'interno della stanza, tenendo in equilibrio tra le mani una tazza fumante mentre richiudeva la porta con il piede. Indicò a Cullen di restare seduto, facendo il giro della scrivania per appoggiare la tazza di fronte a lui. -Ho visto la luce accesa dalle terrazze e ho pensato di fare un salto per vedere come stavi.- spiegò, sedendosi sul bordo del tavolo.

Cullen appoggiò le dita sul contenitore, rivolgendo a Lavellan un mezzo sorriso. -Sto bene.- rispose, semplicemente.

-E il mal di testa?-

-Una cosa ragionevole.-

Lavellan posò un polso sulla sua fronte, trovandola tiepida, poi raccolse le mani in grembo. -Ho letto le memorie di un Templare in disgrazia della chiesa di Denerim che ha… fatto la tua stessa scelta. È stata una lettura molto pesante, ma altrettanto informativa.- disse, moderando il tono di voce. -È nel mio studio, assieme ad altri resoconti, semmai volessi consultarli.-

Cullen raccolse la tazza, per scaldarsi le mani. -Ti ringrazio, anche se non era necessario.- disse, con la voce macchiata di incertezza.

-Lo so che hai la situazione sotto controllo.- lo rassicurò lei. -Volevo solo portarti un decotto per conciliare il sonno e dirti, di nuovo, che hai il mio totale appoggio.-

Cullen spostò la testa altrove, in difficoltà. -Non penso di meritarlo.- ammise, posando lo sguardo sulla scatola del giocattolo che lei gli aveva regalato qualche giorno prima. -Cosí come non merito che tu mi difenda.-

-Per via di quello che ha detto il Campione?-

-Soprattutto per quello. Non hai il quadro completo, Lavellan.-

Lei rilassò la postura, mentre lui esponeva ogni singola credenza mal riposta e cattiveria che avesse mai pronunciato nei riguardi dei Maghi. Non si risparmiò, nel dettagliare i crimini di cui era stato complice e carnefice per paura e per rancore. Mentre vomitava informazioni su di sé, la voce gli tremava dalla vergogna e dal risentimento. Accettava che fossero i suoi errori, senza prendere le distanze dalla persona che li aveva perpetrati, mettendosi completamente a nudo.

Lavellan rimase seduta ad ascoltarlo finché non ebbe terminato, senza mai interrompere il suo flusso di parole per rassicurarlo, o trovargli una giustificazione. Quando arrivò il momento, gli appoggiò una mano sulla spalla, stringendo appena la presa. -Grazie per essere stato sincero con me.- disse.

Lui aggrottò la fronte, non riuscendo a guardarla per il disagio che gli provocava quell’interazione. -Dovevi sapere.- mormorò. -Sono un mostro, Lavellan.-

-Sei un Essere Umano.- lo corresse lei. -Se fossi un mostro, quello che mi hai detto di aver fatto avrebbe una giustificazione logica, legata a un'urgenza istintiva.- fece una pausa. -Tu hai fatto quello che hai fatto deliberatamente, con l'attenuante di dover adempiere ai tuoi doveri di Templare.-

Cullen inspirò profondamente, soffrendo come se lei gli stesse intagliando quelle parole sulla pelle.

-Non intendo graziarti dalle tue colpe, o punirti, se è questo che cerchi da me.- proseguì Lavellan, mantenendo la presa. -Sai già come la penso sull'argomento. Rendersi conto dei propri errori e schierarsi contro la propria stessa natura per rimediare, come stai facendo tu, è l'impresa più difficile che una persona possa affrontare.- cercò il suo sguardo, spingendolo a ricambiarla.

Cullen esalò un sospiro nervoso. -Lavellan...- iniziò.

-Non sei uno che molla, Cullen. So che andrai fino in fondo.- affermò lei, interrompendolo. -Ma semmai la vergogna e il senso di colpa dovessero farsi talmente intense da gestire...- gli sorrise, gentilmente. -Sappi che la mia porta è sempre aperta.-

Cullen serrò la mascella, reprimendo una replica sul nascere, al che Lavellan si rimise in piedi, battendogli la mano sulla spalla dopo aver lasciato la presa. -Ho chiesto a uno dei ragazzi delle cucine di preparartene uno a giorni alterni, mentre sono via.- disse lei, cambiando drasticamente discorso nell'alludere al decotto. -Se il sapore dovesse essere troppo forte, diluiscilo con del latte.- aggiunse, muovendosi verso l'uscita.

Cullen si affrettò ad alzarsi a sua volta, seguendola per tenerle aperta la porta. -Ti farò sapere se funziona.- l'assecondò, senza metterci troppo entusiasmo.

-Ci conto.- replicò lei, fermandosi giusto un istante per voltarsi in direzione del suo interlocutore e sorridergli. Lui appoggiò una tempia sullo stipite della porta, ricambiando. -Non fare troppi danni, là fuori, che poi tocca a noi rimediare.- la ammonì.

Lavellan gli rivolse un'occhiata eloquente. -Sarà il caso di dire a Josephine di fare scorte di carta e inchiostro, allora.- disse, agitando una mano in segno di saluto nel dileguarsi.

Cullen rimase a osservarla finché non fu abbastanza distante, poi esalò un sospiro stanco e ritornò a lavorare, vessato da un profondo senso di inadeguatezza.

 

 

*

 

 

Sotto la pioggia battente che sconvolgeva Crestwood da giorni, la truppa di briganti posta a protezione del portale d'accesso a Caer Bronach si affrettò a rovesciare due carri nel cortile dell'atrio, per creare una fila di fortificazioni in vista dell'incursione.

Gli arcieri invece presero posizione nei punti sopraelevati, pronti a far fronte a qualsiasi cosa sarebbe entrata dal portone, che in realtà era realmente massiccio e ben picchettato, quindi ci sarebbero volute come minimo due ore per sfondarlo.

Nonostante i briganti stessero velocizzando i preparativi per la difesa, in realtà l'unica persona davvero preoccupata per lo scontro era Magrit di Kirkwall, il cui viso aveva assunto una malsana sfumatura di verde quando le sentinelle avevano descritto alla truppa gli invasori. Addirittura, aveva preso a pregare Andraste, i Numi e la sua madre ignota, alla ricerca di una protezione santa a cui affidarsi in vista di quello che sarebbe successo.

I suoi compagni risero di quella reazione esagerata, ma se solo avessero saputo l'entità del guaio in cui si trovavano, avrebbero sicuramente seguito il suo esempio.

Improvvisamente, lo scrosciare della pioggia venne interrotto da un fulmine, per poi fungere da accompagnamento per una melodia cadenzata, alternata da brevi arpeggi dalla personalità epica e solenne.

I briganti si scambiarono occhiate incerte, mentre Magrit mollava spada e scudo, scappando a gambe levate nel gridare: -Non mi pagano abbastanza per questo!- tra le altre frasi fatte che di solito precedono un assottigliamento considerevole del numero delle persone di dubbia moralità durante una colluttazione.

Difatti, pochi istanti dopo, il portone da tutti considerato indistruttibile venne sfondato da un'onda d'urto dirompente.

Schegge di legno e metallo volarono come frecce di balista su tutto il cortile in una sventagliata letale, conficcandosi sul fondo dei carri e su chiunque non fosse al riparo, ferendo a morte due briganti e azzoppandone un terzo.

Gli arcieri, dopo aver messo in discussione la santità di Andraste nelle loro imprecazioni, si ritrovarono a cercare di definire con lo sguardo gli aggressori, che in quel momento erano solo sagome indistinte che avanzavano dentro a una nuvola di polvere.

Quando riuscirono a individuarli, però, era già troppo tardi per reagire. Vennero freddati da colpi di freccia precisi, al cuore e nello spazio vulnerabile del viso che l'elmo falliva a proteggere. Ciò che le frecce mancavano, venne raggiunto prontamente da dardi di balestra e incantesimi elementali.

-Te l'avevo detto che la sua musica aveva un senso.- disse Hawke, entrando tranquillamente nel cortile.

Lavellan, subito dietro, scoccò una freccia per evitare che un brigante calasse la spada su di lui. -Allora è a questo che servono i bardi!- esclamò, con aria divertita, mentre Cassandra e il resto della squadra si infilavano nel cortile per occuparsi degli avversari più ostici.

-Hai sentito Zither? Sei utile!- gridò Varric, affiancandosi al suo migliore amico.

Dalle retrovie, il liuto incantato di Zither ululò una lunga nota d'approvazione.

Hawke mulinò il bastone da mago, poi lo piantò a terra, spingendo una mano di fronte a sé nell'evocare una palla di fuoco che distrusse le fortificazioni provvisorie dei nemici. -Così non è nemmeno divertente!- sbottò, notando che il cortile stava venendo messo in sicurezza rapidamente dalla squadra dell'Inquisitrice. -È come fare lo sgambetto a uno zoppo per rubargli gli stivali!-

-Lamentatene pure!- esclamò Varric, ridendo.

Lavellan, che in qualche modo era riuscita ad arrivare in cima ai camminamenti che abbracciavano il cortile, attirò l'attenzione dell'alleato con un fischio potente. Una volta che Hawke si fu girato nella sua direzione, gli indicò con un cenno del capo un cancello che portava alle sezioni interne del forte. -Vai e sfogati, ti copro io!- lo invitò.

Cassandra sfilò la lama dallo stomaco di un brigante in tempo per rendersi conto del pericolo che avrebbero corso i due nel procedere da soli. -Vai e sfogati?!- fece eco a Lavellan, con la voce più alta di un'ottava. Preoccupata, si precipitò dietro a Hawke, che si era lanciato su una scalinata, facendo i gradini due a due pur di avere la priorità sul combattimento successivo.

Lavellan corse in parallelo ai due, per poi buttarsi su una grondaia con un cat leap, scivolando lungo di essa per atterrare alle loro spalle. -Voglio vederlo all'opera.- spiegò, in risposta a un'occhiata di rimprovero di Cassandra.

-Lav non sono le Prove di Orzammar, è un assedio!- la riprese quest'ultima, deviando una freccia con un colpo di scudo.

Hawke nel frattempo aveva attraversato il cancello in cima alle scale, ritrovandosi confinato in un semicerchio di frecce che avevano fallito nel colpirlo.

Si fermò di colpo e sollevò il bastone, assieme alla mano sinistra, le cui dita tremarono appena mentre procedeva a protendere gli arti verso il cielo. Lavellan coprì l'evocazione al meglio delle sue possibilità, bersagliando gli arcieri mentre Cassandra caricava un guerriero in prossimità.

-Cercherò di non colpirvi, ma fossi in voi guarderei in alto.- suggerì Hawke, con un ghigno malevolo dipinto in viso.

Lavellan alzò gli occhi, sgranandoli, quindi corse verso Cassandra, placcandola appena in tempo per evitare che finisse schiacciata da una meteora fiammeggiante.

Il campo di battaglia venne percosso da decine di quei bolidi, che precipitavano come grandine infuocata, schiacciando i nemici e le macchine d'assedio come insetti.

Cassandra e Lavellan osservarono quell'opera di distruzione con occhi carichi di sbigottimento, reggendosi l'un l'altra per evitare di finire loro stesse vittima dell'evocazione. Hawke, nel mentre, rideva sonoramente, concatenando onde d'urto e appiattimenti telecinetici per evitare che i nemici graziati dalla pioggia di meteore avessero il tempo di realizzare una contromossa.

Vederlo combattere era un piacere per gli occhi e un orrore per l’anima. Nonostante le sue evocazioni sembrassero volte a sfruttare il caos, non perdeva mai il controllo di ciò che succedeva attorno a lui, usando tutti i mezzi in suo potere per relegare i nemici nella media distanza. Le frecce le deviava con muri di ghiaccio, od onde di energia telecinetica, mentre non si faceva problemi ad atterrare chi si faceva troppo vicino con un attacco fisico, seguito da un'Esplosione Mentale. Gli elementi erano a suo favore e lui non aveva paura di piegarli al suo volere per creare quanta più confusione possibile.

-Non rompere la fortezza, Hawke, ci serve!- gli gridò dietro Cassandra, mentre Lavellan prendeva parte al caos con tiri di frecce esplosive e lanci di trappole elementali, che contribuivano a creare una cacofonia visiva e uditiva degna di uno spettacolo di fuochi d'artificio durante una situazione di sbronza collettiva.

Hawke le rispose semplicemente con un sorriso sornione, facendo intendere alla sua interlocutrice che faceva bene a preoccuparsi.

 

*

 

-Alla buon'ora!- disse Hawke, che aspettava il gruppo seduto su un muretto poco lontano dall'ingresso del villaggio.

Prima di recarsi a Crestwood vecchia per indagare, Lavellan si era chiesta quanto tempo gli sarebbe voluto per fare amicizia con il villaggio intero. Una volta ritornata, si rispose immediatamente nel vedere che chiunque fosse di passaggio lo salutava per nome, ringraziandolo per qualche favore che aveva fatto durante la lontananza dei suoi alleati, o guardandolo in maniera truce per la modalità in cui aveva svolto i favori sopracitati.

In quel momento stava prendendo il tè con una signora anziana, che qualche ora prima l'aveva preso in simpatia, tanto da finire per adottarlo temporaneamente e rammendargli guanti e mantello per evitare che prendesse freddo.

Lavellan, Cassandra, Solas e Varric lo raggiunsero che erano zuppi fin nel midollo, con l'espressione tipica di chi ha bisogno di un lungo bagno caldo e un abbraccio di conforto.

Mentre si avvicinavano, la signora porse i guanti a Hawke con cura e lo congedò, stampandogli un bacio sulla guancia, poi si riprese le tazze vuote per riportarle in casa.

-Andraste misericordiosa, dove siete andati a infilarvi, stavolta?- domandò Hawke, con aria divertita, quando i quattro gli furono finalmente di fronte.

-In una caverna allagata.- rispose tranquillamente Lavellan.

-Ah, ecco spiegata la puzza di umido e di guano di pipistrello.- commentò l'altro, scorrendo lo sguardo su di lei. -Pensavo fosse una dichiarazione di stile.-

-Magari nelle Anderfels.- borbottó Solas.

-Lievemente meglio dei cunicoli della Città oscura, comunque.- si aggiunse Varric, strizzando il fazzoletto da collo per liberarlo dell'acqua in eccesso. -Giusto per farti capire gli standard.-

Hawke contrasse i lineamenti in una smorfia infastidita. -Quello è uno standard molto basso, amico mio. Rasoterra.- disse, per poi affiancarsi a Lavellan, che si accingeva a entrare nel villaggio.

Nonostante il pericolo fosse passato, regnava un'atmosfera angosciante. I difensori continuavano a restare in allerta, a ridosso degli accessi alle mura e molte case mantenevano porte e finestre sbarrate. Chiunque fosse all'esterno liberava la tensione in maniere molteplici, dall'affanno a contribuire alla ricostruzione di ciò che i non-morti avevano danneggiato al decisamente più canonico pianto a dirotto.

Dopo essere uscita dalla residenza del borgomastro, Lavellan si voltò per gettare un'occhiata di traverso a una madre che non riusciva a calmare un bambino urlante, a pochi metri dal gruppo. -Guarda un po' qui.- disse, porgendo un biglietto a Cassandra, altrettanto infastidita.

Hawke allungò il collo per leggere a sua volta e, quando ebbe finito, rilasciò un sospiro sconfortato. -Mannaggia, Gregory!- disse, condividendo un'espressione crucciata con Cassandra mentre lei riconsegnava il biglietto a Lavellan.

- Lo sapevo che non erano solo quei morti ambulanti a preoccuparlo.- intervenne Varric, dopo che l'ultima ebbe riferito agli altri le colpe del borgomastro.

Il bambino strepitò un acuto spacca timpani, facendo fare un salto a Solas. Quest'ultimo osservò con disapprovazione la madre, chiaramente imbarazzata, prima di rivolgersi a Lavellan.

-L'Inquisizione lo consegnerà alla giustizia?- domandò, massaggiandosi le orecchie sul trago.

La sua interlocutrice lisciò il biglietto, con aria assorta. -Intanto, direi di trovarlo.- disse, cercando con lo sguardo uno degli esploratori che si erano installati nel villaggio per distribuire approvvigionamenti. -Il contesto in cui il Borgomastro ha preso quella decisione, per quanto orribile essa fosse, è di certo un'attenuante, ma non una giustificazione.- spiegò, dando una breve smorfia di fastidio nel sentire il bambino sperticarsi in un acuto più alto dei precedenti. -Sarà una decisione impossibile da prendere.-

Mentre lei articolava il discorso, Hawke si allontanò per raggiungere madre e bambino, seguito dallo sguardo interessato di Varric.

-Aiutami a capire cosa ti passa per la testa, Lav. Quale sarebbe la soluzione logica?- domandò Cassandra.

Lavellan però non le rispose, perché condivideva la curiosità di Varric in relazione alla scena che si stava svolgendo a pochi passi da loro.

Hawke, dopo aver salutato la madre in difficoltà, si era portato le mani a coprirsi il viso, per poi aprirle assieme a una pioggia di scintille colorate che rimasero sospese a mezz’aria come minuscoli fuochi fatui iridescenti.

Il bambino abbassò il tono di voce, spalancando gli occhi di fronte all'evocazione. Hawke allora gliene mostrò altre, analoghe a quella, riuscendo nel tentativo dapprima di distrarlo, per poi permettere alla madre di consolarlo efficacemente.

Lei lo guardò con occhi carichi di gratitudine, al che Hawke le passò una carezza sul braccio in segno di conforto, prima di tornare a far parte della conversazione.

-Santo subito!- lo accolse Varric, ridendo sommessamente.

Hawke fece spallucce. -Sono un cretino, mica uno stronzo.- disse, tornando a prestare attenzione a Lavellan. -Le mamme non vanno mai lasciate da sole.-

Quella studiò il suo viso a lungo, senza smettere di chiedersi se l'avesse fatto per permettere alla conversazione di fluire senza fastidi esterni, o per dare effettivamente una mano a qualcuno in difficoltà.

Per Varric la risposta era più scontata del tramonto, ma per amore del suo migliore amico evitò di condividerla con lei.

 

*



Lavellan incrociò le braccia sulla balaustra di una splendida terrazza di pietra ricoperta d'edera e fiori rossi, nella torre più alta di Caer Bronach.

Il paesaggio che si dipanava di fronte a lei era costituito da un'ampia vallata, abbracciata a est da uno strapiombo e a ovest da una fila di monti bassi con le cime appena inzuppate di neve. Nell'aria permeava l'odore della battaglia che si era conclusa la notte precedente, nonostante il vento portasse con sé il fragrante profumo di salsedine proveniente da nord.

Lavellan si voltò appena, notando che Hawke le si era affiancato, appoggiando l'avambraccio sulla balaustra.

-Splendida giornata, no?- le domandò, rivolgendo lo sguardo a occidente.

Lavellan scorse una rapida occhiata su di lui, poco convinta che fosse lì per parlare del tempo, ma decise comunque di assecondarlo. -Il primo sole che troviamo, da che siamo in zona.- disse.

Rimasero in silenzio a godersi la brezza per qualche istante, poi Hawke inclinò la testa per poterla guardare negli occhi. -So che dovrei farmi gli affari miei, ma Varric sta facendo un po' troppe battute sul fatto che tu e Cullen ve la intendete.- ammise. -È un modo per prenderti in giro, o c'è un fondo di verità nelle sue parole?-

Lavellan si passò una mano sul capo, mentre si girava per incrociare il suo sguardo. -Mettiamo il caso che confermi questa voce. Mi chiederesti se sono nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, o mi diresti che è un'idea orribile?-

Hawke rise. -Nessuna delle due, anche se ora che me l'hai detto, sarei tentato di porgerti la prima domanda.- rispose. -Sarebbe molto incoerente, però, dato che anch'io mi sono innamorato di una persona che chiunque riteneva essere fuori dalla mia portata e viceversa. Non per una questione d'aspetto, ovviamente, dato che lui è di una bellezza irraggiungibile e io sono uno snack.- le sorrise, maliziosamente.

-Uno snack?- ripeté lei, con un sorriso poco convinto.

-Facciamo anche un pasto intero.-

Lavellan ridacchiò. -Questa me la riciclo.-

All'improvviso, il viso di Hawke prese una sfumatura di serietà. -Per un certo periodo, era palese che la mia vicinanza mettesse in allarme ogni fibra del suo corpo e questa cosa mi divorava dall'interno perché ero in totale adorazione di quell'uomo e sapevo che era reciproco.- chinò il capo, assieme a un’espressione enigmatica. -Finché un giorno ho scoperto che il problema non ero io e, se possibile, questa cosa mi ha fatto stare peggio.-

Lavellan esplorò il suo viso, fallendo nel riconoscere la persona scanzonata con cui aveva condiviso le ultime settimane. Aggrottò la fronte, restando in silenzio per dargli modo di continuare senza offrirgli una frase di circostanza controproducente.

-È la persona che amo di più al mondo, dopo mio fratello, ma a un certo punto della nostra storia mi sono ritrovato a guardarmi allo specchio e a chiedermi se volessi stare con lui perché lo amavo, o perché volevo salvarlo.- Hawke si lisciò la barba, nervosamente. -Quando stai con una persona che è costretta a rivivere il suo trauma costantemente, quel trauma diventa involontariamente parte della tua relazione. Il problema è che la persona che l'ha subito se ne rende fin troppo conto e nonostante tu faccia qualsiasi cosa per alleviare il suo dolore, ogni sforzo diventa inutile, perché sai già che quelle ferite resteranno completamente esposte, inguaribili, per sempre.-

Lavellan annuì piano. -Com'è finita?- domandò.

-È esplosa una chiesa, i Templari hanno dato di matto e il cielo si è spaccato. Peggio di così c'è solo la svolta romance di Varric!- rispose Hawke, spezzando la tensione con un sorrisetto.

Lavellan lo guardò di sottecchi. -Intendevo chiedere quale fosse la risposta che ti sei dato.- precisò.

-Lo so, ma quando non c'è un risvolto comico devo per forza crearmelo e tu me l'hai servita su un piatto d'argento.- disse Hawke, per poi prendere un respiro profondo. -Tu sei innamorata di lui, o sei innamorata dell'idea di poterlo salvare?- fece una pausa, poco convinto. -Redimere, nel suo caso.- si corresse.

Lavellan esalò un sospiro stanco, poi si soffermò a rifletterci. Era la prima volta che si interfacciava a una lettura del genere, dato che non credeva nella redenzione, ma trovò comunque molto difficile ottenere una risposta coerente nell'intrico di sentimenti che provava, in relazione a quelle che erano la condizione di Cullen e il suo passato terribile. -Non so che dire.- ammise, sentendosi in dovere di confrontarsi con una persona che aveva effettivamente visto il peggio dell'oggetto del suo amore. In qualche modo, sapeva che quell'apertura sarebbe stata necessaria per fare chiarezza. -Non conosco l'entità del suo dolore, ma sono consapevole dell'aspetto che ha il mio e della sua incapacità di comprenderlo. Ho paura che questo sentimento sia reciproco.-

Hawke incrociò le braccia sul petto, accarezzando i picchi innevati con uno sguardo accigliato. -Francamente, Ankh, non penso che arriverete mai al punto di comprendere quanto profonde siano le vostre ferite.- affermò. -Quello che vedo è che sei disposta ad accettare che la persona di cui sei innamorata abbia giocato il ruolo dell'oppressore per tutta la sua esistenza, senza vacillare un istante, nemmeno quando gli era palese che stesse sotto al comando di una pazza.-

Lavellan aggrottò la fronte. -E ora è un uomo completamente schiacciato dal rimorso.-

-Come è giusto che sia.-

Si scambiarono un'occhiata veloce, poi tornarono a guardare l'orizzonte.

-Con lui mi sento al sicuro, come mai lo sono stata in vita mia. E non è solo una questione di muscoli.- mormorò Lavellan, dopo un po'.

Hawke sorrise appena.

-Sai qual è la cosa ironica?- seguitò lei, raddrizzandosi. -Quando era necessario entrare in una grande città, perché il clan era nei guai, facevo in modo di tenermi a debita distanza dagli Umani come lui. Ho visto cosa fanno alla mia gente nelle enclavi, per provare di essere veri uomini.- deglutì, sforzandosi di articolare un pensiero coerente. -Forse era quel tipo di persona, prima di entrare nell'Inquisizione? Non lo so, lethallan. L'uomo che ho conosciuto io mi ha sempre trattata con onestà e decenza, senza i fronzoli che usano mettere quelli come voi che fanno finta di simpatizzare con la mia causa solo per dimostrare di essere persone migliori in presenza dei loro simili.- deglutì in risposta alla frustrazione che le provocava quell'atteggiamento, prima di proseguire. -Non ha mai mostrato falsa compassione nei miei riguardi, o cercato di spettacolarizzare il trauma che ha subito la mia gente per guadagnarsi i miei favori. Quando mi viene in aiuto, non lo fa per far tacere il senso di colpa, o per ottenere qualcosa: lo fa perché è la cosa giusta da fare.- guardò Hawke dritto negli occhi. -Dovrebbe importarmi della persona che era, lo so, eppure il ritratto che mi ha fatto di se stesso è così diverso da quella con cui sono abituata a interagire che sembrano addirittura due entità distinte. Sai, forse è lui che sta salvando me, dandomi speranza che le cose possono cambiare, che gli Umani arriveranno ad acquisire un pensiero critico.- spostò uno sguardo turbato altrove. -Ipercritico, nel suo caso.- aggiunse, in un sussurro.

Hawke, che si accarezzava la barba con fare pensoso, annuì piano. -Mi fai quasi venire voglia di tifare per lui, così.- ammise, ridendo nervosamente.

-Sarebbe una cosa così fuori dal personaggio?- scherzò Lavellan.

-No, ma mi farò comunque un bagno nell'acido per buona misura.- replicò lui, dando le spalle al paesaggio per appoggiare la schiena sulla balaustra. -Vuoi sapere la mia risposta?-

-Mi sono appena tolta i pantaloni di fronte a una persona che conosco da mezzo minuto. Direi che me lo merito.-

-Se la metti così...- Hawke si strinse nelle spalle. -Mi sono innamorato di Fenris perché è l'unica persona che riesce a farmi fare un discorso completo senza che senta il bisogno urgente di fare una battuta.- rispose, aprendo un bel sorriso tra le labbra. -Ed è l'unico uomo che è rimasto al mio fianco quando gli ho mostrato la mia tristezza. Non ha cercato di togliermela di dosso, o di farne una competizione tra anime ferite... è rimasto e mi ha stretto forte tra le braccia, permettendomi di fare altrettanto.-

Lavellan assunse immediatamente un'espressione madida di tenerezza.

-Ecco quanto. Spero di essere stato esauriente.- concluse Hawke, aprendo i palmi verso il cielo.

-Esauriente e stucchevole.- lo punzecchiò lei, dandogli un buffetto sul braccio.

-Mi sembra giusto.-

-Niente predica, quindi?-

-No, ma tieniti pronta a una cosa molto veloce e molto intensa. In dieci anni, l'unica donna con cui l'ho visto parlare è ancora pietrificata nel centro esatto della Forca.-

Lavellan rimase immobile, a fissarlo con una punta di apprensione nello sguardo. -Queste robe vanno dette all'inizio Hawke, non dopo tre ore di dialogo pesantissime.- lo rimproverò, faticando a trattenere un sorrisetto.

Lui si distanziò dalla balaustra, muovendosi verso l'interno del forte. -Che dire, mi piace chiudere con il botto.- disse, allontanandosi dall'alba con aria soddisfatta.

 

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Capitolo 13
*** Dolore Binario ***


12 - Dolore Binario


La cavalcata da Crestwood fino alle Montagne Gelide fu il viaggio peggiore che Cassandra avrebbe mai affrontato in vita sua e, di conseguenza, il migliore per Varric.

Viaggiare in compagnia di Hawke e dell'uomo che aveva affrontato l'Arcidemone nel Ferelden, durante l'ultimo Flagello, permise a Lavellan di fare una vera e propria abbuffata di informazioni, esplicite e implicite.

Sia Alistair che Hawke, infatti, brandivano uno scudo di comicità in maniera così salda che sembrava impossibile scalfire la loro guardia, il che era estenuante per una persona che cercava di ottenere spiegazioni chiare ed esaustive. Però, il senso dell'umorismo di Lavellan, che era paragonabile a quello di un bambino di sei anni che ride di un cane che fa la cacca in mezzo alla strada, riuscì in qualche modo a introdursi organicamente in quella battaglia di sarcasmo e inappropriatezza, permettendo ai due di annetterla nel loro club esclusivo senza troppi problemi.

-Davvero è più alta di un Qunari?-

Alistair si voltò verso Lavellan, che cavalcava tra lui e Hawke, e le rivolse un sorriso sghembo. -Dipende dal Qunari. È alta...- ci rifletté un istante. -Come se io ti prendessi sulle spalle e ci mettessimo un cappotto lungo, fingendo di essere un adulto per entrare nei posti zozzi.-

-È il gene elfico. Se la nostra anatomia ci permettesse di restare dritti, saremmo più alti di tutta questa gente impilata in una torre.- minimizzò Lavellan, agitando una mano.

-Si, ma io non posso usare la stessa scusa. L'ultima volta che ho controllato, non avevo le orecchie a punta.-

-Sicuro di non avere discendenze elfiche? In cinque giorni non ti ho mai visto fare la barba e hai comunque meno peli in faccia di quanti Solas ne abbia in testa.-

-Ed ecco un'altra insicurezza da aggiungere alla lista.- commentò Alistair, con una nota di rassegnazione nel tono di voce.

-Non tutti gli uomini possono vantarsi di riuscire a crescere una barba folta e perfetta come la mia.- intervenne Hawke, lisciandosi i baffi.

Lavellan si voltò, indicando Blackwall, che guidava il carro alle loro spalle. -E lui, allora?-

-Lui non conta.- decretarono Hawke e Alistair in sincrono. -Quanto ci hai messo per farla crescere, a proposito?- domandò il primo.

Blackwall aggrottò la fronte. -Non lo so, era già così quando avevo vent'anni.- ammise, spostandosi di poco per permettere a Varric di sedersi al suo fianco.

-Se avessi una lista nera di persone da uccidere, tu saresti al primo posto.- lo attaccò Alistair, facendo sghignazzare lui e Sera.

-Lascia perdere questi discorsi, Lav.- si aggiunse Cassandra, dalle retrovie. -Per un fereldiano, la barba è ciò che di più sacro c'è al mondo. Se gli venisse chiesto se resuscitare la santa Andraste o crescere una barba forte e rigogliosa sul mento, un uomo sceglierà sempre la seconda.-

-Sicura di non essere fereldiana anche tu, Cercatrice?- la punzecchiò Varric, assicurandosi uno scappellotto sulla coppa in tutta risposta.

-Smetti di tormentarla, Varric.- lo rimproverò Hawke. -I baffi di dama Pentaghast sono deliziosi!-

Cassandra esalò un lamento di fastidio, in risposta all'ennesima provocazione sul suo aspetto fisico.

-Insomma, l'Eroe del Ferelden è effettivamente alta come la descrivono le cronache.- riprese a dire Lavellan, per evitare che la sua compagna di squadra li buttasse giù da cavallo uno a uno in un raptus piuttosto legittimo.

-Le cronache non le rendono mai giustizia.- suggerì Alistair, sorridendo tra sé e sé.

-A chi lo dici.- aggiunse Hawke, scambiando con Varric un'occhiata d'intesa.

-In realtà, la descrizione del Campione nell'Epopea è piuttosto accurata.- disse Cassandra, agognando vendetta. -Pancetta compresa.-

-Sono addominali.-

-E la faccia costantemente sporca di cibo.-

-Se non mangiassi in grandi quantità, smetterei di crescere e diventerei piccino come Varric.-

Alistair gli scoccò un'occhiata scettica. -Non funziona proprio così, lo sai?-

-Funziona come lo dico io.- tagliò corto Hawke. -Chi è che fa la conta delle insicurezze, a proposito?-

Il Toro, dal vagone del carro, alzò pigramente la mano. -Per ora il Mezzelfo è in testa.-

-Sei tu il Mezzelfo.- suggerì Hawke, sporgendosi verso Alistair.

-Per l'ennesima volta: se fossi un Mezzelfo eviterei di fracassarmi il mignolino sugli spigoli quando mi alzo in piena notte per andare al bagno.-

-Essere Mezzelfi è unicamente una questione di sangue. I tratti fisici non si ereditano.- spiegò Lavellan. -Sei comunque più suscettibile alla magia e sogni vividamente.-

-Corretto.- intervenne Solas, che cavalcava al fianco di Cassandra. -Il legame tra un Mezzelfo e l'Oblio è molto più forte di quello che avrebbe un Umano. È riportato che Mezzelfi con genitori nanici riescano persino a interagire con l'Oblio durante il sonno, anche se in maniera frammentaria.-

-Interessante.- commentò Dorian,, accarezzandosi il mento. -Quindi l'eredità elfica passa comunque al figlio, ma in maniera meno evidente.-

-Ci sono tanti Mezzelfi, nel Tevinter?- domandò Alistair.

-Metà della popolazione, probabilmente.- replicò Dorian. -Ecco spiegato perché i Maghi con discendenze elfiche hanno un'affinità con la magia molto più istintiva.-

-Esistono Mezzelfi anche tra i Qunari.- si aggiunse il Toro, che sedeva di fronte a lui. -Ma questa è la prima volta che sento una cosa del genere.-

-Considerato il modo in cui trattate i vostri Maghi, se fossi un Mezzelfo nel Qun preferirei tenermi certe informazioni per me.- disse Dorian.

-Il bue che parla male dell'asino.- borbottò Hawke.

-L'asino che parla male del bue.- lo corresse Dorian, rivolgendogli un'occhiata eloquente.

-Capita? È una combinazione di insulti nei miei confronti, perché sono grosso e cornuto.- aggiunse il Toro, sorridendo maliziosamente. Dorian ricambiò.

-L'avevamo capito.- brontolò Varric. -Piuttosto, come sono messo nella classifica, Piccoletto? Sono sopra o sotto la Cercatrice?-

-Questo dipende da come finirà il tuo nuovo libro.- rispose Lavellan, anticipando Hawke di un millesimo di secondo. Quello, colpito dalla prontezza della sua compagna di viaggio, si sporse dal cavallo per appoggiare le nocche sulla sua spalla in segno d'approvazione.

-Ti ci metti anche tu, adesso?- si lamentò Cassandra.

Lavellan indicò prima Alistair, poi Hawke. -Sono tra celebrità, Cas, devo fingermi una persona divertente per sentirmi parte del gruppo.-

-La benedizione magica che ti ha dato Andraste in persona non è abbastanza?- domandò Alistair, divertito.

-Magari alle feste.-

Cassandra alzò gli occhi al cielo, mentre Varric agitava una mano in direzione del Toro per incitarlo a rispondere.

-Sei molto sopra.- rispose quello. -Lei è una habituée delle ultime posizioni, scalzata unicamente dall'Inquisitrice e da madame Vivienne.-

-Com'è che sono sotto Cassandra?- domandò Lavellan, ridendo nervosamente. -Se c'è una persona con un minimo di stabilità, in questo circo, quella è lei.-

Il gruppo intero si soffermò a fissarla con aria confusa.

-Te la stai giocando male, Manina.- le suggerì Varric.

-Perché, devo fare finta di avere sempre tutto sotto controllo?-

-Non è quello che fai di solito?-

Lavellan fu pronta a dissimulare. -Sono brava a improvvisare, tutto qui.- rispose, ostentando indifferenza. In cuor suo, però, sapeva che non era il caso di articolare.

-Non ho detto che sei scevra di insicurezze, ho detto che non ne hai abbastanza da guadagnarti i posti più alti della classifica.- articolò il Toro. -Sei la meno incasinata di tutti, qui dentro, a parte madame Vivienne, ovviamente.-

Quella, sentendosi presa in causa, passò uno sguardo veloce sul gruppo. -Scusate, fantasticavo su quanto sarebbe bello trovarsi in tutt'altro posto in compagnia di tutt'altre persone.- disse, per poi tornare a farsi gli affari suoi.

-Insomma, è lui il confessore del gruppo.- ipotizzò Hawke.

-No, è solo una spia Ben Hassrath incapace di farsi gli affari suoi.- gli suggerì Dorian.

Hawke sollevò le sopracciglia sopra un'espressione sorpresa. -Siete effettivamente incasinati, allora.- affermò.

-Vuoi sapere una cosa che ti incasinerà l'esistenza ancora di più, Dorian?- fece il Toro, con un sorriso sornione. -Sei due posizioni sopra Cullen.-

Dorian sgranò gli occhi, facendoli scattare immediatamente verso Vivienne. -Posso approfittare della tua ospitalità e dissociarmi anch'io?-

Lei lo squadrò eloquentemente. -No.- rispose, asciutta.

Hawke scoppiò a ridere sonoramente, mentre Alistair scuoteva la testa, con in viso un gran sorriso rassegnato.

 

Nello scorgere il profilo di Skyhold all'orizzonte, Lavellan si sentì pervadere da un gran senso di conforto. Sfortunatamente durò poco, perché venne assalita dalla consapevolezza di dover ritornare a chiudersi nella sala di guerra a prendere decisioni difficili e sedare i pareri forti di tre persone profondamente diverse. E quell'idea la colpì direttamente sullo stomaco con la stessa intensità della cornata di un druffalo imbizzarrito.

-Pesante è la testa che regge la corona.- commentò Hawke, notando il viso di Lavellan trasformarsi da lieto a una maschera di fastidio. -Guarda il lato positivo, almeno adesso potrai smettere di struggerti e passare direttamente ai fatti.-

-Si strugge?- domandò Alistair, interessato.

-Oh, se si strugge!-

-Sono qui, eh, se non ve lo foste dimenticato.- bofonchiò lei.

-Scusa, ti avevo persa di vista per un istante. Colpa del gene elfico.- la prese in giro Alistair, per poi voltarsi verso il sentiero in salita che conduceva ai cancelli della fortezza.

Lavellan attraversò il portale per prima, accolta dalla curiosità degli ospiti e dai sorrisi di chi aveva sentito delle imprese dell'Inquisitrice a Crestwood. Espugnare una fortezza in meno di due ore, salvare un intero villaggio dalla distruzione e sconfiggere un drago senza battere ciglio; sembravano storie inverosimili, ma la gente non poteva fare a meno di crederci, perché sapeva di che pasta era fatta colei che le aveva compiute.

Lavellan scese da cavallo, affidando le redini al mastro stalliere, poi prese un respiro profondo e fece vagare uno sguardo trasognato sul cortile.

Quando notò Cullen scendere di corsa le scalinate che conducevano al mastio, perse immediatamente il buonumore. Normalmente, sarebbe stata felice di vederlo, ma l'espressione che indossava era presagio di notizie terribili. La sua faccia, infatti, era sconvolta dalla serietà, mentre la raggiungeva per appoggiarle una mano sulla schiena.

-Non posso lasciarvi soli un istante.- commentò lei, ancor prima che il nuovo arrivato potesse aprir bocca, o prenderla da parte.

Cullen sollevò lo sguardo verso il gruppo, contraendo le palpebre nell’accorgersi di Alistair. Quello fece altrettanto, fallendo nel riconoscerlo.

-Fare un sorriso ogni tanto ti farebbe bene.- intervenne Hawke, scorrendo un'occhiata incerta sui suoi lineamenti.

Cullen lo ignorò. -Devi seguirmi, è urgente.- mormorò, chinandosi su Lavellan per consegnarle un foglio di pergamena. -Riguarda il tuo clan.-

Lei abbandonò la voglia di scherzare all’istante. Gli strappò il foglio di mano, lo lesse velocemente, quindi seguì Cullen a passo svelto fino alla sala del consiglio, dove Leliana e Josephine li stavano aspettando, con un alone di nervosismo che macchiava l'atmosfera attorno a loro.

Nessuno si perse in convenevoli.

-Opzioni.- disse Lavellan, affacciandosi al tavolo tattico con decisione.

-Siamo d'accordo che non si tratta di un semplice gruppo di banditi.- iniziò Josephine. -E il fatto che la presenza di una forza armata sia sfuggita al duca di Wycome è quantomeno sospetto.-

-Abbiamo un avamposto a poche miglia di distanza, possiamo intervenire.- suggerì Cullen, appoggiando le mani sul tavolo nello sporgersi verso Lavellan.

-Vorrei ricordarvi che il duca è un nostro alleato. Va usata cautela.- precisò Josephine, mettendo le mani avanti. -Chiediamogli assistenza e chiarimenti.-

Leliana si carezzò il labbro inferiore con l'indice, pensierosa. -Potremmo mandare un gruppo di pattuglia a creare una distrazione affinché i tuoi si ritirino, mentre indago sulla situazione.- propose, con voce sommessa. -Come ha detto Josephine, è tutto troppo sospetto.-

Lavellan, rigida come una lancia, piantò lo sguardo sul segnalino posizionato sopra la città, faticando a trovare la concentrazione necessaria per analizzare la situazione razionalmente. La linea tra le tre soluzioni era offuscata, perché la sua mente iperattiva stava trascinando l'opzione logica da una parte all'altra per colpa del suo attaccamento alla questione, lasciando una scia di insicurezza al suo passaggio.

-Quanto tempo ci vorrebbe per raggiungerli, da Skyhold?- chiese, istintivamente.

-Non abbastanza perché sopravvivano al tuo arrivo.- rispose Leliana, intuendo il pensiero che passava nella testa di Lavellan. Quest'ultima le assestò un'occhiata patibolare, ma si impedì di impuntarsi, perché sapeva che l'intervento della sua collega avrebbe potuto essere una potenziale freccia nella direzione giusta.

-In ogni caso, la tua partenza per le Valli è prevista tra meno di una settimana.- intervenne Josephine, supportando la risposta di Leliana. -Dobbiamo rendere stabile la regione dagli squarci, tempestivamente.-

-Non serve che me lo ricordi.- affermò Lavellan, senza nemmeno guardarla. Rifletté attentamente per un minuto esatto, soppesando le azioni nella sua testa, poi sollevò lo sguardo su Cullen. -Mobilita le truppe.-

Lui, che era già pronto, drizzò la schiena e si diresse di gran carriera fuori dalla sala del consiglio.

Per un tempo che a tutti parve infinito, Lavellan rimase immobile a fissare la mappa con tanto d'occhi, poi prese un bel respiro, rivolgendosi alle sue colleghe, che la guardavano con aria tesa. -Già che sono qui, aggiornatemi sulla situazione.- demandò, avida di entusiasmo.

 

*

 

Josephine accompagnava Cullen attraverso i camminamenti del muro meridionale di Skyhold, approfittando della frescura serale per rigenerare le energie dopo una giornata decisamente troppo lunga e troppo pesante. Gli riferiva i punti salienti di un resoconto dei giardini risalente al giorno precedente, per evitare di entrare in merito a questioni troppo personali, con la speranza di smorzare la tensione che gravava sulle loro spalle.

Cullen apprezzò il gesto più di quanto non diede a vedere, cercando di contribuire regolarmente alla conversazione, senza perdere il filo del discorso nemmeno una volta.

Nonostante si stesse impegnando alacremente per evitarlo, arrivò il momento in cui la sensibilità di Josephine ebbe la meglio e lei non ebbe altra scelta se non quella di esprimersi. Si lisciò il mantello sulle spalle, per proteggere la piega dal vento, poi esalò un sospiro nervoso. -Leliana mi ha detto che non ha ancora lasciato le sue stanze.- gli rivelò.

Cullen serrò la mascella, rivolgendole un'occhiata preoccupata.

-So che dovremmo lasciarla riposare, dopo il viaggio, ma allo stesso tempo mi chiedo se non sia meglio offrirle una spalla su cui appoggiare la testa.- proseguì Josephine, raggiungendo la merlatura esterna per sfiorarla con le dita. Osservò le montagne arrossire, baciate dal sole che calava, poi si umettò le labbra, chinando la testa. -Se fossi nella sua stessa situazione, non so proprio cosa farei.-

Cullen la raggiunse, appoggiandosi a un merlo nello spiare l'orizzonte. -Potrei dirti quello che ho dovuto fare io, durante il Flagello, ma non ti sarebbe di nessuna consolazione.- ammise. -Vorresti andare a parlarle?-

-Tu no?-

Cullen deglutì una risposta schietta in tempo per evitare di sbottonarsi troppo. -Lo farò, a tempo debito.- disse, invece. -Per una volta che si affida al mio consiglio, vorrei ritornare da lei con una vittoria.- appoggiò istintivamente una mano sull'impugnatura della spada. -Ironico.- aggiunse, sottovoce.

-Come?-

-Dico che è ironico che per una situazione così delicata si sia affidata a me e non a voi due. Di solito la sua adorata "soluzione logica" si trova sempre tra le vostre mani.-

Josephine inspirò profondamente l'aria di montagna, esalando un lungo respiro. -Non sempre, a quanto pare.- disse. Indietreggiò di un passo, poi rivolse un sorriso moderato al collega, chinando appena la testa. -In bocca al lupo.-

Lui le rivolse un cenno composto a sua volta. -Che il mabari gli morda la coda.- replicò, per poi incamminarsi verso il suo ufficio.

Una volta di fronte alla porta, Cullen si voltò in direzione della grande torre settentrionale, soffermandosi a osservare il profilo della terrazza che abbracciava le stanze personali dell'Inquisitrice. Se però di solito sorrideva all'idea che i loro sguardi potessero incrociarsi nella distanza, in quel momento non gli veniva proprio di farlo.

Entrò nella stanza con un gran peso al cuore, muovendosi lentamente verso la sua scrivania. Immediatamente, si rese conto che qualcosa non quadrava. La sua poltrona era in una posizione diversa da dove l'aveva lasciata e il tappeto, da quel lato, era intriso di impronte fangose.

Trattenne il fiato, mentre sguainava la spada nell'aggirare la scrivania con circospezione, tenendosi abbastanza distante da essa per evitare che qualsiasi cosa si fosse rintanato sotto potesse balzare fuori e sorprenderlo.

Quando però arrivò alle spalle del mobile, il cuore gli scivolò tra le caviglie. Rinfoderò la spada e si accucciò, con aria preoccupata.

Lavellan era rannicchiata sul fondo, come una piccola cosa. Vestiva ancora l'armatura media che aveva portato durante il viaggio di ritorno da Crestwood, compresa di accessori ed equipaggiamento, segno che non fosse mai arrivata nelle sue stanze. Avvolgeva l'elmo dell'Inquisitore tra le braccia, come se si trattasse di un oggetto di conforto. I suoi occhi erano gonfi e arrossati su un viso sporco di polvere e residui di trucco, ma anche graffiato da solchi umidi e brillanti che si nascondevano con poco successo tra le ramificazioni dei suoi Vallaslin.

Si voltò lentamente verso Cullen, con il capo che dondolava dal dolore e dalla stanchezza, quindi si pulì le guance con il dorso della mano.

Lui si sporse nella sua direzione, reggendosi sul bordo della scrivania. -Lavellan.- esalò, tristemente intenerito da quell'immagine.

-Non è un cognome.- disse lei, con voce flebile e rauca. -È il nome del mio clan.-

Cullen strinse le labbra, indeciso su cosa dire.

Lavellan lasciò ricadere il capo all'indietro, appoggiandosi al legno con la nuca. -Me lo sono fatta piacere, perché il mio lavoro qui li rappresenta. Il mio clan mi ha dato alla luce e mi ha aiutata a diventare la persona che sono adesso. Semmai risultassi una brava Inquisitrice, alla fine di questo percorso, lo dovrei al modo in cui mi hanno cresciuta.- detto questo, singhiozzò, contraendo il viso in una maschera di dolore. -Ma non lo sono. Ho lasciato che la paura mi sconvolgesse e ho preferito la via più sicura a quella più intelligente.-

Cullen lasciò la presa, decidendo di scivolare al suo fianco, sotto al mobile. -Perché la via intelligente non è necessariamente la via più sicura. Possiamo investigare in un secondo momento. Ora, la cosa più importante è metterli in salvo.- affermò. -Chambreterre è una dei miei migliori ufficiali, Ankh. Porterà a casa una vittoria, te lo giuro sul mio onore.-

Lei non disse nulla, prendendo a fissare un punto non specificato sopra di sé. Rimase in silenzio a lungo, poi chiuse gli occhi, esalando un sospiro stanco. -Sai perché ho scelto i Vallaslin di Falon'Din, all'epoca? Almeno, sai chi è Falon'Din?-

Lui le mostrò un'espressione a mezza via tra il desolato e l'incerto.

-Il Nume della morte e della fortuna, intesa come sorte.- spiegò lei, senza fargli pesare la sua ignoranza. -Quando uno di noi muore, preghiamo che Falon'Din lo guidi con mano sicura attraverso l'Oblio.- fece una pausa, per spostarsi i capelli dal viso e mostrargli l'intricato disegno dei suoi Vallaslin. -La quercia. Noi i nostri morti li doniamo alla terra assieme a un ramo di quercia per evitare che si perdano durante il cammino. Essa è il legame tra il mondo fisico e l'aldilà, perché le radici sono profonde e i suoi rami toccano il cielo, tra le altre cose.- lasciò ricadere i capelli sulla fronte, per ritornare ad accarezzare il metallo dell'elmo. -Senza la guida Falon’Din, è l’unico modo per arrivare sani e salvi a destinazione.- fece una pausa, scorrendo uno sguardo smarrito sul suo riflesso distorto, prima di proseguire.

Cullen le circondò le spalle con un braccio, protendendosi verso di lei, in ascolto.

Lavellan cercò il contatto visivo, che scinse subito dopo essersi resa conto del bagaglio di conforto che le veniva offerto. Era troppo pesante da gestire, anche se si era trascinata lì per quello. -Dall’alto della mia vanità, ero certa che il mio compito fosse quello di guidarli verso la salvezza, prima di affidarli a Lui. Sai di cosa sono in grado, vhenas. Se non io, chi altro?-

Cullen diede un cenno d’assenso, senza rifletterci troppo.

-Anche se non sapevo cosa comportasse, perché ero troppo piccola per capirlo, con il tempo mi sono sempre affidata a Lui e ogni perdita, ogni dolore… tutto sembrava avere un senso.- tirò su con il naso, coprendosi gli occhi con una mano tremante. -Anche adesso dovrebbe consolarmi e invece...- fece una pausa. -È come se mi stessero strappando l'anima dal corpo.- ammise, con la voce talmente distorta dal dolore che le sue parole facevano fatica ad assumere una forma. -Che cos’ho fatto di sbagliato? Perché mi sta mettendo alla prova?- strinse i denti, bloccando un lamento in gola, prima di tornare a sfogarsi. -Perché stavolta non riesco a passare oltre? Perché non riesco a trovare un senso a quello che è successo?- gemette, annaspando per potersi aggrappare a qualsiasi cosa apparisse ragionevole. -Io… non… io ho fatto tutto quello che mi ha chiesto.- si coprì il viso, premendo le mani su di esso per impedire al dolore di uscire, infettando la percezione che il mondo aveva di lei. Una volta che il pianto nervoso l’ebbe trascinata in uno stato di profonda stanchezza, Lavellan approfittò della tregua e chiamò a sé quell’ultimo brandello di compostezza che le restava. -Mi vuole qui.- disse, imponendosi di non cedere di nuovo alla straziante confusione che la annebbiava la testa.

Cullen aggrottò la fronte, preoccupato. -Qui?- mormorò, carezzandole il capo con gentilezza.

Lavellan cercò di regolarizzare il respiro per molto tempo, infine allungò lo sguardo verso l'alto. -I gufi.- sussurrò, a occhi chiusi, appoggiando la guancia sulla mano che la stava consolando.

Il pollice di Cullen intercettò una lacrima, disperdendola, mentre lui osservava Lavellan con aria triste.

Lei singhiozzò di nuovo, per poi aggrapparsi al suo polso faticosamente. La qualità dell’occhiata che gli lanciò fu più eloquente di qualsiasi richiesta d’aiuto.

Cullen annuì, appoggiando il mento sulla sua fronte nell'avvolgerla in un abbraccio. -Conta su di me.- affermò, abbandonando istantaneamente la tristezza per indossare la determinazione.

 

Le torce stavano venendo via via accese lungo le mura mentre Cullen usciva dal suo ufficio.

Si richiuse la porta alle spalle, dando un giro di chiave per evitare che qualche messaggero entrasse all'improvviso, poi si inoltrò nel camminamento che collegava la caserma al mastio, muovendosi con decisione.

Nel vederlo entrare nel suo studio di gran carriera, Solas lo accolse con un sorriso composto, che si trasformò in curiosità quando realizzò che, invece di dirigersi verso il salone si stava muovendo verso la biblioteca. -Posso aiutarla, Comandante?- gli domandò.

Cullen si fermò di colpo, rendendosi conto solo in quel momento della sua presenza. Esitò, poi scosse semplicemente la testa.

Solas alzò le mani in segno di resa, poi recuperò un libro dalla sua scrivania, fingendo di interessarsi esclusivamente a quello, mentre il suo ospite temporaneo si allontanava dal suo studio. Una volta che fu distante, alzò il capo verso l'impalcatura che sfruttava per dipingere, rivolgendo le sue perplessità verso di essa.

Cole, le gambe a penzoloni, gli rivolse un'occhiata vacua e acquosa. -C'è grande sofferenza nel cuore dell'Inquisitrice.- disse, sommessamente. -Rabbia. Fame. Senso di incompletezza. Paura di rivolgere le sue speranze a chi la sta mettendo alla prova.- fece una pausa. -La sua anima è divisa. È qui, intrappolata nel caos, e allo stesso tempo vorrebbe essere con loro. Dov’è vhenas ?-

Solas ci rifletté attentamente. -Il suo clan è in pericolo?- domandò.

Cole si limitò a far dondolare le gambe, nascondendo la sua esile figura con la tesa del cappello. Solas rimase a fissarlo a lungo, corrucciato, poi annuì. -È in buone mani.- disse, secco.

-Lo dici come se cercassi di rassicurare te stesso.- commentò Cole.

Solas si passò una mano sul braccio, nervosamente, poi gli rivolse un sorriso tirato. -Già.- affermò.

 

Nel frattempo, Cullen aveva raggiunto la cima delle scale, sporgendosi al di là della porta con fare guardingo, nell'accarezzarne la cornice. Quando finalmente intravide Dorian, che sistemava in uno scaffale la pila di libri che teneva tra le braccia, si affrettò a raggiungerlo.

Dorian, notandolo con la coda dell'occhio, si voltò appena nella sua direzione con aria stanca. -Non ho intenzione di chiederti una rivincita, se è per questo che sei venuto fin qui.- disse, continuando nel suo lavoro di archiviazione.

Cullen si portò vicino, appoggiando le mani sui fianchi. -No, non sono qui per quello.- sussurrò, guardandosi attorno con circospezione.

Dorian inarcò un sopracciglio, passando le dita sulla costa di uno dei libri che stava reggendo, prima di riporlo. -E cosa vorrebbe mai da me il prode comandante dell'Inquisizione, allora?- domandò, enfatizzando eccessivamente sull'aggettivo.

Cullen aspettò che un Mago libraio passasse loro di fianco, poi si avvicinò a Dorian maggiormente. -Ho bisogno del tuo aiuto.-

-L'avevo intuito, non sono come i beoti di cui ti circondi.- rispose Dorian, prestandogli finalmente attenzione. Gli rivolse uno sguardo incerto, allegandoci un sorrisetto. -Francamente, speravo di non dover tirare a indovinare. Quando un uomo per bene come te mi chiede un favore, di solito concerne il sesso extraconiugale, la negromanzia, o peggio: l'interior design.-

Cullen ignorò la provocazione, preferendo evitare di allungare una conversazione già di per sé spiacevole. -Riguarda lei .- precisò.

Il sorriso di Dorian scemò, lentamente, abbandonando il suo viso assieme alla voglia di scherzare.

-Non sta bene.- sussurrò Cullen, portandosi talmente vicino da essergli quasi a ridosso. -Non posso dirti cos'è successo, perché me ne sto occupando io.- fece una pausa, voltandosi brevemente altrove. -Ma ci sono cose che non posso e non voglio fare, anche se ne avrebbe bisogno.-

Dorian appoggiò i tomi rimasti su un tavolo, con cautela, poi si sporse nella direzione del suo interlocutore, per poter mantenere a sua volta un tono di voce moderato. -Non sarebbe più indicato rivolgersi a Cassandra, visto il loro legame?-

Cullen scosse la testa. -So cosa vuol dire sentirsi così male da provare vergogna per i propri sentimenti.- disse, con una nota d'urgenza. -In questo momento non ha bisogno della forza per rimettersi in piedi. Ha bisogno di qualcuno che la faccia sentire a suo agio con il suo dolore e penso che non esista persona più indicata di te, per aiutarla.-

Dorian scorse uno sguardo critico sul suo viso. -Cosa devo fare?- gli domandò.

L'espressione di Cullen si tinse di sollievo. -Ce la fai a entrare nelle sue stanze e a recuperare un cambio di vestiti?-

Dorian sputò un gemito sprezzante, agitando una mano tra loro con noncuranza. -E io che pensavo chissà cosa! C'è altro?-

Cullen gli diede una pacca sul braccio, in segno d'approvazione. -Quando hai finito, bussa cinque volte alla porta settentrionale del mio ufficio. Io andrò a recuperare qualcosa da mangiare.- fece una pausa. -Sii discreto, mi raccomando.-

-Non è il mio primo giro.- replicò Dorian, afferrando una tracolla per svuotarla del suo contenuto. -Tu, piuttosto, datti una calmata. L'Usignolo è sul suo trespolo.-

Cullen sollevò lo sguardo, trovando la conferma delle sue parole nell'incrociare il sorriso di Leliana, appoggiata alla balaustra della piccionaia. La salutò con un cenno del capo, poi si voltò verso Dorian, che gli stava porgendo un libretto che aveva appena estratto dalla borsa. -Non ho idea di cosa sia ma... ecco ciò che mi hai chiesto, Comandante.- disse, alzando lievemente la voce nel pronunciare l'ultima frase. -Sfoglialo brevemente, prima di andartene e fai finta di leggerlo finché non sei sicuro che non ti stia guardando più.-

-"La vedova lasci..."- Cullen gli rivolse un'occhiataccia. -Sul serio?- gemette, sventagliando l’oggetto bruscamente.

Dorian fece spallucce. -Se ti avessi prestato un Genitivi non sarebbe stato altrettanto credibile.- affermò, per poi dileguarsi.

 

Cullen aveva appena fatto in tempo ad appoggiare una scodella di minestrone sulla sua scrivania quando sentì Dorian bussare al suo ufficio.

Si precipitò ad aprirgli, tenendogli la porta finché non fu entrato. -Un signore.- commentò l’ospite, in risposta alla gentilezza. Fece un giro su se stesso, incuriosito da quello spazio nuovo, assumendo una nota di disappunto quando il suo sguardo raggiunse la scrivania. -Potevi prenderle qualcosa di più sostanzioso, almeno!- lo rimproverò.

Cullen lo ignorò, facendogli cenno di seguirlo al piano di sopra. Dorian lasciò che lo precedesse di qualche passo, poi salì la scala a pioli, con decisione.

Una volta a destinazione, Cullen cercò il profilo di Lavellan con lo sguardo. Prima di lasciare la stanza, l'aveva aiutata a sistemarsi a letto, coprendola a modo e restando seduto al suo fianco finché non l'aveva vista chiudere gli occhi. In quel momento, però, il letto era vuoto e le coperte erano state trascinate a terra. Lavellan, invece, era rannicchiata a ridosso di un angolo, con il viso rivolto al muro e l'elmo ancora stretto tra le braccia. La luce soffusa della lanterna a olio appoggiata sul comodino illuminava fiocamente la curva della sua schiena, accentuando lo stato pietoso in cui versava.

Alle spalle del padrone di casa, Dorian si ritrovò ad aggrottare la fronte su un'espressione incredula.

Cullen, che si era avvicinato a lei, si chinò e appoggiò una lieve carezza sul suo viso, ricevendo uno sguardo smarrito in tutta risposta. La rassicurò con un sorriso gentile, avvolgendole la coperta sulle spalle. Una volta sistemata in modo che non soffrisse il freddo, voltò il capo in direzione di Dorian, che aveva appena appoggiato la borsa sul letto. Ne aveva estratto una bottiglia di vino, che stappò, poi fece cenno a Cullen di spostarsi. -Non è per lei, tranquillo. È la mia cena.- precisò, intercettando un'occhiataccia. -Ora togliti dai piedi, di grazia. Le cose che abbiamo da dirci non sono affar tuo.- aggiunse, invitandolo ad alzarsi con un cenno sbrigativo.

Cullen esitò per un solo istante, il tempo di rendersi conto che lo sguardo stanco di Lavellan non cercava più il suo alla ricerca di una spiegazione, ma viaggiava verso Dorian assieme alla supplica di raggiungerla il prima possibile. Sapere di aver fatto la cosa giusta, gli permise di fare un passo indietro e lasciarla nelle mani di una persona di cui lei si fidava.

Raggiunse l'ultimo gradino della scala con la scena di un abbraccio disperato impressa nelle retine.

 

Seppure avesse la testa altrove e passasse la maggior parte del tempo con lo sguardo attaccato al soffitto, Cullen riuscì comunque ad adempiere alle responsabilità che caratterizzavano il suo ruolo, finendo prima della mezzanotte gran parte del lavoro che aveva accumulato nelle ore precedenti.

Dopo aver smaltito la corrispondenza arretrata, decise di uscire dal suo ufficio giusto un istante, per riprendere fiato prima di ritornare a concludere il lavoro. Si soffermò a osservare la volta stellata con occhi stanchi, incrociando le braccia al petto nel sollevare il mento alla ricerca della luna.

Con la coda dell'occhio, notò una ragnatela di luci che si disperdevano dalla cima della torre di guardia orientale fino allo spiazzo di scambio dei camminamenti. Localizzata in direzione delle luci, viaggiava una cacofonia di risate e canti fereldiani che, per un attimo riportarono Cullen tra le mura della fortezza di Kinloch, assieme allo spettro dei suoi confratelli.

Riconobbe la voce di Hawke, che intonava il ritornello del Mabari di Andraste con la sua profonda voce baritonale e sorrise istintivamente, nel sentire che chiunque stesse partecipando a quella riunione conosceva le parole. Anche lui le conosceva, ovviamente, anche se la Chiesa scoraggiava i suoi Templari a imparare sciocche canzoni popolari, in virtù dei canti approvati dalle Gran Sacerdotesse.

"...Dicono che il Creatore l'abbia reso speciale, leale e fedele, mai borioso, affinché fosse compagno per sempre della santa sposa del Creatore."

-Compagno per sempre della santa sposa del Creatore.- canticchiò, sorridendo alla vista di Hawke che saliva su una cassa, improvvisandosi direttore d'orchestra. Quando la canzone finì, il pubblico esplose in un applauso, assieme alle grida di chi aveva bevuto troppo e alle risa di chi aveva piacere di un bis.

Hawke si inchinò profondamente, poi fece per scendere dalla cassa, ma si fermò all'ultimo secondo, notando di essere osservato. Allora, eseguì un saluto militare molto poco credibile e agitò una mano nel rivolgere un gestaccio all’osservatore. Cullen ricambiò, alzando un palmo per deflettere l’offesa, poi rientrò nel suo ufficio, con l’accenno di un sorriso dipinto sulle labbra.

Si richiuse la porta alle spalle proprio mentre Dorian scendeva l'ultimo gradino della scala a pioli, con il viso ebbro di stanchezza.

I due si scambiarono una lunga occhiata, poi Dorian si mosse verso la scrivania, appoggiandoci la ciotola, piena per metà, e la bottiglia vuota. -Dorme.- dichiarò, abbandonandosi a sedere sulla sedia che Cullen aveva recuperato per lui qualche ora prima.

-Com'è andata?- chiese il padrone di casa, a bassa voce.

Dorian allacciò le caviglie sul bordo della scrivania, appoggiando i gomiti sui braccioli della sedia. Si passò una mano sulla fronte, poi sospirò rumorosamente. -Ci siamo fatti coraggio e abbiamo esplorato un po' di traumi insieme. A quanto pare, ne avevo bisogno anch'io.- fece una pausa, per recuperare la tranquillità necessaria a proseguire nel dialogo. -Hai da bere qualcosa che non sia acqua benedetta?-

Cullen spostò uno sguardo indeciso tra il Mago e la bottiglia vuota, poi lo assecondò, perché anche lui sentiva il bisogno di riscaldarsi la gola. Recuperò un fiasco da un ripiano della libreria e riempì due bicchieri di liquore.

Una volta sedutosi, sollevò il suo e il suo ospite fece altrettanto, nel condividere un brindisi silenzioso.

Dorian si bagnò le labbra, poi osservò il liquido ambrato che gli era stato offerto, colpito. -Sei un uomo pieno di sorprese, Comandante.- mormorò, rauco.

-Se mi conoscessi davvero, non ti sorprenderesti più di tanto per queste inezie.- commentò Cullen, con una nota di rimprovero nel tono di voce.

-Mi sembra ovvio. Così come mi sembrava ovvio che non ci fosse l’interesse di esplorare una conoscenza reciproca, da entrambe le parti.-

Cullen gli rivolse un'occhiata eloquente. -Sono un fereldiano vecchia scuola, ex-Templare, per giunta. L'unica cosa che odiamo di più del Tevinter sono gli orlesiani.-

-Chi è che non odia gli orlesiani?- domandò Dorian, proponendo implicitamente un altro brindisi che venne contraccambiato subito. Bevve un sorso di liquore, poi si schiarì la voce. -Immagino che non salirai a controllare la situazione, stanotte.-

Cullen scosse la testa. -Resterò nei paraggi, nel caso avesse bisogno di aiuto, ma vorrei evitare di metterla più in difficoltà di quanto già non lo sia.- rispose.

Dorian inclinò la testa, rivolgendogli un'occhiata scettica. -Non è una donzella in pericolo.-

-No, ma è la donna...- Cullen si impedì di proseguire, serrando la mascella. -Lo so che non ha bisogno di essere protetta e che è consapevole che qui non corre nessun pericolo. Sto rispettando i confini, ecco quanto.- aggiunse, dopo un po'.

Dorian esalò un lamento con una distinta sfumatura sprezzante. -Hai permesso a un estraneo (di cui sospetti, tra l'altro) di stare ore da solo con lei a parlare di sentimenti e ad aiutarla a cambiarsi... e mi vieni a parlare di confini?- scosse la testa. -Siamo un po' incoerenti, o sbaglio?-

Cullen scacciò l'accusa con un cenno sbrigativo. -Non sei un estraneo a caso: sei la persona di cui aveva più bisogno.- disse, tranquillamente. -Un amico.-

-Mi risulta che sia venuta da te, però.-

-Perché sapeva che avrei fatto la cosa giusta.-

-E perché non è andata dritta da Cassandra? Anche lei ha a cuore i suoi interessi e le vuole bene.-

-Sì, ma lei non...- Cullen spalancò lo sguardo, in piena illuminazione. -...è innamorata di Cassandra.-

Dorian gli rivolse un sorriso accennato, sollevando il calice per la terza volta. -Benvenuto nel mondo dei vivi, dolce fiorellino campestre.- commentò, prima di finire il drink in un sorso.

Cullen gli indicò il soffitto con enfasi, poi si appoggiò l'indice al petto, con un palese interrogativo nello sguardo.

Dorian rimase immobile a fissarlo, con una punta di rassegnazione.

-Allora non è una delusione!- gemette Cullen, afflosciandosi sulla sedia.

Dorian gli porse il bicchiere vuoto, mettendosi in piedi per congedarsi. Aspettò che Cullen si alzasse a sua volta e raccogliesse il contenitore, prima di rivolgergli un sorrisetto tinto di compiacimento.

L'altro si passò una mano dietro al collo, in evidente imbarazzo. -Grazie di non avermelo detto.- mormorò.

Dorian aprì le mani verso il soffitto, fingendo noncuranza. -Dovevi arrivarci da solo, ma se avessi continuato con la tua andatura avresti finito per rendertene conto il giorno del mai.- fece, aspettando di farsi aprire la porta, prima di muoversi verso l'esterno.

-Insomma, stanotte mi hai fatto due favori enormi.- borbottò Cullen, appoggiando le mani sui fianchi. -Cosa mi toccherà fare, in cambio?-

- Un favore.- precisò il suo interlocutore, scorrendo uno sguardo divertito sul suo viso. -L'altro era un dovere che avevo nei riguardi dell'Inquisitrice, da amico.-

Cullen gli rivolse un mezzo sorriso. -Sei un brav'uomo, Dorian.- affermò.

-Lo so. Non mi serve il beneplacito di un'autorità competente.-

-No, ma la prossima volta che mi farò spedire del West Hill, te ne terrò da parte qualche bottiglia.-

Dorian sollevò l'indice di fronte a sé, assestandogli un'occhiata macchiata di rimprovero. -Cassa.- lo corresse.

Cullen lo guardò di sottecchi. -Non esageriamo, adesso.-

Dorian alzò le mani in segno di resa, voltandosi per ritornare nel suo alloggio. -Ci ho provato.- disse. Cullen lo osservò allontanarsi, assicurandosi che raggiungesse il mastio in sicurezza, prima di rientrare.

Si sedette comodamente nella sua poltrona, recuperando il bicchiere di brandy nel sollevare lo sguardo verso il soffitto. Nonostante Dorian gli avesse confermato una verità dolcissima, seppure per vie traverse, non riusciva comunque a smettere di pensare al senso di solitudine che doveva provare Lavellan, in quel momento.

I suoi compatrioti festeggiavano ancora, così vicini a lui che poteva sentire distintamente la voce di Hawke rimbombare tra le pareti del suo ufficio. Stavolta, aveva scelto di cantare una canzone triste, di guerra e di speranza. Una flotta di navi bianche veleggiava verso l'orizzonte, dando le spalle al porto di Gwaren, abbandonato dal suo teyrn e sopraffatto dalla Prole Oscura, per raggiungere la salvezza in seno ad Andraste.

La canzone gli ricordò del Custode Grigio che aveva intravisto nel cortile di Skyhold in mattinata e che aveva accompagnato Hawke durante il pomeriggio. Gli pareva di aver già visto la sua faccia, ma dovette scavare a lungo e a fondo nei meandri della sua testa per capire chi fosse.

Nel realizzarlo, Cullen si sentì schiacciare verso il basso, come se un masso di dimensioni pantagrueliche fosse appena franato sulla sua schiena.

Le orecchie presero a fischiargli, mentre attorno a lui le pareti ribollivano di pustole di lava e squarci osceni che partorivano demoni della Pigrizia e dell'Ira. Sentì chiaramente l'eco della risata nervosa di fratello Drass, mentre un demone del Desiderio gli sfilava l'elmo, spingendolo ad affondare la spada nel cuore dei suoi confratelli.

Come se fosse lì, in quel momento.

Poi vide se stesso e il comandante Hadley sigillare la porta alle loro spalle, per prendere tempo affinché gli altri avvisassero Ser Greagoir del pericolo, mentre un'orda di demoni rovinava su di loro come una marea nera e ripugnante.

Come se fosse lì, in quel momento.

Cullen, con il cuore che batteva furiosamente nella sua cassa toracica, fece un respiro profondo e chiuse gli occhi. -Non è reale.- mormorò, appoggiando il bicchiere sulla scrivania con mani tremanti. Fece un altro respiro, mentre la sua memoria gli riproponeva un tormento dietro l'altro, accompagnata dalla canzone struggente di Hawke.

-Non adesso.- disse, a denti stretti, cercando febbrilmente nella sua testa un ricordo che lo ancorasse al presente, per riportarlo a concentrarsi su ciò che stava proteggendo. Per evitargli di perdersi.

Provò a pensare al sorriso di Lavellan, mentre giocavano nella neve. Contò le lentiggini sulle sue guance macchiate dal freddo, carezzò con lo sguardo il profilo del suo naso screpolato dal sole e indugiò sulla morbidezza del suo labbro inferiore, arricciato sul palmo della sua mano in un lieve bacio, consegnatogli segretamente poche ore prima.

Tutto d'un tratto, il suo viso si sovrappose a quello dell'Eroe del Ferelden, che lo fissava dal di là della sua prigione magica con disprezzo, abbandonandolo, ignorando i suoi avvertimenti e il suo dolore. Nei suoi occhi non c'era la pietà che gli aveva mostrato Leliana, nell'offrirgli cibo e rifugio, ma solo una grande urgenza di togliersi di torno l'ennesimo uomo ferito che implorava aiuto sul suo cammino.

Lo stesso che aveva fatto la Chiesa. Lo stesso che aveva fatto quel Custode, che aveva fatto finta di non vederlo fino a quel giorno.

Solo il dolore aveva posto per lui, solo il dolore l’aveva accolto tra le sue braccia. E lo aveva cullato per anni, nutrito di rancore, appagandolo e appannandogli la vista, mentre il suo cuore avvizziva. La tentazione di ritornare da lui era insopportabilmente rumorosa.

Cullen cercò di svuotare la mente, eseguendo un respiro profondo dietro l'altro, giungendo le mani sul tavolo e stringendole con forza, mentre mormorava una, due, venti, cento preghiere per far sì che quel tormento finisse.

 

Si svegliò di scatto, alzando la testa verso la porta del suo ufficio che si apriva.

Si diede qualche istante per riacquistare la lucidità, passando uno sguardo spaventato sulle pareti.

I demoni erano scomparsi, le voci erano cessate. C'erano solo il residuo di una notte tormentata dagli incubi, un sole battente che filtrava dalla porta aperta e un messaggero ignaro, che aspettava di parlare con lui, in piedi di fronte alla sua scrivania con aria preoccupata.

Cullen posò uno sguardo incerto sul rompicapo elfico che giaceva tra le sue mani, poi si schiarì la voce. Ripose l’oggetto con cura nella sua scatola, si passò entrambe le mani sui capelli per riordinarli e si alzò, ritrovando la compostezza perduta.

-Un messaggio del tenente Chambreterre.- annunciò il messaggero, porgendogli una busta sigillata.

Cullen gliela strappò di mano, aprendola con un gesto deciso. La scorse, poi sollevò lo sguardo sul suo ospite, rivolgendogli un sorriso soddisfatto. -Se potessi, ti darei un aumento.- disse, chinandosi sulla scrivania, alla ricerca del calamaio. Nella foga, rischiò almeno un paio di volte di rovesciare una tazza di tè e un piatto coperto, lamentandosi con se stesso per aver lasciato tutte quelle stoviglie sul tavolo la notte precedente.

-In realtà, potrebbe.- provò a dire il suo interlocutore, rinunciando immediatamente a muovere questione dopo aver ottenuto un'occhiataccia in tutta risposta.

Cullen scrisse una nota veloce su un foglio di pergamena, soffiandoci sopra una volta finito e agitandola davanti a sé per permettere all'inchiostro di asciugarsi rapidamente. Una volta imbustata e consegnata, spedì via il messaggero con un gesto nervoso. -Veloce!- lo incitò.

Quando fu nuovamente da solo, esalò un sospiro di sollievo a occhi chiusi, posandosi una mano sullo stomaco. Quello che doveva fare, in quel momento, era salire le scale, avvisare Lavellan della situazione e riportare il suo successo in sede di consiglio, per rassicurare le sue colleghe che tutto fosse in ordine, Josephine in primis.

Raggiunse velocemente la scala a pioli, poi ci si aggrappò. Mentre era in procinto di salire, però, realizzò istantaneamente di non aver consumato té, la notte precedente e neppure di aver lasciato stoviglie sulla sua scrivania.

Rimase un istante con le mani a mezz'aria, inebetito dalla sonnolenza, poi ritornò sui suoi passi, guardando la superficie del mobile con aria confusa. Vide la tazza, il piatto coperto e, solo in quel momento, si accorse della presenza di un biglietto ripiegato tra i due oggetti.

"Grazie dell'ospitalità." recitava, ma non era firmata, anche se era ovvio chi l'avesse lasciata.

Cullen se la rigirò tra le mani, osservando un punto non specificato di fronte a sé con aria smarrita.

Dopo essersi sforzato di darsi un contegno, raggiunse immediatamente la sala del consiglio, con il rapporto di Chambreterre stretto nel pugno. Non si sorprese di trovare le sue colleghe già presenti, intente a discutere di un problema minore, piuttosto furono loro a sorprendersi delle modalità del suo arrivo.

Infatti, aveva spalancato la porta e si era diretto verso l'Inquisitrice, senza degnare nessuno di un saluto per consegnarle il rapporto. -La missione ha avuto successo.- affermò, mentre lei lo leggeva.

Aspettò un qualsiasi riscontro con apprensione, trattenendo il fiato e legando le mani dietro alla schiena. Quando Lavellan gli rivolse uno sguardo carico di sorpresa, mista a gratitudine, lui si ritrovò a esalare un lungo sospiro di sollievo.

-Grazie, Comandante.- disse lei, faticando a trattenere un sorriso che denotava un gran senso di distensione. -Li hai salvati.-

Cullen chinò la testa, regalandole un sorriso a sua volta. -Ho fatto solo il mio dovere.- disse, sforzandosi di non dare adito all’impulso di abbracciarla. Riconoscere il suo stesso desiderio tra le ciglia di Lavellan non fu assolutamente d’aiuto, ma si sforzò comunque di mettere in primo piano il contesto in cui si trovavano.

Leliana guardò entrambi con attenzione, poi diede un leggero buffetto a Josephine sulla spalla. Quella, troppo impegnata a tirare un grosso sospiro di sollievo a sua volta, quasi sussultò al tocco. Lanciò a Leliana un'occhiata confusa, al che l'altra diede un cenno con il capo verso i loro colleghi.

Josephine strinse lo sguardo un solo istante, poi assunse un'espressione colpita. Si riebbe giusto in tempo per evitare che la cera della candela del suo leggio gocciolasse sulla mappa tattica che ricopriva il tavolo.

-Le truppe resteranno in zona il tempo necessario per garantire la sicurezza del clan Lavellan.- disse Cullen, imponendosi di riprendere il suo posto al tavolo. -Non appena saranno certi che non ci siano altre minacce, ripiegheranno.-

Lavellan, che ancora stringeva il rapporto tra le mani, annuì. -Ringrazia il tenente Chambreterre da parte mia.- disse, semplicemente.

Cullen si limitò a eseguire un cenno del capo, gonfiando il petto con orgoglio. Per la prima volta, da che era entrato, si soffermò a osservare Lavellan, alla ricerca delle ferite riportate dalla sera precedente. Nel suo viso c'era una lieve traccia di occhiaie, abilmente nascoste dal trucco, ma i suoi occhi avevano ripreso la vitalità di sempre, finalmente sgonfi e leggermente resi lucidi dal freddo.

Si ritrovò il cuore in gola nel riconoscere un dettaglio estraneo al completo che lei usava di solito quando aveva in programma di passare la giornata fuori dal mastio. Si trattava di un fazzoletto rosso rovinato dal tempo, lo stesso che lei aveva recuperato per lui molti mesi prima, sul tetto di un'abitazione di Haven. Lo stesso che lui le aveva consegnato a mo' di portafortuna.

In quel momento lo portava al collo, così come lo portava lui a Kinloch durante l'apprendistato, assieme al ricordo della sua ultima estate tra le viti.

Era il primo di tanti pegni d'amore che si erano scambiati, ma l'unico che per lui aveva un bagaglio sentimentale. L'unica cosa che avrebbe voluto con tutto il cuore che lei tenesse, perché fin da quando gliel'aveva visto tra le mani sapeva che sarebbe stato al sicuro. Che lui sarebbe stato al sicuro.

-Cullen? Comandante?-

Cullen sussultò, posando uno sguardo perplesso su Josephine, che cercava di attirare la sua attenzione.

-Novità dall'Accesso Occidentale?- gli venne chiesto, per la seconda volta.

Cullen si sforzò di ricomporsi, prendendosi i suoi tempi per esporre in dettaglio alla collega ciò che concerneva quella zona, con esaustività e perizia. Procedettero quindi a discutere delle problematiche sorte a Skyhold durante l'assenza dell'Inquisitrice, senza distrarsi o sviare dagli argomenti all'ordine del giorno, se non per un istante.

Un istante che bastò a Lavellan per raggiungere Cullen con lo sguardo di chi ha un bisogno vitale di spiegarsi e farsi spiegare.

E, nella coda di quell'istante, il sentimento venne ricambiato.

 

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Capitolo 14
*** Aftercare ***


13 - Aftercare


-Limoni in corso!-

Nello spiazzo di connessione tra i camminamenti della torre di guardia occidentale era in corso una partita a Grazia Malevola tra Varric, Leliana e Alistair. Se la giocavano ad acini d'uva e tappi di bottiglia per volere dell'unica signora del gruppo, che di tanto in tanto spiluccava il premio, certa della sua vittoria.

Avendo sentito l'intervento, senza che gli fosse fornita una delucidazione, Varric sollevò uno sguardo confuso verso Hawke. Quest'ultimo stava appollaiato nello spazio tra due merli, osservando un punto imprecisato del camminamento alla sua destra, mentre giocava a lanciare acini d'uva in aria per raccoglierli tra i denti.

-Limoni in corso?- ripeté Varric, posando una doppia coppia sul tavolo.

-Colore!- intervenne Leliana, schiacciando le carte vincenti sopra quelle del compagno di gioco. Alistair imprecò, gettando le sue carte ancora coperte sul mazzo degli scarti.

-C'è la lingua, quindi è un limone.- precisò Hawke, lanciando in aria un acino che mancò di molto la sua bocca aperta e colpì lo spallaccio dell'armatura da Custode di Alistair.

-Per le mutande del Creatore, Hawke!- sbottò Varric, mentre Leliana abbracciava il suo premio sul tavolo, per trascinarlo a sé. -Si può sapere di cosa stai parlando?-

-Se bevessi il latte al mattino, invece di fare i gargarismi con il grog, saresti abbastanza alto da scoprirlo da te.- rispose Hawke.

Varric roteò lo sguardo, poi prese a ridacchiare. -E se tu fossi meno scemo, mi risparmieresti un sacco di mal di testa.- replicò. -Guarda te se mi tocca passare le giornate a interpretare le sue cazzate!- borbottò, mentre Alistair rimescolava le carte.

Leliana, incuriosita, si alzò in piedi, salendo sul suo sgabello per osservare la situazione. -Confermo: è un limone.- dichiarò, tornando a sedere con un'espressione divertita.

-Chi è che limona?- domandò Alistair, con un mezzo sorriso.

-La Quisi e il bisteccone.- rispose immediatamente Hawke.

Alistair inarcò un sopracciglio. -Ci saranno almeno quindici bistecconi di nome e cognome a Skyhold. Di chi diavolo stai parlando?-

-Cullen.- specificò Leliana, spiluccando l'uva. Varric esibì un'espressione sorpresa. -Alla buon'ora! È da Haven che si fanno gli occhi dolci.- commentò. -Le ho detto che c'era di meglio, ma l'amore è come un Qunari che ti pesta un piede accidentalmente: inaspettato, vile e non puoi protestare perché è più grosso di te.-

Leliana raccolse le sue carte. -Non essere cattivo! Cullen è un brav'uomo.-

Ricevette un paio di occhiate scettiche, che la fecero ridacchiare. -Dico sul serio! Preferireste che uscisse con uno come voi che non sa distinguere un mattone da una saponetta e passa le giornate a lamentarsi di quanto la vita sia stata dura nei suoi confronti? A volte una donna ha bisogno di un cavaliere, non di un puzzone egocentrico.-

Hawke proseguì a fissarla con perplessità, indicando un punto dietro di sé con il pollice. -Un cavaliere? Quello?- schioccò la lingua sul palato. -C'è più cavalleria nel mio alluce destro!-

-Hawke, vorrei ricordarti che l'altr'anno hai portato Fenris alla Rosa Fiorita per festeggiare il vostro anniversario.- intervenne Varric, controllando le carte che gli erano appena state date.

-È un bordello.- spiegò Alistair, sporgendosi verso Leliana. -Lo so.- rispose lei, tranquillamente.

Hawke rivolse al suo migliore amico un'occhiata eloquente, allacciata a un sorriso malizioso. -I cinque pezzi d'oro meglio spesi della mia vita.- affermò.

-Già che sei un gentiluomo, risparmiaci i dettagli, grazie.- affermò Alistair, dando un'espressione schifata nel leggere le carte.

Hawke si strinse nelle spalle. -Contento te.-

-Contenti tutti .- lo corresse Varric, ridendo.

-Come sta andando laggiù, piuttosto?- domandò Leliana, mentre aggiungeva cinque tappi al premio.

Hawke tornò a concentrarsi sulla coppia. -La sta praticamente dipingendo sul muro.-

Alistair sorrise, poi esalò un sospiro sognante, rilanciando di due acini.

-Eravate carinissimi e insopportabili allo stesso tempo.- commentò Leliana, sorridendo a sua volta. -Ti solleva ancora quando vi baciate?-

-Grazie, Leliana. Aggiungiamo anche questo alla lista di cose private da spargere ai quattro venti. Giusto perché la mia mascolinità non è già stata messa abbastanza in discussione.-

Varric smezzò un'occhiata divertita su entrambi. -Sei solo che fortunato, cosetto. Nessuno oltre a te si può vantare di essere stato appeso dall'Eroe del Ferelden.-

-Non se sei di Altura Perenne.-

Leliana scoppiò a ridere.

-Ho un paio di teorie:- intervenne Hawke, con tutta l'aria di avere appena scoperto un complotto di portata nazionale. -o la Quisi ha degli standard oscenamente bassi, o gli sta dando corda per gentilezza.-

-Non è che magari il problema sei tu che non riesci a concepire un mondo in cui il Comandante sia un bravo amante?- lo punzecchiò Leliana.

Hawke le gettò una rapida occhiata. -Non ci credi nemmeno tu.- affermò.

-Ci credo benissimo, invece!-

Alistair appoggiò sopra il premio l'ultimo tappo che gli era rimasto. -Vedo.- annunciò.

-Sicuro?- domandò Varric, pizzicando i lembi superiori delle sue carte con aria soddisfatta.

-No, ma preferisco chiudere con una sconfitta schiacciante, piuttosto che arrendermi.- ammise Alistair. Spostò allora lo sguardo verso Hawke. -Smetti di impicciarti!- lo rimproverò.

-È come quando trovi una carcassa per strada. Sai che ti fa ribrezzo e non dovresti prestarci attenzione, ma non riesci a smettere di fissarla.- gemette il suo interlocutore.

Varric gracchiò una risata.

-Parli solo per invidia.- commentò Leliana.

-No, sono in astinenza da settimane, è ben diverso!- affermò Hawke, rigirandosi un acino d'uva tra le dita. -Mi basta vedere qualcosa di vagamente dritto e ossuto, come un ramo secco, e subito mi sale l'istinto di fare un bagno nel ghiaccio.-

-Troppe informazioni.- cantilenò Alistair. -Ora non mi toglierò più quest'immagine dalla testa.-

-Prego.- replicò Hawke, sollevando il pollice con aria soddisfatta.

-Vi siete già incrociati?- domandò Leliana, diretta ad Alistair. -Tu e il Comandante, intendo.-

Il suo interlocutore sollevò un sopracciglio. -No.- rispose. -E penso che non succederà molto presto.-

-Skyhold è come uno strano vicinato.- intervenne Varric. -È statisticamente impossibile fare passare una giornata senza aver visto uno dei pezzi grossi.-

-Non ho detto che non ci siamo resi conto della nostra reciproca presenza. Dicevo, tra le righe, che non faccio i salti di gioia all'idea di interagirci. Tutto qui.- disse Alistair.

Nel percepire una nota di fastidio nel tono di voce dell'amico, Hawke si voltò immediatamente nella sua direzione. -Avete dei trascorsi?- gli chiese, solleticato dall'idea di trovare un partner criminale.

Alistair, che aveva perso il sorriso, osservava la sua mano di carte con aria arcigna. -Suppongo che Leliana non ti abbia detto che eravamo assieme all'Eroe del Ferelden, alla fortezza di Kinloch, durante il Flagello.-

-Non ho avuto modo di dirglielo, no.- confermò Leliana.

-Non dev'essere stato un bello spettacolo.- soggiunse Varric.

-Se per spettacolo intendi il tavolo di un macellaio a fine giornata, sei sulla strada giusta.- replicò Alistair. Tirò su con il naso, nervosamente, poi appoggiò le carte sul tavolo. -Quando penso che noi siamo stati quelli fortunati, mi si rivolta lo stomaco.-

Leliana non batté ciglio, ma era ovvio che la sua memoria non volesse soffermarsi troppo a lungo su certi ricordi.

-Siamo caduti vittima di un demone della Pigrizia.- spiegò Alistair. -Si è intrattenuto con noi per ore, divorandoci l'anima lentamente. Se non fosse stato per Elanor, saremmo stati completamente consumati. Io per primo.-

-Datti tregua, Alistair. Ci siamo caduti tutti allo stesso modo.- affermò Leliana, lasciando che le carte cadessero sul tavolo.

-Tutti tranne Elanor. E lui.- Alistair indicò un punto non specificato a sud. Si rivolse quindi a Hawke. -Ha subito torture ben peggiori di un viaggio nella fantasia. Ed era vigile, esposto in una teca come uno stupido intrattenimento, una gogna per chi rideva della sua disperazione.- fece una pausa. -Sappiamo entrambi cosa vuol dire subire le conseguenze di chi utilizza la Magia del Sangue per ferire, Hawke. È una cosa che ti cambia profondamente.-

Il suo interlocutore annuì, gravemente.

-Allora, immagina di essere costretto a guardare mentre il corpo e la mente delle persone con cui hai passato gli anni migliori della tua vita vengono dilaniati e privati della dignità, senza che tu possa fare niente per impedirlo.- Alistair si sporse nella sua direzione. -Io ho ceduto istantaneamente, lui ha resistito per settimane.- ribadì. -Non posso fare finta di niente, parlandogli come se niente fosse, quando in realtà mi vergogno come un ladro.-

Hawke scorse uno sguardo attento su di lui, poi aggrottò la fronte. -Non c'è niente di cui vergognarsi.-

-Vallo a dire ai Maghi e ai Templari che sono morti mentre io prendevo il tè coi pasticcini assieme a mia sorella.- sbottò Alistair.

Nel gruppo scese il silenzio, mentre gli sguardi di tutti si concentravano sull'espressione madida di rabbia e vergogna di Alistair, che non smetteva di guardare Hawke. -Questo risponde alla tua domanda?- gli chiese.

Hawke annuì piano. -Mi dispiace di averti riportato lì, Alistair.- disse.

Dopo essersi preso del tempo per calmarsi, l'altro si raddrizzò a sedere, schiarendosi la voce. -Tranquillo.- mormorò. -Allora, chi sta vincendo?- domandò, stancamente.

Leliana chinò lo sguardo sulle sue carte, aperte sul tavolo. -Non ne ho idea, scusa.- rispose, indicandole con un cenno sommario.

Varric si strinse nelle spalle. -Non importa, cosetto.- lo rassicurò. -Rimesta, dai, che facciamo un'altra mano.- lo incitò, appoggiando una manciata di acini e tappi di fronte a lui.

-Per fortuna che non stiamo scommettendo i vestiti.- borbottò Alistair, ancora scosso dai ricordi. -Aggiornamenti da picco voyeur?- domandò, per spezzare la tensione in maniera definitiva.

Hawke, che era immerso nei pensieri, si voltò distrattamente verso l'ufficio di Cullen. -Accidenti!- gemette, battendo una pacca sul merlo alla sua destra. -Sono spariti.-

Leliana arricciò gli angoli della bocca. -Se vuoi un intrattenimento alternativo, sto per vincere di nuovo.- suggerì.

Alistair schioccò la lingua sul palato, mentre separava con cura le sue carte. -Spiacente di deluderti ma...- le schiacciò sul tavolo, con enfasi. -Ho appena vinto.-

Varric sbuffò sonoramente, lanciando le mani in avanti. Leliana invece fece un applauso composto. -La tua prima vittoria! Complimenti!-

Alistair si alzò dallo sgabello, rivolgendo inchini a una platea inesistente. -Grazie, grazie, non servono i fiori. Firmerò le caviglie e tutte le vostre sottovesti dopo l'esibizione, nel retrobottega.-

Hawke mimò di togliersi il cappello, mentre Varric recuperava le carte dal tavolo con aria divertita. -Ultima?- propose.

-Io passo.- rispose Leliana, raddrizzando la veste nel rialzarsi. -Grazie per avermi accettata al tavolo, ragazzi. È stato bello tornare con la memoria ai vecchi tempi, anche se per poco.-

Alistair si sporse per abbracciarla. -Vediamo di non far passare altri novant'anni, prima di una rimpatriata. D'accordo?- fece, in tono di rimprovero.

Leliana ricambiò l'abbraccio, frizionandogli la schiena con decisione. -Promesso! Ma la prossima volta, vedi di portarmela, siamo intesi?-

-Ci provo, ma sai benissimo com'è fatta.- rispose Alistair, distanziandosi per tornare a sedere. -Sempre a cercare draghi da sconfiggere negli angoli più sperduti del Thedas.-

Leliana gli rivolse un sorriso triste, poi gli pizzicò una guancia con affetto e si allontanò.

-Draghi?- domandò Varric, infilandosi in bocca un acino d'uva. -Reali o metaforici?-

-Entrambi. Hawke, ci manca il terzo, alza il culo e vieni un po' qua!-

Hawke però era concentrato a esplorare Skyhold con lo sguardo, febbrilmente. Sentendosi preso in causa, scacciò quella richiesta con un cenno nervoso. -Sono impegnato!- disse. -Dove accidenti si è cacciato?-

-Cerchi qualcuno?-

I tre si voltarono verso il camminatoio che si sbrogliava sopra le loro teste, con aria curiosa. Cullen li osservava nello spazio tra due merli, proteso verso di loro a braccia conserte. Sembrava uno dei tanti gufi di pietra che popolavano Skyhold, altero e appollaiato placidamente su un trespolo impossibile. Più che un gufo, ad Alistair ricordò un gatto che controlla il suo territorio da una posizione rialzata, alla ricerca di un rivale a cui graffiare la pelliccia.

-Siete scappati sul più bello.- si lamentò Hawke, realmente seccato. -Volevo farvi come minimo un fischio di incoraggiamento a opera conclusa.-

Cullen lo guardò dall'alto in basso, poi sospirò. -Possiamo fare due parole in privato?- suggerì.

-Sto bene dove sto, grazie.- replicò Hawke.

Cullen si strinse nelle spalle. -Saró breve, allora.- disse, per poi schiarirsi la voce. -Fatti gli affari tuoi.- scandì, con enfasi.

Hawke inarcò un sopracciglio, in attesa del resto. -Tutto qui?- domandò infine, rivolgendo i palmi al cielo.

-No, ma sono un signore, quindi eviterò di infierire.-

-Signore dei miei stivali! Di quelli con cui ho pestato una cacca di cavallo, stamattina.-

Cullen lo ignorò, spostando lo sguardo verso Alistair, che stava fingendo di concentrarsi sul gioco mentre Varric se la rideva. -Ripartirai presto, immagino.- gli chiese, addolcendo il tono di voce.

Alistair, che pensava che restarsene buono avrebbe evitato che lo notasse, annuì, velocemente. -Domani, di primo mattino.-

-Da recepire come: "alle tre di notte del giorno dopo".- commentò Varric, lanciandogli un'occhiata eloquente.

-Uno ritarda un'unica volta ed è tacciato come inaffidabile per sempre.- borbottò Alistair.

Cullen rimase un istante in silenzio, prima di tornare a rivolgergli la parola. -Stamattina il Toro si è slogato una spalla durante l'allenamento e mi farebbe comodo un partner per qualche stoccata, più tardi. Se non hai altri impegni, fa' un salto in caserma dopo la lettura.- propose.

Alistair si soffermò a fissarlo, con incertezza crescente. -Ci penserò.- disse, senza metterci troppo entusiasmo.

-Perché lo chiedi a lui quando hai davanti questa tagliata di manzo?- protestò Hawke, indicandosi con un gesto ampio del braccio.

-Perché ti rivolterei come un calzino e passeresti tutto il tempo a vessarmi.-

-Questo è tutto da vedere!-

-Hawke, molla l'osso, o è la volta buona che ti fai male.- intervenne Varric, con aria di rassegnazione. L'amico lo mandò a quel paese con un gesto osceno.

Cullen passò uno sguardo di rimprovero su entrambi, poi abbandonò il suo trespolo, ritraendosi in maniera definitiva.

-Dovresti scrivere un nuovo libro: "Partner di stoccate".- scherzò Hawke, alzandosi per raggiungere il tavolo. -Una storia di muscoli e passione. Con tante spade, ovviamente.-

-Effettivamente, sembrava una proposta un po' fraintendibile.- commentò Varric, ridacchiando.

-No, la verità è che siete due bestie!- sbottò Alistair, con la voce rotta da una risata nervosa.

Hawke si sedette al posto di Leliana con un gemito di fatica, poi si sporse verso Alistair, per appoggiargli una mano sulla spalla. Strinse appena la presa, poi gli rivolse un sorriso gentile. -Tutto bene?- gli domandò.

Alistair si passò una mano sul capo. -Non so se sia una buona idea.- ammise.

-Tu vacci ugualmente.- gli suggerì Varric. -Certe cose è meglio evitare di tenersele dentro. Più a lungo le trascini, più rischiano di esplodere nel momento meno adatto.-

-Fidati dell'esperto.- scherzò Hawke, assicurandosi uno spintone in tutta risposta. -Sta a te, Alistair. Se vuoi posso accompagnarti, oppure possiamo lasciarlo lì come un idiota, a fare le sue flessioni sulla spada di qualcun altro mentre noi ci scoliamo una pinta con il Toro e Blackwall giù alle stalle.-

Varric gli scoccò un'occhiataccia. -Non so cosa sia peggio: l'allusione omoerotica, la prospettiva di passare la notte con un boscaiolo da romanzo rosa e una spia qunari, o il mio risentimento per non essere stato minimamente preso in considerazione.-

 

*

 

-I gladioli sono belli.- sussurrò Lavellan.

Cullen le sfiorò il labbro inferiore con la punta del pollice. -Non ho idea di come siano fatti.- ammise, per poi cedere la parola a un bacio intenso.

-Non ha importanza, con me le piante muoiono.- mormorò Lavellan, mentre riprendeva fiato.

-Sei la sciagura della tua gente.- scherzò lui, percorrendo la sua schiena con una carezza.

-Copro già metà archetipo, vhenas. Basta e avanza.- disse lei, per poi mordergli delicatamente le labbra.

Andavano avanti così da un solido quarto d'ora, nascosti dietro a una rastrelliera carica di armi nel cortile interno della caserma, alternando domande futili a baci appassionati. Non avevano avuto il tempo necessario di parlare, durante una giornata topica come quella, quindi lei era sgattaiolata via dalla fucina per andarlo a trovare, sapendo benissimo di avere i minuti contati prima che il suo segretario la raggiungesse con la scaletta degli impegni che avrebbe dovuto smaltire in serata.

-Ricevuto. Niente fiori.- fece Cullen, spostandole una ciocca di capelli dal viso. -Dolci, allora.-

Lavellan, che si reggeva ai suoi fianchi, si alzò sulle punte per recuperare in altezza. -E a te che fiori piacciono?- domandò.

Lui le rivolse un'occhiata divertita. -Ti sembro uno da fiori?-

-Mi sembri uno da spade.- ammise lei, per poi scoccargli un bacio sulla guancia. -Lo sapevi che tanti giocatori di carte chiamano "fiori" il seme delle spade?- sussurrò al suo orecchio.

Cullen ritrasse appena la testa, per raggiungere nuovamente la sua bocca. -È un modo per dirmi che, idealmente, sono uno da fiori?-

Lavellan mormorò una risata tra le sue labbra, socchiudendo gli occhi quando lui gliela sottrasse.

-La domanda persiste, però.- disse lui, sentendo l'urgenza di fare un'altra pausa. -Non vuoi fiori, non vuoi regali, probabilmente sei pure allergica al cioccolato... come diamine ti corteggio?-

Lavellan lo guardò con un misto di divertimento e rassegnazione. -Credo che, a questo punto, tu non ne abbia troppo bisogno.- gli suggerì.

Cullen scorse lo sguardo sui suoi occhi, perdendosi dentro di essi per un istante, prima di esalare un sospiro sommesso. -D'accordo, mi inventerò qualcosa io.- decretò, posandole un bacio leggero sulla fronte.

Lavellan ridacchiò. -Ci sarai per cena?- gli chiese, ricordandosi improvvisamente dell'ora.

-Ho del lavoro da sbrigare, Lav.- rispose lui, con una punta di delusione nel tono di voce. Le appoggiò una mano sul viso, passando un pollice sulla sua guancia. -Temo di non avere il tempo nemmeno per pensarti.-

Lei si strinse nelle spalle, rassicurandolo con un sorriso. -Fa niente, lo troveremo nei prossimi giorni. Tu non strafare solo per compiacermi.-

-Vale lo stesso per te. Lo so che quella del decotto è una scusa per vedermi prima di dormire.-

-Una scusa a metà. Ci tengo che tu stia bene.- disse Lavellan, poi inarcò un sopracciglio, spostando lo sguardo altrove. -Perché riesco a sentire distintamente un rantolo di disapprovazione nella distanza?-

Cullen si distanziò, permettendole di ricomporsi. -Perché passi troppo tempo con Cassandra.- rispose, ridendo. -Lo sa, a proposito?-

Lavellan, che si stava sistemando il fazzoletto sul collo, gli lanciò un'occhiata eloquente. -Lo sa tutta Skyhold.- dichiarò, faticando a trattenere un sorrisetto. Lui si coprì gli occhi con una mano, mentre il suo viso si contraeva su una smorfia di disappunto.

Lavellan ridacchiò, raggiungendolo per rubargli l'ultimo bacio prima di ritornare ai suoi doveri. Cullen ricambiò, stringendola brevemente tra le braccia, poi si allontanarono l'uno dall'altra, lentamente, perché soffrivano già della nostalgia da contatto delle relazioni neonate.

Prima che potessero salutarsi, però, Cullen ebbe un ripensamento. -Lav?- la chiamò, a mezza voce.

Lei, che già stava aumentando le distanze, si fermò per prestargli attenzione.

-Grazie di essere passata, anche se non te l'ho chiesto.- disse lui, raggiungendo la sua mano per sfiorarla.

Lavellan allacciò le dita sulle sue, rivolgendogli un sorriso gentile. -E perdermi l'occasione di attaccarmi a te come carta da parati?- scherzò, per togliergli una preoccupazione.

Cullen infatti liberò un sorriso. -Grazie anche per quello.- mormorò. Indugiò con il pollice sul palmo della sua mano per un po', prima di riprendere coscienza del mondo circostante. Una volta assorbita abbastanza determinazione, la liberò dalla stretta, delicatamente. -Inquisitrice.- la salutò, senza riuscire a nascondere un sorriso malizioso.

-Comandante.- rispose lei, scorrendo lo sguardo su di lui con aria divertita, prima di dirigersi verso l'uscita.

Cullen si morse il labbro inferiore, osservandola allontanarsi con lo sguardo carico di tenerezza. Una volta che fu troppo distante per essere ammirata, si fece coraggio e procedette a spogliarsi dell'armatura, per infilarsi in abiti più adeguati per l'allenamento.

Terminata l'opera, si diresse verso un angolo riparato, il cui perimetro contava cinque manichini dall'aria vissuta. Recuperò i guanti dalla cintura e provvedette a infilarseli, mentre esplorava il cortile con lo sguardo.

Erano presenti pochi soldati all'appello e la maggior parte di essi erano ufficiali che si scambiavano informazioni, pettegolezzi e duellavano di scherma per sfogare la tensione accumulata durante la giornata. Non potendo allenarsi con le reclute, per molti (Cullen compreso) l'ora che intercorreva tra l'ultima lettura del Canto e la cena era l'unico momento in cui ci si poteva scrollare la sedentarietà che arrivava con le responsabilità legate al comando.

Dopo aver controllato che l'equipaggiamento fosse in ordine, Cullen notò con la coda dell'occhio l'arrivo di Alistair, che teneva l'armatura da Custode sottobraccio e si guardava attorno con aria interessata. I suoi muscoli entrarono in uno stato di tensione istantaneamente.

-Bel posticino.- commentò il nuovo arrivato, appoggiando il fagotto ben piegato dietro a un manichino. -Mi ricorda la sagrestia della chiesa in cui ci addestravano. Stessa atmosfera umile e noiosa, meno l’istruttore con la bacchetta e il sacchetto di ceci.-

Cullen recuperò due spade d'allenamento, poi si affiancò a lui. -Per niente l'ho scelta come caserma e non come salone delle feste.- replicò.

Alistair si sfilò la camicia dai pantaloni sbrigativamente, poi gli rivolse un sorrisetto. -Perché non un bagno pubblico? Con tutte le comodità che avete qui, mi sorprende che non abbiate ancora installato delle terme.-

-Per avere delle terme c'è bisogno di una fonte d'acqua termale e qui...- Cullen fermò la frase a metà. -Capito. Mi devo aspettare molte battute.- aggiustò il tiro, porgendogli una spada che l’altro raccolse con un po’ troppo zelo.

Alistair si strinse nelle spalle, fingendo noncuranza. -Sono uno che quando è nervoso dà aria alla bocca. Per la cronaca, lo faccio anche quando non sono nervoso.- aggrottò la fronte. -O quando ho un calo di zuccheri. Lo faccio spesso, insomma.-

-Spero che siano divertenti, almeno.-

Alistair inclinò la testa di lato, nell'assumere un'espressione contrita. Inspirò l'aria tra i denti rumorosamente. -Ecco, a tal proposito... temo di avere una brutta notizia da darti.- disse.

Cullen appoggiò la lama di piatto sulla spalla, alzando gli occhi al cielo. -Sei amico di Hawke, avrei dovuto aspettarmelo.-

Alistair sorrise, saggiando la sua spada per capire peso e mobilità. -Al contrario mio, Hawke sa anche essere serio, quando serve.- disse, facendo roteare l'impugnatura con un gesto secco del polso, mimando una cavazione.

-Come vi siete conosciuti?- domandò Cullen, mettendosi in posizione di guardia.

Alistair fece lo stesso. -Ci ha presentati suo fratello che, ironicamente, è la persona più seria che conosco. Ed è tutto dire, dato che io vivo tra i Custodi Grigi. La solennità è nelle clausole del contratto quando ti sottopongono all'Unione.- detto ciò, partì all'attacco, usando una mano singola per evitare di metterci troppa forza.

Cullen parò il colpo e lo respinse. -Blackwall non vuole descrivermi il rituale, ma un mio contatto a Kirkwall mi ha parlato di sangue di Prole Oscura.- disse, schivando un altro attacco e allontanando con un colpo secco la spada dell'avversario.

-Non te lo vuole descrivere perché se venissi a saperlo e la notizia si diffondesse…- Alistair eseguì una cavazione magistrale, deviando un affondo pericoloso -...non riusciremmo più a coscrivere nessuno.-

Si studiarono, descrivendo un unico circolo, poi Alistair attaccò di nuovo. Cullen schivò un fendente, ne parò un secondo e approfittò di una falla nella guardia avversaria per colpire sul fianco. Alistair fu rapido a correggere l'errore, schivando intelligentemente, quindi si abbassò di scatto, afferrò il braccio dominante di Cullen e lo proiettò a terra.

Cullen attutì la caduta con una mezza capriola, ritornando in piedi istantaneamente. -Non me l'aspettavo.- ammise, con un sorriso accennato di curiosità.

Alistair, che si era rimesso in guardia, ricambiò il sorriso. -Sono uno che improvvisa.-

-Possiamo fare sul serio, adesso, o vuoi fare un altro giro?- domandò Cullen, guardandolo di sottecchi.

Alistair si strinse nelle spalle. -Pensavo ti piacesse passeggiare.- lo provocò, per poi partire di nuovo alla carica.

Concatenarono fendenti ben misurati, cavazioni agili, affondi rischiosi e parate dell'ultimo secondo. Entrambi misuravano perfettamente la forza e la destrezza, facendo scontrare le lame con un ritmo sostenuto, tenendosi testa con fierezza.

Più che un allenamento, sembrava un duello in piena regola, ma a loro andava fin troppo bene, perché ciascuno aveva un'opinione da esprimere nei riguardi del proprio avversario.

Nelle prime battute, Alistair giocò d'attacco, conducendo il ritmo, mentre Cullen alternava una solida difesa. Quando fu sicuro di averlo stancato, Cullen rubò improvvisamente la posizione offensiva, aumentando la cadenza dei colpi in modo da non dare occasione all'avversario di pensare. Sarebbe stata una tattica più che efficace, se eseguita su qualcuno con meno esperienza di Alistair, ma quello era abituato a gestire combattimenti con avversari che non sentivano la fatica e gestì brillantemente quel bersagliamento incessante, ritornando i colpi con criterio.

-Passiamo allo scudo, o impugniamo a due mani per alzare il tiro?- propose Cullen, una volta che ebbero messo qualche metro di distanza l'uno dall'altro per riprendere fiato.

Alistair approfittò della pausa per sgranchirsi le spalle, saltellando sul posto per scaricare l'energia in eccesso. Cullen sorrise appena, nel riconoscere Lavellan in quell'azione.

-Vado sul sicuro: scudo.- rispose Alistair, dopo averci riflettuto. -Tu pesi di più, ma io ho più forza nelle braccia.- dichiarò. -Senza offesa, eh.- si affrettò ad aggiungere.

-Nessuna offesa.- replicò Cullen, divertito dal fatto che il suo avversario si facesse premure su un commento dopo averlo letteralmente preso a legnate. Recuperò due scudi dalla rastrelliera e gliene consegnò uno. -Ricordi che ero un Templare, no?-

-Lo ricordo bene e mi è stato fatto notare. Più volte.- rispose Alistair, inarcando un sopracciglio sopra uno sguardo sornione. -Non ho paura di un assalto frontale. Quelli come te me li mangio a colazione.-

-Perfetto. Allora non avrai problemi a mangiare minestra per il resto dei tuoi giorni.-

Alistair ridacchiò. -Siamo competitivi, allora!- commentò, battendo la spada sullo scudo, dopo aver indietreggiato abbastanza per consentirgli un assalto regolare.

Cullen si assicurò lo scudo sull'avambraccio, osservandolo di sottecchi, altrettanto divertito. -Da quello che vedo, sono in buona compagnia.-

Ci volle poco affinché lo sfrigolare del metallo iniziasse a sovrastare i suoni del campo d'addestramento, deconcentrando diversi ufficiali e attirando l'attenzione dei soldati di passaggio.

Alistair possedeva una forza e una resistenza eccezionali. Lo scudo sembrava appartenere al suo braccio così come la spada ne era il suo prolungamento. Ma Cullen non era da meno, anzi, sembrava non provare fatica nel parare assalti possenti, resistendo egregiamente.

Cassandra, che era stata convocata da un ufficiale preoccupato, si ritrovò a osservare lo scontro da bordo campo con aria interessata. Sapendo perfettamente per chi fare il tifo, esultava mentalmente tutte le volte che Cullen usciva vittorioso in uno scambio particolarmente aggressivo e, con pari entusiasmo, imprecava nei casi in cui Alistair riusciva a metterlo in difficoltà.

I minuti scorsero a manciate finché i due iniziarono finalmente a risentire della fatica tipica di uno scontro alla pari. Dato che nessuno stava tenendo i punteggi, il vincitore non era ancora ben chiaro, ma dall'espressione profondamente seria e a tratti agguerrita di Cullen, mentre compiva l'ennesimo circolo attorno al proprio avversario, era ovvio che non si sarebbe accontentato di un secondo posto.

Alistair lo provocò un'ultima volta, battendo l'elsa sullo scudo, ma Cullen non cadde nel tranello, con somma approvazione di Cassandra, che sembrava morire dalla voglia di partecipare allo scontro. -Fa' uscire il leone, Comandante!- lo incitò.

A quelle parole, Alistair ripropose nuovamente la sfida. Stavolta, ottenne una risposta dirompente, che lo spinse a puntare il tallone destro a terra, in modo da buttarsi di peso sullo scudo per contrastare l'assalto. Fu una vera e propria contesa, un atto di forza, che li impegnò per diversi minuti.

Scudo contro scudo, a guardarsi in cagnesco. Le spade che venivano regolarmente intercettate e rispedite al mittente. Le gocce di fatica che scivolavano come lacrime sul metallo. Il contesto si era trasformato in una cruda voglia di prevalere.

-Hai un terzo della forza dell'Eroe del Ferelden.- provocò Alistair, spingendo il suo avversario indietro di qualche centimetro. -Questa per me è robetta.-

-Anche per me. Io mi alleno con l'Eroe dell'Orlais.- rilanciò Cullen, usando il suo peso per rendere solida la presa sul suo scudo e frenare l'avanzata della sua controparte. -Questo non è un assalto, è un soffio di vento!-

Alistair esalò a fatica una risata. -Stiamo davvero tirando in ballo le ragazze in una gara per chi ce l'ha più lungo?-

-La risposta è l'Inquisizione. Sempre.-

-La tua Inquisizione non ha sconfitto l'Arcidemone.-

-No, ma per come stiamo andando, saremmo capacissimi di fare questo e meglio.-

Alistair perse la concentrazione per un istante, con la conseguenza che fece guadagnare terreno a Cullen. Si riprese all'ultimo, chinandosi quanto bastava per distribuire meglio il peso corporeo. -Eravamo in due.- precisò, perdendo definitivamente la voglia di scherzare. -Iniziati da pochi giorni, con il peso del Ferelden sulle spalle. Siamo stati braccati, umiliati. Se non fosse stato per noi, voi non esistereste. Tu non esisteresti.-

Cullen resse il colpo. -C'è un solo Eroe del Ferelden e non sei tu.- lo pungolò, imprimendo tutta la forza che aveva nelle gambe per mantenere la posizione.

Alistair fece altrettanto, osservandolo con occhi carichi di rabbia. -Sai cosa mi direbbe, se fosse qui?-

-Di smettere di parlare e finire il lavoro?-

Alistair scosse la testa, brevemente. -Mi direbbe che non è stato l'Eroe del Ferelden a uccidere l'Arcidemone.- affermò, per poi respingere l'avversario con una furia tale da sbilanciarlo. Cullen trascinò i piedi, si puntellò, provò a reggere il colpo inginocchiandosi, ma fu inutile. Alistair gli era superiore in forza. Allora, provò una ritirata strategica e abbandonò lo scudo, muovendosi di lato e lasciando che si schiantasse a terra. Si portò alle spalle di Alistair, ma lui aveva già previsto cosa sarebbe successo e lo colpì in piena faccia con il pomolo della spada, disarmandolo definitivamente.

-Ehi!- berciò Cassandra, da bordo campo.

Cullen sollevò una mano nella sua direzione, impedendole di intervenire.

Alistair, che si era fermato a metà assalto nel rendersi conto della situazione, rivolse a terra la punta della spada. Regolarizzò il fiato, poi si avvicinò a Cullen, che si tastava il setto nasale con una smorfia di disgusto, come se scottasse. Una volta di fronte a lui, lo osservò prendere il naso tra il pollice e l'indice, fare un respiro profondo e poi raddrizzarlo con un gesto secco.

Cassandra si avvicinò, porgendo al compagno d'arme un fazzoletto che Cullen prese al volo per evitare di macchiarsi ulteriormente il viso e la camicia.

-Siete due cretini.- li rimproverò, guardando esclusivamente Alistair.

-La stai facendo più grande di quanto non sia.- provò a minimizzare Cullen, premendo il fazzoletto sulle narici. -Due secondi che mi rimetto in sesto e possiamo andare avanti.-

-No.- decretò Cassandra, incrociando le braccia sul petto. -Hai abbandonato lo scudo a terra, ora ce lo lasci! Se osi riprenderlo, ti faccio volare da qui a Crestwood.-

-Voglio proprio vederti provare.- replicò Cullen, seccato. A Cassandra bastò inarcare un sopracciglio per zittirlo.

-In mia difesa, non reagisco proprio benissimo alle provocazioni su...- intervenne Alistair, adagiando spada e scudo a terra. -Ci siamo capiti.-

-No, non ci siamo capiti.- dichiarò Cassandra, che era entrata in modalità rimprovero. Piantò uno sguardo severo su Cullen. -Ce l'avevi in tasca, non ti serviva alzare la posta. Cosa accidenti ti è saltato in testa di lasciare lo scudo?-

-Se non avessi mollato lo scudo, mi avrebbe rotto il braccio.- si giustificò Cullen, sollevando la testa e premendo il fazzoletto sulle narici per limitare la fuoriuscita di sangue. -Era calcolato.-

Cassandra si colpì il viso con il palmo della mano, poi prese un respiro profondo. -C'è differenza tra essere competitivo e antagonizzare un avversario. Te lo meriti tutto quel naso rotto e lo sai benissimo.-

-È troppo tardi per dire che mi dispiace?- chiese Alistair, timidamente.

-Non ti dispiace.- rispose Cullen, anticipando Cassandra di un millesimo di secondo. -Così come a me non dispiace di averti spinto a farlo.-

-Se non l'avessi capito, a lui non gliene importa un accidente di vincere. Soprattutto quando sa che il suo avversario sta cedendo, nonostante abbia le forze per ribaltare il risultato.- disse Cassandra, con aria di rassegnazione. -Sennò non pensa di meritarselo.-

Alistair, che stava raccogliendo le armi per riporle nella rastrelliera, diede un sorriso imbarazzato. -Allora ho frainteso completamente le tue intenzioni, Comandante.- ammise, per poi tornare dal duo. -Pensavo avessimo un conto in sospeso.-

Colpevole di avere ancora un alto tasso di adrenalina in circolo, Cullen strinse lo sguardo sopra un'espressione perplessa. Quando realizzò a cosa si stesse riferendo, si voltò verso Cassandra. -Possiamo rimandare di cinque minuti la lavata di capo?- le domandò. Al che, lei esalò un sospiro di insoddisfazione. -Anche dieci.- fece, per poi passargli energicamente una mano sul braccio, confermandogli che fosse più preoccupata che arrabbiata. -Ti aspetto nel tuo ufficio.-

Cullen le rivolse un mezzo sorriso, poi un lieve cenno del capo, per quanto la sua condizione glielo permettesse.

Una volta che se ne fu andata, Cullen indicò ad Alistair di seguirlo. -L'Inquisitrice mi ha riferito la vostra conversazione a Crestwood, in sede di consiglio.- gli disse, raggiungendo il punto in cui aveva lasciato l'armatura. Si chinò su una bacinella d'acqua che gli era stata preparata in precedenza, per lavarsi il viso. -Pensavo che, tenendoti impegnato, il Richiamo ti avrebbe dato un po' di tregua.-

Alistair ci mise un po' a elaborare una risposta, dando l’idea che quell’ammissione l’avesse preso alla sprovvista. -È come una ferita aperta. Ti dimentichi del dolore per qualche ora, perché ti fai distrarre da qualcosa di impegnativo, ma una volta che ritorna il silenzio...- recuperò l'asciugamano che gli stava porgendo Cullen e si asciugò il viso dal sudore. -Ti rendi conto che il tuo corpo non ha mai smesso di soffrire.-

-Questo spiega la reticenza di Blackwall nel discutere della questione.-

Alistair, che nel frattempo aveva recuperato la sua armatura per cambiarsi, gli gettò un'occhiata eloquente. -Avrei evitato anch'io, se non fosse che la Quisi sembra disposta a tutto pur di aiutarci.- ammise, procedendo quindi a sfilarsi la camicia. -A quanto pare, c'è ancora qualcuno al mondo che si fida dei Custodi. O se non di loro, di quello che rappresentano.-

Cullen sorrise appena. -Quisi?-

-L’Inquisitrice.-

-L’avevo capito. È grazioso, le si addice.-

-Già, uhm, congratulazioni, a proposito.-

-Per co… oh.- Cullen deglutì, spostando lo sguardo altrove. -Sai, una volta, mi ha detto che gli Umani hanno una memoria storica inesistente.- replicò, per sviare la conversazione.

Alistair sbuffò una risata secca. -Anche la memoria a breve termine, a quanto sembra.- disse, scorrendo lo sguardo sul viso arrossato di Cullen, mentre si infilava una camicia nuova dopo essersi lavato. -A tal proposito. Quello che hai detto su di me, prima... la devo prendere come una provocazione sul momento, o c'è un fondo di verità?-

Cullen si bagnò le mani e le fece scorrere tra i capelli, per evitare che gli infastidissero il viso. -C'eri anche tu a Kinloch.- disse, sporgendosi per recuperare il pettorale dell'armatura. -Io so quello che avete fatto.-

-Risparmiare i Maghi, ignorando le tue suppliche.- soggiunse Alistair, aiutandolo a indossarlo.

Una volta che ebbe terminato, Cullen si affrettò a ricambiare il favore. -Non ero lucido.- ammise, abbassando il tono di voce. -Ma è una delle tante scuse che mi ripeto da anni, per dare un senso a quello che è successo.-

Alistair chinò lo sguardo, mentre si allacciava le componenti frontali dell’armatura. -Vorrei poterti dire il contrario, ma… il senso c’era, purtroppo. Era una strategia, e non so te, ma quest’idea mi tiene ancora sveglio la notte.-

-No, non…- Cullen sentì il respiro bloccarsi in gola, per cui si prese qualche istante per riprendere la calma. -Non era solo una strategia. Dare la colpa unicamente a Teyrn Loghain, o alla depravazione dei Maghi, è troppo semplice. La Chiesa è la prima responsabile di quello che è successo e noi gliel’abbiamo lasciato fare, perché è più facile odiare qualcosa che non si capisce, piuttosto che affrontare le cose con uno spirito critico.-

Alistair gli rivolse un'occhiata scettica. -Cos'è che ti ha fatto cambiare idea così drasticamente?-

-Hawke.-

-Hawke?- gli fece eco Alistair, sorpreso.

-"Un contrabbandiere fereldiano che non sa stare zitto nemmeno a bocca chiusa e che gira con un bastone da mago dicendo a tutti che è una spada"- recitò Cullen, monocorde, come se stesse leggendo un rapporto. -Il primo Mago che non sono mai riuscito a considerare come un abominio sotto mentite spoglie. In qualche modo, le sue azioni erano più efficaci dei dogmi a cui mi ero imposto di credere. Nonostante sia un cretino certificato, sono arrivato a rispettarlo, anche perché mi ha introdotto senza volerlo a un percorso interiore di autocritica.- indugiò sulla chiusura dei parabracci, assorto. -Quando l'Alto… Meredith mi ha ordinato di ucciderlo, ogni dubbio che nutrivo sull'Ordine è diventato certezza e tutto l'odio che provavo nei confronti dei Maghi ha smesso di avere un senso. L'unica persona che stava cercando veramente di proteggere qualcuno, durante la rivolta, era Hawke, un Mago, e se Meredith avesse vinto avrebbe spinto l'Ordine a uccidere tante brave persone come lui.-

-Meredith era pazza.-

-Meredith non era pazza. Ha sfruttato volontariamente situazioni di degrado reale per fomentare la nostra, la mia paura nei confronti dei Maghi. La stessa che ci impone la Chiesa da secoli. Magari, all'inizio il suo scopo era quello di proteggere le persone, così come lo era il mio, ma la paranoia nei confronti dei Maghi del sangue e l'influsso del lyrium le hanno fatto perdere la prospettiva.- Cullen si soffermò a riflettere. -Se c'è qualcosa che ho imparato, in questo tempo all'interno dell'Inquisizione è che non possiamo dare sempre la colpa alla pazzia, quando le azioni di qualcuno che reputavamo onesto e ispirato si dimostrano inutilmente crudeli. I mostri molto spesso sono solo esseri umani e questo è un concetto tanto vero quanto orribile.-

Alistair, che aveva finito di vestirsi, aprì una mano nella sua direzione. -Quindi, in un certo senso, Hawke ti ha salvato.-

Cullen scosse la testa. -Non ho detto questo. Ho detto che mi ha messo nella posizione di assumermi le mie responsabilità, il resto l'ho fatto io. Sono tornato al me stesso di dodici anni e mi sono chiesto perché volessi così strenuamente diventare un Templare. Dopodiché, ho smesso l'armatura, mi sono rifiutato di continuare ad assumere il lyrium e ho accettato al volo l'offerta di Cassandra.-

-Lo dici come se fosse una cosa da niente. Come se si trattasse di...- Alistair si ritrovò a chinare il capo, voltandosi altrove. -Prendere il tè coi pasticcini.-

Cullen, si allacciò la cintura della spada con un gesto secco, poi esalò un sospiro stanco. -Non è una cosa da niente.- ammise.

-Però anche questa volta hai resistito.-

Cullen inarcò un sopracciglio, rivolgendo ad Alistair uno sguardo confuso. Il suo interlocutore si portò più vicino, per evitare che la loro conversazione fosse ascoltata da altri, poi lo guardò dritto negli occhi. -Le cronache non rispecchiano la realtà dei fatti. Parlano del coraggio e dell'astuzia dell'Eroe del Ferelden, che con la sola forza della sua mente è riuscita a sconfiggere il più temibile dei demoni assieme ai suoi compagni.- mormorò. -Non dicono però che noi tutti abbiamo ceduto istantaneamente alle sue lusinghe, sottoscritto incluso.-

Cullen si voltò interamente nella sua direzione, per appoggiargli una mano sulla spalla. -Ci vogliono anni e anni di meditazione ed esercizi mentali per poter contrastare un demone vero e proprio.-

-Sono diventato un Custode prima che potessi prendere i voti, ma se Duncan non fosse venuto a coscrivermi, adesso sarei un Templare. Pensavo di essere preparato a una situazione del genere e invece ho fallito, come un idiota.-

Cullen strinse la presa. -Ho visto veterani cadere sotto l'influenza della Magia del Sangue. La maggior parte delle volte, la preparazione non è abbastanza.-

Alistair si passò una mano sulla fronte, nervosamente. -Lo so.- ammise. -Eppure è stata una cosa talmente sciocca...- deglutì, spostando di nuovo lo sguardo altrove.

Cullen studiò il suo viso, riconoscendo il rammarico nei suoi lineamenti. -Evidentemente, non era così sciocca.-

Alistair esitò un singolo istante, poi gli rivolse un’occhiata che trasudava imbarazzo.

 

Tra tutti gli stereotipi che si hanno sui fereldiani, quello meno esagerato riguarda l’azione di affrontare i traumi a mente annebbiata.

A notte fonda, con un boccale di birra a testa, Alistair e Cullen avevano deciso di aprire il vaso di vermi per bene, sedendosi su una delle belle panche di pietra che decoravano i giardini. Nessuno moriva dalla voglia di farlo, ma entrambi sapevano di aver bisogno di una chiusura, o quantomeno di una birra ghiacciata.

Iniziò Alistair, che raccontò per filo e per segno la sua fantasia.

Cullen lasciò che si confidasse con lui, senza osare interromperlo. Quando ebbe concluso la narrazione, prese una buona sorsata, per rilassare le corde vocali. -Posso capire perché te ne vergogni.- affermò, tranquillamente.

-Non è che me ne vergogno.- si affrettò a dire Alistair, per poi assumere un'espressione colpevole. -Solo un pochino.- precisò. -Il punto è che voi l'avete avuta peggio. Elanor ha visto la sua casa bruciare e i suoi genitori morire, poi è stata coinvolta in qualcosa di molto più grande di lei e io, per insicurezza, ho fatto in modo che si accollasse le responsabilità del caso, lavandomene le mani.- elaborò. -E quando è arrivato il momento di dimostrarle che poteva contare su di me che cos'ho fatto? Tè e pasticcini.- si batté una mano sulla coscia, per liberare la frustrazione. -Lo stesso vale per te. Hai resistito non so quanti giorni, senza cedere nemmeno un istante a fantasie e orrori ben più gravosi di un universo alternativo dove tutti si tengono per mano e ballano una giga fereldiana.-

-Meno male che quello non me l’hanno presentato.- cercò di minimizzare Cullen, appoggiando il boccale freddo sul naso, per provare un po' di sollievo dal dolore. -Ma posso… rivedermi in questa fantasia. Ho dato tutto alla Chiesa e ho sempre fatto quello che chiedevano i miei superiori. Ho persino accettato la rieducazione, dopo gli eventi di Kinloch, dato che volevo dimostrare di saper mettere in pratica tutto l'odio che mi avevano trasmesso e che ha acquisito legittimità quando…- fece una pausa, non riuscendo a definire a parole l’evento in questione. -Gli sono servito finché è bastato, poi mi hanno buttato via quando non gli conveniva più tenermi. Sai cosa vuol dire vivere in un costante stato di inadeguatezza? Per la Chiesa non è mai abbastanza, anche se ti comporti esattamente come vogliono. Risucchia ciò che ti rende umano, per renderti un guscio privo di pensiero, ti ossessiona e ti tiene al guinzaglio con i dogmi e con il lyrium.-

Alistair sospirò. -Sfondo una porta aperta, insomma.-

-Un portone.-

-Questa… cosa. “Cosa” va bene, no? Sembra più neutro.-

-“Cosa” va fin troppo bene.-

Alistair diede un sorriso accennato. -Questa cosa, questo senso di inadeguatezza… so benissimo come ci si sente. Non so quanto ti abbia riferito di me Leliana, ma diciamo che…- ci pensò su. -Uhm, come te la posso mettere senza intimidirti?-

-Dicendolo e basta. Non stai per cagare un drago.-

-Forse un uovo. Un uovo con tante spine e aculei, magari con una forma strana e…-

-Ser Alistair.-

-Si?-

Cullen lo guardò con tutta l’aria di essere sul punto di strozzarlo.

Alistair, che stava chiaramente cercando di deflettere, racchiuse le labbra tra i denti per diversi istanti, poi deglutì. -So bene come ci si sente a essere respinti per tutta la vita da chi porti su un palmo di mano. Al contrario tuo, io sono stato venduto alla Chiesa perché la mia presenza era un inconveniente.- abbassò il tono di voce. -E quando finalmente ho sentito di essere parte di qualcosa, di avere qualcuno che potesse finalmente prendersi cura di me… Duncan è morto, assieme ai miei confratelli, e lì mi sono detto che forse non ero degno di appartenere.-

Cullen inclinò la testa in avanti, sentendo la pesantezza di quei concetti fin nelle ossa. C’erano ovvie differenze nella sua storia, ma il sentimento puro, scevro di contesto, li univa così strettamente da lasciarlo senza fiato. Dal canto suo, Alistair pareva percorrere la stessa linea di pensieri, dato che sembrava che provasse un imbarazzo viscerale nel mantenere troppo a lungo il contatto visivo, conscio che si stesse affacciando nella stessa materia urlante che tormentava Cullen ogni volta che provava a fare dell’introspezione.

-Non mi intimidisce.- disse Cullen, dopo un lungo istante di silenzio. -Anzi, credo che la tua resilienza ti faccia onore.- e dirlo gli tolse un grosso peso dalle spalle, perché era come se stesse tranquillizzando se stesso, in una di quelle rare volte in cui riusciva ad apprezzarsi.

-Aspetta che ti dica perché ero un inconveniente, poi non dirmi che non ti avevo avvisato.- scherzò Alistair, riuscendo finalmente a distendere i lineamenti.

Cullen sbuffò una risata, scuotendo la testa. -L'hai trovata, poi?-

-Che cosa?-

-La fantasia di felicità che ti ha mostrato il demone della Pigrizia.-

Alistair prese un bel sorso di birra, mentre rifletteva, poi si ritrovò a sorridere. Non si trattava di un sorriso malinconico, tutt’altro. Aveva delle caratteristiche che denotavano una profonda soddisfazione. -Non è esattamente la stessa visione, se conti che il business di famiglia è quello di uccidere i Prole Oscura.- disse, guardando negli occhi il suo interlocutore, finalmente scevro dall’imbarazzo. -Ma sì, l'ho trovata. Una gran bella famiglia disfunzionale, con un po' di segreti macabri, l'aspettativa di vita di un cavallo zoppo e tanta gente realmente troppo seria.- fece una pausa. -Questa volta non ho scuse.-

Cullen scontrò il boccale sul suo ed entrambi bevvero, per poi accettare di restare in silenzio, a godersi la santità delle corrispettive risoluzioni che si erano imposti. Dopo un tempo interminabile, Cullen prese a ridacchiare, attirando l'attenzione su di sé. -Erano anni che non vedevo qualcuno andare in berserk.- ammise. -Chi te l'ha insegnato?-

Alistair rise a sua volta. -Un Nano molto ubriaco.- replicò. -E una compagna che tra tutte le sfighe che potevano capitarle, si è andata a mettere con il più fesso dei fessi.-

-Non credevo che avessimo così tante cose in comune.- scherzò Cullen.

-Aspettati fin troppe battute sul fatto che ti piace avere una donna sopra di te.-

Cullen esalò un rantolo di fastidio. -Questa ha gli anni di mio nonno.- commentò.

-Lo so, ma la gente non ha fantasia, al giorno d’oggi.- Alistair fece una pausa. -Almeno la tua ragazza non dice “come se gli dispiacesse” ogni volta che ne ha l’occasione.- aggiunse, fingendo indignazione.

-Come se ti dispiacesse.-

E scontrarono i boccali, scambiandosi un’occhiata divertita.

 

*

 

La mattina successiva alla chiacchierata, i sintomi di cui soffriva Cullen non furono abbastanza pressanti da togliergli di dosso una certa energicità. Per una volta, si sentiva al posto giusto al momento giusto e avrebbe cavalcato quella sensazione il più possibile.

Essendo una delle poche persone a Skyhold a cui avrebbe affidato un borsello di monete senza pensarci troppo, Josephine gli aveva chiesto una mano a sistemare la nuova tesoreria, quindi ci si stava dirigendo a passo spedito, nel momento di pausa che intercorreva tra una riunione all'altra. Anche se avrebbe preferito passare ogni istante di libertà che possedeva tra le braccia di Lavellan, perché presto sarebbe ripartita, l'idea di lasciare Josephine da sola a spostare tavoli ingombranti e librerie pesantissime lo metteva fisicamente a disagio. Era stata una richiesta fatta in amicizia e lui non voleva mancare all'appello.

Mentre si stava approcciando alla salita che dalla piazza antistante alle stalle portava alle cucine, e di conseguenza ai sotterranei di Skyhold, la Grande Incantatrice Fiona richiamò la sua attenzione con un cenno.

Cullen si fermò al terzo gradino, osservandola con aria circospetta mentre lei aumentava il passo, con tutte le intenzioni di raggiungerlo il prima possibile.

Una volta che fu a portata d'orecchio, Fiona gli rivolse un saluto affrettato, poi gli indicò il viso, sconvolto dalle conseguenze del naso rotto. -Lasci che glielo curi.- disse, con tutta l'aria di non voler accettare un rifiuto.

Cullen indietreggiò di un passo, istintivamente. -La ringrazio, ma non è necessario. Sono abituato a gestire queste cose.- replicò, alzando una mano tra di loro.

Fiona strinse le labbra su un'espressione categorica. -Mi ci vorrà meno di un minuto, Comandante. Non intendo farle perdere tempo.- insistette.

Cullen percepì il suo corpo entrare in uno stato di tensione, come se fosse di fronte a una scelta dovuta a una pressione sociale, più che a una necessità pratica. -Mia signora, non è una questione di tempo, ma di preferenze.- spiegò, ricambiando la categoricità che gli stava venendo imposta. -Sono abituato a lasciare che sia il mio corpo a gestire le ferite, senza l'aiuto della magia.-

-I miei incantesimi di guarigione sono molto poco invasivi, Comandante.- tornò alla carica Fiona, accorciando le distanze. -E lei potrebbe tornare a gestire i suoi impegni senza doversi occupare anche di questo problema.-

Cullen indietreggiò di nuovo. -Come le ho detto, non è una questione di comodità.- ribatté.

Nel viso di Fiona apparve una distinta sfumatura di fastidio. -Insisto.- dichiarò.

-Siamo in due.- si aggiunse Cullen, altrettanto infastidito. -Ora, se volesse scusarmi...-

-Comandante, la prego, mi lasci rimediare.- disse lei, allungando uno sguardo urgente nella sua direzione.

Cullen non era percettivo quanto Lavellan, ma si accorse subito che c'era qualcosa di strano nell'atteggiamento della Grande Incantatrice. Nonostante fosse decisa a farsi valere, possedeva i tratti di qualcuno che non sa rimediare a un torto, come se fosse stata lei ad avergli causato la ferita. -A questo punto, sono io che la prego. Rispetti la mia decisione, per favore.- disse, imponendosi di non essere maleducato nei suoi riguardi. -Le posso assicurare che non è una scelta derivata dalla sfiducia.-

Fiona lo osservò a lungo, con la classica smorfia di chi non ha ancora finito di esprimersi, poi deglutì, rilassando la fronte. -Il pensiero non mi ha nemmeno sfiorato, non si preoccupi.- disse, chiaramente delusa. -Semmai dovesse cambiare idea, sa dove trovarmi.- disse, scindendo il contatto visivo per andarsene.

Cullen la guardò allontanarsi, stranito, prendendosi i suoi tempi per processare la situazione prima di dirigersi in tesoreria. Durante il tragitto, però, non riuscì a scrollarsi di dosso la stranezza degli eventi, trascinandoseli dietro anche dopo aver varcato la soglia della stanza.

Fortunatamente, trovò subito una distrazione che gli permise di distendere anche i nervi più ostici.

In un dedalo di mobili, scatole e quadri da appendere, Lavellan stava trascinando la cassaforte a cui aveva lavorato per diversi giorni, finalmente ultimata. Cullen accorse a darle una mano, facendosi colpire dritto nei sentimenti da un sorriso grato.

Grazie alle loro forze combinate, riuscirono a sollevarla ed appoggiarla su un ripiano, poi si scambiarono un'occhiata soddisfatta.

Lavellan allora si soffermò a osservare il naso di Cullen, arricciando appena le labbra. -Pensavo peggio. Da come me l'avevano messa, credevo che ti avesse spaccato la faccia.- ammise, mentre incrociava le braccia sulla superficie della cassaforte.

-È tutta scena, davvero.- la rassicurò lui, avvicinandosi per passare una mano sulla sua schiena. Lavellan gli sorrise brevemente. -Avresti dovuto dire: "dovresti vedere l'altro".- lo imitò, per stemperare.

Cullen le lanciò un'occhiata macchiata di indisposizione. -L'altro le avrebbe prese, se non fosse stato per l'intervento di Cassandra.-

-Lo so.-

Cullen inarcò un sopracciglio. -Mi stai prendendo in giro?-

Lavellan ridacchiò. -No, Cassandra mi ha fatto un resoconto della situazione. Era molto colorito, ma altrettanto dettagliato. Se lei dice che ce l'avevi in pugno, allora non mi servono troppe conferme.-

Lui però non sembrava troppo convinto. La aiutò a spostare una scrivania, in modo da liberare l'ingresso, tenendosi comunque addosso un certo grado di insicurezza. Insicurezza che lei gli lavò via di dosso istantaneamente.

-Sai, è buffo che tu ti sia andato a rompere il naso subito dopo che ci siamo messi insieme.- disse Lavellan, battendo più volte le mani per disperdere i residui di polvere. -Come faccio a baciarti adesso, con una cannuccia?- scherzò.

Cullen rise, sentendo il suo viso rispondere a quella reazione improvvisa con una fitta di dolore. Inspirò l'aria tra i denti, impedendosi di toccare la parte lesa, che era ciò che l'istinto gli stava suggerendo di fare.

Lavellan lo aiutò a tenere ferme le mani, impegnandole con uno scatolone. -Ho capito, basta battute.- dichiarò.

Cullen esalò un respiro lungo, una volta ripresosi. -Sarà più difficile del previsto.- borbottò, cercando con lo sguardo un punto in cui appoggiare l'ingombro.

-Dillo a me! Se non si fosse capito, sono appena stata privata della mia nuova attività preferita.- si lamentò Lavellan, raddrizzando una libreria per permettergli di sistemarci dentro i vari oggetti contenuti nello scatolone. Aspettò che le fosse vicino, per sfiorargli il viso con un'occhiata tinta di falsa innocenza. -Sai, mi dispiace un po' per lui.- mormorò. -Svegliarsi con una colonia di bachi sotto il cuscino non dev'essere stato piacevole.-

Cullen la guardò con aria di rimprovero, in maniera neanche troppo convincente.

-Ti ricordi del discorso su causa ed effetto che ti feci qualche giorno fa?- domandò lei, fingendo nonchalance. -Rompi il naso a qualcuno, ti becchi le ripercussioni. Non è colpa mia se l'universo gli ha messo la ghiaia negli stivali, dipinto la sella d'inchiostro e...-

Cullen le appoggiò delicatamente una mano sul fianco, chinandosi per baciarla. I loro corpi reagirono a quel contatto rilassandosi, tanto da dover per forza appoggiarsi a qualcosa per continuare senza rischiare di cadere. Era l'effetto di mesi passati a impedirsi di andare oltre, quando in realtà quel gesto per loro era tanto facile quanto bere un bicchiere d'acqua.

-Mi togli il respiro.- mormorò lui, sorridendo a fatica. -Letteralmente.-

Lavellan rise di cuore, poi lo chiuse in un abbraccio, stringendosi nelle spalle nel sentirsi avvolgere a sua volta. Rimasero in silenzio a lungo, godendosi quella pausa immeritata, ma necessaria.

-Ti sei appena fatto male, vero?-

-Malissimo.-

Lavellan si distanziò per permettergli di riprendere fiato, senza smettere di sorridere. -Risalirà a me sicuramente, ma in mia difesa vorrei dire che è stato uno sforzo combinato.- disse, riprendendo a riordinare. Fece una lunga pausa, per lasciare che il divertimento si allontanasse, permettendo all'empatia di prendere il suo posto. -Avete parlato tanto. Come stai?- domandò, abbassando il tono di voce.

Cullen non rispose subito, preferendo soffermarsi a raccogliere le idee. -Sto bene, amore mio.- rispose, tornando a sua volta al lavoro, per darsi qualcosa da fare mentre abbassava le difese. -Siamo stati feriti dalla stessa mano. Venirne a patti ha aiutato entrambi.- fece una pausa. -Al di là di questo, sembra una persona su cui contare. Mi piacerebbe...- e non concluse la frase, sentendosi ridicolo a voler esprimere un desiderio che la sua testa bollava come puerile.

Lavellan, che sapeva da dove proveniva quell'imbarazzo, si affrettò a contrastare quell'istinto, dando importanza all'esigenza. -Penso che piacerebbe anche a lui avere una persona in più su cui contare.- disse, con naturalezza. -Ne guadagnerebbe, dato che conoscerti è stata una delle cose più belle che mi siano capitate.-

Cullen la guardò come si guarderebbe uno Spirito della Bellezza, sentendosi grato e indegno allo stesso tempo. Come avesse fatto a meritarsi una gioia simile dopo tutto il male che aveva riversato nel prossimo per lui era un gran mistero. Si chiese perché Andraste non gliel'avesse fatta incontrare prima, evitandogli di soffrire e far soffrire per così tanto tempo, ma si rispose dicendosi che quello era il momento giusto, perché nessuno aveva il potere di guarirlo se non se stesso.

Prese un respiro profondo, sforzandosi di uscire dalla sua testa, poi le rivolse un sorrisetto che avrebbe voluto essere sornione, ma su cui c'era un visibile velo di imbarazzo. -Avresti dovuto dire: "sei la cosa più bella che mi sia mai capitata".-

-Una volta ho visto un non-morto con un cappellino.-

Cullen liberò una risata genuina, sentendo il suo cuore alleggerirsi, nonostante la faccia gli facesse un male incredibile. -Dovevi davvero coinvolgere Sera nella tua ritorsione?- le domandò, rigirandosi un soprammobile tra le mani. -Lo sai che me la farà pagare a vita, no?-

Lavellan si zittì per un po', mentre assumeva un’aria divertita. -In realtà, penso che la farà pagare a me per non averla coinvolta.- gli suggerì.

Cullen inclinò la testa, dando dapprima un'espressione confusa, poi basita. -No!- esclamò.

Lavellan sghignazzò. -Eh, si, invece.- lo contraddisse, per poi dargli un buffetto leggero sul braccio. -E lei è decisamente una da fiori, quindi ti conviene provvedere.-

-Come hai... insomma...- Cullen era senza parole. Fissava un punto non specificato di fronte a sé, mentre il suo cervello cercava di processare adeguatamente quell'atteggiamento totalmente fuori dal personaggio.

-Rose, o qualcosa di molto femminile.- lo interruppe Lavellan, riportandolo al presente.

-Ricevuto.- disse lui, chiudendo definitivamente quella parentesi.

Adorando quella delicata inconsistenza nei suoi modi, Lavellan carezzò il suo viso con un'occhiata carica di dolcezza, poi con i polpastrelli, attenta a non fargli del male. -Anche tu mi togli il respiro.- mormorò, avvicinandosi di un passo mentre i loro sguardi si allacciavano. Gli appoggiò un bacio leggero sulla guancia, poi gli rivolse un gran sorriso.

Altrettanto in adorazione, Cullen raggiunse la sua mano, stringendola appena. -Per me sei davvero la cosa più...-

-Cosa ti è successo?-

I due si voltarono verso l'ingresso, dove Josephine era appena apparsa. Aveva gli occhi sgranati e la bocca schiusa su un'espressione allibita.

Cullen ci mise qualche secondo per realizzare che si stesse rivolgendo a lui. Lasciò la presa sulla mano di Lavellan, per poi tentare di elaborare una risposta. -Un piccolo incidente durante l'allenamento.- provò a minimizzare, fallendo miseramente.

Josephine, difatti, si era portata di fronte a lui di gran carriera. -Piccolo?! A me sembra tutto fuorché piccolo! Leliana mi aveva premesso che ti fossi fatto male, ma questo è davvero troppo! Ti ha sfregiato!- esclamò, studiando la ferita per capirne l'entità. -Ti fa tanto male? Hai bisogno di acqua? Una coperta calda? Un teino? Vuoi che lo minacci di mandargli i Corvi sotto casa?-

-Josephine.-

-Gli farò pervenire una lettera di richiamo con i sigilli ufficiali, non importa se è amico di Leliana. Come si permette di alzare le mani su di te?-

-Josephine.-

-Quello è un bruto! Uno screanzato che sputa sull'ospitalità dell'Inquisizione! Non posso...-

Cullen la interruppe appoggiandole una mano sul braccio, per poi guardarla dritta negli occhi. Rimase in silenzio un solo istante, poi le rivolse un mezzo sorriso. -Grazie, ma non ho bisogno di niente.- fece una pausa. -Sto bene, davvero.-

Josephine lo guardò con aria sorpresa. -Lo so che stai bene, Comandante. È lui che starà molto meno bene quando gli avrò girato la testa dall'altra parte!- sbottò. -Che non si azzardi a venire a un metro di distanza da te, o giuro che gli scateno addosso...- ci pensò. -...così tanti burocrati da farlo rimanere in mutande!-

-Ecco perché cerco di non farla mai arrabbiare.- intervenne Leliana, entrando nella stanza con un pacco di libri contabili tra le braccia. Si accostò a Lavellan, che approfittava dell'exploit di Josephine per continuare a lavorare indisturbata. -Cassandra dice che l'hai antagonizzato.-

-Non l'ho...- Cullen strinse le labbra su una replica brusca. -Abbiamo risolto, davvero, va tutto bene.- si corresse.

Leliana gli rivolse un sorrisetto. -Ah, si? Con i bachi sotto al cuscino e i sassolini negli stivali?- lo punzecchiò.

-Non dimenticare l'inchiostro.- intervenne Lavellan. -E il miele nel borsello.-

Josephine diede un cenno d'assenso, complimentandosi con lei nell'esibire un'espressione soddisfatta. -Ben gli sta! Ma guarda te, 'sto scimmione.-

Cullen guardò le sue colleghe una a una, percependo un calore nel petto che non sentiva da anni. Il suo primo istinto fu quello di rifiutarlo, cosa che sicuramente avrebbe fatto a parole, ma in testa sua sapeva che se erano arrivate a preoccuparsi per lui a causa un'inezia, si sarebbero schierate al suo fianco nel caso di un'evenienza più grave. E lui, in cambio, le avrebbe protette con tutta la forza che aveva in corpo perché gli avevano regalato qualcosa di inestimabile.

-Rendiamo operativa questa tesoreria, dai!- li incitò Lavellan. -Se volete vi canto una canzoncina per facilitare il...-

-No.- risposero i tre, in coro.

Lavellan assunse un'espressione infastidita. -Neanche una barzelletta "toc-toc"? Una freddura sui pesci? Una descrizione dettagliata di come si estrae il cervello da un cadavere?- propose.

Leliana le ficcò una valigetta carica di monete tra le mani, le fece fare un giro su se stessa e la spinse delicatamente verso una scrivania. -Dopo che le hai contate tutte.-

Josephine esalò un sospiro di sollievo, facendo sorridere Cullen. La fitta di dolore che lo sconvolse fu lancinante, ma ancora una volta ne era valsa la pena.




-Nota-

Più lo rileggo, più mi sembra un capitolo oscenamente espositivo. Spero che non sia super noioso.
La lezione che abbiamo imparato a fine Origins è che Arle Eamon si merita gli schiaffoni, perché da piccino non gliene hanno dati abbastanza <3
Josie quando i nobili la trattano a pesci in faccia vs Josie quando le tocchi i suoi colleghi
Pubblico in anticipo perché tra domani e la settimana prossima mi è quasi impossibile stare davanti a un computer. Ah e gli aggiornamenti salteranno per una settimana, quindi è probabile che il capitolo 14 appaia tra il 22 e il 24. I’m sorry!!
Grazie per essere arrivati fin qui, un abbraccio
<3

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Capitolo 15
*** Tollerarsi ***


L'aria attorno all'Ancora vibrò, mentre Lavellan fletteva le dita.

Un rumore stropicciato rimbombò nello studio di Solas, mentre gli oggetti venivano bagnati da un'intensa luce verde e gli arazzi si trasformavano in opere monocromatiche.

Come conseguenza, il padrone di casa si massaggiò le palpebre, dimostrando un'espressione infastidita quando Lavellan chiuse il palmo della sinistra.

-Vorrei poterla controllare meglio.- ammise lei, corrucciata.

Solas ammiccò per riabituare gli occhi alla luce delle lanterne e, una volta ripresosi, recuperò uno dei guanti di Lavellan per porgerglielo. -Devi avere pazienza e continuare a esercitarti, lethallin.- disse, offrendole un sorriso rassicurante. -Questo è un terreno sconosciuto persino per i Maghi più esperti.-

Lei ricambiò il sorriso al meglio delle sue possibilità. -Dici che posso usarla come scusa la prossima volta che faccio esplodere qualcosa?-

-Se mi dai il tempo di riprogrammare i miei impegni, posso venire a testimoniare in tuo favore.- scherzò lui.

Lavellan esalò una risata istintiva. Si infilò il guanto, prendendosi i suoi tempi, mentre Solas finiva di scrivere un paragrafo di appunti sui suoi progressi. Nel compiere l’azione, indugiò con lo sguardo sulle sue dita affusolate, riconoscendo le imperfezioni tipiche di qualcuno che è abituato a esercitarsi nello studio pratico della magia con regolarità. Era palese che ci fosse una grande passione dietro ai suoi esercizi, quindi farsi male con le schegge di legno, procurandosi calli e vesciche, non sembrava un motivo per cui lamentarsi.

Si ricordò di aver tratto le stesse considerazioni in mattinata, sebbene fossero direzionate a Hawke. Al contrario di Solas, lui possedeva mani ruvide e tozze, percorse da vene in rilievo, macchie e bruciature, segno che oltre a non lamentarsi delle conseguenze dei suoi studi le accoglieva con orgoglio. Inoltre, aveva un approccio alla magia molto più impetuoso, nonostante fosse chiaro che avesse anni e anni di studi alle spalle.

Forse, pensò Lavellan, era per quel motivo che Cassandra sentiva di avere un'affinità con lui. In qualche modo, i loro caratteri si assomigliavano, nonostante lei apparisse più responsabile.

-Hawke è un individuo carismatico.- disse, dopo un po'.

Solas sollevò appena lo sguardo dai suoi appunti. -Molto.- riconobbe.

Lavellan ci rifletté diversi minuti, con lo sguardo perso nel vuoto, poi decise di sputare il rospo. -Cassandra pensava che sarebbe stato un'ottima guida per l'Inquisizione.- rivelò. -Lo pensa tutt'ora, in effetti.-

-Cassandra ha le sue convinzioni, e di solito una convinzione ti spinge a estrapolare ciò che ti conviene dal contesto, disdegnando il resto.-

-Devi ammettere però che quando Hawke entra in una stanza, l'atmosfera cambia in suo favore.-

-Perché, come hai detto tu, possiede un carisma naturale.- ribadì Solas, appoggiando con cura il pennino sul tavolo. -Ma il carisma non è tutto, quando devi guidare un'organizzazione così complessa. Ci vuole un impegno indissolubile, cuore, testa e astuzia. A me risulta che tu possieda tutte e quattro queste caratteristiche.-

-Tranne il carisma.-

Solas ridacchiò. -Non sei così insicura da dovermi ingannare pur di ricevere complimenti.- disse. -Per quello hai già la tua vittima sacrificale.-

Lei finse indignazione in maniera teatrale. -Hai un’opinione così bassa di me?- sbottò, sforzandosi di non ridere.

Solas le gettò un'occhiata divertita. -Sono nato prima di te. Questi espedienti per pescare rassicurazioni risalgono alla nascita del mondo.- disse. -E poi, mi sembra di averti già dato una frazione di quello che volevi, seppure per vie traverse.-

-Mica tanto traverse.-

-Ti preoccupa così tanto l'opinione di Cassandra?-

-Sarei una bugiarda se ammettessi il contrario.- disse Lavellan, stringendosi nelle spalle. -E, per la cronaca, non stavo cercando rassicurazioni. Per l’appunto, non ne ho bisogno. Mi ferisce il suo atteggiamento, ecco. Lei c’è sempre stata nei momenti in cui ho avuto difficoltà, lo sa che mi sono guadagnata ogni cosa che ho ottenuto. Eppure, la sua insicurezza è più forte dei fatti.- fece una pausa, per scrollarsi di dosso il divertimento. -Non ho il carisma istintivo di Hawke, ho sempre dovuto lavorare, lavorare, lavorare… e ogni volta che penso di non dover provare più niente a nessuno, c’è sempre una persona insicura che mette in ballo ciò che dovrebbe essere scontato.- scosse appena la testa. -È proprio vero che i dubbi che provengono da dentro sono molto più forti di quelli che provengono da fuori.-

-Una verità inconfutabile.-

Lavellan sbuffò. -Mi rendo conto che fosse in collera con se stessa, quando ci siamo confrontate e che non fosse sua intenzione delegittimare i miei sforzi. Diciamo che mi ha sorpresa, per non dire delusa.- spiegò.

-Dev'essere stata una conversazione interessante.-

-Se per interessante intendi umiliante, sei sulla strada giusta.-

-Addirittura?-

-Ah, ma vai tranquillo che io da qua non mi schiodo!- esclamò lei, riprendendo il sorriso. -Non sarò un eroe, o un campione, ma come faccio io gli ordini del giorno non li fa nessuno.-

Solas liberò una risata sincera. -La prossima volta che avrò una crisi esistenziale, verrò dritto da te a chiederti di minimizzare.-

Lavellan inclinò la testa nella sua direzione. -La mia parcella è molto salata.-

-Non quanto il palato di Cassandra quando si è resa conto di essere stata presa per i fondelli per mesi da un bugiardo di professione.-

Lavellan esalò un sospiro sommesso. -Meglio così. Almeno adesso mi sentirò ancora più legittimata a mettere il veto su decisioni che di logico hanno solo l'analisi del testo.- fece.

Rimasero in silenzio a lungo, assorti. Anche se erano riusciti a mettere una buona dose d'ironia nella loro conversazione, la partenza prevista per il giorno successivo gravava sulle loro teste come un ammasso di nuvole temporalesche.

-Non ti piacerà quello che vedremo, lethallin.- mormorò Solas, spezzando il silenzio.

Lavellan sfiorò il suo viso con lo sguardo, riconoscendo la gravità di quell'avvertimento. -Pensi che influirà sul mio giudizio?-

-Se non lo facesse, mi preoccuperei.- ammise lui. -Ma è inutile cercare di indorarti la pillola. Sarà un viaggio che ti cambierà nel profondo.-

Lavellan si morse un labbro, spostando la testa altrove. -Siamo lì per uno scopo, lethallan: stabilizzare l'area e guadagnare abbastanza influenza per evitare che Corypheus abbia successo. Non mi lascerò distrarre, a costo di perdere pezzi per strada.-

Solas la osservò a lungo, studiando il suo viso con uno sguardo enigmatico. -Anche se quei pezzi facessero parte della tua umanità?-

-Siamo gli ultimi Elvhen, lethallan. Noi ci pieghiamo, non ci spezziamo.- rispose Lavellan, tornando a guardarlo negli occhi.

Solas le rivolse l'accenno di un sorriso. -Tienilo bene a mente.-

Lei annuì. -Non serve che me lo dica.- disse, posandogli una mano sulla spalla prima di dirigersi verso l'uscita.

 

14 - Tollerarsi

 

L'Inquisitrice era assente da sei settimane.

Nonostante provvedesse rapporti a ogni fine giornata sull'andamento della situazione nella Sacra Pianura e alle Tombe di Smeraldo, facendo anche in modo di prendere decisioni importanti dalla distanza, la sua mancanza iniziava a provocare un vuoto importante in sede di consiglio. Vuoto che tutti, Josephine in primis, cercavano di colmare attivamente tramite un atteggiamento positivo, per quanto possibile, senza modificare i ritmi che avevano preso quando Lavellan era presente. Infatti, i tre consiglieri si radunavano sempre due volte al giorno di fronte al tavolo di guerra per fare il punto della situazione, senza mai mancare all’appuntamento.

Quella mattina in particolare, la riunione era cominciata presto, dato che Josephine aveva ricevuto notizie da Halamshiral poco dopo l'alba. Finalmente, avevano una data per il ballo, nonché un invito a parteciparvi, curato direttamente dalla segreteria del Granduca di Chalons, segno che lui stesso avesse approvato di ospitare l’Inquisizione nel suo seguito.

Nell'osservare l'invito, che giaceva sopra la corona dell'Orlais sulla mappa, Leliana aprì un sorriso soddisfatto. -Non sono sorpresa che tu ci sia riuscita con così poco preavviso, ma sono comunque molto colpita. Ottimo lavoro, Josie!-

Josephine, in piedi dalla parte opposta del tavolo a redigere una lista, chinò appena il capo in segno di ringraziamento. -Vorrei che Ankh fosse qui per aprire l’invito di persona. Era con me quando ho redatto le contrattazioni preliminari.- sorrise appena.

-Già. Purtroppo dobbiamo farlo senza di lei.- replicò Leliana, raccogliendo la busta per metterla in sicurezza.

Cullen, che stava scorrendo lo sguardo sugli ultimi aggiornamenti provenienti dalle Tombe di Smeraldo, interruppe quello scambio con un sospiro stanco.

-Stringata come al solito?- gli domandò Josephine, portandosi al suo fianco.

-Analitica, piuttosto.- rispose lui, con una punta di nervosismo nel tono di voce. -Ha incontrato degli esploratori dalish a Din'an Hanin. Sospetta che i Templari Rossi possano interferire con la loro missione.- recuperò un pezzo di carta per scrivere una nota da consegnare a un messo. -Ora che ha messo fine alla minaccia degli Uomini Liberi, le vie sono sgombre e possiamo iniziare a mandare più truppe nelle Valli senza preoccuparci delle imboscate. Garantire una piccola scorta per gli Elfi non sarà un problema.-

Affidò la nota nelle mani del messo, bruscamente, poi tornò a leggere il rapporto.

Josephine lo osservò con attenzione, rigirandosi un pennino tra le dita. -C'è qualcosa che non va?- gli domandò, perché le pareva strano quell'atteggiamento, in relazione a, tutto sommato, una notizia neutra.

-Al contrario, la regione è al sicuro. Dobbiamo solo organizzarci per raggiungere Emprise du Lion, ma con le gelate recenti, gli squarci e i Templari Rossi a piantonare l'area è necessario attrezzarsi più del dovuto.- rispose lui, massaggiandosi distrattamente una tempia.

Josephine, per niente convinta, si limitò ad annuire, poi scoccò un'occhiata eloquente a Leliana, che le rispose con un impercettibile cenno d'assenso, indicandole che avrebbero discusso dell’eccessiva professionalità del loro collega in separata sede.

Allora, Josephine decise di concentrarsi sulla riunione. -Dovremmo valutare di convocare uno stilista.- annunciò.

-Perché? Siamo pieni di sarti a Skyhold.- replicò Cullen, aggrottando la fronte su un'espressione confusa.

-Non penso che ci saranno di alcuna utilità, in previsione del ballo. Abbiamo bisogno che qualcuno ci disegni una divisa e pensi al guardaroba dell'Inquisitrice durante la sua permanenza al Palazzo d'Inverno.- spiegò Josephine.

Cullen inclinò la testa di lato, sempre più confuso. -I soldati hanno già una divisa.-

-Noi no.- intervenne Leliana, divertita da quell’interazione. -Non possiamo presentarci al ricevimento in abiti informali. Siamo un seguito, dobbiamo essere impeccabili.-

-Mi sono permessa di selezionare diversi atelier nell'Orlais.- ammise Josephine, davvero entusiasta. -Se più tardi vi andasse di visionare qualche portfolio, potrei convocare un paio di candidati in serata.-

Cullen si passò una mano sulla testa, osservando il tavolo con aria stanca. -Fai tu, io non ho tempo da perdere.- borbottò. -Anzi, se potessimo tornare a parlare di cose serie sarebbe l'ideale. Ho una fila di ufficiali in attesa davanti al mio ufficio.-

Josephine inspirò una buona quantità d'aria nei polmoni, per poi rilasciare il nervosismo con un bel respiro. -Nessuno di noi è qui per perdere tempo, Comandante.- puntualizzò.

-E allora perché stiamo parlando di vestiti?-

Leliana si schiarì la voce, attirando l'attenzione su di sé per tarpare un litigio sul nascere. -Ho notizie di Alistair.- annunciò.

 

Una volta chiusa la seduta, Leliana prese Josephine sottobraccio, usando la scusa di aiutarla a selezionare dei portfoli per discutere della situazione in privato. Cullen fece finta di niente, preferendo congedarsi con un cenno e augurare loro una buona giornata. Stilista o non stilista, aveva poca voglia di trattenersi più del dovuto fuori dalla caserma.

Aveva appena finito di delegare l'ultima mansione ai suoi ufficiali che la porta del suo ufficio si aprì.

-Non è giornata.- decretò Cullen, mentre Hawke prendeva posto scompostamente sul bordo della sua scrivania, a pochi centimetri dal suo gomito sinistro.

Il nuovo arrivato si sporse in direzione del padrone di casa, stringendo lo sguardo nell'osservarlo attentamente. -Con te non è mai giornata, ma oggi sembri particolarmente sulle spine.- commentò, toccandogli la punta del naso con l'indice. Cullen si ritrasse istintivamente, per scoccargli un'occhiataccia.

Hawke gli rivolse un sorrisetto, poi decise di prendere le distanze. -Potrei aiutarti ad alleviare il dolore per qualche ora, se me lo consentissi.- propose, passando distrattamente lo sguardo sulla libreria che ricopriva la parete orientale dell’ufficio.

Cullen, che si era alzato dalla sua poltrona per mettersi a riordinare i documenti sul tavolo, sbottò una risata tutto fuorché divertita. -Sottopormi a scherzi che divertono solo te non è un buon modo di aiutare qualcuno.-

-No, non sarebbe divertente. Non sei in vena.- affermò Hawke, tornando a guardarlo. -Intendevo dire che me la cavo negli incantesimi di guarigione. Non sono il mio forte, ma mi riescono piuttosto bene.-

Cullen serrò la mascella. -Non è qualcosa che si può guarire, Hawke.- affermò, abbassando drasticamente il tono di voce.

-Lo so.-

-Allora la tua proposta è un po' vana, non trovi?-

-Non ti ho detto che ti avrei guarito. Il tuo corpo sta smaltendo il lyrium che ti è rimasto nel sangue e, allo stesso tempo, ne richiede altro per portare a termine il compito.- replicò Hawke, tranquillamente. -Potrei ingannare quel lyrium momentaneamente con un incantesimo di ringiovanimento e attenuare la sensazione di disagio.- si strinse nelle spalle. -Non è detto che funzioni, ma mi sembrava giusto proportelo.-

-Vorresti usare la magia su di me?-

-Non senza il tuo consenso.-

Cullen era chiaramente innervosito da quell'idea, ma parve rifletterci. Il suo viso era

contratto, le labbra tese e la mascella serrata, mentre le sue braccia non riuscivano a trovare una posizione comoda nello spazio. Si passò una mano sul capo, poi tirò su con il naso, guardandosi attorno, in difficoltà.

-È solo un suggerimento.- disse Hawke, aprendo una mano verso di lui.

-L'hai già detto.-

-Mi sembrava giusto fartelo presente di nuovo.-

-Qual è il tuo scopo?-

-In che senso?-

-Lo fai perché provi pena per me, o vuoi semplicemente mettermi in difficoltà?-

Hawke scrollò le spalle, lasciando ricadere la testa di lato. -Se volessi metterti in difficoltà per farmi una risata, ti metterei delle erbe lassative nel tè, non userei il tuo trauma.- precisò. -E di certo non lo faccio perché provo pena per te. Lo faccio perché sei in difficoltà e mio padre mi diceva sempre che va data una mano a chi soffre.- strinse lo sguardo, puntandolo brevemente altrove. -In realtà... sono quasi certo che l'abbia detto lui, ma c’è una buona possibilità che l’abbia letto nei bagni della Rosa.- borbottò.

Cullen sospirò, appoggiandosi una mano sulla fronte. -Non penso di essere pronto a... questo.-

Hawke gli diede una pacca amichevole sul braccio, per poi stringere appena la presa su di esso. -Va bene così. Un passo alla volta.- lo rassicurò.

-Mi dispiace. So che sarebbe stato un buon modo per provarti che ci sto lavorando sopra seriamente.-

Hawke ritrasse il capo, inarcando un sopracciglio. -Non devi provarmi proprio niente, Culls. Anzi, non devi provare niente a nessuno. L'unica persona che può aiutarti è qui- gli appoggiò una mano sul petto -non qui.- indicò se stesso.

Cullen deglutì. -Quindi non pensi che quello che mi è successo me lo sia meritato?-

Hawke lo guardò dritto negli occhi. -Solo perché te la sei cercata, non vuol dire che ti meritassi quello che ti è successo. Se ho lasciato intendere questa cosa tramite il mio atteggiamento, ti devo le mie scuse.- disse, mostrandogli nient'altro che serietà.

Cullen ricambiò l'occhiata, poi chinò lo sguardo a terra. -In cosa consiste questo ringiovanimento?- mormorò.

-Posso dimostrartelo, così potrai descriverlo a un Mago di cui ti fidi nell'evenienza in cui cambiassi idea.- rispose Hawke, rimettendosi in piedi con un balzo. -Non ti muovere.-

Lo lasciò per la durata di un paio di minuti, ritornando con un fiore di loto nero reciso, dai petali raggrinziti. Lo appoggiò sulla scrivania e liberò il suo grimorio dalla custodia che lo ancorava alla sua cintura, sfogliandolo sotto lo sguardo attento di Cullen.

Quando ebbe finito di ripassare l'incantesimo, chiuse il libro e lo appoggiò sul tavolo. Con naturalezza, impose una mano sopra il fiore, accarezzando un paio di volte l'aria sopra di esso. Immediatamente, il palmo della sua mano si tinse di energia verde che ricoprì gradualmente l'organismo dal punto in cui era stato reciso fino ai pistilli. In una manciata di secondi, i petali e il gambo ripresero turgore, permettendo a Hawke di ritrarre appena le dita, concludendo l'incantesimo.

-Non serve che ti dica che è temporaneo.- disse, raddrizzando il fiore per mostrarglielo. -Durante la mia spedizione nelle Vie Profonde, ho visto un Custode eseguirlo su un ragazzo colpito dal Flagello e, nonostante i sintomi si fossero attenuati per diverse ore, la malattia ha continuato il suo corso il giorno successivo. Per funzionare, funziona, ma non è un rimedio definitivo.-

-Di solito, gli incantesimi di guarigione richiedono molta concentrazione e molto lyrium.- intervenne Cullen, che osservava gli effetti del ringiovanimento con aria tutto fuorché convinta.

Hawke infilò il fiore in un boccale vuoto, poi raccolse il suo grimorio dal tavolo, per riporlo. -Non necessariamente.- spiegò. -Il lyrium per un Mago serve come catalizzatore, o amplificatore. Non ci da energia, ci aiuta a sfruttarla.-

-Questo lo sapevo, ma più un corpo è grande, più un Mago consuma energia. È per quello che molti Maghi ricorrono alla magia del sangue quando sono alle strette.-

Hawke lo guardò di sottecchi. -La magia del sangue è potente, ma pone l'utilizzatore in uno stato di estrema vulnerabilità. Il sangue non è una fonte di energia affidabile.- fece una pausa. -A meno che tu non abbia il totale controllo di te stesso.-

-Quindi la chiave di tutto è il controllo.-

-La chiave della magia è il controllo. Non ci vuole un Mago abile per capire che nel sangue c'è una fonte inestimabile di energia, ma ci vuole un Mago eccezionale per riuscire a utilizzarlo senza perdere coscienza di sé.- sollevò l'indice, per evitare che Cullen intervenisse. -Usare la magia del sangue per anni garantisce una maggiore efficacia degli incantesimi, ma provoca un decadimento fisico e, soprattutto, mentale considerevole. Quando ti dico che non è affidabile, non mi riferisco solo alla magia, ma al soggetto che la utilizza.- aggrottò la fronte. -Non diventi necessariamente più suscettibile alla possessione, ma rischi sicuramente di perdere il cuore di ciò che ti definisce una persona. Per quello nessuno dovrebbe considerarla, soprattutto se si trova in una posizione di svantaggio.- raggiunse la scrivania, appoggiando le mani sui bordi per sporgersi verso il suo interlocutore. -Non è un concetto alieno, per te, che hai utilizzato il lyrium per anni affinché ti garantisse capacità fuori dal comune.-

-I Templari non usano il lyrium per controllare la mente.- lo contraddisse Cullen.

-Fortunatamente, non avete ancora imparato a farlo.- commentò Hawke. -Ma provoca lo stesso tipo di decadimento, se non peggiore, dato che non è una fonte di energia stabile. Inoltre, non protegge dalla possessione, se il soggetto che l'utilizza non ha il pieno controllo di sé e della fonte di energia alla quale attinge.-

-Mi stai davvero paragonando a un maleficarum?-

Hawke roteò lo sguardo. -No, ti stavo solo spiegando perché hai espresso un concetto stupido evitando di darti dello stupido.- sbottò. -Qualsiasi incantesimo ha bisogno di un catalizzatore, è vero, ma il lyrium ci viene in aiuto solo in casi eccezionali. Un Mago non ha bisogno di usare il lyrium regolarmente per compiere incantesimi che sfruttano l'energia e, notizia bomba, questa cosa varrebbe anche per i Templari, se gli venisse insegnato.-

Cullen sbuffò una risata arida di divertimento. -E gli asini volano!-

-Cassandra non assume lyrium, eppure sfrutta delle abilità di dissoluzione meglio di qualsiasi Templare che abbia mai conosciuto. Ti sei mai chiesto come faccia?-

Cullen si rimangiò una risposta brusca sul nascere, osservandolo con aria accigliata. -No, non me lo sono mai chiesto.- ammise.

-Non te lo sei mai chiesto perché ti costringerebbe ad ammettere che la Chiesa usa il lyrium con voi così come i Maghi disperati e inesperti usano la magia del sangue.- affermò Hawke.

Cullen rimase immobile a fissarlo. Istintivamente, gli venne di ribattere e se ne sorprese, perché era per quel motivo che si era voluto allontanare dall’Ordine. Probabilmente, pensò, concordare con Hawke su un’idea che per molti appariva controversa non gli veniva così naturale come si aspettava, o forse era un atto istintivo di proteggere quel poco che restava del rispetto che Cullen provava per un'istituzione che aveva messo lui e i suoi confratelli nella posizione di accettare un destino di miseria e decadimento cerebrale.

In ogni caso, doveva sforzarsi ad andargli incontro, così come stava facendo lui.

-Per mantenere il controllo.- rispose, affidando alla sua voce un senso di sicurezza che lui non possedeva appieno.

Hawke annuì, piano. -Per ritornare a ciò che ti ho corretto prima, gira tutto intorno a quello, che ci piaccia o meno.- ammise, per poi raddrizzare la schiena. -Torniamo all'argomento principale, adesso?- suggerì.

Cullen si passò una mano sulla barba, nervosamente. -Ricapitolando: la tua idea sarebbe quella di innescare il lyrium già presente in me per simulare l'euforia da assunzione.- fece, ritornando lentamente verso la sua poltrona per afferrarne lo schienale.

Hawke assunse un'espressione sorpresa. -In parole povere, sì.-

-Potrebbe generare l'effetto opposto, ci hai pensato?- domandò Cullen, con aria interessata. -Potrei approfittare di questa soluzione proprio per la sensazione che ne consegue, non per alleviare i dolori e le crisi. Rischierei di ritornare ad assumere il lyrium qualora il rimedio non facesse più effetto.-

-Ci ho pensato.- ammise Hawke, appoggiando le mani sui fianchi. -Ma ho anche pensato che tu non saresti il tipo da ricorrere alla magia regolarmente.-

-Stai dando troppo credito a un drogato. E sappiamo entrambi che le dipendenze superano i traumi.- affermò Cullen, con decisione, provocando in Hawke una reazione di sbigottimento. -Tu che conduci uno stile di vita edonistico, sai che l'euforia scaturita dall'eccesso ti spinge ad andare sempre più oltre il limite. Se da un momento all'altro ti ritrovassi a smettere di bere smodatamente, di abbuffarti, di provare piacere...- si interruppe, vittima di un lieve imbarazzo.

-Insomma, temi che se la magia ti venisse in aiuto, ritroveresti quella sensazione e di conseguenza perderesti definitivamente il controllo sulle tue azioni.- concluse Hawke, per lui.

-In quel caso, un aiuto di questo tipo potrebbe causarmi più dolore che benessere.-

-Però potrebbe trattarsi di una soluzione meno estrema al tuo problema. Introdurre un'astinenza graduale a un'interruzione totale potrebbe evitare al tuo corpo di reagire in maniera così drastica nelle situazioni di stress.- Hawke chiuse gli occhi e si pizzicò la punta del naso, esalando un sospiro d'insoddisfazione. -Siamo punto e a capo.-

Cullen diede un sorriso tirato. -La magia non è la soluzione a tutto, rassegnati.-

-Non lo è mai stata, o adesso mia sorella sarebbe qui a insultarmi perché sto aiutando un dannato Templare.- commentò Hawke, tornando a sfogliare il suo grimorio. -Mi sembrava una buona idea, Culls, o non te l'avrei mai proposta.- disse, dopo un po'.

Cullen annuì. -Va bene così.- disse.

-Ne discuterò con la Grande Incantatrice, più tardi. Magari potrebbe essere utile a qualcuno che sta affrontando il tuo stesso percorso.- disse Hawke, facendo un'orecchietta sull'angolo della pagina prescelta. Carezzò un fiore essiccato con aria riflessiva, poi chiuse il libro con un gesto secco. -Come sta la testa, a proposito?-

-Non ho ancora ricevuto lamentele al riguardo.- rispose Cullen, senza pensarci troppo.

Hawke gli rivolse un sorrisetto. -Notizie della Quisi?-

Cullen tornò a sedere, facendo aderire le spalle sullo schienale e scorrendo i polsi sui braccioli fino ad afferrarne il terminare. -Ne ha fatto fuori un altro.- rispose, avido di entusiasmo.

Hawke ridacchiò. -Siamo a tre alti draghi, adesso, no? Ancora sette e riceverà ufficialmente la cittadinanza nevarriana.-

-Così ha scritto nella sua ultima lettera.- riferì Cullen. -Tre settimane fa.- aggiunse, con una nota di fastidio nel tono di voce.

Hawke, che nel frattempo si era mosso verso la libreria per curiosare, gli rivolse un'occhiata incerta. -Ho sentito dire all'Usignolo che avete sue notizie giornalmente.- ammise.

-Riceviamo rapporti giornalieri, ma è da un po' che non è più lei a compilarli.- spiegò Cullen, per poi assumere un'espressione preoccupata. -Perché te ne sto parlando?-

Hawke si strinse nelle spalle, mentre scorreva l'indice sulle coste di una serie di libri sulla storia militare orlesiana. -Vuoi parlarne?-

-Sì, ma perché dovrei farlo con te?-

-Non saprei.- replicò Hawke, prendendo una smorfia schifata nel notare una copia di Spade e Scudi ancora incartata sullo scaffale. -Però è una cosa che mi succede spesso. La gente mi racconta gli affari suoi in maniera del tutto arbitraria, io mi impietosisco, li aiuto e se tutto va bene ci guadagno un bel soldino.-

-Non ho intenzione di pagarti per una cosa del genere!-

-Era per dire.- precisò Hawke, recuperando un'edizione vetusta della Vedova per sfogliarla distrattamente. -Ti sembrerà un concetto astruso, il fatto che io possa ascoltarti senza pretendere niente in cambio.-

-Puoi biasimarmi, dopo che ho passato settimane a guardarmi le spalle per prevenire i tuoi scherzi? Pensavo che provassi solo disprezzo nei miei confronti.-

-La vita è troppo breve per crogiolarsi nel rancore. Ti faccio tutti quegli scherzi perché fondamentalmente sei un represso antipatico e le tue reazioni sono stupidamente divertenti.-

Cullen gli scoccò un'occhiata torva. -Scommetto che da piccolo eri il classico bullo che tirava le trecce alle bambine che gli piacevano, anziché ammetterlo chiaramente.-

Hawke si voltò nella sua direzione, con aria divertita. -Sono gay, Culls. Io i bulli che tiravano le trecce alle bambine li baciavo dietro alla legnaia.-

Cullen liberò una risata stanca, passandosi una mano sul viso. -Non ha il minimo senso!- protestò.

-Lo avrebbe, se avessi un briciolo di fantasia. O meglio, se avessi i miei stessi gusti in fatto di uomini.- replicò Hawke, tornando a sedersi sul bordo della scrivania, stavolta sul lato destro. -Allora, queste disgrazie amorose?- domandò, invitandolo a parlare con un buffetto sul braccio.

Cullen lo fissò a lungo con aria incerta, poi, inevitabilmente, cedette. Recuperò una chiave da sotto un libro e la usò per aprire un cassetto. -Prima che Lav partisse, ci siamo promessi che ci saremmo scritti.- disse, estraendo un plico striminzito di fogli di pergamena dal cassetto. Erano pochi, macchiati di impronte di inchiostro e stropicciati, come se fossero stati spediti in fretta e di nascosto. -Se impossibilitati, abbiamo concordato di inserire nei rapporti ufficiali una nota, o una menzione che solo l'altro avrebbe capito.-

Hawke gli rivolse un sorrisetto, colpito da quell'idea. -Mi sorprendi! Non è una cosa che mi aspetterei da uno come te.-

Cullen lisciò le lettere, dandosi il tempo di riflettere, poi le ripose con cura al loro posto. -Perché non mi conosci bene quanto credi.- lo rimproverò, richiudendo a chiave il cassetto. -Purtroppo, da quando ha raggiunto le Tombe di Smeraldo, ha smesso di scrivermi e ha ignorato le mie note, preferendo delegare la stesura dei rapporti. Ha perfino smesso di chiedere aggiornamenti sul Monsignore, il che non è assolutamente da lei.-

-Il Monsignore?-

-Una cosa a cui stiamo lavorando insieme, ma non è rilevante.-

Hawke non dovette fare uno sforzo immane per evitare di insistere su quel dettaglio. Piuttosto, smise il sorriso, incrociando le braccia sul petto. -Le Tombe di Smeraldo, hai detto?- domandò, scorrendo uno sguardo indagatore sul suo viso.

Cullen annuì, ricambiandolo con un’occhiata perplessa.

Hawke sospirò. -"Noi siamo gli ultimi elvhen, mai più ci faremo soggiogare."- recitò, sommessamente.

Il suo interlocutore inarcò un sopracciglio.

-Non hai studiato la Sacra Marcia delle Valli?- chiese Hawke, inclinando la testa verso di lui. -Quella terra è impregnata del sangue della sua gente. È comprensibile che non sia dell'umore adatto per struggersi per te.-

-Lo capisco benissimo, Hawke. Però non riesco a non preoccuparmi.-

-Allora va' da lei, no?-

Cullen aprì una mano verso il tavolo, madido di scartoffie. -Il modo migliore di aiutarla è ricoprire il mio ruolo al meglio da qui e gestire la situazione fino al suo ritorno. Il suo lavoro è efficace proprio perché noi tre manteniamo il controllo in sua assenza.- spiegò. -Se partissi, non farei altro che indebolire la sua influenza.-

Hawke si passò una mano tra i capelli, per raccogliere le idee. -È anche vero che tu sei il capo dell'esercito.- disse. -Un esercito che non è stazionato solo a Skyhold. Avete truppe nelle Valli, in supporto alle vittime della guerra civile. Non è il compito del capo dell'esercito controllare la situazione di persona, di tanto in tanto?-

-Per quello esistono gli ufficiali. Io gestisco il quadro completo. A meno che non sia un’urgenza, devo essere sempre reperibile e il modo più efficace per far funzionare le cose è trovarmi in un posto dov'è semplice raggiungermi.-

-Vienimi incontro, Culls, sto cercando di aiutarti ad aiutarla!- sbottò Hawke, picchiettando una mano sulla scrivania. -Come puoi garantire la stessa cosa, pur essendo in movimento?-

-Non posso, sennò l'avrei già fatto.- protestò Cullen.

-Le tue colleghe non possono sfruttare i loro mezzi per venirti in aiuto?-

-Sarebbe egoistico chiedere una cosa del genere in un momento così delicato.-

-Eppure con la rete di spie ed esploratori che vi ritrovate, sarebbe possibile raggiungerti facilmente in ogni momento. E grazie alle risorse dei vostri contatti, puoi permetterti di stazionare abbastanza per garantire una reperibilità costante.-

Cullen scosse la testa. -Sarebbe troppo...- iniziò, per poi zittirsi, mentre il suo sguardo scorreva sulla scrivania, aiutando la sua testa a rincorrere un pensiero che gli stava sfuggendo. -No, non sarebbe rischioso, se mi aiutassero. Il problema rimane, però. Userei le nostre risorse per una questione privata.-

-La stabilità emotiva dell'Inquisitrice, dici?- gli suggerì Hawke, rivolgendogli un'occhiata eloquente. -Non mi sembra una questione privata, mi sembra un problema che riguarda tutti.-

Cullen lo guardò con tanto d'occhi. -Mi stai dicendo che dovrei sacrificare la mia integrità per lei?-

-Non per lei, per voi .- lo corresse Hawke. -E non sacrificheresti proprio niente, anzi! Ne guadagneresti in prestigio con i vostri alleati, beneficiando gli sforzi dell'ambasciatrice. In più, grazie alla tua presenza solleveresti il morale alle truppe, dimostrandogli che sei al loro fianco e che non hai paura di sporcarti la suola degli stivali.- lo guardò dritto negli occhi. -Potrei addirittura accompagnarti, dato che sto programmando di dirigermi a ovest.-

Cullen ci rifletté a lungo, poi si passò entrambe le mani sul capo, appoggiando i gomiti sulla scrivania nel curvarsi sopra di essa. -È una pazzia.- commentò.

-Di quelle innocue.- intervenne Hawke, sorridendogli.

-Santissima Andraste, come diavolo fai ad avere sempre una soluzione per tutto?-

-Mangio tante verdure.- rispose Hawke, appoggiando una mano sulla sua spalla.

Cullen sbuffò una risata. -Tu mangi tanto e basta!-

-Attento con le parole, o potrei accidentalmente darti fuoco all'uccello.-

-E sarebbe l'ultimo che vedresti per il resto dei tuoi giorni.-

Hawke assunse un'espressione colpita. -Chi sei tu e cosa ne hai fatto dell'imbranato cronico che si imbarazzava a dire "bordello"?-

-Te l'ho detto, non mi conosci e se ti impegnassi a farlo, non saresti troppo sorpreso.- replicò Cullen, raddrizzando la schiena per rivolgergli un'occhiataccia. -E smetteresti di dire alla ragazza di cui sono innamorato e a mezzo esercito che l'unica donna con cui ho parlato negli ultimi dieci anni è diventata un gargoyle di lyrium rosso per la vergogna.-

Hawke si strinse nelle spalle. -Non ho usato quelle esatte parole, ma... va bene. Allora racconterò di quella volta che ti ho sorretto la fronte ai bagni della Rosa per tutta la notte perché hai il braccino corto con le mance.- fece.

Cullen spalancò lo sguardo, arrossendo dalla radice dei capelli fino al pomo d'adamo. -Non ci provare nemmeno! Ero lì solo per bere.-

-Chiuso in una stanza per due ore con Katriela?-

-Ci ho parlato e basta.-

-Stranamente, a questo ci credo.-

-Non pensavo fosse così vendicativa.-

-Ha fatto arrestare un bambino, Culls.-

-Se l'avessi saputo, sarei rimasto in caserma a giocare a carte.-

-Ne valeva la pena, almeno?-

-Mi sono risvegliato nella cuccia del tuo mabari, Hawke. No che non ne valeva la pena.-

-Non potevo mica lasciarti per strada, ubriaco e delirante.-

-Almeno potevi mettermi una coperta addosso!-

-Fenris è freddoloso.-

-Ma se girava per tutta Kirkwall mezzo nudo e senza scarpe!-

Hawke esalò un lungo gemito di dolore. -Non mi ci far pensare.- rantolò. -Ieri ho intravisto uno scopettone e ho dovuto passare il resto del pomeriggio a rotolarmi nella neve per la disperazione.-

Cullen diede un’espressione schifata. -Ti manca così tanto?-

-Chiese quello che sospira ogni volta che vede un mazzo di frecce.- borbottò Hawke, spostando lo sguardo altrove. -Certo che mi manca.- aggiunse, in un sussurro.

Cullen sorrise appena, osservandolo con una vena di compassione nello sguardo. -Questi Elfi, eh?- commentò.

Hawke diede una risata sommessa, sollevando le sopracciglia su un'espressione sognante. -Tutto sommato, ci è andata fin troppo bene.- ammise.

-Così bene che a volte non riesco nemmeno a capire come sia possibile.-

-Potrei pizzicarti il braccio reiterate volte, così lo capiresti.-

Cullen lo spinse per gioco, facendolo ridere di gusto. -Una cosa, prima che te ne vada.- gli disse, mentre Hawke si muoveva verso l'uscita. Si alzò, raggiungendolo con una chiave che si era appena tolto di tasca. -Il tuo pagamento.- disse, in risposta a uno sguardo confuso del suo interlocutore.

-Che cosa apre?- domandò quest'ultimo, guardando l'oggetto in controluce.

Cullen si strinse nelle spalle. -Una cassa nella grande torre settentrionale. Magari potresti trovarci qualcosa di utile.-

Hawke strinse le palpebre a fessura, nel rivolgergli un'occhiata sospettosa. -L'ho esplorata da cima a fondo, quella torre. Non c'è nessuna cassa.-

-Solo perché non vedi qualcosa, non significa che non ci sia.- replicò Cullen, battendogli una mano sulla schiena nell'allontanarsi. -Ora vattene, che ho del lavoro da fare.-

Hawke uscì dalla stanza, continuando a osservare la chiave. Ciò gli impedì di registrare il sorrisetto compiaciuto che era apparso improvvisamente sul viso del suo interlocutore.

 

*

 

Era tarda serata a Skyhold e Hawke stava esplorando metodicamente la torre alla ricerca del suo premio. Purtroppo, le uniche casse presenti erano già state aperte, oppure spaccate e i loro resti erano disseminati in giro come i frammenti di un vaso rotto.

Ciò a cui stava riflettendo, una volta in cima, era che probabilmente si trattava di uno scherzo, oppure di un modo per tenerlo impegnato in previsione di uno scherzo più grande. Rispondendosi che Cullen aveva l'astuzia direttamente proporzionale alla sua fantasia inesistente, Hawke si sedette su un angolo del tetto, prendendo a evocare e dissolvere un globo di fuoco per perdere un po' di tempo prima di affrontare la discesa. Era un gioco utile, che suo padre gli aveva insegnato per permettergli di padroneggiare la magia mentre era concentrato su altro e che nel corso dell'età adulta lo aveva aiutato a ricordare tempi dove quella era la cosa più complessa che poteva affrontare.

-Se voi tre foste qui mi direste che è l'ennesima causa persa.- mormorò, sommessamente. -Ma come faccio a voltare le spalle a qualcuno che è disposto a farsi male pur di migliorarsi?-

Sollevò uno sguardo stranito verso la scaletta a pioli dalla quale era salito, perché aveva preso a vibrare, sicuramente sotto al peso di qualcuno che la stava utilizzando. -Occupato!- disse, lasciando che il globo evanescesse a mezz'aria mentre lui appoggiava le mani sulle ginocchia.

Una testa incappucciata fece capolino dalla botola, rivolgendo un paio di occhi brillanti nella sua direzione. Subito, venne seguita da una figura snella, che Hawke riconobbe immediatamente.

Dopo un attimo di esitazione, in cui il suo viso si trasformò dalla sorpresa, Hawke si alzò di scatto, rischiando di scivolare sulla patina di umidità che velava la roccia, quindi si affrettò ad abbracciare il nuovo arrivato, che ricambiò istantaneamente.

Senza parole, Hawke prese tra le mani il viso di Fenris, guardandolo bene negli occhi con incredulità prima di chinarsi a baciarlo. Fenris esalò una risata roca tra le sue labbra, stringendo a sé Hawke con decisione nel sollevarlo e rimetterlo a terra.

-Sei un cretino! È pericoloso stare qui.- lo rimproverò Hawke, nonostante continuasse a guardarlo con occhi carichi di sollievo.

Fenris appoggiò le mani sui suoi fianchi, rivolgendogli un sorriso malizioso. -La tua influenza ha totalmente debellato quel poco che restava del mio istinto di sopravvivenza.- scherzò. -Non preoccuparti, starò qui per poco. C'è un gruppo di Venatori che mi sta aspettando a sud.-

-Saranno impazienti di fare la tua conoscenza.-

-È una cosa reciproca.-

Hawke rise, lo baciò di nuovo, poi rise ancora. -E io che mi aspettavo solo una cassa.- disse.

Fenris ritrasse il capo, osservandolo con perplessità. -Sei già brillo? Così presto?-

Hawke scosse la testa, divertito. -Sono sempre brillo, però ora sono curioso di sapere perché diavolo il bisteccone mi abbia dato una chiave che non apre nulla.-

Fenris assunse immediatamente un'espressione che denotava consapevolezza. -Chi ti ha detto che non apre nulla?- domandò, ampliando il sorriso.

Hawke inclinò il capo, mentre Fenris recuperava un foglio spiegazzato da sotto al mantello. C'era disegnata una mappa sommaria di Skyhold, con una sezione della caserma segnata da un cerchio. -Mi sono affrettato a venire non appena mi ha raggiunto.- disse Fenris, rigirando il foglio. Hawke strinse lo sguardo su una postilla, con su scritto "Un dono di scusa per avervi rovinato l'anniversario" e firmata con una C.

-Ci di cretino.- borbottò Hawke.

Fenris ripose il messaggio, poi si sistemò bene il cappuccio sul capo. -Ci di è stato un gesto carino.- decretò.

-Glielo metto davvero il lassativo nel tè, lo giuro!-

Fenris gli passò una mano sulla parte posteriore del collo, afferrandola con decisione. -E io giuro che se non mi metti subito le mani addosso ti butto giù da questa torre.- gli suggerì, guardandolo con un'espressione che non ammetteva repliche. -Non so te, ma io sono stanco di fare bagni nel ghiaccio ogni volta che vedo un tronco d'albero.-

Hawke lo guardò con tanto d'occhi. -Che il Creatore mi fulmini... ti amo da impazzire!- mormorò, per poi caricarselo in spalla e scendere la scala di corsa.

 

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Capitolo 16
*** Una Linea Molto Sottile ***


15 - Una Linea Molto Sottile

 

Era appena calata la sera, in quell'area remota a nord delle Tombe di Smeraldo.
Il fruscio dell'erba era solo uno dei tanti suoni delicati che accompagnavano una piccola scorta attraverso un sentiero ondulato e irregolare, il cui tragitto era impastato da enormi radici. I versi degli animali notturni echeggiavano tra le cortecce di un querceto imponente, risuonando come conversazioni provenienti da finestre irraggiungibili.
Non appena ebbe messo piede in quel posto, Cullen pensò immediatamente di trovarsi a varcare le porte di una grande cattedrale, immersa nella verde penombra e impregnata di un asfissiante senso di raccoglimento. C'era un'atmosfera sacra e regale, infatti, tanto da provocare in lui e in chi lo accompagnava un sentimento di prostrazione.
Lasciarono i cavalli in un piccolo bivacco circondato da piante di embrium e alloro del profeta, il cui profumo balsamico viaggiava nell'aria come le note di una melodia flautata per poi congiungersi all'odore acre della resina, che gocciolava dalle cortecce degli alberi creando sontuose collane di perle d'ambra. Una volta lì, Cullen congedò la sua scorta e si diresse a nord a piedi, in solitaria, verso l'accampamento di Pietraferoce.
Le impronte del passaggio dell'Inquisitrice lo guidarono attraverso tendaggi d'edera e corridoi irregolari coperti da tetti di radici esposte e brillanti d'umidità. Cullen percepì diverse volte il profumo di magia attraverso delle flebili cuciture nell'atmosfera, laddove Lavellan aveva usato l'Ancora. Si trattava di ferite nel Velo in via di guarigione che producevano una vibrazione musicale se sfiorate dal vento.
Dopo una camminata davvero breve, notò con un certo sollievo il profilo dell'accampamento, ben illuminato da una fila di torce e guardato da sentinelle che si disperdevano nell'area circostante per vigilare sull'incolumità di chi riposava.
-Comandante!- lo accolse Cassandra, andandogli incontro. Era in maniche di camicia, arrotolate sui bicipiti tesi e teneva l'avambraccio rilassato sull'impugnatura della spada. Dalla sua espressione, si poteva notare che fosse realmente felice di vederlo, anzi pareva particolarmente sollevata. Entrambi gli aggettivi però non riuscivano a celare l’accenno di preoccupazione che le velava lo sguardo stanco.
Cullen la salutò con un breve cenno del capo, per poi stringerle la mano con decisione. -Ho sentito che avete aiutato i profughi a stabilirsi nel Rifugio di Argon, ora che non ci sono più gli Uomini Liberi a occuparlo.- disse, inerpicandosi assieme a lei in direzione dell'accampamento.
-Ce l'avrebbero fatta anche da soli, ma io e Lavellan abbiamo insistito per scortarli. Questa zona è piena di pericoli.- spiegò Cassandra.
-Avete trovato i miei ex-colleghi, a quanto ho sentito.-
-Sì, ma qui loro sono la minaccia meno pericolosa.- gli rivelò Cassandra, scavalcando una radice. -Fortunatamente, i giganti sono tutti concentrati a nord di Pietraferoce, quindi abbiamo dovuto affrontare solo qualche lupo nero e qualche orso grande. Però, devo ammettere che i ragni e i demoni della Paura sono stati molto più problematici del previsto.-
-Il Toro si sarà dato alla pazza gioia.-
Cassandra rise piano, appoggiandogli una mano sulla schiena. -Avrai modo di ascoltare i resoconti da lui direttamente.- disse. -Lav sarà contenta di vederti.- aggiunse, a mezza voce.
Cullen si fermò, per guardarla in faccia. -Sei nervosa.- constatò.
Cassandra si umettò le labbra, prendendo a guardare in direzione dell'accampamento, ormai a pochi metri da loro. -Lo siamo un po' tutti, a dire il vero. Venire in questo posto per lei è stato uno shock. Le Valli sono state uno shock. Hai provato anche tu questa sensazione di quiete profonda, vero?-
Cullen studiò i suoi lineamenti con attenzione, poi diede un rapido cenno d’assenso. -Come se fossi in una chiesa, meno l'incenso e i cori.-
-Non è una chiesa. È un sepolcreto.- precisò Cassandra, sommessamente. -Non respiravo un'atmosfera simile da che ho messo piede per la prima volta nella Grande Necropoli.- fece una pausa, per prendere un respiro profondo. -Lei non lo da a vedere, di stare male, ma io noto tutto. Dorme poco, all'aperto, mangia quanto basta per stare in piedi e tende a stare per conto suo sempre più frequentemente.-
-Gliene hai parlato?-
-Sì, ma ha detto di non prestarci troppa attenzione. Sai com'è fatta, deflette.- rispose Cassandra, sistemandosi le maniche della camicia per allentare la tensione. -E poi, ultimamente parliamo poco. Cerca solo la compagnia di Solas.-
Cullen fece per approfondire, ma si dovette interrompere. Infatti, entrambi voltarono lo sguardo verso nord, riconoscendo la sagoma di Sera, che si stava muovendo nella loro direzione. -Lo protegge mentre fa il pisolino, perché quell'idiota si addormenta sempre nei posti più pericolosi.- spiegò la nuova arrivata, che aveva evidentemente ascoltato la conversazione. -Ogni tanto l'aiuto anch'io, finché non si mettono a parlare strano. Letallì, letallà, va' a cagà.- agitò una mano in aria, sommariamente. -Sei qui per consolarla, no?-
Cullen appoggiò le mani sull'impugnatura della spada. -Tecnicamente, sono solo di passaggio.- rispose.
Le ragazze si scambiarono un'occhiata d'intesa. -Sai camminare senza fare rumore, almeno?- gli domandò Sera, squadrandolo da capo a piedi.
-Davo la caccia agli eretici con un'armatura pesante in boschi molto più rumorosi di questo.- disse Cullen, guardandosi attorno con aria accigliata.
Sera fece altrettanto. -Non penso esistano boschi più rumorosi di questo.- borbottò, grattandosi nervosamente un braccio. -Seguimi, ti porto da lei.-
Cassandra diede a Cullen una pacca amichevole sulla spalla. -Dico agli altri che sei nei paraggi.- fece, separandosi dal gruppo. -Tu fa' con calma.-

Cullen seguì Sera lungo un sentiero battuto che fiancheggiava l'accampamento, facendosi guidare da statue di gufi corrose dal tempo e mangiate dalla radice elfica. Guadarono un ruscello con agilità, poi Sera gli fece cenno di fermarsi e incoccò una freccia all'arco, con aria guardinga. -Li senti?- gli domandò.
Cullen si soffermò ad ascoltare. Nonostante fossero rumori affievoliti dal brontolare dell'acqua, si potevano udire chiaramente dei passi pesanti in lontananza, come l'incedere di un grosso animale su una lastra di alluminio. -Giganti?- chiese, in un sussurro.
Sera annuì. -Fanno un sacco di casino, no? Anche Miss fa casino, ma è molto più aggraziata. Domani mattina sul presto andremo a trovarla.-
Cullen, che non aveva idea di cosa stesse parlando, si limitò ad annuire, tenendo pronta la mano sull'impugnatura della spada mentre riprendevano la marcia.
-Non mi piace questo posto. Le ombre che proiettano questi alberi giganti sembrano le manine rachitiche di un non morto.- commentò Sera, risalendo un sentiero coronato da due guardiani elfici in pietra. -Tu che dici, non ti da i brividi?-
Cullen fece un giro su se stesso. -Ho visto di peggio.- ammise. Sera gli lanciò un'occhiata veloce, chiaramente poco convinta, poi proseguì il cammino.
I pantagruelici corpi scuri dei giganti si muovevano tra gli alberi e le rovine, vagando senza una meta apparente. Cullen si ritrovò a deglutire, restando nella più totale immobilità mentre uno di essi tagliava loro la strada, provocando turbini di foglie secche al suo passaggio.
-Quello è Ser Brutto.- mormorò Sera, una volta che la minaccia fu abbastanza distante. -Fa la posta a Ser Scemo.- aggiunse, indicando al suo interlocutore la sagoma di un altro gigante, che giocava a inseguire un Bronto.
-Come fai a riconoscerli con questo buio?- disse Cullen, con un filo di voce.
-Uno è brutto e l'altro è scemo, non ci vuole la scienza a capire chi è chi.- rispose semplicemente Sera. -Ci siamo quasi, comunque. Ecco i Valliacapì.- aggiunse, indicando una struttura monolitica addossata al tronco di una gigantesca quercia.
Cullen strinse lo sguardo, ma poté solo intuire i contorni della scultura. Si spinse a seguire Sera attraverso gli alberi, trattenendo il fiato ogni qual volta notava un gigante fattosi troppo vicino, o la sagoma possente di un Bronto selvaggio. Il profumo dell'embrium e dell'erba umida gli faceva pizzicare le narici, mentre l'aria fredda della notte gli stringeva il collo in una morsa delicata.
-Oh, no, ha fatto fuori Ser Peloso!- si lamentò Sera, indicandogli la sagoma massiccia di un gigante riversa a terra. Cullen sollevò le sopracciglia, notando un paio di occhi luminosi fissi nella loro direzione. -Lav?- la chiamò a mezza voce.
Lavellan, che era seduta sulla carcassa, si alzò lentamente in piedi, recuperando l'arco per rimetterselo in spalla. Balzò tranquillamente a terra, poi si mosse per raggiungerli.
-Ci avete messo un po'.- disse, con voce stanca, fermandosi a un metro dai due.
-Ser Brutto era di vedetta.- si giustificò Sera.
Cullen, le cui mani prudevano per avere anche solo un minimo contatto con Lavellan, esalò un respiro nervoso. -L'hai ucciso tu? Da sola?- le chiese, alludendo alla carcassa.
Lei si voltò appena, poi tornò a posare lo sguardo luminoso sul suo. -Ne ho buttati giù due, a dire il vero.- ammise. -Penso che l'altro fosse Ser Piedone, ma potrei confondermi.-
Sera scrollò le spalle, delusa. -Oh, no! Aspetta che lo venga a sapere Varric! Aveva scommesso che sarebbe sopravvissuto almeno fino alla nostra partenza.-
-Come accidenti hai fatto?- domandò Cullen, passando uno sguardo carico di ammirazione su di lei.
-Come faresti benissimo anche tu con la luce del giorno.- minimizzò Lavellan, avvicinandosi di un passo. Sera scorse uno sguardo schifato su entrambi, poi indietreggiò. -Continuate pure.- bofonchiò. -Io andrò dietro a un albero a vomitare.- aggiunse, allontanandosi.
Cullen provò a seguirla con lo sguardo, ma il buio glielo impedì, quindi si voltò nuovamente verso Lavellan e venne accolto da un bacio che non si aspettava. Ricambiò con trasporto, circondandole i fianchi con un braccio per trarla a sé.
Era un bacio delicato, gentile, quasi di circostanza, che gli confermò in maniera definitiva che c'era qualcosa che non andava.
-Quando ho sentito il tuo passo, ho dubitato del mio udito.- mormorò Lavellan, distanziandosi lievemente.
-Sai riconoscere il mio passo?- domandò lui, senza mollare la presa. Sentire di nuovo sulle labbra, dopo settimane eterne, il sapore acidulo dei mirtilli misto a quello mentolato della radice elfica lo distrasse momentaneamente dal contesto, costringendolo a sfiorare la bocca di Lavellan con un bacio leggero.
-Metti sempre il peso in avanti, sulle punte, come se stessi per avventarti su qualcosa.- spiegò lei, appoggiando una mano sul suo braccio per invitarlo a darle spazio. Cullen le permise tranquillamente di divincolarsi, pur mantenendo il contatto, dato che il buio gli impediva di vederci bene, causandogli una certa insicurezza.
Lavellan allora recuperò la sua mano per guidarlo attraverso gli ostacoli del bosco. -Andiamo a sederci.- suggerì, muovendosi con cautela per evitargli di inciampare. -Ho un compito, stanotte e non posso abbassare la guardia, ma vorrei comunque sapere cosa ti porta qui.-
-Non lo immagini?- domandò lui, sorridendo appena nel sentire le sue dita allacciarsi alle proprie.
-Eri preoccupato per me?-
-Volevo esserci.- rispose Cullen, mentre prendevano posto ai piedi di una quercia, giusto di fronte a una delle strutture monolitiche che Sera gli aveva indicato in precedenza. -Scusa se ci ho messo così tanto, ma non trovavo il modo.-
Lavellan, che era seduta alla sua sinistra, appoggiò la testa sulla sua spalla. -Grazie.- mormorò, mentre lui le circondava le spalle con un braccio. Rimasero in silenzio per minuti interi, cullati dalla loro reciproca presenza, poi Lavellan gli indicò con un cenno la struttura, sfiorata a malapena dalla luce lunare che faceva capolino dalle fitte fronde delle querce. -Vallasdahlen.- disse.
-Valla... uh?-
-Vallasdahlen.-
-Vallasdahlen.-
Lavellan gli rivolse un sorriso gentile, macchiato di tristezza. -Significa "albero della vita", è quello che voi chiamereste epitaffio, anche se il vero epitaffio sarebbe questa bellissima quercia.-
-Siamo seduti sopra una tomba?- domandò Cullen, voltandosi nella sua direzione.
-La tomba di Briathos. Un Cavaliere di Smeraldo.- precisò lei. -Si contrappose ai missionari e ai Templari che minacciavano i confini delle Valli, respingendoli.-
-Un difensore della tua gente.-
-Non penso fosse solo questo.-
-Nessuno è solo il ruolo che ha avuto nella storia.-
Lavellan annuì. -Ed è un gran peccato.- ammise, rintanandosi nuovamente nel silenzio.
Cullen l'assecondò, lasciando che fosse lei a dettare le regole di quell'incontro.
-Non so da dove iniziare a spiegarti cosa provo a essere qui e adesso.- disse lei, dopo un po', appoggiando una mano sulla sua gamba.
Cullen strinse appena le palpebre, concentrando lo sguardo sulla luminosità dei suoi occhi, tesi verso il Vallasdahlen. -Hai paura che non lo capirei?-
-No, ho paura del contrario.- ammise lei, a mezza voce. -Mi aiuteresti a razionalizzare quello che provo, forzandomi ad affrontarlo. Non so perché, ma questa cosa mi spaventa.-
-È per questo che ti stai isolando?-
-Mi sto isolando perché non ho mai provato sensazioni così vivide, vhenas. Sento un gran senso di appartenenza, ma allo stesso tempo di estraneità. Provo dolore, frustrazione e nostalgia per esperienze che non sono mie, ma allo stesso tempo lo sono. Il denominatore comune purtroppo è la rabbia. Una rabbia che sono costretta ad annegare, strozzandola con entrambe le mani per spingerla sul fondo. Il mio sangue ribolle ogni volta che muovo un passo e corrode la carne tutt’attorno.- fece una pausa, per riprendere fiato. -Mi ritrovo a pensare: "che muoia la fottuta imperatrice, figlia del sangue e dell'abuso, che muoiano tutti, dal primo all'ultimo, che provino cosa vuol dire vedersi estirpare ogni cosa che li definisce umani".-
Cullen aggrottò la fronte. -Avevi ragione.- sussurrò, sommessamente.
Lavellan strinse la presa sulla stoffa dei suoi pantaloni, mentre cercava di regolarizzare il respiro. -Quando sento di essere arrivata al limite, però, mi sovviene il ricordo di ciò che ho visto nel futuro e tutta la rabbia che provo...- si dovette fermare un istante, per rilassare i muscoli. -Quella rabbia si trasforma in urgenza.- chinò lo sguardo. -E mi dico che se fossi quella persona, divorata dalla disperazione, guiderei l'Inquisizione, la mia gente, attraverso un percorso di odio e sangue, lo stesso che ha spinto quello che restava del mio popolo a lasciare queste valli. Devo impormi di essere una persona migliore, una persona che so che vuole che entrambe le parti guariscano insieme. Perché l'unico modo che abbiamo per salvarci veramente è la convivenza generata dall'accettazione e devo essere io per prima a crederci. Devo usare la rabbia che provo e concentrarla sulla speranza, perché io lo so che un giorno esisteremo in un mondo in cui possiamo contare gli uni sugli altri per dividerci quel poco che c'è.- tirò su con il naso. -Ha senso?-
-Fin troppo.-
-Pensi che sia un'ambizione irraggiungibile?-
Cullen appoggiò una tempia sul suo capo, osservando il profilo del Vallasdahlen con un'espressione assorta. -Che cosa penso?- sussurrò, sfiorando l'impugnatura della spada. -In veste di tuo consigliere, vorrei ricordarti che l'Inquisizione è nata dalla Chiesa per riportare l'ordine e garantire protezione a chi ne ha più necessità. Nonostante la Chiesa non l'approvi, segue comunque i valori fondamentali che definiscono la sorgente della sua esistenza: carità, devozione e dedizione. Se venissimo meno a questi tre sentimenti, l'Inquisizione non avrebbe senso di esistere. Che ti piaccia o meno, siamo nati per servire la Chiesa e arriverà il giorno in cui la nostra neutralità attuale verrà meno e dovremo mettere i nostri mezzi al suo servizio.- fece una pausa, sentendo il corpo di Lavellan irrigidirsi. -Lasciami finire, cuore mio, d'accordo?- le chiese.
Lei, che lo fissava con lo sguardo stretto a fessura, lasciò passare qualche secondo prima di annuire.
-Razionalmente, quello che tu vuoi ottenere è un'utopia.- proseguì Cullen -E gran parte della Chiesa adesso non riesce a concepirlo, perché nonostante predichi quei valori, è incapace di metterli in pratica. Se lo facesse veramente, non vedrebbe i tuoi obiettivi come una minaccia, piuttosto, li accoglierebbe con convinzione, perché la verità è che vogliamo tutti la stessa cosa.-
-La pace.-
-Esattamente.- affermò lui, con decisione. -L'Inquisizione si sta già muovendo in quella direzione, grazie a te. Accogliendo nelle nostre fila ciò che la Chiesa ritiene essere una deviazione, stiamo sfatando sistematicamente ogni bugia che ci incatenava a essa, permettendole di violarci. In veste di semplice uomo devoto, deluso dall'istituzione che ha giurato di proteggere, ti dirò che...- sbuffò una risata lieve. -Non odiarmi per questo, amore mio, ma penso davvero che tu ci sia stata mandata da Andraste. Sei tutto ciò che dovrebbe essere la Chiesa in cui voglio credere e sei tutto ciò che serve per costringerla a cambiare.- la guardò con intensità, cercando di intravedere i suoi lineamenti al buio. -Anche adesso, nel dolore, ti rifiuti di prendere in considerazione la vendetta, preferendo agire in prima persona per dare a tutti, indiscriminatamente, un mondo migliore in cui vivere. Tu sei la provvidenza per tantissime persone, me compreso.- fece una pausa. -Lo so che non credi a queste cose, così come tu sai benissimo che io non credo nei tuoi Numi. Eppure, questo non ci impedisce di lavorare insieme per arrivare a un punto in cui entrambe le nostre visioni del mondo avranno una validità, senza che una desideri schiacciare l'altra.- raccolse le sue mani per portarle ad avvolgere l'impugnatura della sua spada, poi le circondò tra le proprie. -Finché combatterai per la tua ambizione irraggiungibile, ti prometto che sarò al tuo fianco. Il mio braccio sarà saldo come la mia devozione per te e il mio cuore batterà a ridosso del tuo, facendogli da scudo.-
Lavellan strinse la presa. -Ma nuvenin, ma vhenas. Vir enasalin*.- mormorò, chinandosi per appoggiare la fronte sulle loro mani intrecciate, in segno di rispetto per quel giuramento.
-Questo, temo di non riuscire a ripeterlo.- scherzò lui, una volta che i loro sguardi tornarono a toccarsi.
Lavellan sbuffò un sorriso. -Meglio.- ammise, appoggiando un bacio sulla sua guancia. -E in veste di mio compagno, cosa vorresti dirmi?- gli domandò, mentre i loro nasi si sfioravano.
-Che mi sento l'uomo più fortunato del Thedas per avere te al mio fianco.- rispose lui, sorridendo a sua volta. -E che mi dispiace essere una persona così prolissa.-
Lavellan esalò una risata stanca, appoggiando la fronte sulla sua. -Sono contenta che tu sia qui.- mormorò, con una distinta nota di sollievo nella voce.
-Dovevo esserci.- rispose lui, sfiorandole i capelli con la punta delle dita.
Si scambiarono un lieve bacio, poi lei si distanziò per passare lo sguardo sul suo viso. -Immagino che non ti tratterrai a lungo.- disse.
Cullen scosse la testa, tornando quindi a posare gli occhi sul Vallasdahlen. -Vorrei restare al tuo fianco più di ogni altra cosa, ma devo ottimizzare i tempi. Domani partirò per valutare la situazione ai confini di Emprise, poi sarà il caso che ritorni il più velocemente possibile a Skyhold, prima che mi sostituiscano con qualche fantoccio orlesiano che non sa distinguere una lancia da una picca.-
-Quando me la liberate, a proposito?-
-Emprise? Ci sto lavorando. Neanche un mago elementale potente come Hawke riuscirebbe a creare un sentiero nel ghiaccio in così poco tempo mentre è bersagliato da una parte dai demoni e dall'altra da ciò che rimane degli Uomini Liberi.- le riferì. -Ti farò avere un rapporto dettagliato sulla situazione al tuo ritorno.-
-Non la smettete proprio mai di parlare di lavoro?-
I due si voltarono verso l'alto, Lavellan con un sorriso, Cullen con un paio di occhi sgranati. -Ben svegliato, lethallan.- disse lei, rialzandosi mentre Solas discendeva dal ramo di una quercia. -Hai trovato qualcosa di interessante?-
-Qualcosina.- rispose lui.
Cullen si alzò a sua volta, con calma, aspettando che Solas fosse vicino per tendere una mano nella sua direzione. Quello la inseguì con lo sguardo luminoso e la acchiappò nel buio, stringendola saldamente, poi si guardò intorno. -Hai ucciso Ser Peloso.- constatò, senza metterci troppo entusiasmo. -Ha tentato di nuovo di prendermi?-
-Come una mela matura.- replicò Lavellan. -Dopo la quarta volta che tentavo di dissuaderlo, si è innervosito e ha tentato di pestarmi. Un po' mi dispiace, era il più tranquillo della cricca.-
Cullen guardò la sagoma del gigante, poi quella di Lavellan. -Se lui era il più tranquillo, gli altri come sono?-
Solas rise. -Mi auguro che non lo scopra mai.- dichiarò. -È qui per assistere allo scontro, Comandante?-
Il suo interlocutore assunse un'aria perplessa. -Pensavo che aveste finito, qui.-
Solas e Lavellan si scambiarono un'occhiata d'intesa. -Non gli hai detto di Miss?- domandò il primo, con un accenno di divertimento nel tono di voce.
-Pensavo che non ce ne fosse bisogno, dato che stanotte si è messa a russare grandine.- si giustificò Lavellan, voltandosi per posare lo sguardo verso nord.
-Eppure dovresti saperlo che gli Umani non hanno l'udito sviluppato come il nostro.- la rimproverò Solas, per poi affiancarsi a Cullen e appoggiargli una mano sul braccio. -Le suggerisco di non trattenersi troppo in questo giardino di pastori. Anche se la sua guida è eccezionale, non può sostituire i suoi occhi.- fece, muovendosi in direzione dell'accampamento.
-Fa' attenzione! Ser Brutto sta cincischiando presso il sentiero.- lo avvisò Lavellan, raggiungendo le dita di Cullen per allacciarle alle proprie. Strinse appena la presa, poi lo attirò a sé, guidandolo attraverso il bosco.
-Cos'avrei dovuto sentire?- domandò lui, appoggiandosi a lei.
-Lo senti il rumore del vento?-
Cullen inarcò un sopracciglio. -Sì, distintamente.-
Lavellan si morse un labbro, passando uno sguardo divertito su di lui. -E se ti dicessi che questa notte non c'è vento?- suggerì, conducendolo attraverso un corridoio di cespugli di rovi. Cullen spalancò lo sguardo, nel notare che aveva ragione. Solo le chiome più alte si muovevano, placidamente, ma il bosco era immerso nel silenzio. Un silenzio che cresceva mano a mano che raggiungevano l'obiettivo della loro marcia, imposto da un intenso gorgogliare, intervallato dallo stridio tipico del ghiaccio che si separa quando colpisce un corpo più grande.
-Forse ho capito cos'è Miss.- sussurrò Cullen, con il viso accarezzato da un istintivo senso di eccitazione. Lavellan si voltò per sorridergli.
La foresta lasciò il passo a una depressione rocciosa delimitante un burrone che cadeva a strapiombo su una macchia di sempreverde acuminati come punte di lancia. La luce lunare illuminava il profilo di uno spiazzo costellato di agglomerati ghiacciati che rilucevano nella penombra come vene fumanti di lyrium. Finalmente, Cullen riuscì a vedere con chiarezza il paesaggio che lo circondava e la prima cosa sulla quale decise di concentrarsi ovviamente fu il viso della sua compagna, perché gli mancava oscenamente.
Purtroppo, era un viso molto diverso da quello che aveva sognato ogni singola notte da che era partita.
Il suo collo era coperto, ma si poteva intravedere quanto sottile si fosse fatto, per via della presenza preponderante dei muscoli sternocleidomastoidei, che ne evidenziavano lo stato di tensione. Gli occhi invece erano vacui e opachi, circondati da occhiaie scure e coronati dalle sopracciglia aggrottate; inoltre, la loro tipica curiosità si era mutata in qualcosa non dissimile al fastidio. Spalle dritte, mascella serrata, orecchie basse, la mano libera ancorata al coltello da caccia… ogni dettaglio esposto del suo fisico era teso, così come lo era la sua anima.
Vedere ciò che lui identificava come la rappresentazione fisica della speranza straziato dalla rabbia e dal dolore, gli mandò il cuore in gola.
-Lo so, non è un bello spettacolo.- ammise lei, con una nota di disagio. -Ce l'ho messa tutta, te lo giuro.-
Cullen strinse forte la presa sulla sua mano. -Avrei dovuto partire molto prima.-
-Non sarebbe cambiato niente, temo.-
-Posso capire, ma...-
Lavellan sollevò una mano, impedendogli di andare oltre. -Non oggi, per favore.- lo pregò. -Lascia che sia io a gestirlo, per adesso. A Skyhold potrai tornare a farmi la predica.-
Cullen la guardò con intensità, stringendo le labbra per impedire alle parole di uscirgli di bocca. Era una richiesta crudele, per lui che si preoccupava, ma era altrettanto ovvio che Lavellan fosse tanto costernata quanto lo era lui. Non decise quindi di lasciar perdere, ma di darle momentaneamente la tregua che gli aveva chiesto. -Mi presenti Miss?- le domandò, dopo aver rilasciato un sospiro stanco.
Lavellan si sforzò di sorridergli. -Siamo qui apposta!-
Camminarono per un breve tratto di strada, costeggiando il piazzale e continuando a tenersi per mano, nonostante non ce ne fosse più bisogno. Passeggiare al chiaro di luna, mano nella mano, con un drago a sinistra e un branco di giganti a destra, senza contare i mille pericoli di cui aveva parlato Cassandra, pareva a entrambi l'apoteosi del romanticismo. Fondamentalmente, a nessuno dei due importava, perché resi sicuri dalla presenza dell'altro.
-Ci siamo quasi.- annunciò Lavellan, aumentando di poco l'andatura. Difatti, la temperatura si era abbassata drasticamente e le formazioni di ghiaccio si facevano man mano più frequenti sul loro cammino.
Il drago era acciambellato in cima ai resti di una torre di vedetta elfica, circondato da pilastri intrappolati nel ghiaccio. Una delle lune brillava alle sue spalle, segnando il profilo aguzzo del suo corpo con precisione e accarezzando il suo dorso con un tappeto di luce argentata. Il viso triangolare della bestia, appoggiato sulle sue mastodontiche zampe anteriori, era la rappresentazione fisica della rilassatezza.
Cullen non riuscì a trattenere un'imprecazione, mentre la coda del drago, dapprima immobile, prendeva a sferzare l'aria come un gigantesco pendolo; atteggiamento pericolosamente vicino a quello di un felino infastidito.
-Ehi, Miss!- la salutò Lavellan, tranquillamente.
Il drago aprì appena gli occhi, sbuffò sonoramente, poi sollevò appena la testa per controllare di chi si trattasse. Una volta individuata la fonte di disturbo, gorgogliò un ruggito di protesta, poi sputò una lancia di ghiaccio che andò a conficcarsi a pochi metri dai due.
Cullen sciolse Lavellan dalla presa, facendo per sguainare la spada, ma lei glielo impedì. -Non ha nessuna intenzione di attaccarci, adesso.- disse, rivolgendo un sorrisetto al drago. -Sennò l'avrebbe già fatto, vero stronza?-
Il drago sbuffò di nuovo, poi tornò ad appoggiare la testa tra le zampe, per niente intimidito.
Cullen, al contrario, lo era parecchio.
-Abbiamo concordato con Cassandra che si tratta di un Maestrale Maggiore.- spiegò Lavellan, per distrarre il suo compagno. -Sai, la lascerei anche in pace.- ammise, stringendosi nelle spalle. -Ma la stronza ha deciso di sorvolare i nostri accampamenti e di prendere di mira me e Cassandra fin da quando abbiamo messo piede nella regione.-
Cullen guardò lei, poi il drago, allibito. -Cos'ha fatto, scusa?- balbettò. -E cosa vuoi dire con "prese di mira"?-
-Dopo il nostro primo incontro si è messa a cercarci attivamente.- rispose Lavellan, divertita da quella reazione. -Ci ha osservate bene, poi ha iniziato a farsi più aggressiva e ha sferrato diversi attacchi sul nostro cammino, rischiando di ferire i profughi che stavamo scortando. Il Toro dice che è probabile che stia cercando uno sfidante degno, dopo che mezzo Orlais si è dimostrato inefficace nel combatterla.- indicò una serie di stalagmiti contenenti i resti ghiacciati di numerosi guerrieri. -Mi sarebbe piaciuto credergli, sai? Per vanità.-
Cullen aggrottò la fronte. -Ti credo! Non è roba da tutti i giorni, essere sfidati a duello da un drago.- disse, colpito. -Ha persino scelto il luogo e l'ora dell'appuntamento.-
-Perché è una sbruffona.-
-Lo sarei anch'io se pesassi trenta tonnellate e potessi sputare fuoco.- disse lui, sprezzante. -Ghiaccio?- si corresse, assumendo un'espressione stranita.
Lavellan annuì. -Le sue uova si schiudono nei ghiacciai. Pensiamo che sia venuta fin qui per cercare un compagno, ma nessuno ha visto esemplari maschi nei paraggi.-
-Quindi è aggressiva con voi perché non può...- si fermò, per esalare un risolino, poi diede un colpo di tosse, per ricomporsi. -Triste. È molto triste.- si affrettò a dire, rivolgendosi al drago.
Lavellan gli rivolse un sorrisetto. -Un po' la capisco.-
-Già.- rispose lui, per poi rendersi conto del significato di quell'affermazione e rivolgere a Lavellan un'occhiata sorpresa.
Lei batté le palpebre eloquentemente un paio di volte, poi scoppiò a ridere di fronte all'espressione sbigottita di Cullen, aggrappandosi brevemente al suo braccio. -Sono supposizioni.- disse, una volta calmatasi. Spostò lo sguardo sul drago, che osservava i due con le palpebre strette a fessura. -L'unica cosa di cui siamo certi è che se la lasciassimo stare, sarebbe capace di attaccare il Rifugio, facendo strage di innocenti.- nel parlare, il suo sorriso scemava gradualmente. -E io preferisco che ci sia un drago in meno al mondo, piuttosto che veder morire delle persone che hanno già sofferto abbastanza a causa del Gioco.-
Cullen le appoggiò una mano sulla schiena. -La scelta logica.- affermò.
Lei gli rivolse un'occhiata eloquente. -Perdona l’orlesiano, ma fanculo l'Orlais. Di cuore.-
-Difficile non condividere questo sentimento.- ammise lui, rivolgendole un mezzo sorriso. -Torniamo al campo?-
Lavellan si voltò verso il drago, esalando un lungo sospiro. -Tra un attimo.- disse, recuperando l'arco dalla schiena. Incoccò una freccia, tese la corda ed emise un fischio acuto tra i denti. -Ehi, Miss!- gridò, per poi scoccare.
La freccia penetrò nel terreno giusto a metà strada tra lei e il drago, esplodendo all'impatto sotto lo sguardo incredulo di Cullen.
Il drago sbuffò sonoramente dalle narici, si rialzò con una calma solenne, che sapeva di seccatura, quindi piantò le zampe anteriori, ritraendo il collo abbastanza per rispondere alla provocazione rilasciando un potente ruggito intriso di brina.
Lavellan rimase immobile a fissare la bestia, con occhi carichi di rabbia. Fu una gara di sguardi che durò minuti e nessuna delle due osò fare un passo in direzione dell'altra.
-Na abelas.**- sibilò Lavellan, con un'espressione in viso che avrebbe fatto impallidire il più temibile tra gli Sten. Il drago sbuffò di nuovo, stavolta nervosamente, ma non si mosse di un millimetro, in attesa di un'altra provocazione.
-Ankh?- mormorò Cullen, incerto, indietreggiando di un passo nell'afferrare l'impugnatura della spada.
Lei attese qualche istante, poi rinfoderò l'arma, senza perdere di vista il drago. -Volevo che lo vedessi.- disse, indietreggiando a sua volta. -Che sentissi il suono di quello che sto cercando di trattenere dentro di me con le unghie e con i denti.-
Cullen deglutì, mantenendo lo sguardo fisso sulla creatura, che non smetteva di fissarli, a fauci spalancate.
-E vorrei che domani fossi qui, ad assistere mentre l'ammazzo.- aggiunse Lavellan, mentre una lacrima di frustrazione scivolava lungo le sue guance.

Quell'urlo straziante, che trasportava con sé una rabbia cruda e primordiale, risuonò nelle orecchie di Cullen per tutta la notte, forzandolo alla riflessione.
Restava sdraiato a pancia insù, a osservare il tessuto logoro della tenda che divideva con gli ufficiali dell'accampamento, cercando di trovare un senso a ciò che era successo poche ore prima. In realtà era chiaro cosa Lavellan volesse mostrargli, per rinforzare ciò che avevano chiarito a voce. Ciò che non gli stava bene era la rapidità con cui lei era passata dall'essere la persona che più gli infondeva sicurezza nel suo piccolo universo a un essere capace di mettere lui e se stessa in pericolo pur di ribadire un concetto.
Si passò una mano sulla fronte, accigliato, ripetendosi che lei non l'avrebbe mai fatto volontariamente. Ma in un angolo remoto della sua testa, il viso di Lavellan si sovrappose a quello dei suoi precedenti comandanti, Ser Greagoir e Ser Meredith.
Forse era per quel motivo che Lavellan aveva provocato il drago: per fargli vedere qualcosa da cui stare in guardia, in modo da permettergli di scrollarsi di dosso la cecità derivata dall'amore e realizzare per conto suo che l'idea di perfezione che si era costruito nella testa era solo un'illusione.
Il ruminare dei suoi pensieri venne interrotto da un rumore felpato, proveniente dalla sua sinistra. Cullen strinse lo sguardo, infastidito, poi si mise a sedere sulla branda, assumendo un'aria sorpresa.
-Mi fai posto?- mormorò Lavellan, scivolando al suo fianco.
-No, non è…-
-Ti prego.-
Di fronte a quella preghiera, una supplica, Cullen si costrinse ad accantonare tutti i suoi preconcetti sull’inappropriatezza della situazione. Si guardò velocemente intorno, scorrendo lo sguardo sulle brande limitrofe per assicurarsi che tutti stessero dormendo, poi sollevò la coperta, consentendo a Lavellan di posizionarsi tra le sue braccia comodamente.
Nonostante la sua testa continuasse a ripetergli quanto fosse sbagliato quell’evento, il contatto con il suo corpo gli sembrò la cosa più giusta e naturale del mondo. Il senso di conforto spinse quella voce di protesta ad abbassare il volume, facendo sì che Cullen si concentrasse unicamente su quello che stava succedendo.
-Ho come l'impressione che tu voglia andartene da qui il prima possibile.- mormorò lei, sfiorandogli il petto con le dita. Lui sorrise appena. -Con tutta la fatica che ho fatto per raggiungerti?- rispose, avvolgendola nella coperta. Nello scorrere le dita sulla sua schiena, priva dell'armatura, realizzò che la rigidità di cui aveva intravisto il profilo era effettiva e molto più preoccupante del previsto. Ogni suo singolo muscolo era in allerta, coperto da un guscio sottile che correva il rischio di rompersi da un momento all’altro. -Resterò il più possibile, amore mio.- la rassicurò, chiudendola in un abbraccio.
Lavellan pose la testa nell'incavo del suo collo, rannicchiandosi su di lui. -Tu sei sempre stato sincero su te stesso, con me.- disse, sottovoce. -È imperativo che io faccia lo stesso, o non potrò mai dimostrarti quanto intensamente voglia impegnarmi nella nostra relazione.- fece una pausa, per raggiungere la sua mascella con un bacio leggero.
Lui fece scivolare una carezza sul suo viso, chinandosi appena per cercare le sue labbra e sovrapporle dolcemente alle sue.
Lavellan l'aveva visto intimamente e l'aveva accettato, ora era arrivato il suo momento di fare lo stesso. -Non ho paura di ciò che provi.- mormorò.
Sentì il sorriso di Lavellan formularsi sulle sue labbra e ogni paura si dissipò, permettendogli di abbandonarsi completamente all'amore che provava per quella donna. Ritrovò l'accoglienza del senso di sicurezza che lo cullava ogni volta che stavano insieme, quindi chiuse gli occhi, finalmente sereno dopo settimane scandite dall’angoscia.


 


 

💅Gloss💄
* “Ma nuvenin. Vir enasalin” - “Come dici tu. Vinceremo/Avremo successo.”
** “Na abelas” - “Te ne pentirai.”


-Nota-

Se ripeti tre volte muscoli sternocleidomastoidei al chiaro di luna riceverai la benedizione di un putto michelangiolesco che ti donerà una pelle liscia e senza pori per esattamente tre minuti.
Cullen negli ultimi tre capitoli: https://i.pinimg.com/originals/5f/df/09/5fdf092a7a249e113153ab38218451a6.gif 

 

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Capitolo 17
*** Due Draghi in Quattro Atti ***


16 - Due Draghi in Quattro Atti

 

-I-

Terre Centrali
Prima della chiusura del Varco

 

Lavellan scivolò agilmente fino al termine di una discesa di terriccio, anticipando il gruppo nell'attraversare la galleria che stavano esplorando.
Lame di luce viva discendevano oblique da un soffitto di argilla e vecchie radici, illuminando gli agglomerati di funghi bioluminescenti e le splendide ghirlande naturali di rovi tempestati di bacche che crescevano in maniera disordinata lungo il percorso.
-Ci siamo quasi.- annunciò Lavellan, raggiungendo un sipario di passiflora rampicante che copriva il terminare della galleria.
Si voltò verso Cassandra, che camminava in testa al gruppo, con un'espressione che stava a mezza via tra l'entusiasmo e la colpevolezza.
La sua compagna di viaggio, che conosceva bene quella faccia, emise un rantolo di fastidio. -Cos'è, questa volta?- domandò con aria di rimprovero, incrociando le braccia sul petto.
Lavellan raccolse una porzione di passiflora tra le mani e la spostò abbastanza per mostrare al gruppo cosa c'era dall'altra parte.
Gli occhi di Cassandra si spalancarono immediatamente dalla sorpresa, mentre dalle retrovie il Toro di Ferro prendeva a ridere di gusto.
-Oh, capo, sei la migliore!- esclamò quello, recuperando l'ascia da guerra per brandirla con enfasi. Solas, al suo fianco, schioccò la lingua sul palato, spostando la testa altrove con aria affranta. -Ecco spiegato perché stamattina Varric ha deciso di sparire.- borbottò.
Cassandra sciolse le braccia, appoggiando istintivamente la mano sull'elsa della spada, poi fissò lo sguardo su Lavellan. La osservò con attenzione, alla ricerca del bandolo della matassa di rimproveri che le tormentava la testa, ma invece di esprimersi esalò un sospiro stanco. -Faremo i conti dopo, io e te.- disse, dandole un buffetto sul braccio, poi seguì il Toro in seno al pericolo.

-Evitate di stare troppo vicini agli alberi!- gridò Cassandra, facendo lo slalom tra una serie di rocce appuntite per intercettare un cucciolo di drago che stava per sorprendere Solas alle spalle. Assestò un colpo di scudo sul fianco della bestia, prima che potesse espellere una palla di fuoco dalle fauci, poi la infilzò.
L'Alto Drago che il gruppo stava braccando sorvolò il campo di battaglia che aveva scelto, causando una marea di polvere e detriti con il suo potente battito d'ali. Il suo alito di fuoco scese dal cielo come pioggia, inzuppando le chiome di una fila di pini, sciogliendo le foglie e annerendo le cortecce, trasformando gli alberi in sagome urlanti. Lavellan, poco distante, si dovette coprire lo sguardo con l’avambraccio per evitare di accecarsi.
Fin dall'inizio dello scontro, la creatura era rimasta con gli artigli ancorati a terra, cercando il testa a testa con i suoi avversari, ma nelle battute recenti si era resa conto della pericolosità della situazione. Evitava quindi di restare a lungo nello stesso punto, cercando zone sempre più rialzate in cui rintanarsi per controllare la situazione, alla larga da lame, incantesimi e punte di freccia. La zampa posteriore sinistra era vessata da un taglio profondo e grondava di sangue, il collo invece era tempestato di tagli e puntellato da frecce.
Il Toro piantò il tacco sulla trachea del cucciolo di drago che aveva appena ucciso, stringendo la presa sul manico dell'ascia da guerra per estrarla con un gesto secco dal ventre della bestia. Si rigirò l'arma tra le mani, guardandosi attorno velocemente per fare una conta dei nemici rimasti, prima di inseguire l'obiettivo principale della caccia.
Una freccia gli passò in mezzo alle corna, esplodendo giusto nel centro del muso dell'ultimo cucciolo, che era in procinto di spiccare un salto nella sua direzione.
-Grazie, boss!- fece il Toro, per poi prendere a correre in direzione del drago, che era appena atterrato bruscamente su un'altura a una ventina di metri dal gruppo.
Cassandra lo seguì con lo sguardo, poi esalò un respiro nervoso, concentrando la sua attenzione su Lavellan, che correva da una parte all'altra del campo di battaglia per rimpinguare la faretra.
-Consigli?- domandò quella, dopo che il gruppo si fu riunito di fretta dietro al Toro per raggiungere il drago.
Cassandra scattò al suo fianco, sollevando lo scudo per coprirle entrambe dai residui di una fiammata. -Dobbiamo impedirle di volare, o potrebbe decidere di fuggire verso ovest.-
Lavellan scoccò una freccia in alto, aggiungendola alla collana di spilli che adornava il collo del drago. -Concentratevi sulle ali!- gridò, per poi sgusciare da sotto allo scudo.
Scattò in avanti, correndo in parallelo al Toro per diversi metri. Quando il drago fu a portata di tiro, recuperò una fiala d'acido dalla cintura e la assicurò su una freccia che scoccò verso una delle membrane dell'ala destra del drago. Il colpo andò a segno, causando un rumore dapprima secco, poi dolorosamente frizzante.
Il Toro approfittò della distrazione della creatura per compiere un balzo e piantare l'ascia sul suo petto, usando il suo stesso peso per permettere alla lama di tagliare con più facilità la carne protetta dalle scaglie.
Solas si fermò a una decina di metri dal bersaglio, quindi agitò il bastone da mago, evocando un agglomerato di stalattiti sull'ala già danneggiata.
Mentre Cassandra e il Toro distraevano il drago dalla media e breve distanza, da lontano Lavellan e Solas seguitavano a bersagliare la bestia sul dorso e sulle ali, al fine di trattenerla a terra il più possibile.
-Mi sono rimaste cinque frecce, Cas!- gridò Lavellan, che aveva cresciuto un terzo polmone a furia di correre da una parte all'altra per evitare di venire abbrustolita da una fiammata improvvisa.
-Ricevuto!- replicò Cassandra, dopo aver schivato una zampata. -Facciamola finita!-
-Con piacere!- berciò il Toro, entusiasta.
I guerrieri si raggrupparono sul fianco della creatura; il Toro assestò un colpo possente su una delle zampe posteriori del drago, Cassandra sulla corrispettiva anteriore.
Quando il drago cadde di lato perché le zampe fallivano nel sorreggerlo, Lavellan prese bene la mira, tese l'arco come mai aveva fatto e mirò allo squarcio che percorreva il petto della creatura. La freccia penetrò nella carne ed esplose all'impatto, provocando uno zampillo di scintille e materia organica che macchiarono il terreno sottostante a raggiera.
Il drago emise un lamento breve, acuto e intenso, poi il suo collo smise di sorreggergli la testa, che precipitò ai piedi di Cassandra con un tonfo.
Il gruppo rimase in guardia a lungo, immobile e in religioso silenzio.
Quando Cassandra confermò agli altri la morte del drago, con un semplice cenno del capo, il Toro gridò dall’esultanza, Solas e Lavellan invece esalarono un sospiro di sollievo, scambiandosi un'occhiata soddisfatta.

-La prossima volta che vuoi fare qualcosa di carino ed emozionale per me, offrimi un massaggio.-
Lavellan si voltò verso Cassandra, raggiungendola con un sorriso.
Entrambe si erano premurate di andare a vigilare sul gruppo di soldati dell'Inquisizione che erano accorsi a mettere in sicurezza l'area di nidificazione del drago. Era una maniera per riposarsi dalla caccia appena conclusa, ma anche una scusa per restare in disparte dal gruppo per qualche ora e potersi parlare apertamente senza il rischio che qualcuno ascoltasse.
-Non sapevo se l'avresti odiato, o se ti avrebbe fatto piacere.- ammise Lavellan, porgendole la borraccia dell'acqua. Cassandra recuperò il contenitore e bevve una buona sorsata, poi se lo rigirò tra le mani, accarezzando la vallata con lo sguardo. -Giustamente.- disse.
-Se te l'avessi detto a parole, sarebbe stato altrettanto efficace?- domandò Lavellan, avvicinandosi a lei per appoggiarle una mano sulla spalla.
Cassandra sorrise, poi le rivolse un'espressione carica di gratitudine. -No.- ammise.
-Allora ne è valsa la pena.- affermò Lavellan, con aria soddisfatta.


 

-II-

Tombe di Smeraldo
Tempo attuale



Cullen si risvegliò con ancora il sentore di frutti di bosco sulle labbra.
Schiuse uno sguardo infastidito verso la striscia di luce solare che penetrava dall'apertura della tenda, quindi lo spostò alla sua sinistra, rendendosi conto con delusione di essersi svegliato da solo. Dopo essersi scrollato di dosso la malinconia, si portò faticosamente a sedere, passandosi una mano sul viso pesantemente, per favorire il risveglio.
Una volta che si fu lavato e vestito, uscì all'aria aperta, ammiccando per contrastare l'intensità della luce che colpiva l'accampamento.
La compagnia dell'Inquisitrice era già attiva e si stava preparando per la battaglia. Blackwall e il Toro erano impegnati in uno sparring amichevole, mentre Sera e Varric affilavano punte di freccia e ridevano tra di loro, poco distante. La salita che portava al ruscello era occupata da Solas, che sfogliava distrattamente un libro più grosso di lui, e da Dorian, che faceva roteare il bastone da mago in un allenamento volto a simulare le forme che avrebbe usato durante le evocazioni in battaglia.
-Comandante, ti unisci a noi?-
Cullen spostò lo sguardo alla sua destra, verso il falò centrale dell'accampamento. Madame Vivienne e Cassandra sedevano l'una di fronte all'altra, a occhi chiusi. La prima sembrava appena uscita da un sonno di bellezza durato settimane, la seconda invece manteneva una postura fin troppo rigida per una situazione di rilassatezza.
Le raggiunse, con aria divertita. -Meditate?- domandò loro.
Cassandra accennò un sorriso. -La mia domanda era riferita alla caccia, ma se vuoi ti facciamo spazio.-
Cullen alzò le mani in segno di resa. -Vada per la caccia, passo per la meditazione.- rispose, raggiungendo il falò per recuperare qualcosa da mangiare. -Come funziona, a proposito?-
-Oh, preparati per uno spettacolo!- intervenne il Toro, con entusiasmo. -Mi prudono già le mani.- aggiunse, agitando i pugni in direzione di Blackwall, altrettanto eccitato all'idea dello scontro.
-Anche meno, Piccoletto, anche meno.- si lamentò Varric. -L'unica cosa che prude qui sono le punture di insetto.- aggiunse, schiaffeggiandosi il collo con una manata.
-Funziona che andiamo, spacchiamo tutto e rubiamo il tesoro di Miss.- spiegò Sera, dopo aver rimpinguato la faretra. -Sempre che qualcuno si decida a darmi il cambio.- disse quindi, alzando il tono di voce nell'allungare il collo verso Cassandra.
Quest’ultima non si scompose troppo. -Quando Lavellan vorrà togliersi le scarpe.- replicò, tranquillamente.
Cullen passò uno sguardo perplesso sul gruppo, mentre sorseggiava del tè. -Quindi non avete un piano?- domandò.
Scese un silenzio fatto di occhiate complici, ma nessuno volle rispondergli.
Questo finché Cassandra non aprì finalmente gli occhi, esalando un sospiro macchiato di tensione. -Sono pronta.- disse, per poi mettersi in piedi agilmente. Raggiunse Cullen, gli assestò una pacca sulla schiena, poi si mosse verso il punto in cui giaceva la sua attrezzatura, per cambiarsi.
Lui accorse ad aiutarla, soffermandosi ad analizzare i suoi gesti, caratterizzati da una brusca secchezza; sembrava come se ogni pezzo della sua armatura fosse lì per darle fastidio. Comunque, non ebbe il tempo di chiederle cosa le prendesse, per via del ritorno della grande assente.
-La via è libera.-
L'attenzione di tutti converse sull'apice della salita che conduceva al ruscello, dov'era appena apparsa Lavellan, accompagnata da Cole. Vestiva l'armatura media con la quale era partita: un tripudio di pelle d'orso, con integrazioni di cuoio di halla e rinforzi sulle braccia e sulle tibie in metallo d'ossidiana. L’elmo era percorso da macchie di luce, che celavano egregiamente la sua espressività.
Cullen osservò l'intero ecosistema del gruppo mutare improvvisamente. Chiunque si preparò a partire, con serietà e nel silenzio più totale, fatta eccezione per il Toro, che non riusciva a smettere di ridacchiare tra sé e sé. Da conviviale che era, l'atmosfera si era caricata di elettricità e si poteva distinguere chiaramente l'agitazione, mista all'aspettativa, che precedeva uno scontro dove la prima regola era quella di non prendere prigionieri.
Cullen conosceva quelle sensazioni per esperienza diretta e, nonostante stesse vivendo la situazione da osservatore, non riuscì a evitare di sentire una discreta tensione accumularsi nei muscoli, accompagnata da una grande invidia.
Dopo aver dissuaso la sua scorta dal seguirlo, si mosse ad accostare Cassandra, in testa al gruppo. Raggiunsero Lavellan e subito lui si rese conto che ogni freccia nella sua faretra era unta di sangue, nonostante lei paresse essere reduce da una semplice passeggiata.
-Seguiremo il corso orientale del ruscello fino a Chateau d'Onterre, poi ci muoveremo a nord, riparati dalle arcate in rovina.- spiegò Lavellan, dopo essersi assicurata che fossero tutti presenti. Allora, aprì la pista, con passo deciso. Come per un tacito accordo, Dorian, Cassandra e Blackwall si affrettarono ad affiancarla, mentre il resto dei suoi compagni rimasero lievemente indietro.
-Allora ce l'avete un piano.- intervenne Cullen, una volta giunti al ruscello.
Il Toro, che gli camminava vicino, gli rivolse un sorrisetto, ma fu Vivienne a rispondergli. -L'Inquisitrice ha sempre un piano.- precisò, in tono di rimprovero. -Soprattutto quando si tratta di bestie feroci.-
-E di politici.- aggiunse Varric.
-Era implicito che fossero compresi nel pacchetto, mastro Tethras.- disse lei, puntando il bastone da mago verso il corso d'acqua per creare, senza sforzo, un corridoio di ghiaccio che le permettesse la traversata senza che si bagnasse le scarpe.
Cullen aggrottò la fronte nell'osservare quella manovra velleitaria, dato che si trattava di pochi passi, ma rinunciò a commentare, preferendo esplorare il paesaggio circostante con lo sguardo. In quel modo, riuscì ad apprezzare degnamente la bellezza di quel posto, finalmente illuminato dal sole.
Ogni centimetro quadro era dipinto di verde, dalle sfumature più chiare del pistacchio a quelle più ricche e sature come il verde smeraldo. Si trattava di una monocromia apparente, poiché non c'era una tinta uguale all'altra e tutte contribuivano a costruire una tavolozza di colori talmente variegata che nessun artista sarebbe mai riuscito a replicarne una simile.
Quando però il gruppo entrò nel giardino Acquavite, il verde si tinse improvvisamente di rosso.
Il percorso era effettivamente sgombro, come aveva annunciato Lavellan e lo dimostravano le carcasse mutilate di grandi orsi, ragni velenosi e giganti che accompagnavano la marcia del gruppo. Paradossalmente, la maggioranza delle creature era stata abbattuta con rispetto, segno che la mano di chi cacciava era abbastanza abile da permettersi di scegliere una maniera “umana” per finire il lavoro.
-Ci vuole in formissima, a quanto pare.- commentò Varric, con aria preoccupata. -Di solito siamo noi riserve a fare questo lavoro.-
-Vorrei ricordarti, mastro Tethras, che oggi non siamo da soli.- gli suggerì Solas, scambiando un'occhiata d'intesa con Vivienne.
Cullen aggrottò la fronte, seccato. -Se pensava di farmi un favore, si è decisamente sbagliata.- disse, salutando con un cenno veloce un'addetta ai rifornimenti che presidiava una collinetta. -Non mi piace stare con le mani in mano mentre voi vi accollate tutto il lavoro.-
-Se proprio insisti, ti cedo il mio posto volentieri.- borbottò Varric, con una smorfia di fastidio.
-Ah, ma il Comandante non è qui per combattere. È qui per assistere.- puntualizzò il Toro, facendo scorrere uno sguardo divertito su Cullen, che gli rispose con un’occhiata tinta d’incertezza.
Procedettero lungo il sentiero di spoglie abbastanza velocemente, fino a raggiungere il limitare della tana del drago: il luogo dell'appuntamento. Cassandra, Dorian, Blackwall e Lavellan si fermarono sul ciglio della conca ghiacciata, osservando ciò che c’era al di là e scambiandosi gli ultimi dettagli prima di iniziare. Era evidente che fossero tesi, ma solo nel viso di Cassandra c’era un accenno di preoccupazione, segno che la maggior parte della squadra desse la vittoria per scontata.
Il gruppo quindi si separò.
Prima di ritirarsi, Cullen ebbe un moto d’indecisione, perché avrebbe voluto avere un ultimo contatto con Lavellan, prima della battaglia, per augurarle buona fortuna, ma lei non sembrava volergli prestare attenzione. Addirittura, pareva che non si fosse nemmeno accorta della sua presenza, troppo concentrata in previsione di ciò che stava per succedere.
Intuendo che il suo intervento sarebbe stato più d’intralcio che di buon auspicio, Cullen si arrese e seguì Vivienne e Solas attraverso una macchia di cespugli strabordanti di fragoline, finché non giunsero in un piccolo spiazzo d'erba. Là trovarono Sera, che osservava il drago con impazienza.
Alla luce del sole, Miss era crudelmente stupenda. I suoi colori richiamavano quelli del cielo prima dell'alba, ma erano arricchiti da un bianco e da un giallo vivi e vibranti che facevano rilucere il suo tegumento come se fosse costituito da lame imbevute di rugiada. Sovrastava il luogo dell'appuntamento, accarezzando con uno sguardo obliquo e altero il limitare del bosco con la grazia di un'imperatrice pronta a fronteggiare i suoi nemici prima di farli giustiziare.
-Chi ha portato da bere?- domandò Sera, permettendo a Cullen di chiudere la bocca e moderare la sorpresa.
Il Toro strappò con i denti il tappo di un fiasco, poi si avvicinò a lei, per porgerglielo.
Cullen si affiancò ai due, guardando con aria incerta Varric mentre si sedeva tra i due Maghi,
mostrando un mazzo di carte dall'aria vissuta. -Cosa succede adesso?- gli domandò.
Non fece in tempo a finire la frase che Miss compì un balzo, atterrando giusto in mezzo alla conca con un tonfo sonoro e alzando una nuvola di polvere e detriti all'impatto.
Cullen appoggiò istintivamente una mano sulla spada; il gruppo, al contrario suo, non si scompose.
Improvvisamente, Dorian apparve sul campo di battaglia, muovendosi con decisione verso la creatura nel roteare il bastone da mago, brillante di energia. Il drago raspò il terreno con le zampe, per poi dispiegare le gigantesche ali luminose e ruggire in direzione del nuovo arrivato.
Quello, in tutta risposta, piantò il bastone per terra e subito il muso del drago venne percorso da un'aura viola, tempestata di luci a intermittenza.
Dorian approfittò del momento di distrazione di Miss per posizionarsi lontano dalla traiettoria del suo fiato gelido, quindi iniziò a ricoprire il campo di battaglia di mine di fuoco, con precisione maniacale.
A seguire, Lavellan percorse a una velocità improponibile la conca, schivando le mine con agilità per portarsi sul fianco destro del drago e tempestarlo di frecce sulle giunture. Cassandra, invece, si occupò del lato sinistro, lasciando che Blackwall attirasse l'attenzione di Miss frontalmente.
-Non può resistere a un attacco diretto.- commentò Cullen, teso.
Come se l'avesse sentito, Dorian si premurò immediatamente di fornire a Blackwall una barriera d'energia, che lo ricoprì come una seconda pelle.
Miss però non si curò assolutamente del guerriero, preferendo allontanarlo con una zampata per voltarsi direttamente verso Lavellan, che si muoveva incessantemente per evitare che la prendesse di mira. Blackwall parò il colpo, assecondando la spinta nel lasciarsi trascinare dalla forza d'impatto per qualche metro, prima di ritornare alla carica.
Il drago lo ignorò, perché aveva altri piani. Cercò di frenare la corsa di Lavellan nel pararsi di fronte a lei diverse volte. Facendo così, attivò una mina di fuoco dietro l'altra, bruciandosi le zampe.
Dorian rise, sprezzante, poi evocò un cerchio d'Immolazione sotto allo stomaco di Miss, trattenendola abbastanza per permettere a Lavellan di raggiungere una distanza efficace per eseguire un tiro lungo pulito. La freccia trapassò la membrana dell'ala destra del drago, piantandosi sul suo dorso.
Seguì un intenso mordi e fuggi.
Il drago inseguiva Lavellan, lei schivava e scartava ogni suo attacco e lo portava da Cassandra, per permetterle di ingaggiarlo. Purtroppo, ogni colpo e provocazione della guerriera andavano a vuoto, forzandola a correre appresso alla bestia il più delle volte per impedirle di aggredire Lavellan.
-Distraila, Cercatrice, avanti!- la incitò il Toro, a mezza voce.
Cullen soffiò un respiro nervoso, appoggiando le mani sui fianchi. -Si sta muovendo troppo.- commentò. -Blackwall non può resistere a quei colpi da solo.-
Provocato da una stoccata su una zampa, il drago sferzò l'aria con una potente codata, allontanando i due guerrieri abbastanza per caricare il peso sulle zampe posteriori e spiccare un balzo che lo portò a tagliare nuovamente la strada a Lavellan. Approfittando della rincorsa, quest’ultima usò il ginocchio anteriore della creatura come trampolino e si diede la spinta per eseguire una capriola all'indietro, scoccando una freccia una volta atterrata.
Miss intercettò il proiettile con una zampata e lo schiacciò a terra, poi sputò una palla di ghiaccio che si incastrò nel terreno, esplodendo a un passo da Lavellan che, fortunatamente, riuscì a schivarla all'ultimo secondo.
Dorian fu rapido a imporre una barriera sulla sua compagna di squadra, quindi evocò un globo di luce nera. Quello prese a gravitare attorno a lui, secernendo lingue di energia spiritica durante ogni rivoluzione per garantire al Mago di sfruttarla anziché attingere alle riserve limitate di mana. Grazie a quella miglioria, Dorian iniziò a concatenare incantesimi di fuoco, concentrandoli sulle zampe del drago per rallentarlo abbastanza e permettere ai guerrieri di raggiungerlo.
Cassandra arrivò per prima, brandendo una lunga catena d’acciaio, ma Miss la scacciò con una codata, disarmandola. A Blackwall andò meglio e riuscì a mandare a segno un colpo di scudo. Ogni tentativo di provocare la bestia però sembrava inefficace, perché si era intestardita su Lavellan.
Quest'ultima la conduceva sopra ogni trappola che aveva disposto da che lo scontro era iniziato, compiendo salti e volteggi complessi per evitare che il soffio gelido che proveniva dalle fauci del drago la colpisse. Inoltre, cercava di direzionarla in ogni modo da Cassandra, che stava aspettando il momento giusto per avvolgerle il collo con la catena e ridimensionare le sue capacità di movimento.
Era un inseguimento talmente serrato che Lavellan non riusciva a scoccare frecce con regolarità, tanto era concentrata a non fare la fine dei guerrieri orlesiani incastonati nel ghiaccio.
Purtroppo, nonostante travolgesse ogni trappola e calpestasse ogni mina, Miss sembrava immune al danno e alla fatica.
Cullen, innervosito dall'inefficacia della strategia, si voltò verso il Toro, indicandogli il campo di battaglia con un gesto eloquente del braccio.
-Lo so, lo so!- rispose quello, recuperando l'ascia da guerra dalla schiena, pronto a intervenire. -Se ne sono già resi conto. Ora c'è da capire chi mi cederà il posto per primo.-
-Se fossi in te andrei anche ora.- disse Cullen.
-Combattere un drago è una cosa lunga. Se lo caricassimo tutti, sarebbe uno spreco di energie.- spiegò il Toro, appoggiandosi alla sua arma. -Per non parlare del fatto che rischieremmo di colpirci a vicenda.-
-Bisogna trattenerla a terra.- tornò a dire Cullen, passando uno sguardo nervoso sullo scontro in atto. -Perché non stiamo usando le catene?-
-Stiamo?- gli fece eco Sera, altrettanto tesa. La sua frustrazione per non essere sul campo era palese. -Mettiti in fila, zio. Tu sei qui solo per osservare.-
Cullen sbuffò. -Alla faccia dello spirito di squadra!-
-Quello sarebbe Cole.- scherzò Solas, rivolgendo un sorriso gentile al soggetto, appollaiato su un ramo di quercia sopra al gruppo.
-Senti, coso, ce la stanno mettendo tutta, ma Miss è in fissa con la Quisi.- disse Sera.
-Perché i draghi sono bestie intelligenti. Miss sa che il pericolo arriva da lì.- spiegò Solas, tranquillamente.
Difatti, Lavellan era l'unica del gruppo a danneggiare veramente il drago, soprattutto grazie al supporto continuo e alle distrazioni efficaci di Dorian. Controllava il campo di battaglia con trappole e mine, conducendo Miss dai guerrieri la stragrande maggioranza delle volte, approfittando della loro protezione per scoccare colpi esplosivi sulle ali e sulle giunture dell'avversaria. In più, era rapida e schivava agilmente ogni attacco che riusciva a prevedere, senza troppi problemi.
Sfortunatamente, veniva messa all'angolo di continuo e questo la costringeva a pensare più a mettersi in salvo che a provocare danni, impedendole un confronto efficace sulla lunga distanza.
Arrivò il momento in cui Blackwall, con evidente frustrazione, smise di attaccare per gridare qualcosa a Cassandra, la quale si stava rialzando dopo essere stata buttata a terra dall'ennesima codata. Resosi conto di essere stato ignorato e che il suo ruolo di sacco di allenamento era diventato completamente velleitario, si voltò verso il gruppo in panchina, rinfoderando la spada. Una volta che lo ebbe individuato, fece cenno al Toro di prendere il suo posto, allontanandosi rapidamente dal campo di battaglia.
Il Toro esclamò un verso tonante di approvazione, impugnando la sua ascia da guerra saldamente nel muoversi verso lo scontro. Al suo passaggio, Blackwall gli assestò una pacca sulla schiena, poi rallentò l'andatura.
-Scusa, Sera.- disse il nuovo arrivato, nel posizionarsi tra lei e Cullen. -C'era bisogno di muscoli.-
Lei si strinse nelle spalle, con aria delusa. -Ovviamente.- sputò.
Lavellan, dopo aver preso visione del cambio, scartò un'artigliata, si buttò tra le zampe anteriori del drago per evitare di venire colpita da un soffio gelido, poi fece uno scatto verso il Toro, che era già pronto a colpire.
Miss si buttò all'inseguimento, muovendosi velocemente a testa bassa verso il suo obiettivo. Cassandra, che non perdeva di vista Lavellan nemmeno un secondo, le andò appresso, correndo in parallelo.
Quando il drago spiccò un balzo per raggiungere la sua vittima, il Toro caricò un fendente e riuscì a mozzargli un artiglio di netto poco prima che atterrasse.
-Si!- esclamò Blackwall, alzando il pugno.
-È così che si attira l'attenzione!- gridò il Toro, continuando a lavorare di potenza sulla zampa ferita del drago, il quale aveva finalmente riconosciuto un'altra solida minaccia sul campo di battaglia. Questo permise a Lavellan di tornare a rifugiarsi nella lunga distanza.
Stranamente, però, smise di attaccare, preferendo portarsi fuori dal campo visivo di Miss. Piazzò una serie di trappole attorno a Dorian, i due si scambiarono un cenno d'assenso, poi lei scagliò in terra una provetta, provocando uno sbuffo di fumo nero.
Cullen cercò di seguirla con lo sguardo, incuriosito da quella manovra, ma fallì nel ritrovarla sul campo di battaglia. Lavellan infatti era apparsa alle spalle di Sera, per batterle una mano sulla spalla. -Hai cinque minuti.- le disse. -Scatenati.-
Sera la osservò con incredulità, poi prese a ridere istericamente, recuperando arco e frecce per proiettarsi verso lo scontro con entusiasmo.
Cullen guardò Lavellan sfilarsi l'elmo, con aria preoccupata. La sua espressione era profondamente seria, velata di fastidio, mentre lo consegnava tra le sue mani. -Dovremo sudarcela, a quanto pare.- commentò lei, per poi sedersi e prendere a slacciarsi la chiusura degli schinieri.
-Ahia, si sta togliendo le scarpe.- annunciò Varric, ridendo sommessamente.
Lavellan emise un verso di totale insoddisfazione. -Fenedhis!* Non voglio diventare un dannato ghiacciolo!-
Cullen si accucciò al suo fianco. -Non fare cazzate. Devi continuare a portarla verso Cassandra e affidarti a lei.-
-Non è quello che ho fatto finora? Se non riesce a tenermela ferma, devo pensarci da sola a recuperare sulla distanza.-
-Mi dispiace, Inquisitrice.- intervenne Blackwall, altrettanto demotivato.
Lavellan gli gettò un'occhiata veloce. -Un ariete si ferma solo quando si spacca la testa, amico mio.- disse. -E, a quanto pare, oggi ce la sta proprio mettendo tutta a farsi del male.- aggiunse, scagliando uno stivale a terra per concentrarsi sull'altro. -Tu che vedi la situazione da un punto di vista esterno al gruppo, mi spieghi che cosa diavolo le sta succedendo?- domandò, rivolta a Cullen.
Lui diede una scorsa veloce a Cassandra, che lavorando insieme al Toro era riuscita a portare il drago a favore di tiro per Sera e Dorian. -Sembra deconcentrata.- affermò. -Ora che non sei più sul campo, però, sembra aver ritrovato efficacia.-
-Non è deconcentrata, è distratta.- specificò Blackwall, incrociando le braccia sul petto. -Non ha usato le sue capacità nemmeno una volta.-
-Le sue capacità richiedono energia e concentrazione.- la giustificò Cullen, rialzandosi. -Mi avete detto voi che sarà uno scontro lungo. Evidentemente, sta risparmiando le forze.- porse quindi un braccio a Lavellan, in procinto di alzarsi.
Il gruppo si unì nello scoccargli un'occhiata dubbiosa. -Sta guardando più te che la sua spada, Inquisitrice.- disse Vivienne, offrendo schiettezza.
Lavellan rifiutò ogni aiuto, preferendo rialzarsi da sola. Calciò via il secondo stivale, poi si passò entrambe le mani sul viso, per scrollarsi di dosso la frustrazione. -Guardarmi è il suo compito, madame.- la giustificò, muovendosi verso la bisaccia di Sera. Ne estrasse un fascio di frecce e lo inculcò nella faretra senza troppe cerimonie.
Cullen osservò con aria incerta il Toro e Cassandra fare un giro di catena attorno al collo della creatura, impegnata a inseguire le acrobazie di Sera con lo sguardo. Si passò l'elmo dell'Inquisitrice da una mano all'altra, pensieroso. -Che cosa ti sta succedendo?- mormorò, sperando che Cassandra gli rispondesse con un'azione palese, che lo aiutasse a identificare il problema.
-Com'è messo Dorian, Comandante?- gli domandò Vivienne, lisciando amorevolmente il bastone da mago che portava in grembo.
-Instancabile come al solito, immagino.- rispose Varric. -Andrà a finire che ti darà il cambio per noia.-
Cullen confermò le sue parole con un cenno d’assenso deciso. Dorian, infatti, sembrava l'unico del gruppo attivo a non aver bisogno di riprendere fiato. Manteneva una velocità di evocazione costante, posizionandosi strategicamente in modo che il drago non lo prendesse mai di mira. Inoltre, sceglieva delle zone meno esposte del campo di battaglia, preparandole per i suoi compagni in caso di ritirata. Nel frattempo, cercava di debilitare il nemico con fiammate e immolazioni, per garantire a chi stava in prima linea di assestare colpi più efficaci.
-Un vero peccato.- chiosò Vivienne.
-Parla per te, madame.- scherzò Varric.
Lavellan esalò un respiro nervoso, poi prese a saltellare sul posto, per rilasciare la tensione. -Andiamo, andiamo, andiamo!- ripeteva, a mezza voce, notando che Sera si stava divertendo troppo, tardando quindi a darle il cambio.
-Punta alla coda, non solo alle ali.- le suggerì Cullen, con una punta d'impazienza, dimostrata dal modo in cui si rigirava l'elmo tra le mani. -Se le togli l'equilibrio, la rallenterai abbastanza per colpirla dove le fa più male, permettendo al Toro di tenerla a terra per tempi più dilatati.-
Lavellan sbuffò una risata scevra di divertimento. -Se fosse possibile l'avrei già fatto. Hai visto, no? La stronza ha una guardia impenetrabile ed è stupidamente agile. Ogni volta che mi avvicino quella mi salta alle spalle.-
-Basta una bomba ben piazzata alla base della coda. La parte inferiore è meno corazzata.-
-La fai facile, tu.-
-Non ho detto che è facile, ho detto che va fatto.- precisò Cullen, indicandole il drago. -Quando si prepara per spiccare un salto la alza per qualche secondo. Approfittane.-
Lavellan annuì, per poi rivolgergli un'occhiata divertita. -Altro, Comandante?-
-Sì, a dire il vero. Entra ora, che è distratta da Sera e fregatene di questa stupidaggine del cambio.- replicò lui, guardandola di sottecchi.
Lavellan aprì un sorrisetto compiaciuto tra le labbra. -Da quand'è che prendo gli ordini da te?-
Lui ricambiò. -Non è un ordine, è un consiglio.- la corresse. -Dammela vinta, per una volta.-
Lavellan roteò lo sguardo teatralmente, poi recuperò l'arco, pizzicò un'unica volta la corda e rientrò in campo di corsa.
-Sera ne sarà devastata.- disse Varric, osservando l'espressione soddisfatta di Cullen con aria divertita.
-Ci perderò il sonno.- soggiunse Solas.
Cullen si rese conto solo in quel momento che le aveva rubato l'elmo. Fece per richiamarla, ma Blackwall lo rassicurò che non era importante. -Ha bisogno di vederci bene.- disse, semplicemente.
Se prima Lavellan era veloce, dopo essersi tolta gli stivali e gli schinieri aveva raggiunto picchi di mobilità assurdi. Entrò in campo giusto nel momento in cui l'avversaria si stava accanendo su Cassandra e compì un giro largo attorno a essa, per portarsi alle sue spalle. Miss percepì immediatamente il suo ritorno, lasciando perdere il resto della squadra per spostare il corpo massiccio in direzione della sua nemesi. Lavellan schivò morsi e zampate con un'agilità unica, eseguendo volteggi da manuale e compiendo balzi che la portavano, finalmente, in una posizione di sicurezza per poter tirare con l'arco senza interruzioni.
-Giochiamo in cinque, adesso?- le gridò Dorian, roteando il bastone una singola volta, prima di imporre una barriera sul Toro, che tentava in tutti i modi di azzoppare il drago.
Sera diede una risata nervosa, mentre recuperava da terra i proiettili che non erano andati a segno per rimetterli nella faretra. -Meglio, no? Così non devo...-
-Sera, attenta!-
Il drago, anticipando in maniera scorretta una schivata di Lavellan, aveva appena sputato una lingua di ghiaccio in direzione di Sera, che non avrebbe potuto schivarla nemmeno se fosse tornata indietro nel tempo.
Dorian agì istintivamente, evocando un muro di fuoco di fronte alla compagna, per schermare il colpo. Gran parte del ghiaccio infatti si sciolse nell'attraversarlo, ma la scheggia la colpì comunque con una violenza inaudita, sbalzandola indietro.
Solo in quel momento il drago riconobbe il fautore delle ustioni continue alle sue zampe e fermò la sua caccia per piantare uno sguardo terribile su Dorian. Quest'ultimo, con ancora un braccio a mezz'aria e il fiatone per aver compiuto un incantesimo importante, ricambiò l'occhiata con una smorfia contrita.
-Oh, merda!- commentò Varric, mostrandosi preoccupato per la prima volta da che era iniziato lo scontro.
Il drago raspò il terreno bruscamente, liberandosi del Toro e disorientandolo con un muro di polvere, poi si acquattò, alzando la coda e piantandosi sulle zampe posteriori per compiere un balzo.
Lavellan frenò la propria corsa, recuperò una bomba elementale dalla cintura e la legò a una freccia già incoccata. Calcolò brevemente la traiettoria, mentre tendeva la corda dell'arco in preparazione a un tiro lungo, poi scoccò, accompagnando il lancio con un grido rauco.
Il drago però saltò un istante prima che la bomba raggiungesse il suo obiettivo. Venne colpita comunque la coda, ma non in maniera tale da debilitare il bersaglio.
Dorian esalò una catena di imprecazioni in tevene, mentre formulava una contromossa, approfittando del fuoco dei caduti che gli girava attorno per risucchiare abbastanza energia da permettergli di schivare. Aspettò che il drago fosse in discesa, poi si chinò e fece per proiettarsi in avanti, ma la sua concentrazione venne spezzata da Cassandra, che lo spinse di lato.
Lo spirito di supporto svanì, mentre Dorian atterrava a qualche centimetro dalla zampa posteriore del drago, che si stava accanendo sulla nuova arrivata. Lavellan afferrò il compagno per un braccio, aiutandolo ad alzarsi per poi muoversi il più lontano possibile da Miss, mentre Varric, accorso per dare una mano, forniva loro fuoco di copertura.
-Era calcolato, maledizione!- sbottò Dorian, rifiutando una pozione di lyrium. Era realmente arrabbiato e il suo sguardo era fisso su Cassandra, che continuava a ingaggiare il drago, a protezione del gruppo.
-Se non fosse arrivata lei, saresti morto.- disse Varric, muovendosi per assistere Sera, ancora intontita dalla botta.
-Se non fosse arrivata lei, mi sarei proiettato dietro al Toro, come al dannato solito quando sono alle dannate strette!- esclamò Dorian, per poi sbuffare un sospiro seccato. Ritrovò immediatamente la concentrazione, perché la situazione non ammetteva che si distraessero per litigare.
Lavellan, nel frattempo, continuava a cercare aperture nella guardia del drago, imprecando mentalmente per aver sprecato un'occasione irripetibile. Diede una rapida occhiata a Cassandra, notando che il suo scudo era totalmente ricoperto di sangue e graffi, così come la sua armatura. Sembrava che si fosse totalmente dimenticata che Dorian era stupidamente bravo a posizionarsi al sicuro in situazioni di estremo pericolo, così come si stava dimenticando che le sue abilità da Cercatrice avevano un'ottima efficacia offensiva non solo contro i demoni.
Lo stesso identico pensiero sfiorò la mente di Cullen, che poteva osservare il gruppo attivo con la lucidità di chi non è in pericolo di morte ogni tre secondi su quattro. Cassandra non era in sé, chiaramente, e controllava i suoi compagni maniacalmente, preoccupandosene anche quando non ce n'era la necessità.
Cosa le passasse per la testa, nessuno lo sapeva, ma era evidente che fosse in difficoltà e non avesse alcuna intenzione di abbandonare lo scontro.
Varric accompagnò Sera a bordo campo, facendosi aiutare da Blackwall ad adagiarla sul tronco di una quercia, poi si affiancò a Cullen, con aria nervosa. -Idee, Ricciolino?- domandò.
Cullen scosse la testa. -Se Cassandra non regge botta, devono per forza sfiancarla e il Toro non ha la pazienza necessaria per gestire uno scenario del genere da solo.- spiegò, passandosi una mano sulla barba. -Colpirebbe a vuoto, si stancherebbe inutilmente e sarebbe completamente vulnerabile agli attacchi.-
-Ho capito. Rientro.- annunciò Blackwall, sguainando la spada. Vivienne però lo anticipò, muovendosi a passo deciso verso il campo di battaglia.
-Dorian non ti cederà il posto così facilmente.- la avvisò Varric. Lei fece spallucce. -Vorrà dire che anche stavolta combatteremo in cinque.- disse, tranquillamente.
Raggiunse il perimetro della conca, si chinò appena, tenendo il bastone parallelo al terreno, quindi si proiettò tra le zampe posteriori del drago e lo colpì con un fendente di energia spirituale che lo portò a sbilanciarsi. Il nemico alzò appena la coda, nel sollevare la zampa posteriore destra e scalciare via l'intrusa. Lavellan ne approfittò per scagliare una freccia esplosiva alla base della coda, colpendo il suo bersaglio in pieno.
-Vai così!- esclamò Cullen.
Lavellan si voltò nella sua direzione per rivolgergli un sorriso sprezzante, altrettanto soddisfatta.
Con Vivienne che alternava proiezioni a fendenti tra le zampe, Dorian che posizionava mine di fuoco tutt'intorno e il Toro che lavorava sulle giunture del drago, la situazione si ribaltò facilmente. Lavellan, velocissima, bucava la guardia di Miss ogni volta che ne aveva l'occasione, coprendo Cassandra ogni volta che doveva ritirarsi per sferrare un attacco diretto.
-Ho visto Cavalieri Incantatori all'opera, in passato, ma madame De Fer è su tutto un altro livello.- commentò Cullen, per scrollarsi di dosso il nervosismo che condivideva con Varric. L'organismo di quest'ultimo, infatti, era costituito unicamente da nervi e da sbuffi. -Siamo solo all'inizio, abbiamo fatto fuori un terzo delle pozioni e Miss deve ancora prendere il volo.- disse, battendo il grilletto di Bianca con l'indice, ripetutamente. -Dobbiamo concludere in fretta, o è la volta buona che qualcuno ci resta secco.-
-Paura. Mani tremanti. Sguardo preoccupato, incollato alla sua scia.- mormorò Cole, facendo voltare il gruppo nella sua direzione. -“Questa è è la nostra caccia. Nostra. In memoria sua”.- si afferrò i lembi della tesa del cappello, dondolando in avanti. -”Non posso deluderla ancora. Non posso lasciarla da sola, adesso che sta per perdersi”.-
Solas gli sfiorò le punte degli stivali con il bastone da mago. -Lo sai che Cassandra non apprezza di essere letta.- lo rimproverò.
-Che sta dicendo?- borbottò Cullen, sporgendosi su Varric con aria confusa. -Ma c'era anche prima?-
Quello aggrottò la fronte. -Penso sia entrato nella testa della Cercatrice.- disse.
Cullen sollevò le sopracciglia su un'espressione colpita. -Farò finta di non aver sentito quello che hai appena detto.- disse, ritornando a guardare lo scontro.
Scontro che, nonostante la nuova integrazione, stava effettivamente andando per le lunghe, dato che il drago continuava a spostarsi e ad alzare la guardia dopo ogni colpo andato a segno. Miss si era liberata delle catene in maniera definitiva, colpendo tutti indistintamente con raffiche di vento provenienti dal battito delle sue ali e ampie alitate di gelo. Riusciva a individuare le mine di Dorian, dopo che la loro disposizione era diventata prevedibile e faceva perdere di efficacia le trappole di Lavellan con possenti spazzate di coda, rendendo difficile controllare il campo di battaglia, ora quasi completamente ghiacciato.
Cassandra si riparò dietro al suo scudo, parando l'ennesima artigliata, poi venne sbalzata lontano, fallendo nell'atterrare correttamente e battendo la spalla su una roccia. Lavellan fu subito dietro di lei e l'aiutò a rialzarsi, mentre Vivienne materializzava un muro di ghiaccio di fronte a loro, per evitare che venissero colpite nel processo.
-I miei attacchi sulla distanza sono inutili.- gridò l'incantatrice in direzione del Toro, che stava riprendendo fiato poco distante.
Il Toro sputò un dente a terra, poi imprecò in qunlat. -Non posso bloccarla a terra da solo. È troppo pesante.-
-Sai cosa ci farebbe comodo, adesso?- fece Dorian, sfruttando la stessa abilità del Passo dell'Oblio di Vivienne per schivare un attacco fisico del drago. -Quella tempesta di fuoco che sa fare Hawke. Perché non è venuto lui, invece di quel prototipo di principe azzurro annacquato?-
-Mi chiedo perché stia a guardare e basta.- ammise il Toro, allacciando finalmente la catena sulla zampa anteriore di Miss. -Dorian, adesso!-
Quello non esitò. Usò il bastone per spingere una scarica di energia viola su Miss, colpendola sul muso. Attese giusto un istante che lo avvolgesse completamente, tenendo d'occhio Lavellan mentre metteva in sicurezza Cassandra, poi detonò un'esplosione spirituale che fece sussultare il drago.
-Ce la faccio!- sbottò Cassandra, una volta che fu nuovamente in condizione di combattere. Lavellan indietreggiò di un passo, per lasciarle i suoi spazi. -Cas non mi sei di nessun aiuto così!- esclamò.
-Il riassunto perfetto di questa missione.- replicò Cassandra, prendendo a correre verso lo scontro, sotto allo sguardo sbigottito di Lavellan. Raggiunse il Toro e prese a strattonare la catena assieme a lui, per guidare il drago verso una mina di fuoco. Una volta che le zampe di Miss furono ustionate, decise di approfittarne.
Mollò la presa e si gettò in avanti, scontrando la superficie dello scudo sulle giunture delle zampe anteriori per farla sbilanciare. In quel modo, le avrebbe fatto abbassare la guardia, permettendo a Lavellan di colpirla sulle parti più morbide del tegumento.
Miss, che che stava ancora accusando il colpo sul muso, graffiò alla cieca, coinvolgendo anche Vivienne assieme all'attaccante e scagliandole lontano.
Cassandra finí giusto sotto la coda del drago, rovinando a terra. Si rialzò giusto in tempo per parare con lo scudo una pedata, che la spinse indietro di qualche metro.
Il Toro mollò la presa sulla catena, per andare in suo soccorso, evitando alla meglio le zampate di Miss. Purtroppo quel rilascio improvviso portò il drago a caracollare, facendolo cadere dapprima su un fianco, per poi spingerlo a graffiare il terreno sotto di sé per aiutarsi a rialzarsi.
Lo scudo di Cassandra ricevette un'artigliata talmente forte da incrinarsi, mentre lei cadeva a terra per la seconda volta, perdendo momentaneamente il senso dello spazio attorno a sé.
La prima cosa che vide, mentre riprendeva coscienza dell'ambiente, fu la sagoma scura della zampa posteriore sinistra di Miss che precipitava su di lei con una violenza inaudita. Poi accadde qualcosa di talmente repentino che la sua mente glielo presentò come un fermo immagine con le fattezze di un dipinto orlesiano.
A torreggiare su di lei, riparandola dalla pianta del piede del drago, c'erano la schiena di Cullen, piegata sul suo scudo di riserva, e la sagoma massiccia del Toro, che bloccava il tallone di Miss con il piatto dell'ascia da guerra. Entrambi spingevano la zampa con tutta la forza che avevano nelle braccia, impedendole di schiacciare Cassandra.
Alla sua destra, invece, Lavellan e Dorian tiravano la catena ancora avvolta sulla zampa del drago, gridando dallo sforzo e incitando Cassandra ad alzarsi, mentre Blackwall e Varric sorreggevano una Vivienne furiosa e semisvenuta, scortandola fino allo spiazzo.
-Stai bene?- domandò Cullen, facendo leva sullo scudo con il suo peso corporeo per sguainare la spada.
Cassandra esalò uno sbuffo di completa frustrazione, rimettendosi faticosamente in piedi. -Ho detto che ce la faccio!- berciò, aiutandosi con i resti del suo scudo, ormai inutilizzabile.
-Perfetto. Cambio!- replicò Cullen, facendole cenno di allontanarsi.
Cassandra, che si stava per rimettere in guardia, ritrasse appena il capo, sorpresa, quindi si sforzò di prendere atto della cosa, trascinandosi il più velocemente possibile via dal pericolo.
Varric accorse subito al suo fianco, nell'eventualità di dover coprire la sua ritirata, ma lei lo ignorò completamente. Scagliò ciò che restava del suo scudo a terra e si allontanò verso lo spiazzo sicuro in solitudine, con un'espressione terribile dipinta in viso.
-Sapevo che non avresti resistito!- esclamò il Toro, diretto a Cullen.
Quest'ultimo lo ignorò. Piuttosto, piantò il piede sinistro per terra, con il viso contratto dallo sforzo, per garantirsi più stabilità. -Quando dico “spingi”...- fece. -Spingi!-
Entrambi si accanirono su Miss. Da un lato, Cullen teneva lo scudo ben aderente alla pianta della zampa, alternando brevi affondi su di essa per diminuire la pressione del peso della creatura; dall'altro, il Toro menava fendenti sulla caviglia, senza risparmiarsi.
-Lav, la catena!- gridò Cullen, mentre il drago si scrollava di dosso l'incantesimo di Dorian.
Lavellan intuì al volo la tattica e indicò a Dorian di mollare la presa. Si lasciò trascinare dalla catena, finendo sotto allo stomaco del drago, assecondandone i movimenti nel incastrare tutta la lunghezza dell'oggetto tra le sue zampe. Quando fu sicura di essere riuscita a creare una ragnatela abbastanza solida, arrivò a portata di guerriero e piantò i piedi a terra, cercando di contrastare la forza di attrazione il più a lungo possibile.
Il primo a correre in suo aiuto fu il Toro, che afferrò la catena e prese a tirare con tanto di braccia. Poi fu il turno di Cullen, che mollò momentaneamente lo scudo per raggiungerli.
-Dorian!- gridò Lavellan, che sentiva di essere al limite delle forze.
Il soggetto della chiamata, già pronto all'evocazione, lanciò lo stesso incantesimo che aveva stordito Miss e mise a segno il colpo senza problemi.
I tre mollarono la catena, mentre Miss prendeva a incespicare per via del groviglio che imprigionava le sue zampe. Quando cadde inevitabilmente a terra, Cullen recuperò lo scudo, diede un buffetto sul braccio al Toro per indicargli di la coda del drago, poi si mise a correre nella direzione opposta, per assistere Dorian e permettergli di ritirarsi in una posizione dove non avrebbe attirato troppa attenzione.
Il Toro fu rapido e compì un balzo per caricare un colpo possente sulla coda della bestia. La lama dell'ascia si conficcò nella carne, aprendo un varco abbastanza spazioso da permettere a Lavellan di lanciare una fiala d'acido al suo interno.
In risposta all'effetto corrosivo, Miss ululò di dolore, sbattendo le ali nervosamente per ritrovare l'equilibrio e rimettersi in piedi. Lavellan non attese un istante di più e le montò in groppa, risalendo velocemente il suo dorso per tempestarle le ali con una freccia dietro l'altra. La colpì più e più volte, perforando il più possibile le membrane, ma non riuscì a danneggiarla prontamente. Miss, infatti, aveva iniziato a riprendersi giusto in tempo per impedire all'aggressore di passare al coltello da caccia e ledere un punto vitale.
Lavellan rimase precariamente in equilibrio per diversi istanti, poi si gettò di lato, scivolando sul fianco muscoloso del drago per atterrare agilmente ai suoi piedi.
Miss la individuò subito e ritrasse il capo, pronta a spazzare il campo di battaglia con il suo alito gelido.
-Lav!- chiamò Cullen, piantando lo scudo a terra. Lavellan scattò verso di lui, riparandosi dietro di esso all'ultimo secondo, poi entrambi vennero colpiti da un vento ghiacciato.
-Le hai fatto abbastanza danno?- gridò Cullen, mantenendo una presa salda sullo scudo.
Lavellan appoggiò le mani su di esso, aiutandolo nell'impresa. -Le membrane sono troppo spesse e le frecce sono inutili se continua a muoversi. Dobbiamo scartare l'idea e puntare allo stomaco. Ce la fai a distrarmela?-
Cullen le diede un buffetto sulla schiena in segno d'approvazione, poi attese che il drago riprendesse fiato, scrollò lo scudo dal ghiaccio con decisione e si portò in prima linea, mentre Lavellan si allontanava. -Ehi, Toro! Che dici, le piacciono i grattini sulla pancia?- domandò, portandosi di fronte a Miss, che cercava la sua nemesi con ampie occhiate.
Il Toro rispose con una risata sonora. -A tutti gli animali piacciono i grattini!- esclamò, parando una codata al meglio delle sue possibilità.
-Sai cosa ci vorrebbe?- proseguì Cullen, schivando un morso con un balzo all'indietro. -Quella cosa che sa fare Hawke con le meteore infuocate.-
Dorian, poco distante, inarcò un sopracciglio su un'espressione divertita. -Sai cosa farebbe comodo a me, Comandante? Un Templare che funziona.- lo provocò, evocando un cerchio d'Immolazione sotto allo stomaco del drago.
Cullen ridacchiò. -Attento a quello che chiedi. Non penso che vorresti trovarti un drappello di cavalieri sull'uscio in piena notte.-
-Il mercoledì sera ho un buco tra le undici e le due, digli di non fare tardi.-
Il Toro scoppiò a ridere, mentre Cullen infilzava rapidamente la zampa che gli era più vicina, scartando quindi di lato per evitare di soffrire le conseguenze delle sue azioni. -Lav, come sei messa?- domandò.
Lei, che stava finendo di piazzare una serie di trappole alle spalle del drago, emise un fischio breve, per attirare l'attenzione del Toro. Quello smise di accanirsi sulla coda e strattonò la catena, che ritornò da lui senza troppi inghippi. La lanciò a Cullen, che la recuperò con la punta della spada.
-Non hai un rampino?- domandò l'ultimo, alzando lo scudo per schermarsi da un'altra alitata di ghiaccio.
-Li ha distrutti tutti, 'sta stronza.- gli rispose Dorian.
Lavellan apparve immediatamente al fianco del suo compagno con una manciata di triboli. Si fece passare la cima e si mise a lavorare su un gancio rudimentale, mentre lui la copriva.
-Adesso tocca a me distrartela, immagino.- disse, con un sorrisetto.
Cullen respinse una zampata e le gettò un'occhiata rapida. -Non posso sempre fare tutto io.- la punzecchiò.
Lavellan esalò una risata nervosa. -Continua così e ti toccherà aggiornare il curriculum.- disse, per poi ritornargli la cima modificata.
Scattò verso il campo di trappole, scoccando una freccia che volò parallela al muso di Miss. Quest'ultima abboccò al diversivo, mordendo istintivamente l’oggetto nell'allungare il collo verso Lavellan. Tossì una palla di ghiaccio, che si sbricioló pericolosamente vicino a Dorian, poi si gettò al suo inseguimento.
Cullen agì rapidamente. Fece roteare la catena un paio di volte per farle prendere velocità, poi si mosse in parallelo al drago, aspettando che dispiegasse le ali e scoprisse il collo per compiere un lancio da manuale. Il rampino si incastrò sulla gola di Miss e Cullen diede uno strattone per farlo penetrare bene attraverso le sue scaglie. Si lasciò trascinare per qualche metro, mentre bombe elementali e trappole acuminate si attivavano al passaggio del drago, finché non raggiunse il Toro, cedendogli la catena.
Quello la lanciò una seconda volta, per rinforzare quel guinzaglio artigianale. -Finalmente!- esclamò, mantenendo salda la presa e forzando Miss a seguire una direzione stabilita da lui. -Ora possiamo smettere di correre!-
-Parla per te!- sbottò Lavellan, schivando un'artigliata con una capriola.
-Cattiva, Miss, cattiva!- gridò Dorian, evocando un circolo di Immolazione sulla zampa in questione.
Il Toro strattonò il guinzaglio, avvolgendo la catena sul braccio per approfittare di uno strattone di Miss. Sfruttò l'oggetto come se fosse una liana, avvicinandosi abbastanza da poterla colpire agilmente sulle zampe anteriori.
Lavellan e Dorian allora presero a bersagliare il nemico sul petto e sullo stomaco, lasciando che i guerrieri la controllassero, occupandosi delle giunture delle zampe. Con quello sforzo combinato, sarebbero riusciti a indebolirla abbastanza da farla cedere e passare alle fasi finali dello scontro.
Come se avesse intuito la strategia, Miss spalancò le ali, tendendole e sbattendole per creare un vortice potente e attrarre ogni elemento del gruppo sotto di sé, per trasportare lo scontro a distanza ravvicinata. Non riuscendo a contrastare propriamente la forza d'attrazione, i quattro finirono inevitabilmente a portata di tiro di una raffica di gelo.
Cullen fece appena in tempo a trascinare Dorian sotto al suo scudo, coprendo efficacemente entrambi. Una volta ritrovata la visibilità, cercò Lavellan con lo sguardo, impallidendo nel notare che il Toro si era chinato su di lei, per proteggerla dal pericolo.
-Vai! Ci penso io!- esclamò Dorian, dopo aver raggiunto l'obiettivo del suo sguardo. Spinse una fiammata tra le zanne di Miss, che venne costretta a deglutire un ulteriore attacco e a indietreggiare, salendo sulle zampe posteriori.
Cullen diede un buffetto sulla spalla di Dorian e scattò in direzione del duo. -State bene?- gridò, notando la schiena del Toro, totalmente rivestita di ghiaccio.
Il Toro si raddrizzò con lentezza, reggendosi all'ascia di guerra, poi precipitò di lato, cadendo a terra con un tonfo.
Lavellan, con il capo ricoperto di brina, si portò sopra di lui, tastandogli il collo per assicurarsi che stesse bene. -È svenuto.- disse, con un'evidente nota di sollievo nel tono di voce.
Cullen esalò direttamente un sospiro.
-Fasta vass*, e adesso?- gemette Dorian, dissuadendo il drago dall'avvicinarsi ai suoi compagni al meglio delle sue possibilità.
-Adesso prendiamo tempo.- disse Lavellan, facendo un cenno a Blackwall, che correva nella loro direzione di gran carriera. -Te la senti di rientrare?- gli domandò, mentre lui si caricava in spalla il Toro.
-Ovviamente, Inquisitrice!- rispose il nuovo arrivato. -Ce la fate a resistere due minuti?-
-Ce la fanno.- gli rispose Cole, che era apparso alle spalle di Lavellan. -Ce la facciamo.- si corresse, seguendola a coltelli spianati attraverso il campo di battaglia.
Cullen aggrottò la fronte, nel roteare la spada sul fianco. -Quel ragazzino mi inquieta.- borbottò, facendo sorridere Dorian.
La battaglia si protrasse per una buona mezz'ora ed entrambe le parti erano sconvolte dalla fatica. Persino Lavellan iniziava a soffrire di una certa imprecisione nel tiro e Dorian non riusciva a mantenere un ritmo di evocazione stabile.
Ora che era compito suo di usare i muscoli, in assenza del Toro, Cullen cercava di trattenere il drago in una porzione specifica del campo di battaglia, usando la catena e attirando l'attenzione con attacchi rapidi alle zampe e ai fianchi.
Blackwall gli era di grande aiuto in quell'operazione, grazie alla sua inamovibilità.
Però, nonostante entrambi i guerrieri fossero molto resistenti, dopo un tempo così lungo a combattere iniziarono inevitabilmente ad accusare il colpo, compiendo a loro volta errori basilari.
Dal canto suo, Miss aveva le zampe completamente ricoperte di tagli e ustioni e il tegumento che rivestiva il suo stomaco era talmente vessato che non si capiva come riuscisse a stare ancora in piedi.
-Ho appena posizionato l'ultima trappola.- annunciò Lavellan, attraversando il campo di battaglia per l'ennesima volta, alla ricerca di frecce.
-Le hai già finite?- domandò Dorian, dopo essersi scolato l'ultima pozione di lyrium.
Lavellan annuì, soppesando un dardo di balestra per poi gettarlo alle sue spalle. -Dobbiamo concludere, in fretta.- disse.
-Resistete! È quasi a terra!- li incoraggiò Blackwall, impegnato a schivare zampate fin troppo sommarie per costituire una minaccia effettiva.
-L'importante è che ci resti!- sbottò Dorian, pentendosi immediatamente di aver manifestato quell'opzione a voce alta.
Difatti, era da diversi minuti che Miss si sgranchiva le ali, indispettita dall'essere perennemente costretta ad agire in un'unica area. Quando Cullen la colpì per l'ennesima volta nel suo punto cieco, le dispiegò, sollevandosi sulle zampe posteriori per compiere un balzo e attraversare il campo di battaglia di corsa. I due guerrieri si affrettarono ad afferrare la catena, ma decisero che era il caso di lasciar perdere, perché Miss aveva tutte le intenzioni di prendere il volo e loro non avevano nessuna voglia di seguirla.
-Non restate mai fermi nello stesso punto!- vociò Lavellan, spostandosi di corsa da una parte all'altra della conca per seguire il nemico con lo sguardo in maniera efficace. In quel modo, avrebbe previsto le sue mosse e dato indicazioni al gruppo.
Dorian fece un giro su se stesso, asciugandosi la fronte dal sudore con il polso nel cercare il drago con lo sguardo. Ci rinunciò immediatamente, dato che l'azione del sole era troppo invasiva e non aveva occhi da Elfo, quindi imprecò e si affrettò a muoversi sulla scia di Blackwall, che seguiva i suggerimenti di Lavellan alla lettera.
Cullen fece lo stesso, ritrovandosi però più volte a dover schivare all'ultimo istante una palla di ghiaccio, o a scartare per evitare che Miss lo chiudesse tra le zanne.
-Tutta gelosia!- scherzò Lavellan, per stemperare la tensione, mentre indicava a Blackwall un punto dove avrebbe potuto difendersi adeguatamente.
-Se questo è lo standard dei suoi pretendenti, sei nei guai, caro mio!- intervenne Dorian, che si stava riparando dietro alla schiena di Cullen, intento a schermare entrambi dai frammenti di una scheggia di ghiaccio che si era appena frantumata a pochi passi da loro.
-Ah, questo posso gestirlo.- replicò Cullen, abbassando lo scudo per seguire Dorian verso il punto che gli indicava Lavellan. -Basta solo che ritorni con i piedi per terra.-
Dorian sbuffò una risata secca. -Banavis Fedari*, diceva mia nonna.- fece. -Idee?-
Fu Lavellan a rispondergli, dopo aver preso al volo un mazzo di frecce lanciatele da Varric. -Te la posso attirare rasoterra.- suggerì, recuperandone una da incoccare.
Dorian annuì, con decisione. -Ho un'idea, ma mi serve tempo per recuperare le forze.-
Lavellan attaccò una fiala alla punta della freccia, poi scoccò. La freccia esplose a pochi metri dal muso di Miss, la quale beccheggiò, prima di virare e scegliere una traiettoria di volo diversa. Lavellan ripeté la stessa operazione ogni volta che il drago entrava nel suo campo visivo.
Dorian nel frattempo prendeva respiri profondi, cercando di concentrarsi mentre i guerrieri lo coprivano. -Kaffas!* Non è abbastanza.- sbottò, aggrappandosi al bastone. -Mi serve altro lyrium, o roba morta di fresco.-
-Facciamo di no, che dici?- disse Cullen, riparandolo con lo scudo da un soffio gelido.
-Non posso, anzi, non voglio usare te come catalizzatore.-
-Era un'opzione?- domandò Blackwall, inorridito, chinandosi per schivare una palla di ghiaccio.
-Lo sarebbe stata, se avessi avuto abbastanza lyrium nel sangue.- rispose tranquillamente Cullen. -Non puoi usare l'energia delle piante, o attingere dal Velo come fa Hawke?-
Dorian gli scoccò un'occhiataccia. -Questo paragone te lo faccio passare solo perché a entrambi piace dare fuoco ai bambini cattivi.- borbottò. -No, ho decisamente bisogno di un catalizzatore, o dell'assistenza di...- si bloccò in preda a un’illuminazione. Recuperò subito il suo grimorio dalla custodia, sfogliandolo nervosamente alla ricerca di una pagina specifica.
Lavellan nel frattempo aveva efficacemente attirato l'attenzione del drago, provocandolo fin tanto da costringerlo a scendere in picchiata verso il campo di battaglia. -Eccola!- gridò.
Dorian prese un respiro profondo, ripose il grimorio, poi chiuse gli occhi, sfiorando l'aria con il bastone con movimenti fluidi. -Questa cosa prosciugherà tutte le energie che mi restano.- annunciò. -Posso mantenere l'incantesimo attivo per quindici, massimo venti secondi. Vi conviene approfittarne.-
Miss, nel frattempo, compì un avvitamento ad ali chiuse per raggiungere il terreno a una velocità maggiore. A pochi metri da terra, le spalancò di scatto, frenando bruscamente la discesa.
Improvvisamente, dal bastone di Dorian vennero sprigionate una miriade di serpentine di luce brillante, che si diffusero lungo tutto il campo di battaglia, rallentando il tempo e immobilizzando lo spazio. Avvolsero quindi i suoi compagni con una patina dorata, come se la sabbia di una clessidra stesse piovendo su di loro, benedicendoli con il dono del tempo.
Cullen alzò uno sguardo sorpreso sul drago, fermo a mezz'aria, poi su Lavellan, che osservava Dorian con tanto d'occhi. Si scambiarono un cenno d'assenso, poi scattarono verso Miss, approfittando del momento di immobilità per colpirla con tutto ciò che avevano a disposizione nel loro arsenale.
Passarono cinque secondi, dieci secondi, quindici secondi, poi l'incantesimo svanì e Miss atterrò con un tonfo, sollevando un'immensa quantità di polvere e ghiaccio.
Dorian usò il bastone per sorreggersi, ma cadde comunque sulle ginocchia, completamente svuotato dalle energie. Blackwall accorse immediatamente al suo fianco, se lo caricò sulla spalla e lo trascinò al sicuro.
-Ci siamo quasi!- gridò Lavellan, che era passata al coltello da caccia, in assenza di frecce. Cullen fece roteare la spada e infilzò una zampa di Miss, schivando una codata tempestivamente. -Varric!- chiamò.
-Non serve che urli, Ricciolino.- rispose quello, che era già entrato in campo, assieme a Solas. -Bianca ha l'udito fine.-
-Dov'è Cassandra?- domandò Lavellan, abbassandosi per evitare che Miss la mordesse.
Varric colpì il muso del drago con una sventagliata di dardi, cercando allo stesso tempo un punto rialzato per aumentare l'efficacia degli attacchi.
Solas rincarò la dose con un montante telecinetico, spingendo Miss a indietreggiare. -Aveva bisogno di un po' di solitudine.- rispose, afferrando l'aria con il pugno per strattonare l'energia del Velo e colpire le ali del drago.
Cullen osservò quella manovra con tanto d'occhi. -Ma è quello che...-
-Quello che fa Hawke?- lo interruppe Solas, con un sorrisetto. -Vuoi vedere un'altra cosa che entrambi sappiamo fare?- gli domandò, divaricando bene le gambe nell'alzare le braccia al cielo.
Cullen spalancò lo sguardo, faticando a trattenere un sorriso. Lavellan lo prese per un braccio prima che la sua distrazione gli costasse cara, trascinandolo alle spalle di Solas, mentre il drago raspava il terreno con tutta l'intenzione di caricarli. Non fece in tempo, perché dal cielo iniziò a cadere una pioggia di meteore infuocate che si scontrarono con violenza sul suo dorso, mettendogli fuori uso le ali in maniera definitiva.
-È quello che fa Hawke!- esclamò Cullen, con il tono di voce più alto di un'ottava per l'entusiasmo.
-E andiamo!- esultò Varric, ricaricando Bianca per dare supporto al Mago.
Una volta terminato l’incantesimo, Solas roteò il bastone una singola volta, poi si mosse verso un punto specifico del campo di battaglia, lo stesso che aveva coperto Dorian per gran parte delle fasi preliminari dello scontro. -È tutta tua, lethallin!- gridò.
Lavellan, che era già pronta all'azione, staccò una boccetta di fuoco antivano dalla cintura mentre correva verso il drago, quindi la lanciò, colpendolo sul collo. Il liquido prese fuoco all'impatto, bruciando la carne di Miss con ingordigia. Quella stridette, in risposta al dolore, battendo le zampe e strofinando il muso sul terreno in maniera nevrotica per spegnere le fiamme. Svolse quelle azioni lungo tutta la conca, coinvolgendo i combattenti in un modo o nell'altro.
Lavellan schivò le zampate con un'agilità unica, ma rischiò di inciampare diverse volte a causa della stanchezza. Riuscì a portarsi distante, approfittando del momento di distrazione del drago per recuperare il numero più alto possibile di frecce da impiegare per il colpo finale.
Venne interrotta da una codata che fu costretta dapprima a scansare e che poi la obbligò ad abbandonare qualsiasi cosa stesse facendo per cercare un posto sicuro nel campo di battaglia.
Cullen invece si portò a difesa di Solas, che nonostante fosse quello più in forma del gruppo, era anche il più esposto, dato che i danni che provocava alla bestia già ferita erano ingenti. Difatti, concatenava evocazioni come se le sue riserve di mana fossero infinite, senza mai deconcentrarsi.
Cullen deviò una zampata, poi un'altra e, per una volta, Solas si prese cura di lui combattendo il ghiaccio con il ghiaccio tramite un muro, respingendo un proiettile che avrebbe sicuramente garantito al suo protettore una frattura al braccio che reggeva lo scudo.
L'attacco però esplose in mille frammenti, coinvolgendo Lavellan tanto quanto bastava per farle perdere l'equilibrio e costringerla a terra, ferita sul fianco. Lei scoccò istintivamente una freccia, si rimise in piedi alla velocità della luce e annaspò per qualche metro, cercando di recuperare l'equilibrio.
Dopo che Miss fu riuscita a spegnere le fiamme, voltò il possente corpo martoriato verso la sua arcinemica, percependo distintamente il suo odore tramite una folata di vento proveniente da nord. Sbuffò dalle narici, spalancò le fauci e si gettò su Lavellan con tutte le forze che le restavano.
Quella balzò all'indietro ripetute volte, mentre le zanne del drago si richiudevano sul terreno, distruggendo qualsiasi cosa che si trovasse incastrata al loro interno. Scoccò la sua ultima freccia, colpendola sul collo leso, ma fu inefficace.
Solas spinse energicamente il muso di Miss a terra, poi intrappolò il suo collo nel ghiaccio con una stretta invernale. Fu velleitario, poiché il drago sembrava non sentire dolore, accanendosi su Lavellan come se vederla morta fosse il suo ultimo desiderio. Se fosse caduta, se la sarebbe trascinata dietro, ma Lavellan non aveva nessuna intenzione di assecondarla.
Cullen allora lasciò Solas sguarnito e scivolò di fianco a Miss, recuperando fortuitamente la catena, ancora legata al suo collo, per strattonarla con forza e dissuaderla dal continuare l'inseguimento. -Non ci provare nemmeno!- scandì, a denti stretti, mentre piantava bene i piedi in terra per contrastare la possanza della nemica.
Quest'ultima ruggì il suo disappunto, voltandosi verso quella presenza fastidiosa con occhi carichi d'ira.
-Se hai un altra fiaschetta, è il caso di usarla. Adesso!- gridò Varric, bersagliando il fianco opposto di Miss con veloci raffiche di dardi.
-Ha di meglio.- intervenne Cassandra, afferrando la catena alle spalle di Cullen. -Ha un'ultima risorsa!- esclamò, prendendo a tirare con tutte le sue forze.
Lavellan scoppiò a ridere nervosamente. -Ah, lo sapevo che non ci avresti abbandonati!-
Quando la porzione anteriore del corpo di Miss fu a portata di tiro, Cassandra alzò la spada verso l'alto con un gesto solenne, sprigionando una colonna di luce che si allungò verso il cielo.
Varric applaudì una singola volta, con soddisfazione. -Finalmente!- esclamò, mentre Cassandra, avvinta di luce bianca, penetrava le ultime difese del drago con scioltezza e lo infilzava al cuore, piantandogli la sua lama nel petto fino all'elsa.
-Vai Lav!- gridò.
Lavellan, che aveva già preso la rincorsa, si diede la spinta su una colonna di ghiaccio e compì un balzo, atterrando sul muso di Miss con la lama del suo coltello da caccia. Lo piantò tra i suoi occhi, facendolo penetrare nelle scaglie con tutte le forze che le rimanevano in corpo.
Miss non ebbe il tempo di realizzare cosa stesse succedendo che la vita scivoló via dalle sue pupille, disperdendosi assieme a un rantolo sommesso.
Varric esultò sonoramente, mentre Cullen mollava la presa sulla catena, scrollando di fronte a sé le mani intorpidite dallo sforzo. Solas invece esalò un sospiro di sollievo, riponendo il bastone, mentre Miss crollava a terra, esanime.
La battaglia si era conclusa.
Cassandra sfilò la spada dal petto del drago con un gesto secco, pulendola sul dorso del guanto prima di riporla. Sollevò lo sguardo su Lavellan, che si era seduta sulla testa del drago con tutta l'aria di avere la forza solo per respirare. -Tutto bene?- le domandò.
Lavellan carezzò il cranio di Miss con dolcezza, poi le chiuse gli occhi. -Falon'Din enasal enaste, Miss.- mormorò, per poi rivolgere un sorriso a Cassandra. -Adesso si.- le rispose.
Cullen si precipitò a darle una mano. Sollevò un braccio nella sua direzione, invitandola a scendere e lei per una volta accettò volentieri il suo aiuto, atterrando di fronte a lui per poi farsi chiudere in un abbraccio, che ricambiò senza pensarci due volte.
-Ehi bel cavaliere.- sussurrò lei, al suo orecchio. -Vieni qui spesso?-
-Solo quando la mia ragazza me lo chiede.- rispose lui, passandole una mano sulla schiena, rasserenato che avesse la forza di stemperare la tensione.
-E tu fai tutto quello che ti dice?-
-Se voglio sopravvivere, si.-
Lavellan ridacchiò -Tu stai bene?-
-Mai stato meglio!- replicò Cullen, distanziandosi appena per guardarla dritta negli occhi, con entusiasmo.
-Ci ha fatto sudare per davvero.- intervenne Varric, riponendo finalmente Bianca.
-Ma se siete entrati all'ultimo momento!- protestò Lavellan, sciogliendo Cullen dall'abbraccio per dirigersi verso il resto del gruppo attivo. -L'unica che ha sudato qui è la sottoscritta.-
Cassandra scorse il suo viso con uno sguardo severo, macchiato d'orgoglio, poi le sorrise. Lavellan ricambiò, prendendola sottobraccio per evitare che le gambe le cedessero, ma anche perché era contenta che fosse lì con lei, finalmente.
-Insomma, immagino che l'onore di intrattenere il pubblico spetti al Comandante, dato che Dorian è indisposto.- disse Blackwall, che si stava avvicinando ai cinque con una Sera particolarmente malconcia a cavalcioni sulla schiena.
Cullen inarcò un sopracciglio, assumendo un'espressione confusa. -Chi dovrei intrattenere io, scusa?- domandò, rivolgendosi a Lavellan.
Sera gli posò una mano sul capo e lo ruotò, spingendolo a guardare un lato della conca parallelo allo spazio sicuro dove riposava il resto del gruppo. Là si era radunato un drappello di spettatori, tra locali, ufficiali dell'esercito orlesiano e forze dell'Inquisizione.
Lavellan sorrise, mentre Cullen assumeva una smorfia di totale disapprovazione, poi si fece accompagnare da Cassandra verso il punto in cui era stato inferto il penultimo colpo, rigirandosi il pugnale tra le dita della mano libera. -Assegnare un titolo all'Ammazzadraghi è una tradizione che ha inaugurato il Toro e Josephine le ha dato ufficialità, con il mio beneplacito.- spiegò, mentre squarciava il petto di Miss con un taglio deciso. -Il Dorsogelido è toccato a lui, perché era giusto che fosse così, poi è arrivato il turno di Cassandra con il Cacciatore, perché è stata l'unica a restare in piedi per tutta la durata dello scontro. Infine, è arrivato il turno di madame Vivienne, che ha praticamente fatto esplodere il Cavalcatempeste.- si scostò di lato, per permettere a Cassandra di subentrarle. -Qual è il titolo adeguato per chi sconfigge un Maestrale Maggiore, Cas?- le domandò.
Cassandra diede una pedata virulenta alla cassa toracica di Miss, incrinandole le costole con un rumore raccapricciante che fece sobbalzare Varric. -Sicuramente qualcosa che ha a che fare con il vento gelido.- rispose.
Varric esclamò un -Oh!-, prendendo a battere un piede a terra alla ricerca di un titolo. -Datemi un minuto, ce l'ho sulla punta della lingua.- borbottò, osservando un punto indefinito a est.
-Mi vedo costretto a rifiutare.- affermò Cullen, recuperando lo scudo da terra per assicurarselo sulla schiena. -Lav e Dorian se lo meritano più di me.-
-Io sono già l'Inquisitrice.- disse Lavellan. -Non ho bisogno di altri titoli.-
-Nemmeno io, se è per quello. Anzi, preferirei proprio evitare!- ribatté Cullen, con sicurezza.
-Non protestare, Comandante, te lo meriti.- intervenne Solas, appoggiandosi al bastone da mago nel rivolgergli un sorriso rassicurante. -Siamo tutti d'accordo.-
-Io lo sono solo perché so che questa cosa lo imbarazza a morte.- ammise Sera, ridendo istericamente.
Cullen le gettò un'occhiata torva. -Accetterò solo se è possibile condividere il titolo con Dorian.- disse, incrociando le braccia sul petto.
-Aggiudicato, sennò facciamo notte.- tagliò corto Lavellan, aiutando Cassandra a recidere le arterie del cuore del drago, prima di prenderlo con cura tra le braccia.
Cullen spalancò uno sguardo basito e sollevò le sopracciglia, notando che l'organo aveva le dimensioni di un Mabari adolescente. -Cosa ci devo fare con questo? Non me lo farete mica mangiare, vero?- balbettò, mettendo le mani avanti mentre Lavellan andava a porgerglielo.
-Non dire cavolate! Vai sotto al pubblico e glielo mostri.- disse lei, spingendoglielo sul petto.
Cullen esalò un rantolo di fastidio, arricciando il naso. -Devo proprio?-
-È la prassi.- rispose lei.
-Fallo e basta, zio. Ho una fame che non ci vedo.- protestò Sera, spingendogli una spalla per costringerlo a muoversi. Blackwall fece altrettanto.
Varric trotterellò dietro a Cullen, battendogli una mano sulla schiena come segno di consolazione. -Durerà poco, Ricciolino. Che ne dici di “Crepuscolo di Ghiaccio”?-
-Ridondante.- rispose Cullen, tappandosi il naso con il dorso della mano per contrastare l'odore profuso da ciò che stava trasportando.
-“Fendivento”.-
-Per il Creatore, ma anche no!-
-”Bastione nel vento”.- suggerì Blackwall.
Sera diede una risata nervosa, battendogli una mano sulla spalla. -Senti questa, senti questa: “Bastone al vento”.-
Blackwall ridacchiò. -“Mutandoni al vento”.-
-Geniale!- replicò Sera.
-”Maledizione del Maestrale”.- s'intromise Cassandra, che camminava al fianco di Lavellan, per sorreggerla. -Penso che a Dorian piacerebbe.-
Varric si voltò nella sua direzione, rivolgendole un sorrisetto. -Potrebbe essere.-
-Perfetto! Abbiamo il titolo per Dorian.- disse Lavellan, una volta raggiunto il punto della conca antistante al pubblico.
-Pensavo valesse per entrambi.- ammise Cullen, sollevando il cuore verso l'alto.
Dal pubblico, già intento ad applaudire, fuoriuscì un'ovazione in piena regola, soprattutto da parte dei membri dell'Inquisizione, che gridavano la loro soddisfazione a pieni polmoni, contenti di aver assistito a quello scontro e che l'onore di esibire il trofeo di caccia fosse capitato al Comandante.
Cullen si ritrovò inevitabilmente a sorridere di fronte a quel bagno di popolarità. Le sue guance si tinsero di rosso, mentre dava un colpo di tosse, per dissimulare una contentezza che derivava dalla vanità.
-Devi dire qualcosa come “Per l'Inquisizione”, o “Dedico questa vittoria alla mia famiglia”.- gli suggerì Varric, applaudendo a sua volta.
-Su, mastro Tethras, lascialo in pace una buona volta!- lo rimproverò Solas, mentre Cullen consegnava l'organo tra le mani dell'Inquisitrice. Lei gli rivolse un sorriso pieno, poi gli fece cenno di inginocchiarsi.
-Fai sul serio?- le domandò Cullen, con incertezza.
-Certo! È un titolo. Un po' di solennità è d'obbligo.- disse lei, aspettando che un soldato dell'Inquisizione li raggiungesse con un sudario per avvolgerci il cuore. -Cercate una grande quercia con una bella vista che da verso le montagne, mi raccomando. Penserò io al resto, non appena avremo finito qui.-
Il soldato chinò il capo, poi si dileguò, senza attirare troppo l’attenzione dei presenti.
-Torniamo a noi.- mormorò Lavellan, diventando improvvisamente seria. -Inginocchiati, Comandante.-
Lui esitò per un singolo istante, poi eseguì.
Il pubblico si zittì, allora Lavellan si portò di fronte a lui, posando il pollice all'apice della sua fronte. Quindi, tracciò una linea insanguinata che gli divise il viso in due, fino al mento. -Perché ti sei distinto in battaglia, combattendo indomito, proteggendo i tuoi compagni di battaglia e rischiando la vita nell'impresa- declamò, a voce alta. -da oggi l'Inquisizione ti garantisce il titolo di Ser Cullen, Cavaliere Ventogelido e Rovina del Maestrale Maggiore delle Tombe di Smeraldo.- fece una pausa, per rivolgergli un sorriso composto. -Alzati e porta questo titolo con onore.-
E lui si alzò con fierezza, accompagnato dall’esultanza dei suoi sottoposti.
Gettò una rapida occhiata su di loro, poi tornò a guardare Lavellan, mettendosi sull’attenti con aria solenne. -Un'investitura non è solo una concessione, è un vincolo tra chi la offre e chi la riceve.- iniziò. -E non penso che esista privilegio più grande che ricevere un titolo, anche se goliardico, dalle tue mani. Il rispetto che ho nei confronti della causa che rappresenti, la nostra causa, è secondo solo all'affetto che provo per la tua persona. Sei grazia, sei speranza, sei dedizione, e ti prometto che farò onore a ciò che ho ricevuto oggi celebrando te, che preferisci affidare il merito a coloro che sono il prolungamento delle tue virtù, piuttosto che tenerlo solo per te stessa.-
Lavellan non si aspettava un discorso e perciò si diede dell’idiota, perché era ovvio che lui l’avrebbe fatto. D’altronde, aveva davanti un cavaliere reale, che già seguiva un codice e ciò le suggerì che qualsiasi promessa le avesse mai fatto l’avrebbe mantenuta, dalle più esigue a quelle che richiedevano sacrifici più grandi. Quel titolo simbolico era la conseguenza di una di esse e lei si sentì allo stesso tempo compiaciuta e in difetto nei riguardi di quella situazione.
-Il tuo discorso al confronto era la declamazione della lista della spesa.- mormorò Varric, diretto a Cassandra. Quest’ultima si limitò a fulminarlo con un’occhiataccia.
Grazie a quell’interruzione, Lavellan riuscì a dare una rotta ai suoi pensieri, ritrovando la compostezza perduta. -Il privilegio è tutto mio.- rispose, sorridendo al suo compagno gentilmente.
Cullen ricambiò, per poi rilassare la postura. -Dovrei dire qualcos’altro?- domandò, a mezza voce.
-Per il “lo voglio” è troppo presto. Togliti e facciamola finita.- scherzò Sera.
Lui alzò brevemente gli occhi al cielo, poi si fece da parte, accompagnato da un applauso scrosciante.
Lavellan allora si voltò verso Cole, che era apparso improvvisamente al fianco di Cullen con il bastone da mago di Dorian stretto tra le dita. Varric sobbalzò, perché non l'aveva assolutamente notato. -Dovete smetterla di farmi questi scherzi.- bofonchiò, facendo sorridere Solas.
Lavellan percorse un tratto di bastone con il pollice, poi si schiarì la voce. -Perché si è distinto in battaglia come un elemento infaticabile, infliggendo danni ingenti al nemico con costanza e con astuzia, supportando il gruppo e sacrificandosi eroicamente per la buona riuscita della caccia... da oggi l'Inquisizione garantisce a Dorian Pavus di Minrathous il titolo di Maledizione del Maestrale e Rovina del Maestrale Maggiore delle Tombe di Smeraldo.-
Il gruppo intero applaudì, unendosi all'esultanza, molto più moderata, del pubblico. Cole si nascose dietro alla tesa del suo cappello, stringendosi al bastone con imbarazzo.
-Mamma, ho fame.- si lamentò Sera, facendo roteare il capo teatralmente.
Lavellan chinò la testa in segno di rispetto agli spettatori, costringendo Cullen a fare lo stesso, poi lo prese sottobraccio, afferrando il polso di Cassandra con la mano libera per fare altrettanto con lei. -Andiamocene, prima che capiscano come raggiungerci.-
-Meno male.- esalò Cullen, scrollando le spalle dal sollievo.
-Cavaliere Ventogelido.- ripeté Solas, davvero divertito. -Hai scelto un nome molto elegante, lethallin.-
-Meglio di quello della Cercatrice di sicuro.- commentò Varric. Cassandra esalò un rantolo di disapprovazione. -Te l'ho detto, in nevarriano è molto più musicale.-
Cullen le rivolse un sorrisetto. -Cosa ti hanno affibbiato?- domandò.
Cassandra lo scorse con un'occhiata veloce, poi tornò a fissare l'orizzonte. -L'Ultima Risorsa dell'Araldo, Rovina del Cacciatore del Nord di Crestwood.-
Cullen sfiorò il suo viso con uno sguardo macchiato di dolcezza, per poi annuire piano. -Bello.- disse, semplicemente.
-Non è bello, è un onore.- lo corresse lei, rivolgendo un bel sorriso a Lavellan. -Ma anche un giuramento di sorellanza.-
-Var falon'suledin*, lethallin.- rispose quella, stringendo la presa sul suo braccio. -Bellanaris.*-
-Il mio stomaco che brontola ha meno consonanti.- commentò Sera, seccata.
-Confermo.- replicò Blackwall, assicurandosi una tallonata sulla coscia.

 

-III-

 

-Fammi capire, lui è il cavaliere e io sono la maledizione? Perdonami, amica mia, ma questo è un esempio sfacciato di come il nepotismo stia rovinando il Thedas.-
Lavellan e Solas si scambiarono un'occhiata d'intesa, poi risero.
Si erano allontanati dall'accampamento per darsi una rinfrescata nella porzione del ruscello antistante Chateau d'Onterre. Era un luogo tranquillo e godeva di una speciale riservatezza, perché le voci che circolavano sulla bellissima magione orlesiana a proposito di fantasmi e demoni tenevano alla larga chiunque che non facesse parte del circolo ristretto dell'Inquisitrice.
Questo si era diviso a gruppi di cinque, per lavarsi dopo la battaglia in preparazione della lunga marcia verso casa che avrebbero compiuto la mattina successiva. In quel momento erano presenti Lavellan, Solas, Cassandra, Dorian e Vivienne, dato che gli altri erano fin troppo affamati per aspettare.
Cassandra, la prima a finire, era andata a sedersi su una porzione assolata del ponte che congiungeva le due rive. Teneva il viso sollevato verso il cielo, le gambe a penzoloni e le dita allacciate in grembo. -Te l'ho scelto io il titolo, prenditela con me, non con lei.- disse, in risposta alle lamentele.
Dorian, che si stava strofinando le braccia con i rimasugli di una saponetta, sbuffò una risata sprezzante. -Ancora peggio! Tu sei rimasta con la mentalità che uno che pratica il mio stile di magia deve restare impantanato nel gergo grigio della morte.- protestò. -Per te sono quel genere di Mago che usa i teschi come elementi d'arredo, ammettilo.-
-Tu usi i teschi come elementi d'arredo.- puntualizzò Lavellan, frizionandosi i capelli bagnati con un asciugamano di tela.
-Sono un ottimo deterrente per tenere lontane le pinguine.- si giustificò Dorian, rubandole l'asciugamano. -Maledizione del Maestrale. Tzé! La prossima volta aspettate che mi sia ripreso, prima di ingiuriarmi!-
-Smetti di lamentarti, è stato un gesto molto cavalleresco da parte del Comandante, condividere la vittoria.- intervenne Vivienne, prendendo posto, già vestita, al fianco di Cassandra. -Avrebbe potuto tenere la gloria per se stesso e nessuno gliene avrebbe fatto un torto.-
-Beh, avrebbe potuto cedermela, come aveva intenzione di fare.- disse Dorian, prendendo a rivestirsi. -Se non fosse stato per la crisi mistica di Cassandra, sarei rimasto in piedi fino alla fine.-
La persona presa in causa spostò uno sguardo accigliato su di lui, che a occhio si era pentito immediatamente di aver tirato fuori l'argomento.
-Abbiamo vinto, è questo ciò che conta.- si corresse Dorian, alzando le mani in segno di resa.
-Esattamente.- affermò Vivienne, voltandosi verso Cassandra. -Ma vorrei comunque che ci venissero forniti dei chiarimenti, anche perché l'ultima cosa che ho visto prima di ritirarmi è stata la tua espressione esitante. La stessa che avevi ancora prima che lo scontro iniziasse.- fece una pausa, per squadrarla da capo a piedi. -Mi sorprende che tu abbia voluto entrare in campo impreparata, nonostante fossi consapevole che avresti messo in pericolo noi e, soprattutto, l'Inquisitrice. Non è da te.-
Cassandra era livida. Il suo viso era tinto della stessa frustrazione di chi sa di essere in torto, eppure ha delle giustificazioni valide per aver agito in una certa maniera, contrariamente al buonsenso. Giustificazioni che, però, non aveva nessuna intenzione di condividere.
Lavellan la raggiunse con un'occhiata preoccupata, studiando il suo viso alla ricerca di un indizio che le permettesse di intuire la risposta agli interrogativi di Vivienne. Intuendolo, decise di intervenire, dato che Cassandra stava chiaramente dimostrando di non aver fatto ancora pace con se stessa per quello che era successo.
-La responsabilità di quello che è successo è mia, madame.- disse. -Vi sto chiedendo molto, in queste missioni, dal punto di vista fisico, ma soprattutto psicologico. Questo viaggio, in particolare, ha messo me alla prova per prima, offuscando il mio giudizio in più di un'occasione.-
Solas le gettò un'occhiata stranita, ma evitò di interromperla.
-Non mi pento di averle chiesto di entrare in campo al mio fianco, sia chiaro, mi pento del mio egoismo, che l’ha spinta a prendersi carico di una situazione più grave di una caccia al drago.- fece una pausa. -Per quello, devo le mie scuse a tutti voi, ma a lei in particolare.-
Vivienne inarcò un sopracciglio, mentre Cassandra si alzava per andarsene, inoltrandosi nel fitto del bosco con tutta l'aria di voler iniziare una deforestazione in piena regola a suon di cazzotti.
Lavellan serrò la mascella, per evitare di dare indizi sul suo stato d’animo. Sapeva di non averle fatto un favore, assumendosi la responsabilità di un suo errore, ma allo stesso tempo era certa che il suo prostrarsi fosse stato necessario per il benessere emotivo del gruppo, soprattutto in presenza di individui formali come Vivienne.
Quella, per niente convinta, si limitò a osservare Lavellan con aria inquisitoria, mentre Solas finiva di vestirsi nervosamente e Dorian assumeva un'espressione madida di disappunto. -Dovevo nascere muto.- affermò l'ultimo, passandosi una mano dietro al collo.
Lavellan deglutì, spostando la testa laddove era sparita Cassandra. -Hai bisogno che chiarisca qualcos'altro, madame?- domandò, cercando di apparire tranquilla.
-Sei stata cristallina, Inquisitrice.- rispose Vivienne, accavallando le gambe graziosamente. -Ma ti ricordo che la tua posizione richiede che venga fatto uno sforzo di fiducia da entrambe le parti. Se non puoi affidarti al giudizio del tuo braccio destro quando la tua sensibilità rischia di compromettere una missione, allora ti converrà guardare in una direzione diversa, una prossima volta.-
Lavellan aggrottò la fronte, prendendosi qualche secondo per immagazzinare la critica. -Ne terrò conto, ma terrò anche presente la più totale mancanza di empatia che le è stata dimostrata dai suoi compagni in un momento difficile.-
Vivienne inclinò appena il capo, sorpresa da quel richiamo. -Non mi sembra di averla...-
-Oh, accidenti!- intervenne Solas, realmente irritato. -Questa discussione è talmente superficiale che darebbe sui nervi anche alla persona più paziente del Thedas. Ed è incredibilmente Umano definire il valore di una persona in base a un errore che avrebbe potuto commettere chiunque nella stessa identica situazione.-
-Non mi pare di avere mai messo in dubbio il valore di dama Pentaghast.- ribatté Vivienne. -Semmai ho proposto all'Inquisitrice di accettare anche altre opinioni eventualmente, oltre alla sua.-
Solas aprì le braccia, con enfasi. -Non gira tutto attorno al potere.- affermò, asciutto. -Accetta che si sia scusata per compiacere il tuo ego e riserva le tue opinioni inappropriate per qualcuno che ha orecchio per sopportarle.-
Lavellan si passò una mano sul viso, nervosamente, poi tornò a riva, recuperando il resto dei suoi vestiti per infilarseli sottobraccio. -Non mi sono scusata per fare contento qualcuno, lethallan.- precisò. -Ma su una cosa hai ragione, questa discussione non è utile a nessuno.- aggiunse, allontanandosi.
Dorian la seguì con lo sguardo, giocherellando con la fibbia del suo bracciale per gestire la tensione che provava. -Lo avete notato che lo fa con tutti noi?-
-Cosa?- domandò Solas, radunando il suo equipaggiamento.
-Ho sentito Cassandra suggerirle di mantenere le distanze con me, perché costituivo un pericolo per lei e per l'Inquisizione. Le ha risposto che l'unica persona in pericolo là dentro ero io, a causa degli stessi pregiudizi che hanno spinto Cassandra a metterla in guardia da me.- rispose Dorian, mettendosi a sedere per terra, con aria pensosa. -Pensa davvero di averci delusi.-
Solas rilassò la postura. -No, ne è sicura. E voi non avete fatto niente per impedire che credesse a questa sciocchezza.-
-Avremmo dovuto seguire il tuo esempio, allora, condonando i suoi atteggiamenti autodistruttivi.- replicò Vivienne, lanciandogli uno sguardo penetrante. -Non sempre un approccio permissivo è una buona cosa. Se le fornisco un suggerimento, lo faccio per il suo interesse.-
Solas ricambiò l’occhiata. -Per il suo, o per il tuo? Sei così spaventata di perdere tutto quello per cui hai lavorato che saresti disposta a sacrificare qualsiasi rapporto, ciò che è genuino, pur di mantenere un'illusione di successo e prestigio. L’Inquisitrice è solo una pedina del tuo gioco.-
Vivienne rise, con condiscendenza. -Questa è l’ennesima riprova della tua superficialità. Pensi di poter leggere le persone con accuratezza, ma in realtà sei solo un uomo vittima della sua stessa arroganza, pronto a giudicare la condotta altrui solo perché collide con il tuo pensiero.- fece una pausa, per passare uno sguardo comprensivo su di lui. -Ognuno di noi sta conducendo una partita, compresa la Cercatrice, e invece di metterlo in chiaro come ho fatto io dal primo momento, fingete tutti una superiorità talmente pomposa che rasenta il blasfemo. Prima di accusarmi di opportunismo, guarda il tuo riflesso allo specchio.-
-Ti ringrazio per l’ennesimo suggerimento velleitario, madame, ma conosco il mio riflesso fin troppo bene e ritengo di non avere niente da imputarmi, per come mi relaziono con gli altri.-
Vivienne batté le ciglia pesantemente, scorrendo su di lui un’occhiata dubbiosa. -No?-
-No.- decretò lui, per poi allontanarsi a sua volta.
Vivienne sollevò le sopracciglia su un'espressione rassegnata, seguendo i suoi movimenti finché non fu distante, poi schioccò la lingua sul palato, scuotendo la testa.
-Non corrucciarti, o ti verranno le rughe.- rimproverò Dorian, raggiungendolo per appoggiargli una mano sulla spalla. -Andiamo a sistemare le cose con classe, mio caro. L'Inquisitrice ha bisogno di noi.-
Lui esalò un sospiro stanco, poi annuì, mentre si rialzava faticosamente. -E noi di un drink.- disse.
-Ovviamente.- replicò Vivienne, quindi lo prese sottobraccio, per aiutarlo ad attraversare il ponte.

 

-IV-



Cassandra era seduta sul mozzicone di una colonna di impronta elfica e osservava con aria assorta una mandria di Bronto che pascolava placidamente l'erba al di sotto di un'arcata antica e strozzata dall'edera.
Lavellan finì di rivestirsi e la raggiunse con calma, soffermandosi a osservare il suo profilo accarezzato dal sole di mezzogiorno, prima di arrischiarsi a parlare.
Si portò al suo fianco, con le mani infilate in tasca, poi raggiunse l'obiettivo del suo sguardo, con un lieve sorriso. -Non ti ho reso la vita facile.- disse.
Cassandra rimase qualche istante in silenzio, poi scosse la testa. -Non mi rendi mai la vita facile, ma mi sta bene.- rispose. -Se fossimo d'accordo su ogni cosa, sarebbe controproducente.-
Lavellan inarcò un sopracciglio, tornando a guardarla.
-Madame De Fer ha ragione.- proseguì Cassandra. -Non ero in me sul campo. Ero così preoccupata per la tua salute che ho perso di vista il motivo per cui combattiamo i draghi personalmente.-
-Ti ho messa in una brutta posizione, Cas. Mi dispiace.-
-No, non è colpa tua. Avrei dovuto avere fiducia in te, come sempre, invece ti ho delusa. Sono io che ti ho messa in una posizione difficile.- Cassandra prese un respiro profondo, voltando il capo per guardarla dritta negli occhi. -Non sono stata una buona amica, durante questo viaggio. Eri ferita e io non riuscivo a trovare i mezzi giusti per aiutarti.-
Lavellan aggrottò la fronte, assumendo un'espressione incerta, ma attese di intervenire anziché interromperla.
-E quando è arrivato il momento di dimostrarti che potevi contare su di me nella nostra caccia, sono stata una compagna fallimentare. Di nuovo.- Cassandra scosse la testa. -Sono chiaramente in difetto nei tuoi riguardi, Lav, ed è stato davvero stupido da parte tua scusarti in mio nome pur sapendo benissimo che ho messo tutti voi a rischio con la mia testardaggine.-
Lavellan si avvicinò a lei di un passo, recuperando il lembo di uno dei suoi guanti per stringerlo tra le dita. -Non è stato stupido.- replicò. -Non sei tu a essere in difetto nei miei riguardi, tu sei stata... tu sei una delle persone che rispetto di più al mondo.-
-Lo sai che è reciproco.-
Lavellan annuì. -Pensavo che ti avrei messa ancora di più in difficoltà, condividendo quello che provo. Tu sei eccezionalmente forte, ma questo dolore lo è di più. Non so come affrontarlo, figuriamoci trasmettere la sua pesantezza a qualcuno che ritengo essere di famiglia!- appoggiò la fronte sulla sua spalla. -Ho avuto paura che mostrartelo ti avrebbe spinta a fartene carico.-
-Quando in realtà è una cosa talmente intima da renderti protettiva nei suoi riguardi.- concluse Cassandra, per lei. -Avrei dovuto capirlo.-
-Non ti ho dato modo di farlo.-
-Ma io avrei dovuto arrivarci comunque, dato che è una sensazione che conosco fin troppo bene. Ci sono passata anch'io, quando ti ho parlato di Anthony. Quando ti ho parlato dei draghi.- sorrise appena. -Var falon'suledin. La nostra comunanza con la resilienza.-
Lavellan si discostò, per permetterle di scendere dalla colonna e appoggiarle le mani sulle spalle. La guardò a lungo, indecisa su come risponderle, poi, improvvisamente, la chiuse in un abbraccio.
Cassandra rimase con le mani sospese per aria, per diversi secondi, indecisa su come approcciarsi. Si diede il tempo per acclimatarsi, dapprima battendole una mano sulla schiena, poi rilassò finalmente i muscoli, avvolgendola tra le braccia.
-Scusa, lo so che non è il tuo forte, ma ne avevo bisogno.- si giustificò Lavellan, appoggiando il mento sul suo trapezio.
Cassandra le sistemó i capelli con una carezza vigorosa, scoccandole un bacio sulla tempia. -Oggi va bene così.-
Lavellan ridacchiò, distanziandosi appena per rivolgerle un sorriso sornione.
-Cosa?-
-No, niente. Pensavo che è molto ironico che le persone da cui desidero avere una rassicurazione fisica siano le persone meno fisiche che conosco.- spiegò Lavellan, senza smettere di ridere. -Varric direbbe “emotivamente costipati”.-
Cassandra esalò un rantolo di fastidio, poi la spinse via giocosamente, provando esattamente il punto dell'amica. -Hai intenzione di accettare la proposta del Comandante?- le domandò, forzandola a cambiare discorso.
Lavellan le rivolse un’occhiata incerta. -A dire il vero, ho rifiutato. Non posso lasciarti sola a gestire questa banda di debosciati.-
-Guarda che sei tu che li istighi, la stragrande maggioranza delle volte.- puntualizzò Cassandra, con aria di rimprovero.
-Appunto!- replicò Lavellan, ricevendo un buffetto sulla spalla in tutta risposta.
Cassandra si soffermò a fissarla con una vena di delusione nello sguardo. -Vorrei ricordarti che è venuto fin qui apposta per te, Lav. Non penso che un titolo superfluo e una pacca sulla schiena siano un ringraziamento soddisfacente.-
Lavellan si prese i suoi tempi per riflettere, raddrizzandosi i bracciali dell'armatura media per ricomporsi. -Non saprei, Cas. Non sono in vena di...- fece una pausa. -Voglio solo tornare a lavorare il prima possibile, senza distrazioni.-
Cassandra si portò di fronte a lei, per sistemarle le cinghie degli spallacci. -Arriveresti prima a Skyhold, non ci hai pensato?- le suggerì. -E poi, ti sei aperta più con lui in due ore che con tutti noi in un mese. Stare lontana qualche giorno dal casino provocato da questa banda di scappati di casa ti farebbe solo che bene.- le rivolse un sorriso, proseguendo a controllare che il suo equipaggiamento fosse in ordine. -Ti rendi conto che ha affrontato un drago al tuo fianco con nient'altro che un'armatura cerimoniale?- aggiunse, aggrottando la fronte sopra un'occhiata divertita.
Lavellan strinse le labbra su un sorrisetto tinto di compiacimento. -Dici che dovremmo dirglielo che il sangue di drago non si smacchia?-
-Dico che dovresti affrettarti a raggiungerlo.-
Lavellan esitò. -Te la sentiresti davvero di gestire le cose in mia assenza?-
Cassandra la afferrò per le spalle, la voltò in direzione del ruscello e le assestò una pacca sul sedere. -Corri!-
Lavellan saltellò sul posto, facendo scattare la testa tra Cassandra e il sentiero. -Sicura?-
-Vai!!- la incitò Cassandra, battendo le mani con enfasi.
Allora Lavellan prese a correre, evitando cespugli di rovi e scavalcando radici come se fosse inseguita da un orso, mentre Cassandra incrociava le braccia sul petto, esalando un sospiro sognante.
Aspettò che scomparisse, poi rise tra sé e sé, scuotendo la testa nel dirigersi verso l'accampamento con tutta la calma del mondo.







 

💅Gloss💄
“Fenedhis” - Imprecazione, traduzione non disponibile.
“Fasta Vass” - Imprecazione, traduzione non disponibile.
“Kaffas” - “Merda”
“Banavis Fedari” - “Che il terreno salga per incontrare i tuoi piedi”
“Var falon'suledin. Bellanaris.” - “La nostra amicizia/comunanza/sorellanza con la resilienza. Imperitura/Per sempre.”

 


-Nota-

Lav nell’ultimo paragrafo: https://i.kym-cdn.com/entries/icons/mobile/000/000/881/chubbybubbles.jpg
Cullen quando Solas tira giù il cielo: https://i.gifer.com/origin/2e/2e6da5121fe0a0d32ae537ba92d94c48_w200.gif
Questo capitolo è stato un parto. Solo che io ero donna incinta, infermiera e dottoressa allo stesso tempo. Lo so che è lungo, ma se non lo buttavo fuori per intero me lo sarei dovuta trascinare per un’altra settimana e https://st.ilfattoquotidiano.it/wp-content/uploads/2020/01/29/gerry1200.jpg
<3

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Capitolo 18
*** Hospitalité Orlésienne ***


Lavellan frenò la sua corsa sulla riva di ciottoli che accompagnava il ruscello, rischiando di finire in acqua. Fece lo slalom tra l'equipaggiamento dei suoi compagni, sottraendosi in tempo a uno scontro frontale con il Toro e abbassandosi per evitare di venire colpita da un gomito di Blackwall, i quali si stavano dirigendo verso il punto di lavaggio.
-Ci vediamo tra una settimana!- gridò, agitando una mano in aria sommariamente, mentre riprendeva la corsa verso il sentiero in discesa che portava all'accampamento di Pietraferoce.
I due si scambiarono un'occhiata incerta, poi il Toro fece spallucce, tornando a camminare come se non fosse successo niente.
Lavellan scese lungo il sentiero, cercando con lo sguardo le sue armi. Quando intravide Dorian, attirò la sua attenzione con un fischio. Quasi lo travolse, nel raggiungerlo. -L'arco! Mio arco! Dove?- gli chiese.
Dorian fece un giro su se stesso, con l'indice rivolto verso il cielo e un'espressione attenta, poi fece una corsetta verso il tavolo degli approvvigionamenti per recuperare ciò che gli era stato chiesto. -Ho detto a Fairbanks di trattenerlo al Rifugio di Argon, ma devi correre.- le suggerì, consegnandole il suo zaino, assieme ad arco e faretra. -Quell'uomo ha la parlantina di uno spirito del silenzio.-
Lavellan si assicurò le armi sulla schiena, poi gli mandò un bacio al volo. -Cosa farei senza di te?- disse, prima di rimettersi a correre.
Dorian ridacchiò. -Non fare niente che io non farei!- le gridò dietro. Varric, che lucidava Bianca poco distante, gli rivolse un'occhiata eloquente. -Impegnarsi emotivamente con qualcuno e saldare i tuoi debiti di gioco?- suggerì.
Dorian lo ignorò, sorridendo compiaciuto in direzione di Lavellan, che correva scompostamente attraverso la foresta.
Lei evitò direttamente di prendere in considerazione il sentiero, preferendo seguire le stesse scorciatoie che aveva usato nei giorni precedenti per cacciare, dato che ormai conosceva il bosco di querce a menadito. Sentiva ogni muscolo, persino quelli che non aveva, risentire della fiacchezza derivata dallo scontro con Miss, ma si sforzò di non rallentare, arrivando al Rifugio di Argon senza fiato.
Vide che il gruppo di scorta stava montando a cavallo, al di là del ponte d'accesso al forte, ed ebbe un tuffo al cuore.
Fortunatamente, Fairbanks la notò in tempo per evitare che partissero. Afferrò le briglie del cavallo di Cullen, attirandosi addosso un'occhiata confusa. -Un moment, Commandant!- esclamò, indicandogli Lavellan con un'espressione di completo sollievo dipinta in viso.
Cullen voltò uno sguardo sorpreso in direzione della nuova arrivata, che si era dovuta fermare per riprendere fiato, a una ventina di passi dalla scorta. Preoccupato, smontò da cavallo e le andò incontro, facendo cenno ai suoi uomini di attenderlo. -Che succede?- domandò, una volta che l'ebbe raggiunta.
Lavellan,  che respirava a fatica, sollevò una mano tra loro, chiedendogli così di attendere mentre riprendeva l'uso della parola. -Hai dimenticato...- sbuffò, drizzando la schiena. -Una cosa.- concluse, indicandosi.
Cullen rimase interdetto a fissarla, poi le rivolse un sorriso incerto. -Non serviva che corressi. Bastava che mi raggiungessi in un secondo momento, a cavallo.-
Lavellan gli scoccò un'occhiataccia. -Non sarebbe stato altrettanto teatrale.- spiegò. -Diamine, Cullen, le basi!-
-Più che teatrale, mi sembra una mossa un tantino disperata.- intervenne l'esploratrice Harding, che li aveva raggiunti con uno dei cavalli di riserva. Scambiò un cenno di saluto con l'Inquisitrice e le consegnò le briglie del destriero, prima di ritornare nel gruppo di scorta con aria divertita.
Lavellan passò una mano sul muso del cavallo, soffermandosi a grattarlo dietro le orecchie. -Sarei comunque dovuta partire, che lo faccia prima o dopo non fa poi così tanta differenza.- borbottò.
Cullen inclinò appena il capo, mentre si avvicinava a lei di un passo. -Pensavo che avessi delle questioni da sistemare.-
-Se ne è presa carico Cassandra.-
-Ne sei proprio sicura? Non vorrei mai che...-
Lavellan lo zittì con un cenno. -Voglio tornare a casa e voglio farlo assieme a te.- dichiarò.
Cullen le rivolse un sorriso rassicurante. -Non sai quanto mi faccia piacere sentirlo.- sussurrò, con la voce rotta da un impeto di dolcezza.
Si scambiarono uno sguardo languido che parve durare minuti interi, poi Lavellan sospirò. -Lo so che non ti senti a tuo agio con le dimostrazioni d'affetto in pubblico, ma volevo farti sapere che questo sarebbe un momento davvero ideale per baciarmi.- suggerì, con tutta l'impressione di aver appena avuto un déjà-vu.
-Ah, si?- Cullen accorciò le distanze, per raccogliere la sua mano e portarsela alle labbra, appoggiandoci un bacio lieve.
Lavellan sollevò le sopracciglia su uno sguardo sorpreso, quindi gli rivolse un sorriso intrigato. -Ma Comandante! Diamo spettacolo?- finse di rimproverarlo, ritraendo la mano per portarsela al petto teatralmente.
Cullen alzò gli occhi al cielo. -Sei incontentabile!- protestò, mentre entrambi si muovevano per raggiungere la scorta e lasciare quel posto il più rapidamente possibile.

 

17 - Hospitalité Orlésienne

 

Dal tetto della tenuta invernale della comtesse De Fourier si poteva vedere un'ampia frazione del cielo notturno, incorniciata in maniera raffinata dalle sottili colonne di un pergolato avvinto da pampini di vite rossa.
Lavellan si era rifugiata lassù, con l'aiuto della servitù della padrona di casa, perché esausta di dover intrattenere conversazione con il seguito di una donna che possedeva esattamente tre argomenti di conversazione, di cui uno aveva sfumature marcatamente razziste. Era riuscita a gestire l'aperitivo, la cena e il dolce a fatica, distribuendo equamente ciò di cui era allergica in ogni pianta in vaso che trovava sul suo cammino, poi se l'era svignata con la scusa di dover controllare che il suo arco fosse stato nutrito abbastanza.
-Lav, sei qui?-
Lavellan, che era distesa sulla schiena a spiluccare un grappolo d'uva, si mise a sedere di scatto, rischiando di scivolare sulle tegole. -Muoviti, prima che quella pazza sguinzagli i cani!- sussurrò concitata, sporgendosi per aiutare Cullen ad arrampicarsi.
-Cani?! Quelli erano cani?- domandò lui, sconvolto, dopo essersi sistemato a sedere al suo fianco. Per una volta, indossava un’uniforme. Questa era blu notte, con dettagli dorati e aderente sul torso; sul cuore c'era ricamato il simbolo araldico dell'Inquisizione, assieme a quelli relativi alle sue qualifiche.
A eccezione di Ser Darrow, costretta a indossare l’armatura da Templare, tutti i membri di spicco della compagnia indossavano qualcosa di diverso dalla solita divisa, Harding compresa. A ogni modo, Lavellan era di sicuro la più elegante, vestendo un raffinatissimo cappotto lungo in velluto prugna con inserti d’argento, il quale si apriva in grembo su un paio di pantaloni ricamati con un motivo di foglie di alloro, tempestate di gemme dipinte.
-Ecco perché si muovevano!- mormorò sommessamente Cullen, osservando un punto indefinito di fronte a sé con aria sconvolta. -Pensavo che fossero cuscini e ho temuto di essere preda di un'allucinazione.-
Lavellan si strinse nelle spalle, poi ricevette un'occhiataccia.
-Questa comunque me la segno.- borbottò Cullen, con aria di rimprovero.
-Perdonami, ma non ce la facevo più, vhenas.- esalò lei, stancamente. -Se avessi dovuto sorbirmi un altro minuto di quella discussione sulle ceramiche antivane, avreste dovuto raccogliere i resti del mio cervello dal pavimento con un cucchiaino.-
-A te è andata anche bene! Io ho dovuto sorridere e annuire mentre il primogenito mi stordiva a suon di resoconti bellici.- le rivolse un'occhiata eloquente, staccando un acino d'uva dal grappolo per rigirarselo nervosamente tra le dita. -Quel moccioso ne sa di guerra così come io mi intendo di etichetta.-
Lavellan scorse uno sguardo divertito su di lui. -Ammettilo, è stato davvero soddisfacente vedere il modo in cui Harding l'ha messo in riga. Giuro che appena torniamo a Skyhold le do un aumento.-
-Sarebbe stato divertente, si, se non fosse che dopo mi è toccato fargli un resoconto completo della battaglia di ieri notte. E l'unica cosa eccitante in quella schermaglia è stato quando Burrows è inciampato su quel carretto di cocomeri.-
-Non pensavo facessero così tanti danni. Dovremmo investire su quelli, anziché sui proiettili per i trabucchi.-
Cullen liberò una risata istintiva.
Lavellan osservò con un certo sollievo il suo viso perdere gradualmente la tensione che aveva assunto da che era iniziata quella strana ambasceria, quindi chinò uno sguardo sognante sulla giacca a doppiopetto che indossava. -Ti ho già detto che stasera sei davvero affascinante?- fece, raddrizzando l’orlo dei suoi guanti con cura.
Cullen aspettò che avesse finito, poi si lisciò il completo sullo stomaco, osservandosi con aria accigliata. -Leliana sostiene che gli eventi ufficiosi, o mondani, richiedano un'uniforme.-
-E tu hai ceduto così facilmente?- lo punzecchiò lei.
-Oh, non c'è pericolo! Avevo tutte le intenzioni di venire in armatura, se non fosse che è reduce dall'imboscata di stamattina.-
-E dal drago.-
-Ah, no, per quello ho risolto.-
Lavellan gli scoccò un'occhiata dubbiosa. -Il sangue di drago non si smacchia.-
-Certo che si smacchia! Un po' di sputo e viene via.-
Lei sollevò le sopracciglia su un'espressione sorpresa, mentre lui si rendeva conto all'ultimo istante di ciò che aveva appena detto.
-No, non ho... cioè, non ci ho sputato io, sia mai! Insomma, beh...- balbettò, facendola ridere di gusto.
-Cos'è, un altra cosa che vi insegnano al Circolo?- domandò lei, appoggiando il mento sulla sua spalla con aria divertita.
-Mia sorella.- la corresse lui, con un sorriso tinto d'imbarazzo. -Non ci crederai, ma quando ero piccolo così- pizzicò l'aria, di fronte al suo naso -ero un sacco imbranato. Dopo aver rovinato l'ennesima camicia, mi ha costretto a farmi il bucato da solo e mi ha insegnato tutti i trucchi del mestiere.-
-Tu? Imbranato? Chi l'avrebbe mai detto!- Lavellan assunse un'espressione forzatamente sorpresa, ricevendo un'occhiataccia in tutta risposta.
-Solo perché certe cose non mi vengono naturali, non vuol dire che...- Cullen bloccò la frase a metà, schioccando la lingua sul palato. -Così mi ferisci, amore mio.-
Lavellan si allungò verso di lui, appoggiando le labbra sulla sua guancia. -Bacino sulla bua.- mormorò, suadente.
Cullen sollevò un sopracciglio. -Mi hai ferito proprio nell'orgoglio.- disse, enfatizzando le parole nel voltare un sorriso malizioso in direzione della sua compagna. -Gravemente.-
-Accidenti, corro a chiamare un guaritore!- scherzò lei, facendo finta di alzarsi.
Cullen la trattenne, attirandola a sé per coinvolgerla in un bacio. Era il primo che si scambiavano in tre giorni e nessuno dei due si era reso conto di quanto gli fosse mancato quel genere di contatto finché le loro labbra non si erano incrociate.
Lavellan si sedette a cavalcioni su di lui, infilandogli le mani tra i capelli, Cullen invece risalì i suoi fianchi con le dita, stringendola a sé affinché i loro corpi aderissero.
Dopo un tempo interminabile, si distanziarono appena per guardarsi negli occhi, senza fiato. Si sorrisero, appoggiando le fronti l’una sull’altra, e ricominciarono.
Ad un tratto, però, Cullen costrinse entrambi a fermarsi, scostandosi per spostare la testa altrove. -Ti suonerà molto stupido, ma...- mormorò, accigliato. -Non è una delusione, vero?-
Lavellan cercò il suo sguardo, confusa. -Una delusione?- domandò, ritraendo il capo. -No, ma vhenas. Siamo a questo punto perché lo vogliamo entrambi.-
Cullen annuì piano, poi appoggiò la testa nell'incavo tra il suo collo e la spalla, con aria delusa. -Scusami.-
-Di cosa?-
-Lo so che vorresti di più.-
Lei si affrettò a stringerlo tra le braccia, passandogli una mano sulla schiena. -Non desidero niente che tu non voglia darmi.- lo rassicurò.
Lui si sforzò di sorridere. -Grazie, cuore mio.- mormorò, rilassando i muscoli del corpo mentre lei accentuava brevemente la stretta.
-Di niente, vhenas.- disse Lavellan. -Non mi allontanerei mai da te per qualcosa del genere.-
Cullen strofinò il viso su di lei, posandole un bacio sul collo. Si riposò tra le sue braccia, godendosi ogni istante di quell'abbraccio finché nel suo sguardo non affiorò una scintilla di curiosità che lo costrinse ad aprire bocca. -Ho chiesto a Burrows cosa significasse e non è andata benissimo. Dice che mi sto confondendo con vhenan, ma io sono sicuro che tu dica vhenas.-
Lavellan gemette un sospiro. -Burrows è un Elfo di città, Cullen. Le poche parole che conosce sono influenzate pesantemente dal dialetto di Cumberland.- spiegò. -E poi, non mi sembra la persona più adatta a rispondere a domande di questo tipo. Quando l'ho salutato per la prima volta, mi ha risposto “salute”.-
Cullen sollevò il capo, per guardarla dritta negli occhi. -L'ho chiesto a lui perché è uno che non fa troppe domande e perché so quanto sei difensiva nei confronti della tua cultura. Non volevo sembrare inappropriato.- fece una pausa. -Però la curiosità rimane: in che modo mi stai appellando?-
Lavellan gli sorrise dolcemente. -Vhenan è cuore, vhenas è casa.- rispose. -Ma vhenas. La mia casa.-
Cullen aggrottò la fronte, osservandola come se il suo cuore gli fosse appena precipitato nello stomaco. -Sono davvero questo, per te? Casa?-
Lei ampliò il sorriso, poi annuì. -Se ti mette in difficoltà, posso smettere.-
Lui si sporse per baciarla sulle labbra. -No.- disse, ricambiando il sorriso. -Sono solo incredulo. Non ho idea del perché Andraste abbia scelto me per stare al tuo fianco.-
Lavellan si strinse nelle spalle. -Se credessi nella sua divinità, direi che l'ha fatto per lo stesso motivo per cui ha scelto me per stare al tuo fianco.- disse, sfiorandogli il capo con una carezza.
Si scambiarono un'occhiata che trasudava affetto, poi Lavellan si scostò per mettersi a sedere al suo fianco e lasciargli i suoi spazi. Recuperò un paio d'acini d'uva e per un po' si concentrò a osservare il cielo, masticando tranquillamente. Cullen fece lo stesso, cercando il suo sguardo di tanto in tanto, per rivolgerle dei brevi sorrisi.
Rimasero a farsi compagnia a lungo, spiluccando uva in silenzio, finché lui non si decise a riprendere di nuovo la parola. -A proposito, Harding mi ha chiesto di dirti che se vuoi puoi- alzò una mano, agitando l'indice il medio nel mimare delle virgolette -“cambiarti da lei”. C'è un problema con la tua sistemazione, presumo.-
Lavellan gemette un sospiro macchiato di frustrazione. -No, nessuno. La stanza è stupenda, ma...- si passò la lingua tra i denti, spostando lo sguardo altrove. -Diciamo che il materasso è un po' duro.-
Cullen inarcò un sopracciglio, osservandola con aria dubbiosa. -Il materasso.- ripeté. -Invece qual è il vero problema?- la incalzò.
Lavellan si rigirò il raspo tra le dita, spezzettandolo con aria nervosa. -Il Velo è molto sottile nell'ala est, soprattutto nella stanza che mi è stata assegnata. L'Ancora ha reagito in modo strano quando sono entrata; probabilmente, in passato ci è morto qualcuno.-
Cullen drizzò la schiena. -Ti hanno dato la camera di un morto?!-
-Non è un problema. Il problema è che l'Ancora non chiude solo gli squarci nel Velo, è una connessione diretta tra me e l'Oblio. Se sono in zone dove il Velo è molto sottile, mi ritrovo inevitabilmente ad attrarre dei frammenti di Spirito, condannandoli a restare da questa parte.-
-Passare da frammenti a Spiriti veri e propri ci vuole poco. E da Spiriti a Demoni ancora meno.- suggerì Cullen, aggrottando la fronte, realmente preoccupato.
-Esattamente. Non vorrei mai invitare una presenza indesiderata in casa di una nostra liaison, per quanto non la sopporti.-
-Sarà il caso di comunicarglielo.-
-Ser Darrow si sta già organizzando con il capo della sicurezza dei De Fourier. Domani mattina farà un sopralluogo, prima di ripartire.- spiegò Lavellan. -La comtesse però ha reagito in maniera molto strana, quando le ho esposto il problema. A quanto pare, la stanza in questione è la più bella della tenuta e se mi rifiutassi di dormirci, la considererebbe come un'offesa personale.-
Cullen era basito. -Orlesiani.- commentò, soltanto.
-Già.- esalò Lavellan. -Di quelli importanti per la causa, purtroppo.-
-Insomma, qual è il piano?-
-Passare la notte con Harding, Hall e Ser Darrow, poi sgattaiolare via una volta che fa giorno, così da salvare un minimo le apparenze.- rispose lei, passandosi una mano tra i capelli. -Non sarà una sistemazione ideale per dormire, ma lo è per lavorare, dato che intendevo comunque passare la notte in bianco a smaltire le note e i rapporti che mi ha inviato Leliana nei giorni scorsi.-
-Tanto vale che tu venga da me, allora.- le propose Cullen, tranquillamente. -La mia stanza è più vicina e con tutta la roba che ho da fare, il letto non lo toccherò nemmeno.- si bloccò, rendendosi conto delle implicazioni di quel suggerimento. -Non ho strane intenzioni, sia chiaro.- si affrettò ad aggiungere, con lo sguardo tinto d'imbarazzo.
Lei gli rivolse un sorriso incerto. -Non pensi che i ragazzi si faranno strane idee, nel vedermi dormire nel tuo letto?-
-Mi inventerò qualcosa.- replicò Cullen, appoggiandole una mano sulla schiena. -Belinda è una professionista, per niente l'ho incaricata di accompagnarmi, ma sarei più tranquillo se fossi io a occuparmi della tua sicurezza, piuttosto che delegarlo a lei.-
Lavellan raggiunse il cielo notturno con uno sguardo pensoso, mentre raccoglieva le idee. Cullen la osservò con una nota di aspettativa nello sguardo, trattenendo il respiro ogni volta che lei sembrava sul punto di parlare.
-Non è una cattiva idea, anzi!- disse Lavellan, dopo un po'. -Potremmo approfittarne per discutere del Monsignore e fare il punto della situazione su ciò che ha scoperto Dagna su Samson mentre ero via, dato che le prossime settimane saranno dedicate unicamente al Ballo.- fece una pausa. -Se nessuno dei due ha intenzione di dormire, tanto vale stare svegli insieme.-
Cullen trattenne a fatica un sospiro di sollievo, mascherandolo con un colpo di tosse. -Perfetto!- fece, con finta nonchalance. -Torniamo al banchetto, ci congediamo ufficialmente e...-
-Lascia che gestisca io la comtesse.- lo interruppe lei, con tutta l'intenzione di abbandonare il tetto per prima. -Se la fila di messaggeri e soldati che hai qui è lunga anche solo un terzo di quella che c'è fuori dal tuo ufficio a Skyhold, è il caso che ti rimetta in pari prima che venga a subissarti di domande tecniche.- aggiunse, facendogli l'occhiolino.
Cullen le rivolse uno sguardo madido di gratitudine. -Se a lavoro finito non ti danno la santità, te la consegnerò io in ginocchio.- affermò, facendola ridere.

Cullen aveva appena finito di cambiarsi quando Ser Darrow si era affacciata alla sua porta con un fascicolo talmente spesso che doveva reggerlo con due mani.
-Il resoconto su Emprise, suppongo.- disse lui, raggiungendola per recuperarlo lui stesso. Scorse uno sguardo preoccupato sulla sua sottoposta, che indossava sul viso la stanchezza del viaggio e dell'ambasceria, nonostante il suo aspetto e l'armatura da Templare fossero in condizioni impeccabili.
Difatti, mentre lui riponeva il fascicolo sulla scrivania della sua stanza, Ser Darrow sbadigliò sonoramente, portando entrambe le mani a coprirsi la bocca. -Harding sostiene che sia una lettura un po' troppo pesante, per qualcuno che è intenzionato a coricarsi.- biascicò lei. -È sicuro di non voler aspettare domani mattina prima di leggerlo, signore?-
Cullen sfogliò le prime tre pagine, poi la raggiunse all'ingresso. -Ho garantito all'Inquisitrice che avremmo sgomberato la strada entro la fine della primavera e intendo rispettare la parola data.- affermò. -Tu però è il caso che ti faccia almeno un paio d'ore di sonno.-
Lei esalò un sospiro, poi drizzò la schiena. -C'è ancora molto da fare, signore.- disse.
-Quando hai intenzione di fare quel sopralluogo nelle stanze dell'Inquisitrice?-
-Mi è stato caldamente consigliato di attendere che la signora lasci la stanza, prima di procedere.- replicò Ser Darrow, rivolgendogli un'occhiata eloquente. -Per cortesia nei confronti dei padroni di casa.- aggiunse, con un accenno di seccatura nel tono di voce.
Cullen la guardò dritta negli occhi. -Cos'hai trovato?- le domandò, sapendo perfettamente di avere a che fare con una persona che odiava perdere tempo con certi capricci, analogamente al suo mentore.
Lei si guardò brevemente intorno, poi si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, tenendo la mano in quella posizione per impedire che qualcuno leggesse le sue labbra. -C'è molta attività. Il rischio è reale. È necessario che l'Inquisitrice stia alla larga dall'ala est il più possibile, anche se il mio suggerimento sarebbe quello di non farle mettere proprio piede in quella zona.- mormorò, per poi giungere le mani dietro la schiena nell'assumere una posa marziale.
-Hai trovato tracce di demoni, o di magia del sangue?-
-No, ma pensavo di fare una passeggiata con il figlio della comtesse prima che si ritiri, per scucirgli qualche informazione in più.-
-Ottima idea! Durante la cena si è dimostrato un simpatizzante dell'Ordine, sono sicuro che avrai successo.-
Ser Darrow si soffermò a fissare il suo superiore, inarcando gradualmente un sopracciglio. -A dire il vero, credo che il suo interesse gravitasse più verso di me, che verso l'Ordine, ma penso che sarà comunque una chiacchierata proficua.- ammise.
Cullen accennò un sorriso. -Non rientrare troppo tardi, rubacuori. Prima ce ne andiamo da questo posto, meglio è.-
-Mi trova completamente d'accordo.- affermò lei, per poi battere i tacchi e chinare la testa in segno di rispetto. -Signore.- lo salutò. -Signora.- aggiunse, rivolgendo un cenno in direzione della scrivania.
-Ser Darrow.- le venne risposto, dall'interno.
Perplesso, Cullen si voltò di scatto e vide Lavellan, la quale stava leggendo un documento sul tavolo, con aria assorta. Batté un paio di volte le palpebre, notando che le uniche due finestre della stanza erano chiuse, così come le aveva lasciate, poi aspettò che la sua sottoposta si allontanasse per chiudersi la porta alle spalle. Come fosse entrata senza farsi notare sarebbe rimasto un mistero, ma lui decise di non preoccuparsene troppo.
-La comtesse era talmente ubriaca che hanno dovuto trascinarla nelle sue stanze in braccio.- disse Lavellan, sollevando lo sguardo luminoso dal foglio.
Cullen la raggiunse, rivolgendole un sorrisetto. -Sei entrata prima o dopo che mi sono tolto la camicia?- le domandò, prendendo posto al suo fianco.
-Non sono così disperata.- si lamentò lei, spostando una pila di documenti.
Cullen la guardò con attenzione, esplorando il suo viso alla ricerca di indizi. Quando ebbe trovato quello che stava cercando prese a ridere sommessamente. -Se proprio vuoi saperlo, quella me la sono fatta cadendo da cavallo.- affermò.
Lavellan trattenne a stento un sorriso, ma continuò a fingere noncuranza. -Non ho idea di cosa tu stia parlando.- disse, con aria stranamente soddisfatta.

Cullen sollevò la testa dal documento sul quale si era appisolato, guardandosi attorno spaesato. Assunse subito un'espressione accigliata, dipinta su un viso macchiato di sonno e impronte di inchiostro.
-Bentornato nel mondo dei vivi.- lo salutò Lavellan, con la voce arrochita dalla stanchezza. Sedeva dall'altro capo della scrivania, avvolta in un maglione preso in prestito dal bagaglio del padrone di casa e scriveva appunti su un resoconto del capitano Rylen sull'Accesso Occidentale.
Cullen ignorò le sue parole, perché intento a osservare la porta della stanza con un accenno di preoccupazione nello sguardo.
Lavellan, non sentendo risposta, sollevò la testa dal foglio. Guardò Cullen, poi la porta, infine appoggiò carta e calamaio sulla scrivania. -Che succede?- domandò, corrugando la fronte su un'espressione tesa.
Cullen strinse appena le palpebre, poi si sollevò in piedi con calma, facendole cenno di restare al suo posto. Lavellan però si alzò a sua volta, recuperando il coltello da caccia da sotto il tavolo, mentre procedeva ad affiancarlo. Lo osservò appoggiare le dita sulla maniglia della porta, indugiando diversi istanti prima di affacciarsi all'esterno.
Dopo che ebbe dato un'occhiata approfondita al corridoio, Cullen si chiuse la porta alle spalle e prese a osservare il pavimento, scorrendo lo sguardo su di esso come se fosse alla ricerca di qualcosa.
Lavellan rimase in attesa di un verdetto, pazientemente, finché lui non prese un respiro profondo, guardandola dritta negli occhi. -Anche se non assumo più il lyrium, riesco a percepire chiaramente le conseguenze di un'evocazione.- spiegò. -È una reazione fisica, come quando si percepisce il cambio d'atmosfera quando sta per nevicare.-
Lavellan si strinse nel maglione, avvicinandosi di un passo. Sollevò la mano sinistra e gli permise di sfilare il guanto che la proteggeva. Entrambi studiarono l'Ancora con attenzione, poi si scambiarono un'occhiata dubbiosa.
-Non ci sono fratture nel Velo.- disse lei, flettendo le dita. -Se qualcosa fosse passato attraverso, l'Ancora avrebbe reagito.-
-Non se lo spirito, o peggio, il demone era già qui.-
Lavellan scorse uno sguardo attento sui suoi lineamenti, poi si mosse verso il letto con passo deciso, chinandosi per recuperare arco e frecce da sotto di esso. -Ser Darrow ha detto di aver percepito dell'attività spiritica nell'ala est.- fece, sfilandosi il maglione per gettarlo dove capitava. -Però ha anche affermato di non aver trovato traccia di demoni, o di magia del sangue.- si rimboccò le maniche della camicia sugli avambracci con un gesto nervoso, si legò i capelli sulla nuca, poi si infilò la faretra a tracolla e afferrò l'impugnatura dell'arco con fermezza.
-So cos'ho sentito.- protestò Cullen, assicurandosi le cinghie della spada alla cintura.
Una volta finito di prepararsi, lei accorse al suo fianco. -Stavo solo facendo il punto della situazione.- precisò. -Se Ser Darrow non ha trovato niente, forse è perché ha cercato nel luogo sbagliato.- disse.
-Allora mi credi.-
Lavellan indicò se stessa e l'equipaggiamento che indossava con un gesto comprensivo. -Pensavo fosse palese, ma se vuoi posso salire su una sedia e comporre un sonetto al volo.-
Cullen le rivolse un sorriso sfumato di gratitudine, poi la precedette verso l'esterno.

Il corridoio del primo piano dell'ala sud era deserto e l'atmosfera era tranquilla, quasi rassicurante. Dalle stanze, poste sul lato destro, proveniva infatti il quieto russare degli ospiti. Dal lato sinistro, invece, delle finestre alte irradiavano un raffinato pavimento di piastrelle di pietra lucida con rettangoli di luce, i quali evidenziavano busti di signora in marmo bianco e quadri firmati da artisti celebri, dallo stile inconsistente e dipinti con colori difficili da ottenere, segno che la scelta dell'acquirente fosse più legata al valore commerciale dell'opera che al suo gusto personale.
Sembrava che tutto fosse al suo posto. Fin troppo.
Lavellan fece dapprima un giro su se stessa, poi incoccò una freccia nell'arco, mentre Cullen si muoveva con cautela in direzione dell'uscita orientale, facendo scattare lo sguardo laddove percepisse del movimento.
Entrambi si fermarono di colpo, notando una porta socchiudersi. Istintivamente, Lavellan puntò l'arma e Cullen avvolse l'impugnatura della spada tra le dita, ma quando scorsero il profilo delicato di Ser Darrow si resero conto che il nervosismo che provavano li aveva stupidamente suggestionati. Lei li squadrò per un minuto buono, poi annuì, si richiuse la porta alle spalle con cautela e sguainò direttamente la spada per aprire la strada al trio.
Lavellan rimase leggermente indietro, mantenendo le distanze per poter gestire adeguatamente sia le retrovie che la strada di fronte ai due guerrieri, che in quel genere di situazione avevano molta più esperienza di lei.
Una volta arrivati al terminare del corridoio, Ser Darrow arricciò il naso, rivolgendo a Cullen un'occhiata stranita nel fermarsi. -Il demone non dev'essere lontano. L'aria puzza di elettricità.-
Lui però non sembrava convinto. -Non è un demone. È un abominio.- precisò, affacciandosi per osservare la situazione. Il corridoio terminava con una drastica svolta a elle. Al di là di essa, Cullen descrisse con lo sguardo una galleria d'arte in piena regola, tempestata di sculture che, accarezzate dalla luce lunare, proiettavano in terra e sui muri ombre deformi e globulose.
Lavellan, la cui vista era decisamente migliore di quella dei suoi compagni, si ritrovò a stringere le palpebre, notando che una di quelle ombre aveva tutta l'aria di essere fin troppo compatta per essere solo una proiezione.
-Un abominio? Ne è sicuro?- mormorò Ser Darrow, con una lingua d'incertezza nello sguardo.
Cullen ritornò sui suoi passi, poi annuì. -I segni di possessione ci sono tutti. L'odore di elettricità, le presenze che hai percepito nell'ala est, l'Ombra che ci sta tendendo un'imboscata dietro la statua della Divina Galatea...- fece un cenno a Lavellan. -Dopo di te, Inquisitrice.-
Lei, che era già pronta, scoccò una freccia, rivelando la posizione del nemico. Fu un combattimento rapido e abbastanza silenzioso, ma un vaso dall'aria molto costosa venne distrutto nel processo. -Accidenti!- esclamò Lavellan, fingendo un'imbranataggine che non le apparteneva nel calpestarne i pezzi più e più volte. -Penso che per questo non basterà la colla. La comtesse sarà de-va-sta-ta.-
Cullen le scoccò un'occhiata di rimprovero non troppo convincente, poi si voltò di nuovo verso Ser Darrow. -Sono sicuro che si tratta di un Mago consenziente alla possessione, che ha intuito al volo chi fossimo e il genere di minaccia che costituiamo. Per questo finora ci è rimasto lontano il più possibile.- proseguì. -Il problema è che non è mai il Mago che ha il controllo dell'ospite.-
-E l'Ancora è un po' come una torta di cioccolato in un buffet a base di pane raffermo.- intervenne Lavellan, recuperando le frecce dal terreno per rimetterle nella faretra.
Ser Darrow sospirò stancamente. -Almeno adesso abbiamo la conferma che quel concentrato di presenze spiritiche nella sua stanza non era lì per caso.- disse, tornando ad aprire la pista.
-Uh! Dite che ci saranno dei non-morti?- domandò Lavellan, con una nota di eccitazione nel tono di voce.
-Perché vuole i non-morti, signora? Non le basta l'abominio?-
-Preferirei interagire con qualcosa che cammina goffamente, piuttosto che con un essere vivente che ospita volontariamente un demone dentro di sé. Lo sapevi che la ragione primaria per cui la Chiesa del sud brucia i corpi durante i funerali non è per rendere onore ad Andraste, ma per evitare le possessioni?-
Ser Darrow voltò un'occhiata perplessa in direzione di Cullen, che ricambiò annuendo. -C'è un editto che lo conferma. Non hai studiato la storia della Chiesa, durante l'addestramento?-
-Mi addestravo durante l'addestramento, signore.- replicò Ser Darrow.
-A Nevarra invece trattano i corpi con dei preservanti, per favorire le possessioni.- proseguì Lavellan, concitata. -Pensano che quando un morto entra nell'Oblio, prende il posto di uno spirito, forzandolo a entrare nel piano terreno. Dato che è un evento traumatico per lo spirito, i Mortalitasi gli permettono di possedere il corpo del defunto, così può vivere un'esistenza pacifica assieme ad altri spiriti. Dovresti vedere i disegni delle tombe della Grande Necropoli, sono di una raffinatezza unica!-
Cullen le appoggiò una mano sulla spalla, suggerendole così di non proseguire. Il viso di Ser Darrow infatti era contratto in una maschera di fastidio.
Lavellan strinse le labbra, chinando la testa con aria colpevole. -Cerchiamo questo simpaticone in silenzio, 'via.- borbottò.
Ser Darrow esalò un sospiro di sollievo. -Sia benedetta Andraste.-

Batterono a tappeto il primo piano, visitando corridoi, un deposito di chincaglierie e tutte le stanze vuote che incontrarono nel loro cammino, senza successo.
Allora, Lavellan seguì Cullen e Ser Darrow giù per le scale che portavano al piano terra.
-Dove mi nasconderei, se fossi un abominio?- domandò, a mezza voce. -Se non volessi farmi trovare, a Skyhold, mi nasconderei nell'ala della servitù. C'è un costante afflusso di gente con cui mimetizzarmi, odori che maschererebbero la mia presenza al naso di qualsiasi segugio e vitto e alloggio garantiti.-
-Peccato che questo posto non sia grande come Skyhold.- replicò Cullen, voltandosi appena nella sua direzione.
-Meglio.- lo corresse Ser Darrow, precedendoli per controllare che il salone su cui si affacciava la scalinata fosse sgombero. -Almeno possiamo battere l'intera tenuta in poco tempo.-
Lavellan rimase immobile, sul penultimo gradino, a osservare con aria attenta il soffitto a cassettoni della stanza. Le era parso di scorgere un movimento, ma diede immediatamente colpa alla suggestione provocata dalla sua permanenza in una tenuta completamente deserta in piena notte. Non era la Ville d'Onterre, ma l'atmosfera era cambiata radicalmente durante la discesa. Faceva più freddo, poiché il pian terreno non era stato riscaldato per la notte, inoltre gli alberi e i cespugli fitti del giardino impedivano alla luce lunare di filtrare correttamente dalle finestre.
Lavellan si sfilò il guanto sinistro, tenendolo tra i denti mentre estraeva una fiala da un borsello che teneva legato alla cintura. La agitò con decisione, finché non assunse bioluminescenza, poi attirò l'attenzione di Cullen schioccando più volte la lingua sul palato, così come avrebbe chiamato un gatto.
-Finché non trovate una lanterna.- mormorò, porgendogliela. Purtroppo, la fiala emanava abbastanza luce da coprire pochi metri, così come l'Ancora, ma era pur sempre meglio di brancolare nel buio.
Lavellan sorpassò gli altri, poiché la sua vista era migliore, quindi si diresse verso l'ala della servitù. Era una zona spoglia, con corridoi scarni della bellezza che caratterizzava il resto dell'edificio, ma era tenuta bene, segno che saltuariamente fosse frequentata anche dai padroni di casa.
Una volta che furono nei pressi delle cucine, la luce verde che proveniva dall'Ancora si fece per un attimo molto intensa, poi prese a pulsare, costringendo il trio a fermarsi.
Si trovavano in una strada chiusa, con tre porte. Una a destra, una di fronte e una alla loro sinistra.
-Se qualcuno dice “dividiamoci”, lo licenzio.- mormorò Lavellan, muovendosi verso la porta di sinistra. Provò ad aprirla, senza successo, allora si chinò sul lucchetto, osservandolo bene prima di provare a scassinarlo.
Gli altri nel frattempo si guardavano intorno, alla ricerca di indizi. -A occhio, quella dovrebbe essere la cucina.- sussurrò Ser Darrow, indicando la porta di destra. -C'è ancora l'odore del soffritto con cui hanno cucinato l'arrosto.-
La serratura della porta che stava scassinando Lavellan scattò, distraendola. I presenti si affacciarono su una rampa di scale buia di cui non si vedeva la fine. O almeno, di cui gli Umani del gruppo non vedevano la fine. -Dovremmo regalare un po' dei nostri gatti alla comtesse.- mormorò Lavellan, con un'espressione contrita. -I suoi topi da compagnia sono particolarmente grassi.-
Ser Darrow sobbalzò nell'udire uno squittio che sembrava più lo stridio di un rapace, poi si fece coraggio e seguì Lavellan giù per le scale, con aria schifata.
-Stiamo andando nella direzione giusta.- mormorò Cullen, passando la fiala luminosa alla sua sottoposta. -Lo senti anche tu?-
-Intende la puzza di bruciato, o quella di verdura andata a male?- disse lei, recuperando l'oggetto. Portò quindi l'avambraccio libero di fronte a sé, per schermare l'odore intenso che pervadeva quel posto. -Come diavolo fa l'Inquisitrice a sopportarlo?-
-Ho dormito per settimane nella stessa tenda di Sera e Blackwall.- rispose lei, nonostante non fosse a portata d'orecchio. -Questo in confronto è un giardino fiorito.-
Giunsero in quella che sembrava una dispensa a tutti gli effetti. Si trattava di un ambiente molto spazioso che, se non fosse stato per le decine di casse impilate alla rinfusa al suo centro e le rastrelliere che ingombravano le pareti, sarebbe stato grande quanto la fucina di Skyhold.
Lavellan si prese il suo tempo per guardarsi intorno, alla ricerca di un movimento che non fosse connesso alla presenza di insetti o roditori. Tutto d'un tratto, incoccò e scoccò una freccia, poi un'altra, precedendo di un istante Cullen, che sguainò la spada.
Ser Darrow sollevò l'arma per impedire a un'Ombra di graffiarla, il suo superiore invece assestò una gomitata tra le costole di un non-morto, allontanandolo abbastanza per poter gestire liberamente l'assalto di una seconda Ombra.
Lavellan strappò da terra le frecce che aveva scagliato sul non-morto che l'aveva assalita, poi salì su una cassa, abbastanza in alto per poter controllare la situazione senza rischiare di venire accerchiata. Contò sette ombre e almeno cinque non-morti, tra cui un arciere.
Fece fuori subito quelli che costituivano una minaccia per Cullen, consentendogli di affrontare un combattimento dietro l'altro senza distrazioni. Una volta tranquilla, si concentrò a coprire le spalle di Ser Darrow che, nonostante stesse usando i suoi talenti da Templare con maestria, si sarebbe trovata ben presto circondata. Nel discendere dal suo trespolo, atterrò a piè pari sul cranio di un non-morto, schiacciandolo come un frutto maturo, poi prese a tempestare di frecce l'ultima Ombra, dissuadendola dall'avventarsi sul punto cieco di Ser Darrow ed esponendola all'azione rapida di Cullen, che la finì con un affondo preciso.
Una volta confermato che la minaccia era stata debellata, i tre si ritrovarono a fissare in silenzio i resti dei loro nemici, con aria accigliata. Diversi non-morti sembravano essere recenti.
-Immagino sia contenta, adesso.- commentò Ser Darrow, accucciandosi su uno di essi per illuminarlo con la fiala.
Lavellan però nel viso non aveva un briciolo di soddisfazione. -Va sempre a finire che questi stronzi si accaniscono sulla servitù.- mormorò. -E a me questo non va proprio bene.-
Cullen ripose la spada con un gesto secco, poi si mosse verso la scala, per risalirla per primo. -Allora è il caso che facciamo presto.- disse.

Una volta che furono tornati nel corridoio, di fronte alle altre porte chiuse, Lavellan appoggiò una mano sulla schiena di Cullen, invitandolo a voltarsi verso di lei. -Sappiamo benissimo entrambi che c'è un modo per scindere una possessione senza uccidere il Mago.- iniziò. -Ho incontrato il figlio di Arle Eamon, a Redcliffe presente e futura. Era un ragazzino, quando è successo. Da adulto, ha preferito morire piuttosto che cedere alla possessione.-
Cullen chinò uno sguardo preoccupato su di lei. -Se vuoi seguire questa strada, sappi che non è un rituale semplice. Dovremmo prima catturare l'abominio e non è detto che si lascerà prendere senza combattere. Potrebbe addirittura fuggire e fare più danni di quanti non ne abbia combinati qui, ora.-
-State davvero pensando di risparmiarlo?- intervenne Ser Darrow, allibita.
-Non è mai il Mago che ha il controllo dell'ospite, in una possessione.- replicò Lavellan, senza distogliere lo sguardo dal viso di Cullen. -Potrebbe essere stata volontaria all'inizio, ma in questo momento potrebbe essersene pentito e incapace di uscirne. Se questo è il caso, voglio un'alternativa.-
-Con tutto il rispetto, signora, lei non ha idea di quello che sta proponendo.-
-Ser Darrow, è proprio perché ne sono consapevole che è il caso di valutare altre opzioni, prima che prenda qualsiasi decisione in merito al caso.- affermò Lavellan, con sicurezza. -Ci sono troppe variabili e persino la soluzione più diretta comporterebbe dei rischi considerevoli. Visto com'è ragionevole la comtesse, se andassimo a uccidere una persona della sua cerchia, sotto al suo tetto, potrebbe arrivare a privarci dei fondi che servono per aiutare le vittime della Guerra Civile.-
-Anche se questa persona le ha decimato la servitù e attaccato i suoi ospiti?- tornò alla carica Ser Darrow.
Cullen prese immediatamente la parola, dopo aver rivolto alla sua sottoposta un'occhiata severa. -Un esorcismo di quel tipo ha bisogno di molte risorse per essere eseguito e bisognerebbe scegliere un Mago molto abile e molto astuto che entri nell'Oblio.- spiegò. -È necessaria la presenza di Maghi potenti, molto lyrium e Templari addestrati a proteggere gli incantatori nel caso venissero attaccati durante il processo. Ci potrebbero volere giorni, se non settimane per gestire la situazione.- fece una pausa. -C'eravamo anch'io e Leliana, a Redcliffe. Il Grande Incantatore Irving ci ha messo giorni per studiare il rituale, ed era uno dei Maghi più dotti che abbia mai conosciuto. Senza contare che la Maga che è entrata nell'Oblio a esorcizzare il demone faceva parte della cerchia ristretta dell'Eroe del Ferelden.-
Lavellan ci rifletté per qualche istante. -Siamo in possesso di ogni risorsa necessaria, ma la questione delle tempistiche mi inquieta.-
-C'è un altro problema da considerare: il Mago potrebbe non sopravvivere alla cattura.-
-Pensi che il demone arriverebbe a uccidere la sua fonte di nutrimento, pur di sfuggirci?-
Cullen annuì. -Se il Mago si dimostra in grado di resistere al controllo mentale, perde di utilità per il demone che ospita.- fece una breve pausa. -Ricordati che è un rapporto di simbiosi.-
Lavellan si passò una mano sullo stomaco, spostando lo sguardo altrove. -Quindi, se lo provocassimo...-
-Uccidere il demone assieme alla sua vittima potrebbe essere l'unica opzione.- concluse Cullen.
Rimasero in silenzio per qualche istante, poi Lavellan si rivolse a Ser Darrow. -Riferisci la situazione ad Harding. Io e il Comandante cercheremo di individuare l'abominio e prenderemo tempo, mentre lei avviserà il capo della sicurezza del problema. Una volta che avremo scoperto la sua identità...- si bloccò istantaneamente, puntando l'arco verso il salone, allertata da un rumore sospetto.
Cullen sguainò la spada, mentre Ser Darrow si portava a protezione dei suoi superiori.
-Que se passe-t-il ici?- domandò il capo della sicurezza della comtesse, avvicinandosi a loro con cautela.
Era un essere umano sui venticinque anni, protetto da un farsetto d'arme imbottito che portava i colori della casata che il militare serviva.
-Non l'ho sentito arrivare.- mormorò Lavellan, con aria confusa, poi abbassò l'arco per annunciarsi. -Sono l'Inquisitrice, monsieur. Non corre alcun pericolo.-
Il capo si fermò a qualche metro da loro, poi si sporse per recuperare una lampada a olio dalla parete. Quando il corridoio fu illuminato, rivolse agli ospiti un sorriso tinto di perplessità. -E cosa ci fa l'Inquisitrice nelle cucine in piena notte, armata fino ai denti?- domandò, dando l'idea di essere più curioso che preoccupato.
-Cacciavo prosciutti.- scherzò lei, pur restando guardinga. -Ho le prove per affermare con sicurezza che questo posto è infestato.- si corresse. Cullen passò un'occhiata attenta su di lei, poi tornò a fissare il nuovo arrivato, che reagì alla notizia con uno sguardo sorpreso.
-Per il Creatore!- esclamò quello, sfilando la lampada dal suo supporto. -Ser Darrow mi aveva avvisato che c'era un problema con le vostre stanze, ma non pensavo fosse così grave.-
-Gliel'ho detto, a dire il vero.- puntualizzò Ser Darrow, rinfoderando la spada. -La sua risposta è stata...-
Cullen sollevò la mano libera, impedendole di continuare, mentre Lavellan si avvicinava di un passo al capo della sicurezza. -Abbiamo trovato ed eliminato otto Ombre e sette non-morti, monsieur. Il Comandante Cullen è sicuro che nella tenuta si nasconda un abominio.- riferì l'ultima.
L'uomo assunse immediatamente un'espressione allibita. -Un abominio?! Se la vita della comtesse è in pericolo, bisogna agire subito!- disse, facendo cenno ai tre di seguirlo verso il salone.
Ser Darrow voltò un'occhiata tinta di seccatura verso Cullen. -Signore, giuro sulla santa Andraste e sulle urne dei miei nonni che ho cercato di persuaderlo a prendere provvedimenti, ma non mi ha ascoltato.- si difese.
Lui annuì, mentre appoggiava una mano sulla spalla di Lavellan, per impedirle di muoversi per prima. -Lo so. Ne parleremo più tardi.- tagliò corto, prendendo la testa della fila. Nel notare che né lui né Lavellan avevano rinfoderato le armi, Ser Darrow assunse un'espressione dubbiosa, poi si affrettò a seguirli.
-Ombre, non-morti, abomini...- borbottò il capo della sorveglianza, buttando un'occhiata dietro di sé. -Meno male che siete già qui, mi avete risparmiato di mandare un messaggero a Skyhold.-
-Possibile che non abbiate notato niente prima del nostro arrivo?- domandò Lavellan, guardandosi attorno con circospezione.
Il capo si strinse nelle spalle. -Ouf, non ho idea di come sia fatto un demone. La minaccia più grande che abbiamo dovuto combattere nei paraggi è stata una carovana di accattoni che volevano accamparsi nei vigneti della comtesse.-
-Un gran bel fastidio, considerato che probabilmente erano braccati a sud dagli Uomini Liberi e a nord dai Templari Rossi.- commentò Lavellan, non riuscendo a trattenere il sarcasmo. -L'uva sta bene, almeno?-
-Il raccolto è salvo, fortunatamente.- replicò il capo, imboccando per primo l'uscita.
-Meno male!- esclamò lei, senza metterci troppo entusiasmo.
Il viso di Cullen si contrasse in una smorfia di profondo fastidio e una volta che furono al centro esatto del salone, si fermò, mettendosi a protezione di Lavellan. -Capo, mi tolga una curiosità...- iniziò.
La loro guida si voltò verso di lui, con aria curiosa.
-Creatore, assolvici. Andraste, graziaci. Creatore che ci hai abbandonato, abbi pietà di noi.- recitò lui, alzando la voce mano a mano che proseguiva a recitare la litania. -Santa Andraste, in nome della Divina Clemenza Prima, abbi pietà di noi.-
Il capo lasciò andare la lanterna che cadde a terra con un tonfo, rotolando per diversi metri mentre lui si piegava in due come se avesse appena ricevuto un pugno nello stomaco.
-Creatore, assolvici. Andraste graziaci.-
Il capo gridò, portandosi le mani a coprirsi le orecchie e piantando le unghie sul cuoio capelluto.
-Creatore che ci hai abbandonato, abbi pietà di noi.- proseguì Cullen, mettendosi in posizione di guardia mentre Lavellan scoccava una freccia dietro di sé, abbattendo un non-morto.
-Santa Andraste, in nome della Divina Clemenza Prima, abbi pietà di noi.-
L’influsso della magia del sangue scivolò via dal corpo del capo tramite serpentine di fumo nero, accompagnate dal classico rumore frizzante prodotto dalla carne fritta sulla brace. L'uomo emise un lungo gemito di dolore.
-Creatore, assolvici. Andraste, graziaci.- ripeterono in coro Cullen e Ser Darrow, mentre le Ombre discendevano dal soffitto, strisciando sulle pareti e sulle colonne per accerchiarli. -Creatore che ci hai abbandonato, abbi pietà di noi.-
Lavellan continuava a tirare con l'arco, infaticabile, tenendo i non-morti a distanza.
-Santa Andraste, in nome della Divina Clemenza Prima, abbi pietà di noi.-
-No!-
Il pavimento del salone vibrò, mentre le Ombre cadevano a terra stordite attorno a loro, come un'oscena pioggia di fango.
Harding apparve improvvisamente in cima alla scalinata, assieme ad Hall e Burrows. I tre osservarono la scena con tanto d'occhi, poi accorsero a dare man forte al gruppo nel salone, senza esitazioni.
-Un abominio?!- gemette Burrows, una volta che Lavellan ebbe spiegato la situazione ai nuovi arrivati. -Come abbiamo fatto a non notarlo?- roteò il bastone da mago, fulminando un non-morto intento a gettarsi su Harding.
Cullen ripeté la litania una quarta volta, in modo che Ser Darrow la imparasse a modo, poi appoggiò una pacca sulla spalla a Lavellan, indicandole di seguirlo. -Perché sono bravi a nascondersi.- gli rispose.
-Noi andiamo avanti. Raggiungeteci nell'ala est, quando avrete finito.- aggiunse quella, percorrendo le scale di corsa.
-Non è una buona idea andarci da soli!- la rimproverò Harding. Fu un richiamo inutile, dato che i due erano già scomparsi. Allora lei scoccò una freccia su un'Ombra stordita, che si dissolse di fronte a lei come una folata di cenere al vento. -Mai una volta che mi ascolti!- commentò, scuotendo la testa con rassegnazione.
Nel frattempo, Cullen aveva intrapreso la via per l'ala est, camminando con decisione attraverso il corridoio.
-Era la Litania di Adralla?- domandò Lavellan, che gli correva appresso, scoccando frecce laddove notava del movimento.
-Sì.- rispose lui, chinandosi appena in tempo per evitare che un'Ombra lo graffiasse sul viso, mentre Lavellan si occupava dei nemici che erano apparsi dall'uscita del corridoio. -Rescinde il vincolo di controllo della magia del sangue.-
-Puoi insegnarmela?-
-Dovresti essere una donna di fede, per eseguirla efficacemente.-
Seccata, Lavellan sbuffò sonoramente, affiancandolo per parare con il pugnale da caccia l'assalto di un non-morto. -Ma io sono una donna di fede!- precisò, mentre Cullen finiva lo stesso nemico con una stoccata precisa.
-Non penso che i tuoi Numi apprezzerebbero, se pregassi il Creatore. O si?-
-L'hai detto tu che la presenza di uno non esclude l'esistenza dell'altro.-
Si scambiarono un'occhiata d'intesa, supportata da un mezzo sorriso, poi si affrettarono a proseguire.
L'ala est strabordava di non-morti. I due si chiesero più volte, durante il combattimento, da dove provenissero, ma non dovettero aspettare troppo per avere una risposta, dato che di fronte alla stanza che era stata assegnata all’Inquisitrice c’era un circolo d’evocazione che macchiava di sangue il pavimento.
-Ecco cosa succede quando accetti l'ospitalità degli orlesiani.- commentò Cullen, impedendo con una parata che un non-morto si avventasse su Lavellan. -La prossima volta che Josephine mi chiede un favore, giuro che...- non terminò la frase, preferendo assumere un'espressione madida di irritazione.
-Ammettilo, con me non ci si annoia mai.- disse Lavellan, assestando un calcio sullo stomaco in decomposizione di un nemico per allontanarlo abbastanza da poterlo finire con una freccia.
Cullen sbuffò una risata, finendo il non-morto di cui si stava occupando per passare al successivo. -In effetti, ho visto più azione con te in tre giorni, che nei due mesi in cui siamo stati separati. Cassandra ha ragione, sei una calamita per i guai.-
-Lo dici come se la cosa ti creasse problemi.-
Tutto d'un tratto, la luce dell'Ancora avvolse la mano intera di Lavellan, illuminando di verde l'intero corridoio. Lei imprecò, indietreggiando per affiancare Cullen, che stava eliminando l'ultimo nemico. -Tutta questa attività ha squarciato il Velo.- riferì, con aria preoccupata. -Possibile che i problemi arrivino sempre tutti insieme e mai uno alla volta, a distanza di mesi?-
Cullen le rivolse un'occhiata eloquente. -Sfondi una porta aperta.- rispose. -Allora, come procediamo?-
Lavellan gli fece cenno di seguirla, recuperò più frecce possibili dai cadaveri, assicurandosi che fossero integre, poi si posizionò davanti alla porta della sua camera da letto per aprirla. Cullen le appoggiò una mano sulla spalla, chiedendole di farsi da parte, poi assestò una pedata decisa sulla serratura.
La porta si spalancò, girando velocemente sui cardini per sbattere violentemente sulla parete. All'interno della stanza c'era una fenditura sottile e luminosa, sospesa in aria e circondata da frammenti di spirito. Lavellan esalò un sospiro di sollievo. -Questo posso richiuderlo facilmente.- disse, sollevando la sinistra, su cui l'Ancora vibrava sonoramente in risposta al proto-squarcio. Come se fosse la cosa più naturale del mondo, fece fuoriuscire un laccio di energia che si mosse rumorosamente lungo l'apertura, facendo in modo che i lembi della ferita aderissero. Una volta che fu adeguatamente richiusa, Lavellan tirò il laccio con un gesto secco e la stanza tornò a immergersi nel buio.
I due entrarono con circospezione, attenti a cercare con lo sguardo una qualsiasi presenza che potesse identificare l'abominio. I suoni del combattimento con i demoni, che si propagavano per tutta la tenuta, arrivavano fiochi alle loro orecchie, mentre esploravano la stanza con perizia.
Ad un certo punto, Lavellan alzò la testa di scatto, sollevò l’arco e scoccò una freccia. Di conseguenza, una figura antropomorfa e ferita cadde sul pavimento, giusto alle spalle di Cullen, che si girò velocemente per puntare la spada al suo collo.
Si trattava di un individuo che non avevano mai visto prima. Il suo viso era smunto, rovinato da una lunga esposizione al sole e al tempo. Il suo sguardo, scavato e appesantito da profonde occhiaie scure, era pervaso da una paura atavica.
-Non fatemi del male!- li supplicò, reggendosi la spalla ferita, attorno alla freccia.
Lavellan mantenne le distanze, per osservare l'individuo con attenzione. -Non fai parte del seguito della comtesse.- disse, soffermandosi a guardare i suoi occhi velati.
-Sono solo un contadino.-
-Un contadino che pratica magia del sangue?- domandò Cullen, scettico.
-Non sono stato io, è stato lui!- si affrettò a rispondere l'uomo, terrorizzato. -Io volevo solo proteggere la mia famiglia. Lui mi ha promesso che mi avrebbe aiutato a salvarli dagli Uomini Liberi!-
-Hai evocato tu le Ombre?- lo incalzò Cullen.
L'uomo voltò lo sguardo verso Lavellan. -Madame, la prego, mi deve credere! Non sono stato io!- balbettò.
-Rispondi alle domande e andrà tutto bene.- lo rassicurò lei, scorrendo lo sguardo sul suo corpo. Era chiaramente chi diceva di essere. Le sue mani erano ruvide e callose e i suoi vestiti umili odoravano di terra e di mosto. C'era comunque qualcosa che non andava, perché Lavellan percepiva un altro odore, ma non riusciva a definire con precisione cosa fosse, perché ben nascosto dall'intensità degli altri che lo caratterizzavano.
Il contadino esitò, poi annuì nervosamente. -Dev'essere stato lui. Io non ricordo assolutamente niente, lo giuro!-
Cullen assunse immediatamente un'espressione delusa. -Ti ricordi cosa ti ho detto poco prima che arrivasse il capo della sorveglianza?- mormorò, rivolgendosi a Lavellan.
Lei si allontanò di un passo, poi annuì, per niente contenta. -Ecco cos'era quella puzza.- chiosò.
L'uomo spostò uno sguardo atterrito dall'una all'altro. -Ve lo giuro, io...!-
-Tieniti pronta.- disse Cullen, poi, all’improvviso, affondò la spada sulla carne, con un movimento deciso.
Lavellan si portò alle sue spalle, mentre il corpo del contadino si trasformava in una figura alta e scheletrica che si eresse su di loro come una colonna di carne marcescente.
-Almeno non è un Revenant!- commentò Lavellan, spingendo Cullen a uscire dalla stanza.
L'Orrore Arcano li seguì all'esterno con una grazia terrificante, muovendo le mani in circolo per richiamare abbastanza magia da formare una collana di sfere di energia. Le lanciò in direzione di Lavellan, che fece appena in tempo a ripararsi dietro a un busto dell’Imperatrice. Quello esplose in mille frammenti che vennero scagliati in ogni direzione, ferendo Cullen al viso e strappandogli una manica della camicia mentre menava un fendente e colpiva il braccio scheletrico del demone.
Provocato, l'Orrore emise uno stridio acuto, aprendo le mani che si colorarono immediatamente di luce verde. Ogni non morto precedentemente abbattuto nel corridoio si rialzò, mentre i vetri delle finestre si crepavano, per poi scivolare rovinosamente a terra.
-Lav, vattene!- gridò Cullen, notando che entrambi sarebbero stati presto sopraffatti dai nemici.
Lei schivò ogni presa dei non-morti con destrezza, facendo lo slalom tra di essi per raggiungere il compagno e spingerlo lontano dallo scontro. Cullen si ritrovò proiettato al di fuori della marea di scheletri e corpi putrescenti, atterrando tra le braccia di Harding, al terminare del corridoio. Osservò atterrito i non-morti chiudersi su Lavellan come una marea oscena.
-Lav, no!- gridò, rimettendosi in piedi per raggiungerla.
Lei però aveva un piano. Sollevò la mano sinistra verso l'Orrore Arcano, tendendo le dita in maniera così violenta che presero a tremarle. Un globo di luce verde si aprì nel costato del nemico, rilasciando fasci di energia che illuminarono a giorno l'ambiente e polverizzarono ogni non-morto che si trovava nelle immediate vicinanze.
Harding si coprì il viso con l'avambraccio per evitare di venire accecata, lo stesso fecero Ser Darrow e il resto della scorta del Comandante, appena giunti per dare man forte ai loro superiori.
Lavellan rimase dritta in piedi, digrignando i denti per gestire l'energia del Marchio che aveva imposto di fronte a sé. Guardò l'Orrore Arcano venire sbriciolato dalla forza sprigionata dalla magia del Velo, sentendo ogni millimetro quadro della sua pelle reagire con un tremito all'energia che fluiva dalla sua mano.
Era la seconda volta che usava il Marchio dello Squarcio in quella maniera e se fosse stata un'occasione diversa lo avrebbe evitato, dato che consumava una quantità tale di energia da indebolire i suoi muscoli. Semplicemente, non aveva avuto altra scelta.
Chiuse il pugno, scindendo così il legame tra l'Ancora e il globo, quindi prese un respiro profondo, cercando di scrollarsi di dosso la fiacchezza che provava, mentre i corpi dei non-morti, svuotati dai loro ospiti, appassivano attorno a lei come fiori a cui era stata risucchiata la linfa.
Attraversò il corridoio con calma, in direzione dei suoi alleati, mentre il Marchio andava via via esaurendosi alle sue spalle, risucchiando l'energia dei nemici per riportarla a forza al di là del Velo.
Cullen rinfoderò la spada e le corse incontro, racchiudendo il suo viso tra le mani con aria incredula. Lei gli rivolse un sorriso stanco, poi rilasciò un sospiro. -Come guardia del corpo fai un po' pena.- lo punzecchiò, liberandosi gentilmente dalle sue attenzioni per dirigersi da Harding e consegnarle la sua faretra.
Cullen, dopo essersi ripreso, si voltò subito verso Ser Darrow, che guardava il corridoio svuotato dai nemici con tanto d'occhi. -Prendi Burrows e Hall e controllate che non ci siano altri circoli di evocazione.- le ordinò. -Io andrò a fare quattro chiacchiere con la comtesse.-
Aspettò che se ne fosse andata, poi indicò al resto della scorta di coordinarsi con la sorveglianza per gestire la situazione al meglio. Una volta finito, raggiunse Lavellan, che stava aiutando Harding a scrivere una nota da spedire a Leliana il prima possibile.
-Stai bene?- le domandò, appoggiando una mano sulla sua schiena.
Lei annuì piano, mentre poneva la sua firma sul documento. Harding ci soffiò sopra per fare asciugare bene l'inchiostro, poi si allontanò dai due per raggiungere il piano terra di gran carriera.
Cullen osservò l’esploratrice allontanarsi, con aria preoccupata. -Josephine sarà furiosa.- disse, accarezzando la schiena di Lavellan con un gesto circolare.
Lei accorciò le distanze, per appoggiarsi a lui, alla ricerca di un po' di conforto. -L'importante è che tutto si sia risolto.-
Cullen le posò un lieve bacio sul capo. -Mi dispiace.- mormorò.
Lei sollevò uno sguardo deluso su di lui. -Questo tipo di avventura è destinato a finire male la stragrande maggioranza delle volte.- ammise. -Voglio essere presente, quando parlerai con la comtesse. Ho un paio di appunti da farle sull'ospitalità che ci ha riservato.-
Cullen le rivolse un sorriso sghembo, circondandole le spalle con il braccio. -Non avevo dubbi.- disse, conducendola altrove. -Ah, per inciso, questo non è il mare.-
Lavellan esalò una risata liberatoria, davvero grata per quell'intervento.

 

-Nota-

Harding @ orlesiani: https://c.tenor.com/5kPkCmxgUFgAAAAC/the-lady-devo-metterti-in-riga.gif
Intanto, grazie per essere arrivati fin qui. Lo apprezzo assai <3 così come apprezzo che siate sopravvissuti allo scorso capitolo che madonnasantissima era ‘na mattonata!
Sarò via per tutta la settimana successiva, di conseguenza niente aggiornamento mercoledì prossimo. Riprenderemo il 28 settembre, spero con qualche grado in meno!
Abrasci https://c.tenor.com/bF-5McgfKigAAAAC/baci-natalia-bush.gif

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Capitolo 19
*** Vhenas ***


CW: Menzione di disordini alimentari

 

18 - Vhenas

 

Ritornare a Skyhold dopo un viaggio così estenuante fu bizzarro.
Le Valli avevano richiesto a Lavellan uno sforzo emotivo e psicologico considerevoli, tanto da farle mettere in dubbio molti aspetti della sua condizione. Da un lato, provava conforto a ritornare in un luogo che non richiamava alla provvisorietà tipica di un clan dalish, o della più recente Haven. Dall'altro, quel sentimento di stabilità proveniente dalle solide mura di Skyhold conviveva con uno strisciante senso di inappartenenza.
Lì Lavellan si sentiva a casa, ma allo stesso tempo sapeva che il suo ruolo aveva una data di scadenza, quindi c'era una buona probabilità che avrebbe dovuto andarsene. Più che una probabilità, era una certezza travestita da sussurro nell'orecchio.
Lei non apparteneva al mondo degli Umani, loro non esitavano a farglielo notare e ne aveva avuto la riprova nelle Valli. Era un'Elfa, una Dalish, e in quell'universo lei era un ospite sgradito. Nonostante ciò, Skyhold le aveva donato qualcosa che non faceva altro che accentuare la confusione che aveva in testa: una quotidianità. E questa aveva tutti i requisiti per assegnare alla sua condizione l'aggettivo "stabile".
Provare affetto per un posto fisico era una sensazione nuova e a lei la novità piaceva, solitamente. Il problema subentrava quando si soffermava a riflettere sulle implicazioni di quell'affetto; il quale, fortunatamente per lei, ma anche purtroppo per lei, era ricambiato.
D'altronde, aveva condotto una vita forzatamente nomadica per trentacinque anni, costringendosi a evitare di provare attaccamento per i luoghi in cui sostava il clan, poiché allontanarsi da essi bruscamente, come di solito succedeva, l'avrebbe portata inevitabilmente a soffrire.
Ogni radura, ogni grotta, ogni altopiano era un luogo di passaggio. Vivere di luoghi di passaggio, per poi fermarsi bruscamente, confonde.
La concezione di casa, vhenas, per un Dalish è data dalle persone. Quella era la stabilità, ed era quello che metteva ancora più in crisi Lavellan, perché il binomio di casa fisica e casa emotiva erano presenti dentro le mura di Skyhold. Infatti, possedeva ciò che aveva nel clan, ma con un tetto sulla testa.
A Skyhold, vhenas non era possedere un baule nell'aravel che Lavellan condivideva con gli altri cacciatori per risparmiare spazio, erano, tra le altre cose, un letto con rete e materasso, una biblioteca e la privacy che in un clan è impossibile ottenere.
Ma oltre a quello, vhenas era data dagli inquilini fissi di Skyhold che la conoscevano per nome e che, nonostante le dessero del lei, si comportavano come se fossero vicini di casa da una vita. La socialità era una routine connessa a un tetto e a delle pareti, non più a una necessità di sopravvivenza.
Vhenas erano Mastro Dennet e Harritt che ogni mattina facevano a gara per chi avesse il mal di schiena più forte.
Vhenas era il rumore delle esplosioni proveniente dalla fucina e il sorriso bianchissimo di Dagna ogni volta che se ne assumeva la responsabilità, coprendo Sera e Lavellan per spirito di squadra. Ma, soprattutto, vhenas erano i suoi colleghi.
Josephine e la misura cautelare di inzuppare il pennino nell'acqua salata per evitare di mordicchiarlo, facendolo comunque di riflesso con il risultato di esibirsi in una vasta rosa di espressioni contrite. Cassandra che si rannicchiava sulle poltrone quando leggeva della narrativa, abbracciando i suoi libri mentre il suo sguardo felino reagiva in maniera dinamica al contenuto della prosa. Leliana e l'indice sempre sporco d'inchiostro, con cui finiva per macchiarsi regolarmente il viso, già spruzzato con le briciole dei dolcetti e dei biscotti che divorava in vassoi. Cullen e la sua fronte che si aggrottava istantaneamente ogni volta che scorreva lo sguardo su un rapporto, per poi sciogliersi altrettanto rapidamente quando le sue colleghe gli rivolgevano la parola.
Quell'affetto era vitale per rendere normale ciò che Lavellan continuava a considerare estraneo ma, allo stesso tempo, la rendeva vulnerabile al pensiero che la necessità a cui loro cinque erano legati prima o poi sarebbe venuta meno, dividendoli.
Insomma, Lavellan varcò il grande portale d'accesso di Skyhold con un'espressione malinconica, che dovette scrollarsi di dosso nel notare che Josephine e Leliana aspettavano lei e Cullen in cortile, con un sorriso accogliente.
Se prima di vederle nascondere i suoi sentimenti costituiva uno sforzo, il calore che emanava la loro presenza ammorbidì i pensieri di Lavellan, permettendole di rilassarsi. La mano che le porse Cullen, per aiutarla a scendere da cavallo, guardandola come se per lui non esistesse altra cosa al mondo, fece il resto.
Era a casa, anche se non capiva bene i dettagli di quell'affermazione.
Lavellan rivolse un sorriso grato al suo compagno, poi discese da cavallo, soffermandosi di fronte a lui qualche istante, per godersi quell'ultimo momento di vicinanza, prima che entrambi ritornassero a tuffarsi nei loro doveri.
Quando ebbe raggruppato le forze per allontanarsi, si ritrovò a esalare un sospiro di sollievo, in risposta alla tensione che abbandonava il suo corpo.
Consegnò le redini del cavallo a mastro Dennet, il quale le lanciò un'occhiata carica di eccitazione. -Lei non ne ha idea! Non ne ha proprio idea!- disse lui, agitando una mano di fronte a sé, con enfasi.
-No, non ne ho proprio idea.- replicò lei, dubbiosa, osservandolo mentre si allontanava. -Di cosa dovrei avere idea?- domandò ad Harding, che si sgranchiva la schiena dopo essere smontata da cavallo.
-Non ne ho proprio idea.- replicò quella, ridendo. Ser Darrow, alle loro spalle, alzò gli occhi al cielo, sorridendo in risposta alla loro stupidità.
Lavellan si strinse nelle spalle, poi aprì gradualmente un sorriso carico di gioia nell'incrociare lo sguardo di Josephine, che agitava una mano in segno di saluto nella sua direzione. Le andò incontro a braccia aperte, poi si fece baciare le guance e sistemare il cappotto pesante, stropicciato dalla lunga cavalcata.
-Com'è andato il viaggio?- domandò Leliana, rivolgendo un sorriso sornione a Cullen, che le aveva appena raggiunte.
Lui si schiarì la voce, assumendo una posa marziale. -Ho preso visione del lavoro dei nostri nelle Valli e parlato personalmente con i generali del Granduca. Dopo le...-
-È andato bene.- lo interruppe Lavellan, rispondendo correttamente alla domanda.
Josephine scorse uno sguardo gioviale su entrambi, davvero contenta che fossero tornati. -Non vedo l'ora di sapere i dettagli dell'epica battaglia contro il drago!-
-A proposito, complimenti per il tuo nuovo titolo, comandante.- disse Leliana, allegramente. -Ser Cullen, Cavaliere Ventogelido e Rovina del Maestrale Maggiore delle Tombe di Smeraldo.- annunciò, applaudendogli con grazia.
Le guance di Cullen si tinsero d'imbarazzo, mentre lui spostava uno sguardo arcigno altrove. -Ho semplicemente aiutato il gruppo in un momento di difficoltà. I veri eroi dello scontro sono stati l'Inquisitrice e il maestro Pavus.- borbottò.
-Suvvia, non essere modesto! Se ti è stato dato un titolo, significa che te lo sei meritato.- intervenne Josephine, prendendo sottobraccio Lavellan per condurla al salone principale di Skyhold. -Ah, la comtesse De Fourier chiede il risarcimento per tutti gli elementi di arredo che avete fracassato mentre le stavate salvando la vita.- rivelò.
Cullen assunse immediatamente un'espressione contrita.
-Mi sono permessa di risponderle che se non invierà le sue scuse formali all'Inquisitrice e al Comandante per averli messi in condizione di pericolo inutilmente, farò presente ai miei contatti a corte che ha preferito dare asilo a un Maleficar, piuttosto che onorare ai suoi doveri di padrona di casa.- concluse Josephine, con una nota di seccatura nel tono di voce.
Lavellan le rivolse un'occhiata divertita, Cullen invece esalò un sospiro di sollievo. -E io che pensavo che ti saresti arrabbiata.- ammise lui.
Josephine ritrasse la testa, infastidita. -Così mi offendi! Per me, il vostro benessere viene prima di qualsiasi altra cosa.- affermò.
-Quindi la prossima volta posso anche evitare di indossare la divisa.- tentò Cullen.
-Non ci allarghiamo troppo, adesso. A meno che non sia previsto un torneo, durante gli eventi mondani puoi lasciare l'armatura nell'armadio.- decretò Leliana.
Lavellan le gettò un'occhiata madida di gratitudine, che la fece sorridere.
Quando furono giunti allo studio di Josephine, nell'anticamera della sala del consiglio, la padrona di casa fece accomodare i nuovi arrivati sul divano, occupando una delle poltroncine che erano state disposte davanti al caminetto.
Cullen si abbandonò a sedere scompostamente, realmente stanco. Lavellan, invece, si appollaiò su uno dei braccioli, recuperando un bicchiere di té freddo dalle mani di una collaboratrice di Josephine. La ringraziò con un bel sorriso, poi si rivolse a Leliana, che restava in piedi dietro alla collega, con le mani intrecciate dietro la schiena. -Ho sentito che stiamo cercando uno stilista per il ballo.- fece, rigirandosi il bicchiere fresco tra le mani.
Josephine annuì. -Ho selezionato diversi candidati. Aspettavo il tuo arrivo per sottoporteli.- disse, alzandosi per recuperare un faldone da un cassetto della sua scrivania. Si portò vicino a Lavellan e glielo appoggiò in grembo, aprendolo su una pagina già segnata.
-Pensavo all'atelier di Auguste Ninette di Val Royeaux, o a quello di Lille Vert di Lago Celestino.- propose, sfogliando per lei diverse pagine sulle quali c'erano i progetti di diversi vestiti, indossati da nobildonne orlesiani celebri durante ricevimenti risalenti all'anno passato.
Leliana le raggiunse, sporgendosi verso il faldone con aria interessata. Indicò a Lavellan uno splendido abito da sera verde e oro. -Questo me lo ricordo. Il corsetto era ricamato con filo di seta e ali di maggiolino.-
-Ali di maggiolino? L'insetto?- intervenne Cullen, inarcando un sopracciglio sopra un'espressione scettica.
-Sì, gli staccano le ali e le imbevono di resina per mantenerle lucide. Nell'Orlais ci sono allevamenti appositi.- spiegò Lavellan, tranquillamente. -Dorian mi ha detto che sono molto usati nel Tevinter, assieme alle farfalle. A quanto pare una gonna decorata con ali di maggiolino costa più di una collana di zaffiri.-
Cullen assunse immediatamente una smorfia schifata, mentre Leliana indicava un altro vestito, molto più sobrio, dalle tinte primaverili. -Lei l'ho vista al ballo dell'equinozio della baronesse Chepinelle. Gli accessori erano fatti di filo d'oro e fiori essiccati. Pessime scarpe, però.-
Lavellan strinse le labbra su un'espressione incerta. -Posso vedere i portfoli che hai scartato?- domandò, perché non riusciva a riconoscere il suo stile nei modelli che stava guardando.
-Si, ma sappi che li ho scartati per un motivo.- la mise in guardia Josephine, recuperando il faldone tra le mani per estrarne un fascicolo e porgerglielo.
Lavellan lo sfogliò con attenzione, aggrottando la fronte sempre più intensamente nel notare vestiti talmente esagerati, o talmente mediocri da capire perfettamente perché Josephine non li avesse minimamente presi in considerazione.
Tutto d'un tratto, il suo sguardo assunse una scintilla di curiosità, attratto da un vestito dall'apparenza pedestre, ma che aveva una lavorazione talmente complessa e forme così eleganti da risultare avanti chilometri rispetto ai modelli che Leliana e Josephine tanto decantavano. Ogni abito era sviscerato sui fogli con piglio ingegneristico, come se si trattasse della pianta di una cattedrale e i suoi dettagli avevano almeno tre righe di spiegazioni, che si legavano alla composizione finale creando una narrazione vera e propria. Ciò che la intrigò maggiormente, però, era un particolare trait d'union che accomunava ogni modello e che solo una persona che condivideva la sua stessa esperienza di vita avrebbe compreso. In ogni vestito, infatti, c'erano velati richiami alla cultura elfica, talmente ben nascosti da poter essere tranquillamente scambiati dagli Umani per eleganti pattern decorativi.
-Ti piacciono questi?- domandò Josephine, osservando Lavellan con aria poco convinta.
-Tholomeus? Mai sentito.- disse Leliana, passando l'indice sul dettaglio di una cintura di cuoio di viverna, che vantava almeno tre lavorazioni diverse.
-Se è Tholomeus di Altura Perenne, capisco perché abbia attirato la sua attenzione.- commentò Cullen, ricevendo tre occhiate sorprese in tutta risposta. -È l'unica bottega del Ferelden a saper lavorare la pelle di drago. Dopo l'Emporio di Wade, ovviamente.- articolò. Dato che le tre continuavano a fissarlo con insistenza, si ritrovò a doversi giustificare. -Andiamo! Lo sanno tutti che Tholomeus era lo stilista personale di Re Cailan.-
-Per essere uno che non s'intende di sartoria, sai parecchie cose su questo gentiluomo.- disse Josephine, stringendo le palpebre su un'occhiata inquisitoria.
Cullen si voltò verso un messaggero che si stava dirigendo verso la sala del consiglio, attirando la sua attenzione con un cenno. -Travers, tu sei di Rainesfere, no?-
-Sissignore.- rispose il messaggero, fermandosi sul posto.
Cullen voltò un'occhiata eloquente verso Josephine. -Cosa ti viene in mente, quando dico "Tholomeus".-
-Tholomeus? Il sarto di Re Cailan?-
Cullen aprì le braccia, assumendo un'espressione soddisfatta. -Visto? Tutti sanno che Tholomeus era...-
-Abbiamo capito, Comandante.- lo liquidò Leliana, mentre il messaggero si allontanava con aria confusa.
-Posso tenerli? Vorrei riguardarli con più calma.- domandò Lavellan, che non riusciva a staccare gli occhi di dosso dal disegno di un mantello di velluto, con un intrico di piume di gufo stilizzate sul colletto e rami di tasso ricamati nella fodera.
Josephine le rivolse un bel sorriso. -Certo!-
-Grazie.- rispose Lavellan, ricambiando. -Vorrei comunque che voi due sceglieste un sarto a testa. Penso che sia il caso di fare una valutazione collettiva, per evitare di trovarci all'ultimo secondo con un'opzione che non comprenda tutti noi.-
-Grazie per avermi escluso.- mormorò Cullen, con una punta di gratitudine nello sguardo.
Lei gli fece l'occhiolino, poi tornò a mangiare con lo sguardo i modelli di Tholomeus, mentre Josephine e Leliana consultavano il faldone, scambiandosi opinioni accorate sulla questione.
Dal lato opposto del divano, misteriosamente, sul viso di Cullen si formulò l'accenno di un sorriso compiaciuto.

Dato che era una giornata assolata, Josephine aveva deciso di accogliere gli stilisti in uno dei solenni gazebi di pietra che decoravano il giardino.
Nonostante fosse molto impegnata, Lavellan fece di tutto per essere presente, arrivando addirittura in anticipo rispetto all'orario stabilito. Aiutò i domestici a sistemare un tavolo e a trasportare delle poltroncine per i colloqui, realmente impaziente di fare la conoscenza di individui votati alla creatività.
Quando ebbero finito, Mastro Dennet, che stava confabulando con Elan Ve'mal poco distante dal gazebo, le rivolse un gran sorriso e ripeté sommessamente un paio di -Non ne ha proprio idea!- in maniera talmente enigmatica da incuriosirla ancora di più. -Mi dia idea, la scongiuro!- intervenne Lavellan, ridendo nervosamente, ma Dennet si limitò a risponderle con un movimento circolare del braccio, prima di lasciare il giardino con aria allegra.
-Dottoressa Lavellan?-
Sentendosi presa in causa, quella si voltò verso il pozzo centrale. Là c'era un'Elfa che vestiva un abito grigio perla modesto, ma rigoroso, oberata da due borse cariche di pergamene e uno zaino fuori misura. Era mora, sulla sessantina e il suo viso era rotondo e pallido come la sabbia del deserto in una notte di luna piena. I suoi occhi color topazio erano astuti, severi e secernevano la durezza tipica di chi è abituato a portare sulle proverbiali spalle pesi ben più considerevoli di un paio di borse.
Riprendeva fiato, con un gomito appoggiato sul bordo del pozzo e le mani strette sulle cinghie dei bagagli, come se le dovessero cadere da un momento all'altro.
Lavellan accorse ad aiutarla, facendosi carico delle sue borse immediatamente. -È qui per il colloquio, immagino.- ipotizzò.
L'Elfa si concesse giusto un istante per ricomporsi, poi la seguì verso il gazebo. -Il mio padrone è qui per il colloquio, io sono qui per portargli le borse.- la corresse, con voce grave, reggendosi la schiena dolorante. -Questo posto è pieno di scale.- si lamentò, mentre prendeva posto in una delle poltroncine.
-Penso che sia fatto apposta. In caso d'assedio, i nemici con la sciatica rimangono fermi in cortile.- scherzò Lavellan, dopo aver riposto le borse con cura sotto al tavolo. -Comunque, non sono dottoressa, sono Inquisitrice.-
-Ha l'aria di una dottoressa.- disse l'Elfa, tamponandosi le tempie con un fazzoletto ricamato. -Una di quelle che ti danno un cucchiaino di miele dopo averti messo a soqquadro i visceri.-
Lavellan prese posto al suo fianco, osservandola con interesse. -Con chi ho il piacere di parlare?-
-Con una che è stata allevata dai cani, a quanto pare.- rispose immediatamente la sua interlocutrice, tendendo la mano nella sua direzione. -Mi chiamo Adra, sono l'assistente di mastro Tholomeus.-
Lavellan gliela strinse con decisione. -Oh, ora si spiegano tante cose!- commentò, con una scintilla di consapevolezza nello sguardo.
Adra inarcò un sopracciglio. -Ho l'accento marcato, dice?-
-No, no. È per via...- Lavellan si dovette interrompere, perché Josephine stava accompagnando gli ospiti al gazebo, conversando con loro amabilmente.
I candidati erano tre. Due orlesiani eccentrici, ricoperti di organza e seta marina e un fereldiano vestito di marrone e argento, che sembrava uscito da un combattimento all'ultimo sangue in una voliera di pavoni bianchi.
Adra diede un grugnito seccato, alzandosi per raggiungere il suo padrone e sistemargli il mantello sulle spalle, prima di accompagnarlo al suo posto.
Una volta che gli ospiti si furono accomodati, i colloqui ebbero inizio.
Lavellan e Josephine decisero di ricevere gli stilisti singolarmente, al tavolo, partendo dalla scelta di Leliana.
-La vedo con una gonna a campana di tulle bianco, tempestata di pietre gialle, arancioni e rosse, che risalgono verso il corsetto a creare una sfumatura.- propose il primo orlesiano, mastro Odet LaCombe di Serault, mostrando alle due una serie di schizzi in acquerello che raffiguravano un vestito primaverile smanicato con una gonna a ruota voluminosa.
-Vuole sapere una cosa buffa?- intervenne Lavellan, osservando gli schizzi con aria scontenta. -Io le sfumature del rosso non le so distinguere.-
Josephine si coprì la bocca con il leggio, per nascondere la sua espressività, perché al contrario della collega, lei le sfumature del rosso le sapeva distinguere bene e sembrava nutrire un’analoga perplessità nel visionare risultati che non erano au pair con le aspettative di Leliana.
-Sua Eminenza, non dev'essere lei a distinguerle, ma la corte dell'Imperatrice.- intervenne lo stilista, trascinando le parole con un tono marcatamente mieloso. -Lasci che sia io a pensare alle combinazioni cromatiche, che sono esperto.-
Lavellan sollevò uno sguardo incerto su Josephine. -Come mi sta il bianco?- le domandò.
-Bene, ma mi sembra più un colore da matrimonio. Il tulle bianco, poi, mi sembra decisamente inadatto per un'autorità del tuo calibro.- rispose quella, riprendendo a osservare gli schizzi. -Ha altre opzioni, signor LaCombe?-
Dopo aver scartato ogni idea che le era stata proposta, perché davvero troppo lontana dai suoi gusti, Lavellan congedò lo stilista con una stretta di mano e un sorriso falso come l’ottone. -Spero che la sistemazione sia di suo gradimento. Le faremo sapere il verdetto entro fine giornata.-
Frase che ripeté anche al secondo orlesiano, con meno entusiasmo, perché la proposta che le era stata fatta era analoga a quella precedente, se non peggiore. Tulle, pietre preziose e colori che il suo sguardo non poteva riconoscere e apprezzare.
La frustrazione di Josephine era palpabile. Persino lei non riusciva a redimere i lavori che avevano appena vagliato.
Quando fu il turno di Tholomeus, Lavellan sperò con tutto il cuore che ciò che le avrebbe presentato fosse all'altezza dei suoi schizzi.
Fu Adra a disporli sul tavolo, con una cura maniacale, mentre Tholomeus si guardava intorno con aria curiosa.
-Orlesiani, eh?- commentò lui, sprezzante. -Se potessero riempirebbero persino i cessi con il tulle! Lasci perdere il bianco e il rosa, signora mia. Onestamente, io la vedrei bene con della seta che richiami i colori della notte.- indicò lo schizzo fatto a carboncino di un vestito dal taglio semplice, senza corsetto e con uno scollo a cuore. -Ha una tonalità di capelli biondo rossiccio e degli splendidi occhi verdi. Una tintura verde scura potrebbe esaltare i suoi colori. Che ne dice?-
Lavellan ci rifletté un istante, poi recuperò un foglio di carta di cotone dal tavolo, osservando un modello di vestito interessante, che esprimeva rigore. Una boccata d'aria fresca, rispetto alle proposte dei due stilisti orlesiani ed erano effettivamente degni di un re.
Josephine, altrettanto colpita, osservò il modello da sopra la sua spalla. -Disegna sempre in bianco e nero?-
Tholomeus diede un cenno d'assenso. -Preferisco aggiungere i colori in un secondo momento, dopo essermi consultato con il cliente.-
Con la coda dell’occhio, Lavellan notò Adra scorrere uno sguardo macchiato di condiscendenza su di lui.
-Vedo che ha preso in considerazione il mio retaggio culturale.- disse. -La mia richiesta è semplice: mi servirebbe un punto di connessione tra ciò che sono, un'Elfa dalish, e ciò che rappresento, ovvero l'Inquisizione. Se è vero che la moda è politica, vorrei essere in grado di mandare un messaggio.-
L'espressione di Adra si tinse di curiosità. Era da che Lavellan aveva iniziato a visionare gli schizzi che la osservava con aria attenta, scandagliando il suo viso alla ricerca di un verdetto.
-Un messaggio, dice? Che genere di messaggio intende mandare?- domandò Tholomeus, sporgendosi appena nella sua direzione.
-Il tipo di messaggio che manderebbe una donna fiera e competente che la nobiltà si ostina a trattare come un daino perso nei boschi. Ma, soprattutto, voglio che passi il messaggio che c'è un'Elvhen che non ha dimenticato il trattamento che l'Orlais ha riservato alla sua gente, privandola di una casa e di ciò che restava della sua cultura.- rispose Lavellan, con tono asciutto. -Lei che è fereldiano può capirmi, immagino.-
Tholomeus annuì. -Certamente. Potrei...-
-Potrebbe vestirsi di nero.-
Lavellan sollevò uno sguardo macchiato di soddisfazione su Adra, che finalmente aveva deciso di intervenire.
-Di nero? Per un ballo primaverile?- domandò Josephine, allibita.
Adra si prese qualche istante per elaborare, poiché il suo datore di lavoro le aveva appena assestato un’occhiata patibolare. -Il nero è il colore del lutto. Se vuole mandare un messaggio forte, allora è il caso di sconvolgerli.-
-Adra, non dire sciocchezze, su'.- la rimproverò Tholomeus, davvero seccato. -Mi scusi, Eminenza, a volte la mia assistente non sa tenere la bocca chiusa. Se è un messaggio che vuole mandare, potremmo studiare qualcosa insieme. Manterrei comunque uno stile sobrio ed elegante, che esalti i...-
-I miei colori, certo.- concluse Lavellan, per lui, riponendo il foglio sul tavolo. -La ringrazio, signore. Visionerò gli schizzi e le farò sapere un verdetto in serata. Grazie per la sua disponibilità.-
-Si figuri, Eminenza!- si affrettò a rispondere lui, inchinandosi profondamente. -È stato un onore.-
Josephine scoccò un'occhiata confusa a Lavellan, mentre lui si allontanava, lasciando che fosse Adra a riporre gli schizzi. -E adesso?- domandò, in difficoltà.
-Adesso sentiamo un parere che mi interessa davvero.- replicò Lavellan, seria come la morte. -Nero, ha detto?-
Adra sollevò appena la testa, rivolgendole un'occhiata severa. -Ci sono mille modi per inviare un messaggio. Il colore è la prima cosa che nota l'occhio, assieme alla forma.- spiegò, ordinando gli schizzi in una cartella di pelle con un livello di attenzione maniacale. -Già che è magra come un chiodo, bisognerebbe trovare un modo per evitare di ingombrare troppo la silhouette e alzare la sua figura, quindi il tulle e il velluto sono esclusi. Indossi qualcosa che indosserebbe una regina al funerale del principe consorte di cui le interessava solo il prodotto dei suoi lombi. Li faccia parlare. E se proprio vuole trovare un legame tra la sua cultura e il suo ruolo di Inquisitore, le direi di concentrarsi maggiormente sulla figura dell'Araldo di Andraste, che comprende entrambe le realtà. Oro e nero sono nati per sposarsi. Ci vedrei bene un'armatura cerimoniale che la fasci come le fiamme hanno avvolto Andraste sul rogo. Il suo però non dovrebbe essere un rogo, ma l’incendio da cui rinascono le fenici. Ecco, potreste coprirla con un vestito nero elegante, aperto sulle braccia e con un profondo scollo a vi per creare dinamismo. Ci vedrei anche uno spacco centrale, con un lieve strascico a...- Adra si bloccò, carezzando nervosamente la cartella sul tavolo. -Questa è la volta buona che mi licenzia.- borbottò.
Lavellan si affiancò a lei. -Sarebbe così grave?-
-Sono un'Elfa, dottoressa. Lo sa benissimo che dobbiamo accontentarci, soprattutto quando abbiamo qualcuno di cui prenderci cura.- rispose Adra. -Commissioni il vestito al mio padrone, ma sappia che qualsiasi cosa gli chiederà sarò io a realizzarla.-
-Non ho il tempo materiale di affidarmi a un tramite, signora. Voglio lei, non il suo datore di lavoro.-
Josephine si appoggiò una mano sul petto, mentre processava le informazioni appena ricevute. -Immagino che sia stata lei a produrre questi modelli, a questo punto.- suggerì.
Adra si limitò a sfiorarla con un'occhiata scettica. -Il signor Tholomeus gestisce un atelier, non è necessario che sappia tenere una matita in mano per farsi chiamare stilista. Lei, che è evidente che si interessi di moda, visto ciò che indossa, dovrebbe saperlo.- rispose. -Se commissionasse il vestito al mio padrone, manterrei un lavoro stabile e le apparenze. Oppure, potrei creare questo vestito indipendentemente, perdere il lavoro e ritrovarmi a dovermi svendere a un padrone che mi paga un millesimo di quanto non prenda alle dipendenze di Tholomeus.- aggiunse. -Vi prego di tenere conto della situazione in cui mi state mettendo.-
-Si da il caso che l'Inquisizione abbia urgentemente bisogno di uno stilista di corte.- intervenne Lavellan. -Dovrebbe curare il mio guardaroba e quello dei miei consiglieri in base alle stagioni, disegnarci una divisa ufficiale e occuparsi di un laboratorio in loco. Da quello che ho capito, ha molti anni di esperienza alle spalle e un ottimo orecchio per ascoltare le esigenze dei suoi clienti. Potrebbe essere la persona che fa al caso nostro. Che ne pensi Josephine?-
Quest'ultima, che era poco convinta, si prese i suoi tempi per rifletterci, poi esalò un sospiro stanco. -Penso che la scelta spetti a lei, ma semmai dovesse accettare questa proposta, faremmo di tutto per compensare il suo disturbo, a partire dalla retribuzione.- replicò, mentre Lavellan osservava con aria soddisfatta l'espressione di Adra assumere una sfumatura di sorpresa. -Quanto la paga Tholomeus, attualmente?-
-Cinquanta pezzi d'argento ogni due mesi per i lavori di sartoria e un terzo del compenso a commissione.- si affrettò a rispondere Adra. -Mia madre è in una casa di cura ad Altura Perenne, se potesse...-
-Posso.- affermò Lavellan. -E posso fare qualcosa anche per trasformare quei cinquanta pezzi d'argento in due pezzi d'oro, al mese, se l'Ambasciatrice Montilyet non ha niente da obbiettare.-
-Un pezzo d'oro, Inquisitrice. Non siamo la Banca di Rialto.- obiettò immediatamente Josephine. -Ma le commissioni le verrebbero pagate a prezzo pieno e le verrebbe fornito un alloggio adeguato alla sua posizione.-
Adra ci rifletté a lungo, indugiando con le dita sulla cartellina. Quando fu pronta a dare una risposta, però, lo fece con convinzione. -Suppongo che Tholomeus dovrà imparare a usare ago e filo.- fece. -Quando posso iniziare?-
-Adesso, per favore.- replicò Josephine, con una scintilla di sollievo nello sguardo. -Vado a stilare il contratto immediatamente. La prego di raggiungermi nel mio studio fra un paio d'ore, così possiamo rileggerlo insieme.-
Adra aggrottò la fronte, rivolgendole un’occhiata perplessa. -Avrò voce in capitolo sui suoi termini?-
A quella domanda, Josephine mostrò perplessità a sua volta. -Siamo partner commerciali, è la norma.-
Adra annuì, poi le rivolse un sorriso composto. -Grazie, signora.- disse, chinando appena il capo in segno di rispetto.
Josephine fece altrettanto, indietreggiò di un passo, poi si congedò, dirigendosi verso il suo studio con un sorriso soddisfatto e un problema in meno a cui pensare.
-Diamine, allora è vero che i tempi stanno cambiando!- commentò Adra, con una palese nota di scetticismo.
Lavellan recuperò le borse per lei, facendole cenno di seguirla. -Mi tolga una curiosità. Tholomeus è mai stato il sarto personale di re Cailan?- le domandò, una volta che la ebbe affiancata.
Adra le scoccò un'occhiata eloquente. -Tholomeus sa fare bene solo tre cose: ricalcare, lavorare la pelle di drago e prendere le misure sul cavallo.- le rispose.
Lavellan non riuscì a trattenere un sorrisetto, mentre la prendeva sottobraccio. -Oh, non vedo l'ora di vedere la faccia di Cullen quando lo verrà a sapere!-

-Stia rilassato, ingegnere.-
Cullen, a petto nudo, esalò nervosamente il fiato che stava trattenendo da che era iniziata quella tortura. -Non potrebbe andare a occhio?- domandò, continuando a fissare la libreria del suo studio, con aria tesa.
Adra, che gli stava prendendo le misure sul torace, gli gettò un'occhiata veloce al di sopra degli occhiali da vista. -No.- rispose, secca, per poi riavvolgere il metro in uso sulla mano nel dirigersi verso la scrivania. Una volta là, si chinò sullo schizzo di un manichino e registrò le misure velocemente, prima di tornare all'opera.
-È solo una perdita di tempo.- si lamentò Cullen, tirandosi su i pantaloni con un gesto brusco.
-Per niente la dottoressa ha chiesto espressamente a me di misurarla.- disse Adra, facendogli alzare le braccia. -Sono rapida e non mi interessano le chiacchiere.- aggiunse, avvolgendogli lo stomaco con il metro sbrigativamente. -Sarebbe ora che se li togliesse.-
Cullen contrasse i muscoli del viso in una smorfia di fastidio. -Non si può proprio fare a meno?-
-No.-
-La smetta di chiamarmi ingegnere almeno.-
-No.-
-Attenta, ha le mani fredde!-
Adra si appuntò gli ultimi dati, poi gli misurò la lunghezza che intercorreva tra il collo e il bacino. -Credevo che non volesse perdere tempo, invece è un chiacchierone.- si interruppe per stringere lo sguardo, allontanando lievemente la testa dal metro per leggere correttamente un numero. -Ma d'altronde è risaputo che quando un uomo è nervoso, la prima cosa che fa è muovere la lingua a caso.-
Cullen deglutì, spostando la testa altrove, realmente in difficoltà. -D'accordo. Facciamola finita.- bofonchiò, aspettando che lei avesse finito per sfilarsi i pantaloni.
Sulle labbra sottili di Adra si formulò l'ombra di un sorriso. Finì di appuntare le ultime misure della parte superiore del corpo, poi si piegò per stendere il metro a terra. -Ci posi sopra il piede.- suggerì.
-Serviva farmi spogliare per questo?- protestò Cullen, finalmente in mutande.
-Se vuole inizio subito dal cavallo.-
Cullen sbuffò sonoramente, ma si affrettò a fare come gli era stato chiesto. -Ho già degli stivali. Vestono perfettamente.-
-Presto ne avrà un paio in più. Ordini dall'alto.-
-Non ne ho bisogno.-
-Mi tolga una curiosità, si lamenta perché non vuole che le metta le mani addosso, o perché non sono intenzionata ad assecondare i suoi capricci?-
Cullen spalancò lo sguardo, allibito. -Mi lamento perché c'è una guerra là fuori, mentre lei è qui a misurarmi il girovita!- sbottò.
La risposta non convinse assolutamente la sua interlocutrice. -No, non è solo questo.- fece, mentre gli misurava l'ampiezza del polpaccio destro. -Lei non vuole rendersi ridicolo di fronte alle sue colleghe e ha paura di metterle in imbarazzo con la sua inadeguatezza. È uno che ha studiato tutta la vita per impedire a se stesso di fare la figura dell'imbecille, ma sa che nessuna delle sue premure sarà utile in un contesto del genere. Anche se si preparasse, non riuscirebbe a sottostare alle meccaniche del Gioco, perché è un concetto che aberra.- fece una pausa. -Lo tiene a destra o a sinistra?-
Cullen, che stava ponderando sulle sue parole, alla ricerca di un modo per contraddirla, si ritrovò ad arrossire violentemente. Dopo esattamente due minuti di profondo imbarazzo, durante i quali Adra gli aveva fatto il piacere di evitare il suo sguardo, le indicò la direzione con un cenno del polso, permettendole di annotare discretamente la risposta.
-Può rimettersi i pantaloni, ingegnere. Abbiamo quasi finito.- disse lei, dandogli finalmente le spalle per permettergli di rivestirsi senza doversi preoccupare di avere addosso gli occhi di un'estranea più a lungo del previsto.
-Sia ringraziato il Creatore!- esalò Cullen, affrettandosi a ritrovare il decoro perduto.
-Visto? Ci abbiamo messo poco.- minimizzò Adra, chinandosi sui suoi appunti per controllare che tutto fosse al suo posto.
Cullen si allacciò velocemente la sotto-cotta sul fianco. -Pensavo peggio.- commentò, a voce bassa.
Adra lo ignorò.
-Se le interessa saperlo...-
-No, ma ho la netta sensazione che me lo dirà comunque.-
Cullen alzò gli occhi al cielo. -Per la cronaca, preferirei combattere a mani nude contro un'orda di demoni, piuttosto che affrontare una pista da ballo piena di orlesiani pronti a giudicare ogni mia singola mossa.- dichiarò.
Adra infilò con cura i suoi appunti dentro a una borsa. -Un'altra cosa che ha in comune con Re Cailan.- disse.
Cullen sollevò le sopracciglia su un'espressione sorpresa. -Ah! E l'altra sarebbe?-
Adra evitò di rispondere, aspettando pazientemente che lui finisse di rivestirsi, prima di voltarsi nella sua direzione. -Le interessa dare un'occhiata ai bozzetti della nuova divisa, o preferisce delegare la scelta alle sue colleghe?- gli domandò, piuttosto.
Cullen si sistemò il mantello sulle spalle, poi scosse la testa. -Mi affiderò al loro giudizio, come sempre in questioni di questo tipo.-
-Strano. Ho sentito che sono state le sue parole di lusinga nei confronti del mio precedente padrone a convincere la dottoressa a convocarci.-
-Lusinga, ha detto? No, ho semplicemente detto loro che chiunque nel Ferelden è a conoscenza che Tholomeus fosse lo stilista di Re Cailan. Niente di più, niente di meno.-
Adra lo guardò di sottecchi. -Non insulti la mia intelligenza, ingegnere. Ho visto il faldone: la sua collega ha evitato di selezionare stilisti che non fossero orlesiani e, da quello che mi risulta, l'Inquisizione non ha mai chiesto a Tholomeus di inviare una selezione dei suoi lavori.- incrociò le braccia sul petto, assumendo un'espressione scettica. -È stato lei a infilare quei bozzetti nel faldone, perché era certo che alla dottoressa sarebbe piaciuto il mio lavoro.-
Lui non provò minimamente a negare. -Lavellan ama tutto ciò che è possibile sviscerare e i vestiti di Tholomeus sono capolavori d'ingegneria, con chiari riferimenti alla sua cultura.-
-La ringrazio per il complimento indiretto, ma allo stesso tempo mi chiedo cosa la freni dall'esprimere la sua opinione.-
-Perché verrebbero a chiedermela più di quanto non lo facciano già e farebbero comunque di testa loro.-
-E farebbero bene!- disse lei, con aria severa. -Quei bozzetti sono indegni, soffrono dell'inconsistenza tipica di chi vuole inserire troppi elementi slegati tra loro in un'unica composizione e per giunta sono vecchissimi, dato che risalgono al regno di re Maric. Spero che non le siano costati una fortuna.-
Cullen rimase in silenzio un po’, prima di articolare una replica. -Me li ha fatti avere una consorella del Circolo di Kinloch.- ammise. -Li aveva lasciati un mercante Formari di passaggio, quando ero ancora una recluta e il nostro diretto superiore ce li ha regalati per darci qualcosa di utile da fare nei tempi morti.- le spiegò, prendendo a sfilarsi un guanto. Diede un breve sorriso, poi lo rivoltò per mostrarglielo.
Adra strinse le palpebre, raddrizzandosi gli occhiali nel capire cosa le stesse mostrando. -Un sottopunto?- domandò, sollevando uno sguardo inquisitorio su di lui.
-Un buon sottopunto.- la corresse Cullen, strattonando i due lembi di pelle per dimostrare la solidità della cucitura. -Quel poco che io e i miei confratelli di Kinloch sappiamo sul rammendo, l'abbiamo imparato da quei bozzetti.-
Adra sospirò, stancamente. -Mi consola sapere che dopo quarant’anni e passa di carriera almeno qualcuno abbia imparato qualcosa da me.- disse, assumendo un'espressione corrucciata. -La smetta di farmi favori, ingegnere. Sta diventando seccante. Di questo passo, mi toccherà confezionare un vestito da sera pure a lei.-
-Oh, assolutamente no! La prego!- esclamò lui, alzando le mani in segno di resa. -Penso che dopo questo ballo mi incollerò addosso l'armatura e abbaierò contro chiunque cercherà di farmi indossare qualcosa di diverso.-
Adra gli rivolse un'occhiata eloquente. -Tanto ho già le sue misure.- disse, muovendosi tranquillamente verso l'uscita. -Mi faccia sapere cosa ne pensa dei bozzetti che le ho lasciato sulla scrivania, o dirò all'avvocato di rivolgersi a un'altra stilista.- concluse, abbandonando l'ufficio senza salutare.
Cullen osservò la porta richiudersi con aria sofferente.

-No, non ci siamo ancora. Le lingue di fuoco devono essere più organiche, come nel progetto.-
Harritt lasciò cadere sul piano da lavoro dell'Inquisitrice il quinto corsaletto che Adra scartava, opera che gli aveva rubato cinque ore di lavoro. Fulminò la donna con uno sguardo impregnato di frustrazione. -Ho seguito il progetto alla lettera!- protestò.
-E allora perché è venuta una schifezza?-
Lavellan, che stava sperimentando dei nuovi tonici con Dagna, poco distante, si affrettò a prendere provvedimenti, frapponendosi ai due con aria stanca. Sollevò le mani per suggerire loro di calmarsi. -Non è possibile che ogni volta che scendo alla fucina vi trovi ad accapigliarvi.- si lamentò.
-Non le va mai bene niente!- sbottò Harritt, additando Adra con una mano tesa. -Sa quante volte ho dovuto rifare quei maledetti parabracci? Undici. Un-di-ci. Lo sa che ho altro da fare oltre a questa cosa, vero?-
Adra sollevò un lembo del corsaletto scartato con aria insoddisfatta, per poi lasciarlo ricadere sul tavolo. -L'armatura è la parte più importante dell'ensemble. Mi rifiuto di mettere la mia firma su un lavoro tutt'al più mediocre!- affermò.
-Le pare un lavoro mediocre?- domandò Harritt, indicando a Lavellan con un cenno deciso una pila di corsaletti eccezionalmente belli che erano stati abbandonati in un angolo. -Questa donna esige l'impossibile!-
-L'unica cosa che esigo è che la mia visione venga rispettata. Sua Eminenza non merita niente di meno che la perfezione e, cascasse il mondo, da me non otterrà nient'altro che quella.-
-Che se lo faccia da sola allora!-
-Lo farei, oh, se lo farei! Vent'anni di meno e mi sarei già messa all'opera!-
-Ora basta!- gridò Lavellan.
Lo sparuto personale della fucina si zittì immediatamente, per guardarla. Persino Dagna si ritrovò ad alzare la testa dal suo lavoro, con aria stupita.
Lavellan, la stessa donna che non aveva alzato la voce nemmeno quando Corypheus in persona l'aveva minacciata di morte, era livida. Il suo sguardo era teso, categorico e il suo viso era contratto. -Trovate un compromesso.- scandì, prendendosi diversi secondi per assestare a entrambi un'occhiata di rimprovero. Alla fine, afferrò il corsaletto e lo gettò nel mucchio con una mossa decisa, ritornando a lavorare al fianco di Dagna, che continuava a fissarla con tanto d'occhi.
Anche Adra la osservò, a lungo e con aria guardinga, soffermandosi a ricercare il motivo scatenante di quella reazione con cura. Una volta che ebbe tratto le sue conclusioni, appoggiò una mano sulla spalla di Harritt, accompagnandolo alla forgia. Lavorarono silenziosamente per ore, parlando il minimo indispensabile nel confrontarsi in maniera educata. Nonostante quel miglioramento, il malumore di Lavellan sembrava restare immutato.
Trafficava con il meccanismo di una trappola a scatto come se stesse sviscerando la carcassa di un daino, infilzando viti e strappando ingranaggi con un brusco automatismo; il suo viso era corrotto da un fastidio che puzzava di preoccupazione.
Adra, che nel frattempo stava lavorando su un cartamodello, sollevava di tanto in tanto lo sguardo verso di lei, più incuriosita che adirata nei suoi riguardi per la reazione decisamente fuori dal personaggio che aveva avuto. Una volta riposto gran parte del suo lavoro in una cartella, tornò da Harritt, senza distogliere l’attenzione da Lavellan. -Quanto tempo ci vorrà ancora per i parabracci?- gli domandò.
Lui, che li stava incidendo sui bordi per sistemare l’ingresso delle cinghie, le lanciò un'occhiata veloce. -Due ore. Monterò il dettaglio sul gomito e sulla polsiera quando Dagna sarà disponibile. Se tutto va bene, oggi riusciremo a concludere gli arti e la tiara.- fece una pausa. -Sempre che non mi faccia scartare anche quelli.- mugugnò.
Adra incrociò le braccia. -Tu lavora bene e io non avrò modo di lamentarmi.- disse, osservando Lavellan che se ne andava, con aria curiosa. Si affrettò a recuperare la cartella, poi la seguì, con tutte le intenzioni di raggiungerla.
-Dottoressa!- la chiamò, arrampicandosi faticosamente sulle scale che portavano al salone.
Lavellan si voltò verso di lei con aria seccata, fermandosi per confrontarla, ma il fastidio si dissolse immediatamente sul suo viso quando realizzò che Adra stava avendo difficoltà a mantenere il passo. Allora la raggiunse, per prenderla sottobraccio e permetterle di sorreggersi a lei.
-Questa fortezza ha davvero troppe, troppe scale.- biascicò Adra, senza fiato, una volta giunte nel salone.
Lavellan l'accompagnó a sedersi al tavolo più vicino, a sinistra della rampa di scale che portava alla fucina. Quindi, le versò un bicchiere d'acqua, consegnandoglielo con attenzione.
Dopo che Adra ebbe ripreso le forze, esalò un sospiro di sollievo. -Domani, la prima prova si terrà all'orario stabilito.- disse. -Siamo nei tempi, dottoressa. Non deve preoccuparsi.- la rassicurò.
Lavellan infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, scorrendo uno sguardo venato d'inquietudine su di lei. -Perfetto.- disse, semplicemente.
Adra la guardò con scetticismo. -Il tuo fabbro non è un incapace, ma allo stesso tempo, non è Wade.- affermò.
-Ha sempre curato lui le mie armature. Anche se dovesse volerci qualche giorno in più, ho bisogno che sia lui a forgiare le componenti del cambio. Su questo non transigo.- dichiarò Lavellan.
Adra si passò una mano sulla fronte. -Dottoressa, si rende conto che questo è il primo lavoro che ho la possibilità di firmare dopo più di quarant'anni di carriera?-
-Lo so benissimo.-
-Non c'è solo questo. Quel vestito trasuda ricchezza, è provocatorio ed è deliziosamente irriverente. Se il risultato finale non rispecchia il progetto, il messaggio fallirà ad arrivare a chi di dovuto e la nostra gente vedrebbe il suo tentativo di rappresentare rispettosamente la nostra condizione come l'ennesimo sputo in un occhio. Uno sputo con la mia firma.- detto ciò, Adra si rialzò, accettando di farsi aiutare nuovamente.
Lavellan l'accompagnò all'esterno, per proseguire la loro conversazione in un luogo più tranquillo. -In quel caso, non penso che sarebbe un vestito a deluderli.- le suggerì.
-Non penso che uno di noi le farebbe una colpa, semmai le capitasse di prendere a schiaffi qualche nobile orlesiano. Io per prima, dato che sono nata durante l'occupazione.-
Lavellan reagì con un sorriso tirato. -Non penso che l’Ambasciatrice gradirebbe, purtroppo.-
Raggiunsero uno degli edifici che si affacciavano sul cortile, dov'era localizzato l'ampio laboratorio di sartoria. Lavellan tenne aperta la porta ad Adra, quindi la seguì all'interno.
Nonostante pullulasse di sarti e assistenti, in quel momento il locale era quasi deserto, fatta eccezione per un Nano adornato con una vestaglia eccentrica che stava esaminando una spedizione di tinture.
Adra appoggiò la borsa su una scrivania disordinata, sbrigativamente e per non disturbare, Lavellan si accomodò sullo sgabello antistante a un ampio tavolo da disegno vicino al mobile, soffermandosi a guardarsi attorno con aria interessata. Dall'ultima volta che era entrata in quella stanza, allora desolata e polverosa, erano cambiate un sacco di cose.
Dopo che era stata pulita e ridipinta, erano stati montati due scaffali parietali, che raggiungevano il soffitto. Il primo era riempito di libri e appunti, il secondo invece ospitava un archivio di campioni e una collezione di stoffe da fare invidia a un laboratorio di sartoria nevarriano. Attorno al tavolo da disegno e alla scrivania, oberati di note e cartamodelli, c'erano quattro manichini, già provvisti di imbastitura e rotoli di stoffe sparsi dovunque, sulle postazioni e sul pavimento.
Lavellan osservò con aria rapita gli schizzi a carboncino che imbottivano il tavolo da disegno, soffermandosi ad accarezzare con lo sguardo una serie di opzioni per le divise ufficiali dell'Inquisizione. -Stupende.- mormorò, ritrovandosi a sorridere. -Non vedo l'ora di vedere il risultato finale.-
Adra rise sommessamente, poi recuperò un foglio da una cartellina e glielo mostrò. Lavellan lo prese per gli angoli, usando cura, dato che si trattava del modello definitivo. Le toccò assumere un'espressione sorpresa, nel riconoscere la calligrafia di Cullen in una nota a bordo pagina. -Pensavo che non gli interessasse.- ammise, confusa.
Adra si strinse nelle spalle. -E io pensavo che fosse a conoscenza del fatto che gli Elfi vedono i colori diversamente dagli Umani.- disse. -Fortuna che ho l'occhio allenato. La regina Anora ha indossato tutti i rossi possibili e immaginabili, tanto che ho dovuto imparare a distinguerli.-
-Ma Leliana ha i capelli rossi.- intervenne Lavellan, con aria scettica. -Non penso che le andrà molto a genio questa scelta.-
Adra recuperò due campioni di stoffa dal secondo scaffale e glieli mostrò, tenendoli uno vicino all'altro per permetterle di notare le differenze. -Questo è il colore che l'ingegnere ha selezionato.- disse, sollevandone uno, poi fece lo stesso con l’altro. -E questo è il colore dei capelli della signora. Vede che si sposano bene?-
-Vedo solo che sono lievemente diversi.- le confidò Lavellan.
-Allora si fidi di me e del suo collega. È un bel rosso con una punta di blu, starà bene a tutti e tre.- la rassicurò Adra, riponendo i campioni. -Nel caso non piacesse alle signore, ripiegherò sul porpora, che ho già pronto.- aggiunse, indicando un rotolo di stoffa vellutata che teneva appoggiato sul bordo della scrivania.
-Allora non è poi così negato.- commentò Lavellan, con lo sguardo fisso sulla nota.
Adra le rivolse un'occhiata tinta di scetticismo. -Ha i suoi gusti, ciò non significa che abbia buoni gusti. Mai fidarsi degli ingegneri!-
-Perché lo chiama ingegnere, poi?-
-Perché se avesse testa sarebbe un architetto.-
Lavellan ridacchiò, poi le ritornò il foglio con aria finalmente serena. Adra le pizzicò una guancia che poi carezzò, dolcemente. -Vuole vedere l'imbastitura della divisa dell'avvocato?- le domandò, ingentilendo di poco il tono di voce.
Lavellan le rivolse un sorriso, poi annuì con decisione.
Rimasero in compagnia per molto tempo, a parlare di moda e di cuciture, perché anche se a Lavellan non interessava imparare il mestiere, Adra era una persona che dimostrava amore e competenza nei confronti del suo lavoro. Inoltre, era molto diversa dagli anziani del suo clan, che preferivano imbellettare le loro esperienze di vita, usandole come arma e monito nei riguardi dei più giovani. Adra raccontava la sua vita nel modo in cui si era svolta, scevra delle caratteristiche di una fiaba dotata di allegorie e morali.
-I miei nonni erano Dalish, si.- ammise Adra, che stava cucendo la manica della divisa di Leliana con una fluidità impressionante, seduta di fronte a Lavellan. -Mia madre però era una donna irrequieta e preferiva il caos della città ai monti e alle foreste. I suoi Vallaslin sono sbiaditi presto, così come il suo attaccamento al Nume che rappresentavano. All'epoca le sembrò ideale allontanarsi dal suo clan per trasferirsi a Denerim.- fece una pausa, per rivolgere a Lavellan un'occhiata eloquente, al di sopra degli occhiali da vista. -Il primo mese si è indebitata con mezza città e il secondo è rimasta incinta di me. Sa, non sono neanche troppo sicura che l'uomo che è andata a sposare sia realmente mio padre, dato che va a raccontare a tutti che sono nata prematuramente, ma l'unica complicazione di salute di cui abbia mai sofferto è questo dannato mal di schiena dovuto alla mia professione.-
-Posso capire. Penso di avere un fratello in ogni clan in cui mio padre ha stazionato.- le rivelò Lavellan, tranquillamente. -L'unico che conosco è davvero nato prima del tempo.-
-Lo è realmente, o anche nel suo caso è una scusa per mascherare una certa promiscuità?-
-Realmente. A mio padre non servivano scuse e, semmai le avesse volute, nessuno gliele avrebbe fornite.-
Adra sospirò. -Ciò non fa che confermare la mia teoria.- affermò. -Ma non ha importanza, davvero. Quando si è disperati, costretti a vivere in un'enclave, bisogna farsi crescere l'astuzia.-
-Già. Ho visto l'enclave di Porto Brullo. Non sono bei posti.-
-Non è nemmeno la peggiore. Denerim è desolante. Ci tornavo ogni inverno per visitare mia madre, poi quando sono riuscita a risparmiare una somma decente l'ho presa con me e non mi sono mai più guardata indietro.-
-Com'è che da Denerim è finita ad Altura Perenne? Non è esattamente dietro l'angolo.-
-Appunto per quello mi sembrava il posto perfetto per stare per conto mio.- rispose Adra, procedendo con perizia nel lavoro che stava compiendo. -Mia madre voleva una figlia, mio padre un figlio. Diciamo che per un po' ho accontentato lui, finché ho realizzato che non ne valeva assolutamente la pena. Dopo quella che lui chiamava una ribellione, lui e gli anziani dell'enclave mi hanno fatto velatamente capire che stavo attirando un po’ troppo l’attenzione e mi hanno dato un ultimatum.- fece una pausa. -“Torna a mettere i pantaloni, o te li infiliamo noi a forza.”-
Lavellan aggrottò la fronte. -Come ne è uscita?-
Adra si strinse nelle spalle. -La mia fuga non è andata poi così male, tutto considerato. Il precedente proprietario della bottega di Tholomeus mi ha offerto un lavoro come- aprì virgolette con un cenno della mano che reggeva l’ago -domestica per via della mia bella presenza e io ho accettato al volo. Quando ha realizzato che sapevo cucire decentemente, mi ha spostata subito alla sua bottega. Sai, prima che Tholomeus fosse un atelier era una cuoieria. È stato il mio lavoro sulla stoffa ad attirare l'attenzione della dinastia Theirin e, di conseguenza, la mia utilità come amante è cessata in virtù del mio valore come stilista.- lanciò a Lavellan un'occhiata veloce. -È davvero divertente vedere quanto velocemente gli uomini riescano a reprimere i propri istinti quando gli metti una borsa piena d'oro sotto al naso.-
-Divertente come il manrovescio di un qunari.- intervenne Lavellan, raccogliendo le mani in grembo. -Non ha mai pensato di venire da noi?-
-Dai Dalish, dice? Ammetto che il pensiero mi ha sfiorata un paio di volte, ma ho desistito istantaneamente, dato che l'unica cosa a cui avrei potuto fare l'orlo lì sarebbe stata la vela di un aravel.- rispose Adra. -Mi piace il mio lavoro, dottoressa. Se lo scotto da pagare per perfezionare la mia arte è l'anonimità, mi sta bene. Penso che sia lo stesso anche per lei, no?-
Lavellan sorrise appena. -Però il mio contrappasso non è poi così tanto severo. Non so se l'ha notato, ma la gente si prostra quando mi vede, chiamandomi "eminenza".-
Adra ridacchiò. -L'ho notato eccome! È uno dei motivi che mi hanno spinta a partecipare a questa pazzia. Lei e i suoi colleghi siete totalmente fuori di testa, nel modo migliore possibile. Penso che i nostri antenati ci stiano guardando dall'aldilà con il binocolo da opera, dividendosi una vasca di frutta secca.-
-In realtà, penso che siano molto confusi.- ammise Lavellan, spostando lo sguardo altrove.
Adra si soffermò a osservarla, poi chiuse l'orlo della manica e se lo appoggiò in grembo con cura. -Come si sente?- le domandò.
Lavellan la raggiunse con un'espressione curiosa. -Mi sento benissimo.- affermò. -Come le ho detto, non ho niente di cui lamentarmi.-
-La cosa mi sorprende. Una donna nella sua posizione ha sempre qualcosa di cui lamentarsi.-
-Non io.-
Adra si sfilò gli occhiali, riponendoli in una tasca del vestito, mentre assumeva un'espressione severa. -Sono un'Elfa anch'io, dottoressa, quindi so che certe cose passano inosservate agli occhi degli Umani.- iniziò. -L'ho osservata tanto, in questi giorni. Per una persona che conduce uno stile di vita come il suo, lei è pericolosamente sottopeso.-
Il viso di Lavellan prese immediatamente una sfumatura di perplessità, che corresse in sorpresa quando si rese conto delle implicazioni di quell’affermazione. -Ah.- disse, semplicemente.
-Ho vestito molte nobildonne, durante la mia carriera.- proseguì Adra. -Non è la prima figura importante con cui interagisco che ha problemi con il cibo.-
-Se non fosse che io non ho problemi con il cibo.- dichiarò Lavellan, con sicurezza. -Non i problemi che intende lei, almeno. È stato un periodo stressante, tutto qui.-
Adra studiò il suo viso con attenzione, poi annuì. -Capisco.- disse. -Quando avrà voglia di parlarne e nessuno con cui si sente a suo agio a farlo, sappia che sono a sua completa disposizione.- aggiunse, addolcendo il tono di voce.
Lavellan si alzò, raddrizzandosi la giacca nervosamente. -Non c'è niente di cui parlare. Come ho detto, è solo stress.- decretò. Fece passare qualche secondo, per riprendere il controllo, poi rivolse alla sua interlocutrice un sorriso tirato. -Grazie per la chiacchierata.- disse, allontanandosi verso l'uscita.
Adra la seguì con lo sguardo, finché non se ne fu andata, poi esalò un sospiro stanco, passandosi una mano sul viso.

Mancava solo una settimana e mezzo alla partenza per Halamshiral e l'Inquisizione intera era in fermento per terminare i preparativi tempestivamente.
Lavellan aveva appena concluso una discussione sulla logistica con Josephine, quando incontrò Cullen, nel salone. Più che incrociarlo, quasi lo travolse, perché diretta di rincorsa verso la Rotonda, dove Solas l'aspettava per il controllo periodico dell'Ancora.
Cullen la afferrò per le braccia giusto in tempo per evitare che gli andasse addosso, poi entrambi si scambiarono un sorriso imbarazzato.
-Ci siamo visti stamattina, eppure sembra che non stiamo insieme da settimane.- disse lui, una volta che lei ebbe finito di farsi visitare la mano. Si mossero verso l'esterno, in direzione del cortile.
Lavellan sospirò stancamente. -Perché è così.- affermò, dopo che ebbero disceso le scale d'accesso al mastio. -L'ultima volta che ci siamo ritrovati da soli ero talmente sfibrata che invece del rapporto sull'Accesso Occidentale ti ho fatto firmare una ricevuta d'acquisto.-
Cullen ridacchiò. -Ero esausto anch'io. Dovevi vedere la faccia che ha fatto Leliana quando le ho consegnato il foglio, totalmente ignaro del suo contenuto.-
-Coraggio! Finirà presto.- lo rassicurò lei, passandogli una mano sulla schiena.
-Lo spero, ma ho come l'impressione che i nostri problemi non scompariranno improvvisamente dopo il ballo.-
Lavellan gli scoccò un'occhiataccia. -Perché mi sono fidanzata con un brontolone?- borbottò. -Non ce la fai proprio a essere positivo, per una volta?-
Cullen sorrise, chinando la testa con aria divertita. -A dire il vero, ti stavo proprio cercando per darti una buona notizia.-
Lavellan osservò con aria perplessa un gruppetto di halla che pascolavano indisturbati tra i manichini d'allenamento. Li indicò al suo interlocutore con il pollice. -Ha a che fare con loro?- domandò.
-Un pochino.- rispose lui, porgendole l'avambraccio. Lavellan scorse un'occhiata inquisitoria sul suo viso, poi si lasciò condurre verso le scalinate che portavano al livello inferiore. Mano a mano che si muovevano, gli halla aumentavano di numero.
-Puoi darmi un indizio?- chiese Lavellan, spingendo con la mano libera il viso di un halla adolescente via da un cespuglio d'alloro, dannoso per il suo stomaco. Quello prese a trotterellarle appresso, scambiando il gesto per una carezza.
-Posso.- rispose Cullen, allegramente. -Siamo diretti alle stalle.-
-Dennet ha preso un cavallo nuovo? Un dracolisco?-
-Meglio.-
-Un unicorno di palude?-
-Per carità!-
Lavellan gli strattonò il braccio, gemendo un verso di fastidio. -Cullen, andiamo! Cos'è?-
Lui si limitò a rivolgerle un sorriso enigmatico, aumentando di poco il passo di marcia.
Raggiunsero lo stabile in poco tempo. Lavellan allora notò che gli halla erano presenti in gregge ed erano accompagnati da una discreta scorta di Dalish. Questi stanziavano attorno alle stalle, controllando che gli animali fossero al sicuro e guardandosi attorno con aria circospetta.
Lavellan riconobbe diversi membri del clan di Brecilian e del clan Ralaferin, tra cui due sue vecchie conoscenze: Mithra e Ashana, con cui aveva stretto amicizia durante l'ultimo Arlathven, dividendo con loro una delle migliori caccie della sua vita.
-Da'len!- la chiamò Ashana, rivolgendole un ampio sorriso.
Lavellan lasciò immediatamente Cullen per correre ad accoglierla. -Aneth ara, lethallin.- la salutò, dopo averla stretta tra le braccia. Porse lo stesso saluto a Mithra, che le appoggiò con decisione una mano sulla spalla.
Lavellan rise dalla felicità, saltellando sul posto per poi racchiuderle entrambe in un nuovo abbraccio. -Se è questa la sorpresa, puoi scordarti l'unicorno di palude!- disse, voltandosi appena verso Cullen, che si era messo a sedere sul bordo del pozzo che stava in mezzo al giardino delle stalle. In tutta risposta, lui rise a sua volta, scuotendo piano la testa.
Mithra si distanziò appena per scorrere su di lui uno sguardo dubbioso. -Siamo qui per onorare il Vir Sulevanin, Ankh.- annunciò, dopo che anche Ashana si fu allontanata. -La tua Inquisizione ci ha garantito passaggi sicuri durante tutto l'inverno, siamo qui per onorare il patto.-
Lavellan inarcò un sopracciglio. -Pensavo fosse stato ampiamente ricambiato.- ammise, rivolgendole un sorriso incerto.
-I nostri cacciatori sono ritornati in sicurezza e che ci hanno riferito di essere stati trattati da pari durante tutta la loro permanenza a Haven, grazie a te.- replicò Mithra. -Sono stati persino scortati dai vostri esploratori durante il tragitto.-
-Mi sembrava il minimo che potessi fare, dato che ci hanno aiutato in un momento di massima difficoltà.-
-Accetta e basta, da'len.- intervenne Ashana, carezzando gentilmente il dorso di un halla che si era avvicinato per partecipare alla conversazione. A dire il vero, non era il solo ad aver mostrato interesse per il dialogo.
Lavellan si voltò di scatto verso le stalle, soffocando un gemito di sorpresa mentre le corna imponenti di un cervo halla facevano capolino dalla porta d'ingresso, seguite dalla massiccia presenza del loro proprietario. Aveva il manto color terra bruciata, smezzato da sfumature crema e da un folto ciuffo che discendeva dai palchi alle narici, poi era alto il doppio degli esemplari che costellavano il cortile e le sue zampe erano lunghe e muscolose.
Curioso, l’halla rosso si mosse lentamente verso il gruppetto, allungando il muso in direzione di Ashana per ricevere una coccola a sua volta.
-Li abbiamo scortati fin qui da Brecilian.- disse Mithra, mentre Lavellan si sporgeva per accarezzare il muso del nuovo arrivato, osservandolo con aria rapita. -Le Guardiane si sono raccomandate di consegnarli direttamente nelle tue mani.- aggiunse, scoccando un'occhiataccia nei confronti di Mastro Dennet, che stava riempiendo una mangiatoia di biada e radice elfica.
-Gliel'avevo detto che non ne aveva idea, Inquisizione!- esclamò quello, realmente divertito dalla situazione.
Lavellan allora si rese conto della presenza di un Passosicuro e di un Reale Sedici, che esploravano le stalle con aria curiosa. -Non so cosa dire, lethallin. Grazie.- mormorò, grattando il cervo sotto al mento. Si voltò allora verso Cullen, che indossava un sorriso soddisfatto. -Da quant'è che lo sapevi?- gli domandò.
Lui fece spallucce, fingendo noncuranza. -Da qualche giorno. Ero stanco di sentirmi dire "non ne ha idea, non ne ha proprio idea" e sono andato a chiedere spiegazioni a Leliana.- rispose.
-Però quando gliel'ho chiesto io non ha voluto rispondermi.- protestò Lavellan.
-Perché le ho detto espressamente di non farlo.- ammise lui, ridendo. -Ne è valsa la pena, eh, mastro Dennet?-
-Oh, decisamente!- replicò quello, osservando con soddisfazione il Reale Sedici mentre si abbuffava di biada. Il Passosicuro, nel frattempo, si era avvicinato al pozzo, per annusare i fiori bianchi che crescevano attorno a esso. Cullen allungò una mano nella sua direzione per accarezzarlo, ma venne costretto a fermare l'azione a causa di un'occhiataccia di Mithra. Allora, giunse le mani in grembo, spostando lo sguardo altrove. -Belle bestie.- commentò, visibilmente abbacchiato
-Ce ne sono pochissimi al mondo.- disse Lavellan, rivolgendo un bel sorriso all'halla rosso con cui stava facendo amicizia. -Il mio clan ne ha accolti un paio nel branco, quando ero ancora una bambina.- fece una pausa. -Era come se Ghilan'nain stessa fosse venuta da noi, per guidarci.- aggiunse, in un sussurro.
Ashana la raggiunse con una sella e delle briglie che posò su un ceppo limitrofo. -Sono certa che fosse così. Questi tre hanno scelto di venire qui di loro spontanea volontà. Trattali con rispetto.-
-Non serve che me lo dica.- disse Lavellan, che nel frattempo stava facendo amicizia anche con il Passosicuro, che le si era avvicinato con aria curiosa. -Mastro Dennet dovrà impedirmi di viziarli.- ammise, passandogli una mano sul dorso.
Ashana la guardò con aria di rimprovero. -Sarà quello shem a occuparsene?- domandò.
-Non essere diffidente. Mastro Dennet è lo stalliere più competente che conosco. Non affiderei questo lavoro a nessun altro.-
Mithra e Ashana si scambiarono un'occhiata tinta d'inquietudine. -Ankh, ne sei sicura?- domandò la seconda. -Sono più che rari. Un segno che i Numi vegliano sul tuo cammino.-
-Non è proprio possibile che sia uno di noi a occuparsene?- intervenne Mithra, avvicinandosi a Lavellan di un passo. -Hanno bisogno di qualcuno che li capisca e gli shem sono noti per trattare le loro cavalcature come bestie.-
-Mastro Dennet è con l'Inquisizione fin dall'inizio. Mi fido di lui incondizionatamente.- ribatté Lavellan, con decisione.
-Incondizionatamente?- ripeté Mithra, scettica. -Non è dei nostri, da'len. Arriva sempre il momento in cui gli Umani si ritrovano a scegliere tra la nostra amicizia e il loro benessere. Non serve che ti dica quale sia il risultato di questo dilemma morale.-
Lavellan si dovette impedire di rispondere a tono. -Non sono i banditi che scacciamo dal perimetro dell'accampamento, sono famiglia.- disse.
-Una famiglia che, se non stai attenta, ti assalirà alle spalle quando non gli sarai più di nessuna utilità.- intervenne Ashana, dubbiosa quanto Mithra.
-Non è stato il tuo clan per primo a incoraggiare la comunione culturale con le altre razze?- domandò Lavellan, appoggiando le mani sui fianchi, irritata. -So chi sono, so da dove vengo e sono in grado di distinguere gli amici dai nemici.-
-Non ci stiamo riferendo solo a uno stalliere.- suggerì Mithra, abbassando drasticamente il tono di voce. -Gli Umani ti chiamano Araldo di Andraste. La donna che ci ha promesso le Valli che i suoi seguaci poi ci hanno tolto. Va sempre a finire così, con delle concessioni, come se avessimo bisogno della loro carità.- le appoggiò una mano sulla spalla. -Non ti avrebbero mai dato questa carica se non fosse stata giustificata dalla benedizione della loro santa eroina.-
-Non è assolutamente vero.- intervenne Cullen, rimettendosi in piedi. -Lavellan ricopre la carica di Inquisitrice per merito, non per concessione divina.-
-Se fosse semplicemente una sopravvissuta del Conclave, scevra di magia del Velo, a quest'ora sarebbe ancora incatenata nelle segrete della vostra chiesa, accusata ingiustamente di una tragedia di cui non è stata responsabile.- precisò Mithra, fulminandolo con lo sguardo. -Non prendiamoci in giro.-
Lavellan alzò immediatamente una mano in segno di ferma. -Apprezzo che mi vogliate difendere, ma non sono una sprovveduta, lethallin. Così come io mi sono dovuta guadagnare la loro fiducia, loro si sono dovuti meritare la mia e adesso siamo in un rapporto di parità.- fece una pausa. -L'Inquisizione è tanto degli Umani quanto delle altre razze, Elvhen in primis.-
Mithra sbuffò una risata secca, spostando un’espressione scettica altrove. -Sei un simbolo, un feticcio, un mezzo per chi ti sta intorno di fare il suo gioco. Per loro avrai importanza finché conviene, poi…- lasciò la frase a mezz’aria, per indicare con enfasi i cancelli di Skyhold.
Lavellan rimase in silenzio per diversi istanti, senza togliere alla sua interlocutrice gli occhi di dosso. -Li varco ogni volta che rischio la vita in prima linea per difendere chi è disperato. Perché chi è disperato non riflette, io sono quella che riflette al posto suo.- disse, esibendo una tranquillità esemplare, nonostante fosse stata posta di fronte all’ennesima valutazione denigrante.
-Questo finché sarai al comando.- intervenne Ashana.
-E sta' sicura che non mi schioderò dalla fottuta poltrona fino allo scioglimento dell’Inquisizione.- affermò Lavellan, con sicurezza. -Nel frattempo, potete rassicurare i Guardiani che possono contare sul mio supporto incondizionato per qualsiasi cosa, anche senza avvalersi del Vir Sulevanin.-
Le due la osservarono a lungo, poi Mithra esalò un sospiro stanco. -Vogliamo solo il tuo bene, da'len.- mormorò, passandole una mano sul braccio. -Il nostro è un legame che non si spezza facilmente, al contrario del concetto volubile di amicizia degli Umani. Quando arriverà il momento in cui sarai in difficoltà, non dimenticarti la via di casa.-
Ashana si sporse direttamente verso di lei, avvolgendola in un bell'abbraccio al quale si aggiunse anche Mithra, quasi subito. Lavellan ricambiò, cercando di deglutire il nodo in gola che le provocava poter finalmente interagire con la sua famiglia di sangue, quella santificata dal vincolo del Vir Tanadhal. Assorbì quell'affetto il più a lungo possibile, soffrendo incredibilmente quando le due si distanziarono, per rivolgerle un sorriso emozionato tanto quanto quello che stava indossando lei.
-C'è, ah...- Lavellan si schiarì la voce. -C'è un buon pascolo, poco distante da qui. Se Tarasyl'an Te'las non vi sembra sicuro per gli halla, potete accamparvi lì. Vi accompagnerò io stessa.-
Mithra lanciò un'occhiata veloce a Cullen. -Ma serannas, da'len.- disse. -Ma hanno già pensato a tutto i tuoi collaboratori. Mi auguro che verrai a farci visita nel pomeriggio, così potremmo condividere un po' di racconti.-
Ashana ridacchiò. -Abbiamo sentito che hai cacciato tre draghi.- disse, pizzicandole il mento con affetto.
-Quattro.- precisò Lavellan, rivolgendole un sorriso malizioso. -L'ultimo sputava ghiaccio.- aggiunse, voltandosi appena verso Cullen, ancora infastidito da quello scambio. -Vi farò un resoconto dettagliato dello scontro, più tardi.-
Ashana e Mithra accettarono quella promessa con piglio soddisfatto, poi entrambe si congedarono.
-Falon'Din'enaste, lethallin.- le salutò Lavellan, rivolgendo a entrambe un sorriso pieno. -Dareth shiral.-
Le due ricambiarono, poi si diressero verso il gruppo di Elfi che le stavano aspettando, radunando gli halla per raggiungere il loro accampamento fuori dalla fortezza.
Lavellan allora tornò a coccolare l'halla rosso, con aria malinconica, aspettando che Cullen la raggiungesse per sorridergli. Lui, che era tutto fuorché allegro, sbuffò un sospiro dal naso. -Lo so che non si fidano, ma sentirle mettere in dubbio il nostro rapporto in quel modo non è stato piacevole.-
Il sorriso di Lavellan prese una sfumatura malinconica. -Lo so.- mormorò.
Lui, che era già pronto a stilare un panegirico dedicato a lei e all’Inquisizione, si impose di bloccarsi. A sorpresa, dato che non era incline alle dimostrazioni pubbliche d’affetto, le circondò le spalle con un braccio, traendola a sé quel poco che bastava per trasmetterle la sua vicinanza.
Lavellan deglutì, mentre raggiungeva con le dita il fazzoletto che portava al collo, il suo pegno. -Una cosa non esclude l’altra.- disse, mantenendo basso il tono di voce.
-Pensavo che sarebbe stata una bella sorpresa.- si giustificò lui, altrettanto fiocamente. -A saperlo, ti avrei avvisata.-
Lavellan strinse la presa sulla stoffa, mentre cercava delle parole adatte da offrirgli. -Lo è stata, vhenas, non preoccuparti. Ci sono abituata.-
-Non dovrebbe essere così, vita mia. Non devi provare niente a nessuno.-
In risposta a quella rassicurazione essenziale, lei si costrinse a scrollarsi di dosso l’atteggiamento difensivo che si ritrovava ad assumere quando chi le stava attorno dubitava della sua persona e del suo giudizio, proprio perché Cullen era lì per contraddire quella valutazione ingiusta. Fece un respiro profondo, poi raggiunse la mano libera del suo compagno per sollevarla. La portò di fronte al naso dell'halla rosso, che l'annusò con aria curiosa, poi la lasciò, permettendo all'animale di strusciarci il muso.
Fu amore a prima vista, per entrambi, perché la cavalcatura riconobbe al volo la mano del cavaliere, intuendo che di fronte a essa ci fosse un individuo che la rispettava. Lui, di rimando, si rendeva perfettamente conto del senso di orgoglio che emanava la creatura e ricambiò quel rispetto fin dalla prima carezza.
Cullen però ci stette davvero poco a coccolarla, sovvertendo le aspettative di Lavellan, che era certa di avere intravisto la delusione nel suo sguardo quando gli era stato impedito di approcciare il Passosicuro. Prima ancora che potesse articolare una domanda, quelle stesse aspettative che erano state sovvertite si ritrovarono a fare i conti con un’asticella che scattava più in alto di diversi tasselli.
Infatti, lui appoggiò la mano libera sul suo viso, la attirò lievemente a sé e la baciò.
Si trattò di un bacio breve, delicato, di conforto, seguito dal dolce sfiorarsi delle loro fronti. Ogni intervento esterno apparve attutito, schermato da una barriera protettiva al cui interno esisteva solo un gran senso di sollievo.
Cullen indugiò sul labbro inferiore di Lavellan con il pollice, sfiorandolo delicatamente, poi le consegnò un nuovo bacio, altrettanto pacato.
-Pensavo volessi mantenere un atteggiamento professionale, quando siamo fuori.- sussurrò lei, agognando un’intensità che non era il caso di esibire in pubblica piazza.
Lui, che era nelle stesse condizioni, sorrise istintivamente. -Tu sei più importante.-
Era una rassicurazione molto potente, nonostante fosse mascherata da parole semplici; Lavellan poteva sentirla fisicamente.
Fu lei a innescare il terzo bacio, così come fu lei a prendersi la responsabilità di smorzare la tensione che percepiva chiaramente nell’aria che li circondava, frizzante come il profumo di essenza di elettricità che emanava la persona che amava.
-D’accordo, puoi assistere Mastro Dennet mentre gli dà da mangiare.- disse, con una voce forzatamente lamentosa. -Non serviva dare spettacolo.- finse di rimproverarlo, per permettergli di prendersi i suoi spazi, uscendo da una situazione rischiosa.
Lui ridacchiò. -Ah, no?- domandò, guardandola come se effettivamente fosse l’unica cosa che contasse per lui in quel momento.
Lavellan, realizzando che non si era ancora distanziato, reciprocó il suo sguardo. -No, ma se per buona misura mi baciassi di nuovo, non mi verrebbe da lamentarmi.-
-Cos’è, un invito?- mormorò lui, posando gli occhi sulle sue labbra, mentre le sorrideva in maniera intrigante.
-Una raccomandazione.- precisò lei, appoggiando le mani sul suo petto. E quell'ultimo bacio che si scambiarono le confermò che lui non aveva per niente intenzione di lasciarla andare.
Il pensiero che lui diventasse la costante che dissipava la sua confusione le restituì la tranquillità che era sicura di aver perso da che aveva affrontato le Valli. Assegnargli la responsabilità di essere la sua vhenas non sembrava così gravoso, anche perché lei sapeva che era una rivendicazione condivisa.
-Tornerai da loro, quando tutto sarà finito?- le domandò Cullen, schiudendo lo sguardo dopo l'ennesimo bacio idiomatico di un desiderio più profondo. Evidentemente, anche lui era arrivato alla conclusione che era il caso di allentare la tensione.
-Dipende da come finirà.- ammise lei. -Dovrò tornarci per forza, comunque.- gli rivolse un sorrisetto. -Non è forse costume umano conoscere i parenti della propria compagna per rassicurarli sulle proprie intenzioni, quando le cose si fanno serie?-
Cullen soffiò una risata nervosa, spostando lo sguardo altrove. -Benedetta Andraste, e io che speravo che aberrassi certe tradizioni.-
Lei inarcò un sopracciglio. -Quindi non sei proprio… contrario all'idea di conoscerli.-
Di fronte a quell'intervento, lui rimase interdetto. Per un attimo parve regredire a quei tempi in cui non riusciva a ragionare di questioni private con lei per paura che le cose si facessero troppo personali.
-Lo so, è presto per parlarne.- si affrettò a dire Lavellan, ritornando ad assumere un'espressione malinconica. -Lasciami un po' perdere su queste cose, tendo a proiettare la mia testa troppo avanti nel futuro quando sono presa da un'idea. E tu, onestamente, sei un'ottima idea.-
Lui si prese qualche secondo per studiare il suo viso, come se stesse cercando le parole adatte per esprimersi, poi esalò un sospiro nervoso. -Non voglio lasciarti perdere.- ammise. -Mi andrebbe di…- fece una pausa, per rivolgerle un'occhiata decisa. -Fare quello che va fatto, insomma.-
Fu il turno di Lavellan di rimanere interdetta.
A quella reazione, lui reagì con un'espressione colpevole. -Solo perché voglio andarci piano, non significa che le mie intenzioni nei tuoi riguardi siano superficiali.-
-Non l'ho mai pensato, vhenas.- lo rassicurò lei. -Peró, ecco, per me questa è una cosa nuova.- sorrise, con aria incerta. -Di solito, se ne vanno prima.-
-Pensi che non durerà?-
-Con la sfortuna che ho, è una possibilità.-
-E poi sono io il pessimista!-
Lavellan lo ringraziò di cuore, mentalmente, per quell'uscita. Si ritrovò a buttare fuori una risata, alla quale si unì anche lui, poi lo abbracciò, per quanto la sua armatura glielo permettesse, guardandolo con un'intensità tale da dimostrargli che anche per lei quando erano insieme non esisteva altro al mondo.
Purtroppo, quell'"altro" si manifestò prima del previsto, sotto forma di soldato.
-Comandante?-
-Puó aspettare.- decretò Cullen, rispondendo al nuovo arrivato senza togliere gli occhi di dosso a Lavellan.
-Signore, non la disturberei se non fosse urgente.- tornò alla carica il soldato, con una punta di nervosismo nel tono di voce.
Lavellan, pur soffrendo dello stesso fastidio del suo compagno, si sforzò di fare un passo indietro, metaforicamente e fisicamente. Si allontanò appena, seguita dall'espressione desolata di Cullen.
Quest'ultimo esalò un sospiro stanco, poi si voltò verso il suo sottoposto. -Dí al Capitano di passare nel mio ufficio. Vi raggiungerò fra cinque minuti.-
-Il Capitano, signore?-
-Il Capitano Rylen, chi altri?-
Ci fu un istante di silenzio, in cui Lavellan tentennò e il soldato assunse un'espressione smarrita. -Il Capitano è tornato?- domandò il secondo.
Cullen ammiccò, altrettanto confuso. -Tornato?- gli fece eco. Gli ci volle un istante per prendere coscienza di quello che stava capitando. -Vedi cosa succede a dormire con un buco sul soffitto? Prende freddo il cervello.- borbottò, con tutta l’intenzione di minimizzare. -Trova Ser Camille e spiegale la situazione. Vi raggiungo subito.- ordinò.
Il soldato si mise sull'attenti e si dileguò, lasciandoli soli.
Lavellan scorse uno sguardo preoccupato sul suo compagno, che dissimulò con un sorrisetto e un'alzata di spalle. -La vecchiaia che avanza.- scherzó lui.
Lei però, al contrario del soldato, non si bevve quella scusa. -Che succede, vhenas?- chiese, abbassando il tono di voce.
Cullen si sporse su di lei per sfiorarle le labbra con un bacio. -Succede che dovremmo tornare. Ho ancora un sacco di lavoro da sbrigare e Leliana si starà chiedendo che fine hai fatto.- disse.
-Dovremmo anche stare un po' da soli.- mormorò Lavellan, realizzando che in un contesto del genere non si sarebbe mai aperto con lei. -Ceniamo insieme, stasera. Ti prego.-
Lo sguardo di Cullen assunse una sfumatura di desolazione. -Stasera devo istruire la scorta designata per il ballo, amore mio, mi dispiace. Potrei passare più tardi, però.-
Lei schioccò la lingua sul palato, spostando uno sguardo seccato altrove. -No, sarò impegnata tutta la notte con le prove del vestito.-
Cullen annuì piano, poi fece un respiro profondo e tornò a sorriderle. -Non ce la facciamo proprio, eh?- disse, prendendola sottobraccio per guidarla verso la sala del consiglio.
-A quanto pare.- affermò lei, ricambiando con un sorriso macchiato di nervosismo. Ed entrambi proseguirono silenziosamente verso l'obiettivo, con la delusione dipinta in faccia.


 



-Nota-

Questo capitolo in una gif: https://i.makeagif.com/media/1-18-2016/IG0pka.gif
Bonus: “Sarebbe ora che se li togliesse”
Lav: https://media.tumblr.com/dfa46f83bd9a8a24f473babccf41adbe/tumblr_inline_n3coyiMJqX1qkosys.gif
Trash a parte, stesso disclaimer che feci per il capitolo 4: se il modo con cui sto trattando certi temi risultasse superficiale, od offensivo, non fatevi problemi a dirmelo, in modo che possa sistemare le cose.

 

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Capitolo 20
*** Reale ***


CW: Episodio psicotico acuto

 

19 - Reale

 

Non era iniziata come la migliore delle giornate, per Cullen.
Indossava un cerchio alla testa da prima dell'alba e i preparativi per il ballo al Palazzo d'Inverno l'avevano impegnato per gran parte della mattinata, accrescendo il suo malessere. Arrivò per ultimo in sede di consiglio, con Rylen che gli leggeva un rapporto appena giunto, riga per riga.
-Mi serve una soluzione immediata.- disse Lavellan, con lo sguardo fisso su Josephine. -Se tardiamo anche solo di un minuto, potremmo perderli.-
-Possiamo intervenire.- intervenne Cullen, recuperando il rapporto dalle mani del suo secondo in comando. -Abbiamo un gruppo nei paraggi che sta seguendo un'avanguardia dei Templari Rossi. Potremmo dispiegarli in difesa dei nostri. Lo sconsiglio, ma è un'opzione.-
-Elabora.-
-Ho motivo di sospettare che quei Templari stessero catturando dei civili per trasferirli in una delle loro miniere di lyrium rosso. Se facessimo deviare il gruppo, perderemmo le loro tracce. In più, rischieremmo le vite dei civili già catturati e di molti altri.-
-Ma riusciremmo a preservare le nostre truppe e a trarre in salvo sorella Paulette.- disse Josephine. -Sono pur sempre i nostri soldati. Non possiamo abbandonarli.-
-Sono preparati al sacrificio. Capirebbero che non abbiamo avuto altra scelta.- ribadì Cullen, rauco. Si schiarì la voce, poi recuperò un boccale dal tavolo e bevve un sorso d'acqua. -Inoltre, se inviassimo dei soldati da Skyhold, arriverebbero troppo tardi.- si passò una mano sulla gola, totalmente riarsa.
-Una scelta difficile.-
Cullen sollevò lo sguardo su Leliana, anche se era certo che non fosse stata lei a parlare. Le rivolse un cenno d'assenso, attirandosi un'occhiata perplessa in tutta risposta.
-La soluzione sarebbe...- iniziò Lavellan, fornendo al gruppo una replica che arrivò distorta e lontana alle orecchie di Cullen, sovrastata da un fischio basso che gli regalò un brivido lungo la schiena. Non si trattava di un rumore limpido, era piuttosto una vibrazione sonora, come se qualcuno stesse percuotendo la pancia di un liuto rotto con un accordatore.
Rivolse l'attenzione a Lavellan, che lo fissava con insistenza. Attorno a lei, l'aria vibrava del calore profuso dal suo corpo; a dire il vero, ogni elemento della stanza era circondato da un'aura di calore, come se fossero stati lungamente esposti alla luce di un sole estivo.
-Ser Cullen?- si sentì chiamare, con rabbia, dal suo secondo. -Comandante?-
Eppure Cullen, ancora una volta, avrebbe giurato che nessuno avesse aperto bocca. Difatti, Rylen era impegnato a scrivere una nota, a qualche metro di distanza dalla discussione.
-Comandante!-
Cullen sobbalzò, riconoscendo la voce dell'Inquisitrice. -Posso pensarci subito.- disse, intuendo di dover essere lui a procedere. -Continuiamo a perseguire i Templari?-
-Mi sembra ovvio che abbia compiuto quella scelta.- gli rispose Josephine, perpetrando quella stranezza telepatica che il gruppo pareva condividere. -La priorità sono i civili. È la soluzione logica.-
-Lo so.-
Si ritrovò assediato da tre sguardi confusi. -Come hai detto?- gli domandò Josephine.
-Ti davo ragione. È la soluzione logica.- rispose Cullen, recuperando di nuovo il boccale per bere. Faceva un caldo immane e la sua gola non riusciva a trovare sollievo. Era come se fosse rivestita da un tessuto ruvido e idrorepellente.
Josephine inarcò un sopracciglio. -Va tutto bene?-
Cullen si pulì la bocca con il dorso della mano, osservandola con sospetto. Eppure, era certo di averla sentita parlare.
-Forse dovresti controllarti le orecchie.-
-Le mie…?- Cullen alzò di scatto la testa, sgranando lo sguardo verso la parte opposta del tavolo. Una poltiglia incandescente si stava arrampicando su di esso. Mentre si muoveva, sezioni di carne bruciata viaggiavano lungo tutto quel corpo, che grondava materia mielosa sul tavolo e sul pavimento.
-Ah...- Cullen distolse immediatamente lo sguardo, sfregandosi le mani in un unico gesto nervoso. -Sì, va tutto bene. Stavo riflettendo a voce alta.- si scusò, cercando di ignorare il demone che si disperdeva sul tavolo come una colata d'olio bollente, ferendo le mani di Leliana e divorandole fino all'osso, producendo un attrito effervescente. -Invierò subito un corvo.- disse, tastando il tavolo con mani tremanti per recuperare un foglio di pergamena. La poltiglia glielo impedì, avvolgendo tra le sue spire incandescenti carta e calamaio, facendogli ritrarre immediatamente le dita, ustionate.
-Rylen, prendi il suo posto.-
Cullen alzò uno sguardo sconvolto su Lavellan, che lo guardava con un'espressione intrisa di rabbia. Il demone si stava arrampicando sulle sue braccia, sciogliendo i suoi vestiti e la sua carne, bruciandole i capelli. -Esci, vai a farti una passeggiata e dormi un po'. Non mi servi in questo stato.- disse lei, con la voce distorta dal calore.
-Sono in grado di fare il mio lavoro. È solo un mal di testa.- si difese Cullen, sforzandosi di concentrarsi. Sapeva che niente di quello che gli stavano presentando i suoi sensi era reale, doveva solo liberare la testa.
-A quanto pare non è solo un mal di testa.- rispose il demone, corrodendo il viso di Lavellan con una carezza.
Rylen gli appoggiò una mano sul braccio, spingendolo appena nel prendere il suo posto al tavolo.
-Non è reale.- mormorò Cullen, posandosi le dita sulle tempie nel chiudere gli occhi. -Non è...-
-Comandante?-

Si svegliò di soprassalto, nel suo ufficio.
Era seduto alla sua scrivania, con la parte superiore del corpo protesa verso la mappa, il capo racchiuso tra i suoi avambracci e le dita allacciate tra loro, in preghiera.
China su di lui c'era Cassandra, che lo osservava con una vena di preoccupazione nel suo sguardo severo.
-I soldati... Templari rossi.- bofonchiò Cullen, sentendo gli eventi del consiglio di guerra scuotergli la memoria e rievocare il senso d'urgenza che aveva provato nell'esporre la sua idea.
Cassandra aggrottò la fronte. -Non ci pensare. Hai appena avuto una crisi.- disse, passandogli una mano sulla schiena. -Cos'hai visto?-
Cullen si passò una mano sul capo, poi raccolse un bicchiere d'acqua dal tavolo, vuotandolo con grandi sorsate. -Un demone dell'Ira.- rispose, con una smorfia di sollievo per essere riuscito a placare, in parte, il senso di arsura che tormentava la sua gola. -Come sono arrivato qui?-
-Da solo.- replicò Cassandra, drizzando la schiena per poi raggiungere il capo opposto della scrivania. -Leliana mi ha fatta convocare immediatamente. L'hai fatta preoccupare.-
Cullen deglutì, serrando la mascella. Si prese qualche istante per riprendersi, poi rivolse alla sua interlocutrice un'occhiata desolata. -Non era mia intenzione.- disse.
-Va tutto bene, Comandante. È il lyrium. Sapevamo a cosa saresti andato incontro quando hai deciso di smettere di assumerlo.-
-Pensavo che le allucinazioni sarebbero cessate, dopo qualche mese.-
-Siamo in un terreno sconosciuto, Cullen. I pochi che ci hanno provato, prima di te, o sono morti, o sono impazziti. Possiamo ritenerci fortunati che la tua croce si limiti ai mal di testa e alle visioni sporadiche.-
Cullen sospirò. -Fortunati.- ripeté, con scetticismo. -Ho scritto più biglietti di scusa nell'ultimo anno che rapporti militari in vent'anni di servizio.-
Cassandra gli rivolse un sorriso rassicurante. -Esagerato! Non ne ho contati così tanti.- fece. -Te la senti di discutere con me di ciò che stavate discutendo in mia assenza? Sono stata trattenuta in cortile da Ser Denam.-
Cullen fece per rispondere, ma si vide costretto a rinunciare. Osservò Cassandra con attenzione, poi ritrasse appena la testa, dubbioso. -Il Capitano Denam?-
Cassandra inarcò un sopracciglio. -Qualche problema?-
-Il Capitano Denam che hai sconfitto durante l'assedio di Haven assieme all'Inquisitrice?- precisò Cullen, sentendo lo stomaco annodarsi in risposta al sospetto.
Cassandra prese a guardarlo con un accenno di preoccupazione. Fece un passo in avanti, appoggiando una mano sulla scrivania. -La situazione è più grave del previsto.- ammise. -Cullen, sono io l'Inquisitrice.-
Il cuore di Cullen prese a battergli furiosamente nel petto, mentre il suo sguardo andava via via sgranandosi. -Non è possibile.- sussurrò, chinando il capo verso la mappa distesa sul tavolo. Solo in quel momento realizzò che non era quella che usava consultare religiosamente durante le riunioni con i suoi sottoposti. Era una cartina del Ferelden e Skyhold era inesistente. Persino le sue note, a margine, sembravano scritte da una mano diversa.
-Credi davvero che ci sia stato un assedio alla sede del Conclave?- gli domandò Cassandra. -La Divina Justinia ha disposto misure di sicurezza invalicabili. L'unico tentativo di sabotaggio che abbiamo riscontrato è stato sventato immediatamente.-
-Cos'è, uno scherzo?- sbottò Cullen, alzandosi di scatto.
-No, non è reale.- rispose Cassandra, senza aprire bocca.
-Mi sembra ovvio che non lo sia. Se non c'è stata nessuna esplosione, la Divina è sopravvissuta...- Cullen si dovette fermare, stordito da quell'idea. Le gambe gli cedettero e una forza sconosciuta lo costrinse a tornare a sedere, ammutolendolo di conseguenza.
Percepì nuovamente un calore incredibile, ma stavolta proveniva da se stesso. Sentiva ogni centimetro del suo corpo bruciare e vedeva i contorni delle sue dita sfocati, dato che era accecato dalle lacrime e dal sudore che scendeva copioso dalla sua fronte.
-Non. È. Reale.- scandì la voce di quella che non era Cassandra.
Cullen strinse i denti e chiuse gli occhi, ripetendosi quelle parole ancora e ancora nella sua testa, finché il calore scomparve, lasciandolo a fissare il soffitto dei suoi alloggi a Skyhold, inebetito dallo sforzo.
-Comandante?-

Cullen scattò a sedere, guardandosi intorno nervosamente. Era effettivamente salito di un piano senza rendersene conto e, altrettanto inaspettatamente, si ritrovava disteso a letto. In più, china su di lui c'era Lavellan, che lo osservava con aria curiosa.
Nel vederla, un gran senso di sollievo pervase il suo corpo, permettendogli di rilassarsi. Si mise immediatamente sulle ginocchia, prese il suo viso tra le mani e la baciò.
Ogni dubbio che aveva sulla validità della realtà che lo circondava si dissipò grazie alla carica emotiva sprigionata da quel bacio. Riconosceva il sapore di quelle labbra piene e seccate dal sole, sentiva il profumo di fiori e rabarbaro profuso dai suoi capelli appena lavati, percepiva la punta del suo naso, sempre fredda, che gli carezzava le guance mentre ricambiava il suo bacio con altrettanta passione. Lei era reale, tanto reale da farlo sentire finalmente al sicuro.
La prese tra le braccia e la trascinò sul letto, continuando a baciarla come mai aveva fatto, passando entrambe le mani sui suoi capelli e sul suo corpo, attirandola a sé perché anche solo l'idea di separarsi da lei gli faceva temere di ritornare nel precario stato di delirio che l'aveva sconvolto fino a quel momento.
-Pensavo che non sarebbe mai successo.- mormorò lei, tra le sue labbra, inarcando la schiena per permettergli di sfilarle la giacca.
Cullen sbuffò una risata imbarazzata. -Prima o poi doveva succedere, no?- disse, scostandosi appena per guardarla negli occhi.
Lavellan aggrottò la fronte, rivolgendogli un'occhiata divertita. -Conoscendoti, mi sarei aspettata che prima ti saresti degnato di fare quattro chiacchiere con Hawke.- replicò.
Cullen si fermò di colpo. -Cosa c'entra Hawke?- domandò, ridendo nervosamente.
Lavellan gli appoggiò una mano sul petto, scivolando sul materasso per acquisire un po' di distanza. Lo guardò con aria confusa, inclinando la testa di lato.
Non più accecato dall'istinto, Cullen si rese conto che la persona che aveva davanti non era la stessa che aveva visto poche ore prima, in sede di consiglio. Era Lavellan, quello era indubbio, ma aveva uno sguardo diverso e portava i capelli così come li teneva durante i mesi trascorsi ad Haven, prima di transigere che la sua diffidenza nei confronti degli Umani cessasse, abbracciando pienamente il suo ruolo di Araldo di Andraste.
-Non è reale.- mormorò, sconfitto dall'evidenza di ritrovarsi nell'ennesima illusione causata dal lyrium.
-Hawke è reale.- affermò Lavellan, appoggiandogli una mano sul braccio.
-Aiutami a pensare.- disse Cullen, imponendo una distanza maggiore per ricomporsi. -Com'è possibile che stia durando così a lungo? Non è una semplice allucinazione, questa è tortura.- gemette.
Lavellan, che si stava infilando nuovamente la giacca, gli rivolse un'occhiata perplessa. -Stai avendo delle allucinazioni?-
-L'astinenza da lyrium può portare anche a questo. Di solito sono molto intense nei primi mesi, ma dopo diventano meno frequenti e non sono altrettanto debilitanti.-
-Astinenza?- Lavellan sbuffò una risata, ma quando vide che la persona che aveva davanti non stava scherzando, gli indicò con un cenno il comodino accanto al letto. Con orrore, Cullen notò un mucchio di fiale di lyrium vuote, sparse lungo tutta la superficie del mobile.
Guardò subito se stesso, riconoscendo la tesa definizione dei muscoli che aveva prima di smettere con l'assunzione. Quella regressione a uno stato fisico malsano lo destabilizzò maggiormente.
-Non prendo lyrium da...- ci pensò attentamente. Quanto tempo era passato dall'ultima dose? Un anno? Due mesi? Da quanto tempo andava avanti quella fantasia?
Ogni muscolo del suo corpo acquisì una pesantezza immane, facendo sì che si curvasse in avanti.
-Non è reale.- mormorò, di nuovo.
-D'accordo, adesso mi stai spaventando.- disse Lavellan, alzandosi immediatamente dal letto. Allungò una mano verso di lui, con insistenza. -Vieni con me.-
Cullen sapeva che quella era una pessima idea, che doveva continuare a rifiutare quella realtà così come aveva fatto con le altre. Eppure, la sua mente era stanca di combattere, voleva solo delle risposte e Lavellan ne era una fonte inesauribile. Allora, dopo un tempo indefinibile, afferrò quella mano e subito si ritrovò catapultato nel giardino di Skyhold, uno splendido chiostro dedicato ad Andraste.
Si disse che anche quello era un dettaglio inesatto, ma preferì ignorare qualsiasi segnale d'allarme per seguire Lavellan. Era un'azione stupida e lui sapeva che non era la strada corretta da percorrere, ma voleva farlo. Il suo istinto gli diceva che facendo in quel modo sarebbe stato al sicuro.
Raggiunsero una panchina in pietra, circondata da fiori rossi e lei lo fece sedere, rassicurandolo che sarebbe tornata presto.
Cullen si fidò delle sue parole, immediatamente. Il giardino era sereno e lui aveva davvero bisogno di riposare. Chiuse gli occhi, inspirando profondamente il delizioso profumo di rose che aleggiava nell'aria fresca primaverile. Era un ricordo di casa, precisamente di un roseto nascosto a Honnleath, che sua sorella osservava tra le fessure di un cancello di pietra, sognando che un giorno ne avrebbe creato uno per sé e per la loro madre.
Sorrise al ricordo di Mia che si arrampicava su quel cancello e rovinava regolarmente a terra con una manciata di petali stretti nel pugno e le mani tempestate di tagli e spine. Gli tornò alla mente che, cavallerescamente, aveva provato lui stesso a cogliere una rosa per farla contenta, ma si era slogato un braccio nel processo e aveva dovuto rinunciare, dopo una predica eterna del padre.
-Non è reale.-
Cullen aprì gli occhi, mentre il sorriso scivolava lentamente via dal suo viso. -No, quello è reale.- affermò, rivolto alla persona che lo stava osservando. Era una donna bellissima, con i capelli neri, gli occhi grandi e chiari, alta e dalle proporzioni perfette. Lo fissava con aria preoccupata, tenendo le mani appoggiate sui fianchi.
-Lavellan mi ha detto che non sei in te, oggi.- gli disse.
Lui la identificò istantaneamente, ma non riuscì a riconoscere cosa ci fosse di sbagliato in lei. La sua mente infatti gli riferiva che la conosceva da anni e lei, di riflesso, conosceva lui nel profondo. Era un'amicizia talmente perfetta da non sembrare così impossibile.
-Scusa, Hawke.- si ritrovò a dire. -Non era mia intenzione preoccuparti.-
Hawke si sedette al suo fianco, raggiungendo la sua mano per stringerla tra le proprie. -Cos'è questa storia delle allucinazioni?- gli domandò, in un sussurro. -Sono ritornati gli incubi?-
Cullen scosse la testa. -No, queste sono vivide, sembrano reali.- spiegò. -In qualche modo sono reali. Come me e te in questo momento.-
Hawke si morse un labbro, spostando lo sguardo color ametista altrove. -Pensi che si tratti di un Maleficar?- chiese, assumendo un'espressione sorpresa.
Magia del Sangue. Aveva perfettamente senso. -Mi ha fatto credere che avessi smesso di assumere il lyrium. Per un istante, mi ha fatto dimenticare pure... noi.-
-Se è riuscito a debellare le tue difese, allora dev'essere un Mago molto potente. Dobbiamo tenere gli occhi aperti.- affermò Hawke.
-Non è reale.-
Cullen scacciò via quelle parole di intrusione così come avrebbe scacciato una mosca. Il viso di Hawke era teso e lui doveva fare qualcosa per rimediare. Avrebbe fatto tutto per lei. -Dobbiamo indagare approfonditamente, senza che nessuno si insospettisca.- le suggerì, allungandosi nella sua direzione.
Hawke sollevò uno sguardo attento su di lui, passandolo sul suo viso con perizia. -Hai già un'idea?- gli domandò, avvicinandosi per poter recepire meglio le sue parole.
Cullen annuì, con decisione. -Come ai vecchi tempi.- disse, rivolgendole un sorriso nervoso.
Hawke diede una risata profonda, chinando appena il capo. -I vecchi tempi che mi ricordo sono...-
-Toglietemi le mani di dosso, razza di ingrati!- berciò Dorian, mentre veniva trascinato in giudizio.
I Templari che scortavano Dorian lo spinsero bruscamente, forzandolo a mettersi in ginocchio di fronte all'Inquisitrice.
Cullen era alla destra di quest'ultima, a testa alta e teneva le mani aggrappate all'impugnatura della spada, pronto all'azione, se necessario.
Le navate della sala grande di Skyhold erano guarite dalle impalcature e gremite di persone dall'identità appannata; macchie di pioggia su un vetro che riflettevano l'arcobaleno.
Tutto sembrava corretto, dalla presenza di Hawke al posto che le spettava, a quella di Cassandra e Leliana, che visionavano la situazione alle spalle del trono.
Così doveva essere, senza nessun Araldo di Andraste, la cui utilità in un'organizzazione nata dalla santa Chiesa si limitava alla chiusura degli squarci.
-Non è reale.-
Era una Dalish. Pagana. Eretica. Senza una cultura e una religione. Perché se ne preoccupava?
Cullen si passò una mano sulla gola, arida più delle distese desertiche dell'Orlais. Si disse che non era il momento di pensare a lei, mentre Dorian tentava la fuga per l'ennesima volta e, per l'ennesima volta, Ser Carrol dissolveva le sue magie prontamente, costringendolo a terra.
-Dorian Pavus di Minrathous, sei stato citato in giudizio con l'accusa di tradimento e collusione con i Venatori di Corypheus. Inoltre, sei colpevole di aver usato la Magia del Sangue per controllare le menti dei consiglieri e trasmettere informazioni classificate al tuo padrone.- pronunciò Cullen, muovendo un passo verso di lui.
-Con quali prove?- domandò Dorian, sprezzante, rimettendosi in piedi per squadrare Cullen e Hawke con disprezzo. -Risparmia la voce e sbattimi direttamente in prigione con gli altri Maghi, Comandante. È questo quello che vuoi, no?-
Hawke si alzò in piedi, mostrando al pubblico presente un grimorio nero, rovinato dal tempo. -Le prove della sua colpevolezza giacciono tra queste pagine oscene.- annunciò. -I Templari l'hanno trovato nel suo studio, stamattina.-
-È un libro sulla Taumaturgia!- esclamò Dorian, incredulo. -Se fossi realmente la grande Maga che dici di essere, lo avresti capito solo sfogliandolo.-
-A meno che non sia un pretesto per toglierti di mezzo.- disse Cassandra, attirando l'attenzione di Cullen. Lei, però, sembrava fin troppo concentrata sul giudizio per aver aperto bocca.
-Non insultare la mia intelligenza, Maleficar! La Taumaturgia presente in questo libro viene spiegata come chiave per trattare gli schiavi e i sacrifici in seguito a perversi rituali di magia oscura che coinvolgono demoni e spiriti maligni.- proseguì Hawke, sollevando il tomo sopra di sé. -Un Mago meno esperto non se ne sarebbe accorto, ma io ho visto decine di questi libri a Kirkwall. Provengono dal Tevinter e sono tutto fuorché innocui.-
Dorian le rivolse un'occhiata di profondo disgusto. -Questo non è un processo, è una farsa. Potrei dire qualsiasi cosa e voi mi condannereste comunque.-
-Tu sei colpevole.- affermò Cullen, con decisione. -Non saresti qui se l'Inquisitrice non ne fosse certa!-
-L'unica cosa di cui sono colpevole è di avervi dato fiducia. Siete solo dei fondamentalisti, vigliacchi per giunta!- tornò alla carica Dorian. -Pensavo che l'Inquisizione fosse l'emblema del cambiamento, ma a quanto pare mi sbagliavo in tronco.-
Hawke appoggiò il libro nelle mani di Leliana, tornando a sedere compostamente sul suo trono. Guardò Dorian dritto negli occhi, poi aprì una mano verso l'uscita. -Che venga sottoposto al Rito della Calma.-
Lo sguardo di Dorian si spalancò, mentre lui scuoteva la testa nervosamente. -No, non potete farlo.- gridò. Ser Carrol lo afferrò per un braccio, strattonandolo a sé. Allora, Dorian si rivolse a Cullen, con il viso contorto da una smorfia rabbiosa. -Fermala, dannazione! Mi devi un favore, Comandante. Sii di parola!-
-Non è reale.-
Cullen si guardò intorno, con aria seccata. -Lo sta facendo anche adesso.- mormorò, stringendo saldamente l'impugnatura della spada. -Insinua il dubbio nella mia testa.-
-È il lyrium.- mormorò una voce.
-Skyhold è invasa dai Maleficarum. Dobbiamo estirpare la minaccia prima che questo cancro si diffonda. Prima che la uccidano. Non vuoi che succeda, vero?- sibilò un'altra voce.
Cullen sentì una fitta al cuore, intravedendo Lavellan tra il pubblico. Osservava la scena con occhi velati di rabbia, mentre Cassandra stessa prendeva Dorian per un braccio e lo conduceva all'esterno.
La mente di Cullen gli ribadì che tutto sembrava corretto, legittimando quell'ultima scena. Ciò che gli fece sovvenire il dubbio però fu la totale assenza di contentezza nello sguardo della Cercatrice.
-Loro non capiscono.-
Cullen ammiccò, in risposta a una folata di vento gelido proveniente dalle montagne, al di là delle mura di Skyhold. Lì si ritrovava ad accompagnare l'Inquisitrice in una passeggiata di ricognizione lungo i camminamenti, cosa che avveniva regolarmente da che avevano preso possesso della fortezza.
-Non capiscono che lo faccio per proteggerli. Pensano che lo faccia perché provo gioia nel vederli soffrire.- disse Hawke, stringendosi nelle braccia perché pativa il freddo. La sua espressione era tinta di desolazione. -Mi sento molto sola.- aggiunse, in un sussurro.
Cullen si sfilò il mantello e lo posò con gentilezza sulle sue spalle. -Lo capisco fin troppo bene, Marian.- ammise, pacatamente.
Hawke gli rivolse un sorriso triste. -Sei l'unico di cui mi posso fidare. L'unico in grado di comprendere.- gli rispose, carezzando il suo viso con il dorso delle dita. -L'ho sempre saputo che potevo contare sul tuo aiuto.-
Cullen ammiccò, mentre la sua mente gli proponeva scenari offuscati del passato che avevano in comune, da che si erano incontrati a Kirkwall. O era più in là nel passato, a Kinloch?
No, il ricordo risaliva a un dipinto impressionista di distruzione, sigillato da un accordo di fiducia perpetua e bagnato dal sangue dell'eretico Anders. Sullo sfondo, esisteva un lieve bacio d'addio di cui Cullen non ricordava il sapore, o l'intensità, che lui e Hawke si erano scambiati poco prima che lui venisse convocato al Conclave, da Cassandra.
-Non è reale.-
-Come può non esserlo?- mormorò Cullen. -I profumi e i sapori non permangono. Il lyrium rende certi ricordi inaffidabili. Ciò che resta sono solo macchie di colore ed echi lontani.-
Hawke gli donò un sorriso talmente perfetto da stordirlo. Un sorriso che profumava di caramelle al miele e vino passito, dandogli l'illusione che baciare quelle labbra avrebbe placato ogni arsura.
-Non è reale! Dannazione, Culls!-
Cullen si distrasse un istante soltanto, socchiudendo gli occhi per cercare la fonte di quella voce, ma ci rinunciò subito, tornando a cercare le labbra di Hawke, alla ricerca di conforto.
-Non è reale.- mormorò lui stesso, sentendo qualcosa dentro di sé respingere quello scenario di zucchero, mentre affondava le dita nei fianchi morbidi di Hawke, ricambiando i suoi baci.
-Credi di essere migliore di così?- gli domandò lei, stringendo i suoi capelli tra le dita. Era una presa decisa, calcolata apposta per dargli piacere senza farlo soffrire. -Il tuo desiderio è reale, la tua paura è reale, la tua sete è reale. Io sono reale.- mormorò al suo orecchio. -L'Araldo ti vorrebbe debole, assuefatto a lei e al suo senso di giustizia. Non le interessa capire, lei vuole solo assorbire la tua forza per usarla per la sua gente.-
-Non è reale.-
-Se tornassi a usarlo, lei non avrebbe più potere su di te. Ti farebbe da scudo con quelli che tentavano di assoggettare la tua mente. Ti renderebbe potente. Potente come lei non è mai stata.-
Cullen ringhiò un'imprecazione, cercando di scrollarsi di dosso quella finzione a cui si era stupidamente aggrappato per vanità.
-Le tue cazzate non devono essere legittimate.- sbottò una voce maschile, attraverso le labbra di Hawke, che stavano pronunciando tutt'altro.
-Andraste, guidami.- gemette Cullen, a denti stretti, cercando di sfuggire allo sguardo nero e viola che lo inchiodava in quell'allucinazione, senza difese. -Andraste, guidami.- ripeté, cercando di resistere alla tentazione di restare.
Lei, dal canto suo, emise una risata talmente limpida e scevra di malizia che rese arduo ogni suo tentativo di fuga, incastrandolo nell'impotenza. La bugia cresceva, affondando le unghie e i denti sul suo corpo, strappando la sua carne con decisione e sottoponendolo a un dolore atroce, mai provato prima.
Se avesse continuato a esitare, Cullen sapeva che il suo corpo si sarebbe disintegrato, ma era esausto. Era stanco di non riuscire a distinguere ciò che era vero da ciò che era finzione, stanco di odiarsi per ricadere nei dettami di una dottrina che gli avevano imposto fin da bambino, dandogli una scusa per essere un uomo malvagio. Voleva solo smettere di opporsi, abbandonandosi a un'esistenza di deliri e di meritata sofferenza.
-Non. Adesso.-
Gli occhi di Hawke tornarono a prendere possesso del suo universo. Stavolta, però, erano gialli e astuti, macchiati dell'umanità impulsiva e decadente che caratterizzavano il vero Hawke, quello che Cullen aveva disprezzato a tal punto da invidiarlo.
-Culls, non adesso.- gli ripeté, afferrandogli il dorso del collo con fermezza, nell'appoggiare la fronte sulla sua. -Riprendi il controllo.-
-Andraste, guidami.- gemette Cullen, in lacrime, mentre la voce bassa e seccante di Hawke combatteva al suo posto contro la pigrizia annidiata nella sua anima. -Andraste...-
-Mantieni il controllo.-

Cullen si aggrappò con forza ai bordi del comodino della sua stanza, rigettando nel secchio ogni fantasia assieme a tutto ciò che il suo stomaco non era riuscito a digerire durante una nottata di terrori.
Sollevò appena il capo, cercando di regolarizzare il respiro per contrastare la debolezza che vessava i suoi muscoli, costringendolo a tenderli fin tanto da arrivare a farlo tremare.
Esalò un gemito di stanchezza dietro l'altro, piangendo copiosamente mentre manteneva una presa salda sul legno del comodino, dato che piantare le ginocchia e i piedi a terra non sembrava essere abbastanza per sorreggerlo.
Era stremato, mentalmente e fisicamente, ma era finalmente libero.
-Va tutto bene, cimice?-
Cullen si schiarì la voce, passandosi una mano malferma sul viso per ricomporsi. -Sto bene, Mia.- rispose. Il suo timbro vocale non era diverso dallo stridio che compie la punta arrugginita di un chiodo quando scorre su una lastra di metallo.
-Non mi sembra proprio.- disse la sorella, raggiungendolo per pulirgli il viso con uno straccio umido, sbrigativamente. -Come va lo stomaco?- gli domandò, una volta terminata l'opera.
Cullen scorse uno sguardo stremato su di lei, riconoscendo nella nebbia la franchezza dei tratti somatici di suo padre e la devozione nello sguardo color nocciola di sua madre. -Sottosopra.- le rispose, sforzandosi di sorriderle.
-Se non fosse che è palese che tu stia male, direi che tu lo faccia apposta a farmi passare le mattine a pulire la tua stanza.- bofonchiò Mia, aiutandolo a sedersi sul bordo del letto, per assisterlo nel ricomporsi. Gli lavò il viso e i capelli, quindi appoggiò una pila di vestiti puliti sul comodino. Aspettò che si cambiasse, poi recuperò gli indumenti usati, ficcandoli senza troppe cerimonie sul fondo di un cesto di vimini. -Gli altri sono già partiti. Ci siamo solo noi due e i mocciosi in casa.- disse. -Ringraziami, eh! Sono riuscita a impedire a quell'orso di tuo fratello di divorare l'intera dispensa. Se fosse per lui, ci nutriremmo solo d'aria, mannaggia al Creatore!-
Cullen sorrise appena, mentre tentava in tutti i modi di infilarsi la giacca senza che i suoi muscoli soffrissero troppo. -Non è una novità.- chiosò. -Non preoccuparti, non ho poi così tanta fame.-
-Mangia il cavolo che ti pare e non rompere, cimice. L'importante è che ti riprenda in fretta, così puoi dare una mano in casa.-
Cullen prese un respiro profondo. -Ce la sto mettendo tutta, Mia.- disse, stancamente.
Lei gli si avvicinò, pizzicandogli una guancia tra l'indice e il medio. -Lo so.- lo rassicurò, passandogli ampie carezze sul capo, per riordinargli i capelli. -Ma l'immobilità non ti si addice.-
Cullen la osservò allontanarsi con un sorriso triste. Aspettò con pazienza che la nebbia che offuscava il suo sguardo si dissipasse, poi diede un'occhiata approfondita alla camera in cui si trovava, cercando di reprimere il senso di disagio che gli opprimeva il cuore.
Si trattava di un locale umile, caratterizzato dal crema e dal marrone, madido dei ricordi della sua infanzia e imbevuto del profumo dei fiori da campo, raccolti generosamente in molti vasi dipinti. Sulla cornice della porta, alla sua destra, c'erano diverse tacche che la risalivano verticalmente. Quelle lo riportarono davvero indietro nel tempo, all'epoca di infinite lotte inutili per prevalere sui suoi fratelli, che gli impedivano di imbrogliare e mettersi sulle punte dei piedi a suon di spintoni. Il sole la illuminava fiocamente dalla parete opposta, attraverso delle tende fatte a uncinetto e disperdeva il suo calore sulla schiena di Cullen, curva come mai lo era stata.
-Non è...- provò a dire, ma si impedì di continuare, perché l'arsura non gli dava tregua. Allora, si issò, aiutandosi con la seduta del letto. Una volta sicuro di riuscire a stare in piedi si mosse di qualche passo, caracollando per raggiungere la parete della porta.
Camminò a ridosso del muro, trascinando i piedi e rovinandosi la giacca per via dell'attrito con la granulosità dell'intonaco, quindi raggiunse la porta che, fortunatamente, gli era stata lasciata aperta.
Si lasciò guidare dal profumo fragrante di pane appena sfornato e di frutta bollita, percorrendo un breve corridoio fino ad arrivare a un tavolo di legno massiccio che fronteggiava una bella cucina, adatta per le esigenze di una famiglia numerosa.
Una bambina e un bambino, biondi, ricci e paffuti, giocavano a rincorrersi al di là della porta d'ingresso, tenuta bene aperta per far passare aria in casa. Le loro voci erano acute e le loro risa contagiose.
Mia, già indaffarata in cucina, rivolse al fratello minore un cenno, indicandogli che la sua colazione lo stava aspettando sul tavolo.
-È quello che ha costruito papà.- disse lui, sfiorando con i polpastrelli la superficie del mobile, solcata dalle cicatrici del legno, ma accuratamente laccata. Il profumo resinoso che emanava era inconfondibile. Gli ricordava la risata burbera di suo padre, quando lui andava a lamentarsi sulle sue ginocchia dell'irruenza dei suoi fratelli.
-Arriverà anche il tuo momento di crescere, Cullen.- disse la voce del genitore, un'eco profonda e rasposa. -Devi solo fidarti del tempo.-
I bambini, all'esterno, presero a cantare Il Mabari di Andraste allo stesso modo in cui la cantavano lui e i suoi fratelli, mentre Cullen prendeva posto di fronte a un piatto riempito con un mazzo di fette di pane ricoperte di marmellata rosso rubino.
Prese un sorso di tè alla rosa, chiudendo gli occhi per trattenere efficacemente nelle narici quel profumo delicato e stomachevole il più a lungo possibile, prima di dimenticarsene.
-Avrei dovuto risponderle che mi piacciono le rose.- mormorò, raccogliendo una fetta di pane tra le dita.
Mia si affacciò dalla cucina, asciugandosi le mani sporche con i bordi di un grembiule. -Come, scusa?- gli domandò, aprendo un sorriso confuso tra le labbra.
-Ti stavo chiedendo come procede con il roseto.- mentì Cullen, consegnando due fette ai bambini, che erano accorsi da lui a elemosinarle. La bambina gli rivolse un bel sorriso privo di metà incisivi, poi spinse il fratello a tornare a giocare.
-Non l'hai visto dalla camera?- gli domandò Mia, che nel frattempo si era messa a riorganizzare dei barattoli su un ripiano.
-No, ero troppo impegnato a guardare il fondo del secchio.- rispose lui, osservando i due bambini azzannare le fette di pane con aria divertita.
-Mi pare giusto.- commentò la sorella maggiore. -Stanno gemmando. Fra qualche settimana dovrebbero venire fuori i fiori.-
-Di che colore sono?-
Cullen non riuscì a sentire la risposta, a causa del latrato di un mastino mabari che si era appena affacciato alla porta.
-Quel dannato cane mi farà venire un infarto, uno di 'sti giorni!- si lamentò Mia, raccogliendo da terra i cocci di un barattolo che aveva rotto dallo spavento.
Cullen spostò la sedia e si sporse verso il mastino, che gli era corso incontro per ricevere attenzioni. Gli carezzò il muso con decisione, poi gli frizionò i fianchi, cercando allo stesso tempo di impedirgli di salire sul tavolo. -Bravo, Cane!- lo salutò, mentre l'animale gli faceva le feste, agitando il posteriore privo di coda per ribadire che lì, in quel momento, loro due erano migliori amici.
Poco dopo l'arrivo del cane, fu il turno del suo padrone di varcare la soglia di casa. Rivolse un'occhiata carica di rassegnazione a entrambi, poi si sfilò il bastone da mago per appoggiarlo sullo stipite della porta, usandolo come appendiabiti per il suo mantello. -Fedifrago di un cane, che fraternizza con il nemico.- commentò, appoggiando le mani sui fianchi.
Cullen gli rivolse un sorriso stanco. -Non è colpa mia se tratti un mastino da guerra come un comunissimo animale domestico, Hawke.- lo punzecchiò, senza smettere di riempire di coccole Cane, il quale dava zampate di pura goduria al pavimento tenendo le orecchie basse e la lingua penzoloni.
Hawke alzò gli occhi al cielo. -Lo tratto come un animale domestico perché è un animale domestico!- precisò, prendendo posto al tavolo, al fianco dei due. -Pulcioso maledetto!-
-Non dirgli cattiverie! Guarda che capisce benissimo.- lo rimproverò Cullen.
-Non lo stavo dicendo a lui, infatti.- disse Hawke, per poi indicare all'animale l'uscita. -Ci lasci soli un attimo, botolo? Tanto sei una sua proiezione mentale e non capisci un accidente di quello che sta succedendo.-
Cane drizzò le orecchie, ansimando rumorosamente nell'osservare il padrone con occhi curiosi. Quando Hawke tornò a indicargli la porta, decise che sarebbe stato più interessante andare incontro ai bambini, che lo chiamavano a gran voce.
Cullen sbuffò una risata, abbandonandosi a sedere. -Nemmeno quando sono io a immaginarti riesci a dimostrare un minimo di gentilezza nei miei riguardi.- disse. -A questo punto, sono certo di essere io il problema, non il lyrium.-
-Almeno stavolta non ho un paio di tette mediocri e la simpatia di una scoreggia sottovento.- replicò Hawke, rubando una fetta dal piatto. -Perché sei ancora qui, a proposito?- gli chiese, a bocca piena.
Cullen si voltò brevemente verso sua sorella. -Questa fantasia è facile da sgamare.- ammise. -Immagino che lo sia perché sono esausto e la mia mente sta facendo fatica a lavorare bene senza poter contare su cibo e acqua.- guardò Hawke dritto negli occhi. -E poi, ero curioso di vedere chi di voi tre avrei trovato.- aggiunse, con un mezzo sorriso.
Hawke si leccò le dita sporche di marmellata. -Sapevi che avresti trovato me, non dir cazzate.-
-A dirla tutta, volevo trovare te.- precisò Cullen, in difficoltà.
-Non temi che finisca per bullizzarti?-
-Anche quella sarebbe una fantasia facile da gestire, dato che l'ultima volta che sono stato male mi ha dimostrato nient'altro che empatia.-
-Effettivamente, ora come ora sei uno straccio.-
-Grazie.-
Si scambiarono un'occhiata d'intesa, poi Hawke gli schiaffeggiò amichevolmente il viso, lasciando sulla sua guancia un'impronta di marmellata. -Veniamo al punto, fustacchione. Come posso aiutarti, stavolta?-
Cullen ci rifletté attentamente, facendo ruotare la tazza di tè sulla superficie del tavolo con aria assorta. -Ho notato che c'è un denominatore comune, in queste allucinazioni. Appaiono come stanze finte, con un unico dettaglio vero che le rende credibili e, di solito, quel dettaglio risiede in uno di voi tre. Com'è possibile?-
-Perché la tua mente non è capace di presentare la realtà così com'è.- rispose tranquillamente Hawke. -È come trovare uno scenario di novità in una serie di libri che hai letto mille volte. Causa sorpresa nella tua testa perché le altre volte eri concentrato sulla narrazione, ma in realtà è sempre stato lì. Mia madre è morta a causa di un Mago del Sangue, come Amell, quindi hai sfruttato il mio odio nei confronti della situazione per creare un'immagine incoerente con la mia persona. O con la sua.- si strinse nelle spalle. -Cassandra sta ancora elaborando il suo lutto e tu le hai ribadito chiaramente che non sarebbe stata una guida degna per l'Inquisizione. La tua mente ti ha proposto uno scenario alternativo in cui avresti dovuto venire a patti con una realtà di quel genere. La cosa buffa è che hai preso subito le distanze da quella fantasia.-
-Perché la Divina è morta e Cassandra non sarebbe un Inquisitrice capace come Lavellan.- affermò Cullen, incrociando le braccia sul tavolo. -Lei almeno ha avuto le palle di sostituirmi quando ha visto che non ero in grado di fare il mio lavoro. Cassandra sta temporeggiando, seppure sia chiaro che la mia situazione stia peggiorando.-
Hawke recuperò un'altra fetta, bilanciandola con le dita per evitare che la marmellata cadesse a terra. -Perché sei così ansioso di farti licenziare, Culls?-
-Non lo sono.-
-Allora perché in ogni allucinazione fai regolarmente una cazzata, pur sapendo che ti costerebbe il posto? Sembra quasi che tu voglia che gli altri facciano il lavoro sporco per te. Se non te la senti di continuare, molla e basta, ma smetti di mettere il tuo destino nelle mani delle persone che ti vogliono bene, cosicché tu abbia la possibilità di colpevolizzarle in futuro.-
Cullen gli scoccò un'occhiataccia. -Non è assolutamente vero!- sbottò.
Hawke si soffermò a fissarlo, masticando il boccone lentamente. -Lo sai che io non sono realmente io, ma un'allucinazione prodotta dalla tua testa, no?- disse, dopo aver deglutito. -Sei tu a pensarlo, io gli sto solo dando voce.-
-Quindi tu e le ragazze... siete la mia coscienza?-
-Probabilmente, sì.-
-Non dovreste guidarmi, anziché indurmi in tentazione?-
-Ragiona, Culls. Che fine hanno fatto le persone che più di tutte tenevi su un piedistallo?- gli suggerì Hawke. -Prendiamo Greagoir, che ha tentennato, lasciando te e i tuoi fratelli in cima alla torre a farvi divorare dai demoni e torturare dai Maleficarum. Poi c'è stata Meredith, che...- Hawke spalancò lo sguardo, sbuffando briciole nell'assumere un'espressione eloquente. -Parlare di lei sarebbe come aprire un barattolo di vermi e il fatto che sia tu a pensarlo per primo mi rassicura.-
Cullen alzò gli occhi al cielo. -Vieni al punto, per favore.-
-Hai semplicemente una paura fottuta di essere deluso di nuovo.- dichiarò Hawke. -L'idea stessa dell'Inquisizione ti spaventa. Pensi di non riuscire a resistere al richiamo del lyrium perché credi di essere inutile senza di esso. Poi, pensi che ti butteranno via non appena arriverà qualcuno di più competente e meno problematico. Proprio come hanno fatto con Seggrit e Threnn.-
-Io ci credo nell'Inquisizione, non me la prenderei per una cosa del genere.-
-Soffriresti come un cane abbandonato in una casa in fiamme, Culls. Non dir cazzate. Non hai mai avuto una fantasia felice da che vivo nella tua testa. Diamine, nemmeno questa allucinazione melensa è una fantasia felice! Sei un uomo che ha paura della solitudine, ma non sta facendo niente per evitarlo.-
-So che me lo meriterei.-
-No che non te lo meriti! Così come loro non si meritano che tu ceda.-
-Lo penso davvero, quindi.-
-Certo che pensi di meritarti di meglio, lei e Cassandra te lo stanno ripetendo da quando ti hanno conosciuto. E io te l'ho detto chiaro e tondo, offrendomi di aiutarti con la magia pur di farti stare bene.- Hawke batté una mano sul tavolo, facendo sobbalzare Mia, nell'altra stanza. -Devi tenere duro, Culls. E devi farlo per loro.-
Cullen si passò una mano sulla fronte, chiudendo gli occhi. -E come faccio, se non riesco nemmeno a uscire dalla mia testa.- gemette.
Hawke avvicinò la sedia, afferrandogli una spalla. -Fidati di quello che ti abbiamo sempre detto.-
-E se anche quello non fosse reale?-
Hawke si zittì per un istante, scorrendo lo sguardo sul suo viso. Cullen si umettò le labbra, spostando la testa altrove. -Allora?-
-Non posso risponderti, o non ne verrai mai fuori.- mormorò Hawke, docilmente. -E tu hai un dannato bisogno di uscirne. Ora più che mai.-
Cullen annuì. -Abbiamo bisogno di ricapitolare la situazione, prima di raggiungere gli altri.- disse, con decisione. -Io so che siete le tre persone che ammiro di più al mondo. So che Lavellan mi vuole al suo fianco, so che tu sei caotico quanto una nota piatta e che Cassandra mi farebbe il culo se osassi mollare. Ci siamo su questo?-
-No, non ci siamo. Io sono caotico, stupidamente caotico, ma sono la cosa più vicina alla stabilità mentale che hai in questo momento.- lo corresse Hawke, mantenendo la presa sulla sua spalla. -Io ho il pieno controllo della mia magia e tu lo sai benissimo, o mi avresti sbattuto nella Forca subito dopo il nostro primo incontro.-
-Puoi aiutarmi, allora?-
-Ce la metterò tutta, sperando di non dare fuoco a qualcosa di valore, come al solito.-
Cullen raggiunse la sua mano per stringerla con tutto il vigore che gli restava. Hawke gli sorrise, indicandogli il piatto ancora pieno a metà con un cenno del capo. -Goditi la colazione, tigre. Non sei ancora pronto per andartene.-
Cullen sbuffò una risata, scuotendo la testa con rassegnazione. -Non so se è peggio l'accuratezza con cui la mia mente ti ha riproposto a me, o il fatto che tu sia nella mia mente di per sé.-
-Non mi avevi forse suggerito di provare a conoscerti meglio?- lo punzecchiò Hawke, lasciando che addentasse un pezzo di pane con la marmellata con aria divertita. -Cos'è questa fantasia, a proposito? Nemmeno ti piace la marmellata, o il non-pane.-
Cullen masticò il boccone, coprendosi la bocca con il dorso della mano. -È l'unica cosa che lei riesce a mangiare quando il suo stomaco è annodato dal nervosismo. Marmellata di frutti di bosco su pane di riso.-
-Oh.-
Cullen diede una smorfia schifata, lasciando metà fetta sul piatto, poi si bagnò la gola con il té. Aspettò di aver mandato giù bene il boccone, poi sorrise. -Prima di lei non ci avevo mai pensato e ora che vedo tutto questo... è tutto così costruito che mi viene quasi da ridere. Questa è la casa dove sono cresciuto, poi non ho mai più messo piede in un'abitazione che non fosse una celletta, una tenda da campo o un letto rimediato all'ultimo a due passi dal luogo in cui lavoro. Non è triste che non sappia nemmeno costruire una casa per noi nella mia mente?-
Hawke si strinse nelle spalle. -Stai con un'Elfa dalish, Culls. Immagino che non gliene freghi assolutamente niente di avere una casa.-
-Proprio perché è così che per me è imperativo darle stabilità. Non ha mai avuto una prospettiva di questo genere perché a lei e alla sua gente è stato imposto il nomadismo. A quanto pare, riesco a fallire con lei pure su questo.- si passò una mano sullo stomaco, contratto dal disagio. -Dovrei renderla felice il più possibile adesso, dato che è destinata a vedermi impazzire.-
-Non è detto che tu impazzisca. Lo ha detto anche Cassandra: quello che stai affrontando è un percorso ignoto. Chi ha smesso il lyrium, o l'ha fatto troppo tardi, o non è riuscito a gestire il senso di abbandono e ha deciso di farla finita. Tu sei ancora in tempo per vivere la tua vita serenamente.-
-Ti sembra che sia sereno?-
-No, ma mi sembra che tu ti stia fasciando la testa prima di essertela rotta.-
Cullen gli scoccò un'occhiata stanca. -Come sai, prima di incontrarla mi ero rassegnato a concentrarmi su questo progetto, finché la mia mente avrebbe resistito. Avevo paura, certo, ma non mi importava. Riuscivo in qualche modo a concentrarla su altro. Adesso, invece...- posò lo sguardo fuori, sui bambini che rincorrevano Cane, incespicando e ridendo. -Voglio di più e questa cosa mi terrorizza.-
Hawke ridacchiò. -Sei uno di quei personaggi patetici che progettano persino il numero di figli che avranno?-
-Te l'ho detto: è tutto molto triste. L'unica cosa che dovrebbe esserci in questa casa non c'è.-
-E tua sorella, allora?-
-Non ho idea di che aspetto abbia, adesso. Quella che vedi è decisamente mia madre. Un ricordo neanche tanto accurato, dato che non ricordo altro di lei se non il colore dei suoi capelli e che era costretta a pulire dalla mattina alla sera perché in casa eravamo in tanti.-
Hawke sospirò, scorrendo sul suo interlocutore uno sguardo scettico. -Almeno di qualcosa sei sicuro.- commentò. -Sei pronto per andartene?-
Cullen prese un respiro profondo, poi un altro, infine diede un cenno d'assenso.

Si ritrovò a sobbalzare, mentre sfilava un compendio sulle strategie militari dell'Orlais dalla sua libreria, a Skyhold. La transizione era stata così repentina da fargli dubitare di essere tornato alla realtà.
-Allora, questo libro?-
Cullen si voltò di scatto, facendo cadere il compendio a terra. Hawke lo aspettava di fronte alla scrivania del suo ufficio, rivolgendogli un'espressione confusa.
-Non è reale.- mormorò Cullen, scorrendo lo sguardo su di lui. Indossava un'armatura pesante e teneva l'avambraccio appoggiato a una splendida spada dall'impugnatura dorata. Alle sue spalle era assicurato uno scudo a mandorla, con l'emblema della sua casata.
-Cosa non è reale? La competenza degli orlesiani nel combattimento?- domandò Hawke, rivolgendogli un sorrisetto.
Cullen fece un respiro profondo, poi recuperò il compendio da terra, per offrirglielo. -Hai minimizzato l'unica cosa in cui gli orlesiani riescono a eccellere.- commentò, cercando di concentrarsi su Hawke e basta, non su ciò che l'ambientazione in cui si trovava gli suggeriva di fare. -Hai bisogno di qualcos'altro?-
Hawke sfogliò il libro, poi se lo mise sottobraccio con noncuranza. -Solo di uscire da qui.- ammise, muovendosi verso la porta centrale dell'ufficio.
-Siamo in due.-
-Non è reale.-
-Io sono reale.-
Hawke gli appoggiò una mano sulla spalla, guidandolo attraverso Skyhold. -Penso sia un buon inizio.- disse, una volta che furono entrati in sede di consiglio.
A presiedere la seduta come Inquisitrice c'era una donna robusta, con i capelli rossi acconciati in un taglio corto e il naso dritto. I suoi profondi occhi azzurri scrutavano la mappa con attenzione, mentre si carezzava il labbro inferiore con l'indice.
-Lei ti mancava, no?- domandò Hawke, mentre Cullen prendeva posto al tavolo di guerra, osservando l'Eroe del Ferelden con tanto d'occhi.
Era molto alta e dava l'idea di riuscire tranquillamente a sollevare il massiccio tavolo che le stava di fronte e a lanciarlo per diversi metri senza sforzo.
-Non è strano che la persona che hai odiato di più al mondo per anni sieda al posto della donna che hai amato istantaneamente fin dal primo momento in cui l'hai vista?- tornò alla carica Hawke, porgendo un calice di vino all'Eroe del Ferelden, che gli rivolse un bel sorriso in segno di ringraziamento.
Cullen gli rivolse un'occhiata eloquente. -Stai cercando di aiutarmi, o vuoi farmi spedire al di là del mare del Risveglio a suon di mazzate?-
L'intero consiglio si voltò nella sua direzione, con aria confusa, al che lui esibì un sorriso di circostanza molto poco credibile.
-Allora, questa soluzione?- domandò l'Eroe del Ferelden, pacatamente. -Comandante, prima del suo arrivo il suo secondo ha accennato a un gruppo di soldati che potrebbe trarre in salvo i nostri uomini sulle montagne.-
Cullen si vide allungare un rapporto alla sua destra, lo prese e lo lesse con attenzione, rendendosi conto che era lo stesso che aveva letto molto tempo prima, prima che il demone dell'Ira lo forzasse a chiudersi in se stesso.
-Ecco, questa è decisamente una fantasia.- affermò Hawke, ridendo. -Di quelle del tipo che ti risvegli con un sorriso, o con un gran mal di pancia.-
Cullen guardò lui, poi spostò l'attenzione sul suo secondo, assumendo improvvisamente un'espressione sorpresa. -Lavellan.- la salutò, sforzandosi di tornare a leggere.
-Comandante.-
-Sta bene in divisa, no?- commentò Hawke, rigirando il dito nella piaga.
-Benissimo.- rispose Cullen, per poi alzare lo sguardo verso l'Eroe del Ferelden. -Possiamo intervenire. Abbiamo un gruppo nei paraggi che sta seguendo un'avanguardia dei Templari Rossi. Potremmo dispiegarli in difesa dei nostri. Lo sconsiglio, ma è un'opzione.-
-Elabora.-
-Ho motivo di sospettare che quei Templari stessero catturando dei civili per trasferirli in una delle loro miniere di lyrium rosso. Se facessimo deviare il gruppo, perderemmo le loro tracce. In più, rischieremmo le vite dei civili già catturati e di molti altri.-
-Ma riusciremmo a preservare le nostre truppe e a trarre in salvo sorella Paulette.- disse Josephine. -Sono pur sempre i nostri soldati. Non possiamo abbandonarli.-
-Concordo.- affermò l'Eroe del Ferelden. -Ma allo stesso tempo, concordo con il Comandante. La nostra priorità sono i civili, i nostri soldati sono preparati al sacrificio. Immagino che non sia possibile inviare una truppa leggera da Skyhold, o me l'avrebbe già proposto.-
-Arriverebbero troppo tardi.- confermò Cullen, lanciando una rapida occhiata alla sua destra. -Dare la priorità ai civili è la soluzione logica, Inquisitrice, se fossi in lei io mi muoverei in quella direzione.-
Lavellan sollevò le sopracciglia su uno sguardo sorpreso, ma non aprì bocca.
-Possibile che in ogni allucinazione lei sia in uno stato di subordinazione?- domandò Hawke, aprendo le braccia con un gesto d'enfasi. -Cos'è, una tua idea di compensazione?-
-Di insicurezza.- precisò Cullen, portandosi al suo fianco per porgergli un foglio di pergamena. Aspettò che l'Eroe del Ferelden aprisse bocca, poi si sporse verso di lui. -Perché ci sono dei momenti in cui non riesco a starle dietro e la cosa mi manda ai matti.- mormorò, al suo orecchio. -Ma tu questo dovresti saperlo.-
-E io che ho detto? Compensazione.-
Cullen roteò lo sguardo, seccato.
-Che devi lavorarci sopra lo sai, no?-
-So solo che non mi sei di nessun aiuto in questo momento.-
Hawke gli circondò le spalle con un braccio. -Ricordati che è stata lei a portarti da me, per permetterti di trovare una via di fuga.- disse.
Cullen chiuse gli occhi, prese un respiro profondo, poi li riaprì. -Ha senso che dovessi ritornare qui per trovarla. Quello che non ha senso è...- ci rifletté per minuti interi, fallendo nel trovare la risposta. Ogni cosa sembrava corretta, al suo posto, per l'ennesima volta.
-Ritrova il controllo.- disse Lavellan, attraverso Hawke.
Cullen digrignò i denti, chinando lo sguardo a terra. -Non è reale.- disse, realmente esausto. -Non è reale.- ripeté, sollevando lo sguardo di fronte a sé, mentre le figure diventavano ombre e le ombre demoni che torreggiavano su di lui, divorando lo spazio per trascinare ogni cosa nel buio totale.
-Non è reale.-
-Tu sei reale.-

Cullen inspirò l'aria nei polmoni così intensamente da strozzarsi.
Cadde in ginocchio e prese a tossire sonoramente, più e più volte, sentendo il cuore risuonargli nelle orecchie e nella cassa toracica come se volesse abbandonare il suo corpo ed esplodere tra le sue mani.
-Va tutto bene, va tutto bene.- lo rassicurò Lavellan, sferzandogli energicamente la schiena con la mano sinistra mentre con la destra gli impediva di cadere in avanti. -Siamo qui.-
Cullen spalancò lo sguardo, spostandolo da una parte all'altra alla ricerca di conferme visive. Era decisamente a Skyhold, nei suoi alloggi e di fronte a lui c'erano Cassandra e Lavellan, che sembravano essere appena uscite da un incontro di lotta libera con la manifestazione dell'insonnia.
-Ti sembra in sé, adesso?- domandò Lavellan, passandogli un fazzoletto umido e fresco sulla fronte.
Cassandra si chinò su Cullen, con cautela, poi esalò un sospiro liberatorio. -Sembrerebbe di sì. Ben tornato, amico mio.- disse.
Lavellan gli scoccò un bacio sulla tempia, mantenendo il contatto per diversi secondi prima di distanziarsi e rivolgergli un bel sorriso, impregnato di sollievo.
Cullen, senza fiato e con la gola dolorante, smezzò uno sguardo scettico su entrambe, poi raccolse il bicchiere d'acqua che Cassandra gli stava porgendo e lo vuotò, sentendo immediatamente il senso di arsura placarsi. Esalò un respiro tremante, poi chiuse gli occhi, abbandonandosi all'abbraccio di Lavellan, troppo esausto per ribellarsi.
-I soldati?- domandò, rauco.
Lavellan gli lisciò il capo, dolcemente. -Abbiamo risolto, non pensarci.-
-Ti prego.-
Cassandra gli porse un secondo bicchiere, stavolta riempito a metà. -Abbiamo seguito la tua proposta. I rapporti sono sulla tua scrivania. Potrai leggerli in mattinata.- disse, con una nota autoritaria nel tono di voce.
Cullen si distanziò appena da Lavellan, imponendole con un cenno di mantenere le distanze.
A fatica, appoggiò la schiena al comodino, poi trasse un sospiro stanco. Si guardò attorno con perizia, mentre le allucinazioni iniziavano a frammentarsi nella sua memoria, confondendolo. Si sforzò di restare vigile, ancora una volta, alla ricerca di qualcosa che non gli quadrasse, sapendo che la sua testa gli avrebbe presentato concetti e immagini talmente coerenti da sembrargli corretti. Quando si ritrovò stranamente a fallire, i suoi occhi trovarono la realtà nella tridimensionalità della stanza. -Ho bisogno di sapere.- mormorò. -Rylen non era alla riunione.-
-No.- dichiarò Lavellan.
-Hawke è partito.-
-Sì.-
-Da quanto tempo sta andando avanti questa crisi?-
Lavellan e Cassandra si scambiarono un'occhiata d'intesa, ma fu la prima a rispondere, nuovamente. -È iniziata stamattina. Hai detto la parola di sicurezza e ti ho portato qui di peso.-
-Parola di...?- Cullen strinse lo sguardo, chinando la testa, alla ricerca di un ricordo. Quando lo trovò, assieme alla spiegazione imbarazzante che si portava dietro, si ritrovò a sollevare le sopracciglia sopra un'espressione sorpresa. -Mi hai cacciato e hai chiesto a Ryl... a qualcuno di prendere il mio posto.- borbottò.
Lavellan si passò una mano tra i capelli, nervosamente. -Decisamente no.- lo contraddisse. -Ti ho chiesto di fare due parole in privato, per mantenere la discrezione, poi ho fatto convocare Cassandra affinché prendesse il mio posto temporaneamente.- gli spiegò.
-A proposito, la prossima volta cerca di usare una scrittura leggibile nelle note.- protestò l'altra, rivolgendogli un'occhiataccia. -Ho dovuto chiedere a un ufficiale di decifrare i tuoi appunti e nemmeno con due paia d'occhi siamo riusciti a capire cosa diavolo intendevi con "Emp av due tra in dieci".-
-Due trabucchi in arrivo all'avamposto di Emprise in dieci giorni.- tradusse lui, velocemente. -Quindi sei stata effettivamente tu l'Inquisitrice, per...-
-Per un'ora lunga un millennio.- confermò Cassandra, sedendosi sul bordo del letto. -Ci siamo date il cambio affinché fossi sempre sotto controllo.-
-E a tuo agio, soprattutto.- aggiunse Lavellan. -Come abbiamo concordato dopo l'ultima crisi.-
Cullen annuì, piano. -E io vi ho rubate all'Inquisizione per tutto il giorno.- disse, con una nota di disappunto nel tono di voce.
-Abbiamo mantenuto il controllo.- ribadì Cassandra. -Su questo e sul resto. Te lo abbiamo promesso.-
-Non mi avete mai lasciato da solo?-
Lavellan deglutì. -No, mai.- rispose. -Non potevamo rischiare che uscissi da qui e ti mostrassi vulnerabile in quel modo di fronte alle truppe. Per te sarebbe stato umiliante.-
-Perché, riservare unicamente a voi la versione peggiore di me non è abbastanza umiliante?-
-No, permetterci di aiutarti è la massima forma di fiducia che potresti riservarci.- sbottò Cassandra, aprendo un braccio nella sua direzione. -E noi siamo qui per ribadire che non devi affrontare questo schifo da solo.-
-Non voglio che mi facciate da balia per il resto dei vostri giorni, maledizione!-
-Non è una cosa che puoi controllare, Cullen!-
-Ora basta!- esclamò Lavellan, alzando le mani in segno di ferma. -È la terza volta che sento lo stesso identico litigio e sappiamo tutti dove andrà a finire, quindi risparmiate il fiato e fate un bel respiro.-
I due si guardarono in cagnesco per diversi istanti, poi eseguirono l'ordine.
-Benissimo. Adesso fatene un altro.-
Cassandra esitò, poi fece come le era stato chiesto, di malavoglia.
Lavellan rilassò i lineamenti del viso, rivolgendosi a Cullen. -Hai bisogno di qualcosa, prima che ti lasciamo solo?-
Lui aggrottò la fronte, poi chinò lo sguardo a terra. -No, posso arrangiarmi.-
-Te lo ripeterò finché non mi risponderai sinceramente. Hai bisogno di qualcosa, prima che ti lasciamo solo?-
Cullen fece per eseguire un cenno di diniego, ma si bloccò in tempo. Ci rifletté, ascoltando ciò che il suo corpo gli chiedeva a gran voce, poi annuì.

Dopo essere riuscito a ricomporsi, sentendosi in difetto per dover imporre la propria debolezza alle due persone che rispettava di più a Skyhold, Cullen si sforzò di mandare giù un boccone di minestra, accompagnandolo con un infuso che odorava terribilmente di valeriana.
Una volta che fu riuscito a vestirsi, insistendo di doverlo fare da solo, si buttò il mantello sulle spalle e raggiunse Lavellan nella porzione del camminamento in cui si trovavano di solito per fare quattro chiacchiere e scambiarsi un bacio veloce durante la giornata.
Era notte fonda. Nonostante Skyhold brulicasse di addetti ai lavori, i camminamenti erano stranamente sgombri, fatta eccezione per i pochi soldati di turno che controllavano la situazione nella valle circostante.
Lavellan rivolse un bel sorriso a Cullen, appoggiando la schiena su un merlo nell'usarlo come supporto. -Hai dei tempi di recupero straordinari.- si complimentò, indicando al nuovo arrivato di affiancarsi a lei.
Cullen ricambiò il sorriso, con un velo di tristezza nello sguardo. -Sto a malapena in piedi, cuore mio.-
-Però sei sulle tue zampe.-
-Stai cercando di tirarmi su di morale?-
Illuminato dalla luce delle torce, il viso di Lavellan sembrava indossare una stanchezza atavica, confermata dalla pesantezza delle sue palpebre e dal gonfiore derivato dalle occhiaie che le spingevano lo sguardo a stringersi. Nonostante ciò, lo guardava con affetto e il suo sorriso era sincero. -Tra le due, penso di essere l'unica ad avere una chance di riuscirci.- scherzò, mentre Cullen si portava di fronte a lei. -Cassandra è brusca, la conosci, ma raramente ha torto. Non sei un peso.-
-Lav, è decisamente un peso. Lo è per me, per primo.- replicò. -Come hai fatto a portarmi fin qui?-
-Con le braccia.- rispose lei, ridendo. -Ti ricordo che tendo archi da trent'anni. Sorreggerti non è stato difficile.-
Cullen raccolse le mani di fronte al petto, sfregandole con lentezza mentre cercava di dare un'identità a un pensiero orribile. Lavellan lo precedette, perdendo il sorriso mentre andava ad appoggiargli una mano sul braccio. -Cosa vuoi sapere?- gli domandò, con pacatezza.
-Tutto.- rispose lui, a mezza voce. -Com'è iniziato, cos'è successo, quando...- si bloccò. -Ho fatto male a una di voi?- aggiunse, mentre il suo viso si contraeva in una smorfia di nervosismo.
-Non hai alzato un dito su di noi. Ti sei limitato a passeggiare molto, a fissare il vuoto e a borbottare frasi senza senso.- rispose lei, in un sussurro. -Eri completamente isolato dal presente e dai presenti.-
-Ho detto o fatto qualcosa che ti ha fatto soffrire?-
Lavellan esitò, prima di scuotere la testa. -Non eri tu a parlare, Cullen.- affermò, ostentando sicurezza.
Lui la osservò con attenzione. -Mi dispiace.- disse.
-Non hai motivo di dispiacerti. L'ha detto anche Cassandra: è una cosa che...-
-Che non posso controllare, lo so.- concluse Cullen, stancamente. -Dammi qualche ora per riprendermi e sarò pronto a ritornare al mio posto. Non preoccuparti.-
Lavellan fece un sorriso tirato, poi si avvicinò per appoggiargli un bacio sulla guancia. -Prenditi tutto il tempo che vuoi e qualcosina in più, se necessario.- disse. -Io rimarrò nei paraggi, nel caso avessi bisogno ancora di me.-
Cullen si ritrasse appena, sentendo il peso della vergogna gravare sulle sue spalle. -Preferisco essere lasciato un po' da solo, se non è un problema.- mormorò.
-Tutto quello che vuoi.- lo rassicurò lei, rispettando le distanze. Fece per allontanarsi, ma qualcosa la trattenne dal muoversi.
Cullen chiuse gli occhi, sentendo le pareti della gola contrarsi in risposta a un sentimento di dolore e tristezza. Lo sguardo di Lavellan gli tornò quelle stesse sensazioni, mentre cercava in tutti i modi di trattenersi dal dire qualcosa di cui si sarebbe pentita.
-Nemmeno io so com'è fatta una casa.- sussurrò lei, con voce tremante. -E più mi dico che non mi importa, più penso che è quello che vorrei da noi, una volta che sarò riuscita a mettere un punto a questa storia. Abbiamo un bisogno assurdo di essere stabili, di poter esserci l'uno per l'altra, senza una platea pronta a divorarci nel caso ci mostrassimo deboli.- fece una pausa. -So che non dovrei tirarlo in ballo, ma è una cosa a cui penso spesso e sapere che anche tu stai soffrendo per questo...- prese un respiro profondo. -Forse dovremmo parlarne, prima o poi.- tagliò corto, dato che non era il caso di elaborare altrimenti.
Cullen annuì, stranamente sollevato di non essere l'unico dei due a porsi certi interrogativi. -Mi piacerebbe.- ammise.
Lavellan gli rivolse un mezzo sorriso. -Era dalle Tombe che non stavamo così tanto tempo insieme. La prossima volta, che ne dici di offrirmi solo da bere?- scherzò, per alleggerire la tensione.
Cullen sorrise a sua volta, ringraziando mentalmente Andraste per averlo introdotto a quella donna, che riusciva a metterlo a suo agio anche nei momenti più tragici. -Basta che poi non finisca come l'ultima volta, che prendi a calciarmi gli stinchi nel sonno perché la branda è troppo stretta per due persone.-
Lavellan ritrasse appena il capo, confusa. -Che cosa stai dicendo?-
-Le Tombe.- rispose Cullen, passandosi una mano dietro il collo. -Hai capito a cosa mi riferisco. Non penso di essermi sognato pure quello.-
Lavellan perse immediatamente il sorriso, nel cercare di decifrare le sue parole. Entrambi realizzarono cosa stesse succedendo simultaneamente e si scambiarono un'occhiata desolata.
-I Giganti erano veri? Il drago era... io mi sono addormentato abbracciandoti.- disse lui, sentendo un brivido di paura percorrergli la schiena.
Lavellan si sporse immediatamente verso di lui, appoggiandogli una mano sul petto. -Eri lì, abbiamo parlato, hai visto i giganti, hai combattuto il drago al mio fianco.- gli confermò, con decisione. -Era tutto vero.-
-Tutto tranne uno dei momenti più significativi della mia vita.- gemette lui, stringendo i pugni con forza. -Lasciami da solo. Ti prego.-
-Cullen, io...-
La guardò con il viso sconvolto dal dolore, poi si voltò, per ritornare con decisione ai suoi alloggi.


-Nota-

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Terzo disclaimer, anche qui necessario: se i temi trattati dovessero risultare scritti superficialmente, o in maniera offensiva, avvisatemi in modo che possa rimediare al volo.
Ah, lo stesso vale per i content warnings, se vedete che è necessario aggiungerne per evitare a qualcuno di soffrire, daje. Ce la sto mettendo tutta a segnalarli, ma spesso mi sfuggono.
Tornando un attimo leggeri, avviso che la prossima settimana non ci sarà un aggiornamento, perché vorrei aggiungere il capitolo 2 di 3 alla one shot che sto postando in parallelo e vorrei un attimo riprendere fiato dopo un paio di settimane un po’ così.
*versa spritz* Un abbraccio <3

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Capitolo 21
*** Carburante ***


CW: Menzione di disordini alimentari

 

20 - Carburante

 

Nonostante le avvisaglie del cambio di stagione si percepissero chiaramente a Skyhold, le temperature non avevano subito drastiche variazioni. Il vento soffiava con uguale intensità, la brina ricopriva puntualmente i cortili tutte le sacrosante mattine e le finestre delle zone più umide erano regolarmente patinate di condensa. Ogni alterazione, purtroppo per gli abitanti della fortezza, era puramente visiva.
Infatti, quella sera, poco distante dal gran ballo al Palazzo d'Inverno, era molto fredda e molto umida; in più, nel cielo si poteva riconoscere una formazione di nuvole temporalesche.
La voliera era inzuppata nella tipica bicromia della luce gialla imposta a un ambiente buio. Dal nero si virava a una sfumatura di arancione ambrato, che sfiorava il metallo lucido delle gabbie e dei trespoli, i quali scendevano in maniera irregolare da un sottotetto oscuro come le intenzioni di Corypheus. Persino gli occupanti del locale avevano perso i loro colori propri, in virtù di quella ristretta declinazione del grigio e del giallo.
Le spie di Leliana lavoravano quiete, ma non silenziose. Erano abbozzi di sagome, contorni dorati di presenze che sussurravano negli intervalli tra il mobilio come serpi che scivolano tra l'erba alta della prateria.
Cullen non adorava quel posto, soprattutto quando era buio. Gli pareva di non essere mai completamente al sicuro, nonostante nutrisse un gran senso di fiducia nei riguardi della padrona di casa. Padrona di casa a cui aveva chiesto un favore a titolo personale e con cui, in quel momento, si stava consultando di fronte a un elegante altare dedicato ad Andraste.
-L'Alta Comandante Osmond è stata...- iniziò Leliana, facendo una lunga pausa alla ricerca di un aggettivo adatto.
-Una strega acida e senza redenzione?- le suggerì Cullen, con una nota di seccatura nel tono di voce. Mentre parlava, il suo sguardo descriveva l’ambiente circostante, come se fosse alla ricerca di una minaccia.
Leliana rivolse un mezzo sorriso al suo interlocutore. -Ecco spiegato perché hai voluto che indagassi al posto tuo.- chiosò, allacciando le dita dietro la schiena. -Mi è parsa una donna sbrigativa, a cui non piace essere intervistata su questioni che per lei risultano futili, interrompendola mentre svolge il suo incarico.- specificò.
Cullen alzò brevemente gli occhi al cielo. -Insomma, non ti ha dato le informazioni.- tagliò corto.
-Certo che no.-
-Le hai ottenute ugualmente, suppongo.-
Leliana ampliò di poco il sorriso. -Mi sembra ovvio.-
Cullen si soffermò a studiare il suo viso, con aria dubbiosa. -Voglio sapere come hai fatto?- domandò, abbassando la voce.
La sua interlocutrice aprì una mano verso la voliera, fino a indicargli la sua scrivania. Si mossero verso di essa insieme, i loro passi attutiti dal frullare delle ali dei corvi e dall'eco del loro gracchiare.
Una volta seduti, una collaboratrice di Leliana si premurò di appoggiare tra loro un vassoio contenente una teiera coperta da una maglia a uncinetto che ricordava la forma di un nug, due tazze di ceramica laccata e una ciotola di noci sgusciate ricoperte di miele e zucchero. Una lingua di fumo risaliva dal beccuccio del contenitore, portando con sé un avvolgente profumo floreale con una decisa nota agrumata. Un’ottima pausa olfattiva per chi non era abituato ai forti odori che caratterizzavano il locale.
-Dimmi un po', Comandante.- disse Leliana, dopo aver avvicinato le tazze, già riempite, a entrambi. -Perché vuoi avere informazioni sul fantasma di Marian Amell?-
Cullen parve risentire di quel nome come se qualcuno gli avesse appena appoggiato una mano gelida sul braccio. Si prese i suoi tempi, prima di rispondere, indugiando a sorseggiare il tè. -A essere onesti, non lo so nemmeno io. La mia mente me l'ha suggerito durante la mia assenza e non sono più riuscito a dimenticarlo.-
Leliana lo osservò con cura. -Non è stato facile reperire quelle informazioni, quindi dimmi le cose come stanno realmente, per favore.- lo incalzò.
Lui, di nuovo, tentennò. Mandò giù una sorsata, per darsi il tempo di riflettere, poi esalò un sospiro secco, ancorato a un gran senso di frustrazione. -La incontravo spesso nei corridoi, parlavamo spesso dopo le funzioni e ho seguito il suo Tormento. Il mio primo Tormento e l'unico in cui abbia veramente sperato che il Mago ne uscisse vivo.- ammise. -Troppo sincero?-
Leliana non si scompose. -Va' avanti.-
-Avrebbe dovuto essere trasferita ad Aeonar, perché complice di un Maleficar. Complice involontaria, vorrei precisare, anche se sul momento...- Cullen si impedì di finire la frase, chinando sulla superficie del tavolo un'occhiata sfiorata dal rimorso. -Il suo trasferimento non è andato a buon fine, perché la carovana è stata attaccata dai Prole Oscura lungo la Strada del Re, quindi l'hanno riportata a casa, cioè, al Circolo, in attesa di avere aggiornamenti sulla situazione.-
Leliana lo ascoltò attentamente, analizzando il suo viso dal bordo della tazzina.
-Poi, è successo quello che è successo.- proseguì Cullen, facendo vagare lo sguardo sulla stanza. -L'ultimo ricordo che ho, che la riguarda, risale a poco prima che Hadley chiudesse la porta alle nostre spalle. Ho disarmato un Maleficar, le ho dato il suo bastone e l'ho spinta al di là della porta, senza dire niente.- scosse appena la testa. -Non l'ho vista tra i Maghi superstiti, né tra la pila delle vittime da consegnare alle pire. Sul momento, non avevo la capacità mentale di preoccuparmi di qualcun altro, quindi ho lasciato perdere. Ho saputo dopo anni che era morta e me ne sono sorpreso. Era scaltra, ingegnosa, aveva un'ottima dialettica e se la sapeva cavare bene in situazioni difficili, soprattutto con le persone. Devo sapere cosa...-
-Lo vuoi davvero sapere?- lo interruppe Leliana, riponendo la tazza sul piattino lentamente.
Era un suggerimento palese, pronunciato con l’intenzione di farlo desistere dall'approfondire ulteriormente la questione; ma Cullen era affamato di verità. -Sì.- decretò.
Leliana si umettò le labbra, restando silenzio per diversi istanti prima di parlare, come per dare un ordine alle parole da riferirgli. Una volta decisa, si sporse nella sua direzione. -Era tra gli adepti più fedeli di Uldred, Cullen.- gli rivelò, usando un tono di voce dolce e moderato. -Mi dispiace.-
Lui aggrottò la fronte, guardandola con perplessità. -Non ci credo. Non era da lei, Leliana.- la contraddisse, aggrappandosi ai ricordi che aveva della ragazza con cui divideva sempre due chiacchiere dopo le funzioni e tante occhiate dolci nei corridoi. -Era un'apprendista vivace e finiva spesso in punizione, d’accordo, ma da infrangere qualche regola ad allearsi con un mostro... no, non è un comportamento coerente con la persona che conoscevo.-
-Ho indagato a fondo, Cullen. Puoi fidarti della mia parola.-
-Non aveva ragione di farlo!-
-Un Mago non ha ragione di desiderare la libertà, dopo aver ricevuto una sentenza ingiusta di morte? Dopo essere stato trattato come una bestia da pollaio fin dall'infanzia, costretto a sottostare a regole che non lo beneficiano nemmeno quando le rispetta?-
-Non così, non...- provò a dire lui, per poi zittirsi, sopraffatto da mille elucubrazioni.
Leliana allora recuperò un documento da un cassetto, posandoglielo davanti. Descriveva cinque diverse testimonianze di Maghi e Templari presenti all'epoca, che confermavano la rivelazione.
Cullen però stentava a crederci. -Se avesse saputo quello che mi stavano facendo...- iniziò.
Leliana appoggiò il dito sulla terza testimonianza, fornita da un Adepto della Calma. Confermava il peggio. Non solo Marian sapeva quello che gli stavano facendo, ma lo avvallava. -Probabilmente, era sotto l'influenza della Magia del Sangue.- la giustificò lei, mentre Cullen scorreva uno sguardo sconvolto sul foglio.
Rimasero in silenzio a lungo, soffrendo della tensione di chi condivide un'esperienza traumatica. Perché anche se Leliana non l'aveva vissuta con la stessa severità, ritornare a Kinloch con la mente era un viaggio che distorceva la sua percezione del presente. Il suo naso ricordava l'odore nauseante dello zolfo e della materia organica che impestavano ogni stanza in cui l’Eroe del Ferelden la conduceva; le sue orecchie sentivano ancora le grida e le suppliche di entrambe le fazioni, in un'eco lugubre, mentre i demoni banchettavano sulla disperazione di chi era esausto, o troppo debole per contrastarli; la vista le riportava una sinfonia di pustole rosse e viola, calde e pulsanti, che butteravano le pareti e da cui fuoriuscivano scie di liquido scuro e viscoso; le sue mani invece erano rigide e contratte sull'impugnatura dell'arco e sul metallo delle frecce, perché il pericolo proveniva da ogni direzione e la sua voce da bardo non era abbastanza forte da contrastarlo. Sembrava un “qui e adesso”, più che una brutta esperienza avvenuta nel passato.
Nello sguardo di Cullen, avvinto da una straziante desolazione, riconobbe il terrore che la scuoteva quando quel viaggio sensoriale le arrivava sotto forma di incubo (o peggio, come un ricordo improvviso che distoglieva la sua attenzione dal presente), perché nemmeno per lei esisteva un modo gratificante di uscire da quell'abisso.
-Avresti preferito che mentissi.- disse Leliana, accarezzando con lo sguardo la ciotolina delle noci, troppo nauseata per favorire. -E ammetto di essere stata tentata di farlo. Mentire è parte del mestiere, d'altronde.-
Cullen, esausto dalla pesantezza della rivelazione, si passò una mano sul viso. -Ti ringrazio per non averlo fatto.- ammise, a malincuore, perché una parte di sé agognava una bugia, qualcosa che non avrebbe aggiunto schifo allo schifo, permettendogli il lusso dell'ignoranza.
Leliana prese un respiro profondo. -Permettimi almeno di risparmiarti i dettagli sulla sua morte. Non penso che a questo punto tu voglia approfondire.- gli suggerì.
Cullen ci rifletté, poi diede un cenno di diniego. -Concordo.- disse, semplicemente.
Senza che entrambi se ne rendessero conto, le loro mani si strinsero saldamente sopra la superficie della scrivania, mentre i loro sguardi si fissavano su un punto non specificato, nascosto tra le venature del legno del mobile, senza riuscire a celare adeguatamente il brulicare di una moltitudine di pensieri che li avrebbero tormentati per il resto dei loro giorni.

Il premio per il locale più lugubre di Skyhold andava sicuramente alla camera-studio dell'Inquisitrice.
La fioca luce notturna, stemperata da una coltre di pioggia, si disperdeva sulla superficie di una scrivania ricoperta di ninnoli macabri, portacandela ricavati dalle ossa di diversi animali e faldoni carichi di materiale didattico. Sparsi tra essi, si annidavano documenti relativi a tutto ciò che è necessario sapere a una carica politica in preparazione a un evento fondamentale come il gran ballo dell'Imperatrice.
Sulla frazione del pavimento che circondava il mobile, disposti in un anfiteatro di disordine, c'erano libri sugli argomenti che più interessavano alla proprietaria di casa, dai manuali sull'alchimia ai mille modi di indossare il verde in ogni stagione dell'anno. Era un disordine letterario a livello fisico e contenutistico, eppure era palese che l’amore che veniva riversato su ciò che era importante fosse uguale a quello dedicato alle tematiche più superficiali.
A coprire la porzione di fredda pietra che rivestiva il pavimento dal focolare al letto, erano stati disposti molti tappeti di lana, che nascondevano i piedi dei mobili e avvolgevano la letteratura rasoterra in un abbraccio confortevole. Le fibre erano sormontate da sentieri irregolari, sintomo dell’iperattività di Lavellan, che riusciva a dedicarsi a più attività contemporaneamente senza fare troppa fatica. Quei solchi sui tappeti, insomma, provavano che fosse una persona che per pensare usava il corpo intero.
Il letto appariva comodo e maestoso, cinto da una testiera di legno intrecciato con, all'apice delle due sponde, una decorazione costituita da rami e palchi di cervo ben cerati. Il materasso, invece, era oberato di cuscini ricamati con foglie di quercia e raffigurazioni naturali. Inoltre, non era soltanto rivestito di coperte, ma anche di pellicce (cacciate e conciate da Lavellan stessa) e sopra di esse erano sparsi altri libri e scheletri di meccanismi da ultimare.
Oltre a possedere una catena di librerie, i muri erano tempestati di trappole e trofei di caccia, compresi di palchi, teschi e corna di varietà molteplici. La luce azzurro verdognola del velfuoco, proveniente da dei candelieri smilzi disposti agli angoli della stanza, danzava sul pallore mortale di quelle decorazioni, facendo si che le ombre proiettate strisciassero lungo le intercapedini delle pietre murarie, tremando convulsamente qualora uno spiffero colpisse le fiamme.
L'altare dedicato a Falon'Din, che Lavellan aveva costruito nel locale terrazzato che sovrastava la zona notte, era immerso completamente nel buio. A prima vista, creava un inquietante agglomerato malforme, ma quando il secco bagliore dei lampi illuminava la stanza a giorno, si poteva notare una terrificante scultura raffigurante un barbagianni ammantato, ricavata da un patchwork di legnoferro, ossa e materiali di recupero. Era attorniata da rami di quercia dipinti di ogni colore e spolverati con foglia d’oro, su cui erano stati appesi nastri, collane e ninnoli costruiti con gusci di frutta secca che creavano un cicaleccio perpetuo a causa dei tanti spifferi che ferivano la stanza.
Lavellan adorava il suo antro da strega mancata, perché era stato costruito seguendo i suoi gusti, le sue abitudini e i suoi interessi. Riteneva che fosse splendido e molto confortevole. Il problema era che nessuno, eccetto il suo segretario, sembrava condividere le sue scelte in fatto di estetica; nemmeno Dorian, che nel paradigma che definiva la sua personalità aveva “amante del macabro”.
Se non fosse che le persone erano costrette a frequentarlo, nessuno ci avrebbe mai messo piede volontariamente e Lavellan, pur essendo abituata a trattenere per sé certe inclinazioni discutibili, per evitare di indisporre gli animi sensibili, non riusciva a non sentirsi ferita da quel rifiuto.
In quella tetra notte tempestosa, figlia di una giornata uggiosa e straboccante di impegni, Lavellan aveva deciso di prendersi una pausa doverosa, trovando asilo nell'oscurità che avvolgeva l'altare. Le accadeva di aggiornarlo sempre quando aveva bisogno di assecondare un pensiero particolarmente rumoroso, infilando rametti, foglie, fiori secchi e ossicini nei tendini di halla per decorare gli spazi che le sembravano vuoti. Era un'operazione che favoriva il processo cognitivo, impegnandole le mani per velocizzare le idee. Pregare normalmente, come la stragrande maggioranza della sua gente, le sembrava incoerente con la sua persona e le pareva insincero rivolgersi ai Numi senza presentare loro se stessa nella sua interezza. Soprattutto, la riteneva una mancanza nei riguardi di Falon’Din, che l’aveva guidata fin da quando aveva emesso il suo primo vagito.
-Me le cerco.- borbottò, rivolgendosi a un moccolo di candela che aveva posizionato su una ciotolina di legno antistante l'altare. Quella era sorretta da tre mani scheletriche, dipinte d'oro e riccamente inanellate. Come base, c'era un piedistallo d'onice circolare, che rifletteva la fiammella, unica fonte di calore visivo in una sinfonia di colori freddi.
-Già, me le cerco.- ribadì Lavellan, annodando i vertici del serto su cui stava lavorando. -Ogni volta che dico “questa è la volta buona”, non è mai la volta buona. Delltash!- si rivolse allora alla scultura. -Cos'è, un modo di dirmi che devo restare concentrata sull'obiettivo?-
La scultura venne illuminata interamente da un lampo, ma giustamente non rispose.
-Posso avere una, ma dico una gioia in vita mia?- si lamentò Lavellan, scoccandole un'occhiata truce. -Posso darti ragione sul fatto che la mia fronte intrattenga una relazione promiscua con tutti i muri che trova sul suo cammino, ma almeno tu cerca di venirmi un po' incontro, dai! Posso fare il mio dovere ed essere felice allo stesso tempo, eh! Non è che devo per forza sacrificare ogni cosa.- aprì una mano nella sua direzione. -Ora mi verrai a dire: “Ankh, che me ne frega delle tue faccende personali? Io ho problemi ben più grandi!”.- la scimmiottò, inventandosi una voce lamentosa e distorta dalla condiscendenza. -“Pensa in grande, pensa in avanti, non soffermarti su questi pensieri superficiali. La tua gente ha bisogno di te, non cincischiare!”- roteò lo sguardo, mentre ripuliva il serto degli accessori ingombranti. -Ti pare che cincischi? No, dimmelo, ti pare che stia cincischiando?-
-Mi pare che tu stia impazzendo.-
Lavellan sobbalzò, rischiando di strappare la decorazione dallo spavento. -Fenedhis lasa, Shaan!- gemette, cercando di regolarizzare il respiro. -Annunciati, diamine!-
Il suo segretario fece capolino dalla botola alla sua destra, incrociando le braccia sul pavimento, nell'assumere una posa rilassata. Le rivolse un'occhiata divertita. -Non ne ho mai avuto bisogno.- replicò, soffermandosi a osservarla. -Eri talmente concentrata a fare la cretina che non ti sei nemmeno accorta che questa è la terza volta che passo.-
Lavellan appoggiò il serto all'apice della statua, dandosi qualche secondo per controllare che restasse fermo al suo posto, prima di muoversi verso il nuovo arrivato. Gli indicò di discendere la scaletta con un gesto brusco, prima di accedere a sua volta al piano inferiore. Una volta lì, trovò ad aspettarla sulla sua scrivania una rosa di gallette di riso ricoperte di marmellata, decorate con mirtilli e foglie di menta.
-Il tuo cuore era al tavolo della cena, prima, abbacchiato come un segugio chiuso fuori di casa durante un acquazzone.- le rivelò Shaan, sedendosi sul letto mentre lei recuperava il cibo. -Il suo sguardo correva spesso verso la porta delle tue stanze.-
Lavellan si rigirò una galletta tra le mani, studiandola con aria delusa prima di addentarla. -Non posso stargli troppo addosso, dopo quello che è successo.- disse, a bocca piena.
Shaan incrociò le gambe sul materasso, prima di rivolgerle un'occhiata scettica.
Lavellan reagì a quell’accusa implicita alzando gli occhi al cielo. -Avanti, dillo.-
-Te l'avevo detto.-
-Wow, nessuna esitazione!-
Shaan esalò un sospiro rassegnato. -Proprio perché in amore hai la fortuna di un amuleto per il malocchio, pensavo che avessi imparato che è il caso di andarci piano.- disse, ingentilendo il tono di voce.
Lavellan finì la galletta a fatica, si pulì le mani sui pantaloni, poi si andò a sedere al suo fianco. -Non c'è niente che non va tra noi, ha solo bisogno di un po' di tempo per riprendere contatto con la realtà.- spiegò. -Pensa di avermi ferita.-
-Ti ha ferita.- puntualizzò lui.
-Non intenzionalmente. Un delirio è un delirio proprio perché non ha un senso. Sono eventi successi nella nostra vita che si mescolano nella nostra testa, creando delle fantasie, e queste molto spesso sono svincolate dalla logica.- articolò lei, con convinzione. -Non è una cosa che si può controllare.-
Shaan però non sembrava essere persuaso da quelle parole. -Da quant'è che ti evita?-
Lavellan finse di rifletterci, ma era ovvio che fosse certa della risposta. -Tre giorni.- disse, chinando lo sguardo a terra. -Come l'hai visto?-
-Te l'ho detto, è abbacchiato, ma sembra stare bene.-
Lavellan guardò l'Ancora, che creava un braccialetto luminoso sulla chiusura del guanto che lei indossava per proteggerla. -Vorrei che non avesse così tanta paura di essere consolato.- confidò, tristemente.
Shaan avvolse il suo avambraccio con una stretta leggera. -Per un uomo che segue un codice d'onore, è molto facile diventare preda dell'orgoglio.- le spiegò. -E, molto spesso, la linea che intercorre tra orgoglio e vergogna è molto sottile.-
-Nel suo caso, è trasparente.- commentò lei, passandosi una mano sul capo. -Il problema è che lo capisco, lethallan. Ricevere rassicurazioni su qualcosa di così personale... ti fa sentire in colpa di esistere.- fece una pausa. -Tu che hai visitato le Valli molto prima di me, sai cosa vuol dire.-
Shaan non rispose, mantenendo sul viso un'espressione apparentemente neutra. Il suo sguardo era intellegibile, i suoi lineamenti rilassati, ma le dita appoggiate sulla manica del completo di Lavellan ebbero un tremito quasi impercettibile.
Lei rispettò quel silenzio, che alla fine era una conferma alla sua teoria. Appoggiò la mano sulla sua, semplicemente, conscia di non essere l'unica ad avere a che fare con qualcosa che umanamente era impossibile da processare.
Per molto tempo, l'unico rumore che si udì nella stanza fu lo scrosciare della pioggia proveniente da fuori, accompagnato dal saltuario crepitio di un tuono nella distanza.
-Fai bene a parlargli.- mormorò Shaan, curvo sul quel parco contatto fisico che spartivano. -A condividere con Lui quello che succede da questa parte. Non è qualcosa che facciamo tutti, al di fuori dei funerali.-
Lavellan sorrise appena. -Allora non pensi davvero che stia impazzendo.-
-Certo che lo penso, ed è un dato di fatto. Tu non sei mai stata tanto a posto con il cervello.- disse lui, senza tracce di divertimento sul viso. -Solo una pazza potrebbe pensare di assicurarsi un ruolo di comando in un'organizzazione voluta dai vertici della Chiesa.-
-Quindi è per questo che mi mettete costantemente in dubbio.- intervenne lei, assegnando una sfumatura maliziosa al sorriso che indossava.
Shaan ricambiò. -Chi ti mette in dubbio non possiede uno sguardo così allenato come il tuo.- disse, appoggiando la mano libera sulla sua. -In un universo dinamico come il nostro, in tempi sregolati come questi, la tua veggenza merita una fiducia incondizionata.-
Lavellan indugiò sul suo sguardo penetrante, rilassando gradualmente la postura. -Ma serannas.- disse.
Il suo interlocutore chinò lievemente il capo, in risposta. Attese qualche istante prima di ritornare alla carica su un discorso meno gravoso. -Ah, e per rispondere a nome di chi è impossibilitato a farlo: ci sono cose che puoi pianificare e altre che devi per forza vivere sul momento. La tua relazione appartiene alla seconda categoria.- le rivolse un'occhiata comprensiva. -Per una volta, pianificare potrebbe essere controproducente.-
Lavellan esalò un sospiro pesante. -Farò finta di non aver appena ricevuto un consiglio d'amore da qualcuno che l'amore lo riversa unicamente sulle scalette.-
Shaan si sciolse dalla presa, per rialzarsi. -Solo perché non ho tutta questa fretta di legarmi, non significa che non abbia esperienza.- la contraddisse, mentre si raddrizzava la giacca del completo. -Hai altri dieci minuti per riprendere fiato, poi ti aspettano cinque riunioni di fila.-
Lavellan sentì il peso delle responsabilità gravarle su ogni singolo osso che aveva in corpo, con il risultato che le si curvò la schiena.
-E finisci il cibo. È un ordine.- aggiunse lui, muovendosi verso le scale che portavano ai piani inferiori.
-Manco fosse mio padre.- brontolò lei, alzandosi a sua volta per raggiungere il vassoio. Lo rigirò sulla superficie della scrivania, saggiandone i bordi con le dita, mentre scorreva uno sguardo assente sul suo contenuto. -“L'unica cosa che riesce a mangiare quando il suo stomaco è annodato dal nervosismo”- mormorò, prendendo una galletta con cura per evitare di spandere la marmellata sui libri.
Se l’avvicinò alle labbra e l'aroma dolce della marmellata aderì immediatamente al suo olfatto, sbloccando la sensorialità di un ricordo confortante. Al primo morso, la memoria le propose subito le immagini sfocate collegate a esso, fornendole un contesto spazio-temporale a cui associare i suoi sentimenti.
-Dieci minuti.- disse tra sé e sé, ritornando la fetta al vassoio con lo sguardo di chi si sta aggrappando con tutta la psiche a un pensiero per non lasciarlo scappare.
-Dieci minuti.- ripeté, mentre il suo corpo si muoveva automaticamente attraverso le scalinate che conducevano ai locali inferiori.
-Dieci minuti. Dieci minuti. Dieci…-
Con i capelli e le spalle umidi di pioggia, maledisse il magnetismo che legava la sua persona e Cullen, poi bussò alla porta del suo ufficio, con decisione.
Non le servì annunciarsi, perché dal tono di voce con cui lui pronunciò -Avanti.- intese che fosse già al corrente della sua identità. D’altronde, anche lei tendeva a riconoscerlo al volo, quando l’attrazione che intercorreva tra le due parti si faceva più invadente.
Cullen era in piedi al di là della scrivania, indossando una rigidità partorita dal gran senso d’imbarazzo che provava nei riguardi della nuova arrivata.
Lavellan però non era lì né per rassicurarlo, né per discutere di ciò che era successo tre giorni prima. Si diresse verso la scrivania con decisione, così come affrontava il tavolo di guerra quando il consiglio si soffermava a discutere di questioni delicate, quindi appoggiò le mani sul bordo del mobile, protendendosi verso la mappa tattica che lo sormontava. -Quando a una ragazzina interessano più i cimiteri dei giocattoli, è difficile trovare un punto di connessione con gli altri.- iniziò, mantenendo un tono di voce moderato. -C’è sempre qualcosa da dimostrare, qualcosa da nascondere, qualcosa di cui privarsi per evitare di essere definita pazza. E oltre alla stranezza c’è la debolezza, il venire fraintesa per…- fece per sovrapporre una mano sullo stomaco, istintivamente, ma si impedì di concludere il gesto.
Cullen rilassò di poco la postura, avvicinandosi di un passo alla scrivania per prestarle orecchio attivamente.
-Non mi è rimasto niente di mia madre.- proseguì lei, sforzandosi di guardare il suo interlocutore dritto negli occhi. -Niente di materiale, intendo. Ciò che mi rimane è il conforto che mi dava dividere quel poco che ci veniva assegnato dopo che lei tornava dalla caccia. Non serviva che le dicessi quello che provavo, non serviva che mi giustificassi… quella piccola interazione mi bastava per non sentirmi sbagliata.- fece una pausa, per deglutire l’emozione. -Non ricordo i dettagli del suo viso, o il tono della sua voce, ma ricordo la nostra ultima cena insieme.-
-Marmellata di frutti di bosco su gallette di riso.- mormorò Cullen, carezzandola con uno sguardo malinconico.
A Lavellan non servì confermare la risposta. -Il suo ultimo atto di amore, per me, che sarei rimasta da sola con…- si indicò con un cenno sbrigativo, amareggiata. -Non me ne ero mai resa conto, prima che mi venisse fatto notare. Persino il mio cibo preferito ha a che fare con la morte. È… coerente. Nel senso più noioso del termine.-
Cullen rilasciò un respiro che, dalle tempistiche in cui stava eseguendo quell'azione, era ovvio avesse trattenuto per troppo tempo. -Non penso che abbia a che fare con la morte.- disse. -È il tributo involontario a un gesto altruistico. Forse è il motivo scatenante che ti ha spinta a diventare quel genere di persona per gli altri, anche se non te ne sei mai resa conto.-
-Quel genere di persona?- gli fece eco lei, dubbiosa.
-Quella che si priva dell'ultima mela della stagione per confortare un ragazzino che ha appena perso tutto.- elaborò lui, con un tono di voce che secerneva rispetto. -E che continua a darmi fiducia, nonostante…- si indicò, proprio come aveva fatto lei pochi istanti prima. -Tua madre ti ha lasciato molto più di quello che immagini, ed è un'eredità che ha salvato molte persone, me compreso.-
Lavellan deglutì, impedendo al nodo alla gola, formatosi a causa di quelle parole, di controllare la sua emotività e metterla in una situazione più difficile di quella che aveva anticipato. -Ha senso.- tagliò corto.
A fatica, si raddrizzò, lisciandosi la giacca sui fianchi, poi fece un passo indietro. -Grazie per avermi ascoltata.- disse, rivolgendogli un sorriso breve, tirato. -E scusa per l’interruzione.-
Cullen ricambiò il sorriso, con altrettanta enfasi. -Non preoccuparti.- replicò. Fece il giro della scrivania, con calma, poi si avvicinò alla porta settentrionale, per tenergliela aperta. -Ti accompagno.- propose.
-Non serve.- lo rassicurò lei, passandogli una mano sul braccio, coperto dall’armatura.
Indugiarono sull’ingresso a lungo, indecisi se contare le piastrelle del pavimento, osservare la pioggia lavare ciò che c’era oltre la porta, o troncare quell’interazione di netto per evitarsi ulteriori imbarazzi.
Cullen optò per la quarta opzione. Chiuse la porta e avvolse Lavellan tra le sue braccia, dando e ricevendo il carburante che serviva a entrambi per andare avanti in un contesto in cui si sentivano talmente esausti psicologicamente da non avere più la forza nemmeno di soffrire.

 

*



-Quelle tue dannate capre cornute hanno riempito il prato di escrementi. Ci ho rimesso la suola degli stivali nuovi.-
-Non sono mie, sono venute con le cacciatrici.-
Dorian sollevò uno sguardo divertito dal bicchiere di rosso che si stava godendo in compagnia di Varric e Cullen, nella corte del torrione occidentale. Lo portò in direzione della passerella, nella quale due guardie stavano facendo conversazione.
-Allora non sono l'unico a essere stato benedetto dalla fortuna, oggi.- bofonchiò Varric, che sedeva scompostamente su una catasta di legna.
-Se davvero portasse fortuna, a quest'ora noi fereldiani saremmo ricchi sfondati.- commentò Cullen, che sedeva, semisdraiato, al suo fianco con tutta l'aria di dover prendere sonno da un momento all'altro.
Dorian li zittì con un cenno, riprendendo ad ascoltare.
-Perché ve le portate appresso, poi?- domandò il primo soldato, che stava chiaramente picchiando un merlo con la suola dello stivale, per ripulirla.
-Perché sono animali sacri a Ghilan'nain, non è una cosa che uno shem può capire.-
-Capisco che semmai visitassi uno dei vostri accampamenti, mi ritroverei ad affrontare un campo minato.-
Il secondo soldato ridacchiò. -Sempre che ci arrivi. Hai visto le cacciatrici, no? Quelle scoccano a vista.-
-Le ho viste, le ho viste. L'unica carne che hanno le vostre cacciatrici è quella che abbattono, apparentemente. Come facciano a stare in piedi è un mistero.-
Varric si voltò appena verso Cullen. -Effettivamente.- commentò. L’altro, che stava sorseggiando il suo vino, gli rivolse un'occhiata di totale disapprovazione.
-Non eri anche tu un cacciatore, prima di entrare nell'Inquisizione?- tornò alla carica il primo soldato.
Ci fu un istante di silenzio. -Sì, meno pesi, più sei veloce e meno fai rumore.- rispose l'Elfo. -Ma la situazione è un po' più complessa, almeno nel mio clan. Il cibo che cacciavo lo portavo al Guardiano e lui lo razionava in base alle esigenze. In un clan come il mio che ha tante persone anziane, o tante famiglie, viene data la priorità alle persone più fragili. Di solito, noi cacciatori eravamo gli ultimi ad assaggiare le nostre prede.-
-Mi sembra una stupidaggine. Siete voi che avete più bisogno di restare in forze.-
-Vallo a dire al mio Guardiano. Se vuoi ti do carta e penna e gli mandiamo un corvo.-
Il primo soldato sbuffò. -Quindi l'Inquisitrice...- iniziò.
-L'Inquisitrice non fa testo.-
-In che senso?-
Varric e Dorian fecero convergere i loro sguardi su Cullen, che si era drizzato a sedere, con aria arcigna.
-Nel senso che non è una cosa legata alla caccia. Gira voce che abbia lo stomaco delicato, se capisci quello che intendo.-
-Dici che è in dieta?-
-Privarsi volontariamente del cibo, o peggio, vomitarlo dopo i pasti, è da considerarsi una dieta?-
Dorian si affrettò ad appoggiare una mano sulla spalla di Cullen, invitandolo a desistere dall'intervenire. -Voglio vedere dove vuole andare a parare.- mormorò, altrettanto infastidito.
-Da quello che so, è una cosa comune tra le nobildonne.- replicò il primo soldato. -Quando lavoravo per la sicurezza di dama Tourbette, sentivo lei e le sue dame di corte discutere di pratiche peggiori. Hai mai visto un corsetto? Quella è tortura vera e propria! Una volta madame è quasi svenuta durante un ricevimento perché quel marchingegno era troppo stretto. Da che mi ricordo, le altre dame l'hanno elogiata per essere rimasta in piedi fino alla fine.- fece una pausa. -Per fortuna siamo nati poveri e con un pene, eh?-
-Ho sentito dire dalla dama di compagnia della matrona De Launcet che molti dei vostri nobili si circondano di quelli della mia gente proprio perché li affascina quel genere di magrezza. Più un Elfo è magro, più è attraente, da quello che ho capito.-
-Quindi lo dici che lo fa per...?-
L'Elfo diede uno sbuffo eloquente. -Può essere che a lui piaccia così e lei si senta in dovere di...-
Cullen, che non ne poteva davvero più di assecondare la curiosità di Dorian, si alzò e si diresse verso la passerella con passo sicuro. Varric inspirò l'aria rumorosamente tra i denti, spostando uno sguardo imbarazzato altrove, mentre Dorian si attivava a sua volta, seguendo l'offeso per vedere come avrebbe gestito la situazione.
Quello, a dispetto delle sue aspettative, non sbranò i due soldati, anche se ne avrebbe avuto il pieno diritto. Piuttosto, li raggiunse con una calma innaturale, per posizionarsi alle loro spalle con un'espressione tremenda dipinta in viso. Dorian osservò i due passare da un sorriso gioviale allo sbiancamento graduale ma costante dei loro visi, per poi mettersi subito sull'attenti.
Cullen passò uno sguardo avvelenato su entrambi, dunque indicò loro il cortile. -Già che siete qui a fare niente, date una ripulita a questo posto.- ordinò.
-Ma signore, ci sta già pensando la squadra di manutenzione.- provò a dire il primo soldato, timidamente.
Cullen si limitò a guardarlo dritto negli occhi.
Il suo sottoposto annuì, nervosamente. -Sissignore.- balbettò.
-Faglielo fare a mani nude.- suggerì Dorian, per poi ripulirsi il palato con un sorso di vino.
-No, perché dopo li aspetterò nel mio studio per vedere il da farsi.- dichiarò Cullen, agitando una mano nella loro direzione per congedarli. Quelli esitarono un solo istante, con il terrore dipinto nello sguardo, poi si mossero velocemente attraverso la passerella per ottemperare all’ordine.
Cullen attese che se ne fossero andati, poi si passò una mano sul viso, stancamente, sforzandosi di mollare la presa sulla rabbia che provava. Dorian lo osservò con aria attenta, dal bordo del suo calice. -Cos'hai intenzione di fargli?-
-Purtroppo, niente. Sono bravi soldati, hanno solo la lingua lunga.-
Il suo interlocutore assunse un’espressione sbalordita. -Bravi soldati?! Ti hanno appena accusato di...-
-Lo so di cosa mi hanno accusato.- tagliò corto Cullen, tornando sui suoi passi.
-Meglio così. Le voci sono voci.- intervenne Varric, restituendo il bicchiere di vino che l’offeso aveva lasciato nella foga. -Non dargli troppo peso, Ricciolino. Sono soldati, la prossima settimana troveranno qualcosa di diverso su cui spettegolare.-
Cullen tornò a sedere, accigliato. -Preferirei che l'argomento del giorno non riguardasse sempre lei.- ammise, recuperando il contenitore.
-È normale. È il capo.- disse Varric, battendogli una mano sulla schiena. -Sapessi cosa dicono dell'Usignolo. Quelle storie sono realmente fantasiose.-
-Lo so cosa dicono delle mie colleghe, ed è altrettanto ingiusto.-
-Lei ci ride sopra.-
-Solo perché ci ride sopra, non delegittima il fatto che siano voci degradanti e diffamatorie.-
Varric si strinse nelle spalle. -Questo è vero, ma non è una cosa che puoi controllare. È pura goliardia.-
-Non è goliardia, è bassezza.-
Dorian si rimise al suo posto, sporgendosi poi verso di loro. -In tutta franchezza, questa cosa mi dà da pensare. Le uniche cose che le vedo mangiare sono frutta di bosco e noccioline.-
-A furia di mangiare solo mirtilli, si trasformerà in un cespuglio.- chiosò Varric, rigirandosi il bicchiere tra le mani.
-Smettiamo di parlarne, d'accordo?- sbottò Cullen. -È una voce. Messa in giro con l'intenzione di ferirla. Se la legittimate in questa maniera, peggiorerete la situazione.-
Dorian lo squadrò con uno sguardo indagatore. -Ci stai zittendo e basta, o parli così perché c'è un fondo di verità?-
Varric sospirò. -Secondo te?- rispose, in maniera eloquente.
Cullen non confermò, ma nemmeno negò quell'ipotesi, perché lui per primo era incerto sulla sua validità. In ogni caso, non erano affari che li riguardavano. Finì semplicemente il bicchiere in un sorso e lo appoggiò a terra, per poi rialzarsi con un alone di seccatura nello sguardo. -Devo tornare in caserma.- annunciò, muovendosi verso le scale. -Buon proseguimento, signori.-
Dorian lo osservò allontanarsi, poi recuperò il fiasco di vino e si riempì di nuovo il bicchiere. -Tu che cosa ne pensi?- domandò.
-Che non sono affari nostri, ma anche che sia il caso di fare quattro chiacchiere con il piccoletto, giusto per stare tranquilli.- rispose Varric, allungando il bicchiere in direzione del suo interlocutore per permettergli di rabboccarlo. -Tornando a noi, hai già provato la divisa?- domandò, cercando di sviare il discorso su argomenti meno personali.
Dorian si picchiettò i bordi delle labbra con un fazzoletto, poi spostò lo sguardo verso il sole che tramontava, coperto parzialmente dal mastio. -Lo farò stasera. Voglio essere presente quando Ankh proverà il vestito.- ammise. -La stilista ha lavorato duro, ma lei ci ha perso direttamente il sonno a furia di lezioni di danza e allenamenti sui tacchi.-
-Allenamenti sui tacchi?-
-Trampoli. Deliziosi, fiammeggianti e dolorosissimi trampoli.- dichiarò Dorian, con un sorrisetto. -Ma cosa ne parlo a fare con te che nei tuoi libri scrivi di vestiti come se fossero focacce ripiene!-
Varric rise. -D'accordo, mi limiterò ad annotarmi la reazione del ricciolino.- fece. -E spero per lui che non debba più fare i conti con accuse del genere.- aggiunse, a mezza voce.
Dorian prese un sorso di vino, con aria assorta. -Siamo in due.-

La ramanzina che Cullen fece ai due soldati fu breve e concisa, così come la conseguente punizione che rifilò loro. Entrambi non se l'aspettavano, perché erano stati colti in flagrante a diffamare la catena di comando, ma non osarono lamentarsi quando vennero assegnati loro soltanto un mese di turni ignobili e lavori pesanti in caserma, anzi, si scusarono sentitamente e accettarono le conseguenze delle loro azioni, com’era giusto che fosse.
Cullen li osservò allontanarsi con il cuore pieno di risentimento, perché odiava l'idea che i suoi uomini assegnassero a lui le colpe di una situazione che nemmeno Lavellan poteva controllare. Perché così come lui non poteva gestire il proprio trauma con la sola forza di volontà, lei non era in grado di far fronte alle conseguenze del suo nemmeno se Andraste in persona fosse scesa dai cieli per farle la predica. Lui sapeva che la sua compagna ne era consapevole, perché fin troppo razionale per negare l'evidenza, ma allo stesso tempo era certo che non avrebbe mai fatto un passo verso la guarigione senza prima capire i dettagli del suo malessere.
Il problema era che da sola non ci riusciva, l'intervento degli altri la infastidiva e basta e qualsiasi cosa lui facesse per venirle incontro sembrava portare al risultato opposto, causandole ancora più sofferenza.
Però non poteva mollare la presa, non dopo quello che lei aveva fatto per lui.
Fregandosene totalmente che fosse in atto la prova generale del vestito, si presentò di fronte alla porta d'accesso agli alloggi dell'Inquisitrice con una ciotolina di noci glassate e bussò sonoramente un paio di volte.
Gli andò ad aprire il segretario personale di Lavellan, che lo squadrò da capo a piedi con aria severa, prima di fargli cenno di seguirlo. -Non deve guardare, ma soprattutto, non deve toccare niente.- lo mise in guardia Shaan, mentre risalivano la rampa di scale che portava alle stanze dell'Inquisitrice. -Lasci qualsiasi oggetto contundente fuori e stia particolarmente attento a quelle noci, se non vuole che la signora Adra la scuoi vivo. Ah, e non...-
-Ho capito, ho capito. Starò attento.- lo interruppe Cullen, con voce annoiata.
Una volta risalita l'ultima rampa di scale, si ritrovò all'ingresso di un dedalo di stoffe e paraventi che avevano modificato profondamente il layout della stanza. Cullen si fermò sull'ultimo gradino con aria confusa, poi appoggiò le noci sul corrimano, provvedendo a liberarsi della spada e degli stivali, per evitare di incastrarsi durante il suo cammino.
-Inquisitrice, c'è il Comandante.- annunciò il segretario, scomparendo dietro a un paravento.
-No, no, no, no, no!- esclamò la voce burbera di Adra, facendo fare un giro su se stesso a Cullen, che non aveva la minima idea da dove provenisse. -Deve per forza aspettare. Se la tocca la sgualcisce e se la vede si rovina la sorpresa.-
-Posso tornare più tardi, non c'è problema.- si affrettò a dire Cullen, recuperando la ciotola per provare a muovere un passo attraverso il labirinto. -Ero solo passato a fare un saluto.-
Adra imprecò. -Non si muova da lì! Sono subito da lei con la sua divisa, ingegnere. Maestro, mi faccia un favore: lo blocchi prima che scappi, o non riuscirò mai a fargliela mettere.-
-Ci provo!- rispose la voce di Dorian, che Cullen riuscì a rintracciare nei pressi della scrivania dell'Inquisitrice. -Sono dietro al velluto di fustagno, Comandante.- lo indirizzò.
-E come accidenti è fatto il velluto di fustagno, adesso?- bofonchiò Cullen, tappando il contenitore con la mano libera per evitare di perdere pezzi per strada.
-Quello di fianco allo sciamito.-
-Oh, per l'amor di...! Sei alla scrivania o alla terrazza?-
-Alla scrivania. Attento ai rotoli di stoffa per terra! Sembra un campo di battaglia dopo che è passato un Artificiere.-
Dopo un'eternità a cercare di evitare di calpestare tessuti fin troppo costosi per trovarsi distesi per terra, Cullen riemerse dal dedalo, con il viso arrossato e un demone per capello. Raggiunse con uno sguardo allibito Dorian, che osservava la sua figura in uno specchio alto più di lui, poi si sporse per appoggiare la ciotola sulla scrivania.
-Cassandra è appena andata via.- gli riferì Dorian, raggiungendolo per prenderlo per un braccio e condurlo verso una rastrelliera con appese una serie di divise, situata a ridosso del letto. -Spero che non ti lamenterai per tutto il tempo, come ha fatto lei.- aggiunse, recuperando la sua divisa per consegnargliela con fare sbrigativo. Cullen la prese tra le braccia, con aria sofferente. -Devo proprio?-
-Deve, ingegnere. Deve.- rispose Adra.
Dorian lo spinse dietro a un paravento, poi tornò a specchiarsi. -Hai scelto tu questo rosso, no?-
-L'ho suggerito, non pensavo che l'avrebbe scelto.- replicò Cullen, disfandosi dell'armatura il più velocemente possibile per concludere alla svelta quella che lui riteneva una situazione creata ad arte per fargli perdere la pazienza.
-Eppure lo sai che gli Elfi non capiscono il rosso.-
Cullen si bloccò, sporgendosi al di là del paravento per rivolgergli un'occhiata stupita. -Gli Elfi non capiscono il rosso? E come diavolo ha fatto a...-
-Perché so fare bene il mio lavoro, ingegnere.- intervenne Adra, fuoriuscendo dal labirinto per raggiungere Dorian e sistemargli la giacca sulle spalle. -Le sta d'incanto, maestro!- si complimentò, abbassandosi gli occhiali sul naso nel fare un passo indietro. -Ecco uno che si è fatto vestire senza problemi. Guardi e impari, ingegnere!-
Dorian fece un giro su se stesso, poi compì una breve riverenza. Cullen alzò gli occhi al cielo, poi tornò a vestirsi. -Lav, se ci sei batti un colpo!- disse.
-Non può. Siamo al trucco e deve restare perfettamente immobile.- rispose una voce nuova, femminile e affettata, che lui non riconobbe.
Scontento, finì di abbottonarsi la giacca e uscì, con una fascia blu tra le mani e l'aria confusa. -E questa cos'è?- domandò, porgendola ad Adra.
Lei la raccolse e completò il lavoro al posto suo, per poi condurlo di fronte allo specchio. -Ma si guardi, ingegnere! La veste come un guanto!-
-Se i guanti fossero stretti sul torace.- si lamentò lui, senza però crederci troppo, perché la sua espressione, dapprima seccata, aveva assunto una sfumatura di soddisfazione.
Dorian inarcò un sopracciglio sopra uno sguardo scettico, poi spostò la testa verso il punto in cui era apparsa Adra poco prima. -Quando possiamo vedere il vestito?- domandò.
-Se fosse per me, lo vedreste direttamente al Palazzo d'Inverno.- rispose Adra, che stava cercando di capire quale fosse il problema con il taglio della giacca della divisa di Cullen, dato che non sembrava essere stretta come lui lamentava. Intuendo che fosse un commento fine a se stesso, ci rinunciò immediatamente, preferendo muoversi verso il tavolo alla ricerca del suo taccuino.
Quando notò la ciotolina di noci glassate, assunse immediatamente un'espressione dubbiosa. Si voltò brevemente verso Cullen, tornò a guardare la pietanza, infine rilassò i muscoli del viso. -Ragazzi, cinque minuti di pausa.- ordinò, battendo le mani due volte. Recuperò la ciotola e la consegnò tra le mani del suo portatore. -Non la tocchi, non metta le mani sul vestito e, soprattutto, niente baci.- lo avvisò, per poi indicargli una direzione al di là di un muro di gabardina nera, dal quale era appena fuoriuscito un gruppetto di persone, compreso un Nano in vestaglia dall’aria esausta.
-Posso respirare, almeno?- brontolò Cullen, contento di potersi allontanare due minuti da quella follia.
-Se deve.- scherzò Adra.
Dorian la fulminò con lo sguardo. -Ho aspettato due ore pur di vedere quel vestito.- le fece notare.
Adra lo squadrò da capo a piedi. -E a me che me ne importa? Si tolga la divisa, prima di stropicciarla.-
Seccato, Dorian soffiò una serie di imprecazioni in tevene, ritornando dietro al paravento per cambiarsi.
Cullen, nel frattempo, era riuscito a trovare la strada per raggiungere Lavellan, rischiando di riversare frutta secca sul vestito della truccatrice, che si era attardata per indicargli la strada. Quando vide la sua compagna, incorniciata dai drappi di tessuto che ricadevano dalle rastrelliere e dai paraventi, il fiato gli si mozzò in gola.
Il vestito era nero opaco, elegante, marziale e la fasciava come se le fosse stato dipinto addosso. Le spalline si congiungevano su un colletto senza alette, il quale si insinuava in un profondo scollo a V che scendeva fino alla chiusura dello sterno. Le maniche si aprivano sul gomito e l'eccedenza di stoffa andava ad aumentare il volume di una gonna svasata, aperta sul davanti e dotata di uno strascico di corte. Gli avambracci e le gambe erano coperti da un'armatura dorata, incisa in modo da richiamare un'ambivalenza simbolica. Infatti, a seconda di chi posava l'occhio su di essa, si potevano riconoscere sia le fiamme simbolo della Chiesa, ma anche il tronco di una quercia.
A coronare l'abbigliamento, i capelli erano stati acconciati in una treccia che le ricadeva ordinatamente sulla schiena, mentre i suoi occhi erano leggermente truccati di nero, amplificando il verde magnetico che li caratterizzava e illudendo l’osservatore che fossero affilati, quasi gatteschi. Le labbra invece erano dipinte di un mogano profondo, strutturate alla perfezione.
Se già al naturale la trovava bella, in quel momento Cullen ritornò a chiedersi, per l'ennesima volta, come accidenti fosse riuscito a fare in modo che una chiara manifestazione della perfezione si innamorasse di lui.
Lavellan osservava il suo riflesso in uno specchio lungo addossato alla parete, con le mani giunte in grembo e una vena di malinconia nello sguardo severo. Se possibile, quella nota di austerità dava ancora più potere alla sua figura, elevata nobilmente dall’ensemble.
-Promettimi che ti vestirai così al mio funerale.- scherzò lui, portandosi alle sue spalle.
Lavellan si voltò nella sua direzione. -Te l'hanno mai detto che sei una frana a flirtare?- lo canzonò.
Cullen sorrise lievemente, mentre appoggiava la ciotolina tra le sue mani. -Volevo solo dire che...- iniziò, per poi bloccarsi, sopraffatto.
Lei passò uno sguardo divertito su di lui. -Grazie.- disse, semplicemente, per poi iniziare a spiluccare le noci, attenta a non rovinare il rossetto.
Cullen carezzò il suo viso con occhi rapiti, indeciso su come approcciarsi a lei, che gli sembrava su tutto un altro piano dimensionale. Addirittura, appariva più alta.
Ci mise qualche istante a realizzare che era effettivamente più alta. Difatti, riusciva a guardarla direttamente negli occhi senza dover chinare la testa.
Lavellan intuì quello che le stava per chiedere e liberò una gamba dalle falde della gonna, approfittando dello spacco per sollevarla e appoggiare lo stivale su uno sgabello.
-Sembrano pericolosi.- commentò lui, osservando che la scarpa portava un tacco importante, decorato con una spirale di fiamme dorate che si congiungevano sul tallone. Ma erano davvero fiamme, o erano foglie?
-Mi alleno a portarli da settimane.- ammise lei, riportando il piede a terra. -Mi sono slogata due volte la caviglia, ma adesso riesco a muovermi in linea retta senza barcollare.-
-Sono molto poco pratici.-
-Orribilmente poco pratici. Ma ho in mente di...-
Un colpo di tosse al di là del tessuto la fece desistere dal continuare. Allora sospirò, appoggiando la fronte sulla spalla di Cullen, con aria stanca. Lui, che aveva l'ordine di non sfiorarla nemmeno con la più pura delle intenzioni, dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo pur di evitare di prenderla tra le braccia.
-Devo resistere.- mormorò lei, chiudendo gli occhi.
Cullen indulse in una minuscola trasgressione e le sfiorò il capo con un bacio lieve, poi cercò il suo viso con lo sguardo, per rivolgerle un sorriso. -Andrà tutto bene, amore mio. Saremo al tuo fianco durante tutto il ricevimento, non devi preoccuparti di niente.-
Lei però non sembrava per niente rassicurata dalle sue parole. Svuotò la ciotola, poi gliela restituì, per ritornare a guardarsi allo specchio, accigliata. -L'Araldo di Andraste.- fece, passandosi una mano sullo stomaco. -Pronta a salvare i suoi oppressori dalla rovina mentre perdono tempo con balli e banchetti, sapendo che l'unico applauso che riceverà a fine serata sarà quello tra il suo sedere e la sedia quando arriverà il momento di rilassarsi.- voltò uno sguardo tinto di frustrazione verso Cullen. -Non sai cosa darei per poter affrontare Corypheus faccia a faccia. Qui e adesso.-
-Sono con te.- replicò lui, portandosi al suo fianco. Osservò entrambi allo specchio, per diversi istanti, riconoscendo la rabbia che Lavellan gli aveva mostrato alle Tombe di Smeraldo, poi sospirò. -Purtroppo, non siamo ancora pronti. Abbiamo davvero bisogno dei dannati orlesiani, per vincere una battaglia del genere.-
-Non parlavo di una battaglia. Dico solo che da bambino non ha ricevuto abbastanza sculacciate e qualcuno dovrebbe provvedere in tal senso.-
-Arriveremo anche a quello, te lo prometto.-
-Nel senso che me lo terrai fermo mentre lo picchio, o che faremo a turni con il battipanni?-
-Decideremo quando saremo riusciti a metterlo alle strette. È solo questione di tempo.-
Lavellan aprì la bocca per replicare, ma ci rinunciò subito, imponendosi di scrollarsi di dosso la rabbia con un bel respiro profondo. Cullen raggiunse le sue mani per stringerle tra le proprie, impossibilitato a resistere altrimenti alla distanza impostagli. -Saremo così efficaci che non saprà nemmeno cosa l'ha colpito.- ribadì.
-Questi stivali sono così rumorosi che mi sentirebbe arrivare da chilometri di distanza.- replicò lei, permettendo che le loro dita si intrecciassero naturalmente, nonostante i guanti d’arme.
-Prova a pestargli un piede, allora. Magari è la volta buona che lo rallentiamo.- scherzò lui, rivolgendole un sorrisetto.
Lavellan rise, appoggiando la fronte sulla sua. Fece per baciarlo, ma si fermò giusto in tempo, ricordandosi del trucco. -Mi manchi terribilmente.- disse con un filo di voce e la desolazione nello sguardo, memore del fatto che l'unico momento che avrebbero potuto trascorrere insieme, da soli, prima del ballo, sarebbe stato forzatamente inquinato da discorsi relativi al lavoro.
Lui, che condivideva i suoi sentimenti, strinse la presa sulle sue mani. -Adesso non possiamo proprio fermarci, cuore mio. Ma quando arriverà il momento di riprendere fiato, ti starò così addosso che non vedrai l'ora di tornare in missione.-
Lavellan sorrise appena. -Come una sciarpa?- domandò, piano.
-Come un cappotto.- rispose lui, guardandola con occhi carichi di affetto.
-Dottoressa, non possiamo stare qui tutta la notte.- intervenne Adra, battendo le mani nervosamente dall'altro capo del labirinto di stoffe.
Lavellan e Cullen si scambiarono un'occhiata stanca, poi lei sciolse le mani dalla stretta, con decisione. -Ci sono!- disse, riprendendo il controllo dei suoi sentimenti. -Grazie di essere passato.- aggiunse, a mezza voce.
Cullen le rivolse un ultimo sorriso, attraverso lo specchio, poi recuperò la ciotolina vuota e si dileguò.
Una volta ritornato alla scrivania dovette fare i conti con un'espressione di totale disprezzo. -Perché quando ci sei di mezzo tu finisco sempre per rimetterci qualcosa?- lo aggredì Dorian, seriamente irritato.
Cullen lo ignorò. Appoggiò la stoviglia sulla superficie del mobile, poi si diresse verso il paravento, prendendo a slacciarsi la divisa. -È solo un vestito.- disse, dopo un po'.
Dorian, che si era affacciato sulla terrazza, esalò un sospiro nervoso. -Lo sai benissimo che non è "solo un vestito".- protestò, raggiungendo il Nano in vestaglia all’esterno per farsi consolare con un bicchiere di cordiale.
Cullen si ritrovò a sorridere tra sé e sé. -Già.- replicò, semplicemente.



 

-Nota-

Pronti per andare a comandare ad Halamshiral
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Da un lato, non vedevo l’ora, dall’altro aiuto
Ma aiuto per me, eh. Psicologico.
Abbraccissimi <3

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Capitolo 22
*** Gale ***


21 - Gale

 

Non poche teste si voltarono verso la pista da ballo del Palazzo d'Inverno quando l'Inquisizione venne annunciata, ma quando arrivò il momento in cui l'Inquisitrice si ritrovò ad attraversarla per prostrarsi all'Imperatrice, l'attenzione di tutti gravitò su di lei come una colata di olio bollente durante il più cruento degli assedi.
La corte aveva già espresso un parere negativo unanime ancora prima che Lavellan mettesse piede ad Halamshiral, ignorando i suoi successi nel Ferelden e i favori che aveva fatto all'Orlais nel liberare le Valli dalle pressioni di Corypheus. Piuttosto, erano state prese in considerazione in primis la sua razza, poi il radicalismo dell'organizzazione di cui si faceva portavoce.
Nonostante fosse accompagnata dalla Mano Sinistra e dalla Mano Destra della defunta Divina, nonché dalla precedente Incantatrice della Corte Imperiale, l'Inquisitrice restava un'eretica infedele che tutti sospettavano essere responsabile dell'esplosione del Conclave e della conseguente distruzione della sacra cattedrale in cui l'Eroe del Ferelden aveva assistito l'esimio fratello Genitivi nel ritrovamento del Tempio delle Sacre Ceneri.
Lavellan però era preparata a questo e a peggio, se possibile, e non vedeva l'ora di dare alla corte qualcosa di concreto per cui indignarsi.
Era calma in maniera preoccupante, mentre procedeva con grazia durante la presentazione, conscia che ogni sua mossa sarebbe stata pesata dalla corte e dai suoi burattinai.
Il brusio che caratterizzava il salone delle feste si placò, lasciando che solo la musica accompagnasse il suono deciso e cadenzato del tacco dei suoi stivali mentre il banditore di corte la presentava, assieme ai suoi colleghi e ai suoi compagni. 
Quando arrivò il momento di inchinarsi all'Imperatrice, Lavellan si prese i suoi tempi per guardarla bene negli occhi, e a molti parve quasi che le stesse pesando l'anima mentre lo faceva. Una volta che fu soddisfatta delle informazioni raccolte, eseguì una riverenza composta, con enorme sollievo da parte di Josephine, e ripercorse la pista da ballo, imperturbabile.
-Non siamo mica a un funerale!- sentì dire a una dama, una volta che il gruppo si fu riunito al seguito del Granduca.
-Si vede che non è avvezza a eventi di questo tipo. Un tacco del genere è consono solo in certi ambienti.-
-Molto sfacciata, si. Nemmeno l'Imperatrice si arrischierebbe a indossare un diadema durante una contrattazione.-
Nel sentire quell'ultimo sussurro, lo sguardo di Leliana si tinse di soddisfazione, dato che era stata una sua idea quella di far indossare all'Inquisitrice una corona. L'aveva fatta forgiare personalmente, seguendo la sua creazione fino dalla fase del progetto, in modo che niente venisse lasciato al caso. Si trattava di un semplice cerchio d'oro, borchiato sui punti cardinali, che si chiudeva sulla fronte della portatrice con il simbolo araldico dell'Inquisizione. Un simbolo di potenza e regalità, simile a quello che portavano gli Alti Comandanti dei Templari per distinguersi dai loro diretti sottoposti, ma anche un identificativo del suo ruolo. Era lei che dettava gli ordini, non le sue illustri colleghe e dato che una veterana del Gioco come Leliana era arrivata a suggerirle di indossarla, Lavellan aveva accettato quello sfoggio di prestigio senza protestare troppo.
-Lasci che glielo dica: ha un colore di capelli delizioso, Inquisitrice.- si complimentò una comtesse, parte di un capannello di curiosi che l'avevano accerchiata dopo averla vista conversare con le dame di compagnia dell'Imperatrice. La sua maschera bronzea raffigurava uno splendido cigno con le ali spiegate, aprendosi su una bocca sottile e sormontata da una ragnatela di rughe che la cipria, molto più chiara rispetto al suo tono di pelle, faticava a nascondere; piuttosto, le evidenziava.
-Già, non sono rovinati come quelli dei miei servi. Ha mai pensato di venderli al mercato di Val Royeaux? I capelli elfici sono molto richiesti per le parrucche.- intervenne un barone vestito di bianco, con tutta l'intenzione di metterla in difficoltà.
A dispetto delle aspettative, Lavellan rivolse a entrambi i suoi interlocutori un sorriso composto. -Immagino che una parrucca costituita dai miei capelli possa valere una fortuna, dato che molti credono che sia stata toccata dalla benedetta Andraste.- interloquì.
-Non è forse quello che sostiene l'Inquisizione, quando parla a suo nome?- tornò alla carica l'uomo, accorciando di poco le distanze per osservarla con aria curiosa.
La comtesse emise una risata di scherno, invitando i presenti a fare altrettanto con un gioco di sguardi. -Suvvia, Albert, se Andraste in persona fosse davvero ritornata dal mondo dei morti, credi davvero che avrebbe affidato la sua benedizione a un coniglio?-
Lavellan scorse uno sguardo divertito sul capannello, che sembrava concordare con quell'affermazione.
-Dama Pentaghast e Sorella Leliana la pensano diversamente.- intervenne un'ereditiera ricoperta di tulle verde mare dal collo alle caviglie.
-Dama Pentaghast e Sorella Leliana avevano bisogno di un fantoccio per legittimare la loro impresa eroica.- intervenne nuovamente il barone Albert, recuperando un pasticcino dal vassoio che gli era appena passato di fianco. -Se è un'eretica a comandare, loro possono sentirsi legittimate a prendere decisioni controverse senza soffrire delle responsabilità che ne conseguono.-
Lavellan non si scompose, piuttosto, assunse un'espressione dubbiosa, indicandolo con un cenno grazioso. -Monsieur Albert, lei aveva una bella tenuta nelle Valli, se non sbaglio.- suggerì.
-Un vigneto di uve bianche.- rispose lui, gonfiando il petto. -Si intende anche di vino per caso?- domandò, con un'espressione a mezza via tra il divertito e lo scettico, a cui si associarono diversi membri del capannello.
-Le cantine di Skyhold vantano un'ampia collezione di vini da dessert, tra cui una selezione di amari proveniente dalle mescite più pregiate di Seleny.- rispose lei. -Niente a che vedere con i passiti che produceva la sua casata, intendiamoci, ma ci difendiamo parecchio bene.-
La comtesse voltò uno sguardo interessato verso il barone. -Hai smesso la produzione?- gli domandò, recuperando un ventaglio dalla manica del vestito per aprirlo con uno scatto secco.
-Non ho idea a cosa si riferisca.- si affrettò a replicare lui, fingendo di interessarsi unicamente al pasticcino.
Lavellan inarcò un sopracciglio. -Ma come? Gli Uomini Liberi non avevano distrutto il suo vigneto in maniera irreversibile, quando hanno dato fuoco alle sue proprietà?- ritrasse appena il capo. -Ricordo perfettamente i suoi contadini offrirci l'ultimo grappolo d'uva del raccolto, in segno di ringraziamento per averli tratti in salvo.- spostò uno sguardo accigliato altrove. -Può essere che mi sia confusa con un altro Albert Petit-Bernard, la cui tenuta si affaccia su un bel giardino di cipressi.-
La comtesse si appoggiò una mano sul petto, con aria teatralmente desolata, mentre si faceva aria vistosamente.
Monsieur Albert strinse le labbra su una smorfia di frustrazione, rigirandosi il pasticcino tra le dita. -La sua memoria non è così perfetta come crede.- affermò, mentre chiunque prendeva a guardarlo con aria poco convinta. -Vogliate scusarmi.- borbottò, muovendosi verso la pista da ballo con una certa fretta.
-Non si è confusa.- soggiunse una dama di compagnia vestita di rosa salmone, alla destra della comtesse. -Io e mia figlia siamo state alla sua tenuta, la scorsa estate. Dà realmente su un giardino di cipressi.-
-Dalla qualità della sua reazione, pensavo fosse una cosa scontata.- replicò la comtesse, con un accenno di divertimento nello sguardo. -Ciò che è sorprendente, invece, è che il coniglio in realtà sia una volpe.-
Il sorriso di Lavellan si mantenne saldo sul suo viso. -Le volpi non sono così furbe come si pensa.- disse. -Una volta imparati i percorsi che seguono nel sottobosco, è abbastanza facile prevedere il loro passaggio per sorprenderle con una trappola ben piazzata.-
La comtesse passò uno sguardo interessato su di lei, senza smettere di agitare il ventaglio. -Quindi anche lei ha dei punti deboli, non è così imperturbabile come appare.-
-Beh, lei che è più ferrata di me sullo scopo ultimo del Gioco, sa che i punti deboli di solito sono ciò che una persona è più incline a proteggere. A meno che non sia possibile sfruttare il loro valore.-
-E lei appartiene alla prima o alla seconda categoria di giocatore?-
Lavellan rimase in silenzio giusto un istante. -Come ogni cosa, c'è bisogno di equilibrio, ma come dicevo prima a sua moglie, l'astuzia è una prerogativa di chi è dotato di discernimento e io ho poca pazienza per spiegare concetti basilari a chi non riesce ad abbinare ciò che sta sotto alla parrucca con ciò che nasconde il rossetto.- disse.
Gli occhi di tutti conversero sulla comtesse, che smise di sventagliarsi per assumere un'espressione infastidita, eccezionalmente visibile, nonostante la maschera. Lavellan allora chinò brevemente la testa in segno di saluto e si dileguò, oltrepassando il capannello per dirigersi verso Leliana, che la osservava con una punta di orgoglio nello sguardo.
Si presero sottobraccio, muovendosi con calma attraverso il matroneo.
-Affrontare madame Louise è stato un buon allenamento, ma è solo un antipasto. I veri giocatori sono quelli che ascoltano e osservano.- disse Leliana.
-A proposito di osservare, penso che al marito della comtesse non farà piacere sapere che la moglie si è trattenuta nelle cucine per mezz'ora assieme alla duchesse Bellefois, prima dell'inizio del ballo.-
-Mi sembra molto strano, Inquisitrice. A lei non piacciono le donne, è risaputo.-
-Infatti, hanno conversato. La dama di compagnia del comte de Chambrais mi ha riferito che la sua famiglia è a corto di liquidità e il marito non è più intenzionato a sovvenzionarla. Gran parte dei beni che si è portata dietro sono stati pagati dalla duchesse.-
Leliana ci rifletté giusto il tempo di raggiungere un tavolino. -Se ce la giochiamo bene, potremmo siglare un contratto d'affitto per la sua tenuta estiva. Abbiamo bisogno di più spazio per conservare le provviste e quella casa è gigantesca.-
Lavellan le rivolse un sorriso malizioso. -Non male per una principiante, eh?-
Leliana ricambiò il sorriso, mentre entrambe scioglievano la stretta. -Non sei una principiante, sei l'Inquisitrice.- precisò. -E se c'è una cosa in cui sei brava, oltre a impicciarti degli affari di tutti, è la tua abilità di usare la logica trasversalmente.-
-L'hai detto tu che ho un atteggiamento da spia.-
-L'ho detto, ma adesso la penso molto diversamente sul tuo conto.-
-Io non la penso diversamente sul tuo.-
Leliana perse gradualmente il sorriso. -Dopo tutto questo tempo, pensavo che avessimo chiarito.-
-Intendevo dire che ti ho sempre ritenuta un'alleata, nonostante quello che è successo tra di noi.- specificò Lavellan. -Ho scelto di prestare aiuto ai Maghi perché sei stata tu a suggerirlo e sono d'accordo con te che la Chiesa abbia bisogno di un cambiamento radicale per rompere il cerchio.- abbassò il tono di voce. -E capisco perché Justinia abbia affidato a te il suo lascito. Se fossi stata al suo posto, avrei fatto lo stesso.-
Si scambiarono un'occhiata intensa, poi un breve sorriso.
-Ha scelto la soluzione logica, insomma.- scherzò Leliana.
-Forse, le ha scelte tutte e tre, o nessuna.- ipotizzò Lavellan, posandole una mano sul braccio, prima di congedarsi.
Leliana la osservò allontanarsi, con una replica chiusa ermeticamente tra le pareti della gola. Non era il momento adatto per lasciarsi andare ai sentimentalismi. Purtroppo, l'idea che Lavellan ne fosse altrettanto consapevole non l'aiutò a mandare giù ciò che quella conversazione aveva risvegliato.

-Mi riesce strano immaginarla scapolo, Comandante.-
-A me riesce strano che voialtri non abbiate altro di meglio da fare che tormentarmi.-
Dal ventaglio di curiosi che minacciavano lo spazio vitale di Cullen proruppe un coro di risatine piccionesche. A lui quella platea sembrava uno stormo di anatre che litigano per l'ultimo pezzo di pane, o un gruppo di gabbiani che assediano una lisca di pesce nei giorni di mercato. Il fatto che i nasi adunchi delle loro maschere somigliassero a becchi affilati non aiutava la sua testa a costruire paragoni slegati dall'ornitologia.
-Ah, se non fosse già impegnato con l'Inquisizione, la prenderei subito come cicisbeo!- intervenne una petite comtesse, allacciando le mani in grembo mentre inclinava la testa con aria intenerita.
-Ma che dici Georgette? Il tuo promesso sposo non si fiderebbe mai a farti accompagnare da uno come lui alle feste!- la rimproverò una dama con il doppio dei suoi anni.
-Hai mai sentito parlare di condivisione dei beni?- scherzò suddetto promesso sposo, che si stava consumando lo sguardo sulla vittima delle loro parole.
Cullen esalò un sospiro seccato, allontanandosi di un passo da un signore elegante che si era fatto davvero troppo vicino. -Per l'ultima volta... oh!- sobbalzò, in risposta a un pizzicotto sul braccio. -Andraste benedetta, signorina te le taglio queste mani!- gemette, massaggiandosi la parte lesa.
La colpevole, piccina e paffuta come un pettirosso, nascose una risatina dietro alle falde di un ventaglio di pizzo.
Distratto, Cullen non realizzò che il signore si era avvicinato maggiormente. Si rese conto del pericolo troppo tardi, sentendo la presa di una mano ossuta sul suo fondoschiena.
Fortunatamente, la personale benedizione che gli aveva mandato Andraste non tardò troppo ad arrivare.
Lavellan sollevò la mano dell'uomo prima che potesse defilarsi, mostrandola ai presenti. -Ho trovato questa sul culo del mio Comandante.- annunciò. -Se trovate il proprietario, ditegli che se ce la ritrovo, la imbalsamo e la uso come fermacarte.-
Il proprietario si riprese ciò che gli era stato sottratto con aria arcigna, massaggiandosi il polso con fermezza. -Stavamo scherzando, Inquisitrice, non serve ricorrere alle minacce.- la rimproverò.
-Non la stavo minacciando, la stavo mettendo al corrente che ogni azione ha una sua diretta conseguenza.- lo corresse lei, in tono deciso. -E non è di me che dovreste preoccuparvi.- aggiunse, dando un cenno con il capo in direzione di un punto alle spalle del gruppetto.
Gli sguardi di tutti si posarono su Leliana, che sorrideva loro amabilmente, con la schiena addossata a una colonna e un'espressione stucchevole dipinta in viso. Poco da dire, quella visione bastò a calmarli.
Lavellan ne approfittò per prendere per un braccio Cullen, realmente furioso per quello scambio e lo condusse in salvo, nei pressi di una balconata straboccante di piante e fiori esotici.
Si trattava di un luogo ameno e rinfrancante, su cui erano disposti diversi tavolini ricoperti di cibo dolce distribuito su dei supporti a strati. La foresta artificiale, oltre alle ringhiere che costituivano il perimetro del balcone, era ben curata e la disposizione della flora era talmente razionale che simulava alla perfezione la caoticità di un paesaggio naturale.
Era un posto adatto per riprendere fiato.
Una volta lontani dall’indiscrezione ossessiva dei partecipanti al ballo, riparati dalle fronde di un acero rosso, Cullen liberò un sospiro stanco, appoggiando una mano sulla ringhiera del terrazzo per stringerla con forza. -Non ne posso più, Lav.- si lamentò.
Lei gli rivolse un sorriso comprensivo, poi gli passò una mano sul braccio. Lui, istintivamente, si irrigidì al tocco.
Lavellan ritrasse la mano senza fare troppe storie, poi si strinse nelle spalle, ampliando il sorriso per rassicurarlo.
Cullen rimase in silenzio a fissarla, indeciso su come elaborare la sua frustrazione, poi si ricordò di qualcosa e decise di concentrarsi su quello. -Ah!- disse, raggiungendo con le dita il borsello che teneva allacciato alla cintura. -Mentre cercavo di fuggire da quei maledetti avvoltoi, ne ho approfittato per fare un po' di scorta.- recuperò un involto di piccole dimensioni e lo esibì con un certo imbarazzo.
Lavellan si avvicinò di un passo, incuriosita, e lo aprì con cura, scoprendo un mucchietto di fragole a listelle. Per la prima volta da quando aveva messo piede nel Palazzo d'Inverno, il suo sorriso divenne sincero.
-Le ho, uh, tolte dalle tortine.- elaborò lui, abbassando il tono di voce. -Ho fatto di tutto per proteggerle, ma sono comunque un po' schiacciate. Mi dispiace.-
Lavellan ne raccolse una e la mangiò al volo, facendo di tutto per evitare che il suo sguardo si posasse sul vassoio luculliano di fragole intatte e luminose che stava giusto sul tavolino alle loro spalle. -Salvatore della patria!- disse, mentre prendevano a dividersele.
-Non esagerare, adesso.- borbottò lui, che non riusciva a celare il proprio sollievo per quella reazione.
-Non esagero. Ci voleva proprio!- ammise lei, coprendosi la bocca piena con la mano. -Vedi che c'è sempre un lato positivo?-
Cullen aggrottò la fronte. -Non penso che esista un lato positivo in questo posto.- disse. -A partire dall'odore. Veli su veli di profumo adagiati sulla pelle sporca, coperta da strati infiniti di trucco per celarne le piaghe. Trovare un paragone per questa puzza è...- si dovette fermare, stomacato dal suo naso, ancora reduce dall'ambiente interno. -Sembrano carcasse vestite a festa.-
Lavellan, che non era facilmente impressionabile, continuò a masticare e ad ascoltarlo mentre si sfogava, senza scomporsi.
-E poi c'è l'invadenza, la totale mancanza di rispetto per lo spazio altrui...- proseguì Cullen, accigliato. -Non sanno proprio dove fermarsi, nemmeno quando glielo comunichi. Un "no" è un "provaci ancora", per loro.-
-Hai finito?-
Cullen ritrasse appena il capo, sorpreso.
Lavellan mantenne lo sguardo fisso sul suo, in attesa.
Rimasero in silenzio a guardarsi per istanti che sembrarono durare minuti, poi lui si costrinse a giustificarsi. -Non sono preparato ad affrontare una situazione del genere, Lav. Non sono bravo quanto te a destreggiarmi con...- indicò con un cenno l'ambiente interno.
-Scuse.- affermò lei, dopo aver deglutito un'altra fragola.
-Non ho i mezzi per contrastarli.- ribatté lui, intenzionato a convincerla. -Dammi un Revenant e lo affronto senza fare storie, ma questo va ben oltre alle mie competenze.-
-Scuse, di nuovo.-
-Non sono scuse!-
Lavellan assunse immediatamente un'espressione severa. -A me sembra tanto che tu ti sia dimenticato chi sei e cosa porti al tavolo di guerra durante ogni dannata sessione del consiglio.- lo rimproverò. -Stai permettendo a questi incapaci di calpestarti, come se davvero non avessi i mezzi per metterli al loro posto.- alzò l'indice, con eloquenza. -Tu ce li hai i mezzi, gli stessi che hai usato per arrivare qui e adesso: onestà e abnegazione. Sono virtù, non debolezze, usale a tuo vantaggio e smetti di comportarti come una lucertola accerchiata da bambini che vogliono tagliarle la coda.-
Cullen, che nel frattempo aveva preso una posa marziale, in risposta a quella che il suo subconscio percepiva come la ramanzina di un suo diretto superiore, aprì una mano verso il salone. -Non sono pregi compatibili con quelli che ostentano loro. Lo sai.-
Lavellan si avvicinò di un passo. -Lo so, ma questo non deve fermarti.- affermò. -Queste persone affrontano il Gioco con lo stesso accanimento che avrebbe un disperato nei riguardi di una crosta di pane. Per loro, è un tentativo disperato di sopravvivere a una giostra che è stata progettata con l'unico scopo di non ammettere vincitori.- fece una pausa. -Il nostro vantaggio è che noi riusciamo a vedere oltre al muro di illusioni che si sono costruiti attorno. Sentiamo il tanfo di morte sotto al profumo, vediamo le piaghe sotto al trucco e riconosciamo la fragilità delle maschere che indossano.-
-Una fragilità che noi quattro non abbiamo.- aggiunse lui, accigliato.
Lavellan annuì. -L'Inquisizione, possiede la concretezza che a loro manca. E lo trovano divertente, senza rendersi conto che è proprio questo ciò che li salverà dalla crisi.-
Cullen ci rifletté lungamente, indugiando sui Vallaslin di Lavellan con lo sguardo alla ricerca di un uso pratico per quel discorso. -Non credo che dopo stasera il loro atteggiamento cambierà.- ipotizzò, scontento.
-Assolutamente no.- confermò Lavellan.
-Non ti fanno rabbia?-
-Mi fanno pena, vhenas.-
Quella risposta aiutò Cullen a rilassarsi. Si prese i suoi tempi per permettere all'orgoglio di filtrare le vere intenzioni di quel discorso, poi si concesse un sorriso. -"Ho trovato questa sul culo del mio comandante".- la scimmiottò. -Possibile che tu riesca ad aiutarmi a sdrammatizzare persino situazioni del genere?-
Lavellan esalò una risata soffusa. -Non ci vuole poi così tanto per smettere di prenderli sul serio.-
-Giusto una lavata di capo.- chiosò lui, rubando l'ultima fragola dalle sue mani per mangiarla.
Lei rimase zitta per molto tempo, percorrendo gli alamari della sua giacca con sguardo pensoso. Quando si decise a parlare, il suo tono aveva perso del tutto la severità che aveva ostentato in precedenza. -Non è piacevole assistere al modo in cui ti trattano.- ammise.
-Non è diverso dal modo in cui trattano te, eppure sei qui ad asciugare le mie lacrime.-
-Perché ti amo. Le tue lacrime sono anche le mie.-
Cullen fece per replicare, ma le parole si dissolsero sul suo palato. Quella dichiarazione d'amore, neanche troppo sorprendente, aveva svalutato qualsiasi cosa avesse una parvenza di importanza per lui. Erano il posto sbagliato e il momento sbagliato, proprio come un ago nascosto in un tappeto di pelliccia.
Lavellan si rese conto della sua inappropriatezza un po' troppo tardi per rimediare, per quello afferrò la prima scusa che trovò e gliela lanciò addosso, in modo che quel "ti amo" clandestino perdesse un po' del suo potere. -Devo finire di esplorare l'ala settentrionale.- disse, muovendosi per rientrare. -Dobbiamo sventare un assassinio, d'altronde.-
Cullen si aggrappò all'urgenza della situazione, immediatamente. -Ci faremo trovare pronti, tu fa' quello che devi fare.- la rassicurò, con decisione. Attese che fosse abbastanza distante, prima di arrischiarsi a seguirla, sollevato di poter posticipare quella conversazione, anziché sentirsi costretto a ricambiare una cosa così preziosa in un ambiente così marcio.
Mentre se ne andava, fece cadere lo sguardo sul tavolino, perché sicuro che avrebbe trovato qualcosa da bere, in modo da aiutarsi a sopportare ciò che sarebbe successo una volta rientrato. Sbarrò le palpebre, notando che al fianco di una caraffa di tè freddo c'era il vassoio straripante di fragole che Lavellan si era sforzata di ignorare durante la loro conversazione. Erano rosse, lucide di zucchero e salsa di limone, impilate in modo da creare un cono perfetto. Niente a che vedere con quelle che le aveva offerto.
-Inquisitrice.- chiamò, istintivamente.
Lavellan, che era già con un piede all'interno, si voltò nella sua direzione, appoggiando una mano sui cardini dell'ampia porta-finestra che divideva gli ambienti.
Cullen guardò il vassoio, poi lei, che non osava distogliere gli occhi dal suo viso.
Dopo un attimo di smarrimento, Lavellan gli rivolse un sorriso per allentare la tensione. -Andrà bene.- lo incoraggiò, per poi lasciare definitivamente il balcone.
Vederla allontanarsi, già accerchiata da persone che non avevano niente a che fare con lei, provocò a Cullen un gran senso di angoscia.
Si prese un istante per fare un respiro profondo e rientrò, sapendo che la situazione non era così tragica come gliela stava proponendo la sua testa. Convincersi di quell'idea, però, sembrava un'impresa di proporzioni gigantesche.
-Ah, Comandante, la stavamo giusto cercando!- lo accolse un nobile minore, porgendogli un bicchiere di champagne. Cullen sentì chiaramente un senso di noia ammorbante affaticargli i muscoli. -E per cosa, di grazia?- domandò, ignorando l’offerta mentre un paio di dame scivolavano al suo fianco.
-Per cosa, mi chiede.- disse il nobile, coprendo una risata di scherno con il dorso della mano. -Ci conosciamo tutti, qua dentro, è più che lecito voler approfondire la conoscenza di un viso nuovo.- gli spiegò, con una condiscendenza stucchevole.
-Soprattutto se è un viso come il suo.- intervenne una signora che si era appena unita al trio. -Attaccato a un corpo come il suo.-
A quel commento, la noia gli scivolò tra le caviglie, lasciando campo libero alla determinazione che gli aveva instillato Lavellan pochi istanti prima. -E cosa vi fa pensare che io sia interessato ad approfondire la vostra conoscenza?- domandò.
-Non è importante che lei conosca noi, siamo noi a voler conoscere lei.- rispose il nobile.
-A me basta che stia fermo così, a dirla tutta.- aggiunse la signora.
Cullen inarcò un sopracciglio. -Ah si?- fece, allacciando le mani dietro la schiena nel raddrizzarla. -Allora lasciate che vi confidi due cose su di me. La prima è che sono un uomo che soffre di impazienza di fronte alle perdite di tempo. La seconda è che ho ancora meno tolleranza per le prese in giro.- passò lo sguardo sui suoi spettatori, per niente intimoriti dal suo atteggiamento. -E vorrei ricordarvi che in un palazzo i soldati parlano più dei servi, soprattutto quelli che offrono la loro spada a degli imbecilli che li considerano come l'ultima ruota del carro. Secondo voi, da chi vanno quando soffrono d'insoddisfazione: dal loro datore di lavoro che si rifiuta di trattarli come esseri viventi, o da qualcuno che ha davvero a cuore la loro dignità?- si indicò. -Mi raccomando, continuate a trattarmi come un pezzo di carne. Io, per contrappasso, manderò ogni singolo reclutatore dell'Inquisizione a parlare con le vostre scorte.-
Mentre Cullen parlava, il nobile stringeva le labbra e quando ebbe finito erano ridotte a un segmento d'indignazione. -Lei è proprio la perfetta rappresentazione della sua gente, Comandante. Un bullo che non sa stare alle regole e quando le cose non vanno come vuole rovina il gioco a tutti gli altri.- chiosò.
Cullen sollevò l'indice, per fornire una precisazione. -Però sono bello da vedere.- disse, rubandogli il bicchiere di champagne con un mezzo sorriso.
La signora appena arrivata e una delle due dame si scambiarono un'occhiata divertita, l'altra invece fece spallucce. -Andiamo a tormentare la nuova dama di compagnia della Tourbette?- propose.
Da solo a fare i conti con l’offesa, il nobile esalò un sospiro seccato. -Mi ricorderò della sua maleducazione, Comandante. E sappia che ho un'ottima memoria.-
Cullen scorse velocemente lo sguardo su di lui. -Ma sparisca.- disse, allontanandosi con calma mentre si godeva il suo meritato champagne.

Josephine fu l'ultima a raggiungere il corridoio in cui Lavellan aveva dato appuntamento ai suoi colleghi.
Nonostante il brusio degli invitati e il richiamo della musica che provenivano dall'anticamera del salone, si trattava di un'area piuttosto quieta, ottima per discutere sul da farsi.
-Dov'è l'Inquisitrice?- chiese la nuova arrivata a Leliana, che si rigirava lo stelo di un flute vuoto tra le dita con aria pensosa.
-Lei e Cassandra dovrebbero essere qui a momenti.- le rispose Cullen, con aria esausta.
Josephine si portò di fronte a lui per raddrizzargli il bavero della giacca. -Dite che ha trovato qualcosa?-
-Di sicuro, sennò non avrebbe mandato lui.- disse Leliana, alludendo a un Nano vestito elegantemente, lo stesso che sfoggiava mille vestaglie eccentriche per i corridoi di Skyhold. Quello ignorò di essere stato preso in considerazione, preferendo riordinarsi con un pettine la barba rigogliosa, mentre osservava il suo riflesso su un sottile pilastro di marmo azzurro.
Cullen si soffermò a guardarlo bene, dato che era la prima volta che gli capitava di farlo, nonostante lo avesse visto spesso nelle ultime settimane. Era di poco più alto di Varric e il suo fisico era atletico e asciutto. I capelli, castano chiaro, erano acconciati in una coda di cavallo e divisi a ciocche da fermagli in osso dipinti d'oro. La barba, di una tonalità più scura rispetto ai capelli, era liscia e morbida come la criniera di un purosangue dalish. Il suo viso era giovane e poco espressivo, ma i suoi tratti gentili erano puliti e radiosi, segno che dedicasse molto tempo durante la settimana per curarlo, analogamente a barba e capelli. Chi fosse o cosa facesse lì in quel momento era una domanda lecita, ma Cullen non osò aprire bocca. Per qualche oscuro motivo, era certo che fosse esattamente dove doveva essere e chiedergli di giustificare la sua presenza avrebbe rotto il contratto di fiducia incondizionata che aveva con Lavellan.
Tutto d'un tratto, una delle porte che costellavano il corridoio si aprì, interrompendo i suoi pensieri e da essa sbucò fuori Adra, con aria impaziente. -Beh, è arrivata?- domandò, rivolgendosi a Josephine.
Quest'ultima scosse la testa. -Non ancora.-
Adra sbuffò, alzando gli occhi al cielo. -Non potete sollecitarla, voi che potete?- brontolò.
-Se potessimo, non saremmo qui a perdere tempo.- rispose il Nano, con un tono di voce basso e suadente.
Adra ammiccò, rivolgendogli un'occhiata perplessa. -Sei sempre in mezzo alle scatole, tu?-
Quello osservò il suo riflesso per qualche istante in più, poi spostò uno sguardo verde e penetrante in direzione della sua interlocutrice. -Potrei farti la stessa domanda.-
-Io lavoro per lei.-
-Loro.- la corresse Leliana.
-Anch'io, ma almeno non disturbo nessuno con i postumi della mia vecchiaia.- replicò il Nano, tornando a concentrarsi sulla sua immagine.
-Sbaglio, o il suo seguito si sta ingrandendo sempre di più?- domandò Cullen, rivolto a Josephine. -È persino più grande del tuo.-
Quella finì di raddrizzargli la fascia, poi gli rivolse un'occhiata eloquente. -Tra tutti, tu sei l'ultimo che dovrebbe giudicarci.-
Cullen inarcò un sopracciglio, confuso da quella replica. -Pensi che gli ufficiali siano il mio seguito? Sul serio?-
-E cosa dovrebbero essere, sennò?- si intromise Adra. -Le stanno appresso come carta moschicida, le ripetono ogni due minuti quanto è bravo e competente e fanno tutto quello che dice loro.-
-Ma qualcuno qui dentro sa come funziona un esercito?- gemette Cullen, sconvolto.
-Oh, eccola!- esclamò Leliana, interrompendo la conversazione per indicare un punto dall'altro capo del corridoio.
Lavellan, Cassandra, Vivienne e Dorian si muovevano verso di loro con passo deciso e le armi in pugno. Cassandra, in maniche di camicia, teneva la giacca del completo sulla spalla e dallo stato del suo viso e dei suoi capelli sembrava l'unica a essere reduce da una colluttazione. Gli altri, invece, portavano le conseguenze di quello che era successo poco prima unicamente nello sguardo. Quello di Lavellan, infatti, era particolarmente preoccupato.
-Venatori. Bello.- riassunse Leliana, asciutta, una volta che Lavellan ebbe spiegato ai suoi colleghi la situazione. Gli altri, che erano entrati nella stanza occupata da Adra per sistemarsi, ne uscirono giusto nel momento in cui Josephine si lasciò sfuggire un'imprecazione piuttosto colorita nel suo dialetto.
-Ci baci tua madre con quella bocca?- la rimproverò Dorian, scherzosamente, prima di dileguarsi, sottobraccio a Vivienne.
-No, ci denigro quelle di chi ha architettato questa situazione incresciosa.- replicò lei, realmente arrabbiata. Si rivolse a Lavellan. -Tu stai bene?-
La sua interlocutrice le rivolse un sorriso tirato. -Meglio di così si muore.- scherzò. -Voi? Avete scoperto qualcosa?-
-Niente di rilevante, per quanto mi riguarda.- disse Cullen, incrociando le braccia sul petto. -Il Granduca è rimasto nel salone per tutto il tempo, attorniato dai suoi fedelissimi.-
-Già, non c'è stata la minima interazione con la cugina, o con le sue dame di compagnia, se non tramite convenevoli.- intervenne Leliana. -Stanno temporeggiando.-
-Meglio per noi.- dichiarò Lavellan, sfregandosi le mani lentamente. -Quanto tempo abbiamo?-
Josephine fece un calcolo mentale rapido. -Il giusto per permetterti di ripulirti.- disse, indicandole Adra, in attesa.
-Per cambiarmi, vorrai dire.- replicò Lavellan, facendo cenno al trio di seguirla.
-Ritornerò nel salone, di sicuro la tua assenza avrà suscitato qualche domanda.- disse Josephine, facendo per andarsene.
Lavellan recuperò la sua mano giusto in tempo per evitare che fuggisse e la condusse personalmente all'interno della stanza. -Possono aspettare qualche minuto in più.- fece, con aria stranamente divertita. Leliana e Cullen si scambiarono un'occhiata scettica, poi si mossero in coda alle due senza discutere.
Adra condivise una smorfia truce con il Nano, portatosi di fronte all'ingresso con tutta l'aria che l'avrebbe protetto con la sua stessa vita, poi sigillò l'ambiente, assicurandosi di sbattergli la porta in faccia con tutta la forza che aveva.
Si trattava di una stanza mediamente ampia, tanto da non rientrare di poco nella definizione di sgabuzzino, ma il soffitto era molto basso ed era chiaro che non venisse fatta manutenzione da anni; sintomatiche dell'incuria erano le piastrelle del pavimento scheggiate e la carta da parati che spellava come un geco in tempo di muta. In realtà, come grandezza era simile al vecchio capanno dell'erborista di Haven, solo che in pianta quadrata, e profumava di radice elfica, probabilmente infusa dai nuovi arrivati per rinfrescare l'ambiente, chiaramente inutilizzato fino a quel momento. Al suo interno, il disordine che la caratterizzava prima che Adra ci mettesse le mani era stato spinto lungo le pareti, per fare spazio al disordine ospite. C'erano alcuni paraventi lisi, che Adra aveva recuperato dagli scarti del laboratorio dello stilista dell'Imperatrice, diversi bauli straboccanti di stoffe per operare sostituzioni veloci e una rastrelliera con una replica esatta dei vestiti che indossavano i membri del seguito dell'Inquisitrice, in modo da poterli sostituire nel caso in cui si fossero rovinati durante la serata.
Lo sguardo dei consiglieri, appena ebbero messo piede in quell'allevamento di polvere e decadenza, si andò a posare su una struttura coperta da un telo bianco, che oberava la stanza nel suo esatto centro.
-Sia rapida.- sbottò Adra, parandosi di fronte a esso.
L’attenzione si concentrò su Lavellan, che aveva appena assunto un'espressione a tratti colpevole, a tratti eccitata. -È una proposta. Non sentitevi in dovere di assecondarla.- premise, giungendo le mani di fronte al viso. -Però sappiate che semmai decideste di farlo, avreste la mia eterna e imperitura gratitudine.-
Cullen si lasciò scappare un -Aiuto.-, allegato a un'espressione contrita.
-No, no, non è niente di che.- lo rassicurò Lavellan. -Vorrei solo che mi assecondaste.-
-Aiuto.- ripeté Josephine, aggrottando la fronte.
Adra alzò gli occhi al cielo, mentre prendeva a battere il piede a terra per l'impazienza.
-Per il cambio di vestito ho progettato un'entrata. Ve ne ho parlato, no?- ritornò alla carica Lavellan, portandosi di fianco alla sua stilista.
-No, ma era intuibile.- replicò Leliana, con una scintilla di curiosità nello sguardo.
Lavellan e Adra si scambiarono un'occhiata d'intesa, poi si mossero ai lati opposti della struttura, prendendo un lembo del tessuto ciascuna.
Il telo cadde a terra con un tonfo soffuso e ciò che venne rivelato fece sobbalzare Josephine, sgranare gli occhi a Cullen e diede l'opportunità a Leliana di trasformare l'accenno di curiosità in un sorriso intrigato.
Ciò che era stato montato su tre manichini creava una variegata palette di colori, di stoffe e accessori. Si partiva dal lussuoso velluto bordeaux di Denerim, arricchito con inserti di pelliccia e criniera di leone, alla toile di Serault i cui ricami cangiavano come le piume del più borioso dei pavoni a seconda di come la luce li baciava, fino ad arrivare alla seta luminosa di Seleny intarsiata di citrini e topazi che ricordavano il cielo stellato riflesso nel mare. Ognuno dei vestiti aveva come trait d'union un inserto d'armatura, preponderante nel primo, frequente nel secondo e meno accentuato nell'ultimo.
Lo sguardo affascinato di Cullen si spostò immediatamente su Lavellan, che aspettava un verdetto con le mani appoggiate sulle guance e una certa aspettativa negli occhi resi socchiusi da un sorriso raggiante. Messo di fronte a quell'imbarazzo, dolce come la glassatura del più delizioso dei dessert, il cuore gli si strinse nel petto.
-Avete lavorato duro per portarmi qui.- si affrettò a dire lei. -E l'idea che voi dobbiate restare in secondo piano per permettermi di brillare mi è sembrata ingiusta fin dall’inizio. Questo è un po'... un dono di scuse ma anche una maniera di alleggerire il fardello che siete costretti a portare da che abbiamo varcato le porte del palazzo.-
Leliana, che abbracciava con uno sguardo intenerito gli stivali dell'ensemble dedicato a lei, ampliò il sorriso. -Come abbiate fatto a confezionare un abito del genere in un paio di settimane lo sa solo il Creatore.-
-Ho dovuto costruire dal nulla un guardaroba da regina consorte a regina regnante in molto meno tempo. Questo, in confronto, è stato facile come prendere il tè delle cinque.- spiegò Adra, con noncuranza. -Spero di aver accontentato i gusti di tutti.-
-Direi proprio di sì.- ammise Cullen, affondando le dita nella criniera, di un ricco biondo paglia lungo e vellutato, che decorava il mantello. -Quindi è questo che intendeva con "abito da sera".-
Adra lo ignorò. -Allora, si fa questa cosa, o devo rimetterli nel baule?-
-Li può richiudere e rimandare a Skyhold quei bauli!- esclamò Josephine, placcando il suo vestito per rifugiarsi assieme a esso dietro a uno dei paraventi.
Lavellan esalò un sospiro di sollievo, poi si sporse su Adra, abbracciandola brevemente per festeggiare il successo del loro piano. Quella ricambiò, battendole una mano sulla schiena. -Beh, è stato più facile del previsto.- ammise, mentre Leliana si muoveva con entusiasmo verso la truccatrice, che la accolse con un sorriso radioso e una batteria di pennelli da sfumatura tra le mani.
Cullen, che nel frattempo stava percorrendo con i polpastrelli gli intarsi dell'armatura, parte integrante del suo completo, si voltò appena verso Lavellan. -Non è difficile da indossare.- mormorò. -Anzi, è più facile da chiudere rispetto alla mia.-
-Meglio, no?- disse lei, affiancandosi al suo compagno. Raggiunse la sua mano per spostarla sullo spallaccio dell'armatura. -Ah, questa è Miss.-
-Sto indossando Miss?- chiese lui, ridendo.
-Stiamo indossando Miss. Tutti.- precisò lei, aiutandolo a spostare il manichino dietro a un altro paravento. -Fortunatamente, Amun sa conciare la pelle di drago come nessun altro.-
-Il Nano.- elaborò Adra, mentre controllava che la parrucchiera sistemasse i capelli di Leliana in maniera coerente con il vestito. -Non è bravo quanto Wade, o Tholomeus, ma sa il fatto suo.-
Cullen sistemò il manichino con cura, prendendo a esplorarlo con le dita per capire come smontare l'ensemble. -Ci metterò poco, davvero.- rassicurò Lavellan, prima che se ne andasse. Lei rispose con un mezzo sorriso, gli sfiorò la guancia con un bacio, poi si dileguò, lasciandolo da solo a fare i conti con il pensiero che quella donna non se la meritava proprio.

Com'era prevedibile, Cullen fu il primo a finire di vestirsi. Uscì dal paravento, allacciandosi il mantello così come ricordava l'avesse visto indossato dal manichino, poi si affiancò a Josephine di fronte all'unico specchio della stanza, per osservare il lavoro finito.
Non era un completo diverso da quello che indossava solitamente. Torso, braccia e gambe erano protetti da un'armatura rivestita di nero e oro che si univano per creare un effetto marmorizzato. Si trattava di un ingegno che non appariva in maniera preponderante, disturbando l'insieme degli elementi, piuttosto si comportava con la luce apparendo e sparendo in base all'intensità del riflesso, presentando una figura effimera, simile alla ramificazione complessa di un lampo che attraversa il cielo durante la tempesta.
Il pettorale era sagomato sulle sue forme ed era sovrastato da una testa di leone ruggente in rilievo, immagine che si ripeteva sulle gomitiere e sulle ginocchiere. La peculiarità dell'armatura era data dalla mancanza di spallaccio e bracciale superiore laddove il mantello cadeva, sul braccio che di solito reggeva lo scudo.
Eppure, il leone non era l'unico simbolo presente nell'insieme. Sul cuore vi era inciso il simbolo araldico dell'Inquisizione e le fibbie che tenevano insieme ogni singolo pezzo dell'armatura erano a foggia di Grazia di Andraste. L'ampio mantello di velluto, foderato di pelliccia, era chiuso sul fianco da una catenella dalle maglie larghe i cui fermagli erano concavi e finemente decorati dalla mano di un orafo; rassomigliavano a scudi tondi, con un araldica che a Cullen non era familiare.
Dopo aver dato un sorriso soddisfatto, spostò lo sguardo sulla collega, che si stava facendo acconciare i capelli. Di fronte alla sua eleganza, ritrasse la testa, ammirato.
Ricordava realmente il bagliore lunare che si riflette sul mare, grazie a un gioco di intarsi e trasparenze che ondeggiavano su una stratificazione di stoffe calcolata per non appesantire la sua figura. I suoi capelli, sciolti, le ricadevano boccolosi su una spalla ed erano tempestati di piccole pietre bianche e dorate che cambiavano di grandezza in maniera sparsa, in modo da simulare alla perfezione il cielo stellato. Il suo braccio sinistro era fasciato da un'armatura dorata a scaglie; le decorazioni e la sottocotta invece richiamavano i toni blu del vestito.
Il trucco coronava l'ensemble alla perfezione. Un ombretto lievemente più scuro del suo tono di pelle era stato sfumato sull'arcata sopraccigliare in modo da essere maggiormente concentrato laddove la piega della palpebra incontrava la palpebra mobile, in cui era stato applicato con una precisione unica uno strato di foglia d'oro.
Adra fece voltare entrambi, per studiare la situazione con occhi severi, poi sorrise come non aveva mai fatto, posandosi una mano sulle labbra. -Diamine se sono brava!- esclamò.
-Se posso essere sincera...- disse Josephine, con una nota d'imbarazzo nel tono di voce. -Non me l'aspettavo.-
Adra non parve risentirsi di quelle parole. -Non ho mai confezionato un abito che non sia piaciuto ai clienti di Tholomeus, e questo è perché un vestito non è solo un'opera d'arte, ma anche un modo di combinare il gusto del cliente a quello di chi si applica nel processo di creazione.- spiegò. -Gli stilisti più bravi non sono quelli che osano, sono quelli che ascoltano.-
-Non mi pare che abbiamo fatto consulti, però.- disse Josephine, tornando ad ammirarsi.
Adra lanciò a Cullen un'occhiata divertita. -Questo lo dice lei.- fece, per poi muoversi verso il paravento dietro cui Leliana stava finendo di cambiarsi.
Lui la seguì con lo sguardo, senza riuscire a smettere di sorridere. -Direi che l'Inquisitrice ha fatto la scelta giusta, non pensi?-
Josephine si limitò a lisciarsi il vestito sui fianchi, con in viso un appagamento che consolidava implicitamente quell'affermazione.
-Una mano?-
Cullen spostò la testa in direzione del paravento in cui si era rifugiata Lavellan, alla sua sinistra.
-Sono un attimo impegnata, dottoressa.- rispose Adra. -Ingegnere, ci pensa lei?-
-Io?- domandò Cullen, irrigidendosi.
-È l'unico che riesce a muoversi senza trascinarsi dietro un ettolitro di polvere.-
Josephine gli diede un buffetto sul braccio, per attirare la sua attenzione. Quando ci fu riuscita, lo attirò a sé, per mantenere un certo riserbo evitando di alzare troppo la voce. -Non la sgualcire. Per qualsiasi altra cosa, avrete tempo dopo.- lo avvisò.
Con i visceri stretti in una morsa d'imbarazzo, Cullen si scostò dalla collega, dirigendosi verso il paravento. Fece un respiro profondo, prima di varcare la soglia dell'ennesima linea sottile che divideva la sua compostezza di uomo d'onore dalle mille trasgressioni che voleva fare con tutto il cuore ogni volta che si trovava nei pressi della sua compagna.
Dato che era abituato a essere lui, quello sorpreso dalle sue intrusioni nei momenti meno opportuni, reagì con aria interdetta alla facilità con cui lei lo accolse, seminuda e scarmigliata.
-Come ti aiuto?- domandò Cullen, calciando via virtualmente la sua fame di dettagli per portarsi al suo fianco. Lavellan, che si reggeva un corsaletto dorato sul petto, gli diede le spalle, indicandogli la chiusura. -Ho provato ad allacciarlo come mi ha spiegato, ma più in su dell'ultimo gancio non riesco ad andare.- spiegò.
Cullen studiò velocemente la chiusura, data da una fila di ganci su cui iniziò subito a lavorare, cercando di concentrarsi su di essi per evitare che il profumo balsamico dei capelli di Lavellan gli annebbiasse le intenzioni.
-Sei più bassa, adesso.- mormorò al suo orecchio, spezzando il silenzio con la prima cosa che gli era venuta in mente, in modo da aiutarsi ad alleviare la tensione.
Lavellan gli gettò un'occhiata veloce, da sopra la spalla. -Attento alle mani.- lo avvisò, mentre appoggiava la schiena sul suo petto per sollevare una gamba e svelargli l'arcano. Il tacco sottile era stato sostituito da un tacco più corto e largo. -Pensavi davvero che me ne sarei andata in giro a investigare su quei trampoli?- gli domandò, mentre posava di nuovo il piede a terra.
Ma a Cullen non interessava troppo di una scarpa, dato che era ipnotizzato dal profumo dei suoi capelli, dalla fermezza del suo bacino, sul quale le sue mani erano andate a posarsi per sorreggerla, e dalla vicinanza del suo collo, a ridosso delle sue labbra. Era così vicino che poteva percepirne la morbidezza, sotto ai baci con cui avrebbe voluto percorrerlo.
-Puoi farlo mentre finisci.- suggerì lei, in un soffio, colpevole di condividere con lui quel pensiero rischioso, una risposta istintiva alla delicatezza del suo respiro sulla pelle.
Incapace di deluderla, Cullen chiuse le labbra sul suo trapezio, mentre le mani lasciavano il suo bacino per tornare a fare quello che era vitale che concludesse, prima che venissero interrotti da un rimprovero. Risalì il suo collo con baci delicati e silenziosi, lentamente, mentre lei teneva gli occhi serrati, mordendosi il labbro inferiore saldamente per evitare di rispondere in maniera fin troppo palese a quelle attenzioni di cui era affamata.
Quando ebbe finito di allacciarle il corsaletto, Cullen le appoggiò le mani sui fianchi, adagiando la fronte sulla sua nuca. -Dimmi che hai ancora bisogno di me, per favore.- la supplicò, non riuscendo a trattenere una risata nervosa.
Lavellan coprì un sorriso con la punta delle dita. -Troverò qualcosa.- lo rassicurò, voltandosi finalmente verso di lui. I loro sguardi si ritrovarono e quel contatto rilasciò nell'aria un calore che nessuno dei due aveva mai osato affidare all'altro, perché era sempre troppo presto per pensarci.
Durante quello scambio, che avrebbe reso elettrica la gomma, Cullen ebbe una rivelazione retroattiva, rendendosi conto di aver fatto un errore molto stupido. Non aveva realizzato che non esistevano un luogo e un momento sbagliato, perché il contesto in cui si amavano era già sbagliato di per sé, quindi ritardare qualcosa di così bello come quello che provavano l'uno per l'altra non aveva senso.
-Potresti ricontrollare le chiusure delle cinghie, mentre mi allaccio la gorgiera.- propose lei, riuscendo in qualche modo a riprendere le redini della situazione.
Cullen non esitò ad andarle incontro, perché era essenziale che accelerassero i tempi. Il problema era che, nonostante quello che stava succedendo al di là del paravento, quel momento tra loro era qualcosa di altrettanto importante. Vitale, semmai.
Mentre lei provvedeva ad allacciarsi la gorgiera, lui percorse il suo corpo dalle spalle alle caviglie con un tocco delicato, usando decisione qualora incontrasse una cinghia allentata. Un preliminare che sembrava una tortura. Ogni volta che le sue dita si appoggiavano su una chiusura, indugiava a percorrere il tratto di tessuto che c'era attorno, odiando che i suoi guanti impedissero alla sua pelle di conoscere ciò che si rifiutava persino di sognare, per rispetto di un'attesa che era stato lui stesso a stabilire.
Ciò che però lui cacciava via dalla sua immaginazione, veniva raccolto dall'istinto, ricordandogli che non erano stati solo gli occhi determinati di Lavellan a farlo innamorare di lei. C'erano la sua grazia, fisica e psicologica, le sue dita sottili che avvolgevano l'impugnatura dell'arco con fermezza e che allo stesso tempo riuscivano a regalare al suo viso la più soffice delle carezze. Poi c'erano tutti quei momenti in cui gli confermava con lo sguardo che preferiva lui e quello che le stava offrendo al resto, dimostrandogli che non esisteva niente di meglio al mondo. Aveva scelto lui, non la promessa di una persona migliore. E quello era un atto molto più potente di una vana rassicurazione a parole.
-Mi fai sentire come il sole che scalda la neve durante gli equinozi.- mormorò al suo orecchio, una volta che entrambi ebbero finito tutte le scuse che si erano imposti di assecondare pur di andare avanti.
-Molto poetico.- rispose lei, appoggiando le mani sui suoi fianchi con delicatezza, per mantenere il contatto il più possibile, prima di ritornare alle sue responsabilità.
Cullen sorrise appena, accarezzando con lo sguardo, poi con le dita, le sue guance, arrossite. -Preferisci qualcosa di più concreto?-
-Preferisco qualsiasi cosa tu voglia darmi, che sia concreto o poetico non fa differenza.- rispose lei, facendo risalire le dita dai suoi fianchi al ventre, dal ventre al petto, dal petto al viso. -E darei qualsiasi cosa per essere neve, assieme a te.- aggiunse, con la voce rotta da un nodo alla gola che riassumeva tutta la frustrazione che provava per non poter andare oltre.
-Sta' attenta, ti prego.- disse lui, appoggiando la fronte sulla sua, mentre le loro labbra si sfioravano appena. -Ti amo e sono stanco di aspettare.-
Lavellan si sforzò di regolarizzare il respiro, mentre si aggrappava ai suoi polsi. -E allora andiamo a sventare questo maledetto assassinio, così posso smettere di aspettare anch'io.- disse, spezzando la tensione con una risata che condivisero.

La rabbia invidiosa di Dorian raggiunse la stratosfera e cadde a strapiombo sul pavimento di marmo del salone delle feste quando i quattro fecero la loro entrata in scena.
Allo scoccare della seconda campana, Lavellan varcò il portale d'accesso con in viso una rabbia che fino a quel momento non aveva potuto esprimere.
Rimase immobile per qualche istante, poi dallo strascico del suo vestito nero apparve una fiammella, che andò a ingrandirsi mano a mano che i secondi passavano.
Una duchesse diede un gridolino acuto, mentre una comtesse si copriva il viso con un ventaglio, sconvolta alla vista del fuoco che divorava con un fischio lungo e frizzante l'abito dell'Inquisitrice, rivelando ciò che c'era al di sotto.
Circondata da un circolo di cenere e frammenti di stoffa fumante, Lavellan portava un'armatura che in realtà era un'opera barocca degna di un mastro artigiano dell'Orlais. Dell'ensemble precedente restavano solo le componenti che coprivano gli arti. Il pièce de la résistance era diventato un corsaletto dorato che dai fianchi risaliva fino al seno di Lavellan come le fiamme che avevano tormentato Andraste sul rogo. Ma erano davvero fiamme, o la corteccia di una splendida quercia?
Subito dopo di lei entrò Leliana, che le posò un mantello nero sulle spalle, agganciando i suoi vertici su due anelli che ricordavano pericolosamente le manette di una catena.
Si portò allora al suo fianco, attirando a sua volta gli sguardi di chi era davvero incuriosito da quell'esibizione, che per quel poco tempo di messa in scena aveva distolto l'attenzione dalla pista da ballo e zittito molti commentatori.
Leliana, possibilmente, era la dama più bella del Palazzo d'Inverno. I suoi capelli erano stati arricciati sulle punte, le sue labbra e le sue guance appena toccate di rouge e il suo sguardo allungato da un trucco verde scuro, con sfumature viola, colori presenti nel completo che indossava.
Esso era geometrico, composto da giacca e pantaloni i cui colori appunto richiamavano il piumaggio di un pavone maschio. Sopra di esso, portava un cappotto voluminoso in toile ricamata in maniera così fitta che solo la luce poteva mostrare la qualità della mano che aveva sorretto l'ago. Così come Cullen e Lavellan, le sue braccia e le sue gambe erano decorate con un'armatura dorata.
Il suo viso appariva sano e luminoso, nonostante fosse pallido, e indossava una vena di malizia che ammiccava a chiunque la guardasse, pur esprimendo l'idea che chiunque l'avesse avvicinata non sarebbe stato mai abbastanza per lei.
Con gli occhi della nobiltà addosso, i quattro leader dell’Inquisizione si radunarono in riga di fronte alla pista da ballo, si scambiarono un'occhiata d'intesa, poi si mescolarono alla folla con naturalezza, come se non fosse successo niente.
-E questa, miei cari, è un'entrata in scena.- annunciò Vivienne, per poi prendere un piccolo sorso di champagne con aria visibilmente compiaciuta, mentre il gruppo di nobili che la circondavano perdevano la mascella sul pavimento.

-Vuoi discuterne con me? Davvero?- domandò Leliana, scettica, dopo che Lavellan la ebbe presa da parte un'ultima volta.
La sua interlocutrice si fermò a osservare l'area attorno a loro, aspettando che fossero al riparo da occhi e orecchie indiscreti prima di rispondere. -Ho bisogno di un parere spietato e la tua idea è quella che mi convince di più.- ammise, tornando a guardarla con uno sguardo affilato come il suo coltello da caccia.
Leliana si prese i suoi tempi per analizzare il suo viso, poi la condusse attraverso la folla, tenendola sottobraccio. -Se vuoi davvero che regni indisturbata, devi darle i mezzi necessari per prevalere sugli altri.- spiegò. -Una collaborazione tra le parti rischierebbe di toglierle il potere necessario di agire. Bisogna che sia lei a tenere il guinzaglio.-
Lavellan assunse un'espressione accigliata. -Visti i loro trascorsi, l'opzione di Josephine potrebbe influenzare il suo giudizio in materia decisionale. Senza contare che è già successo che ritenesse prioritario l'interesse dei nobili, a discapito del resto.-
-Stai parlando dell'Enclave, suppongo.-
-Sto dicendo che qui dentro c'è bisogno d'aria fresca e nemmeno l'opzione di Cullen mi piace un granché.- specificò Lavellan, accompagnando la sua collega attraverso il vestibolo. -Nessuno è innocente ed entrambi sono costituiti dalla stessa materia classista e boriosa che stiamo cercando di mettere al suo posto da che avete fondato l'Inquisizione. Ho bisogno di qualcuno che possa fare l'interesse sia della mia gente, sia di quelli che vivono in una condizione inevitabile di miseria, indipendentemente dalla razza.- fece una pausa, per salutare con un cenno una chevalière di cui aveva fatto la conoscenza poche ore prima. -Insomma, chi dei due sarebbe più facile da tenere al guinzaglio?-
-Puoi arrivarci tranquillamente da sola, non ti serve la mia opinione.-
Lavellan, in effetti, ci dovette pensare davvero poco. Esalò un sospiro stanco. -E porco incestuoso e sessista sia.- dichiarò, per niente eccitata da quella risoluzione.
Leliana le rivolse un sorriso tirato. -Te l'ho detto che non ti serviva consultarmi.-
-La tua opinione mi serve sempre, amica mia.- la rassicurò Lavellan. -Se non per prendere una decisione, per comprendere la pesantezza delle sue ripercussioni.-
-Sai, è reciproco.- ammise Leliana, appoggiando la mano sulla sua. -In qualche modo, sento che con te la mia umanità è un pochino più al sicuro.-
Lavellan ridacchiò. -Lo stai dicendo a un'Elfa.-
-Buffo, no?-
-Esilarante, ma anche bellissimo.-
Leliana strinse appena la presa. -Così dicon tutte.- concluse, prima che si separassero.

Mentre la folla si appiattiva alle pareti, spaventata dalla tragedia che era si era appena consumata di fronte ai loro occhi, Josephine raccolse le falde del vestito con decisione e corse a pieni polmoni dietro a Leliana e Cullen, che si stavano precipitando verso il vestibolo.
-Non muovetevi, l'Inquisitrice risolverà la situazione!- rassicurò una nobildonna alleata, mentre Cullen diramava ordini affinché i soldati dell'Inquisizione aiutassero il corpo di guardia del Palazzo a tenere al sicuro gli invitati.
-Ti conviene restare qui.- le suggerì Leliana, indicando a un agente dell'Inquisizione di raggiungere la pista da ballo, per evitare che i musicisti, già in procinto di lasciare l'edificio, intralciassero le operazioni.
Josephine la guardò con aria irritata. -Non se ne parla! Io vengo con voi.- la contraddisse, muovendosi per prima verso il vestibolo. -Devo capire l'entità della situazione prima di...-
Si ritrovò immediatamente protetta da uno scudo, che vibrò intensamente mentre deviava un pugnale da lancio che avrebbe rischiato di ferirla a morte.
Leliana si liberò dal soprabito e ancora prima che potesse toccare terra, recuperò il pugnale, aspettò che chi l'avesse lanciato fosse a portata di tiro e lo ritornò al mittente, colpendolo con precisione al cuore.
Cullen attirò a sé Josephine, continuando a proteggerla mentre si spostavano dall’area di pericolo, per ripararsi dietro a una colonna.
-Tutto bene?- le chiese, affacciandosi per capire l'entità della minaccia.
Josephine, aggrappatasi al braccio che reggeva lo scudo, annuì nervosamente. -Mi dispiace essermi impuntata.- gemette -Ma ti prego, voi dovete andarle dietro.-
Una volta fatti i suoi calcoli, Cullen si voltò verso Leliana, che aveva appena atterrato un Arlecchino con una presa di sottomissione da manuale. -Considerato che abbiamo a che fare con Lav, gli unici che non sono al sicuro al momento siamo noi tre.-
-Ah, non sottovalutarti!- lo rimproverò Leliana, afferrando una freccia in volo senza problemi. Rubò un arco a un sottoposto di Cullen e usò quella stessa freccia per abbattere chi gliel'aveva tirata.
Cullen scortò Josephine di nuovo alla pista da ballo, affidandola a uno dei suoi ufficiali. -Tienili in riga, Ambasciatrice.- la salutò, con un mezzo sorriso.
Josephine gli appoggió una mano sulla spalla. -Portale indietro tutte intere.-
-Ci provo.- rispose lui, sguainando la spada, mentre la porta si richiudeva alle sue spalle. -E provo a ritornare tutto intero anch'io, già che ci sono.- bofonchiò, stringendo la presa sullo scudo.
-Vai, ti copro!- gli indicò Leliana, colpendo qualsiasi cosa si muovesse.
Cullen non se lo fece ripetere due volte. Diede cenno ai suoi di precederlo nel discendere le scale del vestibolo, indicando loro di mantenere la posizione sull'ingresso per evitare che venissero colpiti da qualsiasi cosa si trovasse fuori di esso. Una volta raggiunta la soglia anche lui, si rivolse di nuovo a Leliana. -Ci siamo!- annunciò.
Lei arrivò di corsa, guardandosi attorno con aria circospetta. -Andiamo insieme?-
-Beh, è il mio turno di coprirti.- replicò lui, sollevando lo scudo con enfasi.
Uscirono a ridosso l’una dell’altro, avanzando con i soldati e il corpo di guardia attraverso una sventagliata di frecce e pugnali da lancio. Il rumore delle punte di freccia sembrava grandine mentre colpivano il metallo temprato, ma non fu un deterrente per arretrare, o per fermarsi.
Cullen piantò lo scudo a terra, scambiò un'occhiata d'intesa con Leliana, quindi attesero che ci fosse un istante di pausa e si separarono, il primo per sfoltire le difese assieme ai soldati, la seconda per eliminare i bersagli più pericolosi sul campo di battaglia.
Quando la situazione fu drasticamente migliorata, Leliana si soffermò a osservare la barriera magica che bloccava il perimetro dei giardini. -Come la buttiamo giù?- domandò.
Cullen schivò il fendente di un mercenario, indietreggiando, poi evitò di finire accoltellato alla schiena da un Arlecchino, chinandosi giusto in tempo. Il primo nemico lo eliminò con un affondo al cuore, il secondo con un colpo di scudo talmente forte da spedirlo due metri più in là.
Sfogò la tensione con un'imprecazione, poi si sforzò di concentrarsi su ciò che gli era stato chiesto. -Se è magica, abbiamo bisogno per forza della magia per abbatterla.- ipotizzò, intravedendo il riflesso di un combattimento cruento al di là della barriera.
-Peccato che gli unici Maghi disponibili siano impegnati.- disse Leliana, abbattendo l'ultimo Arlecchino con una freccia.
-Non tutti.- disse Cullen, voltandosi verso la balconata orientale. -Tenente!- chiamò.
Leliana seguì con lo sguardo un gatto pasciuto mentre percorreva la ringhiera che la delimitava di corsa. Il felino atterrò sulle scale, scomparendo momentaneamente dalla vista e al suo posto apparve il tenente Burrows, brandendo il suo bastone da mago con decisione. -Siamo a buon punto di là. Nessuna vittima, tranne Horace che si è slogato una caviglia.- riportò. -Come posso aiutarla?-
Cullen gli indicò la barriera con un cenno del capo. -Riesci a tirarmela giù?- domandò.
Burrows analizzò la struttura magica con tanto d'occhi. -Posso crearle un varco. Va bene uguale?-
-Perfetto.- rispose Leliana, facendosi affidare una faretra carica di frecce.
Burrows piantò il bastone a terra, sorreggendolo come una lancia e mantenendolo immobile mentre agitava le dita della sinistra, già bagnate di magia. -Dovrete essere molto veloci, però.- disse.
Leliana si affiancò a Cullen, di fronte al cancello ed entrambi si scambiarono un'occhiata rapida. -Sono felice di scendere in campo al tuo fianco.- ammise lei.
-Anch’io.- replicò lui. -Per l'Inquisitrice!-
-Per Lav!- lo corresse Leliana, con un sorriso intrigante.
Burrows raccolse il bastone con entrambe le mani e spinse un globo di energia spirituale sulla porzione di barriera che si chiudeva sul cancello, il quale di fronte alla pressione si aprì. Ne spinse un altro e un altro ancora, finché non riuscì a creare un varco di dimensioni microscopiche. -Comandante, si prepari!- gridò, mentre richiamava più energia e la rilasciava con tutta la forza che possedeva. -Adesso!-
I due osservarono il varco allargarsi in risposta all’evocazione, diventando grande abbastanza per farli passare, e non persero tempo. Lo attraversarono con un balzo.
Leliana atterrò in bilico su un gradino, Cullen l'afferrò in tempo sia per evitare che cadesse che per impedire che un mercenario la trapassasse con una lancia.
Non ebbero il tempo materiale di riprendere fiato.
Con un movimento deciso, Cullen sollevò lo scudo e deflesse un proiettile di balestra, proteggendo se stesso e la collega mentre prendevano riparo dietro il parapetto della rampa orientale. Tra i piantoni, studiarono velocemente il campo di battaglia, decifrandone velocemente la morfologia e distinguendo alleati da avversari.
Lo scontro era maggiormente concentrato sul lato est della grande fontana centrale, dove Dorian e Cassandra davano battaglia a una dozzina di avversari, tra Arlecchini e mercenari. Sul troncone centrale dei giardini, invece, Vivienne cercava di attirare l'attenzione del resto dei nemici su di sé, mentre a ovest si alternavano scoppi a esplosioni, sintomo della presenza di Lavellan e della Granduchessa.
Leliana e Cullen si scambiarono un cenno e senza dire niente, lui discese la rampa a est, lei quella a ovest.
-È arrivata la cavalleria!- annunciò Dorian, infilzando un nemico fattosi troppo vicino con la baionetta posta al terminare del suo bastone da mago. La estrasse con un gesto secco, roteò il bastone e spinse una salva di fuoco rapido su un Arlecchino nel mezzo di un assalto.
Cullen caricò un mercenario, colpendolo con lo scudo per poi infilzarlo, quindi si posizionò alle spalle di Cassandra, permettendole con il suo aiuto di concentrarsi su un numero inferiore di nemici.
-Quanti sono?- domandò Cullen, parando abilmente l'assalto frontale di un mercenario alto quanto il Toro.
-Attualmente, diciotto.- rispose Cassandra, ferendo sul braccio un Arlecchino che cercava di accerchiarla per colpirla sul fianco. Approfittò del fendente andato in porto, modificò agilmente il modo in cui reggeva la spada per garantirsi una presa più salda ed eseguì un affondo al cuore, ferendo a morte il nemico. -Diciassette.- si corresse.
Cullen sollevò lo sguardo per posarlo a occidente, giusto un istante per calmare la preoccupazione, poi si affiancò a Dorian, per proteggerlo da un mercenario.
-Giuro che se anche stavolta mi rubi il merito, ti faccio piovere in camera da letto per un mese!- berciò Dorian, imponendo una barriera magica sul nuovo arrivato.
-Voglio proprio vederti provare!- sbottò Cullen, dopo avere abbattuto il nemico.
Cassandra intercettò un Arlecchino che stava per sorprenderli alle spalle. Affidò la spada alla mano che reggeva lo scudo con un gesto agile per poi afferrare la minaccia sul collo, scagliarla a terra di violenza e stampargli il tacco dello stivale sulla testa, fracassandola.
Si riarmò, abbatté un mercenario con un fendente obliquo, poi scagliò un'occhiata di completa disapprovazione ai suoi due compagni di squadra.
Dorian annuì nervosamente, seccato. -D'accordo, d'accordo, meno chiacchere e più magie.- disse, monocorde.
Cullen trattenne a malapena un sorriso.
Nel frattempo, Leliana aveva raggiunto la frazione del campo di battaglia dove stava agendo Lavellan. Le condizioni del terreno erano tremende: trappole già scattate, nuclei di spine di ghiaccio e pozzanghere sovrastate da serpentine di elettricità si alternavano ad aiuole distrutte e ai resti delle deliziose panchine in marmo che attorniavano la fontana centrale. Lavellan e la Granduchessa si potevano scorgere giusto dopo una deflagrazione, o al seguito di una freccia che colpiva il terreno.
La loro velocità d'azione era talmente impressionante da sembrare disumana.
Dopo aver valutato che sarebbe stata più d'intralcio che d'aiuto, Leliana preferì assistere Vivienne, alle prese con due Arlecchini e un mercenario. Salì sul parapetto della fontana per analizzare rapidamente la situazione e prevedere le mosse dei nemici, poi abbatté un Arlecchino con un proiettile preciso. Ferì il secondo alla schiena, attirando la sua attenzione e permettendo così a Vivienne di concentrarsi sul mercenario, poi eseguì un placcaggio magistrale, coinvolgendo il nemico in un combattimento corpo a corpo. Sostituì l'arco con un pugnale, parando giusto in tempo una coltellata che le avrebbe squarciato la gola, poi un'altra che rischiava di ferirla mortalmente allo stomaco.
Ringraziò mentalmente Lavellan per aver proposto un cambio di vestiti, perché il completo che indossava le permetteva una mobilità molto superiore rispetto a quella che avrebbe avuto in divisa. Si chiese se l'avesse previsto, mentre ritraeva il capo per evitare di venire ferita al viso.
Eseguì un salto, dandosi la spinta sui resti di una panchina per colpire il nemico dall'alto con maggiore forza. Le lame si scontrarono di nuovo, ma stavolta Leliana era preparata. Estrasse un coltello più piccolo dalla cintura e lo piantò fino all'elsa sotto all'ascella del nemico. Lo torse nelle carni e lo strappò via, per massimizzare il danno, poi colpì il suo avversario con un calcio deciso, facendolo cadere a terra. Senza esitazione, gli fu di nuovo sopra, facendo scivolare il filo della lama destra sulla gola del nemico, eliminandolo dal campo di battaglia.
Nello stesso istante, Vivienne abbatteva il mercenario con una scarica di elettricità.
-Bonne soirée.- salutò l’Incantatrice, rivolgendo un sorriso composto a Leliana.
Quest'ultima chinò appena la testa, in risposta, poi tornò a cercare con lo sguardo Lavellan. La vide per una frazione di secondo, anzi, vide la sua sagoma illuminata dall'azione di una bomba folgorante, esplosa poco distante.
-Dobbiamo abbattere questa barriera.- propose Vivienne, imponendo una mano di fronte a sé per ibernare un mercenario che stava per essere colpito da Cassandra, poco distante. Sotto un colpo di scudo possente, il nemico si frantumò in una dozzina di macabri tronconi.
-No, se si dissolvesse, Florianne potrebbe cogliere l'occasione e fuggire.- spiegò Leliana, concentrata a seguire il duello. Recuperò di nuovo l'arco, incoccò una freccia e attese con pazienza di scorgere la Granduchessa, per poi bloccarle la strada con un tiro immobilizzante. Quell'aiuto permise a Lavellan di ferirla al braccio dominante, ma l'esperienza della sua nemica e la sua astuzia fecero sì che si liberasse facilmente. Scomparve di nuovo tra le siepi e Lavellan con lei.
Allora, a Leliana venne un'illuminazione. Arretrò di un paio di passi, poi si gettò di corsa verso Dorian, che era nel mezzo di un'evocazione. A lei però non importava troppo, perché la sua idea era più importante e avrebbe determinato le sorti dello scontro.
-Dobbiamo illuminare questo posto a giorno.- disse, mentre Vivienne prendeva il posto del Mago e aiutava Cullen e Cassandra a gestire i nemici restanti.
-Mi stai davvero suggerendo di dare fuoco al Palazzo d'Inverno?- replicò Dorian, intrigato dall'idea.
Leliana annuì con veemenza. -Il danno è fatto, ormai. Tanto vale creare un po' di caos.-
-Ti rendi conto che questa cosa ci farà bandire a vita da questo posto?- domandò lui, mentre si fermavano, a pochi metri dal duello.
-Nah, non ci bandiranno. E poi, questo giardino era orribile, ci ringrazieranno per avergli dato una scusa per rimodernarlo.-
-Effettivamente, la lavanda fa tanto settimana scorsa.-
Leliana recuperò una freccia dalla faretra, attese che Lavellan fosse nel suo campo visivo e la scoccò a pochi centimetri dal suo piede, in modo da attirare la sua attenzione.
Nel frattempo, Dorian fletteva le dita per evocare un circolo d'Immolazione sotto ogni siepe della frazione occidentale dei giardini, con un sorriso maligno sulle labbra. -Adieu lavanda!- esclamò.
Pilastri di fuoco apparvero uno dietro l'altro, azzurri e gialli, protendendosi verso il cielo notturno come le fiammelle di ceri giganteschi.
Lavellan, che grazie all'avvertimento era riuscita a sistemarsi in una posizione rialzata, esalò una grottesca risata di giubilo, mentre Dorian trasformava la ghiaia dei corridoi tra le aiuole in un tappeto di braci ardenti.
La Granduchessa era finalmente visibile, intrappolata nell'aria vibrante prodotta dal calore profuso da ogni singolo elemento di flora bruciante che le stava attorno. Provò a nascondersi, ma non c'era nascondiglio sicuro, allora provò a fuggire, ma venne continuamente intercettata dalle frecce di Lavellan e di Leliana, che facevano in modo di spingerla a calpestare le trappole ancora attive sul campo di battaglia.
-Non è fuoco antivano, si esaurirà presto.- avvisò Dorian, che stava facendo di tutto per chiudere la Granduchessa in un perimetro di fiamme.
Leliana lo ascoltò, indicando a Lavellan di muoversi in parallelo a lei, per raggiungere la loro avversaria e catturarla una volta per tutte.
Dall'altro capo del campo di battaglia, Cullen e Cassandra osservavano quell'opera di distruzione con tanto d'occhi, mentre Vivienne abbatteva l'ultimo Arlecchino con un fendente di energia spirituale.
-Questa è la volta buona che ci bandiscono.- disse il primo, abbassando la lama della spada finché non toccò terra.
-Meglio, no? Pensavo che odiassi questi buffoni.- intervenne Cassandra, indecisa se muoversi verso i suoi compagni, o restare in disparte e lasciare che se la cavassero da soli.
Cullen aggrottò la fronte. -Con tutto il cuore.- rispose. -Ma non voglio essere io a spiegare a Josephine perché nessuno ci inviterà mai più a un evento mondano nell'Orlais.-
Cassandra spalancò lo sguardo, sconvolta dall'idea. -Benedetta Andraste, dobbiamo fermarli subito!- gemette, per poi gettarsi in una corsa sfrenata verso il trio.
Vivienne osservò i due buttarsi nella mischia con aria rassegnata, si spazzolò il completo sulle braccia per disperdere la polvere, prendendosi i suoi tempi per riordinarsi, poi li seguì con calma.

La Granduchessa nel frattempo era stata costretta in un angolo e spostava la mira da Lavellan e Leliana che, a loro volta, la tenevano sotto tiro.
-È finita, Florianne. Ti conviene gettare le armi.- le suggerì Leliana, mentre anche Dorian si univa a loro, in posizione di guardia.
-Non è finita. Io sono ancora in piedi.- replicò la Granduchessa. Scoccò la freccia in direzione di Lavellan, approfittando che lei la schivasse per sfuggirle. Fortunatamente, non fu una mossa di successo. Dorian la intercettò immediatamente, evocando una barriera di fuoco a pochi metri da lei, bloccandole la strada.
Lavellan fece il resto. La disarmò, gettò il suo arco a terra e le assestò un pugno sulla guancia, facendola indietreggiare. -Hai ragione, è catartico.- disse, rivolta a Cassandra, che l'aveva appena raggiunta.
La Granduchessa però aveva altri piani. Tutto d'un tratto, la barriera magica che divideva il giardino dal resto del Palazzo si dissolse. Con un gesto repentino, la Granduchessa scagliò una bomba fumogena a terra, rubò una spada a un mercenario morto ai suoi piedi e approfittò del momento di sorpresa collettiva per fuggire, scattando per superare Lavellan e dirigersi verso i cancelli che portavano verso l'esterno.
Lavellan scoccò una freccia, che lei schivò, poi un'altra, infine si buttò per prima all'inseguimento, correndole appresso come se avesse le ali ai piedi.
Riuscì a superarla, a gettarsi sul cancello e a impedirle di proseguire. Allora la Granduchessa brandì la spada e tentò un assalto. Lavellan sollevò l'arco, per parare il colpo, ma il legno non riuscì a reggerlo, piegandosi finché non si spezzò.
-Lav!- si sentì chiamare, mentre schivava fendenti e cercava di pararli con il pugnale da caccia. Con la coda dell'occhio, intravide Cullen e subito intuì quale fosse il suo piano.
Afferrò al volo la spada che le veniva lanciata e invece di schivare parò un colpo che se non fosse stata abbastanza attenta avrebbe potuto mozzarle un avambraccio. Resistette all'assalto il più possibile, poi si ricordò che l'immobilità era efficace nella scherma così come lo era nel tiro con l'arco. Spinse la lama avversaria, in modo che la Granduchessa arretrasse, indietreggiò di un passo per darsi libertà di movimento e parò ogni colpo che veniva assestato con altrettanta forza.
Non era un'ottima schermidora, ma aveva un ottimo maestro. Studiò l'avversaria, i suoi movimenti, le sue azioni, finché non trovò il suo punto cieco, allora attese un ulteriore assalto, parò, tentò una cavazione e le riuscì di aprire un varco nelle sue difese, affondando la lama sul suo petto.
La Granduchessa inspirò a fatica, aggrappandosi alla sua avversaria mentre posava lo sguardo morente sul suo. Con le ultime forze che le rimanevano, abbozzò un sorriso maligno.
Leliana, che aveva capito le implicazioni di quel sorriso, afferrò la Granduchessa per il colletto, strappandola di dosso a Lavellan. Dato che non c'era il tempo di fuggire, coprì la collega con il suo corpo, abbracciandola per evitare che venisse coinvolta nell'esplosione che avvenne pochi istanti più tardi.
-No!- gridò Lavellan, mentre cadeva a terra sotto il peso di Leliana, spinta dall'onda d'urto.
Il rumore assordante, assieme al fumo spesso e nuvoloso conseguenti all'impatto, misero fuori gioco i sensi di Lavellan per molto tempo, costringendola a nascondere il viso tra le pieghe della giacca di Leliana, unico scudo che aveva contro qualcosa che, stupidamente, non aveva considerato; perché era ovvio che la Granduchessa non si sarebbe mai fatta catturare viva.
-No.- ripeté Lavellan, stringendo la presa sul bavero della collega. -Stupida! Stupida!- disse, battendo un pugno sul suo petto.
-Ahi!-
-Ahi?!-
Lavellan ammiccò, pulendosi i residui di polvere dagli occhi sul tessuto per poi sollevare uno sguardo incredulo.
Leliana era giusto un po' annerita sui bordi, ma stava bene. A sovrastarla, c'era Cullen, con il viso contratto dallo sforzo che aveva appena fatto per proteggerle dall'esplosione. Il suo scudo, ancora innalzato, era sormontato da serpentine di fumo e calore.
-Falon'Din enasal!- esalò Lavellan, trascinandosi sulle ginocchia il più velocemente possibile per chiudere Leliana in un abbraccio. Cullen le gettò una rapida occhiata, allegata a un sorriso di sollievo. -State bene?- domandò, con la voce rotta dalla fatica.
-Stiamo bene.- rispose Leliana, davvero grata per il suo intervento.
-Benissimo!- la corresse Lavellan, sporgendosi sul loro salvatore per coinvolgerlo nell'abbraccio.
Cullen appoggiò la mano libera sulla schiena di Lavellan, quindi le stampò un bacio sulla guancia. -Ottimo! Avevo promesso a Josie che vi avrei riportate indietro tutte intere.- spiegò.
Leliana ridacchiò. -Tranquillo, mi prenderò io la responsabilità dell'incendio.- lo rassicurò. -D'altronde, mi hai appena salvato la vita.-
-Beh, tu l'hai salvata a lei, quindi direi che sono ancora un po' in dife...-
-Non è possibile! Impiccione di un guastafeste!- gemette Dorian, torreggiando su di loro con la frustrazione intrisa nello sguardo rabbioso. -Ti diverti proprio a rompermi le uova nel paniere, eh? Ammettilo, ti diverti!-
Cullen si sciolse dall'abbraccio, quindi aiutò le sue colleghe ad alzarsi con calma. Si rivolse quindi a Dorian, indossando un sorrisetto. -Un pochino.- ammise, assicurandosi una sberla sul braccio.

Josephine era un dipinto di preoccupazione, quando li accolse all'ingresso del Palazzo. Ai suoi piedi c'era un gatto bianco, grasso e con lo sguardo socchiuso dalla stanchezza.
-Dì a Ser Camille di controllare il perimetro alla ricerca dei seguaci della Granduchessa.- disse Cullen, diretto al felino.
Burrows, che stava diramando ordini alle sue spalle, sghignazzò. -Sono qui, signore.- disse.
Cullen guardò il gatto, con aria incerta, poi si voltò verso il suo sottoposto. -E cosa stai aspettando?- brontolò, facendogli cenno di sbrigarsi. Burrows annuì con decisione, poi trotterellò verso i giardini con aria divertita.
Josephine, nel frattempo, stava sistemando i capelli di Leliana, anneriti dall'esplosione. -Meno male siete tutte intere!- disse, per poi passare a Lavellan, trascinando un fazzoletto sul suo viso per pulirle le guance dalla polvere.
-Grazie per la considerazione.- commentò Cullen, alzando gli occhi al cielo. -Vado a... oh!-
Si dovette interrompere, perché Josephine l'aveva appena stretto in un abbraccio. -Grazie.- mormorò lei, al suo orecchio, per poi chiudergli le guance tra le mani, assestandogli un'occhiata imbevuta di sollievo.
-Non dirlo nemmeno.- rispose lui, passandole brevemente una mano sul braccio. Si scostò, per ritornare dai suoi sottoposti in giardino, seguito a ruota dal gatto bianco.
Lavellan allora prese un respiro profondo e rientrò per prima a Palazzo, con addosso la pesantezza degli eventi a curvarle la postura. Venne accolta dapprima dallo sguardo impressionato delle guardie, poi da quello accigliato di una miriade di maschere.
-Vuoi che venga con te?- le domandò Leliana, che la seguiva assieme a Josephine.
Lavellan ci pensò su davvero, anche se sapeva di dover affrontare le conseguenze delle sue azioni da sola. -Ci aggiorneremo più tardi.- dichiarò semplicemente, allungando il passo.

Nonostante fosse appena stato messo in atto un regicidio, la corona dell'Orlais fosse passata di mano e la cugina dell'attuale Imperatore fosse morta nel tentativo di consegnare la sua patria nelle mani di Corypheus, la corte sembrava non risentire troppo della situazione.
Piuttosto, i musicanti sembravano aver attinto nuova energia da quella serata terribile, ma emozionante, e i nobili continuavano a tessere le loro tele nei corridoi del Palazzo, preferendo arricchire il loro potere piuttosto che dare il tempo al lutto, o alle celebrazioni per un Orlais stabile, di attecchire.
Leliana osservava quell'ambientazione con la stanchezza nello sguardo, un bicchiere di vino in mano e la schiena appoggiata a una splendida colonna di marmo. In qualche modo, quella mancanza di empatia, radicata alla desensibilizzazione dei partecipanti al Gioco, le impediva di sentire una gran nostalgia nei confronti della sua madrepatria.
Si coprì la bocca in tempo per non lasciarsi sfuggire uno sbadiglio, spostando lo sguardo verso la terrazza settentrionale del salone, in modo da controllare che Lavellan non venisse disturbata durante un meritato momento di pausa.
Raddrizzò immediatamente la schiena, sentendo un moto di agitazione formarsi nel suo petto mentre la scena della sua collega che conversava con l'Incantatrice Imperiale la riportava a fare i conti con ricordi risalenti a dieci anni prima. Ricordi di finta fratellanza e manipolazioni ai danni dei suoi due migliori amici, meno avvezzi di lei a riconoscere un inganno travestito da rosa in fiore.
Indugiò sull'espressione gentile di Lavellan, intrappolata in una cornice di falsità pronte soffocarla dovunque Leliana posasse lo sguardo.
L'aveva già messa in guardia su Morrigan, così come aveva fatto con il Gioco. Ora che era certa che tra loro vigesse un rapporto di fiducia incondizionata, avrebbe dovuto smettere di preoccuparsi. Purtroppo, conosceva fin troppo bene Morrigan. In qualche modo, sarebbe riuscita a rovinare tutto. Di nuovo.
-...liana?-
Persa com'era nei suoi pensieri, non si era resa conto che era stata raggiunta da Cullen, che la guardava con una punta di preoccupazione nello sguardo. -Tutto bene?- le chiese.
Leliana esitò giusto un momento, prima di rivolgergli un sorriso rassicurante. Prese un sorso di vino, poi appoggiò il bicchiere, pieno fino a metà, su un tavolino nei paraggi. -Stavo dando un'ultima occhiata, prima di passare alla parte successiva del piano.- disse.
Cullen inarcò un sopracciglio. -E sarebbe?-
-Uscire di scena prima che il ballo si faccia troppo noioso.- rispose lei. -Sai, è la regola. Nessuno che si rispetti rimane fino alla fine.-
-Vorrei ben vedere!- ammise lui, sollevato. -Un minuto in più qua dentro corrisponde a un anno in meno verso il viaggio finale.-
Leliana ridacchiò. -Non esagerare, dai! Te la sei cavata bene. Adesso abbiamo più soldati, no?-
Cullen abbozzò un sorriso. -Merito di Lavellan.- rivelò. -A tal proposito, puoi smettere di fare la guardia. La stavo giusto per raggiungere.-
Un certo sollievo si liberò nell'organismo di Leliana, mentre spostava lo sguardo verso l'oggetto del dialogo. -Bene, così posso andare a vedere come se la sta cavando Josephine.-
Il viso di Cullen si contrasse immediatamente in una smorfia di dolore. -Ecco, uh... a quello posso risponderti io. Diciamo che dare il beneplacito a Sera di girare indisturbata per i giardini non è stata una buonissima idea.-
-E ve ne rendete conto solo adesso?-
-Quando ha detto "penso io a regolare le aiuole", ho chiesto a Varric di tenerla d'occhio. Non pensavo che si sarebbero alleati e avrebbero dato fuoco al resto del giardino.-
-Cullen, è un bugiardo di professione, perché gli date ancora corda?-
-Lo so, lo so. Per quello ho chiesto al Toro di riportare l'ordine nel caso avesse dato di matto. Pensavo bastasse.-
Si fissarono a lungo.
-Li sta aiutando, non è così?-
-Già.-
Leliana non riuscì a trattenere una risatina. -D'accordo, vado a fargli un po' di paura.- lo rassicurò, battendogli delicatamente una mano sulla spalla. -Tu vedi di trattenerla, o potrebbe pensare di unirsi alla festa. Non vogliamo che Josie si arrabbi, vero?-
-Benedetta Andraste, assolutamente no!-
Entrambi risero, poi si congedarono con un cenno del capo. Leliana lo seguì con lo sguardo, mentre raggiungeva la balconata e fece per andarsene, quando realizzò che non poteva ignorare di nuovo i sintomi di un pericolo imminente.
-Comandante!- lo chiamò, senza riuscire a bloccare in tempo un accento di urgenza, al quale lui reagì con aria sorpresa.
Leliana lo guardò dritto negli occhi, con fermezza. -Non fatela entrare.- lo avvisò.
Cullen rimase immobile per diversi istanti, cercando di decifrare quell'avvertimento. Realizzò a cosa lei si stesse riferendo solo quando Morrigan gli fu passata di fianco.
Leliana vide la consapevolezza nel suo sguardo, una consapevolezza derivata da anni di addestramento a riconoscere il pericolo derivato dalla magia. L'occhiata scevra di insicurezze che lui le ritornò la consolò che non sarebbe stata sola in quell'impresa. Forse, per una volta, avrebbe potuto trarre una cara amica in salvo dal pericolo, con successo.


-Nota-

In ritardo di una settimana <:0)
Dimenticatevi di Corypheus o di Solas, Josie è il boss finale.
Avrei un po’ di cose da dire su Leliana, ma le vorrei tenere per il capitolo *controlla* 25, ma forse è il 26 dato che ho incluso un capitolo che non esisteva lol insomma, un mesettino e qualcosa, dai!
Per gli elefanti dietro i paraventi, invece, c’è da aspettare molto meno https://media.tenor.com/fH2LmiH08R4AAAAM/seulisasoo-tea.gif
<3!

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Capitolo 23
*** Gradualmente, con un senso ***


CW: Menzione di disordini alimentari

 

22 - Gradualmente, con un senso

 

-Ti guardi i piedi quando combatti?-
-Oh, scusa.-
In quell'universo di note di valzer attutite, di frescura notturna che baciava i terrazzi di umidità e di piedi pestati, Lavellan si concesse di riderci su. La responsabilità di accettare di ballare con la persona meno coordinata del salone delle feste del Palazzo d'Inverno era tutta sua, d'altronde, ma le conseguenze non erano state troppo difficili da processare.
Era l'ennesimo atto galante che Cullen le dedicava e, come gli altri, era puro nelle intenzioni ma sbagliatissimo nell'esecuzione. Una cosa che Lavellan riteneva terribilmente adorabile e che, se possibile, la portava a struggersi per lui in maniera ancora più folle.
In una situazione in cui il proprio partner non riesce a tenere il tempo (tra le altre cose), di solito è compito del più esperto condurre la danza. Ma per Lavellan non aveva senso farlo, piuttosto preferì continuare ad assecondarlo, a costo di perdere la sensibilità delle punte dei piedi.
-Non è il ballo che ti aspettavi.- disse Cullen, senza riuscire a mascherare adeguatamente l'imbarazzo che provava.
Lavellan scosse la testa. -No, questo è meglio.- rispose, rivolgendogli un bel sorriso. E non mentiva.
Lui liberò una risata nervosa, chinando di nuovo la testa alla ricerca dei suoi piedi. Lavellan spostò la mano dalla sua spalla al suo mento, sollevandolo con le dita per costringerlo a guardarla negli occhi. -Devi contare fino al tre.- gli ricordò.
-Sto contando fino al tre, amore mio, ma sono comunque in ritardo.-
-Così dicon tutte.-
-Eh, quello non dipende da me. Magari sei stata toccata sulla pancia da Mythal.-
Lavellan eruppe in una risata fragorosa, tanto da curvarsi su di lui e sbilanciarsi. Cullen fu in grado di sorreggerla in tempo, nonostante il suo equilibrio fosse di per sé precario.
Una volta calmatasi, Lavellan gli rivolse un'espressione grata, che lui ricambiò con un sorriso tirato.
-Stai meglio adesso?- le chiese.
-Un po'. Se non ci fossi stato tu a venire in mio soccorso, il mio cervello mi avrebbe fagocitata, sputando i miei ossicini uno a uno sul pavimento.-
-Sono sicuro che a quel punto il tuo spirito sarebbe tornato da questa parte per riordinarli in una posa stupida.-
Lavellan annuì. -Avrei messo il teschio giusto sotto al bacino.-
-Ma tu guarda che coincidenza, proprio dove lo metto io ogni mattina!-
Lei rise di nuovo, appoggiando la fronte sulla sua spalla. Si fece guidare in silenzio, finché i musicanti conclusero il valzer, passando a una melodia meno ritmata per concedere un attimo di pausa agli ospiti tra un ballo e l'altro.
Lavellan, che aveva libero accesso alla libreria privata di Cassandra, oltre a possedere molta esperienza nell'arte di farsi scaricare dal prossimo amato nel modo peggiore possibile, sapeva che quel momento di transizione avrebbe potuto portare a due possibili risultati. Il primo era l'inizio di un ballo lento, con un gioco di sguardi che di solito comportava l'uso smodato di metafore bollenti derivanti da una tensione erotica che conduceva in un'unica (ultimamente soddisfacente) direzione. Il secondo era un sovraccarico di suddetta tensione, accumulata nel corso di mesi e mesi di suddetti sguardi descrivibili da suddette metafore bollenti; un sovraccarico che avrebbe portato una delle parti a esagerare con un molesto bisogno di attenzioni e l'altra a rifiutarlo, indispettita da un'aggressività fuori luogo.
In parallelo al pensiero di rovinare, potenzialmente, una di quelle poche cose che la tenevano aggrappata alla poca sanità mentale che le restava, correva la sensazione di aver appena compiuto una scelta terribile, con conseguenze terribili. E altrettanto parallelamente, c'era l'idea che ogni singola maschera all'interno del salone delle feste fosse attaccata alle finestre che davano sul bel balcone dove lei si stava intrattenendo con la persona che amava, alla ricerca del modo più doloroso per ferirli. Per ferire lui, la sua reputazione e il suo futuro.
Purtroppo, ogni pensiero aveva la sua mastodontica rilevanza e impediva a Lavellan di guardare al presente con la dovuta tranquillità.
-Sono esausta.- sussurrò, fissando lo sguardo sulla fitta cortina di oscurità al di là della ringhiera del balcone.
Cullen appoggiò le labbra sulla sua fronte. -Posso portarti in braccio fino alle tue stanze, se lo desideri.- propose.
Lavellan si distanziò quanto bastava per guardarlo in viso. -E permettere a questi viscidi di usare la nostra relazione come un oggetto per il loro intrattenimento? No, vhenas, un ballo è abbastanza.- sollevò un sorriso stanco su di lui, poi fermò le danze, passando entrambe le mani sulle sue spalle. -Terrò a mente la tua proposta per un altro momento, però.-
Lui ricambiò il sorriso, poi aspettò che si allontanasse, per raccogliere una sua mano e sfiorarla con un bacio. -Ci conto.- disse, riaccompagnandola alla sala da ballo.

Il profilo della malinconia di Lavellan, accarezzato dalla fioca luce delle torce, rimase ben impresso nei pensieri di Cullen, persino dopo che avevano lasciato la festa.
Entrambi erano stati subito assaliti dal lavoro, strappati l'uno dall'altra bruscamente e quindi vessati da una sensazione di dolore pari a quella generata dalla pelle che si stacca da una ferita fresca al momento di cambiare le bende.
Non esisteva conforto per un dolore del genere, soprattutto dopo una serata umiliante come quella appena trascorsa.
Dato che Cullen avrebbe preferito dormire su un pavimento irto di trappole per orsi, piuttosto che accettare l'ospitalità del nuovo Imperatore dell'Orlais e della sua burattinaia, la sua cerchia di ufficiali gli aveva riservato una tenda nell'accampamento dove sostavano temporaneamente le forze dell'Inquisizione, nel grande parco antistante il Palazzo d'Inverno. Non era lontano dalla dependance in cui avrebbero riposato le sue colleghe e gran parte dei compagni dell'Inquisitrice, quindi sarebbe stato facilmente reperibile nel caso di una riunione straordinaria del consiglio.
Insomma, dopo essersi lavato come mai aveva fatto, sopraffatto da un senso di disagio che non riusciva ad alleviare, recuperò il mantello parte integrante della sua armatura e se lo mise sulle spalle, stringendosi dentro di esso per asciugarsi e riassorbire un minimo di quella dignità che l'esperienza al Palazzo d'Inverno aveva risucchiato dal suo organismo. Gli ci vollero venti minuti di respiri profondi e preghiere, assieme a uno starnuto, per aiutarlo a far fronte alla fuliggine che gli intasava l'amor proprio.
Indossare l'armatura per intero gli garantì un sollievo tale da commuoverlo, ma ancora non era abbastanza.
Seppure le sue colleghe avessero accolto la sua assenza di buon grado, immaginando le sue motivazioni, Cullen non aveva provato nessun genere di liberazione nel congedarsi. Se durante il ballo aveva pensato che sarebbe riuscito a trovare conforto solo in compagnia dei suoi sottoposti, prolungare la sua lontananza da Lavellan generava nel suo cuore un gran senso di solitudine.
La missiva che gli era appena stata consegnata addirittura lo accresceva, dato che diceva che Rylen era di ritorno dall'Accesso Occidentale. La mattina seguente, infatti, si sarebbe riunito al gruppo nei sobborghi di Halamshiral, per organizzarsi con l'Inquisitrice a proposito della sua partenza per le piane desertiche ai confini dell'Orlais.
Nel rileggere la missiva, Cullen deglutì, passandosi una mano sulla barba mentre la sua testa gli proponeva uno scenario in cui avrebbe dovuto trascorrere altri mesi di separazione da Lavellan. Una separazione insopportabile, peggiore rispetto a quella a cui aveva dovuto sopravvivere quando lei era dovuta partire per le Valli.
Fece un calcolo rapido delle tempistiche: due settimane di andata, due di ritorno e un tempo interminabile trascorso tra l'Accesso, l'Oasi Proibita e le Distese Sibilanti, che in qualche modo Rylen era riuscito a rendere accessibili grazie all'aiuto dell'esploratrice Harding e dei nuovi alleati nelle file dell'esercito orlesiano.
La sua ansia venne smorzata parzialmente dal vociare dei soldati, che si apprestavano a celebrare il successo dell'Inquisitrice con un gruppo della guardia d'onore del Palazzo d'Inverno, diversi chevalier e una dozzina di servitori che avevano appena finito il turno.
Nel tentativo di assorbire una frazione di quell'entusiasmo, si affacciò dalla sua tenda, osservando con aria stanca, ma fiera, i suoi uomini che offrivano da bere ai nuovi arrivati, come se facessero parte della stessa fazione. Quel genere di fratellanza tra colori diversi succedeva sovente durante i conflitti lunghi e Cullen non si sorprese più di tanto nel vedere persone che si erano fatte la guerra fino al giorno prima fare amicizia, tranquillamente, davanti a un boccale riempito fino all'orlo di birra schiumosa.
La stanchezza era uguale per tutti, Cullen compreso che, dopo aver fatto un passo fuori dalla tenda, era stato avvicinato da una chevalière dai capelli rossi che molte settimane prima aveva tentato di disarcionarlo durante un'imboscata. Si voleva scusare ufficialmente e lui accettò di stringerle la mano senza problemi.
Mettere in pratica la filosofia del "la vita è troppo breve per portare rancore" di Hawke appoggiò la sicurezza che mancava sulle spalle di Cullen, dandogli la forza necessaria per spogliarsi dell'armatura, inappropriata per la convivialità del momento, e unirsi alla festa. A modo suo, s'intende.
Mentre finiva il secondo boccale di birra, pensò che, così come i soldati stavano cercando di sdrammatizzare la pesantezza delle settimane precedenti, il gruppo che stava alla dependance molto probabilmente stava facendo lo stesso.
Immaginò Cassandra rimproverare Solas e Lavellan, perché la qualità delle loro discussioni non mancava mai di dettagli macabri. Nel frattempo, Sera stava dipingendo di sicuro qualche oscenità sui muri dei bagni, con Blackwall a farle da palo. Inoltre, era certo che Dorian e Varric stessero giocando a Grazia Malevola poco lontano da Josephine e Leliana, che si consultavano con madame Vivienne a proposito di qualche crimine alla moda che si era consumato durante il ballo. Dal modo in cui si attaccavano alla tazzina da tè, nella sua immaginazione, ce n'erano stati parecchi.
Rimboccò le maniche della camicia sugli avambracci, assorto. -Che tu sappia, erano presenti i De Launcet?- domandò al Toro, che l'aveva appena raggiunto con due boccali riempiti fino all'orlo di birra chiara. Quello gli rivolse un'occhiata perplessa. -È gente famosa?-
Cullen finse di rabbrividire, pulendosi il labbro superiore dalla schiuma. -No, ma se vogliamo parlare di crimini alla moda, avresti dovuto vedere il taglio a scodella del figlio. Al Circolo girava voce che fosse un Maleficar, ma secondo me ha passato il Tormento perché manco i demoni se lo volevano prendere. Figuriamoci se...- si bloccò, notando l'espressione disinteressata del suo interlocutore. -Non hai la minima idea di cosa stia parlando, vero?-
Il Toro avvicinò il boccale alle labbra. -No, ma se mi dai un paio d'ore e abbastanza alcol, posso fingere che tu sia la persona più simpatica del Thedas.- gli suggerì.
Cullen ridacchiò, poi prese una buona sorsata di birra. -Che ci fai tu qui, a proposito? Non hai altro di meglio da fare?-
Il Toro gli indicò con un cenno la chevalière dai capelli rossi con cui Cullen aveva discusso qualche tempo prima, poi inarcò un sopracciglio sopra un'espressione eloquente.
-Occhio, lei è pericolosa.- lo avvisò Cullen, con aria divertita.
-Lo so.- ammise il Toro, battendogli una mano sulla spalla. -Mi piace il rischio e... oh, maledizione!-
I due osservarono con aria colpita la totale nonchalance di Krem, che aveva appena offerto il suo braccio alla chevalière per accompagnarla in una passeggiata al chiaro di luna, il più distante possibile dall'accampamento. Il Toro li seguì con uno sguardo impregnato di delusione. -Come non detto.- bofonchiò. -Tu perché sei ancora qui?-
Cullen si apprestò a spiegargli che preferiva restare tra i suoi, piuttosto che dormire in un letto orlesiano, servito e riverito da spie travestite da domestici; al che, il Toro gli assestò un'occhiata di totale disapprovazione. -Te lo dico chiaro e tondo, così da evitare fraintendimenti: tu hai bisogno di scopare, figlio mio.-
Cullen per poco non si strozzò con il fondo della birra. Fissò il suo interlocutore, basito, prima che imbarazzato.
-Hai più tensione tu nella schiena che la corda dell'arco del capo durante le risse. E quella è talmente tesa che se ci passo la mano sopra me la taglia in due.-
-Ma ti pare una cosa da dire a una persona così dal nulla?-
-Sì, se la situazione è disperata.-
-Nessuno è disperato!-
Il Toro lo guardò con una punta di rassegnazione nello sguardo. Fai sul serio?, sembrava chiedergli.
Cullen appoggiò il boccale vuoto a terra, per permettersi di gesticolare liberamente senza colpire nessuno nel processo. -Se proprio vuoi farti gli affari nostri, sappi che non è una cosa che voglio prendere alla leggera. È un passo importante e vorrei che fossimo a nostro agio entrambi prima di...- agitò una mano nervosamente, in un moto circolare. -Hai capito.-
-No.-
Cullen rimase con le mani ferme a mezz'aria di fronte a sé, indeciso se elaborare o inventarsi una scusa per fuggire.
Fortunatamente, il Toro sapeva benissimo con chi aveva a che fare e approfittò dello stato di ibernazione tattica del suo interlocutore per tornare all'attacco. -Senti, quella ragazza è sola dalla mattina alla sera a fare i conti con una situazione più grande di lei. Ha un bisogno vitale di una valvola di sfogo e tu ti stai impuntando a tener privata una di quelle poche cose che le renderebbero la vita più facile.- gli si avvicinò di un passo, per posargli una mano sulla spalla, pesantemente. -E, tanto per buttare sale sulla ferita, te che fai nell'unica serata libera che avete entrambi dopo mesi? Le dai buca perché hai paura che passare la notte con lei sarebbe il punto di non ritorno per una storia che è già ben oltre il punto di non ritorno.-
-È molto più complicato di così.- ribadì Cullen, guardandosi intorno con circospezione.
Il Toro scosse la testa. -Non deve esserlo per forza.- affermò, facendogli cenno di seguirlo.
Cullen rimase perfettamente immobile, a considerare le opzioni che aveva, poi esalò un sospiro stanco e si mosse sulla sua scia. -Non voglio ferirla.-
-A me risulta che l'unico modo in cui potresti ferirla sarebbe continuare a spingerla via da te.- lo contraddisse il Toro, guidandolo lontano dall'accampamento.
-Non la sto spingendo via da me, sto solo cercando di...-
-Di pararti il culo.- concluse il Toro per lui, scoccandogli un'occhiata di rimprovero.
Raggiunsero il giardino della dependance, al che si fermarono. Cullen si ritrovò subito una spalla abbrancata da una presa ferrea. -Ora tu entri e le dai la buonanotte.- gli ordinò il Toro.
-Cosa?! No, non sarebbe appropriato!- protestò Cullen, indietreggiando di un passo. -Dopo quello che è successo al ballo, poi!-
-Proprio perché è stata una giornata difficile, dovreste stare assieme.- tornò alla carica il Toro, spingendolo verso l'ingresso dell'edificio. -È un momento di catarsi collettiva, persino per quelli che hanno perso al Gioco. Stavi cercando di sdrammatizzare pure tu, prima che venissi a tirarti le orecchie.-
Cullen puntò i talloni, per evitare che lo forzasse a proseguire. -Benedetta Andraste, almeno fammi pensare a una scusa, prima che mi presenti lì di botto!- gemette, dopo aver constatato che ogni resistenza che avrebbe fatto sarebbe stata vana.
Il Toro lasciò andare la presa, notando che Blackwall e Cassandra indugiavano di fronte all'ingresso della dependance, parlottando tra loro. -Inventati qualcosa al volo.- suggerì, dando un cenno di saluto nei confronti dei due.
Cullen si ricordò che aveva conservato il messaggio del suo secondo nelle tasche dei pantaloni e ogni pretesto che il suo cervello gli stava proponendo per dileguarsi si accartocciò su se stesso, immettendo nel suo organismo una quantità d'ansia considerevole.
-Oh, meno male!- esclamò Blackwall, recuperando il boccale dalle mani del Toro per poi procedere a maneggiarlo come se fosse il santo calice della mensa del Creatore. -L'Inquisitrice ha congedato la servitù e in dispensa è rimasta solo una brocca di vino da cucina buono solo a intossicare chi ha sete!- spiegò, per poi prendere una buona sorsata di birra.
-Ci avete battuti sul tempo.- si aggiunse Cassandra, che aveva smesso la divisa per tornare a indossare la sua uniforme da Cercatrice. -Stavamo giusto per passare a farvi un saluto.-
-Dura questa fase della maternità, eh?- scherzò il Toro, assestandole una pacca decisa tra le scapole. Lei non risentì minimamente della botta, limitandosi a rivolgergli un'occhiata stanca.
-Sono tutti svegli, quindi.- intervenne Cullen, osservando la porta aperta con aria tesa. Poteva chiaramente sentire la voce di Josephine provenire dall'interno.
Blackwall si leccò i baffi con soddisfazione, poi raggiunse l'obiettivo del suo sguardo. -Non proprio. Sera è crollata, Dorian e Varric sono completamente sbronzi e la signora sta litigando con madame Vivienne su qualcosa che ha che fare con un crimine che non ho ben capito.-
-L'Inquisitrice è nei paraggi?- domandò il Toro, facendo un gran favore a Cullen, che non avrebbe mai rischiato di porgere agli altri una domanda simile, se non in presenza di un difensore civile.
Cassandra annuì. -È nella sua stanza a decidere il vestito che metterà domani per il colloquio con Leliana e l'ambasciatrice.-
-Perfetto!- esclamò il Toro, indicando Cullen con un cenno. -Così puoi metterla al corrente su quella cosa super ufficiale di cui mi hai parlato.-
-E così ti sei trovato una spalla, finalmente.- li smascherò Cassandra, con tutta l'aria di aver poca voglia di perdersi in chiacchiere. Indicò la porta a Cullen, sbrigativamente. -Muoviti, non so quanto a lungo resterà in piedi.-
La risata sommessa di Blackwall echeggiò nel boccale, mentre le guance di Cullen assumevano un'intensa sfumatura purpurea.
Nel notare che non aveva la minima forza di prendere l'iniziativa, il Toro e Cassandra gli presero un braccio a testa e lo trascinarono all'interno come una bambola di pezza, posandolo bruscamente sul primo gradino di una deliziosa scala di marmo bianco. -Ultima stanza a sinistra.- disse Cassandra, schioccando le dita più volte con decisione per incitarlo a muoversi.
Cullen fece l'errore di esitare, al che il Toro schiacciò un piede a terra, fingendo di volerlo prendere di peso. Allora, si arrampicò sulle scale velocemente, borbottando: -Va bene, va bene!- con tanto di indignazione.
Quando fu finalmente lontano dal giudizio dei suoi amici, quelli si scambiarono un'occhiata d'intesa. -Non ho mai visto nessuno tentennare in 'sto modo all'idea di farlo.- commentò il Toro.
Cassandra esalò una risata roca. -Fidati, non è così raro come credi.- gli rivelò, facendogli strada verso l'uscita.

Nel frattempo, Cullen stava percorrendo un corridoio elegante, immerso nella penombra. Il parco riflesso delle lanterne sul pavimento lucido creava macchie di luce sulla sua figura, facendolo sentire come un intruso, pentito di aver smesso l'armatura.
L'ansia lo divorava dall'interno, costringendolo a passarsi le mani nervosamente sui capelli, per sistemarli. Ogni inutilità riguardante il suo aspetto fisico e comportamentale gli sembrava un'offesa nei confronti dell'Umanità, mentre procedeva in seno al pericolo. Per un attimo, credette persino di essersi dimenticato di come si cammina.
Una volta arrivato di fronte alla porta prescelta, si ritrovò inevitabilmente a esitare. Prese una sequela di respiri profondi che non servirono a niente se non a fargli prendere coscienza della situazione, poi fece violenza a se stesso e bussò un paio di volte. Se non l'avesse fatto, era sicuro che la sua testa avrebbe preso il sopravvento, trovandogli una scusa fin troppo credibile per giustificarlo a darsela a gambe.
Fu Leliana ad aprirgli, accogliendolo con un sorriso enigmatico. -Comandante.- lo salutò, per poi scostarsi, con il fine di fare spazio ad Adra e al Nano (di nuovo munito di vestaglia), i quali stavano spingendo fuori dalla porta un baule più grosso di loro, litigando sonoramente.
Cullen osservò i tre muoversi attraverso il corridoio, troppo presi dal bisticcio per prestargli attenzione, infine spostò lo sguardo sulla porta semi-aperta e mosse un passo all'interno.
Si ritrovò in un ambiente piccolo e modesto per gli standard orlesiani, caratterizzato da un mobilio chiaro e tratteggiato da tinte pastello. Alla sua sinistra c'era un letto a una piazza e mezzo, incorniciato da una libreria color crema che ricopriva l'intera parete. Affacciata alla porta, invece, c'era una scrivania ricolma di documenti e attorniata da tre poltroncine dall'aria confortevole, foderate di velluto. Probabilmente, erano state posizionate lì nel caso in cui fosse stata necessaria una riunione tra loro quattro.
Lavellan lo accolse con un sorriso incerto, lasciando una spazzola all'apice di un borsone per andargli incontro. -Pensavo che ti avrei rivisto solo domattina.- ammise, una volta che furono di fronte.
Come lui, si era cambiata per infilarsi in qualcosa di più comodo, ma al contrario suo, sembrava essere pronta per un'uscita più che per soddisfare un'esigenza di conforto. Difatti, indossava una camicia color avorio che vestiva morbidamente. Essa era chiusa da una fila di bottoni sferici all'altezza della spalla sinistra ed era inserita in un corsetto di cuoio di viverna, stretto in vita, ma allentato sul bacino tanto da coprirlo e creare una lieve svasatura. Non indossava gioielli, ma sparsi per il completo c'erano dettagli luminosi e fibbie di nevarrite a foggia di piume e artigli di gufo.
Dal profumo che emanava e dal rossore che le tingeva le guance, era chiaro che fosse reduce da un bagno. Si era pulita approfonditamente il viso e, nonostante portasse ancora i segni dei combattimenti che aveva dovuto affrontare in serata, non c'era traccia di residui di trucco. Cullen non ricordava di averla mai vista senza, così come non l'aveva mai vista con i capelli molto corti, di un colore diverso. Studiò attentamente la sua testa, indeciso se indagare, perché alla fine era vero che fare conversazione lo avrebbe aiutato ad alleviare il nervosismo che provava, però non era certo di voler abbassare completamente la guardia. In un momento come quello, usare raziocinio era difficile.
-Così basta che li metta dietro a un orecchio.- spiegò lei, riconoscendo la curiosità nel suo sguardo. -Trovare qualcosa per legarli ogni volta era diventato noioso. Sai quanti cacciaviti ho perso per poi ritrovarmeli in testa ore dopo?- aggiunse, ridacchiando.
-Sei, uh...- Cullen le indicò i capelli con un cenno rapido. -Che è successo?-
Lavellan si passò una mano sui lati della testa, per radunare il ciuffo ancora umido sopra la rasatura. Era ovvio che alludesse alla tinta, poco omogenea e presente in striature scure sul suo colore naturale. -Domani tornerà tutto come al solito.- disse. -Per l'appunto, non credevo di rivederti così presto.- si giustificò. E Cullen pensò subito che non tutte le armature dovessero essere pesanti per fare bene il loro dovere.
Era così concentrato a fissarla, e a ponderare, che non si rese conto che si era avvicinata troppo, alzandosi sulle punte per posargli un bacio sulle labbra. Si ritrasse istintivamente, colto alla sprovvista, poi esalò una risata nervosa e si affrettò a ricambiare, goffamente.
Lavellan sollevò le sopracciglia, rivolgendogli un sorriso confuso, poi si mosse verso la scrivania, dov'era stata appoggiata una teiera. -Vuoi qualcosa da bere?- gli domandò, mentre lui si chiudeva la porta alle spalle.
Cullen, che non aveva idea di come comportarsi, annuì e basta, restando fermo sulla soglia.
Lavellan, finalmente certa che ci fosse qualcosa che non andava, frenò l'entusiasmo, aspettando che si spiegasse, prima di compiere qualsiasi altra azione. L'attesa però fu lunga ed estenuante, costringendo il suo corpo ad assumere un certo grado di rigidità. -Cullen?- lo chiamò, con decisione.
Sentendosi preso in causa, lui si sforzò di smettere di temporeggiare e riprese il controllo. -Ho ricevuto un messaggio di Rylen. Dice che ci raggiungerà domani mattina, quando mobiliteremo le truppe.- si affrettò ad elaborare.
Lavellan lo fissò attentamente, con il capo inclinato verso il basso e la bocca lievemente dischiusa. -Tutto qui?- chiese.
Cullen annuì, al che lei si ritrovò a esalare un lungo sospiro di sollievo, rilassando la postura. -Dalla faccia che hai fatto, ho temuto che fosse morto qualcuno.- disse, passandosi una mano sulla fronte.
-Scusa amore mio, non volevo preoccuparti.- replicò lui, desolato che il suo nervosismo l'avesse messa in allarme. La raggiunse prontamente. -Pensavo che fosse il caso di avvisarti, dato che farà rapporto a te, in relazione a...- si zittì, in risposta alla scintilla causata dalla connessione dei loro sguardi.
Immediatamente, il suo universo di pretesti si frantumò, cadendo rumorosamente ai suoi piedi.
Appoggiò le mani sui suoi fianchi, traendola a sé per baciarla e, poco da dire, entrambi si dimenticarono istantaneamente della conversazione.
Lavellan avvolse le braccia attorno al suo collo, mentre Cullen la spingeva ad appoggiare la schiena contro la parete, senza mai smettere di divorarle le labbra di baci. Nessuno dei due osò interrompere quello scambio di idee nemmeno per un istante, permettendo alle dita di scivolare sulla stoffa in base a ciò che l'istinto comandava loro, finalmente liberi dalle catene imposte da un pazientare che non aveva giustificazioni. Compenetravano come la tinta sulla stoffa, distinti come due famiglie di profumi che trovavano armonia sullo stesso polso, persi come un granello di zucchero in una goccia di rugiada.
Per due persone legate così fortemente a un desiderio di controllo, abbandonarsi totalmente a una forza estranea sembrava una vera e propria necessità, ma con l'ampliarsi di quel desiderio annebbiante i loro meccanismi di sopravvivenza, dovuti ad anni di correlazione con traumi forti, ebbero la meglio.
In risposta a un segnale di pericolo tonante, Lavellan decise di prendere le redini della situazione. Appoggiò una mano sul petto di Cullen, suggerendogli di scostarsi appena, poi esalò un sorriso, specchiandosi in uno sguardo confuso quanto il suo. -Ne sei sicuro?- gli domandò, faticando a riprendere fiato.
Confortato che fossero sulla stessa lunghezza d'onda su ciò che volevano da quell'esperienza, Cullen annuì, cercando di nuovo le sue labbra per baciarla come lui avrebbe voluto, non come il suo istinto lo spingeva a fare.
Rendendosi conto che non era una decisione solo sua da prendere, si distanziò di nuovo, per guardarla dritta negli occhi. -Ti sta bene?- le domandò, con una punta di apprensione nel tono di voce.
Lavellan rimase a fissarlo per diversi secondi sbigottita, poi scosse la testa con rassegnazione.
Lo afferrò per il colletto della camicia e ribaltò i ruoli, spingendolo contro la parete. Dapprima, lui la osservò con aria sorpresa, poi chiuse gli occhi, abbandonandosi a un gemito rauco mentre lei gli mordeva delicatamente il collo.
Lavellan gli slacciò la camicia, senza aspettare che l'aiutasse per strappargliela di dosso lei stessa. La lanciò dove capitava, poi ritrasse appena il capo, percorrendo la distanza che intercorreva dalla chiusura delle sue clavicole agli addominali con lo sguardo, poi con le dita, mentre sul suo viso si formulava un sorriso macchiato di soddisfazione.
Cullen soffiò una risata, passandole una carezza sulla nuca, poi chinò la testa, seguendo con gli occhi le sue mani privarlo dapprima della cintura, per poi slacciargli la chiusura dei pantaloni con gesti decisi. -Avevi detto di non essere così disperata.- la provocò, sussurrando suadente.
Lavellan sollevò appena lo sguardo dal suo petto, che stava ricoprendo di baci. -Mi sembra ovvio che stessi mentendo.- rispose, abbassandosi per posare un ginocchio a terra.

Attorno a loro regnava una calma immobile, come se l'universo stesse stanziando dentro a un blocco di resina. Teoria supportata dal fatto che l'unico rumore che Lavellan riuscisse a percepire, dopo aver aperto gli occhi, fu il respiro rilassato di Cullen sulla sua nuca; flebile come il vento che accarezza i rami più alti del bosco nel giorno più caldo dell'estate.
Si strinse nelle spalle per sgranchirle, poi voltò la testa, intravedendo nella penombra il profilo del braccio del suo compagno, che le avvolgeva il petto sotto alle coperte. Realizzò che la sua schiena aderiva perfettamente a un abbraccio di una tenerezza disarmante, creando un intreccio teporoso generato dalla necessità di restare uniti il più a lungo possibile.
Percorse il suo avambraccio con i polpastrelli, alla ricerca di un modo affinché le loro dita si alternassero in una stretta dolce senza svegliarlo. Purtroppo, aveva a che fare con l'unica persona nell'intera Inquisizione con il sonno più leggero del suo.
Cullen esalò un gemito stanco, poi raccolse la mano di Lavellan, concludendo ciò che lei aveva iniziato. Si raggomitolò, costringendola a fare altrettanto mentre appoggiava le labbra sul suo trapezio, per consegnarle un bacio soffice. -È già ora?- biascicò, sfregando il viso sul suo collo.
Lavellan, la cui esistenza recente era costituita da scalette intransigenti, buttò un occhio in direzione dell'unica finestra della stanza, sentendosi punta dall'urgenza di verificare. -C'è tempo.- lo rassicurò, tornando a godersi le coccole.
Cullen formulò una risata roca sulla sua nuca, poi sfilò il braccio libero da sotto al cuscino, per passarsi una mano tra i capelli. Lavellan ne approfittò per sciogliere la presa dalla sua mano e voltarsi fisicamente nella sua direzione. Appoggiò la testa sul suo petto, esibendo un sorriso di completa soddisfazione. -Valeva la pena di aspettare.- ammise, passandogli una carezza sul pettorale all'altezza del cuore. Chiuse gli occhi, cullata dal suo profumo, poi prese a ridere piano, in risposta al pensiero di ciò che era successo tra di loro poco tempo prima.
Cullen percorse la sua schiena con la punta delle dita, indugiando nell'incavo che identificava la colonna vertebrale. Nonostante lei gli fosse già a ridosso, la trasse a sé maggiormente, consolidando l'abbraccio. -Non saprei, Lav. Per come è andata, mi sento un bell'idiota per non essermi svegliato prima.- disse, ridendo.
Lei gli pizzicò un fianco giocosamente, facendolo sobbalzare. Si guardarono a lungo, con aria complice, poi lei si distanziò quanto bastava per evitare a entrambi un gran torcicollo. -Non sono mai arrivata a questo punto con qualcuno.- gli rivelò, rivolgendogli un sorriso incerto.
Cullen aggrottò la fronte su un'espressione dubbiosa. -Questo punto?- ripeté. -Quale punto?-
Mentre il suo cervello formulava una spiegazione che avesse un senso logico, Lavellan prese il labbro inferiore tra i denti, mordicchiandolo con insistenza. -Nel senso che ho avuto delle relazioni, più o meno importanti, ma dopo aver... huh... consumato, tornavamo a fare quello che stavamo facendo prima.- spiegò. -Non era il caso di restare a fare il punto della situazione, ecco. Che poi, è una cosa che si fa, o è un pretesto narrativo dei romanzi rosa per allungare il brodo?-
Cullen infilò di nuovo il braccio sotto al cuscino, facendolo aderire bene alla guancia. -Tu cosa vorresti fare?-
Lavellan ci rifletté abbastanza da ferirsi il labbro, quindi esalò un sospiro di rassegnazione. -Non ne ho la più pallida idea.- ammise, prendendo a ridere istericamente.
Lui osservò il suo viso con aria sognante, appoggiandole una mano sulla guancia per carezzarle le labbra con il pollice. -Se non avessimo entrambi esaurito le forze, mi verrebbe da chiederti di ricominciare.- sussurrò, sporgendosi su di lei per baciarla.
Lavellan accolse quel bacio come una necessità impellente, aggrappandosi a esso come se fosse l'ultimo respiro prima di spirare. Da persona abituata a pensare troppo, aveva descritto quel momento nella sua testa in mille maniere, ma tutte le previsioni che aveva immaginato l'avevano fallita, lasciandola a fare i conti con uno scenario inaspettato.
Fin dalle prime battute, era chiaro che entrambi avessero un'idea precisa di quello che volevano dall'altro e per l'altro. La novità per lei risiedeva nell'assecondarsi reciproco, senza riserve, arricchendo ogni azione senza subirla passivamente.
In una sola occasione avevano dovuto soffermarsi a chiarirsi, il resto era avvenuto in maniera fluida, così come succedeva in situazioni meno intime. Il che era ironico, visto che erano due individui soverchiati dalle loro teste.
-Aneth ara.- mormorò Lavellan, nascondendo un'espressione allegra tra le pieghe del suo collo, per poi stampargli un bacio sotto al mento.
Cullen la strinse a sé, senza smettere di esplorare la sua schiena con le dita. -C'era anche questo nei tuoi romanzi rosa?-
-Ovviamente, no. Di solito si mettono a parlare di paletti e si chiedono in che modo la loro relazione cambierà dopo aver giaciuto insieme.- Lavellan aprì un'espressione scettica sul viso. -Delltash, sarebbe stupido se restasse tutto uguale no? Ma così come siamo arrivati fin qui, penso che arriveremo tranquillamente al prossimo stadio evolutivo senza fasciarci troppo la testa, cioè, come un seme di noce.-
-Un seme di noce?-
-Lo pianti e via! Bum! Dieci anni e ti cresce una pianta gigante che ti copre mezzo giardino di gherigli.-
-Ti copre mezzo...- Cullen si ritrasse, per guardarla con aria dubbiosa. -Lav, hai mai visto un albero di noce?-
-Certo che l'ho visto! L'Orlais ne è pieno!-
Cullen batté le palpebre, mentre la sua espressione abbandonava il dubbio per indossare la sorpresa. -Beata Andraste.- disse, sommesso.
Lavellan si distanziò a sua volta, confusa.
-So qualcosa che tu non sai.- disse lui, con una nota di entusiasmo nel tono di voce. -La noce non è il frutto dell'albero di noce.-
-Cosa?!-
Cullen prese a ridere. All'inizio, si trattò di una reazione pacata, a labbra chiuse, poi gradualmente si trasformò in una vera e propria risata isterica, con tanto di singhiozzi e lacrime agli occhi. Sembrava assaporare quella piccola soddisfazione in ogni sua sfumatura, come se lei gli avesse regalato le chiavi di uno scrigno del tesoro straboccante di smeraldi.
Lavellan assisté a quello sfogo catartico con tanto d'occhi. Anche se non aveva la più pallida idea da dove fosse scaturito, la gratificò sapere di aver contribuito a qualcosa di così bello senza doversi sforzare troppo. In testa sua, ribadì che era valsa la pena di aspettare.
Calmatosi, Cullen esalò un sospiro soddisfatto, appoggiandosi una mano sullo stomaco. -Ci voleva proprio.- fece, rivolgendole un bel sorriso.
Lei ricambiò. -Mi dici cos'è adesso?-
-Assolutamente no.-
-Lo verrò a sapere comunque.-
-Non da me.-
-Sei un cretino.-
-Se vuoi un rimborso, sappi che è troppo tardi. Ti tocca tenermi.-
Lavellan si arrese definitivamente all'evidenza che qualsiasi ragionamento con una parvenza di serietà che avrebbe tirato fuori sarebbe rimbalzato contro la leggerezza del momento.
Considerato che entrambi avevano il reale bisogno di una pausa, quell'idea non fece altro che consolarla. Specchiarsi nella sua stessa rilassatezza, concretizzata nello sguardo di un individuo che non abbassava la guardia nemmeno quando si infilava sotto le coperte, le regalò una profonda sensazione di pace.
Difatti, non volle dirgli altro, per evitare di sgualcire troppo il momento. Si limitò semplicemente a passare lo sguardo sul suo viso, sul suo corpo, sul suo sorriso, frenandosi dal confidargli quanto trovasse splendido l'insieme. Rise più volte del fatto che lui non riuscisse a tenersi per sé lo stesso genere di complimento, ripetendole quanto fosse bella.
Gli sfiorò lo stomaco con le dita, sentendolo brontolare, quindi gli rivolse un'occhiata divertita. -Puoi vedere se giù in dispensa è rimasto qualcosa da mangiare?- gli domandò, sentendosi in dovere di intervenire.
Cullen le scoccò un bacio sulla fronte in segno di gratitudine, poi si mise a sedere sul letto. Se l'idea di mangiare qualcosa gli aveva fatto tornare istantaneamente le energie, la realizzazione di non essere in casa da soli lo colpì dritto nell'ansia e gli fece subito tornare la voglia di rimettersi sotto le coperte.
Sbuffò, passandosi una mano tra i capelli, poi si sforzò di alzarsi, proprio perché la richiesta proveniva da Lavellan.
Quest'ultima si soffermò a squadrarlo da capo a piedi, senza perderlo di vista un istante mentre percorreva la stanza in lungo e in largo per recuperare i suoi vestiti e radunarli sul letto. Dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo pur di non commentare lascivamente il suo aspetto, mordendo un lembo del cuscino che stava abbracciando per disperazione.
Cullen, che si stava allacciando la cintura, notò quella manovra e le scoccò un'occhiata curiosa. Quando si rese conto di quello che stava succedendo, il suo sguardo si tinse di autocompiacimento e gli venne da sorridere. -È un modo per dirmi di fare in fretta?- le domandò, raddrizzando la camicia prima di indossarla.
Lei gli rivolse un'occhiata eloquente. -Probabile.-
-Sei incontentabile.-
-Non mi pare proprio.-
Cullen rise.

L'idea di ritornare tra le braccia di Lavellan per qualcosa di molto più intimo di un abbraccio diede a Cullen la forza necessaria per affrontare qualsiasi cosa avrebbe trovato sul suo cammino una volta sceso al piano di sotto.
Dopo che ebbe raggiunto l'ultimo gradino della scala in marmo, si mosse in punta di piedi attraverso la casa, debolmente illuminata dall'albeggiare, pentendosi di non aver chiesto a Lavellan dove fossero le cucine. Andò a intuito, oltrepassando il salotto per mettersi ad aprire una porta dietro l'altra, facendo attenzione a non svegliare Varric e Sera, che russavano sonoramente, collassati sul pavimento a pochi passi da lui. Fortunatamente, non essendo una casa immensa, riuscì in breve tempo a trovare la porta giusta.
Si ritrovò a entrare in una stanza accogliente, riscaldata da un caminetto e illuminata da un bel lampadario a bracci che scendeva dal soffitto.
Sollevato di non aver trovato nessuno ad aspettarlo con sorrisetti e battutine, lasciò andare un sospiro, dirigendosi a passo spedito verso un tavolo già apparecchiato, alla ricerca di qualsiasi cosa potesse trasportare agilmente al piano di sopra, senza causare rumori e tintinnii improvvisi.
Spostò lo sguardo a sinistra, notando una serie di armadietti a ridosso di parete che sormontavano dei forni e una cucina in cotto dipinto. Vi si diresse, velocemente, aprendo un'anta dietro l'altra e recuperando un discreto bottino che infilò in un cencio che aveva trovato appoggiato sopra il forno, assieme a una pagnotta. Dopo aver radunato abbastanza cibo per accontentare se stesso e Lavellan, s'infilò il fagotto sottobraccio e si voltò per uscire.
Sobbalzò, rischiando di far cadere tutto per terra.
Dorian e Leliana erano seduti al tavolo e lo osservavano con un'espressione divertita.
-Buongiorno.- disse il primo, appoggiando gli avambracci sulla superficie del tavolo, mentre si sporgeva nella sua direzione.
Cullen sentì il viso prendere calore, mentre cercava un modo per riprendere il contegno. -Buongiorno.- gli fece eco, muovendosi lentamente verso l'uscita.
-Possiamo tentarti con una tazza di tè?- intervenne Leliana, esibendo una teiera fumante sbucata fuori da chissà dove.
-No, grazie.-
-Se non vieni immediatamente qui, giuro che sveglio Sera.- lo minacciò Dorian, porgendo una tazza a Leliana per permetterle di servirlo.
Cullen si bloccò sull'uscio. Chiuse gli occhi, prese un respiro profondo, poi si voltò, raggiungendoli con una smorfia di fastidio.
Leliana ridacchiò, finendo di riempire altre due tazze fino all'orlo, prima di fargli cenno di prendere posto tra loro, a capotavola. Quando si fu seduto, ne appoggiò una di fronte a lui e gli rivolse un sorriso pieno. -Bevi, coraggio!- lo invitò.
-Cosa mi aspetta, una ramanzina, o una lamentela?- domandò Cullen, guardingo.
-Un suggerimento.- precisò Dorian. -La prossima volta che ti dovesse capitare di fare visita all'Inquisitrice, ricordati di chiudere la porta a chiave.-
-Ho fatto giusto in tempo ad avvertire Josie.- intervenne Leliana, passando un'occhiata divertita su Cullen, le cui guance, da rosse che erano, presero una preoccupante sfumatura di verde.
-Immagina che imbarazzo in sede di consiglio.- disse Dorian, che osservava con insistenza i capelli della sua vittima. -Ecco perché Varric ti chiama ricciolino.- commentò, sistemandogli un boccolo ribelle che gli ricadeva sulla fronte.
Cullen si ritrasse, stringendosi il fagotto al petto. -Ci godete proprio a torturarmi?- si lamentò.
-Diamine, sì!- rispose Leliana. -È lo scotto da pagare per avervi coperto. Se non fosse stato per me, adesso mezza corte saprebbe che avete passato la notte insieme.-
-A proposito- Dorian recuperò una borsa da sotto al tavolo, spingendola tra le braccia di Cullen. -Prego.-
Cullen sbirciò al suo interno, riconoscendo immediatamente la pelliccia bruna che adornava il suo mantello. Ammiccò, confuso.
-Devo davvero spiegarglielo?- domandò Dorian, rivolgendo a Leliana un'occhiata supplichevole. Lei si strinse nelle spalle. -A quanto pare.-
-Spiegarmi cosa, esattamente?-
-Che se uscissi da qui con lo stesso vestito che portavi ieri, chiunque sia in osservazione si renderebbe immediatamente conto che hai passato la notte qui per... qualsiasi cosa noiosa e strettamente vaniglia che avete fatto lassù.- gli rispose Dorian, indicando il soffitto con un gesto sommario. -Se invece uscissi con l'armatura, dimostrando di avere effettivamente un alloggio nella dependance, ti risparmieresti una camminata della vergogna di portata imperiale.-
-Cassandra si è premurata di riferire ai tuoi ufficiali che ti saresti installato qui, per via di una riunione d'emergenza.- proseguì Leliana. -Ti abbiamo persino riservato una stanza e disfatto un po' il letto, nel caso la servitù volesse riferire alla nostra ospite qualche novità succosa sulla nostra permanenza qui.-
Cullen guardò entrambi con un'espressione accigliata. -Non so davvero cosa dire.- balbettò.
-Grazie?- gli suggerì Dorian, aprendo un braccio nella sua direzione.
-Grazie.- ripeté Cullen, annuendo.
-Di niente.- rispose Leliana, rivolgendogli un sorriso rassicurante. -Non servirà a molto, dato che ormai sanno tutti che avete una liaison, ma almeno impedirà che circolino voci molto più fastidiose attorno alla vostra relazione.-
-Per carità, quelle girerebbero comunque anche se non fosse noto che hanno una storia.- borbottò Dorian, cercando di afferrare un altro ricciolo scomposto dalla testa di Cullen. -Basta che due persone interagiscano e subito nasce lo scandalo. Questa cosa mi ricorda pericolosamente i salotti di Minrathous.-
-Tutto il mondo è paese.- commentò Leliana, per poi rivolgere un sorriso a Cullen. -Quello che avevamo da dirti te l'abbiamo detto. Ora puoi portarle la colazione e, per carità, sii signore e metti tutto su un vassoio! Alle donne piace un po' di scena.-
Cullen sospirò stancamente. -Se mi presentassi con un vassoio lo vedrebbe come un pasto e si limiterebbe a guardare il cibo anziché consumarlo.- spiegò, attirando su di sé un paio di occhiate tinte d'interesse. -La chiave è poco e spesso, così non si sente sopraffatta.-
Leliana studiò il suo viso a lungo, poi gli indicò la porta con un cenno del capo. -Vai, prima che madame Vivienne si svegli per il suo infuso delle cinque.-
Cullen non se lo fece ripetere due volte. Prima di uscire, però, si voltò nella loro direzione, con un'espressione madida di gratitudine.
Dorian allontanò i convenevoli con un cenno sbrigativo del braccio, Leliana invece chinò la testa in segno di saluto. -Dobbiamo guardarci le spalle a vicenda.- disse, tranquillamente.
I due aspettarono che Cullen se ne fosse andato, prima di scambiarsi un'occhiata d'intesa.
-Li hai presi?- domandò lei.
Dorian le porse una manciata di capelli biondi. -Bastano?-
Leliana li avvolse in un tovagliolo, che poi si infilò in tasca. -Sono sufficienti.- confermò. -Pensavo fosse una risposta allo stress, per quello mi sono rifiutata di indagare.- aggiunse, assumendo un'espressione pensosa.
Dorian la raggiunse con uno sguardo macchiato di nervosismo. -Come dobbiamo comportarci?- domandò, avvolgendo la tazza tra le dita, per assorbirne il calore.
Leliana prese una sorsata di tè, per aiutarsi a riflettere. -Mi farò venire in mente qualcosa.- dichiarò, senza soffermarsi a elaborare.
Ed entrambi rimasero a contemplare la superficie del tavolo in silenzio.

 

-Nota-

Scusate il taglio sul più bello, ma in this household we kneel just for Jesus.
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Ah e il frutto del noce è la drupa. La noce è il nocciolo.
<3

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Capitolo 24
*** Make it Make Sense ***


23 - Make it Make Sense

 

Al centro di un cortile d'erba rada e ingiallita, a diverse centinaia di metri di distanza dai cancelli di Skyhold, c'era un'impalcatura di tre metri, nascosta da teli bianchi gonfiati dal vento.
Dal di sotto di essa fuoriuscivano regolarmente suoni di lavori in corso. Martellate di diversa qualità e intensità si alternavano alle profanità di chi non riusciva a far funzionare le cose; ogni tanto, si poteva udire uno scoppio che metteva a tacere gli altri rumori momentaneamente, prima che i lavori proseguissero come se non fosse successo niente.
Dopo che l'Inquisizione era tornata dal Palazzo d'Inverno, i lavori per ultimare ciò che era sotto i teli erano ricominciati, scatenando la curiosità degli inquilini di Skyhold, che la mattina si vedevano privare, per una manciata d'ore, di tre quarti dei loro leader e di una pericolosissima Dagna, che trasportava dalla fucina al cortile acidi ed esplosivi come se fossero bottiglie di coda di gallo.
Lavellan sosteneva che si trattasse di un esperimento ingegneristico, mentre Cullen riportava che stessero lavorando per riparare una semplice macchina d'assedio. Fortunatamente, Leliana non correva rischi di essere consultata sulla questione, perché chiunque aveva paura ad avvicinarla.
La mattina successiva al ritorno del seguito dell'Inquisitrice, Rylen raggiunse il cortile a grandi falcate, con un fascicolo sottobraccio, una mela verde in mano e un drago barbuto che sonnecchiava sulle sue spalle.
Leliana, in maniche di camicia per praticità, sollevò lo sguardo dal dedalo di progetti che stava consultando e lo posò sul nuovo arrivato, a cui rivolse un breve sorriso. -Capitano, lasci che glielo dica: così abbronzato è una gioia per gli occhi!-
Rylen reagì a quel complimento con una risata sommessa. -Cosa non fanno due mesi di sole, dieta discontinua e deprivazione d'acqua!- commentò, portandosi di fronte al tavolo su cui stava lavorando la sua interlocutrice. -Ser Cullen?-
Leliana gli indicò l'impalcatura con un cenno del capo. -Segua le profanità. Lo troverà tra un “mannaggia al Creatore” e una “benedetta Andraste”. Oggi il Monsignore ha deciso di fare i capricci.- rispose. Si soffermò a osservare il musetto triangolare del drago barbuto, con aria interessata. -Ancora niente?-
Rylen si voltò verso l'animaletto, passandogli gentilmente l'indice tra gli occhi. -Ne verrà fuori.- disse, per poi dirigersi verso l'impalcatura.
Cullen era effettivamente dove Leliana aveva detto che fosse e batteva insistentemente un martello su una trave di metallo, per raddrizzare un chiodo piegato a elle. Quando vide Rylen, gli gettò un'occhiata veloce, senza smettere di lavorare. -Hai portato quello che ti ho chiesto?-
Il suo secondo sollevò la mela per mostrargliela. -Verde come il Varco.- annunciò, guardandosi attorno con aria curiosa. -Siete a buon punto, vedo.-
Cullen diede un'ultima martellata veemente, portando finalmente il chiodo in posizione. -A buon punto, dici?- gli fece eco, con una nota di scetticismo nel tono di voce. -Due ore fa lo abbiamo testato e per poco il rinculo non lo restituiva alle mura di Skyhold.-
-Esagerato!-
Rylen alzò lo sguardo, riconoscendo la voce di Lavellan. -Effettivamente, ha fatto un rumoraccio.- disse, in direzione di una sagoma che si muoveva nei piani superiori dell'impalcatura. -Per poco Belinda non si soffocava con il porridge.-
Lavellan ridacchiò. -Porridge.- ripeté.
Cullen diresse un sorriso su di lei, lanciò il martello dentro a una cassetta degli attrezzi, poi si mosse in coda a Rylen, per allontanarsi dal cantiere.
-Eri così di fretta che non hai fatto colazione?- domandò l'ultimo, lanciandogli la mela.
Cullen la prese al volo, facendo un giro su se stesso alla ricerca di qualcosa. -Non è per me.- replicò, appoggiando una mano sul braccio al suo secondo per indicargli di fermarsi. -Cornelia!- chiamò, a gran voce.
Il drago barbuto sobbalzò, rischiando di perdere la presa sulle spalle di Rylen. Quest'ultimo si affrettò a chinarsi in avanti, per aiutarlo a ritrovare la stabilità. -Oggi è la giornata dei coccoloni.- commentò, piccato, mentre l'halla rosso di Lavellan faceva capolino dal limitare del bosco, con le orecchie in allerta e gli occhi carichi di curiosità.
Cullen la invitò a raggiungerli con un ampio cenno del braccio, esibendo la mela. -Gli stallieri del Palazzo d'Inverno ci avevano assicurato di essere esperti a trattare animali esotici, ma le hanno dato da mangiare solo biada di pessima qualità.- spiegò, mentre l'animale trottava verso di loro con entusiasmo. -Guarda com'è deperita!-
Rylen passò uno sguardo dubbioso sull'halla, che a occhio sembrava perfettamente in forma. -Non è che è semplicemente viziata?- domandò.
Cullen aprì la mano, facendo in modo che Cornelia mangiasse il frutto senza staccargli un dito nel processo. Quando ebbe finito, le passò una mano sul muso, amorevolmente. -Non è viziata, ha una dieta variegata, com'è giusto che sia.- rispose, lisciandole la pelliccia sul collo, per privarla delle foglie e dei rametti che si erano incastrati su di essa. -Vorrei vedere te se fossi costretto a inghiottire foglie d'insalata tutto il giorno.-
Rylen lo guardò di sottecchi. -Ti prego, non dire che “è una bestia intelligente”.-
-Lo è.-
-Per voi fereldiani qualsiasi bestia è intelligente, Ser Cullen. Persino i sorci.-
Cullen evitò di commentare, limitandosi a gettargli un'occhiata di rimprovero. -Piuttosto, ho riletto i tuoi rapporti, durante la colazione e ho trovato un'incongruenza.- disse, dopo un po'. -Hai riferito che nell'Accesso c'era la presenza dei Custodi, ma allo stesso tempo che i Prole Oscura erano in forze. Di solito, la presenza del primo dovrebbe prevenire quella del secondo.-
Rylen si prese i suoi tempi per rispondere. Sulla sua fronte si formò una fila di rughe di apprensione. -Lo pensavo anch'io, prima di vederli ignorare palesemente un gruppetto di Genlock che razziavano un carro di provviste.- disse, abbassando il tono di voce.
-Evidentemente, non erano preparati ad affrontarli.- li giustificò Cullen, soffermandosi a grattare Cornelia tra i palchi e le orecchie.
-Erano armati fino ai denti.- precisò Rylen, accigliato. -I miei hanno riportato eventi analoghi lungo tutto il territorio. Ho dovuto inviare delle squadre di pulizia, per impedire che i Prole Oscura attaccassero i villaggi.-
Cullen studiò il suo viso a lungo, poi strinse appena le palpebre. -Ci avevo visto giusto, allora. Sei davvero preoccupato.-
-Dico solo che dobbiamo affrettarci a intervenire, Comandante. Non possiamo continuare a compensare alle mancanze dei Custodi. Gestire i Prole Oscura è compito loro, noi non siamo altrettanto preparati.-
Cullen annuì. -Concordo. L'Inquisitrice li ha scacciati dalla Costa, ma non può essere onnipresente.-
Leliana, che aveva sentito stralci del discorso, si avvicinò ai due, altrettanto allarmata. -Siamo tutti a conoscenza del motivo del loro comportamento erratico.- intervenne. -Ma da lì a ignorare palesemente l'ethos dell'Ordine...- fece una pausa. -Non sono i Custodi che conosco. Dev'esserci in atto qualcosa di più, che mette in crisi le fondamenta delle loro convinzioni.-
-Sono mal direzionati.- spiegò Lavellan, atterrando graziosamente ai piedi dell'impalcatura. -Ne ho discusso ampiamente con Alistair l'altra notte e mi ha supplicato di considerare il contesto in cui si trovano, prima di giudicare le loro azioni.- spiegò, avvicinandosi al gruppo. -Si tratta pur sempre di un Ordine, con una gerarchia di comando e informazioni disposte in compartimenti. Molti di quei Custodi che hai visto all'Accesso, probabilmente sono stati obbligati a voltare la testa dall'altra parte.-
-Vuoi davvero scusare questo atteggiamento, Eminenza?- domandò Rylen, con aria scettica. -Ti ricordo che se non fossi intervenuta a Valammar, o sulla Costa, i problemi che i Prole Oscura avrebbero causato avrebbero avuto ripercussioni gravissime sugli abitanti del posto. Per non parlare dei danni ambientali.-
Lavellan si portò tra Cullen e Leliana. -Non li sto scusando, Capitano. Sto cercando di mettermi nei loro panni.- elaborò. -Se io vi ordinassi di ignorare gli Squarci senza darvi una motivazione pratica, voi lo fareste.-
-Emine', andiamo! Non c'è paragone.-
-Non peccare di ingenuità, Rylen.- disse Leliana, in tono di rimprovero. -Anche l'Inquisitrice ha dovuto compiere scelte terribili, nel suo percorso. Lungimiranti, ma pur sempre terribili.-
Lavellan la sfiorò con lo sguardo. -Considerato che noi siamo in numero massiccio e i Custodi contano meno della metà della metà dei nostri agenti, è ovvio che la loro catena di comando abbia molte meno opzioni su cui contare, rispetto a noi.-
-Non è comunque giustificabile, Lav.- intervenne Cullen. -Bisognerà tenere conto delle loro azioni, una volta che questa storia sarà finita.-
Lavellan contrasse il viso in una smorfia di perplessità. -Eravamo insieme quando abbiamo visto in che condizioni erano le campagne attorno a Honnleath. Senza i Custodi, quella desolazione coprirebbe tutto il Ferelden meridionale. Se c'è un modo per toglierli dagli impicci e, allo stesso tempo, permettere che si riorganizzino, farò di tutto per trovarlo.-
-Anche se dovesse costarti in credibilità?-
-Non lo sto facendo per la credibilità, lo sto facendo perché non possiamo gestire una minaccia del genere da soli, né ora né mai.-
Leliana annuì. -Potremmo contrastare i Prole Oscura per dei mesi, forse anni, ma senza i Custodi sarebbe impossibile mettere fine a un Flagello. E se è vero che Corypheus ha risvegliato un Arcidemone, è vitale averli dalla nostra parte.-
Cullen esalò un sospiro nervoso, incrociando le braccia sul petto. -Ser Rylen ha ragione, dobbiamo risolvere questa situazione in fretta.- dichiarò, evitando all'ultimo secondo che Cornelia appoggiasse il muso sulla sua spalla, avida di attenzioni.
-Lo faremo presto. Giusto il tempo di dare modo ad Harritt di temprare l'equipaggiamento per il deserto.- disse Lavellan. -A quanto pare, sarà una continua caccia al varghest.-
-Non dimentichi le fenici e i dorsopiumato.- aggiunse Rylen, con una nota di evidente stanchezza nel tono di voce. -E i Venatori, i briganti, gli sciacalli...-
-Faremo un bel repulisti, Capitano. Non preoccuparti.- lo rassicurò Lavellan, rivolgendogli un'occhiata divertita. -Perché non rompete la magia, piuttosto che lasciarlo in quello stato?- domandò, alludendo al drago barbuto che in quel momento si stava arrampicando goffamente sulla testa di Rylen, con un sorriso ebete tatuato sul musetto.
-Me lo sono chiesta anch'io.- si aggiunse Leliana, seguendo con attenzione i suoi movimenti.
Ricevettero due occhiate allibite. -State scherzando, spero! Sarebbe come buttarlo giù dal letto a spintoni per farlo atterrare su una vasca piena di acqua gelata.- rispose Cullen.
-Sarebbe più umano gettarlo in pasto ai gatti, a quel punto.- si aggiunse Rylen, incurvandosi per evitare che il rettile cadesse a terra. -Diamine, signore, abbiate un po' d'empatia!-
Lavellan alzò subito le mani in segno di resa. -D'accordo, d'accordo!- gemette. -Non ho idea di come funzionino queste cose.-
-In realtà, è una novità anche per me.- ammise Leliana, aiutando Rylen a riposizionare il drago in modo che non gli ferisse il capo. -Di solito i Mutaforma riprendono il loro aspetto originale facilmente.-
Cullen e Rylen fecero squadra nel dimostrare tutto il disappunto possibile nei riguardi di quell'affermazione. -Lui ha bisogno di prendersi i suoi tempi, invece. C'è qualche problema?- chiese Rylen.
-No, sia mai!- si affrettò a dire Leliana. -Solo che è un ufficiale. Dovrebbe... essere reattivo.-
-Lo è!- sbottò Cullen, indicandolo con enfasi. -Ha fatto fuori un sacco di ragni.-
-Però quando lo faccio io non va bene, eh.- borbottò Lavellan. -Torniamo a lavoro, coraggio. Devo risolvere la questione della stabilità, prima di partire, o non riusciremo a correggere la gittata in tempo per le prove generali.-
Leliana batté un paio di volte le mani, poi si mosse per tornare al tavolo di lavoro.
Cullen la osservò allontanarsi, poi si rivolse a Lavellan. -Verrò a dargli un occhio nel pomeriggio.- annunciò.
Lei gli rivolse un bel sorriso, appoggiandosi una mano sulla fronte nell’abbozzare un saluto militare. -Te lo farò trovare operativo.-
-Lo era già, finché non hai deciso di metterci mano.- protestò lui, congedandosi da Cornelia con una carezza sul suo capo. Lei, recepito il messaggio, spinse il muso sul suo petto in segno di saluto, poi tornò da dov'era venuta, trotterellando amabilmente.
-Fereldiano.- commentò Rylen, con un sorrisetto.
-Nemmeno con me fa così.- si aggiunse Lavellan, appoggiando le mani sui fianchi. Esalò un sospiro rassegnato, poi sollevò lo sguardo su Cullen, che si accingeva ad avviarsi. Notando che se ne stava andando in coda a Rylen, come se niente fosse, attirò la sua attenzione con un colpo di tosse fasullo. -Non ti stai dimenticando niente?- gli suggerì.
Lui batté le palpebre sopra un'espressione dubbiosa, poi tornò sui suoi passi. Si chinò su di lei, avvolgendo il suo viso tra le dita per coinvolgerla in un bacio.
-Intendevo dire che hai lasciato il mantello.- mormorò lei, una volta che si furono distanziati.
Lui le rivolse un sorriso sghembo. -Lo so.- rispose.
Recuperò il mantello, se lo infilò sottobraccio, poi si affiancò al suo secondo, per dirigersi finalmente verso Skyhold assieme a lui.
Rylen, che fino a quel momento aveva finto di farsi gli affari suoi, non riuscì a trattenere adeguatamente un sorriso, quindi lo esibì direttamente in faccia a Cullen, che in risposta alzò gli occhi al cielo.
-Non posso nemmeno essere felice per un amico, adesso?- si lamentò il primo, appoggiando una mano sul dorso del drago, per reggerlo.
-Siilo a qualche metro di distanza, per favore.- replicò Cullen, precedendolo attraverso una strada sterrata.
Rylen rispettò quella richiesta e rimase tranquillamente in silenzio, mentre camminavano, mantenendo comunque un'espressione allegra. Il ciò insospettì il suo interlocutore, che si dovette voltare nella sua direzione, con un accenno di perplessità nello sguardo.
-Di solito a questo punto tutti insistono di volere i dettagli.- ammise Cullen.
Rylen arricciò il naso, aggrottando la fronte su una smorfia di fastidio.
Cullen esalò un sospiro di sollievo, prendendo poi a sorridere a sua volta. -Come ho fatto a stare tutti questi mesi senza di te, Ser Rylen?-
Quello gli gettò un'occhiata veloce. -Guarda che sei tu che mi hai mandato via.- precisò, afferrando il drago al volo prima che si tuffasse in un cespuglio. -Quando ti ho parlato di un luogo assolato, intendevo un luogo turistico, non una distesa di sabbia dimenticata dal Creatore e piena di animali feroci.- protestò.
-Se ti mandassi in un luogo turistico, ti lamenteresti che ci sono i turisti.-
-Probabilmente, ma almeno quelli non hanno le zanne grandi quanto una mia tibia.-
Cullen lo osservò a lungo. La sua espressione facciale era pervasa da una profonda rassegnazione e avrebbe potuto benissimo essere paragonabile a quella di una domestica che si ritrova a osservare una fila di impronte fangose sul pavimento che ha appena pulito e incerato.
-Ser Rylen?-
-Comandi.-
-Mi rimangio quello che ho appena detto. Non mi sei mancato neanche un po'.-
Rylen rise, poi lo anticipò nell'attraversare il ponte che conduceva ai cancelli di Skyhold.
A metà percorso li aspettava il tenente Burrows. Dapprima, li accolse con aria allegra, poi, dopo aver notato il drago barbuto in collo a Rylen, la sua faccia si contorse in una maschera di profondo disappunto. -Le avevo chiesto di smetterla di dire in giro che sono diventato una lucertola.- disse, in tono di rimprovero.
-E io ti avevo detto di nasconderti da qualche parte per evitare di rovinare lo scherzo.- replicò Rylen, sorpassandolo con nonchalance.
Il tenente si affiancò immediatamente a Cullen, alla ricerca di un alleato. -Signore, gli dica qualcosa lei, la prego!- disse, con enfasi.
Cullen lo squadrò da capo a piedi. -Non hai nient’altro da fare, Burrows?-
Quello rimase a bocca aperta, formulando un balbettio di acuti, scosso da una profonda frustrazione.
Rylen e Cullen si scambiarono un'occhiata d'intesa, poi un mezzo sorriso, infine si mossero verso Skyhold con tutte le intenzioni di ignorare le proteste del loro sottoposto.

 

*


Era tarda notte quando Hawke spinse Alistair a entrare nell'ufficio di Cullen.
Quest'ultimo, che stava riferendo una serie di ordini importanti al suo secondo, prima di coricarsi, li accolse con un'espressione severa.
Rylen guardò il suo superiore in comando, poi i suoi nuovi ospiti, infine si congedò con un -Buona fortuna.- sbrigativo, prendendo la via dell'uscita di rincorsa.
Sentendosi tradito da quell’abbandono, Cullen decise di affrontare la situazione di petto e si rivolse al duo, che nel frattempo aveva preso a litigare di fronte alla sua porta. -Signori, posso esservi d'aiuto?- domandò, rassegnandosi all'idea di dover rimandare una dormita necessaria.
Hawke prese un Alistair particolarmente teso per un braccio e lo spinse a sedersi su una poltroncina posta di fronte alla libreria, quindi si arrampicò tra le mensole della suddetta, spostando libri e manuali con perizia finché non riuscì a trovare ciò che stava cercando. -A-ah!- esclamò, brandendo un fiasco intonso di West Hill.
Cullen lo guardò di sottecchi, poi indicò la scrivania con un cenno del capo. -Bastava chiedere.- commentò, alludendo a un fiasco identico, già aperto.
Hawke lo ignorò, rifilando la bottiglia ad Alistair. -Ti starai chiedendo perché siamo qui.- disse, appoggiando una mano sullo schienale della poltroncina.
-No.- dichiarò Cullen.
-Non essere così fastidioso, o ti verranno i capelli bianchi prima del tempo. Siamo qui perché- Hawke indicò Alistair, che stava armeggiando con il sigillo di chiusura del fiasco -questo gentiluomo è depresso da che abbiamo messo piede a Skyhold. Dato che tu sei il fereldiano più serio che conosco e lui preferisce ribollire nell'autocommiserazione piuttosto che stare in mezzo a persone concretamente divertenti, ho pensato che forse avresti potuto usare il tuo atteggiamento miserabile in maniera costruttiva, per una volta.-
-Lusingato.- borbottò Cullen, incrociando le braccia sul petto con aria irritata.
-Almeno non ti ho detto che sei rigido come un’asse di legno.-
-L’hai appena fatto.-
-Per le chiappe di Maferath, come sei insistente!- sbottò Alistair, che si accaniva sulla bottiglia senza successo. -Se uno ti chiede di essere lasciato in pace, forse è perché vuole effettivamente essere lasciato in pace.-
-Nella mia lingua significa: "ho bisogno di sfogarmi con un amico davanti a un drink".- replicò Hawke, con convinzione, poi indicò Cullen con un cenno eloquente del braccio. -Se ti tieni tutto dentro, poi mi diventi come questo qui che ha fatto della repressione un tratto caratteriale e, ti dirò, non è per niente affascinante.-
Cullen passò uno sguardo scettico sul suo viso. -Se sei venuto fin qui, immagino che ti debba bruciare proprio un sacco non riuscire a essere d’aiuto a qualcuno.- commentò.
Hawke allontanò quell'intervento con un cenno, come se stesse scacciando una zanzara particolarmente fastidiosa. -Io sono sempre d’aiuto!- affermò, sicuro.
Attirò immediatamente su di sé un paio d'occhiate madide di rassegnazione.
-Patetico.-
-Fa quasi tenerezza.-
Hawke aprì le braccia, con enfasi. -Vedi come fate comunella? Sta funzionando!- affermò. Si mosse verso la scrivania, appoggiandosi a sedere sul bordo. -Ora cerchiamo un attimo di fare le persone serie. Che cosa ti prende?-
-Mi prende che questi tappi nuovi sono più duri della testa di un Hurlock!- bofonchiò Alistair, fulminando con lo sguardo il sigillo di chiusura del brandy che, nonostante avesse affrontato in mille modi, continuava a restare perfettamente integro.
Cullen esalò un sospiro stanco, slacciando le braccia per raggiungerlo e risolvere il problema personalmente. Gli tolse il fiasco dalle mani per rimetterlo al suo posto, approfittandone per sostituirlo con tre bicchieri che appoggiò sulla scrivania, di fronte al contenitore già aperto.
Dopo aver servito i suoi ospiti con un dito di liquore a testa, si abbandonò a sedere sulla sua poltrona. -Salute.- disse, prendendo un sorso di brandy senza aspettare che gli altri ricambiassero il brindisi.
Rimasero a bere per un po', immersi nel silenzio, poi Alistair diede un sospiro secco, passandosi una mano dietro al collo, nervosamente. -Ho visto mio figlio.- rivelò.
Hawke inclinò appena la testa, sollevando le sopracciglia su un'espressione sorpresa. -Non sapevo aveste un figlio.-
-I Custodi possono avere figli?- intervenne Cullen, voltandosi nella sua direzione.
Alistair si umettò le labbra, poi si curvò in avanti, appoggiando gli avambracci sulle ginocchia. -Possiamo, però non è consigliabile, dato che la nostra aspettativa di vita è irrisoria e potremmo trasmettere la corruzione al bambino.- spiegò. -La maggior parte delle volte, muoiono prima di venire al mondo e, nel caso peggiore, il processo di decadimento inizia a manifestarsi precocemente, costringendoci a optare per l'unica soluzione umana attuabile.-
-E voi, sapendo tutto questo, lo avete fatto comunque?- domandò Hawke, con un accenno di preoccupazione nel tono di voce.
Alistair guardò entrambi i suoi interlocutori a lungo, poi prese un respiro profondo. -Ho detto che ho visto mio figlio, non nostro figlio.- precisò.
Hawke e Cullen si scambiarono un'occhiata veloce.
-Per la cronaca, lei lo sa.- aggiunse immediatamente Alistair, senza metterci troppo entusiasmo. -Era presente al concepimento.-
-A ognuno il suo, immagino.- borbottò Cullen, alzandosi per riempirgli nuovamente il bicchiere, ormai vuoto da diversi minuti. Una volta che ebbe finito, fece lo stesso per Hawke, evitando di lesinare sul rabbocco. Ricevette un'occhiata madida di gratitudine in tutta risposta.
Alistair deglutì una sorsata un po’ troppo abbondante. -Ora capisci perché preferirei farmi pestare un piede da un Ogre, piuttosto che parlarne?- fece.
-Conoscendoti, probabilmente è successo nell'impeto del momento.- lo giustificò Hawke. -Se fossi stato a conoscenza delle conseguenze, saresti stato più attento.-
Alistair lo guardò dritto negli occhi, dando l'idea che il rospo che avesse in gola fosse delle dimensioni di un Bronto. -E se invece l'avessi fatto apposta?-
Cullen prese posto al fianco di Hawke, appoggiandogli una mano sul braccio per impedirgli di intervenire. -Com'è successo?- domandò.
-Quando due persone si vogliono molto bene...-
Hawke recuperò un segnalino dalla scrivania e glielo lanciò, colpendolo su una spalla.
-Va bene, vado al punto.- borbottò Alistair, massaggiandosi la parte lesa. -Vi siete mai chiesti come sia possibile che servano per forza i Custodi per sconfiggere con successo un Arcidemone? Si tratta di un drago un po' più grosso del normale, d'altronde. Anche voi due potreste esserne capaci.-
-E questo cosa c'entra con tuo figlio?- domandò Cullen.
-Sto facendo una premessa. Sai cos'è una premessa, no? Serve a introdurre un concetto specifico per evitare che la gente si confonda quando...-
-Ser Alistair!-
Quello sbuffò, spostando la testa altrove. -Ci stavo arrivando.- si lamentò. -Non c'è modo di sconfiggere in via definitiva un Arcidemone. Se venisse abbattuto da una persona comune, la sua essenza si trasferirebbe nel Prole Oscura più vicino, permettendogli di rigenerarsi e riprendere così la sua forma originale.-
Cullen inarcò un sopracciglio, con aria interessata. -E in che modo i Custodi riescono a fermare il processo?-
Hawke si voltò verso di lui, in difficoltà. -Perché hanno anche loro la corruzione.- mormorò.
-L'Arcidemone viene attratto dalla nostra corruzione e noi lo intrappoliamo, impedendogli così di riprendere forma.- proseguì Alistair, con un tono di voce stranamente asciutto. -La morte dell'Arcidemone coincide con quella del Custode che l'ha sconfitto.-
Nella stanza scese un silenzio pesantissimo. La paura naturale di essere venuti a conoscenza di una notizia che avrebbe scatenato il caos, se resa pubblica, conviveva con un forte sentimento di compassione nei riguardi di Alistair, costretto a convivere con un fardello del genere.
-I conti non quadrano.- intervenne Cullen, dopo un po'. -Se siete stati voi a uccidere l'Arcidemone, com'è che siete entrambi ancora vivi?-
Hawke, che stava evitando di porre quella stessa domanda da che Alistair aveva iniziato a provvedere spiegazioni, si passò una mano sul viso, pesantemente. -Perché non mi faccio mai i cazzi miei?- mormorò, realmente preoccupato per ciò che sarebbe venuto dopo.
Alistair si prese i suoi tempi, prima di rispondere. -Ci sei arrivato, immagino.- disse.
Hawke non rispose, limitandosi a fissarlo con aria truce. Cullen spostò lo sguardo dall'uno all'altro, soffermandosi infine su Alistair. -Insomma?-
-Morrigan conosceva un modo per permetterci di sopravvivere entrambi.-
-Morrigan? L'arcanista della defunta Imperatrice?-
-Morrigan. La figlia della Strega delle Selve.- lo corresse Alistair.
Hawke scattò in piedi. -Mi stai prendendo in giro!?- sbottò, con il viso sconvolto dalla sorpresa.
-Se avessi voluto prenderti in giro, mi sarei messo un boa di piume.- borbottò Alistair, finendo il secondo bicchiere in un sorso. -Ha viaggiato con noi, finché non ha ottenuto quello che voleva, poi è scomparsa.-
-Qual era il modo?- tornò alla carica Cullen, dando un buffetto dietro alla nuca ad Hawke per impedirgli di interrompere di nuovo la conversazione.
Alistair rimase in silenzio a lungo, a testa china, poi chiuse gli occhi. -Creare un'altra esca per l'Arcidemone.- rispose, una volta che ebbe trovato il coraggio di guardarlo negli occhi.
L'unico dei due a capire istantaneamente le implicazioni di quella domanda fu Hawke, che aveva sperato fino all'ultimo che la sua perspicacia facesse cilecca. Impallidì, mentre il suo viso assumeva una smorfia di dolore, come se qualcuno gli avesse appena aperto lo stomaco con un coltello smussato. -Non so se mi fa più schifo l'idea che abbiate usato un innocente per salvarvi il culo, o il fatto che quest'idea abominevole abbia funzionato.- si voltò verso Cullen. -Ha passato la corruzione a suo figlio, in modo che l'essenza dell'Arcidemone si trasferisse su di lui, anziché su di loro.- elaborò.
Cullen ci mise un po' a processare quella rivelazione. Prima, sollevò le sopracciglia su uno sguardo sorpreso, poi il suo viso divenne una maschera di disgusto. -Non è soltanto schifoso, è vigliacco!- lo corresse, raddrizzandosi a sua volta.
Alistair roteò un polso con enfasi, incitandoli a proseguire. -Coraggio! Ditemi qualcosa che possa competere degnamente con ciò che io ed Elanor ci stiamo ripetendo da dieci anni a questa parte.-
-Non è divertente.-
-Sai cos'altro non è divertente? Decidere a tavolino con la persona che ami di più al mondo chi dei due valga la pena di essere sacrificato. Una roba da grasse risate, per davvero, perché nessuno di noi riusciva a sopportare l'idea di sopravvivere all'altro.- Alistair fece una pausa, per alzarsi a sua volta. -Il rituale che ha eseguito Morrigan prevedeva che l'essenza dell'Arcidemone venisse ripulita dalla corruzione al momento del trasferimento, riportandola al suo stato ancestrale. Avrebbe portato in grembo un bambino perfettamente sano, ma con l'essenza pura di un Antico Dio, che è ciò che sono gli Arcidemoni nell'effettivo, prima che vengano risvegliati dalla corruzione dei Prole Oscura.-
-E in che modo questo dovrebbe giustificare ciò che avete fatto?- ribatté Cullen, seriamente sconvolto.
-Non lo giustifica nel modo più assoluto.- concordò Hawke. -Lo peggiora, semmai.-
-Ti rendi conto che stai parlando di una possessione in piena regola? Tu più di tutti dovresti sapere cosa comporta forzare un'entità nel corpo di qualcuno che non ha il potere di scegliere.- tornò alla carica Cullen. -Preferirei sacrificarmi mille, centomila volte, piuttosto che usare mio figlio come un... come un dannato ricettacolo per demoni!-
Alistair annuì. -Ho usato le stesse identiche parole quando Elanor mi ha spiegato il piano.- ammise. -State ripetendo le stesse cose che ho detto a lei, prima che mi convincesse a partecipare al rituale.-
-Ma chi cazzo sei, un burattino senza volontà propria?- sbottò Hawke, indicandolo con la mano tesa. -Se le opzioni sono morire da eroe, o condannare alla dannazione eterna un bambino, mi pare ovvio quale sia tra le due la soluzione da evitare a tutti i costi.-
-Morrigan ci ha assicurato che lo avrebbe cresciuto con tutte le precauzioni del caso ed Elanor mi ha supplicato di crederle.- replicò Alistair, spostando uno sguardo accigliato verso l'uscita. -A quanto pare, l'ho colpevolizzata per anni senza ragione, dato che Kieran è un bambino normalissimo.-
-Non è quello il punto!-
-Lo so, ma quando la persona in cui hai riposto la tua fiducia incondizionata ti chiede di fare un atto di fede, tu lo fai e basta.- mormorò Alistair -Quante volte vi siete trovati ad affidarvi al giudizio dei vostri compagni per disperazione? Hawke, tu hai affidato tuo fratello ai Custodi perché Anders ti ha promesso che in quel modo la sua vita sarebbe stata salva. Hai rischiato, per egoismo, nonostante sapessi che lo avresti condannato a una vita come la nostra. Non sarebbe stato meglio se avessi messo fine al suo dolore in quel momento, piuttosto che sottoporlo a sofferenze ben peggiori?-
Hawke prese un respiro profondo, imponendosi di calmarsi. -Non mettere sullo stesso piano la mia scelta di salvarlo, senza ferire nessuno, e la vostra, che ha coinvolto una persona innocente.-
Alistair lo squadrò da capo a piedi, poi sbuffò una risata arida di divertimento. -Dopo tutto quello che sai sui Custodi, pensi ancora di averlo salvato? E poi, in che modo sarebbe diverso? Abbiamo entrambi fatto una scelta a spese di qualcun altro.- sollevò l'indice in direzione di Cullen, che stava per intervenire -E tu dimmi: quanti Maghi adolescenti avete sottoposto al Rito della Calma a Kirkwall con la scusa che potessero ferire la gente comune con la magia del sangue? Voglio che entrambi mi guardiate negli occhi e che mi diciate che nella vostra vita non vi siete trovati nella posizione di sacrificare i vostri principi per risolvere una situazione disperata.- fece una pausa. -Ho come l'impressione che qualsiasi risposta mi darete, sarà seguita da una giustificazione talmente patetica che se non fossi già privo del riflesso faringeo mi farebbe salire il vomito.-
Cullen spostò lo sguardo su Hawke, istintivamente, trovandosi a riconoscere il suo stesso dubbio nei suoi lineamenti contratti. Alistair aveva colpito entrambi su una ferita che non si sarebbe mai cicatrizzata, così come avevano fatto loro nei suoi riguardi. In qualche modo, tutti e tre avevano in comune la colpa di aver imposto le loro decisioni, più o meno egoistiche, a delle persone innocenti. E non c’erano giustificazioni.
In quel momento, Cullen si ritrovò a invidiare le capacità analitiche di Lavellan, che avrebbe saputo navigare in quella distesa stagnante di incoerenza senza farsi prendere dall'emozione, che era quello che stava succedendo a lui.
-Ne è rimasto ancora?- domandò Hawke, a mezza voce, mostrandogli il bicchiere vuoto.
-Ce n'è una bottiglia piena.- gli indicò Alistair, tornando a sedere. -Se non vi fa troppo schifo l'idea, possiamo finirla insieme.- propose.
Cullen sospirò. -Giusto perché è di tua proprietà.- commentò, acido, occupandosi di rabboccare i tre bicchieri fino a metà. Sollevò il suo brevemente, poi lo svuotò, tutto d'un fiato. Gli altri fecero lo stesso.
-Ti pareva se la progenie di un Antico Dio non era a zonzo su Skyhold!- commentò Cullen, con la voce arrochita dall'alcol. -Leliana ne è al corrente?-
Alistair si rigirò il bicchiere tra le mani, poi scosse la testa. -Leliana pensa che sia stato l'intervento del Creatore a farci sopravvivere.- rispose.
-Possiamo fidarci di questa Morrigan?-
-No. Se è qui, significa che lo fa per suo tornaconto personale. Suppongo che vi stia aiutando perché avete un obiettivo in comune, qualcosa su cui non può mettere le mani senza un intervento esterno.-
Lo sguardo di Cullen assunse una sfumatura di nervosismo. -Quindi condividi le preoccupazioni di Leliana. La sua presenza potrebbe essere un pericolo per l'Inquisitrice.-
Alistair rilassò i lineamenti del viso. -È molto brava a persuadere le persone suscettibili alla conoscenza fine a se stessa. Conoscendo la Quisi, però, penso che quando arriverà il momento, sarà in grado di sventare il suo piano agilmente.-
-Con voi due non è successo, però.- intervenne Hawke, scettico.
-Noi due eravamo molto inesperti, senza nessuno che ci guidasse e ci proponesse delle alternative. Avevamo le spalle al muro e lei ne ha approfittato.- replicò Alistair, che stava facendo le veci di Cullen nel riempire nuovamente i bicchieri. -La Quisi ha voi, Leliana e un gruppo intero di persone pronte a parare la stoccata che la colpirebbe alla schiena. Considerato che lei è veloce di testa così com'è veloce sul campo, penso che abbia già intuito che non sta ospitando un agnellino desideroso di aiutare, ma una serpe pronta a morderla quando smetterà la sua utilità.- fece una pausa. -Ah, è una Mutaforma. Fossi in te starei attento ai corvi, ai ragni giganti e agli orsi.-
-Ah, pure!- gemette Hawke, sgranando gli occhi. -E te ci sei pure andato a letto!-
-Te l'ho detto, eravamo disperati.-
Cullen lo guardò con aria scettica. -Disperato un corno! Non penso che si sia dovuta trasformare in qualcosa di troppo fantasioso per convincere te e l'Eroe del Ferelden a giacere con lei.- commentò.
Alistair appoggiò la bottiglia vuota sul tavolo, rigirandola un paio di volte sulla superficie, prima di schiarirsi la voce eloquentemente.
Hawke contrasse il viso in una smorfia schifata, spostando uno sguardo carico di disapprovazione su di lui. -Nemmeno io svenderei la mia anima per una cosa a tre.-
-Neanche se fosse una questione di vita o di morte?- lo punzecchiò Cullen, stappando con facilità la seconda bottiglia.
-Soprattutto se è una questione di vita o di morte.- puntualizzò Hawke, passando un braccio attorno alle spalle di Alistair. Gli spinse l'indice sul petto, con aria di rimprovero, al che Alistair gli rivolse un mezzo sorriso, tinto di sollievo. -La carne è debole.- si giustificò.
-La carne avrebbe potuto resistere un altro quarto d'ora, se proprio vogliamo sfatare queste scuse vecchie come il Creatore.- disse Cullen, dopo aver riempito nuovamente i bicchieri.
-Se lo dice lui che è un esperto...- scherzò Hawke.
Cullen trattenne a fatica un sorrisetto, che Hawke riuscì a cogliere al volo mentre si voltava nella sua direzione. Gli pizzicò una guancia, con aria divertita. -"La carne avrebbe potuto resistere un altro quarto d'ora"- lo scimmiottò, mentre lui si divincolava per prendere le distanze. -Ecco perché hai quell'aria tronfia!-
Alistair prese a ridacchiare. -Più tronfia del solito?-
-Non ti ci mettere pure tu!- lo rimproverò Cullen, cercando di sfuggire alla presa di Hawke, che aveva trovato un nuovo pretesto per tormentarlo.
-Sei finalmente entrato nel mondo degli adulti, bisogna festeggiare!-  proseguì Hawke, inseguendolo per la stanza con tutte le intenzioni di rovinargli gli zigomi a suon di pizzicotti. -Con tutto il tempo che l’hai fatta penare, mi fa strano che tu riesca ancora a camminare in linea retta! Scommetto che hai pianto.-
Cullen allora prese per le spalle Alistair, usandolo come scudo e impedendo così ad Hawke di raggiungerlo. -Giuro che se continui con queste volgarità, ti butto giù dalla torre!-
-Occhio che lo fa davvero.- intervenne Alistair, che cercava di tenere dritto il bicchiere per evitare di spandere il brandy in giro.
Hawke alzò le mani, siglando così la resa, poi si diresse verso la scrivania, ridendo tra sé e sé.
Cullen appoggiò una mano sulla spalla di Alistair, in segno di ringraziamento, quindi si rimise a sedere al suo posto.
Hawke fece altrettanto, osservandolo con aria divertita. -Non mi dai mai neanche mezza soddisfazione!- lo rimproverò, scherzosamente.
Cullen scorse un'occhiata scettica su di lui. -Ah, no? A me sembra che passi più tempo a guardarmi il culo che a offendermi.- dichiarò, bagnandosi le labbra sul bordo del bicchiere con aria divertita.
-È facile confondersi con la tua faccia.- rispose Hawke, che nel frattempo stava provvedendo a rabboccare il bicchiere ad Alistair.
-Hai un modo davvero insolito di flirtare, lo sai?- lo punzecchiò quest'ultimo.
-Non sto flirtando, sennò a quest'ora avremmo un occhio nero a testa.- puntualizzò Hawke.
-Povero Fenris.- commentò Cullen.
-Già, povero Fenris.- gli fece eco Hawke, con una nota d'ironia nel tono di voce. -L'ultima volta che abbiamo combattuto fianco a fianco mi ha dato per sbaglio una gomitata sullo stomaco talmente forte che mi ha messo fuori combattimento per mezzora.- fece una pausa, per posare uno sguardo sognante altrove. -Se fossimo stati in prossimità di una gioielleria, gli avrei fatto la proposta seduta stante.-
Alistair e Cullen gli gettarono addosso un'occhiata incerta. -Lasciatelo dire da uno che condivide la paternità di suo figlio con una Strega delle Selve e un Antico Dio: tu non sei normale.- commentò il primo.
-Sarà normale questo qui, che nonostante sappia che mi rifaccio lo sguardo ogni volta che si gira, continua a recuperarmi i libri dagli scaffali più alti ogni volta che glielo chiedo.- intervenne Hawke, dando un breve cenno con il capo in direzione del padrone di casa.
Cullen ridacchiò. -Se vuoi che smetta, anche tu dovresti smettere di chiedermelo.- disse, rivolgendogli un sorrisetto.
Hawke si sporse verso di lui per spingere l'indice contro la sua fronte. -Mai e poi mai.-
Alistair sbuffò una risata. -Trovatevi una camera e fatela finita!-
I due si scambiarono un'occhiata d'intesa, poi Hawke simulò un conato di vomito orribilmente realistico. -Esattamente.- concordò Cullen, indicandolo con il bicchiere.

Parlottarono di qualsiasi argomento per gran parte del tempo che trascorsero insieme, alternando momenti di profonda serietà a parentesi scherzose che avrebbero fatto alzare gli occhi al cielo persino a un sasso. In qualche modo, le loro differenze caratteriali riuscirono a incastrarsi armoniosamente, dando a tutti la possibilità di rilassarsi in vista di ciò che sarebbe accaduto nei giorni successivi.
Arrivò un momento di pace, a metà della terza bottiglia, che spinse Alistair a espellere completamente il senso di tristezza e frustrazione che gravava su di lui dal suo arrivo a Skyhold. Si era spostato a sedere al fianco del padrone di casa e teneva le caviglie incrociate sul bordo della scrivania, dov’era appollaiato Hawke.
-Meritiamo davvero di essere salvati?- domandò, appoggiando la nuca sullo schienale della poltroncina, nel rivolgere lo sguardo verso il grande gufo che vigilava sull'ufficio.
Hawke, che stava riempiendo la scrivania di Cullen con animali di carta, piegati grossolanamente, gli rivolse un'occhiata dubbiosa. -Noi tre?- chiese.
-In generale.- precisò Alistair. -Ma è anche vero che noi siamo l'esempio lampante del motivo per cui il Creatore stia allungando il suo anno sabbatico, piuttosto che venire a darci una mano.-
Cullen sbuffò una risata, attirando l'attenzione degli altri.
-Cosa c'è di divertente nella dannazione eterna?- gli chiese Hawke, lanciando fiaccamente un mabari di carta nella sua direzione.
-Niente. Proprio per quello è esilarante. Più cerchiamo di rimediare, più facciamo errori e più facciamo errori, più cerchiamo di rimediare. Come direbbe Lav, in fin dei conti la morte non è il risultato della somma delle cose che facciamo in vita, ma una necessità della natura di rinnovarsi.- Cullen recuperò l'oggetto dal suo grembo, per rigirarselo tra le mani. -L'unica differenza tra la natura e noi creature dotate di ingegno sta nell'egocentrismo. La natura è un ciclo che cresce adattandosi alle esigenze fisiche, per il beneficio del tutto. Noi, pur essendo parte di quel tutto, crediamo che i nostri problemi, anzi, la nostra stessa vita sia talmente importante da determinare il destino di qualcosa che non ha problemi a funzionare anche senza la nostra influenza.-
-In qualche modo, è confortante sapere che, alla fine della fiera, non contiamo un cazzo.- ammise Hawke.
-Parla per te.- intervenne Alistair, dubbioso. -Non pretendo di essere chissà quale martire della patria, ma ho il diritto di sapere se tutto quello che sto facendo ha un senso.-
-Per te ha un senso?- gli domandò Hawke.
-Ovvio, sennò non sarei rimasto tra i Custodi. Non che abbia tutta questa rosa d'opzioni, eh. Penso che l'unico sbocco professionale per uno come me sia un ruolo che sta tra il fermaporta e l'assaggiatore di formaggi.-
-Allora ha un senso.- decretò Cullen, precedendo Hawke di un millesimo di secondo. -Così come ha senso mettere da parte l'orgoglio quando scivoliamo sulla scia dei nostri sbagli e rimboccarsi le maniche per fare di meglio.-
-Quindi l'assoluzione è una truffa.- riassunse Alistair, ridendo nervosamente. -A saperlo prima, sarei diventato davvero un assaggiatore di formaggi.-
Hawke sospirò sommessamente. -Certo che è proprio tipico di noi fereldiani cercare il senso della vita sul fondo di una bottiglia di West Hill.- chiosò.
-Quando lo trovi, digli di fare un salto nella mia celletta.- disse Alistair, facendo ridere Cullen. -Non ridere, è vero! Ogni santissima volta sembra sempre che tutti tranne me abbiano una comprensione accuratissima di ciò che succede, poi scopro che in realtà non c'è niente di concreto nelle risposte che mi danno. Possibile che non ci sia una chiave di lettura universale e che l'unica opzione sia “fa' la cosa giusta”? Qual è la cosa giusta? Il porridge va consumato freddo, o a temperatura ambiente?-
-Va mangiato caldo, mannaggia alle palle raggrinzite di Maferath!- sbottò Hawke, scagliandogli addosso un cigno di carta.
Alistair si sporse per raccoglierlo da terra maldestramente, dato che era atterrato sotto la poltroncina. -Non è colpa mia se le pinguine ce lo servivano tiepido.- borbottò.
-A proposito di generi di conforto, sai cosa ci vorrebbe ora?- domandò Hawke, voltandosi in direzione di Cullen.
Quello inarcò un sopracciglio, in attesa della risposta.
-La pensione.- affermò il suo interlocutore, con risolutezza.
Cullen rimase a fissarlo lungamente, con una stanchezza atavica dipinta negli occhi che sopprimeva persino il senso di profonda disapprovazione che provava in quel momento. Quando sentì che la sua opinione era stata registrata, esalò un rantolo di fastidio.
-Dato che non mi merito di essere salvato, come minimo pretendo di vivere il resto dei miei giorni a non fare un accidente dalla mattina alla sera.- dichiarò Hawke, battendo una mano sulla superficie della scrivania, per rinforzare il concetto. -E sai una cosa? Auguro a voialtri lo stesso!-
-E appendere il tuo complesso dell'eroe nell'armadio?- replicò Cullen, scettico.
-Ti paio uno da armadi?-
-Mi pari uno che non è fisicamente capace di girare la testa dall'altra parte. Che sia qualcuno in difficoltà, o un bel fondoschiena.-
-Ha ragione.- ammise Alistair. -Ma è un ragionamento applicabile a tutti noi, quindi è un po' stupido rinfacciarglielo.-
-Non glielo sto rinfacciando, gli stavo solo dicendo che ha espresso un concetto stupido evitando di dargli dello stupido.- precisò Cullen, ritornando ad Hawke il mabari di carta. -Ma se proprio vuoi mollare tutto, trova una ragione valida per farlo. La stanchezza non è una scusante per impedirsi di fare del bene.- aggiunse, addolcendo il tono di voce.
Hawke gli gettò un'occhiata analoga a quella che gli aveva rivolto lui poco prima, intrisa di rassegnazione. -Madre mia, quanto sei prolisso!- commentò.
-Non sono prolisso, sono un bravo comandante e, di solito, quando un soldato fa certi discorsi significa che è al limite.- elaborò Cullen, alzandosi per rabboccare i bicchieri vuoti. Assunse un'espressione pensosa, nell'appoggiare la bottiglia sul tavolo a lavoro finito, poi smezzò uno sguardo di rimprovero su entrambi i suoi ospiti. -Non osate abbassare la guardia. Tutti e due.- fece una lunga pausa, per far assorbire bene il concetto. -Perché anche se adesso credete che le vostre azioni non abbiano una direzione, o che il vostro destino non sarà diverso da quello delle persone che avete dovuto uccidere per arrivare fin qui, sappiate che la vostra vita ha un peso. Per chi avete lasciato sull'uscio e per chi avete incontrato per strada, ma soprattutto per voi stessi.-
La stanza rimase immersa in un silenzio tombale per minuti interi, perché era ovvio che il senso di stanchezza che provavano tutti e tre fosse palpabile, così come il desiderio di smettere di sbattere la testa su tutto ciò che l'aveva causato.
Ciò che Cullen aveva imparato dalla sua esperienza al fianco di Lavellan era che il dolore si ciba della solitudine. Però, la condivisione di esso genera simpatia e conforto, che di conseguenza danno adito a una reciprocità forte quanto un legame di sangue.
Hawke l'aveva aiutato a uscire dalla sua testa, Alistair invece lo aveva aiutato a processare fisicamente uno degli eventi più traumatici della sua esistenza, facendo sì che lo guardasse da una prospettiva diversa. Per lui era imperativo dare asilo a quelle persone, plasmate da una sofferenza analoga alla sua, perché nel farlo avrebbe potuto immettere nei loro spiriti un po' della speranza che loro avevano immesso nel suo.
-C'è un'altra bottiglia nella libreria.- suggerì ad Hawke, che osservava il pavimento con aria assorta. Quello si prese qualche secondo per incanalare l'informazione, poi gli rivolse un sorriso tirato. -Vado.- disse, prima di dirigersi verso il punto indicato. Nell'alzarsi, gli appoggiò una mano sulla spalla, stringendo brevemente la presa.
Alistair lo seguì con lo sguardo, poi si schiarì la voce, per spezzare la tensione. -Siete brava gente.- disse, semplicemente.
-Ti accontenti di poco.- commentò Hawke, prendendo la palla al balzo per sdrammatizzare. -Almeno noi il porridge lo mangiamo caldo.-
Cullen assunse immediatamente un'espressione divertita. -Ustionante.- lo corresse. -Ma farebbe schifo in ogni maniera.-
Hawke gli scoccò un'occhiata che sconvolta era un eufemismo, stringendosi la bottiglia al petto come se le dovesse proteggere le orecchie da un'affermazione blasfema. -Vi dovrebbero togliere la cittadinanza fereldiana.- affermò, con una convinzione ferrea. -Questa è roba da scomunica!-
-Disse il nobile di Kirkwall che di fereldiano ha solo il cognome.- lo punzecchiò Alistair, allungando un braccio per rubargli la bottiglia. Hawke la sollevò sopra la testa, per impedirgli di acchiapparla. -Non ti meriti neanche una goccia di West Hill! Ti darò solo il tappo, ecco!-
-Giusto perché è di tua proprietà.- ripeté Cullen, ignorando un'improvvisa sensazione di déjà-vu. -Ce la fate a stapparla, almeno?-
I due lo guardarono con aria incerta, poi Hawke si decise a rimangiarsi l'orgoglio e gliela porse, con l'espressione tipica di un bambino costretto a chiedere aiuto alla mamma per allacciarsi le scarpe di fronte ai suoi coetanei.
Cullen stappò la bottiglia facilmente, poi gli versò da bere. -Pensi ancora che sia rigido come un'asse di legno?-
Hawke sbuffò una risata. -Sì, ma c'è margine di miglioramento.- ammise.
Cullen si fece bastare quella risposta, perché nelle sue orecchie risuonò come il complimento migliore che avrebbe potuto fargli.



 

-Nota-

Hawke: https://media.tenor.com/C9SHTXdsaaEAAAAC/skeletor-jokes-on-you.gif
Spero davvero che questo capitolo sia venuto come volevo, perché nasce dall’esigenza fisica di avere quei tre in una stanza a parlare del più e del meno, ma anche del senso della vita. Soprattutto del senso della vita.
Ah, la cosa della trasmissibilità della corruzione a ‘sto punto è una teoria, perché c’è un conflitto di informazioni assurdo. Mentre cercavo conferma, durante la stesura, ho visto che nei libri viene sfatato ciò che si dice nel gioco, nel codex viene sfatato ciò che viene detto nei libri e viceversa… https://c.tenor.com/Jld2bwL4OBIAAAAC/um-keeping.gif
Facciamo che oggi va così e amen lol 
Rylen, nel frattempo: https://i.chzbgr.com/full/7101662720/hE0DEC024/stretching-out-bearded-dragon
<3

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Capitolo 25
*** Fragile ***


24 - Fragile

 

Una pioggerellina leggera batteva timidamente sui vetri della camera studio dell'Inquisitrice, proiettando ombre marmoree e sempre in movimento all'interno della stanza.
Solas esplorò con lo sguardo il segretario, che stava in piedi al suo fianco, dal lato opposto della scrivania. -E così, tu sei un senza-clan.- disse, dopo aver trovato abbastanza indizi per tentare una conversazione.
Il segretario alzò appena lo sguardo dalla sua cartellina. -Mi ritengo un indipendente. Vado dove servo.- rispose, asciutto, per poi riprendere a riordinare i suoi appunti.
-Ti intendi unicamente di mestieri organizzativi?-
-Precisamente. Tengo in ordine le informazioni che vengono sottoposte durante l'Arlathven, contestualizzandole con ciò che già sappiamo.- espose l'altro. -C'è bisogno di qualcuno che rediga un documento completo della nostra storia e la mia famiglia si prende carico di questo compito da generazioni.-
-Per quello stai assistendo l'Inquisitrice? Per collezionare informazioni?-
-È ciò che mi è stato offerto in cambio della mia abilità gestionale.-
Solas gli rivolse un sorriso intrigato. -Quindi, sei un segretario, uno storico, un archeologo, un archivista...-
-Ha dimenticato "linguista".- aggiunse il segretario, in elvhen. -Che è ciò che preferisco e in cui mi diletto.- proseguì, tornando subito alla lingua comune. -Al contrario di altre popolazioni, i Dalish usano raramente l'elvhen per paura di perderne le radici, impedendone lo sviluppo e, di conseguenza, una contestualizzazione moderna.- fece una pausa. -Il mio trisavolo ha stilato un vocabolario che è in continuo aggiornamento, io mi sto occupando di un glossario che comprende i modi di dire e le loro variazioni in base alla geografia storica dei clan che visito.- il suo sguardo assunse una sfumatura d'entusiasmo. -Sono lavori lungi dall'essere completi, ma penso che il loro fascino derivi proprio da quello.-
Solas ampliò il sorriso. -Ecco spiegato perché Ankh ti ha voluto al suo fianco.- commentò, in elvhen. -Se posso, come vi siete conosciuti?-
Il segretario batté più volte le palpebre, sorpreso dalla ricchezza linguistica con cui si esprimeva il suo interlocutore. -L'ho conosciuta durante l'ultimo Arlathven. È una dei pochi individui che mi hanno rivolto la parola. Di solito, i cacciatori dalish pendono dalle labbra dei loro Guardiani, lei invece possiede spirito critico e non ha paura di essere contraddetta sulle questioni che non sono di sua comprensione.- rispose, mantenendo l'elvhen.
Solas rise. -"Competenza", non "comprensione".- lo corresse, recitando una parola con una radice analoga, ma una suffisso diverso.
Il segretario tese appena le palpebre, per poi annotarsi l'appunto. -Quindi è da lei che sta imparando tutti quei sostantivi.- commentò.
Solas diede un pacato cenno d'assenso. -Molti sono arcaici, ma da quello che ho sentito, la mia versione non è dissimile dalla tua. Cambia solo la disposizione degli accenti.- elaborò. -Dovresti mostrarmi quel dizionario. Magari posso aiutarti ad arricchirlo, uno di questi giorni.- gli propose.
-Con molto piacere.- si affrettò a rispondere il segretario, stringendosi la cartellina al petto. -E la prego di non risparmiarsi, semmai dovesse trovare degli errori.-
Solas rise nuovamente. -A quanto pare, l'Inquisitrice non è l'unica a possedere spirito critico.-
-Per uno che possiede le mie inclinazioni, è una dote essenziale.- replicò il suo interlocutore, per poi voltarsi verso le scale d'accesso al mezzanino.
Solas si soffermò a guardarlo. -Concordo.- disse, mentre Lavellan li raggiungeva, con aria esausta.
-Scusate il ritardo.- disse lei, sfilandosi il cappotto. Interruppe l'azione a metà, posando gli occhi sulla scrivania. Sopra di essa erano disposte una coppa di gelato gocciolante e una piccola ciotola riempita di frutti di bosco. Osservò i contenitori con una punta di fastidio, poi gettò il soprabito sullo schienale della sua poltrona. -Non demorde.- chiosò.
Solas scosse la testa. -Lo conosci. Vuole aiutare.-
Lavellan prese posto, quindi liberò un sospiro per scrollarsi di dosso la stanchezza. Dopo aver esaurito i convenevoli, incrociò le braccia sul tavolo, rivolgendo uno sguardo severo ai presenti. -Vi ho convocati perché ho bisogno urgente di un consiglio, dato che possedete una conoscenza politica e competenze diplomatiche superiori a qualsiasi Elfo che conosco. Oltre a quello, mi fido di voi e del vostro giudizio, a livello professionale e personale.- fece una pausa, per elaborare mentalmente la richiesta, prima di esporla. -Mi è stato chiesto di compiere una decisione che, potenzialmente, potrebbe influire sulle sorti della nostra gente, ovvero sostenere una candidata per il ruolo di Divina.-
-Non mi sorprende.- disse Solas, raddrizzando la postura. -Suppongo che la Mano Destra e la Mano Sinistra della precedente Divina siano in lizza per la successione.-
-Sì, ma c'è una terza candidata di nostra conoscenza.-
-Madame Vivienne, immagino.- intervenne il segretario, attirando l'attenzione su di sé. -Le sacerdotesse chiedono spesso la sua opinione ed è una voce importante nella politica della Chiesa.- elaborò.
Lavellan annuì. -Nonostante la sua visione fondamentalista del mondo, introdurrebbe la possibilità che un Mago possa ricoprire una carica alla quale non avrebbe mai potuto avere accesso in passato.- disse. -Il problema è che riporterebbe il Thedas andrastiano al suo stato originario. Circoli, pieno potere alla Chiesa sulla loro gestione e il rafforzamento dell'Ordine dei Templari.- aprì una mano verso l'alto, brevemente. -Le Rivolte sono successe perché la situazione era diventata ingestibile per i Maghi. Una condotta di questo tipo vanificherebbe i risultati che hanno ottenuto grazie al supporto dell'Inquisizione.-
-Considera che scegliere lei causerebbe un danno considerevole alla tua reputazione politica, lethallin.- ammise Solas, corrucciato. -Le sue idee vanno nella direzione opposta rispetto alle tue.-
-Concordo.- disse il segretario. -Vanificherebbe il tuo lavoro e indebolirebbe la credibilità dell'Inquisizione agli occhi dei suoi nuovi alleati.-
Lavellan prese un respiro profondo. -Lo so. In tutti i casi, ogni candidata ha delle problematiche. Per esempio, Cassandra porterebbe ordine e onestà, ma favorirebbe un'ambientazione socio-culturale stagnante, rivolta più verso l'interno che verso l'esterno. Leliana invece riformerebbe la Chiesa per proiettarla al futuro, con il rischio di causare ulteriori scenari di conflitto.- fece una lunga pausa. -Rappresento la mia gente e voglio il nostro benessere, ovviamente, ma sento che per questa decisione in particolare sia vitale dimostrare di essere super partes e considerare l'opzione che beneficia tutti.-
-Considerato che l'ethos di Leliana è più vicino alla tua idea di reciprocità, io mi rivolgerei in quella direzione, se fossi al tuo posto.- suggerì Solas. -Ma è anche vero che inseriresti un'altra spia nella scena politica attuale. Sarebbe un'alleata affidabile?-
-La Chiesa non è comandata da una persona, è un sistema politico complesso. Molto spesso, unilaterale.- aggiunse il segretario. -Ogni candidata sarà costretta a mettere gli Umani al primo posto, persino la più aperta al dialogo con altre culture e fazioni.-
-Mi sembra ovvio.- affermò Lavellan. -Si tratta pur sempre di un'organizzazione umana e in quanto tale deve favorire la loro cultura. Andrà scelto qualcuno che convenga a entrambe le parti e, allo stesso tempo, sia aperto mentalmente da prenderci in considerazione qualora fossimo in difficoltà in futuro. Insomma, è necessario che mi sia abbastanza vicina a livello personale da potermi avvisare nel caso in cui la Chiesa pianificasse di farci un danno.- fece una pausa. -O di riassorbirci come esercito, come voleva la precedente Divina.-
Solas ci dovette riflettere poco, prima di intervenire. -L'opzione migliore, in quel caso, sarebbe Cassandra. Siete amiche intime e compagne d'armi. Ti mostrerebbe lealtà e correttezza.-
-Le mostrerebbe a lei soltanto.- precisò il segretario, per niente convinto. -Non dimentichiamoci che è una donna che ha a cuore le tradizioni tipiche della Chiesa e conosce le intenzioni della defunta Divina a proposito delle vere implicazioni dell'Inquisizione. Sarebbe una scelta di natura puramente personale. Egoistica, se permetti.-
Lavellan studiò entrambi a lungo, poi si passò una mano sulla fronte, spostando lo sguardo altrove. -Voi chi scegliereste, se foste al mio posto?-
I suoi interlocutori si scambiarono un'occhiata veloce. Fu Solas a rispondere per primo. -Mi sembrava di essere stato chiaro, ma riconosco che non sia una decisione così scontata come sembra. Il rapporto di sorellanza con Cassandra potrebbe essere un'arma a doppio taglio. Quello che lei farebbe per te, tu lo faresti per lei, chiudendo un occhio sulla sua condotta perché comprendi bene che è la sua educazione a spingerla a comportarsi in una certa maniera.- aggrottò la fronte. -Lo fai anche adesso, molto spesso.-
-Sono sempre onesta con Cassandra, quando ritengo che sbagli.- puntualizzò lei, con un accenno di rimprovero nel tono di voce. -E, tra tutte le candidate in lizza, lei è l'unica umile abbastanza da accettare i suoi errori e modificare il tiro.-
-L'umiltà è abbastanza per renderla una buona Divina?- domandò Solas, scettico.
Lavellan prese un respiro profondo. -No, purtroppo.- rispose. -Abbiamo bisogno di cambiamenti, e subito.-
-Allora madame Vivienne è esclusa.- dichiarò il segretario, porgendole un foglio che aveva appena finito di stilare con una lista di pro e contro associati a ciascuna delle candidate. Lavellan lo raccolse e lo consultò con attenzione. -Insomma, concordate con me che Leliana sia la scelta più affine al mio mandato.- ricapitolò, stancamente.
-La scelta logica.- la corresse il segretario.
-Non va presa in considerazione la scelta logica in questo caso, da'len.- disse Solas. -Bisogna fare la scelta di convenienza.-
-Per me collimano.- replicò il suo interlocutore. -Sbaglio, Ankh?-
-Nessuno di voi sbaglia.- rispose lei, passando un'occhiata indisposta sul gelato, che si era sciolto in una pozza laddove era stato appoggiato, macchiando inevitabilmente la superficie del tavolo e ciò che c'era attorno. -Ho fatto bene a consultarvi.-
Il segretario accennò un sorriso. -Non abbiamo fatto altro che confermare la tua scelta originale.- fece.
Lavellan puntò lo sguardo nella sua direzione. -La mia scelta originale era quella di consultare voi. In base al nostro colloquio, avrei improntato la mia decisione.- specificò. -Non posso dimenticare da dove provengo, persino nella neutralità.-
Solas rilassò i lineamenti del viso. -Ma serannas, lethallin.- disse, per poi alzarsi. -Spero che il nostro intervento ti abbia aiutato a fare chiarezza.-
Lei lo imitò. -Molto.- ammise, senza riuscire a trattenere una nota di tristezza nel tono di voce.
Aspettò che se ne fossero andati, poi si mosse verso la finestra, per proseguire le sue riflessioni in solitaria. Prese a mordicchiarsi il labbro inferiore nell'assumere una smorfia di fastidio in risposta all'odore dolciastro e vanigliato del gelato che ristagnava nella stanza.
-Che cos'è?- le chiese il suo segretario, che era ritornato nella stanza con il materiale necessario a pulire la scrivania.
Lavellan si mosse per aiutarlo. Svuotò la coppa di gelato dentro a un contenitore, poi prese lei stessa a pulire la macchia con un cencio bagnato. -Quello che sembra: un dessert.- rispose.
-Sai bene cosa intendevo.- disse il suo interlocutore, riordinando i documenti disposti sulla superficie per evitare che si macchiassero.
Lavellan finì di pulire in silenzio, poi esalò moderatamente il respiro dal naso, per rilassare la postura. -Quando è morta mia madre, Deshanna mi ha portata presso questa baita nei Vinmark. Era di proprietà di un contadino che il clan aveva aiutato molti anni prima e lui, in segno di gratitudine, ci forniva carne e formaggio qualora le scorte non ci bastassero per affrontare il periodo freddo.- strizzò lo straccio su una ciotola d'acqua, poi lo ripiegò, con aria assorta. -Insomma, abbiamo raggiunto quel posto assieme, ci siamo sedute tra le pecore al pascolo e abbiamo diviso una coppa di gelato appena fatto, lontane da tutto e da tutti, per consolarci a vicenda. Era la prima volta che lo mangiavo e ricordo che mi diede una sensazione di sollievo.-
-Quindi, vuole farti rivivere un ricordo felice.-
-In quel contesto si trattava di un ricordo felice, perché ero piccola.- specificò lei. -Ora invece mi ricorda il momento in cui sono stata introdotta al senso di solitudine scaturito dal dolore. E all’ennesima allergia.-
Il segretario si soffermò a guardarla, indeciso su come rassicurarla. -Ora mi sento in colpa di aver accettato di fare da tramite.- borbottò.
Lavellan gli rivolse il tentativo di un sorriso. -Anche se è uno spirito della Compassione, non è infallibile.- disse, ritornando a sedersi per riprendere a lavorare.
Il suo interlocutore si portò al suo fianco, brandendo la cartellina. -Ti recito gli impegni pomeridiani, Inquisitrice?- suggerì, addolcendo il tono di voce.
Lei si prese qualche secondo per scrollarsi di dosso i residui del passato, poi annuì.

Cassandra fece scivolare il filo della lama sulla pietra per l'affilatura.
Lo controllò con cura, poi arricciò il labbro inferiore, annuendo con aria soddisfatta. -Costano quanto un rene di drago, ma fanno il loro dovere.- affermò, diretta a Lavellan, che aveva appena varcato la soglia dell'armeria.
La nuova arrivata si prese qualche istante per osservarla, prima di richiudersi la porta alle spalle. Nonostante facesse un freddo incredibile a Skyhold, Cassandra portava una maglia leggera, con le maniche rimboccate sopra le spalle. Lavellan deglutì sonoramente, immaginando con timore la propria testa chiusa in una presa di strangolamento tra i suoi bicipiti, come diretta conseguenza alla notizia che stava per riferirle.
-Andrebbero bagnate, prima.- disse, portandosi alle sue spalle. -È una tecnica elfica. L'acqua rende liscia la superficie della pietra e permette un'affilatura più precisa. Così rischi solo di scheggiarla.-
Cassandra aggrottò la fronte. -L'acciaio si arrugginisce se lo bagni troppo.-
-Non se lo asciughi al volo.- rispose Lavellan, cercando un catino d'acqua tra l'equipaggiamento del fabbro, che stava lavorando poco distante da loro. Una volta trovato, lo appoggiò ai piedi di Cassandra, poi recuperò la pietra e ce la infilò, usando un peso per tenerla sul fondo. -Domani mattina vedrai.-
-Ci mette così tanto?- domandò la sua interlocutrice.
-Deve assorbire quanta più acqua possibile per fare un buon lavoro.- spiegò Lavellan, abbracciando il catino. -Possiamo fare due chiacchiere o sei impegnata?-
Cassandra annuì, poi le fece cenno di seguirla al piano di sopra.
Una volta che furono al riparo, all'interno della sua stanza personale, Lavellan appoggiò il recipiente su un tavolo ricoperto di scartoffie, sotto indicazione della padrona di casa.
-In realtà, sono sempre impegnata, Lav.- disse Cassandra, prendendo due sedie per posizionarle di fronte a una stufa. -Soprattutto in questo periodo.-
Lavellan si sedette assieme a lei. -Lo so. È proprio di questo che vorrei parlarti.-
-Come tutti, d'altronde.- commentò Cassandra, con un accenno di noia nel tono di voce. -Andiamo, sputa il rospo!-
Lavellan si prese i suoi tempi, prima di aprire bocca. Quando lo fece, si premurò di avere il contatto visivo con la sua interlocutrice, cercando di dimostrarle sicurezza. -Non ho intenzione di supportarti come candidata al Trono Raggiante.- affermò. -Mi dispiace.-
Cassandra rimase interdetta per diversi istanti. -Oh.- rispose, spostando la testa altrove. -Perché?-
Lavellan curvò la schiena, sporgendosi nella sua direzione. -Se scegliessi te, lo farei esclusivamente per amicizia e non sarebbe coerente con il mio percorso decisionale.-
-Non pensi che sarei una Divina onesta e ispirata?-
-Lo saresti. Riporteresti l'ordine e faresti in modo di agire con trasparenza.- rispose Lavellan. -Ma in questo momento ci vuole una mente proiettata al futuro, non al presente e vanno presi dei rischi.-
-Non possiamo fare delle riforme in un momento così delicato. Sarebbe controproducente.- la contraddisse Cassandra. -La Chiesa si è persa. Bisogna riportarla ai valori che aveva durante la sua fondazione e applicarli al mondo attuale.-
-E secondo te è il momento adatto per l'introspezione? La Chiesa ha bisogno di un cambiamento. Va bene guardarsi indietro, ma è molto più importante rendersi conto che molte azioni del passato sono intraducibili nel presente.-
-Ma è quello che va fatto, Lav!- ribatté Cassandra, aprendo una mano nella sua direzione. -Mi rendo conto che sono valori che non condividi, ma è proprio su quelli che si fonda il nostro credo. Bisogna che la gerarchia della Chiesa li rivendichi e ritorni a predicarli.-
Lavellan prese un respiro profondo. -Carità, devozione e dedizione.- elencò. -Purtroppo, sono tutti rivolti verso ciò che c'è dentro e non ciò che avviene fuori. Prima di essere un organo religioso, la Chiesa è un sistema politico e, in quanto tale, deve considerare che la sua influenza non si limita solo ai suoi fedeli.-
-Perdonami, Lav, ma non è tuo dovere giudicare cosa sia giusto e cosa sia sbagliato fare.- sbottò Cassandra. -Sei un'Elfa, non condividi il nostro credo.-
Lavellan aggrottò la fronte. -No, non lo condivido, ma mi è stato chiesto comunque di prendere una decisione e sto facendo di tutto per renderla coerente con il mio mandato. Mandato che ho grazie a te, che mi conosci e credi nella mia integrità.- fece una pausa. -Non sto dicendo che saresti una pessima scelta.-
Cassandra sbuffò. -No, ma stai dicendo che non sarei la tua scelta, il che è... umiliante.- disse. -Sai benissimo che la Chiesa ha bisogno di una persona come me che la guidi.-
-Te l'ho detto come la penso, Cas.-
-E io ti suggerisco di rifletterci e riconsiderare la tua posizione.- le suggerì Cassandra. -Te lo chiedo come favore personale.-
Lavellan la fissò a lungo, riscontrando nella fermezza dei suoi tratti una sfumatura di delusione, mista ad aspettativa. Sapeva che neanche ponderando per mesi avrebbe cambiato idea e riuscì a percepire quanto quella situazione avesse reso fragile un'amicizia che per lei era essenziale. Che avesse posticipato o meno, qualcosa si sarebbe rotto, cambiando drasticamente le loro dinamiche. Allora, subentrò l'indecisione. -D'accordo.- disse. -Mi prenderò un più tempo per rifletterci.-
Cassandra distese i muscoli delle spalle, lentamente. -Vorrei che fossi sincera con me. Mi hai mai presa in considerazione, quando hai letto la lista dei candidati?- le domandò, con aria preoccupata.
A Lavellan non servì posticipare quella risposta. -Per prima.- rispose, trasmettendole la sua serietà con lo sguardo.
Cassandra ricevette ciò che le era stato espresso a parole e a sensazioni. Le rispose con un sorriso sincero, poi allungò la mano e insieme strinsero la presa.

-Se fossi in te, mi ci metterei io sul Trono Raggiante.-
Lavellan rivolse un'occhiata scettica a Dorian, con cui stava dividendo i cinque minuti di pausa che intercorrevano tra una riunione del consiglio e una lavata di capo a Dagna, che aveva fatto esplodere un calderone in cucina, dimezzando il personale. Non aveva ucciso o mutilato nessuno, fortunatamente, ma gran parte dei cuochi e dei lavapiatti erano finiti in infermeria, compreso un pasticcere di fama imperiale che era appena entrato in servizio.
-Intendi dire che dovrei proporre la mia candidatura, o la tua?- domandò Lavellan, sfogliando distrattamente un libro sulle varie applicazioni della radice elfica nei solventi acidi.
Dorian sollevò uno sguardo eloquente dal suo grimorio. -Secondo te?-
Lei ridacchiò. -In entrambi i casi, penso che un assaggiatore reale non sarebbe abbastanza.- scherzò.
-Meglio così, i colori della Chiesa del sud sono incommentabili.-
-Già, i colori.-
Dorian alzò gli occhi al cielo. -L'ha presa così male?- domandò, per riportare l'argomento in traiettoria.
Lavellan perse gradualmente il sorriso. -Si sente tradita, giustamente.- disse, abbassando il tono di voce, per evitare di farsi sentire dagli altri ospiti della biblioteca.
-Quindi non hai intenzione di ripensarci.-
Lei scosse la testa. -Se quelli come noi vogliono avere un futuro lontano dalla repressione, c'è bisogno di qualcuno che si batta per difenderli.- spiegò. -L'Inquisizione non esisterà per sempre e io ho bisogno di un'eredità concreta.-
Dorian aggrottò la fronte. -Pensi che Cassandra non si schiererà con loro?-
-Ha intenzione di rifondare i Circoli. Ti sembra coerente con ciò che ha fatto l'Inquisizione?-
-C'era da aspettarselo.-
-Appunto. Ne ho discusso con Leliana e lei è l'unica tra tutte che ha...- si dovette fermare, perché aveva appena intravisto il suo segretario.
Quello la raggiunse per porgerle una boccetta di profumo. -Un altro tentativo.- premesse, per poi scorrere uno sguardo veloce su Dorian. -Avanna, doctore.- lo salutò.
Dorian sollevò le sopracciglia, con aria sorpresa, poi gli rivolse un cenno in risposta.
Lavellan nel frattempo aveva aperto e richiuso la boccetta, dando una smorfia di fastidio in risposta all'odore.
-Che cos'è, stavolta?- le domandò il segretario, cercando di ignorare l'occhiata approfondita con cui Dorian lo stava scansionando.
Lavellan non rispose, dato che si trattava di qualcosa di molto più intimo di un gelato. Era un ricordo recente, condiviso con Cassandra e sapere che la sua mente era stata frugata per ottenerlo le diede un gran senso di malessere. -Penso che farò quattro chiacchiere con lui, in serata.-
Il segretario recuperò velocemente un'agenda dal taschino della giacca e la scorse con lo sguardo. -Hai giusto il tempo per cenare, poi non hai buchi fino a dopodomani.- le suggerì.
-Mi inventerò qualcosa.- affermò Lavellan, appoggiando la boccetta su una catasta di libri. -Tienila. È essenza di sambuco. Edibile. Se mescolato con il vino bianco crea un ottimo aperitivo.-
Dorian si distrasse dalla sua opera di analisi per dare un cenno d'assenso. -Grazie, suppongo.-
-L'ambasciatrice ti attende alle cucine. Fossi in te, inizierei a prepararmi.- disse il segretario, muovendosi verso le scale. -Vitae benefaria, doctore.-
-Avanna.- rispose Dorian, inarcando un sopracciglio. Rimase in contemplazione del vuoto per qualche istante, poi tornò a rivolgersi alla sua ospite. -Più rimandi a dirglielo, più sarà doloroso, amica mia.-
Lavellan ci mise un po' a collegare quella frase al contesto, perché la sua mente era chiaramente più turbata di quanto non lo fosse prima. -Non mi rivolgerà più la parola.- disse, chiudendo definitivamente il libro per riporlo.
-Oh, lo farà, lo farà.- la rassicurò Dorian, scacciando quell'idea con un cenno del braccio. -Ti terrà il muso per un po', poi capirà che non è personale e se ne farà una ragione. Al massimo, arriverà a rinfacciartelo a vita, il che implica che ti rivolgerà la parola frequentemente.-
Lavellan gli gettò un'occhiata di sbieco. -E questo dovrebbe consolarmi?-
Dorian le rubò il libro di mano, per riporlo personalmente. -No, ti dico le cose come stanno. Se avessi voluto una pacca sulla spalla e un bacino sulla bua saresti andata in caserma.- disse, rivolgendole un sorriso sghembo.
Lavellan gli diede un buffetto sul braccio, fingendo disappunto.

-Lo sai che nessuno, oltre alla classe sociale dominante, può parlare il tevene?-
Lavellan, che stava aiutando il suo segretario e Adra a sistemare il tavolo della biblioteca sotterranea dopo un consulto, inarcò un sopracciglio. -No, non lo sapevo.- ammise. -Perché?-
-Per creare una linea di demarcazione ancora più netta tra chi comanda e chi serve.- le rispose Adra, riponendo una pila di documenti all'interno di un cassetto.
Lavellan esalò un sospiro stanco. -Non è più finita.- commentò, sedendosi di peso su una poltrona. Si passò una mano sul viso, poi si rivolse al suo segretario. -Per quello quando incroci Dorian nei corridoi ti rivolgi a lui nella sua lingua?-
Adra si fermò dalla sua opera di riordino, per guardarlo con una punta di ammirazione nello sguardo. -Diamine Shaan, hai fegato!-
Lui si strinse nelle spalle, rivolgendole un sorriso eloquente. -Non penso che un po' di atteggiamenti passivo-aggressivi cambieranno le cose.-
-No, ma penso che se ne ricorderà, la prossima volta che andrà al mercato degli schiavi.- replicò Adra, tornando a sistemare.
-A proposito di aguzzini, Inquisitrice, Madre Giselle insiste per organizzare un colloquio con te il prima possibile.- annunciò il segretario, recuperando la cartellina. -Immagino che abbia un'opinione su chi dovresti sostenere.-
-Un'opinione che posso benissimo intuire. “Non il Mago”.- disse Lavellan, rialzandosi per aiutare Adra a riordinare un gruppo di sedie. -Anche se penso voglia semplicemente riferirmi ciò che pensano le altre pinguine.-
-Ah, già, ho sentito dire al Riposo che l'Inquisizione sarà fondamentale per la scelta della nuova Divina.- si aggiunse Adra, con aria annoiata. -Mi faccia un favore, dottoressa, scelga la meno peggio, ma non ci perda il sonno.-
-Troppo tardi.- replicò Lavellan, completando l'opera in solitaria per evitare che l'altra sforzasse troppo la schiena.
Adra la ringraziò con una carezza sulla spalla, poi si diresse verso il tavolo, per recuperare i suoi effetti personali. -Oh!- esclamò, raccogliendo dalla superficie una scaglia di drago sfuggita al repulisti. Il suo colore proprio era il rosso, ma le sue sfumature variavano, dallo zolfo allo smeraldo, ogni volta che la luce agiva su di essa. -Ma che splendore! Non ne vedevo una così bella da che mastro Wade è venuto in visita al laboratorio.- disse, mostrandola a Lavellan.
Quest'ultima si congelò sul posto, sbarrando gli occhi.
Adra, che stava per elaborare una richiesta, tentennò, assumendo un'espressione incerta. -Qualcosa non va?- domandò, attirando l'attenzione del segretario, in procinto di lasciare la stanza.
Lavellan rimase in silenzio per un minuto intero, fissando la scaglia come se si trattasse di un'offesa brutale alla sua persona.
-Dottoressa?-
Lavellan però si era già proiettata all'esterno, muovendosi con passo deciso verso il Riposo. Non degnò nessuno di uno sguardo, né salutò chi le stava rivolgendo la parola, perché non vedeva nient'altro che il suo obiettivo futuro.
Arrivò nella soffitta del locale e si parò di fronte a Cole, puntandogli l'indice contro. -Devi farla finita.- decretò.
Lui le guardò le punte degli stivali con un'espressione disarmante. I suoi occhi chiarissimi e acquosi erano tesi nella sua direzione, consapevoli del torto causato ma ignari del motivo per cui l'anima della persona che stavano cercando di raggiungere continuasse a deflettere ogni sorta di aiuto.
Messa di fronte a quell'ignoranza palese, Lavellan si sentì immediatamente in difetto, come se avesse appena mentito a un bambino, dicendogli che il suo animale domestico preferito era in vacanza in una fattoria e non sepolto nel cortile per via di un incidente causato dalla sua inattenzione.
-Vuoi farmi del male.- dichiarò Cole, con un accenno di sorpresa nel tono di voce.
-Non ti farei mai del male.- lo rassicurò lei, sedendosi sul pavimento, di fronte a lui. -Sono solo stanca, lethallan e, purtroppo, il tuo aiuto sta peggiorando le cose.-
Lui la imitò, cercando indizi tra i granelli di polvere del pavimento. -Hai paura per Cassandra.-
Lavellan esalò un sospiro. -Per quello mi hai fatto avere il gelato, no? Perché percepivi la mia solitudine.-
Cole non disse nulla, limitandosi a fissare per terra.
-In quel momento nel passato, mi sono sentita confortata dalla presenza della mia Guardiana.- elaborò lei, mostrandogli l'errore. -Senza nessuno con cui dividere il gelato, quel sentimento è diventato più pressante.-
-Solas ti vuole bene.-
-Solas, in quel frangente, non era ferito quanto lo ero io. Deshanna, al contrario, provava la mia stessa solitudine. Io avevo bisogno di lei così come lei aveva bisogno di me. Capisci?-
Cole raccolse le falde del cappello tra le dita , collegando i frammenti di sentimento ai regali che lui aveva usato per confortarla. -Tutto ciò che ho fatto ti ricorda Cassandra.- rispose. -Il sambuco che l'ha fatta ridere di cuore, a Val Royeaux. Scintille bianche di felicità e speranza. Pagine di letteratura che le fanno brillare gli occhi, quando aspetta che tu abbia finito il paragrafo per osservare la tua reazione. La vostra caccia.- fece una pausa.
Lavellan aggrottò la fronte. -Tu non volevi mostrarmi il passato.- mormorò, colta da un'illuminazione. -Volevi aiutarmi a fare pace con il presente, ricordandomi cosa siamo l'una per l'altra.-
-Famiglia. Un dolce per lei, frutti di bosco per saziare le voci nella tua testa che ti dicono che è troppo. Sambuco per profumarvi i polsi, mentre visitate una bottega che restringe le vostre tasche. Var Falon'Suledin.-
Lavellan si sentì improvvisamente stanca e malinconica. -Stai continuando a farlo, Cole. Ti avevo chiesto di smetterla.- disse, sgridando virtualmente la sua anima per impedirle di cedere ai sentimenti. -Non posso accettare il tuo aiuto.-
-Ti farebbe stare bene.-
-Mi metterebbe di fronte a cose che ho bisogno di rimandare.- precisò lei. -Cerca di venirmi incontro.-
Lui aggrottò la fronte, dispiaciuto.
-Non puoi sempre aiutare tutti, Cole. Gli altri devono essere recettivi al tuo intervento.-
-Dev'essere reciproco.-
Lavellan si sporse per appoggiare le dita su un suo ginocchio. -Va bene così.- lo consolò.
-Voglio provare un'ultima volta.- disse Cole, alzandosi in piedi per guidarla attraverso gli scalini che portavano ai camminatoi. Nonostante la sua riluttanza, Lavellan lo seguì.
La condusse fino alla porzione di mura che sovrastava i giardini, senza dire una parola.
Al suo posto, si espresse Shaan, che si confrontava con Dorian, nel cortile. Poi arrivò il turno del Tenente Burrows, che assieme a Ser Darrow faceva comunella con un'esploratrice dalish con cui si erano accapigliati il mese precedente. Poco più in là, Threnn giocava a carte con Alistair, vicino a un Templare che rideva delle battute di un gruppetto di Maghi intenti ad addestrarsi.
-È reciproco.- disse Cole, una volta chiarito il punto visivamente.
-È possibile.- mormorò Lavellan, sentendo le pareti della gola comprimersi. Intravide Cassandra, che leggeva in un punto riparato del camminamento che si affacciava ai giardini, quindi prese un respiro profondo per evitare di cedere all’emotività. -Grazie, Cole.- disse, semplicemente.
Lui però si era già allontanato, diretto dove c'era realmente bisogno di lui.

Cassandra sollevò il capo dalle pagine del libro, incrociando lo sguardo di Lavellan e capì immediatamente che la sua richiesta di ripensarci non era valsa a niente. Esalò un sospiro frustrato. -È un errore.- affermò.
Lavellan appoggiò le dita sul corrimano, scorrendo un'occhiata veloce sul giardino. -Per me è la cosa giusta da fare.- ribatté. -Ti voglio bene come se condividessimo lo stesso sangue, ma non posso lasciare che l'affetto mi distolga dall'obiettivo finale.- fece una pausa. -Abbiamo idee troppo diverse.-
Cassandra chiuse il libro, lisciando la copertina. -Non puoi forzare il cambiamento, Lav. Devi dargli il tempo di maturare.-
-Non c'è più tempo.-
-Anche se credi che sia così, sappi che...- Cassandra si impedì di finire. -Un'idea la condividiamo.- disse, invece, rendendosi conto di stare sbattendo la testa su un muro.
Lavellan la raggiunse con lo sguardo. -Più d'una, spero, o non saremmo così legate.- disse.
Cassandra rilassò i lineamenti, nell'esalare una risata roca. -Appunto.- fece, raggiungendo la sua mano per stringerla.
Si scambiarono un sorriso appena accennato, poi rivolsero lo sguardo verso i giardini, arrossiti dall'ombra del tramonto.

Lavellan sollevò il capo, quando Josephine ebbe finito di riportare i risultati di una missione.
Il consiglio durava da ore, dato che nonostante fossero passati diversi giorni, le conseguenze degli eventi successi al Palazzo d'Inverno erano fresche quanto una ferita di spada dopo un duello all'ultimo sangue. Leliana e Cullen condividevano un cerchio d'occhiaie che avrebbe fatto invidia a un animale notturno, mentre Josephine dimostrava il suo stato emotivo solo tramite una certa fiacchezza nei movimenti.
Al contrario loro, Lavellan era attenta e vigile, restando in piedi a braccia conserte sul suo lato del tavolo. Sul suo viso si poteva leggere una buona determinazione. -L'Inquisizione sosterrà Leliana come candidata al Trono Raggiante.- annunciò, senza discorsi preparatori.
I tre fecero convergere gli sguardi su di lei. Leliana, di solito impassibile, assunse un'espressione sorpresa. -Ti ho vista discutere con Cassandra. Pensavo sarebbe stata lei la tua scelta.- ammise, con una lieve incertezza nel timbro vocale.
-Sbagliavi.-
Leliana strinse appena le labbra, allacciando le mani dietro la schiena. -Allora ti ringrazio, Inquisitrice.- disse, chinando appena il capo. -So quanto ti costa compiere una decisione del genere.-
-Non è stato così difficile quanto credi.- la rassicurò Lavellan, appoggiando le mani sul bordo del tavolo. -I tuoi colleghi non sembrano minimamente sorpresi.- aggiunse, sforzandosi di sorridere.
Leliana spostò lo sguardo su entrambi. Cullen si strinse nelle spalle. -Era ovvio.- disse, semplicemente. Josephine invece le rivolse un sorriso raggiante.
Leliana rilassò la postura. -Grazie per la fiducia.-
Lavellan si prese qualche istante per digerire la situazione, poi scorse la mappa tattica con un cenno. -Ora facciamo in modo che ci salga per davvero, su quel trono.- disse. -Josie, all'attacco!-
Josephine si sgranchì le dita, poi si chinò sul tavolo, seguita dallo sguardo sorridente di Leliana.

 

*

 

Cullen si fermò a metà scalinata, lanciando un'occhiata allibita ad Alistair. -L'avete distrutta, spero!-
Il suo interlocutore si scansò, per evitare che un messaggero di corsa lo travolgesse. -Mi sembra ovvio, insomma!- confermò, affrettandosi a raggiungere il pianerottolo che interrompeva la rampa. -L'ha fatto Caridin in persona. Per carità, usando i Golem avremmo sconfitto l'Arcidemone con più facilità, ma tenere l'Incudine avrebbe infierito sulla loro disgrazia. Non ne valeva la pena.-
Cullen lo raggiunse, per poi anticiparlo verso il cortile. -E Sheila? Era d'accordo?-
-Shale era d'accordo. Lei è stata una dei primi a essere trasformata in Golem. Volontariamente, tra l'altro.-
Cullen assunse un'aria sofferente. -E io che le tiravo addosso i semi di zucca.- commentò. -È ancora in giro?-
-Lo spero bene! È un'amica, anche se minacciava di fracassarmi il cranio per sport ogni venti minuti, quando viaggiavamo insieme.-
Cullen lasciò vagare uno sguardo corrucciato sul cortile, prima di aprire nuovamente bocca. Si passò una mano sulla fronte. -Vedrò di scriverle un biglietto di scuse.-
Alistair inspirò l'aria tra i denti, sonoramente. -Fossi in te, eviterei, o saresti costretto a lavorare senza mani. O senza piedi. O senza braccia.- fece una pausa, per raccogliere i pensieri. -Poi la tua signora verrebbe a chiedermi il conto e, onestamente, ci tengo alla pelle.- si appoggiò le mani sul petto. -Sarà anche flaccidina e corrotta, ma ormai ci ho fatto l’abitudine.-
Cullen liberò una risata lieve. -Ricevuto. Semmai mi capitasse di incontrarla, farò finta di niente.- disse, circondandogli le spalle con un braccio mentre lo accompagnava al Riposo.
-Potresti fingerti antivano.- suggerì Alistair, dandogli un buffetto sullo stomaco. -Con l'accento e tutto.-
-Ah, non ho l'abbronzatura adatta. E non sono in grado di fare gli accenti.-
-E che ci vuole ad abbronzarsi? Guarda che due tre ore al sole in più ti farebbero solo che bene!- lo redarguì Alistair, indossando un sorrisetto.
Cullen gli rivolse un'occhiata scettica. -Io quando mi abbronzo divento di quel colore.- replicò, indicandogli uno stendardo dell'Inquisizione con un cenno del capo. -Sarei meno credibile delle tue storie sui Golem.-
-La tua mancanza di fiducia mi ferisce, vecchio ghoul.-
Cullen fece per replicare a tono, ma venne distratto da un'evenienza strana. Prima di cena, puntuale quanto le messe di Madre Giselle, Cassandra tirava di scherma ai manichini dietro al Riposo. In quel momento, però, era seduta a leggere su un ceppo di legno a ridosso dell'armeria, ben distante dal suo equipaggiamento.
Cullen sciolse Alistair dalla presa, quindi gli diede una pacca amichevole sulla schiena. -Vi raggiungo dopo.- si congedò, muovendosi verso il ceppo.
-Non fare troppo tardi, o Hawke finirà tutta la birra!-
Cassandra sollevò lo sguardo dal suo libro, mentre Cullen le si parava davanti, rubando con la sua ombra quel poco sole rimasto. Lo guardò con aria arcigna, stringendo l'oggetto a sé per evitare che sbirciasse le pagine. -Ti manda lei?- domandò, mentre Alistair accedeva alla locanda in maniera scanzonata.
Cullen la descrisse rapidamente con un'occhiata. -Pensi che, con tutta la scelta di cui dispone, manderebbe proprio me? Deliberatamente?- rispose.
Cassandra fece aderire le labbra, per ridistribuire il rossetto, poi chiuse il libro. -Siete tutti d'accordo, immagino.-
Ci fu un lungo istante di silenzio, ma per una volta Cullen non parve esserne imbarazzato. Piuttosto, fece cenno a Cassandra di seguirlo e si mosse con calma attraverso il cortile, per raggiungere i cancelli.
Lei esitò giusto un attimo, poi ripose il libro sul ceppo e lo assecondò.
Accompagnati dal freddo umido primaverile, si incamminarono lungo il ponte di roccia che collegava Skyhold al mondo esterno. Ogni dettaglio era inzuppato nei colori della sera, ingannando l'occhio nel creare una vivida similitudine con l'autunno. Persino le foglie giovani delle betulle parevano sul punto di staccarsi dai rami per ritornare alla terra.
-Dove mi stai portando?- chiese Cassandra, dopo esattamente cinque minuti di marcia.
Cullen le rivolse giusto un mezzo sorriso. -In un posto tranquillo.- tagliò corto.
Il posto tranquillo era una torre di vedetta a sud del forte, decadente e sorretta da un grande salice piangente che le era cresciuto a ridosso, facendole da bastone della vecchiaia. Non era molto alta, ma il suo posizionamento faceva sì che vigilasse su gran parte delle pianure meridionali che cingevano Skyhold.
Cullen si incamminò con facilità attraverso una stradicciola di ghiaia e Cassandra lo seguì, guardandosi intorno con aria incerta. Il rumore dei loro passi si legava maldestramente con la canzone del bosco di sera, un po' come se stessero pestando dell'uva poco matura con una fiacca che sarebbe valsa un rimprovero dai contadini, mentre attorno a loro i pestatori più abili celebravano a pieni polmoni la fine del raccolto.
-Pensavo fosse stata abbattuta.- ammise Cassandra, passando una mano sul legno tarlato del portone d'accesso. Cullen, che stava armeggiando con un mazzo di chiavi, al suo fianco, scosse la testa. -Mi serviva.- dichiarò.
Cassandra inarcò un sopracciglio. -Logisticamente, ce n'è un'altra di più utile a una manciata di minuti da qui.-
-A volte le cose che servono non sono utili.- replicò lui, per poi occuparsi della serratura. La porta grattò su un pavimento di porfido, aprendosi faticosamente per via dell'attrito; infatti, si fermò a sessanta gradi, perché più in là non riusciva ad andare. I due dovettero infilarsi in quell'apertura minima, sgusciando tra l'anta e il telaio, ma non fu un'impresa troppo greve.
Cassandra si pulì le maniche del completo, sporche di resina, con ampie manate, indossando un'espressione infastidita. Il suo atteggiamento però cambiò subito quando si soffermò a descrivere visivamente le circostanze.
La rampa di scale che correva a ridosso dei muri era zeppa di vasi di coccio contenenti una varietà estesa di fiori primaverili. Il profumo che emanavano era talmente delicato da essere percepito solo nel momento in cui veniva fatto un respiro profondo, ma si trattava di una fragranza inebriante, nella sua pacatezza.
Ogni pianerottolo ospitava una buona quantità di accessori per la floricultura, ma anche ammassi di cuscini e coperte arrotolate, segno che venisse visitato spesso.
Più l'occhio risaliva la scala, più si poteva notare il livello di simbiosi tra la torre e il salice, perché i rami erano penetrati nella pietra, creando una complessa ragnatela di legno e approfittando delle feritoie per deprimersi con tende di foglie che scendevano lungo il vuoto centrale come se fossero ricchi lampadari.
-Affascinante.- commentò Cassandra, massaggiandosi le mani mentre faceva vagare lo sguardo.
Cullen, nel frattempo, si era mosso verso una stufa in ghisa che stanziava sui resti di un caminetto. Si chinò su di essa per avviarla. -Ogni volta che provo a farmi piacere qualcosa, mi sembra di perdere tempo.- disse, mentre posizionava i ciocchi di legno nel serbatoio ordinatamente. -Ho sempre visto certi passatempi come un dovere, un modo per distrarmi da quello che succede qui.- si indicò velocemente la testa. -Ma non sono mai riuscito a trovare qualcosa che mi appassionasse davvero. Per quello mi sono sempre concentrato unicamente sul lavoro. È l'unica cosa che ha un senso pragmatico. Mi permette di spostare la testa altrove e, allo stesso tempo, di combinare qualcosa di utile per me e per gli altri.- attese che il fuoco attecchisse, poi si raddrizzò, reggendosi la schiena. -Il vero problema è che non sono in grado di stare da solo con me stesso.-
Cassandra si affiancò a lui, per riscaldarsi le mani. -Come l’hai capito?-
-Me ne sono reso conto quando siete entrate nella mia quotidianità.- proseguì lui, mentre si ripuliva i guanti dalle schegge di legno. -Ho smesso di funzionare in virtù di qualcosa che avrebbe finito per distruggermi. Perché la Chiesa mi ha costretto a pensare che l'unico amore che avrei mai potuto ricevere è quello che essa mi avrebbe provvisto. Il resto era volubile.-
-Si chiama devozione, Cullen. Ed è una virtù, non una costrizione.-
-La devozione va coltivata, deriva dal rispetto. Se viene a mancare quello, iniziano le domande, poi si moltiplicano, fino a costituire una folla di pensieri paranoici. Ti sembra una relazione sana?-
-Abbiamo riportato alla luce l'Inquisizione per sistemare le cose.-
-Avete riportato alla luce l'Inquisizione per permettere alla Chiesa di riprendere credibilità.- la corresse Cullen, lanciandole un'occhiata eloquente. -Alla Divina non importava di prendersi le responsabilità della condotta della Chiesa fino a quel momento. Voleva un nuovo esercito. Uno che avrebbe potuto controllare.-
Cassandra lo guardò, allibita, ma non ebbe il tempo di replicare perché lui riprese immediatamente il discorso.
-L'Inquisizione era stata pensata come mezzo per fare una distinzione tra chi meritava di esistere nella Chiesa e chi andava allontanato, ma anche un modo per trovare nuovi alleati. Anche se avessero avuto identità ed estrazioni culturali diverse, i numeri sarebbero bastati per riformare l'esercito che la Chiesa ha perso quando sono saltati gli Accordi.- fece una pausa. -L'idea di un'apertura, di una riforma, sarebbe bastata per attirare molti scettici nelle fila dell'Inquisizione. E così è stato.-
-L'idea era genuina, Cullen. Avevamo bisogno di un cambiamento radicale, di rimettere in riga chi usava il nome della Chiesa per legittimare delle ingiustizie. L'Inquisizione è nata dalla Chiesa ed è un organo che le servirà per favorire la transizione tra un mondo nel caos e un mondo migliore.-
-In cui la Chiesa avrebbe il pieno potere nel Thedas meridionale.-
-Dopo tutto il bene che abbiamo fatto, ti sembra un male?-
-Mi sembra una posizione di potere che potrebbe riportarci allo stato in cui eravamo prima del Conclave.-
-Con mezzi abbastanza forti per prevenirlo.-
-O per soverchiare le altre parti in gioco. E non mi riferisco solo a imperi o regnami, ma anche a chi non crede nella missione della Chiesa, minoranze in primis. Dopo tutto il lavoro che l'Inquisitrice ha fatto per garantire una cooperazione, come credi che la prenderebbero le altre parti, se iniziassimo a imporre una metodologia incoerente con le promesse che sono state fatte in questi mesi?-
-Non succederebbe.-
-L'hai detto tu che come prima misura avresti reintrodotto i Circoli e favorito una campagna di reclutamento per nuovi Templari, semmai l'Inquisizione ti avesse supportata come nuova Divina. Adesso che i Maghi sono liberi, in che modo vorresti farli ritornare nei Circoli? Con il potere della fede e dell’amicizia?-
-Non prendermi in giro. Sei d'accordo con me, su questo.-
-Io non faccio testo. Vorrei ricordarti che la Chiesa mi ha portato al guinzaglio fino all’altro ieri. Diamine, sento che mi stringe il collo pure adesso!-
-Nessuno ti sta tenendo al guinzaglio!- sbottò Cassandra, realmente frustrata.
Cullen liberò una risata per niente divertita. -No, eh? L'Inquisizione non doveva sedare la rivolta, doveva raggruppare i Templari rimasti che poi sarebbero stati rieducati e ammansiti, per entrare a far parte del nuovo esercito della Chiesa.- sollevò una mano per impedirle di replicare. -Hawke serviva alla Divina per lubrificare gli attriti, dando una ragione ai Maghi per fidarsi dell'Inquisizione, attirati dalla bugia che i Circoli sarebbero stati riformati e adattati per le loro nuove esigenze. Ma entrambi sappiamo benissimo che i riottosi sarebbero stati uccisi e gli altri sarebbero stati rinchiusi. Il mio ruolo, in tutto questo, sarebbe stato di addestrare la nuova generazione di Templari. Niente di più, niente di meno. Non era assolutamente previsto che comandassi una forza del genere, dato che sarebbe stato insensato affidarmi un onere così greve.-
-Mi sembra proprio il contrario, viste le capacità che hai dimostrato.- lo contraddisse Cassandra, un po’ troppo velocemente.
-Perché avete avuto fortuna, ma se guardiamo alle competenze...- Cullen sbuffò brevemente, dimostrando scetticismo. -Avreste potuto coinvolgere un vero comandante, realmente esperto a gestire un esercito, invece avete scelto un Templare in disgrazia, attirandomi in trappola con l'idea di poter contribuire a una Chiesa migliore, una Chiesa originale, ma con tutti i pregi di un'istituzione al passo con una contemporaneità caotica come la nostra. Sapevi benissimo che, visti i miei trascorsi, non avrei mai osato rifiutare una chiamata alle armi di questo tipo.-
-L'idea di riforme rimane, nonostante il contesto. La Chiesa ne ha bisogno.- ribadì Cassandra.
-Non adesso, però.- replicò lui, con una punta di sarcasmo. Si zittì per qualche istante, ponderando se tornare alla carica, continuando a confrontarla, o assecondarla e concentrarsi su un altro punto. Tra le due, scelse la soluzione emotiva. -Avresti potuto essere onesta con me, se non al tempo, almeno successivamente.-
Cassandra esitò, prima di annuire. -Hai ragione, ma nelle tue condizioni, non ero certa che una discussione del genere sarebbe stata opportuna.-
-Avevi il timore che facessi i bagagli?-
-Sapevo che avrei perso il tuo rispetto.-
Cullen sorrise tristemente, chinando appena il capo. -Non ce la fai proprio ad azzeccare una previsione, eh?- la canzonó, a mezza voce.
Lei reagì a quella contraddizione implicita rilassando la postura. -Per una volta, mi sta fin troppo bene.- ammise. -Lav... lei sa tutto questo?-
-Da quando hanno iniziato a chiamarla Araldo di Andraste.- rispose lui, spostando la testa per guardare altrove. -Vi serviva un simbolo per legittimare quest'avventura e lei ha accettato tranquillamente, non solo perché crede nell'idea.-
Cassandra annuì. -Solo che lei non ha mai mentito sulle sue vere intenzioni.-
-E sa che qualsiasi scelta farà, sarà quella sbagliata, anche in questo caso. Deve per forza affidarsi a una logica di convenienza e pregare che le conseguenze non franino addosso a lei e, di rimando, alla sua gente.-
-Dimmi qualcosa che già non so.-
Cullen si limitò a stringersi nelle spalle.
Cassandra esalò un rantolo di frustrazione. -Credi ancora che quello che stiamo facendo avrà un peso?-
-Sai in cosa credo?- replicò lui, indicando fuori con un cenno del capo. -Credo in lei e in quello che è riuscita a costruire partendo da un ideale corrotto da una necessità politica. Vorrei avere un quarto di quella grinta, ma mi tocca accontentarmi dell'ispirazione.-
-Sei d'accordo con lei, insomma.-
-No, per niente. Io avrei scelto te, ma capisco le sue ragioni e le supporterò, così come dovresti fare tu.- tornò a guardarla. -Se la prendessi sul personale adesso, arriveresti a pentirtene per il resto dei tuoi giorni.-
-Come faccio a non prenderla sul personale? Anche se so che è una scelta puramente pragmatica, non riesco a non vederla come uno smacco.-
Cullen rimase in silenzio per un po', lasciando respiro alle braci che scoppiettavano al suo fianco. -Non è così male, l'alternativa.- ammise. -Concentrarsi su se stessi, dopo che la nostra lealtà incondizionata nei confronti della Chiesa ci ha portato a fare così tante cose orribili.-
Cassandra passò in rassegna i fiori con uno sguardo macchiato di delusione. -Per quello mi hai portato qui? Per dirmi che è il caso di trovarmi un hobby?-
Cullen si mosse verso la scalinata, con calma. La risalì fino al primo pianerottolo e recuperò un conetto di incenso da terra. -Hai presente Ser Scarlett, di Kinloch?-
Cassandra diede un breve cenno d’assenso.
-È sobrio da tre mesi.-
-Oh.-
-Dato che per noi sta funzionando, abbiamo pensato di rimettere questo posto in sesto per dare una mano a chi ha deciso di fare la nostra stessa scelta. È stata una sua idea.- spiegò lui, rigirandosi l’incenso tra le dita. -Per il momento, dama Elan ci ha gentilmente procurato delle piante. Alcuni le curano, altri le spostano di piano in piano per trovargli un posto migliore, altri ancora vengono qui perché è tranquillo e profumato, lontano dai commilitoni che fanno uso.-
-Un'idea stupenda.-
Cullen le rivolse un sorrisetto. -Pensavi davvero che mi stessi dedicando alla floricultura?-
Cassandra esalò una risata roca. -Sì. In un certo senso, lo stai facendo.- rispose. -Forse dovrei iniziare a farlo anch'io, quando quest'avventura sarà finita.- chinò lo sguardo sulla stufa. -I Cercatori hanno bisogno di uno scopo nuovo, più nobile.-
-Uno scopo che suggerirai tu, magari.- aggiunse Cullen, intascandosi l’oggetto. -Come Cassandra, non come Mano Destra.-
Quell'opzione liberò i muscoli di Cassandra dalla rigidità, permettendole di distendersi. Rivolse al suo interlocutore un sorriso sincero e venne ricambiata istantaneamente.

 

*

 

Il fumo dell'incenso era sospeso nell'alone di luce che circondava una candela.
Steso sul suo letto, con la guancia aderente al cuscino e la stanchezza dipinta in viso, Cullen osservava quel moto non-moto che avveniva nei paraggi del suo comodino con interesse.
La luce della luna filtrava attraverso le assi di legno che proteggevano la stanza dal cedimento strutturale che l'aveva privata del soffitto, ma non era un'azione abbastanza intensa da creare un vero e proprio contrasto con la luce artificiale della candela. Era un cosiddetto "in più", che contribuiva all'insieme facendo poco scalpore. Spesso e volentieri, Cullen si sentiva in quella maniera: una cosa che esiste, che ha un suo ruolo, ma che ha un'influenza relativa nello spazio.
In quel momento, si chiese quando avrebbe smesso di imporsi l'idea di non essere mai abbastanza. La parte razionale del suo cervello gli rispose che quel sentimento aveva le sue positività. Se si fosse accontentato, avrebbe concluso davvero poco in vita sua.
Chiuse gli occhi, mentre prendeva un respiro profondo. La sua testa gli fece la cortesia di portarlo via dal presente, rinfrescandogli un ricordo che lo fece sorridere. E lo trattenne a lungo, almeno finché non subentrò una nuova distrazione.
-Ehi, sei sveglio?-
Cullen sobbalzò, poi si mise immediatamente a sedere, con il cuore che gli batteva a mille. Non vedendo nessuno nell'ombra che caratterizzava la parte della sua stanza che dava sulla scala, assunse un'espressione confusa.
-Quassù!-
Era un sussurro, pronunciato con una certa urgenza.
Cullen sollevò il capo, stringendo le palpebre per mettere bene a fuoco la situazione nei pressi delle assi di copertura. Quando si rese conto di chi si trattava, si affrettò a disfarsi delle coperte e si proiettò giù dal letto, per recuperare una vestaglia. -Come diamine hai fatto ad arrivare fin lassù?- gemette, raggiungendo di volata l'area sottostante al sussurro.
-Con le mani.- rispose Lavellan, facendo capolino dal soffitto. -Posso entrare?-
Cullen si guardò velocemente intorno, alla ricerca di un modo per aiutarla a scendere. Lei, intuito quello che stava facendo, lo bloccò subito. -Tranquillo, ci penso io. Piuttosto, disturbo?-
-Ovvio che no.- rispose lui, osservandola mentre scostava le travi per creare un pertugio abbastanza grande per passare. D'altronde, non era un'acrobazia troppo diversa da quelle che faceva di solito, perché la verticalità le dava un vantaggio considerevole sul campo di battaglia. Eppure, vederla dondolarsi dal soffitto, risistemare le travi con calma (come se non fosse in una posizione precaria) e poi atterrare con una concatenazione di volteggi rischiosi regalò comunque a Cullen una certa dose di nervosismo.
Una volta che lei gli fu di fronte, gli rivolse un sorriso tirato. -Sicuro che non disturbo?- chiese, nuovamente.
Cullen si chinò per baciarla, zittendo immediatamente quella preoccupazione inutile. -La prossima volta usa la porta, ti prego.- suggerì, tra le sue labbra.
Lavellan lo coinvolse in un altro bacio, più composto, poi si distanziò abbastanza per rivolgergli un sorriso incerto. -C'è troppa gente fuori.- disse. -Non avevo tanta voglia di interagire.-
Cullen le posò una carezza sul viso. -Stai bene?-
-Ora sì.- rispose lei, abbracciandolo.
Rimasero in piedi per molto, stringendosi senza dire nulla e compiendo piccoli gesti per darsi coraggio. Un bacio a stampo sulla fronte ogni tanto, un barcollio per riprendere l'equilibrio e sorrisi nascosti allo sguardo, di cui l'altra parte percepiva solo il calore. Emanavano conforto, donandone grandi quantità reciprocamente, in uno scambio equo, ma vantaggioso per ambo le parti.
-Posso restare?- domandò Lavellan.
Cullen le rispose guidandola verso il letto, senza scindere il contatto. Si infilò per primo sotto le coperte e le sollevò abbastanza per farle posto senza disperdere troppo il calore.
Lei si inginocchiò sul materasso, con una discreta dose di incertezza nello sguardo. Esitava a raggiungerlo.
Lui, intuendo ciò che gli avrebbe detto, le rivolse un sorriso accogliente. -Il ricordo più caro che ho della notte che abbiamo passato insieme è quando ti sei addormentata tra le mie braccia. Secondo solo alla sensazione di sollievo che mi ha regalato l'idea di potermi risvegliare al tuo fianco.- la rassicurò.
Lavellan ricambiò il sorriso, con una punta di malizia. -Se fare l’amore con me non è subito al terzo posto, do le dimissioni e me ne vado.- scherzò, infilandosi finalmente sotto le coperte.
-Oh, è decisamente al terzo posto!-
-Bravissimo.-
Cullen la accolse tra le sue braccia con garbo. Aspettò di averla aderente a sé, prima di rivolgerle di nuovo la parola. -Sei reale?- le domandò, appoggiando la fronte sulla sua.
Lavellan lo guardò dritto negli occhi, con una dolcezza disarmante. -Reale come il cuore che ti batte nel petto, a ridosso del mio.-
Si sorrisero.
-Andrà tutto bene, amore mio.- disse Cullen.
-Andrà tutto bene, vhenas.- gli fece eco lei, poi entrambi chiusero gli occhi, mentre i brutti pensieri si scioglievano, lasciando spazio a un gran senso di contentezza.



 

-Nota-

Quando passi tanto tempo con persone abituate a pensare con la propria testa, le rotelle in testa iniziano a girare in autonomia, facendoti notare roba che in passato non avresti mai realizzato. Soprattutto dopo anni passati a dare cieca fiducia a un culto, o a farti comandare dalle conseguenze di un trauma molto forte. Cassandra sarà sempre legata alla Chiesa, Cullen invece ha l’opportunità di avere un’identità al di fuori di essa. Per questo la scena durante Perseverance per me è importantissima ed è incredibilmente stupido che il suggerimento corretto sia legato alla risposta romance. Gli togli un’autonomia che per qualcuno che si sta ripulendo è fondamentale, cioè, è lui che deve volerlo, non sei te, estraneo, a decidere per lui. Sta roba mi manda ai matti, davvero.
Vado a rinchiudermi, ecco lol
<3

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Capitolo 26
*** Rialzarsi ***


CW: Comportamenti autolesionistici; allusione al suicidio.

 

Era assetato, come ogni mattina. Sentiva il gelo nelle ossa, come ogni mattina. Voleva richiudere gli occhi, come ogni mattina.
Ma come ogni mattina, scostò la coperta e appoggiò le piante dei piedi sul pavimento, alzandosi dal letto energicamente.
Si sgranchì le braccia sopra la testa, prese un respiro profondo ed esalò un gemito di rassegnazione, espellendo dal suo organismo la polvere nera che vi si era aggregata durante il sonno.
Ogni singolo osso delle gambe scricchiolò come l'anta di un vecchio armadio, mentre raggiungeva la bacinella d'acqua che si era preparato la sera precedente. Si diede dissetarsi come priorità, prima che l'acqua si sporcasse. Una volta placata l'arsura, si spogliò degli abiti da notte, li piegò e li appoggiò sull'appendiabiti a cavalletto al fianco dello scrittoio.
I vetri colorati della finestra filtravano poca luce, ma lui non aveva problemi a prepararsi nella penombra, come ogni individuo della sua razza.
Si prese i suoi tempi per lavarsi il corpo, approfittando del freddo mattutino per risvegliarsi. Si asciugò saltellando, con un'espressione sofferente che lo forzava a contrarre ogni singolo muscolo del viso, poi si affrettò a vestirsi.
Pantaloni, camicia, gilet, giacca, foulard e un secondo paio di calzettoni perché gli stivali erano nuovi. Tutto rigorosamente in scala di azzurro, perché era tradizione del giovedì.
Una volta vestito, si diresse allo scrittoio. Era un bel mobile in mogano, ben pulito e oliato, con un ordinato gregge di scartoffie che vigilava sulla sua superficie. Ogni plico era catalogato, ogni cassetto aveva una funzione e tutto ciò che riguardava la cura personale era disposto in una scatola in ferro con dei bei rilievi che decoravano gli angoli.
Da quella recuperò dapprima un piccolo gomitolo informe che si infilò in una tasca interna del gilet, poi una foglia di radice elfica che si strofinò sui denti, mentre si chinava per osservare la sua immagine riflessa in un piccolo specchio girevole. Controllare che tutto fosse al suo posto, prima di uscire, era fondamentale per qualcuno che faceva il suo mestiere. Fortunatamente, il freddo aveva fatto in modo di tonificargli il viso, assottigliando la pelle sul contorno occhi ed evitandogli le occhiaie. Il rossore al naso, sulle guance e sull'area del labbro superiore non era troppo accentuato, ma quello era un problema risolvibile in pochi istanti.
-Dove ho messo la crema, adesso?- borbottò, con la voce profonda ancora rauca di sonno. Frugò dentro la scatola metodicamente, spostando per poi rimettere al loro posto attrezzi e cosmetici, eppure la crema sembrava essere sparita.
-Mannaggia, mannaggia, mannaggia.- ripeté, approfittando della sua frustrazione per mettere in moto le corde vocali. Purtroppo, i tempi erano stretti, quindi dovette rinunciare quasi subito alla ricerca.
Si schiarì la voce e si rivolse allo specchio, incrociando il suo sguardo luminoso. -La prima crisi della giornata.- annunciò. Il riflesso gli ritornò un sorrisetto, oltre a ricordargli che doveva sistemarsi i capelli.
Una volta in ordine dalla testa ai piedi, recuperò una cartellina e si diresse alla porta. Le sue dita indugiarono sulla maniglia qualche istante, dandogli il tempo per rilassare i lineamenti, poi si decise ad affrontare il mondo esterno.
-Aneth Ara, Shaan.- lo salutò l'addetta ai rifornimenti.
Shaan accennò un sorriso. -Aneth Ara, lethallin.- rispose, affrontando con decisione la lunga scalinata che portava alle stanze dell'Inquisitrice.

 

25 - Rialzarsi

 

Ogni volta che l'Inquisitrice era assente, il suo staff si riduceva all'essenziale. Pochi membri di fiducia, selezionati con attenzione, che a giorni alterni aspettavano che Shaan aprisse la porta della camera studio per riordinarla. Essendo la stanza più importante di Skyhold, dopo la sala di guerra, era giusto che le cose andassero in quella maniera.
Fortunatamente per Shaan, le pulizie erano state fatte il giorno precedente, quindi si sarebbe limitato a entrare, avrebbe appoggiato il rapporto del giorno prima nel faldone dedicato agli aggiornamenti e si sarebbe rubato un po' di crema per il viso. Niente di più, niente di meno.
Risalì le scale che portavano al mezzanino, rabbrividendo per via della temperatura gelida. Non aveva senso riscaldare la stanza con la sua proprietaria assente, quindi il caminetto veniva acceso solo in quei rari casi in cui l'umidità avrebbe potuto compromettere l'integrità dei libri, o dei domestici che si arrischiavano a pulire di fondo prima dell'alba.
Rabbrividendo, si diresse alla scrivania, cercando con lo sguardo il faldone. Lo rimpinguò, poi appoggiò la fedele cartellina su un agglomerato di candele, sicuro che l'avrebbero retta. Una volta recuperata la scatola azzurra dei cosmetici di lethallin, la sistemò sulla superficie del mobile, con aria soddisfatta.
Il suo atteggiamento cambiò subito quando si rese conto che il suo interno era orribilmente caotico; c'era da aspettarselo, dato che la sua proprietaria era una disordinata cronica, ma lui ci rimase male lo stesso, per partito preso. Scavò a fondo, macchiandosi i polpastrelli di rouge e tintura per labbra, ma anche in quell'occasione non riuscì a trovare qualcosa al caso suo. -Mannaggia, mannaggia, mannaggia.- ripeté, pulendosi le mani con un fazzoletto di cotone. Ipotizzò che lethallin se la fosse portata appresso, dato che usava pensare ai suoi bagagli personalmente. Considerato che aveva la faccia al sole continuamente, era un'aggiunta importante, soprattutto se il viaggio prevedeva lunghe tappe nei deserti dell'Orlais, avidi di nuvole.
Shaan richiuse il contenitore con aria delusa, lo sistemò al suo posto, quindi recuperò la cartellina, per stringersela al petto. La pressione che il gomitolo fece sul suo cuore ebbe il potere di rassicurarlo.
Chiuse gli occhi, prese un respiro profondo, poi diede un sorriso tirato per minimizzare. -Tutto a posto, non andiamo in crisi. Ne chiederò un po' in prestito.- annunciò, rivolgendosi al tarlo di frustrazione che si abbeverava del suo sangue freddo. Riaprì gli occhi e posò lo sguardo sul faldone.
Inarcò un sopracciglio, perdendo gradualmente il sorriso.
Si infilò immediatamente la cartellina sottobraccio e prese a smuovere pile su pile di documenti, alzando libri per appoggiarli sopra altri libri, con l'urgenza tra le mani. Una volta verificata la mancanza, fece un passo indietro, osservando i dintorni con aria corrucciata.
Era un momento perfetto per andare in crisi. Qualsiasi dipendente l'avrebbe fatto, se sulla scrivania della propria datrice di lavoro fosse venuta a mancare la custodia contenente il suo sigillo. Sigillo che non c'era motivo di nascondere perché l'unico ad avere la chiave della camera studio era il segretario, che si premurava di conservare la custodia al sicuro ogni volta che venivano fatte le pulizie. Il giorno prima, infatti, l'aveva tenuta con sé in una tasca interna della giacca, a ridosso del cuore di lana, finché lo staff se n'era andato, quindi l'aveva rimessa al suo posto, di fronte al calamaio e sopra la carta.
Shaan si voltò in direzione dell'altare di Falon'Din, poi verso le porte finestra, mentre si spremeva le meningi alla ricerca di un suo errore. Non gli ci volle molto per fallire, perché sapeva di aver fatto tutto nel modo corretto, come al solito.
Serrò la mascella, preda di un certo grado di nervosismo, quindi riprese tra le mani la cartellina, accarezzandone il retro come se la stesse rassicurando che tutto fosse a posto.
Fece per precipitarsi giù dalle scale del mezzanino, ma la sua preparazione a eventi ben più gravi gli fece rallentare l'andatura, permettendogli di fingere una certa sicurezza nei movimenti. Si richiuse la porta della camera studio alle spalle, poi offrì un sorriso alle due guardie che la sorvegliavano. Un'imposizione del Comandante, che voleva le sue colleghe al sicuro in un momento di massima vulnerabilità come il sonno.
Shaan si rivolse a una di esse, una guerriera elfica con l'aria assonnata che conosceva abbastanza bene da percepirne il grado di sincerità. -Qui è sempre un po' noiosetto, immagino.-
-Immagini bene.- rispose lei, senza perdere di vista il corridoio.
-Meglio così.-
-Già.-
-Da'len, per caso tra ieri e oggi è entrato nessun altro nelle stanze dell'Inquisitrice?-
Le guardie si scambiarono una breve occhiata scettica. -Non che mi risulti.- disse l'Elfa. -Tu che dici?- domandò al collega.
Quello ci rifletté, poi scosse la testa.
-Come immaginavo.- commentò Shaan, per poi rivolgere a entrambi un cenno di congedo.
-A dire il vero...-
L'Elfa e Shaan fecero convergere gli sguardi sulla seconda guardia, che esitò un attimo prima di elaborare. -Amun è venuto a salutare me e Osbourne, ieri sera. Ha socchiuso la porta per fare uscire il gatto.-
Shaan si perse per un istante, assumendo un'espressione confusa. -Il gatto?-
-L'abbiamo riferito al Comandante, ovviamente, e lui ci ha detto di non preoccuparci.- si affrettò a rispondere la guardia.
-E dov'è adesso?-
-Il gatto? Non saprei, alle cucine forse.-
Shaan non si sforzò nemmeno di trattenere il proprio disappunto per quella risposta. -Parlo cinque lingue e sette dialetti, ma il gattese non mi è ancora riuscito di impararlo.- fece.
La guardia si irrigidì dall'imbarazzo, tornando a fissare il corridoio. L'Elfa smorzò un sorrisetto sul nascere. -L'ultima volta che ho visto Amun era a ricamare ai giardini.- rispose, al suo posto.
Shaan la ringraziò con un sorriso affascinante, poi affrontò la discesa che lo avrebbe condotto alle risposte che cercava.

Il giardino all'alba era abbastanza spopolato.
C'era un parco andirivieni di domestici e messaggeri, lungo il porticato, ma nessuno sopportava abbastanza il freddo da trattenersi a lungo all'esterno. Di solito, l'unica a gestire bene la temperatura era la botanica Elan, che ogni mattina si occupava diligentemente di togliere i teli di protezione dalle piante per esporle al sole e preparava il terreno per quelle che necessitavano di più attenzioni durante le prime ore del giorno. Ogni tanto veniva affiancata da un gruppo di madri appena uscite dalla messa mattutina al santuario, oppure da Adra, quando era costretta a passare la notte in bianco per via di un progetto stilistico laborioso.
Nonostante fosse poco popolato, comunque, il giardino era davvero rumoroso. Le fronde frusciavano mosse dal vento, mentre al loro interno gli scoiattoli e i pettirossi conversavano, urlando come comari poste a due finestre di distanza tra loro. Nei muri, invece, il pigolio acuto dei rondinini appena nati faceva concorrenza al tubare delle tortore e al gracchiare delle cornacchie, lasciando a intendere alle orecchie umane, qunari, elfiche e naniche chi fossero i veri padroni di casa di Skyhold. Erano arrivati loro prima dell'Inquisitrice e quando lei se ne sarebbe andata, loro sarebbero rimasti a vegliare sulla fortezza al suo posto.
Shaan si strinse nel cappotto, osservando con aria accigliata le colonne rigate di umidità notturna e guano di rondine. Dalla sua espressione, era chiaro che avrebbe preferito trovarsi in prossimità di un caminetto e una tazza di tè ustionante, piuttosto che all'addiaccio tra odori sgradevoli e pennuti ancora più sgradevoli. Scandagliò il giardino con lo sguardo, alla ricerca di Amun e quando lo vide si affrettò a raggiungerlo.
Il Nano sedeva compostamente su una poltrona di chintz, in uno dei gazebi posti dal lato opposto all'ingresso meridionale dei giardini. Indossava una ricca vestaglia di velluto ottanio foderata di pelliccia di fennec e, come aveva preannunciato la guardia elfica, era impegnato a ricamare il bavero di una graziosa giacca femminile giallo senape.
Alzò appena lo sguardo, quando notò Shaan farsi vicino, ma non distolse l'attenzione dal suo lavoro. Non lo salutò nemmeno, a dirla tutta, limitandosi a registrare la sua presenza.
Shaan gli riservò la stessa cortesia. -Da quando in qua hai le chiavi delle stanze di Ankh?- gli chiese, senza preamboli.
-Da quando sono giunto qui.- rispose Amun, senza perdere la concentrazione. Il disegno su cui stava lavorando non era troppo complesso, ma necessitava di un'attenzione particolare, dato che doveva apparire specchiato e simmetrico.
Shaan si infilò la cartellina sottobraccio, per combattere il freddo sfregandosi le mani. -Per caso ci sei entrato ieri sera?-
Amun rimase qualche istante in silenzio. -Di cosa mi stai accusando, esattamente?-
-È sparito il suo sigillo e gli unici due che hanno libero accesso a dove lo teneva siamo io e te.-
-E la Capospia, e il Comandante, e l'Ambasciatrice.-
Shaan, che non ne era al corrente, decise di ingoiare il senso di disapprovazione per concentrarsi sui fatti correnti. -Le ultime persone su cui punterei il dito.-
-Quindi vieni a puntarlo su di me.- disse Amun, con un sarcasmo pacato.
Shaan però stava iniziando a perdere la pazienza. -Non lo so, dimmi te a cosa pensare. Le guardie riferiscono che tu abbia aperto la porta e l'unica volta che è stata aperta risale a prima e dopo le pulizie. Quando me ne sono andato, il sigillo era ancora là.-
-Io non ho aperto la porta per entrare, l'ho socchiusa e ho fatto uscire il gatto.-
-Un gatto che non doveva essere lì.- gli suggerì Shaan.
Amun si rigirò la cruna dell'ago tra il pollice e l'indice, sollevando uno sguardo pensieroso verso il suo interlocutore. -Questo è molto bizzarro, in effetti.-
Shaan aprì una mano nella sua direzione. -Tu dici?-
Amun alzò gli occhi al cielo, poi infilzò il puntaspilli che teneva legato al polso. Ripiegò con cura la giacca, la avvolse in un sacchetto di seta e la mise a sedere al suo fianco. -Effettivamente, tra gli occhi di falco di sorella Leliana e i controlli ossessivi del leone, solo un innocuo animale domestico potrebbe riuscire a passare inosservato.-
Shaan si guardò velocemente intorno. -Pensi che sia un incantamento?-
-Un incantamento, o un mutaforma.-
Si scambiarono un'occhiata d'intesa. -Burrows.- affermarono all'unisono, per poi muoversi con passo deciso verso la caserma.

Non dovettero fare troppa strada prima di incontrare la persona che cercavano.
Il Tenente Burrows era in infermeria, anzi, era appena uscito dal locale, con l'espressione di chi era appena stato privato di qualcosa di importante. Emotivamente parlando, a detta della vacuità del suo sguardo, già di per sé spiritato.
Shaan aggrottò la fronte, osservandolo mentre usava il suo bastone da mago come un palo da discesa per accasciarsi a pochi passi dal portone d'accesso.
Più lui e Amun si avvicinavano, più riuscivano a definire un uomo che oscillava tra il distrutto e il deluso, con un'aura di triste rassegnazione che impregnava l'atmosfera attorno alla sua persona. Persino l'erba del cortile sotto di lui sembrava imbrunire.
Il tenente si rese conto di essere in compagnia solo quando i due gli furono a ridosso. Li guardò uno a uno, serrando la mascella nell'esplorarli con occhi vitrei, incapaci di raccogliere informazioni senza contaminarle con il suo stato d'animo. -Non è un buon momento.- disse, con voce cavernosa.
Shaan percorse con uno sguardo preoccupato i suoi avambracci, ricoperti di materia scura e lucida. Una crepa luminosa di lyrium liquido si stagliava sui suoi parabracci, incapace di mescolarsi al resto, come olio sull'acqua. -Non ci vorrà molto.- disse, fallendo nell'assumere un tono rassicurante.
-Può aspettare.- lo contraddisse Amun, affidandogli il sacchetto contenente la giacca per inginocchiarsi al fianco di Burrows. Recuperò un fazzoletto da una tasca dell'ampia vestaglia e procedette a pulirgli le mani, ancorate al bastone.
Burrows osservò l'operazione senza riuscire a interagire con essa. Sembrava uno spettatore, più che il ricevente di un atto di gentilezza.
Shaan rimase in piedi, con il fagotto alla mano e un'espressione accigliata. -Cos'è successo?- domandò.
La risposta non arrivò mai. Non da lui, almeno.
La porta dell'infermeria si aprì e ne fuoriuscì il Comandante, con un'espressione che mai e poi mai Shaan avrebbe pensato di vedergli addosso. Era un uomo che portava la sconfitta nel cuore e, allo stesso tempo, un sottile approccio di incredulità nel portamento, di solito sicuro al limite del possibile.
Alle sue spalle, lo spiraglio tra l'anta e la cornice della porta inquadrò l'immagine di un soldato inginocchiato ai piedi di una branda occupata, con il capo chino e le mani intrecciate in preghiera. Chi vegliava era già in seno ai Numi e dalla maschera di sbigottimento che aveva dipinta in viso, Shaan poté tranquillamente intuire che non fosse stata una transizione fluida.
La porta si chiuse, dividendo ciò che non c'era più da ciò che c'era in abbondanza, espresso a gran voce dal personale al lavoro in cortile.
-Mi dispiace, signore.- disse Burrows, impossibilitato a guardare il suo superiore in comando negli occhi.
Con un gesto brusco, Cullen si sfilò i guanti, i cui palmi erano madidi di sostanza azzurra e brillante. Li rivoltò, poi prese a soppesarli. -Anche a me.-
Burrows strinse la presa sul bastone. -Stava andando così bene.-
-Di solito, è quando le cose vanno bene che si tende ad abbassare la guardia.-
-Avrei dovuto...-
-Non dipende da te.-
-Dipende da me eccome, signore. Era sotto la mia responsabilità e io ho mancato ai miei doveri di ufficiale.- protestò Burrows, senza rabbia, ma con una consapevolezza affilata che penetrò gelida nei corpi di chi lo ascoltava.
Shaan sentì un imbarazzo viscerale che manifestò con una smorfia di fastidio.
-Rialzati, tenente.- disse Cullen. Nella sua voce c'era una calma decisa, quasi rassicurante che permise a Shaan di tradurre quell'ordine per quello che era realmente: un suggerimento ad andare avanti. Quel sottinteso impose sulla sua pelle un nuovo strato di tensione.
Burrows si prese qualche istante per processare l'ordine, poi si aggrappò al braccio che Amun gli stava porgendo e si erse faticosamente in piedi.
Cullen gli rivolse un'occhiata malinconica, che si scrollò subito di dosso. -Ora, come possiamo aiutarvi, signori?- domandò, rivolgendosi a Shaan.
Quest'ultimo ringraziò Mythal per quel brusco ritorno all'ordine. -Devo porre una domanda al tenente, non è necessaria la sua presenza.-
Cullen inarcò un sopracciglio. Per un attimo a Shaan parve che i suoi occhi dorati volessero perforargli le carni. -Ma a me è necessaria la sua. È successo qualcosa di grave?-
-Abbastanza.- rispose Amun, facendo torcere il naso a Shaan, già pronto con una strategia meno schietta. -Ci chiedevamo se il tenente avesse fatto visita alle stanze dell'Inquisitrice, l'altra notte.-
Burrows, che ancora stava combattendo con i postumi di una situazione più grande di lui, lo guardò con aria confusa. Parve rifletterci, ma dallo stato del suo viso la sua non era una ricerca nei ricordi, piuttosto un modo per processare costruttivamente una certa indignazione. -Certo che no!- rispose.
Cullen ebbe un istante di perplessità, che Shaan colse al volo.
-Ieri notte ho fatto uscire un gatto pasciuto dalle sue stanze.- ritornò alla carica Amun. -Non ti stiamo accusando di nulla, tenente, vogliamo vederci chiaro su una faccenda bizzarra, tutto qui.-
-Mi state decisamente accusando.- lo contraddisse Burrows, irritato. -Io non ho messo piede nelle stanze di nessuno.-
Cullen allora decise di intervenire, muovendo un passo verso il trio. -Ti ringrazio per essermi leale, tenente, ma è il caso di chiarire la situazione prima di scatenare incidenti.- disse, infilando i guanti appallottolati in una falda della tunica. -Gli ho chiesto io di accedere alle stanze dell'Inquisitrice per restituire un oggetto.-
-Che non ho ancora riconsegnato.- concluse Burrows.
Dapprima perplesso, poi pronto ad assumersi una responsibilità, Cullen arrivò a indossare una certa preoccupazione in viso. Gli altri, eccetto l'accusato, rimasero interdetti.
-Chi ha coperto, allora?- domandò Shaan, rivolgendosi a Cullen. Quello rimase perfettamente immobile, dando implicitamente al suo interlocutore l'unica risposta che non voleva sentirsi dire. Non lo sapeva.
-Ci sono altri mutaforma a Skyhold, o gente che può comunicare con gli animali? Magari qualche strega che invece di trasformare gli uomini in rospi li tramuta in gatti grassi.- intervenne Amun, riprendendosi il suo fagotto. -Non mi piace che entrino in camera sua a loro piacimento, soprattutto quando non è presente.-
-Ah, perché se è presente la situazione diventa meno grave?- commentò Shaan, per niente contento di quel mistero. -Comandante, la prossima volta che vuole riconsegnare un oggetto, si affidi a me. Sono il suo segretario, per deontologia devo mantenere la riservatezza totale su ciò che la riguarda.-
-Non si fida di te, evidentemente.- chiosò Amun.
-Mi fido, ma...- Cullen esitò. -Ho ricevuto istruzioni precise. Non posso sbottonarmi.-
-È sparito il suo sigillo, Comandante. Sotto il naso dei suoi sottoposti.- gli riferì Shaan, asciutto. -Non penso che sia il momento opportuno per rifilarmi venti versioni diverse della stessa presa in giro.-
Cullen rimase in silenzio, mentre il suo sottoposto lo osservava con aria stupita. Guardò Shaan con lo stesso sguardo fiero con cui affrontava il tavolo di guerra quando c'era da proporre la sua opinione. -Ti ripeto che non posso dire nulla.- dichiarò. -Ciò che puoi fare per me, invece, è offrirmi la tua sincerità sulla questione alla mano.-
-Questione che se lei non avesse insabbiato per suo tornaconto, ora avrebbe già l'importanza che merita.- sbottò Amun.
Shaan si schiarì la voce, per attirare l'attenzione su di sé e smorzare un possibile litigio sul nascere. -Qualcuno ha il sigillo dell'Inquisitrice. Torniamo a indagare, prima che possa essere usato impropriamente.- disse.
-Già, ma chi può essere stato?- intervenne Burrows, scorrendo lo sguardo sull'erba del cortile, come se stesse cercando un suggerimento. -Di che colore era il gatto?-
-Bianco.- rispose prontamente Amun.
-Una pelliccia bianca è difficile da replicare. Dev'essere un Mago molto potente.-
-Non è un'affermazione arguta per togliersi dagli impicci, dato che tu riesci a farlo facilmente.- intervenne Cullen, ancora impegnato a graffiare Shaan con lo sguardo.
-Non tanto tranquillamente.- rispose Burrows, scrollandosi di dosso il complimento. -Comunque, se avessi voluto trasformarmi in qualcosa, mi sarei messo un paio d'ali. E di certo non avrei urlato alla porta per farmi aprire. Probabilmente, mi sarei trasformato in uno sciame e mi sarei infiltrato nelle intercapedini delle finestre.-
-Uno sciame?!- ripeté Shaan, più impressionato che altro. Sapeva che i mutaforma erano in grado di questo e altro, ma aveva sottovalutato l'Elfo che gli stava davanti. Fortunatamente, Burrows non era nella sua testa e fraintese la fonte della sua sorpresa. -Sì, mi ci sono voluti cinque anni per studiarlo e sei per metterlo in pratica.- ammise, con un pizzico d'orgoglio. -Un mutaforma connette le trasformazioni alle sue inclinazioni caratteriali. Io sono un po'... volatile, concedimi il termine.-
Il suo sguardo spiritato, in effetti, dava l'impressione a Shaan che fosse un individuo spesso e volentieri con la testa fra le nuvole. Per quanto intrigante fosse il talento magico di Burrows, però, non era il momento di fare una stima caratteriale.
-Questa è una faccenda della massima importanza.- intervenne Cullen, precedendo Shaan di un millesimo di secondo. Nel frattempo, stava leggendo un rapporto dalle mani di un messaggero. Lo firmò al volo e batté una mano sulla spalla del relatore per congedarlo. -Consultatevi con chi di dovere, poi delegate l'indagine a lei soltanto. Se vi metteste a fare casino in giro, quell'oggetto lo rivedremo il giorno del mai.- disse, sbrigativo, mentre la sua presenza iniziava ad acquisire sempre più peso, attirando corrieri e soldati alla ricerca della sua approvazione. -Ci siamo capiti?- rinforzò, con fare autoritario. Sembrava che stesse interagendo con due suoi sottoposti.
Shaan dovette ingoiare un rospo delle dimensioni di un vitello, mentre annuiva. Nonostante ci fosse abituato, assecondare gli Umani per evitare di degenerare situazioni in cui lui non aveva potere di scelta suonava sempre come uno smacco.
Amun, al suo fianco, osservava Cullen con scetticismo. Inclinò la testa, squadrandolo da capo a piedi. Era decisamente poco convinto e non si faceva problemi a darlo a vedere. -Perché non ha usato semplicemente la sua chiave?- domandò.
Shaan, che in testa sua si chiedeva esattamente lo stesso, decise di fare un passo indietro e godersi lo spettacolo. Per una volta, non era il solo a provare fastidio per gli atteggiamenti arroganti di quell'uomo. Anche se Amun non gli andava totalmente a genio, sapere che condividevano quel senso di noia lo riscattò abbastanza ai suoi occhi.
-Non posso certo introdurmi nelle camere private dell'Inquisitrice.- rispose Cullen, alzando lo sguardo verso la meridiana che sovrastava i manichini, come se quella conversazione per lui fosse una gran perdita di tempo. -In sua assenza, per altro.-
-E quindi fa fare il suo lavoro a un altro, condannandolo nel caso in cui venisse smascherato.-
-Mi risulta di essermi preso le mie responsabilità, nel momento in cui avete tentato di accusarlo di qualcosa che non ha fatto.-
-Ma che avrebbe fatto comunque a breve.-
Burrows sembrava frastornato. -Signore, mi sa che dovrebbe semplicemente dire le cose come stanno. Non è giusto che le puntino il dito contro per uno stupido barattolo di...-
Cullen lo zittì con una semplice occhiata. -Vi consiglio di muovervi. Io sono molto impegnato, lei lo è altrettanto. Più restate a discutere di cose che non devono interessarvi, più rischiamo di creare delle situazioni incresciose.- sbottò, facendo per allontanarsi.
-A me pare che l'unica situazione incresciosa qui sia lei.-
Gli sguardi di tutti si fissarono su Amun, il cui viso era immobile e letale, come una serpe scolpita nel marmo. Anche Cullen rimase immobile, ma dalla sua espressione sembrava che si stesse trattenendo dal balzare su di lui e sbranarlo alla gola.
Ad Amun però non sembrava importare delle conseguenze del suo comportamento. -Le giuro che nel caso in cui il lavoro di mia sorella venisse rovinato dalla sua cocciutaggine, le spingerò a forza quella pelliccia dozzinale per tutto il tratto intestinale, godendo a ogni millimetro.-
Shaan, piacevolmente incredulo, reagì all'occhiata incendiaria di Cullen con una noncuranza parziale, poi appoggiò una mano sulla spalla di Amun ed entrambi tornarono da dov'erano venuti, con un'espressione soddisfatta in alto e una vitriolica qualche decina di centimetri più in basso.

Leliana purtroppo era assente. Lo scoprirono con il fiatone di Amun a dettare il ritmo del tempo, mentre uno degli esploratori che si dedicavano a impartire i messaggi ai corvi rivolgeva a Shaan un'espressione desolata.
-Si tratta di un'urgenza.- ribadì il segretario, consegnandogli un biglietto. -Ti prego di mandare qualcuno a contattarmi non appena la tua signora sarà disponibile.-
Verificò che l'esploratore conservasse il messaggio a modo, prima di affrontare nuovamente la scalinata della voliera. Amun, che non aveva ancora finito di riprendersi, si trascinò faticosamente sulla sua scia. -Pensi che quella strega che sta fissa nei giardini ne sappia qualcosa?- domandò, rauco.
-Non è una strega, era l'Incantatrice di Corte.- lo corresse Shaan, mentre rifletteva. -No, non penso proprio che sia stata lei. Da quello che riporta lethallin, è una donna molto scaltra, di sicuro avrebbe usato altri mezzi per ottenere quello che voleva. Penso che il nostro ladro sia al corrente del mistero che il Comandante ci stia imponendo e che ne abbia approfittato per sviare l'attenzione. Altrimenti, sarebbe stato più scaltro.-
-In effetti, ci sta facendo girare a vuoto.- replicò Amun, appoggiandosi al muro nella discesa. -E se non fosse un mutaforma, ma un semplice gatto portato lì per confonderci?-
-Ti ricordo che oltre a me, solo tu e i consiglieri avete modo di accedere alle sue stanze.-
-Dalla porta principale, certo. Ma se ci fosse un modo diverso per arrivarci?-
-Con corda e piccozza? No, avrebbe di sicuro attirato l'attenzione.-
Amun mantenne il silenzio per una manciata di istanti. -Sai del passaggio segreto, no?- gli domandò, abbassando il tono di voce.
Shaan si bloccò istantaneamente, per fronteggiarlo. Amun per poco non si scontrò sulla sua schiena.
-Piuttosto, tu come fai a sapere del passaggio segreto?- domandò, riducendo il tono di voce a un sibilo. L'idea che qualcun altro potesse essere a conoscenza del passaggio, di cui solo tre individui in tutta Skyhold (Inquisitrice compresa) erano al corrente, lo preoccupò non poco.
Amun fissò gli intensi occhi verdi sui suoi. -Shaan, è una botola sotto a un tappeto. L'ho scoperta non appena ho messo piede nella stanza.- spiegò, come se stesse interagendo con un completo imbecille.
Così si sentiva Shaan, in effetti, perché a lui era stato detto molto dopo la sua entrata in servizio. Sapere che c'era un ennesimo non-detto mise in crisi la sua importanza nella vita di lethallin. In qualche modo, credeva di essere la persona di cui lei godesse massima fiducia. -Quindi siamo io, te e la capospia a sapere di quell'ingresso.- ricapitolò, zittendo le sue insicurezze.
Amun si strinse nelle spalle. -Non ne ho idea. Io so quello che so, degli altri mi interessa relativamente.-
Shaan appoggiò la schiena alla parete, massaggiandosi le palpebre con aria pensosa. Il cuore pulsava irregolarmente sulla lana, assecondando un moto d'ansia che si propagava a fiotti nel suo petto.
Amun si sedette su un gradino, appoggiandosi il pacchetto che ancora si portava appresso in grembo. -Vonnie mi ha detto che i clan ti chiamano apposta per risolvere quei problemi che nessuno riesce a risolvere. Pensavo che i tuoi nervi fossero un po' più saldi di così.-
-I miei nervi sono ferrei.- lo contraddisse Shaan, che stava dimostrando una stanchezza atavica. -Vorrei solo un po' di collaborazione. Pare che a nessuno importi di questa storia.-
-Forse si sono già messi in moto a tua insaputa.- disse Amun, sollevando un lembo del pacchetto per controllare che la giacca al suo interno non si fosse stropicciata troppo. -Quei tre sono come una mente ad alveare. Non so come facciano, sai? All'apparenza sono diversissimi.-
-Sai benissimo a chi attribuirne il merito.- replicò Shaan, posando brevemente lo sguardo su di lui. -Andiamo al Riposo, ti offro una birra.- propose.
-Ma come, ti arrendi già?- domandò Amun, rialzandosi faticosamente. A ogni movimento corrispose uno scrocchio di diversa intensità, cosa che alzò ulteriormente gli indici di simpatia di Shaan nei suoi riguardi.
-Ora vedi.- gli rispose, rivolgendogli un sorriso sornione, poi gli fece strada.

Fu sorprendente l'immutabilità di espressione di Krem quando vide apparire una bottiglia ancora sigillata di birra proprio sotto il suo naso. Sembrava come se se lo aspettasse.
Prima di afferrarla, rivolse un'occhiata puramente descrittiva a Shaan, poi spostò lo sguardo verso Amun. -A chi la metto in conto, stavolta?- chiese al primo.
-Stavolta è diverso, signore.- rispose Shaan, ignorando il modo in cui era tranquillamente appollaiato in cima allo schienale della sedia, come se non fosse una posizione precaria. -Mi serve lei, non il suo capo.-
Krem, finalmente interessato, prese la birra dalle sue mani e l'appoggiò sulla seduta, protendendosi nella sua direzione. -Devi essere piuttosto preoccupato, se vieni a rivolgerti direttamente a me.- ammise, incurvando le labbra su un'espressione maliziosa.
-Le sembro preoccupato?- domandò Shaan, ricambiando il sorriso nell'avvicinarsi di un passo.
Krem diede una risata roca. -Mi sembri uno che non ha più santi ai quali votarsi.-
-Le sto chiedendo una collaborazione, non un miracolo.- ribadì Shaan. -Se avessi voluto un miracolo, mi sarei messo il vestito di compleanno.-
-Sarei proprio curioso di sapere cosa ti saresti aspettato da me, a quel punto.- replicò Krem, passando uno sguardo intrigato su di lui.
Shaan allargò di poco il sorriso, sporgendo il capo in avanti. -Un servizio degno del pagamento proposto, suppongo.-
Krem sbuffò teatralmente, per poi stappare la birra con un gesto secco. -Ah, con te c'è sempre una transazione di mezzo!- disse, prendendo una buona sorsata di birra.
Amun smezzò un'occhiata indagatrice su entrambi, poi alzò gli occhi al cielo.
Krem si diede il tempo di deglutire, poi scivolò giù dalla sedia agilmente. -D'accordo. In che modo si è messa nei guai, stavolta?-
Shaan gli spiegò la situazione al volo, con sincerità. Se c'era qualcuno a Skyhold con il dono della discrezione, quello era Krem. Sapeva che leve tirare, quanta pressione imporvi e godeva dell'affetto incondizionato dei suoi compagni di ventura. Allo stesso modo, aveva la fortuna di possedere un carattere cordiale, che gli impediva di creare attriti con gran parte dei soldati d'istanza a Skyhold.
-Un gatto bianco e grasso.- ripeté Krem, scuotendo la bottiglia dal collo con un movimento circolare per sciogliere il fondo di birra. -Ames ha ragione, potrebbe essere un diversivo.- confermò, assecondando un cenno d'approvazione di Amun. -O un modo per farvi dubitare del Comandante. Sarei curioso di sapere che informazioni ha ricevuto, se non fosse che la curiosità è una malattia mortale per uno che fa il mio mestiere.- appoggiò una spalla alla parete, mentre osservava il salone riempirsi per via del cambio di turno. Buttò la testa all'indietro, mentre si scolava l'ultimo sorso di birra, poi schioccò le labbra con soddisfazione. -Penso che farò una passeggiatina con i ragazzi per smaltire l'alcol. Ci vediamo qui tra un paio d'ore?- propose, passando un'occhiata sul viso di Shaan, che si era fatto pensoso.
Lui annuì, forzando un sorriso. -Ci conto. Dobbiamo ancora stabilire il suo pagamento, d'altronde.-
Krem inarcò un sopracciglio sopra un'espressione giocosa. Sollevò la birra vuota, indicandola con un breve cenno del capo. -Un'altra di queste andrà bene, non perderci il sonno.- lo rassicurò, per poi battergli una mano sul braccio e andarsene.
Shaan lo guardò allontanarsi, poi si voltò verso Amun, che aveva il viso contorto dalla disapprovazione. -È una cosa che fate spesso?- domandò quello, una volta che furono usciti.
Shaan si permise di sporcare i lineamenti del viso con un po' di sincerità, dato che erano finalmente in un luogo neutrale e iniziava a provare un certo senso di affinità con la sua compagnia. -Ci stiamo reciprocamente sull'anima.- rivelò.
Amun strozzò una risata. -In effetti, mi sembrava che foste un po' troppo amichevoli.- commentò, controllando di nuovo il contenuto del suo pacchetto. -Funzioni all'inverso come me, insomma.-
-Dici perché divento una spina nel fianco solo con le persone a cui tengo sul serio?- domandò Shaan, procedendo verso le mura. Amun aveva smesso di dispiacergli. Quasi quasi, iniziava a percepire quel senso di fratellanza che si scaturiva solo in presenza di quei pochi che considerava amici veri; persone con cui non doveva camminare sulle uova per paura di ferirle.
-Guarda, sei una spina nel fianco anche quando ti sforzi di essere adorabile.- lo punzecchiò Amun, dandogli l'idea che quel sentimento potesse essere reciproco.
Fece per rispondergli, ma un placcaggio degno della più spettacolare rissa da bar gli fece mozzare il fiato in gola, impedendogli di finire schiacciato da un costone di mura che si era appena staccato dal camminatoio sovrastante.
Con gli occhi e i polmoni carichi di polvere, Shaan non sapeva se dare la precedenza al pianto o a dei sonori colpi di tosse, quindi li fece esibire entrambi in un duetto di dolore e adrenalina.
Alzando lo sguardo, notò che a proteggerlo c'era una mezza sfera di rami intrecciati e saldati nel fango. Anche se le immagini attorno a lui erano ancora molto sfocate, seppe subito che a evocarli era stata Neria, perché la sua magia era unica nel suo genere a Skyhold. Però, non fu lei a parlargli.
-Meno male che il Comandante ci ha chiesto di darti un occhio.- pronunciò la voce decisa e pregna di rotacismi di Ser Darrow. Shaan ipotizzò che fosse stata lei ad aiutarlo, di conseguenza, Neria aveva protetto entrambi dal crollo. La Templare era profondamente seria. -La brutta notizia è che qualcuno sta cercando di farti secco.- affermò.
Shaan si rifiutò categoricamente di rispondere con sarcasmo, perché era chiaro anche a lui quello che era appena successo. -E la buona?- chiese.
-Non ce n'è una buona. Sei nella merda. Punto.-
Sentire Divine e martiri cadere dal cielo, tirati giù crudamente da Amun, gli ridiede il sollievo che la troppa sincerità di Ser Darrow gli aveva tolto. -Ci ho messo tutta la notte a confezionare questa fottuta giacca!- berciava, poco distante.
Shaan si accasciò a terra, chiuse gli occhi e si appoggiò una mano sul cuore. -Questa è una crisi come si deve.- affermò.

Seduto sull'ampio divano che ingentiliva lo studio dell'Ambasciatrice, Shaan sorseggiò una tazza di tè come un animale da salotto, mentre i tre consiglieri lo osservavano con una punta di aspettativa negli sguardi.
Lui, però, si fece attendere. Ne aveva il diritto, d'altronde.
Purtroppo, alle sue spalle Amun soffriva di desiderio di rivalsa. -Ma come cazzo funziona la sorveglianza qui?- disse, aggrappandosi allo schienale del divano nello sporgersi oltre. -Prima il sigillo, poi la frana... ma cosa fanno le guardie invece di lavorare, giocano a dadi?-
Dei consiglieri, solo Josephine aveva rispettato il codice d'abbigliamento del giovedì, esibendo un bellissimo completo turchese che era tutto un volant. Come una bomboniera affranta, si rivolse a Cullen. -La situazione è fuori controllo. Quello che mi chiedo è come abbiano fatto a farcela di nuovo sotto il naso.-
Shaan posò uno sguardo accigliato su di lei, mascherandolo abilmente con una smorfia di fastidio facilmente attribuibile a una sorsata di tè che non gli era scivolata bene sulla lingua. Si sorprese di non vedere l'Ambasciatrice troppo alterata, cosa che solitamente succedeva durante scenari analoghi. Con altrettanta sorpresa, notò che l'Usignolo aveva una ruga di preoccupazione tra le sopracciglia sottili. -Voi sapevate che c'era qualcosa che non andava ancora prima che ne parlassimo.- disse, imponendosi di non perdere la calma. -Pensavate di dirmelo, prima o poi?-
-Non pensavamo che queste attenzioni nei suoi riguardi si sarebbero fatti così audaci.- ammise Leliana, poco disposta a mantenere la facciata. -E no, non pensavamo che sarebbe stato il caso di avvisarla, Shaan. Temevamo che avrebbe potuto prendere provvedimenti che avrebbero messo in allerta il nostro intruso.- fece una piccola pausa. -O intrusi.- si affrettò ad aggiungere.
Nei suoi riguardi? Shaan si costrinse ad appoggiare la tazzina, per prendere le distanze dal fremito che si era impossessato delle sue dita. -Mi conoscete davvero poco, insomma.- replicò, accavallando le gambe per racchiuderci le mani. -Custodisco i segreti dell'Inquisitrice da mesi, anzi, da anni. Avrei affrontato una simile parentesi con il piglio giusto.-
-La conversazione di stamattina mi ha confermato il contrario.- intervenne Cullen, che teneva le braccia incrociate sul petto.
-Per ignoranza, Comandante. Non mi fa piacere confrontarmi in quel modo con qualcuno. Se avessi saputo con cosa avevamo a che fare, mi sarei comportato diversamente.- replicò Shaan, che non aveva nessuna intenzione di scusarsi.
Cullen non apparve convinto delle sue parole. -Vi avevo suggerito di parlarne con sorella Leliana, ma non sono stato ascoltato. Per farmi dispetto, suppongo.-
-Sono venuti, ma io ero a colloquio con Charter.- gli suggerì la collega, coprendo le sue parole con il dorso delle dita.
Shaan e Amun conversero un'occhiata carica di significati molto intuibili su Cullen, le cui labbra si stringevano sempre di più a ogni secondo che passava. Era indeciso se scusarsi o fare finta di niente. D'altronde, quella mattina non si erano separati nel migliore dei modi.
-Santissima Andraste.- esalò Josephine, appoggiando una mano sul cammeo che fermava il jabot. La sua espressione era accigliata, per usare un eufemismo. -Che brutta situazione.-
-Avete già dei sospetti?- domandò Shaan, impedendo ad Amun di commentare.
-Diversi, sì.- gli rispose Leliana, allacciando le mani dietro la schiena, mentre si dirigeva verso il caminetto. -Purtroppo, nessuno dei sospettati potrebbe trovare un uso pratico per il sigillo dell'Inquisitrice, dato che è un falso.-
Un altro non-detto. -Astuto.- commentò Shaan, reprimendo una smorfia di disappunto. -Se queste persone intendono nuocere all'Inquisitrice, è il caso di agire d'anticipo. Hanno già avuto accesso alle sue stanze e alla fucina, bisogna che le prossime aree che intendono visitare siano prive di oggetti essenziali.-
Josephine e Amun assunsero un'occhiata perplessa. -La fucina?- domandò lei.
Fu Leliana a risponderle, con un tono apparentemente distaccato, ma che lasciava tradire il suo stato emotivo tramite un'eccessiva profondità. -Non si è trattato di un crollo spontaneo.- rivelò. -Probabilmente, è stata usata una miscela acidica, tale da creare una corrosione rapida e invisibile. Le uniche abbastanza potenti da giustificare una reazione simile provengono sicuramente dalla fucina.-
-L'unica che aveva il permesso di utilizzare sostanze del genere era Dagna, finché l'Inquisitrice non ha deciso di metterle sotto chiave nella cassaforte della fucina.- intervenne Cullen.
-E ti credo, quella è più distratta di una banderuola! Se non fosse per Ankh, si macchierebbe il tè con la calce viva.- commentò Amun, incrociando le braccia sullo schienale della poltrona. Nello scorgere il profilo dei suoi avambracci con la coda dell'occhio, Shaan si rese conto che non indossava più la vestaglia. -Allora, che cosa intendete fare?-
Gli rispose Cullen. -A lei consiglio vivamente di tornare al laboratorio.- disse, per poi voltare il capo verso Shaan. Non incrociò il suo sguardo, appoggiando il proprio su un punto indefinito tra le sopracciglia e l'attaccatura dei capelli. -A te, invece, di non mancare agli appuntamenti odierni.- fece, attirando su di sé un'occhiataccia da parte di Josephine. Quello che però lei aveva colto come un appunto sgarbato, in realtà era un consiglio realmente importante.
Shaan ignorò le proteste di Amun, finì il suo tè, poi si alzò con grazia, spazzolandosi il completo. -Ha ragione. D'altronde, anche se lei è distante, sono sempre il suo segretario.- disse, rivolgendo un sorriso composto ai presenti. -Fatemi sapere come posso esservi utile. Nel frattempo, arrivederci.-
Quando si voltò verso Amun, che lo osservava in un misto di rabbia e sbigottimento, si rese conto che al contrario suo, lui non si sarebbe arreso così facilmente. Fece il giro del divano e lo prese sottobraccio. -Bisognerà confezionarle un'altra giacca, voglio saperne i costi, dato che a quanto pare è a causa mia se si è distrutta.- disse, trascinandolo letteralmente fuori dal salotto.
Il suo udito, superiore a quello di un Umano, colse al volo un: -Per il Creatore, non ci avrei scommesso tutto l'oro del mondo che quei due erano imparentati!-

Nemmeno Shaan l'aveva intuito al volo. La differenza razziale era un ottimo deterrente per chi cercava di compararli.
Però, più osservava Amun, più notava che la somiglianza con lethallin era palese. A partire dall'allergia a farsi i fatti propri, che era una delle poche cose che non avevano ereditato dal padre. Gli occhi acuti, le mani sempre attive e i capelli pallidi, però, li avevano presi da lui. Forse era per quel motivo che lei se li tingeva e lui li copriva con una quantità imbarazzante di gioielli.
Con la schiena appoggiata alla parete dell'atelier di Adra, esplorò il profilo aguzzo di Amun, mentre tagliava la stoffa. Le palpebre subivano la pressione delle sopracciglia aggrottate, stringendosi in due fessure di frustrazione.
-Che cos'avrà di così affascinante quel tronco di colonna?- borbottò Amun, consultando il cartamodello che aveva appoggiato sul pianale su cui stava lavorando.
-Beh, è evidente. È esattamente un tronco di colonna.- rispose Shaan, con tutta l'intenzione di provocargli una reazione caustica. Ormai, aveva deciso che quella sarebbe stata una loro dinamica.
Amun gli gettò un'occhiata di totale disapprovazione. -Ogni volta c'è un tronco diverso, ma la sostanza è la stessa.- commentò, facendo scivolare le forbici sulla stoffa. -Ci sbatterà la testa fino a rompersela in mille pezzi.-
-Non puoi biasimarla per avere un tipo.-
-Sì, se il tipo è un testa di cazzo.-
Shaan ridacchiò. -Per chi tifavi tu?-
Amun sollevò le sopracciglia in maniera eloquente. -Secondo te?-
Ci volle un po' a Shaan per individuare il candidato nel registro delle delusioni amorose di lethallin. Purtroppo, era facile confondersi in un corridoio pullulante di credenze dal brutto carattere con i capelli chiari. Quando lo trovò, si morse le labbra su un'espressione dolorante. -Ma che davvero?- domandò, in tono aspro. -Il vigliacco?-
Amun esalò un sospiro stanco. -Il vigliacco.- confermò. -Chissà che problema avrà questo.- aggiunse, allontanando la stoffa in eccesso con un gesto brusco.
Shaan avrebbe voluto correggere la frase per inserirci un plurale, ma in qualche modo sentiva che il Comandante aveva ricevuto abbastanza ingiurie in un giorno solo. Si mosse dal suo angolino, per appoggiare le mani sulle spalle del suo nuovo migliore amico. -Ce la fai a stare buono buonino qui, mentre vado a fare la spesa?- domandò, sporgendosi verso di lui con un sorrisetto.
Amun sbuffò, alzando gli occhi al cielo. -Ho altra scelta?- bofonchiò.
-Purtroppo no, lethallan.- rispose Shaan, recuperando la sua cartellina dal tavolo per dirigersi verso l'uscita. -Salutami la signora.-
-E tu vedi di non fare una brutta fine, o mi toccherà mettere in pratica quello che ho minacciato di fare stamattina.-
Anche se non la vide, l'espressione schifata di Amun scaldò il cuore a Shaan meglio di qualsiasi atto d'affetto canonico.

Il calore si dissipò giusto un po' quando, una volta esaurita una buona dose di burocrazia a nome della sua datrice di lavoro, Shaan si ributtò il cappotto sulle spalle e si diresse al Riposo.
Era in lieve anticipo, ma se una volta avrebbe approfittato di quel tempo in avanzo per fare un salto a vedere come procedeva l'affresco della Rotonda, in quel frangente gli pareva davvero brutto correre il rischio di farsi cadere qualcos'altro sulla testa. Gli affreschi del signor Solas erano troppo importanti, non se lo sarebbe mai perdonato se fosse successo loro qualcosa.
Per fortuna, la primavera aveva deciso di imporsi un pochino nel cortile, permettendo al sole di regalargli un caldo abbraccio al profumo di fiori durante il pomeriggio. Del freddo assassino restavano solo qualche promemoria qua e là, ben distanti dai diplomatici che scambiavano due chiacchiere con la giacca sottobraccio e dai soldati che prendevano il sole appollaiati sulle mura a maniche arrotolate.
Shaan dispensò il giusto numero di sorrisi a chi riconosceva sul suo cammino, anche a quel paio di nobili minori che avevano finto di non vederlo, quindi entrò al Riposo, con tutte le intenzioni di mettere chiarezza nella situazione. L'incertezza, seconda solo alla sensazione che tutte le sue mosse venissero controllate, lo stava facendo seriamente innervosire.
Come se niente fosse, si diresse al bancone e fece un cenno a una delle cameriere sotto al servizio di Cabot che, esausto dal servizio di pranzo, dormicchiava come una colata di cera a ridosso di una botte.
La cameriera aveva appena fatto in tempo a posargli un calice di vino sotto al naso, quando le sue spalle vennero avvinte da un abbraccio che lui avrebbe preferito risparmiarsi. Shaan rinnegò l'istinto di assestare un calcio sugli stichi a Krem e gli rivolse un sorriso affascinante.
-Ho un po' di mal di gente.- ammise Krem, che capita l'antifona aveva preferito spostare il braccio sul bancone, piazzandolo in modo da sorreggersi. -Ti dispiace se andiamo a farci una bevuta in un posto più appartato?-
Shaan si bagnò le labbra con il vino. Era terrificante di gusto, ma abbastanza carico da regalargli un po' di coraggio. -Credevo non me l'avresti mai chiesto.- scherzò, voltandosi interamente nella sua direzione. Krem gli fece l'occhiolino, poi fece strada.
Una strada che durò due rampe di scale e diverse, troppe, ragnatele tra i capelli. Prima di accedere ai camminamenti dal locale soffitta, Krem fece aderire la schiena sull'uscita, bloccando a Shaan il passaggio. -Avete a che fare con due gentiluomini.- annunciò, tenendo la voce bassa. -Il primo è effettivamente un mutaforma, ma dubito che sia lui il responsabile degli incidenti.-
Shaan corrugò la fronte. -Come l'hai scoperto?-
Krem gli rispose con un cenno d'attesa. -Te lo posso far vedere, ma devi assecondarmi.- disse. -Sai, anche se la simpatia che ho per te è direttamente proporzionale all'apprezzamento che si prova per un fungo al piede, preferirei che uscissi da questa situazione tutto intero.-
-Quindi...- Shaan sollevò le sopracciglia sopra un'espressione sorpresa. -Se anche tu sei preoccupato, la cosa è più seria del previsto.- dedusse.
A Krem non servì confermarlo. -Reggimi il gioco.- disse, allungando la mano nella sua direzione. Shaan esitò, poi la strinse.
Prima di avere quella brutta conferma, affacciarsi al calore del sole, incoraggiato dal pizzicorio alla gola donato dal vino, lo avrebbe confortato. In quel momento, però, si sentiva orribilmente esposto. L'unico rifugio sicuro in cui sentiva che era il caso di appigliarsi, in quel momento, era dato dall'uomo che lo accompagnava, tenendolo sottobraccio. Anche se lo riteneva incapace di formulare un pensiero più profondo di un orfizio auricolare, sapeva che era un ottimo guerriero.
Certo, avrebbe preferito farsi accompagnare da una persona diversa, ma in un certo senso gli andava bene stare con qualcuno incapace di capire quanto la situazione lo stesse sconvolgendo. La presa salda di Krem e il suo sguardo vigile lo spinsero a considerare, solo mentalmente, che forse avrebbe fatto bene a ringraziarlo con qualcosa di più di una fragile bottiglia di birra.
Sorseggiò il vino, fingendo che quella scorta fosse la più romantica delle uscite. Suppose che fosse quello il fantomatico gioco che doveva reggere. Era facile, anche senza la scusa che la sua sopravvivenza dipendesse da quello.
-Un fungo al piede.- mormorò, contento che il vino avesse fatto effetto così rapidamente.
Krem gli gettò una rapida occhiata, allegata a un sorrisetto. -Sono figlio di mercanti, le mie metafore non sono argute e ridondanti come le tue.-
Shaan si rigirò il bicchiere vuoto tra le dita della mano libera. -Io sono figlio di schiavi. Non c'entra da dove vieni, c'entra lo spazio che intercorre tra una tempia e l'altra.- rispose. -Sai qual è la prima frase che ho imparato a leggere?-
-Me ne importa poco, ma scommetto che me lo dirai comunque.-
Shaan sbuffò una breve risata dal naso, arricciando gli angoli della bocca. -"Maestro Decimo Chatacis. Visse come faro, riposa alla luce di cento candele".- recitò. -Il mio padrone mi chiudeva nel mausoleo di famiglia per ore, quando mio nonno faceva cadere qualcosa nell'archivio.- fece una pausa. -Era accidentale, soffriva di artrite. Penso fosse più un modo per sfogare le sue frustrazioni, o per dare un senso al tempo a spese di qualcuno, che per punirlo veramente. Lo ha fatto passare a suo padre, prima di lui, poi lo ha fatto passare a me.-
-Mi dispiace.- commentò Krem. Dal tono di voce, sembrava più un modo per sveltire la conversazione, più che uno slancio di compassione. Questa fu l'impressione che fece a Shaan, che fortunatamente della compassione se ne faceva poco o niente.
-Le prime volte battevo sulle porte granitiche fino a farmi sanguinare i pugni, mentre i cadaveri peregrinavano tutt'attorno facendomi una paura assurda. Poi passare la notte lì ha iniziato a diventare un'abitudine, tanto che arrivavo persino ad annoiarmi. Ci facevo conversazioni intere con gli avi del padrone. Unilaterali, dato che alle mie domande complesse loro rispondevano con "uuurgh" e "iiiih". Non erano troppo diverse da quella che stiamo tenendo adesso, insomma.-
Krem ridacchiò. -Mi sa che tutti i tuoi interlocutori presto o tardi finiranno in uno stato di decomposizione cerebrale.- lo punzecchiò.
-Ah, tu eri già così ancora prima che ti rivolgessi la parola.-
-Ho anch'io qualche storia strappalacrime sul Tevinter, sai? Non sei l'unico ad averla avuta difficile.-
-Lo so che l'hai avuta difficile, ma anche se provassi per te tutta la solidarietà di questo mondo...-
-...ti farei schifo uguale, lo so, è reciproco.-
Si scambiarono un bel sorriso, stavolta complice, poi procedettero finché non arrivarono in prossimità dell'ufficio del Comandante. Lì si fermarono.
-Riesci a vedere le stalle da qui?- domandò Krem, incrociando le braccia sulla balaustra del camminamento. Shaan lo imitò, attento che la cartellina non finisse nel vuoto. -Direi di sì.- rispose, facendo per guardare in quella direzione.
Le cavalcature rimaste al castello brucavano tranquillamente l'erba attorno al pozzo, poco lontane da mastro Dennet che ripuliva le mangiatoie approfittando del sole per fare in modo che si asciugassero più rapidamente. Era un'illustrazione di tranquillità intrappolata in una cornice caotica. Shaan guardò attentamente i paraggi, senza capire cosa ci fosse di così importante da vedere.
-Distogli lo sguardo.- lo avvisò Krem, avvicinandosi un po' per sistemargli un ciuffo di capelli dietro l'orecchio. Shaan si concentrò sul suo viso per qualche istante, prima di porgergli un interrogativo. Krem, però, lo anticipò. -Quanti sono gli halla?-
-Sono tre, come al...-
Il sangue gli si raggelò nelle vene. Gli halla erano tre, come al solito, compresa Cornelia.
Cornelia che era assente da giorni, partita assieme a lethallin.
Con le budella attorcigliate dal terrore, Shaan dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non dare di stomaco. -Perché non lo prendete?- domandò, con un leggero tremito al labbro inferiore.
Krem gli indicò il cortile con un cenno del capo. Cornelia era scomparsa. -Ci sfugge di continuo.- rispose, poi si sporse per appoggiargli un bacio sulla guancia e, in quel modo, per dargli un ulteriore rassicurazione. -So che è un'impresa, ma fa' tutto quello che ti dice lui.-
Shaan si aggrappò momentaneamente a una cinghia della sua uniforme, perché le gambe avevano iniziato a cedergli.
Rimase nella più completa immobilità per un tempo indefinibile. Non riusciva a capire perché la copia sputata di Cornelia gli facesse così paura. Forse non era paura quella che provava, ma sapere che qualcuno stesse alterando la sua percezione del mondo solo per il gusto di tormentarlo era destabilizzante.
Krem gli tolse il bicchiere di mano, appoggiandolo sul parapetto, poi gli passò una carezza vigorosa sul braccio. -Sei stato impassibile fino adesso, ti pare il momento di dare di matto?-
Shaan scosse la testa nervosamente, mollando la presa per recuperare la cartellina. La strinse con forza al petto, creando un solco concavo tra pelle e lana, poi si sforzò di fare un respiro profondo. Nonostante il cuore gli battesse a mille e ogni centimetro della sua pelle fosse irto come la buccia di un mandarino, Shaan sorrise. -Hai un talento naturale per farmi girare la testa.- scherzò.
Krem gli strizzò l'occhio, poi gli indicò la porta dell'ufficio del Comandante con un cenno del capo. -Vai, prima che ti butti giù dal muro.-
Shaan non se lo fece ripetere due volte.

Era scosso, molto, ma non poteva fare irruzione come un messaggero qualsiasi.
Si schiarì la voce, chiuse le dita della destra a pugno, mentre si sorreggeva letteralmente alla cartellina, e bussò due colpi alla porta con enfasi. Non ci volle molto prima di sentire un -Avanti- secco e sbrigativo.
Trovò il Comandante a discutere con un messaggero dell'Ambasciatrice, quindi decise di attendere sull'uscio per educazione, prendendosi i suoi tempi per chiudere la porta, nonostante la sua volontà fosse quella di barricarsi dentro.
Istintivamente, fece ciò che faceva in adolescenza: aspettare docilmente che il padrone concludesse, facendo finta di essere una mosca sul muro, senza orecchie per intendere gli affari privati che non gli competevano e senza emettere un suono al di fuori del suo respiro moderato. Era una bambola a disposizione della sua paura e quella sensazione non fece altro che accrescere il senso di nausea che lo attanagliava da quando aveva visto Cornelia.
Quando il messaggero si chiuse la porta alle spalle, Shaan si ritrovò a trasalire. Aveva appena concluso un viaggio nel tempo particolarmente umiliante, d'altronde.
Drizzò la schiena, sollevò il mento e rivolse la sua attenzione al padrone di casa, che gli stava facendo cenno silenziosamente di seguirlo alle spalle della scrivania. Shaan non esitò, cosa che avrebbe fatto normalmente di fronte a una richiesta di quel tipo, ma quella situazione metteva la fine in cima e le intestazioni in coda.
Senza dire una parola, Cullen spostò la poltrona e sollevò un lembo del tappeto che appesantiva il pavimento, scoprendolo. -Ti prego di mantenere il riserbo su questo passaggio.- si raccomandò, infilando le dita nell'intercapedine di una botola per aprirla. Una scala a pioli ancorata a un muro verticale anticipava un corridoio oscuro dal quale fuoriusciva un intenso olezzo di polvere. Shaan osservò quell'ambiente nero come l'inchiostro con aria dubbiosa, poi spostò uno sguardo incerto su Cullen, come se aspettasse il suo permesso.
L'espressione incoraggiante che trovò alla fonte gli fece finire quel poco di amor proprio che gli restava sotto le caviglie. Con il suo atteggiamento risibile era riuscito a farsi compatire persino da lui.
Discese la scala con la cartellina tra i denti, rischiando di scivolare un paio di volte a causa di un piolo arrugginito, o peggio, viscido di umidità.
-Skyhold è piena di passaggi segreti, a quanto pare.- commentò, una volta che Cullen lo ebbe raggiunto.
-Ce ne sono una decina, alcuni purtroppo sono ostruiti.- rispose l'altro, accendendo facilmente una torcia appesa alla parete. La prese, usandola come fonte di luce mentre faceva strada. Il corridoio, davvero angusto, sembrava muoversi a ridosso dei muri della torre, perché ogni cinque sei metri c'era una brusca svolta a elle in leggera pendenza. Procedettero in fila indiana, perché le pareti erano talmente vicine che Cullen doveva procedere di lato, camminando di tanto in tanto come un fiorettista antivano per evitare un mattone o un mucchio di ragnatele. -L'Inquisitrice sa di questo...?- Shaan indicò con un cenno i paraggi, senza concludere la domanda.
Cullen gettò una rapida occhiata alle sue spalle. -Anche se siamo in una relazione, io e l'Inquisitrice siamo d'accordo che non ci serve sapere tutto l'uno dell'altra.- rispose.
Shaan si tenne per sé quanto stupida gli sembrasse quell'affermazione. -Krem mi ha...-
-Non siamo ancora al sicuro.- lo interruppe Cullen. -Cerca di resistere, lo so che c'è un odore un po' fastidioso quaggiù, soprattutto per i nasi più recettivi.-
In realtà, a Shaan quell'odore non dispiaceva, anzi, gli ricordava gli ultimi anni passati al fianco di suo nonno a studiare le rovine elfiche delle Valli. Trascrivere i glifi che abbellivano frammenti di dipinti delicatissimi, ricalcare i bassorilievi imbevuti della luce del velfuoco, emozionarsi di fronte alla statua di un Cavaliere di Smeraldo la cui lancia si protendeva verso un'impresa epica... se il suo orgoglio gliel'avesse permesso, Shaan si sarebbe commosso.
Sapeva che Ankh avrebbe apprezzato di trovarsi laggiù tanto quanto lo stava apprezzando lui in quel momento. -Dovrebbe dirglielo.- mormorò.
-Cosa?-
-Dovrebbe portarcela.-
Cullen non disse nulla per un minuto buono. -Solo se sarà necessario. E, francamente, mi sento in difetto a portarci te per primo.- sussurrò, a ridosso dell'uscita.
Fuoriuscirono in uno spazio basso e impregnato di umidità, le cui superfici erano talmente lucide e globulose da sembrare l'interno dello stomaco di un grosso animale. C'era una torcia per ogni parete, ma nemmeno con un'illuminazione adatta quel posto avrebbe potuto avere redenzione. E poi c'erano i ragni, tantissimi ragni, uno in particolare era grosso quanto la testa di Re Bhelen e faceva la guardia a una porta blindata che di sicuro si affacciava su corridoi ben più stantii di quello che avevano percorso in precedenza.
-Mi rimangio il mio suggerimento.- disse Shaan, mentre Cullen avvicinava due sgabelli recuperati da una pila al di sotto di una delle torce. Approfittò di quel mini trasloco per fare un giro di perlustrazione della stanza, con aria interessata.
Nonostante fosse chiaramente un posto in cui nessuno avrebbe voluto trascorrere del tempo, c'erano diversi boccali sparsi a terra, due casse di sigillate da cui fuoriusciva uno sbuffo di piume e un gran numero di effetti personali ammonticchiati in un angolo.
-Mi dispiace essere ricorso alla segretezza, ma non potevo discuterne di fronte alle mie colleghe.- disse Cullen, attirando l'attenzione su di sé.
Shaan, che stava studiando una ragnatela particolarmente complessa, si voltò nella sua direzione e constatò che aspettava lui per sedersi. Un riguardo peculiare, ma non troppo distante dalla sua personalità.
-Per essere una persona così schietta, mi sembra bizzarro che non si faccia problemi a tenere dei segreti.- commentò, prendendo finalmente posto.
Cullen lo imitò dopo poco. -Non mi piace, ma a volte è necessario farlo.- ammise. Shaan riconobbe un certo grado di disagio nel suo sguardo. Si corresse: non era solo disagio, era esasperazione.
In quel momento capì perché lethallin si fosse innamorata a prima vista di quell'uomo. Era decisamente un tronco di colonna. Una colonna rotta a cui mancava il capitello, ma che si ostinava a reggere un tetto molto pesante, o ciò che rimaneva di esso, perché era stata costruita in modo da non cedere nemmeno sotto la pressione più forte. Nei suoi lineamenti contratti riusciva tranquillamente a riconoscere un amalgama di dolore e fierezza, così distinte e così unite da avere l'una la forma dell'altra.
-Cos'è successo, a quell'uomo?- domandò Shaan, mentre il suo corpo veniva pervaso da un binomio di malinconia e conforto.
Cullen si passò una mano sulla barba, appena accennata, ma rumorosa e tagliente come una grattugia. -Ser Declan aveva smesso di prendere il lyrium da due settimane. Stanotte ha avuto una brutta ricaduta e, senza dire niente, ha attinto alle scorte dei suoi confratelli.-
Shaan aggrottò la fronte. Sembrava un resoconto, un rapporto militare asciutto e conciso, eppure in quelle parole c'era una gran pesantezza. -Non so proprio cosa dire.-
-C'è davvero qualcosa da dire? Concentriamoci su altro.- decretò Cullen, fissandolo con aria severa. -Krem ti ha fatto vedere Cornelia, suppongo. Quando sei entrato, eri più bianco di un osso di seppia.-
Shaan, che in quel momento si sentiva abbastanza al sicuro, riprese immediatamente il controllo del proprio raziocinio. -State aspettando che cambi forma, immagino.-
Cullen diede un cenno d'assenso. -Il problema non è lui, purtroppo. Sospettiamo che si avvalga di un complice.-
-Come l'avete scoperto?-
-L'ha scoperto Lav.-
Shaan batté un paio di volte le palpebre, confuso. -Lav?- ripeté, scandendo bene quel soprannome.
Cullen si morse le labbra, spostando lo sguardo altrove. Rimase così, come se fosse indeciso se proseguire oltre, oppure stava cercando il coraggio di dire qualcosa che gli costava un grande sforzo di volontà. -Questa è la parte che non ho riferito alle mie colleghe.- disse, abbassando il tono di voce. Era un sussurro basso, impastato dall'imbarazzo.
-E perché io dovrei venirne a conoscenza?- domandò Shaan, sporgendosi appena nella sua direzione, per invitarlo a proseguire. Seguì con lo sguardo il suo pomo d'adamo scontrarsi sulle pareti della gola in una contrazione nervosa. Ci aveva visto giusto, era imbarazzato.
Cullen estrasse una lettera dalle falde del mantello, tenendola saldamente fra loro. Lo sguardo che rifilò a Shaan trasudava insicurezza. -Il contenuto è... non è per gli occhi di tutti, ma se la conosco bene, e penso di conoscerla davvero bene...- deglutì nuovamente. -Non è quello che sembra, ecco tutto.- concluse, porgendogliela con riluttanza.
Per raccoglierla, Shaan adagiò la cartellina in grembo e, senza distogliere lo sguardo da quello del Comandante, spiegò la lettera con tanto di calma. Una volta scorse le prime due righe capì il perché di quell'atteggiamento.
Era una lettera d'amore. Una lettera d'amore intima. Una lettera d'amore intima che apparteneva al cuore di un'altra persona.
Gli bastarono le prime tre parole per risentire la bile lottare contro di lui verticalmente.

Vhenan, ma vhenan,
Non riesco a sopportare di essere la luna senza nome, compagna di un'esistenza che riguarda occhi diversi dai miei. Non posso aspettarti, non posso rincorrerti, siamo in due cieli diversi, di qui e di là, adesso e nel non tempo.
Siamo sempre stati come i due gufi, quello che osserva e quello che caccia.
Il mio cuore è rimasto con te e io devo seguirlo. Ci vedremo presto.

Shaan tarpò un singhiozzo a mano aperta, che lo scosse dentro e fuori.
A quanto pare, il suo interlocutore non si aspettava una reazione simile. Infatti, arretrò il capo, osservandolo sciogliersi in un pianto nervoso con aria sbigottita.
Piegato in due dal dolore atroce che gli crivellava il petto di fitte intense, Shaan si sentiva sempre più umiliato. Strinse la lettera nel pugno, sentendo le pieghe della carta fare un'acuta pressione sulla sua pelle, affilate come il ricordo che quelle parole si portavano dietro e come le domande che il suo atteggiamento avrebbe scaturito.
-Non... mi scuserò.- disse, talmente rauco e profondo da aver cambiato totalmente identità. Nella sua visuale sfocata, individuò gli occhi del Comandante e riversò su di loro una rabbia talmente vivida che sentì la sua pelle ribollire. -Non ha realizzato che questa è una scrittura diversa?- domandò, lottando contro il desiderio di spingergli la carta in gola.
-Allora avevo ragione.- mormorò Cullen, accigliato. -Avevo il dubbio che, nonostante fosse indirizzata a me, avrei dovuto farla leggere a un'altra persona, qualcuno che la conosce bene. Non pensavo che…- si interruppe. -Shaan, è la sua scrittura. Controlla bene.-
Shaan si costrinse ad assecondarlo. Si asciugò le palpebre con il palmo della mano, con forza e senza riguardo. Quando i suoi occhi furono di nuovo in grado di mettere a fuoco le parole e il suo respiro abbastanza libero da poter articolare una frase legata a un pensiero, sbucciò la lettera accartocciata e provò a prestare una maggiore attenzione al testo. Effettivamente, la scrittura era quella di lethallin.
Provò davvero a pensare a una giustificazione, mentre le unghie della mano destra grattavano istintivamente il tessuto del gilet che stava sopra al suo cuore. Lei era l'unica al mondo a saperlo. Strumentalizzare qualcosa di così intimo (facendone partecipe un'altra persona tra l'altro) per trasmettergli un messaggio era superficiale, crudele e vergognoso.
-Ora è il mio turno di chiederti cosa sia successo.- disse Cullen, abbassando di poco il tono di voce. Shaan fu lieto di vedere che nel suo viso non ci fosse pietà, solo sorpresa.
-Non ha il diritto di saperlo.- rispose, lisciando il foglio sopra la cartellina per riprendere ogni singolo frammento di compostezza che aveva perso esplodendo.
-No, ma oggi non voglio vedere altre brave persone morire quindi, ti prego, fa' uno sforzo.- ribatté Cullen, con la voce incrinata dal nervosismo.
Shaan gli gettò addosso un'occhiata pregna di disprezzo. -Mi pare che sia l'unico qui che stia davvero facendo uno sforzo. Un atto di fiducia continuo, che viene ripagato con dei sotterfugi.-
Cullen rimase in silenzio a lungo. -Sto facendo di tutto per capire, ma devi darmi qualcosa su cui lavorare.- disse, e Shaan percepì che si stava sforzando di mantenere la calma. “Non voglio vedere altre persone morire” aveva detto, con il dolore che si abbatteva sul suo viso, cercando di sfigurarlo come un'onda oceanica che gradualmente divora la stabilità di una scogliera.
Lui però era completamente ignorante sul significato della lettera. Non era al corrente del demone che lethallin, che l'Inquisitrice aveva risvegliato, aprendo una vecchia cicatrice con la stessa facilità con cui apriva lo stomaco di un cervo per sviscerarlo.
-Posso capire perché abbia subito pensato che fossero in due.- disse Shaan, continuando a stirare la lettera. -Uno che agisce, l'altro che osserva.-
Cullen diede un cenno d'assenso, invitandolo a continuare.
-Non è così. L'altra persona non c'è.-
-In che senso?-
Shaan esitò, prima di sollevare il foglio, ora in condizioni migliori. -Questa è una lettera d'addio.- gli rivelò, in un sussurro soffocato.
Il suo interlocutore, con il viso dapprima contratto dalla serietà, rasserenò i lineamenti. -Capisco.-
Shaan consegnò la lettera tra le sue mani, quasi spingendola. -No, non penso. E non penso che nemmeno lei capisca, se è arrivata a trascrivere una cosa del genere con l'unico scopo di avvisarmi che è una faccenda legata al passato.-
Cullen ripiegò il foglio con cura, prima di intascarlo. -Quindi è probabile che anche la persona che ti stia tormentando provenga dal tuo passato.-
-Non ho nemici, Comandante.-
-Nemmeno di riflesso?-
-Come mi avete fatto capire durante la riunione di prima, non godo della considerazione della gente con cui mi sono alleato, figuriamoci di quella che ho lasciato per strada.- rispose Shaan. Si schiarì la voce, per interrompere una replica sul nascere. Sfogarsi con uno sconosciuto su qualcosa di così personale era inutile.
Doveva semplicemente farsi da parte e ammettere che lui era quello delle scalette, che funzionava al contrario e che ogni volta che si trovava in una posizione di svantaggio emotivo regrediva a quel ragazzino senza speranza che veniva usato per punire le persone a cui voleva bene.
-Cosa devo fare?- domandò, con la voce macchiata di frustrazione.
Cullen, che non aveva smesso di osservarlo nemmeno per un istante, si approcciò a lui come si era approcciato a Burrows diverse ore prima. -Puoi restare qui, al sicuro, oppure puoi ingoiare il rospo e rimetterti in piedi.- disse.
Shaan si voltò verso quel pezzo di colonna spezzata, cercando di trovare le forze per dirgli che voleva solo ritornare nella sua stanza a dormire. Purtroppo, l'ostinazione di quell'uomo aveva un'influenza maggiore del previsto. -Non è che abbia tanta scelta.- commentò.

Respirò a pieni polmoni l'aria fresca serale che accarezzava la muraglia, chiudendo gli occhi mentre il vento gli arrossiva la faccia.
Ormai, gli importava poco delle condizioni delle sue guance, tanto meno dei suoi capelli che erano diventati leonini. Era in salute, almeno per il momento, ma quella giornata gli aveva ricordato quante ammaccature avesse accumulato nel corso della sua breve esistenza.
-Insomma, non avete risolto un accidente.-
Si voltò verso Amun, che gli era apparso di fianco con una pipa tra le labbra e le mani infilate nelle tasche dei pantaloni. Shaan posò lo sguardo su di lui, che sotto a un paio di bretelle d'oro indossava una camicia troppo larga e con una fantasia di uccelli delle Anderfels, rigorosamente in scala di azzurro.
-Adra ti fa uscire vestito così?- gli chiese.
Nel rivolgergli un sorriso giocoso, Amun fece ballare la pipa tra i denti. -L'ha scelta Vonnie, io non c'entro.-
-Vonnie, Vonnie, Vonnie...- ripeté Shaan, come un'eco che andava degradandosi. -Eccone uno che si divertirebbe un mondo a cercare gli aghi nei pagliai. O a evitare le frane come un daino.-
Amun scorse lo sguardo su Skyhold, che si apriva sotto di loro come un anfiteatro di gente troppo impegnata per assistere a uno spettacolo malinconico. -Se Ankh non nutrisse una gran fiducia nei tuoi confronti, non ti avrebbe chiamato al suo fianco.- disse. Un brusio nel vento.
-Eppure, sembra che stia facendo di tutto per tenermi a distanza.-
-Lo fa con tutti, anche con me. Più ti avvicini, più ti rendi conto che lei è distante anche con se stessa.-
Shaan ci rifletté. Forse era vero il detto che le persone distrutte si attirano a vicenda per sentirsi meno sole. Per lei la sua gente aveva sempre avuto la priorità, ma era solo l'ennesima alpinista alle prese con un monte troppo alto che lottava con l'assenza di ossigeno. Proprio come lui, che si ostinava a redigere documenti che non sarebbero mai stati utili a una discendenza troppo gelosa del passato e troppo timorosa del futuro. -Non siamo troppo diversi dagli Umani.- disse. Un altro brusio nel vento. -Bambini che affrontano il lutto troppo presto, troppo bruscamente, che si rivolgono alla lapide di una tomba vuota, pregando che i nostri genitori ci mandino un segno dal cielo.- chiuse di nuovo gli occhi.
-Ci sono modi e modi di affrontare un lutto.- intervenne Amun, portandosi di fronte a lui.
-L'importante è rialzarsi!- esclamò Shaan, divertito senza essere divertito. Odiava quel genere di rassicurazione. -Senza il diritto di essere tristi. Sempre avanti! Nascondi le lacrime! Nascondi tutto prima che ti vedano soffrire!- ormai era giunto il tempo dell'isteria. Era stanco di farsi prendere in giro, tanto valeva farsi due risate.
Amun sollevò un sopracciglio, squadrandolo attentamente. -A te l'aria di montagna fa male.-
-Mi fanno male le cazzate, lethallan.-
Amun non riuscì a trattenere una risata. Tirò su con il naso, poi spostò la testa altrove. -Non so cosa ti abbia fatto, ma se vuoi quando torna ci faccio due paroline. Non sarò uno spirito della dialettica, ma so farmi capire bene quando voglio.-
Clic.
Qualcosa, un'idea informe immobilizzò Shaan, costringendolo a guardare il vuoto a occhi spalancati. Gli ci volle un minuto buono di richiami e dita schioccate di fronte al naso per riprendersi. Il suo cervello si era messo in moto ed evidentemente non ammetteva distrazioni.
-So chi è il mutaforma.- disse, prima di recuperare al volo la cartellina con tutta l'intenzione di ritornare sui suoi passi.
Ser Darrow e Neria, che lo tenevano d'occhio a distanza, rimasero perplesse nel vederlo attaccarsi letteralmente alla porta del Comandante.
Bussò sonoramente, rischiando di dare un pugno sul petto di Cullen quando gli venne aperto. -Deve darmi la lettera. Subito.- gli intimò.
-Ti è venuto in mente qualcosa?-
-Mi dia quella cazzo di lettera!-
Cullen fu quasi tentato di non dargliela, visto che ci mise un po' a eseguire quella richiesta.
Shaan quasi gliela strappò di mano. La lesse una, due, tre, sette volte prima di guardare in faccia il suo interlocutore. -Non l'ha scritta lei.- affermò.
Cullen aggrottò la fronte, poi si avvicinò ulteriormente a Shaan, guardando il testo dalla sua spalla. -Se non l'ha scritta lei, è grave. Questa è la sua scrittura precisa.- disse, con aria preoccupata.
-Non è precisa.- Shaan lanciò la cartellina sulla scrivania e gli mostrò il foglio sotto la luce di una candela. La scrittura di Ankh era piccola, decisa e nervosa, perché seguire i suoi pensieri era difficile e rincorrerli su carta diventava un'impresa. -Di solito scrive di getto, quindi gli spazi tra le parole sono molto ridotti.- spiegò, indicandogli un punto preciso.
Cullen si allontanò di un passo per poter leggere con più facilità. -Certe parole sono divise da una spaziatura più ampia.- appurò.
Shaan annuì con convinzione.
-Ora lo vedo.-
-L'ho scritta io.-
-Non... ti seguo.-
-Lo farà adesso.- concluse Shaan, precipitandosi all'esterno. Marciò verso Neria, allungando una mano nella sua direzione. -Il bastone.- disse, contraendo le dita più volte, con un gesto nervoso.
Neria guardò lui, poi la sua arma, poi Ser Darrow, poi ancora lui. -Shaan, tutto bene?- gli chiese.
-Benissimo.- rispose lui, prendendole il bastone senza aspettare il permesso. Si diresse di gran carriera attraverso il camminamento, muovendosi in direzione del cortile.
-Maledetto gambe lunghe!- lo ingiuriò Amun, che doveva correre per stargli dietro. Tra lui e Shaan si muovevano Cullen, Ser Darrow e una Neria davvero infastidita.
-Mannaggia, mannaggia, mannaggia.- ripeté Shaan, a ogni scalino che calpestava, mentre scendeva la scalinata che conduceva al Riposo. Atterrò con un balzello, ignorò lo sguardo sbigottito di Krem e proseguì a grandi falcate fino al centro esatto del cortile, dove si fermò. Mentre gli altri lo raggiungevano, fece un giro su se stesso, come se fosse alla ricerca di qualcosa.
-Voglio proprio sapere cos'ha in mente!- esclamò Krem, unendosi al gruppo.
Cullen lo afferrò per un braccio e fece cenno a tutti di non avvicinarsi troppo. Una civetta bianca era andata ad appollaiarsi in cima a una delle bandiere che delimitavano i gradini più bassi della possente scalinata del mastio.
-Belinda, evacua il cortile e dì a Burrows di coprire le uscite.- ordinò Cullen. Lei lo assecondò in un istante.
Nel frattempo, la civetta osservava Shaan e Shaan osservava la civetta. Si studiavano a una distanza moderata, lei con grandi occhi di zaffiro, lui con un'espressione che era il riassunto di un tumulto di emozioni.
-Mi dispiace averti trattenuto qui così a lungo.- mormorò Shaan, sapendo che lei lo avrebbe sentito. Prese un respiro profondo, poi mulinò il bastone, piantandolo a terra a una velocità incredibile. Laddove era avvenuto l’impatto con il terreno apparve un glifo bianco che emise un soffio di luce verticale.
La civetta dispiegò le ali, facendo per andarsene, ma ormai la trappola era scattata. Shaan allungò un braccio, afferrò l'aria di fronte a sé e una forza sconosciuta risucchiò il rapace nel glifo, intrappolandolo.
Shaan consolidò le mura della prigione con un cenno deciso del braccio, mantenendo le dita tese di fronte a sé per diversi istanti, in modo da stabilizzare l'evocazione.
Chiunque fosse attorno a lui osservava la scena con tanto d'occhi, tranne Cullen che conosceva le inclinazioni del segretario dalla prima volta che l'aveva visto. Shaan lo sapeva, quindi non si sorprese che i suoi occhi non fossero puntati su di lui, ma sul mutaforma. Quell'uomo avrebbe fiutato un Mago a distanza di chilometri, a favore e controvento.
-Scusa se ti ho traumatizzato, sono un po' arrugginito.- disse Shaan, accucciandosi di fronte al rapace. Attraverso le inferriate bianche, sembrava scintillante come una perla colpita dal sole. -Te la senti di mostrarti?-
La civetta lo fissava, segno che l'aveva capito, ma non ebbe alcuna reazione.
-Non ti verrà fatto alcun male, lethallan. Voglio solo chiarire le cose.- insistette Shaan, facendo cenno a Krem di rinfoderare il martello da guerra.
Passò molto tempo prima che la civetta decidesse di trasformarsi. Fu una transizione lenta, quasi come una metamorfosi da baco in farfalla. Il corpo rotondo e soffice di piume dell'animale si gonfiò. Le ali dimagrirono, prendendo la forma di braccia e le zampe si allungarono, mentre gli occhi di zaffiro non perdevano di vista quelli di Shaan.
Amun imprecò, Cullen sollevò le sopracciglia dalla sorpresa. Era un soldato dell'Inquisizione, ma allo stesso tempo non lo era. La sua figura era vitrea e luminosa, esattamente come una perla colpita dal sole.
-Come ti chiami?- domandò Shaan, prima in elvhen, poi in lingua comune.
-Osbourne.- gli rispose una voce composta da echi.
-Il tuo vero nome.- precisò Shaan.
Il soldato ci rifletté, poi rispose: -Lethallan?-
Shaan non insistette, tanto non importava. -Chi eri, prima che ti attirassi qui? Anzi, che cosa ti ha attratto qui?-
Il soldato alzò pigramente il dito indice, che non sembrava neanche un dito, era un rametto sottile, pervaso dalla bruma. Indicò il suo petto.
Shaan capì al volo. -Oh.- disse, sommesso, chinando la testa. -Hai scritto tu la lettera, suppongo.-
L'altro diede un piccolo cenno d'assenso.
-Come hai fatto a trovarla?-
Un altro piccolo cenno, diretto al suo cuore.
-Ha senso.-
-Posso restare?- domandò il soldato, con la voce macchiata da una sottile aspettativa.
-Temo di no.- rispose Shaan, improvvisamente triste. -Non posso sostituirla con te.-
-Ma ti senti molto solo.-
-Noi esseri di carne siamo tutti soli. Vivere il presente è già difficile di suo, ma vivere il presente senza qualcuno che ci tenga la mano è la cosa più triste e spaventosa con cui dobbiamo fare i conti.- spiegò Shaan, con una calma malinconica. -Ti dirò una cosa sulla nostra natura, lethallan: il massimo punto di connessione tra due persone avviene quando condividono il dolore. Per questo io non sarò mai realmente solo.- fece una pausa. -Non avresti dovuto ricordarmelo in questa maniera, tramite Ankh.- lo rimproverò.
-Pensavo che ti avrebbe aiutato a...- il soldato indugiò su un istante di raccoglimento. -Pensavo che dandoti una crisi da risolvere avresti pensato di meno a lei. A loro. Che mettendoti davanti alle stesse sensazioni che hai provato scrivendola, avresti ricordato l'errore che avresti potuto fare se non l'avessi scritta.- indicò il cuore di Shaan.
-Non sei molto bravo a delineare la complessità di un dolore del genere, eh?- ipotizzò Shaan, in tono rassicurante.
Il soldato lo guardò con un misto di perplessità e vergogna.
-Posso aiutarti a tornare a casa, se vuoi. Qui è pericoloso per te, potresti cambiare.-
-Sarebbe male?-
-Sarebbe tortura. Per entrambi.-
Il soldato si prese un istante per processare l'idea, poi annuì. Shaan trasse un sospiro di sollievo. -Meno male!- disse, ridendo. -Mi ha fatto piacere conoscerti, lethallan.-
Come una macchia sugli occhi quando si osserva troppo il sole, il soldato divenne uno e tutti i colori. Indicò il cuore di Shaan, mentre lui si rialzava per attirare a sé la magia del Velo e aiutare lo spirito a passare oltre. -Salutami il nonno e Gala, quando li vedi.- mormorò.
La risposta dello Spirito fu allo stesso tempo dolce come una carezza e affilata come una spada. -Presto o tardi, vi rincontrerete.-
E la gabbia si dissolse, come una nuvoletta di condensa.
Shaan osservò il vuoto di fronte a sé, perfetta rappresentazione di quello che provava. Si passò una mano sul viso, per distendere i lineamenti, poi si voltò verso il suo pubblico, che lo osservava con un misto di malinconia e incredulità.
-Hai appena... bandito uno spirito?- gli domandò Neria, impressionata.
-Non è difficile.- le rispose Shaan. Non c'era presunzione nelle sue parole. -Scusa per il furto. Fammi sistemare un'ultima cosa, prima che te lo renda.- e detto questo, impose una mano sulle macerie del costone, a diversi metri da loro, rimettendole al loro posto con una facilità disarmante.
-Allora non era un mutaforma, era uno spirito.- confermò Cullen, per niente contento della cosa. Lo si vedeva dalla fronte contratta e dallo sguardo arcigno che esplorava il punto esatto in cui la presenza si era dissolta.
Shaan restituì a Neria il bastone, poi si sedette per terra, davanti ad Amun. -L'ho evocato io. Inavvertitamente, ma l'ho fatto.- spiegò. -Avviserò l'Inquisitrice per forma, poi darò le dimissioni. Non ho intenzione di mettervi in pericolo una seconda volta.-
-Ti sei messo in pericolo tu, se non sbaglio.- constatò Amun, appoggiandogli una mano sulla testa.
-Ha messo in pericolo tutti.- affermò Cullen, senza metterci troppa enfasi. -Da quant'è che non pratichi evocazioni?-
Shaan rimase in silenzio per diversi minuti, fissando un punto non specificato tra le gambe di Krem e la facciata del Riposo. -Tanto. Tanto da dimenticarmi che un Mago non deve proteggersi solo dai demoni, ma deve proteggere gli spiriti da sé.- mormorò. -L'ho distrutto io quel muro. Molto probabilmente, ho dislocato il sigillo in qualche cassaforte e...- fece una pausa. -Tutto il resto.-
-Forse è il caso che ricominci a praticare per evitarci altri guai simili, in futuro.-
Shaan sollevò lo sguardo sulla mano di Cullen, tesa nella sua direzione. Se c'era una cosa che non si aspettava, era una reazione del genere da parte sua. -Se restassi, verrei tenuto d'occhio, immagino.-
-Sei già tenuto d'occhio, ma non nel modo in cui credi.- gli rispose Cullen, addolcendo il tono di voce. Continuò a tenere la mano tesa, come per invitarlo a rialzarsi.
Shaan non assecondò il gesto. In realtà, aveva la tentazione di trascinarlo a terra, ma sarebbe stato difficile, vista la sua stazza.
-Forse, faremmo meglio a sederci tutti.- propose Krem, compiendo quel gesto per primo.
-Mi sembra un'ottima idea.- si aggiunse Amun, usando la spalla di Shaan come supporto per evitarsi di finire a gambe all'aria.
Cullen esitò, poi fece lo stesso, mentre Neria si allontanava da loro con un sorrisetto. -Si sta bene qui, in effetti.- ammise, chiudendo gli occhi in risposta a una brezza tiepida che proveniva da ovest.
Shaan inspirò profondamente, poi recuperò il gomitolo dal taschino. Lo tenne un po' tra le mani, in dubbio se completare l'azione, poi lo lisciò con il pollice, per ricordargli la forma che aveva prima di diventare un ammasso di lana.
Era una scarpetta, davvero piccola, fatta all'uncinetto. -Quando l'ho persa, mi è caduto tutto in testa.- disse, sentendo la mano di Amun chiudersi saldamente sulla sua spalla. -È difficile stare in piedi e, allo stesso tempo, è la cosa più facile da fare. Blocchi tutto dentro e vai avanti per inerzia, camminando senza una direzione finché inizi a risentire del crollo. Quel dolore che prima ti alimentava prende una forma, una dimensione nella testa e smetti di avere uno scopo per vivere in funzione sua.- fece una pausa, per sollevare lo sguardo su Cullen. -Siamo noi a farci male, non il dolore in sé.-
Ci fu un istante di profondo silenzio, prima che proseguisse. -Il dolore ci rende vivi, ci rende reali, ci rende unici. Basta solo smettere di camminare per un momento e assecondarlo.-
-E domani è un altro giorno.- esalò Amun stancamente, passandogli una mano sulla schiena.
-Altre frasi fatte ne abbiamo?- domandò Krem, arricciando gli angoli della bocca. Poco da dire, il suo intervento riuscì a spezzare la tensione.
-Come si chiamava?- domandò Cullen, piano.
Shaan si rigirò la scarpetta tra le dita, sorridendo. -Gala.- rispose. -L'ha scelto mio nonno. Più che altro, me l'ha imposto.-
-Perché, tu non hai una tua volontà?- lo punzecchiò Krem.
-Oh, a me andava bene. Tutti quelli che ho scelto io erano nomi di persone andate da un pezzo.- ammise Shaan, rimettendo in tasca la scarpina. -Te l'ho detto che parlavo più con i non-morti che con i vivi, no?-
Cullen esalò una risata bassa. -Ah, ecco perché hai affinità con Lav!-
Amun sbuffò, scontento. -Ha un nome, sai? Inquisitrice di là, Lav di lì... le farai venire una crisi d'identità. Com'è che si chiamava quell'energumeno che la chiamava Aah?-
Shaan ci rifletté, battendosi l'indice sul mento insistentemente. -Fen'Harel ma ghilana, ce l'ho sulla punta della lingua! Wally, Walter, Wobbly...-
-Si, buonanotte!- esclamò Amun, agitando una mano eloquentemente. Mano che poi lasciò cadere sul ginocchio di Cullen, che sobbalzò. -Senti, stare seduti nel circolo dell'amicizia è bello, ma prima o poi io e te dobbiamo chiuderci in una stanza e fare un discorsetto.-
-Assolutamente no!- gemette il suo interlocutore. -Ci tengo all'integrità dei miei intestini!-
Krem alzò un'occhiata sofferente verso Shaan. -Possiamo alzarci, adesso?-
L'altro annuì, altrettanto in difficoltà. -Diamine, sì. La prossima volta che vado in crisi, vedrò di farlo qualche chilometro più in là se deve finire sempre così.-
-Sarà il caso.- bofonchiò Cullen, alzandosi per primo. Nel farlo, scoprì l’impugnatura della spada, decorata con un minuscolo fiocchetto blu.
Shaan si impedì di trattenersi dal ridere.


Era assetato, come ogni sera. Era infreddolito, come ogni sera. Voleva solo chiudere gli occhi, come ogni sera.
Ma come ogni sera, si sforzò di trascinarsi verso la sua scrivania per sistemare i documenti da inserire nel faldone la mattina seguente.
Fece aderire la schiena sullo schienale della poltrona, allungando le gambe sotto al mobile. Esalò un sospiro sommesso, chiudendo gli occhi. Era stata una giornata allucinante.
Dopo minuti interminabili a fissare il vuoto, senza energie, adagiò la cartellina sul tavolo e controllò la scaletta degli appuntamenti che avrebbe avuto l'indomani. -Mannaggia, mannaggia, mannaggia.- recitò, monocorde. Ormai, era diventato un mantra.
Stappò la boccetta dell'inchiostro e allungò la mano verso il contenitore dei pennini, sorprendendosi di trovare al suo posto un barattolo di crema. Sollevò le sopracciglia, sentendo la fatica tirargli le palpebre, poi afferrò l'oggetto, portandoselo di fronte al naso. -E tu da dove spunti fuori?- disse, con voce graffiata dalla stanchezza.
Gli rispose un biglietto che piovve sopra la cartellina. Probabilmente si era incastrato sul fondo del barattolo. Lo raccolse e lo lesse. “E poi non dire che non penso mai a te. A.”
Shaan sorrise, poi la sua testa gli fece il piacere di combattere la stanchezza e fare i conti al posto suo. Forse, quel pezzo di colonna socialmente impacciato e l'idiota della sua datrice di lavoro non erano poi così male assortiti. -Non nel modo in cui credi.- ripeté, in un sussurro.
-Sai, ho capito perché non ci sopportiamo.-
Shaan si torse per affacciare uno sguardo alla porta, appoggiando un braccio sullo schienale della poltrona per dare un’impressione di comodità alla posa scomoda. L’illuminazione del corridoio delineava la sagoma di Krem, una linea obliqua appoggiata con la spalla alla cornice della porta. Con una mano agitava una bottiglia di birra con gesti lenti e circolari, l’altra invece era infilata nella tasca dei pantaloni. Sul suo viso c’era la manifestazione di un’ironia che si apprestava a condividere.
-Beh, illuminami.- lo incitò Shaan, passando lo sguardo sulla camicia morbida che indossava, aperta sul punto d’incontro tra sterno e clavicole. Nonostante la palese antipatia, quando voleva Krem sapeva essere un uomo dai modi intriganti.
-Siamo persone diverse da quelle che abbiamo lasciato lì e siamo orgogliosi della nostra nuova pelle.- articolò quello. -Eppure ci resta addosso una gran dose di vergogna. Assurdo, no?-
Shaan intuì perfettamente ciò che intendeva dire. -Davvero assurdo, ma reale.- confermò.
Rimasero a fissarsi giusto un attimo, poi Shaan si alzò per raggiungerlo. -Ricapitolando, non ci sopportiamo per un meccanismo di difesa.-
-Chiamalo come vuoi.- rispose Krem, controllando con un’occhiata quanta birra gli fosse rimasta. -Ma sono un po’ stanco di farmi mettere le mani addosso dal passato senza che sia io a deciderlo.-
-Sfondi una porta aperta.-
-Era socchiusa.-
Shaan osservò il sorrisetto che si era formulato tra le sue labbra, a una distanza minima dal cercine della bottiglia. L’olfatto, nel frattempo, percepì malto ed essenza di embrium; un sodalizio bizzarro. -Sei qui per fare pace con me, o con te?- domandò.
Krem si prese i suoi tempi per rispondere. -Sono qui e basta.-
Shaan si massaggiò le mani, accorciando le distanze. -Domani mattina ho intenzione di alzarmi dal letto, quella dopo anche, finché non arriverà il momento di chiudere gli occhi per sempre. Ma non sarò io a sceglierlo. Quando arriverà, arriverà.- sorrise. -Non preoccuparti.-
-Bene.- fu la risposta secca. Ancora una volta, Shaan non percepì compassione nel suo tono di voce, solo una gran voglia di mettere un punto e andare oltre. Per fortuna, pensò.
-Insomma, non devo aspettarmi qualche storia strappalacrime sulla tua patria, immagino.- disse, affilandosi lo sguardo sugli zigomi del suo interlocutore.
Krem si affrettò a mandare giù un sorso. -In realtà, non mi dispiacerebbe raccontarti qualcosa.- ammise. -Giusto qualcosa.-
Shaan sollevò un sopracciglio, inarcando un angolo della bocca fino a creare una fossetta sulla guancia. -Intendi farlo seduto sul bordo del letto, o seduto sulla mia faccia?-
Krem esalò una risata arrochita dal malto. -Dipende.- rispose, divertito. -Non mi hai ancora fatto entrare.-
Shaan avanzò fino a percepire sulle guance il calore profuso dal suo respiro. Allungò una mano sulla maniglia, indugiò su di essa mentre chinava lo sguardo sulle sue labbra, poi chiuse fuori il mondo esterno.


-Nota-

Si, ma chi cazzo è Vonnie?
https://i.imgur.com/hhXNpLH.jpg
Also, mi dispiace fare scelte di questo tipo, ma questo sarà l’ultimo capitolo dell’anno. Saranno un po’ di settimane difficili e organizzarsi è un incubo. Spero di riuscire a pubblicare il 4 di gennaio, ecco, ma devo rivedere un po’ di cose dei prossimi capitoli e preferisco che sia tutto in ordine anziché postare cose che non hanno né capo né coda lol
<3

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Capitolo 27
*** Vigilia ***


26 - Vigilia

Correlarsi con ecosistemi diversi era una delle parti più interessanti del lavoro di Lavellan.
Le regioni desertiche dell'Orlais non erano solo sabbia e sole cocente, possedevano un'unicità morfologica sorprendente e si differenziavano l'un l'altra per molteplici fattori, partendo dalla varietà delle piante fino ad arrivare alla componente faunistica. Generalmente, i grandi predatori preferivano le vaste dune agli agglomerati di flora e rovine; un comportamento strano, dato che le loro prede si concentravano nelle oasi, eppure sensato, perché è più facile cacciare un montone augusto isolato e stancato dall'arsura che un gregge in forma e pronto a scacciarti dal pascolo a cornate.
Inoltre, il cambio drastico di temperatura dal giorno alla notte portava con sé un'affascinante varietà di stimoli olfattivi. La componente resinosa delle radici mortali reagiva al caldo rilasciando un odore pungente, legandosi al profumo eccessivamente dolce delle palme da dattero. La notte, però, gli odori si attenuavano, permettendo ai rosmarini e alle barbe del ghoul di dare voce a un'opinione fresca e decisamente più morbida.
E poi c'erano le rovine: un pasto luculliano di maldestre infrastrutture orlesiane sovrapposte a colonnati nanici che testimoniavano esperienze vissute secoli prima, ingiallite dalla sabbia che arrossiva al tramonto come una pergamena che ha subito il tocco di troppe dita. In quel caso, però, non c'erano teche di vetro a proteggere il passato, solo sferzate di vento granulare e altamente corrosivo mentre il sole faceva ribollire l'umidità che si era depositata sulla pietra durante la notte.
Al contrario di un ambiente urbano, nel deserto l'eccesso privilegiava il sole così come la delicatezza prediligeva la notte. Il classico bicchiere di vino che si degusta seguendo l'ombra, piuttosto che la birra servita durante la baraonda di una festa popolare. Entrambe, comunque, avevano una grande attrattiva.
In quel viaggio, Lavellan dovette constatare che ogni evento degno di nota accadeva durante la notte. Forse, pensò, era proprio perché era più facile individuare i problemi lontano da una situazione di rumore visivo e sensoriale pedissequi.
Infatti, successero molte cose in quelle notti esponenzialmente fredde; una in particolare la tenne sveglia per settimane, a giorni alterni. Lungi dall'essere un problema, dato che poteva recuperare le ore di sonno mancanti durante quelle più torride e la sua iperattività cerebrale non le permetteva di dormire troppo comunque.
Si trovava nel piazzale più alto della Rocca del Grifone, appena conquistata, assieme ad Alistair. Camminavano avanti e indietro, discutendo di cose importanti, tra una battuta idiota e un commento sarcastico, e avrebbero continuato se non fosse stato che, dal nulla, la fisionomia di Alistair era cambiata drasticamente.
In quel momento, Lavellan venne a conoscenza del modo in cui i Custodi reagivano a una massiccia presenza di Prole Oscura. In realtà, pensava che fosse una questione fisiologica, come i brividi o la pelle d'oca. Di certo non si aspettava che la corruzione imbianchisse le iridi di chi la subiva e creasse una ragnatela di vene scure sulla parte superiore del viso. Ma non fu quello che la mise in allarme.
Attorno ad Alistair c'era un'aria malsana, una puzza intangibile di putredine che solo l'istinto riusciva ad annusare e assieme a essa c'era una rigidità pigra, statuesca, tipica di un cadavere poco collaborativo a cui viene imposta una posa dignitosa prima che venga sepolto. Questo, in combinazione con l'amplificazione del Richiamo, che continuava ad apportare modifiche fisiche e comportamentali evidenti in lui, contribuiva a creare un'atmosfera di pericolo.
Poco da dire, non gli era servito scusarsi per togliere di dosso il disagio a Lavellan. Disagio che lei aveva deciso di affrontare razionalmente, come al suo solito, proponendogli di andare a cercare i Prole Oscura per eliminare la minaccia insieme. Alistair aveva accettato di buon grado.
-Stiamo andando a fare un po' di casino. Vieni?- avevano domandato ad Hawke, che dormicchiava nei pressi di un falò.
Lui, anche se avrebbe preferito dormire per cinquant'anni filati, si era assicurato il bastone sulla schiena e si era unito al duo senza fare troppe domande, cingendo le spalle di entrambi con un braccio mentre si dirigevano laddove la corruzione di Alistair li guidava.
Da quel momento, per un mese netto, tre notti su cinque vennero dedicate a minimizzare l'impatto dei Prole Oscura nei deserti. Ci pensavano loro, senza chiedere l'assistenza di nessuno, anche se a volte sarebbe stata necessaria. Il punto, alla fine, non era quello di sconfiggere delle creature corrotte, ma di supportare un amico al limite della sopportazione psicologica. I Prole Oscura non si sarebbero estinti grazie al loro intervento, ma Alistair avrebbe potuto rimediare all'incompetenza dei suoi confratelli e trovare un po' di sollievo dal senso di inevitabilità con cui veniva tormentato dal Richiamo.
Fu un'esperienza formativa per Lavellan, che si beveva quel poco di informazioni che Alistair era disposto a darle. Purtroppo, esse vertevano unicamente sulla strategia; le domande più invasive non trovavano mai risposta. Se lo fece bastare, nonostante la sua curiosità la divorasse dall'interno, e decise di concentrarsi sulla relazione che stava creando notte dopo notte con quei due compagni di caccia inusuali.
Era arrivata ad apprezzarli e a voler bene ai loro difetti, tanto da sperare che quella collaborazione si estendesse anche ad altro in futuro.
Per qualcuno come Lavellan, abituato a vivere in funzione di tempi non-presenti, l'opzione di godersi l'attimo non era consultabile. C'era sempre la nostalgia della prima volta e la delusione preventiva della separazione. Costruire nella sua mente un “poi” era inevitabile per tenere viva la speranza.
Provò comunque ad andare contro la sua natura, cogliendo l'attimo nelle ore che anticipavano l'alba di quella che aveva l'aria di essere la giornata più torrida che avrebbero affrontato nell'Accesso Occidentale.
A un chilometro dalla Rocca del Grifone, sistemati in un bivacco sulla cresta di una duna, Lavellan, Alistair e Hawke si godevano il periodo di transizione tra freddo lancinante e caldo ustionante, allietati da un fuoco vivace. Il tutto, muti come tombe.
Per tre persone abituate a parlare tanto, il silenzio aveva sempre un certo peso, soprattutto in quell'occasione.
In pochi giorni, la lunga marcia dell'esercito partito da Skyhold si sarebbe conclusa nei territori antistanti la fortezza di Adamant e nessuno dei tre era pronto ad accoglierlo, nonostante fossero impazienti. Gli aggiornamenti collocavano le forze dell'Inquisizione a non meno di cinquanta chilometri dall'Accesso, ma tutti alla Rocca trattavano quella notizia come se il loro arrivo fosse imminente.
Lavellan e Hawke distolsero lo sguardo dall'alone azzurro che coronava l'orizzonte, posandolo su Alistair, che dormicchiava fra di loro in posizione seduta.
-Finiranno prima o poi, 'sti benedetti incubi!- sbottò Hawke, mantenendo un tono di voce moderato. Corrugò la fronte su un'espressione preoccupata, mentre registrava i livelli di tensione a cui era sottoposto il viso dell'amico.
Lavellan si morse le labbra, altrettanto preoccupata. Non disse nulla, preferendo riordinare delicatamente una ciocca di capelli sulla fronte di Alistair.
Hawke accennò un sorriso in risposta a quel gesto. -Mamma Lav.- la prese in giro. -Ti hanno mai detto che hai un'aura di maternità peculiare? Sembri più una gattara che una matriarca.-
-Avresti potuto dire capobranco. È più figo così.-
Hawke ridacchiò. -Nah, non hai quell'aura minacciosa da lupo alfa. Sei più...- ci rifletté. -Più alla mano, diciamo.-
-Alla mano?- gli fece eco lei, voltandosi nella sua direzione.
-Ci sei di cuore.- rispose lui, mettendola ancora più in confusione. Prima che potesse elaborare, però, Alistair sussultò, distraendo entrambi.
Fu un movimento lieve, neanche tanto scomposto, ma bastò per dare ai due un'idea del malessere che lo stava disturbando.
-Anche lui fa così?- domandò Hawke, nel tentativo di un sussurro.
Lavellan, oltre a constatare che per il suo interlocutore fosse impossibile parlare a voce bassa, scosse la testa.
-Peggio?-
-Non peggio, solo diverso.-
Rimasero in silenzio diversi istanti. Nello sguardo di Hawke c'era una certa aspettativa, in quello di Lavellan una grande riluttanza. Non erano affari suoi, pensò lei, ma il suo interesse sembrava nascondere altro. Una voglia di comportarsi in maniera corretta riguardo alla situazione, probabilmente, ma il fine non giustificava un'occhiata approfondita nell'intimità di un'altra persona senza che questa potesse dare il consenso.
-Fa male sapere che non li puoi proteggere quando sono chiusi là dentro.- ammise Hawke, una volta capita l'antifona.
-Un male cane.- disse Lavellan di rinforzo, asciugando il sudore di fronte ad Alistair con il polsino della giacca pesante. -L'importante è farlo quando ne sono fuori.-
-Ecco, non mi dispiacerebbero un bel bicchiere di acqua ghiacciata e un abbraccio.- biascicò Alistair, schiudendo gli occhi pigramente.
Hawke e Lavellan gli rivolsero un sorrisetto. -Buongiorno, principino!- lo canzonò lui, scompigliandogli i capelli. Lavellan prese la borraccia e gliela appoggiò in grembo senza tante cerimonie.
-Che fine ha fatto mamma Lav?- bofonchiò Alistair, svitando il tappo con aria delusa.
-Mamma Lav è ufficialmente in pensione.- rispose lei, attirandosi addosso un paio di occhiate scettiche. -Sul serio.-
Hawke spostò l'attenzione su un gruppo di soldati poco distanti, che applaudivano all'arrivo del messo che di solito distribuiva la posta. -Ci vuole poco per farli contenti, eh?- commentò, succedendo nel cambiare discorso.
-Vallo a dire a Ser Rylen. Quell'uomo è l'insoddisfazione in persona!- replicò Alistair, asciugandosi la bocca con il dorso della mano. Ritornò la borraccia a Lavellan. -Tu che lo conosci meglio di noi, è sempre stato così?-
Lei si strinse nelle spalle. -Boh, a me non pare una persona insoddisfatta. Cioè, è solo molto esigente ed è giusto che sia così.-
-Questa si circonda di manici di scopa, e ci si diverte pure!- disse Hawke, dando una gomitata scherzosa ad Alistair.
-Se non esistessero i manici di scopa, i pavimenti sarebbero sempre pieni di polvere.- ribatté l'altro, nonostante fosse divertito dal paragone.
Lavellan soffocò una risata sul nascere, tappandosi la bocca. Voltò lo sguardo verso l'orizzonte che si schiariva, mentre sul viso degli altri appariva una maschera di esasperazione.
-Dillo, coraggio.- la incitò Alistair, monocorde.
-Su, sentiamo questa battuta divertentissima sui manici di scopa, giusto perché abbiamo cinque anni.- aggiunse Hawke, incrociando le braccia sul petto mentre inclinava la testa di lato.
Lavellan si diede un paio di secondi per ridere tra sé e sé. -Basta solo sapere come prenderli.- disse, con il tono di voce più alto di un'ottava.
La lasciarono compiacersi nell'isteria, esagerando con le occhiate di disappunto, poi Hawke esalò un sospiro. -Si ferma sempre sul più bello.-
-Già, dobbiamo davvero lavorare sulle punchline.- disse Alistair, accennando un sorriso. -E poi non si può ridere delle proprie battute. Viene a mancare l'effetto sorpresa.-
-Ah, tu ti preoccupi dell'effetto a sorpresa?- domandò Hawke.
-Le vostre non sono tanto migliori delle mie.- intervenne Lavellan, per niente offesa dai loro interventi. A dire il vero, esasperarli in quel modo le dava un certo grado di soddisfazione. -E comunque, Rylen è una delle persone più divertenti che conosco.-
Alistair la guardò con aria poco convinta. -Ecco, in questo mi ricordi un sacco Ela. E lei pensa che io sia la persona più simpatica del Thedas.- si indicò con enfasi, facendo ridere di gusto Hawke.
In tre si voltarono verso il messo, che stava risalendo maldestramente la duna per raggiungerli con un involto di cartone sormontato da una letterina candida come la pelliccia di un fennec.
-Oh!- esclamò Lavellan, sfregandosi le mani. -Notizie da Skyhold. Finalmente!-
-Cioè, questa si entusiasma per la burocrazia, capisci? Ma con chi stiamo viaggiando?- la prese in giro Hawke, rivolgendosi ad Alistair.
-Non penso sia entusiasta per la burocrazia, ma per chi le manda suddetta burocrazia.-
-In entrambi i casi, è un entusiasmo ingiustificato, amico mio.-
Lavellan gli assestò una pacca sulla coscia, a mo' di rimprovero, poi accolse il messo con un bel sorriso, tendendo le mani per recuperare il pacco. -Buongiorno!- salutò, ma nessuno poté dire con certezza se si stesse rivolgendo all'uomo. D'altronde, la carta risponde solo per iscritto.
-Inquisitrice.- la salutò il nuovo arrivato, porgendole ciò che le spettava con un’espressione di pura contentezza che gli illuminava i lineamenti giovanili. Tenne a sé la letterina, incuriosendo Hawke, che pensava fosse parte dell'insieme.
-Avete fatto buona caccia?- domandò il messo, coccolando la lettera con le dita senza riuscire a togliere gli occhi di dosso a Lavellan.
Alistair fece per rispondergli ma si bloccò subito, intuendo che il suo intervento non fosse richiesto. -Sta toccando terra.- commentò, invece.
Il messo si voltò appena nella sua direzione. -Come, prego?-
-La mascella. Ti sta toccando terra. È poco igienico.-
Se non fosse che la penombra stesse dettagliando un ambiente monocromatico, il rossore sulle guance dell'uomo avrebbe tinto l'atmosfera di risate.
Lavellan distolse l'attenzione dal pacco, per guardare il suo interlocutore negli occhi. -È andata bene, Corrin, grazie.- gli rispose.
L'imbarazzo scivolò di dosso al messo, galvanizzato dalla possibilità di interagire con lei. -Lo sospettavo. Stamattina ha un'aria davvero radiosa.- si complimentò.
Hawke si schiarì la voce. -Vuoi un catino, Corrin?-
-Come? Perché?-
-Per la bava.-
Alistair guardò il compagno di viaggio con un accenno di malizia, mentre Lavellan sfogliava distrattamente un plico di rapporti provenienti dalla segreteria di Josephine.
Il povero Corrin, appurando che nessuno l'avrebbe difeso, allungò la lettera verso Alistair, con aria delusa. -Per lei, da parte del Comandante.- disse.
Lavellan e Hawke fecero convergere gli sguardi sul rettangolo di carta, ancora sospeso a mezz'aria. -Di nuovo?!- gemette lei, con una nota di stizza.
Alistair sorrise platealmente, afferrando la lettera con aria compiaciuta.
-Sicuro che non sia per me?- domandò Lavellan, lanciando al messo un'occhiata sporca di nervosismo. Quello scosse la testa. -C'è il destinatario, ed è Ser Alistair.- rispose, per poi sorridere tristemente. -Mi dispiace, ho controllato due volte e per lei non c'è altro.-
-Sicuro?-
-Sicuro, Inquisitrice. Ma se posso fare qualcos'altro per lei, sono a sua completa disposizione.-
-No, Corrin, stai sbagliando tattica.- disse Hawke, dopo aver fallito nel sottrarre la lettera all'amico. -Così non ti dirà mai come prende le uova.-
-Le uova?-
-Già, quelle che le prepara il suo compagno la mattina.- precisò Hawke, senza desistere nel voler compiere un'impresa impossibile, dato che Alistair gli era superiore in forza e in destrezza.
-È una cosa umana.- suggerì Lavellan all'uomo umano, culturalmente cresciuto tra umani. -Quando vuoi proporre a qualcuno di fare l’amore insieme, gli chiedi come vuole le uova al mattino.-
Corrin ridacchiò. -Lo so, Inquisitrice, ma non mi azzarderei mai a essere così esplicito.-
Hawke gli rivolse un'occhiata sorpresa, bloccando un gesto a mezz'aria.
-Se vuoi possiamo reiterare che c'è già qualcuno che gliele prepara.- si aggiunse Alistair, indicando la lettera per dare un'identità a quel qualcuno.
-Non ho bisogno di cani da guardia!- si lamentò Lavellan, congedando il messo con un cenno del capo e un sorriso.
Quello si inchinò profondamente, le fece l'occhiolino e tornò da dov'era venuto con un'espressione soddisfatta stampata in viso.
-Quello non ha paura di niente! C'è quasi da apprezzarne il candore.- borbottò Hawke, osservandolo mentre scivolava maldestramente sulla sabbia. -Quanti anni avrà, diciotto, venti?-
Alistair, che stava sfilando la lettera dalla busta, finalmente al riparo dalle manacce dell’amico, esalò un sospiro sognante. -Beata gioventù.-
-Attento.- disse Lavellan, guardandolo di sottecchi. -Stai camminando su un filo molto sottile, amico mio. Non vorrei mai che qualcuno ti sping-- che cadessi.-
-Oh, andiamo, datemi almeno questa gioia! Non ho mai avuto un amico di penna.- bofonchiò Alistair. Scorse lo sguardo sul contenuto della lettera e sorrise.
-Mi sa che sei tu che devi stare attenta.- commentò Hawke, torcendo il collo in mille maniere per individuare almeno una frase di senso compiuto dalla difesa impenetrabile di Alistair, che si stava divertendo un mondo a fare quel gioco.
-Eh, mi sa proprio di sì.- ammise lei, mogia. Si chinò sulla sua corrispondenza, preferendo concentrarsi su quella piuttosto che ammettere che avrebbe dato un rene e mezzo pur di ricevere una lettera personale dall'amore della sua vita. Una vera, bollente come la sabbia a mezzogiorno e dolce come un dattero appena colto, non l'ennesima corrispondenza neutra, piena di messaggi nascosti per evitare di rivelare troppo della loro relazione semmai fosse stata intercettata.
-Dice di guardare a pagina venti.-
Lavellan osservò Alistair con aria confusa. -Come?-
Alistair rilesse il passaggio, intenerito. -Dice che devo dirti di guardare a pagina venti.- si rivolse ad Hawke, indicandogli una frase. -E a te di leggere questo ad alta voce.-
Hawke si sporse per fare come gli era stato chiesto. -“Sono uno scemo con il delirio di onnipo...”- assunse immediatamente un'espressione truce. -Divertente.-
Alistair ridacchiò, tornando a leggere con aria serena. Dal modo in cui si approcciava alla lettura, sembrava quasi che si fosse tolto dalla schiena uno zaino molto pesante. Questo pensò Lavellan, che si costrinse a ignorare la tristezza per applaudire mentalmente al suo compagno, che sapeva esattamente quello che stava facendo.
Arrivò a pagina venti della documentazione e il suo cuore si sciolse, disperdendo calore nel suo organismo come una colata di sciroppo. C'era un segnalibro di carta pressata, decorato con una primula rossa essiccata, parte di un disegno floreale complesso. In calce c'era scritto “sei”.
-Ah, che carino! A me lo “scemo chi legge”, a lei il pegno da carie ai denti.- fece Hawke, addolcito. -Sei contento di essere stato degradato a puttino di Mythal, Alistair?-
Quello si strinse nelle spalle. -Almeno a me Mythal scrive.- lo punzecchiò. -A mamma Lav i fiori piacciono morti a quanto sembra. Molto nel personaggio.-
Lei rise sommessamente per quel paragone, che più che blasfemo era esilarante. Accarezzò i bordi del segnalibro con dolcezza. -È una cosa nostra. Cioè...- arrossì.
In due le lanciarono un'occhiata stupita. -Oh, questa è nuova!- commentò Hawke, gattonando per posizionarsi immediatamente al suo fianco e tormentarla con qualche pizzicotto. -Amore, si vergogna!-
-Non mi vergogno, è solo...- Lavellan agitò le mani di fronte a sé, creando forme inesistenti nel provvedere una spiegazione incomprensibile a gesti. -Troppo da riassumere.-
Alistair le prese il segnalibro di mano con attenzione, per guardarlo. -Cosa significa quel numero?- domandò, per poi notare il sorriso malizioso che turbava i lineamenti di Hawke. -Non mi guardare come se fossi una bestia rara. Non sei l'unico che va appresso a qualsiasi espressione di romanticismo come un mabari con la lingua penzoloni perché si strugge di nostalgia!- si lamentò. -L'ho fondato io quel club, non lo dimenticare.-
-E dovrei pure ringraziarti?- lo provocò Hawke, ridendo. -Allora, questo numero?-
Lavellan soppesò l'informazione, prima di esprimersi. Stranamente, lei che moriva dalla voglia di parlare solo ed esclusivamente di quanto importante fosse la sua storia, si sentì troppo a disagio per farlo. Il suo istinto decise per lei, costringendola a rimanere sul vago. -È la prima volta che mi ha regalato dei fiori. Sei mesi fa.-
Hawke sbugiardò immediatamente quel tentativo di prenderli in giro. -Conoscendolo, anzi, conoscendovi, non può essere una cosa così superficiale.-
-Ti pare superficiale che una persona così ligia si attardi a raccogliere dei fiori per qualcuno che conosce appena?- s'impuntò Lavellan, recuperando il segnalibro dalle mani di Alistair per metterlo al sicuro.
Hawke la guardò con scetticismo. -Fammi un favore: non prendermi in giro. Piuttosto rispondimi che è una cosa troppo personale e preferisci tenerla per te, ma non rifilarmi una cazzata per farmi stare buono. Di solito è così che esplodono le chiese.-
-Ti rendi conto che l'hai praticamente costretta a dirti una cazzata?- intervenne Alistair, infastidito da quel rimprovero. -Se la smettessi di assediare le persone con la tua insistenza, forse si aprirebbero più volentieri nei tuoi confronti.-
-Sei troppo impaziente, è vero.- intervenne Lavellan, sforzandosi di sorridere. -Ti secca così tanto che le persone che ti stanno più vicine non si aprano istantaneamente a te?-
Hawke si passò una mano sulla fronte. -Lo fanno tutti gli altri, senza che chieda niente. Basta che dica “sono qui per aiutare” e subito mi dicono quanti peli di strega c'aveva la nonna sul mento.- ammise, stranamente tranquillo in relazione a quell'analisi. Più che tranquillo, Lavellan ritenne che si stesse trattenendo a sua volta dall'esprimere ciò che provava davvero, così come aveva fatto lei poco prima.
-Me l'ha detto anche la tua seccante metà.- le rivelò, piuttosto. -Che mi brucia non essere d'aiuto.-
-Perché ne parli come se fosse un difetto?- domandò lei, appoggiando un gomito sulla sua spalla nell’assumere una posa rilassata.
Hawke deglutì. -Quando qualcuno tace qualcosa di importante, di solito sono io che devo ripulire quando fanno danno.- disse. -Capite, no?-
Entrambi capivano, e quella rinnovata comunione tra spazzini fece scivolare il morale a terra. Era quello il loro ruolo, lo era sempre stato, malgrado facessero di tutto per contrastare ciò che sembrava inevitabile. Purtroppo, anche i salmoni più cocciuti a un certo punto si stancano di risalire la corrente.
Lavellan, che grazie a quei due aveva goduto di una pausa fin troppo lunga dallo sdrammatizzare sempre e comunque, decise di disinnescare la mina e far nuotare quei salmoni esausti per qualche metro in più, facendogli seguire la sua scia. -Non ho detto niente perché quel momento di sei mesi fa non è stato un punto di svolta solo per noi come coppia, ma per me come persona. Sapere che, anche solo per affetto, qualcuno volesse ascoltare la mia voce...- fece una pausa, per combattere contro i mille campanelli d'allarme che le segnalavano quanto fosse rischioso trasmettere un'informazione del genere a degli individui che conosceva da davvero troppo poco. -Essere vista e apprezzata come persona è un'esperienza un po' nuova per me.- buttò fuori, prima che il suo istinto le bloccasse le parole in gola.
-Vista?- domandò Hawke, pensieroso.
Alistair, che al contrario suo aveva intuito istantaneamente cosa ci fosse al di sotto di quel discorso, prese la parola. -Ti senti esattamente nel posto giusto al momento giusto. E quelle cose sono la persona che hai davanti.- affermò.
Lavellan gli sorrise. -Mi sono innamorata di tanti uomini in vita mia, ma questa è la prima volta che mi sono anche un po' innamorata di me stessa.-
Hawke la guardò con tanto d'occhi, mentre i primi raggi di sole descrivevano i contorni del suo corpo con una linea dorata. Era uno sguardo disperato, talmente sgranato e marchiato dal dolore che suscitava immediatamente un senso di compassione terrificante. -Forse era meglio la cazzata.- ammise.
Era il vero Hawke, quello che l'alcol tramortiva per impedirgli di affiorare: un individuo mangiato vivo dal senso d'impotenza e da un amore viscerale per chi gli gravitava attorno.
Lavellan non aveva spento la miccia, l'aveva accorciata.
-Va bene così.- dichiarò Alistair, rendendosi conto della stessa cosa.
L’altro rimase immobile, a osservare attentamente il vuoto con occhi scuriti da una cacofonia di voci e ricordi che gli facevano presente che lui non sarebbe mai stato abbastanza. Sarebbe andato tutto in malora, nonostante ogni sua opposizione.
Era una frana di proporzioni gigantesche che avveniva in un luogo remoto del Thedas, senza spettatori, o qualcuno che potesse garantire che lì, in quel momento, fosse successo qualcosa.
Però i suoi interlocutori avevano sperimentato la stessa epifania almeno una volta nella loro vita. Lo capivano nella sua impotenza.
-Proprio ora dovevo smettere di bere?- commentò Hawke, con la raucedine nell'anima.
-Qual è il problema?- domandò Lavellan, raggiungendo il suo ginocchio con il palmo della mano, per evitare che soccombesse al senso di solitudine che di solito deriva da certi pensieri.
-Il problema, il problema.- ripeté Hawke, sommessamente, come se fosse la strofa di una litania. -Non so davvero da che parte iniziare.-
-Allora non farlo.- suggerì Alistair, curvandosi su di lui. -Mi dispiace che sia andato tutto in malora, amico mio. Sono cose che non dipendono da te, nella maniera più assoluta.-
Hawke lo guardò a lungo, poi annuì piano. -Grazie per averlo detto.-
-E penso di parlare anche a nome di Ela quando...- Alistair si dovette interrompere un istante, per appoggiare uno sguardo dubbioso su Lavellan. -Quando dico che esserci per aiutare qualcuno ad affrontare le conseguenze dei propri errori è un'impresa incredibile. Non si possono controllare le azioni delle persone che ami, sarebbe una violazione di quel poco libero arbitrio che l'uomo possiede. Chi ti sta vicino dopo che sbagli e ti aiuta a rimettere ordine, o a fare la cosa giusta per rimediare... questo per me è il vero eroismo che ti contraddistingue.-
Lavellan strinse la presa sul tessuto dei suoi pantaloni. -Vero amore.- puntualizzò, sorridendo. -E non si limita solo alla tua cerchia, si estende anche a tutti quelli che hanno letto le tue imprese e condiviso il tuo dolore. E su di noi, di riflesso.-
-Spiriti compresi.- aggiunse Alistair, a mezza voce.
Hawke sbuffò un sorriso.
-Altro che mamma Lav, ora è arrivato il momento di babbo Alistair.- scherzò Lavellan.
Alistair gemette un rantolo d'insoddisfazione. -No, basta responsabilità! Giuro che appena tutto questo finisce...- s'interruppe, per schioccare la lingua sul palato con aria marcatamente delusa. -Ah, già, la corruzione. Mannaggia! Non posso neanche prenotare un viaggio ai tropici.-
-Facciamo cambio?- domandò Lavellan, mostrandogli la mano sinistra. -Ti rendi conto che non posso mettermi lo smalto senza accecarmi? Devo fare un dito alla volta e restare per cinque minuti con gli occhi stretti a fessura.-
-Diamine, faccio cambio ieri! Dove si firma?-
-Sotto i caratteri in piccolo che citano “fa un male cane a ogni ora del giorno e quando il dolore si attenua hai tutte le dita informicolite”.-
-Un po' come la mia testa quando ascolto il Richiamo troppo a lungo.-
-La tua testa emette un rumore roboante quando sei in prossimità di una frattura nel Velo?-
-No, ma se avvicini l'orecchio puoi sentire il rumore delle onde.-
Hawke alitò una risata, piegandosi in avanti per assecondare dei lievi singhiozzi gutturali.
-Fammi capire, noi siamo sul punto di fare una fine orribile e inevitabile e questo se la ride?- domandò Lavellan, fingendo disappunto.
-Hawke, questa ha visto Andraste in persona. Ripeto, Andraste.- ribadì Alistair, con enfasi.
-Che è, adesso le apparizioni divine portano sfiga?- domandò Lavellan, inarcando un sopracciglio.
-Vedi un po' te! È una martire. Tutto quello che ha fatto le si è ritorto contro e alla fine siamo ritornati al punto di partenza.-
-Ma porca miseria, tanto valeva restarci.-
-Basta, vi prego!- gemette Hawke, letteralmente in lacrime.
Lavellan scosse la testa con decisione. -No, basta un accidente! Ora facciamo cambio. Te ti becchi il dolore e la sfiga, io mi prendo le canzoni martellanti e l'epica battaglia finale nelle Vie Profonde in punto di morte.-
-Hai dimenticato l'infanzia passata a piangere nelle scuderie, l'adolescenza a pregare in ginocchio sui ceci e la discendenza con persone che probabilmente si sono accoppiate con i draghi.-
Lavellan spinse la mano sinistra verso di lui. -Prendi anche un pezzetto di gomito, già che ci sei, così ne approfitto per farmi il braccio meccanico.-
-No, che poi è la volta buona che la tua metà mi... Hawke?-
Alternando risa a lacrime, lui stava avendo la sua catarsi, platealmente, senza nascondersi dietro a un dito. Lavellan si mosse per avvolgerlo tra le braccia, perché anche a lei era necessaria l'umanità sprigionata da quella reazione.
Il sole, che si arrampicava nel cielo, illuminò il sorriso malinconico di Alistair, mentre nell'Accesso Occidentale iniziava l'ennesimo giorno di eccessi.

 

*

 

La pressione del sole formava una vera e propria onda di calore che dalla sabbia e dalle armature si propagava verso l'alto, facendo tremare l'atmosfera.
Cullen aveva dato l'ordine di proseguire la marcia nelle ore in cui il sole era meno cocente, ma non c'era davvero tregua per i soldati che lo circondavano. Vederlo abbandonare il cavallo per unirsi alle prime linee bastò appena per risollevare il morale e fu una cosa temporanea.
Il caldo era troppo, i soldati erano fornaci ambulanti e gli ufficiali iniziavano a deconcentrarsi, nonostante tutte le precauzioni che avessero preso per affrontare il deserto.
Eppure, nessuno osava mollare, Cullen per primo, che cedeva la sua borraccia al tenente Burrows ogni volta che quello ritornava da un volo di ricognizione.
A tratti, l'ufficiale era talmente esausto da non riuscire a riprendere forma umana. Sonnecchiava con la testa sotto l'ala di gheppio per una mezz'ora, su spalle e selle, poi mutava forma e faceva rapporto. Ogni volta, riferiva che alla Rocca erano tutti pronti per il loro arrivo, con acqua e viveri forniti sia dall'Inquisizione sia dai loro nuovi alleati orlesiani, e ogni volta si dava giusto il tempo di fare un respiro profondo e bere un sorso d’acqua per darsi coraggio, prima di ritornare in cielo senza lamentarsi.
Mancava poco, davvero poco. Questo pensò Cullen, mentre aiutava un lanciere a reggersi in piedi in prima linea.
L'idea che i suoi uomini sarebbero stati presto al sicuro, coccolati dalle premure di chi era già sul posto, lo motivò ancora di più a non mollare la presa.
Tornato a cavallo, percorse la colonna di soldati in lungo e in largo, per rassicurare dapprima gli ufficiali, poi i sottoposti, quindi ritornò tra le prime linee, con una ruga di impazienza tra le sopracciglia aggrottate.
-Dobbiamo solo attraversare quella gola.- annunciò Burrows, di ritorno dall'ultimo giro. La sua voce grattava sulle pareti della gola come una vanga che spala la ghiaia. -Poi il percorso diventa montuoso, pieno di punti d'ombra.- indicò due formazioni rocciose a ridosso l'una dell'altra che creavano un corridoio a serpentina irregolare il quale scendeva per risalire in un'area nascosta dalla penombra.
-Aggirarla ci farebbe risparmiare tempo.- intervenne un capitano orlesiano che assisteva allo scambio.
-Aggirarla ci lesserebbe vivi.- lo corresse Cullen, asciugandosi la fronte dal sudore con un gesto brusco. -Ci verranno incontro?-
Sul viso stanco di Burrows apparve una sfumatura di sollievo. -Sono già lì.- confermò.
Cullen gli posò una mano sulla spalla. -Ottimo lavoro, tenente.- disse, lasciandolo subito andare. Non era ancora il momento di tirare il fiato.
Iniziarono l'attraversamento e vennero subito accolti da piccole chiazze di flora e arbusti resistenti al caldo, segno che in quel terreno ci fosse una buona presenza d'acqua nel sottosuolo. La compattezza del terreno confermava quell’ipotesi.
Un bel cambiamento rispetto alla distesa ustionante di sabbia senza forme di vita che avevano affrontato nei giorni precedenti.
L'ombra garantì subito sollievo, permettendo ai visi contratti dal fastidio derivato dalla luce solare di rilassarsi. In molti si sfilarono l’elmo, altri invece ne approfittarono per bere.
-Se non fosse che ci sono i nostri dall'altra parte, questo sarebbe un posto perfetto per un'imboscata.- commentò il capitano orlesiano, percorrendo i costoni di roccia con uno sguardo guardingo.
-Secondo lei metterei mai in pericolo i miei ragazzi?- domandò Cullen, piccato.
Il suo interlocutore si strinse nelle spalle. -Beh, è fereldiano. La cocciutaggine scorre nel vostro sangue.-
Cullen si limitò a fulminarlo con un'occhiataccia.
La strada proseguì in discesa per un centinaio di metri, per poi stabilizzarsi orizzontalmente e incunearsi nella gola sempre più in profondità. Nonostante il percorso fosse riparato, temperatura si era abbassata di poco, perché il sole batteva parzialmente sul costone orientale, creando un'onda di calore che si propagava lungo tutto il percorso. Ben presto, la strada salì e si allargò, esponendoli direttamente al sole. I costoni lasciarono il posto a colline rocciose intervallate da obelischi butterati dall'erosione e frammenti di bassorilievi talmente mangiati dal tempo da essere irrecuperabili. Gli arbusti crebbero di poco in altezza, le piante iniziarono a essere più frequenti, di conseguenza il sollievo di Cullen aumentò.
Ad un tratto, i soldati attorno a lui presero a parlare ad alta voce, indicando un punto preciso in cima a una collina a ovest, a meno di una cinquantina di metri dalla loro posizione.
Cullen portò lo sguardo in quella direzione, stringendolo per mettere a fuoco ciò che stava succedendo.
Se nel percorrere il sentiero nella gola aveva provato una parca dose di sollievo, in quel momento non solo si sentì rilassato come non si sentiva da giorni, ma anche finalmente al sicuro. Ma non era un sentimento altruistico, quella visione era una rassicurazione per lui soltanto.
-L'Inquisitrice! L'Inquisitrice!- chiamarono i soldati, acclamandola.
La sagoma di Lavellan, in groppa a Cornelia, si stagliava nel cielo cristallino come una torre di vedetta. Era solenne, imponente, confortante, e li analizzava così come faceva con qualsiasi cosa attraversasse il suo campo visivo, senza tradire emozioni. Nessun ufficiale se la sentì di riprendere i soldati per aver esultato troppo, Cullen per primo. Anche perché, se avessero potuto, avrebbero fatto lo stesso.
Era come se fosse di vedetta, immobile, al contrario di Cornelia che spostava il muso allungato in tutte le direzioni, creando un movimento elegante con le sue corna ramose.
Cullen non riuscì a non sorridere, mentre avanzando notava sempre più dettagli che la riguardavano. Da cacciatrice esperta qual era, indossava i colori del deserto e all'elmo aveva preferito un cappello a tesa larga per evitare che il sole le ustionasse la cute. Persino la bardatura di Cornelia era leggera e di colore chiaro.
Purtroppo, si era posizionata troppo in alto per farsi vedere in viso, ma Cullen era sicuro che i loro sguardi si fossero incrociati almeno un paio di volte, nel corso di quella breve apparizione. Poteva percepirne il calore, un calore diverso da quello profuso dall’ambiente.
Lavellan aspettò che fossero a pochi metri di distanza da lei, poi alzò una mano al cielo, rivolgendosi a un punto alla sua destra. Nella gola risuonò un: -Adesso!-
Con somma sorpresa dei soldati, una combinazione di magia del fuoco e del ghiaccio esplose sopra le loro teste, facendo scaturire una pioggia sottile e rinfrescante. Subito, urla di giubilo si unirono a un grande applauso, mentre nessuno riusciva a smettere di sorridere. Il sollievo sarebbe durato poco, dato che avevano in programma un'impresa terribile, ma valeva la pena di godersi quella frescura necessaria, soprattutto dopo una marcia lunga settimane.
Cullen si passò una mano tra i capelli umidi, raggiungendo Lavellan con un'espressione carica di gratitudine. Lei, di rimando, prese tra le dita le falde del cappello, tirandolo di poco giù sul viso in segno di saluto.
L'accoglienza rinfrescante andò avanti finché l'esercito non raggiunse il terminare della gola. Cullen provò un bruciante senso di aspettativa, mentre cercava con lo sguardo Lavellan, ma si costrinse subito a concentrarsi su ciò che era davvero importante e soppresse l'egoismo prima che potesse distrarlo troppo.
Raggiunsero la Rocca nella mezz'ora successiva e subito si organizzarono per costruire un accampamento nella piana circostante. L'esercito avrebbe trascorso la notte lì mentre gli ufficiali si riorganizzavano con il personale già presente alla Rocca, poi una volta arrivata l'alba si sarebbero messi in marcia verso Adamant.
Cullen non fu sorpreso di trovare ad aspettarlo una guarnigione ben rifornita, oltre a un numero consistente di alleati di diverse affiliazioni ed estrazioni culturali.
La collaborazione tra Rylen e Lavellan aveva dato i suoi frutti.
Aggiungendo anche il contributo di Hawke e di Alistair, c'era un'ottima possibilità che l'impresa di Adamant sarebbe stata meno ostica del previsto. Cullen ci sperava, ma non ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
Scese da cavallo per raggiungere un gazebo di tela che era stato installato all'ombra di una duna e che ospitava un manipolo di ufficiali, tra cui un Rylen dall'aria parecchio stressata che spiegava la situazione a chi era arrivato da poco.
-Non appena avremo finito il censimento, sposteremo le operazioni al quartier generale. Per ora è essenziale che il...- Rylen incrociò lo sguardo di Cullen, che aveva appena varcato la soglia. -Nomini l'Arcidemone e si scatena un Flagello.- disse, impettendosi per salutarlo a dovere.
Cullen si sporse per stringergli la mano, attirandolo a sé in un abbraccio virile che gli assicurò un sorriso e una pacca sulla schiena, poi entrambi si rivolsero al gruppo. Cullen notò immediatamente un Custode umano e un Nano di superficie con le insegne di un gruppo di mercenari molto celebre in Orlais. Assieme a loro c'erano due Qunari dall'aria annoiata e una Maga elfica alta poco più del Nano.
-Per ora è essenziale che il Comandante valuti le nostre forze nel complesso.- concluse Rylen, dal punto in cui si era interrotto.
Cullen rivolse un cenno col capo ai presenti, che ricambiarono. -L’Inquisizione vi ringrazia per la collaborazione. Sarà un onore combattere al vostro fianco durante l'assedio.-
Procedette quindi a registrare mentalmente i nomi delle nuove affiliazioni che erano state procurate all'esercito mano a mano che i presenti prendevano la parola per presentarsi, calcolando velocemente prima il numero complessivo di unità singole di cui disponevano, per poi traslarlo in truppe. Il tutto era già stato segnalato in un documento che Rylen aveva stilato per lui in precedenza, ma a Cullen non dispiacque verificare personalmente, anzi lo preferì.
-Siamo cresciuti di un quarto.- disse, una volta conclusa la riunione e congedati gli alleati. Era impressionato e la sua fisionomia non si faceva problemi a esprimerlo.
Rylen gli porse un secondo documento. -Hawke dice che con un po' più di preavviso avremmo potuto fare di meglio.- rispose. -Se non fosse che ho visto di cos'è capace, gli avrei riso in faccia.-
Cullen descrisse il suo secondo con un'occhiata approfondita. -Avresti potuto farlo comunque.-
-Mi sono limitato a guardarlo storto. Va bene uguale?-
-Se non fosse che se ti promuovessi saresti costretto a prendere il mio posto, lo farei qui e adesso.-
Rylen accennò un sorriso. -Non prenderei il tuo posto nemmeno se ti prendesse un accidente, Ser. Sto troppo bene dove sto, grazie.- affermò, per poi spostare lo sguardo altrove. -A proposito di ruoli gravosi...-
Un'ovazione in piena regola accompagnò l'arrivo dell'Inquisitrice al gazebo. Cullen la osservò smontare di sella, dare una pacca gentile sul fianco di Cornelia e recuperare l'arco.
-'nenza.- la salutò Rylen, mentre Cornelia si dileguava al trotto, diretta alle scuderie.
-Fa' come se non ci fossimo visti cinque minuti fa.- ricambiò lei, sistemandosi l’arco sulla schiena con aria gioviale.
L'anima di Cullen ritornò al suo posto con uno scatto.
Il suo viso era abbronzato, le sue guance erano piene e lo sguardo luminoso. Portava giusto un accenno di trucco sugli occhi, ma niente di troppo fastidioso per il clima esponenzialmente caldo del deserto. A dirla tutta, in qualsiasi versione Andraste gliel'avrebbe presentata, a Cullen sarebbe andato bene, ma dovette ammettere che fosse in una forma in cui non la vedeva da mesi.
-Inquisitrice.- disse, cercando di mantenere un tono professionale. La nostalgia, la fatica e soprattutto il sollievo gli incrinarono la voce, dimostrandole quanto pesante fosse stata quell'ultima separazione.
In risposta, Lavellan si avvicinò a lui con un sorriso di pura gioia, allacciò le braccia dietro al suo collo e recitò un -Comandante.-, prima di coinvolgerlo in un bacio. Tutti i sentimenti che lui provava nei confronti di quella riunione gli vennero riproposti con la stessa intensità, facendogli perdere il senso del tempo e dello spazio.
La strinse a sé, sollevandola appena, mentre si concedeva di abbassare temporaneamente le difese. Se vederla lo aveva fatto sentire immediatamente al sicuro, riabbracciarla lo fece sentire a casa.
-Mi sei mancato.- mormorò lei, quando respirare divenne una necessità.
-Anche tu.- rispose lui, sorridendo a ridosso delle sue labbra.
Si diedero giusto un istante per guardarsi intensamente negli occhi, poi lei ampliò il sorriso. -Torniamo al lavoro?-
Lui diede un breve cenno d'assenso e riprese il suo ruolo, con le forze rinnovate e l'anima molto più leggera.

Gli ci vollero ore prima che riuscisse a salutare degnamente Cassandra, nonostante avessero condiviso due riunioni, lo stesso valse per gli ufficiali d'istanza alla Rocca che Rylen si era portato dietro senza chiedere niente a nessuno. D'altronde, Cullen gli aveva rubato Ser Darrow per un paio di settimane, quindi si trattava di furti più che leciti.
Il fisico di Cullen gli implorava di dargli tregua, ma lui era talmente assediato dalle responsabilità da rimandare le sue esigenze; purtroppo, era abituato a lavorare a ridosso dei suoi limiti, il che gli permise di ignorare i segnali d’allarme e procedere comunque.
Da un lato, ogni cosa sembrava girare per il verso giusto, ma dall'altro c'era ancora un'ampia rosa di rischi sui quali l'esercito e la squadra dell'Inquisitrice avrebbero potuto incappare il giorno successivo. Pianificare un assedio significava prendere in considerazione prima le previsioni terribili, poi se c'era tempo, andavano calcolati gli imprevisti.
Pensare troppo, in quel caso, venne in aiuto sia a lui che a Lavellan, che stilarono un documento talmente pessimistico che il problema minore in lista era l'assedio stesso.
In tutto ciò, Hawke si comportò particolarmente bene. Docilmente, se possibile. Fu quello che impose a Cullen di prendersi una pausa, perché era un atteggiamento che non lo convinceva.
-No, non ho in mente di farti uno scherzone.- lo rassicurò Hawke, mentre sedevano su un parapetto in penombra, abbastanza riparato dal caos dei preparativi.
Cullen descrisse il panorama al di là del parapetto con lo sguardo, registrando con aria stanca il mare di dune che si disperdeva fino a perdita d'occhio. -Che ti prende, allora?- domandò, facendo dondolare le gambe per sgranchirle.
-Assolutamente niente.-
Cullen lo guardò con aria poco convinta.
Hawke gli rispose facendo roteare gli occhi in maniera annoiata, poi recuperò una fiaschetta e la svitò con aria allegra. Quel gesto attirò immediatamente su di sé un'occhiata di totale disapprovazione. -Non è quello che sembra.- disse Hawke, porgendo l'oggetto al suo interlocutore dopo aver preso un sorso.
Cullen accettò di verificare con il dubbio instillato nei tratti del viso. Annusò il contenuto della fiaschetta e il dubbio si trasformò dapprima in una smorfia contrita, poi in sorpresa.
Guardò Hawke, prendendosi i suoi tempi per valutare la situazione nel complesso. Come Lavellan, anche lui sembrava in perfetta forma, anzi, era in una forma con cui non lo si vedeva da anni. Aveva perso qualche chilo, in maniera sana, e la pelle del viso appariva pulita, nonostante fosse bruciata dal sole. Ciò che colpì particolarmente Cullen fu la brillantezza del suo sguardo, non più offuscato da litri su litri di birra che di solito lo inquinavano con un velo di flemma.
Avrebbe dovuto complimentarsi con lui per l'impegno, ma non era una dinamica che avevano ancora sbloccato, quindi si limito a chiedergli: -Che roba è?- in tono inquisitorio.
-Caffè e infuso di stelogracile. Sai, per dargli quel tocco in più di...- agitò le mani alla rinfusa, poi recuperò la fiaschetta. -Ankh dice che fa l'alito buono.-
-In realtà, gli ha spiegato che ha mille altre proprietà, oltre a ripulire il palato, ma quando inizia ad andare sullo specifico di solito lui stacca il cervello.-
Cullen si voltò di scatto, mentre Alistair prendeva posto tra di loro, maldestramente. -Buongiorno!- lo salutò, con una nota di allegria nel tono di voce.
Alistair ricambiò con un sorriso sghembo e una pacca sulla schiena. -Scusate il ritardo, stavo discutendo con Blackwall.- disse. -Quell'uomo ha una tale parlantina che ogni tanto mi sembra di stare a discutere con una lastra di marmo.-
Hawke esalò una risata costituita da una serie di vocali nette. -Custodi.- commentò.
-Allora, amico di penna, fatto buon viaggio?- domandò Alistair, circondando le spalle di Cullen con un braccio mentre si sporgeva nella sua direzione.
-Terrificante!- gli rivelò l'altro, senza protestare o divincolarsi. -Siamo sopravvissuti a tre imboscate, abbiamo bloccato due epidemie di raffreddore sul nascere ed è già tanto che sia riuscito a portarli qui tutti interi.-
-Le storte alle caviglie saranno state all'ordine del giorno.-
Cullen sbuffò un sospiro secco. -Storte, lussazioni, piede del soldato...- elencò, muovendo il braccio in maniera circolare. -Il bello di avere un esercito di gente che viene da ogni dove: non puoi farli marciare, devi farli camminare. E dove cammini inciampi e dove inciampi c'è bisogno di una barella e dove c'è bisogno di una barella...-
-Abbiamo capito, hai le palle girate!- concluse Hawke per lui, abbarbicandosi su Alistair per potergli assestare un'occhiata sintomatica della sua esasperazione.
-Non è il solo.- replicò Alistair, sfiorando Hawke con un’espressione divertita. Quello ricambiò con un'alzata di sopracciglia.
-Buttamelo di sotto e ti faccio fare il volo!- lo rimproverò Cullen, usando il braccio sinistro come ringhiera per evitare che i due si sbilanciassero. Sarebbero caduti per un paio di metri al massimo, ma per qualcuno vestito con tanto di armatura ed equipaggiamento non sarebbe stato un atterraggio morbido.
-Ah, perché se scivolassi io di sotto sarebbe meglio?- brontolò Hawke, riposizionandosi in modo da evitare rischi.
-Sarebbe capace di scendere giù e farti scivolare ancora più di sotto.- scherzò Alistair, liberando Cullen dalla stretta. Si soffermò a guardarlo in viso per un po’, prima di riaprire bocca. -Guarda che c'è un tizio che fa gli occhioni alla tua donna.- lo avvisò. -Se vuoi ti do le generalità.-
Cullen ridacchiò. -Se dovessi fermarmi a prendere le generalità di tutti quelli che le fanno gli occhioni, mi servirebbero nove vite per completare il lavoro.-
Due versi adorabili di scherno gli fecero alzare gli occhi al cielo.
-Sai, considerato che è il tuo grande amore, ti facevo più possessivo.- ammise Hawke, porgendo la fiaschetta ad Alistair.
Quest'ultimo si fermò a metà sorso, bagnandosi il mento accidentalmente. -Diamine, parliamo già di grande amore?-
-No, non grande amore.- lo corresse Cullen, abbassando di poco il tono di voce. -Amore della vita.-
Di nuovo, ricevette due versi adorabili di scherno, ma stavolta li accettò senza fare storie e quando la fiaschetta arrivò da lui, non esitò a prenderne un sorso.
-Beh, è quella giusta.- dichiarò Hawke, stringendosi nelle spalle. -Nonostante tutti i miei tentativi di riciclaggio di informazioni, non si è mai scucita.-
-E questo è l'insistenza personificata.- intervenne Alistair.
-Lo stai dicendo alla persona giusta.- commentò Cullen, ritornandogli la fiaschetta con aria schifata. -E non serve che tu mi dia certe conferme. Non sono affari tuoi!- aggiunse, rivolgendo un'occhiata torva ad Hawke.
-Stare con voi mi ricorda la mia infanzia.- disse Alistair, dopo aver restituito la fiaschetta ad Hawke. -Mabari in gabbie opposte che litigano e io nel mezzo che cerco di dormire.-
-Hai appena descritto la mia, di infanzia.- replicò Hawke. -Io che finalmente mi stendo a letto dopo una giornata passata a tirare su cavoli e i gemellini che in cambio si danno le legnate in piena notte usando il mio letto come trincea.-
-Hai poco da lamentarti, io ero il secondo di quattro.- intervenne Cullen, per niente intenzionato a perdere quella battaglia. -Uno per orecchio e l'altra che urlava di smettere. Non so com'erano i tuoi, ma in confronto ai miei una camerata di Maghi adolescenti che rischiavano di darti fuoco anche solo respirando era una vacanza.- fece una pausa.
-Noi non abbiamo mai avuto quel rischio. Papà ci ha tirati su con l'amore, non con la vergogna.- affermò Hawke, guardandolo di traverso.
-Vuoi dirmi che non hai mai dato accidentalmente fuoco a qualcosa?- domandò Alistair, scettico.
-Non accidentalmente, no.- replicò Hawke, indossando un sorriso malizioso. -Sai, in realtà non ero nemmeno portato per la Magia Elementale. Ero dannatamente bravo nell'Entropia.-
Cullen ritrasse il capo, sporgendosi all'indietro per poterlo guardare in faccia. -Tu? Nell'Entropia?-

Hawke recuperò il suo grimorio dalla cinghia e passò una mano sopra la copertina, prima di afferrare un plico di pagine dal bordo ed esibirne lo spessore. Si trattava di un quarto del libro.
Alistair spiò la data che era stata scritta in cima alla pagina seguente. -E tu, nel bel mezzo di un Flagello, hai deciso di cambiare disciplina.- disse, con aria assorta. -Perché?-
Cullen capì al volo. -Per sua sorella.- rispose, al posto di Hawke.
Quest'ultimo si limitò ad accennare un sorriso.
-L'unico modo per farle concludere il viaggio. Per farla sopravvivere.- articolò Cullen, mentre Alistair univa i puntini nella sua testa con un’espressione desolata.
Hawke chiuse il grimorio, appoggiandolo in grembo con cura. -Sono un sentimentale.- ammise, stringendosi nelle spalle. -Per lei la magia era l'unica valvola di sfogo, l'unica cosa che le permetteva di scrollarsi di dosso tutte le imposizioni che le buttava addosso nostra madre. “Stai attenta di qui, non farti troppo notare di là, tieniti lontana dagli altri bambini perché sei diversa…”- sbuffò. -Essere l'uomo di casa è facile, perché puoi allontanarti con la scusa di andare a lavorare sui campi e ritornare quando fa sera. Essere la donna di casa è tutto un altro discorso.-
Cullen non osò assolutamente suggerire che al Circolo Bethany avrebbe avuto una vita diversa. Si trattava di una risposta che il suo cervello gli aveva proposto automaticamente, a causa del condizionamento della Chiesa, ma lui ci aveva vissuto nel Circolo; sapeva a cosa sarebbe andata incontro, soprattutto riguardo le punizioni che avrebbe subito se avesse posseduto anche solo in minima parte l'atteggiamento del fratello maggiore.
-Quanto sei pesante!- lo riprese Alistair, battendo amichevolmente un pugno sul braccio di Hawke.
Quello bastò per farlo ridacchiare, permettendogli di allentare la presa sugli spettri del passato. -Ah, quando si parla di famiglia, scatta sempre la lacrimuccia.- sdrammatizzò, per poi dare un cenno col capo in direzione di Cullen. -Guardalo, 'sto stronzo, che si intristisce per gli altri solo per il gusto di infastidirli. Lui ha tutta la sua mandria viva e in salute e manco si spreca a scrivergli una letterina!-
-E cosa dovrei scrivere? “Ciao sorella cara, approfitto della pausa tra un terrore notturno e una sessione di auto-flagellazione per dirti che il tempo è bello e non mi ricordo che faccia avete.”- replicò Cullen, con aria sofferente.
Alistair si batté l'indice sul mento con aria forzatamente pensierosa. -Potresti chiederle se ha qualche marmellata da mandarti. Sai, noi avevamo il pacco da casa, durante l'addestramento. Se lo intascava la Cantrice, ovviamente, ma se facevo il bravo mi permetteva di addentare mezzo biscotto. Peccato che la cuoca di Arle Eamon usasse lo zucchero con la parsimonia di un antivano tirchio, ma era pur sempre una piccolissima consolazione dopo una giornata passata a ripetere litanie con la madre che torreggiava sulle spalle di tutti pronta a darcele di santa ragione con il frustino.- fece una pausa. -Diamine quanto le piaceva quel dannato frustino! Pam! Giù per la schiena! Pam! Nel ginocchio di dietro! Pam! Sul costato!-
Cullen, che da quando Alistair aveva preso a vomitare parole non smetteva di osservarlo con aria dubbiosa, coronata da un sopracciglio inarcato, si sporse di nuovo verso Hawke. -Come lo spengo?- gli domandò.
-Prova a usare la parola “flagello”.-
Alistair stette al gioco, rilassando gli arti e facendo cadere la testa di lato, proprio come avrebbe fatto una bambola a molla.
Cullen gli diede una breve spinta giocosa, accennando un sorriso. -Idiota!-
Hawke rise gravemente, scuotendo la testa. -Se avete qualcos'altro di pesante di cui discutere, fatelo ora che l'atmosfera è tranquilla. Non so se posso gestire un discorso altrettanto triste in un secondo momento.-
-Già, facciamo che da adesso in poi si parlerà soltanto dell'inevitabile destino dei miei confratelli. È molto più confortante.- replicò Alistair, appoggiandosi a lui. -Non vedo l'ora di sentire di nuovo le tue opinioni a tal proposito.-
-“Ho un fratello custode ma-”.- scherzò Hawke, assicurandosi una pacca sulla collottola.
-A dire il vero, qualcosa di pesante c'è.-
Hawke e Alistair si voltarono verso Cullen, per niente sorpresi del suo intervento. Lui scorse uno sguardo dubbioso su entrambi, poi esalò uno sbuffo lungo ed esasperato. -Ho recuperato una cosa, anzi mi è stata data.- disse, frugando nelle tasche a lungo, prima di recuperare un involto di stoffa. -Tenerla mi sembrava inappropriato, soprattutto dopo che mi hai messo al corrente del tuo passato.- aggiunse, porgendo l'oggetto ad Alistair.
Quest'ultimo lo recuperò senza esitazioni, scartandolo per tirarne fuori un medaglione quadrato grande quanto il palmo della sua mano. Era bronzeo e raffigurava Andraste che conduceva schiere di uomini in battaglia, affiancata dal suo mabari. Si trattava di sicuro di un oggetto molto antico e alcune pietre preziose sullo sfondo erano mancanti; a testimonianza della loro presenza passata c'erano piccoli solchi anneriti di sporco.
-Cioè, per essere bellino è bellino, ma non è esattamente il mio stile.- disse Alistair, posandoselo su diverse parti del corpo per provare il punto.
-Faceva parte di una collana.- spiegò Cullen, spostando lo sguardo verso l'orizzonte. -Apparteneva a Re Maric.-
Alistair smise di giocherellare, prendendo a osservare l'oggetto con più attenzione. -Oh.- disse soltanto.
Hawke scorse uno sguardo attento su di lui. -A cosa pensi?-
Alistair si prese i suoi tempi per analizzare la situazione, poi voltò la testa verso Cullen. -Pensavi che mi avrebbe fatto piacere riceverlo?- domandò, asciutto.
Cullen lo guardò con la coda dell'occhio. -Pensavo che non fosse compito mio decidere del suo destino.-
-Non è un regalo, allora.-
-No.-
Alistair rilassò la postura. -Meno male, perché è terribile.- commentò, tornando a guardare il medaglione. -Grazie.-
Cullen annuì una singola volta, a presa di coscienza.
Hawke guardò l'uno, poi l'altro, infine si concentrò sull'oggetto. -Cosa intendi farne?-
-Di certo non posso indossarlo, non posso tenerlo sotto al cuscino in ricordo di tempi migliori e non potrei godermi i ricavati nel caso in cui lo vendessi.- rispose Alistair, con aria assorta. Sollevò il medaglione. -Questa cosa mi porta tutt'ora a pensare che sarebbe stato meglio se non fossi mai nato.-
Hawke si rivolse a Cullen. -La prossima volta che ti ritrovi un oggetto del genere tra le mani, prima di consegnarlo tienitelo per qualche ora a macerare su per il culo. Magari così ti passa la voglia.- lo rimproverò.
-Lo terrò presente.- borbottò Cullen, aggrottando la fronte sopra un'espressione infastidita.
-No, no, ha fatto bene a darmelo.- lo difese subito Alistair. -Se non l'avesse fatto, non avrei potuto fare...- e lanciò il medaglione il più lontano possibile, con forza.
Cullen lo placcò in tempo prima che potesse cadere di sotto, Hawke fece lo stesso. Per poco, tutti e tre non fecero il volo.
Una volta stabili, non c'era occhio che non fosse sgranato.
-Catarsi non significa deficienza.- gemette Hawke, che aveva appena visto la vita scorrergli davanti. -Ti senti meglio adesso?-
Alistair scosse la testa. -Assolutamente no, ma dovevo chiarire la mia posizione e mi sembrava il modo più drammatico per farlo.-
-Andraste benedetta!- imprecò Cullen, raddrizzandosi il mantello. -C'è modo e modo, diamine!-
Alistair gli rivolse un mezzo sorriso. -Beh, quello era l'unico. Ci ho messo una vita a mettermi in testa che merito di esistere, volevo evitare di perdere altro tempo.- si indicò. -Mi resteranno quanti, cinque sei anni di vita? Vorrei concentrarmi su altro, tipo l'estinzione del mio ordine. O il fatto che ho appena bevuto caffè alle erbe e non dormirò più per i prossimi cinquant'an… ah, no, morirò decisamente prima. Senza gioie, solo tremori e insonnia.-
-Per la grazie del Creatore, quanto sei pesante!-
Alistair e Hawke si voltarono verso Cullen, con un sorrisetto che lui ricambiò.
-Neanche da ubriaco vi verrei a dire che vi voglio bene, ma sappiate che c'è una piccola parte della mia testa (infinitesimale, ma proprio piccola piccola piccolissima) che prova un sentimento di stima nei vostri riguardi.- disse Hawke, rimettendo al sicuro il grimorio. -Ma piccola, se non si fosse capito.-
-Io manco se mi obbligassero ti direi che godi della mia stima.- aggiunse Cullen. -Ti sopporto, ecco.-
-Questo mi va bene. Anch'io ti sopporto. A malapena, ma tant'è.- ammise Hawke, soddisfatto.
Alistair aggrottò le sopracciglia su un'espressione delusa. -E io, scusa? Sopporti e basta anche me? Con tutta quella corrispondenza pensavo che fossimo almeno ami...-
-Prenderei a botte chiunque osasse farti del male.- lo interruppe Cullen, guardandolo dritto negli occhi.
Alistair rivolse ad Hawke un sorriso soddisfatto. -Vedi? Se fai pena alle persone poi finiscono sempre per adottarti.-
Cullen alzò gli occhi al cielo. -Non ti ho adottato e non mi fai assolutamente pena.- recitò, monocorde.
-Perché sono simpatico?-
-Nemmeno.-
Alistair ci pensò un attimo, in difficoltà. -Dammi una mano, Hawke, sto finendo i pregi.-
-Perché sei l'unica persona che lo sopporta?-
-Un pregio, Hawke, non un dato di fatto.-
-Vi butto giù, giuro che vi butto giù!-
Tornare al lavoro per Cullen fu più difficile del previsto, per una volta.

 

*

 

Per tutti, la notte prima di una grande impresa equivaleva a insonnia. Per Lavellan significava “bagno”.
Purtroppo, quando si è parte di un accampamento sterminato di soldati in pieno deserto ci si fa bastare una bacinella, dei frammenti di sapone all'olio d'oliva recuperati da chissà dove e un fazzoletto di tela come asciugamano.
Oggetti che si ritrovò a gestire nella sua tenda (una bolla di silenzio intaccata dal vociare ovattato dell'accampamento), abilmente protetta da un paravento nel caso in cui qualcuno avesse richiesto la sua attenzione in un momento inopportuno.
Cassandra le aveva imposto di andare a dormire, nonostante Lavellan volesse essere l'ultima a lasciare il tavolo della strategia. Lei, a malincuore, aveva accettato, perché la logica le impediva di dare torto alla sua compagna di viaggio.
Fronteggiava dunque un mobiletto alto fino alla chiusura del suo sterno e sormontato da una bacinella riempita fino all'orlo di acqua pulita. Viste le condizioni dell’alloggio che le era stato assegnato, quell'acqua era l'unico lusso vero e proprio di cui avrebbe disposto. Le andava bene, dato che era abituata a molto meno.
Seccata dall’allontanamento forzato, decise che lavarsi sarebbe bastato a farle passare il malumore. Si disfò dell'armatura e si strappò letteralmente di dosso le protezioni, spogliandosi fino all'intimo. Una volta vestita unicamente del guanto sinistro e del bustino che usava per evitare che il seno la decapitasse durante la corsa, appoggiò le mani sul bordo del mobiletto e si sporse su di esso, per esalare un lungo sospiro di frustrazione.
A testa china, bisbigliò una preghiera, attenta a farsi sentire solo dalle proprie orecchie, perché anche se era riparata dall'ambiente esterno, non ce la faceva proprio a dare adito al timore che provava nei confronti di quello che sarebbe successo l'indomani. Sentiva che, confortandosi platealmente, persino la branda sarebbe arrivata a giudicarla.
Mentre la sua immaginazione galoppava, qualcuno chiese il permesso di entrare e lei, senza nemmeno prestare attenzione all’identità dell’ospite, recuperò al volo la camicia e se la infilò, voltandosi verso il paravento. -Arrivo in un istante.- promise.
L'istante promesso, purtroppo, si fermò sulle increspature dell'acqua, che le mostrarono il suo riflesso. C'erano due cose agitate in quell'immagine, e lei doveva scrollare di dosso la tensione da una di esse. -Un istante.- ripeté, concentrandosi a inalare ed esalare abbastanza respiri profondi a occhi chiusi per rilassare i lineamenti una volta per tutte.
-Non serve. Conosco la strada.-
Lavellan inalò l'aria in modo talmente brusco da strozzarsi. Tossì la sua sorpresa mentre il suo sguardo appannato correva per raggiungere Cullen a tutti i costi. Alzò una mano nella sua direzione per indicargli di attendere che la tosse si esaurisse, impossibilitata a esprimersi.
Lui si era affiancato al paravento e le sorrideva con aria incerta, tenendo le braccia incrociate sul petto. Era una posa davvero rilassata per i suoi standard, notò Lavellan, dopo essersi curata la gola con un sorso d'acqua.
-Vuoi che torni più tardi?-
-Non osare!-
Cullen ampliò il sorriso di poco. -So che Cassandra ha messo il veto sulla tua tenda fino a domani mattina, ma volevo comunque darti gli ultimi aggiornamenti personalmente.- spiegò. -Sempre che la mia presenza non ti tolga troppo il fiato.- aggiunse, in tono scherzoso.
Lavellan gli rivolse un'espressione grata. -Ti prego, dimmi ogni cosa.- lo supplicò, passandosi una mano tra i capelli mentre tornava a reggersi al mobiletto. -Anche quelle che mi farebbero perdere il sonno.-
Cullen capì immediatamente il problema. -Anche a te turba questa quiete?- mormorò, sciogliendo le braccia per muovere un passo nella sua direzione.
Lavellan prese un cubetto irregolare di sapone tra le mani. Iniziò a scavarlo con l'unghia del pollice, per sedare un minimo di tensione. Ringraziò che il suo compagno l’accondiscendesse in quella piccola nevrosi, anziché correre a consolarla, o peggio, a rimproverarla. -Non è la quiete che mi turba, lo sai.-
Cullen la raggiunse con un paio di falcate. -Ci hanno lasciato un po' di trappoline durante il percorso. A quelle magiche ci sta pensando la truppa mista, a quelle fisiche le Furie. Hai fatto bene a dirci di portarci dietro Tre Occhi. A quanto pare li sta mettendo in uso tutti e tre.-
-Feriti?-
-Solo un paio di spaventi e un'ustione. Cercheranno comunque di rallentarci, ma non è niente a cui non siamo preparati.-
-Lo dici per farmi stare tranquilla, o è davvero tutto sotto controllo?-
Cullen chinò appena la testa per raggiungere il suo sguardo. -Lo sai che non è mai tutto sotto controllo. Le cose stanno semplicemente andando bene, per ora.-
Lavellan annuì nervosamente, poi smise di tormentare il sapone, limitandosi a racchiuderlo tra le mani. Guardò il viso del suo compagno, analizzandolo a fondo senza riuscire a trovare tracce di bugia. -È tutto?- domandò.
-No, non è tutto.- rispose lui, rilassando i lineamenti. -Ho messo Burrows e Ser Scarlett a guardia del Monsignore.-
Lavellan spalancò lo sguardo. -L'hai finito?- domandò, alzando di poco il tono di voce.
-Finito e operativo. Totalmente operativo.- confermò lui, con il tono di voce che secerneva un certo orgoglio.
Lavellan si lasciò cadere in avanti, aggrappandosi al suo mantello con il sollievo dipinto in viso. Si arrampicò fino a buttargli le braccia al collo, mentre divorava il suo viso con occhiate, sorrisi e baci colmi di gratitudine.
Lui la lasciò fare, ridacchiando sommessamente mentre cercava di sorreggerla. -Si, si, ti amo anch'io.- rispose, accettando ogni singola attenzione. -Ma non mi stare troppo addosso, faccio schifo.-
Lavellan fermò la sua arrampicata per guardarlo con aria dubbiosa. -Vhenas, sono stata in prossimità della tua banda di amici fereldiani per settimane, a infilarmi in cunicoli e nidi di Prole Oscura... tu in confronto sei una rosa del deserto. Quelle al forno, con le mandorle.- disse, tornando subito a tormentarlo.
Cullen le stampò un bacio sull'orlo delle labbra. -Di buono quelle hanno solo il profumo.- ammise, raddrizzandosi il mantello che lei rischiava di rovesciargli in testa. -Lav, sul serio, fammi dare una rinfrescata, prima che... ecco, prima che.- disse, impedendole di continuare a trattarlo come un ramo.
Lei allora si distanziò, per indicargli la bacinella con un cenno. -Ce n'è abbastanza per entrambi, se vuoi.- fece, speranzosa. -E se non ce n'è abbastanza, posso chiederne un'altra.- aggiunse, perché l'idea che se ne andasse, anche solo per pochi minuti, la uccideva nell'anima.
Dalla qualità della smorfia che aveva in viso, Cullen parve stesse vagliando i pro e i contro di quell'opzione. Lavellan poteva benissimo vedere ogni singolo meccanismo mettersi in funzione dietro al suo sguardo. Stranamente, non gli ci volle troppo tempo per accettare la proposta. Di buon grado, per altro.
-Non mi serve più insistere, insomma.- chiosò lei, sfilandosi la camicia mentre Cullen appoggiava mantello e tunica sul paravento. -Buono a sapersi.-
Lui ebbe un istante di smarrimento. -Beh, ora che siamo a questo punto, non ha più senso nasconderci il fatto che siamo due disperati.- ammise, procedendo a sfilarsi l'armatura. -Tu sei solo un po' più palese.-
Lavellan indugiò sulla chiusura del guanto sinistro, osservandolo spogliarsi con aria divertita. -Ti farà piacere sapere che tutta la disperazione che tanto ti accanivi a reprimere faceva capolino ogni volta che le nostre labbra si incrociavano.- lo punzecchiò. -Più che palese, la tua disperazione era talmente fuori misura da mandare fuori scala la mia.-
Cullen le rivolse un'occhiata dubbiosa. -Ah, allora è colpa mia se non sai controllarti?- domandò, riuscendo finalmente a fuoriuscire dal pettorale. Lo abbandonò a terra, assieme ai bracciali e agli spallacci, poi si sgranchì le spalle e il collo, con una distinta espressione di sollievo.
Lavellan si sfilò il guanto e subito l'area attorno alla bacinella si tinse di riflessi verdognoli, contrastando la luce delle candele. -Diciamo che è un pochino colpa tua se ogni volta che ti vedo vorrei mangiarti vivo.- disse, inzuppando le mani nell'acqua per attivare il sapone.
Cullen si prese un istante per rivolgerle un sorriso sornione, poi tornò a spogliarsi. -Senti chi parla.- mormorò.
Lavellan approfittò del fatto che si trattasse di un processo lungo e laborioso per lavarsi le braccia e il collo, sfregandosi lentamente il sapone sulla pelle per godersi l'attimo e rilassarsi. D'altronde, era quello il senso del rituale; condividerlo l'aveva reso solo più necessario. -Non avevo mai visto così tanta sabbia.-
Cullen finì di sfilarsi gli indumenti protettivi e si portò alle sue spalle, per appoggiarle un bacio sulla nuca. -Nemmeno io e, onestamente, ne avrei anche fatto a meno.-
Lavellan esalò una risata, poi gli allungò un frammento di sapone. -E dire che stai così bene con un po' di colore sulle guance!-
-Non se il colore è un rosso acceso.-
Si scambiarono uno sguardo divertito, mentre lui prendeva posto al suo fianco. Lavellan non riuscì a non ammirarlo; il che, come aveva detto lui in precedenza, non era certo una notizia che faceva scalpore.
Ogni dettaglio che lo riguardava la mandava regolarmente in uno stato di disconnessione con l'universo, ma non poteva proprio farci niente, anzi, non voleva farci niente.
Fortunatamente (o sfortunatamente, a seconda dell’occasione), gli ormoni non riuscivano mai ad annebbiarle il cervello del tutto, permettendole di distrarsi dalla distrazione per assicurarsi un barlume di lucidità.
-Stai bene?- gli chiese, notando un certo grado di tensione nel suo fisico. I muscoli dell’addome e delle braccia erano fin troppo definiti, segno che il troppo movimento fisico non fosse stato accompagnato da una dieta e un’idratazione regolari.
Cullen, che si stava insaponando le mani mentre esplorava con lo sguardo le gambe di Lavellan, sollevò la testa con aria interdetta, come se fosse stato colto in fallo. Era evidente che quello che succedeva a lei succedeva a lui di rimando.
-Stai bene?- gli ripeté Lavellan, senza inserire troppa preoccupazione nella domanda.
Cullen si prese i suoi tempi per lavarsi le braccia, dandosi modo di riflettere sulla maniera migliore per approcciarsi alla domanda. Lavellan non gli mise fretta.
-Sì, sto bene.- rispose lui, dopo un po' di tempo. -Adesso sto bene.- precisò.
Lavellan si impedì di imporgli la propria curiosità. -Allora siamo in due.- disse, coccolandolo con un bel sorriso. -Vuoi parlarne?-
-Ho già risolto.- dichiarò lui, spostando lo sguardo altrove. -No, non ho risolto.- si corresse, abbassando il tono di voce. -Avrei voluto parlartene e... non voglio dover sempre contare su di te quando ho una crisi. Devo iniziare a dipendere da me stesso, su queste cose.-
Lavellan gli sfiorò il viso con una carezza, sistemandogli un ciuffo di capelli dietro l'orecchio. -Forse invece devi proprio iniziare a fare il contrario.- disse. -Sono la tua compagna, è compito mio aiutarti quando non trovi una soluzione da solo.-
Cullen intercettò la sua mano con la propria, prima che si allontanasse dal suo viso, adagiando su di essa un bacio lieve. Rimasero immobili in quella posizione per un po', godendo di quel conforto momentaneo, poi si sorrisero e tornarono a lavarsi.
-Piuttosto, cosa aspettavi a dirmi che tuo fratello era a zonzo a Skyhold?-
Lavellan si passò una mano sullo stomaco, sopra il busto. Stette in quella maniera per un po’, a osservare il sapone creare spirali nell'acqua della bacinella, poi sospirò.
Cullen si portò nuovamente alle sue spalle, scorrendo le dita bagnate sulla chiusura dell'indumento. -Non era un'accusa. Sono affari tuoi, alla fine.- si scusò, procedendo a sbottonarlo.
-Sono affari anche tuoi.- lo corresse Lavellan, lasciando che l'aiutasse. -Soprattutto se si tratta di famiglia.-
Cullen spostò lo sguardo dall'opera che stava compiendo, posandolo brevemente sul suo profilo.
Lavellan sentì i suoi occhi pesarle sull'anima, come se la stessero spingendo a staccarsi. -È venuto lui a cercarmi, quando ha scoperto l'identità di nostro padre e i danni che aveva fatto in giro per il Thedas. Non mi ha chiesto niente, né preteso che lo prendessi in considerazione, voleva solo conoscermi e sapere che faccia avevo. Anche se nessuno dei due cercava conferme dall’altro, ci siamo piaciuti istantaneamente. Il sangue non c'entra, è solo che... non so come spiegarlo.-
-Alchimia?-
Lavellan ponderò sull’accuratezza di quel termine, mentre si reggeva il busto allentato sul seno. -Qualcosa del genere.- mormorò.
Cullen sorrise appena, mentre percorreva il solco della colonna vertebrale di Lavellan con lo sguardo. -Mi ha minacciato di cose indicibili, semmai avessi osato rovinare il tuo lavoro.-
Lavellan esalò una risata nervosa, stringendosi nelle spalle in un abbraccio solitario. -Beh, c'è stato per- fece un calcolo mentale veloce -cinque relazioni finite malissimo. Immagino che sia arrivato al punto di odiare a prescindere qualsiasi persona che ha atteggiamenti romantici nei miei confronti.- si voltò, cercando lo sguardo del compagno da sopra la spalla. -Non ce l'ha davvero con te, vhenas.- lo rassicurò, con una nota d'imbarazzo nel tono di voce.
Cullen sfilò l'ultimo bottone dall'asola, poi fece aderire il corpo alla sua schiena. Le sfilò lui stesso il busto, descrivendo le sue curve sotto di esso con carezze gentili e racchiudendole sotto al suo tocco con una precisione che derivava dapprima da esigenze altruistiche, poi personali. -Non ha la minima idea dell'importanza che hai per me.- le sussurrò all'orecchio. -Del peso incredibile che ha la tua esistenza sulla mia. A volte mi riesce difficile anche solo respirare, quando ti penso. Il che è ironico, dato che i momenti che passo insieme a te sono i momenti in cui respiro davvero.-
Mentre le sue mani procedevano a scolpire il suo corpo, Lavellan accolse tra le labbra un bacio esasperato, ricambiandolo con altrettanto desiderio. Le loro fronti si sfiorarono e, una volta capito che appartenevano l'una all'altra, rimasero insieme.
-Mi sei mancata così tanto.-
Lavellan sentì il cuore sciogliersi nel petto. -Non voglio più restare separata da te così a lungo.-
-Nemmeno io, ma hai altra scelta?-
Lavellan raggiunse la sua mano destra e la strinse, senza osare smettere di respirare il suo respiro. Le ci volle un po' per elaborare una risposta, anche se il presente aveva urgenza di attenzioni. -Posso scegliere di tornare sempre da te, finché l'Ancora non mi annullerà, centimetro dopo centimetro.- disse.
Cullen la avvolse tra le braccia con più enfasi. -Passiamo la notte insieme, ti prego.-
-Pensavo fosse scontato.-
-Lo so, ma mi hai aspettato così a lungo che ora non riesco a smettere di pregarti.-
Lavellan sciolse la presa sulla sua mano e fece un giro su se stessa, lasciando che il desiderio l'annebbiasse. Tanto sapeva che laddove lei avrebbe smesso di pensare, ci sarebbe stato lui a farlo al suo posto. E quando sarebbe arrivato il suo turno di mollare le redini, lei le avrebbe prese senza esitazioni.

 

-Nota-

A proposito del ringraziamento che Alistair fa a Hawke…
Scusasse, ma il mio canon su Anders è che sia HoF che Alistair 1) fossero assurdamente contrari al suo allontanamento ma hanno dovuto accettare la situazione per motivi politici; 2) non sono riusciti a intercettare la situazione in tempo, per questioni di distanza; 3) gli è stato taciuto e quando l’hanno scoperto era troppo tardi e né Anders né i Custodi hanno voluto sentire scuse. Il motivo non l’ho ancora definito, ma nella mia testa ‘sti due (+cricca della Veglia) sono pissed. Ma pissed seri.
Per me i Custodi di Awakening sono famiglia, è stupido che HoF se ne stia zitto quando c’è di mezzo un’ingiustizia ai danni di qualcuno che considera come un fratello. Nel mio hc, HoF sta sull’anima (de li mortacci) ai Custodi perché in fin dei conti è una persona attiva nella politica del Ferelden. Probabilmente, allontanare Anders era un modo (neanche troppo sottile) per ferirla, o punirla per le sue continue intromissioni. Il che fa schifo ma è in linea con la visione di un ordine chiuso e pieno di regole come i Custodi. Per quello Alistair è grato a Hawke per essergli stato vicino. A entrambi, insomma, perché non hanno estromesso solo Anders.
Rant chiuso, passiamo ad altro.
Altro essere Adamant. Se potessi fare in modo che entrambi passino lo squarcio dopo la battaglia contro Paura, lo farei. Purtroppo seguo la linea Doctor Who: ci sono dei momenti fissi nella storia che non possono essere cambiati, il resto può anche subire modifiche. Insomma a seconda di quale sarà la soluzione logica, Lav prenderà le botteTM da Fenris o da Cousland.
Soluzione logica, ho detto? Uhm…
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<3

 

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Capitolo 28
*** Vittoria ***


C'era una quiete surreale, dentro e fuori della tenda dell'Inquisitrice.
Normalmente, la quiete era una prerogativa del momento che precede l'albeggiare, ma la situazione presente diede al silenzio una pesantezza agghiacciante.
Nessuno dormiva, tutti aspettavano, e insieme a loro c'era la certezza che la notte successiva molte mani avrebbero smesso di stringersi.
Nella penombra, Lavellan dettagliò con lo sguardo il viso di Cullen, teso e guardingo. Nonostante una notte intera spesa a rassicurarsi fisicamente ed emotivamente, la gravità della situazione era riuscita ad avere la meglio su di loro, privandoli della capacità di dormire.
Ce l’avevano messa tutta (e forse un po’ di più) per spegnere il cervello, ma fin dalle prime battute era stata un'impresa impossibile.
Il problema era che quel silenzio che li accompagnava mangiava ogni suono, trasformandolo in un ronzio che impediva ai timpani di percepire il rumore dei respiri, o il suono soffice delle dita che accarezzano la carne. Inibiva persino le sensazioni, lasciandoli a fare i conti con un perenne senso d'angoscia.
Lavellan si concentrò sulle palpebre dischiuse di Cullen, mentre le sue dita mappavano il suo corpo con delicatezza. Non si trattava di carezze vere e proprie, ma di un modo per registrare ogni centimetro, così da poter consultare l'informazione in un secondo momento. O in un terzo, o un quarto, o un decimo, dato che Cullen era un pensatore retroattivo.
Il fatto che il suo sguardo si muovesse rapidamente, schermato dalle ciglia, era sintomo che quella registrazione fosse un modo per tenerla vicina anche quando vicina non sarebbe stata.
-Forse dovrei farlo anch'io.- mormorò lei, attirando l'attenzione su di sé. -Anche se ho buona memoria.-
Cullen la fissò con aria incerta, poi si rese conto che gli aveva letto nel pensiero, oltre ad avergli spiegato un gesto che lui compiva in automatico ogni volta che passavano la notte insieme. Era ovvio che fosse una cosa talmente istintiva che non se n'era mai reso conto. Ritrasse la mano, dimenticandosi in che modo potesse usarla. -Ti mette in difficoltà?- le domandò, nella lingua degli spossati.
Lavellan gli rispose con un sorriso che mise in risalto ore di sonno arretrato, senza che però mettesse in dubbio la sincerità dei suoi intenti. Quell'espressione, totalmente devota alla sua persona, diede a Cullen brividi per una vita intera.
-Sono completamente, perdutamente e stupidamente perso per te.- disse, senza riuscire a smettere di sorprendersi per quel viso che riusciva a donare luce anche nell'ora più buia.
Era la sua alba e lei poteva sentirlo a pelle.
-Hai sempre avuto un senso dell'orientamento discutibile.- scherzò Lavellan, recuperando la sua mano a mezz'aria per portarsela alle labbra e donarle un bacio leggero.
Cullen osservò quel gesto, anzi, lo analizzò per memorizzarlo. Quando fu soddisfatto di quella nuova informazione, attirò Lavellan a sé per abbracciarla. -Andrà tutto bene, amore mio.-
Lei, che sperava di sentirselo dire, percepì l'universo che la circondava in maniera meno pesante. -E se non andasse per niente bene?- domandò, alla ricerca di una rassicurazione sincera, senza frasi fatte a supportarla.
Cullen non la deluse. -In quel caso, sapremo che ognuno di noi ha fatto più del possibile per far funzionare le cose. Tu per prima.-
A Lavellan bastò.

 

27 - Vittoria

 

Disposto tra i trabucchi, il Monsignore sembrava il cugino piccolo che ogni adolescente è costretto a portarsi dietro alle feste sotto le pressanti insistenze dei genitori.
Era un'arma nata per essere facilmente trasportabile, alta due metri e mezzo e lunga il doppio, con una corazza di acciaio che rivestiva le componenti in legno massiccio. La forma era analoga a quella di una ballista, così come il principio di lancio. Se però il proiettile di una ballista era sottile e oblungo, per permettere all'utilizzatore di perforare le superfici, o agganciarle, quelli del Monsignore erano stati studiati per contenere reagenti in grado di esplodere all'impatto.
La portata, infatti, era stato il primo di tanti problemi che avevano incontrato i suoi progettisti originali, che avevano scartato l'idea dopo aver capito che era impossibile venirne a capo.
Per far si che funzionasse, serviva che la macchina lavorasse nella breve distanza, ma nella breve distanza le esplosioni la coinvolgevano, rendendola un'arma efficace un'unica volta. In sostanza, per portarla a ridosso dell'obiettivo, molti dei suoi trasportatori sarebbero morti e le risorse impiegate nell'esecuzione del processo sarebbero andate sprecate.
Il fatto che la grandezza e il suo peso fossero inferiori a quelli di una manganella, o di un trabucco, garantivano alla macchina un'instabilità consistente durante il lancio, riducendo la traiettoria a parabola e aumentando il rinculo. Per una ballista questo non era un problema, dato che i dardi erano leggeri e costruiti per evitare l'attrito del vento, ma lo stesso principio non poteva essere applicato su una macchina d'assedio che doveva trasportare proiettili con una superficie maggiore.
La forza di spinta, garantita da una fascia tesa, non era mai costante, proprio perché il Monsignore era stato progettato per essere trasportato facilmente. Se la fascia aumentava di grandezza, per garantire lanci rapidi e controllati, la macchina saliva di peso e ciò la rendeva intrasportabile.
Tre Occhi, Dagna e Lavellan avevano trascorso settimane intere ad analizzare e risolvere ogni singolo problema, per poi vedersi il mondo crollare sulle spalle ogni volta che Cullen ne individuava uno nuovo, causato dalle soluzioni che trovavano.
Più che una macchina d’assedio, si trattava di un enigma logico, per quello era stata coinvolta anche Leliana, che era abituata a pensare con lungimiranza costantemente. In qualche modo, la sua testa le presentava i problemi ancora prima che apparissero al gruppo, permettendogli di metterli da conto e cambiare rotta in tempo.
Era stata lei a suggerire di picchettare il Monsignore a terra con dei bracci di metallo ripiegabili, anziché fermarlo con delle corde, o rinforzare le resistenze preesistenti, in modo da garantire una stabilità maggiore nei lanci, ma anche una ripetitività costante. Ciò liberò Dagna da un peso, dato che aveva proposto un'idea simile, ma con una risoluzione diversa, perché comprendeva un'impalcatura da montarci attorno, rinunciando purtroppo alla portabilità.
Lavellan ebbe la seconda illuminazione, determinante per la risoluzione dell'enigma, ovvero modificare la forma dei proiettili per ottimizzare il lancio. Andava ridotta al minimo la superficie di attrito, ma dovevano essere comunque in grado di trasportare sostanze volatili, quindi una sorta d'imbottitura era necessaria. I proiettili rotondi non fendevano il vento efficacemente, quelli ovali rischiavano di innescare reazioni prima del tempo perché non avevano una stabilità costante, mentre quelli a forma di punta di freccia avevano bisogno di un serbatoio troppo pesante che non contrastava la resistenza dell'aria.
Ogni forma pesava sulla struttura, ma soprattutto sulla fascia che garantiva la spinta necessaria ai lanci. Più grande diventava, più era difficile portarla in tensione e, per una macchina costruita su presupposti di velocità e manovrabilità, quello era un problema grave. Lavellan doveva replicare un'aerodinamicità simile a quella delle frecce, senza usare le frecce.
La salvò la sua curiosità, perché si ricordava di aver origliato una discussione tra Krem e il capitano Rylen, a proposito dei martelli da guerra. L'esercito del Tevinter ne usava una variante con la testa a ogiva, che permetteva una manovrabilità considerevole al loro utilizzatore, ma anche una precisione maggiore rispetto a molte armi da mischia.
Allora, fece forgiare a Dagna un serbatoio a ogiva e da lì, non smise di lavorarci, risolvendo finalmente la questione della resistenza e della gittata.
Una volta scoperto che il proiettile aveva effettivamente una superficie funzionale, Cullen e Leliana riuscirono a progettare una fascia elastica abbastanza resistente da garantire un impiego di forza costante nel lancio e, dopo di esso, un modo in cui rimetterla facilmente in posizione.
In qualche modo, lavorare insieme al progetto fece bene anche al loro rapporto, permettendo a entrambi di affrontare più serenamente i momenti in cui arrivavano a scontrarsi in sede di consiglio.
Finalmente, dopo mesi di fatica, il Monsignore, da enigma logico, era diventato una macchina da guerra legittima, senza niente da invidiare ai suoi cugini più grandi.

Purtroppo, il suo battesimo lo ebbe durante l'assedio Adamant. E fu un battesimo del fuoco.
Dall’alto di una collinetta rocciosa, Lavellan seguì con lo sguardo il primo proiettile, stringendo le palpebre quando si scontrò con le mura della fortezza, innescando un'esplosione spettacolare. Un crisantemo di fumo giallo si aprì attorno a un cratere considerevole, mentre i proiettili di trabucco impattavano tutt'attorno, bussando sulla fortezza con una forza dirompente.
I soldati disposti alla ricarica delle macchine d’assedio elogiarono le opinioni del Monsignore con un breve coro di grida di esultanza, poi ritornarono a fare quello che stavano facendo.
Lavellan, dal canto suo, non riuscì a provare la soddisfazione sperata e decise semplicemente di smettere di assistere, con il rammarico in viso.
Procedette attraverso una confusione assordante, fatta di ordini, clangore di armi, passi veloci e discorsi motivazionali, finché non raggiunse Alistair, che guardava la battaglia infuriare nel campo antistante la fortezza con la delusione dipinta in faccia.
-Sei pronto?- gli chiese lei, sfoderando l'arco.
Mentre il Monsignore creava fiori di topazio sul calcestruzzo, il suo interlocutore si voltò nella sua direzione. -Sto andando ad ammazzare i miei confratelli, Inquisitrice. È ovvio che non sono pronto.- rispose.
Lei scorse uno sguardo accigliato su di lui, al che Alistair sguainò la spada. -Ma non ero pronto nemmeno quando ci è stato detto che io ed Elanor eravamo gli unici Custodi rimasti nel Ferelden.- si affrettò a dire lui. -In quel caso, ho lasciato tutto nelle sue mani, per timore di sbagliare.- fece una pausa, assumendo un'espressione determinata. -Adesso invece, non ho la minima intenzione di nascondermi.- sorrise appena. -In guerra, vittoria.- recitò, per poi buttarsi a capofitto nello scontro.

"Non fare cazzate" ormai era diventata una frase di rito, per Cullen.
La ripeteva a chiunque fosse diventato importante per lui nell'ultimo anno.
Era un ottimo modo per fare fronte alla situazione psicologicamente, ma soprattutto gli serviva come ultima dimostrazione d'affetto per chi stava andando ad affrontare una battaglia senza speranze.
L'ultima persona a cui l'aveva detto era stato Hawke, che si era fermato giusto il tempo per voltare verso di lui un sorriso sornione, poi si era dileguato con aria divertita, agitando una mano in segno di saluto.
Cullen sperò che non lo deludesse, ma allo stesso tempo sapeva che era impossibile impedirgli di mettere un freno al suo caos. Sarebbe stato come chiedere alla pioggia di smettere di cadere.
Il tavolo tattico sul quale aveva dispiegato la strategia era accerchiato da un dedalo acustico di ordini ed esplosioni, ma niente e nessuno era in grado di disturbarlo.
Era vitale che restasse calmo, come un faro che guida le navi a riva nella tempesta perfetta e, per tutta la durata dello scontro, non smise di brillare.
In un attimo di tregua dalla dispersione degli ordini, osservò con aria arcigna la fortezza di Adamant, un tempo inespugnabile, venire assaltata dai soldati dell'Inquisizione. I Custodi erano in minoranza, ma se la stavano giocando pietra per pietra, rendendo la vita difficile agli assedianti che stavano cadendo in gran numero.
-Hawke ha liberato i bastioni.- gli riferì Rylen, che osservava lo scontro assieme a lui, in un punto distante e rialzato. -L'Inquisitrice gli ha dato man forte.-
Cullen annuì con decisione. -Da' l'ordine di mantenere la posizione. Dobbiamo darle il tempo di parlare con Clarel. Se i Custodi continuano a evocare demoni, la accerchieranno.-
Rylen riferì l'ordine a un messaggero, poi ritornò al fianco del suo superiore in comando.
Entrambi avevano un'espressione impaziente dipinta in viso. Rylen non riusciva a stare fermo, Cullen accarezzava nervosamente il pomolo della spada con il pollice, graffiandone il manico con insistenza.
Un greve ruggito, con una nota stridula sulla fine, anticipò l'arrivo del drago di Corypheus. Non attese che i suoi nemici si riprendessero dalla sorpresa e attaccò a sorvolare le mura di Adamant con una velocità impressionante, avventandosi sugli assedianti e sbriciolando frammenti della fortezza come se si trattasse di spume di meringa.
-Portate avanti le balliste!- gridò Rylen, a un cenno di Cullen, che aveva previsto quell’evenienza.
Era una strategia ottimale, in quel caso, perché quelle armi d'assedio erano più veloci e precise dei trabucchi, inutili contro un bersaglio mobile.
Cullen seguì con lo sguardo i movimenti del drago, che riusciva ad anticipare ogni lancio con grande agilità. In qualche modo, quell'evento gli ricordò l'esperienza con il Maestrale Maggiore e quell'idea lo mise a suo agio, perché erano riusciti a sconfiggerlo, nonostante ci avessero messo più di un'ora.
-Tiratelo giù!-
Il drago schivò un proiettile a mezz'aria, dimostrando una flessibilità unica, poi ne afferrò un altro per le zampe, spezzandolo e facendolo ricadere sulle mura di Adamant, in una gradine di legno.
L'unica macchina che realmente riusciva a contrastarlo era il Monsignore, le cui esplosioni destabilizzavano la rotta aerea del drago, spingendolo a modificare la traiettoria di volo continuamente. Purtroppo, non era abbastanza per metterlo in difficoltà.
-Non funziona.- commentò Rylen. -Dobbiamo trovare un modo per distrarlo.-
-Quando a un drago interessa qualcosa, è impossibile distogliere la sua attenzione da esso.- spiegò Cullen, asciutto. -Avete già piazzato le macchine nei bastioni?-
Rylen scosse la testa. -Siamo stati rallentati, Comandante.- rispose. -Hawke li sta trattenendo, ma a breve dovrà riunirsi con l'Inquisitrice.-
Cullen trattenne il fiato, poi esalò un sospiro secco. -Rinunciamo al piano e concentriamoci a scortarli.- ordinò. -Continueremo a bersagliare il drago da fuori. Fa' spostare il Monsignore.-
Rylen annuì. -Sissignore.-
L’ordine non fece in tempo a passare che il drago scomparve tra i bastioni della fortezza, rendendolo inutile.
Cullen imprecò a mezza voce. -Come non detto.-
Tutto d'un tratto, il campo di battaglia venne irriso di luce verde. Fu un lampo abbagliante che durò il tempo di un battito di ciglia, ma chiunque fu costretto a chiudere gli occhi per il fastidio.
Lungo tutta la durata dell’evento, il tempo e lo spazio parvero immobilizzarsi, come se la battaglia fosse stata impressa su una tela a olio di proporzioni epiche.
-Rapporto!- gridò Cullen, passandosi una mano sulle palpebre.
-Siamo riusciti a fare breccia. Il drago è in fuga e i Custodi liberi dal giogo di Corypheus si sono uniti a noi nel combattimento.- gli riferì Rylen, dopo esattamente un minuto d'attesa. La sua espressione virava dal sorpreso all'attonito. -L'Inquisitrice però è scomparsa.-
Cullen arricciò il naso su un'espressione madida d'incertezza. -"Scomparsa" non è abbastanza, Ser Rylen!- sbottò.
-Lo so, Comandante, ma lassù è il caos. Burrows non è ancora tornato e non arrivano notizie certe.-
Cullen non esitò un istante. Si mosse a passo deciso verso il suo cavallo, sguainando la spada. -Manda degli esploratori a seguire il dannato drago, io andrò a vedere cosa diavolo sta succedendo.-
Rylen gli rivolse un breve cenno. -Non fare cazzate, Ser Cullen.- gridò, mentre lui si faceva passare il suo scudo e si schiacciava l'elmo sul capo.
-Non ti assicuro nulla.- rispose Cullen, spronando il cavallo verso i cancelli della fortezza.
Al suo passaggio, al galoppo, molti soldati si voltarono a incitarlo, ma lui era sordo a qualsiasi richiamo. Era troppo impegnato ad aggirare proiettili di ghiaccio, a schivare meteore di fuoco e a virare bruscamente per evitare che colate d’olio bollente lo investissero.
Arrivò nel cortile in cui poco tempo prima aveva scortato Lavellan e smontò di sella giusto in tempo per prevenire la morte di un suo ufficiale, aggredito da un demone della Disperazione. Sollevò lo scudo, contrastando la pressione di un getto ghiacciato per raggiungere il nemico, quindi lo colpì con un affondo deciso.
L’ufficiale riuscì a mettersi in sicurezza mentre Cullen passava all’avversario successivo. Non c’era una grande opposizione, ma quei pochi demoni che erano rimasti erano nemici decisamente ostici e il terreno sabbioso rallentava i movimenti. In quel momento però Cullen si sentì vivo come non succedeva da mesi. Il suo corpo si liberava della tensione mano a mano che procedeva attraverso il cortile e che la sua spada si abbeverava di icore di demone.
-Fate passare il Comandante!- gridò un soldato e, a quell’avviso, in molti si affrettarono a creare un varco per permettere a Cullen di salire sui bastioni.
Ma a lui non serviva aiuto.
Si fece strada dapprima dalle retrovie, poi avanzò in testa, guidando un manipolo di uomini sulle passerelle orientali della fortezza. A loro si unì un gruppo di Custodi guerrieri che lo guidarono attraverso le sale di Adamant per permettergli di raggiungere il cortile centrale, luogo dove c'era la più grande concentrazione di demoni.
-Dov'è la comandante Clarel?- domandò a un Custode anziano.
-Morta.- affermò quello con macabra semplicità, poi schermò l’assalto di un'Ombra Maggiore che era appena piovuta da un piano superiore.
Cullen ricambiò il favore, deviando una mina di energia spirituale. -L'Inquisitrice? Hawke? Ser Alistair?- chiese, poi menò un fendente, dissolvendo così il Wraith che aveva fatto l'errore di aggredirli.
-Se non sono morti nel crollo, sono stati risucchiati dallo Squarcio.- intervenne una Custode che ricopriva una posizione difensiva, poco più avanti. -L'avete vista anche voi la luce verde.-
Un dardo di faretra colpì un Demone della Superbia che si stava facendo troppo vicino al gruppo. Cullen voltò lo sguardo su di esso, poi verso la fonte del proiettile.
-Qui, Ricciolino! Ti copriamo noi!- gli gridò Varric, da una passerella parallela. Al suo fianco, Vivienne dava battaglia a tre Maghi dei Custodi con una maestria inimitabile.
Cullen non se lo fece ripetere due volte.
Caricò un demone e lo colpì con lo scudo, sbilanciandolo abbastanza per superarlo e unirsi al gruppo. Sorpassò Dorian, che gli batté una mano sulla schiena al passaggio, poi raggiunse Varric, che fece un saltello sul posto prima di aprirgli la strada verso il cortile centrale, in cui Sera e il Toro stavano seminando il caos, assieme a un manipolo di soldati dell'Inquisizione e ai Custodi redenti.
-Sono lì dentro!- gli disse Varric, indicando un grande squarcio che pulsava di luce verde. -Se non fosse che vomita fuori demoni ogni tre secondi, saremmo già entrati.-
-Non ci pensate nemmeno!- lo rimproverò Cullen, proteggendolo al contempo da un proiettile di energia del Velo lanciatogli da un Wraith appena fuoriuscito dallo squarcio. -L'ultima volta che qualcuno è entrato fisicamente nell'Oblio, sono nati i Flagelli.-
Varric si riparò momentaneamente dietro al suo scudo, per poi affacciarsi ed eliminare un Custode incantatore con un colpo preciso al cuore. -Hawke è lì dentro!- esclamò, per giustificare le sue intenzioni.
-Chissà che abominio ne uscirà adesso, allora.- borbottò Cullen, portandosi alle spalle del Toro per evitare che venisse accerchiato. -Mantenete la posizione!- gridò, per poi indicare a un soldato dell'Inquisizione di mettersi a protezione degli accessi. -Nessuno deve entrare o uscire da questo cortile, per nessun motivo!-
-Ci voleva un genio a suggerirlo.- commentò Sera, schivando quindi con una capriola dell'ultimo secondo un abbraccio poco amichevole di un'Ombra Maggiore. Cullen non l’ascoltò. Per una volta era al centro dell’azione e non avrebbe lasciato che nessuno gli togliesse quella misera soddisfazione.

L'arrivo di Dorian e di Vivienne, nonché dei superstiti della battaglia ai bastioni, aiutò il gruppo a rintracciare la minaccia nel perimetro del cortile. Era uno scontro sfiancante che li impegnò per un tempo interminabile.
-Dobbiamo entrare!- ribadì Varric, dopo aver abbattuto l'ennesima Ombra. -Resteranno intrappolati!-
-Devi fidarti di lei.- gli rispose Cullen, con fermezza. -Li riporterà indietro. È tornata una volta, lo farà di nuovo.-
Varric guardò lui, poi lo squarcio, infine imprecò, muovendosi a passo di corsa verso di esso. Fortunatamente, Sera riuscì a placcarlo in tempo.
-Lasciami, maledizione!- berciò Varric, spingendola via da sé con tutte le forze che aveva.
-Neanche morta! Per una volta, quello lì ha ragione. Se entri, poi come ne esci?-
-Non me ne vado senza...-
Lo squarcio prese a vibrare, come se qualcosa dall'altra parte stesse spingendo per uscire. Ci fu un secondo lampo di luce verde, poi Solas venne proiettato all'esterno, seguito a ruota da Cassandra.
Quest'ultima fece un giro su se stessa, brandendo la spada con aria confusa, poi fissò lo sguardo sullo squarcio. -Andiamo, Lav!- gridò.
L'apertura sputò Alistair, che caracollò prima di cadere in ginocchio, facendo schiantare lo scudo a terra. Cullen si affrettò a raggiungerlo, aiutandolo a mettersi al riparo. Si assicurò che stesse bene, poi si mise a sua protezione.
Fu allora il turno di Blackwall, che non ci mise molto ad affiancarsi a Cassandra, per incitare il resto del gruppo a uscire.
-Sono rimasti indietro per darci il tempo di attraversare.- spiegò Solas, con aria esausta. Sera imprecò, poi si mise anche lei a fare il tifo, saltellando sul posto con aria nervosa.
Passarono due minuti esatti, poi dallo squarcio emerse Lavellan, scivolando per qualche metro, finché non riuscì a puntare i talloni. Prima di voltarsi, lanciò uno sguardo intriso di terrore a Cullen, che tarpò immediatamente il sollievo che gli aveva dato vederla per fare posto alla preoccupazione.
-Maledizione!- gridò Lavellan, incoccando una freccia all'arco. Attese il più possibile, poi scoccò, colpendo un tentacolo che provava a fuoriuscire dallo squarcio. -Fen’harel ma ghilana!- berciò, con più forza, continuando a impedire ogni tentativo di sfondamento. Sera e Varric si unirono a lei, finché non fu chiaro che ogni tentativo di impedire al demone di oltrepassare lo squarcio fosse inutile.
Lavellan lasciò cadere l'arco, imponendo la sinistra di fronte a sé. Il rumore di chiusura fu intenso e grattato, come se un corpo imponente venisse trascinato su una grata metallica.
-Cos'era quello?- gemette Dorian, che aveva appena abbattuto l'ultimo demone del cortile. Il suo sguardo era spalancato dalla sorpresa.
-Un demone della Paura.- rispose Cassandra, riparandosi il viso dalla luce intensa con l'avambraccio.
Lavellan singhiozzò un gemito di dolore, mentre il suo braccio intero veniva avvolto dalla luce verde. I tentacoli fuoriuscirono dallo squarcio come lingue di magma, allungandosi sui presenti per abbrancarli.
-Toro!- chiamò Cullen, scattando verso di essi per tagliarli. Blackwall rispose all'appello al suo posto, respingendo i tentacoli più piccoli e permettendo a Cassandra e al Toro di correre in supporto di Cullen.
Lavellan strinse i denti, reprimendo un grido di dolore, mentre l'Ancora faticava a richiudere lo squarcio. Sera si portò al suo fianco immediatamente, sorreggendola per evitare che cedesse. -L'hai fatto mille volte, dai!- la incitò.
Lavellan la spinse via bruscamente, poi piantò bene i piedi a terra, reggendosi il polso per mantenere fermezza. Prese un respiro profondo per contrastare il dolore, poi attese che ogni tentacolo venisse reciso, prima di strappare il filo che legava l'Ancora all'Oblio, con una forza tale da farle fare un giro su se stessa.
Ci fu un attimo di totale immobilità, mentre la ferita guariva con un rumore lieve e stropicciato, poi il tempo tornò a scorrere.
-Stai bene?- domandò Sera a Lavellan, recuperando il suo arco da terra per porgerglielo.
Lavellan, che era sconvolta dalla fatica, sollevò uno sguardo incerto su di lei, poi annuì. -Sto una crema.- rispose, con un filo di voce.
Cullen la raggiunse, per posarle una mano sulla spalla. -È finita.- affermò. -Abbiamo vinto.-
Lavellan si limitò a rivolgergli la stessa occhiata che gli aveva rivolto subito dopo aver incrociato il suo viso, una volta che era uscita dallo squarcio. C'era una paura atavica nei suoi occhi, qualcosa che lui non le aveva mai visto addosso e, assieme alla paura, c'era un gran senso di desolazione.
-Dov'è Hawke?- domandò Varric.
Allora, Cullen capì.

 

*

 

Lavellan era sdraiata sul pavimento di un magazzino immerso nella penombra, fissando il soffitto ricoperto di ragnatele con tanto d'occhi.
Al di fuori di esso, i soldati dell'Inquisizione affrontavano un'altra giornata alla Rocca del Grifone, come se niente fosse successo.
C'era un vociare continuo, a tratti allegro e tinto di sollievo perché in tanti ancora celebravano la vittoria di Adamant e altrettanti lodavano l'Inquisitrice per aver trattato i Custodi con clemenza. Una minoranza molto vocale, invece, la accusava di essere stata poco lungimirante, perché i Custodi sarebbero inevitabilmente sfuggiti al controllo dell'Inquisizione, ritornando a essere l'ordine recluso e pieno di segreti che era sempre stato.
Nessuno aveva realizzato, però, che Lavellan era uscita dallo scontro totalmente distrutta.
Fisicamente era un colabrodo, dato che si era rotta un polso e tutte le dita della mano durante la chiusura dello squarcio. Gli arti le facevano male, la sua armatura era totalmente da buttare e il passaggio dall'Oblio al mondo reale (e viceversa) le avevano scombinato completamente la percezione dello spazio e della profondità.
Di testa, se possibile, stava decisamente peggio, tanto da non sapere da dove incominciare a processare l'ammasso urlante di sentimenti che la vessavano, impedendo al suo fisico di guarire.
Il pensiero predominante era dato dalla certezza che fosse sopravvissuta di nuovo a un viaggio nell'Oblio e, per la seconda volta, era avvenuto a spese di qualcuno.
Il suo sguardo ancora tremava, mentre cercava di metabolizzare tutto ciò che aveva vissuto, cercando allo stesso tempo di incastrarlo nel modo migliore nel senso di perdita.
Non si voltò nemmeno, quando la porta dello sgabuzzino venne aperta, così come non mosse un muscolo quando Cullen prese posto al suo fianco, altrettanto esausto.
Le loro mani si cercarono automaticamente e si allacciarono, alla ricerca del conforto reciproco.
Dopo un tempo interminabile a fissare il vuoto, i loro sguardi si sfiorarono appena.
-Solas non ha trovato niente nei sogni.- mormorò lei, rauca.
Cullen non si scompose. -Continueremo a provare.- rispose, semplicemente. Aspettò giusto un istante, prima di decidersi a guardarla.
Ci mise molto tempo a decidere se aprire di nuovo bocca o restare in silenzio, perché era ovvio che anche la sua testa stesse facendo una fatica immonda a elaborare ciò che era successo. Alla fine, optò per la seconda, limitandosi a rinnovare la stretta sulla mano della donna che amava, lieto di poterlo fare, ma anche amareggiato per non riuscire a fare di più.
Lavellan spostò faticosamente il viso nella sua direzione, alla ricerca di indizi, poi ritornò a prestare attenzione al nulla dipinto sul soffitto. -Sarebbe stata una gran bella caccia.- mormorò.
Cullen le accarezzò il viso con uno sguardo appannato dal dolore. -Niente a che vedere con quella che ci aspetta.- suggerì.
-Sempre che ci arriviamo interi.-
-Ci arriveremo, e poi tireremo fuori Hawke dall'Oblio per rinfacciargli che abbiamo salvato il mondo senza di lui.-
-Credi che sia ancora...-
-Non lo credo soltanto. Lo so.-
Lavellan annuì piano, poi chiuse gli occhi. -Ma serannas.- disse, in un sussurro.

Per Alistair era stato facile andarsene, sfruttando la situazione caotica che si era sprigionata di conseguenza all'assedio.
Nonostante chiunque la trattasse come un'altra grande vittoria dell'Inquisizione, non lo era stata. Per lui, prima di tutti.
Eppure, il suo ordine era stato graziato, molti dei suoi confratelli erano sopravvissuti e lui ne era uscito vivo. Quell'ultimo punto lo faceva imbestialire, perché lui era vivo a scapito di qualcun'altro. Qualcuno che non si meritava di essere lasciato indietro.
E allora se n'era andato, senza troppe cerimonie, perché continuare a fare buon viso a cattivo gioco non gli si addiceva.
Con il cappuccio calato su un viso grondante di delusione, percorreva a cavallo la nuova strada di legno che l'Inquisizione aveva costruito a ridosso delle paludi di zolfo. Altri Custodi erano partiti prima di lui e altri sarebbero partiti dopo di lui, quindi i soldati dell'Inquisizione non fecero troppo caso alla sua presenza. Qualora l'avessero fatto, c'era una buona possibilità che fosse per guardarlo male o lanciargli un insulto a denti stretti, perché a discapito dell'alleanza appena forgiata dall'Inquisitrice, molti dei loro compagni erano caduti ad Adamant per colpa di qualcuno che portava i suoi stessi colori.
Le assi di legno vibravano sotto al peso del suo passaggio, mentre il calore emesso dal sole del primo pomeriggio faceva tremare l'aria che lo circondava. Quando il legno diventò sabbia, non ci fu centimetro cubico d'atmosfera che non fosse distorto dall'azione del sole.
Dubitò dei fantasmi che il suo sguardo gli mostrava, concentrandosi sulla grande porta di fattura tevinteriana che dall'Accesso conduceva dapprima a una gola bassa e stretta, poi a territori meno ostili sul piano termico. Una volta varcata quella, i suoi pensieri sarebbero stati solo affare suo e avrebbe potuto gestirli senza farsi influenzare dalla caoticità della Rocca.
Dopo aver oltrepassato la soglia, si accinse a liberare un sospiro di sollievo. Il quale durò poco, perché a cento metri da lui, a cavallo, c'era l'ultima persona con cui aveva voglia di interagire.
-E quatto quatto se ne va, come un gatto che ha appena rubato un pesce dalla dispensa.- pronunciò Cullen, una volta che Alistair fu a tiro d'orecchio.
-Ho una missione importante da compiere, se non te lo fossi scordato.- rispose Alistair, sforzandosi di sorridere. Quella che apparve sul suo volto, al posto di un sorriso ironico, fu una smorfia di fastidio.
Cullen non gli impedì il passaggio, piuttosto manovrò le redini in modo che cavalcassero affiancati. -Non me lo sono scordato, no, e dovresti evitare di insultare la mia intelligenza.- fece.
Indugiarono in un silenzio nervoso per un buon tratto di strada, proseguendo senza guardarsi. Così raggiunsero un punto della gola in cui cavalcare in coppia era difficile, allora Cullen spronò il cavallo per occupare l'avanguardia.
Alistair scorse lo sguardo sul suo mantello, aggrottando la fronte. -Sei fuggito anche tu, insomma.- ipotizzò, notando le condizioni in cui versava. Per una persona ordinata come il suo interlocutore, essere sopravvissuto a un assedio non era una scusa valida per presentarsi macchiato e scarmigliato.
-Io non fuggo.- dichiarò Cullen, voltando appena il capo. -Ser Rylen si sta occupando dei miei doveri in mia assenza.-
-E l'Inquisitrice?-
Cullen esitò sulla risposta, che si concluse in un nulla di fatto.
Alistair strinse le labbra, spostando la testa altrove. -Stai fuggendo da lei, allora.-
-Non sto fuggendo.- ribadì Cullen, con una contrazione nervosa del tono di voce. -Sono fuggito da casa, da Kinloch, da Kirkwall... ora basta!-
Alistair deglutì. -Ti sta bene, insomma.-
Cullen aspettò di arrivare in un punto dove fosse possibile fare manovra, prima di fermarsi e condurre il cavallo in modo che potessero guardarsi negli occhi. E nessun sentimento mancava all'appello nel suo viso, quando fu il momento di confrontarsi vis à vis.
-Non mi sta bene, ma non sarebbe andata meglio se fosse rimasta lei indietro, o se tu fossi rimasto indietro.- puntualizzò. -In ogni caso, entrambi avremmo subito una perdita. Che perdita non è, tra l'altro, perché finché non gli posso sentire il battito sul collo, per me è vivo. Anzi, di sicuro sta meglio di me e di te messi insieme, solo che in un altro piano dimensionale.-
-A proposito di dimensioni, hai visto quant'era grosso quel demone?- sbottò Alistair, scendendo direttamente da cavallo. -Nessuno sopravvive da una battaglia del genere.-
Cullen seguì il suo esempio e si portò a fronteggiarlo. -Hawke non è "nessuno". Hawke è...- tentennò. -Hawke è Hawke, per la miseria! Se c'è qualcuno che può sopravvivere a una battaglia simile è lui. E puoi stare sicuro che non solo è sopravvissuto, ma l'ha pure vinta e ora se ne sta vantando con qualche spirito. Dobbiamo solo trovare una porta e tenerla socchiusa abbastanza a lungo per permettergli di uscire.-
Alistair lo fissò a lungo, prima di aprire bocca. -Lo credi davvero, o ce la stai mettendo tutta per crederci?-
Cullen si passò una mano sulla barba faticosamente, per via dell'attrito. -Diamine, entrambe.- ammise, mentre spostava uno sguardo corrucciato altrove.
Alistair si avvicinò di un passo. -Tu cosa avresti fatto al suo posto?- domandò, nonostante sapesse già la risposta.
Cullen infatti non lo sorprese. -Quello che avete fatto voi due, ma al contrario vostro non le avrei dato possibilità di scelta.- affermò, con decisione.
Ed era quello che faceva infuriare Alistair: aveva delegato il suo destino a qualcun'altro. Di nuovo. E ancora una volta il filo più corto era capitato a un'altra persona.
-Non ti sto accusando.- precisò Cullen, a mezza voce. -Anzi, sono contento che tu sia qui e adesso.-
-Ma non è giusto.- concluse Alistair, per lui.
Cullen scorse uno sguardo triste su di lui. -No, non è giusto.- confermò.
Una folata di vento sabbioso li schiaffeggiò, costringendoli a proseguire. Portarono i cavalli a mano fino a un'insenatura della gola grande abbastanza da fornire un riparo e lì si fermarono, perché una chiusura era necessaria.
-Ne ho fatti tanti di atti di fede, per persone meno meritevoli di lei.- disse Cullen, osservando con aria pensosa la fitta nube di granelli di sabbia che il vento trasportava nell'aria in vortici.
-Ti fidi anche se l'ha fatto per convenienza?- domandò Alistair, raggiungendo l'obiettivo del suo sguardo. -Eppure, mi sembrava di averle detto che la mia voce non è così importante tra i Custodi.- diede una risata secca. -Vedi? Nemmeno a lei interessano i miei consigli.-
-Evidentemente, era un consiglio stupido.-
-Lo stai facendo anche tu, qui e ora.-
-Se pensi che l'abbia fatto per convenienza, ti sbagli.-
-E per cosa l'avrebbe fatto?-
Si pentì subito di averlo domandato. Era ovvio, d'altronde: si trattava di pura e semplice coerenza.
Difatti, Cullen lo guardò con aria dubbiosa, perché la domanda era realmente stupida.
Alistair si sfilò il cappuccio, passandosi una mano tra i capelli per prendere tempo. -Non dovrei lamentarmi così tanto per essere ancora vivo. Ma siamo esseri umani, alla fine c'è sempre qualcosa per cui lamentarsi. Più stupido è quel qualcosa, meglio è.-
-Sfondi una porta aperta.-
Alistair provò di nuovo a sorridere, e stavolta ci riuscì. -Appena lo trovi, digli che mi deve dodici sovrane.-
Cullen ricambiò. -Non li rivedrai mai più quei soldi, mettiti il cuore in pace.- affermò. -Ti piacciono proprio le cause perse.-
-Sono un Custode.- replicò Alistair, indicandosi. -Io sono il re delle cause perse.-
-Alla fine hai trovato una corona che ti stia bene in testa.-
Si scambiarono un'occhiata che descriveva il brodo di sensazioni che provavano nella maniera più coerente. C'era il sollievo di essere insieme in uno dei momenti più tristi delle loro vite, c'era la desolazione per le conseguenze di una vittoria che tanto vittoria non sembrava e, alla fine, c'era un grandissimo amaro in bocca per aver visto un grande ordine in ginocchio per colpa di un misero burattino... il tutto sorretto da una compostezza imposta dal carattere di entrambi, sempre disposti a rialzarsi nonostante lasciassero pezzi di sé nelle macerie.
-A proposito di testa, come va là dentro?- domandò Cullen, passando distrattamente una carezza sul muso del suo cavallo.
Solo allora Alistair si rese conto che c'era silenzio. Un silenzio che non sentiva da mesi. -Sto bene.- disse, con una lieve nota di sorpresa nel tono di voce.
Cullen distese i lineamenti del viso. -Nessuna sirena?-
-Nessuna sirena. Non più.- confermò Alistair, sentendo una porzione del fardello che portava dissolversi nel suo organismo. Andava bene, stava realmente bene. -Non l'ho ringraziata. Non per questo.- si lamentò, sottovoce. -Devo smetterla di delegare tutto agli altri.-
Cullen esibì un mezzo sorriso. -Forse hai bisogno anche tu di un segretario.-
-O di una testa nuova. Una che funzioni. O una che mi faccia crescere un po' di barba in più, magari.-
-Sai, ci sono uomini che farebbero carte false per non doversi radere ogni giorno.- Cullen si indicò. -Io sono "uomini".-
-Ecco una cosa su cui io e Hawke non siamo mai andati d'accordo.-
-Sulla barba?-
-Oh, no, su quella eravamo d'accordo.- rispose Alistair, afferrando le redini del suo cavallo.
-Mi riferivo a... beh...- descrisse Cullen con un gesto nervoso.
Cullen diventò la personificazione di un'espressione indignata. -Giuro che se smetti di rispondere alle mie lettere vengo là e te le faccio scrivere a forza!- sbottò.
Alistair inarcò un sopracciglio. -Ma se sei lì di persona non ha senso che ti scriva.-
-Vuoi davvero che venga a trovarti di persona sapendo che ti sgriderò a vita perché non ti degni di darmi tue notizie?- domandò Cullen, con aria scettica.
-Certo! Dobbiamo finire il nostro duello.- rispose Alistair, appoggiandogli una mano sulla spalla. -Tu pensa a tirare fuori Hawke da lì, io cercherò un arbitro che non sia di parte.-
Cullen si strofinò il naso con il dorso della mano, tirò su e poi annuì con decisione. -Già, una parità in un duello è come uno stufato senza la carne.-
-Una merda.-
-Anche meno, ma il sentimento è quello.-
Alistair sorrise, poi lo chiuse in un abbraccio. Non era un abbraccio di circostanza, era un abbraccio naturale, quasi fraterno. Di quelli che quando ti stacchi ti viene da rifilare una sberla amichevole sul viso di chi ti trovi davanti, o una scrollata di capelli per sdrammatizzare. Per loro fu una pacca sul braccio e un cenno d'assenso.
Cullen elencò una serie di raccomandazioni, dalle più pratiche ("Prendi il sentiero che porta a nord, così tagli un bel po' di strada") alle più premurose ("Se hai bisogno di rifornimenti mandami un corvo, te li faccio trovare alla stazione di scambio più vicina"). Alistair ribatté con una serie di rassicurazioni, come un bravo bambino che si allontana di casa per andare a catechismo ("Sì, mamma. D'accordo, mamma. Certo, ho messo la maglietta di lana").
Lasciarsi con l'obiettivo di restare in contatto non rese l'allontanamento più facile, ma rese quella transizione meno pesante, dando respiro a una situazione che cercavano in ogni modo di affrontare con il giusto approccio.
-Dalle un abbraccio da parte mia.-
-Quando sarà in vena, provvederò.-
-Ci conto.-
Salirono a cavallo e indugiarono in un sorriso d'intesa, prima di voltarsi e ritornare ognuno alle proprie vite, senza degnarsi di un addio che sarebbe stato inopportuno.
Era tutto in quell'abbraccio, e nella promessa che la prossima volta che si sarebbero rivisti non sarebbero stati da soli.


-Nota-

Giuro che se in Daddy non me lo tirano fuori di lì je vado sotto casa col forcone e le spese della terapista.
<3

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Capitolo 29
*** A Metà ***


28 - A metà

 

Nel cuore della notte, in mezzo al grande ponte che divideva Skyhold dal mondo esterno, Lavellan, il suo segretario e Leliana stavano a metà strada da un esaurimento nervoso.
Infatti, tra il fruscio inquietante delle foglie, l'eco gorgogliante della cascata e le grida di caccia dei rapaci notturni c'erano i toni accesi di un litigio tra un sindaco umano e un cacciatore dalish.
-Non è giusto che ci neghino il loro aiuto quando i nostri bambini muoiono di fame per le strade!- disse l'Umano, indicando il suo avversario con un cenno nervoso.
-I vostri bambini hanno tirato le pietre ai nostri halla fino alla settimana scorsa, e voi li incitavate pure!- ribadì l'Elfo, guardando il suo interlocutore con disprezzo.
-Davvero ti stai impuntando su delle stramaledette capre quando da noi l'unica cosa che respira bene è la fame?-
-E intendo continuare a farlo! Quando noi vi abbiamo chiesto aiuto ci avete accolto con le torce e i forconi, perché adesso dovremmo darvi una mano a titolo gratuito?-
Leliana avvicinò le labbra all'orecchio di Lavellan. -Li fermiamo?-
Lavellan, che si stringeva nel cappotto come se dovesse scapparle da un momento all'altro, scosse lievemente la testa. -Lasciamoli fare. Voglio capire meglio il contesto.-
-A me il contesto sembra chiaro.- intervenne il segretario, sottovoce. -Resta solo da schierarsi.-
Lavellan registrò mentalmente l'intervento, ma non vi interagí.
-Inquisitrice, hanno erbe medicinali e cibo a volontà!- sbottò il sindaco, con lo sguardo sbarrato dalla frustrazione. -Li obblighi a condividerle, la scongiuro!-
Il cacciatore sollevò le sopracciglia, allibito. -Ve l'abbiamo detto e stradetto: le nostre risorse sono razionate per la stagione. Non possiamo condividerle, a meno che non ci venga dato qualcosa di altrettanto importante in cambio.-
-Ma noi siamo disperati, non abbiamo niente da darvi in cambio!-
-E allora non se ne fa nulla!-
-Lo guardi, Inquisitrice, ci gode a vederci soffrire!-
-Un po' sì, lo ammetto. Almeno adesso capisci come ci si sente a ricevere un rifiuto quando sei al massimo della disperazione.-
Lavellan si mosse di un passo per frapporsi ai due. Li osservò attentamente, poi interruppe una replica furiosa del sindaco. -Di cosa avete bisogno, nello specifico?- domandò, invitandolo con un cenno a restare sul pezzo.
-Lui di un paio di sberle, noi di viveri.- rispose subito il diretto interessato, gettando un'occhiataccia al cacciatore. -Un gruppo di cacciatori di taglie ha razziato il villaggio, poi sono arrivati i Templari e hanno preso possesso del magazzino. Quando se ne sono andati, non solo hanno preteso di rifornirsi con le nostre ultime scorte, ma si sono portati via pure i nostri giovani e le coperte!- fece una pausa per riprendersi, perché si era espresso tutto d'un fiato. -I villaggi vicini sono nelle stesse condizioni, se non peggio. Gli unici che stanno bene sono questi qui.- indicò il cacciatore. -E si rifiutano di aiutarci!-
-Mi dispiace.- disse Lavellan, per poi voltarsi verso l'Elfo.
Quest'ultimo non ebbe bisogno di farsi supplicare per prendere la parola. -A fine estate ci siamo stabiliti in una cava in disuso, per organizzarci e passare l'inverno al riparo. È abbastanza distante dal loro villaggio per non dare fastidio, ma non troppo per impedire a loro di dare fastidio a noi.-
Il sindaco fece per replicare, ma Lavellan gli appoggiò una mano sul braccio, segnalandogli di non intervenire.
Il cacciatore la ringraziò con un cenno del capo. -Sei stata anche tu cacciatrice, sai che quando il clan è troppo vicino agli insediamenti umani c'è penuria di viveri. Non puoi tagliare alberi, non puoi contare troppo sulla caccia e l'acqua è contaminata spesso e volentieri... tempo una settimana e abbiamo iniziato ad attingere alle razioni.- diede una rapida occhiata a Shaan. -L'unica soluzione che avevamo era quella di chiedere aiuto e non avendo clan vicini a cui rivolgerci abbiamo dovuto affidarci agli shem.-
-Umani.- lo corresse Lavellan.
Il cacciatore esalò un sospiro seccato. -Umani, sì. E non è andata bene, per usare un eufemismo. Ci hanno impedito di entrare nel villaggio e ci hanno cacciati via ancora prima che potessimo spiegare la situazione.-
-Siete arrivati armati fino ai denti e vestiti da figli della foresta! Che altro dovevamo fare?- gemette il sindaco, puntando un piede a terra.
-Evitare di chiamarci "figli della foresta", per prima cosa.-
-È successo mesi fa!-
-E poi ci hanno vessato per settimane. Non solo i bambini.- proseguì l'Elfo, senza scomporsi. -Al contrario loro, quando sono venuti in lacrime a chiedere aiuto gli abbiamo offerto da bere e da mangiare e li abbiamo ascoltati. Abbiamo promesso di aiutarli in cambio di un compenso, ma a quanto pare per loro non è ragionevole.-
Lavellan non riuscì a impedire al sindaco di intervenire. Era livido. -L'unica cosa che possiamo dargli è il nulla fisico, Inquisitrice! Se non fosse stato per i soldati del vostro avamposto, noi saremmo già morti!-
-Non per causa nostra.- ribadì il cacciatore. -Che è quello che questo shem va dicendo a tutti.-
-Se siamo qui e ora è esattamente perché voi state facendo gli orgogliosi quando il mondo intero sta andando a scatafascio! Ne fate parte anche voi ed è ora che iniziate a rendervi utili.-
Il cacciatore guardò il suo oppositore con scetticismo crescente. -Quando vi comoda siamo tutti dalla stessa parte, ma non appena i problemi finiscono ritorniamo a essere conigli e figli della foresta.-
-Ah, piantala con questa pantomima da emarginato! Siamo tutti sulla stessa barca!-
-Perché ora vi comoda, per l'appunto.-
Lavellan analizzò entrambi, mentre si guardavano in cagnesco, poi esalò un sospiro stanco. -D'accordo, mi sembra di aver sentito abbastanza. Vi ripeterò la domanda un'ultima volta: cosa volete che faccia per voi?-
Il sindaco rispose per primo. -Abbiamo bisogno di aiuto immediato. Coperte, cibo e medicinali. Purtroppo nel vostro avamposto c'è carenza di tutto, quindi l'unico modo è che siano loro- indicò il cacciatore -a fornirceli.-
-I nostri aravel risentono della fine della stagione, lethallin.- ribadì il cacciatore. -Potremmo dividere quel poco che abbiamo, ma dev'essere compensato in modo che il clan non ne soffra. Considerato come si sono comportati fino a questo momento, non posso fornire un aiuto che potrebbe non venire ricambiato in futuro. Il mio clan ha bisogno di garanzie.-
Lavellan ci rifletté giusto un istante, prima di annuire. -Datemi il tempo di consultarmi con sorella Leliana, poi vi fornirò una risposta.-
Lei, Leliana e il segretario si allontanarono abbastanza per evitare di essere sentiti, poi si scambiarono un'occhiata accigliata.
-Devono dargli una mano.- affermò Leliana.
-Su questo non c'è troppo da discutere.- confermò Lavellan.
Shaan guardò entrambe con aria confusa. -Solo io ho sentito la parte in cui dimostrano di essere degli ingrati pretenziosi?- domandò.
-No.- rispose Lavellan. -Ma noi non possiamo risolvere il problema del tutto.-
Leliana, che osservava i due ospiti continuare a litigare, annuì. -In base ai rapporti di Cullen, la logistica in quella zona non è facile. Potremmo inviare al villaggio cibo per una settimana, magari qualche braccio in più per le riparazioni urgenti, ma devono cavarsela da soli e l'unico modo per sopravvivere è contare sul vicinato.-
-Sarebbe comunque un metterci una pezza, ma almeno avrebbero il tempo di riorganizzarsi.- aggiunse Lavellan.
-Cannibalizzare le risorse di un clan non è la soluzione, Ankh.- mormorò Shaan. -Sai benissimo come funziona: quel poco che c'è non basta mai. Sarebbero a rischio e non è detto che riescano a fare fronte comune, visti i presupposti. Una volta saziata la fame, rimarrebbero da soli e con gli aravel vuoti. La possibilità che gli abitanti del villaggio non ricambino il favore è altissima.-
-Lo faranno. Hanno già imparato la lezione.- disse Leliana.
Shaan la guardò con intensità. -Non ci metterei la mano sul fuoco.-
-Nemmeno io.- ammise Lavellan, pensierosa. -Il suo clan non era all'Arlathven, quindi si tratta di un gruppo che fa fatica a spostarsi. Sono pochi, diffidenti, ma hanno mandato un cacciatore fin qui comunque per difendersi dalle ingiurie, facendogli affrontare un viaggio che non poteva permettersi di fare perché il clan sopravviva alle ripercussioni delle scelte del suo Guardiano. Di sicuro è stato lui a proporre di venire a Skyhold; sapeva che avremo preso in considerazione la sua situazione, prima di mediare tra le parti.-
-Accetterebbero di aiutarli, se glielo imponessimo?- domandò Leliana.
Shaan si strinse la cartellina al petto, mentre tamburellava l'indice sul pennino per sfogare lo stress. -No. Partirebbero il prima possibile.-
-Dobbiamo impedirgli di farlo, allora. Condannerebbero quella gente a una morte certa.-
-Se aiutassero quella gente così come vorrebbe il loro sindaco, per il clan sarebbe morte certa.- ribadì Shaan.
-Meno male che tocca a me decidere, insomma.- commentò Lavellan, con l'ombra di un sorriso.
Sollevò lo sguardo verso l'alto, inalando l'aria fredda della notte per placare il senso di nausea che l'accompagnava lealmente dall'Accesso Occidentale.
Era una notte splendida, con fiumi di galassie incastonate di stelle talmente luminose da abbagliare lo sguardo.
Lavellan si chiese cosa si provava a osservare il regno dei mortali dall'alto. Era un altro piano di impotenza, forse era meno frustrante di stare sotto e accanirsi contro un cambiamento talmente lento da rasentare la regressione. Oppure era semplicemente un piano ignaro e inorganico, come i fili che tengono insieme una trapunta. In ogni caso, quella cupola di bellezza faceva parte del momento, anche se solo come sfondo.
-Passami carta e penna.- disse Lavellan, spostando faticosamente lo sguardo su Shaan.
Chiamò a sé i due litiganti, mentre finiva di siglare un documento, ed entrambi la raggiunsero con aria impaziente.
Si rivolse al cacciatore. -Il tuo clan aiuterà gli abitanti del villaggio e loro si impegneranno a risarcirvi nel modo in cui il tuo Guardiano reputerà opportuno.- decretò. -Da questo momento, finché sarete in zona, agirete come agenti dell'Inquisizione. Ciò significa che avete il potere di stabilirvi in un quartier generale, organizzare la ricostruzione e garantirvi libero accesso alle nostre risorse.-
-Non vogliamo unirci all'Inquisizione, lethallin!- sbottò il cacciatore. -L'unica cosa che vogliamo è di finire di accumulare le scorte e partire appena arriva l'estate.-
-Questa è l'unica garanzia ufficiale che posso darti che impedisca a queste persone di rimangiarsi la parola data.- disse Lavellan, mostrandogli il documento. -Avreste la nostra protezione, libertà di azione per contribuire al benessere reciproco e tutti i benefici che avrebbe una collaborazione ufficiale con la nostra causa.-
Leliana finì di leggere il foglio a sua volta, poi annuì. -Tornerete nel vostro accampamento con tutto il necessario per aiutarli a risolvere la situazione, poi una volta esaurito il favore e raccolti i benefici potrete ritirarvi.- disse.
-Resteremo vincolati per tutto il tempo che ci vorrà per la ricostruzione, poi ognuno andrà per la propria strada.- concluse Lavellan.
Il cacciatore però non era per niente contento di quel risvolto, al contrario del sindaco che aveva indossato un'espressione di rivalsa.
-Non ti sto dando un ultimatum, lethallan.- puntualizzò Lavellan, avvicinandosi di un passo. -La scelta spetta a te. O ve ne andate e li lasciate morire in cambio di nulla, o li aiutate a nome nostro, con tutti i benefici che ne  conseguono.- lo guardò dritto negli occhi. -Ti sto dando una soluzione per evitare che vi mettano i piedi in testa semmai decideste di aiutarli.-
-Come se fossimo in condizione di farlo!- brontolò il sindaco. -Siamo alla frutta, Inquisitrice.-
-E loro lo sono da più tempo di voi. Per quello hanno il diritto di scegliere.- dichiarò lei, pacatamente.
Sentì lo sguardo di Shaan e di Leliana trafiggerle la schiena. Con quell'ultima affermazione stava mettendo a rischio le sorti di un villaggio intero, d'altronde, nonché la sua reputazione nel caso di un fallimento diplomatico.
Era il turno del sindaco di mostrarsi scontento e lo diede a vedere platealmente.
Il cacciatore prese il contratto dalle mani di Lavellan e lo lesse, riflettendo per minuti interi prima di prendere una decisione. Niente da dire, tutti attorno a lui stavano trattenendo il fiato.
-Li aiuteremo.- decretò, regalando al vento quattro sospiri di sollievo. -Ma voglio la tua parola, oltre a ciò che è scritto qui.-
Lavellan non lo deluse. -Di fronte a testimoni di sangue umano ed elvhen, io, Ankh del clan Lavellan, Inquisitrice in carica, dichiaro la mia amicizia ed estendo la mia protezione al tuo clan per tutto il tempo che la persona che ho davanti lo riterrà necessario. Andruil'enaste.-
-Ankh del clan Lavellan, io ascolto le tue parole e prometto che farò onore alla mia.- replicò il cacciatore, appoggiando la mano libera sul cuore. -Andruil'enaste.-
Il sindaco si dovette appoggiare ai merli del parapetto per processare il proprio sollievo. -Non so come ringraziarla per averlo fatto ragionare, Inquisitrice.- disse.
-Lo faccia smettendo di ringraziare me e iniziando a ringraziare chi la sta realmente aiutando.- rispose lei, stringendo la mano a entrambi. -Tenetemi aggiornata, mi raccomando.- si premurò, congedandosi.
Una volta rientrati nella fortezza, i tre si scambiarono un'occhiata soddisfatta. -Sono bravetta, eh?- scherzò Lavellan.
Shaan alzò gli occhi al cielo. -Tanto brava da scordarti che in mezzo a un ponte in alta montagna fa un freddo immondo.- fece.
-Oh, non lamentarti!- lo rimproverò Leliana. -Se li avessimo fatti entrare, sai quanti passaggi avrebbero dovuto fare prima di poter ottenere un'udienza?-
-Lo so. Li gestisco io i suoi appuntamenti.- le fece notare Shaan, scarabocchiando un appunto sulla cartellina mentre indicava Lavellan con un cenno del capo. -Avrete una copia del contratto sul tavolo di guerra in mattinata. Farò in modo di riferire all'Ambasciatrice che è il caso di ampliare l'ordine del giorno.- finì la nota e passò uno sguardo veloce su entrambe. -C'è altro che posso fare per voi?-
-Andare a dormire.- rispose, secca, Lavellan.
Shaan strinse le palpebre su un'espressione accigliata. -Suppongo che sia un'idea saggia, dato che ho appena scritto una nota in nevarriano arcaico senza rendermene conto.- disse, scrollando le spalle.
Leliana ridacchiò. -Scommetto che è più comprensibile di quelle del Comandante.-
-Ci vuole poco.- replicò lui, con un sorriso, poi si rivolse a Lavellan. -Ti faccio mandare qualcosa in camera?-
Lei scacciò quella gentilezza con un cenno. -Ruberò un po' di noccioline dalla dispensa en passant, non ti preoccupare.-
Shaan le scoccò un'occhiata di rimprovero, alla quale lei rispose prendendolo per le spalle, facendogli fare un giro su se stesso e spingendolo verso le scalinate che portavano al mastio. -Vai, che io non lo capisco il nevarriano!- disse.
Leliana lo seguì barcollare via con uno sguardo divertito, poi si rivolse alla collega. -Grazie di avermi fatta chiamare.-
Lavellan fece spallucce. -Non facciamo mai niente da sole, io e te. L'unico modo per fare conversazione è tirarti via a forza dai tuoi doveri con una scusa importante.-
Leliana passò uno sguardo scettico su di lei. -Ah, quindi non era un trucco per distrarmi dalla montagna di corrispondenza che assedia la mia scrivania?-
Lavellan abbozzò un sorriso. -Una cosa non esclude l'altra.- ammise.
Leliana ridacchiò, chinando il capo. -Guarda che mi hai messa tu in questa posizione.-
-Ah, adesso è mia la col…-
Un fruscio sommesso distrasse Lavellan, facendole puntare lo sguardo su un ammasso di cespugli a metà strada tra loro e le stalle. Un senso di timore improvviso le mise in tensione ogni muscolo del corpo, facendole sbarrare le palpebre.
Il vento toccava i tendaggi delle bancarelle chiuse, facendole muovere pigramente e l'erba a chiazze del cortile riluceva della luce delle stelle e delle lanterne, come se fossero i flutti di un lago sotterraneo.
Ogni elemento di sfondo contribuiva al grande senso di pericolo che attanagliava Lavellan, immobile a osservare i cespugli con il panico nel viso. Persino le stelle sembravano brillare un po' di meno, in risposta a quell'evento.
-Che succede?- domandò Leliana, sul chi vive.
Lavellan non rispose. Piuttosto, si mise a protezione della collega e liberò il coltello da caccia della cinghia che lo teneva allacciato alla guaina.
Il fruscio si fece più intenso, poi dai cespugli fuoriuscì un gatto con un topo tra le fauci. Sospettoso, si allontanò dal terreno di caccia con la pancia rasoterra e si insinuò in un'impalcatura, scomparendo alla vista.
Lavellan sentì il suo corpo perdere peso, mentre la tensione scemava, ma il senso di disagio restava ancorato ai suoi arti. -Credevo di aver visto qualcosa.- si scusò, imponendosi di ricomporsi. -Forse anch'io ho bisogno di dormire.-
Leliana concentrò uno sguardo attento su di lei. -Cosa pensavi di aver visto?- le domandò, abbassando il tono di voce.
Lavellan dissimulò con un'alzata di spalle fin troppo forzata. -Qualcosa di grosso e di brutto.- disse. -Come la faccia di Mastro Harritt dopo una notte passata a stare dietro alle follie di Dagna.-
Leliana non rise del paragone. -Come un ragno?- chiese, invece.
Lavellan sbuffò una risata nervosa. -Ah, beh, se fosse stato un ragno sarei già arrivata a Crestwood di corsa.- scherzò, muovendosi per lasciare il cortile il più in fretta possibile.
Risalirono le scalinate e arrivarono al salone principale, accompagnate dai quieti rumori provenienti dalle sagome nere degli abitanti di Skyhold, impegnati a ricoprire posizioni e a consegnare messaggi. Una volta al riparo dal vento gelido e avvolte dalla luce calda delle lanterne a olio, si accinsero a congedarsi.
-Hai già scelto un nome, per quando salirai sul Trono Raggiante?- domandò Lavellan, sfiorando con lo sguardo la sedia vuota della scrivania di Varric.
Leliana abbozzò un sorriso. -Mi fa felice sapere che tu lo ritenga un evento certo.-
Lavellan ricambiò. -Seguirai le orme di chi ti ha preceduto, o sceglierai un nome che appartenga solo a te?-
-Ci sto ancora pensando, a dire il vero. Anche se il tempo è agli sgoccioli, vorrei dare alla ricerca della mia nuova identità una certa importanza.-
-Com'è giusto che sia. Ricordati però che Divina Zione è stata una mia idea e se intendi usarla, mi toccherà chiederti una percentuale dei diritti ogni volta che il tuo nome verrà usato in un'opera di narrativa.-
Leliana le assestò uno schiaffetto sul braccio, a mo' di rimprovero, poi si voltò per andarsene. Lavellan fece lo stesso, incamminandosi attraverso il salone per raggiungere le sue stanze.
-Ah, Inquisitrice, un'ultima cosa.-
Lavellan voltò un'espressione curiosa verso la collega, frenandosi dal procedere.
Leliana indugiò sul suo viso con lo sguardo per qualche secondo, poi parlò. -Era la scelta giusta.- espresse, sommessamente.
Lavellan rimase a contemplare un indice di risposte che avrebbe potuto darle, ma nessuna sembrava appropriata. Dopo aver decretato l'impossibilità di esprimersi a dovere sulla questione, si limitò ad accennare un sorriso. -Buona notte, Leliana.- disse, preferendo ritirarsi.
Il senso di nausea tornò alla carica, assieme al formicolio che spesso le faceva prudere le pareti dei vasi sanguigni della mano sinistra.
Flesse le dita, le contrasse, poi le rilassò.
Il fastidio non scomparve.
Se aveva compiuto una scelta giusta, che per una volta avrebbe accontentato tutti, perché la faceva stare così male?

*

Il senso dell'udito di chi era presente al Tempio di Dumat era diviso tra l'ululato del vento e lo sfrigolare del fuoco che brucia la pietra.
Lavellan discese con una calma tragica la scalinata che portava al grande cortile che faceva da vestibolo all'edificio. Lì la sabbia era macchiata di un vibrante cremisi, per via del lyrium rosso e della grande quantità di nemici che giacevano a terra.
Era difficile decidere un odore predominante, o descrivere con accuratezza quale fosse l'identità olfattiva del lyrium rosso. Lavellan percepiva chiaramente l'odore di zolfo e di essenza di elettricità tipici dei Templari, ma assieme a essi permeava un profumo dolciastro, a tratti metallico, come quello di una piastra da carne sporca lasciata per troppo tempo al sole.
In ogni caso, il senso di nausea continuava a tormentarla, assieme a un retrogusto ferroso sul palato.
Raggiunse Cullen, chino su un'Ombra, e si posizionò alle sue spalle.
-Ser Albert di Hercinia.- annunciò lui, posando il pollice e l'indice sulle palpebre del nemico per chiuderle. Grazie a quell'atto di pietà, il viso deformato dell'Ombra acquisì un'espressione quasi pacifica.
-Lo conoscevi?- domandò Lavellan, a mezza voce.
Cullen passò una mano sulla fronte del due volte defunto Ser Albert, poi si drizzò in piedi. -Ha importanza? L'abbiamo lasciato indietro.- replicò, con l'amarezza a impastargli il tono di voce. La sua espressione era una maschera di indecisione che oscillava tra la rassegnazione e il fastidio.
Lavellan si aggrappò alla cinghia della faretra. -Mi dispiace.- disse.
Cullen strinse le labbra, esalando un breve sospiro dalle narici. -Anche a me, ma hanno fatto la loro scelta.- fece una pausa, per guardare la sua compagna dritta negli occhi. -Una scelta dovuta alla disperazione, ma pur sempre una scelta.-
Quelle parole ribadirono a Lavellan che ogni volta che decideva, qualcuno veniva lasciato indietro. I Templari, l'Imperatrice, Hawke… erano stati tutti vittime di una decisione. Di uno schema. E su quello schema c'era la sua firma.
-C'era brava gente, nell'Ordine.- proseguì Cullen, avvicinandosi. -Molti sono stati vittime della propaganda, altri si sono semplicemente schierati dalla parte sbagliata, alcuni invece hanno semplicemente seguito la corrente per lealtà...- spiegò. -Ti ricordi della nostra conversazione ad Haven sulla famiglia?-
Lavellan annuì. Oltre a ricordarsela, l'aveva presa a cuore, perché ci si rivedeva.
-Tu uccideresti qualcuno del tuo clan, se le sue azioni influissero negativamente sull'Inquisizione?-
Lavellan dovette soffermarsi a riflettere sulle implicazioni di quella domanda. C'era forse un'accusa, dietro? Una lezione da darle? Una voglia di rassicurazioni? Probabilmente, nemmeno il suo interlocutore lo sapeva.
Il problema era che Lavellan era certa che nessuno dei componenti del suo clan avrebbe compiuto una scelta simile, alleandosi con un essere come Corypheus per disperazione. Si sarebbero opposti.
Si sarebbero opposti?
Anche se fosse stato l'unico modo per sfuggire all'estinzione?
I Custodi ci erano cascati e loro erano votati a una causa ben più alta della pura e semplice sopravvivenza. Cosa c'era di così speciale in lei e nel suo clan per escludere la possibilità di venire sedotti dalla disperazione?
-Non lo so, vhenas.- rispose, coerentemente con il conflitto di ipotesi che si stava scatenando nella sua testa.
Cullen aggrottò la fronte, guardandola struggersi di fronte a un'opzione che non aveva mai considerato. Sapeva di aver aggiunto una preoccupazione senza fondamento a una lista ben più ampia di problemi reali, ma non poteva farci assolutamente niente e Lavellan non gliene fece un torto.
Erano ruminanti di pensieri seriali, dovevano venirsi incontro anche quando le loro preoccupazioni rischiavano di inquinare quelle dell'altro.
-All'interno ci sono abbastanza materiali infiammabili da erigere una pira.- disse lei, scorrendo uno sguardo accigliato sul chiostro.
Cullen fece lo stesso, mettendo a riposare il polso sul pomolo della spada. -Lascia che ci pensi io. È una mia responsabilità. Tu hai cose più importanti da fare.-
-Non è più solo una tua responsabilità, ora è una nostra responsabilità.- puntualizzò lei, tornando a guardarlo. -E non c'è niente di più importante per me di stare vicino alla mia famiglia quando ne ha bisogno.-
Cullen le rivolse un'espressione triste. -D'accordo.- disse, a mezza voce.

*

-Aveva ragione, dottoressa, è troppo scollato.-
Lavellan lanciò una rapida occhiata ad Adra, poi tornò a osservare l'immagine di entrambe riflessa sullo specchio.
Con aria pensosa, Adra si reggeva un gomito, passandosi le dita della mano libera sulle labbra strette. -Ho avuto una pessima idea.- bofonchiò, analizzando il completo che aveva appena fatto provare a Lavellan: un abito verde foresta dalla doppia manica, il cui scollo partiva dall'apice delle spalle e si chiudeva sullo sterno, riaprendosi quindi in uno spacco che discendeva per mostrare un paio di pantaloni verde rame baroccamente ricamati sulle cuciture laterali.
-Potrei metterci sotto qualcosa.- propose Lavellan, raddrizzandosi le maniche sui polsi.
-Oppure potresti semplicemente fregartene e metterci una collana piena di brillocchi.- suggerì Amun, che stava impreziosendo una stola alla sua postazione.
Adra alzò gli occhi al cielo. -Per te i brillocchi sono la soluzione per ogni problema del mondo.- commentò.
Amun non si scompose. -Un completo senza un punto luce è come un cielo senza stelle.-
-Il tuo mondo ideale sarebbe una grotta di cristalli abitata da persone fatte di cristallo.-
-Dipende dal cristallo.-
Lavellan ridacchiò. -Anche se mi mettessi la collana più eccentrica del Thedas, il problema rimarrebbe: non posso presentarmi in riunione così.- indicò il suo petto nel riflesso. -Li voglio sul pezzo, non con lo sguardo fisso sul cuore.-
-Direi che è anche ora di buttare la sobrietà alle ortiche, no?- intervenne Amun, nuovamente. -È un bel vestito, il colore ti sta bene. Se proprio vuoi coprirti, puoi risolvere con una spilla.-
Adra gli scoccò un'occhiata truce. -Le spille sono per gli stilisti pigri, le vecchie e i pannoloni dei bambini.- sbottò.
-L'ho sempre detto che non ci capisci un accidente di accessori.- replicò Amun, appoggiando la stola per raggiungerle. -Seriamente, Ankh, ti sta bene.- ribadì, facendo un giro attorno a Lavellan per osservare il vestito con attenzione. -Ma se proprio vuoi renderlo più sobrio, potresti mettere sotto il corsetto ricamato del completo prugna e tenere la chiusura addirittura più morbida.-
Adra esalò un verso di profonda scontentezza. -Diamine, odio quando hai buone idee!- brontolò, per poi raggiungere una rastrelliera.
Amun strizzò l'occhio a Lavellan, che ricambiò con un sorrisetto.
-Comunque, qualcuno poteva anche dirmi che quel Custode che si aggirava nelle mura era il fratellastro di Re Cailan (pace all'anima sua).- borbottò Adra, spingendosi un paio d'occhiali da vista sul naso. Indicò a Lavellan di sfilarsi il vestito in modo da correggerlo con il corsetto.
-Non pensavo fosse necessario. La storia del figliastro del re che torna per rivendicare la corona è abbastanza nota, persino tra i Dalish.- ammise Lavellan, sollevando le braccia per aiutare Adra nella vestizione.
-Che poi, scusa, tu non eri a corte quando è successo?- domandò Amun, perplesso.
-No che non ero a corte! Quando Loghain Mac Tir ha preso il potere, il signor Tholomeus ha pensato bene di fare i bagagli e tornare ad Altura Perenne.- spiegò Adra, stringendo le palpebre per adattare la vista al lavoro minuzioso che stava compiendo. -Pessima idea, tra l'altro, perché senza il teyrn quel posto è andato a scatafascio nell'arco di un mese. Non vi dico in che condizioni era l'atelier quando siamo ritornati! Hanno dovuto ingaggiare dei mercenari per proteggere le stoffe più costose. Enfasi sulle stoffe, perché noi sarti abbiamo dovuto arrangiarci.-
-Ah, già, Altura Perenne è dov'è nato l'Eroe del Ferelden.- disse Amun, sedendosi sul bordo di un tavolo. -Era la figlia minore del teyrn, no?-
-La minore, ma quella più scalmanata.- rispose Adra, in procinto di finire il lavoro. -Tra tutti gli eroi a cui il Ferelden ha dato i natali, lei è quella che non ci meritiamo ma di cui abbiamo un estremo bisogno. Un'eroina con la "e" maiuscola.-
-Ma tu non li odiavi i nobili?-
-Non quelli che tagliano la testa agli Arcidemoni.-
-Oh, beh, niente da ridire su questo.-
Adra gli gettò un'occhiata rapida, con una certa ilarità impressa nei lineamenti. -Lo credo bene, ha... dottoressa, ho quasi finito.-
Lavellan però non la sentì. Nelle sue orecchie c'era un ronzio talmente intenso da offuscare persino il suo sguardo.
"L'eroe che non ci meritiamo ma di cui abbiamo un estremo bisogno".
Un eroe che aveva promesso ai Dalish terre e un trattamento dignitoso in cambio del loro aiuto durante il Flagello, senza rispettare il giuramento; un eroe che aveva supportato un regicida, regalandogli una nuova corona; un eroe che aveva fatto delle scelte urgenti per mettere fine al Flagello.
In che modo non se lo meritavano? La sua gente forse non aveva il diritto di farsi spalleggiare da qualcuno dopo lustri di esilio e repressione?
-Dottoressa?-
Lavellan si appoggiò una mano sullo stomaco, sentendolo ribellarsi. La voce di Adra era dolce e comprensiva, ma la sua testa la percepì come un disturbo.
-Ankh?-
Lavellan prese un respiro profondo, poi si infilò nuovamente il vestito, procedendo a chiuderlo lei stessa. -Ero sovrappensiero.- si scusò.
Con il corsetto stava meglio di prima, certo, ma c'era sempre qualcosa che non andava. Il problema era stato accentuato, dando forma alle sue curve e mettendole persino in risalto.
Al contrario suo, Adra e Amun sembravano entusiasti di quel cambiamento e ciò la confuse. Era il riflesso accurato del suo mandato: vittorie a metà, con l'altra metà di ripercussioni che le rendevano vane. E nessuno oltre a lei e la parte offesa sembravano rendersene conto.
-Direi che ancora una volta abbiamo portato a casa un successo.- disse Adra, sorridendo con soddisfazione. -E io che stavo già pensando a come riciclare la stoffa!-
-Non penso che potrò indossarlo.- dichiarò Lavellan, che a quel punto aveva più pensieri che massa muscolare.
Adra e Amun si scambiarono un'occhiata incerta. -Beh, sarebbe un peccato, dato che ci ho lavorato una settimana intera.- disse la prima. -Mi ascolti, dottoressa, non è niente che non abbia già portato, è solo un po' meno modesto.-
Amun appoggiò una mano sul braccio della sorellastra, guardandola con l'affetto negli occhi. -Ma almeno ti piace, al di là della scollatura?-
Lavellan ci pensò, provando ad affrontare il problema con razionalità. -È un capolavoro, come tutti i vestiti che crea Adra.- ammise, con sincerità.
-Allora fagli fare un giro di prova, giusto perché oggi non sei piena di appuntamenti.- insistette Amun, mentre Adra recuperava un paio di guanti e di stivali in tinta. -Ti facciamo truccare al volo, ti mettiamo due accessori per completare il lavoro e stasera tiriamo le somme.- strinse appena la presa. -I giorni in cui stiamo peggio sono i giorni in cui vogliamo apparire al meglio e questo, oh, è un gran vestito per sviare l'attenzione dal magone!-
Lavellan gli sorrise. -E io che ero già pronta a chiederti in prestito un vestaglione di lana.- scherzò.
-Il giorno in cui indosserà un vestaglione di lana sarà il giorno in cui chiederò le dimissioni.- affermò Adra, solennemente.

Dorian spostò brevemente l'attenzione dal libro che stava leggendo, per assegnarla a Lavellan.
Scorse lo sguardo su di lei, trasse le sue somme, poi tornò a concentrarsi sulla lettura. -Se avessi saputo che oggi era la giornata del verde mi sarei organizzato diversamente.- bofonchiò.
Lavellan si portò al suo fianco, di fronte allo scaffale che stava assediando. -È stata una decisione dell'ultimo minuto.- spiegò, per poi spiare il contenuto del libro. -Stai ancora appresso agli alberi genealogici?-
Dorian arricciò il naso. -Ci starò appresso finché non avrò trovato quel nome, puoi giurarci!-
-Stai facendo piovere nel reparto della narrativa.-
-Oh?-
Dorian si voltò in direzione di un paio di Maghi librai, completamente inzuppati, che cercavano di sciogliere l'incantesimo che lui aveva inavvertitamente evocato. Aspettò di vedere come avrebbero risolto il problema, prima di dissolverlo con una facilità disarmante.
-Mai che mi riesca di far piovere in testa a Solas!- borbottò Dorian, tornando ad abbeverarsi di nomi propri e diagrammi.
-È già successo?- domandò Lavellan, recuperando dallo scaffale un libro autobiografico scritto dalla divina Galatea.
-Ti sei persa la parte in cui dicevo "mai che mi riesca", o oggi hai un problema di ascolto?- replicò Dorian, con una nota di nervosismo nel tono di voce.
Lavellan aggrottò la fronte. -Intendevo in generale, non nel caso specifico e un'incomprensione non è comunque una scusa per fare lo stronzo.- lo rimproverò, senza metterci troppa enfasi.
Dorian sbuffò sonoramente, passandosi una mano sul viso. -Sono sveglio da tre giorni e l'unica cosa utile che ho trovato è una ricetta.-
-Che genere di ricetta?-
-Focaccia all'olio d'oliva.-
-Potrebbe essere utile per farlo appesantire in vista del prossimo scontro.-
-È quello che ho pensato anch'io, prima di rendermi conto che non possiamo caricare i trabucchi a focacce.-
Lavellan prese a ridacchiare. -Caricare i trabucchi a focacce.- gli fece eco. -Potremmo scriverci delle ingiurie con le olive. Ci servirebbero tanti cuochi che ci distribuiscano il sale sopra prima del lancio, ma penso che ne varrebbe la pena. Ne parlerò con Cullen.-
Dorian formulò un sorriso sotto ai baffi. -Quanto sei stupida!- disse, rivolgendole un'occhiata carica di affetto.
Lei gli lanciò un bacio, poi tornò a sfogliare il libro che si era ritrovata tra le mani. Lesse ben due pagine di descrizioni religiosamente ispirate, prima di arrendersi al pensiero che la Divina Galatea avesse un chiaro bisogno di farsi un bagno in una piscina riempita di lava. Pensiero che espresse ad alta voce, facendo ammiccare Dorian dalla sorpresa.
-E poi sarei io lo stronzo!- la prese in giro, rubandole il libro per riporlo in un punto più alto dello scaffale. -Però non posso darti torto. È tipico della Chiesa compiere azioni terribili mascherandole come scelte morali. Chiedilo a Cassandra, in relazione a quello che è successo a Dairsmuid.-
Lavellan dovette prendere un respiro profondo. -Con Leliana sarà diverso.- disse.
Dorian la guardò con aria scettica. -Con la Mano Sinistra della Divina, ovvero colei che ha supportato l'ordine?- puntualizzò.
Ecco un'altra scelta a metà, una le cui ripercussioni erano ancora premature. La nausea si mescolò a un batticuore tartassante, impedendo a Lavellan di pensare con chiarezza.
Era certa della sua decisione, così com'era certa di ogni singola scelta che aveva compiuto durante il suo breve mandato. Eppure, faceva schifo tanto quanto le altre.
Forse non erano le decisioni a fare schifo, era lei.
-Sarà il pre-ciclo.- mormorò, passandosi una mano sullo stomaco.
-Non ti leggo nella mente, Ankh.- la rimproverò Dorian, chiudendo finalmente il suo libro per sostituirlo con un altro. Ormai ci era abituato a sentire parole insensate a conclusione dei suoi ragionamenti, ma smettere di farglielo notare non era nei suoi piani.
-Meno male.- rispose lei, appoggiando la schiena alla parete. -Avresti due infarti al minuto.-
-Ho già due infarti al minuto.- disse lui, mostrandole una serie di orecchiette fatte a bordo pagina. -Guarda che schifezza! Questa gente tiene i libri come se fossero oggetti.-
-Beh, tecnicamente lo sono.-
-Dillo un'altra volta e ti faccio piovere nella stanza per una settimana. Deliberatamente.-
-Ma così rovineresti tutti i libri che mi hai prestato e che sto tenendo in ostaggio.-
-Sei una brutta persona.-
-Disse quello che non ha smesso di offendermi da che ho messo piede in biblioteca.-
Dorian alzò gli occhi al cielo. -Ti sei ripresa, almeno?-
Lavellan accennò un sorriso, ma non rispose. Lui accettò quell'assenza di riscontro senza lamentarsi. Con quell'interazione erano riusciti a rassicurarsi vicendevolmente, per fortuna.
-Non è esattamente una cosa che metteresti.- disse Dorian, tornando a guardarla. Più che guardarla, le diede una squadrata di rinforzo.
Lavellan chinò lo sguardo sul suo petto. -Lo sto rodando per vedere se mi trovo a mio agio. A quanto pare, dicono che mi stia bene.-
-Eh, il velluto di cotone non è tra i miei tessuti preferiti, ma c'è di peggio.-
Lavellan inclinò uno sguardo scettico nella sua direzione. -Sei ancora arrabbiato con Adra perché non vuole farti uno sconto, eh?-
Dorian sollevò l'indice per fare una precisazione acida. -I tuoi consiglieri stanno nella bambagia a discutere e hanno i vestiti a titolo gratuito, invece io che ti seguo tra deserti e ghiacciai devo pagare la roba di tasca mia. Ti sembra giusto?-
-Beh, sì, il suo contratto prevede che si occupi di me e, se necessario, di loro. E non è "a titolo gratuito", la paghiamo.- specificò Lavellan, divertita da quell'impuntarsi. -Se vuoi posso metterci una buona parola.-
I lineamenti di Dorian si trasformarono in una maschera d'indignazione. -Non l'hai ancora fatto?!- gemette. -Pensavo mi tenessi su un palmo di mano. Pensavo fossimo colleghi per la vita, compagni d'arme... per un attimo ho creduto davvero di essere la tua spalla gay prescelta.-
Lavellan sbuffò sonoramente, roteando lo sguardo. -D'accordo, d'accordo, le parlerò nel pomeriggio.-
Dorian le rivolse un'espressione soddisfatta. -Ci voleva tanto?-
Lavellan fece per replicare, ma le sue orecchie percepirono un rumore di passi che di solito precedeva un tipo di sollievo che in quel momento non poteva permettersi.
Non voleva permetterselo.
Si voltò verso il tavolo degli studi di Helisma con un misto di aspettativa e tensione nello sguardo, perché Cullen l'aveva appena oltrepassato. Non si aspettava di vedere nei suoi lineamenti la stessa difficoltà che aveva lei, ma non si sorprese più di tanto nel riscontrarla.
-Devo trovarti una scusa al volo?- mormorò Dorian, notando quello scambio stressato.
Lavellan esalò un respiro pesante dal naso. -No, non penso sia necessario.- disse, notando che tra le dita di Cullen c'era un cilindro proteggi-missive. Era lavoro, e il lavoro era un ottimo espediente per non lasciare troppo spazio a quello che c'era tra loro.
La nausea si fece viva comunque, forzandola a contrarre il viso in una smorfia di dolore.
-Te la rubo giusto un istante.- disse Cullen, dopo averli raggiunti.
-Non tardare troppo a riportarmela indietro.- lo avvisò Dorian, descrivendolo con un'occhiata.
Cullen sbatté le palpebre su uno sguardo scettico. -Non contarci.- dichiarò, per poi seguire Lavellan dietro alla scaffalatura del reparto saggistica.
Una volta riparati dall'indiscrezione degli occupanti della biblioteca, Lavellan ebbe un micro-momento di crisi mistica e pregò Andraste che la salvasse, mandandole un impegno improvviso. Quando si rese conto di quello che aveva appena pensato, la nausea si trasformò in una sensazione di malessere psicologico.
-Inquisitrice.- la salutò lui, porgendole il cilindro.
Lei lo raccolse per aprirlo, poi glielo ritornò, tenendosi la pergamena arrotolata che conteneva. La aprì, la lesse, poi accusò il colpo con un'alzata di sopracciglia e un'espressione sorpresa.
Cullen increspò le labbra a sorriso. Nella missiva c'era scritto "Una scusante" con la sua calligrafia.
Lavellan non poté fare a meno di sciogliersi in una risata. Dal modo in cui i suoi muscoli si rilassarono, era evidente che ne avesse un gran bisogno.
Senza aspettare oltre, Cullen appoggiò una mano sul suo viso e si chinò su di lei per baciarla.
Lavellan aveva un gran bisogno anche di quello. E dal modo in cui lui si era affisso alle sue labbra, pareva che fosse reciproco.
Per un po', parlare non fu necessario. Stavano già comunicando, in una maniera tale da spegnere le mille elucubrazioni che Lavellan si portava appresso. C'era solo un grande desiderio che ogni singola anima nella biblioteca sparisse magicamente, lasciandoli da soli ad affrontare ogni singola superficie che si trovava nella loro scia.
Lo stato di apnea sensoriale fu talmente soverchiante che Lavellan ebbe l'impressione di precipitare, di fluttuare e di aver corso i cento metri piani ad alta velocità allo stesso tempo.
Smetterla fu un sollievo atroce.
-Mi dispiace.- disse lui, sottovoce, rivolgendole un sorriso appena accennato. -Ti ho rovinato il rossetto. Di nuovo.-
Lavellan si aggrappò al suono della sua voce per riprendere coscienza del mondo attorno a sé. -Non è rossetto.- specificò, recuperando un filo di razionalità che rischiava di perdersi tra l'amalgama di ormoni e frustrazione che quel bacio le aveva provocato. -Praticamente pungi il labbro inferiore con un ago in tre punti e...- deglutì, sentendo la gola riarsa. -È una cosa che fanno gli orlesiani. Fanno tante cose estremamente dannose per la loro salute fisica. Le loro lumache le cuociono nel burro, sai? Usano tanto burro, anche per la pelle. Non so come facciano a non friggersi le braccia al sole. Per carità, profumano di buono, ma...- deglutì di nuovo, poi esalò una risata nervosa. -Scusa, mi hai un po' spiazzata.-
Cullen allontanò il viso dal suo abbastanza per permetterle di riprendere fiato. Ampliò di poco il sorriso, aggrottando la fronte su un'espressione incerta. -Ecco spiegato perché sai di ferro.- disse, scostandole un ciuffo di capelli dal viso. -Mio dolce goblin che rincorre i fuochi fatui nelle paludi, non prendere i vizi degli orlesiani ti prego. Di peggio c'è solo essere scuoiati vivi con lo sguardo da Josephine quando non vengono usati i sottobicchieri sulla mappa tattica.-
Lavellan ridacchiò. -Te lo sogni ancora di notte quel sottobicchiere.-
-Beh, mi ha colpito dove nessuno dovrebbe essere colpito. Come minimo, lo sognerò per altri dodici mesi.-
Si scambiarono un'occhiata divertita.
-Mi dispiace averti teso un'imboscata.- disse lui, appoggiando il mento sulla sua fronte. -Volevo solo vederti, senza secondi fini.-
Lei chiuse gli occhi. Avrebbe voluto ascoltarlo e parlargli francamente, ma allo stesso tempo era necessario che evitasse il confronto. Con lui, soprattutto, che sapeva quanto le costava prendere determinate decisioni.
-Non mi dispiacciono i secondi fini...- disse, preferendo il conforto alle voci. -...se sono come quelli che ci hanno trattenuto nella sala di guerra dopo il lavoro l'ultima volta.-
Cullen si discostò per offrirle un sorriso intrigato, che lei ricambiò.
-E me lo dici così, tra un Genitivi a caso e un compendio per misurare l'intelligenza dei bambini in base alla lunghezza delle dita dei piedi?- commentò lui, ridendo nervosamente.
-Avresti preferito che te lo dicessi davanti ai sonetti erotici della Divina Renata?-
Cullen rivolse il suo sorriso al pavimento, ed era un sorriso talmente genuino da ringiovanirlo, nonostante fosse supportato da una buona quantità di rughe d'espressione. Rimase così per qualche istante, poi abbagliò Lavellan con uno sguardo così incredulo che le fece intuire quanto a lungo si fosse dovuto privare di quelle interazioni che potevano avere solo l'una in presenza dell'altro. -D'accordo. Andiamo.-
Lavellan rimase rintronata da quella decisione. Si aspettava una scusa, o l'ennesimo rimandare a data da destinarsi. -Cosa? Adesso?- domandò, infatti.
Cullen le posò un bacio sulla guancia, le sussurrò qualcosa all'orecchio, poi indietreggiò fino al terminare dello scaffale. Nel farlo, fece cadere una catasta di libri. -Uh, a... a dopo.- disse, guardandosi intorno con circospezione, poi si dileguò.
Non diede il tempo a Lavellan di metabolizzare la situazione, perché tornò immediatamente sui suoi passi, si affacciò dal fondo della scaffalatura e rimase con le parole sulla punta della lingua per qualche istante, prima di aprire bocca.
-Sei...- la indicò, con un imbarazzo sognante, poi diede un cenno circolare con il braccio per enfatizzare l'apprezzamento. -Diamine!- esclamò, sorridendole. -Diamine!- ripeté, andandosene così com'era ritornato.
Lavellan si dovette tappare a forza la bocca pur di non scoppiare a ridere sonoramente, mentre dall'altro capo della libreria proruppe un terzo "diamine" accompagnato dal rumore dell'ennesima catasta di libri buttata a terra.

*

Il fumo dell'incenso e di candele consumate a metà oberava l'atmosfera, già pregna di odore di pietre per l'affilatura bagnate e polvere metallica.
L'armeria, così come gli altri luoghi destinati ai mestieri su Skyhold, era deserta.
Tutti erano dispersi tra il grande cortile e le mura, per assistere alle conseguenze dell'ennesima decisione. L'ennesima messa in scena. L'ennesimo errore. L'ennesimo parto di un potere troppo pesante nelle mani di un misero essere vivente.
Lavellan aveva del tempo da perdere. Non troppo, ma il giusto per incidere nella sua testa quello che stava andando a fare, le motivazioni per le quali lo stava facendo e la stupidità di suddette motivazioni.
Era una scelta ragionata, dovuta, e purtroppo senza vie d'uscita. Una scelta in cui la logica sfiorava la convenienza.
Rimase a contemplare una fila di spade forgiate di recente appese al muro. Si chiese se una spada fosse realmente vergine anche prima di assaggiare il sangue. Il metallo veniva fuso, plasmato, battuto, abusato e subiva una lavorazione massiccia prima di essere affidato alle mani di qualcuno che l'avrebbe usato per fare del male.
Ha senso assegnare l'innocenza a chi è cresciuto a batoste?
Non aveva senso pensarci. Nella testa di Lavellan c'era solo spazio per una decisione presa a mente lucida, che in quel momento le veniva da rinnegare. Per quello il suo istinto cercava paragoni, metafore a cui appigliarsi per prendere le distanze da quell'idea.
La porta si aprì, ma lei non mosse un muscolo.
Era arrivato il momento di parlarne. Parlarne davvero, senza la divisione imposta da un ruolo di comando a un ruolo di obbedienza.
Lo scricchiolio dei cardini echeggiò nell'ambiente vuoto, così come l'incedere deciso dei passi e il suono del metallo che si muove assieme a chi lo indossa.
Lavellan si concentrò su quei rumori.
Rumori che accorciavano il tempo e riducevano lo spazio.
Le spade si trasformarono subito in un ottimo intrattenimento visivo. Il riflesso nel metallo schiacciava due figure, modificando e ridistribuendo i volumi nello stesso modo in cui la testa di Lavellan schiacciava lei quotidianamente.
-Oggi hai decisamente un secondo fine.- disse Lavellan. La sua voce era ferma e intransigente.
Cullen arrivò finalmente al suo fianco, prendendo a guardare le spade a sua volta. -Sono qui per dirti che non è troppo tardi per cambiare idea.-
Lavellan schiaffeggiò quella proposta con la mente, distanziandosi da essa come se bruciasse più della sua stessa decisione. -Non ho altra scelta.-
Cullen voltò appena la testa nella sua direzione. -Tu non credi nelle punizioni, Lav. Questa decisione te la porterai appresso per il resto dei tuoi giorni.-
-Lo so.-
Cullen serrò la mascella, mentre la frustrazione si impadroniva del suo viso. -Lascia che lo faccia qualcun altro, allora.- la supplicò, a denti stretti.
Lavellan fece un singolo gesto di diniego con il capo. -Sai benissimo perché non posso delegarlo.- disse. -E sai anche che la mia scelta è l'unica che gli eviterebbe di ferire se stesso e il prossimo.- fece una pausa.
Cullen sembrava ribollire nella sua impotenza. -Non è l'unica.- si azzardò a dire, pentendosene immediatamente.
Lavellan si voltò di scatto, fulminandolo con lo sguardo. -Quella non è un'opzione. Non sarà mai un'opzione.-
Lui annuì sommessamente. -Mi dispiace.- replicò, ma nella sua voce non c'era troppo sentimento.
Lavellan si sentì minuscola, infinitesimale, anche se in quel momento aveva i poteri di un dio. Avrebbe dovuto sentirsi l'opposto, ma più saliva nell'olimpo dei potenti, più sentiva quanto il mondo attorno a sé fosse oscuro e ingiusto, a partire da chi condivideva lo stesso potere che lei brandiva.
Non c'erano più le scuse dell'autodifesa, della protezione dei più deboli e del voler creare un mondo migliore. C'era lei di fronte a tre soluzioni terribili e nessuna di esse beneficiava il suo operato.
Avrebbe potuto dire che era una scelta imposta dal suo nemico, che annetteva nelle sue file uomini marci nell'anima, pronti a tutto per una gloria avida. Ma nemmeno quella sarebbe stata una scusante valida per calare la spada sul collo di qualcuno.
Cullen la osservò con attenzione, prima di riaprire bocca. -Prenditi i tuoi tempi per creare una parabola.- disse, addolcendo il tono di voce. -Quando è in traiettoria discendente aumenta la forza di spinta. Più il taglio è pulito, meno soffrirà.-
Lavellan sentì la bile ribollirle in gola, mentre il suo corpo entrava in uno stato di tensione più accentuato. Deglutì, spostando lo sguardo altrove. -Sarò veloce.-
Cullen allungò una mano verso il suo viso, ma invece di donarle una carezza posò le dita appena sopra l'attaccatura posteriore del suo collo. Fece una lieve pressione, poi ritrasse l'arto.
Lavellan registrò l'informazione, poi prese un respiro profondo. -Chi bandirà la...- non riuscì a terminare la frase.
-Avrebbe dovuto farlo Josephine. Ho preferito prendermene io la responsabilità.- rispose lui.
Una fitta di sollievo temporanea attraversò Lavellan. -Hai fatto bene.- disse, anche se avrebbe dovuto ringraziarlo.
Cullen la guardò dritta negli occhi. -Non sei solo l'Inquisitrice, sei la mia compagna. Voglio essere al tuo fianco. È un mio dovere, ed è una mia pretesa.-
Lavellan avrebbe avuto tutte le carte in regola per sfogarsi, per dirgli come si sentiva, per donarsi un attimo di respiro prima dell'inevitabile, ma si impose di non farlo.
Annuì, neutra, mentre il suo corpo intero urlava.
-Madre Giselle dovrebbe aver finito.- dichiarò, lisciandosi la giacca sullo stomaco.
Cullen si schiarì la voce, poi si sporse su di lei. Controllò l'affilatura della spada che portava sul fianco, le sistemò la cintura, poi le appoggiò le mani sulle spalle, brevemente. Fece quello che avrebbe fatto con uno degli ufficiali che aveva accuratamente scelto, con una professionalità encomiabile. -Sei pronta.- affermò.
Lavellan lo ringraziò mentalmente per non averglielo domandato, poi fece strada verso l'uscita.

Il percorso che compì dalla fucina alla forca assieme al corteo del condannato fu lento e solenne, ma lei lo percepì come un battito di ciglia.
Si rese conto che si stava muovendo come se qualcuno la stesse trasportando, nonostante si sforzasse di sfruttare la tensione che provava per darsi un'austera immobilità. Aveva imposto al suo viso un'espressione severa, ma dietro la facciata c'era una voglia incredibile di buttarsi ai piedi di Cassandra e piangere come non aveva mai fatto in vita sua.
Ascoltò la voce di Cullen risuonare nel vento che sferzava le mura, come il ronzio delle ali di una mosca soffocato dal vociare di un sabato sera in taverna. C'era troppa gente, c'erano troppe opinioni e in mezzo a esse c'era un'esultanza neanche troppo timida da parte di chi condivideva appieno quello scenario.
Con la coda dell'occhio, Lavellan notò Josephine, che come lei cercava di appigliarsi a tutta la sua professionalità pur di non cedere. Il fatto di non essere la sola a stare in quel modo le ricordò che quella non era una situazione né normale né giusta.
Dopo che Cullen ebbe finito di bandire la condanna, anche il vento smise di fiatare. Il rumore della spada che scivola sulla guaina echeggiò nel cortile, poi risuonarono pochi passi decisi, che identificavano il posizionamento di Lavellan al fianco del condannato, sul patibolo.
"Non stai tagliando la legna." disse Cullen, nella sua testa. "Devi farlo come lo farebbe un cavaliere. Aggraziato"
Lavellan diede la possibilità a Livius Erimond di esprimersi, poi impugnò la spada a due mani, portando l'elsa di fronte ai suoi occhi.
"Preciso"
Calcolò il peso della spada, l'arco della parabola e la forza che avrebbe impresso all'arma in discesa. Poi, eseguì.
"Compassionevole"
Il rumore del taglio precedette il tonfo.
"Pulito."
Il pubblico smise di trattenere il fiato.
Il sangue scivolò sul metallo della spada, accumulandosi sul filo e distanziandosi sulla lama per assottigliarsi in cerchi e ovali.
Lavellan si premurò di guardare la vita che lasciava lo sguardo di chi aveva appena punito prima che venisse coperto da un sudario, poi si rivolse a chi assisteva.
-Oggi è morto un uomo. Non era un brav'uomo, non era peggiore di altri...- disse, con fermezza, abbrancando l'impugnatura della spada. Avanzò fino all'orlo del patibolo che si affacciava sulla folla, preparando i polmoni per alzare la voce in modo che venisse sentita da tutti. -Lo abbiamo condannato per la sua affiliazione al nemico, per i mezzi in cui lo serviva e per i crimini che ha commesso nei riguardi dei nostri alleati.- si prese un istante per scorrere lo sguardo dapprima sulla folla che anticipava il patibolo, poi su quella agglomerata nel cortile sottostante. -Livius Erimond, di Vyrantium, era un uomo devoto alla sua causa, così come noi siamo devoti alla nostra. Seguiva ciecamente il suo condottiero, così come voi seguite me. E voglio dirvi questo: davanti a voi non c'è la promessa della gloria, c'è un sogno affidato nelle mani di persone come voi, con virtù e mancanze. L'unica cosa che ci distingue è la competenza. Una competenza che cresce mano a mano che voi la arricchite.- pulì la spada con cura, poi la rinfoderò. -Un sogno può distorcere la percezione della nostra individualità per favorire se stesso, offuscando la morale giustificando i mezzi che usiamo per raggiungere qualcosa di più grande, di intangibile nel presente.- prese fiato. -L'Inquisizione è un mezzo per raggiungere uno scopo, ma non è l'unica via.-
Diversi soldati si scambiarono occhiate incerte, ma Lavellan l'aveva messo in conto.
-All'inizio del mio mandato vi ho promesso solidità e coerenza. Cerco ogni giorno di rendervi fieri delle mie decisioni, perché non riguardano solo la mia persona, riguardano chi come me vuole consegnare un mondo migliore nelle mani delle generazioni a venire. E se per restare coerente con questa promessa mi venisse richiesto di andare contro alla mia natura, allora andrò contro alla mia natura. È una mia decisione.-
Gli indecisi rilassarono la postura, qualcuno batté le mani, altri la ringraziarono. I Custodi presenti rimasero ad ascoltarla, senza tradire un'emozione.
-Se doveste avere un dubbio, un solo singolo dubbio su di me e sull'ideale che servo perché non collimano con le vostre intenzioni, non esitate ad andarvene.- proseguì lei. -Ma se mi farete l'onore di restare, non abbiate mai dubbi sulla mia devozione nei vostri riguardi. Sarò qui finché lo riterrete necessario, onorando la vostra fiducia ogni singolo giorno, a costo di impregnarmi le mani di sangue finché non saranno più riconoscibili.- fece una pausa, per lasciare che le parole attecchissero. -Ma serannas.- disse, a pieni polmoni.
Non rimase a distinguere le grida di apprezzamento da quelle di lamentela, perché il suo corpo intero le implorava di fuggire.
Aveva fatto quello che doveva fare, alle spese di chi aveva appena punito, trasformando un patibolo in un palcoscenico. Usare la morte, ciò che lei rispettava più di se stessa, come una messinscena le aveva confermato ciò che già era ovvio: Ankh del clan Lavellan non era più una persona, era un mezzo.
Ma era lei a volersi sacrificare per la causa, o era la causa stessa a sacrificarla per la sua sopravvivenza?
Era spada, o era quella che la impugnava? Forse, la risposta era a metà di entrambe le domande.
La nausea la stava strozzando, ma Lavellan resistette il tempo necessario a salvare le apparenze. Ci era abituata, poteva gestirlo ancora un po'.
Strinse la mano a un veterano dei Custodi, promise a Josephine di esserci alla riunione che avrebbero avuto con gli emissari della Vedova e si organizzò con Leliana per l'ambasceria che avrebbero intrapreso il giorno successivo. Però si rifiutò categoricamente di guardare Cullen negli occhi, men che meno di interagirci. Se l'avesse fatto, ogni suo sforzo di restare impassibile sarebbe stato vano.
-Mi cambio al volo e ci sono.- disse a Cassandra, che premeva per avere la sua attenzione a proposito della prossima seduta del consiglio.
Un piede davanti all'altro, risalì a fatica i gradini che dal salone portavano alle sue stanze. Diede un sorriso di circostanza alle guardie. Appoggiò una mano sulla spalla a Neria, appena tornata da una missione.
Stava scavando la terra con un cucchiaino, dopo una frana di dimensioni titaniche.
Chiuse la porta della sua camera studio con calma e senza esitare percorse il corridoio che anticipava le scale del mezzanino.
Quando, una volta in cima, vide che non era da sola, il cucchiaino si spezzò.
Shaan e Amun la aspettavano in piedi in mezzo alla stanza, con la consapevolezza nel viso.
-Non eravate giù.- disse lei, aggrappandosi alla sua dignità con tutta la forza che le restava. Era poca, davvero poca, e lei aveva davvero bisogno di restare da sola.
Amun avanzò verso di lei con decisione e la abbracciò.
Lavellan esalò una singola vocale, mentre il suo corpo rilasciava la tensione brutalmente, costringendola a sorreggersi a lui.
Fu un'esplosione.
Lavellan si ritrovò ad abbracciare il suo vaso da notte, mentre la sua gola soffriva del fatto che nel suo stomaco non ci fossero sostanze da espellere. Le mani di Shaan le liberavano il viso dai capelli, quelle di Amun la sorreggevano in posizione curva, evitando che crollasse.
-Non può continuare così, la ucciderà.-
Lavellan avrebbe voluto dire a suo fratello che non poteva fare altrimenti, ma non riusciva a comandare al suo fisico di smetterla di disubbidirle.
Shaan le passò un fazzoletto umido sul viso, come se fosse una bambina nell'atto di imparare a gestire le sue azioni durante i pasti. -Il nostro compito è quello di rimetterla in piedi.- fece.
Lavellan ringraziò mentalmente il suo pragmatismo, perché le permise di usarlo come faro per uscire dalla nebbia. Diede il tempo necessario al suo corpo per rilassarsi, poi prese un respiro profondo.
-Ho bisogno di un cambio.- disse, con voce arida e grattata.
-Ho pensato a tutto io.- la rassicurò Shaan, con la decisione che a lei in quel momento mancava. -Sei nei tempi, puoi riposare.-
Lavellan provò sollievo per la prima volta in quella giornata troppo lunga. Si fece aiutare a salire sul letto, troppo debole per pensarci da sola, poi sprofondò in un sogno talmente oscuro che le parve di essersi svegliata subito dopo essersi addormentata.

Schiuse le palpebre nella tenue luce di un pomeriggio plumbeo, con il fastidio della vuotezza del suo stomaco, ma con l'anima sollevata di gran parte del peso che si portava dietro da Adamant. La nausea era andata via, ora doveva fare i conti solo con le pulsazioni dell'Ancora e la fiacchezza tipica di una dormita pomeridiana.
Si rese conto di essersi addormentata su un fianco, abbracciata a suo fratello che per passare il tempo in attesa che lei si svegliasse stava ricamando un paio di guanti di lana. Il calore che emanava il suo corpo la mise in pace con il mondo.
-Ma serannas.- si sforzò di dire.
-Non dirlo neanche.- rispose lui, senza guardarla nemmeno. -Vuoi un po' d'acqua?-
Lavellan ci rifletté, anche se la sua gola aveva un gran bisogno di essere curata. -Possiamo restare così ancora per un po'?- chiese, invece.
In risposta, Amun non si mosse di un millimetro. Le mostrò il lavoretto, sfiorando con l'ago il disegno dettagliato di un giglio. -Che dici, all'Ambasciatrice andrà bene?-
Lavellan si strinse a lui, strofinando la guancia sul suo petto. -È bellissimo.- replicò. -Ma io non ci capisco un accidente di queste cose.-
-Non serve capirci qualcosa per decidere se una cosa è bella o meno.-
-No, ma serve per apprezzarla meglio.-
Amun la sfiorò con lo sguardo. -Vorrei avere il tuo stesso approccio nei riguardi di tante cose.- ammise.
Lavellan sorrise debolmente. -La curiosità mi impedisce di impazzire.-
Amun rimase in silenzio a ricamare per diversi minuti, prima di rispondere. -Sai cos'altro ti impedirebbe di impazzire? Andartene da questo posto prima che smembri la persona che sei.-
Lavellan strinse le labbra. -Lo farò quando avrò la certezza che le mie azioni abbiano avuto un peso.-
-Hanno già un peso.-
-Non posso lasciare tutto così.-
-Ti distruggerà.-
Lavellan prese un respiro profondo, poi si sfilò il guanto sinistro per mostrargli la mano. -Non ho il tempo di pensarci.-
Amun smise di lavorare, prendendo un'espressione mortificata. Si portò una mano a coprirsi la bocca, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime. -Perché a te?- gemette.
Lavellan flesse le dita martoriate di luce verde. -Perché non sono assolutamente in grado di farmi i cazzi miei.- disse, con una tranquillità disarmante.
-No, sei solo stupidamente altruista. Enfasi sullo stupidamente.- replicò Amun, stringendola a sé.
-Stessa cosa.-
Indugiarono in un silenzio ricco di tensione commossa, aggrappandosi l'una all'altro per non farsi sopraffare.
-Non te lo meriti. Non te lo meriti per niente.-
-Se non fosse capitato a me sarebbe capitato a qualcun altro. E dato che non augurerei a nessuno un destino del genere, meglio che sia io a farmene carico.-
-Lo dici sul serio o...-
-No. Fa schifo e basta.- rispose Lavellan, stringendosi a lui con più forza.

-Mi sembra un'ottima soluzione. La Regina Anora sarà contenta di come abbiamo gestito le cose.-
Josephine diede un cenno d'assenso, rigirando il cucchiaino nella tazza distrattamente. Il suo studio era un'oasi di pace, rispetto al salone e alla sala di guerra, tenere la riunione lì era parsa a tutti una buona idea.
Cullen, che aveva appena parlato, osservava la vivacità del fuoco nel caminetto con un'espressione assorta. In piedi vicino a lui, Leliana appariva preoccupata.
Josephine li pesò con lo sguardo. Considerò, in testa sua, che sembravano due statue provenienti da periodi storici diversi. Una diversità che rimaneva fedele a se stessa persino nei materiali.
Da un lato c'era un bassorilievo raffigurante una posa plastica in pietra porosa, scelta artistica di uno scultore che preferiva la sperimentazione alla lungimiranza. Dall'altro c'era una statua ornamentale in bronzo, di quelle tipiche che si trovano in mezzo a una piazza, scelta come tributo e monito da committenti. Chi fosse cosa non era importante, ma la gravosità dei loro pensieri li rendeva immobili nel tempo e nello spazio.
-Dovreste bere il tè prima che si raffreddi.- li invitò Josephine, con voce rassicurante.
Cullen ebbe un leggero fremito, poi si voltò verso la sua tazza, che aveva smesso di fumare da un po'. Si mosse verso il tavolino, ignorò il contenitore in virtù di quello che gli stava accanto e che porse a Leliana.
-Grazie.- disse lei, avvolgendolo tra le mani prima di prendere una buona sorsata. Cullen prese semplicemente posto sul divano, a fianco di Josephine. -Quando avrà luogo l'ambasceria?-
-Fra sette giorni.- rispose Josephine, recuperando un foglio dal tavolino. -L'Inquisitrice si è occupata di discuterne con l'ambasciatrice Briala, l'Imperatore non sarà un problema.-
-Il problema è che nei salotti si sta già spargendo la voce che l'assassinio dell'Imperatrice non sia stato convenientemente impedito.- intervenne Leliana. -Non siamo stati abbastanza cauti.-
-Anche se li istruisci alla discrezione, i soldati parlano.- affermò Cullen, sporgendosi in avanti. -Pensi che queste voci siano già arrivate alle orecchie di Briala?-
Leliana gli rivolse un'occhiata idiomatica.
Messo di fronte a quella risposta, Cullen si ritrovò a sospirare stancamente. -Che cosa te l'ho chiesto a fare?- borbottò.
Josephine e Leliana accennarono un sorriso.
All'improvviso, la porta del salone si aprì costringendo gli sguardi di tutti a convergere su di essa.
Lavellan fece un passo all'interno della stanza, stranita da quell'accoglienza silenziosa. -Buonasera anche a voi.- disse, inarcando un sopracciglio.
Josephine ebbe un tuffo al cuore.
Sembrava che non fosse successo niente, a partire dall'aspetto curato fino alle normalissime condizioni del suo viso. Le occhiaie erano patrimonio della leadership dell'Inquisizione, d'altronde, non c'era modo di risolverle, o di trattarle come un evento eccezionale.
-Stavamo discutendo di...- iniziò Leliana.
Lavellan la fermò con un cenno. -Dammi una vittoria, poi possiamo tornare a parlare del casino che abbiamo fatto in Orlais.-
Josephine si affrettò a scorrere l'ordine del giorno con lo sguardo. -Vittoria, vittoria...-
-Ne ho una io.- intervenne Cullen, alzandosi per galanteria. -Bann Olivier ha letto la trascrizione del tuo discorso di stamattina. Si è offerto di ristrutturare un vecchio avamposto dei Custodi nel Bannorn e domani confermerà l'invio di una truppa a Skyhold.-
Lavellan si appollaiò sul bracciolo del divano. -Era anche l'ora che si desse una svegliata! Gli sto facendo la corte da settimane.-
-Cos'è che stai facendo tu, scusa?-
-Vhenas, è un modo di dire.-
Cullen le scoccò un'occhiata di rimprovero finta come la castità di un cicisbeo, poi tornò a sedere. -Il Tenente Burrows si occuperà della logistica, sotto supervisione del Capitano.-
-Meno male, le capacità organizzative di quel ragazzo sono direttamente proporzionali alla sua imbranataggine.- commentò Josephine, ricevendo un'occhiataccia da Cullen.
-Hai dimenticato il "senza offesa".- le suggerì Lavellan, mentre Leliana si portava alle sue spalle per appoggiarci una stretta confortante.
-Sono antivana. Non dimentico mai niente.- replicò Josephine, indossando un sorriso ironico.
Lavellan usò il corpo di Leliana come schienale e le spalle di Cullen come bracciolo. Rimase qualche istante a sollazzarsi nel supporto silenzioso dei suoi colleghi, poi li guardò uno a uno, distrubuendo sorrisi più tirati del solito. -Così va meglio! Adesso possiamo tornare a parlare di burattini e burattinai.- dichiarò.
-Ogni tuo desiderio è un ordine, Inquisitrice.- scherzò Leliana, distanziandosi.
Lavellan prese un respiro profondo, salutando il ritorno della nausea, poi tutto riprese a funzionare.

 

-Nota-

Aaah, non so come scusarmi per il maxi ritardo, ma questo è stato un periodo assurdo e non so davvero da che parte iniziare a riprendere in mano le cose.
Spero che la qualità di questo capitolo non sia orribile. L’ho riletto un po’ di volte ma nella mia testa ci sono le scimmiette che battono i piatti, quindi mi sa che ci dovremmo accontentare :’D
<3

 

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Capitolo 30
*** Divorare ***


Dall'interno dello studio di Cullen si potevano percepire pochi rumori notturni.
Aiutava il fatto che fosse uno dei locali meglio isolati acusticamente, ma tutto sommato si trattava di una notte tranquilla. Il verso grattugiato dei barbagianni nativi dei boschi attorno a Skyhold trovava una tridimensionalità nel sibilo del vento, sofferto dai soldati di ronda che scalpicciavano lungo i camminatoi attorno all'edificio.
All'interno dello studio, Lavellan dava le spalle alla scrivania ed era avvolta in una vestaglia non sua. Teneva le braccia conserte e indossava un'espressione che avrebbe potuto benissimo trovarsi illustrata sotto la definizione di "frustrazione".
Il suo segretario era di fronte a lei, la fedele cartellina aderente al cuore e il viso di chi avrebbe preferito di gran lunga trovarsi sotterrato fino al collo vicino a un formicaio piuttosto che nella situazione corrente.
-Com'è potuto succedere?- domandò Lavellan, in un soffio.
Shaan le rispose con un'espressione desolata.
-Gli abbiamo dato tutti i mezzi per favorire una convivenza pacifica. Diamine, abbiamo persino detratto scorte ai soldati pur di venirgli incontro!- proseguì lei, aprendo nervosamente un braccio verso l'esterno.
-Lo so, Ankh.-
-Erano delle garanzie eccellenti!-
-Evidentemente, non è stato sufficiente a trattenerli.-
-Cos'altro avrei dovuto fare? Andare a conferire con il loro Guardiano di persona?-
-Non penso li avrebbe dissuasi.-
Lavellan lo guardò rabbiosamente. -Hanno lasciato morire trenta persone. Trenta. E io ho preso le loro parti nella disputa.- disse, con la voce incrinata. -È come se le avessi uccise io, lethallan.- interruppe una replica di Shaan con un gesto brusco. -E non venirmi a dire che non è colpa mia. Avrei potuto benissimo fare come faccio sempre e mandare qualcuno a supervisionare i lavori, ma da cretina mi sono fidata più del sangue che del buon senso!- gli diede le spalle, per cercare una distrazione visiva nel marasma di burocrazia che vessava la scrivania di Cullen. Concentrarsi su un unico dettaglio che ancorasse la sua attenzione fu difficile, ma non impossibile. -Ci ho messo la faccia.- mormorò, appoggiando lo sguardo su un piccolo scrigno di pedine da scacchiera. Ironico.
Shaan fece per avvicinarsi a lei, ma ebbe un rapido ripensamento. Aprì bocca dopo averci riflettuto. -A volte dimentichiamo che al di sotto del filtro culturale le persone sono solo persone.- disse.
A Lavellan quel discorso retorico diede talmente fastidio che la sua testa lo paragonò subito a chi si bea di avere appena scoperto l'acqua calda. Il fatto che fosse appropriato, però, le fece raggiungere un nuovo livello di frustrazione.
-Cosa intendi fare?- le chiese Shaan.
Lavellan prese tra le mani una torre nera, osservandola per qualche istante prima di sostituirla con un alfiere bianco. -Lascia un appunto a Josephine affinché inserisca la questione nell'ordine del giorno.-
Shaan però non si appuntò la richiesta. -Non intendevo quello.- ammise.
-Non ho intenzione di lasciar correre, se è quello che vuoi sapere.- rispose Lavellan, riponendo la pedina per voltare un'occhiata tagliente verso il suo interlocutore. -Io ci ho messo la faccia, garantendo per loro. In cambio, hanno dato la loro parola che avrebbero onorato il patto. Dato che non l'hanno rispettata, è giusto che l'Inquisizione si dissoci il prima possibile da questo genere di atteggiamento, o rischiamo di perderci in credibilità.-
-Ti rendi conto che questa decisione potrebbe ritorcersi contro ai Dalish? Tutti i Dalish. Se non la gestisci bene, i signori dei dintorni sarebbero capaci di aprire una caccia all'uomo.-
-E io vedrei tutto il lavoro che ho fatto finora andare in fumo.- concluse Lavellan, fronteggiandolo. La rabbia frustrata che era stata identificativa del suo sguardo fino a quel momento stava virando verso una profonda stanchezza emotiva. -So qual è la posta in gioco, Shaan, non serve che me lo ricordi.-
-Sono qui per questo, lethallin.- ribadì Shaan, altrettanto stanco. -Se mi avessi chiamato solo per gestire la tua agenda, non sarei mai venuto.-
Lavellan non ebbe le forze per contraddirlo, perché il suo subconscio la mise nell'ordine delle idee di lasciar perdere. Aveva ragione, anche se lei avrebbe tanto voluto impuntarsi. -Fa' quell'appunto.- gli disse, indicandogli con un cenno la porta.
Shaan rimase a fissarla con un certo disagio nei lineamenti, poi annuì e lasciò la stanza di malavoglia.
Lavellan aspettò che la porta si richiudesse prima di emettere un sospiro liberatorio. -D'accordo.- disse a se stessa, massaggiandosi le tempie. -D'accordo.- ripeté, recuperando la dignità per riportarla al piano di sopra.
Probabilmente, la stanza di Cullen era il luogo che le dava più pace a Skyhold. Era spoglia, decadente nel senso letterale del termine e non c'era modo di riscaldarla, ma tutti i suoi difetti la rendevano forte a livello caratteriale.
Il buco sul tetto (mai guarito) generava un ventaglio di lame di luce che facevano danzare la polvere attorno al tendaggio d’edera che sormontava i cuscini di uno dei letti più comodi sui quali Lavellan avesse mai dormito, creando un'atmosfera quasi fiabesca. Il tappeto scomposto sul pavimento, perfettamente lucido, dava rifugio allo stesso paio di stivali di sempre, uno in allerta, l’altro che si comportava come un accento grave. In quel frangente, facevano la guardia a un paio di scarpe eleganti, poco distanti da uno sgabello di legno chiaro che ospitava una pila di vestiti assortiti e di taglie diverse, piegati accuratamente.
Mancava giusto la cuccia di un segugio ai piedi del letto, poi avrebbe potuto benissimo essere la camera di qualsiasi capofamiglia fereldiano fuori sede.
Il dettaglio più interessante di quel luogo però era dato dalla presenza di un libro sopra la botte che il proprietario della stanza usava come comodino (che nessuno osava commentare, anche se di commenti ne avrebbe avuto bisogno). Il titolo cambiava a ogni inizio settimana: a volte si trattava di un'opera di narrativa, altre si poteva trovare un saggio storico o un compendio sulle tattiche militari, ma molto spesso Lavellan si ritrovava a sfogliare vecchi diari scritti a mano da individui provenienti da generazioni ed estrazioni culturali drasticamente diverse tra loro. Ogni fine settimana il libro spariva dalla sua postazione, per riapparire dovunque fuorché nella libreria del sottoscala, facendo supporre a Lavellan che molti di quei titoli non fossero socialmente accettati dal tipo di persone che frequentavano l'ufficio del comandante. Magari se ne vergognava, oppure si trattava di prestiti, o addirittura di requisizioni temporanee.
Purtroppo, anche se Lavellan si impuntava a svelare quel mistero, Cullen glissava sempre, facendo in modo di tenerselo stretto, come se avesse paura che svelando l'arcano avrebbe perso uno di quei pochi punti d'interesse che spingevano Lavellan a tenerlo su un palmo di mano.
O forse, si divertiva semplicemente a tenerla sulle spine, il che era decisamente probabile.
Lavellan rimase immobile diversi istanti a sfogliare mentalmente il nuovo libro della settimana (la trascrizione in lingua comune del resoconto di un vecchio allevatore di grifoni delle Anderfels), poi spostò lo sguardo sul proprietario della stanza, adagiato tra le coperte con un polso sulla fronte e l'altro sulla bocca dello stomaco. Si trovava in una comodità apparente, dato che il suo collo e il suo viso erano in tensione.
-Eri molto carina con i capelli lunghi.- disse, con una voce talmente rauca che sembrava appartenere a un abitante degli abissi.
Lavellan andò a sedersi sul suo lato del letto, mentre lui recuperava un bicchiere d'acqua. -Mi preferisco adesso.- rispose, osservandolo aspirare letteralmente la bevanda.
Cullen le ritornò il bicchiere vuotato, sospirando per riprendere fiato. -Lo capisco. Anch'io mi preferisco adesso.- ammise, rimettendosi nella posizione svenevole in cui lei l'aveva trovato all'arrivo. -Grazie, a proposito. Stavo morendo di caldo.-
Lavellan lo descrisse con un'occhiata incerta, rigirandosi il bicchiere tra le dita, ma non ebbe cuore di contraddirlo. -Un'altra dislocazione temporale?- chiese, piuttosto.
-No, per fortuna. Mi è tornato in mente il nostro primo viaggio da soli.-
Viaggio a cui Lavellan pensava con un conflitto di emozioni palese. Era andato bene per preparare il terreno a un’amicizia e a quello che ne era conseguito, certo, ma era anche stato denigrante per lei che aveva dovuto mettere alla prova il suo autocontrollo in più di un’occasione. -Hai ricevuto notizie da Ser Kavanaugh?-
Cullen esitò. Di certo non era la domanda che si aspettava. -Me ne… me ne sono dimenticato.- le rivelò, con una linea d’imbarazzo.
Lavellan, che a quel punto lo conosceva bene, sapeva che non si trattava di una dimenticanza, ma di un continuo rimandare a tempi tranquilli che si era presto trasformato in vergogna causata da un’evidente inettitudine sociale. Probabilmente, non era ancora pronto ad affrontare un discorso schietto con un vecchio amico, ma di sicuro in quel momento Cullen stava pensando che era troppo tardi e lui era comunque troppo imbarazzato per andare oltre alla pressione di dover fare qualcosa. Meglio posticipare ancora per trovare una o più distrazioni da chiamare impegni che giustificassero quell’attesa.
Lavellan gli fece il piacere di cambiare discorso. -Sembrano passati anni da quel viaggio.- disse, scivolando sotto alle coperte. Si sfilò la vestaglia per infilarla sotto al cuscino, mantenendosi a una distanza tale da Cullen da essergli vicina senza infastidirlo, viste le sue condizioni.
-Secoli.- confermò lui. -Ma allo stesso tempo, sembra ieri. Certi dettagli li ricordo perfettamente.-
-Quali?-
Cullen rise stancamente. -Per esempio, il modo in cui ti muovevi attorno a me, come se ci conoscessimo da una vita. Sembrava quasi una dinamica consolidata, anche se ci eravamo conosciuti poche settimane prima. Quando sei tornata a Haven mi sono sentito davvero minuscolo, constatando quanto fossi stato stupido a pensarmi così speciale, dato che ti comportavi così con tutti.-
Lavellan sentì una lieve stretta al cuore. -Non è così.- disse, con un tono di voce che rifletteva la sua delusione. -Sei sempre stato speciale, per me.-
Cullen spostò lo sguardo su di lei, per studiarne il viso. -Questa è una di quelle poche volte in cui ti ringrazierò per avermi contraddetto.- mormorò, sorpreso. -Di cuore.- aggiunse, cercando la sua mano sotto le coperte.
Lavellan se la portò alle labbra e la baciò. -Le ho sentite anch’io quelle sensazioni.- ammise.
Fu un lungo silenzio, quello che precedette l’argomento successivo. Uno un po’ più spinoso, stavolta. Riguardava di nuovo l’atteggiamento di Lavellan, più cupo del normale, ma si riferiva a vicende molto più recenti.
-Mi è parso di capire che avremo di che parlare, domani mattina.- disse lui.
Lavellan non rispose subito, perché la sua testa era ancora ferma alla conversazione che aveva avuto con il suo segretario una decina di minuti prima. -Avrete di che rimproverarmi.- lo corresse.
-Posso sperare in un’anticipazione?-
-Non scherzare, ti prego.-
-Non stavo scherzando. Il fatto che tu non voglia trasformare le mie parole in una battuta mi preoccupa.-
-Ti sorprende che non voglia deflettere?-
-Mi preoccupa.- ripeté lui.
Di nuovo, Lavellan sentì la delusione farsi largo nel suo spirito. -Non dovrebbe.-
-Quando non minimizzi di solito la situazione è talmente grave che non sai da che parte girarti.- disse lui, a mezza via tra il rimprovero e l’apprensione.
Lavellan a quel punto rinunciò a mettere chiarezza ai suoi sentimenti. Aveva giudicato mentalmente il suo compagno di non averla capita per due volte e lui altrettante volte l’aveva contraddetta, dimostrandole che fosse più turbata del previsto.
Cullen spostò lo sguardo altrove, sapendo quanto fosse umiliante per lei perdere la facciata. Avrebbe dovuto indignarsi, Lavellan quasi sperava che lo facesse, ma ancora una volta lui si ostinò a contraddirla.
-Sarebbe più facile essere indifferenti.- disse, fissando lo sguardo sulle travi del soffitto. -Persino io non riesco proprio a farmi scivolare di dosso certe situazioni, nonostante ricopra un ruolo gestionale da anni. Sai meglio di me quanto possa essere sfibrante mantenersi composti e dimostrare di essere forti per gli altri, così che possano andare avanti e prevenire assieme la tragedia che avverrà domani.-
Lavellan deglutì, sentendo quelle parole così vicine da desiderarne l’abbraccio.
-Vorrei che dessimo la giusta gravità a certi eventi, senza dover per forza essere trascinati verso l’impegno successivo.- proseguì lui, con un accenno di desolazione. -Qualsiasi cosa sia successa, hai il sacrosanto diritto di essere sconvolta.-
-Per adesso.-
-Per adesso, qui con me.-
Lavellan si sentì tanto attratta da quell’idea da esserne spaventata. Rimase in bilico tra la voglia di rifugiarsi tra le sue braccia e quella di trovare una scusa per andarsene, senza riuscire a decidere per una soluzione che fosse logica.
La trovò lui per lei, anche se di logico (o salutare) aveva ben poco. -Oppure puoi ascoltarmi parlare di grifoni finché non crolli dalla noia.- le propose, tornando a guardarla con una certa aspettativa nello sguardo.
Lavellan ci mise un po’ a farsi colpire dalla delicatezza di quell’opzione. Le stava ritornando un favore vecchio di mesi: la stava aiutando a sentirsi bene, anziché farle venire i sensi di colpa perché preferiva evitare di confidarsi in un momento in cui non si sentiva pronta.
-Mi andrebbe proprio.- disse, sorridendogli con sollievo, anche se avrebbe voluto rispondergli che si meritava decisamente di meglio.


29 – Divorare

 

Avere Morrigan in sala di consiglio metteva Leliana sul chi vive.
Era in buona compagnia, dato che anche Cullen assumeva un'aria guardinga ogni volta che la maga si avvicinava a Lavellan per discutere con lei di qualcosa. Lui, al contrario della collega, non riusciva a mascherare il fatto di nutrire dei sospetti nei suoi riguardi.
Morrigan, che aveva notato quelle attenzioni indesiderate da che aveva iniziato a frequentare le riunioni mattutine del consiglio, si limitava a ignorarli, passando gran parte del suo tempo a concentrarsi sulla ben-educazione di Josephine e sulle domande precise di Lavellan, le uniche a essere realmente interessate alla sua opinione.
Da fuori, Lavellan sembrava pendere dalle sue labbra, perché era più unico che raro avere la possibilità di confrontarsi con una maga dotta come Morrigan e lei voleva approfittare di ogni istante per assorbire dalla sua nuova alleata quanta più conoscenza possibile. Questa cosa parve preoccupare Leliana non poco, tanto da spingerla a prendere da parte Lavellan per metterla in guardia ulteriormente sui rischi che comportava affidarsi alla sua vecchia compagna di viaggio.
-Così mi offendi.- disse Lavellan, una volta che ebbero esaurito il discorso, in piccionaia. -Credi davvero che mi lascerei influenzare da una sconosciuta, preferendo i suoi consigli ai vostri?-
Leliana le indicò di accompagnarla nella passerella che avvolgeva la torre, per proseguire la conversazione all'aperto. -Non mi fraintendere, Inquisitrice. Se ho deciso di parlarti, è perché conosco bene quella donna e c'è stato un periodo in cui mi sono fidata di lei.- disse, chiudendo la porta alle loro spalle. Lavellan appoggiò le mani sulla balaustra di protezione, passando una breve occhiata sul cielo estivo, prima di ritornare a rivolgersi alla collega. -Hai idea di cosa abbia in mente? Qual è il suo vero obiettivo?-
Leliana si affiancò a lei, scrutando l'orizzonte a sua volta con aria concentrata. -Sarai la prima a saperlo, una volta che l'avrò scoperto.- rispose. -Per ora, sappi che quell'Eluvian mi dà di che pensare. Ho chiesto a Solas di studiarlo, ma Morrigan lo tiene sotto stretta sorveglianza. Quella stanza è così piena di trappole magiche che è impossibile raggiungerlo senza il suo consenso.-
Lavellan incrociò le braccia sul petto. -Significa che è a conoscenza dei tuoi dubbi nei suoi riguardi.-
-Non sono solo dubbi, Inquisitrice.-
-Lo so, o non staresti stressando l'argomento in questa maniera.-
Leliana sorrise appena. -Non sono l'unica, a quanto pare. Sarai stanca di sentirti ripetere di fare attenzione, immagino.-
-Se quella donna è davvero così pericolosa, è necessario restare vigili.- affermò Lavellan, senza scomporsi. -Voglio un resoconto dettagliato su ciò che farà mentre sarò a Emprise. Di sicuro, senza la mia presenza a distrarla, abbasserà la guardia e sarà costretta a fare un passo falso.-
-Conta su di me, Inquisitrice.- rispose Leliana, prontamente.
Rimasero a osservare il profilo delle Montagne Gelide per diversi minuti, silenziosamente. A un certo punto, Leliana aprì un sorriso gentile sul viso, spostando l'attenzione su Lavellan. -Ci sei riuscita, alla fine?-
L'altra si prese qualche istante, prima di rispondere. -Non ancora.- rispose, con una nota di nervosismo nel tono di voce. -Hai qualche consiglio da bardo da darmi?-
Leliana scosse la testa. -Non sono né leggera, né agile quanto te. Ti farei solo un disservizio. Sera potrebbe esserti molto più d'aiuto in questo.-
-Sera ha vent'anni e una flessibilità diversa dalla mia. Le cose le riescono subito, istintivamente.-
-Ma non ha la tua stessa padronanza del terreno. Inoltre, molte delle sue abilità prevedono lo scontro ravvicinato.- le lanciò un'occhiata eloquente. -Potrebbero passare eoni, prima che i tuoi nemici arrivino allo scontro ravvicinato con te, dato che sei impossibile da acchiappare.-
Nonostante il complimento, Lavellan rimase impassibile. -Sto facendo sempre più errori.- ammise. -Ieri le braccia non mi hanno assistito su un volteggio pigro e mi sono storta un dito afferrando un ostacolo troppo alto.- fece una pausa, per cercare il contatto visivo con la collega. -Dovrò intensificare gli allenamenti, o Emprise sarà un disastro.-
Leliana strinse le palpebre su uno sguardo scettico. -Oppure, dovresti fare un bel bagno caldo e accendere qualche candela profumata. Potrebbe farti bene, sai?-
-L'ultima volta che ci ho provato ho resistito un quarto d'ora, poi sono finita in biblioteca a leggere l'opera omnia della Divina Renata. Lo sapevi che componeva sonetti sulla vernice che si asciuga?-
Leliana rabbrividì, colta alla sprovvista da un ricordo che non ci teneva particolarmente a rivivere. -Li conosco e li ho studiati, ma questo non cambia le cose. Prova a svagarti un po', oggi pomeriggio. Ci penseremo io e Josephine ad accogliere l'ambasceria da Cumberland.-
Lavellan scosse la testa. -Preferisco esserci. Madame Vivienne conta su di me e io non ho intenzione di sprecare i favori che mi sta facendo.- rispose, sollevando appena la mano destra per osservare l'anello con sigillo che portava sul dito medio, un regalo di apprezzamento dell'Incantatrice.
Leliana studiò il suo viso alla ricerca di una ragione per trattenerla, ma dovette rinunciare subito, perché la sua interlocutrice pareva tutto fuorché disposta a continuare la conversazione.
Si limitò ad annuire, una singola volta. -Come preferisci.- disse, semplicemente.

All'ennesima imprecazione in elvhen, Blackwall si costrinse a smettere di lavorare sulle parate per concentrarsi su ciò che stava succedendo a pochi passi da lui.
Ogni mattina, prima dell'alba, lui, Lavellan e Sera si ritrovavano a guardare il sole che sorge in uno spiazzo erboso in cima a un colle, poco a sud della fortezza. Sera ne approfittava per fare colazione in compagnia, Blackwall e Lavellan invece sfruttavano l'atmosfera sottile e rarefatta per allenarsi. Di solito, si univa a loro anche Cassandra, ma quella mattina aveva dovuto rinunciare per via dei troppi impegni.
-È caduta di nuovo.- spiegò Sera, che sedeva sopra un cuscino voluminoso, disposto poco distante dal cespuglio di fragole in cui era atterrata Lavellan. Masticò bene il boccone, poi diede una risata isterica. -Se continui così, ti ritroverai con una pianta grassa al posto del culo.- scherzò, sputacchiando briciole ovunque.
Blackwall aiutò Lavellan a rimettersi in piedi, ridendo di quell’immagine mentale. -Nei Liberi Confini quelle piante le chiamano "cuscini della suocera".- intervenne, facendo ridere Sera ancora più forte.
Lavellan però non sembrava per niente divertita. Si rimise in posizione, saltellò sul posto per disperdere la frustrazione da caduta, poi corricchiò verso la parete rocciosa che stava affrontando.
Saltò su un appiglio con il piede destro, dandosi la spinta per aggrapparsi a un ostacolo, quindi si issò su un costone. Una volta salita su di esso si diede la spinta per un altro cat leap, fallendo nell'afferrare la roccia all'ultimo istante.
Cadde di nuovo, ma stavolta evitò il cespuglio, per provare un atterraggio. Attutì la caduta rotolando sulla spalla e si rimise in piedi agilmente.
Blackwall e Sera la osservarono ritentare la stessa manovra cinque volte e per cinque volte la manovra fallì.
-Non è così difficile, Quisi!- la incoraggiò Sera, mentre si alzava. Diede ampie spazzate sulla giubba per disperdere le briciole, poi la raggiunse al punto di partenza.
-Già, l'hai fatto mille volte.- intervenne Blackwall, infilzando la spada nel terreno per incrociare le braccia sul petto, deciso a osservare. -Riprovaci! Stavolta ti verrà bene.-
-L'hai detto anche ieri.- borbottò Lavellan, che si stava sistemando i guanti sui polsi, nervosamente. -E l'altro ieri e il giorno prima e...-
-Abbiamo capito: sei bloccata.- la interruppe Sera, intenzionata a provare la manovra. -Com'era? Salto, mi aggrappo, salto e mi aggrappo fino in cima?-
Lavellan le indicò gli ostacoli uno a uno. -Salti, afferri l'ostacolo e ti issi. Salti verso il secondo e ti dai la spinta con i piedi, poi ti issi, prendi una breve rincorsa e...-
Sera non finì nemmeno di ascoltarla. Eseguì gli stessi passaggi menzionati con la grazia di un gabbiano con l'ala rotta, ma arrivò fino in cima alla parete senza metterci troppa fatica. Una volta lassù guardò i suoi compagni con aria sprezzante, appoggiando le mani sui fianchi. -Te l'ho detto che non era difficile!- gridò.
Lavellan scrollò le spalle, assumendo una nota di delusione nello sguardo. -Lo so che non è difficile.- disse, applaudendo l'impresa di Sera assieme a Blackwall, per pura sportività. -Ho fatto tutto quello che hai fatto tu, non capisco perché a te riesca e a me no.- si lamentò, una volta che Sera fu tornata al suo fianco. -La tecnica c'è, la spinta c'è, sfrutto bene il momentum...- si passò una mano sul collo, cercando di ripercorrere i volteggi nella sua testa per venirne a capo virtualmente.
-Forse dovresti provarci quando hai la mente sgombera.- le suggerì Blackwall, posandole una mano sulla spalla. -Andiamo a sederci due minuti. Un po' di raggi di sole sulla faccia e di biscotti nella pancia ti aiuteranno a rilassare i muscoli.-
Lavellan esalò un sospiro seccato, poi annuì.
Sera ritornò a sedersi, poi porse a entrambi un biscotto delle dimensioni di una mano del Toro. Lavellan esitò, prima di appropriarsi del suo, poi prese posto, mentre il sole faceva capolino da dietro le montagne, irradiando la radura dell'intenso calore estivo.
-Perché ti sei impuntata su questa acrobazia?- domandò Blackwall, che prendeva il sole a occhi chiusi.
Lavellan, intenta a ridurre il biscotto in tante piccole briciole, gli gettò un'occhiata veloce. -Non me lo ricordo neanche più, a dire il vero.- ammise. -So solo che una volta mi veniva naturale, adesso non più.-
Sera esalò un sospiro soddisfatto. -Godetevi la colazione e state buoni! Abbiamo solo un'ora, prima che la Quisi ritorni a fare cose da pezzo grosso. Dobbiamo approfittarne!-
Lavellan le rivolse un mezzo sorriso, rigirandosi una briciola tra le dita. La lanciò ai piedi di un albero, notando che era popolato di fringuelli, poi fece altrettanto con le altre briciole, finché gli uccellini non fecero piazza pulita del biscotto al posto suo.
-Guarda che ti ho vista!- la rimproverò Sera, a mezza voce, recuperando un altro biscotto da un canovaccio per consegnarglielo. -Ci ho messo tutta la sera a cucinarli.-
-L’ho assaggiato, era molto… uhm… era buono.-
Sera la fulminò con lo sguardo.
-Non ho fame, Sera, tutto qui.- replicò lei, rifiutando l'offerta con un cenno della mano.
Invece di arrendersi Sera lo spezzò in quattro parti, poi le posò uno spicchio sopra la gamba. -Guarda che mi offendo.- affermò.
Lavellan osservò il biscotto a lungo, poi lo prese tra le mani, con aria sofferente. -Sei peggio di Cullen.- borbottò, infilandoselo in bocca di controvoglia.
Blackwall aprì gli occhi, voltando un'espressione curiosa verso le due. -Perché non ti sei ancora rivolta a lui, a proposito?- domandò.
Sera e Lavellan unirono le forze per gettargli addosso un'occhiata eloquente. -Ser Culo è legnoso più di te.- affermò la prima. -Si arrampicherebbe alla vecchia maniera e le direbbe di fare altrettanto.-
-Già.- disse Lavellan, dopo aver deglutito a fatica il boccone. -Ha destrezza con spada e scudo ed è molto veloce negli assalti, certo, ma sarebbe inutile chiedergli aiuto su una cosa del genere.-
Blackwall inarcò un sopracciglio. -Non lo sottovalutate solo perché gli siete superiori in flessibilità. Allena reclute da anni, potrebbe dirti dove sbagli e motivarti a fare meglio.-
Sera esalò una risata rauca, dandogli un paio di gomitate leggere sul braccio. -So io come la potrebbe motivare!- scherzò.
Lavellan si asciugò la fronte, accaldata. -Anch'io, ma se ci penso troppo mi distraggo.- ammise, ridendo.
Sera emise un verso di profondo fastidio, talmente teatrale che persino Blackwall prese a ridere, battendosi una mano sulla coscia. -Ho appena mangiato, Quisi!- protestò lei, con la voce più alta di un'ottava.
Blackwall aspettò di essersi calmato, poi si sollevò da terra, per recuperare la spada. -Coraggio, Inquisitrice!- la incoraggiò. -Dai che questa è la volta buona, me lo sento!-
Lavellan gli rivolse un bel sorriso, poi scattò in piedi agilmente.
Si dovette fermare un istante, per appoggiarsi alla corteccia dell'albero più vicino. Un fitto disturbo di luci microscopiche le offuscò la vista dopo che le gambe avevano fallito nel reggerla per un istante.
Sera le rivolse un'occhiata confusa, tinta di una lieve preoccupazione, mentre si riprendeva. -Un altro capogiro?-
Lavellan, sentendola ovattata, ammiccò, poi si affrettò a rivolgerle un sorriso. -La vecchiaia avanza!- scherzò. -Un po' di riscaldamento e passa tutto.-
Sera la squadrò da capo a piedi, per niente convinta da quella risposta, ma, a malincuore, si costrinse ad assecondarla.

-Mi spieghi che cosa ti ha fatto il barone Desjardins per meritarsi tutto questo astio?-
-Non è uno dei nostri, Josephine, tutto qui.-
-Sai benissimo che senza il suo aiuto non saremmo mai entrati a Emprise.-
-Saremmo entrati comunque, bastava che pazientassi ancora una settimana.-
-Cullen, vai ripetendo la stessa scusa da tre mesi! Se non mi fosse capitato tra le mani il rapporto per puro caso, non saremmo mai riusciti a trovare una via.-
-Manderò un cesto di frutta a ‘sto barone, che cosa ti devo dire?-
-Senza di lui non avremmo avuto un punto d'accesso al villaggio.-
-E che punto d'accesso grandioso! Ora toccherà all'Inquisitrice sgomberare la strada, come al solito.-
Leliana diede un colpo di tosse, per attirare l'attenzione dei suoi colleghi, che stavano litigando in quel modo da una mezz'ora precisa. -Signori, quel che è fatto è fatto.- disse. -Ora dobbiamo...-
-No, non è possibile che ogni cosa che faccia sia sbagliata!- s'impuntò Josephine, stringendosi al suo leggio con aria nervosa. -Ti costa tanto ammettere che senza il mio aiuto tu non avresti cavato un ragno dal buco? Non comanderò un esercito, ma le mie conoscenze ci hanno permesso di accedere all'Oasi Proibita e alla Conca Gelida facilmente e senza perdite. Sono stanca che sminuisca il mio lavoro costantemente!-
Cullen le rivolse un'occhiataccia. -Non sto sminuendo il tuo lavoro, ho solo detto che Desjardins non è un contatto affidabile.-
Josephine era allibita. -È un amico di famiglia!- gemette.
Prima che Cullen potesse replicare, Lavellan batté il palmo sulla mappa tattica con decisione.
Morrigan si distrasse dalla lettura che stava facendo, osservando con aria affascinata la sala di guerra intera precipitare nel silenzio. Lavellan le fece subito cenno di uscire e quella le rispose con un sorrisetto, prima di muoversi lentamente verso la porta assieme a chiunque non facesse parte dei vertici dell’Inquisizione.
Una volta che fu lontana, Lavellan passò uno sguardo penetrante sui suoi colleghi, poi recuperò un foglio di pergamena dal tavolo, per mostrarlo a Leliana. -Com'è possibile che mi tocchi ancora leggere rapporti sulla presenza dei Templari Rossi a Crestwood?- domandò, con tutta l'aria di avere poco tempo per le scusanti.
-Si tratta di gruppetti isolati, Inquisitrice.- replicò Leliana, prontamente. -Charter si sta già occupando di spingerli a nord.-
-Verso la Costa. So leggere. Perché lo scopro solo adesso?-
-Perché, appunto, si tratta di una forza inconsistente. Niente a che vedere con la roccaforte di Emprise.- ribadì Leliana.
-Hanno distrutto tre villaggi nei bannorn e continuano ad assalire carovane nell'arlea di Amaranthine. Non ti sembrava necessario farmelo sapere?-
-Come ti ho detto...-
-Non sono stupida, non ha senso ripetermi la stessa identica scusa tre volte.- la interruppe Lavellan, per niente contenta. Si voltò verso Cullen. -Ser Darrow è tornata dalla missione?-
Lui si schiarì la voce. -Sì, è stato un successo. Devo mandarla a indagare?-
Lavellan annuì. -Neria si sta già muovendo assieme a Thornton. Appena sarà pronta, dille di raggiungerli.- fece una pausa. -A Charter farà comodo un aiuto in più.-
-Senza dubbio.- ammise Leliana, squadrandola con aria insoddisfatta.
-C'è altro che dovete dirmi?- domandò Lavellan, spostando lo sguardo sulla mappa tattica.
I tre si scambiarono un'occhiata veloce, poi Josephine aprì bocca. -L'attività dei Venatori a ovest è cessata quasi del tutto e i miei contatti hanno riferito che si stanno spostando in massa verso sud. Pensiamo che il nostro prossimo obiettivo sarà lì, ma dobbiamo verificare.-
-Ho capito che Corypheus è la priorità, ma ci stiamo concentrando un po' troppo sull'Orlais.- disse Lavellan. -Il Ferelden è sguarnito. Vediamo di provvedere.-
-Non è sguarnito.- la contraddisse Cullen. -I Custodi si stanno coordinando egregiamente con l'esercito locale.-
Lavellan lo gelò con un'occhiata. -Sto parlando in un'altra lingua, o vi divertite a prendermi per scema, oggi?- domandò. -Non abbiamo appena stabilito di dover alzare la guardia nei bannorn?-
-Sono questioni che competono la Corona del Ferelden, noi possiamo solo assistere alle loro manovre e intervenire semmai ci venisse chiesto aiuto.- replicò Josephine. -Rischieremmo un incidente diplomatico, semmai il nostro intervento...-
-Perdonami Josephine ma oggi non sono in vena di stronzate.- la interruppe subito Lavellan. -Il nostro compito è di riportare l'ordine. Non possiamo ancora permetterci di fare gli spettatori. Quando la situazione sarà stabile, ripiegheremo. Per ora, cerchiamo di mantenere il controllo, che alla Corona piaccia o meno.-
-Abbiamo ripiegato perché eravamo certi che avrebbero gestito la situazione facilmente, come ti ho riferito la settimana scorsa.- intervenne Cullen. -Redistribuire le forze era necessario, dopo Adamant.-
-Per concentrarle dove sono inutili!- ribadì Lavellan. -Ho letto ogni singolo rapporto che è stato appoggiato su questo tavolo- batté una mano sulla mappa -e ogni dannata volta mi sono fidata di voi tre, aspettandomi che mi sottoponeste il problema.-
-Mi dispiace, Inquisitrice, speravo di poter risolvere la situazione in pochi giorni.- intervenne Leliana.
-Non è una "situazione", Leliana è un problema. Se non fossi intervenuta adesso, ce lo saremmo portato dietro per settimane.- sbottò Lavellan. -Così come Emprise, che è dallo scorso Umbralis che cerchiamo un modo per accedere e alla fine bastava percorrere un dannato fiume ghiacciato! Diamine, Cullen, sono una cacciatrice, ho attraversato più fiumi ghiacciati io di tutti i soldati dell’Inquisizione messi insieme!-
Lui incassò il colpo, ma dalla sua espressione contrita e insoddisfatta si poteva capire quanto gli fosse costato. -Non era un'opzione viabile, all'epoca.-
-No, perché l'ha proposta Josephine, che se avessi consultato prima ci avrebbe risparmiato mesi di ritardo.-
Quella rivolse un'occhiata veloce al collega, ma non infierì.
Lavellan si passò una mano sulla fronte, poi esalò un respiro lungo, chiudendo gli occhi. -Ditemi tutto d'ora in avanti, anzi, diciamoci tutto, anche quello che reputiamo essere una cretinata.- disse, moderando il tono di voce. -Abbiamo un conto da saldare con Corypheus, ma non possiamo dimenticarci di chi conta su di noi. Dobbiamo costringere i nostri nuovi alleati ad agire e per farlo dobbiamo essere sempre presenti. I Custodi hanno un'arlea, nel Ferelden. Vediamo di usarla come base per garantire sicurezza nell'area. Coscriviamo, se necessario.-
Cullen si appuntò una nota sul bordo di una pergamena. -Contatterò il siniscalco della Fortezza della Veglia immediatamente.-
-No, lo farò io.- intervenne Leliana, raddolcendo i lineamenti del viso. -Conosco personalmente uno dei Custodi d’istanza lì. Tu preoccupati di scegliere degli ufficiali che sappiano gestire bene l'alcol.-
-Perfetto.- disse Josephine, che stava scrivendo a sua volta. -Io nel frattempo mi occuperò di Emprise.-
Lavellan li guardò uno a uno, costringendosi a rilassare la postura. Recuperò un bicchiere d'acqua e lo svuotò a metà, quindi tornò a scrutare la mappa, con aria concentrata. -Spero che non troveremo ragni, a Emprise.- mormorò, facendo sorridere Leliana, che si era portata al suo fianco per passarle un rapporto.
-Puoi sempre metterli al loro posto urlandogli dietro.- commentò Cullen, tranquillamente. -Con noi ha funzionato.-
Josephine gli scoccò un'occhiata eloquente. -Però se lo faccio io non mi badi minimamente.- lo punzecchiò, infilzandogli un fianco giocosamente con l'impugnatura del pennino.
Cullen le rispose con un mezzo sorriso, poi le passò una boccetta d'inchiostro intonsa, in segno di pace.
Lavellan però non sembrava per niente divertita, nonostante fosse stata la prima a cercare di smorzare la tensione. A dire il vero, sembrava che non riuscisse a mettere bene a fuoco l'obiettivo del suo sguardo, continuando a fissare un punto in mezzo alla mappa con un'espressione accigliata.
-Ci aggiorniamo stasera?- domandò Josephine, dopo esattamente un quarto d'ora passato a riordinare i rapporti.
Lavellan ammiccò, poi si passò una mano sulla fronte, per allontanare la stanchezza. -Se non c'è altro di cui discutere, direi che è il caso.- disse, provata.
Cullen la osservò con attenzione, così come stava facendo da che era iniziata la seduta, ma preferì tenersi le sue preoccupazioni per sé, anziché sfoggiarle in presenza delle colleghe.
Dopo aver sigillato la sala del consiglio, congedò Josephine e si affrettò a seguire Lavellan, diretta ai sotterranei. Era l'ora di pranzo, eppure non sembrava diretta né in mensa, né alle cucine. Piuttosto, aveva raggiunto la sua biblioteca personale e si era immediatamente messa a sfiorare gli scaffali alla ricerca di qualcosa.
Nell'accedere al locale, Cullen si ritrovò immediatamente a sollevare le sopracciglia su uno sguardo sorpreso. -Se un contrabbandiere rivendesse uno di questi libri, sarebbe sistemato a vita.- commentò, raggiungendola per appoggiare le mani sui suoi fianchi. Lavellan trasse a sé un libro imbevuto di polvere, mostrandoglielo.
-"Usi e impieghi delle foglie di loto nero per poltiglie e veleni"- recitò lui, appoggiando il mento sulla sua spalla. -Ti abbiamo fatto arrabbiare così tanto?-
Lavellan sbuffò una risata, appoggiando il peso su di lui per permettergli di abbracciarla decentemente. -Se volessi avvelenarti, l'ultimo fiore che userei sarebbe il loto.- scherzò, pulendo la copertina del libro con il dorso del guanto. -Faresti una fine molto imbarazzante, dato che tra i sintomi ci sono...- si bloccò. -No, non penso che ti interessi saperlo.-
-Dato che hai chiaramente intenzione di consegnare quel libro a Leliana, forse è il caso che sappia a cosa vado incontro, non credi?-
Lavellan gli scoccò un bacio sulla guancia, poi raddrizzò la postura, per voltare il corpo nella sua direzione. -Hai due minuti?- gli domandò, raccogliendo una sua mano per stringerla. Lui le rivolse un bel sorriso. -Anche tre.- rispose. -Vuoi discutere di...-
Lavellan lo zittì con un bacio.

-Se mi avessi detto che erano queste le tue intenzioni, ti avrei raggiunta con una coperta.-
Lavellan esalò un sorriso, rischiando di farsi andare il fiato di traverso. Cercò di regolarizzare il respiro, dissimulando la fatica nello scostarsi i capelli dal viso per raccoglierli dietro a un orecchio.
Cullen, alle sue spalle, le posò un bacio sul collo, poi sull'incavo della spalla, senza smettere di sorreggerla. Lavellan si morse un labbro, raggiungendo la sua mano, ancora stretta sul suo seno. -Farò in modo di spargerne un po' in giro per Skyhold, sempre che Solas non le veda come un invito per schiacciare un pisolino al riparo.- scherzò. Per qualche motivo, stava avendo una difficoltà assurda a riprendersi.
Cullen l'aiutò a voltarsi, per poterla finalmente guardare negli occhi. -Potremmo anche usare un letto, di tanto in tanto.- le suggerì, ricoprendole il viso e il collo di baci mentre aspettava che si ricomponesse.
-Smettila di sedurmi in posti scomodi, allora.- lo provocò lei, prendendo a riallacciarsi la camicia.
Cullen ridacchiò, assicurandosi che stesse bene prima di procedere a rivestirsi a sua volta. -Mi risulta che stavolta abbia preso tu l'iniziativa, o sbaglio?- domandò, rivolgendole un'occhiata eloquente.
Lei ricambiò con un sorrisetto. -Ti ho anche chiesto due minuti, a dire il vero. Mezzora fa.-
-Sei incontentabile.-
-A me pare proprio il contrario.-
Si scambiarono un'occhiata d'intesa, poi un sorriso malizioso.
-Come procede con il salto?- chiese lui, una volta che si furono resi presentabili per affrontare il mondo esterno.
Lavellan gli scoccò un'occhiata sorpresa. -E tu come lo sai?-
-Ho le mie fonti.- rispose Cullen, tenendole aperta la porta per permetterle di precederlo. -Allora?-
Lavellan recuperò il libro per Leliana al volo, poi lo affiancò. -”Allora” niente. Oggi è andata peggio, se possibile.- rispose.
-Addirittura? Sera sostiene che è un percorso che hai fatto mille volte senza fatica.-
-Sera non è una fonte affidabile. Semmai è una fonte di guai.-
Cullen le circondò le spalle con un braccio, un ghigno divertito sulle labbra. -Mi fai vedere questo salto, o preferisci continuare ad affidarti a una persona che usa la marmellata al posto del sapone?- domandò, inclinando la testa nella sua direzione.
Lavellan inarcò un sopracciglio. -Perdona la franchezza, vhenas, ma non penso che mi saresti d'aiuto in questa cosa.-
-Non ti ho offerto il mio aiuto, banshee cara, voglio solo vedere il salto.- precisò lui, per poi appoggiarle un bacio sulla tempia.
Lavellan roteò lo sguardo, poi lo guidò verso l'esterno. L’ovvietà delle sue intenzioni però la spinse ad assecondarlo. Era certa che la pressione di dover fare le cose per bene, per impressionarlo, l’avrebbe aiutata a succedere. -Se proprio insisti.-
-Oh, se volessi davvero insistere te ne accorgeresti.-
-Dici perché ogni volta che vuoi qualcosa stringi la mascella stretta stretta e scandisci “per favore” con un tono cavernoso?-
Cullen esitò, fallendo nel riconoscersi in quella descrizione. -Davvero?-
-Sì, poi ti ingobbisci tutto, come un riccio in pericolo di vita.- precisò Lavellan, divertita.
Cullen ci rifletté. -Oggi non me ne fate passare una, eh? Me ne ricorderò quando sarà il momento di farti la domanda.- bofonchiò.
Lavellan lo descrisse con un’occhiata curiosa, poi realizzò a cosa si riferisse e venne sopraffatta da una paura atavica. Prese a ridere nervosamente. -Offrimi la cena, prima.- scherzò, per aiutarsi a sdrammatizzare.
Cullen cadde nella trappola tranquillamente. -Andraste benedetta, con tutte le volte che mi bullizzi, sei tu a dovermi una cena!-
Lavellan si strinse nelle spalle. -Facciamo che la inseriamo nella nota spese così nessuno è costretto a offrire.- replicò.
Cullen le sorrise in maniera adorabile, poi appoggiò un bacio sulla sua guancia. -Avvisami quando sei pronta, così posso iniziare a risparmiare.- mormorò, al suo orecchio.
Se possibile, a Lavellan quella gentilezza mise ancora più paura.

Si diedero appuntamento a un orario consono per entrambi, nel tardo pomeriggio del giorno stesso, perché anche se erano oberati di lavoro (e Lavellan poco propensa a dare dimostrazione della sua inettitudine), Cullen insisteva per vederla all’opera con un discreto grado di entusiasmo.
Una volta che entrambi ebbero raggiunto la radura, non si persero troppo in convenevoli e iniziarono.
Lavellan eseguì un paio di stiramenti per riscaldarsi, scherzando assieme al compagno con tutta l’intenzione di prendere tempo, poi prese un respiro profondo e si portò in posizione, davanti alla parete rocciosa.
Cullen la osservò provare e fallire per due volte, mantenendo le distanze. Riconobbe l'errore al volo, ma si impedì di commentare, finché Lavellan non lo raggiunse, con un'espressione a mezza via tra l'irritato e l'abbattuto.
Allora, recuperò due sassi da terra. Ne posò uno ai suoi piedi e l'altro a una distanza che era sicuro che Lavellan avrebbe raggiunto facilmente con un salto senza rincorsa.
-Così mi offendi.- disse lei, ancora senza fiato per i tentativi di volteggio. Si preparò, prese lo slancio e mancò il punto d'arrivo di un passo.
Nel realizzare che aveva appena evidenziato il cuore del problema senza essere pronta per affrontarlo, si ritrovò a impallidire. Guardò Cullen, poi il sasso, infine si mise a sedere a terra, con una compostezza timorosa e un imbarazzo primordiale nei lineamenti.
-Capisci che non puoi più evitare il problema?- domandò Cullen, con calma risolutezza.
Lavellan agitò una mano nella sua direzione per minimizzare. -È la spinta, devo metterci più spinta.-
-No, Lav.-
-Non sono abbastanza leggera.-
-Decisamente non è quello.-
-Allora è lo stress, come dice Leliana. Devo dormirci sopra e domani andrà meglio, no?-
Cullen la osservò a lungo, poi si mise a sedere di fronte a lei, prendendole le mani tra le proprie. -Hai le gambe troppo deboli.- affermò. -E non è una cosa che si risolve con il sonno.-
Il viso di Lavellan assunse immediatamente una smorfia di risentimento. -Le mie gambe vanno benissimo!- sbottò, riprendendosi le mani con un gesto brusco.
-Ti reggi a malapena in piedi, ti viene il fiatone per delle sciocchezze e non riesci a salire una parete di cinque metri.- riassunse Cullen, con una pazienza che, se uno non fosse certo del suo coinvolgimento emotivo con Lavellan, si sarebbe potuta prendere per freddezza. -Potrebbe diventare una situazione pericolosa per te e per gli altri, se continuassi a ignorare l’evidenza.-
Lavellan scorse il suo viso con un'occhiata nervosa, poi distolse lo sguardo. -La stai facendo più grande di quello che è.- commentò.
-No, ma so riconoscere un atteggiamento di delusione quando ne vedo uno.- rispose lui, con aria grave.
-Non soffro di delusioni! È solo un periodo molto pieno, ecco tutto. È difficile prendermi cura di me stessa con tutte le cose che ci sono da fare.- si giustificò lei, precipitosamente.
Cullen rimase a fissarla a lungo, poi si rialzò, porgendole la mano per aiutarla. Lavellan esitò, poi la strinse, rimettendosi in piedi a sua volta.
-Non voglio insistere.- la rassicurò lui, dopo averle posato un bacio sulla fronte per rassicurarla che non fosse arrabbiato. -Ma ricordo bene quello che mi dicesti alla tenuta della De Fourier e intendo esserti di parola. Semmai tu volessi scalare quel muro, io sarò sempre pronto ad aiutarti.-
Di fronte a quelle parole, Lavellan fu certa di avere toccato il fondo.

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Capitolo 31
*** Tempo ***


CW: Disturbi alimentari

Dall’espressione che Lavellan indossava, mentre saliva le scale della torre, sembrava che fosse intenta a chiudere una valigia straripante in vista di un viaggio più che prossimo. Che lo stesse facendo mentalmente, o fisicamente, lo sforzo era analogo.

Quando arrivò alle sue stanze, il suo segretario la accolse con un’espressione sorpresa. -Oh, oggi ha fatto presto.- commentò, con un mezzo sorriso. Scherzoso? Malizioso? Nel mezzo.
La valigia mentale esplose e tutti i problemi finirono a terra, lasciati cadere (se non catapultati) dall’occasione di poter fare una battuta.
-Non così presto, ma in certe situazioni non è molto bravo a ottimizzare.- dichiarò, lei ricambiando il sorriso.
Shaan esibì un’espressione forzatamente disgustata. -La prossima volta fammi direttamente un disegnino, già che ci sei.- disse, facendole cenno di sedersi di fronte al camino, che aveva acceso poco prima.
Lavellan, che di sera soffriva il freddo, accolse quell’idea a braccia aperte. Si accoccolò sulla sua poltrona, lasciandosi avvolgere in una coperta.
Shaan appoggiò la schiena sul bordo della scrivania, incrociando le braccia. -Ho sentito che è stata una giornata difficile.-
Lavellan annuì, senza elaborare.
Vennero assorbiti dal silenzio per un po’, poi Shaan si schiarì la voce. -Non per farmi gli affari tuoi, lethallin, ma… forse dovreste andarci più piano. So che mi ripeto, ma quello ha gli occhi da “appena questa storia sarà finita, costruirò un cottage in campagna, ci daremo alla coltivazione delle patate e sforneremo due bambini, un maschio e una femmina di cui ho già scelto il nome: Blando e Blandina”.-
Lavellan sbuffò una risata secca. -Hai dimenticato il cane.-
-Ah, già. Fereldiano.-
-Secondo te ha già i piani della casa? Avrei qualche nota da suggerirgli per quanto riguarda il mio studio.-
-Ankh, non sto scherzando, lui ha tutta l’aria di volersi fermare.-
-Si vede che non lo conosci bene come lo conosco io.-
Shaan la descrisse con un’occhiata indagatrice. -O forse, non conosco così bene te.- disse, in tono grave.
Lavellan si strinse nella coperta. -C’è troppo lavoro da fare, queste sono solo fantasticherie.-
-Le fantasticherie portano ai progetti e...- Shaan si interruppe, per spostare lo sguardo altrove. -Ho solo paura che si tiri indietro e tu meriti decisamente di meglio.-
Lavellan lo guardò con affetto, al che lui si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo. -Da quando in qua vuoi il cane e il giardino?- la provocò.
Lavellan rise. -Mi interessa di più il cottage e...- chiuse il palmo della sinistra, istintivamente, mentre lasciava la frase sfumare. -Ti prometto che farò le cose per bene.- lo rassicurò, cercando il suo sguardo.
Shaan le facilitò l’opera, voltandosi nella sua direzione. -Sarà il caso.-

 

30 - Tempo
 

-Niente da fare, sono introvabili.- riportò l’esploratrice Harding, in sala di guerra. Appoggiò una mappa stilizzata sul tavolo, indicando a Lavellan i confini del villaggio per cui aveva mediato. -Abbiamo controllato dovunque, ma del clan non c’era traccia. Al nostro arrivo c’erano solo...- si fermò un istante. -Non è stato un bello spettacolo.-
Cullen giunse le mani sopra l’impugnatura della spada, la fronte aggrottata su un’espressione cupa. -Qualche sopravvissuto?-
-Nessuno. In ogni caso, anche se fossimo intervenuti prima, la situazione non sarebbe cambiata. Quelle persone erano morte da settimane.-
Lavellan ritrasse il capo. -Settimane? I tempi non coincidono, allora.- dedusse, con una nota di dubbio nel tono di voce.
Harding fece presto a contraddirla. -Coincidono, purtroppo. Per andare e tornare, a cavallo, i nostri ci hanno messo una settimana e mezzo.- spiegò. -Dato che Skyhold è più distante del nostro punto di partenza, il sindaco e il cacciatore con cui hai parlato probabilmente non hanno fatto in tempo a ritornare. Sempre che siano tornati.-
-E che fine hanno fatto? Non possono essere spariti nel nulla!- intervenne Josephine, stranita.
-Non abbiamo trovato nessuno che corrispondesse alla descrizione che ci ha fatto l’Inquisitrice e, purtroppo, nessuno dei nostri li ha avvistati.- replicò Harding, spostando lo sguardo su Leliana. Quest’ultima scosse la testa. -Avevo chiesto di tenerli d’occhio, ma il risultato è stato lo stesso.-
Lavellan mise in moto il cervello, alla ricerca di qualcos’altro a cui appigliarsi. -Proverò a consultare la mia rete di contatti tra i Dalish. Di sicuro possono mettermi in contatto con il Guardiano del clan.-
-Non l’avevi già fatto?- domandò Cullen.
-Preferivo avere conferme da Harding, prima.- si giustificò Lavellan. -E consultarmi con voi, ovviamente. Ho fatto un errore di calcolo, adesso è il caso di mettere da parte lo smacco e andarci cauti.-
-Mi sembra giusto.- commentò Harding, ripiegando la mappa. -Posso fare qualcos’altro per voi, prima di partire?-
In quattro le consigliarono di prendersi una bella pausa e lei rispose con un sorriso grato, prima di andarsene.
-Come la risolviamo, adesso?- domandò Lavellan, una volta che furono soli.

Leliana fece per prendere la parola ma si frenò dal farlo all’ultimo secondo, mordendosi il labbro inferiore. All’occhiata indagatrice di Josephine, lei scosse la testa per minimizzare.
-Purtroppo non possiamo inviare soldati, dato che sono tutti impiegati altrove e quel villaggio è completamente estraneo alle nostre tratte.- disse Cullen, spostando lo sguardo verso la finestra socchiusa. Il vento respirava piano, ma fortunatamente l’afa pomeridiana andava dissipandosi, in virtù della frescura serale che arrivava dai monti.
-Allertare i nostri alleati è escluso.- propose Josephine, passandosi un fazzoletto dietro al collo. -Farebbe passare la voce che l’Inquisizione favorisce una fazione sopra le altre.-
Alla parola “fazione” Lavellan sentì una fitta di rabbia al petto, ma si sforzò di non fornire precisazioni.
-Tutto il lavoro che abbiamo fatto per risultare imparziali sfumerebbe.- continuò Josephine, riponendo il fazzoletto nella manica per continuare a prendere appunti. -Una vera sfortuna. Quando ne abbiamo discusso all’epoca era sembrata a tutti l’opzione più saggia.-
-La soluzione logica.- la corresse Cullen.
-Non sempre la soluzione logica porta a risultati positivi.- borbottò Leliana. Gli sguardi di tutti si concentrarono su di lei, prima tra tutti ad apparire scontenta.
-Hai una proposta da fare, te lo leggo negli occhi.- chiosò Lavellan. -Una di quelle spiacevoli, vista la faccia.-
Leliana purtroppo non la contraddisse. -Eravamo solo in tre a quel colloquio.- premise. -Le uniche persone a sapere i dettagli della vicenda oltre a noi sono Harding, una piccola squadra di esploratori e i presenti.- fece una pausa, per guardare Lavellan dritta negli occhi. -Possiamo fare finta che il nostro coinvolgimento si limitasse a un semplice consiglio, se trovassimo e distruggessimo il foglio che porta il tuo sigillo.-
-Mi risulta che fossimo in cinque, al colloquio.- la corresse Lavellan, sapendo perfettamente dove la collega volesse andare a parare.
Leliana confermò la sua teoria con un’occhiata. -Prima li dobbiamo trovare, però.-
-E parlarci.- concluse Lavellan, a cui non piaceva assolutamente l’idea di uccidere due persone per ripararsi dalle critiche.
Ci fu un attimo di incertezza che sfociò in un silenzio nervoso, al che Josephine decise di prendere la parola. -Puta caso che funzioni, cosa ne faresti del cacciatore? Lui sosterrebbe che l’Inquisitrice abbia dato la sua parola. Manterremmo la facciata con i nobili, la perderemmo però con i Dalish.- interloquì.
-Sono loro a essere in torto.- disse Cullen. -Hanno preferito scappare piuttosto che collaborare, anche dopo che l’Inquisitrice ha dato mille garanzie affinché le cose funzionassero a favore di entrambe le parti. Mi risulta che fossero qui per quello, o sarebbe venuta a colloquio una singola persona.-
-La cosa che mi preoccupa è che anche se quel documento è datato, non c’è modo di far collimare gli eventi. È la parola di Harding, che ha visto in che condizioni erano gli abitanti del villaggio, contro quella di chiunque arriverà dopo di noi, troverà la conferma che l’Inquisizione è coinvolta e verrà qui a chiedere spiegazioni.- aggiunse Josephine, accarezzandosi il mento con il vertice del pennino.
-Voglio vederci chiaro.- decretò Lavellan, per chiudere il discorso. -Appena riusciremo a contattare il clan andrò a parlare con il Guardiano di persona.-
-Non puoi.-
Lavellan scoccò un’occhiataccia a Josephine, che si affrettò a ricordarle che i suoi impegni non le lasciavano il tempo materiale per un’uscita di diversi giorni. -Potresti delegarlo al tuo segretario, o a qualcuno di cui ti fidi ciecamente del tuo clan.-
-Clan che attualmente è a Wycome.- le suggerì Cullen, facendole notare quanto fosse assurdo il secondo suggerimento.
-Dei Dalish in generale, allora!- si corresse Josephine, piccata.
-Né io né Shaan abbiamo tantissima familiarità con i clan che viaggiano in quella regione.- ammise Lavellan, piano. -Dovremmo per forza mandare un tramite e istruirlo sulla situazione. Neria è ancora a Crestwood?-
Leliana annuì.
-Cillian è con lei?-
-No, è alle Tombe di Smeraldo per un’incursione.- rispose Cullen.
Lavellan ci rifletté. -Troverò qualcuno.- tagliò corto, ma in cuor suo sapeva che nessuno, tra la sua gente, avrebbe potuto risolvere la situazione in maniera imparziale. Per quello la situazione la stava divorando dall’interno: si erano approfittati di lei perché sapevano che avrebbe capito le loro motivazioni, che li avrebbe perdonati e coperti con gli shem in caso si fossero tirati indietro. Purtroppo, avevano fatto male i conti, perché se c’era una persona a cui piaceva poco essere usata, quella era Lavellan.

-Dubito che esista qualcuno a cui piaccia essere trattato in questa maniera.- commentò Solas, con cui Lavellan si era confidata a riunione conclusa.
Sedevano in cima a un’impalcatura, alla Rotonda, a cui lui stava lavorando incessantemente da che il gruppo era tornato dai deserti occidentali. Oltre a un mal di schiena cronico dovuto alle infinite marce sulla sabbia, Solas aveva testa, avambracci e punte dei piedi ridicolmente abbronzati.
-Non saprei cosa consigliarti a questo punto, lethallin. Chiunque mandassi, metterebbe le loro giustificazioni al di sopra del fatto compiuto.- proseguì lui, preparando un colore di transizione per accentuare una sfumatura. -Perché hai intenzione di mandare un Dalish, no?-
-Ovviamente.- confermò lei, spostando lo sguardo da lui al lavoro che stava compiendo. -Ho idea che il loro clan non apprezzerebbe di trattare con qualcuno che non faccia parte del nostro popolo, anche se portasse un mio messaggio. Lo troverebbero offensivo.-
-Ovviamente.- le fece eco lui, picchiettando graziosamente il pennello sulla pietra. -Cosa diresti al Guardiano del clan se ce l’avessi di fronte?-
A Lavellan non servì pensarci. -Che io, sangue del loro sangue, sono stata messa in una posizione difficile per essermi schierata con persone che non sanno mantenere la parola data. Una posizione che potrebbe mettere in difficoltà i Dalish in generale per estensione.- rispose, in elvhen.
Solas seguì il suo esempio e cambiò lingua. -Non hai intenzione di punirli?-
Lavellan esalò una risata tutto fuorché divertita. -Il loro atteggiamento avrà delle conseguenze con gli altri clan. Non penso che, dopo quello che è successo, vorranno associarsi con loro.-
-Allo stesso tempo, non sai quello che è successo. E mi meraviglio di te per non voler investigare a fondo sulla questione!-
-Ho le informazioni che mi sono state date da Harding.-
-E in base a quelle hai tratto delle conclusioni affrettate, lethallin. C’è una buona possibilità che abbiano lasciato il villaggio per le stesse ragioni per cui sono venuti a chiedere il tuo aiuto. È probabile che la situazione sia degenerata e scappare per loro fosse l’unica soluzione viabile.-
-Me ne rendo conto, per quello voglio comunicare prima di prendere altre decisioni che potrebbero compromettermi.- ribatté Lavellan, sentendo quella critica ingiusta.
Solas la guardò dritta negli occhi. -Vuoi evitare di comprometterti, o fare la cosa giusta?-
Lavellan si zittì, per rifletterci. -Queste due opzioni non si escludono a vicenda.- rispose, stancamente. -Sono stata stupida a credere che la mia influenza potesse valere qualcosa. Secoli di sfiducia non si appianano in pochi mesi.-
Solas sospirò. -Più andiamo avanti, più me ne rendo conto.- disse, con aria seccata. -Sembra di guardare due cervi che si scornano.-
Lavellan sorrise appena di quel paragone, poi tornò a guardarlo lavorare silenziosamente, dato che non voleva imporgli altre distrazioni. Appoggiò la testa sulla sua spalla sinistra, seguendo le pennellate con lo sguardo per lasciare che i pensieri le scivolassero via di dosso. Forse aveva bisogno anche lei di un hobby del genere, che la impegnasse abbastanza da depurare la sua testa da gran parte dello stress che le causava il lavoro.
-Ti vorrei rendere partecipe dell’ultimo scherzone che mi ha fatto Sera.- disse lui, tornando a mescolare colori. -Probabilmente, pensava che fosse la cosa più divertente del mondo.-
Lavellan aggrottò le sopracciglia, mentre lui appoggiava la tavolozza di ceramica per sostituirla con un piccolo paniere coperto da un cencio colorato. Una volta scostato il cencio, lei si sforzò di non ridere alla vista di una dozzina di uova decorate con dei pezzettini di carta sui lati, applicate per prendere in giro la conformazione del capo di Solas.
-Mi deludi. Mi deludi enormemente.- commentò quest’ultimo, registrando quello sforzo.
-Forse pensava che avessi bisogno di energia.-
Si scambiarono un’occhiata veloce, poi Solas esalò un sospiro sommesso. -Mi dai una mano a smaltirle?-
-Ah, no, i lanci di uova crude erano divertenti quando ero più giovane, adesso mi pare uno spreco.-
-Intendevo mangiarle.-
-Oh, certo, così mi sta bene. Così a crudo, però?- domandò lei, con aria scettica. -Senza neanche un po’ di zucchero?-
Solas la guardò a lungo, con una delusione fintissima dipinta in viso. -Lethallin, tu passi troppo tempo tra i soldati.- commentò. -Le ho bollite.-
-Le hai bollite? E come hai fatto a mantenere le orecchiette attaccate?-
-Oh, per la miseria, sono un mago!-
-Un mago dei fornelli.-
-Un mago mago che conosce quanto basta di magia elementale per cuocerti un uovo tenendolo in equilibrio tra le dita.-
Lavellan grugnì una risata. -Fate largo al Grande Solas, il mago delle uova sode!- bandì.
-E delle frittate, le frittate mi vengono molto bene.- aggiunse lui, porgendole un uovo con gentilezza. -Cucinare è difficile, ma divertente.-
Lavellan fece pressione sul guscio con il pollice, fino a creparlo, poi iniziò a sgusciare. Più andava avanti, però, più lo sguardo di Solas sembrava premerle addosso come a schiacciarla. -Un mago non dovrebbe avere problemi a mettere un po’ di carne sul fuoco.- disse, cercando di scrollarsi di dosso quella sensazione.
-C’è cucinare e cucinare.- replicò lui, continuando a osservarla. -La cucina per molti è un atto di creatività.-
-Mettere a bollire due uova e infilarle nel polpettone è un atto di creatività?- domandò lei, ammonticchiando i pezzi di guscio in un angolo.
-Costruire un piatto è materia d’ingegno.- rispose Solas, rigirandosi un uovo tra le dita.
Lavellan diede un piccolo morso all’albume, con una velocità che dava idea di nervosismo. Non capiva perché si sentisse così osservata. Persino il discorso aveva smesso di provocarle interesse, perché sembrava più una valutazione che un’interazione amichevole. -Insomma, quanto ti manca per finire?- chiese, alludendo all’affresco. In quel modo, sperava che lo sguardo di Solas si spostasse dalle sue mani a ciò che c’era sul muro.
Purtroppo, lei gli risultava più interessante. -Abbastanza da occupare tre giorni pieni.- rispose, asciutto. -Non credi che nella cucina ci sia spazio per la creatività, insomma.-
Lavellan sentì l’uovo pesarle tra le mani come un macigno, tanto da non riuscire a reggerlo bene. -Può essere. Non ho mai approfondito.- si giustificò, cercando di apparire tranquilla. -Tu non mangi? Vuoi un po’ di sale? Posso scendere a prenderlo se vuoi.-
Solas recuperò un sacchettino dal paniere e glielo porse. -Non ce n’è bisogno. Ne ho conservato un pochino dall’ultimo pasto.- disse, tranquillamente.
Lavellan sentì tutto il suo corpo entrare in uno stato di tensione nervosa. Allungò le dita verso il sale, ripetendosi di non farlo cadere, quindi ne prese un pizzico e lo cosparse sull’uovo. Solas finalmente prese a occuparsi del cibo, smettendo di guardarla.
Lavellan allora si azzardò a dare un altro morso, sforzandosi di masticare bene perché la sua gola sembrava blindata. Finì l’uovo quando Solas aveva già attaccato il terzo.
-Crudo con lo zucchero.- borbottò lui, spazzando via i gusci dall’impalcatura con il dorso della mano. -La mania di mangiare le cose a crudo, senza un minimo di lavorazione, mi sfugge. Non credo che sia una volontà di esaltare la materia prima, visti i caratteri di chi lo fa.-
-Penso che facciano così per mancanza di tempo.- tagliò corto Lavellan, che non aveva voglia di restare sull’argomento. -Intendi illustrarla tutta?-
Solas le scoccò un’occhiata curiosa, poi realizzò. -Ah, sì, penso che ci proverò, anche se ci sono dei giorni in cui mi chiedo se non ho fatto il passo più lungo della gamba.- articolò, passandole un altro uovo. -Vorrei lasciarti qualcosa su cui riflettere, una cronaca, tramite un’arte che gli Elfi hanno perduto.-
-Un regalo al di fuori della mia portata.- dichiarò Lavellan, che aveva visto solo frammenti di dipinti simili, con colori distorti dal tempo.
Si rigirò l’uovo tra le mani, indecisa se sgusciarlo o tenerlo per un secondo momento, lontana dallo sguardo calcolatore di Solas.
Ormai la sua attenzione si era piantata sulle dannate uova e non poté proprio farci nulla, nonostante quell’argomento le sembrasse vitale, troppo importante per essere affrontato con la mente ingombra di pensieri e nervosismo. Più provava a concentrarsi, però, più sentiva la pesantezza negli arti e un formicolio persistente alla mano sinistra.
-Perché pensi che sia fuori dalla tua portata? È un’eredità del tuo passato. Un po’ come le grandi infrastrutture delle Distese Sibilanti per i Nani.-
-Raffigura il mio percorso, Solas.-
-Sei una figura influente dei tempi attuali, che tu lo voglia o meno. Così come Varric ha scritto di Hawke, io mi vedo costretto a dedicare la mia arte a ciò che ha compiuto l’Inquisitrice, nel bene o nel male. Al contrario suo, io riporto i fatti salienti con sincerità.-
-Con sincerità, ma con una bellezza immeritata.-
-Preferiresti un grande affresco in stile classico orlesiano?-
Lavellan non rispose. Non era dell’umore adatto per scherzare. Si limitò a mettersi l’uovo ancora integro in tasca e a spostare lo sguardo altrove.
Solas l’assecondò, non potendo fare altrimenti. Finì il suo pasto, ripulì l’impalcatura dai rifiuti e si rimise seduto composto a mescolare i colori.
-C’è aria di pioggia.- mormorò Lavellan, stringendosi nella giacca.

Non mentiva.
Quella notte si scatenò un temporale come pochi, improvviso e devastante. Il crepitio dei fulmini e il roboare del vento coprivano ogni altro rumore, dando l’impressione che di lì a poco il mondo si sarebbe ridotto in frantumi.
-Sai che cosa servirebbe in questo momento?- gridò Dorian, mentre distribuiva secchi in piccionaia per evitare che le infiltrazioni scendessero fino in biblioteca.
Lavellan e Charter, uniche ad averlo sentito, lo guardarono in attesa della risposta.
-Un valletto. Voglio un valletto!- esclamò Dorian, riparandosi la testa con un braccio.
Charter alzò gli occhi al cielo, Lavellan ridacchiò.
I corvi erano decisamente agitati. Quei pochi che non turbinavano in piccionaia si erano andati a riparare sull’ampia ringhiera che delimitava gli scaffali, già coperti con ampi teloni e vecchie bandiere. Se ne stavano immobili, tutti molto vicini gli uni agli altri alla ricerca di conforto mentre fuori succedeva il finimondo. Quelli più affezionati a Leliana facevano la spola tra la sua spalla e la sua scrivania, cercando sicurezza nella sua presenza. Quelli che sarebbero dovuti uscire invece maledicevano il maltempo con un gracchiare sonoro, cercando di fargli capire che era il caso di smettere perché loro dovevano lavorare e non potevano aspettare i suoi comodi.
Dorian, che già era zuppo e isterico, si ritrovò a dover scacciare a manate uno di quei corvi impazienti che aveva deciso di gravitare intorno a lui come una mosca sulle mucche da pascolo. -Fasta vass!- gemette, riparandosi dall’ennesimo assalto. -Va’ dalla mamma, va’ dalla mamma!-
Lavellan osservò la scena con aria divertita. -Aspetta, chi è la mamma? Leliana?-
-No, quello è il corvo di Cassandra.- le rispose appunto Leliana, che tra tutti sembrava quella meno colpita dal temporale. -Non si può dire che manchi di coerenza.- scherzò.
Dorian la fulminò con lo sguardo. -Rompic...- un tuono -...ni entrambi!-
Varric, che era lì più per controllare i lavori che per dare effettivamente una mano, gracchiò una risata. -Piuttosto- intervenne, al riparo dall’altra parte della stanza. -Se già qui è mezzo allagato, non voglio sapere cosa sta succedendo in camera del Ricciolino.-
Leliana gli tolse un secchio già pieno di mano, per svuotarlo fuori dalla finestra. -Non capisco perché si ostini a non voler riparare quel benedetto buco!- disse.
-Perché vuole farlo da solo, ma non trova mai il tempo.- spiegò Lavellan, salendo su una scala assieme a una trave e a un martello. -Mi sono offerta di farlo io, ma non vuole sentire ragioni.- aggiunse, posizionando la trave in modo che aderisse a una serie di ferite sul rivestimento del sottotetto.
-Potrebbe pensarci qualsiasi mago, a dire il vero.- disse Dorian, strizzando il mantello nervosamente. L’acqua andò a finire tutta sui pantaloni di Charter, che lo guardò con astio puro.
Leliana corrugò la fronte, esibendo un’espressione confusa. -Ma se quando ti ho chiesto di riparare il tetto mi hai trattata come se ti avessi appena chiesto di ballare nudo in fronte a un Ogre!-
Dorian indicò il soffitto con un cenno ampio. -Qui non c’è niente da riparare, è irrecuperabile! Bisogna demolire tutto e costruire da zero.-
Varric lo squadrò con aria divertita. -E chi li paga gli operai, tu?-
-Lascialo perdere, questo posto è perfetto!- dichiarò Lavellan, scendendo dalla scala a lavoro finito. Leliana fu subito al suo fianco con una ciotolina di mandorle glassate. -Svelta, prima che Dorian le veda.- la incoraggiò.
Lavellan ne prese un paio senza pensarci e se le mise in bocca.
Così com’era successo poche ore prima, sentì che quel gesto non solo era osservato, ma assieme agli occhi di chi guardava c’era un sentimento che premeva su di lei, mettendola in imbarazzo. Mentre masticava, infatti, la conversazione sembrava essersi placata, così come il caos di piume vorticanti attorno a essa. Decise di non indugiare oltre e si concentrò sulla riparazione successiva per esorcizzare.
Ritrovò una dimensione di tranquillità tra le lamentele di Dorian e le prese in giro di Varric, dimenticandosi presto di ciò che era successo. Così finì i lavori, riducendo le infiltrazioni di molto e permettendo a chi stava di sotto di cedere molti dei secchi ad aree di Skyhold in cui erano realmente necessari.
-Alla Torre dei Maghi ci stanno già pensando Gatsi e Harritt.- la rassicurò Charter, sfregandosi addosso un asciugamano laddove era zuppa. -Ti conviene tornare al tuo lavoro, prima che sorella Leliana si renda conto che il santuario è totalmente inagibile.-
Lavellan la ringraziò con un’occhiata significativa, prendendo la via delle scale. Nonostante contribuire a quel genere di emergenze l’aiutasse ad affrontare il lavoro vero e proprio con un atteggiamento più sereno, la quantità di impegni che aveva azzoppava ogni sua buona volontà.
E per poco non si azzoppò letteralmente, quando a metà scala si rese conto che i suoi stivali non erano adatti per la pietra sdrucciolevole. La suola infatti slittò di due gradini, rischiando di farla cadere. Fortunatamente, Lavellan riuscì ad aggrapparsi a una rientranza nel muro per riprendere l’equilibrio.
Così come succedeva spesso, ultimamente, la sua vista venne oscurata da un formicolio di granuli in scala di grigio e i suoi arti risentirono di una fiacchezza improvvisa, inchiodandola in una posizione precaria per un paio di minuti.
Lodando una fortuna che di solito non aveva, al momento di riprendersi Lavellan decise di sedersi a terra un attimo, per eseguire due tre respiri profondi e ricomporsi in vista degli impegni successivi. Se anche avesse tardato di poco, il suo segretario non avrebbe fatto problemi.
Li avrebbe fatti, ovviamente, ma a lei non sarebbe pesato troppo.
Mentre si rialzava da terra, le capitò di percepire dei passi alle sue spalle e subito si affrettò a proseguire.
-...tanto successo. Pensavo che ne avrebbe prese di più.- sentì dire a una voce maschile grave.
-Ci ho provato anch’io ieri con dei pezzettini di frutta. Solas e il Toro hanno già fatto la loro parte.- rispose una voce maschile, in tono preoccupato. -Sera ormai ha bloccato la cucina a furia di sfornare biscotti. Non ti dico l’odore!-
Lavellan si bloccò alla fine della scalinata, perplessa.
-Mi sa che c’è da cambiare piano. A furia di ingozzarla di bocconcini rischiate di ottenere l’effetto contrario.- proseguì la prima voce, che ora Lavellan fu certa appartenesse a Varric.
-Beh, trovane uno migliore allora!- protestò il suo interlocutore, sicuramente Dorian. -O parlale, dato che ogni volta trova una scusa per saltare i pas...-
Le due parti si trovarono faccia a faccia, occhi sgranati e parole lasciate a metà. L’imbarazzo era palpabile.
Lavellan si sentì morire.
Non aveva mai provato così tanta vergogna, sentendosi trattata come se avesse un quarto dei suoi anni da persone di cui si fidava.
Non disse nulla, non volle ascoltare scusanti, piuttosto mise un piede di fronte all’altro mentre il ronzio nelle sue orecchie sovrastava il rumore della tempesta.
Per ogni passo c’era uno sguardo di commiserazione a seguirla, a pesarla, a trattarla come se non fosse in grado di gestire se stessa. Li sentiva dibattere come vermi nella carne.
Provò a prendere la via del salone, fermandosi a riflettere giusto davanti alla porta che vi faceva accedere dalla Rotonda, poi cambiò idea, dirigendosi verso l’esterno.
Era un’idea stupida, lo sapeva, ma l’unica cosa che il suo corpo le chiedeva a gran voce era di fuggire, di mettere quanti più passi possibili tra lei e chi la osservava.
Una volta fuori, prima la colpì il vento, poi un rovescio le schiaffeggiò i vestiti, attaccandoli alla pelle. Si aggrappò alla maniglia della porta, sentendo il peso del suo corpo che si piegava in risposta all’invadenza dell’aria e dell’acqua.
Vattene, si disse. Devi andarteneribadì a se stessa. Subitorimarcò.
Riparò lo sguardo con l’avambraccio e cercò di calcolare il percorso che avrebbe dovuto affrontare per raggiungere le scuderie.
Delusa dalla matematica, si sentì ancora più in trappola.
A trenta metri da lei, un manipolo di persone stava mettendo in sicurezza la torre della caserma; tra esse c’erano Cullen e il Toro.
Il grande senso di frustrazione derivato dal tradimento la portò subito a ferirsi il pensiero con idee terribili, su come entrambi avessero costruito una strategia su di lei e su come gli altri avessero semplicemente eseguito.
Non poteva andare incontro a quello.
Per un attimo, la solleticò l’idea di usare i rampicanti che vessavano le mura di Skyhold per calarsi di sotto. Fortunatamente, o purtroppo, il buonsenso ebbe la meglio e la costrinse a rientrare, chiudendosi la porta alle spalle.
Ci appoggiò la schiena, appiattendosi a essa proprio perché non sapeva cos’altro fare. Ormai gli altri sapevano che lei sapeva del loro piano e chi ancora non sapeva presto avrebbe saputo.
Avrebbe voluto urlare alla cacofonia, invece si raddrizzò.
E si raddrizzò come mai aveva fatto, con una luce di cattiveria affilata nello sguardo. Cattiveria, o determinazione, ne avrebbe scelta una in un secondo momento.
Tenne la testa alta mentre attraversava la Rotonda per dirigersi verso il salone, con l’istinto che le sbraitava contro e la dignità che la sorreggeva, tenendola fra le braccia mentre faceva buon viso a cattivo gioco con chiunque le facesse pesare il fatto che fosse lì in quel momento.
Josephine, che le fece notare per ultima quanto fosse in disordine, fu l’unica a rendersi conto che in quel momento Lavellan era solo un sottile guscio di carne che tratteneva a stento un ammasso di materia urlante. Solo lei avrebbe potuto accorgersene e, di conseguenza, sentì sua la responsabilità di aiutarla.
-Dato che sono tutti impegnati a mettere in sicurezza il sopra, di sicuro il sotto sarà vuoto.- disse, facendole intendere che il sotterraneo era il posto migliore per nascondersi e calmarsi.
Lavellan si aggrappò a quell’opzione e seguì la collega fino al suo studio, soffermandosi a ringraziarla prima di prendere la via delle scale per mantenere quel minimo di apparenza che bastava per non farle capire quanto grave fosse la situazione.

Eppure, anche nell’isolamento non riuscì a sfogarsi. Fu il suo corpo a farlo per lei, spingendola a terra non appena ebbe varcato la soglia della sua biblioteca personale.
Restò svenuta sul pavimento freddo per due ore, forse per tre, molto probabilmente per tutta la sera.
Era stata un’implosione nervosa, molto diversa dalla frana emotiva che aveva sperimentato dopo l’esecuzione di Livius Erimond. Mentre in quell’ambito passato il suo corpo aveva buttato fuori ogni pensiero e ogni evento, nell’attuale erano rimasti all’interno e si erano innescati non appena lo stress aveva raggiunto il livello di pericolo.
Difatti, oltre a non avere più le forze per muoversi, Lavellan non riusciva nemmeno a pensare. Sentiva soltanto ciò che le diceva il fisico, senza più regole, o emozioni.
La sua guancia era ghiacciata, la sua schiena soffriva per essere rimasta in una posizione terribile per ore e la sua pancia brontolava a ruota libera, suggerendole che fosse arrivato il momento di smetterla con le cazzate e iniziare a pensare un attimo a se stessa.
Farsi governare dagli eventi, dallo stress, l’aveva completamente distrutta e sarebbe successo di nuovo se non ci avesse posto rimedio.
Rialzarsi per lei fu più difficile che cadere.
Non le importò di controllarsi il viso, o che i vestiti fossero in ordine. Aveva fame.
Le cucine erano a pochi passi dalla biblioteca, passi di una pesantezza che il subconscio le proponeva come una sfida a proseguire.
Ce la fece, perché la cuoca le proiettò davanti qualsiasi cosa il suo stomaco potesse digerire, chiamandola “povera ragazza” mentre indicava allo scarno personale che era rimasto per pulire di sigillare le porte, promettendo loro, con sguardi al vetriolo, che se solo avessero parlato di quella situazione avrebbero subito delle ripercussioni titaniche.
Lavellan registrò quegli eventi senza soffermarcisi troppo, perché il suo cervello non ne poteva più, ormai erano rimasti solo i bisogni. Se qualcuno, il giorno successivo, le avesse chiesto dove fosse stata o cosa avesse mangiato, lei non avrebbe saputo rispondere.
Con l’introduzione del cibo nel suo organismo, arrivò la stanchezza. Una stanchezza esausta, di qualcuno che ha solo voglia di dormire fino alla mattina dopo per smaltire la pesantezza della giornata appena trascorsa.

Dopo un sonno senza sogni, o troppo carico di essi da renderli una nube confusa, si sorprese di trovarsi in un ambiente diverso dalle sue stanze.
Con la bile che le bruciava in gola per l’assunzione smodata di cibo e lo sguardo che le premeva sulle palpebre, si sforzò di dettagliare lo spazio che la circondava. In poco tempo, realizzò che si trovava nella sua biblioteca personale al piano interrato, nella quale era stata allestita una branda di fortuna. Attorno a essa, sembrava che ci fosse una riunione di gatti selvatici.
Riconobbe subito Amun, il suo segretario e Adra, che litigavano a mezza voce.
-Torno a dormire.- biascicò Lavellan, appurando che fosse uno scenario apocalittico.
-Anche no.- disse Shaan, che le rivolgeva le spalle, dato che era seduto al bordo del suo letto. Amun, ai suoi piedi, sbuffò.
Lavellan si arrese e chiuse gli occhi, perché guardare le faceva male. -Dammi il tempo di lavarmi e...-
-Non hai impegni, adesso.- la interruppe Shaan, che dal tono sembrava seccato.
Si trattava di un “seccato” diverso dal solito, però. Un genere di “seccato” che aveva carattere affettuoso.
Adra, seduta compostamente alla scrivania di consultazione, si schiarì la voce. -Come sta, dottoressa?- domandò, pacatamente.
Anche quello era un atteggiamento di facciata. Lavellan riuscì a definire un’irritazione palese nel suo tono. Il fatto che proprio Adra, personificazione della sincerità, si sforzasse di nascondere i suoi sentimenti suggerì a Lavellan che quella fosse una riunione che di piacevole aveva solo l’aspetto dei suoi partecipanti. Erano lì per lei, ma lei non voleva essere lì per loro, a subire.
Stanca di sentirsi trattare come un’incapace, si costrinse a mettersi a sedere, nonostante il suo corpo le chiedesse tregua con tutti i segnali che potesse fornirle. -La preoccupazione non giustifica quello che è successo.- disse, guardando tutti con aria delusa. -Non vi sembrate ridicoli a cospirare contro di me per una cosa del genere? Immagino che vi siate sentiti grandi e generosi, ridendo sotto ai baffi perché la stupida della sottoscritta finiva per cascare nelle vostre premure ogni volta.-
-Non puntarmi il dito contro, io non ne sapevo niente.- disse Amun, guardando tutti con astio.
-Non potevi non saperlo, tutta Skyhold lo sapeva!- sbottò Lavellan, che non era assolutamente in vena di scusanti. -Ma chi vi credete di essere? Con il piattino di noccioline sempre pronto e ben visibile a tutti, così si sparge la voce tra i lavoratori e gli assistenti di chi viene in visita. Non ci avete pensato che invece di proteggere la mia reputazione mi state facendo danno?-
La mandibola di Shaan si chiuse in una morsa, ma non disse niente.
-Con tutto il rispetto, dottoressa.- intervenne Adra, granitica. -Se lei per prima non dice nulla, come può presupporre che gli altri le vengano incontro?-
-Cosa vi costava parlarmene?-
-E a lei cosa costava confidarsi?-
Lavellan ritrasse il capo, per poi dare uno sbuffo di indignazione. -Là fuori c’è tutta la banda di Corypheus a terrorizzare il Thedas, e quando non ci sono loro ci sono i briganti, e quando non ci sono i briganti ci sono le contese tra nobili e… diamine, potrei passare un’ora a elencare una lista di problemi che superano di gran lunga il mio! Non ho il tempo per gestirlo, Adra, non ho il tempo di gestire niente.-
-Sarebbe un tempo di gran lunga inferiore a quello che le serve per riprendersi quando il suo corpo non riesce a starle dietro.- precisò la sua interlocutrice, incrociando le braccia sul petto. -Se ne rende conto anche lei che le tempistiche di ripresa sono sempre più lunghe.-
-E i problemi sempre più frequenti.- si aggiunse Amun. -Scusa, Ankh, anche se non approvo quello che è successo, devi ammettere che la cosa ti sta sfuggendo di mano.-
Shaan si passò una mano tra i capelli nervosamente, in seguito a un’imprecazione. -Come puoi pensare, come potete pensare che una voglia confidarsi quando sembra che l’attività preferita delle masse sia vomitarle addosso i problemi.- disse.

-Non penso di averle mai vomitato addosso i miei, di problemi, semmai mi sono resa sempre disponibile ad aiutarla ad affrontare i suoi.- precisò Adra, piccata.
-Dalle una cazzo di tregua, allora!- rispose lui, alzando la voce. -Non è possibile mettere in imbarazzo una persona in questa maniera e stupirsi perché reagisce male. Cosa pretendi che faccia, che ti ringrazi?-
Lavellan spostò lo sguardo altrove, non potendone più di quella discussione. Ancora una volta, sembrava che le persone attorno a lei la trattassero come qualcosa da compatire, senza darle il beneficio di esprimere un’opinione.
-Non ho mai preteso niente dalla signora, lo sai benissimo!- sbottò Adra. -Ma non posso nemmeno restare a guardare mentre si fa male da sola.-
-Hai ideato tu questa cosa?- le domandò Amun.
-Ha importanza?- replicò Adra, secca. Dopo un attimo di raccoglimento, aggiunse: -No, non sono stata io, ma l’ho assecondata volentieri.-
-Che meraviglia!- commentò Shaan, squadrandola da capo a piedi con aria delusa.
Adra a quel punto non era più intenzionata a lasciar correre. -D’accordo, giudicami! Almeno io non la seguo come un’ombra lamentandosi che non rispetta delle assurde scalette!-
-Se non esistessero le mie scalette, gli impegni che ha sarebbero il triplo e mal gestiti!-
-Non puoi dire a me che la stresso quando tu sei il primo a...-
-Basta.- dichiarò Lavellan, con decisione.
Il gruppo tacque, nonostante sui loro visi ci fosse tutta l’intenzione di non lasciarla passare liscia alle altre parti.
A Lavellan non importava, voleva solo del tempo per calmarsi e riflettere. Il problema era che non ne aveva.
-Penso che andrò a farmi un giro.- disse, rialzandosi a fatica. Da arrabbiati che erano, i tre cambiarono drasticamente atteggiamento.
Prima che potessero umiliarla anche con la loro preoccupazione, Lavellan si fece forza e lasciò la stanza, diretta alle scuderie.

Era l’ora più buia della notte, ma così non sembrava perché la quantità di nuvole che si ammassavano in cielo era talmente pregna d’acqua da riflettere la luce delle lune. Questa situazione atmosferica regalava alla superficie l’aspetto di una sera forse un po’ troppo uggiosa, con una gamma cromatica che rimbalzava dal grigio al viola.
Sentire l’aria fredda e umida sulla pelle fece un bene immenso a Lavellan, che si ritrovò a pensare di costruirsi una cuccia nel cespuglio di osmanto su cui si era appoggiato il suo sguardo, per guarire e dormicchiare fino all’alba.
Prima però voleva chiarire le cose.
La sua intenzione infatti non era di “farsi un giro”, come aveva riferito ai suoi, ma di cercare casa.
Le scuderie, dopo i violenti acquazzoni, erano la base preferita del suo compagno.
La scusa che lui utilizzava per rifugiarsi lì, nonostante avesse molte più opzioni, era che le bestie soffrissero dei cambiamenti climatici in maniera molto più viscerale e quindi necessitassero di più attenzioni.
Dopo il primo grande temporale a Haven, lui aveva passato la notte a spazzolare il manto dei cavalli, ad asciugarli ed elogiarli per essere stati davvero coraggiosi. La stessa tradizione se l’era portata a Skyhold, anche se lì i temporali avvenivano in maniera molto meno frequente.
Puntualmente, Lavellan si diceva che non erano i cavalli a essere bisognosi di attenzione, quindi dopo ogni temporale si costringeva ad alzarsi dal letto o a smettere di fare quello che stava facendo per rassicurarlo che andasse tutto bene, così come lui faceva con le bestie. Ovviamente, non diede mai a intendere che aveva capito che lui forse i temporali li associava a qualcosa di più profondo della paura fine a se stessa.
Mentre camminava attraverso il cortile, si diede dell’incoerente, paragonando tutte le accortezze che aveva avuto nei confronti degli altri all’accortezza che gli altri avevano avuto per lei. Alla fine, entrambe erano gentilezze che venivano dal cuore.
A quel punto, si chiese perché avesse reagito in quel modo, quando loro avevano fatto quello che lei faceva regolarmente con le persone che amava.
Il modo. Il modo l’aveva ferita, si ricordò. Nel suo cuore c’era una grande delusione, la quale teneva a braccetto un imbarazzo che non riusciva a scrollarsi di dosso.
Pensando, raggiunse velocemente le stalle.
Cullen stava spiegando a un’attenta Cornelia e al branco di cervi halla che le persone non gradiscono quando vengono loro masticati capelli e vestiti.
-Anche se a voi sembra un gesto d’affetto, non è educato farlo.- li rimproverò dolcemente, mentre il Reale Sedici faceva esattamente quello per cui veniva accusato, ruminando distrattamente un lembo del suo mantello. -Se proprio vuoi passare il tempo con qualcuno e non sai cosa fare dei tuoi denti, prova a masticare un rametto.-
Cornelia sbuffò, indignata.
-Lo so, lo so, non è paragonabile, ma non sai mai su cosa si sono strusciate le persone. Il rametto è più igienico e ti fa bene alle gengive.-
Cornelia sbatté le ciglia, chinò appena il capo con aria riflessiva, poi diede un morso gentile alla trave che sorreggeva i cancelli del suo box. Cullen ridacchiò, mentre anche il Passosicuro si attaccava a una trave per copiarla.
A quel punto, si voltò verso il Reale Sedici. -Vedi? Non è difficile.-
Quello ignorò le sue parole, continuando a ruminare senza nessun rimorso.
Lavellan purtroppo non riuscì a ridere della scena, o a intenerirsi. Gli diede giusto il tempo di liberarsi il mantello, poi si avvicinò.
Cornelia, che l’aveva già vista e sentita, continuò a fare quello che stava facendo con più enfasi, a caccia di complimenti. Lavellan le passò una mano sul muso in segno d'approvazione, poi si rivolse al suo compagno. -È stata una tua idea?- gli chiese.
Cullen, confuso e sorpreso che lei mantenesse le distanze, aggrottò la fronte. -A cosa ti riferisci?-
-I pranzetti.-
Lui la descrisse con uno sguardo indagatore. -I pranzetti.- le fece eco, cercando di fare mente locale. Quando realizzò a cosa si stesse riferendo, il suo viso entrò in uno stato di tensione. -No, ma è mia la colpa.- rispose, sincero. -È successo in un momento in cui volevo esprimere gratitudine. Purtroppo, non mi sono soffermato a pensare alle conseguenze delle mie parole.-
Lavellan deglutì, cercando la forza di proseguire la conversazione. -Puoi elaborare?-
Cullen non osò deflettere. Le raccontò per filo e per segno ciò che era successo al Palazzo d’Inverno, concentrandosi sulla conversazione che aveva avuto con Dorian e Leliana nelle cucine della dependance in cui alloggiavano. -Pensavo di fornire una spiegazione, non un suggerimento.- le confidò, in conclusione. -Mi dispiace. Sai che non agirei mai alle tue spalle.-
-Però l’hai fatto anche tu.-
-Lo faccio anch’io sì, quando vedo che non riesci a pensarci da sola.- rispose lui, senza difendersi. -Il problema è che hai troppa pressione addosso e nessuno che possa capire quello che stai passando. Spiegarsi è difficile, lo so meglio di tutti, perché nemmeno per te è chiaro quello che ti sta succedendo.-
Il cuore di Lavellan accelerò i battiti.
-Non ho mai avuto amicizie profonde, dopo Kinloch, sia perché mi spaventava l’idea che capissero quello che mi stava succedendo sia perché ero sicuro che non avrebbero capito. In ogni caso, invece di aiutarmi mi avrebbero proposto una pietà che non sentivo di meritare.- proseguì Cullen, avvicinandosi a lei per mantenere un tono di voce moderato. -Quando sono con te, sento che mi capisci perfettamente anche senza doverti dare spiegazioni. Spiegazioni che hanno bisogno di tempo per vedere la luce, ma che ti fornisco puntualmente, senza che ci siano pressioni da parte tua.-
Lavellan deglutì di nuovo, mentre la vista le si appannava.
-È quello che succede anche a te, non è vero?-
Lei annuì, senza riuscire a elaborare. Le lacrime che le rigavano le guance non erano liberatorie.
Cullen, combattendo contro l’impulso di confortarla, rimase dov’era, trasmettendole fermezza con lo sguardo. -Ti senti pronta, adesso?-
Lavellan rimase in silenzio a lungo poi, lentamente, sollevò la mano sinistra per sfilarsi il guanto.
Subito, i box vennero illuminati a giorno da una luce accecante, quasi che ci fosse la presenza di uno squarcio.
Come il vetro che protegge le lanterne, la pelle di Lavellan era trasparente. Il sistema circolatorio e nervoso che avvolgevano le ossa delle dita fino al palmo erano perfettamente visibili. Perfettamente in mezzo a quell’immagine macabra, l’Ancora vibrava dell’energia che emetteva, come una strada troppo calda in piena estate.
Cullen guardò la situazione a occhi sgranati e bocca aperta, senza capacitarsi di come quella ferita magica avesse potuto peggiorare drasticamente in così pochi mesi. La stava divorando, lentamente ma con costanza. E, assieme a lei, il suo tempo, condizionando le sue scelte e impedendole di vivere serenamente né il presente, né il futuro.
Spostò lo sguardo verso il viso di Lavellan, che a quel punto era una maschera di dolore. La osservò lottare con tutta se stessa pur di non disperarsi e quella dignità gli diede il coraggio di prendere la sua mano tra le proprie e appoggiarsela al petto.
In un momento in cui riuscì a prendere in contropiede la disperazione, Lavellan trasse un respiro profondo, per calmarsi. -Cosa devo fare?- gli domandò, con la determinazione nello sguardo, reso lucido dall'ansia.
Cullen si portò di fronte a lei, senza lasciare la presa sulla sua mano. -Bere un bicchiere d'acqua, abbracciarmi forte e ascoltarmi mentre ti espongo il mio piano.- disse, rivolgendole un sorriso triste.
Lavellan esalò una risata secca e liberatoria, mentre il suo corpo si piegava appena dal sollievo. -Possiamo anticipare il secondo punto?- chiese.
Cullen in risposta passò ai fatti, avvolgendola tra le braccia.




-Nota-

Due memini per sgrassare un pochino:
Shaan nel prologoShaan nel mezzo del capitolo
also Cullen

 

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Capitolo 32
*** Misure ***


CW: disordini alimentari


Il cielo si calmò poco prima dell’alba, rilasciando un leggiadro velo di pioggia su Skyhold.
Quella grazia permise agli altri rumori di tornare a prendere finalmente un’identità nello spazio. Lo stormo di tortore che aveva preso possesso dei giardini eseguì regolarmente il concerto borbottante che seguiva il canto del gallo ogni mattina, venendo poi assecondato dal frusciare sommesso delle fronde più alte dei pini secolari che circondavano la fortezza.
Lavellan sfiorò con lo sguardo il cielo, attraverso la finestra socchiusa. Un intervento della frescura mattutina le tinse di rosso naso e guance.
Lei e Cullen si trovavano in una delle stanze degli ospiti, l’ultima porta della parete di muro settentrionale che cingeva i giardini.
Prima di quel momento, l’avevano sempre sfruttata quando le conseguenze più fastidiose dell’astinenza di Cullen non gli permettevano di tornare in tempo alle sue stanze, per quello Josephine evitava sempre di assegnarla a chi veniva in visita.
Difatti, non era tenuta alla pari delle altre, il mobilio (un letto a una piazza e mezza, un armadio e un tavolo tarlati) era spartano e non veniva arieggiata abbastanza. L’odore intenso del legno, in combinazione con quello della pietra umida, avevano una presenza talmente ingombrante da sembrare tangibili tanto quanto lo erano i mobili.
Lavellan inspirò il profumo di resina che le rimandava la brezza, chiudendo le palpebre per un istante, poi si voltò verso la porta d’ingresso, che si era richiusa alle spalle di Cullen.
Con calma, lui adagiò un vassoio coperto sul tavolo, poi la raggiunse per consegnarle un fagotto di vestiti puliti e salutarla con un bacio sulle labbra.
Indugiarono quanto bastava per riprendere calore nell’anima, poi Lavellan allacciò le braccia dietro al suo collo, volendo restargli abbracciata per prolungare il saluto il più possibile. Cullen la assecondò, avvolgendosi su di lei come un soprabito.
Avevano trascorso il resto della nottata a parlarsi e ad ascoltarsi, sviscerando il problema per trovare una soluzione. La fame e la sua assenza, che lottavano e si compenetravano, erano l’anticamera di un magazzino di problemi di cui non si vedeva né il soffitto né il pavimento. Lavellan non aveva modo di riconoscere molti di quei problemi, né di trovare un modo di ordinarli; appresso ai pochi di cui era consapevole, però, si sprigionava una ramificazione di cause e scusanti che non riusciva a controllare.
In virtù di quella confusione, entrambi concordarono che il primo scoglio da superare fosse una giornata di pasti regolari, per definire la questione in modo da trovare delle soluzioni logiche e cambiare approccio qualora Lavellan si sentisse sopraffatta.
Si sciolsero dall’abbraccio di malavoglia.
Egoisticamente, Lavellan si addossò tutta la sofferenza che conseguiva da quel distacco, perché oltre a vedersi privata del contatto fisico, andava incontro a una situazione che la metteva in difficoltà.
Si limitò a indossare una camicia sopra il corsetto e si diresse verso il tavolo con aria mesta.
-No, è troppo.- protestò, tormentandosi le mani mentre passava uno sguardo preoccupato sul vassoio di carne, uova strapazzate e verdure di stagione che Cullen si stava occupando di sistemare sul tavolo.
La concezione di “pasto regolare” per Cullen (che in realtà era una porzione contenuta di alimenti atti ad aiutare i muscoli a funzionare bene durante la mattinata), per Lavellan era di un'abbondanza terrificante.
La sua condizione la portava a vedere ciò che aveva davanti come se fosse al di sotto di una lente d'ingrandimento. Un piattino si trasformava in un vassoio, una fetta di pollo arrosto diventava una faraona intera e un broccolo assumeva le dimensioni di una sequoia.
-Non c'è della frutta?- domandò, rinnegando il brontolio del suo stomaco.
Cullen, dopo averla accompagnata a sedersi, prese posto al suo fianco. Scosse la testa. -La frutta è bandita fino a stasera, sennò mangeresti solo quella.- disse, porgendole una forchetta. Lei esitò, prima di raccoglierla tra le dita come se avesse a che fare con una freccia avvelenata.
Guardò il piatto di cibo, poi il piattino vuoto di fronte a sé, con una smorfia di preoccupazione dipinta in viso.
-Con calma, Lav. Come abbiamo deciso prima.- la incoraggiò lui, distogliendo lo sguardo per permetterle di gestire la situazione a modo suo, senza farle pressione.
-Un cucchiaio alla porzione. Un cucchiaio alla porzione.- borbottò lei, ripetendo quella frase come una litania, mentre si serviva il cibo che aveva effettivamente stomaco di sopportare. Rimase con la forchetta a mezz'aria per diversi istanti, poi sbuffò, aggiungendo una forchettata in più di verdure. -Ci sono.- annunciò, cercando di reprimere il senso di frustrazione che provava in quel momento.
Cullen si voltò per sbirciare il suo piatto. Il cibo che si era servita era esiguo, ma lui evitò di commentare, preferendo servirsi a sua volta.
-I primi tempi, appena vedevo un banchetto del genere mi prendeva una nausea che non ti dico.- ammise, tranquillamente. -Per due settimane mi sono nutrito solo di acqua e di buone intenzioni.-
-Ti succede anche adesso?- domandò lei, rigirando un pezzo di verdura nel piatto.
Cullen finì di masticare il boccone, annuendo. -Più spesso di quanto immagini, ma molto meno rispetto all'inizio.- proseguì. -Quella tisana orripilante che mi fai bere alla sera mi ha dato un grande aiuto.-
-Te l'ho detto che va allungata.- lo rimproverò lei.
Cullen rise. -Amore mio, luce puntata sui miei occhi di prima mattina, sarebbe orribile anche se l'allungassi con un barattolo intero di miele.- scherzò.
-Esagerato!-
Divertito, la osservò dividere la carne in pezzetti microscopici. Il suo sguardo le carezzò le clavicole, fino a soffermarsi sul suo petto. Con l’estremità del manico della forchetta, le punzecchiò debolmente il seno, generando dapprima un lieve sussulto, poi un’occhiata forzatamente contrariata.
-Insomma, quel poco che mangi finisce tutto lì.- sdrammatizzò, indicando la sua anatomia con un cenno del capo.
Lavellan smise di rendere il pollo una tartare e chinò lo sguardo, come per controllare che tutto fosse al suo posto.
-Se ci dovessimo basare sulla crescita in base alla quantità di cibo incamerata...- proseguì lui, con nonchalance. -Diciamo che i conti non tornano, ecco quanto.-
Lavellan smorzò una risata. -Sarebbe meglio se tornassero, onestamente.- ammise, guardandolo con una punta di malizia. -Ma non eri un tipo da sedere, tu?-
-Da gambe.- la corresse Cullen, dopo aver deglutito un boccone di verdure. -Prima di conoscerti, almeno. Adesso sto rivalutando un pochino le mie priorità.-
-Numi, ti ho mandato in crisi mistica?!-
-Completamente. E non potrei essere più felice di così.- rispose lui, per poi tornare a concentrarsi sul cibo.
Lavellan lo osservò a lungo, con un’espressione sorniona, scosse la testa e seguì il suo esempio, pensando a quanta strada avessero fatto da che si erano conosciuti. Avevano raggiunto un livello di familiarità che molte coppie convenzionali si trovavano a vivere solo dopo il matrimonio.
-Oggi sei esentata dall'allenamento, comunque.-
Lavellan, che si stava ripulendo il palato con un sorso d'acqua, gli gettò uno sguardo confuso.
-Che c'è, l'idea di passare la giornata attaccati come due mani in preghiera non ti va più bene?-
Lei rise di gusto, raccogliendosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. -Guarda che ho degli impegni anch'io, altra metà della mela.- suggerì.
-Il tuo segretario me l'ha fatto presente.-
-Te l'ha fatto presente prima o dopo averti preso a librate sulla testa?-
-Ho detto che sei esentata dall'allenamento, non dai preparativi per Emprise. Gli ho dato la mia scaletta e abbiamo trovato un paio di compromessi.- spiegò, coprendosi la bocca con il dorso della mano. -E per oggi, il consiglio sarà in mano a noi quattro.-
Lavellan aggrottò la fronte. -Hai parlato con le altre?-
-No, ho preferito avvisarti prima di aggiornarle, nel caso avessi intenzioni diverse.-
Lavellan esitò, prima di ringraziarlo. -Preferirei farmi travolgere da un branco di halla in corsa, piuttosto che confrontarmi con loro, ma…- rigirò l’ultimo boccone di carne che aveva sul piatto, distrattamente. -Penso di doverlo fare io, sì.-
Cullen le rivolse uno sguardo orgoglioso, che aveva un accenno di malinconia. -Lo immaginavo.- disse.
Lavellan colse quella sfumatura e non si fece problemi a farglielo presente. -E?-
-Prenditi i tuoi tempi e impara a perdonarti quando sbagli, amore mio.- elaborò lui, sporgendosi appena nella sua direzione. -Promettimelo.-
Lei annuì piano. -Ce la metterò tutta.- mormorò.
-Ottimo lavoro, comunque.-
Lavellan aggrottò la fronte, perplessa, poi chinò lo sguardo sul suo piatto, vuoto. -Oh, grazie.- disse, con aria sorpresa.
Lui curvò le labbra nel formulare un sorriso soddisfatto, poi finì la colazione con tutta la calma del mondo, distraendo la sua compagna abbastanza a lungo da associare al pasto la colloquialità necessaria per strappare via una piccola porzione del potere che il cibo aveva su di lei.


 

31 – Misure


 

La quotidianità rumorosa di Skyhold li accolse non appena misero piede, insieme, fuori dalla stanza.
Si congedarono con un sorriso, dandosi appuntamento dopo la prima riunione del consiglio, quindi Cullen si diresse in caserma, Lavellan invece scese le scale che portavano ai giardini, con l’intenzione di affrontare Cassandra per prima.
Era quella del cui giudizio aveva più timore, nonostante sapesse che si sarebbe offerta di darle una mano, coprendole le spalle anche in quella situazione. Il problema di Cassandra alla fine era il modo, le sue intenzioni erano genuine.
Purtroppo, i residui della giornata precedente permanevano sulla sua pelle come pece. Sentiva la pietà di tutti attaccarsi alla sua schiena, nonostante fosse certa che la sua fosse solo paranoia. Mettere in pratica della sana convinzione, purtroppo, era difficile.
E convincersi a non essere l’Inquisitrice per un giorno lo era ancora di più.
“Devi rispondere che sei impegnata e direzionarli su chi potrebbe risolvere il problema oltre a te.” le aveva suggerito Cullen. E Lavellan, imponendosi di pensare che nell’immediato presente era lei ad avere la priorità, evitò di indulgere troppo nell’empatia e lottò contro se stessa per tutta la distanza che intercorreva tra i giardini e il cortile.
-Inquisitrice!-
Lavellan stava per affrontare il primo scalino della gradinata antistante il vestibolo del salone. Prese un respiro profondo a occhi chiusi, poi rivolse un sorriso a Josephine, che la stava raggiungendo a passo spedito.
Dato che aveva comunque intenzione di parlarle, la aspettò, il cuore che aveva preso a bussarle sul petto a doppia velocità.
Prima ancora che potesse aprire bocca, però, Josephine la anticipò. -Li abbiamo trovati.- disse, con una certa urgenza nel tono di voce. -Ma dobbiamo agire subito o si sposteranno.-
Lavellan rimase a bocca aperta per un istante, prima di prendere le redini della situazione. -Avete trovato l’esploratore, o il clan?-
-Entrambi.- le rispose Josephine, appoggiandole una mano sul braccio per invitarla a seguirla. -Leliana possiede tutti i dettagli del caso, ci sta aspettando.-
Lavellan si sforzò di riflettere, anziché ascoltare l’istinto, il quale la spingeva verso la sala del consiglio.
Di fronte a lei c’era un bivio ed entrambe le direzioni portavano a un conflitto: a sinistra c’era la possibilità concreta di una risoluzione al problema che a quel punto era diventato personale, ma si sarebbe lasciata alle spalle il ritardo di una pausa doverosa; a destra invece si spianava un percorso di guarigione, ma seguendolo avrebbe delegato una sua responsabilità a terzi, rischiando di esacerbare una situazione già di per sé spinosa.
-Inquisitrice? Ankh?- la chiamò Josephine, vedendola indecisa.
Lavellan la guardò con uno smarrimento palese nel viso. A quel punto, avrebbe dovuto mettere le carte in tavola, ma non lo fece, perché tutti i discorsi che si era preparata le sfuggivano, assumendo una sfumatura effimera.
-Andiamo.- disse, provando uno strano senso di sollievo nella trasgressione.

All’arrivo, Leliana le fece cenno di raggiungerla dall’altro lato del tavolo di guerra, per mostrarle una serie di messaggi dispiegati di fronte a sé.
Nonostante le occhiaie le appesantissero le guance, aveva un’espressione speranzosa.
-Sono a due chilometri da Perendale.- disse, porgendole il primo. La scrittura era stretta e leziosa, parlava di un clan dalish analogo alla descrizione fornita, inizialmente diretto ai Liberi Confini. Erano stati allontanati dai confini della città e si stavano dirigendo a sud-est, per aggirare i centri abitati. -Li ho messi sotto sorveglianza. Dobbiamo mandare qualcuno di autorevole immediatamente, o potremmo perderli nelle paludi di Nahashin.-
Lavellan diede una rapida occhiata alla mappa, l’espressione di chi ha appena morso un limone. -Ma non potevano restare nell’Orlais?- borbottò, con somma scontentezza.
Leliana inarcò un sopracciglio, curiosa. Josephine guardò le sue colleghe a turno, poi si soffermò sul secondo messaggio. -Stanno chiaramente fuggendo.-
-Colpevoli o meno, fuggire è la soluzione logica.- ammise Lavellan, recuperando il terzo. -Purtroppo, i loro cacciatori non sono molto abili se si sono fatti scoprire. Evidentemente, stanno cedendo alla pressione.- lesse il messaggio con cura, prima di rivolgersi a Leliana. -Non li perderemo. Ho già in mente chi mandare.- la rassicurò, senza metterci troppo entusiasmo.
-Avevi detto di non avere familiarità con i clan dell’Orlais settentrionale.- disse quella, con aria poco convinta.
-Ricordi bene.- confermò Lavellan. -Ma se si stanno dirigendo verso la Via Imperiale tramite le rotte dalish, saranno costretti a passare nella piana di Ghislain.- fece una pausa. -Conosco bene un clan che bazzica i confini di Nevarra, non avranno problemi a intercettarli.-
-E poi?- domandò Josephine, appoggiando una mano sul tavolo per sporgersi verso le colleghe.
-Poi ci faremo dire quello che è successo.- rispose Lavellan, asciutta.
-Sappiamo quello che è successo. Hanno lasciato un villaggio intero a morire di inedia.- le ricordò Josephine.
Lavellan la colpì con un’occhiataccia, mentre Leliana sottoponeva loro l’ultimo messaggio. -Può anche essere che non fossero a conoscenza del nostro coinvolgimento. Hanno trovato il corpo dell’esploratore sulle spiagge di Lydes. Del sindaco non c’era traccia.-
-Si sa com’è morto?-
Leliana scosse la testa. -Sono in attesa di aggiornamenti.-
Lavellan si prese i suoi tempi per osservarla bene. -Immagino che non ci fosse traccia nemmeno del documento.-
Il silenzio della collega confermò la sua ipotesi.
Josephine esalò un sospiro di frustrazione, passandosi una mano sulla fronte. -A questo punto, speriamo che sia stato poco furbo e si sia rivolto a nobili con cui intratteniamo relazioni amichevoli, o che non vedano quel documento come un espediente per ricattarci.- disse, riordinando i messaggi sul tavolo. -Dopo Adamant, stiamo camminando sul filo del rasoio.-
-Da quando siamo nati siamo sul filo del rasoio.- la corresse Lavellan.
In quel momento la porta si aprì ed entrò Cullen, trafelato. -Scusate il ritardo.- disse, raggiungendo il tavolo con aria scontenta. Quando si rese conto che Lavellan era presente, il suo viso si fece severo.
Lei, che da che aveva varcato la soglia era entrata in uno stato di panico, raccolse i messaggi e glieli porse. Cullen ci mise un po’ a raccoglierli, preferendo prima rivolgerle un’espressione di rimprovero.
Leliana colse al volo quello scambio, ma evitò di esprimere opinioni. Piuttosto, lasciò che Josephine ricapitolasse gli aggiornamenti alla situazione, senza smettere di analizzare i suoi colleghi alla ricerca di indizi.
-Possiamo fidarci di questo clan?- domandò Cullen, facendo riposare l’avambraccio sull’impugnatura della spada.
Lavellan si prese una manciata di secondi prima di rispondere, come se fosse in difficoltà a fornire più informazioni. -Possiamo fidarci. Flisiel è uno dei cacciatori più abili dell’ovest, Shaan e Amun possono confermarlo. Tiene al sicuro il suo clan da decenni perché è bravissimo a parlamentare con i nobili della zona. Molto spesso viene convocato da altri clan per risolvere situazioni spinose.- spiegò. -Ora che ci penso, è probabile che si siano mossi in quella direzione per cercare il suo aiuto.-
Josephine le si avvicinò. -Lo conosci bene?-
Lavellan esitò di nuovo. -Lo conosco abbastanza da convincerlo a trattenerli per scoprire più informazioni.-
-Perfetto.- dichiarò Leliana, raccogliendo i messaggi che Cullen le stava porgendo. -Io nel frattempo cercherò di acciuffare il sindaco.-
-Consultati con madame Vivienne.- le suggerì Lavellan, accarezzandosi lo stomaco in risposta a una sensazione di malessere crescente. -Io mi occuperò di mandare un corvo, nel frattempo.-
-Puoi delegarlo?- le domandò Cullen, a mezza voce. C’era un palese accento di accondiscendenza nel suo tono di voce.
Lavellan non osò incrociare il suo sguardo. -Devo occuparmene io. Se lo facesse Shaan non avrebbe lo stesso effetto.-
Cullen, che la fissava con intensità, si limitò ad annuire.
-Beh, già che siamo tutti qui, possiamo anticipare la riunione.- disse Josephine, muovendosi per recuperare il suo leggio. Prima che potesse aprire bocca, però, Lavellan decise che era arrivato il momento di prendere i suoi propositi con la dovuta serietà.
-Non sarò disponibile, oggi.- disse, cercando di mantenere un tono di voce fermo.
Josephine e Leliana la guardarono con interesse, Cullen parve rilassare di poco la postura.
Lavellan in quel momento si sentì di una stupidità allucinante, mentre cercava le parole adatte da sottoporre alle due. -Ho… bisogno di una pausa.- disse, abbassando involontariamente il tono di voce. Sapeva di dovere alle sue colleghe la stessa sincerità che aveva mostrato al suo compagno, ma allo stesso tempo sentiva che non l’avrebbero capita alla stessa maniera. Anche per quel motivo avrebbe preferito confrontarsi con Cassandra per prima, per prendere le misure e arrivare da loro ben preparata alle conseguenze.
Josephine diede una rapida occhiata all’ordine del giorno, mentre Lavellan tentennava, immobilizzata dalle parole che avrebbe dovuto dire e che la stavano incatenando in un silenzio imbarazzato. -Dobbiamo fare un piano d’azione prima che tu parta per Emprise, Inquisitrice. Dopo questo, possiamo...- si zittì, a un cenno di Leliana.
Istintivamente, in seguito a quell’interruzione Lavellan si sentì messa con le spalle al muro e cercò immediatamente lo sguardo di Cullen. Purtroppo, nel suo viso riconobbe un senso di aspettativa troppo grande per lei e si sentì catapultata nello stato emotivo in cui si era trovata la sera precedente. -Smettetela di trattarmi come una stupida!- sbottò, indietreggiando di un passo. -E di farmi sentire in colpa perché voglio rimediare ai miei errori.- alzò una mano, per evitare che qualcuno intervenisse. -Non devo giustificare la mia presenza qui, adesso, e non dovrei giustificare la mia rabbia dopo aver scoperto che state agendo tutti alle mie spalle.-
Josephine ammiccò, confusa. -Agire alle tue spalle?- le fece eco. -Che sta succedendo?- chiese.
Nessuno le rispose e Cullen vide i suoi tentativi di essere incoraggiante fallire miseramente. La paranoia aveva preso il sopravvento.
-C’è qualcosa che dovremmo sapere?- domandò Leliana, portandosi all’estremità del tavolo per osservare la scena nel complesso.
Di nuovo, nessuno disse niente. Lavellan, che non riusciva a trovare le parole per spiegarsi, prese a lisciare i messaggi sul tavolo con nervosismo. -Quello che succede alla mia gente è una mia responsabilità.- mormorò.
Di fronte a quell’affermazione, Cullen assunse un’espressione d’incredulità. -La tua gente non ci ha pensato due volte a metterti nei guai.- sbottò. -E tu non hai il dovere di aiutare chi non vuole essere aiutato, togliendo la priorità a chi ha realmente bisogno di noi. Se fossi lucida saresti tu a dirlo.-
Lavellan aggrottò la fronte. -Sono perfettamente lucida. Sono intervenuta sulla questione per la sua urgenza, non intendevo fermarmi.-
-Tutte le questioni all’ordine del giorno sono urgenti.- puntualizzò Cullen, alzando la voce. -Questioni di cui eravamo d’accordo che ce ne saremmo occupati noi quattro.-
Josephine a quel punto era ancora più confusa. Si voltò verso Leliana alla ricerca di spiegazioni, ma ottenne solo una declinazione dei suoi stessi sentimenti.
-Quelle sono diverse.- rispose Lavellan, sulla difensiva. -Questa- sollevò i messaggi -mi riguarda.-
-Lo stai rifacendo.- ribadì lui, appoggiando le mani sul tavolo nello sporgersi in avanti. -La stai mettendo sul piano personale.-
-Perché è personale! Ho sbagliato!-
-E continuerai a sbagliare se resterai qui, a fare finta di stare bene.-
Leliana capì al volo di cosa stessero parlando. Lo diede a vedere con un lieve cambio della postura, ma non intervenne.
-Non sto fingendo di stare bene, non ho mai finto di stare bene, sono qui a lavorare al meglio delle mie possibilità come tutti voi. Anzi, più di tutti voi, perché sto anche in prima linea.- si sfogò Lavellan, davvero al limite. -Sono stanca morta di dovermi giustificare!-
-Non dovresti, infatti.- disse Josephine, spalleggiandola. -E non mi piacciono i toni di questa conversazione. Facciamo tutti un passo indietro e cerchiamo di essere professionali.-
-Non questa volta.- intervenne Leliana, portandosi con calma a fianco di Cullen. Guardò Lavellan a lungo, prima di parlare. -Inquisitrice, non me ne volere, ma sono stata io ad agire alle tue spalle, per paura che la tua condizione influenzasse le tue capacità di giudizio. Ho avvisato e poi istruito gli altri affinché ti aiutassero senza che tu ne fossi consapevole, perché mi sembrava la cosa migliore da fare.-
Sconvolta, Lavellan schiuse le labbra, alla ricerca di una replica, ma non ne trovò di abbastanza affilate.
-Perché?- chiese Josephine, al suo posto. Era perplessa tanto quanto Lavellan, se non di più.
-Per prevenire.- disse semplicemente Leliana.
Loghain. Meredith. Quello voleva prevenire.
Qualcosa si ruppe dentro a Lavellan. Il suo corpo reagì alle implicazioni di quel tradimento con una contrazione gelida che coinvolse il collo e la trachea. -Pensavo fossimo amiche.- disse, con una purezza che mandò in tilt tutti gli occupanti della stanza.
Lavellan si ritrovò trascinata al punto di partenza; con Leliana, con se stessa, con tutto il resto. E per la prima volta da che era iniziata quell’esperienza, valutò seriamente di abbandonarli.
Senza aggiungere altro, fece il giro del tavolo, prese la via della porta e se ne andò, lasciando Cullen e Leliana a fissare il tavolo mentre Josephine diventava la personificazione della furia.
-Sei incredibile.- sibilò, diretta a Leliana. -Voi tutti siete incredibili.- reiterò, guardando Cullen dritto negli occhi. -Mi aspetto che entro stasera le vengano presentate delle scuse formali e informali, e se potete guardatevi allo specchio allo stesso modo in cui avete guardato lei adesso, così da vedere quanto siete patetici.- li rimproverò, per poi lasciare la stanza a sua volta.

 

*



Cassandra prese di petto la confessione di Lavellan, così come succedeva per mille altre questioni.
-Sai bene che la pazienza non è il mio forte.- le disse, osservando con aria accigliata la cascata che delimitava la fucina. -Però su una cosa sono brava: posso insegnarti a essere più disciplinata.-
Lavellan, seduta sul suo piano di lavoro, sbuffò una risata secca. -La disciplina non serve a un cazzo quando ho lo stomaco chiuso.- disse.
-Però ti può tornare utile quando lo stomaco ti funziona e il cervello no.-
Lavellan abbrancò l’aria di fronte a sé. -Ogni tanto sento l’urgenza di strapparmelo di dosso e di spremerlo come un limone.- disse, a denti stretti. -Non hai mai questa sensazione?-
-Non con il mio cervello.- rispose Cassandra, portandosi di fronte a lei. Le afferrò gli avambracci, se li buttò sui fianchi e l’abbracciò forte. Nonostante la sorpresa, Lavellan la assecondò, trovando immediatamente sollievo nella sua stretta.
-Non ti ci abituare.- borbottò Cassandra, appoggiando la tempia sul suo capo. Indossava un’espressione contrita, eppure dal modo in cui la stringeva era chiaro che abbracciarla fosse un atto necessario anche per lei.
Lavellan non disse nulla, per paura che finisse troppo presto.
-Chi devo picchiare?- domandò Cassandra, passandole una mano sulla schiena mentre lei si sfogava con singhiozzi impercettibili a ridosso del suo trapezio.
Lavellan ci mise un po’ a indossare una voce ferma. -Da chi preferiresti iniziare?-
-Ho già una lista, non ti preoccupare.- rispose Cassandra, senza osare separarsi da lei. -Te li metto davanti alla porta con un bel fiocco rosa. Poi vengo a picchiare te perché non mi hai detto prima come stavano le cose.-
-Pensavo di poterlo gestire.-
-Si è visto cos’è successo.-
Rimasero in silenzio a lungo, poi Cassandra si scostò appena, per porgerle un fazzoletto. Le scoccò un bacio sulla fronte, mentre si ricomponeva. -Domani andrà meglio.- la rassicurò.
Lavellan sbuffò, controllando lo stato del suo viso su uno specchietto. -Devo solo superare oggi.- commentò.
-Dobbiamo.- la corresse Cassandra. -Ho visto come impugni la spada. Fai gli stessi errori che fa Cullen. Devo intervenire. Poi possiamo pranzare insieme.-
Lavellan la guardò con aria sorpresa, e da quel momento smise di sentirsi in difetto.

E si concesse addirittura di ridere e farsi ridere dietro, perché se lei era una spadaccina mediocre, Cassandra era un’arciera insufficiente.
Non riuscivano a non battibeccare, si prendevano costantemente in giro, ma si divertirono come se il mondo attorno a loro non stesse andando a fuoco.
Vennero raggiunte da Josephine al salone dedicato agli allenamenti dopo un’ora che ci erano arrivate e i suoi commenti arguti, in combinazione con la sua abilità ad adattarsi a qualsiasi conversazione, sgrassarono l’atmosfera come il più raffinato dei liquori da dessert.
Si era seduta elegantemente su una cassettiera e si era fatta portare del tè caldo che aveva riempito l’aria di un pungente profumo di bergamotto. -Non la trovo affatto negata per la scherma.- disse, in risposta all’ennesimo commento di Cassandra sulla postura di Lavellan. -Scommetto, anche se non mi piace farlo, che se apprendesse l’arte antivana del fioretto potrebbe arrivare a dare del filo da torcere agli schermidori più capaci del Thedas. Ha delle gambe affusolate e veloci, e un’ottima attitudine all’apprendimento. Cosa ne pensi, cara Ankh, vorresti provare?-
Lavellan le rivolse un sorriso incerto, rischiando di farsi disarmare. -A me basterebbe riuscire a fare quel salto.- ammise.
-Ah, già, il salto!- esclamò Josephine, drizzando ancora di più la schiena. -Non ti preoccupare per quello. A me è successo con l’orlesiano. Nonostante mi allenassi giorno e notte e discorressi con la mia patrona assiduamente, non riuscivo a sbloccarmi.-
Cassandra disarmò facilmente Lavellan, costringendola ad arretrare. -Non mi sembra un paragone corretto, Josie. Imparare una lingua non è una questione di vita o di morte.- fece.
-Lo è se frequenti i salotti orlesiani.- la corresse Josephine, muovendo l’indice nella sua direzione. -Se sbagli anche solo a respirare, potresti ritrovarti con il vino avvelenato e diversi parenti caduti in disgrazia.-
Lavellan e Cassandra si scambiarono un’occhiata d’intesa. -Come sei riuscita a sbloccarti?- domandò la prima, sorvolando sulla brutalità del Gioco.
-Ho diviso l’obiettivo in tante piccole tappe.- rispose Josephine, dopo aver preso un sorsetto di tè. -Ogni tappa era una piccola vittoria e mi motivava ad andare avanti. In qualche mese sono riuscita a padroneggiare bene la lingua e ad adattarmi al contesto al meglio delle mie possibilità.-
-Effettivamente, è un ottimo consiglio.- disse Cassandra, rinfoderando la spada.
Lavellan però non sembrava convinta. Sistemò le spade d’allenamento in una rastrelliera e si sforzò di farsi servire una tazza di tè. -Però io l’orlesiano lo conosco già.- disse, osservando la bevanda con un certo nervosismo. -Il mio problema a quanto pare è un altro.-
-Ti manca la forza nelle gambe, suppongo.- ipotizzò Cassandra, unendosi a loro.
Lavellan esitò un istante. -È quello che sostiene Cullen.- disse, piano.
Rimasero in silenzio un istante, poi Josephine prese la parola. -Ti era mai successo di arrivare a questo punto?-
-No.- ammise Lavellan, sentendo la presenza del suo stomaco nello spazio, come se fosse un quarto interlocutore. Era anche vero che non aveva mai raggiunto simili livelli di stress in passato, con un dolore cronico ad accorciare la sua soglia di resistenza fisica ed emotiva.
-Come preferisci che ci comportiamo?- domandò Josephine, sporgendosi appena verso di lei. -Per venirti incontro, ovviamente.-
-Potreste evitare di guardarmi come se fossi un animale ferito.- rispose Lavellan, senza pentirsi di avere usato un tono accusatorio.
-Ah, beh, scusaci se siamo preoccupate!- la rimproverò Cassandra, dandole una lieve spinta giocosa.
Lavellan ridacchiò. Era abbastanza rilassata da permettersi di sorvolare. -Per ora va bene così, sto ancora prendendo le misure.- ammise, appoggiando la tazza ancora piena accanto alla teiera. Si rese immediatamente conto di quello che aveva fatto e la riprese, memore del piano d’azione che aveva stilato con Cullen durante la notte. -Hai più notizie dei De Fourier?- chiese, rivolgendosi a Josephine.
Approfittò del resoconto accalorato di un ballo d’estate per sorseggiare la bevanda, così da evitare che le presenti la raggiungessero con occhiate di giudizio troppo invasive. E riuscì a distrarsi a sua volta da quel suo compito, ridendo appassionatamente a certi dettagli troppo esagerati per essere veri, nonostante fosse appurato che lo fossero.
Trascorse così il resto della mattinata, lieta di non essersi dimenticata cosa significasse non avere una preoccupazione rimasta al mondo.
Questo finché il viso di Cassandra non si contrasse dal disgusto, mentre il suo sguardo raggiungeva la porta d’ingresso.
Lavellan raggiunse l’obiettivo del suo sguardo e venne pervasa dalla tensione.
Cullen si stava avvicinando a passo deciso, che tradiva appena un certo nervosismo dato da una postura fin troppo rigida. Il suo viso appariva teso tanto quanto lo era quello di Lavellan, che serrava la mascella e teneva le sopracciglia aggrottate.
Josephine si schiarì la voce, osservandolo procedere senza tradire un’emozione. -La vedi la coda tra le gambe, cara Ankh?-
Quest’ultima non rispose, perché era nella stessa situazione mentale di chi la stava approcciando.
-Signore.- le salutò Cullen, per poi guardarsi intorno con aria insoddisfatta. -Speravo che ci fossero più persone, ma davanti agli ufficiali andrà bene.- borbottò.
Subito dopo, posò un ginocchio a terra, prostrandosi di fronte a Lavellan. Lei spalancò gli occhi, sorpresa.
-Ti offro le mie sentite scuse per gli eventi di stamattina, Inquisitrice.- disse. -Ti ho mancato di rispetto e ho tradito la tua fiducia con il mio comportamento.-
Lavellan fece subito per alzarsi, ma Josephine la trattenne. -Non è qui solo per te.- la avvisò.
-E porgo le mie scuse anche a te, Josephine. Non è ammissibile che abbia alzato la voce e mi sia comportato in maniera per niente consona al luogo e alle persone che avevo davanti.- fece una pausa. -Giuro solennemente qui e adesso, con la testimonianza della Cercatrice Pentaghast, che non avverrà di nuovo.-
Josephine lo guardò a lungo, con aria severa, poi fece un unico cenno di assenso, senza esprimersi oltre.
Cassandra osservò la scena con un certo grado di soddisfazione.
Lavellan però non sembrava entusiasta. Si alzò assieme a lui e quando i loro sguardi si incrociarono c'era del pentimento da entrambe le parti, assieme a una gran voglia di stringersi e fare la pace.
Lei però doveva ricambiare le scuse e le premise raccogliendo le loro mani di fronte a sé. -Elgar vallas la ir abelas, mirthadra enansal. Ara ma'athlan vhenas bellanaris.- disse, senza smettere di guardarlo negli occhi.
Cullen, riuscendo a capire il senso di quelle parole, per poco non si commosse. -Ma serannas.- sussurrò.
Lavellan avrebbe voluto aggiungere altro, ma si trattenne, preferendo rivolgergli un sorriso impacciato. Lui ricambiò.

 

Come avevano concordato, Cullen la assistette anche durante il pranzo e la cena, coinvolgendola in conversazioni abbastanza frivole da intrattenerla, ma tanto impegnative quanto le bastava per impedire al cibo di trasformarsi in un dovere.
Il fatto che fossero costretti a passare il tempo insieme tolse gran parte dell'ansia di dosso a Lavellan, che si ritrovava a scherzare come non faceva da troppo tempo, stranamente lieta che quella situazione tragica avesse almeno un riscontro positivo.
L'approccio che avevano deciso di prendere si stava dimostrando abbastanza efficace, ma era solo il primo giorno di battaglia in una guerra di sfinimento. Entrambi sapevano che non ci sarebbero stati vincitori e vinti, ma solo un adeguarsi al problema e costruirci una routine abbastanza solida attorno, in modo da sovvertire le posizioni di controllo.
Dopo cena, infatti, Lavellan iniziò a soffrire del cambio di ritmo, dato che il suo corpo non riusciva pienamente a capire come posizionare l'energia in eccesso.
Cullen non la mollava un secondo, perché per esperienza sapeva che le prime battute, oltre a essere le più difficili dal punto di vista fisico erano anche le più estenuanti a livello emotivo.
-Facciamo il punto della situazione, che dici?- le domandò, mentre passeggiavano lungo la muraglia settentrionale, così da permettere a Lavellan di prendere una boccata d'aria e rilassarsi dopo cena.
Lei inspirò la frescura serale, a occhi chiusi, poi espirò, tentando così di distendere i nervi. -Dovremmo disporre un cordone di piccoli avamposti lungo la Via del Re, in modo da...- iniziò, poi si interruppe, rendendosi conto che non era quella la domanda. -Va bene.- si corresse. -Da dove iniziamo?-
Cullen le passò un braccio attorno alle spalle, mentre procedevano. -Non posso garantirti un cordone, ma possiamo intensificare le ronde, in modo da intercettare le carovane sospette in tempo utile. Esploreremo l'idea domani mattina, non ti preoccupare.- disse, assecondandola. -Per quanto riguarda l'altra cosa, direi di iniziare dalla domanda più scontata: come ti senti?-
Lavellan ci rifletté attentamente, perché le veniva difficile distinguere la sfera emotiva da quella fisica. -Affaticata.- rispose, semplicemente.
-Altro?-
-Non direi. Faccio un po' fatica a muovermi e a respirare. Pensi sia normale?-
-Immagino di si, ma è comunque il caso che domani abbassiamo il tiro.-
Lavellan annuì piano, appoggiandosi a lui. -Posso tornare ad allenarmi?-
Cullen le rivolse un sorriso gentile. -Devi.- rispose. -Questo nuovo regime non deve condizionare i tuoi ritmi. Oggi ho pensato che sarebbe stato il caso di fare un'eccezione, dato che è il tuo primo giorno.-
Lavellan deglutì, chinando lo sguardo. -D'accordo.-
Proseguirono in silenzio, finché non raggiunsero la fine del camminamento, al di sopra dei giardini.
-Ne uscirò mai?- domandò lei, abbattuta, incrociando le braccia sulla balaustra.
Cullen si portò al suo fianco, passandole una mano sulla schiena. -Non penso sia una cosa che possiamo stabilire con certezza, amore mio.- disse. -Non al momento, almeno.-
Lei diede un breve sorriso tirato, alzando uno sguardo stanco verso il cielo notturno. -Sai, Dorian molto tempo fa ha paragonato l'assenza di lyrium al dolore che provano le persone mutilate all'arto mancante. Ti ci ritrovi?-
Cullen appoggiò la schiena sulla balaustra, passandosi una mano dietro al collo. -Non l'avevo mai guardata sotto questa prospettiva, a dire il vero.- ammise. -Per me è più un dolore emotivo che fisico. È come se da un momento all'altro avessi perso una persona a cui ero legato intimamente; una presenza con ero abituato a condividere la quotidianità.- spiegò. -Ci sono tracce del suo passaggio nel mondo fisico e il suo odore permane negli oggetti che le appartenevano, ma lei non c'è più.- fece una pausa. -Ora al suo posto c'è solo un doloroso silenzio.-
Lavellan appoggiò una mano sulla sua spalla, stringendo appena la presa. Cullen le rivolse un mezzo sorriso. -Puoi riferire a Dorian che è come uscire da una relazione tossica, dato che è una metafora più affine alle sue esperienze.- scherzò.
Lavellan gli diede un buffetto sul braccio, a mo' di rimprovero. -Guarda che senza di lui non avrei trovato tutta la documentazione necessaria per venirti incontro. Dovresti dargli un po' di tregua.-
Cullen ridacchiò. -Non ho detto che è un pezzo di merda, ho detto che ha una vita sentimentale orribile. È diverso.- disse. Approfittò del fatto che fossero vicini, per sporgersi nella sua direzione. -Penso che sia il caso che tu lo coinvolga fin da subito.-
Lavellan ci rifletté qualche istante, prima di incrociare il suo sguardo. -Già.- disse. -Ora capisco perché hai difficoltà a parlarne. Ogni volta che cerco di aprire bocca sulla questione, mi pare sempre che la stia facendo più grande di quella che è.-
Lui sospirò sommessamente. -Lo capisco fin troppo bene, Lav.- ammise. -E fidati di me quando ti dico che è quel genere di discorso che non puoi e non vuoi delegare a nessuno. Te ne pentiresti a vita.-
-Un cucchiaio alla porzione.- mormorò lei, in difficoltà.
-Un cucchiaio alla porzione.- ripeté Cullen, coinvolgendola in un abbraccio per confortarla. -Sarò sempre al tuo fianco, amore mio. Non hai niente da temere.-
Lavellan si strinse a lui. -E io che volevo solo fare un volteggio decente.- disse, ridendo nervosamente.
Cullen le rivolse un'occhiata divertita. -Dov'è finito il “non mi accontento mai di un buon lavoro”?- la punzecchiò. -Facciamo una scommessa: se riesco a farti fare quell'acrobazia in meno di una settimana, mi fai partecipare a un'altra caccia al drago.-
Lavellan si distanziò appena, per guardarlo negli occhi con aria scettica. -Pensi che ci riuscirei in così poco tempo?-
-Non sei una che si arrende e io non sono da meno.- rispose lui, sollevando la mano per farsela stringere. -Ci stai?-
Lei passò uno sguardo determinato sul suo viso, poi assecondò il gesto, siglando la scommessa. -Ci sto!-
-Però voglio essere io a sferrare il colpo di grazia.-
-Non allarghiamoci troppo. È un volteggio, non un prestito sulla casa.-
Si scambiarono un'occhiata complice, mantenendo il contatto fisico il più a lungo possibile. Quando fu il momento di tornare in movimento, Cullen trasse a sé la mano di Lavellan, per posarci un bacio lieve. -Pronta a tornare a lavoro?-
Lei esalò un sospiro di sollievo. -Diamine, sì!- rispose, facendolo ridere.

 

 
💅Gloss💄
“Elgar vallas la ir abelas, mirthadra enansal. Ara ma'athlan vhenas bellanaris” - Il sole sorge e io sono dispiaciuta, onorabile benedizione. Ti chiamerò sempre casa / ti chiamerò sempre a casa.
 

-Nota-

Oddio, è viva!! Di ritorno dal fronte!!
…col capitolone pesante D:
Ho in mente un paio di modifiche, più avanti, e non so come gestirmi con i tempi quindi oh, arriva quando arriva, lo premetto fin da subito.
In tutto ciò

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Capitolo 33
*** Big Mistake. Big. Huge. ***


CW: disordini alimentari, razzismo
 

Cullen si svegliò di soprassalto, ammiccando per mettere a fuoco l'ambiente attorno a sé mentre cercava di capire cosa fosse successo.
Era nella sua stanza, steso a letto. Poco lontano, Lavellan lo osservava con aria preoccupata, mentre finiva di rivestirsi. -Un incubo?- gli domandò, rauca.
Cullen si portò a sedere, passandosi entrambe le mani sul viso. -Non ne ho idea.- rispose, dato che del sogno che aveva fatto portava solo un cospicuo residuo di disagio. -È già ora?-
Lavellan finì di allacciarsi la camicia, poi si mosse per raggiungerlo. Gli carezzò il viso dolcemente, poi si chinò per baciarlo. -Per me sì. Ho una riunione in tre ore.- spiegò, sedendosi sul bordo del letto. -Se mi presentassi con i vestiti che avevo ieri e questi capelli- si indicò -Josephine sarebbe capace di scuoiarmi viva.-
Cullen sbadigliò sonoramente, appoggiando la fronte sulla sua spalla. -Dovremmo iniziare a passare la notte da te.- biascicò.
Lei gli passò una mano tra i capelli, raccogliendoli dietro alla nuca. -Te l'ho già detto che è una pessima idea, vhenas. C'è tanta di quella gente che gira per le mie stanze che dovremmo dormire sotto al letto per avere un po' di riservatezza.-
Lui sollevò uno sguardo stanco su di lei. -Però non saresti più costretta a svegliarti a questi orari improbabili.-
Lavellan diede un sorriso tirato, poi si strinse nelle spalle. -Preferisco così.- tagliò corto, perché non aveva proprio voglia di insistere sull'argomento. Difatti, finì di vestirsi velocemente, gli scoccò un bacio sulla fronte e si dileguò, senza dire una parola.
Cullen, che ormai era sveglio, la osservò allontanarsi con aria preoccupata, quindi esalò un sospiro, passandosi entrambe le mani sul collo per sgranchirselo.
Dato che non osava riaddormentarsi per paura di quello che avrebbe potuto aspettarlo nel mondo dei sogni, si lavò e si vestì a sua volta, per discendere le scalette che portavano al suo ufficio.
Sul suo viso apparve un’espressione mista di rimprovero e tenerezza, quando notò che Lavellan gli aveva lasciato sul tavolo una tisana bollente e un bigliettino. Il fatto che avesse pensato a coccolarlo, nonostante avesse i tempi contati, spazzò via gli ultimi residui di disagio che provava, sostituendolo con un gran calore.
Munito di tazza, si affacciò alla porta, per godersi un po’ di frescura mattutina prima che attaccasse l’afa. Lesse il bigliettino e un sorriso sbocciò sulle sue labbra. “Oggi c’è il sole. Puoi lasciare l’armatura a casa. Ma anche la camicia.” diceva, chiudendo con un cuoricino striminzito sopra la sua iniziale.
-Ah, ti piacerebbe!-
Sollevò il suo sguardo allegro verso la piccionaia e subito tutto ciò che lo riscaldava lo fece sentire in colpa. Fece un cenno con il capo a Leliana e, in difficoltà, rientrò.

Lei, appoggiata alla merlatura con le braccia incrociate, lo osservò fare dietro-front senza un’emozione addosso.
Inspirò profondamente, poi espirò tutto ciò che la turbava per delegarlo alla notte che finiva.
Dietro di sé, la porta scricchiolò, chiudendosi alle spalle del segretario di Lavellan.
Anche lui, notò Leliana con la coda dell’occhio, stava trattenendo le emozioni dietro una maschera di neutralità in maniera eccellente.
-Buongiorno, Shaan.- lo salutò, tornando a guardare l’orizzonte.
Lui ricambiò la cortesia con un cenno semplice, dopo essersi affiancato a lei. -Sua Eminenza si occuperà personalmente della riunione. Non è necessaria la sua presenza.-
Leliana contrasse le labbra in maniera impercettibile. -Consigliale che se vuole davvero farmi un torto deve costringermi a partecipare a quante più riunioni possibili. Specialmente quelle di forma.-
Il segretario rimase in silenzio un istante, prima di risponderle. -Non intendeva farle un torto, intendeva aiutarla. Nonostante tutto, rimane una persona molto professionale.-
-Lo siamo entrambe.-
-Allora avrebbe potuto dirle che lo ha fatto perché ci teneva.-
Leliana si voltò verso di lui con un accenno di sorpresa nello sguardo.
Shaan non aveva abbandonato la maschera di educazione, ma le sue emozioni erano ovvie. -Dopo tutto questo tempo, ha ancora bisogno di provare la sua lealtà nei confronti del progetto?- domandò.
-Se fossi nella mia posizione, anzi, se entrambi foste nella mia posizione, agireste nella stessa maniera.-
-E allora può benissimo intuire perché non ha intenzione di accettare le sue scuse.-
Leliana si spinse in posizione eretta. -Perché farebbe lo stesso?-
-Perché farebbe l’esatto opposto.-
Leliana si impedì di rispondere, ma Shaan era altrettanto bravo a intuire i contorni di un viso dietro alla maschera. Difatti, appoggiò istintivamente la cartellina a ridosso del cuore, come se fosse in attesa dell’affondo.
-Insomma, mi sbagliavo. Pensavo che avresti capito, dato che stiamo facendo la stessa cosa.- disse Leliana. -Io sono qui per garantire che il progetto funzioni, tu sei qui per controllare che lo stesso progetto sia di beneficio per la tua gente. O per l’Arlathven, a essere precisi.-
Lui, che si aspettava di peggio, rilassò le dita attorno all’oggetto. -Suppongo che abbia letto i miei resoconti.-
Lei non negò, ma nemmeno lo ammise.
-Allora ha sicuramente notato che di mio c’è solo la forma, oltre che la prosa.- proseguì lui, voltando la testa verso il cielo che si schiariva. -E soprattutto, che le informazioni sono parziali. Se lo ricorda il paragrafo su di lei che ho spedito il mese scorso? “Una speranza concreta per elvhen e umani di coesistere.”.- fece una pausa. -L’ho scritto così come mi è stato riferito, perché concordavo.-
Leliana raggiunse l’obiettivo del suo sguardo, inarcando un sopracciglio. Shaan registrò quell’accenno di scetticismo e rilasciò un sospiro sommesso. -Non ho mai concordato sul resto, però. E sono quasi sollevato che se ne sia resa conto anche lei.-
-Sei sollevato che abbia perso la sua amicizia?-
-Sono sollevato che abbia capito che non ha senso dare affetto a qualcuno che non sarà mai soddisfatto di lei, professionalmente e personalmente.- dichiarò Shaan, facendo per andarsene. -Quando smetterà di proiettare le sue insicurezze sulla persona sbagliata, le sue scuse avranno un valore.-
Detto ciò, si congedò con un inchino composto e uscì, senza farle il piacere di proseguire la conversazione.
Leliana osservò la porta chiusa a lungo e, nonostante fosse al sicuro dallo sguardo di tutti, si concesse solo di contrarre il viso in una lieve smorfia di fastidio.
Come Cullen, cercò rifugio dal mondo esterno, ma non per vergogna.


 

32 – Big mistake. Big. Huge.



-Delltash!-
Lavellan si rialzò bruscamente dal cespuglio di fragoline e lo calciò, impigliandosi i pantaloni.
-Vuoi riprovare?- le domandò Cassandra, che si stava prendendo una pausa dall'allenamento per tenerla d'occhio.
Lavellan le lanciò un'occhiataccia, ritornando alla posizione di partenza con tutta l'aria di voler prendere a testate la parete rocciosa sulla quale si stava accanendo.
Nonostante il sole avesse benedetto la mattinata, la situazione era cambiata repentinamente, dando vita a un primo pomeriggio uggioso, genitore di una nottata che sicuramente sarebbe stata tartassata da un’altra precipitazione intensa. Quell’altalena meteorologica andava avanti da settimane e i montanari assicuravano a tutti che non sarebbe cambiato a breve.
A riprova di quell’atmosfera elettrica, attorno alla radura si potevano notare molti alberi abbattuti dai fulmini e sradicati dal maltempo, in più in certe zone il terreno era persino annerito.
Lavellan aveva deciso di allenarsi all'esterno comunque, perché erano tre giorni che non provava la sua impresa, inoltre aveva bisogno di allontanarsi da Skyhold per qualche ora e riversare la sua frustrazione su qualcosa su cui sapeva di avere ancora il controllo.
I risultati furono disastrosi e non perché il terreno fosse bagnato.
-Fatti un giro di corsa, Lav.- le suggerì Cassandra, dopo aver assistito al terzo atterraggio brusco. Lavellan, che aveva già il fiatone e si reggeva lo stomaco con aria dolorante, scosse la testa. -Se non salgo su questa fottuta roccia, non ho speranze di portarvi al di là del fiume ghiacciato.- spiegò, con la voce rotta dal nervosismo.
Cassandra incrociò le braccia sul petto, scorrendo uno sguardo preoccupato sull'amica. -Non lo farai comunque, se ti ostini a lasciarti cadere.- la rimproverò.
Lavellan si mosse per fronteggiarla, piantando uno sguardo madido di rabbia su di lei. Cassandra sciolse le braccia, per puntare le mani sui fianchi. -Fa' un giro di corsa.- ribadì, avvicinandosi di un passo.
-Che cazzo risolvo con un giro di corsa?- sibilò Lavellan.
-Questo atteggiamento.- le rispose Cassandra, senza muoversi di un millimetro.
Lavellan la guardò a lungo, con astio, poi esalò il fiato nervosamente dal naso e fece come le era stato suggerito. Cassandra la seguì con uno sguardo penetrante, osservandola ribollire per tutta la durata del percorso. Una volta che ebbe finito, si avvicinò a lei, porgendole la mano per aiutarla a raddrizzarsi.
Lavellan era piegata in due dallo sforzo, con le guance rosse e una nota acuta che concludeva ogni inspirazione. Si alzò da sola, ignorando la gentilezza e dandole le spalle, mentre cercava in tutti i modi di ricomporsi.
-Sta peggiorando.- gemette, a fatica.
Cassandra aggrottò la fronte. -Deve peggiorare prima di migliorare, Lav. Il tuo corpo si sta ancora adattando al cambiamento.- disse, evitando di aggiungere che lo stato dell’Ancora avrebbe impedito un ripristino completo delle sue abilità.
Quell’omissione la rese furiosa, perché sapeva anche lei che certi pezzi erano troppo rovinati per essere rimessi al loro posto e le pesava di non riuscire a rimediare nemmeno impegnandosi il triplo di quanto già non stesse facendo.
-Non voglio un cambiamento, voglio...- Lavellan fu costretta a fare una pausa. Alzò la testa verso l'alto, per cercare di migliorare la respirazione. -Voglio fare quello che facevo prima. Mi ha detto che ci avrebbe messo meno di una settimana a farmelo fare e io sono al punto di partenza.- protestò.
Cassandra la affiancò, per porgerle una borraccia. -In quattro giorni hai compiuto un’impresa di recupero che in molti si sognano. Sei assolutamente in tempo.-
Lavellan si sforzò di bere un sorso d'acqua, deglutendolo di malavoglia. Osservò la borraccia con aria truce, schioccandosi la lingua sul palato. -Sa di uova.- commentò, per poi ritornarla alla sua proprietaria con un gesto brusco. -Continuiamo.-
Cassandra la osservò rimettersi in posizione, poi esalò un sospiro rassegnato. -Farai tardi alla seduta del consiglio, Lav.- le ricordò.
-Sono in tempo.- replicò lei, senza nemmeno guardarla.
-Non sei in tempo. Devi prima pranzare.-
-Ho già pranzato.-
-La felce di Josephine ha pranzato.- la corresse Cassandra, portandosi di fronte a lei per impedirle di portare a termine il volteggio.
Lavellan alzò gli occhi al cielo. -Era deperita.- scherzò, senza nessuna traccia di divertimento nello sguardo. -E voi dovete smettere di guardarmi nel piatto.-
-Solo quando tu smetterai di prenderci per scemi.- sbottò Cassandra, indicandole il sentiero con un cenno. -Ora muoviti, o ti ci porto di peso.-
-Vorrei vederti provare.-
Cassandra le scoccò un'occhiata eloquente. -Sicura?-
Lavellan alzò una mano tra loro, rivolgendole un'espressione che avrebbe fatto impallidire un Ogre. -Toccami anche solo con un dito e te lo spezzo.- la minacciò.
Cassandra sollevò le sopracciglia, allibita. Lavellan però non le diede il tempo di rispondere a tono. Si mosse per recuperare il suo equipaggiamento e intraprese il sentiero di gran carriera, con ogni singolo muscolo che grondava di rabbia.
Non vide niente e nessuno, da lì al salone; non perché fosse deserto, ma perché era accecata dalla frustrazione. Una volta nel vestibolo, passò lo sguardo sui tavoli che la servitù stava apparecchiando per il tè e si diresse verso un vassoio di tortine. Ne afferrò una, fece per portarsela alle labbra, poi si fermò.
Il suo naso percepì burro e latte, le sue dita farina.
La osservò a lungo, sentendo il suo stomaco agognarla e forzare la sua mente ad assaporare la goduria velenosa che il dolce rilasciava nel suo palato dopo ogni morso. Si gettò virtualmente sul vassoio, spingendosi il cibo in bocca come se fosse l'ultimo giorno che avrebbe passato sul mondo terreno, impedendosi di respirare mentre il suo corpo si gonfiava per l’allergia e ogni singola cellula grassa che possedeva si liquefaceva a terra, come una frana di miele. Poteva percepire sulla lingua ogni singolo granello di zucchero, le curve che la glassa prendeva quando si infilava tra gli incisivi e la spugnosità dell'impasto mentre i molari lo distruggevano.
Ogni singola cellula del suo corpo era tesa verso la tortina, imponendo a Lavellan di morderla e impedendole di farlo allo stesso tempo.
-Puoi farcela.-
Lavellan si voltò di scatto, ritrovandosi a fare i conti con lo sguardo di Cassandra. Era rigido e severo, ma dietro quegli aggettivi c'era una grande volontà di aiutarla a fare fronte al problema.
Non riuscì a risponderle, perché non aveva idea da dove partire.
Cassandra si avvicinò a lei, le tolse la tortina di mano, sostituendola con le sue e stringendo la presa. -Bellanaris.-
Lavellan prese un respiro profondo, poi annuì.
Cassandra le rivolse un cenno d’approvazione, poi la condusse con calma verso le cucine.

-Come stai, oggi?-
Dal suo lato del tavolo di guerra, Lavellan sollevò lo sguardo verso Josephine, che si era avvicinata a lei con la scusa di rimettere al suo posto una manciata di segnalini.
Esitò, prima di rivolgerle un sorriso tirato. -Reggo.- le rispose, procedendo ad aiutarla per mascherare l'agitazione che provava ogni volta che si sentiva ripetere quella domanda. In qualche modo, quella costante richiesta di aggiornamenti la faceva stare peggio.
-Sei riuscita a fare il salto?-
Ancor prima che potesse rispondere, Cullen si intromise. -Lo farà presto.- affermò, con una sicurezza tale che sembrava scontato che accadesse.
La maschera rosa del “va tutto bene” che Lavellan si stava sforzando di indossare da che era uscita dalle cucine fino a quel momento, si frantumò a terra, rivelando una smorfia di frustrazione.
Cullen la ignorò, procedendo a recuperare un rapporto dal tavolo per leggerlo, sotto allo sguardo incerto di Leliana.
Lavellan appoggiò le dita sul tavolo, osservando la mappa con la preoccupazione nello sguardo.
-Posso schierarne un centinaio, ma dovremo per forza chiedere supporto ai Bann.- disse Cullen, troncando di netto la conversazione.
Lavellan lo ringraziò mentalmente per l'assist, procedendo a sviscerare la questione senza il rischio di mettersi ulteriormente in ridicolo nella sede più sbagliata per farlo.
Non mancò di ripetergli quel ringraziamento a voce alta, durante la cena.
Dorian aveva recuperato un tavolo e qualche sedia, creando al volo uno spazio privato per mangiare in un locale dell'ultima torre diroccata del sistema meridionale. Cassandra si era occupata del cibo, il Toro aveva recuperato una botte di vino intera, Blackwall aveva messo due fiori dentro a un vasetto di miele vuoto e Varric diceva di aver portato compagnia, riferendosi a se stesso e al mazzo di carte che mescolava con maestria mentre il gruppo chiacchierava.
Il locale era ampio, ma reso per metà inagibile da macerie e torri di candele impilate dagli abitanti occasionali di quel posto. La parete dell'entrata, a est, era sormontata da una caricatura molto appariscente di Solas, con una scopa infilata laddove una scopa non dovrebbe avvicinarsi.
-La farei ridipingere, ma me ne dimentico ogni volta che mi capita di passare per il suo studio.- aveva ammesso Cullen, convinto che lo avrebbe sentito solo Lavellan.
-Sorride quando il suo sguardo cade sulla macchia di muschio che censura la vergogna.- era intervenuto Cole, facendo sobbalzare il gruppo intero, che non si era accorto minimamente della sua presenza.
Contenta che si parlasse di tutto fuorché di lavoro e del suo problema, Lavellan sentì un grosso peso togliersi dalla sua schiena. Ne aveva bisogno e non era sola.
Erano tutti reduci da una giornata pesante. Dorian appariva seriamente abbattuto per via di un insuccesso negli studi; Cassandra aveva discusso per gran parte del pomeriggio e della sera con un gruppo di madri della Chiesa con l'apertura mentale di una frana che ostruisce una grotta; il Toro aveva una gamba steccata e un corno fasciato di fresco; invece Blackwall si massaggiava la schiena in continuazione per via di una brutta caduta.
Sorprendentemente, gli unici che sembravano mantenere una certa compostezza, nonostante le evidenti occhiaie che circondavano i loro sguardi, erano Varric e Cullen. Lavellan pensò che quello probabilmente derivava dal fatto che fossero abituati a trattare i loro problemi così come un viticoltore pesta gli acini durante la vendemmia.
-Vorrei solo infilarmi dentro a una di quelle comode bare nevarriane e dormire fino alla fine del mondo.- disse Dorian, dopo essersi riempito il calice per la quarta volta.
Cassandra diede una risata roca. -No, non lo vorresti.- disse. -Una delle mie zie ci ha passato la notte per scommessa, quindici anni fa. Da allora soffre di terrori notturni.-
-Non dev'essere una bella esperienza, addormentarsi in un cimitero.- intervenne Blackwall, con il viso smosso da una smorfia di fastidio.
Il gruppo si voltò all'unisono verso Lavellan, che stava piluccando more dal cocuzzolo di una torta secca alle mandorle. Lei guardò tutti, uno alla volta, poi fece spallucce. -Non è niente di trascendentale, davvero. Basta mettere qualche trappola per i non-morti intorno al sacco a pelo ed evitare di accettare patti sconvenienti durante il sonno.- disse, pulendosi i polpastrelli sul bordo della tovaglia.
Varric sbuffò, poi consegnò una manciata di monete di bronzo al Toro.
-Per essere uno abituato a vincere scommesse, questa ti deve bruciare immagino.- commentò Cullen, divertito.
-Disse quello che ha sfidato a carte un'antivana.- lo punzecchiò Varric, rivolgendogli un sorriso sornione. -Ricordi quando è successo a Hawke?-
Cullen assunse immediatamente una smorfia di profondo fastidio, come se avesse appena ingoiato mezzo limone. -Ecco qualcosa che avrei voluto dimenticare volentieri.-
-Nah, non è neanche la cosa peggiore che abbia fatto!-
-Esiste qualcosa di peggiore?-
-Il suo profumo di prima mattina, per dirne una.-
-Togli il “di prima mattina”, mastro Tethras.-
Varric ridacchiò, mentre sul suo sguardo scendeva un'ombra di tristezza.
Cassandra, che gli sedeva vicina, gli diede un paio di pacche di conforto sulla schiena, soffermandosi poi a stringergli una spalla tra le dita.
Lavellan spostò uno sguardo teso altrove, cercando la mano di Cullen sotto al tavolo per stringerla. Lui assecondò la stretta, allacciando le dita sulle sue.
-Prima che l'atmosfera si faccia troppo deprimente...- intervenne Dorian, sporgendosi in avanti. -Di che colore ci vestiamo, domani?- domandò.
Blackwall alzò le braccia, guardandosi intorno sdegnato, prima di rivolgergli un'occhiataccia. -Non pensi di essere un po' fuori luogo?-
Dorian inclinò appena la testa, fingendo di rifletterci. -No, mai.- rispose, secco.
-Dopo il sesto bicchiere.- lo corresse il Toro, passando uno sguardo divertito su di lui.
-Quante bottiglie sono sei bicchieri?- chiese Varric. -Una e mezzo?-
-Visto quanto se ne versa a botta, direi tre.- replicò Cullen.
-Perché con lui ci scherzate sopra e io devo girare con la scorta?- borbottò Lavellan. -A proposito di doppi standard.- commentò.
Dorian le scoccò un'occhiata eloquente. -Ci darò un taglio quando avrò un po' di pace, qua dentro.- replicò, picchiettandosi un dito sulla tempia. -Allora, questo colore?-
Lavellan ci pensò su. -Prugna.- decretò.
Dorian esalò un rantolo di fastidio, sbattendo la fronte sul tavolo.
-Non sei mai contento!- protestò Cassandra, che stava dando una mano a Blackwall a sparecchiare per fare posto alle carte. -Ieri non ti andava bene l'ocra, l'altro ieri hai fatto un diavolo a quattro per il pesca...-
-La prugna è un frutto, no?- domandò il Toro, accarezzandosi lo stomaco. -Ora ho voglia di dolci.-
-È un viola profondo.- rispose tranquillamente Cullen, accettando che Lavellan gli rifilasse metà della sua fetta di torta.
-Non è solo un viola profondo. È l'unico viola che mi sbatte.- puntualizzò Dorian, piccato.
-Ma a me e a madame Vivienne sta bene.- disse Lavellan, sbriciolando il dolce sul piattino per gestire meglio i bocconi. -Dopodomani ti concedo un blu oltremare, d'accordo?-
Dorian strinse le palpebre, fissandola con intensità. -Verde pistacchio.-
-Veto.- dichiarò Cassandra, con aria schifata.
Dorian alzò gli occhi al cielo. -Allora turchese. Si sposa con il mio incarnato.-
Lavellan scosse la testa. -L'ho messo due giorni fa.-
-Sei molto bella in azzurro.- intervenne Cullen, posandole due more in più sul piatto.
Lei gli rivolse un bel sorriso. -Lo dici solo perché è il colore di Andraste.-
-Lo dico perché è vero.- la corresse lui, ricambiando il sorriso.
Dorian nel frattempo teneva le dita incrociate.
Lavellan si rigirò una mora tra il pollice e l'indice, con aria pensosa, poi esalò un sospiro rassegnato. -Vada per il turchese.-
Dorian indossò un ghigno che era l'emblema della soddisfazione.
Cullen approfittò del fatto che Lavellan si fosse alzata per riordinare il suo piatto per scambiare un'occhiata d'intesa con lui, che sollevò appena il bicchiere nella sua direzione, prima di prendere una buona sorsata di vino.
Varric sbuffò una risata, prendendo a distribuire le carte. -Stai giocando a un gioco pericoloso, ricciolino.- commentò.
Cullen fece finta di non capire, guardandolo con un’aria interrogativa che sapeva di falso a un miglio di distanza.
-Mi dispiace rovinare la festa, ma i doveri da pezzo grosso insistono che devo smettere di divertirmi.- intervenne Lavellan, raddrizzandosi la giacca.
Varric e il Toro diedero un gemito di disapprovazione. -Così presto?- domandò Blackwall, osservando con aria incerta il cielo notturno fuori da una finestra rotta.
Lavellan si sporse verso Cassandra per scambiarsi due baci sulle guance. -Grazie per la bella serata, ragazzi.-
-Domani stesso posto per il pranzo?- propose Varric, versandosi il secondo bicchiere di vino.
-Aggiudicato.- rispose il Toro, sbirciando le carte che Dorian stava riordinando tra le dita. -Krem fa un budino al rabarbaro da urlo. Gli dirò di prepararne un po'.-
-Fresco, morbido e dolce. Come le mani della mamma sulle sue guance la mattina, quando non riusciva a perdonarsi allo specchio.- intervenne Cole, raccogliendo le carte che erano state poste di fronte a Cullen.
Quello ammiccò, perché non si ricordava di averlo visto sedersi al tavolo, poi si alzò per affiancare Lavellan, in procinto di uscire. -Non lasciate cibo in giro, o verranno i topi.- disse, mentre teneva la porta aperta alla sua compagna.
-Si, mamma.- lo canzonò Dorian.
Quest'ultimo aspettò che i due si fossero allontanati dal locale, prima di rivolgersi a Varric. -Gli do due giorni.-
Il suo interlocutore inarcò un sopracciglio, lanciandogli una breve occhiata al di sopra della sua mano di carte. -Come sei cinico! Io gliene ho dati cinque.-
Cassandra prese posto, con aria confusa. -Di che state parlando?-
Dorian e Varric si guardarono con aria rassegnata, poi si concentrarono sul gioco, come se non fosse successo niente.

Cassandra non era l'unica a soffrire di perplessità.
Difatti, Lavellan si ritrovò a guardare con tanto d’occhi Cullen, che l'aveva seguita finché non si erano ritrovati di fronte alla porta d'accesso alle stanze dell'Inquisitrice. Una volta lì, si era chiuso la porta alle spalle, procedendo al suo fianco lungo il corridoio che portava alla scalinata che si inerpicava lungo le pareti del torrione.
-Non serve che mi segua.- gli disse, parandosi di fronte a lui per impedirgli di procedere. -Recupero uno scialle e torno.-
Cullen raccolse le sue mani per stringerle tra le proprie. -Serve che ti segua, invece. Oggi è stata una giornata incredibilmente pesante per te e vorrei che dormissi nel tuo letto.- iniziò. -Allo stesso tempo, non posso lasciarti da sola, quindi è il caso che tu faccia pace con l'idea che stanotte dovrai farmi un po' di spazio.-
Lavellan aggrottò la fronte, realmente preoccupata. -Cullen, è un'idea orribile. Davvero, davvero orribile.- disse, stringendo la presa per rinforzare il concetto. -La mia stanza pullula di gente da che ci metto piede fin dopo che sono uscita. È la morte della riservatezza.-
Lui sospirò. -Me l’hai detto quaranta volte, Lav. Però hai davvero bisogno di riposare.-
-Mi basta stare tra le tue braccia per quello.- mormorò lei, con una nota d'urgenza nel tono di voce.
Si guardarono a lungo, con intensità, poi Cullen la prese sottobraccio, invitandola a proseguire. Lei si costrinse a cedere, con il pensiero che oscillava dal piacere che potessero dividere finalmente un letto per più di qualche ora smozzicata, al timore che quella sarebbe stata l'unica cosa positiva di quell'esperienza.
Una volta raggiunto il primo piano, Lavellan sciolse la presa, fermandosi giusto per passargli una mano sul braccio. -Avverto lo staff.- disse, sforzandosi di sorridere.
Cullen la osservò muoversi attraverso il corridoio di una stanza costituita da più locali. Se la ricordava bene, dato che aveva affiancato i genieri durante i primi sopralluoghi della torre, ma era da molto tempo che non ci metteva piede.
Rispose al saluto delle due guardie che sorvegliavano gli accessi, poi si mosse in coda a Lavellan, per curiosità. La vide affacciarsi a due porte, una di fronte all'altra, mantenendo le distanze per evitare di attirare troppo l'attenzione.
Una speranza che scemò istantaneamente.
-Ehi, comandante!- lo salutò un'Elfa con le insegne di caporale. Cullen si voltò verso di lei, riconoscendo la voce. -Salve Maeve.- rispose, scorrendo uno sguardo indagatore sulla sua sottoposta. -Sei di riposo?-
Maeve annuì, poi gli indicò con un cenno la porta dalla quale era appena uscita, la seconda alla quale Lavellan si era affacciata. -Venga, le presento mia nipote.- disse, invitandolo a seguirla.
Cullen esitò, poi si mosse nella sua direzione. -Non sapevo avessi portato qui la tua famiglia.-
Maeve gli tenne aperta la porta. -Quando Ankh ha saputo che mia sorella era nei guai, ha insistito per offrirle un lavoro.- disse.
Una volta dentro, Cullen sollevò le sopracciglia, sorpreso. La stanza era poco più piccola del suo ufficio, ma decisamente più accogliente. Infatti, il pavimento era ricoperto da tappeti di pelliccia e sormontato da tavolini di legno dipinto, attorniati da sedie invase da una popolazione di cuscini grassi. Un agglomerato di lampade fatte di carta colorata scendeva dal soffitto, illuminando delle raffigurazioni stilizzate di animali che sfioravano le pareti, contribuendo visivamente al calore di quell'ambiente.
Era un posto quieto, informale e profumava di buccia di agrumi e rilassatezza.
Sparsi assieme ai tavolini c'erano almeno sette Elfi che si godevano la reciproca compagnia di fronte a una tazza di tè. Gran parte di essi indossavano Vallaslin.
-Confortevole.- commentò Cullen, continuando a guardarsi intorno.
-È un posto sicuro.- spiegò Maeve, raccogliendo un cuscino da terra per sistemarlo su una sedia vicina. -Molti di noi sono traumatizzati, altri hanno difficoltà a integrarsi con lo stile di vita degli shem. Ankh ci ha messo a disposizione questo posto per sentirci più a casa.-
-Quando l'atmosfera è pesante, qui possiamo contare sempre su qualcuno che ci ascolti, o che ci aiuti a distrarci.- intervenne un cacciatore seduto a un tavolo poco distante da loro. Rivolse un sorriso gentile a Cullen. -Gran donna, l'Inquisitrice.-
Lui diede un cenno d’assenso. -Non posso che concordare.-
-Si occupa di noi e noi in cambio ci occupiamo di lei.- disse Maeve, raggiungendo di soppiatto un tavolo dall'altro capo della stanza. -Ora, dove si sarà cacciato quel piccolo nuggalope?- domandò, alzando lievemente il tono di voce nel fare il giro del tavolo. Tutto d'un tratto, si accucciò, ridendo. -Eccolo!-
Un gridolino introdusse una risata, poi una bambina fuoriuscì da sotto al tavolo, travolgendo Maeve per abbracciarla.
Cullen sorrise istintivamente, mentre la sua sottoposta si sollevava la bambina sopra la testa, per poi assicurarsela in braccio. Aveva all'incirca tre, o quattro anni, portava gli stessi ricci scuri della zia e indossava un gran sorriso sdentato.
-Lei è Currant.- la presentò Maeve, realmente orgogliosa. -Fa' ciao al comandante.-
Nel farlo, Currant fece sbilanciare sua zia che, abituata alla vivacità della nipote, evitò all'ultimo istante che sgusciasse dalle sue braccia per capitombolare a terra. Nel movimento, i capelli della bambina scoprirono un paio di orecchie umane.
I calcoli non tornavano.
Cullen non fece in tempo ad aprire bocca che dalle sue spalle proruppe una serie di -No.-, seguiti a ruota dalla donna che li stava pronunciando. In una frazione di secondo, la nuova arrivata raccolse la bambina dalle mani della zia e si precipitò dall'altro capo della stanza, con la paura dipinta nello sguardo.
Era una giovane Elfa che condivideva buona parte della fisionomia di Maeve. Tratteneva a sé Currant, sorreggendole la nuca con una presa decisa, come se dovesse proteggerla da un pericolo imminente.
-Va tutto bene, Talia. Lavoro per lui, è un uomo d'onore.- cercò di rassicurarla Maeve.
Talia scosse la testa nervosamente. -Non può stare qui.- dichiarò.
Dopo un attimo di esitazione, Cullen indietreggiò di un passo, sollevando una mano di fronte a sé. -Non sono qui per arrecare danno a lei e alla sua bambina, signora.- disse.
-Le promesse degli shem non hanno valore.- replicò la donna, indicandolo con un cenno del capo. -Deve andarsene.-
L’atmosfera nella saletta cambiò improvvisamente. Un paio di cacciatori si erano alzati, per schermare Talia e la bambina da quella che lei percepiva come una minaccia, altri restavano seduti a monitorare la situazione con aria nervosa.
Di fronte a ciò, Cullen si rese conto di non essere più il benvenuto e annuì, per poi rivolgersi a Maeve, che lo guardava con aria di scuse. -Non serve che mi spieghi nulla.- la rassicurò, pacatamente. -A domani, caporale.-
-A domani, comandante.- rispose piano lei, accompagnandolo verso l'uscita.
Una volta fuori, Cullen fu sollevato di ritrovarsi faccia a faccia con Lavellan, che aveva appena congedato il suo segretario.
Intrapresero di nuovo la salita, mano nella mano, silenziosamente, finché lui non poté più e sputò il rospo.
-Non te la prendere. Non è personale, è solo diffidenza nei confronti della tua razza.- disse lei, dopo che le ebbe raccontato gli eventi.
-Diffidenza? Era spaventata a morte, Lav.- puntualizzò lui, a disagio.
-Ha i suoi validi motivi.- rispose lei, evitando di articolare. Si chiuse la porta dell'ultimo piano alle spalle, sorreggendosi sullo stipite nel rivolgergli un'occhiata incerta. -Sei turbato. Vuoi parlarne?-
Cullen appoggiò la schiena sulla superficie della porta, incrociando le braccia sul petto. Era accigliato, per usare un eufemismo. -Quello sguardo...- mormorò.
Lavellan si avvicinò a lui, per guardarlo bene in faccia. Esplorò i suoi lineamenti, con cura, prima di parlare. -Brutti ricordi del Circolo?- gli chiese.
Cullen annuì. -Quello è il genere di paura che anticipa un atto estremo. Sai a quanti maghi ho visto addosso quella faccia? Troppi.- spiegò, cercando il contatto visivo. -Non è solo diffidenza. La diffidenza viene dalla testa, il terrore è viscerale.-
Lavellan si passò una mano sul collo, indecisa su come impostare ciò che aveva da dirgli. -Sai cosa vuol dire non avere vie di fuga?- gli domandò, alla fine.
-Sono stato da entrambe le parti, Lav.- rispose lui, con una nota di tensione.
-No, intendo proprio letteralmente. Spalle al muro, senza opzioni e vestito unicamente dal senso di paura che hai addosso.- articolò lei.
-Haven.- rispose semplicemente lui.
Lavellan schioccò le labbra, spostando la testa altrove. -Non sono stata abbastanza chiara.- disse. -Io e te siamo due che se la cavano, no? Se siamo sopraffatti, in una situazione di pericolo, sappiamo che possiamo contare su ciò che abbiamo di base e reagire.- si portò di fronte a lui. -Immagina di non avere un addestramento, di non sapere come si impugna una spada e, nel frattempo, di essere in catene, in ginocchio, con una fila di persone davanti che ti dicono che vali quanto lo sterco che pestano le suole dei loro stivali.- si strinse nelle spalle. -Per la mia gente questo è un normale giovedì. Ognuno di noi ha vissuto una situazione in cui si è ritrovato a non vederci dalla paura perché uno dei tuoi lo braccava, chi più o chi meno.- rimase in silenzio per un po', assorta. -Quella è una cosa che non ti scrolli di dosso nemmeno con un bagno nell'acido.-
Cullen si raddrizzò, osservandola con un'espressione desolata. -Un'altra cosa da cui non si può guarire.- commentò. -Più andiamo avanti, più la lista si fa inesorabilmente lunga.-
Lavellan spostò lo sguardo altrove. -Lunga e frustrante.- aggiunse.
Rimasero quieti per diversi minuti, prima che lui prendesse di nuovo la parola. -Ora mi sorge il dubbio che in passato la mia sola presenza ti possa aver provocato quel genere di sconforto e...- iniziò, abbassando drasticamente il tono di voce. -Non è facile venire a patti con quest'idea.-
-Su questo posso rassicurarti.- ammise lei, sorridendogli gentilmente, per allentare la tensione. -La prima volta che ti ho visto mi sono detta: “diamine, quegli zigomi si sposerebbero benissimo con il mio interno coscia!”.- scherzò.
Cullen rilasciò la tensione con una risata, mentre lei gli circondava i fianchi con le braccia.
-E se osi dire che non ci hai pensato pure tu, ti sbatto nelle segrete! Guarda che ho notato la squadrata approfondita che mi hai dato quando ci siamo incontrati sul campo di battaglia.- tornò alla carica lei, con tutta l'intenzione di tirare entrambi su di morale. -“Sua eminenza, posso appiattirla sul pavimento, qui e adesso?”.- lo scimmiottò.
Cullen sbuffò teatralmente, alzando gli occhi al cielo. Una volta che si fu calmato, tornò a cercare il suo sguardo. -Grazie per non avermi indorato la pillola, Lav.-
Lei gli sfiorò la guancia con un bacio. -Sono qui per quello. Ar lath ma, vhenas.-
Cullen rimase interdetto per un minuto buono, poi le appoggiò le mani sui fianchi, rivolgendole un sorriso struggente. -Ripetilo.- la supplicò, a mezza voce.
-Ar lath...- Lavellan si interruppe, per raddrizzarsi e guardarlo dritto negli occhi. -Ti amo.- dichiarò, con una determinazione spiazzante.
Lui chiuse gli occhi, appoggiando la fronte sulla sua. -Dillo di nuovo.-
Lavellan ridacchiò. -Così finirai per stancarti di sentirtelo dire.-
-Non credo.- la contraddisse. -Se la persona che mi dice sempre le cose come stanno dice di amarmi, significa che ha la certezza che oggi sono un uomo migliore rispetto a quello che ero ieri. Mi da speranza e mi costringe a non deluderti domani.-
-Devi sempre trovare una sfida in tutto, tu?-
Cullen rise. -Lo dici come se non fosse questo il motivo per il quale ti sei innamorata di me.-
Lavellan si strinse nelle spalle. -Quello e gli zigomi. Soprattutto gli zigomi.- scherzò, sciogliendosi dall'abbraccio per prenderlo per mano e condurlo al mezzanino. -Andiamo, prima che cambi idea.-
-Spero solo che il tuo letto sia comodo come sembra.- disse lui, precedendola di un passo per aiutarla a salire l'ultima rampa di scale.
-Oh, non ne hai idea.-

Onestamente, no. Non ne aveva proprio idea, perché quella fu la notte più serena che gli capitò di trascorrere.
Il materasso e le coperte avevano iniziato ad abbracciarlo da che aveva appoggiato la testa sul cuscino, dandogli l'impressione di essere cullato dalle nuvole. Lui, che credeva di non riuscire a dormire in un letto che fosse troppo comodo, non fece in tempo a circondare i fianchi di Lavellan con un braccio che prese immediatamente sonno.
Raggiunse lo stato di dormiveglia con un'espressione che era l'apice della beatitudine, coronata da un sorriso beota. Abbracciò il cuscino, respirando profondamente il delicato profumo floreale che emanava, poi socchiuse gli occhi.
La realtà approfittò della sua rilassatezza per compiergli un agguato.
Spalancò le palpebre, guardandosi attorno con una nota di sorpresa nello sguardo. Alla sinistra del letto c'era un paravento di quattro sezioni che lo riparava da un brusio concitato, alla destra invece c'era un piccolo tavolo ripiegabile con una pila di documenti alta quanto le sue ginocchia. Di fronte, torreggiava su di lui una rastrelliera carica di vestiti, ordinati per colore dal più chiaro al più scuro, con fazzoletti e accessori che fuoriuscivano da ogni dove, ricadendo sui piedi del letto come le conseguenze di una frana in alta montagna.
Intimidito da quella muraglia di distrazioni visive, si mise lentamente a sedere, guardingo. Non sapeva che ore fossero, ma la stanza era invasa dalla luce, sintomo che fosse troppo tardi per reclamare i classici cinque minuti dopo il suono della campana della sveglia.
-...la comtesse si è fatta promettere che avresti partecipato alla riunione.- sentì dire, dalla voce profonda del segretario di Lavellan. -E hai una finestra di un minuto per raggiungere i giardini e discutere con la signora Morrigan della sistemazione dei suoi effetti personali, di cui le sorelle si sono dichiarate “parecchio preoccupate”.-
-Stia ferma, Eminenza.- aggiunse un'altra voce, mentre Cullen cercava di capire dove fossero finiti i suoi vestiti. Esalò un sospiro di sollievo, ricordandosi che si era fatto convincere da Lavellan a indossare camicia e pantaloni per la notte. Nonostante le sue riserve, lei si era impuntata e, con il senno di poi, aveva avuto ottime ragioni per farlo.
Sentire la sua voce funzionò come coraggio liquido, obbligandolo ad affrontare la pila di documenti che lo osservava con aria minacciosa alla sua destra. Era la stessa che si ritrovava la mattina sopra la sua scrivania, se non che era già stata ordinata da qualcun altro, cosa che di solito faceva lui personalmente per evitare che troppe persone leggessero documentazione riservata. Si sforzò di reprimere la preoccupazione per concentrarsi sul presente.
-Buongiorno, ingegnere.-
Cullen per poco non strappò in due una nota di Leliana, sobbalzando. Sollevò lo sguardo cisposo sul viso di Adra, che faceva capolino tra due vestiti grondanti di piccole gemme. -Signora.- ricambiò il saluto, in difficoltà.
-Armatura, mantello e stivali sono al piano di sotto a lucidare.- disse lei, senza perdere troppo tempo in convenevoli. -Li riavrà il prima possibile.-
-Posso sapere che ore sono?-
Adra scorse uno sguardo sbrigativo su di lui, mentre recuperava un vestito turchese dall'appendiabiti. -Mi ha presa per una meridiana? Si alzi e controlli di persona.-
Cullen assunse un'espressione incerta, voltando appena il capo verso il paravento. -Quanta gente c'è, là dietro?-
-Grazie a lei, meno del dovuto.- rispose lei, agguantando tre scialli diversi. -Stiamo facendo le corse, quindi è il caso che si alzi per conto suo, prima che il direttore venga a buttarla giù dal letto.-
-È solo acida perché l'ultima volta che ha avuto un uomo nel suo letto re Cailan governava ancora nel Ferelden.- intervenne una voce femminile da dietro il paravento. Adra roteò lo sguardo, poi sparì in una nube di lustrini.
Cullen prese un bel respiro profondo, preparandosi psicologicamente alla camminata della vergogna, poi scese dal letto, riordinandosi la camicia dentro i pantaloni e passandosi entrambe le mani tra i capelli per appiattirli sulla testa.
Si ritrovò di fronte una truppa di cinque persone che gravitavano attorno a Lavellan come fringuelli al lavoro sulla costruzione di un nido. Lei era seduta su uno sgabello, in vestaglia, con la schiena dritta e passava lo sguardo su una serie di rapporti che le venivano forniti dal suo segretario, sempre impegnato a elencarle il piano di lavoro giornaliero. Un'Elfa si stava occupando di acconciarle i capelli, un'altra le stava applicando il trucco sugli occhi e un altro si occupava di raccogliere i documenti già consultati per metterli al sicuro dentro la sua agenda. Adra nel frattempo componeva il suo vestiario sugli schienali di tre poltrone, reggendosi la schiena come se le fosse cresciuta una pinna.
Cullen venne totalmente ignorato e questa cosa gli donò un gran sollievo mentre si dirigeva verso la finestra per osservare il cielo. Riconobbe che era appena sorto il sole, quindi i suoi muscoli si distesero, perché era assolutamente in tempo per tornare nei suoi alloggi, lavarsi, cambiarsi e fare il punto della situazione con i suoi ufficiali prima della riunione del consiglio.
-Ora puoi parlare, lethallin.- annunciò la truccatrice, muovendosi verso la scrivania di Lavellan per sistemare il suo equipaggiamento in una borsa.
-Ma serannas.- rispose Lavellan, per poi voltare la testa verso Cullen. -Buongiorno, comandante.- lo salutò, rivolgendogli un sorriso abbagliante.
Lui rimase a osservarla per qualche istante d’incredulità, perso nella sua bellezza. -Inquisitrice.- rispose, avvicinandosi per reclamare almeno un bacio. Purtroppo per lui, Shaan lo intercettò, per affidargli un biglietto ripiegato. -Non è stato facile deviare i messaggeri per portare qui il plico. Le consiglio di avvisare per tempo, qualora decidesse di passare nuovamente la notte con l'Inquisitrice.- disse, con una nota di fastidio nel tono di voce.
Cullen inarcò un sopracciglio, notando che il biglietto era vuoto. -D'accordo. Che cosa dovrei farci con questo?- domandò, sventolandolo.
Il segretario lo guardò come se gli avesse appena chiesto come far bollire una pentola d'acqua. -Scrivere tutto ciò di cui ha bisogno, in modo che possa procurarglielo nel tempo minore possibile.- replicò, recuperando al volo la compostezza che lo caratterizzava.
-Non ho bisogno di niente, me ne andrò non appena...- si voltò verso le scale, dov'erano appena apparsi due Elfi con il suo equipaggiamento, tirato a lucido. Osservò la sua armatura e il suo mantello con una vena di apprensione nello sguardo. -L'ho cerata ieri, non serviva darle un'altra passata. Così rischia di arrugginirsi.-
-Sanno quello che fanno.- lo liquidò il segretario, ignorando totalmente le sue proteste. -Se vuole che le venga preparato un bagno, o che le vengano sistemati i capelli, si rivolga a Portia.- disse, indicandogli l'Elfa che stava finendo di acconciare i capelli a Lavellan. Quella gli rivolse un cenno veloce con il capo, poi proseguì nel suo lavoro.
Cullen alzò una mano di fronte a sé, bloccando un altro intervento del segretario sul nascere. -Mangio una cosa assieme alla mia compagna, mi rivesto e me ne vado.- disse. -Non sono qui per creare fastidi.-
-Ah, no?- bofonchiò Adra, passandogli di fianco per rimettere al loro posto i completi scartati.
-No.- sbottò Cullen, indispettito da quell'atteggiamento.
-Dategli tregua.- intervenne Lavellan, con tono di rimprovero. -Per quanto ne abbiamo, ancora?-
-Cinque minuti per me.- rispose la parrucchiera.
-Dieci per me. Venti, se il corsetto non collabora.- aggiunse Adra.
-Facciamo un quarto d'ora per me, dato che dobbiamo ridiscutere il piano serale.- disse il segretario, osservando con aria accigliata la scaletta giornaliera.
Lavellan annuì, con decisione. -Siamo in tempo.-
Il segretario la guardò di sottecchi, per niente convinto, poi si rivolse nuovamente a Cullen. -Il cibo è sulla scrivania, comandante. Provvedo a chiamarle una cameriera?-
-Ho le mani.- replicò Cullen, dirigendosi al punto indicato per rendersi utile. -È così tutte le mattine?- domandò, iniziando a svuotare un vassoio di frutta fresca per sbucciarla.
-Non proprio. Oggi lo staff è ridotto all’osso.- rispose la truccatrice, che stava ripiegando il paravento per riporlo. -Vuole un po' di rouge sulle guance, signore?-
Cullen la guardò con tanto d'occhi. -No!- gemette, sdegnato. -Grazie.- si affrettò ad aggiungere, ricordandosi improvvisamente che negli ambienti dell’alta società truccarsi era una cosa comune anche per gli uomini.
-Le faccio la barba al volo?- gli domandò la parrucchiera.
-No, grazie.-
-Intende uscire in questo modo?- intervenne il segretario, guardandolo dall'alto al basso.
Cullen strinse le labbra, deglutendo una risposta piccata giusto in tempo per permettere alla sua testa di optare per la diplomazia. -No, Shaan.- rispose, semplicemente.
-Cerchiamo di fare in fretta, per favore. Le mie ragazze sono state esentate, la domestica pure e ho un freddo incredibile perché nessuno è in grado di ravvivare il fuoco nel caminetto.- borbottò Adra, che stava facendo scegliere un paio di scarpe a Lavellan.
Quest'ultima abbassò il documento che stava leggendo per scoccarle un'occhiataccia. -L'ultima volta che ho controllato, questa era ancora la mia camera. Posso farci entrare chi voglio e quando voglio, e se ho piacere di passare la notte con qualcuno, esigo che venga trattato come un ospite e non come un disturbo.- disse. -Gli stivali chiari vanno bene.-
Adra prese gli stivali chiari e li lanciò verso il letto, scegliendo al loro posto un paio di calzature rivestite in velluto scuro, dall'aria comoda. -Bello sbaglio, dottoressa. Bello. Enorme!- affermò, posandogliele davanti ai piedi.
-Mi chiedo perché si ostini a chiederle opinioni, se deve bocciare le sue idee regolarmente.- commentò il segretario, appoggiando momentaneamente il leggio sulla scrivania. La truccatrice si strinse nelle spalle, poi recuperò la sua attrezzatura e si diresse verso le scale.
-Perché è una zitella acida e gelosa.- gli rispose la parrucchiera.
Adra appoggiò le mani sui fianchi, guardandola con tutta l'aria di volerla aprire come un libro. -Impara a pettinare i tuoi clienti, prima di rivolgermi ancora la parola.- disse. -La piega della dottoressa è talmente secca che non mi sorprenderei se prendesse a scricchiolare al primo soffio di vento.-
Lavellan voltò uno sguardo supplichevole verso Cullen, che le rivolse un sorriso tirato.
-Sicuro che non vuole che le chiami una cameriera?- domandò il segretario, osservando il piatto di frutta con aria incerta.
-Creatore dammi la forza.- mormorò Cullen, a denti stretti, mentre finiva di disporre degli spicchi di mela. -So arrangiarmi, Shaan.-
-Lo so che può arrangiarsi, comandante, ma tra arrangiarsi e fare le cose come si deve...- non riuscì a concludere la frase, perché Lavellan si era alzata in piedi, per appoggiargli una mano sulla spalla.
-Lasciateci cinque minuti.- disse, indicando a tutti di allontanarsi.
Quando furono da soli, Lavellan fece il giro della scrivania, portandosi di fronte al suo compagno con un sorriso stanco. Lui la prese tra le braccia, sollevandola da terra.
Si scambiarono un bacio necessario, lungo quanto bastava per ritrovare l'armonia reciproca.
-Non so come tu faccia.- ammise lui, riponendola a terra per permetterle di spiluccare della frutta dal piatto.
Lei si strinse nelle spalle. -Mi piace stare in mezzo alla gente. E poi, siamo tutti di famiglia.-
-Grazie per il muro, a proposito.- disse Cullen, a mezza voce. Da quella posizione, infatti, l’unica cosa visibile del letto era una piccola porzione di testiera.
Lavellan finì di masticare uno spicchio di mela, prima di rispondergli. -Mi sembrava il caso, dato che non sei abituato a questo genere di confusione.- disse, mantenendo a sua volta un tono di voce moderato. -Hai dormito bene, almeno?-
Cullen la osservò attentamente, notando una sfumatura di tensione nel suo viso. -Hai paura che non riesca a gestire tutto questo?- le domandò.
Lei fece una lunga pausa, poi lo guardò dritto negli occhi. -Restiamo da te, stanotte. Ti prego.- lo supplicò, riversando su di lui una preoccupazione che le aveva visto addosso pochissime volte.
-Tu non hai paura che non riesca a gestirlo, tu sei certa che non posso farcela.- replicò lui, aggrottando la fronte sopra uno sguardo di disappunto.
-Non hai mai visto questo posto a pieno regime.- ribatté lei, mentre sollevava e lasciava cadere il cibo dal piatto, nervosamente. -Conoscendoti, odieresti ogni istante trascorso qui.-
Cullen sbuffò una risata tutto fuorché divertita. -Ero un Templare, ricordi? Prima che salissi di grado, dormivo assieme ai miei confratelli.- replicò. -Non sono nuovo alle sveglie brusche, o ai litigi di primo mattino.-
I lineamenti di Lavellan si distesero, nonostante mantenesse una linea di preoccupazione nello sguardo. -Va bene.- disse, passandogli una mano sul braccio. -Non fraintendermi, vhenas, ho fiducia in te. Se sono sul chi vive è perché ho paura di metterti in una situazione di disagio.-
Cullen le rivolse un sorriso rassicurante. -Sono con te, Lav. Come potrei mai essere a disagio?-
Lei assorbì la tranquillità che emanava il suo compagno, riuscendo a ricambiare il sorriso senza sforzarsi. Spostò il piatto in modo che potessero dividersi il contenuto e, una volta che ebbero finito di mangiare, lo appoggiò sul bordo della scrivania. -Non riesco a esserci per il pranzo, dato che devo fare una cavalcata fino a valle, ma possiamo trovarci nel tardo pomeriggio per l'allenamento. Che dici?-
Cullen, che si stava muovendo per rivestirsi, diede un cenno d'assenso. -Ho dato un occhio alla scaletta quando Shaan l'ha messa sul tavolo. Cassandra è già attrezzata per aiutarti a non saltare il pasto, in mia assenza.- rispose. Una volta che ebbe indossato l'armatura, si voltò in direzione di Lavellan, con aria allegra. -Sei in forma, Lav. Devi solo crederci.-
Lei sospirò, a bocca chiusa, spostando lo sguardo altrove. -Vorrei ricordarti che ieri avevo il fiato corto dopo un singolo giro di corsa.-
Cullen finì di sistemarsi il mantello sulla vita, poi la raggiunse, per appoggiarle un bacio sulla fronte. -Oggi andrà bene e domani ancora meglio. Fidati di me.- disse, continuando a sorriderle.
-Non si fida.-
Cullen si guardò intorno, con aria confusa. -C'è qualcuno?- domandò, interrompendo la sua risposta.
Lavellan strinse appena le palpebre. -No, sono solo i ragazzi che stanno facendo casino fuori dalla porta.- rispose, appoggiando una mano sul suo braccio.
Una sfumatura di incertezza sfiorò il viso di Cullen, per poi dissolversi, permettendo al suo viso di ritornare sereno. -Ci vediamo più tardi.- la salutò, baciandola sulle labbra. -Ti amo.-
-Copione.- scherzò lei, regalandogli un sorriso struggente.


-Nota-

Cassandra si riconferma candidata numero uno per una vacanza alle Hawaii tutto compreso << Adra è subito dietro di lei, ma penso che farebbe tipo Bruno Barbieri e commenterebbe tutto finché non le vengono offerti tutti i servizi.

 

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Capitolo 34
*** Prospettiva Diversa ***


33 – Prospettiva diversa


 

-Bizzarro. Davvero bizzarro.-
Cullen ignorò la voce e raggiunse Lavellan, che aveva appena terminato il suo sesto giro di corsa.
Si trovavano nel campo d'allenamento interno, alla caserma, perché l'area montuosa circostante era stata sorpresa da un temporale improvviso, iniziato a metà mattinata di un giorno particolarmente afoso e che si era protratto per i tre giorni successivi, senza alcuna intenzione di smettere. Intraprendere i sentieri alberati in quella situazione comportava il rischio di essere colpiti da un fulmine, quindi Lavellan e Cullen avevano deciso di comune accordo di rimandare il tentativo di salto qualora le condizioni meteorologiche li avrebbero assistiti.
Allora, Cullen aveva coinvolto il Toro, Blackwall e un paio di soldati per installare un percorso a ostacoli propedeutico all'acrobazia che Lavellan sarebbe andata a svolgere. Percorso che lei aveva affrontato sempre più brillantemente, eliminando gradualmente la fatica che aveva provato nei giorni precedenti.
La sua performance perfetta però forniva a Cullen un certo grado di perplessità. Non riusciva a capire come fosse possibile che Lavellan fosse in forma smagliante, eppure non riuscisse a compiere un volteggio che era ben poca cosa rispetto a ciò che le aveva preparato.
A dire il vero, il nuovo regime alimentare le aveva persino fornito più forza nelle gambe, garantendole una spinta e una resistenza maggiori.
-Ottimo lavoro.- disse Cullen, porgendole un asciugamano.
Lei se lo strofinò sul viso, poi se lo schiaffò sulla spalla. -Questa è robetta. Te la faccio camminando all'indietro, a occhi chiusi.- replicò, guardandolo di sottecchi. -Non c'è l'imprevisto.-
-Vuoi che ti rincorra con un bastone?- scherzò lui, incrociando le dita dietro alla schiena.
-Magari stanotte.- lo punzecchiò Lavellan. -Per te sono pronta per tornare sul campo?-
Cullen passò un'occhiata approfondita su di lei, prima di rispondere. -Fisicamente, si.- rispose. -Come ti senti, di testa?-
Lei prese un respiro profondo. -Va a situazioni. Il fatto che mi stiate sempre addosso mi costringe a... fare quello che devo fare.- spiegò, arretrando appena. -Penso che sia arrivato il momento che mi sforzi a far funzionare le cose da sola, senza coinvolgervi.-
-Hai i mezzi per farlo.-
-Significa che ora non ha più bisogno di te, lo sai vero?-
Cullen ignorò quell'intervento esterno, sforzandosi di sorriderle. -Possiamo comunque continuare con i pranzi e le cene. È una tradizione che aiuta tutti, a quanto pare.-
Lavellan ridacchiò, guardandosi attorno con un velo di malinconia in uno sguardo altrimenti sereno. -I problemi sembrano meno grandi, quando hai il tuo clan radunato attorno a un pasto caldo.- disse. -Per quello per me è sempre stato difficile aprirmi su certe cose che mi passano per la testa. I problemi degli altri sembrano sempre enormi, se comparati ai miei. Non ho mai realizzato che privarli di una voce li avrebbe resi così pesanti, dentro di me.-
-Eccola che ricomincia con la passione di Andraste!-
Cullen si impedì di dare adito all'ennesimo intervento acido che gli capitava di sentire.
-Non è facile abbandonare la diffidenza del tutto, ma con voi mi sento al sicuro.- concluse Lavellan.
-È reciproco, Lav.-
Lavellan gli rivolse un bel sorriso. -Lo so ed è il dono più grande che questa esperienza mi abbia dato.-
-Hai capito, l'ingrata? L'esperienza, non tu che l'hai aiutata ogni volta che ne avevi l'occasione.-
Cullen si voltò verso la fonte dell'intervento, per rivolgerle un'occhiata patibolare.
Hawke era seduto su una cavallina ginnica alla sua destra, con le gambe penzoloni e un sorriso malizioso sotto i baffi. -Finalmente!- disse, appoggiando le mani sulle cosce nello sporgersi verso Cullen. -Ora dille che ha rotto il cazzo con tutte queste pantomime da martire e parlate di cose davvero importanti.-
Cullen prese un respiro profondo, poi spostò lo sguardo su Lavellan, che lo osservava con una punta di apprensione.
-Che succede?- gli domandò.
Cullen minimizzò scuotendo il capo. -Una cosa da niente.-
-Niente?!- gemette Hawke, per poi scoppiare a ridere. -Vedi la gente morta!-
-Non è morto.- lo corresse Cullen, istintivamente.
Lavellan sollevò le sopracciglia, mentre lui stringeva le labbra, rendendosi conto di aver dato voce a ciò che stava pensando.
-Chiudiamo qui l'allenamento.- affermò lei, prendendolo per mano. -Andiamo a prepararci per il consiglio.-
Lui ritrasse il braccio, indietreggiando di un passo. -No, continua. Ci... ci vediamo lì.- borbottò, per poi dirigersi di gran carriera verso l'uscita. Lo sguardo preoccupato di Lavellan pesava sulle sue spalle come un macigno.
La proiezione di Hawke schioccò la lingua sul palato, con evidente disappunto. -Diamine, devo proprio insegnarti tutto? Ora penserà che sei nel mezzo di un'allucinazione e diventerà più insistente di quanto non lo sia stato tu in quest'ultima settimana.-
Cullen serrò la mascella, cercando di concentrarsi sul percorso che stava intraprendendo per ritornare al suo ufficio.
-Perché non le dici di me e basta?- insistette Hawke, che trotterellava al suo fianco, come un bambino in gita al mare. Di nuovo, Cullen provò a ignorarlo, ma durò poco.
Si chiuse la porta dell'ufficio alle spalle, procedendo verso la scrivania per appoggiarci entrambe le mani. Prese un respiro profondo, a occhi chiusi, ripetendo a se stesso che Hawke non era reale, ma solo il risultato di un periodo stressante.
Quando sollevò le palpebre, però, si ritrovò di nuovo a fare i conti con Hawke, nel riflesso esatto della posa che lui stesso stava mantenendo. La sua mente aveva creato un'imitazione talmente realistica da risultare terrificante.
-Non sei stressato, sei spaventato.- lo corresse Hawke, impedendo al suo interlocutore di scindere il contatto visivo. -Lo so perché ogni volta che il contenitore nella tua testa si apre, io esco fuori per primo.-
Cullen deglutì. -No.-
Hawke inarcò un sopracciglio. -No?-
-La prima ad apparire, durante un'allucinazione è sempre Cassandra.- spiegò Cullen, arrendendosi all'idea di dover comunicare con qualsiasi problema si stesse manifestando di fronte a lui. -Perché è lei che deve tenermi sotto controllo.-
-Ora però è diverso, lo sai bene.- disse Hawke, appoggiandosi a sedere sul bordo della scrivania. Era il posto che occupava quando conversavano e quell'immagine mandò la testa di Cullen ancora più in confusione.
-Sono settimane che le cose vanno bene.- mormorò, con un accento di disperazione. -Perché adesso?-
Hawke si strinse nelle spalle. -Perché non riesci a gestire le cose come vorresti. La stai aiutando e lei si è dimenticata che anche tu hai bisogno di aiuto.-
-Non ho bisogno d'aiuto. Sto benissimo!- protestò Cullen, indignato.
Hawke si indicò, con aria divertita. -Fatti due calcoli.-
Cullen si passò entrambe le mani sul viso, pesantemente. -Creatore, aiutami! Eri una piaga da vivo e ora che sei...- si interruppe, per sbuffare.
-Da vivo? Oh, questa è carina!- esclamò Hawke, per poi emettere una risata sonora. -Bastardo incoerente! Continui a rimproverare Varric perché parla di me al passato e tu che fai? Metti la data di morte sulla mia urna a tradimento!- si alzò, per fare il giro della scrivania. -Hai troppi conflitti irrisolti nella testa, Culls. Hai bisogno di stare per conto tuo e riflettere.-
Cullen scosse la testa. -Non posso, Hawke. Devo aiutarla, per il suo bene e per il nostro bene.-
-Nostro? Globale o di coppia?-
-Una cosa non esclude l'altra.-
Hawke ridacchiò. -Ah, che grande uomo! Sempre a cercare di salvare tutti nel modo più eroico possibile.- disse, appoggiandogli le mani sulle spalle. -Hai visto anche tu che non ha davvero bisogno di te.-
-Cazzate! Ha bisogno di supporto e io sono il suo compagno. È mio dovere offrirle tutto l'aiuto di cui necessita.-
Hawke gli rivolse un'occhiata madida di rassegnazione. -Ti sta annichilendo, Culls. Lei che parla tanto di reciprocità, dovrebbe rendersi conto che il tempo che ti sta rubando potresti usarlo per curare quelli che sono meno fortunati di voi. Andiamo! Hai visto di quanta gente inutile si circonda? Si, quelli che ti svegliano di soprassalto durante la notte mentre ravvivano il suo caminetto, o quelli che le aprono le tende la mattina perché non è in grado di fare due passi senza che qualcuno le pulisca il sudore dalla fronte.- gli puntò un dito contro. -Lei è diventata tutto ciò che disprezzi e tu sei suo complice.-
Cullen scosse la testa, con convinzione.
-Con tutta la stoffa che usa per i suoi vestiti potreste vestire i profughi di mezzo Ferelden e con il tempo che perde la mattina a imbellettarsi, potresti andare e tornare da una qualsiasi Enclave e portare del vero aiuto a quelli che dice di stare rappresentando. E il suo segretario? Chi ha bisogno di un fottuto segretario? Se davvero è la donna più intelligente e organizzata che conosci, perché non è in grado di ricordarsi gli appuntamenti?- Hawke gli si parò davanti, afferrandogli il bavero del mantello. -Sei così accecato dall'amore che non ti rendi conto di quanto sia deleterio il suo stile di vita. Per te, per primo.-
Cullen rimase a fissarlo, inebetito dall'astio di cui le sue parole erano imbevute. -Lo penso davvero?-
-Dimmelo tu.-
In risposta, Cullen gli rivolse un'occhiata impregnata di disprezzo. -Posso essere oggettivo. Sto solo montando la situazione perché...-
Hawke alzò gli occhi al cielo. -Perché hai notato che la stai assecondando troppo e stai perdendo te stesso nel processo.- aggiunse, con un'evidente nota di disappunto nel tono di voce. -Sei innamorato perso di lei, lo so, ma devi costringerti a rivedere le tue priorità.- ribadì. -Devi stare bene per fare del bene.-
-Non posso, devo aiutarla a venirne a capo. Lo sai cosa significa affrontare un cambiamento del genere.-
Hawke allargò le braccia, con enfasi, per poi appoggiarsi le mani sul petto. -Stai parlando con un'allucinazione, Culls!- esclamò, alzando il tono di un'ottava. -Devi scegliere: o assecondi la tua compagna passivamente, rischiando di mandare all'aria tutto quello per cui hai lavorato, oppure prendi le distanze e riprendi da dove ti sei fermato.- fece una pausa. -C'è gente là fuori che ha davvero bisogno di te. I tuoi soldati hanno bisogno di te.-
Cullen chinò la testa, realmente in difficoltà. -Posso fare spazio per entrambi.- insistette, sentendosi in difetto nel fallire a dare una parvenza di convinzione alle sue parole.
Hawke alzò le mani in segno di resa. -Vedi te.- disse. -Anche se sai benissimo come la penso.-
Cullen sospirò. -Sono io quello che pensa, Hawke. Tu sei un'allucinazione.- disse, stancamente. -E neanche troppo convincente, dato che sono giorni che mi appari davanti e non mi hai fatto neanche uno scherzo.-
Hawke inclinò appena la testa. -Con la fantasia che ti ritrovi, non me ne viene in mente neanche mezzo.- si giustificò. -L'angolo del tuo cervello da cui esco è un chiasmo di sensi di colpa e fantasie omoerotiche.-
Cullen contrasse il viso in una smorfia infastidita. -Un vaso di vermi alla volta, Hawke, o non ne usciamo più.-
Quest'ultimo ridacchiò, scuotendo la testa con aria divertita.
Cullen accettò quella reazione con un mezzo sorriso. -Mi manca.- mormorò.
Hawke si sporse per appoggiargli una mano sulla spalla. -Allora non ti arrendere.- disse, poco prima di sparire, in un battito di ciglia.

Aprì gli occhi di scatto, ritrovandosi a fare i conti con un sonoro batticuore, nella penombra della stanza dell'Inquisitrice.
Alla sua sinistra c'era un mormorio sommesso, localizzato a qualche passo dal letto, e voltandosi verso le scale, vide che Lavellan stava discutendo con il suo segretario di fronte a quello che sembrava un documento ufficiale.
-Che succede?- domandò Cullen, dopo essersi messo a sedere. Notò con la coda dell'occhio, stagliate sulla stoffa dei paraventi, una sagoma che ravvivava il fuoco e un'altra che sostituiva la caraffa d'acqua vuota con una piena fino all'orlo, sopra la scrivania.
-Notizie da Caer Bronach. Buone notizie.- rispose Lavellan, congedando il suo segretario con una pacca sul braccio, prima di ritornare a letto. -Charter ha riferito che non c'è traccia di Templari Rossi da Crestwood alla Costa. Intensificare le ronde ha aiutato.- gli spiegò, stringendosi nella vestaglia.
-Non poteva proprio aspettare domani mattina?- domandò lui, infastidito.
Lavellan inarcò un sopracciglio. -Ho chiesto di essere aggiornata sulla situazione in tempo reale.- rispose.
-Valeva la pena disturbare il tuo sonno per una cosa del genere?-
-Sì.-
Cullen si passò una mano dietro al collo, nervosamente.
Lavellan gli appoggiò una mano sulla spalla, intuendo che si stesse portando appresso le conseguenze di un brutto sogno. Stando bene attenta a non urtargli le gambe, si appollaiò di fronte a lui. -Va tutto bene, vhenas?- chiese, cercando le sue mani sulle coperte.
Cullen si crogiolò nel fastidio abbastanza a lungo da stufarsene, poi, una volta ripresa la calma per affrontare una conversazione, strinse la presa. -Lav, partirai a breve. Devi riposarti il più possibile, o arriverai a Emprise a pezzi.- la rimproverò.
Lavellan lo osservò con cura, quindi gli rivolse un sorriso pacato. -Hai ragione. Dirò a Shaan di aggiungere le notizie che arrivano durante la notte nel plico del mattino.- disse. -Mi dispiace averti svegliato.-
Cullen, lieto che l’avesse ascoltato, le baciò le mani, poi si distese nuovamente. -Non preoccuparti, ero già sveglio.- la rassicurò.
Lavellan si infilò sotto le coperte, al suo fianco. -Vuoi parlarne?- gli chiese, carezzandogli i capelli con dolcezza.
Cullen si rigirò sul letto, voltandosi nella sua direzione. -Ora che mi sei vicina, non sento più il bisogno di lamentarmi.- disse, in un sussurro.
Lavellan si accoccolò tra le sue braccia, con un sorriso compiaciuto. -Me ne ricorderò domani, in sede di consiglio.- scherzò, appiattendo la guancia sul suo petto mentre sollevava lo sguardo su di lui.
-Mi rimangio quello che ho detto.-
-Troppo tardi.-
Cullen gemette un verso di disapprovazione, ritornando a sdraiarsi supino. Lavellan gli fu subito appresso, ridendo. Salì a cavalcioni sul suo bacino, raddrizzando la schiena per slacciarsi la vestaglia.
Lo sguardo di Cullen si perse tra le sue curve, con aria rapita. -E chi dorme più, adesso?- commentò, a ridosso delle sue labbra, prima che si abbandonassero a un bacio appassionato.
Dal di là dei paraventi, un rumore di cocci infranti e un’imprecazione.
Cullen si mise a sedere di scatto e avvolse subito Lavellan nella vestaglia, cercando di coprirla il più possibile. Nonostante fossero schermati adeguatamente dai paraventi, la protesse con il suo corpo finché non si fu resa presentabile.
-Mi dispiace.- balbettò una vocina, accompagnata da un rumore sferragliante.
-Non ti preoccupare, ci penso io domani.- disse Lavellan, mentre Cullen affondava un’espressione tesa tra le mani e si massaggiava la fronte.
La persona però continuò a raccogliere i cocci e finì il lavoro, andandosene molto dopo essere stata tranquillizzata. Lasciò il mezzanino squittendo un altro “mi dispiace” e si chiuse la porta alle spalle.
Lavellan allora si azzardò a guardare in viso Cullen, trovando ad aspettarla un’espressione terrificante.
-Non è possibile.- scandì lui, stringendo le coperte tra le dita.
Lavellan sospirò. -Non ti preoccupare. Domani mattina mi inventerò qualcosa per sistemare le cose.-
-Bene, così verrò accusato di disturbare la quiete. Di nuovo.- protestò lui.
Lavellan mantenne la calma. -Sto cercando di venirti incontro.-
-No, tu non ti rendi proprio conto di quello che sta succedendo.- tornò alla carica lui, voltandosi completamente nella sua direzione. -Non sono qui per perdere tempo, sono qui per darti una mano. Non puoi concentrarti sulla tua salute con tutta questa gente intorno a stressarti.-
Lavellan si inginocchiò sul letto, davanti a lui. -L'unica persona che mi sta stressando qui dentro sei tu.- lo corresse, con una nota di fastidio nel tono di voce. -Io te l'avevo detto che passare la notte qui sarebbe stata una pessima idea, ma tu non hai voluto ascoltarmi.-
-Ah, io ti starei stressando? E le venti persone che entrano ed escono dalla tua stanza alle peggio ore della notte?-
-Sono di famiglia e stanno facendo il loro lavoro.-
-Beh, perché punzecchiare il focolare durante la notte è un lavoro estremamente impegnativo che richiede addirittura tre persone diverse per essere svolto. Guarda, è secondo solo al tizio che ti raddrizza i documenti sul tavolo!-
-Cullen, come gestisco il mio staff è affar mio.-
-Non è uno staff, è personale inutile che fa roba inutile! Che te ne fai di tutta questa gente? Sei così pigra da non riuscire a piegarti un lenzuolo da sola?-
Lavellan lo fissò per qualche secondo, basita, poi sollevò l'indice nella sua direzione, con un'espressione in viso talmente seria da fare invidia a un Custode Grigio. -Ora mi ascolterai attentamente e giuro sull'anima della mia Guardiana che se mi interrompi ti sbatto fuori.- iniziò. -La maggior parte della gente che lavora nel mio staff non ha niente, non è niente e là fuori ha la stessa speranza di sopravvivere di uno scarafaggio dal calzolaio. In più, è profondamente traumatizzata.- prese fiato. -Qui possono imparare un lavoro, crearsi dei contatti, trovare abbastanza sicurezza in se stessi per reagire e, una volta nel mondo umano, hanno delle credenziali abbastanza valide per guadagnare qualcosa. Non osare più, nemmeno per scherzo, usare la parola “inutile” riferita alla mia gente.-
-Era ovvio che non intendessi quello! Volevo dire...-
Lavellan sollevò l'indice nuovamente, per zittirlo. -Mi hai appena accusato di essere pigra, ingrata nei tuoi riguardi e incapace di gestire il mio staff. Nessuno ti costringe a stare qui e ho fatto qualsiasi cosa fosse in mio potere per accontentarti, riparando alle situazioni che ti creavano disagio mano a mano che me ne accorgevo. Dato che siamo adulti e siamo ben oltre l'imbarazzo di aver paura di dirci le cose in faccia per non ferirci, è incredibilmente ingiusto che tu mi aggredisca in questa maniera.-
-Lasciamo perdere, per favore.-
-No che non lasciamo perdere! Tu ti scusi. Poi possiamo lasciare perdere.-
Cullen si passò una mano sul viso, stancamente. -Io sono qui, lontano dalla mia zona di conforto, a cercare di darti una mano a superare un problema difficile e devo pure prostrarmi?-
Lavellan sbuffò una risata tutto fuorché divertita. -Ah, quindi solo perché mi stai aiutando sei legittimato a trattarmi come un’imbecille?-
Cullen fece per replicare, ma si impedì di farlo, resosi conto che il suo orgoglio lo stava portando a ferire entrambi. Prese un bel respiro profondo, per distendere i nervi, poi spostò la testa altrove. -Non volevo mancarti di rispetto, Lav.- disse. -Mi dispiace.-
Lavellan rilassò gradualmente la postura. -Così va meglio.- disse, in un soffio. Rimase in silenzio abbastanza a lungo, per permettere a entrambi di processare la situazione razionalmente. -Dispiace anche a me.- disse, dopo un po'. -Se sei arrivato ad aggredirmi in questo modo, significa che sei al limite.-
Si scambiarono un'occhiata macchiata di desolazione, mentre le loro mani si cercavano sopra la coperta, alla ricerca di conforto.
-Come posso venirti incontro?- domandò Lavellan, stringendo la presa.
Cullen esplorò il suo viso con lo sguardo, cercando di decifrare la sua espressione nella penombra. -Non lo so proprio, amore mio.- ammise. -Non posso portarti via da qui, se non per qualche ora. Allo stesso tempo, non posso restare, o rischierei di impazzire.- fece una pausa, per raccogliere le idee. -Sono pronto a fare il passo successivo, ma non posso permettere che la nostra storia sia così esposta. Capisci quello che intendo?-
Lavellan annuì piano. -Per quello non volevo che venissi. Sapevo che avrebbe rovinato tutto.- disse, con un filo di voce. -Avrei dovuto insistere di più.-
Cullen la guardò dritta negli occhi. -Non sarà una litigata a cambiare quello che provo per te e quello che voglio con te.- la rassicurò.
Lavellan contrasse il viso in una smorfia che era un misto di paura e sorpresa, poi si riebbe. -Ero certa che...- disse, per poi zittirsi.
Cullen si sporse per baciarla, mettendo a tacere definitivamente l’opzione di separarsi. Lei, che a quel punto della sua vita era talmente abituata a farsi scaricare al primo segnale di crisi, andò letteralmente in cortocircuito. Rimase in silenzio a fissarlo con tanto d’occhi, sicura di trovarsi davanti a una chimera, criniera, corna e serpenti inclusi.
Si riebbe solo quando Cullen la scosse, preoccupato che stesse per avere una crisi di qualche tipo. Considerato che di fronte a lui c’era un agglomerato di traumi e brutte esperienze grosso quasi quanto il suo, sarebbe potuta succedere qualsiasi cosa.
-Scusa, ero convinta che stessi cercando le parole per lasciarmi.- disse, sentendosi ridicola a dare voce al suo timore.
Cullen distese i muscoli del viso. -Sarei molto stupido a farlo.- ammise, tranquillamente. Cercò un suo abbraccio e lo ottenne. Entrambi ne avevano un bisogno vitale, soprattutto a causa di ciò che quel litigo presupponeva.
-Non ho mai amato così tanto nessuno in vita mia. A volte, questa cosa mi manda in crisi.- mormorò lui, appoggiando la fronte sulla sua.
Lavellan capiva benissimo a cosa si riferisse. -Pensi che affidarti troppo a me rischi di annullare ogni tuo progresso, soprattutto adesso che entrambi stiamo vedendo la luce. Che quello che c’è tra noi possa distrarti troppo dal tuo compito, quando ci sono così tante cose da fare.- elaborò.
Cullen raggiunse il suo viso con una carezza. -Siamo in due?- chiese, con l’insicurezza nei lineamenti.
Lavellan accennò un sorriso. -Già. Forse Shaan ha ragione a dire che dovremmo rallentare. Più aumentiamo il passo di marcia, più sale la paura di fare un passo falso e perderti. Perderci.- si corresse. -Non penso che sopravviverei alla botta.-
Cullen chinò lo sguardo sulle loro mani allacciate. -Nemmeno io.-
Un silenzio assorto li assalì. Non avevano mai trovato scogli nella loro relazione, vivendola minuto per minuto con la certezza che fossero un incastro perfetto. Purtroppo, non avevano tenuto conto che se avessero voluto passare allo stadio successivo, avrebbero dovuto rinunciare a molti aspetti della loro vita che fino a quel momento li avevano contraddistinti e che avevano dovuto lottare con le unghie e con i denti per ottenere.
In testa loro, ogni soluzione aveva breve termine e rischiava di covare altri problemi insormontabili che conducevano verso un’insoddisfazione delle singole parti che a lungo andare li avrebbe divisi.
-Non posso cambiare le cose senza metterli in difficoltà.- spiegò Lavellan, dopo un po’. -La mia gente dipende da me e non posso tenerli in giro per Skyhold senza uno scopo, o senza dargli i mezzi per cavarsela una volta che saranno fuori da qui.-
Cullen deglutì. -Voglio che sia ben chiaro che non ti sto chiedendo di scegliere tra me e loro.-
-Lo so.- Lavellan chinò il capo, chiudendo gli occhi e stringendo la mascella. -Così come a me non verrebbe mai di chiederti di sacrificare tutti gli sforzi che hai fatto per guarire solo per amore.- esalò il respiro dal naso, nervosamente. -Non so davvero come comportarmi.- dichiarò, tornando a instaurare il contatto visivo con una certa frustrazione nello sguardo.
Cullen per una volta si prese carico del ruolo di individuo più razionale della coppia. -Dobbiamo fare un passo indietro e ritrovare la nostra individualità. Vedere le cose da una prospettiva diver...- si zittì, ritraendo il capo, colto da un’illuminazione.
Lavellan indossò uno sguardo speranzoso.
Lui scivolò giù dal letto velocemente, recuperando al volo la camicia mentre aggirava un paravento per dirigersi verso la terrazza. Lavellan osservò la sua marcia senza capire le sue intenzioni, finché lui non fu di ritorno, zoppicante e con gli stivali sottobraccio. Di sicuro, aveva calpestato una scheggia di coccio sfuggita dall’opera di pulizia.
-Vestiti.- le disse, facendole cenno di scendere dal letto.
Lavellan, curiosa di natura, lo assecondò, così come lo assecondava tutte le volte in cui agiva d’impulso. Ne valeva sempre la pena.
E il fatto che non si fosse pettinato e avesse lasciato l’armatura nelle sue stanze, le fece sperare che qualsiasi cosa sarebbe successa, lui era disposto a tutto pur di salvare la situazione.
Lo seguì al di là dalla porta e quando ebbero raggiunto il primo piano, entrambi vennero accolti da una costellazione di occhi luminosi.
-Va tutto bene.- li rassicurò Lavellan, concentrandosi su due figure in particolare. Shaan infatti stava curando le dita di una cameriera molto giovane che piangeva a dirotto.
Cullen frenò la sua marcia, assumendo un’espressione desolata. -Davvero, non è successo niente. Nessuno è arrabbiato con te.- confermò, per poi continuare la discesa. Lavellan gli corse appresso, con lo sguardo inquisitore di Shaan ad accompagnarla.
-Ci hanno sentiti, suppongo.- borbottò Cullen, che macinava gradini a velocità sostenuta.
Lavellan non ebbe problemi a stargli appresso. -Non pensarci.- tagliò corto.
Ricevette un lamento di disapprovazione in tutta risposta.

Uscirono dal vestibolo del salone, fino al cortile. Dal cortile raggiunsero i cancelli. Dai cancelli il ponte. A quel punto, Cullen rubò una torcia dalla guardiola, sotto lo sguardo curioso dei soldati di ronda.
Lavellan intuì subito dove la volesse condurre.
-Sei serio?- gemette, osservando dubbiosa la patina di umidità che rivestiva il ponte nella sua interezza. Per fortuna, il cielo era coperto a sprazzi, quindi l’unica luna visibile e le stelle riuscivano a fornire una sorta di illuminazione diffusa. Per lei, almeno.
-Sono serissimo.- rispose lui, senza voltarsi, certo che gli stesse camminando di fianco. -Sono passati troppi giorni, quindi la scommessa l’ho persa, ma ha smesso di importarmi quando ho visto la mole di miglioramenti che hai fatto nell’arco di pochissimo tempo.- spiegò. -Stasera sono sicuro che ce la farai.-
Lavellan ammiccò, spalancando le braccia. -Vhenas, è buio pesto e il terreno è talmente fangoso che la rincorsa me la sogno.- protestò.
-Farai il salto. Oggi.- ribatté lui, con una determinazione che zittì ogni protesta.
Dato che lei ci vedeva abbastanza, prese la testa della fila non appena inforcarono il sentiero. Non si rese conto che non solo il fiato aveva smesso di rompersi, ma anche la sua andatura si era fatta più sicura.
Per aiutare il suo compagno a vederci meglio, si sforzò di sfilarsi il guanto che le proteggeva la mano sinistra, permettendo all’Ancora di fornire luce laddove la torcia non arrivava.
Una volta alla radura, le previsioni di Lavellan si concretizzarono. La vegetazione copriva quella poca luce che fornivano luna e stelle, inoltre il terreno era così spugnoso che gli stivali affondavano fino al tendine del calcagno.
Mentre Lavellan osservava le situazioni morfologiche con aria incerta, a ridosso della preoccupazione, Cullen mise la torcia in equilibrio su un masso e si mosse verso la parete rocciosa. -Fai un tentativo.- la invitò.
-Vhenas...-
-Assecondami, per favore.-
Lavellan saggiò il terreno con la punta degli stivali, alla ricerca di un percorso stabile, ma non lo trovò. Provò a correre per un metro, ma il terreno era così irregolare da farla barcollare. -Devo farlo da ferma.- annunciò, sorpassando Cullen per portarsi a ridosso dell’ostacolo.
L'erba era appiattita in più punti, segno che qualcuno si era trattenuto lì molto recentemente. Un biscotto schiacciato e dei tagli freschi di spada sulla corteccia di un pino furono ottimi indizi per capire l'identità di quelle persone.
Si sfilò la giacca, lanciandola a terra bruscamente, poi prese a fare qualche saltello sul posto, per distendere i nervi.
La parete di roccia parve alzarsi di un chilometro mentre Lavellan la guardava.
Cullen non disse nulla, limitandosi a osservarla con attenzione.
Lavellan prese un respiro profondo, poi saltò.
Riuscì ad afferrare un appiglio più basso rispetto a quello a cui di solito si affidava. Usò le punte dei piedi per darsi la spinta e raggiungere il suo solito punto di partenza, quindi si issò, saltò verso l’appiglio successivo e approfittò della spinta per darsi la rincorsa verso quell’appiglio che nei giorni precedenti era diventato la sua nemesi.
Poté sentire la granulosità della roccia sulla punta delle dita mentre precipitava nel cespuglio di fragoline.
Rimase imbambolata a fissarsi la mano destra, mentre Cullen la raggiungeva.
-C’ero quasi.- disse lei, mostrandogli la mano.
Lui le porse un braccio per aiutarla a rimettersi in piedi. -Ho visto.- commentò, come se stesse rilasciando un respiro che aveva trattenuto troppo a lungo. -Prima di riprovare, seguimi.-
Una volta in piedi, Lavellan si ritrovò la mano sinistra allacciata in una stretta delicata. Invece di condurla nuovamente alla parete, Cullen la portò a cinque metri di distanza da essa e prese a osservarla.
-Smetti di guardare la soluzione logica e agisci per convenienza.- le suggerì, senza smettere di tenerle la mano.
Lavellan strinse lo sguardo, esplorando la parete rocciosa per cercare di vederla da una prospettiva diversa. Era quello che faceva ossessivamente ogni volta che le capitava di restare da sola con i suoi pensieri, quindi non riuscì a trovare un’utilità concreta a quell’esercizio.
-Vengo qui ogni sera, e ogni volta mi chiedo perché cavolo ti sei impuntata su quell’ostacolo.-
-Perché è l’unico modo di salire in sicurezza.- spiegò lei.
-E quello?- domandò lui, indicandole un appiglio a due metri di elevazione dalla rientranza che lei usava per prendere la rincorsa e saltare verso l’appiglio che mancava di afferrare.
Lavellan scosse il capo. -Perché è troppo friabile, non reggerebbe il mio peso se lo usassi per issarmi. Perderei la presa e non avrei modo di recuperare semmai cadessi.-
-Non devi usarlo per issarti, devi usarlo come appoggio temporaneo per arrivare lì.- le indicò un appiglio poco più in alto.
Lavellan a quel punto era confusa. -E come dovrei arrivarci?-
-Correndo in verticale.- le rispose Cullen, tranquillamente.
-D’accordo che sono agile, ma non ho ancora sbloccato la levitazione.-
Cullen le rivolse un sorriso dubbioso. -Oggi pomeriggio ti ho vista fare un salto mortale all’indietro, centrare un bersaglio in volo e percorrere una parete intera di corsa. Se non l’hai sbloccata, ci sei vicina.-
Lavellan si strinse nelle spalle. -Come ti ho detto, quel genere di pratica non è applicabile nella vita reale.- indicò la sua nemesi. -Quello è l’imprevisto di cui parlavo prima. La cosa che separa la tecnica dalla sua applicabilità sul campo.-
Cullen passò uno sguardo divertito su di lei, poi prese a ridacchiare.
-Che cosa ho detto di tanto esilarante?- protestò Lavellan, esasperata.
-Che se in missione ti ritrovassi in una situazione del genere- racchiuse la radura con un gesto circolare del braccio -useresti tutto quello che si trova intorno a te anziché concentrarti unicamente sulla salita.-
Lavellan aggrottò la fronte, iniziando a osservare l’ambiente da un’altra prospettiva. Nella sua testa, il percorso su cui si era impuntata si arricchì di nuovi appigli da considerare, dati da una betulla, che cresceva a un metro di distanza dal punto in cui appoggiava il piede destro per iniziare i volteggi, e un abete bianco, il cui tronco massiccio era poco distante dal cespuglio di fragoline sul quale atterrava regolarmente.
-Oh.- esalò sommessamente, ricordandosi che il secondo era lo stesso albero sul quale tirava i resti dei biscotti di Sera quando si ritrovavano per allenarsi. Era circondato da alberi più giovani, i cui tronchi erano più glabri e meno resinosi.
Cullen le lasciò la mano, per incrociare le braccia sul petto. -Ce l’hai?- le chiese.
Lavellan, una volta finito di esaminare il tassello mancante, annuì con decisione. Si mosse verso l’abete, saltellò sul posto per constatare la solidità del terreno ed emise un verso di pura soddisfazione.
Allora, prese una breve rincorsa, si aggrappò alla base di un ramo con un cat leap, si issò su di esso e lo usò come trampolino di lancio per un altro volteggio. Usò il tronco di un abete più giovane per raggiungere un ramo più alto dell’abete di partenza, si dondolò abbastanza per sfruttare lo slancio e afferrare un ramo più spesso, che le avrebbe permesso di raggiungere una nodosità della corteccia abbastanza solida da concederle di fermarsi e analizzare la situazione.
La sua nemesi era poco più in alto. Avrebbe dovuto salire ancora.
Cullen la osservò arrampicarsi senza sforzo, raggiungere l’altezza del suo ostacolo e sorpassarla di qualche metro. Quando la vide fermarsi, trattenne il fiato.
Lavellan non osò deconcentrarsi, nonostante avesse la vittoria a portata di mano.
In un angolo recondito del suo cervello, c'era una voce fioca che le elencava tutte le volte che aveva provato e fallito, ma il bosco attorno a lei era più rumoroso.
-Vola dritto e non vacillare, piegati senza romperti, uniti siamo più forti della solitudine.- mormorò, in elvhen.
Mentre scioglieva le braccia, Cullen guardò lei, poi la parete di roccia, con una grande aspettativa nello sguardo.
Per un attimo, la vita si fermò, facendo sprofondare il tempo nel silenzio.
Poi Lavellan saltò verso la parete.
-Sì!- gridò Cullen, indicandola. -Sì!- ripeté, mentre lei non si dava il tempo di festeggiare per concludere il lavoro.
I movimenti del suo corpo anticiparono la paura di fallire, permettendole di visualizzare gli ostacoli e usarli a suo vantaggio.
Saltò, volteggiò, usò la rinnovata forza che aveva nelle gambe per darsi la spinta e trattare quella parete insormontabile come una stupidissima scala, perché non era niente in confronto a quello che veniva dopo. Non era niente in confronto al contesto.
Non si sorprese di essere arrivata in cima, piuttosto, provò un enorme senso di pace, per la prima volta dopo secoli.
Prese un respiro profondo, a occhi chiusi, trattenendo l'aria nei polmoni il più possibile prima di rilasciarla, depurandosi così da tutto ciò che l'aveva costretta con la faccia a terra fino a quel momento. -Ma melava halani, Andruil.- mormorò, sommessamente.
Le fronde dei pini applaudirono la sua impresa con un fruscio composto.
Si sedette sul ciglio della parete di roccia, agitando una mano in direzione di Cullen. Quest’ultimo la guardò con fierezza, realmente contento che ci fosse riuscita, dopo giorni di tentativi andati a vuoto. Se lo meritava.
Le rivolse un bel sorriso, facendole cenno di raggiungerlo.
Lavellan ricambiò, davvero grata, poi discese la parete, finalmente consapevole che il peggio fosse passato.
-Che ti avevo detto?-
Lavellan non rispose, preferendo stringerlo tra le braccia.
Tra il sussurrare degli alberi e il sibilare del vento tra le fronde, si scambiarono uno sguardo carico di soddisfazione, poi di speranza.

Una volta tornati nelle stanze dell’Inquisitrice, fangosi e scarmigliati, si abbandonarono a sedere sul bordo del letto, con un sospiro di sollievo.
-Una volta mi hai detto di non volere niente che io non potessi darti.- disse lui, con una nota di stanchezza nel tono di voce. -E finora, mi sembra di averti sempre dato tutto quello che potevo. Anche di più, a costo di annullarmi.-
-Non è quello che intendevo e di certo non è quello che voglio, vhenas.- dichiarò lei, raccogliendo la sua mano per stringerla.
-Nemmeno io. E vale per entrambi. Non voglio che la mia presenza sia un problema, e non voglio che il nostro rapporto diventi un ostacolo per te.- fece una pausa. -Hai visto di che cosa siamo capaci, quando lavoriamo insieme.-
Lavellan gli rivolse un sorriso malinconico. -Siamo inarrestabili.-
-Diamine, sì!- esclamò Cullen, guardandola con occhi carichi d’affetto. -Riusciremo a trovare una soluzione, dobbiamo solo… cercare una prospettiva alternativa.-
Lavellan ricambiò lo sguardo. -Facciamo come dici, allora.- disse. -Se dici che ho i mezzi per proseguire da sola, ti credo.-
Scese un silenzio duro e freddo, doloroso come una scheggia di vetro appena calpestata.
Continuavano a tenersi per mano, stringendo forte la presa perché nessuno dei due aveva intenzione di allontanarsi dall'altro. Nonostante si trovassero di fronte a un bivio senza indicazioni, preferivano restare a osservare i cartelli vuoti, anziché percorrere le strade di fronte a loro singolarmente, affidandosi all’idea di una futura congiunzione.
Lavellan si schiarì la voce, con grande difficoltà. -Io, ah... se vuoi andartene adesso, a me sta bene.- disse, rauca. -Non voglio trattenerti un secondo di più, sapendo che stare qui ti rende infelice.-
Cullen esitò, perché da un lato quelle parole gli stavano togliendo un gran peso, dall'altro lo ferivano ferocemente al cuore. Istintivamente, la abbracciò con tutta la forza che aveva nelle braccia, sperando che in quella maniera si dislocassero in un mondo parallelo, dove pestarsi i piedi a vicenda era un problema solo per il ballo.
Lei ricambiò, aggrappandosi alla sua schiena per trattenerlo il più possibile nel suo, di mondo, prima che ritornasse a essere orribilmente solitario nella sua confusione.
Rimasero abbracciati a lungo, per poi scambiarsi un bacio che sapeva di sale e di inevitabilità, finché Lavellan non riuscì a trovare la forza di allontanarsi.
-È temporaneo. Giusto il tempo di trovare una soluzione.- mormorò lui, prendendole il viso tra le mani. In cuor suo però sapeva che senza le condizioni per respirare, anche la pianta più resistente è capace di avvizzire.
Lavellan prese un respiro profondo, a occhi chiusi, colpevole di aver fatto lo stesso identico pensiero. -Lo so.- disse, avvolgendogli i polsi tra le dita per liberarsi. -Manca poco all'alba, vhenas.- aggiunse, con un filo di voce.
Cullen annuì, sciogliendola subito dalla presa per procedere a rivestirsi. Sentì di non avere le forze di farlo adeguatamente, perché la tristezza di Lavellan lo attirava come la più potente delle calamite e lui si odiava profondamente per aver ceduto all'egoismo, in quel momento estremamente fragile per lei. Allo stesso tempo, però, sapeva che entrambi ne avrebbero beneficiato, quindi si fece coraggio e finì di indossare l’armatura.
Una volta in ordine, si voltò verso di lei, con il cuore in gola. Fece per dire qualcosa, ma Lavellan lo dissuase, rivolgendogli un sorriso struggente e malinconico. -Non preoccuparti, me la caverò.- lo rassicurò.
Cullen si soffermò a osservarla per diversi istanti, prima di parlare. -Lo so.- rispose, semplicemente, poi si fece violenza e prese la via delle scale (ironicamente vuote), per impedirsi di correre da lei e nullificare una risoluzione necessaria.
Lavellan rimase immobile a fissare i suoi stivali, talmente concentrata a ripetersi di non essere lei il problema da non avere la forza di spogliarsi e rimettersi a letto.
Più se lo ripeteva, andando controcorrente rispetto alla frana che erano i suoi pensieri in quel momento, più il suo corpo si infiacchiva.
Sollevò lo sguardo giusto perché Shaan era entrato nel suo campo visivo. Si era accucciato di fronte a lei, con aria interrogativa.
-Ha solo bisogno di spazio.- si affrettò a rispondergli, asciugandosi le lacrime. -E non c’è niente di sbagliato in me.- concluse, come se stesse recitando una poesia a memoria.
Shaan imprecò sottovoce, mentre la tristezza si impossessava dei suoi lineamenti. -Ir abelas, lethallin.- disse, raccogliendo le sue mani tra le proprie.
-Lasciami sola, per favore.- disse lei, senza reagire al tocco.
-Banal.- rispose lui, avvolgendola in un abbraccio.
Lavellan non ci provò nemmeno a divincolarsi. Piuttosto, si strinse a lui e si concesse di abbandonarsi a una sacrosanta disperazione.


 



 
💅Gloss💄
Ir abelas, lethallin: Mi dispiace, amica mia.
Banal: Mai.


-Note-
https://c.tenor.com/6NEqq-nJ3W4AAAAC/tenor.gif
Beh, che dire follettine e follettini, c’è del “ah, ma forse se corro addosso a un muro coi freni rotti ci sbatto forte”, assieme a un bell’assortimento di cucchiai. Just bear with me

 

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Capitolo 35
*** Come un Asino ***


All’ennesimo “sto benissimo” di Cullen, Josephine aveva chiuso la seduta del consiglio, si era fatta mandare del tè con una selezione di biscotti lussuriosi nel suo studio e aveva ordinato a chiunque che non venissero disturbati.
Leliana prese posto sulla sua poltrona, vicino al caminetto, mentre Josephine spingeva bruscamente Cullen sul divano.
-Non ho voglia di parlarne.- decretò lui, raddrizzandosi.
Josephine scivolò al suo fianco. -Non ti sto chiedendo di parlarne, voglio darti la possibilità di sfogarti.-
-E non è la stessa cosa?-
Leliana fece un cenno di diniego. -La prima viene dalla testa, la seconda dallo stomaco.- elaborò, ricevendo uno sguardo soddisfatto da parte di Josephine.
-Non ho intenzione di sfogarmi con nessuno!- sbottò Cullen.
-È proprio questo il problema.- disse Josephine. -E, visto che in una gara di popolarità vincerebbe sempre lei, non penso che in tanti vorrebbero ascoltarti.-
Cullen ritrasse il capo, indignato. -Sii un po’ meno sincera, Josie.- la rimproverò.
Lei si strinse nelle spalle. -Tu non ti fai mai mai problemi a dirmi le cose come stanno.- disse, sporgendosi verso il servizio da tè. Recuperò un biscotto di pasta frolla glassato al cioccolato con una pinzetta e glielo porse.
Con aria dubbiosa, Cullen spostò lo sguardo da lei al biscotto. -Sono fereldiano, il mio cibo di conforto viene venduto a pinte.- puntualizzò.
Lo sguardo di Josephine lo riportò immediatamente con i piedi per terra, quindi prese l’offerta tra le dita con un’attenzione religiosa.
-Non… ci siamo lasciati. Abbiamo deciso di fare un passo indietro. Di prendere le cose con più calma.- spiegò lui, dopo un po’.
-Siete in pausa di riflessione, insomma.- riassunse Leliana, versando il tè per tutti.
-Non siamo in pausa di riflessione. Staremo solo per conto nostro un po’ più spesso, finché non saremo riusciti a trovare una soluzione.- precisò Cullen.
Josephine e Leliana si scambiarono un’occhiata eloquente. -Siete in pausa di riflessione.- confermò la prima.
Cullen sbuffò.
Entrambe gli rivolsero un sorrisetto, poi Josephine gli appoggiò una mano sul braccio, per confortarlo.
Leliana però era di un altro avviso. -Le pause non portano mai a niente di buono.- chiosò, porgendogli una tazzina piena. -Era proprio necessario?-
Cullen rispose dopo aver preso una sorsata. -Stavamo affogando, Lels.- e usò il plurale, nonostante fosse stata una soluzione che lui aveva spinto tra di loro.
Leliana sospirò, intuendo i contorni di ciò che si agitava nel suo cuore. -Non è esattamente il momento di pensare ai progetti. È anche tanto che riusciate a stare insieme la notte.-
-E di giorno, nelle cantine- aggiunse Josephine.
-E nella libreria.- si unì Leliana, rivolgendole un’occhiata complice.
-Vi odio profondamente.- borbottò Cullen, nascondendo il viso arrossato dietro a un sorso di tè.
-Dai, non c’è niente di male a farsi prendere dal panico!- lo consolò Josephine, riavviandogli un ricciolo ribelle dietro l’orecchio. Lui, istintivamente, si ritrasse.
-Non lo so, a me pare tanto una stupidaggine.- tornò a dire Leliana, prendendo posto nella sua solita poltrona. -Una stupidaggine che lei non si merita.-
-Lo dici perché vuoi prendere punti con lei.- la punzecchiò Josephine.
-Non mi interessa prendere punti. Ho visto troppe storie nascere sul campo di battaglia e morire davanti a un focolare. Visti i presupposti, speravo che voi foste l’eccezione che conferma la regola.-
-Non ci siamo lasciati.- esalò Cullen, esausto di doversi ripetere.
-No, ma evidentemente il timore che potesse succedere vi ha fatto mettere immediatamente le mani avanti. Per usare un tuo termine, avete affogato il vostro rapporto per paranoia, quando sarebbe stato giusto lasciare che le cose si rimettessero a posto naturalmente.- Leliana fece una pausa, mescolando il tè con aria assorta. -In ogni caso, è un delitto parlare di queste cose in assenza di alcol.-
Josephine ignorò il commento finale. -Non sono d’accordo, sai? Per me invece hanno fatto una scelta saggia. Ignorare i problemi peccando di troppa fiducia porta solo a farli ingigantire.-
-Dipende dall’entità dei problemi.-
Cullen appoggiò la tazza sul tavolino, perché la situazione gli stava agitando lo stomaco. -Potete evitare di discutere della mia vita privata come se non fossi presente?-
Entrambe si scusarono. Leliana si portò a sedere al suo fianco, avvolgendogli un braccio tra le proprie. -Mi auguro che risolviate. Tutto qui.- disse.
Josephine protesse una mano di Cullen con le sue, stringendo dolcemente. -Me lo auguro anch’io.- ammise. -Qualunque cosa succeda, puoi contare su di noi.-
Cullen chinò uno sguardo triste a terra. -Grazie, ragazze.- mormorò, contento che fossero al suo fianco.


 

34 – Come un Asino


 

-Cos'è quella faccia?-
Cullen si interruppe un solo istante per incrociare lo sguardo di Hawke, poi continuò a distribuire le mansioni ai suoi sottoposti, nel suo ufficio.
Il gruppo di Lavellan era partito da meno di mezz'ora e lui non riusciva a togliersi dalla testa il sorriso che lei gli aveva rivolto prima di varcare i cancelli di Skyhold.
-Era stranamente serena, no?- intervenne Hawke, dopo che Cullen ebbe concluso la riunione. -Come se non fosse successo niente.- aggiunse, gravitando attorno a lui per distrarlo dal documento che stava leggendo.
-Penso volesse... rassicurarmi.- ipotizzò Cullen, con aria confusa.
-Vuole mantenere le apparenze, tutto qui.- rispose Hawke, portandosi di fronte a lui.
Cullen prese posto su una poltroncina di fronte alla libreria, assumendo immediatamente un'espressione assorta.
Hawke si avvicinò di qualche passo. -Sono sorpreso che tu non le abbia detto di me.-
-Che cosa avrebbe cambiato? Che tu sia coinvolto o meno, non posso dare la colpa a un'allucinazione per una decisione che viene da me.-
-Eppure era quella la tua intenzione, quando avete parlato l’ultima volta.-
Cullen si aggrappò ai braccioli della poltroncina, spostando lo sguardo altrove. -Lei ha... quello sguardo.- mormorò, sommessamente. -Riconosce le cazzate a distanza di miglia. Come te.-
Hawke appoggiò la spalla sull'intelaiatura della libreria, incrociando le braccia sul petto. -Già, è una tosta.- ammise.
Cullen sospirò. -Dovrei fare pace con la mia scelta e accettare che le conseguenze potrebbero essere diverse da quelle che mi ero immaginato.-
-Classico caso di auto-sabotaggio.- intervenne una terza voce.
Cullen ammiccò, per poi voltarsi verso la porta settentrionale del suo ufficio, che si era richiusa dietro a Dorian. -Questa è nuova.- commentò.
Il nuovo arrivato lo squadrò da capo a piedi, con uno sguardo che comprendeva fastidio e scetticismo. Portava vesti da viaggio, il bastone da mago allacciato alla schiena e sembrava reale quanto lo era Hawke in quel momento, cosa che mandò totalmente in confusione Cullen, perché era certo di averlo visto partire al fianco di Lav.
-Te lo dico in quanto esperto del settore.- disse Dorian, guardandosi attorno brevemente, prima di raggiungerlo. -Succede quando una relazione diventa importante, o incontra uno scoglio. Lì di solito subentra una vocina che ti suggerisce che sei troppo esposto e non sei in grado di gestire i cambiamenti perché potresti rovinare tutto.- spiegò, sfilandosi il bastone dalla schiena per prendere posto di fronte alla scrivania. Una volta comodo, accavallò le gambe, per dissimulare quel senso di frustrazione che la sua espressione rendeva fin troppo palese. -Allora trovi un pretesto e concludi, perché è la soluzione più comoda per tutti. E voglio che sia chiaro che con “tutti” intendo esclusivamente te.-
Cullen studiò il suo viso con attenzione, passandosi una mano sulla barba per aiutarsi a riflettere e posizionare la sua figura all'interno della sua psiche. Si voltò verso Hawke. -Se tu sei la voce della ragione, lui cosa dovrebbe rappresentarmi?- gli domandò.
Il suo interlocutore fece spallucce. -Il tuo senso di colpa, a quanto pare. Considerato che è quello messo meglio, tra tutti noi, è incredibilmente coerente con la tua scala di valori psicologica.- rispose, passando un'occhiata veloce su Dorian.
Quest'ultimo inarcò un sopracciglio, perplesso, mentre Cullen appoggiava la fronte sulle dita, chiudendo gli occhi per sospirare. -Perché dovrei sabotare una delle cose più belle che mi siano mai capitate?- domandò, stancamente.
Dorian alzò un palmo verso l'alto, con l'aria di chi la sapeva lunga. -Per istinto di conservazione. Vuoi farla finita prima che scopra che non vale la pena di stare con uno come te.-
Hawke rise sommessamente, scuotendo la testa. Cullen gli lanciò una breve occhiata, per poi tornare a concentrarsi su Dorian. -Le ho solo proposto di prenderci del tempo per capire come affrontare la prossima fase della nostra relazione, non l'ho lasciata.- puntualizzò, per l’ennesima volta in troppo poco tempo.
Dorian inclinò la testa di lato, guardandolo con aria scettica. -Sai quante volte mi hanno rifilato questa scusa, prima di smettere di farsi sentire? Tante quante l'ho usata io per svincolarmi da una relazione prima che diventasse davvero importante.- disse.
-Non voglio svincolarmi dalla nostra relazione!- protestò lui, infastidito da quella comparazione. -Voglio capire come fare a stare insieme senza che decine di persone interferiscano sul nostro rapporto quando siamo in privato. La sua vita è monitorata costantemente, non voglio che lo sia anche la nostra relazione.-
-E cosa stai facendo per cambiare la situazione?-
Cullen esitò.
-Ecco, appunto.-
-Santa madre dei mabari, come sei pesante!- intervenne Hawke, aprendo le braccia in un gesto enfatico. -Te l'ha detto: non può costruire una relazione duratura se tutti vengono a metterci il becco.-
-Già, se continua così, non saremo più in grado di supportarci a vicenda.- affermò Cullen.
Dorian ammiccò, confuso. -Perdonami, comandante, so che conti sulla mia eccessiva intelligenza (giustamente, tra l’altro), ma penso di essermi perso un pezzo del discorso.-
-Se la canta e se la suona.- commentò Hawke, attraversando la stanza per raggiungere un cesto di libri. -Perché non lo cacci via e basta?- domandò, accucciandosi sul contenitore per spiarne il contenuto.
Cullen si massaggiò le tempie, con aria dolorante. -Non so nemmeno perché sto ascoltando te.- borbottò. -Come faccio a trovare il tempo per riflettere se ho tutti voi costantemente tra i piedi?-
Dorian strinse le palpebre a fessura, guardandolo con attenzione. -Quante persone ci sono nella stanza?- gli domandò, con una briciola di sospetto nel tono di voce.
Cullen sbuffò una risata scevra di divertimento.
-Questa è bella!- esclamò Hawke, rialzandosi con il libro che aveva scelto di sequestrare dalla pila. -Non puoi chiedere a un pazzo di contare le voci che ha nella testa. Sarebbe come mettersi davanti a un alveare con un abaco e pregare che le api si mettano in fila.-
Cullen scacciò quell'intervento con un cenno del braccio. Dorian registrò quel gesto, arricciandosi i baffi per aiutarsi a pensare. -Da quant'è che va avanti?- chiese.
-Come se non lo sapesse.- rispose Hawke, sfogliando distrattamente le pagine del libro. -O forse, non lo sa davvero.- aggiunse, rivolgendo un sorriso malizioso a Cullen.
Quest'ultimo si soffermò a riflettere, scontrandosi con il principio di un gran mal di testa. -Perché sei qui?- domandò a Dorian.
-L'idea iniziale era quella di farti il malocchio, dopo che Cassandra si è lasciata sfuggire che hai ferito quella che ritengo essere una delle mie migliori amiche.- spiegò lui. -Ora che sono qui però sento l'istinto di metterti in castigo e farti scrivere cento volte “sono l'apoteosi della deficienza”.-
-Dovresti essere in viaggio.-
-Sono tornato indietro con la scusa di avere dimenticato i miei appunti.-
Cullen lo guardò con scetticismo. -Quali appunti, quelli che hai memorizzato dopo averli letti di striscio, o quelli che sicuramente hai trascritto sul tuo grimorio giorni fa?-
Dorian esalò un gemito di rassegnazione. -Non ho detto che era una buona scusa.- precisò. Si ancorò al suo sguardo, assicurandosi che le sue parole venissero ascoltate. -Senti, comandante, ci sono passato. Siamo persone che sono disabituate alla felicità, tanto da rinnegarla quando bussa alla nostra porta.- giunse le mani in grembo. -Non lasciarla andare, o in futuro avrai un altro rimpianto che contribuirà a renderti un uomo miserabile, contento nella sua tristezza. Sempre che tu non lo sia già adesso.-
Cullen deglutì, identificandosi in quella descrizione.
-Se vuoi davvero questa storia, devi remarti contro. Ti renderà un uomo migliore. E se dovesse finire, fa' in modo che finisca per un motivo valido.-
-Voler proteggere ciò che abbiamo non è un motivo valido?-
-Non se non stai facendo niente per far funzionare le cose.-
-Non sono il solo.-
Dorian strinse le labbra su un'espressione tutto fuorché convinta, condivisa da Hawke. Grazie a quel contrasto, Cullen capì immediatamente la portata della sua insinuazione. Entrambe le sue “voci” portavano il cuore sulla manica, quindi sapevano riconoscere un'idiozia, o una scusante, annusandola ancora prima che venisse espressa.
-Per trovare una soluzione devi prima cercarla.- proseguì Dorian. -Da quello che vedo però, ti sei già rassegnato a farti comandare dalle tue allucinazioni.-
-Ehi, guarda che io ho salvato mezza Kirkwall con i miei consigli.- lo rimproverò Hawke, agitando il libro nella sua direzione.
-Dov'è finito il grande stratega che comanda l'esercito dell'Inquisizione? Rimboccati le mani e usa un po' di pensiero creativo, per Andraste!- tornò alla carica Dorian, battendo una mano sulla superficie della scrivania. -Ankh dice che non sei il tipo di uomo che si arrende. Dimostraglielo.-
Cullen rimase a guardarlo in silenzio, cercando nella sua figura qualsiasi incongruenza che potesse garantirgli la veridicità della sua persona. -Non è da te.- mormorò, aggrottando la fronte. -Tu mi disprezzi.-
Dorian recuperò il bastone da mago, alzandosi in piedi con calma. -Non ti disprezzo, comandante. Sei pesante come un piatto di frittura a mezzanotte, hai una proprietà lessicale che sembra uscita dal manuale dello scimmione per corrispondenza e non sei neanche tanto carino come tutti dicono.- fece una pausa. -Ma non posso restare a guardare quando un amico ha bisogno di una lavata di capo per non rovinarsi l'esistenza.- concluse, con una punta di fastidio nel tono di voce.
Cullen sollevò le sopracciglia, sorpreso.
Dorian agitò una mano nella sua direzione, così come si cancellerebbe un graffito imbarazzante da una lavagna. -Lascia perdere le voci e fa' quello che devi fare, tutto qui.- tagliò corto, per poi dirigersi verso la porta.
Cullen sorrise appena, poi si alzò a sua volta. -Cerca di tornare tutto intero.- disse.
Dorian gli rivolse un cenno sbrigativo, poi se ne andò, senza aggiungere altro. Cullen prese un respiro profondo, a occhi chiusi, poi si mosse per affacciarsi all'esterno. Hawke lo seguì con lo sguardo.
Un messaggero apparve sull'uscio, in attesa. -Vammi a chiamare il segretario dell'Inquisitrice.- gli ordinò Cullen. -È il caso di fare due calcoli, prima che la riunione del consiglio inizi.-
Detto ciò, rientrò. Si portò di fronte a Hawke, per guardarlo dritto negli occhi con un'espressione severa. Hawke si strinse nelle spalle, rivolgendogli un sorriso tirato, poi gli restituì il libro. -Non scomparirò solo perché hai avuto una rivelazione, lo sai questo?-
Cullen annuì, rigirandosi l'oggetto tra le mani. -Lo spero bene. Ho promesso a Varric che ti avrei riportato indietro.- mormorò. -Sai bene che sono cocciuto.-
Hawke ridacchiò. -Come un asino.-
Cullen ricambiò il sorriso, poi restituì il libro alla cesta.

Tre giorni dopo, Adra dovette impedire ad Amun di sradicare un manichino per tirarlo addosso a Cullen.
L’atelier ancora risentiva delle conseguenze della preparazione della partenza dell’Inquisitrice. Triboli di pelliccia infestavano ogni superficie, assieme a ritagli di lana e inserti di armatura foderata di cuoio. I rotoli di stoffa addossati alle pareti creavano gradienti dal bianco al verde menta e lo stesso si poteva dire delle macchie di candeggina che imbrattavano il pavimento, troppo coriacee per poter essere lavate via.
Cullen aveva bussato, si era affacciato e aveva deflesso il paio di forbici che gli veniva scagliato addosso con i bracciali dell’armatura.
-Non qui, gnomo da giardino troppo cresciuto! Se vuoi fare a botte, fallo dove non puoi fare danni!- berciò Adra, mettendosi a difesa del suo ospite. -Il campionario è troppo prezioso.- aggiunse, gettando a Cullen un’occhiata di profonda disapprovazione.
Quello, che ne aveva raccolte almeno una ventina da che era uscito dal suo ufficio, si rifiutava categoricamente di sentirsi in colpa. -Buongiorno anche a lei.- disse, evitando di lesinare sul sarcasmo.
-Buongiorno un accidente!- sbottò Amun, con le mani sui fianchi. La vestaglia quel giorno era un tripudio di seta color caffè. -Non mi importa se sei più grosso di me, se fai un altro passo ti ridipingo la faccia di viola!-
Adra alzò gli occhi al cielo, prima di voltarsi verso Cullen. -Cosa desidera, ingegnere? Se si è azzardato a venire fin qui significa che è importante.-
Cullen, che non si aspettava un tappeto rosso ed era abituato alla scontrosità della stilista, le porse un plico striminzito di appunti. -Ho bisogno di modificare il mio equipaggiamento. Harritt sta già pensando all’armatura, ma...-
-Lo sospettavo, sa?- lo interruppe Adra, inforcando gli occhiali da vista per dare una scorsa agli appunti. Si trattava di una lista di materiali accompagnata da diversi disegni tecnici abbozzati. -Sa di averla fatta grossa e adesso vuole andare a supplicare il perdono della dottoressa con la coda tra le gambe.-

Cullen, che non pensava di chiedere tanto nello sperare che le persone a Skyhold si facessero gli affari propri, assunse un’espressione infastidita, ma evitò di dare spiegazioni. -Mi serve per domani. È possibile?-
-Ah, no, io oggi e domani avrò la giornata libera.- disse immediatamente Amun, che stava radunando oggetti acuminati da tirargli addosso in un secondo momento. -La mia arte è per chi se la merita, non per gli stronzi fedifraghi!-
-Considerato che è un lavoro piuttosto facile, può avere tutto per stasera.-
-Adra!-
Quest'ultima scacciò l’indignazione di Amun con un cenno. -Lo faranno gli assistenti, ci è rimasta abbastanza trapunta da fare almeno un’altra decina di gambesoni.- spiegò, riponendo gli appunti sul tavolo.
-Lo apprezzo, grazie.- fece Cullen, sfiorando con lo sguardo una pila di pellicce d’orso a ridosso di un manichino. -La compenserò per lo scarso preavviso.-
Adra si strinse nelle spalle. -Il rinnovo del suo guardaroba è compreso nel contratto, non si disturbi.- rispose, per poi prendere a squadrarlo da capo a piedi. -È sicuro di non volere qualcosa di più elaborato, piuttosto?-
Cullen diede un cenno di diniego. -Se restassi qui un secondo di più rischierei di trasformarmi in un puntaspilli.- chiosò, rivolgendo lo sguardo verso Amun.
Quest'ultimo inspirò teatralmente. -L’audacia!- sbottò, indignato.
-L’audacia, per davvero.- commentò Adra, muovendosi verso una rastrelliera. Ne estrasse un campionario di stoffe e prese a sfogliarlo velocemente. -Ignori lo gnomo sbarbuto e venga un po’ qui, ingegnere.-
Cullen, senza staccare lo sguardo dai ferri da maglia acuminati che Amun aveva appoggiato sul suo tavolo da lavoro con fare minaccioso, si mosse verso Adra. Lei, nel frattempo, stava modificando i bozzetti.
-Strano che la stessa persona che va in giro per Skyhold vestita da leone voglia restare sul semplice in trasferta. Un po’ incoerente, a parer mio.- borbottò lei, indicandogli il campionario con un cenno del capo, troppo impegnata a costruire un completo per soffermarsi a guardarlo. -L’inquisitrice è vestita sui toni del bianco e del verde. Forse dovrebbe usare una palette simile alla sua.-
Cullen le indicò un tessuto con un filo spesso e ruvido simile alla juta, color terra di siena bruciata. -Questo andrà bene.-
-Andrà malissimo, la maglia è troppo larga per un clima rigido.- lo contraddisse lei. -Mi faccia un piacere e scelga solo i colori, al resto ci penso io.-
-Aveva detto che ci avrebbero pensato gli assistenti.- le ricordò Cullen, dubbioso.
-Ho una reputazione da rispettare. Non posso mandare il comandante dell’Inquisizione in giro con un sacco di patate.- dichiarò lei, guardandolo di sottecchi. -E se ha qualcosa da ridire sui costi e sullo spreco di risorse, tenga bene a mente che il mondo che lei vorrebbe non è così perfetto come crede.-
Cullen la osservò con sorpresa. -Allora non è arrabbiata con me per...-
-No, quelli sono affari vostri. In realtà non me ne frega un accidente.- lo interruppe lei, spingendo un altro campionario tra le sue mani, stavolta di colori. -Sono arrabbiata perché sostiene che il mio lavoro sia inutile, lo ha sempre fatto. Non creda che mi sia sfuggita la maniera in cui il suo viso si è illuminato, quando si è visto allo specchio al Palazzo d’Inverno.- fece una pausa. -Cosa le costa ammettere che forse indossare qualcosa di bello non intacca l’integrità morale di una persona?-
Cullen descrisse il suo viso con occhio attento. -Se non ci fossero così tante persone in difficoltà mentre noi discutiamo di fili e di colori, le darei subito ragione.-
Adra sbuffò una pernacchia. -Allora vada a lamentarsi con la Chiesa e con i dannati orlesiani, non parli di giustizia a chi lavora dalla mattina alla sera per vestire quattro disgraziati.-
Amun, dal suo tavolo di lavoro, si schiarì la voce. -Per la cronaca, io sono arrabbiato per l’altro motivo.- disse.
-Lo abbiamo capito!-
-Quindi… pensa che le cose non cambieranno, con noi a difendere i più deboli?- chiese Cullen, dubbioso.
Adra inarcò un sopracciglio, mentre le sue labbra si schiacciavano nella formulazione di un sorriso macchiato di tenerezza. Ci mise un po’, prima di rispondergli. -Le cose stanno già cambiando in meglio, grazie a voi.- lo rassicurò. -Molte cose rimarranno uguali, altre peggioreranno, ma signor Rutherford, il fatto che al giorno d’oggi ci sia qualcuno in questo mondo che si preoccupa ancora dei più deboli mi fa ben sperare.-
Cullen chinò la testa, fingendo di consultare i colori per mascherare l’imbarazzo. -Mi scuso per averla offesa, Adra. Sono stato ingiusto.-
-Non è con me che deve scusarsi. Delle parole me ne faccio ben poco, a me interessano i fatti.-
-E su questo siamo d’accordo.-
Si scambiarono un’occhiata veloce, poi si rimisero al lavoro.

La notte prima della sua partenza, Cullen si ritrovò a fissare la porta che conduceva alle stanze dell’Inquisitrice con una ruga di dubbio tra le sopracciglia.
Si rigirava tra le mani un sacchetto di pelle, stressando il filo di chiusura come se potesse aiutarlo a rallentare i suoi pensieri.
Una volta decisosi ad agire, varcò la soglia con fin troppa enfasi, arrampicandosi fino al primo piano a passo sostenuto.
Ebbe un minuscolo ripensamento quando intravide i soldati di guardia al piano, ma durò davvero poco, perché ciò che doveva fare aveva più importanza.
-Cercavo proprio te.- disse a Shaan, che stava scendendo dalle stanze private dell’Inquisitrice. Quello aspettò di averlo raggiunto, prima di rivolgergli un sorriso composto.
-Hai l’aria di volermi multare per qualcosa, comandante.-
-Se mi avessi conosciuto due anni fa, probabilmente ti avrei chiesto i documenti.-
Shaan inarcò un sopracciglio. -Solo i documenti?-
Cullen non raccolse la provocazione. -Vorrei chiederti due favori.-
Nel viso del segretario si poté leggere chiaramente un profondo stato di esasperazione, misto a contrarietà. -Chiedermi di improvvisarmi architetto non è abbastanza?- domandò, impugnando la cartellina come un ventaglio. -Spero che questi non comportino un eccessivo sforzo fisico, almeno.-
-Eccessivo.- ripeté Cullen, dando l’impressione di reputarla un’esagerazione. -L’ho portata su io la specchiera, tu l’hai solo montata.-
Shaan sospirò. -Andiamo, come posso esserti utile, oggi?-
-Vieni con me ad arrestare il sindaco.-
Ci fu un istante di smarrimento da parte di Shaan, che si ricordava bene del colloquio in mezzo al ponte di Skyhold che aveva sostenuto assieme ad Ankh e Leliana, con tutte le conseguenze che ne erano derivate. -Non penso di essere la persona più indicata per un compito del genere.-
-A me pare il contrario.- affermò Cullen. -Sei un rappresentante della tua gente, un ottimo osservatore e, in più, lavori a stretto contatto con l’Inquisitrice, quindi sai perfettamente come gestirebbe una situazione del genere.- spiegò, per poi abbassare drasticamente il tono di voce. -Mi ritengo una persona perspicace, in certe situazioni, ma non lo sono tanto quanto te. Se quell’uomo nascondesse qualcosa e io non me ne dovessi accorgere, voglio accanto una persona di fiducia che riesca a indicarmelo.-
Shaan ci rifletté, scorrendo lo sguardo sul pavimento come se fosse alla ricerca di qualcosa. -Quando partiremmo?- gli chiese.
-Domani mattina, dopo l’alba.-
Di nuovo, Shaan si prese i suoi tempi per rifletterci. Quando fu pronto, si infilò la cartellina sottobraccio. -Posso tentarti con un bicchiere di vino mentre discutiamo i dettagli?-
Cullen inclinò appena la testa di lato. -Significa che verrai?-
Shaan lo guardò con aria incerta. -Meno male che hai specificato di essere perspicace solo in certe situazioni.- commentò, precedendolo verso la sua postazione. -Hai decisamente bisogno di aiuto.-
-Spiritoso.- borbottò Cullen, scoccandogli un’occhiataccia. Lo raggiunse in poche falcate, rallentando il passo una volta che gli fu di fianco. -L’altro favore riguarda, uhm, la sorella del caporale Maeve.-
Shaan si fermò a ridosso di una porta chiusa, per guardarlo con sospetto. -Che è successo?- gli chiese, le dita che indugiavano sulla maniglia.
-Niente, niente.- si affrettò a rispondere Cullen, mettendo subito le mani avanti. -Volevo che avesse questo.- aggiunse, porgendogli il sacchetto di pelle.
Shaan se lo rigirò tra le dita, per intuirne il contenuto. -Se sai chi è Talia, allora saprai anche che non accetterebbe mai un regalo da un Umano.-
Cullen incrociò le braccia al petto, prendendo a fissare il muro di fronte a sé. -Per quello lo sto dando a te.- disse, abbassando il tono di voce.
Shaan però non sembrava convinto. -Posso vedere cosa c’è dentro?-
Cullen annuì. -Ci mancherebbe altro.-
Una volta schiuso il sacchetto, Shaan infilò le dita all’interno. Diede un’occhiata perplessa al suo interlocutore, prima di estrarre un tubicino di rame e studiarlo accuratamente. -Sembra un fischietto per cani.-
-Soffiaci dentro, allora.-
Shaan esitò, prima di avvicinarlo alle labbra.
-Piano, per favore.- gli consigliò Cullen, poco prima che lo provasse.
Difatti, dopo averci leggermente respirato dentro, Shaan interruppe immediatamente l’azione, correndo a coprirsi l’orecchio.
-Ma che razza di regalo è?- gemette.
Un Elfo si precipitò fuori dal salottino, con aria preoccupata. -Shaan, tutto bene?- domandò, con la mano agganciata all’impugnatura di un coltello da caccia.
Shaan guardò l’Elfo che monitorava la situazione, poi Cullen, poi il fischietto, comprendendo le implicazioni di quell’oggetto. -Sto bene, Revas, non preoccuparti.-
-Sicuro?- gli venne chiesto.
Shaan gli sorrise. -Sicurissimo.-
-La tua gente li usa nell’Enclave di Denerim per dare l’allarme sulla lunga distanza. Ne avrò sequestrati una decina quando ero d’istanza a Kinloch.- spiegò Cullen, indicando l’oggetto con un cenno del capo. -Noi sentiamo solo un sibilo, per voi, beh… da quello che dicono, il fastidio è simile a quello di una forchetta che gratta sulla porcellana.-
Shaan ripose il fischietto nel sacchetto, arricciando il naso. -Ho presente.-
Cullen abbozzò un sorriso. -Potrebbe aiutarla a sentirsi più al sicuro.- ipotizzò. -E magari potrebbe pensare di portare Currant a giocare nei giardini, un giorno. Da quello che mi dicono, non lasciano mai la torre.-
Shaan lo osservò per un po’ senza dire nulla, come se fosse alla ricerca di qualcosa nei suoi lineamenti. -Ci vorrà del tempo.- disse, semplicemente.
Cullen gli sorrise con aria di consapevolezza. -Preferirei che non le dicessi che te l’ho dato io. Per ovvi motivi.-
-Per ovvi motivi, sì.- gli fece eco Shaan, riponendo il sacchetto con cura in una tasca del completo. Ritornò a indugiare sulla maniglia, ma era chiaro che volesse esprimere qualcosa che non sapeva come articolare.
Cullen lo rassicurò con una pacca sulla spalla, precedendolo all’interno. -Organizziamoci, coraggio. Il tempo è agli sgoccioli.-
Shaan inspirò profondamente, poi sbuffò, passandosi una mano dietro al collo mentre rilassava la postura. -D’accordo. Al lavoro!-

 

-Note-

Tutta Skyhold quando si è sparsa la voce
Tutta Skyhold quando Cullen se ne va tutto imbacuccato

 

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Capitolo 36
*** Convenienza ***


35 - Convenienza

 


Emprise du Lion era spettacolare.

Le descrizioni non rendevano giustizia al panorama candido e sinuoso che si distribuiva attraverso boschi di sempreverdi e vallate brillanti come lo zucchero raffinato.

Il fiume ghiacciato sembrava respirare, reagendo al sole con agglomerati di vapore che venivano plasmati dal vento in mulinelli. Le cascate gelide ai suoi margini sembravano vetro fuso da un mastro artigiano.

Più a sud del fiume, a ridosso del burrone che si inabissava al disotto del Passaggio di Judicael, gli agglomerati di lyrium rosso costeggiavano strade e costruzioni, rubando l’attenzione alle monumentali stalattiti che scendevano dai costoni di roccia.

Cullen, che controllava i lavori di ricostruzione del ponte, si perse un istante a osservare i due draghi che volavano in cerchio sopra un vecchio anfiteatro cento metri a est della sua posizione. Li tenne d’occhio con la meraviglia nello sguardo e, per un po’, il senso di nausea derivato dagli effluvi di lyrium rosso scomparve.

-Non so come faccia a essere così tranquillo.-

Proveniente dalla strada che s’insinuava a nord, in direzione dell’accampamento dell’Inquisizione limitrofo, un signore imbacuccato in pellicce lussuose si stava avvicinando a Cullen e al gruppo di operai che supervisionava.

Incastonato in una sciarpa di lana ricamata finemente, il viso dell’uomo era affilato e scevro di rughe, con una fronte spaziosa che suggeriva un principio di calvizie e un paio di occhi neri e penetranti che a Cullen ricordarono i corvi di Leliana. Tutto l’insieme gli ricordava un corvo, a dire il vero, soprattutto il naso lungo e dritto.

Quando fu abbastanza vicino, Cullen gli diede quarant’anni e riconobbe subito che non era del posto.

-Non ci attaccheranno. Siamo lontani dalla loro zona di caccia.- spiegò, allungando una mano per aiutarlo a scavalcare un cumulo di neve.

Il signore piantò a terra un bastone da passeggio la cui impugnatura raffigurava la testa di un mabari, poi si issò al suo fianco con eleganza. -Sarà, ma la cosa non mi conforta.- disse, le esse accentuate e le vocali chiuse.

Cullen inarcò un sopracciglio. -Cosa ci fa un signore fereldiano ai confini della civiltà?- domandò, studiando il nuovo arrivato mentre si godeva un alito di vento gelido con il naso a becco puntato verso il cielo e gli occhi chiusi dalla beatitudine.

-Potrei chiederle la stessa cosa, comandante.- disse, senza smettere di godersi l’attimo. -Se mancassi d’intelletto, certo.- aggiunse, allacciando le dita guantate sull’impugnatura del bastone. -Sono qui per vedere l’Inquisitrice. Come lei, d’altronde.-

Cullen lo guardò con poca convinzione. -Avrebbe potuto aspettarla a Skyhold. Il clima è più clemente lì.-

-Non ho preferenze climatiche. Le mie preferenze si riferiscono al tempo e alla disponibilità delle persone. E con persone intendo me.- elaborò il signore, rivolgendo a Cullen un sorriso astuto.

Nell’immaginazione di Cullen, la figura del corvo venne sostituita repentinamente da quella di una gazza ladra. E, per una frazione di secondo, gli venne anche da sovrapporre il ghigno del signore a quello che Lav riservava ai nobili orlesiani prima che lei e Josephine siglassero accordi svantaggiosi per loro.

-Lei dev’essere Bann Olivier.- ipotizzò Cullen, senza mettere troppa reverenza nel tono di voce.

Il signore diede un cenno lento d’assenso con il capo. -E lei è il comandante Cullen. Ser Cullen.- rispose, per poi scorrere lo sguardo su di lui. -I resoconti non le rendono giustizia. E con resoconti, intendo ciò che si dice di lei a corte.-

-A corte?- ripeté Cullen, immaginandosi con orrore la regina sbadigliare sonoramente mentre i nobili al suo cospetto si lamentavano dell’Inquisizione, o di lui nello specifico. Istintivamente, si passò una mano sui capelli per rimetterli in ordine.

Bann Olivier ridacchiò. -Già. È l’unico fereldiano in una posizione di potere nell’Inquisizione, è ovvio che il suo nome sia sulla bocca di tutti. Non oso immaginare la mole di messaggi che deve arrivarle sulla scrivania ogni mattina!- inspirò a lungo l’aria frizzante, rilasciando un sospiro soddisfatto. -Non si lasci intimidire, al di là dell’eredità terriera e dell’educazione, sono solo uomini. Lo sa che alla regina piacciono i bignè salati? E che quando ha scoperto che le avete rubato la stilista ha lanciato suddetti bignè salati in capo a Bann Teoric? È anche lei dei Colli Occidentali, o sbaglio? Dall’accento non si direbbe, ma da quello che si dice, è stato portato via dai Templari in adolescenza, quindi è possibile che l’accento sia andato via via degradandosi nel tempo.-

Cullen, stanco di essere costantemente sotto una lente d’ingrandimento, spostò uno sguardo infastidito altrove. -Non sono informazioni corrette.- disse.

Bann Olivier gli gettò un’occhiata divertita. -Allora dovrò dire a Bann Teoric di smetterla di vantarsi che il comandante dell’Inquisizione è “un suo uomo”.-

-Non sono l’uomo di nessuno, specialmente di Bann Teoric.-

-Anche questa è un’informazione scorretta.- lo contraddisse Bann Olivier, alzando un indice. -Lei è l’uomo dell’Inquisitrice. E con uomo...-

-Posso aiutarla in qualche modo, signore, o è venuto fin qui per innervosirmi?- lo interruppe Cullen, spazientito.

-La sto innervosendo?- domandò Bann Olivier, con un tono fin troppo drammatico per esprimere una curiosità genuina.

Cullen infatti lo guardò con uno scetticismo lampante. Di fronte a quell’espressione, Bann Olivier scoppiò a ridere. -Volevo solo punzecchiarla un pochino, Ser Cullen. Ankh sostiene che la sua integrità, se messa alla prova, sfoci in un eccesso di onestà. In realtà, è un tratto che ci accomuna e ne sono molto fiero.-

Nel sentire che la chiamava per nome e non per titolo, a Cullen suonò un campanello d’allarme nella testa.

-Comunque sì, può aiutarmi.- proseguì Bann Olivier, osservando gli uomini al lavoro con attenzione. -Le ronde nel Bannorn non stanno aiutando solo i profughi, hanno permesso alla milizia dei Bann di tirare il fiato, tanto che adesso abbiamo un lieve eccesso di scorte. Il problema è che non ho un’ottima nomea nelle Terre Centrali, quindi non posso propormi personalmente di aiutare Arle Teagan con la ricostruzione della Strada del Re. Può intercedere lei al mio posto?-

-Non ha intenzione di seguire i canali ufficiali?-

-E perdere tempo dietro alla burocrazia? È un eccesso momentaneo. Ora che gli stramaledetti canali ufficiali si sveglino, la Corona avrà già messo le mani sulle risorse che le sto offrendo adesso e al Crocevia la circolazione diventerà da intasata a terrificante.-

Cullen inarcò un sopracciglio. -Cosa c’è sotto?-

-Gliel’ho detto: ho un bruttissimo rapporto con Arle Teagan, non accetterebbe mai di farsi aiutare dal sottoscritto, nemmeno se gli andassi sotto casa con le ceneri di Andraste! Se l’Inquisizione intercedesse, ancora una volta, potremmo fare del bene per chi dà la giusta importanza (ovvero nessuna) a queste diatribe con lo stendardo.- Bann Olivier aprì una mano verso il suo interlocutore. -Inquisizione compresa, dato che a parere di Ankh i nobili sono una piaga per la società contemporanea e le ricchezze dovrebbero essere ridistribuite in base al merito.-

Cullen continuava a essere scettico. -E tutto ciò lo farebbe per bontà d’animo, o per un rientro di qualche tipo?- chiese.

Bann Olivier lo guardò come se gli avesse appena chiesto la somma di due numeri a una cifra. -Ser Cullen, spero davvero che questa sfiducia derivi dall’esperienza politica che sta vivendo nell’Orlais e non da una densità imbarazzante della sua materia grigia.- fece, diretto come la sberla guantata che sancisce i duelli. -Come le ho già detto, e mi secca ripetermi, l’Inquisizione ci ha liberati di un peso, sono avanzate risorse, preferisco che vengano impiegate per il benessere di chi ne ha realmente bisogno anziché finire nei cantieri della capitale.- riassunse, scandendo bene le parole. -Nessuna dietrologia. La penso come voi.-

Cullen, che non riusciva proprio ad abituarsi al modo in cui lo trattavano i nobili, tirò fuori gli artigli. -Se non ci fossero dietrologie, si sarebbe rivolto direttamente a La… all’Inquisitrice. Sta discutendo con me perché è consapevole che la mia integrità è un’arma a doppio taglio.-

Bann Olivier si infilò il bastone sottobraccio, per unire le mani in preghiera e sporgersi verso il suo interlocutore con l’aria di un maestro che sta perdendo tempo dietro a un alunno molto poco propenso all’apprendimento di concetti basilari. -Sono venuto da lei per evitarmi proprio questi discorsi.- ammise. -E per evitare perdite di tempo. E con perdite di tempo intendo che piuttosto che discutere di politica con un’antivana preferirei fare il bagno nudo nel Calenhad in pieno inverno.-

Cullen però era deciso a non cadere in trappola. -Stia attento alle sanguisughe, allora.- disse, tornando a prestare attenzione ai lavori.

Bann Olivier lo guardò con una vena d’interesse nello sguardo. -Ankh mi ha riferito quanto la vostra esperienza al Palazzo d’Inverno vi abbia traumatizzati. Non mi ha specificato quanto abbia traumatizzato lei per primo.- disse. -Ed è uno spreco, davvero, perché...-

Entrambi si voltarono verso il costone che fiancheggiava la strada, avendo udito un rumore intenso di vetri rotti. Cullen imbracciò spada e scudo, portandosi a protezione del Bann, mentre gli operai si distraevano a loro volta per capire cosa stesse succedendo.

Quello che sembrava un agglomerato di lyrium rosso atterrò sulla strada, rilasciando un’onda d’urto che fece rovesciare un carro e sbilanciò diversi operai. Cullen spalancò lo sguardo dalla sorpresa, prima di mettersi in posizione di difesa. -Ser Darrow!- gridò.

Quella, assieme ai pochi soldati che comandava e che erano a protezione degli operai, si fiondò immediatamente al suo fianco, alzando lo scudo per riparare se stessa e creare un muro di scudi assieme ai suoi compagni.

Bann Olivier osservò il Colosso con aria rapita, mentre un soldato lo trascinava al riparo dietro a un muretto.

Mentre il nemico si rialzava, cercando di bilanciarsi sul terreno nevoso, venne raggiunto da due Ombre e da un Cavaliere dei Templari Rossi, pronti a sabotare le riparazioni.

-Signore, deve andarsene.- consigliò Ser Darrow, deflettendo una lancia di lyrium rosso con lo scudo.

Cullen la ignorò. -Avanzare!- gridò, diretto ai soldati, conscio che la carica del Colosso li avrebbe travolti. Purtroppo, non aveva altra scelta, perché la mobilità era ridotta e senza arcieri quei pochi uomini che c’erano avrebbero potuto solo contrastare un attacco frontale e diretto.

L’unica opzione era avanzare il più possibile e cercare di creare un corridoio di sicurezza per gli operai e Bann Olivier, in modo che si mettessero al sicuro e dessero l’allarme.

Il Colosso, purtroppo, era incontrastabile. Anche se avessero eliminato la minaccia data dalle truppe più piccole, tutti loro erano spacciati.

Fortunatamente, quando Cullen annusava una sfida ci si catapultava addosso e aveva supervisionato gli addestramenti di ciascuno di quei soldati. Era genuinamente certo che avrebbero retto il colpo.

I difensori alzarono tutti gli scudi all’unisono, mentre avanzavano abbastanza da creare una linea di protezione, poi Ser Darrow benedì le armi dei suoi compagni, in modo che potessero aumentare la loro efficacia.

Il problema era che i nemici avevano la possibilità di fare lo stesso.

Cullen evitò un colpo potenzialmente mortale del Cavaliere, schivò il maglio di lyrium rosso del Colosso e parò l’assalto alle spalle di una delle Ombre. Ser Darrow, al suo fianco, cercava un modo di penetrare le difese del Colosso, con scarso successo.

-Proteggete i fianchi!- gridò Cullen, cercando una visione d’insieme nel combattimento. Si distrasse giusto un istante per constatare che gli operai e il Bann fossero riusciti ad allontanarsi e il Cavaliere ne approfittò, stampando una pedata sul suo scudo.

-Comandante!- gridò Ser Darrow, mentre lui atterrava giusto sull’orlo del burrone.

Cullen puntò il gomito a terra e la roccia franò, rischiando di farlo precipitare. Gli capitò di vedere ciò che avrebbe rischiato se fosse atterrato giusto mezzo metro più avanti, deglutì un principio di terrore e si affrettò a rimettersi in piedi per parare l’assalto successivo.

Contrastò un fendente verticale, approfittando che fosse andato a segno sul suo scudo per eseguire un affondo che si inserì sul fianco del Cavaliere. Con uno scarto dell’ultimo secondo, evitò che il Colosso lo travolgesse mentre caricava i soldati alla sua sinistra, poi deflesse una stoccata.

L’Ombra provò di nuovo a prenderlo alle spalle e per poco non ci riuscì, perché per pura fortuna si stava rimettendo in posizione difensiva. Vide una stalattite di lyrium rosso sfiorargli la guancia e subito si ritrasse, muovendosi di lato per evitare di finire infilzato da entrambi i suoi nemici.

Considerato lo svantaggio, sarebbe stata una lotta quasi ribaltabile al successo, se non fosse stato per i due arcieri nemici apparsi sul costone per dare man forte ai loro alleati. Ben presto, rimasero in piedi in cinque; Cullen e Ser Darrow erano gli unici che riuscivano a tenere testa a più nemici contemporaneamente.

-Dobbiamo solo resistere!- disse lui, con la voce rotta dalla fatica. -L’accampamento è vicino, avranno già dato l’allarme.-

Il soldato a cui si stava rivolgendo venne schiacciato dal maglio di lyrium rosso del Colosso.

Attonito, Cullen indietreggiò, giusto in tempo per permettere a una delle Ombre di sgusciare alle sue spalle.

Percepì la sua presenza tempestivamente e deviò un colpo con il bracciale dell’armatura, un altro con lo scudo, ma il terzo colpo andò a segno, squarciandogli uno spallaccio.

Ser Darrow schiantò lo scudo sull’Ombra, dando il tempo a Cullen di rimettersi in posizione di guardia. -Non lo dico spesso.- fece lui, a denti stretti. -Ma ora come ora, farei di tutto per avere un Mago.-

-Stavate parlando di me?- tuonò una voce conosciuta.

L’Ombra venne colpita da una palla di fuoco. Il Colosso indietreggiò verso la parete di roccia in risposta a un’esplosione e il Cavaliere venne caricato, e di conseguenza sbalzato via, dal colpo possente di un’arma a due mani.

Cullen si ritrovò il Toro di fianco, voltò la testa e riconobbe Dorian che scatenava l’inferno (letteralmente) sul campo di battaglia. A correre sui margini del burrone c’era Lavellan, che alternava lanci di trappole elementali a tiri esplosivi, bersagliando il Colosso.

Cullen ne approfittò per placcare uno dei pochissimi soldati rimasti, in modo che non finisse schiacciato, poi lo trascinò a bordo campo, permettendo a Cassandra di sostituirlo.

-Ehilà Ricciolino!- lo salutò Varric, impedendo al Cavaliere di avvicinarsi troppo a Ser Darrow. -La prossima volta che vuoi fare festa, porta ospiti migliori. Questi si rompono subito.-

-Sono bellissimi quando prendono fuoco!- gridò Dorian, senza smettere di concatenare evocazioni. -E non puzzano nemmeno!-

-Questo lo dici tu!- intervenne Lavellan, schivando l’assalto di un’Ombra con un salto all’indietro. Una volta atterrata, usò la forza di spinta per proiettarsi di lato e lanciare una bomba elementale tra le gambe del Cavaliere. Quando esplose, in una raggiera di spine di ghiaccio, il Toro calò il martello da guerra sul nemico, appiattendogli la testa tra le spalle. Per l’azione del ghiaccio, le gambe gli si sbriciolarono, lasciando a terra solo un torso in armatura.

A gambe all’aria sulla neve, Lavellan sollevò l’arco per esultare. Il Toro la indicò con enfasi, annuendo soddisfatto, poi si gettò nuovamente nel combattimento, al fianco di Cassandra.

Cullen accorse ad aiutare Lavellan ad alzarsi, nonostante non ne avesse bisogno. Lei afferrò la sua mano, issandosi agilmente di fronte a lui con un sorriso gioviale, riparato a malapena dall’elmo. -Lo butto giù e tu lo finisci?- gli propose, con aria allegra.

Cullen annuì con decisione. -Ha un punto debole?- domandò.

-Quando avrò finito con lui, ne avrà una caterva!- rispose Lavellan, brandendo una fiala verde acceso con un sorriso terrificante.

Cullen, indeciso se avere paura di lei o esserne eccitato, scelse entrambe le opzioni. -Mettilo in ginocchio.-

Lavellan non se lo fece ripetere due volte. Legò la fiala a una freccia e la scagliò sul Colosso, il cui braccio armato prese a ribollire.

Il rumore frizzante dell’acido si unì al clangore della battaglia e alle urla di dolore dei Templari Rossi, che non riuscivano a tenere il passo dei loro avversari.

Lavellan circolava attorno al Colosso come uno squalo attorno a una balena ferita, alternando tiri lunghi a tiri esplosivi. Era infaticabile, determinata e Cullen non poté non disconoscerla dalla ragazza che il mese prima faceva fatica a compiere un salto in lungo da ferma senza farsi venire un capogiro.

Aveva fatto passi da gigante e questo gli strinse il cuore.

-Ci siamo!- gridò lei, arretrando abbastanza per evitare che il Colosso la travolgesse nella caduta.

Cullen roteò la spada, piegò le ginocchia e scattò verso il nemico, a quel punto carponi sulla neve. Menò un fendente obliquo, che gli mise fuori uso il braccio armato definitivamente; fece scorrere la lama sul suo torso, scatenando una pioggia di sangue e schegge di lyrium rosso; infine, si liberò dello scudo per afferrare con due mani l’impugnatura della spada e la calò sul suo collo con tutta la forza che aveva.

Il Colosso eruppe in un grido allucinante, che si smorzò nel momento in cui la sua testa venne liberata da ogni pensiero e prese a rotolare fino all’orlo del burrone.

Lavellan la recuperò in tempo con il piede, calciandola indietro. 

-Noo!- gridò Sera, davvero delusa. -Avresti dovuto lanciarla di sotto! Immagina la faccia di quelli che se la sarebbero vista piovere in giardino!-

-Sera, attenta!-

La testa di uno dei due arcieri cadde sulla schiena di Sera, facendola urlare di paura. O di schifo. Soprattutto di paura.

Si raddrizzò per lanciare a Blackwall una catena di imprecazioni che lo fecero trasalire.

-Non è una bella faccia.- scherzò Lavellan, per poi raggiungere Cullen, che si stava ripulendo il mantello dai frammenti di lyrium rosso.

-È insopportabile.- ammise lui, mentre Lavellan lo aiutava nell’impresa al meglio delle sue possibilità. -Mi sembra di essere a uno di quegli spettacoli in cui fanno suonare i bicchieri di cristallo. Il problema è che sono tutte note alte.-

-Lo senti cantare?- gli chiese Varric, accigliato.

Cullen lo guardò con aria confusa, poi realizzò perché fosse preoccupato. -Ero un Templare. Il lyrium rosso ha più influenza su di me che su di te.- spiegò. -Fortunatamente, a me dà la nausea.-

Ser Darrow, finalmente disimpegnata, si unì al gruppo. -Fa meno casino qui che al Tempio delle Sacre Ceneri, questo è certo. Io e il capitano Rylen dovevamo fare i sopralluoghi a turno per evitare di impazzire.-

-Beati voi.- bofonchiò Cullen, spazzandosi il mantello con ampie manate.

Lavellan aggrottò la fronte. -Avresti potuto dirmelo.-

-E a che scopo?-

-Per evitarti di soffrire di più.-

-Mi sono mai lamentato?- 

-Sia mai!-

Si scambiarono un’occhiata, poi un breve sorriso d’intesa.

Dorian, nel frattempo, aveva appena abbattuto l’ultimo nemico, rubandolo a Cassandra. -E il Mago ancora una volta salva il mondo! Prego, a proposito.-

Cullen alzò gli occhi al cielo, Lavellan prese a ridacchiare.

-D’accordo, sistemiamo questo casino e installiamo un perimetro di sicurezza per gli operai.- disse Cassandra, battendo le mani per attirare l’attenzione su di sé. -Se questi ci sono sfuggiti, di sicuro ce ne saranno altri.-

Lavellan fece per rubare un bacio a Cullen, ma rimise i piedi per terra in tempo per evitare una figuraccia. Si salvò all’ultimo secondo, spazzolando via una scheggia di lyrium rosso dai suoi capelli per mascherare le sue intenzioni, poi si mosse in coda a Cassandra, in direzione dell’accampamento.

Cullen, perfettamente conscio di ciò che aveva appena evitato, complice il suo cuore che gli aveva ricordato quanto Lavellan gli fosse mancata con una fitta di dolore acuta, si sistemò lo scudo sulle spalle, prese un respiro profondo e tornò a supervisionare i lavori. Il tutto, molto tristemente.

 

Si rividero qualche ora dopo, alla fortezza di Suledin, ospitati dal barone Desjardins in una delle poche stanze agibili del mastio.

La porta era divelta, sostituita da una tenda di piombaggine e residui di brina; all’interno, la poca luce proveniente da una fila di tre feritoie era ben compensata da un braciere che faceva rilucere le pareti, fredde e costernate.

Entrando, Cullen dovette fare pace con l’idea che l’incontro con Bann Olivier non sarebbe stato un evento eccezionale. Infatti, quello sedeva con Lavellan attorno a una botte adibita a tavolino. Il suo bastone da passeggio era stato lasciato sullo stipite della porta e le pellicce erano state abbandonate all’ingresso, lasciando spazio a un completo signorile viola regale. La giacca, composta da un gilet in doppio-petto e maniche a sbuffo, era tempestata di pietre preziose e ricami dorati raffiguranti teste di cane e fiori di sambuco.

Lavellan, che aspettava di ripartire per l’ennesima missione, non aveva smesso l’armatura, elmo incluso. Appariva sicuramente meno sontuosa del suo interlocutore per praticità, ma l’occhio di Adra per le proporzioni e per la scelta dei tessuti, in combinazione con la maestria nella lavorazione dei metalli di mastro Harritt, permetteva alla grazia naturale di Lavellan di spiccare senza sforzo.

Cullen si soffermò a guardarla con un accenno di vergogna nell’espressione ammirata, prima di raggiungerla. 

-A volte vorrei strapparti il cervello dalla testa per mangiarlo!- esclamò Bann Olivier, versandosi da bere. Cullen venne assalito da un odore pungente di grappa alle more che gli fece passare immediatamente la nausea.

-Se non fosse socialmente inaccettabile, ovviamente. E con socialmente inaccettabile intendo dire che mi secca sporcarmi le mani.- concluse il Bann, appuntando una cifra su un quadrato di carta di cotone.

Lavellan agguantò uno sgabello per permettere a Cullen di prendere posto, poi gli rivolse un mezzo sorriso. -Vuoi il contesto, o preferisci restare nell’ignoranza?- gli chiese.

Cullen le lanciò un’occhiata eloquente, facendola desistere dall’elaborare.

Bann Olivier gli appoggiò la bottiglia di fronte, in un’azione asciutta. -Beva, Ser Cullen. Non è una richiesta.- disse, per poi intascarsi il foglietto. -Il contesto, se mi permette, è che l’alchimia è una scienza che stupisce la matematica. Il suo fascino è insito nello sbaglio e bisogna approcciarla con un entusiasmo direttamente proporzionale al rispetto.- indicò Lavellan. -La signora qui presente ha appena risolto un dilemma che andava avanti da mesi è che, sfortunatamente, ha rischiato diverse volte di scatenare un incendio nel mio laboratorio. E con rischiato intendo che il mio laboratorio è attualmente inagibile.-

Cullen non riuscì a trattenere un sorrisetto, ricordandosi le condizioni in cui versava la fucina ogni martedì mattina. -Ah, si?- 

In risposta, Lavellan gli assestò un calcetto sullo stinco.

Bann Olivier però non era interessato a elaborare oltre. -Allora, questa mediazione?-

Lavellan appoggiò un gomito sul coperchio della botte. -Ma che mai avrai fatto per inimicarti Arle Teagan? Leliana sostiene che sia un uomo buono di cuore e valoroso sul campo di battaglia.-

Ricevette due occhiate incerte. -È complice di suo fratello di aver reso l’infanzia di Ser Alistair un inferno.- puntualizzò Cullen.

-E a me non ha perdonato di avere ucciso i miei, di fratelli.- aggiunse Bann Olivier.

Cullen lo guardò con tanto d’occhi. -Mi sembra una ragione valida per disprezzare qualcuno.- disse. Il fatto che non volesse aggiungere una frase di specifica a quell’affermazione grave, gli dava a intendere che non fosse un eufemismo.

Bann Olivier spostò l’attenzione su Lavellan, rivolgendole il suo caratteristico sorriso da gazza ladra. -Pensavo gliel’avessi detto. Se non tu, la tua capospia. E con detto intendo messo in guardia sul mio conto.-

-Penso che sia in grado di valutare chi ha davanti senza che io glielo sussurri all’orecchio.- replicò lei, versando la grappa in un bicchierino, dato che Cullen era troppo impegnato a guardare il loro interlocutore in cagnesco.

Bann Olivier scosse la testa con disappunto. -Me lo avete rovinato, questo ragazzo! A stare troppo con gli orlesiani, gli avete fatto crescere la paranoia.-

-Un’ottima difesa contro i nobili di qualsiasi paese.- lo contraddisse Lavellan.

-Perdonatemi ma non riesco ad andare oltre alla cosa dei fratelli.- borbottò Cullen, prendendo un sorso di grappa. Il calore si distribuì subito dalle guance al torso, facendolo rabbrividire dal sollievo.

Bann Olivier si sporse su di lui. -Sono un figlio nato fuori dalla relazione coniugale.- spiegò. -Non è un segreto, mio padre mi ha riconosciuto pochi anni dopo la mia nascita. Pensava che, dato che l’erede di tutte le sue fortune era già stato deciso, e che nel caso di una sua dipartita il suo posto sarebbe stato coperto, io non avrei costituito un pericolo per la sua linea di successione.- fece una pausa. -Ovviamente, sbagliava. E con sbagliava intendo che sapeva fin troppo bene che io avevo una marcia in più e che i suoi figli fossero due cretini patentati. Era chiaro su quale cavallo volesse puntare.-

-Ah, beh! Tutto a posto, allora.- commentò Cullen con sarcasmo, per niente affascinato dal resoconto. Lavellan lo guardò con una punta d’orgoglio.

Bann Olivier si fece riempire il bicchiere, poi lo svuotò in un solo sorso. Lo usò per indicare Cullen. -Se li avessi conosciuti, non ti farebbero così tanta pena.-

-E non è quello che dice ogni fratricida?-

-Può essere, ma Cailan, il maggiore, era un uomo degno del suo nome. E con degno del suo nome intendo che ce la metteva proprio tutta per farsi ammazzare. Me ne prendo il merito, ma in realtà non mi sarei mai sporcato le mani con lui. Era un tontolone, di quelli che ti fanno tenerezza.-

-Pensa se ti stava antipatico.- commentò Lavellan.

-Nessuno dei due mi stava antipatico, erano solo degli inetti. Sai cosa succede a degli inetti se consegni tra le loro mani il potere di vita e di morte di centinaia di persone? Si montano la testa e diventano tiranni.-

-Non è un buon motivo per assassinarli.-

-Disse quello che ha appena fatto fuori i suoi confratelli solo perché sono di una fazione che si oppone alla vostra.-

Cullen ritrasse il capo, indignato. -Quelli non erano i miei confratelli. Corypheus li ha corrotti con il lyrium rosso, li ha svuotati di ciò che li definiva persone.- ribatté. -Sono due situazioni molto diverse.-

-Sono moralmente sbagliate entrambe.- puntualizzò Bann Olivier. -Volete che tiri in ballo ciò che avete fatto all’Imperatrice, o mi lasciate concludere?-

Lavellan si strinse nelle spalle. -La conclusione è sempre la stessa Cormac, in politica non vince mai nessuno.-

-No, ma una mano tesa adesso può essere afferrata domani da qualcuno che ne ha un bisogno reale.- aggiunse Bann Olivier, sorridendo astutamente. -Se non avessi ucciso i miei fratelli, voi non avreste un alleato. E se tu avessi preferito il potere alla compassione, a quest’ora il Bannorn sarebbe invaso dai demoni e dai briganti, pronto per la conquista.- aprì una mano verso l’esterno. -Un atto tremendo oggi può scaturire una gentilezza domani. O no. Nel mio caso, ho preso due piccioni con una fava. Letteralmente.-

Lavellan sospirò. -Sei incredibile.- disse, versandogli di nuovo da bere.

-Lo so.- rispose Bann Olivier, sollevando il bicchiere in un brindisi solitario. -Dico le cose per quello che sono.-

-Quasi se ne vanta.- si lamentò Cullen, con l’amaro in bocca.

-Ah, no, mi ha frainteso. Se volessi davvero vantarmi di una cosa del genere, avrei detto che li ho battuti valorosamente a duello, o che la mia presa di potere è scaturita da grandi macchinazioni che si sono svolte in segreto per anni, per desiderio di rivalsa.- specificò Bann Olivier, appoggiando gli avambracci sul bordo del coperchio, come se si stesse preparando a mangiare. -In realtà, l’ho fatto per necessità. Tante necessità. Tra le altre, se uno dei miei fratelli fosse salito al potere, mi sarebbe toccata la stessa fine. Se fossero stati più clementi del sottoscritto, probabilmente sarei finito in un’Enclave. E con più clementi intendo...-

Cullen lo interruppe gesticolando e curvandosi nella sua direzione. -Aspetti, aspetti, un’Enclave? È un Mezzelfo?-

Bann Olivier aprì un sorriso intrigato. -Non gliel’hai detto?- domandò, spostando lo sguardo su Lavellan.

Lei ridacchiò. -Non sei sempre al centro delle mie conversazioni, Cormac. Ho molti amici sparsi per il Thedas su cui preferisco concentrarmi.-

-Non siamo amici, siamo alleati. Troppe implicazioni politiche.- puntualizzò il Bann, per poi indicare Cullen. -Con uno come lui potrei essere amico, ma io e te non potremo mai essere amici.-

-Uno come me?- ripeté Cullen, inarcando un sopracciglio.

-Tu sei onesto.- specificò Bann Olivier. -Se io ti chiedessi un’opinione, mi diresti quello che ti passa per la testa. Avrei la tua lealtà di amico e tu avresti la mia. E saprei che prima di colpirmi alle spalle chiameresti il mio nome, così da guardarmi in faccia mentre affondi il pugnale nel mio cuore.- fece una pausa. -È un complimento, Ser Cullen.-

-Un signor complimento, se pensi che l’unica persona che chiama “amica” è l’Eroe del Ferelden.- suggerì Lavellan, nascondendo la bottiglia di grappa.

-Non so cosa farmene di complimenti del genere.- ammise Cullen, per niente contento.

Bann Olivier ridacchiò. -E va benissimo così.- dichiarò. Lanciò il bicchiere vuoto dietro di sé, poi si rivolse di nuovo a Lavellan. -Già che siamo presenti tutti e tre, hai riflettuto sulla mia proposta?-

Lei rimase in silenzio un istante. -Mi sembrava di essere stata chiara già la prima volta, quando ti ho riso in faccia.- disse.

-Un no è un no.- tagliò corto Bann Olivier. -Anche se non mi riferivo a quello.-

Cullen guardò l’uno, poi l’altra. Lavellan era chiaramente sulla difensiva e di solito, quando si metteva sulla difensiva con un nobile, le implicazioni erano più complesse del previsto.

-A corte c’è del malcontento.- spiegò Bann Olivier. -L’Inquisizione è una forza esterna, in molti hanno vissuto durante l’occupazione orlesiana e vi considerano alla loro stregua. Considerato che nella vostra catena di comando ci sono un’orlesiana e un’antivana con affiliazioni alla Chiesa e all’Impero, in molti sospettano che la vostra sia un’operazione militare con lo scopo di rovesciare la Corona.- fece una pausa per guardarli entrambi con una certa gravità. -La presenza massiccia delle vostre forze armate sul territorio non aiuta. Per non parlare del diritto di coscrizione, ma quella è un’altra bestia.-

-Rovesciare la Corona?- gli fece eco Cullen, allibito. -Se non fosse stato per noi, la Corona si sarebbe rovesciata da sola. Arle Teagan ha lasciato le Terre Centrali in mano ai Venatori, se non fossimo intervenuti non si sarebbero limitati a conquistare un castello!-

-Lo so, è un demente.- tagliò corto Bann Olivier. -Ciò non toglie che la nobiltà fereldiana sia sospettosa e quando sono così uniti c’è da preoccuparsi. E con preoccuparsi intendo dire che se non correte subito ai ripari la situazione potrebbe degenerare per voi e per i vostri alleati, me incluso.-

Lavellan appoggiò una mano sull’avambraccio di Cullen e lui recepì il messaggio chiaro e tondo. Nel loro linguaggio era una richiesta di portare pazienza e di prepararsi psicologicamente al resto senza trarre conclusioni affrettate.

-Dovete mettere un vostro uomo a corte e io potrei essere quell’uomo.- propose Bann Olivier, raddrizzando la postura. -Dato che non avete intenzione di percorrere altre strade, è l’unico modo che avete per guadagnare tempo.-

Lavellan annuì. -Lo farò presente all’ambasciatrice.- rispose.

Bann Olivier la guardò come se di fronte avesse un asino parlante. -Dovete pensarci subito, Ankh. Ci siamo provati fiducia reciproca in più di un’occasione, sono l’opzione migliore che avete. Come sai, l’unica cosa che voglio è la stabilità e senza l’Inquisizione il Ferelden regredirebbe allo stato in cui versava durante il Flagello.- lanciò un’occhiata rapida a Cullen. -E con opzione migliore, sapete benissimo cosa intendo.-

Cullen lo osservò con una punta di preoccupazione nello sguardo. -L’unica.- disse.

Bann Olivier confermò quell’ipotesi con un cenno del capo.

-Per curiosità, quali erano le altre strade?-

-Il matrimonio.- rispose Lavellan, asciutta.

Cullen le lanciò un’occhiata confusa. -E di chi?-

Bann Olivier gli rivolse un sorriso compassionevole, come se di fronte a lui si trovasse un orfanello di guerra. Lavellan prese subito la via dell’onestà. -Il mio, o il tuo.- rispose. -Sfortunatamente per te, tra di noi sei tu quello che avrebbe avuto più possibilità di guadagnarci, dato che oltre a essere un cavaliere sei Umano e pure fereldiano.-

Cullen la guardò con tanto d’occhi, il viso contorto in una smorfia schifata. -Ci hai pensato a lungo, a quanto pare.-

-Dopo aver rifiutato. A prescindere- puntualizzò lei, senza traccia d’entusiasmo nel viso. -La proposta è stata fatta a me, ma era chiaro che tu saresti stato la prossima vittima nel caso avessi rifiutato. E l’ho fatto.-

Indeciso se arrabbiarsi con lei per non averlo consultato, o ringraziarla per averlo tenuto fuori da una simile macchinazione, Cullen si limitò a guardare un punto fisso nel pavimento.

-Di sicuro la vostra ambasciatrice le avrà detto che è il modo più rapido per consolidare un’alleanza.- aggiunse Bann Olivier, tranquillamente. -L’Orlais ha già dimostrato di essere molto interessato. Recentemente sono stato ospite nel salotto di un duca, a Val Royeaux, e mi ha riferito che suo figlio ha inoltrato diverse richieste di colloquio alla vostra segreteria per contrattare sulla dote di sorella Leliana. E ora che la vostra ambasciatrice ha riscattato il nome della sua famiglia, il suo nome viene fatto altrettanto spesso nelle corti e nei salotti.- fece una pausa. -E se la sta giocando molto bene per elargire e riscattare favori, già che chiunque adesso vuole entrare nelle vostre grazie.-

Cullen assunse un’espressione disgustata. -Non so come faccia a parlarne così facilmente.- commentò.

-Perché sono un uomo pragmatico, Ser Cullen. Un’organizzazione come la vostra, senza un chiaro futuro nel mio ambiente, è destinata al fallimento. Più crescete, più fate paura, e più fate paura più i vostri alleati cominceranno a chiedersi se ne vale davvero la pena di mettersi contro le altre potenze del Thedas per supportarvi.-

Cullen sentì i battiti del suo cuore pressargli la giugulare. -Il nostro scopo non è quello di sostituirci alla regina, o all’imperatore. Noi siamo nati per aiutare le persone, per riportare l’ordine.- disse, con frustrazione crescente. -Siamo qui per rimediare al fallimento dei prelati, dei nobili e dei signori, che hanno fatto i loro comodi finché non gli conveniva più, riparandosi nelle loro ville estive mentre i profughi facevano loro da scudo.-

-Ma chi pensi che ascolterà la gente, degli stranieri che hanno distribuito pane e coperte una volta durante la crisi, o i loro signori che garantiscono stabilità perpetua alle loro famiglie e hanno mille e più modi per catturare la loro lealtà? Quando gli squarci non saranno più un problema, voi ve ne andrete e loro rimarranno sotto la nostra influenza. Avete visto cos’è successo con i Custodi. Hanno letteralmente salvato il Ferelden e adesso sono considerati feccia. E si parla di dieci anni fa soltanto.- Bann Olivier aprì una mano in direzione di Lavellan. -Idee come la carità e l’onore non bastano per creare un’eredità accessibile dai posteri. Il cambiamento, quello vero, lo fa chi conosce le regole ed è più bravo degli altri a sfruttarle.-

Lei, che era rimasta in silenzio fino a quel momento, scosse appena il capo. -Il prezzo da pagare è troppo alto. Finché sarò in carica, nessuno sotto di me verrà sacrificato per questo genere di “doveri” e men che meno verrà usato perché è conveniente. La storia mi sarà testimone.-

-La storia la fa chi vince, Ankh, e voi purtroppo siete troppo poco spietati per metterci del vostro. Siete dei bravi giocatori, di quello devo rendervene merito, ma vi manca lo stomaco per andare fino in fondo.-

-A essere onesti, preferisco così.- ammise lei, rivolgendogli un sorriso tirato.

Bann Olivier la fissò a lungo, con lo sguardo corvino e calcolatore che analizzava ogni singolo componente del suo viso come se cercasse un’apertura per la sua mossa successiva. Quando si rese conto di giocare con un avversario disposto a sacrificare la regina per permettere ai pedoni di arrivare fino al bordo della scacchiera, il suo viso assunse una sfumatura di gentilezza. -Vi farò avanzare il più possibile, ma fate in modo di avere qualcosa di concreto sotto ai piedi quando cadrete.-

Lavellan inarcò un sopracciglio, divertita. -Nessuna specifica?-

Bann Olivier le sorrise. -Nessuna specifica. Come ti ho detto, spero che resistiate il più a lungo possibile. Lui, soprattutto.- indicò Cullen con un cenno. -È un unicorno.-

-Nah, è più un grifone. I grifoni hanno gli artigli e possono volare.-

-Fatti infilzare da un corno d’avorio lungo quanto un braccio e poi ne riparliamo.-

Cullen li interruppe sbuffando. -Se evitaste di prendervi gioco di me a ogni occasione, ve ne sarei grato. Guardi che l’ho notato che le precisazioni le fa sempre quando si rivolge al sottoscritto. Non sono un idiota.-

Bann Olivier smise il sorriso. -Se la considerassi un idiota avrei smesso di rivolgerle la parola a prescindere e non avrei trascorso una mezz’ora che avrei potuto impiegare in mille modi altrettanto fruttiferi a mettere in guardia lei e l’Inquisitrice sulle conseguenze delle vostre azioni.- inclinò la testa di lato, come un gatto che si prepara a rovesciare un vaso con una zampata. -Ora che mi conosce e ha tutti gli elementi per giudicarmi, penso che sia più lei a ritenermi un idiota che il contrario.-

-Se la ritenessi un idiota, glielo avrei detto in faccia.- disse semplicemente Cullen.

Bann Olivier riprese a indossare il suo sorriso astuto. -Ha ragione, ho fatto l’errore di svalutarla in chiusura.- ammise, per poi rialzarsi. Si raddrizzò la giacca, chinò la testa in segno si rispetto e si diresse alle sue pellicce. -Siete destinati a grandi cose che verranno usate a vostro svantaggio, signori miei. E con svantaggio intendo dire che vi affosseranno.-

-In alto i cuori.- commentò Lavellan, mentre Cullen si alzava a sua volta per educazione.

Bann Olivier finì di rivestirsi con calma, poi fece roteare il bastone prima e lo piantò a terra con un gesto secco. Sorrise con eloquenza a Cullen, fece un cenno a Lavellan e se ne andò senza dire altro.

La stanza piombò in un silenzio che sapeva di condanna.

Il futuro dipinto da Bann Olivier era drastico, ma plausibile e preoccupava entrambi, chi più chi meno.

Eppure, Lavellan sembrava davvero poco scossa dalle sue parole; Cullen dedusse che non era la prima volta che le sentiva. Si ricordò di una conversazione che avevano avuto a Haven, sulla memoria storica degli Umani, e tutto ciò che era stato discusso pochi minuti prima si consolidò in un nodo nel suo petto.

-Insomma, se non si salva almeno uno di noi quattro, affonderemo in blocco.- commentò.

Lavellan lo sfiorò con lo sguardo, poi annuì.

-Hai provato a dirmelo, ma pensavo che fosse...-

-Paranoia?-

-No, pensavo che potessimo cambiare il mondo per davvero.- rispose Cullen, abbacchiato. -Ho peccato d’ingenuità.-

Lavellan si alzò faticosamente, per portarsi al suo fianco. -Non puoi sradicare un albero millenario senza distruggere il bosco.- disse. -Salveremo il mondo e lo riporteremo a com’era prima, con qualche modifica che beneficerà il futuro. Ma più di così non possiamo fare, non se lo scotto da pagare è così alto.-

Cullen la guardò con una certa delusione in viso. -E a te sta bene?-

Lavellan infilò le mani nelle tasche della giacca. -Mi fa ribollire il sangue nelle vene, ma è una cosa che ho dovuto accettare nel momento in cui ho messo piede nel Palazzo d’Inverno.- voltò lo sguardo verso la tenda di piombaggine che frusciava, mossa dal vento. -Preferisco morire piuttosto di uniformarmi a una classe sociale con cui non ho niente in comune.-

Cullen sentì il nodo allentarsi. Sapere che non si sarebbe spinta oltre al suo ruolo, pur rinunciando alla sicurezza diplomatica che sarebbe derivata dal matrimonio suo e dei suoi colleghi lo aiutò a digerire molto di quello che avevano discusso.

Si avvicinò a lei di un passo. -Perché non me l’hai detto?- le chiese, in un sussurro. -Avremmo potuto parlarne. Parliamo di tutto.- la sua voce aveva un che di mansueto, nonostante ciò a cui si stesse riferendo fosse tutto fuorché delicato.

-Non te l’ho detto per risparmiarti un pensiero.- rispose lei, attenuando il tono a sua volta.

-Perché farlo adesso, allora?-

Lavellan rimase chiusa in un mutismo nervoso, indecisa se guardarlo negli occhi e mostrargli la sua rabbia o fare la parte di quella che non si fa toccare dalle emozioni e dimostrarsi altera. Optò per la prima. -Perché voglio lottare per la tua felicità. Se iniziassimo davvero a fare questi calcoli con le persone che amiamo, non saremmo diversi da loro.- indicò l’uscita con un cenno. -E noi funzioniamo proprio perché siamo disposti a fallire per dimostrare che essere diversi è possibile.- si fermò per prendere fiato. -E non voglio parlamentare di contratti matrimoniali, perché se venisse il giorno in cui uno di noi volesse passare il resto dei suoi giorni con la persona che ama, dovrebbe farlo ai suoi termini, non perché è necessario per il bene comune.-

Cullen rimase a fissarla silenziosamente, con il nodo che si trasferiva dal suo petto alla sua gola, graduale ma inesorabile.

Raccolse una sua mano per stringerla forte e venne ricambiato. E se la sua scelta di prendere le cose con calma non avesse creato un’inevitabile patina d’imbarazzo nel comportamento che tenevano l’una in relazione all’altro, le avrebbe sfilato l’elmo per baciarle le labbra e dirle che era fiero di essere sotto al suo comando e che sarebbe stato fiero di essere suo marito, se lei avesse accettato.

-L’avete preso?- domandò lei, per togliere un po’ di potere a quella stretta.

-Preso e portato a casa. Aspetta solo di parlare con te.-

-Ah sì?-

-No, in realtà ha un terrore viscerale di farlo, ma visto che è stato acciuffato dai De Fourier ha una voglia matta di lamentarsi con qualcuno dell’imprevisto.-

-Lo capisco.-

-Siamo in due.-

Si scambiarono un sorriso d’intesa, ancora mano nella mano.

Cullen ne approfittò per portarsela alle labbra, in un gesto che agognava di fare da settimane. E anche se metà della sua espressività era nascosta, parve che anche Lavellan lo aspettasse come non aveva mai aspettato niente in vita sua.

-Torna a casa presto.- le chiese.

Lei, che era ovvio che stesse trattenendo il fiato, rilasciò un respiro tremulo dal naso. -Ce la metterò tutta.- rispose, con una fermezza imposta.

 

 

 

 

-Nota-

Quando le cose iniziano a riguardarti sale il “e mo’ so cazzi”
Siamo a ridosso dell'estate, la grigliata di Arle Teagan ci voleva, su!

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