Without noise

di Joy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Autore: Joy Inblue

Fandom: Stranger Things

Personaggi: Steve Harrington/Billy Hargrove

Ambientata tra la seconda e la terza stagione.

 

 

 

Without noise

 

 

1.

 

 

Steve è a bordo campo, finalmente.

Anche se non vuole dare importanza a cose di quel genere, Billy finisce sempre col gettare lo sguardo oltre la linea dell'area gioco.

Non vorrebbe, ma gli piace il modo in cui il suo torace si espande quando Steve scavalca le tribune per sedersi in prima fila, quando posa il pugno chiuso contro quello dei compagni, si ravvia i capelli e finalmente, finalmente, posa lo sguardo su di lui.

 

E Cristo Santo, sembra capire tutto in un unico istante.

 

“Steve il re ci omaggia della sua presenza” esclama a voce alta, a beneficio dei compagni di squadra, quando in realtà vorrebbe solo cadere in ginocchio di fronte a quella panchina e nascondere il viso tra le sue ginocchia. “Ti unisci a noi o preferisci agitare i pon-pon?”

 

“Fanculo, Hargrove” risponde quello calmo.

 

Lo sguardo di Steve non si lascia convincere dal luccichio ostentato delle sue maschere.

Billy è quasi certo che la linea tirata delle sue labbra sia da attribuire al nuovo livido che gli colora l'avambraccio e che Steve ha sicuramente individuato, nonostante i suoi maldestri tentativi di nasconderlo sotto una maglietta di un paio di taglie superiori.

 

“Paura di finire col culo per terra?” seguita plateale allargando le braccia. “Prometto che sarò delicato, Principessa.”

 

Qualcuno ride.

Anche Billy lo fa, nonostante la fitta pungente che gli attraversa la schiena quando uno dei suoi compagni gratifica la sua ironia da quattro soldi con una goliardica e poco delicata pacca sulla spalla.

 

Dovrebbe essere sollevato dal fatto che la sua recita risulti credibile, ma la verità è che quella menzogna brucia ogni giorno di più; al contrario di certe ferite, che sotto le mani di Steve sembrano acquietarsi, lasciando spazio ad una nuova pelle.

 

Non si rende conto del suo precario equilibrio finché il gomito di Tommy non finisce sul suo fianco, minandolo definitivamente; incespica, stritolando un' imprecazione tra i denti e quello stronzo del loro coach fischia irritato.

 

“Piedi piantati a terra, Hargrove! Cosa sei? Una ballerina?!”

 

Si riprende ansimando ed è fin troppo consapevole di aver tradito una goffaggine sospetta, quando la squadra si ferma a guardarlo.

Si porta d'istinto le mani ai fianchi, salvo poi sussultare per il suo stesso tocco su zone ancora troppo infiammate.

 

“Tutto ok, Hargrove?”

 

Tommy muove un passo verso di lui e Billy spera che non lo tocchi perché ha la pelle in fiamme e non sa quanto ancora riuscirà a trattenere la smorfia di dolore che gli preme sulle labbra.

 

“Coach, se non ha niente in contrario entro in squadra.”

Steve.

Che da bordo campo si è già tolto la tuta, rimanendo in t-shirt e calzoncini.

L'attenzione dei compagni verte su di lui e Billy riesce a respirare.

 

“Era l'ora Harrington!” vocia l'allenatore. “Inizia il riscaldamento.”

 

Lo sguardo di Steve indugia su di lui il minimo necessario per accertarsi che il gioco sia ripreso senza altre domande: Billy gliene è talmente grato che fatica a guardarlo negli occhi.

 

Quando se lo ritrova davanti, Steve è già in possesso della palla.

 

Accenna con il mento al livido sul suo avambraccio: “Quello non ce l'avevi ieri” asserisce a voce bassa, continuando a palleggiare.

 

“Le tue occhiaie sono peggiorate” si sente in dovere di rispondergli.

 

È questo ciò che fanno sempre: punzecchiarsi in pubblico e scambiarsi occhiate preoccupate quando nessuno li vede.

Quella di Steve è in realtà più disperata che preoccupata.

 

“Stasera, a casa mia” conclude.

 

Billy annuisce impercettibilmente e coglie l'occasione per rubargli la palla.

Che gli piaccia o meno, ha una reputazione da mandare avanti.

 

 

***

 

 

Nell'aula di chimica c'è uno strano odore.

Quando Billy arriva sulla soglia, in ritardo per aver cercato senza successo di sgraffignare degli antidolorifici dall'infermeria, Steve è in piedi vicino alla porta.

 

Ha le spalle rigide, mani semiaperte sospese a mezz'aria e uno sguardo intenso, concentrato, come se si aspettasse da un momento all'altro un pericolo da cui doversi difendere. C'è anche un lieve ronzio nella stanza, che Billy immagina essere la causa principale del suo disagio: sembra un circuito elettrico mal funzionante.

 

“È il voltmetro” mormora, posandogli una mano sulla spalla.

Steve sobbalza.

Billy pensa che avrebbe potuto immaginarlo: l'ha visto schizzare fuori dalla stanza per rumori molto più lievi, durante certe serate di pioggia, quando persino sintonizzare l'antenna della tv su di una televendita locale, sembrava un' impresa impossibile.

Ciò che invece non avrebbe potuto prevedere è la mano che Steve gli pianta sul petto, spingendolo indietro per poi fargli da scudo.

 

Steve fa questo con lui: si comporta come se valesse la pena proteggerlo; lui, che non si mai sentito altro che un peso per Susan e un guaio da risolvere per suo padre.

E a volte è strano pensare che sia semplicemente ciò che Steve fa con le persone a cui vuole bene: tenerle al sicuro.

 

“È il voltmetro, Harrington” ritenta.

La indica anche col dito, quella pila Daniell appena costruita che frigge come se volesse esplodere, e sente il proprio petto riscaldarsi, neanche fosse lui la lampadina da 6 volt che hanno usato per l'esperimento, quando si rende conto che Steve sta seguendo la traiettoria del dito.

 

La mano di Steve scivola dal suo petto -a Billy quel calore già manca-, poi si ravvia i capelli e annuisce.

Ha una perla di sudore a margine della fronte e un respiro ancora troppo rapido, ma annuisce di nuovo e muove un passo verso il suo banco.

 

“Ehi Harrington, stasera ci troviamo per una partita?”

Tommy gli aggancia il collo con l'incavo del gomito e lo trascina verso il banco con fare chiassoso.

 

A Billy non sfugge la linea rigida con cui Steve serra le labbra per non divincolarsi da quella presa: le gocce di sudore sulla sua fronte adesso sono due.

 

“Oggi no” mormora.

 

“Oh andiamo!”

È la protesta che esce spontanea dalla bocca di Tommy.

 

E forse è la strozzatura con cui il respiro gli muore in gola, come se Steve non avesse più aria da buttare fuori, forse è lo sguardo supplice che cattura il suo per un solo istante; non ne è sicuro, però sa che sono già arrivati al banco e che Steve ha un pugno che trema per lo sforzo di rimanere immobile, quando mandando al diavolo tutto e tutti, Billy rinuncia a trattenersi e si para davanti ad entrambi con le mani sui fianchi.

 

“Il posto accanto alla finestra è mio” dichiara, sloggiando Tommy con un gesto eloquente.

 

E si compiace di avere ancora una fama da duro, perché Tommy gli cede il posto senza battere ciglio.

Sul volto di Steve, invece, il cambio d'espressione è repentino e Billy non sa dire se sia più spaventato dal ronzio o dall'eventualità che le loro interazioni possano tradirli.

 

Non gl'importa.

 

Gli siede accanto e appoggia il ginocchio al suo.

Steve accosta a lui anche il braccio.

 

L'insegnante sta già entrando in aula, quando Steve azzarda un mezzo sorriso, mimando un grazie con le labbra e Billy non può far altro che scuotere impercettibilmente la testa.

 

Impercettibilmente -ne prende atto in quell'istante- è ormai divenuta la scomoda costante in mezzo a loro.

 

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Capitolo 2
*** 2. ***


2.

 

 

 

Le loro auto sono sempre parcheggiate vicine; non accanto -quello sarebbe sospetto-, ma una di fronte all'altra, come se si tenessero d'occhio a vicenda.

A volte Billy pensa a come sarebbe se lui e Steve potessero tornare a casa insieme, a volte si costringe a non pensare a ciò che gli altri ostentano e che loro invece devono nascondere, ma in entrambi i casi ciò che ottiene è solo un bolo amaro su e giù per la gola che lo avvelena lentamente.

E a niente servono i suoi tentativi di sputarlo fuori insieme alla rabbia, forse, pensa, prima o poi ci riuscirà suo padre a farglielo vomitare via insieme al sangue.

“A domani, Hargrove!”

La mano di Tommy sulla sua schiena è l'ennesimo dolore che deve sopportare, finge di non sentirlo come fa sempre, ricambia con un breve cenno e si dirige verso le auto.

Il fatto che Max sia accanto a quella di Steve non è insolito, ad allertarlo è il silenzio di entrambi e il modo in cui i loro sguardi, al suo sopraggiungere, si spostano dal terreno a lui.

“Bè?” sbotta. “Che avete da guardare?”

Max esita, sposta il peso da un piede all'altro e serra le labbra in un modo che a Billy non piace per niente: è l'espressione che gli rivolge quando, prevedendo l'ira di suo padre, la spedisce in camera sua facendo la voce grossa.

“Allora pulce, vogliamo stare qui tutto il pomeriggio?”

La incalza anche se è chiaro che le sopracciglie di Steve si sono alzate con il chiaro intento di riportarlo alla moderazione.

“È per il compito di scienze” snocciola lei e il suo tono stranamente non è indispettito come al solito, ma solo dispiaciuto. “Non è andato bene.”

Nel silenzio che segue è lo sguardo di Steve a dividere con lui quella paura sottile che d'un tratto sente strisciare sottopelle.

“Ok” risponde semplicemente dopo un istante; del resto non c'è niente che possa fare per evitare l'inevitabile tempesta che arriverà una volta comunicata la notizia a casa.

“Potresti venire da me subito...” azzarda Steve.

Billy vorrebbe così tanto che quella fosse una possibilità, che sente la propria mano esitare attorno alle chiavi dell'auto.

Il ciarlare concitato di un gruppo del secondo anno lo riporta in tempo alla realtà.

“Non darti pena, Harrington” risponde.

Alcuni compagni li osservano, Billy non aggiunge altro.

 

 

***

 

Non ha ben chiaro il momento in cui avviene, ma d'un tratto avverte qualcosa di diverso nel silenzio gelido di quella notte infinita e fradicia di guazza.

Se trattiene il fiato e l'affanno, Billy riesce a sentire un rumore di sottofondo, oltre al ronzio incessante che gli brulica nella testa da quando la mano di suo padre è atterrata pesantemente sulle sue orecchie.

Non riesce ad identificarlo però, e non è nemmeno sicuro di voler riemergere dal misericordioso stato di semicoscienza in cui è crollato dopo aver invano impiegato tutte le forze rimastagli per arrivare a casa di Steve.

Fosse almeno lo sciabordio delle onde, il suono che sente, potrebbe illudersi di essere ancora in California, con il vento caldo che gli asciuga le lacrime, invece in Hawkins non importa quante volte si passi il palmo malfermo sul viso: le tracce bagnate restano sempre, come prova infamante delle sue debolezze.

“Billy!”

Adesso lo percepisce più chiaramente: è un suono simile ad un'eco, una parentesi di pochi istanti che gli lascia una scia nel petto, come un'interferenza nella nebulosa dolorante della sua mente, una di quelle che a Steve fanno paura.

Che gli fanno tremare le mani.

Vorrebbe sentirle adesso, le sue dita lunghe attorno al braccio, mentre si sporge in avanti quasi a sfiorarlo con il suo respiro.

Come se fosse bello averlo vicino.

Come se lo volesse con sé.

“Billy!”

Del resto nemmeno sua madre si è fatta troppi scrupoli ad andarsene, abbandonandolo nelle mani di suo padre e se scava a fondo, se apre quella porta che ha deciso di sigillare molti anni prima, Billy dimentica persino come si fa a respirare, tanto gli fa male.

“Cristo santo, Billy!”

Sul terreno accanto a lui, il tonfo sordo di cui sente la vibrazione sotto la schiena, anticipa di poco la colonia familiare di Steve.

Lei che lo lascia e lui che lo trova.

“Mi senti, Billy?!”

Sente le mani sul viso più delle parole, le dita che asciugano ogni traccia di bagnato: non è la prima volta e Billy prega che non sia l'ultima, perché non sa più farlo da solo e suo padre colpisce più forte se gli vede gli occhi bagnati.

Solleva le palpebre: lo vede a malapena.

“Eh..i, cam..pione...” biascica.

Gli fa male anche parlare.

Però vorrebbe dirglielo, che ha tentato di arrivare a casa sua come aveva promesso.

Che ci ha provato con tutte le sue forze, prima di crollare sul ciglio senza più energie, se non quelle appena necessarie a rotolare il più lontano possibile dall'asfalto.

“Da quanto tempo sei qua fuori? Fortuna che ti ho trovato.”

Non gli da il tempo di rispondere e comunque Billy non saprebbe cosa dirgli: il rintocco delle ore, dal campanile di Hawkins, gli è arrivato sempre più distante, sempre più confuso.

Il braccio che s'infila sotto la sua schiena lo solleva dal terreno.

“Vieni qui” mormora Steve, e c'è un accenno di frenesia in quelle mani che lo guidano contro il suo petto. “Vieni qui” ripete.

Ed è così caldo e Billy ne ha così bisogno che trova la forza di sollevare le braccia, avvolgergliele attorno e avvicinarsi a lui con tutto ciò che può.

E ringrazia di non dover fingere per una volta, perché sente che davvero preferirebbe morire piuttosto che allontanarsi da lui.

“Andrà tutto bene, lo sai vero?” mormora Steve vicino al suo orecchio. “Adesso andiamo a casa mia e sistemeremo tutto.”

Billy pensa che non riuscirebbe a sistemare un bel niente nemmeno se rinascesse, ma non lo dice. Non dice niente, si limita ad affondare il naso nel collo di Steve facendolo rabbrividire.

“Cristo, sei congelato” borbotta e un attimo dopo ha il suo giubbotto sulle spalle e il suo odore tutt'intorno a sé.

“Forza” seguita, portandosi il suo braccio al collo, “è ora di andare.”

Se riesce a rimettersi in piedi è solo perché Steve sostiene gran parte del suo peso.

 

 

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Capitolo 3
*** 3. ***


3.

 

 

 

Sul divano degli Harrington nemmeno ricorda come ci è arrivato. Forse si è addormentato, pensa, o più probabilmente è svenuto, perché non rammenta niente dopo che Steve l'ha guidato sul sedile della sua auto, ma sa che ad un certo punto il mondo ha smesso di vibrare, il rombo del motore si è acquietato e da allora le mani di Steve non l'hanno più lasciato.

Anche adesso le sente muovere piano sul viso e tra i capelli: “Dove ti fa male?” mormora con voce fioca. “Riesci a dirmelo?”

Scuote la testa. Pensa che potrebbe parlare in realtà, nonostante l'arsura che gli impasta le labbra, ciò che non riesce a fare è trovare un unico punto critico su di un corpo che percepisce come una intera massa dolorante, e prenderne atto gli fa pungere qualcosa dietro le palpebre.

“Va bene. E' tutto ok, ci penso io” sussurra Steve piano, così piano che Billy quasi non si accorge che ha la voce rotta e umida.

Anche il suo zigomo lo è –a quanto pare ha perso la sua battaglia contro quelle lacrime che premevano per uscire-, ma se ne accorge solo quando le dita di Steve ci scorrono sopra.

Cristo, è talmente patetico che a volte pensa che suo padre abbia ragione a sputare tutto il suo disprezzo chiamandolo femminuccia.

E gli costa ammetterlo -e se non fosse così sofferente nemmeno lo farebbe-, ma c'è una parte di lui che pensa di meritarli, i pugni di suo padre e il suo disgusto.

Forse è per questo che lo lascia fare, che si lascia pestare senza opporre resistenza, perché spera davvero che quei colpi lo facciamo diventare come suo padre lo vorrebbe; di potersi risvegliarsi il mattino seguente rispettabile come gli altri figli, o non risvegliarsi affatto.

Il momento in cui Steve tenta di sollevargli la felpa sul petto lo coglie alla provvista: solleva la mano di scatto e gli blocca il polso.

A Steve sfugge un gemito di sorpresa.

“Lasciami fare Billy, ok?” si riprende subito,“Ti tolgo questi vestiti umidi, così starai al caldo.”

Si fida di Steve: è l'unica persona a cui sente di poter dare accesso al proprio corpo, ma ha comunque bisogno delle carezze che il suo pollice gli disegna sul dorso della mano per riuscire a lasciare la presa.

“Faccio piano” promette.

E Billy lo sente, quel respiro trattenuto che gli rimbomba nella cassa toracica, rifiutandosi di portare aria ai polmoni, quando scorge i segni che suo padre gli ha lasciato sulla pelle; non ha controllato -non ne aveva le forze-, ma è sicuro che l'impronta dello stivale si distingua abbastanza bene.

Le dita di Steve esitano un istante, prima di seguire leggere le linee delle sue costole, una alla volta.

Per Billy è comunque troppo: sente il lamento che gli sfugge dalle labbra, prima che abbia il tempo di trattenerlo.

Steve si ritrae all'istante: “Ho fatto, ho fatto” assicura, “non mi sembra che ci sia qualcosa di rotto...”

A Billy non importa; gli importa solo del calore che sente quando Steve gli infila entrambe le mani sotto la schiena e lo solleva dal divano, quando gli sfila la felpa e lui oscilla fino a trovare un punto fermo nella sua spalla, quando si concede di respirare a pieni polmoni, anche se fa male, perché ha il viso contro il collo di Steve e Steve ha un odore familiare che lo fa sentire al sicuro, a casa; gli importa della maglia soffice in cui si ritrova avvolto, perché è di Steve e gli permette di cancellare il cognome che condivide con suo padre ed essere un'altra persona, gli importa delle braccia che sente attorno sé, perché a differenza di altre non sembrano intenzionate a lasciarlo.

È quel pensiero che lo culla.

Forse si è addormentato di nuovo, Billy smette di chiederselo, sa solo che quando riprende coscienza di sé ha indosso anche i pantaloni del pigiama di Steve, è di nuovo sdraiato sul divano e nella gola ha un vero inferno.

“S..sete” fiata.

La mano che si posa all'istante sulla sua fronte gli ricorda quella di sua madre.

“Hai la febbre alta” mormora la voce di Steve.

Le due immagini si sovrammettono e si allontanano.

Tornerò a prenderti, Billy, promesso.”

E lui ci prova a trattenerle, ma il braccio non sembra rispondere alla sua volontà: scivola giù, oltre il bordo del divano, senza forza, ed è Steve a riportarlo sui cuscini, stringendo la mano nella sua.

“Sono qui” gli dice. “Bevi questo.”

Il bordo del bicchiere è fresco contro le sue labbra riarse, il liquido che gli scende in gola leggermente frizzante, Steve gli solleva le spalle per aiutarlo a bere e aggiunge un cuscino prima di lasciarlo di nuovo sdraiarsi.

“Spero che sia sufficiente ad abbassarti la febbre, Billy, o dovremo andare in ospedale” borbotta.

“N..neanche per idea, Harrington” riesce a rispondergli, adesso che ha la bocca un po' meno impastata.

Steve sorride, riesce a vederlo anche attraverso il suo campo visivo sfocato.

“Allora vedi di non fare scherzi” commenta.

E c'è qualcosa, nel modo in cui Steve si siede ai piedi del divano, con le braccia incrociate sulla seduta all'altezza del suo fianco e la guancia su di esse, che lo riscalda da capo a piedi.

Lo riscalda più della febbre che alterna brividi a lingue di fuoco, più dello scoppiettio della legna nel camino sul lato destro del suo corpo o della coperta di lana che d'un tratto è comparsa su di lui.

Lo riscalda più del ricordo evanescente di sua madre, delle carezze che finge ancora di sentire e di sicuro, più delle sue promesse ancora da mantenere.

 

***

 

Lo sveglia l'aroma zuccherino dei pancake appena spadellati e il rumore insistente della pioggia contro i vetri delle finestre.

“Come ti senti?”

Billy sente un martello pneumatico che gli scava nel cervello, un formicolio diffuso in tutti gli arti irrigiditi -manco fosse risorto dalla tomba- e un senso di oppressione all'altezza dello sterno.

“Uno schifo, Harrington” gracchia, tentando di reprimere la smorfia che sente premere sulle proprie labbra al semplice tentativo di sollevarsi sui gomiti.

La mano di Steve scende a rafforzare il suo avambraccio tremante e gli facilita il compito.

“Te la senti di mangiare qualcosa?” chiede ancora.

Billy sente la nausea che gli preme sulla gola al solo pensiero, scuote la testa.

La mano di Steve si posa sulla sua fronte e poi scivola di dorso sul suo collo

“Sei ancora caldo” decreta, “ma non come ieri sera.”

Billy si sente uno strato di sudore appiccicato alla pelle che brucia fastidiosamente sulle contusioni ancora fresche e nonostante indossi gli abiti di Steve, sente ancora nelle narici l'odore del sigaro di suo padre.

La nausea peggiora.

“Ho bisogno di una doccia” dichiara, lasciando ciondolare le gambe oltre il bordo del divano e saggiando le sue scarse forse.

“E anche...” sospira, solleva lo sguardo e incrocia brevemente gli occhi di Steve.

Del tuo aiuto rimane non detto in mezzo a loro.

 

 

***

 

“Era per il compito di Max?” gli domanda Steve, mentre lo aiuta ad uscire dalla doccia e ad avvolgersi nel suo accappatoio.

“E per il college.”

Si sente le gambe deboli e Steve che evidentemente l'ha notato lo guida sullo sgabello.

“Non vuole che tu parta?” chiede ancora mentre gli passa un asciugamano tra i capelli.

“Oh no, non vede l'ora” gracchia, tossisce un po': ha la gola in fiamme. “Ma non vuole pagare la retta. Dice che un vero uomo è in grado di pensarci da solo.”

La mano di Steve scende tra le sue scapole.

È un argomento che aleggia i tutti i loro silenzi da quando quegli incontri clandestini sono diventati qualcosa: lui che ha bisogno di andarsene, ma non può permetterselo e Steve che può permetterselo, ma non vuole farlo.

A volte Billy vorrebbe dirglielo apertamente, gridarlo se necessario, che non vede altra soluzione per loro se non quella di lasciarsi alle spalle gli incubi e andarsene da Hawkins, ma per quanto senta la necessità di credere in quella speranza, è anche consapevole che se esistesse davvero un luogo in cui loro due possano vivere senza ipocrisie, Steve sarebbe il primo a partire dopo il diploma.

“Sai cosa penso?” esordisce Steve dopo qualche istante. “Penso che quello stronzo di tuo padre non sarebbe in grado neanche di lavarsi le mutande da solo, e questo la dice lunga su che tipo di vero uomo sia!”

E Billy non vorrebbe -perché la guancia gli fa un male del diavolo-, ma non riesce a trattenere la risata che gli esplode in petto; ed è un po' strano perché gli manca l'aria e non può respirare, ma continua a ridere. Continua a ridere anche quando Steve gli avvolge le braccia attorno e lo stringe contro di sé, e quando sente il nodo in gola e il bruciore dietro le palpebre; continua a ridere quando le lacrime gli sfuggono e Steve gli bacia i capelli, continua a farlo persino in mezzo ai singhiozzi, anche se è chiaro a entrambi che ormai sta piangendo.

“Giuro che ce ne andremo, Billy” mormora Steve. “Si sistemerà tutto e noi ce ne andremo. Te lo prometto.”

La differenza tra loro è che per lui si sistemerà tutto solo se se ne andrà.

 

***

 

“Cristo santo, Hop, che diavolo ci fai qui!”

Il sobbalzo di Steve, al loro rientro in cucina dopo la doccia, gli fa perdere l'equilibrio più della sorpresa di trovarsi di fronte la figura imponente dello sceriffo di Hawkins.

“Mi hai dato le chiavi ragazzo, ricordi?”

“S..sì” balbetta Steve, le unghie piantate nel suo avambraccio, “sì, certo che ricordo, ma -dico-, perché ora? Che succede?”

Lo sguardo serio dello sceriffo Hopper si sposta da Steve a lui un paio di volte, ma non c'è niente che Billy riesca a leggere nella sua espressione granitica o nella sua postura statica e questo lo mette in ansia più della rabbia o del disgusto che non avrebbe faticato a scorgere sul volto di suo padre.

Sottrae il braccio dalla presa di Steve e si siede al tavolo senza abbassare gli occhi.

Hopper, di contro, avanza di un passo e si porta le mani ai fianchi.

“Succede che quelle maledette ricetrasmittenti stamani sembravano impazzite e questo molto prima della mia sveglia, che ti assicuro è impostata su di un orario così mattiniero che potremmo definirlo notturno” chiarisce. “Quando ho chiesto ad El il motivo di tutte quelle comunicazione, la sua risposta è stata che il patrigno di Max Mayfield ha ucciso suo figlio e ne ha fatto sparire il corpo, ma lei è sicura stia ancora respirando, anche se non garantisce che stia bene visto che Steve Harrington lo sta facendo piangere.

E cazzo, Billy non sa se sia peggio che sua sorella abbia intuito fin dove può spingersi suo padre, che la figlia svitata di Hopper l'abbia visto con Steve, o che tutti sappiano adesso che Billy Hargrove frigna come una ragazzina.

Certo, a dare uno stacco sostanzioso a tutte queste opzioni nella classifica di un disastro annunciato, c'è l'improvviso balbettio sconclusionato che esce dalle labbra di Steve e le sue gote rosso fuoco.

“Non è come sembra!” stride con un tono che in qualsiasi altro contesto Billy non gli avrebbe concesso di dimenticare per i successivi dieci anni.

Hop lo ascolta come se volesse davvero dare una chance a quella valanga di parole senza senso che Harringon gli sta propinando, ma è quando lo vede sollevare un sopracciglio e incrociare le braccia al petto dopo un accorato guazzabuglio di auto guasta, equilibrio perso in prossimità di un fosso, doccia calda e passaggio a scuola, che Billy si sente in dovere di metterlo a tacere posando una mano sul suo avambraccio.

In fondo non ci sono molte scuse plausibili che possano giustificare la sua presenza a casa degli Harrington -quando gli Harrington stessi non ci sono-, alle sette del mattino e in vestaglia da camera.

“Senta” esordisce, cercando di tenere la voce ferma, “non stavo bene ieri sera, Sceriffo, e Steve mi ha aiutato ospitandomi a casa sua per la notte. Tutto qui.”

Si agita sulla sedia sotto lo sguardo indagatore di Hopper, non riesce a trattenersi: sembra poter estrapolare la verità direttamente dalla testa; evidentemente, a differenza sua, Jim Hopper riesce a leggerlo benissimo.

“E adesso come stai, figliolo?” chiede dopo in istante, rilassando le spalle.

“Una merda” s'intromette Steve.

“Sto a posto, Sceriffo” risponde, cercando di sembrare convincente.

“Sì” risponde Hopper senza specificare a chi. “Lo vedo.”

Accompagna le parole con un ulteriore passo nella sua direzione, ma prima che possa appoggiare la mano contro la sua fronte, Billy si scansa. Non è un movimento calcolato, è più un riflesso spontaneo e la consapevolezza che sia stato forgiato dalla necessità di schermarsi sempre e comunque, è qualcosa di cui Billy, per il momento, non vuole prendere atto.

La ruga che si forma sulla fronte di Hopper, però lo preoccupa.

“Ha ancora la febbre” interviene Steve a conferma di ciò che i suoi occhi lucidi e arrossati hanno già lasciato presagire.

“Va bene” sospira Hopper. “Restate qui per oggi, avvertirò io la scuola.”

Si allontana per poi tornare sui propri passi con aria pensosa : “Devo avvertire i tuoi genitori?”chiede con tono appena più basso.

Billy grugnisce.

Il silenzio che segue è talmente carico di tensione che non riuscirebbe ad articolare le parole nemmeno se fosse sua intenzione farlo.

Steve apre la bocca un paio di volte e la richiude senza proferire verbo.

“Non dirò niente” si risolve a prendere posizione Hopper. “E l'unica spiegazione che vorrei ricevere da te, Billy, è quella che riguarda quei lividi, perché per quanto fantasiose entrambe, sono più propenso a credere alla versione di Max piuttosto che a quella di Steve.”

A volte Billy pensa che dovrebbe parlare, seppellire l'orgoglio e la vergogna e salvarsi la pelle, ma non è sicuro di meritarlo, e comunque, non è pronto a farlo.

“Fate attenzione” è l'unica raccomandazione di Hopper, prima di varcare il portone d'ingresso e chiudersi la porta alle spalle.

Steve sfiata e si lascia cadere come un palloncino sgonfio sulla sedia accanto a lui.

“Penso che lo sappiano, Billy” sussurra.

Non specifica chi, né cosa e Billy di segreti ne ha più d'uno, ma è abbastanza sicuro che le sue carte siano state scoperte tutte.

“Non parleranno” asserisce Steve deciso, afferrandogli la mano. “Non parleranno” ripete posando la testa sulla sua spalla. “Billy, non parleranno” insiste e questa volta gli avvolge le braccia attorno e gli deposita un bacio umido sull'angolo della bocca.

E se non fosse per lui, Billy scuoterebbe la testa e gli direbbe che suo padre ha ragione e che quelli come lui, gli invertiti come lui, non ce l'hanno il diritto di vivere felici, ma Steve è buono ed è agli occhi di tutti il ragazzo perfetto, destinato a diventare l'uomo perfetto e quell'amore non può essere così sbagliato se lo prova Steve.

“Va bene, Campione” mormora. “Ho capito.”

Vorrebbe poterlo rassicurare meglio, ma la verità è che non lo sa fare, non sa camminare a testa alta se a proteggerlo non ha più nessuna delle sue numerose maschere.

Sa solo barcollare e procedere a tentoni.

Sperando di fare poco rumore.

 

 

Fine.

 

 

 

 

 

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