i talk to the wind

di StagTree
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #8 ***
Capitolo 2: *** #13 ***
Capitolo 3: *** #18 ***
Capitolo 4: *** #26 ***



Capitolo 1
*** #8 ***


 

lato sensu

 

https://www.fanwriter.it/writober-2022/

 

https://www.youtube.com/watch?v=UlKrH07au6E&ab_channel=KingCrimson

 

 

 

Said the straight man, to the late man

Where have you been?

I’ve been here and, I’ve been there and

I’ve been in between

 

 

  1. fake dating

 

Stanno seguendo un sentiero che serpeggia tra colline di verde estate, fresca viva, fino al Castello di Hyrule, dove la principessa avrebbe eventualmente riaccolto i suoi doveri regali. Gli si avvicina più che può, Zelda, trottando, e gli chiede, “Quindi,” con una giocosità curiosa nella voce che non dimostra che con lui. Allunga le vocali e si sporge dal suo gentil cavallo; Link, che vuole del bene al suo, si sposta e ristabilizza la distanza di sicurezza. E se deve – se proprio dovesse, e se lo ammetterebbe nel suo privato, solamente – si direbbe irritato, se non, oltretutto, infastidito.

“Oh, Link,” lei dice, e capisce il messaggio, “Perdonami per aver spaventato la povera Epona. Ma non ho potuto fare a meno di notare. Tu e Mipha…”

Il paesaggio lascia libertà ad un qualsiasi pensiero, e questo viaggia, più lontano di quanto loro non potranno mai fare. Link ferma il cavallo con un brusco comando, e la bestia strilla. Zelda si ferma con lui.

“Allora?”

No,” le dice, e riprende la tratta, con galoppo allegro, leggero. La lascia volutamente indietro perché sa che a questo punto – e così fa – Zelda lo avrebbe raggiunto, e glielo avrebbe chiesto di nuovo, con la stessa gioia e risata nella voce di un bambino che gioca all’acchiapparella. E di nuovo, e di nuovo. Finché non avrebbe potuto più.

 

 

 

Link si fa strada tra le lunghe pareti di montagne rugose e fradice di pioggia, galoppando su un cavallo non suo. Lo lega ad un palo alla base del lungo ponte: non è indifferente alla sensazione di familiarità che gli corrode il petto e tutto ciò che dentro consuma; quasi il bianco cavallo sembra parlargli, nella vaga allucinazione di un ricordo, ma viene prepotente, il tuono, il macabro lamento della divina bestia in lontananza, e si accorge a quel punto, Link, che niente ha voce, nei suoi dintorni, se non per il canto incessante dell’acqua.

Dorephan il re degli Zora, non fa che ribadirgli la strappata loro esistenza della pregevole Mipha, e del bene che al suo popolo ha portato in tempi remoti, quando ha risposto alla divina chiamata della Dea, incontestabile e sempre vera, e ha protetto la Sua terra, offrendo la sua vita in dimostranza. E’ con una certa urgenza che lo rassicura che niente è stato vano, e che Mipha ha vissuto secondo i suoi principi, e i suoi soltanto; l’ultimo suo pensiero è andato a lui, gli dice, e Link intuisce la nota disgustata nel viso dell’anziana servitù reale. “Ha pregato perché tornassi e salvassi Hyrule dalla grinfia ripugnante di Ganon,” continua, “E ovunque lei sia, voglio pensare che stia porgendo i suoi ringraziamenti alla Dea – per la sua misericordia, e provvidenza; come noi stessi già facciamo, come ancora faremo, fino alla fine dei tempi.”

Gli vengono date delle istruzioni, e si prepara alla marcia; l’armatura gli calza così come gli era stato spiegato, con amore tessuta. Si pone al cospetto di un altro nobile ponte, pronto per la scalata verso la cima del monte, finché una voce lo chiama, e Link si deve ricordare che realisticamente non può essere il cavallo.

“Link!” dice la forma lontana e, ad ogni passo bagnato, sempre più vicina; è Sidon, che lo raggiunge con una breve corsa atletica.

“Link, grazie di cuore,” continua, e gli prende una mano, “per tutto quello che stai facendo. Tu e Mipha…”

C’è un momento di pausa di riflesso, l’eco di risate e voci gentili, zoccoli che toccano grigie piastrelle e le lunghe lame di erba che tagliano il vento – un nitrito lontano, che gli fa alzare la testa in direzione del suo cavallo, accostato dall’altra parte del villaggio. Sidon segue, e gli sorride con positiva rassicurazione. “Non preoccuparti per il cavallo,” capisce, e spiega, “Ce ne stiamo prendendo cura noi.” E Link rinnova il silenzio con una serie di osservazioni mentali.

Non è la prima volta che i suoi occhi studiano, e indugiano, e più che una considerazione è un’ammissione di colpa; quando la sente stringere, la mano, in quelle sue robuste, di Sidon, e il suo petto gli si apre e chiude come le ali di una farfalla, si ricorda del rosso pallore di Mipha e del delicato gesto di dita che sfiorano e cercano, rispettosamente, a distanza. Si ricorda di un palmo sulla pelle calda di una guancia, sanguinante, e ricorda – la mancanza, il senso di delusione sul suo viso. L’armatura è perfetta, e la sente aderire al suo corpo come fosse elastica, non una seconda pelle, ma una nuova, parassita. Raggiunge Sidon con lo sguardo – pensa ad un tempo e un giorno, in cui potrà dedicare la sua mente a quello che trova nei suoi pettorali, nelle ossa della clavicola – e i suoi occhi vogliono chiedergli qualcosa di privato; Link gode del contatto fino a che dura, e Sidon gli offre un sorriso morbido di incoraggiamento. Link si chiede, vagamente, cosa trovi nelle punte feroci dei suoi denti, e pensa ad un momento di pace in cui il pensiero si sarebbe trascinato al vento, a peso morto, come foglie, decidue.

“Dev’essere dura, Mipha era la tua amante,” continua, Sidon, “Ma puoi farcela,” si scuote leggermente e Link muove tutto il corpo, si mantiene a terra con la punta dei piedi, “Credo in te.”

E alla base della prima cascata, Link si immerge nell’acqua, finge di essere sospeso nel vuoto. Chiude gli occhi e si lascia trascinare sul fondo della pozza; lo accoglie, superba, l’acqua, superficiale, che nel suo canto infinito gli offre due braccia fredde e bagnate che gli riempiono i polmoni passando, come veleno, tradimento, da tutte le cavità della pelle.

 

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Capitolo 2
*** #13 ***


 

You don't possess me

Don't impress me

Just upset my mind

 

 

  1. room mates

 

 

Link gioca. Si siede sul divano – e si sdraia, e si cruccia, in versioni tutte sue personali di posizioni ridicole e poco comode – e quando si alza, ore dopo, si preme il collo con il palmo della mano, o la base della schiena – o la cervicale, dietro le spalle. Riempie le ore della notte con il volume alto della televisione, e il tormento di plastica dei tasti dei joystick (o, sì, non si chiamano joystick; questo Revali l’ha capito, ma non gli interessa correggersi). Mipha dice – e quando mai – che va bene; Mipha direbbe, se Link si cucinasse la metamfetamina nel bagno, che si dà da fare, e che ha bisogno della distrazione. E al cospetto della sua grazia e gentilezza, nemmeno Revali può polemizzare. E, se fosse tutto onesto, cosa che non è, e se lo ammetterebbe solamente sul letto di morte – quello che di fatto lo tiene al guinzaglio è l’idea che Sidon lo venga a prendere per il collo.

“Non hai di meglio da fare?” glielo dice, quindi, una sera quando Mipha non c’è. Link è seduto sul bordo del divano, e sta giocando a Splatoon, “Non devi studiare? Fare i compiti? La nanna?”

“Di meglio, sì”, risponde, Link, “Gli affari miei. A tuo contrario.”

“Ah, certo,” ribadisce – e si tocca, tramite un gesto non pensato, il ponte degli occhiali; Link non lo degna di uno sguardo, ma così è, tra di loro, sempre lo è stato. Vivere sotto lo stesso tetto non ha ammorbidito il loro rapporto, e forse – ma se lo definisce come volatile, e nulla più – è uno di quei pensieri che lì dormono, faticosi, nel fondo del suo stomaco.

E lo sa – Link non è il tipo da imbarcare conversazioni, tanto meno se ha qualcosa da fare, e la loro così come inizia, affonda. Sa come si chiama, il gioco, perché la copertina è stata abbandonata ai piedi del divano, sul tappeto di moquette cannettata, per ben oltre il tempo che passerebbe uno qualsiasi dei suoi libri (e generalmente, in ogni caso, per terra è difficile che arrivino). Ma anche la natura disordinata di Link è unanimemente giustificata, e Revali, dal canto suo, può solo aspettare che le sue cose si rimettano in ordine per mezzo di un intervento divino, perché solo quello le farebbe spostare.

Per il tempo che gli ci vuole per riflettere – su quel suo pensiero, che tra gli altri, dallo stomaco passa in altre mille posti, innominabili – non si accorge di essere rimasto a guardare. E quello che ne viene fuori è una scena piuttosto bizzarra:

Link gli dice, “Tieni,” e gli sta offrendo uno dei suoi controller. L’indifferenza con cui di fisso si pone sembra rompersi, quel poco che si lascia andare – non è voluto, calcolato; è appena rosso in viso quando muove la mano, e il suo braccio teso è magro e nudo, e Revali ne segue la linea orizzontale fino a sotto la manica della maglietta.

“Scusami?”

“Gioca con me,” propone, “E smettila di rompere.”

 

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Capitolo 3
*** #18 ***


 

I talk to the wind

My words are all carried away

 

 

  1. stelle

 

A volte le nota, le piccole cose,

lo fanno tremare di quell’adrenalina malinconica dell’ansia, dell’aspettativa; si guarda attorno – letteralmente attorno, si puntella con gli stivali a terra e allarga le braccia – e ruota su se stesso, la lenta danza della miscredenza.

Segretamente si paragona ad un bambino: è lontana e vaga ma vera, ed importante, la sensazione rasserenante della familiarità di una cicala che strilla, sotto la nuvola di stelle che ingloba il pianeta e l’universo. Le ha toccate, con gli occhi, e il bambino ci ha provato anche con le mani; sono ora le stelle che toccano lui, trascinate dolcemente dal libero vento che fresco ed estivo, accarezza la sua pelle e l’erba selvatica e gli steli dei fiori, che con lui ballano, e in silenzio, attendono.

A volte le nota, le piccole cose, il rumore delle frasche che lo cullano al sonno infreddolito vicino al fuoco che balbetta – e che si china eventualmente al suolo, titubante, estinto. Link segue; si stringe su se stesso e da sotto il suo mantello dedica una preghiera alla bellezza del mondo, e chiude gli occhi e sogna, di tenersi per mano con la personificazione dell’eterno riposo.

 

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Capitolo 4
*** #26 ***


 

I'm on the outside, looking inside

What do I see?

 

 

  1. fratello

 

Ti ricordi di Revali,

Fratelli in armi, amici, nemici, forse. Non era facile – la distinzione tra amicizia e alleanza era sottile, tra di voi. E non ti è mai passato per la testa che potesse essere più di così, che non abbiate cozzato abbastanza, quando avreste potuto.

Ti ricordi di Revali – delle discussioni unilaterali e delle polemiche, prolisso, logorroico; erano difficili – i complimenti, anche quelli che ti saresti meritato. Ma gli sguardi che vi scambiavate – in battaglia, e al di fuori, seduti davanti alle fiamme ballerine – stretti, vicini, sotto un albero nella pioggia; quando Hyrule ancora si elevava da terra con dignità e portamento, e la civiltà era cosa comune, le dispute come quelle erano permesse. Preoccupazioni infantili, bambinesche, quelle di dover andare d’accordo a tutti i costi, trattenersi i commenti, le occhiate, e le attrazioni, latenti – pungeva di rosso, sulle tue guance, l’aria fredda e il sangue, e come funzionava, per lui? Il suo profilo era importante e regale: il becco lungo, ti chiedevi, quale sensazione avrebbe provocato sulla tua pelle.

Ma non è più tempo; ti ricordi di Revali – sulle punte crudeli delle montagne, gelate, in cappotti camosciati e circondato da sorrisi riconoscenti. Teba ti aspetta, ma non è lo stesso. Si confonde nella neve; Revali non lo ricordi così – l’avresti riconosciuto, ovunque fosse, ed era ovvio, era ovvio, come l’azzurro nel cielo.

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