Star Trek Destiny Vol. IV: Contatto

di Parmandil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Per un pugno di dilitio ***
Capitolo 3: *** Oasi ***
Capitolo 4: *** Bugie e mezze verità ***
Capitolo 5: *** Gli incidenti accadono ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Star Trek Destiny Vol. IV:
Contatto
 
 
LA DESTINY DOVEVA ESPLORARE IL MULTIVERSO,
MA QUALCOSA È ANDATO STORTO
E L’EQUIPAGGIO È STATO UCCISO.
ANNI DOPO, UNA BANDA DI CONTRABBANDIERI
HA ABBORDATO LA NAVE ALLA DERIVA,
VENENDO RISUCCHIATA NEL MULTIVERSO,
SENZA LE COORDINATE DI RITORNO.
AGLI AVVENTURIERI NON RESTA CHE
ESPLORARE UNA REALTÁ DOPO L’ALTRA,
IN CERCA D’INDIZI SULLA VIA DI CASA,
MENTRE CERCANO DI RISCOPRIRE IN LORO
QUELLO SPIRITO CHE CREÓ LA FEDERAZIONE...
 
 
-Prologo:
Data Stellare 2605.67
Luogo: USS Harmony, presso Ferenginar
 
   «Attenzione, questa è un’esercitazione militare non programmata. Simulazione di attacco Breen, tutti gli addetti alla Sicurezza si rechino ai propri posti».
   La sirena dell’Allarme Rosso destò bruscamente il Tenente Rivera. Come addetto al turno Gamma – il famigerato turno di notte – aveva appena preso sonno. Per un attimo l’Umano, ancora intontito, pensò a un vero assalto; ma la voce del computer lo informò di come stavano le cose. La sua ansia diminuì di poco: le prove di quel genere erano una faccenda seria. Reagire con scarsa efficienza poteva minare la carriera; e lui si considerava un ufficiale di carriera. Se non altro, voleva schiodarsi dal sonnacchioso turno di notte e passare a quello principale. Così gli conveniva spicciarsi.
   «Caramba, ci risiamo!» borbottò Rivera, lasciando a malincuore le calde coperte. Era un giovane sui trent’anni, dal fisico scattante e i capelli castani dal corto taglio militare. Da quand’era sull’Harmony gli sembrava che le simulazioni di combattimento arrivassero con un’impressionante frequenza. Forse stavolta c’entrava la recente scomparsa della Destiny, svanita subito dopo il varo; ma Rivera non ne sapeva molto, trattandosi di una faccenda classificata.
   Rivestitosi precipitosamente, l’Umano lasciò il suo alloggio e corse alla vicina armeria. Come Tenente della sezione Sicurezza, era responsabile di quella precisa armeria, la numero 8. In caso di combattimento, vero o simulato, doveva aprirla e distribuire le armi ai colleghi. Quando arrivò ce n’erano già alcuni che aspettavano impazienti davanti alla porta.
   «Svelto, Rivera!» lo incalzò uno. Era un semplice Guardiamarina, ma del turno Alfa, e questo gli dava la sfrontatezza di riprendere un superiore.
   «Arrivo, arrivo!» borbottò l’Umano, infastidito. Aprì l’armeria col suo codice segreto. Sulla maggior parte dei vascelli di Flotta non occorrevano simili accorgimenti, ma la Harmony era di classe Universe e accoglieva le famiglie dell’equipaggio. Erano migliaia di civili, tra cui parecchi bambini; non gli si poteva permettere di scorrazzare in certi ambienti. Così tutte le zone riservate necessitavano di un codice d’accesso o comunque di una verifica dell’identità. Sbloccato l’ingresso, il Tenente entrò per primo e prese a distribuire gli armamenti: phaser, fucili polaronici, granate stordenti. Per risultare al massimo dell’efficienza, i suoi movimenti dovevano essere rapidi e meccanici. Prendere, girarsi, consegnare, rigirarsi. Prendere, girarsi, consegnare, rigirarsi. Prendere, girarsi, consegnare, rigirarsi...
   Rivera ebbe l’impressione di consegnare centinaia d’equipaggiamenti, anche se in realtà erano meno. Quando finalmente la lunga fila di colleghi fu smaltita, l’Umano si armò a sua volta. In quella l’astronave ebbe uno scossone, segno che il timoniere virava bruscamente per simulare il combattimento.
   «Computer, aggiornamento tattico!» chiese Rivera, recatosi a un pannello di controllo. Immagini e dati scorsero rapidi davanti ai suoi occhi. La simulazione era decisamente impegnativa: prevedeva che tre navi Breen attaccassero la Harmony mentre altre due cercavano di colpire il vicino pianeta. Dunque bisognava disimpegnarsi dal combattimento e neutralizzare le navi-bombardiere, prima che colpissero Ferenginar. Ovviamente nessuno correva rischi, trattandosi di una pura simulazione computerizzata; ma Rivera ci teneva a dare il meglio. Così lasciò di corsa l’armeria. Le sue istruzioni operative prevedevano di pattugliare la sala macchine, proteggendola da eventuali abbordaggi nemici. Abbordaggi che, nelle esercitazioni, potevano essere simulati con ologrammi. Il Tenente era certo che in una prova così impegnativa ci sarebbe stato lo scontro a fuoco; quindi si precipitò davanti alla sala macchine per prendere il comando della sua squadra. Nell’ansia e nella fretta, concentrato com’era sulle prossime mosse, scordò di richiudere l’armeria con il suo codice segreto.
 
   Come previsto, l’esercitazione proseguì con una simulazione di scontro a fuoco. I finti Breen apparvero nel corridoio, assai realistici nelle loro tute termiche dai grossi caschi, e la squadra di Rivera dovette affrontarli per proteggere la sala macchine. «Armi su minimo stordimento, non voglio incidenti!» si raccomandò Rivera, prima di aprire il fuoco. I suoi agenti lo imitarono, scatenando una gragnola contro gli avversari. Quando un finto Breen era colpito, si dissolveva. Il computer contava i colpi messi a segno, in rapporto al totale degli spari, e in tal modo elaborava un punteggio personalizzato per ogni agente. Se un agente veniva colpito, doveva buttarsi a terra e fare il morto. Non si poteva imbrogliare, perché il computer sapeva sempre chi era stato beccato. Subire un colpo e far finta di niente significava, nel migliore dei casi, beccarsi una ramanzina dal capo della Sicurezza; nel peggiore una nota di biasimo.
   «Forza che ce la facciamo! Mantenete la concentrazione!» gridò Rivera, sovrastando il frastuono. Alcuni dei suoi agenti furono colpiti e dovettero gettarsi a terra, senza più combattere. La situazione peggiorò ulteriormente quando altri Breen vennero dalla parte opposta del corridoio, prendendo i federali nel fuoco incrociato. Bisognava prendere una decisione.
   «Ritirata! Tutti in sala macchine!» ordinò l’Umano, indietreggiando senza smettere di sparare. Tutti quelli ancora in piedi varcarono l’ingresso dell’ingegneria. Rivera passò per ultimo e non appena il portone si fu richiuso lo sigillò con un codice.
   «E adesso, signore?» chiese un giovane Guardiamarina.
   «Adesso dipende dai parametri dell’esercitazione» rispose l’Umano, un po’ ansante. «Se va come al solito, dovremmo aver finito. Se i superiori vogliono strafare potrebbero mandarci altri Breen qui dentro o potrebbero aprire il portone. Restate in guardia!» ammonì.
   Passò quasi un’ora, nella quale gli agenti non osarono rilassarsi. Continuavano a sorvegliare l’ingresso, nel caso che gli toccasse un ulteriore scontro a fuoco. Ogni tanto la nave si scuoteva per rendere il tutto più realistico. Ma non ci furono altri attacchi; infine l’illuminazione tornò normale e il computer annunciò la fine dell’esercitazione.
   «Simulazione terminata. Il personale tattico può tornare ai propri posti. A breve riceverete la vostra valutazione d’efficienza».
   La tensione si spezzò subito. Gli agenti abbassarono le armi e si stiracchiarono, scambiandosi commenti sulla prova appena sostenuta.
   «Sissignori, è finita!» sbadigliò Rivera, ancora assonnato. Non vedeva l’ora di tornare al suo alloggio e tuffarsi sotto le coperte. Ma prima c’erano ancora delle incombenze da sbrigare. Riaperto il portone blindato, scambiò qualche parola coi colleghi rimasti fuori, ovvero quelli che erano stati “colpiti” nello scontro a fuoco. Poi andò a una consolle tattica per ricevere il punteggio della sua squadra, appena calcolato dal computer, e ritrasmetterlo ai singoli agenti. Per diversi minuti commentò con loro l’esercitazione, confrontandola con quelle dei mesi passati. Mise in evidenza i punti in cui avevano brillato e quelli in cui c’era ancora margine di miglioramento.
   «Direi che è tutto. Per la valutazione completa vi rimando al briefing di domani» concluse, soffocando un altro sbadiglio. «Ora seguitemi, rimettiamo a posto questa ferraglia» disse, alludendo alle armi.
   In testa alla squadra, l’Umano tornò all’armeria numero 8. E qui lo attendeva la prima brutta sorpresa, perché quando si avvicinò alla porta questa si aprì in automatico, prima che lui avesse inserito il codice di sicurezza.
   «Ha scordato di sigillarla, signore» commentò un agente a mezza voce.
   «Me ne sono accorto!» fece Rivera, seccato. Quella piccola distrazione avrebbe affossato un punteggio che altrimenti era ottimo.
   Entrato in armeria, l’Umano s’imbatté nella seconda – e di gran lunga peggiore – disgrazia. Qualcuno si era intrufolato nell’armeria mentre lui era via, approfittando dell’ingresso lasciato aperto. Era un bambino di circa sei anni, figlio di una coppia di bordo. Giaceva a terra, inanimato, accanto a una rastrelliera dei phaser. Rivera vide subito il perché: un raggio phaser ad alta energia gli aveva disintegrato il piede. La piccola mano impugnava ancora l’arma con cui si era sparato accidentalmente.
   L’Umano non avrebbe mai dimenticato il terrore che si era impossessato di lui in quel momento. Si era inginocchiato sulla piccola vittima, cercandone i segni vitali: il cuore batteva appena e c’era un debolissimo respiro.
   «Rivera a infermeria, emergenza medica! Codice rosso, è coinvolto un minorenne che necessita rianimazione. Per il teletrasporto agganciate le coordinate del mio comunicatore!» gridò, appuntandolo sulla maglietta del bambino.
   Il piccolo svanì nel bagliore azzurro del teletrasporto. Per lunghi attimi vi fu silenzio. Rivera era ancora inginocchiato a terra e cercava d’immaginarsi le conseguenze dell’accaduto... perché delle conseguenze ci sarebbero state senz’altro. Come si sarebbe giustificato coi superiori? Come avrebbe affrontato i genitori del bambino, specialmente se questi non fosse sopravvissuto?! Poco alla volta il giovane si rese conto che un incidente come quello poteva costargli la carriera. Era arrivato a questo punto quando sentì su di sé gli sguardi degli agenti che lo spiavano dall’ingresso, troppo intimoriti per parlare. Allora si riscosse. Si rialzò, ripose le sue armi e infine si girò, affrontando la sua squadra.
   «Lasciate qui i vostri equipaggiamenti, svelti. Dopo aver richiuso l’armeria andrò a consegnarmi in attesa del processo» disse con la gola secca.
 
   Parecchie ore dopo, Rivera era chiuso in una delle celle di bordo. Stava ascoltando il capo della Sicurezza – un Tiburoniano dal cranio calvo e le orecchie stropicciate – che lo aggiornava sulla situazione. C’era una buona notizia: dopo ore di delicati interventi, il bambino era fuori pericolo. Ma questa era l’unica nota positiva in un quadro pur sempre drammatico. Con crescente incredulità l’Umano ascoltò il superiore che, dall’altra parte del campo di forza, gli riferiva l’esito delle indagini. Alla fine rialzò lo sguardo, incredulo.
   «Vediamo se ho capito» commentò Rivera. «Quel bastardello è stato tanto furbo da pedinarmi nei miei spostamenti, localizzare l’armeria ed entrare approfittando dell’unico momento in cui non era sigillata. Ed è stato tanto deficiente da prendere un phaser, togliere la sicura, regolarlo a piena potenza, mirarsi alla gamba e fare fuoco».
   «Questa è la nostra ricostruzione» confermò l’Ufficiale Tattico. «Ora deve capire che lei si trova in una posizione difficile. L’armeria era sotto la sua responsabilità e c’è un minorenne coinvolto. Fortunatamente il bambino è sopravvissuto, ma il piede è andato, per cui dovrà sempre portare una protesi. I genitori hanno sporto denuncia contro di lei...».
   «Queste cose non accadrebbero, se la Flotta non facesse puttanate come tenere i bambini sulle navi stellari!» esplose Rivera, dando un violento pugno contro il campo di forza. «Poi la responsabilità è mia, se accadono incidenti?!».
   «Così dice il codice e nessuno può farci niente» confermò il Tiburoniano. «Ora subirà la corte marziale. Se avrà fortuna, riusciremo a evitarle il carcere. Ma sarò sincero con lei, la sua carriera nella Flotta è finita. Sarà espulso con disonore». Questo comportava la perdita dei privilegi sociali derivanti dall’essere stato in servizio.
   «Frell. E se facessi ricorso?!».
   «Le dico per esperienza che queste cose non finiscono mai bene. Nel suo interesse, le consiglio di accettare la sentenza» avvertì l’Ufficiale Tattico.
   Ci fu un lungo silenzio. Rivera continuava a passeggiare avanti e indietro nel piccolo spazio della cella, torcendosi le mani. A un tratto si fermò e fissò il superiore attraverso il campo di forza. «Cinque anni d’Accademia e altri cinque di servizio buttati via!» esclamò con amarezza. «Bell’affare, la Flotta. Vi siete presi la mia vita e mi lasciate senza niente!».
   «Suvvia, non sia così negativo» consigliò il Tiburoniano. «Troverà altre strade. Le sue competenze sono assai richieste in certi ambienti».
   «Quali ambienti?» chiese Rivera, poco convinto.
   «I mercanti indipendenti, ad esempio» rispose il superiore. «Dopo la Guerra Civile non siamo ancora riusciti a ripulire le rotte spaziali, per cui i mercanti sono sempre in cerca di ufficiali tattici con esperienza. Fossi in lei mi rivolgerei a loro. Vedrà, l’accoglieranno a braccia aperte».
   «Ci proverò» mormorò l’Umano, a capo chino. «Ma non sarà certo la vita che speravo quando mi sono arruolato».
   «La maggior parte delle persone non fa la vita che aveva sperato, ma solo quella che gli capita» convenne tristemente l’Ufficiale Tattico. «Possiamo elaborare tutti i protocolli, tutte le misure di sicurezza possibili e immaginabili... ma l’imprevisto è sempre dietro l’angolo. Gli incidenti accadono, purtroppo».
   «Già, gli incidenti accadono» disse cupamente Rivera. 
 

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Capitolo 2
*** Per un pugno di dilitio ***


-Capitolo 1: Per un pugno di dilitio
Data Stellare 2611.22
Luogo: il Vuoto
 
   Nell’incommensurabile molteplicità del Multiverso, c’è una dimensione detta il Vuoto. Si tratta di un Universo totalmente buio, freddo e privo di materia. Non ci sono nebulose, né stelle, né residui stellari come nane bianche, stelle di neutroni e buchi neri. Non ci sono pianeti, né gassosi né rocciosi, e non ci sono satelliti. Non ci sono nemmeno asteroidi, comete, pulviscolo spaziale. E in mancanza di alcunché a cui aggrapparsi, non ci sono forme di vita. L’unica cosa che abbonda è, come dice il nome, lo spazio vuoto.
   Ma in quel primo scorcio del XXVII secolo, dopo miliardi di anni senza eventi, qualcosa era cambiato. Per la prima volta il Vuoto era visitato da un’astronave, proveniente da un’altra realtà: l’USS Destiny, punta di diamante della Flotta Stellare. Sebbene l’equipaggio originale fosse stato barbaramente ucciso, un nuovo equipaggio lo aveva sostituito: una banda d’avventurieri che cercavano in ogni modo di ritrovare le coordinate quantiche dell’Universo d’origine. Tra un’incursione e l’altra tornavano a rifugiarsi nel Vuoto, dove almeno non correvano rischi. E così anche quel cosmo un tempo pacifico era diventato teatro di alterne vicende; talvolta persino di feroci scontri.
   Dal nulla comparve un bagliore dorato, che si allargò assumendo la forma di un vortice. Era la breccia interdimensionale che permetteva alla Destiny di viaggiare tra le realtà. Da quella distorsione vorticante emerse il vascello federale, a piena velocità d’impulso, con gli scudi alzati e le armi pronte a colpire.
   «È fatta Capitano, siamo tornati nel Vuoto» disse Talyn, l’addetto a sensori e comunicazioni. Il giovane El-Auriano era teso, dopo i rischi corsi nell’Universo appena visitato.
   «Yu-huuu! Beccatevi questa, brutti senza-naso!» esclamò Shati, la timoniera, all’indirizzo degli inseguitori. La Caitiana era su di giri: le vibrisse fremevano, la coda a ciuffo si agitava senza posa.
   «Aspettate a rallegrarvi» ammonì Naskeel, l’Ufficiale Tattico. Il Tholiano dal corpo cristallino era meno incline all’entusiasmo, forse perché era un ex militare di professione, o perché la sua gente era poco emotiva. Stavolta il suo pessimismo era pienamente giustificato. «Le Dreadnought si stanno avvicinando alla breccia, la varcheranno tra pochi secondi» avvertì. La sua voce tradotta elettronicamente suonava fredda e metallica come sempre, ma le sue mani erano già sui comandi delle armi.
   «Frell, giriamoci e pronti a far fuoco!» ordinò il Capitano Rivera. Ne era passato di tempo da quando, espulso dalla Flotta Stellare, si era unito a quella scalcagnata banda d’avventurieri. Ne era divenuto Capitano, dopo la morte del predecessore, e si era anche impadronito della Destiny; ma la sua fortuna finiva qui. Perché lo scotto da pagare era trovarsi sperduto nel Multiverso, con trecento furfanti che si affidavano a lui per trovare la via di casa. E ogni volta che visitavano una nuova realtà, si trovavano immancabilmente sotto attacco. Stavolta si erano trovati nientemeno che nello Spazio Bianco, il luogo d’origine dei Tuteriani, che sessant’anni prima avevano invaso e semidistrutto la Federazione. Si erano appena resi conto di dov’erano capitati che tre Dreadnought, le potenti navi da guerra dei Tuteriani, li avevano assaliti, obbligandoli a riaprire in tutta fretta una breccia per andarsene. Ma una volta che la breccia era aperta, chiunque poteva varcarla: anche gli inseguitori.
   «Arrivano!» avvertì Talyn, leggendo i dati dei sensori.
   «Frell, se solo ci fosse modo di chiudere quella dannata breccia dopo che siamo passati!» esclamò Losira, il Primo Ufficiale. L’avvenente Risiana mostrava tutta la sua condizione di aristocratica decaduta e bandita dalla patria. L’aspetto era ancora affascinante, con le vesti eleganti e i capelli a caschetto così cangianti che nessuno ne aveva mai scoperto il vero colore. L’atteggiamento però si era fatto amaro e sprezzante, salvo che nei confronti del figlio adottivo Talyn.
   «La breccia si chiuderà da sola fra pochi attimi, resta da vedere quante navi passeranno» commentò il Capitano. Lui era l’esatto opposto di Losira. Dopo l’espulsione dalla Flotta il suo aspetto s’era fatto piratesco, come indicavano i lunghi capelli raccolti in una coda di cavallo e la corta barba incolta. Indossava una tenuta da mercenario con tanto di frusta neurale in cintura, un cimelio ereditato dal precedente capobanda. L’atteggiamento invece era ancora improntato alla nostalgia per la Flotta Stellare, tanto che cercava sempre di mettere in riga l’equipaggio, instillandogli un po’ di disciplina. Finora i risultati erano scarsi.
   La prima Dreadnought attraversò la breccia, irrompendo nel Vuoto, e subito aprì il fuoco contro la Destiny. A sua volta la nave federale rovesciò il suo vasto arsenale sul vascello nemico: raggi phaser e anti-polaronici, siluri di vario tipo. Per il momento nessuna delle astronavi riusciva a prevalere; ma la Destiny era sola mentre i Tuteriani avevano rinforzi in arrivo.
   «Arriva la seconda Dreadnought... no, un momento!» si corresse Talyn. Il vortice luminoso prese a girare più rapido, segno che la breccia si era destabilizzata e stava per richiudersi. La seconda Dreadnought rallentò, appena in tempo: la breccia le si richiuse davanti. Se i Tuteriani non avessero frenato, la chiusura del vortice avrebbe tranciato in due la loro astronave. Anche così, la prima Dreadnought che lo aveva incautamente varcato restò sola contro la Destiny.
   «È possibile che i Tuteriani riaprano la breccia?» si preoccupò Losira.
   «Non direi, almeno non a breve» rispose Rivera. «Gli servono particolari attrezzature per farlo. Tra l’altro credo che non conoscano nemmeno le coordinate quantiche del Vuoto. E non le sapranno mai, se riusciamo a eliminare questa Dreadnought. Signor Naskeel, è tutta sua!».
   «Ricevuto» disse il Tholiano, bombardandola con una raffica di siluri quantici. Gli scudi della Dreadnought sfarfallarono, assorbendo l’energia. L’ultimo siluro riuscì a superarli, aprendo una piccola breccia nello scafo. La Dreadnought cambiò rapidamente assetto: invece di rivolgere il fianco alla Destiny ora le puntava contro la prua affusolata.
   «Vogliono offrire minor bersaglio» ragionò il Capitano.
   «Non è solo questo» avvertì Talyn. «Rilevo un enorme aumento d’energia a prua della Dreadnought. Credo stiano caricando il deflettore di navigazione».
   In quella un raggio bianco scaturì dal deflettore della Dreadnought, andando a colpire quello della Destiny. La nave federale prese a vibrare; in plancia e in sala macchine squillarono allarmi.
   «Ci colpiscono con un raggio anti-protonico ad alta energia» avvertì Naskeel, senza scomporsi. «È una tattica nuova, i Tuteriani non l’avevano mai tentata prima. Evidentemente hanno capito che non possono sconfiggerci con le armi tradizionali. Credo che vogliano sovraccaricare il nostro nucleo».
   «Possiamo disimpegnarci?» domandò Rivera.
   «Farlo adesso rischia di far saltare il deflettore» avvertì Talyn, mentre la Destiny vibrava sempre più forte.
   «Plancia a sala macchine, potete contrastare quell’impulso?» chiese il Capitano, consapevole che restavano pochi secondi per agire.
   «Ci sto provando!» rispose Irvik, l’Ingegnere Capo. Il Voth era indaffarato alla consolle principale dell’ingegneria, mentre attorno a lui era un caos d’allarmi, ordini e contrordini. Il nucleo quantico pulsava a un ritmo mai visto prima, in una spirale di sovraccarico che l’avrebbe fatto esplodere entro pochi secondi. «Potrei espellere il nucleo, ma senza quello resteremo bloccati nel Vuoto» avvertì il sauro.
   «Questa non è un’opzione! Alternative?» chiese Rivera, sudando freddo. Intanto Naskeel continuava a martellare la Dreadnought, ma ancora non riusciva a penetrarne gli scudi anteriori. Era evidente che i Tuteriani avevano potenziato le difese, nei cinquant’anni trascorsi dalla fine del conflitto.
   «Attenzione, sovraccarico d’energia nella camera del dilitio. Rottura del nucleo imminente» avvertì il computer.
   «Vediamo... potrei invertire la polarità del nucleo, generando un’onda di ritorno nel flusso» mormorò Irvik. Mentre parlava prese a inserire i comandi, senza aspettare l’autorizzazione del Capitano: non c’era tempo.
   Qualcosa cambiò nelle pulsazioni del nucleo quantico: il ritmo era diverso. Gli allarmi cessarono, segno che l’energia era nuovamente entro i livelli di guardia. «Sì, funziona!» esultò l’Ingegnere Capo, osservando i grafici dell’energia: il flusso si era invertito. Il raggio anti-protonico era ora diretto verso il deflettore della Dreadnought, che sebbene fosse un’astronave potente, non generava – e quindi non poteva gestire – tanta energia quanta la Destiny.
   La fine giunse con rapidità. I Tuteriani presero a espellere plasma surriscaldato, in un estremo tentativo di scaricare l’energia in eccesso, ma era una misura del tutto insufficiente. Di lì a pochi attimi il loro nucleo sovraccaricato esplose. La Dreadnought fu obliterata da un’accecante esplosione, che disegnò un anello in espansione nello spazio. La Destiny sussultò per l’onda d’urto subspaziale.
   «Nemico eliminato» riferì Naskeel con la solita calma.
   «Evvai!» strepitò Shati, meno composta.
   «La Dreadnought è stata completamente disintegrata, non ci sono detriti più grossi di un’unghia» confermò Talyn, consultando i sensori. «Nessuno dell’equipaggio ha fatto in tempo a lasciarla».
   «È quel che si rischia ad attaccarci» commentò Rivera, torvo. Non riusciva a dispiacersi per i Tuteriani, sapendo cos’avevano fatto alla Federazione pochi decenni prima. Avevano distrutto interi mondi, sterminato interi popoli. Se ora una loro astronave veniva distrutta, peggio per loro: gli avrebbe ricordato che la Federazione aveva ancora la superiorità militare. «Fine Allarme Rosso» ordinò, rilassandosi.
   Per tutta risposta l’illuminazione venne meno, lasciando la plancia in un buio pesto. Persino le consolle si erano disattivate.
   «Ehi, ho detto fine allarme, non spegnete tutto!» protestò il Capitano.
   Entro pochi secondi l’illuminazione tornò, sotto forma di faretti d’emergenza, e le consolle si riattivarono.
   «Insomma, che succede?» chiese Rivera. Aveva la sgradevole sensazione che i guai non fossero affatto finiti, anzi forse erano appena cominciati.
   «Succede che l’energia principale è venuta meno. Il nucleo quantico è disattivato» rispose Talyn, consultando la sua consolle. «Per sopperire si sono attivati i generatori autonomi d’emergenza».
   «Plancia a sala macchine, spiegatemi la ragione di questo blackout!» ordinò il Capitano, con un nodo allo stomaco.
   «Signore, si tratta di una faccenda seria» rispose Irvik, in un tono che lo spaventò più del blackout stesso. «Venga giù in ingegneria, deve vedere di persona».
 
   «Ebbene?» fece Rivera, entrando in sala macchine. Trovò gli ingegneri affaccendati attorno al nucleo quantico, intenti a un’insolita procedura. Avevano aperto la camera del dilitio, facendo uscire il dispositivo cilindrico in cui erano inseriti i preziosi cristalli. Come tutti i federali sapevano, il dilitio era cruciale per regolare la reazione materia-antimateria che alimentava le navi stellari, grazie alla particolare configurazione del suo reticolo cristallino. Il fatto che non si potesse replicare, e dovesse quindi essere estratto alla vecchia maniera, lo rendeva la sostanza più ambita e preziosa della Via Lattea. Senza dilitio il viaggio interstellare sarebbe stato impossibile e quindi ogni governo interstellare, compresa la Federazione, sarebbe miseramente crollato. Peggio ancora, ogni reazione ad alto consumo energetico sarebbe divenuta impossibile: quindi niente replicatori per sfamare la popolazione, niente teletrasporto per viaggiare sulle brevi distanze. Era il dilitio a tenere in piedi da secoli le civiltà evolute della Galassia.
   «Presto Capitano, venga a vedere!» lo chiamò Irvik con una strana urgenza. Il sauro stava esaminando i cristalli di dilitio con un bizzarro strumento, simile a un visore con lenti telescopiche. Quando Rivera gli fu accanto, le lenti si allungarono in avanti per aumentare la risoluzione dell’immagine.
   «Insomma, che succede?!» incalzò l’Umano. Osservò i cristalli esagonali e, pur guardandoli a occhio nudo, ebbe l’impressione che qualcosa non andasse. Erano spenti e opachi, anziché luminosi e traslucidi come dovevano essere.
   «Ha presente poco fa, quando i Tuteriani hanno cercato di mandarci in sovraccarico?» fece Irvik.
   «Certo, lei è riuscito a distruggerli con un’onda di ritorno» annuì il Capitano.
   «Troppo tardi, temo» ammise il Voth, torcendosi le mani tridattile. «Quel breve sovraccarico d’energia nella camera del dilitio ha avuto conseguenze nefaste. La matrice s’è de-cristallizzata, Capitano. I cristalli sono da buttare, tutti quanti».
   «Non potete ricristallizzarli? Tutte le navi federali lo fanno in continuazione» obiettò Rivera.
   «Non con un danno così esteso. La matrice cristallina è completamente perduta, non c’è una zona sana da cui ricominciare il processo» spiegò l’Ingegnere Capo.
   «Beh, allora buttateli! Non vedo quale sia il problema» fece il Capitano
   «E con che cosa dovremmo sostituirli?» chiese educatamente il Voth.
   «Che razza di domande! È lei l’Ingegnere Capo, lo saprà pure dove teniamo i cristalli di scorta!» s’innervosì l’Umano.
   «È questo il problema, Capitano. Non abbiamo scorte».
   «Come sarebbe?! Abbiamo quelle stive enormi, piene di robaccia che non usiamo mai... e ci manca la cosa più importante?!» sobbalzò Rivera.
   «Stando all’inventario delle stive c’era una scorta di dilitio, quando la Destiny fu varata sei anni fa» chiarì Irvik. «Solo che adesso non c’è più. Gli Undine devono averlo sottratto, nel periodo in cui controllavano la nave. Immagino che fosse un’ulteriore contromisura per non farsela soffiare. Noi gliela abbiamo soffiata lo stesso, ma così facendo ci siamo esposti a questo rischio».
   «Sta dicendo che non c’è alcun modo di reintegrare le scorte? E il dilitio delle navette? Quello lo abbiamo ancora!» esclamò il Capitano, aggrappandosi all’ultima speranza.
   «Le navette, compreso il Centurion, hanno cristalli troppo piccoli per questo nucleo» sospirò l’Ingegnere Capo. «Potrei costruire una nuova camera del dilitio, su misura per i cristalli più piccoli. È un lavoraccio, ma potrei riuscirci. Però anche così non avremo energia sufficiente per aprire una breccia interdimensionale. Capisce cosa intendo, signore? Il Multiverso ci è precluso, siamo intrappolati nel Vuoto!» disse, levandosi finalmente il visore telescopico. I suoi occhi erano dilatati dal terrore e tutto il suo volto pareva una maschera tragica, nell’incerta luce del salone.
   Rivera indietreggiò di qualche passo e si appoggiò a una consolle, cercando di digerire la notizia. Questa era un’eventualità sulla quale non aveva mai riflettuto seriamente. Eppure il timore doveva averlo sfiorato a livello inconscio, perché ora si sentiva come colui che vede avverarsi il suo peggior incubo. Essere bloccati nel Vuoto, nell’impossibilità di aprire altre brecce, significava non rivedere mai più il loro Universo d’origine. Significava dire addio agli amici, alle famiglie, alle loro case. Peggio ancora, significava vagare in un Universo completamente buio e senza risorse finché sarebbero morti di vecchiaia. Oppure finché l’energia di riserva si sarebbe esaurita, il che comportava una lenta morte per asfissia, per il freddo e per la fame. In ogni caso, erano spacciati.
 
   Nei cinque giorni seguenti gli avventurieri rovistarono da cima a fondo la Destiny, in cerca di qualche scorta di dilitio. Cominciarono dalle stive di carico, che furono setacciate con cura maniacale. Proseguirono con il resto dell’astronave, dal settore ingegneristico alle armerie, dalle sale di controllo ai laboratori scientifici, fino agli alloggi privati. Infine controllarono persino le navette, una per una, nell’improbabile caso che vi fosse del dilitio della giusta misura nascosto a bordo. Tutte le ricerche furono fallimentari: sulla Destiny non c’era un solo grammo di dilitio adatto ad alimentare il nucleo. In compenso furono trovate un sacco di altre cose utili per la vita di bordo, che finora erano rimaste nascoste in container o negli alloggi inutilizzati. Ma niente sarebbe servito davvero, se non si trovava il modo di ridare piena energia all’astronave.
   Per il momento la vita di bordo proseguiva in modo non troppo diverso dal solito, grazie ai generatori d’emergenza. L’unica differenza era che gli avventurieri cercavano di risparmiare più energia possibile, in previsione dei tempi grami a venire. Dopo essersi consultato col Capitano, Irvik aveva disattivato tutti i sistemi non essenziali. Così ad esempio i replicatori erano spenti e ci si nutriva con le scorte d’emergenza. Anche il ponte ologrammi era disattivato e così le cabine di teletrasporto per gli spostamenti interni alla nave. Si arrivò persino a spegnere le luci nei corridoi dei ponti inferiori, che venivano utilizzati di rado. Per il momento erano sacrifici sopportabili; ma l’incognita del futuro gravava sugli avventurieri come la spada di Damocle. Qualunque cosa facessero, quel pensiero continuava a ossessionarli: «Risparmia, perché da qui in poi le cose possono solo peggiorare».
   Il Capitano si accorse ben presto che il malumore serpeggiava tra l’equipaggio. Non era ancora tale da scatenare una rivolta, ma la situazione peggiorava giorno dopo giorno. Sarebbe servito un obiettivo comune, una speranza per tenere concentrata la ciurma. Ma quale speranza poteva dargli, che non fosse rapidamente delusa? E dare false speranze, presto smentite, non era forse peggio che non darne affatto? Se avesse mentito all’equipaggio, Rivera era certo che avrebbe perso ogni residuo d’autorità e di credibilità, aprendo la strada a pericolosi ammutinamenti. Così si astenne dal dare ulteriori comunicazioni. Ma quando Losira venne a informarlo che la Destiny era stata rivoltata come un calzino, senza trovare una briciola di dilitio, il Capitano sentì che doveva assolutamente fare qualcosa.
 
   «Ebbene?» chiese Rivera con impazienza.
   «Ebbene, non è cambiato nulla rispetto alle analisi fatte in passato» rispose Talyn. «Il Vuoto continua ad essere vuoto come quando l’abbiamo scoperto. Non ci sono stelle, pianeti o asteroidi. Frell, non c’è un solo atomo di materia!» imprecò. Lui e gli altri erano nel laboratorio astrometrico e stavano esaminando lo spazio circostante, in un estremo tentativo di trovare qualcosa. L’ideale sarebbe stato qualche asteroide o pianeta che avesse un giacimento di dilitio. Ma nella loro disperazione qualunque segno di materia solida sarebbe già stato una vittoria, perché avrebbe dimostrato che non erano in un cosmo completamente vacuo.
   «Tutte le analisi concordano con la tua ipotesi iniziale. In questo Universo materia e antimateria si annichilirono totalmente nel primo istante dopo il Big Bang, senza lasciare atomi che potessero assemblarsi in strutture più complesse» commentò Naskeel.
   «Sarà meglio che troviamo qualcosa, invece!» ringhiò Rivera, non volendo arrendersi.
   «È inutile, signore, non rilevo nemmeno galassie lontane!» insisté Talyn. «Non ci sono neanche residui stellari che suggeriscano una maggior presenza di materia in passato. Niente di niente!» esclamò, sull’orlo di una crisi nervosa.
   «Prova a usare i sensori subspaziali a lungo raggio per esaminare a fondo una porzione di spazio lontano» suggerì Losira.
   «Quale porzione? Dovrei sceglierne una a caso» obiettò il giovane El-Auriano.
   «Non a caso» corresse Losira. «Tu hai la capacità istintiva di capire quando e come fare le cose. Forse puoi anche intuire dove guardare».
   «Beh, non mi sta venendo nulla in mente!» protestò Talyn.
   «Sei troppo teso. Cerca di non pensare ai nostri problemi» esortò la Risiana. «Prova semplicemente a pensare dove ti piacerebbe guardare. Anzi, no... pensa a dove ti sembra giusto guardare» suggerì.
   Esitante, l’El-Auriano osservò gli altri ufficiali, che annuirono. Scosse la testa cercando di schiarirsi la mente, di liberarsi dalle paure che lo attanagliavano. Pose le mani sui comandi e chiuse gli occhi, in cerca d’ispirazione. Infine premette alcuni tasti, praticamente a caso.
   «Hai avuto una visione?» chiese Shati con ansia.
   «Ma quale visione, ho pigiato a caso!» sbuffò il giovane. «Mi sento così stupido...» borbottò, mentre analizzava la regione di spazio prescelta. A un tratto inarcò un sopracciglio: sull’interfaccia era apparso un riscontro.
   «Allora, hai trovato qualcosa?!» incalzò la Caitiana.
   «Si direbbe... di sì» mormorò Talyn, sempre più meravigliato. «Stento a credere a ciò che vedo. Secondo i sensori c’è un intero sistema stellare a 30 anni luce da qui. È una stella di tipo G, con almeno tre pianeti».
   «Ah, lo sapevo che avevi un dono!» si congratulò il Capitano.
   «Però la faccenda è molto strana» disse l’El-Auriano, per nulla rallegrato dalla sua scoperta. «Voglio confrontare le letture con quelle raccolte la prima volta che giungemmo nel Vuoto. Ecco, vedete? Un anno fa quella stella e quei pianeti non c’erano!». Indicò le due colonne di dati che scorrevano sullo schermo. La differenza era evidente: nelle letture più vecchie non c’era alcuna traccia dei corpi celesti.
   «Forse le prime scansioni non erano così accurate» ipotizzò Losira.
   «Lo erano, invece. Dopo la prima disavventura nello Spazio Caotico passai settimane ad analizzare minuziosamente il Vuoto, in cerca di qualunque corpo celeste» assicurò Talyn. «Per questo adesso ero così scettico sulla possibilità di trovare qualcosa che mi fosse sfuggito. Eppure adesso quel sistema c’è. E guardate qui!» aggiunse, richiamando un’altra lettura. «Ho scoperto quei corpi celesti grazie ai sensori subspaziali, che operano a velocità superiore alla luce. Ma se cerco le emissioni luminose, o anche le onde gravitazionali, non rilevo nulla. È come se quel sistema non esistesse».
   «Come possono quei pianeti esserci e non esserci allo stesso tempo?» chiese Shati. «Non ci sarà un difetto in uno degli strumenti?».
   «Ah, può darsi. Farò una diagnostica per controllare» promise il giovane.
   «C’è anche un’altra possibilità» intervenne Naskeel. «Quel sistema stellare potrebbe essere abitato da una specie tecnologicamente progredita. E i suoi abitanti potrebbero averlo occultato».
   «Occultare un intero sistema stellare?! Ma è possibile?» si stupì la Caitiana.
   «Beh, nel nostro Universo il pianeta Aldea fu occultato per secoli dai suoi abitanti» ricordò Rivera. «Ma non ho mai sentito di un intero sistema occultato, inclusa la stella. E poi l’occultamento può schermare le onde luminose, ma non quelle gravitazionali».
   «Qui nel Vuoto le cose potrebbero essere diverse» insisté il Tholiano.
   «Sì, potrebbero» concesse il Capitano. «In ogni caso vale la pena di controllare. Questo è il primo segno di materia solida – forse anche di vita intelligente – che troviamo nel Vuoto. Non possiamo ignorare la faccenda. Svelti, torniamo in plancia e tracciamo la rotta per...» s’interruppe.
   «Ehm, come avrà intuito, in mancanza di dilitio questa nave non può entrare a cavitazione quantica» confermò Irvik. «Siamo bloccati anche nello spazio, temo. La buona notizia è che le navette sono in piena efficienza. Possiamo andarci col Centurion e magari con qualche navicella di scorta...».
   «Già, andiamo con le navette ad affrontare una civiltà così potente da occultare un intero sistema stellare!» sospirò Rivera. «Se sono ostili, ci spazzeranno via in un lampo».
   «Se sono così potenti da occultare il loro sistema, significa che potrebbero spazzare via anche la Destiny» obiettò Losira. «Forse è un bene avvicinarci con le navette, per saggiare la loro reazione».
   «Ben detto! Comandante Losira, ti affido il primo contatto!» ordinò il Capitano nel suo tono più autoritario, per saggiare la reazione.
   «Io?!» si sgomentò la Risiana. «Ma io sono solo una truffatrice da quattro soldi. Sei tu il veterano della Flotta Stellare...».
   «Hai accettato di farmi da Primo Ufficiale. Cos’è, credevi di prenderti solo i vantaggi? Comincia ad assumerti anche le responsabilità!» insisté l’Umano.
   «Ma... ma...» fece Losira, guardandosi attorno in cerca d’aiuto.
   «Capitano, la prego di ripensarci» intervenne Talyn, in difesa della madre adottiva. «Prenda me nella squadra, ma lasci qui lei».
   «Oh, adesso sono gli ufficiali a decidere chi va in missione e chi no?!» s’impuntò il Capitano. La faccenda era iniziata come uno scherzo, ma stava diventando seria.
   «Devo interpretare queste proteste come un ammutinamento? Perché in tal caso siete in arresto» disse Naskeel agli ufficiali recalcitranti. «Sempre che non li voglia disintegrati, affinché non consumino le nostre risorse» aggiunse, rivolto al Capitano.
   «No, niente disintegrazione!» lo fermò Rivera. «Era tutto uno scherzo, Naskeel. In realtà ho sempre avuto intenzione di dirigere io la missione. Losira, tu gestirai la Destiny in mia assenza» ordinò.
   «Grazie, Capitano» fece la Risiana, sollevata.
   «Per il resto, però, non posso fare sconti. Mi servono gli elementi migliori» ammonì l’Umano. «Shati, tu mi farai da copilota. Talyn, tu sarai ai sensori. Verrà anche lei, Naskeel, nel caso incontriamo opposizione. E lei, Irvik, per esaminare il dilitio – se ne troveremo – e verificare che sia compatibile».
   «Confesso che ho un po’ di tremarella» ammise il Voth. «Una civiltà capace di nascondere un intero sistema stellare... diamine, dev’essere veramente progredita. Sempre che sia questa la spiegazione! Forse c’è una ragione del tutto diversa per l’improvvisa comparsa di quel sistema».
   «Lo scopriremo solo andando a controllare di persona» disse Rivera. «Beh, non perdiamo tempo! Fate i bagagli, si parte oggi stesso».
 
   L’hangar 1 della Destiny conteneva navette d’ogni foggia e dimensione, adatte a una molteplicità d’incarichi. C’erano navicelle di classe Hornet e Gryphon, caccia d’assalto di classe Valkyrie, persino alcune Work Bee con tenaglie e altri strumenti per le riparazioni. E c’era infine il Centurion, lo shuttle personale del Capitano. Per dimensioni, prestazioni e autonomia era una vera astronave. Aveva una forma a boomerang, come la classe Altair di un secolo prima. Lo scafo principale ospitava numerosi ambienti: la cabina di guida, la cucina con replicatore alimentare e tavolino, il vano-notte con le cuccette, una piattaforma di teletrasporto, i servizi igienici. Nel vano d’ingresso c’erano l’armadietto delle armi, quello dei medicinali, la rastrelliera con le tute spaziali. Sulle ali laterali si trovavano i motori a impulso e le gondole quantiche, oltre ai poderosi armamenti. C’erano persino una piccola stiva sul lato destro e una cameretta che faceva da prigione sul lato sinistro. Il tutto era rivestito da una sofisticata corazza ablativa che dava al vascello un aspetto cromato. Dulcis in fundo, il Centurion aveva un dispositivo d’occultamento ultimo modello. Era a tutti gli effetti un’astronave a sé stante, adatta a compiere missioni a lungo raggio in completa autonomia. Nel vederla Rivera si sentì un po’ rincuorato.
   «Svelti, tutti a bordo» ordinò, non volendo perdere un solo istante.
   Gli avventurieri salirono in fretta la pedana di sbarco, sul retro della navicella, e se la richiusero dietro. Una volta dentro percorsero il Centurion in tutta la sua lunghezza, fino alla cabina posta anteriormente. Qui occuparono le loro postazioni. Rivera era il pilota e Shati la copilota, mentre Naskeel stava al tattico e Talyn ai sensori, come sulla plancia della Destiny. Irvik infine si accomodò a una piccola postazione ingegneristica, che gli dava una panoramica dei sistemi.
   «Centurion a Destiny, siamo pronti al decollo» disse il Capitano, mentre il portello esterno dell’hangar si sollevava, mostrando l’oscurità senza stelle.
   «Ricevuto, Centurion. In bocca al drakoulias» disse Losira, riferendosi a un famigerato predatore di Delta Vega.
   «Crepi» rispose Rivera, con un sorriso fanciullesco. A dispetto della loro situazione disperata, sentiva il brivido dell’avventura. In quel sistema stellare fantasma avrebbero trovato qualcosa di significativo... doveva essere così. Del resto i pianeti non apparivano senza motivo. Doveva per forza esserci qualcuno, laggiù.
   Con questi pensieri il Capitano eseguì il decollo e portò il Centurion fuori dall’hangar. Uscito nella vastità dello spazio, il vascello cromato acquisì rapidamente velocità, lasciandosi dietro la Destiny. Rivera inserì le coordinate del misterioso sistema stellare, calcolando la durata del viaggio. «A massima velocità saremo a destinazione fra ventisei ore» disse. «Vi consiglio di approfittarne per riposarvi, perché una volta lì potrebbe succedere di tutto».
   Fatta questa raccomandazione, il Capitano attivò la cavitazione quantica. Il piccolo deflettore anteriore del Centurion si attivò, proiettando il tunnel, e la navicella vi schizzò dentro, diretta verso l’ignoto. 

 

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Capitolo 3
*** Oasi ***


-Capitolo 2: Oasi
 
   Dopo ventisei ore di viaggio a massima velocità, il Centurion giunse ai margini del sistema stellare apparso dal nulla. Come misura precauzionale gli avventurieri entrarono in occultamento. «Siamo nel raggio dei sensori, inizio le scansioni» disse Talyn. «Confermo la presenza di una stella di tipo G e tre pianeti, tutti piuttosto vicini. I due più interni sono di tipo venusiano, inabitabili».
   «Parla per te» disse Naskeel, che in quanto Tholiano proveniva da un mondo analogo.
   «Giusto, inabitabili per gli umanoidi» corresse il giovane. «Il terzo pianeta si trova invece nell’ecosfera, per quanto sia vicino al limite interno. Ha un clima caldo-umido e...». L’El-Auriano s’interruppe per eseguire altre analisi.
   «Ebbene?» fece Rivera, impaziente.
   «È un mondo oceanico di classe O» rivelò Talyn. «Non ci sono continenti degni di questo nome e nemmeno calotte polari, dato il clima tropicale. Rilevo una sola isola, di circa 250.000 km², nell’emisfero australe».
   «Poco più grande della Gran Bretagna» rifletté il Capitano. I pianeti oceanici erano rari, ma non rarissimi; nella Federazione ce n’erano alcuni. Per ovvie ragioni erano difficili da colonizzare, tuttavia le poche terre emerse erano ambite mete turistiche. «Se il sistema è abitato, è probabile che gli insediamenti siano lì. Correggo la rotta per avvicinarci» disse.
   Il Centurion virò decisamente verso il terzo pianeta. Lo raggiunse in pochi minuti, uscendo dalla cavitazione a distanza ravvicinata. Il mondo oceanico pareva una gemma sfavillante nel Vuoto, un’oasi nel deserto, un’isola tra i flutti. L’azzurro oceano globale riverberava accecante, punteggiato dalle nuvole candide. Per gente che aveva trascorso l’ultimo anno chiuso in un’astronave, senza mai metter piede a terra, era una visione paradisiaca.
   «Wow, non vedo l’ora di sbarcare!» commentò Shati.
   «Vediamo... c’è il 24% d’ossigeno nell’atmosfera, il resto è azoto» disse Talyn, più concentrato sugli strumenti. «Abbondante vegetazione sull’isola e ricchissima vita marina».
   «Segni di tecnologia?» incalzò Rivera.
   «Nessun satellite in orbita, però ci sono insediamenti sull’isola» rivelò l’El-Auriano. «Una città sulla costa e centri minori sparpagliati nel territorio. Sono mezzo milione di persone, si direbbe umanoidi. Non riesco a essere più preciso, ci sono troppe interferenze» aggiunse.
   «Che genere d’interferenze?» si accigliò il Capitano.
   «Subspaziali e gravimetriche. È strano... aspetti, cerco di capirci qualcosa». Per qualche minuto il giovane armeggiò con gli strumenti. Irvik venne a dargli una mano; i due parlottarono mentre facevano complesse analisi. Infine Talyn tornò a rivolgersi al Capitano: «Signore, credo che ci troviamo in un’interfase di spazio, ovvero una zona di sovrapposizione tra due Universi. Questo spiegherebbe come mai la stella e i pianeti sembrano apparsi dal nulla. Potrebbero essere piombati qui di recente, da un’altra realtà».
   «Quale realtà?!» fremette Rivera.
   «Beh, la tecnologia in superficie non sembra tanto diversa dalla nostra» rispose il giovane, emozionato.
   «In tal caso dobbiamo avvicinarci per fare analisi più approfondite e se necessario sbarcare in cerca di prove» consigliò Naskeel.
   «Sentite, perché dobbiamo fare tutto questo di nascosto? Usciamo dall’occultamento, chiamiamo gli abitanti e lasciamo che siano loro a presentarsi!» propose Shati.
   «Perché no?» fece il Capitano, impaziente di vederci chiaro. «Se va male possiamo sempre ritirarci. Non mi pare che questa gente abbia astronavi con cui inseguirci».
   «Solo vecchie navette e una chiatta da trasporto in superficie» disse Talyn, inquadrando lo spazioporto della capitale. «Niente che possa starci dietro».
   «Allora è deciso, via l’occultamento» ordinò Rivera.
   Il Centurion si rese visibile e il Capitano lo inserì in un’orbita geostazionaria sopra l’isola. Poi aprì lui stesso un canale. Non sapendo chi avrebbe risposto, e ricordando d’essere pur sempre un ricercato, decise di trasmettere solo l’audio. «Qui è il Capitano Rivera dell’USS Destiny, mi rivolgo alle autorità di questo pianeta per chiedere un incontro. La vostra improvvisa comparsa in questo cosmo vuoto ci ha sorpresi. Vedete, noi siamo dispersi nel Multiverso e stiamo cercando la via di casa. Se, come noi, provenite dalla Federazione Unita dei Pianeti, allora dovremmo unire le forze per tornare. E nel caso conosceste già il modo, vi chiedo di condividerlo, nello spirito d’amicizia tra i popoli» dichiarò. Fece in modo che il messaggio fosse ritrasmesso costantemente, a banda larga. Infine si rilassò sullo schienale, in attesa di risposta.
   «Ci chiamano dalla capitale» disse Talyn di lì a mezz’ora.
   «Rispondiamo, solo audio» ordinò Rivera.
   «Sono il Colonnello Oisin, della Guardia Kriosana» giunse la voce dall’altoparlante. «Se la nostra comparsa vi ha sorpresi, noi possiamo dire lo stesso di voi. Il mio popolo è stato qui altre volte, ma non aveva mai incontrato nessuno. Men che meno visitatori del nostro Universo!».
   «Avete detto del nostro Universo? Dunque anche voi siete della Federazione?!» esclamò il Capitano, quasi rovesciandosi dal sedile per l’emozione.
   «Questo pianeta, chiamato Thalassa, non appartiene alla Federazione Unita dei Pianeti» precisò il Colonnello. «Siamo una colonia indipendente; i nostri avi provenivano da Krios Primo. Comunque sì, veniamo dal vostro stesso cosmo e siamo in buoni rapporti con la Federazione» confermò.
   «Questa è la miglior notizia che sentiamo da un pezzo» ammise Rivera. «Ma ho molte domande da farvi. Siete finiti qui attraverso l’interfase? E sapete come tornare?».
   «Sarò lieto di rispondere, ma ritengo sia meglio incontrarci faccia a faccia» disse l’interlocutore. «Vi stiamo trasmettendo le coordinate per il teletrasporto. Il Governatore Sirran, la massima autorità di questa colonia, è stato allertato ed è ansioso di conoscervi».
   «Saremo onorati d’incontrarvi, Colonnello» garantì Rivera.
   «Anche noi, Capitano. Gli ufficiali della Flotta Stellare sono sempre i benvenuti sulla nostra colonia. Arrivederci a tra poco, allora. Oisin, chiudo».
   Per un attimo vi fu silenzio, mentre gli avventurieri raccoglievano le idee. Essersi imbattuti in un’intera colonia – non federale ma pur sempre alleata – era una straordinaria fortuna e un’irripetibile opportunità.
   «Avete sentito? Anche se quella gente non sapesse come tornare indietro, la loro presenza qui è comunque la nostra salvezza!» si rallegrò Shati. «Nel peggiore dei casi ci trasferiremo tutti su Thalassa, facendo avanti e indietro con le navette».
   «E chissà che non abbiano il dilitio! Questo rimetterebbe in sesto la Destiny» aggiunse Irvik.
   «Se avessero anche le coordinate quantiche di ritorno, allora saremmo a posto» proseguì Talyn.
   «È inutile fare congetture, fra poco sapremo come stanno le cose» tagliò corto Rivera.
   «Sembra che vi sfugga un punto fondamentale» disse però Naskeel. «Lei, Rivera, si è presentato come il Capitano dell’USS Destiny. E a giudicare dalle parole del Colonnello, è evidente che i Kriosani ci credono ufficiali della Flotta Stellare. Cosa accadrà quando scopriranno che non lo siamo?».
   A questa domanda piombò di nuovo il silenzio. Gli avventurieri si erano così esaltati al pensiero d’essere salvi che non avevano ancora riflettuto su questo problema. Ma ora che cominciavano a farlo, si resero conto che la loro posizione era assai vulnerabile.
   «Scusate, io vengo da un altro Quadrante e non conosco i Kriosani. Che tipi sono?» chiese Irvik.
   «Uhm, non sono esperto sul loro conto e non c’è tempo di fare una ricerca approfondita nel database» borbottò Rivera. «So che sono una potenza regionale, in buoni rapporti con la Federazione sebbene non ne facciano parte. Certo, questa è una piccola colonia indipendente e le cose potrebbero essere diverse. Ma il Colonnello ci ha appena detto che sono amici dei federali e non vedo che ragione avrebbe di mentire» ragionò.
   «Quindi come reagiranno nello scoprire che siamo... beh, impostori?» chiese il Voth, sulle spine.
   L’Umano rifletté a fondo. Avrebbe potuto chiarire l’equivoco non appena sbarcati, ma temeva che ciò avrebbe indisposto i Kriosani nei loro confronti. E questo era un rischio che non poteva correre. Perché se i Kriosani li scacciavano, era la fine: sarebbero morti di stenti nel Vuoto.
   «Non devono scoprirlo» stabilì il Capitano, colpendosi il palmo della mano col pugno chiuso, tanto da ricavarne un sonoro schiocco. «Ci credono della Flotta? Ebbene, li accontenteremo! Vestiremo le uniformi e ci atteggeremo da professionisti. Del resto non credo che questi provinciali abbiano incontrato molti ufficiali di Flotta prima d’ora. Avranno una visione stereotipata, facile da soddisfare» argomentò.
   «Uhm, potrebbe non essere così facile farli fessi» avvertì l’Ingegnere Capo. «Ricordi che s’è già presentato come il Capitano della Destiny, non può rimangiarselo. Quel Colonnello potrebbe anche voler visitare l’astronave. Che farà in quel caso?».
   «Gliela farò visitare e staremo tutti al gioco» dichiarò Rivera.
   «E se i Kriosani scoprissero la verità? Non crede che si sentiranno raggirati e si offenderanno?» insisté Irvik. «Secondo me dovremmo chiarire subito l’equivoco. Se ci mostriamo onesti, saranno più bendisposti che se scoprissero la realtà più avanti».
   «E se invece ci sbattessero la porta in faccia?!» protestò Shati. «Per noi sarebbe la morte! Meglio rischiare che ci scoprano, piuttosto che confessare noi stessi. Così almeno avremo una chance di farcela».
   «Faccio rispettosamente notare che voi siete fuorilegge, ma io no!» sbottò il Voth, le scaglie rosseggianti d’ira. «Potrei anche presentarmi per ciò che sono, un onesto cittadino che vi aveva chiesto un passaggio e s’è trovato bloccato con voi!».
   «Non ci provare, brutta lucertola traditrice!» ringhiò Shati. Balzò in piedi, sfoderando gli artigli retrattili. Allora anche Irvik si alzò con gli artigli levati, emettendo uno strano sibilo. Erano sul punto di venire alle mani e sarebbe stata una lotta selvaggia.
   «Basta così! Fermi!» gridò Rivera. Dovette agguantare Shati, con l’aiuto di Talyn, e tirarla indietro. Naskeel fece lo stesso con Irvik. Tennero stretti i litiganti finché i loro animi furono sbolliti.
   «Certo che se vi comportate così sul pianeta, i Kriosani capiranno subito che guitti siamo!» esclamò il Capitano. «Ora statemi bene a sentire. Irvik, io prendo seriamente in considerazione i suoi timori. Anch’io sono tentato di confessare la realtà ai Kriosani. Ma il pericolo che ci scaccino è troppo elevato. Quindi manterremo la finzione, mi sono spiegato?!».
   «Sì, Capitano» brontolò il Voth, guardandolo di sottecchi. «Spero solo che non avremo a pentircene». A poca distanza, Shati gli scoccò un’occhiata di trionfo.
   «Abbiamo già i comunicatori e gli altri gadget della Destiny, ci mancano solo le uniformi» proseguì Rivera. «Vediamo un po’ se il replicatore di bordo ce le può fornire, altrimenti dovremo imbastire una scusa».
   Gli avventurieri si recarono nel comparto posteriore del Centurion, dove si trovava un replicatore in grado di fornire l’equipaggiamento standard per le missioni. Come sperato aveva in memoria anche le uniformi, inclusi gli stivali e le mostrine, e poteva personalizzarle in base alla taglia. Rivera e i suoi poterono così vestirsi da perfetti ufficiali di Flotta, in base alla loro sezione e al grado che già ricoprivano sulla Destiny. Le uniformi erano del nuovo modello, approvato dopo la fine della Guerra Civile e la riunificazione federale. Erano in prevalenza nere, con una banda colorata obliqua che copriva la spalla e il braccio destri. Rivera e Shati ebbero il blu della sezione comando e navigazione, Irvik e Talyn il grigio-verde della sezione scientifica e ingegneristica. Restava il bruno della sezione sicurezza, ma Naskeel non poteva vestire alcuna uniforme, data la sua fisiologia aliena. Come tutti i Tholiani aveva un corpo cristallino munito di sei zampe da ragno, su cui s’innestava un torso vagamente umanoide, con due arti e una testa da rapace.
   «Lei resterà a bordo, intesi?» disse Rivera, squadrandolo da capo a piedi. «Del resto avevo intenzione di lasciare qualcuno a sorvegliare il Centurion. Se avremo problemi la contatteremo e allora dovrà teletrasportarci subito a bordo» raccomandò.
   «Ricevuto» disse Naskeel, laconico come sempre.
   Rivera si tastò la barbetta ispida, indeciso se radersi. Forse avrebbe anche dovuto tagliarsi i capelli, ora raccolti in una coda di cavallo, per sembrare più professionale. Ma rinunciò all’idea: non potevano far aspettare oltre i Kriosani, o questi si sarebbero insospettiti. Del resto il suo aspetto era nei limiti del regolamento; e il fatto che la Destiny fosse dispersa da anni giustificava una certa trasandatezza. Lo stesso valeva per i dreadlocks di Shati.
   «Vediamo un po’...» disse il Capitano, passando in rassegna i sottoposti. «Direi che può andare. Ma lasciate qui i phaser. Siamo in missione pacifica».
   «Mi sento nuda, senza un’arma» protestò la timoniera. Dovendo vestire l’uniforme aveva adottato la variante per i Caitiani, munita di uno strategico foro posteriore per far uscire la lunga coda felina.
   «Problema tuo; non possiamo presentarci armati a un incontro diplomatico» chiarì Rivera.
   Lasciate le armi, gli avventurieri seguirono il loro Capitano sulla pedana di teletrasporto. «Ricordate di mantenere il contegno della Flotta Stellare. Lasciate parlare me, che ci sono stato davvero, e non sbilanciatevi su alcun argomento d’attualità» raccomandò Rivera. Osservandosi l’uniforme da Capitano, rimpianse di poterla indossare solo per quel raggiro. Un tempo aveva sperato di arrivare a vestirla davvero; invece doveva accontentarsi di una penosa mascherata. «Di necessità virtù» si disse, cercando di concentrarsi sulla missione. E in fondo, lui era a tutti gli effetti il Capitano della Destiny. Il fatto che non avesse mai ricevuto l’investitura formale non cambiava questa realtà. Dunque non stava mentendo ai Kriosani, stava solo... addolcendo la verità.
 
   Trasferiti alle coordinate fornite dai Kriosani, gli avventurieri si materializzarono in uno splendido giardino tropicale, davanti al palazzo del governo. L’aria era limpida e il sole splendeva alto nel cielo terso. La calura era temperata da una fresca brezza proveniente dal mare, che faceva stormire le fronde delle palme. I visitatori dovettero schermarsi gli occhi dalla luce intensa. Dopo un anno intero trascorso a bordo della Destiny, senza mai metter piede a terra, non erano abituati al sole e al vento. L’aria era più densa e più carica d’ossigeno rispetto all’atmosfera di bordo, ma non tanto da farli ammattire.
   Passato il primo attimo, il Capitano spinse lo sguardo in avanti. C’era una folta delegazione di Kriosani ad aspettarli. A prima vista somigliavano ai Trill: avevano piccole macchie violacee che incorniciavano il viso, seguendo l’orlo dei capelli fino alla nuca. Le macchie dei Kriosani, tuttavia, erano più pallide e quindi risultavano meno evidenti. Tra loro dovevano esserci alte cariche dello Stato, sebbene i loro abiti fossero semplici. C’erano anche alcuni militari, riconoscibili dalle uniformi blu, diverse da quelle della Flotta Stellare.
   «Benvenuti su Thalassa!» li accolse l’anziano in prima fila, dai folti capelli bianchi. «Sono il Governatore Sirran, leader eletto di questa colonia indipendente. E qui c’è il Colonnello Oisin, con cui avete già parlato» disse, accennando al militare alla sua destra. Come tutti i Kriosani, non avevano un cognome e quindi si servivano unicamente del nome proprio.
   «Lieto di conoscervi di persona» disse il Colonnello, uomo tutto d’un pezzo con la mascella squadrata e i capelli grigio ferro.
   «Molto onorato, signori» rispose Rivera, stringendo la mano all’uno e all’altro. «Questi sono l’Ingegnere Capo Irvik, il Tenente Shati e il Guardiamarina Talyn».
   «Ah, un equipaggio multietnico, com’è tipico della Flotta!» commentò il Governatore. «Qui non riceviamo spesso stranieri. Sapete, siamo una piccola colonia e viviamo appartati. Ma è sempre un piacere accogliere ufficiali della stimata Flotta Stellare. Sarete pieni di domande sul nostro conto, come del resto lo siamo noi sul vostro. Incontrarci qui, in un altro Universo, è una combinazione straordinaria. Ebbene, visto che siamo noi a fare gli onori di casa, risponderemo per primi alle vostre domande» si offrì.
   «Le siamo profondamente grati, Governatore» disse Rivera, cercando d’essere cortese ma non untuoso. «L’ospitalità è quanto di più prezioso vi sia nel Multiverso».
   «Seguitemi, passeggeremo un po’ nei giardini e poi prenderemo un rinfresco» propose Sirran. Si affiancò al Capitano e fece strada lungo il sentiero verdeggiante, bordato di palme. Il resto della delegazione li seguì, affiancata dagli ospiti della Destiny.
   «Dunque, posso immaginare la vostra prima domanda: che diavolo ci facciamo qui?» indovinò il Governatore. «Ebbene, per rispondervi devo darvi una piccola lezione di storia. Sappiate che i nostri avi giunsero da Krios Primo quattrocento anni fa, quando esso fu occupato dai Klingon e molti Kriosani fuggirono in cerca di libertà» disse, un po’ corrucciato nel ricordare quella pagina nera della loro storia. «Beninteso, all’epoca Thalassa si trovava nello spazio normale. Sembrava un buon posto dove ricominciare daccapo. Una volta atterrati, i nostri padri smontarono l’astronave coloniale e con essa costruirono il primo nucleo di questo insediamento. Il clima mite, l’abbondanza di risorse naturali e l’assenza di gravi malattie diedero grande impulso alla colonia. I nostri avi pensavano di aver trovato un piccolo paradiso in cui vivere in pace». Così dicendo, Sirran carezzò alcuni grandi fiori simili a girasoli che bordavano il sentiero.
   «Non vi dico il loro stupore e la loro angoscia quando, trentanove anni dopo lo sbarco, il pianeta fu traslato in quest’altra dimensione. Mi correggo, l’intero sistema: il sole e i tre pianeti. I nostri antenati videro sparire le stelle da un momento all’altro. Così si avventurarono nello spazio con alcune vecchie navette, trovando conferma del loro timore. Erano incappati in un’interfase di spazio che li aveva spediti chissà dove. Riuscite a immaginare la loro angoscia? Per quanto Thalassa sia un mondo accogliente, temevano d’essere tagliati fuori per sempre dal resto della Galassia, intrappolati in un cosmo vuoto e buio».
   «E non fu così?» incalzò Rivera.
   «No, per niente!» rise il Governatore. «Un mese dopo l’incidente, l’interfase li riportò indietro nella Via Lattea. I nostri avi tirarono un sospiro di sollievo e ripresero le loro vite. Ma quarant’anni dopo, ecco la sorpresa: Thalassa tornò qui per un altro mese! E da allora in poi, per quattro secoli, si è ripetuto questo schema. Ogni quarant’anni il sistema si trasla qui per un mese – noi la chiamiamo Pausa – per poi tornare nel nostro Universo. I tempi sono sempre gli stessi, precisi al millisecondo. I nostri scienziati sono giunti alla conclusione che l’interfase è un fenomeno ciclico. Forse sono milioni di anni che si ripete, ma ovviamente non potevamo saperlo prima di colonizzare questo mondo».
   «Forse è per questo che ci sono solo tre pianeti, tutti vicini alla stella. Gli altri potrebbero essere finiti fuori orbita durante le Pause, se erano all’esterno dell’interfase» commentò il Capitano.
   «Sì, è possibile» annuì Sirran. «Ormai ci siamo abituati e non ci facciamo più spaventare. Io ho duecento anni – noi Kriosani siamo longevi – per cui questa è la quinta Pausa che sperimento. Non ci è mai accaduto nulla di male durante i trasferimenti e nemmeno durante la permanenza qui. Sapete, questo Universo è totalmente vuoto e quindi anche privo di minacce. I nostri esploratori si sono spinti più lontano possibile con le navicelle, durante le Pause, e non hanno mai trovato un solo atomo di pulviscolo spaziale. Certo, non possono allontanarsi troppo: quindici giorni al massimo, poi devono fare dietrofront per tornare su Thalassa prima che scompaia. Ma i nostri telescopi non hanno rilevato nemmeno galassie lontane, quindi direi che è proprio un cosmo vuoto.
   E con questo, signori, credo di avervi spiegato sia la nostra presenza qui, sia perché la cosa non ci spaventa. Fra ventinove giorni torneremo nella beneamata Via Lattea traboccante di vita. Ora però sono curioso di sapere come siete giunti voi. Tra l’altro, Capitano, nel suo messaggio lamentava che eravate dispersi e in cerca della via di casa. Cosa vi è successo di preciso?».
   Rivera ponderò attentamente le parole. Doveva inventare una storia credibile e priva di contraddizioni. La cosa migliore era attenersi il più possibile ai fatti, tacendo solo la loro natura d’impostori. Prima però doveva capire cosa ne sapesse quella gente della sua nave. «Governatore, saprò rispondervi meglio se mi direte cosa sapete voi della Destiny» disse.
   «Oh, solo ciò che dissero i notiziari» rispose Sirran. «Sei anni fa la Destiny, un prototipo sperimentale, sparì nel suo viaggio inaugurale e da allora non se n’è più saputo nulla. Alcuni dissero che la vostra nave era progettata per esplorare il Multiverso, ma credo che la notizia non sia mai stata confermata. Certo che la vostra presenza qui è la miglior conferma» ragionò.
   «In effetti tutto ciò che riguarda la nostra nave era classificato» disse il Capitano. «Ma le circostanze sono tali che devo confidarvi tutto».
   «Apprezzo l’onestà e vi garantisco la massima riservatezza. Niente di ciò che direte sarà divulgato» promise il Governatore.
   «Lui apprezza l’onestà!» si disse Rivera, in procinto di raccontare una storia fasulla. Si sentiva come l’onesto Iago di scespiriana memoria, quando mentiva a Otello per rovinargli la vita. Per un attimo fu tentato d’abbandonare i sotterfugi e raccontare la verità. Ma no... il rischio era troppo grande, e poi aveva già detto altrimenti ai suoi ufficiali. Non poteva cambiare idea, dopo averli ammoniti a seguire i suoi ordini.
   «Ebbene, le indiscrezioni sono vere. La Destiny è concepita per esplorare il Multiverso» spiegò il Capitano. «Partimmo sei anni fa, al comando del Capitano Dualla; io ero il suo Primo Ufficiale» mentì. «Il nostro viaggio inaugurale ci portò nello Spazio Fluido, abitato da una specie ostile, gli Undine. Dovevamo stipulare un accordo di pace, ma le cose non andarono come previsto. Fummo catturati e imprigionati su una stazione spaziale, la Biosfera. Ogni tanto gli Undine rilasciavano alcuni dei nostri negli habitat della Biosfera, dove poi li cacciavano selvaggiamente fino alla morte. Non abbiamo mai realmente capito perché lo facessero. Forse era per saggiare le nostre capacità, o semplicemente per sport. Fatto sta che perdemmo gran parte dell’equipaggio, incluso il Capitano Dualla».
   «Mi dolgo per la vostra perdita» disse il Governatore. «Non posso neanche immaginare che significhi subire una tale barbarie. Vivere nel terrore, veder morire i propri colleghi... è orribile!». Anche gli altri Kriosani espressero il loro cordoglio. Erano profondamente toccati da quella storia; peccato che fosse falsa! Era l’equipaggio originale della Destiny ad essere perito nella Biosfera, mentre gli avventurieri erano subentrati cinque anni dopo, cavandosela con poche perdite.
   «Sì, sono stati anni tremendi. Ma infine noi superstiti riuscimmo a evadere dalla Biosfera e a riconquistare la Destiny» proseguì Rivera. «Distruggemmo anche la stazione, vendicando i nostri compagni. Ma al momento di tornare a casa, ahimè, scoprimmo che gli Undine avevano cancellato le coordinate quantiche dal computer. Senza di quelle è impossibile districarsi tra le infinite realtà del Multiverso. Il signor Irvik riuscì a recuperare una serie di coordinate con un programma di deframmentazione dati, ma sono cifre spoglie, non più abbinate a una descrizione. Così dobbiamo provarle tutte, visitando gli Universi noti alla Flotta, nella speranza d’indovinare prima o poi quello giusto. È passato un anno dalla nostra fuga e ancora non siamo in fondo alla lista. Tra l’altro l’elenco potrebbe essere incompleto, nel qual caso i nostri sforzi sono vani. Perciò vi chiedo: voi possedete le coordinate quantiche del nostro Universo? Potete comunicarcele? Per noi sarebbe la salvezza».
   I Kriosani mormorarono un poco, incerti. Infine il Governatore rispose: «Temo di non avere familiarità con queste coordinate quantiche. Siamo abituati a muoverci tra i due Universi, ma lo facciamo empiricamente, senza una base scientifica solida come la vostra. Comunque chiederò ai nostri scienziati. Se queste coordinate sono note, ve le comunicheremo senz’altro». Ciò detto rivolse qualche parola a un sottoposto, che lasciò il gruppo e tornò di buon passo verso il palazzo governativo.
   «Vi ringrazio, Governatore» disse il Capitano. «Ma le nostre disgrazie non sono finite, purtroppo. Pochi giorni fa, visitando una realtà parallela, siamo stati inseguiti fin qui da un’astronave nemica. L’abbiamo distrutta, per cui non correte alcun rischio» rassicurò i Kriosani. «Sfortunatamente nella battaglia un picco d’energia nel nucleo ha de-cristallizzato il nostro dilitio. Saprete che significa».
   «Siete rimasti senza energia» intervenne il Colonnello Oisin. «Ora capisco perché siete arrivati con quella navicella, anziché con la Destiny».
   «Sì, siamo arrivati col mio shuttle personale, dopo aver rilevato il vostro sistema stellare apparso dal nulla. Stavamo scandagliando lo spazio in cerca di dilitio» confermò Rivera.
   «Avreste cercato invano, visto che questo cosmo è del tutto vuoto. Siete stati molto fortunati a capitare qui proprio durante la Pausa, quando siamo presenti» notò il Colonnello.
   «Ne convengo. E poiché abbiamo avuto questa fortuna, mi appello alla vostra generosità» disse il Capitano.
   «Saremo lieti di aiutarvi» assicurò il Governatore. «Ma guardate, ecco il nostro rinfresco: accomodatevi e servitevi!».
   Erano giunti in una piazzola del parco, in cui gli inservienti avevano sistemato una lunga tavola e numerose sedie. La mensa era imbandita con un pranzo sontuoso, in cui il pesce e altri prodotti del mare facevano da padroni. C’era anche tanta frutta fresca, oltre a vini di qualità. I Kriosani si accomodarono e gli ospiti fecero altrettanto. Dopo giorni in cui si erano nutriti solo con le razioni d’emergenza, per risparmiare l’energia dei replicatori, quelli della Destiny fecero onore alla mensa. Shati in particolare era andata in visibilio davanti alle porzioni di pesce e si servì senza remore. Rivera cercò di mostrarsi più morigerato e di non rinunciare del tutto alla conversazione. Così accennò alle sue avventure nel Multiverso, mentre i Kriosani dal canto loro riferirono qualche aneddoto recente sulla Federazione. Ma solo a fine pasto, quando gli inservienti ebbero sparecchiato, la discussione tornò nel vivo.
   «Dunque, come dicevo poc’anzi, faremo il possibile per aiutarvi» disse il Governatore. «Cosa vi serve di preciso?».
   «Ci occorre il dilitio per riattivare la Destiny» rispose subito Rivera. «Ne avrete per alimentare la colonia, vero?».
   «Uhm, sì» ammise Sirran, dopo una breve esitazione. «La nostra centrale energetica sfrutta il dilitio».
   «Splendido! Possiamo acquistarlo in cambio del contenuto delle nostre stive; sono certo che abbiamo molte tecnologie che vi sarebbero utili» suggerì il Capitano.
   «Il prezzo non è un problema, sono anche pronto a offrirvelo gratuitamente» disse il Governatore. «Ma supponendo che ridiate energia alla vostra nave, come contate di tornare?».
   «Beh, ci sono due possibilità» ragionò il Capitano. «Se avete le coordinate quantiche, potremo tornare con le nostre forze. Se non le avete, allora avvicineremo la Destiny al pianeta. Entrando nell’interfase, torneremo a casa assieme a voi».
   «Uhm, temo che non sia così facile» si rabbuiò Sirran.
   «Come?! E perché?» si allarmò il Capitano.
   «In questi secoli abbiamo studiato l’interfase, sia pure in modo empirico» spiegò il Governatore.
«Così abbiamo scoperto che il suo effetto sulla materia è cumulativo. I nostri avi scesero sul pianeta subito dopo la Pausa e quindi negli anni successivi furono per così dire assorbiti in questo continuum. Quando la Pausa si ripresentò, si trasferirono avanti e indietro assieme al pianeta. Ma se qualcuno scende su Thalassa quando la Pausa è vicina, l’interfase non riesce a far presa su di lui. Per intenderci, il pianeta scompare e il malcapitato si ritrova a fluttuare nello spazio. Se non indossa una tuta spaziale che si sia portato lui stesso da fuori, è spacciato. Ci furono un paio d’incidenti del genere, all’inizio della nostra storia, e non ci teniamo a ripeterli. Anche se un’astronave si pone nella nostra orbita, o scende persino nell’atmosfera, non fa differenza. Il pianeta scompare, l’astronave resta».
   «Ma non avete mai provato l’inverso, col passaggio dal Vuoto al nostro Universo?» chiese Irvik.
   «E come potremmo? Il Vuoto è, per l’appunto, vuoto. Non abbiamo mai trovato un solo atomo di materia con cui fare dei test» rispose Sirran. «Voi siete i primi che incontriamo qui e pertanto sarete i primi a tentare. Ma sarò franco: se il trasferimento non funziona in un verso, non vedo perché dovrebbe funzionare nell’altro».
   «Okay, mettiamo che non funzioni» disse Rivera, massaggiandosi le tempie. «Resta l’altra possibilità. Dateci il dilitio e le coordinate quantiche, così useremo la Destiny per tornare a casa».
   In quella però giunse il funzionario che aveva lasciato la delegazione un’ora prima. Si accostò subito al Governatore, chinandosi su di lui, e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Il vecchio Kriosano s’intristì e guardò Rivera con aria afflitta. «Sono desolato, ma ho un’altra brutta notizia per voi» si rivolse agli ospiti. «I nostri scienziati hanno esaminato i database, ma non hanno trovato traccia di queste coordinate quantiche. È proprio un concetto con cui non abbiamo familiarità. Come vi dicevo, il nostro studio dell’interfase è sempre stato empirico».
   «State dicendo che siamo condannati a restare bloccati qui?!» insorse Shati.
   «Temo di sì... mi dolgo della nostra negligenza scientifica» ammise Sirran. «Se avessimo informato la Flotta, permettendole di studiare il fenomeno, ora potremmo aiutarvi. Invece l’abbiamo tenuto segreto, per proteggere la nostra tranquillità. Sono davvero mortificato».
   Rivera si sentì sprofondare. Non era giusto... ogni volta che il ritorno sembrava a portata di mano, qualcosa mandava tutto a monte. «Beh, non tutto è perduto. Forse non torneremo a casa, ma con la fornitura di dilitio non moriremo nemmeno di stenti» si disse, sforzandosi di guardare il bicchiere mezzo pieno. «Governatore, se la malasorte ci condanna a restare dispersi, allora per noi è ancora più importante ricevere quel dilitio» disse. «Farà la differenza tra la vita e la morte».
   «Sì, me ne avvedo» annuì Sirran. Si alzò da tavola, prontamente imitato dagli altri Kriosani. Allora anche gli ospiti si alzarono, attendendo la sua decisione.
   «Sapete esattamente quanto dilitio vi occorre?» chiese il Governatore.
   «Ho qui le specifiche» garantì Irvik, che aveva con sé il suo d-pad.
   «Allora seguitemi. Andremo subito alla centrale, per vedere se possiamo soddisfarvi» promise il vecchio Kriosano.
 
   La centrale energetica si trovava a poca distanza dal palazzo del Governatore. Mentre si avvicinavano su una levi-car, gli avventurieri la osservarono dall’esterno, notando il suo strano aspetto. Più che un edificio costruito a partire dalle fondamenta, sembrava un’astronave sventrata. Piloni di rinforzo la tenevano ferma e condotti energetici entravano da varie aperture nello scafo. Sembrava anche molto vecchia, a giudicare dalle tracce di ruggine e dai ciuffi di vegetazione che spuntavano qua e là.
   «L’avete notato, vero? Quello non è un edificio come gli altri. Si tratta dell’astronave con cui i nostri avi giunsero qui» confermò il Governatore. «Una volta atterrati la smontarono in gran parte, ma lo scafo principale divenne la centrale energetica. Il nostro vecchio nucleo di curvatura alimenta tuttora la colonia».
   «Ingegnoso» riconobbe Irvik. «I vostri tecnici devono essere abili, se hanno tenuto in efficienza il nucleo così a lungo».
   «Siamo orgogliosi di loro» sorrise il Governatore. «Presto li incontrerete».
   La levi-car atterrò nel piazzale davanti all’ingresso e gli occupanti ne uscirono. Furono ricevuti da una squadra di tecnici della centrale, avvertiti della visita. A capo del gruppo c’era una Kriosana piuttosto giovane e avvenente, che colpì Rivera.
   «Vi presento la Direttrice Corinna, responsabile della centrale» disse il Governatore.
   «Capitano Rivera, molto lieto» si presentò l’Umano, porgendole la mano.
   «Il piacere è mio» disse la Kriosana, scambiando una stretta forte e decisa. «Ci hanno informati della situazione e le assicuro che siamo a vostra completa disposizione». Oltrepassato Rivera, strinse la mano anche ai suoi tre ufficiali.
   Il Capitano si prese qualche secondo per osservarla. La Direttrice aveva serici capelli neri, raccolti in una coda, e profondi occhi scuri. Il suo passo era scattante, i gesti rapidi, la voce sicura. Rivera la trovò affascinante, pur nella severa tuta da scienziato con camice bianco. Quanto alla sua giovane età – pareva una trentenne – l’apparenza poteva ingannare. Considerata la longevità dei Kriosani, la Direttrice poteva avere benissimo settant’anni.
   Terminate le presentazioni Corinna guidò i visitatori nella centrale. Varcato l’ingresso, divenne ancor più evidente che quello era l’interno di una vecchia astronave. C’erano stretti corridoi metallici su cui si aprivano numerose porte. Molte stanze probabilmente erano i vecchi alloggi, svuotati dell’arredo e riattrezzati come sale controllo. Alcune paratie erano state demolite per creare saloni più grandi, ma qua e là si notavano ancora le saldature originali.
   «Garuth» disse Corinna.
   «Come?» fece il Capitano.
   «Questa astronave si chiama Garuth, come un’eroina delle nostre leggende» spiegò la Direttrice. «Ovviamente non può più volare, ma come centrale energetica è ancora in piena efficienza».
   «Lo vedo; il vostro lavoro è straordinario» si complimentò Rivera, strappandole un breve sorriso.
   Il gruppo salì di un paio di ponti, dividendosi in due turboascensori. Dopo essersi riuniti, i Kriosani e i loro ospiti percorsero ancora dei corridoi, più trafficati dei precedenti. C’erano anche alcune guardie in uniforme blu, che si misero sull’attenti al loro passaggio.
   Giunsero infine in sala macchine. Davanti a loro svettava un grande nucleo di curvatura, che pulsava adagio. Parecchi tecnici se ne prendevano cura. Se all’esterno della centrale c’erano tracce di usura, lì pareva tutto nuovo, segno dell’attenzione con cui gli ingegneri sostituivano ogni elemento logoro.
   «Benvenuti nel cuore della centrale e di tutta la colonia» disse Corinna. «Mi hanno detto che vi occorre il dilitio per ridare energia alla vostra nave. Di che quantitativo stiamo parlando?».
   «Prima di tutto dovrei esaminare i vostri cristalli, per verificare che forma e dimensioni siano compatibili» disse Irvik, facendosi avanti.
   «Certo, dateci solo qualche minuto» annuì la Direttrice. Richiamati i tecnici, dette una serie di precise istruzioni. C’era un’apposita procedura per attingere alle riserve energetiche mentre si estraeva il dilitio dal nucleo, così da non interrompere la fornitura d’energia alla colonia. Naturalmente le riserve erano limitate; i cristalli dovevano essere reinseriti entro pochi minuti, a scanso di provocare un blackout.
   Terminate le operazioni, il nucleo smise di pulsare. «Radiazioni entro i limiti, possiamo procedere all’estrazione» disse Corinna, consultando una consolle. Si accostò al nucleo e aprì la camera del dilitio, estraendo il cilindro dei cristalli per due terzi della lunghezza. Subito Irvik le si avvicinò, esaminando i cristalli col tricorder e confrontando i dati con le specifiche che si era portato.
   Era il momento critico, si disse Rivera. Se quei cristalli non andavano bene, era davvero la fine. Il Capitano passò alcuni minuti d’inferno, aggirandosi nervosamente per la sala macchine mentre Irvik confabulava con i tecnici Kriosani. Infine il Voth lasciò il nucleo e si rivolse ai compagni.
   «Ho una buona notizia e una cattiva» annunciò nel suo solito tono cerimonioso.
   «Prima la buona!» ordinò il Capitano.
   «I cristalli sono d’ottima qualità e hanno forma e dimensioni adatte per alimentare il nostro reattore» disse l’Ingegnere Capo.
   «Magnifico» esalò Rivera. «E la cattiva notizia?».
   «La Destiny è una grande astronave, con un altissimo consumo d’energia. Molto superiore a questa vecchia nave coloniale» spiegò Irvik. «Dunque, se vogliamo riportarla a piena efficienza, dobbiamo usare tutto il dilitio dei Kriosani. Intendo sia il dilitio attualmente nel nucleo, sia quello delle scorte» disse indicando i container allineati sulla parete di fondo.
   «Tutto il nostro dilitio?! Ma questo getterebbe l’intera colonia nel blackout!» protestò il Colonnello Oisin. «Non avremo nemmeno l’energia per alimentare le case e gli ospedali. Inoltre, ehm, saremo del tutto vulnerabili» si rivolse al Governatore. Non specificò le possibili minacce, ma Rivera intuì che per quanto si fidassero della Flotta Stellare, i militari Kriosani s’innervosivano al pensiero di ritrovarsi inermi.
   «Questo è sconveniente» mormorò Sirran, turbato. «Ho promesso d’aiutarvi, Capitano Rivera, e non intendo rimangiarmi la parola. Ma capirete che, come Governatore, ho delle precise responsabilità nei riguardi della mia gente. Non posso gettare la colonia nel blackout per chissà quanto. Non c’è una soluzione alternativa?» chiese, quasi implorante, alla Direttrice.
   «Il dilitio è quello che è, purtroppo. Potremo procurarcene dell’altro solo dopo essere tornati nel Quadrante Alfa» rispose Corinna.
   «In tal caso devo riflettere a fondo. E consultare il Consiglio dei Ministri» disse Sirran. Parve sul punto di congedare gli ospiti, o di andarsene lui stesso. Rivera capì che doveva agire subito.
   «Permette qualche parola, Governatore?».
   «Suppongo che voglia perorare la sua causa».
   «Sì, e con buoni argomenti!» confermò il Capitano. «Per voi perdere il dilitio non è grave, in quanto potrete acquistarne dell’altro non appena rientrati. Per noi, invece, restarne privi significa morte certa. Detto questo, vi propongo un compromesso. Avete detto che l’interfase opera con la precisione di un orologio. Dunque ci consegnerete il dilitio non adesso, ma tra ventinove giorni, subito prima che Thalassa torni nel Quadrante Alfa. Così il blackout sarà abbreviato il più possibile».
   «È una buona idea» riconobbe Corinna, schierandosi a favore degli ospiti. «Una volta tornati, abbiamo canali commerciali che ci permetteranno di avere nuovo dilitio entro pochi giorni. Non è un prezzo irragionevole, per salvare un intero equipaggio. Non trovi, zio?».
   «Zio?!». Rivera passò lo sguardo dal Governatore alla bella Direttrice. «Che la carica di Corinna sia o meno un caso di nepotismo, il suo intervento gioca a nostro favore» si disse.
   «Signore, ci pensi bene» mormorò il Colonnello, che era di altro avviso.
   Il Governatore era palesemente combattuto tra il dovere dell’ospitalità, rafforzato dalla sua iniziale promessa d’aiuto, e le necessità economiche e strategiche. Guardò gli ospiti, che si affidavano a lui, e poi la nipote, che annuì lievemente. Infine si lasciò sfuggire un sospiro.
   «Capitano, ho promesso d’aiutarvi e non cambierò idea solo perché ciò comporta qualche disagio. La sua proposta di posticipare la consegna del dilitio, per abbreviare il blackout, è accettabile» dichiarò. «Stasera stessa parlerò alla popolazione, per spiegare le circostanze. Useremo i giorni che restano per prepararci, così da limitare i disagi. Del resto, noi Kriosani abbiamo un forte senso civico. Sono certo che, una volta esposti i fatti, i cittadini non protesteranno».
   Il Colonnello parve sul punto d’obiettare, ma all’ultimo si trattenne. Invece Corinna scoccò un sorriso pieno di gratitudine allo zio.
   «E non è tutto!» aggiunse Sirran, ormai risoluto nella sua decisione. «Prima di lasciarci vi forniremo medicinali e alimenti a lunga conservazione. Se vi occorre qualcos’altro, dite pure».
   Gli avventurieri si scambiarono qualche occhiata, pensando a ciò che più gli occorreva. «Ecco, se non è chiedere troppo, ci farebbe comodo un Medico Olografico d’Emergenza» si arrischiò Rivera. «Il nostro è stato cancellato dagli Undine e di tutto il personale medico resta solo la dottoressa Giely, che per quanto capace necessita d’aiuto».
   «Accordato. Di recente abbiamo acquistato degli MOE ultimo modello dalla Flotta, ve ne faremo avere uno. Del resto non ci costa nulla fare una copia!» sorrise il Governatore. «E naturalmente una volta tornati al Quadrante Alfa consegneremo le vostre lettere» aggiunse.
   «Le nostre cosa?!» fece il Capitano, preso in contropiede.
   «Ma sì, le vostre lettere» confermò Sirran. «Siete dispersi da ben sei anni. La Flotta Stellare non sa nemmeno che siete vivi, e non lo sanno neppure le vostre famiglie. Di certo vorrete informarli di ciò che vi è successo. Lei, Capitano, avrà pure un rapporto da consegnare alla Flotta! Se non altro per avvertirla degli Undine, questa specie barbara che vi ha decimati. Certo, la Flotta non potrà rispondervi, ma è pur sempre un inizio. E sono certo che ogni membro dell’equipaggio vorrà scrivere alla famiglia, almeno per fargli sapere che è ancora vivo. Ci penseremo noi a inoltrare tutto» garantì.
   Gli avventurieri ebbero un senso di vertigine. Avevano convinto i Kriosani d’essere ufficiali di Flotta, quindi era ovvio che loro si aspettassero di dover trasmettere dei messaggi. Qualunque cosa gli avessero dato, lo avrebbero fedelmente recapitato al Comando di Flotta. Ma in realtà cosa potevano scrivere in quei rapporti? Non conoscevano abbastanza gli ufficiali dell’equipaggio originale da spacciarsi per loro. Ma non potevano nemmeno presentarsi come contrabbandieri e truffatori, che si erano impadroniti di un’astronave.
   «Eppure la Flotta va assolutamente avvertita della minaccia Undine» si disse Rivera. «E a quelli dell’equipaggio che hanno famiglia, in effetti piacerebbe fargli sapere che sono vivi».
   Accortosi che i Kriosani lo osservavano perplessi, il Capitano si riscosse. «Ma certo, i nostri messaggi! Confesso che ero talmente assorbito dal problema dell’energia che quest’altra faccenda mi era uscita di mente. Ma sì, dobbiamo consegnare i rapporti e le lettere. Vi trasmetteremo tutto, prima che torniate nel Quadrante Alfa. Vi chiedo solo, per cortesia, di non leggere quei messaggi, per questione di privacy» si giustificò.
   «Ma certo, vi garantisco la massima riservatezza» promise il Governatore.
   Rivera si disse che poteva scrivere un rapporto sugli Undine per la Flotta Stellare, terminando magari con una richiesta di grazia per il suo equipaggio, nel caso che riuscissero a tornare. Dopo di che avrebbe allegato le lettere personali di quanti erano interessati a spedirne. Ma che fare con gli altri? Forse era meglio approntare dei file vuoti, perché i Kriosani non s’insospettissero nel vedere che parte dell’equipaggio non inviava lettere. Già, ma se i Kriosani fossero venuti meno all’impegno e avessero sbirciato ugualmente?
   «Gli trasmetteremo i messaggi solo dopo che avremo il dilitio, così se sorgessero problemi noi saremo comunque a posto» decise Rivera. Certo, sarebbe stato un brutto modo per smascherarsi. I Kriosani ci sarebbero rimasti male e forse si sarebbero rifiutati di consegnare anche i messaggi autentici. Ma volenti o nolenti sarebbero tornati nel Quadrante Alfa, senza potersi vendicare sulla Destiny. Quindi era tutto okay... giusto?
   «Bene, direi che abbiamo finito» disse il Governatore. «Ora è meglio che vada a preparare l’annuncio per la popolazione. Nel frattempo sarete degnamente alloggiati a palazzo».
   «Siete molto cortesi, ma non vorremmo arrecarvi ulteriori disturbi. E poi è opportuno che torni sulla Destiny, per informare l’equipaggio di questi fortunati sviluppi» disse il Capitano. Voleva limitare al massimo la permanenza sul pianeta, per ridurre le occasioni di tradirsi.
   «Ma no, nessun disturbo! Anzi, ci fa molto piacere avervi come ospiti» assicurò Sirran. «E poi sono curioso di sentire le vostre esperienze nel Multiverso. Quanto alla Destiny, suppongo che potrete informarla con un messaggio subspaziale. Se la vostra navicella non ha abbastanza energia, trasmetteremo da qui» si offrì.
   «Non occorre, penso che ce la faremo» incespicò Rivera. «Allora è deciso: risaliremo per trasmettere, dopo di che torneremo».
   «Al ritorno potete teletrasportarvi al palazzo governativo, gli inservienti vi guideranno ai vostri alloggi» disse il Kriosano. «Naturalmente avrete piena libertà di movimento, per tutta la vostra permanenza. Godetevi la nostra ospitalità e la bellezza di Thalassa! Sono certo che vi farà piacere, dopo tanti anni passati al chiuso».
   «Non so che dire, Governatore, se non grazie infinite» disse il Capitano, stringendogli la mano. «E grazie anche a lei, Direttrice, per il suo supporto» aggiunse, passando alla nipote.
   «È stato un piacere. Arrivederci, Capitano» disse lei. I loro sguardi s’incontrarono per un attimo e ciascuno poté leggere l’approvazione negli occhi dell’altro.
   Terminati i saluti, l’Umano si premette il comunicatore. «Rivera a Centurion, teletrasporto per quattro» ordinò. La sala macchine kriosana si dissolse attorno a lui mentre il raggio lo riportava sulla navicella, più sollevato – ma paradossalmente con più pensieri – di quando l’aveva lasciata.
 
   Tornato sul Centurion, Rivera per prima cosa informò Naskeel degli sviluppi.
   «Ritiene che i Kriosani siano sinceri nelle loro promesse?» chiese l’Ufficiale Tattico.
   «Tutto considerato, penso di sì» rispose il Capitano. «L’unico rischio è che scoprano la nostra vera identità. Quindi d’ora in poi, e fino a quando Thalassa svanirà nell’interfase, dovremo mantenere la finzione. Mi raccomando: una sola mossa falsa può compromettere tutto ciò che abbiamo ottenuto!» ammonì gli ufficiali. «E ora avvertiamo la Destiny».
   «Con un messaggio criptato, suppongo» disse Irvik, sempre un po’ scettico su quella messinscena.
   «Neanche per sogno, insospettirebbe i Kriosani» obiettò Rivera. «Trasmetteremo in chiaro, proprio come se fossimo ufficiali della Flotta Stellare. Ovviamente sceglieremo le parole con cura, in modo da far capire la situazione coi Kriosani. Così i nostri soci non ci tradiranno con la risposta».
   «Speriamo bene...» fece il Voth.
 
   Di lì a poco la trasmissione subspaziale del Centurion fu captata sulla Destiny. Losira e gli altri ufficiali di plancia l’ascoltarono a bocca aperta. Al termine del messaggio ci fu un breve silenzio. Poi l’equipaggio eruppe in applausi e grida di trionfo. Sebbene il ritorno a casa fosse ancora precluso, gli avventurieri erano soddisfatti di riavere il dilitio, e con esso l’energia. Solo Losira rimase accigliata e in silenzio, mentre riordinava i pensieri.
   «Va bene, basta così! Ordine!» gridò infine la Risiana. «Il Capitano sta giocando una partita difficile, gli occorre la nostra collaborazione per farcela. Vaglierò ogni messaggio verso il Centurion, per reggergli il gioco. Inoltre avete sentito che presto alcuni Kriosani potrebbero venire a portarci generi di conforto. Quando lo faranno, devono continuare a crederci ufficiali di Flotta. Quindi voglio che tutti voi vi studiate il regolamento, in particolare i capitoli riguardanti la disciplina di bordo. E dovremo replicare le uniformi per travestirci».
   «Questo intaccherà le nostre riserve d’energia» notò Gort, uno degli ingegneri.
   «Per prima cosa setacceremo gli alloggi, per recuperare più uniformi possibili. Solo chi non ne troverà una della sua taglia la replicherà» stabilì Losira. Dopo di che si riadagiò sulla poltroncina, rimuginando. Se fosse stata al posto di Rivera, probabilmente avrebbe fatto lo stesso. Tuttavia quella situazione la inquietava: troppe cose potevano andare storte. «Ti prego, Capitano, sii responsabile per una volta. Non mandare tutto all’aria per qualche idiozia...» si disse, osservando lo spazio senza stelle sullo schermo.
 
   Inviato il messaggio, Rivera e i suoi dovettero tornare sul pianeta come promesso. Fu stabilito tuttavia che Naskeel, di cui non avevano fatto parola ai Kriosani, sarebbe rimasto a vigilare sul Centurion. Del resto la navicella aveva una lunga autonomia e il Tholiano non temeva la solitudine.
   Sbarcati nuovamente nella capitale, gli avventurieri furono accolti e alloggiati come promesso nel palazzo governativo. Gli alloggi erano semplici ma accoglienti, anche grazie alle piante esotiche che li abbellivano. A sera il Governatore fece il suo annuncio alla popolazione, parlando dei visitatori federali in difficoltà e della necessità di concedergli il dilitio. Invitò tutti a sopportare di buon grado quel piccolo sacrificio, che avrebbe salvato centinaia di vite e rinsaldato i rapporti con la Federazione. Sentendo gli accenni alla Flotta e alla Federazione, Rivera si sentì rimordere la coscienza. Ma più andavano avanti, più diventava impensabile dire la verità.
   Di lì a poco gli avventurieri furono invitati a una cena di gala, che stavolta si tenne all’interno del palazzo ed ebbe molti più invitati. Scoprirono con un certo imbarazzo d’essere già diventati delle celebrità: tutti volevano conoscere le loro avventure nel Multiverso. Rivera fece i salti mortali per non contraddirsi e sperò che nessuno dei compagni facesse passi falsi. Durante la cena si guardò bene attorno, sperando di rivedere Corinna, ma scoprì che non era presente.
   «Perché la sto cercando?» si chiese. «Certo, il suo appoggio ci è stato utile, ma la faccenda finisce qui. Meglio stare alla larga dalla nipote del Governatore. Del resto, tra un mese se ne andrà con tutti gli altri ed è probabile che non ci rivedremo mai più».
   Erano considerazioni logiche. Eppure gli capitò ancora più volte, nel corso della serata, di guardarsi attorno nella vana ricerca della bella Direttrice.
 
   Il giorno dopo gli ospiti poterono lasciare il palazzo e aggirarsi liberamente nella città, secondo i loro interessi e le loro curiosità. All’inizio camminarono assieme, poi si divisero: Rivera e Shati da una parte, Irvik e Talyn dall’altra. Di lì a poco anche il Capitano e la timoniera si separarono. «Mi raccomando, non fare nulla d’avventato» ammonì Rivera prima di lasciarla.
   «Quando mai sono avventata?» si difese la Caitiana.
   «Frell, non fare la scema con me!» sibilò il Capitano, a bassa voce per non attirare l’attenzione dei passanti. «Non attaccar briga con nessuno e non dire nulla che possa tradirci, mi sono spiegato?».
   «Sì, signore» promise Shati, un po’ intimorita dal suo tono.
   Proseguendo da solo il giro turistico, Rivera raggiunse ben presto la piazza principale della città. Era molto frequentata, anche da intere famiglie, tanto da far pensare che fosse un giorno festivo. Gli edifici che vi si affacciavano erano semplici, quasi minimalisti, come ci si poteva aspettare in una piccola colonia. Solo al centro della piazza campeggiava un monumento, il primo che l’Umano vedesse su Thalassa. Era un imponente gruppo scultoreo, composto da tre figure: due nerboruti guerrieri che si affrontavano in duello e una donna splendida ma affranta che li osservava un poco discosta.
   «Le piace?» chiese una voce femminile alle sue spalle.
   Rivera sobbalzò; non si era accorto che qualcuno gli fosse scivolato così vicino. Giratosi di scatto, si trovò di fronte Corinna. La Kriosana aveva abbandonato l’uniforme da ingegnere per un look molto più casual, che valorizzava il fisico atletico.
   «Mi scusi, non volevo spaventarla» sorrise la scienziata. «È sempre così teso?».
   «Temo sia una deformazione professionale. Sono sempre sul chi vive, anche quando mi trovo tra amici» si giustificò il Capitano. «Se non sono indiscreto, posso chiederle che ci fa qui?».
   «Oggi è il giorno di riposo settimanale e quando ho saputo che voi federali eravate in giro per la città ho pensato che sarebbe stato interessante rivedervi» rispose Corinna con franchezza.
   Rivera apprezzò quel modo di fare schietto, senza giri di parole. Si chiese tuttavia se la Kriosana si riferisse a loro quattro in generale, o se piuttosto non avesse cercato proprio lui. «Devo ringraziarla ancora per il supporto che ci ha dato. Non esagero se le dico che ci ha salvato la vita» riconobbe.
   «Oh, sono certa che mio zio vi avrebbe aiutati comunque» sorrise Corinna.
   «E così lei è nipote del Governatore...» sondò il Capitano.
   «Beh, a dire il vero sono la pronipote» precisò la Kriosana. «Lui è il mio prozio, ma sono sempre stata abituata a chiamarlo zio. Ora penserà a un orribile caso di nepotismo» ridacchiò, osservando la reazione.
   «Non sono affari miei, e comunque da ciò che ho visto lei è un’ottima Direttrice» disse Rivera.
   «Mi accontenterei d’essere una Direttrice decente, e nei miei momenti d’esaltazione riesco persino a credermi tale» sorrise Corinna. «Ma lei dev’essere un Capitano più che decente, anzi eccezionale, se ha tenuto duro per cinque anni nella Biosfera e per un altro nel Multiverso. No, non voglio farle altre domande» assicurò. «Non deve ripensare ai momenti dolorosi. Si goda questo mese di pace su Thalassa, come se fosse in vacanza» suggerì.
   «Una vacanza! Non ricordo quand’è stata l’ultima volta che me ne sono presa una» ammise il Capitano. «Beh, se sono qui come turista, allora devo istruirmi sulla vostra cultura. Quelle statue, ad esempio, chi rappresentano? Si direbbe che siano tipi importanti, ma non vedo alcuna targa».
   «Sono personaggi talmente noti che non ci servono targhe per riconoscerli» spiegò la Kriosana, avvicinandosi al gruppo scultoreo.
   Rivera la seguì con lo sguardo. Ora che la vedeva da dietro, e con la complicità del leggero abito estivo, notò che le macchie violette che le scendevano lungo i lati del viso, congiungendosi nella nuca, proseguivano giù lungo la spina dorsale. A un certo punto la maglietta le nascondeva, ma l’Umano non poté fare a meno di chiedersi fin dove arrivassero. Cercò di scacciare il pensiero e si fece avanti, affiancando Corinna. «Allora, chi sono quei tre?» tornò a chiedere.
   «I protagonisti del mito fondativo della nostra civiltà» spiegò la Kriosana, assorta nei ricordi di quando, ancora bambina, aveva appreso la storia. «Narra la leggenda che il nostro antico impero fosse governato da due fratelli, chiamati Krios e Valt, dal tempio di Akadar su Valt Minor. I due fratelli, a lungo concordi, si trovarono improvvisamente divisi dall’amore per la stessa donna, un’empatica chiamata Garuth».
   «Quella che ha dato il nome alla vostra nave» rammentò Rivera.
   «Sì, proprio lei» confermò Corinna, sempre osservando le statue. «I fratelli l’amavano con tale passione, e si combatterono così ferocemente, che l’impero fu dilaniato e cadde in rovina. Infine Krios rapì Garuth e la condusse sul pianeta che da lui prese nome, assieme ai suoi seguaci. Fu l’inizio di una guerra secolare tra il popolo di Krios e quello di Valt, che infine divennero culture ben distinte, i Kriosani e i Valtesi. Col tempo le ostilità ebbero fine, ma la riconciliazione vera e propria avvenne solo nel 2368, grazie a un matrimonio dinastico tra le case reali e alla mediazione del Capitano Picard dell’Enterprise. Ora capirà perché siamo riconoscenti alla Flotta Stellare».
   «È una storia commovente, grazie per avermela raccontata» disse l’Umano.
   «Ma le pare? Certo, il racconto dell’amore che distrusse un impero e scisse un popolo è più mito che storia, ma credo che esprima bene il carattere di noi Kriosani» spiegò Corinna, rivolgendo lo sguardo al Capitano. «Siamo gente passionale, sospesa tra amore e guerra. Pensi che, sebbene la nostra colonia sia sempre stata in pace, ancora oggi abbiamo la leva militare obbligatoria per uomini e donne, e amiamo praticare sport estremi».
   «Amore e guerra sembrano due poli difficili da conciliare» notò Rivera.
   «Il fattore unificante è l’integrità morale, intesa come la sincerità. È questo il nostro valore più importante, il fondamento della nostra cultura» rivelò Corinna. «In amore come in guerra, noi valutiamo la sincerità sopra ogni altra cosa. Carte sul tavolo, insomma, e niente sotterfugi» disse, tornando a sorridere.
   A queste parole Rivera distolse lo sguardo, per non mostrare la sua espressione colpevole. Dopo quel panegirico sulla sincerità, come poteva continuare a ingannarla? Come poteva ingannare dal primo all’ultimo dei Kriosani, che erano stati così generosi? Eppure...
   «Tu sei turbato» si avvide Corinna, passando a un tono più confidenziale. «È per qualcosa che ho detto?».
   «No, è solo per... tutta questa situazione» disse Rivera, abbastanza sincero. «Sbarcare qui è stato come un sogno, ma presto tutto svanirà. Io e il mio equipaggio dovremo riprendere il nostro girovagare e chissà se torneremo a casa. Forse non rivedremo mai i nostri cari. Forse non rivedrò nemmeno te» ammise con rimpianto. Erano molto vicini, ora. Così vicini che i capelli di Corinna, agitati dalla brezza marina, sfioravano il Capitano.
   «Hai qualcuno che ti aspetta? Una moglie, una compagna?» indagò la Kriosana.
   «No, sono sempre stato troppo girovago per creare legami stabili. Anche la mia famiglia d’origine non c’è più, la persi durante la Guerra Civile» confessò Rivera. «Scusa, ci siamo appena conosciuti e non dovrei lagnarmi con te dei miei guai» disse, scostandosi.
   «Non c’è nulla di male nel mostrarsi vulnerabili» ribatté Corinna, inseguendolo. «Sai, anch’io sono sempre stata così concentrata sul lavoro, sulla carriera, che ho avuto difficoltà a creare relazioni stabili».
   «Non ci credo. Una donna intelligente e affascinante come te...» fece il Capitano, incapace di nascondere la sua attrazione.
   «Sì, e la nipote del Governatore. Anche se siamo educati alla sincerità, è difficile stabilire se l’interesse altrui sia genuino» sospirò la Kriosana. «Ma con te è diverso, tu... sei diverso da chiunque altro abbia mai incontrato. È vero, ci conosciamo appena; e tra neanche un mese dovremo dirci addio per sempre. Ma forse, proprio per questo, dovremmo...» lasciò in sospeso.
   «Cogliere l’attimo? Sfruttare il poco tempo?» completò Rivera. «Il cuore mi dice di sì e la testa di no».
   «Un bel problema. Cosa fate voi Umani, in questi casi?» sussurrò Corinna, di nuovo vicinissima.
   «Ti dirò... noi Umani siamo maledettamente scarsi nel seguire i consigli della testa» confessò il Capitano. Detto questo, abbracciò la Kriosana e la baciò sulle labbra.
 
   Snobbando le bellezze naturali di Thalassa, Irvik e Talyn andarono allo spazioporto per trattare l’eventuale acquisto di alcuni componenti tecnologici. Approfittando delle corsie preferenziali accordate agli “ospiti federali”, ebbero accesso alla componentistica più avanzata, custodita nei magazzini.
   «Accettate il latinum come pagamento?» chiese l’Ingegnere Capo, sapendo che sulla Destiny ce n’era un certo quantitativo.
   «Sicuro!» garantì il responsabile delle vendite, impettito davanti agli illustri ospiti.
   «Allora vi chiedo per cortesia di tenere da parte ciò che prenderemo» disse il Voth. «Tra due settimane torneremo alla Destiny per consegnare gli altri rifornimenti, perciò ne approfitteremo per prendere la valuta. Saremo di ritorno in tre giorni per il pagamento e il ritiro della merce» spiegò.
   «Non c’è problema» disse il venditore. «Dunque, eravate interessati ai convertitori di fase?».
   «Sempre che siano compatibili» precisò Irvik, alzando l’indice unghiuto. «Dovrò controllare le specifiche».
   «Wow, qui c’è un sacco d’altra roba interessante!» commentò Talyn, che passava da uno scaffale all’altro con gli occhi sgranati, come un bimbo in un negozio di dolciumi. «Questi compensatori di Heisenberg, ad esempio» disse, accennando ai piccoli congegni allineati uno dietro l’altro in uno scomparto.
   «Ah-ah! Non ci provare, ragazzo!» lo ammonì l’Ingegnere Capo. «Non siamo qui per soddisfare ogni capriccio. Dobbiamo pensare a ciò di cui abbiamo veramente bisogno, a ciò che non si può replicare».
   «Come questo induttore d’antimateria, per esempio?» chiese il giovane, passando a osservare un congegno assai più grande e complesso, posato al suolo.
   «Un’ottima scelta, se mi permette» ne approfittò il venditore. «Il campo di contenimento toroidale assicura un ottimo miscelamento dei reagenti».
   «Vedo, vedo...» fece Irvik, un occhio all’induttore e un altro a Talyn. In tal modo notò l’El-Auriano che, con la mano leggera dell’esperto borseggiatore, faceva sparire in tasca un compensatore di Heisenberg. Il giovane ebbe cura di non prendere il primo della fila, bensì uno dei successivi, di modo che il furto non si notasse a prima vista.
   Il Voth alzò gli occhi al cielo. Talyn sarà stato anche un perfetto ufficiale in erba, ma aveva ancora quel brutto vizio appreso nelle strade di Stardust City. Bisognava tenerlo d’occhio, contrastando le sue tendenze cleptomani, o avrebbe mandato a monte tutti i loro sforzi. «Un campo toroidale, eh? Ci farebbe vedere i fasci collimatori?» chiese, per distrarre ancor più il venditore.
   «Ehm, certo, mi dia solo un attimo per collegarlo all’alimentazione» fece il Kriosano, e prese a trafficare con dei cavi.
   Approfittando della distrazione, Irvik si accostò a Talyn, mettendosi proprio di fianco a lui. Gli ficcò la mano in tasca, estraendo il compensatore, e lo rimise svelto al suo posto. Vedendo che il venditore accennava a girarsi, abbassò fulmineo la mano. Ci mancava solo che accusasse lui di furto!
   «Come vede, i fasci collimatori operano a frequenze tra 100.000 e 1.000.000 millicicli...» stava dicendo il Kriosano.
   «Sì, tutto molto interessante, ma ripensandoci non so che farmene di un altro induttore. Passiamo oltre, mi mostri quei convertitori di cui parlavamo all’inizio» disse l’Ingegnere Capo, per allontanarsi dagli scaffali tentatori.
   «Come desidera, signore» disse il venditore, un po’ seccato per aver messo a mezzo tanta roba per niente. Spense i fasci collimatori e poi, senza sbaraccare i cavi, lasciò l’induttore, guidando i visitatori nella sala successiva.
   «Non farlo mai più, disgraziato!» sussurrò Irvik al suo pupillo. «Se ti colgono con le mani nel sacco, ci andiamo di mezzo tutti!».
   Talyn fece una smorfia condiscendente, come a dire: «Che vuoi che sia!», ma vedendo gli occhi inferociti di Irvik si dette una calmata. «Okay, promesso» bisbigliò. In effetti non valeva la pena di rischiare tanto per un misero compensatore.
 
   Lasciato il Capitano, Shati si trovò a bighellonare per la città. Le principali mete turistiche – spiagge assolate, barriere coralline – non la attiravano particolarmente, poiché come Caitiana detestava bagnarsi. Inoltre si accorse che, ovunque andasse, tutti si giravano a guardarla. La sua fisionomia felina non passava inosservata, su quella colonia popolata solo da Kriosani. A peggiorare le cose, ormai tutti sapevano che era uno degli “ospiti federali”. Più volte si trovò a svicolare, per seminare le piccole folle di curiosi che si formavano dietro di lei.
   «Devo darmi una meta» si disse la Caitiana. Consultando il navigatore che le avevano scaricato sul d-pad, si accorse d’essere vicina al poligono di tiro. Forse avrebbe dovuto astenersi dalle armi... ma era un’occasione troppo ghiotta. E poi in quei centri c’erano stringenti misure di sicurezza, come i phaser a bassissima intensità. Così si diresse al poligono, curiosa di misurare le sue capacità con quelle dei Kriosani.
   Come previsto non ebbe difficoltà a entrare e a prenotare una sessione di tiro. Ciò che invece la sorprese, una volta giunta alle sale d’addestramento, fu di trovare il Colonnello Oisin con alcuni sottoposti. I militari si stavano allenando a colpire dei piccoli bersagli in movimento, senza dubbio ologrammi.
   «Guarda, guarda, la nostra visitatrice!» l’accolse il Colonnello, un po’ beffardo. «Ha sbagliato destinazione o vuol davvero misurarsi con noi?».
   Shati non sapeva bene come porsi nei suoi confronti. Di una cosa però era certa: Oisin si era opposto – invano – alla consegna del dilitio. Non erano buone premesse per averci a che fare. Ricordando gli ordini del Capitano, la Caitiana s’impose di mantenere la calma, anche se lui l’avesse provocata. «Io non sbaglio destinazione, ho un ottimo orientamento» disse. «Carino il vostro gioco, mi ricorda certi test d’Accademia. Quelli per i cadetti del primo anno» precisò.
   «Uhm, già» fece il Colonnello con una smorfia. «Per voi professionisti della Flotta abbiamo prove più impegnative. Le andrebbe di giocare a Velocity con me?».
   «Volentieri» disse Shati, che non rifiutava mai una sfida.
   Gli altri soldati Kriosani parlottarono eccitati e si allontanarono, andando a osservare da dietro la parete di trasparacciaio. La Caitiana ebbe l’impressione che stessero facendo scommesse. Lei e Oisin, invece, impugnarono i phaser e si misero al centro del campo da gioco, schiena contro schiena.
   «Conosce le regole, suppongo» disse il Colonnello.
   «Certo. Facciamo alla meglio dei dieci colpi?» ribatté la timoniera.
   «Volentieri. Computer, un set da dieci! Attivare!».
   Un fischio avvertì i giocatori che il primo round era cominciato. I due si guardarono attorno, in cerca del bersaglio da colpire: un piccolo disco olografico. Finalmente Shati se lo vide guizzare a lato. Si girò fulminea e fece fuoco, dando inizio alla gara.
   Le regole del Velocity erano semplici. C’erano due giocatori, che dovevano evitare di farsi colpire dal disco, cercando invece di centrarlo col phaser. Quando il disco era colpito, tendeva a schizzare nella direzione opposta: ogni giocatore cercava quindi di spedirlo contro l’avversario. Era proibito invece sparare direttamente al concorrente. Non che i giocatori rischiassero nulla, se per errore o per malignità l’avversario li avesse colpiti: i phaser avevano una potenza così ridotta che non stordivano nemmeno. Ne risultava un gioco rapido basato sui riflessi, la mira e la resistenza fisica, con entrambi i giocatori in costante movimento. Il computer conteggiava i centri messi a segno da ciascuno, come anche gli impatti subiti, decretando infine il vincitore.
   Fu una gara serrata: i contendenti giocarono ai limiti del regolamento, sebbene nessuno dei due lo infrangesse. Shati aveva dalla sua i riflessi e l’agilità felini. Più volte riuscì a evitare il disco con rapidi scatti, o persino con balzi e capriole che strapparono gli applausi del pubblico. Oisin non era così acrobatico, ma in compenso era un eccellente tiratore. Era persino più abile di Shati a colpire il bersaglio, sebbene lo fosse meno a evitare gli impatti. Fu così che, al termine di una gara molto più lunga del solito, il computer decretò il pareggio.
   «Pari!» esclamò il Colonnello, incredulo. Si passò una mano sulla fronte, per levare il sudore. «Vuol fare lo spareggio?».
   «Di norma risponderei di sì, ma forse per stavolta è meglio lasciare le cose come stanno» rispose Shati, un po’ ansante. «Sa, per non creare tensioni e ripicche fra i colleghi» disse, accennando al pubblico. Ovviamente gli spettatori erano tutti Kriosani, ma non era da escludere che si venisse a sapere della gara anche sulla Destiny.
   «Sì, forse è meglio» convenne Oisin. «Lei è un’ottima tiratrice, fa onore alla Flotta Stellare» riconobbe.
   «Lei onora la Guardia Kriosana, Colonnello» rispose la Caitiana, sollevata dal fatto che per il momento avessero sospeso le ostilità. E si scambiarono un’energica stretta di mano sotto gli occhi del pubblico.
 
   Rivera conficcò il chiodo nella parete rocciosa, battendolo attentamente col martelletto. Quando l’ebbe inserito a fondo, tirò per saggiarne la resistenza. Soddisfatto, inserì la corda nel moschettone e s’issò di un’altra spanna. A quel punto guardò verso l’alto, a Corinna che lo precedeva nella scalata. «Quanto manca alla cima?» chiese, un po’ in affanno.
   «Siamo circa a metà. Perché, sei stanco?» chiese la Kriosana, ancora fresca come una rosa.
   «Io? No, affatto. Sono solo diversamente riposato» ironizzò il Capitano. Quando aveva chiesto a Corinna di decidere dove andare, per il loro primo appuntamento, si aspettava la spiaggia o al limite qualche località nell’entroterra. Non pensava certo di dover scalare una parete del sesto grado.
   «Allora fermiamoci un po’» propose Corinna, interrompendo la scalata. Si girò per assicurarsi che il freno dinamico – lo strumento che assicurava il compagno alla cordata – fosse ancora inserito correttamente. «Sai, quasi mi pento di averti trascinato quassù. Se vuoi possiamo scendere» disse.
   «No, no! Ora che siamo a mezzo, dobbiamo arrivare in vetta!» disse Rivera, non volendo sfigurare. «Sono solo un po’ sorpreso, ecco. Tutte le scienziate Kriosane praticano l’alpinismo, o solo quelle calienti come te?» ironizzò.
   «Adulatore!» rise Corinna. «Te l’avevo detto che noi Kriosani amiamo gli sport estremi. Io faccio scalate; pensa che ho raggiunto tutte le vette oltre i mille metri del pianeta. Beh, non che sia poi una gran cosa: sono sei in tutto!» ridacchiò. In effetti c’erano ben poche montagne, sull’unica isola di quel mondo pelagico. «C’è chi fa cose ben più impegnative: lotta libera, bungee jumping, paracadutismo orbitale. Per non parlare delle immersioni e degli altri sport subacquei. Tutto sommato, il mio hobby è uno dei più tranquilli. Ma se ti manca l’aria, dimmelo: non devi fare l’eroe, mi piaci lo stesso» assicurò.
   «Ce la faccio, davvero» assicurò il Capitano. «Ma dimmi un po’ di te: hai visitato altri pianeti?».
   «Ahimè, non ho mai lasciato Thalassa!» ammise Corinna.
   «Beh, ti capisco. Se vivessi in questo paradiso, anch’io non vorrei lasciarlo» disse Rivera.
  «Oh, ma io vorrei tanto vedere Krios Primo» confessò la Kriosana. «Un giorno o l’altro lo farò. E poi non mi dispiacerebbe visitare qualche mondo federale. Magari proprio la tua Terra! Com’è?» chiese.
   In quel momento il Capitano si stava arrischiando a guardare verso il basso. Sentendo le vertigini, rialzò il capo. «Ehm, la Terra, dici? È un pianeta molto bello, contiene ogni genere d’ambienti. Ci sono anche delle montagne mica male. Vette da sette, ottomila metri. Immagino che ti piacerebbero».
   «Wow, ottomila metri sono troppi anche per me!» riconobbe Corinna, che non aveva mai visto vette così alte. «Certo che in confronto a te sono proprio una provinciale. Sarai stato su decine di mondi... per non parlare delle altre dimensioni! Tu e il tuo equipaggio ne avrete viste di tutti i colori. Qual è l’Universo più folle che avete visitato?» s’interessò.
   «Mah, sono tutti folli, in un modo o nell’altro» disse Rivera. «Il primo che visitammo, lo Spazio Fluido, è completamente ricolmo di un liquido organico. Un altro, lo Spazio Caotico, ha la capacità di materializzare i pensieri».
   «Vuoi dire che potevate creare le cose col pensiero?!» si entusiasmò Corinna.
   «Magari fosse così semplice. No, materializzavamo più che altro paure e rimpianti. Tutte cose inconsce, incontrollabili e spesso pericolose. Ne siamo usciti a stento» spiegò il Capitano. «Nello Spazio Shriek i pianeti sono piatti, anche se non abbiamo capito il perché. Sai, abbiamo dovuto andarcene subito, perché gli abitanti erano ostili. Abbiamo visitato tante altre realtà... forse la più folle era il Microverso, come l’abbiamo battezzato».
   «Microverso?».
   «Sì, un Universo dove tutto è minuscolo» confermò Rivera. «Ci siamo trovati circondati da galassie poco più grandi della Destiny. Galassie ellittiche, lenticolari, a spirale, irregolari, proprio come nel nostro cosmo. Alcune si stavano scontrando e fondendo, e nel far ciò acquisivano forme stranissime. Era incredibile vederle da quella prospettiva, girarci intorno, cambiare angolazione. Eravamo sul punto di prelevare dei campioni, come qualche ammasso stellare, ma ci siamo fermati pensando che potevano esserci dei pianeti abitati. E poi non ci azzardavamo nemmeno a muoverci troppo con l’astronave, sempre per paura di travolgere qualche sistema abitato. Sai, non bastava fare lo slalom tra le galassie, perché alcune stelle si trovavano anche fra di esse. Così ce ne siamo andati presto. Però è stata una bella esperienza. Continuo a chiedermi: se nel Microverso c’erano esseri viventi, che avranno pensato vedendo apparire un’astronave grande come una galassia?».
   «Forse siete diventati i loro dèi» ipotizzò Corinna.
   «Groan, non voglio neanche pensarci. È l’incubo di ogni Capitano che abbia a cuore la Prima Direttiva» disse Rivera, ormai calato nella parte del Capitano modello.
   «Starei a sentirti per ore, ma dobbiamo proprio riprendere la scalata, prima di perdere la luce» disse la Kriosana, osservando preoccupata il sole calante. «Te la senti di ricominciare?».
   «Certo che me la sento. Ho creato cose col pensiero e ho tenuto un ammasso stellare in mano, vuoi che non riesca a conquistare una vetta?» ironizzò l’Umano.
 
   Di lì a poche ore i due erano in cima alla montagna, stanchi ma soddisfatti. Tutt’intorno a loro si stendeva un panorama mozzafiato. Da un lato vi era l’entroterra verdeggiante e percorso da fiumi, con le terre coltivate che disegnavano una scacchiera. Sull’altro versante si poteva ammirare la città, costruita lungo la costa. La spiaggia era una fascia dorata, oltre la quale si stendeva l’oceano sconfinato. Il sole tramontava in quel momento, tingendo il cielo e il mare di tinte infuocate. Anche da quell’altezza gli scalatori potevano sentire la brezza marina, più fredda per via dell’altitudine.
   «È una vista splendida» commentò Rivera. «Valeva la pena salire fin qui. Spero solo che non dovremo scendere al buio».
   «Certo che no! Possiamo farci teletrasportare a terra quando vuoi» assicurò Corinna. «Certo che, dopo aver tanto faticato per giungere in vetta, ci conviene restare un po’. Prendi!» disse, offrendogli la borraccia.
   L’Umano bevve qualche sorso, mentre la Kriosana si toglieva l’imbracatura da scalata, riponendola al suolo assieme al resto dell’equipaggiamento.
   «Ti ho tartassato di domande persino mentre eravamo in ascesa. Ora che siamo in cima, c’è qualcosa che tu vorresti sapere?» chiese Corinna, accennando all’isola illuminata dagli ultimi fuochi del tramonto.
   «Beh, in effetti mi è rimasta una curiosità su di voi: fin dove arrivano le vostre macchie?» chiese Rivera, nel suo miglior tono da seduttore.
   «Ah, voi della Flotta! Siete sempre scienziati, prima di tutto!» sorrise Corinna, stando al gioco. «Ebbene, mio bel Capitano, suppongo di dovertelo mostrare. Una prova visiva vale più di mille parole...» disse, cominciando ad aprirsi la tuta. 
 

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Capitolo 4
*** Bugie e mezze verità ***


-Capitolo 3: Bugie e mezze verità
 
   I giorni su Thalassa volarono con la rapidità delle cose belle. Il pianeta era incantevole, la gente cordiale. Per gli avventurieri, abituati a una vita difficile, era come smarrirsi in un sogno. Era bello non dover stare sempre sul chi vive, in attesa della prossima disgrazia. Era bello aggirarsi liberamente, facendo ciò che preferivano. E per Rivera in particolare, era più che bello stare con Corinna. L’Umano riusciva quasi a illudersi che tutti i suoi problemi fossero risolti. Riusciva quasi a credere d’essere davvero un Capitano della Flotta Stellare, giunto in quel paradiso per una lunga licenza. Solo quando guardava il calendario, vedendo approssimarsi la fine della Pausa, era assalito dai timori. Ma a maggior ragione cercava di riempire i suoi giorni con esperienze piacevoli, prima dell’inevitabile addio.
   Trascorsi così venti giorni, giunse il momento di ripartire col Centurion. Gli avventurieri dovevano tornare alla Destiny, portando i generi di conforto offerti dai Kriosani. Poi sarebbero tornati su Thalassa, restandovi sino al termine della Pausa. Infine, subito prima che il pianeta svanisse, avrebbero ritirato il dilitio, uscendo dall’interfase.
   Fu di malavoglia che Rivera si preparò al ritorno, quella mattina. Gli dispiaceva sottrarre giorni alla permanenza su Thalassa, ma non poteva esimersi dal dovere. Ciò che più gli doleva era che, una volta tornato sulla Destiny, l’incanto di quei giorni si sarebbe infranto. Sarebbe tornato nell’ordine d’idee che deve avere il Capitano di una nave dispersa. Almeno non era ancora il momento dell’addio con Corinna, dato che sarebbe tornato su Thalassa. Ma era una sorta di preparazione all’addio, e già questo lo rattristava.
   «Ehi, che muso lungo!» notò la Kriosana. «È perché devi andare?».
   «Proprio così» confermò Rivera. «Mi aspettano sulla Destiny. Comunque cercherò di tornare il prima possibile».
   «Forse non perderemo questi giorni» disse però Corinna.
   «Che intendi?».
   «Ho parlato con mio zio e lui è d’accordo. Posso venire con te, per consegnare il carico e spiegare alcuni dettagli ai vostri ingegneri. Così finalmente vedrò la nave di cui mi hai tanto parlato. E non ci perderemo nemmeno un giorno!» sorrise.
   Il Capitano restò interdetto per un attimo. Se Corinna saliva sulla Destiny, c’era il rischio che scoprisse la verità su di loro. Ma del resto, il rischio c’era anche se al suo posto fosse venuto qualche altro Kriosano. Forse anzi era un bene che toccasse a lei, perché poteva tenerla maggiormente d’occhio. «È una magnifica notizia, mi amor» disse, abbracciandola. «Mi spiace solo che non potremo mai ricambiare un’accoglienza come la vostra».
   «Verremo solo io e un collega, ci tratterremo due giorni al massimo» chiarì Corinna. «Da quel che mi hai detto, dovrebbe esserci spazio per noi sul Centurion. Verremmo con le nostre navette, ma sono decisamente troppo lente» aggiunse.
   «Ma no, figurati, c’è spazio per tutti! Sempre che vi accontentiate delle cuccette» disse Rivera. In quella gli balenò in mente il primo ostacolo: Naskeel. Il Tholiano era rimasto sul Centurion per tutto quel tempo e lui non ne aveva mai fatto parola coi Kriosani. Era meglio dirlo subito, piuttosto che farli arrivare impreparati all’incontro.
 
   Quel mattino stesso i quattro della Destiny si radunarono e si recarono a un hangar dello spazioporto, dove i Kriosani avevano raccolto un vero e proprio carico d’aiuti umanitari. C’erano molti medicinali, oltre a un Medico Olografico d’Emergenza, scaricato in un Emettitore Autonomo per ora spento. C’erano cibi a lunga conservazione, per ridurre il dispendio energetico derivante dall’uso dei replicatori alimentari. E c’era una gran quantità di ricambi per la sala macchine, inclusi gli acquisti fatti privatamente da Irvik. Sebbene il Voth avesse chiesto di conservare tutto su Thalassa, fin quando fosse tornato dalla Destiny col latinum, i Kriosani vollero consegnargli fin da subito gli acquisti. Corinna insistette per aggiungere alcuni container pieni di deuterio, come fonte addizionale d’energia. Mancava solo il dilitio, che secondo gli accordi sarebbe stato consegnato al ritorno, subito prima che finisse la Pausa.
   «Non so come ringraziarvi» disse il Capitano al Governatore, giunto per salutarli. «Dico solo che è nelle avversità che si riconoscono gli amici; e voi siete i migliori che potessimo incontrare».
   «Siamo lieti di avervi aiutati» disse Sirran. «A presto, allora. Ci rivedremo fra tre o quattro giorno, dico bene?».
   «Sì, due per il viaggio e un paio di permanenza sulla Destiny» confermò Rivera.
   In quella gli si accostò Corinna, nuovamente professionale nell’uniforme da ingegnere col camice bianco. Con lei c’era il collega che l’avrebbe accompagnata, un certo Verin, specialista del dilitio. «Siamo pronti al trasferimento, Capitano» disse la Kriosana.
   «Grazie, Direttrice». Avevano deciso di tenere privata la loro relazione, per cui davanti al Governatore mantenevano toni formali. Ma non potevano escludere che gli fosse giunta qualche voce.
   «Buon viaggio» augurò Sirran, rivolto alla nipote. «So che come ingegnere andrai in visibilio su quell’astronave ultramoderna, ma cerca di non tardare!» raccomandò.
   «Mi atterrò ai piani, zio» promise Corinna.
   «Bene, allora... arrivederci!» salutò il Governatore, rivolto a tutti gli ospiti. Fece un passo indietro, per uscire dall’area di teletrasporto.
   «Rivera a Centurion, trasporto per sei più il carico. Energia!» ordinò il Capitano, premendosi il comunicatore. E lo spazioporto di Thalassa svanì attorno a lui.
 
   Materializzati sul Centurion assieme al carico, gli avventurieri e i loro ospiti furono ricevuti da Naskeel. «Bentornato, Capitano. È andato tutto bene?» chiese il Tholiano.
   «A meraviglia!» rispose l’Umano. Dopo di che si rivolse agli ospiti: «Signori, vi presento il Tenente Naskeel, il mio Ufficiale Tattico».
   «Molto lieta» disse Corinna, anche se a giudicare dall’espressione sia lei che il collega erano intimoriti dal Tholiano. Infatti nessuno dei due provò a stringergli la mano. «Posso chiedere perché non è mai sbarcato in questi giorni? L’avremmo accolta volentieri, come i suoi colleghi».
   «Non volevo spaventare la vostra gente. So che noi Tholiani abbiamo questo effetto sugli umanoidi» rispose Naskeel.
   «Ma si sarà annoiato a morte!».
   «No, affatto. Ho trascorso questi giorni in stasi, una capacità naturale di noi Tholiani» spiegò l’Ufficiale Tattico.
   «Affascinante. Non sapevo nemmeno che ci fossero Tholiani nella Flotta Stellare. Posso chiederle come ha fatto a entrarci?» domandò Corinna.
   Rivera s’innervosì. Naskeel era al corrente della loro strategia, ma avrebbe saputo mentire con sufficiente credibilità?
   «Vede, anche tra la mia gente esistono divergenze d’opinioni. Io sono stato bandito per le mie idee favorevoli alla Federazione. Una volta accolto dai federali, mi sono interessato alla Flotta Stellare tanto da entrare a farne parte. Sono l’unico Tholiano ad averlo mai fatto» mentì Naskeel. Se un umanoide lo avesse detto con quell’immobilità e quel tono meccanico, avrebbe attirato dei sospetti. Ma il Tholiano era di per sé così alieno da non sortire quell’effetto.
   «Capisco... mi spiace per le sue difficoltà, ma sono lieta che le abbia superate. Sembra proprio che la Flotta sia una casa accogliente per tutti!» commentò Corinna.
   «Già, per tutti tranne che per me!» si disse Rivera, pensando per la milionesima volta a come sarebbe stata la sua vita, senza quell’incidente che lo aveva fatto espellere.
 
   Il viaggio di ritorno alla Destiny fu senza eventi di rilievo. Rivera mostrò il Centurion agli ospiti, che furono affascinati dalle sue tecnologie. Il Capitano, tuttavia, tacque le capacità belliche della navicella e non accennò nemmeno al suo occultamento. I Kriosani, dal canto loro, non fecero domande al riguardo, accontentandosi di ciò che gli veniva detto.
   Ventisei ore dopo la partenza, il Centurion raggiunse la nave madre e scese a velocità impulso. La Destiny era là dove l’avevano lasciata, alla deriva nel Vuoto. Non essendoci alcuna fonte di luce esterna a rischiararla, l’astronave era pressoché invisibile. Il doppio deflettore era spento per la mancanza d’energia, come anche i collettori Bussard. Persino le luci degli alloggi, visibili attraverso le finestre, erano quasi tutte spente. Solo poche luci nei ponti superiori brillavano sul nero intenso, permettendo d’intuire a grandi linee la forma dello scafo.
   «Centurion a Destiny, stiamo per attraccare. Preparatevi a ricevere i nostri ospiti di Thalassa, che ci hanno generosamente offerto delle scorte, da amici della Flotta Stellare quali sono» trasmise il Capitano, per chiarire la situazione qualora il suo equipaggio non fosse ancora del tutto pronto. In quella gli venne un’idea, sia per rendere l’arrivo più interessante, sia per guadagnare qualche minuto. «Centurion a Destiny, aspettate. Stiamo per generare un lampo fotonico, così da rendere visibile l’astronave agli ospiti» avvertì.
   Recatosi alla postazione tattica, Rivera programmò un siluro affinché creasse l’effetto desiderato. Infine lo lanciò, avendo cura di non colpire l’astronave. Giunto a una certa distanza, il siluro emise un bagliore intenso e prolungato, svelando la massiccia sagoma della Destiny. Il vascello era inclinato su un fianco, così da mostrare la sezione ad anello che circondava lo scafo centrale.
   «Straordinario... non ho mai visto un’astronave del genere!» commentò Corinna, osservandola attentamente finché c’era luce.
   «Aspetta di vedere l’interno» disse il Capitano. In quel momento l’orgoglio di mostrare la sua nave e la soddisfazione di ricambiare l’ospitalità riuscivano persino a prevalere sul timore che qualcosa andasse storto.
   Esauritosi il lampo fotonico, Rivera tornò al sedile del pilota. Lui e Shati diressero il Centurion verso l’hangar 1, che si aprì disegnando una macchia di luce bianca sullo scafo. Ridotta la velocità, oltrepassarono il campo di forza. E si posarono dolcemente a terra, nello spazio libero dalle altre navette.
   «Bene, eccoci arrivati» disse il Capitano, disattivando i razzi di manovra. Attraverso lo schermo intravide il comitato di benvenuto. Era il momento di scoprire se il resto della ciurma aveva capito il suo ruolo.
 
   «Benvenuti sulla Destiny!» li accolse Losira con voce squillante, in testa a un drappello di ufficiali ben allineati. La Risiana era quasi irriconoscibile, con addosso la severa uniforme della Flotta Stellare al posto dei vistosi abiti da diva. Si era studiata bene il regolamento: il trucco era sparito, le unghie erano corte e non più smaltate. Ma la cosa più eclatante, per quanti la conoscevano, era che finalmente aveva smesso di tingersi i capelli, rivelando il loro colore naturale. Fu così che Rivera, dopo ben sei anni di conoscenza, scoprì che la capigliatura di Losira era di un modesto castano. Solo l’acconciatura a caschetto era immutata, dato che rientrava nel regolamento. Nell’accogliere i visitatori che scendevano dal Centurion, la Risiana si mise sull’attenti, al pari degli altri ufficiali.
   «Riposo, Comandante» disse Rivera, godendosi la nuova autorità. «Status della nave?».
   «Immutato, signore» rispose Losira, sempre nella parte. «Abbiamo minimizzato il consumo energetico, secondo le sue disposizioni. Ho anche implementato alcuni ulteriori accorgimenti per riciclare l’energia. Tuttavia in questi giorni le riserve sono scese al 65%. È pur sempre una grande nave con trecento membri d’equipaggio» si giustificò.
   Corinna aveva osservato la scena, affascinata dalla profonda autorità che il Capitano sembrava avere sull’equipaggio, persino dopo anni di disavventure. Nel sentire le ultime parole, intervenne: «Non abbia a temere, Comandante. Ho qui del deuterio per i vostri generatori d’emergenza. E in quanto al dilitio, lo avrete puntualmente fra una decina di giorni».
   Losira si accigliò leggermente nell’osservarla. «Questa è una splendida notizia, dottoressa...?» lasciò in sospeso.
   «Corinna, direttrice della centrale energetica di Thalassa» si presentò la Kriosana, senza notare il cipiglio. «Vi porto i saluti del Governatore Sirran e di tutto il popolo, che partecipa profondamente alle vostre vicende. Come segno tangibile della nostra amicizia, vi offriamo un carico d’aiuti. Oltre al deuterio ci sono medicinali, viveri e ricambi per la sala macchine. Vi offriamo anche un Medico Olografico di ultima generazione» disse, porgendo l’Emettitore Autonomo.
   A queste parole, la dottoressa Giely si fece avanti dal gruppo degli ufficiali. «È più che gradito, Direttrice. Grazie di cuore, a nome mio e di tutto l’equipaggio» disse la Vorta, ritirando il dono. Era così emozionata che le mani le tremavano leggermente.
   Corinna ricambiò con un cenno del capo, poi si rivolse di nuovo a Losira: «Io e il mio collega, il dottor Verin, vorremmo discutere alcuni dettagli con gli ingegneri».
   La Risiana rivolse un’occhiata interrogativa al Capitano, che intervenne prontamente. «I nostri stimati ospiti hanno pieno accesso all’ingegneria» chiarì. «Ma forse vorrai visitare il resto della nave, prima di tuffarti nel lavoro» aggiunse rivolto a Corinna.
   «Oh, vorrei tanto, ma preferisco sbrigare prima i doveri» sorrise la Kriosana. «Domani, se avremo tempo, sarò lieta di fare il gran tour».
   «Bene, allora vi attendo stasera per una cena ufficiale» disse Rivera a entrambi gli ospiti.
   «Non mancheremo, Capitano!» promise Corinna, sempre allegra.
   Il cipiglio di Losira si fece più marcato, mentre la Risiana notava la grande familiarità tra i due, traendone le debite conclusioni. Per il momento, comunque, tenne per sé i suoi pensieri.
   Terminate le presentazioni, tutti si misero al lavoro. Gli addetti all’hangar della Destiny presero a scaricare i container col deuterio e gli altri rifornimenti, portandoli fuori dal Centurion con i carrelli antigravitazionali. Dopo averli smistati li trasferivano ognuno al suo posto, sotto le direttive dei capi-sezione. I due Kriosani rimasero a discutere con Irvik e altri ingegneri. Naskeel, dal canto suo, tornò subito in plancia. Invece gli altri viaggiatori – Rivera, Shati e Talyn – si diressero ai loro alloggi, per darsi una rinfrescata prima di tornare in servizio.
   Mentre i colleghi le passavano davanti, Losira notò che erano abbronzati e in ottima forma, segno che avevano vissuto da nababbi mentre lei e gli altri tiravano la cinghia su un’astronave a corto d’energia. Lo avrebbe anche sopportato, considerando che con quella messinscena avevano garantito l’avvenire anche per loro. Ma c’era qualcosa, nella complicità fra Corinna e Rivera, che la preoccupava. Quando il Capitano le passò accanto, fu lesta a bloccarlo. «Posso parlarle in privato, signore?!» chiese. Dallo sguardo era evidente che non avrebbe accettato un no come risposta.
   «Okay, nel mio ufficio» acconsentì l’Umano, presagendo tempesta.
 
   Di lì a poco Rivera e Losira erano nell’ufficio del Capitano. Si squadrarono tesi, come pugili su un ring in attesa del campanello d’inizio. Fu Losira ad aprire le ostilità. «Mi spieghi che stai facendo?» chiese.
   «Puoi essere più specifica?».
   «Parlo di te e Corinna. Cos’è, avete messo in piedi una specie di tresca?».
   «E se anche fosse?» si difese Rivera. «Non devo rendere conto a nessuno di ciò che faccio sotto le lenzuola; men che meno a te!».
   «No, ma dovrai rendere conto all’equipaggio quando, per la tua avventatezza, Corinna scoprirà chi siamo realmente e lo spiffererà agli altri Kriosani!» avvertì la Comandante.
   «Chi ti dice che lo scoprirà?» fece il Capitano.
   A queste parole la Risiana alzò gli occhi al soffitto. «Quando mai un uomo è riuscito a nascondere un segreto alla sua donna? Prima o poi ti tradirai in qualche modo; e allora saremo noialtri a essere fottuti. Lo capiresti, se non fossi così stordito dalle sue grazie!».
   «Vuoi calmarti, sì o no?!» sbottò l’Umano. «Non l’ho chiesto io di finire bloccato su una nave piena di Ferengi. Ora che finalmente ho trovato una bella persona, non voglio rinunciarci solo per paura. Io e Corinna siamo maggiorenni e vaccinati; quel che facciamo nel tempo libero non ti riguarda. Se sei invidiosa, vieni sul pianeta e trovati qualche bel Kriosano di tuo gradimento».
   «Frell, proprio adesso dovevi farti venire la smania?!» inveì Losira, esasperata. «Siamo a un passo dalla salvezza, ma Capitan Sciupafemmine non può perdere l’occasione di cuccare! E a furia di cuccare rovinerai tutto, anche per noi. Ti do un consiglio: se sei in crisi d’astinenza, fatti un giro sul ponte ologrammi. Diamine, se vuoi te lo faccio io un servizio completo; ma dimentica Corinna».
   «Stai passando il segno, Comandante» avvertì Rivera.
   «Oh, adesso sono una Comandante?» rise Losira. «Sveglia, rubacuori! Hai cominciato a credere alla tua stessa menzogna: quella d’essere un Capitano della Flotta Stellare! Prima ti sei impadronito della Destiny, poi con la scusa di raggirare i Kriosani ci hai persino costretti a vestire le uniformi e a rispettare la disciplina della Flotta. Ma l’abito non fa il monaco! Tutti noi eravamo avventurieri e avventurieri restiamo! Non è la vita che volevamo, ma è quella che ci è capitata e non possiamo farci niente».
   «Anche fra gli avventurieri esistono i gradi» le ricordò Rivera. «Non sarò un Capitano della Flotta Stellare, ma sono pur sempre il Capitano di questo vascello. E tu sei il mio Primo Ufficiale. Se passi il segno posso destituirti. E se mi fai incazzare di brutto, posso sbatterti in cella fino al termine del viaggio. Quindi modera i termini e sta’ al tuo posto!» ordinò.
   «Come vuole, signore» s’irrigidì Losira. «Ma ho il sospetto che molto presto io e lei riprenderemo questa discussione, con la differenza che a quel punto i Kriosani sapranno chi siamo realmente e l’accordo sarà saltato». Ciò detto lasciò l’ufficio, senza aspettare d’essere congedata.
 
   «... e questo è il collettore triciclico d’immissione, il primo a essere collaudato nello spazio profondo» spiegò Irvik, indicando il componente del nucleo. L’Ingegnere Capo aveva condotto gli ospiti in sala macchine, dove poteva vantare le raffinate tecnologie della Destiny.
   «Sono senza parole. Tutto questo è molto più avanti di qualunque cosa abbia mai visto o studiato» ammise Corinna. Pur essendo tra i maggiori esperti d’energia della sua colonia, lì si sentiva una scolaretta. «Credo di aver bisogno di una pausa, signor Irvik, per assorbire ciò che mi ha mostrato».
   «Ma certo. Vediamo che ore sono... oh, caspita! Ormai è pomeriggio inoltrato e ancora non avete mangiato» disse il Voth, consultando l’ora. «Temo che la mia ospitalità sia inferiore alla vostra. Venite, vi accompagno in sala mensa» disse sollecito.
   Di lì a poco gli ingegneri della Destiny e i loro ospiti erano in mensa, a chiacchierare del menu. Notando che c’era anche il Capitano, che mangiava appartato, Corinna si disimpegnò dai colleghi e venne da lui col vassoio. «Ehilà! Posso farti compagnia?» sorrise.
   «E lo chiedi? Accomodati!» l’accolse Rivera, il cui umore migliorava ogni volta che la vedeva. Si alzò per offrirle la sedia di fronte alla sua, così che potessero parlare faccia a faccia. «Allora, che te ne pare della Destiny?» chiese quando furono entrambi seduti.
   «Superlativa» rispose la Kriosana. «È l’equipaggio che mi ha un po’ sorpresa».
   «In che senso?» chiese Rivera, presagendo guai. Possibile che gli avventurieri si fossero traditi? Eppure avevano tutti l’uniforme e seguivano scrupolosamente il regolamento.
   «Ecco, mi meraviglia vedere quanti Ferengi avete a bordo» ammise Corinna. «Intendiamoci, non ho nulla contro i Ferengi. Però è strano vederne così tanti su una nave della Flotta. Saranno la metà dell’equipaggio! E ci sono anche Dopteriani, Letheani, Yridiani... tutte specie dedite al commercio, se non proprio alla pirateria».
   «Ehm, devi sapere che sebbene la Flotta cerchi d’integrare le varie specie, di fatto la disciplina funziona meglio se ce n’è una prevalente. Sai, per avere un retroterra culturale comune» si giustificò il Capitano. «Quindi abbiamo astronavi con prevalenza d’Umani, altre con prevalenza di Vulcaniani, eccetera. Il caso ha voluto che in questa abbondassero i Ferengi».
   «Ah, capisco» fece la Kriosana, piluccando il pranzo. «Però c’è un’altra cosa strana. Molti dell’equipaggio sono giovani... oserei dire troppo giovani, per ricoprire quegli incarichi da sei anni» disse, riferendosi al tempo trascorso dal varo. «Talyn, in particolare, è praticamente un adolescente. Mi puoi spiegare?».
   «Beh, nel caso di Talyn devi sapere che è un El-Auriano. Sono incredibilmente longevi, tutto il loro arco vitale è rallentato, per cui anche lui ha più anni di quelli che dimostra» affermò Rivera. Questo non era vero. Sebbene gli El-Auriani fossero effettivamente longevi, la loro crescita non era rallentata: semplicemente si stabilizzavano una volta giunti all’età adulta.
   «Va bene... ma il resto dell’equipaggio?» insisté Corinna, con un’ombra di sospetto. Non lo disse esplicitamente, ma anche Rivera le sembrava fin troppo giovane per il suo ruolo.
   «Oh, questo è un concorso di cause» disse l’Umano, sempre più in difficoltà. «Intanto devi sapere che la Flotta è sempre in cerca di giovani talenti, per cui i cadetti che ottengono i risultati migliori in Accademia riescono spesso ad avere carriere rapidissime. Inoltre io e i miei ufficiali occupavamo posizioni più basse quando la Destiny fu varata. La morte del Capitano Dualla e degli ufficiali superiori ci ha costretti a riempire i vuoti» mentì.
   «Deve’essere stato terribile trovarsi senza guida» commentò la Kriosana. I suoi dubbi non erano del tutto sciolti, ma per il momento li aveva accantonati.
   «In effetti è stata dura, soprattutto all’inizio» annuì Rivera, cercando di cambiare argomento. «Ma ormai padroneggiamo la nave. E abbiamo i nostri modi per distrarci. Che ne dici di questa musica?» chiese, accennando al sottofondo musicale della mensa. Proprio in quel momento gli altoparlanti diffondevano un brano di successo, dal ritmo semplice e orecchiabile, intitolato Like a Bantha.
 
Some days, when I wake up,
I feel like a Bantha!
Yeah, yeah!
Just like a Bantha!
Oh, yeah!
I’m so like a Bantha!
 
   «Oh, è uno dei miei brani preferiti!» lo riconobbe Corinna. «Ricordo che quando stava per uscire...». In quella si bloccò, con l’espressione sbarrata.
   «Che succede, mi amor?» si preoccupò Rivera.
   «Questa canzone è uscita appena due anni fa» disse la Kriosana con un filo di voce. «Come fate ad averla, se siete dispersi da sei anni?».
   «Dev’esserci un errore... sono certo che ti ricordi male...» farfugliò il Capitano, incapace di trovare una scusa convincente.
   «No, nessun errore! All’epoca ero una fan sfegatata di quel gruppo, ricordo che aspettai per mesi l’uscita del nuovo album» rivelò Corinna. «Assistetti persino al concerto via Olonet. È stato due anni fa, non posso sbagliarmi. Quindi come fate ad avere la canzone?!».
   «Non so che dirti. Forse è un’altra che le somiglia» annaspò Rivera. «Se vuoi scusarmi, ho da fare in plancia» disse, e lasciò il tavolo col piatto ancora mezzo pieno.
   La Kriosana lo seguì con lo sguardo, mentre lasciava di fretta la mensa. Ma era uno sguardo incrinato dal sospetto e dalla delusione.
 
   Per il resto della giornata Rivera cercò di tenersi occupato con le faccende di plancia, ma l’approssimarsi della cena ufficiale lo rendeva sempre più teso. Come avrebbe trovato Corinna? Si sarebbe già scordata l’incidente, oppure lo avrebbe tartassato di domande? E in tal caso come avrebbero reagito Losira e gli altri nel vedere concretizzati i loro timori?
   L’ansia del Capitano salì per ore, raggiungendo il culmine nel momento in cui mise piede nella sala delle cene ufficiali. Ma proprio allora restò interdetto, perché Corinna non c’era, sebbene tutti gli altri fossero già seduti al loro posto. In compenso c’era Verin, l’altro Kriosano.
   «Buonasera, dottor Verin» lo salutò Rivera. «La sua collega si unirà a noi, spero».
   «La Direttrice Corinna si scusa, ma è troppo stanca per questo» rispose l’interpellato. «Si è già ritirata nel suo alloggio».
   «Non avrà problemi di salute, spero».
   «No, è solo stanca per il viaggio e le emozioni».
   «Come no! Una campionessa d’alpinismo come lei, stanca per il viaggio?!» si disse Rivera. Era senz’altro una scusa per evitare la cena. E questo era un pessimo segno. Evidentemente Corinna sospettava; ma avrebbe cercato conferma ai sospetti? Impossibile stabilirlo, finché tutti loro erano trattenuti in quell’inutile cena diplomatica. Tuttavia lo sguardo di Losira – perfetto esempio di «Te lo avevo detto!» – pareva già un castigo.
 
   La cena fu consumata in fretta e con poche parole di circostanza, dato che tutti avevano altro per la testa. Appena possibile il Capitano lasciò il tavolo, augurando buona permanenza a Verin. Tornato nel corridoio, pigiò il comunicatore. «Computer, localizza Corinna!» ordinò.
   «La dottoressa Corinna è nell’alloggio del Capitano».
   In altre circostanze la notizia gli avrebbe fatto piacere, ma stando così le cose, accrebbe i suoi timori. Tra l’altro solo lui poteva entrare nel suo alloggio. Se Corinna lo aveva fatto, doveva aver commesso effrazione, il che era un altro pessimo segnale.
   Con il cuore in tumulto, Rivera corse al suo alloggio. Non sapeva esattamente in che stato avrebbe trovato Corinna e quindi faticava a imbastire altre giustificazioni. Entrò d’impeto, trovando le luci abbassate al minimo in modo da creare una luminosità soffusa. In sottofondo imperversava la canzone Like a Bantha. E sdraiata sul divano, in una posa languida che in altre circostanze lo avrebbe gratificato, c’era Corinna. Si era tolta le scarpe, ma per il resto indossava ancora l’uniforme, segno che non prevedeva di restare.
   «Bello, il tuo alloggio» commentò la Kriosana, con un sorriso dietro cui poteva celarsi di tutto.
   «Non avevi bisogno di scassinarlo, ti ci avrei accompagnata io» ribatté l’Umano in tono freddo. Avanzò di quel poco che bastava a far richiudere la porta.
   «Oh, sono stata una cattiva ospite? Quanto mi dispiace!» fece lei, con finto rammarico.
   «Non c’eri alla cena. Verin diceva che eri troppo stanca, cara esperta di scalate. Ma non lo sei troppo per intrufolarti qui» notò Rivera.
   «Non ti fa piacere? Sei preoccupato? E cosa ti preoccupa, se non hai nulla da nascondere?» incalzò Corinna. Si raddrizzò, calzò le scarpe e lasciò il divano, per osservare l’arredamento da vicino. «Sì, è proprio un bell’alloggio» ripeté. «Questo pianeta, ad esempio, qual è? Certo non la tua Terra» commentò, indicando il mondo verdastro che campeggiava su un quadro.
   «Un pianeta qualunque. Amo la composizione» rispose il Capitano.
   «Che fine esteta! Ho cercato riscontri nel computer e ho scoperto che è Delta IV, patria dei Deltani» rivelò la visitatrice. «In effetti quasi tutto l’arredamento è Deltano. Che combinazione, eh?» aggiunse, passando in rassegna i soprammobili.
   «Dove vuoi arrivare?» chiese Rivera, stanco del giochetto.
   A quelle parole Corinna marciò verso un comodino e prese un’olografia che vi aveva lasciato a faccia in giù. «Ecco dove voglio arrivare! Anche la tua famiglia è deltana?!» chiese, mostrandogli il gruppetto di alieni dalla testa calva che salutavano in un prato assolato.
   «L’arredamento, come quell’olografia, appartenevano al Capitano Dualla, che era Deltana» spiegò l’Umano.
   «Questo l’avevo capito!» disse Corinna, acida. «Spiegami perché, quando le sei subentrato, non hai rimpiazzato tutto con le tue cose. Non sarà che sei salito a bordo senza alcun bagaglio? E non sarà che eri privo di bagaglio perché non sei salito come ufficiale, bensì come predone?! Magari tu e la tua banda avete ucciso l’equipaggio originale!». La sua voce era progressivamente salita di tono, tanto che le ultime parole furono urlate.
   «Stai dicendo un mare di sciocchezze...».
   «No, tu mi hai detto un mare di sciocchezze, fin dal primo momento! E io così stupida da crederti!» sbraitò la Kriosana, gettando l’olografia a terra. «Ma ora voglio la verità, Capitano Rivera... sempre che tu sia un Capitano, e che ti chiami Rivera». Incrociò le braccia, in attesa della risposta.
   L’Umano passeggiò avanti e indietro, pensando a che scusa inventarsi per rabbonirla, ma comprese che era troppo tardi. Ormai Corinna aveva capito che si erano impadroniti di un’astronave altrui; era impossibile convincerla del contrario. Tanto valeva dirle la verità, scagionandosi dal peggiore dei sospetti: che fossero stati loro a eliminare il vero equipaggio. «Siediti» disse in tono tagliente.
   Corinna lo fece, pur restando con le braccia conserte e l’espressione arcigna.
   Nelle due ore successive, Rivera vuotò il sacco sulla loro identità e sulle circostanze che li avevano condotti lì. Raccontò come fossero mercanti e talvolta contrabbandieri; come si fossero imbattuti nella Destiny abbandonata; come l’avessero abbordata in cerca di profitto; come fossero stati trascinati nello Spazio Fluido; come gli Undine li avevano imprigionati e braccati nella Biosfera; com’erano riusciti a riconquistare la nave e a fuggire; come infine si erano trovati senza le coordinate quantiche di ritorno, costretti a esplorare una realtà dopo l’altra. Corinna ascoltò tutto con attenzione, mettendo a confronto con ciò che aveva sentito in precedenza. Fece molte domande, cercando di far cadere Rivera in contraddizione. Ma ora che stava raccontando la verità, il Capitano fu sempre in grado di rispondere.
   Infine cadde il silenzio. Corinna rimuginava, cercando di decidere se doveva credere a questa versione dei fatti. «Mi hai mentito una volta» disse infine. «Forse lo stai facendo di nuovo, per nascondere il vostro coinvolgimento nella morte dell’equipaggio originale».
   «Non è così. Giely è l’unica superstite di quell’equipaggio – puoi verificarlo leggendo la sua scheda personale – e ti confermerà che ho detto il vero» disse Rivera.
   «Anche i documenti si possono falsificare. Comunque devo ammettere che questa versione è più coerente con ciò che ho visto» riconobbe la Kriosana, calmandosi un poco. «Ma se questa è la realtà, perché ci avete mentito?! Perché non dirci fin da subito chi siete?!».
   «Da ricercati quali siamo, dovevamo essere prudenti» spiegò il Capitano. «Temevamo che presentandoci come fuorilegge vi avremmo spaventati, nel qual caso avreste rifiutato d’aiutarci. Il che per noi significa morte certa nel Vuoto. E poi io ero davvero un ufficiale di Flotta, prima d’essere espulso per un banale incidente. Presentarmi come Capitano, ed essere rispettato per questo, era consolante. Era come spazzar via con un colpo di spugna tutte le disgrazie di questi anni; come prendermi una rivincita sul Multiverso. Del resto in questi giorni mi hai conosciuto; ti sembro un uomo così orribile?».
   «L’uomo che ho conosciuto è fantastico» ammise Corinna. «Ma era solo una maschera... tu non sei lui».
   «Beh, era quello che vorrei essere. Quello che sarei, se non fosse stato per quella disgrazia. Sai, gli incidenti accadono, checché ci sforziamo d’evitarli» disse Rivera.
   «Sì, gli incidenti accadono» riconobbe la Kriosana. «E anche se ti ho costretto a dire la verità... anche se onoro la verità sopra ogni altra cosa... vorrei non essermi mai insospettita. Preferirei credere ancora alle tue bugie. Così serberei un bel ricordo del tempo trascorso assieme».
   «Il passato è passato» tagliò corto il Capitano. «È il futuro a preoccuparmi. Ora che ti ho detto la verità, hai intenzione di raccontarla alla tua gente?» indagò. Era questo il punto critico, il vero motivo per cui non era stato sincero fin da subito.
   «Beh, dovrei. Noi Kriosani pensiamo che chi copre un bugiardo sia bugiardo a sua volta» rispose Corinna, tagliente. «Nel mio caso si tratterebbe d’alto tradimento».
   «E quando il Governatore e gli altri sapranno la verità, cosa credi che succederà?».
   «Si sentiranno traditi, ovviamente. Penseranno che avete abusato della loro fiducia e generosità».
   «E ci scacceranno senza darci il dilitio?!» incalzò Rivera.
   «Penso proprio di sì» confermò Corinna.
   «Ma senza quel dilitio siamo spacciati. Ecco perché devi reggerci il gioco, almeno fino a consegna avvenuta» la esortò il Capitano.
   «Ah, fantastico! Prima m’inganni come gli altri e poi, quando scopro la verità, vuoi indurmi a coprire la vostra truffa!» sbottò la Kriosana.
   «È una truffa da cui dipende la nostra sopravvivenza. Sei stata in sala macchine, quindi hai visto che il nostro dilitio è de-cristallizzato. Ti pare che meritiamo di morire nel Vuoto?!» insisté Rivera.
   «Beh, no» ammise Corinna. «Ma mi ripugna mentire alla mia gente per un furfante bugiardo che si è già approfittato di me!» disse, guardandolo con l’intensità di un amore tradito.
   «Non ti chiedo di mentire per me, ma per il mio equipaggio» ribadì il Capitano. «Sono trecento persone sotto la mia responsabilità. Okay, non saranno delle più oneste, ma non meritano di morire di stenti. Cosa che accadrà certamente, se fai la spia. Quindi posso contare sulla tua discrezione?» chiese, fronteggiandola.
   Passarono lunghi secondi. Rivera fissava Corinna, che dal canto suo aveva lo sguardo fisso al pavimento ed era profondamente assorta. Infine la Kriosana rialzò gli occhi, incontrando quelli dell’Umano. «Farò come vuoi... non per te, ma per la ciurma. Tu però non chiedermi mai più nulla!» sibilò, in tono velenoso.
   «Sta bene. Immagino che vorrai ripartire al più presto».
   «Sì, io e Verin ripartiremo domattina. Non abbiamo altro da fare, qui. Preparate il Centurion per il ritorno» disse Corinna, lasciando il divano. Mosse verso la porta, fermandosi poco prima di varcarla. «Non ti chiedo indietro i rifornimenti, perché ciò insospettirebbe la mia gente. Spero solo che quella roba vi serva davvero» aggiunse. Dopo di che si girò di scatto e lasciò l’alloggio.
 
   La notizia che i Kriosani sarebbero ripartiti l’indomani, in anticipo sui tempi, preoccupò l’equipaggio. Tutti si chiedevano se gli ospiti avessero intuito la realtà e di conseguenza erano preoccupati per la fornitura di dilitio. Anche gli aiuti che avevano già ricevuto, infatti, sarebbero serviti a ben poco se non si risolveva quel problema.
   La mattina dopo, come paventato, Rivera ricevette la visita di Losira. La Risiana era ancora impeccabile nell’uniforme della Flotta Stellare, per quanto ormai servisse a poco mantenere la finzione. «Allora, ci siamo già arrivati. Corinna sa, non è così?» chiese.
   Il Capitano annuì, senza nemmeno guardarla. «Ha promesso di reggerci il gioco» disse.
   «Già, e qualcosa mi dice che la sua parola vale quanto la tua, quando le mentivi. Allora, come ci comportiamo?» chiese la Comandante.
   «Dobbiamo salvare le apparenze. Riporterò indietro gli ospiti come se fosse tutto regolare» decise Rivera.
   «Ma stavolta i Kriosani potrebbero trattenerti» notò Losira.
   «È un rischio che devo correre».
   «E chi altri lo correrà assieme a te?».
   «Naskeel, Irvik e Shati. Sono al corrente degli sviluppi e hanno accettato di venire ugualmente. Lasceremo qui Talyn» spiegò il Capitano.
   La Risiana si calmò leggermente nell’apprendere che almeno il giovane non avrebbe corso rischi. Ma il problema di fondo rimaneva. «Che faremo se i Kriosani vi scacciano senza il dilitio... o se addirittura vi trattengono?» chiese.
   «Se ci scacciano, ne discuteremo al mio ritorno. Se ci trattengono, allora il comando sarà tuo, e tua la decisione» rispose Rivera. E lasciò l’ufficio per recarsi al Centurion.
 
   Il viaggio di ritorno fu assai più taciturno dell’andata. Il Capitano si chiedeva se Corinna avesse informato il suo collega delle scoperte. Sperava di no, dato che la Kriosana aveva promesso di non dirlo a nessuno. Certo era che Verin non dette segno di conoscere la verità.
   In capo a ventisei ore Thalassa riapparve sullo schermo, più sfolgorante che mai. Tuttavia pareva meno accogliente agli avventurieri, che ora speravano solo di prendere il dilitio e andarsene. Ma mancava ancora una settimana al termine della Pausa e dovevano attendere fino ad allora. Come in precedenza lasciarono il Centurion in orbita, con Naskeel a bordo. Dopo aver avvertito le autorità del loro ritorno, si teletrasportarono a terra coi passeggeri.
   «Bentornati!» li accolse il Governatore. «Avete fatto prima di quanto pensassi. È andato tutto bene?».
   «Benissimo, vi porto i saluti e i ringraziamenti dei miei ufficiali e di tutto l’equipaggio» disse Rivera, cercando di mantenere l’attenzione su di sé. «Abbiamo anche il latinum per gli acquisti di Irvik, provvederemo subito a saldare».
   «Ho potuto osservare il loro nucleo. Il nostro dilitio andrà bene, come del resto aveva già verificato il signor Irvik» aggiunse Corinna. Il suo atteggiamento era distaccato, sebbene non palesemente triste né ostile. Rivera si augurò che gli altri Kriosani non s’insospettissero.
   «Bene, bene... ma il giovane Talyn non è con voi? Potevate portare anche altri!» notò Sirran.
   «Abbiamo approfittato fin troppo della vostra ospitalità, per cui non ho voluto recare più personale del necessario» sostenne il Capitano. «Saremo lieti di trascorrere gli ultimi giorni su Thalassa, per poi separarci in amicizia».
   «Come preferite. E i vostri messaggi per la Flotta e le famiglie?».
   «Ve li trasmetteremo alla fine» disse Rivera, non volendo rischiare che una sbirciata rovinasse tutto.
   «Se preferite così, non ho obiezioni» disse il Governatore, vagamente perplesso. Sebbene gli ospiti fossero sempre cortesi, era innegabile che qualcosa fosse cambiato, rispetto all’ultimo incontro. Era come se volessero mantenere le distanze e fossero ansiosi d’andarsene il prima possibile. Per il momento, comunque, Sirran non volle pressarli con le domande. «Ebbene, godetevi questi ultimi giorni di pace su Thalassa!» augurò, prima di lasciarli. Anche Corinna e Verin si allontanarono, presumibilmente per tornare alla centrale.
   I tre ospiti si scambiarono qualche rapida occhiata, non proprio gaia. Dopo di che non gli restò che recarsi ai loro alloggi, gli stessi di cui avevano già usufruito. Non vedevano l’ora di ricevere il dilitio; solo a quel punto si sarebbero sentiti salvi.
 
   A differenza di quanto fatto durante la prima permanenza su Thalassa, Rivera si mosse poco dal suo alloggio e non sentì affatto Corinna. Si limitò a un’ultima passeggiata nei giardini attorno al palazzo, dopodiché all’imbrunire si ritirò in camera, con l’idea di cenare lì. Ma si era appena messo a tavola che il cicalino dell’alloggio lo avvertì di una visita.
   «Avanti» disse il Capitano mentre si alzava, con un pessimo presentimento.
   A confermare i suoi timori, un drappello di guardie armate entrò nell’alloggio. Per il momento avevano i phaser in cintura, ma nondimeno la loro presenza era eloquente. «Ci segua, Capitano» disse il caposquadra, in un tono che sapeva di ordine.
   «Seguirvi dove? Che succede?» chiese Rivera.
   «Non siamo autorizzarti a parlare, signore. Deve seguirci e basta» rispose il Kriosano, impugnando il phaser.
   Con un sospiro, l’Umano si scolò il bicchiere – forse era la sua ultima tequila – e lasciò l’alloggio, scortato dalle guardie. A peggiorare le cose gli tolsero il comunicatore, e con esso la possibilità di farsi teletrasportare sul Centurion. Dopo di che lo condussero in un’ala del palazzo che non aveva mai visitato, fino a un’anticamera in cui trovò Irvik e Shati. Anche loro erano sorvegliati e privi di comunicatori. Nel vederlo gli vennero subito incontro.
   «Capitano! Che succede, siamo agli arresti?!» chiese il Voth, alquanto agitato.
   «Ne so quanto voi, cioè nulla» spiegò Rivera.
   «Se Talyn ha rubacchiato qualcosa, io lo strozzo!» mugugnò l’Ingegnere Capo.
   «Non credo che sia colpa sua» disse il Capitano. «Comunque ora vedremo».
   Con un sonoro scatto, il portone blindato in fondo all’anticamera si aprì. «Dentro» disse il capo delle guardie. Ai tre prigionieri non restò che obbedire. Si trovarono in una vasta camera semicircolare, che ricordava spiacevolmente l’aula di un tribunale. Sul lato opposto vi era una lunga tavola a ferro di cavallo. Il Governatore Sirran stava al centro; alla sua destra vi erano i funzionari civili, alla sinistra i militari, incluso il Colonnello Oisin. La cordialità era sparita dai loro volti, che si erano fatti duri e diffidenti.
   «Avvicinatevi!» ordinò il Governatore in tono secco.
   Rivera lo fece fintanto che le guardie glielo permisero, per cui si fermò all’imboccatura del ferro di cavallo. Irvik e Shati gli erano subito dietro. «Ebbene, che significa tutto questo?» chiese il Capitano.
   «Credo che lo sappiate perfettamente» disse il Governatore, accigliato. «Potrei farvi interrogare con metodi sgradevoli, ma preferirei che fosse lei stesso a confessare subito».
   «Confessare cosa? Nessuno di noi ha commesso alcun crimine sul vostro pianeta» rivendicò Rivera.
   «Nessun crimine?!» insorse Sirran. «Voi avete commesso alcuni tra i crimini peggiori che esistano nella nostra cultura! Ci avete mentito spudoratamente, per guadagnare la nostra fiducia in vista di un tornaconto. Avete abusato della nostra ospitalità e generosità. Avete infangato il buon nome della Flotta Stellare, spacciandovi per suoi ufficiali, quando invece siete dei ricercati, dei volgari truffatori! E ancora continuate a insultarci, rifiutando di ammettere le vostre colpe!» tuonò.
   Davanti a quella veemenza, Rivera si sentì perduto. Ma non poteva vacillare, o allora sì che sarebbe stata la fine. Così rimase composto e parlò con freddo distacco: «Chi vi ha detto questo sul nostro conto?».
   «Mia nipote Corinna; e mi ha fornito le prove!» rispose il Governatore, facendolo tremare fino al midollo. «Durante la permanenza sulla vostra nave è riuscita a scaricare dal computer le schede personali dell’equipaggio. Nessuno di voi era presente al momento del varo, nemmeno ai livelli più bassi della gerarchia. In compenso Corinna mi ha raccontato la versione dei fatti che le ha strappato nel vostro ultimo confronto. Devo dire che questa versione è molto più logica. Di certo spiega la composizione dell’equipaggio e la giovane età degli ufficiali, nonché il fatto che siete aggiornati sulla Federazione fino a un anno fa. E ora, Rivera, vuole confessare o insiste nel confutare le accuse?».
   «Che prove accettereste come confutazione?» chiese il Capitano, maledicendo Corinna più intensamente di quanto avesse mai maledetto chiunque altro. Né i Pacificatori che lo avevano frustato, né gli Undine che lo avevano braccato come un animale lo avevano ferito a tal punto. Forse era perché da loro non si aspettava altro che ostilità, mentre in Corinna aveva riposto fiducia.
   «Se continua a negare, dovremo mandare le nostre forze armate sulla vostra nave per investigare» avvertì Sirran. «Ovviamente nel frattempo voi rimarrete qui, sotto custodia cautelare. E se il vostro equipaggio rifiuterà l’ispezione, lo prenderemo come un’ammissione di colpevolezza. Forse non riusciremo a espugnare la Destiny, ma possiamo trattenere voi tre fino al termine della Pausa. E sapete che succederà allora?».
   «Il pianeta tornerà indietro, noi no» rispose Rivera con la bocca secca, vedendosi fluttuare nel Vuoto. «Tanto vale che ci giustiziate seduta stante».
   «Non desidero giungere a questi estremi, sempre che non mi obblighi lei» rispose il Governatore. «Glielo chiedo per l’ultima volta, Rivera: confessa i capi d’accusa?».
   Il Capitano dette un’occhiata ai suoi ufficiali e in particolare a Irvik, ricordando come il Voth si fosse inizialmente opposto alla truffa. Poteva farlo condannare a morte, solo perché aveva obbedito controvoglia al suo ordine? A quel pensiero, tornò a fronteggiare i Kriosani. «Confesso» disse con voce secca. «Tuttavia desidero parlare in nostra difesa».
   «Finalmente facciamo un passo avanti! Le concedo di parlare, ma sia breve» avvertì Sirran.
   «Quali che siano i nostri debiti con la giustizia federale, essi non prevedono la pena di morte» disse Rivera. «Ma è proprio la morte che ci aspetta, senza il dilitio. Così, nel momento in cui abbiamo scoperto il vostro pianeta, mi è parso d’essere davanti a una strada obbligata. Se vi avessi detto fin da subito la verità sul nostro conto, ci avreste accolti allo stesso modo? Tocca a lei rispondere, Governatore, e sia sincero».
   «Non è il Governatore a essere sotto processo!» intervenne il Colonnello, ma Sirran lo calmò con un gesto.
   «Un punto a suo favore, Rivera» ammise il vecchio Kriosano. «Devo rispondere che no, l’accoglienza non sarebbe stata la stessa. Non vi avremmo fatti sbarcare su Thalassa e non vi avremmo riempiti di doni. Tuttavia ritengo che, dopo le necessarie verifiche, vi avremmo dato il dilitio».
   «Tutto il dilitio? Perché è solo con tutte le vostre scorte che la Destiny può tornare a viaggiare nel Multiverso!» ricordò il Capitano. «Avreste accettato di restare indifesi, mentre ridavate energia a un’astronave di fuorilegge? Io non credo».
   «È inutile disquisire su ciò che sarebbe accaduto in altre circostanze. Siamo qui per giudicare ciò che è realmente successo, per giudicare la vostra condotta» obiettò il Governatore. «È un dato di fatto che ci avete manipolati per avere dei vantaggi».
   «Per sopravvivere» corresse Rivera. «E comunque non vi abbiamo rubato nulla. Abbiamo mentito sulla nostra identità, questo sì. Ma ciò dimostra solo che la vostra carità è condizionata dalla nostra fedina penale, anziché dalla gravità della situazione. In pratica ci lascereste morire perché pensate che in fondo ce lo meritiamo. Dunque i nostri timori erano giustificati e abbiamo fatto bene a mentire!».
   «Non rivendichi i suoi reati come se fossero meriti!» disse Sirran, corrucciato. «Ora che avete confessato, io devo pronunciarmi sulla vostra sorte. E non ho molte opzioni: posso trattenervi o lasciarvi andare. Se vi trattengo, morirete quando Thalassa tornerà indietro, il che è una pena eccessiva persino per i vostri gravi crimini. Se vi lascio andare, resterete impuniti, il che è un eccesso di magnanimità. Dunque mi avete messo in una situazione in cui devo violare la legge, in un senso o nell’altro!» sbuffò.
   «Un momento. Lei dice che a liberarci peccherebbe di magnanimità. Ma se ci lasciasse tornare sulla Destiny, poi ci consegnerebbe il dilitio?» chiese Rivera, presagendo la risposta.
   «Ovviamente no, l’accordo è stracciato!» rispose il Colonnello Oisin in tono sprezzante.
   A quelle parole, l’Umano uscì definitivamente dai gangheri. «Cornudos cabrones! Vi sentite magnanimi a farci morire di stenti? Che differenza fa se ci uccidete in un modo o nell’altro?! Piuttosto sparateci e facciamola finita!» gridò, cercando d’avventarsi sul Colonnello. Le guardie lo afferrarono, tirandolo indietro. Scoppiò un tafferuglio che coinvolse anche Shati, scattata in difesa del suo Capitano. Ai Kriosani servirono parecchi minuti per ristabilire l’ordine.
   «Questa tentata aggressione non aiuta certo la vostra causa!» disse il Governatore, passandosi un fazzoletto sulla fronte. «Sembra che ancora non capiate la gravità della menzogna nel nostro ordinamento giudiziario. Se foste stati sinceri fin da subito, forse vi avremmo dato il dilitio. Ma poiché avete mentito, confermando le vostre tendenze criminali, allora non meritate niente. E devo ancora pronunciarmi sulla vostra sorte».
   «La nostra sorte? Perché parla al plurale? L’unico imputato qui sono io, perché io ho preso la decisione d’ingannarvi. Il mio equipaggio ha solo obbedito agli ordini» obiettò Rivera, ritrovando la calma. «Irvik e Shati si erano persino opposti all’idea. Quindi condannate me e lasciateli andare!».
   «Non deve mentire ancora per coprirmi, Capitano» sospirò Shati. «Io ero connivente, anzi ho premuto per l’inganno. Solo Irvik si era opposto» ammise.
   «Senti, senti!» fece il Governatore. «Apprezzo la confessione, ma deve sapere che il nostro codice penale non considera l’obbedire agli ordini come una scusante per la truffa. Altrimenti sarebbe troppo facile farla franca».
   «Se posso intervenire, eccellenza, credo che la sua sentenza debba basarsi anche su considerazioni pratiche» disse il Colonnello. «Se ora lascia andare questi criminali, permettendogli di rifugiarsi sulla Destiny, ce li vedremo presto tornare coi rinforzi. Attaccheranno la città, minacciando le vite dei civili, per prendere il dilitio. L’unico modo per scongiurare l’attacco è tenerli sotto custodia».
   «Cioè usarci come scudi?» chiarì Rivera. «E chi vi dice che non peggiorereste le cose? Considerando che essere trattenuto equivale a morire, potrei aver ordinato al mio equipaggio di bombardare la città, se non torno. Così almeno non me ne andrò da solo!» minacciò. Era un bluff, ma neanche tanto. Non poteva escludere che Losira e Naskeel, saputo della sua cattura, non ricorressero a questi estremi.
   «Ora ci minaccia! Governatore, che altro deve fare questo delinquente per essere giudicato colpevole?!» insorse il Colonnello.
   Tuttavia Sirran sembrava prendere seriamente in considerazione il pericolo. «Arrivereste davvero a tanto, per un pugno di dilitio?» chiese.
   «Per la salvezza che rappresenta, sì!» rispose sfrontatamente Rivera. «E voglio dirle un’altra cosa: voi Kriosani cianciate tanto di sincerità e rettitudine, ma non siete diversi da noi. Persino il vostro mito fondativo è tutt’altro che edificante! Krios rapì Garuth contro la sua volontà, in barba all’onore e al rispetto. E anche voi, adesso, anteponete i vostri interessi a qualunque pretesa di moralità. Ci accusate di aver mentito, quando questo stesso processo è il risultato di uno spergiuro!».
   «Che intende?» chiese il Governatore, colto alla sprovvista.
   «Mi riferisco a sua nipote Corinna, che si è ben guardata dal presentarsi a questo processo» disse il Capitano, con maligna soddisfazione. «Quando scoprì chi eravamo, mi giurò di mantenere il segreto, affinché ricevessimo il dilitio e ci salvassimo. Lo giurò, badi bene! Ma una volta rientrata deve aver cambiato idea, visto che vi ha spifferato tutto. Dunque anche questo procedimento di giustizia nasce da un tradimento. Non è un controsenso?».
   «Questo è impossibile da dimostrare e comunque è irrilevante!» insorse Oisin.
   «Non è indimostrabile né irrilevante» disse però Sirran. «Ordino che la Direttrice Corinna sia condotta qui, come testimone».
   Detto fatto, la Kriosana fu condotta in aula. Era dura in volto, come se quella convocazione la oltraggiasse. Per tutta la durata dell’interrogatorio tenne gli occhi bassi, rifiutandosi di guardare in faccia sia il Governatore, sia Rivera. Ma non poté esimersi dal rispondere alle domande.
   «Direttrice Corinna, lei aveva giurato al Capitano Rivera di non divulgare il segreto sull’identità sua e del suo equipaggio?» chiese Sirran.
   «Sì, eccellenza» rispose la Kriosana.
   «Per quale motivo ha prestato tale giuramento?».
   «Perché temevo che altrimenti quei fuorilegge mi avrebbero trattenuta sulla loro astronave, intrappolandomi con loro nel Vuoto».
   «E al ritorno, perché ha deciso invece di raccontarci tutto?».
   «Perché la mia lealtà va al nostro mondo, alle nostre leggi e a chi le rappresenta, Governatore. Non a dei fuorilegge bugiardi».
   «Tuttavia per rivelare una menzogna lei ha mentito a sua volta».
   «Sì, eccellenza».
   «E finché non l’ho interrogata, non ha neanche ammesso che lo stava facendo».
   «No, signore. Pensavo di agire nel nostro miglior interesse, ma se ho errato, sono pronta ad affrontare le conseguenze».
   «Questo non è il suo processo, Direttrice. Lei è qui solo come testimone. Ho finito le domande, perciò può andare» disse il Governatore in tono asciutto. E Corinna se ne andò, sempre con lo sguardo basso e l’espressione dura.
   Ci fu un lungo silenzio. Il Governatore stava riordinando le idee, mentre tutti gli altri cercavano d’indovinare la sentenza. Infine Sirran si alzò e parlò con voce stentorea. «Capitano Rivera, io rigetto il suo tentativo d’invalidare questo processo» esordì. «Tuttavia devo ammettere che il vostro comportamento, per quanto riprovevole, ha forti attenuanti. E poiché le circostanze eccezionali non permettono d’incarcerarvi, decreto che lei e i suoi ufficiali siate rilasciati. Potete tornare sulla vostra astronave».
   Il Colonnello Oisin strabuzzò gli occhi, come se non credesse alle sue orecchie. Ma gli imputati non sorrisero, presagendo ciò che seguiva.
   «Quanto al nostro accordo sul dilitio, esso è irrimediabilmente compromesso. Non posso ridare energia alla vostra nave, rendendo inerme questa colonia» spiegò Sirran. «Tenete pure i doni che vi abbiamo già offerto, incluso il deuterio, che prolungherà la vostra sopravvivenza di mesi e forse anni. Spero che in questo lasso di tempo troviate soluzioni alternative. Dal canto nostro, parleremo di voi alla Flotta Stellare, sperando che essa possa venirvi in soccorso. È tutto ciò che possiamo fare per voi. Così è deciso!».
   Emanata la sentenza, il Governatore si ritirò, seguito dai suoi funzionari. Solo il Colonnello Oisin si trattenne, fissando gli imputati con durezza. «So a cosa pensate: una volta tornati sulla Destiny, radunerete le forze e ci attaccherete per prendervi il dilitio» disse. «Ebbene, potete provarci! Ma sappiate che siamo pronti a ricevervi. Voglio essere chiaro: se vi farete vedere di nuovo, questo pianeta sarà la vostra tomba» minacciò.
   «Sarà la tomba per uno di noi, hombre» ribatté il Capitano, restituendogli uno sguardo bieco. «Carte sul tavolo, come piace a voi» si disse, prima di ritirarsi con i suoi ufficiali.
 
   Le guardie Kriosane scortarono gli avventurieri fuori dal palazzo governativo, nella stessa piazzola dove si erano teletrasportati la prima volta. Solo allora gli restituirono i comunicatori, così che potessero chiamare il Centurion. «A mai più rivederci, spero» disse il caposquadra, consegnando il dispositivo a Rivera.
   Senza rispondere, il Capitano si appuntò il comunicatore sull’uniforme e lo pigiò. «Rivera a Centurion, tre da teletrasportare» ordinò. Il raggio azzurro li trasferì prontamente sulla navicella, che apparve più accogliente che mai. Gli avventurieri corsero subito in cabina, dove li attendeva Naskeel.
   «Rapporto!» disse Rivera.
   «Trenta caccia kriosani di classe Viper ci hanno circondati» rispose il Tholiano, additando gli agili caccia stellari sullo schermo. «Vedendoli arrivare ho provato a contattarvi, ma i Kriosani hanno risposto che eravate sotto custodia e mi hanno ingiunto di attendere fino al termine del processo. Presumo che non mi abbiano attaccato perché, malgrado la superiorità numerica, temono le capacità belliche del Centurion. Posso chiedervi com’è andata?».
   «Bene, nel senso che ci hanno lasciati andare. Male per tutto il resto. Sanno chi siamo, quindi l’accordo sul dilitio è stracciato» riassunse il Capitano.
   «È come pensavo. Questo c’impone un drastico cambio di strategia. Desidera che bombardi la città?» chiese Naskeel, le mani già sui comandi.
   «No, per carità! Ritiriamoci, torniamo sulla Destiny» ordinò Rivera. Si stava spremendo le meningi per trovare uno stratagemma che evitasse lo scontro armato.
   «Buona idea. Ci occorre più potenza di fuoco per piegare il nemico» approvò il Tholiano.
   Shati si era già messa ai comandi. Accelerò il Centurion e al tempo stesso gli impresse una brusca virata, portandolo via dall’orbita. Il mondo oceanico uscì dallo schermo, come anche il nugolo di caccia stellari. Di lì a poco il Centurion balzò in cavitazione quantica.
   «Arrivo tra ventisei ore, come al solito» riferì la Caitiana. «Devo avvertire che a quel punto ci resteranno solo cinque giorni, prima di dire bye bye a Thalassa e al suo dilitio».
   «Non l’ho scordato» mugugnò Rivera, e lasciò la cabina.
   Vedendolo in quello stato, Shati lo inseguì da camera a camera fino al vano notte, dove potevano parlare in privato. «Aspetti, Capitano. Naskeel vorrà sapere se deve organizzare un assalto...» cominciò.
   «Senti Catwoman, di’ al tuo amico Balrog che non ci sono per nessuno, neanche per lui!» berciò il Capitano.
   La Caitiana esitò sulla soglia. Sapeva che quando il superiore affibbiava strani nomignoli era un pessimo segno, e del resto lui stesso voleva essere lasciato in pace. Stavolta però il problema era troppo grosso per glissare. «Signore, lo sa che non abbiamo scelta. Se aspettiamo troppo, e Thalassa sparisce, siamo belli che morti! Ci sono state circostanze in cui persino i veri Capitani della Flotta Stellare hanno fatto cose moralmente discutibili, per salvare l’equipaggio...».
   «Ne parleremo sulla Destiny, con tutti gli ufficiali superiori presenti. Fine del discorso, Tenente!» la congedò seccamente Rivera. E a Shati non restò che ritirarsi.
 
   Il ritorno alla Destiny fu il più mesto dacché gli avventurieri si erano impossessati dell’astronave. E quando i colleghi della nave rilevarono il Centurion che tornava in anticipo sui tempi, capirono che qualcosa era andato storto. Appena arrivato Rivera convocò gli ufficiali superiori in sala tattica. Seduto a capotavola, riassunse gli ultimi eventi, mettendo in chiaro che i Kriosani erano in allerta e si aspettavano un attacco. «Questa è la situazione; ci restano cinque giorni per elaborare una contromossa» concluse. «Ma prima ditemi: quanto possiamo resistere, razionando al massimo il deuterio e le altre scorte?».
   «Un anno» rispose Losira. «Un po’ di più se cannibalizziamo alcuni componenti della nave, ma a quel punto ci troveremo su un catorcio. Vabbè che anche adesso abbiamo solo la velocità impulso».
   «Avete sondato il Vuoto in nostra assenza?» chiese ancora il Capitano, aggrappandosi all’ultima pagliuzza.
   «Lo sondiamo ininterrottamente dal giorno della battaglia con la Dreadnought, ma non c’è niente di nuovo. Nessun pianeta, nessuna astronave, niente di niente» disse la Risiana. «Thalassa è la nostra unica opzione. E se i Kriosani non vogliono darci il dilitio con le buone, non resta che prendercelo con le cattive. Per questo vorrei sapere se avete quantificato le loro capacità militari».
   «Il pianeta non ha uno scudo difensivo» rispose prontamente Naskeel. «Nel nostro ultimo confronto i Kriosani ci hanno circondati con trenta caccia di classe Viper. Ho sondato i loro hangar e ritengo che possano schierarne altri venti, più alcune vecchie navette. C’è anche la chiatta da trasporto, ma è pressoché disarmata. In caso di attacco, ritengo che si opporranno solo coi caccia».
   «Cinquanta Viper... sarà dura, ma schierando tutte le nostre navette potremmo farcela, specie se creiamo un diversivo» rimuginò Losira.
   «Una volta eliminata la resistenza aerea, dovremo sbarcare in forze per l’attacco alla centrale energetica» aggiunse il Tholiano. «I Kriosani ci aspettano, quindi avranno concentrato lì le loro truppe».
   «Scusate... stiamo seriamente parlando di dare l’assalto ai Kriosani?» intervenne Talyn, che aveva ancora in mente la loro ospitalità.
   «Le possibilità diplomatiche sono morte e sepolte, purtroppo» disse tristemente Irvik. «È già una fortuna che ci abbiano lasciati andare».
   «E noi reagiamo attaccandoli?!».
   «Non è una decisione da prendere a cuor leggero» convenne Rivera. «Ho passato quest’ultimo giorno a cercare un’alternativa e non l’ho trovata. Se qualcuno ha un’idea, per quanto labile, questo è il momento d’esporla».
   Ci fu un lungo, doloroso silenzio.
   «Tenete a mente che sarà una vera e propria battaglia» riprese il Capitano. «I Kriosani hanno una tradizione militare di cui vanno fieri».
   «Ma questi coloni hanno ammesso di non aver mai visto una guerra da quando raggiunsero Thalassa, quattro secoli fa. Per quanto siano longevi, significa che nessuno di loro ha mai combattuto davvero» obiettò Irvik.
   «Però hanno ancora il servizio militare obbligatorio per uomini e donne, quindi sono tutti addestrati» rammentò Rivera. «Certo, non credo che ci troveremo di fronte l’intera popolazione in armi, anche perché non ne hanno abbastanza. Ma in ogni caso non dobbiamo sottovalutarli».
   «Io sono stata al poligono e posso confermarvi che sono ottimi tiratori» ricordò Shati.
   «Inoltre si aspettano il nostro attacco, quindi è inutile progettare un’infiltrazione: dovremo lanciare un assalto diretto» aggiunse il Capitano. «La Destiny non si muove, quindi possiamo contare solo sul Centurion e le navette. Già superare le difese aeree sarà dura. Se poi riusciamo a introdurci nella centrale, le cose non faranno che peggiorare. I difensori avranno una netta superiorità numerica, oltre ai vantaggi di chi combatte sul proprio terreno. Avremo certamente dei feriti, difficili da recuperare, e anche delle vittime. Per questo non ordinerò l’attacco, a meno che tutti coloro che si trovano in questa stanza siano d’accordo» stabilì.
   Calò di nuovo il silenzio, greve d’attesa. Il primo a esprimersi fu Naskeel. «Capitano, in queste circostanze attaccare è l’unica opzione logica. Può non essere la più desiderabile, ma è l’unica che ci darà dei risultati in tempo utile» affermò.
   «A volte non si può scegliere tra bene e male, ma solo il minore tra due mali» rincarò Losira.
   «Giusto!» approvò Shati, che ormai aveva preso in odio i coloni. «Abbiamo chiesto ai Kriosani di sopportare un piccolo incomodo – pochi giorni di blackout – per salvarci dalla morte. Loro si erano detti d’accordo, ma quando hanno scoperto chi siamo si sono rimangiati la parola. Se non l’avessero scoperto, o se fossero meno bigotti, non avremmo problemi. A questo punto non resta che servirci da soli!».
   «Okay, avete chiarito il vostro punto» disse Rivera. «Voialtri che ne pensate?» si rivolse agli ufficiali sul lato opposto del tavolo, quelli più reticenti.
   «Penso che sia una follia essere arrivati a questo punto, ma essendoci arrivati possiamo procedere solo in avanti» disse Irvik, sconsolato.
   Toccava a Talyn, che si guardò attorno con frustrazione. «Penso che abbiate già detto tutto. Aggiungo solo che, se un giorno torneremo nel nostro Universo, non ci accoglieranno a braccia aperte. Ma suppongo che già tornarci sia meglio di niente» si arrese.
   Restava solo la dottoressa Giely. Vedendola esitare, il Capitano prese la parola: «Tu sei un medico, quindi nel tuo caso faremo un’eccezione. Non posso chiederti di dare l’assenso a una battaglia».
   «Come medico no, non posso certo approvare» confermò la Vorta. «Ma quand’ero nel Dominio, sentivo i soldati Jem’Hadar proclamare che “La vittoria è vita”. Nel nostro caso, questo è vero alla lettera. Vincere la battaglia è l’unica cosa che può farci sopravvivere».
   Ora che persino la dottoressa aveva dato il suo assenso, Rivera non poté più esimersi. Si guardò un’ultima volta l’uniforme da Capitano, sconsolato. «È stato un bel sogno, finché è durato. Ma tutti i sogni finiscono...» si disse con amarezza. Se fino ad allora aveva contato di potersi guadagnare l’amnistia, una volta tornato nella Federazione, ora anche quest’ultima speranza s’infrangeva contro la dura realtà. Libero o in gattabuia, sarebbe rimasto un fuorilegge.
   «E va bene, attaccheremo!» annunciò Rivera. «Ma faremo tutto il possibile per ridurre la violenza. Non bombarderemo le abitazioni e una volta infiltrati nella centrale terremo i phaser settati su stordimento, è chiaro?». Fissò Naskeel, l’ufficiale di cui si fidava meno.
   «Chiaro» dissero gli avventurieri, incluso il Tholiano. Fra loro serpeggiava già l’ansia che precede gli scontri.
   «Bueno. E nella miglior tradizione ladresca, attaccheremo al calar delle tenebre» decise il Capitano. 
 

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Capitolo 5
*** Gli incidenti accadono ***


-Capitolo 4: Gli incidenti accadono
 
   Uscito sul balcone del palazzo governativo, per respirare qualche boccata d’aria fresca, Sirran osservò il tramonto infuocato sull’oceano. Di solito quella vista lo calmava, ma stavolta non fece che accrescere le sue preoccupazioni. Il disco solare svanì gradualmente dietro l’orizzonte, in un dilagare di nubi rossastre. Cadde la notte, l’ultima senza stelle. Il mattino successivo la Pausa sarebbe finita e Thalassa sarebbe tornato nella Via Lattea. Di solito l’evento era festeggiato sulla spiaggia con musiche, balli e fuochi d’artificio. Ma non stavolta. Questa volta la popolazione era tappata in casa e le forze dell’ordine pattugliavano le strade, perché Sirran aveva ordinato il coprifuoco. Questa, infatti, era l’ultima notte a disposizione dei fuorilegge della Destiny per derubarli del dilitio. Se non ci provavano stavolta, non avrebbero avuto altre occasioni.
   «Ci proveranno, me lo sento» si disse il Governatore, sentendo freddo nelle ossa, e non solo per la brezza marina. Lui al loro posto ci avrebbe provato. Fu tentato di abbassare le difese e dargli ciò che volevano, per evitare la battaglia e l’inevitabile spargimento di sangue. Ma non lo fece. Quand’era in gioco il loro orgoglio di Kriosani, che non tolleravano furti e menzogne, nessun prezzo era troppo alto. La stragrande maggioranza della popolazione la pensava così, di questo ne era certo; e il suo dovere era rispettare la volontà popolare. Così si frugò in tasca, impugnando un comunicatore, e inserì il codice di sicurezza che lo metteva in diretta comunicazione coi vertici militari.
   «Colonnello Oisin, elevate al massimo la vigilanza. Sono certo che attaccheranno stanotte» disse.
   «Concordo, Governatore» rispose il Colonnello. «Non vedo l’ora che comincino. Siamo pronti a riceverli e a insegnargli come ricompensiamo ladri e truffatori».
 
   In quel momento una flottiglia di navicelle uscì dalla cavitazione nei pressi di Thalassa, proseguendo l’avvicinamento a velocità impulso. Il Centurion era in testa, seguito da dieci navicelle di classe Gryphon e da venti di classe Hornet. Erano tutte occultate e in silenzio subspaziale, avendo concordato preventivamente il piano d’attacco. Nella cabina del Centurion, il Capitano Rivera osservò corrucciato lo splendido mondo azzurro. Era la terza volta che lo visitava, ma ora non giungeva più come ospite, bensì come predone. «Analisi delle difese» ordinò.
   «Rilevo cinquanta caccia Viper in orbita. Ci sono anche dieci navette, oltre alla chiatta da trasporto» rispose Talyn.
   «Frell» imprecò il Capitano, innervosito. Aveva sperato che i Kriosani rinunciassero ad armare le navette e la chiatta. Ripensò alla riunione tattica in cui avevano discusso il potenziale bellico nemico. I Viper erano dei caccia drone, ovvero senza pilota. Erano molto agili, dato che non dovevano proteggere alcun conducente, ma avevano limitata potenza di fuoco e scudi deboli. Fosse stato solo per quelli, gli avventurieri potevano sperare di oltrepassare le difese. Ma le navette e la chiatta complicavano le cose, anche perché quelle avevano un equipaggio e a Rivera ripugnava di provocare vittime. Ma non era arrivato fin lì per fare dietrofront e fuggire verso l’oblio.
   «C’è un altro problema» avvertì Talyn, proseguendo l’esame. «La città è difesa da uno scudo».
   «Come sarebbe?!» sobbalzò il Capitano. «Le analisi precedenti lo avevano escluso!».
   «Non è uno Scudo Cittadino nel senso tradizionale del termine» precisò l’El-Auriano. «È la centrale energetica a generarlo. Ricorda che in realtà è la loro astronave coloniale? Devono aver riattivato gli scudi e li hanno estesi tanto da proteggere l’intera città».
   «Idioti!» sbottò Rivera, all’indirizzo dei Kriosani. «Ora dovremo bombardare l’insediamento».
   «Forse sperano che questo ci dissuada» commentò Talyn a mezza voce.
   «Sperano male» disse il Capitano, truce. «Tenetevi pronti. Ci avvicineremo come previsto, salvo abbattere lo scudo con un attacco mirato prima di teletrasportarci».
   Il Centurion lasciò la formazione e girò parzialmente attorno al pianeta, sorvolando il lato diurno. Così facendo aggirò il blocco difensivo formato dalle navicelle kriosane. Al tempo stesso si avvicinò sempre più, fino a entrare nell’atmosfera. Rivera e Shati si assicurarono che l’ingresso fosse dolce, per non lasciare una scia di plasma che permettesse di rilevarli. La navicella infatti era ancora occultata e doveva restarlo il più a lungo possibile, per non perdere l’effetto sorpresa. Dalla cabina, gli avventurieri videro le nubi candide come batuffoli di cotone che si avvicinavano sempre più. Poi parve d’entrare nella nebbia, perché stavano attraversando la coltre nuvolosa. Infine il mare riapparve, molto più vicino. Le onde tumultuose annunciavano la tempesta alle porte. Un fulmine colpì il Centurion, disperdendosi sulla corazza ablativa senza danneggiarlo.
   «Reggetevi, dieci secondi all’impatto» annunciò Rivera, concentrato sui comandi. Modificò la traiettoria in modo che, nell’ultimo tratto, la navicella scendesse di punta anziché planare. Come risultato il mare riempì lo schermo e ai passeggeri parve di precipitare senza controllo, tanto che molti trattennero il fiato. Solo Shati reagì in modo opposto: la sua risata maniacale riempì la cabina.
   «Arriviamo, bastardi maculati! Ah-ahahahahahah!».
   Veloce come un dardo, il Centurion si tuffò nell’oceano tempestoso, sollevando una colossale ondata. Subito Rivera lo raddrizzò, per non sprofondare troppo. Quando furono tornati in assetto, il Capitano tracciò la nuova rotta. La navicella trasformata in sottomarino schizzò in avanti, più veloce di una torpedine, diretta verso la città sulla costa.
 
   La flottiglia pirata attese per il tempo convenuto, a motori spenti per rendere ancor più difficile il rilevamento. Ai comandi delle navette c’erano avventurieri della Destiny scelti dal Capitano. Disdegnando i Ferengi, troppo pavidi per la battaglia, Rivera aveva designato Letheani, Nausicaani, Orioniani: ciò che molti definivano la feccia della Galassia. Terminata l’attesa, i piloti riaccesero i motori, schizzando contro il blocco difensivo kriosano. Quando stavano per raggiungerlo disattivarono l’occultamento, alzarono gli scudi e aprirono il fuoco. Raggi phaser e polaronici rigarono lo spazio, mentre i siluri lampeggiarono all’impatto. Il primo, devastante assalto fu rivolto contro la vecchia chiatta da trasporto. L’astronave non ebbe nemmeno il tempo di reagire coi pochi cannoni a particelle di cui disponeva. I suoi scudi antiquati cedettero rapidamente e lo scafo fu crivellato. La chiatta sbandò, abbandonando la formazione difensiva, e finì alla deriva nell’orbita bassa, perdendo atmosfera dalle numerose falle. All’equipaggio non restò che evacuarla coi gusci di salvataggio.
   Compiuto con successo il primo passaggio, gli avventurieri fecero dietrofront e aprirono la formazione per affrontare i caccia e le navette nemici. La battaglia s’infiammò, mentre pregi e difetti delle due flottiglie venivano a galla. Gli attaccanti avevano poche navette, appena una trentina, ma molto armate e resistenti. I difensori ne avevano il doppio, quasi tutti agilissimi Viper senza pilota, ma con armi e scudi decisamente inferiori. Di conseguenza gli avventurieri potevano reggere molti attacchi, mentre i Viper erano distrutti al primo colpo; ma era difficile centrarli. Nessuno sapeva cosa avrebbe prevalso, se il numero e l’agilità o la potenza di fuoco e la resistenza.
 
   In superficie i Kriosani alzarono lo sguardo al cielo senza stelle e videro i lampi della battaglia. A dispetto della loro cultura marziale, era la prima volta in quattrocento anni che la guerra vera li raggiungeva. Le sirene d’emergenza squillarono, invitando la popolazione a nascondersi in bunker e altre zone protette, nell’evenienza che lo scudo cedesse. Già adesso alcuni colpi andati a vuoto della battaglia lo centravano, aprendosi come fiori maligni contro la barriera d’energia. Alcune navicelle della polizia sorvolarono la città, inquadrando coi riflettori le fiumane di cittadini che correvano ai rifugi. I poliziotti gridarono istruzioni con gli altoparlanti, cercando di mantenere l’ordine. I loro colleghi a terra avevano un bel daffare per evitare che la gente si calpestasse. Qua e là si vedevano anche bagliori di teletrasporto, ma ci voleva tempo per trasferire tutti.
   Dal suo balcone, il Governatore Sirran vide i lampi della battaglia e i fasci dei riflettori che squarciavano la notte. Udì le sirene d’allarme, gli ordini dei poliziotti, i pianti dei bambini. Mai in vita sua era stato tanto in pena per la sua gente; e mai aveva odiato qualcuno come ora odiava gli avventurieri. «Liberare quella feccia è stato il più grave errore della mia carriera. Dovevo farli uccidere tutti quando potevo» si disse con amarezza.
   Sapeva che era in suo potere far cessare la battaglia in qualunque momento, consegnando il dilitio. Una sola parola e tutto sarebbe finito: niente più terrore, niente morti. Non lo fece. Preferiva vedere la sua amata città ridotta in cenere, piuttosto che piegarsi alle pretese degli aggressori. Contattò di nuovo il Colonnello. «Qui è il Governatore, i miei ordini sono di resistere a oltranza. Ripeto, resistere a oltranza. Mai arrendersi, mai ritirarsi, mai piegarsi!» raccomandò. Dopo di che, pressato dalle guardie del corpo, lasciò il balcone e corse a nascondersi a sua volta nel bunker sotto al palazzo.
 
   «Siamo a cento chilometri dalla costa» disse Talyn. «Lo scudo a cupola si estende per cinque chilometri anche nel mare» avvertì.
   «Riduco la velocità, pronti all’emersione» disse Rivera. Pur rallentando notevolmente, rimase sott’acqua fino all’ultimo istante, per mantenere la sorpresa. Solo quando l’allarme di prossimità lo avvertì che l’impatto con lo scudo era imminente impresse un’impennata al Centurion, portandolo in superficie. Simile a un mostro marino, il vascello emerse sollevando un’immane ondata e schizzò verso l’alto.
   Il boato fu udito in città e lo spostamento d’aria fece tremare i vetri delle finestre, avvertendo tutti della nuova minaccia. Ma era tardi per correre ai ripari. Nel momento in cui spegneva l’occultamento, Naskeel attivò armi e scudi. In pochi secondi il Centurion sorvolò i flutti, la spiaggia e la città, puntando verso la centrale energetica. Non appena l’ebbe a bersaglio, il Tholiano aprì il fuoco con i siluri quantici, per abbattere rapidamente lo scudo. Era un grosso azzardo, perché un errore di calcolo avrebbe trasformato l’intera città in un cratere ribollente di lava, disintegrando il dilitio assieme agli abitanti. Ma Naskeel non sbagliò: i siluri abbatterono lo scudo senza provocare altri danni.
   «Via libera» disse il Tholiano.
   Rivera portò il Centurion più ad alta quota. Stava per cedere i comandi a un ausiliario, per unirsi alla squadra d’assalto, quando la navicella tremò.
   «Ci sparano dalla centrale» avvertì Naskeel. «Devono aver riattivato le armi dell’astronave. Ma con gli scudi abbassati non sono una minaccia». Aprì di nuovo il fuoco, stavolta coi cannoni phaser posti alle estremità delle ali. Quattro colpi, inflitti con precisione chirurgica, misero fuori uso le armi della Garuth. Sul vecchio scafo si aprirono degli squarci, mentre l’astronave tremava e alcuni pilastri di supporto cadevano. I detriti piovvero sulla città, danneggiando i tetti delle case. Nelle abitazioni, i vetri si frantumarono e la gente si coprì le orecchie per proteggersi dal boato. Coloro che si trovavano in strada fuggirono più lontano possibile dalla centrale danneggiata. Esplose il panico: fino ad allora la battaglia pareva lontana, ma ora la città era indifesa e subiva un bombardamento diretto.
   «Armi nemiche disattivate, possiamo andare» disse freddamente Naskeel. Anche lui lasciò la postazione a un subordinato e si unì alla squadra da sbarco. Questa comprendeva Rivera, Shati e una decina degli avventurieri più feroci. Erano tutti equipaggiati con il meglio della tecnologia federale, razziata dalle armerie della Destiny: tute semicorazzate, fucili polaronici, phaser manuali e granate stordenti. Negli zainetti avevano persino gli Sfasatori Dimensionali, che mettendo “fuori fase” la materia permettevano di attraversare le paratie.
   «Attenti, ora i caccia vi colpiranno dall’alto» avvertì il Capitano, rivolto a quanti restavano sul Centurion. «Appena saremo scesi rialzate gli scudi e andate ad aiutare le nostre navette. Cercate di sgombrare il cielo per quando dovremo risalire» raccomandò.
   «Buona fortuna» augurò Talyn, che rimaneva a bordo. «E guardatevi le spalle!» raccomandò, mentre gli avventurieri lasciavano la cabina per salire sulla pedana di teletrasporto.
   «Mandaci più vicini che puoi al dilitio» ordinò Rivera all’addetto.
   «Cento metri è il massimo che posso fare. Hanno attivato un campo di dispersione in sala macchine» rispose questi, manovrando i comandi.
   «Mi raccomando, armi su stordimento!» ribadì il Capitano alla sua squadra, nell’estremo tentativo d’evitare la carneficina. L’attimo dopo furono trasferiti nella centrale energetica, armi in pugno.
 
   Dal bunker governativo, dove si era acquartierato, il Colonnello Oisin seguì le fasi della battaglia. Vide la flottiglia nemica che attaccava, disabilitando rapidamente la chiatta, e le sue forze che rispondevano. Per diversi minuti dette ordini ai suoi, confidando che avrebbero prevalso. Ma era inquieto, perché fra le navicelle attaccanti non scorgeva il Centurion. Era di gran lunga la più potente, quindi gli avventurieri non potevano averci rinunciato. Di certo la tenevano da parte, per gettarla nella mischia al momento opportuno. E infatti...
   L’attacco del Centurion, per quanto atteso, fu così repentino e violento che i Kriosani stentarono a reagire. In pochi attimi lo scudo cittadino era andato e la centrale aveva subito gravi danni. Poi però il Centurion smise di colpire e sorvolò in cerchio la città per un paio di minuti. Infine ripartì verso l’alto, per affrontare una decina di Viper che scendevano a dargli battaglia. La città ebbe tregua, sebbene gli squarci nelle pareti della centrale ardessero nella notte. Si udirono le sirene dei pompieri, che intervenivano per spegnere i principi d’incendi.
   «Si sono teletrasportati» comprese il Colonnello. «Oisin a centrale, siete stati invasi dal nemico. Presidiate la sala macchine, non cedete di un passo!» ordinò. Si sintonizzò con le telecamere di sicurezza della centrale, per vedere con chi avevano a che fare. Fu sorpreso nel vedere che Rivera guidava personalmente l’assalto. Nel Kriosano si agitarono emozioni contrastanti: ammirazione per il coraggio dell’Umano, invidia, vergogna per il fatto che lui invece stava ben lontano dalla battaglia. Proseguendo l’osservazione riconobbe anche Shati; e come dimenticarla dopo la loro partita a Velocity? La Caitiana combatteva con un phaser per mano, schivando i colpi nemici con balzi e capriole spettacolari. Ma a calamitare l’attenzione del Colonnello fu Naskeel, il Tholiano. Corinna aveva accennato a lui, eppure vederlo dal vivo fu impressionante.
   «Sembra sbucato dall’Inferno» si disse Oisin, osservando la creatura cristallina a sei zampe che sparava con un potente fucile polaronico. Si accorse che i suoi soldati lo temevano, non avendo mai affrontato nulla di simile nemmeno nelle simulazioni. Allora contattò le truppe di rinforzo che aveva tenuto pronte, spedendole a dare manforte ai colleghi. «Squadre 1 e 2, entrate in azione. Squadre 3 e 4, tenetevi pronte...» stava dicendo, quando udì un allarme di prossimità.
   «Signore, la navetta 6 che combatteva nell’orbita è stata danneggiata. Sta precipitando come una meteora, l’impatto è imminente!» avvertì un addetto.
   «Trasferite subito gli occupanti. Dove cadrà la navetta?» chiese Oisin.
   «In mare, per fortuna».
   La meteora incandescente rigò il cielo, esplodendo con un lampo abbagliante nel momento in cui toccava il mare a poca distanza dalla costa. L’onda anomala flagellò il porto, danneggiando le imbarcazioni e inondando le banchine. Altri danni, altri feriti.
   Furioso, il Colonnello esaminò i dati sulla battaglia nell’orbita. Si rese conto che gli avventurieri stavano prendendo il sopravvento, ora che il Centurion era salito a dargli manforte. La potente navicella disintegrava un Viper dopo l’altro, spedendogli contro siluri a ricerca automatica del bersaglio. Almeno i Viper erano droni senza equipaggio... ma il Colonnello non si sentì confortato. I caccia rimanenti presero il Centurion nel fuoco incrociato e lo tempestarono di colpi, ma inutilmente. I suoi scudi erano troppo forti, non riuscivano a perforarli.
   «Signore, è inutile, la tecnologia federale è troppo superiore alla nostra» ammise un sottoposto. «Forse dovremmo arrenderci... in fondo si tratta solo di un pugno di dilitio».
   «No, è una questione d’onore!» s’impuntò il Colonnello. «E poi gli ordini del Governatore sono tassativi, nessuna resa. Per nostra fortuna, la battaglia nell’orbita è irrilevante» disse, spegnendo l’oloschermo con gesto infastidito. «L’importante è ciò che accade nella centrale. Il nemico non la distruggerà mai, per non perdere il dilitio. E là dentro il vantaggio è nostro. Squadre 3 e 4, entrate in azione. No, aspettate, mi unisco a voi!» decise d’impulso.
   «Signore, lei deve restare qui al sicuro!» si scandalizzò il sottoposto.
   «Negativo, guiderò personalmente le truppe» disse Oisin, imbracciando un disgregatore. «Così ridarò animo ai nostri. E poi la centrale è il luogo più sicuro della città. È l’unico edificio che il nemico non oserà bombardare» aggiunse fra sé, salendo sulla pedana di teletrasporto. Al suo cenno fu trasferito assieme alle squadre d’assalto.
 
   Rivera correva nei corridoi della centrale, in testa alla sua squadra, cercando di ricordare la strada che portava alla sala macchine. Ogni pochi istanti avevano qualche scontro a fuoco coi difensori, che sbucavano da tutte le parti. Ne colpirono parecchi, sempre tenendo le armi settate su stordimento. Ma quando i raggi nemici colpirono le paratie attorno a loro, facendo sprizzare scintille e lasciando chiazze scure, fu chiaro che i Kriosani non avevano lo stesso riguardo.
   «Il nemico spara per uccidere, dovremmo fare altrettanto» suggerì Naskeel.
   «No! Armi su stordimento, ho detto!» insisté Rivera, mentre i colpi gli piovevano attorno. Ormai erano vicini alla sala macchine, ne era certo. Riconosceva il settore più interno dell’antica astronave, quello meglio conservato. I numeri delle sezioni sulle pareti non mentivano, erano quasi arrivati.
   Giunti a un incrocio, sbucarono nel breve corridoio che portava direttamente alla sala macchine. Il portone blindato era là in fondo, fiancheggiato da due pilastri di rinforzo. Tra i pilastri e le pareti si aprivano delle nicchie, in cui si erano appostati quattro difensori. Il loro fuoco di sbarramento costrinse gli avventurieri a ripararsi dietro l’angolo.
   «Te la senti di passare?» chiese Rivera a Shati, alludendo alla necessità di appostarsi anche dietro l’altro angolo, per prendere i Kriosani nel fuoco incrociato. «Ti copro io» promise, levando il fucile polaronico.
   «Sono pronta» confermò Shati, un po’ ansante ma ancora in forze. I suoi muscoli felini si tesero, pronti a scattare. Le pupille a fessura si contrassero, mentre radunava la concentrazione, e le mani strinsero i due phaser con più forza.
   «Tre... due... uno... ora!» gridò il Capitano, sporgendosi per sparare.
   Sotto il fuoco di copertura, la Caitiana fece un balzo spettacolare, sparando ai difensori con ambo i phaser mentre era a mezz’aria. Ne colpì due prima di atterrare dietro all’angolo. Rotolò a terra e si rialzò subito. «È il meglio che sapete fare, cuccioli?!» si rivolse agli avversari.
   Ora che gli avventurieri presidiavano entrambi i lati, gli ultimi due difensori si trovarono in difficoltà. Uno fu stordito da Rivera, l’ultimo da Shati. «Ora!» gridò il Capitano, guidando l’assalto finale. Gli avventurieri lasciarono i ripari e corsero nel corridoio, colpendo gli avversari a terra per accertarsi che fossero davvero storditi. In breve giunsero al portone blindato.
   «Coraggio, un ultimo sforzo. Guardatemi le spalle!» disse Rivera, memore del consiglio di Talyn. Mentre i suoi eseguivano, lui settò il fucile polaronico sulla massima potenza e tagliò il portone lungo i bordi, tracciando un rettangolo completo. Non restava che abbatterlo con una spallata, sempre di averne la forza.
   «Naskeel, mi apri questa scatoletta?!» chiese il Capitano, preferendo stare sul sicuro.
   Il Tholiano parve interdetto dalla metafora, ma poi capì il senso dell’ordine e si lanciò contro il portone, abbattendolo al primo colpo. Subito si nascose in una delle nicchie laterali, temendo che all’interno ci fossero altri armati. Ma non era così: la sala macchine pareva deserta. Le luci erano basse, così che il nucleo di curvatura brillava vivido al centro. Le sue pulsazioni ritmiche, simili a quelle di un cuore, erano l’unico suono udibile.
   «Beh, niente benvenuto?» si chiese Shati, sospettosa. Le sue orecchie si mossero, in cerca d’altri rumori.
   «Forse non hanno osato provocare sparatorie qui dentro. Un colpo al nucleo e salta tutta la città» disse Rivera. Spinse la canna del fucile all’interno del salone e guardò attraverso il mirino a infrarossi, cercando un bersaglio. Non trovò nulla. «Okay, io entro. Seguitemi» disse, varcando per primo l’ingresso.
   Fu allora che un secondo portone, più massiccio del primo, si chiuse di scatto, dividendo il Capitano dal resto della squadra. Rivera fremette: era rimasto solo e doveva aspettarsi un attacco. Si tuffò di lato, per non restare allo scoperto, e si nascose dietro alcuni macchinari. Tornò a guardarsi attorno, in cerca d’avversari, ma inutilmente. Certo che, in un salone così grande, non mancavano i nascondigli. Forse i nemici erano acquattati da qualche parte, pronti a sorprenderlo appena si fosse spostato. O forse era la sua squadra, di là dal portone, quella più a rischio d’imboscate.
   «Rivera a squadra, mi sentite?» chiese, premendosi il comunicatore. Non ebbe risposta. «Fantastico, bloccano anche le comunicazioni» si disse, sudando freddo. Che fare? Avrebbe voluto riaprire il portone, per riunirsi alla squadra, ma immaginava che non sarebbe stato semplice. Di certo i Kriosani lo avevano bloccato con qualche codice di comando. E lui non voleva distrarsi, rischiando d’essere colto alle spalle. Osservando il nucleo, gli venne un’altra idea. Se estraeva il dilitio, la centrale – e tutta la città – sarebbero rimaste senza energia. Così anche il campo di smorzamento si sarebbe disattivato, permettendo alle sue truppe in orbita di teletrasportare rinforzi direttamente lì dentro. Sì, era un buon piano.
   Con quest’idea in mente, Rivera si accostò al nucleo. Cercò di ricordare la procedura con cui Corinna aveva estratto il dilitio, durante la precedente visita. Non rammentava tutto, ma del resto non ne aveva bisogno. Gran parte degli accorgimenti servivano ad attingere alle riserve per non interrompere la fornitura d’energia, cosa che invece lui intendeva fare. Così mise mano a una consolle, inserendo pochi e semplici comandi, senza curarsi delle spie che lo avvertivano dell’imminente blackout. Stava per inserire le ultime istruzioni, quando sentì qualcosa premergli contro la schiena.
   «Non muoverti, o giuro che ti ammazzo. Questo disgregatore non ha lo stordimento» gli sussurrò una voce femminile all’orecchio. Il Capitano la riconobbe: era la voce di Corinna. La Direttrice si era appostata da qualche parte e poi gli era scivolata alle spalle, approfittando della sua distrazione.
   «Mi uccideresti davvero?» chiese Rivera, con un groppo in gola.
   «Dopo che hai messo a ferro e fuoco la mia città? Lo farei con piacere!» rispose la Kriosana, la voce tagliente come una lama di rasoio.
 
   Costretti ad arretrare nel corridoio dall’improvvisa chiusura del secondo portone, gli avventurieri erano impazienti di superare l’ostacolo per riunirsi al Capitano. Il primo a reagire fu Naskeel, che sparò al portone col fucile polaronico. Ma scoprì che l’arma impiegava molto più tempo a tagliarlo.
   «Questo è un materiale diverso, insolitamente resistente. Forse c’è all’opera un intensificatore dei legami molecolari» valutò il Tholiano.
   «Quanto ci vorrà per aprirci un varco?» chiese Shati, agitando la coda per l’impazienza.
   «Cinque o sei minuti» rispose Naskeel, continuando a far fuoco.
   «È troppo, il Capitano potrebbe essere in pericolo!» protestò la Caitiana. «Faremo prima con questi» disse, estraendo gli Sfasatori Dimensionali dallo zainetto. Erano quattro congegni discoidali, fatti per aderire alle paratie. Se attivati sulla stessa frequenza mettevano la materia “fuori fase”, permettendo d’attraversarla. Shati era stata addestrata a usarli all’Accademia, facendo anche una prova pratica. Il riquadro di muro compreso tra gli Sfasatori era diventato semitrasparente e lei lo aveva attraversato come una nebbia, sbucando dall’altra parte. Dopo la sua espulsione, tuttavia, non aveva più avuto modo di usare quei sofisticati congegni.
   «Che ci vuole? È facilissimo» si disse. Vedendo che Naskeel aveva smesso di sparare, si fece avanti e applicò gli Sfasatori, disponendoli ai vertici di un’ipotetica porta. Uno in alto a destra... uno in alto a sinistra... uno in basso a sinistra... uno in basso a destra...
   Fu allora che il Colonnello Oisin apparve in fondo al corridoio, in testa alla squadra di rinforzo. Vide gli invasori davanti al portone: il suo sguardo si appuntò su Shati, che in quel momento gli volgeva le spalle e si chinava per applicare l’ultimo Sfasatore. Il Kriosano reagì in automatico: mirò alla Caitiana accucciata e fece fuoco, colpendola alla base della colonna vertebrale.
   Shati emise un grido lacerante, mentre il dolore la sommergeva, risalendo la spina dorsale fino al cervello. Le gambe le cedettero e cadde in avanti, faccia a terra. Subito infuriò la sparatoria, con il resto della squadra costretto a nascondersi nelle nicchie ai lati del portone.
   «Mi dispiace, gattina, ma non saresti dovuta tornare» si disse il Colonnello, osservando il corpo inanimato della Caitiana. Se anche non l’aveva uccisa, grazie alla sua tuta semicorazzata, un colpo del genere poteva lasciarla paralizzata dalla vita in giù per il resto dei suoi giorni.
   Vedendo le condizioni di Shati, qualcosa scattò in Naskeel. Il Tholiano prese a vibrare ed emise un fischio acutissimo, che pareva generato da tutta la sua struttura cristallina. Era un fischio così stridente, così insopportabile che tutti i contendenti dovettero interrompere la sparatoria e tapparsi le orecchie. I Kriosani in particolare, pur essendo più lontani, sembravano maggiormente vulnerabili a quella frequenza sonora.
   Naskeel non perse tempo. Approfittando del disorientamento nemico, balzò allo scoperto e corse in avanti, stordendo un Kriosano dopo l’altro. Il suo primo attacco fu diretto al Colonnello Oisin, che fu colpito al fianco e cadde faccia in avanti. Gli altri avventurieri ebbero la prontezza di unirsi all’assalto, impedendo agli avversari di raccattare il loro Colonnello: tutti quelli che ci provarono furono a loro volta neutralizzati. I pochi Kriosani ancora in piedi batterono in ritirata, sopraffatti dal fischio insopportabile, nonché dal terrore per il mostro che gli veniva addosso e per la caduta di Oisin.
   Giunto all’incrocio dei corridoi, il Tholiano si fermò. Spingersi più lontano di così sarebbe stato controproducente, perché avrebbe permesso ai Kriosani di frapporsi ancora tra loro e la sala macchine. «Fermi, attestiamoci qui» disse ai compagni. Notando il Colonnello che giaceva stordito a terra, lo afferrò per il collo e lo rialzò, sbattendolo contro la paratia. Lo shock fu sufficiente a farlo risvegliare.
   «Che razza di mostro sei?!» ansimò Oisin, cercando vanamente di liberarsi.
   «Sono l’Ufficiale Tattico della Destiny» si presentò Naskeel. «Tu ordinerai alle tue truppe di ritirarsi. Poi aprirai il portone che conduce in sala macchine. Infine ci permetterai di andarcene col dilitio. Fai questo e avrai salva la vita» promise.
   «Non farò nessuna di queste cose, pezzo di dren» boccheggiò il Colonnello.
   «Allora ci servirai come scudo» ribatté il Tholiano. Se fino a quel momento gli aveva permesso di reggersi in piedi, ora lo sollevò di peso per il collo, lasciandolo sgambettare a mezz’aria.
   «Mai arrendersi... mai piegarsi...» rantolò il Kriosano. Si aggrappò al braccio di Naskeel per sorreggersi, così che il peso del corpo non gravasse tutto sul collo. «Ho ordinato ai miei di... sparare in ogni caso...» rivelò, col viso congestionato e gli occhi iniettati di sangue.
   «Il Capitano Rivera mi ha ordinato di non uccidere nessuno» rivelò il Tholiano, fissandolo con gli occhi sulfurei. «Ma come dicono gli Umani, gli incidenti accadono». Serrò la presa sempre più forte, finché le vertebre cervicali del Colonnello si frantumarono con schiocchi raccapriccianti. Allora lo gettò via come un vecchio straccio e tornò da Shati, per verificare se era viva o morta.
 
   «Getta il fucile» ordinò Corinna, premendo il disgregatore contro la schiena di Rivera. «Gettalo là sotto» aggiunse, accennando al pozzo di controllo che circondava il nucleo. Era un avvallamento profondo un paio di metri. Una scaletta portava sul fondo, dove si trovavano alcuni controlli d’emergenza. Era da lì che si poteva accedere alla camera del dilitio, estraendo il prezioso minerale.
   Minacciato alle spalle, il Capitano fu costretto a obbedire. Una dopo l’altra gettò tutte le sue armi: il fucile polaronico, il phaser e per ultima la frusta neurale. Tutti e tre i congegni sferragliarono nell’atterrare due metri più sotto. Non era una caduta tale da metterli fuori uso, ma Rivera disperava di riuscire a riprenderli. Sentì che il disgregatore non gli premeva più contro la schiena, segno che Corinna si era allontanata un poco.
   «Ora girati, lentamente!» ordinò la Kriosana.
   «Perché, il tuo stupido onore t’impedisce di spararmi alla schiena?» chiese l’Umano.
   «Non ti sparerò, a meno che tu non faccia mosse sconsiderate» rispose Corinna. «Però ti assicurerò alla giustizia, ci puoi giurare».
   Il Capitano si voltò con lentezza, finché vide in faccia l’ex amante. E vide il disgregatore stretto nel suo pugno. Il viso della Kriosana era freddo come il marmo, congelato in una smorfia di gelido disprezzo. «Sai cosa succederà, se mi fai arrestare» disse Rivera con voce roca. «Fra poche ore Thalassa abbandonerà il Vuoto. Il pianeta svanirà... mentre io resterò. Mi stai condannando a morte!» recriminò.
   «Dovevi pensarci prima di tornare» rispose Corinna, implacabile. «Ma guardati, Capitano Rivera! Davvero pensavi che portarmi a letto mi avrebbe indotta a divenire tua complice? Devi avermi considerata una completa idiota. Cosa provi a vedere che ti sbagliavi?!». L’espressione rimase dura, ma gli occhi erano velati di lacrime.
   «Tutto quel che c’è stato fra noi era vero. Non ho mai avuto intenzione di servirmene ad altri fini» affermò l’Umano.
   «E ancora menti!» gridò la Kriosana, ferita nel profondo. «Ah, i Pacificatori avevano ragione a dire che non ci si può fidare di voi Umani. Solo adesso capisco cosa intendessero. Prima hai cercato di derubarci con l’inganno, ora con la violenza. Ma hai fallito due volte e ora pagherai, Rivera! Il tuo tempo sta per scadere» minacciò.
   In quella si udì, da oltre il portone, un fischio acutissimo, così graffiante da far accapponare la pelle. Era il grido di Naskeel, che in quel momento attaccava i Kriosani. Corinna si voltò istintivamente, temendo un attacco da quella direzione. Invece Rivera, che aveva il portone di fronte, vide subito che era ancora chiuso. E approfittò della distrazione di Corinna per scattare contro di lei.
   L’Umano afferrò la Kriosana per il polso, torcendolo con tutta la forza che aveva, tanto da costringerla a mollare il disgregatore. Non appena l’arma cadde a terra, Rivera la colpì con un calcio, gettandola a far compagnia alle altre in fondo al pozzo di controllo. Per un attimo s’illuse di aver prevalso. Poi Corinna reagì con furia indescrivibile.
   Liberatasi il polso con uno strattone, la Kriosana colpì l’Umano con una serie di pugni al plesso solare. Ne mise a segno sei o sette, in rapida successione. Rivera si piegò in avanti, col fiato mozzo; ma era solo l’inizio. Corinna lo colpì con un micidiale calcio sotto la cintura, strappandogli un grido lancinante. Poi gli assestò un calcio rotante, colpendolo sul lato della testa. Il Capitano fu gettato a terra, mezzo stordito e con la tempia sanguinante. Allora Corinna si avventò su di lui, sferrandogli un colpo alla gola col taglio della mano. Un colpo del genere, se messo a segno, gli avrebbe spezzato la trachea, mettendo fine al combattimento. Ma la Kriosana non mise a segno quel colpo.
   Riavendosi dallo stordimento, Rivera vide il pericolo e rotolò a terra, mettendosi fuori tiro. Corinna non fece in tempo a fermarsi: la sua mano colpì a tutta velocità il pavimento di duranio. Si udì un secco thud, seguito dal grido di dolore della Kriosana. Ed era solo l’inizio della riscossa. Perduto l’ultimo briciolo di controllo, Rivera si lanciò in un assalto senza quartiere. Essendo ancora a terra, con Corinna praticamente sopra di lui, l’afferrò per i capelli e la tirò in avanti, facendole sbattere la fronte contro il pavimento. Thud. Poi le puntò i piedi contro lo stomaco e fece forza con le gambe, scagliandola all’indietro.
   La Kriosana atterrò malamente di schiena, lasciandosi sfuggire un lamento, ma si rialzò con prontezza. Nei suoi occhi ardeva una furia omicida. «Ti ammazzo, carogna!» gridò. Nello stesso momento anche Rivera balzò in piedi, non meno inferocito. In mancanza delle armi tornarono a scontrarsi a mani nude, con furia bestiale, decisi a distruggersi reciprocamente.
   Fu uno scontro violentissimo, perché entrambi intendevano vincere a qualunque costo, incuranti del dolore. Rivera ricevette almeno una ventina tra calci e pugni. Ma li restituì tutti, e l’ultimo pugno scaraventò Corinna all’indietro, col setto nasale fratturato. Il Capitano barcollò e si guardò attorno, mezzo accecato dal dolore, in cerca delle sue armi. Le intravide in fondo al pozzo di controllo. Senza perdere tempo a scendere la scaletta, balzò giù. L’impatto fu duro e l’Umano, già in condizioni precarie, rotolò a terra, fermandosi in posizione supina. Alzando gli occhi, vide Corinna che si tuffava a sua volta nel pozzo con un urlo belluino. Se gli fosse piombata addosso da quell’altezza, gli avrebbe spezzato il collo.
   La mano di Rivera annaspò, in cerca di un’arma. Finalmente riuscì ad afferrarne una: era la frusta neurale. Senza perdere un solo istante, l’attivò e sferrò un colpo a piena potenza. La sferzata intercettò Corinna a mezz’aria, deviando la sua traiettoria tanto da farla sbattere contro lo sportello della camera del dilitio.
   Thud!
   La Kriosana rimbalzò come una bambola disarticolata e cadde a terra, macchiando il pavimento di sangue. Da lì non si mosse più.
   Dolorante da capo a piedi, Rivera si rialzò faticosamente, aiutandosi con ambo le mani. Zoppicò verso Corinna, per vedere se era ancora viva. Incredibilmente era viva e cosciente, anche se pareva avere una spalla lussata per l’urto contro lo sportello. I suoi occhi si fissarono sul Capitano, mettendolo a fuoco con fatica. «Perché... mi fai... questo?!» mugolò con voce rotta. Saliva mista a sangue le colava da un angolo della bocca.
   «Perché non ho avuto scelta. Se tu vinci, trecento persone sotto la mia responsabilità muoiono. E tu lo sai bene! Ecco perché non devi vincere» disse Rivera, sputacchiando sangue. Levò la frusta neurale e dette una seconda sferzata, colpendola in pieno. Solo allora la Kriosana fu completamente stordita.
   Scese il silenzio, a eccezione delle pulsazioni ritmiche del nucleo. L’Umano alzò lo sguardo e si vide riflesso sulla superficie levigata del reattore. Il suo viso era tumefatto in modo grottesco, ma non era questo a turbarlo. Aveva appena frustato e picchiato a sangue la donna che amava. Mai nella vita aveva immaginato di agire con una violenza così atroce, così scellerata, così imperdonabile. Come avrebbe fatto a guardarsi allo specchio, d’ora in poi? Cosa doveva pensare di se stesso? Eppure ciò che aveva detto era vero: l’alternativa era la morte per tutto il suo equipaggio.
   Con un sospiro che sfociò in lamento, il Capitano spense la frusta neurale e la riagganciò in cintura. Poi inserì l’ultimo ordine nella piccola consolle di sicurezza e aprì la camera del dilitio, mettendo a nudo i preziosi cristalli.
   Risuonò un allarme e le pulsazioni del nucleo cessarono, come un cuore che cessa di battere. La sua luce azzurrina si estinse, gettando la sala macchine nell’oscurità, eccezion fatta per qualche faretto d’emergenza. Il blackout era iniziato.
 
   Nell’orbita di Thalassa la situazione era ormai in mano alla flottiglia della Destiny. I caccia Viper erano distrutti fino all’ultimo, mentre le navette kriosane danneggiate avevano dovuto ritirarsi, salvo un paio che erano state abbattute. Gli avventurieri avevano appena rivolto l’attenzione all’isola sotto di loro che la videro spegnersi. Le luci della città svanirono, come anche la ragnatela luminosa che la collegava ai villaggi minori. L’emisfero notturno piombò nella completa oscurità.
   «Questo blackout può significare una cosa sola: la squadra ce l’ha fatta» disse Talyn, analizzando la centrale. «Le emissioni energetiche del nucleo sono azzerate. Il campo di dispersione non c’è più. Possiamo inviare rinforzi direttamente in sala macchine».
   «Lì ci sono due segni vitali» disse l’addetto al teletrasporto, scansionando l’area. «Uno è del Capitano, mentre l’altro è Kriosano, assai debole. Il resto della squadra sembra bloccato fuori. Un momento... i segni vitali di Shati sono critici!» si allarmò.
   «Portala a bordo! Prendi tutti!» ordinò Giely, che partecipava alla missione in previsione di un momento come quello.
   La pedana del teletrasporto s’illuminò, materializzando la squadra. Fra tutti spiccava Naskeel, che reggeva tra le braccia il corpo inanimato di Shati. «È stata colpita da un disgregatore alla spina dorsale» riferì subito il Tholiano.
   «Seguimi, non c’è tempo da perdere!» disse Giely. Guidò Naskeel al comparto cucina, che era stato attrezzato come un’infermeria improvvisata, con un bio-letto al posto del tavolo e armadietti degli strumenti ammucchiati ai lati. Il Tholiano distese delicatamente la Caitiana sul lettino, poi si ritirò di qualche passo, mentre Giely la esaminava per accertarne le condizioni. Fatta una rapida diagnosi, la dottoressa prese l’Emettitore Autonomo e lo attivò, materializzando il Medico Olografico d’Emergenza.
   «Specificare la natura dell’emergenza medica» disse l’MOE, comparendole a fianco. Anche se era un dono dei Kriosani, era stato realizzato dalla Flotta Stellare, per cui conosceva nel dettaglio la fisiologia caitiana. Quanto al suo aspetto fisico, replicava le fattezze degli antichi Proto-Umanoidi, così da apparire super partes in ogni confitto.
   «Trauma da disgregatore alle vertebre lombari, con compromissione del midollo spinale» disse Giely, mentre somministrava un potente anestetico alla paziente. «Io non sono un chirurgo, quindi dovrai operare tu. Posso farti solo da infermiera» disse, porgendogli il vassoio degli strumenti.
   «Sono pronto» disse l’MOE, prendendo un bisturi laser.
   «Shati sopravvivrà?» chiese Naskeel, che stava osservando attentamente l’operazione.
   «Eh? Certo, se la caverà» disse Giely, porgendo uno strumento dopo l’altro al Medico Olografico mentre questi operava. «La domanda è se camminerà ancora» precisò.
 
   Risalito a fatica dal pozzo di controllo, reggendo la vaschetta con il prezioso dilitio, il Capitano si trovò circondato dai bagliori del teletrasporto. Non reagì, sapendo che se erano i Kriosani non aveva scampo. Ma per sua fortuna, ad apparire furono i colleghi della Destiny. C’era gran parte della squadra che lo aveva seguito fin lì, oltre ad alcuni elementi di rinforzo. Vi erano anche Irvik e Talyn, che dovevano prendere il dilitio.
   «La flottiglia nemica è neutralizzata, le squadre per ora sono respinte» riferì Naskeel. Non menzionò la morte di Oisin, per non dover fornire dettagli.
   «Muy bien. Shati non è con voi?» chiese Rivera, notando la sua assenza.
   «È rimasta ferita gravemente. Il Medico Olografico la sta operando» rispose il Tholiano.
   Il Capitano s’incupì a questa notizia, ma cercò di restare concentrato sul dovere. «Questo è il dilitio del nucleo, ma la missione non è ancora finita. Dobbiamo cercare il resto, quello delle scorte. I Kriosani possono averlo nascosto ovunque sul pianeta. Ora che non c’è più il campo di smorzamento sarà più facile da rilevare...» ragionò.
   «Non serve cercare lontano» disse Talyn, che stava esaminando l’ambiente col tricorder. Si accostò ai container in fondo al salone e ne scoperchiò uno, rivelando i cristalli al suo interno. «Le riserve di dilitio sono ancora qui» confermò.
   «Uhm, strano che non le abbiano nascoste meglio» commentò Irvik, avvicinandosi per analizzare i cristalli.
   «Non così strano, in realtà» commentò Rivera. «Il dilitio è facile da rilevare, per cui lo avremmo trovato anche altrove. Questo era il luogo più difeso della colonia, quindi aveva senso tenerlo qui. E poi è coerente con la mentalità da “tutto o niente” dei Kriosani» ragionò. «O forse temevano che, arrivati a questo punto, li bombardassimo per avere anche il resto» si disse. Quale che fosse la realtà, era il momento di andare.
   Razziato tutto il dilitio, sia dal nucleo che dai container, gli avventurieri si fecero teletrasportare sul Centurion col prezioso bottino. Si lasciavano dietro una centrale semidistrutta e una città duramente colpita, in preda al disordine e al terrore. Tutti i caccia e le navicelle kriosane erano distrutte, così che i coloni non potevano nemmeno inseguire coloro che li avevano derubati. Informato che il Colonnello Oisin era stato trovato col collo spezzato, mentre sua nipote Corinna era in fin di vita, il Governatore si coprì il volto con le mani, ritirandosi nel suo studio. Qui singhiozzò per tutto il male che avevano ricevuto dai visitatori; infine prese una decisione.
 
   Tornato sul Centurion, Rivera ordinò alla flottiglia di radunarsi a una certa distanza da Thalassa, appena fuori dall’interfase di spazio. Lì rimasero in attesa, senza proseguire verso la Destiny. Il Capitano si recò nell’infermeria improvvisata, dove vide Shati sotto i ferri. Era un’operazione delicata e il Medico Olografico non volle sbilanciarsi sull’esito. All’Umano non restò che prendere un rigeneratore dermico e passarselo sulle ferite. Tornato in cabina, chiese un rapporto sulla situazione.
   «I Kriosani non ci inseguono. Le analisi erano corrette, non hanno più navette» rispose Talyn. «Tra poco sarà l’alba in città, e tutto il pianeta dovrebbe svanire nell’interfase».
   «Non perdiamoci lo spettacolo. Non credo che lo rivedremo più» commentò Rivera, sedendo sulla poltroncina del pilota con una smorfia di dolore. I colpi subiti da Corinna dolevano ancora, e certo in quel momento lei non stava meglio.
   «Ci chiamano dal palazzo governativo» riferì Talyn di lì a qualche minuto.
   «Sullo schermo» borbottò il Capitano, di malumore.
   Apparve il Governatore Sirran, più duro e disgustato che mai. «Ebbene, sarete fieri di voi. Il vostro vile furto è andato a buon fine. Avete il bottino che volevate, mentre il mio popolo piange e seppellisce i morti».
   «Non ci sarebbero state lacrime né vittime, se ci aveste consegnato il dilitio» ribatté il Capitano. «Il vostro stupido orgoglio ci ha condotti a questo».
   «No, sono state la vostra avidità e la vostra violenza. E io non lascerò che siano ricompensate!» ribatté il Governatore con fermezza. «Capitano Rivera, la informo che ho preso una decisione. Quando saremo tornati nella Via Lattea, non informeremo la Flotta Stellare di questi eventi. Non racconteremo cos’è accaduto alla Destiny e al suo equipaggio originale, né parleremo di voialtri impostori. Faremo conto di non avervi mai incontrati. Così sarete condannati a vagare nel Multiverso, senza ricevere alcun aiuto, finché qualcuno o qualcosa vi distruggerà. Questa è la ricompensa per la vostra vittoria!» sentenziò.
   «Parlerete almeno della minaccia Undine?» chiese Rivera.
   «No, dal momento che la Flotta vorrebbe sapere come ne siamo informati, e questo ci costringerebbe a rivelare anche il resto» rispose Sirran.
   «Allora non si atteggi a giustiziere, Governatore» ammonì il Capitano. «La sua è solo una vendetta meschina, che mette a rischio miliardi d’innocenti. Tutto per soddisfare il suo piccolo ego!» disse, e troncò la comunicazione.
 
   Passò altro tempo, finché sull’unica isola di Thalassa spuntò l’alba. Fu un’aurora pallida, perché il cielo era offuscato dai fumi delle esplosioni. Allarmi e lamenti risuonavano ancora nella città colpita. Visto dallo spazio, il pianeta non aveva perso la sua bellezza; ma a un tratto prese a impallidire. L’oceano globale azzurro divenne grigiastro, mentre i contorni dell’isola si facevano incerti e sfocati.
   «Il trasferimento è cominciato» confermò Talyn, analizzando lo spazio antistante. «Il sole e i tre pianeti stanno tornando nel nostro Universo». Mentre parlava anche la stella impallidì. La sua luce divenne sempre più fioca, come se si spegnesse lentamente.
   «Navette 1 e 2, avanzate» ordinò Rivera, volendo fare un ultimo esperimento. Le due navette partirono a velocità impulso, entrando nell’area d’interfase. Se fossero impallidite, era il segno che tutti loro potevano approfittare del fenomeno per tornare a casa. Altrimenti i Kriosani avevano ragione e il trasferimento gli era precluso.
   Passarono i secondi. La stella e i tre pianeti erano sempre più fiochi e sfocati, come acquerelli dilavati dalla pioggia. Le navette della Destiny invece erano sempre lì, con i contorni netti e definiti. I Kriosani avevano detto il vero: gli avventurieri erano giunti troppo di recente perché l’interfase facesse presa su di loro. Rivera chinò il capo, deluso dall’ennesima speranza infranta. Infine la luce solare svanì del tutto e le tenebre del Vuoto inghiottirono la flottiglia. Thalassa e il suo popolo se n’erano andati; non avrebbero fatto ritorno per i prossimi quarant’anni.
   «Capitano a flottiglia, torniamo alla Destiny. Non abbiamo più nulla da fare qui» ordinò stancamente Rivera. Dopo di che lasciò la postazione del pilota a un sostituto e andò a riposare in una delle cuccette.
 
   Il ritorno alla Destiny fu agrodolce. Sul versante positivo, i cristalli di dilitio furono subito messi in funzione, restituendo piena energia all’astronave. Dopo un mese di austerity, in cui ogni minima attività doveva passare al vaglio della sostenibilità energetica, fu una svolta gradita. La nave fu di nuovo illuminata, con tutti i sistemi a piena potenza: dai replicatori ai ponti ologrammi, dal teletrasporto alla propulsione. Anche l’infermeria ebbe di nuovo piena energia, e questo fu un bene, perché ce n’era bisogno.
   Risvegliatasi dal coma farmacologico, Shati si guardò attorno e riconobbe una saletta di degenza della Destiny. Dunque era al sicuro; ma era anche il segno che era rimasta a lungo priva di sensi. La memoria le tornò a sprazzi: la battaglia nella centrale, il suo ferimento. Provava ancora un dolore sordo alla base della spina dorsale, dove il disgregatore l’aveva colpita. Girando un poco la testa, la Caitiana notò la dottoressa Giely che le sedeva accanto.
   «Ben svegliata» la salutò la Vorta.
   «Abbiamo vinto?» fu la prima domanda di Shati.
   «Il dilitio è in mano nostra e l’energia è ripristinata» confermò la dottoressa. «Thalassa è sparito, siamo di nuovo soli nel Vuoto» aggiunse.
   «Ah. Quanto... quanto ho dormito?» mormorò la Caitiana. Si sentiva ancora debole, dolorante e molto confusa.
   «Tre giorni» rivelò Giely. «Sai, abbiamo dovuto metterti in coma farmacologico mentre ti operavamo».
   «Abbiamo?».
   «Io e il Medico Olografico. È una fortuna che i Kriosani ce l’abbiano dato, altrimenti le cose si sarebbero messe male per te. L’altra fortuna è stata la tuta da combattimento, che ha assorbito gran parte del colpo» spiegò la dottoressa. «Anche così, le tue condizioni erano serie. Hai subito un trauma alla base della spina dorsale...».
   A quelle parole Shati si agitò. «Tornerò a camminare?!» chiese. Per una sportiva come lei era inimmaginabile trovarsi costretta su una sedia a rotelle, o ingabbiata in un esoscheletro di sostegno. Cercò di alzarsi dal lettino, ma aveva ancora un gran dolore alla base della schiena.
   «Calmati» la esortò Giely, costringendola a riadagiarsi. «Il danno al midollo spinale è stato riparato. Con qualche mese di fisioterapia recupererai la piena mobilità, vale a dire che tornerai a correre e saltare come prima. C’è solo un’altra conseguenza che invece temo sia senza rimedio...» aggiunse inaspettatamente.
   «Quale?» rabbrividì Shati.
   «Forse è meglio se riposi, prima che ne parliamo...».
   «No, voglio saperlo adesso! Cos’ho che non va?!» gridò la Caitiana, sempre più agitata.
   «Niente che comprometta la tua salute. Potremmo definirlo un danno estetico...» disse la Vorta, chinandosi a raccogliere una cassetta lunga e stretta.
   Shati si alzò per quanto le riusciva e spinse lo sguardo dentro la scatola. Ciò che vide la destabilizzò nel profondo. Perché all’interno della cassetta c’era la sua coda felina, ripiegata per farcela stare tutta. A quella vista la Caitiana si tastò istintivamente il fondoschiena, trovando conferma della sua mutilazione. «La mia coda! La mia povera coda...» gemette. Per qualche secondo andò in iperventilazione, tanto che dovette fare dei respiri profondi per calmarsi.
   «Sono dolente» disse Giely. Chiuse la cassetta e andò a riporla su un comò.
   «Non me la puoi riattaccare?!» chiese Shati, col cuore in tumulto.
   «Io no di certo, dato che non sono un chirurgo» avvertì la dottoressa. «L’MOE forse potrebbe, ma ha detto che sarebbe un’operazione difficile e dall’esito incerto. Realisticamente parlando, non riavresti la mobilità della coda. Il suo parere medico è che sia meglio rinunciare. Del resto ci sono molti Caitiani che hanno perso la coda, e nonostante ciò conducono vite perfettamente normali...».
   «Col cavolo! Tu rinunceresti facilmente a un braccio o una gamba?!» protestò Shati.
   «Tu hai ancora braccia e gambe. La tua vita non sarà diversa rispetto a quella di tutti noi che siamo nati senza coda» obiettò la Vorta, cercando di consolarla.
   «Ma una Caitiana senza coda è... è... brutta!» si disperò Shati. «Nessun maschione mi vorrà più!».
   «Considerato che non ci sono Caitiani di sesso maschile a bordo, il problema è rimandato a se e quando torneremo» puntualizzò Giely.
   «Ah certo, per te è una bazzecola! Voi Vorta siete praticamente asessuali, dico bene?!» protestò la timoniera.
   «Dici benissimo. In ogni caso, ribadisco che la perdita della coda è un danno puramente estetico, che non inficia in alcun modo il resto dell’organismo» chiarì la dottoressa. Lasciò la camera di degenza, per consentire alla paziente di venire a patti con la realtà.
 
   Nei giorni successivi la vita di bordo tornò gradualmente alla normalità. I feriti furono dimessi dall’infermeria, mentre negli hangar fervevano i lavori per riparare le navette danneggiate. Il Centurion aveva pochi danni, pur essendosi trovato al centro della battaglia, e fu riparato per primo. Ora che avevano constatato la sua potenza, gli avventurieri volevano tenerlo in ottime condizioni.
   Anche Shati fu dimessa dall’infermeria e tornò in servizio, con nuovi abiti adatti alla sua condizione di senza-coda. La Caitiana si era fatta più cupa e taciturna. Se mai si fosse trovata di nuovo coinvolta in una sparatoria, c’era da credere che sarebbe stata meno avventata. Per il momento comunque aveva ben poco da fare, perché la Destiny restava stazionaria. Toccava al Capitano decidere quando riprendere l’esplorazione del Multiverso. Ma i giorni passavano e Rivera si mostrava raramente all’equipaggio. Quando non era nel suo alloggio trascorreva il tempo nel suo ufficio, salutando a malapena gli ufficiali nei momenti in cui transitava dalla plancia.
   «È in preda a una terribile melanconia» disse Irvik a Losira, quando ne discussero in sala mensa. «Ci parli lei, che lo conosce da tempo. Cerchi di scuoterlo!» consigliò.
   «Ci proverò» sospirò la Risiana, pur sapendo che non sarebbe stato facile. Il Capitano era depresso per la battaglia e lei era una di quelli che avevano più insistito per sferrare l’assalto.
 
   Sentendo il cicalino della porta, Rivera non rispose. Rimase ostinatamente zitto, anche quando il segnale si ripeté con insistenza per un intero minuto. Ma quando sentì bussare, perse la pazienza. «Avanti!» ordinò seccamente.
   Entrò Losira, che pur essendo tornata agli abiti civili aveva un aspetto più morigerato del solito, come se qualcosa della Flotta le fosse rimasto appiccicato. «Capitano, devo parlarti» esordì.
   «Sentiamo» fece lui.
   «So che stai soffrendo per via della battaglia. E soffri ancora di più perché amavi Corinna e hai dovuto lasciarla nel peggiore dei modi» disse la Risiana. «Il fatto è che, per quanto siano terribili queste cose, tu non ne hai colpa».
   «Ah, no? L’ultima volta che ho visto Corinna abbiamo avuto una colluttazione. Ho dovuto picchiarla e frustarla per metterla fuori combattimento. Pensi davvero che non abbia colpa?» chiese Rivera.
   Losira tacque un poco, impressionata. «Se c’è colpa, allora la condividiamo tutti quanti. Ti abbiamo messo in una situazione senza alternative» disse infine. «Forse, se fossimo stati più bravi nella recita, i Kriosani non avrebbero scoperto chi siamo e tutto sarebbe filato liscio...».
   «No, la recita è parte del problema» sospirò il Capitano. «Avrei dovuto ascoltare Irvik ed essere onesto fin da subito. Invece ho cercato la via più facile... finendo per rendere le cose più dolorose per tutti».
   «Hai solo cercato di salvare il tuo equipaggio, come fa ogni buon Capitano. E ci sei riuscito: abbiamo di nuovo energia» lo confortò la Comandante.
   «Già, ma siamo ancora dispersi nel Multiverso. Ed essendo in rotta coi Kriosani, loro non parleranno di noi alla Flotta Stellare. Il che azzera le possibilità che qualcuno venga ad aiutarci!» sbottò Rivera, divorato dai rimorsi.
   «Pensi che i federali sarebbero venuti?» chiese Losira, un po’ scettica.
   «Per recuperare la nave, certo!» rispose il Capitano. «Con noi sarebbero stati poco teneri. Sai, comincio a chiedermi se in fondo non abbiamo meritato questo esilio» aggiunse, più malinconico. «Da dove veniamo, tutti ci odiano e ci danno la caccia. Forse è un bene se non torniamo indietro. Nessuno sentirà la nostra mancanza, anzi molti ne saranno felici».
   «Posso darti un consiglio, Capitano? Non lasciare che siano le opinioni altrui a definirci, perché gli altri sono più piccoli e meschini di quanto vogliano ammettere. Ci fanno la predica, ma al nostro posto avrebbero agito come e peggio di noi» sostenne Losira. «I Kriosani, ad esempio, volevano sacrificarci non certo per proteggere chissà quale tesoro insostituibile, ma solo per lenire il loro orgoglio ferito. Hanno fatto i bastardi e noi li abbiamo legnati; magari tocca a loro mettersi in discussione!».
   «Quindi vorresti che ci auto-assolvessimo?» chiese Rivera, con una smorfia ironica.
   «Vorrei solo che ti mettessi il cuore in pace» chiarì la Risiana. Posò le mani sulla scrivania, sporgendosi in avanti così da essergli più vicina. «Ti sei trovato in una situazione impossibile e hai scelto il male minore: salvare l’equipaggio procurando solo un piccolo incomodo ai Kriosani. Se poi loro l’hanno trasformata in una battaglia campale, ebbene, è stata una loro scelta e ne hanno pagato le conseguenze. Gli incidenti accadono, per quanto ci sforziamo d’evitarli!».
   «Già, gli incidenti accadono» convenne l’Umano. Era un po’ il leitmotiv della sua vita.
   «E se quei bigotti non parleranno di noi alla Flotta Stellare per ripicca, pazienza! Ho fiducia che un giorno torneremo indietro, con o senza aiuti» dichiarò Losira. «E adesso torna in plancia, Capitano: l’equipaggio ha bisogno di vederti».
   «Chi sono io per deludere l’equipaggio?» sospirò Rivera, lasciando la poltrona dell’ufficio. Seguì la Risiana in plancia, per riprendere il comando della Destiny. La loro odissea nel Multiverso era appena iniziata. 

 

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Capitolo 6
*** Epilogo ***


-Epilogo:
Data Stellare 2611.241
Luogo: Quartier Generale della Flotta Stellare, Terra
 
   Era una giornata tersa ad Atlantide, l’isola artificiale su cui sorgevano le infrastrutture chiave della Federazione e della Flotta. La brezza marina faceva garrire le bandiere della Flotta Stellare sui pinnacoli dell’imponente palazzo. Lontano da lì, un nuovo Quartier Generale prendeva forma. Si trattava di una struttura avveniristica, dalle forme sinuose, che si librava direttamente nello spazio. Dopo anni di lavori, la costruzione si avviava al termine: l’inaugurazione sarebbe stata un grande evento. Ma per il momento la sede della Flotta era ancora lì sulla Terra, con le fondamenta ben piantate al suolo. Lì risiedevano gli ammiragli, con i loro staff. E quindi fu lì che la dottoressa Corinna entrò a passo svelto. Dopo sei mesi dallo scontro con Rivera, la Kriosana non recava più i segni della violenta colluttazione. Anche il braccio slogato era tornato a posto, con l’adeguata fisioterapia. Entrata nella grande e luminosa hall, piena di alieni d’ogni specie che sbrigavano un’infinità di faccende, Corinna si diresse senza esitazione a uno degli sportelli.
   «Buongiorno, signora...?» chiese l’impiegato, un allampanato Kelpiano.
   «Direttrice Corinna, della colonia Thalassa» rispose la Kriosana, porgendogli un documento d’identità. «Sono mesi che cerco di avere un colloquio con qualche Ammiraglio, per una questione riservata della massima importanza. Ieri mi hanno avvertita che l’Ammiraglio Hod era disponibile a un incontro».
   «Vediamo...» fece il Kelpiano, verificando gli appuntamenti su un oloschermo. «Sì, ha un colloquio con l’Ammiraglio prenotato per oggi alle 16. È arrivata con grande anticipo» notò.
   «Come le ho detto, è una faccenda importante. Mi può indicare la strada?» chiese Corinna, cercando di nascondere la tensione.
   «Segua il drone» disse l’impiegato, premendo un comando sull’interfaccia della scrivania. Da un apposito foro nella parete alle sue spalle uscì un piccolo drone volante, di forma sferica, non più grande di una pallina da tennis. Il drone prese a levitare a un metro e mezzo da terra, dirigendosi a passo d’uomo verso la giusta direzione. Intanto il Kelpiano restituì a Corinna il documento d’identità, dopo averlo convalidato. «Raggiungerà una sala d’aspetto, dove le diranno quando potrà entrare» spiegò.
   «Grazie» fece Corinna, seguendo il drone verso le scale mobili più vicine.
   «Non ha alcun bagaglio con sé? Valigette, documenti?» si stupì il Kelpiano, seguendola con lo sguardo.
   «È tutto qui dentro» rispose la Kriosana, picchettandosi la tempia.
 
   Seguendo il drone, Corinna si fece strada nel Quartier Generale, da un piano all’altro e da un settore all’altro. Più saliva, più le misure di sicurezza si facevano stringenti. La sua identità fu verificata più volte, anche con lettori di DNA e scanner molecolari. Gli agenti della Sicurezza la scansionarono da capo a piedi, per accertarsi che non avesse armi nascoste. Corinna comprendeva il motivo di quelle precauzioni: gli Ammiragli avevano molti nemici. Perciò sopportò tutto senza protestare.
   Giunse infine alla sala d’attesa, dove una segretaria Boslic dalla chioma violetta la invitò a sedersi: «Si accomodi, l’avviserò quando l’Ammiraglio potrà riceverla. Sa, è una persona molto impegnata».
   «Sì, certo» fece Corinna, sprofondando in una delle comode poltroncine. Il drone che l’aveva guidata fin lì tornò indietro, certo per fare da guida a qualche altro visitatore. Durante l’attesa – lunga per via dell’anticipo – la Kriosana osservò il paesaggio fuori dalla finestra di trasparacciaio. Alla fine aveva raggiunto la Terra, come aveva sempre sognato. Anche se non era lì in visita turistica, era una bella soddisfazione. Atlantide le piaceva: a parte la maggior monumentalità dei palazzi, non era poi così diversa da Thalassa. Certo, sulla Terra c’erano molti altri ambienti. Peccato che non li avrebbe potuti visitare; non ne aveva il tempo.
   «Può entrare» disse finalmente la segretaria.
   A quelle parole Corinna scattò in piedi come una molla. Il cuore le batteva forte. Che ironia: aveva lottato mesi per arrivare a quel punto, sacrificando ogni altro interesse, eppure adesso era assalita dai dubbi. Aveva viaggiato per centinaia d’anni luce, eppure temeva di fare gli ultimi passi.
   «Tutto ciò che ho fatto finora è reversibile. Ma se entro in quella stanza, niente sarà più come prima» si disse. C’era persino la possibilità che suo zio le negasse il ritorno in patria, trasformandola in un’esule senza fissa dimora.
   «L’Ammiraglio la attende» ribadì la segretaria, notando la sua esitazione.
   «Oh, al diavolo!» si disse la Kriosana. Fece un respiro profondo e varcò l’ingresso.
 
   L’ufficio dell’Ammiraglio Hod era vasto e accogliente, con numerose piante ad abbellirlo. Su una parete campeggiava l’immagine dell’USS Keter, l’astronave che Hod aveva comandato per dieci anni quand’era Capitano e con cui aveva combattuto la durissima Guerra Civile.
   «Salve, Direttrice Corinna. Si accomodi» la invitò l’Elaysiana, accennando a una sedia davanti alla sua scrivania. I capelli biondi si stavano ingrigendo per l’età, ma Hod aveva ancora la mente attenta e strategica che le aveva permesso di affrontare le peggiori avversità.
   «Grazie, Ammiraglio. Le sono grata di avermi ricevuta» disse Corinna, accomodandosi.
   «Lo avrei fatto anche prima, se la sua situazione non fosse così delicata» precisò l’Elaysiana. «A quanto ho capito, lei è espatriata contro il volere del suo governo. Il Governatore Sirran la sta cercando, reclama la sua estradizione. Però non è in grado di dimostrare che lei abbia commesso alcun reato, in patria o altrove. Allora, può dirmi che cosa succede?».
   «È semplice, Ammiraglio. Noi abitanti di Thalassa siamo in possesso d’informazioni riservate sul conto dell’USS Destiny, la nave scomparsa sei anni fa» rivelò la Kriosana. «Purtroppo mio zio, il Governatore, non vuole che vi raccontiamo nulla, a causa di una meschina vendetta che vuol prendersi contro l’equipaggio di quella nave. Così ci ha proibito tassativamente di parlare».
   «E lei non condivide questa politica?» indagò l’Ammiraglio.
   «All’inizio la condividevo» ammise Corinna, incupendosi. «Ma riesaminando l’accaduto, sono giunta alla conclusione che quanto stiamo facendo è sbagliato. A prescindere da ciò che è accaduto fra noi e la Destiny, è giusto che siate informati su quella nave. Poi sarete voi a fare ciò che riterrete opportuno». In effetti la Kriosana aveva avuto molto tempo per riflettere sull’accaduto, mentre giaceva convalescente in un letto d’ospedale dopo la battaglia. Man mano che la rabbia sbolliva, e anche l’umiliazione si stemperava, aveva cominciato a capire perché gli avventurieri fossero arrivati a tanto.
   «Uhm... Direttrice Corinna, è consapevole che dalla scomparsa dell’USS Destiny si sono rincorse teorie e voci a non finire su ciò che le è capitato?» chiese Hod, rivolgendole uno sguardo penetrante. «Ci sono stati centinaia di falsi avvistamenti in tutta la Federazione e anche fuori. Persone d’ogni tipo che spergiurano di averla vista, d’essere state a bordo, di aver parlato con l’equipaggio. Ma nessuna di queste testimonianze ha retto a una seria indagine. In effetti comincio a stancarmi dei falsi allarmi» avvertì.
   «Io posso dimostrare le mie affermazioni» assicurò la Kriosana. «Conosco dettagli tecnici sulla Destiny che non sono stati divulgati. Ad esempio so che il nucleo quantico possiede un collettore triciclico d’immissione, il primo che la Flotta abbia collaudato nello spazio profondo» rivelò. «Inoltre so che la missione originale della Destiny prevedeva di raggiungere lo Spazio Fluido, per negoziare un trattato di pace con gli Undine».
   L’Elaysiana aggrottò la fronte. «Queste sono informazioni altamente riservate, come le ha avute?» chiese.
   «Ammiraglio, se so queste cose è perché sono stata sulla Destiny e ho parlato faccia a faccia con i suoi ufficiali!» s’infervorò Corinna. «Volevano che vi trasmettessi un rapporto sulle loro vicissitudini e delle lettere personali per le famiglie. È solo per una tragica serie d’incomprensioni col mio governo che tutto ciò non è stato possibile».
   «D’accordo, lei ha la mia piena attenzione» disse Hod, disponendosi all’ascolto. «Mi racconti per filo e per segno che cosa è accaduto. Non tralasci alcun dettaglio, per quanto personale; le prometto fin d’ora la massima riservatezza» garantì.
   «Grazie, Ammiraglio» disse Corinna, esalando un sospiro. «La prima cosa che deve sapere è che la Destiny esiste ancora, seppur smarrita nel Multiverso. Il suo equipaggio sta tentando disperatamente di tornare a casa. Però, vede... loro non sono quelli che pensa. L’equipaggio originale è stato ucciso dagli Undine e un altro ha preso il suo posto. Sono una banda di furfanti pronti a tutto; e forse è quel che ci vuole per sopravvivere in quelle condizioni. Il nuovo Capitano si chiama Armando Rivera ed era uno dei vostri, prima che lo sbatteste fuori».
   «Continui» disse l’Ammiraglio, sempre più interessata.
 
 
FINE

 

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