Aletheia

di Flofly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bellatrix ***
Capitolo 2: *** Andromeda ***
Capitolo 3: *** Narcissa ***
Capitolo 4: *** (Nympha)Dora ***



Capitolo 1
*** Bellatrix ***


Bellatrix

Quando aveva sentito il Marchio Nero bruciare come mai aveva fatto prima, Rodolphus Lestrange aveva capito da subito che il mondo non sarebbe stato più lo stesso. Un grumo di dolore incandescente incideva la sua carne, riversando un magma corrosivo all’interno delle sue stesse vene prima di esplodere nel suo petto, mozzandogli il respiro... e poi più nulla… il vuoto.

E subito dopo il terrore nel non sapere dove fosse lei, l’unica persona che avesse mai amato, la sola di cui gli fosse davvero importato. Era la sera di Samhain del 1981, la sera in cui la sua vita sarebbe cambiata per sempre.

Era uscito di corsa dalle stanze padronali senza una meta precisa, i passi che riecheggiavano folli sulle mura di pietra mentre gli elfi al suo passaggio cercavano inutilmente di dileguarsi, pietrificati all’idea di cosa avrebbe potuto fare in quello stato. La chiamava, inutilmente, inseguendo l’ombra del suo profumo.

L’aveva lasciata da Lord Voldemort quella mattina con la promessa di vedersi dai Malfoy per cena, Bellatrix che lo salutava con un cenno distratto, sempre bellissima e vibrante di potere. Ma lei non era mai arrivata.

Inizialmente aveva pensato che Lord Voldemort l’avesse trattenuta, la mente che si chiudeva alla sola idea del motivo. Non voleva saperlo, non aveva mai voluto saperlo. L’unica cosa che importava davvero era che tornasse ogni sera a casa da lui.

Ma le ore erano passate inutilmente, mentre una nuova era li attendeva nelle pieghe della notte, lasciandoli illudere di poter restare eternamente giovani e potenti come il Marchio Nero inciso a fuoco nella loro anima.

Narcissa aveva provato a distrarlo, ma né le sue eleganti maniere né l’incessante insieme di parole senza senso del piccolo Draco erano riuscite a trovare una scusa plausibile per quella sedia inesorabilmente vuota. Li aveva guardati a lungo, mentre giocavano alla perfetta famiglia felice. Come se le mani di Lucius non grondassero di sangue tanto quanto le sue anche quando accarezzava la gamba della moglie sotto al tavolo o quando prendeva in braccio il figlio finalmente silenzioso per portarlo a dormire.

Poveri illusi, nessuno avrebbe mai creduto a quella farsa, erano solo schiavi delle loro stesse bugie. Aveva osservato Narcissa: sottile, elegante, pacata, sempre impegnata in una danza incessante che le evitasse di partecipare alla guerra, rimanendo perennemente ai bordi a osservare dietro le lunghe ciglia dorate. Una bellissima quanto inutile statua.

L’esatto contrario di Bellatrix, la sua Guerriera, il fuoco che ardeva dietro gli occhi scuri come l’ossidiana, la forza che irradiava in ogni suo minimo gesto, la passione delle sue labbra contro le sue. Bellatrix era la quintessenza della magia e come una vera strega l’aveva legato a lei dal primo sguardo di un pomeriggio lontano di settembre quando il destino aveva intrecciato le loro strade.

Erano passati giorni ormai e l’assenza di Bellatrix allargava a ogni respiro la voragine che si era formata nella sua anima, se mai ne avesse avuta una. Ora che l’impensabile era accaduto, adesso che Il Signore Oscuro era caduto e neanche la sua amata stella incandescente era lì a illuminare il suo cammino, l’oscurità di cui finora si era nutrito sembrava soffocarlo come le acque gelide del Lago Nero.

«Sono certo che sta bene, Rod, smettila di camminare avanti e indietro come se avessi un Avvincino attaccato alle spalle.»lo blandì Rabastan seduto nella grande poltrona di pelle del suo studio, lo stesso che una volta era stato di loro padre, mentre sfogliava distratto le lettere appena portate dal loro gufo gettandole noncurante in terra una dopo l’altra. «E di’ a tua cognata di piantarla di scriverci…Merlino sarà il decimo biglietto in cui chiede se abbiamo notizie della sorella. Aveva ragione Lady Black...tanto bella ma per Salazar Serpeverde... è stupida come un elfo domestico.»

Rodolphus si sentì invadere da una rabbia folle… come poteva il suo stesso fratello starsene lì tranquillo, ospite a casa sua, a leggere la sua posta e commentare il bollettino dei caduti nei giorni di caos che erano seguiti alla scomparsa del Signore Oscuro, indifferente al fatto che nessuno avesse notizie di Bellatrix da giorni.

«Tu non ti preoccuperesti se io sparissi, fratello?»

Rabastan sembrò perplesso. «Certo che no. Tanto se fossi morto non credo che cambierebbe molto se mi agitassi come fai tu. E poi stiamo parlando di Bellatrix… probabilmente sarà impazzita e si sarà gettata da una scogliera», commentò, scandendo le parole, quasi stesse parlando con un bambino un po’ lento. Poi, visto il ringhio basso che sembrava provenire dalla gola del fratello maggiore aggiunse conciliante aggiunse: «Però sono certo che prima di farlo abbia sventrato almeno un paio di babbani, ha sempre avuto stile.»

Un leggero crack, un’increspatura dell’aria attorno come durante un temporale e la sua rosa nera era lì, di nuovo a casa, lacera e coperta di sangue rappreso, ma al sicuro.

Era tornata da lui, ancora una volta.

«Oh per Merlino…dove diavolo eri finita?» Rodolphus aveva chiuso velocemente lo spazio tra di loro, percorrendo con poche falcate ansiose l’intera lunghezza della stanza fino a stringerla a sé, le mani sulle guance, tra i capelli, sulla vita e le labbra che premevano con forza sulle sue. Ma questa volta sotto il suo tocco non c’era nessuna fiamma ardente, nessuna supernova bruciante.

Quella che stringeva tra le braccia non era più la sua amazzone ma solo una sua pallida ombra, un guscio vuoto tenuto in piedi solo dalla disperazione.

«Il Signore Oscuro… Il Marchio Nero...» parole spezzate e febbrili che uscivano da quelle labbra così amate.

«Andato. Sparito. Adieu.» la voce annoiata di Rabastan era stata poco più di un bisbiglio eppure ebbe l’effetto della prima scintilla dell’ardimonio su una catasta di legna secca.

Bellatrix si raddrizzò, staccandosi da Rodolphus e guardando il cognato con disprezzo. Un secondo dopo la sua bacchetta ad artiglio era puntata sulla gola di Rabastan.

«Non… osare…» sibilò, sputando le parole con una tale rabbia che fu davvero un miracolo che la testa elegante del giovane Lestrange non venisse recisa di netto dalla lama affilata del suo odio.

Rodolphus le si avvicinò di nuovo, stringendola per le spalle e sussurrandole nell’orecchio: «Non c’è niente che possiamo fare, Bella, Lo abbiamo cercato per giorni ma di lui non c’è traccia.»

«Il bambino! Il bambino è la chiave! Dobbiamo trovarlo!» Bellatrix si divincolò dalla sua stretta e iniziò a camminare rapida per la stanza, le mani che si muovevano come tarantolate nell’aria seguendo il flusso sincopato della disperazione. «Ne sono sicura! C’erano solo i cadaveri di quei due mentecatti e quello stupido di Sirius è stato portato ad Azkaban... non c’era traccia del dannato bambino. Capisci? Se troviamo lui riusciremo a sapere cosa è accaduto!»

Rodolphus si avvicinò di nuovo, tentando nuovamente di intrecciare le dita alle sue per riacciuffare un briciolo della donna che aveva sempre amato.

«E poi cosa succederà, Bella? Ti rendi conto di quello che sta accadendo lì fuori? Senza la sua protezione non siamo più al sicuro!»

«Io devo trovarlo!» urlò di nuovo la strega mentre dietro di lei i preziosi vasi di porcellana settecentesca esplodevano in mille frammenti taglienti.

A sentire quelle parole il buco nell’anima di Rodolphus sembrò allargarsi sino a inghiottire ogni suo pensiero. Si fermò a guardare la sua bellissima moglie che dopo essere sparita per giorni non sembrava avere altro pensiero che Lui, Il Signore Oscuro, l’immateriale presenza onnipresente nel loro matrimonio.

«Perché mi fai questo, Bella? Perché non puoi lasciar stare? Siamo insieme, siamo vivi… andiamo via, scappiamo in Francia o in America o dove Merlino vorrà e ricominciamo. Non ci manca niente. Sono disposto a qualsiasi cosa pur di non rivivere questi giorni. E’ stato peggio di una Cruciatus, Bella e la cosa terribile che sei stata tu a maledirmi e sembra che non ti interessi.» La voce dell’uomo era poco più che un sussurro eppure l’eco del suo dolore era talmente chiara che persino Bellatrix si fermò, incerta.

«Che cosa vuoi dire?»chiese, gli occhi diventati una fessura.

«Quando pensavo che fossi tu, che fossi morta… è stato insopportabile.» ammise Rodolphus, mentre il volto trasfigurato dal dolore davanti a lui ritornava per un attimo quello della ragazzina che aveva fermato il tempo con il suo primo bacio sotto la neve di Hogwarts.

La donna rimase in silenzio a lungo, troppo a lungo, immobile.

«Io sono quello che sono, non posso rinunciarci» disse infine, con un tono di amarezza della voce che non le si addiceva. «Sai quante volte hanno cercato di cambiarmi? Di trasformarmi in qualcun altro! Ma io non posso, Rod, io non posso rinunciare a me. Neanche per te.»

«Non ti sto chiedendo di rinunciare, non lo farei mai.»

«Preferisci rinunciare a me? Sacrificheresti questo? Se lo facessi, è come se fossi morta per davvero.» Bellatrix finalmente si mosse verso di lui fino ad arrivargli davanti fissandolo senza alcuna ombra nello sguardo, non più come un serpente pericoloso ma come quella ragazza che percorreva la sala grande di corsa solo per saltargli in braccio ignorando le urla dei professori.

Rinunciare a lei? Alla sua Bellatrix, la sua fiamma ardente nella notte? Come poteva anche solo pensarlo? La sola idea gli dilaniava l’anima con artigli infuocati lasciandone brandelli senza alcuno scopo.

Il tocco delicato della sua mano sulla guancia lo riportò alla realtà, l’unico legame che gli impedisse di perdersi. Quando si era innamorato di una Black l'avevano preso per folle. L’antichissima e sempre pura famiglia dei Black. Inflessibile, capace di spazzare via ogni debolezza, ogni caduta dalle altezze siderali di cui portavano i nomi.

«Mai, amore mio. Mai.» mormorò, baciandole il palmo della mano, inspirando a fondo il suo profumo di tuberosa narcotica e suadente, antico come il suo sangue. E poi nascosto quel sentire cuoiato e animalico che solo Bellatrix Black in Lestrange poteva avere e che aveva rincorso ogni notte nei suoi sogni.

«Mi aiuterai a trovarlo quindi?» Gli occhi di Bellatrix brillavano di nuovo, le belle labbra di nuovo in un sorriso mentre lui annuiva senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso.

La sua Bella, era lì con lui, ancora una volta.

«Io avrei un’idea di chi può sapere dov’è il piccolo, giovane e tenero Harry Potter».

Rodolphus e Bellatrix si girarono di scatto verso Rabastan, che si era avvicinato sornione con una fotografia in mano e uno strano ghigno.

Per un attimo il loro sguardo si incontrò con quello dei soggetti della foto, un insieme mal assortito di traditori del sangue e di Babbanofili. James e Lily Potter erano morti, così come i Prewett. Sirius Black era stato portato ad Azkaban, Remus Lupin era sparito e Alastor Moody era troppo folle da affrontare in quel frangente.

Restava solo una coppia.

«E’ ora di andare a giocare.» pigolò Bellatrix con una vocetta sottile da bambina dandogli un bacio leggero a fior di labbra.

Un secondo crack ed era andata di nuovo via. Sempre la prima, incapace di essere qualcuno di diverso da quello che era sempre stata, di rinunciare anche solo a un'oncia del suo essere.

Bellatrix Black, l’indomabile. La guerriera. La stella più brillante incapace di piegarsi indispensabile alla sua sopravvivenza come l’aria stessa.

Impossibile rinunciare a lei, cento volte meglio cadere tra le sue fiamme fino a perdersi del tutto. Perché perderne anche un solo frammento avrebbe significato scomparire.

 

Nota del 412/22: Grazie a Sia ho potuto correggere una serie di problemi presenti nella prima stesura ( trovate tutte le sue correzioni puntuali nei commenti e la ringrazio enormemente per tutto il tempo che ci ha dedicato) relative a typo, impaginazione e grammatica. Per quanto riguarda invece lo stile, credo proprio che su quello dovrò lavorare ancora un bel po’!
Eccoci qui nelle note finali. Come detto la storia partecipa al contest "Birdwriting – Pesca un dialogo" indetta da Sia_ sul Forum Ferisce più la penna”
Io ho scelto il pacchetto “Cormorano di Mancón” ( a proposito ma non è adorabile già il nome?) e il dialogo era il seguente:
Che cosa vuoi dire?”
“Quando pensavo che fossi tu, che fossi morta… è stato insopportabile.”
“Io sono quello che sono, non posso rinunciarci.”
“Non ti sto chiedendo di rinunciare, non lo farei mai.”
“Preferisci rinunciare a me? Sacrificheresti questo? Se lo facessi, è come se fossi morta per davvero.”
Per me il punto fondamentale era quello di cogliere un momento in cui ogni sovrastruttura cade e ci si ritrova in un momento cruciale capendo che non si può rinunciare né al proprio essere né all'altra persona.
Ed è da questa riflessione che deriva il titolo grazie al suggerimento di una cara amica : Aletheia è spesso tradotta come la verità ma guardando l’etimologia della parola “a-ltheia significa assenza di cose nascoste, ciò che è svelato nellaccezione di aderenza a sé. Bellatrix in un momento cruciale per lei, la scomparsa dellOscuro Signore, agisce in un modo terribile ma corrispondente alla sua verità e di conseguenza al suo tutto. Al contempo però capisce di amare Rodolphus, forse come mai prima.
Ovviamente il fatto che Rodolphus sia follemente innamorato di Bellatrix al punto da fare qualsiasi cosa per lei è puramente una mia costruzione mentale, così come il fatto che Rabastan sia un sociopatico che mi bullizza Narcissa.
Nota a margine 2:- aggiornata Appena letto il dialogo subito ho pensato alle sorelle Black. Inizialmente l’idea era quella di giocare con il dialogo su tre prospettive diverse quanto le tre sorelle nel momento in cui capiscono di non poter rinunciare ad essere quello che sono, il momento in cui con le loro azioni non lasciano più spazio a nulla di nascosto, viste dalla prospettiva di coloro che le amano e che amano.Ora che il contest è ampiamente finito ho iniziato a scrivere le storie su Andromeda e Narcissa ( mi conservo la possibilità di aggiungere Nymphadora, visto che è una mezza Black).
L'idea di base è semplice: prendere lo stesso dialogo e utilizzarlo per raccontare il momento fondamentale in cui ciascuna delle sorelle Black si scopre pienamente, senza più veli e maschere. Stesso dialogo, stessa attesa da parte dei compagni della loro vita, stessa nota olfattiva che le accumuna: la tuberosa. E' un fiore spesso definito narcotico, lussureggiante, poco usato nei profumi commerciali e che secondo me rende bene l'idea di tre donne nate nella sempre pura e nobile famiglia Black. Ma così come le loro scelte portano a momenti completamenti diversi nell'uso del dialogo, anche la nota evolve in combinazioni sempre diverse.


Nota a margine 3 : il profumo che ho pensato per Bellatix è Boa Madre di Cristian Cavagna.


 

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Capitolo 2
*** Andromeda ***


 

Nota brevissima prima di iniziare: è un missing moment totalmente inventato. Ho cercato di inserire le informazioni importanti nel testo ma per ulteriori note ci vediamo alla fine!
 


Andromeda


Da quanto tempo era seduto ad aspettarla?

Minuti.

Ore.

Secoli.

Aveva perso il conto, come sempre. E ancora una volta si diede dello sciocco per averla assecondata, per non averla costretta a fare le cose a modo suo.

C’era un silenzio quasi irreale attorno a loro, dopo che avevano spento la radio, insopportabile nel suo incessante elenco di incidenti. Quando era stato annunciato il ritrovamento del cadavere di una ragazza dai lunghi capelli scuri proprio nei pressi di Villa Black, il suo cuore era quasi esploso. Era stato allora che Molly aveva deciso di silenziare il mondo esterno.

E se fosse stata lei?

L’aveva implorata di non andare, di lasciar perdere quela stupida foto. Un dannato pezzo di carta che l’aveva ossessionata da quando aveva deciso di rivelare al mondo la loro storia d’amore. Ma ovviamente lei lo aveva ignorato, limitandosi a baciarlo leggera sulle labbra prima di scomparire. Così come aveva fatto quando le aveva proposto di andare a vivere insieme, preferendo invece accettare l’invito dei Weasley a stare da loro fino a quando le acque non si fossero calmate.

Sembrava andare tutto bene ma poi aveva iniziato a dare di matto per quella foto, rovistando in ogni angolo del baule che si era portata da Hogwarts, l’unico ricordo della sua vecchia vita. Aveva blaterato di qualcosa sulla sorella e una promessa, ma onestamente Ted era convinto che per una volta, una sola dannatissima volta, gli avrebbe dato ragione. E invece, come al solito, per lei era impossibile passare oltre.

«Vedrai che tra poco sarà qui.»Arthur si era seduto accanto a lui sul divano,posandogli una mano sulla spalla con fare rassicurante, mentre una tazza di cioccolata fumante e profumata allo zenzero candito si depositava sul tavolino d’abete davanti a loro.«Su prendi qualcosa, sei gelato.»

Uno sbuffo e la tazza venne affiancata da un bicchiere ripieno di un liquido ambrato mentre Molly si metteva al suo fianco dall’altro lato, un tornando di riccioli rossi in un vestito di lana color ruggine appena teso sulla pancia «Ma quale cioccolata e cioccolata. Qui ci vuole qualcosa di forte. D’altronde è sempre una Black ... Merlino sai bene che saranno anni fantastici ma ha il suo bel caratterino» disse con un sorriso complice strizzandogli l’occhio.

Una Black.

Già.

Come diavolo aveva fatto ad innamorarsi di una Black?

La prima volta che se l’era chiesto era stato quando, vedendolo in jeans per la prima volta, lei gli aveva chiesto seria come la morte se avesse rubato i vestiti all’elfo domestico. E ancora se lo chiedeva ogni volta che lo rimbeccava per non aver pronunciato correttamente un incantesimo, o quando sbuffava quando lui ed Arthur si sedevano a vedere la partita dell’Arsenal sul televisore appositamente modificato, commentando quanto fosse idiota stare fermi a fissare una scatola. 

Ma poi ogni suo dubbio spariva, anzi si chiedeva come avrebbe potuto fare senza poterla amare. Se lo chiedeva spesso la notte quando la guardava dormire e si inebriava del suo profumo, ritornando indetro sino alla prima volta che l’aveva vista al di fuori della scuola, il sapore salino e sfacciato dell’Oceano Atlantico irriverente come loro. Si inebriava di quell’accordo di fiori bianchi,carnosi, che sapeva della sua pelle morbida e calda sotto le sue labbra la prima volta che le aveva rubato un bacio. Esattamente le stesse cose che aveva percepito  quando aveva preparato una perfetta pozione di Amortentia al sesto anno, con Lumacorno che lo guardava stupito mentre la sua bellissima Andromeda Black schiumava di rabbia, tentando di pietrificarlo con lo sguardo.

Era stata la prima e l’ultima volta in cui l’aveva battuta a Pozioni. Ma d’altronde la posta in gioco era troppo alta: una fialetta di Felix Felicis

Ovviamente l’ aveva utilizzato per riuscire ad incontrarla da sola, senza sorelle,senza quelle leziose leccapiedi che la circondavano in continuazione nella vana speranza di contendersi i suoi favori, senza quell’idiota di Malfoy con cui battibeccava di continuo sebbene sembrasse essere il suo più caro amico, se mai si potesse essere amici di un idiota simile.

Le aveva chiesto di uscire sul serio e lei aveva detto di si.

Semplicemente.

Come al solito sicura di quello che voleva.

Ted sorrise nonostante tutto, anche se le mani continuavano a torcersi l’una sull’altra, quasi che stritolandosi avrebbe potuto ritrovare il tocco deciso ed elegante delle sue mani, capaci di calmarlo anche solo sfiorandolo.

Qualsiasi cosa facesse, in qualunque posto si trovasse, Andromeda era padrona di sè. Ogni movimento calcolato, ogni sorriso calibrato, ogni parola che usciva dalle sua labbra aveva un significato, anche se la maggior parte dei suoi interlocutori non se ne accorgeva.

Era lei che gli aveva fatto scoprire l’amore, quello incosciente, quello che non avrebbe mai dovuto nascere. E gli aveva fatto anche conoscere  il dolore di quello stesso sentimento che sembrava impossibile e che, come ora, gli faceva contare le ore e pregare chiunque potesse ascoltare la sua voce di farla tornare da lui. Lei era la sua preghiera, l’unica sacerdotessa del suo destino. Quella dannata donna lo sapeva benissimo e si divertiva un mondo a guardarlo soddisfatta con i suoi occhi liquidi e caldi come l’ambra, avvolgendono e trattenendolo a sé.

Sentiva il tocco rassicurante di Molly sulla sua spalla, leggero ma deciso, senza un minimo di incertezza, anche mentre continuava a guardare fuori dalla grande finestra sopra il lavello della cucina sperando di vedere qualche indizio che lei fosse finalmente arrivata.

«Non devi preoccuparti, probabilmente si è materializzata in qualche villaggio qui vicino e ora se la starà facendo a piedi su queste stradine di campagna.»

Il commento di Molly gli strappò un mezzo sorriso al pensiero di Andromeda, non più Black, che imprecava contro lo stato delle strade di campagna del Devon, decisamente poco congeniali all’estetica della donna che amava così tanto. Come si poteva essere tanto intelligenti e al contempo così assolutamente irrazionali rimaneva una delle tante contraddizioni che non avrebbe mai cercato di comprendere.

La sentì ancora prima che aprisse la porta, una scarica elettrica lungo la spina dorsale. Pochi secondi dopo la stringeva tra le braccia, il suo corpo che finalmente trovava pace.

«Per Merlino, Drom come hai potuto farmi questo?» le bisbigliò mentre la rabbia sembrava esplodergli nella testa ma incapace di lasciarla andare.«Davvero valeva la pena tornare in quella casa ? Cosa diavolo pensavi di fare, eh? »

«Oh andiamo, non essere melodrammatico. Sono brava a difendermi. E poi Bellatrix non vive più li, Narcissa è ad Hogwarts e i miei sono da qualche parte in Francia.» aveva risposto lei sbuffando e sciogliendosi dal suo abbraccio per chinarsi a salutare Molly. 

«No, come sempre tu hai pensato prima a te che a me.Ti sei fermata a chiederti come mi sentissi a saperti in quella casa?» aveva ribattuto. «Mi hai lasciato qui ad immaginare il peggio... sei sparita per ore Drom. Per ore!»

«In effetti eravamo tutti preoccupati. Ma ora sei qui, è quello che conta. Dovremmo proprio aggiungere la tua faccia all’orologio … tu e Ted siete parte della famiglia, ormai.» Arthur aveva cercato di intercedere stringendo Andromeda in uno dei suoi famosi abbracci, quelli che ti facevano dimenticare ogni problema, inclusa una guerra sulla porta di casa. Forse con gli altri funzionava, ma non di certo con qualcuno abituato sin da bambino a coltivare il proprio rancore con estrema attenzione.

«Arthur mi  accompagni nell’orto,per favore?»

«Ma siamo andati stamattina prima di uscire, Molly cara! Non vedi sul tavolo…» Arthur aveva provato a resistere ai tentativi della moglie di farlo uscire dalla cucina, continuando svagato a guardare Andromeda e Ted, un secondo prima due innamorati clandestini e che ora invece si guardavano in cagnesco. E dire che se una era Serpeverde l’altro era un Tassorosso, notariamente pazienti ed inclini a perdonare.«Oh... no perdonami hai ragione. Andiamo a raccogliere le prugne.»

«A dicembre non ci sono le prugne, Arthur.» sibilò Andromeda senza staccargli gli occhi di dosso. Poi, ignorando i padroni di casa ancora sulla soglia, si rivolse nuovamente a quello che considerava l’amore della sua vita: «Che cosa vuoi dire?»

Ted allargo le braccia, esasperato: «C’è una dannata guerra Drom, La gente muore… hanno trovato un cadavere di una ragazza vicino villa Black... e io... io pensavo che fossi tu. Ho pensato che fossi morta, Capisci? Merlino...… è stato insopportabile.»

«Ti ho spiegato il perchè dovevo andare, Edward. Avevo bisogno di quella foto. E’ l’unico ricordo felice della mia infanzia, di mia sorella. Ho lasciato tutto per te ma non puoi chiedermi di smettere di essere me. Io sono quello che sono, non posso rinunciarci». La voce di Andromeda era calma ma non gli era sfuggito il leggero tremore nella voce, quel pizzico di debolezza che mostrava solo con lui.

Rinunciare a lei?Come poteva anche solo pensarlo?

Si avvicinò di un passo, prendendole il viso tra le mani, la rabbia che provava poco prima scomparsa di fronte alla crepe della sua armatura:«Non ti sto chiedendo di rinunciare, non lo farei mai.»

Per un attimo lo sguardo di Andromeda tentennò, mentre la sentiva irrigidirsi sotto le sue dita «Preferisci rinunciare a me? Sacrificheresti questo? Se lo facessi, è come se fossi morta per davvero. Posso rinunciare al nome di famiglia, ai soldi, a tutto Ted. Ma non posso vivere senza di te.» mormorò con un filo di voce mentre le labbra tremavano appena nello sforzo di mantenere il suo contegno algido.

Merlino come l’amava. Si chinò appena a baciarla, tentennante come in quel primo bacio rubato in riva al mare, il cuore che batteva all’impazzata e il mondo che finalmente iniziava ad avere senso.

Si staccò appena,portandosi la sua mano affusolata alle labbra, mentre si inginocchiava. Merlino non aveva pensato di chiederglielo così. Aveva pensato che avrebbe organizzato qualcosa di speciale, che ci sarebbero stati fiori e champagne e un cielo stellato sopra di loro. Per Tosca Tassorosso, almeno avrebbe dovuto avere un anello. Si quello avrebbe davvero dovuto averlo.

Improvvisamente sentì un peso leggerlo nella tasca della camicia, mentre con la coda dell’occhio poteva sentire lo sguardo compiaciuto di Molly ed Arthur, abbracciati sulla soglia della porta della cucina. Infilò le dita lasciandosi scappare un sorriso, tirandone fuori un pezzo di filo rosso, lo stesso che poco prima Molly stava lavorando ai ferri per la prima copertina del bambino che sarebbe nato tra qualche mese.

«Vuoi sposarmi, Andromeda Black?»

«Non sono più una Black, Ted. E non posso essere neanche solo Andromeda Tonks.Anche se è tutto quello che vorrei, nonostante tu sia un dannato testardo e stia ignorando il patto che avevamo fatto di aspettare un anno.» rispose testarda come sempre, lasciando però che le infilasse all’anulare quel piccolo pezzetto di lana che ora era tutto il suo mondo.

«E’ un tuo modo contorto di dirmi di si? O vuoi solo vedere per quanto tempo posso restare così? Sai che i Tassorosso sono resilienti, vero?» le chiese ancora in ginocchio, baciandole il palmo della mano.

«Sicuro di voler passare tutta la tua vita con... me? Nonostante tutto?» chiese con voce triste accarezzandogli la guancia. «Non diventerò qualcun altro Ted. Io sono testarda, irascibile, permalosa e voglio sempre avere ragione. E non cambierò Ted.»

«E’ un si? Mia piccola testarda, irascibile permalosa, bellissima, intelligente, carismatica ed affascinate strega che non sei altro, mi stai forse dicendo SI? Vuoi passare la tua vita con un Natobabbano Tassorosso?» chiese ancora, continuando a sorridere mentre lei gli si buttava finalmente tra le braccia,  ridendo contro le sue labbra.

«Si», mormorò Andromeda staccandosi appena con gli occhi che le brillavano di felicità.

«Si», ripeté a voce alta, mentre Molly ed Arthur li abbracciavanostretti.

«Si», urlò dentro di sé mentre finalmente tutto trovava un senso. Per tutta la vita si era sentita inadeguata, incapace di rispecchiarsi nelle aspettative della società, impaurita di scoprirsi incapace di amare. Si era sentita incompleta, sbagliata.

Ora invece sapeva chi era, finalmente si era ritrovata. Nel momento in cui aveva deciso di perdere la sua corazza aveva finalmente conosciuto se stessa.

Andromeda, nata Black, purosangue, Serpeverde, rinnegata dalla sua famiglia.

Andromeda Black innamorata di un Natobabbano Tassorosso per cui aveva deciso di tradire il suo mondo.

Andromeda Black, amica di Molly Weasley ed Arhtur Weasley che l’avevano accolta in casa loro come una sorella.

Andromeda non più Black che però continuava ad amare le sue sorelle, nonostante tutto. Che avrebbe voluto che solo per un minuto Narcissa la stesse a sentire e abbandonasse quel mondo che l’avrebbe schiacciata.

Andromeda Tonks che avrebbe vissuto una vita d’amore.

Andromeda Tonks che non avrebbe mai cucinato ma che sarebbe tornata ogni sera dall’amore della sua vita.

Andromeda Tonks che non si sarebbe arresa all’oscurità.

Sorrise al suo riflesso nello specchio, incontrandosi per la prima volta.

 


Eccoci qui.
Prima di tutto: i credits del dialogo ( lo stesso della storia precedente) che vanno a Sia all'interno del contest "Birdwatching-pesca un dialogo"  e che ho utilizzato spudoratamente anche per questo capitolo, ovviamente con un risultato ed un'atmosfera diamentralmente opposta a quello su Bellatrix.
"Che cosa vuoi dire?”
“Quando pensavo che fossi tu, che fossi morta… è stato insopportabile.”
“Io sono quello che sono, non posso rinunciarci.”
“Non ti sto chiedendo di rinunciare, non lo farei mai.”
“Preferisci rinunciare a me? Sacrificheresti questo? Se lo facessi, è come se fossi morta per davvero

Facendo due veloci calcoli su Pottermore: Molly ed Arthur sono del '49-50, più o meno la stessa età di Bellatrix. Narcissa è del '54-'55 quindi ho ipotizzato che Andromeda potesse avere uno o due anni in meno della sorella maggiore e non so perché ma potesse essere amica di Lucius Malfoy mentre era a Serpeverde  (questo è un mio puro sfizio). Presumendo che Andromeda venga ripudiata dopo aver il settimo anno, onestamente ritengo plausibile che per un periodo abbia vissuto da sola, sia per non esporre Ted a ritorsioni e vendette che per puro spirito di pragmaticità di cui secondo me è portatrice sana. Nel mio caso, però, accetta l'invito dei Weasley... in fondo la Tana è stata proprio concepita per accogliere, no? Altra mio viaggio mentale personale è che Andromeda sia comunque legata alla sorella minore,Narcissa,per cui ha una flebile speranza che possa un giorno comprendere quanto Voldemort sia abominevole.
Infine, il profumo:Taersìa di Gabriella Chieffo. Nota a margine del margine: Grazie a Mari Lace che mi ha permesso di correggere il nome della Pozione. Non Felix Felicitas ma Felix Felicis!

 

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Capitolo 3
*** Narcissa ***


Attenzione: in questa storia si fa riferimento all'uso ​ della tortura come punizione. Non considero Lucius e Narcissa come OOC, ma in fondo alle note spiego il perché. 

 a-lḗtheia

 

Le spesse mura centenarie sembravano aver assorbito ogni suono, ma il silenzio che aveva tanto desiderato ora gli sembrava insopportabile.

Se solo avessero consegnato Potter… Se solo quello stupido elfo non si fosse messo in mezzo…

Era stato sul punto di riavere la sua vita indietro, tornare al posto che gli spettava, ristabilito agli occhi del Signore Oscuro.

Ma Draco… Suo figlio, il sangue del suo sangue, aveva detto di non riconoscere quella dannata ragazzina, nonostante avesse trascorso cinque anni a lamentarsi di lei,dei suoi voti, della sua insopportabile saccenza. Perfino lui, annebbiato dal vino elfico e dalla disperazione, sapeva che stava mentendo, che stava spingendo tutti loro ancora più a fondo nel baratro nel quale il fallimento della missione al Dipartimento dei Misteri li aveva gettati.

Per quello aveva deciso di chiamare lui stesso il Signore Oscuro, afferrando al volo quell’unica opportunità di tornare ad essere l’uomo che era stato. O, semplicemente, di  essere di nuovo un uomo.

La voce di Narcissa era entrata affilata come un coltello nella sua mente, pregandolo di non farlo, di pretendere che non sapessero che la ragazzina tremante e sanguinante in casa loro non fosse lei.

Se è la Granger, significa che abbiamo Potter. Saremo noi a consegnarlo al Signore Oscuro. Sai cosa vuol dire? Le parole correvano febbrili nella sua testa, accavallandosi con l’eccitazione di riuscire in quella missione apparentemente impossibile.

So cosa vuol dire per Draco. Non farlo, Lucius. Ha già visto morire la sua insegnante, divorata da un serpente sul tavolo, in casa sua. Non ti basta? Non farlo diventare un assassino.

Non capisci... Io devo farlo. Per tutti noi. Non sei stanca di tutto questo?

Non cambierà nulla, Lucius. Nulla. Non fare questo a nostro figlio. Guardalo, Lucius! Guardalo!

Stretto tra la furia gelida di sua moglie e lo sguardo penetrante di Bellatrix aveva preso la sua decisione: avrebbe fatto quello che era necessario per la sua Famiglia. Draco, un giorno, avrebbe capito. E, forse, anche Narcissa.

Aveva pensato solo alla gloria e agli onori. Il suo cervello annebbiato non aveva concepito la possibilità di fallire in quel modo. L’ennesimo. Il peggiore.

Alla scoperta della fuga di Harry Potter, l’ira del Signore Oscuro si era riversata senza limiti su di loro.

Ma il dolore delle Cruciatus non era niente rispetto a quello che sarebbe venuto dopo.  Mentre era ancora in terra, Lord Voldemort si era inginocchiato accanto a lui, porgendogli la bacchetta, la sua bacchetta, con un sorriso enigmatico sul volto ormai simile ad una maschera.

Aveva stretto le dita avide sul legno famigliare, la magia che sembrava attraversargli la pelle come era accaduto quel pomeriggio lontano ormai perso nel tempo, sperando per un attimo di essere stato perdonato. Tutto ciò era però ben presto stato cancellato dal terrore, quando aveva capito cosa stesse accadendo: quello era solo un prestito, la concessione per adempiere ad un dovere terribile.

Narcissa, si era alzata lentamente, tremante di dolore e silente di rabbia, frapponendosi tra lui e Draco.

«Cissy

Una volta tanto, la voce di Bellatrix aveva perso quella nota infantile e folle che sembrava ormai contraddistinguerla, ma Narcissa l’aveva ignorata, mentre il rantolo di dolore di Draco che soffocava nel suo stesso sangue risucchiava ogni altro suono nella stanza.

«Narcissa, mia cara, c’è qualcosa che vuoi dire per spiegare l’ennesimo fallimento di tuo figlio?». Sfogata la sua ira, Lord Voldemort sembrava deliziarsi nell'infliggere loro quel tormento. 

«E’ stata colpa mia, mio Signore,Draco non c’entra nulla. Gli ho detto che doveva esserne assolutamente certo. Devi punire me, mio Signore, sono stata io a fallireaveva detto lei con la voce appena incrinata per via delle torture, ma non di certo insicura.

Lui aveva schioccando la lingua, quasi stesse pregustando quello che sarebbe accaduto dopo.

«E’ vero, Lucius? E’ colpa della tua deliziosa moglie quello che è successo? Che peccato…» aveva chiesto con un lampo divertito negli occhi gelidi, rigirando la bacchetta che gli aveva nuovamente sfilato dalle mani, agitandola a pochi centimetri dalle sue dita chiuse nel vuoto.

Lucius deglutì a fatica,mentre un’immagine terribile a fatica si faceva strada nella sua mente. Non poteva chiederglielo. Non poteva chiedergli di scegliere chi sacrificare. Gli era stata tolto tutto: la libertà prima, la sua stessa casa poi. Ma uccidere le persone che amava…

Guardò disperato Bellatrix, immobile e con un’espressione indecifrabile sul volto, lo sguardo d’ossidiana che si spostava tra il suo Oscuro Signore, Narcissa e il corpo scomposto in una posa innaturale di Draco in terra.

«Mamma…» la voce spezzata di loro figlio ebbe il potere  di distrarre Narcissa per un attimo, un battito di ciglia appena, ma sufficiente alla sorella per lanciarle un incantesimo stordente. 

Salva Draco. A qualunque costo. Era stato l’ultimo pensiero che era riuscito a cogliere nella confusione della sua mente, la bocca impastata dalla bile e dal residuo di whiskey incendiario che aveva buttato già cercando di ritrovarsi in fondo ad un bicchiere.

Un gesto e Narcissa era sparita insieme a Bellatrix.

E lui era rimasto solo con l’orrore dei suoi sbagli, nessun liquido abbastanza potente da permettergli di dimenticare.

 

Erano passati due giorni, e da allora non aveva avuto notizie di nessuno dei due, per quanto implorasse Bellatrix, che però si limitava a guardarlo con disgusto, scuotendo la testa.

Erano andati via tutti, nessuno che si era premurato di dirgli dove o quando sarebbero tornati. E ora, solo in un luogo che non aveva più nulla della sua casa, si era trascinato soffrendo ad ogni respiro aprendo una porta dopo l’altra, ogni stanza vuota più dolorosa della Cruciatus. 

E poi lo sentì, così intenso da pensare di esserselo immaginato, il profumo speziato  di fiori bianchi di Narcissa, così vivido da sentirlo sulla lingua. Aprì lentamente l’ultima porta, quella che era stata la nursery di Draco, temendo che fosse tutto un parto della sua mente sconvolta.

E invece lei era li, pallida e sconvolta, ma indiscutibilmente viva. Così come Draco, rannicchiato sul divano una volta immacolato, e ora ricoperto di disgustose macchie scure. Erano feriti, laceri, sofferenti. Ma erano vivi. Per un attimo gli sembrò addirittura di riuscire nuovamente a respirare.

Narcissa lo guardò senza parlare, lo stesso lampo di furia negli occhi azzurri che le aveva visto nel momento in cui aveva deciso di ignorare la sua richiesta.

Lui aveva sbagliato, lo sapeva. Ma lei… se solo non avesse deciso di sfidare Lord Voldemort… se solo si fosse fidata di lui. Non avrebbe mai potuto uccidere Draco, doveva saperlo. Avrebbe assecondato la folle richiesta di torturarlo, ma così lo avrebbe salvato. E invece lei aveva rischiato di farsi uccidere… E poi, pur sapendo quanto questo l’avrebbe tormentato, era rimasta li senza dargli alcuna notizia.

«Perché?Come hai potuto farmi questo?» sputò fuori, ancora prima che le parole formassero una frase di senso compiuto. Avrebbe potuto dirle che l’amava, che li amava, che sarebbero stati al sicuro. Ma tutto ciò che riusciva a ricordare era il corpo inerme di Narcissa che spariva, lacerandogli l’anima.

«Che cosa vuoi dire?» chiese lei, senza staccare gli occhi da Draco, profondamente addormentato.

«Parlavano di un cadavere da seppellire nei giardini... Quando pensavo che fossi tu, che fossi morta… è stato insopportabile. Perché l’hai fatto? Hai rischiato di farti uccidere...di farci uccidere. Avrei gestito la cosa, lo sai.»

«Come hai gestito tutto il resto, Lucius? Non mi pare che ci sia riuscito granché» rispose piano, accarezzando il grosso livido che spiccava sulla guancia pallida del figlio- «Non puoi chiedermi di guardare mentre torturano mio figlio. Io sono quello che sono, non posso rinunciarci.»

L’uomo senti le gambe cedergli sotto il peso di quella responsabilità che, almeno per una volta, non poteva scansare. 

«Non ti sto chiedendo di rinunciare, non lo farei mai.» disse, inginocchiandosi accanto a lei e posando una mano sulla sua, rabbrividendo nel sentire la pelle gelata di Draco sotto le loro dita sovrapposte.

«Preferisci rinunciare a me? O alla nostra famiglia? Sacrificheresti questo? Se lo facessi, è come se fossi morta per davvero. Devi fare una scelta, Lucius.» domandò, guardandolo finalmente negli occhi.

Aveva sempre amato il potere, il prestigio, l’essere superiore agli altri, tutto ciò che incarnava la promessa dell’Oscuro Signore. Aveva speso fiumi di denaro, tempo ed energie per assicurarsi di essere il primo tra tutti, svettare sopra la massa indegna dei mezzosangue e babbanofili. Ma quello… la sola idea di dover vivere senza la sua famiglia gli era semplicemente insopportabile.

«Non ci lascerà mai andare via...» commentò amaro, portandosi la lunga mano affusolata della moglie alle labbra, sfiorando con un bacio l’opale rosa che la donna portava all’anulare destro: l’unico anello che le avesse mai regalato che non provenisse dai gioielli di famiglia, quello che considerava il suo vero anello di fidanzamento.

Finalmente lei sorrise, sfiorandogli leggera uno zigomo ancora gonfio.

«Arriverà un momento per salvarci, Lucius. E noi saremo pronti», rispose enigmatica, spostando nuovamente lo sguardo su Draco. «O forse dobbiamo sperare che lo sia il Signor Potter.»

 



Ed eccoci, infine, arrivati a Narcissa. Come avrai notato ho preso spunto sia dai libri che dai film per questa storia, mischiandoli sino a farli combaciare nella mia idea di quello che è successo a  Malfoy Manor dopo la fuga del Trio.  In particolare, quest’idea che Voldemort volesse che fosse Lucius a torturare Draco la sto usando per un’altra storia,ma la trovo plausibile sempre secondo la visione che Lucius sia un imbecille ma che ami la sua famiglia, una cosa che non può che provocare disgusto in Voldemort, tanto quanto l’inutilità di Malfoy. E in questo modo, da bravo sadico qual è, riuscirebbe a massimizzare l’effetto della punizione.
Perché allora non porta avanti il suo piano? Forse si era annoiato, forse lo fa per evitare anche la più piccola possibilità che Bellatrix rinsavisca vedendo uccidere sua sorella, o forse vuole solo prolungare il più possibile la tortura. E’ Voldemort, è sadico ed è folle.
Ho cambiato spesso idea sul quando sia stato il momento di svelamento di sé per Narcissa. Inizialmente ero certa che dovesse essere nel momento in cui decide di mentire a Voldemort, ma poi ho riflettuto su una serie di elementi, prima di tutti il suo essere Serpeverde. Mi è quindi sembrato plausibile che abbia iniziato a tramare nell’ombra, soprattutto vedendo  il modo in cui la sua famiglia venisse fatta a pezzi giorno dopo giorno.
Questo potrebbe essere in contrasto con il fatto che Narcissa in questa storia compie una scelta senza senso, cercando di prendersi la colpa al posto di Draco, ma vedendosi sul punto di veder realizzato il suo peggiore incubo,credo che possa essere diventata avventata. Da brava Black, però, sopravvive e usa tutte le sue risorse per preparare la sua vendetta.
Se hai letto le due storie precedenti, hai notato che seguono tutte lo stesso schema: sparizione per qualche motivo della donna- marito che l’attende- sollievo- citazione presa dal pacchetto di Sia- scelta che mostra la vera essenza della strega.  E’, senza troppe sorprese, avrai capito che per me si tratta comunque di uomini innamorati, anche nel caso di Rodolphus e di Lucius ( Ted lo diamo per scontato, perché è Ted  e credo ci siano pochi dubbi a riguardo). Qui però ho voluto cercare di restituire il cieco egoismo di Lucius, che continua ad essere ripiegato su sé stesso.
               Concludo ricordando che i credits di una parte del dialogo vanno a  Sia che li ha proposti all'interno del contest "Birdwatching-pesca un dialogo" , su cui ho deciso di costruire questa raccolta di one shot. Manca solo Tonks, ma anche lei mi sta dando filo da torcere.
"Che cosa vuoi dire?”
“Quando pensavo che fossi tu, che fossi morta… è stato insopportabile.”
“Io sono quello che sono, non posso rinunciarci.”
“Non ti sto chiedendo di rinunciare, non lo farei mai.”
“Preferisci rinunciare a me? Sacrificheresti questo? Se lo facessi, è come se fossi morta per davvero
 
Infine, capisco che Draco dovrebbe dire "Madre" ( come traduzione di Mother)... ma mi sembrava fuori da ogni tempo. Perdonami per queste note lunghissime ma sento che questa storia ne ha bisogno, ancora più  delle altre. Ah, se clicchi sul titolo puoi vedere la copertina che ho preparato. Infine, un doveroso ringraziamento a Mari Lace che mi ha segnalato un refuso nell'ultima frase ( ora, decisamente, ha molto più senso). 

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Capitolo 4
*** (Nympha)Dora ***


Per la prima volta in vita sua, Remus rimpiangeva l’oscurità densa di quella notte senza luna che gli portava via l’ultima maschera, gli impediva di cullarsi nell’idea che fosse stato il mostro sopito dentro di lui a parlare in quel modo. Che non fosse lui il colpevole per averla persa.

Lei che la mattina si alzava presto e ballava nel salone mettendo la radio a tutto volume, persa in chissà quale pensiero. Dora era pura luce, tanto quanto lui era ombra. Rumorosa quanto lui era silenzioso. Impulsiva quanto lui era resiliente. Lei era la musica di piatti che cadevano e imprecazioni contro i tappeti. Era vestiti lanciati sul divano e fiori bianchi e carnosi che riempivano l’aria del profumo della sua pelle.

Dora testarda e allegra, eppure capace di capire il suo dolore, di accoglierlo così come faceva con il suo corpo segnato di cicatrici. Le accarezzava con le dita incredibilmente leggere, i grandi occhi che lo scrutavano nel profondo della sua anima, ricucendone insieme i brandelli.

Non l’aveva mai guardato con disgusto o sospetto. Mai, fino a quella sera, quando lui si era disperato a quella notizia che lo aveva colto di sorpresa. Non poteva condannare un altro essere umano al suo stesso supplizio, non poteva fare quello a quel figlio che già amava pur senza averlo mai visto. Lei lo aveva guardato, i capelli improvvisamente castani a coprirle il volto dal quale era scomparsa ogni forma di sorriso.

«Non sei il centro del mondo, Remus!» aveva urlato mentre lui si smaterializzava. Era corso via, fuggito dai ricordi e ancora di più dalle speranze, dicendosi che fosse la cosa migliore da fare, che lei se la sarebbe cavata, come sempre. Sarebbe stata meglio senza di lui. Le avrebbe permesso di essere libera.

 

Erano passati giorni da quel momento, e lui si era nascosto come il mostro che era dall’alba dei suoi cinque anni. Si era detto che era solo l’ennesima perdita, l’ultima vittima di quella maledizione peggiore del morso del lupo mannaro che lo perseguitava ogni volta che si illudeva di poter essere felice.  Poi, però, era servito un ragazzino per metterlo di fronte alla sua codardia. Un ragazzino dagli occhi verdi e furenti che gli ricordava che non poteva abbandonare quelli che amava. Non un’altra volta.

Era tornato, allora, ma la casa era vuota e fredda, l’odore troppo dolce dei petali che permeava l’aria e silenzio, troppo silenzio. Di lei non c’era traccia.

Aveva aperto la radio, cercando notizie degli ultimi attacchi, ma erano troppi: troppi avvistamenti, troppi feriti… Sapeva che era inutile, in ogni caso: i nomi degli Auror della cerchia di Moody non erano mai rivelati, neanche quando l’attacco era stato fatale.

Mentre il suo Patronus correva a chiedere notizie, lui si era seduto sul divano di pelle troppo morbida e troppo chiara per essere davvero smacchiata, nonostante la magia. Era rimasto lì ore ed ore, mentre la notte sfumava nel giorno, lasciando che le notizie inconcludenti si affastellassero nella sua mente e le mani artigliate l’una sull’altra lacerassero la sua pelle.

Poi, finalmente, l’aveva sentita arrivare, l’aria che finalmente tornava a riempirsi di ossigeno dolce.

«Vedo che sei tornato», aveva detto con uno sbuffo di insofferenza, lasciandosi cadere sulla poltrona di fronte a lui.

«Dov’eri? Credevo di impazzire?».

«Di ronda, da mia madre, da Molly, da Bill e Fleur. Ovunque mi sentissi amata e accettata» commentò caustica, lo stesso sarcasmo che usava sempre quand’era furiosa.

Le parole di scusa che aveva preparato nella sua mente in quelle lunghe ore erano sparite, travolte dalla sola idea che potesse esserle successo qualcosa. Remus prese un respiro profondo, ingoiando l’istinto che gli diceva che non era degno di quell’amore, di fuggire ancora.

«Ho pensato che fossi morta… è stato insopportabile» ammise amaro, osservando il sangue ormai rappreso sui dorsi delle mani.

Dora lo studiò a lungo, sospettosa. Poi vide le labbra tendersi in un sorriso triste.

«Io sono quello che sono, Remus. Non posso rinunciarci: sono un Auror, una donna e ora anche una madre. E sono fiera di essere ognuna di queste cose».

«Sono troppo vecchio, troppo povero e troppo… mostro… per essere un padre ed un marito…».

«Ancora con questa storia? Mi sembrava che già avessimo chiarito questo punto. Io voglio te, Remus. E voglio questo bambino. E so che anche lui vuole il suo papà» lo interruppe, seccata, battendo un piede in terra per il nervoso.

«E se fosse come me?» mormorò, incapace di guardarla, le parole che si rincorrevano prima di riuscire a rinchiuderle di nuovo nella sua paura.

«Un inguaribile pessimista? Tranquillo, ci penserò io» sospirò Dora, sedendosi finalmente accanto a lui e sfiorandogli la guancia con il pollice, aggiungendo,improvvisamente seria: «Sarà amato, Remus. Ed è tutto ciò che conta».

«E se gli facessi male? Se una notte la pozione non fosse sufficiente e ti colpissi? O se lo mettessi in pericolo?» continuò, testardo, mentre nella sua mente la visione del corpo di Dora straziato dalle sue zanne non smetteva di tormentarlo.

«A quel punto è più probabile che sia io a farti male. Auror, ricordi?» rise invece lei, appoggiando la testa sulla spalla e indicando una delle spille di metallo che ornavano il bavero del chiodo rosa. Dopo un minuto di silenzio, aggiunse: «Preferisci rinunciare a me? Sacrificheresti questo? Se lo facessi, è come se fossi morta per davvero».

Remus sentí il suo calore disperdere il gelo che sentiva dentro, permettendosi di poggiare la mano sul ventre ancora troppo piatto di sua moglie e inalando a fondo il profumo leggero e cremoso della sua pelle, lasciandosi riportare al loro primo bacio a Grimmauld Place, in una notte che sapeva di caffè tostato e dolci speziati che era ancora nell’aria, di labdano e sandolo della pozione che avevano appena finito di preparare, di quello dolce e antico del legno della casa che scricchiolava sotto il loro peso leggero.

«Ti amo, Nymphadora» disse, sfiorandole le labbra con un bacio leggero, permettendosi finalmente di guardare la sua bellissima moglie.

E fu li che lo vide, quel lampo di follia che la faceva somigliare tanto a Sirius. Evidentemente i geni Black erano restii a scomparire.

«Non chiamarmi Nymphadora! O giuro che ti mando da Piton!» ringhiò, mentre i capelli diventavano rosso fuoco.

E, finalmente, Remus si permise di ridere.



 
 

E con Nymphadora Tonks in Lupin chiudiamo la raccolta dedicata alle donne Black. Grazie di avermi fatto compagnia!

Mi sono chiesta a lungo se il momento dello svelamento di Dora fosse quello in cui ha deciso di diventare Auror, di scegliere Remus come compagno o di andare a combattere nella Battaglia di Hogwarts. Come per Narcissa, però, credo che la Battaglia sia solo la fine di un percorso, quindi ho deciso di scegliere un momento in cui tutto per lei sembra crollare.

E così come Bellatrix era andata alla ricerca del Signore Oscuro, Andromeda  dell’unico ricordo del suo passato che valesse la pena tenere, Narcissa di suo figlio, anche lei scompare, ma questa volta va alla ricerca di sé stessa ritrovandosi negli affetti e nelle sue passioni.

Ora che è finita, posso anche dire che ho cercato di giocare sulle diverse voci delle controparti maschili, così come sui vari accordi con uno stesso fiore, la tuberosa, nell’idea di raccontare diverse sfaccettature: Rodolphus è completamente perso nel suo delirio di amore e morte, al punto da risultare verboso e pesante; Ted è ancora un ragazzino, schietto e testardo, un amore più “pulito” e “ mentalmente sano” rispetto agli altri; Lucius ha perso la sua casa e il suo status sociale, è ottenebrato dal vino e chiuso nel suo egoismo.

E poi c’è Remus, solo e ferito, l’eroe che fa i conti con le proprie paure.

 

Ricordo sempre che questa raccolta è nata dal prompt proposto da Sia sul forum Ferisce più la Penna,all'interno del contest "Birdwatching-pesca un dialogo":

"Che cosa vuoi dire?”

“Quando pensavo che fossi tu, che fossi morta… è stato insopportabile.”

“Io sono quello che sono, non posso rinunciarci.”

“Non ti sto chiedendo di rinunciare, non lo farei mai.”

“Preferisci rinunciare a me? Sacrificheresti questo? Se lo facessi, è come se fossi morta per davvero


Infine,e  questa volta sul serio, il profumo che ho scelto per Tonks è “Close to you” di Coquillette, che racconta una bellissima storia d’amore.

 

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