Il cataclisma

di Cathy Earnshaw
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La magica bolla del qui ed ora ***
Capitolo 3: *** Un rompicapo montato male ***
Capitolo 4: *** Quando l'elemento chiama, il mago deve rispondere ***
Capitolo 5: *** Ai confini dell'ignoto ***
Capitolo 6: *** Mago uno, Dio dell’Acqua zero ***
Capitolo 7: *** Il legame simbiotico con l'Acqua ***
Capitolo 8: *** Oro liquido ***
Capitolo 9: *** Odio questo dannato posto ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

  

Un refolo freddo scostò i lunghi capelli dal viso di Selene mentre questa avanzava a passo deciso verso la Cascata del Potere. Aveva deciso, per quel momento, di attraversare tutta la valle. Le sembrava che quel gesto banale potesse dare significato a tutto il resto. A quello che era stato, sin dalle origini delle Terra dei Tuoni, a quello che sarebbe stato da lì in avanti.
Ci aveva riflettuto a lungo, forse troppo, erano passati quasi dieci anni dalla battaglia della Piana di Thann, dal giorno che aveva posto fine alla sanguinosa guerra fratricida con aveva inzuppato di sangue le rovine della Città dei Morti. La sua bella Cyanor macchiata di cremisi, e con lei i ricordi della sua adolescenza, i ricordi di Nastomer. Ogni singolo giorno si era domandata se veramente non esistesse un modo di calare il sipario sulla propria esistenza, se la natura di stregone fosse una condanna eterna alla quale solo un potere esterno potesse porre fine. Dopotutto gli stregoni potevano morire, lei li aveva visti. Dopo la morte di Tom non aveva più desiderato vivere davvero, si era ritirata nel Tempio del Fato di Anànvola con l’intenzione di farsi dimenticare dal mondo. Aveva addirittura rimosso il ricordo di sé da tutti coloro che avevano avuto a che fare con lei. Il suo potere era troppo grande e troppo pericoloso per poterlo utilizzare con leggerezza. Ma nonostante i buoni propositi, quella di non prendere posizione nelle faccende della Terra dei Tuoni si era rivelata un’utopia, perché l’astensione stessa aveva finito per mostrarsi un’interferenza.
Era stato un periodo difficile, un periodo di meditazione e di sofferenze antiche, ma alla fine aveva capito: la Cascata le aveva donato quel potere, la Cascata avrebbe potuto toglierglielo, e con esso la vita. Era così semplice che le sembrava incredibile non averci pensato prima. Non doveva fare altro che distruggere l’origine di tutto quel dolore. Dopotutto, senza la Cascata nessuno avrebbe più potuto lasciarsi corrompere da quel potere tanto grande quanto pericoloso…
I suoi piedi si fermarono sul ciglio dello stagno limpido. Lasciò scivolare lo sguardo sulle pareti del Canyon rischiarate dalla luce della luna, sulle balze d’edera, sulle grotte naturali e sulla spada di Abigail, ancora a sorveglianza della Cascata. Infine, si posò sul nastro azzurro che precipitava nella polla sollevando una nuvola di goccioline sature di magia.
«Che cosa ti porta qui, Veggente?»
Strinse gli occhi azzurri sulla sirena, che ricambiò il suo sguardo da una roccia al centro dello stagno.
«La Cascata non può rendermi la mia mortalità, non è vero?» domandò.
La sirena si accigliò.
«No, temo di no.»
Selene abbassò lo sguardo e sorrise.
«Come pensavo» mormorò.
Le sue premonizioni non le avevano mai mostrato nulla che andasse oltre quel preciso momento.
Prese un respiro profondo e, mentre la sirena si gettava dal masso nelle acque magiche, sollevò il viso alla brezza fredda, le braccia aperte, i palmi rivolti verso la Cascata del Potere.
«Mi dispiace tanto, Tom» sussurrò liberando tutta la sua energia.






*******
NdA
Ciao a tutti, grazie per aver dato fiducia a questa mia nuova impresa. Era da parecchio non non pubblicavo nulla e non è stato semplice mettermi nell'ottica di ricominciare, ma alla fine eccoci qui! Sarete sempre i benvenuti nella Terra dei Tuoni. Prometto che pubblicherò con regolarità.
Baci,
Cat

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Capitolo 2
*** La magica bolla del qui ed ora ***


La magica bolla del qui ed ora
 
 

Liam si svegliò di soprassalto, la terra che tremava e un fastidioso rumore vibrante che gli faceva rimbombare le orecchie. Durò poco, giusto il tempo di domandarsi se la sua vecchia casa avrebbe retto o se gli sarebbe caduto tutto sulla testa. Pochi attimi, poi la calma piatta. Ma era solo la quiete prima della tempesta: nell’arco di qualche secondo, le strade si affollarono delle grida di terrore degli abitanti di Pothien. Ancora stordito, Liam si trasse in piedi, per poi ricadere subito dopo sul materasso. Qualcosa non andava, quell’improvviso senso di spossatezza non era giustificato. Si riscosse quando dei colpi furiosi risuonarono alla porta. Si trascinò giù per le scale e aprì, per trovarsi davanti gli occhi spaventati di suo fratello Irthen.
«Liam! Stai bene?» esclamò.
Annuì.
«Voi?» domandò di rimando.
«Un bello spavento. Non è zona di terremoti questa, sì?»
Guardandosi intorno, Liam prese un respiro profondo, nel vano tentativo di calmare l’inquietudine e la nausea.
«Ho una brutta sensazione» mormorò.
«Era un terremoto magico? Un mago di elemento Terra?»
Esitò.
«Non credo che un mago possa fare una cosa del genere.»
«Stregoni?» incalzò in un sussurro suo fratello.
«L’unica volta in cui mi sono trovato davanti ad un terremoto magico, era stato Caleb a causarlo.»
«Ma Caleb è morto!»
Gli occhi verdi di Irthen lampeggiavano, spalancati, nell’ombra. Liam lo sapeva, l’esperienza della guerra contro gli stregoni l’aveva segnato profondamente. Ora, dopo dieci anni, ancora quei fantasmi si riaffacciavano attraverso il suo sguardo.
«Sì, Caleb è morto. Ma ci sono almeno altri tre stregoni in circolazione…» esitò. «Devo contattare qualcuno, potrebbe avere a che fare con Debrina o Aqua.»
«Vado a prendere il corvo messaggero di Yu» concluse Irthen.
 
Nell’attesa snervante di una risposta, i presentimenti negativi di Liam si rafforzavano. Percepiva sempre più chiaramente che qualcosa non andava nel mondo intorno a lui: flussi magici impazziti disorientavano le sue capacità di ragionamento, e l’acqua gli disobbediva troppo spesso. Così, quando lo raggiunse la risposta alla lettera che aveva spedito a Ruben dell’Aria, ex Maestro della congregazione dei maghi di Natìm, rimase solo vagamente turbato nello scoprire che proveniva da tutt’altra persona.
La grafia sottile di Re Horlon, sovrano di tutti gli elfi della Terra dei Tuoni, era confortante e inquietante al tempo stesso, quasi quanto la convocazione a Natìm che trasmetteva. Da qualche parte, nella sua intimità più profonda, sapeva che quella storia non sarebbe finita mai. Quindi non fu facile presentarsi alla porta della vecchia casa di Hamil, ora appartenente a suo fratello e a Yu.
«Liam» lo accolse la moglie di Irthen. «Brutte notizie?» domandò facendolo entrare.
Liam si chinò per raccogliere il piccolo Stan che gattonava sul pavimento. Il primo figlio di Irthen era perfettamente identico a Yu.
«Devo andare» disse.
«A Natìm?»
Liam annuì. Gli anni di pace non avevano tolto nulla alle meravigliose capacità di intuizione di Yu.
«Partirò domani, alle prime luci. Horlon dice che entro la settimana dovremmo essere tutti là.» 
«Horlon?» Irthen comparve in mezzo alla porta. «Quell’Horlon?»
«Deve esserci sotto qualcosa di grosso se si scomoda il Re degli elfi in persona» commentò Yu.
«Ogni di cosa si tratti, io ho intenzione di esserci, quindi…» il mago spostò lo sguardo su Irthen. «Mi raccomando, mentre sono via.»
Irthen esitò.
«E se volessi venire anch’io?»
Liam scosse il capo.
«Non farlo. Se dovesse succedere qualcosa, dovrai badare a loro» disse stringendo Stan.
Irthen abbassò il capo e annuì, mentre Yu manteneva il suo sguardo imperscrutabile. Come ai vecchi tempi.
 
Erano quasi vent’anni che Liam dell’Acqua batteva la Via Carovaniera. L’aveva vista sfiorire lentamente nel periodo subito antecedente la guerra, vessata da fuorilegge e orchetti, per poi riacquistare faticosamente il suo ruolo di arteria commerciale del nord-est. Ma all’improvviso si sentiva catapultato indietro ai tempi in cui inseguiva Irthen in largo e in lungo per riportarlo a casa. 
Le uniche persone che aveva incontrato andavano in direzione opposta alla sua, tentando di fuggire dai disastrosi effetti di quel terremoto e dall’epicentro, che a quanto si diceva lungo la via si trovava più a ovest. Il mago sapeva bene cosa c’era ad ovest, e sapeva anche che i suoi poteri funzionavano ad intermittenza: solo il pensiero di assemblare le due cose gli faceva venire i brividi.
Aveva deciso di scendere lungo il fiume Brumo e di attraversare il Lago di Nebbia per approdare direttamente a Natìm. Gli era sembrata l’idea migliore, anche se iniziava a dubitare di poter contare sulla magia come aiuto per attraversare il lago. Dai tempi lontani della caccia ad Irthen, la sua condizione economica era migliorata abbastanza da permettergli di acquistare una barca decente. La teneva ormeggiata in un piccolo porto sul Brumo e da lì scendeva fino alla foce. Era abituato ai viaggi scomodi e alle partenze improvvise: faceva il mercante da tanti anni, lavorava minerali e con i suoi poteri creava gemme magiche, apprezzate in tutto il nord-est. Non si era mai fatto troppe remore su quel lavoro quando suo fratello era ancora piccolo nonostante non ci fosse nessun altro a badare a lui, perché rendeva bene e in qualche modo bisognava far tornare i conti. Non era colpa di nessuno se tutti i loro parenti erano morti lasciandoli da soli come due randagi. Si faceva ancora meno remore ora che Irthen era grande, aveva buona compagnia e un buon lavoro da fabbro per mantenere Yu e il piccoletto. Ogni tanto Liam lo invidiava un po’: lo vedeva tornare a casa la sera, stanco dopo una giornata di lavoro, e abbracciare la sua famiglia, con la cena già pronta in tavola. Lui era solo con sé stesso e la cosa iniziava a pesargli, ormai. Aveva sprecato troppe buone occasioni prima della guerra, aveva lasciato ogni volontà di provarci sul campo di battaglia di Cyanor, insieme al ricordo di Jonna del Fuoco. Da allora aveva mantenuto i rapporti con il modo magico, anche sollecitato da suo fratello e da Yu, che era stata a lungo il braccio destro di Ruben dell’Aria.
Dopo l’ultima disastrosa guerra si era tenuto un nuovo Consiglio ad Effort e le confederazioni avevano deciso di convergere in un’unica Gilda, ma non senza conflitti. D’altronde era difficile immaginare che gente che si era scannata su un campo di battaglia potesse improvvisamente abbracciare gli ideali di coesistenza pacifica che i più ottimisti si proponevano. Ma ormai erano passati dieci anni dalla guerra e le resistenze si erano appianate. Con il tempo, la Gilda aveva finito per organizzarsi come una piccola società nella società: aveva canali di comunicazione ufficiali, diplomatici che curavano le relazioni con i governi, aveva armaioli, storiografi, guaritori e molto altro. E poi c’era l’Aureo Consiglio. Ogni volta che sentiva pronunciare quel nome, Liam faceva una pernacchia. Troppo scenografico per identificare un gruppo di idioti che non era riuscito ad esimersi dal dichiararsi guerra. Si riunivano qua e là, quando necessario, come in quel momento. Era da anni che non succedeva qualcosa di tanto inquietante e Liam non vedeva l’ora di essere a Natìm per sapere che cosa stesse succedendo.
 
I passi leggeri dei due elfi rimbombavano nel reparto riservato ai Reali della grande biblioteca di Lumia, la capitale. Schivavano i libri caduti dagli scaffali durante la scossa, antichi testi profanati dalla violenza degli eventi. Cercavano qualcosa che avrebbero desiderato non dover cercare mai. Due paia di occhi azzurri si fermarono sul più remoto degli archivi e si incrociarono. Percorsi da un tremito incontrollabile, il Re e sua figlia annuirono all’unisono.
 
«Liam, da questa parte!»
Il mago ci mise un attimo di troppo a riconoscere James, il Governatore di Natìm. Non lo vedeva da pochi mesi, eppure al colpo d’occhio gli sembrò invecchiato di un paio d’anni.
«Jim» salutò con un cenno del capo, smontando da cavallo.
James era un politico atipico, lo dimostrava il fatto che fosse per le strade a distribuire beni di prima necessità ai cittadini in difficoltà.
«Gli altri sono già arrivati?» domandò il mago.
«Non tutti. Se vuoi raggiungere l’Aureo Consiglio sono a palazzo».
Dopo la pernacchia mentale, Liam ringraziò e si volse. Poi esitò.
«Lei sta bene, vero?»
James gli dedicò un sorriso stanco.
«E chi la abbatte, quella? Troverai anche lei, là. Figurati se se ne stava a casa ad aspettare l’evolvere degli eventi!»
Liam sorrise, leggermente più leggero e si diresse verso il vecchio quartier generale della Confederazione di Natìm. Senza suo fratello accanto era più difficile non indulgere nei ricordi dolorosi legati a quella città, che spaziavano tra la guerra, Jonna e Abigail. Aveva bisogno di un’ancora nel presente per avventurarsi nel passato con la sicurezza di riuscire a riemergerne sano di mente. Forse si stava solo istintivamente preparando al peggio, ma c’era qualcosa che davvero lo rendeva inquieto in tutta quella situazione. Troppe cose non tornavano.
Natìm era piena zeppa di maghi, perché la città era così prostrata? Dov’erano Aqua e Debrina? Probabilmente c’erano anche posti conciati peggio di così se i due stregoni non erano lì ad aiutare il povero James. E poi perché aveva ricevuto una risposta alla sua lettera dal Re degli elfi in persona? Nonostante Ruben si fosse ritirato dalle scene politiche poco dopo la guerra, era comunque rimasto un punto di riferimento importante per la Gilda che nasceva. Non poteva aver demandato il compito di rispondergli senza una valida ragione. 
Varcando il portone d’ingresso del Palazzo, Liam strinse gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco qualcosa, ma il passaggio dalla luce alla penombra era stato troppo repentino.
«Liam?» una voce familiare emerse da un angolo e nella frazione di un secondo il mago si trovò stretto in un abbraccio isterico.
«Così mi spezzi una costola» brontolò, ricambiando però l’abbraccio di Chloé, insostituibile amica d’infanzia, compagna di James e testa più dura di tutta la Terra dei Tuoni.
«Che bello vederti vivo, non puoi capire che ansia! Stai bene?»
«Sì, circa. I miei poteri sono strani… perché, avrei anche potuto non essere vivo?!» esclamò.
Chloé lo lasciò andare e si sfregò il viso. Aveva occhiaie profonde.
«È più complicato di quanto sembri. Vieni, stiamo aspettando gli elfi.»
Liam si lasciò guidare attraverso l’edificio da una Chloé stranamente silenziosa. Il mago la conosceva abbastanza bene da sapere che era meglio non interferire con la sua inquietudine. Ed entrando nella sala del consiglio si rese conto che non era l’unica ad aver perso la voglia di parlare. 
Al suo ingresso tutti gli occhi si volsero su di lui, qualcuno lo salutò con un cenno del capo, altri mugugnarono qualche parola. C’era parecchia gente che non conosceva e meno facce note di quanto avesse preventivato. L’Aureo Consiglio – pernacchia – per esempio non era al completo.
Chloé gli fece cenno di sedersi e uscì. Il mago eseguì l’ordine e si guardò nuovamente intorno. Erano presenti una ventina di persone, tra le quali sei sicuramente maghi, lui incluso. C’era Rayhana dell’Acqua, che si fissava le mani giunte con occhi vacui; Timothy dell’Aria, pallido come sempre; Ophelia della Terra, i capelli neri raccolti in una crocchia disordinata e l’aria stanca; Alec del Fuoco, il peggior stronzone sulla faccia della Terra; Elizabeth dell’Aria, una recente acquisizione del Consiglio. Mancava molta gente, Eetan, Hailie, Amina… e mancavano anche i due stregoni. In compenso c’erano molte altre persone che non ricordava di conoscere ma che intuiva provenissero da tutto il territorio della Terra dei Tuoni per via dei loro lineamenti, così eterogenei che parlavano da sé. Ophelia gli indirizzò un sorriso incoraggiante quando incrociò il suo sguardo e Liam ricambiò. Nei dieci anni trascorsi dalla fine della guerra tra loro si era instaurato uno strano rapporto, le cui sfumature viravano tra l’amicizia e la fratellanza. Spesso Liam si trovava a pensare che se la sua sorellina Syra avesse potuto vivere e crescere sarebbe diventata proprio come lei. 
L’ingresso impetuoso di un gruppo di elfi interruppe i suoi pensieri. In testa c’era Rowena, i sottili capelli color miele trattenuti da un diadema dalla fattura delicata che Liam, in quanto gioielliere, riteneva di poter apprezzare appieno. Da quando Re Horlon l’aveva riconosciuta come figlia propria, le scelte stilistiche dell’elfa non avevano fatto che suscitare l’invidia di chiunque. Era bella, elegante, intelligente e raffinata… loro non sapevano quanto potesse essere anche acida e sarcastica, né che fosse un’ottima compagnia per le serate alcoliche. Un’altra interessante amicizia che il mago aveva coltivato dopo la guerra.
«Buongiorno a tutti, grazie di essere accorsi a Natìm con un così minimo preavviso» esordì sedendosi e sfogliando un plico di documenti che l’elfo alla sua destra le aveva fatto scivolare sotto il naso.
«In qualità di delegata di Sire Horlon e legittima erede al trono di Lumia, vi porto i saluti del nostro sovrano, che non ha potuto lasciare il Reame Eterno per l’insorgenza di problematiche legate al cataclisma verificatosi nei giorni scorsi» prese un respiro profondo. «Qui con noi oggi ci sono la rappresentanza della Gilda dei Maghi, i Governatori o i loro delegati di molte delle principali città della Terra dei Tuoni, alcuni Shamani delle tribù nomadi. I nani ci hanno informati che la situazione nelle loro città è troppo compromessa da permettere loro di rinunciare anche solo a due braccia sane. Le città nella pietra hanno risentito molto duramente della scossa sismica.»
Fece un'altra breve pausa, per riprendere fiato ma anche per riordinare le idee. Quindi riprese:
«Ci siamo permessi di condurre qualche indagine nei giorni intercorsi tra il cataclisma e questo nostro incontro, sfruttando anche le conoscenze dei pochi unicorni rimasti a Bosco Lossar, e le notizie non sono, purtroppo, buone.»
Liam prese un respiro profondo. L’angoscia negli occhi blu dell’elfa lo turbava profondamente, si sentiva come rannicchiato prima di compiere un grande balzo.
«Ti prego, Rowena, toglici da questo impasse e dicci di cosa si tratta» intervenne Chloé, più aspra di quanto la diplomazia consentisse. 
Liam non si era nemmeno accorto che fosse rientrata in sala.
«La Cascata del Potere non esiste più.»
Per un secondo, nel silenzio tombale, il mago fu certo di aver capito male. Non era possibile, dal punto di vista fisico e da punto di vista teorico.
«In che senso, scusa?» balbettò.
«In quel senso, Li’» rispose l’elfa, lasciando andare la formalità. «Nel senso che è stata distrutta, disintegrata, dissolta, prosciugata… posso andare avanti a cercare sinonimi, ma non mi pare il caso» chiuse con una punta di acidità.
«Ma come è possibile? L’ha creata un Dio» obiettò Ophelia.
«Vi assicuro che al posto della Cascata adesso c’è un bel cratere, l’ho visto coi i miei occhi. Ogni traccia di magia si è dissolta, e quando questo è accaduto avete avvertito la scossa sismica. L’epicentro è il canyon, ma persino il Reame dei Nani nell’estremo est ne è stato duramente colpito. Non so come spiegarlo, ma la distanza non ha attenuato la violenza del sisma, al contrario pare che il quantitativo di magia presente nei luoghi colpiti abbia inciso sul danno arrecato, e gli elementi stessi ora stanno infierendo sulla Terra dei Tuoni.»
A Pothien poco danno, ricordò Liam. L’unico mago là era lui.
«Si sa che cosa è successo alla Cascata?» domandò il Governatore di Lenada.
L’elfa annuì gravemente.
«È stata la veggente.»
«Lo stregone?» domandò Rayhana.  
«Crediamo che Selene abbia liberato tutta la sua energia sulla Cascata, togliendosi la vita» concluse abbassando gli occhi sulle proprie mani.
Liam si rese conto che non stava respirando da un po’ quando cominciò ad annaspare. Uno stregone poteva fare una cosa del genere? Perché?
«So che cosa state pensando, ma non ne abbiamo idea. Le vostre domande sono le stesse domande che assillano noi, e non abbiamo risposte. Nessuno di noi la conosceva abbastanza da poter decifrare il suo gesto. Però dobbiamo fronteggiare l’emergenza al meglio delle nostre possibilità.»
«Nana, dove sono gli stregoni?» domandò Liam con un filo di voce, colto da un presentimento orribile.
Rowena sospirò di nuovo.
«Nelle loro stanze, al sicuro, prive di conoscenza. Sono vive, ma non sappiamo dove si trovi la loro mente in questo momento.»
Mentre rifletteva su queste implicazioni, Liam comprese che il suo problema di gestione dei poteri era, tutto sommato, poca cosa.
«Come ritenete di procedere, Principessa?» domandò un nomade con la pelle scura come la notte, come quella di Abigail.
«Horlon, Frunn ed io abbiamo dato fondo alla biblioteca di Lumia, senza ottenere grandi risultati. Gli unici riferimenti alla Cascata del Potere sono criptici, ma abbiamo dedotto che non si trattasse solo di un posto carico di energia. Ci doveva essere qualcosa, lì, un nodo che alla distruzione della cascata si è sciolto. Dobbiamo scoprire di cosa si trattasse e se esista un modo per rimettere insieme i pezzi» esitò. «Mi dispiace, non sappiamo molto altro.»
«Che cosa dobbiamo fare?» domandò Elizabeth.
«Voi maghi, che siete qui e avete risposto alla convocazione, siete forse gli unici ad aver mantenuto un controllo decente sui vostri poteri. Gli elementi stanno ribollendo, e la vostra magia con essi. Quattro di voi, uno per ciascun elemento, dovranno intraprendere un viaggio alla ricerca di un’entità che forse saprà darci delle risposte.»
Tacque, in attesa che qualcuno commentasse, ma nessuno sembrava in grado di intervenire in modo sensato. Così riprese:
«In uno dei nostri testi più antichi si parla di sacerdote, o una vestale, che si troverebbe al centro del mondo, e che sarebbe a conoscenza di tutto ciò che è, che è stato e che sarà. Se riuscissimo a parlare con questa entità, potremmo farci indicare come riportare l’equilibrio tra gli elementi.»
Liam, che aveva ascoltato tutta la spiegazione con crescente incredulità, alzò la mano.
«Voi ci credete?» domandò.
Rowena e l’elfo accanto a lei – il citato Frunn - si scambiarono un’occhiata sconfortata.
«Non abbiamo altro. Ne abbiamo parlato con gli Unicorni, ma non hanno voluto condividere le loro conoscenze con noi, dicono di essere vincolati da un antico giuramento. Possiamo aspettare che il mare divori le nostre coste, che la vegetazione prenda dominio sulle nostre città, il vento spazzi via le coltivazioni e il fuoco renda l’aria irrespirabile. Oppure possiamo aggrapparci a questa fievole speranza e tentare.»
Liam ghignò.
«Bella risposta da diplomatico.»
«Sto studiando» rispose Rowena con un sorriso stanco. 
Liam annuì, lo sguardo perso sulla decisione che aveva appena preso. Guardò Rayhana e disse:
«Se me lo permetti, Ray, vorrei andare io.»
La maga sgranò gli occhi.
«Perché?» balbettò.
Il mago si strinse nelle spalle.
«Non riuscirei ad aspettare con le mani in mano e mi trovo a mio agio con l’idea del viaggio.»
Rayhana esitò un momento, poi annuì.
Liam sperò che il marito e i bambini della collega gliene fossero almeno un po’ riconoscenti. Sicuramente più di Irthen e Yu. Mentre rifletteva su cosa avrebbe potuto e dovuto scrivere a suo fratello, si unirono a lui Ophelia, Elizabeth e, suo malgrado, Alec. 
«Bene» concluse Rowena «se nessuno ha nulla da aggiungere io dire che è meglio prenderci un po’ di tempo per elaborare quello che ci siamo detti. Molti di noi hanno affrontato un lungo viaggio per essere qui. Se siete d’accordo aggiornerei la seduta a domani mattina.»
 
Mentre afferrava il secondo boccale di birra della serata augurandosi che fosse anche l’ultimo, Rowena si domandò per l’ennesima volta che cosa ci facesse in quella bettola insieme a quel lunatico di Liam. Di sicuro se qualcuno dei delegati l’avesse riconosciuta, la sua immagine non ne avrebbe tratto particolare giovamento, come Frunn non aveva mancato di farle notare.
Il mago aveva parlato del piccoletto di Irthen e del lavoro, lei l’aveva aggiornato sulle ultime novità – sisma a parte – del Reame Elfico, e sembravano entrambi intenzionati con uguale caparbia a comportarsi come se il mondo non fosse lì lì per finire. L’elfa lo sapeva che quello sarebbe stato l’ultimo momento di libertà per un bel po’. Per entrambi. Lo vide prendere un sorso generoso di birra e si concesse un momento per osservarlo. Non era cambiato granché da quando l’aveva conosciuto, nonostante i non semplici dieci anni passati. Portava ancora i capelli lunghi, aveva ancora la tendenza al sarcasmo e l’aria cupa. Aveva smesso di rimorchiare donne dovunque andasse, però. Si divertiva ancora ad affascinarle, ma non andava oltre. Non si era più abbandonato alle vecchie abitudini dopo la guerra, aveva ancora l’ombra di Jonna addosso.
«Hai finito di fissarmi? Non credo di avere una mappa del tesoro disegnata in faccia» sbottò il mago.
«Ti serve una donna, Li’» commentò Rowena serafica.
«Oh, no tesoro, quello che mi serve è un’altra birra.»
«Nah, non credo sia il caso con quello che ci aspetta nei prossimi giorni.»
Liam si incupì e Rowena si morse la lingua. Aveva infranto la magica bolla del qui ed ora e l’espressione del mago la fece pentire in una frazione di secondo di averlo fatto. Avrebbe davvero voluto avere la parola giusta per togliergli quella piega dal centro della fronte, ma purtroppo quel gene non l’aveva ereditato da Horlon. Ne aveva ancora parecchia di strada da fare. Anche se, a dirla tutta, di solito non si lasciava andare in quel modo, la compagnia di Liam le faceva male almeno quanto quella di suo fratello Oliandro.
«Lo dici anche a Dodo?» domandò il mago intercettando improvvisamente il filo dei suoi pensieri.
«Cosa?»
«Che deve cercarsi una donna.»
«In realtà l’unica volta che ho provato a suggerirlo mi ha quasi sbranata» disse allungandosi sul tavolo per posare il boccale.
Liam le afferrò delicatamente un polso, facendola sobbalzare.
«Che cosa c’è?!» domandò allarmata.
«Come sta Lukas?» domandò a bruciapelo.
Rowena si rilassò, sollevata che non ci fosse un pericolo imminente.
«È a Lumia con il Re. È rientrato subito e da lì non si è più mosso.»
«Ma… sta bene? I suoi poteri…?»
L’elfa vide per un momento il ragazzino che la osservava con quegli innaturali occhi argentati e la preoccupazione riemerse.
«Non se la passa molto bene. Sta facendo del suo meglio per non fare disastri, ma i suoi poteri fanno un po’ quello che vogliono. Purtroppo, e per fortuna, si rende conto di essere pericoloso e si è messo in isolamento. Horlon sta cercando di aiutarlo, gli sta insegnando tecniche di meditazione e cose così…» esitò. «Sai meglio di me che se dovesse davvero perdere il controllo, ci sarebbe ben poco da fare. Lukas è il mago più potente che io abbia mai incontrato, e sta maturando molto velocemente. Ma questa cosa è più grande di lui.»
«È più grande di tutti noi» commentò Liam lasciandole il polso.
Il mago scolò l’ultimo goccio del boccale e si alzò.
«Grazie Nana, bere con te è sempre di conforto.»
Le strizzò l’occhio e la salutò uscendo dal locale.
L’elfa lo vide lasciare sul bancone monete sufficienti da saldare la consumazione di entrambi e sorrise massaggiandosi il polso. Aveva le mani davvero calde.

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Capitolo 3
*** Un rompicapo montato male ***


Un rompicapo montato male
 
 
Nella sala del consiglio si discuteva ormai da un po’ e Liam aveva perso interesse per il problema. Se c’era una cosa che aveva imparato durante la guerra, era che la pianificazione accurata era spesso una perdita di tempo, soprattutto se non si conosceva il proprio avversario. E decisamente loro non lo conoscevano. “Facciamo ridere i polli” gongolò la vocina acida nella sua testa. Il problema era semplice: se davvero c’era una vestale, o qualcosa di simile, e si trovava al centro della terra, nessuno sapeva come arrivarci. Nessuno sapeva se il centro della terra fosse inteso in senso materiale o se fosse metaforico. Nessuno sapeva se servisse un incantesimo per trovarlo o se si trattasse di un luogo fisico. Stavano parlando di aria fritta da troppo tempo, ormai, e lui si era stancato. 
Incrociò lo sguardo di Rowena, che sembrava sconfortata almeno quanto lui era annoiato. Gli fece un po’ di compassione. Se la ricordava bene quando, dieci anni prima, totalmente ignara di essere l’erede al trono di Lumia, smaniava per trasferirsi dal Governatorato di Bosco Lossar alla capitale. Chissà che vita avvincente si aspettava di vivere, là… decise che ne aveva avuto abbastanza. Alzò la mano e tutti si interruppero, sorpresi.
«Oh, Liam, allora sei sveglio!» esclamò Chloé con una punta di sarcasmo.
Liam la ignorò con esperta disinvoltura.
«Trattandosi di cosucce riguardanti le beneamate divinità» esordì, suscitando la reazione risentita di più di un delegato «non varrebbe la pena di domandarsi se questo fantomatico “centro” non indichi piuttosto un luogo mistico? Me lo immagino come un tempio antico, o una cosa del genere…»
Rowena si mordicchiò un’unghia e si rivolse a Frunn, sempre seduto alla sua destra.
«Ti risulta possibile? Esiste un luogo così?»
Mentre l’elfo rifletteva assestandosi gli occhiali dalla montatura sottile, Liam non riuscì ad evitare di domandarsi ancora una volta – la centesima – a cosa gli servissero. Prima o poi gliel’avrebbe chiesto se davvero avesse problemi di vista o se si trattasse solo di una scelta stilistica.
«Più di uno, a dire il vero, e l’osservazione di Liam dell’Acqua è sensata» disse con aria assorta. «Ogni elemento ha un suo tempio di riferimento per il culto, solitamente il più antico del campionario, ma qui si parla di una vestale, non di qualcosa che ha a che fare con uno degli elementi. Il posto più logico sarebbe il canyon della Cascata ma abbiamo già appurato che non è rimasto nulla, là. Non so se esista un altro luogo che si possa collegare in egual misura a tutta la magia.»
Mentre gli occhiali scivolavano di nuovo sulla punta del naso, il suo sguardo si fece ancor più vacuo.
«Tranne forse…» esitò.
Tutti trattennero il respiro, Liam incluso, ma Frunn sembrava perso nel suo archivio interiore.
«Frunn?» lo incalzò Rowena.
L’elfo la rimise a fuoco e si rabbuiò.
«Il Tempio di Fato» disse.
«Ma lì ci viveva Selene, io ci sono stato e non c’era nessun’altra creatura strana oltre a lei» obiettò Liam.
«È vero, ma il tempio attuale è stato costruito sulle rovine di un vecchio edificio, un luogo mistico che nessuno di noi ha avuto modo di vedere integro perché è andato distrutto troppi secoli fa. Selene aveva delle doti particolari, vedeva quello che sarebbe accaduto. Non sarebbe possibile immaginare che una forza più antica e potente di lei l’abbia attirata là? Ad Anànvola?»
Liam si prese un momento per rifletterci. Sarebbe stato ben più che ironico, ma in fondo perché non provare? 
«Anànvola non dista più di un paio di giorni di cavallo da qui» disse. «Io un tentativo lo farei.»
Rowena annuì.
«Concordo, nel peggiore dei casi avremo buttato via qualche giorno.»
La sala fu percorsa da un brusio di approvazione, ma Frunn si schiarì la voce, riportando il silenzio. 
«Non amo fare il guastafeste, ma vi consiglio di non prenderla alla leggera. Se è vero quello che abbiamo ipotizzato, cioè che gli effetti del cataclisma siano stati tanto più intensi quanto maggiore l’energia magica del luogo, il rischio è che Anànvola sia in condizioni disastrose. Sarà necessaria prudenza» concluse.
Liam deglutì a vuoto e incrociò lo sguardo di Rowena. Annuirono all’unisono.
 
Rowena accese un’ulteriore candela perché le ombre iniziavano a darle noia. Seduto allo scrittoio, Frunn sfogliava un grosso tomo e sorseggiava una tisana dal profumo pungente.
«Te l’ha attaccata lui questa mania per le tisane?» 
«In verità no, mi sono sempre piaciute. Ma sicuramente la sua esperienza ha ampliato i miei orizzonti» rispose senza staccare gli occhi dalle parole fitte. «Non c’è niente su quel tempio nemmeno qui» concluse.
«Sicuramente nella biblioteca di Lumia qualcosa ci sarà» suggerì l’elfa.
Frunn sospirò e posò la tazza.
«È probabile, ma la ricerca sarebbe stata complicata anche con l’archivio in ordine e i libri al loro posto, ora che sono tutti per terra da sistemare sarebbe troppo anche per me. Senza contare che sono qui, e Horlon probabilmente non saprebbe dove mettere le mani.»
Il suo sguardo si perse e Rowena si sentì un po’ in colpa. Il suo amico non lasciava mai volentieri il Re, era stato suo segretario a lungo, ai tempi della guerra dei draghi, e quando il rapporto professionale si era trasformato in relazione privata aveva dato le dimissioni e si era dedicato alla biblioteca di Lumia e alla storiografia. Non era facile costringerlo a lasciare la città.
«Sei preoccupato per lui?»
Frunn annuì e le lanciò uno sguardo dolente.
«Il pensiero che sia là con Lukas, in un momento in cui quel mago è così instabile, mi manda fuori di testa» mormorò.
«Beh, lo sai, no? È proprio per allontanarti dal pericolo che ti ha mandato a fare la balia a me.»
«Lo so, accidenti! E questo mi fa arrabbiare ancora di più! Ma non me la sono sentita di dirgli di no, anche perché so di poterti essere davvero utile qui…»
Rowena sorrise. Suo padre era una testaccia dura, ma Frunn era quasi peggio.
«Grazie» disse chiudendo il libro e sfilandoglielo da sotto il naso. «Il tuo aiuto è prezioso. Significano davvero molto, per me, tutti gli sforzi che tu e Dodo state facendo per sostenermi.»
Frunn le sorrise di rimando, imbarazzato.
«Ma ti pare? Non è poi questo gran problema fare da segretario a te, quando facevo questo lavoro per tuo padre mi faceva diventare scemo!»
 
Le prime luci dell’alba iniziavano a oltrepassare il fitto bosco che avvolgeva il Reame Eterno e a schiarire il cielo di Lumia quando Horlon si strofinò il viso e bussò alla porta della cella di Lukas dell’Aria. Non chiudeva occhio da giorni, e per quanto non avesse effettivamente bisogno di dormire, iniziava comunque a sentirsi affaticato. La verità era che dormire gli piaceva, gli piaceva sognare e raccontare a Frunn le cose assurde che sognava, per farsi prendere un po’ in giro.
«Avanti.»
Girò la chiave ed entrò. Nella penombra gli occhi argentanti del ragazzo sembravano quelli di un gatto.
«Come stai?» 
Lukas si trascinò in piedi e si strofinò il viso.
«Stanco» biascicò.
«Non hai dormito?» 
«No, non molto. Ho percepito che stava arrivando una crisi, verso mezzanotte, e mi sono raccolto in meditazione, ma i flussi magici intorno a me sembravano impazziti e non sono riuscito a calmare la magia come avrei voluto.»
Horlon annuì gravemente.
«Mi dispiace per tutta questa situazione.»
Lukas si strinse nelle spalle.
«Non è colpa tua. Anzi, grazie di avermi concesso questa cella per isolarmi, non eri obbligato a mettere a rischio la salute dei tuoi sudditi.»
Horlon sospirò e si sedette ad un capo del tavolo.
«Io non credo che la metteremo a rischio. E comunque è bello sapere di poter essere utile a qualcuno. Non c’è molto che un elfo possa fare quando c’è di mezzo la magia…»
«Non sei uno di quei re capaci di starsene con le mani in mano, vero?»
Horlon gli sorrise.
«Neanche un po’.»
 
Come l’onnisciente Frunn aveva predetto, il viaggio verso Anànvola non si stava rivelando né semplice né piacevole. Le strade erano deserte e via via sempre più dissestate, e dall’aspetto che avevano sembravano inutilizzate da anni. La vegetazione si stava mangiando la pista, il vento era feroce e incostante, tanto che a tratti era difficile parlarsi. I cavalli erano nervosi e ad ogni variazione dei flussi magici si imbizzarrivano. Ophelia era nervosa quasi quanto loro, anche se cercava di non darlo a vedere, ma Liam ormai la conosceva abbastanza bene, e anche Alec la teneva d’occhio. Quest’ultimo era stranamente silenzioso, in compenso Elizabeth continuava a borbottare come una pentola di fagioli. Aver dormito poco e male non aveva migliorato il morale.
«Siete mai stati ad Anànvola?» domandò Liam quando ciò che restava della città comparve alla fine all’orizzonte. 
«Io no» risponde Elizabeth.
Ophelia ed Alec si scambiarono un’occhiata.
«Noi sì, una vita fa, mentre inseguivamo Lukas dell’Aria» rispose la maga.
Ophelia non parlava spesso di quel periodo con Liam, che aveva militato per buona parte del conflitto nella fazione opposta. Il mago supponeva che la cosa la mettesse a disagio, e comunque era probabile che la guerra non fosse un bel ricordo, vissuta da adolescente. E una parte di lui sperava anche che provasse un po’ di vergogna per aver collaborato alla cattura di un bambino, Lukas appunto, che già allora era il più potente mago in circolazione.
«Com’era?» domandò Elizabeth.
«La classica città del nord» rispose Liam. «Tetti a spiovere, case non intonacate, niente di particolare. La peculiarità del luogo era il turismo spirituale, la gente veniva qui da ogni parte della Terra dei Tuoni per chiedere udienza alla Veggente» esitò. «Anch’io l’ho fatto, una volta.»
Si sentì lo sguardo di tutti addosso, ma fu Alec del Fuoco a parlare.
«Lei, invece?»
«Era affascinante e inquietante al tempo stesso. Aveva l’aspetto di una ragazzina dai lunghi capelli d’argento e gli occhi azzurri. Sembrava tanto sola tra quelle pareti così spesse a dividerla dal mondo. Non avrei mai pensato che potesse finire per fare una cosa del genere…»
«Lei non ha combattuto a Cyanor, vero?» domandò di nuovo Elizabeth, che all’epoca dei fatti aveva sette anni e della guerra ricordava poco.
«Non ha combattuto» confermò Ophelia. «Chissà perché.»
«Da che ricordi, non ha mai preso parte ai giochi politici» intervenne Alec. «Lei se ne stava lì, confinata, in compagnia delle sue visioni.»
«A giudicare da quanto è stata pronta a manipolare la mia memoria perché ricordassi il suo oracolo solo al momento opportuno, verrebbe da domandarsi quanta gente abbia subito il lavaggio del cervello da parte sua. Io al posto suo l’avrei sperimentato anche su scala maggiore» disse Liam.
Alec si grattò la testa.
«Interessante teoria. Vorrebbe dire che potremmo essere stati tutti manipolati, in qualche misura? Ma, se così fosse, ora che è morta l’incantesimo non dovrebbe svanire?»
«Dipende dall’intensità dell’incantesimo, suppongo, e dal quantitativo di magia utilizzata. Un potere come il suo potrebbe richiedere più tempo per consumarsi. Pensa alle stanze segrete nel palazzo di Storr, a Cyanor.»
«Sì, in effetti ha senso.»
Liam quasi cadde da cavallo. Alec che gli dava ragione era quasi più sconvolgente di tutto il resto. Il loro rapporto non era mai stato semplice. Prima della guerra avevano già avuto qualche battibecco, e poi si erano trovati su due fronti opposti, e per di più in quel periodo Liam aveva avuto una breve relazione con sua moglie. Insomma, non era stato bello ritrovarsi poi a dover condividere un posto nell’Aureo Consiglio – pernacchia – dove peraltro era presente anche la citata moglie, Amina.
Amina il giorno prima non si era presentata e lui si era preoccupato che potesse aver subito gli effetti del Cataclisma, ma non aveva osato chiedere ad Alec se fosse tutto a posto. Per fortuna, poi, la domanda era stata espressa da Chloé, così aveva scoperto che aveva deciso di fermarsi a Madian per prestare soccorso alla gente che ancora non si era ristabilita. Sperava comunque di vederla al loro rientro.
Avevano nel frattempo raggiunto la cinta muraria, o ciò che ne restava. Sembrava essere nevicato di recente, completamente fuori stagione.
«Bene, fin qui ci siamo arrivati, alla faccia di Frunn» commentò.
Alec ghignò.
«Quell’elfo porta male, ve lo dico io.»
Le mura della città erano crollate in vari punti, ma fu solo varcandole che Liam si rese conto appieno della tragedia che quella gente stava vivendo. Gli edifici erano in buona parte danneggiati o distrutti, lungo le strade c’erano molte persone con carretti carichi di cose, che si preparavano ad abbandonare tutto il possibile.
«Se ne vanno?» mormorò Ophelia.
«Non hanno più una casa e l’autunno è vicino. Cos’altro potrebbero fare?» domandò Alec. «Senza gli stregoni e con tutti i problemi che gli elementi ci stanno creando, non riusciremmo mai ad aiutarli.»
La maga annuì a malincuore, e Liam capiva la sua costernazione. Lui viaggiava molto e da molto tempo, e amava farlo, ma proprio perché le sue radici erano ben salde in un posto, e quel posto era Pothien.
«Liam, dove si trova il Tempio?» domandò Elizabeth.
«Direi più “dove si trovava”» rispose.
Delle guglie del Tempio del Fato non era rimasta nemmeno l’ombra. 
«Per di qua» disse, imboccando la via principale.
Non era interamente crollato, in realtà. Solo le quattro guglie avevano ceduto alla scossa ed erano collassate sulla struttura sottostante che, nonostante il danno forse irrimediabile, era ancora in piedi.
«Se siete qui per vedere la Veggente non la troverete. È scomparsa.»
I maghi si volsero. Un sacerdote vestito di grigio chiaro stava in piedi alle loro spalle con una pila di libri tra le mani.
«No, padre, non cerchiamo lei. Vorremmo entrare nel Tempio, però» rispose Alec.
Il viso del sacerdote fu attraversato da uno spasmo.
«Non posso impedirvelo, siete maghi, dopotutto» disse chinando lo sguardo. «Dopo tanti anni qui so riconoscere la magia quando la vedo» aggiunse in risposta alle occhiate scettiche delle più giovani. «Però sappiate che il Tempio del Fato non è più il Tempio del Fato.»
«In che senso?» domandò Alec.
«Non sono capace di spiegarvelo a parole, dovrete vederlo con i vostri occhi. Fare attenzione, entrare là è come entrare in un mondo diverso…» lanciò uno sguardo spaventato all’edificio e si allontanò.
«Perfetto, un’altra rogna!» esclamò Alec.
«Si dice “opportunità”» mormorò Liam.
«Opportunità un paio di p-»
«Vacci piano, Alec» lo interruppe Ophelia. «Liam stava solo sdrammatizzando, e insultandolo le cose non andranno meglio.»
Liam sogghignò.
«Rimesso al tuo posto da una ragazzina» lo schernì con un gestaccio.
Alec fece per ribattere, ma intervenne nuovamente Ophelia.
«E stai buono anche tu, Liam. Prima di tutto, io ho la tua età quando avevi la mia età, e in secondo luogo se non vi sforzate di essere almeno sopportabili scriverò a Re Horlon e gli dirò che siete due capre!»
Alec si rabbuiò e anche Liam mise il broncio. Nessuno dei due aveva voglia di fare figuracce con il Re degli elfi, e lui avrebbe evitato volentieri anche la ramanzina di Rowena.
«Bene, quindi che si fa?» domandò Elizabeth.
«Io direi che si va dentro. Se il Tempio del Fato non è più il Tempio del Fato, forse adesso è quello che cerchiamo noi» rispose Liam.
Gli altri annuirono.
Lasciarono i cavalli alla stazione di posta e si avvicinarono con circospezione al portone di ingresso.
«Siete pronti?» mormorò Ophelia sbirciando attraverso la fessura.
Liam deglutì a vuoto e le fece segno di lasciarlo entrare per primo. Non si sarebbe perdonato se fosse successo qualcosa alle due ragazzine in quel frangente. Trattenne il respiro e varcò la soglia. 
Per un momento gli sembrò che nulla fosse fuori posto, poi vacillò. Il terreno sotto i suoi piedi vibrava, i flussi magici intorno a lui si attorcigliavano su sé stessi facendogli vedere le vertigini. Si piegò su sé stesso, cercando di posare i palmi sul pavimento, ma anche questo semplice gesto gli costò uno sforzo estremo. Sentì Alec imprecare a denti stretti dietro di lui, seguito a ruota da Elizabeth e da Ophelia, e mentre ancora cercava di ritrovare la stabilità la sua attenzione fu catturata dal rumore sordo di un tonfo.
Si volse di scatto. Ophelia giaceva immobile al suolo.
 
«Sire, posso disturbarvi? Sono arrivati due messaggi per voi.»
Horlon balzò in piedi e corse incontro ad Arkel, il suo segretario.
«Grazie mille, li aspettavo. Per favore, avvisa la Gilda dei Mercanti che tarderò qualche minuto.»
«Sì, Signore.»
Horlon attese che Arkel si ritirasse per rimuovere il sigillo del primo messaggio, quello di Frunn.
 
“Horlon,
i maghi sono ad Anànvola per cercare risposte al Tempio del Fato. A Natìm la situazione è sotto controllo, ma non possiamo essere di grande aiuto. Rowena sta aggiornando Oliandro a Bosco Lossar e intende insistere perché gli Unicorni contribuiscano con le loro conoscenze, non intende accettare il loro diniego, e io sono d’accordo con lei. 
Se tu dovessi aver bisogno di aiuto per Lukas dell’Aria non esitare a chiedere, i maghi che hanno risposto all’appello, lo sai, non sono molti, ma qui sono comunque inutili. Non appena avremo notizie da Liam dell’Acqua ti aggiorneremo. Fino ad allora, ti prego, fai attenzione!
Tuo,
Frunn.”
 
Horlon fece scorrere lo sguardo sulla grafia inclinata e precisa di Frunn e sospirò. Chissà quanto doveva essergli costato non insultarlo per iscritto per averlo spedito via con Rowena. 
Prese l’altra lettera e se la rigirò tra le mani. Nella ceralacca era intrappolata una piuma scura.
 
“Nel sud c’è troppo silenzio. Il Monte Alba non è oscurato da alcuna ombra. Mi spingo più avanti.”
 
L’elfo prense tre respiri profondi, cercando di normalizzare il battito cardiaco. Meowin, la punta di diamante dei suoi servizi segreti, l’ombra del Reame Eterno, la spia nota come “Falco” tra i nobili del Gran Consiglio di Lumia, si trovava nel territorio dei draghi. Stava battendo la Terra dei Tuoni in largo e in lungo per mappare la situazione, che si faceva più inquietante rapporto dopo rapporto. Era dura restarsene lì ad aspettare, con le persone che Horlon amava di più lontane miglia dalla sua protezione, ma non c’era nessuna alternativa.
 
Quando Ophelia riprese conoscenza, Liam ricominciò a respirare.
«Oh, Dei, Lia! Che spavento! Come ti senti?» domandò l’altra maga.
Ophelia si portò una mano alla testa e imprecò.
«Che divinità si bestemmia in questo Tempio?» sbottò.
Liam sorrise. Stava decisamente meglio.
«Cosa ti è successo?» intervenne Alec.
La maga si trasse a sedere e si guardò intorno, confusa.
«Non lo so, mi è mancata la terra sotto i piedi e sono caduta. Mi aiutate, per favore?»
Liam la rimise in piedi e si guardò finalmente intorno. Il senso di vertigine perdurava, ma iniziava a farci l’abitudine. Quello che vide, però, non gli piacque.
«D’accordo, questo decisamente non è il Tempio del Fato!» esclamò.
Aveva la percezione di trovarsi in mezzo a tanti specchi rotti che riflettevano cose diverse. In alcuni spicchi poteva riconoscere il tempio che aveva visitato dieci anni prima, ma in altri si vedevano cose che non potevano assolutamente trovarsi lì. Vedeva vecchi palazzi mischiati con alberi, con distese d’acqua e con montagne che vomitavano fiamme e fuoco. C’erano deserti, e piazze gremite di gente. Sentì la mano di Ophelia cercare la sua e la strinse.
«Niente paura» disse. «Sì, è strano; sì, è inquietante; sì, sto ancora sperando di svegliarmi maledicendo i peperoni e la digestione lenta. Ma siamo qui e dobbiamo andare.»
«Liam, lo sai che non mi piace contraddirti, ma questo tempio è un rompicapo montato male… tanti rompicapo montati male e mescolati tra loro» disse Elizabeth.
Seppur concordando mentalmente, il mago si volse verso Alec.
«Tu senti qualcosa di particolare? Qualche attrazione istintiva?»
Alec si concentrò.
«L’elfo ha parlato di un edificio antico, di un sacerdote al centro della terra. So che vomiteremo tutti, ma credo che dovremmo cercare di focalizzare questi luoghi uno ad uno per capire se ce n’è uno che potrebbe avere un collegamento con questa descrizione.»
Liam annuì.
«D’accordo, proviamo. Voi cosa vedete?»
«Piante» disse Elizabeth.
«Vulcani» aggiunse Alec.
«Persone» Ophelia.
«Oceani» scelse Liam.
Iniziarono a elencare scorci: case, monti, paesaggi innevati, il Tempio dell’Acqua di Eremo, Lumia, la Città dei Morti, la valle Satkita, il Tempio del Fuoco di Torat, il Canyon, il fiume Morgael, un drago…
«Fermi, ce l’ho!» esclamò Elizabeth.
La ragazza fece un passo verso un’immagine che Liam non riusciva a mettere a fuoco, con i grandi occhi azzurri sgranati su qualcosa che solo lei riusciva a definire.
«Liz, noi non vediamo quello che stai vedendo tu…» mormorò Ophelia.
«Non importa, prendete la mia mano.»
Gli altri si guardarono e afferrarono un dito ciascuno della sua mano sinistra.
«Bene, ora state pronti perché non so cosa succederà» disse, prima di tendere la mano libera verso il frammento del luogo che aveva scelto.
 

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Capitolo 4
*** Quando l'elemento chiama, il mago deve rispondere ***


Quando l’elemento chiama, il mago deve rispondere
 
 
Liam chiuse istintivamente gli occhi quando si rese conto che stavano attraversando il frammento di specchio scelto da Elizabeth. Ma li riaprì subito quando percepì la temperatura e il livello di umidità intorno a loro cambiare. Scoprì di essere circondato da cristalli e gemme che brillavano di luce tenue, racchiusi in un antro di pietra scura.
«Dove siamo?» domandò perplesso Alec.
«Non lo so, ma mi sembrava che il posto fosse interessante» rispose Elizabeth.
Ophelia gemette e si portò le mani alla testa.
«Qui c’è qualcosa di strano, mi scoppia la testa. L’elemento è distorto.»
Liam chiuse gli occhi e si sforzò di concentrarsi sui flussi magici. 
«È vero, brava Liz» mormorò.
Individuava le spirali avvolgersi intorno a qualcosa, di fronte a loro, lo avvertiva molto chiaramente, eppure i suoi occhi non restituivano nulla.
«Aspetta, Alec, che fai?!» gemette Elizabeth quando il mago avanzò deciso verso il nodo che anche Liam aveva individuato.
«Chi c’è?» domandò.
La sua domanda echeggiò tra le pareti di pietra. Nessuna risposta. Alec raggiunse il nodo di magia e allungò la mano. Nel momento esatto in cui attraversò l’intreccio invisibile dei flussi tutto intorno a loro si congelò. Nell’assoluta immobilità dell’aria, una voce profonda e pulita riverberò nelle loro teste.
«Siete giunti sino a qui, maghi, e questo fa onore alla vostra perspicacia. Non ricevo visitatori da migliaia di anni.»
I maghi si guardarono intorno senza riuscire ad individuare da dove provenissero quelle parole. 
Liam si sentiva a disagio, ricordava di aver già provato una cosa simile.
«Dove siete?» domandò Ophelia.
L’aria sembrò incresparsi, e tutto tornò normale, i flussi ripresero a muoversi, l’atmosfera di immobilità si ruppe. E davanti a loro comparve l’entità che cercavano.
«Un unicorno!» esclamò Elizabeth facendo un passo indietro.
Liam lo osservò con attenzione. Aveva un corno di pietra nera e opaca, che Liam riconobbe. Si chiamava Buio ed era sacra alle tribù nomadi.
«Che cosa siete venuti a cercare?»
L’impatto della sua voce mentale diede loro le vertigini.
«Cerchiamo soluzioni» rispose Liam, soppesando attentamente le parole.
«A quali enigmi?»
Alec gli lanciò un’occhiata severa ma non intervenne. Liam deglutì a vuoto. La sua gola si era seccata all’improvviso.
«La Cascata del Potere è stata distrutta e la magia, ora, è impazzita. Dobbiamo trovare un modo per stabilizzare i flussi magici prima che la potenza degli elementi ci spazzi via.»
L’unicorno sembrò rabbuiarsi, ma non rispose. Dopo qualche momento di interminabile silenzio, Liam iniziò a spazientirsi.
«Gli elfi pensano che voi possiate avere la soluzione a questo problema.»
«Liam dell’Acqua» la voce della creatura riverberò potente in ogni fibra del suo essere. «Io ho la soluzione a tutti i problemi. Ma perché dovrei consegnarla a voi? La conoscenza è pericolosa nelle mani dei deboli» sentenziò.
«La conoscenza è inutile se non può fare del bene a nessuno» ribatté il mago.
Era abbastanza sicuro che l’unicorno la stesse solo tirando per le lunghe. Che interesse poteva avere a lasciare che la Terra dei Tuoni andasse distrutta? Le ragazze, dietro di lui, si stavano innervosendo, ma per contro percepiva la tranquillità di Alec, e questo lo rassicurava più di quanto fosse disposto ad ammettere.
L’unicorno lo fissò e Liam sentì il suo sguardo, fisico e mentale, trapassarlo da parte a parte. Non distogliere gli occhi gli richiese tutta la sua forza di volontà, ma la posta in gioco era troppo alta: aveva già avuto a che fare con gli unicorni, la dimostrazione di onestà era per loro importante sopra ogni cosa. Maledetti cavallini spocchiosi.
«Cosmos» disse infine.
«Come, prego?» balbettò Liam, preso alla sprovvista.
«Il Cosmos è il vostro problema. Il Cosmos è armonia, ordine, bellezza, è tutto ciò che non è Caos. Il Cosmos regge la Cascata del Potere, è il pilastro che mantiene l’equilibro nel vostro mondo. Racchiude la stilla vitale degli Dei. La distruzione della Cascata ha comportato la distruzione del Cosmos.»
Il cervello di Liam arrancava per registrare le informazioni pur senza capirle, ma lo scenario gli sembrò comunque inquietante.
«Ma si può riparare, giusto?» domandò Alec.
L’unicorno scosse la criniera luminosa con aria infastidita.
«Dovrete prima recuperarne i pezzi» rispose, sibillino.
«E dove si trovano?» insistette Alec.
«Sono tornati al loro elemento, là dove tutto è cominciato. Cercate le quattro parti del Cosmos, seguite il vostro istinto magico, e ricostruite l’equilibrio.»
Lo spazio si distorse così all’improvviso che Liam sentì lo stomaco contrarsi. Dopo un momento di dolorosa sospensione, tutto vorticò e vennero proiettati attraverso il varco che avevano oltrepassato, ritrovandosi nel delirio ottico del tempio del Fato.
«Ci ha sbattuti fuori?! Che maleducato!» esclamò Ophelia.
«Evidentemente ha deciso che sappiamo abbastanza» sbottò Liam. «Usciamo di qui prima che dia di stomaco.»
 
Meowin si sedette stancamente su una roccia e contemplò il triste spettacolo sotto di sé. Non aveva la forza di fare rapporto, doveva prima recuperare un po’ di autocontrollo. Gli Alti Nidi, roccaforte dei draghi, erano deserti. Non c’era più traccia della presenza degli abitanti, come se non fossero mai esistiti. Nessuna vecchia squama abbandonata, nessuna impronta nella terra, graffi nella roccia. I picchi erano privi di uova, nulla lasciava intendere cosa fosse accaduto in quell’angolo remoto del mondo.
«Dove siete finiti?» mormorò a sé stessa.
Che cosa avrebbe dovuto riferire a Horlon? Che i draghi si erano volatilizzati? Che la bobina del tempo si era riavvolta e ora, lì, non ci erano mai arrivati? Aveva già coperto quasi metà della Terra dei Tuoni e di situazioni tragiche ne aveva già viste troppe. I villaggi sulla costa erano stati cancellati dalle mareggiate, i campi si erano inariditi. Di quel passo non ci sarebbe stato cibo per affrontare i mesi a venire. Ma fino a quel momento non aveva compreso appieno le proporzioni del cataclisma. I draghi erano scomparsi. Erano forse la razza più antica della Terra dei Tuoni, bellicosi, orgogliosi ed egoisti, avevano già affrontato il popolo di Meowin in guerra due volte negli ultimi cinquecento anni, e mai nella vita l’elfa si sarebbe immaginata un mondo senza di loro. C’era stato un tempo in cui non aveva compreso la riluttanza del suo Re all’idea della loro estinzione, poi era cresciuta e aveva iniziato a capire. L’equilibrio aveva un prezzo, e passava anche da lì, dalla Terra dei Draghi, che ora era deserta. Nemmeno loro, con la loro magnifica potenza distruttiva, avevano potuto opporsi all’ira degli Dei.
Meowin sospirò ed estrasse dal suo piccolo bagaglio l’occorrente per scrivere un messaggio per il re. Che cosa avrebbe dovuto dirgli?
 
Irthen camminava avanti e indietro da un po’ quando un braccio di Yu lo soprese, bloccandolo. Si accorse che si era fatto buio.
«Stai consumando il pavimento e mi metti ansia. A cosa stai pensando?»
«A Liam. Non sono sicuro che sia stata una buona idea rimanere qui… da quello che ha scritto nella sua lettera, le persone più a rischio ora sono proprio i maghi e i luoghi a loro collegati. Non ti sembra una contraddizione che abbia voluto fare tutto da solo?»
Yu esitò e il suo sguardo si perse in pensieri lontani. Alla fine, disse:
«In un certo senso sì. Però credo che quello che riguarda la Cascata del Potere sia in qualche modo una responsabilità morale delle creature magiche, e in assenza degli stregoni sono i maghi ad avere un legame più forte con gli elementi. Liam lo sa, lo sente… il legame di un mago con il proprio elemento è una cosa viscerale, forse non è nemmeno del tutto consapevole, ma quando il suo elemento lo chiama, il mago deve rispondere.»
Irthen si rabbuiò.
«Che significa? Come sai queste cose?»
Yu sorrise.
«Ruben sapeva molte cose sulla magia. Se c’è una possibilità di sistemare le cose, di certo non saremo noi a coglierla. Ma un mago potrebbe.»
Irthen sospirò e si strofinò gli occhi.
«E se non ci riuscisse?»
Yu lo guardò senza rispondere.
 
Il gruppo di maghi era ripartito subito nonostante la notte ormai incombesse. Erano silenziosi e sconfortati. Il loro viaggio aveva dato risposte ma non soluzioni, e potevano solo sperare che le conoscenze millenarie degli elfi riuscissero a sbrogliare la matassa. Dovevano cercare le quattro parti del Cosmos, ma dove, come? E come erano fatte? Che dimensioni avevano? E se anche le avessero trovate, come avrebbero potuto riunirle? E i danni già causati alla Terra dei Tuoni sarebbero stati permanenti? Quanto tempo avevano per risolvere la situazione prima che fosse troppo compromessa? Inoltre, Liam non ne aveva fatto parola con gli altri ma da quando aveva lasciato Anànvola si sentiva addosso un vago malessere che non riusciva a definire e che certamente era legato allo stato della sua magia. E scoprire che quegli psicopatici degli unicorni erano coinvolti non aveva migliorato le cose. Liam ricordava bene quella follia del processo a cui aveva dovuto sottoporsi a Bosco Lossar e tutto ciò che ne era conseguito, se avesse potuto assecondare il suo istinto – cosa che dieci anni prima avrebbe fatto senza pensarci due volte – avrebbe mollato tutto e sarebbe tornato a Pothien. Non sopportava la loro assoluta noncuranza dei problemi del mondo circostante, che non ci provassero a convincerlo che non ne sapevano niente del cavallino nel tempio perduto! Il governatore Glenndois era loro amico da una vita, che per un elfo era un tempo esageratamente lungo, eppure loro non ci avevano pensato un attimo prima di negargli il loro aiuto. Parlavano tanto di onestà e lealtà, ma alla fine erano i peggiori stronzoni della Terra dei Tuoni.
Comunque sia ,avevano già provveduto a trasmettere notizia di quello che avevano scoperto a Rowena, e per il momento Liam considerava il suo compito concluso.
 
 «Ascolta la mia voce, Lukas. Concentrati sulla mia voce. Ogni piega, ogni inflessione… ce la puoi fare, ne sono sicuro.»
Il ragazzo scosse il capo, una ciocca scura sfuggita dalla coda spettinata gli ricadde sulla tempia.
«Non ci riesco, il rombo è troppo forte» gemette.
Lukas continuava a risentire nella sua testa l’agghiacciate suono della scossa di terremoto ogni volta che i flussi magici si agitavano troppo, e Horlon non aveva gli strumenti per aiutarlo.
«Concentrati sulla mia voce» ripeté.
«No, così non ce la faccio. Sedami.»
L’elfo sgranò gli occhi.
«Sei impazzito?!»
«Ci ho pensato molto e credo che in questi momenti sia l’unica soluzione. La meditazione non basta più quando raggiungo questo stadio. Voi siete elfi, sono sicuro che conoscete l’erba giusta per mettermi a dormire qualche ora.»
Horlon deglutì. Era solo un ragazzino…
«Lukas, io non credo che…»
«Ti prego!»
Lo guardò negli occhi. Il suo sguardo era fermo, sicuro, sembrata tutt’altro che un sedicenne. Sospirò.
«Va bene, come desideri» capitolò, alzandosi. «Ti mando il guaritore.»
Lukas lo ringraziò in silenzio e l’elfo lasciò la stanza. 
Mentre impartiva gli ordini necessari, si domandò per quanto ancora potesse resistere senza impazzire e radere al suolo Lumia. Forse era stato davvero sconsiderato da parte sua accoglierlo in città. Ma cos’altro avrebbe potuto fare? Se avesse rifiutato il suo aiuto ad un ragazzino spaventato non sarebbe più stato capace di guardarsi allo specchio. Poteva solo sperare che i maghi riuscissero a trovare i quattro frammenti del Cosmos prima che i nervi di Lukas cedessero. O prima che lo facessero i suoi.
 
Entrando nella sala del consiglio, Liam lanciò un’occhiata eloquente a Rowena e si lasciò cadere pesantemente sulla sedia. L’elfa alzò un sopracciglio ma non tradì ulteriormente la sua regale compostezza.
Era di pessimo umore, non aveva chiuso occhio perché avevano deciso di non sostare per la notte, e aveva il sospetto di avere qualche linea di febbre – ma avrebbe anche potuto essere una conseguenza della visita al tempio che non era un tempio. Ora doveva anche sopportare quell’agonia di riunione prima di poterle parlare in privato, ma era davvero ad un passo dalla strage.
Mentre Alec del Fuoco aggiornava i presenti sulle loro non-scoperte, Liam lasciò che la sua mente vagasse altrove, alla ricerca di qualcosa che calmasse la rabbia e la sensazione di essere stato ancora una volta abusato dagli unicorni. A dirla tutta gli dava anche abbastanza fastidio che gli entrassero nella mente per comunicare con lui, come fossero stati a casa propria.
Senza che lui avesse ascoltato una sola parola, la seduta fu sciolta in attesa della verifica delle nuove informazioni da parte di Re Horlon. Frunn e Rowena si stavano attardano per mostrare alcune mappe al delegato di Lenada quando Liam si avvicinò loro. Non andava fortissimo con le etichette reali, ma le formalità gli interessavano anche molto poco in un momento come quello. Sfiorò il gomito dell’elfa e domandò:
«Hai un minuto?»
Rowena esitò, poi si rivolse a Frunn.
«Ti dispiace?»
«Qui ci penso io» rispose l’elfo con un cenno del capo.
Rowena sorrise al mago, ma il suo sorriso risultò poco credibile.
«Seguimi.»
Liam fu condotto attraverso il palazzo sino alle stanze private della delegazione di Lumia, dove la principessa lo parcheggiò il tempo necessario per richiedere una tazza di caffè alla sua attendente.
«Ne vuoi anche tu?»
«No, grazie, sono già abbastanza nervoso così.»
L’elfa si sedette di fronte a lui con la sua tazza tra le mani.
«Dai, sputa il rospo.»
«Unicorni, Nana. Lo sapevi?»
«No», rispose abbassando lo sguardo.
«Guardami negli occhi mentre lo dici.»
Rowena si rabbuiò, poi lo guardò negli occhi.
«No, non lo sapevo.»
Liam si rilassò leggermente.
«Grazie» sbottò.
«Capisco perché tu ti senta infastidito, in fondo Glenn ha chiesto il loro aiuto e loro ce l’hanno negato, nonostante certamente sapessero la verità… disturba anche me.»
Liam scosse il capo.
«Non è solo questo» balzò in piedi e prese a camminare avanti e indietro. «Io non… non posso fare a meno di ricordare che per colpa loro mi sono sottoposto ad un inutile rito, che ha messo in pericolo la mia vita – e che probabilmente mi ha impedito di raggiungere Irthen prima che arrivasse alla Cascata, ma su questo voglio sorvolare – solo per dimostrare loro quanto fossi onesto. Tralasciando il fatto che, alla fine, i disonesti sono loro, hai una vaga idea di cosa io abbia passato per colpa degli unicorni?! Per una manciata di lunghissime settimane sono stato convinto di aver sepolto viva mia sorella, Nana, mia sorella! Come pensi mi sia sentito? Come pensi mi sia sentito mentre Amina riesumava il corpo di Syra? E lo sai qual è stata la cosa più atroce? È stato dover fare i conti con il senso di colpa per il sollievo provato davanti ai suoi resti, perché lei è morta davvero e io per un attimo me ne sono sentito grato, lo capisci?!»
Il mago sentì gli occhi pizzicare e faticò a trattenere le lacrime. Di dolore, di rabbia, di vergogna. 
L’elfa lo guardava seria, gli occhi blu come il mare aperto.
«Ne hai parlato con Irthen?» domandò.
«Non ne ho parlato con nessuno» rispose.
Constatò che la sua voce si era spezzata, ma non ebbe il tempo di pentirsi per quel momento di debolezza. Rowena aveva posato la tazza, si era alzata e l’aveva abbracciato con una delicatezza che gli esseri umani non possedevano.
«Mi dispiace tanto» mormorò tra i suoi capelli.
Liam sentì la tensione defluire.
«Non voglio avere più niente a che fare con loro. So di essere egoista, mi dispiace, ma non ce la faccio.»
L’elfa lo liberò dalle sue braccia e lo guardò negli occhi.
«Lo capisco. Ne parlerò con mio padre, te lo prometto.»
 
Quando il mago si richiuse la porta alle spalle, Rowena crollò sul divano. Si sentiva prosciugata.
«Che cosa ho appena visto?» domandò, incredulo, Frunn emergendo dalla stanza attigua. 
«Stavi origliando?» sospirò.
«Non pensavo fosse una questione così privata. Sono rientrato dall’altro ingresso e ho tentato di non disturbare.»
L’elfa si passò le mani tra i capelli.
«Che cosa posso fare per lui?»
«Niente, Nana. E, francamente, il suo mi sembra anche un capriccio» esitò. «Quindi? Dirai a Horlon che il mago è esentato perché ha avuto un’infanzia difficile?»
«Ma si può sapere che ti prende? Cos’è tutto questo cinismo?»
«Sto interpretando la tua parte, quando evidentemente tu non hai intenzione di farlo. Davvero i desideri di quel mago sono così importanti per te? Capisco che sia il tuo nuovo migliore amico, ma non possiamo permetterci di rinunciare al suo aiuto, lo sai.»
«Lo so» mormorò Rowena.
Ma nel profondo della sua persona, quello che sapeva era che Liam non se lo meritava.

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Capitolo 5
*** Ai confini dell'ignoto ***


Ai confini dell’ignoto
 
 
Rowena lasciò cadere la lettera di suo padre e imprecò tra i denti.
«Posso?» domandò Frunn accennando al documento.
L’elfa annuì.
«A Liam non piacerà.»
Frunn posò il breve messaggio del Re e alzò gli occhi su di lei.
«Perché ti preoccupa tanto?»
«Perché è mio amico, non sono contenta di dargli brutte notizie. E si arrabbierà. Tu l’hai mai visto Liam arrabbiato?»
«Nana, dobbiamo parlarne seriamente di questa cosa. Da quando quel mago è tuo amico?»
«Da quando mi ha nascosta a casa sua per giorni senza farmi domande.»
Frunn sgranò gli occhi.
«Scusa?! E quando sarebbe successo?»
Rowena sospirò.
«Dopo la guerra. È stato un brutto periodo, e Liam è stato un amico inestimabile. Non ho la pretesa di poterlo ripagare, ma mi piacerebbe almeno potergli risparmiare qualche mazzata.»
Frunn esitò, passandosi una mano sulla fronte per scostare i capelli sfuggiti dalla coda.
«Non credo che ce la farai, questa volta» mormorò alla fine.
Rowena abbassò lo sguardo.
«Lo so.»
 
Era calata la notte e Rowena era ancora lì a rigirarsi tra le mani il messaggio del Re, suo padre. 
Erano passati quasi dieci anni da quando aveva scoperto la verità sulla sua ascendenza, ma ancora non ci aveva fatto del tutto pace. Il fatto che sua madre fosse stata un tipo particolare non l’aveva mai portata a pensare che potesse aver avuto una relazione segreta con il fratello di suo marito, anche se con il senno di poi molte cose acquisivano un significato diverso. Erano passati dieci anni da quando Horlon le aveva detto la verità, ma la rabbia che ogni tanto ancora la assaliva a ondate non si era attenuata. Perché sua madre non gliel’aveva detto? Perché, dopo averlo scoperto, Horlon aveva taciuto per cinquecento anni? E chissà che delusione per suo fratello, che in assenza di eredi diretti era il primo candidato in lista per la corona. E chissà che dolore e che vergogna per Glenndois scoprire che sua moglie e suo fratello non avevano avuto alcun rispetto per lui. Chissà che angoscia per Frunn dover mantenere un segreto del genere per tutto quel tempo.
Essere tenuta allo scuro per millecentonovant’ anni era stato crudele. Crudele chiamare padre una persona che non in realtà non lo era, crudele non poter crescere con un genitore che, ora lo vedeva chiaramente, era così simile a lei! Quanto tempo sprecato! E anche Frunn la faceva arrabbiare, come faceva ad essere sempre così integro, così irriducibilmente fedele al suo ideale? Che rabbia! Perché lui riusciva a fidarsi e ad affidarsi a Horlon in ogni momento, anche quando la situazione era così complessa, e lei no? Sangue del suo sangue. Il guaio era che non c’era nessuno con cui potesse sfogare il suo uragano interiore, nessuno che non fosse parte in causa, per lo meno. Era per questo, forse, che nei dieci anni passati dalla fine della guerra si era trovata a frequentare Liam dell’Acqua. Lui sapeva cosa voleva dire dover vivere nell’attimo presente per arginare il maremoto. Liam era stato testimone diretto della sua crisi esistenziale, e non ne aveva fatto parola con nessuno. Era stato allora che Rowena aveva capito di potersi fidare di lui, a dispetto delle apparenze.
 
Dieci anni prima, dopo la battaglia di Cyanor, si era occupata personalmente di riportare a Lumia l’Esercito Eterno. Aveva attraversato Golfo Edera con la consapevolezza che c’era qualcosa di strano se il Re faceva tappa a Bosco Lossar prima di rientrare in città. Proprio lui, che a Lumia lasciava sempre un pezzo di cuore – oltre che Frunn. Infatti, il suo sesto senso ci aveva visto giusto, Horlon era andato a Bosco Lossar per confessare a Glenndois le sue tresche con Ailyn, ma soprattutto per informarlo che lei, Rowena, era l’erede al trono. Non aveva idea di come fossero andate veramente le cose, non aveva mai osato chiederlo, ma alcuni giorni dopo entrambi i fratelli l’avevano raggiunta nella capitale ed era stata edotta della situazione. Era stato estremamente imbarazzante per tutti e tre, e l’aveva mandata nella più totale confusione. Aveva preso le distanze da tutti per il resto della sua permanenza a Lumia, e aveva chiesto il permesso di allontanarsi per un po’, per chiarirsi a sé stessa. Ovviamente, nessuno aveva avuto il coraggio di obiettare, nonostante i potenziali rischi del viaggiare da sola in una terra devastata dalla recente guerra. Unica figlia di un Re che ora aveva una relazione stabile con un altro elfo, avrebbe dovuto iniziare a stare attenta anche a non inciampare scendendo le scale per non rischiare una morte prematura. Aveva percepito chiaramente la loro preoccupazione, e la profonda costernazione di Horlon, ma non ce l’aveva fatta a rimanere al suo posto a fingere che tutto andasse bene. Si era sentita tradita e confusa. Perché in quel momento? Perché così? Perché Horlon – suo padre – non le aveva detto tutto quando l’aveva saputo a sua volta, cinquecento anni prima? E sua madre, che aveva mentito a tutti fino alla fine?
Era partita, quindi, alla ricerca di non sapeva neanche lei cosa, con tutti quei mesi di guerra che le pesavano sulle spalle e una gran confusione nella testa. Aveva vagato per un po’ senza meta, mescolandosi agli sfollati che si spostavano da una cittadina all’altra per cambiare vita o per dimenticare le persone care che avevano perduto. Aveva attraversato paesi di cui ignorava l’esistenza, muovendosi come un fantasma e scansando ogni possibile interazione con le persone che incrociava sul suo cammino. Ma ci aveva messo poco a capire che in quel modo non sarebbe riuscita a far ordine dentro il suo caos. Era stato allora che aveva deciso di andare da Liam dell’Acqua. Dopo tanti anni a Bosco Lossar non c’erano molti umani con cui Rowena avesse avuto rapporti amichevoli che fossero ancora in vita, e di una questione del genere non si poteva chiaramente discutere con altri elfi. 
Era arrivata a Pothien una sera di pioggia, senza avere la minima idea di cosa stesse facendo. Era imbarazzata e depressa allo stesso tempo, e non doveva avere una bella cera perché quando il mago aveva aperto la porta e l’aveva riconosciuta era sbiancato di colpo. Ma, riavutosi dal colpo iniziale, l’aveva fatta entrare e le aveva offerto un piatto di zuppa calda. Liam era stato estremamente cortese con lei, nonostante gli fosse piombata in casa ad un orario indecente e senza preavviso. Non aveva fatto domande, le aveva solo detto che avrebbe potuto restare quanto avesse voluto, e le aveva preparato una stanza. Irthen aveva occupato la casa di una vecchia vicina insieme a Yu, nessuno avrebbe saputo di lei a meno che non fosse stata lei a volerlo. Dopo una notte di sonno insperatamente profondo, Rowena si era svegliata avvolta nei profumi di un bosco che non le era familiare, più umido e più muscoso di quello del Reame Eterno, e le era piaciuto. Si era presa un momento per apprezzare il suo piccolo atto di ribellione, poi si era trascinata al piano terra. Liam stava trafficando in cucina. L’aveva sentito parlare con Irthen mentre si dava una rassettata, Yu gli aveva fatto portare una bella fetta di torta di mele calda, che ora il mago stava dividendo in due fette più piccole. Ignaro di essere osservato, aveva squadrato le due porzioni, poi aveva scelto la più grossa e l’aveva messa da parte e aveva addentato l’altra. L’elfa aveva sorriso tra sé e si era schiarita la voce per annunciarsi. Sobbalzando, il mago aveva deglutito il boccone di torta e l’aveva fatta accomodare davanti alla fetta che aveva conservato per lei.
Rowena si era fermata a Pothien solo qualche giorno, e nessuno oltre a Liam l’aveva saputo, fino a quel momento. Si era impegnato per tenere suo fratello fuori da casa sua e per il resto non aveva una gran vita sociale. Però lavorava tanto. Le aveva mostrato come aveva imparato a sfruttare la sua magia per la lavorazione di pietre e metalli, e le aveva raccontato di come il commercio dei gioielli da lui creati fosse ormai fiorente in tutto il nord-est. A sentirlo parlare della sua arte sembrava un bambino. Rowena non immaginava che dietro alla strafottenza di quello strano umano potesse esserci così tanto da scoprire. Aveva un animo gentile. Lo sapeva, per lui non doveva essere stato semplice doversi accollare una seccatura come la permanenza segreta della principessa di Lumia, non in quel momento. La guerra era appena finita, aveva perso delle persone che significavano molto, per lui. Senza contare che Pothien era un piccolo paese, e che aveva dovuto affrontare le conseguenze di vent’anni di bugie sulla sua magia, della fuga di Irthen, della scomparsa di Amina e di altre rogne correlate. Nonostante questo, era stato davvero discreto e non l’aveva minimamente fatta sentire di peso. Quei pochi giorni, anzi, l’avevano aiutata a chiarirsi le idee su come gestire la sua nuova posizione. Una parte di lei sperava che in qualche modo anche a Liam potesse aver giovato la sua compagnia, ma non si faceva troppe illusioni. 
Ad ogni modo, si era congedata dal mago ed era tornata a Lumia, dichiarandosi pronta a prendere il proprio posto nella gerarchia. Ed era vero, era pronta, solo, ogni tanto, riaffiorava la sensazione di essere una marionetta nelle mani di qualcun altro, e la cosa la faceva sentire a disagio. Come in quel momento.
 
Liam prese un respiro profondo. L’aria della notte era già fredda, nel nord, anche sulla sponda del Lago di Nebbia – seppure molto meno che a Pothien. Non era riuscito a dormire a lungo nonostante la stanchezza del viaggio, e, quando si era svegliato, fuori era ancora buio. Si era alzato, si era vestito ed era uscito. Il palazzo aveva un ballatoio dal quale si poteva osservare l’orizzonte del lago, che non era totalizzante come il mare, ma comunque meglio di niente.
Non pensava che si sarebbe di nuovo sentito così nella sua vita. Così precario, così inadeguato, e anche così solo. La guerra gli aveva restituito sé stesso e il suo rapporto con Irthen, ma gli aveva anche portato via molto. Jonna era solo una piccola parte della sua frattura interiore, e per quanti errori potesse aver fatto nella sua vita, non pensava che si sarebbe di nuovo dovuto trovare a fare i conti con catastrofi e rischi mortali. Aveva trentacinque anni e aveva già dovuto seppellire troppe persone che amava, iniziava a sentirsene svuotato.
Parlare con Rowena l’aveva fatto sentire meglio, però. Non era abituato a mostrare il suo lato vulnerabile, ma lei gli si era affidata quando era il suo turno di sentirsi confusa e depressa, sapeva di potersi permettere un po’ di fragilità a sua volta senza correre il rischio dell’altrui giudizio. In qualche modo, anche all’elfa la guerra aveva dato e tolto molto. Le aveva detto che non avrebbe più avuto niente a che fare con gli Unicorni, ma in realtà sapeva di non potersi tirare indietro. La sua storia gli aveva insegnato che lasciare i problemi agli altri rischiava solo di crearne di più grossi. Aveva la fortuna di non essere rimasto gravemente menomato nel suo potenziale magico, non poteva restare a guardare. Si augurava solo di riuscire a tornare a casa sano e salvo, prima o poi.
 
Rowena si sistemò il diadema sul capo prima di fare il suo ingresso nella sala del Consiglio. Non era riuscita a riposare molto ma confidava che non si notasse troppo. Al contrario, Frunn sembrava fresco come una rosa. Si annotò di chiedergli quale fosse il suo magico segreto contro le occhiaie.
«Buongiorno a tutti, grazie di essere qui anche oggi» esordì, sforzandosi di modulare il tono di voce in modo che risultasse energico ma senza esagerare.
Lasciò il tempo alla platea di rispondere al saluto e lasciò scorrere lo sguardo da una persona all’altra. I delegati erano nervosi, Chloé annoiata, i maghi avevano tutti gli occhi cerchiati, nessuno di loro era rimasto completamente immune al cataclisma. Poi i suoi occhi incrociarono uno sguardo inatteso.
«Oh, Amina! Ben arrivata!» esclamò.
«Grazie, lieta di essere riuscita a raggiungervi» rispose la maga con un sorriso stanco.
«Com’è la situazione a Madian?» domandò.
«Stabile, ora. Danni ingenti alle strutture, fortunatamente poche vittime.»
Rowena annuì. 
«Bene. Ho notizie da Lumia, cercherò di essere breve e concisa.» Si accomodò meglio sulla sedia e accettò con un cenno di ringraziamento gli appunti che Frunn le stava tendendo. «Abbiamo analizzato quanto possibile relativamente alle parole dell’oracolo, e abbiamo trovato qualche riferimento al Cosmos nell’archivio di Lumia. Alcuni testi ne parlano come di una sorta di monile, o di cristallo. Sire Horlon è dell’opinione che le quattro parti debbano essere ricercate nei luoghi in cui i relativi elementi si manifestano in modo più profondo, più connaturato al tutto. Per questo ha già preso contatti con i quattro templi maggiori, che conservano i testi sacri relativi a questo argomento.»
«Aspetta, coinvolgeremo il culto?» domandò Alec con una punta di scetticismo nella voce.
«La Cascata del Potere è stata creata dal Dio dell’Acqua e si reggeva sul Cosmos, direi che è proprio il caso di farlo.» Un brusio si alzò dalla platea e Rowena alzò una mano per riportare il silenzio. «La nostra bibliografia è molto, molto ricca, ma ci sono comunque delle conoscenze che non possiamo possedere, nel senso materiale del termine. Inoltre, in questo momento buona parte dei volumi in nostro possesso e in alcuni casi anche delle relative scaffalature sono ancora dove la scossa li ha sbattuti, e il nostro bibliotecario è qui con me, quindi dubito fortemente che qualcuno riuscirebbe a trovare qualcosa di così antico e delicato.»
«Non devi giustificarti» disse Amina con un sorriso conciliante. «Faremo tutto ciò che è necessario.»
L’elfa annuì e prese mentalmente nota di ringraziarla alla prima occasione.
«I quattro templi maggiori sono il tempio del fuoco di Lenada, il tempio dell’aria di Aimos, il tempio della terra di Phia e ovviamente il tempio dell’acqua di Eremo. Come preferite organizzarvi?»
«I sacerdoti solitamente non amano condividere i misteri del Dio, siamo sicuri che ci aiuteranno?» domandò Elizabeth.
«Il Re ha già inviato messaggi per annunciare il vostro arrivo, non gli negheranno appoggio in una situazione come questa. È però certamente possibile che decidano di svelare i misteri solo a un mago dell’elemento collegato.»
«È meglio se ci dividiamo e ognuno si dirige direttamente al proprio tempio, quindi?» domandò Ophelia.
Rowena lanciò un’occhiata a Frunn, che si strinse impercettibilmente nelle spalle.
«Ci sono pro e contro in ogni caso. Ovviamente, dividervi velocizzerebbe l’operazione, ma vi metterebbe maggiormente in pericolo. Tutti voi avete subito e state subendo la situazione, spostarvi in gruppo vi garantirebbe un supporto in caso di imprevisti e problemi. Ma gli esperti siete voi, a voi sta la decisione.»
I maghi iniziarono a discutere tra di loro e lei si volse verso Frunn.
«Mentre loro saranno via, vorrei che tu tornassi a Lumia.»
Frunn sgranò gli occhi.
«Per quale motivo?»
«Perché vorrei che tu cercassi una cosa nella nostra biblioteca, senza che mio padre lo sappia.»
L’elfo si rabbuiò.
«Cos’hai in mente?»
Alec si schiarì la voce.
«Ne parliamo dopo» sussurrò, prima rivolgere l’attenzione al mago.
«Ci divideremo per aggiungere i templi, ma la ricerca effettiva delle quattro parti del Cosmos la faremo insieme. Ci sembra la soluzione meno rischiosa» concluse Alec.
Rowena annuì.
«Posso aggregarmi a Lia?» domandò Amina.
«Certo, la situazione qui è stabile. Aqua e Debrina sono costantemente monitorate, ma credo sia una precauzione inutile. Per quanto mi riguarda potete anche partire tutti insieme. Se doveste aver bisogno di comunicare, abbiamo alcuni corvi messaggeri a disposizione.»
«Quando saremo là, dovremo cercare qualcuno in particolare?» domandò Alec.
«Credo che troverete qualcuno ad aspettarvi.»
I maghi ripresero a parlottare tra loro e Rowena incrociò lo sguardo di Liam. Gli fece cenno di cercarla più tardi, pregando di riuscire a gestire la situazione.
 
Frunn richiuse la porta alle sue spalle e si volse verso la principessa. 
«Perché devo andare a Lumia senza che Horlon lo sappia?»
Solo pensarlo gli faceva venire la nausea, per mille motivi diversi che variavano tra il senso di colpa e la consapevolezza che non sarebbe mai riuscito a passare inosservato, lui non era Meowin.
«Ci serve un piano di emergenza» rispose Rowena camminando avanti e indietro nervosamente. «La possibilità che i maghi non riescano a riparare il Cosmos è concreta, e se non ci riusciranno che cosa succederà? Dobbiamo cercare un’alternativa, un luogo su cui ripiegare per mettere in salvo la nostra gente. Vorrei che tu facessi delle ricerche sul territorio che ci circonda, in particolare sulla zona a ovest di Lumia.»
«A ovest di Lumia c’è il mare» obiettò.
«Non può esserci solo mare, prima o poi anche il mare ha una fine. A est sappiamo esserci lo sconfinato territorio delle tribù, a nord la distesa di ghiaccio è troppo ampia per essere attraversata con una carovana a piedi, e a sud ci sono i draghi e superare il loro territorio è impossibile. L’unica nostra possibilità è ad est.»
Frunn esitò c’erano molte cose che suo padre non le aveva ancora detto, ma non spettava a lui farlo. 
«Non credi che sarebbe meglio dare questo incarico alle spie?» azzardò.
«Lo sai, il Falco risponde solo al Re. Non vorrei coinvolgerlo in questa cosa, ha già abbastanza problemi a gestire Lukas dell’Aria, e comunque non voglio sembrargli una che si arrende alla prima difficoltà.»
Frunn fece una smorfia.
«Voi due dovete parlare di più e congetturare di meno. Va bene, vado, ma non ti garantisco di riuscire a passare inosservato. Se mi scoprisse, cosa vorresti che facessi?»
Rowena ci pensò su.
«Mi fido del tuo buon senso, gestisci la situazione come richiederà la contingenza.»
Frunn sospirò e l’elfa gli posò una mano sulla spalla.
«Non voglio crearti dei problemi con lui.»
«Lo so. Tu te la caverai?»
«Ho chiesto a mio fratello di raggiungermi, così se Horlon dovesse beccarti non potrà rinfacciarti di avermi lasciata da sola a Natìm.»
Frunn scosse il capo, messo con le spalle al muro.
 
I maghi avevano concordato di partire non appena pronti, e Liam stimava di poter lasciare la città con il sorgere del nuovo giorno. Non si illudeva, infatti, che gli elfi avessero deciso di esentarlo, tanto più che Rayhana aveva la febbre e difficilmente avrebbe potuto partire al posto suo. Doveva ancora parlare con Rowena e stava rimandando il loro incontro il più a lungo possibile. Finché non si sentiva dire chiaramente che non c’era alternativa, c’era ancora speranza, giusto?
“Non ci credi neanche tu”, diceva la vocina nella sua testa.
Ed era tristemente vero, lo sapeva che il problema non era quello. C’erano mille motivi per cui avrebbe preferito partire senza tanti convenevoli, ma il più valido era la vergogna per essere andato a frignare dalla futura regina degli elfi, come avesse avuto cinque anni. Adesso che aveva sbollito un po’ di rabbia si rendeva conto che per quanta confidenza potessero aver acquisito in quei dieci anni di conoscenza, lei aveva comunque una posizione delicata da gestire, e lui l’aveva sicuramente messa in difficoltà con le sue richieste infantili. Mentre verificava che tutta l’attrezzatura della sua cavalcatura fosse pronta alla partenza, notò che il sole ormai stava tramontando e il tempo a disposizione era quasi finito. L’aveva quasi scampata… quasi. Non appena formulato il pensiero, captò dei passi leggeri che gli strapparono un’imprecazione mentale.
«Liam, sei qui? Ti nascondi da me?»
«In effetti sì» rispose.
Rowena seguì la sua voce e gli si parò davanti, con l’aria scontenta e corrucciata che la caratterizzava dieci anni prima.
«Mi chiedi un favore e poi mi eviti? Sei scortese.»
Liam sospirò, prese la spazzola e si dedicò alla criniera del suo cavallo.
«Ho sbagliato a metterti in mezzo a questa cosa, è stato stupido. Possiamo fare finta che non sia mai successo?»
L’elfa aprì la bocca, esitò e la richiuse.
«Ti stai preparando a partire?» domandò infine.
«Sei venuta a fermarmi?»
Rowena si morsicò un labbro e abbassò lo sguardo.
«Appunto» commentò il mago.
«Mio padre ha detto di riferirti che considererà estinto il tuo debito con Lumia. Qualunque cosa significhi.»
Liam si bloccò con la spazzola a mezz’aria.
«Oh», esclamò. «Beh, in effetti questo è un ricatto travestito da cortesia. Sta bene! Mi ero già arreso all’evidenza dal momento che Ray sta male e non avrei avuto comunque una riserva. Yu mi dice sempre che sono troppo cinico e che dovrei sforzarmi di vedere il mondo da una prospettiva diversa, quindi vediamola così: Horlon ha tenuto in calda la sua minaccia per tutti questi anni e l’ha sprecata per obbligarmi a fare una cosa che avrei fatto comunque. Liam uno, super-elfo zero.»
Rowena lo guardava con aria confusa.
«D’accordo, mi conforta che tu l’abbia presa così bene, ho passato la giornata pensando a come arginare un tuo eventuale intento omicida… bene, detto ciò, direi che possiamo davvero fingere che non ne abbiamo mai parlato e salvarci almeno la dignità» sospirò. «Non fare tardi, ti aspetta una lunga cavalcata.»
«Sì, mamma» rispose Liam.
 
Frunn mise nel suo bagaglio il minimo indispensabile per affrontare il viaggio, che non sarebbe stato lunghissimo ma nemmeno agevole. Non sapeva perché avesse acconsentito, sarebbe stato inutilmente pericoloso e se Horlon l’avesse scoperto si sarebbe infuriato.
«Hai la spina dorsale di una medusa» si disse regolando la fibbia del borsone da viaggio.
«Sei troppo duro con te stesso, amico mio.»
Si volse e tentò di lanciare un’occhiataccia a Oliandro, ma gli riuscì poco credibile.
«Ben arrivato. Tua sorella per un po’ sarà una tua incombenza» disse.
«Come da duemila anni a questa parte» commentò quello con un’alzata di spalle.
«Come sta Glenndois?»
«Ferito nell’orgoglio. I rapporti con gli unicorni sono molto tesi ultimamente, non so come andrà a finire.»
Frunn annuì. Era inevitabile una rottura dopo gli ultimi avvenimenti.
«Sei già in partenza?» domandò Oliandro.
«No, partirò domattina. Con un Antico del Sud dovrei riuscire a raggiungere Golfo Edera in capo a tre giorni.»
«Vai tranquillo, qui ci penso io» esitò. «Come se la sta cavando?»
Frunn sorrise.
«Molto bene, nei limiti delle sfortunate circostanze.»
«E di… lei, sai qualcosa?»
«So che era diretta a sud, ma non ho sue notizie da quando ho lasciato Lumia.»
L’elfo annuì, scontento, e Frunn non riuscì ad evitare di farsi contagiare dal suo disappunto. Meowin era sua sorella, anche lui era costantemente in ansia per lei.
«Sarà meglio che vada a dire a Nana che sono qui, così potrà iniziare a ricoprirmi di lamentele su quanto odi la diplomazia.»
 
Meowin si svegliò dolcemente come non le capitava da una vita. Non dormiva spesso, e quando lo faceva non ne traeva gran giovamento, generalmente, ma l’alba di quel nuovo giorno l’aveva trovata totalmente persa in un sogno che aveva protagonista Oliandro, e i filamenti del quale si disfecero in pochi attimi di lucidità. Oliandro non era lì, lei era sola, ovviamente, ai confini dell’ignoto. Le sue spie erano sparse per la Terra dei Tuoni e nessuno oltre al Re immaginava che lei si trovasse lì. Il pensiero, in un certo senso, era eccitante. Consumò un pasto veloce, raccolse le sue cose e si rimise in viaggio. Tutto ciò che stava sul versante sud del Monte Alba era un mistero. Era territorio dei draghi da tempi immemori, non c’era mai stato modo di spingersi così a sud nell’esplorazione. C’erano quindi buone probabilità che i suoi fossero i primi piedi a calpestare quel suolo in migliaia di anni. Un suolo sul quale difficilmente avrebbe incontrato suoi simili, sul quale non era il Falco, non era una delle centomila identità fittizie che si era creata, ma era sé stessa, semplicemente Meowin, figlia di Alecno. Il pensiero la colpì come una stilettata. In fondo, era quello che Oliandro le chiedeva da secoli, di rinunciare all’incarico e riprendersi la sua vita. E immancabilmente si beccava un “no” secco sulla faccia. Non capiva nemmeno perché lui continuasse a insistere e ad aspettarla, forse non era abbastanza coraggioso da piantarla in asso. Ne avrebbe avuto tutto il diritto. Avrebbe dovuto farlo lei, magari? Porre fine alla sua agonia e lasciarlo libero? Sarebbe stato un gesto d’amore, dopotutto, no? Lo sarebbe stato anche accontentarlo. In realtà era una codarda anche lei. Decise che una volta tornata da quel viaggio surreale avrebbe preso una decisione definitiva per uscire dall’impasse.
Il versante sud del Monte Alba degradava dolcemente verso un canalone di roccia circondato da picchi montuosi. Lontano, oltre la zona brulla, si distingueva il profilo di un bosco verso sud-ovest e una catena montuosa avvolta da nubi minacciose a sud-est. Decise che avrebbe puntato alla macchia verde, le servivano acqua e cibo per proseguire nella sua esplorazione.
 
Rowena prese congedo da Frunn prima e dai maghi poi con il cuore pesante. Non sapevano quello che stavano facendo e non avevano i loro poteri a proteggerli. Si sedette davanti alla mappa della Terra dei Tuoni per cercare di calcolare le tempistiche delle tratte.
Frunn cavalcava un Antico del Sud, in tre giorni avrebbe potuto raggiungere Lumia. Per quanto riguardava i maghi, Liam aveva almeno tre giorni di viaggio per raggiungere Eremo, come anche Amina e Ophelia per raggiungere Phia; Alec avrebbe dovuto cavalcare per quattro giorni per coprire la distanza che lo separava da Lenada, e quattro giorni sarebbero occorsi anche a Elizabeth e a Timothy per guadagnare Aimos. Avevano concordato di incontrarsi a Pall una volta racimolate le informazioni necessarie presso i templi maggiori, per poi dirigersi verso i luoghi di recupero delle parti del Cosmos tutti insieme. Le sembrava un tempo lunghissimo da passare nell’attesa che qualcosa succedesse.
Oliandro le strappò la carta dalle mani e la ripiegò.
«Dodo! Che fai?!»
«Basta, per oggi. Ti fonderai il cervello se continui a pensarci.»
«Che cosa dovrei fare, secondo te?»
«Niente. Proprio niente. Dormi, passeggia, dipingi… fai tutto quello che non hai potuto fare nelle ultime due settimane. Fai pace con il fatto che non puoi avere tutto sotto controllo.»
Rowena sorrise, stancamente.
«Hai preso lezioni di meditazione da Lollon?»
«Nah, ci ha provato ma non mi faccio incastrare facilmente.»
L’elfa si alzò e si stiracchiò. Avrebbe dovuto trovare un modo per occupare il suo inaspettato tempo libero prima di impazzire.

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Capitolo 6
*** Mago uno, Dio dell’Acqua zero ***


Mago uno, Dio dell’Acqua zero
 
 
Tre lunghissimi giorni dopo, Frunn varcava i confini del Reame Eterno. Non sapeva ancora come fare a raggiungere la biblioteca all’insaputa del Re, e non sapeva neanche che cosa avrebbe riferito a Rowena, ma aveva deciso che avrebbe vissuto le sue ansie una alla volta. Era già più che sufficiente così. Il bosco si stava espandendo a vista d’occhio, i sentieri erano spariti, fagocitati dalla natura che si stava ribellando. Ma Frunn conosceva il territorio come il palmo della sua mano e aveva comunque raggiunto agilmente il molo della Baia delle Sirene. Anche se delle sirene non si vedeva neanche l’ombra, soprattutto con quel mare mosso, che gli aveva reso difficile anche trovare una barca che lo conducesse sull’isola. Considerando che lui non sapeva nuotare e aveva una paura folle dell’acqua era un ottimo inizio. Alla fine, aveva comunque raggiungo la città sano e salvo ed era entrato a palazzo da un ingresso di servizio. La biblioteca si trovava nell’ala est e per raggiungerla aveva dovuto fare i salti mortali. Fortunatamente non aveva incrociato nessuno che fosse abbastanza in confidenza con Horlon da andare a spifferargli del suo ritorno a Lumia.
Entrando nella grande sala principale, gli si strinse il cuore. I suoi preziosi libri erano ancora abbandonati là per terra, alla rinfusa, così come li aveva lasciati quando era partito in fretta e furia con Rowena, le pagine piegate, le copertine strappate. La profonda desolazione di quel luogo che tanto amava e al quale aveva dedicato buona parte degli ultimi cinque secoli della sua vita gli fece venire le lacrime. Prese un respiro profondo, cercando di normare il suo lato emotivo, e mappò mentalmente gli ambienti per capire dove si potessero trovare i volumi necessari a fornire alla principessa le informazioni che desiderava. La zona dedicata alla cartografia non era del tutto agibile, l’elfo inciampò varie volte prima di riuscire a raggiungere la scaffalatura che cercava, per poi scoprire che era collassata su sé stessa.
Preparandosi psicologicamente a scavare nelle schegge di legno, Frunn posò la sua borsa in un angolo e si rimboccò le maniche.
 
Liam aveva cavalcato ai limiti delle possibilità di Gino, il suo cavallo – che in realtà si sarebbe chiamato Fulmine come il primo cavallo di suo fratello, perché Irthen aveva voluto dimostrargli che non era stato il nome a portargli sfortuna, ma Liam l’aveva ribattezzato diversamente – ma nonostante questo non era riuscito a raggiungere Eremo prima del tramonto del terzo giorno di viaggio.
Devastato dalla stanchezza e dallo sconforto, attraversò rapidamente le strade della città con l’intenzione di sbrigare nel più breve tempo possibile le incombenze al tempio. L’edificio era basso, a pianta ottagonale, ed era circondato da giardini, fontane e vasche d’acqua. Ci era stato con i suoi genitori quasi trent’anni prima, in seguito al risveglio della magia, ma non ci era mai più tornato. Non aveva mai avuto un buon rapporto con il culto e con la superstizione in generale. Lasciò Gino alla stazione di posta e oltrepassò di cattivo umore il recinto sacro. Negli ultimi raggi di sole, l’intonaco bianco dell’edificio e il riflesso dell’acqua lo abbacinavano. Le ultime persone, probabilmente pellegrini, stavano uscendo, e Liam si domandò in che direzione dirigersi. Rowena aveva detto che avrebbe trovato qualcuno ad aspettarlo, ma dove? Era uno dei quattro Templi Maggiori, era immenso e lui non sapeva dove andare. Si incamminò lungo il viale principale, imprecando mentalmente. Chissà come se la stavano cavando gli altri.
Improvvisamente la sua attenzione fu attirata da un’ombra scura che si muoveva verso di lui, camminando lungo i bordi di una vasca. Liam strizzò gli occhi, faticando a mettere a fuoco. Doveva trattarsi di una sacerdotessa. Prese un respiro profondo, cercando di contenere il senso di disagio che il culto gli metteva. La figura incappucciata si avvicinava, e nel riverbero della piscina il suo mantello turchese sembrava liquido. Le ombre e i riflessi creavano giochi di luce sul suo viso, per metà velato.
«Chi sei tu?» domandò il mago.
«Benvenuto al Tempio dell’Acqua, anima azzurra.»
«Anima che?»
«Io sono Fiona, e sono qui per aiutarti. Qual è il tuo nome?»
«Sono Liam. Sei una sacerdotessa, giusto?»
La figura si fermò di fronte a lui. Da vicino, il mago notò che non era avvolta in un mantello come aveva in un primo momento pensato, ma in un ampio scialle che le copriva testa, spalle e una parte del viso. Solo gli occhi, dello stesso turchese del tessuto, vi si scorgevano.
«Non sei mai stato qui, Liam dell’Acqua?» domandò.
«Sai che sono un mago? Anche tu lo sei?»
«Io sono una serva del Dio.»
Liam esitò. Era certo di trovarsi davanti ad una maga, avvertiva chiaramente il potere dell’acqua agitarsi intorno a lei. Decise di non insistere.
«Sei tu la persona che Re Horlon mi ha detto di cercare?»
La sacerdotessa si rabbuiò.
«Se è lui che ti manda, non possiamo parlare in questo posto. Seguimi.»
Liam seguì in silenzio Fiona attraverso i giardini che andavano via via svuotandosi. Il crepuscolo ormai incombeva, i pellegrini tornavano ai propri alloggi. Anche nella luce morente, erano evidenti i danni causati dal terremoto. Avrebbe voluto farle delle domande, chiederle come fosse la situazione lì, qualunque altra sciocchezza pur di interrompere il silenzio inquietante di quel luogo, che si trovava nel centro della città senza essere raggiunto dai rumori della vita che scorreva tutto attorno.
Fiona imboccò una porta secondaria e condusse Liam attraverso un labirinto di stretti corridoi fino a raggiungere uno studiolo spazioso, col le pareti coperte di libri.
«Accomodati, sarò da te tra un attimo» disse la sacerdotessa, e sparì in un’altra porta.
Il mago iniziava a pensare che la sua visita non sarebbe stata breve come aveva sperato. 
Fiona tornò dopo qualche minuto con un libro e una lampada ad olio, che posò sul tavolo. Si sedette di fronte a lui e sfogliò delicatamente il volume fino a trovare una mappa, che assomigliava alla Terra dei Tuoni così come Liam la conosceva, ma allo stesso tempo aveva qualcosa di diverso. La donna intercettò il suo sguardo confuso.
«Questa carta è molto antica. Poco di quello che vedi qui raffigurato è rimasto tale, ma proprio per questo è interessante. Dimmi, anima azzurra, cosa vedi?» domandò, ruotando il libro nella direzione del mago.
Liam lanciò un’occhiata a lei e una al libro. Lo infastidiva parlare con una persona con mezzo viso velato.
«Allora, su questa mappa non ci sono città. No, scusa, non è vero, ce ne sono solo alcune, e di quelle indicate conosco solo Eremo e Lumia, anche se i caratteri con i quali sono indicati i nomi sono molto strani.»
«È elfico antico» disse Fiona.
«Oltre a questo, vedo molta acqua. Fiumi, laghi… non so se ce ne si ancora così tanta. Ma d’altronde io non ho visto ogni palmo della Terra dei Tuoni.»
«Giusto. Poi?»
Liam la guardò.
«È un esame?»
«Diciamo che non potremmo fornire queste informazioni, ma se tu riuscissi a capire da solo…»
«Seriamente? Pure in questa situazione facciamo questi giochetti?»
«Puoi anche risentirti, ma non dipende da me. Il tomo che hai davanti è forse il nostro testo più sacro, ti invito ad avere rispetto per i Misteri del Dio.»
La voce della sacerdotessa si era fatta tagliente all’improvviso e Liam soppresse l’istinto di ribattere. Riportò gli occhi alla carta.
«Oltre alla mappatura dei corsi d’acqua, ce n’è un’altra che non riesco a identificare con nulla. In parte combacia con la prima, in parte no, e non è lineare. Vediamo, cosa potrebbe rappresentare?» esitò. «Strade? Percorsi? No, se non me lo puoi dire deve essere qualcosa che non si trova nelle altre carte… flussi magici! Questa è una mappatura della magia nel territorio, ci scommetto quello che vuoi!»
Fiona annuì.
«Bravo, Liam, è esatto. Si tratta solo della parte di magia legata all’acqua, ovviamente.»
«Come avete fatto? È ancora attuale?» domandò.
«Non lo sappiamo, e non sappiamo nemmeno quali strumenti e quanto tempo siano occorsi per raccogliere questi dati. Come puoi immaginare, è materiale molto antico, fa parte di quel pacchetto di conoscenze che definiamo “Misteri”, a buon diritto.»
Liam annuì, esaltato. Che fosse ancora attendibile o no, era magnifico anche solo pensare che qualcuno fosse riuscito a fare una cosa del genere.
«Tutte le linee magiche convergono nel mare ad ovest del Reame Eterno. Che cosa c’è, lì?»
«Non sappiamo neanche questo. Il punto indicato è in mare aperto e non ci sono memorie relative ad un eventuale tentativo di raggiungerlo.»
Liam si alzò in piedi e iniziò a passeggiare avanti e indietro.
«Se i flussi magici convergono là, deve essere quello il posto che cerchiamo, dove tutto ha avuto origine. Quale posto migliore per il frammento di Cosmos dell’immenso mare? Dobbiamo andare a Lumia, Horlon ci presterà sicuramente una nave!»
Fiona sospirò.
«Spero che la tua interpretazione sia corretta. Non sarà facile raggiungere quel luogo con l’elemento in tempesta.»
Liam si bloccò.
«È vero, non ci avevo pensato. Tu che cosa ne pensi? Credi che possa avere ragione?»
Fiona esitò.
«Non lo so. I testi sono elusivi su questo argomento. Quando Sire Horlon ci ha scritto, tre giorni fa, ho fatto il tuo stesso percorso deduttivo, quindi sì, credo che le cose stiano così. Il dramma è che nessuno qui è stato capace di confermarlo.»
«Perché?»
«Ti sembrerà strano, ma nessuno oltre a me vede la mappatura dei flussi.»
Liam si risedette di fronte a lei, turbato.
«Dici davvero?»
«Davvero.»
Ci pensò su un momento.
«Questo avrebbe senso solo in un caso» disse collegando i filamenti di pensiero e istinto nella sua testa. «Tu sei una maga, anche se quando te l’ho chiesto hai eluso la domanda.»
Fiona si irrigidì.
«Cosa te lo fa credere?» domandò, mettendosi sulla difensiva.
«Il mio potenziale, in questo momento, è menomato dal riverbero del cataclisma, ma percepisco comunque i flussi agitarsi intorno alla tua persona. Sono sicuro che tu puoi fare altrettanto con me. A un certo punto mi era venuto il dubbio che questo fosse legato alla tua condizione di sacerdotessa, ma ora ne ho conferma: io vedo la mappa completa, tu la vedi, e gli altri no. Che cosa abbiamo in comune io e te? La magia. Il testo deve essere stato criptato con un incantesimo così che solo i maghi di acqua lo possano leggere. Non ti sembra che abbia senso?»
«Non mi piace la leggerezza con la quale parli dei misteri.»
«E a me non piace che tu continui a eludere la questione. Ci sono altri maghi, qui, tra i consacrati?» 
«No.»
«Allora smettila di sviare le domande e parla chiaramente: sei una maga o no, Fiona?»
Gli occhi turchesi della ragazza si fissarono nei suoi mentre il silenzio si prolungava più del dovuto. Alla fine, capitolò.
«Ho rifiutato la magia, quando questa si è risvegliata. Potrò anche avere delle capacità particolari, ma ho deciso di non farne uso, quindi no, non mi considero una maga.»
Liam rimase immobile, assimilando l’informazione. Una tempesta di domande si stava preparando a scoppiare nella sua testa, ma la mise a tacere. Non aveva tempo da perdere.
«D’accordo. È tutto, oppure c’è altro che devo sapere?»
Fiona sembrò confusa dal repentino cambio di argomento, ma si ricompose.
«È tutto.»
«Bene. Se potessi approfittare della vostra ospitalità per questa notte, e di un pasto, io ripartirei domattina. È buio, ormai.»
«Certamente, è già stata preparata una stanza per te, sorella Maia sarà qui tra qualche minuto per condurtici.»
Liam la osservò, irritato dalla velocità con la quale era riuscita a ricomporre la sua immagine di serenità e decise che valeva la pena di tentare di increspare la superficie.
«Credo che dovresti venire anche tu» disse.
Fiona alzò le sopracciglia, senza celare la sorpresa.
«Prego?»
«Dovresti venire con me. Gli altri maghi ci raggiungeranno a Pall e da là partiremo alla ricerca dei frammenti. Vieni con noi!»
«Perché mail dovrei venire? Il mio posto è qui, la mia vita è l’accoglienza dei pellegrini» rispose, piccata.
«Prova a pensarci: se riusciremo a raggiungere il punto di origine dei flussi magici, potrai integrare i testi sacri, apportare un tuo contributo alla conoscenza dei misteri.»
«Il Dio ci mette in guardia dalla tracotanza.»
Liam alzò le mani.
«Come vuoi tu. Però, sinceramente, quel libro solo tu lo puoi leggere davvero, sarebbe incredibile poter completare la mappa, non credi?»
Fiona fece per rispondere ma in quel momento una seconda sacerdotessa varcò la soglia dello studio.
Liam sorrise a entrambe.
«Bene, è arrivato il mio passaggio. Pensaci, sì?»
Si accodò dietro a Maia senza dare a Fiona il tempo di ribattere, ma si sentì comunque addosso il suo sguardo bruciante. Lui, il sasso, l’aveva lanciato.
 
La ricerca di Frunn si stava rivelando fastidiosamente infruttuosa. Aveva passato la notte a estrarre volumi su volumi dalle macerie della sua adorata libreria, senza però trovare quello che stava cercando. Alle prime luci dell’alba era stanco e sconfortato, e iniziava a pensare che, dopotutto, avrebbe anche potuto essere una buona idea scavalcare il Re e dire chiaramente a Rowena che le sue speranze erano prive di fondamento. Scosse la testa per scacciare il pensiero negativo e si accinse a liberare un altro libro da ciò che restava della scaffalatura. Imprecò quando si conficcò una scheggia di legno in una mano.
«Era una bestemmia, quella?! Accidenti, la compagnia di mia figlia ti fa davvero male!»
Frunn sobbalzò e si volse di scatto. Horlon lo guardava con le braccia incrociate, avvolto nella luce tremolante delle lanterne.
«Da quanto sei lì?» domandò, tentando di arginare la nausea causata dall’accartocciarsi del suo stomaco.
«Da un po’.»
«Allora ho perso una scommessa con me stesso.»
«Pensavi davvero di poterti intrufolare senza che lo sapessi?»
«No, speravo solo che ci avresti messo di più» mormorò arrossendo.
Horlon sospirò.
«Non so cosa dire, Frunn. Sono arrabbiato e un po’ deluso. Perché non mi hai detto che sei tornato?»
L’elfo sentì il battito aumentare in modo proporzionale alla vergogna.
«Mi hai detto di aiutare Rowena, e lei mi ha dato ordine preciso di non farti sapere che sarei stato qui, che cosa avrei dovuto fare?»
«Perché mai l’avrebbe fatto?»
«E perché tu non le hai ancora detto che cosa c’è ad ovest dell’isola?!» esclamò esasperato Frunn allargando le braccia.
«È di questo che si tratta?» domandò raggelato.
«È di questo. E tu capirai, immagino, quanto sia stato difficile e crudele darle false speranze.»
«Non ho ancora avuto modo di parlarle di tutto.»
«Dieci anni, Horlon. Dieci anni durante i quali stento a credere che non si sia presentata l’occasione.»
«Se le dicessi che una voragine blocca qualunque tipo di passaggio, cosa pensi che farebbe, eh? La stessa cosa idiota che ho fatto io alla sua età, andare a vedere e rischiare di ammazzarsi senza motivo.»
«La tua esperienza conterà pur qualcosa.»
«Pensi che mi crederebbe se le dicessi che ogni possibile cataclisma sarebbe meglio di quell’orrore di acqua e vento? Anche mio padre me l’aveva detto.»
«Lei non è te.»
«È mia figlia, Frunn, la mia unica figlia! Non puoi capire quanta angoscia mi provochi il pensiero che una mia parola pronunciata con troppa leggerezza possa involontariamente metterla in pericolo!»
Frunn sentì un brivido gelido corrergli giù per la schiena e si impose disciplina. Se avesse lasciato sfogare tutto quello che gli si stava muovendo dentro sarebbe esploso.
«È questo il problema, quindi? Scusami se non sono all’altezza dei tuoi sentimenti paterni, scusa se non saprò mai cosa significhi struggersi l’anima per il sangue del proprio sangue, purtroppo non è qualcosa a cui possa porre rimedio. E già che sono in vena di polemizzare, vorrei evidenziare quale incoerenza e quale follia sia stata aver accolto Lukas dell’Aria a Lumia, mettendo a rischio la tua città e tutti i suoi abitanti.»
«Anche questo mi vuoi rinfacciare?! Che cosa avrei dovuto fare, dirgli di arrangiarsi?»
«Beh, sì.»
«È solo un ragazzo, come potevo lasciarlo solo?!»
Frunn prese un respiro profondo, senza trarne beneficio.
«Una vita fa mi hai detto che a volte le decisioni del Re non possono combaciare con i desideri di Horlon. In questo caso hai piegato quella che sarebbe stata la scelta giusta per la tua gente ai tuoi sensi di colpa. Non sei stato lucido e ti rifiuti di ammetterlo, e questa cosa mi manda fuori di testa perché in realtà lo sai che rischi stai facendo correre a tutti… per questo ci hai mandati via, o mi sbaglio?»
Horlon esitò e Frunn gli volse le spalle per cercare di ritrovare un briciolo di autocontrollo fra i cocci della sua libreria. 
«Nemmeno hai la dignità di rispondermi.»
Il Re aprì e chiuse la bocca un paio di volte prima di balbettare:
«Stiamo litigando?»
«Vedi tu» sbottò Frunn.
L’elfo trattenne il respiro per tutti gli infiniti secondi di silenzio che seguirono. Alla fine, Horlon capitolò.
«Il libro che cerchi non c’è.»
«E dov’è?»
«Nello studio.»
«Perché è la?» domandò sospettoso.
«Perché ho mandato Mei a esplorare i territori oltre il Monte Alba.»
Frunn si volse e lo guardò a bocca aperta per un attimo.
«Non me l’hai detto» constatò.
«Non mi sembri nella posizione migliore per farmi la morale. E poi, scusami, ma avevi già abbastanza problemi.»
«E tu no? Con il ragazzino, qui, che rischia di far saltare in aria tutta la città?» esclamò accalorandosi di nuovo.
«Va bene, va bene, tregua» disse Horlon alzando le mani. «Litigare non sarà d’aiuto. Se vuoi seguirmi, possiamo prendere in mano il libro e condividere quello che sappiamo.»
Frunn sospirò.
«D’accordo.»
 
Liam lanciò un’ultima occhiata alla mole del Tempio dell’Acqua prima di montare sul suo cavallo. Lo aspettava una lunga cavalcata per Pall, e non aveva intenzione di perdere tempo prezioso.
«Andiamo, amico» disse accarezzando il collo dell’animale.
Stava già oltrepassando la porta sud quando si sentì chiamare e si fermò. La sacerdotessa lo stava raggiungendo in groppa a un bel cavallo Palomino che doveva aver preso in prestito al Tempio. Liam sorrise. Mago uno, Dio dell’Acqua zero.
«Sei venuta, allora» commentò.
«Ne ho parlato con le sorelle, e tutte sono state concordi. Non ci capiterà un’altra occasione simile.»
«Parli di integrare la mappa?»
«Parlo di servire il Dio.»
Liam ghignò.
«Sì, certo. Va bene, ragazza mia, si parte! Spero che il tuo delicato sederino regga tutte le ore di sella che si prospettano nel suo prossimo futuro.»
«Non rivolgerti così a una sacerdotessa!» esclamò.
Liam roteò gli occhi.
«Sarà un lungo viaggio.»
 
Frunn fece scorrere le pagine del tomo e si strofinò gli occhi. Iniziava a faticare a tenere il filo.
«Quindi finalmente scopriremo cosa si cela oltre la Terra dei Draghi» mormorò.
«Sì, beh, da come parli sembra che sia una bella cosa che siano scomparsi» sbottò Horlon infossandosi sempre di più nella sua poltrona.
«Non farmi esprimere» sospirò. «Comunque sarà il caso che tu e Nana iniziate a parlarvi seriamente, questa cosa dei confini è un problema di primario interesse per Lumia.»
«Lo so» mormorò Horlon. «Lo sai, questa situazione mi riporta indietro di parecchi anni, ai tempi di Storr. Te lo ricordi? Riesci ancora a rievocare il suo viso?»
Frunn distolse lo sguardo dal Re e lo spostò sullo spicchio di cielo che si intravedeva dalla finestra.
«Ci sono molte cose confuse nella mia testa riguardo a quei giorni» mormorò, rendendosi conto che i suoi ricordi erano sfocati. «È una sensazione spiacevole sforzare la memoria in alcune direzioni.»
«Spero non in tutte» commentò il Re con un sorriso tirato.
«Certamente non in tutte» rispose, sorridendo di rimando.
La loro relazione era iniziata allora, e Frunn non avrebbe mai dimenticato l’istante in cui aveva capito che c’era speranza che i suoi sentimenti potessero venire ricambiati.
«Eppure, nonostante la storia non faccia che ritornare… sai, forse non te ne ho mai parlato. Al tempo stavo vivendo una specie di crisi esistenziale legata all’immortalità.»
Frunn lo squadrò con interesse.
«In che senso?»
«Eh, come posso dire? Vedevo tutto intorno a me cambiare – Nastomer, gli umani, la Terra dei Tuoni – e io mi sentivo sempre uguale. Mi guardavo allo specchiò e non riuscivo ad accettare la mia assoluta immobilità, mi faceva sentire escluso da flusso del tempo…» esitò. «Poi sono successe cose che mi hanno fatto evolvere e mi sono riallineato con me stesso.»
Frunn sentì un moto di disagio e domandò:
«Ha a che fare con Lady Ailyn?»
Horlon si guardò le mani, come se avesse potuto trovare la risposta scritta su un palmo e Frunn si sentì ulteriormente infastidito. Se dopo tutto quel tempo, quel fantasma aleggiava ancora tra loro, forse non se ne sarebbe andato mai. Ma quando il Re rialzò lo sguardo e i suoi occhi, di quell’azzurro così intenso, si fissarono in quelli di Frunn, questi si sentì un idiota.
«No, non si tratta di lei. Si tratta di te. Sei stato tu a permettermi di capire che c’è una parte di noi, la più profonda, che non è soggetta alle regole del tempo e dello spazio, e si plasma continuamente alla ricerca della miglior versione di sé, e non possiamo prevedere dove ci porterà il suo movimento. Io credo che tu mi abbia reso migliore, in ciascuno di questi cinquecentonove anni trascorsi insieme.»
Con il cervello completamente svuotato, Frunn rimase lì a fissarlo come un ebete. Sapeva di essere arrossito ai limiti dell’impossibile e probabilmente aveva anche gli occhi lucidi. Si schiarì la voce.
«Lon, io… io non so cosa dire. Non ho una capacità espressiva così buona da rendere merito a quello che sto provando in questo momento.»
«Non c’è bisogno che tu dica nulla, lo so quello che pensi. Io lo sento, sempre.»
Frunn deglutì a vuoto. Si alzò e si avvicinò lentamente.
«Scusa per quello che ho detto prima.»
«Non scusarti per aver detto ciò che pensi, se c’è una cosa che ho amato di te sin da subito è proprio questa brutale onestà. Peraltro, hai ragione quando dici che non sono più lucido. Mi sento così stanco di tutto questo…» la voce del Re si perse mentre afferrava la tazza fumante e se la rigirava tra le mani.
Frunn attese che proseguisse, ma quando fu chiaro che non l’avrebbe fatto gli posò una mano sulla guancia e cercò il suo sguardo.
«Che cos’è che non mi vuoi dire?»
«Posso farti una domanda molto personale?»
 
 

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Capitolo 7
*** Il legame simbiotico con l'Acqua ***


Il legame simbiotico con l’Acqua
 
 
Meowin non riusciva a capire come fosse possibile che nessuna forma di vita simile a lei abitasse quel territorio. L’acqua non mancava, il cibo neppure, il clima era favorevole… perché non c’era nessuno? Aveva a che fare con la presenza dei draghi? In effetti, non aveva idea di quanto spazio occupassero da quel lato del Monte Alba. Era certamente possibile che si trovasse ancora nella loro zona di caccia, nell’attuale situazione era difficile dirlo. Iniziava anche a chiedersi per quanto potesse spingersi nell’ignoto: Horlon non le aveva messo limiti spaziali, ma non era sicura che fosse una buona idea proseguire all’infinito senza sapere dove stesse andando. Prima o poi avrebbe comunque dovuto tornare indietro. Aveva deciso che avrebbe proseguito per il resto della giornata e poi si sarebbe fermata, avrebbe fatto rapporto e avrebbe atteso indicazioni. Le era sembrato di intravedere qualcosa di diverso dalla vegetazione, proseguendo verso sud-ovest, avrebbe cercato di raggiungere almeno quel punto entro il tramonto.
 
Alla luce del giorno era meno inquietante. Questo pensiero fisso tormentava Liam da quando Fiona si era unita al suo viaggio alcune ore prima, e la cosa lo infastidiva. Era meno divertente percepirla come una persona normale.
«Sei sempre così silenzioso?» domandò, strappandolo ai suoi pensieri.
Liam sospirò.
«In verità, normalmente viaggio da solo» rispose.
«Che onore» commentò la donna con una punta di sarcasmo.
Il mago si fece violenza e le domandò:
«Sei mai stata nel deserto roccioso?»
«No. Non sono mai uscita da Eremo.»
«Mai?!»
«Mai.»
«Questo allora sarà un bel viaggio istruttivo… preparati a stringere i denti: il deserto è un posto orribile, pieno di animali inquietanti ed estremamente inospitale. Se terremo un buon ritmo, però, potremo raggiungere la Valle Satkita prima del tramonto.»
Fiona lasciò scorrere lo sguardo sul terreno intorno a lei.
«Sembri sapere ciò che fai» commentò.
«Ne dubitavi?»
«No, non volevo dire questo.»
Il mago decise di lasciar perdere. Aveva bisogno di mantenere la concentrazione il più alta possibile per evitare di cacciarsi nei guai. In condizioni normali, i cavalli dai denti a sciabola non avrebbero rappresentato un grosso problema, ma con il passare dei giorni Liam si sentiva sempre meno sicuro del suo potenziale magico.
Ma il deserto roccioso era tristemente desolato. Nemmeno le creature più orride e resistenti che nonostante tutto avevano sempre trovato il modo di sopravvivervi sembravano essere scampate al cataclisma, portando il mago a domandarsi ancora una volta quanto del loro ecosistema fosse andato perduto, quanto danno ci fosse ancora da scoprire.
Fu comunque un sollievo raggiungere la Valle Satkita. Era pomeriggio inoltrato e la sacerdotessa aveva retto insperatamente bene il suo ostinato silenzio.
«Allora? Come ti sembra il mondo fuori dal Tempio?»
«Desolato» mormorò la sacerdotessa.
«Non è tutto così» commentò Liam. «Non lo era, per lo meno.»
«Sì, immagino che iniziare il viaggio da un deserto non sia stato il massimo.»
«Fermiamoci a far riposare i cavalli. Qui c’è acqua e cibo, possiamo fare una pausa e cavalcare ancora un po’ prima che la luce scompaia del tutto» suggerì smontando da cavallo.
Fiona si lasciò scivolare al suolo e lasciò che il suo cavallo seguisse quello del mago. Si stiracchiò e si chinò ad accarezzare l’erba con aria pensierosa.
«Mi sembri più a tuo agio in questo ambiente inospitale che nel recinto sacro del Tempio.»
Liam la guardò, soppesando la risposta. La persona che gli stava davanti non sapeva nulla del mondo, ma era un’abile conoscitrice della natura umana, abilità sicuramente coltivata nell’esercizio quotidiano dell’accoglienza.
«È così» rispose vago, domandandosi se valesse la pena di sbilanciarsi oppure no.
Ma Fiona era in vena di dialogo.
«Ma davvero, pur abitando tanto vicino a Eremo, non fai mai visita al Tempio dell’Acqua?» domandò, con una chiara nota di incredulità nella voce.
«Io e le divinità non abbiamo un rapporto molto stretto.»
«Come è possibile? Tu sei un mago, dovresti avere un rapporto simbiotico con il tuo elemento» insistette.
Liam sospirò.
«Infatti, io ho quel tipo di rapporto con l’elemento. L’acqua è me e io sono l’acqua. Ma a meno che tu non stia sostenendo che l’elemento sia esso stesso la divinità – il ché renderebbe la mia precedente affermazione un filino blasfema – non vedo per quale ragione io dovrei sentire lo stesso legame con il Dio.»
Fiona esitò.
«Perché la magia viene dal Dio, dovresti essergli grato.»
Liam scosse il capo.
«La magia viene dall’elemento. Altrimenti come ti giustificheresti tutte le persone che sono morte perché una sollecitazione non ha prodotto in loro alcun risveglio? Ti sembra accettabile che un altro bambino di sette anni sia annegato in un pozzo, quando invece io mi sono immeritatamente salvato? La magia deve venire dall’elemento, perché se non fosse così vorrebbe dire che gli Dei sono incuranti e crudeli e giocano d’azzardo con le nostre vite. Se invece avessi ragione io, sarebbe tutto meno ingiusto… L’acqua è capricciosa e mutevole, un po’ come me, per questo ci capiamo» concluse.
«Usi un tono noncurante, ma ci hai ragionato parecchio» commentò la sacerdotessa.
«Inizi a farlo quanto tutta la gente che ti sta intorno muore» rispose Liam con un’alzata di spalle.
La ragazza ammutolì e il mago si rese conto di essere stato un po’ troppo brusco. Si era ripromesso di non farsi coinvolgere dalle dispute teologiche, ma alla fine aveva sentito il sapore del sangue e non era riuscito a non affondare i denti. Tanto meglio, almeno aveva messo in chiaro la sua posizione con il culto. Anche se un po’ si sentiva colpevole, ci era andato troppo pesante? La sua compagna di viaggio non sembrava così sensibile. Infatti, la pace durò poco.
«Eppure io credo che dovresti dargli una possibilità!»
«A chi?»
«Al Dio.»
«Di fare cosa, scusa?!»
«Di sorprenderti, di stupirti! Non sai cosa ti perdi, Liam!»
Il mago sbuffò. Avrebbe tanto voluto rimontare sul cavallo e lasciarla lì, invece si fece di nuovo violenza e le rispose gentilmente.
«Guardati intorno, Fiona: cosa vedi?»
Volse il capo a destra e a sinistra, il verde della Valle Satkita li circondava.
«Erba, alberi… insetti. Perdonami, non coprendo la domanda.»
«Sembra anche a me. Guarda più attentamente, guarda oltre la prima immagine» insistette.
«Va bene, allora… vedo una pianura verde spazzata dal vento. Gli alberi sono bassi e radi, ci sono cespugli di bacche scure e qualche nuvola, a tratti, copre il sole. C’è fresco per essere fine estate. E le libellule sono enormi…» lanciò un’occhiata affranta a Liam e questi si lasciò scappare un ghigno.
«Vuoi sapere quello che vedo io?»
Fiona annuì.
«Vedo un orizzonte incontaminato, tinto di verde e di bruno, l’aria è tersa e tutto sembra pacifico. Ma vedo anche il segno della catastrofe: le bacche sono secche, l’erba ingiallisce, i cespugli sono piegati da insistenti raffiche di vento, le vedi le radici divelte? E poi gli insetti… sono così pochi, ma d’altronde sono pochi anche i fiori. Non abbiamo incontrato animali, neppure un volatile. E il sole? Non ti sembra pallido? Il vento spira da est, ma le nubi si muovono da ovest, e fino a pochi minuti fa andavano in direzione opposta, si prepara un temporale. Tutte queste sono condizioni anomale rispetto al luogo e al tempo in cui ci troviamo, e temo abbiano a che fare con la nostra ricerca.»
«Come fai a vedere tutto questo? Devi conoscere molto bene questo territorio…»
«È così, ma non si tratta solamente di questo. Tu puoi spostarti da un luogo all’altro, oppure puoi viaggiare. Quando scegli di viaggiare, impari a osservare quello che ti sta intorno, a stupirti di tutto ciò che non puoi controllare. Tu mi hai detto che devo venire al Tempio per permettere al Dio di stupirmi, e forse ho preso la tua affermazione un po’ troppo alla lettera, ma non può stupirmi tra quelle quattro mura. La meraviglia è una cosa che va allenata ogni giorno» concluse.
Fiona abbassò lo sguardo e tacque.
Liam approfittò del momento di stallo per raccogliere le idee. Dovevano trovare riparo il prima possibile, non gli piaceva per niente la piega che stava prendendo il meteo. Grosse nubi nere si stavano muovendo nella loro direzione.
«Sei d’accordo se ripartiamo, sì? Penso che presto avremo bisogno di un tetto sopra alla testa.»
 
Si rimisero in marcia e proseguirono fino al calare della notte, quando la ridotta visibilità impedì loro di avanzare. Il cielo si era fatto nero come la pece, le nubi pesanti incombevano minacciose. Si erano lasciati alle spalle la Valle Satkita e avevano costeggiato l’ansa del fiume Brumo fino alla sponda del Lago di Nebbia, ma le speranze di Liam di riuscire a raggiungere Class si stavano infrangendo contro il muro del realismo: avrebbero pernottato in mezzo a quelle colline che fino a pochi anni prima erano state riparo per orchi e orchetti. Che schifo.
Fiona non aveva mai cercato di intavolare conversazioni da quando avevano lasciato l’oasi, forse era rimasta sconvolta dalla blasfemia del suo compagno di viaggio e si stava chiedendo con chi fosse scappata, oppure era solamente stanca. Dopotutto non aveva mai lasciato la sua casa, e di colpo si era trovata catapultata nel deserto con un mago asociale. 
Una raffica di vento obbligò Liam a rallentare. Il suo cavallo si stava innervosendo, era davvero giunta l’ora di arrendersi. Il cielo nero sopra di loro fu attraversato da un lampo di luce, seguito da un potente tuono che fece vibrare l’aria. Imprecando tra i denti, il mago smontò da cavallo e invitò la sacerdotessa a fare altrettanto. Aveva intenzione di esortarla a seguirlo sul versante della collina, ma un nuovo tuono coprì le sue parole, così si limitò a farle un gesto. I lampi si facevano velocemente più frequenti, ma per lo meno offrivano qualche secondo di luce ai due viaggiatori, che seguivano un sentiero immaginario alla ricerca di qualcosa che li riparasse dal temporale. All’improvviso iniziò a piovere a dirotto. In pochi secondi, Liam si ritrovò zuppo di acqua gelata e sferzato da quel vento feroce. Gino tirava le redini, anche Fiona stava avendo delle difficoltà a convincere il suo cavallo a seguirla sotto a pioggia, vento, tuoni e fulmini. Non era normale, niente di tutto quello che stava vedendo era normale, doveva trattarsi di un’altra anomalia causata da quel maledetto Cosmos. 
«Liam, dobbiamo correre al riparo» gridò Fiona.
Il mago annuì.
«Sono sicuro che ci siano delle gallerie, su questo versante» gridò di rimando. «Ma con i cavalli così nervosi non sarà facile. Tu prendi anche Gino e vai avanti, io vi copro» disse.
Le passò le redini e sollevò le braccia, i palmi aperti sopra di sé, con l’intenzione di schermare cavalli e sacerdotessa almeno dalla pioggia. Fiona gridò qualcosa in risposta, doveva essere importante perché l’urgenza traspariva da tutta la sua persona, ma un tuono sovrastò ancora una volta la sua voce. Un secondo dopo un lampo di luce, un rombo mostruoso e Liam evocò il suo incantesimo scudo. Ci mise una frazione di secondo a capire che qualcosa non andava, la sua energia si stava prosciugando troppo velocemente. Tentò allora di interrompere il flusso di magia, ma scoprì con orrore di non poterlo fare, i suoi poteri non rispondevano ai comandi. Un nuovo, fragoroso, tuono, un lampo di luce e tutto fu improvvisamente buio.
 
Meowin aveva sforato le tempistiche che si era imposta, ma quando aveva capito che cosa fosse quella cosa che intravedeva da lontano e che non sembrava vegetazione, non aveva potuto esimersi dal proseguire. Aveva attraversato la zona boschiva più fitta orientandosi unicamente con i suoi sensi allenati, perché il sole non traspariva, il cielo era irraggiungibile e dall’interno non si vedevano altro che tronchi e foglie. Ma alla fine la sua perseveranza era stata ripagata, il sole era tramontato da un pezzo quando aveva scoperto i resti di un’antica civiltà.
Il bosco si apriva su declivio che pendeva dolcemente verso una valle ricca di corsi d’acqua, e quella città stava lì, a testimoniare che c’era stato qualcosa, qualcuno, prima dei draghi. Vista dall’alto sembrava per lo più un ammasso di rovine, ma Meowin non aveva voluto perdersi un’occasione simile. Era quindi scivolata con cautela lungo il declivio, al chiaro di luna, per scoprire cosa avesse abitato lì.
Nel silenzio che circondava quel luogo, anche la luna sembrava una presenza tangibile. L’elfa si era lasciata trasportare da quella suggestione e ora stava lì, sul limitare di quell’antica città, a contemplare i resti di splendidi palazzi che il bosco stava rivendicando. Lo stile architettonico era ancora ben visibile e aveva qualcosa di familiare, anche se era difficile capire che cosa. Forse erano stati suoi simili a colonizzare il sud? Perché nella biblioteca di Lumia non c’era alcuna testimonianza di questo? Il tempo non aveva tolto nulla al fasto di quel luogo. Guardandosi intorno con avidità, Meowin si addentrò nella città.
 
Liam si svegliò di soprassalto. Il suo cervello ci mise qualche secondo a ricollegare: l’anomalia, la bomba d’acqua, la decisione presa d’istinto d’intervenire, i poteri che si affievolivano. Che cosa era successo? Era buio e asciutto in quel luogo, ogni dove si trovasse doveva essere stata Fiona a portarcelo. Il fragore di un tuono gli strappò un sussulto.
«Sei sveglio, finalmente».
La voce della sacerdotessa suonò flebile, tra le ombre.
«Dove siamo?» mormorò Liam, cercando di trarsi a sedere. «Mi fa male tutto.»
Si rese conto che Fiona l’aveva coperto con il suo velo quando questo gli scivolò di dosso e alzò lo sguardo, sondando l’oscurità. 
«Mi dispiace, ho fatto del mio meglio, ma…» sospirò avvicinandoglisi. «Quando è iniziata la tempesta di energia ti ho trascinato nel primo posto riparato che ho trovato.»
Liam sbatté le palpebre, cercando di dissimulare la sorpresa nel trovarsi davanti il viso scoperto della sua compagna di viaggio. Fiona era più giovane di quanto avesse immaginato, la sua fronte delicata era corrucciata e i capelli scuri le ricadevano in ciocche crespe ai lati del viso ovale. 
«Tempesta di cosa?» farfugliò.
Un altro tuono tremendo soffocò la risposta di Fiona, così Liam si alzò faticosamente per avvicinarsi all’imboccatura della grotta. La notte era rischiarata da lampi continui. Le saette tracciavano ghirigori nel cielo violaceo di nubi, inseguite da tuoni fragorosi.
Una mano gelata si aggrappò al suo braccio e lo trascinò nell’ombra.
«Vieni via da lì, ti prego.»
Il mago era ipnotizzato da ciò che vedeva, non lo credeva possibile. Ma non oppose resistenza e si lasciò ricondurre al giaciglio improvvisato che aveva lasciato.
Prese tra le mani il velo, sfiorò il tessuto prezioso apprezzandone la fattura, poi lo restituì alla ragazza.
«Grazie» le disse osservandola più attentamente. «Potevi farlo o il tuo Dio si incazzerà?»
Fiona abbassò lo sguardo sul velo e sorrise, in evidente imbarazzo.
«Il peplo è il segno distintivo delle serve del Dio dell’Acqua, non potremmo toglierlo se non davanti alle nostre consorelle. Non lo so se si incazzerà, ma metterti a contatto con un indumento sacro mi sembrava potesse essere utile ad aiutarti a sopravvivere…»
Liam esitò, poi un tuono lo richiamò alla contingenza.
«Che cos’è quella cosa?» domandò prendendole un polso e attirandola vicino a sé.
«Te l’ho detto, è una tempesta di energia. Le nubi si caricano di elettricità e la scaricano a terra violentemente.»
«Non è quello che succede sempre nei temporali?»
«Sì, ma no» abbassò lo sguardo sulle sue mani, come a cercare le parole giuste per spiegare un concetto complesso ad un bambino piccolo. «Tutte le anomalie elementali causate dalla distruzione del Cosmos producono un’eccedenza di energia, che quando si condensa dà origine a queste tempeste. È come se il cielo non potesse sopportarne oltre un certo quantitativo, e quando diventa troppa la scarica. Noi siamo conduttori perché abbiamo un legame simbiotico con l’Acqua, per questo quando hai attivato il tuo potere la saetta ti ha colpito. Mi dispiace, non ho fatto in tempo ad avvertirti.»
Liam cercò di decifrare la sua espressione, ma nell’ombra gli riusciva troppo misteriosa.
«Grazie, mi hai salvato la vita.»
Fiona scosse il capo ma non rispose. Un altro lampo, seguito dal tuono.
«Quanto durerà?»
«Non lo so. Potrebbe durare cinque minuti o tutto il giorno.»
«Quindi siamo bloccati in questo loculo a tempo indeterminato. Grande.»
Fiona ridacchiò e si avvolse stretto il peplo intorno alle spalle.
«Raccontami la tua storia, anima azzurra.»
«La mia storia?»
«La tua storia.»
Liam esitò.
«Non è così interessante.»
«Lascia a me questo giudizio.»
Il mago sorrise.
«Ti piacciono le storie dell’orrore, sì?»
 
Fiona odiava i temporali con tutta l’anima. Li aveva sempre odiati, fin da bambina. Avrebbe dato un braccio per non trovarsi bloccata in quell’antro in balia dei suoi incubi. Certo, avrebbe potuto dirglielo chiaramente, ma non le andava di fare la figura della fifona con Liam, voleva essere coraggiosa come lui. Già si era esposta al giudizio del Dio svelandosi il viso davanti a qualcuno che non fosse una consacrata, e lo vedeva con quale curiosità Liam la scrutava nel buio… era molto in imbarazzo, non era abituata ad essere “leggibile” davanti alle persone. Per questo motivo, ora, stava ascoltando il sunto delle sue vicende, per non pensare a ciò che le stava intorno, a quanto fosse lontano Eremo, a quanto fosse stata avventata a lasciare il tempio. Ma anche per imparare qualcosa, e perché la sua voce aveva una bella vibrazione che la tranquillizzava. Sapeva già qualcosa della vita di quell’anima azzurra, conosceva a grandi linee gli eventi che lo avevano visto protagonista, dieci anni prima, tra Natìm e il Canyon. Non sapeva cosa ci fosse stato prima, o dopo. Ora capiva perché fosse così difficile da decifrare. Aveva perso troppe persone care, si era abbruttito per troppo tempo, aveva represso i propri ideali, incapace di scendere a compromessi. Non si meritava di doversi sobbarcare anche quel problema.
Quando il racconto si concluse, la sacerdotessa faticò a trattenere un sospiro.
«Grazie, Liam» disse.
«Di che?»
«Di aver condiviso tutto questo con me.»
«Non è stato un grande sforzo, sei una buona ascoltatrice.»
«È il mio lavoro. Letteralmente.»
«Quindi? Che cosa ne evinci?» domandò il mago.
Fiona ci pensò su prima di rispondere, perché dietro al tono noncurante della domanda intuiva qualcosa agitarsi.
«Sei una persona migliore di quanto tu voglia far credere» disse infine.
 
Liam ammutolì. In una frazione di secondo si trovò catapultato indietro di dieci anni, nel mezzo di una scacchiera politica della quale non riusciva ad avere una visione completa. Sembrava passata una vita da quel momento, ma a tratti gli pareva come di sentire ancora il profumo di vaniglia che Jonna del Fuoco portava sempre con sé.
«Liam?»
Abbassò lo sguardo. Fiona lo osservava, preoccupata.
«Ho detto qualcosa che ti ha ferito?»
Suo malgrado, il mago sorrise.
«No, mi hai solo ricordato… tanti anni fa, qualcuno mi disse queste stesse esatte parole. È stato… strano, tutto qui.»
Fiona si rabbuiò per un momento e Liam si preparò psicologicamente a rispondere a un’altra domanda, più scomoda, che però non venne. Forse, nel suo lavoro, la sacerdotessa aveva affinato le sue doti intuitive.
«E tu?» domandò allora.
«Io cosa?» rispose, spiazzata.
«Tu come ci sei finita, qui?»
«Mi hai rapita dal Tempio di Eremo?»
«Sì, sì, va bene, ma prima? Cosa c’è stato prima?»
Fiona esitò.
«La mia storia non è interessante neanche la metà della tua.»
«Lascia a me questo giudizio» citò.
La sacerdotessa fece una smorfia.
«Ho passato tutta la mia vita tra quelle vasche. Da neonata, qualcuno mi lasciò lì, affidandomi alle serve del Dio, che mi hanno cresciuta nel Tempio. Ci stavo bene, è sempre stato casa mia. Per questo è stata così dura vederlo infrangersi.»
Nel silenzio che si prolungava, Liam iniziava a domandarsi se non dovesse chiederle di continuare quando con un sospiro Fiona proseguì.
«È stato allora che la magia si è risvegliata, durante l’attacco dei draghi. Tutto bruciava, e le mie sorelle morivano in modo atroce. Volevo aiutarle, volevo… ma non è stato abbastanza. Io sono l’unica sopravvissuta dell’ala del tempio colpita dall’incendio, così ho rifiutato la magia. Se non avessi potuto usarla per salvare loro, non l’avrei usata affatto.»
«La magia è egoista, come l’istinto, e nel risveglio si preoccupa solo di sé stessa» mormorò Liam. «Che cosa hai fatto dopo?»
«Dopo? Mi sono consumata nei sensi di colpa mentre aiutavo a rimettere il Tempio in sicurezza. Quando è stato possibile, ho ripreso le mie attività: preghiera, accoglienza, riti, studio e via dicendo. Ma a un certo punto sono iniziati i problemi legati al Cosmos e tutti sembravano impazziti. Alla fine, sei arrivato tu, ed eccoci qui.»
L’alzata di spalle finale l’aveva fatta sembrare una ragazzina imbarazzata.
«Scusa per averti circuita e costretta a seguirmi, mi sa che non te lo meritavi.»
«Io non sono dispiaciuta. Questo viaggio è un dono degli Dei, so riconoscere un dono quando ne ricevo uno.»
«Hai un concetto ben strano di “dono”, sì?»
Fiona rise, ma all’ennesimo tuono rabbrividì e si strinse nel peplo. Il mago provò l’istinto di passarle un braccio intorno alle spalle per scaldarla, ma lo represse nel timore di beccarsi uno schiaffo. Non aveva idea di che livello di pudore potesse essere richiesto a una sacerdotessa.
«Ti sei mai domandata dove avresti potuto essere se avessi scelto una vita diversa?» le domandò.
«Non seriamente. Non ho mai preso davvero in considerazione un’esistenza lontana dal peplo, ho sempre voluto fare ciò che sto facendo.»
«Prendere la polmonite in una grotta?»
«Servire gli Dei» disse con una risata nervosa. «Dovresti provare a pregare più spesso.»
«Grazie, ma non vorrei che il Dio si affezionasse a me più del dovuto.»
Liam lanciò un’occhiata all’ingresso dell’antro. I lampi si stavano facendo meno frequenti.
 
Meowin avrebbe voluto accamparsi per la notte, era troppo buio per proseguire, ormai, ma non riusciva a scrollarsi di dosso un’inquietudine che l’esperienza le aveva insegnato a non ignorare. C’era qualcosa di troppo strano in quelle rovine, anche se ancora non sapeva che cosa. Erano sconosciute eppure familiari allo stesso tempo. E sembravano così antiche… come potevano essere ancora in piedi? Mentre si domandava se ci potesse essere un posto sicuro per passare la notte, la sua attenzione fu attirata da un barlume di luce alla sua destra. Si bloccò di colpo. Poteva esserselo sognato? Poteva essere stata una lucciola? Oppure avrebbe dovuto andare a verificare? Mentre muoveva un passo in quella direzione, colse un movimento alle sue spalle, ma prima di poter reagire un dolore lancinante le esplose in testa e tutto fu buio.
 
 

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Capitolo 8
*** Oro liquido ***


Oro liquido
 
 
Quando Meowin riprese i sensi, la prima cosa che fece fu maledirsi. Erano centinaia di anni che si occupava di controspionaggio, mai una volta aveva rischiato di essere scoperta, figurarsi venir colpita alle spalle e sequestrata. Che imbarazzo! Se fosse sopravvissuta, Oliandro non l’avrebbe mai scoperto, era pronta ad implorare Horlon per farlo giurare con i mignoli incrociati. Ma era inutile piangere sul latte versato, lo sapeva. Doveva cercare di tirarsi fuori da quel pasticcio il prima possibile. Si guardò intorno con circospezione: la stanza nella quale si trovava non sembrava affatto appartenere a uno di quei palazzi fatiscenti, nella luce tremolante di alcune lanterne poteva distinguere tappeti e cuscini. Quindi qualcuno abitava tra quelle rovine, qualcuno di estremamente silenzioso. Questo escludeva nani, umani, orchi e orchetti. Potevano essere elfi? Oppure qualcosa di più pericoloso?
«Si è svegliata.»
La voce vibrò tra le pareti e nella sua testa, con un riverbero doloroso. Meowin ricordava che genere di creatura parlasse in quel modo disturbante e le si gelò il sangue nelle vene. Passi leggeri si avvicinarono e girarono intorno alla sedia alla quale si trovava legata. E quando se lo trovò davanti la sorpresa offuscò tutto il resto.
 
La tempesta di energia si esaurì a notte inoltrata, e Fiona non riuscì a prendere sonno fino a quando quei boati terribili non furono cessati del tutto. Questo sommato al giaciglio poco confortevole contribuivano alle occhiaie e al mal di schiena di quella mattina. Alle prime luci, Liam si era alzato, fresco e riposato come un adolescente, come se non avesse dormito per terra e come se non avesse ricevuto una saetta in piena faccia la sera prima. La sacerdotessa lo guardò, con un misto di ammirazione e di invidia, mentre il mago preparava i cavalli per la partenza. Aveva voluto occuparsene lui, nonostante lei gli avesse specificato che era in grado di sellarsi un cavallo da sola. Lui aveva proseguito nella sua attività, borbottando tra i denti, così si era avvolta nel peplo e si era occupata di raccogliere le poche cose che avevano portato con loro. 
Liam era davvero una persona particolare. Non era ancora sicura di aver fatto una scelta saggia partendo così, tra capo e collo, con uno sconosciuto, anche le sue sorelle consacrate più anziane avevano cercato di dissuaderla. Dopotutto, il viaggio era rischioso, e lei non era abituata alle fatiche fisiche. Senza parlare della presenza continuativa di un uomo, della rispettabilità del quale c’era molto da dire, a quanto si raccontava tra le mura del Tempio. Chissà se sapevano che era anche un miscredente, oltre che un donnaiolo. Stentava a credere a tutto quello che le avevano raccontato su di lui, non sembrava per nulla la persona che descrivevano. Ah, ma lei sarebbe stata all’erta, non si sarebbe certo fatta traviare dal primo venuto. Gli passò gli ultimi bagagli, che il mago fissò al fianco di Gino – povero cavallo, non poteva trovargli un nome più dignitoso? – prima di volgere gli occhi al sole che spuntava tra le colline, scostandosi i capelli dal viso. Fiona rimase un secondo imbambolata seguendo il movimento delle sue dita prima di riscuotersi bruscamente, assalita dalla vergogna. Non poteva assolutamente concedersi certe confidenze.
«Abbiamo fatto tardi» mormorò il mago, volgendosi verso di lei. «Speravo non l’avresti rindossato.»
Montando il suo cavallo, la sacerdotessa rispose:
«Non posso andarmene in giro senza il peplo.»
«Lo so, ma ora che ti ho vista senza, mi sembrerà strano ricominciare a parlare con i tuoi occhi. Non è confortevole, ecco.»
«Per me non è confortevole restare senza, invece.»
«Il tuo Dio mi sta sempre meno simpatico» sbottò montando a cavallo e sferzandolo.
Fiona avvampò di indignazione.
«Pregherò anche per te, anima azzurra» rispose, dissimulando il disagio.
Liam rise.
«Grazie, ma non credo sarà necessario.»
Fiona sospirò. Aveva valutato i rischi fisici, ma non quelli morali.
 
La luce del giorno iniziava a filtrare dai tendaggi alle spalle dei suoi anfitrioni, ma Meowin era troppo sorpresa per rendersene conto. Davanti a lei stavano tre persone come non le aveva mai viste: avevano il fisico longilineo e i lunghi capelli tipici degli elfi, ma i loro lineamenti erano diversi in un modo che faceva fatica a comprendere, gli occhi troppo distanti, le labbra troppo sottili, le mascelle affilate. 
«Chi siete, voi?» balbettò.
Uno dei tre fece un passo verso di lei.
«Dovresti dircelo tu, dal momento che ti trovi nel nostro territorio.»
La voce riverberò nella stanza vuota tanto quanto nel cervello dell’elfa, facendole venire i brividi.
«Io sono Meowin.»
Il suo nome le rimbombò nella testa.
«Vi prego, potete smetterla di invadermi tutti i sensi comunicativi?» implorò.
I tre si scambiarono un’occhiata.
«Che cosa vuoi da noi, Meowin?» domandò.
«Niente, proprio niente! Stavo mappando i danni causati dal cataclisma quando ho scoperto che la Terra dei Draghi era abbandonata, così ho oltrepassato il Monte Alba. Volevo solo sapere cosa ci fosse oltre gli Alti Nidi, non immaginavo che avrei trovato qualcuno, qui.»
I tre si guardarono di nuovo e l’elfa comprese che stavano comunicando tra di loro telepaticamente. Che cosa erano quelle creature?
«Va bene, Meowin. Per il momento resterai qui, dobbiamo decidere cosa farne di te. Purtroppo, le nostre potenzialità ora non ci consentono di risolvere il problema alla nostra maniera.»
Si volsero e uscirono dalla stanza, lasciandola sola e sommersa di domande.
 
«L’alba di un nuovo giorno» commentò Lukas quando Horlon entrò nella sua stanza.
«Così pare, giovane mago. Come stai?» domandò l’elfo.
«Oggi non male» rispose guardando fuori dalla finestra. «Il mare è ancora agitato» osservò.
«Lo è sempre, di questi tempi.»
Horlon gli si affiancò per guardare a sua volta ciò che vedeva il ragazzo. La costa era flagellata dalle mareggiate impietose, poteva immaginare con estrema facilità il rombo dei marosi sulla roccia.
«Da quanto sei Re?» domandò il mago.
«Troppo» rispose Horlon. «Mio padre abdicò millecinquecento anni fa, anno più, anno meno.»
«E che ne è stato di lui?»
L’elfo si prese un momento per rispondere. Da centinaia di anni nessuno gli faceva più quella domanda.
«Non lo so. Prese con sé mia madre e poche altre persone e se ne andò. Disse che i suoi occhi avevano bisogno di nuovi orizzonti. Non so che fine abbia fatto, non ho più avuto loro notizie. L’immortalità logora, alla fine» mormorò.
Lukas lo trapassò con il suo sguardo d’argento.
«È questo che sta succedendo anche a te?»
Horlon gli sorrise.
«Ci sono molte cose che voglio ancora vedere, assaggiare e tentare. No, credo di avere ancora un po’ di margine» rispose con più convinzione di quanta ne sentisse davvero.
 
Meowin aveva avuto tutto il tempo per riflettere su ciascun errore commesso nella sua vita, seguendo le ombre che ruotavano insieme al sole. L’avevano mollata lì da sola, legata come un salame con una corda troppo resistente perché potesse essere recisa. 
Non riusciva a scrollarsi la sensazione di disagio che quelle creature le avevano lasciato addosso, non ricordava di aver mai incontrato nessuno come loro nella sua ormai discretamente lunga vita. Eppure, c’era qualcosa di familiare, come nella loro città decaduta. Chi era quella gente? L’avvicinarsi di passi la mise in allerta. Forse avrebbe scoperto cosa ne sarebbe stato di lei.
 
«Sei silenziosa, oggi. Hai già finito le domande?» domandò il mago.
Fiona si morse la lingua, ringraziando ancora una volta di avere il viso coperto.
«Sembri di buon umore, anima azzurra. Ti ha fatto bene venire folgorato?»
Liam rise.
«Sono lunatico, mi sembrava di averlo già chiarito. Sai, temevo che saresti stata una lagna, ma mi sbagliavo, non sei una pessima compagnia!»
«Che gentiluomo, grazie» sbottò. «Vorrei chiederti perché tu mi abbai reclutata, a questo punto, ma ho timore della risposta.»
«Non avevo un motivo particolare, ho seguito l’impulso del momento. Ho pensato che sarebbe stato interessante strappare un’adepta al Dio dell’Acqua» rispose candidamente.
Fiona quasi cadde da cavallo.
«Seriamente?!»
«Oh sì! Te l’ho detto, sono lunatico, e sul momento mi era sembrata un’idea stimolante. Ti stai pentendo di avermi seguito?»
La sacerdotessa prese un respiro profondo e non rispose. Non poteva lasciarsi sopraffare dall’indignazione, lei era una serva del Dio, addestrata all’umiltà e alla mitezza.
«Ehi, sacerdotessa.»
Spostò lo sguardo sul mago, lentamente, cercando di far trasparire dai suoi occhi tutta la disapprovazione possibile.
«Sì?» sibilò.
Liam ghignò.
«Sono riuscito a farti arrabbiare, sì? Senti ma perché mi chiami “anima azzurra”? Che cosa significa?»
«Quando imparerai a rivolgerti al Culto con il rispetto che merita te lo dirò.»
«Al culto… o a te?»
Fiona si sentì arrossire e strinse i denti. Non poteva cedere e salvare la dignità al tempo stesso.
«Ora basta molestarmi, è l’ora dell’invocazione mattutina.»
«Spero che tu stia scherzando» esclamò il mago, sgranando gli occhi.
«Neanche per idea. Prepara il tuo cuore ad accogliere il Dio.»
«Ci vediamo a Promar, ti aspetto per pranzo!»
Sferzò il cavallo e la lasciò sola.
Fiona trasse un sospiro di sollievo. Lo preferiva musone, era molto meno pericoloso.
 
Liam spronò Gino e si lasciò la sacerdotessa alle spalle. Si stava sforzando di auto motivarsi per non cedere al panico che da quella mattina aveva iniziato a salire inesorabilmente. Sapeva bene che quella notte l’avrebbero passata all’addiaccio nel mezzo della Piana di Thann. 
Aveva accuratamente evitato di tornarci dopo la guerra e non aveva la minima idea di cosa ci fosse rimasto, solo l’idea di avvicinarsi di nuovo a quel campo di battaglia gli faceva venir voglia di voltare Gino e tornarsene a Pothien. Ma non poteva. Aveva preso un impegno con Rowena prima ancora che con l’Aureo Consiglio – pernacchia – e non poteva assolutamente permettersi di vacillare ora. In un certo senso, la presenza di Fiona aveva un’utilità. Lanciò un’occhiata alle sue spalle. Non l’avrebbe davvero lasciata indietro come aveva detto, se le fosse capitato qualcosa si sarebbe sentito in colpa per il resto della sua vita. Chissà che cosa pensava di guadagnare traviando una sacerdotessa perché abbandonasse i suoi doveri liturgici… alla fine, poteva rivelarsi solo un’immensa seccatura. Sperava almeno di riuscire a smuoverla dal suo proposito di non servirsi della magia, era sciocco e insensato.
Sospirò. Un problema alla volta.
 
«Meowin.»
La voce riverberò ovunque e l’elfa strinse i denti per non imprecare. Una creatura dai lunghi capelli scuri e dalla pella ambrata le si avvicinò e Meowin notò con un moto di stupore che i suoi occhi sembravano fatti di oro liquido. Lo sconosciuto si chinò su di lei e la osservò attentamente, senza battere ciglio.
«Come possiamo fidarci di te? Conosciamo il tuo popolo, il tuo Re… vi conosciamo molto bene, condividiamo una lunga storia di morte e sangue.»
«Morte e sangue?» balbettò, folgorata da quella vicinanza così inopportuna.
Si sentiva sulla pelle il suo respiro incandescente.
«Morte e sangue. Abbiamo combattuto aspramente, è anche a causa vostra se il nostro popolo si è ridotto a un numero tento esiguo. Ma non dimentichiamo nemmeno che il vostro Re non è mai stato un amante della guerra. Il ché non lo rende onorevole agli occhi della nostra legge, ma al contempo fa di lui, ora, un interessante interlocutore.»
Meowin vedeva i propri occhi verdi specchiarsi nell’oro di quelli del suo anfitrione, tanto erano vicini. La tensione la faceva vibrare come la corda di un’arpa, non riusciva a pensare con lucidità.
«Non riesco a seguirti» mormorò.
«Questa misera e fragile forma non ci appartiene più da migliaia di anni. Noi non siamo questo, non più. Ma quella sciocca ragazza ha infranto l’equilibrio del vostro piccolo mondo, e facendolo ha destabilizzato anche il nostro. Il disastro non si è abbattuto anche qui, come puoi vedere, ma la benedizione del Dio del Fuoco è comunque venuta meno, riportandoci alla nostra forma originaria.»
Meowin rantolò, iniziando a comprendere con chi – con che cosa – avesse a che fare.
«Vedo che hai compreso, elfa Meowin. Il potere di un drago non può restare a lungo represso in un misero corpo di soffice carne.»
Meowin annaspò, assalita da un inquietante combinazione di terrore reverenziale e attrazione.
«Voi siete draghi» soffiò.
La voce non voleva saperne di uscirle. Gli occhi oro liquido si assottigliarono un momento prima che la creatura si allontanasse con uno scatto nervoso.
«Lo eravamo!» ringhiò. «Ora siamo soltanto una misera involuzione di noi stessi. Non abbiamo ali, non abbiamo artigli, non abbiamo zanne, non abbiamo il fuoco! Il mio nome è Aren, e i miei compagni sono Gerd e Birger, e non abbiamo alcuna intenzione di perdurare in questa condizione insignificante.»
Meowin staccò a fatica gli occhi da Aren per osservare Gerd e Birger, alle sue spalle. Si tenevano a distanza, lo rispettavano. Era il loro re?
«Io… io non capisco. Cosa vi è successo? È stata la frammentazione del Cosmos? Avevate un legame con il catalizzatore?»
Aren le lanciò un’occhiata obliqua che le fece correre un brivido lungo la schiena.
«Come facciamo a sapere che possiamo fidarci di te?»
«Come potrei nuocervi?» domandò di rimando. «Non so cosa siate, ora, ma riesco a percepire la vostra superiorità con molta chiarezza, non riuscirei a sopraffarvi in alcun modo. Inoltre, se sapete qualcosa sul Cosmos e siete interessati quanto me a riportare l’equilibrio tra gli elementi, credo che potremmo condividere le informazioni che abbiamo.»
Sotto lo sguardo insistente del drago, o di qualunque cosa fosse diventato, Meowin si sentì un’ingenua. Non era riuscita a mettere in pratica nulla di tutto ciò che aveva imparato nella sua vita, gli aveva addirittura detto il suo vero nome. Erano draghi, maledizione! Si erano scannati con i suoi simili fino a pochissimi anni prima, avevano promesso Lumia agli stregoni in caso di vittoria! Come aveva potuto abbassare così scandalosamente la guardia?
«Slegatela» sibilò Aren.
I due draghi alle sue spalle lo guardarono, sgomenti.
«Ma, Aren… è un’elfa! È nostra nemica!»
«Slegatela, ho detto. Mi occuperò io dell’elfa Meowin, d’ora in avanti.»
Meowin soppresse un gemito interiore.
 
Libera dalle corde, l’elfa si massaggiò i polsi e si stiracchiò le braccia per recuperare la sensibilità degli arti intorpiditi. Ancora non riusciva a crederci di esserci cacciata in un casino del genere. 
Aren le fece cenno di seguirlo e lei non osò opporsi. Emergendo dall’edificio scoprì di trovarsi in una zona meno disastrata della città. Il sole era allo zenit e il caldo era asfissiante. Alla luce, il drago sembrava un’ombra: lungo e sottile, vestito di scuro ed estremamente silenzioso. Lo seguì fino all’ingresso di un’abitazione di modeste dimensioni.
«Non toccare niente.»
Meowin deglutì e annuì.
Mille domande si stavano affollando nella sua testa ma non osava esprimerle, non sapeva che intenzioni avesse Aren. Non le sembrava un pazzo omicida, ma d’altronde non sembrava neppure un drago. L’interno dell’edificio era fresco e sembrava che qualcuno avesse cercato di renderlo abitabile.
«Benvenuta nella mia pusillanime dimora. Le sedie sono state messe in sicurezza, le puoi utilizzare.»
«Ehm… grazie?» farfugliò. «Mi è consentita una domanda?»
«Dipende.»
«Da cosa?»
«Dalla domanda.»
L’elfa esitò.
«Non mi stai rendendo la conversazione semplice.»
Aren si lasciò cadere sgraziatamente su una sedia e le puntò i suoi occhi innaturali addosso.
«Mi hai chiesto di smetterla di stordirti con la mia voce mentale e l’ho fatto, ti ho liberata e ti ho portata in casa mia. Non mi pare che tu abbia di ché lamentarti.»
Meowin arrossì. Era vero, il rimbombo nella sua testa era cessato.
«Ti ringrazio» mormorò. «Ma perché hai fatto tutto questo? I tuoi compagni hanno ragione su di me, sono vostra nemica.»
Il drago soppesò le parole prima di rispondere.
«Io non credo che gioverebbe né a noi né a voi affrontarci adesso. Abbiamo problemi più urgenti da risolvere. Fintantoché ti dimostrerai collaborativa, sono disposto a prendermi il rischio.»
«Già…» mormorò l’elfa. 
Si sedette di fronte a lui e si domandò come dovesse essere svegliarsi alla mattina e ritrovarsi così. 
«Che cosa dicevi, prima, sulla benedizione del Dio del Fuoco?»
Aren fece un sorriso sbieco e si chinò verso di lei.
«Prima devo sapere una cosa.»
«Cosa?»
«Tu per chi lavori?»
«Che significa?» domandò sulla difensiva.
«Sei finita qui, letteralmente dall’altra parte del mondo, viaggiavi sola, di notte, e hai dimostrato di avere un sangue freddo fuori dall’ordinario. Quindi vorrei sapere con chi sto parlando, davvero. Immagino che tu sia una spia di Horlon. Mi sbaglio?»
Meowin esitò.
«Questo cambierebbe qualcosa, allo stato attuale della situazione?»
«No. Ma se devo essere tuo garante ho bisogno di capire che cosa i miei compagni non devono scoprire di te. E qualunque cosa sia, io la voglio sapere. Finché starai qui, non ci saranno segreti.»
«Non comprendo» ammise l’elfa dopo un momento di esitazione.
«Loro tremano» rispose semplicemente. «E la paura è l’inizio della fine. Ma vi si può porre rimedio.»
Meowin iniziava a perdere la pazienza. Si stava prendendo gioco di lei, o era solo toccato nella testa?
«Scusami ma davvero non riesco a seguire il tuo pensiero.»
«Elfa Meowin, noi siamo tornati allo stadio originale della nostra razza, dopo migliaia di anni. Nessuno di noi è tanto vecchio da aver già vissuto in questi miserevoli panni. Stiamo imparando, ma adattarsi è molto, molto difficile, nonostante la memoria ancestrale ci consenta di sapere quello che serve sapere per nutrirci, abbigliarci e riprodurci. Ma questa non può essere una condizione irreversibile, non lo accettiamo. Io non lo accetto! Mi interessano le informazioni in tuo possesso sulla situazione nella Terra dei Tuoni, mi interessa sapere cosa sta accadendo e chi si sta occupando del problema. Quando tutto questo sarà risolto, con un po’ di fortuna riacquisteremo la nostra forma evoluta, ma se così non fosse…»
«Se così non fosse?» incalzò dopo un momento di silenzio.
«Che cosa sai della Terra dei Fiumi?»



*****
Ciao a tutti voi che state ancora leggendo i miei deliri mentali!
Grazie di esserci ancora, vi vedo nei numeri, vi percepisco... se vi cresce un momento nella vostra giornata, le recensioni sono sempre ben accette, anche quelle "meh". E' vero che scrivo per me stessa, ma se qualcuno ogni tanto avesse voglia di palesarsi sarebbe molto, molto, meno noioso. E molto, molto, gradito.
Un beso ^^
Cat

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Capitolo 9
*** Odio questo dannato posto ***


Odio questo dannato posto
 
 
Rowena si rigirava tra le mani una pietra turchese delle dimensioni di un’unghia, guardando distrattamente la mappa davanti a lei.
«Non avevamo detto di stare sereni?» domandò Oliandro posandole accanto due tazze di tè e un piatto di pasticcini.
«Dirlo non vuol dire riuscirci.»
«Cos’è quello?»
«Questo?» rispose, guardando la pietra. «È un’opera incompiuta di Liam.»
L’elfo si accigliò.
«Ti ha regalato una pietra grezza? Non si è impegnato molto.»
Rowena sorrise.
«In realtà, gliel’ho rubata. Avrà pensato di averla persa, probabilmente.»
Suo fratello addentò un dolce, con aria di disapprovazione.
«Lo so, non avrei dovuto» sbottò Rowena.
«Allora perché l’hai fatto?»
«Non lo so, ho assecondato l’istinto del momento. Mi piaceva il suo colore e me la sono infilata in tasca.»
Oliandro scosse il capo e non commentò. Rowena prese la sua tazza di tè e inspirò a fondo l’aroma della bevanda.
«Secondo te è normale che nessuno si sia ancora fatto sentire?»
«Beh, sì, se si trattasse di me aspetterei di avere qualcosa da riferire. Magari quando saranno tutti a Class ci aggiorneranno sulla situazione.»
«Ma neanche Frunn?!»
L’elfo esitò.
«Questo in effetti è strano, conoscendolo. Ma non me ne preoccuperei troppo. Onestamente non credo che sia riuscito a non farsi scoprire da zio Lollon.»
Rowena annuì.
«In effetti, gli ho chiesto un miracolo.»
Il suo cervello si perse alla ricerca delle venature della pietra e sospirò.
«Secondo me dovresti restituirgliela. Quel mago è un perfezionista nel suo lavoro, non lascia nulla a metà, se sapesse che ti sei presa una cosa incompiuta darebbe di matto.»
«Se lo facessi vorrebbe sicuramente completarmela. Sono certa che si impegnerebbe al massimo per potermela regalare una volta resa lucida e perfetta, magari riuscirebbe addirittura a coordinarla alla mia tiara. Dei, quanto ama quella tiara, ogni volta che la indosso mi aspetto che cerchi di togliermela dalla testa!»
Oliandro rise.
«Ma se la sistemasse, non sarebbe un bene?»
«No, non lo sarebbe affatto. Questa piccola pietra è splendida con le sue naturali sfaccettature. Non posso dirglielo, ovviamente lui non capirebbe il motivo della mia ammirazione per qualcosa che al primo sguardo pare così banale, per questo preferisco che non lo sappia. Ma la perfezione è sopravvalutata, Dodo. Tutta l’energia profusa per limare le caratteristiche peculiari e adattare qualcosa a un’idea… non lo trovi tremendamente ingiusto? Non sarebbe più onorevole apprezzarne i piccoli difetti che lo rendono unico?» prese distrattamente un pasticcino e lo addentò, senza sentirne davvero il sapore.
«Stiamo ancora parlando di quella pietra, giusto?» domandò Oliandro.
«In che senso? Certo, di che altro?» rispose Rowena, perplessa.
«Lascia stare» capitolò suo fratello, stringendosi nelle spalle. «Per il momento tienila così com’è, anche se è un peccato che nessun altro possa apprezzarla… ma tanto prima o poi glielo dirai» concluse.
Rowena lo guardò senza capire perché sembrasse così divertito. Lei non ci trovava proprio niente da ridere.
«Ci sono notizie di Glenn?»
«No», rispose rabbuiandosi di colpo. «Nana, sono preoccupato per lui. Questa storia degli unicorni è stato un duro colpo. Finché si trattava di non entrare in guerra, li si poteva capire, ma ora…»
Rowena gli posò una mano sulla guancia, costringendolo a guardarla negli occhi.
«C’è qualcosa che possiamo fare per sostenerlo?» domandò.
«Non credo. Non possiamo aiutarlo a metabolizzare la delusione, purtroppo. Se potessi assorbirla tutta io, lo farei, detesto vederlo così abbattuto.»
«Lo so, lo stesso io. Credo che Bosco Lossar stia subendo l’influsso del cataclisma. In fondo, il fiume Morgael ha sempre ammorbato tutto ciò che lo circondava con i suoi vapori velenosi, non escluderei che abbia acquisito forza dalla dispersione delle parti del catalizzatore.»
«Credi che sia il caso di parlarne con i maghi?»
«Sì, anche con Horlon, direi.»
Oliandro sbuffò.
«Quanto mi mancano gli stregoni!»
«Speriamo che stiano bene…» mormorò Rowena.
 
Poco dopo mezzogiorno, Liam e Fiona avevano varcato la soglia della Piana di Thann. Il mago si sentiva male al pensiero di avvicinarsi alle rovine di Cyanor, e non solo per i ricordi dolorosi legati a quella città. Si erano scontrati tre eserciti, in quel luogo, e lui dubitava fortemente che orchi e orchetti si fossero presi la briga di raccogliere i loro caduti. Senza contare che la magia, là, era già instabile allora, figurarsi dopo la distruzione del catalizzatore.
«Fiona, dobbiamo fare un discorso serio» esordì.
La sacerdotessa si limitò a osservarlo in silenzio.
«Come sta andando? Sei stanca?»
«È questo il discorso serio?» rispose.
«No, è solo un preambolo» ammise Liam.
«Bene, in questo caso: sta andando come me l’aspettavo, sono stanca, mi fa male il sedere, e sì, credo di essermi sopravvalutata seguendoti» sospirò. «Adesso puoi darmi le brutte notizie.»
Suo malgrado, il mago sorrise.
«Così mi togli il gusto di prenderti in giro. Va bene, so che ti arrabbierai… il territorio in cui ci troviamo ha visto l’ultima grande battaglia della guerra contro draghi e stregoni. È probabile che faccia tutto un po’ schifo, ma la tratta più breve passa da ciò che resta di Cyanor. L’abbiamo lasciata messa male e poi avrà infierito anche il cataclisma, quindi non so cosa troveremo. Ti aggiungo che non era un gran bell’ambiente già in partenza, e dalla guerra orchi e orchetti sono completamente scomparsi e da qualche parte dovranno pur essere. Insomma, non escludo che possano esserci brutte sorprese. Sono consapevole di essere invadente, ma voglio essere sicuro che non mi lascerai da solo sul più bello: ho bisogno che, in caso di necessità, trovi il coraggio di servirti della magia.»
Fiona arrestò bruscamente il suo cavallo.
«Non puoi chiedermelo.»
«Posso e lo faccio. Con la preghiera non si abbatte un orco, ma con una bella lama di ghiaccio sì.»
«No, Liam, non erano questi gli accordi» obiettò.
Il suo tono di voce era salito di un’ottava, molto bene.
«Non avevamo alcun accordo, signorina» ribatté piccato il mago.
«Beh, non mi interessa, io la magia non la uso.»
Liam iniziava a innervosirsi.
«Non mi interessano i tuoi moralismi e non sopporto i capricci. Mi interessa portare a casa la pelle, quindi vedi di collaborare» sibilò.
«Se dovessimo trovarci nei guai, troveremo un’altra soluzione» tentò.
«Hai una spada? No. Un arco? No. Uno zio mago nascosto sotto alla gonna? Non mi sembra. Se non tiri fuori il tuo potere, l’unica soluzione che resta sono io. E può anche darsi che sia stato un mago potente fino a qualche settimana fa, ma adesso faccio pena; quindi, te lo ripeto per l’ultima volta: se ci troviamo nei casini e mi molli da solo, siamo morti. E se per caso non moriamo, ti ammazzo comunque io una volta passato il pericolo.»
Fiona deglutì vistosamente e non rispose.
«Io ti ho avvisata.»
Liam sferzò il suo cavallo e avanzò nell’orizzonte piatto della piana. Sperava solo di averla smossa abbastanza da suscitare una reazione.
 
Man mano che la terra correva sotto gli zoccoli dei loro cavalli, si rivelava sempre più difficile escludere i pensieri negativi. Erano già passati dieci anni, durante i quali le persone intorno a lui erano andate avanti. Irthen e Yu avevano messo su famiglia insieme, Ruben aveva mollato la politica ed era tornato a Phia, Amina e Alec si erano faticosamente ri-scelti, Ophelia aveva aperto una sua farmacia di erbe officinali, Rowena si era trasferita a Lumia e si stava preparando alla Corona, Oliandro aveva assunto una parte dei compiti legati al Governatorato di Bosco Lossar. Solo lui era rimasto fermo, congelato nell’attimo vissuto in quella landa desolata. E se c’era una parte di lui che si trovava perfettamente a suo agio nella monotonia della sua vita, ce n’era un’altra che si ribellava a quella immobilità. Lanciò uno sguardo a Fiona: aveva mollato tutto così, su due piedi, per inseguire un’esca che lui aveva gettato più per noia che per altro. Non sapeva se ammirarla per il coraggio o biasimarla per la sua ingenuità.
All’orizzonte, ormai, si profilava la Città dei Morti, appellativo che Cyanor si era guadagnata in tempi non sospetti. 
«Liam.»
Fiona si era fermata e puntava con il dito qualcosa davanti a sé. Il mago strinse gli occhi per mettere a fuoco meglio, ma non era sicuro di cosa lei stesse indicando.
«La città?» domandò, perplesso.
«No, sotto. Non c’è qualcosa che si muove?»
Liam provò ancora a sforzare la vista ma non gli riusciva proprio di individuare ciò che vedeva lei, qualunque cosa fosse.
«Mi dispiace, da qui non vedo nulla» rispose, incerto.
«Lascia stare, magari è solo un brutto effetto ottico.»
Liam annuì, poco convinto. Avanzarono ancora, con più circospezione. E non ci volle molto perché il mago comprendesse quello che la sacerdotessa intendeva dire. C’era effettivamente qualcosa che si muoveva sotto alle mura della città, qualcosa di etereo che non riusciva a identificare. Qualunque cosa fosse, sembrava incorporea, come le vampe di calore nelle giornate estive. Fu solo dopo aver varcato la soglia del vecchio campo di battaglia che compresero l’effettiva portata del problema. Si bloccarono, in mezzo a resti di armature e ossa sbiancate dal sole, raggelati.
«Oh, Dei» mormorò Fiona.
Il mago si riscosse percependo il terrore della sua compagna.
«Scendi da lì e sali dietro di me» rispose, sorprendendosi della sicurezza del proprio tono.
La sacerdotessa non fece storie, scivolò giù dal suo cavallo e si lasciò aiutare ad arrampicarsi sul fianco di Gino.
«Ora ascolta bene. Non so di cosa sia fatta tutta quella roba, se abbia consistenza o no, né se possa costituire un pericolo per noi. Però so che se tornassimo indietro rischieremmo di doverci accampare qui, nel mezzo della piana, e non credo sarebbe salutare. Se sei d’accordo, io cercherei di attraversare il più velocemente possibile. E speriamo che siano inoffensivi.»
«Ma… ma quello è…?»
«È un esercito fantasma, sì. Quel maledetto cataclisma deve aver dato forma alle brutte memorie di questo luogo.»
Fiona deglutì rumorosamente.
«Quindi c’è anche il tuo fantasma, qui in mezzo?»
«Preferisco non saperlo» rispose Liam, sforzandosi di non soffermarsi a pensare a un’eventuale Jonna fantasma.
«Attaccati forte a me, per favore, e tieni la testa bassa. Se cavalcheremo insieme mi sarà più semplice proteggerti. Sei pronta?»
Fiona gli passò le braccia intorno al torace e annuì contro alla sua spalla.
«Non avere paura» mormorò Liam.
Sperando che il cavallo della ragazza lo seguisse, spronò Gino e si lanciò verso l’esercito di nebbia. 
Non appena ebbero raggiunto la zona di conflitto, scoprì con orrore che tutti i fantasmi, orchi, orchetti, umani, elfi o nani che fossero, potevano vederli, e si stavano voltando nella loro direzione. Senza preoccuparsi di urtare la sensibilità della sua compagna con una bestemmia, il mago si preparò a respingere l’assalto, concentrandosi sull’instabile vena di magia che gli pulsava nelle vene. Non aveva più provato a fare incantesimi dopo la brutta esperienza con la saetta e sperava che dentro di lui fosse tutto a posto. Quando il suo cavallo irruppe nella mischia, i fantasmi si riversarono su di loro con le armi alzate. Liam caricò nelle sue mani tutta la sua magia, sforzandosi di non fissare quegli occhi privi di luce, e quando l’attacco iniziò fu pronto a scaricare l’energia su qualunque cosa si stesse avvicinando. Sfortunatamente, il suo incantesimo li oltrepassò come se non avessero avuto un corpo, cosa che effettivamente non avevano.
«Ma sul serio?!» sbottò tra una bestemmia e l’altra, sguainando la spada.
Sentì le braccia di Fiona stringerlo così forte da togliergli il fiato mentre parava di piatto il colpo di un’ascia, nel silenzio più totale.
Da quel momento fu solo istinto di autoconservazione. Non sapeva dove si stesse dirigendo, tutta la sua attenzione tesa a proteggere sé stesso e Fiona con una mera spada, mentre le armi fantasma si infrangevano su tutto ciò che riuscivano a raggiungere. Nessun clangore all’incrociarsi delle lame, un silenzioso incubo fatto di fumo abbastanza denso da lasciargli tagli e lividi dappertutto.
La sacerdotessa gridò, gelandogli il sangue, ma un attimo dopo lo rassicurò dicendo che stava bene. Liam non poteva comunque fare nulla per lei in quel frangente, era già abbastanza occupato a tentare di salvare capra e cavoli.
Parò un nuovo colpo e poi, improvvisamente come era iniziato, l’assalto cessò.
Si volse indietro: l’esercito fantasma aveva ricominciato a combattersi tra sé, senza più prestare loro attenzione. Erano usciti dalla zona distorta dalla magia.
 
Liam proseguì per alcune miglia prima di trovare il coraggio di fermare il cavallo, ma quando alla fine riuscì a controllare il terrore che gli aveva preso le ossa, scoprì che Fiona aveva preso un colpo alla schiena e, come lui, aveva alcune piccole ferite disseminate qua e là. La aiutò a smontare da cavallo, domandandosi come gestire la situazione. Avevano davanti ancora qualche ora di luce, con un po’ di fortuna sarebbero riusciti a portarsi sul limitare della Piana di Thann prima di accamparsi per la notte.
«Ti fa male?» domandò, girandole attorno.
«Un po’.»
L’abito della sacerdotessa aveva uno strappo all’altezza della scapola sinistra, ma non sembrava esserci sangue.
«Devo vedere di cosa si tratta. Ho con me tutto quello che può servire per sistemare quella ferita, o qualunque cosa sia, ma devo capire come procedere.»
Fiona raggelò.
«In che senso, la devi vedere?»
«Nel senso che la devo vedere» insistette Liam.
«Non posso.»
Il mago sbuffò.
«Non hai capito, non ti sto chiedendo il permesso. Forse non l’hai notato, ma quelle cose che ci hanno attaccato erano fatte di fumo, e nonostante questo sono state in grado di graffiarci, tagliarci e bruciacchiarci ovunque. Bisogna che ci rimettiamo in sesto prima di proseguire, il viaggio è ancora lungo. Quindi fuori quella scapola» sbottò mentre recuperava la borsa medica dal bagaglio.
«No, Liam, sei tu che non hai capito: io. Non. Posso.»
«Non. Me. Ne. Frega. Niente.» 
Si sedette per terra e iniziò a spalmarsi un unguento cicatrizzante sulle bruciature.
«Dai, poche storie. È solo la schiena, che sarà mai! Lo so come sono fatte le donne, eh!» Fiona esitava. «Al tuo Dio non lo diciamo.»
La ragazza gemette e si lasciò cadere davanti a lui.
«Non guardare, aspetta un attimo.»
Il mago chiuse gli occhi per qualche secondo.
«Va bene, sono pronta.»
Quando li riaprì, Liam trattenne a stento un’esclamazione di sorpresa. La pelle di Fiona era ricoperta di sottili tatuaggi scuri, linee che si intrecciavano e scomparivano serpeggiando sotto ai lembi della stoffa che era riuscita a non scostare.
Si sforzò di mettere a fuoco il problema: si trattava di una modesta bruciatura, spiacevole ma non disastrosa. Sul fianco, però, poco sotto, stava affiorando un brutto livido. 
«Va bene, ti metto qualcosa. Poteva andare peggio, ma non riuscirò a fasciarla in questo punto. Credo che ti darà fastidio.»
«Non fa niente.»
«Invece qui» Liam fece una leggera pressione con un polpastrello sul livido e Fiona grugnì di dolore «non sembra ci sia nulla di rotto, ma è meglio andarci cauti. Non sai con cosa ti hanno colpita, vero?»
La ragazza esitò.
«Ho tenuto gli occhi chiusi per tutto il tempo» mormorò.
Sopraffatto dal senso di colpa, il mago scelse i contenitori giusti e iniziò ad applicare unguenti su tutto ciò che riusciva a raggiungere. Fiona si sforzava di trattenere esternazioni di dolore, ma il mago la sentiva irrigidirsi ogni volta che toccava una contusione.
«Va bene, dovrei avere finito. Rivestiti, ripartiamo» alzò gli occhi e vide il cavallo della sacerdotessa avvicinarsi. «Ce la fai a cavalcare?»
«Certo che ce la faccio, non sono fatta di vetro, sai?» esclamò.
Liam sbuffò e si volse per permetterle di ricomporsi.
«Allora veloce, odio questo dannato posto.»
 
Sapevano che poteva essere rischioso accendere un fuoco, ma lo fecero lo stesso. Ne avevano bisogno. Si erano accampati quando il sole era completamente scomparso dall’orizzonte e la notte aveva assorbito ogni colore. Erano comunque riusciti a portarsi a poche miglia dal confine della piana, ed era un ottimo risultato.
Liam addentò una mela, gli occhi rivolti alle stelle sopra di lui, alla ricerca di una pace interiore che non sapeva se sarebbe riuscito a raggiungere, in quel luogo.
«Credi che serva fare turni di guardia?» domandò la sacerdotessa rigirandosi un pezzo di formaggio tra le mani.
Liam la guardò. Dalla sua posizione distesa, le ombre che la luce del fuoco creava sul suo viso giocando con il peplo erano inquietanti.
«Direi di sì. Inizio io, tanto in questo momento non riuscirei a dormire» rispose. «Come stanno le ammaccature?»
«Niente di invalidante.»
Il mago percepì un’esitazione nella sua voce.
«C’è qualcosa che vuoi dirmi?» suggerì.
La sacerdotessa alzò gli occhi su di lui.
«Non mi hai chiesto niente» osservò.
«Relativamente a…?»
«Ai tatuaggi.»
«Ah.»
Da come lo stava guardando sembrata tutto fuorché intenzionata a parlarne, e per quanto la questione suscitasse l’interesse di Liam, non era sicuro di aver voglia di gestire una discussione dopo una giornata del genere.
«Quindi?» incalzò lei.
Sospirò.
«Quindi, cosa? Ho immaginato che abbiano a che fare con qualche cavolata religiosa che tanto non mi potresti dire, per questo non ti ho chiesto niente. Ma a quanto pare sbagliavo, perché stai morendo dalla voglia di tradire il tuo Dio raccontando i suoi segreti a uno sconosciuto, perciò… sorella Fiona, vorresti dirmi che cosa sono quei tatuaggi segreti che ho visto quando ti ho costretta a spogliarti davanti a me, questo pomeriggio?»
La ragazza gli lanciò un’occhiata omicida.
«Sei un idiota» sbottò.
«Ho anche dei difetti» rispose, ammiccandole.
Fiona gli tirò in testa la crosta del formaggio e Liam si trasse a sedere.
«Sul serio, ragazzina, se non me lo puoi dire non sentirti obbligata a farlo. Non è che non mi interessi, anzi, ma mi pare che oggi sia stata una giornata complicata già così.»
Lei prese un respiro profondo.
«Lo so, solo che… so che è stupido, ma dopo tanti anni a seguire una routine giornaliera tanto rigida, l’informalità di queste due giornate mi è strana.»
«Non ti piace?»
«Ho detto strana. Non brutta, non bella, solo strana. È come vivere in una realtà parallela nella quale non ho riferimenti, e parlarne mi sembra l’unico modo per convincermi che il Tempio, il culto, i riti… esistono ancora, ecco.»
Liam ci pensò su un momento, poi tornò a distendersi.
«Mi hanno detto che sono bravo a mantenere i segreti. Se hai bisogno di parlarne puoi farlo, nessuno oltre a me lo saprà. Che cosa rappresentano quelle linee?»
«Ogni linea rappresenta uno dei Misteri del Dio ai quali una sorella è stata iniziata. Ad ogni avanzamento di livello si progredisce nell’iniziazione ai Misteri, e viene aggiunta una linea.»
«Affascinante» mormorò il mago. «E hanno un punto di inizio comune?»
«Partono tutte dal cuore.»
Liam provò a immaginarsele, ma valutò la situazione troppo ambigua e allontanò l’idea.
«Scusa, ma se non potete mai mostrarle a nessuno, che senso ha farle?»
Fiona ridacchiò.
«Il fatto che non possa vederle tu, non significa che non possa vederle nessuno.»
Liam si trasse di nuovo a sedere.
«Spiegati, perché quello che sto immaginando io ha a che fare con cerimonie in cui ve ne state lì tutte nude a fare cose. Toglimi questa immagine malsana dalla testa, veloce!»
La sacerdotessa scoppiò a ridere e le ci volle un po’ per riuscire a ritrovare l’autocontrollo.
«No, in realtà…» singhiozzò «in realtà le cose sono un po’ così, come le descrivi.»
Liam sgranò gli occhi.
«Ti prego, dimmi che stai scherzando! Ma perché una cosa del genere? Forse il tuo Dio merita più rispetto di quanto credessi!»
«Ci scommettevo che l’avresti detto! Il fatto è che, ovviamente, più linee hai sul tuo corpo, più il tuo grado è alto nella gerarchia del culto, e nei riti più sacri è necessario che questo sia manifesto.»
Il mago si domandò quanto fosse importante nel suo ambiente la donna che aveva rapito, con tutti quegli intrecci che si aggrovigliavano sulla sua pelle, e deglutì a vuoto.
«Tu aspiri a diventare qualcuno, al Tempio?»
La sacerdotessa si accigliò e non rispose subito. Alla fine, mormorò:
«Non lo so. Diciamo che sta succedendo, ma non perché sia mia ambizione, è più l’inerzia… sai, come quando scendi una scala ripida e non puoi fare a meno di mettere un piede davanti all’altro, gradino dopo gradino, perché se non lo facessi potresti cadere» sospirò. «Forse non è stato saggio da parte mia seguirti, lo riconosco, ma credo che fosse necessario per acquisire la consapevolezza che il mio ruolo, un giorno, richiederà.»
«Mi dispiace per oggi» rispose Liam, traendosi in piedi.
«A cosa ti riferisci?»
«Sei rimasta ferita, non avrei dovuto permetterlo. Non posso prometterti che non accadrà più, ovviamente, ma posso prometterti che farò il possibile perché non accada.»
Fiona lo fissò senza rispondere e Liam si domandò quali pensieri si celassero dietro a quegli occhi turchesi.
«Inizio il mio turno di guardia, tu riposa un po’, se riesci.»
Si volse e si allontanò un poco, per non trovarsi a sfavore di vento.
«Vorrei solo essere coraggiosa come te, e non avere paura.»
La voce della sacerdotessa lo raggiunse flebile, come un sospiro.
Lui di paura ne aveva eccome, quel pomeriggio era stato peggio di un tuffo in un incubo. Deglutì e non rispose.

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