tokurei

di StagTree
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #1 e #2 ***
Capitolo 2: *** #3 ***
Capitolo 3: *** #7 ***
Capitolo 4: *** #15 ***
Capitolo 5: *** #28 ***
Capitolo 6: *** #29 ***



Capitolo 1
*** #1 e #2 ***


 

prompt #1 e #2 insieme perché nel weekend non ho accesso al computer

generalmente tutte pre!despair oppure (meglio) non-despair!au perché sì

 

https://www.fanwriter.it/writober-2022/

 

 

 

  1. zucchero

 

Così — tramite convenzioni irreparabili, un invito a guardare ragazze in gonne corte e canottiere che non può ammettere, di fatto, di non voler guardare — Mondo si trova nella casa di Leon, o della cugina di Leon, o di chi dir si voglia, con un bicchiere di Crusta in mano, ovvero, di quello che dovrebbe essere un bicchiere di Crusta in mano, e di cui, distrattamente, bacia il bordo zuccherato. Tra un rimpianto e l'altro, e approfittandosi della sua stazza per farsi strada tra la folla, ne beve prima un sorso più lungo, e poi uno più piccolo, poco alla volta. Contorce il viso in una smorfia di ribrezzo; fa per sputacchiare, poi, e dopo un'imprecazione — "Cristo Dio," dice, senza far caso alle reazioni della gente a cui passa vicino — o due, si avvicina a Leon con il naso arricciato. È seduto; a gambe incrociate osserva l'andazzo della festa, trovandolo soddisfacente, sorridendo, magnate, tutto in bianco, con le braccia stese sul bordo del tavolo della cucina dell'ampio open space. Mondo deve urlare per farsi sentire — chiede, "Ma cos'è 'sta merda?" calcando la M, avvicinando le ultime due parole ad una sola. "Sa di Tylenol col brandy." E Leon fa spallucce, indica il bancone nel salone, con l'indice. "Hey," sorride, a metà, col mento alto; ha l'aria di chi ha appena ereditato il trono d'Inghilterra. "Hiro è il barman. Prenditela con lui."

 

"E chi ce l'ha messo lì?"

 

"Oh, nessuno. Ci si è messo lui da solo. Il barman vero se n'è andato all'una e mezza." Se lo beve tutto in un sorso, Leon, quel che del suo cocktail gli era rimasto, e Mondo pensa che in quella loro realtà tutta improbabile dei due è lui quello rimasto più sobrio. Nota Kiyotaka dall'altra parte del salone, che parla con Makoto e Kyoko, in un angolo più appartato e intimo; e si direbbe orgoglioso, se Taka sapesse, Mondo pensa, premendosi le labbra tra di loro. Si lecca lo zucchero con la punta della lingua e si immagina di premergliela su un angolo della bocca come un lucidalabbra sbavato. Orgoglioso del suo autocontrollo. Cerca una sigaretta nella tasca, gli tremano le mani.

 

E riflette: Kiyotaka veste un plaid marrone, e bianco, coprendogli angoli spigolosi di pelle, muscolosi. Non un bottone manca all'appello, fino a cingergli la base del collo come un soldatino. Si chiede, Mondo, e riflette, se può fingersi brillo abbastanza da strappargliene uno con i denti. I pantaloni seguono le curve toniche delle sue gambe, jeans neri. Pantaloni e denti, bocca e bottoni, nello stesso flusso di coscienza, e la sigaretta gli scivola dalle dita.

 

"Sei sbronzo, Cristo," è Yasuhiro, che raccoglie la sigaretta da terra e la butta nel posacenere. No, non lo sono, vorrebbe dirgli, con la gola mozza. Yasuhiro era già fuori prima di lui, o l'ha accompagnato, Mondo non ricorda. "Tremi come una foglia. Ma stai bene?"

 

"Vorrei," Mondo risponde, guardandosi le dita, per un attimo, la vista annebbiata, fuori fuoco, un collo scoperto, un pomo d'Adamo sotto il pollice. Cosa? "Cioè, dovrei."

 

"Dovresti cosa? Star bene?"

 

"Già," e poi, "Quanta gente c'è ancora, secondo te? Dentro?"

 

Alza le sopracciglia, Yasuhiro, stranito, non ancora del tutto ottuso dalla musica e il baccano, o magari abituato abbastanza da non farci caso; dà un colpetto alla sua canna per far cadere la cenere, sporto sul balcone, e dice, "Cos'è, non ci vedi? Un bel po', bello"; se la porta alle labbra e tira, e Mondo lo sta fissando, e gli viene offerta, ma rifiuta. Fa spallucce, Yasuhiro. "Non credo se ne sia già andato nessuno. Cioè, non lo so, ma non sembra ... la notte è lunga, ancora." E che ore sono? Kiyotaka ha un orologio, ha sempre un orologio, lui glielo saprebbe dire. "Stressato?"

 

Preciso sul minuto. "Non proprio," Mondo dice, e in quel momento considera se esporsi a Yasuhiro se sia una di quelle esperienze di cui ci si pente anche a tempo a venire; considera chi lo verrebbe a sapere, e considera, che Yasuhiro non lo si considera, in genere. E quindi fanculo, "Ah," maledice il senso generale di spirito pratico, e dice, "C'è ... qualcuno a cui vorrei parlare."

 

"Oh, e chi è?"

 

"E perché pensi che te lo voglia dire?"

 

"Aw, non vuoi? No, aspetta," Yasuhiro fa un altro tiro e sbuffa, questa volta ghigna. "Fammi indovinare. E se azzecco mi dai cinquecento Yen."

 

"Ma fottiti."

 

"Ah ah. Sicuro!," una pausa; di nuovo, tira, e dice, "È Kiyotaka.”

 

E, sì, pensa, Mondo, Kiytotaka sarebbe orgoglioso di lui, del suo senso di responsabilità; Mondo cerca un'altra sigaretta ascoltandosi il cuore in tachicardia, irrequieto, vorrebbe un ansiolitico, dell'ansiolitico, si chiede se ne abbia mai fatto uso. Maturità; Si vergogna a chiedere aiuto per accenderla quando la trova e se la porta spenta alle labbra, ma Yasuhiro è grande e lo capisce da solo. Gliela accende, e Mondo lo ringrazia a guance rosse, e a labbra strette.

 

Labbra, pensa: il sapore di zucchero è sparito con la sigaretta di prima. L'amaro del drink gli torna alla gola.

 

"Comunque, fai schifo a fare cocktail," è la risposta che propone, Mondo, e a Yasuhiro — distratto dal fumo, chissà, o semplicemente molto più consapevole di quel che Mondo crede — quello basta. "Dissento," risponde, e Mondo si rende improvvisamente conto degli anni che lo precedono. "E prova tu a star dietro agli ordini di tutti! Pure i professionisti sbagliano, a volte, o come si dice?"

 

Kiyotaka sarebbe preciso, pensa, estremamente, e ne farebbe di più buoni, perché tutto quello che fa è perfetto e irraggiungibile. "Stanno tutti bevendo a goccia, fatti due domande."

 

"Beh, hey, sto sgobbando quando nessun altro lo farebbe," una pausa, "e poi," e un sorriso, preme il filtro della canna fumata nel posacenere, "Ho indovinato, no? Vero? Vero? Quindi non solo mi becco i soldi per stasera, ma pure la tua mancia. Terrò il tuo oscuro segreto al sicuro dalle malelingue, giurin giurello."

 

"Ti pagano pure per fare queste brodaglie?"

 

"Daresti il culo aggratis? Lo penso anche io," Yasuhiro torna alla sua mansione martoriante. Mondo, dal canto suo, evita che la parola culo lo porti in meandri mentali a cui non è pronto ad affacciarsi, non in questo momento.

 

Il suo bicchiere di Crusta è andato dimenticato nella sala, da qualche parte. A malincuore, dopo aver perso di vista Kiyotaka, finita la sigaretta (e assicurandosi di sentire il fumo traviargli i polmoni), se ne fa preparare un altro. Lo zucchero gli ricorda il collo basso del plaid, e il dolce sudore di immagini private.

 

 

 

 

 

  1. respiro

 

Mondo dà la propria voce al vento, e Kiyotaka si sfiora il petto con le dita, consapevole dei battiti intensi e delle carezze delicate della sua voce; veloce — si sente il cuore esplodere in colori mai pensati, di qualsiasi sfumatura e suono, odore e sapore, e si stringe le dita delle mani, Kiyotaka, si punisce il viso in espressioni turbolente, perché la risata che lo tocca non è la sua ed è irraggiungibile, Mondo, è lontano, è il cielo incontenibile — è il calore del sole, che lo avvolge, ad occhi chiusi, sognando di un giorno in cui sarà possibile toccarlo con la punta delle dita.

E’ questo — il punto, è questo, è la fisicità che manca, la virgola sbagliata nelle leggi della gravità che lo perseguitano e lo trattengono a terra; Mondo dà e dona, regala ed esalta la propria voce al vento, in una risata inconsapevole, mai sentita, sentita, e Kiyotaka si sente incontenibile, esulato da qualsiasi altra realtà e senso che esista.

Finché non succede, e si cedono in un attimo — uno scambio di sguardi e si cedono in un attimo, l'intesa è immediata, rischiosa, naturale; e il respiro che lo tocca, le labbra che si trascinano, private, sulla sua pelle, non è il suo, non sono le sue. E alza il mento, Kiyotaka, tende il braccio da una nuvola, lascia che il suo collo tremi e bruci.

 

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Capitolo 2
*** #3 ***


 

  1. tattoo

 

Il corpo lo esplora

a tastoni, e a tentativi, ciechi, e sordi, e con l’ausilio delle dita e della bocca; bacia le ciglia sulle sue guance con forza di principio, e quando lo sfiorano le stoffe dei suoi vestiti, e dei suoi vestiti, è come ghiaccio, e la pelle è brace. Quando si scambiano languidi sospiri dal naso – e dal piccolo triangolo di denti che si forma tra le sue labbra; quando le morde e le tira e diventano rosse e seviziate, brace – il corpo ha ormai compiuto peculiari flessioni d’incastro; e quando – ed esperimenta, senza mai toccare dove finisce la rotta del sangue – allunga e piega le dita in una manovra delicata ed elegante, Kiyotaka gli sfiora la schiena tatuata, e apre gli occhi alla curva mascolina alla base della sua schiena.

E Mondo – inarcato – spiegando il petto largo – mantenendo separate le estremità precoci delle sue palpebre – lo esamina da dietro le lunghe ciglia, languide morbide, ciniglia – e contempla, dal basso mento, passivo, il suo pomo d’Adamo sobbalzare.

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Capitolo 3
*** #7 ***


 

  1. coffee shop

 

Mondo lo nota tra le facce tutte opache. Entra — il ragazzo senza nome — e si chiude la porta alle spalle con inconsapevole eleganza; sempre alla stessa ora, e sempre impeccabile. Quando si avvicina alla cassa con un sorriso educato, aggancia l'impugnatura dell'ombrello al polso, e lo saluta, "Buongiorno!", con contenuto entusiasmo. E Mondo non sa cosa dirgli, sul momento, non considera di avere le adeguate buone maniere; quando è l'ora di aprir bocca, muove le sopracciglia con imbarazzo, e si sente sudare.

 

Inizia balbettando, "Uh," e fa una pausa, gli si ripresenta con un "Ciao," sbiadito di timidezza. Lo guarda fino a quel che la sporgenza della cassa gli permette di fare: oggi indossa un blazer a quadri, marrone, e sotto, la solita camicia bianca, con cravatta abbinata. Due grossi occhi dietro due larghi occhiali non percepisco il suo nervosismo, e si concedono piuttosto ai menù scritti sulle lavagnette, dietro di lui, distratti da prezzi ed elenchi.

 

Si tocca il mento, il ragazzo cortese, con il pugno chiuso, bussa; "Vorrei... un espresso, per favore," dice. E se per un attimo considera un dolce, non cade in tentazione. "E un bicchiere di acqua naturale."

 

Prima che possa ringraziare, Mondo — che nel frattempo sbaglia a premere sulla cassa, e annulla lo scontrino, due volte — e che si dimentica, oltretutto, di chiedergli se vuole dell'altro — guarda la bocca della cassa sputare fuori lo scontrino, e lo strappa, al terzo tentativo. E chiede, tutto d'un fiato: "Come ti chiami?" ed è più affermazione che domanda, mentre lo ringrazia, il suo ignaro amico, e chiede quanto gli deve.

 

Quando passa — la sensazione di disagio e di freddo e di sudore; la faccia che bolle, dello stesso calore titubante che segue il collo e parte dei pettorali sotto la maglia, e il panico, e le dita che gentilmente tremano — quando passa, Mondo manda giù il possibile, il magone, infatuato e bloccato alla base della gola, e questa buffa persona — sì, buffo, pensa, allo stesso modo per cui sono buffi i volpini di Pomerania — gli sorride, e chiede scusa dell'interruzione. "Perdonami!" dice, "Ti ho parlato sopra."

 

E dopo aver lasciato una moneta da 500 Yen sul bancone, aggiunge, sorridendo, "Kiyotaka"; riceve il suo resto e lo lascia tintinnare nel salvadanaio delle mance.

 

 

 

 

 

 

"ma come fa a non sapere il suo nome se è già venuto nel locale" non lo so ho sonno … sono le undici e mezza ... e domani lavoro ... adios ...

 

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Capitolo 4
*** #15 ***


 

ovvio. d’obbligo anzi. un classicone

 

 

 

  1. burro

 

Kiyotaka torna a casa, preciso, attento a non sporcare l’entrata di fango. Fuori piove; lascia le scarpe e le ordina, vicine a quelle – sparpagliate, macchiate di cemento e, sulla punta, scollate leggermente dalla suola – di Mondo, che nella cucina invoca il dolce imprecare di chi ha fatto qualcosa che non avrebbe dovuto. E come un bicchiere si apre per terra con un rumore sgradevole (anche se, in realtà, a Kiyotaka viene in mente, prima di tutto, di paragonarlo al tintinnio solenne di una campana a vento) e come, al farfugliare maniacale di una scopa che gratta impercettibile le setole rigide sul parquet, sente una voce, e si impone di aspettare all’entrata. Mondo gli dice, “Aspetta lì!” prima ancora di ricordarsi di salutare. E quando tutto finisce, Mondo borbotta come una teiera accesa, e Kiyotaka, che è concentrato, riesce a sentire il debole rumore del gas acceso.

A quel punto Mondo si sporge dalla porta aperta, e sorride, sporco di farina.

“Ciao,” dice. Ha i capelli legati; se li tocca distrattamente, e fa subito una smorfia disgustata quando si ricorda di avere le mani sporche di burro.

Kiyotaka sorride. Educato, perfetto, risponde, “Ciao,” e lascia che sia la sua immagine – quella di Mondo, reduce da imprese culinarie – a rispondere qualsivoglia sua mentale domanda.

Quello di Mondo, come sempre, è un tentativo fuorviante, più che una vera e propria affermazione sui fornelli, ma lo sforzo è ben accetto, e i pancake sono buoni, per quello che sono.

 

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Capitolo 5
*** #28 ***


 

  1. penombra

 

Si intromette – nelle sue conversazioni, nei suoi affari; si adagia delicatamente nello spazio tra le tende e le finestre, nei muri del suo bagno – lo ascolta cantare di tempi migliori sotto la doccia. Lo ascolta; quando Hajime parla, Nagito lo ascolta, anche se non è partecipe attivo della conversazione.

Magari da lontano, nella penombra; magari seduto ad un tavolo nella mensa, da dietro la porta del suo cottage, sotto una palma sulla spiaggia, o appoggiato sulla porta in ospedale. E per quanto si butti e si trascini dietro di lui come un cadavere, legato a lui da un polso al suo collo – e si morde le labbra, e sospira, nell’intimo, in silenzio – Nagito non smette mai di ascoltare.

Quindi quando Hajime si accovaccia nella mensa in piena notte, e aspetta che si annacqui un attacco di panico, Nagito lo accoglie, e gli porge un bicchiere d’acqua. Sorprendentemente di gusto e rispettoso: mantiene le giuste distanze, non lo assilla.

Hajime si tiene la testa – si tira i capelli – e quando finisce, ha una macchia sudata sotto le ascelle. Balbetta, “Nagito,” senza voce, “Come sapevi che ero qui?”

Lo guarda bere, farsi cadere la sola goccia d’acqua che scivola dalla bocca fino al mento, sul collo, sotto la camicia, e Nagito sorride. “So sempre dove sei.”

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Capitolo 6
*** #29 ***


 

  1. futuro

 

Gli porge la mano,

Non se ne capacita, non ancora. Seduto su un letto di ospedale, si sveglia da un lungo sogno, e si tiene i capelli tra le mani. Lo sta guardando – qualcuno, o chi, chi? Non capisce, fuori c’è il sole.

E una pila di libri sul piccolo comodino, con un peluche di un orsacchiotto, e un fiocco rosso, legato al collo, una voce – Nagito? – che gli ricorda il sangue. Si stringe la gola con le mani.

“Ma simo sicuri che sta bene?”

“Kazuichi, smettila.”

“No, Sonia! Mi spiace! Non intendevo essere offensivo, giuro.”

“Chiudi la bocca, demonio.”

“Cristo, Gundham, sei imbarazzante.”

“Potete smetterla tutti, per favore?”, e una voce, di fronte a tutti – sopra a tutte, si eregge come un principe, e mette a fuoco – Nagito?, mastica il suo nome dolcemente, morbida panna – e la luce li evidenzia dalle anonime pareti dell’ospedale.

“Ragazzi?”

E sorridono. Hajime si stringe nelle spalle e gli porge la mano, qualcuno lo spinge in avanti. E’ un gioco; le ombre sul suo viso lo differenziano dal miraggio nei suoi incubi. Lunghi capelli, occhi del coniglio bianco – Hajime gli porge una mano, e tra le dita, un mazzo di margherite bianche, ed è come non fosse mai successo niente.

“Ben tornato,” gli dice, e tutti gioiscono. Il verde gli dona, Nagito pensa; e con i fiori tra le mani, allunga le braccia come può, e i sorrisi di tutti lo sciolgono il lacrime. E’ come se non fosse mai successo.

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