I'll find you and I'll love you. In every universe.

di May Jeevas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1-Pirate ***
Capitolo 2: *** 2-Crime ***
Capitolo 3: *** 3-Tatoo ***
Capitolo 4: *** 4-Soulmate ***
Capitolo 5: *** 5-Hospital ***
Capitolo 6: *** 6-Royalty ***
Capitolo 7: *** 7-Coffee shop ***
Capitolo 8: *** 8-Fake dating ***
Capitolo 9: *** 9-Bodyguard ***
Capitolo 10: *** 10-Dancer ***
Capitolo 11: *** 11-Fantasy ***
Capitolo 12: *** 12-Demon Hunter ***
Capitolo 13: *** 13-Roommates ***
Capitolo 14: *** 14-Spy ***
Capitolo 15: *** 15-Deity ***
Capitolo 16: *** 16-Magic School ***
Capitolo 17: *** 17-Enemies ***
Capitolo 18: *** 18-Mafia ***
Capitolo 19: *** 19-Office ***
Capitolo 20: *** 20-Flower Shop ***
Capitolo 21: *** 21-Parent ***
Capitolo 22: *** 22-Poledancer ***
Capitolo 23: *** 23-Farm ***
Capitolo 24: *** 24-Supernatural ***
Capitolo 25: *** 25-Youtuber ***
Capitolo 26: *** 26-It Was All A Dream ***
Capitolo 27: *** 27-Library ***
Capitolo 28: *** 28-Band ***
Capitolo 29: *** 29-Future ***
Capitolo 30: *** 30-Artist/Writer ***
Capitolo 31: *** 31-Zombie ***



Capitolo 1
*** 1-Pirate ***


Alfred Jones aprì la porta della cambusa e la richiuse subito dietro di sé. Appoggiò la schiena al legno ruvido e lasciò andare un sospiro.
La ciurma era in lutto. Durante l’ultimo attacco della Invincible Armada avevano perso il loro capitano Allistor Kirkland, ucciso durante il combattimento. Oltre la perdita, uno smacco ulteriore era stata la fuga dell’equipaggio nemico. Alfred aveva visto la furia e il dolore sui volti dei suoi compagni, sentendosi come tutti impotente davanti a quel turbinio di eventi.
Per rispetto ad Allistor, avevano celebrato subito il funerale: il corpo era stato avvolto nel sudario e appesantito e infine lanciato in mare.
Era stato il fratello minore di Allistor ad occuparsi dell’intera procedura. Più volte Alfred si era avvicinato offrendo il suo aiuto, ma era stato cacciato via.
Finito il rito funebre avevano voluto subito proseguire con la votazione del nuovo capitano. Nonostante la giovane età, la scelta era ricaduta proprio su Arthur Kirkland. Alfred aveva incrociato il suo sguardo e nonostante il neo eletto capitano avesse solo pochi anni in più di lui, in quel momento i suoi occhi erano sembrati a Jones profondi e stanchi come una persona avanti con gli anni. Quello sguardo gli aveva dato i brividi.
Terminato anche quel compito, l’equipaggio si era messo a bere in onore del defunto e del nuovo capitano. Quest’ultimo aveva avuto la stupenda idea di sparire pochi minuti dopo esser stato eletto. Alfred conosceva abbastanza bene Arthur da sapere che spesso preferiva la solitudine, soprattutto in situazioni difficili, ragion per cui all’inizio aveva aspettato bevendo con gli altri compagni, ma dopo un po’ di tempo era stato preso dal desiderio di trovarlo e di stargli vicino, nonostante il precedente proposito di lasciarlo in pace.
Si diresse verso uno scaffale e prese una bottiglia di Rum. Stava per uscire quando una voce lo fece sobbalzare.
“Rubi il mio Rum, adesso? Vuoi che ti degradi a mozzo?”
Alfred si girò. Gli occhi smeraldini del giovane Kirkland splendettero nella luce tenue dei raggi della luna. Il ragazzo si avvicinò a passi lenti, fissando quegli occhi ancora pieni di dolore.
“Stavo venendo a cercarti, e non volevo farlo a mani vuote.” ammise, porgendogli la bottiglia.
Kirkland sbuffò, rimise la bottiglia a posto e si appoggiò al muro. “Che carino. Dovresti fare attenzione, vuoi che la ciurma si prepari per il nostro Matelotage così presto?”
Alfred ignorò la provocazione. Che lui e Arthur si amassero non era un segreto, tutta la ciurma lo sapeva. Ormai la domanda che veniva fatta loro più spesso era quando si sarebbero decisi a fare il rito. Alfred si mise vicino ad Arthur, spalla contro spalla.
“So che vuoi stare da solo. Ma non volevo ti sentissi solo.”
Arthur girò il volto dalla parte opposta, nascondendo il viso al compagno. Lo odiava quando faceva così. Odiava come lo capisse al volo e come anche solo la sua presenza, seppur in un momento doloroso come quello, riusciva a donargli un po’ di calore. E odiava anche come le sue difese ormai davanti a Jones cedessero.
“Nella cabina del capitano” Arthur proprio non ce la faceva a chiamarla la sua cabina. “Ho trovato una lettera di Allistor per me. Dice che nel caso di sua morte prematura spera vivamente che la ciurma scelga me come capitano e che ripone in me la sua fiducia per mandare avanti il suo lascito. So benissimo che non ha nessuna importanza visto che c’è stata la votazione e che in caso fosse stato eletto un altro non avrebbe cambiato nulla, ma… sapere che dopo tutto… dopo tutti gli anni a prenderci a insulti, dopo tutti i litigi… sarei ancora stato io la sua scelta per continuare a guidare questa nave...” Arthur si rese conto di stare farfugliando. Scosse la testa, passandosi una mano tra i capelli. “Che la ciurma mi votasse me lo aspettavo. Non che lo volessi, ma me lo aspettavo.” Confessò a bassa voce “Ma sapere che anche mio fratello, dopo che io… che io...” strinse gli occhi, l’ultima litigata con Allistor gli rimbombava ancora nelle tempie, tormentandolo.
Alfred sospirò, cingendolo per le spalle. Quando vide che il compagno non si opponeva, rafforzò l’abbraccio. Arthur appoggiò la guancia sulla spalla dell’amato, respirando profondamente.
“Diciamo che tu e Allistor avevate un rapporto particolare. E molti della ciurma pensavano vi sareste fatti fuori a vicenda, prima o poi.” Alfred cercò di sdrammatizzare un po’, di dargli un minimo di conforto. “Ma nessuno di noi ha mai messo in dubbio l’affetto che vi legava. Lui sapeva che tu gli volevi bene, Arthur.” nonostante tutti sapessero del loro rapporto, non si erano mai chiamati per nome davanti alla ciurma. Lo facevano solo quando erano convinti che nessuno potesse sentirli. Era il loro segreto. “E sono sicuro che se metti da parte il dolore e la rabbia scoprirai di avere sempre saputo che anche lui te ne voleva. Tanto. Il volerti affidare la sua nave ne è la prova.”
Arthur si morsicò il labbro inferiore, tenendo il volto nascosto nell’incavo del collo di Alfred.
“Da quando sei diventato così saggio?” riuscì a mormorare cercando di non far tremare la voce.
Alfred ghignò.
“Sono bravo ad aiutare le persone, cosa credi? Io sono nato per far star meglio gli amici. Anzi, tutte le persone che hanno la fortuna di incontrarmi.”
Arthur sorrise, si staccò controvoglia dal corpo di Alfred e interruppe il delirio di onnipotenza.
“Congratulazioni, ti dichiaro eroe del mondo intero. Vedi di renderti utile aiutando la ciurma e porta loro un po’ di Rum. E dì loro che il capitano li raggiungerà presto.” Alfred lo spinse un po’ sulla spalla, facendo perdere al ragazzo più grande l’equilibro, prima di prendere due bottiglie dallo scaffale vicino a lui.
Si girò e rubò un bacio a fior di labbra prima di scappare via, senza nemmeno godersi la reazione che aveva scatenato con quel gesto: il rumore di una bottiglia che cadeva e gli insulti sibilati incomprensibili furono sufficienti per farlo sogghignare.

Alfred stava bevendo l’ultimo sorso quando il neo eletto capitano apparve e si diresse verso la parte superiore della nave. Gli stivali neri battevano sui gradini e la postura era eretta e fiera. Nulla a che vedere con le spalle curve e il volto abbassato di pochi minuti prima.
Arthur Kirkland si girò verso la sua ciurma, tenendosi con le mani al parapetto. Indossava il cappotto rosso sopra la solita camicia bianca e la testa era adornata da un grande cappello nero con piume bianche. Entrambi erano appartenuti ad Allistor.
“Signori.” cominciò con voce solenne guardando la ciurma sotto di lui. “Per questa sera beviamo in nome di Allistor. La sua ciurma non lo dimenticherà mai, e nemmeno io. Ho l’onore e l’onere” a queste parole lo sguardo si fece ancora più deciso e duro. “di prendere io il comando d’ora in poi. Vi giuro che sarò degno della fiducia datami. Il mio primo ordine è di continuare la missione di Allistor: macellare i cani spagnoli in nome della Corona d’Inghilterra e di Sua Maestà!” la ciurma ruggì a queste parole. “Nessuno ci chiami mai pirati, noi siamo corsari al servizio della nostra amata regina Elisabetta Prima!” Altre urla di assenso si alzarono dall’equipaggio. Arthur si voltò verso l’orizzonte, la luce nella luna si rifletté nelle sue iridi, accendendo un fuoco che prometteva vendetta. Sguainò i canini in un sorriso. La mano si mosse automaticamente verso l’elsa della spada. Sì, avrebbe continuato la missione di Allistor, fino alla morte. Non avrebbe risparmiato nessuno spagnolo che si sarebbe trovato davanti. Avrebbe dimostrato all’Invincible Armada che i corsari al servizio della Regina avrebbero trionfato sui mari.
Assottigliò lo sguardo, ricordando il nome che aveva urlato il capitano del galeone spagnolo mentre si allontava..
“Preparati, Antonio Fernando Carriedo. Ti ucciderò con la spada di Allistor e ti manderò a fargli compagnia in fondo all’oceano.” giurò. Le onde davanti a lui sembrarono ribollire di aspettativa davanti a quella promessa.
 


Angolino di May
E che Writober sia! alza pugno
Il primo prompt già mi ha creato un po’ di problemi, OOC a parte che io, al solito, quando si parla di Hetalia sono sempre in paranoia. Mannaggia a me. Spero comunque sia una lettura tollerabile e di aver reso almeno un po’ di giustizia ai personaggi.
Piccola nota: il Matelotage era praticamente l’unione civile dei pirati. I due partner dividevano gli averi e anche in caso di morte di uno, all’altro spettava comunque parte delle ricchezze. In alcuni casi era più una praticità che un’unione romantica.
Ringrazio Sacchan e Sissi per il loro supporto e per aver letto questa storiella iniziale in anteprima.
Al solito, critiche costruttive e pomodori marci sono ben accetti!
Mata ne!

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Capitolo 2
*** 2-Crime ***


Arthur Kirkland, agente speciale dei servizi segreti inglesi, odiava e amava il suo lavoro allo stesso tempo.
Aveva lottato per diventare un profiler: mettere le sue doti al servizio delle forze dell’ordine era quello che aveva sempre voluto fare e aveva dedicato la vita per raggiungere quell’obiettivo.
A nemmeno trent’anni compiuti aveva visto il nero dell’abisso più volte, nonostante non ne fossero passati più di quattro da quando era entrato in squadra, e a volte sentiva di averne abbastanza per una vita intera.
Poi, c’erano giorni come quello che stava vivendo che lo ripagavano di tutto: la parte di lui che amava il suo lavoro si faceva sentire, gli ricordava che era questo che voleva fare per le prossime decadi della sua vita.
Cinque ragazzi riuniti con le loro famiglie. Il distretto era pieno di volti sorridenti e commossi. Nascosto nel corridoio, Arthur si godeva questo momento, marchiandolo a fuoco nella sua mente. Sapeva che in futuro ne avrebbe avuto bisogno.
“Agente Kirkland!”
La voce risuonò chiara e cristallina, e Arthur era così preso dai suoi pensieri che sobbalzò.
Un ragazzo lo stava raggiungendo a passo veloce e deciso. L’agente lo riconobbe subito, era Alfred Jones, il fratello maggiore e unico famigliare di uno dei ragazzi salvati, Matthew. Si erano trasferiti da poco a Londra, Il secondo per iniziare l’università, e il primo per cercare lavoro dopo essersi laureato. Era stata proprio la sua testimonianza a sbloccare il caso.
“Agente Kirkland, mi scusi!” Alfred lo aveva raggiunto e si fermò di fronte a lui. “Ecco, io volevo solo ringraziarla, per aver salvato Matthew e… insomma, per avermi creduto.”
Kirlkland sbuffò, un po’ a disagio.Sì, gli aveva dato ragione, contro ogni probabilità di successo, e nelle ore precedenti non era nemmeno riuscito a capire perché aveva permesso di avere su di lui un ascendente tale da affidare alle sue parole la vita di cinque ragazzi. Era stata un’idea assurda, un salto nel vuoto.
Se fosse stata davvero così, non avresti seguito quella pista. Datti un po’ di credito! Pensò, cercando di darsi un tono. Alla fine, il suo lavoro sapeva farlo. Alfred aveva dato la spinta che serviva, e alla fine aveva avuto ragione a seguire l’istinto. Era questo l’importante.
“È stata la tua testimonianza che ci ha permesso di capire come salvare questi ragazzi.” rispose, cercando di mantenere un tono neutrale “Come sta Matthew?” domandò, volgendo lo sguardo verso le persone nella stanza.
Alfred indicò un ragazzo che gli assomigliava in maniera spaventosa. Aveva solo i capelli un po’ più lunghi, non portava gli occhiali e i suoi occhi erano viola invece che azzurri. Arthur cercò di giustificare quella nozione totalmente inutile alle sue doti da profiler prima di tornare a concentrarsi sul ragazzo.
Matthew aveva dei tagli e lividi sul viso, ma a parte quello sembrava stesse bene, situazione permettendo. Si guardava intorno come se volesse essere invisibile, probabilmente cercando suo fratello.
“Dovresti andare da lui.” ammise Arthur ad alta voce.
Alfred si girò a guardarlo, e un fugace lampo di delusione attraversò i suoi occhi.
“Oh, già, certo, hai ragione. Perché non vieni… Insomma…” si eresse in tutta la sua postura, facendo sentire Arthur leggermente in soggezione perché diavolo se quel ragazzo era più alto di lui!
“Matthew avrebbe piacere di conoscerti e ringraziarti, quindi…” non terminò la frase, si limitò a guardare Arthur con aspettativa.
L’agente sorrise, sincero.
“Certo, con piacere!”
Gli occhi azzurri di Alfred si illuminarono e senza preavviso prese Arthur per il polso, trascinandolo dentro la stanza. Arthur d’istinto si ribellò, cominciando a borbottare con foga.
“Ma che… guarda che so camminare da solo, lasciami..!”
“Matthew! Lui è l’agente Kirkland!” Alfred ignorò i commenti dell’altro e chiamò a gran voce il fratello, che si girò e rivolse un sorriso timido a entrambi e porse la mano a Kirkland, che la strinse a sua volta.
“Piacere di conoscerla, agente Kirkland, ci tenevo a ringraziarla per quello che avete fatto per tutti noi.” rivolse uno sguardo ai suoi compagni di sventura, una lampo di dolore gli attraversò gli occhi.
Arthur ci tenne a precisare. “È stato un lavoro di squadra, io non ero nemmeno a capo dell’operazione. Sono solo felice che tutto si sia concluso nel migliore dei modi!”
Matthew annuì e gli strinse un’ultima volta la mano prima di lasciarla.
“Non di meno, Alfred mi ha raccontato che è stato lei a credere alla sua teoria e a permettere che arrivaste in tempo.”
Arthur si girò verso il ragazzo. Poi verso pavimento. Poi tornò a guardare Matthew.
“È stato un piacere conoscerti, Matthew. Alfred, prenditi cura di lui. Vi auguro il meglio, ragazzi, ve lo meritate.” si congedò l’agente. Faceva troppo caldo in quella stanza. Aveva le guance in fiamme e stava sudando. Raggiunse con sollievo il fresco del corridoio.
“Complimenti, hai fatto colpo.”
Nell’udire quella voce Arthur sentì un brivido corrergli lungo la schiena.
“Cosa vuoi, rana?” sibilò.
Francis Bonnefyos era il loro addetto alle relazioni stampa. Bravissimo nel suo lavoro tanto quanto ficcanaso e anche molesto una volta che prendeva confidenza.
“Hai fatto colpo sul piccolo Alfred!”
“Guarda che non è piccolo, ha 25 anni!” precisò Arthur, prima di rendersi conto cosa implicassero le sue parole. Girò il capo, stizzito, e fece per andarsene.
“Vedi che anche a te non è indifferente, anche se non lo ammetterai mai?!”
La risposta fu un dito medio alzato con furia.
Francis ghignò, entrò nella stanza e mise in atto il suo piano.

“Arthur?”
L’agente, in quel momento fuori servizio, alzò gli occhi dal libro che stava sfogliando (Leggende sulla magia e il folklore della Gran Bretagna). Era il suo giorno libero e come voleva la sua routine significava un giro per la sua amata Londra, con tappa fissa da Hatchard’s.
Alfred Jones era davanti a lui. Arthur cercò di ignorare il suo cuore che aveva cominciato a battere forte nel petto. Sbatacchiò le palpebre una, due tre volte, aprì la bocca ma nessun suono uscì. Ci riprovò.
“Che ci fai qui?” uscì troppo diretto e scontroso, se ne accorse anche lui. Si morse il labbro, sentendosi in colpa, ma Alfred non sembrava essersela presa.
“Passavo da queste parti, e mi sono fermato per vedere se avevano dei fumetti americani!”
Arthur chiuse gli occhi, cercando di non innervosirsi. Fumetti americani in una libreria storica come Hatchard's. Eresia pura.
“Non credo li abbiano, mi spiace.” sperò di avere camuffato abbastanza l’indignazione.
“Oh, peccato!” il ragazzo sembrò per un attimo sovrappensiero, poi aggiunse “allora vado a provare una colazione inglese! Ho fame e non ho ancora avuto modo di assaggiare la vostra cucina e avere la conferma che sia peggiore di quella americana!”
Arthur si irrigidì come la corda di un violino e ridusse gli occhi verde smeraldo a due fessure.
I beg your pardon?!” ululò, forse un po’ troppo forte. Agì senza riflettere. Abbandonò il libro che aveva ancora in mano, alzò la gamba, pronto a fare una lunga falcata, e prese la manica della giacca dell’americano, trascinandolo fuori. Una volta sul marciapiede si fermò giusto il tempo per orientarsi e continuò a camminare spedito, portandosi dietro Alfred a forza.
“Arthur? Arthur, mi dici dove stiamo..?”
“Punto primo!” sibilò l’inglese, girandosi di centottanta gradi per fronteggiare Alfred, mettendogli l’indice davanti al viso “la cucina inglese è nettamente superiore a tutto quello che voi chiamate cibo! Punto secondo: adesso ti porto a bere un vero té inglese, con tanto di scones con panna e marmellata! Punto terzo” gli occhi si ridussero a fessura, e Alfred suo malgrado si trovò a ingoiare a vuoto. “prova a farmi fare una brutta figura e ti rispedisco in America a calci nel sedere! E adesso seguimi, insolente che non sei altro!” si voltò con la stessa velocità di prima e partì spedito.
Alfred sbattè per un attimo gli occhi prima di cominciare a inseguirlo con un sorriso.
Doveva assolutamente ricordarsi di mandare un messaggio di ringraziamento a…

Pochi metri più in avanti, di fronte alla libreria, seduto a un tavolino di uno squallido bar, Francis sorseggiava una brodaglia che avevano osato chiamare caffè e stava in appostamento.
Vide Arthur uscire trascinandosi dietro Alfred e urlargli contro, per poi allontarsi. L’americano era rimasto un attimo interdetto prima di seguirlo con un sorriso che non lasciava spazio a fraintendimenti.
Aprì whatsup. Trovare il numero di Alfred era stato fin troppo facile, e da lì scrivergli comunicando il giorno libero di Arthur e la sua libreria preferita un gioco da ragazzi.
“Farete meglio a invitarmi al matrimonio, mes petits choux.”
 



Angolino di May
Okay, doveva essere una CrimeAU e non so come si è mezza trasformata in una BookshopAU. Aiuto, sono messa male ed è solo il secondo giorno, yeee!! -.-’
Ringrazio Sissi e Sacchan per supportarmi e per le loro consulenze linguistiche!
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti!
Mata ne!

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Capitolo 3
*** 3-Tatoo ***


Arthur aspettava quella vacanza con trepidazione, perché pensava che una settimana con il suo gruppo di amici e il suo ragazzo fosse l’ideale l’estate dopo la laurea.
Quello che non aveva contato era che lui e Alfred stavano insieme da pochi mesi, il dividere una stanza ci stava… peccato che quella camera aveva un letto matrimoniale.
Decisamente, la sua psiche non era pronta per quello. Non dopo la sua ultima esperienza. E al solito quando andava in crisi se la prendeva con chiunque fosse intorno a lui. Con buona pace di Alfred, in quel caso.
“Quindi vuoi farmi credere che sia una coincidenza il fatto che non abbiamo due letti gemelli?”
Alfred alzò gli occhi al cielo a quell’ennesima accusa.
“Arthur, non so che dirti e sei libero di non credermi. Ci ha pensato Matthew a fare la prenotazione, evidentemente ha detto che eravamo quattro coppie e quindi ci hanno dato dei letti matrimoniali”
Il ragazzo incrociò le braccia al petto, mettendo il muso. Odiava quando era Alfred a fare la voce della ragione. Si diresse verso la valigia e con gesti nervosi recuperò pigiama, asciugamano, spazzolino e dentifricio.
“Va bene. Vado io in bagno a cambiarmi, tu aspetta qui e non farti idee strane.” sbottò deciso il ragazzo più grande, sbattendo la porta dietro di lui.
Alfred ghignò.
“Hey, non prendertela con me se il tuo ex ragazzo era un pervertito!” urlò per farsi sentire soffocando una risata.
La porta del bagno di spalancò, mostrando l’espressione furibonda di Arthur.
Ti ho già detto che quel capitolo della mia vita non deve più essere nominato!” sbraitò, paonazzo. Alfred dovette trattenersi dal ridere. Era inutile, riusciva a trovare Arthur adorabile anche quando cercava di essere minaccioso.

Arthur era uscito dal bagno e si era messo sdraiato su una delle estremità del letto.
Si rendeva conto di essere paranoico. Sapeva che Alfred non avrebbe alzato un dito senza il suo consenso, sapeva che non avrebbe fatto mosse azzardate. Sbuffò, innervosito da sé stesso.
Una zanzara maledetta stava ronzando intorno a lui, facendolo impazzire. Si rese conto di essere stato morso quando sentì un prurito insopportabile sul fianco sinistro. Si alzò e andò a controllare davanti allo specchio attaccato all’interno dell’armadio. Alzò leggermente la maglietta del pigiama tendola sollevata e abbassò di poco l’elastico dei pantaloni, trovando la puntura. Sospirò, rassicurandosi che almeno aveva mancato il tatuaggio.
“Arthur, va tutto ben.. ODDIO MA CHE CARINO CHE COS’È?!” la voce di Alfred si era alzata di almeno due ottave, facendo saltare Arthur dallo spavento.
“Non sapevo avessi un tatuaggio!” continuò l’americano cercando di vedere meglio. Arthur era così sotto shock che non si era nemmeno accorto che era rimasto nella stessa posizione, come fosse di pietra. “Che cos’è? Il personaggio di un cartone animato? Lo conosco? Aspetta, è per caso un pokémon?! Conosco tutte le generazioni, sai, però non mi sembra…”
“Non è un pokémon.” rispose alla fine Arthur rassegnato, abbassando di poco i pantaloni per rivelare il disegno intero, non senza arrossire.
Alfred guardò meglio.
“Uhm… allora chi è? Non credo di aver mai visto questo cartone!”
“Non è di un cartone. È… Era il mio amico immaginario di quando ero piccolo.” confessò, imbarazzato. Sentì un calore impossessarsi delle sua guance e spostò lo sguardo nell’angolo della camera.
Alfred invece annuì senza togliere gli occhi dal tatuaggio.
“È così carino!” ammise. Arthur scrollò le spalle, minimizzando.
“Grazie…”
“Ma se era il tuo amico immaginario, come hanno fatto a sapere com’era? Lo hai disegnato tu?”
Arthur sbuffò, incredulo.
“Sai benissimo che non so disegnare. No, il disegno è di Feli. Glielo descrissi una volta, non ricordo nemmeno perché, e gli piacque così tanto che ci fece un disegno. In realtà era per un progetto d’arte a scuola, ma la bozza l’aveva tenuta e me l’ha data, ringraziandomi per l’ispirazione. Quindi è opera sua.”spiegò sbrigativo.
Alfred continuava ad ammirare il tatuaggio.
“È davvero stupendo e così puccioso!” squittì di nuovo. Arthur ne aveva abbastanza. Coprì il tatuaggio rimettendosi a posto il pigiama e si diresse verso il letto, spegnendo la luce e facendo precipitare la camera nel buio.
“Non era solo puccioso, sapeva anche essere minaccioso all’occorrenza.” precisò, infilandosi sotto le coperte.
Alfred si unì a lui sdraiandosi sul letto con un mega salto che fece sobbalzare sia il materasso che Arthur.
“E fai piano!” esclamò contrariato l’inglese, cercando di trovare una posa comoda.
Alfred non mollava il discorso.
“Quindi come amico immaginario avevi uno strano, piccolo uccellino peloso?”
Arthur scattò a sedere, punto sul vivo.
“Era un coniglietto volante color menta! Con tanto di ali pelosette!!” precisò con forza, girandosi verso il compagno.
Alfred rise. “Questo lo rende ancora di più adorabile. Scusa, non ho gli occhiali, non vedevo bene. Aveva un nome?” chiese.
Arthur sospirò. “Mentolino. Per il colore del suo pelo.” confessò. “Non giudicarmi, avevo solo tre anni quando lo scelsi!” aggiunse subito, sentendo il rossore alle guance che tornava. Tornò a sdraiarsi, posizionandosi dalla parte opposta rispetto ad Alfred, cercando di far morire il discorso. Per un attimo si illuse di esserci riuscito, ma poi il suo ragazzo tornò alla carica, sebbene con un tono più serio.
“Perché hai deciso di tatuartelo, se posso chiedere?” fece una pausa prima di aggiungere: “Non sei obbligato a dirmelo, sappilo.”
L’inglese fece passare del fiato tra le labbra semi aperte, creando un fischio leggero. Si rannicchiò su sé stesso, in una mezza posizione fetale.
“Uhm… beh, suppongo che…” ingoiò, cercando di trovare le parole giuste. “lo feci quando compì vent’anni. Dovevo venire un America per l’anno di scambio e avrei passato tanto tempo lontano dalla mia terra e dalla mia famiglia. Mia madre ha sempre motivato me e i miei fratelli ad avere una fervida immaginazione, e Mentino e i loro amici immaginari erano i protagonisti di mille racconti. Sembra strano, ma mi ricorda la mia infanzia e volevo avere un marchio visibile. Senza contare che era da quando avevo quattordici anni che volevo tatuarmelo. Mentino è stato per molti anni il mio solo amico.” confidò con voce tremante. “E non importa come sono adesso i rapporti con i miei fratelli, mi ricorda anche loro e gli anni vissuti insieme. Che sono parte di me, anche adesso. Non voglio rinunciarci crescendo.” riprese, prima di fare un gesto di indifferenza con la mano. “So che è una motivazione stupida, ma finora non me ne sono mai pentito.”
Non arrivò risposta, solo una carezza delicata sui capelli che lo fece un attimo irrigidire. La voce assonata di Alfred arrivò in un sussurro.
“Ti amo, Arthur…”
Arthur fu grato al buio della stanza che nascose il rosso delle guance. Aprì la bocca per rispondere, ma la mano di Alfred era ferma sui suoi capelli e un improvviso russare riempì la camera. Arthur ghignò, prima di girarsi e accarezzargli delicatamente la guancia, stando bene attento a non svegliarlo.
“Ti amo anche io, stupido di uno Yankee.”
 


Angolino di May
Io mi ero già immaginato un Arthur nel suo periodo punk coperto di tatuaggi o di sfruttare il suo tatuaggio canonico (muahahah sono malvagia) quando lessi questo prompt, ma ovviamente poi mi ritrovo a scrivere fluff a profusione. E vabbè, finché non è angst non mi lamento!
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti!
Mata ne!

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Capitolo 4
*** 4-Soulmate ***


Arthur di solito adorava la festa delle streghe che si teneva ogni anno nella sua città: era piccola, di nicchia, e si trovavano tanti libri sulla magia e l’occulto, cui era sempre stato affascinato fin da bambino.
Camminava per la stradina circondata dalle bancarelle senza prestare particolare attenzione.
Si sistemò lo zaino sulla spalla con stizza, ancora piccato dagli eventi accaduti a scuola.
Stava chiacchierando con Matthew dei suoi programmi del pomeriggio quando il fratello di quest’ultimo, Alfred, aveva sentito e si era messo, come suo solito, a dare spettacolo.
Alfred era il classico ragazzo popolare che si beava dallo stare in mezzo alla folla, corteggiato da tutti, ragazze e ragazzi indistintamente, ottimi voti e una carriera nello sport avviata.
Insomma,proprio il contrario di Arthur, che aveva interessi che la gente riteneva strani e lugubri a dir poco, era socialmente introverso e non gli piaceva la folla.
Ecco perché, di solito, questa piccola fiera era il luogo perfetto per ricaricarsi.
Ma non quel giorno. Le parole di Alfred che ancora risuonavano nelle sue orecchie.
Non trascinare mio fratello nei tuoi hobby strani! Guarda che se continui così puoi scordarti che ti chieda di uscire!
E quel maledetto sorriso strafottente mentre lo fissava, tutti quelli che avevano sentito che ridevano. Come se lui fosse interessato in un qualsiasi modo ad uscire con una persona come Alfred!
Perché non mi può lasciare in pace, almeno per un giorno? Chiedo troppo? Pensò, esasperato.
“Arthur!”
La voce gentile e delicata di Matthew gli portò un po’ di sollievo.
“Scusa il ritardo! Allora, cosa vuoi fare? Cosa c’è di interessante da vedere?” l’amico aveva un sorriso mite stampato sul volto, gli occhi grandi che sembravano voler chiedere scusa per il comportamento del fratello.

Matthew, in realtà, aveva provato a parlare più volte con Alfred di Arthur. Era palese che il fratello avesse una cotta pazzesca per il ragazzo che stuzzicava ogni giorno, sperando di attirare la sua attenzione. Matthew aveva ripetuto fino alla sfinimento che quella tecnica con Arthur non funzionava, che doveva scendere dal piedistallo, ma per qualche motivo quando parlava con Alfred era come se le parole entrassero da un orecchio e uscissero dall’altro. Matthew non sapeva cosa fare per farsi ascoltare da Alfred.
“Ho visto prima che hanno c’è una persona che legge tarocchi e predica il futuro, ti va di andare lì e metterci un po’ di paura?” ghignò Arthur, gli occhi che brillavano dall’eccitazione.
Il ragazzo scrollò via i suoi pensieri e accettò. Non che lui credesse a questa cose, ma l’entusiasmo dell’amico era contagioso, e stare in sua compagnia era sempre un passatempo divertente.

Matthew uscì dalla piccola stanza allestita con rune e amuleti scusandosi profondamente per il comportamento di Arthur, il quale aveva abbandonato la sala del chiromante urlando che si sbagliava e dandogli del ciarlatano. Il ragazzo, che avrà avuto più o meno la loro età, lo aveva guardato con uno sguardo gelido che avrebbe fatto retrocedere qualsiasi esercito, e li aveva cacciati via, scatenando un’aurea scura attorno a lui che pareva soffocarli.
Quando Matthew raggiunse l’amico questo stava ancora sbraitando e inveendo contro le profezie che aveva sentito.
“Arthur, ti prego, calmati…” supplicò piano, con il fiatone.
“Calmarmi? Ma ti rendi conto cosa mi ha detto quel ciarlatano?! Mi ha praticamente detto che tuo fratello è la mia anima gemella!” un brivido scosse il corpo intero di Arthur. “Ugh!” scosse la testa come volesse sradicare quel pensiero dal cervello.
Matthew nascose un sorriso. Questa doveva raccontarla a Alfred. O forse era meglio di no.
“Devo andare a prendere degli amuleti contro il malocchio e dei libri sulle contro maledizioni!” annunciò Arthur convinto prima di dirigersi correndo alle bancarelle interessate.
Matthew fece per seguirlo, guardando un’ ultima volta i covo del chiromante. Il ragazzo era uscito e stava appoggiato allo stipide della porta, fissandolo. Gli fece cenno di avvicinarsi. Matthew obbedì, leggermente a disagio.
“Il tuo amico può dire quello che vuole, ma io so quello ho visto. Lui e il ragazzo che ho descritto... In tutte le loro reincarnazioni si sono incontrati e hanno avuto un legame speciale . Hanno combattuto guerre da alleati e da nemici, hanno provato perdite e amore insieme, sono sempre coesistiti. Certe cose l’anima non le dimentica. E i miei poteri non sbagliano mai.” concluse deciso, guardandolo fisso.
Matthew non seppe cosa rispondere. Salutò cordialmente (meglio tenerselo buono quell’individuo) e cercò di raggiungere l’amico.
“Arthur, tu credi nelle reincarnazioni?” gli chiese di getto, senza pensarci e senza sapere nemmeno lui il perché.
“Ovvio che ci credo, perché?”
“E cosa sei stato nelle tue vite passate?”
“Oh, questa è una bella domanda. Ovvio che non posso ricordarmele tutte, ho come l’impressione di essere un’anima antica, ma di sicuro sono stato nell’esercito di Sua Maestà durante la Guerra d’Indipendenza Americana, un soldato morto prematuramente nella battaglia delle Somme durante la prima guerra mondiale e ho partecipato allo sbarco in Normandia durante la seconda. Queste sono quelle più recenti, almeno.”
Matthew lo guardò ammirato: era evidente che l’amico aveva pensato parecchio a queste cose. Non che lui ci credesse, ma valeva la pena fare un tentantivo...

Quando a cena fece la stessa domanda ad Alfred cominciarono a venire i primi dubbi.
“Se credo nella reincarnazione? Certo che no, sono stupidate!”
“Ma è interessante come concetto, non credi?” insistette Matthew, che voleva avere una conferma o una smentita. “Cioè, metti caso che tu ci creda, chi credi che potresti essere stato nelle tue vite precedenti?”
Alfred ci mise un po’ a rispondere. Lo sguardo concentrato, rifletteva in modo profondo, il che era molto raro. Matthew si stupì che avesse preso la domanda così seriamente.
“Di sicuro sono stato un ribelle nell’esercito durante la Guerra d’Indipendenza!” cominciò deciso. “Poi non so. Mi vengono in mente sia la prima che la seconda guerra mondiale. E probabilmente ho avuto un ruolo anche nella guerra fredda.” dichiarò, alzandosi da tavola. “Ma, come ti ho già detto, non credo a queste cavolate.”
Matthew non rispose. Gli tornarono in mente gli occhi profondi e convinti del chiromante e pensò alle risposte che aveva ottenuto.
Forse quei due erano davvero legati dal filo rosso del destino, come raccontava una leggenda. Forse erano davvero destinati a ritrovarsi. Solo che in quella vita dovevano ancora rendersene conto.
 


Angolino di May
Sì, anche se non faccio il nome preciso, il chiromante è Norvegia. Mi sembrava giusto inserirlo in un contesto un po’ mistico, e forse potrebbe tornare in questa raccolta, vedremo! Magari anche il suo troll avrà un ruolo...(Davvero, non lo so ancora nemmeno io, Suggeritrama James sta cambiando idea ogni giorno e i prompt sono ancora tanti! Vedremo cosa mi suggerirà di fare!)
Spero che non vi abbia schifato troppo!
Al solito, critiche costruttive e pomodori marci sono ben accetti!
Mata ne!

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Capitolo 5
*** 5-Hospital ***


Alfred entrò nell’ospedale da campo senza essere visto.
L’odore e i lamenti gli riempirono naso e orecchie. Lo sguardo attraversò la stanza finché non trovò Arthur.
Immobile sul letto, coperto da fasciature, il respiro appena percepibile.
Stette immobile davanti a quel corpo inerme, sbattendo gli occhi, quasi incredulo.
Dovrei esserci io in questo letto.
Era bastato un suo attimo di distrazione durante l’attacco. Kirkland gli aveva fatto da scudo col proprio corpo.
Alfred si sedette per terra, la schiena contro il muro.
Giurò a sé stesso che sarebbero sopravvissuti a quella maledetta guerra. Avrebbe protetto Arthur ad ogni costo.
Sarebbero tornati a casa. Insieme.
 


Angolino di May
Drabble senza pretese. L’ambientazione è lasciata abbastanza libera, io inizialmente l’avevo pensata durante la prima guerra mondiale, ma lascio alla vostra interpretazione la scelta!
Spero di non avervi schifato troppo.
Al solito, critiche costruttive e pomodori marci sono ben accetti!
Mata ne!

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Capitolo 6
*** 6-Royalty ***


Arthur percorreva la navata con passi sicuri, nonostante sentisse fragilità nel suo cuore.
Era giunto il momento della sua incoronazione a Re di Camelot.
Si preparava da una vita e ancora sentiva di avere troppo da imparare.
Era quasi arrivato, ancora pochi passi. Non tremare e sii forte.
Giunse al suo posto e si girò, pronto per la cerimonia.
I suoi occhi cercarono tra i Cavalieri due occhi azzurro cielo, e li vide brillare d’orgoglio e ammirazione. Ebbero il potere di sciogliere il nodo allo stomaco.
Alzò il volto, fiero, e guardò le persone riunite.
La promessa era che Albione sarebbe rinata.
 


Angolino di May
Oggi piccola drabble ispirata a Re Artù. E chi potevo non mettere se non Arthur come re?
Spero non faccia troppa pena. Alfred qui è appena accennato, ma il loro legame è presente.
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

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Capitolo 7
*** 7-Coffee shop ***


Arthur sorseggiava il suo tea ghiacciato con una strana smorfia sul volto. Doveva ancora decidere se quella bevanda gli piacesse oppure no. Il tè freddo gli piaceva, ovvio, ma Starbucks non era il posto dove lo prendeva di solito. Aveva preso l’unico drink che sembrava non troppo pasticciato.
Continuò a prendere piccoli sorsi dalla cannuccia, evitando di guardare verso il bancone.
Sentiva gli occhi del ragazzo dietro il bancone scrutarlo senza vergogna. Già quando aveva preso l’ordine era sembrato molto espansivo e cordiale. E Arthur, essendo un introverso fatto e finito, non era abituato a rapportarsi con persone così a proprio agio con gli altri. Anche se qualcosa di quel ragazzo non lo metteva del tutto a disagio, e questo era strano. Piacevole, ma strano.
Sospirò, guardando l’ora. Era arrivato in anticipo. Una cosa che odiava era fare ritardo. Quindi adesso toccava aspettare.
“Hey, sei qui da solo o ti hanno dato buca?” la voce allegra e con un volume sopra la media del barista arrivò con prepotenza alle sua orecchie.
“Prego?” chiese con un tono di voce più consono, sperando che l’altro capisse.
“Sei qui da solo o aspetti qualcuno?”
Arthur fece una smorfia.
“Non vedo come interessarti, ma…”
“Arthur!”
Il ragazzo si voltò verso la porta del locale. Feliciano E Ludwig stavano entrando. Il primo si diresse direttamente al tavolo mentre l’altro andò verso il bancone.
“Aspetti da tanto? Scusa, volevo venire anche io un po’ prima, ma il corso è finito in ritardo e pensa che anche Ludwig ha dovuto aspettarmi, mi spiace…”
“Feli, è tutto a posto, sono arrivato da poco anche io.” lo fermò Arthur sorridendo.
Cominciarono a tirare fuori quaderni a astucci, mentre Ludwig li raggiungeva, tenendo in mano il suo drink da asporto e appoggiando un altro bicchiere vicino a Feliciano.
“Lud, grazie…” il ragazzo guardò il drink con un misto di gratitudine e di scetticismo, ma Ludwig non se ne accorse.
“So benissimo che avrai bisogno di zuccheri per affrontare la matematica. Danke Schone, Arthur. Di solito lo aiuto io, ma oggi non riesco proprio, infatti devo scappare…”
Feli fece un sorriso.
“Ciao, meine Liebe.” Feliciano si alzò e si gettò di peso tra le braccia del tedesco per salutarlo, facendosi praticamente prendere il braccio. Arthur sorrise nel vedere il palese imbarazzo sul volto di Ludwig, rosso come una maglietta del Manchester United. Il tedesco ricambiò l’abbraccio in po’ goffamente e gli posò un bacio sui capelli.
“Ci vediamo dopo, Feli.” disse dolcemente lasciandolo andare. Fece un cenno di saluto ad Arthur e si diresse verso la porta, strofinandosi una mano tra i capelli biondi, ancora in imbarazzo.
Arthur sorrise, capendo fin troppo bene il disagio del tedesco. Uno dei vantaggi di essere single era che ti risparmiavi queste smancerie…
Il volto si girò verso il bancone, mentre sentiva gli occhi azzurri del barista che ancora lo fissavano. Lanciò un’occhiata a disagio, prima di girarsi e di concentrarsi sui compiti di Feli.

“Abbiamo finito, bravo Feli.” dichiarò Arthur, felice di aver terminato.
L’italiano alzò la testa dal tavolo dove l’aveva appoggiata alla fine dell’ultimo esercizio.
“Da… davvero? Abbiamo sul serio finito?” ripeté, incredulo, gli occhi speranzosi.
Arthur annuì.
“Sei stato bravo. Se ti concentri il compito in classe andrà bene!” affermò convinto, porgendogli i fogli degli esercizi.
Feliciano gli saltò al collo.
Grazigraziegraziegraziegrazie grazie mille Arthur!” urlò felice, mentre Arthur cercava palesemente di districarsi dell’abbraccio. Odiava le effusioni in pubblico, anche tra amici.
“Fi… figurati…” Mormorò, ancora prigioniero delle braccia dell’altro.
“Come posso ripagarti? Oh, lo so! Sabato prossimo preparo la pizza e poi te ne porto una teglia! Fatta in casa da me, eh, con la ricetta del nonno che ha lasciato a me e a Lovino!” Il ragazzo aveva lasciato andare Arthur e stava saltellando felice, gli occhi trepidanti che aspettavano una risposta.
“Feli, davvero, non è il caso…”
La testa castana si scosse rapidamente, facendo ondeggiare il ciuffo ribelle.
“No, ma insisto! Anzi, ti preparo anche un vero Tiramisù!” annuì, convinto.
Arthur si arrese.
“Va… va bene, ti ringrazio. Fammi sapere come va il compito. Oh, non fare aspettare Ludwig.” Aggiunse, indicando la porta finestra, dove il ragazzo di Feliciano stava salutando con gesti pacati e un sorriso gentile.
“Arrivo, Lud!” Feliciano ricambiò il sorriso lanciando una mano sopra la testa e sventolandola con vigore. “Arthur. Ancora grazie! Domenica prossima ti porto la pizza e il tiramisù per pranzo!” si congedò abbracciandolo un’ultima volta e si diresse verso la porta.
Arthur finì di raccogliere le ultime cose e si stava mettendo il cappotto quando una voce ormai conosciuta risuonò per il locale ormai vuoto.
“Hey, professore” scherzò il barista con un sorriso. “Posso offrirti qualcosa dopo queste ore passate sui numeri? Un altro Iced Tea, magari?”
Arthur guardò l’altro ragazzo un po’ scettico, soppesando la risposta. Aveva effettivamente sete, e il drink di prima non era male. Il barista a volte era andato vicino a loro con qualche battuta a cui Feli aveva riso e pure Arthur doveva ammettere che non era male. Odiava ammetterlo, ma nonostante il suo cinismo e la sua misantropia, questa persona non riusciva ad allontanarla come avrebbe fatto con un altro sconosciuto qualsiasi.
“Iced tea al limone, per favore. Ma vorrei pagarlo.” precisò infine, cercando subito il portafoglio.
“Beh, è un peccato Arthur, perché io invece vorrei proprio offrirtelo.” rispose l’altro mettendosi subito a preparare il te.
Arthur ghignò, non sapendo nemmeno lui perché stesse al gioco.
“Allora cedo, non vorrei privarti di questo ardente desio…” si pentì subito delle parole che lasciarono le sue labbra.
Stupido stupido stupido stupido stupido! Ardente desio?! Che cosa stavi pensando, si può sapere?! Adesso penserà che sei uno sfigato! Si morse il labbro con forza dall’imbarazzo, valutando l’opzione di darsela a gambe.
“Wow… avevo capito che eri un nerd, ma qui parliamo di un altro livello! Non ho mai sentito parlare qualcuno in questo modo.” soffio l’altro, in modo che ad Arthur parve addirittura ammirato.
“Comunque, ecco il tuo te. Come ho già detto, offro io!” concluse l’altro, appoggiandolo sul bancone. Arthur lo prese e cominciò a sorseggiarlo.
“Grazie. E scusa per la battuta di prima, non so come mi è uscita…” borbottò, cercando di nascondere il rossore voltandosi dalla parte opposta.
Il barista fece un cenno distratto con la mano.
“Ma scusa di che, in realtà mi piace il lessico ricercato. Non me lo aspettavo da un genio della matematica, solo.”
Arthur sbuffò incredulo.
“Se credi che io sia un genio della matematica hai sbagliato persona.” dichiarò
“Ed ecco che ancora ti denigri. Guarda che ti osservavo e a volte sentivo prima, anche con l’altro ragazzo… Feliciano, giusto? Anche con lui ti denigravi sempre! Gli dicevi che se riuscivi a capire tu alcune cose voleva dire che non erano difficili… Beh, non è vero. Datti un po’ più di valore! Io, per esempio, nella matematica sono una schiappa, e non ho capito metà delle cose di cui parlavate!”
Il discorso era uscito forse un po’ più duro di quello che voleva il ragazzo, perché Arthur lo vide interrompersi e abbassare la testa imbarazzato. Strinse le mani più forte sulla tazza d’asporto che aveva in mano, e nonostante tutto l’unico pensiero che aveva in testa era uno.
Mi osservava.
E non solo, il discorso appena fatto sembrava uscito da una ramanzina di uno dei suoi più vecchi amici. E questa persona lo aveva capito in un pomeriggio, in mezzo ad altre decine di persone.
Sentì le guance arrossire. Era arrivato il momento di dileguarsi.
“Grazie per il te e per il… suggerimento. Devo andare.” prese la tracolla e se la infilò con movimenti rapidi e bruschi, facendo cadere un po’ di te sul pavimento.
Shit! Scusami!” abbaiò, furioso con sé stesso.
“Ah, don’t worry, man, capita sempre. Vieni spesso da queste parti?” domandò con noncuranza il barista.
“No, in realtà no, era comodo oggi per me e per Feli incontrarci qui, ma è un po’ fuorimano.”
La risposta parve deludere il ragazzo, che rispose con un “Oh” dispiaciuto. “Peccato, pensavo di aver trovato un possibile aiuto con la matematica.” scherzò. “ Allora… Immagino non ci saranno altre occasioni.” concluse, abbattuto.
Arthur cercò di ignorare il fastidio che gli dava quel pensiero.
Controllati, Kirkland, è solo un barista che ti ha offerto un drink!
“Immagino sia così. A meno che Feli non abbia bisogno di altre ripetizioni.”Arthur scrollò le spalle. “Beh, a presto, speriamo!” e prima di potersi pentire dell’ultima parola scappatagli corse fuori e si ritrovò in strada.
Fece un bel po’ di passi prima di sentirsi tranquillo abbastanza da rallentare. Sospirò, dandosi mentalmente dell'idiota.
Non gli hai nemmeno chiesto il nome!
Ringhiò sottovoce. Cos’era quella sensazione improvvisa? Che cosa gli importava a lui del nome di uno sconosciuto?
Quasi per ripicca finì il te tutto d’un fiato e cercò un cestino per buttare la tazza. Quando alzò il braccio notò la scritta che era sempre stata nascosta dalla mano fino a quel momento.
Alfred Jones, il barista.
Di fianco al nome c’era una smile disegnata in maniera orribile, e sotto un numero di telefono.
Arthur cercò di ignorare un’altra sensazione nel petto, questa volta decisamente più piacevole. Abbassò il braccio. Suo malgrado un piccolo sorriso apparve sul volto.
Sì, la tazza l’avrebbe tenuta, decise, incamminandosi verso casa.
 


Angolino di May
Indovina indovinello? Non mi convince. Arrivata quasi alla fine volevo cancellare tutto e scrivere una drabble. Ma okay, proviamo.
Al solito, critiche costruttive e pomodori marci sono ben accetti!
Mata ne!

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Capitolo 8
*** 8-Fake dating ***


Tipico di Bonnefoys festeggiare i suoi 18 anni in un locale a luci rosse.
Arthur era seduto al bancone da una buona mezz’ora, deciso a non far passare più di sessanta minuti prima di svignarsela, giusto per dire che aveva fatto presenza.
Stava sorseggiando una birra cercando di farla durare il più possibile.
All’improvviso sentì una presenza al suo fianco. Lanciò un’occhiata fugace, sperando lasciasse libero presto quel posto. Non gli piaceva avere estranei vicino.
“Hey, barista. Un’altra birra per la bellezza di fianco a me. Offro io!” annunciò il tizio con la voce impastata dall’alcol.
Arthur si girò, gli occhi che lanciavano saette.
“No, ti ringrazio.” sibilò tra i denti. Eclissati.
“Oh, andiamo, è solo una birra, che problemi hai?” il ragazzo si sporse verso di lui, andandogli addosso e circondandolo con le mani. “Dai che poi balliamo insieme!”
Arthur vide rosso e cercò di liberarsi, nonostante il tipo fosse molto più grande e robusto di lui.
“Lasciami, brutto…”
Non fece in tempo a finire la frase che sentì il peso del corpo venire sollevato. Accanto a lui era apparso un altro ragazzo, che lo aveva liberato da quella zavorra e si era messo tra lui e quello ubriaco.
“Per caso ci stavi provando col mio ragazzo, buzzurro?”
Arthur spalancò gli occhi, lanciando un’occhiataccia anche al nuovo arrivato. Il mio ragazzo?
“Tesoro, scusa il ritardo, stai bene?” il ragazzo si girò verso di lui, avvolgendolo in un abbraccio spezza fiato, e quando fu vicino all’orecchio sussurrò: “Tu stai al gioco. Ci penso io a questo.”
Ruppe il contatto e gli fece l’occhiolino, tornando a fronteggiare l’altro.
L’ubriaco guardò prima Arthur e poi la figura di fianco a lui. Sputò ai suoi piedi, fece un grugnito, rivolse all’inglese uno sguardo misto a rabbia e lussuria che diede i brividi e poi se ne andò.
Il ragazzo si rivolse di nuovo ad Arthur.
“Hey, stai davvero bene? Non ti ha fatto male, vero?” chiese, sedendosi sullo sgabello vicino.
Arthur represse l’ennesimo brivido.
“Certo, sto bene. Grazie… credo. Ce l’avrei fatta anche da solo.” aggiunse poi, non volendo sembrare uno che aveva bisogno di aiuto.
L’altro sorrise. “Ne sono convinto, ma conosco i tipi come lui. Non avrebbe mai mollato il colpo e sarebbe diventato fastidioso. Oh…” gettò uno sguardo dietro di lui e poi si premette un dito sulle labbra. Alzò la mano e la posò su quella di Arthur. L’inglese fece per ritirarla subito, ma la presa era forte. Il ragazzo indicò un punto alle sue spalle con la testa. Arthur spostò lo sguardo, contrariato, e vide l’ubriaco che lo stava ancora fissando.
“Mi sa che dovremmo continuare a fingere di essere partner ancora per un po’.” rise l’altro, e Arthur alzò gli occhi al cielo, rassegnato.
“Ma ti avviso, tra meno di mezz’ora volevo andarmene.” suo malgrado sorrise anche lui.
“Allora meglio fare subito le presentazioni. Io sono Alfred Jones, piacere!”
Arthur non spense il sorriso.
“Arthur Kirkland, il piacere è mio.”
 


Angolino di May
Francis Bonnefoy sta comparendo un po’ troppo in questa raccolta, mannaggia a lui. XD
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti!
Mata ne!

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Capitolo 9
*** 9-Bodyguard ***


“E io che speravo che, terminato il pericolo, mi sarei liberato della tua fastidiosa presenza.”
Alfred ghignò, per niente offeso.
“Hey, a quante persone capita di fottere la propria guardia del corpo?”
Arthur sussultò e scosse la testa, indignato.
“Io mi domando perché…”
“...ti sia innamorato di me? Incolpa il mio fascino irresistibile!” cinse il partner per i fianchi e lo fece sdraiare ancora sul letto.
Arthur si voltò verso di lui, fronteggiandolo.
“Mai detto di essere innamorato di te. Abbassa la cresta.” e intrappolò le labbra tra le sue.
Alfred ricambiò. Bastava quel bacio a smentire le ultime parole di Arthur, che a lui piacesse o no.
 


Angolino di May
Altra drabble. Niente di che. Anche se Alfred come guardia del corpo di Alfred apre molte idee… Chissà.
Al solito, critiche costruttive e pomodori marci sono ben accetti!
Mata ne!

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Capitolo 10
*** 10-Dancer ***


La prima volta che lo vidi ballare rimasi a bocca aperta.
Non potevo dirglielo apertamente, avevo una reputazione da difendere. E l’ambiente in cui eravamo cresciuti e ancora vivevamo non aiutava.
Sarei comunque un ipocrita se dicessi che quando lo vidi in quello stato rimasi indifferente.
Avevo i miei pregiudizi. Tutti gli avevamo, Arthur per primo.
Ma come lui li stava combattendo, una piccola crepa cominciò a farsi strada nel muro dei miei preconcetti.
Non potevo negare, guardandolo ballare e volare, che lui fosse nato per quello.
L’avevo preso in giro quando me lo aveva confessato, era stato uno dei litigi più violenti che avessimo mai avuto. E me ne vergogno. Perché quando dopo un po’ di tempo fu io a confidarmi con lui, quando fu il mio turno di confessare un segreto che mi logorava da dentro, Arthur mi prese la mano e posò la testa sulla mia spalla, dimostrandomi che non aveva ribrezzo e che non c’era nulla di sbagliato in me.
Poi lui partì per Londra, per la Royal Ballet School, con tanto di borsa di studio. Andai a salutarlo alla stazione e ci salutammo con un bacio a fior di labbra. Fu un bacio pessimo, il primo di entrambi, e fu un bacio che sapeva di addio: sapevamo entrambi che ci sarebbero state poche, se non nulle, possibilità di vedersi d’ora in poi.
Ora eccomi qui.
Al suo debitto.
Al London Coliseum.
Sono uno scemo romantico gli ho portato una rosa. Spero sia ancora il suo fiore preferito.
Le luci si spengono, e lui entra in scena.
E il cuore mi batte forte come quando lo vidi la prima volta che lo vidi ballare.
 


Angolino di May
Suggeritrama James voleva un riferimento a Billy Elliot, ma io non volevo ricalcarlo troppo, quindi è questo che è venuto fuori. Spero non faccia troppo schifo.
E’ la prima volta che scrivo dal POV in prima persona di Alfred. Che già mi sembra di non sapere scrivere, figuriamoci. Spero non sia troppo OOC.
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti!
Mata ne!

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Capitolo 11
*** 11-Fantasy ***


“Perché non ammetti che ci siamo persi?”
La voce scocciata di Matthew non fece altro che innervosire ancora di più Alfred, che aumentò il passo e posizionò la balestra davanti a lui, come proteggersi.
“Zitto a seguimi.” sibilò, chinandosi per cercare tracce di selvaggina. Aveva promesso che sarebbero tornati con delle prede, era una questione di orgoglio.
Matthew piantò i piedi per terra.
“Alfred, non sto scherzando. Ci siamo addentrati troppo nella foresta, e tutto il villaggio dice che è pericoloso. Dicono che ci sono strane creature che abitano qui…” le ultime parole le disse quasi sottovoce, sottolineando il concetto. Il fratello aveva paura di fantasmi e creature che non poteva vedere o capire.
Alfred da parte sua ignorò la pelle d’oca. Stupide superstizioni. Erano solo delle stupide superstizioni che il villaggio raccontava per spaventare i ragazzini come lui. Non ci sarebbero riusciti.
Fu un rumore improvviso di rami spezzati che lo fece voltare allarmato. In meno di un secondo urlò a Matthew di scappare e fuggirono dalla direzione in cui erano venuti.

Dalla boscaglia un ghigno incurvò le labbra di Arthur mentre guardava i ragazzini scappare. L’unicorno che aveva spezzato i rami vicino ad Alfred e Matthew ritornò, obbediente. Arthur gli accarezzò il muso e gli porse una zolletta di idromele solido.
“Bravo, piccolino. Adesso non dovremmo più preoccuparci di quei due…”
Venne interrotto da un rumore e da grida improvvise. L’udito era più sviluppato di quello degli essere umani, e poteva scommettere il suo arco che quello che sentiva in lontananza era un grido di aiuto.
Fece segno all’unicorno e alle creature di restare nella radura e si diresse verso quel suono. Si muoveva con gesti fluidi e mimetizzandosi perfettamente con l’ambiente. Rimase comunque a discreta distanza dai due ragazzi, una volta raggiunti.
Il più piccolo stava cercando di far rinvenire il fratello. Arthur immaginò che fosse inciampato e avesse sbattuto la testa. Lungi dal sentirsi responsabile, constatò comunque che da solo quel ragazzino non ce l’avrebbe fatta a portare il compagno di caccia al sicuro. Altro che unicorni e creature magiche, quello di cui dovevano avere paura adesso erano le bestie notturne tipo i lupi, che tra poco avrebbero iniziato a cercare delle prede.
Arthur sbuffò, un po’ indispettito da questo imprevisto e seccatura. Tornò alla radura e chiese ancora una volta aiuto all’unicorno. Raggiunsero insieme i due ragazzini e Arthur senza essere visto lanciò su Matthew una polverina che lo fece cadere in un sonno profondo, caricò i due corpi privi di sensi sulla schiena dell’unicorno e si diressero verso il limitare della foresta.

Li lasciò dove cominciava il sentiero, cercando di fare il più in fretta possibile. Non era sicuro per lui stare lì, lo sapeva bene, e ancora si chiedeva perché stesse rischiando per due sconosciuti. Per di più due esseri umani. Posò Alfred per terra, cercando di fare piano e non creare ulteriori danni alla testa, quando lo sentì muoversi nel sonno e lo vide aprire lentamente gli occhi. Arthur rimase pietrificato sul posto, non sapendo cosa fare. Aveva ancora una mano che sorreggeva le nuca del ragazzino, e non sapeva come reagire.
Alfred sorrise debolmente e mormorò un: “Fatina carina…” prima di chiudere gli occhi di di svenire di nuovo.
Arthur sgranò gli occhi e le labbra si incurvarono in una smorfia. Non sapeva se indignarsi o sentirsi sollevato. Essere scambiato per una fatina, ma quanto ignorante poteva essere quel…
Un vociare lontano lo scosse. Posò con cura il capo di Alfred per terra e scaricò dalla schiena dell’unicorno anche Matthew. Si addentrò nel profondo della foresta: un gruppo di uomini del villaggio stavano arrivando e avrebbero trovato i due sperduti.
Arthur continuò a camminare, sfogandosi con l’unicorno una volta sicuro che la voce non avrebbe raggiunto gli essere umani.
“Una fatina! Sembro forse una fatina?! Mi sono forse spuntate le ali e posso svolazzare come gli insetti?! Cos’è, a causa delle orecchie più appuntite? Ma dimmi te che ragazzino ignorante…”

Alfred aprì gli occhi con fatica, guardandosi intorno. Era nella sua camera, e la testa gli faceva una male assurdo. Gemette, e strizzò gli occhi.
Matthew era seduto di fianco al letto.
“Alfred! Come stai? La testa? Vado a chiamare…”
Il ragazzo nel letto gemette più forte. Poi si ricordò di un particolare.
“Dov’è la fatina?”
Matthew lo guardò preoccupato. Forse il fratello aveva davvero subito danni alla testa.
“Qua… quale fatina?” osò chiedere, un po’ nervoso.
“Quella che ci ha portati fuori dalla foresta. L’ho vista, mi stava posando a terra. E c’era anche un cavallo bianco.” ricordò Alfred, “Erano bellissimi…” concluse, ripensando agli occhi profondi e verdi sul viso della creatura. Era un verde che sembrava raccogliere l’essenza della foresta e sembravano anche molto antichi e saggi. Lui aveva sempre avuto paura delle creature sovrannaturali, ma quegli occhi, anche nel ricordo, gli davano un senso di pace.
“Alfred…” cominciò Matthew, cercando di parlare con più delicatezza possibile. “Ci hanno trovato al limitare del bosco dopo il tramonto, e non c’era nessuno con noi. Hai battuto la testa molto forte, è probabile che ti sia confuso…”
“Non me lo sono immaginato!” strillò Alfred, pentendosi subito dopo dell’urlo, portandosi una mano alla testa. Scoprì che era bendata. Cominciò a tastare la fasciatura.
Matthew non se la sentiva di discutere, e non voleva nemmeno stressare troppo suo fratello.
“Stai tranquillo adesso, vado a chiamare il dottore e a dirgli che ti sei svegliato. Cerca di riposare, d’accordo?”
Il maggiore annuì poco convinto. Una volta che fu solo in camera guardò fuori dalla finestra. Poteva vedere, da lontano, il limitare della foresta. Si massaggiò la testa dolorante.
Matthew poteva anche non credergli, ma lui sapeva quello che aveva visto, e avrebbe trovato quella creatura. Quegli occhi erano troppo veri, troppo vivi per esserseli immaginati.
Avrebbe ritrovato quella creatura, a tutti i costi.
 


Angolino di May
Madonna santa, che parto questo prompt. E dire che io nel fantasy ci sguazzo.
Ho tenuto apposta l’identità di Arthur un mistero, un po’ perché non volevo “limitarlo”, un po’ perché non riuscivo a scegliere. Magari un Sidhe? Un Fae? Ai posteri lunga sentenza!
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti!
Mata ne!

 

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Capitolo 12
*** 12-Demon Hunter ***


Che i demoni stessero lentamente andando fuori controllo era ormai innegabile. Dopo decenni di convivenza pacifica si era sull’orlo di una guerra civile. Non si capiva cosa facesse scattare la perdita della ragione.
Arthur non poteva dirsi sorpreso. D’altronde, era da quando era piccolo che i suoi genitori, discendenti da una famiglia di cacciatori di demoni, gli avevano insegnato come affrontare e come uccidere quelle creature.
E il ragazzo aveva imparato, pregando però che mai nella vita quelle nozioni sarebbero servite.
Soprattutto dopo aver incontrato Alfred, un mezzo demone che frequentava la sua stessa università.
Si erano innamorati e Arthur si era convinto che ne valeva la pena, che potevano rischiare.
La realtà si era presentata col conto da pagare.
Si erano rifugiati nella vecchia casa dei genitori di Alfred, più isolata rispetto alla città. Per adesso non li avevano trovati, e il mezzo demone non dava segno di pazzia imminente.
Entrambi però, sapevano che era questione di tempo.
Arthur non voleva pensarci. Anche perché sapeva troppo bene cosa avrebbe dovuto fare in quel caso. Quello che non sapeva era che se ne avesse mai avuto il coraggio. Nel frattempo dava la caccia ai demoni che perdevano il controllo, cercando di trovare un modo per farli tornare sani. Purtroppo si era dovuto presto rassegnare che non c’era una cura. Finiva sempre che doveva ucciderli tutti.
Una sera Alfred lo guardò con un’espressione molto seria che aveva esibito pochissime volte, e Arthur seppe che era arrivato il momento della verità.
“Se mi succederà… Quando succederà… voglio che sia tu a farlo, Arthur.”
Il ragazzo impallidì, e non reagì nemmeno quando il partner gli prese le mani tra le sue.
“So che non è giusto chiedertelo e so che ti lasceresti uccidere da me piuttosto che essere tu ad ammazzarmi. Ma…” Alfred deglutì a fatica, cercando le parole giuste per continuare. “Sai benissimo che io sono come una bomba a orologeria, solo che non possiamo vedere il timer. Se tu non mi fermerai, io ucciderò altre persone. Ti prego, non farmelo fare.” mormorò le ultime parole, guardando Arthur negli occhi.
Il ragazzo scostò lo sguardo, non volendo far vedere le lacrime.
“Arthur.” sussurrò Alfred, sollevandogli il mento. “Me lo puoi promettere?”
L’altro chiuse gli occhi prima di rispondere, cercando di fermare il tremolio alle labbra.
Quando parlò, il tono era fermo.
“Te lo prometto.”
Alfred sorrise e lo abbracciò.

Alla fine era riuscito a resistere quasi tre anni. Era un record.
Eppure, eccoli lì, al momento che entrambi sapevano sarebbe arrivato. La spada di Damocle era caduta su di loro alla fine.
Arthur era seduto sul corpo di Afred, lo teneva fermo mentre questi si dimenava in un modo furioso. L’azzurro degli occhi che il ragazzo aveva tanto amato era stato sostituito da un giallo brillante che non aveva più nulla di essere umano. I tatuaggi apparsi sul corpo, sfigurandolo, erano un altro segno che ormai di Alfred non era rimasto nulla.
Arthur non riuscì a trattenre un singhiozzo prima di prendere la pistola caricata con proiettili d’argento e di poggiare la canna sulla fronte del demone.
Senza esitazione, sparò il colpo.
Il corpo sotto di lui smise di dimenarsi.
Arthur si alzò, fronteggiando quello che aveva fatto.
La bocca si curvò verso il basso e i denti morsicarono il labbro inferiore, il pizzicare agli occhi rendeva difficile trattenere le lacrime. Si caricò il peso morto sulle spalle e andò a seppellirlo in giardino, la pistola sempre pronta in caso di attacchi.
Pianse, se lo concesse. Diede sfogo al suo dolore, maledicendo tutto il mondo per averlo portato a fare quell’atto per cui non si sarebbe mai perdonato.
Dopo aver detto addio, andò in camera e dal fondo dell’armadio prese uno zaino, lo mise in spalla e uscì di casa, non contando di tornare.
Era una decisione che aveva preso dopo aver fatto ad Alfred quella promessa.
Non si sapeva perché i demoni avessero cominciato a perdere il controllo, ma in quegli anni alcune voci si erano sparse. Una più improbabile dell’altra, ma Arthur aveva giurato a sé stesso che avrebbe trovato la causa e il responsabile, anche a costo di morire.
Lo avrebbe fatto per Alfred e per le loro vite strappate.
 


Angolino di May
Il prompt era Demon Hunter ma l’ho interpretato un po’ a modo mio… spero di non essere andata troppo fuori tema.
Sì, mi sono ispirata al mondo di Sayiuki come si può capire dalle descrizioni dei demoni trasformati e dai proiettili d’argento. E adesso ho voglia i rileggere il Gaiden. Così, a caso, per farmi male.
Al solito, critiche a pomodori marci sono ben accetti!
Mata ne!

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Capitolo 13
*** 13-Roommates ***


I festeggiamente erano andati per le lunghe, esattamente come si aspettava Arthur.
Lui, Alfred e Matthew stavano finendo di pulire il salone che avevano affittato. Anche Toris e Feliks si erano fermati, e Arthur sapeva perché.
Finirono che era ormai notte fonda. Toris strizzò l’occhiolino ad Arthur e Feliks fece un gesto che significava: “vai e colpisci!”.
Arthur arrossì e voltò rapido il volto. Ci mancava solo che venissero scoperti in quel modo!
“Bene, direi che qui è tutto a posto. Matthew, possiamo darti un passaggio? Sei di strada.” disse Toris, mentre Feliks già aveva circondato le spalle del più giovane con un braccio.
“Ehm… grazie. Va bene, Arthur?” chiese, rivolgendosi all’amico.
Arthur fece un cenno di assenso e ignorò i segni che i due amici facevano alle spalle di Matthew mentre lo trascinavano via.
“Wiiii che bella festa ma adesso sono stanco morto!” esclamò Alfred con uno sbadiglio.
“Anche io, dai, andiamo anche noi.” annuì Arthur, mentre il nervosismo cominciava a farsi strada all’altezza dello stomaco.
Per fortuna l’appartamento in cui Alfred viveva in affitto era vicino, e dopo dieci minuti erano già arrivati.
Arthur frugò nella tasca della portiera trovò quello che cercava.
“Alfred…” cominciò, mordendosi la lingua.
Il ragazzo si girò con occhi assonnati.
“Non ti ho ancora dato il mio regalo.” farfugliò l’inglese, sempre più in imbarazzo e porgendogli il pacchettino.
Gli occhi di Alfred si illuminarono.
“Oh, è vero!! Che cos’è, che cos’è? Dai che sono curioso!” strillò Alfred in preda all’eccitazione mentre scartava il pacchetto. Aprì la piccola scatoletta di cartone e prese quello che si celava all’interno.
“Delle chiavi?” chiese, stupito e guardando Arthur curioso.
L’inglese inghiottì a vuoto due volte prima di rispondere.
“Sì… sono una copia di chiavi di casa mia… che vorrei diventasse nostra, d’ora in poi. È questo il mio regalo.” bofonchiò, cercando di non mostrare troppo il rossore che gli imporporava le guance.
Alfred sbatacchiò gli occhi, incredulo.
“Mi… mi stai chiedendo di venire a vivere con te?” sussurrò, come se non avesse capito bene.
Arthur tossicchiò. “Sì, beh… si può dire cos…” non fece in tempo a finire la frase che Alfred gli prese con forza le spalle e lo attirò a sé in un bacio passionale e focoso. L’inglese ricambiò con altrettanta foga.
“Quindi lo prendo come un sì?” sorrise, staccandosi dal compagno e guardandolo negli occhi.
Alfred annuì convinto, abbracciandolo forte.
Arthur si sentì morire di felicità quando il suo ragazzo gli sussurrò all’orecchio: “Hey, Arthur… andiamo a casa. Casa nostra.”
 


Angolino di May
Okay, Room mates vuol dire coinquilini, quindi l’ho interpretato in questo modo.
Ancora fluff. Ma non abituatevi, che sono in programma altre traggedie!
Piccolo fuoritema: questa raccolta inizialmente doveva essere con protagonisti proprio Toris e Feliks (amori del mio cuore purissimi dolcissimi e levissimi), poi Suggeritrama James ha cambiato idea senza motivo. Ma la LietPol rimane la mia OTP di Hetalia e una delle mie coppie preferite in assoluto!! <3
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

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Capitolo 14
*** 14-Spy ***


Arthur Kirkland aprì il pub al posto del fratello quella mattina. Allistor aveva una visita medica per l’esercito. Il più giovane ci era già passato, ed era stato scartato per motivi di salute. Il più grande faceva già affidamento su di lui per continuare a gestire il locale di famiglia nel caso fosse stato arruolato.
Non che ad Arthur dispiacesse, ma il sangue amaro per non poter fare di più era una sensazione costante.
Si mise a pulire e a tirare giù le sedie, in attesa dei clienti.
La porta si aprì.
Arthur socchiuse gli occhi. Erano le nove di mattina.
Guardò l’individuo e una strana sensazione si impossessò di lui. All’improvviso desiderò non essere solo. Quella persona non gli piaceva, gli dava una sensazione di pericolo, e aveva i sensi in allerta.
Cercò di ignorarlo e allo stesso tempo di tenerlo d’occhio, il sospetto che si faceva sempre più forte in lui.
“Scusami. Puoi portarmi del sidro?”
I sensi di Arthur adesso stavano strillando. Nessun inglese avrebbe mai chiesto del sidro in un pub alle nove del mattino.
E non essere inglese non era un crimine, ma di quei tempi. E quello strano accento che aveva l’uomo…
Arthur decise di agire.
“Mi spiace, amico, siamo ancora chiusi. Se torni tra un’ora ti servo tutto il sidro che vuoi!” rispose, con un tono molto più tranquillo di come si sentiva.
Il tizio borbottò qualcosa che suonò come: “Ci vediamo alle dieci.” prima di uscire dal locare.
Arthur si precipitò al telefono.
“Pronto, polizia? Ascoltate, mi trovo…”

Poco meno di un’ora dopo, tre uomini della polizia erano appostati nel locale.
Quello che sembrava il capo si era presentato come Alfred Jones e teneva sotto controllo la porta del pub.
“Ha fatto bene a chiamarci, signor Kirkland. Di questi tempi stiamo arrestando molte persone sospettate di essere spie tedesche.”
Arthur annuì da dietro il bancone.
“Non ho riconosciuto l’accento in realtà, ma l’insieme delle cose mi ha fatto sospettare. Gli ho detto di venire alle dieci così non ci sarebbe stato ancora nessuno. Noi apriamo alle undici.”
Jones annuì, convinto. Stava per rispondere quando la porta di aprì e i tre agenti si nascosero dietro il bancone, le pistole pronte.
L’individuo entrò e si diresse verso Arthur.
Il ragazzo ingoiò a vuoto, cercando di fermare il cuore che batteva all’impazzata.
“Del sidro, giusto?” sorrise, allontanandosi un attimo facendo finta di prendere la bottiglia e dando campo libero alla polizia.
I tre agenti fermarono l’uomo e lo perquisirono, trovandogli addosso documenti tedeschi che lo incastravano come spia.
Mentre lo portavano via, Alfred ringraziò Arthur con un sorriso.
“Sai, potresti fare domanda. Nelle forze di polizia e nel controspionaggio servono persone sveglie come te. E c’è lavoro per tutti, sia più d’ufficio che sul campo. Pensaci.” e salutò allegramente, chiudendo la porta.
Arthur rimase un attimo interdetto.
Lavoro per tutti. Controspionaggio.
Non erano necessari requisiti fisici, da quello che sapeva, ma si sarebbe informato. Era comunque possibile un lavoro d’ufficio, giusto?
Era forse la risposta cui stava cercando. Il poter aiutare la Gran Bretagna a vincere la guerra anche se l’esercito lo aveva scartato.
Sentì una scintilla accendersi all’altezza del cuore.
 


Angolino di May.
Piccola curiosità: questa storia si basa su un fatto veramente accaduto. Una spia tedesca,Karl Meier, mandò all’aria l’operazione di quattro agenti che erano sbarcati con un peschereccio in piena notte sulla costa del Kent. Già uno dei capisquadra, José Rublo Waldberg, appena sbarcati aveva trasmesso via radio un massaggio facilmente intercettabile. Meier entrò poi in bar alle nove del mattino chiedendo del sidro. La proprietaria gli disse di tornare alle dieci, avendo capito che non era un connazionale e trovò ad aspettarlo la polizia. Entrambe le spie furono giustiziati il 10 dicembre del 1940.
Invece Arthur dietro al bancone di un pub è un omaggio alla stupenda ff We’ll Meet Again di George Devalier, che non credo abbia bisogno di presentazioni. Adoro, adoro il Veraverse, e George manca. Tanto.
Scusate, digressione finita!
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti.

Mata ne!

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Capitolo 15
*** 15-Deity ***


Alfred, il Dio del Sole, aveva imparato che era normale per gli Déi innamorarsi di esseri umani, e quando capitò a lui non si stupì come avrebbe voluto.
Si stupì, invece, di essere ricambiato. Arthur era un giovinetto di una bellezza che faceva invidia agli Dèi stessi, e da loro era anche molto amato.
Soprattutto da Francis, Dio del Vento dell’Ovest. Egli sfidò per due volte il Dio del Sole per la mano di Arthur. Alfred lo battè entrambe le volte
Erano felici. Passavano ogni momento insieme, e Alfred spesso e volentieri dimenticava i suoi doveri preso com’era dalla compagnia del giovane.
Un giorno Arthur chiese alla divinità di aiutarlo ad allenarsi nel lancio del disco, al quale avrebbe partecipato alle olimpiadi.
Era un pomeriggio soleggiato di primavera, e Alfred si beava di quelle ore calde e della compagnia dell’amato.
Tirò il disco con forza, cercando di farlo andare ancora più lontano.
Un forte vento cambiò la traettoria del disco, lasciandone invariata la potenza.
Alfred vide il disco colpire con forza la tempia di Arthur, che si accasciò al suolo come una bambola di pezza.
Il dio del sole fu subito accanto al ragazzo prendendolo tra le braccia. Inorridì davanti alla ferita causata dall’impatto.
Il sangue bagnava i capelli biondi e il volto del giovane, facendone risaltare il pallore. Lo vide aprire a fatica gli occhi e guardarlo. Alfred gli pulì il viso dal sangue e gli scostò i capelli dalla fronte.
La divinità cercò di guarirlo con i poteri a lui concessi, ma capì subito che sarebbe stato tutto vano. Arthur gli rivolse un sorriso.
“Tranquillo. Va tutto bene…” sussurrò, cercando di sollevare un braccio e di carezzare l’amato, senza riuscirci: era troppo debole.
Alfred represse un singhiozzo. Splendido, meraviglioso Arthur. Anche in un momento del genere era lui che cercava di consolarlo. Il dio odiò il suo sentirsi impotente, di non poter far altro che cullare quello stupendo ragazzo che amava senza poterlo salvare. Portò il volto del mortale vicino al suo, incurante di sporcarsi di sangue, e intanto mormorava parole di amore e di conforto.
Il corpo di Arthur si fece più pesante e rigido. Gli occhi parevano una fiammella verde che si stava spegnendo. Alfred lo strinse di più, come se non volesse lasciarlo scivolare via.
Le lacrime del dio bagnarono il volto di Arthur, e forse come ultimo desiderio, ricordando una confidenza che il ragazzo gli aveva fatto, Alfred lo trasformò in punto di morte in una rosa.
Una rosa rossa, luccicante di rugiada nonostante fosse il tramonto.
Un rosa come il fiore preferito di Arthur.
Rossa come l’amore e la passione che c’era stata tra loro.
 


Angolino di May
Ehm… si nasconde beh, lo avevo detto di non abituarsi al fluff, no? A inizio settimana era toccato ad Alfred, adesso invece è il turno di Arthur… No, non mi diverto. Soffro tanto anche io, sappiatelo.
Il mito, ovviamente, è quello di Apollo e Giacinto. Non sono stata così tremenda da dire apertamente che è stato Francis (anche se mi sono divertita a renderlo un pretendente rifiutato di Arthur, scusate, lo so, sono pessima) quindi libera interpretazione. Per me, Francis non è così cattivo. Suvvia. Credo.
Giacinto viene trasformato (per l’appunto) in un giacinto, ma qui ho voluto che Arthur fosse trasformato nel fiore simbolo dell’Inghilterra.
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti!
Mata ne!

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Capitolo 16
*** 16-Magic School ***


“Tu? A Hogwarst? No sopravviveresti nemmeno un minuto!”
Arthur sorseggiava il suo te del pomeriggio mentre guardava Alfred con un ghigno che nemmeno si sforzava di celare.
Alfred si alzò in piedi, furioso.
“Dammi una sola ragione, Kirkland, per questo tuo ragionamento e forse non assaggerai la mia vendetta!” incrociò le mani sul petto, fissandolo in cagnesco.
“Un motivo basta e avanza: fantasmi, Jones. Tu ne sei terrorizzato. Ti devo ricordare che il fantasma della casa di Serpeverde si chiama Barone Sanguinario?”
Alfred aprì la bocca e la richiuse subito come un pesce.
Arthur ghignò.
Uno a zero per Serpeverde.
 


Angolino di May
Sì lo so, Hogwarst e Harry Potter è la classica scelta un po’ scontata, infatti non li ho messi come studenti ma da fan dei libri o dei film.
Al solito, critiche costruttive e pomodori marci sono ben accetti!
Mata ne!

 

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Capitolo 17
*** 17-Enemies ***


Erano cresciuti insieme da bambini, in un villaggio americano.
Poco prima della sua adolescenza, i genitori di Arthur avevano voluto tornare in Inghilterra.
Adesso, a ventidue anni, era tornato nel Nuovo Mondo per servire la Corona e combattere contro i ribelli americani.
Quello che non si aspettava era di ritrovare Alfred in quella circostanza.
Con addosso una divisa dalla giacca blu e i risvolti rossi.
I colori giusti, nell’ordine sbagliato.
Non fosse stata una situazione tragica, ci sarebbe stato da ridere.
Alfred era sotto tiro. Sotto il suo tiro. La baionetta pronta a sparare, sapendo di fare il proprio dovere verso la Patria e il Re.
Il dito tremante pronto a scattare.
Esitò un attimo, solo un secondo. Il ricordo di lui e Alfred da bambini che correvano giocando nei prati vicino al loro villaggio si fece strada, non voluto, nella testa.
Quel secondo bastò. Non vide mai chi lo colpì, nella confusione si ritrovò a terra con una ferita profonda sul fianco.
Boccheggiò,inerme. Il dolore lo accecò, uno spasmo gli percorse il corpo.
Forse era un bene. Forse così avrebbe avuto una scusa per non aver potuto sparare.
Il dito era pronto a fare fuoco, ma sapeva che non ci sarebbe riuscito.
Non contro quel ragazzo.
Andava bene così, pensò nonostante il dolore e la consapevolezza che non sarebbe uscito vivo dalla battaglia.
Urla e spari continuavano a esplodere intorno a lui.
Chiuse gli occhi, in attesa dell’oblio.
L’ultima cosa che ricordò fu il sorriso di Alfred mentre giocavano insieme.
 


Angolino di May.
James deve smetterla di farmi seccare Arthur, mannaggia a lui.
In realtà doveva essere un confronto fra loro due che si ritrovavano da nemici prima della battaglia. Ma a volte i personaggi si muovono per contro loro e quindi, Arthur non sarebbe mai riuscito a fare fuoco (episodio 20 insegna e spezza il cuore), e in una battaglia caotica se ti distrai un attimo sei perso.
Quindi… Vabbè. Vado a fare penitenza.
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti!
Mata ne!

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Capitolo 18
*** 18-Mafia ***


“Imbecille. Ti meriti questo occhio nero.” decretò Arthur passandogli del ghiaccio. Alfred lo posò sull’occhio, borbottando.
“Mica ho detto niente di male…”
L’inglese roteò gli occhi.
“Hai accusato Feliciano e Lovino di essere mafiosi solo per loro origini italiane! Hanno fatto bene a reagire! Idiota.” sputò l’ultima parola dandogli le spalle.
“Allora spiegami perché navigano nei soldi!” insistette Alfred, mandando sulle furie l’altro.
“Il loro nonno possiede il ristorante più In di New York! Dove volevo portarti per l’anniversario! Invece andremo a mangiare Fish&Chips, così impari!”
Se ne andò, furioso. Afred si sentì un vero idiota. Doveva pensare a come farsi perdonare dal suo ragazzo e dai fratelli Vargas.
 


Angolino di May
Scusate questa drabble penosa scritta in fretta e furia ma questo prompt proprio non ha ispirato idee.
A parte che adesso rido pensando a Feli e Lovi contro Alfred. Concedetemi che Alfred si sia almeno beccato un occhio nero, non ho detto come sono tornati a casa loro. La smetto.
Al solito, critiche costruttive e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

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Capitolo 19
*** 19-Office ***


Alfred appoggiò il té sulla scrivania del suo capo prima di continuare a preparare gli appuntamenti e le riunioni della giornata.
Il signor Kirkland entrò e lo salutò con un sorriso; quando vide la bevanda calda sul tavolo lo ringraziò.
Il ragazzo sorrise, continuando il suo lavoro. Aveva cominciato a lavorare in quell’azienda da pochi mesi come stagista, ricoprendo il ruolo di assistente di Arthur Kirkland, fratello del proprietario. Arthur si occupava delle ricerche di mercato sulla clientela, ma all’interno dell’ufficio aveva una pessima reputazione. Molti lo accusavano di nepotismo e non riconoscevano i suoi meriti, anche a causa della giovane età e della poca esperienza che aveva in quel campo. Questo aveva portato il ragazzo a isolarsi e fare diligentemente il suo lavoro senza instaurare relazioni con gli altri in ufficio. Quando era arrivato Alfred le voci su Kirkland erano arrivate anche al giovane, che però, dovendo lavorarci a stretto contatto, si era subito reso conto di come stavano le cose. Non era strano vedere Arthur fermarsi oltre l’orario di lavoro, e quando lo stagista se ne accorgeva si offriva di aiutarlo per finire prima. Inizialmente il capo aveva sempre rifiutato, poi una volta Alfred si era presentato con del cibo, impuntandosi nel rimanere fino a che non avessero finito il lavoro insieme. Quella situazione si era ripetuta altre volte, così avevano cominciato a conoscersi e ad abbattere la barriera di indifferenza che Arthur si era costruito attorno.
Il telefono squillò. Alfred si scosse, e rispose scattando sull’attenti come un soldatino.
“Ufficio del signor Kirkland, come posso aiutarla?”
“Sì, buongiorno, potrebbe ricordare ad Arthur la cena per stasera?”
Afred gettò un’occhiata all’agenda, trovandola libera per la serata.
“Una cena di lavoro, signore?” provò, sentendosi in colpa nel caso si fosse dimenticato di segnare qualcosa.
La voce all’altro capo del telefono rise. “No, una cena di piacere. L’abbiamo deciso ieri ma so che è molto impegnato. Glielo puoi ricordare?”
Il ragazzo non apprezzò il passaggio al tu. C’era qualcosa in quella voce che lo mandava sui nervi.
“Certo, glielo ricordo io, signore. Puoi lasciarmi detto il suo nome?”
Di nuovo una risata. “Oh, lui sa chi sono.” e riattaccò.
Alfred sbattè con veemenza la cornetta al posto e si diresse verso l’ufficio di Arthur.
“Ha chiamato una persona che non voluto lasciare il nome. Ha detto di ricordarti la cena di stasera.”
Le labbra di Arthur si assottigliarono in un taglio secco.
“Uhm. Grazie. Ricordami di trovare una scusa per disdire.” rispose senza entusiasmo. “ma perché proprio oggi…” borbottò poi, mentre Alfred usciva.
La mattinata passò tranquilla e anche la pausa pranzo. Alfred era anche riuscito a portarsi avanti.
Il telefono suonò di nuovo intorno alle 16.00.
“Ciao, sei il nuovo stagista, vero? Io sono Antonio, un amico di Arthur. Puoi passarmelo, per favore?”
Alfred decise che quella voce gli stava simpatica, e non si formalizzò per la confidenza che gli aveva dato subito.
“Mi spiace, adesso è in riunione, posso farti richiamare o puoi lasciarmi un messaggio.”
“Oh, no, che non si disturbi a richiamare, era solo per un saluto e per augurargli buon compleanno, ma lo richiamo fuori orario di lavoro a casa! Grazie mille, sei stato gentilissimo! A presto!”
Alfred ci mise un attimo a incanalare l’informazione.
Augurargli buon compleanno.
Di solito in ufficio il festeggiato portava dei pasticcini o altro per festeggiare con i colleghi, ma non biasimava Arthur,visto la situazione con gli altri del personale.
Un altro ricordo gli passò per il cervello, come un campanello d’allarme.
Ricordami di trovare una scusa per disdire...ma perché proprio oggi…
Alfred si mise al computer e cominciò a smanettare.
Aveva una missione da compiere.

Alfred si stava mettendo la giacca quando entrò un signore e chiese di Arthur. Il ragazzo riconobbe subito la voce della telefonata di quella mattina. Indicò l’ufficio, controvoglia. Adesso scattava il piano. Controllò solo attraverso la parete di vetro il comportamento di Arthur. Era svogliato e si vedeva chiaramente che non aveva voglia di uscire. In più il tipo allungava un po’ troppo le mani; era palese che il ragazzo era a disagio.
Alfred li salutò quando uscirono e si diressero verso l’ascensore. Fece una rapida telefonata per dare il via libera e si precipitò giù per le scale, ringraziando le ore spese in palestra. Arrivò trafelato appena in tempo al piano terra.
“Signor Kirkland! Una tragedia!” strillò, forse un po’ troppo melodrammatico, ma non era un attore. Sperò comunque che la bevessero. “Il computer è in avaria e abbiamo perso il lavoro fatto per la settimana!”
Arthur sbiancò. Alfred si sentì leggermente in colpa. Per poco, però.
“Chiama tutto lo staff e dì loro di tornare qui a fare straordinari. Controlla tutti gli hard disk, ogni cosa possibile che possa essere salvata!”
Alfred annuì, e ghignò mentre il ragazzo si congedava da quell’individuo.
Presero l’ascensore insieme, l’espressione di Arthur tesa e Alfred che doveva trattenersi dal ridere.
Arrivarono al loro piano e a pochi passi dall’ufficio trovarono Antonio ad aspettarli.
“Buon compleanno, Arthur!” urlarono insieme l’assistente e l’amico, mentre il ragazzo realizzava quello che era successo.
“Vuoi dei Churros? Fatti da me, ovvio!” disse Tonio, sorridendogli.
“Ma… ma…”
Antonio prese ancora la parola, appoggiando la mano sulla spalla di Alfred.
“Il tuo assistente è una perla. Ha saputo da me che era il tuo compleanno e che i tuoi programmi per la serata erano alquanto miseri, quindi mi ha richiamato e abbiamo organizzato questo!”
Arthur guardò Alfred con uno sguardo profondo che però il ragazzo non riuscì a decifrare. Si sentì arrossire e guardò il pavimento, un po’ a disagio.
Sentì una mano appoggiarsi sulla spalla libera. Alzò gli occhi e incontrò quelli di Arthur che sorridevano.
“Grazie. Davvero.” mormorò il più grande, stringendo la spalla in una stretta affettuosa e con gli occhi colmi di gratitudine.
“E grazie anche a te.” si rivolse verso Antonio, che sorrise comprensivo.
“Poi ci racconterai come hai conosciuto quel tipo.” azzardò l’amico, e l’inglese rispose con una scrollata di mano e un’espressione che voleva dire: “Non ne vale la pena.”
Alfred fu contento del piano riuscito, ancora di più di aver salvato il compleanno di una persona così solitaria come Arthur. Lo osservò per tutta la sera, ammirando quel sorriso che riservava a poche persone.
Quel sorriso gli piaceva. Era dolce, sincero. Decise che avrebbe fatto qualunque cosa in suo potere per vedere Arthur sorridere più spesso.
 


Angolino di May
Eh, boh. Non so che dire. Non mi convince particolarmente, anche se mi sono divertita a muovere Alfred in questa storia.
No, il ragazzo un po’ viscido non è nessuno dei personaggi, non volevo utilizzare nessuno per un ruolo così! XD
Al solito, critiche costruttive e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

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Capitolo 20
*** 20-Flower Shop ***


Bounjour, mon chère!”
Arthur non si girò, restando concentrato sulla pianta che stava finendo di annaffiare e potare.
“Ciao, rana. Arrivo subito.”
Francis sogghignò.
“Hai preparato tutto come ti avevo chiesto?”
Arthur appoggiò delicatamente gli strumenti vicino alla pianta e andò nel retro. Tornò posando sul tavolo una composizione fatta da foglie e fiori di acero rossi con dei gigli bianchi. A Francis si illuminarono gli occhi mentre ammirava la creazione.
C’est parfait! Grazie mille, Arthur! Quanto ti devo?”
Arthur scosse la testa, convinto.
“Nulla. Fa solo gli auguri a Matthew e digli che ha tutta la mia comprensione. Consideralo un regalo per il vostro anniversario.”
Si pentì di quella gentilezza quando Francis gli saltò al collo cinguettando ringraziamenti, facendo strusciare la guancia contro la sua.
“E mollami, stupido!” sbraitò Arthur, spingendolo via con foga. “Ora levati dai piedi, ho mille cose da fare. Non sembra ma il negozio sta avendo una certa fama, ed essendo da solo devo organizzarmi bene il tempo.”
Francis guardò l’amico un po’ preoccupato. Il volto di Arthur era segnato della stanchezza.
“Sai, Matthew mi ha detto che suo fratello ha finito le superiori e sta cercando un lavoretto estivo. Potresti assurmerlo qui in negozio per la stagione, così hai un aiuto e vedi come ti trovi.”
Arthur si fermò, un espressione concentrata sul viso.
“Uhm. Non sarebbe una cattiva idea, in effetti. Che tipo è il fratello di Matthew? Ricordo solo un moccioso più piccolo di noi che stava addosso al fratello per stare più tempo possibile con ragazzi più grandi; anni fa una volta andammo al cinema e ce lo siamo dovuti portare dietro. Si era spaventato e mi era saltato in braccio.”
Francis scoppiò in una risata.
“Oh, il piccolo Alfred è cresciuto. Fidati. Solo che non sa bene cosa fare della sia vita, quindi un lavoretto mentre riflette è la cosa migliore per lui.” Il francese si portò la mano al mento, grattandosi il pizzetto biondo. “O almeno, Matthew la pensa così.”
Arthur evitò un attimo il discorso. “Beh, non tutti possono avere le idee precise come il tuo ragazzo. Una scelta coraggiosa che ha preso. Un anno in Canada con un’organizzazione per proteggere gli orsi polari.”
Gli occhi di Francis brillarono di orgoglio.
“Pensa che ha già deciso il nome per il primo esemplare che troveranno e studieranno: Kumajiro! Solo che... non se lo ricorda mai. Meno male che me l'ha scritto così glielo ricordo io!”
Arthur rise. Era proprio un atteggiamento che si poteva aspettare dall’amico.
“Comunque, bravo anche tu. Non è da tutti accettare una relazione a distanza per così tanto tempo.”
Francis guardò con affetto la composizione che teneva con cura fra le braccia.
“Certo, mi mancherà. Ma non potrei mai privarlo di un’esperienza che aspetta da anni. Poi vedremo.” mormorò, un po’ malinconico.
Arthur gli sorrise, nel tentativo di rincuorarlo.
“Domani usciamo a cena anche con Alfred, così lo conosco meglio e vediamo se è davvero intenzionato a lavorare in un negozio di fiori. Così stiamo tutti un po’ insieme prima che Matthew parta.” tornò pensieroso. “A meno che tu non preferisca avere Matthew tutto per te questi ultimi giorni.”
Francis ghignò.
“Oh, mon chére Arthùr, non pensare che non lo abbia tutto per me durante tutte queste notti. Sai, ci stiamo dando dentro…” rispose, discrivendo poi nei dettagli cosa accadesse nel loro letto.
Arthur cominciò a sbraitare, dandogli del pervertito e accusandolo di non avere pudore nel raccontare quelle gesta alla luce del giorno, e lo cacciò via dal negozio.

“Alfred, hai potato la rosa?”
Il viso di Arthur fece capolino dalla porta sul retro, le sopracciglia alzate in un’espressione preoccupata.
Il più giovane spostò il vaso in modo che fosse possibile vederla anche dalla porticina, aspettando il verdetto.
Arthur guardò il lavoro, ammirato.
“Wow, complimenti, hai imparato davvero bene. Mi spiacerà vederti andare via, a questo punto!”
Alfred incurvò le labbra in un broncio senza farsi vedere. L’estate era passata, così come l’autunno e l’inverno. Ormai era primavera, e l’anno che si era preso per riflettere sul futuro stava ormai finendo. Aveva continuato a lavorare al negozio di Arthur e si era applicato, ma a Settembre sarebbe andato all’università a studiare ingegneria spaziale. Aveva sempre avuto la passione per le stelle, e il suo sogno, aveva realizzato, era poter contribuire alla ricerca, in qualsiasi modo.
Il lavoro con Arthur gli aveva permesso di mettere da parte alcuni soldi per pagare la retta universitaria, e ormai mancavano pochi mesi. Non voleva ammetterlo, ma un po’ temeva quel conto alla rovescia. Lo temeva perché con Arthur stava bene. La compagnia dell’inglese era piacevole ed era diventata una routine davvero gradevole.
Alfred sorrise, ricordandosi quando, da bambino e da ragazzino, aveva una cotta pazzesca per il migliore amico di suo fratello maggiore. Quella volta che erano andati al cinema insieme e si era spaventato si era maledetto per essersi mostrato così impaurito proprio davanti ad Arthur, e aveva rivissuto quel momento di imbarazzo mille volte nella testa. Ancora adesso, al pensiero, si sarebbe sbattuto una mano sulla fronte, e forte anche.
Guardò Arthur che ammirava il lavoro fatto sulla rosa, gli occhi verdi concentrati e profondi.
Alfred si umettò le labbra, voltando lo sguardo.
Mancavano pochi mesi. Poi sarebbe partito per un altro paese. Tanto valeva sfruttare il tempo rimasto.
“Hey, Arthur…” cominciò, la voce un po’ titubante.
Il maggiore non staccò gli occhi dalla rosa, fece solo un verso per fargli capire che stava ascoltando. Alfred prese coraggio e respirò per darsi un tono.
“Stasera dopo il lavoro ti va di uscire con me?”
 


Angolino di May.
Finale volutamente aperto perché sono una stronzetta di prima categoria. E come se la risposta di Arthur non fosse chiara, ahahah.
Un po’ di Franada all’inizio perché sì, e questa volta ho reso Matthew più grande. Il bello delle AU è anche questo, dopotutto! Menzione d'onore a Kumajiro, perché se lo meritava!
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

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Capitolo 21
*** 21-Parent ***


Alfred si portò l’hamburger vicino alle labbra, pregustando il sapore del suo cibo preferito.
“Quindi l’appuntamento di ieri è andato bene?” Toris gli sorrise dall’altra parte del tavolo, mettendosi a sorseggiare la bibita con la cannuccia.
Alfred sorrise, ripensando alla serata molto piacevole che aveva trascorso con Arthur, un suo compagno di università che frequentava un indirizzo diverso, ma con cui aveva un paio di corsi in comune. Si erano conosciuti perché ad Alfred servivano degli appunti, e ne aveva approfittato per chiedere al ragazzo, che aveva già notato e che non lo lasciava indifferente, di uscire insieme.
“Si può dire si sì…” affermò.
“Dettagli, signori, qui vogliamo i dettagli!” urlò Feliks, seduto di fianco a Toris. Spiluccava patatine dalla porzione del suo ragazzo, mentre fissava Alfred, avido di sapere.
“Ma niente, ci siamo trovati bene insieme, sabato prossimo ci vediamo ancora e…”
Alfred si fermò impallidendo. Feliks e Toris seguirono il suo sguardo. Alla cassa stavano ordinando un ragazzo e un bambino con le sopracciglia identiche e con tratti somatici troppo simili per lasciare spazio a fraintendimenti.
Alfred rimase a bocca aperta.
“Arthur…” mormorò, guardandolo tenere per mano il bambino e porgergli il menù scelto. Poi li vide dirigersi a un tavolo e il bimbo cominciò a mangiare tranquillo, mentre il ragazzo non lo perdeva di vista un secondo.
Feliks guardò Alfred. “Mi sono perso qualcosa?” chiese.
Il ragazzo si sforzò di chiudere la bocca.
“Non… Dai, non è come sembra!” la voce uscì roca, mentre Arthur, con fare paterno puliva la bocca del bambino con un tovagliolo. “Non sono pronto a diventare padre!” strillò Alfred in preda al panico, e grazie al cielo nel locale c’era così tanta confusione che lo sentirono solo i tavoli vicini.
Feliks tornò a concentrarsi sul duo. “Ma ieri non ti ha detto nulla?”
Alfred scosse la testa così forte che rischiò di far cadere gli occhiali.
“No che non mi ha detto nulla!”
Toris cercò di fare la voce della ragione.
“Forse non è una cosa che si dice al primo appuntamento… alla fine vi conoscete da poco.” tentò, anche se lui stesso non perdeva di vista padre e figlio.
Alfred sorseggiò la sua coca, sconsolato e confuso.

Alfred camminava avanti e indietro sotto casa di Arthur, aspettando che scendesse. La settimana prima erano rimasti d’accordo che sarebbe passato a prenderlo prima di andare al cinema. Il ragazzo era nervoso. Ci aveva pensato per giorni interi, e non sapeva come introdurre il discorso ti ho visto con tuo figlio e dobbiamo parlare. Il cinema di sicuro non era il luogo adatto per affrontare una conversazione di quel tipo. Forse avrebbe solo dovuto aspettare che fosse Arthur a dirglielo, ma la consapevolezza di quella responsabilità lo rendeva impaziente di chiarire la situazione.
“Alfred, scusa se ti ho fatto aspettare, dovevo mettere a letto…” cominciò Arthur, uscendo dalla porta sorridente.
“Dobbiamo parlare!” le parole erano uscite senza che lui le avesse programmate, ma appena aveva visto il ragazzo sapeva che non avrebbe potuto attendere oltre.
L’inglese lo guardò, stupito, facendogli cenno di continuare.
“Ecco, io…” Alfred si morse il labbro inferiore e si umettò le labbra mentre cercava di trovare le parole giuste. Non sapeva nemmeno dove avrebbe portato quella conversazione.
“Fratellone!”
Il grido infantile arrivò da una delle finestre al primo piano. Il volto del bimbo che Alfred aveva visto insieme ad Arthur fece capolino, sorridente, tenendo stretto qualcosa nel piccolo pugno.
“Fratellone! Hai dimenticato le chiavi!” urlò ancora, lanciando verso Arthur l’oggetto che aveva in mano. Il fratello maggiore si sporse leggermente per prenderle, e sorrise.
“Grazie mille, Peter! Adesso torna a dormire, da bravo!”
Un’altra testa, questa volta rossa di capelli, si sporse dalla finestra.
“Vai tranquillo, Arthur, ci penso io.”
Arthur fece un cenno con la mano. “Grazie, Allistor! Peter, mi raccomando, fai il bravo!”
Allistor ghignò. “E mi raccomando, divertiti, fratellino!”
Alfred, in piedi di fianco ad Arthur, era rimasto ancora una volta a bocca aperta.
Allistor aveva i capelli cremisi, gli occhi dello stesso verde smeraldino di Arthur e quelle stesse identiche sopracciglia. Aveva preso in braccio Peter, che aveva i capelli color sabbia e gli occhi azzurri. Alfred li guardò, ammirando ancora una volta la somiglianza anche nella forma del viso e sentendosi un idiota. Anche se, volendo essere sinceri, non era un equivoco così campata in aria...
Arthur lo riportò alla realtà. “Volevi parlare di qualcosa?”
Alfred si voltò verso di lui. Sbatacchiò gli occhi, un po’ perso.
“Quanti fratelli hai, di preciso?” chiese in un soffio.
 


Angolino di May
Scusate ma ne ho approfittato per far fare una figuraccia ad Alfred! XD E per far riapparire la LietPol, amori miei.
Compare anche Sealand! E dire che a me le Micro Nations non fanno impazzire, però mi sono divertita un po’. E Allistor appena lo posso lo metto, anche se non so mai bene come caratterizzarlo. E so che secondo i nuovi disegni uffficiali Scozia ha i capelli marroni, ma per adesso non riesco a vederlo se non con la testa cremisi… chiedo perdono!
Al solito, critiche costruttive e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

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Capitolo 22
*** 22-Poledancer ***


Francis Bonnefoys è un ragazzo morto
Tutto per una maledetta scommessa.
Arthur ringhiò. Uno spettacolo da pole-dancer, durata un minuto.
Poteva farcela. Erano solo i suoi amici. E Alfred. Ma a lui era meglio non pensare.

Alfred non era contento della piega che aveva preso quello stupido gioco e non sapeva cosa lo trattenesse dal prendere il francese a pugni sul muso.
Arthur uscì, a disagio e senza guardare nessuno cominciò.
Alfred inghiottì a vuoto.
Aveva sempre trovato affascinante il suo ragazzo, in qualsiasi outfit.
Ma così, la sola voglia che aveva era di saltargli addosso. In quel momento.
Sarebbe stato un lungo minuto.
 


Angolino di May
Okay, questa è proprio una scemenza scritta di getto perché con sto prompt non sapevo proprio come comportarmi. Spero di non avervi schifato troppo!
Al solito, critiche costruttive e pomodori marci sono ben accetti!
Mata ne!

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Capitolo 23
*** 23-Farm ***


L’idea di una vacanza vicino a un lago era stata proposta da Romano. Avevano trovato un agriturismo che era anche una fattoria in mezzo alla natura a circa venti minuti a piedi dal lago. Una soluzione che sembrava accontentare tutti, insomma. In più i proprietari offrivano anche attività all’aperto con gli animali o legati al lavoro nei campi.
Arthur a contatto con la natura si sentiva sempre rinascere. Appena arrivato sistemò le cose e uscì subito a esplorare i dintorni. Alfred lo seguì un po’ controvoglia, portandosi dietro la borsa da lago, speranzoso. Arrivarono in un spiazzo dove c’erano indicazioni. Il volto di Alfred si illuminò quando lesse la direzione lago, ma Arthur aveva letto una cosa interessante: spaccio latticini nostri prodotti. Guardò il suo ragazzo, sorridendo.
“Alfred! Possiamo fare pic nic con prodotti freschi! Non è stupendo? Poi andiamo a dirlo anche agli altri, guardiamo cosa vendono!”
Alfred sbuffò.
“Ma il lago…” tentò. Ma l’inglese sapeva come prenderlo.
“Lo sai, vero, che anche il gelato è considerato un latticino?” ghignò, osservando la reazione.
Alfred si rizzò subito, gli occhi scintillanti.
“Gelato! Andiamo, che stiamo aspettando?”
Arthur continuò a camminare, ridendo sotto i baffi.
Costeggiarono i recinti dove tenevano gli animali: pony, cavalli, asini, caprette… c’era di tutto.
Delle oche si avvicinarono alla recinzione, starnazzando. Arthur si allontanò, prudente. Non aveva dimenticato la storia delle oche del Campidoglio che aveva raccontato Romano. Alfred, invece, si avvicinò agli animali, facendo loro il verso. L’inglese lo guardò, un po’ preoccupato.
“Non avvicinarti troppo…” raccomandò, continuando a camminare, sperando che il ragazzo capisse l’antifona.
Ma Alfred era di un altro avviso. Continuava a starnazzare anche lui davanti alle oche, che cominciarono a urlare ancora più forte.
“Ma la vuoi smettere?” sibilò abbastanza forte da farsi sentire Arthur, girandosi per fronteggiare quell’idiota del suo ragazzo.
“E che possono fare? Sono dentro al recinto!” rispose Alfred, indicando la rete che separava il sentiero dagli animali.
Arthur si portò una mano alla fronte.
“C’è un buco a nemmeno dieci metri da te. Possiamo andare, per favore?” domandò esasperato.
Alfred lo ignorò e Arthur girò i tacchi e si avviò, immaginando di mangiarsi un gelato gigante davanti agli occhi dell’americano.
E non glielo faccio nemmeno assaggiare, questa volta!
Aveva fatto circa 50 metri, quando un grido disturbò la quiete attorno a lui. Arthur si voltò in tempo per vedere Alfred correre a perdifiato.
“Quelle maledette sono uscite! Scappa, Arthur!”
Dietro al ragazzo correvano cinque oche visibilmente arrabbiate, starnazzando a più non posso. Superarono Arthur, continuando a inseguire l’americano.
Il ragazzo rimase inchiodato sul posto, incredulo allo spettacolo che aveva appena visto. Ripresosi, cominciò a ridere. Cercò di contenersi, ma non riusciva a smettere. Gli occhi arrivarono a lacrimare e gli faceva male la pancia. Cominciò a correre nella direzione dove era scomparso Alfred, non volendo perdersi lo spettacolo Americano vs Oche.
Trovò Alfred rintanato su un albero, le oche sotto di esso che non mollavano la presa.
Arthur tirò fuori il cellulare e senza staccare gli occhi dalla scena cominciò a riprendere il tutto.
“Arthur! Chiama aiuto, questi animali sono impazziti!! E portami il gelato!” piagnuculò Alfred, e l’inglese fu moltò soddisfatto di aver ripreso questa battuta.
Il filmino sarebbe finito sul gruppo whatsup. E anche su facebook. Arthur ghignò, perfido.

 


Angolino di May
Ogni riferimento a cose e persone è puramente casuale! XD Scherzo, diciamo che è molto liberamente ispirato a fatti accaduti anni fa. Che mi sono tornati d’aiuto per questo prompt, per fortuna!! ;)
Al solito, critiche costruttive e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

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Capitolo 24
*** 24-Supernatural ***


Arthur era immobile, al centro delle linee disegnate sul pavimento che costituivano un cerchio e che riflettevano la sua magia. L’energia accumulata pronta nelle sue mani. Doveva solo liberare l’incantesimo.
Eppure, non ci riusciva.
Non ce la faceva proprio.
Sollevò lo sguardo verso la figura davanti a lui, cercando il coraggio di fronteggiarla.
Il fantasma lo guardò, lo sguardo triste ma un sorriso comprensivo sul volto
“Va bene così, Arthur.” mormorò, avvicinandosi.
“No…” il sussurro strozzato uscì dalle labbra dello stregone mentre le lacrime cominciarono a scendere copiose, bagnandogli le guance.
Quella vista fece stringere il cuore di Alfred, ammesso che da fantasmi si potesse ancora avere un cuore. Probabilmente no, ma il dolore a quanto pare si provava ancora, maledizione.
Si avvicinò ulteriormente, entrando nel cerchio. Arthur urlò e l’energia accumulata nelle mani si spense. Sapeva che nel momento in cui il fantasma si fosse avvicinato alla magia il suo tempo su questa terra si sarebbe ulteriormente ridotto. Rimanendo all’interno dell’incantesimo, la sorte di Alfred era ormai segnata.
Il fantasma, a contatto con la magia sprigionata, si sentì ancora di più slegato dal mondo terrestre. Era una strana sensazione, fastidiosa, ma sapeva che era giusto così, che non c’era un’alternativa.
“Arthur…” era ormai di fronte al ragazzo. Gli sorrise e maledisse il fatto di non poterlo toccare. “Ho solo ritardato la mia dipartita per darti un ultimo saluto. Un motivo molto egoistico. Sai bene che io non posso rimanere: mi hai spiegato tu le leggi della magia e cosa succede a chi gioca con la vita e la morte.”
Gli occhi smeraldini erano lucidi lacrime e pieni di dolore.
“Ti amo…” mormorò con voce rotta il mago. Era così ingiusto che con tutti i poteri, con tutto lo studio che aveva fatto, non era comunque in grado di salvare la persona che amava.
“Anche io ti amo, Arthur. E non darti colpe che non hai. Io non voglio rimanere sulla terra in queste condizioni, e tu hai ancora tanto da vivere, da fare.” rispose Alfred, come se gli avesse letto nel pensiero. Arthur singhiozzò. Vedeva il fantasma svanire sempre di più man mano che stava all’interno del cerchio. Ormai il processo era iniziato e non c’era modo di fermarlo.
Arthur fece un ultimo incantesimo. Uno pericoloso e difficile, ma ne valeva la pena. Rendeva corporei i corpi dei fantasmi per pochi secondi. Esattamente il tempo che restava ad Afred prima di svanire.
Il fantasma sentì uno strano formicolio nella parte del corpo che rimaneva. Vide lo stregone allungare le mani e prendergli il viso e lo accarezzò con movimenti dolci e delicati, come se stesse toccando un tesoro. Il tocco ebbe il potere di fargli provare sensazioni ormai perdute.
“Ti amerò per sempre…” sussurrò Arthur prima di prendere le labbra tra le sue in un bacio disperato. Il loro ultimo.
Alfred ricambiò con altrettanta disperazione, finché il tempo concedeva loro questo ultimo regalo d’addio.
L’incantesimo sul pavimento si ruppe. Le luci si spensero.
Arthur si ritrovò nella stanza, da solo.

 


Angolino di May
Questa flash è stata scritta in fretta e furia stamattina perché James si è svegliato e ha realizzato che quella scritta non andava bene ed era troppo fuori prompt. Oh beh, ho già pronta la ff per Halloween! XD
Avevo sperato niente più tragedie… e invece povero Arthur che rimane solo e povero Alfred che ci rimesso le penne. Siamo 2 a 2 pari, palla al centro, vediamo cos’ha in mente James per i prossimi prompt… -.-’
Al solito, critiche costruttive e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

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Capitolo 25
*** 25-Youtuber ***


Alfred camminava per strada nervoso, calciando tutti i sassi che trovava lungo il cammino. A scuola l’insegnante di storia aveva assegnato i compiti da fare il weekend e lui doveva scrivere una ricerca sulla Guerra d’Indipendenza. Argomento che al ragazzo interessava davvero molto, ma che aveva già provato a trattare e la professoressa aveva detto che avrebbe dovuto essere un po’ più imparziale e raccontare gli eventi senza parteggiare per una fazione o l’altra. Più facile a dirsi che a farsi, il patriottismo di Alfred era famoso a tutta la scuola.
Entrò in casa e mangiò il pranzo da solo: sua madre era ancora al lavoro e suo fratello aveva allenamento. Lasciò i piatti nel lavello, facendosi l’appunto di lavarli prima che tornassero gli altri. Si diresse verso la sua camera, prese il computer e si distese sul letto, posizionandosi il laptop sulle cosce. Aprì youtube, voleva cercare qualche video per sfogarsi un po’. Vide un pezzo di un gameplay prima che il pensiero della ricerca tornasse a tormentarlo. Okay, avrebbe dovuto farsi una cultura sulla guerra d’indipendenza anche dalla parte degli inglesi. Il solo pensiero lo faceva rabbrividire, ma aveva bisogno di un bel voto. Provò a cercare sempre sul sito “America Revolutionary War British” e guardò i risultati. Non che si aspettasse di trovare qualcosa.
Uno dei primi video che trovò era di venti minuti e il thumbnail era un ragazzo biondo con lo sfondo una cartina dell’inghilterra. Il titolo era: “L’Inghilterra e la Guerra di Indipendenza Americana”. Alfred cliccò, pronto ad annoiarsi.
Non si annoiò. Anzi, doveva ammettere che quel ragazzo, che doveva avere non più di due o tre anni in più di lui, era davvero capace di spiegare e di rendere interessante l’argomento. Alfred dopo pochi minuti aveva preso block notes e penna per segnare le cose che pensava potessero essere utili per la sua ricerca. Una cosa che aveva apprezzato era proprio l’imparzialità del racconto; certo, si focalizzava di più sul ruolo dell’Inghilterra nella guerra, ma era riuscito a raccontare i fatti come erano senza fare favoritismi. Il ragazzo sorrise, soddisfatto: doveva solo alcuni elementi e poi la sua ricerca era avviata.
Senza che se ne rendesse conto, il tempo passò e quando sua madre lo chiamò per la cena era ancora preso dalla scrittura e dallo studio. Si maledisse per essersi dimenticato dei piatti da lavare, ma quando arrivò in cucina sua madre non sembrava arrabbiata. Basto uno sguardo di suo fratello dietro di lei per capire che Matthew lo aveva salvato per l’ennesima volta da una sgridata. Si sedettero a tavola e mangiarono la cena insieme chiacchierando della giornata. Per farsi perdonare Alfred lavò i piatti e riordinò la cucina prima di tornare in camera sua.
Il computer era ancora acceso e una delle schede del motore di ricerca era ferma a quel video. Alfred la ricaricò, andando a vedere il canale. Aveva uno strano nome: IbelieveInFaries. Andò a vedere i video, incuriosito. Era un canale su curiosità sull’Inghilterra, sia storiche che culturali. C’era una rubrica chiamata Tea Time With Arthur, e Alfred pensò che non ci fosse niente di più british. Cliccò suo titolo: TTWA: My Life in Oxford. A quanto pare il protagonista del canale era uno studente universitario al primo anno. Mentre guardava il video, Alfred notò che il montaggio era solo del ragazzo che spiegava la sua routine e dava informazioni, anche raccontando aneddoti sull’università, era affascinante. Davanti a sé aveva una tazza di té fumante con tanto di scones con panna acida e marmellata, che beveva e sbocconcellava durante le pause del discorso. Aveva degli occhi verdi come due smeraldi e le sopracciglia più folte che Alfred avesse mai visto. Era un video molto più “intimo” di quello dove aveva spiegato la guerra d’indipendenza, e questo lato, senza un vero motivo, colpì Alfred, che si trovò a cercare altri video sul canale del ragazzo. C’erano rubriche storiche, culturali e altri argomenti interessanti.
Finì che passò la nottata davanti a YouTube a “conoscere” questo ragazzo. Quando andò in cucina per fare colazione sapeva che si chiamava Arthur, che era nato e cresciuto a Londra ma che adesso studiava a Oxford Storia e Letteratura, che era amava il té, il suo genere di musica preferito era il punk, amava i libri fantasy, soprattutto gli scritti di Tolkien che considerava il padre vero di quel genere, che aveva meno iscritti di quelli che si meritava (almeno secondo Alfred) e altri dettagli che adesso, con gli occhi gonfi di sonno davanti al caffè erano confusi nella sua mente.
Prese un sorso di caffè, cercando di darsi un tono e di svegliarsi un attimo. I video di storia sapeva che potevano tornargli utili, quindi si era iscritto. Prese il cellulare e aprì YouTube, andando nella sezione messaggi. Fissò il nero del caffè, cercando di scrivere due righe.

Arthur sentì il suono di una notifica e rivolse la sua attenzione al cellulare: un messaggio su YouTube.
Chi è che usa quel sito per mandare messaggi?
Aprì la casella. Il nome dell’account era AmericanHero. Arthur arricciò il naso a quel nick, il suo patriottismo che veniva fuori in tutte le occasioni.
Hey, dude! Ho scoperto il tuo canale per una ricerca che dovevo fare, grazie perché mi hai dato una mano! Fai dei video interessanti, e te lo dice un americano convinto! Mi sono iscritto, ciaooo!
Arthur rimase un attimo interdetto. Poi un sorriso si fece strada sul volto.
La verità è che aveva cominciato a caricare video al liceo, ripetendo le lezioni prima delle interrogazioni o verifiche, più per allenarsi. Poi era diventato un vero e proprio passatempo e aveva creato tante rubriche. Non aveva molti iscritti dal potersi considerare un influencer (anche perché odiava quel termine), però fare video, montarli e pensare a nuove idee da proporre gli piaceva davvero molto, e avere dei feedback, anche brevi messaggi come quello appena arrivato, era sempre piacevole. Si mordicchiò il labbro, fissando lo schermo. Non sapeva mai come rispondere.

Alfred era uscito con i suoi amici quando vibrò il cellulare. Era una notifica di YouTube.
Ciao, ti ringrazio per il messaggio e per i tuoi apprezzamenti. Spero che i video siano istruttivi e che ti possano essere d’aiuto per lo studio anche in futuro. Ciao, e buona giornata, se hai dubbi o altro non esitare a chiedere, anche se potrei metterci un po’ a rispondere.
Alfred si ritrovò a sorridere in maniera idiota. Okay che Arthur non era una celebrità, ma il fatto che avesse speso del tempo per rispondere al suo messaggio gli faceva davvero piacere.
“Messaggio della tua nuova ragazza?” La voce di Francis lo colse di sorpresa, e di scatto infilò il cellulare in tasca.
“Ma che pensi. Figurati!” Afred suo malgrado arrossì, più per le parole di Francis che per altro.
Il francese non smise di fissarlo.
“Sarà, ma quel sorriso non mi inganna. E fidati di me, che di queste cose me ne intendo.”
Alfred scosse la testa. “Non questa volta, puoi fidarti.”
Francis alzò le mani in segno di resa. “Come vuoi. E vieni un po’ a ballare con noi, senza fare l’associale!” disse prima di dirigersi di nuovo in pista.
Alfred annuì senza muoversi, una mano indugiò sulla tasca che conteneva il cellulare.
Francis osservò da lontano quel sorriso dipingersi ancora sul volto di Alfred. Il ragazzo poteva dire quello che voleva, ma lui aveva un presentimento e di rado sbagliava…

 


Angolino di May
Aggiornamento matturino oggi, così, sorpresa!
Francis cupido lo sto utilizzando un po’ troppo forse, però qui più che altro capisce ancora prima di Alfred come finirà.
Phew, anche questa è stata un parto. Dal quale potrebbe nascere anche qualcos’altro, anche se non assicuro nulla.
Al solito, critiche costruttive e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

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Capitolo 26
*** 26-It Was All A Dream ***


Disclaimer iniziale: il prompt di oggi seguendo la lista AU sarebbe stato OmagaVerse. Siccome non sono né pratica né fan del genere e anche molto ignorante ho preferito cambiarla con il prompt della lista NEON.

 


Pioveva.
Pioveva e il suo cuore si era appena spezzato.
In ginocchio nel fango, le mani a tenersi il viso, le lacrime che si confondevano con le gocce di pioggia.
Una figura di schiena che si allontanava da lui, per sempre.
Una baionetta abbandonata al suo fianco.
Non posso assolutamente colpirti, idiota.
Era la sua voce che suonava così fragile e spezzata?
Eppure un tempo eri così grande…
Gli era sembrata una sentenza.
Quella schiena sempre più distante da lui.
Perché? Perché erano arrivati a questo punto? Come potevano odiarsi tanto?
Arthur urlò, riversando tutto il dolore che sentiva in quel suono.

“Arthur? Arthur svegliati!”
Alfred scuoteva il compagno, preoccupato. Arthur stava mugugnando nel sonno, le palpebre strizzate e lacrime che sgorgavano dagli occhi.
Si svegliò con un grido, rimanendo immobile.
Si guardò intorno, frenetico.
Alfred gli poggiò una mano sulla spalla, facendolo sussultare e voltare di scatto verso di lui.
Gli occhi ancora velati dal sonno, Arthur fece una cosa inaspettata. Si lanciò sul petto di Alfred, stringendolo forte, e si accucciò tra le sue braccia, continuando a piangere.
“Hey… hey. Tranquillo, era solo un sogno.” mormorò il ragazzo, ricambiando l’abbraccio.
“Vuoi parlarne?” la risposta fu un vigoroso no con la testa.
 


Angolino di May.
Ehm ehm. Feels, anybody? Il ventesimo episodio che ancora fa male?
No vabbè, quel “Eppure un tempo eri così grande” è una pugnalata al cuore ogni volta.
Sogno di un altro universo? Di un’altra vita? A voi la scelta.
Ah, se volete farvi male e volete un’ulteriore colpo al cuore, vi consiglio di guardare i primi due musical di Hetalia. Soprattutto il secondo si concentra molto sul rapporto di America e Inghilterra e c’è tutta la parte della Rivoluzione Americana.
Nel primo invece c’è la canzone dedicata al riordino dello sgabuzzino di America. Giusto perché vogliamo farci male, evviva!
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti,
Mata ne!

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Capitolo 27
*** 27-Library ***


Arthur alzò gli occhi, guardando il ragazzo davanti a lui. Era solito venire in biblioteca a studiare dopo le lezioni, e quel giorno Alfred, suo compagno di corso, si era offerto di andare a con lui. Il ragazzo non avrebbe mai ammesso che a quella proposta il suo cuore aveva perso un battito, anzi, aveva trattato la situazione con indifferenza, accettando la sua compagnia e concentrandosi sullo studio.
Solo che era un po’ difficile concentrarsi quando la persona per cui hai una crush pazzesca da mesi è seduto a pochi metri da te, soprattutto quando in classe non c’è mai stata occasione di scambiarsi più di due parole. Arthur schioccò la lingua, irritato. Non gli piaceva non avere il controllo totale della situazione. Adesso anche concentrarsi sullo studio risultava difficile. Forse era meglio lasciar perdere, anche perché sembrava che Alfred avesse già finito.
“Io studio ancora per un po’, se tu vuoi andare non ti voglio trattenere…” tentò, sussurrando per non disturbare gli altri ragazzi in biblioteca.
Alfred alzò la testa. “Oh, tranquillo, qualcosa da fare lo trovo! Al massimo leggo dei fumetti!”
Arthur non sapeva se esasperarsi o arrabbiarsi.
“Come vuoi.” borbottò, un po’ burbero, tornando a concentrarsi.
Stettero in biblioteca ancora per un’ora. Poi l’inglese rinunciò: doveva ammettere che la presenza di Alfred accanto a sé, in realtà, era quasi rassicurante. Ed era proprio questa sensazione a mandare in palla una persona razionale come lui. Era tutta la situazione che sembrava sfuggire di mano che lo faceva innervosire e agitare.
“Hey, prendiamo qualcosa da mangiare? Io ho fame!”
Arthur realizzò che in effetti nessuno dei due aveva ancora mangiato. Con una leggera riluttanza e senza nemmeno capire perché lo dicesse, spiegò il programma che di solito seguiva.
“Io di solito dopo lo studio mi prendo un panino e vado a mangiarlo al parco…”
Gli occhi azzurri di Alfred di illuminarono.
“Ooh, mi piace! Andiamo!”
Arthur non ebbe nemmeno il tempo di stupirsi dell’entusiasmo dell’americano che questo partì verso il primo panificio. Il ragazzo lo seguì, non sapendo ancora come sentirsi al fatto di dover passare altro tempo con il ragazzo che gli piaceva.

Aveva deciso che si sentiva bene.
Era stato anche fin troppo facile, seduti sull’erba all’ombra di un albero a chiacchierare. Parlare con Alfred si rivelò facile una volta che si era rilassato (anche se doveva capire ancora quando si era rilassato, di preciso) e gli piaceva davvero tanto stare in sua compagnia.
Controllati, Kirkland, o qui rischi di innamorarti davvero! A quel pensiero arrossì e fece un gesto di stizza con le mani.
Eppure, nonostante questo, passarono il resto del pomeriggio insieme e quando fu ora di separarsi, Arthur sentì un pizzico di fastidio, come se non volesse che il tempo finisse.
Alfred si girò verso di lui e sorrise mentre camminavano.
“Grazie per il pomeriggio, Arthur. È stato davvero un bel primo appuntamento!”
Arthur si fermò sul posto, come colpito da un fulmine. Guardò l’altro con gli occhi sgranati, e aprì la bocca, cercando di farfugliare qualcosa.
“P…. pr… primo appuntamento?!” la voce strozzata uscì più stridula di quanto volesse. Alfred lo guardò, stupito di quel cambio improvviso, e annuì convinto.
“Certo, primo appuntamento. Pensi ti avrei chiesto di venire con te in biblioteca se non fossi stato interessato? O che ti avrei proposto di mangiare insieme? Hey, non so qui in Inghilterra, ma in America sono segnali molto chiari questi!”
Arthur maledì l’America solo perché si sentiva un completo idiota. Che figura. Per un primo appuntamento aveva proposto un panino. Anzi, per il primo appuntamento della sua vita! Si batté una mano sulla fronte, forte. Voleva sprofondare.
Alfred riprese la parola.
“Se però tu non eri interessato…”
Arthur strabuzzò gli occhi, scuotendo la testa.
“No, no, no, cioè… non è quello…”
“Ah! Allora sei interessato!” l’americano si illuminò, l’inglese invece si colpì di nuovo la fronte con la mano.
“Non montarti la testa, Jones!” urlò con veemenza. Lo superò e fece per andare verso la fermata della metro. “Comunque, sappi che sono in biblioteca tutti i giorni.” aggiunse, prima di scappare via veloce.
Alfred rimase solo, con un sorriso idiota sul volto e uno scintillio felice negli occhi azzurri.
Era felice. Felice e curioso di conoscere meglio quell’inglese che lo aveva colpito fin da subito con i suoi modi un po’ bruschi e con la sua devozione allo studio. Quel ragazzo che sembrava un solitario ma che forse nascondeva solo una grande fragilità e paura di essere ferito. Alfred era bravo a leggere le persone, e il tempo passato con Arthur glielo aveva confermato.
Girò su se stesso, cercando la fermata dell’autobus. Raggiungendola, passò davanti alla biblioteca. Scosse la testa, pensando che mai, nella sua vita, avrebbe mai pensato di passare lì parte di un appuntamento. Arthur doveva davvero piacergli parecchio.
Quel sorriso idiota lo accompagnò fino a casa.
 


Angolino di May
Scritta in fretta e furia perché diamine se sono rimasta indietro e c’ho l’ansia. Spero questo pomeriggio di scrivere almeno quella di domani e dopo sennò mi riduco all’ultimo come sempre.
Non mi convince più di tanto, è ispirata a fatti realmente accaduti… per mia sfortuna!! XD
Al solito, critiche costruttive e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

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Capitolo 28
*** 28-Band ***


Alfred non si era mai interessato al genere Punk. La musica non era nelle sue corde e nemmeno lo stile, non si sarebbe mai vestito in quel modo.
Eppure, eccolo lì, a Trafalgar Square, durante una breve vacanza a Londra con suo fratello, che si era fermato davanti a un palco allestito dove stava suonando una band. Dal poco che aveva capito si trattava di un lancio pubblicitario per l’uscita di un album di una band emergente. Davanti al palco si era formato un gruppetto di gente che stava ascoltando. Alfred e suo fratello Matthew passavano di lì quando avevano cominciato al suonare.
E l’americano non riusciva a staccare gli occhi dal palco.
Okay, no, non riusciva a staccare gli occhi dal chitarrista.
Occhi verdissimi, capelli biondo cenere con alcune ciocche dipinte di blu elettrico, sopracciglia folte che sembravano due bruchi, un orecchio coperto di piercing lungo tutto il lobo, quello più alto collegato al più basso con una catenina, e l’altro orecchio aveva con dilatatore; il volto era affilato, con un piercing alle labbra e uno al sopracciglio, sul collo coperto da un corto foulard con la Union Jack.
Indossava una t-shirt nera si cui risaltava una scritta rosso fiamma che grondava come fosse sangue e che recitava “Fuck you all”, i jeans blu scuro erano stracciati in più punti, molto larghi e tenuti su da una cintura con le borchie a forma di teschio. La t shirt lasciava vedere le braccia fino a sopra al gomito: sul sinistro serpeggiava un tatuaggio di rami spinati che terminavano all’interno del polso con una rosa rossa, e sul desto invece sull’avanbraccio spiccava una rosa dei venti, i colori resi vividi dalla pelle bianchissima. Alfred seguì le linee dei tatuaggi, chiedendosi quali altri tatuaggi fossero nascosti nella parte superiore delle braccia.
Suonava come se lo avesse sempre fatto: le dita, adornate da anelli, scorrevano agili e veloci sulle corde come se avessero vita propria.
Sì, Alfred ne era incantato.
E non sapeva nemmeno perché, ma erano alla terza canzone ormai e a malapena aveva notato gli altri due membri della band (un biondino e un moretto che suonavano rispettivamente la batteria e la tastiera), ma vedere quell’individuo perso nel suonare e nel canto era ammaliante. La voce graffiante e profonda che sembrava volere urlare contro il mondo intero, le labbra che si avvicinavano al microfono e si allontanavano quando alzava il volume…
Alfred avrebbe potuto guardarlo all’infinito, senza stancarsi mai.
La canzone finì e il ragazzo ringraziò, insieme agli altri due ragazzi: presentarono il loro nuovo cd e dissero che sarebbe stato disponibile dal giorno dopo, ma alcune copie potevano essere già prese in anteprima. Senza pensarci, e senza staccare gli occhi dalla band, Alfred si avvicinò al banchetto dove un ragazzo biondo con i capelli sparati in mille direzioni e un sorriso che andava da un orecchio all’altro stava sventolando i CD urlando di comprarli.
Alfred prese una custodia in mano. Nera, con al centro tre creature disegnate di verde brilllante: un troll, una fatina con uno sguardo truce e un vampiro. La rigirò tra le mani. Il gruppo si chiamava Magical Punkers e il loro album conteneva 10 canzoni. Indicò il cd che aveva preso al ragazzo, facendo capire che voleva comprarlo.
“Ecco a te! Buon ascolto! Questa band spacca! E non lo dico perché il biondino sexy è il mio ragazzo, giudizio totalmente imparziale, giuro!”
Alfred per poco non fece cadere il CD appena comprato.
“Il biondino sexy..?” osò chiedere, cercando di apparire indifferente. Il ragazzo annuì, orgoglioso.
“Sì, Lukas suona la batteria!” spiegò, gonfiandosi di ammirazione.
Alfred tirò un sospiro di sollievo e sorrise, mentre Matthew, dietro di lui, faceva cenno che anche a lui interessava comprare un CD. Il ragazzo lo guardò come se si accorgesse in quel momento che c’era anche lui.
“Scusa, amico! Eccomi, bravissimo, avete fatto un buon acquisto tutti e due!”
Alfred sbattè le palpebre, confuso.
“Mattie, da quando ascolti il punk?”
Matthew sospirò, un po’ sconsolato e un po’ esasperato.
“È uno dei miei generi preferiti da anni, Alfred. Non che mi aspetti che tu lo sappia, tranquillo.”
“Hey, ragazzi, se volete potete farveli autografare!” suggerì il ragazzo coi capelli sparati, indicando la band che si stava avvicinando.
Il biondino più basso si avvicinò per primo, mettendosi di fianco al ragazzo dietro il banchetto e guardandolo con un espressione gelida, la stessa che aveva avuto anche mentre suonava.
“Stai spaventando i nostri potenziali futuri ascoltatori o riesci a vendere qualcosa, Mathias?” domandò, guardando la merce sul tavolino.
“Per tua informazione, ho appena venduto due CD!” rispose il ragazzo, indicandosi il petto con il pollice.
Alfred sentì il cuore accelerare quando anche il ragazzo che aveva attirato la sua attenzione si avvicinò e guardò il CD tra le sue mani.
“Complimenti per queste tre canzoni, ragazzi, sentirò le altre molto volentieri!” Matthew salutò con voce delicata, attirando l’attenzione su di lui.
Lukas fece un cenno di ringraziamento col capo, il ragazzo coi capelli a caschetto bruni sorrise, e il ragazzo biondo con sfumature blu tra i capelli si girò verso di loro. Alfred ingoiò a vuoto.
“Grazie. Speriamo vi piacciano anche le altre.” disse sorridendo.
Alfred passò lo sguardo da suo fratello al ragazzo.
“Posso chiedervi un autografo?” esclamò prima di pensare. Vide con la coda dell’occhio Mathias sorridere.
I tre ragazzi lo guardarono prima di controllare le loro tasche.
“Chi ha una penna?” chiese Lukas agli altri due, che fecero cenno di no con la testa.
“Oh, ce l’ho io!” Matthew tirò fuori dallo zaino un astuccio, lo aprì con cura e passò una penna.
Alfred alzò gli occhi al cielo. Ovvio che suo fratello avesse a portata di mano un’intera cartoleria.
“Nome?” chiese Lukas.
“Alfred.” rispose in automatico, porgendo il suo CD.
“Matthew.” fece eco suo fratello, porgendo anche il suo.
I tre ragazzi si appoggiarono sul banchetto per scrivere.
“Credo siano i vostri primi fans d’oltreoceano, ragazzi!” sbraitò Mathias, posando una mano sulla spalla di Lukas.
Matthew lo guardò, confuso. Il ragazzo ghignò.
“Il vostro accento vi tradisce, ragazzi. Ma non preoccupatevi, io stesso ho origini danesi, Lukas norvegesi, e Adrian bulgare. L’unico nato e cresciuto qui è Arthur.”
A quelle parole Alfred si voltò verso il chitarrista.
Così il suo nome era Arthur.
“Piacere di conoscervi” fece un saluto in generale, ma notò che Arthur alzò gli occhi e fece un cenno col capo.
“Avete in programma altri mini concerti promozionali nei prossimi giorni?” chiese.
Fu proprio l’inglese a rispondergli. “No, ma domani siamo a suonare in un pub. Se passate vi offriamo una birra.”
“Matthew! Andiamoci, domani sera non abbiamo impegni, giusto?”
Il fratello lo guardò un po’ confuso.
“No, non abbiamo impegni, ma sei sicuro…”
“Ma certo, non mi perderei un concerto punk per nulla al mondo!” gli occhi di Alfred erano sempre fissi su Arthur.
Matthew sorrise e scosse il capo. A lui andava bene, nel punk ci sguazzava e si rompeva i timpani, e se Alfred era disposto a passare una serata ad ascoltare un genere per cui non aveva mai dimostrato interesse, solo per far colpo su un ragazzo, chi era lui per impedirglielo?
“Allora a domani sera, ragazzi!”
Alfred salutò e guardò il suo CD. La firma di Arthur copriva la figura della fatina, quella di Lukas il troll e quella di Adrian il vampiro.
Matthew trafficò col suo cellulare e ghignò.
L’americano sentì l’iphone vibrare in tasca.
Aprì la notifica. Suo fratello aveva condiviso un video su whatsup.
“Mattie…” mormorò, incredulo, mentre guardava il video amatoriale fatto dal fratello dell’esibizione che aveva appena visto.
“Io l’ho fatto per la musica, non perché trafitto da cupido. Ma magari per te rimane un bel ricordo.”
Alfred lo circondò in un abbraccio spezza ossa.
“Sei il fratello migliore del mondo, sei fantastico, stupendo, meraviglioso..”
“Okay, grazie, ma adesso non riesco a respirare…”
Alfred rise, felice, e si staccò, continuando a camminare.
Matthew sorrise, ignaro del fatto che il fratello avrebbe rivisto quel video infinite volte, fino a tarda notte. E aveva dimenticato gli auricolari. Per fortuna che lui era così abituato al punk che poteva considerarlo anche una ninnananna.
 


Angolino di May
Phew. Chi è che si sta riducendo all’ultimo? Sempre io.
Sinceramente non so come sentirmi su questa storia, il Magic Trio come una punk band mi piace, lo ammetto, ma al solito muovere i personaggi per me è difficile.
Il nome di Romania, non avendo trovato il nome ufficiale, l’ho inventato io. Spero vada bene!
Al solito, critiche costruttive e pomodori marci sono ben accetti.

Mata ne!

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Capitolo 29
*** 29-Future ***


Arthur stava colorando il disegno stampato di una fatina sotto un fungo. Cercava di stare nelle righe, come diceva sempre la maestra. Il fungo in alto è rosso. Le ali della fatina dorate… avrebbe usato il pastello giallo. Leggero, però: tutti sanno che le fatine hanno le ali trasparenti.
La maestra disse di ritirare e di sedersi. Arthur guardò intorno a lui: i suoi compagni avevano tirato fuori parecchi giocattoli, quindi magari aveva ancora un po’ di tempo per colorare…
“Arthur, dai, ritira e aiuta i tuoi compagni a mettere a posto la classe.” disse la maestra posandogli una mano sulla spalla. Il bimbo sospirò, ma ritirò il disegno nella sua cartelletta e l’astuccio insieme agli altri. Cominciò a guardare intorno al suo tavolo e a raccogliere i giocattoli abbandonati per terra.
Quando tutti furono seduti la maestra distribuì dei fogli bianchi a ciascuno, spiegando che avrebbero dovuto disegnare come si immaginavano nel futuro: che lavoro avrebbero voluto fare, eccetera.
Arthur riprese l’astuccio riposto da poco e fissò il foglio bianco. Spostò lo sguardo sulla maestra. Lui sapeva quello che avrebbe voluto fare da grande. Ma non sapeva se poteva o no.
Prese il pastello nero e cominciò a disegnare.

Il disegno era finito. Scrisse il nome nell’angolo in alto, sbagliandolo, e si diresse verso la cattedra.
Davanti a lui c’era Alfred, un suo compagno che aveva iniziato quell’anno e che aveva solo tre anni. Arthur invece ne aveva cinque e l’anno successivo avrebbe cominciato la scuola elementare.
Sentì la maestra chiedere ad Alfred cosa avesse disegnato. Il bimbo si mise in punta dei piedi, alzando le braccia verso il cielo.
“Un astronauta! Così potrò andare sulla luna e viaggiare tra le stelle!”
La maestra annuì sorridendo e scrisse sul foglio quello che aveva detto Alfred. Il bambino andò a giocare lì vicino e fu il turno di Arthur. Appoggiò il disegno davanti alla maestra, e aspettò.
“E tu cosa hai disegnato?”
“Un mago. Voglio imparare a fare le magie e pozioni e aiutare le persone. E maledire chi mi fa arrabbiare.” aggiunse, sincero.
La maestra scrisse e poi lo guardò.
“È un bel sogno, Arthur, però la prossima volta rispetta la consegna e disegna un mestiere che davvero puoi fare nel futuro, non una delle tue fantasie.”
Arthur si allontanò dalla cattedra. Ci era rimasto male. Lui voleva davvero fare il mago da grande!
Si sentì tirare una manica del grembiule. Si girò, trovandosi di fronte ad Alfred.
“Sai mio padre mi ha raccontato che anche lui da piccolo aveva detto di voler andare sulla luna da grande, e la maestra lo aveva sgridato dicendo che era una cosa impossibile. Ma adesso non lo è più, no?” sorrise, porgendogli una cosa che aveva tenuto nascosta dietro la schiena. “Tieni.”
Arthur si ritrovò tra le mani un mantello blu scuro e un cappello a punta grigio. Di sicuro Alfred li aveva presi dal baule dei travestimenti che c’era in classe. Sorrise, rincuorato, e lo indossò. Il compagno annuì, convinto e lo prese per il polso, portandolo a giocare con lui.
 


Angolino di May
E anche stasera all’ultimooo! Ma ce la farò, devo crederci!
Spero di non essere andata troppo fuori tema. Il lavoro mi contagia, accidenti! Però carino scriverli e immaginarli da piccini!!
Al solito, critiche costruttive e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

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Capitolo 30
*** 30-Artist/Writer ***


Alfred aprì la porta di casa, trovando il corridoio immerso nel buio. Solo dallo studio di Arthur si intravedeva una luce attraverso gli infissi della porta.
L’uomo sospirò, cercando di non fare rumore. Non voleva disturbare il compagno. Posò il soprabito e si tolse le scarpe e il cappello prima di dirigersi verso la cucina.
Tutto come aveva lasciato la mattina prima di uscire. Si chiese se Arthur avesse mangiato qualcosa. Preparò velocemente un sandwich, mise su il té, poggiò tutto su un vassoio e lo portò nello studio di Arthur. Aprì la porta piano, rischiando di inciampare nella pianta messa vicino alla porta.
Il compagno era seduto alla scrivania, la mano destra che impugnava la penna e la sinistra che reggeva il capo. Alfred gli posò il vassoio vicino e fece per salutarlo quando osservò meglio la posizione di Arthur.
Gli occhi chiusi, le labbra leggermente aperte, il capo appoggiato completamente alla mano.
Si era addormentato.
Alfred scosse la testa, e posò una mano tra i capelli biondi dell’uomo, accarezzandoli.
“Arthur?” sussurrò, accucciandosi accanto a lui.
Le sopracciglia folte di Arthur si aggrottarono e la palpebre sbatterono. Gli occhi misero a fuoco i fogli davanti a lui, e girandosi vide il fidanzato. Sbadigliò, appoggiandosi di più al tocco di Alfred tra i capelli.
“Hai mangiato qualcosa?” l’uomo indicò il vassoio, avvicinandolo.
Arthur scosse la testa, e imbronciò il labbro.
“Non trattarmi come un bambino, so prendermi cura di me stesso. Non avevo fame.”
Alfred alzò gli occhi al cielo, ma non smise di accarezzare i capelli di Arthur.
“Ora ne hai?” domandò.
Arthur annusò l’aria e gli occhi individuarono il tè.
“No. Ma il té lo bevo. Grazie, Alfred.” si tirò su, la schiena più dritta e prese la tazza tra le mani, quasi come a volersi scaldare.
Alfred prese una sedia e si sedette di fianco, sorridendogli.
“Come va con la scrittura?” sapeva che era un argomento spinoso, ma era pronto ad affrontare il malumore del compagno.
Arthur si imbronciò.
“Un po’ meglio, ma ancora vado a rilento. Ho queste scadenze che non mi danno tregua…” mormorò mentre sorseggiava il té.
Alfred gli pose una mano sul ginocchio.
“Hey, capita anche ai migliori scrittori. Non crucciarti troppo e scrivi come solo tu sai fare. Hai un dono, e anche se adesso lo senti lontano da te non vuol dire che ti abbia abbandonato.”
Arthur ringraziò mentalmente per quelle parole, e rivolse ad Alfred un sorriso pieno di gratitudine.
“Sento le aspettative del primo libro e temo di deludere i lettori se non sono all’altezza.” confessò, pronunciando per la prima volta le paure che lo tormentavano.
Alfred annuì, comprensivo. “Il mondo che hai creato per questa saga è magico, Arthur. So che ne sarai il perfetto narratore.” ed era vero. Aveva letto il primo libro in anteprima e lo aveva adorato, lui che di solito preferiva altri generi. Non si era stupito quando era diventato un best seller a livello internazionale. Non quanto Arthur, che ancora non si capacitava del successo, e la tensione lo aveva portato a un blocco dello scrittore. Ma Alfred era sicuro che bastava solo un po’ di supporto e di ritrovare la fiducia in sé stesso. E il supporto non sarebbe mai mancato, questo era certo.
Arthur si alzò, posando la tazza sul vassoio.
“Vado a cucinare qualcosa per te, ho bisogno di distrarmi un attimo e di sgranchirmi le gambe.”
Alfred fu subito in piedi.
“No, no, no, lascia stare, mi cucino io qualcosa, non preoccuparti…”
Gli occhi di Arthur lo fissarono, perforandolo come schegge si smeraldo.
“Alfred F. Jones. Mi stai dicendo che non ti fidi della mia cucina?”
Alfred ingoiò a vuoto, e ci mise quel secondo di troppo a rispondere. Inseguì Arthur in cucina, dove l’inglese posò malamente il vassoio sul tavolo, prese la tazza e allungò il sandwich.
“Molto bene. Allora mangiati sto panino ipercalorico, io lavo la tazza e me ne vado a letto. Magari sogno qualche idea per il libro e per torturare il personaggio basato su di te!” esclamò, alzando il naso all’insù in una piccola smorfia degna del più aristocratico Lord inglese.
Alfred sorrise. Arthur non sapeva cucinare. E lo sapeva. Amavano scherzare su questa sua mancanza. Si avvicinò al lavello e abbracciò il compagno da dietro. Questi si dimenò per un secondo, prima di cedere e abbandonarsi all’abbraccio. Lasciò che la schiena aderisse al petto dell’altro, il capo si abbandonò sulla spalla, girato verso il collo.
“Tanto lo so che non mi uccideresti mai nel suo libro.” tentò Alfred, posandogli un bacio sulla fronte.
Arthur ghignò.
“Oh, non credere. Noi scrittori siamo perfidi con i personaggi che più amiamo…”

 


Angolino di May
E sempre più all’ultimo… ma dettagli.
Ho voluto immaginare Arthur scrittore con alle prese il male per eccellenza: IL BLOCCO. E ci ho infilato un po’ di tenerezze perché non guasta mai, giusto? Spero solo non faccia troppo schifo.
Al solito, critiche costruttive e pomodori marci sono ben accetti.
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Capitolo 31
*** 31-Zombie ***


Arthur non riesce a dormire. Si accuccia di più tra la braccia di Alfred, cerca di farsi cullare dal respiro regolare e caldo sui suoi capelli. La iride verde si sposta, per quanto la posizione lo permette, sulla finestra della stanza. Hanno passato i primi giorni a inchiodare tutte le porte e uscite con delle pesanti travi di legno per proteggersi da quei mostri. Un’ulteriore protezione necessaria ormai. Dalle fessure del legno un flebile raggio di luna si fa strada attraverso la parete, rivelando pulviscolo che pare argentato.
Arthur si sente soffocare. Deve rinfrescarsi. Con movimenti lenti, per non svegliare il compagno, si libera dall’intreccio dei loro corpi, lasciando il tepore e affrontando l’aria gelida della notte. Sta per uscire dalla stanza, quando una voce lo ferma.
“Arthur..?”
“Al, va tutto b…” il ragazzo non fa in tempo a finire la frase e rassicurare l’americano che Alfred è già scattato seduto, il fucile che tiene sempre di fianco alla sua parte del materasso già pronto nelle mani puntato verso Arthur.
“Alfred!” esclama l’inglese, scocciato. “Sto solo andando a prendere un bicchiere d’acqua! Non sono uno zombie che ha oltrepassato la recinzione!” si pente un po’ della veemenza della voce quando incrocia gli occhi del partner e li trova spalancati, impauriti e pieni di una furia che ormai domina su tutti loro.
Arthur sospira e torna a sedersi accanto ad Alfred. Senza staccare gli occhi dai suoi, gli toglie dalle mani il fucile e lo appoggia sul pavimento.
“Vuoi parlarne?” chiede, perché ha capito che il compagno ha vissuto malissimo l’incidente capitato quel giorno. Alfred è sempre in prima linea quando c’è da affrontare gli zombie, ha preso con serietà il titolo di leader del gruppo dei sopravvissuti e non si è mai tirato indietro nel combattere e nell’uccidere i nemici. Ma quello che è successo nel tardo pomeriggio, beh… non era un nemico. Era… Il cuore di Arthur si stringe, provocandogli una fitta al petto. Dopotutto, anche lui non riusciva a chiudere occhio proprio a causa di quella scena, che continuava inesorabilmente a ripetersi davanti agli occhi.
Le iridi ormai grige piene di dolore e furia, ogni traccia di umanità ormai sparita dal volto, le lacrime sulle guance che ormai tendevano verso il colore blu, le labbra che cercavano di azzannare, la pelle ormai che stava marcendo rivelando i primi segni di decomposizione… E infine lo sparo. Il corpo che cade a terra. Eduard che abbassa la pistola ancora fumante e prende quel corpicino ormai senza vita, allontanandosi dagli altri.
“Non siamo stati in grado di salvarlo.” mormora Alfred, riportando la mente di Arthur al presente.
“Era uno di noi. Uno del gruppo. Il gruppo che è sotto la mia responsabilità. E non sono stato in grado di fare niente per salvarlo, né di dire a Eduard qualcosa dopo che è stato costretto a…”
Arthur gli posa una mano sui capelli e l’altra sulla spalla, posando la testa del compagno sul petto.
“Non darti colpe che non hai. Nel caso non te ne fossi ancora ancora accorto, Capitan America, tutta questa situazione è più grande di noi.”
Arthur ingoia un groppo. Si sente anche lui minuscolo, ogni giorno di più, la lotta per la sopravvivenza sempre più feroce e mantenere la loro umanità sembra sempre più difficile. Ma capisce che ora è Alfred ad aver bisogno di conforto, esattamente come lui stesso ogni giorno conforta tutti i sopravvissuti. Sempre stoico, sempre nel ruolo del leader senza paura. Solo al buio della notte riesce a rivelare le sue fragilità. E Arthur sarà sempre al suo fianco per aiutarlo, finché gli sarà concesso.
“Non potrai sempre salvare tutti, e non sarà l’ultima vita che perderemo in questo modo.” Dio, quel pensiero lo gela nel profondo, ma stringe più forte Alfred e continua. “Ma tutti hanno fiducia in te. E nessuno ti incolperà delle perdite. Abbiamo fatto una promessa: rimanere uniti. E ti posso assicurare che tutti intendiamo mantenerla.”
Alfred si rilassa un po’ tra le braccia di Arthur, trovando una posizione più comoda. Rimangono così, i corpi intrecciati che cercando calore e conforto, cercando di ignorare i lamenti delle creature che da fuori sono un ronzio continuo, e cercano di non pensare a quello che porterà il domani, anche se solo per un fugace momento.
 


Angolino di May.
Okay, non so se si capisce bene la situazione… spero di sì e spero non vi abbia schifato troppo.
Piccolo spoiler: questo potrebbe essere un missing moment della storia che in realtà avevo in mente per questo prompt. Solo che mentre la scrivevo ho capito che sarebbe venuta troppo lunga, quindi l’ho messa da parte per magari una futura ff. Non garantisco niente, ma chissà.
E… è finito anche questo Writober. Ringrazio chiunque abbia voluto seguirmi in questa avventura, spero di avervi intrattenuto.
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

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