Principe Metropolitano

di Verfall
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un invito particolare ***
Capitolo 2: *** La fata madrina ***
Capitolo 3: *** The Great Pretender ***
Capitolo 4: *** Il lungo addio ***
Capitolo 5: *** Quel che resta della sera ***



Capitolo 1
*** Un invito particolare ***


Ben ritrovate/i!
Dopo lunghi mesi di latitanza, torno qui con questo piccolo pasticcio (che finalmente sono riuscita a concludere in pochi capitoli)! Tutta colpa della rilettura del manga, che mi ha portato a scrivere questo missing moment (anche se è fondamentalmente un alternative PoV). Sull’episodio di Cenerentola c’è ben poco da dire: c’è chi lo ama, chi avrebbe voluto un altro finale, chi lo trova fin troppo sopravvalutato, e ha dato materiale per molte fanfiction. Io ammetto di aver provato uno certo straniamento la prima volta che l’ho letto, al limite della perplessità. Non voglio dire che non mi sia piaciuto, anzi ha quella vena di malinconia/struggimento che ho molto apprezzato, ma quello che mi continuavo a chiedere era: perché? Qual era l’obiettivo di Hojo nello scrivere quel capitolo? Ognuno è libero di dare la propria interpretazione – la lettura è bella proprio per questo –, ciò che è innegabile, però, è che i disegni parlino molto di più delle vignette in questo episodio (e non solo in questo, ovviamente). Perciò, partendo proprio da quelle meravigliose tavole, ho ricavato la base per questa storia. Cenerentola metropolitana è tutto narrato dal punto di vista di Kaori, perciò mi sono divertita a “entrare nella testa di Ryo” e a riscriverlo dal suo punto di vista. Spero che l’idea di fargli compagnia per quasi 48 ore non vi dispiaccia! Specifico che non ho modificato l’episodio – mi piace così com’è– e che le citazioni dirette dal manga sono della Complete Edition (confesso, però, che in diversi punti preferisco la ormai vetusta versione Star Comics).
Buona lettura!


I – Un invito particolare
 
Era riemerso dal suo sonno senza sogni da tempo, ma con lentezza stava prendendo contatto con la realtà che lo circondava. Avvertiva il lenzuolo che, come un pitone, gli si era avvolto intorno alle gambe e la maglietta stropicciata che gli stringeva il collo, eppure non voleva aprire gli occhi; voleva, invece, continuare a indugiare ancora per un po’ e sprofondò la testa nell’ampio cuscino. Purtroppo, però, c’era chi non era d’accordo con il suo programma.
 
«Ryoooo! Alzati, ormai è tardi!»
 
Per l’ennesima volta, una voce squillante proveniente dal piano sottostante giunse ben nitida alle sue orecchie «Non farmelo ripetere ancora, altrimenti ti porto giù di peso!»
 
“Ma come fa a urlare in questo modo, ha un megafono in gola?!” si disse mentre biascicava un rassegnato «Arrivo!»
 
Accettato il suo triste destino, si tirò su con sofferenza e, dopo essersi stiracchiato per bene, si diresse verso la cucina, avendo cura di sbadigliare sguaiatamente mentre scendeva le scale. Da buon animale notturno, la mattina aveva bisogno di tempo per carburare anche se, in realtà, era già perfettamente lucido e presente a se stesso; anni prima non aveva potuto permettersi nemmeno il lusso di dormire – figurarsi fare storie per alzarsi –, ma si era affezionato a quel piccolo rituale che aveva instaurato da un po’ di tempo. Certo, c’erano mattine in cui era davvero distrutto e a fatica ricordava il suo nome, ma erano poche eccezioni di una regola che lo voleva recitare la parte del pigrone bisognoso di una svegliata energica per mettersi all’opera. Se non fosse stato lo sweeper infallibile che era, probabilmente sarebbe stato un ottimo attore, almeno per un certo tipo di pubblico come la sua socia, che riusciva a credere sempre a qualsiasi cosa dicesse o facesse, non arrivando ad afferrare sempre lo scherzo – e anzi, mostrando a volte livelli di ottusità incredibili.
Senza rendersene conto aveva già raggiunto la porta della cucina e, dopo aver incassato la testa nelle spalle, entrò pronto per iniziare la sua commedia quotidiana.
 
«Finalmente sei arrivato Ryo! Ti ho appena versato il caffè nella tazza» gli disse la ragazza senza guardarlo, continuando ad aggiungere pietanze sulla tavola già imbandita.
 
Ryo si limitò a borbottare parole incomprensibili mentre si sedeva sulla panca. Dentro di lui, però, sorrideva felice. Il vederla così indaffarata, così piena di tante piccole attenzioni nei suoi confronti, lo rallegrava di quella gioia un po’ infantile nel sapere che qualcuno si preoccupa e si occupa di noi. Sorseggiando il suo caffè si prese qualche istante per osservarla, approfittando del fatto che gli dava ancora le spalle, poiché troppo concentrata nello spinare il trancio di salmone che aveva appena sfornato. Era sempre la solita Kaori, eppure in un certo senso non lo era più. Avvertì una lieve morsa allo stomaco a quel pensiero; ormai difficilmente riusciva a non sovrapporre a quella slanciata figura di spalle la ragazza in costume da bagno che aveva visto a tradimento pochi mesi prima. Non era stata certo la prima volta che l’aveva vista così, ma per la prima volta si era sentito spiazzato; era come se l’averla vista sfilare avesse spazzato via un velo che sembrava aver ricoperto i suoi occhi fino a quel momento. Quella maledetta notte lui, immobile e in mutande nel salotto di casa, si era reso conto che la ragazzina maschiaccio era definitivamente archiviata: Kaori era sbocciata in un modo così timido e graduale che lo aveva sorpreso, lasciandolo turbato. Era finalmente una donna, una bellissima donna, ma non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura.
 
«Stai bene Ryo? Non mangi niente?» domandò Kaori, strappandolo da quelle riflessioni che la vedevano protagonista.
 
Si era seduta a tavola servendosi una tazza di caffè, e nel suo sguardo l’uomo poté scorgere un accenno di preoccupazione e affetto; quella ragazza era un vero libro aperto di emozioni e per lui, abituato alle falsificazioni della vita, era rinfrancante avere a casa qualcuno così cristallino, privo di doppiezze.
 
«Sì, sto bene Kaori» disse per tranquillizzarla ma poi, indicando la sua colazione, cambiò subito registro «Sai che ho lo stomaco delicato e già l’odore non promette bene… Alla vista sembra più una ciotola di cemento che zuppa di mis-» non riuscì a proseguire perché l’ira della sua partner si abbatté su di lui, spiaccicandolo per bene sul pavimento.
 
«Attento, potrei prendere alla lettera ciò che dici e cucinare direttamente con una betoniera» gli ringhiò mentre usciva dalla cucina a passo di marcia.
 
Ripresosi dal micidiale attacco, Ryo appoggiò il mento sul palmo ben aperto, il gomito piantato sul tavolo, e lasciò andare un breve sospiro. Era ancora così facile farle perdere le staffe, in tutti quegli anni non aveva per nulla migliorato il suo autocontrollo; sempre così impulsiva, così prevedibile, così onesta con lui… Prese le bacchette e iniziò a consumare la sua colazione alias pranzo e un lieve sorriso gli increspò le labbra. Non c’era che dire, Kaori era davvero migliorata. Ormai era una cuoca provetta ma si sarebbe tenuto per lui quelle osservazioni. In fin dei conti, lui ripuliva ogni volta qualsiasi piatto con meticolosità, già quello valeva come apprezzamento implicito.
Intanto che si lanciava sulle generose porzioni di pesce e riso, i pensieri ripresero il flusso interrotto dalla sua socia. La rivide ancora una volta sulla passerella, radiosa, con un provocante costume a due pezzi che esaltava perfettamente il suo fisico. Lui, al suo fianco, le aveva tenuto la mano con leggera sicurezza e, vedendola presa dai flash delle macchine fotografiche e dalla folla entusiasta, si era concesso il lusso di guardarla più intensamente. Non si era mai sentito così fiero nel camminare accanto a una donna, anche se nel loro caso si era trattato di una semplice sfilata; un attimo di finzione, dove loro non erano stati che modelli. Per fortuna poco dopo era iniziato il vero lavoro, e ciò lo aveva aiutato a prendere le distanze da quei pensieri pericolosi. E se era riuscito a ritrovare presto la sua compostezza, senza rendersene conto aveva iniziato ad avvertire un serpeggiante senso di angoscia. Sapeva che sarebbe arrivato il giorno in cui quella strana convivenza sarebbe finita per sempre, ma mai quella prospettiva gli aveva causato dolore fisico come in quelle settimane. Se non si fosse reso conto di quanto fosse bella, forse…
 
«Ryo» Kaori rientrò in cucina mentre armeggiava con la borsetta «Io sto uscendo. Faccio il solito giro, passo in stazione e poi ho un appuntamento… Ma dov’è finita l’agendina?» mormorò muovendo la mano frenetica all’interno.
 
Lo sweeper drizzò le antenne «Che appuntamento?» chiese casuale, facendo finta di non vederla.
 
«Eppure l’avevo messa… Ah eccola qui!» esclamò soddisfatta alzandola in aria a mo’ di trofeo «Niente, mi vedo con un’amica» gli rispose vaga.
 
Lui non replicò, limitandosi a registrare mentalmente che la sua socia avesse indossato una camicetta con l’immancabile bottone-trasmittente: lo tranquillizzava e, intuiva, aiutava anche lei a sentirsi più sicura.
 
«Non so quando torno, ma questo non è un buon motivo per poltrire tutto il giorno, mi raccomando» lo ammonì con un’espressione severa «A dopo e fai il bravo!» e così dicendo uscì dalla stanza.
 
Pochi secondi dopo la porta dell’appartamento si chiuse, lasciandolo solo nel completo silenzio.
“Un’amica eh? Mi chiedo proprio chi possa essere” si disse e lentamente si alzò, iniziando a sparecchiare.
Sistemò i piatti nel lavello, limitandosi semplicemente a sciacquarli – lavarli per bene era assolutamente fuori discussione – e decise mentalmente il piano della giornata. Come sempre avrebbe fatto in modo di mantenersi occupato, altrimenti il suo stupido cervello avrebbe iniziato a perdersi in altrettante stupide riflessioni che non facevano altro che esasperarlo.
Veloce si diresse verso il piano superiore e iniziò una serrata sessione di allenamento; non si risparmiò, non lo faceva mai del resto, e solo quando avvertì tutti i muscoli piacevolmente doloranti decise di terminare. Scese in bagno per farsi una doccia veloce intanto che decideva il da farsi; alla fine stabilì che dopo aver fatto un salto al poligono sarebbe uscito. Il solito giro, sicuramente una fermata al Cat’s Eye era d’obbligo, se non altro per togliersi lo sfizio di bisticciare con quel bestione di pseudo barista; ultimamente, però, gli era sembrato stranamente teso, meno incline agli scherzi – almeno, meno del solito. Sicuramente aveva anche lui le sue grane per la testa e chi non le aveva! E la sua era una spada di Damocle che si faceva ogni giorno più difficile da sopportare…
 
«Alt, basta!» si trovò a urlare a gran voce.
 
Era inutile, l’esercizio aveva avuto il potere di bloccare il continuo lavorìo della mente, ma ora che si trovava sotto il getto dell’acqua tiepida, ecco che i pensieri avevano iniziato a galoppare. Sempre nella stessa direzione. Che cosa doveva fare con Kaori? Un piccola parte di lui desiderava averla ancora a lungo come partner. Stava migliorando e doveva riconoscere che erano ben affiatati, ma nell’ultimo caso importante si era fatta sorprendere in modo fin troppo ingenuo da quei due babbioni che l’avevano messa k.o. con del cloroformio. Per fortuna era andata bene, ma era il caso che continuasse quella vita, con lui?
Con un sospiro esasperato chiuse l’acqua. Aveva appena iniziato ad asciugarsi, quando avvertì distintamente lo squillo del telefono provenire dal salotto. Non poté fare a meno di incupirsi: che l’avesse rapita qualcuno? Con passo svelto percorse il corridoio e, in un solo balzo, raggiunse il salotto e alzò la cornetta.
 
«Pronto?»
 
[Buon pomeriggio Saeba, sono io, Eriko Kitahara!]
 
Alla voce squillante della ragazza sentì i muscoli distendersi sensibilmente e mentalmente tirò un sospiro di sollievo. Nessun guaio in vista.
 
«Ah ciao Eriko! Che bello sentirti, come stai?» domandò con la sua insuperabile voce giocosa.
 
[Tutto bene, grazie. Ti chiamo per chiederti una cosa …] fece lei, d’un tratto più esitante.
 
«Che succede, ancora problemi? A chi hai rubato questa volta il disegno, a una centrale nucleare?»
 
[Ah insomma, non ti ho chiamato per prendermi in giro!] esclamò palesemente piccata [Volevo invitarti a un appuntamento, ma visto che vuoi fare l’antipatico…]
 
«Non dirlo neanche per scherzo! Certo, sono felicissimo di uscire con te» e dopo essersi schiarito la voce, continuò con un tono più impostato «Sono al tuo servizio. Dove ci vediamo?»
 
[Qui nel mio ufficio. Ti aspetto per le sei e mezza, puntuale. A dopo!] e così dicendo chiuse la telefonata.
 
Ryo fu leggermente perplesso per quella strana richiesta. Certo, era lusingato che una bella ragazza come Eriko avesse voluto invitarlo a un appuntamento; d’altronde non gli era sfuggito come la giovane avesse cambiato comportamento nei suoi confronti verso la fine del caso, e sicuramente nutriva un certo interesse nei suoi confronti. Ciò faceva molto bene alla sua vanità, che era proporzionata alla sua stazza, ma il suo sesto senso gli suggeriva che c’era una nota stonata in quell’invito, sebbene non sapesse definirla con certezza. Ad ogni modo l’assenza di Kaori era stata propizia, gli aveva evitato imbarazzanti giustificazioni – e dolorose martellate. In fondo per lui quell’uscita non era che un ottimo modo per svagarsi, un diversivo che accettava volentieri, perciò soddisfatto trotterellò verso la sua camera.
 
§
 
Parcheggiò la Mini sulla Meiji-Dori, poco distante dall’elegante palazzo su cui capeggiava a caratteri cubitali l’insegna ERI KITAHARA TOTAL FASHION, e con un guizzo scese dall’auto. Era in leggero anticipo, perciò si concesse il lusso di camminare lentamente, adocchiando con bramosia le diverse bellezze che, passeggiando lungo il viale, si dirigevano verso l’alberata Omotesandō, da lui rinominata la via degli abbordaggi. Se non avesse avuto un appuntamento del genere, non si sarebbe sottratto al suo solito rituale di terrore – ovvero importunare ignare passanti con il suo fare da maniaco –, ma ci teneva a presentarsi senza segni di schiaffi o borsate in faccia.
Alla reception venne accolto da una graziosa segretaria, fasciata in un tailleur nero elegante; Ryo sfoderò il suo sorriso migliore, riuscendo ad ottenere la sua completa e ammirata attenzione.
 
«Salve, ho un appuntamento con la signorina Kitahara» disse con voce suadente.
 
La segretaria strinse le labbra leggermente imbarazzata «Lei deve essere il signor Saeba»
 
«Precisamente»
 
«Bene, allora avverto subito il mio collega di accompagnarla…»
 
«Ah guardi non è necessario, sono già venuto qui e so dov’è l’ufficio» la interruppe, pregustando già qualche incursione qua e là.
 
«Mi spiace ma la signorina Kitahara è stata molto chiara» controbatté con coraggio la giovane «Ha detto che lei è un cliente di riguardo, e così sarà trattato» emise categorica.
 
Ryo fu perplesso per la seconda volta in quel giorno; che Eriko avesse intuito il suo piano di disturbo nei confronti delle impiegate? Sapeva di essere ben prevedibile per quanto riguardava quell’aspetto della sua persona, ma da lì ad accompagnarlo! E per di più lui era in visita, non certo un cliente! Non ebbe modo di proseguire oltre con i suoi ragionamenti perché in quel momento sopraggiunse un ragazzo che, con un mezzo inchino, lo pregò di seguirlo.
“Perfetto, e io che pensavo di rifarmi gli occhi almeno durante il tragitto! Ah, quell’antipatica di una stilista mi ha rifilato uno dei pochi uomini qui in giro, è proprio senza pietà” pensò sconsolato e, mogio mogio, lo seguì.
Ebbe, però, l’impressione che ci fosse un certo fermento al terzo piano, quello che ricordava essere il magazzino con il campionario, e non gli sfuggì l’atteggiamento impaziente della sua guida che in tutta fretta lo allontanò da lì. Forse c’erano delle modelle – a dispetto di quanto gli avesse detto Eriko la prima volta che c’era stato – e non voleva che lo scoprisse? Il pensiero lo stuzzicò non poco, per cui si ripromise di indagare meglio dopo: se c’erano delle belle ragazze nelle vicinanze, lui avrebbe sempre trovato il modo di raggiungerle.
Giunti al piano successivo, il giovane lo precedette nel lungo corridoio prima di aprire una porta a destra.
 
«Ecco, si accomodi prego. La maestra Kitahara sarà subito da lei» e, dopo l’ennesimo inchino di circostanza, richiuse accuratamente la porta alle sue spalle.
 
Ryo si ritrovò solo all’interno del grande ufficio e in un attimo lo misurò con lo sguardo, più per deformazione professionale che per necessità. Sembrava che tutto fosse in ordine e con ampie falcate iniziò a percorrere la stanza lentamente, come un animale in gabbia. Non pensava sarebbe mai ritornato in quel posto, dove lui aveva firmato un contratto come modello – e al solo pensiero non riusciva a reprimere una ghigno soddisfatto. Si era rifatto gli occhi in quei giorni, una scorpacciata di corpi leggeri, sinuosi… Un paradiso per lui, ma anche un iniziale inferno per il suo amico, che all’inizio non ne aveva voluto sapere di fare il bravo con tutto quel bendidio a disposizione. Si era lasciato andare anche con lei. Ah, quanto ci era andato vicino a farsi scoprire quella notte…
L’eco di alcuni tacchi che si avvicinavano gli rivelò che la sua ospite sarebbe entrata entro qualche secondo, così si sistemò sul bracciolo del divanetto, accavallando le gambe per stare più comodo.
In quell’istante entrò la stilista, bella come sempre in un professionale completo a pantalone e con una voluminosa scatola rettangolare sottobraccio.
 
«Ehilà Eriko!» la salutò Ryo alzando la mano, sorridendole amichevolmente.
 
«Saeba, grazie per essere venuto» rispose lei mentre richiudeva la porta alle sue spalle.
 
Allo sweeper non sfuggì una certa tensione nella sua voce, e volle appurare se la sensazione che aveva avuto dopo la telefonata avesse un fondamento.
 
«Figurati! Non avrei mai rinunciato a un tuo invito!» le disse alzandosi e camminando verso di lei «E poi sono onorato del fatto che tu voglia un appuntamento come me» aggiunse con tono da consumato dongiovanni, passandosi una mano tra i capelli.
 
“Ora vediamo se sei sincera Eriko” si disse e, una volta raggiunta, le cinse le spalle con un braccio. La ragazza arrossì leggermente imbarazzata.
 
«Quindi, come ringraziamento…» proseguì Ryo sullo stesso tono, notando l’espressione confusa della stilista «…Facciamoci subito una bella bottarella!» concluse slanciandosi verso di lei, le labbra già predisposte per il bacio.
 
In un attimo la sentì irrigidirsi «A… Aspett…!» farfugliò lei agitandosi «Sei troppo avventato!» esclamò colpendolo in pieno viso con la grande scatola.
 
Il colpo si fece sentire, non doveva essere leggero quel contenuto che impattò in pieno naso, facendogli salire le lacrime agli occhi. La sua conferma l’aveva avuta: lei gli si era negata sebbene l’ultima volta che erano stati soli si era totalmente abbandonata a lui e a un bacio che solo un martello di ciclopiche dimensioni aveva impedito.
 
«Guah! Insomma che modi!» esclamò lamentoso tenendo la scatola tra le mani che nel frattempo si era aperta «Cos’è ‘sta roba?» domandò confuso, adocchiando una carta velina azzurrina.
 
«È il tuo vestito. Indossalo per favore» rispose lei pratica.
 
«Un vestito? Sarà mica quello che hai disegnato tu, vero?»
 
Subito gli riaffiorò alla mente il ricordo di quell’allucinante impermeabile che lei aveva avuto il cattivo gusto di regalargli. Non si sforzò di nascondere le emozioni che, trasparendo dal suo sguardo, arrivarono alla diretta interessata con infallibile precisione.
 
«No-Non è quel vestito!» gli urlò Eriko stringendo i pugni al massimo dell’imbarazzo, testimoniato dal diffuso rossore sulle guance «È un normalissimo vestito da uomo! Le misure dovrebbero essere giuste!» e dopo aver incrociato le braccia, aggiunse borbottando sostenuta «E poi potresti evitare di fare quella faccia! Lo so benissimo che quell’altro vestito è stato un fallimento! Capitano a tutti dei momenti di confusione!»
 
«E perché dovrei metterlo?»
 
«Te l’ho detto no? Io non esco con uomini che si vestono male!» commentò ancora sostenuta.
 
Ryo scostò l’involucro e scoprì quello che sembrava un completo elegante bianco ghiaccio, di ottima fattura. No, non gli piaceva la piega che stava prendendo quella situazione.
 
«Ma io non sono fatto per questi vestiti così formali!» ribatté ormai certo di non avere scampo.
 
«Bene, e allora diciamo che non ti ho mai invitato a uscire insieme a me!» ribatté Eriko implacabile, stringendosi ulteriormente con le braccia.
 
Ryo capì di essere sconfitto e, con un certo disagio, alla fine capitolò «E-e va bene! Lo metto, lo metto!» esclamò esasperato.
 
«Bene, allora cambiati e vieni stasera alle otto al locale chiamato Sunrise Hill! Ti aspetto!» e in tutta velocità si fiondò verso la porta.
 
«Eh? Ma che senso ha che ci troviamo dopo? Non potremmo cominciare subito?»
 
«È più nello spirito dell’appuntamento galante trovarsi da qualche parte, no?» disse candidamente chiudendo la porta alle sue spalle.
 
Ryo si ritrovò nuovamente solo e più confuso di prima.
“Ma che significa tutto questo…?” si chiese fissando la giacca accuratamente piegata. Certo, aveva già avuto un assaggio di quanto Eriko fosse astrusa, con priorità e comportamenti anomali rispetto alle persone normali, ma ciò che era successo superava di gran lunga ogni sua stramberia. Non era stata sincera, lo aveva avvertito fin da subito – non a caso era un professionista infallibile –, solo che non aveva ancora capito cosa gli stesse nascondendo quel terremoto di stilista. Sbuffò sconsolato; non gli restava che scoprirlo di persona.
“Che situazione… Eh va be’, mettiamoci questa robaccia” si disse senza molta convinzione e, mentre iniziava a sfilarsi l’impermeabile, sentì bussare alla porta.
 
«Signor Saeba» fece il ragazzo di prima, entrando con un bustone in mano «Le ho portato il soprabito e le scarpe»
 
«Che?!» lo guardò Ryo stravolto «Ma ho già l’impermeabile e le mie scarpe, non c’è bisogno di altro!»
 
Il ragazzo gettò un’occhiata agli indumenti da lui citati e sospirò con fare ovvio «No signore, non vanno affatto bene, rovinerebbero l’estetica generale dell’abito. Sa, la maestra Kitahara ci ha messo molto impegno nell’ideare il completo che ha tra le mani» commentò con deferenza mentre tirava fuori dal bustone un elegante soprabito in panno nero.
 
«Davvero?» domandò lo sweeper distrattamente mentre si toglieva la maglia.
 
«Certo, pensi che mi ha lasciato addirittura tagliare i cartamodelli! È stata una bella responsabilità, la maestra è una vera perfezionista»
 
«La ammira molto a quanto sembra»
 
«Assolutamente! Basti vedere come in pochissimo tempo abbia concepito una coppia di abiti così meravigliosi… Spero davvero che li inserisca nella prossima collezione»
 
Ryo si bloccò per un istante mentre si sfilava i jeans «Quindi questo non è l’unico vestito che la signorina Kitahara ha disegnato in tutta fretta?»
 
Il giovane sbiancò improvvisamente «Ah, parlo sempre troppo a sproposito… Mi scusi» e uscendo in tutta fretta aggiunse «Può mettere le sue cose nella busta. Non la disturbo oltre» concluse, chiudendo la porta precipitosamente.
 "Questa scena mi sembra di averla già vista poco fa” si disse Ryo proseguendo con la sua opera di vestizione.
Tutta quella situazione gli sembrava fin troppo strana; l’invito imprevisto, quella inutile manfrina del cambio d’abito con tanto di punto d’incontro… No, quella donna aveva certamente qualcos’altro in mente, non un semplice appuntamento. In pochi minuti fu pronto e si specchiò nell’ampia vetrata dell’ufficio, compiacendosi per il riflesso mostrato ai suoi occhi. Indubbiamente l’abito era fatto da una mano esperta e gli calzava a pennello; non sembrava neanche più lui, ma un prestante appartenente alla buona società nipponica. Eriko aveva pensato proprio a tutto, anche a dargli una giacca che aiutava a minimizzare l’ingombro della fondina con la sua Python. Se voleva farsi perdonare quel suo scivolone doveva ammettere che ci era riuscita.
 “Bene, ora andiamo a dare un’occhiata al piano inferiore, sono proprio curioso di scoprire quali bellezze siano nascoste lì” si disse sfregandosi le mani.
Appallottolò i suoi vestiti nell’ampio bustone e in uno slancio aprì la porta, ma quale fu il suo stupore nel ritrovare il ragazzo occhialuto nel corridoio! Appena lo vide, il giovane scatto come una molla.
 
«Signor Saeba l’abito le sta davvero a pennello! Le piace?»
 
«Beh» farfugliò Ryo preso in contropiede «Sì, è un bel completo ma non è il mio genere…»
 
«Ah, la maestra si è davvero superata e pensare che ha preso le misure solo ad occhio!»
 
Lo sweeper osservò bonariamente quell’uomo esaltato che non faceva altro che decantare le innumerevoli virtù di Eriko, facendone sicuramente uno dei suoi discepoli più fedeli. Si limitò a sorridergli educatamente e si avviò in direzione delle scale, quando questi lo fermò.
 
«Aspetti signor Saeba, la accompagno all’uscita»
 
«Come?! Ma non c’è bisogno, conosco perfettamente la strada…»
 
«Mi spiace ma la maestra Kitahara è stata categorica e non mi sognerei mai di deluderla. Le faccio strada verso un’uscita secondaria, per maggiore discrezione, sa»
 
Ryo non se la sentì di protestare; avvertì che era inutile controbattere con quell’impiegato così zelante – e capì perfettamente perché Eriko glielo avesse appioppato –. Fu costretto a dire addio al suo progetto di incursione al terzo piano e si lasciò sfuggire un sospiro desolato mentre lo seguiva.
 “Spero proprio che tu riesca a farti perdonare stasera Eriko, hai un bel po’ di cose da spiegarmi” pensò mentre usciva dall’elegante palazzo.

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Capitolo 2
*** La fata madrina ***


 II – La fata madrina
 
Ryo sfrecciava sicuro tra il traffico e, una volta vicino al Yayogi Park, prese dal taschino una sigaretta che accese rapido. Si sentiva leggermente teso e lo infastidiva non capirne il motivo; diede perciò colpa all’abito che indossava. Non che fosse la prima volta che vestiva elegantemente, ma non aveva mai indossato nulla di così buona qualità sartoriale. Si osservò velocemente, lanciando un’occhiata allo specchietto retrovisore: sì, era assolutamente irresistibile e quel pensiero lo riempì di orgogliosa vanità.
 
«Chissà cos’ha in mente Eriko… Di sicuro appena mi vedrà così conciato mi salterà addosso, altro che evitarmi come ha fatto poco fa» si disse ancora tronfio, ma un istante dopo un altro pensiero lo rabbuiò.
Nel caso si fosse verificata davvero quell’ipotesi, avrebbe dovuto allontanare la giovane stilista da lui, farle capire che una storia seria era assolutamente fuori discussione. Ormai aveva acquisito una certa dimestichezza in quel compito e sapeva bene come gestire le brave ragazze desiderose di un compagno e, possibilmente, di un marito. Il suo lato da maniaco e i modi risoluti si erano sempre mostrati la carta vincente, in grado di scoraggiare quegli spiriti romantici che avrebbero voluto cambiarlo – a loro modo salvarlo dal suo destino –, legandolo così al giogo matrimoniale.
Strinse la mano sullo sterzo: eppure i suoi metodi non avevano scoraggiato una donna, che si era dimostrata ancor più caparbia e testarda di lui. Le aveva mostrato tutti i suoi lati peggiori – esasperandoli quando necessario –, aveva conosciuto una parte del suo terribile passato ma nulla era servito; ostinata lei era ancora lì, a condividere le sue giornate con lui, nel bene e nel male. Una parte di lui desiderava ancora allontanarla ma, allo stesso tempo, sperava che lei continuasse a essere più cocciuta di lui nel perseverare nello stargli accanto. Gli riaffiorò alla mente quanto avesse rischiato solo qualche mese prima con il vedovo. Dividere la casa con Uragami e dover sottostare a quello stupido patto con Mayuko era stato troppo per i suoi nervi, eppure lo aveva aiutato a realizzare che, per quanto si impegnasse nella sua manfrina, non voleva Kaori davvero lontana da lui. In un primo momento il suo pensiero egoistico lo aveva spaventato, ma da quando il caso si era concluso felicemente quella nuova consapevolezza non aveva smesso di pungolarlo ogni giorno. Cosa era meglio per lei? Privo di una risposta certa, si ripromise di andare presto a trovare Makimura: le sue visite al cimitero lo aiutavano sempre a mettere un po’ d’ordine nel marasma di pensieri che affollavano quotidianamente la sua testa.
Si ridestò dalle sue riflessioni appena vide stagliarsi all’orizzonte i grattacieli illuminati della zona Nishi-Shinjuku; era quasi arrivato a destinazione e si lasciò sfuggire un sospiro stanco. Conosceva il locale deciso da Eriko, era un posto elegante dove lui non aveva mai messo piede, ben lontano dai night club che lo vedevano a Kabukichō come cliente abituale. Lì di certo nessuno avrebbe potuto riconoscerlo, ma avrebbe cercato di limitare il più possibile un’eventuale passeggiata per i viali di Shinjuku: lì c’era gente che lo conosceva, perciò avrebbe fatto in modo che nessuna soffiata potesse giungere alla sua cara collega. Sicuramente avrebbe sofferto molto sapendolo in compagnia della sua vecchia amica, e perciò avrebbe voluto risparmiarle quell’ulteriore dispiacere.
 
§
 
Mancava poco più di mezz’ora alle otto quando la Mini rossa arrivò nei pressi del Sunrise Hill, l’elegante locale che si trovava lungo la Juniso-Dori Avenue, proprio di fronte al Chuo Park1, e con non poca fatica Ryo riuscì a trovare un posto per parcheggiare. Il viale era già affollato di gente che passeggiava, pregustando i divertimenti che la serata sembrava promettere loro. Uscì dall’abitacolo e dopo aver preso il soprabito – che aveva buttato sul sedile accanto per non avere intralcio alla guida – decise di metterselo in modo più pratico sulle spalle a mo’ di mantello. Fu preso nuovamente da un leggero senso di agitazione immotivata e decise di accendere l’ennesima sigaretta della giornata per trovare un po’ di calma. Mentre fumava mollemente appoggiato alla portiera dell’auto, lo sweeper si prese del tempo per osservare i paraggi e, con un certo sollievo, constatò che non c’era nessun strano movimento a turbare quella mite sera di metà marzo; un pensiero in meno per lui che di preoccupazioni ne aveva fin troppe. Chissà come sarebbe stato vivere senza avere la perenne consapevolezza che c’era qualcuno là fuori pronto a fargli la pelle, svegliarsi ogni mattina con l’unica responsabilità di dover lavorare tranquillo in ufficio, piuttosto che tenersi pronto a garantire in ogni modo la sicurezza della persona a cui teneva di più al mondo. Un uomo normale, con una vita normale e una famiglia normale… Ma il suo lato pratico decise di porre fine a quelle sciocche fantasie, spegnendole assieme alla sigaretta sotto la suola delle sue scarpe.
Con passo deciso attraversò il viale ed entrò all’interno del locale. Una volta aperta la porta, udì il vociare sommesso degli avventori che si mescolava alle morbide note di un piano jazz; un bell’ambiente senza ombra di dubbio, elegante e discreto grazie all’illuminazione soffusa dai toni caldi. Venne subito accolto da un cameriere che, dopo un inchino, gli domandò se avesse prenotato un tavolo al bistrot situato al piano superiore.
 
«No, in realtà sto aspettando una signora. Mi ha dato appuntamento qui» rispose con un sorriso sornione.
 
Il cameriere, leggermente imbarazzato, gli indicò la sala alla sua sinistra «Prego signore, può accomodarsi nel nostro lounge bar»
 
Dopo averlo ringraziato, Ryo fece il suo ingresso in un’ampia sala quadrata: alla sua sinistra si trovavano due bartender dietro un lucido bancone di mogano, mentre alla sua destra vi erano numerosi tavolini per la maggior parte occupati. Ryo si fece strada lentamente e si posizionò nell’angolo più defilato del locale, dove la luce soffusa sfumava in una indistinta penombra. Con un ampio sguardo abbracciò tutto l’ambiente e notò come la quasi totalità della clientela fosse di sesso maschile; si chiese per quale motivo Eriko avesse scelto proprio quel posto come punto d’inizio del loro appuntamento.
“Forse avrà pensato che in un ambiente quasi tutto al maschile non avrei potuto insidiare nessuna ragazza… Beh, potrò sempre rifarmi con lei” pensò con una punta di malizia, pregustando già il momento.
Si accomodò su un divanetto e si mise a tamburellare distrattamente con le dita sul tavolo; avrebbe bevuto volentieri qualcosa, ma il suo lato cavalleresco gli imponeva di aspettare l’arrivo della donna. Stava godendo della buona musica jazz a occhi chiusi quando, dopo alcuni minuti, avvertì un cambio di atmosfera; il mormorio tra gli uomini si era fatto più intenso e non gli ci volle molto per immaginare che fosse arrivata qualcosa che aveva catturato la loro attenzione. Qualcosa di davvero notevole, a giudicare da quei mezzi suoni di apprezzamento.
“Allora è arrivata” si disse, accingendosi ad alzarsi, ma si bloccò di colpo, ancora con le ginocchia piegate, incapace di proseguire il movimento. Risprofondò nel divanetto senza distogliere gli occhi dal bancone del bar.
Lì sedute vi erano due donne di spalle, intente a ordinare un drink: Eriko, che aveva riconosciuto all’istante dal tailleur che indossava anche poco prima e un’altra donna… L’altra donna lo aveva pietrificato per la sorpresa. Gli ci erano voluti pochi attimi per riconoscere quella silhouette armoniosa, elegantemente fasciata in un abito così insolito per lei: la sua postura, il modo in cui interagiva con Eriko, quell’accenno di profilo che conosceva profondamente… Spostò veloce lo sguardo, sentendo il cuore battergli più veloce e si diede dello stupido. Che gli prendeva? Non era da lui reagire così, eppure era stato preso alla sprovvista su tutti i fronti. Riportò gli occhi sulle donne e in quel momento realizzò un dettaglio che gli fece un po’ storcere il naso.
 
“Una parrucca?! Cosa le è saltato in mente? Come se bastasse così poco per non farsi riconoscere…”
 
«Ehi, niente male, davvero un bel bocconcino quella con la gonna!»
 
Ryo, con la coda dell’occhio, individuò l’origine di quella voce; al tavolo alla sua sinistra due uomini in camicia e cravatta si stavano mangiando con gli occhi il soggetto della conversazione.
 
«Già, è un piacere rifarsi gli occhi ogni tanto. Vorrei proprio sapere chi è quella bellezza»
 
«Immagina che dopo serata ci puoi fare con una così eheh» ridacchiarono lascivi i due mentre sorseggiavano i loro whisky.
 
Ryo dovette controllarsi per non dare un pugno nei denti a entrambi, e iniziò a muovere velocemente una gamba sotto il tavolo. Si sentiva terribilmente nervoso.
 
“Quella sciocca… Perché diamine si è conciata così?”
 
Tutti gli uomini nelle sue immediate vicinanze lanciavano sguardi abbastanza eloquenti del loro apprezzamento, e ciò non fece che peggiorare il suo cattivo umore.
 
“Maledetti…E poi cosa c’è di così tanto straordinario da comportarsi così?”
 
Poi, però, un pensiero gli attraverso la mente con la forza di un proiettile.
 
“Un momento… Eriko mi ha fatto vestire elegante e anche Kaori, si vede palesemente che quell’abito l’avrà fatto lei… Vuoi vedere che…”
 
Quasi a conferma dei suoi sospetti vide Eriko alzarsi dallo sgabello, e non fu particolarmente sorpreso nel vederla prendere la direzione della toilette per poi tornare indietro verso il guardaroba, dopo aver lanciato uno sguardo fugace in direzione dell’amica. Anche Ryo si voltò in quella stessa direzione, ma, a giudicare dalla postura, Kaori doveva essere immersa in qualche riflessione; lui sapeva bene che quando piegava il capo in avanti era sempre segno che ci fosse fin troppo movimento in quella sua testolina.
Senza rendersene conto sorrise impercettibilmente, ma quando vide Eriko defilarsi dalla porta del locale iniziò a sudare a freddo. Quella donna aveva fatto in modo di organizzare un appuntamento per loro: ammise di essere sorpreso, era davvero una mossa che non si sarebbe mai aspettato, e in quell’istante tutti i suoi dubbi trovarono una risoluzione. Però, cosa doveva fare adesso? Farsi avanti con nonchalance, salutarla e dirle «Ehi Kaori, che hai fatto? Ti sei messa una parrucca per sembrare una donna?»
“No, so già come andrebbe a finire…” pensò in un sospiro, appoggiando il mento sulla mano “Come mi dovrei comportare?”
Internamente sperò che la sua socia, una volta accortasi della prolungata assenza dell’amica, tornasse a casa, risparmiandogli così la responsabilità di una scelta che, in quel momento, non aveva il cuore di prendere. Perché proprio quest’ultimo stava scalpitando in modo fin troppo ribelle, facendogli capire che un’uscita con quella bellissima ragazza la voleva eccome.
Nel frattempo le attenzioni da parte degli avventori non erano ancora scemate, e Ryo rimpianse di non avere un bazooka con sé per far saltare in aria quel posto.
 
“Ma cosa mi prende? Perché ho dei pensieri del genere? Io… No, io non posso essere…”
 
Geloso. Era quella la parola che faticava perfino a pensare, perché portatrice di una verità dolorosa che lottava strenuamente per negare a se stesso. Eppure non c’era possibilità di sbagliarsi, un sentimento forte, dolcissimo e tremendo albergava in lui da molto tempo, ma restava senza nome nei suoi pensieri. Non aveva bisogno di esprimerlo a parole e, ad ogni modo, non l’avrebbe mai fatto. Semplicemente perché non se lo poteva permettere.
Il lieve cigolio dello sgabello lo distolse dai suoi pensieri ma, invece di vedere Kaori andar via, notò che un bellimbusto l’aveva approcciata. Dall’aria sembrava proprio un tipo snob, capelli lunghi raccolti in un codino basso, modi palesemente affettati e viscidi… Sicuramente Kaori lo avrebbe sistemato per bene – e infatti si era già alzata – ma quale fu la sua sorpresa nel vederla poi così arrendevole, sebbene avesse capito da come aveva irrigidito la schiena che fosse molto infastidita.
“Quell’impiastro non mi piace neanche un po’… Meglio controllare la situazione più da vicino” si disse mentre si alzava dal suo posto e iniziò a camminare vicinissimo al muro per mantenersi defilato.
Il suo sesto senso ebbe ragione come sempre, perciò non si meravigliò nel vedere l’uomo ordinare da bere e far cadere nel bicchiere una pillola; non gli ci volle molta immaginazione per capire le sue intenzioni, ma quel che era peggio Kaori sembrava totalmente tra le nuvole e non si era accorta di niente.
“Come fa a essere così distratta? Per fortuna esce poco” pensò serrando i denti e con ampi passi si avvicinò ai due, appena in tempo per prendere il bicchiere dalla mano di Kaori e versarne il contenuto sulla testa di quel damerino. L’unica nota positiva era che aveva trovato finalmente qualcuno con cui sfogare un po’ del suo malumore represso.
 
«E-Ehi, tu! Che diavolo ti prend…?!» gli abbaiò l’uomo contro, ma Ryo trovò in quel momento la sua voce estremamente fastidiosa, tanto da non dargli tempo di finire la frase.
 
Con forza gli strinse la mandibola con la mano sinistra e lo sollevò da terra fin troppo facilmente.
 
«Dovrei essere io a chiedertelo. Che intendevi fare mettendo del sonnifero dentro al drink?» gli chiese spremendolo ancora più forte; tremava come una foglia e Ryo ne ebbe ancor più disgusto.
 
«Se non vuoi che ti frantumi la mascella, sparisci…» gli intimò con voce bassa e terribilmente seria.
 
Appena terminò di parlare, mollò la presa all’istante facendo cadere pesantemente l’uomo per terra, che se la diede a gambe come se avesse visto un fantasma.
Lo sweeper focalizzò la sua attenzione su quella fuga ingloriosa per prendere del tempo e decidersi sul da farsi; come doveva approcciarsi a Kaori? Ora che ce l’aveva vicina… Sapeva bene cosa gli stesse suggerendo il suo istinto, ma lo volle tenere a bada giusto il tempo per richiamarla; in tutti quegli anni ancora faceva degli errori così elementari.
 
«Insomma…» le disse, guardandola con la sua solita aria da maestro seccato «Oggi nemmeno delle liceali cadrebbero in un trucco così palese! Sei distratta, è per questo che ti succedono certe cose!»
 
La vide arrossire per l’imbarazzo, sapeva quanto non le piacesse essere ripresa con quel tono, ma non volle proseguire con la loro solita routine. Non quella sera.
 
«Che…Che cos…?!» bofonchiò Kaori prossima all’ira, ma Ryo fu più rapido di lei e la interruppe.
 
«O magari sei una signorina di buona famiglia che non sa come va il mondo?» le domandò con tono improvvisamente più gentile.
 
L’espressione basita della sua partner per poco non lo fece ridere, ma ciò lo aiutò a proseguire con il suo tono scanzonato.
 
«Vedo che hai degli splendidi vestiti… Le brave signorine non dovrebbero andare a divertirsi di notte in posti come questo!»
 
“Capito Kaori? Non te ne andare in giro se poi non sei in grado di badare a te stessa”
 
Era quello il messaggio che sottintendeva, ma sicuramente non venne colto dato che il viso della giovane mostrava solo incredulità. Stava giocando col fuoco, lo sapeva bene, però aveva deciso di far finta di non averla riconosciuta. Alla fine aveva assecondato quella parte di lui che desiderava trascorrere un po’ di tempo con lei, e fare lo gnorri era l’unico modo per non esporsi troppo.
 
«Senti, non ti va di stare un po’ con me?» le domandò prima che diventasse collerica «Avevo un appuntamento qui con una persona, ma sembra che mi abbia dato buca…»
 
Ritenne giusto metterla al corrente del piano orchestrato da Eriko alle loro spalle, in modo che anche lei potesse decidere se approfittare o meno di quell’appuntamento organizzato. Attese e vide che, infine, anche Kaori aveva compreso tutto e per sua sorpresa la vide ridacchiare tra sé.
Come doveva interpretare quella risata? La sua mente restava un mistero irrisolto per lui e ne ebbe conferma poco dopo, quando gli rivolse uno sguardo truce capace di farlo raggelare dall’interno. Forse aveva scoperto che non diceva sul serio e si era scocciata delle sue chiacchiere?
 
«E-ehi… Non guardarmi così male! Se non vuoi, non c’è problema…» balbettò in difficoltà, temendo la comparsa di un martello.
 
“Prima ride, poi s’arrabbia…ma che ha?” si chiese. No, decisamente non era molto stabile mentalmente quella sera. Ma ecco che Kaori lo seppe stupire nuovamente e, dopo un altro momento di riflessione lugubre, cambiò totalmente espressione e tutta felice si slanciò verso di lui, prendendogli la mano tra le sue. Quel gesto lo imbarazzò lievemente… Un imbarazzo piacevole.
 
«No!» esclamò «Ti prego, ho bisogno di un uomo forte come te! Devo chiederti un favore!»
 
«Eh…? Un favore?» ripeté a pappagallo, ancora troppo sorpreso da quel turbinio di cambi d’umore.
 
Osservò quel viso che conosceva a menadito e capì che stava macchinando qualcosa. Sorrise indulgente.
 
«Ma certo, tutto quello che vuoi. Però, forse sarebbe meglio uscire da qui» le disse, facendole notare come tutti gli occhi erano puntati su di loro dopo lo spettacolo che avevano dato.
 
«Ehm sì…Credo che tu abbia ragione» emise Kaori arrossendo e abbassando la testa.
 
Sentì il petto stringersi in una morsa calda a quella vista e, gentilmente, la fece passare avanti.
“Io ho gettato la mia esca Kaori, vediamo cosa hai mente” si disse mentre uscivano dal locale.
Sì, decisamente sarebbe stata una serata da ricordare.
 
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1 Da qui inizieranno un po’ di riferimenti su Tokyo. Partendo dai disegni ho cercato di ricreare l’itinerario dell’appuntamento, visto che qua e là Hojo lascia degli indizi. Per il Sunset Hill ho cercato un posto che fosse vicino a un parco e, allo stesso tempo, a Nishi-Shinjuku dato che i grattacieli fanno da sfondo alla primissima parte dell’uscita (e che saranno presenti nel prossimo capitolo). Alla fine mi sono orientata per il Chuo Park, considerando che non ha orari di chiusura come il più famoso Shinjuku Gyoen, e che è proprio accanto ai grattacieli. Sempre per praticità ho situato il locale lungo il viale accanto.

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Capitolo 3
*** The Great Pretender ***


III – The Great Pretender

Una volta usciti dal Sunrise Hill, Ryo rimase indietro di qualche passo, approfittandone anche per squadrare il bel fisico della giovane donna; ancora non riusciva a credere a quello che era appena successo, gli sembrava tutto così irreale. Sicuramente in quel momento Kaori stava elaborando una storia da rifilargli: sapeva quanto fosse onesta di natura e non riuscisse a fingere, perciò un po’ gli dispiacque di averla messa in difficoltà. Aveva deciso di non riconoscerla perché gli era sembrata la soluzione migliore e, visto che lei non aveva replicato, forse iniziava a essere del suo stesso avviso.
Piegò le labbra in un timido sorriso quando la vide attraversare la strada temeraria, in barba a qualsiasi semaforo o striscia pedonale.
“Sì, decisamente c’è un gran fermento sotto quella parrucca” si disse. Decise di accorciare le distanze e si mise accanto a lei.
Kaori, notatolo, iniziò a lanciargli numerose occhiate di sottecchi e Ryo trattenne a stento un sorrisino di scherno; era così strano starle accanto senza dire niente per prenderla in giro! Entrarono nel Chou Park ormai semi deserto e, dopo qualche passo, Kaori si fermò accanto a un lampione e gli si mise di fronte.
Ryo ebbe un sussulto: ora che poteva vederla alla nuda luce, la trovò bella come non mai nonostante il trucco e il parrucco.
La giovane si portò le mani sul grembo e iniziò a stringerle con un lieve nervosismo.
 
«Sì, hai ragione» gli disse lanciandogli uno sguardo fugace «Oggi sono scappata da casa, è la prima volta che vengo da queste parti»
 
Ryo si rilassò; alla fine lei aveva deciso di stare al suo gioco perciò decise di recitare al meglio delle sue capacità.
 
«Eh?» esclamò genuinamente sorpreso «Tu… Sei davvero una signorina di buona famiglia fuggita di casa?»
 
«Sì…» rispose annuendo col capo «Almeno per un giorno volevo provare a spassarmela in tutta libertà e non ho detto niente ai miei…» proseguì abbassando la testa e torturandosi le mani «La mia è una ex famiglia nobile e ho ricevuto un’educazione molto rigida… Fino a oggi non ho mai potuto fare ciò che volevo. Esco dalla nostra villa giusto per andare a scuola, e anche in quel caso vengo sempre accompagnata in macchina… Praticamente non sono mai uscita di casa»
 
Kaori sospirò prima di continuare la sua spiegazione «Per questo volevo provare almeno una volta ad andare nel mondo che c’è fuori di casa senza nessuno che mi tenesse legata. Se la mia famiglia mi trovasse, mi riporterebbe subito indietro. Tu saresti in grado di proteggermi perché questo non avvenga?» il tono con cui formulò la sua richiesta sorprese Ryo «È soltanto per oggi… Io… Desidero soltanto avere il ricordo di anche un solo giorno di libertà…»
 
Quell’ultima frase colpì l’uomo più di tutto il discorso. Aveva ascoltato quasi distrattamente la storia che aveva tirato fuori Kaori, una palese rielaborazione di quelle che le diverse principesse che avevano avuto come clienti avevano raccontato loro. Però, per quanto fosse tutto inventato, gli era sembrato di leggere tra le righe un suo autentico bisogno di evasione; in fin dei conti anche la vita che conduceva con lui non era proprio libera, con i pericoli che correvano quotidianamente sapeva che lei non godeva della stessa libertà delle sue coetanee.
 «Anche un solo giorno di libertà...». E forse non lo aveva desiderato lui stesso per prima? Una serata diversa, una sola… Poteva farle quel regalo, no? E poi, non sarebbe stato anche un regalo per lui? Certo che lo voleva, mai come negli ultimi tempi i suoi sentimenti per lei si erano fatti così dolorosi. Si convinse che il ricordo di quella notte sarebbe stato sufficiente per tenerli a bada.
 
La guardò deciso, un lampo di tenerezza negli occhi «Uh… Hai incontrato la persona giusta… Se è di questo che si tratta, sarò lieto di aiutarti»
 
Non si era aspettato, però, la reazione di Kaori che entusiasta gli si gettò tra le braccia «Davvero?! Come sono felice!»
 
Non riuscì a contenere un’espressione trasognata: non sembrava neanche più lei, quando mai gli aveva riservato degli slanci del genere? E dovette ammettere che non era affatto spiacevole.
D’altra parte, era ben consapevole che quei gesti sarebbero stati impossibili se non avessero iniziato quella commedia.
 
“Temo di essere troppo egoista Kaori” pensò mentre osservava la ragazza trotterellargli davanti e si sentì travolgere dal suo entusiasmo.
 
§
 
Uscirono dal parco e iniziarono a camminare lungo la Koen Dori. Nessuno aveva deciso alcuna direzione e lui si era limitato a seguirla, non riuscendo a smettere di osservala; se avesse avuto uno specchio, Ryo si sarebbe accorto con terrore che in quel momento i suoi occhi tradivano i suoi pensieri.  Mise le mani in tasca e si schiarì la gola; non voleva rompere il silenzio, con lei era così piacevole, ma se dovevano fingere di essere sconosciuti andava intavolata una minima conversazione.
 
«Ah, lì sembrerebbe esserci più movimento» lo anticipò Kaori, rallentando il passo e affiancandosi a lui «Che dici andiamo…» la vide fermarsi in tempo, prima di chiamarlo per nome e tradirsi.
 
Ryo abbozzò un sorriso e, dopo aver accettato la sua richiesta con un cenno del capo, decise di facilitarle il compito facendo le dovute presentazioni.
 
«Scusami, non mi sono ancora presentato. Il mio nome è Ryo Saeba…» ma non riuscì a trattenersi dall’aggiungere «E ho vent’anni!»
 
Come previsto, Kaori sbottò esasperata per quella sua uscita e ridacchiò dentro di sé; era inutile, si divertiva troppo a stuzzicarla.
 
«Come?!» le fece innocentemente mentre imboccavano la Chou-dori Ave.
 
La vide trasalire «Ah… No, niente! Parlavo fra me e me!» replicò Kaori, agitando la mano come a scacciare quel pensiero «Quindi tu saresti Ry… Saeba, eh?»
 
“Inutile, non ci sa proprio fare. Si lascia scoprire così facilmente”
 
Non era certo un rapporto fintamente formale quello che desiderava per loro quella sera perciò, in uno slancio dettato dalla situazione o, forse, perché al riparo della sua finzione, si voltò verso di lei.
 
«Chiamami pure Ryo. Va benissimo per nome… Come se fossimo fidanzati!»
 
La vide subito distendersi e accettare di buon grado la sua scelta. Eppure, Ryo si sorprese della sua stessa audacia. Loro come coppia… Un’idea su cui non poteva permettersi nemmeno il lusso di indugiare, ma per quella sera aveva deciso di concedersi tutto, sapendo di far felice la sua socia. Era consapevole dei suoi sentimenti, e il dispiacere che provava nel vederla incassare i colpi della sua indifferenza era paragonabile al dolore che si autoinfliggeva tenendola lontana da lui. Con Shiori Kaori aveva voluto giocare alla famigliola felice, e già in quel frangente lui aveva capito quanto la vita che le offriva fosse lontana da quel desiderio di normalità che, forse, poco alla volta la ragazza iniziava ad anelare. Non avrebbe mai potuto avere nient’altro dalla vita, lo sapeva bene, perciò che gli venisse concessa almeno una sera in cui immaginarsi come un fidanzato attento nei confronti della sua donna. Questo almeno poteva permetterselo.
 
«E qual è invece il tuo nome?» le chiese, più che altro per interrompere il flusso di pensieri.
 
Per lui era stato facile, visto che impersonava semplicemente se stesso, ma per Kaori era più complicato; si stava fingendo un’altra e intuì il disagio che stava provando in quel momento.
 
“Scommetto che stai pensando a un modo per evitare la domanda… Sei troppo onesta per farti chiamare con un altro nome, vero?”
 
Non lo meravigliò vederla farfugliare cose senza senso ma non volle aiutarla, era troppo curioso di scoprire come se la sarebbe cavata.
All’improvviso la vide nascondersi dietro di lui spaventata, affermando che l’omone che camminava verso di loro era stato mandato dalla sua fantomatica famiglia per riprenderla.
“Discorso sviato, e brava Kaori” si disse, e non gli rimase che assecondarla. In pochi attimi si parò dinanzi l’ignaro passante, affermando minaccioso che non gli avrebbe consegnato la ragazza.
Lo aveva già preso per il bavero della giacca, pronto a tirargli un pugno, quando sentì Kaori cinguettare candidamente di essersi sbagliata.
 
“Quella stupida…”
 
Non poteva certo picchiare un uomo senza motivo, non era il caso di scatenare una rissa per strada, perciò accettò passivamente il poderoso gancio che gli assestò l’uomo, seguito da una formidabile presa di arti marziali che lo mise a tappeto. Soddisfatto, lo sconosciuto riprese la sua strada come se nulla fosse successo.
 
«Scusami! È che non ci vedo bene…» gli disse Kaori con un tono che conosceva fin troppo bene: era tutto tranne che dispiaciuto.
 
«Ahah… A quest’ora dubito proprio che ci sia qualche oculista aperto, eh!» le rispose ancora ammaccato.
 
Si rimise in piedi spazzolandosi i pantaloni con le mani «Forse è meglio andare da qualche parte, se restiamo per strada c’è il rischio che tu possa confonderti di nuovo» disse guardandola con la coda dell’occhio.
 
La vide nascondere malamente un sorriso mentre stringeva a sé il soprabito che si era tolto per picchiare il passante.
 
“Non è tesa, ma non è neanche completamente a suo agio… Ci vorrebbe qualcosa che l’aiutasse a lasciarsi andare…Ah, ci sono!”
 
«Allora principessa, che ne dici se ci divertiamo un po’?» le chiese sornione mentre Kaori gli allungava il soprabito.
 
«Divertirci? E come?» replicò ingenuamente.
 
“Ah, certe battute me le servi su un vassoio d’argento” pensò, trattenendosi dal fare qualche battuta sconcia.
 
«Più avanti ci sono diverse sale giochi, potremmo fare qualche partita, che ne dici?»
 
Gli occhi le si illuminarono all’istante come risposta immediata «Oh sì Ryo mi piacerebbe molto! Ho sempre voluto vedere quei posti!» esclamò felice, regalandogli un ampio sorriso.
 
«Allora andiamo, non prendiamo altro freddo qui» e così dicendo iniziò a camminare.
 
“Beh, una sala giochi non è proprio il posto per un appuntamento romantico, ma è sempre un inizio”
 
Dopo pochi passi, però, non sentendosi seguito, si fermò e voltandosi la vide indietro, ancora ferma a torturarsi le mani, gli occhi concentrati a fissare un punto indistinto. Non si rendeva conto di attirare più di uno sguardo e Ryo provò nuovamente quella fitta allo stomaco che aveva sperimentato poco prima nel locale. Con poche falcate la raggiunse.
 
«Qualcosa non va?» le chiese gentilmente.
 
Kaori scosse la testa e, dopo avergli lanciato un’occhiata fugace, tornò a guardare per terra «Per la domanda che mi hai fatto prima…» disse leggermente abbattuta «Non voglio essere maleducata, ma…Ti prego… Non chiedere il mio nome Ryo» e trovando i suoi occhi, concluse «Stanotte voglio scordarmi anche del mio nome e godermi la mia libertà…»
 
Ryo non aveva mai sentito così forte l’impulso di abbracciarla come in quel momento. La vedeva così dolce, quegli occhi erano così luminosi eppure velati da un’ombra di malinconia… Kaori quella sera era ben lontana dalla pazza scatenata che lo rimetteva a posto a suon di martellate. Stava scoprendo un lato di lei che non poteva mostrare nella loro vita quotidiana e si scoprì desideroso di sfruttare quell’occasione per vederne di più.
 
«Va bene» le disse facendole un caldo sorriso «Io e te, solo per questa notte, saremo fidanzati. È solo questo che vuoi, giusto?»
 
Kaori annuì e subito le sue guance si colorarono di un rossore diffuso; fu ben felice di essere l’autore di quell’imbarazzo che, per una volta, non era dovuto a una sua battutina. Senza pensarci troppo le offrì il braccio invitandola ad andare facendo un occhiolino. Fu così che, qualche istante dopo, Ryo si ritrovò a passeggiare per quelle strade conosciute con Kaori sottobraccio e, man mano che si concentrava sul suo calore e la sua vicinanza, tutto ciò che lo circondava sfumò in secondo piano.
 
«Io e te, solo per questa notte, saremo fidanzati. È solo questo che vuoi, giusto?»
 
E lui, che cosa voleva? Troppi desideri e troppe paure si agitavano dentro di lui, ma se proprio avesse potuto esprimere un desiderio, avrebbe voluto fermare il tempo e restare così, semplicemente allacciato a lei.
 
§
 
Ryo senza rendersene conto si ritrovò sulla Chou-dori all’altezza dell’incrocio con la Nibangai Street, le gambe si erano mosse autonomamente, portandolo davanti l’ingresso angolare del Game Center. All’interno attirarono non pochi sguardi curiosi per via del loro abbigliamento così fuori luogo per quel posto, ma Ryo non se ne curò affatto e scoprì che con Kaori avrebbe potuto giocare ai videogiochi per tutta la sera. In realtà avrebbe potuto fare qualsiasi con lei, non avrebbe mai immaginato di potersi sentire così felice, così leggero. Dopo aver sfoggiato la sua eccezionale mira – e aver incassato la delusione del totale disinteresse della giovane, che non ne voleva sapere di fingersi sorpresa – decise che era ora di salutare i cabinati.
 
«Che ne dici se mangiamo qualcosa?» le chiese mentre si avviavano verso l’uscita.
 
«Dico che mi sembra un’ottima idea!» rispose allegra Kaori, precedendolo fuori la sala giochi.
 
«E cosa desidera una signorina a modo come lei?» domandò Ryo con fare eccessivamente formale «Un ristorante francese o italiano? Oppure cucina tradizionale? Dovrebbe esserci un ristorante stellato nell’hotel…»
 
«No, No» lo interruppe lei, scuotendo le mani e la testa in diniego «Non mi sentirei a mio agio in luoghi come quelli, non saprei come comportar-»
 
«Ma come? A una ragazza di buona famiglia come te non hanno insegnato il galateo?»
 
Kaori avvampò all’istante mentre Ryo sorrideva tra sé, divertendosi a punzecchiarla. Ormai gli era chiaro come il sole che le bugie avevano davvero vita breve con lei.
 
«Ecco… Intendevo che non mi fanno sentire a mio agio… Mi piacciono le cose semplici, meno formali ecco» e così dicendo si guardò intorno prima di continuare «Va bene un gelato?»
 
«Eh? Solo un gelato?» disse mentre iniziavano a camminare.
 
«Sì, è da tanto tempo che non ne mangio uno! Forse è un desiderio fuori stagione, se vuoi altr-»
 
«No, va benissimo. E gelato sia allora» rispose facendole un occhiolino.
 
Kaori gli rivolse un sorriso radioso per poi mettersi al suo fianco. Camminarono per un po’ in silenzio e Ryo si ritrovò a riflettere su come fossero proprio le piccole cose a dare più gioia alla sua partner. Solo lei poteva accontentarsi di così poco e mostrarsi così entusiasta. E per lui andava più che bene, a dispetto delle sue abitudini si sentiva lo stomaco stretto in una morsa agrodolce e, in un certo senso, fu lieto della sua scelta.
 
“Forse anche lei si sente come me, incapace di mangiare altro”
 
Le lanciò uno sguardo fugace e gli sembrò serena, di un tipo di serenità che le aveva visto raramente. Forse quella accanto a lui era la vera Kaori. Forse era davvero la sua brutta influenza a renderla più violenta; la sua indole era dolce, calda, e in quel momento sembrava irradiarlo come un sole fulgido. Con tutto il cuore avrebbe voluto vederla così ogni giorno, ma era ben consapevole che ciò non era possibile. Lui non poteva… Non doveva permettersi di illudersi troppo. Doveva accontentarsi delle briciole, come stava facendo quella sera.
 
“Ma così non condanni anche lei a quelle briciole?”
 
Quel pensiero crudele si affacciò un attimo nella sua mente, stringendogli il cuore. Sì, era davvero egoista.
 
§
 
Qualche metro più avanti trovarono una gelateria piuttosto affollata e di comune accordo decisero di fermarsi lì.
 
«Cavolo, ci sono così tanti gusti che non so cosa scegliere… Tu quali prendi Ryo?» gli domandò Kaori mentre osservava il cartellone all’esterno.
 
«Nel dubbio direi tutti»
 
«Ma sarebbe impossibile! Sei proprio un ingordo» rispose ridendo la ragazza.
 
“Come se non mi conoscessi” pensò divertito e precedendola ordinò e pagò i due gelati; il suo, naturalmente era un enorme cono a tre gusti, e proprio mentre stava per azzannarlo, inciampò sui suoi stessi passi. I suoi riflessi prodigiosi, però, non furono sufficienti a salvare la sfera di gelato traballante che finì un po’ sulla sua mano sinistra e un po’ per terra.
Era solito fare siparietti comici, ma questo era davvero un caso di imbranataggine e se ne sorprese.
 
«Ti sei sporcato?» gli domandò Kaori che per tutto il tempo non aveva fatto altro che sghignazzare.
 
«No, solo la mano. Peccato, in cima c’erano le scaglie di cioccolato…» rispose con un pizzico di rimpianto «Colpa di questi marciapiedi così malmessi» bofonchiò infine.
 
Vide la sua partner lanciare un’occhiata al pavé perfettamente liscio su cui si trovavano e scuotere, poi, lievemente la testa. Si aspettò che sottolineasse la sua bugia, ma lei non fece niente di tutto questo; diede un assaggio al suo gelato e poi alzò gli occhi ridenti verso di lui.
 
«Per tirarti su dopo ti offro un caffè»
 
Lo aveva detto senza nessuna esitazione e Ryo si limitò ad annuire con il capo prima di dedicarsi ai due gusti rimanenti del suo gelato. Effettivamente la sua bevanda preferita era il caffè; per lui, cresciuto nel Centroamerica, era insostituibile come per i giapponesi lo era il tè, e niente lo rimetta in pace col mondo come una tazza di buon caffè nero fumante. Ebbe solo l’ennesima conferma che Kaori lo conosceva fin troppo bene.
 
§
 
L’appuntamento proseguì leggero come una carezza per l’animo dello sweeper; con nessun’altra donna aveva trovato così interessante parlare di piccolezze, come commentare gli strani abbigliamenti che sfilavano davanti ai loro occhi mentre erano seduti al tavolino della caffetteria. Non sarebbe stato in grado di ripetere di cosa precisamente avessero parlato, ma non avrebbe mai potuto dire di starsi annoiando; quella serata, nata per volontà di una ex cliente –e amica– un po’ troppo impicciona, si stava rivelando una boccata d’aria fresca per Ryo. Era uscito innumerevoli volte con altrettante donne, ma le sue serate si erano svolte seguendo un copione rigoroso, scritto e perfezionato negli anni. Con Kaori non lo seguì affatto. L’aver finto di non riconoscerla si era rivelata la libertà più grande che si fosse potuto prendere; lui, che quotidianamente doveva fare attenzione a non tradirsi, a non lasciare trasparire i suoi sentimenti e i suoi tormenti, era finalmente libero. Per quelle poche ore si stava concedendo il lusso di non indossare alcuna maschera e di trattarla come meritava e, come ben sapeva, lei desiderava da tempo. Dopo che ebbero ripreso a passeggiare sottobraccio, si meravigliò di come non avesse fatto altro che guardarla negli occhi; ormai era consapevole della splendida donna che era diventata ma i suoi occhi erano calamitati dal suo viso. Non si era mai permesso di osservarla così tanto proprio per impedirsi di considerarla attraente. Sorrise mentalmente al pensiero di come la sua battaglia per considerare Kaori un essere asessuato l’aveva ormai persa miseramente e definitivamente, tuttavia questo non voleva dire che avrebbe cambiato il suo modo di fare, avrebbe solo richiesto più impegno da parte sua.
Era felice di vederla così allegra e a suo agio, ormai Kaori stringeva il suo braccio senza esitazione e la sentiva ridere per piccole cose che, tuttavia, il suo cervello non registrava, troppo preso da quella bolla momentanea. Poi, all’improvviso la sentì irrigidirsi e lasciare la presa, allontanandosi da lui. Quel distacco repentino mise fine a quel suo stato di semi torpore e non riuscì a capire cosa lo potesse aver causato.
 
«Che ti prende così all’improvviso?» le domandò, temendo di aver fatto qualcosa di sbagliato.
 
Kaori non si mosse e continuò a dargli le spalle, la testa leggermente abbassata.
 
«No… Niente…» la sentì sussurrare mesta.
 
Gli dispiacque di riconoscere nella sua voce il tono sommesso che sapeva indicare un suo turbamento. Stava iniziando a pensare a un modo per poterla tirare su, quando la donna si girò di scatto verso di lui.
 
«Ehi, senti!» esclamò nuovamente allegra «Non ti va di andare da qualche parte a ballare?!»
 
“Ah sarai la mia rovina, beato chi capisce le donne!” pensò Ryo più confuso che mai nell’assistere a quel cambiamento così repentino. “Incredibile, sembra posseduta o che abbia due personalità…”  
 
Le si avvicinò sorridendole «Con piacere» rispose mentre si abbassava verso di lei «Però nelle vicinanze non ci sono discoteche o, almeno, non che si addicano a una signorina della buona società come te»
 
«Ah» Kaori abbassò la testa imbarazzata.
 
Ryo poteva immaginare bene cosa stesse pensando, ma in realtà le aveva detto così per un altro motivo ben più pratico; ora che aveva ritrovato maggiore lucidità si era reso conto che aveva passato fin troppo tempo per i viali di Shinjuku in compagnia della sua partner. Certo, aveva una parrucca e vestiva un abito elegante ma chiunque la conosceva non avrebbe faticato molto a riconoscerla. Una situazione fin troppo compromettente per lui. Decise di cambiare aria, rimproverandosi mentalmente per non averlo fatto prima.
 
«Però conosco una discoteca che è molto rinomata, un bel posto alla moda, solo che si trova un po’ lontana da qui»
 
«Non possiamo andarci a piedi?»
 
«Temo di no» rispose mentre si grattava distrattamente la nuca «Si trova a Yokohama1»
 
Kaori lo fissò con due occhioni delusi ai quali Ryo non seppe dire di no.
 
«Per tua fortuna ho la mia macchina qui vicino; in una mezzoretta saremo lì» la rassicurò sorridendole.
 
La giovane donna si limitò ad annuire e iniziarono a camminare l’una accanto all’altro, ma questa volta Kaori non cercò il suo braccio, preferendo stringersi le mani sul ventre.
 
«Ci vai spesso?» gli domandò infine dopo qualche istante di esitazione.
 
«Dove?» chiese nonostante avesse compreso benissimo.
 
«Nella discoteca dove siamo diretti»
 
Ryo si girò verso di lei e la vide camminare irrigidita. Si era allontanata da lui e gli aveva parlato senza guardarlo in faccia.
 
“Anche in versione principessa facciamo le gelose, eh?” si disse mentre sorrideva dentro di sé. Era divertente vederla mentre cercava di contenersi, sapendo di non poter dare sfogo ai suoi pensieri più violenti col suo fidato martello.
 
«In verità non ci sono mai stato» le rispose candidamente, non volendo stuzzicarla troppo «Sono semplicemente un uomo ben informato su tutto quello che succede in città»
 
«Però Yokohama non è Tokyo»
 
«No, è vero. Allora diciamo che non mi sfugge nulla di quello che c’è - e succede - a Tokyo e nelle sue immediate vicinanze»
 
«Davvero?» domandò Kaori quasi sovrappensiero.
 
«Certo, mia cara principessa scettica. Solo a Shinjuku oggi ci sono stati quindici scippi, ben venti risse, tre rapine di poco conto – almeno fino a qualche ora fa. Se vuoi posso continuare l’elenco continuando con Shibuya dove…»
 
«Basta, basta ti credo non c’è bisogno di fare l’elenco di tutti i distretti!» esclamò la ragazza non riuscendo a nascondere una certa sorpresa.
 
 «Certo che deve essere difficile…» mormorò assorta dopo qualche istante.
 
«Eh?» Ryo si girò verso di lei, notando subito la sua espressione meditabonda.
 
«Non deve essere facile» proseguì Kaori nella sua riflessione a voce alta «Dover mantenere il controllo su tutto e, allo stesso tempo, dare l’impressione di essere così distratto… Come deve essere estenuante portare il peso di qualcosa e dare l’impressione di non averne affatto. Non vuoi condividere niente con nessuno…»
 
Ryo girò la testa di scatto, punto sul vivo da quelle parole. La sua socia lo aveva sorpreso: lui, che aveva sempre la risposta pronta per tutto, sentiva di non avere parole per rispondere. Aveva detto la verità, era riuscita a comprendere che dietro la sua apparenza di indolente perdigiorno c’era un uomo carico di responsabilità. Intimamente gioì per quella riflessione che considerò come un complimento; era bello sapere che lei lo considerasse così. Si schiarì la voce per nascondere l’imbarazzo. Grazie a ciò Kaori si ridestò e, rendendosi conto di aver dato voce ai suoi pensieri, fu nel più completo imbarazzo.
 
«Scusami Ryo, sono stata inopportuna!» disse precipitosamente Kaori «Dimentica le stupidaggini che ho detto…» e torcendosi le dita lo guardò con vergogna.
 
«Non hai nulla di cui scusarti» le sorrise scrollando leggermente le spalle «Comunque siamo quasi arrivati, ho parcheggiato l’auto vicino al locale dove ci siamo incontrati. Mi spiace che non sia lussuosa come quelle a cui sei abituata»
 
«Ah, non è assolutamente un problema, non sono certo così schizzinosa» gli rispose portandosi le mani dietro la schiena, cercando di ritrovare una certa compostezza.
 
Camminarono in silenzio per altri cinque minuti, fin quando non raggiunsero la Mini e vi entrarono.
 
«Mi piace davvero la tua macchinina Ryo, è piccola ma accogliente» commentò Kaori mentre attraversavano i viali illuminati.
 
«Ne sono felice, è una mia fedele compagna di mille avventure. Ci sono molto affezionato»
 
«Eppure per un uomo della tua statura dovrebbe essere abbastanza scomoda da usare»
 
Lo sweeper le lanciò un’occhiata fugace; quella che stava parlando non era la giovane di buona famiglia ma la sua socia, poteva avvertire che quelle osservazioni erano le sue e, per chissà quale motivo, non le aveva mai espresse apertamente.
 
«Beh, è tutta una questione di abitudine. E poi, se avessi un’auto più grande avrei difficoltà a destreggiarmi nel traffico e passare per i vicoli stretti»
 
Kaori fece per dire qualcosa ma alla fine si accoccolò meglio sul sedile, osservando la strada davanti a sé. Quante volte si erano trovati seduti l’uno accanto all’altra, ma mai come in quel momento Ryo si era sentito così lontano da lei; erano intrappolati nelle loro rispettive finzioni, partecipando a un gioco di ruolo che, si augurò, alla fine non avrebbe lasciato amari ricordi soprattutto in Kaori.
 
§
 
Erano ormai le undici quando Ryo parcheggiò l’auto sulla Yamashita–Koen Dori. Una volta fuori dall’abitacolo venne investito dalla frizzante brezza marina che gli scompigliò i capelli, rinvigorendolo. Gli piaceva quel vento salmastro, anche perché non poteva goderne di frequente; difficilmente riusciva a lasciare la sua città, Shinjuku in particolare, e il doversi sempre muovere tra i fitti e angusti vicoli della malavita gli faceva dimenticare che Tokyo era una città di mare. Si girò e intravide Kaori stringersi nel suo scialle evidentemente infreddolita, perciò non perse tempo e la affiancò porgendole il braccio.
 
«Il locale è a meno di dieci minuti di cammino, hai troppo freddo?»
 
Kaori scosse la testa «No, solo che in auto si stava così caldi» disse con le guance e il naso leggermente arrossati a indicare quel repentino cambio di temperatura.
 
Ryo le sorrise e stringendole il braccio cercò di trasmetterle un po’ del suo calore «Vedrai che una volta dentro rimpiangerai questo bel freschetto»
 
Kaori si limito ad annuire, cercando di mostrarsi spensierata, ma Ryo percepì distintamente che qualcosa si era rotto all’interno della sua partner.
 
“Forse non vuole più continuare a fingere?” pensò con una punta di amarezza.
 Per quanto l’appuntamento si fosse mostrato piacevole, quel fondo di menzogna gli stava lasciando col tempo l’amaro in bocca. Aveva dato vita a quella mascherata principalmente per farle piacere, per regalarle una serata da sogno, ma se lei ora ne soffriva non aveva più senso proseguire. Decise che una volta usciti dalla discoteca avrebbe trovato un modo per concludere la serata nel modo più indolore possibile. In silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, raggiunsero l’ingresso della Club House, una discoteca situata ad angolo sulla Kita Naka-dori. Una volta spinta la porta, Ryo venne investito dalla musica che, sebbene giungesse ovattata dal piano superiore, lo scosse dall’interno con i bassi portati alla massima potenza.
 
«Sono sicuro che ti piacerà qui, è un bel posto» le disse mentre si avvicinavano alla cassa «Ti avviso che c’è solo musica occidentale2, spero non ti dispiaccia»
 
«Ah no, affatto» replicò Kaori con finta disinvoltura.
 
Ryo le lanciò un’altra occhiata veloce prima di lasciare il suo soprabito e la precedette per le scale scarsamente illuminate.
 
“Chissà cosa le sarà successo… Si è fatta così sfuggevole, qualcosa la impensierisce sul serio”
 
Una volta raggiunta la pista, Ryo fece del suo meglio per sollevare il morale della sua socia, trascinandola nel pieno della bolgia intenta a scatenarsi con una selezione disco dance anni ‘70. Iniziarono a muoversi, Ryo subito sciolto e a suo agio, Kaori leggermente rigida all’inizio. Lo sweeper la cercava il più possibile con gli occhi, assicurandosi di sorriderle sempre; voleva farle capire che si stava divertendo davvero con lei. Nella semioscurità del locale, interrotta solo dai raggi intermittenti dei fari, riusciva a scorgere il suo viso, che gli lanciava dei brevi sorrisi ma che per la maggior parte del tempo sembrava rifuggire un contatto prolungato con lui. All’inizio Ryo non volle dare troppo peso alla cosa, e ogni tanto si permetteva di socchiudere gli occhi, soppesando quella musica che lo stava trasportando indietro di molti anni, nel periodo in cui era solito frequentare i vari club e disco pub di San Francisco e Los Angeles. Allora ci andava principalmente per bere in compagnia, ascoltare buona musica e adocchiare donne provocanti che, con poca difficoltà, riusciva a trattenere con sé per la notte.
“Quell’uomo dove sarà finito?” si ritrovò a pensare mentre focalizzava nuovamente lo sguardo sulla sua avvenente partner.
Non aveva più ragione di esistere, lo sapeva bene; l’uomo che era stato si era plasmato e adattato a una vita e un ambiente che lo avevano tradito, ferito e costretto alla solitudine. Difficilmente avrebbe immaginato che quindici anni dopo si sarebbe ritrovato a condividere le sue giornate con una persona tra le più lontane dal suo ambiente per quanto riguardava origine e carattere; così diversa eppure così complementare a lui, col tempo divenuta imprescindibile presenza nella sua vita. Mary aveva avuto ragione: era cambiato, solo che era stato un cambiamento così graduale che non se n’era accorto prima. La deriva che avevano preso i suoi pensieri lo turbò non poco, perciò tornò a concentrarsi esclusivamente sulla musica, felice di scatenarsi in pista dopo tanto tempo.
Fu soddisfatto nel vedere come anche Kaori si fosse scrollata di dosso la sua rigidità e si muovesse più sicura; ballava molto bene, doveva ammettere che il suo modo di ondeggiare era armonioso, perfettamente a tempo con la musica.
Poi, però, le luci si abbassarono, virando sui toni del violetto e blu, e per la pista da ballo si diffusero le dolci note che introducevano una ballata dei Bee Gees che conosceva bene. Subito le coppie attorno a loro si avvicinarono, pronte a ballare il lento da loro tanto atteso, e Ryo notò all’istante lo smarrimento negli occhi di Kaori. Possibile che non sapesse che nelle discoteche ci fossero questi intermezzi? Decise di porre fine alla sua indecisione tendendole la mano.
 
«Ehi… È il momento del lento…» disse tranquillo.
 
In realtà la prospettiva di stringerla a sé lo rendeva leggermente inquieto, ma nulla trapelò dal suo contegno. La vide girare la testa verso le coppie che già ballavano strette, ancora confusa. No, una parte di lui, quella che solitamente giaceva silente, decise che non voleva perdere né altro tempo né quell’unica occasione che gli si era presentata e, in uno slancio la strinse a sé. Chiuse gli occhi, lasciando che i suoi sensi imprimessero nella loro memoria quel momento: Kaori gli riempiva le narici con il suo profumo; accarezzava il suo cuore, così vicino a quello di lei che avvertiva battere furioso; le sue braccia stringevano il suo corpo flessuoso. La vedeva, la avvertiva in tutta la sua essenza, e in un modo così diretto, che inspirò profondamente per non perdersi, per mantenere una lucidità che, con sua grande sorpresa, sembrava voler diradarsi man mano che la musica incalzava. In quel momento rimpianse di sapere fin troppo bene l’inglese e di poter comprendere appieno il testo della canzone; sembrava diretta proprio a lui e in alcune strofe parlava di loro… Di lei, che non smetteva di mostrargli quanto profondo fosse il suo amore per lui, che lo conosceva così a fondo come nessuna donna era mai stata capace3. Riaprì gli occhi e istintivamente alzò la mano destra, stringendola con forza sulla sua spalla per superare l’imbottitura: doveva aggrapparsi a lei per non lasciarsi andare a sentimentalismi che non poteva permettersi e che non si potevano associare a un uomo come lui. Il rischio di fare qualcosa di cui pentirsi era forte e, per quanto fosse cosciente di dover interrompere quel contatto magico, non poté fare a meno di avvertire un dolore acuto all’altezza del petto. La strinse un po’ più a sé e ciò permise al suo lato da donnaiolo incallito di uscire allo scoperto, aiutandolo a spezzare quel dolce incantesimo a cui la giovane lo aveva legato inconsapevolmente.
 
«Uh uh! Hai proprio una vita sottile, eh!» esclamò mentre si lasciava andare a un’espressione libidinosa «E poi c’è questa sensazione del tuo prosperoso seno che sento schiacciato su di me!»
 
«Come?!» Kaori si irrigidì all’istante a quel cambio improvviso.
 
«Ora capisco perfettamente… La perfezione delle tue forme!»
 
“Caspita, mi sono fatto prendere un po’ troppo la mano” rifletté, certo di aver scatenato la furia della sua socia, che sicuramente non aveva apprezzato quei suoi commenti. Però… Almeno un piccolo complimento glielo poteva fare, no? Sorrise timido, scacciando via il ghigno lascivo.
 
«Non ho mai incontrato una donna splendida quanto te» le sussurrò, sincero come gli era capitato poche volte in vita sua.
 
Pensò che quelle sue ultime parole l’avrebbero piacevolmente colpita, ma non aveva fatto i conti con la possibilità che l’unico a essere colpito sarebbe stato lui, e con un piacevolissimo martello calato senza pietà sulla sua testa.
Si ritrovò spiaccicato sul pavimento, sorpreso che si fosse tradita in quel modo.
 
“Si vede che non ha apprezzato la mia onestà… Diavolo che botta!”
 
Decise, però, di darle la possibilità di continuare la loro recita.
 
«Ch… Che cosa diavolo… È…?» balbettò distrutto «E poi… Questo dolore… È così familiare…?»
 
Ancora in stato comatoso si sentì preso e trascinato per il colletto da Kaori che, come una furia iniziò a farsi strada tra la folla pietrificata dopo ciò che era appena successo davanti ai loro occhi.
 
«C-che discoteca pessima! Si è staccata una luce e ti ha preso dritto in testa!» disse concitata la donna mentre continuava la sua folle corsa verso l’uscita.
 
Ryo si sentiva dolorante e quello strattonare forte e deciso non lo aiutava a riprendersi in tempi rapidi.
 
«Eh? Davvero…?» fu tutto ciò che riuscì a pronunciare.
 
«Andiamocene subito!»
 
§
 
Nel ripercorrere al contrario la strada che avevano fatto all’andata, Ryo non poté fare a meno di notare quanto Kaori si fosse rabbuiata; appena usciti dalla discoteca aveva iniziato a camminare veloce, precedendolo di pochi passi sufficienti a mostrargli solo le spalle. Sebbene non potesse vederla bene in viso, riusciva perfettamente a visualizzare le sue sopracciglia sollevate a formare una piccola ruga nel mezzo, lo sguardo basso ricolmo di tristezza e le belle labbra strette in una linea dura. Era la sua partner da anni ormai, gli bastava starle vicino per comprendere il suo stato d’animo, poteva avvertirlo nell’aria attorno a loro che si era fatta più pesante, rendendogli più difficoltoso anche semplicemente respirare. Immaginava che parte di quel malumore fosse dovuto al suo comportamento sulla pista da ballo, ma onestamente non si sarebbe mai aspettato di turbarla in quel modo.
 
“A che cosa stai pensando adesso Kaori? Quali pensieri ti stanno angosciando?”
 
Parte della risposta sentì di conoscerla: la loro recita stava presentando il suo conto. Aveva temuto l’arrivo di quel momento.
“Eppure l’ho trattata con tutte le attenzioni possibili stasera, l’ho fatta sentire desiderata…” pensò ma all’improvviso fu travolto dalla consapevolezza che, mentre lui aveva visto sempre e solo lei, Kaori, la sua socia in quell’elegante vestito e parrucca, la giovane donna aveva trascorso la serata con la convinzione che lui la credesse un’altra. In quell’istante gli fu chiaro il tormento della sua partner: secondo la sua visione lui aveva coccolato e trattato con galanteria invidiabile una donna sconosciuta trovata per caso in un locale, non lei, la donna con cui condivideva la sua casa, il suo lavoro e anche parte del suo cuore da quasi cinque anni.
“Quindi è per questo che sei così triste Kaori? Perché credi che io non sappia che sei tu la donna con cui sono uscito stasera?” le domandò mentalmente con una punta di dolcezza mentre proseguiva in quell’inseguimento. Poi, però, sbuffò sentendosi sia esasperato che sconfitto.
 
“Sei proprio una tonta! Questa è la considerazione che hai dello sweeper numero uno del Giappone? Che mi basti così poco per non riconoscerti? Possibile che tu mi abbia creduto subito e non ti sia venuto il minimo dubbio?! Però, forse è meglio così…”
 
Ryo cacciò le mani nelle tasche dei pantaloni e appena arrivarono in prossimità del parco la vide rallentare, incerta sul da farsi. Deciso a risollevarle un po’ il morale prima della conclusione della serata, allungò il passo e in un balzo le fu vicino.
 
«Tutto a posto?» chiese, chinandosi verso di lei.
 
«Sì, certo» rispose con la bocca, ma il suo sguardo sembrava suggerire tutt’altro.
 
«Sicura?»
 
«Sì, solo che… Io…» mormorò indecisa per poi guardarsi velocemente intorno «Andiamo verso il mare Ryo?» propose infine, facendo un cenno col capo in direzione della terrazza panoramica.
 
L’uomo acconsentì prontamente alla sua richiesta e, nuovamente affiancati, camminarono lentamente tra le aiuole sagomate, davanti a loro un mare di china su cui si riflettevano le luci della città.
 
__________________________
 
1 Durante l’episodio Hojo si mantiene abbastanza generico sulla collocazione spaziale. Dove invece si mostra preciso è proprio nella scena del commiato. Il lungomare, il parco, la nave ristorante e anche la ruota panoramica sullo sfondo esistono e si trovano a Yokohama (Ryo e Kaori sostano nello Yamashita Park). Poiché ci vanno subito dopo l’uscita dalla discoteca, mi è sembrato più logico situare quest’ultima nella stessa città, anche perché la distanza tra Shinjuku (riferimento Chou Park) e lo Yamashita Park è di una quarantina di km. Un po’ difficile farli a piedi.

2 Questa è una mia personalissima ipotesi, dato che in discoteca le onomatopee sono in alfabeto latino e non in katakana. Non sono certo un’esperta, ma mi è sembrato che questa potesse essere la ragione.

3 Per chi se lo stesse chiedendo, la canzone in questione è “How deep is your love”, celeberrima ballata dei Bee Gees del 1977. Per chiudere l’angolo musicale, il titolo del capitolo è una citazione all’omonima canzone, cantata da Freddie Mercury nella sua favolosa cover. Il testo lo trovo molto calzante per Ryo.

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Capitolo 4
*** Il lungo addio ***


 
IV – Il lungo addio
 
Ryo osservò la ruota panoramica che in lontananza segnava indifferente lo scorrere del tempo. Mancavano quattro minuti alla mezzanotte, sapeva che quell’appuntamento non sarebbe potuto continuare ancora a lungo.
 
“Però…”
 
Si voltò e vide Kaori, rigida mentre si tormentava le mani, con il capo chino, persa in tristi riflessioni. Nonostante la vicinanza al mare che aveva voluto e la suggestiva vista notturna, la donna sembrava non essere riuscita a scrollarsi di dosso quel velo di malinconia che sembrava essersi impossessato di lei dalla loro uscita in discoteca. Sconfortato, Ryo rimise le mani nelle tasche dei pantaloni e calciò con fastidio una pietrolina vicina a lui; no, non voleva che lei continuasse a crogiolarsi nell’autocommiserazione, non dopo tutto quello che avevano fatto quella sera. Iniziò a camminare a passi lenti e, man mano che le si avvicinava, cominciò a pensare a un modo per ridestarla da quel torpore che sembrava inestinguibile. Lanciò un’occhiata alla sua destra, dove l’insegna elegante dell’Hotel New Grand1 catturò la sua attenzione. Forse un modo lo aveva appena trovato. La preferiva sorridente, imbarazzata, perfino collerica piuttosto che così mesta.
 
«Cos’hai, sei di cattivo umore? Non spiccichi una parola…» le disse per spezzare quel silenzio che era durato fin troppo per i suoi gusti.
 
La vide riemergere dai suoi pensieri e negare in modo poco convincente. Non le diede neanche ascolto e, con un veloce movimento del braccio, si scrollò dalla spalla destra il soprabito e lo appoggiò sulla sua testa.
 
«Ormai si è fatto molto tardi… E fa anche freddo» si chinò verso di lei e, appoggiata una mano sulla sua spalla, proseguì con voce calda «Prima di venire qui, ho prenotato una stanza in quell’hotel»
 
«Eh?» emise flebilmente Kaori, irrigidendosi nel sentire quella che non sospettava minimamente essere una bugia.
 
Ryo non si scompose, anzi, quella reazione lo fece proseguire imperterrito col suo piano «Ci penserò io a riscaldarti con calma nella nostra stanza con una splendida vista sul mare»
 
L’uomo aspettò qualche istante, concedendosi solo per un secondo la folle idea che quel programma si realizzasse davvero, e fu certo che anche la sua partner avesse colto l’allusione poco casta. Poi strinse deciso la sua presa sulla spalla.
 
«Allora… Andiamo» le sussurrò suadente, iniziando a camminare.
 
«Waah…! A-aspetta un attimo!» urlò Kaori evidentemente in preda al panico, puntando i piedi ben a terra e liberandosi velocemente dalla sua presa «Ecco… Io… Insomma…» farfugliò sempre più agitata, iniziando ad agitare nervosamente le braccia.
 
Ryo la osservò con espressione sorpresa, chiedendole perché urlasse in quel modo, benché si aspettasse perfettamente una tale reazione; una parte di lui, però, si intenerì nel vederla sbracciarsi in quel modo. Le aveva dato l’occasione per passare la notte come una vera coppia, per dormire finalmente nello stesso letto senza il pericolo che crollasse all’improvviso il pavimento. Qualsiasi altra donna innamorata ne avrebbe approfittato, nonostante il travestimento. Invece Kaori, proprio a causa di quel travestimento rifuggiva quella possibilità e, in fin dei conti, intimamente apprezzò la cosa. Lei era una donna sincera, vera, priva di falsità… Se così non fosse stato non l’avrebbe voluta al suo fianco per così tanto tempo.
 
«Ah… No, è che è quasi mezzanotte… E io devo andare in un posto!» proseguì Kaori strappandolo dalle sue riflessioni e, girandosi in direzione della grande imbarcazione attraccata poco lontano da loro, aggiunse «I-in verità stanotte lascerò il Giappone! S-sì, vado a studiare all’estero! Salperò dopo la mezzanotte, devo prendere quella nave, sì!»
 
Lo guardò con una faccia che trasudava ‘una pessima bugia’ da tutti i pori, tesa per l’agitazione, e lui non poté fare a meno di fissarla tra lo scettico e il basito; se quella serata gli aveva insegnato qualcosa, era che Kaori non era fatta per le improvvisazioni e che in futuro doveva ricordarsene nel momento in cui, durante lo svolgimento di un caso, era richiesto.
“Hai deciso di chiudere così la serata allora” pensò, tuttavia strinse gli occhi e decise di correggerla. Nonostante le apparenze era sempre un tipo molto preciso.
 
«Guarda che quella nave non è più in servizio ed è stata trasformata in un ristorante2…» commentò ma venne prontamente interrotto dalla giovane che scattò come una molla appena si rese conto della sua gaffe.
 
«Eh… Ah! Mi sono sbagliata! Non è quella! Ecco… Dunque…» tartagliò una Kaori ormai paonazza.
 
Nel vederla guardarsi intorno alla ricerca di una soluzione alla bugia senza uscita in cui si era cacciata, lo sweeper decise di venirle incontro come aveva fatto altre volte quella sera. Non voleva certo metterla ulteriormente in imbarazzo col rischio di far uscire fuori il suo lato più manesco.
 
«Ah, giusto!» esclamò ingenuamente «Mi pare che la nave passeggeri sul molo dall’altra parte vada in America»
 
Il suo intervento sortì l’effetto sperato. Kaori sembrò illuminarsi e riprese a respirare in modo normale.
 
«E-esattamente!» esclamò rinfrancata «È quella che devo prendere… Sì…»
 
«E perché non me l’hai detta prima una cosa così importante?» non poté evitare di chiederle; doveva pur sempre mantenersi fedele al suo ruolo di ignaro cavaliere e quella partenza così improvvisa avrebbe colto alla sprovvista chiunque.
 
«Be’, vedi… Mi stavo divertendo così tanto con te che…» disse di getto Kaori «Non sono riuscita a dirti che a mezzanotte avremmo dovuto salutarci…»
 
Quelle parole lo colpirono per la loro verità. Aveva visto davvero la sua partner genuinamente felice in sua compagnia e immaginò che, in fondo, soffrisse davvero per quel distacco inevitabile.
 
“Una bellissima fanciulla misteriosa che, dopo una piacevole serata, abbandona precipitosamente il suo cavaliere allo scoccare della mezzanotte” pensò tra sé e, immediatamente, gli sovvenne una fiaba che aveva sentito anni prima, quando la piccola Sonia Field gli raccontava di principi e principesse, che leggeva nei suoi libri, durante le loro passeggiate lungo la spiaggia di Santa Monica.
I suoi occhi furono attraversati da un lampo di nostalgia nel ricordare quel periodo della sua vita, ma durò un attimo. I ricordi si eclissarono e il suo sguardo tornò concentrato sulla donna che aveva di fronte.
 
Si schiarì la voce prima di parlare «Davvero…? Adesso ho capito il tuo nome… Tu sei Cenerentola, eh!» disse e vedendola sorpresa, proseguì specificando «Come Cenerentola, arrivata mezzanotte l’incantesimo si scioglie e devi tornare a essere quella di sempre…»
 
La vide abbassare lo sguardo, gli occhi colmi di una malinconica tristezza e Ryo si chiese se lei avesse colto il messaggio tra le righe. Forse non l’avrebbe fatto – Kaori certe volte era davvero poco perspicace – ma anche se non avesse compreso che lui sapeva chi lei fosse, di certo doveva aver realizzato che dopo la mezzanotte non ci sarebbero state più fanciulle di buona famiglia e cavalieri pronti a difenderle, ma solo Kaori e Ryo. Sarebbero tornati a essere solo loro. La donna si girò lentamente, volgendosi verso il mare, e dopo essersi presa le mani rimase in silenzio per qualche istante.
 
«Grazie Ryo…» disse infine, chinando leggermente il capo «Per avermi lasciato un ricordo di libertà prima di andarmene dal Giappone… Mi sono divertita moltissimo… Io non dimenticherò mai quello che è successo oggi…» terminò quasi in un sussurro.
 
“Anch’io Kaori. È stata una bellissima serata anche per me, una piccola fuga dalla realtà che serberò dentro di me e ricorderò piacevolmente” le rispose mentalmente, incapace di dar voce ai propri pensieri.
Si perse nel contemplare la figura di spalle della donna quando, impietoso, il fischio della nave squarciò il silenzio che si era instaurato tra i due, decretando la fine di quell’appuntamento così peculiare.
 
«La sirena di mezzanotte» le disse, per poi aggiungere piano, quasi come se stesse parlando tra sé «I rintocchi della campana dell’addio…»
 
In una cadenza inarrestabile, quei suoi sgraziati iniziarono a susseguirsi assieme al vento, che aveva iniziato a soffiare sempre più forte. Ryo avvertì il suo soprabito svolazzare e fissò lo sguardo sulle luci delle navi attraccate che si riflettevano sul mare; i porti lo incupivano, facevano riaffiorare in lui ricordi di una vita passata con cui doveva continuare a fare i conti ogni giorno. Poi fissò la parrucca e l’elegante scialle di lana che ondeggiavano poco lontano da lui. Al suono dell’ennesima sirena si ridestò da quell’attimo di torpore; le si avvicinò rapido e, dopo averla presa fermamente ma con gentilezza per le spalle, la fece voltare verso di lui. Notò la sua espressione sorpresa, ma Kaori non emise un suono, assecondando docilmente i suoi movimenti. Si ritrovò vicinissimo a lei, poteva avvertire il suo seno che quasi lo sfiorava e, senza accorgersene, le mani scivolarono lungo le sue braccia magre, fermandosi all’altezza dell’incavo dei gomiti. Non l’aveva mai avuta così vicina, non aveva mai fermato così intensamente i suoi occhi nei suoi – almeno non senza un’arma puntata contro Kaori.
 
Woooo
 
Ryo poté leggere chiaramente il turbamento nella giovane sul suo viso; la vide spaesata, incapace di prevedere quali fossero le sue intenzioni. Eppure per lui era così semplice. Come nel cartone che aveva visto costretto dal Professore per esercitare la lingua nei primi mesi in Giappone, voleva regalare alla sua Cenerentola un bacio di addio.
 
Woooo
 
Non sapeva se fosse una buona idea, ma in quel momento gli sembrò il modo migliore per chiudere quella serata passata al confine tra realtà e finzione, dove attraverso un travestimento si erano mostrati in un modo che la loro quotidianità rendeva impossibile. Almeno per lui.
 
«No, non così» le sussurrò, chinandosi verso Kaori che, nel frattempo, sembrava scostarsi da lui «Quando ci si bacia, bisogna chiudere gli occhi…»
 
La avvertì trasalire al suono di quelle parole, spalancando gli occhi incredula a ciò che aveva appena detto.
 
Woooo
 
Lentamente sollevò la mano sinistra, portandola in direzione del suo mento e la naturalezza di quel gesto lo sorprese. Ryo si concentrò, cercando di imprimere nella sua mente ogni istante, ogni sensazione di quel momento con la consapevolezza che sarebbe stato irripetibile. Le prese il mento tra il pollice e l’indice, ma quando vide il suo viso riflesso negli occhi di lei, ebbe piena coscienza di ciò che stava per fare. Solo allora gli fu chiaro che…
 
Woooo
 
“No. Non la posso baciare davvero” pensò mentre era intento a osservare gli occhi di Kaori, ormai fattisi liquidi, socchiudersi “Non posso essere un tale stronzo. Baciarla quando crede che io non sappia chi sia. E poi… Alla fine neanche io…”
 
Woooo
 
Kaori ormai aveva chiuso gli occhi, ma nel vedere le sue palpebre tramare leggermente come il suo labbro inferiore, sorrise intenerito. Si chiese se quello fosse il primo bacio per lei, e una parte di lui, quella che inspiegabilmente aveva gestito malamente le attenzioni che Kaori aveva ricevuto durante la serata, non volle pensare a una risposta negativa.
 
Woooo
 
Inspirando profondamente si chinò ancora più vicino al suo viso, chiudendo gli occhi. Poteva avvertire il suo respiro solleticargli lievemente le labbra e ciò non fece che accrescere il suo desiderio di baciarla per davvero. Sarebbe stato così facile cedere e allo stesso tempo così sbagliato. Però lui aveva fatto dell’autocontrollo la sua compagna di vita e riuscì a non farsi vincere da quella dolce tentazione: non avrebbe macchiato il ricordo di quella serata. Era stato il sogno di una notte, insperato e imprevisto, ma pur sempre solo un sogno e un bacio gli avrebbe dato la concretezza della realtà.
 
Woooo
 
Come se in quel momento cristallizzato fossero entrati in simbiosi, Ryo poté avvertire distintamente il conflitto interiore che si stava svolgendo all’interno della sua socia, divisa tra slancio e ritrosia, tra desiderio e struggimento.
 
“Anche tu vorresti ma non puoi, vero?”
 
Woooo
 
Ormai il loro tempo era agli sgoccioli e con un tocco lieve come il battito di una farfalla, le sue dita lasciarono quella pelle di pesca. Il distaccò gli fece avvertire per la prima volta il freddo del vento che soffiava libero nel golfo.
 
Woooo
 
Era tempo di risvegliarsi e tornare alla realtà. Mezzanotte era infine giunta e con lei il loro congedo.
 
Woooo
 
«Fine dell’incantesimo»
 
Appena si scostò da Kaori la vide aprire gli occhi di scatto, la sua espressione tradiva un certo stupore.
 
«I rintocchi della campana… Sono finiti… Cenerentola…» mormorò Ryo, sancendo il loro addio.
 
Ora che la sirena della nave aveva smesso di risuonare attorno a loro, il fischiare insistente del vento assieme allo sciabordio delle onde presero il suo posto, gettando un velo di malinconia anche dentro di lui. Osservò la donna davanti a sé e la vide abbassare lo sguardo, un attimo esitante, prima di rialzarlo e guardarlo negli occhi.
 
«A…addio… Ryo…» pronunciò in soffio prima di abbassare la testa e, con rapidi passi, lo superò.
 
Lo sweeper rimase fermo, lo sguardo fisso dove pochi istanti prima c’era stata la sua cara partner, e solo quando avvertì i suoi passi risuonare più lontani si permise di voltarsi. Vide la sua sagoma rimpicciolita dirigersi verso l’ingresso passeggeri del molo turistico, dove erano parcheggiati pochi taxi solitari. Non avrebbe voluto lasciarla andar via sola e sentì una stretta all’altezza del petto nel ricordare con che occhi gli aveva detto addio. Per un istante gli era sembrato che la vera Kaori, quella priva di orpelli e travestimenti, lo avesse salutato definitivamente e quel pensiero lo aveva raggelato. Sospirò pesantemente, rimproverandosi per la stupidità di quella fantasia, senza distogliere lo sguardo da lei; voleva solo assicurarsi che salisse a bordo di una vettura senza problemi ma, allo stesso tempo, non riusciva a interrompere quel contatto visivo. Sorrise debolmente nello scorgerla mentre parlava animatamente con il tassista, probabilmente stava mercanteggiando la tariffa.
“Tipico di Kaori” pensò divertito.
Alla fine, vide il taxi sfumare tra le luci del viale. Era nuovamente solo. Lasciò andare un lungo sospiro mentre portava la mano destra alla fronte; si sentiva prosciugato di ogni energia e ciò lo sorprese non poco. Poi, come ricordandosi improvvisamente di qualcosa, si mosse con passi misurati, raggiungendo un flebile scintillio che proveniva dal pavé poco più avanti. Aveva già capito cosa fosse, non gli era sfuggito quel leggero rumore metallico che era stato coperto dai passi frettolosi di lei. Poteva tranquillamente lasciarlo lì, ma il suo istinto lo aveva portato a inginocchiarsi e a prendere tra le mani il piccolo orecchino che profumava ancora di lei.
“Sei voluta essere Cenerentola fino alla fine, eh?” pensò tra sé chiudendo nel pugno quel sostituto della classica scarpetta di cristallo e, girandosi alla sua destra, si avvicinò alla ringhiera della balconata sul mare.
Il vento continuava a soffiare sempre più impetuoso, muovendo il mare sotto di lui che ruggendo si infrangeva sui frangiflutti, spargendo sottilissime goccioline d’acqua sul suo completo elegante.
Per alcuni muniti lasciò che le immagini di quella serata gli passassero veloci nella mente come fotogrammi di un film muto, fin quando non arrivò al lento in discoteca. Chiuse gli occhi e inspirò profondamente; se c’era stato un momento in cui aveva sofferto fisicamente era stato proprio quello. Lo aveva turbato, in un certo senso gli aveva provocato una fitta all’altezza dello stomaco l’averla stretta a lui come si era ripromesso di non fare mai. Certo, era salvo grazie al suo fingersi ignaro, ma quell’emozione, quel sentimento che aveva avvertito in quel frangente era stato verissimo, tanto da spaventarlo.
 
«Mai più…» mormorò al vento che, come se fosse contrario alla sua decisione, gli scompigliò selvaggiamente i capelli.
 
Lui, però, non voleva più concedersi simili momenti di debolezza: la sua vita glielo impediva, lui era uno sweeper e non poteva permettersi il lusso di indugiare sui sentimentalismi. Restava però la realtà, innegabile nel suo animo, che non rimpiangeva di aver trascorso la serata con lei in quel modo. Per quelle poche ore gli era sembrato di non sentirsi più addosso l’odore della polvere da sparo, la mente era stata sgombra dalle ombre ricorrenti di morte e violenza che albergavano come spiriti inquieti in lui. Si era sentito semplicemente un uomo, pulito, felice di essere con la donna che lo amava. Fissò intensamente lo sguardo sulle luci che filtravano dagli oblò illuminati della Hikawa Maru attraccata alla sua destra: lo sapeva già da tempo, anni, ma ormai non poteva in alcun modo eludere la verità. Kaori lo amava, in un modo così esclusivo e totalizzante da essere doloroso, e quella sera glielo aveva dimostrato in ogni gesto, in ogni sguardo e nei molti non detti.
E lui?
Lasciò che i suoi occhi abbandonassero le luci per concentrarsi sul movimento ipnotico delle onde oscure. Chissà perché ogni volta che ci pensava si sentiva soffocare.
 
“Io… Certo le voglio bene, è ovvio che ci tenga a lei. In fin dei conti viviamo insieme da così tanto tempo. Sì, alla fine per me è come una sorella…”
 
Proprio mentre stava formulando quell’ultimo pensiero, a tradimento gli tornarono alla mente varie immagini di Kaori; in abiti di casa, in costume da bagno, con la tutina aderente da assalto e avvertì distintamente un certo movimento verso le parti basse.
 
«Ehi!» esclamò incredulo, rivolgendosi al suo amico che si ricompose immediatamente.
 
“Roba da non credersi… Davvero mi basta così poco adesso per…”
 
Scosse la testa sconsolato nel rendersi conto di quanto iniziasse ad essere difficile continuare a negare a se stesso l’evidenza, e si ripromise di impegnarsi con tutte le sue forze per non tradirsi mai di fronte a lei. Dopo aver osservato di sfuggita l’orologio della ruota panoramica, decise di avviarsi verso la macchina, quando si fermò di colpo, sollevando la mano sinistra chiusa a pugno. Si era dimenticato di avere ancora quell’orecchino. Soppesò il da farsi, indeciso se lanciarlo nelle profondità marine, come a seppellire definitivamente il ricordo di quella sera nelle profondità del suo animo, o tenerlo con sé. Aprì le dita e fisso il sottile pendente per qualche istante prima di scrollare le spalle.
Infine, con uno sbuffo mise l’orecchino nel taschino della giacca e, dopo un’ultima fugace occhiata al mare, si diresse lentamente verso la sua vettura. Era giunto anche per lui il momento di tornare alla realtà e dismettere i panni del principe; ora che si ritrovava solo, faccia a faccia con i suoi pensieri, si sentiva ridicolo in quelle vesti che non lo rispecchiavano davvero. Dopo aver guidato per una manciata di minuti, accostò la Mini all’ingresso di un angusto vicolo cieco e una volta uscito dall’abitacolo si tolse in fretta il completo elegante, rimettendo i suoi vestiti che si trovavano nel bustone preventivamente sistemato nel bagagliaio. Mentre stendeva l’impermeabile sgualcito con ampie manate, cercò di mettere ordine trai i suoi pensieri, sentendo il suo spirito pian piano tornare in sé, ritrovando così la sua stoica calma.
Dopo aver cercato di ripiegare alla meno peggio il completo e soprabito, li mise nell’elegante bustone che buttò con malagrazia sul sedile passeggero. Si rimise in marcia verso Harajuku, permettendosi di spingere l’auto più veloce del solito. All’ennesimo semaforo rosso che rallentò la corsa decise di accendersi una sigaretta; man mano che espirava le sottili volute di fumo sentiva i muscoli distendersi. Decise così di proseguire con più calma, come a volersi gustare lentamente lo scenario della città notturna e quella sigaretta che lo stava rimettendo al mondo. Quando arrivò nei pressi del palazzo di Eriko erano quasi le tre di notte e la strada era semi deserta, fatta eccezione per altri sporadici nottambuli come lui. Accostò senza spegnere il motore e con un balzo si diresse verso l’ingresso secondario, quello da cui l’assistente zelante lo aveva fatto uscire, e vi poggiò davanti il bustone.
“Fine dell’incantesimo…” pensò osservando per un istante il soprabito che fuoriusciva dall’involucro di carta.
Poi, rapido, tornò in macchina senza guardarsi indietro. Sapeva per certo che Kaori doveva essere a letto da un bel po’, perciò senza ulteriori indugi si diresse verso casa.
 
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1 Nel manga vediamo l’immagine di un Yokohama Hotel, ma proprio di fronte lo Yamashita Park, lungo la Yamashita Koen-dori, si trova il New Grand, uno dei più antichi hotel del Giappone. La versione attuale risale al 1927 ed è in stile occidentale, a cui si affianca la Grand Tower, la parte più moderna della struttura completata nel 1991. Ho deciso perciò di citare direttamente il vero hotel, dato che mi sembra essere il riferimento usato da Hojo.

2 La nave ristorante è la Hikama Maru. Attualmente è la più antica nave cargo-passeggeri giapponese, risalente a prima della II Guerra Mondiale. Varata nel 1930, venne impiegata per la linea verso Seattle ma allo scoppio della guerra funse da nave ospedale. Continuò a essere utilizzata sino al 1961, anno in cui venne ormeggiata definitivamente al Yamashita Park. È diventata subito un’attrazione famosa, diventando anche un ristorante che, però, ha chiuso definitivamente nel 2006. Attualmente è una nave museo.

Altra piccola nota: nel 1990, anno in cui si svolge il racconto, non esisteva ancora la fermata metro che collegava quella parte di Yokohama verso Shinjuku (ma anche se ci fosse stata la metro sarebbe stata chiusa dopo la mezzanotte), perciò mi è sembrato più logico far tornare Kaori in taxi. Sicuramente non è una scelta economica, ma molto più probabile che tornare a piedi.
Anche il titolo di questo capitolo è un omaggio a un’altra opera che amo particolarmente, ovvero l’omonimo albo di Dylan Dog (il numero 74): un episodio di rara bellezza, dove l’onirico, il reale e il sovrannaturale si fondo in modo struggente. Sarà l’ambientazione notturna, sarà che l’avevo riletto poco prima di scrivere, sta di fatto che è stata la prima scelta per il titolo.

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Capitolo 5
*** Quel che resta della sera ***


V – Quel che resta della sera
 
Ryo aprì stancamente gli occhi nella penombra della sua stanza e sbuffando si mise supino, le mani dietro la nuca. Si era concesso un parziale dormiveglia, non riuscendo a dormire davvero. Quando era tornato a casa prima dell’alba si era limitato a scivolare silenzioso come un’ombra nella sua stanza e, senza svestirsi, si era buttato sul letto.
Senza pensarci portò la mano destra nella tasca dei jeans, prese l’orecchino e se lo portò davanti agli occhi. Mentre si rigirava il piccolo pendente tra le dita, non poté fare a meno di chiedersi se avesse sbagliato, se forse sarebbe stato meglio non dare il via a quella messa in scena. L’altra parte di lui, però, quella che era costantemente sacrificata per amor della ragione, gli diceva che non doveva pentirsene, che quella serata sarebbe stata ben custodita nella sua memoria poiché gli aveva dato l’occasione di conoscere Kaori sotto un’altra luce. Lo aveva divertito scovare nuove sfumature del suo essere, e sarebbe stato interessante riuscire a ritrovarle col tempo anche nella loro quotidianità. Quel pensiero, però, lo rabbuiò in un instante.
“Eppure un giorno dovrò permetterle di tornare a una vita normale…” si disse non senza una punta di amarezza. Con un sospiro sommesso si girò sul fianco sinistro, il pugno ancora stretto con l’orecchino.
 
“Ah, spero che nulla cambi…”
 
Era questo il suo maggior desiderio: il poter proseguire la sua routine con Kaori il più a lungo possibile, in quel rapporto ambiguo che era un po’ più di un’amicizia ma un po’ meno di una relazione. Da tempo era giunto alla conclusione che quella era la soluzione migliore per poterle permettere, un giorno, di tornare a una vita normale, senza legarsi in modo compromettente con lui.
Ma lui sarebbe mai stato pronto a darle la spinta necessaria per il distacco?
 
«Ryoooooo»
 
Lo sweeper balzò su per lo spavento. Non si era reso conto che mentre era perso nei suoi pensieri si era fatto giorno.
 
«Svegliati! Ormai è giorno!» la sentì urlare dal piano di sotto.
 
«Sì, non urlare!» le gridò di rimando per poi mettersi una mano sulla bocca.
 
Non era da lui rispondere così prontamente alle sue sveglie, solitamente si degnava di emettere qualche rantolo sofferto solo dopo almeno quattro o cinque richiami. Anche Kaori doveva essere sorpresa per il suo comportamento, infatti la sentì mormorare un «Va bene» stupito prima di allontanarsi dalle scale.
“Ah stupido! Comportati come sempre!” si rimproverò dandosi un pugno in testa.
 
«E tu stai buono» disse poi al suo amico che, nonostante la costrizione dei jeans, non aveva mancato di manifestare la sua felicità per quel nuovo giorno.
 
Mentre si alzava e stiracchiava lentamente, si domandò se Kaori sarebbe stata in grado di comportarsi come sempre, ma nel grattarsi pigramente il collo decise di fare del suo meglio per aiutarla a ripristinare il loro solito rapporto, nel caso ci fosse stato bisogno. Scese le scale fischiettando e, una volta entrato in cucina, sorrise debolmente nel vedere la sua socia indaffarata come sempre ai fornelli.
 
«’Giorno» bofonchiò mentre si sedeva al suo solito posto.
 
La vide irrigidire lievemente le spalle per una frazione di secondo prima di voltarsi verso di lui.
 
«Buongiorno Ryo. Come mai siamo così mattinieri oggi?»
 
«Beh, una volta tanto anche i migliori sbagliano» disse con finta solennità.
 
Si aspettò una replica a tono ma Kaori si limitò ad annuire col capo prima di tornare concentrata ai fornelli. Ryo appoggiò pigramente il mento sul palmo della mano: non gli erano sfuggiti i suoi occhi arrossati, contornati da occhiaie, che testimoniavano una notte in bianco. Non che la cosa lo meravigliasse.
“Chissà se ha pianto” si chiese, stupendosi a sua volta di quel pensiero.
 Kaori era una donna molto forte, ne aveva avuto numerose dimostrazioni nel corso degli anni, e custodiva i suoi dolori e i suoi tormenti gelosamente, non lasciandoli trapelare all’esterno. Eppure lui sapeva che quei momenti di sconforto e tristezza c’erano, e il fatto di saperla nascondere le sue lacrime nel segreto della sua stanza non mitigava l’amarezza che provava nell’immaginarla in quei frangenti.
 
«Ecco, oggi ti ho preparato una colazione all’occidentale, visto che la desideravi tanto» gli disse mentre appoggiava sul tavolo un piatto con uova strapazzate, bacon e quattro salsicce.
 
Ryo fisso per qualche attimo il piatto, sorpreso per quello strano trattamento; non riusciva proprio a ricordare quando effettivamente l’avesse reclamata. Le lanciò un’occhiata fugace e quello che carpì fu sufficiente per comprendere come la sua socia non riuscisse a comportarsi del tutto come sempre. Quella gentilezza… Certo, gli faceva piacere, ma dov’era finito il suo brio? Si schiarì la voce e partì all’attacco.
 
«Di’ un po’ Kaori» esordì sfoggiando un sorrisino sardonico «Cosa mi nascondi?»
 
«Eh?!» la ragazza trasalì con il viso totalmente in fiamme, segno di aver raggiunto i massimi livelli di imbarazzo. Soddisfatto, Ryo proseguì aggiungendo benzina sul fuoco.
 
«Tutte queste attenzioni sono sospette» proseguì con fare ovvio «Confessa, vuoi farmi sgobbare per un uomo, giusto? E pensi pure di comprarmi con una colazione mediocre che potrebbe passare più per una punizione?»
 
Si sentì prendere per il collo della maglia e venne strattonato con forza verso una Kaori furiosa che troneggiava su di lui, pericolosamente vicina al suo viso.
 
«Non meriti neanche un po’ di considerazione, sei pessimo Ryo!» sibilò fulminandolo con gli occhi.
 
In quello stesso istante Ryo si predispose per l’attacco imminente e, dopo aver strizzato gli occhi, alzò gli avambracci sopra la testa, pronto ad accogliere il peso della furia; eppure il colpo non arrivò immediato come si aspettava. Aprì un occhio e vide ciò che non avrebbe voluto: nello sguardo ferito e carico di livore della sua partner c’era dell’esitazione.
 
“Allora Kaori-chan, non vuoi tornare a colpirmi dopo ieri sera? Eppure lo sento che hai comunque bisogno di sfogarti”
 
In un attimo mise su la sua miglior faccia da schiaffi e la martellata lo travolse con una velocità e forza che aveva sperimentato in poche occasioni.
 
«Sei pessimo, davvero un pessimo elemento!» la sentì urlare mentre usciva dalla cucina.
 
“Missione compiuta” si disse cercando di ritornare in sé. Una ben magra vittoria, lo sapeva bene, e intanto che si riprendeva da quelle tonnellate che gli erano franate addosso, si chiese se valesse davvero la pena rischiare di rimetterci la vita per continuare in quel modo. E per quanto non fosse piacevole, fu costretto ad ammettere che quello era l’unico modo in cui doveva continuare ad agire se voleva proteggerla. Lei era sicuramente l’incarico più lungo e rognoso che gli fosse mai stato affidato, ma anche il più divertente, imprevedibile, violento…
“Ah Maki, come mi hai incasinato la vita” disse mentalmente mentre si alzava massaggiandosi la testa. Erano ormai quasi cinque anni da che gli aveva promesso di prendersi cura di sua sorella, e quello che in un primo momento era sembrato un compito di breve durata si era rivelato un legame intricato quanto un nodo gordiano. E la colpa era soltanto sua; avrebbe dovuto scoraggiare l’intento di Kaori di stargli accanto fin dai primi giorni, ma non ci era proprio riuscito. Non quando aveva visto i suoi occhi così decisi a voler prendere il posto di suo fratello, così sinceri con lui da non riuscire a nascondere la paura di una futura solitudine. E lui l’aveva sperimentata fin troppo bene quella solitudine, tanto che, quando si era reso conto che mandare via Kaori avrebbe significato tornare alla sua vecchia vita, la sua parte irrazionale aveva deciso di non voler rinunciare a quella nuova compagnia che lo divertiva come non aveva mai fatto una donna in vita sua. Non era riuscito assolutamente a mandarla via, come avrebbe potuto? Non aveva avuto niente da dire, se non fare una tiepida protesta, nemmeno quando Kaori aveva deciso di trasferirsi al sesto piano, e anzi, in cuor suo ne era stato anche felice…
La sua pancia brontolò rumorosamente e nello stesso istante lanciò un’occhiata alla colazione ancora intonsa. Sospirò rassegnato e increspò le labbra in un sorriso triste: quel piatto ricolmo di cibo per lui era la cosa più vicina al concetto di famiglia, era giusto disfarsene solo perché era la cosa più giusta da fare? E allo stesso tempo, poteva continuare ad averla vicina solo perché lui una famiglia non l’aveva mai avuta? Nonostante tutto, la sua cara partner non sembrava voler andar via. Conoscendola, non avrebbe perso tempo in caso avesse voluto vivere per i fatti suoi, e negli anni non le erano mancate le occasioni. Sayuri prima e Uragami per ultimo le avevano offerto una possibilità per cambiare idea e lasciare quella casa, quella vita pericolosa… per lasciare lui. Ma Kaori non l’aveva fatto e Ryo ormai ne conosceva il motivo.
 
“Non te la prendere Maki, ormai penso alla tua sorellina fin troppo. Facciamo così: lei resta qui ancora per un po’, almeno fin quando non si stancherà di me o tu mi farai capire che mi vuoi morto, ok vecchio mio?”
 
Mangiò il suo pasto con voracità – in fin dei conti non aveva cenato la sera prima – e, dopo aver fatto una rapida sosta in bagno, salì le scale diretto in camera sua; dal rumore che vi proveniva non si meravigliò nel trovare Kaori intenta a sbattere con le mani il materasso con fin troppa energia. Si appoggiò con una spalla contro lo stipite della porta e incrociò le braccia, divertito da quella visione.
 
«Mi spiace ma per il momento non puoi stenderti sul letto. Sto cambiando le lenzuola e devo dare una ripulita alla stanza» gli disse Kaori, lanciandogli uno sguardo obliquo.
 
Ryo fece spallucce «Nessun problema, non era nei miei programmi restare qui. Ero salito solo per cambiarmi»
 
Lasciò indugiare il suo sguardo per qualche istante di troppo sul bel fondoschiena della sua partner – che aveva ripreso a lavorare senza aspettare una sua risposta – e, prima che il piccolo Ryo potesse manifestare il suo apprezzamento, si lanciò di getto a raccogliere le lenzuola sporche che giacevano ammucchiate per terra. Kaori lo guardò interrogativa mentre continuava imperterrita nella sua operazione.
 
«Allora… Le vado a mettere in lavatrice…» disse infine, dopo alcuni momenti di indecisione in cui era rimasto al centro della stanza con il bozzolo tra le mani. Aveva agito d’impulso, non voleva prendere quelle maledette lenzuola; aveva cercato solo qualcosa da fare per evitare la comparsa del mokkori, ma adesso si sentiva veramente stupido.
 
«Sicuro di stare bene Ryo?» gli domandò Kaori con un sopracciglio alzato.
Il letto era ormai sistemato e si era avvicinata a lui.
 
«A meraviglia, perché?»
 
«Mmmh… Se lo dici tu…»
 
Ryo capì che non era affatto convinta, ma preferì non aggiungere altro così da spegnere l’argomento. Stava per girarsi quando sentì le mani di lei sfiorare i suoi avambracci e prendere il loro contenuto.
 
«Faccio io, non preoccuparti»
 
Non c’era più traccia di rabbia nella sua voce ma Kaori mantenne lo sguardo basso. Ryo la lasciò fare ma, prima che potesse andar via, la trattenne chinandosi vicino al suo orecchio destro.
 
«Grazie Kaori»
 
Fu un attimo, si era già diretto verso l’armadio che aveva aperto quando si girò nuovamente verso di lei. Stringeva stretto al petto il voluminoso gomitolo di lenzuola ma la vide sorridere con gli occhi.
“Pace fatta” pensò con una punta di sollievo e si sentì di colpo tornare di buon umore. Tanto da sentire l’impulso irrefrenabile di stuzzicarla un pochino.
 
«Beh, ora se non ti dispiace dovrei cambiarmi. So che vuoi ammirare lo spettacolo, ma sono molto timido» disse quasi in falsetto, coprendosi la bocca con la mano in modo pudico.
 
La vide saltare sul posto, come se avesse realizzato in quell’istante la sua immobilità, per poi lanciargli il solito sguardo in tralice che riservava solo a lui ogni volta che diceva assurdità.
 
«Che scemo che sei! Cambiati pure, chi ti vuole vedere?!» esclamò girando il viso dall’altra parte con sdegno teatrale, per poi dirigersi verso le scale «Da non credersi, sono una persona impegnata, io!»
 
Nel sentirla borbottare lungo il tragitto, Ryo non poté fare a meno di sghignazzare; Kaori era proprio uno spasso quando cercava di nascondere l’imbarazzo con il disgusto, la sua espressione non mancava di divertirlo sempre come se fosse la prima volta. Intanto che si vestiva, rifletté su come fossero quelle piccole cose a rallegrarlo davvero. Era confortate oltre ogni dire avere a casa qualcuno come Kaori, con cui poteva permettersi di fare lo scemo e non essere giudicato; quando viveva da solo…
Appoggiò la fronte contro l’anta dell’armadio. Sembrava passato poco tempo e allo stesso tempo gli sembrava di vivere con Kaori da sempre.
Se non ci fosse stata lei sarebbe stato il paradiso, così aveva detto alla piccola Mayuko Uragami alcuni mesi prima, ma in verità sapeva bene che sarebbe stato un iniziale inferno. Certo, alla fine si sarebbe abituato nuovamente alla solitudine, ma nel frattempo sarebbe stata un lenta atrofia interiore. Sì, perché avrebbe dovuto ripristinare il gelo che lo aveva accompagnato e che sarebbe stato indispensabile per continuare a sopravvivere.
Ma a lui piaceva la sua vita attuale… Gli piaceva davvero tanto che avrebbe voluto continuare a vivere così fino alla fine dei suoi giorni. Era così bello tornare a casa e trovare un ambiente accogliente, avere qualcuno ad aspettarlo, o meglio, tornare a casa insieme a qualcuno. E parlare, scherzare, condividere anche le cose più insignificanti. Tutto ciò gli trasmetteva un senso di pienezza che il confronto con il passato lo faceva soffocare. E soprattutto, se doveva essere davvero sincero con se stesso – e strinse gli occhi, perché era davvero doloroso per lui –, sentiva di aver sviluppato una certa dipendenza da cui non voleva in nessun modo disintossicarsi: ricevere l’affetto incondizionato di una persona. Al di là di qualsiasi sentimento romantico, che si era imposto di non contemplare più in alcun modo, era innegabile che Kaori nutrisse un affetto sconfinato nei suoi confronti, e lo stesso era per lui. Era bello tenere alla vita di qualcun altro più che alla propria, lo faceva sentire più umano e, allo stesso tempo, lo aveva aiutato a rivalutare la sua stessa esistenza; i tempi delle missioni suicide era terminato da un pezzo, ovvero da quando aveva avuto la consapevolezza di doverla proteggere e vegliarla. Fino a quando sarebbe stata con lui, avrebbe sempre garantito la sua incolumità.
Si scrollò da quella posizione scomoda, prese una camicia dalla gruccia e la indossò in un solo gesto. Desiderava che Kaori avesse la libertà di scegliere la propria vita. Quella stessa libertà che a lui era stata negata, poiché la vita stessa lo aveva indirizzato verso una strada senza uscita. Per questo motivo le aveva infilato l’orecchino nella tasca anteriore dei jeans mentre le sussurrava “grazie”. Il cerchio si era chiuso, la scarpetta era tornata dalla sua Cenerentola e, in cuor suo, sperava che Kaori non ricorresse più a tali escamotage. Se voleva cambiare, provare qualcosa di nuovo, doveva farlo senza alcun travestimento. Si augurò che anche lei giungesse a quella conclusione una volta che lo avesse ritrovato. Allo stesso tempo, però, si era scoperto: sì, Kaori poteva unire i punti e arrivare alla conclusione che lui sapeva chi fosse la ragazza misteriosa.
Sospirò intanto che si infilava la cinta. Era un rischio che aveva deciso di correre, e il perché non lo sapeva nemmeno lui. Forse perché una parte del suo orgoglio, quella che reclamava la massima conoscenza del mondo femminile, che come un cane da tartufo scovava bellezze e imprimeva nella sua memoria granitica qualsiasi donna incontrasse, era rimasta ferita dalla sera precedente. A mente fredda, però, doveva riconoscere che non era stata una mossa intelligente, considerando che il dover dare spiegazioni a Kaori avrebbe compromesso la loro situazione.
Senza fretta uscì dalla stanza, scuotendo leggermente la testa mentre dentro di lui andava formandosi una certa sicurezza; Kaori, insicura com’era, non avrebbe capito o, comunque, non avrebbe sollevato la questione. Mentre saliva le scale che portavano al terrazzo, si ripeté più e più volte che in quell’aspetto erano molto simili: avevano paura di perdere la loro quotidianità.
Aprì la porta di ferro e subito il vento gli sferzò contro con forza, facendolo sentire improvvisamente più leggero, come se quegli sbuffi dispettosi gli stessero sollevando in parte un peso che si sentiva sul cuore. Sempre a passi lenti e misurati si diresse verso il suo lato preferito, che lo aveva visto innumerevoli pomeriggi e notti fermo a rimuginare sulle sue scelte e azioni, arrovellandosi il cervello per cercare risposte sfuggevoli e per tentare di rappacificare i suoi sensi. Poggiò mollemente gli avambracci sul muretto e si sporse quel tanto per avere una perfetta visuale dei movimenti sotto di lui; non avvertiva nessuna minaccia vicina, sembrava un tranquillo primo pomeriggio, ma non gli sfuggì il taxi che si fermò proprio davanti la sua palazzina. Vide scendere una testa corvina da cui spuntavano due scarpine femminili e Ryo capì che la visitatrice doveva essere Eriko. Non se ne sorprese.
 
“Sarà venuta per avere un rapporto dettagliato di ieri sera… Ho fatto bene a rifugiarmi qui, immaginando come sarà delusa nel sapere che il suo piano non è andato a buon fine, potrebbe incenerirmi con gli occhi”
 
Alzò l’avambraccio destro e posò il mento sulla mano. Ripensò per un attimo alla notte precedente ed emise un verso indefinibile.
 
«Una cenerentola metropolitana… già» mormorò tra sé, sorprendendosi che uno come lui, che aveva così tanti problemi con le parole, avesse trovato la giusta definizione per Kaori; socchiudendo gli occhi si disse che, però, preferiva la versione ‘casalinga’. Perché era quella vera.
 
Il fatto che Eriko avesse pensato che bastasse sistemare la sua amica in modo più raffinato per farlo cedere, significava che, evidentemente, non aveva capito niente di lui. Poteva mostrarsi come un inguaribile dongiovanni pervertito, ma non era certo un uomo così frivolo e superficiale. Allo stesso tempo, però, si poteva dire soddisfatto; il riuscire a rendersi illeggibile agli occhi altrui lo aiutava a mantenere una certa sicurezza. Gli confermava che il suo scudo continuava a proteggerlo. Non c’era cosa peggiore che mostrare le proprie debolezze agli altri, e questo era un punto che continuava a mantenere fermo nella sua vita.
 
§
 
Aveva appena finito la sua sigaretta, che aveva fumato osservando la luce del crepuscolo infuocato che stava inglobando nel suo bagliore gli alti edifici davanti a lui, quando il suo udito sensibilissimo avvertì un passo leggero, che conosceva perfettamente nel suo incedere inconfondibile su per i gradini che portavano al terrazzo. Kaori aprì la porta metallica con energia e la lasciò chiudersi rumorosamente.
 
«Ah, ecco dov’eri finito!» esclamò la giovane intanto che lo raggiungeva.
 
Ryo abbozzò un sorriso e spense la cicca sul davanzale. Era passata all’incirca una mezzoretta da quando aveva visto Eriko uscire dal palazzo, e si era aspettato che la sua partner lo avrebbe raggiunto prima. Non riusciva a credere di sentirsi un po’ deluso per questo, a riconferma che, come un bambino, in fondo cercava le stesse attenzioni che platealmente urlava di non sopportare.
 
«Pensavo che fossi uscito…» continuò ignara Kaori, appoggiandosi a sua volta al parapetto accanto a lui.
 
Ryo girò il capo verso sinistra, mostrandole un sorrisino irriverente «Dovremo aspettarci altre visite della tua amica? Se è così, mi farò trovare pronto per la cara Eriko-chan!»
 
Kaori lo fulminò all’istante «Devo farmi trovare pronta anch’io?» emise truce.
 
«M-ma no, scherzavo!» si affrettò a rispondere lo sweeper, sventagliandole contro la mano. Perché prendeva sempre troppo alla lettera tutto ciò che diceva?
 
«Certo, lo so io come sono seri i tuoi scherzi» commentò non ancora pienamente convinta mentre tornava ad appoggiarsi sul muretto.
 
Ryo la osservò con la coda dell’occhio senza aggiungere altro; rimasero per un po’ così, il rumore della città si inserì e ampliò il loro silenzio. Ma non era nulla di pesante o deprimente, al contrario gli stava trasmettendo serenità. Kaori riusciva a donargli quella sensazione che solo il giardino della villa del Professore era riuscito a trasmettere nel suo animo. Una sensazione che sapeva di frescura, di fronde sonanti e acque placide. Senza una parola lei riusciva a calmare i suoi pensieri e, allo stesso tempo, a renderlo pronto a qualsiasi cosa. Dovette constatare che era soprattutto quando gli era lontana che i suoi pensieri angoscianti, le sue responsabilità e i suoi dubbi per il futuro lo sopraffacevano. Quando erano insieme si soffermava sulla presenza rassicurante di quel presente che sembrava voler scacciare via tutto il resto. Forse questo era uno dei motivi per cui non poteva decidersi ad allontanarla dalla sua vita così a cuor leggero.
 
«Davvero una bella serata» la sentì mormorare a un tratto.
 
«Già»
 
«Ah, senti Ryo…»
 
L’uomo si girò verso di lei e con un cenno della testa le indicò di continuare.
 
«Prima, poco dopo che Eriko è andata via, è passato Kobayashi-san per avvisare che tra un mese lascia il suo bilocale al quinto piano»
 
«È riuscito a trovare un affitto più economico?» domandò sorpreso.
 
«E come potrebbe se gli hai dato la casa praticamente gratis!» esclamò Kaori alzando gli occhi al cielo «Come per tutti gli altri condòmini» aggiunse poi guardandolo.
 
Poteva sembrare un rimprovero ma Kaori lo osservava con occhi buoni. Ryo ormai sapeva quanto fosse in realtà altruista e che la sua venalità si manifestava solo nella gestione della loro vita domestica, perciò Kaori non aveva mai avuto nulla da ridire sulla sua filosofia da padrone di casa.
 
«Torna dai suoi genitori. Ha detto che Tokyo in fin dei conti non fa per lui e gestirà l’azienda agricola di famiglia vicino Niigata»
 
«Quindi ha preferito le piante al tavolo da baccarat»
 
«Mm- mm» annuì Kaori «Direi che è un cambiamento in meglio. Dovevi vedere come era felice, non la smetteva di elencare tutti i vantaggi della vita in campagna! Ho faticato non poco per chiudere la conversazione»
 
«Voleva convincere anche te a trasferirti in campagna?» le domandò facendole un sorrisino irriverente. Non gli erano certo sfuggite le occhiate sognanti che l’uomo era solito lanciare verso Kaori e, a giudicare dal rossore improvviso che le imporporò le guance, capì che nel suo addio Kobayashi si era mostrato più esplicito del solito.
 
«Come se potessi!» esclamò di slancio la ragazza per nascondere il suo imbarazzo e diede le spalle a Ryo «Ho un lavoro e altre cose di cui occuparmi» aggiunse con voce più bassa.
 
Lo sweeper in un istante intese tutto, anche ciò che era rimasto solo nella mente della giovane; non vi riusciva spesso, ma le volte in cui sentiva di entrare in simbiosi con lei non mancavano di turbarlo per l’intensità del momento. Kaori era solita nascondersi dietro la motivazione del lavoro per giustificare la sua convivenza con lui – e d’altro canto era ciò che faceva anche lui. Comprendeva bene, però, che dietro c’era molto di più: l’assenza di Hideyuki, del suo amato fratello, che non smetteva di essere presente tra loro. Era lui l’autentico filo che aveva connesso entrambi, e proprio grazie a lui, due solitudini avevano formato una famiglia tra le più improbabili. Ryo si sorprese di come ancora una volta la parola ‘famiglia’ gli fosse tornata in mente pensando a Kaori, e decise di lasciar perdere lo scorrere delle sue riflessioni. Girò la testa abbastanza per vederla ancora di spalle, con il braccio destro appoggiato al parapetto. Sapeva che stava dando fondo a tutto il suo autocontrollo per non tradirsi, per non lasciar trapelare riferimenti alla serata che avevano trascorso, e ai suoi dubbi. Quasi si era aspettato da lei un «E anche se me ne andassi, a te importerebbe qualcosa?», ma evidentemente l’esperienza le aveva insegnato l’inutilità di porgli quel tipo di domande.
“È davvero cresciuta” pensò con una punta di orgoglio. La Kaori che aveva conosciuto agli inizi sarebbe stata molto più assillante e volgare, mentre quella che gli era di fronte si era fatta all’occorrenza più taciturna e riflessiva. E anche molto più bella…
Ryo strizzò gli occhi per cacciar via quell’ultimo pensiero pericolosissimo che rischiava di svegliare il suo amico sonnecchiante.
 
«A proposito di lavoro, hai trovato qualche richiesta alla lavagna?» domandò per ripristinare il discorso – e soprattutto i suoi pensieri – alla normalità.
 
«Niente purtroppo» rispose Kaori con fare sconsolato. Gli lanciò una breve occhiata e iniziò a camminare lentamente verso la porta «Per fortuna abbiamo ancora un po’ di soldi da parte grazie a Eriko, che ci ha pagato più che profumatamente, ma dobbiamo fare comunque economia e cercare di non fare debiti con il Cat’s Eye» concluse lanciandogli uno sguardo di fuoco.
 
«Ma sì, c-certo!» si precipitò ad assicurare Ryo con tanto di mani alzate.
 
A quello scatto lo sguardo di Kaori si raddolcì e non nascose una risatina soddisfatta.
 
«Bene, allora io scendo, inizio a preparare la cena. Ti conviene non restare troppo a lungo qui sopra, l’aria fredda potrebbe farti diventare ancora più scemo»
 
«Ehi, chi sarebbe lo scemo?!» le sbraitò contro ma Kaori era già volata via allegra.
 
Scosse la testa con un sorriso e si voltò un’ultima volta verso i grattacieli di Nishi-Shinjuku ben illuminati nell’imbrunire. Un altro giorno era passato e lei stava bene.
“Sto tenendo fede alla promessa Maki” si disse e ciò lo rasserenò.
In un quel mare melmoso che era la sua vita, stava riuscendo a fare qualcosa di buono. Stava tenendo fede alla promessa fatta al suo amico in una notte di pioggia, malgrado i suoi ripensamenti e i suoi tormenti. Se stesse sbagliando o meno non era ancora in grado di comprenderlo appieno, ma il riuscire a garantire ogni giorno l’incolumità e la sicurezza di Kaori era per lui già motivo di successo. Un giorno avrebbe smesso di starle accanto e, venuta meno la promessa, si sarebbe spezzato anche quel sottile filo che lo legava ancora a Makimura. Tra tutti i fantasmi del passato, il ragazzo dagli occhi buoni e l’impermeabile sgualcito era l’unico di cui non aveva fretta di disfarsi, anzi. Chiuse gli occhi e concentrandosi gli sembrò di sentirlo accanto a lui, come ai vecchi tempi, quando passavano le serate per Kabukichō a bere qualcosa e a discutere i dettagli di un caso. Ma il passato resta nel passato, una porticina da aprire o da sprangare a seconda dei casi, e con cura Ryo la richiuse. Nel presente c’era una persona che aveva ancora bisogno di lui. Una donna, l’unica che non aveva mai provato a ingabbiarlo, che non gli aveva mai dato pressioni. Che non si aspettava niente da lui, se non la sua presenza nel momento del bisogno. E allo stesso tempo, anche lui aveva bisogno di lei. Per motivi che non aveva voglia e forza di indagare e spiegare a se stesso. Doveva essere così per il momento e così sarebbe stato. La serata precedente aveva rischiato di rompere un equilibrio di vetro, ma avrebbe fatto del suo meglio per mantenerlo inalterato, per il bene di entrambi.
Sospirò e riaprì gli occhi. Ogni incertezza era sparita, ogni dubbio sopito: era ritornato il solito Ryo. E con la tranquillità data da quella certezza si staccò dal muretto e, senza fretta, si avviò verso la porta del terrazzo per raggiungere Kaori, a casa.
 
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Eccoci al capitolo finale! Ho cercato di dare più voce possibile ai pensieri di Ryo, non solo perché mi piace moltissimo farlo, ma anche perché nel manga ci viene suggerito quanto sia in realtà un tipo molto riflessivo. Considerando il momento temporale in cui questo episodio è collocato, ho ritenuto che i pensieri e dubbi più frequenti di Ryo fossero proprio quelli intorno a Kaori e al loro vivere assieme (sappiamo bene che l’accettazione completa e definitiva di Kaori come partner avviene solo dopo lo scontro con Mick, e la consegna della pistola).
Sono davvero felice di essere riuscita a terminare questo piccolo esperimento, e ciò mi dà fiducia per completare la ff che mi sta particolarmente a cuore :)
Spero che questo piccolo missing moment vi sia piaciuto e ringrazio di cuore chi ha voluto lasciarmi un messaggio, lo apprezzo moltissimo.
Grazie a tutti coloro che hanno letto e leggeranno questa storia.
Vi auguro un anno sereno e ricco di salute (che ce n’è sempre tanto bisogno)
Alla prossima!
Cristina

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