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di hart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Daniel era morto.
Regina non riusciva a crederci.
Sua madre l’aveva ucciso, e poi l’aveva trascinata a palazzo per sposare il re. Due giorni e si sarebbe celebrato il suo matrimonio.
Calde lacrime le rigarono il viso mentre, chiusa nella sua stanza, tremava di terrore. Non voleva questa vita. Voleva solo tornare indietro e fuggire con Daniel, lontano, al sicuro. Felici. Avrebbero dovuto essere felici, e invece…
Cora entrò nella sua stanza e lei scattò come una molla.
«Non devi piangere, il re non può vederti così.»
Regina trovò a stento il coraggio di parlare.
«Non farmelo sposare, ti prego!» singhiozzò. Cora le ricolse uno sguardo carico di disgusto.
«Datti un contegno. Una regina non mostra mai le sue debolezze.»
«Non voglio sposarlo, madre, ti prego!»
«È la cosa migliore che potesse capitarti. Non capisci che voglio che tu abbia una vita splendida?»
«Avevo una vita splendida, con Daniel!» le urlò contro tra le lacrime, fregandosene, per un momento, delle conseguenze.
Cora si inalberò.
«Avresti avuto una vita misera! Tu non hai idea di cosa significhi vivere in povertà, essere umiliata ogni giorno da chi ha più potere solo per nascita! Sei una principessa, Regina, non puoi abbassarti a sposare un popolano!»
«Io lo amavo, ero felice con lui. Non voglio essere una principessa!»
«Sei nata principessa, Regina. E, credimi, quando ti saresti resa conto che non avevate denaro a sufficienza neanche per un pasto, l'amore sarebbe svanito. L'amore è un'illusione, Regina. È una debolezza che porta solo dolore e miseria.»
«Non mi interessa il denaro, non mi interessa la corona e non voglio diventare regina!»
Cora la guardò con disprezzo. «Non sai quello che dici. E ora preparati per la cena.»
«No» disse, ferma, incrociando le braccia sotto il seno.
Gli occhi di Cora lampeggiarono di rabbia a stento repressa. 
«Non farmelo ripetere.»
«NO» ringhiò nuovamente. Non sapeva da dove le venisse il coraggio di ribellarsi, ma eccolo lì, come una fiamma accesa al centro del petto. E fu un errore.
Con un gesto, Cora fece apparire un vestito sontuoso addosso alla figlia e poi la sollevò in aria. 
«Resterai lì finché non sarà ora di cena» sentenziò prima di uscire. 
Regina scalciò come una forsennata tentando di liberarsi nonostante non ci fosse niente di visibile a trattenerla. La morsa della magia della madre non era dolorosa, ma opprimente, e stare sospesa in aria con quel corsetto a stritolarle il busto le toglieva il fiato. Non ci mise molto ad esaurire le forze. Si afflosciò come un burattino con in fili laschi, sospesa in aria, gli occhi gonfi e rossi per le lacrime versate.
Quando, un’ora dopo, l’incantesimo si sciolse depositandola delicatamente a terra, si accasciò sul pavimento.
Si asciugò le lacrime mentre due serve venivano a prenderla per scortarla al banchetto.
Gli ospiti, insieme a Cora e Henry la aspettavano a tavola, lei dritta come un fuso e di un’eleganza impeccabile, lui con le spalle curve e intento a bere un abbondante calice di vino rosso.
Cora le indirizzò uno sguardo severo. 
«Spero che tu abbia avuto modo di riflettere.»
Regina abbassò lo sguardo e annuì sedendosi accanto al re, troppo stanca per essere altro che remissiva.
Cora le rivolse un sorriso finto e si rivolse al re con il suo tono ossequioso. 
«Come sta vostra figlia?»
«Molto bene» sorrise il re, e guardò poi Regina. «State bene mia cara?»
La giovane annuì, senza guardarlo
Cora la fissò in silenzio.
«Non avete appetito?» insistette Leopold.
Regina rimase in silenzio. Cora mosse le dita sotto al tavolo, scagliando una piccola fitta di avvertimento alla figlia. 
Regina sobbalzò appena, strinse i denti e poi rispose.
«Scusate, sono solo nervosa.»
Cora riprese a mangiare con tutta calma, bocconi piccoli, misurati. 
«Parlatemi dei vostri programmi per le nozze, vi prego» disse al re.
 
---
 
Una lacrima solcò nuovamente il suo viso, la nausea l’assalì. Mancava ormai solo un giorno al matrimonio. Regina camminava per il giardino innevato nonostante il freddo, non c’era nessuno, solo lei. Si fermò tra gli alberi, nascosta alla vista anche a chi si fosse affacciato dalle finestre del castello. Prese da sotto il mantello il libro di sua madre, un tomo pesante e rilegato in pelle nera e metallo, con una strana stella sul dorso impreziosito da piccoli, luccicanti rubini. Lo aprì, faticando a tenerlo in mano. Sfogliò le pagine spesse e ingiallite dal tempo fino a ritrovare il capitolo che aveva attirato la sua attenzione.
«Rumple... Rumplesticki» provò a dire.
Una risata inquietante risuonò alle sue spalle, così improvvisa e stonata da farle venire i brividi. Si voltò di scatto, nascondendo istintivamente il libro, il cuore in gola.
«È Rumplestiltskin, mia cara» la corresse l’individuo che stazionava a pochi passi da lei. Lo aveva scambiato per un uomo, per un momento. Non lo era. La sua pelle era rilucente di scaglie, le sue iridi troppo grandi, spaventose. Ed emanava… qualcosa. Come una sensazione di insetti che brulicano sulla pelle. «Ma non preoccuparti, fanno tutti confusione la prima volta.»
Regina deglutì, cercando di mostrarsi forte, coraggiosa, anche se il suo primo istinto era stato quello di scappare a gambe levate. Ma era lì per un motivo. Aveva rubato il libro per un motivo. Aveva invocato quel nome per un motivo.
«Siete un mago?»
Lui rise di nuovo.
«Qualcosa di più. Sono il Signore Oscuro. Di solito chi pronuncia il mio nome, o ci prova, lo sa...»
«Voi siete stato il maestro di mia madre» disse lei, quasi un’accusa. Lui agitò le mani e inclinò la testa di lato, avvicinandosi di un passo saltellante. 
«Cora ha imparato qualcosina da me, sì.» I suoi occhi inumani si piantarono su di lei. Il modo in cui aveva pronunciato il nome di sua madre, come se non valesse nulla, la fece rabbrividire. «Ma ora non importa. Ciò che conta ora è: tu cosa vuoi, principessa?»
«Non voglio essere una principessa» dichiarò subito, senza neanche doverci pensare.
«Oooh, bene, bene...» L’Oscuro le girò intorno, osservandola. Non era alto, eppure sembrava sovrastarla. «E come pensi di rinunciare al tuo titolo?»
«Siete potente, voi potete tutto: aiutatemi» rispose Regina, più sicura.
Le si fermò davanti e le sorrise mostrando una chiostra di denti marci. 
«Ma certo che posso. La domanda è: perché dovrei?»
Regina sostenne il suo sguardo.
«Farò qualsiasi cosa.»
Il Signore Oscuro ghignò.
«Ovviamente. Tuttavia dovresti darmi qualcosa in cambio, qualcosa che mi interessi... e cos’hai da darmi, tu?»
La sicurezza di Regina vacillò.
«Oro, gemme…»
L’Oscuro agitò una mano.
«Posso crearle dal nulla.»
La principessa esitò, poi la verità le piombò addosso insieme allo sguardo dello stregone.
«Non ho niente» ammise. «Ma, vi prego, aiutatemi» implorò.
Rumplestiltskin la fissò, rimase in silenzio per qualche istante. Poi fece apparire una pergamena dal nulla e le porse una penna. 
«Ti aiuterò, ma mi dovrai un favore. Accetti?» chiese sorridendo.
Regina lo guardò, poi prese la penna. Cosa aveva da perdere? Daniel ormai era morto, non aveva più niente di cui le importasse. E così, firmò il contratto.
L’Oscuro emise una risata di vetro scheggiato e i suoi occhi scintillarono mentre faceva sparire il contratto firmato. Con un ampio gesto del braccio e portando una gamba ad incrociarsi dietro all’altra fece una riverenza.
«A presto, Regina.» Le sorrise e agitò la mano ancora sollevata, e una nube scura avvolse la principessa.
«Dove vai» urlò lei nel vento improvviso. «Devi portarmi via da qui!»
«Oh, mia cara» disse lui «lo sto facendo.» La nube la avvolse completamente e la portò nella foresta, davanti ad un portale spalancato su un piccolo lago tra gli alberi.
Regina spalancò gli occhi, la paura a farle martellare il cuore contro le costole.
«Che devo fare? Cos’è?»
Rumplestiltskin non c’era, ma il portale scintillava e pareva pulsare, come se la chiamasse ad avvicinarsi. Non appena lo fece, la superficie iridescente si espanse, risucchiandola e spegnendo le sue urla.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Il poliziotto la sbatté contro il maggiolino giallo. 
«Agente, glielo giuro, non l’ho rubato, me l’ha lasciato mio nonno in eredità!» 
«Mh-mh, tuo nonno doveva essere parecchio precoce per avere solo quarant’anni oggi...»
«Ma io non so chi sia questo Steven Moffat di cui parla! Ci dev’essere un errore, deve trattarsi di un’altra macchina!»
«Certo, perché ci sono così tanti maggiolini gialli del ‘73 in giro per Boston...»
«Non so quanti ce ne sono, ma di sicuro almeno due!»
Lui le strinse una manetta attorno al polso e lei strillò.
«Ahi! È troppo stretta e non mi ha letto i miei diritti!» 
«Ah, vuol dire che ti sei decisa a fornirmi le generalità?»
Emma sentì un tonfo, poi la presa dell’uomo che si allentava e svaniva. Si girò in tempo per vedere il poliziotto scivolare a terra, privo di sensi, e una specie di principessa Disney con un pezzo di pallet in mano. La fissò, sbattendo le palpebre.
«State bene?» chiese la ragazza, lasciando scivolare il pezzo di legno.
Emma inarcò le sopracciglia. 
«Ehm...» Si girò, appoggiandosi al maggiolino per mantenere le distanze. Guardò il poliziotto, poi la principessa. Forse era un abito da sposa... una sposa impazzita? Una sposa killer? Magari era una cosplayer. In ogni caso, le aveva appena evitato l’arresto, quindi... «Credo di sì.» Distolse lo sguardo da lei solo per un attimo, il tempo che le ci volle per rubare la chiave delle manette al poliziotto e liberarsi il polso. Fece cadere chiavi e manette sulla schiena dell’uomo svenuto mentre tornava a fissarla. Alcuni passanti le guardavano, alcuni facevano foto o video col cellulare, ma nessun o stava intervenendo, per fortuna. La cosplayer o sposa pazza sembrava parecchio confusa. Forse era ubriaca? O fatta?
«Quell’uomo voleva derubarvi?» le domandò, con quel suo accento strano.
Emma spalancò gli occhi. Okay...
«Ehm, n-no...» Se era una cosplayer, comunque, avrebbe dovuto fare un provino per il cinema. Aprì lo sportello della macchina. «Meglio se sparisco adesso, però...»
«Sapete dirmi dove mi trovo?»
«B-Boston» balbettò. Okay, era completamente squinternata quella.
«È vicino alla foresta incantata?»
I solchi sulla sua fronte si fecero sempre più profondi. 
«Non credo.» 
Il poliziotto gemette e si mosse appena. Il cuore di Emma schizzò ad un ritmo da montagne russe. «Okay, senti, dobbiamo sparire da qui. Vieni con me!» Non sapeva nemmeno come le fosse venuto in mente di portarsela appresso, ma forse quella poveretta aveva sbattuto la testa e stava delirando. 
«Dove volete portarmi?»  le chiese guardandosi intorno. E poi: «Cos’è questa?» indicando il maggiolino.
Il poliziotto gemette di nuovo. Emma imprecò tra i denti e la prese per mano. 
«Vieni con me» disse in fretta mentre la spingeva dentro la macchina. 
«Fate piano!» protestò la ragazza mentre Emma faticava per far entrare quel popò di gonna nel maggiolino. «Che cos’è? Fa male?»
Emma incrociò il suo sguardo spaventato per una frazione di secondo prima di saltare dall’altro lato del veicolo e lanciarsi al posto di guida.
«È solo una macchina!» Mise in moto e partì facendo stridere le gomme del maggiolino. Il rumore svegliò del tutto il poliziotto che, dopo un attimo di confusione, le mise a fuoco e scattò in piedi cercando inutilmente di rincorrerle. Emma fece sobbalzare l’auto e scattò via come un furetto mentre la cosplayer urlava.
«Aiuto! Che...? Si muove!»
«E meno male!» Accelerò e ancora per un po’, ma quando cambiò quartiere rallentò adeguandosi al traffico.
La cosplayer fuori di testa sembrò calmarsi. O, almeno, la smise di tenersi aggrappata alla maniglia come se stessero per buttarsi giù da un dirupo. Guardò fuori dal finestrino e Emma vide il riflesso dei suoi occhi farsi sempre più grande. «Ma è magia? Cosa sono?»
Emma le lanciò un'occhiata piuttosto sconvolta. 
«Ehm... macchine? Non è magia, hanno il motore, le ruote eccetera...»
«Macchine? Sono come le carrozze? Ma i cavalli dove sono? Sono invisibili?»
«I cava...» Fece per risponderle, ma poi ci rinunciò con uno sbuffo. «Lascia stare. Senti, come ti chiami? Ce l’hai una casa? E dove hai preso quel vestito, sei una cosplayer o qualcosa del genere?»
«Mi chiamo Regina, sono scappata da casa... Questo vestito è mio. Cos... cosa? Cosa sono?»
Stava fissando un gruppo di motociclisti. Emma la guardò per un lungo momento, poi sospirò e tornò a guardare la strada. 
«Hai battuto la testa per caso?»
«No» rispose l’altra, come se fosse ovvio. «E voi come vi chiamate?»
Rifletté per un secondo se fosse o meno una buona idea dirle il suo nome. Ma quella ragazza pareva svampita come una bionda in un film di serie B, quindi tanto valeva... Certo, aveva steso un poliziotto, ma pareva non avere nemmeno idea che quello fosse un agente.
«Emma. Ce l’hai un cognome? Genitori, parenti, amici, qualcuno da cui possa portarti?»
«I miei...non posso tornare da loro.»
«Okay, ma dove abitano, tanto per sapere?»
«Nella Foresta Incantata. Sono ospiti del re in questo momento, sono scappata perché non voglio sposarmi.»
Emma rimase zitta e continuò a guidare. Quindi non era una cosplayer, ma era davvero una sposa impazzita.
«Forse il vostro sovrano potrebbe darmi asilo e ospitarmi…»
Emma si schiarì la voce. 
«Da che ospedale psichiatrico arrivi?»
«Ospedale? Cosa sono?»
Sbuffò.
«Lascia stare.» Svoltò in un quartiere vicino al porto, fatto di capannoni e magazzini. Si fermò proprio davanti ad uno di questi e spense il motore. «Resta qui» le intimò prima di scendere dall’auto e andare ad aprire una saracinesca mezzo arrugginita che fece un fracasso infernale mentre si alzava a fatica sotto la sua spinta. Poi tornò in macchina, mise di nuovo in moto ed entrò nel garage in ombra. Spense, scese di nuovo e richiuse la saracinesca, facendo piombare l’ambiente nel buio più totale.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Regina rimase immobile. L’odore di pesce la nauseò ma resistette all’impulso di vomitare. Non capiva in che razza di mondo fosse finita, era tutto così diverso. Come si muovevano, come si vestivano... Quella ragazza indossava dei pantaloni e non doveva fare equitazione: era inappropriato andare in giro in quel modo. E i capelli… non aveva nessuno che li pettinasse? Non avrebbe mai trovato marito così.
Un click, e una fila di lampadine si accese insieme a una ragnatela di lucine al led, illuminando l’ambiente. Un materasso a terra, con le lenzuola messe a posto, ordinate come il resto. Un tavolo con una sedia che non c’entrava nulla, un vecchio televisore a tubo catodico, un paio di poster attaccati alle pareti di cemento e tappeti di forme e colori diversi a terra a coprire il pavimento dello stesso materiale, insieme a qualche cuscino. Regina riconobbe sì e no tre degli oggetti che vedeva.
«Vivete qui?» chiese scendendo da quella che aveva capito si chiamasse auto. Si guardò intorno osservando quegli strani oggetti, quelle luci magiche appese al soffitto e alle pareti.
Emma la guardò, staccandosi dall’interruttore. Accanto ad esso un quadro elettrico di dubbia legalità ronzava lievemente. 
«Per ora.»
«Come avete fatto? Da dove viene la luce?»
Emma la fissò, sgomenta. 
«Dalla centrale elettrica.»
«E cos’è? Come fa a fare la luce senza le candele?»
Emma sbatté le palpebre. La osservò meglio. Il vestito, il trucco, i capelli, il modo in cui parlava e si muoveva... Ma era piuttosto certa che ancora non avessero inventato la macchina del tempo, quindi era impossibile. Giusto?
«Senti, non lo so come funziona di preciso. Alzi l’interruttore e si accendono le lampadine. Tutto chiaro?»
«Penso di sì. Vivete da sola?» chiese l’altra, evidentemente stupita.
«Sì e...» O Dio, e se era davvero una serial killer? Una psicopatica? E ora sapeva che era da sola? Eppure... «Da dove hai detto che vieni?»
«Dalla Foresta Incantata... E la vostra famiglia ve lo permette senza che siate sposata?» chiese avvicinandosi a quella specie di cubo. «Cos’è?»
«La TV...» rispose Emma lentamente, osservandola. Okay, non sembrava che stesse mentendo, ma forse ne era solo convinta, no? Rimase a distanza. «E dove sta la Foresta Incantata?»
«Credo sia lontana» Regina la guardò. «Un mago ha aperto un portale in modo che potessi fuggire e mi sono ritrovata qui.»
Emma continuò a fissarla, il volto espressivo quanto una palla da biliardo. 
«Un mago?»
«Sì, il Signore Oscuro... Rumplest... Non riesco a pronunciarlo. Abbiamo fatto un accordo, gli devo un favore e in cambio mi ha concesso di scappare per non dovermi sposare con il re.»
Emma inarcò le sopracciglia, ma non commentò. Quindi Voldemort aveva mandato quella ragazza lì. Fantastico. 
«Quindi tu vuoi solo evitare di sposarti con questo re?»
«Si, non lo amo ed è vecchio. E...» Gli occhi le si riempirono di lacrime al pensiero di Daniel.
Vederla sull’orlo del pianto fece scattare qualcosa in Emma. Le si avvicinò cautamente.
«Ehi, perché non ti siedi? Preparo qualcosa da mangiare, che dici?»
La ragazza annuì e si sedette sulla sedia. «Grazie, siete molto gentile con me.»
«Sssì» mormorò lei mentre si avvicinava al fornelletto da campeggio e lo accendeva, piazzandoci sopra un pentolino in cui riversò una scatola di chili. «Sei allergica a qualcosa?»
«Allergica? Dite date parole strane di cui non conosco il significato.»
Si voltò lentamente a guardarla.
«Ehm... okay, mettiamola così: hai mai mangiato qualcosa che ti ha fatto stare male? Bolle, prurito, lingua gonfia...»
«No, non mi sembra di ricordare nulla del genere.»
Le sorrise. 
«Ottimo.» Il chili si era scaldato, quindi lo mise in due piatti insieme ad un paio di fette di pane in cassetta e posizionò un piatto sul tavolino. Ci mise anche un bicchiere e una bottiglia d’acqua. Ci ripensò e versò l’acqua nel bicchiere, poi le fece cenno mangiare. Regina osservò il cibo.
«Che cos’è?» chiese cercando il tovagliolo e le posate. Emma intuì qualcosa e le mise accanto una forchetta pulita e un tovagliolo di carta un po’ stropicciato, ma pulito. 
«Chili. Assaggia, e mangiaci il pane o ti andrà a fuoco la bocca. Non letteralmente» aggiunse un attimo dopo.
«Cilie?» ripeté Regina. Aprì il tovagliolo e lo posò sulle ginocchia, poi prese la forchetta e nonostante fosse scettica assaggiò un po’ di carne. Gli occhi iniziarono subito a lacrimare. 
Emma nel frattempo si posizionò a terra su uno dei cuscini e afferrando un cucchiaio iniziò a mangiare.
Regina bevve subito dell’acqua, strozzandosi quasi nell’intento di bere velocemente. Emma alzò gli occhi su di lei. 
«Il pane» le ricordò.
Regina prese un pezzo di pane e ne mandò giù un pochino, era strano, insipido e quasi... rancido. Provò ad assaggiare di nuovo la carne, stavolta con il pane; non era buono, ma neanche da buttare.
Emma riprese a mangiare con calma. Quando finì mise tutto nel piccolo lavandino di acciaio e iniziò a lavare il suo piatto nell’attesa.
Regina, dal canto suo, mangiò solo qualche altro boccone, poi rinunciò. Rimase ferma, seduta rigida sulla sedia. «Grazie, Emma» disse.
Emma guardò con aria critica il piatto mezzo finito. 
«Ti ha fatto proprio schifo, eh?»
«Era molto buono, scusatemi ma non avevo molta fame» disse con educazione, evitando il suo sguardo.
Emma trattenne a stento una risata. 
«Guarda che puoi dirmelo se non ti piace.» Prese il suo piatto e buttò gli avanzi in un cestino. Lavò tutto e poi aprì il frigo che aveva recuperato in discarica. Prese una mela, la lavò e gliela porse.
Gli occhi di Regina si spalancarono alla vista della mela, la prese con garbo.
«Grazie, sono le mie preferite.»
Sorrise osservandola. 
«Ce ne sono altre quattro in frigo.»
Regina ricambiò finalmente il suo sorriso, rassicurandola. Forse non era una serial killer, anche se era pazza e parlava come se venisse dal medioevo.
«La vostra famiglia dove si trova?» chiese dopo aver dato un morso alla mela
Emma si incupì e distolse lo sguardo. Si sedette di nuovo a terra, le gambe piegate e le braccia poggiate sulle ginocchia. 
«Non ce l’ho mai avuta. Parlami della foresta magica o come si chiama, vorrei capire dove sta.»
«È a nord del regno, avevamo una bellissima casa, dei cavalli... Rocinante è il mio cavallo, anche se mia madre non approva che io vada a cavallo.» Sospirò. «Adesso viviamo a palazzo...»
Emma deglutì e la fissò, cercando di capire che problema avesse. Forse era canadese?
«Okay, e c’è una città vicino?»
«No, poi c’è il regno di Re George e quello di Re Stefan.»
«Ookay» mormorò, chiedendosi se per George non intendesse Bush, e se per caso non fosse davvero rimasta in un ospedale psichiatrico abbastanza a lungo da non sapere che ora il presidente si chiamava Barack. «Sai che non ha assolutamente senso quello che dici, vero?» le chiese con le palpebre strette.
«Perché? Non siete mai stata nella Foresta Incantata?»
«Nessuno ci è mai stato. Non esiste.»
«Ma certo che esiste, vengo da lì.»
Emma la fissò.
«Vieni da un posto con maghi e... non lo so, magari pure draghi?»
«Sì, certo. Io non ho mai visto un drago ma esistono, sono enormi e volano liberi.» Sorrise. «Un giorno vorrei vederne uno.»
La sua espressione si fece sempre più perplessa.
«Mettiamola così» disse dopo un po’. «Qui non c’è la magia, e di certo non ci sono draghi.»
Regina rimase in silenzio per un po’, un’espressione assorta sul viso malinconico.
«Sono contenta che non ci sia la magia» disse infine. «Mia madre non potrà trovarmi e non potrà usarla su di me.»
«Okay.» Sospirò di sollievo: almeno non l’aveva presa male, anche se quello che aveva detto era inquietante. Guardò di nuovo il suo vestito. «Ma respiri con quel coso addosso?»
«Perché non dovrei?» Regina la guardò come se l’avesse offesa. «Voi perché vi vestite da uomo?»
Emma indicò il corsetto. 
«Sembra stretto. Non sono vestita da uomo, questi sono jeans da donna!»
«Gins? Da noi non esistono e le donne indossano solo vestiti, tranne per cavalcare, ovviamente.»
Non riuscì a trattenere un sorriso. 
«Invece qui ognuno si veste come vuole. Meglio, no?»
«E agli uomini va bene? Troverete lo stesso un marito?»
Rise. 
«Non so se voglio un marito...»
«Potete non sposarvi?»
«Certo! Perché, è obbligatorio sposarsi da te?»
«Bisogna farlo, bisogna avere un marito che provveda alle necessità, che vada al lavoro mentre restiamo a casa con i figli.»
Emma la guardò con gli occhi ben aperti. 
«Ehm, no. Le donne lavorano come gli uomini. C'è la parità dei sessi da un bel pezzo.»
Regina strabuzzò gli occhi.
«Lavorano?! Ma non possono, devono occuparsi della casa, della servitù e dei figli!»
Emma emise una risatina nervosa.
«Ma quale servitù? Per i figli ci sono le babysitter, anzi, a volte è il marito che sta a casa.»
«Ma non è decoroso, è l'uomo che deve provvedere alla famiglia!»
Rise di nuovo. 
«Cinquant'anni fa, forse. Ormai è storia vecchia.»
Regina distolse lo sguardo e prese a lisciare le pieghe del vestito ampio.
«Da noi è così» borbottò.
Emma sorrise mentre la osservava, ormai incuriosita. 
«Be’, ormai sei qui, quindi tanto vale che ti abitui. Vuoi cambiarti? Non penso che tu possa dormire con quell’affare addosso.»
«Non ho altri vestiti. C’è un’altra stanza?»
«Dovrebbero starti i miei. C'è il bagno»  disse indicandole una stanza creata con delle tende.
Regina si alzò e si avvicinò a lei per poi girarsi di spalle. «Potete aiutarmi?»
Emma esitò ma si alzò e le slacciò i nastri del corsetto con gesti impacciati.
Regina aspettò in silenzio per un po’.
«Non l'avete mai fatto?» le chiese infine.
«Non credevo nemmeno che li facessero ancora questi affari, fino a oggi…»
La principessa sorrise.
«Non sono così tremendi, tranne quando mia madre li stringe al posto delle ancelle. Lei sì che li stringe forte. Dice che devo nascondere la pancia e che dovrei mangiare di meno.»
Emma si inclinò appena per guardarla e poi si raddrizzò. 
«Mangia meno di così e ti rimarranno solo le ossa…» commentò prima di allentare l’ultima fila di lacci.
Regina rise sommessamente. Aveva una bella risata, lieve, timida.
«Grazie» si girò verso di lei. «Siete molto gentile con me, signorina Emma.»
«Solo Emma» la corresse. Poi si mosse per prendere una tuta pulita e gliela porse. «Ecco qui.»
«Non avete una veste da notte?»
Scosse la testa.
«No, mi dispiace.»
Regina osservò gli abiti che la ragazza le aveva offerto, un po’ confusa dalla loro forma. Riconobbe i pantaloni, il resto lo intuì. Si diresse alla tenda che divideva il bagno dal resto dell’ambiente, nascondendosi dietro ai teli multicolore. Pittoresco, pensò, ma pulito. Si adoperò per sfilarsi il vestito e indossare la tuta.
Nell’attesa, Emma accese la TV, e quando Regina tornò da lei spalancò gli occhi scuri.
«Avevi detto che non c’era la magia! Chi ha imprigionato quelle persone?!» quasi urlò.
Emma si voltò a guardarla, sbigottita, e vagamente divertita.
«Non sono imprigionate, sono registrate. Recitano davanti a una telecamera che registra quello che fanno e poi viene tutto trasmesso in televisione. Ci sono i teatri da te?»
«Recitano? Che significa “sono registrate”? Fa male?» si avvicinò e si inginocchiò davanti allo schermo e allungò una mano per toccare il vetro.
Emma la osservò, divertita. 
«No, non fa male. Significa che una macchina… immortala quello che fanno. Così le persone li possono guardare giorni, mesi e anche anni dopo.»
«Davvero?»
Annuì.
«Certo. Questo film sarà uscito vent’anni fa.»
«Film? Cosa sono?»
Le indicò lo schermo. 
«Quelli.»
Regina era assolutamente incredula. Guardò lo schermò e lo toccò di nuovo.
Emma la osservò con un piccolo sorriso sulle labbra, poi si coprì la bocca per nascondere uno sbadiglio. 
«Sono praticamente nude» commentò la principessa, indicando le gonne che lasciavano scoperte le gambe.
Emma rise. 
«Direi di no, anzi, sono piuttosto coperte per gli standard della TV.»
«Ma... non dovrebbero mostrarsi così, cosa penseranno eventuali corteggiatori?»
Sospirò. 
«Facciamo così…» Si alzò e andò in un angolo, dove una colonna di libri e DVD si appoggiava al muro. Ne spostò un po’ e alla fine prese un disco e lo inserì nel lettore sgangherato accanto alla TV. Armeggiò un po’ con la presa SCART e alla fine, dopo un paio di interferenze, riuscì a far partire il tutto. «Guarda questo film.»
«Cos’è?» chiese tornando a guardare la strana scatola magica.
Emma le fece cenno di sedersi sul materasso e lei si posizionò sui cuscini a terra e addossati al muro. Allungandosi spense tutte le luci tranne quelle a led, piccoline, che parevano lucciole sulla sua testa.
«Si intitola Kate & Leopold. Ti aiuterà.»
Regina si sedette sul letto, non era molto comodo ma si sforzò di non farlo notare.
Emma si rilassò contro la parete mentre il film iniziava. 
Regina spalancò gli occhi osservando le immagini.
Stanca per la lunga giornata e cullata da quelle immagini che aveva visto già almeno cinque volte, Emma si appisolò.
 
—-
 
Quando lo schermo divenne nero si voltò verso Emma, che dormiva, tutta storta, tra i cuscini. Si avvicinò a lei.
«Emma?»
Lei mugugnò qualcosa di incomprensibile nel sonno.
«Emma, non puoi dormire lì.»
Si svegliò di scatto. Per un attimo la guardò come se non la riconoscesse, poi i suoi occhi si aprirono un po’ di più. Guardò la TV, poi di nuovo lei. 
«Merda, scusa.» Regina arrossì a quel linguaggio. La ragazza si tirò su e si stiracchiò impunemente. «Com’è andata con il film?»
«Era bello» sorrise «E’ quello che è successo a me, in pratica.»
Emma si strinse nelle spalle. 
«Mi sembra simile, no?»
Regina annuì, entusiasta.
«Dici che posso restare?»
Inarcò le sopracciglia. 
«Be', ti serviranno dei documenti, un posto dove stare eccetera, ma si rimedia tutto volendo.» Le indicò il bagno. «Ti dispiace?»  disse mentre già andava verso di esso. Nel frattempo si fermò a prendere il suo pigiama.
«Posso stare con te?»
Emma la guardò, stupita. Le indicò il garage con uno sguardo. 
«Sicura di voler stare qui? Non è un po’ ristretto rispetto a quello a cui sei abituata?»
«Non so dove andare, non voglio stare da sola, io non credevo che mi avrebbe portata in un posto così diverso…» disse Regina parlando rapidamente.
«Okay, okay!»  Emma le poggiò istintivamente le mani sulle spalle. «Tranquilla, puoi restare. Ora però devo davvero andare in bagno…»
«Scusa» arrossì Regina.
Emma le sorrise e scappò dietro alle tende prima che la vescica le esplodesse.
Regina si sdraiò nel letto e toccò la collana dove aveva appeso l’anello che Daniel le aveva regalato prima di morire. Le luci di quello strano posto sembravano stelle, o lucciole, con un po’ di immaginazione. Quell’ambiente era tanto piccolo quanto accogliente. Molto più di casa sua, di sicuro.
Emma uscì poco dopo con la lunga maglietta da uomo che usava come pigiama. Regina si alzò sui gomiti.
«Ho rubato il vostro letto, mi dispiace, dormirò sul pavimento» si affrettò a rassicurarla, ma Emma rise. 
«Ma la smetti di darmi del voi? Dormi sul letto, io dormirò in macchina.»
«No, non sarebbe giusto! Siete stata così gentile con me… Come posso ripagarvi?»
Emma si imbarazzò.
«Guarda, hai steso il poliziotto che stava per arrestarmi, quindi siamo a posto direi.»
Regina le sorrise.
«Grazie, siete così gentile.»
Scrollò le spalle. 
«Se hai bisogno di qualcosa basta che bussi allo sportello» aggiunse avvicinandosi alla macchina. Regina aggrottò la fronte.
«Non potete davvero dormire lì!»
«Certo che posso, è comodissimo.» Afferrò al volo un cuscino e aprì lo sportello giallo. «Buonanotte.» Le sorrise e poi entrò in auto sdraiandosi sul sedile posteriore. Sperò con tutta se stessa di non aver sbagliato su di lei e che non l’avrebbe uccisa mentre, lentamente, si addormentava.
 
—-
 
Si svegliò verso le nove, come sempre. Uscì dall’auto piano, in caso dormisse ancora. Le lanciò un’occhiata, ma Regina sembrava dormire profondamente. Aveva la fronte aggrottata, come se qualcosa la preoccupasse. Emma si avvicinò quatta quatta alla cucina e mise su il caffè, cercando di fare meno rumore possibile, poi andò in bagno silenziosamente. Quando ne uscì, Regina si era tirata su a sedere e si guardava intorno con aria spaesata .
«Ehi, ciao. Tutto okay?» le chiese, andando a controllare il caffè, che borbottava appena.
«Sì, grazie» le rispose l’altra, con la sua voce delicata, timida. «Grazie ancora per avermi ospitata.»
«Non è un problema, puoi restare quanto vuoi.» Non le dispiaceva averla lì, infatti, anche se era un po’ suonata. Ma, anche se fosse stata pazza, Regina sembrava solo aver bisogno di qualcuno che si prendesse cura di lei, spaventata e confusa com’era. Emma non aveva di certo di meglio da fare, quindi tanto valeva occuparsi di quella svitata dagli occhi dolci. Prese una padella e ci mise due uova. Nel frattempo versò il caffè in una tazza e in un bicchiere (non aveva due tazze) e li posò sul tavolo tirando via in fretta la mano che teneva il bicchiere, troppo caldo contro i polpastrelli. Sbatté le uova, ci aggiunse un po’ di sale e mentre aspettava che finissero di cuocersi prese una mela dal frigo e la lavò per Regina.
«Cos’è?» chiese lei, guardando il liquido scuro; poi prese la mela «Grazie.»
Emma mise anche lo zucchero a tavola, poi le uova in due piatti e prese posate e tovaglioli mentre rispondeva.
«Caffé, lì c'è lo zucchero se lo vuoi. Il latte l’ho finito, scusa.»
«Caffè?» Regina prese la tazza e lo assaggiò, una smorfia le si dipinse sul viso «È amaro…»
Rise sommessamente e le mise tre cucchiaini di zucchero nella bevanda per poi mescolarla. 
«Prova ora.» Fece lo stesso con il suo e mangiò le uova in piedi.
Regina la guardò con aria scettica, ma provò nuovamente a berlo. «Mmmh, meglio» sorrise «Grazie.»
«Figurati» disse Emma con la bocca piena, e le indicò le uova. «Sono innocue, giuro.»
Regina rise sommessamente.
«Sì, queste lo so cosa sono. Qui non usate questi vestiti, vero?» indicò l’abito che era ripiegato sul letto.
Emma sorrise e scosse la testa.
«Solo ai matrimoni e alle feste in maschera. Credo. Nei film è così» concluse stringendosi nelle spalle. Posò il piatto ormai vuoto e bevve il suo caffè.
«Quindi dovrei prendere altri vestiti…» La principessa si fece pensierosa. «C’è un sarto a cui possiamo commissionarli?»
Emma per poco non sputò il caffè mentre cercava di non ridere. 
«No, no i vestiti si comprano nei negozi. Per ora usa i miei, abbiamo solo venti dollari e dobbiamo farceli bastare per il cibo ma...» La osservò, studiandola. «Troverò qualcosa di adatto per te, non ti preoccupare.»
«Soldi? Come si possono avere?»
«Ehm...» Arrossì appena. «Lavorando, in teoria. Ma non puoi trovare lavoro senza documenti, quindi...»
Regina si tolse in fretta il bracciale che portava.
«Questo può servirti? Qui l’oro vale?»
Emma abbassò gli occhi sul bracciale. Era una fascia d’oro massiccio, con diamanti e smeraldi incastonati, grossi come noccioline. Per poco non si sentì male. Una volta aveva rubato un braccialettino d’oro e zirconi ed era riuscita a farci cinquanta dollari. Con quello, avrebbe potuto camparci per sempre.
«Ehm... sì, sì, vale» sospirò. Non poteva approfittarsi di lei. «Ma non vuoi tenerlo?» si costrinse a chiedere. Regina la guardò come se avesse fatto una domanda stupida.
«No. Me l’ha dato il re, non mi piace e non voglio tenerlo.»
«Ah, okay allora.» Prese il bracciale e se lo rigirò tra le mani. «Wow, pesa...» commentò. «Possiamo venderlo a un sacco, sai?» 
Regina aggrottò le sopracciglia.
«Un sacco di che cosa?»
Emma trattenne una risata.
«Tanto. Un sacco significa tanto. Tanti soldi.»
Il viso della principessa si illuminò.
«Sono contenta che sia utile, tu mi stai aiutando tanto.»
Emma si accigliò.
«Non sto facendo un granché, in realtà.» E quel bracciale valeva molto di più di una cena scarsa, una notte in un garage e una colazione ancora più misera.
«Non mi conosci e mi hai portato in casa tua, diviso il cibo con me, dato il tuo letto» elencò Regina. «È molto più di quello che pensi, mi hai salvata da una cosa terribile.»
Il suo sguardo rimase impassibile.
«Forse perché so come ci si sente ad essere soli.»
«Possiamo essere amiche?»
Le sorrise. Sentì una sensazione familiare e dolorosa a quella parola, ma ignorò il ricordo di Lily. Regina aveva qualcosa che la induceva a fidarsi di lei, anche se probabilmente era completamente fuori di testa. 
«Certo.»
Il viso della principessa si illuminò di un sorriso meraviglioso. Emma si ritrovò ad ammirare quei lineamenti, il modo in cui sembravano cambiare del tutto quando sorrideva, gli occhi luminosi.
«Mi fai vedere... Boston?» 
Emma si riscosse e le sorrise. 
«Sì, ma prima vestiamoci.» Si mosse per andare a prendere vestiti puliti per lei e glieli porse, poi pensò ai propri.
Si mise dietro alla macchina e si cambiò al volo per poi riporre il pigiama su uno dei sedili posteriori. Regina aveva preso possesso del bagno, usandolo come un camerino.
«Si mette così?» uscì con addosso dei jeans e una maglia.
Emma sbatté la testa contro il tettuccio mentre si ritraeva e imprecò a denti stretti massaggiandosi la sommità del cranio, ma subito dopo sorrise guardandola.
«Sì, perfetto! Ti stanno bene, sai?»
«Dici?» Regina si guardò, poco convinta. «Mia madre mi ucciderebbe se mi vedesse così.»
«Ma non stai più comoda?»
«Mi sento strana» si imbronciò un po’. «Però credo che siano comodi.»
Le sorrise, poi le indicò i piedi. 
«Per le scarpe dobbiamo inventarci qualcosa.»
Regina indicò quella sorta di ballerine di seta che aveva lasciato accanto ai cuscini.
«Posso tenere le mie, per adesso.»
«Questo è sicuro, anche perché con le mie non andresti lontano.» Era evidente la differenza di taglia. Le aprì lo sportello. «Andiamo?»
Regina salì in quella che aveva capito chiamarsi auto.
«Quindi le carrozze non esistono più?»
«Esistono, ma si usano solo per i turisti nelle città più romantiche e nei matrimoni» replicò a voce alta mentre apriva la serranda. Entrò in macchina poi e fece retromarcia per uscire da lì, quindi scese di nuovo, spense le luci, chiuse la serranda e rientrò in auto. 
«E si vive in questi posti così... piccoli? Non ci sono più le case e i palazzi?»
Arrossì appena mentre guidava.
«No, no, io vivo lì perché non ho una vera casa ma ci sono anche ville enormi e mega-appartamenti, e anche castelli, ovviamente, ma di quelli ce ne sono rimasti pochi e stanno tutti in Europa.»
«Mi dispiace non volevo essere scortese...»
Scrollò le spalle. 
«Non lo sei stata.»
«Cos’altro è cambiato?»
La guardò storto. 
«Ma il film l'hai guardato?» le chiese ridendo.
Regina arrossì.
«Scusa… è che mi sembra tutto così strano» si mise a guardare fuori dal finestrino.
«Sì, scusa, hai ragione. Posso dirti che non c’è più la monarchia e che non si usano più le spade, ma le pistole.»
«Va bene...» Regina si adombrò, concentrata, nel tentativo di capire come potesse funzionare quel regno senza un re.
«Se vuoi chiedermi qualcosa fai pure...»
«Non voglio infastidirti.»
«Non lo fai, tranquilla.»
«Che lavori si fanno qui?»
«Ehm...» Ci pensò un attimo. «Cameriera, poliziotta, avvocato, giudice, proprietario di qualche locale o negozio, manager, psicologo, medico, psichiatra, barista, spacciatore... be’, quello magari non è proprio un lavoro.»
«Non so neanche cosa significa una sola parola. A parte medico.» Regina sbuffò leggermente. 
Sorrise mentre svoltava. 
«Te lo mostrerò, tranquilla.»
«Grazie. Adesso dove mi stai portando?»
«A fare un giro in centro.»
La vide sorridere con la coda dell’occhio.
«Grazie.»
«Non devi ringraziarmi ogni tre secondi, sai?» sorrise a sua volta.
Continuò a guidare ancora per un po’, poi parcheggiò in un ampio spiazzale.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Regina seguì Emma fuori dall’auto e si guardò intorno. C’erano palazzi altissimi, un rumore indicibile creato da mezzi simili a quello che conduceva Emma, ma più grossi, un sole accecante e vetro che scintillava da finestre piccole e semplici, così lisce e regolari.
«Stammi sempre vicino, è meglio se non ti perdi in città.»
Regina annuì e si accostò a lei. Emma le sorrise rassicurante e la portò su un cavalcavia che passava sopra ad una superstrada. Si fermò sul ponte indicandole la strada intasata di traffico, e i grattatcieli, e il mare poco distante.
«Quei castelli sono altissimi. E quello è il lago più grande che io abbia mai visto!» commentò la principessa. Emma sorrise osservandola.
«Sono grattacieli, non sono castelli. E quello è l'oceano.»
Regina la guardò con stupore, come se non credesse del tutto alle sue parole. Poi riportò gli occhi accesi di meraviglia sulla distesa blu.
«Ѐ bellissimo» mormorò.
Il sorriso di Emma si allargò.
«Aspetta di vederlo da vicino... Andiamo?»
«Possiamo andare più vicino?»
«Certo.»  La prese per mano e la tirò verso la città. Scese dal cavalcavia si ritrovarono al centro, tra strade punteggiate di alberi e grattacieli massicci che brillavano al sole.
Regina strinse la sua mano e la seguì sorridendo mentre osservava tutto con stupore.
Emma la guidò tra le vie, poi la fece entrare in un negozio di abbigliamento.
«Cos'è?»
«Qui si comprano i vestiti. Cioè, è uno dei posti dove si comprano, ma il bello di questo» disse scivolando nella calca mentre si piegava verso di lei e le sussurrava all'orecchio: «È che c'è talmente tanta gente che nessuno si accorge di niente.»
«Che significa?» chiese osservando i vestiti. Alcuni erano davvero... inesistenti? Pezzi di stoffa che non avrebbero coperto neanche mezzo braccio. «Cos'è? Dove andrebbe messa?»
Vide un sorrisetto furbo sul volto di Emma.
«È un top» le disse poi lanciando appena uno sgaurdo all'indumento. «Ma è per adolescenti che cercano di rimorchiare. Vieni qui.» La portò in un reparto più adatto, tra la gente. Individuò un vestito e glielo mostrò. 
«Che ne pensi di questo?»
«Non è troppo corto?» chiese con aria scettica. Non sarebbe arrivato a coprirle le ginocchia, figuriamoci le caviglie…
«Quelli più lunghi sono per le nonne.»
«Ma... penseranno che sia...» arrossì «Una cortigiana.»
La guardò confusa. 
«Non so cosa significhi.»
«Le amanti dei re o dei nobili» sussurrò, rossa di vergogna.
«Oh. Oh!» capì di colpo, poi scoppiò a ridere. Le indicò la quantità di donne che le circondavano, decisamente meno coperte rispetto a quell’abito. Regina si guardò intorno e poi annuì anche se non del tutto convinta. «Dove sono le damigelle per aiutarmi a provarlo?»
Emma la fissò un po’ sconcertata. 
«È facile, lo infili dalla testa e ti cade sulle spalle. Non ti servono le damigelle.»
Regina non sembrava del tutto convinta.
«Va bene, dove si prova?»
Si guardò un attimo intorno, poi prese un altro vestito della stessa taglia e lo mise dietro a quello sulla stessa stampella. 
«Lì, andiamo»  disse indicandole i camerini, intasati come il resto del negozio. Dovettero aspettare dieci minuti buoni prima di riuscire ad occuparne uno. Emma appoggiò casualmente il suo zaino all'interno.
entrò nel camerino e provò il vestito. Era azzurro, si stringeva un pò sotto il seno e la gonna era ampia sotto.
«Come mi sta?»
Sbirciò scostando la tenda. Il suo volto si illuminò.
«Benissimo! A te piace?»
«Penso di si, è il mio colore preferito.»
«Davvero?» chiese stupita. Poi sorrise. Regina la guardò attraverso lo specchio.
«Possiamo prenderlo?»
Entrò nel camerino con lei e prese l’altro vestito, infilandolo nello zaino per poi tirare lo zaino stesso fuori dal camerino mentre ne usciva furtiva. 
«Preso» le sorrise facendole l’occhiolino. 
«Che fai?!»
«Tranquilla. Cambiati, andiamo a vedere se c’è qualcos’altro che ti piace.»
Emma non le diede il tempo di risponderle, quindi Regina si cambiò in fretta e la raggiunse.
«Possiamo usare il mio bracciale per pagare?»
«No, non accettano oro, solo contanti o carte di credito. Che sono tessere, ehm... rettangoli di plastica... merda... insomma, cose che contengono soldi anche se non si vede.» Afferrò il vestito doppione e lo rimise a posto. «Guarda se vedi qualcosa che ti piace. Tipo questi.»  Le mostrò un paio di jeans scuri. «E come li paghiamo?»
«Tu non preoccuparti, scegli e basta.»
Regina la guardò scettica ma annuì, prese un paio di jeans, e alcune maglie
Emma la seguì come un'ombra prendendo i doppioni. Quando qualche commessa la guardava diceva: «Prendi anche la M, non si sa mai», oppure «Prova anche la S» e così via.
«Penso che mi bastino…»
«Okay, andiamo a provarli»  le sorrise.
tornò in camerino e provò i vestiti
Emma attese pazientemente appena fuori, lo zaino oltre la spessa tenda marrone.
provò i vestiti e li fece vedere a Emma
«Ti sta bene tutto, potresti fare la modella...» commentò mentre metteva una maglietta nello zaino.
«Cos'è una modella?»
«Una donna che indossa abiti che vengono fatti da persone famose e viene pagata per farsi fotografare o per sfilare con quegli abiti addosso. È un lavoro, e ti pagano un sacco.»
«Oh, e perché tu non lo fai?»
Emma abbassò lo sguardo mentre richiudeva lo zaino. 
«Bisogna essere belle per farlo.»
«Ma tu lo sei» rispose uscendo dal camerino.
Emma arrossì e la guardò stupita, rimanendo indietro. Poi si rimise lo zaino in spalla e la seguì in silenzio. Ripose i doppioni e poi la tirò fuori dal negozio, allontanandosi velocemente da esso. 
«Dove andiamo adesso?»
Emma le indicò il bracciale. 
«A vendere quello. Conosco un tipo, ci farà una buona offerta, non è uno strozzino come gli altri.»
«Ci darà dei soldi per il bracciale?»
«Parecchi»  le sorrise.
Regina sorrise timidamente. Vedere Emma rubare non era stato brutto o spaventoso come pensava. Si era divertita. Emma lo faceva con tanta naturalezza da farlo sembrare una cosa normale, ovvia.
«Sei contenta?»
Emma la guardò di sbieco.
«Dovresti esserlo tu: potremo comprare qualcosa di meglio da mangiare del chili.»
«Cosa c'è di buono da mangiare qui?»
«Tantissime cose, dopo andiamo al supermercato ma prima ci serve il contante.» La portò in un parco, si inoltrò tra gli alberi giovani fino a raggiungere un tipo allampanato con una barbetta rada e lo sguardo che luccicava. Le sorrise appena la vide, mostrando la mancanza di un incisivo laterale. 
«Ciao Swan. Come va?»
«Al solito. Ho qualcosa che potrebbe fare al caso tuo.» Gli mostrò il bracciale ancora al polso di Regina. «Oro puro, pesa un quintale, e quelle sono pietre vere Riley. Vere vere.»
Gli occhi del ragazzo parvero illuminarsi. Guardò Regina.
«Posso?» le chiese, gentile, indicando il monile. 
Regina la seguì fiduciosa ma quel tizio non le trasmetteva fiducia per niente. Dopo aver lanciato uno sguardo ad Emma sollevò il braccio e lo avvicinò a quel tizio.
Lui le sfilò il bracciale in un lampo e se lo rigirò davanti al naso, gli occhi quasi incrociati, le labbra contratte in una piccola "o". Lo soppesò sotto lo sguardo vigile di Emma. Quando lui la guardò, lei gli fece un cenno. 
«Visto?»
«Ti do cinquanta bigliettoni per questo.»
Emma scoppiò a ridere con uno sbuffo. 
«Ci hai provato, Riley. È medievale, se lo vendi a un collezionista ci guadagni cinquemila. Dammi mille e siamo a posto.»
Lui la fissò per un lungo momento, il bracciale stretto tra le dita con le unghie mangiucchiate. Poi, di colpo, le sorrise. 
«Ah, come si fa a dire di no ad una bellezza come te.» Prese una mazzetta di banconote dalla tasca posteriore dei jeans sdruciti e, accostandosi a lei con fare furtivo, le passò parte del denaro. Emma li contò rapidamente prima di infilarseli nel reggiseno. 
Gli diede una pacca sulla spalla allontanandosi da lui. 
Stammi bene.»
«Anche tu, Swan. Ciao, amica di Swan» salutò poi Regina prima di allontanarsi baldanzoso con il bracciale in mano.
«Era inquietante» commentò Regina allontanandosi velocemente.
Emma rise. 
«È un tipo tranquillo, credimi. E ora hai davvero tanti soldi> le sorrise. «Andiamo a comprare qualcosa di decente da mangiare.»
«Sono tuoi, per avermi ospitata e fatta rimanere con te.»
«No no»  obiettò cercando il suo sguardo. «Sono tuoi, non esiste.»
«Dove si fa la spesa qui?»
Le indicò il supermercato in lontananza. 
«Lì.»
Sorrise e la tirò verso il negozio.
«Andiamo!»
Emma sorrise e la affiancò. 
«Aspetta, se andiamo al supermercato ora poi dobbiamo tornare a casa. Conviene che prima continuiamo il tuo tour turistico di Boston, se vuoi ancora farlo.»
«Fammi vedere questi posti» le strinse la mano. Si sentiva libera, finalmente. Camminare con Emma per quella strana città era come respirare dopo un’apnea troppo lunga. Il sorriso sul volto non svanì mai, presa dall’osservare tutte le piccole cose di quel mondo così diverso, persino nei colori. Erano più forti, facevano quasi male agli occhi.
«Ѐ tutto bellissimo» commentò dopo un po’. Emma si guardò intorno, come se cercasse di guardare la città da occhi diversi, i suoi stretti tra le lunghe ciglia scure.
«Sì, in effetti lo è» concordò infine. Poi si voltò a guardarla. «Sei stanca?»
«No, per niente» sorrise Regina. Poi, di slancio, la abbracciò.  «Grazie.»
Emma si stupì di quell’abbraccio, così insolito per lei. Rispose goffamente, con gesti irrigiditi dalla mancanza di pratica. 
«N-non devi ringraziarmi…»
«Sì, invece. Senza di te starei vagando per le strade senza meta.»
Il suo profumo le invase le narici. Emma si ritrovò ad arrossire.
«Che è esattamente quello che stiamo facendo ora» rise piano.
«Ma sono con te.» Regina le diede un bacio sulla guancia. Emma arrossì come un peperone a quel bacio e distolse lo sguardo, imbarazzata dalla reazione del suo corpo. Poi si alzò sulle punte e cercò di individuare la svolta giusta. Le lanciò uno sguardo compiaciuto.
«Seguimi» disse prima di partire a passo di marcia.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Regina la seguì, la sua mano era stretta in quella di Emma, l’aveva aveva afferrata poco prima e lei l’aveva stretta per paura di perderla tra la folla. La ragazza si era fermata di colpo e l’aveva fatta entrare in un posto simile a quello in cui avevano preso i vestiti solo che tutto profumava di dolce, spezie, frittura. Il suo stomaco brontolò e arrossì.
«Che profumo.»
Emma sorrise e le indicò il bancone dove c’erano alcuni piatti pronti. 
«Guarda lì, ma prima di scegliere leggiamo anche il menù» le suggerì.
«Io non so cosa siano, tu cosa prendi?» ammise Regina. Erano tutte cose che non aveva mai visto e non aveva idea di cosa fossero. Emma la scortò fino ad un tavolo e le passò una specie di pergamena rigida e liscissima su cui erano scritti nomi che non aveva mai visto.
«In realtà non ne ho idea. Non sono mai stata qui dentro, l’avevo visto da fuori e mi sembrava carino» disse la ragazza.
«Lo è» confermò Regina con un sorriso timido.
«Se ti servono spiegazioni dimmi» disse Emma con gli occhi ancora sulla lista di cibo. «Tipo, non credo tu sappia cos'è un hamburger... È un panino con dentro della carne tritata e insalata, pomodoro, formaggio, cipolla, bacon, che sarebbe altra carne ma fritta, e delle salse molto buone. Qui ci mettono anche l’avocado, che è un frutto verde. E i tacos sono una specie di disco di farina di mais pieno di pollo fritto, salsa allo yogurt, verdure...» Continuò a leggere. «Poi c’è il fritto misto di pesce e verdure, la carne alla griglia, il sushi vegano che sinceramente non so cosa sia» rise. «Ma credo riso con verdure. Poi ci sono le costolette di maiale cotte nella salsa barbecue, e io credo proprio che prenderò quelle.»
«Io penso che prenderò un hamburger.»
«Okay. Da bere? Vino, birra, coca cola, che è una bevanda con le bollicine dolce.»
«Coca cosa?» chiese facendo ridere Emma.
«Cola» ripeté la ragazza.
«Mia madre mi faceva mangiare sempre poco ai banchetti, non ho mai avuto così tanta scelta.»
Emma la guardò negli occhi. 
«Invece qui puoi mangiare anche per tre, ti assicuro che non c’è nessun problema.»
Un cameriere passò a prendere l’ordine. Le bevande arrivarono subito ed Emma la incoraggiò a provare quello strano liquido marrone scuro, per nulla invitante. Regina prese un piccolo sorso e strabuzzò gli occhi.
«È strana.»
«Ma ti piace?»
«Tanto» dichiarò prendendone un altro sorso.
Poco dopo arrivarono anche i piatti e Regina rimase a fissare il suo per qualche secondo. Era enorme, sua madre l’avrebbe uccisa se l’avesse vista mangiare tutta quella roba. Eppure sembrava davvero buono e non vedeva l’ora di assaggiarlo. Prese il coltello e la forchetta per iniziare a tagliare il panino ma le mani di Emma la bloccarono, alzò gli occhi e la vide sorridere scuotendo la testa.
«No. Mani sul panino, denti sul panino» disse, mortalmente seria. 
Sulla faccia di Regina si dipinse una smorfia scettica.
«Non posso mangiare con le mani» dichiarò. Sua madre l’avrebbe davvero uccisa non solo avrebbe mangiato quel panino enorme ma per di più si sarebbe sporcata le mani e probabilmente tutta la faccia, pensò notando la salsa che colava dai bordi.
«Certo che puoi» la contradisse Emma rubandole una patatina e infilandosela tra i denti, sorridendo prima di mangiarla.
Regina fece un respiro e posò le posate. Avvicinò le mani al panino e al solo contatto le dita di sporcarono di olio e salse ma l’avvicinò alla bocca e diede un piccolo morso. Le sue papille gustative scoppiarono per quei sapori che non aveva mai provato.
«È buonissimo.»
Emma sorrise guardandola, poi non resistette più e si lanciò sulle costolette. Chiuse gli occhi gustandosi la carne dolce, la salsa caramellata al di sopra. 
«Oh dio...» mormorò.
Regina trattenne una risata e poi assaggiò una patatina e mugugnò di piacere.
«Questo cibo è fantastico.»
Emma rise, estasiata anche lei. 
«Mai assaggiato niente di meglio!»
Regina bevve un altro po’ di Coca Cola e sorrise quando le pizzicò la gola
Emma la osservò, incuriosita dalle sue reazioni. 
«Che ne pensi?»
«Mi piace tanto» sorrise e riprese a mangiare.
Le sorrise e tornò a dedicarsi anche lei alle sue costolette.
«Sto per scoppiare» commentò Regina dopo aver divorato il panino.
«Davvero? Non vuoi il dolce?»
Regina inarcò un sopracciglio.
«Dolce? Possiamo?»
Emma sorrise incredula. 
«Ti pare che ci sia qualcosa che non possiamo fare?»
«Cosa prendiamo?»
Emma rubò un menù dal tavolo vuoto accanto e spostò la sedia per leggerlo insieme a lei.
«Mmh. C’è il tortino con il cuore caldo che non sembra niente male, la torta di mele in barattolo, la cheesecake ai frutti di bosco...»
«Torta di mele» disse subito Regina.
Emma annuì. 
«Io vado con la cheesecake.»
Regina assaggiò la torta mentre il cameriere stava ancora posando il piattino sul tavolo troppo impaziente
Emma ridacchiò e mangiò con la stessa voracità.
«Buona, buonissima.»
Emma annuì. 
«Anche la mia, vuoi assaggiare?»
«Posso?»
«Certo!»
Emma avvicinò il piatto a lei e allungò la forchetta verso il suo
«Anche il tuo è buonissimo.»
«Quale ti piace di più?»
«Non lo so. Mi piacciono entrambi.»
«Vuoi fare metà e metà?»
«Sì» le sorrise.
Quando finirono erano entrambe sazie.
«Non avevo mai mangiato così tanto» commentò Regina.
Emma rise.
«In realtà nemmeno io!»
«È stata una giornata bellissima, grazie.»
 Emma inarcò le sopracciglia. 
«Come è stata? Scherzi? Dobbiamo ancora andare al supermercato!»
«Non riesco a muovermi» rise.
Emma si strinse nelle spalle. 
«Non c’è fretta» disse lanciandole un’altra occhiata che era un misto tra curiosità e divertimento, poi tornò a guardarsi intorno come se anche lei fosse una straniera lì.
Regina bevve un altro sorso di Coca.
«È proprio buona.»
«Ne compreremo altra allora.»
«Sì, mi piacerebbe.»
«Tra poco andiamo, ma prima digeriamo un po' o ci sentiremo male.»
Regina annuì con un sorriso.
Emma si rilassò sulla sedia e tornò a guardarla. 
«Quindi c’è la magia nel tuo mondo.»
«Sì, mia madre sa usarla.»
«Però questo non è un bene...» provò a dire Emma.
«Le fate la usano a fin di bene» le spiegò Regina.
«Le fate?» ripeté, incredula.
«Sì, ci sono quelle buone, ma alcuni usano la magia per il male.»
«Okay. E tu hai trovato questo mago che ti ha mandata qui, no?»
«Sì, ho invocato il suo nome, era scritto nel libro di mia madre.»
Le rivolse uno sguardo confuso. 
«Aspetta, quindi basta il nome per chiamare un mago? E che libro?»
«Con lui sì, non so con gli altri» rispose Regina scrollando le spalle.
«Ma perché ti ha mandata qui?»
«Non lo so, ho detto che non volevo sposare il re che volevo andare in un altro posto per essere libera ed eccomi qua.»
Emma contrasse le labbra come se fosse tutto incredibile, ma avesse comunque deciso di crederci. 
«Okay, almeno ha scelto un posto con il cibo che ti piace» provò a scherzare.
«Sì, anche se è molto diverso da casa mia mi piace qui.»
«Bene» disse sorridendo.
«Andiamo al supermercato?»
Emma annuì ma prima tirò fuori una banconota e andò alla cassa a pagare per poi tornare da lei.
 
 
 
 
Regina rimase a bocca aperta quando entrarono nel supermercato, Emma la guidava tra quelli che aveva chiamato scaffali e le spiegava cosa fosse tutta quella roba strana.
«Ci sono tantissime cose.»
«Vero. Prendi quello che vuoi, anche perché i soldi sono i tuoi.»
Si fermò davanti ad uno scaffale e prese una busta rettangolare
«Cos’è?»
«Cioccolato al caramello, potrebbe piacerti» rispose Emma «Dovremmo prendere anche queste» continuò prendendo dei sacchetti «Queste sono patatine, pop corn.»
Emma si premurò di prendere le mele, qualche verdura e carne che non fosse in scatola, per una volta, ma fece anche scorta di cibo in scatola e pane in cassetta.
«Coca Cola, avevi detto che potevamo prenderla» disse ad un tratto Regina.
Emma le indicò le confezioni doppie. 
«Vai, prendine quante vuoi.»
Regina sorrise e prese due bottiglie.
Emma prese anche qualche surgelato, per una volta del pane fresco e formaggi a volontà, poi col carrello che scoppiava andò verso le casse.
«Hai preso tutto quello che desideravi?»
«L’importante è che lo abbia preso tu» disse Emma.
«Sì, ma voglio che anche tu abbia quello che volevi.»
«Ce lìho, tranquilla» le sorrise, curva sul carrello, sfiorandole il braccio con la spalla.
«Bene.»
Pagarono e poi si ritrovarono fuori dal supermercato con troppe buste e troppo pesanti per portarle a piedi fino alla macchina. Le posò a terra appena fuori dal supermercato.
«Aspetta qui, corro a prendere la macchina e ti vengo a prendere, okay?» disse Emma.
«Torni vero?» chiese Regina quasi spaventata.
«Certo che torno» le sorrise prima di scattare di corsa verso il cavalcavia.
 
 
 
Un ragazzo si avvicinò a Regina.
«Come ti chiami?»
«I...»
«Non essere timida» disse allungando una mano per accarezzarle la guancia.
Emma piantò il maggiolino lì davanti con una sgommata e scese di corsa dalla macchina.
«Sparisci>» ringhiò.
«Stavamo parlando, c’è feeling. Diglielo» disse il ragazzo facendo l’occhiolino a Regina, la ragazza si avvicinò istintivamente a Emma ma il ragazzo le strinse il braccio e la attirò verso di lui.
Emma scattò e gli tirò un calcio tra le gambe, centrandolo in pieno. Poi prese Regina e la spinse a salire in macchina, poi caricò tutta la spesa di corsa. E partì veloce.
«Io non ho fatto niente, ti aspettavo» iniziò a giustificarsi Regina con gli occhi pieni di lacrime.
«Lo so, non è colpa tua. È un maniaco del cazzo, mi dispiace.»
«Mi dispiace.»
«Te l’ho detto, non è colpa tua. È pieno di tipi così» disse mentre si allontanavano.
«E non hai paura?»
Le lanciò uno sguardo incerto, come se non sapesse se risponderle o meno. 
«Certo che ho paura» mormorò alla fine arrossendo un po’. «Ma basta un calcio ben piazzato e diventano innocui, visto? Solo un calcio nel punto giusto e sei al sicuro.»
«Mi puoi far vedere come si fa?»
Le sorrise in un lampo. 
«Certo. Appena arriviamo a casa» disse continuando a guidare. 
Nella solita routine fermò la macchina, aprì la serranda, entrò e richiuse la serranda per poi accendere le luci. Aprì il cofano e iniziò a tirare fuori le buste.
Regina la aiutò a scaricare la spesa e a sistemarla.
Una volta finito, Emma si scrocchiò la schiena e la guardò sorridendo. 
Spalancò gli occhi. 
«Ah!» Prese i soldi e glieli porse. 
«Tienili tu.»
Regina scosse la testa sorridendo. 
«Prendili» insistette Emma.
«Io sarei più tranquilla se li tenessi tu» ribatté Regina.
Emma sospirò. 
«Okay» capitolò. Poi prese lo zaino e tirò fuori i vestiti, porgendoglieli. «Il tuo guardaroba» sorrise. «Domani penseremo alle scarpe.»
«Grazie» sorrise e prese i vestiti, li poggiò sul letto.
Emma osservò imbarazzata il giaciglio. 
«Mi dispiace non poterti offrire di meglio...»
«È perfetto, davvero.»
Inclinò la testa. 
«Non lo è, lo so.» Una pausa cambiò il suo sguardo, che si fece più intenso e leggermente triste. «Ma è tutto quello che ho.»
Regina le strinse la mano.
«Il tuo cuore è grande è la cosa più preziosa.»
Emma la guardò con gli occhi pieni di stupore, incapace di replicare.
«Vi ripagherò in qualche modo, ho qualche altro gioiello che potrete usare, se che non è molto.»
«Non devi ripagarmi, Regina. In realtà mi sono davvero divertita oggi, e non mi succedeva da...» Il suo sguardo si perse per qualche istante. Lo portò sul pavimento coperto di tappeti. «Da tanto.»
«Posso chiederti una cosa?»
Rialzò gli occhi grigi su di lei. 
«Certo.»
«Come mai non hai una famiglia?»
Il viso di Emma divenne una maschera inespressiva, la stessa che aveva indossato per anni. Distolse di nuovo lo sguardo da lei, rimase in silenzio a lungo prima di risponderle. 
«Non ce l’ho mai avuta. Non davvero» mormorò alla fine.
«Scusa, non volevo essere indiscreta e che non dovresti vivere da sola, questo posto non mi sembra molto sicuro.»
Le lanciò uno sguardo incerto. 
«Più sicuro di altri» rispose, vaga.
«Sei coraggiosa, io non lo sono» ammise Regina.
Emma si avvicinò.
«Certo che lo sei.»
«Io sono solo scappata dalla mia vita e se non avessi trovato te...» scrollò le spalle.
«Te la saresti cavata comunque. Sei in gamba» aggiunse con un piccolo sorriso.
«Non credo, questo posto è strano, e mi fa paura ma ci sono delle cose molto belle e le ho scoperte grazie a te.»
Si strinse nelle spalle. 
«Non hai visto niente, credimi. E in realtà ti è andata malissimo con me, non ho un soldo...» Scrollò di nuovo le spalle. «Potevi incontrare qualcuno che avrebbe potuto portarti in Europa o in qualche altro bel posto, e invece hai beccato una ladra che riesce a malapena a prendersi cura di se stessa, figuriamoci.»
«I soldi non sono tutto» ribatté la principessa «ti ricordo che stavo per sposare un re e sono fuggita.»
Emma rise sommessamente.
«Giusto.»
«Pensi che abbia sbagliato?»
Scosse la testa e finalmente le rivolse un sorriso vero. 
«No. Se non lo volevi, hai fatto bene a scappare.»
«Sei mai stata innamorata?»
La fissò per qualche istante. 
«No, mai. Tu?»
«Sì.» fece scivolare la catenina che teneva al collo e le mostrò l’anello «Questo me l’ha regalato Daniel, era il nostro stalliere, eravamo innamorati...» sorrise al suo ricordo.
Allungò la mano a sollevare l’anello per guardarlo alla luce delle lampadine che illuminavano l’ambiente, tenendolo sulla punta dell’indice. Alzò poi gli occhi su di lei da quella breve distanza. 
«Non è d’oro» continuò Regina «Non ha valore se non per me.»
«Ah no?» Emma lo rigirò col pollice. «Forse è ottone o qualcosa del genere. Poi cos’è successo?»
«Mia madre ha concesso la mano al re e noi volevamo scappare ma lei ci ha scoperti e l’ha ucciso» una lacrima le rigò il viso.
Emma spalancò gli occhi.
«Cosa?!»
«Era un ostacolo per il mio futuro, secondo lei. L’ho pregata di non farlo...» si rigirò l’anello tra le mani, le lacrime che continuavano a scorrere.
Emma le posò goffamente una mano sulla spalla. 
«Hai fatto decisamente bene a scappare.»
«Sì» sussurrò prima di stringerla in un abbraccio.
Rigida in quell’abbraccio inatteso, Emma ci mise qualche secondo a decidersi a ricambiarlo, anche se non sapeva bene come muoversi, era evidente.
Regina si staccò da lei poco dopo.
«Scusa» si asciugò le lacrime.
«Non devi scusarti.»
Nonostante l'imbarazzo, si rese conto che sarebbe rimasta abbracciata a lei per tutta la notte. Arrossì ad altri pensieri che le sfiorarono la mente e li scacciò con un battito di palpebre.
«Posso fare un bagno?»
Emma inarcò le sopracciglia. 
«Ehm... Ho solo la doccia...»
«Come funziona?»
La fissò per un attimo come se fosse una domanda assurda (e lo era per lei), poi scostò la tenda e le indicò la doccia che occupava buona parte del bagno e scaricava direttamente a terra in un foro del pavimento con una piccola grata sopra che non era esattamente della misura giusta. Aprì l’acqua scostandosi per mostrarle come si faceva. 
«Calda a destra, fredda a sinistra.» Si voltò a guardarla con un sorriso colpevole sul volto. «Potrei aver collegato qualche tubo con l’impianto di quelli che vivono qui sopra.»
Regina la guardò.
«L’acqua da dove viene? Come fa a scaldarsi?»
Emma trattenne un sospiro. Chiuse l’acqua e si asciugò il braccio inumidito sui jeans. 
«C’è una scatola con del fuoco dentro che la scalda.»
Regina si avvicinò e aprì il rubinetto e quando l’acqua la raggiunse sorrise.
«È una magia.»
Ridacchiò. 
«Forse.»
Regina le sorrise e iniziò a spogliarsi.
Emma arrossì e si voltò per evitare di guardarla.
Regina si tolse i vestiti ed entrò nella doccia.
«È strano.»
Emma rimase voltata di spalle. 
«Strano? Più di tutto il resto?»
«No» rise «È molto più comodo così anche se meno rilassante.»
Rise scuotendo la testa, le braccia incrociate sotto al petto. Un’idea le illuminò gli occhi per un istante, ma rimase ferma a fissare la "cucina".
«Domani ti porto in un posto. Domani sera.»
«Dove?» chiese mentre si lavava i capelli
Sorrise tra sé. 
«Vedrai...»
«Puoi passarmi un telo?» le chiese chiudendo l'acqua.
Si affrettò a recuperare un asciugamano pulito e glielo passò senza guardare.
«Grazie.» si avvolse nel telo e uscì. 
 
 
Emma si sedette al tavolo tenendo gli occhi lontani da lei mentre si tamponava i capelli cercando di asciugarli, la vide farlo con la coda dell'occhio e scattò a prendere il phon tenuto insieme col nastro adesivo. Lo attaccò alla presa e lo accese.
Regina balzò indietro spaventata.
«Cos'è?»
Emma rise e si sparò il getto d'aria in faccia per mostrarle che era innocuo.
«Aria calda per asciugare i capelli. Niente di più.»
Con mano tremante Regina si avvicinò e allungò la mano. «Non brucia.»
«Se lo tieni fisso in un punto sì. Il trucco sta nel muoverlo di continuo, così.» Le mostrò come fare sui propri capelli, poi le passò l’apparecchio. 
Emma prese un libro nell’attesa.
«Cosa leggi?» le chiese ad alta voce Regina.
Le rivolse uno sguardo sorpreso, come se l’avesse beccata a rubare. 
«Ehm... L’isola del tesoro» rispose con un sorriso timido mostrandole il libro.
«Non l’ho mai letto» disse spegnendo il phon. 
Sorrise. 
«Immagino che non abbiano gli stessi libri lì, da dove vieni tu.»
«No, non credo.»
Le indicò la pila. 
«Puoi prendere tutti quelli che vuoi. Non so se ti piace leggere.»
«Adoro leggere, è la seconda cosa che amo di più.»
Il suo viso si illuminò.
«E la prima?»
«Andare a cavallo.»
Inarcò le sopracciglia. 
«È così bello?»
«Per me sì, mi faceva sentire libera.»
Emma annuì osservandola con aria sognante. 
«Non sono mai stata a cavallo. A dire la verità, non ne ho nemmeno mai visto uno dal vivo.»
«Qui non ci sono?»
Scosse la testa. 
«No, siamo in città.»
«Ti avrei insegnato volentieri.»
Le sorrise.
«Sarebbe stato bello.»
«Vado a vestirmi, ho freddo.»
Le sorrise e poi si voltò per lasciarle un po' di privacy.
 
Regina tornò poco dopo con una maglia lunga che la copriva fino alle ginocchia. Si voltò a guardarla, nascose ciò che provava dietro ad un sorriso.
«Che ti va per cena?»
«Non lo so, non conosco molte cose di qua. Tu cosa vorresti?»
«Pizza?»
«Mi fido.»
Rise e prese le pizze dal congelatore per poi infilarle nel forno mezzo scassato che aveva, dopo averci aggiunto sopra olio d'oliva, pomodori freschi, mozzarella e qualche fetta di salame. 
Regina l’osservò per tutto il tempo incuriosita.
Emma guardò l’orologio che aveva al polso per prendere il tempo. Nell'attesa riempì due bicchieri di Coca Cola e ne porse uno a Regina, che ne prese subito un sorso.
Sorrise osservandola. 
«Che vorresti fare nella vita?» le chiese dopo un po’. Regina la guardò con aria smarrita, come se non capisse la domanda.
«Il mio unico compito era sposarmi.»
«Appunto. Ora che vorresti fare?»
«Non c'è molto che io sappia fare.»
Aggrottò la fronte.
«Be', sai andare a cavallo. Potresti fare l'insegnante di equitazione.»
«Ma hai detto che qui non ci sono.»
Annuì.
«Vero, ma più periferia penso che ci siano. Ci sarà un maneggio o qualcosa del genere.»
«Puoi accompagnarmi? Se trovassi un lavoro potrei pagarti e potrei andare via per non disturbarti oltre.»
«Non voglio che tu te ne vada» disse in fretta, senza pensare. Poi arrossì, guardò l'orologio e andò davanti al forno per controllare la pizza.
«Grazie» disse Regina «vorrei restare ma cercherò lo stesso un lavoro per aiutarti.»
«Prima ti servono i documenti. Domani proverò a farteli avere, non si sa mai, dovessero beccarti senza sarebbe un bel problema.»
Regina annuì anche se non aveva idea a cosa dovessero servire questi documenti.
«Che buon odore.»
«È quasi pronta.»
«So già che mi piacerà» Regina si avvicinò al forno «È caldo ma non c’è il fuoco, funziona come con quel coso per i capelli?»
«Più o meno» Si voltò a guardarla. Era così bella... Tornò a fissare le pizze. «Si chiama elettricità. È la stessa che fa accendere le luci.»
«Sono più pratiche delle candele>.»
«Immagino di sì» rise. Aprì il forno da cui uscì una vampata di calore che la fece sbuffare, poi con una presina ben poco efficace tirò fuori a metà una teglia alla volta per trasferire le pizze nei piatti. Ne mise uno a tavola e uno a terra.
Le porse un coltello e una forchetta. 
«Taglia a spicchi e mangia con le mani» le suggerì sorridendole. Prese le posate anche per sé e si mise a tagliare la pizza.
Regina annuì e tagliò un pezzo di pizza, la portò alla bocca e diede un morso. I suoi occhi si spalancarono.
«È buonissimo, lo so che l’ho detto tante volte oggi ma questa è… stupenda.»
«Grazie, ricetta tutta mia. Almeno il condimento.»
Le lanciò qualche occhiata nascosta mentre mangiavano, maledicendosi per quello che non riusciva a smettere di pensare.
«Era davvero buonissima» disse Regina dopo aver finito.
Emma ancora era a metà. Rise. 
«Hai ancora fame?»
«Scusa sono stata maleducata.»
Le rivolse uno sguardo confuso.
«Quando?»
«Ho mangiato troppo velocemente, mi dispiace.»
Rise.
«Ognuno mangia come vuole, Regina! Non farti questi problemi.»
«Devo abituarmi, credo.»
«Certo» le sorrise.
«Possiamo guardare un altro film?»
Le indicò i DVD.
«Scegli pure» disse alzandosi e portando i piatti nel lavello.
Li lavò, ma si bagnò la maglietta perché, distratta a guadarla, si schizzò con il getto troppo forte. Finì e rovistò nel suo "armadio", uno scatolone di carta, da cui prese una maglietta asciutta. Si sfilò in fretta la sua e se la mise.
«Questo» scelse infine Regina passandole il disco.
Lo guardò per un attimo prima di inserirlo nel lettore, poi si sedette sui cuscini.
Si mise vicino a lei mentre partiva il film Imagine me and you.
Cercò di non guardarla ma averla così vicina la faceva avvampare.
«Guarda sono diventate amiche per caso come noi» le sorrise.
Emma arrossì.
«Ehm... sì, cioè, no, non ha steso un poliziotto…»
Rise e poggiò la testa sulla sua spalla.
Emma si irrigidì. il suo profumo le invadeva i sensi, si contorse accavallando le gambe.
«Ma... si sono baciate, perché?»
Emma arrossì fino alle orecchie.
«C-come perché?»
«Non dovrebbero. Non è normale.»
Fu come ricevere un pugno in gola.
«Ah... Ehm... è normale. Sono gay. Cioè, una è bi. Bisessuale.» spiegò arrossendo.
«E che vuol dire? Cioè non dovrebbero farlo.»
«Perché no?» le chiese col cuore che batteva a mille. «Se si amano, che c’è di sbagliato?»
«Da noi non succede» spiegò «Quindi è normale?»
La guardò sorpresa. 
«Magari non si dice in giro, ma sono sicura che succeda anche a casa tua.»
«Tu hai mai baciato una ragazza?»
Arrossì ancora di più. 
«No.»
Regina tornò a guardare il film, un silenzio imbarazzante. Alla fine Regina si addormentò stretta a lei, poco dopo anche Emma crollò con la testa sulla sua. Dormirono così, scaldandosi a vicenda.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Regina fu la prima ad aprire gli occhi e si accorse di essere stesa vicino a Emma, il suo braccio che la stringeva mentre dormiva profondamente. Sorrise e si alzò riuscendo in qualche modo a non svegliarla, si diresse verso la cucina per cercare di preparare la colazione come le aveva visto fare. Prese le uova e iniziò a cucinarle.
Emma si svegliò al rumore. La guardò confusa. 
«Ciao.»
«Buongiorno, scusa non volevo svegliarti.» Mise le uova in due piatti. «Volevo prepararti la colazione.»
Si alzò, un po’ irrigidita dalla posizione in cui aveva dormito. 
«Grazie, non dovevi.»
«Spero siano buone, è la prima volta che ci provo.»
Le sorrise. 
«Saranno perfette.»
«Vieni, assaggia prima.»
Assaggiò, poi finse di soffocare.
«Emma… stai bene? Che ho fatto?»
Scoppiò a ridere.
«Stai bene?»
Annuì continuando a ridere.
«Ci sei cascata!»
Gli occhi di Regina si riempiono di lacrime. Emma smise subito di ridere. 
«Ehi, scusa, era solo uno scherzo...»
Regina scoppiò a ridere.
«Ci sei cascata anche tu» le fece la linguaccia.
Emma spalancò gli occhi.
«Sai piangere a comando?!»
«Sì, mia madre mi ha insegnato molte cose.»
Sospirò, amareggiata. Fortuna che era scappata. 
«Le uova sono buonissime, grazie» disse poi sorridendole.
«Sono contenta che ti piacciono» le sorrise «Oggi che facciamo?»
«Andiamo da un paio di tizi che mi devono dei favori per i tuoi documenti e poi possiamo fare quello che vuoi. Stasera abbiamo la serata programmata però.»
«Non vedo l’ora» le diede un bacio sulla guancia e andò in bagno.
Emma sorrise arrossendo appena al bacio. Finì la colazione con la mente rivolta a lei.
Regina uscì dal bagno indossando dei jeans e una maglia larga che le lasciava scoperta la spalla.
Emma sospirò guardandola.
«Dici che va bene? Non è troppo… scoperta?»
«No» disse Emma, cercando di trattenersi dal sospirare: era bellissima. «Stai benissimo.»
Regina le sorrise.
«Puoi andare, io sistemo la cucina.»
Emma scosse la testa.
«Non esiste, hai cucinato, pulisco io.»
«No, non mi dispiace, vai a cambiarti» le sorrise iniziando a pulire.
«Solo per questa volta» acconsentì prima di andare a lavarsi e cambiarsi. Uscì dal bagno venti minuti dopo con i capelli ancora umidi.
 
 
 
 
«E i tuoi piani per i documenti?»
Emma fece una smorfia e sorrise.
«Saltati, ci penseremo domani. Stare a zonzo tutto il giorno è stato divertente.»
La portò davanti ad un grande edificio con il tetto di tela bianca, una specie di enorme cilindro tagliato a metà per lungo. Scassinò la serratura in un istante con i grimaldelli e furono dentro.
La piscina era buia, immersa nel silenzio. 
«Ci metteremo nei guai vero?» sussurrò Regina.
«Spero di no.»
Si tolse la maglietta e i jeans, rimanendo in intimo. Il buio nascondeva il rossore sul suo viso. Si tuffò.
Regina arrossì e la guardò.
«È una specie di lago?»
Rise nell'acqua dopo essere riemersa. 
«Una specie. Tuffati, non è fredda.»
Regina si tolse i jeans e la maglia ed entrò in acqua.
Emma la osservò con il naso appena fuori dalla superficie. 
«Ha un sapore e un odore strano.»
«C’è un disinfettante dentro. Si chiama cloro.»
«Ti sembrerò un’idiota, continuo a tempestarti di domande.»
Emma scosse la testa.
«No, per niente. Io ne farei molte di più se fossi in te.» Si avvicinò un po’. «Questa è una piscina. Di solito ci si viene di giorno e pagando, non di notte scassinando la serratura...» rise.
«Non fai niente secondo le regole vero?» Regina si avvicinò a lei. Emma si strinse nelle spalle, ma nell’acqua fu un movimento goffo. 
«Le regole non portano a niente di buono.»
«Già» concordò nuotando intorno a lei.
Emma la guardò per un po’, poi la schizzò con la mano ridendo, si immerse e riapparve più lontano. 
«Ehi» Regina nuotò verso di lei e la schizzò.
Emma tirò su le gambe e le mosse energicamente per schizzarla.
«Ehiii» rise Regina, cercando di fermarla. Emma smise solo per immergersi. Poi la raggiunse sottacqua e le afferrò un piede. Regina rise cercando di liberarsi, ma finì sotto e Emma la tirò più giù dal piede e le sorrise soffiando un getto di bolle d’aria verso di lei.
Regina le prese la mano e la attirò più vicino.
I polmoni sembravano esploderle ma rimase lì, a guardarla attraverso quel velo opaco d’acqua. Poi Regina la portò in superficie e si aggrappò a lei. Emma la sostenne col fiato corto, più per la vicinanza che per l’apnea. 
«Stai bene?» ansimò.
«Sì, sono solo rimasta troppo senz’aria» disse Regina, e la guardò negli occhi sorridendo. Emma si perse in quello sguardo, tanto che parlò come in sogno. 
«Vuoi uscire?»
«No» mormorò guardandola.
Perse completamente l’uso della parola. Le gocce che scivolavano dalle sue ciglia erano come diamanti, stelle cadenti. 
«Grazie» le sussurrò Regina all’orecchio, improvvisamente più vicina «Non mi sentivo così... da tanto tempo.»
Emma rabbrividì, la sua pelle di seta contro la propria...
Regina si staccò da lei e, dopo averle dato un bacio sulla guancia, nuotò fino a raggiungere il bordo della piscina.
Emma rimase ferma lì, paralizzata da quel bacio.
Regina uscì dalla piscina.
«Emma?»
Si riscosse di colpo e la seguì fuori dall'acqua con un sorriso imbarazzato. 
«Scusa, mi ero impallata.»
«Sei carina» si sistemò i capelli bagnati dietro l’orecchio.
Emma arrossì, ma per fortuna con quello sputo di luce non si vedeva.
«Che dici…»
«La verità, sei una bellissima persona.»
Arrossì ancora di più.
«Ma smettila…»
«Sarebbe bello restare qui, questa terra è strana, così diversa eppure mi piace.»
Alzò gli occhi su di lei.
«Perché dici “sarebbe”? Non resti?»
«Se mia madre mi trovasse...» Regina abbassò lo sguardo. «Ho paura che mi troverà e mi riporterà a casa.»
«Ma avevi detto che non poteva trovarti qui.»
«Lo spero, ma ho paura se penso che potrebbe farlo.»
Emma si avvicinò e le posò una mano sul braccio sorridendole. 
«E come potrebbe trovarti qui? Boston è grande, se anche arrivasse qui non saprebbe dove cercarti. E poi, al massimo, ce ne andremmo da qualche altra parte.»
«Andremmo?» sollevò la testa per guardarla. 
«Sì» rispose, senza esitare. 
«Lasceresti casa tua per proteggermi?»
Si lasciò sfuggire una risata.
«Casa…» mormorò scuotendo la testa. Andò all’armadietto dove sapeva che tenevano gli asciugamani puliti e ne prese due. Uno se lo passò intorno al corpo e l’altro lo porse a Regina.
«Sì» insistette lei «questa è casa tua, perché vorresti lasciarla?»
La guardò. 
«Non è casa mia. La mia macchina è casa mia.»
«Grazie, ma se dovesse succedere promettimi che scapperai il più lontano possibile da lei.»
Emma rise e le diede un buffetto sulla spalla.
«Sì, insieme a te.»
Regina le prese la mano e la guardò negli occhi.
«Emma, sono seria. Se dovesse trovarmi tu dovrai scappare, è pericolosa, lei... non voglio che ti faccia del male.»
Le strinse piano la mano. 
«Tranquilla, non succederà niente.»
«Promettimelo lo stesso, non voglio che tu muoia come Daniel.»
Emma la guardò negli occhi, sorpresa. L’aveva appena paragonata al suo ragazzo?
«Ehm... tranquilla, starò bene.»
«Prometti» replicò stringendole la mano.
Emma trattenne un sospiro. 
«Non faccio promesse che non posso mantenere.»
La principessa sospirò e si alzò, iniziando a rivestirsi. Emma si corrucciò, confusa.
«Regina?»
«Non dovrei stare vicino a te.»
«Cosa?!»
«Rischi troppo e neanche te ne rendi conto.»
Emma si passò l’asciugamano sui capelli.
«Rischio da sempre, Regina. Non è una novità.»
«Se ti dovesse succedere qualcosa per colpa mia non potrei sopportarlo.»
Le sorrise con l’asciugamano poggiato sulla testa come un cappuccio. 
«So cavarmela, Regina.»
«Lo spero» sussurrò. Posò l’asciugamano su una panca e iniziò a rivestirsi. «È stato bello, grazie.»
«Non devi preoccuparti. E poi qui non c’è la magia, no? Non hai nulla da temere.»
«Tu non credi alla magia, e forse è meglio così» accennò un sorriso «Ho fame.»
«Non è che non ci credo, è che qui non c'è.» Poi sorrise. «Davvero?»
«Si.» arrossì la principessa. «Non dovevo dirlo.»
«Scherzi? Devi dirlo sempre se hai fame! Andiamo, ti faccio provare qualcosa di nuovo.»
Regina annuì con un sorriso.
La riportò in machina curandosi di richiudere la porta della piscina prima e la portò da McDonald.
«Che posto è?»
La portò dentro e le indicò il menù sullo schermo. 
«Qui scegli cosa vuoi mangiare e poi andiamo a ritirarlo lì al bancone.»
Regina guardò incantata lo schermo, poi, quando Emma le mostrò come fare, toccò il menù e davanti a lei si aprì il paradiso.
«Patatine, voglio le patatine, e un cheeseburger con doppio formaggio, Coca Cola e quello cos’è? Cosa sono quelle cose colorate sopra?»
«Premici il dito sopra. Io voglio un Big Mac e uno di questi... è gelato, ci stanno gli Smarties sopra. È dolce, ti piacerà.»
«Si ordina così?»
«Sì, poi fai qui, “paga”.» Prese delle banconote dalla tasca e le stirò con le dita prima di infilarle nella cassa. Quando ne uscì lo scontrino si mise in fila tirandosi dietro Regina. «E poi aspetti che ti chiamino.» Le indicò il numero sullo scontrino.
«È divertente. Di solito non posso mai scegliere cosa mangiare.»
«Comincia ad abituarti perché dovrai farlo tutti i giorni qui.» Chiamarono il loro numero e Emma prese il vassoio per poi andare a sedersi ad uno dei tavoli.
«Posso mangiare il gelato?»
Rise. 
«Prima dell’hamburger? A me farebbe schifo, ma puoi fare quello che vuoi.»
«Allora comincerò dalle patatine.» Ne prese un paio e le mangiò. «Mmm sono buonissime.»
Emma rise.
«Insomma, però sono una droga» commentò mangiando le proprie.
«Ha un sapore... squisito» disse addentando il cheeseburger.
La osservò mangiando distrattamente le patatine. 
«Cosa mangiavi a casa tua?»
«Pollo, cigno arrosto, verdure, tacchino...» prese altre patatine
Inarcò le sopracciglia. 
«Wow. E davvero preferisci quello?» le chiese indicando l'hamburger con un cenno del capo.
Regina annuì finendo il panino e le patatine, due sorsi di Coca. 
Scosse la testa con un mezzo sorriso sul volto. 
«Sei strana.»
«È una cosa brutta?» Regina prese il gelato.
Rise. 
«No, no!»
«Quando ti stancherai di me dimmelo» iniziò a mangiare il gelato
«Perché dovrei stancarmi di te?»
«Può succedere» riprese a mangiare come se avesse detto un’ovvietà. «È dolce e freddo» commentò.
Emma allungò la mano a toccare la sua. 
«Ehi, non devi neanche pensarle queste cose.»
Regina le sorrise con dolcezza.
«Mia madre dice sempre che sono un caso disperato e che farei perdere la pazienza a chiunque.»
Strinse la presa sorridendole.
«Sì ma a quanto mi hai detto non è esattamente un testimone affidabile, quindi che ne dici se la ignoriamo d’ora in poi?»
«Sì.»
Aggrottò le sopracciglia. 
«Tutto okay?»
«Credo di aver mangiato troppo.»
«Rilassati un po’, mettiti più comoda» le disse e si appoggiò allo schienale stravaccandosi per mostrarle come.
«Le signore non si mettono così» la rimproverò Regina con aria schifata.
Emma rise. 
«Non sono una signora.»
Regina dismise la maschera da nobildonna e rise, poi cercò di sistemarsi come lei. Emma fece una smorfia arricciando il naso. 
«Allarga le gambe e incurva le spalle.»
«Non posso!» rise Regina.
«Certo che puoi!»
Sorrise scuotendo la testa e si guardò intorno.
«Fallo e basta!»
Regina si morse il labbro ma poi allargò leggermente le gambe e piegò la schiena. Emma sorrise soddisfatta. 
«Brava, ora però rilassati.»
Buttò giù un sospiro e cercò di rilassare le spalle e non pensare a niente.
Emma sorseggiò la sua Coca osservandola.
«Sembri quasi rilassata.»
«È bello non pensare a come ti vedono gli altri.»
«Eppure ancora ci pensi.»
«Sono qui da neanche una settimana, dammi tempo.»
Rise sommessamente. 
«Hai ragione, scusa.»
«Però mi sento libera.»
«E tutto grazie ad un cheeseburger e una Coca» rise.
«Non per quello, ma perché ho scelto io.»
«Lo so lo so, scherzavo.»

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Capitolo 7
*** 7 ***


«Possiamo in quel posto dove ci sono i cavalli?»
Esitò, presa alla sprovvista. 
«Ehm.. sì ma prima dobbiamo prenotarti quei documenti e passare in biblioteca per usare il pc, non so dove sia il maneggio.»
«Va bene.»
Si alzò.
«Passeggiata per digerire?»
«Si, o rotolerò per sempre» rise alzandosi.
Pulì e mise a posto il vassoio, poi la prese per mano e la portò fuori, a passeggiare tra i grattacieli. Regina strinse la sua mano seguendola per quelle strade sconosciute.
«Stai bene?»
«Mai stata meglio» si appoggiò al suo braccio «È tutto magnifico.»
Emma si irrigidì, ma era talmente bello averla così vicina...
«Lo sarebbe se io avessi una vera casa e tutto il resto» mormorò.
«Casa tua è carina mi piace stare lì.»
Il suo sguardo si perse lontano, il passo rallentò appena.
«Credimi, non la penseresti così se avessi visto una vera casa.»
«So come sono, non hai mai visto la mia ma ho rinunciato ad un castello e ad un regno.»
Emma le lanciò uno sguardo rapido.
«Senti, io capisco il fascino di una casa col camino e tutto il resto, ma credimi, avere un divano e un letto veri non è una cosa da sottovalutare. E pure una cucina, magari.»
«Meglio la libertà a qualsiasi altra cosa» disse guardandola con gli occhi colmi di tristezza «La libertà e l'amore sono la cosa più importante che ci possano essere.»
Arrossì e distolse lo sguardo.
«Sì, immagino di sì.»
«Il vero amore vince su tutto» gli occhi le si riempirono di lacrime
Si fermò, troppo amareggiata per poter continuare. Si appoggiò ad una panchina, le spalle curve. 
«Mi piacerebbe riuscire a crederci» mormorò.
«Dovrebbe...ma non so più se sia vero» ammise.
La guardò.
«Mi dispiace.»
«Tu credi nell'amore?»
La guardò, il viso teso. 
«Non lo so. Non credo di sapere cosa sia.»
«È quando non fai altro che pensare all'altra persona, quando anche solo un sorriso fa battere forte il tuo cuore, il pensiero di stare separata da lei ti rende pazzo.»
Continuò a guardarla. 
«E se fosse solo un'illusione?»
«Credo che il cuore non possa mentire.»
Uno sguardo incerto, il viso un po' più roseo. 
«E se l'altra persona non ricambiasse?»
«Pensi di non esserlo?»
Aggrottò la fronte, confusa. 
«Cosa?»
«Senti qualcosa per qualcuno e credi di non essere corrisposta?»
«Forse» mormorò Emma.
«Mi dispiace ti ho monopolizzata per tutto questo tempo, dovresti andare da lui.»
Emma continuò a guardarla. 
«Non è un lui. E...> ma non ebbe il coraggio di continuare.
«Oh... come in quel film che abbiamo visto?» chiese incuriosita Regina
Arrossì e riuscì solo ad annuire abbassando lo sguardo.
«Mi dispiace per quello che ti ho detto, io non sapevo si potesse. Da noi non succede o almeno io non lo so. Ma ho capito tanto guardando quel film e credo che alla fine ci si innamori della persona.»
Alzò gli occhi speranzosi su di lei.
«Lo credi davvero?»
«Si, certo» le strinse la mano «E dovresti andare da lei e dirle quello che provi, non devi stare con me ogni secondo.»
La fissò per qualche istante, poi annuì, il corpo teso come una statua di marmo. 
«Sì, be', il fatto è che...» esitò «Sai non...»
«Hai paura? È normale ma vedrai che ricambierà il tuo sentimento, sei una persona straordinaria» commentò con un sorriso dolce.
Serrò le labbra. 
«Be' non lo so. È una tipa strana, viene da... lontano, non sa nemmeno cosa sia un telefono...» mormorò osservandola.
«Telefono?»
Continuò a guardarla, piuttosto terrorizzata, un sorriso teso che si faceva strada lentamente sulle labbra.
«Ti piaccio io?»
Arrossì ancora di più e abbassò lo sguardo.
«Ehm...»
Regina allungò la mano e strinse la sua senza guardarla.
Emma sussultò e la guardò stupita. Rimase ferma per qualche attimo, poi ricambiò la stretta.
«Tu mi piaci» mormorò Regina imbarazzata.
La guardò esterrefatta. 
«Cosa?»
«Sei molto dolce e gentile con me.»
Spalancò gli occhi per un attimo. 
«Regina, non devi sentirti in debito o obbligata.»
«Non lo faccio, cioè si ma mi piace stare con te. Sei divertente e mi fai ridere.»
La osservò per un po', poi prese un respiro e riuscì a calmarsi un po'.
«Senti, forse stiamo correndo troppo ed è colpa mia. Ci conosciamo appena, tu sarai confusa, sei appena arrivata qui e ci sono un sacco di cose ancora che non sai, e io non voglio farti pressioni. Anche a me piace tanto stare con te, ma non voglio che tu ti senta in debito. Anche perché non lo sei, considerando che stiamo comprando tutto con i tuoi soldi.»
«Si, certo, scusami, ho capito male» disse facendo qualche passo lontano da lei «Possiamo tornare a casa tua? Sono un po’ stanca.»
«Cosa? Perchè fai così? Volevo solo dire che non vorrei che ti sentissi in dovere di... sdebitarti in qualche modo.»
«Lo so, e hai ragione ci conosciamo da poco.»
Annuì sebbene poco convinta. 
«Okay. Andiamo a casa.»
La riportò a casa e si eclissò in bagno per farsi una doccia veloce. Quando Emma uscì dal bagno rimase spaesata dalla sua assenza. Poi notò il biglietto.
“Grazie per tutto quello che hai fatto per me, ti sto condizionando la vita e non è giusto. Forse ci vedremo ancora. Un bacio Regina”
«Merda!»
Si vestì al volo e uscì a cercarla.
 
 
Regina camminava senza meta guardandosi intorno, per poco non finì sotto una macchina e si scusò contro le urla del guidatore. Non riconosceva nessuna di quelle strade, credeva di potersi orientare e invece era stata distratta e non aveva fatto caso a dove andasse. Alla fine si ritrovò in un parco e si sedette su una panchina. Si strinse le braccia intorno al busto iniziando a sentire freddo.
 
Emma girò per mezza città terrorizzata che a Regina fosse successa qualcosa, non avrebbe dovuto dirle niente, l’aveva spaventata e adesso forse era in pericolo… Il suo cuore batteva all’impazzata nel petto mentre ogni scenario possibile si faceva strada nella sua mente, forse aveva avuto un incidente o aveva incontrato qualcuno… Finalmente la vide e si fermò con la macchina inchiodando di colpo. Scese correndo e la raggiunse in un attimo. 
«Regina!»
«Che ci fai qui?» chiese la ragazza tremando.
«Come che ci faccio qui? Che cazzo ti viene in mente di andartene così?» le sbottò urlando ancora spaventata.
«Volevo lasciarti libera, non devi farmi da balia.»
Rimase sconcertata. 
«Regina tu non sei un peso per me!»
«Emma troverò un posto in cui stare e anche un lavoro.»
«No che non lo troverai perché non hai neanche i documenti. Finirai sotto custodia della polizia, e poi non lo so nemmeno io. Ma non sarà bello, fidati di me.» Si avvicinò di qualche passo. «Nessuno ti protegge qui fuori, Regina. Nessuno ti aiuta, finirai a dormire per strada come ho fatto io per tanti anni. Resta con me.»
«Non posso, tu hai già la tua vita non devi accollarti i miei problemi. Saprò cavarmela in qualche modo.»
Le prese le mani.
«Possiamo affrontarla insieme. Io sono sempre stata sola e ti assicuro che fa schifo. Fa davvero schifo.» La guardò con gli occhi leggermente lucidi. «Resta con me.»
«Non puoi badare a me. L'hai detto anche tu no so tante cose e tu non puoi stare sempre dietro a me a spiegarmi le cose.»
«Non ho detto questo. E non sto badando a te, tu te la cavi benissimo da sola. Mi hai salvata da un arresto appena sei comparsa, quindi semmai è il contrario» provò a sorriderle
«Non devi sentirti in debito per quello.»
«Più di quanto pensi, invece. Mi hai salvata, davvero.»
«Quindi vedi ti senti in debito, solo per questo mi tieni e non voglio.»
Scosse la testa con foga. 
«No, Regina, tu hai salvato me e io ho salvato te, perché ti avrebbero mangiata viva per strada, te l'assicuro. Siamo pari.»
«So cavarmela da sola, non sono una principessa da salvare.»
Le sorrise inclinando un po' la testa.
«Però sei una principessa...»
«Ma se neanche mi credi» rise.
Rise a sua volta. 
«Ti credo, ti credo.»
«Non lo fai, ma va bene.»
«Ti credo!» esclamò ridendo.
«È bello qui, ma mi manca la campagna.»
Si guardò intorno.
«Oh, mi dispiace.»
«Non devi, sono felice di essere qui.»
La guardò per qualche attimo. 
«Se vuoi possiamo spostarci. Andare in un posto più tranquillo, in periferia.»
«No, va bene qui» le sorrise.
«Sicura? Perché non sarebbe un problema.»
«No, va bene, davvero.»
«Okay.» Si rannicchiò su se stessa, infreddolita.
Regina rovistò nella busta e ne tirò fuori una giacca per poi poggiarla sulle sue spalle.
«Vedi? Sei tu che ti prendi cura di me.»
«Mi hai preso tu questa giacca.»
«Che c'entra? E poi l'hai comprata tu, io ti ho solo accompagnata nel negozio.»
«Sei sicura che posso stare ancora con te? Appena troverò n lavoro me ne andrò.»
«Non voglio che tu te ne vada.»
«Per adesso cercherò un lavoro poi ne riparleremo.»
Le prese il viso tra le mani. 
«Non andartene.»
Regina la guardò negli occhi arrossendo ed Emma si staccò di colpo rossa in viso.
«Scusa.»
«Di cosa? Non devi scusarti di niente.»
«Non volevo metterti in imbarazzo.»
«Non l'hai fatto, scusami se l'ho fatto prima io…» sussurrò.
«Quando?!»
«Quando ti ho detto che mi piacevi» disse evitando il suo sguardo.
«Ma non... non mi hai messa in imbarazzo.»
Emma scosse la testa.
«Ehm... vuoi tornare a casa?» le chiese poi.
«Sì» camminarono fino alla macchina «Grazie» disse salendo.
«Di cosa?»
«Di avermi cercata.»
La guardò come se fosse matta.
«Credevi davvero che ti avrei lasciata andartene in giro da sola, di notte oltretutto?»
«Non è successo niente.»
«Sei stata fortunata, è pieno di gente pericolosa in città.» Mise in moto e iniziò a guidare
«Mi dispiace, non so cosa ho pensato.»
«Senti, se hai bisogno di un po' di spazio, di stare da sola, va bene, lo capisco, ma la prossima volta dimmelo e ti lascio la casa, vado a farmi un giro in macchina. Non rischiare la vita, okay?»
«Non ho bisogno di spazio credevo lo volessi tu dopo quelle cose che hai detto, del fatto che non ci conosciamo che dobbiamo andare piano e non so neanche a cosa ti riferivi.»
Fermò la macchina davanti al garage e si volò a guardarla.
«No, io non intendevo...» sospirò e si appoggiò al volante. «Scusa, sono un disastro in queste cose.» Si tirò indietro appoggiandosi al sedile. «La verità è che non sono brava con le persone.»
«Non fa niente, ma si sempre sincera con me, se hai voglia di stare sola dimmelo, se faccio qualcosa che ti da fastidio dimmelo, so di non sapere ancora molte cose e so che le mie domande possono sembrare stupide e me ne scuso ma dimmelo e ti lascerò i tuoi spazi.»
«Ma io non voglio stare sola. Sto bene con te. Era tanto che non mi succedeva.»
«Ma dimmelo se dovesse essere troppo» scese dalla macchina. «Anch'io sto bene con te.»
Scese anche lei.
«Okay, te lo dirò.» Aprì il garage e ci entrò con la macchina per poi richiuderlo e accendere le luci. «Hai sonno?»
«Un pò tu?»
«Sì, anche io.» Si cambiò in bagno mettendosi il pigiama e prese un libro. «Buonanotte» le sorrise.
«Emma dormi nel letto per favore non voglio che continui a dormire in macchina.»
«Sto bene in macchina, non preoccuparti. Ci ho dormito per tre mesi prima di trovare questo posto, sto meglio lì che nel letto, fidati» le sorrise.
«Ho degli incubi starei meglio se dormissi con me» le confessò Regina cogliendola di sorpresa.
«Oh. Okay, certo...» Si avvicinò al letto e si sedette sul bordo del materasso.
«Grazie, buonanotte Emma.»
«Buonanotte.»
Emma si sdraiò a pancia sopra, osservando le piccole luci sul muro, capovolte da quella prospettiva. Averla così vicina la faceva stare tesa come un ramo secco. Sentì il respiro di Regina regolarizzarsi segno che si era addormentata e poco dopo la sentì scivolare verso di lei. Emma si irrigidì ancora di più, soprattutto quando il braccio di Regina le cinse la vita. Emma si pietrificò rimanendo immobile per paura di svegliarla. Rimase sveglia per ore ma alla fine crollò stretta nell’abbraccio di quella ragazza misteriosa che era entrata come una stella cadente nella sua vita.
 
Regina aprì gli occhi e si ritrovò una massa di capelli biondi vicino al viso, arrossì e si staccò da lei.
Emma si svegliò e non appena si rese conto che la stava stringendo come un koala si allontanò di scatto. 
«Scusascusascusa...»
«No, è colpa mia sono venuta verso di te e ti ho abbracciata non volevo, dormivo e forse avevo freddo scusami.»
«No, è colpa mia, mi dispiace... Avevi freddo?»
«Non lo so, forse.»
Le sorrise. 
«Ma che coperte avevi a casa tua?»
«Di lana e il camino in camera.»
Aggrottò la fronte.
«E non morivi di caldo?»
«No, stavo benissimo» si alzò dal letto.
Sospirò e poi si coprì la bocca sbadigliando. 
«Compreremo altre coperte allora.»
«No, non ce bisogno, prometto di non costringerti più a dormire con me.»
«Cosa? Ma non mi hai costretta, e poi ho dormito benissimo» ammise arrossendo.
«Cosa vuoi per colazione?»
«Che ne dici di pancake?» disse avvicinandosi già alla cucina.
«Cosa sono?»
«Vedrai.»
Si mise a prepararli e Regina si sedette per osservarla.
Preparò i piatti e mise a tavola anche lo sciroppo d'acero per lei, poi si sedette a terra col suo piatto sulle gambe.
«Assaggia.»
Regina ne tagliò un pezzo di pancake e l'assaggiò.
 «Lo so che lo sto dicendo di tutto ma è squisito.»
Le sorrise compiaciuta. 
«Sono la cuoca migliore del mondo» rise.
«Si, lo sei» le sorrise continuando a mangiare.
Le sorrise ancora arrossendo un po', poi continuò a fare colazione in silenzio.
«Andiamo a fare i miei documenti oggi?»
Annuì. 
«Mh-mh. E poi andiamo in biblioteca.»
«Si?»
«Certo, perchè?»
«Vado a vestirmi allora» si alzò di corsa e si chiuse in bagno
Rimase a fissare la tenda del bagno con una fastidiosa malinconia dentro. Voleva andarsene, era evidente.
Regina uscì poco dopo indossando una gonna fino al ginocchio e una camicetta.
«Come sto?» le chiese con un sorriso.
La guardò un po' troppo a lungo, poi le rivolse un sorriso un po' triste. 
«Benissimo.»
«Stai bene?» le chiese avvicinandosi.
«Certo.» Si alzò e si mise a lavare i piatti e la padella.
«Faccio io tu hai già cucinato.»
«No tranquilla. Inizia a pensare ad un cognome e... quanti anni hai?»
«Ho diciotto anni, cognome sarebbe la casata?»
Si fermò un attimo e la guardò.
«Credo di sì.»
«Non lo so, Mills?»
«Mills?» sorrise. «Perchè Mills?»
«Non lo so, è il primo che mi è venuto in mente.»
Rise.
«Okay, okay. È carino. Regina Mills. Suona bene.»
«Grazie» le sfiorò il braccio con la mano.
Per un attimo rimase ferma.
«Non devi ringraziarmi.» Il suo cuore si strinse all'idea di doverla vedere andare via, di rimanere sola, di nuovo. Ma non poteva e non voleva di certo costringerla a stare con lei.
«Non vedo l'ora di andare in biblioteca, ci saranno tantissimi libri che non ho letto.»
La guardò con stupore. Era per quello che voleva uscire così in fretta?
«Tutti, credo.»
«Lo so» sorrise «Sono così emozionata.»
Non poté fare a meno di sorriderle. 
«Mi vesto allora. Faccio in fretta» disse correndo in bagno.
«Scusa troppo entusiasmo mi dispiace.»
«Ma no, è bello che ti piacciano tanto i libri! Abbiamo qualcosa in comune!» esclamò dal bagno mentre si lavava e vestiva mentre Regina sistemava il letto.
Uscì dopo dieci minuti e la guardò con aria di rimprovero.
«Non dovevi fare il letto.»
«Perchè no? Bisogna lasciare tutto in ordine.»
«No, non qui. Qui puoi lasciare anche un casino» rise.
«Ci penserò.»
Le aprì lo sportello e poi aprì il garage.
«Prima avevo paura di questa... auto? Invece è divertente.»
«Paura?»
«All'inizio non sapevo cosa fosse e va veloce.»
Le sorrise uscendo dal garage. Lo chiuse e tornò in macchina.
«Effettivamente può essere pericoloso, ma solo se guidi male o se qualcun altro lo fa.»
«Sono contenta che lo faccia tu io non saprei da dove iniziare.»
«In teoria ci vuole la patente per guidare, bisogna sostenere un esame eccetera...» Si strinse nelle spalle. «Una gran rottura e costa un sacco.»
«Oh, capisco.»
«Io non l'ho fatto, ovviamente, ho solo fatto fare la patente falsa insieme al resto dei documenti» le sorrise.
«Hai una scappatoia per tutto?»
Rise.
«Quasi.» La vide guardare fuori dal finestrino «Apri il finestrino» le suggerì, indicandole poi la leva.
Regina socchiuse gli occhi all'aria fresca che le scompigliava i capelli.
Le lanciò qualche sguardo mentre guidava.
Parcheggiò in un grosso parcheggio al chiuso qualche minuto più tardi, passando la tessera della biblioteca su un lettore per entrare. 
«Siamo arrivate?»
«Sì.» Scese dall'auto e la condusse verso un ascensore. «Okay, ora entriamo nell'ascensore, in pratica è una grossa scatola che va su e giù per evitare di fare le scale, non ti spaventare.»
Annuì anche se non era molto convinta. Emma premette un pulsante e le porte si chiusero di scatto, Regina indietreggiò d’istinto e quasi urlò quando il pavimento cominciò a muoversi.
«Tranquilla» la rassicurò Emma. Regina era terrorizzata e si aggrappò al braccio della ragazza. Chiuse gli occhi e la strinse di più.
Le accarezzò la schiena per tranquillizzarla, ubriaca del suo profumo. Quando l'ascensore si fermò, le diede una stretta più forte mentre le porte si aprivano. 
«Ci siamo.»
Regina annuì ma tenne gli occhi chiusi aggrappata al suo braccio.
«Puoi aprire gli occhi» le disse all'orecchio.
«Siamo fuori?»
«Un passo e lo saremo.»
Si catapultò fuori da quella scatola con un respiro ancora corto.
Regina la teneva ancora per mano quando si accorse di tutti quei libri.
«Sono infiniti» commentò con gli occhi che le brillavano per l’eccitazione.
Sorrise guardandola.
«Credo ci siano biblioteche molto più grosse di questa al mondo.»
Regina le sorrise e la trascinò vicino agli scaffali.
«E posso prenderli per leggerli?»
«Sì, certo, ma dopo devi restituirli.»
«Va bene» disse iniziando a girare tra gli scaffali e prendendo dei libri.
La osservò, incuriosita. Voleva scoprire che libri le interessassero.
«Non avevo mai visto questi libri» sorride «Quanti posso prenderne?»
Emma si strinse nelle spalle. 
«Conta che hai quindici giorni per leggerli.»
«Va bene, allora prendo questi tre.»
Emma aggrottò la fronte. 
«Leggi in fretta eh?»
«Abbastanza» rise «Posso prenderli e basta? E tu cosa prendi?»
«Dopo passiamo al bancone e li facciamo registrare, intanto vieni con me» le sorrise e ripartì in direzione dei computer.
«Cosa sono quelle cose?»
Emma avvicinò una sedia aggiuntiva e le fece cenno di sedersi mentre lei faceva lo stesso. 
Accese il computer e aprì internet.
«Vedi, qui c'è tutto. La conoscenza globale. Se qualcosa esiste, è su internet, che è una specie di enorme biblioteca accessibile da questi cosi, i computer.»
«Qui dentro c'è tutto questo?»
Si voltò a guardarla col sorriso sulle labbra.
«Sì, c'è proprio tutto.» Tornò a guardare lo schermo e digitò sulla barra di ricerca. Scorse tra i siti e cliccò su quello che le interessava. «Ecco il maneggio.»
«Sembra bello» si avvicinò per guardare meglio «Ma stanno lì dentro?» toccò con le dita lo schermo
Emma sorrise. 
«No, sono solo immagini. Ma qui... vedi? C'è scritto l'indirizzo. Quindi ora sappiamo dove andare.»
«Bene, e quando possiamo andarci?»
La guardò.
«Anche subito se vuoi.»
«Si, certo, pensi che potrebbero assumermi davvero?»
«Intanto andiamo a farci una passeggiata a cavallo, che ne dici?» propose alzandosi.
«Si, mi piacerebbe.»
Passarono al bancone dove registrarono il prestito dei libri e poi tornarono verso l'ascensore. Ci si fermò davanti voltandosi a guardarla. 
«Te la senti?»
Regina annuì sempre meno convinta e le strinse la mano,
Emma la attirò più vicino passandole un braccio attorno alle spalle mentre chiamava l'ascensore. La strinse a sé mentre premeva sul tasto per scendere e per tutto il tragitto, chiuse gli occhi quando iniziarono a scendere.
La strinse più forte finché le porte non si aprirono.
«Quel coso mi spaventa.»
«Mi dispiace... È una grossa scatola tirata su e giù da cavi, se può aiutarti.»
«Forse» disse avvicinandosi alla macchina.
Emma la aprì e si mise al posto di guida. 
«Sai, molte persone hanno paura degli ascensori.»
«Almeno su questo non sono strana» scherzò. 
«Non sei strana, solo che vieni da un altro posto» la tranquillizzò.
«Sono contenta che finalmente mi credi.»
Si strinse nelle spalle.
«Di fronte all'evidenza.»
«Grazie di non pensare che sia pazza...non più almeno.»
«Non devi ringraziarmi. Un po' pazza sei, visto che ti accompagni ad una mezza criminale» disse ridendo.
«Forse lo sono anch'io, il re aveva dato una dote alla mia famiglia per sposarmi.»
Aggrottò la fronte.
«Una che?»
«Dote, sai gioielli, proprietà per ottenere la mia mano.»
Emma rallentò fermandosi al semaforo anche se era appena scattato il giallo. 
«Cioè ti ha comprata?!» quasi urlò.
«Non è proprio cosi, è l'usanza.»
«È un'usanza di merda.»
«Voi vi sposate solo per amore?»
Ripartì con il semaforo verde.
«Oddio, proprio solo per amore no. C'è chi si sposa per soldi, e in alcuni paesi credo si facci come da te. Però in generale sì, ci si sposa per amore.»
«Forse non sempre l'amore vince.»
Le lanciò uno sguardo veloce.
«È vero, però a volte lo fa» sorrise appena.
«Spero che per te sia cosi.»
Arrossì e fissò gli occhi sulla strada.
«Già» mormorò appena.
Parcheggiò poco dopo al maneggio e scese.
Scese e si avvicinò subito ad un cavallo che stava in un recinto «Ciao» disse accarezzandolo.
Emma andò a parlare con il proprietario e pagò una passeggiata per due. Il tizio, un omone con i capelli lunghi e screziati di bianco, fece uscire un cavallo pezzato dalla scuderia e poi si avvicinò a Regina osservando il cavallo che lei stava accarezzando. 
«Si chiama Foresta, se vuoi puoi cavalcarla. Altrimenti ti do quello lì» aggiunse indicando un frisone lì vicino. «Quello è Thor. È uno stallone, un tipo un po' focoso, ma la tua amica ha detto che ci sai fare con i cavalli.»
«Si mi piacerebbe è davvero meraviglioso» sorrise verso Emma.
«Sellalo tu allora mentre io mi occupo dell'altro» le disse l'uomo facendole l'occhiolino. Emma nel frattempo la guardava sorridendo.
Regina iniziò a sellare il cavallo.
«Vieni a vedere non è difficile.»
Emma si avvicinò timidamente, guardando con timore l'enorme cavallo. Regina le prese la mano e l’appoggiò sul cavallo.
«Accarezzalo dolcemente.»
Lo fece, ma la mole di quel cavallo continuava ad intimidirla.
«Speriamo che oggi sia di buonumore questo gigante.»
«Preferisci cavalcare con me? Ti sentiresti più sicura?»
La guardò con stupore.
«Perchè, si può fare?»
«Certo, se vuoi.»
Un po' sollevata, un po' tesa per la vicinanza che si sarebbe inevitabilmente venuta a creare, annuì.
«Okay allora. Non sono mai salita su un bestione del genere, quindi…»
«Allora metti un piedi qui, tieniti pure a me.»
Emma lo fece. Il proprietario nel frattempo si era avvicinato.
«Me lo pagate comunque come un giro per due, non fate le furbe.»
«Sì, sì, tranquillo» sbuffò Emma.
Regina salì dietro di lei.
«Stai bene?»
Emma era avvinghiata alla sella. 
«S-sì...»
«Rilassati, ci sono io» scosse appena le briglie e il cavallo iniziò a muoversi.
Emma si aggrappò meglio alla sella, stringendoci attorno le gambe.
«Fallo andare piano.»
«Ma stiamo andando piano.»
«Ah sì?»
«Sì» le sussurrò all'orecchio.
Emma rabbrividì e rimase aggrappata alla sella nel tentativo di non finire per terra.
«Vuoi provare a tenere le briglie?»
«Non ci penso proprio!»
«Dai provaci, facciamolo insieme.»
«Okay...»
«Prendi le briglie» disse sollevandole appena.
Emma le prese con poca convinzione. 
«Dico, è grosso il quadruplo di me, perché dovrebbe darmi retta?»
«Perchè sa che non vuoi farli del male» poggiò le mani sulle sue. Emma si tese.
«Questo non significa che gli piaccia l'idea che io gli dica dove andare.»
«Devi farlo con dolcezza.»
«Okay, okay...»
«Vedi stai andando bene.»
Emma era rigida come un tronco d'albero.
«Sì, ma tanto per sicurezza riprenderesti tu questi affari?»
Regina lo fece e la guidò verso un laghetto.
«Guarda che bello.»
Sorrise voltandosi a guardarla.
«Finisce che sei tu a mostrarmi il luogo, vedi?»
«Ti va di fermarci qui?»
«Qualunque cosa pur di scendere da questo energumeno!»
Regina rise e scese per poi darle la mano per aiutarla a fare altrettanto. Scese goffamente dal cavallo e poi arretrò rapidamente.
«Uff, ma come fai a stare così tranquilla là sopra?»
«Non ti senti libera con il vento tra i capelli, l'aria fresca che ti riempie.»
Fece una smorfia. 
«Sono un animale che pesa qualche quintale e che potrebbe uccidermi da un momento all'altro. Più che libera mi sento ansiosa.»
«Speravo ti farti rilassare» disse avvicinandosi al lago.
«Sto scherzando. Più o meno.»
Regina si sedette sulla sponda e sorrise, Emma esitò un attimo ma poi si accomodò accanto a lei.
«Sì, si sta bene qui.»
Regina annuì si sdraiò socchiudendo gli occhi
Emma ne approfittò per osservarla alla luce del sole.
«Il sole è meno caldo qui.»
Aggrottò le sopracciglia, stupita.
«Davvero? Chissà se è perché è in un altro emisfero o perché è in un altro tempo.»
«Non lo so» si girò e le sorrise.
Rimase a guardarla, imbambolata da quel sorriso
«Sei buffa.»
Emma si accigliò.
«Come buffa?»
«Quando ti blocchi in quel modo, come se fossi persa nei tuoi pensieri... sei buffa e bella.»
Arrossì e distolse lo sguardo scuotendo la testa.
«Ma smettila...»
«Scusa ma lo sei e dovresti saperlo.»
Arrossì ancora di più e si voltò a guardarla con una strana espressione sul viso. Poi si sporse e la baciò chiudendo gli occhi.
Non si aspettava che la baciasse, un brivido le percosse la schiena. Non si sentiva così da quando Daniel era ancora vivo. Rispose a quel bacio inatteso e pieno di emozioni
Sentendo che lei rispondeva il cuore fece un balzo. Emma approfondì il bacio e le accarezzò il viso. La mano di Regina si poggiò sulla sua mentre continuavano a baciarsi.
Emma si avvicinò di più e posò l'altra mano sul suo fianco, in un secondo le braccia di Regina erano intorno al suo collo. Emma le accarezzò il corpo con movimenti lenti e delicati. Regina gemette e si staccò da lei, Emma ci mise qualche istante ad aprire gli occhi. Si sorrisero imbarazzate.
Emma si scansò di lato, lasciandole spazio.
«S-scusa...» mormorò.
«Non devi, scusa tu se ho fatto qualcosa di sbagliato» si sentì in dovere di dire Regina.
«No, non hai fatto niente di sbagliato» sussurrò tornando a guardarla «È stato... bello.»
Arrossì nuovamente e si morse il labbro.
«Ho baciato solo Daniel, prima di te» ammise.
La guardò negli occhi.
«Io invece nessuno.»
«No?» si girò a guardarla sollevandosi a mezzo busto.
Arrossì e distolse lo sguardo. 
«No.»
«Mi spiace se non è stato come te lo aspettavi.»
Si voltò subito a guardarla strabuzzando gli occhi.
«Ma che dici?! Semmai per te sarà stato uno schifo in confronto.»
«Non è cosi» rispose nonostante un piccolo dolore al cuore al pensiero di Daniel.
«Ah no?»
«No, mi è piaciuto» confessò arrossendo.
Sembrò stupita, poi quasi trionfante. 
«Davvero?»
«Sono contenta che sia stata tu e non...lui.»
Ci mi se qualche istante a capire, quindi si rabbuiò un po' e distolse lo sguardo. 
«Sì... immagino.»
Regina allungò la mano per cercare la sua e la strinse. Emma si avvicinò e poggiò la testa sulla sua spalla. Si inclinò leggermente verso di lei buttò fuori con un sospiro la tensione che non si era accorta di aver accumulato.
«Non succederà niente di brutto, vero?» sussurrò.
La strinse a sé.
«Spero proprio di no.»
«Anch'io.»
Le baciò la guancia e la tenne stretta, socchiuse gli occhi stringendola, una sensazione che pensava di non poter più provare la invase. Era felice, era al sicuro.
 
Un crepitio nell'aria, una luce in lontananza tra gli alberi.
Si sollevò di colpo, una sensazione di paura le si aggrappò alle viscere.
 

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Capitolo 8
*** 8 ***


«Emma devi andare via.»
Si alzò con lei, allarmata, cercando di capire cosa stesse succedendo. 
«Cosa? Perchè?»
«Scappa adesso» le gridò spingendola verso il cavallo.
Ma Emma non si mosse. La luce si intensificò per un istante, ne uscì una figura. Emma sentì un brivido percorrerla e si piazzò davanti a Regina, che tremava terrorizzata.
«Vattene» la strattonò.
Emma rimase davanti a lei mentre una donna, furiosa, le raggiungeva. 
«Cosa credevi di fare?» urlò contro Regina. Fece per avvicinarsi ma Emma era sulla sua traiettoria e la spintonò all'indietro. La donna barcollò, agitò una mano in aria pronta a colpirla.
«Madre no» Regina si mise davanti ad Emma «Non lei, non lo farai di nuovo.»
Emma la spinse indietro, nonostante fosse sbalordita da quello che aveva appena visto. Regina le aveva sempre detto la verità e lei non le aveva creduto.
«Non può farmi niente» disse, fissando Cora con rabbia. «E non può fare niente neanche a te.»
«Non sai di cosa sia capace.»
Cora cercò di scansare Emma ma quando lei alzò un pugno si fermò, guardandola come se fosse un pezzetto di sterco. 
«Cosa credi di fare, ragazzina?»
«Ti spacco la faccia se non la lasci in pace, quindi vedi di sparire!»
«Emma no» Regina si mise davanti a lei, gli occhi colmi di lacrime «Vattene» le ripetè.
Emma abbassò lo sguardo su di lei e scosse la testa. 
«Sei libera Regina, non darle ascolto.»
Cora guardò la figlia. 
«Ti accompagni a questa gentaglia adesso?»
«Lei non c'entra, non sa nulla, non... farle del male» la supplicò con gli occhi colmi di lacrime.
«Regina, non può farmi niente.»
Cora sorrise con rabbia. 
«Torna a casa e la lascerò alla sua miseria.»
«Se non le farai del male, farò tutto quello che vuoi» acconsentì la ragazza.
«Regina no! Non può farmi niente!» disse Emma cercando di intercettare il suo sguardo.
Cora allungò la mano verso la figlia.
«Non posso rischiare la tua vita.» Regina sollevò la testa e la guardò con un sorriso triste sul viso e poi si avvicinò a sua madre.
«Non stai rischiando niente!»
Cora la tirò verso il portale.
Regina la guardò in lacrime mentre svaniva in un piccolo vortice.
 
 
 
Emma saltò nel portale un attimo prima che si chiudesse. Non riusciva a credere ai suoi occhi, era davvero finita in un altro mondo. Di colpo si ritrovò in mezzo a una foresta da sogno, un enorme castello che occhieggiava tra gli alberi. Forse era impazzita ma non le importava. Doveva salvare Regina.
Cora trascinò Regina a palazzo e poi dal re. Aveva raccontato a tutti che la figlia era stata rapita e quindi l'avevano cercata ovunque.
Emma si ritrovò a seguirle di nascosto ma rimase tra gli alberi che circondavano il castello.
 
---
 
Regina era nel giardino, il re aveva organizzato una festa per il suo ritorno e per celebrare l'imminente matrimonio. Alla fine era tornata al punto di partenza. I suoi pensieri andavano a Emma, almeno adesso sapeva che non era pazza. Si sfiorò le labbra con le dita pensando a quell'unico bacio che si erano scambiate. A quei giorni passati con lei, alla libertà che aveva assaporato anche se per poco.
Si sedette vicino alla piccola fontana. Sospirò mentre le immagini di quei momenti passati con Emma le passavano davanti agli occhi.
 
 
Emma si infilò nelle stalle e rubò un mantello, poi entrò nel castello, mescolandosi ai servitori finché non si ritrovò in un giardino. Un sorriso apparve sul suo volto quando la vide e le si avvicinò di soppiatto, nascondendosi dietro ad un cespuglio di rose. 
«Ehi! Regina!» sussurrò.
«Emma?» la voce di Regina era incredula.
«Sono qui!»
Regina si avvicinò a lei ma poi si fermò.
«Devi andare via d qui» sussurrò terrorizzata ma emozionata allo stesso tempo.
«No, sono venuta per te! Torna indietro con me!»
Regina le sorrise tristemente.
«Non posso fuggire da questo, mi ha trovata anche lì e non voglio che tu ti faccia del male, non potrei sopportarlo di nuovo. Torna a casa.»
Emma si sollevò leggermente per guardarla negli occhi. 
«Non me ne vado senza di te.»
«Dovrai farlo, domani mi sposo.»
Emma si irrigidì.
«Non farlo. Tua madre non può farci niente nel mio mondo! Possiamo scappare insieme!»
«Mi ha trovato e lo farà ancora, ha già ucciso Daniel non le permetterò di farlo anche con te.»
«L'ha ucciso con la magia, giusto?»
«Si.»
«Nel mio mondo la magia non c'è. Siamo al sicuro lì.»
«Ma è arrivata fin lì.»
«Sì, e allora? Tanto non può fare niente! È solo una persona su sette miliardi.»
«Emma tu non la conosci, è troppo pericoloso» insistette Regina.
«Non mi interessa, Regina. Vieni con me, io... lo so che non ho molto da offrire, ma di sicuro è meglio che stare qui e sposare un vecchio.»
Regina le strinse le mani.
«Mi hai dato tutto, i giorni con te sono stati meravigliosi ma se ti succedesse qualcosa io... non posso Emma.»
«E io non posso permettere che succeda qualcosa a te» rispose guardandola negli occhi.
Regina le accarezzò il viso.
«Ti amo Emma.»
Quelle parole la colpirono come un'onda d'urto, lasciandola senza fiato. Non credeva che avrebbe mai sentito qualcuno pronunciarle per lei. E non credeva che avrebbe mai provato tanto per qualcuno. Lo aveva sognato, certo, ci aveva sperato, ma non si era mai voluta illudere. 
«Ti... ti amo anch'io» disse in un soffio.
Regina la strinse.
«Ed è per questo che devi andare via» ripetè spingendola leggermente.
Scosse la testa e le prese il viso tra le mani. 
«Non vado da nessuna parte senza di te, te l'ho detto. O vieni via con me, o resto qui con te.»
«Ti ucciderà, Emma domani devo sposarmi, se il re sapesse... ti farebbe tagliare la testa.»
Si strinse nelle spalle.
«Meglio andare via adesso allora, no?»
«Non saprei come, ci troverebbero ovunque.»
«Sì ma anche se ci trovano che possono fare? Che vengano a Boston, ce ne andremo a New York o da qualche altra parte! Una volta che saranno nel mio mondo saranno fregati, non è così facile trovare qualcuno lì, credimi.»
«C'è riuscita una volta e la prossima volta potrebbe avere la magia, non sappiamo cosa potrebbe fare.»
«Lo so che non ti lascerò sposare quel figlio di puttana. Vieni con me, ti prego.»
Regina annuì e la strinse di nuovo.
«Che sta succedendo qui?» il re era alle sue spalle.
Emma le diede un colpetto dietro alle ginocchia e la sostenne. 
«Un colpo di calore, basta che si sdrai un attimo lì all'ombra.» Poi notò la corona e l'età. «Maestà» aggiunse. 
Regina si sedette, mentre il re si avvicinava a lei.
«Dovreste riposare, avete vissuto un momento traumatico ma adesso siete al sicuro e domani sarete la mia regina.»
Emma la sventolò con un lembo del mantello, rimanendo in silenzio a forza.
«Andate nelle vostre stanze» si girò verso Emma «E voi accompagnatela e assicuratevi che si riprenda.»
Emma annuì, tutta seria. 
«Ma certo.»
Regina le fece strada fino alle sue stanze.
«Vieni, prima che mia madre ti veda.»
Emma sorrise tra sé mentre la seguiva nascondendo il viso sotto al cappuccio.
Richiuse la porta alle sue spalle.
«Ecco, qui dovremmo essere al sicuro per un po'.»
Emma si abbassò il cappuccio e la guardò. 
«Allora, ce ne andiamo?»
«Non so come.»
«Come hai fatto la prima volta?»
«Ho invocato un mago ma non è buono e non penso mi aiuterebbe ancora.»
«Se non c'è un altro modo, tanto vale provare.»
«Rumplestik» chiamò.
Il Signore Oscuro apparve alle loro spalle con una risata.
«Ma guarda chi si rivede.»
«Aiutaci ti prego» lo implorò Regina.
Emma saltò all'indietro, spaventata dal suo aspetto. Rumplestiltskin inclinò la testa di lato e lei fece un altro mezzo passo all'indietro. 
«Oh, il giovane cigno ha paura... Non temere, Emma, non ho alcun interesse a farti del male.»
Emma era pallida come un lenzuolo.
«Come sai il mio nome? E...»
«E il cognome che ti sei scelta?» le chiese lui facendo un passo verso di lei, ma Emma indietreggiò ancora e sbatté i polpacci contro il letto. «Tu sei importante, Emma.»
«Come fai a conoscerla?»
Lui le rivolse un sorriso.
«So molte cose, mia cara. Ma dimmi, perché mi hai chiamato?»
«Voglio che mi aiuti di nuovo, farci tornare nel mondo di Emma.»
Lui rise. 
«E perché dovrei?»
Emma si intromise, rimanendo a distanza. 
«E perché non dovresti?»
Lo stregone rimase in silenzio per un po', poi rise di nuovo, stavolta di cuore.
«Cosa vuoi in cambio?»
«Perchè tutto ha un prezzo, mia cara» rispose a Emma, e poi si rivolse a Regina. «Tu non hai più niente da offrirmi» disse prima di guardare di nuovo Emma. Il suo sguardo la spaventò. «Tu sì, invece.»
«Cosa vuoi?» gli domandò. 
«Conoscerai un ragazzo, un giorno. Dovrai portarlo da me.»
Emma aggrottò la fronte.
«E come farò a...»
«Lo saprai.»
Le fu davanti in un lampo, le prese la mano. Lei cercò di ritrarla ma lui la tenne ferma e le mise un oggetto nel palmo, un pendente di bronzo con una pietra biancastra incastonata nel mezzo.
«Dagli questo, quando lo vedrai.»
Regina lo guardò confusa.
«Che ragazzo?»
Lui le rivolse uno sguardo improvviso e irritato. 
«Un ragazzo!» sbottò. E poi piantò di nuovo gli occhi inumani su Emma, che deglutì. «Lo farai?»
Lei annuì freneticamente. Rumplestiltskin sorrise. 
«Splendido!»
«Chi è questo ragazzo? » insistette.
«Solo un ragazzo! Deve dargli una collana, non mi sembra difficile, principessa!» urlò lui, facendo sobbalzare Emma.
«Le farà del male? È pericoloso? Non rischierò la sua vita.»
«Non le farà niente» sibilò.
«Per me va bene, Regina, è una cosa semplice. Lo vedo, gli do la collana e addio, giusto?»
Rumplestiltskin si sforzò di sorriderle.
«Esatto.»
«C'è sempre qualcosa dietro con lui.»
Si voltò di scatto verso di lei. 
«L'accordo è stretto, Principessa. Buon viaggio» disse prima di aprire il portale.
Regina strinse la mano di Emma, spaventata
Emma cerco di sorriderle per incoraggiarla. 
«Andiamo.»
Regina annuì e le strine lai mano, si incamminarono verso il portale e si ritrovarono di nuovo al laghetto.
«Mi dispiace.»
«Di cosa?»
«Per mia madre, per essermi dovuta venire a salvare.»
Rise.
«E di cosa ti stai scusando? È stata una mia scelta.»
«Non avresti dovuto, poteva ucciderti.»
«Non mi importa, sono qui e ora dobbiamo andarcene!»
«Sì» si guardò intorno, in ansia.
«E allora muoviamoci!» la prese per mano e cercò di tirarla via
la seguì ma era terrorizzata.
La portò ai cavalli e fece del suo meglio per rimontare in sella
riportò il cavallo fino al maneggio e scese per poi aiutare Emma che smontò con un po' di difficoltà reggendosi a lei
«Adesso che facciamo?»
Emma la guardò
«Andiamo a casa?»
«Va bene.»
 
 
Un anno dopo
 
Regina stava spazzolando un cavallo quando due braccia le circondarono la vita, emise un piccolo gridolino.
«Mi farai venire un infarto prima o poi» disse girandosi verso Emma che le sorrideva. Un secondo dopo le loro labbra erano unite in un bacio.
«Come va con Maximus?» chiese Emma.
«Molto bene, è diventato proprio bravo» rispose accarezzando il manto bianco del cavallo, che rispose con uno sbuffo e una scodinzolata.
«Scusate?» Entrambe si voltarono e videro un ragazzo salutarle con un gesto goffo. Emma si irrigidì, c’era qualcosa di familiare nei suoi occhi.
«Benvenuto, avevi prenotato?» chiese Regina con un sorriso.
«Sì, sono Neal.»
«Piacere, io sono Regina e lei è Emma.»
Emma si avvicinò al ragazzo e lo scrutò per qualche secondo, poi gli indicò i box dei cavalli.
«Ti faccio conoscere Golia» disse «Così fate amicizia.»
Mentre il ragazzo si voltava per raggiungere la stalla, gli fece scivolare la collana nella tasca della giacca.

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