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di Arepo Pantagrifus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Elegia ***
Capitolo 2: *** Torre d'avorio ***
Capitolo 3: *** Thanatos ***
Capitolo 4: *** L'ultima caccia ***
Capitolo 5: *** Eternità ***
Capitolo 6: *** Deserti blu ***
Capitolo 7: *** Ripercorro i clini sabbiosi ***
Capitolo 8: *** La splendida rosa mai colta ***
Capitolo 9: *** Narciso ***
Capitolo 10: *** Inno a Lucifero ***
Capitolo 11: *** L'orizzonte ***
Capitolo 12: *** Dell'indeterminatezza dei sogni ***
Capitolo 13: *** Agli Dèi Mani ***
Capitolo 14: *** La fine di ogni carne ***



Capitolo 1
*** Elegia ***


ELEGIA


Nell'insonnia delle mie notti
frequento spesso la mia poesia:
davanti un foglio interrogo il mondo
finché non resta il bianco di prima.

Non sento più mie queste parole
abusate da altri troppo prima di me,
non riconosco la mia vera voce
tra il pallore delle carte sparse.

Mi perdo tra i miei stessi pensieri
smarrito nei luoghi che non posso visitare,
cerco l'ordine dove è l'assenza.
Non c'è più cosa uguale a un'altra.

E se anche le stelle vi si fan specchio,
queste mi rimangono così lontane!
La mia anima suona alla Luna
su un violino accordato per altre melodie.

E' allora, con estasiata tristezza, che mi sciolgo
al vento notturno, su acquose vie,
abbandonando la tunica chiara
sulle rive tra il sogno e il risveglio.

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Capitolo 2
*** Torre d'avorio ***


TORRE D'AVORIO


Così vaste pianure e orizzonti

piace a noï poëti pensare,

che anche se non li abbiamo davanti

li preferiamo ïmmaginare.

 

Varietà di luoghi inconsueti

laddove ci amiam rifugiare

per celare agli occhi inquïeti

le viltà della vita volgare.

 

Nella candida torre d'avorio

or è lecito il fantasticare

ma pare il muto, vasto uditorio

la solitudine magnificare.

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Capitolo 3
*** Thanatos ***


THANATOS

 

Oh Morte - figlia della Notte - se veramente sei sorella dei sogni

fammi sognare una vita migliore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Epitaffio

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Capitolo 4
*** L'ultima caccia ***


L'ULTIMA CACCIA


Sussurrii di lupi tra i fumi brumosi,
raggeli e sussulti al severo ululato,
dai profondi declivi sorgon gli unguati
saltan tra i morsi e i rinchiusi guaii.
Unisoni suoni di euforici gesti
udite, svelati, orrori di buio.
Auspiciano al cielo, nella notte uniti,
uniformi branchi di fame molesti:
uccidono al rauco sudore di Luna,
di caccia sicura, augurio di morti.
All'urlo aumenti la sacra aurora,
giunta è la fine, estratta è la runa.

Auuuuuu!

 

 

 

 


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Esperimento fono-simbolista

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Capitolo 5
*** Eternità ***




ETERNITÀ





L'eternità è il respiro dell'infinito.
Solo il tempo è eterno,
Dio morirà con l'ultimo uomo.















 

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Capitolo 6
*** Deserti blu ***


DESERTI BLU


Solo nei miei sogni mi capita, a volte,

di ammirare in silenziosa solitudine

un deserto notturno, del blu delle sabbie,

che si spinge là fino a toccare l'orizzonte il cielo.

 

Poi, tra lo stupore e la meraviglia,

la terra si abbassa come una cortina,

e sparisce facendo aprire la notte di stelle

che mi esplodono davanti in sconfinata bellezza.

 

L'Universo intero mi si offre alla contemplazione

ed io lo assorbo in estatica visione;

quando mai sarò così felice nel sentirmi unito

a qualcosa di così pieno e così bello?

 

Vivo, io che morirei disperdendomi nel tutto

pur di partecipare alla coscienza del cosmo,

vivo di questi attimi di totale perdita

di senso, di ragione, di azione, di me stesso.

 

Dimenticare di esistere, di respirare, di pulsare

davanti ai misteri delle mappe stellari.

Persi, perché è facile la via del ritorno -troppo facile-

ma a voler perdersi sempre di più si origina oblìo.

 

E allora ecco che riappare l'orizzonte e i confini

che ti limitano, e ritorni nella tua dimensione

umana -troppo umana- e sei finito, concluso,

e non puoi più raggiungere quelle vette astrali.

 

E allora ecco che finisci e ti chiudi:

si spengono le luci e scompaiono i deserti,

svaniscono le armonie e si svuotano le stelle...

Come vorrei sognare di perdermi per sempre!

 

 

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Capitolo 7
*** Ripercorro i clini sabbiosi ***


RIPERCORRO I CLINI SABBIOSI



Ripercorro i clini sabbiosi
d'un deserto incantato e irreale,
dove un tempo ricordi gelosi
concessero vita immortale.


Dove il tempo, che pare infinito,
vi corrose sia il cielo che il mare.
Dove il tempo dagli Dèi costruito
per un mucchio di pietre rimane.


Vecchi massi di età ancestrale,
da esseri eterni innalzati,
non ricordano di chi cantare:
se di eroi o di sogni ingannati.


Ancora c'è l'Uomo che grida:
«Sparite, oh sabbie dannate!»
Soffocate dal silenzio le strida
lente ricadono inascoltate.


Così insegue, afflitto e sconsolato,
quella figura immensa e vana,
che all'orizzonte l'aspetto è dato
di una triste Speranza lontana.

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Capitolo 8
*** La splendida rosa mai colta ***


LA SPLENDIDA ROSA MAI COLTA

poemetto allegorico

 

 

Tra l'arco del sole ad Oriente

e le alte catene montane

si stendono valli deserte:

le ultime terre lontane.

 

Tra i monti v'è nascosta una cinta,

un muro più antico del mondo,

che serba tra l'edera avvinta

una Rosa nel cuore profondo.

 

Nell'orto prezioso si sveglia

Bellezza coi mille suoi fiori,

con vasta soavità sorveglia

Armonia tra ameni colori.

 

Vi emanan per l'aere un odore

intenso, ma ricco e gentile,

che senza invadenza il sapore

di tante bontà fa sentire.

 

Nel luogo segreto sepolta

lontana, oltre l’ultimo mare,

silenzio di Pace ascolta

nel giardino del Bene e del Male.

 

Oh, fresca Rosa mai tolta

dal suo rugiadoso guanciale

chi cerca ti tiene per Santa,

sovrana dell’orto ideale.

 

Virginea Rosa avvolta

nella veste che tanto vale,

nessuno t’ha vista una volta

ai raggi dell’alba sbocciare.

 

Misteriosa Gemma sublime

disvela tal grazia raccolta,

che in altra virtù non esprime

la splendida Rosa mai colta.

 

* * *

 

Sei chiglie si portano a secco,

odor di cuoio e gomena,

di passi e stranier battibecco

si stampa in colonne l’arena.

 

Decisi a forzare le mura,

a varcar l’arcano mistero,

al fuoco la pietra non dura,

si fan largo nel buio nero.

 

Forse la meraviglia è scopo,

forse solo la Rosa bella

attirò qui in questo loco

funesto sapore di guerra.

 

Le piante, i fiori, i profumi

che arriccano il dolce rosaio

i crudeli fanno in frantumi

passandoli a filo d’acciaio.

 

Se forse ammaliati da tanta

ingenua purezza e beltà

al tenue bocciuolo che incanta

un rèo forse commuoverà.

 

Ma un occhio funesto la scorge,

l'Invidia, malata e golosa,

il suo cuore insensibile punge

e strappa la candida Rosa.

 

Perché ciò che è bello e fragile

ispira nell’animo umano

desiderio sì aspro e ignobile

di volerlo distrutto invano?

 

Aguzze per l'estremo fine

invano dolor san recare:

a che vale esser fatti di spine

se pietre non puoi allontanare?

 

Non basta alla fosca pupilla

maligna violenza all’inerte

pel veleno che in cuor gli stilla

saziare la cùpida serpe.

 

Non si scioglie ai petali sparsi

la stretta di dita impudiche,

al rosso di sangue chiazzarsi,

violata da mani nemiche.

 

Recisa bellezza ormai morta

non farai più gola a nessuno,

su te stessa eri fisa ed assorta,

or non ne godrà più alcuno.

 

 

Al suolo – caduta – l'orpello,

la foglia stordita e contorta

com'era nel suo angolo bello

la splendida Rosa mai colta.

 

Nel muto colore di Maggio,

tra le alte catene montane,

si fa triste l’ombra d’un faggio

nelle ultime terre lontane.


(11/8/14 – 19/8/17)

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Capitolo 9
*** Narciso ***


Narciso


 


 

ΓΝΩΘΙ ΣΕΑΥΤΟΝ


 

Nella spiaggia dell’alba infinita

lo specchio del regno dei morti

vi riflette nell’acqua un narciso

e l’eco di una voce senza bocca.

Cosa disse l’oracolo?

«Conosci te stesso

                              e poi muori».


 


Secondo una antica tradizione, guardando dentro i petali del fiore si osserverebbero le anime del regno dei morti. Narciso, allora, – contemporaneamente uomo e vegetale – guardando il suo riflesso proiettato nello specchio d’acqua avrebbe visto contemporaneamente sé stesso e il suo destino prossimo. Narciso è la porta del regno dei morti, colpevole anche della morte della ninfa Eco di lui innamorata, che si dissolve tra le pareti rocciose dove scorre forse lo stesso torrente che alimenta lo stagno infausto. L’oracolo di Tiresia profetizzò ai genitori del bel giovane che sarebbe morto quando avrebbe conosciuto se stesso. Lo stesso Tiresia che in Sofocle mise in guardia Edipo: «Tremenda pena è il sapere». Quindi il non sapere diventa a volte una benedizione.

(10.III.2018)

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Capitolo 10
*** Inno a Lucifero ***


Inno a Lucifero

 

 


 


 

La prima luce del giorno è vera religione:

un vangelo di Luce,

freccia scoccata dall’arco della Notte

che esplode sulle sabbie di un tempo

e sulle acque di un breve acquitrino.


 


 

La prima parola del mattino

è un vaso di speranza.

La pronuncia un piede che spezza le dune:

un vangelo nudo del fior della giovinezza,

dei capelli ondosi e un petto fiammante.


 


 

Il suo nome è Febo e il suo verbo è: «Fiat!»

Al suo indice il Sole alza dal mare

e sprofonda Orione

portandosi appresso le costellazioni dei cani.

Accende le stelle e ne guida la via:

i cieli tremano sotto le dita sporche di albe.

Lui è il puro, l’amato e l’eletto.


 


 

Fuga ogni ombra si accorcia,

ombra della Notte nemica di luce.

Il suo arco ha scoccato una freccia

risplendente del giovane arciere,

ombra il cui cuore è il fuoco

di Febo il sagittatore.


 


 

Lui è l’Apollo delle cetre, l’architetto di Universi,

il Demiurgo di dèi: fango d’uomini.

Il suo nome è Φωσφόρος,

il portatore di luce,

il puro, l’amato e l’eletto.


 


 

Sei tu l'arciere della notte

che prepara l'arco oscuro.

Sei tu che prepari là coi tuoi dardi

la coltre serena nell'Oriente.

Sei tu il gallo dell'Aurora

che spaventi i grilli col tuo annuncio.


 


 

Il tuo nome è Lucifer, filii auroræ,

l’astro del mattino,

dal seno bianco baciato dal Sole.

Tu sei il Fiat, carne luminosa,

unica religione, il mio vangelo.

Sei tu il puro, l’amato e l’eletto.


 


 


 


 


 


Stella del mattino” nei secoli è stato anche uno degli attributi della Vergine, come pure Febo (Phoebus, epiteto che significa “puro”) non va lontano da un’interpretazione in chiave cristologica della divinità greca Φωσφόρος (Phosphoros o Eosphoros) che impersonava la stella (il pianeta Venere) che con la sua luce preannunciava il sorgere del giorno. I latini la chiamarono Lucifer (“il portatore di luce”) e così si chiamò l’angelo prediletto del Dio ebraico e cristiano, descritto da Ezechiele come “perfetto in bellezza”, poi cacciato dal cielo e sprofondato negli inferi («Subter te sternitur tinea, /et operimentum tuum sunt vermes» Is 14,11; poi cfr. Ez 28,12, 14-16). Anche per la tradizione gnostica Lucifero non è un’entità satanica e diabolica, bensì una divinità portatrice della luce, che illumina, reca sapienza e conoscenza: una figura quasi prometeica, un Vero Dio.

(12.III.2018)

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Capitolo 11
*** L'orizzonte ***


L’orizzonte

 

 

Nulla merita se non la sua durezza l’orizzonte,

che siano le albe eterne che rincorre

o i tramonti di sangue che fugge.

Non merita che l’ottuso confine di un paese di terra

che traboccante anela alle città del cielo.

Paesaggi innumerevoli a concludere il piano

e uno sguardo troppo corto per lanciarsi lontano.

 

 

4.IX.2020

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Capitolo 12
*** Dell'indeterminatezza dei sogni ***


Dell’indeterminatezza dei sogni

 

Il sogno è la coda di un pesce che guizza
sotto la pietra di un fiume;
è la foglia spostata nella foresta notturna;
è l’orma sulla sabbia quando l’onda la cancella;
è il fiocco di neve mentre si scioglie;
è il gessetto sbiadito sul marciapiede;
è l’eco dell’ultima nota che riempie il silenzio;
è l’ombra fugace nello specchio la sera.
Il sogno è coscienza viva di un attimo
la memoria poi lo cancella.

 

2.X.2022  

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Capitolo 13
*** Agli Dèi Mani ***


      D.    M.     
(Agli Dèi Mani)

 

A Giano, Dio delle porte e degli spazi vuoti:
degli interstizi e delle decisioni non prese,
delle sale d’aspetto e degli aeroporti,
delle stazioni e degli uffici.
A te innalzo il sacrificio delle ore perse e delle strade non prese,
delle occasioni mancate e degli appuntamenti elusi:
Dio dei pigri e degli indolenti
Dio degli scettici e dei sospettosi:
tuo sarà l’eletto che non sceglierà
nell’ora del Giudizio, proprio quella,
tra il Paradiso e tra l’Inferno.
Sarà il più vicino agli Dèi
perché egli stesso sarà l’ultimo Dio.
Attraverserà le porte e gli spazi vuoti,
si immolerà al tuo scranno, al tuo altare vuoto,
si accosterà al tuo trono, sacramente vuoto,
e sarà Giano, il Dio del vuoto e delle decisioni impossibili:
il suo stesso Dio, il suo stesso sacrificio.

 
21.X.2022

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Capitolo 14
*** La fine di ogni carne ***


La fine di ogni carne

 

Così parlò Uriel al figlio di Lamech:
«Ancòra deve essere scritta la religione dell'atomo,
il libro sacro della Natura,
ma già viene venerato in formule, cifre e simboli
dai suoi sacerdoti segreti.
Nelle chiese costruite sotto le montagne,
nelle sale rosse guardato da vestali ancelle,
non più il fuoco di Delfi ma l'antro di Trofonio
preserveranno per i potenti il giorno della pioggia di fuoco.
E allora si apriranno le montagne
e si spalancheranno gli abissi
e tutte le stelle vi cadranno
lasciando il mondo nel silenzio
sordo ad ogni lamento.
E arriverà la stagione dei funghi d'oro:
come un sacrificio monderà la Terra
non con acqua ma con l'olocausto di Abele.
Non ci saranno più profeti ma Cassandre:
oracoli interrogati senza essere ascoltati
per riempirsi il cuore di veleno dal sapore di miele.
Anche gli occhi, insieme alle orecchie,
verranno allora chiusi per sempre
e le bocche coi loro singulti ammutoliti.
Degna fine per gli ingrati figli di Dio.»


 

4.XI.2023  

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