Metamorfosi

di RiccRoss
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La stiva ***
Capitolo 2: *** Le donne non appartengono al mare ***
Capitolo 3: *** Il mare appartiene alle donne ***



Capitolo 1
*** La stiva ***


CAPITOLO 1 - LA STIVA

Caro Miguel,
ho riflettuto a lungo sulle tue parole e con dispiacere (e un pizzico d’arroganza) ti informo che ormai nulla potrà farmi cambiare idea. Nostro padre avrebbe voluto che quel vecchio finisse ai ceppi, ed è quello che farò. Tu hai Maria e la piccola Rocio: non ti chiederei mai di abbandonare la tua famiglia. Ti sto soltanto chiedendo di pregare per me.
Petra
 
Sul retro era scritta la risposta. Avvicinò la candela per leggere meglio.
 
Cara Petra,
ricordi quella bella fotografia che avresti dovuto spedire al tuo fidanzato? Pensi che starebbe bene sulla ofrenda di famiglia?
Miguel
 
Petra scosse affettuosamente il capo. Conosceva abbastanza suo fratello da capire che dietro quel sarcasmo si nascondeva una seria apprensione per lei.
Le tornò alla mente la volta che sua madre l’aveva agghindata in maniera assolutamente ridicola e costretta a farsi ritrarre da uno di quegli aggeggi tanto alla moda. Oltre il danno era stata costretta a subire anche la beffa.
«Spero tu stia scherzando» aveva commentato Petra gelida, guardando il proprio riflesso.
«Oh, no, no, pequeña. Non scherzo mai sul matrimonio.»
Miguel ha ragione, decise Petra riscuotendosi dai ricordi. Non poteva permettersi di morire. Doveva tornare a casa e impedire ai suoi nipoti e pronipoti di esporre quell’orribile fotografia sulla ofrenda.

Avvicinò la lettera alla lingua di fuoco e la carta iniziò a crepitare.
Mentre guardava le ultime parole di suo fratello, Petra sospirò. Stava viaggiando su quel mercantile da quasi due mesi e non aveva ancora trovato traccia delle prove che le occorrevano. Alexander Flinch, l’inglés, era sempre stato molto prudente nei suoi affari, così prudente che tutti sembravano essersi bevuti la solfa del commercio di tabacco.
Suo padre non ci era cascato. Dopo la scomparsa dei gemelli Alvarez aveva cominciato ad indagare: aveva scoperto che i due ragazzi erano stati visti l’ultima volta nei pressi del porto, proprio il giorno prima che la nave dell’inglés levasse l’ancora. E sapeva anche che qualcosa aveva impedito ai gendarmi di perquisire le stive come avrebbero dovuto.
«È una questione di fiducia: più di dieci anni di onorato servizio con il Messico, señor. Da dove pensi che arrivi questo?» lo avevano deriso nell’ufficio della gendarmeria, facendogli dondolare davanti al naso una preziosa tazzina di ceramica. Alcune gocce di tè gli macchiarono la punta delle scarpe.
«So io quali tipi di servizi quel Flinch intrattiene da loro…» aveva borbottato una volta tornato a casa.
Poi il suo papi si era ammalato. Petra sapeva che a consumarlo era stata la preoccupazione, la rabbia. Il pensiero di quella dannata nave inglese che andava e veniva come le pareva nel loro porto.
All’improvviso la soluzione le era parsa così chiara: non aveva intenzione di sposarsi e aveva bisogno di qualcosa di forte, un sentimento estremo che la risollevasse dal baratro in cui la morte di suo padre l’aveva gettata. La rabbia per l’inglés l’aveva fatta rinascere e così aveva deciso di imbarcarsi.

Con i capelli rasati, il viso sporco e gli abiti di suo fratello si era fatta passare per mozzo e per ragazzo. Era l’unica ispanica in mezzo a quella ciurma di bianchi, eppure Alexander Flinch l’aveva accolta a bordo, anzi sin dai primi giorni si era premurato di averla sempre al proprio fianco.
«Che guapo!» era solito esclamare, stringendole un braccio quasi come un padre che si congratuli con il proprio figlio. Petra avrebbe preferito cancellare ogni ricordo di quei contatti indesiderati. Lo si avrebbe detto quasi affezionato, ma lei sospettava che fosse semplicemente contento di quella mercanzia che gli si era offerta spontaneamente.
Petra tese l’orecchio e percepì solo il russare vigoroso degli altri uomini. Spense la candela con uno sputo e scese silenziosamente dalla brandina. Ogni sera era sgattaiolata in perlustrazione della nave o, almeno, ogni sera ci aveva provato. Alcune volte aveva udito diverse voci concitate provenire dal ponte, altre volte solo la voce bassa di Flinch parlare tra sé e sé. Petra pregava ardentemente che le notti dell’inglés fossero tormentate dagli incubi così come le erano state le ultime notti di suo padre. Se lui avesse infine ammesso i propri crimini, Petra sarebbe stata in grado di perdonarlo?

Tuttavia quella notte non si sentiva alcun rumore, tranne il battito del proprio cuore che si divincolava per la preoccupazione. Petra tentò di ignorarlo.
Attraversò il ponte in punta di piedi e raggiunse l’ingresso della stiva: una inferriata quadrata incassata nel pavimento, oltre la quale si intravedeva una scaletta inghiottita dal buio. Si guardò attorno prudente, poi estrasse un coltellino. Lo teneva nascosto nella fodera della giacca insieme agli ultimi fiammiferi, per evitare che qualcuno glieli rubasse o, meglio ancora, per essere sempre pronta per le evenienze. Evenienze come quella di quella notte.
Ficcò la lama nella serratura del lucchetto e in un attimo riuscì a forzarlo. Scese i primi scalini illuminati dalla luna, richiudendo l’inferriata sopra la propria testa. Forse si sarebbe sentita più tranquilla se l’avesse lasciata aperta, nel caso avesse avuto bisogno di fuggire… ma poi, chi mai pensava di trovare acquattato nella stiva alle tre del mattino?
Ay, pensò con amarezza. Adesso che se l’era chiesto le venivano in mente mille e più ragioni per cui l’inglés avrebbe dovuto visitare la stiva in piena notte: per controllare il carico, per divertirsi… Petra venne scossa dai brividi. Ay, pensò ancora, ma continuò a scendere a tentoni.
Ripose il coltello nella fodera della giacca, ne trasse invece la scatola di fiammiferi e ne accese uno in uno sprizzar di scintille. Si pentì all’istante di averlo fatto quando il flebile cerchio di luce rischiarò decine di casse di sigari.

Quando fu certa che non sarebbe saltata in aria, cominciò la perlustrazione, tenendo il fiammifero accuratamente lontano dal materiale infiammabile. Doveva essere per via della merce lì stipata, eppure la stiva sembrava piuttosto striminzita. Aprì un paio di casse, solo per scoprire che contenevano davvero chili di tabacco perfettamente confezionato.
«No, no. Non m’inganni, Flinch—Ay!» Petra lasciò cadere il fiammifero consumato, portandosi pollice e indice alla bocca.
Ne accese un altro e proseguì con determinazione. Studiò attentamente il pavimento alla ricerca di botole segrete, ma senza successo. Poi fu la volta delle pareti e finalmente dietro alcune casse ammonticchiate scovò la cornice di una piccola porta. Petra tentò di deglutire, ma la gola le si inaridita per il timore di quello che avrebbe trovato dall’altra parte.
Anche il secondo fiammifero morì e Petra sprofondò nuovamente nel buio. Si stropicciò convulsamente un sopracciglio nel tentativo di calmarsi. Prese un respiro profondo, poi colpì la porta con un calcio secco, che rimbombò pericolosamente attraverso l’intero vascello. L’immaginazione correva selvaggiamente e Petra pregò che la realtà deludesse le sue aspettative.

Superò il battente scardinato e con il cuore in gola accese l’ultimo fiammifero.
L’ambiente era grande quasi il triplo della falsa stiva e con suo grande sollievo era completamente deserto. Non sapeva come avrebbe reagito alla vista di tutti quei corpi. Dal pavimento al soffitto, lo spazio era occupato da sei o sette tavolati che si estendevano per tutta la lunghezza del deposito fino in fondo. Tra un tavolato e l’altro passavano al massimo una trentina di centimetri e sarebbe potuta passare per una comune stiva di un mercantile qualsiasi, se non fosse stato per le catene.
«Tabacco…» sibilò con disprezzo. «Come no. Tabaco que necesita de cadenas.»
Le robuste manette di ferro erano inchiodate al legno ad intervalli regolari, gelide e incrostate. La luce del fiammifero stagliava strane ombre che parevano delle tenaglie deformi. Petra si avvicinò come in trance, tese una mano verso quei ceppi e fu solo il tintinnio del metallo a riportarla alla realtà.
Adesso ne aveva le prove. Suo padre aveva avuto ragione per tutto quel tempo. Alexander Flinch era uno schiavista: ecco qual era l’onorato servizio che offriva al Messico da oltre una decade. Centinaia di schiavi in cambio di tazzine di porcellana e tè slavato. Perché in tutti quegli anni nessuno si era mai opposto? Forse ingannava le famiglie, fingendo di ingaggiare i loro figli con il solo scopo di farli imbarcare… ma no, altrimenti lei non sarebbe stata l’unica ispanica di quella traversata. Era molto più probabile che li rapisse, come suo padre aveva sempre sospettato dei gemelli Alvarez.
Strinse i pugni attorno a quelle catene marce. Potevano sembrare una cosa da poco, ma erano una prova schiacciante. Erano catene da schiavista e nessuno avrebbe potuto dubitarne.

Scosse la testa per schiarirsi le idee: adesso c’era da capire cosa fare. Doveva aspettare che il mercantile si fermasse nel prossimo porto per rifornirsi di cibo e carburante: tutta la ciurma si sarebbe presa la mattinata libera per scendere sulla terraferma. Quindi sarebbe corsa all’ufficio della gendarmeria più vicina e li avrebbe costretti, con la forza se necessario, a salire a bordo e a perquisire il vascello da prua a poppa. Avrebbero trovato le catene e Petra avrebbe finalmente sputato in faccia all’inglés con somma soddisfazione.
Tuttavia un dubbio macchiò quel sogno di gloria. Forse i gendarmi della sua città non erano gli unici ad essersi associati a Flinch. Le avrebbero riso in faccia esattamente come era accaduto a suo padre, mostrandole uno dei tanti regalini inglesi, fabbricati dalle mani dei loro stessi concittadini che spedivano in quella stiva, soffocati e incatenati, ma per i quali non avrebbero mosso un dito…
Petra batté il pugnò sul legno, facendo tintinnare le catene. «Hijo de —»
«Ho avuto abbastanza a che fare con voi messicani da sapere che non ne seguirà nulla di lusinghiero.» Una voce avanzò dall’ombra alle sue spalle. «O forse mi sbaglio, guapo
Petra riuscì a distinguere il profilo prima che il terzo fiammifero si estinguesse in un refolo di fumo.
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Note dell'Autrice
Avevo già pubblicato questa storia su un altro sito, ma il mio cuore apparterrà sempre a EFP, quindi eccomi tornata come il figliol prodigo. Continuate a leggere e fidatevi di me, nei prossimi due capitoli potrei stupirvi sul destino di Petra :D

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Capitolo 2
*** Le donne non appartengono al mare ***


CAPITOLO 2 - LE DONNE NON APPARTENGONO AL MARE

Non riusciva a ricordare se si fosse mai trovata sola con Alexander Flinch in altre occasioni. Il giorno in cui si era imbarcata l’avevano spedita nella sua sontuosa cabina per le generalità, ma aveva il vago ricordo di qualcuno impalato accanto alla porta ad assistere al loro incontro, forse un paje. In ogni caso, era sicura di non aver mai conosciuto il Flinch che adesso la osservava dall’ombra, lo sguardo crudele, le narici dilatate e le labbra piegate in un sorriso indecifrabile.
Flinch mosse qualche passo nella stiva. «L’hai preso?»
«P-preso, c-cosa?» balbettò, colta alla sprovvista.
«Il ratto. È per questo che sei sceso qua giù, no?»
Petra era più confusa che mai, ma si sforzò di assecondarlo in quella folle storia. «A-anche voi avete sentito quel rumore? Pensé que lo estaba imaginando.» Sperò che la nota di panico nella propria voce venisse scambiata per accento.
«Mi ha tenuto sveglio tutta la notte. Adesso, riguardo quel ratto…» disse in tono pratico e prese ad arrotolarsi le maniche della camicia «che ne dici di—»
«Non credo sia qui, capitano, mi sono sbagliato. Ai ratti non piace l’odore del tabacco.»
«Cosa ne sai tu di cosa piace ai ratti?» insinuò. Poi la ghermì per le spalle, facendola trasalire. «Ay, guapo! Quali altri talenti nascondi?»
Petra rise nervosamente e con cautela mosse un passo all’indietro nel disperato tentativo di interrompere quel contatto.
«Ci sono molti ratti dove vivi tu?» continuò, senza mollare la presa. Non sapeva a quale gioco Flinch stesse giocando: avrebbe dovuto essere arrabbiato, avrebbe dovuto minacciarla di tenere la bocca chiusa su quel segreto. Fino a quando avrebbe finto di non vedere che lei—lui—aveva scoperto?
«Non direi, no…» cercò di suonare disinvolta. Lanciò uno sguardo impaziente verso la porticina alle spalle di Flinch. Il cuore le batteva furiosamente.
«È curioso. C’è qualcosa che i ratti e le niñas del tuo paese hanno in comune. Loro…» increspò gentilmente le sopracciglia come se non riuscisse a trovare le parole giuste «si nascondono.»
Prima che potesse anche solo pensare di scappare, l’inglés le si scagliò addosso, mandandola a sbattere contro uno dei tavolati e premendole un braccio contro la gola. Con la lingua tra i denti, le insinuò una mano fino al cavallo dei pantaloni e un lampo di selvaggio trionfo attraversò i suoi occhi. Per un attimo ogni parola, ogni pensiero venne spazzato via dalla mente di Petra, agghiacciata.
«Ratto» sussurrò, facendo sempre più fatica a trattenerla.

Quell’insulto le restituì il senno e la determinazione. Rinunciò ad ogni pallida scusa. «Tutti… tutti sapranno chi sei veramente. Un trafficante di uomini!» Cercò a tentoni l’estremità di una catena e lo colpì dritto in viso. Flinch si ritrasse con un ululato di dolore, premendosi una mano sull’occhio destro e Petra ne approfittò per sfuggirgli.
Tornò nella falsa stiva e prese a riposizionare le pesanti casse in modo da bloccare la porta, tuttavia ciò non fu sufficiente a bloccare la furia dell’inglés.
«Oh, cara! Adesso tutti sapranno cosa sei per davvero!» urlò fuori di sé, abbattendo definitivamente la porta.
Petra salì la scaletta, capovolse l’inferriata con uno schianto e poi… poi cosa avrebbe fatto? Si trovava in mezzo al mare, a ore di navigazione da qualsiasi costa.
Avrebbe dovuto ucciderlo. Non le restava altro da fare, pensò con una vena di follia. Dopotutto era giunta lì per quello, per vendicarsi di colui che aveva fatto morire di crepacuore suo padre.

Il ponte era invaso da marinai ancora mezzi addormentati («Cos’è tutto questo rumore?» «Qualcuno ha detto avaria?» «Stavo dormendo, cani!») e all’inizio nessuno le prestò attenzione. Petra si fiondò verso un fianco della nave, cercando di farsi venire in mente qualcosa, qualunque cosa.
«Prendete il messicano!» ordinò Flinch, ridestando i marinai. Ci si sarebbe aspettato qualche secondo di esitazione, dopotutto era un membro della ciurma tanto quanto loro, ma prima di tutto era messicana: era ovvio che non fosse una pelle buona. Probabilmente avevano atteso quell’ordine dal primo giorno in cui era salita sul mercantile.
La fuga di Petra durò poco. Tre uomini la atterrarono, torcendole le braccia dietro la schiena. Dei passi si avvicinarono, lenti e misurati. Snervanti. Petra piegò la testa di lato per vedere l’inglés incombere su di lei, l’occhio destro di un rosso fiammante.
«Ci siamo chiesti più volte il perché di questa bonaccia, vero? È forse la prima volta che percorriamo questa rotta?» Tra i marinai circolarono bisbigli di diniego. «Eppure avanziamo di poche miglia al giorno. Di questo passo esauriremo le nostre scorte prima di avvistare il prossimo porto.
«È come se qualcosa ci stesse trattenendo, qualcosa di profondamente sbagliato, qualcosa che non appartiene al mare. Qualcuno, compari. Una donna.»
Questa volta i marinai parvero decisamente spaventati. Flinch emise un fischio, tese un palmo e subito ottenne ciò che desiderava: parecchi metri di corda.
«Hijo de puta» biascicò finalmente Petra, parole che da molto tempo le bruciavano sulla punta della lingua.
«Come dice, signorina?» ghignò Flinch, strattonandola e legandole polsi e caviglie. «Ah, già. Il nostro guapo… a quanto pare è una guapa
La folla di marinai esplose in grida di protesta e uno dei suoi assalitori fu tanto cortese da piantarle il tacco dello stivale tra una vertebra e l’altra.
«Dite addio a questi giorni di ozio, compari, da domani riprenderemo a navigare sul serio!» gridò Flinch vittorioso, seguito da tutta la compagnia. Con lo sguardo ancora colmo di felicità, dette ordini con pochi gesti netti e Petra venne trascinata verso poppa. Lei tentò di divincolarsi, di urlare, ma la corda era stata annodata con la maestria che solo un lupo di mare poteva avere.
«Sei uno sporco schiavista! Sono stati i tuoi peccati a portarti la bonaccia, anche se meriteresti il contrario. Una tempesta che anneghi te e questa dannata nave!» gridò Petra. La corda che legava mani e piedi era tanto corta da non permetterle di pronunciare quella minaccia con la dignità che aveva immaginato per se stessa. Stava invece con la schiena incurvata e dolorante, strattonando i polsi nel tentativo di liberarsi. Con estrema difficoltà la costrinsero a tirarsi in piedi e la spinsero su un tavolaccio che si protendeva sul mare.

Flinch la ignorò, parlando ancora una volta alla ciurma. «La vostra fiducia in me è davvero ammirevole! Ovviamente sono abbastanza certo che la qui presente signorina sia a tutti gli effetti una niña… » Petra non riuscì a vederlo perché l’inglés le volgeva le spalle, ma dalle risatine dei marinai indovinò che doveva aver mostrato loro un gesto molto volgare. «Ma se vi fidate, allora possiamo passare direttamente alla parte in cui—» Il resto della frase si perse nel frastuono. 
«Va bene, va bene. Vi credevo uomini migliori» li rimproverò dolcemente. Dal tono era chiaro che non poteva essere più fiero di loro in quel momento.
Finalmente Flinch si voltò verso di lei, sguainò la spada affilata, ma Petra, che non poteva darsi alla fuga o combattere in alcun modo, lo sorprese cacciando un urlo spacca timpani.
«Morde, questa qui» disse lui, tormentando con la lama i lembi della camicia della ragazza.
Non gli avrebbe permesso di umiliarla in una maniera così viscida: il proprio corpo non sarebbe diventato fonte d’intrattenimento.
«Ti giuro, Flinch, che non mi fermerai. Non mi importa quali sono i tuoi alleati o quante persone hai corrotto… Finirai molto, molto male» sibilò a denti stretti. «Nuoterò fino alla costa più vicina e allora tutti sapranno quello che sei.»
«Nuoterai? Davvero?» esclamò divertito. Non le occorse molto per capire da dove nascesse quel divertimento: la corda che le stringeva le caviglie terminava con una sfera di lucente metallo, una zavorra per reti da pesca.
«Non puoi uccidermi qui, Flinch» ribatté Petra. «Statuto del mare, articolo trentacinque. Tutti i prigionieri, ostaggi e traditori catturati in mare risponderanno alla giustizia della terra
«Come osi insinuare che io, proprio io, non rispetti la legge. Se tu fossi stata un prigioniero o un ostaggio o perfino un traditore, di certo avrei seguito quell’articolo trenta-qualcosa. Però tu sei solo una donna» spiegò con innocenza. Petra lo guardava come fulminata. «E una donna a bordo di una nave è da sempre considerata portatrice di sciagure: nessuno potrà accusarmi di violare la legge del mare.»
La lama smise di giocherellare con i suoi abiti.
«Chi è senza peccato scagli la prima pietra.» Un movimento fluido, quasi elegante. Petra non ebbe nulla a cui aggrapparsi e sprofondò nell’acqua gelida.

Dapprima il fragore dell’impatto le riempì le orecchie, poi in una frazione di secondo ogni rumore venne inghiottito dall’acqua. Udiva a malapena il suono prodotto dal proprio corpo mentre tentava di nuotare verso l’alto, dimenando gli arti inferiori come fossero una pinna. Tuttavia doveva apparire come un pesce piuttosto malconcio e sgangherato, poiché le corde la impacciava e quel suo modo di nuotare scoordinato si stava rivelando controproducente.
Cinque metri sott’acqua. Gli occhi le bruciavano, ma si sforzò di tenerli aperti. Serrò le labbra fino a ridurle ad una linea sottile, ma questo non le impedì di lasciarsi sfuggire un verso carico di rabbia e di frustrazione. Il peso metallico la stava trascinando sempre più in basso e a nulla sembravano valere gli slanci che cercava di darsi ora con le gambe ora con le braccia, mentre gli addominali imploravano una tregua.

Dieci metri di profondità. La testa le scoppiava e un pensiero selvaggio ed autodistruttivo le attraversò la mente: forse avrebbe dovuto provare a inspirare, solo un poco. Sentiva i polmoni atrofizzarsi attorno a quel respiro che tratteneva da oltre un minuto.
Quindici metri sotto. Smise di rimpiangere la sua scoperta e tutto ciò che aveva detto all’inglés. Non aveva dimenticato le ragioni che l’avevano portata in quel dato momento e a quella data profondità. Semmai, il suo odio per Flinch si fece ancora più determinato: un sentimento tanto potente non poteva andare semplicemente perduto, pensò. La rabbia rimontò e Petra tentò ancora una volta di nuotare. Risalì di una ventina di centimetri, ma si lasciò sfuggire alcune bolle d’aria.
Diciassette metri. Pur scuotendo il capo, non riusciva a liberarsi della macchia scura nel suo campo visivo. Prego che tu muoia, fu il suo ultimo pensiero, prima che del buio definitivo.
Il suo corpo in fin di vita impiegò altri due minuti per raggiungere il fondale sabbioso. Atterrò sulla schiena, dolcemente.
Dopo un po’ l’acqua si fece meno gelida, nonostante la profondità fosse tale da escludere quasi totalmente la luce solare.
La pressione di otto atmosfere smise di essere per lei un peso insostenibile.
Contro la propria volontà Petra schiuse le labbra e acqua a fiotti le inondò i polmoni. Fu una sensazione rigenerante: sentì le membra rinvigorirsi, la vista snebbiarsi, il suo io tornare cosciente. 
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Note dell'autore
Secondo capitolo delivered! Attendo le vostre recensioni! 

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Capitolo 3
*** Il mare appartiene alle donne ***


CAPITOLO 3 - IL MARE APPARTIENE ALLE DONNE

Le sembrava di galleggiare sia nel corpo che nella mente, la stessa sensazione che provava al risveglio dopo una lunga dormita, e qualcosa la avvolgeva stretta come una coperta.
Dopo un breve momento in cui godette di quella inaspettata sensazione di piacere—sarebbe potuta rimanere così per sempre—si sentì scuotere per le spalle con forza.
«Oh, speravamo davvero che ce la facessi.»
Di cosa diavolo stava blaterando? Petra emise un verso contrariato e cercò di trattenere gli ultimi brandelli di sonno, ma chiunque fosse stato a parlare era deciso a non concederle tregua.
«Ti abbiamo tenuto d’occhio per tutto il tempo. Non mi hanno permesso di aiutarti, continuavano a ripetere che era una faccenda solo tua.»
Petra si costrinse a mettersi a sedere. La proprietaria della voce, una ragazzina dai capelli corvini che galleggiavano sinuosamente, la scrutava in volto cercando tracce di qualcosa che solo lei poteva conoscere.
«Dacci un taglio, Huda. Non avremmo potuto decidere per lei» ribatté una seconda voce in tono esausto. «Vorrei soltanto che non accadesse così spesso come negli ultimi tempi, solo una settimana fa ne è arrivata un’altra. Secondo le mie statistiche…»
«Aveva il diritto di stare su quella nave tanto quanto lui!» protestò la prima ragazza, Huda.
«Come se non lo sapessi» replicò aspramente. «Ho solo detto che sarebbe bello se nessuno si facesse male una volta tanto. Ad ogni modo, hai ragione, non è stata colpa sua. Non lasciarlo entrare nella tua testa» disse in tono minaccioso, l’attenzione di entrambe nuovamente rivolta a Petra.
«Ben detto, Farah. Quello che stiamo cercando di dire è… beh, benvenuta!» Huda tese una mano, affabile, ma Petra venne attraversata da un fremito, quasi avesse preso la scossa. Le dita della sconosciuta. Avevano qualcosa di sbagliato.

Tutto ciò che la circondava era sbagliato.
«Cos’è tutto questo?» chiese allarmata, le sue prima parole dopo il lungo silenzio, e solo quando ebbe parlato realizzò che in effetti non era morta. Per niente morta. Eppure avrebbe dovuto esserlo, o no? I conti non le tornavano: ricordava con discreta chiarezza di essere annegata a causa di quel peso che le avevano legato alle caviglie. Abbassò lo sguardo, ma della zavorra non c’era traccia e anche le funi si erano volatilizzate. Così come le sue stesse gambe.
«Cosa è diavolo questo?» chiese ancora con voce strozzata e desiderò con tutta se stessa allontanarsi da quella cosa, ma sembrava fosse indissolubilmente connessa al suo busto. Ogni piacevole sensazione sparì, lasciando posto a un senso di panico e di soffocamento.
Quelle che un tempo erano state le sue gambe, adesso erano imprigionate in una membrana gelatinosa color latte. Guardando con attenzione se ne poteva ancora indovinare il profilo, ma per quanto ci provasse, pur mettendoci tutta la forza, Petra non riuscì a separarle. Tentò di sgusciare via da quella membrana, ma si ritrovò a stringere una manciata di scaglie opalescenti. Le fissò sconcertata. Anche i piedi si erano allungati orribilmente diventando scheletrici e flessibili, come se fossero fatti di cartilagine.
Gli abiti si erano misteriosamente volatilizzati, ma nonostante la nudità non sentiva freddo, anzi fisicamente non era mai stata meglio in tutta la sua vita. Beh, adesso che ne era diventata consapevole, sentì collo e guance infiammarsi per la vergogna, ma la sua nudità era nulla a confronto del suo corpo impazzito che senza alcun motivo logico aveva deciso sviluppare una…  
«Coda di pesce, primo stadio.»
Quell’affermazione impiegò qualche secondo prima di far breccia nel suo cervello. «C-coda?» I suoi occhi sgranati imploravano un chiarimento. «Dovrebbe essere uno scherzo? Perché non è affatto divertente.»
«Qual è stato il tuo ultimo desiderio prima di arrivare qui?» le chiese invece Farah, più seria che mai.
«Non ricordo, stavo annegando. Probabilmente il mio ultimo pensiero sarà stato, aiuto» sbottò. Stava iniziando ad arrabbiarsi: non sopportava che una sua domanda venisse ignorata, ma ciò che ancora di più le dava ai nervi era non capire. «Questo cosa c’entra con—»
«E se ti dicessi» la interruppe ancora Farah, la cui pazienza pareva essere agli sgoccioli tanto quanto quella di Petra  «che stavi pensando di uccidere: ti viene in mente qualcosa?» Calò un silenzio grave. Uccidere?

Perché avrebbe dovuto pensare a una cosa simile, si chiese Petra. Era una cosa sbagliata, innaturale… o forse si sbagliava? La gente dava per scontato che in punto di morte si dovesse ripensare a tutte le cose amate in vita. Poco prima di morire lei aveva amato la possibilità di smascherare Alexander Flinch. Adesso dubitava di aver amato anche l’idea di ucciderlo…
Una voce le sussurrò all’orecchio, non esattamente una voce, piuttosto il ricordo di un pensiero. Prego che tu muoia. L’inglés aveva monopolizzato persino i suoi ultimi desideri, e lo odiava per questo.
«Non sei morta» riprese Farah. «Vivi in un’altra forma, lo facciamo tutte.»
«Io sono… viva?»
Petra studiò le due ragazze. Huda dai capelli corvini ondeggiò leggermente imbarazzata sulla sua coda di un verde opaco. Al contrario di Petra, le gambe di una volta non si intravedevano affatto, tuttavia le squame non erano tanto lucenti quanto quelle della coda di Farah. Notò anche alcuni tagli lungo i lati del collo, più o meno profondi a seconda del ritmo del respiro.
«Secondo stadio.» Huda sollevò allegramente un braccio come se stesse rispondendo a un appello immaginario.
«Stadio finale» disse Farah e finalmente Petra si spiegò quel tono sempre autoritario e grave, anche se non poteva dire che le piacesse.  
«Quindi mi sono salvata perché il mio ultimo desiderio è stato di uccidere qualcuno?» azzardò Petra.
«Non qualcuno, un uomo senza rispetto. Di questi tempi ce ne sono molto in giro.» Il volto di Huda si rabbuiò.
«Tutte noi avevamo dei conti in sospeso, ecco perché il mare ci ha portate in salvo: da secoli ci è testimone.»
«Lui aveva detto che le donne non appartenevano al mare… »
«E aveva dannatamente torto: noi possediamo il mare. Hai mai notato che chiamano le loro navi con nomi da donna? Cercano di lusingarci, ma così tentano di ingannare un potere che è più antico dell’umanità stessa.»
«Cosa siamo noi?» chiese Petra dopo una breve pausa.
«Ogni uomo ha la sua personale definizione. Dalle mie parti ci chiamano fate del mare, nelle regioni del nord siamo sirene. Tutti nomi così delicati. Non è raro che gli uomini romanticizzino un omicidio—li fa sentire in pace con se stessi—ma la unica, cruda verità è che noi siamo le donne che gli uomini hanno ucciso per paura di perdere potere e autorità.» La voce di Farah era carica di disprezzo.

Odiava Alexander Flinch perché aveva preferito usare una scusa, perché aveva preferito passare per un uomo superstizioso, piuttosto che ammettere di temere le minacce di una donna. Probabilmente aveva voluto sbarazzarsi di lei dal primo momento in cui l’aveva vista nella stiva, ma si era vergognato che una donna avesse scoperto i suoi traffici, che una donna avesse addirittura il potere di spaventarlo… All’improvviso seppe con assoluta certezza, come se fosse stato Flinch stesso ad affermarlo, che avrebbe preferito essere minacciato da un altro uomo.
Farah aveva ragione: l’inglés le era entrato nella testa. Doveva trovare un modo per liberarsene.
Ebbe una visione improvvisa, così tangibile che le parve un presagio. La nave negriera stava imbarcando acqua, uno dei fianchi della nave era stato squarciato dagli scogli. Nella sua visione Petra sapeva di esserne responsabile. Tra i marinai non era rimasto un briciolo di fraternità e di umanità: avrebbero assalito un proprio pari e usato il suo corpo come galleggiante, se ciò avesse potuto assicurare loro un’ora di vita in più. Infine c’era l’inglés che correva su e giù per il ponte nel tentativo di tenere sotto controllo quella tragedia.
Lei lo avrebbe aspettato senza distogliere lo sguardo—al contrario di Flinch lei aveva  ancora tutto il tempo del mondo—e quando l’ultima asse di legno, l’ultimo brandello di vela sarebbe finito sott’acqua, Petra gli avrebbe tolto prima la dignità e poi la vita.
Mentre nuotava più rapida di qualsiasi altro essere umano, seguendo le tracce dell’uomo che l’aveva uccisa per vigliaccheria, l’assenza di ogni dubbio la sorprese. In quella nuova vita il mare sarebbe stato dalla sua parte.
In fondo l’inglés aveva ragione. Una donna a bordo di una nave era davvero una portatrice di sventure, specialmente quando finiva affogata senza compassione. Quando le veniva impedito di occupare spazio, di gridare e di pretendere rispetto.
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Note dell'autore
Gran fianle e (spero) colpo di scena. Le sirene sono le mie creature preferite in assoluto e questa storia incarna un po' la mia storia del cuore, quella che magari... un giorno... scriverò seriamente: una storia di ragazze e sirene. Grazie per il tempo che mi avete dedicato e spero di avervi tenuto compagnia! Alla prossima :D

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