Ex novo

di velocecalogiuri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Ciao a tutt* Tataranners! Abbiate pietà di me: questa è la prima fanfiction che scrivo dal 2012 circa. E su chi altri potevo tornare a scrivere se non su quei due disgraziati materani? 
Il Capitolo 1 è molto breve, un'introduzione più che altro. Spero che l'idea di base possa piacervi. Ci vediamo a fine capitolo!

 

Il “bip” del macchinario al quale Calogiuri era attaccato per sopravvivere le ricordava spaventosamente quello che sentiva in tv, nei medical drama, poco prima che il paziente entrasse in arresto cardiaco e i medici accorressero attorno a lui col defibrillatore. L’idea la costrinse a stringere ancora più forte la mano di Pietro. Quella mano avrebbe dovuto essere quella del maresciallo, perché quello non era un medical drama e lui la vita la rischiava sul serio.

Aveva pensato a cosa avrebbe fatto se lui non fosse sopravvissuto: era da quando aveva ricevuto la notizia che ci aveva pensato. La dottoressa Tataranni era sempre pronta al peggio: avrebbe sofferto —troppo, in una maniera quasi straziante, quasi insopportabile— e si sarebbe presa del tempo per piangere. Ovviamente —e questo era inutile negarlo— lo avrebbe fatto quando nessuno la guardava: magari in bagno, con l’acqua aperta a coprire ogni rumore, si sarebbe lasciata andare al dolore più disperato che avrebbe mai dovuto affrontare. Avrebbe pianto, forse avrebbe anche gridato, forse avrebbe anche detto al vuoto della stanza tutte le cose che avrebbe sempre dovuto dire al maresciallo, ma che aveva sempre soffocato a fatica.

Avrebbe finto, con Pietro e con gli altri, che la cosa la turbasse quanto l’avrebbe turbata se al posto di Calogiuri ci fosse stato Capozza, o Bartolini, o perfino la Moliterni.

Era un collega. Solo un collega. Nient’altro che un collega. Un collega che aveva avuto una sventura, una disgrazia, un “errore fatale” —come lo aveva definito Vitali. Avrebbe concesso a Diana e al resto della squadra di prendersi del tempo per elaborare la cosa, avrebbe messo loro a disposizione il colloquio con lo psicologo al quale avevano diritto dopo un simile evento. Ma lei… oh, no, lei no. Lei non si sarebbe staccata dal lavoro, come suo solito: avrebbe sostenuto che lei non aveva bisogno di niente di tutto ciò, che lei era perfettamente in grado di superare la dipartita di un collega senza l’aiuto di nessuno strizzacervelli.

E, inoltre, non aveva bisogno di prendersi giorni per “elaborare il lutto”: infatti, anche se ogni parte di quell’ufficio —di quella procura— gli ricordava tremendamente lui, lei era perfettamente in grado di camminare dove avevano camminato insieme, di salire quelle scale dove una volta aveva inciampato ritrovandosi tra le sue braccia, di entrare in quell’ufficio dove lui —loro si erano baciati per la prima volta, per un tempo che avrebbe dovuto essere infinito e lei era sarebbe ancora dovuta essere tra le sue braccia.

Sì. La dottoressa Tataranni era perfettamente in grado di fare tutte quelle cose, a partire dal momento in cui le avrebbero comunicato la notizia. E allora perché stava tremando? Perché la mano che stringeva quella di Pietro era così fredda che le sembrava non le appartenesse più? Perché il suo cuore batteva ad una velocità tale da raddoppiare quel bip del macchinario che somigliava così tanto a quello delle tv?

Più di un anno era passato. Per la precisione —se la memoria non l’ingannava— 463 giorni da quando aveva fatto quei pensieri, e ancora non si capacitava del modo in cui anche solo per un attimo aveva pensato di poter vivere senza di lui.

Ogni giorno, ogni giorno dal momento in cui Calogiuri era stato completamente riabilitato si era goduta ogni momento assieme a lui.

La dottoressa Tataranni non era una persona credente, ma in una cosa credeva: in sé stessa. E quindi fu a sé stessa che giurò, dopo aver sentito quelle parole —“Dottoressa, è fuori pericolo”— che da quel momento in poi avrebbe vissuto ogni momento con Calogiuri come se fosse il regalo più bello che la vita potesse farle. E lo era.

“Posso, dottoressa?” La sua voce a interrompere il flusso dei suoi pensieri fu dolcemente appropriata.

“Calogiuri!” Sorrise come solo lui sapeva farla sorridere.

“Vi ho portato un caffè, so che oggi state qua da stamattina…”

Sorprendentemente, fu Calogiuri a impostare le nuove regole del gioco. Dal primo momento in cui aveva aperto gli occhi in quel letto d’ospedale, subito dopo aver preso atto di ciò che gli era accaduto, aveva deciso che tutto —tutto a partire da quel maledetto bacio sarebbe dovuto sparire.



Ovviamente, non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate -qui o su twitter (velocecalogiuri). 
Un bacione.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Disclaimer: questa è una storia che abbraccia un arco temporale di un anno, quindi ci saranno dei flashback. Praticamente un continuo andirivieni, quindi spero non si crei confusione. Qualsiasi suggerimento è ben accetto!

Grazie infinite a tutt* coloro che hanno letto il primo capitolo e che stanno per leggere il secondo, spero vi piaccia!


Quando aveva saputo che Calogiuri era in grado di parlare e di ricevere visite eccetto i famigliari stretti, erano passati tre giorni. Perché non aveva chiesto di lei? Forse era il suo ego a parlare, ma non era forse un uomo innamorato? Non le aveva forse confessato i suoi sentimenti apertamente e più di una volta? Dottoressa, io credo di essermi innamorato di te. Non era un sogno, se lo ricordava benissimo, la sua era una memoria eccellente.
Sebbene la cosa le giovasse sul piano razionale —Pietro si era tranquillizzato, infondo lei non era corsa al suo capezzale non appena avesse aperto gli occhi— non poteva fare a meno di chiedersi come aveva potuto. Come aveva potuto non chiedere di lei come prima, seconda, terza cosa.
I medici le avevano assicurato che tutto sarebbe tornato alla normalità nel giro di un mese, un mese e mezzo al massimo di riabilitazione. Avrebbe perfino potuto tornare a lavorare, se lo avesse voluto. Il cervello non aveva subito danni, così come la sua memoria —e allora perché?
“Amò,” le aveva detto Pietro scivolando sotto le coperte accanto a lei. Imma teneva in mano un libro, ma non lo aveva neanche aperto. Invece, fissava il vuoto mentre quelle domande tutte insieme le rimbombavano nella testa.
Il signor De Ruggeri non era certo così stupido da pensare che l’intera storia del maresciallo le fosse scivolata addosso, ma da quando aveva ricevuto la notizia —“Dottoressa, è fuori pericolo”— la sua Imma sembrava aver ripreso a respirare. Era come se fosse ancora in un’attesa costante, ma non aveva mai chiesto spontaneamente di visitare il maresciallo. Una parte di sé sperava che lo facesse per lui, per salvaguardare il loro già così fragile matrimonio, ma lei gli aveva detto “Professionalità, Piè” come se fosse la cosa più ovvia del mondo: Calogiuri aveva bisogno di riposare, di passare quelle prime ore in compagnia dei famigliari e delle persone a lui più vicine —il che, spaventosamente, non includeva lei.
Fu al quarto giorno, intorno alle undici che la dottoressa Tataranni cedette. Il tacco della sua scarpa destra non aveva fatto altro che battere nervosamente sul pavimento sotto la scrivania da quando era arrivata in procura, e il ritmo aumentava ogni volta che qualcuno entrava nel suo ufficio e riportava notizie —fortunatamente buone e sempre accompagnate da un sorriso— riguardo al maresciallo. Era felicissima che Calogiuri stesse bene ma perché non era lei a comunicare agli altri quelle belle notizie? Avrebbe dovuto sentire che Calogiuri stava bene direttamente da lui.
Elaborò la decisione di andare in ospedale in pochissimi secondi e seguì l’onda dei suoi pensieri prima che potesse cambiare idea —sapeva che l’avrebbe fatto. Fuori cominciava a rinfrescare, erano i primi di ottobre ma lei non prese neppure la giacca. Non poteva permettersi di fermarsi e ragionare. Salì in una volante della polizia, che non guidò né Capozza, né Bartolini, né La Macchia. Non avrebbe permesso a nessuno, questa volta, di entrare con lei in quel corridoio d’ospedale.

Quando arrivò si rese conto che Calogiuri era stato tolto dalla terapia intensiva, e che adesso avrebbe dovuto bussare prima che lui potesse vedere che si trattava di lei. Non c’era nessun vetro rivelatore, sarebbe stata una sorpresa per lui e Imma non riusciva a smettere di pensare che sarebbe potuta essere non gradita.
Finalmente b
ussò —anche se la porta era aperta ma lei era dietro la parete— dopo aver esitato per una frazione di secondo —ormai si era trascinata fino a lì, non poteva rinunciare.
“Dottoressa!” La sua voce. La sua voce le fece tremare lo stomaco e un sorriso le squarciò il volto così sinceramente che Imma non poté far a meno di assecondarlo: “Calogiuri!” E per un attimo sembrò di essere tornati a due anni prima. Tutte le domande che fino a quel momento le si erano affollate nella testa sembravano come scomparse. Ora che lo aveva davanti a sé, sdraiato su quel letto, con le fasciature bianche che contrastavano l’azzurro vivo dei suoi occhi —che ora le stavano sorridendo— ne era sicura: niente di ciò che si era costretta a fare avrebbe retto.
Lei lo amava.
Lo amava come non credeva che una come lei avrebbe potuto amare. Lo amava come avrebbe dovuto essere con Pietro, nonostante avesse speso l’ultimo anno a cercare di convincere entrambi del contrario. Lo amava di un amore che l’aveva portata a spingerlo via quando aveva più bisogno di lui, a cercare di essere felice per la vita che stava progettando con Matarazzo: lui se lo meritava il matrimonio con una ragazza che avrebbe potuto presentare ai suoi genitori senza imbarazzo, la paternità, la possibilità di costruire una famiglia come quella che aveva avuto lei. Come quella che aveva lei.Valeva veramente la pena costringersi a dargli tutto questo se l’unica cosa che Calogiuri chiedeva era lei? Meno di un anno prima, la sua risposta sarebbe stata “sì”, con tanto di presunzione di sapere ciò che era meglio per tutti. Era, infatti, la cosa giusta per lei, per Calogiuri, per il suo matrimonio, per Pietro, per Valentina. “Bisogna scegliere se fare la cosa giusta o la cosa bella” “E quale sarebbe la cosa bella, Calogiuri?”. Le loro voci le risuonarono nella testa come se quel dialogo lo stessero avendo in quell’istante.
“Come stai?” Fu l’unica cosa che le uscì dalla bocca, quasi frettolosa di scacciare via quei maledetti pensieri.
“Ho un paio di buchi nel petto, ma guarirò” le sorrise e Imma notò che il maresciallo aveva immediatamente abbassato gli occhi, fissandosi le mani giunte davanti a lui. “Mi dispiace, dottoressa. Romaniello è morto perché non sono stato in grado di fare il mio lavoro correttamente. Mi sono lasciato prendere da… dai sentimenti, credo. E tutta quella storia di Jessica, sapete… Aveva solo chiesto di vedere sua figlia.”
Imma si morse l’interno della guancia, abbassò anche lei lo sguardo ma lo rialzò immediatamente: “Calogiuri, non dirlo neanche per scherzo. Niente di quello che è successo è stata colpa tua. E’ stato tutto… un errore.”
Un sorriso amaro gli si formò sulle labbra mentre tornava a guardarla negli occhi: “Ultimamente ne ho fatti parecchi di errori, vero, dottoressa?”
Quella domanda la colpì dritta dove il maresciallo aveva mirato. E Imma rimase in silenzio.
“Ci ho pensato” esordì Calogiuri dopo un tempo che le sembrò infinito “E… se voi siete d’accordo, io vorrei ricominciare daccapo.” Imma tornò a guardarlo dritto negli occhi, come se avesse pronunciato l’impronunciabile. “Avevate ragione fin dall’inizio, dottoressa: quel bacio nel vostro ufficio, alla festa della Bruna, è stato uno sbaglio. Il più grande sbaglio che abbiamo fatto insieme. E’ da lì che è partito tutto: le foto, la bugia di Jessica che ha inventato soltanto perché stavo per lasciarla…” Il maresciallo continuava a tenere gli occhi fissi sulle sue mani ma Imma poteva quasi giurare di vederli riempirsi di lacrime ad ogni parola nuova che gli sfiorava le labbra. “Vi ho causato solo problemi, a partire da quel bacio,” disse, per concludere, “però io non vi voglio perdere.” Quelle parole sembrarono causargli una sofferenza atroce nel pronunciarle, eppure Imma sentì di nuovo quel tremore allo stomaco. Non voleva perderla. Stavolta, lo giurò, gli avrebbe risposto. Non poteva permettersi di perdere altro tempo, non quando la vita le aveva appena ricordato di averne spaventosamente poco:
“Nemmeno io, Calogiuri” e lo disse col sorriso più bello che Calogiuri avesse visto. Sei tu la cosa bella, Calogiuri. e forse stava per dirglielo, ma lui non gliene diede il tempo:
Ricominciamo daccapo.” Le disse, e la guardò. Gli occhi gli brillavano come quelli di un bambino. Che cosa? “Dottoressa, io… mi capita di cercare delle spiegazioni in ogni cosa che mi succede. Lo faccio da quando sono piccolo, mi aiuta a capire. Forse è per questo che riesco a darle una mano con le sue indagini,” sorrise “e io interpreto tutta questa storia di Jessica, di Romaniello, dei proiettili, di essere qui ora come un’opportunità di una seconda possibilità. In tutto. Io voglio ricominciare, dal momento in cui ci siamo incontrati la prima volta. Voglio rifare tutto daccapo perché se ne avessi la possibilità io…” ti prego non dirlo, quel pensiero le sembrò così forte che credette di averlo pronunciato “io cancellerei tutto.”
Imma si ritrovò a fissare un punto fermo sul pavimento per cercare di non lasciarsi sfuggire una singola emozione. Si concentrò sulle macchie delle sue scarpe leopardate, cercò di individuarne uno schema: dopo quella grande ce ne era una con una forma strana, poi una più piccola e poi di nuovo una più grande. Ok, ce l’aveva fatta. Stava respirando.
 

E così 463 giorni dopo aveva mantenuto ancora fede alla sua promessa. Ippazio Calogiuri era sicuramente una persona umile, semplice, ma era un uomo di parola. Certo, ogni volta che la dottoressa Tataranni gli riempiva gli occhi aveva sempre quel tonfo al cuore —non paragonabile a qualsiasi tipo di proiettile, ora lo sapeva— che provava dal primo momento che l’aveva vista e che, era sicuro, avrebbe provato fino all’ultimo respiro. Eppure si era sforzato davvero di mantenere le cose su un livello estremamente serio e professionale. Poi, pian piano, quasi spontaneamente, le cose avevano preso una piega che mai si sarebbe immaginato.


vi aspetto qui o su twitter! (velocecalogiuri)

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Grazie a tutt* coloro che hanno letto la mia storia e un grazie doppio a chi l'ha commentata (qui e su twitter: velocecalogiuri). Adoro ricevere riscontri, mi invoglia a continuare questa follia.


Io cancellerei tutto. le aveva detto, e la parte più grande di lui ci credeva sul serio. Aveva avuto il tempo per pensare alle parole che le avrebbe detto per tre giorni e mezzo: da quando si era svegliato non aveva fatto altro che soppesarle, cercando quelle più giuste. Per quanto fossero crudeli, quelle ultime tre racchiudevano tutto.
Calogiuri ricordava ogni momento di quella sera nell’ufficio della dottoressa. Ricordava il modo in cui lei era stata in silenzio, lasciando che quel fiume in piena che lui aveva represso per oltre un anno rompesse tutti gli argini, ricordava quel “Ero geloso” che sottindeva un “Sono pazzo di te”, ricordava il modo in cui lei aveva interrotto il tutto chiudendogli le mani attorno al viso per trascinarlo verso il suo, e ricordava l’esatto istante in cui le sue labbra avevano finalmente toccato quelle della dottoressa, che aveva desiderato più di quanto mai avesse desiderato altro nella sua giovane vita. La loro morbidezza aveva appena fatto in tempo a farsi spazio nella sua mente, perché poi lei si era subito ritratta. Gli aveva appoggiato le mani sul petto, quasi come a mettere una distanza forzata tra di loro “Calogiuri dimenticalo, eh. E’ un ordine.” Aveva detto lei, con una voce talmente bassa che la sentiva dritta al cervello. Mai, si disse, e stavolta le prese lui il viso per guidarlo verso il suo. Il bacio questa volta fu lungo, intenso, vissuto come se entrambi avessero saputo che sarebbe stato l’ultimo. Sentì la lingua di lei chiedere un permesso che lui non si sarebbe mai azzardato a chiedere, e quando finalmente trovò quella del maresciallo sembrò non volerne sapere di lasciarla andare. Stava succedendo: lei era lì, tra le sue braccia. La donna che amava più di sé stesso, la donna per cui avrebbe rinunciato ad ogni cosa. Istintivamente l’aveva spinta contro il mobile dell’ufficio —contro il quale l’aveva vista piegarsi più volte nell’ultimo anno e una parte di lui si vergognava dei pensieri che tale visione aveva scatenato. La sentì accoglierlo, fargli spazio, aprire leggermente le gambe e non potè far a meno di spingersi ancora di più contro il suo corpo. La voleva, la voleva come non aveva mai voluto nient’altro e lei ora lo sapeva. Lo sentiva. Doveva essere stato questo —il fatto che lei sentisse il suo desiderio— a costringerla a rimettersi in piedi e a fare qualche passo verso la scrivania —era lì che lo voleva— senza riflettere, con ancora le loro bocche che si cercavano. Non l’avrebbe lasciata. Non quella volta. Si staccò da lei soltanto per accarezzarle le labbra, quelle labbra che, ora, ne era sicuro, avrebbe ricordato come il perfetto incastro con le sue.
Ti voglio, stava per sussurrarle, ma lo squillo del telefono della dottoressa non glielo aveva permesso.
A ripensarci ora, probabilmente quella telefonata improvvisa altro non era stato che il segno del destino per dirgli di fermarsi, per confermargli che tutto ciò che era appena accaduto era stato uno sbaglio. Uno sbaglio bellissimo, però.
E poi, da lì, tutto era precipitato.
Calogiuri, in quei tre giorni e mezzo, aveva avuto modo a lungo di pensare a come sarebbero state le loro vite se quella sera tra loro non fosse mai successo niente. Molto probabilmente, a quel punto lui non si troverebbe in nessun letto d’ospedale e lei non avrebbe dovuto affrontare una crisi matrimoniale che stava quasi per cancellare vent’anni della sua vita.
“Va bene” gli aveva risposto Imma dopo un lungo momento di sofferto silenzio, “Ricominciamo daccapo, Calogiuri”.
In cuor suo, lui sapeva che avrebbe conservato quel ricordo come il più bello della sua vita, ma per il bene di tutti doveva metterlo da parte, fingere che mai fosse accaduto.
Così, fin dal primo giorno in cui gli fu concesso di tornare a lavoro, si stampò sulla faccia il sorriso più sincero che gli riusciva. Era felice di essere di nuovo in procura, ma era preoccupato di come avrebbe potuto gestire le cose. Fin dall’inizio gli avevano reso chiaro che non sarebbe potuto rientrare immediatamente sul campo, per un po’ avrebbe dovuto lavorare in ufficio: il massimo che gli era concesso era di accompagnare la dottoressa Tataranni in macchina, a patto che non fosse un luogo particolarmente pericoloso per entrambi. Era stato Vitali a comunicargli quest'ultima notizia, e aveva accompagnato quelle parole con un sorriso particolarmente felice —per niente malizioso, piuttosto sollevato di rivederlo di nuovo lì, al fianco della sua dottoressa.
Ed era proprio quello il motivo per cui era lì, quella mattina: avrebbe dovuto accompagnare la dottoressa sulla scena di un delitto avvenuto —tanto per cambiare— nelle campagne materane.
“Si tratta di un ragazzo, di soli vent’anni” le stava dicendo mentre guidava “E’ stato ritrovato morto, a faccia in giù e con una benda sugli occhi”.
“La causa della morte si sa già o dobbiamo attendere le grazie di Taccardi?” Calogiuri sorrise: quella era aria di normalità. Aria di casa.
Dal canto suo, Imma, da quando aveva saputo che il maresciallo sarebbe tornato in servizio era stato come avere una flebo di adrenalina pura costantemente attaccata al suo braccio, dritta nelle vene.
Non si erano più parlati dopo quella mattina in ospedale —dopo quel “io cancellerei tutto”, che ogni tanto le rimbombava nella testa quasi a inciderlo con la forza in ogni parte del cervello. Sì, era tutto vero: il maresciallo Calogiuri avrebbe cancellato ogni cosa: il suo sentimento per lei, le parole che aveva usato per dirglielo —due volte— e il loro bacio. Il loro bellissimo bacio che ancora ogni notte rievocava prima di addormentarsi, in un modo talmente spontaneo che ormai era diventata una piacevole abitudine. Era paradossale, a dir poco: per un anno aveva cercato lei stessa, in prima persona, di chiedere a lui di farlo, di dimenticare tutto, di lasciar perdere quella strada senza uscita, senza speranza e sbarrata da più ostacoli di quanti se ne potessero contare. E ora che aveva ottenuto quello che voleva —il matrimonio con Pietro sembrava essere tornato alla normalità, Calogiuri aveva deciso di mantenere il loro rapporto sul piano strettamente professionale— non lo voleva più.
“No, si sa già.” Rispose Calogiuri, e lasciò volutamente la frase a metà.
“E qual è?” Chiese infatti Imma.
“Uno sparo.” Entrambi abbassarono lo sguardo per un secondo. La vita era un attimo, e loro la stavano sprecando.


“Per giovedì sera ho prenotato da Tokyo.”
“Che nome originale per un ristorante giapponese.”
Calogiuri sorrise: la sua Imma.
“Ma non è che poi non mangiate niente, dottoressa?”
“Calogiuri, io mi mangio pure a te.”


quanto può cambiare in un anno? alla prossima!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Grazie a tutt* coloro che sono arrivat* a leggere fin qui, e un grazie doppio come sempre a chi ha commentato, qui e su twitter (velocecalogiuri)! Buona lettura! 


Quando Imma tornò a casa, quella sera, avrebbe voluto solo farsi una doccia calda e sprofondare sotto le coperte. Quella giornata era stata tremenda: un ragazzo così giovane, incensurato, con una famiglia alle spalle che quando aveva ricevuto la notizia era stata completamente distrutta. Ucciso da un colpo di pistola alla testa, infertogli alle spalle, mentre lui stava evidentemente camminando a tentoni a causa della fascia che gli avevano messo sugli occhi. Eppure dovresti esserci abituata, si ripeteva invano. A certe cose, fortunatamente, non ci si abitua mai.
“Amò!” Pietro aveva la voce entusiasta di sempre, mentre le chiudeva le braccia dolcemente attorno alla vita e la tirava a sé, posandole un bacio asciutto sul collo. “La cena è nel forno, Valentina è andata a dormire da un’amica.”
“Quale amica? Valentina non ha amiche che conosco, Piè” disse subito Imma, divincolandosi dalle braccia del marito. Vide lui roteare gli occhi, poi abbassarli. “Pietro? Ma non è che quella è andata a dormire dal piccolo Vitali?”
“Amò, e dai, anche se fosse?”
“Come 'anche se fosse', Pietro?! Non è neanche maggiorenne!”
“Nemmeno lui. E poi lo sai… lo facevamo anche noi…” le sorrise con quel sorriso tenero che faceva lui.
“Le devo fare un bel discorso sull’uso degli anticoncezionali. Non ci possiamo permettere di avere Vitali come consuocero, Pietro. E mò pure il nonno di nostro nipote, per favore.”
“Stai calma, amò, lo sai che adesso con questi social” —e lo disse trascinando la “c” formando una “s”— “i ragazzi sono informati su tutto. Non credo ci sia bisogno di farle quel discorsetto che ci facevano a noi.”
Imma trovava assurdo il modo in cui Pietro fosse così calmo davanti all’eventualità che sua figlia, sua figlia femmina, la sua unica figlia femmina, avesse ipoteticamente cominciato ad avere rapporti sessuali. E così presto, per giunta.
“E tutta questa apertura mentale a te da dove ti esce?” Gli disse infatti.
“Sono un uomo moderno, lo sai.”
“Certo, fatico a crederlo con quella madre che ti ritrovi.”
Pietro sorrise, e lasciò che il discorso cadesse per aprirne un altro: “Te la ricordi la nostra prima volta?” Tornò ad allungare le braccia verso di lei e Imma si irrigidì di colpo. Pietro aveva tutte le ragioni del mondo: non facevano l’amore da quella sera —quella maledetta sera in cui a Calogiuri era successo quello che era successo. Pietro era stato estremamente comprensivo —più di quanto si sarebbe aspettata— e mai aveva osato anche solo sfiorarla con quelle intenzioni, perché si rendeva conto che era l’ultima cosa che sua moglie voleva. Adesso, però, erano passati quasi due mesi, e il loro matrimonio non aveva più niente di quella sorta di passione che avevano faticosamente ritrovato prima dell’incidente.
“Pietro…” cercò di farfugliare. Che cosa avrebbe dovuto dirgli? Non ne ho voglia? E come avrebbe giustificato la cosa?
Sì: suo marito aveva tutte le ragioni del mondo per cercare un contatto con lei dopo che aveva rispettato tutti i suoi tempi. E lei avrebbe dovuto essere felice di tornare tra le sue braccia: tutto stava andando bene tra loro, Valentina sembrava felice, Calogiuri era tornato in servizio, le cose pian piano si stavano tutte rimettendo al loro posto. E allora cosa?
Avrebbe facilmente potuto utilizzare la scusa del caso, un caso che l’aveva effettivamente abbattuto l’umore e le aveva occupato la mente per tutto il giorno. Ma Pietro non era certo stupido: ci avrebbe messo un attimo a sospettare di nuovo del maresciallo, e l’ultima cosa di cui Imma aveva bisogno era di riaprire una crisi in un momento del genere.
“Ti amo, Imma” aveva sussurrato Pietro nel suo orecchio prima di affondarle il viso nel collo. Imma chiuse gli occhi, dopo averli alzati al cielo —e non certo per il piacere: doveva cedere. Era la cosa migliore per tutti. Pensò che con l’entusiasmo che attualmente aveva nei confronti di Pietro il massimo che avrebbe potuto fare era starsene lì ferma mentre lui faceva tutto, ma questo non era certo un buon metodo per evitare che lui sospettasse qualcosa che non c’era.
Perché non c’era, giusto? Non ti va di fare l’amore con tuo marito perché non ti va di fare l’amore, mica perché è tuo marito, vero dottoressa? L’ultima frase fu pronunciata dalla voce nella sua testa assumendo un tono spaventosamente simile a quello di Calogiuri, ma più basso, più intenso, più… Vero, dottoressa? Ora sentiva la voce di Calogiuri dritta nel suo orecchio, mentre le mani che in realtà erano quelle di Pietro —ma che lei sentiva spaventosamente nuove— si insinuavano sotto la sua maglia. Con gli occhi chiusi, il mondo che voleva prendeva forma e ora Calogiuri le stava facendo scivolare leggermente le coppe del reggiseno, quel tanto che bastava per provocarla, per farle sentire le sue dita calde su quella parte già turgida. “Oh, Dio…” si lasciò sfuggire. Sentì due mani prenderla per i fianchi, guidarla verso il divano e poi farla sedere. Nella sua testa stava baciando il maresciallo, gli stava accarezzando quel viso perfetto mentre gli sganciava la cintura e sentiva quanto la voleva. Lo voleva anche lei, da impazzire. Lo accarezzò attraverso i jeans, sforzandosi di non aprire gli occhi perché quello che ora stava visualizzando nella mente la faceva eccitare più di quanto non lo fosse mai stata. E Pietro se ne accorse, mentre la accarezzava a sua volta. Stava per spostarla, per avere la possibilità di togliersi i jeans, a lei la gonna e le mutandine, ma lei gli bloccò le mani “Spostale.” Le sussurrò lei, ma lo stava sussurrando al maresciallo. Lui avrebbe sorriso maliziosamente, le avrebbe spostate guardandola negli occhi, sfidandola, e poi l’avrebbe sentito dentro di sé, e lei sarebbe stata finalmente completa.
Invece Pietro la guardò confusa —mai era successo che sua moglie fosse così frettolosa, così passionale, così esplicita— ma obbedì, entrò dentro di lei e la sentì gemere, prendere il totale controllo sedendosi sopra di lui e stabilendo il ritmo che più le piaceva.
Imma si alzò la maglia, liberò i seni dalle coppe e prese a toccarseli: era Calogiuri a farlo, mentre la stringeva glieli prendeva in bocca, poi la baciava e poi via di nuovo. Dio mio, non si era mai sentita così. “Così, ti prego” continuava a gemere, ma di fatto stava facendo tutto da sola. Pietro la guardava e non poteva credere a quanto sua moglie potesse essere sensuale: era come se si stesse prendendo il suo piacere a qualunque costo, solo piacere per il gusto di farlo, niente intimità, niente dolcezza. Solo sesso. Era tutto così eccitante per il signor De Ruggeri, che raggiunse l’apice in un momento in cui Imma stava ancora cercando di farlo e ciò la portò a riaprire gli occhi e a interrompere bruscamente la sua meravigliosa, bellissima, eccitantissima fantasia. Davanti a lei c’era Pietro, che era appena venuto, entrambi con i vestiti ancora addosso. E ora lei era ancora più frustrata di prima.

 

“Quindi mi stai dicendo che secondo te ad uccidere Fortuna è stato suo figlio.” Disse Imma infilandosi in bocca un uramaki al salmone.
“Sì, per un fatto di soldi” rispose Calogiuri, prima di sorseggiare il vino.
“Mh. Allora facciamo così, domani mi fai una bella indagine sul patrimonio e il testamento del signor Fortuna.”
“Certamente, dottoressa.” Le fece un sorriso bellissimo e Imma non poté far a meno di ricambiarlo.
“Finalmente una serata rilassante” disse Imma lasciandosi andare a un lungo sospiro “E’ stata una giornata stressante.”
“Una settimana.” La corresse lui, ironicamente.
“Facciamo un mese.”
“Ma anche un anno.” Risero insieme.
Calogiuri, in un attimo in cui si stava dimenticando della reale natura del loro rapporto, istintivamente provò a portare la mano sulla sua, ma si fermò a pensare giusto in tempo per ritrarsi. Avevano faticato così tanto a trovare quel bellissimo equilibrio che non aveva alcuna voglia di rovinarlo.
“Come va con Valentina?” Le chiese lui.
“Mi ha detto che lei e Gabriele passeranno la vigilia da noi, poi il venticinque dai genitori di lui e il ventisei di nuovo da noi. E per capodanno chi li vedi a tutti e due!”
“Quindi si può praticamente dire che voi e il dottor Vitali siete un’unica famiglia” sorrise Calogiuri “avreste potuto risparmiare tempo e festeggiare tutti insieme!”
“Non fare lo spiritoso” disse lei infilando la forchetta in un altro rotolino di sushi “E smettila di darmi del voi quando siamo fuori dalla procura.” Gli sorrise e lui arrossì. Ricordava perfettamente il momento in cui le aveva dato del tu per la prima volta —escludendo quella volta nell’ufficio della dottoressa, s’intende—e il modo in cui era stato strano e perfettamente naturale allo stesso tempo.
“Eh, certe abitudini sono dure a morire.” Le sorrise.
Già. Come quello di essere ancora e nonostante tutto totalmente, completamente, assolutamente e follemente pazzo di lei.
Talmente tanto da essere diventato per lei un confidente, un
amico, da ormai sei mesi. Si ritrovò a sorridere perché la sua mente ebbe l’ironia di intonare nella sua testa Amici mai di Venditti. Eppure eccoli lì, il giovane maresciallo Calogiuri e la dottoressa Tataranni, a cena insieme come facevano quasi ogni settimana —il giovedì, quando Pietro andava a suonare il sax e Valentina passava la serata da Gabriele. Parlavano per ore e Imma ne era stata così sorpresa all’inizio che aveva voluto riprovare ancora e poi ancora e ancora, per vedere se avrebbero mai esaurito gli argomenti. Doveva succedere prima o poi, e invece non succedeva mai: parlavano del lavoro —ovviamente— ma anche di attualità, di politica, di musica, di film e, incredibilmente, anche di libri. Non era mai capitato che ci fosse un momento di silenzio tra di loro che immediatamente uno dei due non colmasse con un argomento nuovo. Ogni volta, il tempo sembrava scappare di mano a entrambi —lei sarebbe dovuta rientrare presto, lo sapevano entrambi— e loro avevano tutta l’intenzione di goderselo tutto.
Pian piano entrambi si erano aperti un po’ di più, toccando argomenti personali: così lui le aveva raccontato della sua infanzia, dei suoi genitori, della sua famiglia così rigida e chiusa. E lei gli aveva raccontato aneddoti su aneddoti dei suoi anni all’università, poi di quelli della gavetta e anche di quelli che precedevano di poco l’arrivo di Calogiuri in procura. Ogni volta, ad ogni cena era come scoprire un nuovo tratto l’uno dell’altro e ogni volta entrambi ne restavano completamente affascinati.
Quando la mattina dopo tornavano in procura, però, nel loro rapporto professionale nulla cambiava. Capitava che in macchina si lasciassero sfuggire tratti di conversazione informali —magari per scegliere il prossimo ristorante— ma niente di irrecuperabile in pochi secondi.
Imma, dal canto suo, in quel modo sembrava aver trovato l’equilibrio perfetto nella sua vita: sembrava essere riuscita ad avere tutto, la botte piena e la moglie ubriaca, il marito e l’uomo di cui, ancora e nonostante tutto era totalmente, completamente, assolutamente e follemente pazza.
“Al cinema stanno dando un bel film” azzardò Calogiuri, interrompendo il flusso dei suoi pensieri “Giovedì prossimo lo fanno ancora".
“Ah.” Imma lo guardò confusa. Nessuno dei due, mai si era azzardato a portare quei loro incontri già così fortuiti fuori da un ristorante, un enoteca o un pub. Dalla prima volta che l’avevano fatto —per puro caso— era stato lei a proporre una seconda volta. E poi era diventato quasi un accordo segreto tra di loro, che sarebbe stato ogni giovedì. Si guardavano e si capivano, perché loro mica avevano bisogno di parole.
Finché ci fosse rimasto un tavolo e un bicchiere di vino a separarli, potevano sempre fare finta di essere due colleghi che dopo una giornata di lavoro si dedicavano un momento di relax. Ma se avessero esteso le loro serate ad altro, cosa sarebbero diventati? Amici? Amici mai, le ricordò Venditti con le note nella sua testa.
“Magari potremmo fare qualcosa di diverso” continuò Calogiuri, arrossendo come un bambino. Aveva rovinato tutto?
“Sì” disse Imma, facendolo sobbalzare “Basta mangiare, che mi devo mettere a dieta, che poi io a Natale prendo minimo tre chili. E poi non vado al cinema da Pomodori verdi fritti.”
“E che cos’è?”
Imma bevve un sorso, ricordandosi che era un film uscito nel 1991.



spero non mi vogliate inseguire coi forconi. alla prossima! 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


grazie come sempre a tutt* coloro che continuano a leggere e doppio grazie a chi mi scrive anche solo due parole, qui o su twitter (velocecalogiuri)! 
Buona lettura!


Quando Pietro le aveva comunicato che avrebbe ricominciato le lezioni di sax, ne approfittò per dimostrargli un po’ di gelosia. Non che la provasse davvero —quella breve conversazione con Cinzia, mesi prima, l’aveva rassicurata quasi del tutto sulle buone intenzioni della donna— piuttosto le serviva come ulteriore prova da dare al marito sul fatto che il loro matrimonio fosse ancora intatto, così come i suoi sentimenti.
“Non è che il tuo rinnovato interesse per il sax ha qualcosa a che fare con la bella mora che vive nello stesso palazzo del tuo dottore?” Gli aveva detto, con tono serio.
“Amò, non ti facevo così gelosa” Pietro le sorrise maliziosamente “Lo sai che sono solo tuo.” Aveva scherzato, dandole un bacio dolce e rapido sulle labbra.
Così, Imma si era preparata per una serata da sola con sua figlia Valentina. Una tranquilla serata tra donne, aveva pensato mentre nella mente tentava di ricordare che nelle fiction italiane le mamme avevano un bellissimo rapporto con le figlie e, quando capitava che passassero del tempo insieme, organizzavano delle serate in cui si guardavano film e si mangiavano schifezze. Voleva essere o no anche lei una mamma delle fiction italiane?
“Valentì” la chiamò, bussando alla porta della sua stanza “Posso?”
“Vieni mà” Valentina era seduta sul letto, china ad allacciarsi le Dr. Martens nere lucide.
“Scusami, dove stai andando?”
“Da Gabriele. Mi ha chiamato che gli serve una mano con fisica.”
“Si, me lo immagino con quale fisica gli serve una mano.”
“Mamma!” Esclamò Valentina, e per poco non si tappò istintivamente le orecchie “Smettila ti prego, lo sai che tra me e Gabriele non c’è niente!”
“Valentì, sono passati due mesi, la vogliamo smettere di far finta che tutti qui abbiamo i paraocchi o no?”
Valentina alzò gli occhi al cielo: “Quando saremo pronti saremo noi a parlarvene.” E se ne andò in fretta e furia, senza dire altro. Addio alla serata tranquilla tra donne, si disse Imma. In tutti quegli anni, mai le era capitato di passare una serata a casa in totale solitudine. Cosa avrebbe dovuto fare? Avrebbe potuto leggere un libro, ce n’erano talmente tanti sul suo comodino che aspettavano solo di essere aperti. Oppure poteva vedere un film e rilassarsi con un bicchiere di vino —si ricordò in quel momento che Valentina sulla loro tv aveva messo un canale nuovo che pare si chiamasse Netflix.
Decise per quell’ultima opzione, quindi si riempì un bicchiere di Merlot e si prese una coperta enorme da stendere sul divano.
Proprio mentre si stava immergendo nel mondo enorme delle piattaforme di streaming, però, le vibrò il telefono.
Forse Pietro, si disse. E invece era Calogiuri, che le aveva mandato un messaggio per comunicarle che c’erano importanti novità sul caso. Aveva iniziato tutto con i suoi soliti preamboli: Dottoressa, mi scusi se la disturbo, lo so che è tardi, ma erano appena le nove e un quarto. Imma non potè far a meno di sorridere per quel comportamento così tipicamente da lui. Poi lesse il resto del messaggio: ho scoperto che la vittima aveva da poco lasciato la casa dei genitori per andare a vivere con due sue amici, con cui sembra che avesse dei problemi. La dottoressa non finì neanche di leggere le ultime due righe —in cui Calogiuri diceva che ne avrebbero parlato domattina in procura— che schiacciò immediatamente l’icona della chiamata.
“Dottoressa?” La sua voce sorpresa la fece sorridere.
“Calogiuri! Ho letto il messaggio, senti…” si morse l’interno della guancia. Non era mai stata così nervosa da quando andava al liceo. “Ma hai impegni questa sera?”
Imma non l’avrebbe mai saputo, ma dall’altra parte del telefono al maresciallo stava per andare uno spaghetto dell’appuntato di traverso.


 

Imma tornò a casa quel giovedì sera con il cuore che le batteva forte. Si sentiva come una ragazzina che stava frequentando finalmente il ragazzo per cui si era presa una cotta. Ma voi non vi state frequentando, Imma disse una voce nella sua testa che somigliava spaventosamente a quella della Moliterni. Le venne da alzare gli occhi al cielo: certo, non si stavano frequentando. Tutto ciò che avevano era la perfetta evoluzione di un rapporto tra colleghi: capitava che i colleghi passassero delle serate insieme a bere, era più che normale —benché l’avesse sempre, in passato, trovata un’usanza inopportuna. 
Ma stavolta Calogiuri aveva proposto qualcosa di diverso, il cinema. Che era più una cosa da frequentazione che da colleghi. Ma infondo anche i colleghi potevano andare al cinema insieme, o no? Imma, hai detto subito di sì, senza pensarci neanche un attimo perché sapevi perfettamente che non è da colleghi. Ed era vero: la parte più grande di lei, quella razionale, quella abituata a dedurre —e ad azzeccare sempre— sapeva che quella sarebbe stata un’evoluzione nel rapporto tra lei e il maresciallo. E quella stessa parte di lei non vedeva l’ora. 
E tuo marito? Di nuovo la voce della Moliterni. Già. Con Pietro le cose in quell’anno erano tornate alla normalità, e con normalità Imma intendeva com’erano prima di quella terribile crisi: niente di più di un matrimonio come un altro, con i suoi alti e bassi e sesso una volta alla settimana —se andava bene. La passione che avevano cercato faticosamente di riaccendere era durata ben poco, con lei che aveva altro per la testa e a lui che sembrava di fare tutto da solo. La verità era che Imma non si era mai sentita viva come durante quei giovedì sera col maresciallo. E quando assaggi l’adrenalina, la tachicardia, l’emozione più forte, tutto il resto assume un sapore talmente insipido da spingerti a fare follie. Voleva sentirsi viva, più che mai.
E poi c’era l’altra parte di lei, quella attaccata all’idea che il matrimonio —la famiglia— andasse preservata ad ogni costo. Nonostante si spacciasse per una donna moderna, doveva ammettere a sé stessa che certi principi sono difficili da scardinare. Ma era un continuo dibattito tra due lati opposti del suo carattere: una continuava a ripeterle che Valentina ormai era grande, era felice, aveva la sua vita, avrebbe capito che mamma e papà non erano più felici. L’altra urlava, esagerando: tu non sei più felice, Pietro ti ama. Guardati quanto sei ridicola: cinquant’anni e appresso a un ragazzino di trenta. Diciamocelo chiaro: se Calogiuri avesse avuto, non dico la tua età, ma almeno dieci anni di più, potevamo anche permettercelo il lusso di rischiare, di mandare all’aria tutto e iniziare una nuova vita. Ma con uno che ti lascerà per andare appresso a una trentenne dopo due mesi? No, Imma, ragiona.
La dottoressa era stanca, stanca dei mille pensieri che si accumulavano nella sua testa. Aveva passato una serata spensierata, bellissima, in cui si era sentita la donna con meno problemi dell’universo. E adesso era tornata in quelle quattro mura che sembravano costringerla a ragionare. Non ne aveva voglia.
Si struccò in fretta e distrattamente, si infilò il pigiama pesante e si infilò sotto le coperte. Spense perfino la luce: non aveva voglia di leggere. Pietro sarebbe arrivato tra una mezz’ora —Imma si premurava di tornare sempre almeno quarantacinque minuti prima di lui, per non destare sospetti. Come una donna con l’amante, oddio di nuovo la Moliterni! Chiuse gli occhi, come a chiudersi in un mondo in cui non c’era nessuno. Solo lei. Con lui“Al cinema fanno un bel film” le aveva detto. Non le importava neanche di che film si trattasse, ma non vedeva l’ora che arrivasse il prossimo giovedì. Voleva stare seduta accanto a lui, trattenere il fiato ogni volta che si sfioravano per sbaglio. E se non fosse per sbaglio, dottoressa? La sua voce fu quella che stavolta si insinuò nella sua testa. E fu così bassa che a Imma sembrò di sentirlo sussurrare direttamente nel suo orecchio. Immaginò loro, seduti al cinema, con nessun altro intorno. Lui che le posava la mano sulla coscia, poi saliva fino ad incontrare la stoffa della gonna e sollevarla, E se ti toccassi così, dottoressa? Avrebbe detto arrivando alla parte in cui lo desiderava di più. Imma non riuscì a trattenere un gemito. Ciò che stava immaginando le faceva aver bisogno di liberare la tensione tra le sue gambe. Istintivamente prese il cuscino e…
“Amò!” Esclamò Pietro accendendo la luce.
“Oddio!” Gridò lei, chiaramente colta di sorpresa. Si tirò su seduta: era completamente rossa in volto.
“Ma che stavi facendo?”
“No, niente stavo…” si portò nervosamente un ricciolo rosso dietro l’orecchio “Ti aspettavo.”
“E’ così che aspetti tuo marito?” Le sorrise maliziosamente, sfilandosi la giacca.
“Sì, no, guarda veramente non stavo facendo niente! Sembra, ma in realtà stavo cercando la posizione per prendere sonno.” Farfugliò “E tu? Com’è andata la lezione?” si sbrigò a chiedere, ansiosa di cambiare argomento. Fortunatamente Pietro abboccò: 
“Benissimo. Lo sai che ogni volta mi diverto tanto. Mi dispiace solo che la prossima settimana salta…”
A Imma per poco non venne un colpo: “Come salta?”
“Eh sì, pare che Cinzia si sia fidanzata” disse Pietro, senza riuscire a nascondere una punta di amarezza “E giovedì prossimo parte con lui. Si fanno un week-end lungo, così si dice.”
“Come parte con lui?” Si rese conto di aver assunto una faccia sconvolta solo quando Pietro glielo fece notare: “Vabbè amò, non è che succede niente se non vado per un giovedì. Lo sai no, suonare il sax è come andare in bicicletta. E poi mi eserciterò tutti i giorni a casa.”
Per la prima volta e, contro ogni suo principio, il sostituto procuratore Immacolata Tataranni desiderò di avere in casa una pistola.



...spero non lo desideriate anche voi. Alla prossima!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


grazie a tutti coloro che hanno letto fin qui, e un grazie doppio a chi ha commentato (qui e su twitter: velocecalogiuri)! Buona lettura! 
 

Non appena aveva riattaccato col maresciallo, il sostituto procuratore Immacolata Tataranni, lo Sceriffo di Matera, corse in bagno a prepararsi come una ragazzina del liceo al suo primo appuntamento. Come prima cosa liberò quei ricci meravigliosi dal mollettone che ormai aveva perso il suo colore originario e si era macchiato ovunque di tinta rossa. Li aveva sciolti un po’ con le dita, cercando di non rovinarli perché in fondo in fondo a lei quei ricci piacevano. Si truccò gli occhi con quel poco che utilizzava ogni giorno, perché non voleva in nessun modo che il maresciallo pensasse che era pazza di lui e che si stava comportando come un’adolescente —cosa effettivamente vera. Esagerò solo un po’ con il mascara, e si convinse che non c’era niente di male a voler fare lo sguardo da cerbiatta ogni tanto.
Quando arrivò il momento di cambiare gli abiti si fermò per un secondo: avrebbe dovuto indossare l’intimo coordinato? Ma sei scema, stai uscendo per una birra non è che te lo devi portare a letto! Non essere ridicola, Imma! Le urlò una voce nella testa. Ma se poi… No! Niente intimo coordinato. Anche perché se poi, per puro caso, non volesse mai il cielo, i due dovessero finire a pomiciare nell’auto di lui —visto che siamo in tema di adolescenti— lei avrebbe avuto una scusa in più per fermarsi: il fatto che indossasse i mutandoni comodi per dormire, perfetti per il ciclo, e di un sinistro color carne.
Ma sì, si disse, tanto quella sera non sarebbe successo niente. Eppure il cuore le batteva all’impazzata mentre si infilava un vestito di maglia rigorosamente leopardato e con un pizzico di scollatura —anche se fuori faceva freddo e se non si abbottonava la gola, come diceva sua madre, poteva pure scordarsi di gridare in giro per la procura il giorno dopo. Scelse un paio di stivali neri al ginocchio, che contrastavano con il nero velato delle calze, e poi un cappotto che non c’entrava assolutamente niente col resto della mise.
Calogiuri le aveva detto che sarebbe arrivato sotto casa sua in dieci minuti e lei ce ne aveva messi quattro a prepararsi. Adesso avrebbe dovuto sedersi e aspettare per sei minuti e forse anche di più se il maresciallo non si fosse dato una mossa. Odiava aspettare: il cuore le si gonfiava di aspettative che puntualmente non venivano mai soddisfatte e lei si sentiva così frustrata che forse era meglio non uscire proprio. Ma come sarebbe stato con Calogiuri? Il suo cervello si sforzava di ricordarle che quello non era un appuntamento, ma solo un modo come un altro per discutere del caso, trovandosi entrambi liberi quella sera. E poi quel caso richiedeva una certa urgenza, si trattava pur sempre di un ragazzo di vent’anni, era più che naturale per loro volerne discutere anche fuori dal lavoro, no? Forse sarebbero stati fuori meno di mezz’ora, il tempo di una birra e di un briefing —come chiamavano nei telefilm americani l’“aggiornarsi brevemente su un caso della polizia". Poi inevitabilmente, sarebbe sorto quel solito imbarazzo tra loro: Calogiuri non avrebbe saputo cosa dire a causa della loro differenza di ruolo e forse anche di età, e lei conseguentemente si sarebbe chiusa. Ecco a cosa doveva pensare. Basta fantasticare.
Invece, per tutta la sera Calogiuri non smise mai di parlare. Certo, quando era venuto a prenderla e per tutto il tragitto fino al bar era in ansia e in imbarazzo come se avesse dovuto sostenere un esame all’università, poi parcheggiò la macchina a pochi passi dal bar che avevano scelto. “Dottoressa ma vi va se prendo le birre e ce ne andiamo da un’altra parte?” Le disse, lanciando un’occhiata nel locale.
“Non ti piace?” Rispose Imma seguendo il suo sguardo all’interno, “Eppure l’hai suggerito tu!”
“No è che dentro c’è troppa confusione. Poi sapete a quest’ora non è che si può parlare tranquillamente.”
Imma sorrise alla sua immensa dolcezza, che traspariva in ogni parola e gesto del maresciallo: “Va bene, Calogiuri”
E così aveva fatto: aveva preso le birre ed era tornato in macchina, porgendogliene una ghiacciata. Da quel momento in poi, qualcosa era cambiato in lui, ed Imma lo aveva capito dallo sguardo e dal sorriso che le aveva rivolto entrando nell’abitacolo: dolce come suo solito, ma più disinvolto.
“Allora, dove andiamo?”
“In un posto bellissimo.”
E guidò fino ad arrivare ad un muretto che apriva una splendida vista su tutta Matera. Scesa dall’auto, Imma non poté far a meno di sorridere.
“Lo so che voi Matera la conoscete a memoria, dottoressa, ma a me quest’angolo qui mi fa sempre effetto.”
A Imma il cuore non voleva smettere di battere così forte. Due birre e un muretto: erano davvero due adolescenti, ora.
“E’ sempre bello” si lasciò sfuggire Imma “Questo angolo, intendo.”
“Certo” rise lui, e stappò le birre. “Però veramente sembra un presepe.” Disse. Era ancora in procinto di sciogliersi, Imma lo aveva capito e lo aiutò: “Madonna, Calogiuri, e non ti ci mettere pure tu! Con sti luoghi comuni!” Esclamò, fingendo di essere scocciata.
Fortunatamente, lui rise: “Ma è vero!”
“Sì, un presepe, come no. Ci mancano solo il bue e l’asinello.”
Risero entrambi e lei arrossì dolcemente. Era raro che qualcuno ridesse così di cuore per una sua battuta, specialmente perché di solito erano taglienti come rasoi.
“Per me è la città più bella.” Disse Calogiuri, serio. Imma per poco non tossì strozzata dalla birra. Dio mio, se ricordava quelle parole.
“Beh…” disse, stavolta anche lei incerta “Anche Roma non è che scherza eh!”
“Dottoressa, Roma sarà pure la città più bella del mondo” bevve un sorso di birra. Imma invece deglutì la saliva, che stranamente e per chissà quale motivo le aveva formato un groppo in gola. “Ma Matera è tutta un’altra cosa.” Glielo disse. Finalmente. La guardò negli occhi. Ma non la baciò, non la tirò a sedere sul muretto per spingere il suo corpo contro quello di lei, come succedeva nei sogni di Imma. Piuttosto le lanciò uno sguardo, e con quello sguardo sigillò la loro complicità.

 

Quando Pietro le aveva comunicato che per quella settimana la sua lezione di sax sarebbe saltata, il cervello di Imma continuava a processare una sola informazione: addio al cinema con Calogiuri. E con esso, addio a tutte le fantasie su di lui che le metteva le mani sotto la gonna tra le poltrone. Forse c’era stato per davvero un momento in cui ci aveva sperato seriamente in quello scenario, ma la verità era che si sarebbe accontentata anche di vedere effettivamente il film e rimanergli accanto per due ore piuttosto che non vederlo proprio. Quegli appuntamenti settimanali erano diventati la sua droga, il suo posto dal quale attingere felicità per andare avanti la settimana dopo, aspettando solo il momento in cui sarebbero stati di nuovo insieme da soli. 
Imma passò la notte a girarsi e rigirarsi nel letto, con Pietro accanto che già russava da almeno due ore. Non succede niente se per una settimana salta, cercava di convincersi un rapporto non si rovina per un’uscita mancata. Ma lei quell’uscita voleva farla, ne aveva bisogno. Pensò che avrebbe potuto scegliere un altro giorno, ma come avrebbe giustificato la sua uscita a Pietro? Per la prima volta in vita sua si maledisse per non avere uno di quegli hobby stupidi che però ti tornano molto utili se vuoi coprire una tresca clandestina. Ma quale tresca clandestina? E’ un collega, Imma! Un collega giovane. E va bene, non era una tresca. Era un collega. E allora perché il pensiero di non vederlo per una sera la tormentava così?
Istintivamente, prese il telefono e si alzò dal letto, cercando in tutti i modi di non fare rumore. Valentina era da Gabriele, Pietro era in catalessi: era sola. Guardò l’orario e si accorse che erano passate le due. Mai nella vita avrebbe potuto chiamare qualcuno alle due del mattino, neppure Calogiuri.
Quindi aprì la sua chat, e digitò la prima cosa che le venne in mente: “Prossima settimana salta” e accompagnò il tutto con delle faccine arrabbiate. Lei che usava le faccine era il colmo, ma era davvero incazzata da morire.
Aspettò un po’, come se magicamente potesse comparire una risposta del maresciallo: magari anche lui, come lei, non riusciva a dormire. Magari anche lui, come lei, stava pensando alla prossima settimana. E magari lui, come lei non poteva più fare, vi stava fantasticando.
Invece no: come prevedibile, Calogiuri lesse il messaggio solo il mattino dopo intorno alle sei e un quarto, quando Imma si alzò dal letto con due occhiaie simili a quelle dei panda. Notò che il messaggio era stato visualizzato, ma ora Calogiuri risultava offline, quindi non aveva e non avrebbe risposto. 
Si sistemò per andare in procura e quando lo sentì entrare, col solito caffè in mano destinato a lei, si rizzò sulla sedia. Era agitata.
“Calogiuri!” Esclamò, come suo solito, abbozzando un sorriso.
“Dottoressa,” lui non ricambiò il sorriso, le poggiò il bicchiere di plastica fumante sulla scrivania e fece un passo indietro.
“Hai ricevuto il messaggio?” Domanda retorica.
“Sì” risposta scontata. “E vi chiedo scusa. Mi dispiace davvero che vi abbia tenuto sveglia a pensare alla mia richiesta. Mi sono reso conto che è stata inopportuna. Insomma, che idea il cinema…”
“Ma no, Calogiuri, non è per quello, credimi!” Si affrettò a replicare “E’ che Pietro salta la sua lezione di sax, quindi non posso… cioè…” arrossì di colpo. Vide il maresciallo abbassare lo sguardo e si vergognò da morire.
“Certo.” Sussurrò “No, ma vi capisco. Io… ci ho pensato tanto, dottoressa. Non ci ho dormito. Menomale che il vostro messaggio l’ho letto stamattina se no avrei rischiato di rispondervi e magari svegliarvi.” Dovevi farlo, Calogiuri, io non aspettavo altro. Avremmo potuto parlare tutta la notte, avrei potuto dirti che…“Forse è meglio se… insomma, mi rendo conto che un appuntamento fisso a settimana è un po’… strano. Io… non voglio che…” si interrompeva dopo quasi ogni parola, sentiva la voce che gli cominciava a tremare e voleva evitare ad ogni costo di fargliela sentire. “Non voglio crearvi problemi, dottoressa.” Riuscì a dire “Non voglio crearvi ancora problemi. Specialmente con vostro marito. E’ per questo che ho voluto ricominciare daccapo un anno e mezzo fa. E ho paura che se continuiamo così io potrei…” si azzittì di colpo. No, quello era troppo. “Potrei tornare indietro” disse semplicemente.
Imma si sentiva mancare la terra sotto i piedi. Riusciva solo a pensare a due lettere, una sola sillaba: No. Non voleva, non stavolta, non adesso, anzi per la verità mai più: “Hai ragione.” Disse in fretta “Beviamoci un’ultima birra sul muretto che affaccia su Matera. Come la prima volta, stasera subito dopo il lavoro.” Che cazzo stai dicendo Imma, fermati. Ma nella sua testa continuava a ripetersi solo no, no, no.
“Perché?” Le domandò. Il viso di Calogiuri non era mai stato così confuso.
“Perché dobbiamo parlare. Di tutto. Una volta per tutte.”

zan zan zan! alla prossima!

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Piccolo disclaimer: in questo capitolo non ci saranno flashback, ma torneranno!
Come sempre grazie a chi ha letto e doppiamente grazie a chi ha commentato, qui e su twitter (velocecalogiuri). Buona lettura!



Imma aveva contato ogni ora che la separava dalla fine di quella giornata lavorativa. Per la prima volta in vita sua le era pesato il tempo che trascorreva al lavoro. Ogni mezz’ora chiedeva a sé stessa se fosse ancora sicura di ciò che stava per fare ed ogni mezz’ora si rispondeva di sì. Sapeva che era un sì sempre meno convinto e aveva quasi il terrore che man mano che il tempo passava potesse diventare un ni, e poi un no. Per questo quel maledetto tempo doveva sbrigarsi a passare. Addirittura Diana fece caso al modo in cui guardava continuamente l’orologio —senza contare che non aveva mai smesso di muovere il piede sotto la scrivania: “Ma che hai un appuntamento?” Le aveva chiesto. “No, macché appuntamento! E’ che c’ho da ritirare una coperta in tintoria e quelli alle sette chiudono”. Fortunatamente per lei, Diana non fece altre domande.
Poi aveva fatto quella telefonata: “Pietro, guarda che stasera torno tardi. Mi trattengo in procura a controllare dei documenti.” Cercò di trovare ogni briciolo di forza che aveva per mentire, mentre quella maledetta voce nella sua testa le urlava che quella sarebbe stata solo la prima di un’interminabile serie di bugie.
Infine, arrivò quel messaggio che stava aspettando da tutto il giorno: “Sono qui fuori in macchina” le aveva scritto semplicemente Calogiuri. Il cuore prese a batterle come —era sicura— non aveva mai fatto prima. D’istinto si passò una mano tra i ricci e cercò di sistemarli alla bell’e meglio, poi si stiracchiò la gonna. Era tutto ciò che poteva fare per rendersi presentabile dopo quell’interminabile giornata.
Nessuno dei due disse una parola mentre Calogiuri guidava verso il muretto. Imma notò soltanto che aveva già preso due birre ghiacciate, ma qualcosa le suggeriva che non le avrebbero toccate.
Per tutto il viaggio lei guardò fuori dal finestrino, cercando di immaginarsi come sarebbe potuto andare il discorso. Sapeva per esperienza che una cosa programmata non va mai come da programma, quindi evitò quanto più possibile di crearsi delle aspettative. Lanciò uno sguardo al maresciallo, ma lui sembrava completamente assorto nei suoi pensieri mentre guardava fisso di fronte a sé, impenetrabile.

Quando finalmente arrivarono, quel muretto sembrò non appartenere non solo a Matera, ma neppure all’Italia: sembrava avessero trascorso ore in quella macchina in silenzio. Un silenzio che sembrava voler continuare anche ora che erano uno di fianco all’altro, le birre aperte ma intatte davanti a loro. Il sole era tramontato da un po’: gli inizi di dicembre, con le sue giornate troppo brevi erano qualcosa che le aveva sempre messo molta tristezza. A questo pensava Imma mentre si lasciò andare: “Uno dei ragazzi con cui viveva la vittima sembra che sia fuggito a Firenze, dai suoi genitori.” La sua voce era appena udibile. Vide Calogiuri finalmente voltarsi verso di lei, confuso. “Non credo che sia responsabile diretto dell’omicidio, ma credo che sappia molto più di quel che dice”.
“Lo convoco in procura.” Disse prontamente il maresciallo.
“No” disse lei in un sussurro “Andiamo noi da lui.” Ok, ce l’hai fatta, l’hai detto. Non si torna più indietro.
“Volete mandarlo a prendere, dottoressa?”
“No” si voltò finalmente verso di lui e gli fece un sorriso timido “voglio che tu venga con me a Firenze per interrogarlo in modo informale. Partiamo lunedì.”
Calogiuri si sentì tremare lo stomaco, mentre la guardava incredulo: “Firenze non è proprio dietro l’angolo, dottoressa” sorrise anche lui, un po’ nervosamente.
“Infatti conto di restare una notte lì. Va bene per te?”
“Certo.” Il maresciallo si sforzò di mantenere un tono professionale, ma non poteva evitare di lasciar trasparire una certa confusione: “Mi avete chiesto di vederci qui per chiedermi di fare con voi un viaggio di lavoro?” chiese infatti, sorpreso dalla sua stessa determinazione.
“Ti ho chiesto di vederci qui perché sei innamorato di me.” Disse Imma tutto d’un fiato. Ormai aveva intrapreso una strada senza uscita —o meglio, con l’uscita illuminata da luci al neon colorate come a Las Vegas, che le promettevano una giostra di emozioni su cui non vedeva l’ora di salire. Ormai aveva deciso. Non si torna indietro.
“Come?” Quel sussurro di Calogiuri, talmente basso, fu portato via dal vento e Imma neppure lo sentì.
“Ho sentito tutto la sera delle foto. Non stavo sognando Calogiuri, non stavo nemmeno dormendo. Hai detto ‘dottoressa, io credo di essermi innamorato di te’.” 
Calogiuri continuò a fissare la sua bottiglia di birra, mantenendo lo sguardo basso come un bambino colto in fallo: “Mi dispiace. Quella sera ho sbagliato ogni cosa. Ho rovinato tutto. Mi dispiace tanto, mi dovete credere.”
“Ti dispiace di aver detto la verità?”
“Mi dispiace che voi l’abbiate sentita. Doveva restare… neanche un segreto, perché voi lo sapete da sempre. Lo capite da come vi guardo che…”
“Che?” Imma fece un passo verso di lui. Si sentiva di una spavalderia tipica di lei solo quando era davanti a un giudice e a un altro paio di avvocati. Calogiuri la sentiva vicina. Poteva quasi sentire il suo respiro addosso, che contrastava con l’aria gelida di dicembre: “Perché me lo dovete fare dire, dottoressa? Mi sono sforzato così tanto di cancellare tutto, di ricominciare daccapo con tutto.”
“E ci sei riuscito?”
Calogiuri abbassò di nuovo lo sguardo, ma Imma era ormai talmente vicina che si ritrovò a guardarla negli occhi. Quindi rinunciò ad ogni remore: “Non ci riuscirò mai.” Con una delicatezza ancora maggiore di quanto Imma si sarebbe mai immaginata, il maresciallo portò la mano verso il suo viso. Non era incerto nei movimenti, piuttosto era come se le sue dita le chiedessero il permesso prima di sfiorarla appena.
Imma chiuse gli occhi e assaporò ogni secondo di quel tocco: “Bene,” sussurrò, riaprendo gli occhi e mischiandoli coi suoi, azzurri come nessun altro, “Perché anche io credo di essermi innamorata di te, Calogiuri.”
Lo aveva fatto. Lo aveva detto. Niente da quel momento in poi sarebbe stato più lo stesso. Aveva inevitabilmente appena cambiato la sua vita con dieci semplici parole. E con la sua aveva cambiato quella di Calogiuri, quella di Pietro, quella di Valentina. Ma per quel momento, solo per quel momento c’erano soltanto loro due.
Calogiuri credette di stare sognando, ma come se lei gli avesse letto nel pensiero, gli portò una mano sul viso e glielo accarezzò nello stesso modo in cui lui aveva fatto prima. La guardò ancora per un istante e se non avesse avvicinato il suo volto a quello di lei Imma avrebbe potuto vedere una lacrima che era riuscita a scappare al suo controllo. La baciò, ma il bacio che le diede fu puro. La strinse forte a sè e finalmente si diede il permesso di infilare le dita tra i suoi riccioli rossi che amava tanto. Si strinsero così forte che continuarono a restare stretti anche quando le loro labbra si furono staccate. Occhi negli occhi, si dicevano quello che a parole era ancora troppo presto per dire.
“Dottoressa…” si corresse subito: “Imma…”
E così, per la prima volta, Calogiuri pronunciò il suo nome: la dottoressa Tataranni lo aveva schifato dal primo giorno in cui era entrata a scuola, all'asilo. Era stata fonte di derisione, di imbarazzo, soprattutto al liceo quando le battute si sprecavano. Eppure in quel momento, pronunciato dalle labbra del maresciallo —di cui aveva ancora il sapore sulle sue— le sembrava il nome più bello del mondo. Non ne avrebbe mai più desiderato un altro.
“Ripetilo ancora.” Gli sorrise.
Calogiuri ricambiò il sorriso: “Imma” le sussurrò prima di baciarla di nuovo, questa volta spingendola con dolcezza contro il loro muretto. “Imma” disse di nuovo mentre la sentiva chiudergli le gambe attorno alla vita, mentre le mani di lei gli spettinavano i capelli nel disperato tentativo di avvicinarlo ancora di più a sé. Il bacio questa volta non aveva niente di puro: era intriso di desiderio, un desiderio che bruciava dentro a entrambi da troppo tempo e che finalmente era stato lasciato libero per qualche secondo.
Improvvisamente, come un segno divino che ricordava a entrambi che quello era un luogo pubblico, sentirono un suono di vetro che precipitava, andando a schiantarsi sui sassi sotto di loro. Era la birra di Imma, caduta dall’altra parte del muretto a causa del suo corpo spinto da quello del maresciallo nel tentativo —bloccato appena in tempo— di accarezzarle le gambe. Si staccarono per ridere come due ragazzini:
“Vabbè, vorrà dire che mi berrò la tua” disse Imma, mentre Calogiuri soffocava un sorriso tra i suoi ricci, prima di baciarla sopra l’orecchio:
“Ma ditemi la verità… questo è un sogno? Se domani mi sveglio sono ancora nel letto dell’ospedale?”
“No Calogiuri. Se domani ti svegli prenoti i biglietti per Firenze. E una camera da letto.” Imma arrossì leggermente.
Calogiuri si fece improvvisamente serio. Si staccò leggermente per guardarla negli occhi e accarezzarle le labbra: “Sei sicura?” Le sussurrò dolcemente. Il cambio improvviso dal voi al tu la fece sorridere istintivamente. “Non devi forzarti se non ti senti pronta. Io posso aspettare.”
“Ancora?! Ma che vuoi aspettare, Calogiù?!” Si finse scocciata, come suo solito, scendendo improvvisamente dal muretto “Vabbè, mo’ andiamo che devo ritirare la coperta in tintoria, che quelli chiudono alle sette.” Prese la birra di lui e bevve un sorso prima di mollargliela in mano. “Andiamo Calogiuri, veloce!”


bene bene bene... alla prossima!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Salve a tutt* e bentornat*! chiedo scusa per la lunga attesa, ma dicembre è sempre un periodo pieno. Questo sarà un capitolo transitorio, che precederà quello -credo- più atteso che, per farmi perdonare, arriverà domani sera. Ho voluto cercare di rendere nel modo più realistico possibile ciò che passa nella testa di Imma, cosa l'ha portata a prendere la decisione che nella fiction non è (ancora) riuscita a prendere. 
Grazie a coloro che hanno letto fin qui e doppio grazie a chi ha lasciato un commento, qui e su twitter (velocecalogiuri). Buona lettura!




Aveva immaginato il peso dei sensi di colpa che si sarebbe portata dietro da quando aveva conosciuto Calogiuri, da quando aveva fatto il primo pensiero non così tanto professionale su di lui, da quando aveva desiderato di baciarlo e soprattutto da quando lo aveva fatto, alla festa della Bruna. Se lo era immaginato come un’incudine dritta sullo stomaco, che le avrebbe causato una gastrite peggiore di quella che aveva dopo ogni cena da sua suocera. Un dolore che sarebbe cresciuto esponenzialmente nel momento in cui avrebbe visto Pietro, nel momento in cui avrebbe dovuto fingere che tutto andasse bene.
Eppure, contrariamente ad ogni aspettativa, il sostituto procuratore Tataranni dopo il misfatto si sentiva così felice che avrebbe potuto toccare il cielo con un dito. Si sentiva vibrare ogni parte del corpo al pensiero di quello che aveva fatto e che aveva in programma di fare. Attribuì la causa dell’assenza di rimorso al fatto che aveva avuto anni per pensarci: per due anni aveva avuto paura di sbagliare, di uscire dai binari della brava donna, madre e moglie per percorrere la strada del peccato, dello scandalo, della condanna. Aveva avuto anni per pensare ai pro e ai contro, aveva passato notti insonni ad immaginare il modo in cui si sarebbe sentita giudicata: non dagli altri, ma dal suo stesso buonsenso —il che era la cosa peggiore che potesse capitarle. Poi aveva deciso: era successo all’improvviso, quando aveva capito che per l’ennesima volta avrebbe potuto perdere Calogiuri. Quel pensiero e solo quello fu abbastanza per mandare all’aria qualsiasi ragionamento razionale: aveva una carriera meravigliosa, una famiglia splendida ma se fosse morta quel giorno avrebbe avuto il rimpianto più grande di non aver veramente vissuto come lei voleva, ma come gli altri si aspettavano che facesse. Pensò che se quel giorno Dio l’avesse chiamata al suo cospetto le avrebbe sicuramente aperto le porte del paradiso: mai un errore, mai una scivolata fuori dalla legalità alla quale era tanto affezionata. Ma che senso aveva trascorrere una vita terrena privandosi della felicità per arrivare a un’ipotetica e poco probabile felicità post-mortem? Chissà, forse all’inferno si divertivano di più. E poi su quel muretto ne aveva avuto la conferma: il paradiso era la bocca del maresciallo.
No. La dottoressa Tataranni saliva le scale di casa sua come un’adolescente che rientrava dopo il suo primo bacio. Leggera come una piuma. Niente incudini sullo stomaco. Anzi, aveva pure fame.
Salutò Pietro porgendogli come al solito la guancia, dove lui posò un bacio leggero. Poi le disse che le aveva tenuto in caldo la cena.
“Sei stanca?” Le chiese.
“No” ed era vero. Imma arrotolò gli spaghetti intorno alla forchetta con foga, mentre Pietro si sedeva accanto a lei.
“Bene.” La voce di Pietro era calma e rassicurante come al solito “Allora mi sembra un buon momento per dirti che oggi ho chiamato il mio dottore. Rientro in terapia.”
Imma lo guardò e si fece improvvisamente seria. Possibile che tutto si stesse incastrando così perfettamente? Lei aveva ufficialmente un amante e lui stava avendo di nuovo dubbi sul loro matrimonio?
“Come mai hai preso questa decisione?”
Pietro fece una pausa e lei capì che stava scegliendo con cura le parole da dire per non ferirla: 
“Imma… non facciamo l’amore da mesi, ci scambiamo a malapena due parole sulla nostra giornata. Il massimo che riusciamo ad avere in comune è Valentina.”
“Benvenuto nel matrimonio.” Disse Imma acidamente, infilandosi in bocca un’altra forchettata di spaghetti. Pietro annuì: “Io non credo che dovrebbe essere così, però.”
Imma mollò ufficialmente la forchetta e prese la mano del marito: “Pietro, io lo so che sia tu che io siamo cresciuti con l’esempio dei nostri genitori. Il matrimonio quello che dura veramente finché morte non ci separi.” Fece una pausa, poi lo guardò “Noi abbiamo avuto solo l’un l’altra. Da tutta una vita, capisci? E’ normale provare… quello che provi tu.” fissò il piatto, incapace di guardarlo negli occhi. Parli per lui o per te? "E' normale avere dei dubbi" continuò, ignorando la fastidiosa e ormai onnipresente voce della Moliterni.
“Anche i nostri genitori hanno avuto solo l’un l’altra. E hanno trovato l’incastro perfetto.”
“Non era l’incastro perfetto, Pietro. Era la volontà di mantenere la faccia davanti a Matera che li ha spinti a stare insieme.”
Pietro tolse la mano da sotto quella di Imma e se la portò sulle ginocchia. Imma sapeva bene che la parte infantile di Pietro lo aveva portato ad idealizzare i suoi genitori come coppia perfetta, e odiava quando qualcuno gli sbatteva in faccia la realtà. O meglio, una realtà infiocchettata per bene visto che Imma avrebbe benissimo potuto dire altro, come “tuo padre è un povero succube di quella megera di tua madre”.
“Noi però eravamo l’incastro perfetto.” Sussurrò Pietro amaramente. Le riprese la mano: “Io voglio essere felice, Imma. Davvero felice. Non me ne frega niente di mantenere la faccia davanti a Matera, io voglio non vedere l’ora di tornare a casa da mia moglie.”
Imma si sentì un groppo in gola. Stava succedendo: la stava lasciando. Non avrebbe mai dovuto sperimentare quei sensi di colpa, perché Pietro la stava lasciando. Sentì un mix di emozioni: sollievo, disperazione, tristezza, rabbia. Non capiva il perché di nessuna di queste, ma le sentiva così forti che iniziò a farle male la pancia.
“Ricominciamo daccapo, Imma. Vieni in terapia con me. Riscopriamo quello che ci ha fatto innamorare.” Glielo chiese con gli occhi lucidi. Imma sentì il desiderio di urlare verso il soffitto. Qualcosa come: “ma che è uno scherzo? Che hanno questi con l’idea di ricominciare tutto daccapo?”
E ti pareva che poteva andarle bene qualcosa. Infondo ora neanche poteva pregare, perché incarnava letteralmente il peccato.
“Pietro io…” sussurrò, ancora incapace di guardarlo.
“Ti prego, Imma. Un ultimo tentativo. Se anche questo dovesse fallire… parleremo con Valentina, e ognuno andrà per la sua strada.” La voce gli si spezzava ad ogni parola e Imma non potè far a meno di sentirsi stringere il cuore.
Sarebbe stata una presa in giro bell’e buona, ma glielo disse: “Va bene.”
Non si dissero più una parola, perché Pietro andò a sedersi davanti al computer per il resto della serata, mentre Imma decise di andare a letto. Lì, sotto le coperte, si rese conto che andare in terapia con Pietro in realtà non sarebbe stato del tutto inutile: insieme avrebbero capito che il loro matrimonio era giunto al termine, la consapevolezza sarebbe arrivata a Pietro in modo graduale e anche lei avrebbe avuto il tempo necessario per far pace con quell’idea. Il pensiero che un giorno avrebbe divorziato non le aveva mai sfiorato la mente, semplicemente perché il matrimonio —e la maternità— le sembrava uno step obbligatorio, qualcosa che avrebbe dovuto fare in quanto donna, come se esistesse un manuale da seguire alla lettera. Laurea, carriera, matrimonio, figli, famiglia. Tutto era circoscritto a quegli obiettivi e una volta raggiunti sarebbero rimasti lì, immobili: la vita avrebbe continuato a scorrere con giornate tutto sommato simili tra loro, con l’unico vero brivido causato unicamente dal lavoro che amava più di ogni altra cosa. L’amore non era mai stato importante. Le sembrava una favola molto utile per chi non aveva altro a cui pensare: quando aveva conosciuto Pietro le era sembrato un bravo ragazzo. La faceva ridere, cosa che non riusciva praticamente a nessuno. E poi la sua dolcezza, quei modi così pacati e delicati che le fecero intuire fin da subito che mai le avrebbe fatto del male. Un uomo che avrebbe visto al suo fianco con una famiglia. Si convinse che l’amore doveva essere quello: trovare una brava persona con cui dividere la vita. Così si sposarono giovanissimi, subito dopo la sua laurea —ovviamente con lode— in giurisprudenza. Valentina arrivò l’anno dopo, insieme al suo primo contratto a tempo indeterminato. Gli step li aveva raggiunti tutti, e aveva solo ventisette anni. Mentre il tempo passava, Imma non poteva che reputarsi felice, soddisfatta, completa, appagata. Le giornate scorrevano tutte uguali, così come le aveva immaginate.
Poi arrivò
lui. Tutti i cliché sulle donne di mezza età col toy boy si erano improvvisamente materializzati davanti a lei sotto forma di un timido ragazzo di provincia. Una fantasia lontana, un sogno erotico da romanzi rosa di quelli che le casalinghe annoiate leggono mentre si cuoce il sugo —e tale doveva rimanere. Poi il bacio, le foto, la finta gravidanza, l’incidente. E poi l’anno trascorso a riempire i giovedì sera di chiacchiere su qualsiasi argomento. Le farfalle nello stomaco, le gambe che le tremavano sotto la scrivania, il suo cercare di essere bella a tutti i costi aggiustandosi continuamente trucco e parrucco, il suo nervosismo ogni volta che le si avvicinava. Quello era l’innamoramento, quello che avrebbe dovuto provare a vent’anni.
Prima e dopo Calogiuri. Così si poteva riassumere la sua vita.
Le vibrò il telefono, distogliendola da quei pensieri: era una mail. Il suo biglietto per Firenze era arrivato. La dottoressa Tataranni stava per chiudere il manuale della perfetta donna lucana e correre incontro alla felicità.

a domani! 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


e finalmente siamo giunti al momento che la Rai continua a negarci. Non servono altre parole. Buona lettura!

Arrivarono in aeroporto separatamente, perché farsi venire a prendere da Calogiuri sotto casa, visti i precedenti, non era esattamente un’idea eccellente. A maggior ragione in vista del fatto che aveva detto a Pietro che avrebbe passato due giorni di permesso lavorativo a Firenze. Gli disse però che ad accompagnarla sarebbe stata la Bartolini, e quella fu la vera prima grande bugia che Imma gli disse per coprire la sua ormai constatata relazione extraconiugale. 
Imma arrivò con un taxi e vide Calogiuri dal finestrino ancor prima di scendere. Era bello. Troppo bello, avrebbe detto lei. Indossava un cappotto grigio scuro che lasciava intravedere il collo alto del maglione nero sotto: gli faceva risaltare gli occhi rendendoli simili a due fari. Quando incontrarono quelli di Imma, il taxi si stava fermando. Si sorrisero come solo due complici come loro avrebbero potuto fare.
“Dottoressa.” La salutò con un sorriso malizioso e timido allo stesso tempo, mentre l’aiutava con la valigia.
“Buongiorno, Calogiuri.” Si ritrovò a sorridere a trentadue denti. “Com’è andato il fine settimana?”
“Lungo, interminabile.”
“Ah.” Imma prese la sua borsa sotto braccio. “E come mai? Aspettavi qualcosa in particolare?”
“E’ che ho una voglia matta…” le si avvicinò pericolosamente, facendo scomparire il sorriso di chi sapeva di saper provocare meglio che aveva Imma “di vedere Firenze.” Le sussurrò vicino all’orecchio. Imma sentì le ginocchia tremarle, pensando per un secondo che avrebbe sentito le labbra del maresciallo sul collo di lì a poco. Invece sentì la borsa scivolarle via dalla spalla, “questa la prendo io, dottoressa.” Le sorrise, vittorioso. Imma pensò tra sé e sé che l’attesa fino a sera l’avrebbe logorata.
Quando salirono sull’aereo, tuttavia, cominciò ad avere i primi accenni di nervosismo. Calogiuri la aiutò a sistemare le valigie sopra le loro teste, poi la fece passare così che potesse sedersi al lato finestrino —posto che aveva scelto sapendo che le piaceva. Al decollo, Imma si guardò intorno: il terzo posto affianco a loro era vuoto e l’aereo aveva diversi posti liberi. Avevano appena letteralmente spiccato il volo da Matera. Guardò Calogiuri sistemare il bagaglio a mano sotto la poltrona e sorrise: in quel loro personalissimo mondo, per sole ventiquattro ore, non erano colleghi, lei non era il suo capo, e non era neanche sposata. Erano semplicemente Imma e Calogiuri. Aveva avuto un intero fine settimana per immaginare come sarebbero passati quei due giorni, e aveva fantasticato sul fatto che lui non le avrebbe resistito già una volta saliti sull’aereo. Invece, con grande delusione, lo vide tirare fuori il dossier sul caso e iniziare a leggere gli appunti a mente.
“Pensate davvero che questo Martini sappia più di quello che dice?” Disse poi, con il solito tono da procura, alzando gli occhi verso di lei.
Imma lo guardò accigliata, poi rispose: “Se siamo fortunati ce lo dirà lui.” Tagliò corto “Perché mi dai del lei?” Chiese seria.
“Perché, se non ho capito male, questo è un viaggio di lavoro.” Le sorrise, ma lei era nervosa:
“Ci hai ripensato, Calogiuri?” In quel momento si rese conto che anche lui aveva avuto due giorni per pensare. Forse aveva anche immaginato il momento in cui l’avrebbe vista nuda, e forse il pensiero lo aveva fatto rabbrividire al punto di immaginarsi sua madre al posto della sua dottoressa. Forse aveva ragionato sulla differenza d’età, aveva pensato che non ce l’avrebbe fatta ad andare fino in fondo. Forse aveva ragionato sulla bellezza
secondo lei inesistente di lei contrapponendola a quella incontestabile di lui.
Sentì la mano di Calogiuri scorrere sulla sua e intrecciare dolcemente le loro dita: “Come potrei ripensarci? Aspetto questo momento da quando ti ho visto per la prima volta.” Le disse guardandola dritta negli occhi. Con una delicatezza che le ricordava quella del loro primo vero contatto, le portò le dita sul viso, accarezzandola dolcemente. Imma sentì il suo pollice scorrerle sulle labbra e istintivamente vi lasciò un bacio, prima di chinare il volto contro la mano calda del maresciallo. “Non sono mai stato così felice.” Le sussurrò infine. Imma gli regalò un sorriso bellissimo mentre si lasciava posare un bacio delicato sulla bocca. “Non mi sembra neanche vero.”
“Beh, mo’ non esagerare” rise poggiandogli la testa sulla spalla. Calogiuri non disse nulla, si limitò a sperare che Imma potesse sentire quanto effettivamente il suo cuore stesse galoppando in quell’istante.
Avevano soltanto una mezz’ora di tempo per pranzare prima di incontrare Gabriele Martini, l’uomo che secondo Imma avrebbe fornito preziosissime informazioni sul caso. Optarono per un trancio di pizza al volo al tavolo di plastica di una pizzeria poco distante da casa dell’uomo:
“Certo però, che peccato non aver il tempo di fare un giro per la città.” Disse Calogiuri addentando un pezzo di capricciosa.
“Capirai, sarà la trentesima volta che ci vengo.”
Calogiuri arrossì di colpo: “Ah… io non l’ho mai vista.”
Imma lo guardò e capì immediatamente a cosa stava pensando: “Ne avrai di tempo per vederla.” Gli disse infatti, pentendosi un attimo dopo del tono che aveva usato: esattamente come una donna vissuta a un ragazzino. “Magari in primavera torniamo, sotto Pasqua.” Tentò di aggiustare il tiro, e questo fortunatamente funzionò perché Calogiuri alzò immediatamente lo sguardo per raggiungere il suo: “Sono forse progetti quelli che state facendo, dottoressa?” Rise, dandole l’occasione di smorzare quell’attimo di tensione. La complicità di cui Imma si era innamorata era tutta lì.
“Forse.” Gli sorrise “A proposito di progetti, qual è il programma di oggi?”
“Beh, prima di tutto interroghiamo Martini. Poi andiamo a sistemare le borse in albergo. Ho prenotato una suite.”
“Tanto paga Vitali.”
Calogiuri non potè far a meno di ridere, e dovette faticare per ritrovare un minimo di serietà: “Volevo che stessi bene, anche se è solo per una notte.” Si guardarono per un lungo istante in silenzio. Non c’era bisogno di parole, sapevano benissimo come sarebbe andato il resto della serata.
Sì, Calogiuri aveva avuto il tempo per pianificare ogni dettaglio di quei due giorni. Aveva passato l’intero fine settimana a cercare il posto perfetto dove portarla a cena, la stanza perfetta in cui avrebbero finalmente fatto l’amore solo dopo averla ricoperta di attenzioni per tutta la sera. Avrebbe fatto tutto ciò che aveva sempre sognato di fare: avrebbero riso, scherzato e chiacchierato come faceva ormai ogni loro giovedì sera, ma stavolta con la consapevolezza che lei non se ne sarebbe andata. Che sarebbe stata sua per tutta la notte. E se lei non se la fosse sentita, per chissà quale motivo, gli sarebbe bastato anche solo poter sentire il suo respiro durante la notte. Si sarebbe comportato da perfetto gentiluomo, perché lei non meritava niente meno di quello.
Ciò che Calogiuri però non avrebbe mai sospettato è che niente, in quella serata, sarebbe stato come se l’era immaginato. Perché la donna che si era scelto era niente poco di meno che il sostituto procuratore Tataranni, e con lei niente andava mai come da programma.
Ci aveva ovviamente visto giusto sulla pista degli amici. Martini aveva infatti confessato loro che tra la vittima e gli amici con il quale era andato a convivere pochi mesi prima di morire, c’erano dei dissapori dovuti ai soldi. Il ragazzo infatti aveva per un po’ alloggiato da loro a scrocco contando sull’amicizia che li legava, poi, dopo diverse liti incentrate per lo più sul suo vitto e alloggio gratuito, iniziò a vendere droga per conto loro in modo da ripagarli. Fu proprio la mancata consegna dei soldi ricavati dalla vendita di quest’ultima a costituire il movente del suo omicidio da parte dei coinquilini.
Il caso potè considerarsi risolto nel momento in cui Imma fece la telefonata per ordinarne l’arresto: avvenne mentre Calogiuri stava lasciando le loro valigie sul pavimento della suite.

Imma chiuse la chiamata e spense il cellulare, lasciandolo abbandonato sul comodino. Stavolta non avrebbe permesso ad alcuno squillo di distoglierla da ciò che stava facendo. Guardò Calogiuri con uno sguardo intenso.
“Hai…” il maresciallo dovette schiarirsi la gola “hai tempo per farti una doccia e…” la vide avvicinarsi a lui, senza mai distogliere lo sguardo dai suoi occhi, “e poi andiamo a cena. Andiamo in un posto in cui fanno la fiorentina più buona,” era arrivata così vicina che Calogiuri si sentiva inebriare dall’odore dei suoi riccioli rossi.
“Si?” Gli sussurrò fissandogli le labbra.
“Sì, ho letto le recensioni.” Sentiva il respiro di Imma sul suo viso, lo stava guardando come se non volesse nient’altro che la sua bocca. Si sentì vibrare il basso ventre, mentre cercava di mantenere il controllo: “M-Magari ci sei già stata, io… volevo assicurarmi che tutto fosse perfetto. Ma se vuoi posso disdire, è alle otto, secondo me facciamo in tempo.”
“Calogiuri, per una volta nella tua vita sta zitto.” Gli prese il viso tra le mani e lo baciò con foga. Lui si lasciò travolgere, perché stringerla di nuovo a sé e sentire il suo sapore era tutto ciò che voleva di più. Si ritrovarono a baciarsi contro un muro, come la prima volta, ma stavolta nessuno dei due aveva intenzione di fermarsi. Imma aprì leggermente le gambe e spinse il bacino di lui contro di sé. Sentì la sua eccitazione mentre lui aveva smesso di baciarla sulla bocca ed era passato al collo, reso facilmente accessibile dalle scollature che la dottoressa aveva cominciato a portare anche nei mesi freddi. Le dita del maresciallo erano tra i suoi capelli e la sua bocca la stava facendo impazzire. Le sollevò una gamba, portandosela attorno alla vita. La accarezzò delicatamente ma allo stesso tempo pieno di desiderio, raggiungendo l’elastico delle sue mutandine.
“Il letto, Calogiuri…” gli sussurrò, sentendo che se lui avesse continuato le gambe non l’avrebbero più sorretta. Qualsiasi progetto che Calogiuri aveva minuziosamente fatto nel dettaglio quel fine settimana fu vanificato nell’esatto istante in cui Imma gli morse l’orecchio: “Portami a letto” gli sussurrò.
Calogiuri allacciò entrambe le gambe della dottoressa attorno alla sua vita e la sollevò per un breve istante, lasciandola delicatamente sul materasso morbido. Aveva immaginato a lungo il momento in cui l’avrebbe fatto: l’avrebbe spogliata delicatamente, osservando ogni centimetro del suo corpo, l’avrebbe venerata con baci e carezze prima di unirsi finalmente a lei. Neppure quello gli fu concesso, perché Imma si mise rapidamente a sedere e si tolse il vestito, lanciandolo chissà dove nella stanza. Questa volta niente mutande da ciclo: la dottoressa Tataranni aveva scelto, coerentemente con il suo stile —ormai suo marchio di fabbrica— un completo leopardato con pizzo nero. Calogiuri non poté far a meno di sorridere: era tipicamente lei. La sua dottoressa.
L’unica cosa che era andata secondo i piani del maresciallo era il modo in cui fecero l’amore la prima volta: lentamente, assaporando ogni momento, ma allo stesso tempo con la foga di chi si stava finalmente prendendo ciò che per anni aveva desiderato così tanto. Calogiuri si stese su di lei con delicatezza, assicurandosi di tracciare una scia di baci dal collo al seno di Imma. La guardò negli occhi, quasi come ad assicurarsi di avere il suo permesso, prima di abbassarle il reggiseno e baciare la sua pelle nascosta. Imma tirò la testa all’indietro con un sospiro, mentre lui tracciò un cerchio con la lingua attorno al capezzolo, senza mai staccare gli occhi dai suoi, e poi lo prese tra le labbra. Su una cosa non avrebbe ceduto Calogiuri: il prendersi ogni minuto di cui aveva bisogno per venerare il suo corpo. Quando si assicurò di aver dedicato abbastanza attenzioni al suo seno, la scia di baci si spostò sul ventre, sulla pancia, attorno all’ombelico. Erano baci umidi e spaventosamente bollenti, tanto che Imma si sentiva bruciare ogni pezzetto di pelle che lui sfiorava. Fece scivolare via le sue mutandine senza mai smettere di baciarla, e solo quando Imma sollevò le gambe per aiutarlo a toglierle si prese un attimo per guardarla. Era bellissima, ma dirglielo sarebbe stato così banale che si limitò a guardarla intensamente negli occhi, così che lei potesse —per l’ennesima volta— capire tutto senza dire niente.
Imma fece in tempo a sorridergli, prima di vederlo scomparire tra le sue gambe, intento a lasciarle piccoli baci simili ai precedenti, stavolta sull’inguine. La stava facendo impazzire e ne era perfettamente consapevole: sorrideva vittorioso mentre passava dall’interno coscia destro al sinistro, senza mai sfiorare il punto in cui lei lo voleva di più.
“Calogiuri…" sussurrò "veloce.” gli sorrise, portandogli le dita tra i capelli. Quello bastò a farlo cedere, e a chiudere finalmente le labbra intorno al suo centro. Imma inarcò la schiena: erano passati mesi, no, forse anni da quando qualcuno aveva dedicato così tanta attenzione al suo piacere. Il sesso orale con Pietro non era quasi mai contemplato e quasi aveva dimenticato quanto bello potesse essere: sentiva la lingua del maresciallo percorrere traiettorie regolari, variandone un paio, finché non trovò quella che la faceva letteralmente vibrare sotto di lui. Ti prego, non smettere, ti prego, non smettere solo questo passava nella mente di Imma mentre spingeva quasi involontariamente la testa del maresciallo tra le sue gambe. Aggiunse dei movimenti impercettibili col bacino che, uniti agli occhi blu di Calogiuri che mai avevano lasciato i suoi, furono sufficienti per farle raggiungere il culmine. Il primo di molti. Lo aiutò a sistemarsi tra le sue gambe, ridendo e sorridendo insieme a lui mentre alternavano baci intrisi di dolcezza a baci molto meno casti. Calogiuri la guardò un’ultima volta, accertandosi che fosse pronta, prima di entrare finalmente dentro di lei. 
Se quello era il peccato, la dottoressa Tataranni voleva prendere la residenza all’inferno.



mi raccomando fatemi sapere che cosa ne pensate, qui o su twitter! (velocecalogiuri)
alla prossima!

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


questo capitolo è un regalo che ho fatto a me stessa vista la scaristà di gioie che ci danno questi due. spero possiate apprezzarlo quanto l'ho fatto io!
Buona lettura.


Altro che inferno, tutto in quel letto le sembrava il paradiso: perfino il piumone e le lenzuola attorno a loro sembravano formare delle nuvole. Imma guardava Calogiuri e Calogiuri guardava Imma con il sorriso di chi aveva appena appagato tutta la voglia verso l’altro che per anni aveva represso. Si sorrisero, si accarezzarono, si osservarono, si scambiarono di tanto in tanto teneri baci alternati a qualche battuta complice per un tempo che sembrò sospeso per entrambi.
“A che ora hai detto che hai prenotato?” Imma era a pancia in giù, si reggeva sui gomiti e lo osservava accanto a lei, seduto contro i cuscini, con gli occhi che ancora gli brillavano.
“Al ristorante?”
“No, in chiesa, Calogiù. E certo, al ristorante!” Lo vide ridere e si chiese per un attimo se facesse quelle domande apposta per farsi rispondere in quel modo tutto suo e sorriderne.
“Alle nove.” Disse poi, allungando il braccio per cliccare sullo schermo del telefono e illuminarlo. Imma non poté far a meno di ammirare ancora una volta il petto del maresciallo, le sue braccia, le sue mani, le sue dita. “Sono le otto adesso.” Avevano passato quasi tre ore in quel letto con lui, avevano fatto l’amore, avevano parlato, si erano esplorati, si erano coccolati, c’erano stati lunghi periodi di silenzio in cui bastava loro solo sorridersi. Eppure ne voleva ancora: due anni non potevano essere saziati con poche ore.
“Hai fame?” La domanda di Calogiuri era assolutamente innocente, ma ad Imma sembrò che le avesse letto nella mente.
“Sì.” Gli disse sorridendo. Si sollevò sui palmi e scivolò sopra di lui, a cavalcioni. “Moltissima,” gli disse sulle labbra, prima di baciarlo. Calogiuri fu inizialmente sorpreso, ma non perse tempo e le poggiò entrambe le mani sui fianchi. “Ma abbiamo ancora un’ora,” la vide allungare la mano dietro di sé, poi la sentì accarezzarlo dolcemente con un ritmo lento. “E me la voglio godere tutta.” Lo guidò dentro di sé e questa volta fu Calogiuri a tirare indietro la testa.
Arrivarono al ristorante in ritardo di soli quindici minuti, il che era da considerarsi un miracolo.
“Che posto scicchettoso che hai scelto, Calogiuri!” Esclamò Imma addentando una fetta di pane vuoto.
“Ho pensato a tutto.” Da quel pomeriggio in quella stanza non si erano mai guardati senza sorridersi. “Tu, piuttosto, vedo che hai fame.”
“A pranzo abbiamo mangiato tre pezzetti di pizza, che pretendi.” Parlava con la bocca piena per la foga di addentare altro pane. “Poi in camera ho bruciato tutte le calorie previste dai vari pranzi e cene delle feste di natale, quindi posso mangiare quello che mi pare.”
Calogiuri rise di cuore. Si prese anche lui una fetta di pane, pensando che la dottoressa non aveva poi tutti i torti.
Il menù aveva prezzi da far girare la testa, e Imma non potè evitare che la sua faccia nascondesse lo stupore: “Io prendo un’insalata.” Disse afferrando di corsa un’altra fetta di pane.
“Ma non avevi detto che avevi fame?”
“L’insalata quindici euro costa, ed è la cosa più economica sul menù. Pure più dell’acqua, se vedi.”
Calogiuri si trovò a metà tra la voglia di ridere come un pazzo e l’imbarazzo. Finì per sorridere arrossendo: “Non devi preoccuparti di niente, stasera.”
Imma ricambiò il suo sorriso. Si guardò intorno istintivamente prima di permettersi di poggiare la mano su quella di lui, sopra il tavolo: “Tu lo sai che non ho bisogno di tutto questo, vero?” Avvicinò il viso al suo per quanto possibile “Che con te mi va bene anche una birra sul muretto di Matera?” Lo disse piano, guardandolo negli occhi. Si morse le labbra senza volerlo, per il desiderio di baciarlo. Quel desiderio non l’avrebbe mai più lasciata, ne era sicura.
“Lo so.” Calogiuri intrecciò le loro dita con dolcezza “Ma tu meriti molto di più di una birra sul muretto di Matera. Sai, ho avuto tutto il fine settimana per pensarci. Volevo organizzare tutto nei minimi dettagli, facevo mille ricerche, cambiavo mille volte idea.” Abbassò per un istante lo sguardo sulle loro mani unite, poi tornò a guardarla e sorrise: “Per me, questo piccolo viaggio con te è un miracolo. Per me, poterti tenere la mano a cena al ristorante è un miracolo. E’ come un universo parallelo, in cui io e te possiamo stare insieme senza pensare a niente.” Aveva la voce spezzata, e Imma non potè far a meno di stringergli delicatamente di più la mano. “Solo una cosa rimaneva ferma nei miei progetti: la voglia di fare tutto quello che non possiamo fare nella vita normale. Perciò voglio passeggiare tenendoti la mano, voglio comprarti i fiori, voglio baciarti in piazza. Voglio sentirti mia. Anche se è solo per un po’.” 
Imma non aveva mai smesso di guardarlo, in silenzio, con gli occhi ormai diventati lucidi. “Sempre uno di poche parole tu, eh.” Sospirò. Calogiuri non potè far a meno di sorridere a quel riferimento: “Il riassunto è che puoi ordinare quello che vuoi.” Le lasciò la mano facendole l’occhiolino, e le passò di nuovo il menù.
La verità era che le parole di Calogiuri avevano fatto battere il cuore di Imma al pari forse solo di quelle che le aveva detto due anni prima nel suo ufficio. La dolcezza e l’umiltà con cui le pronunciava, senza pretese, senza rabbia nei confronti di una situazione che non poteva cambiare, la fecero giurare a sé stessa che avrebbe fatto di tutto per esaudire i desideri del maresciallo, fosse l’ultima cosa che avrebbe fatto.
Incominciò quando lasciarono il ristorante. Fuori faceva il freddo pungente tipico di dicembre, quindi ne approfittò per stringersi a lui:
“Facciamo una passeggiata?” Gli chiese. Lui accettò senza neppure un attimo di esitazione: Calogiuri il freddo non lo sentiva proprio, anzi.
Passeggiarono mano nella mano per le vie della città, chiacchierando e scherzando come una coppia vera. Imma sentiva freddo e i tacchi che aveva insistito per mettere iniziavano a farle male, ma non si fermò finché non trovarono un ambulante con delle rose. Finse di capitarci per caso, e quando l’uomo si avvicinò loro con il chiaro intento di dire qualcosa, lei lo bloccò subito: “Fermo. Non dire niente, non ti conviene.” Gli disse con il dito indice alzato puntato verso l’uomo. Visto l’imbarazzo dell’ultima volta, tutto sommato era meglio evitare. “Sì, la compra la rosa alla sua bella moglie a due euro, grazie.” Disse poi. Calogiuri per poco non scoppiò a ridere, mentre tirava fuori di corsa tutte le monete che aveva dalla tasca. Finì col dargli poco più di due euro, ma era così emozionato che non ci fece caso. L’uomo sparì senza dire niente —non gli conveniva, no?— non appena Calogiuri prese una rosa. La guardò divertito, mentre le si avvicinava con la rosa in mano:
“Dottoressa…” le sorrise “Imma…” le porse la rosa con la sua solita estrema delicatezza: “Questa è per te.” Imma gli sorrise e prese il fiore, annusandolo: “Grazie per il gesto spontaneo.” Scherzò, ma si fece subito seria. Per la prima volta non si girò per guardarsi intorno, non si assicurò che non ci fosse nessuno: gli buttò le braccia al collo e lo baciò con passione. Il caso volle che fossero in una piazza.



grazie infinite a chi ha letto fin qui e un doppio grazie a chi mi lascia un commento, qui o su twitter (velocecalogiuri).
Alla prossima! 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Buon Natale a tutt* voi, anche se in ritardo. Ho evitato di postare questo capitolo nei giorni festivi (nonostante lo avessi già pronto) e capirete facilmente il perché.
Non mi ammazzate, il meglio deve ancora venire.
Buona lettura!


Imma non riusciva a togliersi quel sorriso sognante dalla faccia neppure quando sull’aereo avevano iniziato a parlare di cosa sarebbe successo adesso, nella vita vera, nel momento in cui il tempo avrebbe ricominciato a girare e il loro piccolo angolo di paradiso sarebbe stato solo un lontano ricordo. “Lo troveremo un modo per viverci, Calogiuri” gli aveva promesso stringendogli forte la mano, mentre dal finestrino la terra diventava sempre più vicina. Non c’era stato bisogno di accordarsi su niente, Imma sapeva di potersi fidare ciecamente di lui. Si guardarono per un’ultima volta, per un lungo istante negli occhi prima di salire lui nella sua auto, lei su un taxi.
Imma tirò un enorme sospiro quando si rese conto di essere da sola: lo aveva fatto. Aveva appena passato due giorni di pura follia e passione con un uomo che non era suo marito. Sebbene ne fosse ormai pienamente consapevole, la realtà la colpì dritta in faccia con uno schiaffo nel momento in cui si rese conto che la vita vera era un’altra: quel taxi l’avrebbe presto portata a casa sua, dove l’attendevano suo marito e sua figlia, famiglia per cui aveva lottato ogni giorno per i precedenti vent’anni. Come avrebbe potuto ritagliarsi uno spazio per la felicità? E poi, come sarebbe potuta evolversi la situazione? Il divorzio le sembrava ormai un cammino inevitabile, che avrebbe dovuto iniziato a intraprendere già da quel giovedì —perché Pietro aveva avuto la brillante idea di rimpiazzare le serate dedicate al sax con quelle dedicate alla ricostruzione del loro matrimonio, senza immaginare neppure per un attimo che allo stesso tempo stava rimpiazzando i giovedì sera di Imma e Calogiuri con un vicolo cieco.

Come l’avrebbe detto a Valentina? Come l’avrebbe presa lei? E dopo? Quanto tempo è moralmente ed eticamente giusto attendere prima di uscire allo scoperto con un altro uomo dopo il divorzio? E se Pietro nel frattempo avesse scoperto tutto? E se lo avesse fatto Valentina? E se, mettiamo il caso, fosse uscita allo scoperto con Calogiuri, Pietro avrebbe detto qualcosa come “te l’avevo detto, allora era tutto vero”? E se la stessa reazione ce l’avesse avuta la procura? La risposta era chiara, cristallina, limpida, ma lei non voleva vederla: non poteva, in alcun modo, né ora, né in un futuro prossimo, uscire allo scoperto con il maresciallo. Non avrebbero mai potuto vivere una vita normale, non avrebbero mai potuto tenersi per mano al ristorante o baciarsi in una piazza —che era tutto ciò che Calogiuri aveva chiesto.
Il sorriso le morì sul volto, quando realizzò che quella storia non aveva un futuro. Ma guardati, sei tornata da neanche un’ora e già stai rovinando tutto. Ma goditela così com’è! Stavolta, incredibilmente, la voce nella sua testa diventò quella di Diana. Imma ritrovò immediatamente il sorriso, e stavolta era un sorriso divertito. Doveva godersela così com’era, almeno per un po’, senza pensare a ciò che è giusto e ciò che era sbagliato. Un passo per volta, un respiro per volta.
Quando spalancò la porta di casa buttando la valigia senza neppure guardare dove, Imma colse Pietro di sorpresa: “Amò! Sei tornata, ma mi potevi avvisare!”
“Non ti preoccupare, ho preso un taxi.” Si tolse cappotto e sciarpa e si alzò sulle punte per appenderli, poi improvvisamente sentì una fitta alla milza, che le si allungava fino alla gamba: “Porca miseria! Piè, prendimi la valigia per favore.”
“Ma che hai fatto?” Eh, che aveva fatto. Erano anni che non faceva quel tipo di esercizio fisico così intensivo —anzi, forse non l’aveva mai fatto.
“Eh questa è la Bartolini che mi ha fatto girare tutta Firenze a piedi sui tacchi. Capirai, quella mica l’aveva vista mai una città così piena di cultura.” Non aveva assolutamente idea di quello che stava dicendo, ma le veniva quasi da ridere. Le passarono nella mente come una serie di diapositive tutti i modi in cui lei e Calogiuri avevano girato tutta Firenze e si leccò le labbra istintivamente. Dio mio, se solo l’avesse accolta lui a casa…
“Sarai stanchissima.” Le disse Pietro, portando di là la valigia mentre Imma piombava sul letto a peso morto. Lo era. Che ti aspetti, quando sei vecchia e frequenti uno giovane succede di essere stanchi. Di nuovo la Moliterni? Ma non aveva lasciato il posto a Diana?! Di nuovo le passarono in mente le immagini di ciò che lei e il maresciallo avevano fatto, e sorrise sognante: “Gelosa?” Si ritrovò a dire alla Moliterni nella sua testa, purtroppo però ad alta voce.
“Eh?” Pietro fece capolino da sotto il letto, dove aveva appena sistemato la valigia vuota.
“No, dico” Imma si tirò su a sedere, schiarendosi la voce “Gelosa era la moglie della mia vittima. Per questo l’ha ammazzato.”
“Ah,” Pietro le sorrise “Quindi il caso è risolto?”
“Sì.” Almeno quello era vero.
“Quindi… puoi dedicare un po’ di tempo alla famiglia?” Glielo disse dolcemente, sorridendo come un bambino che aspettava di sapere se avesse ricevuto o meno il suo regalo di Natale.
“Non posso prevedere quando la gente viene assassinata, Piè.” Si ritrovò a farfugliare Imma, abbassando lo sguardo. Una delle cose con cui avrebbe dovuto fare i conti da quel momento in poi era la sua ormai totale incapacità di guardare il marito negli occhi. Chissà se sarebbe mai più stata in grado di farlo.
“Ma per adesso nessuno è stato ammazzato, o no?”
“Non che io sappia.” Si alzò all’improvviso, nervosa. Pietro le prese la mano e la costrinse a voltarsi verso di lui, a guardarlo: “In salone c’è una sorpresa per te.” Le sussurrò piano.
Imma stava per sentirsi male: doveva smettere, smettere, smettere di guardarlo. “Beh” si sforzò di sorridere “Vediamo questa sorpresa.” Pietro le sorrise e la guidò nel salone, senza mai lasciare la sua mano. Se non altro, ora le dava le spalle. Imma non ebbe neanche il tempo di pensare a cosa potesse effettivamente aver organizzato il marito, che infinite luci colorate le riempirono gli occhi: il loro albero di Natale era già pronto, perfettamente addobbato come anche il resto del salotto. C’erano perfino i cioccolatini natalizi della Kinder che tanto piacevano a Valentina —e a lei— sul tavolo. Questa volta, le luci e le decorazioni erano state messe davvero ovunque, dando alla casa intera un’atmosfera di calore che raramente sentiva da anni.
“Pietro…” Imma sentì gli occhi che le si velavano di lacrime. Lui le sorrise e la guidò verso l’albero, le loro mani ancora unite. Quella di Imma bruciava, ma non come quando a toccarla era la mano del maresciallo. Era un bruciore metallico, quasi fastidioso, come un mal d’ossa.
“Lo abbiamo fatto tutto io e Valentina ieri. Volevamo farti una sorpresa al tuo rientro.” Imma voleva evitare a tutti i costi di scoppiare in lacrime, quindi tentò di concentrare il suo sguardo su un punto fisso: scelse una pallina dell’albero. Era di quelle vecchie, molto vecchie, che lei e Pietro avevano preso a un mercatino di Natale quando erano sposati forse da un anno.
“Eh” esclamò Pietro, notando il punto in cui cadeva lo sguardo di lei “Quasi vent’anni c’hanno queste palline. Alcune, perché ogni anno ne mettiamo qualcuna nuova, che a te piacciono tutte diverse.” Ti prego smettila avrebbe voluto gridare Imma, e poi scoppiare in un pianto disperato. Ma la forza che si ritrovò ad avere neppure la immaginava. Non disse nulla, quindi Pietro continuò: “E’ come se ci fosse tutto il nostro matrimonio in quest’albero.”
“Pietro…” riuscì solo a ripetere. Quello era il colpo di grazia. Perché la dottoressa Tataranni, malgrado quanto si dicesse in giro, era un essere umano, e quell’ultima frase del marito le fece scendere una lacrima così amara che le veniva da vomitare. Pietro non la lasciò parlare, non la lasciò neppure riflettere: le prese l’altra mano e strinse entrambe forte tra le sue.
“Imma…” le sorrise “la vogliamo salvare questa famiglia?”
Non ce la fece più: scoppiò in lacrime, senza pensare lasciò le mani di Pietro, ma solo per chiudergli le braccia attorno al collo e abbandonarsi a un pianto disperato sulla sua spalla.

prometto di postare presto il prossimo, almeno questo.
sbroccatemi, qui o su twitter (velocecalogiuri).
Alla prossima!

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Buonasera a tutt*! Grazie a chi ha letto fin qui e un doppio grazie a chi ha lasciato un commento, qui o su Twitter (velocecalogiuri).
Ho postato più in fretta che potevo perché dovevo farmi perdonare per ieri, anche se ammetto che non è facile, a questo punto, alternare le gioie all'angst. Fino al 30 posterò un capitolo al giorno, spero di farvi compagnia in queste feste. Buona lettura!


La mattina dopo, entrando in procura, Imma si sentì nervosa come non mai. Aveva chiuso la questione con Pietro promettendogli che avrebbe intrapreso seriamente insieme a lui il percorso di terapia, e ce l’avrebbe messa tutta per non fare del male a Valentina. Erano tutte cose vere, ed era tutto ciò che si sentiva effettivamente in grado di promettergli senza sentirsi una merda. Eppure, una merda ci si sentiva lo stesso mentre saliva le scale che l’avrebbero condotta al suo ufficio, consapevole del fatto che da un momento all’altro avrebbe incrociato lui. Perché si sentiva di stare tradendo entrambi quegli uomini? Pietro aveva provato ad accarezzarla, quella sera: avevano trascorso la serata con Valentina, e lei aveva deciso di mettere qualche canzone di Natale che in altri momenti Imma avrebbe aspramente denigrato. Invece decise di godersi tutto di quei momenti: il sorriso di sua figlia, la gioia nel vederla allegra e felice. Riuscirono perfino a parlare un po’ di Gabriele —o come amava chiamarlo lei, il Piccolo Vitali— e Imma riuscì addirittura a non innervosirsi e a non fare domande inopportune. A serata conclusa, si ritrovarono in camera insieme, marito e moglie, e Imma si accorse per la prima volta di quanto era difficile dividere il letto con Pietro dopo che l’aveva diviso con Calogiuri. Lui le aveva sorriso e aveva provato ad accarezzarle dolcemente il viso, ma lei era rigida come se le sue mani fossero state di ghiaccio: “Sono stanca, Piè.” Gli aveva sussurrato evitando le sue labbra. Lo sentì sospirare, ma non protestò, le sorrise e le posò un ultimo bacio sulla guancia prima di girarsi dall’altra parte.
Perché doveva essere tutto così maledettamente difficile? Milioni, forse miliardi di donne tradiscono il marito, il compagno, il fidanzato e ci riescono per mesi, forse pure per anni. Come fanno a non morire dentro?
“Buongiorno, dottoressa” la sua voce e la sua figura le riempirono gli occhi e le ricordarono perché stava facendo tutto questo. Il cuore le riprese a battere, come se fino a quel momento fosse stato spento. Le si aprì un sorriso così bello che Calogiuri non poté far altro che ricambiarlo immediatamente.
“Buongiorno” gli sussurrò, e le venne in mente quando glielo aveva sussurrato a letto, subito prima di baciarlo. “Come mai qui così presto? Non sono neanche le otto.”
“Stavo impazzendo senza vederti,” Le disse sinceramente, poggiando entrambe le mani sulla scrivania. Il maresciallo lanciò uno sguardo nell’ufficio di Diana e vide che era vuoto. Si era chiuso la porta dietro di sé ed era effettivamente presto: le probabilità che entrasse qualcuno in quello studio in quel momento erano davvero scarsissime. Fece per chinarsi su di lei, moriva dalla voglia di sentire di nuovo le sue labbra, ma lei lo fermò:
“Non possiamo, Calogiù” cercò di ridere, alzandosi dalla sua sedia. Cominciò a muoversi nervosamente, senza sapere bene cosa stesse facendo. Lo vide guardarla con gli occhi colpevoli, quasi offesi, come quelli di un bambino sorpreso a sbagliare qualcosa: “Scusami,” le disse infatti “Mi ci devo abituare, ancora.” Tentò di sorriderle. Imma non potè far a meno di ricambiare: “Forse riesco a liberarmi, questo venerdì.” Gli disse tentando di recuperare. “Ci vediamo da te?” Non voleva farlo, ma le venne spontaneo mordersi il labbro mentre lui la guardava dritto negli occhi. Dio mio, il modo in cui la guardava era in grado di farle tremare le ginocchia. “Me lo prepari finalmente questo spaghetto dell’appuntato?” Cercò di mantenere la conversazione pulita, anche se nella sua mente passava tutto meno che il cibo. Calogiuri dovette accorgersene, infatti le sorrise maliziosamente, avvicinandosi lentamente verso di lei: “Solo quello vuoi?” Imma si sentì mancare il respiro, mentre si trovò di nuovo attaccata alla scrivania.
“Pure un secondo, se ci sta.” Tentò di sviare, perché era così pericolosamente vicino che il suo profumo le dava già alla testa, e non poteva in alcun modo permettersi di cedere —cosa che stava per fare, ne era certa.
“E basta, dottoressa?” Contro ogni previsione, sentì la mano del maresciallo sfiorarle la gamba e, come un’automa, Imma si appoggiò sulla scrivania per lasciargli spazio.
“Ti prego, Calogiù, è una tortura questa.” Lo sentiva accarezzarle la pelle, e ne voleva di più, sempre di più, ovunque.
“Dimmi quello che vuoi che ti faccia, allora.” Le sorrise “Da mangiare, ovviamente.”
Imma gettò un ultimo, breve ma attento, sguardo intorno a lei e pregò tutti i santi protettori dei fedifraghi di proteggerla. Poi gli portò una mano dietro al collo e lo baciò con passione, stringendogli i capelli tra le dita “A te voglio, Calogiuri.” Gli soffiò sulle labbra, prima di staccarsi di colpo da lui. Si sistemò i vestiti e i capelli, e si rimise a sedere alla sua scrivania. Sembrava che il maresciallo fosse appena entrato e che quegli istanti di fuoco non fossero mai accaduti: “E’ tutto, maresciallo.” gli disse semplicemente, rimettendosi a ordinare i fogli sul tavolo.
Aspettare quel venerdì sarebbe stata una tortura per entrambi.


“Ma tu sei sicuro che è una buona idea, questa?” Disse Imma innervosita, mentre lanciava l’ennesima rivista che aveva preso nella sala d’aspetto del terapeuta di Pietro.
“Abbiamo promesso di provare a salvare questo matrimonio.”
“Se questo ci fa aspettare un altro po’ gli smonto lo studio.” Odiava essere lì. Lo odiava. Era una presa in giro bell’e buona per tutti, lo sapeva perfettamente. E odiava ancora di più aspettare.
“E’ normale che sei nervosa” Pietro le sorrise, poggiandole la mano sulla sua, che invece tremava. “Pure io la prima volta volevo andarmene. Ma lui ti mette a tuo agio, è tranquillo.”
“Pure troppo: avevamo appuntamento quindici minuti fa, Pietro! Io me ne vado.” Non fece neanche in tempo a finire la frase, che la porta del dottore si aprì:
“Di già?” Le sorrise. Imma pensò che beh, se non altro era un bell’uomo. Certo, niente a che vedere col suo maresciallo, ma si aspettava di peggio —tipo Freud con tanto di pipa. “Sono il dottor Sansoni,” le porse la mano “E’ un piacere conoscerla, dottoressa Tataranni. Suo marito mi ha parlato molto di lei.”
“Me lo posso immaginare” Imma la strinse lanciando un’occhiataccia a Pietro. Il dottore non potè far a meno di sorridere, mentre li invitava ad accomodarsi nello studio. C’erano due sedie di fronte alla sua scrivania e Imma capì solo dopo che avrebbero dovuto sedersi lì e non sul lettino che era alla sua destra: “Scusi, ma non ci dobbiamo…” lasciò la frase in sospeso, indicandolo con lo sguardo.
“No amò, questo è un altro tipo di terapia.”
“Ah.” Imma si sedette. Niente era come si era immaginata, come aveva letto o visto nei film. Forse era arrivato il momento di svecchiare un po’ la sua idea di terapia.
“Allora, signor De Ruggeri… come sta?” Iniziò il dottor Sansoni, incrociando le dita davanti alla pancia. Si chinò all’indietro, appoggiandosi completamente allo schienale della sedia, e ad Imma sembrò un giudice pronto a condannarli.
“Diciamo… bene. Ho fatto quello che mi aveva consigliato, a Imma è piaciuta molto la sorpresa dell’altro giorno, vero amò?”
"
Ah, quindi la storia dell’albero te l’aveva imboccata lui?”
“Gli ho solo suggerito di sorprenderla in qualche modo. Il resto l’ha fatto lui. Non si agiti, dottoressa.”
“Non sono agitata.” Ma lo era. “È che pensavo… Non importa.”
“La sorpresa le è piaciuta?”
“Sì.” Era vero.
“E come si è sentita quando l’ha vista?”
Imma sentì improvvisamente un groppo in gola, infatti dovette abbassare lo sguardo. In trappola. “Grata.”
“Per cosa?”
“Per avere una bellissima famiglia.” Si muoveva sulla sedia come se sotto al sedile ci fosse una tarantola, e il dottore non potè far a meno di notarlo.
“È agitata, dottoressa?”
“Sì.”
“Ha paura?” 
I
mma guardò il dottor Sansoni dritto negli occhi per la prima volta, e le sembrò che potesse leggerle la mente. Aveva paura, sì, che potesse scoprire ogni sua menzogna, ogni suo gesto di protezione. “Sì.” Ammise quindi.
“Di me?”
“Diciamo che mi sono seduta di fronte a gente peggiore di lei, dottore.”
Lui rise: “Non ne dubito. Ma stavolta a rispondere alle domande c’è lei.”
Imma abbassò di nuovo lo sguardo e il dottore sembrò decidere di lasciarla andare e cambiare preda:
“Lei, signor De Ruggeri, come si è sentito?”
“Beh ero… ansioso. Speravo che le piacesse tutto.”
“E secondo lei le è piaciuto?”
“Spero di sì.” Guardò rapidamente Imma e istintivamente le strinse la mano. Non l’aveva mai lasciata da quando erano entrati e lei glielo aveva lasciato fare. Salvare le apparenze, sempre.
“L’ha… ringraziata dopo?”
“Mi scusi un attimo” sbottò Imma “prima di tutto questa è una domanda indiscreta, e poi non ho capito: che si fanno gesti carini solo per ottenere del sesso in cambio?”
“Non intendeva quello, amò.”
“Invece intendevo quello.” Il dottor Sansoni sorrise: “Da quanto tempo non avete rapporti?”
“Questo non…”
“Quasi un anno.” Pietro li interruppe, con una voce così amara che spense perfino lo sdegno di sua moglie. “Siamo qui apposta, Imma.” Le sussurrò.
“Di chi pensa che sia la colpa di questo, signor De Ruggeri?” Il dottore continuò indisturbato, chiaramente abituato a quel tipo di atteggiamento.
“Non la chiamerei colpa… Imma è sempre stanca, lavora tanto.”
Imma abbassò lo sguardo e arrossì così tanto che si sentì andare a fuoco la faccia.
“Non lavorava anche prima?”
“Sì ma…”
“E lei, dottoressa Tataranni, di chi pensa che sia la colpa? O meglio, che cosa è successo, quasi un anno fa, che l’ha fatta smettere di desiderare suo marito?” Quella domanda la colpì al petto come una coltellata.
“Non lo so.” si affrettò a mentire.
“Lo sa. Ma non è ancora pronta ad ammetterlo.” Il dottore le sorrise, quasi con dolcezza prima di porle l’ultima domanda: “E’ felice, dottoressa?”
Imma guardò il dottor Sansoni, poi Pietro. Gli avrebbe spezzato il cuore e lo sapeva. “No.” Ammise infine. Sentì il marito lasciarle lentamente la mano. Non osava guardarlo, non poteva.
“Bene.” Il dottore ruppe il silenzio “Lavoreremo su questo.”
“Come si può lavorare sull’infelicità, dottore? Sono io che la rendo infelice.” Stavolta, la voce dolce di Pietro la innervosì: troppo facile giocare alla vittima.
“Non sei tu, Piè. È tutto l’insieme. Io…” sono innamorata di un altro. Ma non glielo disse mai. “Non sento più… emozioni. Mi sento… apatica.” Faticava a cercare di dirgli la verità senza dirgliela.
“Potrebbe non sorprenderla, ma questa è la causa per cui la maggior parte dei matrimoni finiscono. L’abitudine. La routine. La mancanza del brivido iniziale. Siete sposati da molti anni, è più che naturale quello che vi sta succedendo.” Il dottore sembrò aver fatto la sua diagnosi, infatti cambiò posizione e poggiò i gomiti sul tavolo.
“Quindi lei cosa ci consiglia di fare?” Disse Pietro, come se gli avessero diagnosticato una malattia meno grave di quella che in realtà si aspettava.
“La corteggi, signor De Ruggeri. La corteggi come se fosse la prima volta che la sta frequentando. E lei, dottoressa, dovrebbe lasciarglielo fare. Per una volta, dovrebbe lasciargli… il controllo.”
Imma voleva replicare con aspro sarcasmo, ma decise di limitarsi: “Dovrei fare tutto quello che vuole lui, in pratica.”
“No” il dottor Sansoni sorrise “semplicemente, si lasci andare. Lasci che suo marito le dimostri quanto la ama e che le mostri che cosa l’ha fatto innamorare di lei. Lasci che lei stessa riscopra che cosa l’ha fatta innamorare di lui. Per esempio, domani sera avete impegni?”
“No” disse Pietro.
“Sì” disse invece Imma. Si giustificò subito: “Una cosa di lavoro.”
“Di lavoro, certo.” Pietro sospirò. “Sempre il lavoro."
“Scusami tanto se la gente muore ammazzata.”
“Signora De Rugg…” il medico, per la fretta di interrompere una possibile lite, dovette correggersi: “Dottoressa Tataranni, è un impegno così improrogabile quello che la vede di venerdì sera in procura?” Il dottor Sansoni la scrutò attentamente, gli occhi dritti nei suoi. Per un secondo Imma sentì il suo cuore smettere di battere: sapeva tutto, ne era sicura, aveva capito tutto, si era tradita. Fu a causa di queste sue paranoie completamente ingiustificate che si trovò costretta ad abbassare lo sguardo e a sussurrare “No”.
Mentre la dottoressa Tataranni usciva da quello studio portandosi a casa una sconfitta, digitò un messaggio. Destinatario: il maresciallo Calogiuri. “Domattina, 7.20 nel mio ufficio.”


fatemi sapere cosa ne pensate.
a domani!

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Regalo per voi, e per la vostra pazienza. Non dico altro. Buona lettura!
 

Imma si era svegliata alle cinque del mattino. A stento aveva preso sonno la sera prima, ma pensava che dormire fosse l’unico modo per evitare di parlare con Pietro, quindi si sforzò di farlo. L’adrenalina causata dall'incontro del giorno prima e da quello che l’attendeva quella mattina la svegliarono comunque presto, così decise di dedicare quel tempo a sé stessa: fece scorrere l’acqua della doccia finché non diventò calda al punto giusto e vi si buttò sotto, quasi sperando che così facendo potesse lavare via ogni singolo pensiero che le attraversava la mente. Com’era potuto succedere? Da quando la dottoressa Tataranni non era più padrona di sé stessa? Da quando era così facile per lei perdere il controllo? Il controllo. Deve lasciare il controllo a suo marito”. Imma aveva quella frase del dottor Sansoni in testa da quando l’aveva pronunciata e Dio solo sapeva quanto aveva cominciato ad odiare la voce di quell’uomo. Perché il sostituto procuratore Tataranni non aveva mai lasciato che il controllo lo prendesse qualcun altro nella sua vita, in qualsiasi ambito: a lavoro comandava lei, a casa comandava lei. E non era una questione di potere: era che se non ci fosse stata lei a tenere le redini da mò che si sarebbero sgretolate entrambe quelle due sfere. Immaginò che dovesse essere frustrante per chi la circondava, lasciarsi completamente travolgere da lei: poteva capirlo. Eppure, era sempre stata abituata così. Non conosceva altro. Anche con Calogiuri era così: decideva lei quando vedersi, se vedersi, dove vedersi e che cosa era opportuno fare. Pensava a questo Imma mentre sceglieva un completo intimo leopardato che gridava il suo nome da tutte le parti. Si guardò allo specchio un ultima volta prima di coprirlo con il vestito che aveva scelto: decise che se c’era qualcuno a cui avrebbe volentieri ceduto il controllo era l’uomo per cui aveva indossato quel completo.
Arrivò in ufficio in anticipo rispetto all’appuntamento con Calogiuri, come suo solito. Ne approfittò per controllare che la porta dell’ufficio di Diana fosse chiusa in entrambi i lati —la cancelliera non arrivava mai in orario, figuriamoci se poteva arrivare in anticipo. Non tirò su neppure le serrande delle finestre, lasciò tutto in penombra. Tutto doveva sembrare come se lì dentro non ci fosse nessuno.
“Imma?” Lo sentì chiamarla per nome e il sorriso di sempre sul suo volto comparve immediatamente. Si voltò —l’aveva colta in flagrante mentre toglieva ogni cosa dalla sua scrivania— e vide che in mano aveva un caffè. Come sempre.
“Buongiorno, Calogiuri. È per me quello?” Gli sorrise.
“Sì. Io l’ho già preso. Come mai…” camminò verso di lui rapidamente, prendendogli il caffè dalle mani e mandandolo giù tutto insieme. Grazie a Dio non era più bollente.
“Stavo impazzendo senza vederti” gli ripetè le esatte parole che lui gli aveva detto la mattina prima, accompagnandole con un sorriso bellissimo. Calogiuri non poté far a meno di ricambiarlo: “Non ce la facevi ad aspettare stasera? Ho preparato tutto, lo sai?” Le cinse dolcemente la vita e lei si lasciò dondolare come una bambina. Aveva così tanta paura di fargli male che esitò un po’, prima di parlare: “Stasera salta, Calogiù. Ho una cena in famiglia.” Lo disse tutto d’un fiato, come se stesse strappandogli un cerotto. Lo vide incupirsi, mentre sussurrava “Ah” e lasciava scivolare via le sue braccia da lei. “Quindi anche questo fine settimana…” lasciò la frase in sospeso, perché non c’era alcun bisogno di completarla. Era un’amara verità a cui Imma annuì semplicemente.
“Non è facile frequentare una donna sposata.” Cercò di scherzare, ma si rese subito conto di quanto fosse infelice —per tutti— quella battuta. Non vide reazione da parte sua: “Scusami.” gli disse quindi. Fu lei stavolta ad abbassare lo sguardo, ma lui glielo rialzò immediatamente, portando gli occhi nei suoi: “Non ho fretta.” Quelle tre parole, solo quelle tre parole, pronunciate con la dolcezza della sua voce, furono come l’abbraccio più caldo che qualcuno potesse darle. Era così stanca di sentirsi sotto pressione, di stare ad ascoltare le richieste di tutti per evitare il più possibile di ferire qualcuno. Era stanca di ricevere critiche, dagli altri e da sé stessa, di sentire che cosa avrebbe dovuto fare, che cosa era giusto che facesse: e a lei chi ci pensava? Lui. Era incredibile come, anche in quel momento, lui fosse l’unico che la capisse davvero. Lo guardava con gli occhi che brillavano, senza dire nulla, quindi Calogiuri ne approfittò per spiegarsi meglio: “Non vedo l’ora di stare un po’ con te, di rivivere ciò che abbiamo vissuto a Firenze. Ma non è facile. Lo so che non è facile, lo so dal primo momento. Non voglio forzarti a fare niente.” Mentre parlava le accarezzava il viso e affondava sempre di più le dita tra i suoi riccioli rossi: “Io mi fido di te, Imma. Aspetto.” Lo guardava sorridendo, senza dire nulla, mentre il paragone con le parole che le diceva Pietro e quelle del terapeuta le passavano nella testa. Lo amava, e se ne accorse in quel momento. Invece di dirglielo, scelse di dimostrarglielo: gli prese il viso tra le mani e lo baciò, prima con dolcezza, poi con desiderio. Fu lei stavolta a spingerlo contro il muro alle sue spalle, che per puro caso era lo stesso verso il quale l’aveva spinta lui la prima volta che si erano baciati. Calogiuri sentiva le mani della dottoressa cercare di superare lo strato di vestiti per toccargli la pelle, per graffiargli dolcemente la schiena. Fu quando la sentì toccarlo da sopra i pantaloni che dovette tirare la testa indietro: “Non possiamo…” riuscì a dire, con l’ultimo briciolo di raziocinio che gli era rimasto.
“È il mio ufficio, fino a prova contraria.” Gli sorrise sulle labbra prima di passare al collo. Scese piano piano, finché non si ritrovò in ginocchio davanti a lui. La guardava negli occhi mentre si abbassava: aveva uno sguardo che mai le aveva visto prima, uno sguardo così intenso che Calogiuri si sentiva tremare le gambe. Dovette appoggiarsi al muro dietro di lui per assicurarsi di non lasciarsi andare.
“Dottoressa…” la forza dell’abitudine e la totale follia che in quel momento lo faceva smettere di pensare lo portarono a chiamarla col suo titolo.
“La dottoressa è in ginocchio per lei, maresciallo.” Gli sorrise, perfettamente consapevole di quello che stava facendo, mentre gli tirava giù la zip così lentamente che Calogiuri emise un gemito.
“Non dovremmo… qui…” era sicuro che sarebbe morto da un momento all’altro. Era letteralmente il sogno che l’aveva tormentato per anni, sia da sveglio che mentre dormiva.
Imma lo guardò intensamente, mentre lo liberava dai boxer e gli sorrideva maliziosamente: “Vuole che mi fermi, maresciallo?” Tirò fuori la lingua per accarezzarlo appena, senza mai smettere di guardare Calogiuri dritto negli occhi. Lo vide tirare la testa indietro e istintivamente affondò la mano tra i suoi ricci, facendole capire che smettere era l’ultima cosa che voleva. Sentiva la testa di Imma muoversi sotto la sua mano, ma non vedeva: i suoi occhi blu erano serrati per il piacere più intenso che avesse mai provato, aumentato dal rischio dovuto al posto che la sua dottoressa aveva scelto per regalarglielo. Imma lo lasciò andare e le sue labbra produssero un suono che lo costrinse ad aprire gli occhi e guardarla: era rossa in volto, gli sorrideva come chi era perfettamente consapevole di starlo facendo impazzire. Se avesse continuato così, Calogiuri non sarebbe durato a lungo. La aiutò ad alzarsi con molta meno delicatezza di quanto Imma fosse abituata, e la baciò intensamente.
“Ti voglio sulla scrivania” gli sussurrò tra un bacio e l’altro. Lui sorrise: quello, invece, era il sogno di Imma.
La fece sedere sul legno, che era ghiacciato ma lei neppure se ne accorse. Si alzò il vestito, senza toglierselo, e lui non potè far a meno di sorridere notando che le mutandine erano leopardate. Proprio come nel sogno che la tormentava da sveglia e mentre dormiva, Calogiuri le infilò le mani sotto il vestito, toccandola, accarezzandola, stuzzicandole il seno senza mai smettere di baciarla. La sentiva gemere e strusciarsi contro di lui, impazzendo dalla voglia di essere toccata. Amava e odiava allo stesso tempo il fatto che il maresciallo si prendesse il suo tempo ogni volta per venerare il suo corpo. Lo prese in mano, regalandogli ancora piacere, mentre lui aveva lasciato scivolare la mano tra le sue gambe spalancate, e la accarezzava da sopra le mutandine: “Dentro.” gli sussurrò semplicemente. Mentre Calogiuri, a fatica, controllò per l’ultima volta che tutto intorno a loro fosse chiuso, lei lo guidava sempre più verso di lei.
“Sicura?” Le chiese per l’ultima volta. “Scopami, Calogiuri.” gemette Imma, in tutta risposta. Quello fu abbastanza per abbandonare ogni barlume di razionalità: le spostò le mutandine di lato ed entrò dentro di lei, facendole tirare la testa indietro. Ne approfittò subito e si avventò sul suo collo, baciando, leccando e succhiando la sua pelle. Nessuno dei due se ne accorse, ma le aveva appena lasciato un segno proprio sotto l’orecchio: non ragionavano, non più; erano guidati soltanto dal desiderio, dalla passione e dall’
amore. Imma sentiva la scrivania tremare sotto di loro e pensò a tutte le volte in cui aveva sognato quel momento: le venne da ridere e, senza sapere perché, Calogiuri ricambiò immediatamente il suo risolino.
“Quanto volte hai desiderato di prendermi qui?” Gemette, tirandolo per i capelli per portarlo più vicino a lei. “Troppe” le rispose sulle labbra prima di ricominciare a torturarla con i baci sul collo. Imma rise di nuovo e non seppe dire se era per la sua risposta o per il solletico che le stava facendo. Istintivamente, portò una mano sul didietro del maresciallo, e lo sentì duro come la pietra. Accompagnava ogni sua spinta, mentre rideva e sorrideva maliziosamente insieme a lui. Calogiuri portò una mano tra le gambe di Imma e prese ad accarezzarla finché non trovò il ritmo che la faceva impazzire e la guidò fino all’apice. Nessuno, nessuno mai era riuscita a farla venire e sorridere allo stesso tempo.
Lo baciò con passione: “Siediti sulla mia sedia.” Gli sussurrò. Lui non se lo fece ripetere due volte, si sedette sulla poltrona che fino ad allora era stata sempre e solo della
sua dottoressa. La vide alzarsi nuovamente il vestito, spostarsi le mutandine e sedersi sopra di lui, guidandolo lentamente, di nuovo, dentro di lei. Gemette e iniziò a muoversi piano piano sopra di lui, reggendosi con una mano allo schienale della sedia.
“Lo sai che non riuscirò mai più a guardarti seduta qui senza pensare a questo?” Le disse, guardandola muoversi su e giù, scegliendo il ritmo che più le piaceva e facendo fatica a mantenere i gemiti.
“Secondo te io smetterò mai di sedermici senza pensare a quanto è bello sentirti dentro?” Rispose a mo’ di sfida. Calogiuri non ce la faceva più, era una tortura non poterla sentire mentre si lasciava andare completamente, non poterle accarezzare la pelle a causa dei vestiti che entrambi avevano ancora addosso. Quasi spontaneamente e quasi senza accorgersene, ripiegò sull’unica parte di lei che gli era concesso toccare e prima di rendersene conto si ritrovò a darle uno schiaffo sul didietro. Imma lanciò un gemito più forte di quanto volesse e prese a muoversi più velocemente “Ancora,” gli sussurrò, e Calogiuri obbedì una volta, due volte, tre volte. Rise sotterrando il viso tra i suoi riccioli:
“E chi lo avrebbe mai detto che allo Sceriffo di Matera piace essere sculacciata.”
“Dillo a qualcuno e sei morto.” Scherzò, e lui le diede un altro schiaffo di tutta risposta.
Bastarono altri pochi istanti per lasciarsi andare completamente entrambi, l’uno nell’altra. Si guardarono intensamente negli occhi per un lungo istante, ancora ansimanti.
“Prossima volta nell’ufficio di Vitali?” Disse Imma e Calogiuri scoppiò a ridere, tirandola a sé.

mi raccomando, vi aspetto! qui o su twitter (velocecalogiuri).

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


e con questo capitolo vi dò appuntamento al 4 gennaio! Grazie per aver letto fin qui e un grazie doppio a chi ha commentato, qui o su twitter (velocecalogiuri).
Buona lettura!



Imma e Calogiuri non lo sapevano allora, ma quella mattina di fuoco nell’ufficio di lei sarebbe dovuta essere per loro abbastanza per almeno un’altra settimana: riuscirono a vedersi solo al lavoro, e, benché entrambi provassero in ogni modo a darsi appuntamento, qualcosa finiva sempre per interferire con i loro piani. Questo, certo, non impedì loro di scambiarsi baci furtivi in auto mentre lui l’accompagnava, né di accarezzarsi e stuzzicarsi promettendosi molto più di quanto avevano già fatto. Ma i giorni sembravano scorrere senza dargliene loro la possibilità, e ora mancavano pochi giorni a Natale.
Imma si sentiva nervosa, frustrata: alla mancanza del maresciallo si univa la presenza insistente della famiglia De Ruggeri, che stava per riunirsi nel pieno spirito delle feste. Avevano fatto un’ultima seduta con il dottor Sansoni, poi lui aveva comunicato loro che sarebbe andato in ferie e sarebbe rientrato il sette gennaio —Questo ha una fantasia di lavorare… aveva commentato Imma, ma in realtà ne era felice. Non sopportava quell’uomo, il modo in cui la guardava facendola sentire incredibilmente trasparente e vulnerabile. Pietro, dal canto suo, non aveva mai smesso di tentare di recuperare il rapporto; l’unica cosa su cui aveva ceduto era il sesso: aveva smesso di chiederglielo una volta affrontato il discorso alla loro seconda seduta, quando Imma gli aveva detto chiaramente di non averne voglia e, se mai si fosse riaccesa la scintilla, se ne sarebbe accorto da solo. Erano parole che facevano male, ma era un primo passo per condurlo a mollare un po’ quella morsa nella quale suo marito sembrava stringerla ormai da tempo.
“Dianaaaa!” Tuonò imma lanciando la borsa e la sciarpa sulla scrivania.
“Dimmi, che c’è Imm— dottoressa?”
“Che cosa sai tu di quei pacchetti per i viaggi… mi pare si chiamino Smartmox”
Smartbox.” Diana sorrise, capendo che ciò che la dottoressa voleva da lei non aveva niente a che fare col lavoro: si accomodò di fronte a lei tutta contenta mentre partiva con uno spiegone che poteva riassumersi con “Carine, ma niente di che.”
“Ah. Quindi non ne vale la pena?”
“Secondo me faresti meglio a fare tutto tu. Quelle sembrano prometterti chissà che e poi alla fine non puoi scegliere quasi niente. Ma la vuoi regalare a Pietro?”
“No” disse subito Imma, come se Diana avesse detto un’eresia. “A Valentina” aggiustò il tiro. L’amica e collega la guardò accigliata, ma annuì: “Comunque, qualsiasi sia la meta, ti conviene prenotare direttamente dal sito. Se vuoi lo faccio io per te, mi dai i nominativi e…”
“No no, non ti preoccupare Diana, ci penso io, grazie.” Ci mancava soltanto farle prenotare due biglietti per lei e Calogiuri.
“Ma lo sai come si fa?”
“Mica sono nata nel 15-18, Diana! Ma non hai da lavorare tu?” Disse stizzita, mentre tentava di concentrarsi su altro sperando che la cancelliera capisse il suo intento di chiudere lì la conversazione.
Aveva pensato di regalare a Calogiuri un fine settimana. Ci stava pensando da giorni, con l’idea in testa che avrebbero rivissuto tutto quello che avevano vissuto a Firenze e forse anche di più. Non vedeva l’ora di scappare, di prenderlo e portarselo via dove non li conosceva nessuno, dove non li giudicava nessuno, dove potevano viversi alla luce del sole.
Accese il computer, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa, Calogiuri entrò nel suo ufficio:
“Dottoressa,”
“Chi è morto?” Esclamò chiudendo con un rumore sordo il portatile.
“Una donna di quarant’anni, Irina Scocco. È stata trovata nel suo letto, uccisa con un’arma da taglio.”
“Ah.” Disse Imma, ricomponendosi “Io scherzavo quando l’ho chiesto.”
Vide Calogiuri sorridere dolcemente, poi abbassare lo sguardo e spostarlo solo per controllare se ci fosse Diana:
“Vi accompagno io, dottoressa?” Disse con il tono più professionale che gli riusciva.
“Certo. Andiamo Calogiuri, veloce!” Prese il cappotto e lui sorrise. Abitudini che non moriranno mai.

“Stavo pensando…” gli disse mentre lui guidava. “Ci vediamo venerdì a pranzo?” Allungò una mano per accarezzargli dolcemente i capelli.
“Ti prego, non mi torturare più. Lo sai come funziona: io dico di sì, preparo tutto, penso a ogni cosa e poi tu all’ultimo mi dici che non puoi a causa della tua famiglia.” Imma abbassò lo sguardo, senza però smettere di accarezzarlo. Aveva ragione, e lo sapeva. “E poi se mi dai buca venerdì…” Calogiuri faticò per un secondo a rimanere concentrato sulla strada “Beh, è il giorno prima della vigilia.”
“Lo so che giorno è. E so anche che farò di tutto per esserci.” Gli promise, guardandolo anche se sapeva che lui non poteva ricambiare. “Questa volta è una promessa, Calogiuri. Spaghetto dell’appuntato e poi ti dò il mio regalo.”
“Dottoressa…” la prese in giro.
“Intendevo quello vero.” Imma non si rese neppure conto del doppio senso, ma non potè far a meno di ridere maliziosamente.
Calogiuri si illuminò come un bambino all’idea che le avesse fatto un regalo: non che gli importasse ricevere qualcosa, ma era più per il fatto che una come lei aveva pensato di regalargli qualcosa: “Non ti facevo una che sta appresso ai regali di natale.”
“Infatti non me ne frega niente: ho regalato a tutti una sciarpa.”
“Che conoscendo i tuoi gusti sarà impossibile da abbinare.”
“Perché che cosa vorresti dire, scusa?”
Possibile che quando erano insieme non riuscissero mai a smettere di ridere? Lei finse di dargli una spinta sulla spalla e lui finse di lasciarsi spingere: come i bambini.
“Anche io ti ho fatto un regalo.” Le disse poi.
Imma non aveva dubbi, ma si finse lo stesso sorpresa: “Ah sì? E che cos’è?”
Calogiuri staccò un istante lo sguardo dalla strada per guardarla: “Qualcosa di rilassante.” Le disse solo, stringendosi nelle spalle.
Imma sorrise. “Si?” La sua voce si fece sempre più bassa, mentre la mano che prima era tra i capelli del maresciallo scivolava tra le gambe di lui. Calogiuri si ritrovò a stringere forte le mani sul volante, tanto da rendere le nocche bianche come perle: “Imma… facciamo un incidente.”
Imma ridacchiò: “Non vedo l’ora di aprirlo, il mio regalo.” Tolse la mano controvoglia e si rimise composta: “Allora venerdì da te?”
Lui si voltò un’ultima volta per sorriderle: “Venerdì da me.”

buon anno a tutt*, che questo 2023 sia l'anno dei calaranni <3

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