La triste esistenza di un sognatore

di Vane_26rt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Io sono Alyson ***
Capitolo 2: *** 1° - L'inizio di qualcosa di nuovo ***
Capitolo 3: *** 2° Capitolo - Di rosso non c'è solo l'abito ***
Capitolo 4: *** 3° Capitolo - Immagina ***
Capitolo 5: *** 4° Capitolo - Diario di una diciottenne ***



Capitolo 1
*** Prologo - Io sono Alyson ***


«L’immaginazione è la prima fonte della felicità umana» disse Giacomo Leopardi «e la forza che più ti prende e più ti spezza» aggiungerei io.  

 
Ciao! Io sono Alyson e ho diciassette anni, ancora per poco. Vivo a est di Salt Lake City, in Utah negli Stati Uniti. Il mio sogno più grande è quello di partecipare ad un musical: amo tanto cantare, come recitare e ballare. Mio padre Jack e mia madre Lucy si sono conosciuti grazie alla musica: erano i cantanti di due band rivali, si odiavano davvero tanto, ma tra una canzone e l'altra, una competizione e l'altra… ecco che si sposarono e diedero al mondo me, mio fratello maggiore Alex e la mia sorellina Maggie; una bellissima favola con lieto fine, non c’è dubbio.
Fisicamente noi figli siamo molto simili: abbiamo una corporatura magra ma non troppo slanciata. L'unica differenza è che io ho preso i colori da mia madre, infatti ho i capelli biondo cenere e gli occhi verdi come lei; la piccola Meg ha preso da nostro padre: capelli ricci e castani con occhi marroni; mentre Alex è un misto: ha i capelli biondo cenere come nostra madre ma occhi marroni come nostro padre.
La passione per la musica è una cosa che unisce tutta la famiglia infatti non manca mai in casa e ogni fine settimana organizziamo un piccolo torneo tra di noi ballando con Just Dance, cantando con il Karaoke o con basi suonate da noi. 
Mio fratello Alex ha finito la scuola quest'anno, al suo primo anno di liceo ha conosciuto i suoi attuali migliori amici: Sam e Peter; hanno scoperto l’amore per la musica che li accomuna e dal loro secondo anno divennero inseparabili. Insieme decisero di mettere su una band: Musical Fire. Incominciarono a fare le prove nel garage dei genitori di Sam e dall’estate tra il loro terzo e quarto anno, incominciarono a suonare nei locali per farsi conoscere e per fare qualche soldo.
Quest’estate sono stati notati da un produttore discografico del RCA Records che era venuto in città per le vacanze ed ha deciso di ingaggiarli e produrre il loro primo disco. 
I ragazzi sono davvero molto bravi: Alex suona la chitarra, Sam suona la batteria e Peter suona il basso; quest’ultimo sa suonare magnificamente anche il piano; ogni volta che lo si sente suonare è un'emozione nuova, senza togliere nulla alla sua voce: sembra un angelo quando canta e spero di non incontrare mai il suo sguardo perché è lì che giungerebbe la mia fine. Quei bei occhi azzurri sono la fine del mondo, sembra di osservare un cielo limpido e luminoso... Sì ok, ho una cotta per Peter da tre anni ma lui e Alex sono come fratelli e se mio fratello venisse a sapere che ho una cotta per il suo migliore amico, mi ucciderebbe. Gli unici che lo sanno sono i miei due migliori amici: Sam, frequentando mio fratello abbiamo legato molto, e Susan, siamo cresciute praticamente insieme: le nostre madri frequentavano la stessa scuola e hanno continuato ad essere grandi amiche nonostante ognuna di loro dovette condurre una vita propria.
Io e Susan non siamo proprio identiche ed a volte non andiamo d'accordo ma è proprio questo il bello della nostra amicizia: ce ne diciamo di tutti i colori ma guai a chi osa insultare l’altra. Lei è molto più ordinata di me e qualche volta bisogna tirarla un po' per convincerla: diciamo che siamo quelle classiche amiche dove una è la figlia giocherellona e l'altra la mamma responsabile ma che infondo è un po pazza come la figlia. Sintetizzando: siamo uguali in alcuni aspetti e diverse in altri. 

Frequento ormai l’ultimo anno della East High School, la scuola migliore di sempre ma con qualche eccezione: Brittany Allen, si crede una superstar e la regina della scuola ma non è altro che un insopportabile presuntuosa e rompiscatole. 
A parte questo, è una scuola davvero stupenda: ci sono molti corsi come canto, ballo, orchestra, teatro… dove puoi esprimere tutta te stessa. Per non parlare che è stata la scuola scelta per le riprese di High School Musical - è un onore e un sogno per me frequentare questa scuola. Poi ci sono le materie più noiose: storia, scienze, matematica e tante altre che ti fanno venire sonno e da cui non vedi l’ora di scappare. La peggiore di tutte? Decisamente atematica, con tutti quei numeri mi fa scoppiare la testa, per non parlare per storia: a chi importa di come venivano imbalsamati i Faraoni o di come cacciavano gli antichi, e poi ci sono troppe date, è impossibile ricordarle tutte! Preferisco mille volte Arte e Letteratura: mi piace molto disegnare e scrivere - una volta ho scritto un testo e l’ho usato come brano per una canzone.
Purtroppo se non abbiamo almeno la sufficienza in tutte le materie non ci permettono di frequentare i corsi extra, per non parlare che mia madre mi metterebbe in punizione impedendomi di suonare - e questo non posso permetterlo - quindi stringo i denti e studio anche storia e matematica, a ritmo di musica ovviamente, così da rendere il tutto più piacevole.
Non riesco ad immaginare di vivere in un mondo senza musica, non riuscirei a fare nulla e mi sentirei vuota. 
A proposito di studio, è meglio che abbandoni per un po’ il mio amato piano e mi metta subito a lavoro, altrimenti chi la sente a mamma!

⚜️Spazio Autrice⚜️

Ho voluto creare un prologo che vi possa far capire già da subito, qual è il rapporto tra Alyson e gli altri personaggi perché - per quanto possa sembrare - non è un Romance, le relazioni non sono il fulcro di questa storia ma faranno da cornice.
Allora qual è l'argomento principale? Questo tocca a voi scoprirlo, immergendovi nei panni della protagonista.

Spero di riuscire nel mio intento e che soprattutto vi piaccia!
Buona lettura

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Capitolo 2
*** 1° - L'inizio di qualcosa di nuovo ***


Oggi inizia la scuola e per l'occasione mi sveglio molto presto, indosso classici jeans blu che non mancano mai, maglietta bianca a maniche corte e scarpe da tennis bianche, per i capelli decido di raccogliere la metà superiore in una coda e il resto lasciarli mossi.
Finito di riordinare la stanza e lo zaino, scendo per la colazione.
«Buongiorno mamma, buongiorno papà»
I miei genitori si alzano sempre presto: mio padre per sistemare le cose per il lavoro e mia madre per preparare la colazione e assicurarsi che io e Maggie arriviamo a scuola puntuali, soprattutto oggi: la piccola Mag inizia il suo primo anno di elementari.
«Ally, come mai già sveglia?» chiede mio padre.
«Oggi è il primo giorno di scuola anche per me, voglio arrivare puntuale»
«Alyson Roberts, sei sicura di sentirti bene?» sento dire da dietro le mie spalle con voce lievemente preoccupata.
«Certo mamma, sto benissimo! Non vedo l'ora di andare a scuola, questo è il mio ultimo anno e intendo godermelo al massimo!» I miei si scambiano uno sguardo scioccato e incredulo «Che c'è? Perché quella faccia?» chiedo confusa.
«No niente» risposero in coro.
Potrei avere un'idea della loro reazione ma decido di lasciar perdere la questione e di prepararmi la mia solita colazione: latte e cereali.
Avevo appena riempito la mia tazza quando vedo arrivare Alex, oggi ha la prima prova ufficiale con il gruppo; papà si è persino preso l’intera giornata pur di accompagnare i ragazzi.
«E tu che ci fai sveglia?» mi chiede, avvicinandosi al tavolo.
«Oggi mi inizia la scuola» lo informo mentre vado a posare il latte nel frigorifero e quando mi volto: «Alex! Quella è la mia tazza!» lo rimprovero fermamente vedendolo bere da essa.
«Che ne sapevo io!» si giustifica con quell'aria da finto innocente. 
«C'è scritto sopra il mio nome, genio!» 
Lui osserva la tazza e vedendo che avevo ragione: «Senti, mi sono appena svegliato, okay? Non ci ho fatto caso» 
Non mi sembra visto che era già bello e pronto, con tanto di capelli perfettamente ordinati. Riprendo il latte dal frigorifero, lo verso nella tazza con su scritto "Alex" e vado a sedermi al tavolo nel posto di fronte a lui. Dopo pochi minuti, mi chiede come mai fossi già alzata invece di essere ancora a letto come sempre; sembra che avesse assistito a un miracolo.
«Ma perché siete tutti così stupiti del fatto che sono già in piedi? Voglio solo arrivare puntuale a scuola e farmi con calma la strada!»
Alex scoppia a ridere sputando tutto il latte e cereali che aveva in bocca, inondando il tavolo: «Tu, puntuale a scuola? Bella questa battuta!» dice ridendo a crepapelle.
«Perché, che c'è di male? Guarda tu piuttosto cos'hai combinato!» il latte sparso sulla tavola mi sarebbe finito addosso se non mi fossi spostata in tempo.
«Oh niente, solo che se fosse legale, ti sposeresti con il letto e non ti separeresti mai da lui! Dimmi un po', ti baci anche il cuscino?» 
«Ah ah, molto divertente...» Rispondo sarcastica.
Senza staccare gli occhi dal giornale che teneva in mano, mio padre richiama Alex per avermi preso in giro. 
«Ma dai papà, Alyson che arriva puntuale a scuola? Sappiamo tutti che è impossibile!» continua a ridere e la voglia di dargli un pugno in faccia cresce sempre di più.
«Nulla è impossibile se ci provi con tutte le forze e tu dovresti saperne qualcosa» gli ricorda nostra madre con tono deciso, mentre prepara la colazione per Mag «Il tuo obiettivo era di creare una band e ci sei riuscito, arrivando anche ad avere un contratto discografico» puntualizza avvicinandosi al tavolo da noi «Se quello di Alyson è di arrivare puntuale a scuola nonostante la sua abitudine di essere continuamente in ritardo... ci riuscirà» mi rivolge un sorriso d’incoraggiamento e torna a guardare mio fratello con viso più severo «Io vado a svegliare Mag, tu prendi un panno e pulisci»
Così impara a prendermi in giro, penso, facendogli una linguaccia con un sorriso soddisfatto in volto. 
Guardo l'orario: sono le sette e trenta, la scuola inizia alle otto.
«Io vado» avviso prendendo lo zaino e mettendolo in spalla. Con la bici ci sarei stata dieci minuti massimo ma oggi volevo fare la strada a piedi. Esco di casa, prendo gli auricolari e via con “Beat it” di Michael Jackson, mio cantante preferito.
Arrivata a scuola, mi accomodo su una panchina all’ombra di un albero del vialetto aspettando Susan. 

Potettero passare pochi minuti dal mio arrivo, quando scorsi i suoi bei capelli rosso fuoco dall’altra parte della strada. Non ci siamo viste per tutta l’estate dato che è dovuta partire in vacanza insieme ai suoi genitori.
Mi aspettavo che vedendomi dopo tanto tempo mi sarebbe corsa incontro per abbracciarmi, ma non stava correndo verso di me per questo bensì per afferrarmi il braccio e trascinarmi verso l'ingresso della scuola: «Dai andiamo, è tardissimo!»
«Buongiorno anche a te» mi fermo liberandomi dalla sua presa «E no, tranquilla, non siamo in ritardo»
Le mostro l’orario dal cellulare, si sorprese nel vedere che avevo ragione, le si puo’ leggere chiaramente in faccia.
«Siamo in anticipo? SEI in anticipo?!» per poco non si mette ad urlare.
«Anche tu? Oggi i miei e Alex hanno avuto la stessa reazione» sono stanca di sentirmi ripetere la stessa cosa miliardi di volte in una sola ora.
«Bhe, non hanno tutti i torti visto il tuo amore per il letto. Voglio dire, se fosse per te, dormiresti ventiquattr’ore su ventiquattro e diciamo che arrivare puntuale non è proprio il tuo... Ok, scusa» si zittisce notando la mia faccia infastidita.
Va bene che mi piace dormire, ma non c’è bisogno di farne una faccenda di Stato se per una volta decido volontariamente di arrivare in anticipo.
Superato il momento di incredulità, mi rivolge uno dei suoi sorrisi e mi abbraccia facendomi scivolare via quel briciolo di rabbia che ho nei suoi confronti; è la mia migliore amica e per quanto potessi odiarla, sarebbe stata sempre una cosa momentanea, le voglio troppo bene e mi è mancata moltissimo. 
Al suono della campana, tutti gli alunni presenti nel cortile si dirigono verso l'ingresso: il mio ultimo primo giorno di scuola è appena ufficialmente iniziato e io ne sono leggermente emozionata.

Come ogni inizio anno, ci riuniamo tutti in palestra allestita con stendardi rossi e bianchi e un leopardo rappresentante della scuola, dove la preside Smith terrà il suo classico e monotono discorso. Fortunatamente per me e per la mia salute mentale, riesco a non imbattermi direttamente in Brittany; almeno il primo giorno vorrei godermelo e per ora sembra che vada tutto come desiderato.
Stavo per addormentarmi se non fosse stato per la vibrazione del mio telefono: con il sottofondo della preside che recita ancora il suo monologo, apro un messaggio da parte di mia madre e devo fare ricorso a tutte le mie forze, tappandomi la bocca con la mano per non gridare. Susan, che è vicino a me, si volta a guardarmi in modo interrogatorio, sostituendolo con un sorriso malizioso e divertito dopo aver letto il messaggio: «Allora forse è meglio che non venga stasera»
«Scherzi? Adesso a maggior ragione devi venire! Non mi puoi abbandonare in una situazione del genere!» la tensione si percepisce chiaramente nella mia voce nonostante mi sia concentrata a tenere un tono basso. 
Perché a mia madre vengono queste idee sempre all'ultimo?
«E va bene! Se insisti ci sarò» sospira «Almeno mi evito di ritrovarmi il cellulare pieno di tuoi messaggi dove sei nel panico». La guardo ormai rassegnata, non è lei se non se ne esce con qualche sua battuta punzecchiante ma ormai ci ho fatto l'abitudine.
Volto il mio sguardo di nuovo verso la preside pensando che finalmente stesse per finire il discorso ma accanto a lei noto un uomo dai capelli scuri, alto e con un viso affascinante nonostante possa avere una quarantina d'anni circa. Un nuovo professore, penso, eppure ha un’aria così autoritaria che dubito sia la sua professione e poi, quale insegnante dovrà sostituire?
«Ora, date un caloroso benvenuto al Signor Henry Higgins, direttore del Majestic Theater di Broadway» le parole della preside vengono seguiti da un fragoroso applauso ed io quasi mi pietrifico: Broadway, il mio sogno fin da bambina, chiunque voglia fare l’attore da teatro aspira ad arrivare fin lì. Ma da qui a Broadway ci sono cinque ore di volo, che ci fa uno come lui dall’altra parte della nazione? Per la prima volta in quattro anni di scuola, la preside ha l'attenzione di tutti.
«Assisterà ai corsi di canto, ballo e recitazione per poter scegliere, a fine anno, alcuni di voi che riceveranno la possibilità di partecipare alle audizioni della sua nuova opera teatrale musicale»
L'esaltazione è alle stelle, quest'anno sarà una specie di gara per tutti. Dentro la propria mente, ogni singolo studente presente in questa sala sta già analizzando ogni sua conoscenza per vedere quanta possibilità ha di prendersi un posto tra i casting.
Io sono sicura delle mie capacità, ho studiato molto fin da bambina solo per fare questo. Riuscire ad andare a Broadway sarebbe già un sogno, tanto più recitare in uno spettacolo, ma comunque proverò a dare il mio massimo e tenere le dita incrociate per tutto l'anno.

Solitamente durante il primo giorno di scuola lo passavamo a raccontarci cosa avevamo fatto durante le vacanze, quest'anno invece il plesso è in delirio: tra i corridoi non si fa altro che parlare dei provini, del signor Higgins, soprattutto di Broadway.
Susan ricevette il permesso da sua madre per poter venire a casa mia e restare fino a sera per la festa, ce l’aspettavamo come risposta.
Arrivate a casa, la suoneria del telefono mi avvisa che è arrivata una notifica: Sam mi ha mandato una foto insieme a Peter e Alex con il panino in mano chiedendomi com’era andato il mio primo giorno di scuola. Mi incanto qualche secondo a guardare il viso sorridente di Peter prima di poter rispondere al mio migliore amico: “Tutto bene, ti racconto i dettagli più tardi”.
Dopo aver divorato letteralmente tutto ciò che c’era nel piatto, incominciamo a preparare le cose per la festa di stasera. 

Manca solo una mezz'ora all’arrivo degli ospiti, io e Susan saliamo in camera mia per sistemarci: indosso un crop top bianco con scollatura a barca, una gonna di jeans e sneakers bianche e nere, sciolgo i capelli lasciandoli liberi lungo la schiena. A Susan ho prestato un vestitino bianco abbastanza semplice, dalla gonna morbida e lunga appena sopra le ginocchia, decorata con diversi fiori colorati. Avendo la stessa corporatura, è solito scambiarci e prestarci vestiti.
Suonano il campanello, appena in tempo. 
«Alyson, apri tu che sto finendo di sistemare tua sorella?» mi chiede mia madre dal corridoio. 
Scendo in salotto insieme a Susan, pronte per accogliere i primi ospiti: davanti l’ingresso mi ritrovo una donna e un uomo entrambi dai capelli scuri e corporatura magra, i signori Cooper, genitori di Sam. Oltre alla coppia, alle loro spalle, giunge un ragazzo anch’esso dai capelli e occhi marroni, un viso più fine e una corporatura più robusta e solida di quello che ricordavo.
«Ciao ragazze, come state? è da tutta l’estate che non ci vediamo» ci regala un sorriso bianco e perfetto facendo rivelare le due fossette ai lati.
«Ciao Alan, noi tutto bene. A te piuttosto cos’è successo? Sei cambiato molto dall’ultima volta» sposto lo sguardo istintivamente verso Susan notando le sue guance arrossate e lo sguardo assente, evidentemente qualcuno ha fatto colpo.
«Mi sono allenato molto quest’estate, volevo mettermi in forma per l’ultimo anno»
Alan è il fratello minore di Sam e frequenta il nostro stesso anno, è un ragazzo che sta abbastanza sulle sue, circondandosi solo da persone legate strettamente a lui. A differenza di suo fratello ha una particolare dedizione verso gli strumenti a corda, in particolare per il violino.
Do una piccola gomitata alla rossa vicino a me in modo da farla riprendere e farle dire qualcosa: «Non ti abbiamo visto oggi a scuola»
Quanto vorrei  che qualcuno la riprenda in questo momento. 
Le guance di Alan si colorano leggermente e la sua voce rivela un lieve imbarazzo: «Sono arrivato un po’ più tardi del solito, giusto in tempo per il discorso della preside Smith» 
Effettivamente non è suo solito arrivare in ritardo e sì, è più un tipo che si imbarazza per queste cose che per altro. Chissà come mai questo cambiamento fisico improvviso? Sarà la pubertà o c’è di mezzo una ragazza? Non so perché ma il mio istinto opta di più per la seconda motivazione.
«Non ti sarai scambiato di ruolo con Ally, vero? Oggi è arrivata perfino prima di me» ovviamente non possono mancare le battute di Susan sulla mia puntualità di questa mattina. Scarichiamo pure l’imbarazzo sulla propria migliore amica!
«Come io mi sono puntato di cambiare fisicamente, non è detto che Alyson non possa convincersi di arrivare in orario»
«Oh! Grazie Alan, davvero. Finalmente qualcuno che mi supporta invece di ridermi in faccia» Lo abbraccio istintivamente come gesto di ringraziamento, dovrebbero fare una statua a questo ragazzo!

Successivamente suonano nuovamente alla porta ma questa volta è andata mia madre ad aprire. A fare il proprio ingresso, sono i signori Anderson, i genitori di Peter, accompagnati dalla sorella maggiore. La famiglia Anderson e la famiglia Cooper, come colori, sono praticamente gli opposti: sia la madre che il padre di Peter hanno capelli biondi e occhi chiari, compresa la sorella.
Mentre offriamo da bere a tutti, il motore della macchina di mio padre che parcheggia nel garage ci comunica che i ragazzi sono arrivati. Disposti tutti davanti alla porta con i calici in mano, accogliamo il trio urlando al loro ingresso: «Viva i Musical Fire!»
Il mio sguardo cattura immediatamente i dolci e delicati lineamenti del viso di Peter, i suoi capelli biondi che sembrano brillare ad ogni ora del giorno e gli occhi azzurri come un cielo limpido d'estate.
Mi sta guardando, cerco di non arrossire. Mi saluta con un gesto della mano, ricambio a distanza.
Mi costringo a concentrare la mia attenzione altrove. 
Voltandomi, mi precipito ad abbracciare il mio migliore amico dai capelli e occhi color cioccolato, appena lo vedo. Lui ricambia con gioia il mio gesto facendomi volteggiare aggrappata al suo collo, ridendo entrambi.
«Come sta il mio batterista preferito?» chiedo appena mi rimette a terra, dandogli una lieve pacca sulla spalla.
«Un po’ stanco dalle prove ma tutto bene. Tu piuttosto cosa mi devi raccontare? Mi hai messo troppa curiosità con il messaggio di stamattina» anche su di lui il sorriso rivela le fossette ai lati delle labbra.
L’avrei fatto subito volentieri se mio fratello non si fosse intromesso con quell’aria d’impiccione che si ritrova: «Prima magari potresti salutare tuo fratello maggiore» rimprovera «Okay che mi vedi tutti i giorni e abitiamo sotto lo stesso tetto, ma almeno un "ciao" credo di meritarlo» 
«Ecco che fa il fratellone geloso di turno. Tranquillo Alex, non ho intenzione di rubarti la sorella» ride Sam dando una pacca sulla spalla all’amico.
«Per me puoi anche tenertela, l’importante che non ti fai contagiare dalla sua pazzia, non vorrei perdere un amico» 
«Per quello ormai è tardi» la mia voce e quella di Sam si pronunciano all’unisono.

I festeggiamenti iniziano ufficialmente tra cibo, chiacchiere, risate e musica. Siamo tutti radunati nel salotto, chi ancora mangia attorno al tavolo, chi sorseggia lo spumante, chi si rilassa sul divano.
«Allora, vi sentite troppo stanchi o credete di poterci deliziare con almeno una canzone?» la voce calda del padre di Peter cattura l’attenzione di tutti mentre si rivolge con lo sguardo verso la band. 
Alex, Sam e Peter si guardano annuendo con sorriso e  prendendo ognuno il proprio strumento: mio fratello la chitarra, il biondo il basso e il batterista un tamburo, non c’è spazio per la batteria. 
Al contrario di me, che cercavo di non incantarmi nel guardare Peter, c’è qualcuno che guarda fisso verso la stessa direzione, la stessa persona: Susan.
«Se continui a fissarlo, finirà per accorgersene» le sussurro all’orecchio «Tanto vale che vai a parlargli direttamente no?» 
Il suo sguardo color nocciola si sposta su di me con tono di rimprovero: «Vedi da che pulpito arriva la predica! Tu perché non parli con Peter?»
Lascio indifferente l’ultima frase: «Ti ricordi che viene a scuola con noi, vero? Non potrai ignorarlo per tutto l’anno»
Non finisco neanche la frase che mi accorgo che non mi sta più ascoltando: sta cercando Alan, non essendo più seduto al suo posto. Per sua sfortuna, sono io a trovarlo per prima: era al tavolo dietro di noi per servirsi da bere. Riesco a catturare l’attenzione del ragazzo facendogli il gesto di raggiungerci per sedersi con noi e beccandomi un'occhiata piena di odio da parte di Susan. Sono convinta che lei possa avere una possibilità, si vede che c'è chimica tra loro e anche se farle da cupido mi porterà a subire qualche sua malignità riguardo me e Peter o qualsiasi altro debito mi vorrà far pagare, non posso farmi scappare un'occasione del genere: è da tre anni che mi punzecchia per Peter. 

Il trio ha smesso di suonare prendendosi un fragoroso applauso da tutti i presenti e qualche urlo da parte di noi giovani, ringraziando il loro pubblico con un profondo inchino come se fossimo ad un vero e proprio concerto.
Questo diede il giusto tempo a Susan per pianificare una piccola rivincita: «Ei Alyson» il suo tono di voce nel pronunciare il mio nome basta a rivelare le sue intenzioni «Perché non ci canti qualcosa anche tu?» un sorriso finto cristallino le cresce sul volto e questo mi permette di affermare la mia teoria. 
«Vorresti accompagnarmi tu, amica mia?» Non posso fare altro che reggerle il gioco, scendere nel campo di battaglia e provare a trascinarla con me.
«Mi piacerebbe ma stasera non sto molto bene con la voce e non vorrei sforzarla» Sa che il trucchetto da finta malata non attacca con me ma non posso insistere davanti ai signori Cooper e i signori Anderson, non la conoscono bene come me.
«Potresti farti accompagnare da Peter magari» ed ecco che lancia la prima bomba «Se a lui non dispiace, ovviamente» si affretta ad aggiungere.
Non saprei se essere al settimo cielo o sprofondare la testa nel terreno come uno struzzo, perché Peter accetta la proposta di Susan con un radioso sorriso sul volto.
Anche sul viso di Susan appare un sorriso ma il suo è decisamente maligno, malizioso, desideroso di vendicarsi. Mi sorprende che ci sia andata così leggera anche se per me è comunque una tortura.  «Hai qualche richiesta?» Ormai che siamo in ballo, non ci resta che ballare.
Era ovvio che avesse già in mente anche la canzone e in tutta questa situazione è proprio codesta scelta che mi preoccupa di più: «Guarda, voglio farti un regalo: visto che so della tua ossessione per High School Musical, potreste fare "Start of Something New"» ora si che la odio.
Tra tante canzoni, proprio quella doveva scegliere? Ricreare lo stesso momento di un film, di certo non renderà reale anche il resto della storia! Per non parlare che da ora in poi collegherò questa canzone a lui ed a questo momento che ricorderò per molto tempo. Nonostante conosca perfettamente la canzone a memoria, adesso ho paura di dimenticare il testo per colpa dell'ansia.

All'inizio l'atmosfera è fredda, siamo entrambi immobili, ma più si avvicina il ritornello e più è impossibile non farsi trasportare dalla musica: prima un movimento con i piedi, poi la testa, poi le spalle e infine tutto il corpo si muove a ritmo di musica con il battito di mani dei nostri parenti e amici come accompagnamento.
Arriva la parte terrificante ma inevitabile: gli sguardi.
Per quanto volessi impedirlo a me stessa, non posso fare a meno di guardarlo con la coda dell'occhio e accorgermi che lui sta facendo lo stesso. La musica mi travolge completamente prendendo il controllo del mio corpo e qualche strofa dopo ci ritroviamo faccia a faccia, cantando e ballando come se fossimo i soli presenti in questa stanza. Probabilmente lo siamo davvero in questo momento, almeno per me.
La canzone finisce ma lui è ancora qui, davanti a me, che mi guarda e mi sorride; credo di essere diventata rossa in faccia.
Approfitto dell'applauso dei presenti per darmi la forza di distogliere lo sguardo da lui e tornarmene a sedere vicino ad Alan, catturando un sorriso soddisfatto sul volto di Susan e uno divertito su quello di Sam, adesso seduto alla mia destra.
La serata continua per un'altra mezz'oretta fino a che non arriva l’ora per gli ospiti di andare via. Io e Susan salutiamo Alan per poi rivederlo l'indomani a scuola, abbraccio Sam promettendo di venirmi a trovare al più presto e infine saluto Peter sempre a distanza e con lo stesso gesto della mano di quando arrivò.
Andati via tutti, ci dirigiamo ognuno nelle proprie stanze, Susan in quella degli ospiti. Io e lei non ci scambiamo nemmeno una parola riguardo a questa sera, siamo troppo stanche, desiderose di essere accolte tra le braccia di Hypnos.
Ce ne saremo dette di tutti i colori la mattina seguente e con la mente più lucida. 

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Capitolo 3
*** 2° Capitolo - Di rosso non c'è solo l'abito ***


Un nuovo sole sorge alto nel cielo, mi sistemo per la scuola e prima di scendere a fare colazione, do un'occhiata al cellulare notando tra le varie notifiche quella più inaspettata di tutte: 

 

Corro immediatamente in camera degli ospiti da Susan per vedere se era già in piedi - cosa molto probabile - e per farle leggere il messaggio. 
«Ma buongiorno!» esclamo entusiasta spalancando la porta. 
«Vedo che qualcuno è di buon umore questa mattina» sogghigna mentre indossa le scarpe «E sei già in piedi, pensavo che sarei dovuta venire io per svegliarti!»
Ho smesso di insistere su quest’argomento. Dopo un respiro profondo, ritorno con il sorriso a trentadue denti e sotto lo sguardo interrogativo della rossa, le mostro la notifica colpevole.
«Non gli hai ancora risposto?» si volta verso di me spalancando i suoi occhi color nocciola.
Mi giustifico dicendo che ieri ero troppo stanca per accorgermi del messaggio, e presa dall'entusiasmo non l'avevo ancora fatto e non so se avrò mai il coraggio di farlo.
«A quanto pare, la mia punizione di ieri è servita a qualcosa» ride. 
«A proposito di questo…» prendo un cuscino dal letto ancora disfatto e la colpisco dritta in faccia «Ti sembra normale che mi chiedi di cantare con lui?» lei continua a ridere e ripararsi dai colpi con le braccia «E dovevi scegliere proprio quella canzone? Siamo nella vita reale e qui non funziona come nei musical!» 
Mi fermo per riprendere fiato e lei ne approfitta per prendere un cuscino e cominciare a darmene di santa ragione, ribaltando la situazione. 
«E a te sembra normale far sedere Alan vicino a me?!» Non ci volle molto ad iniziare una lotta di cuscini vera e propria «Già ci basta che devo vederlo tutti i giorni a scuola, non puoi metterti in mezzo anche tu!» aggiunge.
«Allora ammetti che ti piace!» rido soddisfatta della confessione.
«Può darsi, ma questo non giustifica il tuo gesto!» mi colpisce alla nuca «E se non l'avessi fatto, non ti avrei detto di cantare con Peter, quindi la colpa è solo tua!» continuò scendendo verso la schiena. 
Ad interrompere la lotta, arriva mia madre che si piazza davanti la soglia della porta con la cesta del bucato tra le braccia: «Ragazze è pronta la colazione, scendete a mangiare se non volete fare tardi a scuola» dice con voce dolce, poi sul suo volto spunta un sorriso, uno di chi sa benissimo quello che sta per dire: «E smettete di litigare, dopotutto non è andata male a nessuna delle due» ci rivolge un occhiolino e si allontana. 
Io e Susan ci guardiamo in silenzio per qualche secondo per realizzare le parole di mia madre e scoppiare a ridere come due cretine. Mia madre aveva ragione, entrambe ci avevamo guadagnato qualcosa: Susan si è avvicinata un po’ ad Alan e io ho cantato con Peter facendomi contattare la sera stessa.
Questa mattina, mamma ha preparato i pancake e la spremuta d’arancia per colazione, sa che piacciono molto a Susan quindi li fa ogni volta che dorme da noi. Non mi lamento, piacciono molto anche a me.
Prima di uscire, mia madre mi rivolge un ultimo appunto: «Alyson ti ricordo che più tardi abbiamo la prova del vestito quindi non fare tardi appena esci da scuola» Menomale che me l'ha ricordato perché l'avevo completamente rimosso. 

Essendo che ieri ho potuto godermi il primo giorno dell’anno scolastico, immaginavo già che la mia pace non poteva durare ancora a lungo infatti, mentre io e Susan ci dirigiamo verso l'entrata, il demonio in rosa shocking fatto persona arriva con i suoi lunghi capelli biondi al vento: Brittany Allen, accompagnata dalle sue "amichette" fastidiose. Dimenticandosi ogni genere di educazione, spinge me e la mia amica per poter entrare per prima nell'edificio altezzandosi con quel suo fare da diva che solo lei crede di essere. 
«Potresti almeno chiedere con permesso» sbotto con tono più alto di quello che avrei voluto, non tanto per paura di affrontarla perché non ne ho, ma non sono una che ama le discussioni e le litigate, soprattutto quando non ne vale la pena. E lui non ne vale di certo.
«Ciao ragazze, non vi avevo visto» il suo tono sorpreso è più finto delle extension che ha tra i capelli e che avranno avuto la stessa forza di una frusta dalla velocità con cui si è voltata verso di me. 
«Alyson, già qui? Come mai non sei arrivata in ritardo come al solito?» ho già detto che le piace molto stuzzicarmi per farmi innervosire? Purtroppo per lei che a me piace molto di più non darle la soddisfazione di riuscirci, puntualizzando il fatto che non sia una ragazza così tanto loquace…
«Per vedere te, Bry. Sai, è da tutta l'estate che non riesco ad andare in bagno e adesso che ti ho visto ho un urgente bisogno, scusami» rispondo con aria provocatoria e la sorpasso entrando così prima di lei «Perché deve essere per forza sempre così odiosa? Menomale che è l'ultimo anno» sospiro. 
«Odiosa io? Io sono favolosa!» Con una mano fa svolazzare all’indietro i bei capelli rossi imitando l’atteggiamento della bionda «È Brittany, cosa ti aspettavi? Essere odiosa è nella sua natura!» dice rassegnata. 
«Certamente! E sono anche fantastica, bella e splendente!» Imito Brittany a mia volta è insieme a Susan scoppio a ridere con il suono della campana come sottofondo. 

Uscita finalmente dall’aula di matematica, approfitto dell’ora buca per rilassarmi un po' nell’aula di musica: questo è il mio posto preferito della scuola, non perché fosse decorata in modo particolare o altro, ma la sola presenza di tutti quegli strumenti mi permette di potermi liberare dai pensieri almeno per un po’. A volte è come se riuscissi a sentire il suono di ogni strumento che si unisce all'altro formando un'unica melodia; mi è sempre stata d'ispirazione, sia per le melodie che per la scrittura di brani e storie. Oggi tuttavia sento una sensazione strana: come se non fossi da sola, come se qualcuno mi stesse osservando, eppure sono da sola nel silenzio più totale. 
Come ultima lezione della giornata ho una delle materie facoltative che ho scelto per quest'anno: letteratura italiana. Per una come me che ama leggere e scrivere, studiare le varie opere e conoscere vari poeti è sempre stata una cosa affascinante. Molti scrissero le loro opere basandosi sulla realtà che li circondava, chi si basava su sogni e desideri che occupavano i loro cuori e le loro menti, abbandonandosi all’immaginazione e riempiendo le loro esistenze di speranza in una vita migliore. Ricordo di esser stata in Italia da piccola ed ero sempre su di giri, affascinata dai monumenti delle varie città, soprattutto quelli legati alla mitologia greca come i faraglioni di Acitrezza. Sono sempre state le uniche "storie" che ho apprezzato e apprezzo tutt'ora studiare e approfondire. 
La professoressa Russo è una donna magrolina, di media altezza, con capelli biondi lunghi appena sopra le spalle; la sua voce docile può portare sonnolenza all'inizio ma quando ti ci abitui, riesci a seguire la lezione tranquillamente. Personalmente credo che sia una di quelle insegnanti dalla voce nascosta: quelle che, se arrabbiate, riescono a farsi sentire anche dall'altra parte dell'edificio. Per il resto, sembra davvero una donna simpatica e disponibile, e nonostante sia italiana e insegni nella nostra città da poco, ha un buon accento; per non parlare del suo vestiario: elegante ma comodo. La moda italiana non si discute.

Io e mia madre abbiamo appena passato il fruttivendolo quando sento una voce familiare chiamare entrambe: la signora Anderson era uscita dal negozio da noi appena sorpassato «Lucy, Alyson, che piacere vedervi. Anche voi a fare compere?» ci rivolge un sorriso raggiante mentre si avvicina a noi.
«Gloria!» saluta mia madre «In realtà stavamo andando a provare il vestito per il compleanno di Alyson» 
Dalla stessa porta da cui avevamo visto uscire la signora Anderson poco prima, il mio sguardo cattura la chioma dorata dell’unica persona che riesce a farmi uscire fuori di testa: Peter, suo figlio, con delle buste in mano, tuta nera e maglietta celeste. Mi aspettavo che fosse da Sam anche lui, come mai è qui? Ho un brutto presentimento.
«Pensandoci dovrei fare shopping anch’io, altrimenti non avrei nulla da mettermi per quel giorno» ride allegra «Vi dispiace se ci uniamo a voi?» 
Sento il mio stomaco annodarsi e le guance diventare sempre più rosse, sperando che mia madre si inventasse qualcosa per rifiutare la richiesta: la signora Anderson ha parlato al plurale, ciò significa che intende lei e suo figlio, e io non riuscirei a superare un momento così imbarazzante.
«Mamma, io poso queste cose in macchina e li porto a casa» la voce e lo sguardo di Peter si rivolgono a lei speranzoso in un consenso; è comprensibile che neanche lui volesse assistere ad uno scenario del genere. 
Un respiro di sollievo libera i miei polmoni ma ne trattengo subito un altro quando sua madre, facendosi seria gli risponde: «Non se ne parla proprio signorino, non hai ancora la patente quindi non puoi guidare»
«Ma ho il foglio rosa!» esclama lui visibilmente supplice.
«Non guiderai la mia macchina finché non avrai superato l’esame! Verrai con noi. Pensandoci, devi prenderti un nuovo completo, quello che hai a casa ti sta piccolo ormai» lo squadra dalla testa ai piedi come se gli stesse prendendo le misure con solo lo sguardo. 
«Ma se l’ho messo l'anno scorso al diciottesimo di suo fratello!» esclama lui nuovamente, è evidente che sta cercando qualsiasi scusa pur di non venire con noi e io spero che ci riesca. Ma come si può vincere contro una madre…
«Appunto, ti stava preciso ed ora è sicuro che ti sta piccolo» Ecco fatto, uno a zero per lei, non c'è via di scampo.
Ed è così che ci ritroviamo ad aiutare Peter e sua madre a posare le cose nella loro macchina e dirigerci, tutti e quattro, al negozio di abiti cerimoniali. 

Appena entrati, veniamo accolti dalla Signora Sarah, proprietaria del negozio: una donna robusta dai capelli a caschetto scuro e mosso, non molto alta e con occhiali dalla fine montatura appese al collo da un cordino nero.
«Signora Roberts! Signorina Alyson! Vi aspettavamo» si avvicina per stringere la mano prima a mia madre e poi a me, aggiungendo: «Finalmente ultima e decisiva prova» mi sorride dolcemente.
«Ammetto di essere un po’ agitata»
La mia è una mezza verità: l'agitazione non era di certo dovuta alla prova del vestito… 
In quel momento la Signora Sarah sposta lo sguardo verso Peter che era accanto a me e con aria divertita, chiede: «Per il fidanzato non dovrebbe essere una sorpresa?»
Panico. Imbarazzo. Sento la faccia prendermi a fuoco.
«Noi non stiamo insieme, è un amico» riesco a precisare senza balbettare o cominciare a ridere dal disagio.
Lei mi guarda con quell’aria da saccente che solitamente hanno tutte le nonne, di quelle donne che ne sanno una più del diavolo e, con un sorriso beffardo e un sopracciglio alzato, mi rivolge un veloce: «Tutti così dicono» per poi rivolgersi alla donna accanto al ragazzo in questione.
Dopo le presentazioni e richieste, la proprietaria ci accompagna nel reparto maschile in modo da poter sistemare il soggetto che avrebbe richiesto meno tempo.
Trovano subito un completo adatto a Peter, bastarono solo qualche occhiata e qualche misura per vedere la larghezza delle spalle, la circonferenza del bacino, la lunghezza delle maniche e delle gambe. Avevo già visto Peter vestito elegante, ma questa volta c’è qualcosa di diverso, non saprei dire cosa ma quando lo vedo uscire dal camerino con pantaloni, giacca e cravatta nera, incrocio il suo sguardo prima che si girasse verso lo specchio per vedersi, il mio cuore perde un battito e il respiro mi si blocca in gola.
Peter è uno che si imbarazzava difficilmente ma in quest'occasione, glielo si può leggere in viso a causa di un leggero rossore che ha preso il sopravvento sulle sue guance, facilmente confondibile con il caldo se non fosse per lo sguardo. 
Finito con lui, passiamo al reparto femminile, tocca a me.
La Signora Sarah ci porta nei camerini e mi porge il mio vestito chiuso in una custodia di cellofan bianco e un cartoncino con su scritto il mio nome.
Io sono già abbastanza agitata di mio ma mia madre decide di complicarmi ancora di più le cose: «Ally, tu inizia a provare il vestito, accompagno un attimo Gloria a dare un'occhiata in giro e torniamo. Peter, puoi restare con lei, gentilmente?»
«Certo signora Roberts» 
Provo a lanciare occhiate di disapprovazione a mia madre ma lei non le afferra ed è così che mi ritrovo con il vestito in mano, davanti al camerino e con Peter che guarda le nostre madri allontanarsi insieme come due adolescenti, accompagnate dalla Signora Sarah.
Resto immobile per qualche secondo prima di poter riprendere il controllo e chiudermi dentro il camerino, prendere il telefono e scrivere un messaggio alla mia migliore amica chiedendole se fosse in giro così da poter venire ad alleggerire l'imbarazzo creato da questa situazione assurda. Pensandoci bene e trattenendo l'istinto, arrivo alla conclusione che la presenza di Susan non avrebbe migliorato la situazione perché avrebbe cominciato a fare battute su battute creando ancora più tensione, me lo avrebbe fatto apposta.
Cancello il messaggio e poggio il cellulare sullo sgabello cominciando a spogliarmi per poter provare il vestito, con la speranza di sentire la voce di mia madre al di fuori della porta.
Il mio sguardo cattura la mia immagine allo specchio e la mia mente ritorna alla prima volta che lo provai, lo stesso giorno che lo acquistammo: mi ero promessa di non volere un abito rosso, data la mia fissazione per questo colore, ma sarà stato destino perché appena la Signora Sarah me lo fece vedere e provare, me ne innamorai subito. Non era molto particolare: aveva il corpetto ricamato in pizzo con qualche punto luce sparso qua e là e la gonna di tulle che mi scendeva morbida dai fianchi e seguiva ogni mio singolo movimento.

Ritorno sulla terraferma e mi accorgo di un problema: non riesco a far salire la zip, mi si blocca ogni volta che provo a chiuderla. Mi avvicino alla porta chiamando mia madre per venirmi ad aiutare e dimenticandomi che, al di là della porta, c'è ancora Peter che sta aspettando.
«Non sono ancora tornate» mi informa dall'altra parte della porta con voce soffocata «Ci sono solo io qui» puntualizza.
Ora cosa faccio? Menomale che tornavano subito! 
«Provo a chiamarla al cellulare» È l'unica soluzione, penso.
«Cosa ti serve? Magari posso aiutarti in qualche modo»
So che non c'è nulla di cui vergognarsi ma provo un imbarazzo enorme nel dirlo a lui, in fin dei conti non doveva proprio esserci in questo momento!
«Non riesco ad alzare la zip del vestito, mi si blocca» non so come sono riuscita a pronunciare queste parole ma posso notare il mio viso arrossarsi dallo specchio del camerino, soprattutto quando lui risponde: «Se vuoi posso provare a chiuderla io. Tranquilla farò ad occhi chiusi, visto che desideri sia una sorpresa per tutti» 
Ok, l'agitazione è alle stelle. Il cuore sembra scoppiarmi fuori dal petto. Potrei comunque chiamare mia madre ma sto già sudando e non voglio rischiare di rovinare il vestito. In questo momento ho una voglia di gridare, saltare e di buttare tutto fuori, che nessuno potrebbe mai immaginare, sicuramente sarà un giorno che ricorderò per sempre ma non saprei se in senso positivo o terrificante.
La parte superiore del vestito è a taglio canottiera quindi non ho nemmeno il problema che mi sarebbe scivolato perché sorretto dalle spalle.
Mi faccio coraggio e apro lentamente la porta del camerino: lui è in piedi, qui davanti a me ed ha chiuso veramente gli occhi.
Mi avvicino a lui, lo ammiro per pochi secondi, approfittando del momento, prima di dover fare un respiro profondo e silenzioso per contenere la voglia di baciarlo. 
Gli prendo le mani e le porto ai miei fianchi in modo che capisca dove fossi di preciso, rabbrividisco al suo tocco, vorrei fermare il tempo in questo momento. Mi volto lentamente dandogli le spalle con sempre le sue mani delicate ai miei fianchi e, appena giratomi, si spostano verso il centro della mia schiena, trovando così la zip e chiudendola lentamente.
«Puoi aprire gli occhi se vuoi» dico con un filo di voce quasi tremante e voltandomi verso di lui. 
«Sicura? Non sarà più una sorpresa se ti vedrò adesso»
In questo momento è il mio subconscio a prendere il sopravvento, perché la mia mente è completamente andata, non riesco a pensare più a nulla, rispondo di getto: «Io ho visto te prima, è giusto che ricambi il gesto» se ci avessi pensato, probabilmente me ne sarei tornata dritta in camerino. 
«Ma tu sarai la festeggiata, io-» 
«Insomma Peter, li vuoi aprire o no? È una domanda semplice» lo interrompo cercando di usare un tono leggero e non arrogante. 
Decide di aprirli, rivolge il suo sguardo prima a me e poi al vestito, faccio una giravolta per farglielo ammirare meglio e potrei giurare di aver notato un aumento del rossore sulle sue guance quando, posando nuovamente lo sguardo su di me e con un filo di voce, esclama: «Wow! Alyson sei…»
«Stupenda!» Ecco mia madre che arriva sempre al momento meno opportuno. Un tempismo impeccabile! 
«Ti sta divinamente cara, complimenti» parla la signora Anderson che aveva una custodia in cellofan di un vestito in mano.
«Menomale che doveva essere una sorpresa per gli invitati» ridacchia mia madre. 
«L'unica ad averlo visto è Susan e un'altra persona in più non può fare male. L'effetto sorpresa si può ancora fare» spiego, cercando di sembrare indifferente. 
«Tranquilla, il tuo segreto è al sicuro con me» mi sorride Peter.
So che non direbbe nulla, per questo il mio subconscio ha deciso di fargli vedere il vestito, o per chissà quale altro motivo.

Usciti dal negozio, facciamo un pezzo di strada insieme fino al raggiungimento della loro macchina. Le nostre madri camminano davanti a noi parlando tranquillamente tra di loro, tra me e Peter regna il silenzio, qualche sguardo furtivo e sorrisi imbarazzati.
Riusciamo a salutarci solo con un sorriso e un gesto con la mano, non avrei avuto la forza di sostenere un altro suo tocco. 
«Mamma posso andare da Susan?» avevo bisogno di sfogarmi.
«Va bene, ma cerca di tornare per cena» Annuisco, fortunatamente casa Walker è vicina e potrò arrivare in pochi minuti.
Per i genitori di Susan sono sempre la benvenuta, come lei lo è a casa nostra, non ci vuole un motivo del perché andassimo una a casa dell'altra.
Emily, la madre della mia migliore amica, mi accoglie con entusiasmo e mi invita a mangiare da loro: dovetti rifiutare data la raccomandazione di mia madre, per quanto mi sarebbe piaciuto. 
«Sono passata solo per fare un saluto» dico, prima di dirigermi in camera dalla rossa.
Trovo Susan al computer quando piombo letteralmente sopra il suo letto e sprofondo la faccia nel suo cuscino.
«Ally, com'è andata?» mi chiede, avvicinandosi al letto.
«Un disastro! Non puoi capire cos'è successo…» rispondo sollevandomi per mettermi seduta. 
Le racconto tutto l'accaduto, in ogni minimo dettaglio, avrò parlato per circa mezz'ora di seguito senza fermarmi, talmente ero agitata. 
«Sì sta morendo dal caldo qui dentro» concludo il mio racconto sventolandomi con la mano per farmi aria e prendendo una buona boccata d'ossigeno. 
«No amica, è che hai gli ormoni alterati in questo momento» ride divertita «Forse questa sarà la volta buona per voi due» 
Magari fosse successo qualcosa, in tre anni ho fatto di tutto pur di fargli capire cosa provo, fallendo miseramente, e lui non ha mai dimostrato particolare interesse nei miei confronti.
«Non prova nulla per me, sono solo la sorella del suo migliore amico» dico tristemente lasciandomi cadere all'indietro sul letto. 
«I ragazzi non arrossiscono per nulla» sottolinea lei con un tono e un sorriso beffardo.
«La smetti con i tuoi giochetti mentali? Non mi aiuti così» 
Non lo fa di certo: riempirei la mia mentre con dubbi e domande, capaci di togliermi il sonno.
«Hai tenuto duro per tre anni, non puoi arrenderti adesso»
«Non posso aspettarlo per tutta la vita, incomincio ad essere stufa…» guardo l'orario, si sta facendo tardi «Meglio che vada, devo essere a casa per cena»
«Tranquilla, sistemo io qui. Comunque non accetto che lui abbia visto il vestito di persona mentre io, che sono la tua migliore amica, mi sia dovuta accontentare di una foto» protesta facendo il broncio come una bambina piccola e capricciosa.
«Appena l'avrò a casa, te lo farò vedere di persona, promesso» la saluto abbracciandola «e non fare più il broncio da bambina, quello è il mio ruolo» scherzo.

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Capitolo 4
*** 3° Capitolo - Immagina ***


Inizia la seconda settimana di scuola, manca sempre meno alla mia maggiore età - due giorni con precisione - e l'ansia mi perseguita. Oggi pomeriggio sono sola a casa: mamma e papà sono a lavoro, Alex è a casa di Peter, Maggie al doposcuola; regna il silenzio in tutte le stanze.
Mi trovo in camera mia, seduta comoda sul letto e con la musica in cuffia; ho appena finito di studiare letteratura inglese quando decido di fare una pausa e prepararmi un buon sandwich con prosciutto e formaggio accompagnato da una spremuta d'arancia fresca; dopo tanto studio la fame si fa sentire. 
Nel tornare in camera, la mia attenzione viene catturata dal bellissimo piano a corda nero lucente che abbiamo in un angolo del salotto che spicca tra le pareti bianche della stanza. Non posso resistere al sedermi e iniziare a suonare: le mie mani si muovono istintivamente sulla tastiera bianca e nera creando una melodia del tutto improvvisata.
Mi piace molto lasciarmi andare alla musica, ogni nota è come dettata da un battito del mio cuore che mi permette di lasciar scivolare via qualsiasi tensione ma anche nutrirmi di un adrenalina pura che mi elettrizza tutto il corpo. Dimentico tutto ciò che mi circonda, è come se non mi trovassi più a casa mia: tutto attorno a me è buio, un faretto puntato su di me, solo io, la mia musica e la mia voce. 
La melodia che sto suonando, cambia nuovamente: posso sentire il rumore delle onde che s'infrangono lentamente sulla spiaggia in un moto continuo e instancabile, bagnando la riva con la sua spuma bianca; il profumo di salsedine che inebria l'aria e la brezza fresca che mi accarezza la pelle e gioca con i miei capelli.
Davanti a me, la luce del tramonto si riflette sulla superficie calma del mare dipingendolo di un rosso vivo e là, in lontananza, fin dove si perde l'occhio, il mare e il cielo si fondono creando un unico panorama: il sole tinge il cielo di varie sfumature rosa, rosso e giallo, così come le nuvole giocano a cambiare forma; il tutto crea un quadro perfetto, accompagnato dal brano "River flows in you" di Yiruma che sto suonando.
Amo il mare, amo il tramonto, amo la musica… un paradiso in terra. È incredibile come la semplicità della natura, possa riuscire a lasciarti senza fiato creando spettacoli che l'uomo potrebbe solo sognare di creare.

La mia visione s'infrange in un attimo al suono del campanello di casa che mi fa ritornare bruscamente alla realtà.
Alla porta è Sam, vestito con jeans e camicia sportiva: «Ciao Ally, ti disturbo?» chiede con sorriso smagliante. 
«No tranquillo, entra pure» sono ancora un po' scombussolata ma cerco di non farglielo notare «Cosa ti porta qui?»
Lo abbraccio e il suo profumo riempie i miei polmoni, quelli maschili mi piacevano un sacco! Questo però non è il suo solito, lo avrei riconosciuto subito, è un profumo nuovo. 
«Nulla in particolare, sono semplicemente di passaggio» vestito in questa maniera e con un profumo nuovo? C'è sicuramente qualcosa sotto ma decido di non accentuare la cosa. Gli offro un bicchiere di succo ai mirtilli ed io me ne verso un altro all'arancia.
«Sei sola in casa?» mi chiede.
Annuisco mentre bevo un sorso di succo: «Mamma e papà sono a lavoro, Alex dovrebbe tornare a momenti da casa di Peter» spiego. 
Nel mentre il suo sguardo capta il pianoforte aperto: «Ti eri immersa in uno dei tuoi mondi?» annuisco nuovamente «Ecco perché ci sei stata ore ad aprire» ride raggiante e non sorpreso.
«Scusami ma mi conosci, non ci sono per nessuno quando suono» 
«Lo so ed è per questo che ti perdono» ridiamo insieme ma il mio sguardo non fa altro che dirigersi sempre verso lo stesso strumento.
«Ti va di suonare qualcosa insieme? Cosa stavi suonando prima di venirmi ad aprire?» sa sempre leggermi anche quando non parlo, soprattutto direi.
«River flows in you di Yiruma, la conosci?»
Senza nemmeno rispondermi, prende la chitarra di Alex poggiata a lato del piano e inizia a suonare. Con un semplice sguardo mi invita ad unirmi a lui così mi avvicino, siedo di nuovo al piano e lo accompagno con la melodia.
«Riesci ad immaginarlo con la vista sul mare?» mi chiede ad occhi chiusi, perdendosi nella sua mente.
Sì, ci riesco perché sono già lì, noi siamo lì e lo scenario è molto più bello di quello che avevo immaginato precedentemente: i colori sono molto più accesi e caldi, il vento sembra sollevarci da terra, il mare che culla ogni nostra nota e accordo fondendosi perfettamente con la melodia.
Il sole che ci sorrideva smagliante all'orizzonte, si nasconde totalmente sotto la superficie delle acque facendo sorgere il buio della notte per portarci lentamente alla realtà.
Entrambi tiriamo un sospiro di sollievo, come se per tutto questo tempo fossimo stati in apnea e invece, abbiamo respirato l’aria più purificante di tutte per il fisico, per la mente e per l'anima.

Guardo l’orario: manca ancora un'ora, prima che i miei tornino a casa e mi ricordo che devo finire di fare matematica ma anche che Sam se la cavava abbastanza bene.
Alla mia richiesta di aiuto, Sam accetta volentieri quindi saliamo in camera mia, ci sediamo vicini sopra il mio letto e con molta calma e pazienza, mi dà una mano spiegandomi tutti i passaggi. 
Non saprei dire come, ma sono riuscita a capirli ed a farli tutti in pochi minuti, record personale.
Sposto il materiale scolastico sul comodino di fianco al mio letto pur di non alzarmi, non ne ho proprio voglia in questo momento.
«Vedo che ti stai dedicando molto anche ad altro» il suo sguardo si sposta verso un angolo della mia stanza dove ho accumulato fogli vari sopra la scrivania, coprendo quasi totalmente la tastiera del computer ancora acceso e con Word aperto. «Non sei riuscita ancora a finirlo?»
Sam si riferisce ad un romanzo che sto scrivendo da quasi due anni: è una storia, possiamo dire, quasi autobiografica ma con un po' di magia e fantasia. Clara Wilson è tutto ciò che sono e ciò che vorrei essere, un'ancora di salvezza per i miei momenti bui, un mondo dove rifugiarmi e poter vivere i miei sogni attraverso i suoi occhi. 
Mi alzo controvoglia dal letto per andare a chiudere il computer: «Ci sto lavorando» sospiro «Spero di finirlo il prima possibile» dico con un po' di malinconia e preoccupazione nella voce.
«Ci riuscirai» si alza dal letto sorridendomi «E conoscendoti, sarà perfetto!» mi posa le mani sulle spalle «Devi solo trovare il modo giusto» mi rassicura con un sorriso dolce sulle labbra. 
«Comunque adesso è meglio che vada, non vorrei fare tardi» mi abbraccia per salutarmi e inizia a scendere le scale per dirigersi verso l'ingresso.
«Tardi per cosa?» chiedo incuriosita mentre lo accompagno. 
«Devo vedere una persona e non voglio farla aspettare» noto un diverso e particolare sorriso sul suo volto, uno di quelli che conosco abbastanza bene: lo stesso che appare sul mio volto quando vedo Peter e recentemente su quello di Susan quando vede Alan. Adesso capisco molte cose del suo recente comportamento: testa tra le nuvole, sempre sorridente, cellulare sempre alla mano… ma vorrei che le parole uscissero direttamente dalla sua bocca.
«Sam, dimmi la verità, con chi ti devi vedere?» la mia voce è malizia pura. 
Le sue guance prendono colore nel dirmi la verità: deve vedersi con una ragazza. Mi esalto di gioia e lo minaccio amichevolmente nel farmela conoscere e che la pagherà per non avermi detto nulla; dopotutto lui sa della mia cotta per Peter. 
Nello stesso istante in cui apro la porta per farlo andare, mio fratello si manifesta davanti al portico e saluta l'amico prima di entrare in casa. 
«Come mai Sam aveva quel sorrisetto sulla faccia?» evidentemente l'ha notato anche lui «Che avete combinato tutti e due?» fraintendendo probabilmente la ragione. 
«Top secret!» ridacchio tra me e me e torno in camera, lasciandolo alla sua curiosità. 
Chiudo la porta alle mie spalle e decido di mettere un po' di ordine mentre aspetto il ritorno dei miei genitori, che non tardano ad arrivare.

Finito di cenare, Maggie inizia a fare i soliti capricci per non dover andare a letto, e vedendo i miei genitori molto stanchi, decido di usare la stessa tattica che mia madre usava con me e Alex quando eravamo piccoli: «Vieni Mag, ti voglio far vedere una cosa» incuriosita, mi prende la mano e mi segue fino in camera sua.
«Cosa fai Ally?» mi chiede sedendosi sul letto, mentre cerco una coperta rossa dentro l'armadio. 
«Indovina chi sono?» chiedo, poggiando il tessuto sulla testa.
Un colpo d'aria fredda mi colpisce la schiena provocandomi un brivido tale da far venire la pelle d'oca. Mi copro meglio con il mantello rosso che mi avvolge le spalle e tiro più su il cappuccio per ripararmi meglio la testa dal vento. Sembra una notte di pieno inverno e invece siamo solo alla fine di Settembre.
«Cappuccetto Rosso!» esclama Maggie entusiasta «Però ti manca il cestino!» scende dal letto e rovista in un bauletto situato ai piedi di un albero: al suo interno si trovano molti giocattoli e tesori, da cui tira fuori un cestino di plastica riempito con leccornie varie che, a solo sentire il profumo, ti fanno venire l'acquolina in bocca. 
«Grazie, piaceranno molto alla mia nonnina. Sto andando a farle visita, vuoi venire con me?» Lei esulta gioiosa e molto rumorosamente «Sh! Dobbiamo fare silenzio, altrimenti attireremo gli animali cattivi» la zittisco sussurrando.
Troppo tardi: alle nostre spalle, un umanoide si avvicina piano piano a noi e più avanza, più posso scorgere il suo passo che diventa sempre più calzante, i suoi occhi cambiare da un nocciola ad un giallo brillante, un essere dal folto pelo grigio come la cenere: «Si può sapere cosa state facendo voi due? Vi sentite dalla fine del corridoio» nostro fratello Alex è appena entrato nel nostro mondo senza nemmeno accorgersene.
«Stiamo andando a casa della mia nonnina» rispondo, cercando con lo sguardo la sua complicità e di fargli capire dove si trovava.. 
«Dove?» Chiede lui visibilmente confuso. 
«A casa della…» 
Stavo per ripetere più decisa ma vengo interrotta da Mag con una brusca tirata della maglietta: «Non dobbiamo parlare con lui, è il lupo cattivo!» mi sussurra. 
«Dici che ci vuole mangiare?» cerco di non sembrare troppo spaventata.
Un’altra ondata di vento freddo mi colpisce da dietro e i raggi del sole che filtrano tra i rami degli alberi si fanno più tenui.
«Ma io non sono cattivo, sono un lupo buono» si difende l’essere peloso e possente.
«Se tu sei buono, io sono una principessa!» esclama la piccola con ironia e coraggio. Io cerco di fare del mio meglio per non ridere.
Il viso del lupo Alex cambia in un'espressione stupefatta e avvicinandosi un po’ a noi, si inginocchia davanti alla mia piccola accompagnatrice: «Chiedo umilmente perdono vostra altezza, non lo sapevo» la sua voce era apparentemente dispiaciuta ma sospetto che trami qualcosa. 
Maggie si lascia andare ad una lieve risata alla vista dal gesto di nostro fratello e burla di lui: «Era uno scherzo fratellone, non esiste una principessa nella storia di Cappuccetto Rosso»
«Non esiste nemmeno un lupo buono» minaccia il lupo Alex alzando lo sguardo, con un sorriso beffardo e famelico sul volto. 
Inizia un piccolo e rapido inseguimento per il bosco. Mi guardo attorno cercando un qualche nascondiglio per sfuggire al predatore e fortunatamente, con un po’ di affanno, troviamo un grande e vecchio salice dai lunghi rami piangenti di morbido cotone rosa pastello. Perchè mi sembra di averlo già visto?
Un secondo dopo, sentiamo la voce cupa di nostro fratello che cambia ancora facendosi più grave e graffiante per assomigliare di più ad un grosso lupo cattivo: «Non saranno tanto lontane, potrei ancora prenderle e mangiarle in un grande boccone!» l'ultima affermazione viene seguita dal rumore di una porta che si chiude.
L'affanno è ancora presente nei nostri caldi respiri che si tramutano in nuvolette di vapore a contatto con l'aria gelida. Io e Maggie ci scambiamo uno sguardo non di paura ma di adrenalina ed eccitazione.
Qualche attimo successivo, esco per prima da dietro i rami per assicurarmi che il lupo non fosse più nei paraggi: intorno a me ci sono solo alberi alti e robusti, neanche l'ombra del predatore ne di nessun altro animale; eppure giurerei di aver visto, solo per un secondo, due piccoli bagliori rossi tra due arbusti in lontananza davanti a me: sembravano due occhi, come se qualcuno mi stava osservando nascosto nell'ombra con le sue pupille infuocate; uno sguardo da far paura, certo, eppure io non ne ho avuta anzi, mi dispiace della sua scomparsa. È strano, lo so, ma è così.

Io e Maggie ci incamminiamo per il bosco godendoci il bellissimo e ormai tranquillo paesaggio fino ad arrivare a casa della nonnina.
«Ciao nonna» salutiamo entrando.
«Come stai oggi? Ti abbiamo portato tante cose buone da mangiare» dico mentre mi avvicino al suo letto per porgerle il cestino pieno di prelibatezze.
«Che bello! Sono molto affamata, in effetti» risponde lei con un enorme sorriso e voce gracchiante.
Mi ritrovo costretta a lasciare il cestino in mano alla nonna e ad allontanarmi perché mia sorella mi stava tirando da dietro: «C'è qualcosa che non va, la nonnina è molto strana oggi» mi sussurra improvvisamente sospettosa. 
Io ovviamente avevo notato che c'era qualcosa di diverso in nonna e cercavo di non ridere ma mostrarmi altrettanto preoccupata: «Hai ragione Maggie, hai visto quanto sono grandi i suoi occhi?» 
«È per vedervi meglio, nipotine mie» si giustifica subito la nonnina che evidentemente ci aveva sentite.
«Anche le sue braccia sono molto più grandi» osserva la piccola indagatrice.
«Così posso abbracciarvi meglio» spiega sempre la vecchietta coricata a letto a qualche metro da noi. Deve avere un udito ben accurato per sentirci così bene alla sua età e con la cuffietta che le copriva le orecchie.
Dopo che la nonna ci ha invitati ad avvicinarci al letto per poterci stringere tra le sue possenti braccia, riesco a notare un altro particolare che poco tempo prima mi era sfuggito: «Anche la tua bocca è molto più grande. Sicura di stare bene nonnina?» 
«Sì, sto benissimo, ho solo molta fame» ripete «E la mia bocca grande mi permette di mangiarvi meglio!» Esclama, facendo incupire di nuovo la voce per ritornare a essere il lupo cattivo.
Prese di sorpresa, io e Mag proviamo a scappare ma questa volta il lupo è troppo veloce e riesce a prendermi: «Scappa Mag, vai a cercare aiuto!» simulo di alzare la voce mentre il lupo Alex mi tiene stretta tra le braccia. 
Invece di scappare, Maggie si precipita addosso a noi facendoci cadere nuovamente sul letto: «Non mangerai anche lei, brutto lupo cattivo!» 
Il lupo adesso è intrappolato sotto il nostro peso ed è costretto a lasciare la presa attorno alle mie braccia per difendersi dalle cuscinate date da Mag e provare ad alzarsi e scappare cercando di evitare i peluche che gli stiamo tirando contro.

Alla fuga del cattivo lupo Alex, scendo dal letto e mi avvicino al baule: «Mag, ho trovato la nonna!» esclamo estraendo una bambola dal vestito azzurro fiorato «il lupo non l'ha mangiata!» 
Maggie si mette sotto le coperte insieme alla sua bambola e, mentre facciamo finta di mangiare le pietanze prelibate che c'erano nel cestino, si incominciano a vedere i primi sbadigli.
Ci stavamo deliziando quando qualcuno bussa alla porta: «Ancora tu? Vuoi altre botte per caso?» chiede Mag irritata alla vista del ragazzo dal grigio pelo.
«Volevo chiedere scusa, sono stato un lupo tanto cattivo ma io avevo solo tanta fame, non mangio da molto tempo» dalla voce sembra davvero molto dispiaciuto.
«Ma non sai che non si mangiano le persone?» lo rimprovera sempre lei «Potevi dirlo subito che avevi fame e ti davamo un po' di cibo!» eccome se è arrabbiata! 
«Che dici Mag, lo perdoniamo per questa volta?» le chiedo dolcemente e trattenendo una risata.
«Solo se promette di non fare mai più il lupo cattivo e di non mangiare le persone!» richiede lei esigente.
Il lupo promette che sarebbe stato buono per tutta la vita, così lo facciamo entrare in casa e mangiamo tutti insieme fino a che, la "nonnina" e Maggie, finalmente sia addormentano. 
Mentre Alex si dirige verso l'uscita, poso il mio mantello rosso dentro l'armadio e lo seguo fuori lasciandomi alle spalle il mondo incantato dell'immaginazione e della fantasia. 

«Questa è l'ultima volta che mi unisco ai vostri giochetti» parla piano Alex massaggiandosi la nuca con faccia dolorante.
«Ne hai prese parecchie stasera» rido con gusto «eppure dovresti averci fatto l'abitudine, anche noi giocavamo così a volte»
«Ma con te potevo osare un po' di più, avevamo la stessa età. Con Mag, essendo molto più piccola, mi devo trattenere molto di più» 
«Dai che però ti diverti lo stesso!» lo stuzzico allegramente punzecchiandogli il fianco.
A sua difesa, risponde bloccandomi le braccia e ne approfitto per stringerlo forte a me. Lui non si allontana ma ricambia l'abbraccio.
Io ed Alex abbiamo il classico rapporto fraterno dove c'è ne diciamo di tutti i colori, non ci sopportiamo, ma nelle difficoltà non ci abbandoniamo mai. Anche se non lo ammetterebbe mai, è sempre stato molto geloso e protettivo nei miei confronti: si prendeva colpe non sue per non farmi mettere in punizione dai nostri genitori, mi difendeva quando qualcuno mi prendeva in giro e teneva d'occhio i ragazzini a cui piacevo, mi consolava quando piangevo e si offriva sempre di giocare con me per tirarmi su di morale, cantavamo e ballavamo insieme per pomeriggi interi e mi dava anche una mano con i compiti a volte. È normale che, crescendo, ci siamo allontanati un po': molte cose non le facciamo più con la stessa frequenza di quando eravamo piccoli, ma la sua protezione è il suo affetto non mi è mai mancato. Sono comunque la sua sorellina! Anche con Maggie si comporta alla stessa maniera, ma data l'elevata differenza d'età, non è la stessa cosa, non c'è la stessa complicità. 
«Posso farti una domanda?» mi chiede improvvisamente «Mi devi rispondere sinceramente però!» 
«Cosa vuoi sapere?» chiedo notando la serietà sul suo volto. 
«È da un po' che ci penso ma…» non sembra tanto sicuro di voler porre la domanda  «Non è che tra te e Sam c'è qualcosa?» 
Sentita la domanda, scoppio istintivamente a ridere fragorosamente, cercando di attutire il suono portandomi la mano davanti la bocca. Noto che la porta di camera sua è aperta e decido di entrarci, essendo anche la più vicina dal punto del corridoio dove ci troviamo, così da non rischiare di svegliare i miei genitori e la piccola Mag.

Lui mi segue e richiude la porta alle sue spalle mentre mi guardava infastidito: «Non scherzo Alyson, se c'è qualcosa puoi dirmelo» 
Cerco di fare un respiro profondo per calmarmi e ridare un po' di ossigeno al mio corpo: «Sì, effettivamente c'è qualcosa» riesco a dire ridacchiando «Ma niente di quello che pensi, solo una grande, bellissima e profonda amicizia» 
Per un solo attimo, gli occhi di Alex si illuminano di una luce poco rassicurante che si spegne appena pronuncio l'ultima frase.
Un’altro respiro profondo: «Sam è come un altro fratello maggiore per me: sarebbe come se mi innamorassi di te e non ci tengo a fare un incesto, grazie!» puntualizzo, ricominciando a ridere. 
È più forte di me, non riesco proprio a rimanere seria in una situazione così assurda.
«Beh, può essere così per te ma non sai cosa c'è da parte sua» contesta molto seriamente. 
«Allora forse non lo conosci così bene» finalmente riesco a calmarmi definitivamente e permettere al fuoco che aveva preso possesso delle mie guance di attenuarsi «Sam non è uno che si fa problemi per queste cose e poi ti posso assicurare al cento per cento che non nutre nessun interesse nei miei confronti, non quel tipo di interesse almeno» specifico.
Mi sdraio comoda sul suo letto a pancia in su per rilassarmi e la mia mente ricorda dell'appuntamento che Sam ha avuto questa sera. Lo contatterò domani per farmi raccontare l'accaduto, penso.
«Come fai ad esserne così sicura?» insiste lui.
«Sono cose sue personali, non è giusto che te li racconti io» dico alzandomi dal suo letto per andarmene in camera mia e chiudere la conversazione «Tu domani hai le prove con il gruppo giusto?» annuisce «Salutami Peter allora, ci vediamo domani sera» mi avvicino a lui sicura del fatto che non ha capito minimamente la mia frecciatina.
«Notte fratellone» gli scompiglio i capelli per infastidirlo e me ne torno in camera mia dove mi aspetta la mia dose di lettura notturna che facevo ogni sera prima di andare a dormire, indipendentemente dall'orario. 
Riesco a leggere parecchie pagine e potrei continuare ancora per molto, ma devo fermarmi obbligatoriamente: si è fatto tardi e l'indomani mi dovrò alzare presto per andare a scuola e affrontare il mio ultimo giorno da minorenne.

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Capitolo 5
*** 4° Capitolo - Diario di una diciottenne ***


Mancano poche ore alla mezzanotte, tra poco arriveranno i miei nonni e amici più stretti - sempre i soliti, manca solo Peter a causa di un impegno precedentemente fissato - ed io mi trovo chiusa in camera, seduta sul mio letto e con una penna tra le mani. 

24 Settembre  7:45 p.m.

Dicono che i diciotto anni si compiono una sola volta nella vita e che bisogna goderseli. Non so cosa aspettarmi e ho una leggera paura al riguardo. Se non dovessero piacermi? Se dovessero pesare troppo? Diciotto anni, devo ammettere però che suona bene. Io che per seconda in famiglia sto per entrare nel mondo dei grandi. Vorrei tanto dire di essere pronta, ma non lo sono. Non si può scappare, non posso fuggire dai miei diciotto anni imminenti, dalla grande festa che ho dovuto organizzare, non posso evitare di trovarmi seduta al tavolo accerchiata dai miei parenti e amici e scartare nel silenzio generale i regali. Ho sempre pensato che sarebbe stato un giorno bellissimo, un giorno speciale… Sembra quasi che debba cambiare il mondo. Eppure rimane tutto uguale là fuori, tutto immutato, con gli stessi pensieri di prima, le stesse immagini, le stesse realtà concrete. 

 

*Flashback*
«Ei Alex!» irrompo in camera sua e lo trovo seduto sul suo letto con le gambe incrociate e la chitarra poggiata su di esse; davanti a sé tiene dei fogli con matita e gomma, probabilmente sta scrivendo una nuova canzone «Posso farti una domanda?»
«È una cosa lunga? Perché sono leggermente impegnato, come puoi vedere» dice con indifferenza, senza togliere gli occhi dal pentagramma nemmeno per un secondo. 
«Dipende dalla tua risposta» spero che riesca a capire l'importanza della mia domanda dal tono serio e deciso con cui mi esprimo.
«Spara» sospira impaziente. 
«Come ti sei sentito quando hai compiuto diciotto anni?» il mio tono acquista un leggero tremolio nel pronunciare la domanda e questo basta per far alzare lo sguardo di Alex verso di me.
«Sei agitata?» ridacchia lui mentre sposta i fogli per farmi sedere.
«Giusto un po’» minimizzo quello che in realtà mi sta consumando ma la mia ansia è abbastanza percepibile.
«Non devi mica salvare il mondo!» ride per sdrammatizzare o per prendermi in giro «Non ti creare chissà quale aspettativa perché non cambia nulla rispetto a prima» assume un tono di nonchalance ma il suo abbassare lo sguardo mi fa capire che anche lui aveva delle aspettative «L’unica cosa è che devi stare attenta a quello che fai perchè le responsabilità ricadranno su di te d’ora in poi» non mi aiuta provocandomi in questo modo.
«Beh, per te è cambiato decisamente qualcosa!» esclamo alludendo al contratto con la band ma consapevole che non c’entrasse nulla con l’età.
«Sarebbe potuto accadere anche prima o in un qualsiasi altro momento!» concorda con il mio pensiero «Ogni cosa ha il suo tempo e questo è l’unica cosa che non puoi controllare quindi pensa solo a godertelo e sfruttare quello che hai» 
Ecco, questo sì che mi è d’aiuto; mi sento già più tranquilla.
«Da quando sai diventato così filosofico?» scherzo per eliminare quel briciolo di tensione che ancora si insinua nel mio stomaco.
«Da quando ho scoperto che è un ottimo metodo per toglierti dai piedi!» dice, spingendomi leggermente verso l'estremità del letto.
Effettivamente stavamo andando d’accordo da troppo tempo, sarebbe stato strano se avessimo finito di parlare in modo pacifico. Lascio la sua camera con il sorriso sulle labbra e un po' più leggera di quando ero entrata.
*Fine Flashback*

Ecco, forse a cambiare siamo noi. La consapevolezza di avere diciotto anni vuol dire tante cose: la cognizione di essere parte di uno stato, responsabilità importanti che ricadranno su di te e non più sui tuoi genitori, firmare giustificazioni scolastiche senza la paura che il professore scopra i falsi scarabocchi… Ammetto che non ho proprio idea di come andrà, di chi ci sarà, non so nemmeno chi mi farà gli auguri domani mattina e chi se ne ricorderà il giorno dopo a scuola, ma una cosa so per certo: voglio divertirmi. Voglio godermi questi istanti prima della mezzanotte, vivere gli ultimi momenti da minorenne, e brindare con le persone che voglio bene. Chi lo sa che non cambi veramente qualcosa: magari avrò il coraggio di fare tutto quello che non ho fatto fin’ora, magari arriverà tutto assieme come un regalo del cielo e non saprò da che parte iniziare a scartarlo. Ma in fondo che saranno mai diciotto anni? Sono pronta a sentirmi un vaso traboccante di responsabilità per ogni pensiero, sono pronta a non avere idea di quale decisione prendere, sono pronta ad avere ancora paura del dentista senza la mamma che mi accompagni alla poltrona, sono pronta ancora a correre nel buio perché i fantasmi mi terrorizzano, sono pronta a sentirmi grande. Diciotto è quell’età che non sembra arrivare mai ma quando arriva ti travolge in una sera, abbandonandoti con le tue sole capacità e istinti. Penso che ci voglia coraggio per portarli in giro, e una certa dose di grazia e di dignità. Ci vogliono anche gli amici di una vita, ci vuole la migliore amica: quella che conosce bene ogni tua incertezza, ogni tua paura, ogni tuo punto debole, quello che ti rende felice e ti fa sorridere il cuore, quella che un’ora prima della tua festa aspetta che tu la chiami, quella che saprà convincerti che non importa quale vestito indosserai, quale borsa porterai, perché l’importante è esserci. Ecco, esserci. Diciotto anni probabilmente vuol dire esserci, lottare per riuscire ad essere presente nei momenti più importanti, perché siamo noi padroni del nostro destino. 

La porta di camera mia si spalanca improvvisamente: «Alyson, che ci fai ancora quassù? Ti stiamo aspettando tutti!» esclama euforica e curiosa allo stesso tempo «Va tutto bene?» chiede cambiando la sua espressione in preoccupazione e tristezza, sa cosa significa quando ho il mio diario tra le mani.
«Sì Susan, tranquilla, è tutto apposto. Tu vai pure, io arrivo subito» le sorrido dolcemente.
Mi ricambia il sorriso comprensiva e lascia la mia stanza senza aggiungere nulla, chiudendosi la porta alle spalle.

Devo molto a quella ragazza e ringraziare le nostre madri per averci permesso di crescere insieme. Anche Sam ha avuto la sua parte, devo molto anche a lui, ma è arrivato molto tempo dopo, quando una parte del mio carattere era già stato forgiato; lui mi ha aiutato a ridefinire i dettagli. Io e Sam siamo la dimostrazione che l’amicizia tra machio e femmina può esistere, anche se ancora c’è gente che crede che tra noi ci sia qualcosa e che attende di emergere. Credo che ad attendere saranno loro e anche per tanto tempo! Il mio tempo da minorenne sta finendo quindi è meglio che vada a godermi quello che mi resta. È difficile staccarmi da questa pagina perché so che quando tornerò, tu resterai immutato ma io sarò diversa: non sarò più una ragazzina ma una donna. Ho paura del tipo di donna che potrei diventare? Sì, ma il tempo scorre incessante, incurante delle nostre esigenze.

Non si può tornare più indietro, il conto alla rovescia è iniziato e più diminuisce il numero, più in me cresce l’ansia che sto cercando tanto di reprimere per potermi godere al meglio questi ultimi secondi. 
«Tre… due… uno… AUGURI ALYSON!» esclamano in coro sollevando i calici di spumante. 

25 Settembre  1.35 a.m.
Eccomi, è una nuova Alyson che ti scrive: la mezzanotte è scoccata già da un paio d’ore, ho la mia migliore amica che mi dorme affianco, Sam e Alan in camera con mio fratello dormendo nei sacchi a pelo; sembrerebbe tutto normale ma in questa oscurità illuminata dalla luna e dai lucernari della strada, già percepisco la diversità della mia vita, una vita che ancora non ho nemmeno ufficialmente iniziato. È stata come un onda di emozioni che mi ha travolto completamente. Ho fatto il conto alla rovescia, ho brindato, ricevuto i primi auguri dai presenti, fantasticato su quello che succederà stasera alla vera festa, mi hanno perfino sbattuto una fetta di torta in faccia! Che simpatica la mia amichetta…

*Flashback*
«Ei Alyson!» mi volto verso la voce amica ignara di quello che mi sarebbe successo: sento sbattermi in pieno viso una sostanza dalla consistenza soffice, umida e appiccicosa, è stato quando ho aperto la bocca per respirare che percepisco sulla punta della lingua il suo sapore zuccherino e capisco che si trattava di panna montata. «Ancora tanti auguri amica mia!» sento ridere Susan a crepapelle.
Mi passo le dita sugli occhi per poterli aprire e la vedo che ride a perdifiato con ancora il piatto in mano pieno di panna residua.
«Grazie Susan, perché non vieni e ti fai dare un abbraccio?» la sfido con tono vendicativo, porgendomi verso di lei. 
In sua difesa, poggia il piatto sul tavolo e inizia a girarci attorno con me che le vado dietro cercando di prenderla per sporcarla a mia volta.
Tutti ridono alla vista dell’inseguimento, soprattutto la mia sorellina che batte le mani allegramente e saltella in un angolo della cucina vicino ai miei genitori.
«E dai Alyson, che sarà mai un po’ di panna» ridacchia Alex.
Neanche il tempo di finire nel pronunciarsi che si ritrova con della panna in faccia anche lui, spalmata direttamente con le mie mani. Vediamo se adesso ha ancora la faccia tosta di prendermi in giro!
«Forse era meglio che ti facevi gli affari tuoi, amico mio» ride Sam al suo fianco.
«E tu faresti meglio a non ridere» ribatte mio fratello inseguendo l’amico che aveva intuito la sua prossima mossa.
*Fine Flashback*

Alla fine ci siamo ritrovati tutti con della panna spalmata in faccia e la casa piena di risate. In questo momento dovrei dormire per fare il mio “sogno di bellezza” e potermi svegliare presto - domani mi aspetta una giornata frenetica tra parrucchiere, truccatrice e fotografo - ma non riesco a chiudere occhio, sono troppo agitata, impaurita ed eccitata allo stesso tempo. Spero che vada tutto bene e non parlo solo della festa.

26 Settembre  3.25 a.m.
Sono appena tornata a casa ed ho i piedi distrutti, sono stanchissima ma strafelice, la serata è stata fantastica: abbiamo ballato, cantato, giocato… tutte le persone a me più care erano lì per festeggiare questo giorno importante per me. Sono tante le cose che ricorderò di questa festa, una tra queste saranno sicuramente le parole di nonna Josie.

 

*Flashback*
«Accogliamo con un caloroso applauso la nostra neomaggiorenne Alyson!» sento il Dj annunciare il mio ingresso.
Davanti a me è presente tutta la mia famiglia al completo: i miei genitori, Alex e Maggie, i nonni, Susan, Sam e Alan, Peter, vecchi compagni di danza, zii e cugini. Ci sono proprio tutti, con il sorriso sul volto, applaudendo alla sottoscritta piena di agitazione ed emozione.
Mia nonna materna è la prima a venirmi incontro e stringermi forte tra le sue braccia: «Sfrutta i tuoi diciotto anni e questa sera che ti appartiene, vivi con il cuore ogni secondo e non cercare l’apparenza, perché so che non fa per te. Non lasciare che i diciotto anni ti cambino e lotta sempre per i tuoi sogni.» 
Nonna Jo, sempre molto saggia. 
*Fine Flashback*

Ho sempre ammirato quella donna, mi ha insegnato che nulla è impossibile. Non ricordo di avertene mai scritto: nonna Jo desiderava diventare una scrittrice ma i suoi genitori non l’hanno mai supportata né economicamente né emotivamente. Si chiudeva in camera sua a scrivere su un quaderno delle storie che non videro mai la luce fino ai suoi ventitre anni quando - grazie a colui che divenne nonno James - ha conosciuto un consulente editoriale che propose il romanzo di nonna al suo superiore; la storia piacque e venne pubblicata. È stata la prima e ultima che ha deciso di espandere: aveva capito che per lei scrivere era una cosa personale, come un rituale da applicare per liberare la mente, divertirsi, immaginare un mondo in cui voler vivere. Se ci è riuscita lei nonostante tutte le complicazioni, allora posso riuscirci anch’io. È stata lei ad avermi regalato il mio primo diario, avevo solo sei anni ma ricordo che saltai di gioia per tutto il giorno e quella sera stessa iniziai a scrivere sulla prima pagina. Ritornando alla festa: alla mia entrata in sala sono rimasti tutti a bocca aperta: nessuno sapeva del vestito e ne sono rimasti affascinati. Ricevevo complimenti da tutte le parti, ma quello che mi fece arrossire è stato da parte di Peter, vestito con il completo nuovo che avevo già visto al negozio.

 

*Flashback*
Sono circondata da tutti i miei parenti e amici che mi fanno gli auguri e si complimentano per il mio aspetto. Dopo qualche minuto, finalmente riesco ad avere un attimo di respiro che non dura moltissimo perchè vedo avvicinarsi il biondo dal completo bianco e nero: «Posso farti anch’io gli auguri o devo prendere un appuntamento?» sorride.
«Credo che sia l'inconveniente di essere la protagonista della serata» ridacchio arrossendo imbarazzata.
«Non solo della serata…» i suoi occhi sono fissi su di me «Sei bellissima Alyson, credo di non averti mai vista così radiosa» la sua voce è decisa e calda.
«Grazie Peter, è bello sentirlo dire da parte tua» riesco a dire senza balbettare.
*Fine Flashback*

Sono sicura che stava per dirmi qualcosa ma venni trascinata dal Dj per poter dare ufficialmente il via alla festa. Non poteva aspettare ancora qualche minuto? Ovviamente la musica è stata l’elemento fondamentale: abbiamo cantato e ballato per la maggior parte della serata e ovviamente, avendo musicisti in familia, la musica dal vivo è un must! Per mangiare ho chiesto di fare un giro pizza, come si usa in Italia; in realtà ho costruito la maggior parte della festa con lo stile italiano. Dovrò ritornarci prima o poi, una tappa fondamentale nel mio programma in giro per il mondo. Il ballo lento con mio padre non poteva mancare: diciamo che il dolore ai piedi è dovuto maggiormente a questo: mio padre è bravo a suonare e cantare ma non di certo a ballare. Al contrario di sua sorella maggiore Alice che da giovane è stata per molto tempo in America Latina: lì si è appassionata allo stile di ballo locale e ha conosciuto il suo attuale marito. Quando ha deciso di tornare a casa è stato nel periodo che era incinta di mio cugino Colin. Durante la gravidanza, zio Julio ha lavorato nella stessa scuola di mamma insegnando balli latini agli alunni, seguito poi da zia Alice uscita dalla maternità. Io facevo già classico da due anni ma convinsi lo stesso i miei a partecipare alle lezioni di latino: volevo imparare più stili possibili e poi, sapendo che la mia insegnate sarebbe stata zia Alice, rendeva tutto molto più bello! Io e Colin siamo diventati partner inseparabili fin dal primo giorno e ovviamente non potevo evitare di esibirmi proprio oggi.

*Flashback*
Il lento con mio padre finisce ed io riesco ad ottenere un po’ di pace per i miei piedi.
«Ei cuginetta!» sento chiamarmi alle mie spalle: mi ritrovo davanti un ragazzo dagli occhi scuri come i suoi capelli, fisico snello dalla postura dritta e composta «Hai i piedi troppo distrutti per tornare ai vecchi tempi?» ride Colin mentre mi porge la mano.
«Salsa?» sorrido accettando l’invito.
Ci dirigiamo al centro della pista proprio come due ballerini professionisti nelle esibizioni formali. Chi ci conosce sa già quello che stavamo per fare infatti si spostano tutti ai lati e lasciandoci lo spazio per poter ballare.
«Facciamogli vedere come si balla!» è un ragazzo molto competitivo su questo aspetto, anche quando la situazione non lo richiede.
*Fine Flashback*

Dopo un pò si unirono anche gli altri invitati: chi conosceva solo il passo base e chi qualcosa in più. Ci divertimmo come pazzi. La lunghezza della gonna non era un problema anzi, la leggerezza del tessuto rendeva tutto più bello: seguiva i miei movimenti e creava dei giochi dando l’illusione che stesse danzando anche lei. Mentre ballavo con mio cugino, percepivo con la coda degli occhi che c’erano alcuni strani spostamenti, il mio sesto senso lo percepiva, a momenti stava per succedere qualcosa ed ero quasi certa che ci sarebbe stato sotto lo zampino di uno dei miei amici, solo dopo ho avuto la conferma da Sam che il vero colpevole era stato l’interessato stesso.

*Flashback*
Mentre gli invitati applaudono, la canzone passa ad un altra traccia che non ricordavo di aver messo nella playlist.
«Credo che tu mi debba un ballo stasera» quella voce così maledettamente e facilmente riconoscibile giunge alle mie orecchie, sapevo di non poterlo ignorare ancora per molto.
Mi volto verso di lui: una mano esposta verso di me e l’altra dentro la tasca del pantalone, uno sguardo sereno ma intenso puntato fisso sul mio, un leggero sorriso accentuato sull’angolo sinistro delle sue labbra, perfino la sua voce ha qualcosa di diverso, sembra quasi un’altra persona. Ci siamo solo noi al centro della pista, circondati da tutti gli invitati con gli occhi puntati contro, sono senza via d’uscita.
Cerco di non incantarmi troppo a lungo sul “nuovo Peter” che ho davanti: «Chiedo al Dj di cambiare traccia» 
Non faccio in tempo nemmeno a provare ad allontanarmi che sento la sua presa sul mio polso e il secondo dopo mi ritrovo con il viso a due millimetri di distanza dal suo.
«Non è necessario» la sua voce è così calma, calda e intensa.
Un brivido mi percorre lungo la schiena. Non c'è nulla di preparato in questa coreografia ma i suoi movimenti sono così sicuri che non ho difficoltà a seguirlo. Siamo un tutt'uno, i nostri sguardi non si separano, siamo io e lui.
«Non sapevo che sapessi ballare la bachata così bene» sospiro, sento le sue mani accarezzare il mio corpo e il suo fiato sul collo. 
«Ci sono tante cose che non sai di me» le nostre labbra quasi si toccano. 
*Fine Flashback* 

Fortunatamente avevo richiesto di rendere la gonna rimovibile così da farlo diventare un abito corto e avere le gambe libere. Stento ancora a crederci che eravamo lì a ballare sulla pista da ballo, lui con quel suo modo provocante, le sue mani intorno alla mia vita, petto contro petto, faccia a faccia. Ora che ripenso a quel momento, mi viene in mente la canzone Don’t stop the music di Rihanna. Avrei tanto voluto fermare il tempo e restare lì con lui a ballare per tutta la sera. avrei voluto che tutte quelle persone si fossero smaterializzate improvvisamente lasciandoci da soli nel nostro mondo perfetto. Magari sarei riuscita finalmente a dirgli quello che provo ma non ne avrò mai la certezza; non posso tornare indietro nel tempo, anche se ammetto che una Giratempo funzionante servirebbe ogni tanto, ma non sarebbe comunque l’opzione migliore. Direi che la scelta migliore da fare in questo momento è dormirci su, dopotutto si dice che la notte porti consiglio e a me ne serve parecchio. 

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