Scandali a Notre Dame

di Fiore del deserto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Personaggi ***
Capitolo 2: *** Capitolo I - Mai confidare la verità ad un burattino ***
Capitolo 3: *** L’effetto della bellezza nell’animo di zingaro ***



Capitolo 1
*** Personaggi ***


PERSONAGGI
 
CLOPIN TROUILLEFOU: burattinaio, acrobata, ventriloquo, cantastorie e malizioso leader degli zingari e, per sua stessa ammissione, giudice e boia della Corte dei Miracoli. A volte estrae un pupazzetto di sé stesso che anima con la mano destra, dialogandoci in maniera surreale.
 
JULIETTE RÉGALIEN: giovane benestante, legata ai valori morali quali il rispetto, l’educazione e la dignità. Nonostante le nobili origini, è riuscita a mantenere una personalità umile e rispettosa verso il prossimo.
 
FIORDALISO DE GONDELAURIEL: gelosa amica di Juliette, appartenente ad una delle famiglie più ricche di Parigi. Prova una forte invidia verso la protagonista femminile e, malgrado possa avere molti privilegi e la sua immensa fortuna patrimoniale, possiede un animo vuoto e privo di sentimenti puri e sinceri.
 
MADAME ALOISE DE GONDELAURIER: vedova, madre di Fiordaliso, innamorata pazzamente della figlia e non perde mai l’occasione di portarla in palmo di mano.  
 
AMELOTTE DE MONTMICHEL: amica intima di Fiordaliso, sempre intenta a spettegolare e patteggiare con quest’ultima per secondi fini.
 
COLOMBE DE GAILLEFONTAINE: seconda amica di Fiordaliso, incompetente, tonta e sciocca, spesso descritta e riconosciuta come un’oca starnazzante.  

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Capitolo 2
*** Capitolo I - Mai confidare la verità ad un burattino ***


CAPITOLO I
 Mai confidare la verità ad un burattino

 
Dopo che il sole ha assunto il suo splendore più limpido, sul balcone in pietra di una ricca magione di fronte alla piazza della Rue du Parvis, alcune giovani fanciulle di buona nascita stanno chiacchierando allegramente, intinte di grazia e spensieratezza. La raffinatezza degli abiti, il prezioso ricamo dei costosi soprabiti, i veli che ricadono dolcemente dall’hennin appuntito, intrecciato con perle, il candore delle loro signorili manine pallide e setose lascia facilmente intuire che si tratti di giovinette nobili e ricche rampolle.  
Tutte quante riunite, affidate alla discreta e venerata carica di madame Aloise de Gondelaurier, vedova di un’ex comandante degli arcieri del re di Francia, ritiratasi in casa Place du Parvis insieme alla sua adorata figliola, Fiordaliso.
Ognuna delle giovani ospiti erano figlie di scudieri, i quali avevano pagato non meno di venti leghe per, perché la celebre vedova insegnasse loro le arti delle buone maniere, dell’educazione e di tutti i valori che ogni giovane donna in età da marito deve portare con sé per il resto della loro esistenza.
Il programma era pressappoco simile ogni giorno: andare a messa di buon mattino, applicarsi al bon-ton nella seconda mattinata, dedicarsi all’arte del ricamo nelle prime ore pomeridiane, recarsi alla messa serale, rientro nella casa Place du Parvis per l’ora di cena – senza mai dimenticare di mescolarla ad una rigida lezione di galateo – per poi concludere le giornate con il ritiro nelle proprie stanze da letto.
Con i suoi cinquantacinque anni scolpiti nelle proprie vesti e non meno sul suo volto, segnato da un pallore che una dama del suo calibro portava orgogliosamente per delineare la propria nobiltà, gli occhi grigi come la roccia che evidenziano l’inespressiva durezza, il naso uncinato tipico delle vedove insoddisfatte che tentano di manifestare la loro vita segnata da una castigata, rigida e severa castità con superbia innaturale, il tutto condito da un filo di labbra sempre incurvate verso il basso, perché una nobile dama che si rispetti deve sorridere solo ed esclusivamente con gli occhi. Solo le donnacce, come le nomina la signora, sorridono con le labbra e il lettore può immaginare come possa denominare coloro che rischiano di mostrare un sorriso a trentadue denti.
L’unico momento in cui la signora può permettersi di fare un’eccezione a riguardo, verte con tutto ciò che ha a che fare con la sua amatissima Fiordaliso, seduta proprio accanto a lei come una principessa accomodata alla destra di una regina ognuno sui rispettivi troni.
Il resto delle fanciulle – intente all’arte del ricamo, come da programma - erano sedute in altri angoli dell’ampia stanza riscaldata dal camino blasonato: damigella Amelotte de Montmichel su di uno sgabello di quercia, scolpito in figure floreali, Colombe de Gaillefontaine su dei cuscini quadrati in velluto con angoli dorati, mentre Juliette Régalien su di una parte del balcone, vicino alla balaustra in alabastro e, più che al proprio arazzo, sembrava essere concentrata sulle circostanze della piazza. Distratta, per lo più.
Ad eccezione di quest’ultima e della signora, le altre giovinette stanno parlottando con il tono sussurrante che la madre di Fiordaliso aveva loro rigorosamente insegnato, prestando attenzione a soffocare le risate e di non cadere nella presunzione di chi, tra loro, stesse creando il ricamo più decorato.
Ogni tanto, madame Aloise lanciava sguardi d’intesa alla sua Fiordaliso e bastava un’occhiata perché le loro menti potessero entrare in sintonia. La povera dama era letteralmente infatuata della sua unica figlia, come ogni madre sciocca da non rendersi conto che tanta passione possa portare le figlie ad un’inevitabile rovina.
Madame Aloise richiama all’attenzione le fanciulle perché si rendano conto dell’infinita grazia con cui Fiordaliso usa il suo ago per decorare la matassa e, un attimo dopo – come di consueto – le costringe ad ammirare il volto della sua figliola, elencandone tutti i pregi dei fini e accuratamente acconciati capelli biondi, la raffinatezza della pelle chiara come la luna e del naso francesino, il fresco fascino degli occhi così simili ai propri dei quali ne va pazzamente orgogliosa, le dolcissime labbra da bambina e tanto innocenti.
«Avete mai visto un viso più affascinante di questo?» decanta la signora, appoggiando una mano rugosa sul mento di una finta imbarazzata Fiordaliso, con una delicatezza infinita come quando si tocca un fragilissimo cristallo «Si può essere più bianchi e più biondi di lei? Le sue mani non sono perfette? E il suo collo da cigno, che assume tutte le grazie della giovinezza in un modo così incantevole. Come invidio l’uomo che un giorno sarà suo marito. Non è adorabile e bella, la mia Fiordaliso?»
L’entusiasmo di madame Aloise è così carico da non essersi subito accorta che tra tutte le compagne della figlia, solo la giovane seduta al balcone si è permessa di commettere l’errore di non averle prestato ascolto.
Chiaramente offesa, la signora la richiama immediatamente all’ordine e scatena il trasalimento della giovane che, a sua volta, per il sussulto si punge un dito con l’ago che tiene tra le dita.
«La solita maldestra!» la rimprovera la signora, senza farsi alcuna meraviglia «Cosa ci può essere di tanto interessante per distrarti dalle mie parole?»
Con il dito ferito tra le labbra, Juliette tenta di giustificarsi, ma l’ignobile gesto crea un ulteriore frustrazione verso la vedova.
“Che modi sono per una signorina?”, “Sei incorreggibile”, “Devo, forse, riferire ogni cosa a tuo padre?”, sono più o meno queste le valanghe di frustranti domande che le orecchie di Juliette devono sopportare.
«Di’ qualcosa!» aggiunge madame Aloise, facendo nascere una serie di risatine da parte di Fiordaliso e delle compagne «Sei diventata muta?»
Si assicura al lettore che la timidezza poteva essere una virtù per Juliette, ma di sicuro non un suo difetto.
«Mi dispiace.» si sforza la ragazza, cercando di placare la stizza della signora e di non farsi prendere dalla soggezione.
«Rispondi, allora.» Fiordaliso sente la necessità di andare incontro alla madre «A che cosa... o a chi avevi la testa per non rispondere alla signora madre?»
Colombe, una madamigella dal pallore signorile, i capelli ramati, gli occhi di terra bruciata, paffuta di guance e dal naso leggermente ingobbito e vestita di verde fino al collo, azzarda ad un’allegra osservazione.
«Non c’è, forse, uno spettacolo dei gitani in piazza?» chiede con una risata, perché essendo un’oca amava starnazzare ad ogni occasione.
Un suono di un tamburello, in effetti, è udibile e lascia presagire la presenza di qualche zingaro nei dintorni.
Fiordaliso si alza dal proprio posto per accertarsi che quanto detto da Colombe corrisponda a verità. Si affaccia oltre il parapetto e scruta nella piazza, attraverso i trifogli del balcone, fino a che i suoi occhi strappati a quelli della madre non si soffermano su di un carretto variopinto appartenente ad un burattinaio in servizio, intento ad intrattenere un gruppetto di bambini.
«Guarda un po’.» sbuffa Fiordaliso, seguita da Colombe e Amelotte con l’aria curiosa.
Benché Juliette sia nata da una famiglia agiata, la ragazza si trovava a suo agio tra le bellezze della gente semplice, per di più aveva ricevuto una certa educazione e cortesia nei modi che erano al di fuori del comune. Non esitava, infatti, ad offrire l’elemosina ai bisognosi e non era mai stata schizzinosa nei riguardi dei meno fortunati.
«Non è lo zingaro che si diverte a raccontare storielle?» chiede Colombe con enfasi, come se non fosse abbastanza evidente quanto stia osservando.
«Guardate Juliette come sta fissando lo zingaro.» ridacchia Amelotte, facendo impietrire la ragazza di vergogna, esibendo uno dei suoi soliti sorrisetti inviperiti, perché avendo le labbra sottili non esitava a stirarle intenzionalmente per assumere ulteriormente un’espressione da anguilla. Dopotutto, sarebbe ciò che si avvicinerebbe di più per descrivere la somiglianza della brunetta, a causa degli occhi azzurri distanziati divisi dal naso aquilino, la bocca larga composta dalle labbra piccole e la fila di denti piccoli.
«Che lo zingaro stia attento, perché Juliette potrebbe farlo innamorare.» rincara la dose Colombe «È proprio un peccato che Juliette si limiti a guardarlo da quassù. Perché potrebbe far divertire anche noi.»
«Mi sembra una buona decisione.» dice improvvisamente Fiordaliso, attirando su di sé l’attenzione di tutte le presenti, la signora madre compresa.
«Juliette,» aggiunge la rampolla «visto che ti delizia prestare ascolto allo zingaro, perché non gli fai segno di venire qui? Ci divertirà.»
«Oh, sì! Sarebbe bellissimo!» esclama stupidamente Colombe, seguita dalle suppliche di Amelotte nei riguardi di madame Aloise.
«Perché?» si permette di chiedere Juliette, prima che la signora possa prendere la sua decisione definitiva «Non ne vale la pena. Dopotutto, non lo conosciamo nemmeno.»
È sufficiente uno sguardo di pietra di Fiordaliso perché Juliette cambi idea.
Sospirando, Juliette si sporge dal balcone e con un gesto della mano richiama il burattinaio cercando di non alzare troppo la voce, troppo sconveniente per una signorina.
«Signore!»
Il gitano che stava raccontando una delle sue storie ai bambini, con l’ausilio di un burattino nella mano destra, gira la testa verso l’alto, seguendo la voce femminile che lo ha appena chiamato. I suoi occhi si posano su Juliette e si ferma per un istante.
«Signore!» ripete la fanciulla, facendogli cenno di avvicinarsi.
Il burattinaio altro non è che Clopin Trouillefou, come il lettore avrà senz’altro capito sin da subito. Quest’ultimo guarda di nuovo la ragazza e si chiede chi mai possa essere quella bellezza così giovane e limpida, che indossa un elegante abito da seta bianco con lunghe maniche a sbuffo e fodera blu, dai capelli biondi come il sole e l’espressione docile. È bella, sta pensando, è graziosa e sembra quasi un angelo che lo stia chiamando dall’alto. Da quella distanza, non riesce a vederle gli occhi, ma è già sicuro che saranno altrettanto graziosi da renderle la giustizia che merita.
Ripresosi dal primo impatto, Clopin vuole accertarsi che la damigella stia parlando con lui. Indica sé stesso in tono interrogativo e, come Juliette gli dona un’affermazione per poi invitarlo a salire, il burattinaio si fa strada tra i fanciulli. Promette loro di ritornare al più presto, ottenendo la fine della loro comprensibile delusione. 
Pochi attimi di attesa e Clopin appare sulla soglia della stanza in cui sono presenti madame Aloise, la sua figliola, le sue amiche e una sempre più confusa Juliette.
Nel frattempo, Clopin è rimasto immobile sulla soglia. Il suo aspetto ha già prodotto un effetto singolare sulle fanciulle e sulla signora. È sicuramente diverso da tutti i nobili signori che sono state abituate ad incrociare, non ha la pelle chiara e il suo abbigliamento è a dir poco bizzarro. La carnagione dello zingaro è abbronzata, porta i capelli neri lunghi fino alle spalle, il naso lungo e il pizzetto nero sul mento lo contraddistinguono. La combinazione di colori dell’abbigliamento è anch’essa singolare, a cominciare dal colore di tonalità che varia dal violaceo ad una tinta più scura come i guanti neri che gli coprono le mani, insieme al mantello lacerato tra lo scarlatto e il cremisi, la calzamaglia aderente e viola è da considerarsi peccaminosa in una casa di signore di buona famiglia. Per non parlare dell’orecchino d’oro sull’orecchio sinistro, insieme al cappello viola a tesa larga, leggermente strappato, decorato con un pennino dorato.
Per cui, l’accoglienza di Clopin era stata alquanto particolare. Fatta eccezione per Juliette, tutte le donne cominciano ad esaminarlo dalla testa ai piedi, poi si scambiano sguardi e non cè più nulla da dire.
Intanto, il gitano sta aspettando che qualcuno gli rivolga la parola, con una tale confusione che non osa picchiare le palpebre.
È Fiordaliso la prima a spezzare il silenzio.
«Lo giuro, non ho mai visto uno zingaro così affascinante.» questa affermazione lascia tutti di stucco, non aspettandosi mai e poi mai una simile rivelazione proprio da Fiordaliso «Cosa ne pensate, signora madre?»
«Non c’è male.» risponde madame Aloise, con blanda accezione spregiativa.
Sorpreso, ma non troppo, Clopin sente che sia giunto il suo turno per poter parlare. In fin dei conti, la sua curiosità era sempre stata legata a colei che lo aveva invitato a salire nell’enorme magione e, come il lettore sa, non è di certo stata Fiordaliso malgrado gli abbia fatto un complimento. Nonostante questo, Clopin ha avvertito qualcosa in quel timbro e, fidandosi del proprio istinto, quel “qualcosa” non lo convince appieno. Anzi, non lo convince affatto.
«Vedo tante belle signore intorno a me, non posso che essere lusingato da tanta lusinga.» risponde il gitano con un giullaresco inchino «Non è vero!» azzarda con la voce acuta e facendo apparire dalla mano destra il suo burattino personale, il suo alter-ego da sempre utilizzato in svariate occasioni, sorprendendo le donne «Zitto!» lo rimprovera Clopin.
«Dov’è la damigella più bella?» chiede il burattino.
«Lo sono tutte qui dentro, stupido!» ringhia Clopin.
«Non è vero...»
«ZITTO!» lo mette a tacere, mettendogli il proprio cappello addosso e coprendo il burattino completamente.
«È lei...» conclude, comunque, il burattino indicando proprio Juliette.
Quanto annunciato dalla dote da ventriloquo di Clopin, ha messo in forte difficoltà la giovane fanciulla interessata.
Poiché le ragazze della stanza erano quasi tutte alla pari in bellezza, combattendo ad armi pari ma senza mai azzardarsi di fare sentire Fiordaliso inferiore a loro, la sentenza di Clopin aveva distrutto questo equilibrio.
La bellezza di Juliette era così rara che, nel momento in cui il burattino aveva fatto quell’annuncio, sembrava avesse diffuso una sorta di fulmine scoppiato in un cielo sereno. 
Dal canto suo, lo stesso Clopin pensava che in quella stanza, circondata da cupi e giganteschi quadri, condita di arazzi e sculture malinconiche, Juliette era incomparabilmente la creatura più graziosa che illuminava l’ambiente. La torcia che rischiara il buio.
Tutte le damigelle si sentono offese e ferite nell’orgoglio e, senza scambiare nessuna sillaba, riescono a capirsi con un solo sguardo.
La stessa madame Aloise non si sente in maniera differente, perché è molto gelosa della sua figliola e intende riparare l’onore della sua bambina.
Nello stesso tempo, Clopin si avvicina a Juliette e le chiede il permesso di farle un cortese baciamano.
«Spero di non avervi compromessa, mademoiselle.» le dice il gitano, la cui lingua è alquanto sciolta quando parla ad una creatura graziosa «Ammetto di non aver mai assistito ad una bellezza come la vostra.» effettua il gesto di cortesia.
«Che sfacciataggine!» Juliette ritira la mano, non per il fatto di essere stata sfiorata da uno zingaro, ma perché ha ben notato gli sguardi carichi di astio nei volti di Fiordaliso, di sua madre e delle altre ragazze. Non vuole di certo attirare su di sé sentimenti negativi e cerca, come può, di rimediare.
«Signore, il suo trucchetto con il burattino sarà senz’altro divertente,» continua Juliette «ma non è cortese sminuire così le altre damigelle.»
Clopin scoppia a ridere, causando una confusione collettiva.
«Per i miracoli del Cielo!» risponde lui «È piazzata perfettamente bene la vostra pietà, come una goccia di miele su di una pozza di fango. Che io possa avere la faccia di una scimmia se...» si blocca quando si rende conto che lo sguardo di Juliette non è affatto divertito e lo zingaro si ricompone, rivolgendosi a tutte quante le donne «Perdonatemi, signore. Credo di essere quasi stato sul punto di dire qualcosa di sciocco.»
«Suvvia, signore.» risponde sprezzante madame Aloise.
«Parla la propria lingua, dopotutto.» aggiunge Fiordaliso con un tono basso e irritato.
«Vestito selvaggiamente.» osserva Colombe ridendo con il suo fare da oca.
Per quanto potesse essere la più inebetita del gruppo, questa considerazione aveva messo un lampo di luce nelle altre per potersi vendicare dell’affronto subito.
«Questo è vero.» dice Amelotte «Perché andate in giro con un orecchino? Non lo sapete che sono gioielli indirizzati alle signore?»
«Se vi metteste un cappello sistemato, il vostro volto sarebbe meno scottato dal sole.» riprende Colombe.
Era uno spettacolo degno di spettatrici come Fiordaliso e sua madre, vedere uno zingaro umiliato in quel modo da lingue avvelenate. Parole raffinate, ma crudeli e umilianti. Non c’è un filo di cortesia e ironia in quelle parole e Clopin non è così ingenuo da cadere nelle provocazioni.
In fin dei conti, a cosa sarebbe servito? Cos’era un miserabile burattinaio nelle piazze pubbliche, in mezzo a delle damigelle nate in casate ricche e nobili? Nonostante tutto, non c’è vergogna, né rabbia nella sua espressione, ma rimane fermo e immobile.
«In nome del Cielo!» tuona la signora madre «Venite in casa mia per esibirvi per il puro piacere di offendere la mia figliola, se non sapete in che altro modo intrattenerci, cosa ci fate qui?»
A questo punto, Clopin cammina lentamente verso la porta senza dare nessuna risposta.
«Aspettate.» lo chiama Juliette «Non andate via, sono sicura che siete bravo nella vostra arte. Tornate e fate qualcosa per noi, per favore.»
La gentilezza di quelle parole fa nascere un lieve sorrisetto sulle labbra dello zingaro e, per fortuna, segue il consiglio della damigella.
«Vero Dio,» esclama il gitano donando una nuova ammirazione nei confronti della ragazza «non esiste pregio migliore dell’educazione. A proposito, dolce fanciulla, come vi chiamate?»
«Juliette Régalien.» si presenta lei, con un filo di emozione e questa volta sinceramente lusingata.
«Clopin Trouillefou, al vostro servizio.» ricambia lui la presentazione, senza staccare gli occhi da quelli di lei. Li ha visti, li ha stampati nella sua memoria. Sono scuri e profondi, colmi di un sentimento che a lui risuona come un mistero.
A quell’inusuale nome, nella camera risuona una risata incontrollabile tra le donne, in barba all’educazione e alle buone maniere.
«È il nome più bizzarro che abbia mai sentito!» si sbellica Amelotte.
«Ecco un nome terribile, adatto ad uno zingaro.» esclama Colombe.
«Di certo, i vostri genitori non avranno pescato un simile nome dalla fonte battesimale.» lo deride Fiordaliso.
Con fare severo, madame Aloise richiama le damigelle alla compostezza, per poi rivolgere la parola a Clopin.
«Per l’ultima volta,» dice minacciosamente «o ci mostrate un trucco, uno spettacolo, o potete andarvene. È già abbastanza aver permesso che uno zingaro abbia fatto il suo ingresso nella mia casa.» come se si fosse scordata che sia stata un’idea di sua figlia quello di invitare un gitano nella propria abitazione.
Senza sbilanciarsi, Clopin non se lo fa ripetere. Effettuato un lieve inchino per introdurre un prossimo trucco di magia, lo zingaro fa apparire dal nulla un giglio di stoffa sulla propria mano.
Un trucchetto semplice, ma che scatena nuove gelosie nei confronti delle donne quando quel fiore viene donato a Juliette.
«Per voi.» le dice soavemente, ma non ha ancora terminato di farla imporporare «Avete, forse, la mano ferita mademoiselle?»
Confusa, la ragazza ammette di essersi fatta male al dito poco prima e Clopin, con garbo, le chiede di mostrargli la ferita. Juliette esegue, seppur timidamente.
«Oh, non è nulla. Passerà presto.» assicura Clopin, senza lasciare intendere che intendesse sul serio. Letteralmente.
Presa la mano della damigella, avvicina il dito ferito alle proprie labbra e vi posa un breve bacio.
«Cosa fate?» si scandalizza Juliette, sussultando e ritraendo ancora una volta la mano.
«Non mi credete? Guardate voi stessa.» asserisce Clopin, invitandola a volgere lo sguardo sul dito.
La ferita non c’è più, nemmeno una traccia. È come se quel dito non fosse mai stato punto.
«È un mago!» esclama Colombe.
«È uno stregone!» azzarda Amelotte.
«È un demonio!» urla Fiordaliso con voce amara, portando le mani al volto «Juliette ha portato il demonio nella mia casa!» conclude cadendo a terra svenuta.
«Figlia mia!» grida madame Aloise, in soccorso della figlia e terrorizzata «Vattene, zingaro d’inferno!» digrigna i denti e punta il dito contro Clopin «Fuori da casa mia!»
In un istante, Clopin fa l’occhiolino a Juliette, per poi scomparire buttando per terra un rosaceo fumogeno e dileguandosi nel nulla, mentre Fiordaliso viene portata via in un’altra stanza.
Rimasta sola, Juliette esita un attimo rimanendo ferma, poi osserva il fiore di stoffa regalatole dal gitano.

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Capitolo 3
*** L’effetto della bellezza nell’animo di zingaro ***


CAPITOLO II
 
L’effetto della bellezza nell’animo di zingaro

 
Con la testa che gli rintrona come un campanile, Clopin ammette a sé stesso di averne avuto abbastanza per quella giornata. Per un caso fortuito, una delle campane di Notre Dame ha appena suonato.
«E per di più,» parla a sé il gitano «quella casa sapeva di muffa. Via! Prendiamo la borsa e convertiamone il contenuto in bottiglie.»
Getta un occhio di tenera meraviglia verso il balcone dove aveva visto la damigella che lo aveva invitato. Quantomeno, i modi gentili di fare di lei avevano fatto la differenza. Nonostante tutto, n’era valsa la pena. Clopin si resetta un po’, si strofina gli stivaletti, una spolverata alle maniche per cacciare via la cenere della coltre di fumo precedente. Una piroetta, un piccolo fischiettare e si rende conto di aver lasciato uno spettacolo in sospeso: il giovane pubblico è rimasto lì, davanti al carretto, aspettandolo pazientemente. Aveva promesso a quei fanciulli che sarebbe ritornato, doveva mantenere la parola data. La conversione in bottiglia del contenuto della borsa, pensa il gitano, per il momento è rimandata.
 
Fatto qualche passo, Clopin vede due bisonti in contemplazione davanti al colonnato della Cattedrale.
«Non me ne importa un accidente,» ruggisce il più bestiale tra i due mendicanti «da domani, ognuno per sé!»
«È colpa mia se la gente si scandalizza della tua brutta faccia?»
Due brutti ceffi, poco raccomandabili al primo sguardo accennato a pochi chilometri di distanza. Il primo tra tutti è Clopin a definirli come un cinghiale e un maiale che tendono a stabilire la propria supremazia. Il cinghiale è alto e coperto da una folta peluria, dai lunghi e unti capelli di pece accomunati dai foltissimi baffi della medesima tonalità, porta due orecchini d’oro e a contraddistinguerlo sono i due canini dello stesso metallo appena citato. Da quando era molto giovane, nemmeno lui ricorda più quanto tempo sia effettivamente passato, non ha fatto altro che “guadagnarsi” da vivere elemosinando e mettendo in evidenza una benda nera sull’occhio sinistro – del tutto sano.
Il maiale, a sua volta, ha poche differenze rispetto al suo rivale, se non fosse per la testa picchiettata da qualche ciocca nera sparsa in maniera del tutto casuale, lorda di grasso e con qualche pidocchio costellato di qua e là pronto a divorargli parte dell’epidermide. Un solo orecchino all’orecchio e un solo dente d’oro, mendicava da anni con la stessa tecnica del cinghiale. 
«Affé mia,» ridacchia Clopin dopo aver sentito l’altro mendicante pronunciare parole poco consone e non adatte a questo genere di storie «non ce la fate proprio ad andare d’accordo, non è vero?»
La voce del burattinaio arriva alle orecchie dei due grossi mendicanti, facendoli trasalire. Interrompono il litigio, si voltano e vedono il loro leader che li sta salutando con mirabile brio.
«Affé del Cielo, perché questa valanga di paroline graziose?» domanda Clopin mettendosi le mani sui fianchi.
«Scusa, capo.» si giustifica il cinghiale, scuotendo la testa «Veniamo da una giornataccia...»
«Non dire altro,» lo ferma Clopin, sospirando e indicando la via che porta alla magione di madame Aloise «io vengo dalla casa di quelle smorfiose e per poco non ne sono uscito con la gola piena di insulti. Mancava poco perché non li sputassi. Ho rischiato di soffocare, tuoni e fulmini!»
«Vieni a bere con noi?» lo invitano e la proposta alletta il leader dei gitani.
«Magari. Avete i quattrini?» vedendoli scuotere il capo, dispiaciuti, Clopin sorride largamente «Ne ho io.» con vivace semplicità, Clopin spalanca la borsa sotto gli occhi dei due compari.
Nonostante rispettassero il loro capo, per i due mendicanti pare assurdo che Clopin possa avere un sacchetto così piena di soldi. Il maiale, il più coraggioso tra i due – o il più avventato – arrischia mettendo a punto la propria opinione.
«Una borsa così piena per uno spettacolo di burattini, capo?» c’è stupore e un leggero tremolio nella sua lingua «Non facciamo che sia piena di sassolini?»
Il sorriso di Clopin si trasforma in una smorfia fredda, severa e sdegnata, facendo pentire il maiale di quanto detto poco prima. Tuttavia, riesce a mantenere ben saldo il proprio umorismo.
«Ecco di quali sassolini riempio la mia borsa.» apre il sacchetto e ne rivela l’interno, gettandolo per terra con noncuranza. Targhe, monete d’argento, denari parigini.
Mentre Clopin rimane dignitoso ed impassibile, i due mendicanti si chinano per terra per raccogliere tutte le monete, anche quelle cadute dentro una pozzanghera.
«Vergogna, Mathias Hungadi Spicali!» li guarda alternativamente, usando una voce tra il serio e il faceto «Vergogna, Guillaume Rosseau
Mathias, il maiale e Guillaume, il cinghiale, contano i denari per terra, privi d’amor proprio e senza farsi scalfire dalle parole del loro capo.
«Ma qui ci sono trenta denari.» esclama Guillaume «Dove li hai presi?»
Clopin getta indietro la testa e socchiude gli occhi in maniera sdegnata.
«Casa Place du Parvis ha una proprietaria rincitrullita. Anzi, due. Madame e figliola.» il lettore, essendo molto intelligente, avrà senza dubbio capito che Clopin abbia derubato madame Aloise e Fiordaliso sotto il loro naso, pur volendo, per puro spirito vendicativo.
«Andiamo a bere.» propone nuovamente Mathias «Al Ancienne taverne
«Macché?» esclama Clopin «Si va al Bouquet d'Aphrodite. Lì il vino è migliore, poi accanto all’entrata c’è un vigneto che mi rallegra mentre bevo.»
«Ma è una casa di peccato.» sogghigna Guillaume con finto moralismo, producendo una risata divertita da parte di Mathias. 
«Non sta scritto “Peccatori e prostitute vi precederanno in paradiso, più che dei giudicatori”?» canzona Clopin effettuando un balletto «Non giudicate, se non volete essere giudicati.»
I due mendicanti seguono il loro leader, in cammino verso il Bouquet d’Aphrodite. Inutile dire quanto stiano pronosticato il momento dell’ebrezza e di una successiva circostanza di piacevole compagnia di donne ubriache, magari anche grasse e sciatte. Nulla di diverso nell’udire battutacce amichevoli, senza curarsi di non dimenticare di mettere in risalto vecchie confidenze. Boccali, donne, risse, vino, pazzie.
Incrociato il vicolo che li avrebbe condotti ad un passo verso il chiosco, un suono di un tamburello giunge alle orecchie di Clopin.
«Maledizione, affrettiamo il passo.» sibila Clopin, facendo ai due un cenno con la mano.
«Perché, capo?» domanda Mathias.
«Ho paura che mi veda mia sorella.» rivela il burattinaio, stringendo i denti.
«Esmeralda?» chiede goffamente Guillaume.
«E chi altri sennò?» quasi tuona seccato Clopin, per l’ovvietà «Dimentico sempre che a quest’ora si mette a danzare qui. Sbrighiamoci, non voglio che mi veda.» gli battono i denti, un brivido gli percorre le carni al pensiero di poter essere intravisto dalla sorella recarsi in quel postaccio.
Senza dire altro, i due mendicanti eseguono quanto ordinato dal loro capo. Superata la strada, cambiano atteggiamento e la spensieratezza si fa di nuovo strada in loro.
 
Scende la sera e la famigerata osteria diventa sempre più caotica quando il sole diventa assente. Tavole ricolmi di boccali riempiti fino all’orlo, pronti ad essere vuotati da bocche sdentate e avide, donne compiacenti a scialacquamenti e perverse passioni guidati dai fumi dell’alcool, frastuoni di bicchieri, canzonacce stonate, imprecazioni, pugni e schiaffoni volanti.
Non solo gentaccia, feccia dei peggiori quartieri parigini, ma anche signorotti di buone casate che di giorno scherniscono la povera gente, per poi mescolarsi tra loro con un mantello indosso per dare spazio ai loro più bizzarri desideri.
Quando scoccano le ore serali, la borsa di Clopin è bella che vuota, mentre il vino gli brucia nella gola come un fiume di lava.
«Ebbene, che i blasonati e i loro figli possano essere impiccati con le loro budella d’oro.» esclama Clopin, ricolmo di vino come una tegola di un tetto zeppo d’acqua quando piove.
Tutti quanti intorno a lui ridono, bevono, brindano a lui, imprecano.
Dà uno spintone a Guillaume, brillo ma non ubriaco alla pari del re dei gitani. La ballata dell’ebbrezza viene interrotta da un terribile fracasso alle sue spalle. Si volta e si accorge che una trave è appena caduta dal soffitto, schiacciando diversi tavoli sotto di essa.
Nemmeno Clopin è in grado di spiegare perché mai la trave sia precipitata, non riesce nemmeno a distinguere cosa accade di fronte al proprio naso.
Superato lo stupore iniziale – per fortuna, nessuno si è fatto male – Clopin trova una spiegazione, a suo dire, plausibile.
«È la punizione divina per una casa di peccato?»
Altre risate e tutto sembra essere dimenticato.
Un lieve passo e Clopin scivola lungo una parete, cadendo mollemente su di una statua raffigurante un’Afrodite che regge in mano una cornucopia con grappoli d’uva. Il re dei gitani non si regge più in piedi e, conservato un briciolo di coscienza, Mathias si rende conto che la situazione possa peggiorare. Prendendo di peso un afflosciato Clopin, sprona Guillaume a lasciare quel postaccio maleodorante di vino, sudore e di altri materiali immondi che non verranno elencati per mantenere un certo decoro.
 
Quando Juliette era entrata per la prima volta nella magione di Madame Aloise, di certo tutte quante le fanciulle, da Fiordaliso a Colombe, avevano ben chiaro che non sarebbe mai stata l’allieva prediletta della signora madre. Solo Fiordaliso doveva essere considerata l’onore di quella casa e, per esteso secondo la loro logica, di tutte le educatrici delle giovani aristocratiche.
Fiordaliso era riuscita a passare davanti alla stanza in cui avrebbe alloggiato Juliette e, quando la porta era aperta, era arrivata a vedere una pila di scatole arrivate in ritardo da qualche negozio. 
«È talmente piena di gioielli e diamanti,» aveva sussurrato Amelotte «di sicuro, suo padre è molto ricco.»
«Mia madre dice che i diamanti sono ridicoli e cafoni per una damigella.» aveva sentenziato Fiordaliso «Le fanciulle di ottima casata devono vestirsi e indossare gioielli in modo semplice e raffinato.»
«Però, c’è da ammettere che è molto bella.» aveva pronunciato con un gran rischio Colombe.
«Io non credo affatto che sia bella.» sospirava Fiordaliso, indispettita «I suoi occhi sono strani, i suoi modi di fare sono strani. Il suo accento è strano. La sua faccia è strana. È tutta strana.» 
«Non è bella come lo sono le altre belle persone.» questa sarebbe stata l’unica cosa sensata che avrebbe mai detto Colombe da quando il lettore ha avuto modo di conoscerla «Ti fa venir voglia di guardarla ancora. Ha uno sguardo intenso.»
Di certo, Fiordaliso era piuttosto carina ed era sempre stata colei che vestiva nel miglior modo possibile nella Place du Parvis, tutto grazie alle immense fortune della madre, fino a che non era apparsa la semplice ed umile figura di Juliette. La nuova arrivata non aveva bisogno di abbigliamenti sgargianti per mettere in risalto le proprie ricchezze, educata com’era nel vestire un comportamento soave, mite e docile. I gioielli di cui tanto parlavano, altro non erano che dei ricordi di famiglia che Juliette non avrebbe voluto indossare fino a che non si sarebbe sentita pronta.
Ciò che amareggiava Fiordaliso era il fatto che Juliette aveva intorno tanto amore dalle persone benché non facesse nulla di grandioso, né mai si metteva al centro dell’attenzione. L’esatto opposto di ciò che faceva madame Aloise con la sua amata figliola e, per qualche scherzo del destino, l’effetto desiderato era quasi sempre l’opposto di quello sperato. Per buon senso, era d’obbligo presentare i propri ossequi a madame e figliola, d’altra parte nessuno era realmente interessato alla figura smorfiosa di quella rampolla così piena di sé.
Era vero, Juliette non era grandiosa. Si trattava di una piccola anima amorevole che condivideva i privilegi e le sue cose liberamente. Fiordaliso e le altre, abituate a disprezzare e a ricevere ordini da donne mature, detestavano questa sue doti. Invidiavano quella ragazza materna che non esitava a far sorridere un poveraccio o ad asciugare gli occhi un bambino affamato regalando loro qualche soldo perché si comprassero del pane o qualche scialle per proteggersi dalle intemperie.  
Non li respingeva mai, non li umiliava, non li scherniva, né si vantava della propria fortuna.
Senz’altro, il lettore si chiederà perché mai madame Aloise abbia deciso di accogliere una ragazza così invisa agli occhi della sua amatissima figlia. Il lettore deve sapere che Juliette era tanto sgradita quanto portatrice di un’inimmaginabile eredità. Il padre, infatti, era conosciuto come Monsieur le Grand, il Grande scudiero e responsabile delle scuderie reali, colui che gestiva personalmente la Grande Équire di Versailles. La sua autorità si estendeva anche nel territorio del regno, arrivando alle accademie per l’addestramento dei giovani nobili alle arti militari. Oltretutto, Jacques Régalien aveva pagato profumatamente l’acida vedova perché si occupasse dell’educazione e della grazia della sua prima figlia, colei che un giorno avrebbe portato con sé una sostanziosa fetta del suo patrimonio.
L’astio della signora madre non era da meno, ma il profumo del denaro le facevano gola e non sia mai che a Parigi si sussurrasse che avesse cacciato dalla sua magione una delle figlie di Monsieur le Grand. Troppo pesante l’onta da sopportare.
Madre e figlia sopportavano in gran silenzio, ma il Cielo solo sapeva quanto entrambe desiderassero vedere Juliette sprofondare nel fango, umiliandola con tutta l’asprezza conservata nella loro nera anima.
 
«Ma era bella, ve lo posso giurare.» delira Clopin, gonfio di vino e traballante tra le possenti braccia di Mathias.
‘Abbiamo capito!’ vorrebbero urlare i suoi compari, poiché avevano sentito quell’affermazione almeno cinque volte. Per tutto il tragitto, il leader degli zingari non ha fatto altro che smaltire la sbornia commentando la figura della fanciulla dai capelli dorati, presente in Place du Parvis.
«Bella come il raggio di sole che penetra nella Cattedrale di Notre Dame.» sentenzia ancora.
«Se è così bella,» alza le spalle Guillaume «perché non vai a rivederla?»
«E stai a vedere che lo faccio!» singhiozza Clopin, con la lingua che inciampa nell’accento di un ubriaco «Quella ninfa sarà mia!»
«Di sicuro...» lo asseconda Mathias, cercando di tenere il suo capo in equilibrio e non badando al peso di quelle parole.
Se si dice che il vino lasci esprimere la verità, stiamo pur certi che Clopin si sarebbe rivelato lo zingaro più sincero di tutta Parigi.
«Domani!» urla improvvisamente, facendo trasalire i suoi compagni «Domani sarà mia!»
Hanno appena il tempo di pronunciare un preoccupato “shhh!”, per poi sobbalzare nuovamente quando un paio di guardie nota il loro comportamento poco conforme.
Schiamazzi notturni da parte di tre zingari, l’ideale per passare la nottata con un’emozione in più. Mathias e Guillaume sprecano un secondo per gettare qualche parola non proprio garbata, quindi scappano a gambe levate nel loro rifugio, con Clopin che ulula svariati giudizi negativi nei confronti delle guardie.

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