Fall into you (is all I seem to do)

di hakkaisan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Protect me from what I want ***
Capitolo 2: *** Soul mate dry your eyes ***
Capitolo 3: *** I’ll be yours ***
Capitolo 4: *** Epilogo: This is the morning of our love, this is the dawning of our love ***



Capitolo 1
*** Protect me from what I want ***



 

Erano rimasti solo lui e il barista.

Un periodo della settimana, o meglio dell’anno, molto tranquillo, al limite della noia, in una cittadina assolutamente dimenticabile. Meglio così.

Lui e Sam non avevano nulla di particolare da fare. Avevano deviato la rotta da una caccia, in direzione di questo paesino sperduto che avevano frequentato altre volte, proprio in virtù del suo essere miracolosamente circondato da eventi soprannaturali; ma mai coinvolto davvero dal male, per quello che ne sapevano. La città verso cui originariamente si stavano dirigendo si era rivelata un falso caso, o almeno così erano stati avvisati prontamente da Garth. “Il nuovo Bobby” pensò Dean con una punta di amarezza e ironia, come se quello fosse solo il nome di un ruolo nella scala sociale dei cacciatori e non del loro padrino de facto.

Quando lui e Sam capirono che si trovavano a poche ore di distanza da quel posto, la decisione fu presa all’unisono con un’occhiata complice. Quella città era una sorta di isola felice.

Si erano chiesti, anche con John, quando la scoprirono tanti anni prima, perché il male ci girasse attorno come se non esistesse. Ma a poco importava darsi una risposta precisa: era la città più piccola e isolata dei dintorni, non esattamente di passaggio, ma neanche troppo celata agli occhi di viaggiatori esperti in cerca di conforto. I forestieri erano pochi e pochi gli abitanti, relativamente nuove le fondamenta e scarse le occasioni di nuovi malefici moderni in approdo. Erano tutte motivazioni scarne, ma plausibili e tanto gli bastava per approfittare di quella quiete, una manna dal cielo. A quel pensiero un sorriso sbieco piegò le labbra di Dean mentre sorseggiava, non sapeva di preciso neanche cosa. Un miele alcolico sorprendentemente piacevole, ma forte.

Non era male. Niente in quella città era eccezionale, né degradato, tanto da destare sospetti. Tutto era lievemente accidentato e imperfetto, ma gradevole. Non male, appunto.

Non gli era mai successo di desiderare così tanto un po’ di riposo. Quasi mai. Se c’era mai stato un periodo in cui avesse avuto bisogno di una vacanza, era proprio quello.

Per una volta sembrava girare tutto per il verso giusto e forse per questo aveva perso la calma prima del solito, quando Sam aveva deciso di buttare tutto alle ortiche facendolo incazzare come un cane rabbioso. Dovevano essere i loro giorni liberi, ossia giorni per vuotare la testa e non lasciarsi sopraffare dalla fine del mondo e tutte le altre cazzate che facevano da corollario alle loro odierne follie. Quella città era sempre stata il simbolo di una normalità che non avevano mai neanche potuto desiderare, una meta in cui fuggire se se ne poteva avere l’occasione, per fare tutto tranne che lavorare, tranne che cacciare. Lo avevano deciso tutti e tre insieme, lui, Sam e papà, quando ne avevano scoperto e valutato la natura. Era la loro meta segreta e speciale. Il calderone d’oro alla fine dell’arcobaleno.

Sam gli aveva rotto le uova nel paniere. Ai suoi occhi aveva calpestato anche uno dei ricordi che conservava gelosamente della rude gentilezza di papà.

Così Dean si era limitato a rispondergli in malo modo e scappare, via dalla sua acredine, sbattendogli la porta in faccia. Certo non era andato troppo lontano, ma Sam aveva capito l’antifona e non l’aveva seguito.

Quel ragazzo era in grado di toccare i suoi nervi ogni qualvolta non ne sentiva il bisogno e questo, se possibile, lo alterava ancor di più.

Ora che finalmente potevano godersi un po’ della reciproca compagnia, nella città della calma, nel Triangolo delle Bermuda delle stramberie, dove gli incantesimi malvagi non prendevano e storie di sangue, mostri e fantasmi non attecchivano, perché non avevano terreno fertile. Lì dove la normalità era palpabile e non costruita; le persone gioviali, la comunità unita, ma discreta; case, negozi e motel, carini a vedersi e curati; Sam se n’era risentito a quanto pare, e aveva dovuto per forza riportare a galla vecchi dissapori, vecchi rancori irrisolti tra loro e quel dannato del loro padre, che si ostinava a non far riposare nella sua memoria. Riportare alla luce colpe che Dean non voleva neanche sapere di chi fossero; com’erano stati cresciuti, perché il loro benessere non era mai stato preso in considerazione. Perché i pilastri della loro esistenza non erano stati famiglia, educazione e socializzazione, ma paura, vendetta, isolamento.

Dean aveva notato ciò che Sam aveva accuratamente escluso. La Famiglia? Beh, quello restava un caposaldo, ma non era un pilastro, saldo e sano su cui far ruotare il proprio senso etico, era la spada di Damocle che pendeva su ognuno di loro. Questo Dean lo aveva visto coi propri occhi: nel passato condiviso con Sam sulla pelle di entrambi e in quello dei suoi genitori, forzatogli giù per il gozzo dagli angeli, come grossi uccellacci quando nutrono i propri piccoli fino a farli scoppiare.

Dean era furioso perché si sentiva strozzato da quelle domande. Non erano nemmeno domande rivolte a lui. Domande retoriche, o rivolte al Cielo – il che era praticamente lo stesso – di un ragazzo disperato quanto lui, ma non altrettanto rassegnato.

Perché, perché, perché.

Perché sì, Sam. Perché le nostre vite fanno schifo, Sam. Quindi perché non godersi quel poco che offre, quando e se, lo offre? Eh, Sammy?

Ma non gli aveva detto niente di tutto ciò. Non gli aveva sputato di rimando le sue domande retoriche. Sarebbe stato inutile; per l’appunto, ciò che li divideva era quella linea di rassegnazione.

Dean conosceva quei perché, eppure non voleva saperne nulla. Vedeva il sentiero verso cui li avrebbe guidati e non avrebbe ceduto, stavolta. Si sarebbero sentiti soli. E la solitudine reciproca non avrebbe portato nulla di buono. Solo a un temporaneo, miserabile, tentativo di trovare consolazione l’uno nell’altro e i soliti sensi di colpa conseguenti, di cui Dean poteva fare tranquillamente a meno per una volta. Ne aveva già troppi con cui fare i conti. Grazie.

 

Quella città era la scusa per mettere a tacere tutto per pochi, benedetti giorni, non il contrario.

Non era più completamente solo a dividere il peso della responsabilità di badare a dove svoltasse ogni giorno il destino di Sam, perché suo fratello sembrava aver ritrovato un certo autocontrollo, ma Dean sentiva paradossalmente ancor più grave quel macigno sulle spalle. Forse erano nell’occhio del ciclone, ma ancora non potevano capirlo? Chissà quando avrebbero rischiato di nuovo, non-seppe-dire-cosa oltre le loro vite…presto forse. Era proprio questo quello su cui non voleva rimuginare.

Bevve un altro sorso per far scivolare in fondo allo stomaco quel pensiero perché non lo tormentasse oltre.

Avrebbe voluto che Sam facesse lo stesso con le sue angosce, invece di forzarle su di lui e al tempo stesso cercare di sentirsi meno solo tirando a forza, via da Dean, quello che con così tanta fatica il fratello maggiore cercava di seppellire dentro il proprio cuore – o quel che ne restava – ogni giorno.

Invece no, Sam voleva parlarne.

Però, pensò sconsolato, quando lo stesso Sam aveva voluto proteggerlo da ciò che aveva fatto, perché se ne vergognava, sapendo in cuor suo quanto fosse profondamente sbagliato, e proteggere sé stesso dalla rabbia di Dean, aveva trattato il fratello maggiore come lui stesso faceva ora. E sentirsi dalla parte di quello a cui venivano voltate le spalle era stato soffocante. Un cappio che si stringeva intorno al collo ad ogni menzogna che Dean era stato cosciente di ricevere.

Era da tanto che non si affrontavano e quella sera non ne aveva avuto la forza. D’altronde non sapeva più sotto cos’altro nascondere la propria polvere, i tappeti dentro di lui erano diventati troppo sottili e quasi non riusciva piu a celare nulla, neanche a sé stesso.

Quello che ingoiava, tornava su e gli rimaneva incastrato in gola.

Tutto lo tradiva. Ancora e ancora. Prima o poi avrebbe dovuto trovare il modo di andare avanti. Sforzarsi di sorridere a fine settimana, non gli bastava più. Sperava di farlo con suo fratello al proprio fianco, ma adesso non sapeva più cosa sperare davvero.

Scolò il bicchiere e si alzò lasciando una manciata di dollari sul bancone e un saluto distratto al barista che lo ricambiò appena.

La notte fuori dalle finestre era abbastanza buia per tornare in stanza, sicuramente Sam aveva lasciato perdere il suo irrecuperabile e moralmente discutibile fratello maggiore -troppo impegnato a dimostrare sempre qualcosa a qualcuno per parlare di ciò che realmente pensava- ed era andato a dormire.

Sam non capiva che nessuno aveva bisogno di ciò che Dean realmente aveva dentro, pensò lui, risoluto. Tutt’altro. Più buttava giù il rospo e meglio sarebbe stato per tutti.

Per questo odiava Sam quando faceva così. Gli lasciava la sgradevole sensazione di avere un amo incastrato in bocca, che dimenticava lì, finché non veniva tirato. Alla fine sarebbe tornato sempre da lui e sarebbe morto soffocato dall’aria che non riusciva a respirare.

Si scrollò di dosso quel primo filo di pensieri. No, non lo odiava. Ma se quell’amo era già agganciato ben prima che il mondo crollasse loro addosso più e più volte, adesso, dopo l’inferno e il sangue di demone, Lilith e compagnia infernale, non aveva più le forze di resistere alla corrente, al filo che lo trascinava a galla.

Non faceva quasi più resistenza al dolore che provava, che stillava continuamente dalle crepe nell’anima che non aveva mai rimarginato, che era troppo tardi per ricucire. Quel dolore che spesso veniva fuori di getto e incontrollabile, proprio di fronte a Sam che voleva curarlo con le parole, ma che impotente stava lì a guardare rompersi quegli argini di quando in quando, fallendo miseramente nel tentativo di mettere una pezza al cuore di suo fratello.

Sam aveva le migliori intenzioni, ma Dean si sentiva sempre solo contro il mondo quando si trattava di lui. Pur di risolvere quei guai e di vedere Sam finalmente in pace con sé stesso, avrebbe abbandonato volentieri quella vita a brandelli, che faceva una fatica immensa a tenere insieme e che gli si staccava di dosso come la pelle di un mutaforma.

Erano tornati a cacciare abbastanza frequentemente e con una certa complicità. Avevano un momento per respirare e invece Sam stava pensando solo a tirarlo fuori dal pelo dell’acqua. Non capiva che voleva solo un po’di tregua? Per quanto fittizia fosse?

È perché siamo troppo diversi. O troppo simili. Non ne ho idea. Pensò camminando piano sull’asfalto bagnato, testa china e mani in tasca. Nonostante tutto, l’ultimo anello di quella catena di pensieri fu l’immagine di suo fratello sorridente, nel sedile passeggero di Baby, lui alla guida.

Dopotutto sapeva che Sam non aveva torto. Ma Dean aveva paura.

Paura di vedere sé stesso sfinito e arreso nelle confessioni di suo fratello. Di vederci un’angoscia e un dolore che non era stato in grado di risparmiargli. Ci aveva provato, a prendere tutto su di sé, ma questo lo aveva spezzato. Si era sopravvalutato.

Lui non era John. Papà era riuscito a vivere senza la mamma. In qualche modo lo aveva fatto. Dean non sarebbe stato mai in grado di farlo, non con Sam. Non desiderava esserlo. Si chiese dove avesse trovato tutta quella forza, suo padre, dove la tenesse nascosta, con cosa l’avesse nutrita.

Non voleva ammettere, proprio di fronte a suo fratello, di quanto si sentisse incapace. Dopo tutti quegli anni in cui lo aveva cresciuto e non aveva fatto altro che cercare di sembrargli forte. Il più forte. Quello a cui avrebbe dovuto affidarsi sempre, che ci sarebbe sempre stato per lui e avrebbe risolto tutto con un sorriso sfacciato e la battuta pronta.

Che ridicolo pagliaccio.

Gli voleva troppo bene.

Troppo, decisamente. Era la parola giusta. Indagare fin dove poteva spingere quel limite, era qualcosa che li aveva trascinati entrambi al punto di non ritorno. Aveva portato alla morte e alla follia, loro stessi e coloro che li circondavano, che fossero persone care o meno.

Dean si fermò in mezzo al parcheggio del Motel, cercò Baby con gli occhi e sospirò. Una nuvoletta di vapore – innocua, faceva davvero molto freddo – si dissolse di fronte a lui, mentre continuava a restare immobile: il turbinio di pensieri che gli frullavano in mente lo paralizzavano. Non poteva muovere un passo avanti perché al tempo stesso pensava di doverne fare uno indietro, così il tempo e lo spazio lo comprimevano in quel punto dove si era fermato, mentre fissava l’Impala senza davvero vederla.

C’erano state notti in cui gli aveva voluto troppo bene.

Non si erano lasciati vie di fuga l’uno dall’altro. Sam ci aveva provato, ci era quasi riuscito, ma Dean e i patti stretti prima che nascessero, suggellati sulla loro pelle, l’avevano catturato di nuovo e Sam gliel’aveva lasciato fare.

Adesso per liberarsi da quel bene era troppo tardi.

Era tutto così sbagliato. Dean non voleva chiedere perché, non desiderava la verità. Non avrebbe saputo che farsene. Voleva chiedere, per favore, che quel tormento avesse fine, però. Non lo fece, no. Non l’avrebbe ascoltato un orecchio amico.

Le nuvolette di vapore si formavano frenetiche, mentre perdeva il controllo del respiro. Stava cadendo di nuovo a pezzi.

“Basta!” Disse con voce strozzata trattenendo la parola tra i denti. Guardò verso il cielo e per un secondo pensò di chiedere aiuto a Cass istintivamente, anche senza aspettarsi nulla in cambio. A questo punto se Sam aveva ragione, perché non confessare tutto?

Ma non lo fece.

Bastò quel pensiero proiettato fuori dal vortice che avevano generato lui e Sam nella sua testa, a calmarlo quel tanto che gli serviva per tornare in sé. Immaginò di prendere quella catena che sentiva pesante attorno al collo, scioglierla quel poco per poter tornare a camminare e di gettarsela dietro le spalle; poteva trascinarla senza farsi sopraffare ancora per un po’. Finché sarebbe durato, ce l’avrebbe fatta da solo.

 

*********


 

 

 

 

Maybe we're victims of fate
 Remember when we'd celebrate
 We'd drink and get high until late
 And now we're all alone

Wedding bells ain't gonna chime
 With both of us guilty of crime
 And both of us sentenced to time
 And now we're all alone

Protect me from what I want,
 Protect me protect me


 

Protect me from what I want

Sleeping with ghosts, Placebo

 

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NOTE:

Salve a tutti,

Questa è la mia prima fic a tema wincest (e la mia prima pubblicazione in assoluto!)

Ogni capitolo sarà accompagnato da una canzone dei Placebo (o una cover interpretata da loro) di cui consiglio vivamente l’ascolto durante la lettura.

Sono fiera di aver ispirato la FAVOLOSA opera d’arte in copertina, ideata dalla mia amica e beta reader, WALECHU, che adoro alla follia!

Potete trovarla su Tumblr, Instagram e Twitter, mi raccomando seguitela!

In occasione del nostro incontro, dopo anni di distanza, beta reading, revisioni, gioie e dolori tramite chiamate, abbiamo deciso di pubblicare questo primo capitolo insieme!

Gli altri verranno pubblicati una volta al mese.

Qualsiasi commento è più che gradito! :D

Trovate questo primo capitolo anche sul mio Tumblrqui.

Grazie a chiunque legga!

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Capitolo 2
*** Soul mate dry your eyes ***


Sam si era addormentato riverso sul tavolino della camera, esattamente dove Dean l’aveva lasciato. Lo scampanellio di chiavi nella serratura e lo scattare di questa lo ridestarono, ma il suo cervello era sveglio solo a metà e la risultante di quel dormiveglia erano pensieri ansiosi e confusi, che urlavano qualcosa come “alzati e va a cercare Dean!” o “Chiedigli scusa!”

Ma il suo corpo era pesante e cercava disperatamente un po' di ristoro. Stava per sprofondare, il buio dietro le palpebre lo risucchiava, quando udì il clang della maniglia, qualche passo incerto attutito dalla moquette impolverata e dopo diverso tempo una voce che lo tirava via a forza dal -per nulla- dolce sonno:

“Sammy, mettiti a letto, non dormire qui.”

Sam sussurrò il nome di Dean, ancor prima di aprire gli occhi e accertarsi che le sensazioni successive fossero reali: il libro sfilato sotto la guancia e il freddo melaminico lucido del tavolo anni ’90 da due soldi, che ne prendeva il posto, il braccio piegato sotto il mento, formicolante, una mano sulla spalla e una voce nelle orecchie, carezzevoli; quel prendersi cura di lui tanto naturale, quanto familiare.

Sam voleva chiedergli tante di quelle cose. Di non andare via soprattutto; di stare lì con lui e aiutarlo a capire, ancora una volta, cosa stava succedendo a entrambi. E perché.

Sam stava facendo davvero molta fatica a tornare lucido e d’impulso, spinto dall’ansia dei pensieri inconsci, gli sembrò una buona idea, mentre Dean metteva via il bicchiere e la bottiglia di whiskey di terza categoria che aveva consumato prima di crollare, chiedere con la voce impastata di sonno:

“Mi vuoi ancora bene?”

Oh, Dio. Ascoltare la propria voce che implorava pietosa fu come ricevere una scarica di adrenalina dritta in petto con una siringa. Sam ora era più che vigile e attendeva pieno di imbarazzo la risata del fratello, che non arrivò.

Mentre gli voltava le spalle, Dean si bloccò; Sam lo osservò abbassare le spalle, come se un macigno invisibile vi fosse stato spinto sopra. Ebbe la chiara sensazione di avergli fatto male. Forse Sam era salvo e Dean non l’avrebbe preso in giro per il resto dei suoi giorni, o così sembrava, ma lo assalì l’idea di aver fatto di peggio che mettersi in ridicolo.

Dean emise un suono che doveva essere qualcosa di simile a una risata, ma venne fuori strozzata e mentre metteva via quella roba imbevibile che teneva in mano, rispose elusivo, con un’altra domanda canzonatoria: “Sam, Sam, Sam, così grande e grosso, ma non trovi posto per un goccio d’alcol, non ti sarai mica ubriacato con questo schifo?”

Quando gli aveva intimato gentilmente di andare a dormire quello era Dean; questo era soltanto uno stronzo.

Sam rispose subito, umiliato dalla velocità con cui la sua richiesta – forse ingenua, dettata dal sonno agitato e priva di qualsiasi orgoglio, ma tutt’altro che giocosa – era stata accantonata a mo’ di scherzo.

“Ma figurati.” Rispose senza più l’ombra del dormiveglia nella voce. “Se svii il discorso, devo dedurre che ce l’hai ancora con me.” Sam avrebbe voluto mordersi la lingua in tempo, ma se Dean lo provocava il suo cervello doveva rispondere con altrettanta foga, era la prassi.

Stavolta Dean si voltò, poggiandosi a braccia conserte contro il mobile, dicendo con voce controllata:

“Io non ce l’ho con nessuno, Sam. Non ho sei anni.”

Nemmeno Sam era più così giovane, i tempi della ribellione senza causa erano finiti. E lui, sfinito. Abbandonò la nave della provocazione che aveva fatto salpare: non voleva peggiorare le cose, era meglio fermarsi. Sospirò, sollevandosi dalla sedia, quasi sbilanciandosi, ancora insonnolito.

“Scusami.”

Beh almeno una delle cose che l’angoscia gli aveva urlato contro, mentre l’inquietudine del sonno lo rapiva, l’aveva fatta. Voleva trovare il modo di sciogliere quella distanza che Dean stava mettendo tra loro, trovare un rimedio veloce e sicuro. Ma non c’era. Voleva toccare suo fratello, mettergli una mano su una spalla, sul cuore, sentire sotto le dita il famigliare tessuto di quella giacca pesante che si ostinava a portare anche col caldo, per essere certo che non fosse cambiato nulla.

Per sperare che non fosse cambiato nulla tra loro. Ma il suo intuito lo contrariava.

Provò comunque a raggiungerlo, caparbio. Fece un passo incerto verso la credenza dove Dean si era accostato.

Sam sentì distintamente il suono delle sirene d’allarme che urlarono nella mente del fratello a quella vista: Dean gli permise di avvicinarsi entro un certo limite, poi sciolse le braccia e si appoggiò con entrambe sul ripiano della credenza a cui dava le spalle. Rivolse a Sam uno sguardo fugace e subito allontanò gli occhi, con quel mezzo sorriso che appariva e spariva quand’era nervoso, un tic, nel tentativo difensivo di allontanarsi da lui, o di avvertirlo che non era a proprio agio con quello spostamento. Così lo percepì Sam almeno, mentre tagliava i pochi metri che li separavano, pentendosene immediatamente.

Adesso era abbastanza vicino da distinguere esattamente ogni movimento di Dean, per quanto incerto. Continuava a guardarlo in tralice, senza fissarsi su Sam troppo a lungo, puntando poi lo sguardo a terra, mostrandogli il profilo, corrucciato.

Come se Dean avesse paura di lui. Come se avesse capito quello che Sam voleva fare e perché si fosse avvicinato; ma forse, pensò Sam, Dean era stanco, e senza una vera volontà di opporglisi a sostenerlo, si limitava a negargli ogni tentativo di approcciarlo, facendosi indietro. Scappando.

“Dean” Provò a farlo ragionare Sam, ma non seppe che altro aggiungere. Era sopraffatto dall’idea che suo fratello potesse provare qualcosa di simile alla paura, per lui.

Per tutta risposta a quel richiamo, Dean chiuse gli occhi. Sembrava sofferente come se stesse sopportando il dolore sordo e costante di una ferita profonda, ma non letale; troppo forte da tollerare, ma non abbastanza da benedire i suoi nervi con uno shock anestetico.

“Non voglio discutere ancora Sam, va a dormire.” Tagliò corto.

“Nemmeno io…”

“Allora va’.” Il tono non ammetteva repliche. Sam, ferito e incapace di comprendere, si arrese. Si diresse al letto che aveva scelto e vi si infilò senza troppe cerimonie, ancora vestito.

Dean lo imitò solo dopo essersi assicurato che Sam lo avrebbe lasciato stare.

Seduto sul letto per togliersi le scarpe gli arrivò la voce flebile e stanca di Sam: “Non volevo litigare, Dean.”

“Notte” gli fece eco Dean, con un filo di voce, mentre si coricava, spegnendo le luci.

La notte si stava rivelando più complessa da superare del normale. Dean era un gran bugiardo, abituato com’era a mentire per necessità; aveva sviluppato un’ottima poker face e non permetteva a nessuno di scalfire ciò che custodiva dentro, se non voleva. Sam questo lo sapeva benissimo.

Ma questo non valeva se c’era di mezzo Sam. Entrambi ne erano coscienti. Quando si trattava di suo fratello, Dean non governava il proprio viso né le espressioni che, come in un film, vi scorrevano, dipinte ovunque; tutto il volto era una giostra su cui si dispiegava esattamente ogni singolo mutamento di umore.

Quindi ora Sam aveva perso qualsiasi voglia di dormire perché il buio di fronte a sé, sul soffitto, era ricoperto di quella paura che gli aveva letto in faccia minuti prima. Quella vergogna, anche.

Evidentemente Dean lo vedeva come una minaccia.

Ma perché, Dean? Pensò voltandosi verso di lui. Credette di trovarlo addormentato già da un pezzo, presumibilmente dandogli la schiena. La stanza era piombata nel silenzio più assoluto da quando aveva spento le luci, a parte per le macchine che di quando in quando la illuminavano, passando sporadiche.

Ma la luce lontana dei lampioni, che filtrava dalle tende sulla vetrata che affiancava parallela i loro letti, stava tradendo l’ennesimo tentativo di Dean di sottrarsi agli occhi indagatori di Sam, se non altro allenati da una vita allo scopo, da Dean stesso.

Sotto il loro sguardo, abituati a quel filo di illuminazione, il profilo del corpo sotto le coperte si stagliava perfettamente. Era teso e il petto si sollevava in modo irregolare, come se Dean stesse trattenendo il proprio respiro. Sembrava tremare, a tratti.

Giaceva supino e solo il viso era rivolto alla finestra, nascosto alla vista di Sam, ma lui poteva sentirlo: Dean tirava su col naso di quando in quando, sembrava trattenere l’aria tra i denti, la voce in gola che inevitabilmente sfuggiva al suo controllo, seppur impercettibilmente; le mani si aggrappavano al lenzuolo strette a pugno, la luce della luna era una goccia luccicane riflessa sull’anello. Come aveva fatto a non sentirlo prima? Forse la voce nella sua testa era troppo rumorosa, come spesso succedeva.

Dean non stava sognando, era perfettamente sveglio, ma in lotta con sé stesso.

Sam non resistette oltre e con un paio di falcate fu giù dal proprio letto e già su quello del fratello.

Lo prese per le spalle e Dean sussultò, aggrappandosi alle braccia di Sam che lo osservava da sopra e trattenendo a stento qualcosa che non fu nulla piu del mugugno strozzato che provenne dalla sua gola.

“Sam, no.” disse con voce spezzata. Aveva il viso rigato dalle lacrime che brillavano nei suoi grandi occhi e risaltavano scure nelle scie che avevano creato sulle guance.

Sam era stanco di vederlo soffrire così. Sempre sull’orlo della disperazione a stento trattenuta.

Sapeva tante cose. Che Dean era un bravissimo imbroglione perché doveva nascondere la sua vera natura a chiunque e che questo con Sam aveva vita breve; sapeva che avevano passato l’Inferno insieme e che entrambi non ne erano ancora usciti.

Una volta Dean gli aveva proposto uno strizzacervelli, ma la loro situazione era talmente assurda. Non c’era neanche bisogno di dirlo. Ma se fosse stata “normale”? Normale come senza mostri…beh di certo ne avrebbero avuto un gran bisogno. Ma Sam era sicuro che avrebbero continuato ad affrontare la vita come meglio potevano, allo stesso modo di ora, solo col sostegno l’uno dell’altro. Per quanto sbagliato e insalubre fosse.

Dean non voleva parlare? Bene. Sam gli sarebbe stato vicino in un altro modo. Gli aveva già confessato, e non una sola volta, che avrebbe fatto di tutto per lui ed era in grado di portare quella consapevolezza oltre ogni ragionevole limite.

Quella non sarebbe stata la prima volta che toccavano il punto di non ritorno. Quindi adesso Sam doveva spazzare via quella paura insensata che stava divorando suo fratello.

Se Dean temeva per la loro normalità, per loro era già troppo tardi. Anzi non c’era mai stato un “prima”.

Dean era teso da settimane vicino a lui, saltava come una corda di violino e per non far cedere i nervi beveva di continuo. L’aveva visto sorridere sollevato alla notizia del falso caso da parte di Garth e quando Sam aveva proposto di passare le ferie forzate nel loro paese speciale, l’aveva accettata quasi con gratitudine.

Non c’era nulla di strano, chi non avrebbe voluto una pausa dai mostri e la fine del mondo? Certo, ma questo valeva per chi non aveva passato tutta la vita con Dean e non ne riconosceva ogni singola inclinazione nella voce e nell’espressione.

Sam fece due più due. A Dean faceva comodo quella fermata, perché non si fidava di sé stesso e delle proprie capacità, troppo distratto dall’ansia o offuscato dall’alcool per reagire al meglio. Per essere d’aiuto al suo fratellino.

“Sam, che fai? Levati.” Dean lo strappò dalle sue elucubrazioni e prima che potesse sfilarselo di dosso Sam affondò con maggior vigore le mani sulle braccia del fratello piantandolo sul materasso.

Dean si irrigidì e lo fissò con gli occhi spalancati. Sam stava desiderando qualcosa che non era da lui. I suoi pensieri erano spinti da una frustrazione e una violenza che solo Dean gli aveva provocato nella sua vita, solo Dean e loro padre.

Ma se da John aveva preferito fuggire, nel caso di Dean invece il risultato di quei pensieri era un desiderio incontrollabile di tenerlo inchiodato a sé e costringerlo, se necessario, a mostrargli cos’aveva dentro, a mostrargli la propria vulnerabilità. Costringerlo ad aprigli la gabbia toracica e fargli dare un’occhiata per capire se era tutto a posto e in funzione.

Persino a costo di fargli del male.

Dean iniziò a divincolarsi con le gambe, ma non sembrava sicuro nei suoi gesti. Sam riuscì a bloccarlo ancora, con estrema facilità. Adesso gli era addosso con tutto il corpo.

Dean aveva capito perfettamente quello che stava accadendo e nonostante questo, nonostante la paura dipinta sul viso poco prima, adesso non sembrava essere in grado di resistere a quell’attacco silenzioso e letale. Sam continuava a non spiccicare una parola, ma fissava il fratello con una fame negli occhi che Dean aveva potuto leggergli in faccia raramente. Perciò Sam sapeva che l’aveva riconosciuta.

Dean lasciò andare le braccia di Sam e distese le gambe sotto di lui, con un respiro tremante chiuse gli occhi e voltandosi bisbigliò: “Lo sapevo”.

Sam al limite della sopportazione, a quell’ennesimo rifiuto, sbottò: “Mi odi così tanto?”

Si accorse di quanto il suo desiderio li dividesse, ma non gli importava più. Lo voleva così tanto che…Dio, stava davvero pensando di fare una cosa simile a Dean?

Dean lo guardava altrettanto combattuto.

“Dean rispondi! È così?”

“NO! Non ti odio Sam, come-…?“  disse travolto nuovamente da un’ondata di lacrime che si staccavano dalle lunghe ciglia. Tirò su col naso e con le labbra tremanti, riprendendo fiato, continuò:

“Come potrei? Ma io dovevo solo…proteggerti, questo e nient’altro…non dovevo farmi trascinare così. Io sento…Quello che sento…è sbagliato. Cosa direbbero mamma e papà se ci vedessero?”

Sam avrebbe voluto scacciare quel pensiero dalla sua mente più dei ricordi dell’Inferno. Non gli importava cosa avrebbero pensato i suoi genitori, perché tanto non avrebbe cancellato quel sentimento. Ne comprendeva l’inevitabilità. Erano anni che lui e Dean si giravano attorno come galassie pronte a scontrarsi e risucchiarsi a vicenda da un momento all’altro.

Cosa avrebbero mai potuto pensare due genitori di due figli così? Ma quel desiderio era rimasto lì tra loro due, solo nascosto, sotto la pelle, sotto strati di alcool e caccie, e sangue. Ricacciato in fondo, come gli era stato insegnato di fare con le emozioni scomode e ingombranti. Quelle che avrebbero tolto tempo alla vendetta e all’ossessione di non sentirsi inutili, custodendo il peggiore dei segreti.

Ma il peggiore dei segreti era solo questione di prospettive.

“Sarebbero disgustati.” Continuò Dean ignaro di ciò che strisciava, immondo, silenziosamente dentro Sam. “Da me. Ti avevano affidato a me. Dovevo solo tenerti d’occhio, aiutarti a non cadere. Invece ti ho trascinato nello sprofondo e non mi sono opposto quando mi hai cercato. Sono stato io. Io ti ho rovinato, Sammy.”

Sam sentiva il fratello deragliare nella disperazione. Doveva impedirglielo.

“Dean, no. Non dirlo. È questo che pensi?”

Sam era incredulo, anche se conosceva bene quel sentiero. Per quanto ne sapeva suo fratello si era caricato di tutte le colpe possibili e impossibili, anche quelle di mamma e papà. Per questo fuggiva. Perciò era fuggito quando Sam aveva tirato fuori i discorsi su papà quella stessa sera e fuggiva di nuovo, adesso. Doveva aiutarlo a sentirsi meno solo. Meno responsabile della loro contorta perversione. Potevano dividerla in due, come facevano sempre con tutto lo schifo che li circondava.

“Lo voglio anch’io, Dean, che ti piaccia o meno.”

Dean gli parlò sopra, il collo teso nel tentativo di non urlare le parole che stava vomitando a denti stretti “No, Sam io sono il più grande, sono il più grande dannazione! Dovevo impedirlo! Dovevo essere capace di-“

Sam lo spinse contro il letto, immobilizzandolo ancora una volta. Così Dean si calmò: Sam sapeva che diventava più docile e incline a cedere, se gli mostrava un po' di forza. E non aveva paura di usarla.

Dean lo fissò con quei dannatissimi occhi sbarrati da cervo spaventato. Poi sospirò rabbrividendo, come se fosse obbligato all’inesorabile “Sammy…” lo implorò, corrugando la fronte.

Nonostante tutto Sam fu scosso da quel richiamo, la cui tenerezza sciolse le dita che mordevano le spalle del fratello. Sospirò di rimando “Non lo capisci? È troppo tardi, Dean”. Un lieve sorriso rassegnato, a suggellare quell’ineluttabilità, che però erano in due a dover attraversare, fu tutto quello che Sam aveva da offrire a suo fratello.

Fratello. Per descrivere Dean, quella definizione non gli era mai sembrata tanto riduttiva come ora. Niente avrebbe mai potuto incasellarlo correttamente.

Si lanciarono un ultimo sguardo triste e colmo di quel desiderio tanto tormentato. Dean sembrava essere appena stato colpito da una lancia dritta al petto e Sam perse un battito a quella vista, gli si strinse il cuore, come se quella stessa lancia per arrivare al fratello avesse attraversato anche lui e ora li legasse fatalmente.

A quel punto Sam smise di pensare: si lanciò sulle labbra carnose di Dean e come per contrappasso iniziò a torturare il torturatore, azzannando e suggendo la pelle, come scavando alla ricerca del peso che opprimeva Dean, seppellito dentro come un tesoro, per liberarlo, a morsi se necessario. Tenendogli le braccia sollevate sulla testa con una mano, e percorrendo con l’altra la lunghezza del corpo robusto sotto di lui, gli strappava dei versi sorpresi che lo infiammavano. Dean lo ricambiava lentamente, preso alla sprovvista da quella foga; tentava piuttosto di riprendere aria e svincolarsi da quell’assalto, “Sam, aspetta…piano.” Chiedeva, tra un morso e l’altro, per poi venire ricatturato e zittito.

Sam gli lasciò le labbra che immaginò nella penombra che appiattiva i colori, gonfie e rosse, forse appena graffiate in qualche punto dove era stato meno indulgente. Scese sul collo che Dean gli mostrò senza esitare troppo, emettendo un gemito gutturale, e senza dargli tregua, come un vampiro che volesse cibarsi delle pulsanti vene, si fece strada tra i fasci di nervi e le fibre dei tendini. Lo morse più di una volta e dovette trattenersi dall’andare oltre, solo grazie alle urla che Dean tratteneva in gola. Dean era suo. Solo suo.

Il fratello maggiore non si tirava più indietro e Sam aveva abbandonato quello che apparentemente era quasi un tentativo di divorare vivo Dean e si era calmato, scendendo con la bocca sul suo petto e sull’addome, sciogliendo così le rigidità che lui stesso aveva provocato. Gli aveva impazientemente tirato su la maglia, producendo ansiti e contorcimenti. Una volta gettata la spugna Dean tendeva a concedersi quasi completamente al potere dell’altro; sembrava così anche ora. Sam decise di manipolare Dean in quella direzione per il proprio piacere, ed evidentemente anche per quello del fratello.

Non era la loro prima volta nella tana del Bianconiglio, ma non erano mai stati tanto sbilanciati, uno nella fame quanto l’altro nel bisogno. Si erano cercati con curiosità, avevano reso la loro ricerca un intreccio più simile a una lotta. Erano sempre stati pari, si tenevano testa e nonostante l’ubriacatura, il desiderio non li portava al collasso. Erano sempre entrati nella tana tenendosi per mano, ma Sam si fermava prima di precipitare e Dean non chiedeva di proseguire oltre.

Ma non bastava più.

Quando Sam arrivò ai pantaloni, Dean si liberò dalla sua stretta – che in fondo non era così forte –  e lo bloccò, con le mani sulle spalle. Non formulò parole di senso compiuto, mugolò un “Fermati!” appena accennato, intimato più con lo sguardo – di nuovo sbigottito dall’ansia e dall’aspettativa di quello che sarebbe successo.

Sam lo sentiva stringere spasmodicamente le mani su di sé. Per tutta risposta si sollevò su Dean sciogliendosi dalla sua presa e dalla maglietta di cotone leggero che portava, simile a quella del fratello, che sotto di lui aveva ancora l’aria scombussolata per via del disordine che Sam stesso aveva provocato.

I gesti di Sam erano nervosi, inquieti, semplicemente affamati. Più di una volta fece quasi fatica a tirar via il tessuto dalla propria pelle e da quella di Dean. Voleva sentirlo vicino e stringerglisi addosso, talmente tanto da schiacciarlo dentro sé per diventare una cosa sola, rendendo i vestiti una barriera insopportabile al suo tatto, in quel momento. Riuscì in parte nel proprio intento: entrambi erano rimasti solo con i boxer e Dean ancora una volta gli aveva permesso di proseguire.

Più lentamente di quanto avrebbe desiderato Sam. A piccoli, ma inesorabili passi; ma il fratello maggiore stava solo rimandando l’inevitabile. Se era quello che gli premeva, allora Sam era magnanimo nel concederglielo, tanto avrebbe comunque raggiunto l’obiettivo che la sua mente ormai aveva progettato. Gliel’aveva detto, quindi lo sapeva: era troppo tardi.

Sam scese ancora e ancora sulle labbra di Dean finché, vinto, questo iniziò a ricambiarlo con maggiore convinzione: schiudendosi quel tanto che bastava con le labbra e di rimando anche col corpo, inarcando il collo, la schiena, protendendosi verso di lui e manifestando la stessa bramosia di Sam, di un contatto che avrebbe dovuto scuoterli dalla loro immobilità, della pelle sulla pelle.

Finalmente. Pensò Sam.

Ma avevano appena iniziato e Sam non voleva chiedere oltre il permesso a Dean di poterlo violare ancor di più. Voleva sentire distruggersi le colpe che entrambi sentivano l’uno per l’altro sui loro corpi, come i flutti del mare sulle scogliere. Masse d’acqua potenti che morivano in schianti terribili, disintegrate nell’atmosfera. Voleva uccidere Dean e sé stesso con un atto d’amore talmente osceno, che con quello che sarebbe rimasto, avrebbero dovuto giocoforza costruire qualcosa di completamente nuovo.

Cos’erano le loro vite se non un caduceo di Eros e Thanatos? Due serpi che li stritolavano aggrovigliate attorno alla sola anima che dividevano.

Sam, forte della nuova piega che prendeva l’atmosfera, si fece di nuovo avanti e scese con la bocca sul basso ventre di Dean, senza dare spazio ad altre esitazioni; lo liberò dei boxer quanto gli bastava per torturarlo di baci e con la lingua, nei punti più sensibili che poteva riconoscere, a seconda dei gemiti che uscivano dal corpo sotto di lui. Era come guidare a occhi chiusi: avrebbe trovato la strada giusta solo basandosi sul dolce suono che otteneva ogni volta che centrava una via.

Sam lo sentiva completamente assorto nel piacere e solo allora lo fece sparire nella sua bocca in tutta la sua lunghezza. Dean emise un ansito strozzato che stava per liberarsi in un suono ben più pronunciato, ma Sam lo zittì con una mano sulla bocca. Quando fu sicuro che non avrebbe urlato, cominciò a muoversi e Dean si aggrappò al braccio teso su di lui che lo placava. Stavolta nel Motel sapevano che si trattava di due fratelli, con nomi falsi ovviamente, ma questo non cambiava lo scandalo che ne sarebbe derivato se si fosse sentito l’ansimare di Dean in tutto il suo potenziale.

Sam sapeva dove voleva arrivare: quando spostò le dita sulla bocca di Dean per riprodurre l’azione che si stava svolgendo più in basso, quello non si oppose. Sam conosceva la sensazione che provocava un tale gesto in quel contesto e far scivolare Dean nell’incapacità di pensare era proprio quello che cercava.

Quando tirò fuori le dita, Dean lo seguì e prima di lasciarlo lo agguantò coi denti, senza stringere troppo. Anche Sam si staccò dal corpo del fratello e sorrise soddisfatto a quella vista: gli aveva tolto il conforto che davano pressione e pienezza e Dean aveva abbassato tanto le sue difese da mostrargli la sua insoddisfazione. Sam riprese subito quello che aveva appena lasciato, ma stavolta si infilò con la mano tra le cosce di Dean, costringendolo a sollevarsi con un leggero colpo di reni.

Dean si inarcò scosso da un brivido, per via della forzatura repentina all’interno del caldo e umido accesso tra le labbra di Sam dopo esserne appena uscito e non si rese subito conto che il fratello stava provando a violarlo altrove.

Le dita bagnate si muovevano massaggiando e Sam si staccò definitivamente col viso dal ventre di Dean per tornare all’altezza del suo volto, schiacciandolo col proprio peso. Dean sollevò le ginocchia di scatto accorgendosi di ciò che stava realmente accadendo tra le sue gambe e aggrappandosi al collo di Sam con un braccio, lo colpì con l’altro a pungo stretto sulla schiena.

“SAM!”

Ci fu quasi una breve lotta: Dean lo allontanò facendosi leva tra loro con un gomito, mentre Sam gli immobilizzava l’altro braccio sulla testa, senza alcuna intenzione di spostare la mano intrusa. Sentiva Dean sotto di lui teso, la schiena arcuata, come in bilico sulla punta di una spada. Non scappava, ma non riusciva a lasciarsi andare, ancora. Con la fronte aggrottata, si voltò affondando a metà nel cuscino sotto di lui, ansante.

“Hey, Dean, calmo. Non ti faccio niente.”

Dean si girò a fronteggiare Sam di scatto trattenendo un respiro, lo sguardo duro e sdegnoso di chi non si sarebbe bevuto quella frase nemmeno se fosse venuta da Dio in persona; sollevò un sopracciglio e Sam nella sua mente lo sentì fare una delle sue solite pungenti controbattute, possibilmente infarcite di qualche citazione assurda, rubata da un qualsiasi film anni ’90. In realtà non aveva spiccicato una parola.

Sam non riuscì a trattenere una risata immaginando involontariamente Dean che citava The Mask. Per cercare di trattenerla affondò il viso nell’incavo del collo di Dean, ma ottenne solo di fargli il solletico con il suo sorriso che si muoveva spasmodico e con i capelli, provocandogli solo un gran fastidio; per tutta risposta quello gli batté una mano sulle spalle per allontanarlo da sé.

“Cosa c’è? Idiota…” disse, il tono visibilmente sollevato.

Sam lo fissò tra le risa, quasi non riuscì a formulare la frase per intero.

“Niente. Mi è tornata in mente quella volta che hai detto ‘Mi sono freddato da solo’ a quei poliziotti che ci puntavano le pistole addosso.”  

“Ma che diavolo di momento sarebbe da ricordare…? Comunque è stata colpa loro, hanno iniziato loro con le citazioni cretine e lo sai che si risponde sempre alle citazioni cretine.”

Sam lo vide concedergli un sorriso di sbieco e gli si scaldò il cuore.

Dean guardò altrove, reso consapevole di sé stesso da Sam che lo fissava nel buio. Sam se ne accorse e non fece nulla per rendergli la cosa più facile, anzi traeva soddisfazione nella ritrosia del fratello, che aggiunse, portando avanti la facciata da spaccone, tradito dalla voce incerta “Chi diavolo è che dice davvero ‘Fermi o vi freddo?’”

“I poliziotti, Dean.” rispose prontamente Sam prendendolo in giro.

“’I poliziotti, Dean.’” lo scimmiottò il fratello. “Nella vita reale?”

Sam scoppiò di nuovo a ridere e Dean stavolta lo seguì, non troppo convinto, se non altro influenzato dalla sua stessa ilarità. Si fissarono entrambi stavolta, sorridendo. Un nodo di tensione si era sciolto come neve sotto il calore di quella sciocchezza. Un altro minacciava di formarsi: Dean tornò serio perché Sam adesso aveva brutalmente messo da parte quella tregua e nuovamente si concentrava su ciò che c’era sotto di lui. La pelle tornava sensibile; se ne accorsero entrambi. Sam accarezzava col proprio ventre il corpo di Dean in un contatto che voleva essere rilassante, ma stava avendo l’effetto opposto: le labbra schiuse, il respiro sempre più rumoroso e lo stringersi della carne in quelle mani che volevano riempirsi di lui, come quando da bambino Dean gli aveva insegnato a rubare della frutta dall’albero di un vicino. Più in fretta che puoi e non farti vedere.

Dean gli aveva insegnato a essere avido.

Sam gli strinse le guance nella morsa di una mano per costringere Dean a fissarlo, perché si era agitato di nuovo e aveva spostato lo sguardo: sentiva la minaccia della passione premergli pulsante il ventre e lo stomaco, Sam lo vedeva contorcersi lievemente, irrequieto. Seppure impossibilitato a divincolarsi, col resto del corpo intrappolato sotto Sam, Dean contrastava la presa del fratello minore con la propria, tenendogli quanto più poteva fermi i polsi. La bocca contratta e i denti scoperti, forzava l’aria che inspirava e buttava fuori rumorosamente, come un toro sull’orlo della ferocia.

Bloccati in quella posizione, si studiarono.

Sam vide i suoi occhi, raramente così seri, esaltati in rilievo in modo innaturale, dalla luce che li colpiva radente, filtrata attraverso le iridi. Tirava fuori un verde così pallido da sembrare grigio. Gli occhi di un animale fiero e selvaggio che Sam aveva appena catturato a mani nude e teneva stretto nelle sue grinfie, contro cui doveva lottare con la fermezza di tutti i suoi muscoli per tenerlo a bada e che lo fissava con quella mistura di ferocia e paura, che solo la natura ferale del suo istinto poteva donargli.

La marea montante dentro Sam rifluì per un solo istante, ma fu abbastanza. Quella morsa attorno al viso del fratello maggiore si aprì e si trasformò: lo accarezzò, quasi in adorazione, contemplando con le dita ogni centimetro del percorso. Dalla fronte alla linea del sopracciglio che incorniciava l’occhio, sfiorandone le lunghe ciglia, che sbattendo istintivamente, le solleticarono come piume; fino allo zigomo prominente, sfiorando i lineamenti e la barba ruvida che ricresceva da pochi giorni, con le nocche per raggiungere le labbra; indugiando sul labbro inferiore, schiacciandolo leggermente col pollice, nel tentativo di imprimere una firma, un segno. Dean lo lasciò fare e deglutì, senza riuscire a staccare gli occhi da Sam, adesso.

“Oh, Dean…”

Sam non poté fare a meno di provare ancora e ancora solo un forte affetto per il fratello maggiore, come ogni volta che finiva per fargli del male; non gli chiese scusa con la voce, ma vide che Dean rispondeva a quel richiamo come se l’avesse fatto, calmo sotto di lui. Sam si rannicchiò contro il suo petto. Lo voleva ancora con violenza e se ne vergognò.

Non seppe se fosse stato a causa sua, del tono misero della sua voce - del suo “sguardo da cucciolo” come Dean lo nominava sempre – consapevole che fosse un punto debole per chi incontrasse Sam, proprio perché lo era per lui – ma Dean si trasformò insieme a quella carezza.

Si mosse per cercare il viso di Sam, che si allontanò istintivamente dal petto del fratello, seguendone il movimento. Dean aveva preso la sua mano, la stringeva a sé. Controllando il respiro, chiuse la bocca e vi portò il palmo aperto di Sam, ora docile, per baciarlo, trattenendolo a sé più a lungo dello spazio di un semplice bacio. Sam lo guardò inspirare il forte odore che stava riempiendo tutta la stanza. Odore di pelle, baci umidi, dei vestiti usati, di sapone e di tutto il sangue e la morte che aveva lavato loro di dosso.

Dean poi lo guardò, risoluto. Pose il palmo di Sam aperto sul proprio cuore, coprendolo con la sinistra. Con la destra, esitante, ricambiò la tenerezza di poco prima, ripercorrendo a sua volta il viso del fratello minore, senza tralasciare che le dita si infilassero tra i capelli morbidi, scendendo poi sul collo. Il pollice, teso sulla gola, tagliò dritto la cresta del pomo d’Adamo e della trachea, finì nell’incavo del collo e seguì la mano sull’altra metà di quello che era, a tutti gli effetti, anche il suo cuore, che pulsava nel petto di Sam furioso, come un battente che colpiva insistente su una porta.

In quella posizione Dean lo guardava eloquente. Adesso erano uniti.

Sam ne fu sopraffatto: pronunciò il nome del fratello con un sollievo mai provato nel vederlo così vivo, incastrato sotto di lui. Dean sollevò il mento, fiero, ma pieno di paura, come pronto a lanciarsi in guerra. “È tutto ok, Sammy”. Tremava, ma aveva trovato abbastanza coraggio, per entrambi.

Dopotutto Sam non poteva fare tutto da solo. Non riusciva.

No. Non voleva.

Dopotutto aveva bisogno che Dean fosse con lui, che gli desse il permesso. Così Dean lo tirò ancora un altro po' sull’orlo del precipizio, nella tana del Bianconiglio: gli mostrò un nuovo cangiante colore nella sua espressione. Sam l’aveva visto così rarissimamente e nessuna di quelle volte avrebbe voluto.   Ma quando si trattava di loro due, tutto si capovolgeva, come nel Paese delle Meraviglie.

Abbandono. Negli occhi di Dean, nella bocca, nel petto e nel resto del corpo, c’era puro abbandono. Faceva così quando era costretto a prendere una decisione che l’avrebbe ucciso. Quando abbracciava quel destino perché qualcos’altro era sempre più importante della propria vita.

Faceva così quando voleva morire. Quando si donava in sacrificio.

Ma non era costrizione, schiavitù, né rassegnazione. Era desiderio d’amare e di essere amati. Era una morte dolcissima.

Era immorale.

Malato.

Ed erano soltanto loro due.

*******


 

 

 

 

 

 

 

 

 

Hush
 It's okay
 Dry your eye
 Dry your eye
 Soul mate dry your eye
 Dry your eye
 Soul mate dry your eye
 Cause soul mates never die

 

This one world vision
 Turns us in to compromise

 
What good's religion
 When it's each other we despise


 

Sleeping with ghosts

Sleeping with ghosts, Placebo

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** I’ll be yours ***



La confusione lo pervadeva in ogni fibra. Non gli capitava spesso di non sapere che fare, dove mettere le mani o che la forza lo abbandonasse per l’eccesiva tensione, coi muscoli che cedevano, scossi dai tremiti.

Anzi non era mai successo. Specie in situazioni simili a questa.

Ma qui si trattava di Sam.

Dean chiuse gli occhi per evitare di smarrirsi, rapito da quelle sensazioni. Il peso del fratello su di lui lo sprofondava nel letto, confortante. Dietro le palpebre vedeva i flash rossi e verdi del sangue che scorreva nei capillari; gli tornò alla mente un’immagine vivida. Ore di viaggi, scandite da ogni genere di musica – e dalle lagne di Sam che lamentava che fosse sempre la solita, come se non conoscesse tutte le parole a menadito o come se non imitasse mai Dean quando le cantava a squarciagola – quella ereditata da John. C’era tutta la rosa di artisti di almeno tre generazioni – le migliori secondo la sua modesta opinione – di rock, country, metal e tutti i pilastri dei generi più svariati, più qualche aggiunta tardiva del Dean adolescente ritrovatosi finalmente solo con l’Impala, di cui gli erano state consegnate di diritto le chiavi.

Quello dei Pink Floyd era il nastro meno consumato. Dean non aveva mai ben compreso il perché, finché non si trovò ad ascoltare e contemplare, quegli infiniti minuti di note e voci fluttuanti, assoli di chitarra di una delicatezza e, al tempo stesso, un’energia estenuanti. Tante volte aveva immaginato un giovane John acquistarlo in un piccolo bugigattolo adibito a negozio di musica a Lawrence, col benestare di Mary, da poco al suo fianco. Erano melodie e parole che costringevano a riflessioni da cui, aveva pensato ascoltandole, John avrà desiderato spesso di tenersi lontano, e a parte quei due o tre pezzi più famosi di altri album che il padre faceva mangiare alla radio di tanto in tanto, Dean aveva sempre sentito dentro sé, che proprio quello, fosse alla stregua di un pezzo proibito della collezione.

Run, rabbit, run / Dig that hole, forget the sun / When, at last, the work is done / Don't sit down, it's time to dig another one / Long you live and high you fly / But only if you ride the tide / Balanced on the biggest wave / You race towards an early grave.

Nella solitudine della macchina, senza l’ingombrante presenza della volontà di John, Dean si era sentito libero di provarlo. Si aspettò quasi di venir bruciato, come da un tizzone ardente, quando lo raggiunse curioso nella catasta di altre cassette, la cui forma era decisamente più familiare, in confronto alle quali si stagliava. Scoprì, non solo che non aveva nulla da temere da quelle canzoni, ma che le amava.

And you run, and you run to catch up with the sun but it’s sinking / Racing around to come up behind you again / The sun is the same in a relative way but you’re older / Shorter of breath and one day closer to death. 

Le ascoltò tutte, interamente, volta dopo volta, assorbendole e facendole proprie; elevando l’album a uno dei suoi preferiti e rendendone la forma consueta, non più estranea, come per tutte le altre cassette. Condivideva con Sam quel piacere, al contrario di molti altri gruppi e generi che il fratello aveva sempre disprezzato o di cui non ne poteva davvero più

Us and them/ And after all we’re only ordinary men/ Me and you/ God only knows/ It’s not what we would choose to do.

Sam per lui era come il cristallo che ingoiava il fascio di luce bianca, saltando fuori oltre il buio nero del fondo in copertina. Quella luce rispecchiava invece le proprie emozioni, che attraversando il prisma veniva tagliata nello spettro delle sette radiazioni colorate: completamente differenti l’una dall’altra, ma coesistenti, sperimentabili al tempo stesso unite nel bianco puro del sole e distinte nell’arcobaleno.

Dean le sentiva tutte, insieme e separate allo stesso modo, fin troppo; tanto che poteva addirittura scegliere in quale parte dello spettro indulgere: desiderio, paura, affetto, inquietudine, piacere, frustrazione, dolore. A causa di Sam e del modo in cui lo toccava, risuonavano in lui così forte che voleva urlare. Si percepiva troppo piccolo per contenere tutta quella vibrazione dentro sé. Oppresso, quasi soffocato.

Aveva appena deciso di lasciarsi andare, ma era costretto a trovare un equilibrio tra l’annaspare di poco prima e l’annegare completamente di ora. Gli sembrava di indagare davvero nell’ignoto, nel lato oscuro della sua luna.

“Sam” gli sfuggì in un sospiro il nome del fratello e subito si pentì del tono che udì, sgranando gli occhi.

Implorante. Anche Sam se ne accorse e staccò le labbra dal suo collo per guardarlo meglio in viso.

“Sì Dean? Cosa vuoi?” disse con un impercettibile ghigno nel buio, che gli piegava appena le labbra e che Dean distinse perfettamente.

Figlio di puttana, pensò, Sam voleva sentirgli dire...Beh, avrebbe dovuto sudare parecchio per tirarglielo fuori, visto il tono saccente. Perciò Dean gli rivolse uno sguardo pieno di risposte nascoste, fece per aprire la bocca prendendo un respiro come a voler iniziare a parlare e poi la chiuse all’improvviso, facendo spallucce mentre sorrideva, contento di vedere l’aspettativa di Sam, di una confessione bell’e pronta, completamente disattesa.

Sam si fece serio: era guerra. Mentre lo guardava portare un braccio fra loro, facendolo scivolare in basso, Dean provò a immaginare come Sam gliel’avrebbe fatta pagare, perché ne aveva tutta l’aria. Non ebbe il tempo di reagire prontamente: una scossa lo attraversò, gli contrasse la spina dorsale dalla base e gli contorse le budella e le dita, che si serrarono spasmodiche attorno a quello che trovarono.

I capelli di Sam da un lato, le coperte dall’altro.

Sam gemette di dolore, mentre Dean emise un suono più simile a chi aveva appena ricevuto un pugno nello stomaco, la bocca spalancata, il respiro e la voce trattenuti in gola.

Sam lo aveva raggiunto tra le gambe, oltre il tessuto dei boxer e aveva stretto con forza, togliendogli il fiato. Non faceva male, ma era una sensazione troppo intensa e la mano che lo avvolgeva ruvida e molto più forte di quelle a cui era abituato. Il sorriso era tornato sul volto di Sam, constatando la reazione del fratello sotto di lui, che cercava di compensare il fiato che gli mancava respirando a fatica tra i denti.

Dean divenne impaziente, notando che Sam rimaneva fermo per stuzzicarlo, così si aggrappò al suo collo e mosse il bacino verso di lui, nel vano tentativo di trovare sollievo, quasi istintivamente, a causa delle scosse che quel piacere negato provocava nei suoi muscoli.

Voleva essere una sfida, ma fallì miseramente, perché si rendeva conto che stava mostrando solo la sua umiliazione, malcelata nella fronte corrugata e negli occhi supplichevoli, nella bocca che a stento tratteneva i versi con cui avrebbe dimostrato volentieri la sua condizione, se solo Sam glielo avesse permesso. Senza giochetti.                          

Sam sembrava essersi leggermente placato alla vista di Dean che chiedeva silenziosamente pietà e allentò la presa; si chinò di nuovo su di lui, nascondendosi sempre nello stesso punto, baciandolo. Dean sospirò di sollievo, grato di averlo così vicino, ma al tempo stesso cosciente che, quegli sbalzi di inquietudine nel desiderio del fratello, significavano che l’attesa stava diventando una tortura per entrambi.

Sam si sollevò da lui e dal letto, allontanandosi per cercare qualcosa nel borsone. Dean aveva intuito cosa, non era la prima volta che la usavano, ma si sentì come impotente: era sempre stato lui a preoccuparsi di tutto. Soprattutto che la responsabilità di qualsiasi cosa avvenisse fosse sua, così Sam non avrebbe pensato di avere colpe, ed entrambi avrebbero potuto rassicurarsi, raccontandosi questa storia. Non che ora Dean non sentisse alcun peso su di sé nella faccenda, ma Sam ne aveva preso le redini ben prima che lui la accettasse col proprio consenso.

“È nella tasca interna” disse Dean guardando il soffitto, sentendo Sam rovistare invano.

Dean tornò a pensare lucidamente. Ora si accorgeva che al rilassante calore di Sam si sostituiva l’aria, che lo ammantava invisibile; sulla sua pelle infuocata era gelida come una lama poggiata di piatto sull’ addome. Tirò a sé le gambe sollevando le ginocchia e si osservò: preso da un moto di pudore, mai avuto in vita sua, all’idea che il suo caro fratellino lo vedesse in quello stato bestiale, si coprì con entrambe le mani. Lo spettro di emozioni ora risuonava stonato dentro di lui. Puntò di nuovo lo sguardo al soffitto striato dalla luce che veniva dalla finestra: non voleva guardare Sam e provare la fame che provavano i mostri – della cui esistenza tanto si vantava di liberare il mondo – per la carne umana.

Proseguiva imperterrito a fissare in alto, ma gli occhi abituati al buio scorgevano tutto. Doveva distrarsi. Fuori dalla finestra oltre la luce dei lampioni, faceva capolino tra le tende, la luna, che quella notte era bassa e quasi piena nel cielo limpido. L’indomani avrebbe dovuto sghiacciare i cristalli di Baby, che noia.

Quando si voltò seguendo ­quel pensiero sciocco se lo ritrovò di fronte: Sam in tutta la sua giovinezza. Era un pensiero assurdo anche questo, ma gli sembrava di avere quarant’anni in più e non quattro.

Quei quarant’anni. Sam aveva l’età che aveva ai suoi occhi; Dean non avrebbe mai accettato il divario che l’Inferno aveva scavato tra loro. Era il suo piccolo fratellino e lo sarebbe rimasto per sempre.

Sentì pungere gli occhi e il naso. Deglutì a fatica, ma Sam non ci fece caso: stava guardava il barattolino che teneva in mano mentre camminava piano verso il bordo del letto e poi si voltava, dando le spalle a Dean per sedersi. Vedendolo così calmo, in contrasto con le sue riflessioni, la bussola dell’agitazione di Dean si spostò e tornò a concentrarsi su ciò che temeva avrebbe provato: gli si prosciugò la bocca e poté giurare di aver percepito le proprie iridi espandersi per inondarsi di quella vista. Quello che tentava di nascondere tra le mani presto non avrebbe più potuto ignorarlo e gli parve che il materasso si stesse aprendo per inghiottirlo nelle tenebre eterne per punirlo dell’unico peccato da cui non sarebbe mai stato mondato.

Poiché ingiustificabile.

Dean allungò una mano verso quella grazia che aveva davanti. Pose il palmo aperto sulla schiena di Sam, dove c’era stata un tempo la ferita che aveva guarito vendendo sé stesso. Nessuno dei due ne aveva quasi più, vecchie ferite né cicatrici, tutte quelle che indicavano che avevano vissuto un’infanzia inquieta e piena di paura, ma anche felice e spensierata di tanto in tanto; una crescita faticosa e sacrificata.

E che lo avevano fatto insieme.

Avevano solo nuovi segni, che spesso tracciavano storie che divergevano l’una dall’altra, quelle di Dean da quelle di Sam. Non c’era pensiero che potesse consolarlo a riguardo.

Sam si voltò senza commentare quel gesto, ma accogliendolo come una ricerca di attenzione da parte di Dean verso cui si protese, mostrandogli il barattolino di glicerina che usavano per lenire il gonfiore della pelle in via di cicatrizzazione o il dolore quando si spaccava sulle mani, quand’era troppo freddo e passavano le notti a profanare tombe: era quasi vuoto.

“Sta finendo.”

Sam si preoccupava che non sarebbe stata sufficiente e che gli avrebbe fatto male. Dean non aveva tutto il coraggio che tentava di mostrare, ma una piccola parte dentro gli diceva che andava bene così, se lo sarebbe meritato.

“Basterà” disse semplicemente, prendendo il barattolo che Sam gli porgeva e mettendolo da parte. Lo tirò a sé per un braccio facendogli perdere l’equilibrio e lasciando che caracollasse sul suo petto di traverso, abbracciandolo come un bambino, schiena contro petto.

Sam glielo lasciò fare e mentre ridacchiava il nome del fratello maggiore, Dean guardava di fronte a sé intonando piano una canzone:

Homeward bound… Canta con me, dai…I wish I was…”

“Wow…Simon & Gurfunkel, Dean, quanto sei tornato indietro? Mi lamentavo dei Metallica, ma almeno quelli risalgono al periodo in cui siamo nati.”

“Quel concerto non è così vecchio come pensi tu, scemo!” Disse Dean, ignorandolo, strattonando Sam in tono giocoso facendo ballonzolare entrambi sul letto “Non far finta di non saperla.”

“Ok, ok! Ahaha…Homeward bound” gli fece eco Sam, provando a intonare più seriamente possibile, indicandogli di proseguire con un gesto impaziente della mano.

Home!”   si limitò ad aggiungere Dean, continuando a sorridere sapendo che avrebbe costretto Sam a cantare le parti più lunghe e cingendolo come se volesse cullarlo, ottenendo solo di farlo ridere per via di quel gioco sciocco che aveva appena inventato.

“Where my thoughts’ escapin’”

“Home!”

“Where my music’s playing”

“Home!”

“Where my love lies waitin’ silently for me” Dean lo accompagnò sull’ultima strofa, bisbigliandole direttamente all’orecchio dell’oggetto di quelle attenzioni.

John aveva il vinile del Live at Central Park, Dean lo ricordava perfettamente. Uno dei pochi averi sfuggiti all’incendio. Ricordava allo stesso modo che suo padre lo teneva come un gioiello nel bagagliaio e lo tirava fuori in una specie di tradizione consolidatasi nel consenso comune, solo quando si fermavano da Bobby o dal Pastore Jim – cioè spessissimo. Ricordò ancora, che quello stesso amorevole padre, in un accesso di rabbia, un giorno sbatté a terra il borsone dove aveva messo il disco per scaricarlo dall’auto. Dean cancellò all’istante dalla mente l’oggetto della discussione tra Bobby e suo padre, causa di quel gesto improvviso, perché troppo impegnato a correre verso il borsone a terra, per aprirlo e controllare che il vinile fosse integro.

Ripercorse nella memoria lo sguardo prima frustrato, perché interrotti nel bel mezzo della diatriba, e poi sconfortato, che i due adulti gli riservarono all’unisono, quando lo videro, con i grandi occhi verdi sgranati, contemplare i pezzi di disco che teneva in mano, diviso esattamente in tre parti nette, e rivolgersi a loro per cercare aiuto, un aiuto che non potevano dargli.

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Con un sospiro John si rivolse a Bobby, la controversia accantonata. “Devo andare” disse affettato, ma senza seguire a ciò che aveva appena annunciato, come se attendesse il permesso del vecchio amico. Bobby espirò con forza dal naso e stringendo le labbra, annuì. “D’accordo. Chiederò alla vecchia Dorothy di farmi il favore di passare a controllare i ragazzi quando potrà, appena avrò finito di preparare il necessario. Non posso abbandonare…”

John lo interruppe, frettoloso. “D’accordo Bobby, tranquillo. I ragazzi saranno comunque al sicuro qui. Se la sapranno cavare.” Poi chinandosi di fronte a Dean gli pose una mano incoraggiante sulla spalla, attirandone l’attenzione sul suo viso, aggiungendo: “Vero Dean? Posso contare su di te?”

Dean annuì, ma era pieno di dubbi. Come avrebbe fatto a far addormentare Sam?

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“Vuoi farmi addormentare?” chiese Sam interrompendo furbamente quell’imbarazzante botta e risposta.

“Ah, ma allora te lo ricordi, razza di…!” esclamò Dean tirandogli un orecchio.

Sam lo scacciò ridendo e confermò quasi in un bisbiglio: “Mh-mh vagamente. Ricordo di averti sentito accennare a papà che la mettevi sempre quando mi agitavo e iniziavo a fare domande, quando una volta era passata in radio e avevi fatto caso all’effetto che faceva, evidentemente...”

“Evidentemente, parlavi talmente tanto che era impossibile non accorgersene.” Riprese Dean per usare la frase di Sam contro di lui.

“Mh! Idiota…” Sam sbuffò divertito, ma in attesa che Dean riempisse il vuoto nella sua memoria. troppo giovane e che aveva permesso a quei primi anni di vita di scivolare nel marasma di ricordi infantili, ormai più simili a sogni.

Dean annuì, rapito dalla tranquillità che percepiva nella voce del fratello che vibrava contro il suo petto, poi ricordò che Sam non poteva vederlo: “Sì. Funzionava alla grande, però dovevo cantartela anch’io nel frattempo, così stavi zitto e chiudevi gli occhi. La cosa più assurda era che sapevi perfettamente quando e dove potevi ascoltarla e solo da Jim o da Bobby urlavi come una sirena se non mettevo quel maledetto disco.”

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Sicuramente papà non avrebbe notato il problema e lo avrebbe scansato come un nonnulla, perché aveva fretta di partire, ma Dean provò a farsi ascoltare: gli serviva qualcosa che il padre non avrebbe potuto ignorare o per cui non avrebbe avuto la risposta pronta: “Papà aspetta! Se Sam vedrà il disco rotto, scoppierà a piangere!” John si voltò a metà e come Dean sospettava, non gli diede corda.

“Puoi sempre cantargli la sua canzone preferita tu stesso, Dean. La conosci a memoria.”

Dean sapeva che non avrebbe funzionato. A Sam piaceva mettere il vinile nel giradischi e vederlo partire, per poi aspettarsi che anche il fratello maggiore desse spettacolo insieme ai due cantanti, convinto che fosse uno di loro o chissà cosa.

“Si, però…”

A quel punto la pazienza di John, inversamente proporzionale alla resistenza che Dean gli opponeva con la sua insistenza, si stava esaurendo. “Hey. Lo so che ti dispiace per il disco e ti dispiace per Sammy. Ma prima o poi dovrà imparare ad addormentarsi senza il tuo aiuto, Dean. Lo sai questo, vero?”

Dean annuì di nuovo, stavolta senza dubbi, ma pieno d’ansia, perché non immaginava come avrebbe fatto a deludere le aspettative di Sam quella sera. Sperò solo che non tirando fuori il disco, Sam l’avrebbe magicamente scordato; ma non si illuse a riguardo.

“Ora va’ a prendere in macchina tuo fratello. Finisci di scaricare le vostre cose e aiuta Bobby a preparare i letti. Ok Dean-o?” era una richiesta gentile, ma ferma. Il nomignolo giocoso, aggiunto quasi a ripensamento finale, non fu abbastanza per mascherare l’irremovibilità del tono. Dean ci era abituato.

“Sì, signore.”

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“Già. La tua voce ha sempre avuto quell’effetto.”

“Soporifera?”

“Quasi” scherzò Sam, ridacchiando “Calmante.” aggiunse riflettendoci. Dean non lo vedeva in faccia, ma sentì chiaramente il sorriso che gli tendeva la bocca a quella parola.

“Meglio dell’erba?”

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John lo precedette fuori. Dean aveva ancora i pezzi del vinile distrutto in mano e la sua mente viaggiava come un treno per trovare la scusa migliore, quando Sam gli avrebbe chiesto che fine avesse fatto.

Bobby, che aveva fissato lui e suo padre tutto il tempo, serio e in religioso silenzio, aveva atteso che John fosse fuori dall’uscio per dirgli: “Forse ho un’idea per quel disco rotto, ragazzo, dallo a me.” Dean gli porse i pezzi, speranzoso. Non gli fu concesso di sapere in anticipo quale fosse la soluzione, ma gli interessava poco a dire il vero. Era solo sollevato che un adulto gli avesse scaricato di dosso il peso di quella responsabilità. Era raro per lui ricevere una mano quando si trattava del gravoso compito di aiutare Sam a crescere e lasciarsi alle spalle le vecchie abitudini. Un brivido gli risalì la schiena rammentando cos’era stato fargli abbandonare il ciuccio.

Trotterellò fuori dalla porta seguendo i passi del padre e prese la borsa con tutte le cose di Sam, sganciando il fratello dal seggiolone e aiutandolo a scendere dall’imponente Chevy. Lo salutarono entrambi tenendosi per mano sull’uscio, mentre venivano sommersi dal polverone che lo sgommare delle ruote aveva sollevato. Bobby, dietro di loro, una presenza solida e rassicurante.

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“Ancora con questa storia?! Te l’ho detto Dean! È successo una sola volta, ed ero al college!”

“E sta’ zitto…Ho il pass per rinfacciarti certe cose, se non lo uso che figura ci faccio? Guarda…”

Gli mostrò il palmo della mano aperto poco sotto il mento e Sam istintivamente chinò il capo per seguire ingenuamente l’indicazione del fratello maggiore. Dean colse la palla al balzo e gli passò l’indice sotto il naso, sollevandoglielo con forza e senza pietà, ridendo e tormentandolo con quel genere di stupidaggini, com’era suo vero compito di fratello maggiore fare.

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Quella sera, Sam puntualmente chiese che venisse messa su la sua canzone preferita. Ma prima che Dean potesse spiccicare parola, Bobby lo anticipò. “Sam, io e tuo fratello dobbiamo farti vedere una cosa.”

Non fu traumatico come Dean aveva temuto. Con l’aiuto di Bobby e della sua voce calma e razionale, Sam aveva accettato il ragionevole fatto che il disco era caduto e si era fatto male. Potevano curarlo, rimettendolo insieme con un po’ di scotch, ma avrebbero dovuto aspettare che guarisse, - almeno tre o quattro giorni, secondo lo sguardo saggio e acuto di Bobby. Dean non era stato consultato sui dettagli, ma sapeva che quello era il tempo stimato per il rientro di John; si sperava che Sam avrebbe cancellato dalla sua memoria il tanto adorato concerto serale in quel lasso di tempo, lasciando il compito di fare tabula rasa alla gioia per il ritorno del padre.

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Sam agguantò il polso di Dean e glielo morse senza ritegno alcuno; Dean per tutta risposta lo strattonò con tale forza da rischiare di strappargli qualche dente, per poi afferrarlo con una presa micidiale del gomito intorno al collo, pizzicandogli il fianco con la mano libera, facendo letteralmente squittire Sam dalle risate. Dopotutto era in una posizione svantaggiosa, circondato dal corpo di Dean senza poterlo fronteggiare.

“Basta! Basta!” riuscì a malapena a chiedere Sam tra gli spasmi, senza fiato, contorcendosi nella presa.

“Ti arrendi?” gli chiese Dean soddisfatto all’orecchio, solleticandolo con il naso.

Sam annuì, sorridendo e scattando, incapace di fidarsi di lui ad ogni pizzicotto che diventava inaspettatamente un lieve tocco. La risata, incontrollabile, gli spirò piano in gola fino a diventare un mugugno divertito e poi silenzio.

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Una volta tanto, John fu puntuale. Dean e Bobby si aspettarono che Sam puntasse subito dritto a intontirlo di discorsi sul vinile - rotto, riparato e in attesa di miracolosa guarigione - una volta varcata la soglia, senza neanche salutarlo, come il bambino tendeva a fare con qualsiasi cosa fosse di suo interesse. Ma furono disattesi guardando come Sam solcava la soglia coi suoi passetti veloci per correre incontro al padre; quando fu certo che Sam non stava spendendo mezza parola sull’accaduto, Dean cercò incredulo lo sguardo di Bobby che non poté che limitarsi a fare spallucce. In effetti, nessuno aveva più nominato il disco in quei giorni, e neanche Sam a dire la verità. Si era addormentato ogni notte senza troppe storie, appositamente sfinito dalla sessione di lotta e solletico che Dean dirigeva a sua discrezione, fermandosi solo quando il fratellino rischiava di strozzarsi dalle risa. L’unico particolare degno di nota, che Dean tenne per sé, fu solo che Sam aveva deciso, senza chiedere il permesso – e senza essere respinto, come se sapesse esattamente che nessuno si sarebbe permesso di farlo – di dormire nello stesso letto del fratello, stretto a un lembo del suo pigiama esattamente come il pupazzo di koala, portato sempre con sé al momento, si aggrovigliava attorno al proprio ramo di stoffa imbottita.  

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Dean ancora con le braccia intrecciate attorno al petto di Sam, allentò appena la presa dalla stretta vivace. Poggiò le labbra su una spalla, stringendole contro la pelle di Sam, senza spingere oltre quel contatto, ma dandogli un sapore tutt’altro che platonico, prolungandolo fino a renderlo intimo e straziante: voleva essere un bacio oppure un morso? Ma Dean si limitava solo a far scivolare il proprio respiro sulla pelle, osservando come si ritraeva solleticata, restando in ascolto. A peso morto contro la schiena di Sam, ne assecondava i movimenti del torace, incastrandosi perfettamente nella curva tra il collo e la spalla.

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John aveva una sorpresa per Dean. Lo prese in disparte e gli mostrò cos’aveva nel giaccone di pelle scura: la musicassetta del Live at Central Park! “Papà…!” cominciò Dean con foga, mente gli brillavano gli occhi. John lo zittì sorridendo con un dito davanti alle proprie labbra. Adesso se Sam avesse fatto i capricci Dean non avrebbe più avuto nessuna preoccupazione, papà aveva pensato a loro e…

Però quei giorni era cambiato qualcosa; doveva dirglielo: “Grazie papà, davvero! Però Sam è riuscito a dormire senza, sai? È stato bravo e non ha più insistito, come avevi detto che sarebbe stato meglio.” Si affrettò ad aggiungere quell’ultimo particolare, perché immaginava quanto papà si fosse risentito del gesto impetuoso che aveva rotto il disco, tanto da cercare di fare ammenda in quel modo. Chissà quanto tempo aveva perso dietro quella ricerca; Dean non voleva renderla futile. Osservò il padre in attesa della reazione seccata.

Ma papà non lo guardò offeso, tutt’altro; curioso, forse anche un po’ triste quando sorrise di nuovo: “Non preoccuparti Dean-o…sei stato bravo anche tu, quindi questo sarà un regalo per te, allora. La tua prima cassetta.” Senza ulteriori preamboli gliela infilò nel taschino della giacca. Dean strizzò il viso e lo chinò per seguire quel gesto e John gli passò il dito sotto il naso, sollevandoglielo di forza. “Ow!”. John accennò appena una risata e scompigliandogli i capelli si diresse verso Bobby, per scambiarsi i reciproci resoconti di fronte ad una tazza di caffè, possibilmente corretto.

Dean osservò gli adulti che parlavano seduti al tavolo nello studio e poi Sammy, che ignaro di tutto giocava a terra con le costruzioni. Nonostante quella poteva essere una vittoria per Dean, qualcosa gli diceva che non doveva esultare. La serietà con cui Sammy aveva preso la fine del disco; la forza della stretta nelle sue piccole dita, quelle notti passate da soli, senza papà e senza Bobby, mantenendo il segreto con la signora Dorothy che passava a controllarli solo a ora di pranzo – su specifica richiesta di Bobby che l’aveva impalmata per bene con moine e promesse di favori futuri, glissando e mentendo spudoratamente sulla reale motivazione e i tempi della mancata supervisione dei bambini – e ultimo, ma non per importanza, lo sguardo di papà quando gli aveva appena confessato che avrebbe potuto risparmiarsi quello sforzo, perché Sam era cresciuto senza di lui, di nuovo. Tutto questo non gli permetteva di pensare alla fine dell’era d’oro del disco di Simon & Gurfunkel, come una vittoria: il sapore che gli lasciava in bocca era troppo amaro.

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La voce matura di Sam gli arrivò lontana, forzandolo via dalle ultime molliche che restavano di quella memoria dai bordi sbavati: “Dico sul serio. Hai una voce meravigliosa.”

Lo stesso sapore dolce amaro, dopo tanti anni, lo sentiva pungergli la lingua di nuovo: avere Sam per sé, così come pretendeva di fare, non poteva considerarla una vittoria, come non l’aveva considerata una vittoria quando sedendoglisi accanto, il fratellino gli aveva sorriso e porto le costruzioni, invitandolo a giocare con lui.

Non era necessariamente una cosa giusta, tutt’altro, però restava il fatto che ora aveva Sam tutto per sé. Da piccoli poteva dargli quasi tutto quello che gli serviva…Poteva farlo ancora, forse.

“Lo so. Al contrario di te. Qualcuno doveva prendere sulle spalle il talento di famiglia”. Udì la propria voce e pensò che Sam avrebbe sospettato cosa avesse in mente: era troppo spenta per suonare come una battuta.

“Davvero? Pensavo fosse la caccia.” Ma nel tono di Sam c’era solo sincera curiosità. Dean avrebbe voluto dirgli di smetterla di pendere dalle sue labbra, così sciocco e fiducioso a volte, tanto quanto scettico e scostante per ogni singola stupidaggine che usciva dalla sua bocca. Ne diceva tante, Sam avrebbe dovuto saperlo.

“Ah…No, in realtà non ne ho idea Sammy. Stavo solo scherzando. Ne so quanto te”.

Ma non era vero. C’erano stati altri rari momenti, legati sempre alla musica, che conservava gelosamente per sé; alcuni passati quasi spensieratamente in macchina con John. Il padre aveva fatto un gioco simile al loro, per testare i gusti musicali di Dean, durante i lunghi viaggi senza Sam, ancora troppo piccolo per seguirli. John l’avrebbe preso in giro quando non avrebbe riconosciuto le note di qualche chicca passata mezza volta in qualche radio sperduta nelle campagne del Kansas prima che lui nascesse, mettendolo sotto esame, dimostrandogli di non avere un’oncia di cultura. Ricordava bene il proprio stupore vedendo il padre così rilassato. Era anche piuttosto intonato.

Dean rammentava come fosse ieri quando papà, dopo anni, aveva ripreso quel gioco; quando Sam era andato via, a Stanford. Persino lui si era accorto di quanto diventasse pericoloso lasciare Dean a macerare nel proprio dolore, solo e rinchiuso nella sua testa coriacea.

Mary invece aveva sempre cantato per entrambi i fratelli, anche se Dean ne ricordava pochissimo. Gli era rimasto impresso come anche la sera dell’incendio per mettere a letto il piccolo Sammy c’era voluta una ninna nanna. I preferiti di mamma erano stati sicuramente i Beatles, perché papà evitava accuratamente quelle cassette pur senza essersene mai liberato davvero. Di quella manciata di anni precedenti lo scadere del primo patto con Occhi Gialli, Dean aveva a stento qualche memoria che si distinguesse dai falsi ricordi di un sogno. Ma tutto quello che era successo quel giorno viveva vivido dentro la sua mente. Era un effetto di cui aveva letto su qualche rivista scientifica che avevano consultato in occasione di una ricerca.

Dean sorrise, nonostante tutto, accarezzando le spalle del fratello. Decise di seguire l’istinto, perché era stanco e stufo di sentirsi una specie di album vivente dei ricordi di famiglia. Un depositario di memorie, destinato a riviverle nei momenti peggiori e meno opportuni, come adesso. Pensava a sua madre e suo padre, mentre toccava suo fratello, lascivo. Quei pensieri forse volevano farlo desistere dalle peggiori intenzioni che aveva; ma ormai era già troppo tardi.

Proseguì con quelle carezze arrivando all’elastico dei boxer di Sam; col naso e le labbra che ne sfioravano il collo, senza osare andare oltre, lo strinse a sé e la curvatura dei suoi fianchi collimò quasi perfettamente con quella del fratello che schiacciava tra il bacino e la sua mano. La sensazione della pelle sulla pelle contro l’addome e il petto lo sconquassarono nuovamente: un’onda di calore gli risalì dal ventre, che si trasformò in pungente bruciore nello stomaco e poi di nuovo in vampate, una volta arrivato sul viso e alle orecchie. Si immobilizzò percependo ciò che stava cambiando in lui; lo sentiva anche Sam, che gli bloccò le mani e si protese leggermente, spingendosi indietro, trattenendo il fiato.

Dean si sentì d’improvviso, ancora, sporco e malato. Forse non doveva seguire l’istinto. Pensare alla sua famiglia e avere quella reazione per suo fratello, il suo sangue, non poteva essere normale. Era quasi disgustoso e incomprensibile, persino per uno come lui.

Certo non era una cosa così improbabile che accadesse; in alcuni stati era quasi legale o talmente comune da essere tollerato. Ma per lui era sempre stato qualcosa che aveva vissuto in un remoto angolo del suo cervello, come una fantasia innocua, qualcosa a cui si può non far caso, a volte con un certo impegno, ma si poteva. Però era sempre stata lì. Ci era rimasta e in effetti, aveva occupato sempre più spazio.

Dean non era innocente, non lo era mai stato. C’erano state altre volte, ma lui aveva sempre fatto in modo, o perlomeno ci aveva provato, che le cime dal porto non venissero mai sciolte. Invece adesso…

Probabilmente, però, accadeva proprio per questo. Perché aveva creduto di aver arginato qualsiasi pericolo ed era convinto di aver agito con cautela, nel piccolo porto sicuro che si era ritagliato. Forse non si era accorto che molte barche gli erano sfuggite e navigavano sole e in balia degli eventi, dove si agitava la tempesta, mentre lui si preoccupava di quelle rimaste attraccate. E lo vedeva con la coda dell’occhio, lo percepiva, che la situazione gli stava sfuggendo di mano, ma decideva di ignorarlo, a stento in grado di tenere quelle poche barchette che poteva, ancorate. Se si fosse voltato sul piccolo molo nella sua fantasia, avrebbe visto che non era solo: ci sarebbe stato Sam, che gli porgeva alcune cime snodate, mettendone una nelle sue mani.

Si era ciecamente preoccupato solo di un minuscolo margine di quella baia immensa che era la loro vita insieme e il resto l’aveva lasciato a Sam, perché non aveva mai voluto davvero affrontare quella responsabilità, per quanto se ne lagnasse. E adesso Sam, la volontà di Sam, non era più legata alla sua come era sempre stato sicuro che fosse.

Che avessero già valicato l’invalicabile? Era così inevitabile saltare nelle profondità di ciò che gli era sconosciuto e lo chiamava?

“Dean?”

La voce apprensiva di Sam lo riportò bruscamente alla realtà prosciugandogli il sangue dal viso. Sam si spostò per fronteggiarlo e lo fissò: prima leggermente confuso, poi Dean vide stringerglisi le labbra e le sopracciglia distendersi, mentre lo guardava realizzare cosa stava turbando il fratello maggiore.

Sam si fece avanti e caricò ancora una volta il proprio peso sulle spalle di Dean, buttandolo giù disteso.

“So cosa stai pensando, Dean. Smettila.”

La baia fu inondata dalla tromba d’acqua furiosa che non aveva visto sollevarsi dal mare. In lui si scatenò il panico.

“Sam, questa volta non è uno scherzo, non è un gioco, non è solo una scusa per stare vicini…” Dean provò a esprimersi, a giustificarsi con una cascata di parole che Sam raccolse prima che si schiantassero su di loro, spingendolo contro il cuscino mentre parlava: “Non è mai stato solo questo, Dean.” Lo interruppe.  “Hai paura, lo so. Anch’io. Anch’io, Dean, sono terrorizzato. Ma lo voglio più di quanto non ne abbia timore”.

Dean lo guardò più stupito e perso in lui che mai. Oh, se un talento era il canto, l’altro era certamente convincere con la sola potenza delle parole. Il lampo di una figura gli ferì la mente: una sirena, su uno scoglio lambito dalla schiuma delle onde impazzite che vi si infrangevano.

“Stavi provando a distrarmi, l’ho capito. Ma ti rendi conto anche tu che è impossibile per entrambi a questo punto ignorare...” Sam non concluse la frase, ma Dean aveva afferrato fin troppo bene.

Tra un delirio e l'altro stava ancora mentendo a sé stesso. Non era solo grazie al talento che Sam poteva circuirlo. Se qualsiasi re dei demoni o super arcangelo fosse stato Sam e gli avesse chiesto anima e corpo, gli avrebbe detto quel “sì”, che tutti avevano faticato come mai per estorcergli e senza successo, ancor prima di sentirlo spiccicare una sillaba.

Dean annuì, soggiogato, deglutendo il nodo che gli serrava la gola, che fece solo su e giù restando esattamente dov’era: “Sì, non ce la faccio più” ammise quasi strozzandosi.

“Allora, dimmi, cos’è che vuoi?” gli bisbigliò Sam avvicinando talmente i loro visi da poter contare le lentiggini che puntigliavano come una maschera il naso e gli occhi del fratello.

Dean non esitò, seguendo la propria natura. “Te”. Le labbra di Sam si erano già poggiate sulle sue, mentre il maggiore scandiva col respiro quella piccola sillaba in modo tale che sembrasse infinita. Sam aveva vinto, Dean gliel’aveva confessato, ma lo aveva fatto con piacere, anche se con tutta quell’apparente riluttanza. Non voleva altro che gettarsi in quel bacio che Sam gli stava promettendo.

Sam lo lasciò languire solo un secondo e poi diede a Dean quello che stava elemosinando con tutto il corpo, completamente inarcato contro di lui: un bacio lungo e assetato, pieno, come se stessero respirando l’uno nell’altro, dopo un’apnea bruciante. Non era famelico come era stato poco prima. Più carezzevole, più profondo e attento. Piu doloroso. Una lama che penetrava lentamente lo sterno e scavava la via d’uscita nelle costole sottostanti.

Come scavare la propria fossa e trovare la cassa.

Dean si staccò da quel martirio solo per sussurrare a Sam che non ne poteva più. Per tutta risposta Sam si allontanò e prese il barattolino di glicerina, mai dimenticato; lo studiò qualche secondo e affondò sapientemente due dita quanto bastava, secondo i suoi calcoli.

“Spogliati” gli ordinò con calma glaciale, mentre richiudeva il coperchio senza guardare Dean, che dal canto suo si contorceva per cercare di nascondersi quanto più possibile, obbedendo. Di nuovo si coprì con una mano, una volta completamente nudo. Finché non obbedì del tutto, Sam non gli rivolse lo sguardo e mentre Dean si voltava per gettare i boxer in qualche angolo dimenticato della stanza, il fratello lo raggiunse e gli tappò la bocca, facendolo sobbalzare. Scostandogli poi le gambe, irrigidite dall’aspettativa, Sam si fece spazio tra esse e Dean lo vide serio ed eccitato abbassarsi su di lui senza staccare gli occhi dal suo viso, finalmente.

Sam fece scivolare la mano che aveva preparato tra loro: Dean sentiva il suo cuore battere come quello di un coniglio catturato tra le mascelle di un cane da caccia sadico e diligente, che non gli avrebbe concesso il colpo di grazia finché non l’avesse riportato, vivo e sanguinante, ai piedi del proprio padrone, facendo della sua morte un trofeo.

E poi arrivò. Doveva essere bollente la sua pelle lì sotto, perché le dita di Sam sembrarono gelide. Dean sussultò teso, poi sentì le dita muoversi per massaggiarlo e qualcosa in lui sembrò risvegliarsi. Un punto non del tutto inaspettato, ma di cui aveva ben poca esperienza: avrebbe certamente cacciato un urlo se non fosse stato cosciente della mano di Sam sulla sua bocca.

Sam era impaziente e lo toccava con forza e irrequietezza. La glicerina aiutava perché leniva l’attrito e anzi lo rendeva piacevole: ogni rotazione delle dita era un brivido caldo e freddo nel corpo di Dean che faceva rizzare ogni pelo sul suo corpo e gli precipitava il cuore nello stomaco. Serrò gli occhi per tentare di raccogliere tutta la concentrazione che gli sfuggiva come sabbia tra le dita, ma li riaprì per vedere Sam che lo fissava attento, come se lo stesse studiando.

Lo percepì cambiare velocità e rallentare per cercare il punto che gli interessava e poi, senza ulteriori indugi, spingere per entrare. Questa volta Dean perse il controllo sulla propria voce e sul respiro che si mozzarono e divennero tutt’uno nell’affanno della sorpresa. Era assurdo se si fermava a rifletterci, ma non fece quell’errore: la congiunzione di dolore, intrusione e piacere in un unico punto del corpo, non glielo permisero. Il suono che ne venne fuori fu tenuto a bada a dovere. Dean strinse le ginocchia contro i fianchi di Sam, istintivamente; avrebbe voluto chiuderle, ma fu grato di quell’ostacolo.

Sam approfittò di quella stretta per lasciare la bocca di Dean e usare la mano per sollevargli una delle gambe su di sé, così da potersi abbassare sul fratello che non obiettò in altro modo se non emettendo un lieve mugolio stupito. Dean accolse volentieri quella vicinanza raggiungendo il volto e le spalle di Sam con le proprie mani: “Prometti di non urlare?” Gli chiese questi sorridendo.

Dean sbuffò trattenendo una risata sarcastica. Voleva rispondergli che non era una verginella alla sua prima volta, ma non sarebbe stato vero, così si limitò a scuotere la testa, ma poi annuì, anche se riluttante: non si sentiva in grado di promettere nulla in quella posizione. Nemmeno che ricordasse il suo nome, se solo Sam non avesse continuato a ripeterlo.

“E tu…tu invece promettimi di non allontanarti, d’accordo?” Sussurrò lui tra i brividi.

“Promesso.” rispose subito Sam, affondando di nuovo la mano tra le sue cosce, lasciata solo un attimo in disparte, cercando di aumentare la pressione e la frizione dentro Dean.

Dean si stava abituando bene a quel contatto e riprese subito il controllo sul proprio respiro. Adesso sapeva dove concentrarsi: se prima gli sembrava di essere sballottato dalla marea di percezioni, come particelle di gas disperse nell’etere, per quanto piacevole, ora tutto si era condensato in un punto definito su cui si reggeva tutto il resto. Lo spettro di emozioni era tornato ad essere di nuovo un fascio, ma stavolta più concentrato. Tanto polarizzato da convogliare tutto in sé e non permettergli di distinguere nient’altro, rendendolo ipersensibile a ogni contatto. Infatti, che Sam lo mordesse fino a fargli male o gli accarezzasse le labbra con le proprie, il risultato era lo stesso: una scarica elettrica partiva da quel punto in fondo alla schiena e rispondeva sempre nel cuore e nello stomaco. Spirali di spine lo circondavano e schiacciavano, i suoi arti scattavano come se fossero lambiti da tagliole che volessero azzannarlo, costringendolo ad emettere ansiti sempre più veloci e affettati.

Dopo poco Dean aveva colto il ritmo che Sam gli aveva imposto con la mano e nella sua mente c’era spazio per divagare: ad esempio, su come fargli capire che si sentiva bene o come ricambiarlo.

Prima portò una mano tra loro, raggiungendo quella di Sam fra le sue gambe, cercando di fare suo quel movimento quanto più possibile: voleva sentirsi quasi un prolungamento stesso di Sam. Poi con l’altra afferrò sé stesso massaggiando piano, guardando Sam dritto negli occhi, il mento proteso verso di lui e la bocca appena aperta, con l’intento preciso di provocarlo.

Sam non tentò nemmeno di resistergli: puntellandosi su un gomito, scese sulla bocca di Dean, che sentendolo trattenersi per non strappargliela a morsi, fu catturato di nuovo in un bacio senza respiro.

Dean raggiunse i boxer di Sam e fece saltare la molla sulla sua pelle; fuggendo dal bacio, chiese in un sussurro estatico:

“E tu?”

“Io…cosa?”

A quanto pareva era il turno di Sam di perdere colpi, mentre Dean ritrovava la sua verve. Con un grugnito quasi rabbioso gli sfilò i boxer per scoprire quel tanto di pelle che bastava e lo schiacciò su di sé.

Sam fu costretto a sfilare le dita dal corpo caldo del fratello per puntellarsi meglio sul letto, con un leggerissimo lamento di quest’ultimo che però aveva in mente altro: Dean prese entrambi in una mano e strinse.

Le braccia tese di Sam quasi cedettero e la sua capacità di trattenersi anche con la voce, che aveva tanto cercato in Dean torturandolo disperatamente finora, si era quasi persa in quell’unico attimo. La recuperò immediatamente. Cercò ancora il barattolino e lo porse a Dean, che prese una porzione generosa del contenuto e la usò su entrambi per far scivolare meglio la pelle sensibile all’interno della propria mano.

Indirizzò Sam senza usare parole, verso quello che voleva: senza forzare, lo spinse sulla schiena verso sé e lo invitò a muovere liberamente i fianchi, sfregandoli contro i propri, mentre Dean stringeva ancora entrambi tra le dita, uno sospeso sull’altro.

Alcune esperienze passate apparvero come un fantasma nella coscienza. Di solito era lì che lui e Sam si fermavano, in quei momenti dove la loro vicinanza era stata più intensa. Era sempre stato Dean a segnare i confini entro i quali spostarsi; ma l’impetuosità di Sam stava cambiando le carte in tavola e a Dean non restava che proseguire nella sua opera diplomatica. Solo che stavolta, temeva che avrebbero ridisegnato la cartina. E che non gli sarebbe davvero importato, perché in fondo, c’erano solo terre selvagge dritte di fronte a loro; esplorarle insieme non sembrava desolante, anzi spegneva come un stoppino la solitudine che aveva fatto tanto per soffocare, immancabilmente, senza successo.

Mentre lo stringeva a sé, gli parve incredibile che solo con Sam - sempre solo con lui - trovasse ristoro lungo il viaggio. Era una malattia da cui non sarebbe mai guarito.

Quella pressione. Dean vedeva ogni singolo effetto che aveva sul volto e sul respiro del fratello e questo peggiorava solo le cose. Già sentiva la mancanza di Sam che lo riempiva e non osava immaginare come sarebbe stato quando…

Quando?

“Dean, basta.”

Ecco, adesso. Quella richiesta era così lontana da quella di una manciata di minuti prima, quando Dean gli aveva punzecchiato la vita alla ricerca di una risata facile e meccanica, che smorzasse la tensione.

“Sì.” Asserì lui deglutendo aria, nervoso.

Sam si sollevò su di lui e si scambiarono uno sguardo, l’ennesimo, velato di tristezza e desiderio.

Dean non riuscì a sostenerlo: “Non guardarmi così.” Lo pregò.

Non erano i vestiti a lasciarlo nudo. Non si vergognava della propria pelle, in fondo si erano visti mille volte, in mille motel privi di qualsiasi privacy. Ma così? Quante volte Sam gli aveva concesso quello sguardo in vita sua? Rari momenti, momenti di pericolo o da dimenticare. Ora invece dall’inizio di quella notte, da quando avevano discusso, Sam lo fissava. E non era il solito sguardo da cucciolo; non aveva mai avuto il potere di turbarlo tanto.

Tutte le cicatrici che narravano la loro storia e che fino a poco prima Dean aveva rimpianto nella loro assenza, erano racchiuse lì, negli occhi di Sam, quando lo afferrava con quello sguardo. Tutta la loro storia era conservata lì, depositata nelle iridi brillanti di suo fratello che invece di posarsi sui libri di scuola, garantirgli una carriera e vagare sulle curve dolci di una ragazza, gli scavavano dentro proprio ora, mentre sprecava la sua vita nel peggiore dei modi, lì con lui. Dean provava a sfuggirgli, perché non si sentiva solo nudo, ma scarnificato, da quello scrutinio, un imbarazzante mucchio d’ossa sotto quegli occhi affiati, indagatori; giudicato dal riflesso di sé stesso che vi scorgeva dentro…Non avrebbe saputo descrivere lo schiacciante effetto che aveva su di lui. Ci vedeva il loro amore fraterno o meno che fosse, il fascino e l’orrore del proibito attorno al quale avevano danzato come nel gioco della campana, saltando dentro e fuori i margini segnati col gesso, netti, ma fragili e sempre più sbiaditi. Rischiava di perdercisi e non ritrovarsi mai più.

Lo amava, perché era suo fratello; ma non avrebbe dovuto farlo troppo, per lo stesso motivo…solo che, voleva. E Sam lo pregava di non resistere più a quella spinta, non solo col suo sguardo, ma con tutto il corpo. Ne avevano vissute insieme così tante. Perché non potevano lasciarsi andare? Mollare il freno. Si meritavano un po’ di sfogo, no? Si meritavano di consolarsi, avvicinandosi tanto da farsi sparire l’uno nell’altro, giusto? La loro vita era dura e crudele e per sopravvivere avevano sempre potuto contare solo sul reciproco sostegno.

Una vita passata a fare quello che chiunque altro non avrebbe mai avuti il coraggio neanche di pensare. Senza sosta, addestrati a resistere e affrontare terrore e dolore, ignorando il trauma, la fatica, i dubbi.

Incesto. Co-dipendenza. Qualsiasi definizione perdeva di senso di fronte alla loro storia.

Dean rabbrividì. Voleva lasciarsi andare, lo desiderava con tutto il cuore, ma il velo del tabù infranto aleggiava tra loro, ad ogni gesto, anche il più innocente. Ingombrante.

Sam non aggiunse altro e continuando a fissarlo, scese su di lui. Incastrò le braccia sotto le gambe del fratello così da tenerle sollevate, puntellandosi all’altezza dei fianchi, rubando un respiro strozzato a Dean che si aggrappò alle coperte come se Sam lo stesse per scaraventare a terra:

“Dean non preoccuparti. Vieni.” Disse indicandogli le proprie spalle su cui, docile, pose le sue mani Dean.

“Così. Aggrappati a me”.

Dean fece una smorfia di stizza, stranamente intenerita dalle sopracciglia aggrottate, che lo smascheravano, inevitabilmente, per quello che era: un uomo, insignificante e nudo, pieno di paura. Dean scettico per natura, avrebbe voluto fidarsi di Sam, ma aveva sempre fatto immensa fatica a dimostrarglielo. Adesso pur sentendosi un pezzo di legno, ci provava. Sperò che bastasse, che Sam lo perdonasse e lo amasse anche così.

Con questa preghiera in mente Dean si alienò, eliminandolo dal proprio campo visivo ciò che succedeva sotto il suo addome, guardando il soffitto; nel frattempo sentiva Sam che si posizionava tra le sue gambe tese, aiutandosi con le dita per trovare la giusta strada. Dean lo aiutò a sua volta con una mano, sempre fissando il vuoto sospeso in alto su di lui.

Quando sentì Sam spingere nel posto giusto Dean lo lasciò fare, cercando poi le sue spalle per aggrapparvisi, come gli aveva appena chiesto, per non cadere in nessuno dei baratri che si aprivano per lui: pentimento, colpa, ripugnanza di sé, l’Inferno stesso. Adesso era davvero troppo tardi per ripensarci.

Sam spinse forte e questo stirò tutti i muscoli di Dean, che con ogni brandello di volontà rimastagli, mantenne il controllo totale su ogni fibra: cercò di rilassarsi per evitare di spingere fuori Sam, come istintivamente il suo corpo gli urlava di fare. Inarcò solo il collo, evitando di assecondare la molla che bramava di far scattare all’indietro tutta la spina dorsale, evitando così di far del male al fratello, affondando con la testa nel cuscino. Nel frattempo Sam stava trattenendo il respiro, anche lui vinto dalle sensazioni inaspettate, sospeso in equilibrio su Dean.

Sam testardo com’era non ci badò troppo a lungo e affondò completamente in lui, bruciando Dean dall’interno, per quanto lentamente; poi si fermò. Dean si era sforzato così tanto di non emettere suoni che per ogni piccola divergenza rischiava di perdere tutta la concentrazione. Per questo non permetteva a Sam di spostarsi: con le braccia gli cingeva le spalle e lo stringeva come se ne andasse della propria vita.

Sentì Sam provare a forzare quella stretta, ma Dean, trattenendolo, lo pregò di restare per un po’ così, in un sussurro rubato alla propria resistenza. Muovendogli le labbra sul collo e lasciandosi sfuggire un sospiro tremulo gli lasciò in quel punto un morso, lieve come il singulto che ne seguì, sintomo della fatica di evitare ancora di urlare. Sam firmò quella tregua rilassandosi sul corpo che si stava sciogliendo sotto il suo, trascinando le braccia sotto la schiena di Dean; tirandolo leggermente a sé, gli strappò un altro lievissimo singhiozzo di sollievo, più leggero e libero di legarsi meglio attorno a Sam.

Quella posizione cambiava completamente le carte in tavola: ora che il bruciore del primo attrito si era dissipato, in quella immobilità rotta solo dai reciproci respiri, potevano godere del pulsare del sangue dentro ognuno di loro. Dean, allora sciolse la presa e tanto bastò a Sam, che non si fece sfuggire l’occasione per testare ancora il loro autocontrollo.

Fissando in viso Dean, uscì quasi completamente per poi affondare di nuovo in lui, inaspettatamente, con forza, mozzando il fiato a entrambi. Dean gli regalò uno sguardo completamente sopraffatto dalla sorpresa del piacere, allacciato indissolubilmente al dolore, in un’unica forza, ignota e risucchiante.

Capì che Sam non ne aveva abbastanza di quella vista, perché senza pietà si immerse in lui, in quello stesso modo, ancora e ancora. Quando Sam si placò, si addossò ansimando nuovamente su Dean, allacciandogli le braccia attorno ai fianchi come una cintura di sicurezza, anche se era perfettamente chiaro al maggiore dei due, mentre si sentiva sollevare, che si erano schiantati da tempo contro la loro totale irragionevolezza, senza scampo. Non c’era modo di soffermarsi a riflettere su quanto fossero condannati alla dannazione. Dean seguì l’esempio del fratello, aggrappandosi di nuovo al suo collo. Sapeva cosa sarebbe successo: Sam lo avrebbe trascinato nella sua furia infuocata e niente lo avrebbe più fermato, nemmeno le urla e lo sconquassamento delle loro ossa, delle travi del letto e del muro oltre le loro teste.

Gli aveva fatto promettere di non fare rumore e ora toccava a Dean obbedire per entrambi.

Ma Dean non era pronto, nonostante tutto: Sam aumentò il ritmo degli affondi e, inesorabile, si conficcava in Dean come se volesse punirlo e al tempo stesso curarlo dalla sua malinconia autodistruttiva, non lasciando spazio per null’altro se non per Sam. Fare l’amore con Sam. Sentire solo Sam. Toccare Sam, farsi toccare solo da Sam. Era così tremendamente difficile non urlare al soffitto quanto stesse godendo e soffrendo, che Dean usò l’unica arma a sua disposizione per sfogare la frustrazione: mordere.

Quasi a caso, senza intenzionalità. Oh, al pensiero che chiunque avrebbe potuto scorgere quei piccoli marchi arcuati dal colletto della camicia – o che qualche ragazza senza volto gliene avrebbe chiesto spiegazioni – la febbre che pervadeva Dean peggiorava, non faceva che infiammare quella smania di abbandonare un lembo di pelle per prenderne un altro tra i denti, stringere di nuovo e lasciare un altro segno.

Dean pensò che non avrebbe resistito ancora per molto, ma Sam non sembrava intenzionato a permettergli di adagiarsi nella fretta di concludere. Non aveva avuto il tempo di formulare quella riflessione, che Sam si scostò dai sui morsi, rallentando l’ondeggiare ritmico dei fianchi per poterlo osservare: Dean lo guardò sfiorarsi il labbro inferiore con la lingua, muovendosi talmente piano fuori e dentro di lui da farlo impazzire. Si sentì improvvisamente inappagato. Lesse, nello stringersi degli occhi affilati, che Sam cercava qualcosa di preciso: la somma di tutto ciò che stava provando Dean, dispiegata in un spettacolo che veniva recitato solo per lui. Sam voleva vedere, voleva capire, voleva studiare.

E non era sempre stato così?

Sam la testa d’uovo, il nerd, lo strambo. Che guardava avidamente ogni documentario su qualsiasi aggeggio, invenzione, civiltà, museo, luogo naturale o animale che passassero alle tre di notte quando papà era lontano e l’insonnia li colpiva. Sam, che cercava e imparava, tra le leggende - che lo spaventavano e lo allontanavano dalla vita in cui era immerso - quanto più e meglio poteva, per aiutare padre e fratello a tornare sani e salvi, il prima possibile. Sam che studiava tutto quello che gli capitava sotto il naso all’Università, per avere i voti più alti e le scuse ancora migliori affinché nessuno gli facesse domande sulla sua famiglia.

E Dean non gli aveva sempre dato tutto?

Tutto quello che Sam non aveva neanche bisogno di chiedergli. Tutto quello che poteva dargli. Anche quando non aveva voluto. Anche quando gli aveva detto no. C’erano voluti anni in qualche caso, ma anche quelli più ostinati si erano trasformati in . Come ora. Non era necessaria una parola di troppo tra loro, già più spesso che volentieri, ancor di più in quel momento, dove i loro sensi erano interconnessi e i corpi perfettamente incastrati, l’uno nell’altro.

Così non gli restava che soddisfare il bisogno voyeuristico di Sam di poterlo osservare, finalmente, come una specie rara, completamente alla sua mercé, spoglio di ogni finzione, abbandonato alle sue cure, alle sue mani e ai suoi fianchi che lo lambivano a ritmo costante, a tratti irregolare, come le onde contro lo scoglio della sirena che cantava ancora nella sua testa.

Sam si impossessava di lui, ora più rapidamente – allora Dean sollevava il mento, sbattendo le lunghe ciglia sui grandi occhi sorpresi, le labbra schiuse in gemiti silenziosi, ansiti rapidi, ruotando i fianchi per mostrarsi meglio al proprio carnefice e ricambiare il piacere che gli dava; ora più lentamente – allora Dean lo cercava e si agganciava a lui, mentre spingeva il bacino oltre il limite invalicabile delle ossa di Sam in cui desiderava svanire, unendosi fino a eliminare ogni millimetro di distanza tra loro, inspirando a fondo mentre il fratello si faceva strada dentro lui, per poi buttare fuori tutta l’aria dai polmoni in un sospiro estatico quando raggiungeva il punto giusto. Mantenevano, entrambi così le promesse scambiate poco prima.

Forse Dean lo aveva viziato e gli stava dando troppo, più di quanto suo fratello potesse sostenere. Notò tornando in sé, che Sam aveva perso la sua spavalderia e si era fatto serio.  

Gli si gelò il cuore: che si fosse pentito? Se Sam si fosse ritirato in quell’esatto istante, Dean lo avrebbe lasciato andare senza pensarci due volte, ma sarebbe morto di vergogna. Poi però scorse il sorriso tenero che piegava le labbra del fratello su di lui. Dean non capiva: vedeva gli occhi di Sam dardeggiare su tutto il suo corpo; lo osservò trattenere una risata nervosa che fu solo uno sbuffo. E poi accarezzargli il viso, fino al petto, forse anche per placare quella confusione che Sam aveva involontariamente generato e che si mostrava sincera sul volto di Dean, visto quanto gli era impossibile nasconderla in quello stato.

“Dean, sei davvero tu…Sei bellissimo.”

Il sorriso si era allargato seguendo le parole, un sussurro stupito. Dean continuava a non comprendere, limitandosi a guardare il fratello come se gli si fosse rivolto in un idioma sconosciuto. Non poteva replicare, non ne era in grado. La sua testa gli gridava di rispondergli qualcosa, qualsiasi cosa, ma niente gli sembrava giusto o abbastanza; non sapeva che fare di quelle parole. Provò ad afferrare cosa implicassero e questo lo destabilizzò, come provare a immaginare l’infinito. Però Sam era lì con lui, presente in quello che succedeva. Non si stava pentendo; la paura, in apparenza, solo un ricordo lontano, dissipata. E fin lì poteva arrivarci.

Dean temette di non saper più parlare, mentre perdeva tempo a pensare che non aveva abbastanza forza per non farsi sopraffare dalle lacrime che minacciavano di inondargli gli occhi. Era una frase così idiota…In una situazione normale Sam si sarebbe meritato uno schiocco ben assestato di dita contro l’orecchio. Poteva ricattare il fratello per tutto il resto della vita con quella frase imbarazzante e avrebbe voluto prenderlo in giro anche ora e dirglielo, ma temeva che la voce l’avrebbe tradito. Sam aveva ancora una mano sulla sua guancia e Dean si voltò per sfiorare il palmo col naso, provando a nascondercisi, chiudendo gli occhi, rifiutando la lusinga. Bellissimo? Sam era un pazzo e uno stupido se lo vedeva così. Dean era stanco e si sentiva solo vecchio e sporco. Cosa c’era di bello? Sam gli afferrò il viso e glielo voltò di nuovo verso il suo sguardo. Il sorriso tenero non gli abbandonava le labbra. Sam sapeva. Sapeva cosa attraversasse la mente di Dean, e come a volerlo persuadere che la sua convinzione fosse irreversibile e Dean non avrebbe potuto farci niente, ripeté scandendo la parola, sorridendo ancora: “Bellissimo.” Dean riuscì a trattene le lacrime, mentre scuoteva lievemente il capo per dissentire; ma erano troppo vicini: Sam avrebbe capito che effetto gli facevano le sue parole.

Però voleva vedere tutto, giusto?

Allora Dean si fece coraggio e non si nascose oltre. Gli concesse l’indizio di un mezzo ghigno incerto e lo affrontò con lo sguardo lucido che non cedeva terreno: “Se dici un’altra cazzata del genere, ti uccido.” Non era affatto credibile. Il bisbiglio tremante che venne fuori voleva essere una minaccia, ma fu piu simile alle fusa di un gatto. Doveva tenere botta contro la principessa che apparentemente aveva preso il comando del suo cervello e lo faceva commuovere alla prima moina sdolcinata che gli veniva rivolta.

Ma chi voleva prendere in giro…quale principessa? Era tutta farina del suo sacco.

Suo fratello avrebbe dovuto farsi bastare quella come risposta.

La sirena nella sua mente, ora si era voltata verso di lui e tentava di trascinarlo nell’oceano inquieto.

Sam, divertito, si fece di nuovo spudorato e si mosse di nuovo brusco dentro di lui. Stavolta Dean non ebbe nessun controllo sulla propria voce e sentì, come dissociato, i gemiti che venivano dalla sua gola, liberi.

“Scu-sa.” riuscì solo a formulare senza fiato.

“Oh, Dean…” Sam si abbassò su di lui abbracciandolo, incapace di attendere oltre lontano dal calore che quegli ansiti promettevano. Dean si coprì la bocca nascondendosi nell’incavo del collo di Sam, ma questo non accennava a rallentare, quindi poté a stento riprendere il controllo su sé stesso.

Adesso li avrebbero sentiti ed era tutta colpa di Sam.

Era tutta colpa di Sam.

Da quando era nato, Dean si era legato a lui, con tutto sé stesso, deliberatamente; gli era sempre parso naturale. Suo fratello gli era caro più di qualsiasi cosa possedesse o desiderasse. Più in là, anche dell’avere una vita normale. Era solo colpa sua.

Mamma e papà nutrivano quell’inclinazione, quasi increduli di quanto fosse facile crescere il nuovo arrivato con l’aiuto insperato del primogenito. Da piccoli era diventato un istinto incontrollabile e Dean non aveva mai avuto desiderio di combattere contro quella spinta, tantomeno dopo l’orribile morte della madre. Quella no, non era stata colpa di Sam.

Crescendo, quell’indole era rimasta lì dov’era, ma la volontà di Dean era cresciuta a sua volta intrappolata, intrinsecamente incastonata nelle spire della devozione che provava per John; d’altro canto, la necessità di autodeterminarsi e trovare un’identità in mezzo a tutto quel casino che era - che è - la loro famiglia, urlava disperata e lui l’ascoltava solo a metà. Dean si sentiva tirare da ogni parte, ma tutti i principi e i valori da ottemperare, nella sua mente si distorcevano, come lo spazio attorno a un corpo troppo pesante, inevitabilmente gravitati da quell’amore che rimaneva immutabile al centro. Era colpa di Sam.

Dean ricordava bene i disastri che aveva combinato, sentendosi costantemente tra l’incudine e il martello: per questo era stato delle volte iperprotettivo con Sam e altre distante, anche crudele. Tante, troppe volte, anche nell’arco della stessa giornata; più di quante riuscisse ad ammettere volentieri. Se ne rendeva conto. Pensava, non senza rimorso, che Sam a quel punto lo sopportasse a mala pena.

L’idea che suo fratello potesse odiarlo lo scarnificava dall’interno come un parassita, non poteva accettarla, eppure viveva comunque dentro di lui. Per questo, Dean era in continua contraddizione con sé stesso e col mondo, anche quel mondo i cui margini non coincidevano esattamente con suo fratello.

Era tutta colpa di Sam se non riusciva a smettere di amarlo tanto. Se questo li stava distruggendo nel frattempo.

Nell’ebrezza del piacere, la confusione che generavano in lui quei ricordi ammassati era frastornante. Dean in preda al delirio di quella febbre, sentì il bisogno di tirare fuori il pensiero martellante che non gli dava tregua, ma non riuscì a formulare meglio ciò che pensava se non con poche parole frastagliate, sussurrate tra i gemiti: “È tutt-a…colpa tua…Sammy, ah!”

Sam si immobilizzò e disse “Cosa?”. Ansimava rumorosamente contro la spalla di Dean, quasi completamente affondato nel suo corpo. Rimase così per qualche secondo, poi anche il suo respiro si placò. Dean si riprese in fretta e gli accarezzò la nuca e i capelli, con urgenza e il sentore crescente di aver detto qualcosa di terribilmente sbagliato.

“Dean…”

Cristo. Sam aveva una voce così triste. Lo vide scansarsi leggermente da lui: aveva dipinta addosso quell’espressione maledetta da cane bastonato. Dean doveva rimediare; chiuse gli occhi incapace di sopportare quelli che lo cercavano disperati:

“È colpa tua…se non riesco a fermarmi.” Spiegò a stento.

Non avrebbe mai voluto sentirsi così vulnerabile e permettere a quelle parole di prendere vita, ma questo era quello che voleva Sam, giusto’? Aveva provato a tirarglielo fuori in tutti i modi. Allora perché non gettargli anche l’ultimo briciolo di sé che gli aveva tenuto avidamente nascosto?

Sam aggrottò le sopracciglia, confuso.

Era costretto a spiegarsi meglio di così. Il fatto era che non poteva ferirlo ora, per un malinteso tanto stupido. Doveva rimediare; dargliela vinta fino all’ultimo. Così Dean deglutì quel nodo che gli chiudeva la gola da anni, quel sortilegio che si era auto-imposto per non dire l’indicibile, ogniqualvolta che lasciava languire lo sguardo qualche secondo in più sul suo fratellino e cominciava a desiderare l’indesiderabile. Così sputò quel nodo e parlò:

“…Se ti amo.”

Lo stupore era un’emozione che Dean aveva potuto osservare dipingersi sul volto del fratello e di tante altre persone, infinite volte. Ma chiamare stupore quello che vedeva ora era riduttivo: un bambino che non aveva mai vissuto un Natale vero, che riceveva, in un solo istante, tutto quello che non aveva mai avuto, che aveva sempre chiesto a gran voce fino a perdere l’uso delle corde vocali e che non sperava più di poter avere – o peggio, desiderare – per sé.

Per un attimo temette di averlo rotto.

“Sam?” lo chiamò, quasi preoccupato.

Sam fu su di lui in un lampo: senza permettergli di comprendere oltre l’espressione che gli sconvolgeva i lineamenti, avvolse Dean con tutto sé stesso, cingendolo con le braccia sotto la schiena. Dean lo sentì quasi staccarsi da lui tra le cosce, ma Sam si stava solo bilanciando meglio per ciò che stava per fare.

Si aggrappò con forza al collo di Sam quando si sentì sollevare; quel movimento improvviso rischiò di piegarlo in due come un giunco sull’acqua immobile di un lago. Sam era sempre troppo impetuoso e improvviso. Era sempre stato un ragazzo calmo e controllato, tanto che forse non sapeva neanche che fare con quelle emozioni così forti quando lo travolgevano.

Dean ingoiò la voce, perché erano ancora uniti e quei movimenti gli stavano facendo vedere le stelle. Letteralmente, poteva scorgerle dietro le palpebre mentre si appoggiava con le braccia sulle spalle di Sam, sedendosi su di lui. Quando i loro petti si schiantarono uno contro altro, Sam inspirò a fondo il suo odore ed espirando, tremante, diede a Dean la sua parte di vittoria: “Anch’io, Dean. Anch’io ti amo”.

Dean era frastornato. Voleva dire che lo sapeva, ma non sarebbe stato vero. Sam era tutt’uno con lui. Si nascondeva dentro di lui, chino col naso e le labbra nella curva del collo di Dean, i capelli che ne sfioravano morbidi il volto. Dean guardava la stanza senza vederla, oltre la spalla di Sam, poggiandovi il mento mentre vi si strusciava come un gatto. Abbracciati così, potevano riposarsi, finalmente? Non pensare più a nulla.

Ma Sam non trovava ancora la sua pace. Fu ovvio, quando Dean si sentì accarezzare la schiena dalle braccia del fratello che si aprivano dietro sé, per lasciare posto alle grandi mani che lo reggevano senza sforzo e scivolavano sempre più giù, posandosi sulle natiche. Quando quello sfiorarsi si trasformò in carezze sempre più profonde, che reclamavano attenzione, Dean sciolse l’abbraccio ed entrambi si confrontarono.

Sam sembrava volersi avvicinare alla sua bocca aperta, ma Dean si tirava indietro e lo stuzzicava, permettendo solo ai loro nasi di sfiorarsi. Allora Sam, con un verso frustrato e quasi rabbioso, strinse le dita sui glutei di Dean sollevandolo. Lo lasciò poi sprofondare sulle sue gambe per farsi avvolgere di nuovo completamente, con forza guidando Dean sui propri fianchi fino a farglieli ricoprire del tutto, grazie al suo peso. Dean era immobile, senza fiato e lasciava che Sam lo manovrasse a sua discrezione; ansimava piano al ritmo dei loro movimenti curvilinei e così distratto, Sam poté catturarlo in quel bacio che il fratello maggiore gli aveva negato solo per il puro gusto di un dispetto, come sempre.

Dean si sostenne sulle spalle di Sam, permettendogli di muoversi a suo piacimento dentro e fuori dal proprio corpo. Chiuse gli occhi e si concentrò su tutto il piacere che provava, in pace col proprio immondo desiderio. Non riusciva a smettere di tremare mentre si muovevano sempre più veloci.

Sam aveva deciso che era giunta la fine di quel combattimento. Esattamente come se fosse stato un ring, la lotta li spinse di nuovo giù, schiena sul letto per Dean, placcato da Sam che con mosse fluide sollevava un ginocchio del fratello sulla sua spalla e si prendeva tutto lo spazio necessario per far arrivare entrambi al culmine. Prese Dean in una mano seguendo il ritmo dei propri fianchi, spasmodici, risvegliando il fratello maggiore dall’estasi in cui si era rinchiuso. Dean capì e lo guardò, facendogli un lieve cenno del capo: anche lui era esausto dalla tensione di giungere verso un momento che sembrava inarrivabile.

“Sammy, più vicino.” Dean sorrise vedendo Sam obbedirgli come rapito da un richiamo irresistibile e gemette quando il fratello uscì piano, quasi dolorosamente, da lui, come controvoglia, lasciandolo a fare i conti con una mancanza che, seppe in quell’istante, avrebbe cercato di colmare per tutto il resto della vita. Lasciandolo più assetato ora, dopo averne assaggiato qualche goccia, rispetto a quando non sapeva nemmeno d’aver sete. Ma Sam non lasciò molto spazio a quel pensiero perché si accasciò su Dean, stringendosi a lui più che poteva e con una mano che teneva l’erezione del fratello, ora schiacciata tra loro, prese anche sé stesso e portò entrambi all’estatica fine della corsa, tra gemiti repressi e profonde contrazioni incontrollabili.

Non era certo la prima volta per Dean, ma fu come se lo fosse. Non aveva posto per formulare pensieri articolati e vedeva solo colori. I colori dell’arcobaleno, luce e buio, la faccia scura della luna.

Sam era diventato tutto per lui.

E Dean era completamente suo.

********

I'll be your father
 I'll be your mother
 I'll be your lover
 I'll be yours

I'll be your liquor
 Bathing your soul in juice that's pure

I'll be your anchor
 You'll never leave these shores that cure

I've seen you suffer
 I've seen you cry
 For days and days

So I'll be your liquor
 Demons will drown and float away


 

I’ll be yours

Sleeping with ghosts, Placebo


 

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Capitolo 4
*** Epilogo: This is the morning of our love, this is the dawning of our love ***


Fine! Questa è solo una prima parte di una storia più complessa che sto tentando di costruire da un po', un piccolo esperimento per capire cosa sarei riuscita a scrivere riguardo i fratelli Winchester che da un paio di anni mi hanno rapita nel vortice di assurdità che è questa serie e fatta appassionare alla loro storia come non mi accadeva più da anni...

Ho intenzione di tradurla in inglese, in realtà il primo capitolo è quasi concluso, manca solo qualche correzione, ma ci siamo quasi (incrociamo le dita) e questo solo grazie a qualche aiuto speciale che ringrazio di cuore.

A presto!

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Sam sollevò le coperte su di loro. Dean non glielo aveva chiesto, ma tenendolo ancora stretto a sé, Sam percepiva i brividi che cominciavano a scorrergli nel corpo, per via del sangue che rifluiva e si ridistribuiva, a ritmo del loro respiro che si calmava. Dean non protestò né cercò i propri vestiti per scaldarsi e Sam intuì che, proprio come lui, suo fratello voleva ancora sentirlo quanto più possibile legato al suo corpo e alla sua mente, attraverso la pelle nuda. Gli sembrava infatti, di poterlo leggere perfettamente nelle intenzioni, nei desideri. Mano a mano che sarebbero tornati a dividersi, forse quella sensazione si sarebbe affievolita, ma adesso non importava.

Dean si riposizionò dentro l’abbraccio in modo tale da fronteggiare Sam, tenendogli il viso fermo con entrambe le mani, i pollici che accarezzavano le guance e poi si spostavano dove gli occhi di Dean si posavano, finché entrambi incastrarono gli sguardi. Nessun suono seguì, in equilibrio finalmente, dopo tanta tensione accumulata.

Non scambiarono altre parole.

Cercavano un rifugio nell’altro, spaventati dalla stessa, unica, folle paura che li accomunava: la consapevolezza che in un modo o nell’altro, presto o tardi, uno avrebbe ferito l’altro.

Però, andava bene così. Adesso quel pericolo non c’era. Doveva andare bene così. Quello che avevano fatto li rassicurava che potevano legarsi persino di più; più di quanto fosse sano, oltre gli sbagli e le delusioni. Pur di cancellarli. E per un po’, potevano, dovevano, cancellarli. Avrebbero sempre avuto quell’attimo troppo tardi per tornare indietro ad ancorarli all’immagine l’uno dell’altro in caso di emergenza a imperitura memoria.

Altre volte i ricordi condivisi li avevano salvati. E nessuno di quei ricordi era paragonabile a questo.

Alla fine, il salto nella tana del Bianconiglio, non li aveva catapultati nel fondo di un pozzo, erano solo usciti dall’altra parte - dall’altra parte del mondo - a testa in giù.

Avevano estratto la carta della Morte dal mazzo di tarocchi che gli era stato affidato alla nascita e non avevano capito che morire significa solo capovolgersi. Cambiare.

Si erano aggrappati con tutta la loro volontà all’inevitabile, affinché non lo fosse, sperando che non li avrebbe mai travolti. Nella speranza di non scivolare, nella speranza che nulla cambiasse, senza accorgersi che la realtà era diversa rispetto a quella che credevano, e pronta a ribaltarsi del tutto, già da tempo e senza il loro consenso. Quando si erano dati la buonanotte, una manciata di ore prima, era solo l’inizio della fine.

Era tutto diverso anche ai loro occhi adesso, anche se restavano sempre Sam e Dean. Dean e Sam.

Mai separati e mai davvero insieme.

Sam si avvicinò a Dean sfiorandogli il naso col proprio, con le mani sui suoi fianchi. Dean eliminò la distanza tra loro con un bacio più fievole della luce della luna, ormai al tramonto. Lasciava spazio alle ore più buie, da cui Dean pensò di nascondersi, stringendo Sam più forte. Il fratello lo ricambiò intrecciandogli le braccia sulla schiena guardando invece dritto di fronte a sé, oltre la finestra, quasi sfidando la notte. Rifiutò la protezione che le ombre apparentemente promettevano.

Dean stava già sprofondando nel sonno, ma Sam volle egoisticamente prolungare quegli attimi di veglia; fu in un sussurro rauco che spezzò il silenzio:

“Stanotte credo che gelerà, Dean; domani dovrai svegliarti presto”.

Dean sbatté le palpebre con forza ricacciando indietro la pesantezza che le opprimeva e custodendo dentro sé la tenera soddisfazione che gli dava quella sciocca preoccupazione condivisa tra loro, agli antipodi del momento che avevano appena vissuto.

“Mh-mh e questo ti dispiace molto, vero?” riuscì a formulare scherzosamente, con voce impastata di un sonno che poteva aspettare ancora un po'.

Sam si sentì pungere il cuore a quel suono. Una volta addormentati, la coscienza li avrebbe abbandonati e sarebbe rimasta solo la mattina, fredda e crudele con le sue mille cose da fare, a cui badare, Dean intrattabile prima del caffè. A Sam piaceva quel Dean che stringeva tra le braccia. Non voleva che cambiasse.

“Ammetto che il mio sport preferito è guardarti cercare di capire dove ti trovi quando ti svegli, certo…”

“Mh, troppe parole…Comunque lo so che gela, il cielo è pulito, ho visto anch’io le stelle Sammy.”

“Ah sì?” chiese Sam, il sorriso udibile nelle parole.

Dean sbuffò, ridendo a sua volta “Ok, è mi è uscita male…”

“Già…domani te la rinfaccerò per tutto il giorno, Brontolo” Sam continuava a ridacchiare sotto i baffi.

“Hey, non cominciare con i nomignoli da luna di miele, Cristo…”

“Oh, non avevo mai pensato di paragonarmi a Dio, ma se proprio insisti…”

“Ma che cazzo…Dai, fammi dormire” disse infine Dean mentre gli tirava un pugno stanco contro lo sterno e gli si spegneva la risata in gola. Sapeva bene che Sam sovreccitato com’era avrebbe continuato a blaterare dolci amenità fino all’indomani se non lo avesse pregato di lasciarlo riposare. Forse non voleva sentirsi solo d’improvviso, ma Dean sarebbe rimasto lì con lui, perciò non aveva nulla da temere, doveva comprenderlo.

Era sempre stato così quando qualcosa lo teneva sveglio. Ma erano loro due. Insieme. Poteva stare tranquillo.

Dean non voleva farglielo pesare però, così aggiunse, muovendo piano le labbra che sfioravano la clavicola del fratello minore:

“Puoi svegliarmi tu, Sammy?”

I muscoli che Sam non ricordava di avere in tensione si sciolsero all’unisono, rivelandosi nel peso che Dean sentì gravare su di sé, stretto tra le sue braccia, in cui solo qualche momento prima gli sarebbe sembrato anomalo cercare rifugio come faceva ora, quasi senza pensieri.

“Contaci” fu la risposta pronta di Sam, un sussurro nascosto in un bacio fugace sulla tempia di Dean. La sicurezza di chi sarebbe stato pronto all’alba, perché l’avrebbe vista spuntare, insonne.

Un’alba che avrebbe illuminato tutto, tranne loro due, nascosti uno nell’altro.

 

 

*********


 

I feel you
 Your sun it shines
 I feel you
 Within my mind
 You take me there
 You take me where
 The kingdom comes
 You take me to
 And lead me through
 Babylon

This is the morning of our love
 It's just the dawning of our love

I feel you
 Your heart it sings
 I feel you
 The joy it brings
 Where heaven waits
 Those golden gates
 And back again
 You take me to
 And lead me through
 Oblivion

This is the morning of our love
 It's just the dawning of our love

I feel you
 Your precious soul
 And I am whole
 I feel you
 Your rising sun
 My kingdom comes

I feel you
 Each move you make
 I feel you
 Each breath you take
 Where angels sing
 And spread their wings
 My love's on high
 You take me home
 To glory's throne
 By and by

This is the morning of our love
 It's just the dawning of our love
 This is the morning of our love
 It's just the dawning of our love


 

 

I feel you

Songs of Faith and Devotion, Depeche Mode - Covers, Placebo

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Grazie a tutti quelli che sono arrivati fino alla fine! Ogni commento è sempre super gradito!

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