Lì dove arriva il coraggio

di CedroContento
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Calice di Fuoco ***
Capitolo 2: *** Prima Prova ***
Capitolo 3: *** Ballo del Ceppo ***



Capitolo 1
*** Il Calice di Fuoco ***


Il Calice di Fuoco ora splendeva più luminoso che mai, e lo sfavillio bianco e bluastro delle fiamme era quasi doloroso allo sguardo. Tutti lo fissavano in attesa…[...]
Le fiamme ridiventarono rosse all’improvviso. Dall’interno del Calice si sprigionarono scintille. Un attimo dopo una lingua di fuoco dardeggiò nell’aria, un pezzetto di pergamena bruciato ne volò fuori…


Elizabeth Bennet avvertì una scossa di orgoglio misto ad adrenalina correrle lungo la schiena, nell’istante in cui la preside di Hogwarts pronunciò ad alta voce il nome inciso sull’ultimo foglietto di pergamena che aveva restituito il Calice.

Era il suo. Era lei l’ultimo dei nove campioni del Torneo Tremaghi.

Giusto il tempo di metabolizzare quello che avevano appena sentito, e i Grifondoro balzarono in piedi urlando entusiasti - i suoi compagni della squadra di quidditch più forte fra tutti -, abbracciandola e dandole pacche sulle spalle.

La sensazione che provava era inebriante, le stordiva la testa. Non poteva credere alla fortuna che aveva avuto, l’occasione irripetibile di poter partecipare ad un’edizione unica del torneo. Quell’anno, infatti, non avrebbe partecipato un solo campione per ciascuna scuola, ma ben tre che si sarebbero alternati nelle tre prove.

Nella calca oro e scarlatta che le si era formata attorno, intravide sua sorella Jane, che cercava di raggiungerla dal tavolo dei Tassorosso con un sorriso felice stampato in viso. Solo chi la conosceva bene, come Elizabeth, avrebbe potuto leggere nei suoi occhi una punta di apprensione al pensiero di ciò che la sorella avrebbe dovuto affrontare. Dal giorno in cui Elizabeth aveva espresso la propria volontà di partecipare, Jane aveva spesso dato voce ai suoi dubbi e timori riguardo al fatto che fosse disposta a mettersi in tale pericolo. Nondimeno, le aveva assicurato il suo pieno sostegno in quell’impresa.

Elizabeth si fece largo tra i suoi compagni e la strinse forte tra le braccia, e quel contatto la aiutò a tornare perfettamente lucida e presente a sé stessa. “Mi sento così euforica che potrei svenire,” urlò per farsi sentire al di sopra degli applausi, che tuttavia già andavano scemando.

“Sono fiera di te,” disse Jane.

“Non me lo sarei mai perdonato se nostro cugino fosse stato scelto e io no!” esclamò Elizabeth, riferendosi a William Collins, un lontano cugino del padre che si era trasferito in Francia qualche anno prima e che era stato scelto dal Calice come campione per Beauxbatons.

Jane rise di cuore, e fu solo quando poi annuì, in segno di incoraggiamento, che Elizabeth si mosse, come in un sogno meraviglioso, verso la stanza dietro al tavolo degli insegnanti, dove gli altri prescelti aspettavano già.
***

Le teste degli otto campioni in attesa scattarono all’unisono verso la porta, quando questa si aprì ed Elizabeth fece il suo ingresso.

Lei esitò per un momento, guardandosi attorno nella stanza semibuia, fino a quando in un angolo, accanto al caminetto acceso, non scorse Fitzwilliam Darcy e Charles Bingley, e quest’ultimo non le fece un cenno per invitarla a raggiungerli.

Bingley - Tassorosso dello stesso anno di Jane e Cercatore per la squadra della sua Casa - la accolse calorosamente, alzando i pugni in alto in gesto di vittoria. Elizabeth, che non aveva smesso un istante di sorridere, fu contenta di poter condividere quel momento di entusiasmo con una persona come lui. Non a caso era tra gli studenti più popolari e benvoluti di tutta Hogwarts; merito di quella joie de vivre che Elizabeth talvolta si era scoperta ad invidiargli molto. Quando aveva messo il suo nome nel Calice, Bingley aveva spiegato che lo aveva fatto perché riteneva che sarebbe stato un vero peccato non cogliere l’opportunità di tentare di partecipare; era certo sarebbe stato tutto tremendamente divertente.

Se non era possibile provare una qualsiasi forma di antipatia nei confronti di Bingley, non si poteva certamente dire lo stesso per il primo campione il cui nome era stato restituito dal Calice: Darcy.

Anche se quest’ultimo aveva tenuto le motivazioni della propria candidatura per sé, Elizabeth poteva facilmente immaginare perché Darcy si fosse sentito in dovere di mettere il proprio nome nel Calice e rappresentare la sua scuola: per lui sarebbe stato un vero affronto al suo ego non farlo.

Elizabeth aveva sempre trovato Darcy un tizio insopportabile, arrogante e pieno di sé; era già certa che non sarebbe mai riuscita a non sentirsi in competizione con lui. Anche se bisognava ammettere che la sua sconfinata vanità avrebbe anche potuto essere giustificata, considerando che era indubbiamente tra i maghi più brillanti della sua generazione. Corvonero, Caposcuola, si era distinto per eccellenza in ogni singolo esame che aveva sostenuto. Se solo non avesse tanto palesemente mostrato un infinito disprezzo nei confronti di chiunque non fosse Bingley o la sorellina Georgiana, che frequentava il terzo anno.

Bingley e Darcy, per ragioni del tutto inspiegabili, erano migliori amici da sempre. Il perché quei due fossero tanto uniti sfuggiva alla comprensione di Elizabeth, visto che caratterialmente sembravano essere l’uno l’opposto dell’altro. Se uno era il sole, l’altro era la luna. L’unica cosa che li accumunava era che entrambi provenivano da due delle più importanti famiglie della comunità magica; purosangue da generazioni.

Anche in quel momento Darcy ostentava la sua tipica indifferenza nei confronti dell’universo. Degnò appena Elizabeth di un’occhiata fredda e distaccata.

“Benvenuta, Elizabeth! Siamo stati scelti, non è fantastico?!” esclamò Bingley, sfoderando il più radioso dei suoi sorrisi.

“Sì, è vero. Non vedo l’ora di sapere che sfide ci aspetteranno!”

“Ho sentito dire che in una delle scorse edizioni i campioni hanno dovuto affrontare addirittura dei draghi in carne e ossa. Sarebbe pazzesco!”

“Assolutamente!”

“Aspettate ad entusiasmarvi troppo,” li interruppe Darcy, atono. “Nel caso di una prova del genere la signorina Bennet non avrebbe nessuna possibilità di farcela. Credo che sarebbe un miracolo se non fossimo costretti a raccogliere le sue ceneri con una scopa”.

“William!” lo apostrofò Bingley, sgranando gli occhi chiari.

“Cosa hai detto?!” fece stupefatta Elizabeth, totalmente allibita per quell’uscita, dal momento che si poteva dire che quella era la prima volta che si rivolgevano parola.

“William, sei molto scortese,” fece notare Bingley all’amico.

“Non voglio essere scortese. La mia voleva essere semplicemente una previsione del tutto obiettiva. Affrontare un drago sarebbe una sfida molto al di sopra delle capacità di una studentessa del sesto anno. In realtà lo sarebbe già per un qualsiasi studente che non abbia ancora terminato gli studi”.

“Nemmeno tu e Bingley avete ancora terminato gli studi,” puntualizzò Elizabeth, sentendo il sangue salire al cervello. Dovette fare affidamento a tutto il suo autocontrollo per non afferrare la bacchetta e lanciargli una fattura.

“Questo è vero. Ma, a parte il fatto che Bingley ed io abbiamo un anno di studi in più a nostro vantaggio, la differenza sta anche nei contesti in cui siamo cresciuti. Tu e tua sorella Jane siete le uniche streghe nella vostra famiglia, sbaglio? I vostri genitori sono babbani,” continuò Darcy, non facendo a caso o ignorando deliberatamente il modo in cui Elizabeth si stava innervosendo.

“Più o meno,” disse Elizabeth, lanciando un’occhiata furtiva al cugino Collins - che in quel momento era impegnato a guardarsi intorno e a lodare l’attenta cura per i dettagli e la grande efficienza con cui la preside, la stimata Catherine de Bourgh, gestiva la scuola. “E con questo?” proseguì Elizabeth.

“Noi siamo cresciuti nel mondo magico,” disse Darcy, con un tono che faceva intendere quanto fosse seccato di dover spiegare una cosa tanto ovvia e banale. “Fin da bambini abbiamo avuto modo di conoscere le norme che lo regolano, le creature che lo abitano - come i draghi, per l’appunto. Siamo cresciuti con la magia. Tenendo conto del vissuto, dell’esperienza concreta, abbiamo più conoscenze di quelle che può avere una strega nata in una famiglia di babbani. E l’esperienza è il fondamento della conoscenza stessa.”

“Vuoi dire che consideri te e Bingley migliori di me?”

“Non intendevo proprio migliori. Solo, più competenti. Penso tu non sia all’altezza delle prove che ci attendono, anche se non è colpa tua. Francamente sono molto sorpreso che il Calice ti abbia scelta, e questo vale anche per il signor Collins. Siete parenti, vero?” disse, con una punta di malcelato disprezzo.

Ad Elizabeth vennero in mente almeno dieci maledizioni diverse - non tutte propriamente legali - che avrebbe tanto voluto sperimentare su Darcy, in quel preciso momento. E non era di sicuro d’aiuto il fatto che lui se ne stesse difronte a lei, tutto impettito, con la sua aria di superiorità. Se pensava di intimorirla, stava sbagliando di grosso.

“Bene, io credo che tu stia sottovalutando le mie capacità o la mia determinazione. Oppure temi così tanto che io mi riveli più in gamba di te e che ti metta in ombra? Al punto di cercare di minare la mia autostima, in modo che io mi senta insicura e commetta degli errori? E se il motivo è il secondo, mio caro Darcy, sappi che non funzionerà!”

“Ti suggerisco una terza ipotesi, se vuoi: forse è perché temo che la squadra di Hogwarts venga penalizzata dalla tua presenza” fece lui.

“In ogni caso, non ritengo che l’importante sia vincere,” si intromise Bingley, che fino a quel momento aveva preferito guardarsi i piedi, a disagio. “Sarei molto dispiaciuto se dovessi entrare in conflitto con uno di voi, o entrambi, solo per ottenere la vittoria a tutti costi. Noi dovremmo essere qui per mostrare le nostre migliori abilità, collaborare per la vittoria di Hogwarts, e soprattutto per divertirci. E anche per cercare di non farci fare a pezzetti da qualsiasi cosa ci aspetti”.

Darcy aprì la bocca per ribattere qualcosa, ma, qualsiasi fosse la risposta acida che era sul punto di dire, venne interrotta dall’arrivo della preside.

“Eterna gloria! Ecco ciò che attende il vincitore del Torneo Tremaghi. Ma per guadagnarsela questo studente dovrà affrontare tre prove; tre prove estremamente pericolose, invero. Siete pronti, campioni?”
***

“Quel Darcy è veramente odioso! Lui e i suoi stupidi pregiudizi sui nati babbani,” bofonchiò Elizabeth, per la milionesima volta dopo la sera precedente, mentre con Jane faceva per la seconda volta il giro del lago.

Era una mattina di inizio novembre e il cielo era di un azzurrino chiaro e limpido, più tendente al giallo ad est, dove il sole avrebbe fatto capolino a momenti. Sullo specchio d’acqua, perfettamente immobile, aleggiava una tenue nebbiolina, rimanente dalla notte appena trascorsa e che ancora esitava a dissolversi. Se fino a quel momento il clima di ottobre era stato clemente, negli ultimi giorni il freddo si era fatto pungente, e mentre camminavano, ben avvolte nei loro cappotti, i loro respiri si addensavano in dense nuvole di vapore.

Nonostante il freddo, Elizabeth trovava rinfrancante passeggiare presto la mattina, ancora prima di colazione; la aiutava a schiarire i pensieri. Ed era grata a Jane per essere sempre pronta a lasciare le coperte calde e accoglienti del suo letto all’alba, solo per starle accanto.

Le parole di Darcy, la sera prima, avevano turbato Elizabeth più di quanto le piacesse ammettere. Aveva veramente fatto vacillare la sua sicurezza, anche se avrebbe preferito morire piuttosto che ammetterlo ad alta voce. E ce l’aveva con lui il doppio perché era riuscito a rovinare un momento felice.

Fino a quel momento Elizabeth non aveva rimpianto nemmeno per un istante di aver messo il proprio nome nel Calice di Fuoco, non si era pentita delle proprie scelte. In realtà, l’idea di non candidarsi non l’aveva mai nemmeno sfiorata. Era capitano della squadra di quidditch dei Grifondoro, tra le streghe più promettenti del suo anno. Tutti sapevano che avrebbe tentato la sorte, e pochi o nessuno si era stupito quando era stata scelta come campionessa.

Ma se Darcy avesse avuto ragione? Se quella prova fosse veramente al di sopra delle sue capacità?

“Ti ha detto ciò che pensava in modo onesto e diretto. Brutale, ma onesto,” disse Jane.

“Essere onesti non dev’essere una scusa per dire delle cattiverie,”

“Questo è vero,” dovette ammettere Jane, che da buona Tassorosso quasi non arrivava a concepire tanta perfidia e scorrettezza.

“Ma vogliamo parlare di quel tonto di Collins scelto come campione? Non capisco come sia potuto succedere!” cambiò bruscamente argomento Elizabeth. Era stanca di torturarsi, voleva godersi la giornata.

“Non chiamarlo tonto!” rise Jane. “Al Calice di Fuoco deve essere andato completamente di volta il cervello. Oddio, mi spiace di aver detto una cosa così meschina…”

Elizabeth la urtò di proposito con la spalla, abbandonandosi al momento di ilarità. “E tu? Tiferai per la tua amata sorella o devo aspettarmi di essere tradita per il caro Mr. Bingley?”

Il rossore che Jane già aveva sulle guance a causa dell’aria fresca aumentò di intensità. Era una vita che lei e Charles avevano una cotta l’uno per l’altra, ma nessuno dei due aveva ancora avuto il coraggio di fare il primo passo. Jane era così timida che non avrebbe mai osato prendere iniziativa, ed Elizabeth sapeva che la parte più insicura di sua sorella aveva continui dubbi sul vero interesse che poteva avere lui nei suoi confronti.

“Suppongo che fare il tifo per te non escluda in alcun modo che io possa tifare anche per Bingley,” disse Jane, affondando il mento tra le pieghe della sciarpa gialla e nera che aveva al collo.

“Invece temo che grazie al caro Darcy sia così”.

“L’importante non è vincere. È che vi divertiate, e soprattutto che non vi facciate male,” disse Jane, facendo inconsapevolmente eco alle stesse identiche parole dette da Bingley, solo poche ore prima.

“Vi meritate proprio,” sospirò Elizabeth, scuotendo la testa, e Jane sorrise, mentre si stringeva a lei per camminare fianco a fianco a braccetto.

Elizabeth sarebbe stata felice se quei due si fossero finalmente decisi a dichiararsi; erano così simili, entrambi fin troppo buoni. Si era sempre chiesta come mai un tipo carismatico com’era Bingley esitasse tanto, nonostante avesse dimostrato più volte un sincero e vivo trasporto per Jane. Dopo il breve scambio di opinioni con Darcy, tuttavia, un dubbio le si era insinuato nella mente. E se fosse stato proprio il migliore amico di Bingley ad ostacolare una possibile relazione, facendogli il lavaggio del cervello? O Bingley in realtà condivideva l’opinione di Darcy e considerava Jane inferiore a lui, e quindi inadatta, solo per essere nata in una famiglia babbana?

Elizabeth era più propensa a credere alla prima ipotesi. Bingley non sembrava capace di un tale pensiero, e per quanto ostentasse sicurezza di sé nei modi, dava l’impressione di essere una persona che non era incline ad imporre le sue idee, e questo lo rendeva facilmente manipolabile da una persona con il carattere forte, come lo era Darcy.

Elizabeth ne era quasi certa, era di Fitzwilliam Darcy la colpa, proprio la persona che si era decisa a detestare per tutta l’eternità. Sentiva più che mai di avere un mucchio di ottimi motivi per dimostrare di essere più abile di lui, e fargli sperimentare, presumibilmente per la prima volta nella sua vita, la sua pochezza.


Note:
  1. Per la citazione iniziale: Harry Potter e il Calice di Fuoco, Capitolo 16
  2. Elizabeth frequenta il sesto anno (quindi diciamo che è nata fra settembre e ottobre), mentre Jane, Bingley e Darcy sono tutti del settimo.
  3. La frase detta dalla preside De Bourgh viene detta da Silente nel film.



Angolino dell’autrice:

Bentrovati, cari lettori!
Se siete stati costretti a leggere fin qui giù forse lo saprete già, ma questa storia nasce per il Torneo Tremaghi indetto dalla pagina Fb “L’angolo di Madama Rosmerta”. Riassumendo le regole: ogni partecipante ha dovuto scegliere tre campioni per una delle tre scuole a scelta (Elizabeth, Charles e Fitzwilliam per Hogwarts, in questo caso), e ognuno di questi tre personaggi dovrà affrontare ciascuno una prova del torneo, prova che sarà contenuta in un pacchetto segreto che verrà svelato il 24 Novembre.
Per il momento ringrazio tantissimo chi è arrivato a leggere fin qui, spero che la storia vi piaccia e che non abbia deluso chi l’aspettava.
Al prossimo aggiornamento! Lasciate un segno del vostro passaggio, se vi va.

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Capitolo 2
*** Prima Prova ***


 
Un cannone tuonò, da qualche parte sopra il tetto della tenda dei Campioni, facendone oscillare pericolosamente i supporti.
I suoi tre occupanti guardarono l’intera impalcatura traballare e poi assestarsi di nuovo. Quello era il segnale che il primo Campione era chiamato ad affrontare la Prima Prova del torneo; o meglio, Campionessa, visto che la prima sarebbe stata una ragazza di Beauxbatons, allampanata, con le lentiggini, e i capelli corvini tagliati cortissimi. 
 
Erano stati estratti a sorte e scoperto cosa avrebbero dovuto fare solo una manciata di minuti prima. Elizabeth era riuscita a mantenere tutto sommato una certa calma quando era stata scelta lei, ma doveva ammettere che il sangue freddo le era venuto un pochino meno, quando aveva scoperto che la prova consisteva seriamente nell’affrontare un vero drago. Un drago vivo, in carne e ossa, con le fiamme e tutto il resto. 
 
Bingley - che ormai era fortemente sospettato da lei e Darcy di nascondere doti da veggente - aveva spalancato gli occhi per la meraviglia alla notizia. “PA-ZE-SCO!” aveva mimato con le labbra, già pregustando lo spettacolo e rammaricandosi di non essere lui il prescelto. 
 
Elizabeth, dal canto suo, aveva dovuto mordersi la lingua per non dire ad alta voce che avrebbe fatto volentieri a cambio. Non era riuscita ad impedirsi di guardare Darcy, che aveva sostenuto il suo sguardo con tale serietà che si era sentita rimpicciolire all’istante. Non avrebbe saputo dire cosa lui stesse pensando, e non lo disse. Probabilmente che la causa di Hogwarts era già irrimediabilmente persa, ancora prima di cominciare. 
 
Poi, ad eccezione dei tre sfidanti, tutti erano stati invitati ad uscire. E ora, con il cuore in gola e una nausea fastidiosa che le stava uccidendo lo stomaco - e per sua fortuna quella mattina non era riuscita a buttare giù niente a colazione-, Elizabeth osservava la ragazza di Beauxbatons darsi un violento schiaffo in faccia, così forte da lasciare la guancia arrossata, e uscire ad affrontare il suo drago, a testa alta.
 
Lei e il giovane di Durmstrang - che non riuscì a reprimere una risatina nervosa - si lanciarono un’occhiata fugace. A quel punto, erano rimasti soli, loro e nient’altro che i rumori che venivano dall’esterno, da cui cercavano di indovinare cosa stava succedendo. 
 
L’ovazione della folla, la voce amplificata di qualcuno che faceva da cronista, che tuttavia rimaneva incomprensibile se non per qualche parola o qualche esclamazione sbraitata più forte. Quell’attesa era una vera tortura, ogni minuto sembrava durare almeno un’ora. 
 
“Nervosa?” le chiese ad un certo punto il ragazzo di Durmstrang.
 
Elizabeth lo aveva notato prima di quel momento tra i campioni di Durmstrang. In effetti, lei e Jane avevano anche già deciso che era senza dubbio il più carino tra gli studenti stranieri, con i suoi capelli biondo cenere tenuti lunghi, gli occhi chiari e vispi, e quell’atteggiamento affascinate di chi sa di essere di bell’aspetto, ma finge che non gli importi. 
 
“Parecchio…” ammise Elizabeth, rigirandosi nervosamente tra le dita la copia in miniatura del drago che avrebbe dovuto affrontare. Il Nero delle Ebridi.
 
“Hai quello nero inquietante, vero? Una gran bella bestia”.
 
“Direi di sì. Ma preferirei non essere prossima a verificarlo di persona. E non così da vicino. A te cosa è capitato?” chiese, approfittando volentieri della distrazione e sbirciando il drago che il ragazzo teneva in mano.
 
“L’Ungaro Spinato. Mi fa paura anche solo il modellino. Anche il tuo cerca in continuazione di morderti?”
 
“In realtà no! È abbastanza dolce,” rise Elizabeth, il cui drago le stava annusando curioso il pollice. “Anzi, spero ce li facciano tenere dopo. Se sopravviveremo, chiaro”. 
 
“Mi piace il tuo ottimismo. Comunque, in quel caso ti concederei di adottare anche il mio.” Il ragazzo sorrise e si avvicinò: “Sono George Wickham,” disse, tendendole la mano.
 
“Elizabeth Bennet,” ricambiò la stretta, e il sorriso. “Dovrebbe essere contro il regolamento far aspettare così sulle spine i partecipanti, non credi?”
 
“Tranquilla, andrai bene. Non credo potrai mai fare peggio di me. In realtà non ho idea del perché il Calice mi abbia scelto, non sono un mago particolarmente qualificato per tutto questo.”
 
“Be’, cosa ci faccia io qui me lo sto chiedendo da quando ho scoperto del drago,” confidò Elizabeth.
 
“Sei una Grifondoro, giusto? Suppongo sia stato il leggendario coraggio della tua Casa a portarti dove sei ora. Sconsiderato, meraviglioso coraggio”.
 
Soprattutto sconsideratezza.” Il fruscio della tenda alle loro spalle indusse entrambi a voltarsi, proprio nell’istante in cui Darcy varcava la soglia.
 
Elizabeth sobbalzò, sorpresa di ritrovarsi faccia a faccia proprio con lui, ma tentò di nasconderlo e attese che il nuovo arrivato dicesse loro cosa diavolo volesse. Ma la sorpresa non fece che raddoppiare, quando notò che Darcy guardava, con ancora più sufficienza di quanto fosse solitamente capace, Wickham, il quale a sua volta si era irrigidito ed era diventato improvvisamente serio e taciturno. 
 
Con un tempismo perfetto il cannone tuonò, le pareti di stoffa tremarono per la seconda volta, e quel suono sembrò ridestare il campione di Durmstrang. “Con permesso, credo sia il mio turno,” disse, rivolto esclusivamente ad Elizabeth.
 
“Buona fortuna!” gli augurò lei. Ma finì col parlare alla sua schiena, dal momento che lui era uscito così velocemente da far intendere che preferiva affrontare un Ungaro Spinato che stare ancora un secondo in compagnia di Darcy. E non sarebbe stata di sicuro Elizabeth a biasimarlo per la scelta. 
 
“Sei venuto per dire qualcosa o volevi solo cercare di intimorirmi ancora un pochino?” chiese, voltandosi a braccia incrociate verso Darcy. “Hai portato scopa e paletta?”
 
“Conoscendoti so che non potrei intimorirti neanche volendo,” disse lui, muovendo qualche passo cauto verso di lei. “No, io e Charles volevamo venire a farti gli auguri per la prova, ma poi lui è stato trattenuto da tua sorella, quindi sono venuto solo io”.
 
“Jane sta bene?” si allarmò Elizabeth. 
 
“Sembrava un pochino turbata, ma sta bene,” la rassicurò Darcy. 
 
“In ogni caso non credo sia permesso a nessuno di entrare nella tenda,” fece notare lei. 
 
“Lo so, temo di aver infranto questa regola. Se vuoi me ne vado”.
 
“No, resta. Almeno, a me sta bene se resti,” arrossì Elizabeth. 
 
Darcy annuì. Tacquero per il resto del tempo.
 
Nel silenzio, Elizabeth si sforzò di rilegare l’ansia che provava in un angolino della mente. Ora che non aveva più nessun argomento con cui distrarsi, la preoccupazione era tornata a farsi sentire prepotente, ma non voleva che proprio Darcy notasse quanto era tesa.
 
Cercò di capire dalle reazioni del pubblico come se la stava cavando Wickham, ma non riusciva a distinguere nulla, almeno fino a quando dopo un tempo indefinito la folla non esplose in un unisono grido di esultanza, che poteva significare solo vittoria. 
 
Pochi istanti di silenzio e il rombo del cannone squarciò l’aria per la terza volta quella mattina. Elizabeth guardò istintivamente nella direzione da cui era provenuto il suono. Stava succedendo veramente, toccava a lei. Ma allora perché i suoi piedi non ne volevano sapere di muoversi? Si sentiva come pietrificata sul posto, le sembrava di essere come slegata da suo corpo; le gambe semplicemente non obbedivano. 
 
Fu il tocco di una mano che afferrava la sua a farla tornare in sé, un tocco delicato e forte allo stesso tempo. La mano la guidò, invitandola con fermezza a muovere quei pochi passi nella direzione giusta. 
 
Draco dormiens nunquam titillandus,” disse piano Darcy, prima di lasciarla andare. “Buona fortuna”. 
 
Quando Elizabeth si voltò per guardarlo, lui era già sparito oltre l’uscita, ma le aveva lasciato qualcosa. Aprì la mano e sul palmo si ritrovò la sua spilla da Caposcuola. 
 
***
 
Dalle tribune gli studenti di Hogwarts, Durmstrang e Beauxbatons stavano dando il meglio di sé per tifare degnamente i tre Campioni, senza fare troppo caso a quale scuola appartenessero; l’intera gara era già abbastanza emozionante così, ai punteggi si sarebbe pensato dopo. 
 
Elizabeth rispose all’ovazione che l’accolse salutando con la mano, senza troppa convinzione, dato che in realtà stava pregando di non fare una pessima figura davanti a tutti. O peggio, una fine molto dolorosa davanti a tutti.
 
Stringendo saldamente la presa sulla propria bacchetta, si guardò attorno disorientata per diversi istanti, prima di mettere bene a fuoco l’arena. Uno spazio enorme, delimitato da spesse pareti di roccia grigia e tappezzato da pietre spigolose, intervallate in alcuni punti da un’erbetta corta spessa e appuntita. 
 
E il drago era lì, a pochi passi da lei, intento ad osservarla già da un pezzo. Il cuore di Elizabeth perse un battito quando si rese conto che stava avanzando sinuosamente, elegantemente, e per fortuna molto lentamente, nella sua direzione. 
 
Era veramente un esemplare stupendo, stupendo e terribile. Le sue squame erano nere come la pece e lucide come specchi, rilucevano in tutto il loro splendore sotto il sole della tarda mattinata. I suoi occhi viola ametista, acuti e intelligenti, la stavano studiando con un misto di sospetto e curiosità. Elizabeth dedusse dalla sua stazza ridotta e dal fisico slanciato che doveva essere ancora giovane, lungo poco più di sei metri. Ciò non lo rendeva comunque meno imponente e temibile. 
 
Mentre lei era impegnata a respirare il più silenziosamente possibile - o preferibilmente a non respirare affatto - il testone del drago si inclinò di lato, prima da una parte e poi dall’altra. Emise un versetto interrogativo, prima di piegare il lungo collo su di lei e annusarla a dovere.
 
Elizabeth rimase perfettamente immobile, serrando convulsamente la presa sulla sua bacchetta. Sperò che il drago decidesse che lei gli piaceva. In caso contrario, quella poteva rivelarsi la sfida più breve della storia del Torneo Tremaghi: la Campionessa inghiottita in un solo boccone dopo appena un minuto di gara. 
 
Tuttavia il drago decise di essere magnanimo e di non mangiarsela, almeno per il momento. Ritirò lentamente il capo, e solo allora Elizabeth notò il suo obiettivo: il cilindro di piombo che doveva recuperare, fissato al collo della creatura attraverso un robusto collare di cuoio.
 
Gli spettatori, dalle tribune, avevano osservato tutta la scena in religioso silenzio, perfino il cronista aveva taciuto. Ma la magia venne interrotta presto, bastò un piccolo urlo di incoraggiamento, seguito dalla voce amplificata del commentatore, che il pubblico tornò a farsi sentire, e a quel punto il drago si agitò e sbuffò innervosito. 
 
Elizabeth non ci pensò due volte prima di decidere che era il caso di togliersi di mezzo. Corse verso una roccia e ci si riparò dietro, cercando di figurarsi come avrebbe fatto a recuperare il maledetto cilindro.
 
Come aveva ben sospettato, il drago se la prese con lei per tutta la confusione che c’era attorno a loro. Infastidito, pestò le zampe e ruggì ferocemente, facendo venire i brividi ad Elizabeth. Si sporse dal masso giusto in tempo per vederlo spalancare le grandi ali diafane e ruggire ancora più forte. 
 
Con un certo allarme, vide una luce nascere dal profondo della sua gola, che aumentava di intensità ad ogni istante e si irradiava con venature color fuoco vivo su tutta la superficie del suo collo. 
 
Elizabeth non ci pensò due volte, e prima che il drago avesse tempo di fare fuoco, balzò in piedi e prendendo la mira urlò “Aqu-”. 
 
Troppo tardi.
 
Ebbe appena il tempo di accucciarsi e ansimare “Protego”, che le fiamme divamparono attorno a lei. Per un attimo, non esistette altro che fuoco; ne sentiva il calore sulla pelle, inghiottì erba e le rocce, l’aria. Il calore la avvolse completamente, e nonostante fosse protetta dall’ incantesimo scudo, avvertì l’odore delle punte dei propri capelli che si erano bruciacchiate.
 
Dopo la fiammata ci fu un istante di pausa. Elizabeth intuì che il drago stava caricando un altro colpo. Questa volta fu più pronta. 
 
Aqua Eructo!” esclamò, puntando per la seconda volta la bacchetta. 
 
Il getto d’acqua colpì il drago dritto in gola. Quello, colto alla sprovvista, scosse violentemente la testa ed emise dei versi strozzati, simili a dei colpi di tosse. Con un po’ di fortuna, forse per un po’ non ci sarebbero stati più falò. 
 
L’animale ruggì e si dimenò, facendo oscillare la coda appuntita, mandando in frantumi pietre e rocce. Il cilindro continuava ad oscillare al suo collo, del tutto inarrivabile. 
 
Quando puntò dritto su di lei, Elizabeth corse per cercare un altro riparo, ma non fu abbastanza rapida, e la coda della bestia la colpì alla schiena, mandandola a schiantarsi sulla dura roccia. Impattò pesantemente contro il terreno e subito avvertì delle fitte di dolore arrivare dalla schiena, lì dove le creste affilate che il drago aveva sulla coda avevano lacerato la stoffa ed erano affondate nella sua pelle, graffiandola in profondità. Ma non fu quello ad allarmata: nella caduta era atterrata con violenza sul proprio braccio destro. Le era già capitato di rompersi una gamba, giocando a quidditch, e dal dolore familiare capì subito che si era fratturata qualcosa, anche prima di constatare che c’era un osso che sporgeva fuori posto dal suo avambraccio. 
 
Una pioggia di sassolini e polvere le colpì la testa e la convinse a rialzarsi alla svelta e mettersi fuori portata. Sull’orlo delle lacrime per il male e lo spavento, arrancò quasi a carponi fino a trovare rifugio dietro ad una sporgenza. Quell’impresa era disperata, Darcy aveva avuto ragione. 
 
Fece dei profondi respiri controllati, dicendosi che poteva ancora farcela se reggeva la bacchetta con la mano sinistra, se la cavava bene anche con quella. Per un attimo valutò di appellare la propria scopa, sarebbe stato tutto più facile volando, ma escluse quasi subito l’idea, visto che reggersi in sella sarebbe stato troppo complicato. 
 
Fu in quel momento che il tintinnio di qualcosa che le sfuggiva dalla tasca attirò la sua attenzione. La spilla di Darcy, aveva dimenticato di averla con sé. La raccolse e se la rigirò tra le dita. Darcy era così prevedibile, perfino la sua spilla era talmente tirata a lucido da sembrare un pezzo raro di un autentico… 
 
E allora Elizabeth capì cosa aveva voluto suggerirle.
 
Draco dormiens nunquam titillandus, non solo era il motto della scuola, ma anche il titolo di uno dei loro libri di testo. 
 
C’erano diverse metodologie per distrarre e per calmare un drago, ma ce n’era una, fortemente sostenuta da ex professore di Hogwarts che sapeva tutto sull'argomento - un certo John Ronald qualcosa - che funzionava con più successo delle altre. Poteva valere la pena di tentare, in ogni caso peggio di così non poteva fare. 
 
Elizabeth non perse tempo, si sporse dal suo riparo e urlò: “Bombarda Maxima!”
 
L’incantesimo sfrecciò tra le zampe del drago inferocito e andò a schiantarsi dritto dritto sulla parete rocciosa alle sue spalle, quella che già aveva provveduto l’animale da sé a sgretolare in buona parte, e sotto la quale si stavano ammucchiando un mucchio di detriti.
 
Una volta che ebbe individuato di nuovo la sua preda, il Nero delle Ebridi si voltò di scatto verso di lei, nel farlo urtò ancora una volta il muro con la coda, facendo piovere ulteriori pietre. Esattamente ciò che serviva ad Elizabeth. 
 
Bombarda!” esclamò lei ancora. 
 
Questa volta non fu abbastanza brava da evitare il drago e lo colpì senza volerlo ad un’ala. L’animale emise un acuto verso di dolore, che fece venire i sensi di colpa ad Elizabeth, ma cercò di non farsi distrarre dall’operazione di demolizione, dicendosi che almeno ora erano pari. 
 
Ripeté l’incantesimo, ancora e ancora, muovendosi in continuazione e assicurandosi di rimanere fuori portata dalla coda e dalle zanne del drago furibondo. Solo quando ritenne di aver accumulato una montagnola di pietruzze abbastanza alta, fece la sua mossa e la incantò, tramutandola in una montagna di sonanti monete d’oro, diamanti, smeraldi e rubini. La trasfigurazione richiese tanta concentrazione e le risucchio buona parte delle energie, non sarebbe stata in grado di ripiegare su un piano B, in caso avesse fallito. 
 
Le orecchie fini del drago captarono all’istante il tintinnio delle monete che scivolavano l’una sull’altra, quando queste apparirono. 
Senza esitazione, aprì le ali e planò davanti al bel gruzzoletto, che più o meno ormai era alto quanto lui. 
 
Con cautela, Elizabeth - che a quel punto, oltre essere ferita, era sporca di terra e aveva un fiatone di tutto rispetto - mosse qualche passo verso l’animale, curiosa di vedere cosa sarebbe successo. Il drago percepì il movimento alle sue spalle e subito inarcò la schiena sulla difensiva, ma allo stesso tempo continuava a girare la testa verso l’oro, incapace di resistere a quella ghiotta tentazione. 
 
Elizabeth si costrinse a stare ferma e tenere la bacchetta bassa, aspettando pazientemente che il drago prendesse una volta per tutte la sua decisione.
 
Il Nero delle Ebridi la degnò di un’ultima occhiataccia di antipatia, prima di tuffarsi tra le monete sonanti ed Elizabeth esultò dentro di sé, mentre sotto al suo sguardo affascinato, l’animale cominciava a rotolarsi tra gemme e monete, emettendo tanti gorgoglii soddisfatti, sbuffando e facendo schioccare felice la mascella. Scavò con la testa fino a farsi sommergere dall’oro quanto gli consentiva la sua mole. Alla fine Elizabeth dovette ammetterlo, quel professore aveva avuto ragione, era vero che i draghi erano creature estremamente avide e vanitose, e niente più di un bel tesoro poteva farli felici. 
 
Ma non poteva starsene lì a cincischiare, se voleva recuperare il cilindro, doveva approfittare subito del momento di debolezza del suo avversario. Si mosse il più silenziosamente possibile e si avvicinò quanto riuscì per sussurrare “Immobilus”. 
 
Con il drago già abbastanza tranquillo, l’incantesimo riuscì; prima di provare non era stata certa al cento per cento che potesse funzionare, ma era valsa la pena correre il rischio. Fortunatamente per lei, buona parte del collo del Nero era rimasto scoperto, lasciando in mostra il collare di cuoio a cui era appeso il cilindro, mentre il muso era del tutto nascosto nel tesoro.
 
Con un fine movimento della bacchetta, Elizabeth fece scattare la chiusura del collare, e il cilindro di piombo scivolò sulle monete accompagnato da un fruscio, esattamente ai suoi piedi. 
 
Prima di allontanarsi definitivamente, ammirò per l’ultima volta da vicino la bellezza e la letalità dell’animale che aveva sconfitto. Le squame erano così lucide che Elizabeth poteva addirittura vedercisi riflessa. Decise all’istante che avrebbe rinnovato l’illusione del tesoro prima di andare, perché durasse un pochino di più. Quel poverino, trascinato lì contro la propria volontà, infondo se lo meritava. 
 
Solo in quel momento tornò pienamente cosciente di non essere sola, di dove effettivamente si trovasse. Durante l’azione, l’adrenalina aveva fatto in modo di chiudere fuori tutto ciò che non era importante, l’aveva tenuta in una bolla, concentrata. Ma ora il rombo della folla tornava a farsi sentire, l’irruenza della voce amplificata del commentatore, che aveva seguito le sue mosse fino a quel momento, proruppe energicamente. 
 
Elizabeth raccolse il cilindro e lo sollevò trionfante per aria con il braccio sano e dal pubblico si levò un unico grido entusiasta. Chi batteva le mani, chi pestava i piedi, le arrivò anche il rumore di un tamburo e di diverse trombette. La Campionessa di Hogwarts era decisamente ammaccata, ma ce l’aveva fatta. 
 
Elizabeth rispose ai saluti, arrancando più che camminando verso l’uscita dell’arena, e cercando di ignorare il fatto di provare dolore in ogni singola fibra del corpo.
 
Alla fine di tutto, c’era solo una persona che le premeva guardare in faccia, in quel momento, mentre il drago che aveva sconfitto ancora giaceva inerme lì dove lo aveva lasciato, e lei non era stata ridotta ad uno stupido cumulo di cenere da raccogliere con la scopa. 
 
Lo individuò sugli spalti. Darcy non stava applaudendo, tuttavia Elizabeth poteva leggere qualcosa di simile all’ammirazione nella sua espressione. Come minimo poi avrebbe detto che in realtà era stato lui, con la sua idea, a salvare la situazione. 
 
Ciò che però si chiedeva Elizabeth era: perché le era stato vicino nel momento in cui ne aveva più bisogno se la disprezzava tanto? 

 
Punteggi
 
Campionessa di Beauxbatons - 20/50 (3-3-4-3-7)
George Wickham - 48/50 (10-9-10-9-10)
Elizabeth Bennet - 43/50 (10-10-7-8-8)

 
Nota: per i punteggi ho preso come riferimento la Prima Prova di Harry nel romanzo, in cui c’era una giuria, composta da cinque giudici, ognuno dei quali poteva dare un punteggio da uno a dieci.

 
 
Angolino dell’autrice:
 
Bentrovati a tutti! Giuro solennemente che il fatto che alla fine sia davvero capitato il drago è stato puro caso. Però a questo punto non poteva non essere Elizabeth ad affrontarlo, con buona pace di Bingley, che comunque ha potuto consolarsi stando accanto a Jane :3
 
Spero davvero che questa prova non faccia acqua da tutte le parti! E ringrazio tantissimo chiunque sia arrivato a leggere fin qui <3
 
Al prossimo aggiornamento con il Ballo del Ceppo!
***
 
…10 anni dopo, da qualche parte sulle più alte montagne della Scozia.
 
Il vento del Ben Nevis ululava nelle orecchie di Barnicus Cooper. Lavorava per il ministero da appena due mesi, ed in effetti già poteva affermare tranquillamente che quello non era il posto più bizzarro in cui fosse stato mandato in missione. Ma il più freddo e il più desolato sì.
 
“Adesso mi vuoi dire cosa stiamo nascondendo qua su, in mezzo al nulla?” chiese al collega, Romeo, un veterano dell’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche.  
 
“Ok, basta che non ti innervosisci e fai fare tutta la fatica a me, come l’ultima volta,” ribatté quello. 
 
“Non è una buona premessa, ‘non innervosirti se te lo dico’, ma parla”. 
 
“C’è la tana di un Nero delle Ebridi sotto la montagna. Ha accumulato un bel tesoro, ci avrà messo una decina d’anni. Ora si sta facendo un bel pisolino, e non vogliamo che qualche escursionista babbano lo svegli per caso e si faccia fare arrosto”. 
 
“Pensavo peggio,” ammise Barnicus. “Quando andavo a scuola ne ho visto uno. C’era il Torneo Tremaghi e una studentessa della nostra scuola lo affrontò. Non ricordo come si chiamasse,” raccontò, un po’ distrattamente. 
 
“Magari è proprio quello là, non ce n’è più molti in circolazione”. 
 
“Chissà…” 
 
“Dai questi sono gli ultimi incantesimi confondi-babbani e poi andiamo a bere qualcosa di caldo al pub del paese,” propose Romeo. 
 
Barnicus si sforzò di ritrovare la concentrazione e ricominciò a dare man forte al collega con gli incantesimi contro gli intrusi; impresa non facile visto che continuava a rabbrividire per la corrente d’aria gelida che aveva trovato il modo di infilarglisi sotto la canottiera. Non avrebbe mai capito che ci trovassero gli appassionati di montagna a spingersi fino a quei posti dimenticati da Dio. Fortunatamente Romeo aveva avuto ragione, e nel giro di dieci minuti finirono il lavoro senza intoppi. 
 
“Ecco fatto, per un po’ potrà fare la nanna tranquillo!” 
 
Barnicus annuì, pregustando già il calore del pub, un bel bicchiere o due di whisky incendiario e la gradevole compagnia di quel barista carino a ripagarlo per la dura giornata di lavoro. “Elizabeth Bennet!” ricordò all’improvviso. 
 
“Cosa?” si bloccò Romeo, che già era pronto a smaterializzarsi. 
 
“La studentessa che affrontò il drago. Era così che si chiamava!”
 
“Ah, ok,” fece spallucce Romeo. “Sei pronto ora che te lo sei ricordato?” 
 
Barnicus annuì e i due maghi girarono su sé stessi e sparirono con uno schiocco secco, lasciando il vento ad ululare nella sua solitudine. 
 
Elizabeth Bennet. 
 
L’eco della voce che aveva pronunciato quel nome rimbalzò sulle fredde pareti di roccia, nella profondità della montagna. Il Nero delle Ebridi socchiuse un occhio, si stiracchiò, e sbadigliando si rigirò dall’altra parte.
 
Ricordava anche lui la ragazza, Elizabeth. 
 
Le voci che avevano disturbato il suo sonno erano tornate a valle, da dove erano venute, e quella era buona notizia. Non aveva proprio voglia di scomodarsi. Aveva lavorato a lungo e duramente per mettere da parte il suo bel tesoro, e ora aveva tutta l’intenzione di goderselo in santa pace, almeno per i prossimi cento anni, o giù di lì.
 
Ammesso che anche quello un giorno non decidesse di svanire nel nulla, com’era successo all’ultimo; era stata una bella seccatura quella.

 

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Capitolo 3
*** Ballo del Ceppo ***


 
La neve fioccava lenta in quella mattina di inizio dicembre, posandosi sulle guglie del castello, sui recinti e sui rami spogli degli alberi, ornando ogni cosa di preziosi, candidi ricami.
 
Nel silenzio ovattato, Elizabeth scese adagio i gradini della Guferia ghiacciati, pregando di non scivolare e rompersi il naso, proprio ora che l’infermiera della scuola era riuscita a farla tornare come nuova, dopo il suo faccia a faccia con il Nero delle Ebridi. 
 
Aveva dovuto inviare una lettera ai suoi genitori per invitarli ad un piccolo ricevimento per i familiari dei Campioni che si sarebbe tenuto di lì a due settimane, il 13 dicembre. (1) Non era del tutto certa che i signori Bennet, anche a distanza di sette anni, si fossero del tutto abituati a quel modo bizzarro di mandare la posta, così si era presa il tempo per cercare un gufo dall’aria mansueta e il piumaggio ordinato - visto che sua madre continuava a definirli “volatili feroci e puzzolenti”, da quando uno le aveva morso una mano. Magari, facendosi un po’ di coraggio, sarebbero anche riusciti a mandarle una risposta.
 
“Sei mattiniera,” disse una voce familiare ai piedi della scalinata. 
 
“Wickham! Buongiorno a te,” sorrise Elizabeth, superando incolume anche l’ultimo gradino nascosto dalla neve. “Cosa ci fai in giro a quest’ora?” 
 
“Approfittavo della bella atmosfera per prendere una boccata d’aria e ammirare il castello. Qualche volta mi faccio prendere dalla nostalgia,” rispose lui, stringendosi nel cappotto. “Però adesso torno volentieri in Sala Grande a bere qualcosa di caldo. Se non ti crea troppa noia la compagnia della concorrenza, torniamo assieme”.
 
“Quando la concorrenza ha modi così adorabili rende impossibile provare antipatia,” rise Elizabeth, accettando la mano che Wickham le porgeva per superare un piccolo cumulo di neve e avviandosi assieme a lui in direzione del castello. “Ma cosa intendevi con il farsi prendere dalla nostalgia?” chiese, dopo qualche metro. 
 
“Non te l’ho mai detto? Ho frequentato Hogwarts per i primi tre anni”. 
 
“Veramente?” sgranò gli occhi Elizabeth. “Ero già al secondo anno, eppure non mi ricordo proprio, mi spiace.”
 
“Forse semplicemente non hai mai fatto caso a me,” sorrise lui, in modo molto dolce. “Sono dello stesso anno di Jane. Ero tra i Serpeverde.”
 
“E come sei finito a Durmstrang?” si incuriosì Elizabeth. “Se ti va di dirlo, chiaro,” aggiunse, rendendosi conto che forse era stata indelicata e si era spinta troppo oltre con la confidenza. 
 
“Questa è una domanda che potresti fare a Darcy,” rispose Wickham, con inaspettata franchezza.
 
“Darcy?” 
 
Wickham annuì. “Il caro Fitzwilliam mi prese in particolare antipatia, forse perché avevo un rapporto speciale con Caroline - la sorella di Bingley. Magari era geloso, chissà.”
 
Elizabeth conosceva Caroline, l’aveva incrociata spesso durante le lezioni, visto che erano dello stesso anno. Ma lei era in Serpeverde, e in più non le era mai sembrata particolarmente simpatica, così non si erano mai rivolte parola, almeno da quanto poteva ricordare. 
 
“Mi rese la vita talmente un inferno da costringermi a trasferirmi,” proseguì Wickham. “Mi aveva proprio preso di mira, e non si è fermato finché non l’ha avuta vinta”. 
 
“Ma è terribile!” esclamò Elizabeth, chiedendosi come fosse possibile che ogni volta che Darcy mostrava un minimo segno di umanità, lei venisse a conoscenza di qualcosa che la faceva immediatamente ricredere. 
 
Come poteva Darcy essere in grado compiere insieme gesti gentili, come aiutarla contro il drago senza dirlo a nessuno, ed essere al contempo il tipo di persona che rovinava la vita ad un povero ragazzo, al punto da costringerlo a trasferirsi in un altro paese? 
 
“Ma non pensiamoci più,” disse Wickham in tono più allegro. “Sono passati tanti anni e Durmstrang comunque non è niente male.”
 
Ad Elizabeth fece una gran pena, perché si vedeva che in realtà Hogwarts gli mancava molto. 
 
“In effetti, sono contento di averti incontrata da sola stamattina,” fece lui, dopo qualche attimo di silenzio. “C’è una cosa che volevo chiederti, ma non ho mai trovato l’occasione.” Ormai erano quasi arrivati all’entrata del castello, e George si fermò per guadagnare ancora qualche istante. 
 
Elizabeth si sentì avvampare, sperando di aver intuito correttamente quello che stava per chiederle, con una premessa del genere. Si morse la lingua per non urlare “Sì!” ancora prima che lui avesse modo di formulare la domanda. 
 
Tuttavia non riuscì proprio a trattenersi dal sorridere a trentadue denti, mentre Wickham diceva: “Se non hai già un cavaliere per il Ballo del Ceppo, ti andrebbe di venirci con me?” 
 
***
 
Elizabeth, Jane e i loro due accompagnatori, varcarono la soglia della Sala Grande e rimasero a bocca aperta: si era completamente tinta d’oro. I muri, le colonne, le finestre; tra un arco e l’altro, lungo i lati, erano stati appesi dei tendaggi di una stoffa così lucida e impalpabile da sembrare fatta di metallo fuso. La volta, in alto, riproduceva una notte serena, con le stelle che brillavano più intensamente del solito. In un primo momento ad Elizabeth sembrò che fossero riusciti anche a trovare delle tovaglie dello stesso identico punto di blu del cielo, ma una volta che guardò più attentamente notò che le stelle rilucevano vivide ed animate anche sulla stoffa; erano come specchi che riflettevano il firmamento sopra di loro. 
 
In centro alla Sala Grande torreggiava il più grande albero di Natale che Elizabeth avesse mai visto: un abete verde brillante, ornato con bacche rosse e fiocchi dorati, cavallini a dondolo che ondeggiavano avanti e indietro e che nitrivano facendo ondeggiare le criniere colorate. Infine, tanti schiaccianoci in divise da soldatino color panna, che davano il benvenuto agli ospiti e li invitavano ad accomodarsi, augurando a tutti una splendida serata.
 
“La preside Catherine de Bourgh ha veramente superato sé stessa!” esclamò Collins, entusiasta. “Guardate che cura per i dettagli, non c’è nulla che abbia lasciato al caso! È formidabile…”
 
Elizabeth guardò in tralice Jane, che da parte sue finse di non accorgersene. Non poteva credere che avesse veramente deciso di venire al ballo con Collins
 
“William, perché non andiamo a prendere qualcosa da bere per le signore?” propose Wickham. Semplicemente adorabile, gongolò Elizabeth tra sé e sé.
 
Sebbene Collins facesse di tutto per metterli in imbarazzo, Wickham gli si rivolgeva sempre con grande cortesia; non c’era mai la più piccola traccia di scherno nel suo tono. Elizabeth non poteva certo complimentarsi con sé stessa per essere altrettanto attenta e gentile nei confronti del cugino. 
 
“Ci dovrai anche ballare dopo, vedrai,” bisbigliò con perfidia alla sorella, mentre i loro cavalieri si allontanavano - e Wickham si girava un’ultima volta per farle l’occhiolino. 
 
“Ho pensato che un invito valesse l’altro, visto che la persona che avrei voluto me lo chiedesse non l’ha fatto,” sospirò Jane.
 
Elizabeth si sentì in colpa per il poco tatto che aveva appena avuto, e in pena per la sorella insieme. Avevano sperato fino all’ultimo che Bingley la invitasse, Elizabeth era sicura lo avrebbe fatto, prima o poi. Ma lui non si era fatto vivo, e alla fine avevano scoperto che si era già impegnato con un’altra. Imperdonabile. 
 
“Parli del diavolo…” fece Elizabeth, indicando a Jane con un cenno della testa l’entrata della sala, dove Bingley e Darcy stavano facendo in loro ingresso accompagnati da due ragazze bellissime, dal portamento aggraziato e i modi delicati. 
 
Caroline Bingley e Georgiana Darcy erano in maniera molto evidente più abituate delle altre a vestire eleganti. I loro abiti erano di alta sartoria, dall’aria molto costosa, e loro li indossavano con assoluta naturalezza. 
 
I due Campioni di Hogwarts non erano da meno. La maggior parte dei ragazzi si muoveva a disagio e aveva l’aria impacciata con indosso l’abito da cerimonia, ma non loro. Non Darcy. 
 
Darcy indossava il suo abito con disinvoltura e in modo distinto. Per una volta tanto la sua postura rigida non sembrava totalmente fuori luogo. Sembrava un giovane principe, ed Elizabeth dovette ammettere a malincuore che aveva l’aria particolarmente affascinante. 
 
Jane le tirò un leggero colpo con il gomito, quando notò che i nuovi arrivati andavano proprio nella loro direzione. 
 
“Buonasera, Compagna di Squadra,” salutò Bingley, sorridente. “Jane,” aggiunse, con un cenno della testa. Elizabeth avrebbe giurato di vedere che gli mancava il fiato mentre si rivolgeva alla sorella. Charles aveva davvero una gran faccia tosta; si ripromise di dirgliene quattro, appena si fosse presentata la prima occasione.
 
“Io e Georgiana andiamo a sederci,” si intromise subito Caroline, con fare prepotente. La prospettiva di non essere al centro dell’attenzione evidentemente non le aggradava. 
 
Squadrò Jane ed Elizabeth dalla testa ai piedi, senza premurarsi di celare un certo disdegno nei loro confronti, storcendo il naso davanti ai loro abiti; dozzinali, se confrontati al suo o a quello della sorella di Darcy. 
 
“Quando vi fa comodo, raggiungeteci con qualcosa da bere,” aggiunse infine, rivolta a Darcy, prima di prendere a braccetto Georgiana - troppo impegnata ad ammirare affascinata la bellezza della sala per accorgersi di quel che accadeva proprio sotto al suo naso - e sparire tra gli invitati.
 
“Io e Darcy ci siamo fatti il favore reciproco di fare da accompagnatore alle nostre sorelle,” si affrettò a spiegare Bingley, a scanso di ogni equivoco. “Voi con chi siete venute?” chiese, con il chiaro intento di voler solo sapere da chi fosse accompagnata Jane. Informazione che entrambe si erano premurate di non far circolare troppo, e Collins fortunatamente non era tipo da vantarsi in giro delle sue conquiste.
 
“Oh... io con mio cugino Collins. Uno dei campioni di Beauxbatons,” rispose lei, arrossendo imbarazzata. E ne aveva ogni ragione, pensò piccata Elizabeth.
 
Si ritrovò ad essere combattuta tra il dispiacere che la sorella non fosse venuta con un cavaliere che avesse potuto suscitare più invidia in Bingley e la soddisfazione per aver avuto ragione su tutta la linea nello sconsigliarle in ogni modo di presentarsi con Collins.
 
“Ma solo perché le ha fatto pena quando ha visto che continuavano a rifiutarlo e prenderlo in giro,” spiegò, senza tanti convenevoli. Dopotutto era la verità.
 
“E tu?” le chiese Darcy, facendo eco al tono sfrontato.
 
“Con Wickham,” rispose Elizabeth, alzando il mento. Era certa che Darcy lo sapesse già, e la sua espressione glielo confermò.
 
“Ah, Signor Darcy!” esclamò Collins, rispuntando con due calici di punch in mano, con un tempismo pessimo. “Vostra zia ha compiuto un’impresa davvero eccezionale nell’organizzare il ballo. È tutto perfetto, se poteste essere tanto gentile da portarle i miei più sentiti omaggi e complimenti.”
 
“Lo farò, ne sarà contenta,” rispose Darcy, senza scomporsi, ma in tono tutto sommato educato. 
 
Elizabeth avrebbe voluto sotterrarsi. Collins era una catastrofe ambulante. 
 
Wickham invece mancava all’appello. Lo cercò velocemente con lo sguardo, ma sembrava essere sparito nel nulla. In effetti, non poteva certo biasimarlo, dopo tutto il male che gli aveva causato Darcy. Se fosse stata in lui anche Elizabeth avrebbe preferito non doverlo rivedere mai più.
 
Collins aprì la bocca per aggiungere qualcos’altro, ma - per fortuna, pensò Elizabeth - venne interrotto.
 
Proprio in quel momento, tutti gli schiaccianoci saltarono giù dal loro posticino tra i rami e si unirono in tondo attorno all’albero. Cominciarono a girare, sempre più veloce, finché l’abete non esplose in una pioggia di polvere di diamanti che si posò come un velo sulla pista da ballo; e lì rimase, fondendosi con il pavimento, dando l’illusione di camminare su una galassia sbrilluccicante. Solo a quel punto gli schiaccianoci si misero in formazione e corsero in modo ordinato fuori dalla porta principale, e la pista da ballo rimase sgombra.
 
“Ti va di aprire le danze, Elizabeth?” le chiese - con suo sommo orrore - Collins. “So che è Jane la mia dama per la serata, e spero davvero non me ne voglia, perché sarò pronto a ballare con lei fino a farmi sanguinare i piedi se lo vorrà, ma credo sarebbe un buon esempio di sportività e cooperazione se due campioni appartenenti a due scuole diverse aprissero le danze insieme. Sono sicuro che la preside Catherine de Bourgh apprezzerebbe molto il gesto,” spiegò solenne. 
 
Elizabeth sbarrò gli occhi cercando il modo meno crudele di dire a Collins che non avrebbe mai e poi mai ballato con lui, nemmeno se l’alternativa fosse stata un troll delle caverne. Ma ci pensò la persona più inaspettata a tirarla fuori dall’impaccio.
 
“Veramente Elizabeth aveva promesso a me il primo ballo,” disse Darcy, perfettamente serio.
 
“Veramente?” chiese Elizabeth, guardandolo in preda ad emozioni contrastanti. Gratitudine, sbigottimento, terrore.
 
“Sempre se non hai cambiato idea,” fece lui, porgendole la mano.
 
“Direi di non averla cambiata,” esitò lei. 
 
“Bene allora.”
 
Doveva essere completamente impazzita ad accettare. 
 
“Che peccato… Be’, allora, cara Jane, sono completamente vostro,” sentenziò Collins. 
 
“Io veramente non ho tanta voglia di…” cominciò Jane a mo’ di scusa, ma Collins le aveva già preso la mano e la stava conducendo, con il suo solito fare impettito, in mezzo alla sala.
 
Elizabeth non seppe se voleva ridere o piangere. Non poté impedirsi neppure di lanciare un’occhiata a Bingley, che però si stava già dirigendo a testa bassa in direzione del tavolo dove avevano preso posto Caroline e Georgiana. 
 
“Ho accettato solo perché mi fai pena, e dubito seriamente che stasera troverai un’altra che acconsentirà a ballare con te,” puntualizzò Elizabeth, tornando al suo compagno di danza. 
 
“Apprezzo il tuo interesse per la mia autostima. In realtà però non adoro ballare”.
 
“Allora perché me lo hai chiesto?”
 
“Non lo so,” ammise lui, seguendo Jane e Collins in mezzo alla pista da ballo.
 
“Una vera novità per te non sapere qualcosa.”
 
“È così,” fece lui, sfacciato. 
 
Senza volerlo, Elizabeth lo osservò, forse con troppa insistenza. Non riusciva a smettere, era troppa la curiosità di capire cosa gli passasse per la testa. Le era sembrato di vedere qualcosa di diverso nei suoi occhi, quando la aveva invitata a ballare, anche se era rimasto lì solo per un istante.
 
Quando si misero uno di fronte all’altra, e la musica cominciò a suonare, si sentì totalmente consapevole della sua mano che si posava sulla sua schiena scoperta, che la stringeva, che la attirava a sé. 
 
“Te la sei cavata bene con il drago,” disse Darcy, cominciando a condurre. Elizabeth non riuscì proprio a stupirsi del fatto che fosse un bravo ballerino. Molto più abile di lei, in effetti. La guidava con tale sicurezza che si muovevano in modo perfetto, nonostante lei continuasse a sbagliare i passi. 
 
“Merito del gioco di squadra. Potevi anche essere un pochino più esplicito però”. 
 
“Ho pensato che non avresti mai accettato un suggerimento più diretto. Non da me, almeno.”
 
“Credo che in questo caso tu abbia indovinato,” ammise lei, chiedendosi intanto se la sentisse anche lui, quella scossa elettrica che passava tra loro ogni volta che erano vicini.
 
“Ogni tanto però mi chiedo perché tu lo abbia fatto. Voglio dire, non me lo hai mai nemmeno rinfacciato, mi hai lasciato ogni merito”.
 
“Vuoi sapere il perché?” ripeté Darcy, prendendo tempo.
 
Elizabeth annuì con decisione, incoraggiandolo a parlare.
 
“Il perché è un sentimento contro il quale ho cercato di lottare, Elizabeth,” disse, dopo un silenzio che a lei sembrò lunghissimo, “con tutto me stesso. Ma il fatto è che mi piaci. Mi piaci molto,” confessò Darcy, con evidente difficoltà.
 
In un primo momento il cervello di Elizabeth nemmeno riuscì a dare un senso a quello che aveva appena sentito. Ancora una volta Darcy era stato in grado di coglierla completamente alla sprovvista, di lasciarla senza parole; e lei di risposte pronte ne aveva sempre, per chiunque.
 
“Questo non me lo sarei mai aspettato…” 
 
“Davvero?” chiese lui in modo diretto, senza mai smettere di guardarla negli occhi.
 
“Be’, non hai mai fatto nessuno sforzo per nascondere il fatto che pensi di essere superiore a una nata babbana,” rispose, cercando insieme di capire perché diavolo si sentisse lusingata di piacergli davvero.
 
Darcy, uno a cui non piaceva nessuno - o quasi - e non ne faceva mistero. Ma lei sì, lei gli piaceva. 
 
Lui non rispose alla sua obiezione, ed Elizabeth ebbe come la sensazione di poter vedere le rotelline nella sua testa girare alla frenetica ricerca di una spiegazione logica, che però non doveva essere in grado di formulare. Non lo aveva mai visto tanto in difficoltà.
 
“Come puoi pensare che io voglia stare con qualcuno che disprezza tutto ciò che sono?” chiese Elizabeth, sentendo il calore salire alle guance. “E un’ulteriore prova della tua opinione sono Bingley e Jane. È vero o no che è a causa dei tuoi preziosi consigli se lui non si è mai fatto avanti con mia sorella?” Era la prima volta che dava voce ai suoi sospetti una volta per tutte. La prima volta che sperava di sbagliare. 
 
“Chi te lo ha detto?” chiese però Darcy, senza dare segno di essere stato preso in contropiede, o almeno di rammaricarsi per qualcosa. Elizabeth non si sarebbe mai aspettata un’ammissione immediata.
 
“So che pensi che io sia stupida. Nessuno ha avuto bisogno di dirmelo.”
 
“Non penso tu sia stupida”.
 
“Dimmi il perché,” lo incalzò.
 
Ormai erano fermi in mezzo alla pista da ballo, e dopo l’ennesima spallata, seccato, Darcy la trascinò in disparte. 
 
“Non credo sarebbe adatta a Bingley,” proseguì, una volta ai margini della sala. “Vengono da contesti troppo diversi, e se mai le cose dovessero farsi serie - cosa che non posso escludere con Charles - Jane avrebbe delle grandi difficoltà a farsi accettare dalla famiglia di lui. Sarebbero molto infelici a lungo andare. A questo aggiungi pure che non penso che Jane provi sentimenti forti quanto quelli di lui,” Elizabeth lo vide pesare le parole successive, “e forse è solo un cognome più importante quello a cui lei aspira.”
 
“Non osare!” sibilò a denti stretti Elizabeth. “Non spetta a te decidere cosa prova o non prova Jane! E, non che debba interessarti, è solo timidezza la sua!” esclamò, infuriandosi definitivamente per la cattiveria di Darcy nei confronti di sua sorella. “Wickham ha ragione su di te!”
 
“Cosa c’entra Wickham?” Darcy ringhiò fuori il nome con un odio che Elizabeth non gli aveva mai sentito. 
 
“Mi ha raccontato tutto.” 
 
“Non sai un bel niente di come sono andate le cose.”
 
Come sempre, Darcy si riteneva dieci passi avanti a lei. 
 
“Dimmi, è faticoso? Stare sempre così al di sopra di tutti e tutti?” fece Elizabeth, prima di voltarsi e prendere la porta, dimenticando Wickham e dimenticando Jane. 
 
Lo odiava. Odiava Darcy. Lui è i suoi stupidi sentimenti per lei, ammesso che esistessero veramente. Quello che soprattutto odiava, però, era il fatto di sentirsi coinvolta da lui al punto da permettergli di ferirla tanto nel profondo. 
 
***
 
“Sei tornato presto,” commentò Bingley, con una maliziosa occhiata di sopracciglio, quando vide Darcy avvicinarsi a lui e Caroline, facendosi largo tra gli invitati. 
 
L’amico in risposta gli riservò un’occhiataccia.
 
“Si può sapere che è successo?” chiese incuriosito, pur sapendo bene che con Fitzwilliam non aveva senso insistere se non aveva voglia di parlare. 
 
“È perché è venuta con Wickham?” 
 
“Ah!” sospirò Caroline. “Ti prego, non lo nominare nemmeno, quello là. Già è abbastanza penoso saperlo a piede libero nel castello. Non vedo l’ora se ne torni da dove è venuto”.
 
“Dov’è Georgiana?” chiese Darcy, nervoso e ancora mezzo perso nei suoi pensieri. 
 
“Sta ballando con un ragazzetto del suo anno. Eccoli lì,” rispose Charles, indicando i due che ballavano tra le altre coppie. 
 
Inevitabilmente, i suoi occhi scorsero lungo la pista da ballo fino ad individuare tra i ballerini, di nuovo, Jane. Era bellissima quella sera - anzi, bella lo era sempre, ma quella sera un po’ di più. Un angelo sceso in terra, meravigliosa come una dea, con quei mazzolini di lavanda profumati tra i capelli. 
 
“Hai visto i suoi genitori all’incontro con le famiglie?” commentò con perfidia Caroline, che aveva seguito la direzione del suo sguardo. “Sono completamente imbarazzanti. Se mai portassi a casa una Mezzosangue come lei, mamma e papà non te lo perdonerebbero mai e poi mai. In realtà, nemmeno io te lo perdonerei.” Caroline finì per parlare da sola, visto che Darcy la ignorava, preso dai suoi guai, e che anche Charles la sentiva a malapena.
 
Aveva voglia di bloccarla fuori dalla sua testa, la voce troppo alta di sua sorella che sparlava con troppa facilità di quella che per lui era tutto. Non aveva voglia di sentire ragioni, voleva solo ammirare Jane Bennet, perché, per quanto fossero rumorose le argomentazioni di sua sorella e Darcy nel cercare di dissuaderlo, non erano comunque mai riuscite a fargliela dimenticare. 
 
Si mosse senza dire nulla a nessuno, ancora prima di realizzare lui stesso cosa avesse intenzione di fare. Prima di permettere alle sue insicurezze di fargli di nuovo mancare il coraggio. Per quella sera voleva farlo, voleva ballare con lei.
 
“Scusa, Collins, mi cederesti la tua dama per un po’?” chiese, dando al ragazzo un veloce colpetto sulla spalla.
 
“Signor Bingley! Ma certo. Sempre se Jane è d’accordo, naturalmente,” chiese quello, solerte, attendendo conferma dalla cugina. 
 
Quando Jane annuì con entusiasmo - che forse il cugino non notò, o fortunatamente non interpretò nel modo corretto - Collins si fece da parte, inchinandosi un pochino. Charles lo trovò strano, ma simpatico, così si inchinò leggermente anche lui. 
 
Jane stava sorridendo in modo disarmante quando, finalmente, Bingley la prese tra le braccia. Il suo cuore perse un battito. 
 
“Adesso sì che mi sento un mago di altri tempi!” scherzò. 
 
“Sei il mio eroe, non credo avrei retto un altro ballo!” 
 
“È un pochino rigido tuo cugino, l’ho notato,” rise lui, al settimo cielo.
 
Bingley avrebbe voluto fermare il tempo in quell’istante, per sempre. La band suonava “Have Yourself a Merry Little Christmas” e Jane sorrideva stretta a lui, con le guance rosse e lo sguardo lucido. Gli faceva battere il cuore così veloce che avrebbe potuto sfondargli la cassa toracica. 
 
Si chiese se fosse vero, che non era reale quello che gli sembrava di vederle negli occhi. Era giusto, come sosteneva Darcy, che Jane per lui non provava proprio nulla, se non l’affetto di una semplice amicizia? Si ingannava vedendo qualcosa, solo perché voleva vederla? 
 
Dell’amore che provava per lei non aveva dubbi. Era nato piano piano, condividendo lo stesso banco a Pozioni, il primo anno. Jane gli aveva chiesto se aveva una pergamena in più, e nel dargliela, in qualche modo, Charles lo aveva saputo subito che era lei. Era un sentimento fiorito giorno dopo giorno, quando si ritrovavano con il gruppo di studio in biblioteca, oppure quando si vedevano ogni mattina a colazione, perché ormai sapevano per esperienza a che ora si sarebbero certamente incontrati. Era diventato quasi incontenibile, l’amore, durante le sere in cui facevano le ore piccole chiacchierando in Sala Comune, fingendo di giocare a Scacchi Magici - e la lasciava vincere sempre, anche se non era capace.
 
Se avrebbe mai avuto il coraggio di parlare con franchezza a Jane riguardo ciò che sentiva non lo sapeva. Avrebbe potuto voler dire rovinare la loro amicizia, distruggere una volta per tutte ogni sua singola, più piccola, speranza, e non era certo di essere pronto a rinunciare. Non voleva smettere di sognarla, non voleva rompere l’incantesimo, anche se era solo di illusione che si trattava. 
 
E quella sera non voleva avere dubbi, era Jane che voleva più di ogni altra cosa; magari poteva anche rubarle un bacio. Forse a causa di quel pensiero che gli ronzava in testa, quando individuò un rametto di vischio poco lontano da loro, rallentò, fino a fermarsi. Cosa avrebbe fatto Jane se l’avesse veramente baciata?
 
Lei alzò la testa e arrossì violentemente. Distolse lo sguardo da lui, e il gesto bastò per mandare in frantumi il pizzico di coraggio che credeva di aver trovato, così rinunciò all’impresa.
 
Forse era proprio vero che Jane non voleva altro se non la sua amicizia.
 
 
1. Nel libro questo evento si tiene molto più avanti, la mattina della Terza Prova, ma ho dovuto fare questo adattamento e anticiparlo. (su)

 

Angolino dell’autrice:
Ben ritrovati a tutti!
Temo che i miei protagonisti alla fine più che un Merry Little Christmas avranno tutti un Blue blue blue Christmas…Comunque c’era da aspettarselo con questi qua!
Da qui in poi Elizabeth passa la palla a Bingley, colui che affronterà la Seconda Prova, di cui non saprò nulla fino al 24 febbraio - mettiamoci tutti l’anima in pace.  
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che non ci siano troppi strafalcioni in giro. La lite tra Elizabeth e Darcy mi ha davvero spompata, è stata estenuante da scrivere, quasi quasi la pausa mi ci vuole!
Grazie per aver letto fin qui, per commenti che state lasciando, grazie a chi ha listato o vorrà farlo. Buon Natale <3


 
***
 
Coming up next:

“Temo di aver commesso un grave errore di valutazione,” disse Darcy.
 
“Nell’innamorarti di Elizabeth o nell’esserti dichiarato?” chiese Bingley, distratto.
 
L’amico scosse la testa e lo guardò con tale serietà da guadagnare la sua completa attenzione. “Ad averti detto che secondo me Jane non prova niente per te.”

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