metanoia

di Shichan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Unwelcome ***
Capitolo 2: *** Attempt ***
Capitolo 3: *** Stay ***



Capitolo 1
*** Unwelcome ***


N/A: questa fanfic è stata scritta per partecipare alla dodicesima edizione del Big Bang Italia, indetto da Lande di Fandom. Per me è stata la scusa perfetta per lanciare la mia otp in royalty!au. A questa storia è collegato un gift fatto da un'altra partecipante ma che, per questioni di spoiler, sarà linkato nell'ultimo capitolo. In tutto, la storia ne avrà tre.
 

 metanoia
the journey of changing one’s mind, heart, self or way of life


«Con permesso.» la voce del servitore suona come nulla più di un semplice congedo, ma alle orecchie di Shouto significa qualche ora di libertà, qualche giorno se sarà fortunato. La posizione composta ed elegante si sfalda nel momento in cui si chiude la porta della sala dove sono soliti accogliere gli ospiti di una certa importanza. Non appena sente il suono familiare, si concede finalmente di rilassare la schiena e lasciarsi andare contro la poltrona. 

Chiude gli occhi per qualche secondo, riaprendoli quando un piccolo sbuffo divertito rompe il silenzio. Il suo sguardo vaga verso un punto preciso alla propria sinistra: lì, intento a camminare verso il comodo divano di fronte alla poltrona su cui siede Shouto, c’è Midoriya Izuku. Agli occhi del regno non è che “l’amico del principe Shouto”, ma ai suoi Izuku appare come un salvatore. Nonostante il diretto interessato non si sia mai considerato tale. 

«Non dovresti ridere del tuo principe.» finge di redarguirlo, ma il tono stanco e la poca convinzione non rendono affatto credibile il rimprovero. Infatti Midoriya prende posto e mantiene il suo sorriso divertito, sebbene la sfumatura di gentilezza tipica di lui non lo abbandoni mai.

«L’ultima volta mi hai sgridato dicendo, e cito testualmente, “prima di essere il tuo principe sono il tuo amico d’infanzia”.» sottolinea Izuku, la cui memoria è sempre stata eccezionale, per sfortuna di molti.

«Avevamo dieci anni.» rimbrotta Shouto, solo per sentirsi rispondere: «Quasi undici. E l’hai usato contro di me perché cercavo di impedirti di arrampicarti sulle mura del giardino e scavalcarle per andare al mercato senza scorta.» puntualizza scherzosamente. Shouto si ricorda bene l’occasione: la volta in cui è stato più vicino al rompersi una gamba, cavandosela con una sgridata del suo maestro di spada. Izuku aveva pianto per una buona mezz’ora.

Si guardano, uno di fronte all’altro ora che Izuku ha preso posto sul divano, e un ridacchiare sommesso riempie la stanza. Sarebbe bello avere sempre un’atmosfera così rilassata.

«Ho intravisto sua Maestà il re, quando sono arrivato. Non sembrava di buon umore.»
«Hai ricordi di mio padre di buon umore? Devo essermelo perso, forse ero da un’altra parte.» commenta, più pungente di quanto vorrebbe. Izuku abbozza un sorriso quasi di scuse e Shouto sospira. Sanno entrambi la ragione del malumore del re che, per ironia della sorte, combacia in un certo senso con quella del pessimo umore del principe. Il corteggiamento per l’erede al trono. 

Non è la prima volta che il corteggiamento non porta al risultato sperato dal re e questo non aiuta nessuno: né Enji né Shouto al quale, ogni mese, viene proposto un diverso pretendente. Ormai tutto il regno sa che il principe Shouto ha rifiutato tutti i suoi corteggiatori, dalla ragazza più raffinata al giovane più valoroso. A niente sono valsi gli sforzi di re Enji - e dei suoi consiglieri - nel cercare i migliori partiti che la nobilità potesse offrire: diverse età, aspirazioni, qualità non hanno comunque mai incontrato l’interesse e l’approvazione di Shouto. E, sfortunatamente per Enji, se è vero che il principe non può rifiutare il corteggiamento è altrettanto vero che non può essergli imposta la decisione finale.

«Ho sentito che Hawks ha casualmente consigliato a sua Maestà di lasciarti scegliere il corteggiatore.» dice Izuku, cercando di suonare incoraggiante «Magari questo potrebbe migliorare le cose.» aggiunge. Shouto lo guarda per qualche momento, in silenzio. In più di un’occasione ha pensato che sarebbe stato tutto molto più semplice, se fosse riuscito a innamorarsi di Izuku e se, con il tempo, quel sentimento fosse stato ricambiato. Invece, nonostante l’altro sia stato senza alcun dubbio il motivo per cui Shouto ha intuito di poter essere attratto dai ragazzi, prima che potesse sperare in un suo corteggiamento il loro rapporto aveva già consolidato una propria forma. Dovesse spiegarla a qualcuno, dovrebbe definirla un ibrido tra due fratelli e due compagni d’armi. Sarebbe comunque, in un certo senso, una spiegazione imprecisa. 

«Mio padre non accetterà mai. Il motivo per cui ha proposto lui i pretendenti è perché sa che, se dipendesse da me, non ci sarebbe nessun corteggiamento.» rivela, arrendendosi a godere di quelli che saranno di certo pochi ma preziosi giorni di libertà. 

«Forse spera che, alla fine, ci sarà qualcuno capace di farti pensare “va bene per me”.» tenta Izuku in un - non ben mascherato - debole tentativo di non ammettere che persino lui ha finito col perdere un po’ del suo ottimismo sulla questione. Shouto annuisce vagamente e socchiude gli occhi, con la tacita scusa di voler riposare più la mente del fisico.

Sarebbe tutto semplice se ci fosse qualcosa che non va nei suoi pretendenti. Invece il problema è lui.

*

Se Hawks ha provato a intercedere di nuovo, i risultati possono definirsi disastrosi. Non sono passate nemmeno due settimane da quando ha parlato della cosa con Izuku e suo padre è già riuscito a prendere accordi con qualcuno e combinargli l’ennesimo incontro che lo costringerà a un intero mese di fallimentari tentativi di corteggiamento. 

Shouto abbassa lo sguardo sui fogli della lettera recapitatagli poche ore fa: l’elegante calligrafia occupa poco più di un foglio, in cui Momo gli scrive che il viaggio di ritorno è andato bene ed è contenta del loro aver maturato quella che spera sarà un’amicizia duratura. 

Yaoyorozu Momo è l’unica erede di una delle famiglie più influenti dell’aristocrazia. Shouto ricorda di averla conosciuta quando erano bambini, ma l’occasione di andare oltre una presentazione e qualche parola di cortesia non si è mai presentata prima del corteggiamento del mese prima. Shouto si è stupito nello scoprire di poter essere per lei almeno un buon amico; non è Izuku, ma si è rivelata una presenza piacevole da avere al proprio fianco. Solo, non come consorte. 

Si ritiene comunque fortunato: di rado è capitato di lasciarsi in brutti rapporti con i corteggiatori scelti da suo padre fino a oggi, ma sarebbe sbagliato dire che siano rimasti in buoni. Momo è forse la prima con cui ha la possibilità di mantenere una corrispondenza, l’unica che in una lettera abbia menzionato di apprezzare l’idea di un’amicizia tra loro. Non c’è molto da stupirsi sulle reazioni di chi c’è stato prima di lei – immagina che non piaccia a nessuno l’idea di corteggiare qualcuno per un mese intero per poi essere rifiutati. Prima di Momo Shouto si è seriamente chiesto se, nell’inutile ricerca di una persona con cui passare il resto della vita, non stia invece riuscendo a circondarsi solo di potenziali nemici.

*

La sala del ricevimento è addobbata alla perfezione: lampadari di preziosa fattura a illuminarla, vasi di fiori ad abbellire e profumare l’ambiente, sistemati in modo strategico perché possano lasciarsi ammirare senza essere d’intralcio; tutti rigorosamente bianchi e blu, come il dress code e tema della serata hanno imposto. 

Di fronte alla grande porta d’ingresso della sala, attraversandola per intero, siedono il re e due dei suoi figli: Fuyumi, alla sua sinistra, con addosso un abito di un blu notte con un nastro di seta bianca sotto il seno e che lascia alla lunga gonna la libertà di scivolarle morbida lungo i fianchi. Enji, invece, siede al centro con la schiena dritta e l’espressione austera sul viso. I suoi abiti si mantengono su un blu quasi più scuro di quello di Fuyumi, per quanto riguarda la parte superiore comprendente la giacca, mentre i pantaloni sono di un bianco immacolato. Shouto, alla destra di suo padre, ha abiti esattamente opposti: pantaloni blu notte a fasciargli le gambe, una giacca bianca a vestire la parte superiore del corpo. Fuyumi ha insistito perché indossasse anche una mantella blu a coprire la spalla sinistra, un capo che Shouto ha sempre lasciato da parte. L’ultimo regalo fatto da sua madre, o almeno recapitato con un biglietto a suo nome. Risale a due anni fa e Shouto, a essere onesto, avrebbe voluto indossarla in un’occasione più importante di una stupida farsa come l’ennesimo corteggiamento. 

«Sarebbe l’occasione perfetta, se tu non avessi deciso di rifiutare chiunque a prescindere.» gli ha detto Fuyumi ormai ore fa, nella sua stanza «E va bene, Shouto, se senti di non essere pronto. Ma è un peccato aspettare per indossarla. Finirai con l’avere l’occasione giusta quando ti starà troppo piccola.»

Per quanto Shouto, a diciannove anni, dubiti di avere ancora chissà quanto margine di crescita fisica, ha capito cosa intendesse dire Fuyumi. E si è lasciato convincere. Anche se quella mantella, fatta su misura e resa un modello unico grazie alla lavorazione della stoffa, attira fin troppo l’attenzione con quell’effetto ottico a farla sembrare un cielo stellato.

Alla fine ha deciso di non badarci troppo. È comunque destinato ad avere tutti gli occhi puntati su di sé, con o senza mantella. 

«Raddrizza la schiena,» lo richiama Enji con discrezione e fermezza insieme: «sta arrivando.» dice, e Shouto non ha bisogno di chiedere per sapere che si riferisce al suo corteggiatore. Sposta invece lo sguardo davanti a sé, notandolo senza difficoltà: la prima cosa di cui si accorge è che non è un viso familiare e questo, accostato al suo dimostrare più o meno la stessa età di Shouto, è già una stranezza di per sé. È vero che suo padre sta lentamente perdendo la pazienza con questa storia dei corteggiamenti e, soprattutto, dei loro esiti; tuttavia Enji non è il tipo di genitore che sceglierebbe un pretendente senza fare estrema attenzione alle sue origini. Non a caso, finora, Shouto non si è mai trovato di fronte un perfetto sconosciuto.

Il giovane fermatosi davanti a loro rivolge un inchino alla famiglia reale – educato, perfettamente in linea con la tradizione del corteggiamento del loro regno e all’etichetta in generale. A incuriosire Shouto, però, è il fatto che non vada oltre. Inchini come quello tendono a esagerare in eccesso per i motivi più disparati: devi saperli riconoscere, gli ha spiegato Hawks quando ha iniziato a interessarsi alla sua formazione, anche se Shouto non sa perché. 

Più saprai leggere il linguaggio del corpo di chi hai davanti, aveva proseguito Hawks, meno dovrai preoccuparti delle bugie che ti racconteranno.

L’inchino del giovane davanti a lui è cortese, ma è anche meno rispettoso di quanto sembri a una prima occhiata. Non è tipico di qualcuno in soggezione nel trovarsi di fronte al re, anzi. Al di là di questo, però, è un ragazzo come tanti: l’abito blu e bianco rispetta il dress code imposto ed è di buona fattura, anche se non ostenta il pregio dell’alta aristocrazia. Fascia un fisico discretamente allenato. Il suo viso ha dei bei lineamenti, anche se qualcosa nella sua espressione disturba Shouto in un modo che non saprebbe spiegare. I capelli sembrano essere sistemati con cura, pettinati all’indietro, ma ha più l’aria di essere un’acconciatura da occasione anziché naturale.

Il corteggiamento, purtroppo per Shouto, non inizia nella discreta condivisione di uno spazio appartato o durante una passeggiata in giardino, per darsi modo di cominciare a conoscersi. Il primo approccio avviene davanti a tutti, con una presentazione ufficiale e una dichiarazione d’intenti abbastanza inutile, dal momento che persino i muri sono a conoscenza del perché questo ragazzo, Momo prima di lui e chiunque li abbia preceduti abbia attraversato questa sala. 

Shouto osserva davanti a sé e incrocia lo sguardo dell’ennesimo sconosciuto che il mondo si aspetta diventi, in un mese appena, la sua scelta per la vita. O il suo compromesso, se decidesse di arrendersi all’idea che il matrimonio per amore non può esistere.

È un contatto visivo veloce, il loro. Shouto si alza, si muove in modo meccanico verso di lui, scendendo i pochi gradini che li separano. Il giovane lo guarda e gli offre un sorriso cordiale. A Shouto non sembra che raggiunga i suoi occhi, e questo gli dice già più di quanto vorrebbe sapere. Allunga una mano verso di lui e non c’è esitazione nel gesto con cui l’altro gliela prende, con delicatezza, avvicinando il proprio viso finché la sua fronte non ne tocca il dorso. Una promessa di corteggiamento, espressa in una perfetta esecuzione.

«Principe Shouto,» pronuncia con tono pacato, una voce piacevole da ascoltare «mi chiamo Hitoshi. È un onore.» cosa?, si chiede Shouto fissandolo, corteggiarmi? Essere invitato?

Dubita gli ci vorrà meno di una settimana per scoprirlo. Alla fine la motivazione è la stessa quasi per tutti.

«Benvenuto.» Shouto si sforza di riservargli la stessa accoglienza cortese che ha avuto per tutti gli altri:  «Melin faegri cloyen.» lo accoglie, perché così vuole la tradizione. Puoi custodire la mia anima, è la risposta che si dà, la concessione del proprio cuore per il tempo di un corteggiamento. Diventano parole vuote, quando le si ripete senza crederci davvero a una persona dopo l’altra. 

Shouto ormai dubita di avere qualcosa da offrire con quella frase. Anche se la sala la accoglie con uno scroscio di applausi che gli fa venire la nausea. 

*

Alla fine della serata Shouto ha chiare solo due cose: la prima è che Hitoshi ha interesse a far sì che questo corteggiamento vada bene tanto quanto ne ha Shouto – ossia nullo. Per tutto il ricevimento non hanno fatto che scambiarsi poche parole di circostanza, tutte da manuale e nei momenti giusti, con qualche nobile o Fuyumi a portata d’orecchio. Al di fuori di quei momenti, però, non c’è stato altro oltre il silenzio tra loro.

L’altra cosa di cui è certo è che sarà un lungo mese.

*

«Ti aspetti che vada così male?» la voce di Midoriya lo riporta alla dura realtà dalla quale ha cercato di fuggire dopo una colazione non disastrosa, ma discutibile: silenzio completo se non per pochi, generici argomenti tirati fuori da suo padre in un atroce tentativo di suscitare un interesse reciproco che non c’è né in lui, né in Hitoshi. Persino Hawks, presente nella stanza da un certo punto in poi - sebbene non seduto a tavola con loro - ha fatto un cenno quasi impercettibile in direzione del re.

«Non siamo interessati, nessuno dei due.» liquida la questione con un’alzata di spalle «Né al corteggiamento, né a conoscerci. È diverso da Momo.» aggiunge. Quando sposta lo sguardo su Midoriya, lo trova a fissare un punto imprecisato della stanza; lo ha visto perso nelle sue elucubrazioni per troppi anni per non sapere quando è inutile parlargli. Lo lascia ai suoi pensieri, quindi, tenendosi occupato con altro nell’attesa. Un plico di fogli lasciati da Hawks, con in cima uno ad attirare la sua attenzione. Una volta preso tra le mani gli basta leggere poche righe per capire che si tratta di discutibili consigli di coppia, presi e riordinati in più punti, forse riassunti da qualche stupido volume sul corteggiamento tradizionale e con commenti non richiesti. 

Fa schioccare la lingua contro il palato in un verso stizzito, distratto da Izuku quando finalmente decide di parlare: «Dici che è probabile sia il figlio di qualche nobile meno conosciuto, ma ho la sensazione di averne già sentito parlare… forse dovete solo trovare qualcosa in comune.» gli fa notare, con un mezzo sorriso. Se ci riflette con razionalità, Shouto sa di dover almeno essere un buon padrone di casa, ma pretendono faccia molto di più e, anche se Hitoshi non è un diretto responsabile, Shouto vorrebbe che si rifiutasse di restare così da risparmiare a entrambi di fingere gli importi qualcosa. 

«Magari nemmeno lui ha potuto scegliere.» suggerisce Izuku.

Shouto gli fa un cenno del capo che significa tutto e niente; vorrebbe non dover essere lui quello da cui ci si aspetta conforto per gli altri.

*

La biblioteca è diventata presto il posto preferito di Shouto. La prima volta che ci è entrato stava iniziando diverse attività mai fatte prima - lezioni di spada, di storia, di geografia, di lingua, di ballo… troppe cose tra le quali è riuscito a interessarsi abbastanza a tutto senza entusiasmarsi per nessuna disciplina in particolare. Sua madre era già assente da buona parte della sua vita e Shouto aveva la dolcezza di Fuyumi, la forza di Natsuo e un padre da odiare e contraddire in qualsiasi modo possibile e alla portata di un ragazzino. Aveva bisogno di un sacco di cose, allora, soprattutto di un posto per nascondersi: entrò in biblioteca per puro caso.

Il legno degli scaffali e dei due ampi tavoli centrali ha sempre catturato la luce del sole in un modo inaspettato. Mobili scuri tendono a dare l’impressione di essere in stanze piccole e buie ma, complici le grandi finestre e il pavimento in marmo chiaro, Shouto ha sempre trovato la biblioteca del palazzo un luogo accogliente, capace di prendere tutto il suo nervosismo e la sua rabbia e renderli insignificanti come granelli di polvere. 

I giorni di pioggia come oggi, però, li preferisce; certo, deve abbandonare l’idea del sole a filtrare dalle finestre, ma il suo posto preferito acquisisce tutto un altro senso, se possibile, in quelle condizioni. Fuyumi ama ricordargli di quella volta in cui, intorno ai dodici anni e dopo l’ennesimo litigio con Enji, aveva finito con lo sparire per ore mandando nel completo panico ogni singolo servitore lì a palazzo. Lo avevano ritrovato per puro caso, in biblioteca, accoccolato su una sedia contro la finestra. Nemmeno i tuoni lo avevano svegliato. 

Il cielo scuro e carico di nubi sembra quasi brontolare, illuminandosi di tanto in tanto per preannunciare tuoni che ancora si sentono solo in lontananza. La pioggia invece si abbatte contro i vetri delle finestre già da più di mezz’ora. Shouto è riuscito a liberarsi di Hawks - anche se, sospetta, Hawks deve avergli permesso di liberarsi di lui - per sgattaiolare in biblioteca, verso la sua oasi di pace. Da anni, ormai, a quella sedia ne è stata sostituita una più confortevole, è stato aggiunto un tavolino molto più piccolo dei due principali dove Shouto ha studiato giorno dopo giorno. Si trova ancora vicino a una delle finestre, ma a una di quelle laterali, così da essere più nascosto agli occhi di chiunque entri grazie agli scaffali.

Non sente Hitoshi arrivare. Lo vede riflesso nel vetro contro il quale Shouto ha appoggiato la fronte per bearsi del silenzio e della pioggia. Instaurano un contatto visivo e, per qualche istante, si guardano a quel modo senza dirsi nulla. Shouto vorrebbe chiudere gli occhi e illudersi non solo che basti a essere lasciato da solo e in pace, ma anche che non diventi il primo di una lunga serie di indizi per il rifiuto che Hitoshi è destinato a vedersi rivolgere da qui a quattro settimane. Per quanto la tentazione sia forte, non è sicuro di voler essere additato come qualcuno incapace di mostrarsi ospitale: soprattutto se la sua prima impressione sull’altro dovesse rivelarsi giusta. 

Si volta per poterlo guardare direttamente, ma Hitoshi parla prima che possa farlo lui: «È qui che si nasconde l’erede al trono, quindi.»

Non c’è un’accusa nelle sue parole, ma nemmeno comprensione o solidarietà. Shouto non è granché a cogliere le sfumature delle persone, specie quelle molto complesse o molto brave a fingere, come spesso gli ricorda Hawks - che è, ironicamente, il miglior esempio di entrambe le categorie. Shouto forse non saprà mai inquadrare le persone come lui o come Hitoshi, ma gli sembra abbastanza semplice notare un pizzico di provocazione in quella singola frase.

«Chiunque si nasconderebbe dal quarto corteggiamento in cinque mesi.» ribatte, sulla difensiva, del tutto conscio di come suoni quanto detto: scortese. E tutt’altro che ben disposto verso chi dovrebbe corteggiarlo per le prossime quattro settimane. Hitoshi curva le labbra in un sorrisetto lieve, ma divertito; l’espressione sul suo viso, sebbene non meno criptica di come sia stata finora, lascia intravedere una scintilla di interesse. Di sicuro non si sente offeso abbastanza, dal momento che anziché girarsi e andarsene sembra avere tutte le intenzioni di restare. Shouto lo vede guardarsi intorno e sparire dietro uno scaffale, solo per ricomparire poco dopo portando con sé una delle sedie utilizzate ai due tavoli principali della stanza. Lo segue con lo sguardo, senza dire nulla, finché Hitoshi non prende posto di fronte a lui. Gli abiti, più semplici rispetto a quelli della sera in cui sono stati presentati, gli danno un’aria vagamente più amichevole. Almeno finché rimane in silenzio. 

«Di solito in posti come questo non si è così sinceri riguardo al non volere qualcuno tra i piedi, o sbaglio?» lo interroga Hitoshi, guardando fuori dalla finestra.

La sua domanda suona a metà tra una battuta e una sincera curiosità. Shouto lo studia, cercando di capire da quale lato pensa di più l’ago della bilancia. Alla fin fine, però, non fa davvero tutta questa differenza per lui. 

«In posti come questo» ripete usando le sue stesse parole «lo dici come se tu fossi abituato a un altro tipo di luogo. Ma mio padre non sceglierebbe qualcuno di esterno alla nobiltà.» fa notare, a sottintendere di non provare neanche a mentire su questo. Gli dà del tu, saltando a piè pari la formalità avuta fin dall’inizio con Momo, mostrandole un rispetto diverso. Momo, però, non sembrava cercare qualcosa in lui da usare a proprio vantaggio; Hitoshi invece sembra non fare nulla per nascondere quell’intenzione.

«Vostro padre,» replica Hitoshi con un’educazione impeccabile quanto artefatta «è rinomatamente un uomo incapace di accettare un “no” in risposta e il fatto che quel “no” arrivi da suo figlio, mese dopo mese, su una questione importante come il matrimonio del suo successore lo rende più incline alle sviste.» fa notare, puntando lo sguardo su di lui: «Non a caso, rispetto all’erede degli Yaoyorozu, io sono di un ceto molto diverso.»

Shouto rimane in silenzio, ma non perché non lo stia ascoltando, tutt’altro. Parte di lui è quasi colpita dal modo in cui il giovane parla del re in toni che nessuno oserebbe usare; dall'altra non capisce quante bugie e quante verità ci siano nelle sue parole. È vero che lui stesso non ricorda il nome di Hitoshi o di averlo mai incontrato prima in occasione di qualche ricevimento, però.

«Quindi?» domanda Shouto con cautela. Hitoshi sembra sorpreso nel sentirglielo chiedere - Shouto immagina si aspettasse altro da lui. Forse, riflette, è meno complicato di Hawks.

«Quindi penso vi stiate preoccupando per niente, principe.» lo sente rispondere. Nota la sua postura cambiare, farsi più rilassata; a modo suo Hitoshi sembra del tutto a suo agio, nonostante se ne stia lì, ospite da troppo poco per essersi già abituato. Nemmeno Shouto sente di avere quella naturalezza tra le mura di un posto che lo ha visto crescere. 

«Vedete,» pronuncia «non ho molto più desiderio di sposare qualcuno che non conosco di quanto ne abbiate voi. Ma, come ho detto, il re non è qualcuno di cui puoi rifiutare un invito che suona più come una concessione di immenso onore per essere stato scelto. Io sono in debito con una persona al punto da accettare di stare qui per un mese e corteggiare l’erede al trono, se necessario, pur di non crearle dei problemi.» spiega, come se fosse una seccatura ma qualcuno dovesse pur fare questo sporco lavoro e a lui costasse meno che ad altri: «Tanto più se il principe è famoso per rifiutare chiunque gli viene presentato, sempre e comunque.» aggiunge, un sorrisetto sghembo a piegargli le labbra.

Shouto sente di avere sentimenti contrastanti – in larga parte il sollievo di non dover fingere di essere interessato è un grande cambiamento e di certo più gradito di quanto lo stesso Hitoshi possa immaginare. È la prima volta, però, che Shouto ha davanti qualcuno il cui interesse principale è non essere scelto da lui.

Dà un’occhiata fuori dalla finestra: gli alberi hanno preso ad agitarsi di più, preannunciando finalmente l’effettivo scoppio del temporale che Shouto si aspettava da un po’. Si tira appena indietro con la sedia, così da alzarsi più agilmente. Percepisce lo sguardo di Hitoshi su di sé, ma non lo ricambia se non quando lo sente sbuffare divertito: «Potrebbe ordinarmi di congedarmi, sa?» gli fa presente. Shouto soppesa la cosa, non perché abbia l’idea di tornare seduto e di farlo, ma per decidere come rispondere, togliendosi di dosso la sensazione che qualunque cosa dica possa diventare un’arma per Hitoshi.

«Posso anche decidere di andarmene.» ribatte infine. 

Non si trattiene per vedere l’espressione dell’altro.

*

Il grande orologio a pendolo della stanza in cui, per anni, ha portato avanti i suoi studi - quando non passava il tempo nella biblioteca - continua a riempire l’aria di suoni sempre uguali. Tra questi ci sono anche il grattare della punta della penna contro il foglio e il picchiettare ritmico del piede di Fuyumi contro il pavimento, in uno dei punti liberi dal grande tappeto che funge da arredamento principale alla stanza. Shouto la guarda di sbieco quando è abbastanza sicuro di non essere colto in fallo, ben consapevole di cosa potrebbe significare incrociare gli occhi di sua sorella in questo specifico momento. Per sua sfortuna se c’è qualcosa che né lui né Natsuo sono mai stati capaci di fare, è spuntarla con Fuyumi. Potrebbero, certo, se volessero e se si trattasse di una prova di forza con la spada o di conoscenze specifiche di un’educazione maschile non ritenute necessarie per sua sorella. Purtroppo per entrambi Fuyumi li supera di gran lunga in due capacità in grado di rendere molto semplice la vite di corte, ma che in pochi sanno padroneggiare come lei: l’arte della pazienza e quella di superare entrambi in testardaggine quando qualcosa non rientra nella sua sfera di giustizia.

Al momento il modo in cui Shouto sta casualmente evitando Hitoshi deve aver attirato troppo l’attenzione; a sua discolpa, non l’ha proprio nascosto quindi non è da considerare un vero fallimento. 

«Shouto, non potrai evitare di alzare lo sguardo per sempre.» la sente dire, un sospiro mal celato ma nel quale riconosce con discreta precisione quanto lunga la battaglia potrebbe essere. Fuyumi non sembra nemmeno lontanamente vicina a stancarsi di avere a che fare con un muro. Una parte di lui è molto orgogliosa di questo aspetto di sua sorella, consapevole di quanto l’abbia aiutata a rimanere il perno di una famiglia quando era ancora troppo giovane perché ci si aspettasse sul serio che lo fosse. Dall’altra, se la cosa gli si ritorce contro come ora, crede che il suo orgoglio di fratello minore vacilli molto. 

«Non puoi saperlo,» mormora, certo di essere ascoltato «sono molti documenti.»  

Di fronte a lui, Fuyumi sbuffa in quel modo tipico con cui cerca di non farsi sfuggire una risatina per mantenere il cipiglio severo del momento. Per un istante Shouto pensa che potrebbe quasi scamparla.

«Immagino di sì.» dice all’inizio, illudendolo di sentirla alzarsi per lasciare la stanza. In un certo senso lo fa – si alza, muove diversi passi ma anziché verso la porta lo fa verso il tavolo in legno dietro il quale si trova lui. Shouto alza lo sguardo proprio quando le mani di Fuyumi si poggiano sulla superficie lignea, non con violenza ma con fermezza. Si ritrova a instaurare un contatto visivo con lei d’istinto, prima di rendersene davvero conto. È troppo tardi per evitarla, ormai.

Fuyumi lo fissa in silenzio, cercando sul suo viso qualcosa che Shouto non sa nemmeno se sia davvero lì, nonostante lei sembri sempre trovarla: un segno, un accenno di espressione, un pensiero non nascosto a dovere. Alla fine sospira, piano, e i suoi lineamenti si ammorbidiscono spazzando via la severità e lasciando lo spazio alla comprensione: «Quel ragazzo continua ad andare in biblioteca e a rimanerci da solo da tre giorni. Tu sono tre giorni che rimani chiuso qui per fare cose a cui di norma ti dedichi in biblioteca. Non fingiamo tutti e due, non si tratta di una coincidenza. È davvero così terribile?»

Shouto aggrotta le sopracciglia, mostrando involontariamente un accenno di broncio; quello sembra sufficiente per Fuyumi, al pari di una risposta. 

«Non mi piace.»
«Nessun pretendente ti è mai piaciuto abbastanza finora, Shouto…» suggerisce con più gentilezza possibile Fuyumi. Forse lei percepisce prima di lui quanto la presa di coscienza e l’incapacità di ribattere qualcosa di sensato e razionale lo innervosisca, perché una delle mani si sposta per andare a posarsi in parte sulla sua. Ci vuole poco a Fuyumi per sfiorargli il dorso con la punta dell’indice, disegnando piccoli cerchi, nello stesso modo con cui lo aiutava a distrarsi dal ricordo di brutti sogni così da farlo riaddormentare più velocemente quando era bambino e gli mancava sua madre. Agli occhi di Fuyumi deve sembrare ancora lo stesso.

«Ascolta, Shouto,» riprende lei con fare confortante «prova a parlare con lui. Non devi avere paura che possa piacerti. Potreste sempre essere amici, com’è successo con Momo, e nessuno ti giudicherà se alla fine di questo mese di corteggiamento avrai un amico in più e un pretendente in meno.» gli assicura, cercando di nuovo un contatto visivo con lui per rivolgergli un sorriso incoraggiante ed essere sicura di essere vista. Lui non glielo nega, ma non può tenersi per sé un amareggiato: «Nessuno tranne il re e più di metà del regno, aristocratici compresi. Tutti quelli che si aspettano io smetta di fare il bambino.»

Fuyumi lo guarda con attenzione e un lampo di consapevolezza nel suo sguardo viene nascosto con prontezza; Shouto sa quanto sua sorella possa essere impietosa di fronte a chi minaccia in qualsiasi modo i membri della sua famiglia e quanto cerchi di non mostrarlo né a lui né a Natsu, così da risparmiargli qualcosa di cui preoccuparsi. 

«Lascia che parlino, allora.» dice con un rinnovato sorriso «Sarai re, Shouto, presto o tardi. Con o senza qualcuno a regnare al tuo fianco. Sarai un re giusto, perché hai un animo gentile, e nessuno potrà dirti cosa sarebbe meglio tu facessi. Soprattutto, nessuno potrà giudicare come deciderai di vivere e non oseranno farlo nemmeno adesso. Presto anche nostro padre lo capirà.» gli assicura.

Shouto non crede nella capacità empatica di Enji, ma vuole credere nelle promesse di sua sorella. Ciecamente.

*

Quando sente bussare alla porta Shouto non ha bisogno né di alzare lo sguardo né di provare a indovinare di chi si tratti: da quando ha mandato uno dei servitori a portare un messaggio a Hitoshi - un invito, per essere precisi - non ha fatto che fissare la porta in attesa. Si è ripetuto che questo sarebbe stato l’unico tentativo da parte sua: un singolo invito, una sola possibilità offerta. In caso di rifiuto, non sarà più un suo problema per il resto del mese di corteggiamento. Potrà dire a Fuyumi di averci provato e non sentirsi in difetto; poi evitare Hitoshi per il resto del tempo sarà la logica conseguenza e non dovrà sentirsi in dovere verso nessuno.

La porta si apre e il servitore rimane sulla soglia. Gli rivolge un inchino e pronuncia un: «Hitoshi-sama vi attende al piano inferiore.»

*

Hitoshi lo aspetta in fondo alle scale e Shouto non riesce a indovinare dalla sua espressione se l’invito sia stato accettato per costrizione o per reale, seppur minimo, interesse. Nemmeno quando Hitoshi lo nota arrivare e si volta completamente verso di lui. Lo vede almeno sforzarsi di accoglierlo con un mezzo sorriso e, si dice tenendo a mente le parole di Fuyumi, deve fare la sua parte. Così scende gli ultimi gradini e lo affianca; Hitoshi non perde tempo in convenevoli a cui, a questo punto, non crederebbe nessuno di loro due.

«Deve preoccuparmi questo invito? Dove mi portate, principe?» lo sente domandare. Shouto lo guarda di sottecchi, prima di fare un gesto verso lo stesso servitore a cui aveva affidato il suo messaggio, congedandolo: «Nella sala torture.» replica però, per non restare in silenzio e risultare scortese, invitando Hitoshi a seguirlo con un cenno della mano prima di incamminarsi. L’altro lo studia per qualche attimo, prima di iniziare a seguirlo, e Shouto lo sente dire «L’aspetto inquietante è che non riesco a capire quanto seria sia l’affermazione.»

Questo, Shouto lo ammette almeno a se stesso, lo soddisfa abbastanza da migliorare un po’ il suo umore. Il tragitto non è particolarmente lungo né complesso e Shouto lo ha percorso così tante volte da non aver bisogno di guardare dove stia andando. Nonostante questo, non intrattiene l’ospite con racconti di macabri aneddoti né niente di simile. Si limita a guidarlo per i corridoi stretti e arredati poco e nulla, rispetto all’area principale del palazzo; non si raccomanda di fare attenzione ai gradini quando ne incontrano alcuni, visto che l’illuminazione è buona e gli scalini davvero pochi e ben lontani dall’allungarsi verso improbabili celle sotterranee. Non incrociano anima viva, però, e Shouto si ferma a pochi passi da un pesante portone in legno massiccio. Nulla a che vedere con quello d’ingresso al palazzo naturalmente, né per dimensioni né per difficoltà nell’aprirlo da soli, ma nel complesso l’effetto non è accogliente. Solo allora rivolge uno sguardo aperto a Hitoshi, di fianco a lui, quasi a sincerarsi del suo essere pronto. 

L’espressione di Hitoshi non tradisce alcuna emozione, ma Shouto si fa bastare la rigidità della sua postura. Poggia una mano sulla porta e spinge, sentendola muoversi molto più facilmente di quanto ci si potrebbe aspettare, senza fare eccessivo rumore. Shouto non sa se Hitoshi stia provando a celare la sorpresa e quanta, ma gli fa piacere notare che non ci stia riuscendo del tutto. D’altronde immagina che nessuno si figurerebbe mai una cucina al posto della sala torture promessa. All’interno diversi servitori indaffarati si voltano in loro direzione e, nel notare di chi si tratta, Shouto li vede fermarsi uno dopo l’altro e aprirsi in ampi sorrisi come in un curioso effetto domino. Shouto avverte il proprio corpo rilassarsi, una rara occasione per lui, e per una volta non gli interessa che qualcuno – Hitoshi in questo caso – lo possa vedere. A tutto il resto del mondo potrà suonare assurdo o improbabile, ma le cucine sono e sempre saranno il suo posto preferito insieme alla biblioteca. 

«Principe Shouto» la voce allegra di una delle cameriere più grandi lo accoglie come farebbe qualcuno di famiglia che rivede dopo fin troppo tempo il nipote preferito «siete in fuga? Dobbiamo sbarrare le porte delle cucine? O lasciamo tutto il castello a digiuno?» domanda senza nemmeno celare l’entusiasmo e la complicità di chi non faceva che proporre le stesse cose quando lui era solo un bambino, e andava davvero in cerca di un rifugio. Tra le altre cameriere e le aiuto cuoca si scatenano risolini divertiti, mentre il capo della servitù – Haneda-san, già adulta nei ricordi d’infanzia di Shouto e dei suoi fratelli – dà un colpetto di ammonimento sulla spalla dell’altra. 

«Ci sono ospiti.» la redarguisce, accennando a Hitoshi. Gli altri sembrano registrare la sua presenza solo in quel momento, lanciandogli occhiate curiose. Shouto lo lascia in loro balia per qualche secondo, per poi decidere di essere una brava persona e risparmiargli scomode domande: «È il corteggiatore di questo mese.» lo presenta infine. Dal fondo della cucina, un punto poco precisato, arriva un «Lo avveleniamo?» sul quale Shouto finge di riflettere, lo sguardo su Hitoshi. Cerca anche di rivolgergli un sorrisetto come ne sono stati rivolti a lui, per essere più credibile – ma sa di essere tremendo in queste cose e abbandona l’intento quasi subito: «Per ora no.» concede. Contro (quasi) ogni previsione lo sente sbuffare divertito ma quando lo guarda trova la traccia di qualcosa di genuino nella sua espressione, anziché l’ostentata arroganza vista finora.

«Come ho detto» pronuncia Hitoshi guardandolo apertamente «non sono affatto sicuro di quanto voi stiate scherzando e quanto, invece, siate serio.»

Shouto decide di lasciargli il dubbio ancora per un po’, mentre si muove tra i tavoli da lavoro con una familiarità che non dovrebbe avere e invece ha. Sente Hitoshi muoversi dietro di lui fino a un tavolo più sgombro e addossato al muro per un lato; Shouto si siede sull’unica panca disponibile e lo invita a fare lo stesso. Quando sono entrambi accomodati, i servitori riprendono a muoversi come una macchina ben collaudata alla quale è stata ripristinata l’energia. Per quanto lo riguarda, potrebbero restare lì in silenzio per un tempo indefinito e Shouto si sentirebbe molto più soddisfatto che dopo una conversazione forzata.

Quando sbircia lateralmente per osservare Hitoshi con quanta più discrezione possibile, si stupisce nel trovarlo intento a osservare con vivo interesse la servitù. Non c’è nulla del modo in cui un aristocratico studia il loro lavoro per calcolarne il valore, ma c’è qualcosa nel suo sguardo che somiglia alla nostalgia. È un barlume sfuggente e si perde sotto strati di chissà cosa quando Hitoshi si accorge di essere osservato e rivolge a lui la sua attenzione. 

«Devo ammettere» pronuncia «che è la prima volta che l’oggetto del mio corteggiamento mi porta nelle cucine. Strano romanticismo.»

Mentre lo ascolta, intorno a loro tutti si muovono senza che la loro presenza li intralci. Da che ha memoria di piccole fughe in cucina, Shouto non ricorda una sola occasione in cui Haneda-san e gli altri abbiano visto in lui un impedimento. Il modo in cui ognuno di loro, anche adesso, fa avanti e indietro cosciente di averlo lì con Hitoshi senza mostrare il pensiero fisso di uno scomodo il principe è qui è e sempre sarà una delle cose preferite di Shouto. Anche come del semplice pane e formaggio viene offerto a lui e Hitoshi, quasi fossero due bambini venuti a reclamare la merenda di nascosto. 

«Mia sorella.» dice, neanche fosse la risposta a una muta domanda che Hitoshi non ha mai posto. Lui però non chiede chiarimenti, aspetta e basta, finché Shouto non parla di nuovo. Mantiene lo sguardo davanti a sé, su persone che lo chiamano “principe” come se fosse un nomignolo affettuoso anziché un titolo che lo fa sentire in gabbia.

«Fuyumi dice che forse anche tu qui ti senti costretto e potremmo essere amici. E, in ogni caso, che il primo passo dovrebbe essere il mio.»
«Per questo mi hai portato in cucina?» domanda Hitoshi ma, stavolta, a Shouto non sembra cogliere sarcasmo nella sua voce. Nota solo che anche l’altro ha abbandonato la formalità, dandogli semplicemente del tu.

«Ti ho portato in uno dei miei posti preferiti dove non porto nessuno tranne Fuyumi e Natsuo.» lo corregge Shouto. Rimangono in silenzio per un tempo molto lungo, circondati solo dai rumori della cucina e dal vociare di chi la occupa. Quando Hitoshi parla di nuovo, pane e formaggio tra le mani, non dice nulla di quello che Shouto si aspetta.

«Tua sorella sembra una brava persona.» lo sente pronunciare con tono morbido. Shouto non gli risponde, lasciandolo mangiare in pace, ma si concede un sospiro leggero.

*

Shouto osserva il messaggio tra le sue mani e riconosce senza problemi la scrittura di Midoriya, per lui familiare quanto quella di Natsuo o Fuyumi. In genere loro non si scrivono, specie considerato che le visite del suo amico d’infanzia sono permesse per tutto l’anno e senza invito dal re in persona; nel tempo e con l’aumentare di impegni e responsabilità per Shouto, però, hanno concordato un punto specifico della stanza in cui di solito passano il tempo insieme per lasciarsi brevi messaggi, nel caso in cui la permanenza di Midoriya sia breve e non coincida con un momento in cui Shouto può liberarsi dagli altri colloqui per lui. 

Sono poche righe, quelle lasciate da Izuku, in un vago accenno all’aver parlato con Fuyumi e mi ha detto che negli ultimi giorni va meglio con il tuo ospite, insieme a qualche altro accenno a questioni di poco conto. Shouto fissa quelle parole e può quasi immaginare sua sorella fare un piccolo resoconto a Izuku – Shouto sa che è mossa dalle migliori intenzioni, felice di vederlo evitare di chiudersi completamente. Mentirebbe se dicesse di aver sbagliato a seguire il consiglio di Fuyumi o che non abbia portato a dei risultati.

Ormai Hitoshi è loro ospite da quasi due settimane e, sebbene siano ancora lontani dal potersi considerare qualcosa di simile all’essere amici, Shouto ha notato che dalla loro breve fuga nelle cucine qualcosa in Hitoshi sembra essersi ammorbidita, anche se solo un po’. Anche se appena sufficiente ad avere conversazioni banali e niente di più. 

È difficile per lui capire il giusto senso della distanza con un ragazzo; con Momo l’etichetta e quanto considerato appropriato e rispettoso nei confronti di una giovane donna non impegnata hanno segnato confini ben precisi e spianato la strada per lui. Ma Hitoshi è un uomo e gli unici uomini a cui Shouto è vicino sono suo fratello - il quale dunque non fa testo essendo sangue del suo sangue - e Izuku, al suo fianco da troppi anni e suo amico da un’età in cui è tutto molto più semplice. Shouto ha ammesso a se stesso di aver iniziato a pensare che Hitoshi potrebbe essere un’amicizia interessante.

Il modo giusto per passare da “conoscenti che in teoria dovrebbero corteggiarsi” ad “amici” è tutt’altra questione, però.

*

«Facciamo una pausa, principe.» dichiara il suo istruttore e Shouto si limita ad annuire. Abbassa la spada per poi rinfoderarla, sistemando distrattamente la manica della camicia leggera della sua tenuta da allenamento. Lo sguardo si sposta verso sinistra, mentre nel suo campo visivo rientrano sia Hitoshi sia il servitore intento ad avvicinarsi per offrirgli un panno con cui asciugarsi il sudore. Shouto non si definirebbe distratto dal fatto che per buona parte del suo allenamento Hitoshi abbia più che altro chiacchierato con un servitore, ma parte di lui non può fare a meno di domandarsi il motivo o l’argomento di conversazione. D’altra parte lo sguardo del giovane servitore - quattro o cinque anni meno di lui, a occhio e croce - non tradisce altro che ammirazione nel posarsi su Shouto. 

«Shouto-sama» lo chiama questo, offrendogli il panno pulito tenuto tra le mani finora «è vero che siete il più forte tra i nobili della vostra età?» domanda, pendendo dalle sue labbra. Shouto sente ridere il suo istruttore, un uomo con sulle spalle l’esperienza di troppi combattimenti per contarli, un po’ come le cicatrici su tutto il corpo. 

«Sua altezza sarebbe un soldato perfetto se gli scontri all’ultimo sangue lo motivassero un terzo di quanto motivano un giovane medio della sua età. Ma il nostro principe è come una diga, il che lo rende un potenziale ottimo regnante e un pessimo soldato.» fa notare, schietto come solo un uomo che lo ha cresciuto più di quanto abbia mai fatto suo padre potrebbe permettersi di essere. Shouto abbozza persino un sorriso, consapevole delle buone intenzioni dietro quelle parole e offrendo in risposta un: «Per questo è mio fratello Natsuo a essere nella Guardia Reale e non io.» al quale l’istruttore commenta con qualche aneddoto per lui già sentito e che lascia si perda nel nulla, più interessante per l’ospite di quanto possa essere per lui. Occupa il proprio tempo tamponando il sudore sulla fronte e sul collo, liberando la pelle dai capelli umidi che vi si sono appiccicati poco prima. 

Adesso, nota, l’attenzione di Hitoshi è su di lui. L’espressione altrui è rilassata, forse appena incuriosita, ma indovinare da cosa è fin troppo complicato e Shouto non pensa di voler nemmeno provare. Non quando può semplicemente chiedere.

«Ti interessa l’allenamento con la spada?»
«Non mi ci sono applicato più del minimo necessario.» confessa Hitoshi con una vaga alzata di spalle, quasi la questione non lo riguardasse. Shouto ricorda come l’altro abbia menzionato di venire da un contesto tutt’altro che aristocratico, o comunque dove è probabile l’istruzione non includa così tante attività quante quelle a cui si è prestato Shouto fin dall’infanzia, quindi non insiste oltre. Almeno finché non lo sente ammettere candidamente un «Io sono più un uomo di pensiero,» al quale non dà un significato preciso fin quando Hitoshi non fa un cenno del capo verso il servitore poco distante, ora, aggiungendo un più eloquente «e sono bravo ad ascoltare la servitù. Di solito rivelano di una persona più di quanto la persona stessa potrebbe mai dire.»

Shouto non può evitarsi di alzare un sopracciglio, perplesso, e anzi forse nemmeno si rende conto di farlo: «Perché impegnarsi ad arrivare alla servitù quando puoi chiedere direttamente a me?» domanda, ma al contrario di quanto avvenuto nelle cucine stavolta Hitoshi è bravo a mascherare qualunque reazione le sue parole possano avergli scatenato. Non offre nulla a Shouto perché lui capisca il suo pensiero in merito – Shouto non si ritiene stupido: sa bene quanto le persone possano mentire, tanto più alta è la loro posizione sociale e quanto più forte è il loro desiderio di renderla inattaccabile. Ma, erroneamente, ha pensato che condividere lo spazio di una cucina tra la servitù avesse detto già abbastanza di sé. Nel suo caso i gesti valgono molto più di parole con cui ha difficoltà a destreggiarsi, se non strettamente necessario in una situazione diplomatica.

Forse Hitoshi deve essere trattato come un nemico da portare dalla propria parte. Shouto lo guarda, ancora in attesa di sentire la sua risposta, e si chiede se non sia lui l’ingenuo inesperto a non aver capito fino a questo momento cosa aveva davanti sotto la maschera di un corteggiatore suo ospite. 

«Solo perché sembri migliore di altri, principe, chi mi dà la certezza che tu non menta?»
«Potresti mentire anche tu.» rimbrotta Shouto, abbastanza deciso a non prestarsi a questo giochetto mentale. Hitoshi sbuffa divertito, alzandosi dalla sedia che è stata predisposta per lui perché potesse osservare con comodità gli allenamenti del principe. 

«C’è qualcuno che non lo fa?» gli fa eco «Per lo status, per nascondere dei segreti, per vergogna. Esistono molte più ragioni per dire bugie rispetto a quelle per dire la verità.» 

Shouto rimane in silenzio e lascia che quelle parole lo colpiscano in pieno, gli trapassino la carne come una lama e gli si piazzino al centro del petto. È un processo quasi ossessivo quello che da bambino ha imparato ad avere per le parole, per capire quanto potessero ferirlo e quanto invece potessero essere ignorate: a un certo punto aveva dovuto trovare il punto esatto in cui farsi colpire, così da limitare i danni al minimo, ed era stato un continuo tentativo per prendere le giuste misure. Cercava con l’immaginazione di creare una situazione che potesse fungere da filtro per un’analisi che un bambino non dovrebbe poter fare in modo razionale, ed era come avere un pugnale che affondava lentamente nella carne e Shouto aspettava. Se gli sembrava che la ferita cominciasse a sanguinare prima che la lama si fermasse, allora quelle erano parole da cui tenersi lontano e da evitare in tutti i modi. Ma se la ferita era a posto, se rimaneva fine a se stessa, se lui non sanguinava affatto allora significava che dopo il dolore immediato non ci sarebbero state ripercussioni ingestibili. Allora non valeva la pena gestire la causa. 

«E i reali hanno così tanti segreti che, alla fine, trapelano anche quando non vogliono o non ne parlano, giusto?» sente aggiungere a Hitoshi, prima di avere una risposta su quanto le sue parole precedenti abbiano colpito un punto scoperto. E nessuna bestia offre il fianco abbastanza da farsi ferire due volte nello stesso punto senza attaccare a sua volta. Shouto si volta, muovendo qualche passo lateralmente verso dove vengono tenute le armi in legno che ormai utilizza pochissimo ma quasi abusate all’inizio, quando si doveva imparare senza rischiare inutilmente. Recupera due spade di legno, lanciandone una ai piedi di Hitoshi. 

«Vediamo quanti ne hai imparati, allora. Ti piace osservare, giusto? Avrai appreso qualcosa di sicuro.» commenta, freddo, dandogli le spalle per tornare verso lo spazio aperto usato per l’allenamento fino a poco prima. Non lo degna di uno sguardo né controlla se il suo invito sia stato effettivamente accettato - ma sente, a un certo punto, i passi sull’erba dietro di lui. 

Riconosce anche l’occhiata del suo istruttore, un misto di curiosità, divertimento e ammonimento. Lo ignora, limitandosi a fermare i propri passi e voltarsi; Hitoshi è, prevedibilmente, a poca distanza da lui con la spada di legno raccolta a terra in mano. Shouto si mette in guardia e aspetta: la postura di Hitoshi, sebbene tradisca l’aver appreso almeno le nozioni base del duello, è più indolente della sua. Shouto non sa se sia una tattica o il massimo che l’altro possa offrire, ma decide di non fare l’errore di sottovalutarlo. Un breve inchino da parte di entrambi, l’incrocio di lame di legno e poi tutti e due fanno un passo indietro in un’evidente scelta dello stesso approccio: una prudente osservazione dell’avversario. A questo punto Shouto nemmeno se ne stupisce più.

Persino Hitoshi deve essere consapevole del fatto che non possono girarsi intorno in eterno. Così, proprio come Shouto prova un paio di affondi calcolati, così fa Hitoshi; a tratti è quasi come duellare con se stessi.

«Quello che fatico a capire di te, principe» parla Hitoshi, al quale evidentemente un duello di allenamento sembra un momento più adatto alla conversazione di quanto potrà mai esserlo una tazza di tè nel pomeriggio «è perché, ogni volta che l’argomento non ti piace, finisci a trincerarti dietro silenzi e proposte brusche, se ti reputi tanto diretto e sincero.» gli fa notare con un sorrisetto sghembo. Tenta un nuovo affondo, ma nella facilità con cui riesce a evitarlo Shouto riconosce una quasi totale assenza di vere intenzioni di colpirlo. Non si stupisce, quindi, di sentirlo parlare di nuovo: «Forse, alla fine, sei come tutti gli altri nobili o proprio come la famiglia reale viene descritta nei sussurri tra i corridoi.»

«Verrebbe da chiedersi perché tu sia venuto fino a qui, a corteggiare qualcuno di cui hai una bassa considerazione.» replica Shouto, tentando un colpo senza troppa convinzione, più interessato a come l’altro lo schiva «Ah, già. Perché il tuo fastidio verso il re non supera la paura di dirgli di no.»

Sente Hitoshi sbuffare divertito e, per una frazione di secondo appena, Shouto cerca il suo viso: «Wow. Era sarcasmo, quello?» chiede l’altro, retorico, compiendo un paio di passi laterali per provare a sbilanciare la guardia di Shouto e colpire. Quel semplice movimento chiarisce a Shouto una provenienza umile da parte dell’altro e la probabilità di un modo di combattere ben lontano dall’etichetta di un duello nobiliare - se riconosce tutto questo lo deve alle origini dell’uomo che l’ha addestrato e il cui stile di combattimento somiglia molto più a quello di un mercenario che a quello di un cavaliere.

«Non sfido un re perché sarebbe stupido e questo re, nello specifico, è famoso per molte cose ma non certo–» continua Hitoshi, interrompendosi per evitare un colpo di Shouto. Lo fa con un saltello laterale ed è una scelta talmente inusuale anche al di fuori degli standard di alcuni mercenari che Shouto reagisce con un secondo di ritardo, sentendo la spada altrui sfiorargli la coscia sinistra: «ma non certo» riprende Hitoshi, un’espressione soddisfatta «per il perdono. Non è di questo che sussurrano i servitori di tutte le casate nobiliari? Del re senza regina, il cui primogenito che ha osato sfidarlo è sparito chissà dove, tanto che sarà il più piccolo a ereditare il trono anche se nella linea dinastica non dovrebbe? Basterebbe ascoltare un’opinione diversa dalla propria per sapere che il regno pensa abbia terrorizzato anche i suoi fig–»

Shouto sa bene quali sono le voci che girano sulla famiglia reale: nessuna confermata, ma nemmeno smentita, suo padre non è mai stato in grado di scovare chi continuasse a far circolare i pettegolezzi né a fermarli. Forse nessuno sarebbe mai stato in grado di farlo. Tra le parole (le provocazioni) di Hitoshi ci sono più verità che menzogne e, in ogni caso, Shouto non ha mai avuto interesse nel cancellare la macchia sulla reputazione di suo padre semplicemente perché ha smesso di tenerci ormai troppo tempo fa. Quella ferita ha sanguinato, e sanguinato, e sanguinato mentre lui cercava di capire come fermare il dolore. Finché quella parte di lui non è morta dissanguata, come un qualsiasi soldato in guerra. Da allora la rabbia ha preso il posto del dolore e suo padre ha smesso di essere qualcosa per cui combattere.

Per questo quello che gli monta dentro in parte spaventa anche lui: perché è rabbia, ma è anche un dolore lancinante - è l’impotenza di Natsuo, la resilienza di Fuyumi pagata a caro prezzo, l’assenza di un fratello che ormai non riesce più a ricordare. Ma, più di tutto, è la mancanza di sua madre. Toccare questo è come affondare una lama nel suo cuore, come uccidere chi ama e aspettarsi che lui rimanga fermo a guardare. È il tipo di odio che pensa provi suo padre e la sola idea di essere come lui–

«Principe! Principe Shouto!»

Fa in tempo a registrare il viso di Hitoshi, paonazzo, e la propria spada di legno premuta contro la gola altrui a mozzare il respiro, prima di sentirsi tirare via di peso dal suo istruttore. Lentamente registra le voci concitate dei pochi servitori presenti, l’uomo che lo trattiene ordinare di scortare Hitoshi nelle sue stanza e chiamare Hawks. 

Ciò che vede Shouto, però, è Hitoshi massaggiarsi la gola offesa, tossire mentre l’aria torna a fluirgli nei polmoni. Questa è la rabbia che a volte sembra consumarlo come il fuoco con la legna, è la stessa ira che ricorda sul volto di suo padre fin dall’infanzia. Questo è quello che sta diventando.

«Principe…?»
«Mandatelo via.» pronuncia, secco, quasi trattenendo il respiro. Anche quando Hitoshi è in piedi e lo sente muovere dei passi verso di lui, forse per accusarlo o schernirlo o - peggio ancora - dirgli che sta bene, nonostante tutto: «Mandatelo via!» ordina, affondando il viso tra le mani.

Questo è ciò che non sarebbe voluto diventare mai.

 

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Capitolo 2
*** Attempt ***


Ha un ricordo vago del tragitto dalla zona in cui si è allenato e ha aggredito Hitoshi ai suoi alloggi. Shouto però si ricorda del momento in cui Hawks è arrivato, ha varcato la soglia della sua stanza, lo ha squadrato e ha detto ai servitori «Lasciateci.» ottenendo in un attimo la privacy alla quale Shouto vorrebbe attribuire un raro momento di pace. Invece ora che la porta si è appena chiusa dietro le spalle dell’ultimo servitore uscito, lo sguardo di Hawks pesa come un macigno su di lui.

Quest’uomo che oggi vanta di essere il consigliere del re è semplicemente apparso, così dal nulla, portando con sé la preziosa informazione di un tradimento ai danni della corona. Shouto era poco più di un ragazzino, ma si è chiesto - come chiunque - quanta verità ci fosse nelle parole di quel giovane. Se lo è domandato per quasi tre anni, prima che le azioni e la lealtà di Hawks fossero sufficienti anche per lui. Da allora, l’uomo ha dispensato consigli non solo al re in veste ufficiale, ma anche ai suoi figli; non è il confidente che Shouto ha trovato in Izuku, ma è qualcuno che ha saputo indirizzarlo quando necessario. 

Shouto non ha bisogno di chiedere per sapere che Hawks reputa stupido e fuori luogo, nonché gratuitamente violento, quanto avvenuto con Hitoshi. Vorrebbe pensarla diversamente, anziché essere mangiato vivo dal rimpianto e dal senso di colpa senza che sia passata meno di un’ora. 

Apre bocca per dire qualcosa - senza sapere nemmeno lui cosa potrebbe mai dire di utile - ma Hawks lo ferma con un gesto della mano, prima ancora che possa emettere un suono: «So già quello che mi serve sapere» lo anticipa, sottintendendo qualche veloce resoconto del suo istruttore, con ogni probabilità. Gli occhi di Hawks sono fissi su di lui, le braccia incrociate al petto. 

«Ti ha colpito dove sapeva di andare sul sicuro,» pronuncia, quasi fosse una lezione «solo che sulle sue intenzioni puoi ancora dare il beneficio del dubbio. La cosa certa, invece, è che hai risposto nell’unico modo in cui non avresti dovuto rispondere. Sei migliore così, o almeno dovresti esserlo. Se pensi diversamente, allora non ti impegni a sufficienza, considerato che presto o tardi sarai tu il re.» lo rimprovera in quel modo tipico di Hawks: come se non lo riguardasse oltre un certo limite e, anzi, ne fosse quasi annoiato. 

«E cosa deve fare, un futuro re?» domanda, ma non perché si aspetti una reale risposta. Hawks, però, conosce la retorica molto meglio di lui. 

«Se re Enji cercasse di soffocare o in generale aggredisse chiunque dice qualcosa che lo irrita, probabilmente l’aristocrazia avrebbe molti meno membri di quanti ne conta ora.» fa notare Hawks. Shouto può razionalmente capire, ma il punto è che comprendere con la logica o meno non fa una grande differenza. La verità è che se le parole di Hitoshi fossero state solo offese e congetture, anziché così vicine a cogliere nel segno, a smascherare i delicati e privati segreti di una famiglia distrutta da troppi anni, Shouto avrebbe potuto ignorarlo. Così come ha fatto con tante altre parole, alcune pronunciate da chi era convinto che lui non fosse in ascolto. 

«Peccato che non abbia avuto per noi la stessa attenzione mostrata agli altri, allora.» commenta alzando lo sguardo su Hawks alla ricerca di una reazione che non arriva. Riesce solo a ottenere di vederlo sospirare. 

«Non entrerò nella faida tra te e tuo padre. Io devo istruirti al meglio di quello che posso, a essere un re capace di restare sul trono per più di una settimana. In questo senso ti dico: potrà non piacerti come ti si è rivolto, oppure i tasti dolenti che ha toccato. O le sue origini di strada fin quando Aizawa non l’ha adottato ufficialmente facendone il suo erede, per quanto non si parli dei vertici dell’aristocrazia. Ma mi rendi difficile cercare di non far volare la tua testa per una vendetta di poco conto se ti circondi di più nemici di quanti tuo padre sia riuscito ad avere negli anni, e già quelli non sono pochi.» sciorina Hawks, dandogli più informazioni di quante Shouto sia pronto a gestire. Questo non gli impedisce di focalizzarsi sul resto del suo discorso, rimandando a un secondo momento tutto il resto: «Ti piaccia o no, però, l’hai gestita come un ragazzino immaturo qualsiasi, quando sei un uomo ormai, e di sangue reale. Perciò adesso puoi scegliere solo due opzioni.» aggiunge il consigliere, senza lasciargli modo di intervenire. 

Cresci e chiedigli di perdonarti, oppure congedalo e prega che non racconti a tutto il regno cosa li aspetterà quando re Enji deciderà di abdicare.

*

Il lato negativo di non essere mai stato un figlio problematico è la scarsa abitudine a sentire su di sé lo sguardo di chi si aspetta di vedere un passo falso alla prima occasione. Shouto sa che Hawks, in verità, è soltanto in attesa dell’arrivo di Hitoshi, per valutare se il danno fatto sia stato mitigato o se dovrà intercedere per evitare che ogni singola persona presente al ricevimento di questa sera arrivi alla fine con molti elementi e una buona storia per screditare il principe ereditario. Shouto decide di fare qualche passo verso sua sorella, così da allontanarsi dal consigliere e da offrire a se stesso una distrazione da un possibile disastro su gambe che non si è ancora palesato nella sala.

Com’era prevedibile, suo padre non si è imposto freni di alcun tipo nel decidere come addobbare a festa la sala principale usata per i ricevimenti, trattandosi del compleanno della sua unica figlia femmina. Né l’aspetto, né gli invitati in arrivo uno dopo l’altro offrono molta speranza a Shouto per una serata che non lo priverà di qualsiasi energia sociale entro la fine e per almeno due giorni. Fuyumi, molto più adatta di lui a questo tipo di situazioni, è poco distante dal centro della sala e dunque facile sia da individuare che da raggiungere; diversi invitati stanno conversando con lei, protagonista della serata, per poi disperdersi in vari punti del salone. 

Sua sorella ha scelto colori tenui per i fiori e per il suo abito, dimostrandosi generosa abbastanza da non renderli obbligatori anche nel dress code, risparmiando a entrambi i suoi fratelli di vestire improbabili sfumature pastello che sarebbero state tremende su Shouto e del tutto ingestibili su una divisa da Guardia Reale di Natsuo. Lei, con il corpo fasciato da un abito semplice e di color azzurro tenue, con un accessorio floreale discreto tra i capelli, è l’unico membro della famiglia a poter risultare grazioso. Quanto a Shouto, per puro amore della sorella, ha optato per un abito non troppo dissimile da quello indossato durante l’arrivo di Hitoshi a palazzo, eliminando la mantella dono di sua madre e dunque la trama stellata della stoffa interna che poco si sarebbe coordinata alla serata, concedendosi un fiore simile a quello della sorella. 

Il suo arrivo non passa inosservato ai due giovani intenti a complimentarsi con Fuyumi per la scelta dei fiori della sala - Shouto riconosce in loro gli eredi del casato Hado e Togata - ed entrambi concentrano l’attenzione su di lui quando affianca sua sorella. Mirio è il primo ad aprirsi in un sorriso amichevole, seguito da Nejire; Shouto ricambia, guardandosi intorno per qualche attimo prima che Mirio anticipi la sua domanda con un: «Tamaki si scusa per non essere potuto venire,» intuendo l’oggetto della ricerca silenziosa di Shouto «purtroppo è lontano per alcune questioni ufficiali.» spiega brevemente. Sebbene non lo dica, Shouto può immaginare facilmente che tra le due opzioni l’erede degli Amajiki avrebbe probabilmente scelto di essere presente al ricevimento, se avesse potuto, anche solo per potersi schermire dietro i due amici d’infanzia in un contesto sociale da cui tende a rifuggire se non strettamente necessario. Shouto annuisce, decidendo di non infierire - ha sempre sentito un po’ un’affinità con quel lato di Tamaki, da quando sono stati presentati la prima volta e Shouto aveva appena quattordici anni. 

Nejire lo osserva e, prima che Shouto possa rivolgerle appieno la propria attenzione e cercare di anticipare le sue parole, lei gli rivolge uno schietto: «Avevo sentito che hai un nuovo corteggiatore, non lo hai cacciato prima ancora di arrivare a metà del periodo di corteggiamento, vero?» il tono scherzoso di chi non si cura troppo della differenza di status sociale con il proprio interlocutore, se lo considera alla stregua di un cuginetto pestifero da almeno cinque anni. Quello è un aspetto di Nejire al quale Shouto si è affezionato in fretta, quasi senza accorgersene, affascinato durante l’infanzia da un atteggiamento tanto naturale e tanto raro nei suoi confronti. Vorrebbe poterle dare una risposta concreta, ma la verità è che Hitoshi non è in sala e lui non è sicuro di come sia stato accolto l’invito che gli ha mandato personalmente - non perché ce ne fosse bisogno, ma per il modo catastrofico in cui si sono lasciati l’ultima volta che si sono incontrati tre giorni fa. Ossia quello finito con una spada di legno premuta contro la gola. 

Fuyumi lo occhieggia, forse non a conoscenza di tutti i dettagli di quanto accaduto, decisa a intercedere per lui con un «Ho lasciato detto a Hitoshi di sentirsi libero di unirsi a noi quando preferiva e solo se non si sentiva troppo stanco.» la sente pronunciare, affabile «Va detto che si è unito al corteggiamento in un periodo dell’anno in cui tendiamo ad avere diversi ricevimenti qui al castello, alcuni dei quali forse non aveva preventivato e che potrebbero essere un po’ troppo. Non volevo si sentisse costretto a presenziare, almeno finché Shouto non prenderà la sua decisione.» ammette, riuscendo a distogliere l’attenzione di Nejire dalla questione, almeno per il momento. In verità Shouto sospetta che l’erede degli Hado sia troppo intelligente per essere semplicemente sviata, ma proprio per questo che sappia capire in quali occasioni insistere e in quali lasciar educatamente scivolare via un argomento e concentrarsi su altro. 

Né lui né Fuyumi, tuttavia, si aspettano di sentire la voce di Hitoshi raggiungerli alle spalle con un educato: «E ho molto apprezzato la premura,» portandoli a voltarsi appena in sua direzione, trovandolo con un sorriso garbato a piegargli le labbra «ma non giocherebbe molto a mio vantaggio non essere presente al compleanno della sorella del principe che sto corteggiando.» fa notare, una nota giocosa nel tono di voce. Shouto non gli stacca gli occhi di dosso, cercando qualche dettaglio che possa fargli capire quanto la presenza altrui sia dovuta all’aver ricevuto il suo messaggio e quanto invece a una pura formalità. Dall’aspetto Hitoshi sembra essersi del tutto ripreso e, più in generale, non aver riportato alcun tipo di ferita evidente; se qualche segno è rimasto sul collo, vederlo con il colletto rigido e alto della giacca del suo abito è impossibile. Potrebbe essere voluto quanto casuale e Shouto sente il senso di colpa riaffacciarsi con prepotenza. 

*

Incredibile ma vero, per una buona porzione della serata Shouto e Hitoshi non hanno materialmente il tempo di stare insieme abbastanza da doversi mostrare come due persone interessate l’una all’altra. Tuttavia, quando gli invitati sono stati accolti e salutati uno per uno e ormai il ricevimento è ben più che avviato, Fuyumi lo rassicura e lo incita a raggiungere Hitoshi così da non lasciarlo da solo tra gli altri invitati e Hawks gli rivolge un sorriso che non si estende agli occhi e risulta ben più eloquente di qualsiasi discorso. Shouto sa bene che sottrarsi a lungo potrebbe solo insospettire la maggior parte dei presenti e, in ogni caso, capire in che rapporto si trovino ora lui e Hitoshi è qualcosa che in fondo preme a lui per primo. Così lo sguardo scivola tra nobili e servitori, discreti nel loro serpeggiare tra le persone per assicurarsi che a nessuno manchino cibo e bevande. Non si sofferma né sull’orchestra nella parte opposta della sala rispetto a dove si trova lui, intenta a suonare un brano per un ballo dalle note allegre, né sulle figure che occupano la pista da ballo divertendosi al ritmo della musica. Per sua fortuna, Hitoshi non è troppo difficile da scorgere sia per i suoi capelli sia perché Shouto non si aspetta di trovarlo al centro di ampi gruppi di conversazione. Così lo nota, vicino a una delle pareti e intento a sorseggiare una delle bevande fruttate, gli occhi sulla pista da ballo a cui è probabile non stia dando la sua reale attenzione. 

Comincia a muoversi in sua direzione, passando di lato rispetto all’area occupata da chi sta ballando, soffermandosi più brevemente possibile con chi lo ferma - cercando di non sembrare troppo desideroso di sottrarsi alla loro compagnia - e sbirciando di tanto in tanto in direzione di Hitoshi per assicurarsi che non si sia spostato. Purtroppo non è fortunato abbastanza da riuscire a defilarsi senza intoppi fino alla fine: Camie Utsushimi è stata per molto tempo più una conoscenza di Fuyumi che sua, ma Shouto ha avuto diverse occasioni di vederla presente tra gli invitati a un ricevimento. Fuyumi sostiene non sia una cattiva persona, quanto più una molto schietta e un po’ superficiale, in un modo non crudele che spesso però suona tale. Shouto non riesce ad andare d’accordo con le persone così. Per questo cerca di evitarla più possibile, se non per quanto l’etichetta gli impone. 

Sospetta che Camie non abbia mai notato i suoi sforzi in merito - oppure che li abbia notati e, per questo, si diverta a vanificarli più possibile. 

Purtroppo per lui Seiji Shishikura, che oltre a essere amico di Camie dall’infanzia è anche il suo promesso, non sembra nei dintorni; un peccato, dal momento che in presenza di lui Shouto ha sempre trovato appena più sopportabile avere una conversazione, data la capacità di lui di mettere un freno alle uscite di Camie la maggior parte delle volte. 

«Principe» saluta lei con un inchino e un sorriso «pensavo di soffermarmi di più prima, quando ho fatto gli auguri a Fuyumi, ma non c’è stata occasione vista la fila di persone dietro di me.» commenta e se c’è una punta di fastidio nel suo tono, lo maschera bene. È quello il principale problema di Shouto con Camie: molte volte nasconde sentimenti sgradevoli sotto una patina di garbo che alla fine fa suonare ancora peggio ciò che pensa veramente. L’ideale per limitare i danni sarebbe riuscire a parlare lo stretto necessario senza alimentare troppo una possibile conversazione. Camie, però, non sembra dello stesso avviso. 

«Ci tenevo a dire che mi dispiace, a ogni modo.» commenta, cogliendolo alla sprovvista. A giudicare dal sorrisetto divertito di lei, è probabile la sua espressione abbia reso chiaro il suo non avere idea a cosa si stia riferendo e lei non si fa certo pregare per chiarire la sua posizione: «Il corteggiamento.» specifica «Deve essere già molto stancante ospitare estraneo dopo estraneo e farsi fare la corte cercando di essere cordiali. Ovviamente non posso dire di non capire chi continua a proporsi: il partito è il migliore del regno e non siete una brutta compagnia, anche se un po’ troppo riservato e silenzioso se posso dire la mia.» osserva lei quasi distrattamente. Di norma in pochi si rivolgerebbero così a un membro della famiglia reale, ma Shouto è consapevole che ci siano alcuni casi a fare eccezione: lo stesso Izuku, dopotutto, la cui amicizia di lunga data supera la barriera del ceto sociale se non di fronte a specifiche situazioni e offese mai verificatesi tra loro. Si può dire che Camie e sua sorella Fuyumi non siano così diverse, nonostante ci sia qualche anno di età a dividerle. Shouto non le definirebbe proprio amiche, ma non può nemmeno vantare di conoscere nel dettaglio cosa pensi sua sorella delle persone a cui negli anni si è avvicinata di più durante le occasioni come quella, in cui una compagna di conversazione può essere molto più piacevole di un cavaliere con cui danzare tutto il tempo. 

In assenza di risposta da parte sua e, soprattutto, in assenza di Seiji Camie deve sentirsi esortata a continuare perché così fa; prima, però, la vede lasciar vagare lo sguardo per la sala e soffermarsi su Hitoshi, indicandolo con un cenno non molto discreto, quasi non le interessasse di essere notata o meno a sua volta. Hitoshi però si sta spostando verso il punto in cui Shouto ha lasciato Fuyumi e, d’istinto, anche lui fa qualche passo in quella direzione. Camie lo affianca quasi fosse la cosa più naturale del mondo.

«Purtroppo oltre a dover essere un buon ospite per persone con cui potreste a stento voler passare un mese del vostro tempo, non deve essere semplice quando la differenza di rango è così elevata. Molti di noi» pronuncia riferendosi ai nobili, suppone Shouto «sono rimasti piuttosto confusi. Il casato degli Aizawa ormai aveva un solo erede rimasto e piuttosto rispettabile: quale necessità ci fosse nell’adottare un ragazzo di strada da uno dei quartieri meno… rispettabili, ecco, non lo abbiamo capito. Anche se non posso dire di non apprezzare il coraggio nel proporsi come corteggiatore del futuro re nonostante tutto. E non disdegno mai un uomo esteticamente piacevole. Però…» lascia cadere la frase, che in fondo non ha alcun bisogno di essere conclusa. È proprio questo suo modo di dire verità scomode e di giudicare superficialmente a rendere impossibile per Shouto interagire con le persone così. Vorrebbe poter scappare nella biblioteca, lasciando una sala di cui per una volta non deve per forza essere l’attrazione principale. È consapevole, però, che la sua assenza sarebbe la prima cosa a essere notata - è conscio di come gli sguardi di suo padre e di Hawks lo seguano, sebbene per motivi diversi, e di come Fuyumi capirebbe ma sarebbe dispiaciuta nel vederlo allontanarsi proprio la sera del proprio compleanno. Si sentirebbe in colpa, nel farlo. Eppure sono chiacchiere come quella ad aver causato la sua reazione contro Hitoshi pochi giorni fa, parole di persone esterne a una situazione che sentono di poter giudicare le disgrazie degli altri come qualcosa di estremamente lontano, come se a loro non potesse succedere mai. 

Shouto vorrebbe dirlo all’intera sala: nessuno penserebbe mai che il futuro re possa avere qualcosa di diverso da una vita perfetta, eppure è un miracolo che quanto resta della sua famiglia non sia crollato come le macerie di un castello in rovina. 

Forse lui non sarà mai niente per Hitoshi, né prima né dopo il corteggiamento; forse il massimo che potevano ottenere è stata un’aggressione durante un allenamento che doveva offrire un punto d’incontro o un interesse comune, anziché un motivo di screzio. Shouto non sa se le (goffe) scuse mandate a Hitoshi via messaggio, senza fidarsi di un incontro di persona così presto dopo quanto accaduto, siano servite a qualcosa. Sarebbe però ipocrita da parte sua, dopo aver reagito a crudeli e superficiali assunzioni su un argomento per lui intoccabile come la propria famiglia, se si prestasse al pettegolezzo sulle origini meno fortunate di qualcuno che in un modo nell’altro sta solo cercando di non screditare l’uomo che gli ha teso una mano causando uno scandalo a corte. Se non riconoscesse in Hitoshi almeno la discrezione con la quale si è comunque presentato al compleanno di Fuyumi, sottoponendosi all’attenzione indesiderata di persone come Camie, quando avrebbe potuto far serpeggiare tra gli invitati il racconto di quanto successo tra loro con un effetto che - Shouto ne è certo perché Hawks ci ha tenuto a ribadirlo almeno tre volte - sarebbe devastante e a macchia d’olio.

Per questo non guarda Camie, mentre copre la poca distanza che separa entrambi da Fuyumi, Hitoshi e Nejire e per lo stesso motivo non bada troppo al fatto di star interrompendo una conversazione: «Sorella» richiama l’attenzione di Fuyumi, il cui sguardo forse inquadra la situazione ancora prima che lui continui a parlare «non ti dispiacerà se lascio Camie con te, suppongo, e mi allontano con Hitoshi.» pronuncia, ben consapevole di come sia la prima volta che invita l’altro ad accompagnarlo altrove come di norma sarebbe dovuto già succedere da giorni di corteggiamento. O di come questo venga recepito non solo dal diretto interessato ma anche dagli invitati più vicini, a cui di certo le sue parole non sono sfuggite. Specie ora che la musica della danza appena finita è sfumata del tutto e il chiacchiericcio non è sufficiente a coprire del tutto la sua voce. Lo sguardo di Fuyumi è attraversato da un lampo di confusione tanto quanto quello di Hitoshi lo è da una evidente perplessità. 

Nonostante Fuyumi non gli remerebbe mai contro, intuendo ci debba essere una motivazione valida per il suo scaricare un’invitata in questo modo, non lo stupisce sentirle dire: «Spero non sia perché stiamo rischiando di annoiare troppo Hitoshi.» con un sorriso leggero, in un tacito chiedere se ci sia qualcosa che non va. Shouto scuote la testa, prima di puntare lo sguardo sul viso di Hitoshi e offrirgli il braccio - non nel modo in cui lo offrirebbe a una dama, perché si affidi a lui quasi, ma in un gesto ugualmente elegante per invitare Hitoshi ad allontanarsi con lui in modo ufficiale.

«Sono sicuro la compagnia fosse gradita,» replica più per riguardo a Fuyumi e Nejire che non per dimostrare di saper applicare le regole dell’etichetta «Ma ho già sentito troppe chiacchiere sgradevoli tra gli invitati riguardo il fatto che li disturba la presenza di Hitoshi. Visto che non ho intenzione di offendere gli ospiti per il tuo compleanno, sorella, ma nemmeno di lasciar loro la possibilità di offendere chi mi sta corteggiando, direi che l’unica scelta saggia sia allontanarci per dar modo a tutti di continuare a divertirsi.»

Sente lo sguardo di una buona porzione di sala su di sé, ma dopotutto non è una novità, per quanto non gli piaccia più che in tutte le altre occasioni; nemmeno la sorpresa negli occhi di sua sorella per la presa di posizione evidente che non si è mai concesso per nessuno al di fuori di lei e Natsuo - non che ce ne sia mai stato bisogno per ovvie ragioni, d’altronde - è inaspettata, per quanto lo faccia sentire molto più vulnerabile di tutto il resto. Decide ostinatamente di non focalizzare l’attenzione nemmeno su Hitoshi, limitandosi a sbirciare in sua direzione solo con la coda nell’occhio. Quasi sospira di sollievo quando lo sente poggiare la mano all’altezza del suo gomito in una muta accettazione del suo invito. China la testa, quasi frettoloso, offrendo niente più di un «Buon proseguimento.» prima di allontanarsi e guadagnare l’uscita dalla sala più velocemente possibile, senza per questo sembrare in fuga come un ladro. 

Solo quando sono abbastanza lontani dalla sala e persino la servitù è meno concentrata di quanto sia nell’area del palazzo dove sono tutti gli ospiti, Hitoshi interrompe il contatto tra loro nello stesso modo in cui si smette di recitare una parte e ferma i propri passi, costringendo Shouto a fare lo stesso. Si osservano per qualche attimo ed è quasi naturale che sia Hitoshi a interrompere il silenzio. 

«Quello cos’era?» domanda, non impegnandosi granché a nascondere un fare guardingo che Shouto non se la sente di biasimare. Shouto rimane fermo e senza dire nulla, perché non è sicuro ci sia una risposta giusta. O se esiste, non pensa di potergliela offrire o che sia sufficiente a rendere la situazione tra loro più equilibrata. Perciò, alla fine, non gli resta molto altro da fare se non dire l’unica verità che conosce e far capire all’altro che è tutto ciò che può dargli. 

«Tutti, forse te compreso, pensano a me come al principe che sarà re e forse al massimo sperano sarò decente abbastanza così che le mie azioni non ricadano sugli altri senza che loro possano evitare ripercussioni. Di solito si pensa questo, di un futuro re, quando non lo si stima.» fa notare e non esprime a voce quello che gli sembra un ovvio e tacito come tu non stimi me «Ma più di molti altri so com’è quando qualcuno parla di… cose che tu non vorresti gli altri vedessero.» cerca le parole giuste, perché in qualche modo gli sembra indelicato sia definirle cose negative della tua vita sia limitarsi a un generico e impersonale cose private come se fossero solo segreti da quattro soldi. 

«Non so ancora se vuoi ottenere qualcosa da questo corteggiamento a parte il poco che hai voluto lasciar intendere, né cosa continui a pensare di me, ma non mi interessa nemmeno dove fossi prima di ieri. Strada, palazzi reali, in ogni caso io posso giudicare solo quello che vedo.» conclude, decidendo di non spingersi più in là di così. Sua sorella Fuyumi è fatta per le parole. Natsuo, in una certa misura, riesce a esserlo. Shouto odia le parole: se potesse non usarle affatto, vivrebbe cento volte meglio. Si è già sforzato abbastanza di non fare passi falsi in quel breve discorso, senza nemmeno essere certo suoni sensato. 

Lo accoglie un silenzio totale, tanto che se non vedesse Hitoshi davanti a sé potrebbe pensare se ne sia andato prima ancora di sentire quanto aveva da dire fino alla fine. Invece è ancora in piedi a pochi passi da lui, gli occhi su Shouto, intento a decidere a quanto di quel discorso credere. Shouto sceglie tacitamente di non provare a indovinare, già impegnato abbastanza a non cedere alla tentazione di asciugarsi i palmi delle mani contro i pantaloni. 

«Una.» pronuncia Hitoshi quando ormai Shouto sta prendendo in seria considerazione di togliersi da quel corridoio e limitarsi a tornare nelle sue stanze. Invece quell’unica parola gli fa aggrottare appena la fronte, senza capire: «Hai una possibilità di farmi vedere che sei sincero, principe. Possibilmente quando il tuo palazzo sarà meno pieno di stupidi aristocratici il cui massimo interesse è scoprire se puzzo di fogna e povertà quando mi si avvicinano.» commenta con una punta per nulla nascosta di sarcasmo. Shouto non dovrebbe ridere per tutta una serie di motivi ma, nonostante si impegni a mantenere una parvenza di serietà, incurva comunque le labbra nell’accenno di un sorriso divertito. 

«Una possibilità.» ripete, annuendo piano. Hitoshi sembra abbastanza soddisfatto da muovere qualche passo verso la scala che porta al piano superiore dove si trovano i suoi alloggi. 

«E solo perché sono curioso di sapere come ti sia venuto in mente di mandare un fiore con il tuo messaggio di scuse. Tremendo, se posso dire la mia, tra l’altro.»

Shouto decide di aver utilizzato abbastanza parole, per oggi, e lo lascia andare via limitandosi a osservarlo fin quando la sua figura non viene del tutto inghiottita dal suo voltare l’angolo.

*

La scelta del fiore è stata opinabile, lo sa. Purtroppo ha dovuto improvvisare, senza avere la minima idea di come gestire la situazione in modo altrettanto indiretto per poter testare le acque prima di un confronto vero e proprio. 

Il ricevimento si è concluso ormai da un’ora e Shouto è consapevole di avere poco tempo a disposizione per dormire, sebbene sia sicuro che la mattinata sarà meno piena di impegni dal momento che gli ultimi invitati si sono ritirati da poco a loro volta. Nonostante il buon senso e la stanchezza direbbero a chiunque di mettersi sotto le coperte e sprofondare con la testa sul cuscino, lui decide di sgattaiolare lontano dalle sue stanze e muoversi in silenzio per i corridoi, con una meta ben precisa in mente. 

Il castello di notte è quasi spettrale, almeno su alcuni dei piani; la sicurezza non è mai stata troppo serrata perché suo padre non ha mai temuto minacce dall’interno, specie da quando Hawks è diventato il suo consigliere. Da qualche anno a questa parte, nelle notti in cui prendere sonno gli risulta impossibile, non di rado Shouto si è aggirato tra i corridoi fino a raggiungere la biblioteca o aspettando, in generale, di sentirsi stanco abbastanza da poter provare a dormire. È così che ha imparato ad apprezzare il silenzio quasi tombale di quando nessuno a parte lui e le guardie esterne è sveglio. 

Volta un angolo, addentrandosi in uno dei corridoi principali dell’ala est. Ricorda con facilità quale sia la stanza di Hitoshi, semplicemente perché è stata la stanza di Izuku in qualche occasione prima che l’amico diventasse di casa e ne avesse una per sé, tenuta in ordine come se vivesse lì al palazzo reale, così da essere sempre pronta anche nel caso Izuku si presentasse senza alcun preavviso. Una volta raggiunta la porta giusta indugia, la mano a mezz’aria tra sé e la superficie in legno contro cui bussare. È un orario indegno e ne è consapevole, per i più attenti all’etichetta il fatto stesso di trovarsi lì e ora sarebbe un motivo sufficiente a considerarsi offesi. D’altronde Hitoshi ha solo specificato che gli avrebbe dato un’unica possibilità, non che non dovesse essere prima dell’alba. Shouto, però, è quel tipo di persona: è raro che qualcosa lo tenga sveglio così a lungo, ma quando succede ha bisogno almeno di provare a esorcizzare il pensiero fisso che è a causa di tutto. 

Una volta sola, dice a se stesso, bussando piano contro la porta. Rimane in silenzio e fermo, ma deve restarci per meno del previsto; quasi si stupisce lui stesso di vedere la porta aprirsi lentamente, poco più di uno spiraglio, una porzione del viso di Hitoshi a fare capolino. Ha l’aria stanca, più che assonnata, e Shouto non saprebbe dire se sia stupito nel vederlo oppure no. C’è un momento di stallo tra di loro, ma alla fine Hitoshi apre la porta abbastanza da permettergli di vederlo per bene e sente il proprio corpo rilassarsi più di quanto vorrebbe fare in modo così evidente.

«Manca poco all’alba.» è la frase con cui lo accoglie Hitoshi, fermo lì sulla porta senza alcun tacito invito a entrare tra di loro, osservandolo. Shouto annuisce piano, certo di aver pensato a come giustificare la visita quando è uscito dalla propria stanza, ma del tutto dimentico di qualunque cosa sia sembrata sensata: «Lo so.» dice soltanto, cercando parole giuste che non lo facciano sembrare solo un insonne che vaga in giro svegliando gli altri. Hitoshi, inaspettatamente, non lo incalza né con domande né con commenti che avrebbe tutto il diritto di fare. Forse per questo Shouto capisce che non possono restare lì fermi in eterno. 

«Hai detto una possibilità.»
«E deve essere quando probabilmente non sono abbastanza sveglio da seguire tutto il discorso che vuoi farmi?» fa notare Hitoshi, occhieggiandolo. Shouto scuote appena la testa: «Non faccio mai discorsi troppo lunghi.» lo corregge, come se la questione in fondo fosse tutta lì. Hitoshi si lascia scappare quello che sembra proprio essere uno sbuffo divertito e solo allora Shouto lo vede uscire dalla stanza e richiudersi la porta alle spalle. 

«Vediamo, allora.»

Shouto lo osserva per una manciata di secondi, prima di decidersi a guidarlo, ripercorrendo a ritroso una parte del tragitto fatto. Quando sono in corrispondenza di una delle scalinate, però, anziché proseguire per il corridoio inizia a scendere; i passi di Hitoshi risuonano dietro di lui nel silenzio generale e solo quando sono nella sala principale e Shouto ignora l’ingresso per muoversi verso gli alloggi della servitù Hitoshi gli rivolge uno scherzoso: «Di nuovo verso la sala torture?» riferendosi alla loro breve, pacifica gita nelle cucine. Shouto abbozza un sorriso, non visto, ma non gli sfugge che a dispetto della leggerezza del tono altrui, la distanza tra loro non viene mai accorciata troppo. Non è difficile immaginare che Hitoshi stia studiando la situazione e Shouto stesso, chiedendosi quanto sia consigliabile stargli lontano nel caso finissero di nuovo a parlare di qualcosa di sgradevole abbastanza da scatenare una reazione inaspettata. Non può biasimarlo, anche se egoisticamente vorrebbe che non fosse così. 

«No,» replica, guardandolo solo per un attimo da sopra la propria spalla «ma meglio se passiamo da questo lato per arrivare dove voglio portarti.» ammette, senza aggiungere molto altro per il resto del tragitto. A un certo punto oltrepassano l’ingresso per le cucine, immettendosi in corridoi più stretti di quelli già percorsi, fino a raggiungere una delle uscite da cui Shouto ha visto entrare e uscire i giardinieri infinite volte, fin dall’infanzia. Uno sguardo indietro, non per Hitoshi ma per assicurarsi di non avere nessun altro al seguito, per poi poggiare una mano sulla maniglia e spingerla lentamente verso il basso, cercando di evitare rumori di sorta. La scosta il minimo necessario perché sia lui che Hitoshi possano varcare la soglia e poi chiudersela alle spalle, uscendo finalmente nella parte un po’ più nascosta dei giardini del palazzo. 

L’aria è piuttosto fredda, il che non stupisce troppo trattandosi di inizio Dicembre. Shouto ha una buona resistenza al freddo ma, voltandosi a guardare Hitoshi, si rende conto che forse avrebbe dovuto lasciare meno avvolta nel mistero la loro destinazione. L’altro non sembra tremare di freddo, per ora, di certo aiutato dalla vestaglia indossata nell’andargli ad aprire la porta della propria stanza, ma Shouto sospetta non sia stata una grande idea: «Poco più avanti c’è il posto che voglio mostrarti. È riscaldato.» specifica subito «Non ho pensato a dirti che saremmo usciti.» confessa, sentendosi abbastanza stupido per questo. Hitoshi ha il buon cuore di non infierire, visto che si limita a fargli un cenno del capo per invitarlo a proseguire. Così Shouto riprende a camminare, dritto davanti a sé, attraversando il prato ben curato. Il lato del giardino in cui si trovano non è in genere aperto agli ospiti, dunque l’unico piccolo sentiero che attraversa l’erba è quello sfruttato dai giardinieri per muoversi da una parte all’altra per svolgere le proprie mansioni. Devono abbandonarlo, dopo poco, tagliando per l’erba ben curata e finendo inevitabilmente per inumidirsi in parte i piedi. 

La piccola costruzione alla quale Shouto sta puntando è in disparte, come se fosse un angolo di un giardino segreto. Una piccola serra, dalla struttura portante in bianco e vetro; buia, com’è normale che debba essere a quell’ora, specie considerando che sono solo lui e Fuyumi a recarsi lì con una certa regolarità, mentre Natsuo vi fa visita molto meno. Shouto la indica a Hitoshi, coprendo la poca distanza dalla porticina d’ingresso e affondando la mano nella tasca della vestaglia da notte, estraendone una chiave che non fatica a inserire nella serratura. Lascia sia l’altro a entrare per primo, così da potersi riparare dal freddo, seguendolo subito dopo. 

La serra non ospita piante rare, ma fa la sua figura e ancora di più quando Shouto si premura di accendere le fonti di luce, così da rendere più semplice vedere quale e quanta vegetazione ci sia all’interno: molte delle piante presenti sono semplici alberi da frutta o privi di boccioli, sebbene di un bel verde brillante nelle ampie foglie. Sul lato destro una piccola area è stata risparmiata come spazio dalle piante per lasciare il posto a un tavolo in ferro battuto e due sedie dove ogni tanto lui e Fuyumi si siedono in silenzio. Le indica a Hitoshi, in un invito ad accomodarsi se vuole. Nonostante lo noti, l’altro sembra distratto in positivo dal posto in cui si trovano e rapito da quello che ospita: Shouto sente un moto di orgoglio quando lo vede accorgersi del vero tesoro nascosto di quella serra, ossia i fiori preferiti di sua madre. Piccoli, quasi invisibili rispetto ad altri esemplari presenti nel giardino, ma di un colore azzurro e raggruppati in ampi cespugli. 

Shouto aspetta che Hitoshi sia seduto per imitarlo, andando a poggiare i gomiti sulle proprie ginocchia e piegando il busto in avanti, le dita delle mani intrecciate tra loro e gli occhi fissi su quei fiori che indisturbati se ne stanno lì senza doversi curare delle stagioni che si susseguono all’esterno di quelle mura di vetro. 

«Mia madre se ne è occupata personalmente per anni,» pronuncia rivolto a Hitoshi, sebbene non lo stia guardando «ormai però lo lasciamo fare a un giardiniere fidato. Ogni tanto credo che anche Fuyumi se ne prenda cura nel suo piccolo.» confessa, sebbene non se lo siano mai detto esplicitamente. Hitoshi non dice una parola, limitandosi ad abbracciare con lo sguardo quello che vede, senza girarsi a guardare Shouto nemmeno una volta. Forse è meglio così. Lo pensa quando Hitoshi, invece, lo coglie impreparato chiedendogli: «La regina dovrebbe essere viva.» confuso, evidentemente, dal fatto che non sembri più essere presente per occuparsene come in passato. E che nessuno si aspetti il suo ritorno. Shouto non può biasimarlo: la situazione della famiglia reale, oltre a essere sempre stata un segreto, non è mai stata semplice nemmeno per chi ne fa parte. 

Quasi avesse finalmente la certezza di essere al sicuro da occhi indiscreti, si appoggia contro lo schienale della sedia e butta fuori l’aria dai polmoni, lentamente. C’è qualcosa di innaturale nel parlare di questo con qualcuno che non sia Izuku ma se avesse voluto continuare a lasciare all’oscuro Hitoshi, non lo avrebbe portato lì. Certo, non intende svelare all’improvviso ogni cosa che lo riguardi, ma forse se riuscisse a fargli capire anche solo in minima parte il perché della sua reazione Shouto potrebbe considerare valide le proprie scuse e sapere di aver fatto il possibile per rimediare. A prescindere dalla decisione di Hitoshi se perdonarlo o meno.

«È viva.» conferma innanzitutto «Ma non abita qui. Non penso tornerà mai.» confessa, gli occhi ancora sui fiori. Hitoshi non esprime giudizi né commenta in alcun modo e Shouto quasi preferirebbe avere una sfilza di domande a cui rispondere che dover trovare le parole giuste da solo, calibrare quanto mostrare e quanto tenere nascosto. Specialmente perché nascondere è molto più semplice. 

«I matrimoni combinati» riprende a parlare con fatica «credo non fossero adatti a persone come mia madre. Ci sono altre cose che sono andate male negli anni, ma… ci ha provato. Per quello che ricordo. Fuyumi dice che lo hanno fatto entrambi. Io non sono molto sicuro per quello che riguarda mio padre.» ammette. Si rende conto di come suoni molto meno chiaro della perfetta spiegazione che aveva in mente - non è niente se non un accenno di qualcosa a cui Hitoshi potrebbe non badare affatto o che potrebbe non farsi bastare, e ne avrebbe tutte le ragioni. Shouto ha mille pensieri in testa, mille parole, ma come è sempre stato da che ha memoria la sensazione di non riuscire a metterle in ordine fa sì che rimangano lì, bloccate. Se ci fosse Izuku, saprebbe tirarle fuori, con pazienza. Dubita di potersi aspettare lo stesso da Hitoshi e in fondo che diritto ne ha?

«Rifiuti tutti i tuoi corteggiatori per questo, quindi?» sente chiedere a Hitoshi e non può fare altro se non voltarsi a guardarlo, ora, senza provare a nascondere la sorpresa nel cogliere in lui il tentativo di comprenderlo anziché il disinteresse totale. Annuisce piano, quasi distratto, rimanendo in attesa di un giudizio che tarda ad arrivare. Shouto è abituato ai silenzi, in molte occasioni li preferisce a inutili tentativi di portare avanti una conversazione per forza, ma in questo caso ogni secondo lo fa sentire più a disagio. 

«Immagino» pronuncia Hitoshi, la voce un poco arrochita «tu non sia l’unico a doversi scusare, allora.» 

È strano sentirglielo dire, perché non ha mai pensato di ottenere questo da lui confidandogli di sua madre, di un matrimonio indesiderato dal quale il re ha comunque avuto ben quattro figli, sebbene tra questi si sia in effetti ritrovato un solo erede e nemmeno del tutto felice del ruolo a cui non può opporsi. Almeno per adesso. Shouto pensava di poter ottenere un perdono, con molta fortuna, o l’indifferenza nel migliore dei casi; in alternativa, di essere considerato un principe arrogante che si aspetta di poter sistemare tutto con una storia strappalacrime - poco importa quanta potenziale verità ci sia in essa. Hitoshi invece si sta dimostrando, e non per la prima volta, quasi incomprensibile. Proprio quando Shouto pensa di sapere cosa potrebbe dirgli o come potrebbe comportarsi nei suoi confronti, Hitoshi lo stupisce facendo esattamente l’opposto. 

«Pensavo che il tuo prendere le mie difese davanti ai tuoi invitati fosse un modo piuttosto triste di farti perdonare con un atto di galanteria.» confessa «Tanto per aggiungere altri discutibili metodi da manuale insieme al mandarmi un fiore con un messaggio di due parole. Non è sembrato ti fossi impegnato granché, senza offesa.»

Shouto potrebbe offendersi eccome, ma è ben consapevole di essere tremendo in quel genere di cose e può quasi sentire la voce di Hawks commentarlo se solo lo venisse a sapere. Dovrà chiedere a Hitoshi di mantenere quel segreto più di qualsiasi altro. 

«Ho preso le tue difese perché Camie si comporta sempre a quel modo. O almeno la maggior parte delle volte. Fuyumi sa gestirla molto meglio di me.» ammette con una vaga alzata di spalle. È la prima occasione di guardarsi dritti in faccia che lui e Hitoshi hanno dall’aggressione.

«Mi dispiace.»
«Erano le due parole che hai scritto sul biglietto, quindi credo contino come già dette.»
«Questo non vuol dire che mi dispiaccia meno.» ribatte Shouto. Potrebbe passare le prossime due ore a spiegare a Hitoshi di non aver mai aggredito nessuno prima d’ora o di essere tornato nella propria stanza, giorni fa, e aver guardato le proprie mani tremare rendendosi conto che sarebbe potuta essere molto più di un’aggressione fermata quasi subito. Sarebbe quasi possibile riuscire a raccontargli di come ogni sua parola abbia colto nel segno o che in qualche modo, nemmeno lui sa come, avverte il perenne bisogno di proteggere Natsuo e Fuyumi da questo segreto immenso che è la storia della sua famiglia che lui si aspetta essere sempre, costantemente in procinto di essere rivelato a tutto il regno. Come se dovesse esplodergli tra le mani quando meno se lo aspetta, nell’unico istante in cui abbassa la guardia. 

Immagina che suonerebbe come una scusa patetica e poco credibile. 

«In ogni caso,» riprende Hitoshi «non ha tutti i torti. Almeno se ho intuito cosa possa averti detto. Non è un vero mistero, che io venga dalla strada e non sia nobile di nascita.» dice, quasi fosse un dettaglio di poco conto mentre se ne stanno nel punto più discreto del giardino reale. Shouto lo scruta, per non più di una manciata di secondi. 

«Non mi interessa.» decreta infine, ritrovandosi a guardare Hitoshi ridacchiare prima di dire: «A tutti interessa. Di sicuro a tuo padre.»
«Ma io non sono mio padre.»

«No,» dice Hitoshi, spostando lo sguardo sui fiori «sospetto di no.»

Shouto decide di restare in silenzio; socchiude gli occhi e inspira, sentendo arrivare il profumo leggero dei nontiscordardime di sua madre. 

*

Hawks non è parso particolarmente convinto quando, dopo avergli chiesto come si fosse risolta la situazione tra lui e l’erede degli Aizawa, Shouto si è limitato a una breve rassicurazione di cui ha omesso la maggior parte dei dettagli. Conosce il consigliere da abbastanza anni da sapere che l’unico motivo per cui sembra essersi accontentato di quelle parole è solo perché ha deciso di non infierire. Shouto gliene è abbastanza grato - a essere sincero non saprebbe bene come spiegare la ragione per cui nel cuore della notte sia andato fino alla camera di Hitoshi, lo abbia invitato a uscirne e lo abbia riaccompagnato quando le prime luci dell’alba hanno cominciato a illuminare il cielo. O meglio, dal momento che sa come suonerebbe alle orecchie di chiunque salvo qualche eccezione, preferisce aspettare a renderlo pubblico. 

Potrebbe non essere così male, condividere un segreto con Hitoshi. 

*

«Quindi» pronuncia Izuku con l’aria di chi sta cercando di collegare una serie di importanti dettagli nella propria testa e, al tempo stesso, di non lasciar trapelare un eccessivo entusiasmo: «lo avevi invitato nelle cucine, poi lui è stato… ha detto delle cose sbagliate, lo hai aggredito, poi hai mandato un fiore con un biglietto per scusarti, hai preso le sue difese davanti a tutti durante la festa di compleanno di Fuyumi-san– a proposito, mi sento incolpa per averla mancata di così poco, spero di farmi perdonare– dicevo, ecco, dopodiché lo hai invitato a passeggiare in giardino di notte fino a mostrargli la serra di tua madre.» riassume, fallendo miseramente nel nascondere come tutta la situazione, in realtà, lo entusiasmi eccome. Shouto invece nota soltanto che dette da un’altra persona tutte quelle cose lo fanno sembrare fuori di senno.

Sposta lo sguardo da Izuku e lo lascia vagare fuori dalla finestra, verso una parte del giardino piuttosto distante da quella visitata durante la notte. Per sua fortuna Izuku ha imparato ad apprezzare i suoi silenzi e a riconoscere quando l’unica cosa da fare è avere pazienza e aspettare che qualunque cosa si agiti nella mente di Shouto prenda finalmente forma. 

«Non c’è un motivo preciso, non si tratta del corteggiamento.» chiarisce, per quanto sia abbastanza sicuro che se esiste qualcuno da cui non deve temere di essere frainteso, quello sia Izuku: «Ma a volte sembra qualcuno che potrebbe essere… un buon amico. Una brava persona. Altre volte sembra solo un nobile come gli altri. Non capisco cosa aspettarmi.» confessa, consapevole come questo non spieghi nemmeno la metà dei suoi atteggiamenti. Lo stesso Hawks, forse, continua ad aspettarsi da lui che - almeno - decida dove collocare la figura di Hitoshi e inizi ad agire in base a quello. 

«Perciò non sai come comportarti perché non sai come ti fa sentire?» azzarda Izuku, con gentilezza; la verità, però, è che Shouto non crede sia quello il punto. 

«Non mi fa sentire in nessun modo.» lo corregge senza nascondere la perplessità, nemmeno quando si scontra con l’espressione incredula di Izuku: la vede trasformarsi lentamente in una di affettuosa comprensione. 

«Ti conosco da quando siamo bambini,» gli dice Izuku con pacatezza, quasi dovesse prepararlo a una terribile notizia «e per uno che non ti fa sentire nulla, credo sia riuscito comunque a smuovere qualcosa se sei arrivato persino a condividere con lui la cosa a cui tieni di più.»

*

Shouto vorrebbe avere due capacità: esprimere meglio quello che prova, anziché restare metaforicamente a guardare se stesso accumulare fino allo stremo, e riuscire a dissimulare in qualsiasi circostanza senza per forza trincerarsi dietro un silenzio come quello di ora. Purtroppo non ha mai sviluppato nessuna delle due.

La presenza di Hitoshi nei giorni passati è diventata molto più familiare di quanto pensava sarebbe mai stata; Shouto non sa se avergli mostrato qualcosa di così privato come la serra di sua madre abbia giocato un ruolo fondamentale o meno, tuttavia da quella sera sono passati giorni e lui e Hitoshi si sono ritrovati a passare buona parte delle giornate insieme. Shouto si è a stento reso conto che la terza di quattro settimane di corteggiamento sia vicina alla fine. Ci si aspetta da lui che a breve sappia dire cosa vuole fare del suo rapporto con Hitoshi, quando lui sa ancora meno di prima se il loro possa anche solo essere definito “rapporto”. 

«Sono curioso» sente dire a Hitoshi, quasi grato che sia stato l’altro a rompere il silenzio «come corteggeresti tu?»

La domanda è inaspettata e a Shouto viene istintivo guardarlo; Hitoshi è seduto alla sua destra, ospite nella stanza in cui di solito è Izuku a occupare la poltroncina dove ora siede l’altro, perciò Shouto può osservarne il profilo. Si aspetta di intravedere almeno in parte un’espressione che gli suggerisca qualcosa sul perché di quella domanda, ma non nota granché. Non è la prima volta che si accorge di come Hitoshi non lasci trapelare molto né dei suoi pensieri né delle sue emozioni, seppure in modo diverso da lui. Shouto è consapevole di essersi sempre schermito dal mondo in quel modo; se per Hitoshi sia lo stesso, però, non ne è sicuro. 

«Tutti dicono che nessuno è riuscito a far infatuare il principe e infatti hai rifiutato ogni prtendente finora. Stavo pensando che potrebbe essere diverso se fossi tu a scegliere o a voler fare la prima mossa. Ma, senza offesa, non hai l’aria di uno bravo in queste cose.» pronuncia Hitoshi, rivolgendogli un sorrisetto divertito. Shouto ne abbozza uno a sua volta, apprezzando momenti come questo, ora che riesce a non pensare di essere costantemente osservato da chi cerca una sua debolezza. D’altronde, se anche fosse, gliel’ha già offerta lui stesso su un piatto d’argento. 

«…Non ho mai dovuto pensarci.» confessa, cercando di immaginare come potrebbe essere se fosse lui a corteggiare Hitoshi o se, semplicemente, queste loro settimane insieme fossero dovute non a una questione di forma ma a un reale interesse nei suoi confronti. Se Hitoshi lo avesse corteggiato davvero fin dall’inizio e Shouto avesse voluto ricambiare con attenzioni discrete, ma inequivocabili. 

«Parlerei di me.» dice con lo stesso tono di chi ha avuto un’epifania improvvisa, anche se banale. Hitoshi sbuffa divertito: «Wow. Egocentrico.» lo prende in giro, ma Shouto scuote la testa. 

«Non in quel senso. Ma tutti sanno tutto del principe: il palazzo reale non è diverso da quello di altri regni, tutti gli aristocratici studiano l’arte della spada, l’etichetta, la storia e tutto quello che è considerato parte dell’istruzione. Non ho segreti da offrire, in questo, o qualcosa di speciale. Però nessuno conosce me. Tutti sanno che Izuku è il mio migliore amico ma non sanno che ha pianto un intero pomeriggio per colpa mia quando eravamo bambini. Non sanno del mio posto in biblioteca, o di Natsuo e Fuyumi nel modo in cui li vedo io, o di mia madre.» confessa, come se fossero dei segreti e forse, in un certo senso, lo sono. Hitoshi non lo interrompe mai, limitandosi a guardarlo come ha fatto nelle cucine e nella serra di Rei. È anche questo suo modo di non interagire, a volte, a farlo sentire sicuro abbastanza da aggiungere: «Vorrei che scegliessero di restare per me. Non per il principe. È scontato, ma meno di quanto sembra.» dice, scrollando le spalle. Non sa cosa aspettarsi in risposta, sempre che Hitoshi voglia dargliene una. Shouto sa solo di avere il suo sguardo su di sé e si sente, per la prima volta, come se Hitoshi stesse cercando di carpire qualcosa di lui che Shouto non è neppure sicuro di avere. 

«Tutto ciò che posso dirti» pronuncia quando ormai Shouto si sta riabituando al silenzio tra loro «è che penso sia impossibile passare quattro settimane qui e non vedere te

A Shouto non è mai successo di sentire l’imbarazzo crescere al punto da fargli abbassare lo sguardo come ora. Sente che dovrebbe dire qualcosa, rispondere a quello che suona come un complimento mai rivoltogli da nessun’altro, ma le parole continuano a non essere il suo forte. Anche se, a tratti, sembra diventare più facile con Hitoshi. Forse se si trovassero in un luogo meno sotto gli occhi di tutti come invece è il palazzo reale…

«C’è una tenuta vicina al lago.» se ne esce, dando per scontato che Hitoshi capisca che si tratta del lago a est del palazzo: «È molto meno conosciuta di questa e non la visitiamo da un po’, ma… possiamo andarci. Se ti piace il lago.» propone. Questo è molto più di un invito nelle cucine o di quello in una serra - non a livello affettivo, forse, ma sul piano dell’ufficialità è quasi ammettere che il corteggiamento ha buone probabilità di non essere più a senso unico. Persino Hitoshi potrebbe pensarlo e decidere di rifiutare l’invito per questo. 

«Va bene,» lo sente rispondere invece «ma solo se ci accolgono con pane e formaggio.» ironizza, riferendosi proprio alla fuga nelle cucine. Shouto non può fare a meno di concedersi un primo, vero sorriso nel dirgli: «Promesso.»

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Capitolo 3
*** Stay ***


N/A: siamo arrivati all'ultimo capitolo <3 Qui potete trovare il bellissimo gift che questa storia ha ricevuto al BBI12 grazie a Rota che ha claimato questa fic e le ha dato amore 



La “casa sul lago”, come con Natsuo e Fuyumi l’hanno sempre chiamata fin da bambini, è stata per loro un luogo in cui passare l’estate, almeno fin quando le cose sono andate bene. Da quando sono cambiate, però, ci sono tornati raramente e quasi mai insieme. Natsuo, da un po’, ha del tutto smesso di andare e le visite di Shouto e Fuyumi si sono fatte rare e piuttosto brevi. 

È stato strano recarsi lì con Hitoshi, preparando lo stretto necessario in poco tempo e percorrendo il tragitto in carrozza per mezza giornata. Così come ha provato un sentimento a metà tra la nostalgia per qualcosa di conosciuto e l’estraneità di quel paesaggio invernale, dopo averlo visto così tante volte in estate. Hitoshi si colloca in quel luogo come un’irregolarità, eppure gli è bastato un giorno e mezzo - compreso quello del loro arrivo - per ritagliarsi i propri spazi come se vi fosse sempre appartenuto. È così che Shouto lo ha visto scegliere silenziosamente una poltroncina del salotto piuttosto vicina al camino, dove la sera si siede in posizioni discutibili e poco nobili, ricordandogli più un gatto acciambellato che una persona. A Shouto non è neanche sfuggito il modo in cui Hitoshi sembra aver in un certo senso trovato la sua dimensione, abbastanza da ammorbidirsi non soltanto negli atteggiamenti ma anche nel modo di parlare con lui. 

Non può fare a meno di pensare, anche ora che lo sta aspettando per la passeggiata al lago che gli ha promesso, che forse se fossero riusciti a trovare prima questo equilibrio…

«Non avrò fatto aspettare il futuro re, vero?» sente pronunciare dalla voce di Hitoshi, inquadrandolo a pochi passi. Fino a una settimana prima avrebbe letto più derisione che intento giocoso nella sua voce; ora, invece, riesce persino a rivolgergli un sorriso senza dover fingere: «Sì, la pena è già stata decisa.» ironizza di rimando. Vede Hitoshi alzare un sopracciglio, ma l’espressione sul suo viso tradisce il fatto che lo trovi divertente e voglia stare al gioco.

«Oh no. Quale sarà mai?»
«Mi reputi così generoso da dirtelo subito?»
«Ah.» si finge stupito Hitoshi, anticipandolo nell’uscire all’esterno: «Che tiranno.»

Shouto scuote appena la testa, lasciando cadere quello scambio quasi complice. L’esterno della tenuta è meno curato del giardino reale e, senza dubbio, la sua visita improvvisa non ha aiutato i preparativi della servitù. A cominciare dal suo averne richiesto lo stretto indispensabile. Nel vedere quel paesaggio tanto diverso, per un momento al loro arrivo Shouto si è chiesto se non abbia fatto un’altra scelta sbagliata, al pari dell’uscita notturna in pieno inverno per andare alla serra. Finora, però, Hitoshi non ha commentato la cosa. 

«Il paesaggio» prende parola Shouto quando sono a una manciata di passi dalla tenuta «è diverso da quello che volevo mostrarti, quello con cui sono cresciuto.» ammette, sbirciando con la coda dell’occhio il profilo di Hitoshi. Lui non sembra particolarmente deluso da quello che vede, ma Shouto non ne è sicuro. La cosa che riesce a vedere con chiarezza, però, e che lo aiuta a sentirsi meno in colpa è la rilassatezza nella postura altrui, una che ha visto in rarissime occasioni. 

«Descrivimelo, allora. Quello a cui sei abituato.» lo incalza Hitoshi, quasi come se incoraggiasse un bambino. Shouto continua a camminare, facendogli un cenno per indicare la propria sinistra: il lago, ormai in vista, non è ancora ghiacchiato forse perché per la media questo è un inverno appena più mite del solito. Hitoshi lo segue, aspettando in silenzio, e non fa domande neanche quando Shouto si ferma in un punto imprecisato vicino alla riva. Né quando si siede a terra, premurandosi solo di togliere la mantella indossata prima di uscire, sistemandola perché entrambi non debbano stare a diretto contatto con il terreno. 

«Siamo sempre venuti in estate,» comincia a raccontargli «all’inizio della stagione, soprattutto. Ne approfittavamo, credo, perché la maggior parte dei fiori c’erano ancora e mia madre e Fuyumi stavano ore a passeggiare lì. Forse è quando mia madre le ha insegnato il linguaggio dei fiori, ma non ricordo bene.» ammette, lasciando vagare lo sguardo sulla superficie d’acqua. 

«All’inizio dell’estate qui non fa troppo caldo, quindi mia madre ci portava per farci passare del tempo all’aperto senza che fosse per le lezioni con la spada, nel caso mio e di Natsuo. Una volta, dall’altra parte del lago» dice, indicandogli un punto leggermente più a destra rispetto a loro «c’era una radura… non direi proprio un boschetto, ma a me sembrava molto più grande. Io e Natsuo ci andavamo ogni tanto, per giocare senza che ci fossero Fuyumi o mia madre. “Per fare giochi da maschio”, diceva mio fratello. A pensarci ora era solo un semplice nascondino.» ammette con un mezzo sorriso. 

«La radura non c’è più?» sente chiedere a Hitoshi.
«Solo qualche albero. C’è stato un incendio un paio di anni fa.» spiega brevemente. Hitoshi offre soltanto un «Mh.» e Shouto immagina di poter continuare. Si prende comunque qualche attimo, prima. 

«Di sera il cielo è talmente vasto, senza costruzioni intorno, che pensavo le stelle fossero il doppio. Fuyumi ha continuato a cercare di convincermi che fossero sempre le stesse per mesi.» confessa, lasciandosi scappare una nota divertita nel tono di voce, senza reprimerla come farebbe di solito. Con la coda dell’occhio vede Hitoshi sorridere e lo sente sbuffare prima di dire: «Eri un moccioso fastidioso.»

Shouto sta per ribattere quando sente pronunciare alle proprie spalle uno «Shouto-sama» e, nel voltarsi, individua subito uno dei pochi, fidati servitori che li ha accompagnati. Con un cenno della testa lo invita a parlare e quello non si fa attendere: «È arrivato un messaggio da parte di vostra madre. È un invito sia per voi che per il vostro ospite per domani pomeriggio. C’è anche un messaggio di vostra sorella.» riporta, senza dirne il contenuto, non prima di averne il permesso.

«Cosa dice?»
«Che era stato recapitato al palazzo reale e ha pensato di mandarvelo, visto che vi trovate vicino alla casa di vostra madre.» replica il servitore, premurandosi di aggiungere un «Cosa volete che risponda?»

Per un lungo momento Shouto rimane in silenzio, incerto. Parlare di sé con Hitoshi è un conto, specie se con la possibilità di scegliere cosa dire e cosa tenere invece per sé; portarlo a conoscere sua madre, che è al tempo stesso la parte più vulnerabile di lui e il più grande segreto della famiglia reale è tutt’altra questione. Senza contare le implicazioni di un incontro ufficiale tra la regina e l’attuale corteggiatore del principe. Shouto non sa se la sua espressione lo tradisca ma sente, del tutto inaspettata, la mano di Hitoshi sul proprio braccio per richiamare la sua attenzione: «Vai.» lo incalza «Non morirò per essere rimasto un pomeriggio da solo.» assicura, in un tacito invito a non preoccuparsi di cosa dice l’invito e a non portarlo in un momento così privato. Vorrebbe dirgli che non è quello che pensa, il problema, o meglio che ne è solo parte. Vorrebbe avere lì Izuku, o Fuyumi, perché quando si tratta di sua madre e di tutto quello che significa per lui sono gli unici di cui si fida. Anche se forse, in fondo, lo hanno già consigliato senza che se ne rendesse davvero conto.

Per uno che non ti fa sentire nulla credo sia riuscito comunque a smuovere qualcosa, per farti condividere la cosa a cui tieni di più con lui.

Sospira, portando lo sguardo sul servitore: «Fai sapere a mia madre che saremo lì, domani.»

*

Hitoshi si è dimostrato più che disponibile a incontrare sua madre, tenendoci a precisare più di una volta come Shouto non debba sentirsi costretto. Ha provato a spiegargli quanto complicato possa essere ma, alla fine, Shouto ha promesso di raccontargli meglio dopo l’incontro. Hitoshi, da parte sua, è stato… una sorpresa, da quando sono stati accolti da sua madre. Shouto non sa se e quanto l’altro sia curioso di sapere qualcosa di lei oltre quello che può semplicemente osservare, ma è stato così gentile nei suoi confronti che lui non può che essergliene grato. 

«Lo so, forse queste tradizioni ormai dovrebbero essere lasciate da parte.» sente dire a sua madre. Sono seduti a un piccolo tavolo rotondo, sistemato nella stanza vicino alla grande finestra che dà su un balcone piuttosto ampio. L’ambiente è riscaldato, di certo più adatto ad accogliere gli ospiti rispetto al giardino, visto il cielo plumbeo. Rei li ha ricevuti in un abito sobrio sul blu, sulle spalle uno scialle bianco; i capelli acconciati in uno chignon, ha abbracciato Shouto appena lo ha visto e si è presentata a Hitoshi subito dopo, intrattenendolo come una perfetta padrona di casa. Hitoshi sembra persino sincero nel suo interesse per lei, anziché semplicemente educato. 

«Ma non posso che ringraziare chi sta corteggiando mio figlio.» continua con un un sorriso benevolo, alternando lo sguardo tra lui e Hitoshi per un momento, tornando a soffermarsi su quest’ultimo nel chiedere: «Non ti fa penare troppo, vero?»

Shouto occhieggia l’altro e non gli sfugge il sorrisetto sghembo di Hitoshi prima di sentirgli dire: «Molto, a dire il vero. Il principe non è facile da capire, senza contare che i primi giorni si è preso gioco di me cercando di spaventarmi parlandomi della sala torture.» rivela, senza alcuna pietà. Sua madre sembra combattuta tra il mostrarsi divertita o stupita, ma prima che Shouto possa correggere il tiro della conversazione - non molto distante dalla verità, in effetti - Hitoshi lo anticipa parlando di nuovo.

«Mentirei se dicessi che siamo riusciti subito a parlare, ma vostro figlio è capace di scusarsi quando è nel torto e di fare il primo passo verso qualcuno. Di prenderne le difese, anche se significa andare contro quello che pensano tutti gli altri. Riesce a vedere oltre, e nell’artistocrazia è davvero raro. È molto più di quello che mostra,» lo sente affermare «anche se non è semplice accorgersene subito.»

Shouto è sorpreso da un giudizio tanto lusinghiero nei suoi confronti - va molto meglio tra loro, ma non hanno ancora mai avuto un momento di sincerità come questo. Ci sono sottintesi, ma niente di più. Il modo in cui le sue parole fanno sorridere sua madre, però, gli fanno venire voglia di ringraziarlo dal profondo del cuore. Decide di rimandarlo a dopo, a quando saranno alla tenuta e lascia scivolare il silenzio tra di loro; sorseggia il tè, con tutta calma, uno sguardo su sua madre: si prende il suo tempo per osservarla mentre ha l’espressione serena e gli occhi puntati fuori dalla finestra, a guardare un cielo che promette pioggia con la stessa rilassatezza di chi adocchierebbe una bella giornata pregustandosi una passeggiata all’aria aperta. Sarebbe bello avere più occasioni come quella, anche se sono lontane dall’essere la normalità.

Quando sua madre distoglie lo sguardo dalla finestra la vede soffermarsi su Hitoshi, e solo allora nota che l’altro sembra incuriosito da uno degli oggetti sul mobile in legno alla loro destra. Shouto gliene dà atto: è un vecchio cimelio di cui ormai è difficile trovare altri esemplari, qualcosa di molto vicino alle moderne clessidre ma dalla forma più eccentrica e che - da quanto ne sa - ha sempre richiesto una lavorazione più precisa e più lunga.

«Puoi guardarlo più da vicino, se vuoi.» lo invita sua madre, intuendo la natura del suo interesse. Shouto la vede rivolgersi a lui e la anticipa, muovendo la sedia per alzarsi e prenderlo, mentre la sente dire: «Sii gentile, Touya, lo prenderesti tu?»

*

È stato Hitoshi a rifiutare l’invito a cena, ma Shouto sospetta lo abbia fatto per lui più che per reale stanchezza come ha invece assicurato a sua madre. Il viaggio di ritorno alla tenuta è stato breve ma silenzioso, come anche il rientro e il tempo passato a tavola insieme. Shouto si è abituato ad avere uno scambio, con l’altro, eppure gli sembra di aver fatto dieci passi indietro - ha pensato sarebbe stato più facile spiegare se gli avesse mostrato, invece adesso si ritrova senza sapere come mettere insieme le giuste parole. 

È convinto la serata sia destinata a finire proprio così: con i silenzi dietro cui si è nascosto per troppo tempo, lasciando che fossero sempre gli altri a salvarlo, capendolo senza bisogno di alcuno sforzo da parte sua. Relegando tutti quelli che a comprenderlo facevano fatica al ruolo di persone delle quali poter fare a meno. Per questo quando sente Hitoshi sedersi al suo fianco, abbandonando il suo solito posto sulla poltrona, Shouto porta d’istinto lo sguardo su di lui. L’altro mantiene il proprio sul fuoco del camino e si limita ad accostarsi a Shouto fino a far toccare le loro spalle. Avverte anche le loro dita sfiorarsi, ma sembra del tutto casuale.

«A volte mia madre è lucida.» pronuncia in appena un sussurro «Ma altre non si ricorda di me e di Natsuo. Ci scambia per mio fratello. Crede che lui sia–» si interrompe bruscamente sentendo la mano di Hitoshi stringere la sua. Lo guarda, aspettandosi di trovare ancora il suo profilo e invece l’altro ricambia il suo sguardo e in quell’espressione c’è qualcosa che Shouto non gli ha mai visto mostrare. La preoccupazione si mescola così bene al desiderio di essere di conforto da rendere pressoché impossibile a Shouto capire quale sia il più forte o se ci sia addirittura dell’altro. 

«Non devi raccontarmelo perché ti senti obbligato.» pronuncia Hitoshi in un mormorio deciso: «Ho visto come la guardi, il modo attento con cui ti occupi di lei anche quando sai che non vede te. È... tremendo. Ed è privato. Il fatto che tu me lo abbia mostrato, nonostante tutto, mi dice quello che ho bisogno di sapere di te.» assicura. Shouto lo sente stringergli la mano con più forza, quasi volesse ribadire il concetto e si sofferma proprio sulle loro mani, mentre cerca di assimilare quelle parole che gli tolgono di dosso un peso più grande di quello che pensava di avere sulle proprie spalle. Ce ne sono tanti altri, ma già disfarsi di uno è più di quanto sperasse. 

«Mi dispiace di aver usato le voci che avevo sentito sulla tua famiglia per provocarti.» sente dire a Hitoshi mentre lo vede abbassare lo sguardo, mortificato come non si è mai mostrato: «Pensavo che i segreti di una famiglia come la tua, per quanto grandi, nascondessero qualcosa di più superficiale. Non è una scusa sufficiente, ma è la verità.» confessa. Shouto vorrebbe dirgli una miriade di cose - di averlo subito etichettato come un nemico, di averlo creduto uno tra i tanti a desiderare più un titolo che una persona. Oppure di sua madre, di come gli manca da morire; di Touya, il cui fantasma l’ha distrutta al punto da farle ignorare la realtà mentre si rifugia in una mente spezzata. Di come non dice a Fuyumi di sentirsi orfano, o a Natsuo di andare con lui e condividere quel peso. Di come, a volte, vorrebbe scappare e diventare nessuno. E infine di quando pensa che se non riescono ad amarti nemmeno i tuoi genitori, è difficile credere che possa riuscirci qualcun altro.

La verità, però, è che ora non è pronto o forse è solo troppo stanco per lasciarsi andare a tutte quelle parole, per mettersi a nudo così tanto. Perciò sospira, piano, e lascia finalmente scivolare le dita tra quelle di Hitoshi, ricambiando la sua stretta con un gesto intimo e silenzioso. È l’unico atto di coraggio che può gestire, ora.

Sentire la mano libera di Hitoshi contro il suo collo per guirarlo fino a farlo poggiare con la testa contro la sua sua spalla, sussurrando un semplice «Riposati.» è tutto ciò di cui ha bisogno, per adesso.

*

«Devo dire che continua a sfuggirmi il tuo concetto di romanticismo, sai?» Hitoshi lo punzecchia, una nota d'ironia bonaria nella sua voce mentre cammina al suo fianco, percorrendo l'ormai poca distanza rimasta per raggiungere la loro meta.

Il rientro dalla tenuta vicina al lago è stato confuso. O almeno, Shouto ha sempre pensato che, avvicinandosi, sarebbe stato più semplice essere in compagnia di Hitoshi. In un certo senso non può negare che lo sia. Tuttavia non ha mai pensato che sarebbe diventato difficile capire quale sia la giusta distanza da mantenere, o come interpretare gesti che non si sono mai rivolti prima.

Hitoshi non lo tocca mai in modo inopportuno e i contatti tra loro passano per lo più inosservati, dal momento che Hitoshi è discreto. Eppure passare dalla totale assenza a ora, con l'altro più che ben disposto a sfiorargli la mano o a prenderla nella sua ogni volta che ne ha l'occasione, confonderebbe chiunque.

Non è necessariamente un male. Shouto mentirebbe se dicesse di essere indifferente alla cosa o a Hitoshi stesso - ma a questo punto è un sincero interesse o è soltanto essere riuscito a mostrarsi a qualcuno ed essere stato accettato?

«Non che mi lamenti, essere presentato al migliore amico è un passo importante. Pensavo venisse prima la dichiarazione, ma...» lo sente scherzare con leggerezza, senza reale intenzione di metterlo in difficoltà. Shouto suppone che l'altro non immagini quanta verità ci sia nelle sue stesse parole: lui vuole presentarlo a Izuku ed è un grosso passo per lui.

«Izuku vuole conoscerti» rivela e non è una bugia «e penso andrete d'accordo.» aggiunge, entrando per primo nella stanza dove di solito accoglie Izuku quando vuole che nessuno li disturbi mentre parlano. Hitoshi è subito dietro di lui e, nel vederli entrare, Izuku si alza dalla poltroncina dove era seduto. Lo vede rivolgere a entrambi il sorriso amichevole che per Shouto è la norma, ma Izuku lo estende anche all'altro. Shouto sospetta che, a dispetto dell'incurvarsi di labbra affabile sul viso di Hitoshi, nemmeno lui se lo aspettasse.

«Dovete essere l'amico d'infanzia di cui ho sentito parlare.» rompe per primo il ghiaccio, facendo un passo verso Izuku «Io sono Hitoshi, del casato Aizawa.» si presenta. Shouto vede l’espressione di Izuku mutare dalla sorpresa a un sorriso mite e non si stupisce di sentirlo rispondere: «Non c’è bisogno di tutta questa formalità. Abbiamo probabilmente pochi anni di differenza e la mia famiglia non è nemmeno tra le più influenti… senza contare che devo ad Aizawa-san tutto quello che so del combattimento con la spada.» confessa. Shouto nota quasi subito il modo in cui lo sguardo di Hitoshi perde quel qualcosa di costruito, facendosi più morbido. Lui e Shouto non hanno ancora mai parlato nel dettaglio di Aizawa Shouta, ma il poco che ha sentito è bastato all’erede dei Todoroki per capire quanto quell’uomo sia importante per Hitoshi. 

«Conosci Shouta-san? Ti ha allenato lui?» domanda Hitoshi, quasi incredulo. Izuku scuote la testa: «No, non personalmente.» afferma «Ma è stato lui a presentarmi al mio insegnante, anche quando ormai aveva deciso di non avere più allievi dopo l’ultima battaglia a cui ha partecipato anni fa.» spiega e Shouto sa che quest’argomento non si esaurirà presto, vista l’adorazione di Izuku per quell’eroe di guerra. Soprattutto se anche Hitoshi si mostra così interessato da fare domande.

A Shouto non dispiace restare lì ad ascoltarli in silenzio.

*

«Izuku mi piace.» dichiara Hitoshi quando si sono ormai congedati dalla cena e stanno ingannando il tempo nella stanza in cui hanno passato il pomeriggio. Shouto ha pensato a come, forse, sarebbe considerato più naturale invitarlo nei propri alloggi, ma… probabile sia meglio così. Gli basta sentire la persona da cui si sente più attratto man mano che la fine del corteggiamento si avvicina apprezzare una di quelle a cui Shouto è più legato.

«Izuku piace a tutti.» pronuncia di rimando, con l’orgoglio di chi non potrebbe immaginarsi il contrario, non quando si parla di Izuku. Invece non si aspetta di sentire Hitoshi, seduto di fianco a lui, chiedergli a bruciapelo: «Anche a te?»

Shouto lo cerca con la coda dell’occhio, notando come Hitoshi stia ancora guardando verso il fuoco acceso nel camino. Eppure, nonostante l’abbia posta come una domanda casuale, Shouto non può fare a meno di chiedersi se ciò che l’altro intende davvero non sia è per Izuku che rifiuti ogni pretendente?

È una domanda difficile a cui rispondere, per tante ragioni: perché Izuku è una parte di lui, indice della stessa fragilità rappresentata da sua madre; perché Shouto, di questa cosa come di molte altre, non ne ha mai parlato con nessuno; perché se lo dicesse, Hitoshi come reagirebbe?

«È il mio migliore amico.» comincia Shouto, quasi senza rendersene conto: «Forse, a un certo punto, sono stato… non so. Non direi innamorato, non nel modo che intendono tutti. Ho pensato un sacco di volte che sarebbe stato tutto molto più semplice se fossi riuscito a innamorarmi di lui e se anche Izuku avesse provato per me quel tipo di sentimento.» confessa, sentendo lo sguardo attento di Hitoshi su di sé. Shouto immagina sia per questo che il silenzio gli è sempre apparso come una conveniente forma di fuga o, semplicemente, il modo più facile di nascondersi e proteggersi. Perché parlare lo fa sentire come se dovesse vergognarsi di ciò che dice e di ciò che prova.

«Non lo so. Si può amare qualcuno in un modo che non ti fa desiderare certe cose, anche se quella persona non ha legami di sangue con te? È stupido?» si lascia sfuggire, pentendosene quasi subito. Cosa si aspetta di sentirsi dire, dopotutto? Se non ne ha mai parlato neanche con lo stesso Izuku è perché lui per primo, in fondo, è consapevole di quanto sia difficile tanto spiegare quanto capire quello che prova. E in ogni caso Hitoshi dovrebbe essere l’ultima persona a cui chiederlo. 

Hitoshi non dice nulla, ma lo vede muoversi e per un attimo Shouto pensa che si stia alzando per andarsene. Si sorprende lui stesso della sensazione di vuoto che lo coglie all’altezza dello stomaco e della velocità con cui lo investe un’ondata di sollievo quando, invece, Hitoshi si limita a sistemarsi fino a stare sdraiato sul divanetto dove si sono accomodati. Lo ha fatto altre volte quando erano alla “casa sul lago”, ma c’è più naturalezza nel modo in cui ora poggia la testa sulla coscia di Shouto. Glielo lascia fare, in silenzio, studiandone i lineamenti mentre Hitoshi non lo guarda.

«Al ricevimento per il compleanno di tua sorella hai sentito che non c’è un’alta opinione di me tra gli aristocratici. Non mentono quando dicono che sono stato raccolto dalla strada e, chiaro, la cosa li infastidisce. La maggior parte di loro, almeno.» inizia a raccontare Hitoshi senza che lui abbia chiesto niente. Shouto capisce, però, che forse si tratta delle parole che già una volta Hitoshi ha provato a pronunciare e che Shouto stesso ha interrotto in quell’occasione, pensando che l’altro volesse offrirgliele quasi come merce di scambio, magari sentendosi obbligato. Capisce di doverlo lasciar parlare, stavolta. 

«Mio padre non ha una grande fama. Ha rubato per le strade da che ho memoria fino a quando non lo hanno arrestato. Ho imparato da lui il peggio e ho finito col vivere nell’unico posto che conoscevo, ossia i vicoli meno trafficati. Questo finché Shouta-san non mi ha preso con sé, come chiunque farebbe con un randagio. Solo che addomesticare un cane è molto più facile che addomesticare una persona.» commenta con una punta di sarcasmo nella voce. Shouto non è granché stupito dal suo racconto, ma solo perché le voci e le informazioni di Hawks lo avevano preparato a uno scenario simile. Ciò non significa, però, che non avverta dispiacere per l’altro.

«Shouta-san mi ha accolto in casa sua, si è preso cura di me. Ero come un animale: nessuna educazione, mangiavo con le mani, non sapevo leggere quasi nulla e di sicuro non scrivevo. Contavo, perché il figlio di un ladro deve sapere quanto ruba. Lui mi ha insegnato tutto quello che so e mi ha persino adottato ufficialmente. Non ha figli e sa bene che ora tutto quello che ha diventerà mio, quando io non mi sono ancora sdebitato per nessuna delle cose che ha fatto per me.» ammette, amareggiato. Shouto si ricorda di quando Hitoshi gli ha rivelato, uno dei primi giorni, di essere lì per ricambiare il favore di qualcuno e ora capisce meglio. Rifiutare di corteggiare il principe non avrebbe messo Aizawa e il suo figlio adottivo in buona luce. E per quanto in condizioni normali Enji non avrebbe mai scelto qualcuno con il passato di Hitoshi, deve essere stato impossibile ignorare il fatto che ad averlo adottato fosse stato il migliore amico - nonché ex compagno d’armi - del più grande eroe di guerra che la generazione del re abbia conosciuto. 

È probabile che Hitoshi non glielo stia raccontando perché amareggiato o per lamentarsi di un destino avverso; tuttavia Shouto allunga una mano, piano, fino a sfiorargli i capelli. Osa, vedendo che Hitoshi non si scosta, e li accarezza. L’altro lo guarda per qualche istante, ma quasi subito incurva le labbra in un sorriso morbido prima di sistemare meglio la testa sulle sue gambe e spostare lo sguardo sul fuoco, di nuovo. 

«Puoi immaginare come va a finire questa storia.» riprende Hitoshi, nel tono sarcasmo misto ad amarezza: «Shouta-san non si è mai sposato e, a un certo punto e senza apparente motivo prende in casa un ragazzino dalla strada. Hanno persino avuto il coraggio di insinuare che lo avesse fatto per una perversione, per portarsi quel ragazzino al letto.»

Shouto non ha bisogno di guardarlo per percepire la sua amarezza ma, allo stesso tempo, nella loro posizione si ritrova inevitabilmente a farlo. L’espressione di Hitoshi gli ricorda, per un momento, quella di un bambino mortificato. Shouto può solo immaginare come debba essersi sentito, in debito con una persona che lo ha accolto e la cui reputazione è stata invece macchiata dalle malelingue che lo hanno sfruttato come un’arma. 

«Perciò» lo sente riprendere a parlare, ritrovandosi gli occhi di Hitoshi puntati nei suoi «se mi dici che è quello il tipo di affetto che hai per Izuku, io ci credo.»

Shouto lo guarda e fa scivolare lentamente la mano che si era fermata tra i suoi capelli, fino a sfiorargli - esitante - la guancia. Si tratta di una carezza leggera, data con il dorso delle dita. Non sa se aspettarsi di vedere Hitoshi scostarsi o fissarlo sorpreso, ma non avviene nessuna delle due cose; lo vede socchiudere gli occhi e inclinare appena il viso verso la sua mano. A Shouto ricorda l’atteggiamento di un gatto.

«Ogni tanto penso che tu lo faccia di proposito.»
«Cosa?»
«A mandarmi segnali ambigui.» replica Hitoshi, ancora a occhi chiusi «Ma poi penso che non sembri il tipo. Forse ti viene solo naturale.» aggiunge, sollevando le palpebre per guardarlo. Shouto vorrebbe rispondere, ma non è pronto a farlo. Forse dovrebbe e basta perché, razionalmente, è improbabile lo sarà mai.

Hitoshi si muove, puntellandosi sui gomiti per tirarsi su a sedere. Shouto ha poco tempo per badare all’assenza di peso sulla propria gamba, la sua attenzione attirata dalla mano di Hitoshi che si posa sulla sua guancia. Distrattamente, quasi, avverte le dita dell’altro sfiorargli il lobo e quel semplice gesto - che potrebbe persino essere casuale - lo fa sentire in imbarazzo. Al tempo stesso, però, per la prima volta si aspetta qualcosa.

Hitoshi non dice niente, prima di poggiare le labbra sulle sue. La sua mano è calda contro la sua pelle e il bacio è delicato, un tentativo di non tirare troppo la corda. Shouto lo sente restare immobile, prolungare quel contatto per qualche secondo appena prima di scostarsi. Sta per dire qualcosa ma Hitoshi lo guarda e si apre in un sorriso timido, si lascia scappare uno sbuffo che somiglia all’accenno di una risata nervosa.

A Shouto sembra di vederlo sorridere per la prima volta.

*

Manca poco meno di una settimana. Shouto sa che, al più tardi, lui e Hitoshi dovranno parlare di cosa si sta creando tra loro - o, forse, c’è già - e che sarebbe meglio per entrambi non farlo davanti a tutti quelli che saranno presenti nella sala del trono. Eppure sembra la cosa più difficile del mondo, specie in momenti come questo, quando è sera e si ritrovano a salutarsi prima di andare a dormire. 

Quando Hitoshi lo ha baciato, Shouto lo ha riaccompagnato nella sua camera; non si sono detti nulla, ma il silenzio non era scomodo. Si sarebbe aspettato più imbarazzo il giorno seguente, ma Hitoshi ha passato il tempo con lui come se ormai fossero entrambi una presenza naturale l’uno per l’altro, una quotidianità assodata - e Shouto non sa se sarebbe in grado di abituarsi di nuovo all’assenza. Forse è anche per questo che si è lasciato accompagnare da Hitoshi, stasera, fino ai suoi alloggi. Non si è minimamente opposto quando l’altro ha insistito per farlo, anche se era consapevole che di fronte alla porta ci sarebbe stata l’esitazione che c’è adesso. 

Il corridoio è deserto. Già una volta Hitoshi gli ha chiesto, perplesso, come mai non ci fossero più guardie vicine agli alloggi dell’erede al trono. Così Shouto gli ha spiegato che è stato uno dei cambiamenti operati da Hawks, la cui unica spiegazione data a Shouto è stata un divertito mettere delle guardie davanti alla tua porta è come consegnare all’intruso una mappa con una x così da aiutarlo a trovarti meglio. Al di là della strategia, al momento Shouto sente un peso del tutto diverso per la mancanza di persone lì oltre loro due. 

La porta della camera alle sue spalle è semichiusa, una mano ancora mollemente poggiata sulla maniglia. Si schiarisce la voce, con l’idea di augurargli la buonanotte e togliere entrambi da questo imbarazzo; le parole, però, gli muoiono in gola nel sentire le dita di Hitoshi sfiorare le sue fino a intrecciarle in un gesto gentile. Shouto ricambia ancora prima di rendersene conto. 

Le dita di Hitoshi giochicchiano con le sue, tradendo un nervosismo che Shouto non gli ha mai attribuito e che, soprattutto, è difficile individuare quando non trapela dall’espressione altrui. Sente che le proprie sono fredde, ma le muove piano fino a carezzare goffamente il dorso della mano di Hitoshi con il pollice. 

«Sarebbe sconveniente se entrassi, giusto?» lo sente mormorare, senza muovere un passo. Persino Shouto sa che ci sono un’infinità di cose che potrebbero succedere dietro una porta chiusa, molte delle quali non devono accadere nella complessa situazione in cui si trovano loro. Tuttavia una parte di lui vuole che Hitoshi resti lì con lui.

«…Non posso farti restare.» mormora in risposta, sperando che suoni esattamente come lo intende - voglio stare ancora con te ma non posso farlo come forse lo vuoi tu. E si aspetta due diverse reazioni ma non di sentirlo sbuffare divertito e con una punta di imbarazzo nella voce, mentre pronuncia un: «Non era quello che intendevo.»

Shouto avverte il viso accalorarsi ma decide di fare finta di nulla. Hitoshi fa un passo in avanti e Shouto uno indietro; lascia che varchi la soglia di camera sua ma nota come l’altro non si chiuda la porta alle spalle, limitandosi ad accostarla. Quando rialza lo sguardo su Hitoshi lo ritrova con il viso molto più vicino al suo, le punte dei loro nasi a sfiorarsi per un attimo prima di annullare (lui? Hitoshi? Forse entrambi) la distanza tra loro. Shouto si aspetta che non sia troppo diverso dal loro primo bacio, ma si ricrede quasi subito: il primo è breve, sì, tanto da fargli rimpiangere il sentire Hitoshi allontanarsi dalla sua bocca. L’altro però lo bacia di nuovo, nello stesso modo per due, tre, quattro volte. È come se volesse assicurarsi di poterlo fare senza sentire Shouto ritrarsi. E quando ne è certo, forse perché l’unica cosa che Shouto fa è stringergli di più la mano, Hitoshi gli prende il labbro inferiore tra i denti, con un fare che Shouto non sa se sia giocoso o provocatorio. Sa solo che per un secondo appena trattiene il respiro, d’istinto, e l’attimo dopo un braccio di Hitoshi è attorno alla sua vita e la sua mano libera poggia contro la schiena di Shouto. 

«Tutto bene?» gli sussurra Hitoshi, praticamente sulle labbra; Shouto non si fida della propria voce perciò annuisce in un movimento quasi impercettibile, ed è lui a baciarlo stavolta. Se ne è sorpreso, Hitoshi non fa nulla che lo lasci intendere. Anzi stringe di più la presa attorno ai suoi fianchi e gli sfiora le labbra con la punta della lingua finché Shouto non le schiude e ricambia un bacio ora del tutto diverso. È la prima volta che bacia qualcuno così - o che lo fa in generale - e gli piace come Hitoshi lo stringe o come a un certo punto si allontana dalla sua bocca per dargli prima un bacio distratto sulla guancia e poi uno sul collo, azzardando persino a mordicchiargli la pelle. 

Shouto gli porta una mano al viso, osservandolo fin quando non incrocia il suo sguardo e lo bacia, di nuovo, perché anche se fa del suo meglio non saprà mai esprimere con le parole tutto quello che a gesti gli viene molto meglio. 

Perde del tutto la cognizione del tempo; sono la mano di Hitoshi sul petto e la leggera pressione che fa, a portarlo ad allontanarsi un po’, confuso. Vorrebbe non sembrare preoccupato di aver fatto qualcosa di sbagliato come, invece, è abbastanza certo gli si legga in faccia. Almeno a giudicare dal sorriso che Hitoshi gli rivolge - è appena accennato ma c’è una tenerezza che Shouto non ha avuto modo di osservare così da vicino e con la piena consapevolezza che fosse rivolta a lui, prima di ora. 

«Non fare quella faccia» gli sente dire in un mormorio, come se a dispetto del loro essere soli non volesse farsi sentire da altri: «resterei, ma non posso e se non faccio uno sforzo di volontà ora dubito di riuscire ad andare a dormire.» ammette Hitoshi con un sorrisetto colpevole. Shouto sospira, piano, e annuisce prima di sussurrare un: «Buonanotte.»

Hitoshi si sporge appena in avanti e gli posa un altro bacio sulla guancia, per poi lasciar andare piano la sua mano e uscire dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle. Shouto guarda il punto in cui l’altro è stato fino a qualche attimo fa; ormai c’è un’unica verità, tra loro, e almeno da parte sua Shouto non ha modo di continuare a scappare.

*

Ogni singolo servitore, così come anche Hawks e sua sorella, sembra non avere di meglio da fare nei giorni successivi se non ricordargli quanto vicino sia quello della scelta. Shouto vorrebbe dir loro di smetterla ma sa che, dopotutto, ignorare quanto poco rimane di quelle quattro settimane di corteggiamento non aiuterà nessuno. Tantomeno lui. 

In un modo o nell’altro dovrà confrontarsi con Hitoshi - in privato o davanti all’intera sala del trono. Vorrebbe poter avere la certezza di star facendo la scelta giusta e di saper usare le parole corrette. In fondo, per riuscirci, basterebbe essere qualcuno di diverso da se stesso. 

*

Se si sofferma a pensarci, Shouto può sentire la voce di un Izuku del passato dirgli di stare attento e spaventarsi per quanto pericoloso è considerato quello che sta facendo. O che conta di fare a breve.

La camera di Hitoshi è in un’ala del castello che comprende diverse stanze in cui sono accolti gli ospiti della famiglia reale, siano essi soliti fermarsi lì come Izuku o più casuali. Al momento quella accanto alla stanza dell’erede degli Aizawa è vuota e Shouto vi è entrato, attento a non farsi notare troppo da qualche servitore di passaggio. 

La tradizione del regno vorrebbe che la scelta del principe fosse resa nota solo ed esclusivamente durante la cerimonia ufficiale. Shouto non ha mai mancato di seguire questa regola, non solo perché nella quasi totalità dei casi tutti sapevano già che sarebbe stato un rifiuto, ma anche perché Shouto non aveva mai interagito con un corteggiatore al punto da sentire l’obbligo morale di avvisare la persona delle proprie intenzioni con un certo anticipo. L’unica eccezione - Momo - aveva comunque compreso la sua scelta ben prima e non c’era stato alcun bisogno di spiegargliela. 

Con Hitoshi, però, è diverso. Perché è la prima volta che Shouto non vuole rifiutare un pretendente. Tuttavia non vuole doverglielo dire davanti a tutti, con le fredde parole di un rito antico e un linguaggio ormai pressoché in disuso. Per questo si è intrufolato nella stanza accanto a quella di Hitoshi: per poter passare dai balconi quasi comunicanti.

Scivola fuori dalla finestra che dà sull’esterno, occhieggiando alla propria sinistra: la distanza è ancora quella che ricordava, quasi irrisoria se non fossero a parecchi metri dal suolo. Le luci accese all’interno illuminano anche parte del balcone, sebbene fiocamente, suggerendogli che forse si tratta di quella del comodino. Proprio come è sempre stato, invece, quella parte di giardino che non affaccia sull’ingresso principale non ha guardie fisse e la zona dei balconi, in generale, si trova in un punto abbastanza celato dall’oscurità da non far preoccupare Shouto di poter essere visto da qualcuno affacciato alla finestra a quell’ora. 

Si arrampica con facilità, le gambe semi piegate e una mano contro il muro, stringendo appena gli occhi abituarsi al buio quasi totale, non avendo potuto accendere alcuna luce nella stanza che sta sfruttando per quella visita fuori programma. Inspira, lentamente, e si mette in piedi sul parapetto. Evita di indugiare troppo e allunga una gamba, assicurandosi un buon appoggio sull’altro parapetto; si dà quindi uno slancio, scavalcando definitivamente. La mano trova un appoggio anche sul balcone appena raggiunto, ma lo slancio lo porta a scendere quasi subito dal parapetto in modo non del tutto silenzioso.

Non si aspetta le tende della finistra del tutto aperte e, di conseguenza, di essere visto subito da Hitoshi. Se non altro l’espressione altrui, a dir poco stupita, lo fa sorridere e lo aiuta a dimenticare per qualche istante quanto stupido debba sembrare lì dove si trova. 

Vede Hitoshi alzarsi dal bordo del letto dove era seduto e andare ad aprire la finestra; si fa subito di lato per farlo entrare, mentre Shouto lo sente chiedere: «Cosa ci fai sul balcone a quest’ora– no, aspetta. Come ci sei arrivato?»

«Ho scavalcato.» replica Shouto con un’alzata di spalle, visto che è l’unica risposta logica possibile. Hitoshi, invece, sembra incredulo: «In che senso hai scavalcato?» gli domanda allibito. Prima che Shouto possa rispondergli, però, l’altro alza una mano per interromperlo, aggiungendo un «È una domanda retorica.» con una punta di sarcasmo che a Shouto non dà nemmeno più fastidio, ormai.

Una volta che sono del tutto dentro, Hitoshi chiude la finestra senza esitazione e gli prende le mani nelle proprie. Shouto lo osserva, mentre lo sente mormorare un quasi distratto «Fuori si gela.» e «Bastava bussare alla porta.» con le sopracciglia aggrottate. Shouto prova un istinto quasi irrefrenabile di posargli un bacio leggero sulla fronte e questo gli ricorda che non è lì solo perché passare da un balcone all’altro è divertente.

«Ti devo parlare e… per tradizione non dovre vederti prima di domani.» gli fa presente, consapevole di aver infranto regole antiche quasi quanto il regno. Anche Hitoshi lo realizza quando sente quelle parole e annuisce piano, facendo un cenno verso una sedia posta non troppo distante dal letto. Shouto nota una camicia poggiata con cura sullo schienale, mentre Hitoshi fa per muoversi in quella direzione, forse per toglierla così da farlo accomodare. Lo trattiene prima che la raggiunga, scuotendo appena la testa nel momento in cui l’altro gli rivolge uno sguardo dubbioso.

«Siediti.» lo invita Shouto, accennando al letto «Preferisco stare in piedi.» assicura. Vede Hitoshi dapprima indugiare e poi poggiarsi sul bordo del materasso. Gli rivolge un sorriso che Shouto non riesce a decifrare mentre gli dice: «Non mi pare un buon segno.» per poi rimanere in completo silenzio e in attesa. 

Shouto si sarebbe dovuto preparare un discorso, ma l’ultima volta che ha pensato con calma a cosa fare si è scusato con un biglietto e un fiore, neanche fosse un bambino. Ogni conversazione che li ha in qualche modo avvicinati è stata casuale, a volte forzata dagli eventi. Se fossero andate diversamente Shouto sospetta sarebbero state molto più fallimentari. Perciò anche se ora trovare le parole gli sembra impossibile - o, almeno, trovare quelle giuste -, potrebbe andare meglio di quanto crede. Spera.

«Non volevo dirti queste cose per la prima volta davanti a tutti domani, durante la cerimonia.» inizia con una confessione. Hitoshi lo guarda e non dice nulla; Shouto non sa se questo renda tutto più facile o più difficile. Cosa è opportuno dire? Le grandi storie nei libri parlano di plateali dichiarazioni d’amore, di sentimenti potenti e improvvisi come un’esplosione. Shouto non si sente così. Non crede, quando guarda Hitoshi, di amarlo come se anziché quattro settimane avessero avuto a disposizione quattro anni. E crede che nemmeno Hitoshi lo ami come il regno e le tradizioni si aspettano che accada, da un giorno all’altro. Lui non ha idea di come dire una cosa del genere senza che suoni incredibilmente sbagliata.

«Si aspettano da me che io ti rimandi a casa o ammetta di amarti tanto da voler passare il resto della mia vita con te.» dice, cercando di non spostare lo sguardo da quello di Hitoshi: «Ma ti conosco da quattro settimane.» obietta, stringendo appena i pugni lungo i fianchi. Vede la mano di Hitoshi fare lo stesso, quasi a riflettere il suo gesto, con il bordo del materasso. È qualcosa che potrebbe passare del tutto inosservata, se Shouto non cercasse anche il minimo segno in Hitoshi che possa tradire i suoi pensieri e suggerirgli come aggiustare il tiro delle proprie parole. 

«Per me è impossibile decidere adesso se possiamo stare insieme tutta la vita.» cerca di essere più chiaro. Ora, a poco più di vent’anni, dopo aver visto dei genitori ottenere solo infelicità da una promessa prematura, come potrebbe fare lo stesso errore a cuor leggero o credendoci davvero?

«Però,» dice, nel tono l’urgenza di chi teme di non avere abastanza tempo prima che l’altro lo cacci via dalla stanza o, peggio, gli dica di non aver mai avuto intenzione di scambiare quel tipo di promessa con lui: «non voglio farti andare via.» confessa. È il primo dei due ad abbassare lo sguardo, ma non per codardia. Lo fa per respirare un attimo, per muovere qualche passo fino a essergli davanti e potersi inginocchiare come l’etichetta gli ha insegnato a fare - non è granché, ma è qualcosa che conosce nel mezzo di una situazione imprevedibile.

La voce di Hitoshi lo raggiunge prima che Shouto, tornando a guardarlo, possa riprendere a parlare: «Ti stai inginocchiando per farmi una proposta?» domanda, perplesso, e a Shouto sembra di riconoscere un accenno di imbarazzo in lui. Si guardano per un attimo, in cui Hitoshi decide di aggiungere un «Dopo avermi appena rifiutato.»

«Non ti ho rifiutato.»
«Sembrava di sì.»
«Sto cercando di–»
«Non ti sto fermando.» lo interrompe Hitoshi, fissandolo dritto negli occhi, bisognoso di qualcosa che forse necessitano entrambi ma che vuole venga da Shouto.

«Resta.» gli dice in un mormorio, cercando le sue mani con le proprie: «Dirò agli esponenti del regno che non posso giurare di sposare qualcuno che conosco appena, ma che voglio passare più tempo con te, conoscerti di più. Mio padre può concederlo. Me lo deve. E… E posso farti vedere che non ho molto oltre il titolo reale e tante questioni famigliari disastrate, ma è quello che ho. Voglio che tu possa vederlo e decidere se vuoi stare con me.» ammette, sentendo di star perdendo fiducia nel rendersi conto di quanti problemi ci si debba sobbarcare - anche indirettamente - nell’accettare quella sua proposta. Hitoshi, però, gli stringe entrambe le mani quasi a spronarlo ad andare avanti con il suo discorso. 

«Mi piaci.» confessa, sentendosi vulnerabile più di quanto si sia mai concesso di essere se non di fronte a poche, fidate persone: «Sul serio. Anche se mi hai fatto una pessima prima impressione e non sono la persona più facile da capire.»

«Un eufemismo.» lo sente commentare divertito «E la tua dichiarazione è terribile. Potrei raccontarlo in giro e ridicolizzarti davanti a tutti.» gli fa presente Hitoshi, ma è difficile crederci quando una delle sue mani scivola via da quelle di Shouto e gli accarezza il viso con tenerezza. Shouto lo sente sfiorargli la cicatrice e sospira, piano, socchiudendo gli occhi. Avverte Hitoshi muoversi e poco dopo le sue labbra sono su quelle di Shouto, in un contatto che dura pochissimo ma lo fa sentire comunque impacciato come un ragazzino.

«Posso dare la mia risposta?»
«Non era questa?» azzarda Shouto, sentendo l’altro sbuffare contro le sue labbra: «Arrogante.» commenta Hitoshi, intrecciando le dita delle loro mani e tirandolo appena verso di sé. Shouto glielo lascia fare - così come ha lasciato che Hitoshi conoscesse quello che lo rende fragile e che potesse disporne come voleva. Ha scommesso, contro ogni insegnamento di Hawks e contro ogni buon senso.

Potrebbe andare molto meglio del previsto.

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