LIBERATO, la storia

di Niijika
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 9 Maggio ***
Capitolo 2: *** Gaiola Portafortuna ***
Capitolo 3: *** Tu me faje ascì pazz ***
Capitolo 4: *** Je te voglio bene assaje ***
Capitolo 5: *** Guagliò ***
Capitolo 6: *** E te veng' a piglià ***
Capitolo 7: *** Intostreet ***
Capitolo 8: *** Liberato ***
Capitolo 9: *** Cchiù Fort' ***
Capitolo 10: *** Vien' ccà ***
Capitolo 11: *** We come from Napoli ***
Capitolo 12: *** Me staje appennenn' amò ***
Capitolo 13: *** Tu t'e scurdat' e me ***
Capitolo 14: *** Milano, MI AMI ***
Capitolo 15: *** Luntan' ***
Capitolo 16: *** Torino, Club2Club ***
Capitolo 17: *** Luntan' pt.2 ***
Capitolo 18: *** Luntan' pt.3 ***
Capitolo 19: *** Napoli, Milano, Barcellona ***
Capitolo 20: *** Capri Rendez-vous ***
Capitolo 21: *** Grazia ***
Capitolo 22: *** Capri Rendez-vous pt.2 ***
Capitolo 23: *** Anna ***
Capitolo 24: *** Nun ce penzà ***
Capitolo 25: *** Rione Terra ***
Capitolo 26: *** Graziocazz' ***
Capitolo 27: *** 'Na storia e 'na sera ***
Capitolo 28: *** Amma stá vicin' ***
Capitolo 29: *** Nunneover ***
Capitolo 30: *** Funiculì Funicolà ***
Capitolo 31: *** Chiagne Ancora ***
Capitolo 32: *** O core nun tene padrone ***
Capitolo 33: *** Guagliuncella Napulitana ***
Capitolo 34: *** Miez'o mare ***



Capitolo 1
*** 9 Maggio ***


Il 9 Maggio 2016 il cielo incombeva plumbeo su Nisida, il mare scivolava aggressivamente lungo la costa di Bagnoli e la temperatura non era quella che ti aspetteresti da una mattina di primavera napoletana, ma il mio petto era comunque scaldato dalla vista di Teresa che mi aspettava all'uscita dal penitenziario.

L'ultima volta che ci eravamo visti, un anno prima, l'ultimo ricordo di lei era stato il pugno in faccia che mi diede senza troppa forza, indebolito dai singhiozzi del pianto scatenato dalla sentenza di condanna, ma adesso era fortissimo l'abbraccio in cui mi aveva avvolto.

- Non hai portato neanche un ombrello ja, ci stiamo bagnando i capelli – dissi con mezzo sorriso per smorzare l'imbarazzo e l'emozione.
- C'è tuo padre in macchina qui dietro, per questo non l'ho portato – rispose lei, prendendomi per mano per guidarmi verso la macchina.

Era lunedì, quindi sapevo che mia madre non sarebbe potuta venire a prendermi a causa del lavoro. Non che mio padre non lavorasse, ma è ben diverso quando sei un barone dell'università con decine di assistenti sottopagati che possono fare il lavoro al posto tuo.

Non nascosi il mio fastidio nel salutarlo, sedendomi sui sediliposteriori per lasciare che Teresa si sedesse davanti e mi evitasse di stare fianco a fianco con lui.

Durante la detenzione si era saldata ancora più forte in me la convinzione che mio padre continuava ad appallarmi solo perchè ero il suo unico figlio maschio. Non cercò alcuna comunicazione con me per tutto l'anno in cui ero stato dentro, nonostante furono gli avvocati pagati da lui a seguire il mio caso, e ci avevo quasi creduto di essermelo finalmente tolto dalle palle dopo aver scoperto di avere un figlio degenere non adatto al rango della sua famiglia.

- Com'è andata, Filippo? Ti sei fatto crescere la barba? – esordì, accendendo il motore del SUV. Quest'ultima frase la avvertii più come una critica che una domanda.

Non risposi. Teresa rise senza troppa convinzione.

- Gli da un aria più matura – affermò, forse mentendo.

Lasciai morire lì la conversazione per tutto il tempo che impiegammo ad uscire dall'imbottigliamento del tunnel di Fuorigrotta, perdendo lo sguardo oltre la Stazione Marittima ed il cantiere infinito attorno al Maschio Angioino, immaginando l'effetto che mi avrebbe fatto scatafasciarmi sul letto mezzo scassato della mia stanza senza laporta, ma che almeno era il mio.

Arrivati all'angolo con le scale di Rua Catalana mi catapultai fuori dell'auto chiudendomi la portiera alle spalle senza aspettare che papà finissedi invitarmi a prendere non so cosa non so dove per il mio compleanno, e mi persi un attimo a guardare le lanterne di rame che pendevano dai palazzi della mia via, ma per la prima volta senzasentirle del tutto "casa".

I miei compagni di stanza nell'ultimo anno erano stati uno di via Foria e due ragazzetti neri che avrei giurato essere molto più piccoli dime, e con i quali ero riuscito a praticare il mio abbozzatissimo francese e quel poco di inglese che avevo imparato bene alle medie. In qualche modo mi era sembrato di aver vissuto in un microcosmo, crocevia di tante cose che non conoscevo e che alla fine avevo fatto mie, tanto da non credere di appartenere al quartiere Porto più di quanto non appartenessi al golfo di Melilla da dove erano venuti quei due.

Teresa interruppe il mio flusso di pensieri prendendomi per mano espingendomi verso le scale.

- Uè uè, siamo diventati lenti dopo tutti questi mesi di ritmi controllati, eh? - affermò quasi urlando, sventolando l'altra mano ad un centimetro dal mio naso.
- E scusa Tere', dammi il tempo di capire dove sto – risposi, forse troppo seriamente.

Quando entrammo in casa ebbi la sensazione di essere fuori posto. Non riuscivo a riconoscere la maggior parte dei mobili, della disposizione dell'arredamento, persino il frigorifero mi sembrava troppo pieno per gli standard che ricordavo. La mamma aveva lasciato sul tavolo un vassoietto piccolo di paste con un biglietto in cui si leggeva solo "Bentornato" a penna blu, ma che potevo avvertire anche solo guardandolo da lontano quante lacrime calde aveva assorbito mentre veniva scritto.
Dato lo smarrimento iniziale decisi di non andare a vedere camera mia, ma già avevo notato che il telo che copriva l'arco d'ingresso era stato sostituito da una piccola porta non del tutto a misura.
Teresa iniziò a scartare le paste per accaparrarsi l'unico babà della composizione, mentre io lasciai cadere la mia roba in un angolo della cucina e d'istinto afferrai la carmencita sui fornelli per fare il caffè.

Nel silenzio dell'appartamento iniziai finalmente ad avvertire la vibrazione del cellulare per il bombardamento continuo di messaggi che stavo ricevendo da tutta la mattina. In un istante di speranza, un pensiero che non avrei voluto avere mi attraversò da tempia atempia, mentre prendevo il cellulare e guardavo il caos di notifiche sul salvaschermo.

- Erica è ancora in Erasmus, sai, ha esteso di altri 6 mesi – dichiarò Teresa, che notoriamente mi legge nel cervello qualsiasi cosa io faccia, prima ancora di pensarla di mia sponte. E' per questo che non posso nasconderle niente.
Non le feci notare che, come al solito, chiamava Erasmus il programma che in realtà si chiama Intercultura. Ma comunque non risposi affatto, nel vano tentativo di riconnettere le idee e i soliti vaneggiamenti subconsci.
Erica aveva esteso il periodo di studio all'estero perchè sapeva che tanto io stavo dentro? O lo aveva fatto perchè aveva conosciuto qualcun altro a Madrid? Mi accorsi che il dolore al petto tornava bello potente anche a distanza di un anno, quando pensavo a lei. L'ulteriore paura di ritrovare sue o nostre vecchie foto mi tenne ancora più lontano da camera mia.
Ma, qualeche fosse la ragione, le tempistiche davano comunque il suo ritorno prima dell'estate, stando quindi a significare che avrei avuto comunque troppo poco tempo per riabituarmi al mondo di fuori senza il rischio di incontrarla da qualche parte.

- Tu invece niente scuola oggi? - sdrammatizzai sorridendo, sapendo benissimo che stavo parlando con la secchiona del Genovesi.
- Mi sono fatta interrogare apposta ieri, non rompere! - mi confermò lei stessa ciò che già avevo sospettato, conoscendola.

Le porsi la tazzina di caffè fumante e spostai lo zucchero sulla tavola.
- Ho sentito che hai potuto continuare a suonare – disse, quasi come una domanda.
Avevo di proposito tagliato completamente tutti i contatti col mondo esterno, anche quelli permessi. Però tornare a parlare così con Teresa dopo un anno intero non sembrava strano, anzi, avevo la sensazione di averlo fatto anche ieri e il giorno prima senza pausa alcuna.
D'istinto azzardai un pensiero che non avrei mai detto ad alta voce a nessun altro se non a Teresa - Mi sono sentito meno prigioniero quest'anno a Nisida che l'anno scorso con Erica – dissi.

Lei abbassò gli occhi per un attimo, poi si lasciò sfuggire uno sbuffo tra lo sconforto e lo scocciato.
- Lillo io te lo dico, spero che Nisida ti abbia portato fortuna. L'ho visto nei tuoi occhi mentre attraversavamo la strada che sei cambiato veramente. - rispose così alla mia non-domanda.
- Tua mamma mi ha detto che hai imparato a suonare strumenti nuovi, che hai continuato a scrivere pezzi e hai studiato tanto per non perdere l'anno. Queste sono cose che fino ad un anno fa non avresti fatto perchè eri troppo distratto e frustrato dalla situazione con quella. Ti ricordo che sei finito a Nisida anche per pezzo suo! - concluse.
Questa era una cosa che io non avrei mai detto e che continuo a pensare non sia vera. E' vero che la possibilità allettante di spacciare ai quartieri alti la ebbi grazie alle connessioni di lei, ma questa cosa era nella mia vita da prima di incontrarla e lei non era neanche d'accordo che lo facessi.
- Terè non ricominciare... – temevo di tornare ad impelagarci di nuovo nelle sue sfuriate su Erica, ebbi un dejavù.
- No Lillo, mo ormai dovresti proprio averci messo non dico una pietra, ma un macigno sopra 'sta storia! Noi non li abbiamo mai frequentati quei posti prima, e così dovremmo tornare a fare ora. Te l'avevo detto fin dall'inizio che per certa gente siamo passatempi, non persone – mise particolare enfasi sull'ultima frase perchè i discorsi di classe ci avevano sempre uniti.
- Ti ha buttato come uno straccio appena le cose hanno iniziato a mettersi male. Non basta mandarsi i cuoricini su Whatsapp nel cuore della notte per amare veramente una persona, e tu lo sai! L'anno scorso dopo la festa di capodanno a Corso Vittorio mi hai pure detto che ti eri sentito come se stessi diventando tuo padre, e questa cosa ti aveva fatto stare male -.

Come sempre, Teresa sapeva concentrarsi sui dettagli giusti. La sua ultim afrase mi aveva riportato di strapiombo alla terrazza di quel palazzo a Vittorio Emanuele, erano le 2:30 ed il golfo visto da lì sembrava un buco nero circondato da stelle che poi erano i lampioni di Via Caracciolo, Erica era sdraiata nella reclinabile di fianco a me e mi accarezzava lo sterno vicino al ciondolo della collana. Con la coda dell'occhio vedevo il resto della gente che dormiva sui divani del salotto, circondati da alti scaffali pieni di libri che ero sicuro stavano lì per fare scena, perchè in casa di un professore ci vogliono tanti libri, anche se quando ero piccolo sognavo di riuscire a leggerli tutti.
Ma ci sono troppi libri nel mondo e questo pensiero mi atterriva perchè non basta la durata di una vita umana per poter leggere tutto e quando esposi questo pensiero ad Erica lei rise civettuolamente e rispose che quando sarei stato professore anche io come mio padre,allora avrei potuto leggere almeno tutti quei libri che mi servivano per insegnare. Rimasi di pietra al pensiero che lei mi vedesse inquel modo. Quello nella sua testa non era il Filippo di Rua Catalana a cui stava accarezzando lo sterno, era un personaggio fittizio preconfezionato della favola che i suoi genitori avevano impresso a fuoco nella sua immaginazione fin da piccola, una bambina predestinata al benessere di Via Manzoni da sempre e per sempre. Poco importa se stava frequentando uno straccione del quartiere Porto tanto poi, essendo almeno il bastardo di un barone, sarebbe potuto diventare un esimio professore come il padre ed assicurare alla prole lo stile di vita borghese adatto al rango della madre.

Lei disse offesa che questo era un film che mi ero fatto io in testa, che "come fai a pensare certe cose alla nostra età", che la buttavo sempre sui soldi, stare con me diventava sempre uno stress.

Intanto lei sapeva quanto mio padre mi facesse schifo, che all'università non ci volevo andare, e che comunque guarda che non so se te ne sei accorta ma il ragazzo che stai frequentando è uno di giù Napoli che spaccia e stava rischiando la bocciatura al liceo artistico.

Teresa mi riportò al presente con il rumore della tazzina di caffè vuota che si era accappottata sul tavolo.
- Comunque io sto piena di compiti da fare oggi pomeriggio, quindi ci sentiamo più tardi. Fammi sapere se scendi stasera – tagliò corto ed uscì in fretta da casa, lasciandomi a sprofondare da solo nel pensiero tetro di rientrare in camera mia e trovarla stravolta come avevo trovato il resto della casa, o magari anche peggio, trovarla identica a come l'avevo lasciata, piena di foto con Erica appese al muro.

Mi voltai a guardare quell'abbozzo di porta che mia madre aveva pensato fosse una buona idea installare senza consultarmi. Anzi, in passato mi aveva chiesto se "adesso che sei un uomo" volessi una porta vera al posto del telo che aveva sempre separato l'unica camera da letto della casa dal resto degli ambienti di salotto e cucina. Essendoci cresciuto tutta la vita con quel telo come unico riparo dal resto della casa, non lo avevo mai considerato un problema, tanto comunque non avrei mai portato una ragazza in casa mia neanche sotto tortura a prescindere da quello.

Mi ci vollero due sigarette fumate frettolosamente sul balconcino alla francese del soggiorno prima di trovare il coraggio finalmente dimenarmi in camera mia e capire in che stato fosse.

Sarà che mi ero iniziato a fare troppe aspettative, o che lo strano attaccamento alla mia stanza era esponenzialmente cresciuto dopo aver passato un anno chiuso nello stesso cubicolo con altri tre sconosciuti, ma quando entrai in camera tirai un sospiro di sollievo.L 'unica cosa che era cambiata, a parte la porta, era un bel letto nuovo fiammante ad una piazza e mezza, ma tutto il resto era esattamente come lo avevo lasciato seppur fortunatamente senza le foto di Erica in giro.

Sul letto troneggiava un altro biglietto che riportava "Il letto è un regalo di tuo padre", con la stessa penna blu ma stavolta con molta meno commozione del primo biglietto di benvenuto. A quel punto pensai chelo stronzo non aveva scelto un letto più grande a caso, ma perchè a lui Erica forse piaceva persino più che a me.

Posai finalmente le borse in camera, guardai brevemente fuori dalla finestra e poi mi lasciai cadere sulla sedia della scrivania.

Che fare adesso? Probabilmente molti si aspettavano che rispondessi a tutte le chat di gruppo in cui mi stavano ammorbando già dalla mattina per chiamarmi una festa di ritorno in pompa magna. Ma non ne avevo neanche lontanamente voglia. Feci per dare di nuovo un'occhiata alle notifiche sul cellulare ma in realtà i miei occhi stavano vagando nel vuoto. Pensai di darmi per disperso e non rispondere a nessuno per almeno un giorno o due, tanto era infrasettimanale e magari c'avevano tutti qualcos'altro a cui pensare. Invece no.

Squilla il cellulare mentre c'ho ancora i pensieri depressivi e isolazionisti nella testa. Ma è Carmine e non posso non rispondergli. Esordisco con un "" senz'anima e taccio subito in attesa di sue.

- Fratm' ma tu seriamente sei uscito stamattina e manco mi hai detto niente? - urlò l'amico mio all'altro capo della cornetta, non ero sicuro se fosse incazzato o goliardico.

Nel dubbio risposi con molta calma – Chè scherzi, certo che c'ho pensato ma non ho avuto un attimo di tempo fino a mo, che mi è venuto a prendere mio padre fuori a Nisida – mio padre fungeva sempre da carta "scazzo jolly" per cui i miei amici sapevano di dover glissare sulle altre stronzate quando lo nominavo. Carmine capì.
- Comunque bello, stasera ci andiamo a fare una cosa tranquilla, sistemata, giusto per aggiornarci che è passata una vita – disse senza ammettere controbattute.
Non provai neanche ad averne, risposi OK e riattaccai. Un secondo dopo mi scrisse in chat che sarebbe venuto a prendermi alle 22.

In quel momento sentii la porta di casa aprirsi e d'istinto corsi verso mia madre che rientrava da lavoro per la pausa pranzo. - Mammà! - esclamai, abbracciandola fortissimo.
Lei, con le lacrime trattenute a stento, mi strinse di rimando barcamenandosi tra me e le buste della spesa. Con voce spezzata dalla commozione mi chiese se avevo già mangiato. Guardai l'orologio, erano le 14.

- No. Hai fatto tardi oggi – risposi, mettendo a posto la roba dalle buste appena portate da mamma.

- Un bambino ha vomitato su tutto il corridoio e ci abbiamo messo ore a far sparire la scia di acido. Dicono avesse bevuto per sbaglio una medicina per donne partorienti o chissà cosa si era chiavato in corpo – rispose lei in un gran sospiro di esasperazione e decenni di stanchezza accumulata a fare le pulizie in giro per tutta Napoli e provincia.

Si fermò finalmente un attimo per riprendere fiato, con la mano poggiata al tavolo per reggersi in piedi, mi guardò con occhi tra il grave e l'ammirato – Sembri più grande Lilluccio, da quand'è che non ti fai la barba – osservò.

A quel punto ne avevo già abbastanza dei commenti sulla mia barba e ancora non avevo neanche incontrato tutti gli altri amici miei. Mi dissi che a Nisida aveva espletato la sua funzione e forse ora era arrivato il momento di toglierla. Risposi che dopo pranzo mi sarei sistemato e lei sembrò sollevata, ma non eccessivamente.

- Non sei contenta che so' cresciuto finalmente? - la sfruculiai con un mezzo sorriso malizioso.
- La barba è cresciuta, mo vediamo se la testa ha tenuto il passo! - scherzò lei, ma dicendo una cosa seria.

Cucinammo insieme la pasta coi pomodorini freschi e volle sentire tutte le storie di me, dei compagni di cella, delle lezioni di musica e tutto il resto, anche quello che aveva già sentito. Ci sono pochissime cose che nascondo a mia madre, perchè tanto comunque la maggior parte riuscirebbe a scoprirle lo stesso. La droga era tra queste e poi guardate com'è finita.

Mi disse che per l'estate aveva chiesto il favore ad un amico di un suo collega che tiene un bar a via Toledo di pigliarmi dietro al bancone a imparare un po' il mestiere. La paga era talmente misera che tanto valeva farlo gratis per la gloria, ma lei stessa dichiarò che non era tanto per i soldi quanto per farmi capire che posso imparare e fare tante cose belle e diverse nella vita. Era un modo carino per dirmi che spacciare non doveva diventare la mia strada, al di là di quanto uno possa guadagnare facendo certi "mestieri".
Risposi che comunque pagare il giusto gli apprendisti non sarebbe certo un peccato del padre eterno e nessuno andrebbe in bancarotta per questo, lei con un sorrisetto amaro aggiunse – E va' a fare la rivoluzione,va'! - poi finì il suo caffè e andò a stendersi sul divano a riposare prima di menarsi di nuovo altre 4 ore in mezzo alla via.

Io andai in bagno a togliermi finalmente questa foresta nera dalla faccia e farmi una meritata doccia senza che passanti a caso mi guardassero il pene. Dopo ero talmente esausto che mi schiantai a letto e solo letelefonate insistenti di Carmine riuscirono a risvegliarmi, quasi 5 ore più tardi. Lui mi urlò all'orecchio di scendere e io ringraziai di essermi lavato prima di morire sul letto perchè non mi sentivo abbastanza lucido neanche per sciacquarmi la faccia.

Mi chiavai addosso il primo jeans che trovai dentro allo zaino e scesi giù al portone dove Carmine sedeva tronfio sopra ad una bella vespa rossa dall'aria non troppo nuova, ma con lo stencil fresco di Maradona sul frontale sotto al manubrio ed il Che che pendeva dallechiavi.

- Bella, somiglia a quella che mi hanno rubato l'anno scorso – esordii, con mite entusiasmo.
- Sali, c'ho già le birre. Andiamo al pontile come ai vecchi tempi? -.
Annuii, pensando che fosse una buona idea dato che in un freddo martedì sera di Maggio era improbabile che ci fosse troppa gente a Bagnoli. Ovviamente non potevo sapere che c'era un evento privato all'Arenile, ma non me ne preoccupai neanche quando arrivammo e ci schiattammo nell'ultimo metro quadro del pontile prima che si aprisse il mare scuro e burbero diritto di fronte a noi. Guardai Nisida da lì, senza particolari sentimenti, solo apprezzandone la bellezza. Il pontile Nord era il rifugio mio e di Carmine fin da piccoli quando venivamo a giocare a casa di sua zia ad Agnano, quante volte avevo gettato lo sguardo oltre Nisida da lì senza sapere che un giorno non troppo lontano ci sarei finito dentro.

Carmine mi tese una Peroni stappata e mi strizzò l'occhio, per farmi capire che aveva inteso quello a cui stavo pensando e non voleva interrompere il mio flusso di coscienza. Ma non ci mettemmo troppo prima di sprofondare nei miei racconti sulla detenzione, sulla scuola, la musica, i suoi patemi su questa o quell'altra ragazza che aveva conosciuto a scuola o al centro sociale.

Mi chiese se volevo tornare a spacciare e se avevo spaccato la faccia aqualcuno anche dentro solo perchè mi aveva urtato la spalla passando, ma risposi di no a entrambe le cose. Non che pensassi diessere diventato meno impulsivo, o violento diciamo, o che avessi bollato lo spaccio come il male di tutti i mondi perchè semmai adesso avevo "messo la testa a posto", niente di tutto questo.
Ma gli spiegai che l'insegnante di musica dentro mi aveva aperto la mente su un sacco di cose che si possono fare e forse finalmente una cosa che mi sarebbe piaciuto studiare c'era. Non l'avevo ancora detto ai miei per la paura che scoppiassero dalla felicità prima di pagarmi le tasse necessarie, ma comunque dovevo prima riuscire a prendermi la maturità.

Lui mi sembrò entusiasta di questa cosa e mi diede un fragoroso brofist che mi lasciò pure un lieve dolore alle nocche per un po'. Carmine non era neanche lontanamente bravo a scuola, ma faceva l'alberghiero e comunque era sempre miracolosamente riuscito a non farsi bocciare. Non c'erano comunque molti altri amici con cui avrei parlato discuola e di studio senza che mi dessero del pesantone per tagliare corto e continuare a parlare di calcio.
Dopo un paio d'ore di chiacchiericcio ininterrotto, iniziammo a puzzarci di freddo per via del vento che si era alzato e tornammo verso il motorino. Un momento che ero chino a guardare lo stencil di Maradonada vicino mentre Carmine andava a buttare la spazzatura, sentii una voce drammaticamente familiare dall'altra parte del parcheggio. Quando mi voltai ebbi un brivido lungo la schiena che mi arrivò acongelare pure la punta dell'alluce del piede.

Erica stava in piedi a pochi metri da me, scavando dentro la borsetta che teneva appesa alla spalla e parlando con qualcuno che era appena entrato in una macchina che non riconoscevo, dal lato conducente, e che le stava aprendo la portiera dall'interno. Per spostarmi dalla visuale, urtai la macchina che mi stava di fianco, che provocò un tonfo sordo. Senza neanche voltarmi mi menai lungo lungo dietro la macchina sperando che non si fossero girati in tempo per intravedermi. Speranza che ritenni vana quando sentii lei dire adalta voce "Aspetta un attimo" e muovere un passo nella mia direzione. Con la coda dell'occhio vidi Carmine che stava tornando indietro dal cassonetto, camminando lentamente per accendersi una sigaretta. Se Erica lo avesse visto mi avrebbe sgamato 100% che ero io quello che si era tuffato dietro alla macchina.

- Erica dobbiamo andare via mo prima che torna il parcheggiatore – sentii dire a quello dentro la macchina.

Era una voce familiare, forse qualcuno degli amici suoi che era venuto alla festa di Capodanno. Lei si guardò un attimo attorno con circospezione e poi salì in macchina senza dire altro. Mi passarono di fianco quando già avevo fatto in tempo a nascondermi dietro almuretto accanto alla macchina.
Carmine tornò lentamente al motorino, porgendomi una sigaretta e un accendino di plastica verde.

- Mi sembra di aver visto passare mo mo Erica in macchina con quello stronzo dell'amico di famiglia che si portò a mare quella volta che andammo alla Gaiola. - affermò, immaginando già che l'avessi vista anche io.
Annuii senza aggiungere altro. Lui probabilmente non sapeva che lei era rimasta a Madrid tutto l'anno che io ero stato dentro, quindi non era così sorpreso di vederla. Ma io un po' sì. E a quel punto mi chiesi di nuovo se era tornata in tempo per me, perchè sapeva in qualche modo quando sarei uscito, oppure se era stato solo un caso. Figurati se sta ancora pensando a me quando c'ha altri chiattilli con cui uscire e farsi le serate private all'Arenile...

Tornando verso il centro chiesi a Carmine di lasciarmi a piazza Vittoria che volevo fare due passi verso casa a piedi. Ci salutammo con un breve abbraccio e gli dissi che mi sarei fatto vivo presto. Lo guardai salire verso il tunnel oltre la villa comunale e mi chiesi se era l'aria ad essersi fatta pesante oppure la mia testa. Avevamo bevuto non più di due Peroni grandi a testa, ma il vento annunciava pioggia ed io mi ritrovai col fiatone senza aver fatto niente.

Mi voltai verso la ringhiera sul mare di Via Caracciolo, mi avvicinai per prendere una boccata di iodio e non so perchè pensai pure che farmi un'altra sigaretta fosse una buona idea.

Invece di avviarmi verso il centro però, feci dietro-front verso gli chalet di Mergellina, forse alla ricerca di un cornetto caldo di mezzanotte. C'erano due gatti in croce per la strada ed ebbi una strana sensazione di libertà, più di quanto non l'avessi avuta quando avevo messo piede fuori da Nisida quella mattina.

Realizzai che la vista di Erica non mi aveva turbato perchè ero ancora innamorato di lei, ma perchè avevo paura che lei lo fosse ancora dime ed in tal caso non sapevo se avrei saputo resistere ai suo itentativi di tornare insieme, per pura arrendevolezza, lussuria o forse persino masochismo.
In realtà più di una volta durante la nostra relazione avevo avuto la sensazione che lei non fosse affatto innamorata di me, ma quello che voleva era un pupazzo di bell'aspetto e dei quartieri poveri da portarsi a spasso per sembrare più figa, se non addirittura una buona samaritana. Di sicuro le piacevo, come a tante altre ragazze che mi trovavano bello o se non altro pulito, visto che non poteva dirsi lo stesso di tanti altri 17enni del mio liceo. Ma quanto è pericoloso imbarcarsi in una storia già persa in partenza, solo perchè ci si piace fisicamente...

E niente, i miei piedi mi avevano portato dritto in trappola ed inconsciamenteforse lo sapevo pure. Era di fronte agli chalet che ci eravamo incontrati la prima volta, ed era lì che adesso lei mi stava aspettando. Che testa di cazzo a pensare che non mi avesse visto! Non solo stava ad un paio di metri da me nel parcheggio, ma avevo fatto anche un bordello esagerato nel tentativo di nascondermi.

Mentre valutavo se fosse il caso di fingere di non vederla era già troppo tardi, perchè lei stava già venendomi incontro. Aveva un vestito leggero rosa che le avvolgeva morbido i suoi fianchi stretti, i capelli mossi e sciolti in balia del forte vento che veniva dal mare,un rossetto di un colore credo rosso così intenso che le faceva sembrare le labbra ancora più grandi del solito. Sorrideva.

- Sono proprio felice di vederti – disse. Sembrava sincera, e del resto era lei che mi era venuta a cercare.

Sibillai un "Ciao" poco convinto, ma non dissi altro perchè speravo che capisse l'antifona e mi lasciasse in pace in tempi brevi.

Non successe.

Le cose precipitarono.

Senza che me ne accorgessi stavamo già seduti sugli scogli, uno accanto all'altra, in uno dei punti più bui in cui riuscivo a malapena avedere il riflesso della luna sul ciondolo blu che portava al collo. Mi aveva chiesto del carcere, mi aveva raccontato di Madrid, delle sue infuocate conquiste e del suo spagnolo fluente, di com'è calda la Spagna, così tanto che Napoli le sembrava di botto fredda e insostenibile. Mentre diceva questo mi accarezzava la mano, un po' quasi con timidezza, anche se sapevo essere fintissima.
Poi passò ad accarezzarmi il mento perchè "un uccellino" le aveva detto che avevo la barba lunga quando sono uscito, che ancora mo non so chi sia stato ma tanto a Napoli nessuno può mai fare un cazzo di niente senza che mezzo mondo lo venga a sapere. Disse che chissà com'ero sexy con quella barba, che la maturità che c'era nei miei occhi ora si stava diffondendo nel resto del corpo, che "un uomo che è stato in carcere ne ha di storie da raccontare", poi prese a baciarmi e leccarmi con disciplinata insistenza.

Non era affatto piacevole, ma senza neanche accorgermene stavamo facendo sesso e io mi facevo schifo più di quanto a quel punto mi facesse schifo lei. Non lo so perchè sono così, credo di avere dei blackout quando una ragazza mi si concede, al punto da fare cose che non voglio per puro riflesso condizionato. Mi succede la stessa cosa quando m'incazzo così tanto da andare in freva con gente del tutto presa a caso, per sfogo indiscriminato.
Fare sesso con il vento e la pioggia addosso, sugli scogli freddi, con una persona che ormai odiavo, era in realtà una punizione che avevo sotto sotto deciso di infliggere a me stesso quando me ne era stata offerta la possibilità. Come al solito, riuscivo ad essere il peggior nemico di me stesso.

Quando lei fu soddisfatta, si riagganciò il reggiseno e tirò fuori il cellulare per controllare che il rossetto fosse ancora a posto. Poi chiese di farci un ultimo selfie di addio, perchè l'antifona l'aveva capita già da prima ma a quanto pare c'era ancora qualcosa in sospeso che voleva da me e che a finalmente adesso aveva avuto. Probabilmente coronare il sogno di scoparsi un carcerato e sentirsi una cattiva ragazza molto, molto cool.

- Non voglio mai più vederti Erica, sparisci dalla mia vita una volta per tutte – e quella fu veramente, dannatamente, agognatamente la fine.

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Capitolo 2
*** Gaiola Portafortuna ***


Poi venne il mio fottuto 18esimo compleanno, due giorni più tardi. Mi fu organizzata una delle feste a sorpresa meno gradita della storia del mondo, visto che tutto mi andava di fare fuorchè festeggiare, e quindi non ho nulla da riportare a riguardo se non il mio infinito scazzo.

Le uniche cose belle della giornata furono due dei regali che ricevetti, Adobe Audition e nientemeno che una tastiera elettronica Roland JD-XA. Rimasi a guardarla per giorni senza crederci, rigorosamente toccandola il meno possibile perchè il solo fatto di respirargli vicino mi sembrava potesse rischiare di romperla.

Era il premio da parte di mio padre per il fatto che avessi superato la fase “figlio degenere” e, dato che volevo andare al conservatorio, sarei potuto diventare il figlio “artista eclettico” che magari aveva sempre voluto. Mi accorsi che anche mia madre aveva timore reverenziale e ammirato per la mia nuova tastiera, sembrava che per lei rappresentasse il fatto che adesso avevo qualcosa di meglio su cui buttare il mio tempo. In realtà mi aveva detto che era molto orgogliosa del fatto che volessi studiare musica e mi era sembrata veramente sincera.

Venne quindi il fatidico momento della maturità, che a pensarci oggi al fatto che abbia questo nome viene da ridere. L'unica cosa che la mia memoria fu capace di immagazzinare dalla tesina sul tardo '800, che scrissi senza troppa attenzione, fu il disastro causato dai coloni che portarono i conigli in Australia. Comunque raccattai un dignitoso 78 perchè feci una gran figura con la prova orale d'inglese, paradossalmente grazie al fatto di essere stato in carcere con ragazzi stranieri per tutto l'anno precedente. Teresa, come tutti si aspettavano, uscì con 100 e già lanciatissima verso giurisprudenza. Carmine continuò a faticare alla pizzeria dove lavorava sua madre tale e quale a prima, anche dopo il diploma alberghiero.

Nel frattempo io avevo iniziato al bancone del bar di Via Toledo del lontano conoscente di mamma, un 60enne con una panza esagerata che mi sembrava sfidasse letteralmente le leggi della fisica per mantenersi in piedi. Era tutto sommato simpatico, anche se braccino corto, e con la scusa di imparare ad usare la macchinetta potevo farmi tutti i caffè aggratis che volevo (e che mi facevano tirare a campare per tutto il tempo che non potevo fumare).

Facevo anche una gran figura, per cui il proprietario continuava a complimentarsi con mia madre ogni volta, perchè riuscivo a parlicchiare con tutti i clienti turisti in francese ed inglese. Piano piano stavo imparando pure lo spagnolo a furia di quanti ne venivano da Barcellona. Questo, purtroppo, non comportò alcun aumento in busta paga perchè si sa che gli imprenditori leggono solo quegli studi che dimostrano che gli impiegati hanno solo bisogno di più sorrisi e pacche sulla spalla per lavorare meglio.

I dipendenti dei negozi circostanti venivano regolarmente a prendersi il caffè da noi, se non già dalla mattina almeno dopo pranzo, e mi ero fatto delle amicizie interessanti. Anche se avevo deciso di non avere storie per un po', dopo il dramma con Erica, c'erano tre commesse del negozio di Carpisa di fronte a noi che mi lasciavano abbondanti mance e occhiatine maliziose ogni volta che passavano a fare aperitivo dopo il turno. A dire la verità non avevo fatto caso nemmeno a che faccia avessero finchè una di loro, un caldo pomeriggio di fine luglio, non prese a litigare animatamente con il proprietario che stava alla cassa. Il motivo era che i prezzi scritti sul menù stampato non erano stati aggiornati da quando “formalmente” avevano subito un aumento di 50 centesimi. Ora lei andava giustamente trovando di pagare quanto aveva letto nel menù al tavolo invece che quanto le era stato chiesto alla cassa.

Il proprietario era inamovibile. Mi lanciò un'occhiata in lontananza per ordinarmi di fare qualcosa.

Mi avvicinai con poca voglia, finchè non notai il portamento dritto e allenato della figura snella che sbatteva i pugni sulla cassa e, quando si voltò verso di me, due occhi straordinariamente azzurri.

- Posso dare una mano? - chiesi garbatamente.

- Non mi sembri uno che si sa fare bene i conti – rispose lei algida, ma con una punta di scherzosità nel tono.

- Forse quello no, ma io pe' me pigliá a questione ch'e femmene belle tengo nu talento – azzardai, con un mezzo sorriso.

In mezzo secondo di silenzio, il proprietario alzò gli occhi al cielo, non so se perchè scocciato dalla posteggia che mi stavo facendo o dal fatto che questo potesse non risolvere il problema per cui mi aveva chiamato. Le compagne della ragazza iniziarono a ridere convulsamente e scambiarsi timide occhiatine d'intesa.

- Non è lusingandomi che mi farete pagare di più per una cosa che so che costava meno – continuò lei sul piede di guerra. Comunque legittimo, pensai io, aveva ragione.

- Allora senti a me, io mo ti impacchetto un bel babà alla fragola per smaltire l'acidume e non ce lo devi pagare. Così appariamo e stiamo a posto coi conti. - andai proprio così, a manetta, facendo come se il locale fosse il mio e avessi potere decisionale su quello che ci stava dentro. Ma il proprietario non si oppose, quindi la palla passò di nuovo alla tipa.

- In tal caso non me lo stai regalando, lo sto comunque pagando con i soldi in più che mi state chiedendo per la roba del menù – rimbeccò lei, ancora una volta con una logica impeccabile.

- Allora visto che sei una guaglioncella sveglia che sa fare bene i conti ti regalo io il mio tempo questo sabato, così magari insegni pure a me come si battono gli scontrini giusti – a quel punto credevo di essermi menato troppo baldanzoso e, dato che l'avevo vista bella piazzata, mi aspettavo pure una sonora sberla in faccia. Invece lei alzò un sopracciglio e si ammutolì per un secondo. Poi prese un bigliettino dall'angolo della cassa, pescò una penna dalla tasca frontale del suo zaino e mi disse di scriverle il mio nome e numero di cellulare, che poi si sarebbe fatta sentire lei.

Rimasi piacevolmente stupito da quell'interazione così anni '90, la sua dignitosa testardaggine e del modo in cui riusciva ad avere subito il controllo sulle cose. Forse valeva davvero la pena spendere il mio unico giorno libero della settimana con lei.

E fu così che conobbi Elena, anche se ancora non sapevo il suo nome.

 

***

 

Nei giorni seguenti ebbi un leggero sussulto ogni volta che ricevevo un messaggio sul cellulare. Risi di me stesso perchè non immaginavo mi sarei mai ridotto ad avere il batticuore nell'attesa di una ragazza di cui non sapevo neanche il nome, di cui a dire il vero non sapevo niente di niente. Provai più volte a cercarla da lontano con lo sguardo dentro alla bottega di Carpisa, ma non mi sembrò di scorgerla mai, anche se le sue amiche faticavano ogni giorno lì dentro. Ovviamente non avrei mai chiesto a loro dove fosse la compagna, sarebbe sembrata una cosa da sfigati e magari così avrei anche perso per sempre l'occasione di farmi richiamare da lei.

Provai a non pensarci ma mi scoprii malinconico, come se mi servisse una ragazza “nuova” non tanto per dimenticare Erica ma piuttosto per riacquistare fiducia in me stesso, e soprattutto nel genere femminile. Avevo sempre trovato le ragazze col carattere forte molto attraenti, ma con Erica era andata male perchè avevo scambiato la sua vanità e altezzosità per forza di carattere. Mi serviva ben altro per capire cosa volesse davvero dire stare con qualcuna che mi tenesse testa senza essere per forza montata e saccente.

Una domenica pomeriggio di un paio di settimane dopo, mentre riguardavo per l'ennesima volta le repliche di How I Met Your Mother su Italia1, una chiamata da un numero che non tenevo salvato raggiunse finalmente il mio cellulare. Fissai lo schermo in trepidazione per qualche secondo, poi ebbi paura di non fare in tempo a prendere la telefonata quindi mi affrettai a premere il pulsante verde. Dissi “Pronto?” con un po' di esitazione. Se la domanda fosse stata rivolta a me probabilmente avrei detto di no.

- Sei Filippo? - chiese la voce all'altro capo della linea.

Risposi di sì, riconoscendo la voce della ragazza incazzosa del bar.

- Ti ho chiamato per essere sicura che mi avessi dato veramente il numero tuo e non di qualcun altro stronzo – dichiarò con tono solenne.

Oltre ad essere un'attaccabrighe era pure una detective provetta. La cosa mi fece ridere. Era veramente sveglia e interessante.

- Sono io, non avrei avuto motivo di prenderti per il culo. Tanto sai dove lavoro e mi avresti ritrovato lo stesso – rimbeccai, senza pensare troppo alle giustificazioni che stavo adducendo senza motivo.

- Ah solo per questo? - rise lei, un po' nervosamente. Non so se ci aveva creduto, in realtà non volevo essere cattivo, avevo solo dato una risposta di getto. - Comunque non ti ho potuto chiamare prima, ma sono ancora interessata a darti ripetizioni di economia e commercio – scherzò.

Potevo avvertire un brillio nei miei occhi senza neanche guardarmi allo specchio e mi sentii un cazzone. Mi tornò in mente la sua schiena larga, i capelli lisci castani così lunghi che arrivavano quasi a sfiorare la mezza chiappa soda lasciata scoperta dal pantaloncino cortissimo.

Deglutii nervosamente, ci stavo mettendo troppo a rispondere. - Quando vuoi tu allora – arronzai, giusto per dire qualcosa. Lei sembrò avere un'improvvisa fretta di chiudere la discussione.

- Va bene, ti mando un messaggio più tardi – tagliò corto.

Improvvisamente mi ricordai di non sapere neanche il suo nome e mi affrettai a chiederglielo prima che mi attaccasse il telefono in faccia. Lei sembrò colpita dalla domanda, la sentii ridere con un po' di timidezza e sollievo nella voce. - Salvati questo numero, sono Elena -.

 

***

 

Mi arrivò un messaggio su Whatsapp poco dopo. Mi diceva che potevamo vederci il sabato successivo per andare a mare alla Gaiola visto che teneva troppo caldo per stare in giro in città. Mi sembrò ragionevole, che oramai era quasi Agosto ed il centro storico era diventato tipo Marte, ma mi sembrò anche una mossa audace andare al mare insieme al primo appuntamento, quasi quasi non ci eravamo neanche mai visti coi vestiti addossi.

Bene così.

Passai il resto della settimana a raccogliere informazioni su di lei. Grazie alla ricerca del numero di telefono online avevo trovato il suo profilo Facebook e mi ero messo a scorrere le foto e le info pubbliche. Dieci anni fa sarebbe sembrata una cosa da stalker, forse, ma oggi sarebbe strano se ti interessa una persona e non lo fai... no?

A quanto pare era veramente appena uscita dal liceo scientifico (brava in matematica!), abitava in zona Montesanto vicino al Parco Ventaglieri, sognava di diventare la nuova Federica Pellegrini, e sua madre era proprietaria del punto vendita Carpisa a via Toledo ma lei non ci lavorava dentro. Quindi quel giorno era venuta al bar con le commesse del negozio e l'avevo scambiata per una di loro, ma per questo poi non l'avevo più adocchiata nei paraggi.

Ebbi paura che questa novità mi distogliesse dallo studio preparatorio per l'ammissione al conservatorio, ma mamma fece di tutto per evitarmi lo sbandamento grazie al fatto che si accordò con papà per portarmi una sera a settimana a casa di un cristo che doveva essere un padre eterno del pianoforte 40 anni fa e che adesso dava lezioni private a me in uno studio a Riviera di Chiaia.

Il sabato successivo pregai Carmine di prestarmi la sua vespa per andare a mare con Elena. Dovetti promettergli mari e monti, forse anche per finta, giusto per pazziare, ma alla fine accettò.

Arrivai da lei con mezz'ora di anticipo, e c'era da aspettarselo dato che mi ero addirittura alzato all'alba per fare letteralmente meno di 10 minuti di strada da casa mia alla sua. Decisi di sfruttare il tempo per prendere della roba al bar per colazione, invece che stare impalato sotto al portone come il testa di cazzo che ero. Iniziai a sfondarmi di caffè al bancone per conto mio prima di prendere quello da asporto, poi mi piazzai un quarto d'ora davanti alle sfoglie per viaggiare con l'immaginazione e cercare di scegliere la cosa giusta che avrebbe potuto piacerle. Ma siccome non ne avevo veramente la più pallida idea alla fine presi due sfogliatelle frolle e due riccie, che non si sa mai.

Lei quando venne giù e le vide scoppiò in una risata imbarazzante.

- Ma secondo te con questo caldo mi metto a mangiare sfogliatelle a colazione prima di andare a mare? - esclamò.

Farfugliai qualcosa che non ricordo in mia difesa, ovviamente mi sentivo già un cazzone da quando mi ero alzato dal letto quella mattina e questo ennesimo errore non aiutava. Comunque avrei dovuto aspettarmi il fatto che una sportiva avesse un regime alimentare tutto suo.

Sembrò tuttavia apprezzare il caffè e la vespa, che trascurai di puntualizzare non fosse mia, e così ci avviammo verso la Gaiola.

Lei aveva indossato un vestito corto semitrasparente, che lasciava vedere il bikini verde sottostante. Mi accorsi finalmente di quanto fosse bassina, poiché portava ai piedi delle ciabatte da mare con una zeppa altissima e a stento mi arrivava al mento così.

Mentre si stringeva a me sul retro della vespa, il suo seno piccolo ma sodo mi premeva dietro la schiena ed ebbi il serio timore di farmi il durello prima ancora di poter iniziare la giornata. Ma visto che stavo già depresso da tutte le cazzate che avevo impilato dalla mattina, che mi avevano reso ancora più teso di quanto fossi mai stato ad un primo appuntamento, avevo troppi pensieri bui in testa per potermi eccitare. In più era da un anno che non guidavo e c'avevo l'ansia di buttarci entrambi sotto una macchina alla prima curva di un vicoletto troppo stretto.

Arrivati sulla spiaggia c'era ovviamente un manicomio di gente, bambini che correvano ovunque, noi ci eravamo prima persi vicino agli scavi archeologici ed eravamo stati scacciati malamente da una specie di guardiano vecchissimo con un accento strano, vestito come se stesse a farsi un safari in Africa.

Ci piazziamo con le tovaglie sotto al sole cocente, visto che non c'era un centimetro di ombra neanche a pagarla, e chiaramente non avevamo un ombrellone. Lei aveva degli occhiali da sole da star di Hollywood, decisamente troppo grandi per il suo visetto affusolato, ma che le davano un'aria molto accattivante.

- Il mare è il mio elemento! - urlò prima di togliersi tutto e iniziare a correre velocissimo verso le onde, per non bruciarsi i piedi con la sabbia rovente.

In motorino mi aveva parlato degli allenamenti di nuoto intensi che aveva dovuto fare nelle ultime settimane, ragione per cui non aveva potuto chiamarmi prima, ma mi confidò anche che il pensiero di potermi vedere dopo l'aveva motivata a fare ancora meglio. Mi sembrò una cosa fin troppo carina da dire a qualcuno che neanche conosci, ma mi fece tenerezza e forse anche arrossire.

La raggiunsi con calma, cercando prima di arroccare tutte le nostre cose in modo visibile dal mare così che potessi controllare che nessun guaglioncello ci rubasse niente.

L'acqua era bollente e le onde basse, con il solito leggero strato di monnezza bianca spumosa sulla superficie, non ero del tutto convinto di voler davvero fare il bagno ma lei mi prese a sorpresa un piede da sotto all'acqua e mi fece perdere l'equilibrio, cadendo fragorosamente a pochi metri dal bagnasciuga. Mentre cercavo di rialzarmi mi si mise cavalcioni addosso, prese con decisione le mie mani e se le posò sui fianchi. Aveva un sorriso furbo sulla faccia.

- Mi hai cercato su Facebook dopo che hai avuto il mio numero? - chiese con tono finto inquisitorio.

Cercai di sviare la domanda chiedendone il perchè. Lei spiegò che aveva visto il mio profilo tra i consigliati di “Persone che potresti conoscere” il giorno dopo, e questo significava che l'algoritmo aveva rintracciato un contatto tra i nostri profili.

Non so se fosse vera questa cosa ma mi fece ridere il fatto che le avevo dato della detective giorni prima, e questo continuava a rinsaldare quest'immagine di lei nella mia testa.

Ma questo non riuscì a distrarmi abbastanza da quanto era liscia la pelle dei suoi fianchi, e dal fatto che avevo le mani a pochi millimetri dai fiocchetti che le tenevano il pezzo di sotto del costume allacciato addosso. Quando avvertii qualcosa di grosso in arrivo la spostai di peso e mi allontanai di mezzo metro, evitandomi un'altra bella figura di merda.

Per deviare i pensieri le dissi che avevo portato le casse bluetooth e mi informai sui suoi gusti musicali. Per il resto della mattinata parlammo tantissimo di musica, più che altro perchè mi aveva confidato di non essere ferratissima ed io per qualche motivo avevo azzeccato a parlarle di tutto quello che stavo ascoltando di recente e di come mi stavo preparando al conservatorio.

Lei non sembrò scocciata, anzi, mi fece molte domande interessate e la cosa mi mise finalmente a mio agio.

Per pranzo aveva portato delle grosse fette di frittata di pasta fatte da sua madre, buonissime. Continuammo a parlare molto di viaggi, che ne faceva tanti per gli allenamenti e i campionati, e si era sorpresa di venire a sapere che parlicchiavo diverse lingue pur senza mai aver messo un piede fuori dall'Italia e che comunque non avevo fatto né il linguistico né volevo andare all'Orientale. Scherzammo su questo perchè per farmi bello le cantai il ritornello della sigla di Evangelion in giapponese, a memoria, senza sapere ovviamente un cazzo di cosa significassero le parole, ma feci comunque bella figura e le strappai qualche risata. C'erano tante sigle di cartoni giapponesi che conoscevo a memoria perchè ne guardavo a chili con mia madre quando ero piccolo. Uno dei pregi di avere una mamma giovane, immagino.

Prendemmo il sole ascoltando R&B americano e poi la portai a guardare il tramonto sulle terrazze al Virgiliano. Quando fummo entrambi completamente drenati di energie da sole e sale la riaccompagnai a casa per ora di cena.

Prima di salutarci sotto al portone, la vidi combattuta su quanto concedermi e concedersi. Odio questa cosa, e odio che sopravviva persino alla nostra generazione nel cazzo di 2016. Ma se voleva baciarmi doveva farlo lei, perchè se lo avessi fatto io sarebbe sembrato troppo precipitoso e non volevo darle quell'impressione. Pensai che al di là di quanto mi piacesse fisicamente, era anche simpatica e divertente, quindi mi sarebbe piaciuto tenerla anche solo come amica.

- Dietro al bancone del bar sembravi il solito guappo dei quartieri, sempliciotto ma montato, invece sei veramente un bel personaggio – mi disse, con il riflesso del lampione della piazzetta che le faceva brillare l'azzurro degli occhi – Le ragazze del negozio moriranno di gelosia mo che glielo racconto -.

Non seppi bene come rispondere a quella cosa. Da un lato pensai volesse farmi un complimento, ma dall'altro mi chiedevo se avesse accettato di uscire con me più per farsi bella con le amiche che perchè volesse davvero conoscermi. E allora mi domandavo anche se e quando avesse cambiato idea, se adesso mi considerava abbastanza interessante da continuare a frequentarmi o quale fosse stato l'esatto momento durante la giornata in cui questa sua opinione era cambiata.

Completamente imbambolato da tutti questi pensieri, non mi accorsi dell'istante in cui mi prese il braccio per tirarmi piano verso di sé e baciarmi gli angoli della bocca. Così sembrava che mi avesse salutato normalmente, ma c'era il trucco perchè le labbra si erano sfiorate.

- Grazie per oggi, alla prossima – e sparì dentro al palazzo.

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Capitolo 3
*** Tu me faje ascì pazz ***


Andai dritto dritto da Carmine subito dopo, che ero un fascio di nervi. Non necessariamente in senso negativo. Era un nervosismo prodotto della consapevolezza di essere un coglione che può farla fuori dal vaso in qualsiasi momento, e che quindi dovevo stare doppiamente attento a quello che facevo quando tenevo a qualcosa che improvvisamente avevo paura di perdere.

Il modo in cui quella ragazza mi faceva sentire era fuori dall'ordinario, o comunque da quello acui io ero abituato. In passato cominciava tutto dall'attrazione fisica, lo stare caratterialmente in affinità con l'altro non era in nessun modo una cosa a cui pensavo, né tantomeno a cui davo una qualche priorità, invece adesso con Elena era nato tutto dal fatto che lei fosse una persona forte e interessante al di là di quanto fosse anche bella.

Schiattai la testa a Carmine fino a tarda notte con tutte queste chiacchiere, seduti con una busta di birre in un angolo di Piazzale Tecchio, lui mi ascoltava per lo più annuendo ogni tanto in religioso silenzio, o talvolta facendomi qualche esempio di come anche lui si ricorda di essersi innamorato in questo modo di Teresa. A dire il vero ricordo chiaramente che per lui fu una cosa molto più graduale, visto che ci conoscevamo tutti da quando eravamo piccoli ed il suo amore per Teresa era nato nel periodo tra la fine delle scuole medie e gli anni delle superiori. Per tanto tempo mi convinsi anche che probabilmente se ne era innamorato solo perchè era l'unica ragazza di cui eravamo amici stretti ma poi, quando fu chiaro che la sbandata non andava via nonostante gli anni passavano, gli diedi atto della serietà del suo sentimento.

Ebbi la sensazione che fosse curioso di conoscere Elena, questa misteriosa ragazza che mi aveva fatto perdere la testa dopo averla vista solo due volte, però io non me la sentivo ancora di portarla in comitiva. Volevo stare da solo con lei ancora altre volte prima di poterla introdurre ai compagni,un po' per becero protezionismo della mia nuova conoscenza, un po'perchè ero ansioso di conoscerla meglio e parlare da solo con lei per ore ed ore senza che il resto del mondo ci disturbasse.

Ed era questa la cosa più strana di tutte, forse, il fatto che nella mia testa io ci immaginavo a parlare ...a parlare! E ovviamente mo non voglio passare neanche per il santo che non sono dicendo che non ho immaginato anche che tutte queste chiacchiere finissero con il mio corpo spalmato sul suo, ma quello che voglio dire è che per la prima volta ero interessato con lo stesso trasporto ad entrambe le cose.

Dopo aver sfogliato insieme a Carmine gli album di foto di Elena su Facebook, mi riaccompagnò a casa e mi disse qualcosa sul fatto che aveva sentito da qualche parte che porta bene se riesci a dare il primo bacio ad una ragazza entro 48 ore da quando ci sei uscito per la prima volta.

Non so perchè questa cosa mi fece andare in paranoia over 9000, non me l'avesse mai detto. Passai il resto della notte a pensare a come rendere possibile questa cosa.

***

Il giorno dopo stavo con le occhiaie a terra e la testa tra le nuvole, facevo caffè a riflesso condizionato e pulivo il bancone meccanicamente. Il proprietario non poteva essere meno interessato al mio stato di salute, si stava facendo i cazzi suoi aspettando che venisse il figlio per portargli il nipote per dormire a casa dei nonni quella notte.

Ogni tanto buttavo l'occhio dall'altra parte della strada, al negozio Carpisa, nella speranza che Elena passasse da lì, e invece passò tutta la mattina senza neanche un suo cenno sul cellulare. 

In realtà stavolta volevo essere io a ricontattarla, ma non sapevo bene cosa dire e cosa proporre per incontrarci di nuovo, e di certo non potevo aspettarmi che mi venissero idee brillanti con 2 ore di sonno e 5 di lavoro con 40 gradi all'ombra. Dentro al bar si scoppiava di caldo e questo non faceva che spegnermi ulteriormente il cervello, perchè poi nonostante avessimo i condizionatori accesi a 16° tenevamo tutte le porte d'ingresso spalancate poichè al proprietario sembrava una geniale idea di marketing.

Ad un certo punto del tardo pomeriggio stavo svacantando un nuovo sacco di chicchi di caffè dentro la macchinetta quando entrò un gruppetto di una decina di loro che più rumorosi non avrebbero potuto essere. Mi faceva già male la testa da quanto caffè avevo bevuto in mattinata e dal sonno perso durante la notte, mi voltai per inveire contro i clienti appena entrati quando scorsi tra di loro Erica. 

D'istinto mi nascosi dietro l'angolo della porta del bagno. Buttai velocemente un occhio fuori emi sembrò che non mi avesse visto.

Il gruppo si dispose in diligente ordine lungo il bancone, continuando a chiaccherare a voce altissima, e notai che erano tutti vestiti molto elegantemente. Erica aveva una scollatura esagerata ed un rossetto rossissimo.

Dopo un po' che li vidi aspettare e che anche il proprietario iniziò a guardarsi intorno, probabilmente cercando me, mi resi conto di essere l'unico fottuto barista del locale e che questa cosa del nascondiglio non mi sarebbe servita a non incrociare Erica. Bestemmiai interiormente.

Finsi di uscire dal bagno e tornai con fare distratto nei pressi della macchinetta, poi mi voltai incrociando volutamente lo sguardo con una tipa del gruppo che non conoscevo, chiedendo l'ordine.

Ma, ovviamente, Erica non si fece scappare l'occasione.

- Filì! Ma che ci fai qua?!- mi chiese sguaiatamente, come se fosse la cosa più assurda del mondo trovarmi a faticare in un bar.

- Eh sto lavorando. Mi hanno assunto per la stagione – feci spallucce, cercando di far trasparire il più possibile quanto poco mi importasse di averla rincontrata.

Tra l'altro mi ferì un po'il modo in cui mi salutò, come se fossi un vecchio amico con cui aveva perso i contatti per caso, quando l'ultima volta che ci eravamo visti solo pochi mesi prima avevo tentato di trasferirle nel modo più chiaro possibile tutto il mio disprezzo.

Nessuno dei suoi amici sembrò curarsi minimamente della nostra conversazione, iniziarono a subissarmi di ordinazioni varie ed io colsi la palla al balzo per tagliare corto e mettermi a lavoro. Sentivo lo sguardo di lei dritto su di me, sulla mia schiena, su ogni movimento che facevo con la testa e con le mani, mi sentii una scimmia in uno zoo.

Mi resi conto che in realtà era esattamente così che mi aveva fatto sentire per tutto il tempo che eravamo stati insieme, mi teneva come se fossi un bel bambolotto, mi toccava in modo disgustoso e all'epoca ero così imbecille da trovare la cosa eccitante.

Ad un certo punto mi accorsi che qualcuno della cricca le aveva chiesto se mi conosceva e lei rispose tronfia che ero il suo ex. La cosa scatenò una serie di risatine civettuole tra le sue amiche vrenzole e lei, volendo rincarare la dose dopo aver lodato le mie spalle larghe, aggiunse –Poi ha dei capelli troppo morbidi raga, glieli volete toccare? -.

Cioè va', ma neanche fossi stato una Barbie. Le buttai d'istinto la tazzina di caffè sul bancone così forte che il contenuto le si rovesciò quasi tutto sulla scollatura. Lei invece che prenderla male, per qualche insano motivo, mi guardò allupatissima.

- Ma guarda che hai combinato... noi stiamo andando a un matrimonio a Palazzo San Giacomo! - esclamò, ma senza neanche un poco di risentimento. Il proprietario iniziò a bestemmiare e scusarsi in tutte le lingue possibili. Lei però non lo sentì neanche e continuò – vuoi pulirmi tu? Andiamo in bagno? -.

Ebbi un brivido di vera paura. Questa era capace di mettermi le mani addosso spudoratamente nel bagno di un luogo pubblico, davanti a tutti.

- Tu me faje ascì pazz – risposi, non sapendo neanche bene cosa dire - Fai sempr chest, nuncambi mai... m'e rutt prop'o cazz – le buttai addosso dei fazzoletti e uscii in fretta su via Toledo, lasciandomi dietro il silenzio gelido che era calato su tutto il bar.

Non feci neanche in tempo a riprendere il fiato e le idee che con la coda dell'occhio vidi una figura familiare appoggiata al muro di fianco alla porta del locale.

Elena.

Sorrideva, tra il malizioso eil sospettoso.

Mi si spense il cervello.

Da quanto tempo stava lì? Aveva la faccia di chi aveva visto tutta la sceneggiata, come si fa al cinema coi popcorn in mano. Ma nessun altro l'aveva vista da dentro perchè era rimasta dietro la cornice della porta, ben coperta dalla pianta dell'aiuola sull'ingresso.

Mi fece segno di fare silenzio con il dito, io buttai l'occhio dentro per capire cosa stesse succedendo e vidi che pure lì, ancora vicino al bancone, tutti erano voltati verso di me sul marciapiede.

Mi sentii strisciare una mano morbida e fresca dietro la nuca, il piccolo corpo di Elena mi aderì completamente addosso ed in un attimo ero piegato sul suo viso. Mi diede un bacio da film che manco Tobey Maguire sul set di Spiderman.

Pensai che era strano baciarla per la prima volta così, però era anche eccitante farlo con così tanta passione davanti a tutti quanti. E non era quella passione finta di quando vuoi fare ingelosire qualcuno, sebbene lo pensai in un primo momento, ma poi mi avvolse con il calore di chi ti sta baciando perchè non vedeva l'ora di farlo. E dio, pure io non vedevo l'ora di farlo!

Quando le nostre labbra si staccarono ebbi quasi una brutta sensazione di abbandono, le strinsi le mani sui fianchi e lei mi accarezzò la guancia e il collo. Congli occhi pieni di tenerezza mi disse – Vado a portare una cosa a mamma al negozio e poi ti aspetto per quando chiudi – mi baciò di nuovo, stavolta a stampo – A dopo! -.

E sparì dentro al negozio di Carpisa, due passi più in là.

Affrontai ciò che successe dopo con la leggerezza nel cuore e la testa somewhere over the rainbow.

Gli amici di Erica pagarono velocemente il conto e cercarono di andarsene il prima possibile, mentre lei si riprendeva dalla vergogna e l'umiliazione appena subita. Finse di ignorarmi ma poi mi lanciava occhiate scurissime quando pensava che non la vedessi.

Il proprietario mi fece una uallera senza precedenti, disse che se non mi licenziava così in tronco era solo per la brava persona che era mia madre e quanto ero bravo con le lingue dei turisti stranieri.

A me non me ne fregava più un cazzo di niente. La ragazza più figa della storia del mondo mi aveva appena dato il bacio più spettacolare mai visto ed io stavo tutto I love you come non mi ero mai sentito prima. Stavo già proiettato a cosa avremmo fatto dopo, e chissà fin dove ci saremmo spinti presi dalla foga e l'appagamento per aver appena creato una scena epica.

Comunque il proprietario chiamò anche mamma per sfogare con lei la frustrazione di avere a che fare con "un ragazzo così problematico", che comunque ormai per quest'estate era andata così, che però avevo troppi drammi addosso e poverina lei che mi doveva crescere da sola. Secondo me stava cercando una scusa per non pagarmi il mese, ma alla fine mamma deve avergli detto qualcosa che lo aveva addolcito man mano che si parlavano al telefono.

Io per il resto del turno non feci altro che ripensare alle labbra morbide di Elena, al suo burrocacao alla vaniglia, a sbirciare verso Carpisa per scorgere la sua figura mentre pulivo il caffè che era colato dal bancone.

Finitala giornata, la ritrovai seduta su un'aiuola di Piazzetta duca D'Aosta davanti alla funicolare. Appena presi posto accanto a lei, mi riagganciò la testa per darmi un altro bacio fenomenale. A quel punto ormai volavo a due metri da terra.

-Ma che hai passato con quella, o' scè!! - esclamò ridendo di gusto.

Io la guardavo incredulo, sempre più convinto che la ragazza che avevo di fronte fosse la cosa più bella che mi fosse mai capitata.

Salimmo al Vomero da Augusteo, andammo a prendere da asporto al Burger Kingper portarcelo in Floridiana e passammo lì quasi tutta la notte. Ci baciammo per ore interminabili, rotolandoci sull'erba alta dei prati trascurati, lei che si strusciava sul cavallo del jeans che mi si ingrossava ed io mi crogiolavo in questo stato di eccitazione e felicità indescrivibile. Mi tuffai nei suoi lunghissimi capelli profumati freschi di shampoo, ci raccontammo tutto delle nostre storie passate e lei mi sembrò così comprensiva e amorevole per tutto quello che Erica mi aveva fatto passare. Il suo tono era rassicurante, come a dire "ora ci sono io con te", ed io pregai in testa a me che non mi stesse mentendo perchè la possibilità diperderla mi sembrava già un'ingiustizia insopportabile.

Le toccai e baciai il collo e i seni piccoli e turgidi, la volevo da morire ma al tempo stesso non volevo "rovinare" tutto subito con il sesso. Non so neanche perchè mi ritrovai a pensarla così, ma mi venne naturale non spingere oltre quello che ci stavamo dando spontaneamente, nonostante avessi il membro così duro da farmi male. Eppure era un dolore che mi faceva quasi stare meglio, a pensare almomento in cui finalmente l'avrei posseduta e saremmo stati ancora più un tutt'uno di quanto già non stessimo facendo quella notte.

Ci affacciammo dalla balconata panoramica per vedere il riflesso della luna crescente sul mare e la sagoma scura di Capri in lontananza.

Tornando verso casa mi disse che sarebbe partita per farsi le ferie con la madre il weekend successivo, ma che sarebbe tornata prima della fine di Agosto. Si raccomandò che io mantenessi l'impegno di studiare tanto per il conservatorio e io colsi la chance di invitarla a casa per poter suonare qualcosa per lei.

Incredibile che stessi invitando una ragazza in casa mia, non l'avevo mai fatto prima.

Ci lasciammo con questo appuntamento per uno dei pomeriggi seguenti, quando ormai eravamo sulla soglia del suo portone. Dopo un altro quarto d'ora di slinguazzata decidemmo finalmente di andare a dormire, ed io me ne tornai a casa fischiettando. 

Avevo avuto il mio bacio prima delle 48 ore della profezia di Carmine, e stavo col cuore nello zucchero.

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Capitolo 4
*** Je te voglio bene assaje ***


https://www.wattpad.com/1258795930-liberato-la-storia-track-iv-je-te-voglio-bene

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Capitolo 5
*** Guagliò ***


https://www.wattpad.com/1259211927-liberato-la-storia-track-v-guagli%C3%B2

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Capitolo 6
*** E te veng' a piglià ***


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Capitolo 7
*** Intostreet ***


https://www.wattpad.com/1260547789-liberato-la-storia-track-vii-intostreet

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Capitolo 8
*** Liberato ***


https://www.wattpad.com/1261554178-liberato-la-storia-track-viii-liberato

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Capitolo 9
*** Cchiù Fort' ***


https://www.wattpad.com/1262970471-liberato-la-storia-track-ix-cchiu%27-fort%27

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Capitolo 10
*** Vien' ccà ***


https://www.wattpad.com/1263919993-liberato-la-storia-track-x-vien%27-cc%C3%A0

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Capitolo 11
*** We come from Napoli ***


https://www.wattpad.com/1264811829-liberato-la-storia-track-xi-we-come-from-napoli

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Capitolo 12
*** Me staje appennenn' amò ***


https://www.wattpad.com/1265153998-liberato-la-storia-track-xii-me-staje-appennenn%27

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Capitolo 13
*** Tu t'e scurdat' e me ***


https://www.wattpad.com/1265511337-liberato-la-storia-track-xiii-tu-t%27e-scurdat%27-e-me

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Capitolo 14
*** Milano, MI AMI ***


https://www.wattpad.com/1266207944-liberato-la-storia-track-xiv-milano-mi-ami

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Capitolo 15
*** Luntan' ***


https://www.wattpad.com/1270298946-liberato-la-storia-track-xv-luntan%27

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Capitolo 16
*** Torino, Club2Club ***


https://www.wattpad.com/1272304379-liberato-la-storia-track-xvi-torino-club2club

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Capitolo 17
*** Luntan' pt.2 ***


https://www.wattpad.com/1274202172-liberato-la-storia-track-xvii-luntan%27-pt-2

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Capitolo 18
*** Luntan' pt.3 ***


https://www.wattpad.com/1274204843-liberato-la-storia-track-xviii-luntan%27-pt-3

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Capitolo 19
*** Napoli, Milano, Barcellona ***


https://www.wattpad.com/1274842698-liberato-la-storia-track-xix-napoli-milano

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Capitolo 20
*** Capri Rendez-vous ***


https://www.wattpad.com/1276609175-liberato-la-storia-track-xx-capri-rendez-vous

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Capitolo 21
*** Grazia ***


https://www.wattpad.com/1277446562-liberato-la-storia-track-xxi-grazia

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Capitolo 22
*** Capri Rendez-vous pt.2 ***


https://www.wattpad.com/1278312342-liberato-la-storia-track-xxii-capri-rendez-vous-pt

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Capitolo 23
*** Anna ***


https://www.wattpad.com/1278569236-liberato-la-storia-track-xxiii-anna

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Capitolo 24
*** Nun ce penzà ***


https://www.wattpad.com/1279079511-liberato-la-storia-track-xxiv-nun-ce-penz%C3%A0

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Capitolo 25
*** Rione Terra ***


https://www.wattpad.com/1279928855-liberato-la-storia-track-xxv-rione-terra

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Capitolo 26
*** Graziocazz' ***


https://www.wattpad.com/1280554894-liberato-la-storia-track-xxvi-graziocazz%27

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Capitolo 27
*** 'Na storia e 'na sera ***


https://www.wattpad.com/1281082338-liberato-la-storia-track-xxvii-%27na-storia-e-%27na

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Capitolo 28
*** Amma stá vicin' ***


https://www.wattpad.com/1282899307-liberato-la-storia-track-xxviii-amma-st%C3%A0-vicin%27

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Capitolo 29
*** Nunneover ***


https://www.wattpad.com/1283478054-liberato-la-storia-track-xxix-nunneover

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Capitolo 30
*** Funiculì Funicolà ***


https://www.wattpad.com/1284439949-liberato-la-storia-track-xxx-funicul%C3%AC-funicul%C3%A0

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Capitolo 31
*** Chiagne Ancora ***


https://www.wattpad.com/1284721075-liberato-la-storia-track-xxxi-chiagne-ancora

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Capitolo 32
*** O core nun tene padrone ***


https://www.wattpad.com/1285518265-liberato-la-storia-track-xxxii-o-core-nun-tene

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Capitolo 33
*** Guagliuncella Napulitana ***


https://www.wattpad.com/1285828315-liberato-la-storia-track-xxxiii-guagliuncella

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Capitolo 34
*** Miez'o mare ***


Questo è il penultimo capitolo di "LIBERATO, la storia"!
Visto che il romanzo ha ricevuto molto più riscontro su Wattpad che qui, l'ultimo capitolo verrà pubblicato solo su Wattpad.
Grazie a tutti quelli che hanno letto fin qui <3 
Per tutti gli extra della storia e molto altro ancora, seguitemi su Wattpad (nickname @Niijika ) e su Instagram (nickname @liberatostoria )

https://www.wattpad.com/1286041601-liberato-la-storia-track-xxxiv-miez%27o-mare

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