butterflies

di moganoix
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** 1 - 2 - 3 ***
Capitolo 3: *** 4 - 5 - 6 ***
Capitolo 4: *** 7 - 8 ***
Capitolo 5: *** 9 - 10 - 11 ***
Capitolo 6: *** 12 ***
Capitolo 7: *** 13 - 14 ***
Capitolo 8: *** 15 - 16 - 17 ***
Capitolo 9: *** 18 - 19 ***
Capitolo 10: *** 20 - 21- 22 ***
Capitolo 11: *** 23 - 24 ***
Capitolo 12: *** 25 - 26 ***
Capitolo 13: *** 27 - 28 ***
Capitolo 14: *** 29 ***
Capitolo 15: *** epilogo ***
Capitolo 16: *** capitolo speciale - libellule: c'era una volta ***



Capitolo 1
*** prologo ***


Prima di iniziare ^^
Ciao!
Sono qui solo per un breve avvertimento: questa storia è uno spin off di un'altra delle mie storie, Fireflies. Puoi leggere Butterflies senza aver letto Fireflies (o Moths, il suo sequel), ma, se non vuoi farti grandi spoiler di queste due, ti consiglio di saltare questo prologo. Domani pubblicherò i primi capitoli, a quel punto potrai iniziare a leggere tranquillamente :)




PROLOGO
 
Chan arrancava lento sulle alte pendici delle catene montuose del Nord. Proseguiva ormai da giorni con un incedere cadenzato, una marcia che – almeno per lui, sempre in forma perfetta – aveva il sapore di un’allegra passeggiatina nei borghi arroccati della sua rigida adolescenza. Aveva deciso di prendersela con calma, in fondo era pur sempre la prima vacanza che riusciva ad ottenere da quando, il settembre dell’anno prima, era stato riammesso nel corpo di guardia.
Erano trascorsi mesi da quando lui e Changbin avevano ucciso Felix, dalla rapidissima parentesi dell’arrivo di Lee Minho, e anche dalla partenza di Seungmin e Hyunjin, intenzionati a ricostruire insieme le rispettive dimore. Il più basso avrebbe desiderato raggiungerli, ma aveva optato per fermarsi per qualche settimana in più con lui a palazzo, un po’ per permettere alle ferite di guarire in tutto e per tutto, un po’ perché Lee Minji aveva fatto intendere di volere al suo fianco un alchimista capace, in caso Lee Minho fosse tornato – e Felix, purtroppo, con lui. La precarietà che l’assenza di una classe dei Filosofi affidabile e, soprattutto, del vecchio Cantastorie implicavano l’aveva portata a circondarsi di pochi fedelissimi che rispondevano solo a lei, e Chan aveva il merito di farne parte. Era una sorta di guardia del corpo, lavoro che avrebbe trovato onestamente noiosetto e che avrebbe istantaneamente rifiutato, se non fosse stato che si parlava di Lee Minji. Era un’enciclopedia vivente – e se la credeva meno di Changbin – quindi gli piaceva ascoltarla. Sulle sue vecchie pagelle scolastiche comparivano voti alti solamente alla voce ‘intervallo’, ma attendeva volentieri che la consigliera snocciolasse qualche perla di saggezza in modo da fare bella figura alle cene ufficiali dell’arma, quelle a cui, solitamente verso il capodanno, ogni soldato presidiava in alta uniforme.
(La cena di capodanno in alta uniforme di quell’anno? Era stata comunque un vero disastro. Si era portato dietro Changbin per passare un po’ di tempo con lui prima che iniziasse i suoi vagabondaggi attorno al mondo, e avevano finito entrambi – incapaci di chiedere di ballare nemmeno ad una delle dame invitate – per ammuffire in un angolo assieme alla gradevole compagnia di un paio di bottiglie di vino.)
Finalmente, però, dopo mesi trascorsi a gettarsi a capofitto nel lavoro – anche per riprendersi dal trauma che Felix gli aveva causato – la consigliera gli aveva concesso un paio di settimane di congedo e, alle porte dell’estate, si era diretto a cavallo fino ai cancelli del suo amato Nord, unico luogo in cui la schiettezza e la freddezza del suo burbero carattere da lupo solitario veniva tollerato, se non, addirittura, apprezzato. Durante i primi giorni aveva fatto visita all’accampamento in cui si era addestrato da cadetto, poi era ripartito alla volta delle montagne più impervie, questa volta a piedi per non rischiare di fare del male al fidato destriero lungo i sentierini impervi. Non aveva bisogno di molto con sé, in fondo aveva intenzione di accamparsi in mezzo ai ghiacciai solo un paio di giorni, il tempo necessario per forgiare un nuovo pugnale, visto che il suo era andato perso durante lo scontro sul Cratere dell’Anima e in quel momento probabilmente era già diventato nutriente pappa per piccoli di Tarantola magmatica. La nuova arma non avrebbe certamente avuto lo stesso significato affettivo che aveva attribuito alla prima, ma, per protocollo reale, era tenuto a possederla per completare l’uniforme. No, non era obbligato a tornare alle Fucine di Ghiaccio per forgiarla, come invece era stato costretto a fare all’ultimo trimestre da cadetto, ma almeno avrebbe avuto una scusa per ritrovare un vecchio amico che non vedeva ormai da anni.
Ed eccolo lì, armato di sciarpe, mantelli e stivali chiodati, a combattere contro il vento gelido che, nonostante fosse maggio inoltrato, ancora sapeva di tacito inverno. Camminò senza sosta per tutta la mattinata, fece una breve pausa per consumare un pranzo fugace che si era procurato in uno dei borghi che aveva visitato – e in cui avrebbe alloggiato per il resto del congedo, dopo essere sceso dal ghiacciaio – e poi proseguì fino a pomeriggio inoltrato, quando la luce del sole, che, tramontando, si rifletteva sul ghiaccio, iniziò ad accecarlo. Raggiunse uno spiazzo terroso accanto al sentiero e decise di piantarvi la tenda per la notte, sarebbe giunto alle Fucine la mattina successiva. Chinato a terra, mentre faceva forza sui picchetti e stringeva i nodi con cui aveva legato il tessuto ad essi, sentì improvvisamente il vento mutare. Fino a quel momento forti folate gelide avevano contribuito a spezzargli le spalle, ora qualcosa, invece, ne bloccava il passaggio. O, meglio, qualcuno. L’adrenalina rispose per lui, iniettò i suoi muscoli e risvegliò i sensi intorpiditi dalla pungente frescura della sera, ed in men che non si dicesse l’intruso era già ruzzolato a terra sotto di lui, bloccato tra le possenti braccia della guardia. Chan, riconoscendone i lineamenti ferini, si aprì in un sorriso storto: “Guarda un po’, pensavo di doverti cercare io, invece sei venuto tu da me.”
L’altro, tentando – invano – di ribaltare le posizioni, sbuffò: “Ti sei fatto più veloce, eh, Bang Chan?”
Chan alzò gli occhi al cielo e si chinò appena appena su di lui, allungò una mano verso il suo viso e accarezzò i capelli rosso acceso, che cozzavano in maniera quasi atroce con la fredda palette dell’ambiente circostante. Non si poteva però dire la stessa cosa degli occhi: questi, dal taglio languido e sottile, come quelli di tutte le ninfe, vantavano una luminosità iridescente che ricordava il candore della neve illuminata dal sole di gennaio.
La guardia piegò le labbra in un mite sorriso e, con un accento decisamente ilare, rispose a tono: “Lo sono sempre stato, ma tu mi hai sempre visto in tutt’altre occasioni, Hongjoong.”


-



Breve nota ^^
Questa storia si compone di 29 capitoli molto brevi (a parte poche eccezioni), più un prologo, un epilogo e un capitolo speciale ben più lungo che pubblicherò solo alla fine.
Purtroppo ultimamamente il mio tempo scarseggia (avrei voluto terminare questa storia a giugno e invece olé è già ottobre :D) a causa del lavoro e dell'università, quindi ho deciso che, raggrupperò alcuni dei prossimi capitoli (a parte quelli particolarmente lunghi e l'epilogo, che saranno a parte) in un unico capitolo diviso in varie parti.

Detto ciò, spero che questo prologo vi abbia incuriosito :)
Si tratta di una storia molto più leggera rispetto a Fireflies e Moths, molto più sullo stile "classico teen drama", ma per una volta volevo davvero provare a cimentarmici ^^

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Capitolo 2
*** 1 - 2 - 3 ***


1
 
[quattro anni prima]
 
“… siete stati chiamati qui oggi perché il quartier generale vi ha scelti come prossimi candidati per l’addestramento speciale alle Fucine di Ghiaccio…”
Sette anni di allenamento…
“… come già avrete sentito, l’addestramento durerà tre mesi e prevede due fasi separate…”
Ottantaquattro mesi trascorsi a sputare sangue, sudore, lacrime…
“… durante i primi sessanta giorni seguirete un corso intensivo che vi permetterà di conoscere in maniera approfondita e di applicare le tecniche mimetiche e di sopravvivenza in ambienti estremi…”
Centinaia di settimane spese ad arrovellarsi su come evitare di farsi sbudellare da un novellino alle prime armi alle prese con alabarde e mazzafrusti…
“… durante gli ultimi trenta gli allenamenti si faranno meno intensi e sarete tenuti a progettare e costruire il vostro Pugnale personale, che sfoggerete alla cerimonia dei diplomi quando vi verrà consegnato lo spallaccio con la testa di lupo…”
Giorni, intensissimi, dedicati a discorrere con ogni gingillo che l’armeria del campo di addestramento metteva a disposizione…
“… sapete perfettamente che questi tre mesi saranno per voi un’esperienza importante. Partiremo tra quattro giorni, mettete in valigia solo lo stretto necessario per sopravvivere al clima del ghiacciaio e pochi effetti personali. Vestiti pesanti, coperte, stivali chiodati… Non vi sarà concesso fare ritorno qui nemmeno per un breve congedo.”
Minuti infiniti spesi a tollerare l’irragionevole arroganza dei Draghi Rapaci… Ma finalmente, gongolò Chan, era giunto il suo momento, quello che ogni recluta che, come lui, poteva vantarsi di contare diciannove inverni, attendeva dall’esatto momento in cui – presto o tardi – si era resa conto che l’accademia per Guardie scelte non era il posto più adatto per cercare divertimento facile lontano dalla famiglia. Piccoli dormitori e libere convivenze di ragazzi e ragazze avevano tratto molti in inganno.
Chan, nonostante le alte aspettative della sua fierissima madre, non faceva eccezione.
Si schiarì la voce, con il supporto dei compagni con cui condivideva un solo acciaccato neurone – Jaehyun e Doyoung – chiese la parola e, munito di un sornione faccino d’angelo, pose, con sfacciata nonchalance, la domanda del secolo: “Capitano, posso portare alle Fucine anche la voglia di scopare?!”


 
2
 
C’era mancato poco che il capitano della divisione a cui Chan apparteneva non lo espellesse seduta stante dall’accademia, ma per le risate in cui era esplosa l’intera aula magna avrebbe fatto questo ed altro. Valore? Giustizia? Patriottismo? Certo, al biondo interessavano, ma non quanto lo attizzava l’idea di mettere in bella mostra i propri muscoli d’acciaio di fronte alla nutrita percentuale di appartenenti al gentil sesso che si allenava ogni giorno assieme a lui. Se quando, appena dodicenne, aveva insistito per fare il soldato perché gli piaceva da matti l’idea di imparare a cavalcare un drago, ora – dopo anni di asfissianti privazioni – aveva rimesso i piedi per terra. Si accontentava di essere squadrato da lontano e si compiaceva quando sorprendeva una delle altre reclute a chiacchierare di lui, amava definirsi ‘ragionevolmente vanitoso’. Jaehyun e Doyoung gli avevano affibbiato un soprannome più appropriato: ‘cazzone arrapato’.
Non che Chan non potesse non dar loro ragione, comunque. Se il biondo, come presumibilmente tutti gli altri della sua divisione, non vedeva l’ora di intraprendere una scalata mortale di un giorno intero sulle pendici di un vecchio ghiacciaio vi era una sola ed unica ragione.
Le ninfe.
O, meglio, le ninfe d’inverno.
Non tutte le ninfe piacevano a Chan. A Sud, dove lui era nato, ve n’erano di varie etnie, ma spesso e volentieri non era possibile distinguerle dagli altri umani se non per le loro naturali facoltà magiche e, talvolta, per la colorazione azzurro-bluastra – totale o parziale – della loro foltissima chioma. A lungo andare il popolo delle ninfe marine aveva stretto amicizia con gli uomini, e non era raro che qualche giovane ne prendesse una in moglie. Allo stesso modo delle lontane cugine che colonizzavano i ghiacciai, possedevano tre peculiarità basilari. Come i troll venivano generati direttamente dai più svariati elementi naturali o gli elfi erano in grado di ascoltare la voce dell’ambiante che li circondava, a loro volta le ninfe erano in grado di variare il loro aspetto per adattarsi a quest’ultimo (particolare che a Chan poco interessava). Inoltre, inutile dirlo, possedevano una bellezza raffinata, diversa dalla casalinga quotidianità che segnava i lineamenti delle ragazze umane o dal guizzo ferino e selvaggio che caratterizzava elfi, e – soprattutto – erano tutte femmine.
Tuttavia – almeno, secondo il modestissimo parere di Chan – non vi era paragone tra l’etnia nordica e quelle meridionali. Abituate al gelo dell’inverno fin da piccole – si diceva che anche le culle in cui venivano accudite fossero ricoperte di neve e ghiaccio – le ninfe dei ghiacciai avevano conservato quell’aura nobile e mistica che condividevano con i parenti delle selve dalle lunghe orecchie a punta. Nonostante lavorassero a stretto contatto con i soldati, non avevano mai mostrato segni di voler barattare la loro aristocraticità e la loro fierezza con la sicurezza di una casa più vicina ai villaggi degli uomini. Preferivano nascondersi e continuare a mantenere la parvenza di mito che, almeno negli ambienti militari, continuava fantasiosamente ad aleggiare.
Le Fucine di Ghiaccio erano il paradiso perduto di ogni recluta, e ognuna di esse segnava sul muro del suo dormitorio i giorni che mancavano per poterlo raggiungere.
Perché sì, le ninfe c’erano ed erano bellissime, come spesso anche i superiori suggerivano, ma non sarebbero state con le mani in mano. Se il paradiso poteva essere definito tale era perché ogni ninfa avrebbe preso in custodia due cadetti e li avrebbe addestrati personalmente per i tre mesi successivi.
Inutile ripeterlo, Chan non vedeva l’ora. Il giorno prima di partire avrebbe dovuto dormire, invece la trascorse con Jaehyun e Doyoung ad inondarli di domande e problemi relativi alla storia d’amore che già sapeva avrebbe intrapreso con la sua maestra.
“Mi metteranno con la più bella, sono sicuro! Me la merito, no?”
“E se poi, dopo tre mesi, non volesse lasciarmi?”
“Ma secondo voi, come lo elimino il fottuto terzo incomodo?”
Il biondo aveva energia da vendere, il mattino seguente partì in quarta con spirito d’avventura e rischiò di scivolare anche un paio di volte giù da una delle tante ripide scarpate su cui si inerpicava (la seconda volta venne spinto giù da Doyoung, che si era stufato di sentirlo chiacchierare a ruota libera). Calmate le acque, verso fine giornata il capitano li guidò lungo una rampa di scale scoscese, e Chan si rese conto allora che erano praticamente giunti a destinazione.
Le Fucine di Ghiaccio altro non erano che la carcassa della vetta di una vecchia montagna, una groviera di cunicoli e caverne distribuite su quattro enormi livelli di pietra e ghiaccio collegati tra loro da irte scalinate costruite dalle stesse ninfe. Queste ultime abitavano il primo piano, quello più basso, mentre gli altri tre erano adibiti all’addestramento dei soldati e contavano dormitori, armerie e vere e proprie fucine, più uno striminzito quartier generale al                quarto livello.
Proprio in questo spazio il capitano aveva voluto radunare tutte le reclute e, finalmente, anche l’oggetto del desiderio di ognuno dei cento cadetti lì presenti. Le cinquanta ninfe, vestite di lunghi abiti di neve e freddo metallo, squadravano con superiorità ogni singola testa sbavante. Per i cadetti fu amore a prima vista (o, beh, a prima occhiataccia), e anche il cuore di Chan – o, forse, qualcosa un po’ più in basso – si riempì di immediato affetto e spontanea commozione.
(Per essere precisi, alle ninfe non dispiaceva affatto il riguardo che quei ragazzini dimostravano nei loro confronti, ma trovavano comunque disgustosa la loro maniera di incrementare a dismisura la produzione di saliva e di lasciare che questa scivolasse e pendesse dalle loro zozze labbra.)
“Ehi, Chan…” Jaehyun, ritto al suo fianco per l’attenti, richiamò la sua attenzione “Lo sai che uno si è tirato indietro all’ultimo?”
Chan sollevò un sopracciglio: “In che senso?”
“Un certo Park Seonghwa.” bisbigliò il più alto “Doyoung l’ha sentito da un suo amico e mi ha detto che ha ricevuto una lettera ieri sera dalla famiglia. Ha la madre malata, ha chiesto un congedo per prendersi cura di lei.”
Il biondo storse il naso e borbottò con scherno, come se lo stesso appellativo non potesse calzare a pennello anche a lui: “Santarellino verginello.”
Jaehyun alzò gli occhi al cielo e trattenne il prurito alle mani. Dopotutto era il primo incontro con le ninfe, sarebbe stato veramente maleducato ed indecoroso mollargli un gancio sulla mascella per farlo tacere.
Due a due, il capitano cominciò, dopo qualche breve ed impacciato convenevole (Chan poteva scommetterci, anche il suo superiore aveva riempito la bisaccia di voglia di scopare e, in quel momento, pareva emozionato), a declamare i nomi delle coppie che si era personalmente occupato di comporre. Inizialmente Chan non volle credere alle parole dell’amico accanto a sé – nessuno al campo d’addestramento avrebbe mai davvero rinunciato a quell’occasione – ma, mano a mano che il loro gruppo si sfoltiva, si rendeva sempre più conto dell’evidenza. Erano dispari, mancavano si e no una trentina di persone e pareva che ci fosse sempre qualcuno di troppo, o, meglio, un dannatissimo bastardo baciato – anzi, limonato – dalla fortuna che avrebbe avuto la possibilità di intraprendere un promettente tête-à-tête con la maestra designata.
Prima trenta, poi venti, poi dieci… Chan, ricolmo di speranza, guardava gli ultimi cadetti farsi avanti – Jaehyun e Doyoung erano addirittura finiti insieme – e poi allontanarsi accompagnati dalla dea che aveva scelto di addestrarli. E, in ultimo, rimase solo lui.
“Benedetto verginello!” esclamò Chan nella sua testa, prima di sentir snocciolare le rapide sillabe del suo nome. Avrebbe potuto baciarlo, quel Park, se lo avesse rivisto; l’occasione che gli aveva servito era più unica che rara! Scattò quindi con passo molleggiante e dinoccolato verso il capitano, l’adrenalina gli metteva le ali ai piedi, il cuore pareva volergli schizzare fuori dal petto. Già da lontano, non aveva potuto fare a meno di notare la sottigliezza dei suoi fianchi avvolti da una morbida candida pelliccia, così come le spalle timidamente raccolte in una nobile postura da principessa. I capelli rossicci, corti, leggermente scarmigliati, ne incorniciavano il viso latteo e mettevano in risalto le baluginanti perle che possedeva al posto degli occhi. A differenza dei suoi compagni, Chan era uno zoticone di classe. Prima era solito concentrarsi sul viso, poi scendeva appena un po’ più giù – di solito le ragazze sembravano apprezzare questa raffinatezza – ma questa volta, più che un dono, il suo proverbiale riguardo divenne la sua rovina. Solo quando giunse di fronte alla ninfa, infatti, si rese conto che, per trovare una sporgenza, avrebbe dovuto cercare molto più in basso del solito.
Era un maschio.
La sua ninfa era un maledettissimo maschio.
In un momento di assoluta angoscia e costernazione, la voce ovattata del capitano parve a Chan una vera e propria presa per il culo: “Recluta numero 10379, Bang Chan, questo è Kim Hongjoong. Seguirà il tuo programma di allenamento da oggi alla fine dei prossimi tre mesi.”


 
3
 
Quando quella sera Chan sgusciò nella camera di Jaehyun e Doyoung avrebbe dovuto aspettarselo che i due, nel sentirlo raccontare con tanto pathos del suo trauma, sarebbero praticamente morti dal ridere. Non che la cosa lo sconvolgesse troppo comunque, se fosse stato al loro posto probabilmente avrebbe fatto lo stesso.
“Spero che la saliva vi vada di traverso” borbottò con tono greve.
“Ti sta bene” lo rimbeccò Jaehyun “è una settimana che rompi il cazzo con queste ninfe.”
“Certo, tu parli perché intanto te ne sei andato con una gran figa. Non che a te comunque sia andata molto meglio, eh. Vedete di non litigare per lei o dovrò essere io a farvi ragionare” brontolò allora il biondo.
“Litigare?” Doyoung sollevò un sopracciglio e rivolse a Chan un sorriso storto “Se lei è d’accordo possiamo farlo anche in tre per quello che mi riguarda.”
Jaehyun scrollò a sua volta le spalle: “Lo stesso per me.”
Chan storse il naso: “Ma siete due…”
“… Maschi?” rincarò il maggiore dei tre “Dai, non devo fidanzarmici con Jae, che vuoi che sia qualche toccatina ogni tanto? È solo un po’ di sesso senza impegno, e poi potrebbe essere divertente. Dovresti iniziare a pensarci visto che, guarda un po’, anche tu e la tua ninfa siete due bei maschietti.”
Chan scrutò Doyoung con occhi sbarrati, quasi a domandargli che genere di eresie stesse mai blaterando.
“Comunque non ci hai parlato di lui, io sono curioso” si intromise Jaehyun per evitare di far scoppiare un putiferio, o di far andare Chan ancora più in crisi “Che tipo è questo Hongjoong?”
Il biondo sospirò e si passò una mano sul viso: “Mh… Non gli ho prestato molta attenzione, ma non è niente di che. Quando abbiamo lasciato il quartier generale mi ha accompagnato fino al secondo livello a posare la mia roba nella cella che mi hanno assegnato, poi mi ha fatto fare il giro del terzo e del primo piano. Ha detto che è lì che ninfe e soldati mangiano sempre tutti insieme. Forse potrei conoscere una di loro a colazione?”
“Ma di carattere com’è?” insistette il più alto, ignorando la domanda.
“Non è che sia stato molto simpatico a dire il vero” ammise l’interpellato “Si è presentato e poi si è limitato ad elencare i nomi di tutto quello che c’è qui dentro. Domani mattina viene a svegliarmi a quanto pare, ha la fissa di essere puntuale.”
“Dagli una possibilità di essere almeno tuo amico, Chan… Magari è solo un po’ teso. Nessuno aveva mai visto prima una ninfa con fattezze maschili, può darsi che sia il suo primo anno” Doyoung scherzava volentieri, ma tra i tre amici era certamente l’unico abbastanza maturo da comprendere quando era necessario tornare serio.
“Perché? Che ci guadagno? Lui è qui per farmi allenare, non c’è il caso che diventiamo amici.”
“Chan, non iniziare a fare il bastardo con lui. Ti è andata male, ma non è colpa sua.”
“Ripeto, tanto capiresti solo se fossi al mio posto” il biondo si mise a braccia conserte.
“Chan” lo richiamò Jaehyun “Doyoung ha ragione, dovresti almeno provare ad andarci d’accordo. Magari si rivela simpatico! Però… Se proprio lui non ti piace puoi chiedergli se diventa donna per te, no? Tutte le ninfe possono modificare il loro aspetto a loro piacimento, quindi non dovrebbe essere un problema per lui.”
Chan strabuzzò gli occhi, per una volta uno dei suoi hyung aveva partorito un’idea tutt’altro che stupida. Sorrise immediatamente e, recuperata un minimo di speranza, esclamò: “Ma certo, farò così! Glielo chiederò domattina a colazione!”
Se era vero che il… ninfo? Ninfetto? – Chan non aveva la più pallida idea di come chiamarlo senza essere troppo scortese – era davvero così timido, allora avrebbe solamente dovuto fargli capire che, tra loro, a comandare sarebbe stato lui, e che era necessario che facesse tutto ciò che lui desiderava.
La prospettiva lo allettava così tanto che, nonostante il gelo si infiltrasse anche sotto gli spesso strati di coperte di lana confezionate appositamente da sua madre, non fece affatto fatica ad addormentarsi. Quando però, la mattina seguente, Hongjoong – altero – fece capolino nella sua stanzetta per scortarlo verso l’edificio in cui avrebbero consumato la colazione, Chan dovette arrendersi all’evidenza. La ninfa gli aveva concesso un paio di convenevoli e, in silenzio, si era poi diretta verso la rampa che conduceva al primo piano, pretendendo che il cadetto la seguisse. Chan gli stette a distanza – ovviamente non perché aveva il terrore di scivolare giù dalla scalinata ghiacciata… – e si prese un momento per osservare il maestro che gli era toccato in sorte. Se non fosse stato per le spalle larghe, i capelli corti e il piattume sul lato A (sì, doveva ammettere che il lato B non era mal fornito) sarebbe stato il suo tipo di ragazza. A vederlo da dietro poteva quasi immaginarsela, la ninfa dei suoi sogni, in fondo Hongjoong utilizzava abiti e manti pressoché identici a quelli delle sue cugine.
Quando il rosso gli fece prendere posto accanto a sé ad uno dei lunghi tavoli apparecchiati per la colazione e gli sporse qualche galletta da intingere nel the che venne servito ad entrambi, Chan pensò che fosse finalmente il momento giusto di farsi avanti. Sorrise all’altro e si sporse leggermente verso di lui con fare – a dirla tutta – vagamente molesto: “Senti, Hongjoong, vedi che tutti qui hanno una ninfa?”
Il soldato calcò particolarmente la ‘a’ finale, per poi proseguire: “Non è che, per me, anche tu faresti la femmina?”
Hongjoong si strozzò con il the, incapace di elaborare la domanda del ragazzo accanto a sé. Tossì un paio di volte e si girò poi a guardarlo con occhi sgranati: “Come, scusa?”
La ninfa era agitata, era vero che Chan era il primo cadetto con cui aveva a che fare, quindi pensava che l’aver dormito solamente sì e no un paio d’ore gli stesse giocando brutti scherzi.
“Dicevo” ripeté invece il biondo con espressione tranquilla, mentre sorseggiava con fare sonnolento dalla sua tazza mezzo piena “Non è che puoi fare la femmina anche tu? Puoi trasformarti in quello che vuoi, giusto?”
Non fu la domanda in sé a sconvolgerlo – Hongjoong sapeva già che, a meno che non gli capitasse come allieva una soldatessa, chiunque si sarebbe lamentato del suo aspetto – ma l’assoluta, impavida, arrogante e sprezzante nonchalance che la recluta aveva stillato assieme ad ogni singola parola. Fino a quel momento – che, in fondo, non era per niente molto tempo – aveva cercato di mostrarsi superbo e misterioso come le sue compagne, ma una domanda come quella di Chan meritava una punizione esemplare (e poco gli importava se anche lui avrebbe dovuto sopportarne una altrettanto crudele). Fu un istante, attese che Chan sollevasse nuovamente la tazza di the bollente per portarla alle labbra e, prima che potesse rendersene conto, mollò una manata sulla ceramica calda e ne fece versare il contenuto proprio sul cavallo dei pantaloni di Chan. Il biondo, colpito prima dal liquido fumante e dopo dalla stessa tazza, sgranò gli occhi ed ebbe la forza per emettere solamente una sibilante parolaccia appena mugolata. Hongjoong si alzò in piedi e – per caso, ovviamente – urtò il tavolo con un ginocchio, riversandogli addosso anche ciò che rimaneva della propria bevanda. Inclinò il collo di lato e assottigliò lo sguardo: “Oh, che sbadato. Mi dispiace, il the era caldo, se ti si sono bruciate le palle puoi farla tu la femmina, ti va?”
Scavalcò la bassa panca su cui erano seduti e si stiracchiò: “Fammi sapere come sta il tuo amichetto più tardi. Ti aspetto al terzo livello appena ti sei messo in ordine.”
Gli fece un cenno di saluto – più di quanto Chan si sarebbe meritato – e marciò fuori dal refettorio.

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Capitolo 3
*** 4 - 5 - 6 ***


4
 
Hongjoong aveva molti difetti, ma non era così stupido da non riconoscerlo.
Sapeva di non essere grazioso come le altre ninfe, o di non poter eguagliare il loro portamento aristocratico, né di essere paragonabile, in bellezza o personalità, a qualunque delle sue cugine. Se le altre ninfe non attendevano che potersi mostrare in tutta la loro altezzosità, Hongjoong solitamente amava seguirle nelle retrovie, restarsene in disparte con se stesso. Non considerava la loro frivolezza una mancanza di profondità, una denuncia di superficialità assoluta; molte ninfe, pur compiacendosi nel mettersi in mostra, vantavano un carattere umile e dedito alla semplicità. Quando le compagne gli chiedevano di unirsi alle loro danze – spesso erano solite improvvisare balli sfrenati durante le serate che trascorrevano di fronte ai falò assieme ai soldati – lui rifiutava garbatamente l’invito. Essere l’unico a preferire il proprio sguardo a quello degli altri lo metteva a disagio, ma accettava questa sua particolarità. Proprio per questo motivo era in grado di sopportare la pressione di continuare a sfruttare il suo vecchio corpo maschile – nel quale si sentiva così a casa – nonostante le sue madri non facessero che domandargli quando sarebbe avvenuta la sua metamorfosi ufficiale.
Era normale per le ninfe nascere maschi e femmine, non lo era – per cultura e tradizione – apprezzare il corpo virile e preferirlo a quello femminile anche in età adulta.
E Hongjoong, a diciannove anni, l’età della maturità l’aveva superata già da diversi inverni.
Quel trimestre avrebbe dovuto occuparsi della mensa e dell’accompagnamento musicale come al solito, ma sua sorella – che invece aveva esperienza come maestra – si era infortunata durante una scalata e lo aveva pregato di sostituirla. Nonostante la resistenza e la timidezza iniziali, alla fine il rosso si era convinto ad accettare, sicuro che stare un po’ con altri ragazzi non gli avrebbe fatto male. All’inizio i suoi allievi sarebbero stati probabilmente delusi nel vederlo, ma era certo che, prima della fine dei tre mesi, avrebbe stretto amicizia. Era impacciato, ma era anche simpatico, sapeva tirare fuori una vena ilare che gli avrebbe sicuramente fatto recuperare punti!
Invece, all’ultimo si era ritrovato con un solo allievo, per di più arrogante come pochi. Sua sorella gli raccontava sempre che spesso e volentieri le reclute erano semplicemente sboccate, non osavano mai spingersi troppo in là senza il suo consenso. A lui, invece, era capitato il cazzone di turno.
Ovviamente, Hongjoong, la tua solita sfiga.
Nonostante si aspettasse qualche battutina, non credeva affatto che Chan sarebbe stato tanto maleducato con lui. Non si pentiva di ciò che aveva fatto quella mattina, né di averlo fatto sgobbare inutilmente per tutto il giorno con la scusa del “guarda che se non mi obbedisci lo riferirò al tuo capitano”.
Le sue esplosioni di rabbia non erano rare, come gli faceva notare sua sorella aveva la miccia corta, ma questa volta sapeva di essere nel giusto, anche se le sue madri, una volta appreso della sua insubordinazione, avevano provveduto a bastonarlo per bene – in senso orribilmente letterale – per dimostrargli che non era quello il modo di comportarsi con un allievo.
Hongjoong aveva storto il naso e, senza levarsi mai di dosso il suo sorrisetto da stronzo, aveva avuto almeno la forza di prenderle in giro: “Ma chissà un po’ da chi ho preso…”
 


5
 
Inutile sottolinearlo, né per Chan, né per Hongjoong l’addestramento cominciò nel migliore dei modi.
Il soldato, dopo un primo giorno trascorso a fare ciò che meno era capace, ovvero restare seduto ad una scrivania per ore a studiare (per di più, nel mentre che vedeva i suoi compagni darsi alla pazza gioia su e giù per il ghiacciaio dalla striminzita finestrella scavata nella roccia), aveva capito una sola cosa di Hongjoong. Ovvero che – fanculo Doyoung e i suoi suggerimenti da mammina – non avrebbe mai fatto amicizia con lui perché era un’ignobile (nella sua testa in verità aveva utilizzato ben altro lessico), irritabile (anche qui, un’altra parola più colorita) e rompiscatole (… beh, Chan era esperto di terminologia di non proprio aulico rilievo) donnetta di facili costumi (ironico che riuscisse a pensare a tali figure senza eccitarsi in un frangente del genere). A questo punto tanto valeva ritirarsi come aveva fatto Park.
Per Hongjoong la situazione non era ovviamente molto diversa. Nei suoi piani originali aveva intenzione di mescolare teoria e pratica in modo da non rendere il tutto più noioso di quanto già non fosse, ma se poteva prendersi una piccola vendetta su quello sbruffone (sì, anche lui qui aveva utilizzato tutt’altro nomignolo) allora non avrebbe sprecato la sua opportunità. Lasciarlo marcire nella scarna biblioteca del terzo piano era il modo migliore per domare la sua superbia.
Né a pranzo né a cena si scambiarono una sola parola. Il rosso restò in disparte come al solito e consumò pasti frugali, Chan invece non perse l’occasione di farsi riconoscere come re della festa. Doveva rifarsi un nome dopo la figuraccia della mattina, e per fortuna aveva abbastanza faccia da culo da riuscirci abbastanza in fretta. Accanto a loro mangiavano altri soldati con le rispettive ninfe, e Chan – come ci si poteva aspettare – non perse tempo. Cominciò a parlottare amabilmente con queste ultime, dimostrandosi anche molto meno scontroso e cafone di quando trascorreva il tempo da solo con Hongjoong.
La ninfa non poté non notare il cambiamento radicale dell’allievo, e ammise con rabbia che, almeno un po’, vedere Chan così solare e aperto con tutti tranne che con lui lo faceva sentire incredibilmente piccolo ed inadeguato al compito che gli avevano assegnato. Eppure era lui il maestro, e Chan gli doveva un minimo di rispetto.
Forse, per ottenerlo, avrebbe solo dovuto urlare un po’ più forte.
Poco importava che la sorella gli avesse raccomandato di non perdere subito le staffe e di dimostrarsi grazioso e, allo stesso tempo, teneramente severo. Essere gentile con chi non lo era con lui non era mai stato nelle sue corde, e di certo non si sarebbe piegato di fronte ad un infimo spaccone come Chan. Se quest’ultimo voleva la guerra, lui era ben contento di assecondarlo. In fondo giocava in casa, gli pareva scontato che avrebbe vinto.


 
6
 
Guerra fu, e Hongjoong attaccò per primo.
Conosceva a memoria, passo dopo passo, il programma di allenamento dell’allievo. Teoria, pratica, pratica, pratica, teoria: una passeggiatina per un pompato come Chan, che – ormai il rosso lo aveva capito – aveva scambiato il percorso di formazione per un lungo soggiorno tra i piaceri e le beatitudini di un harem.
Illuso.
Alle sue cugine non sarebbe mai piaciuto uno come lui, sarebbe rimasto a bocca asciutta anche con la più brutta e noiosa delle ninfe.
Cosciente del fatto che il programma di addestramento potesse essere largamente ampliato ed approfondito, al terzo giorno la ninfa si decise a scalare le vette del quarto piano per presentarsi al quartier generale, determinata ad incontrare il capitano in modo che approvasse i cambiamenti che lei stessa aveva apportato ad esso. Bastò sbattere un paio di volte le ciglia, allungare mediamente i capelli e ritoccare leggermente le labbra per apparire appena più femminile e il superiore cadde ai suoi piedi. Avrebbe potuto pregarlo di firmare la condanna a morte di Bang Chan e lui lo avrebbe fatto.
Quando scese al terzo livello, il biondo lo stava già aspettando in biblioteca, come gli aveva intimato quella mattina durante la colazione. Hongjoong prese posto di fronte a lui e gli porse il plico di fogli freschi di approvazione con un sorrisetto sornione sulle labbra. Rispetto alle indicazioni che aveva ricevuto prima dell’arrivo dei soldati, il volume del fascicolo era almeno raddoppiato, se non quasi triplicato.
“Che è?” grugnì Chan mentre si stropicciava un occhio con il dorso di una mano.
“Il tuo nuovo programma di addestramento.”
Hongjoong vide Chan sbiancare: “Sai, ho visto quanta energia ci metti nello studio e ho pensato di apportarvi qualche piccola modifica… Spero che non ti dispiaccia, ho aggiunto anche delle prove notturne! Sei entusiasta, vero?!”
Il rosso era un bravo attore, specialmente quando si trattava di mimare quella particolare vocina che faceva sentire l’interlocutore irrimediabilmente preso per il culo.
“Ma… Ma non puoi deciderle tu queste cose!”
La ninfa allungò un indice sulla firma del capitano: “Tutto a posto! Ho già chiesto il permesso e… beh, credo di averti fatto guadagnare punti, sai? Il capitano ha apprezzato davvero molto il tuo zelo!”
Chan scorse velocemente tutti gli appunti del coetaneo: “… teoria dei materiali, teoria della mimetizzazione, teoria di qua, teoria di là… E gli allenamenti li hai messi tutti di notte?! E questo poi che cos’è? Meditazione? Alle fottute cinque del mattino?! Ma sei pazzo?!”
L’altro scrollò le spalle: “E quindi? Pensa che subito volevo metterla alle quattro la meditazione, poi ho avuto pietà perché sapevo che, dopo le escursioni notturne, saresti stato stanchino. Ovviamente voi soldati non avete la resistenza di noi ninfe.”
“Mi stai prendendo per il culo?!”
Hongjoong ridacchiò con evidente tono di scherno: “Nemmeno un po’. Forza, Bang Chan, ti attendono lunghe settimane di orripilante fatica.”
Chan assottigliò lo sguardo ed incrociò le braccia al petto: “E se mi rifiutassi?”
Onestamente, Hongjoong non vedeva l’ora che l’altro gli ponesse quella domanda per poter sfoggiare ancora quel tono da maestrina sapientina che tanto bene gli riusciva: “Allora lo dirò al tuo capitano, che ti farà espellere, e quindi addio Fucine, addio ninfe figaccione e addio carriera.”
Il rosso sorrise angelicamente, e Chan seppe di essere davvero fottuto.

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Capitolo 4
*** 7 - 8 ***


7

Il programma che Hongjoong aveva previsto per Chan era serrato quanto quelli in auge ai campi d’addestramento a valle.
Il mattino seguente, alle quattro e quarantacinque spaccate, il rosso si presentò di fronte alla porta della celletta dell’allievo e bussò piano, in modo da non svegliare anche i cadetti delle camere accanto. Insistette finché Chan, stufo di ignorare il fastidiosissimo tamburellio, non si trascinò giù dal materasso e spalancò il legno massiccio dell’entrata.
“Oddio, sei davvero qui così presto…”
“Prendi un paio di mantelli, stamattina l’aria è più fresca del solito. A stare fermo prenderai freddo” suggerì la ninfa senza prestare attenzione alla lamentela.
“Ma non sono ancora le cinque…”
“Infatti, dobbiamo avere il tempo di risalire la montagna prima che siano le cinque, o partiremo in ritardo con la tabella di marcia” Hongjoong allungò una mano e pattò la sua spalla un paio di volte “Vestiti pesante, mi raccomando, non voglio dover spiegare che cosa ci fa con me un ghiacciolo di Bang Chan.”
Chan brontolò ancora per un paio di minuti, ma si arrese a seguire le indicazioni del maestro e indossò ciò che di più pensante possedeva.
E per fortuna, dato che fuori imperversava una dannatissima bufera e Hongjoong aveva intenzione di lasciarlo fuori al freddo finché la neve non lo avrebbe completamente ricoperto.
Salirono fin sopra ad un basso cucuzzolo, non molto lontano dalla bocca della grotta in cui si trovava il dormitorio di Chan, e, senza esitare, Hongjoong si sedette con grazia in mezzo alla neve, affondando di una ventina di centimetri.
“Dai, Chan, siediti qui con me!” gridò il rosso.
Chan, troppo infreddolito per protestare, si accucciò accanto a lui tremando, le ginocchia strette al petto e le mani nascoste nei pesanti risvolti del ruvido mantello, già completamente fradicio di neve.
“Come… come fai a non congelarti? Oggi non hai nemmeno la pelliccia addosso…” mormorò il cadetto.
“Noi ninfe possiamo regolare la nostra temperatura corporea in modo da adattarci perfettamente ad ogni clima. È uno dei nostri poteri, non lo sapevi? Da bambino ci metti poco a svilupparlo, tu invece dovrai sforzarti per abituarti il prima possibile.”
Chan sentiva già le punte dei piedi congelare, non aveva nemmeno la forza di rimbeccarlo.
“Potrà capitare di dover tendere imboscate ai nemici che tenteranno di valicare le montagne, e devi essere pronto a farlo anche con un clima del genere. Ogni giorno aumenteremo il tempo per migliorare la tua resistenza.”
Chan chiuse gli occhi mentre batteva i denti sempre più forte.
“Sei stato sfigato che oggi ci fosse la tempesta comunque, eh. Domani andrà meglio. Resisti un quarto d’ora e poi torniamo dentro.”
Se Hongjoong cercava un modo per placare i suoi bollenti spiriti, beh, lo aveva trovato. Ciò che Chan pensava fosse ironico era il fatto che avesse anche il coraggio di chiamare quella tortura con l’innocente definizione di ‘meditazione’. Che cosa si aspettava? Che all’improvviso comprendesse come entrare in comunione con il vento e con la neve e smettesse di gelare? Erano stupidaggini da Filosofo quelle, lui invece si allenava per essere una guardia reale scelta.
Furono i quindici minuti più sofferti della sua intera vita. Nemmeno si rese conto di quando terminarono, gli si stava congelando anche il cervello ormai, tanto che fu la ninfa a tirarlo in piedi, per poi prenderselo in braccio senza sforzo e trascinarlo di peso di nuovo all’interno del dormitorio. Al centro dei vari corridoi venivano allestiti piccoli bracieri in modo da riscaldare l’ambiente e permettere ai soldati di riposare in pace, Hongjoong appoggiò Chan accanto ad uno di essi per farlo riprendere.
Quando il cadetto si riscosse del tutto e ricominciò ad avvertire la sensibilità alle dita, uno strillo entusiasta gli perforò le orecchie.
“Beh?!” esclamò Hongjoong con un sorrisetto malefico stampato in faccia “Non ti senti completamente rigenerato?”
Chan provò a mollargli un pugno in faccia, ma il rosso schivò prontamente con relativa facilità e ridacchiò, canzonandolo ancora: “Visto? Sei talmente rilassato che non riesci nemmeno a prendermi. O forse sei solo lento.”
Hongjoong prolungò leggermente la ‘o’ finale, per poi sentire l’altro grugnire e, nel mentre che si avvicinava maggiormente al braciere, fargli il verso sottovoce.
“Oh? Quindi è a questo che si riducono le tue prese in giro adesso? Peccato, pensavo che mi sarei divertito di più a torturarti” provocò ancora il rosso, prima di mettersi di nuovo in piedi e concludere “Comunque manca mezz’ora a colazione. Ti aspetto al primo piano come al solito, e poi in biblioteca.”
La ninfa si diresse verso l’uscita e lo salutò con falsa ingenuità ed una raccomandazione da mammina: “Non fare tardi!”
Non fare tardi?
Finalmente poteva godere del suo angolo di paradiso alle Fucine e quello sgorbietto del suo maestro si permetteva di chiedergli di non fare tardi?
Chan ne aveva già abbastanza di essere bistrattato da quel ninfetto dalla faccia lunga, quindi decise che avrebbe fatto a modo suo. Se Hongjoong voleva torturarlo, lui lo avrebbe fatto dannare a sua volta.
Cominciò con il presentarsi in ritardo per la colazione – dopo un’altra bella dormita rigenerante – e con il non presentarsi affatto in biblioteca, né agli altri appuntamenti nelle varie sale di allenamento del secondo piano. Per un momento al rosso venne il panico credendo che Chan fosse scivolato giù da qualche scarpata, poi ci pensò su e si scoprì a sperare che un branco di lupi stesse divorando il suo cadavere.
La scena si ripeté per giorni, Hongjoong continuava ad aspettare Chan all’ora dei pasti e delle lezioni che avrebbe dovuto impartirgli e l’allievo non si faceva mai vivo, troppo occupato a farsi i fatti suoi in giro per i ghiacciai pur di sfuggire alla petulanza e all’insistenza del vendicativo maestro. Quest’ultimo, dopo una settimana, navigava in un oceano di sensi di colpa. Aveva ormai compreso appieno che il suo rapporto con la recluta non si sarebbe trasformato presto in amicizia, ma poteva cercare almeno di salvare la relazione maestro-allievo che doveva per forza crearsi e, soprattutto, crescere. Odiava l’idea stessa che qualcuno potesse odiarlo, anche se questo era Bang ‘Cafone’ Chan in persona, così, gettata la maschera di orgoglio che aveva imperscrutabilmente indossato per tutti quei giorni, decise di farsi avanti e compiere quello che – per lui – altro non era che atto estremo di penitenza e pentimento: chiedere scusa.
Quella sera stessa, determinata a farsi perdonare dal coetaneo, la ninfa si diresse a passo di marcia verso la celletta di Chan, ma, prima che potesse bussare alla porticina in legno, udì la voce del biondo provenire da una delle stanzine accanto. Allungò – sì, in modo letterale – le orecchie per averle alla maniera degli elfi e, prima che la sua coscienza potesse gentilmente suggerirgli di farsi un bel mazzo di fatti suoi, si mise ad origliare la conversazione.
“… Vi giuro, non lo sopporto più…”
Non si prospettava un buon inizio.
“… Voleva farmi gelare sotto la bufera e aveva anche il coraggio di chiamarla ‘meditazione’!”
Beh, nel bene o nel male, era contento di essere nella testa di Chan anche dopo una settimana di trattamento del silenzio.
“Chan…” esordì una voce che non riconosceva “Abbiamo chiesto a Tae di Hongjoong e ci ha detto che è una bravissima ninfa. Dagli una cazzo di possibilità! Ti sei completamente fottuto la prima impressione chiedendogli di fare la femmina – testuali parole – ma adesso potresti, che ne so, chiedergli scusa?”
Tae? Avrebbe potuto essere la ninfa designata a quel cadetto, molte possedevano quella particolare sillaba nel nome. A parte ciò, sperava davvero che il biondo desse retta al suo amico e gli venisse incontro per risolvere quella fastidiosissima situazione di stallo. Avrebbe dovuto aspettarsi la risposta che invece il biondo sputò con tono sprezzante: “Chiedergli scusa?! Mica è colpa mia se da maschio mi fa schifo! Gli ho solo chiesto un favore, lo faccio anche per lui!”
Hongjoong, sebbene non fosse la prima volta che sentiva quelle parole, sentì il cielo frantumarglisi in testa e il mondo cadergli addosso. Aveva così tante aspettative per quella nuova vita da maestro da poter riempire di sogni e desideri un intero armadio – altroché cassetto! – e Chan aveva distrutto ognuno di essi. La ninfa si chiese perché mai avrebbe dovuto dirgli che faceva schifo se quel corpo non era lui a doverlo indossare.
Mentre scendeva le scale verso il primo piano, si fece prima prendere dallo sconforto, e poi dalla rabbia, dalla frustrazione, dall’angoscia di non essere abbastanza né per Chan, né per gli standard dell’accademia militare, né per il resto del suo piccolo mondo. Se per l’ultimo non aveva speranze, per i primi poteva ancora sfoderare il suo unico asso nella manica.
Il corpo che tanto gli criticavano sarebbe diventato l’arma per dare una lezione vera e propria a all’allievo, avrebbe risolto le cose a modo suo.
 


8
 
Chan segnò la data del giorno seguente sul suo taccuino, titolando così l’imbarazzante paginetta: “La mia prima conversazione DA SOLO con una ninfa”. Pareva uno di quei barbosissimi temi che assegnavano ai bambini delle scuole elementari al rientro dalle vacanze, con l’unica differenza che, a scriverla, era stato una sottospecie di finto tredicenne ormonato troppo cresciuto.
Il breve testo recitava più o meno così:
 
“13 aprile
Oggi, per la prima volta, sono riuscito a parlare con una ninfa senza che nessuna delle altre reclute ci interrompesse. Quando mi imbuco negli allenamenti degli altri per passare il tempo non sembrano mai felici di avermi tra i piedi (chissà perché eheh). Precisiamo, questa volta è stata lei per prima a venirmi a cercare! A quanto pare è la sorella di Hongjoong (stessi capelli rossi e stessi occhi, l’ho capito subito). Ovviamente era molto più bella di lui, sono quasi svenuto quando l’ho vista venirmi incontro. Voleva dirmi che suo fratello non stava bene e che per quel giorno avrebbe riposato. Le ho chiesto di fare un giro con me e ha accettato volentieri, spero di rivederla. Potrei aver finalmente fatto colpo.”
 
Chan non spese altre parole per descrivere il fortunatissimo incontro, aveva la strana e romantica impressione che, in ogni caso, non l’avrebbe mai scordato.
Quella mattina il biondo si stava dirigendo con molta calma verso la mensa per consumare la solita colazione frugale, quando si era visto sbucare di fronte la piccola ninfa che stava schizzando su per la sua stessa rampa di scale.
“Perdonami, per il ritardo! Hongjoong mi aveva detto di svegliarti, ma non ho fatto in tempo!” aveva gridato la ragazzina non appena lo aveva individuato.
Chan aveva sollevato un sopracciglio in segno di confusione, ma la ninfa aveva preceduto la domanda che già gli stava ronzando in testa: “Sono Kim Yoora, la sorella di Hongjoong. Mio fratello non sta bene oggi e mi ha chiesto di riferirtelo.”
Prima di riuscire a processare mentalmente ciò che Yoora – tra vari sospiri a causa del fiatone dovuto alla corsa – aveva appena detto, alla recluta toccò esaminare per bene la ninfa. Da lontano gli era parso che assomigliasse in tutto e per tutto alla donna della sua vita, ma ovviamente doveva accertarsene anche da vicino. Ogni cosa, in lei, gli faceva pensare che il suo unico difetto fosse quello di essere imparentata con Hongjoong. La vita stretta, la corporatura minuta, gli occhi grandi ed innocenti che non attendevano altro che essere protetti da lui… Per quella ninfa – Chan lo sapeva – avrebbe anche sopportato un cognato sgradevole come il suo fastidioso maestro.
Dopo qualche secondo le aveva sorriso affabile e aveva quindi risposto con cortesia, donandole il proprio braccio in modo che potesse appoggiarvisi per riprendere fiato: “Non ti preoccupare, capisco. Hai già fatto colazione? Potremmo mangiare insieme.”
La ninfa ignorò il gesto, ma non le passò inosservato il leggero sorriso con cui il biondo l’aveva accolta. Si ricompose e riordinò leggermente i capelli, per poi annuire in risposta: “Grazie, saresti molto cortese ad accompagnarmi in mensa.”
Chan – mentre tentava di non esagitarsi per la replica affermativa dell’altra – scortò dunque la rossa al refettorio e si sedette poi accanto a lei in fondo ad uno dei lunghi tavoli.
“Com’è essere l’allievo di Hongjoong?”
La domanda, per il cadetto, fu un fulmine a ciel sereno, tanto che quasi si strangolò con il the caldo. Si chiese che cosa mai avrebbe dovuto risponderle, di certo non poteva essere sincero e confessarle che odiava Kim Hongjoong e i suoi metodi da tiranno, ma non voleva nemmeno sembrare troppo carino o condiscendente, o lei avrebbe certamente compreso che aveva intenzione di provarci.
“Beh… Tuo fratello è molto preparato, si vede, anche se a volte è… precisino? Fin troppo pignolo” Chan ridacchiò per smussare il tono accusatorio che si rese conto di aver utilizzato “E pretende molto, ecco. A volte non gli si può stare dietro, quindi facciamo fatica a comunicare.”
Aveva infilato una scusa dietro l’altra, ma il significato doveva essere chiaro, no? Yoora bevve un sorso di the e sgranocchiò velocemente l’angolo di una galletta prima di sputare con un sorrisetto: “Guarda che se vuoi dirmi che Hongjoong è un rompipalle puoi farlo. Sono sua sorella, non una delle nostre madri. Voglio dire, come potrei non essere d’accordo con te?”
Chan sgranò gli occhi alla parola ‘rompipalle’, esibendosi in una perfetta espressione da pesce lesso. Ci era rimasto male, non pensava che le ninfe potessero anche essere sboccate come lui.
“Dai, te lo leggo in faccia che non lo sopporti!” rise la ninfa “Tutto normale, pure io certe volte non riesco a reggerlo. Alcune volte ha queste idee un po’… strane?”
Il biondo inclinò allora il capo da un lato: “Per esempio, farmi svegliare alle cinque del mattino e gettarmi in una bufera per farmi abituare al freddo?”
Questa volta, fu il turno di Yoora di spalancare le palpebre: “Ma è deficiente?!”
“Me lo sono chiesto anche io!” rimbeccò subito Chan, facendola ridere per l’ennesima volta.
“Ecco perché Hongie mi ha detto che non vuoi più fare lezione con lui. Ah, se inizia a romperti le scatole chiamalo Hongie, lui odia quel soprannome.”
Chan sollevò una mano per batterle il cinque: “E Hongie sia allora!”
Questa volta Yoora ricambiò il gesto, e Chan tremò quando avvertì quanto fosse liscia e curata la sua piccola mano affusolata, si trattenne appena dallo stringergliela per eseguire il più romantico baciamano della sua vita.
“E tu invece? Com’è essere la sorella di Hongjoong?”
La ninfa scrollò le spalle e, dopo aver masticato un paio di altre gallette, esordì: “Hongjoong è un rompipalle, davvero. Però è mio fratello e gli voglio bene, sai? È… diverso da noi ninfe. E non parlo solo del corpo che ha scelto ovviamente. Mio fratello è una persona che penso valga la pena conoscere, ecco, anche se è Hongjoong per primo a decidere se vuole farsi conoscere oppure no. Era entusiasta di questo nuovo lavoro come maestro perché sapeva che sarebbe stato a contatto con persone sempre diverse. E, beh, nella diversità lui ci si crogiola. È uno riservato, ma anche molto curioso. Le stesse tradizioni millenarie che continuiamo tutte a rispettare a lui stanno strette, sai? Dovresti vederlo, è una furia quando discute con le nostre madri…”
Chan decise di non interromperla. Pensava che avrebbe descritto la natura del suo rapporto con il fratello, ma non poté che rimanere sorpreso dalla timida maniera in cui ora – dopo averlo fraternamente preso in giro – Yoora dimostrava il suo affetto nei confronti dell’altro. Nel suo cervello, ormai, Hongjoong era etichettato come ‘stronzo da evitare come la peste’, ma quella piccola ninfa sembrava volerlo convincere del contrario.
Finì quindi per chiederle di passare l’intera mattinata con lui e, contro ogni prognostico, la ninfa accettò di buon grado. Fu un primo appuntamento certamente memorabile, soprattutto perché, tra una scalata sulle pendici del ghiacciaio e un’altra, l’argomento di conversazione più gettonato fu niente meno che Kim Hongjoong.
Yoora, nonostante in fatto di insulti non si risparmiasse, aveva una vera e propria ammirazione per il fratello e chiacchierava volentieri di lui e delle sue disavventure (“Ehi, Chan, lo sai che una volta Hongie si è beccato una scultura di ghiaccio in faccia? Penso che sia per quello che gli si è storto il cervello!”), e Chan la ascoltava e commentava con tono ardito, veramente preso dalle vicende che la ragazza narrava con tanta veemenza (“Non ci credo, addirittura un’intera scultura?! E non si è ucciso?!”). Ovviamente, chi lo interessava non era il suo maestro, ma la simpatica sorellina che aveva preso il suo posto per quel giorno e che si stava rivelando una guida decisamente migliore del fratello.
Chan, ormai cotto a puntino dopo l’ironico “Ci speravo! Ma Hongie è troppo antipatico anche solo per farmi il favore di levarsi di mezzo!” con cui la ragazza concluse la lunga passeggiata, non perse tempo e, appreso che non avrebbe potuto stare con lei anche a pranzo, le propose di incontrarsi di nuovo il giorno seguente.
“Ya, assolutamente no!” esclamò la ninfa, mettendosi a braccia conserte come a volerlo sgridare “Domani mio fratello si sarà ripreso, quindi devi seguire gli allenamenti con lui.”
Yoora si sporse in avanti e sganciò quindi la sua arma segreta. Fece sporgere leggermente in avanti il labbro inferiore e piantò i giganteschi occhi cangianti nelle pupille del cadetto: “Fammi questo favore e, per una volta, prova ad ascoltarlo almeno per un po’, o almeno presentati a fare lezione con lui e assecondalo, okay? Poi, se no, viene a lamentarsi con me!”
Chan sbuffò, per poi borbottare: “Tuo fratello è noioso.”
“Mio fratello si impegna, Chan” sospirò la ninfa “E, anche se è noioso, devi rispettare il suo impegno purtroppo.”
“Preferirei comunque uscire di nuovo con te…” tentò di nuovo il biondo, solo per essere ancora rabbonito dalla più bassa.
“Hai idea di che putiferio scatenerebbe Hongie se sapesse che salti le lezioni per stare con me?” rise la ragazza “Se questa settimana asseconderai i capricci di mio fratello allora domenica possiamo rivederci. Sei libero, no? Ti porto a fare pic-nic sull’altro versante della montagna.”
“L’altro versante? Ci hanno ripetuto fino alla nausea che per noi cadetti è impossibile accedervi!”
“Oh, non mi aspettavo che avessi paura” ghignò Yoora “Pazienza, avevo proprio voglia di farlo quel pic-nic… Per caso conosci qualche tuo compagno che sarebbe disponibile ad accompagnarmi?”
Chan, colpito nell’orgoglio, arrossì e scosse immediatamente il capo, colto in fallo: “Paura?! Stai parlando con Bang Chan, non dimenticarlo!”
Yoora si domandò da quale operetta teatrale di quart’ordine avesse riciclato quella battuta e forzò un sorriso divertito: “Bene, allora ti aspetto domenica dopo pranzo giù al primo livello. Ah, ti conviene davvero ascoltarlo mio fratello in questi giorni, dovrai trovare un modo veloce per eludere la sorveglianza che porta all’altro versante.”
Chan annuì e, sapendo ormai di essere in ritardo per il pranzo, scappò via senza rendersi conto che il sorriso con cui la ninfa lo aveva salutato andava piano piano incrinandosi mentre la maschera cadeva e i lineamenti di Hongjoong si ricomponevano sotto la maschera di ‘Yoora’.
“Caro Bang Chan,” mormorò il rosso tra sé e sé “sei il soldato più sottone dell’intero universo.”

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Capitolo 5
*** 9 - 10 - 11 ***


9
 
Chan poteva essere sottone, ormonato e pure un pervertito – Jaehyun e Doyoung gliel’avevano gentilmente ricordato nel momento in cui il biondo aveva assediato la loro celletta per narrare le sue mirabolanti avventure accanto a ‘Yoora, la dea che ha conquistato il mio cuore‘ (prima che potesse dire ‘cuore’, il più alto lo aveva interrotto per tirare ad indovinare: “Il tuo cazz--…! Ah no?”) – ma era anche un nobile uomo di parola che avrebbe acconsentito a farsi friggere da Hongjoong l’ultimo neurone sbronzo che navigava allegro nel vasto mare piatto della sua mente pur di rivedere la sua bella.
Peccato che, sebbene ovviamente non ne fosse a conoscenza, la sua bella fosse Hongjoong, e il malefico piano di quest’ultimo era proprio quello di farlo cuocere a puntino affinché seguisse buono buono le sue lezioni, per poi snobbarlo tragicamente e distruggerlo emotivamente come lui aveva fatto solo qualche giorno prima quando aveva ammesso che da maschio gli faceva schifo.
Hongjoong, a sua volta, poteva essere riservato, pignolo e barboso, ma Yoora si era guardata bene dall’avvertire Chan del difetto più grande del maestro: nessuno scampava alla sua sete di vendetta. E questa volta, la ninfa aveva architettato Il Piano, quello Perfetto ed Infallibile. Sarebbe stato divertente prendere in giro Chan per quei due mesi e mezzo di convivenza che rimanevano. Voleva isolarlo, fare in modo che non guardasse nessun’altra se non Yoora affinché, alla fine dell’addestramento, si rendesse conto di essere stato completamente alla sua mercè e di aver dimenticato di fare gli occhi dolci alle sue cugine.
Data la superficialità del suo allievo, una lezione del genere poteva bastare per annientarlo.
Ciò che Hongjoong, nel suo Piano Imperfettibile Volto Alla Demolizione Della Sfera Emotiva Di Bang Chan (gli serviva decisamente un nome più breve, o avrebbe completato il Piano prima di finire di annunciarlo), non aveva però tenuto in conto, era il fatto che Chan si sarebbe davvero impegnato nelle lezioni, e non solo in quelle pratiche, ma anche in quelle teoriche.
La ninfa rilevava le sue enormi difficoltà di concentrazione nel seguire ore intere di importanti tecnicismi teorici, ma non poteva assolutamente far finta di non notare la dedizione con cui l’allievo, almeno, ci provava. Non si sarebbe mai aspettato un miglioramento tanto evidente dopo aver solamente proposto un pic-nic, scusa che, tra l’altro, aveva inventato sul momento per accertarsi che sarebbe stato in grado di applicare in una situazione reale le tecniche di mimetismo che gli avrebbe insegnato.
Tra un versante della montagna e l’altro vi erano guardie addette a posti di blocco che permettevano solamente alle ninfe, ai comandanti militari e ad alcuni soldati esperti muniti di autorizzazione di accedere al lato più pericoloso di essa. Nessun cadetto aveva il permesso di avventurarvisi, se Chan fosse stato scoperto lo avrebbero certamente rispedito a valle seduta stante, quindi era necessario che destreggiasse appieno le varie tecniche per non deludere la ninfa del suo cuore (specificò pure questo ai due amici, e Jaehyun provò ancora una volta a sostituire ‘cuore’ con quell’altra parola).
Non erano amici, ma almeno Chan e Hongjoong impararono presto a comunicare evitando a tutti i costi frasette sprezzanti e frecciatine continue. Si comportavano da colleghi, Chan manteneva la guardia alta e tratteneva in gola ogni stupidaggine con cui gli sarebbe piaciuto sbeffeggiare il maestro, Hongjoong invece esibiva un tono neutro, professionale. Avrebbe potuto spiegare ad un muro e sarebbe stata la stessa identica cosa. Chan, pur impegnandosi quel tanto che bastava per strappargli un ‘Abbastanza bene, Chan’, era ancora decisamente poco partecipe, ma la ninfa si augurava che sarebbe migliorato con il tempo. Per un mese e mezzo quel rapporto avrebbe potuto funzionare, non era differente da quello che il soldato condivideva con ognuno dei suoi superiori, ma quando, a trenta giorni esatti dal termine dell’addestramento, il biondo avrebbe dovuto iniziare a cimentarsi con la progettazione del suo Pugnale da battaglia di certo sarebbe divenuto stretto.
Il Pugnale possedeva molti significati, primo fra tutti sugellava la promessa di fedeltà all’arma che il singolo soldato, come entità e volontà unica e irripetibile, saldava con la vita militare stessa. Molto più semplicemente, conservava nelle sue salde fibre metalliche la fermezza e la tempra della recluta stessa, il suo desiderio di donarsi agli altri, i giovani ed inscalfibili valori che non avevano permesso che, durante il duro addestramento accademico, vacillasse o si smarrisse. E la ninfa designata al cadetto aveva il potere di santificare l’arma e renderla – letteralmente – immortale, inscalfibile, e di innalzare l’allievo quasi al grado di guerriero mitologico. Se il rapporto tra ninfa e recluta era speciale, allora, nell’ultima fase di lavorazione, la prima aveva la possibilità di fondersi con il metallo e decidere di vivere per sempre accanto al proprio prode cavaliere.
Chan, forse, non ci teneva ad essere il detentore di un’arma benedetta? Non ci teneva a far tramandare il suo nome per secoli e secoli, fino alla fine dei tempi? Forse no. Forse perché non credeva che sarebbe stato tanto fortunato da diventare una leggenda, erano anni che nessuno aveva il privilegio di assistere ad una Benedizione. Oppure, forse, semplicemente non gli andava che il suo nome fosse ricordato accanto al proprio.
Bang Chan e Kim Hongjoong.
Alle orecchie della ninfa, insieme non suonavano tanto male come, evidentemente, succedeva nella testa del biondo. Essendo completamente vuota, rifletté Hongjoong con un sorrisetto amaro dipinto sulle labbra, mentre scovava l’ennesimo errore tecnico compiuto dall’allievo, probabilmente c’è troppo rimbombo perché se ne accorga.
Quando la domenica arrivò poté comunque dirsi soddisfatto dell’andamento della settimana, quindi emulò il viso di sua sorella e le rubò una bella pelliccia da uscita pomeridiana, per poi infilare diversi stuzzichini che aveva preparato in una bisaccia di spessa pelle e dirigersi al luogo dell’appuntamento. Chan, come stabilito, lo aspettava con due enormi occhi a cuoricino nella piazza del primo livello, anche lui miseramente imbellettato per l’occasione.
“Scusami per il ritardo, Chan!” aveva ridacchiato Yoora (bugia: l’aveva fatto apposta a farsi attendere).
Quel sottone di Chan, ovviamente, non poté che sorriderle come uno scemo: “Ritardo? Ma che dici, sono appena arrivato anche io!” (bugia: era arrivato illegalmente in anticipo ed iniziava sentirsi uno scemo ad aspettare da solo nel bel mezzo di una piazzetta scavata nella roccia e nel ghiaccio).
Mentre chiacchieravano, si incamminarono verso la rampa di scale che li avrebbe portati sul versante opposto e Chan si offrì addirittura di portare la sua bisaccia.
“Ma che gentiluomo… Vuoi farmi addolcire così ti aiuterò con le guardie?” ridacchiò la ninfa, porgendogli la borsa.
Chan alzò le mani e sfoggiò un’espressione fiera: “Ti prego, come se ne avessi bisogno! Ho seguito le lezioni di tuo fratello e penso di aver imparato abbastanza da eludere facilmente la sorveglianza.”
Yoora scrollò le spalle: “Sì, Hongjoong mi ha detto che quanto ti impegni non sei affatto male… Anche se dice che potresti applicarti di più.”
“Guarda che combinazione, me lo dicevano anche le maestre alle elementari!”
Hongjoong doveva ammettere che Chan, nonostante le terribili premesse, non si stava dimostrando un cattivo ragazzo. Poteva lasciarsi andare a qualche battuta fin troppo spinta con i suoi amici, ma era chiaro che, in verità, sapesse bene come gestire il delicato approccio con una ragazza. Non provava ad imposi su di lei, né a toccarla in maniera impropria come aveva immaginato all’inizio dopo aver avuto un assaggio della sua totale mancanza di grazia e di tatto. Che, comunque, fosse una persona decisamente superficiale era un dato di fatto, ma la ninfa non poteva che continuare a rimuginare sul fatto che anche lui avrebbe voluto un bel sorriso da parte del biondo ogni tanto.
Con Yoora era tutto risate e battute – circa – divertenti. A lui era tanto se, ogni tanto, rivolgeva uno sguardo.
Pazienza, sospirò Hongjoong mentre, sorpassato l’ostacolo delle guardie, guardava di sottecchi – con orgoglio – l’allievo che si destreggiava, silenzioso come una volpe artica, in un irto percorso tra gli ammassi di neve e ghiaccio attorno al cancello, non che comunque ci tenga ancora a farmelo amico.
Non è il caso di nasconderlo, la ninfa mentiva a se stessa. Se davvero avesse trovato tanto insopportabile il comportamento dell’allievo non avrebbe accettato di trascorrere con lui anche il proprio giorno di riposo.
La verità era che il Piano Imperfettibile era pieno di falle. Chan si stava impegnando, e questo impegno non poteva che rendere il rosso talmente fiero di lui da fare sì che una minuscola parte del suo cervello iniziasse già a perdonarlo.
 


10
 
Yoora portò Chan non troppo lontano. Il tempo era propizio ed il vento non soffiava tanto forte da costringerli a strisciare contro le ripide pareti di roccia, ma la ninfa preferì comunque sopprimere gli istinti omicidi che provava nei confronti del cadetto ed evitargli una morte prematura facendolo inerpicare su quei picchi che non gridavano altro che: “Se vuoi suicidarti, sali qui!”
Per la loro merenda, invece, scelse di guidarlo verso una stretta insenatura che conduceva ad una grotta leggermente più larga, molto simile a quelle in cui le Fucine erano state costruite, sul fondo della quale vi era una porticina.
Consumarono il piccolo pasto con le gambe a penzoloni sul fianco della montagna, poi Yoora tirò fuori una chiave dalla bisaccia e fece cenno al soldato di seguirla all’interno della grotta.
“Non lo faccio con tutti, sappilo…” esordì la ninfa inserendo la chiave nella toppa della porticina “Ma… Questa è casa mia.”
La rossa spalancò il legno massiccio e invitò quindi Chan ad entrare, per mostrargli un piccolo ambiente decisamente spartano in cui figuravano un materasso, qualche pentola con all’interno alcune provviste, delle coperte e molti fogli da disegno con monconi di matite mezzo terminate sparse sul pavimento.
“Beh, a dire il vero era casa mia. Adesso è solamente casa di Hongjoong, ci viene spesso quando litiga con le mamme e ha bisogno di stare un po’ da solo.”
In un angolino nascosto vi era, appena appena illuminata dalla luce che riusciva a farsi strada dalla porticina, una cassetta da cui sbucavano vari rotoli di bende e garze. Alcuni di essi, poggiati a terra lì accanto, erano sporchi di sangue.
“Era raro che restasse a casa – al primo livello delle Fucine intendo – per così tanto tempo, sai? Da quando ha iniziato a farti da maestro lo vedo più spesso, anche se mezze le volte parliamo solamente di quanto potresti impegnarti di più quando sei con lui.”
Chan non fece domande, nonostante trovasse bizzarro un atteggiamento simile (non che, comunque, non lo avesse capito che il rosso, eccentrico, di suo già lo era): “Beh, se voglio continuare a vederti dovrò continuare ad impegnarmi, no?”
Dentro la testa del biondo, in fondo, rimbombavano solo tre parole in quel momento: ‘Letto’ e ‘Da soli’. Era ovvio che non sarebbero finiti a letto insieme in quel momento, ma almeno quella sera avrebbe avuto qualcosa su cui fantasticare mentre ‘si prendeva del tempo per sé’.
Con un’altra ninfa forse sarebbe andato subito al sodo, non gli era mai interessato trastullarsi nei mutili piaceri del corteggiamento, ma Yoora lo aveva indubbiamente intrigato. E non parlava di bellezza, ma di spirito. Non voleva risultare davvero così sdolcinato (o cattivo, dipendeva dai punti di vista), ma sentiva chiaramente i cuori di entrambi sfiorarsi quando si mettevano a discutere su chi dei due faticasse maggiormente a sopportare Kim Hongjoong.
“Mi insegni a costruire una scultura di ghiaccio? Così posso provare anche io a lanciarla in testa ad Hongjoong!”
“Non ti azzardare a toccare mio fratello o ti butto giù da un dirupo! E sai perfettamente che ho sia la forza che la volontà per farlo!”
Forte, determinata, spiritosa, alla mano… Yoora era decisamente il suo tipo di ragazza. E, anche se non lo sapeva, ciò faceva di Hongjoong il suo ragazzo ideale. Yoora era Yoora solo nell’aspetto in fondo. Chan non conosceva davvero la reale sorella del maestro, pensava che il carattere estroso e particolare fosse una cosa di famiglia e che, per combinazione, stesse meglio addosso a lei che a lui.
 


11
 
Contro ogni previsione, il piano di Hongjoong andava a gonfie vele.
Dopo avergli fatto pena con la storiella del fratello ribelle che abita lontano dalla famiglia, Chan si stava dimostrando sempre più diligente ed attento, con ogni probabilità intenzionato a fare di nuovo bella figura con Yoora. L’avrebbe rivista la domenica successiva, così la ninfa almeno gli aveva promesso in cambio che il biondo continuasse a rispettare il loro patto.
Hongjoong non poteva che dirsi più soddisfatto di così, aveva risollevato la situazione completamente da solo e si stava anche divertendo, e in più aveva convinto l’allievo a riprendere la meditazione mattutina (fonte inesauribile di ilarità visto che le agghiaccianti espressioni di Chan lasciato al freddo erano spettacolari). Rispetto alle prime due settimane, comunque, le giornate scivolavano ora via lente, tranquille, solide e placide nella stretta routine che la ninfa si era preoccupata di risistemare. Calmati i bollenti spiriti, aveva avuto la premura di indire un nuovo programma di allenamento, parecchio ridotto rispetto alla prima modifica, ma decisamente più ampio in confronto alla base che l’accademia pretendeva. Si era preso alcuni giorni per studiare Chan, i suoi interessi ed i suoi punti di forza, e alla fine si era di deciso a concentrarsi in modo specifico su di essi. Fu una mossa che, nonostante l’antipatia reciproca, a Chan non dispiacque. Pur essendo ottuso, l’allievo aveva compreso che quello era il modo del maestro di ammettere il proprio sbaglio e chiedergli scusa per aver inizialmente preteso troppo. Il soldato si era ritrovato ad apprezzare le scelte del rosso e, dopo un mese abbondante di conoscenza, spronato dai racconti e dalle promesse di Yoora – alla quale gli sembrava di avvicinarsi giorno dopo giorno – aveva anche cominciato a contribuire maggiormente durante il corso delle varie lezioni. A livello teorico di tanto in tanto poneva domande o, semplicemente, faceva lo sforzo di ammettere di non aver capito qualcosa; a livello pratico, invece, si divertiva davvero. Una volta apprese le basi, non gli veniva difficile proporre nuovi schemi, nuovi percorsi, nuove trappole che inventava e costruiva sul momento sfruttando le caratteristiche dell’ambiente che lo circondava. Hongjoong aveva iniziato a pensare che fosse un peccato che Chan fosse particolarmente negato nello studio, aveva le mani abili come quelle di un artigiano e sarebbe potuto diventare un buon ingegnere, o un architetto, o un artista…
Eppure, più la convivenza proseguiva, più Hongjoong si rendeva conto di quanto portato fosse Chan per la strada che aveva scelto di percorrere. Fuori dal contesto militare continuava a mostrargli il suo lato tristemente adolescenziale, ma quando era il momento di fare sul serio ormai non esitava a dare tutto se stesso. Che un po’ fosse merito di Yoora non era nemmeno da mettere in dubbio, da quando la finta sorella era comparsa nella vita dell’allievo – quasi come se Chan avesse finalmente visto realizzarsi il suo agognato capriccio – questi aveva addirittura smesso, con il tempo, di accanirsi su Hongjoong e sul suo aspetto – a suo dire – poco gradevole. Visti dalla prospettiva di chi non era a conoscenza dei problemi iniziali sarebbero certamente sembrati una normale coppia formata da allievo e maestro.
Dopo un mese trascorso in assoluta tranquillità, sebbene non volessero ammetterlo, sia Hongjoong che Chan iniziarono ad abituarsi alla presenza l’uno dell’altro e, nonostante ancora non riuscisse a digerire l’odioso trattamento che il biondo gli aveva riservato all’inizio, la ninfa si ritrovò ad imparare a sua volta dall’allievo come quest’ultimo faceva con lui. Chan migliorava le sue tecniche di combattimento e teneva finalmente a bada gli ormoni, Hongjoong invece prendeva spunto dalle capacità sociali del coetaneo. L’estroversione del biondo era contagiosa, a forza di stare a contatto con lui gli era venuta l’inspiegabile ed irrefrenabile voglia di imitarlo. La riservatezza in cui, fino a quel momento, si era chiuso pareva ormai stargli stretta, era una pelliccia sporca che puzzava di vecchio.
Di Chan, anche se faticava tremendamente a digerire la dura verità, adorava gli occhi. Abbracciavano il mondo come avrebbe voluto che anche i propri, ricolmi di fredda e stoica curiosità, facessero.
Appresero come comunicare, e il loro rapporto – così distante – iniziò a farsi ricco di scambi. Forse venne tratto in inganno dal ciuffo rosso – identico alla chioma di Yoora – ma Chan cominciò a condividere anche con lui le sue battute di quart’ordine. Hongjoong, sia nelle vesti della sorella che nelle proprie, fingeva di ridere ogni volta.
Beh… forse non proprio ogni volta. O, almeno, la maggior parte delle volte fingeva di fingere di ridere. Era l’unico modo che aveva per ricordarsi che Chan, nonostante con Yoora tirasse fuori (per davvero!) il meglio di sé e apparisse il ragazzo più buono del mondo, era lo stesso stronzo che lo aveva fatto sentire tanto incapace ed inadeguato al momento del suo arrivo alle Fucine. Chan – e questo Hongjoong aveva iniziato a faticare a ricordarlo – era il ragazzo a cui avrebbe dovuto spezzare il cuore.

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Capitolo 6
*** 12 ***


12
 
Hongjoong quella domenica, ben stipato sotto la delicatissima pelle di Yoora, decise infine di aprirsi con Chan. Erano seduti – ginocchia contro ginocchia, spalla a spalla – con le gambe a penzoloni lungo il pendio che si stagliava sotto l’insenatura in cui era nascosta casa propria per fare merenda insieme. Questa volta Chan si era offerto di preparare lui qualcosa per l’occasione, nonostante non fosse assolutamente in grado di approcciarsi ad uno qualsiasi strumento da cucina. Maneggiava pugnali e spade di ogni dimensione con impressionante facilità e fatale precisione, ma – forse per l’inesperienza, forse per l’ansia di poter finalmente fare un regalo alla ninfa del suo cuore (sì, Chan ormai l’aveva ammesso anche a se stesso che Yoora era qualcosa di più di una semplice cotta passeggera) – i coltelli con cui aveva affettato (o meglio, maciullato) il pane e il condimento dei tramezzini che voleva portare parevano proprio non voler restare saldi nelle sue grandi mani che già tremavano per l’agitazione di essere in ritardo per l’appuntamento.
Quando Yoora sentì la buffa storia che si celava dietro l’aspetto orribile della merenda rise e mangiò ancora più con gusto: “Non mi dispiacciono affatto, Chan. Non sono brutti, sono speciali.”
Chan sentì le gambe molli quando la ninfa pronunciò quel complimento. Adorava il suo modo di vedere le cose. Adorava che, nonostante lui desiderasse che per lei fosse tutto perfetto, a lei bastasse che tutto fosse sincero.
Yoora – Hongjoong – amava la parola sincerità, nonostante, in quel contesto, ne stesse certamente abusando.
“Comunque sono veramente buoni, ogni tanto dovresti provare a portarne qualcuno anche a Hongie” azzardò la ninfa.
“Dici che gli piacerebbero?” se gli avessero posto la stessa domanda solo un mese prima, Chan avrebbe certamente rifiutato.
“Assolutamente sì!” masticò la ninfa tra un boccone e l’altro “Tanto mi ha detto che avete iniziato a fare merenda insieme quando avete gli allenamenti al pomeriggio.”
La rossa si leccò quindi la punta delle dita, sporche della salsa con la quale Chan aveva farcito in parte i tramezzini, per poi continuare: “Hongjoong è contento, sai? Dice che sei migliorato davvero molto in poco tempo e che non vede l’ora che tu sia pronto per costruire il tuo Pugnale.”
Chan se n’era completamente scordato, era così abituato a vivere alla giornata che aveva rimosso del tutto la seconda parte dell’addestramento. Si schiaffò il viso ed esclamò: “Diamine, il Pugnale!”
Yoora ridacchiò: “Te n’eri scordato?! Davvero?!”
La ninfa scosse il capo, per poi continuare: “Io sono in ansia per mio fratello e tu invece te ne dimentichi?!”
“In ansia?” Chan ficcò un tramezzino intero in bocca “E perché? Hai paura che te lo fonda assieme al metallo?”
L’altra roteò allora gli occhi: “Beh… Sì? Ho paura per… Per la Benedizione”
Chan dovette ragionarvi su a lungo prima di comprendere che cosa intendesse davvero l’amica. Erano decenni almeno che nessun Pugnale veniva Benedetto, nemmeno l’aveva mai presa in considerazione l’idea di essere lui il prescelto che avrebbe ridato vita alla tradizione.
“Benedizione?” lo sguardo allibito sul viso del soldato faticava ad andarsene “E perché dovresti essere tanto preoccupata? Non credo proprio che Hongjoong vorrà Benedire il mio Pugnale, non abbiamo un rapporto così stretto in fondo.”
Hongjoong sospirò internamente, ripensando a quanto stesse male ogni volta che sorprendeva la vera Yoora accanto ad uno dei suoi allievi. Chan avrebbe dovuto essere uno di loro, e a vedere quanto il biondo sembrava preso dalla figura della sorella poteva essere davvero probabile che lei sacrificasse il proprio corpo per unirsi per sempre a lui. Odiava ammetterlo, ma sarebbero indubbiamente andati d’accordo, e lui forse avrebbe dovuto dirle addio. Lo scopo che la loro etnia aveva scelto di perseguire era servire in battaglia, e, tanto per cambiare, il rosso riteneva di essere egoista nello sperare che la maggiore non si sacrificasse mai per quella causa. In fondo, era l’unica ninfa che non lo criticava per le sue scelte. Teneva a lui quanto lui teneva a lei, avrebbe odiato non averla più in famiglia, anche se non avrebbe mai potuto odiare lei in caso avesse deciso di attuare davvero la Benedizione.
“Io… Io non sarei arrabbiata con Hongjoong se decidesse di Benedire l’Arma che costruirete insieme, però… Solo mi dispiacerebbe non poterlo più vedere.”
Chan, in un moto di coraggio, prese una delle sue mani tra le proprie per stringergliela delicatamente: “Ya, non ti devi preoccupare, Yoora… Davvero! Solo perché io e Hongjoong abbiamo smesso di litigare non significa che lui Benedirà il mio Pugnale. Siamo riusciti a capire come approcciarci l’uno con l’altro, ma questo non significa che siamo davvero amici.”
L’espressione di Yoora si incrinò – Hongjoong dovette ammettere che un po’ fece male sentirsi sbattere in faccia la realtà – e il cadetto se ne accorse immediatamente: “Yoora? Ho detto qualcosa di male?”
La rossa scosse il capo piano e, infine, ammise: “Nulla… è solo che pensavo che tu e mio fratello steste andando d’accordo. Lui ormai ti considera un amico, anche se ci era rimasto parecchio male per le cose che gli dicevi all’inizio.”
Hongjoong, attraverso gli occhi della sorella, non seppe leggere l’espressione che si dipinse sul viso di Chan in quel momento. Pensò di avergli dato fastidio, o anche di essere stato troppo ovvio e di essere sull’orlo di farsi beccare, quindi strinse la sua mano e fece intrecciare le loro dita, per poi esclamare: “Ah, non importa! Sono problemi tuoi e di Hongie questi, no? Non dovrei mettermi in mezzo!”
Il biondo scosse subito il capo e, sciogliendosi non appena avvertì la ninfa ricambiare la sua stretta di mano, si strinse nelle spalle. Sapere che Hongjoong lo considerava un amico anche dopo la rocambolesca partenza del loro rapporto lo mandava in crisi, pensava che il rosso avesse firmato con lui il tacito patto di mantenere una certa distanza. Non si era quindi fatto troppe domande nel momento in cui avevano trovato il modo di convivere senza pensare di volersi ammazzare a vicenda, si era concentrato sulle lezioni perché sapeva che avrebbe fatto piacere a Yoora. Hongjoong, però – per Chan – non era a conoscenza di quel particolare. Doveva aver scambiato la sua disponibilità per pentimento e inteso di poter provare a salvare l’amicizia che desiderava all’inizio. Ciò che turbava il soldato, però, era essere consapevole che sapere di essere amico di Hongjoong non fosse chissà che novità. In fondo al suo cuore sapeva di aver riconquistato la fiducia del coetaneo, e la cosa non gli dispiaceva affatto.
“La verità è che non mi sono mai chiesto se adesso fossimo amici” ammise il biondo, portandosi alle labbra la mano della ninfa “Mi sono concentrato sull’addestramento. Hongie è uno tosto, non me la fa passare liscia né con la teoria né con la pratica… Semplicemente ho iniziato a vederlo davvero come un maestro e non mi sono mai chiesto come potesse essere da amico.”
Chan baciò lentamente le nocche della ninfa – ed il cuore di Hongjoong fece una giravolta per la sorpresa – per poi riprendere con tono evidentemente scherzoso: “Forse ho paura di scoprirlo. Se già a lezione è un dittatore, immagina come sarebbe se gli do troppa confidenza!”
L’espressione contratta sul viso della rossa si addolcì non appena avvertì la tenera ilarità che irrorava le ultime parole di Chan: “Non ti permettere di parlare così di mio fratello. È uno stronzo rompipalle, ma solo io posso dirglielo!”
Yoora abbassò lo sguardo e lo puntò sui propri piedi nudi, che ogni tanto giocherellavano assieme a quelli di Chan in un improvvisato acchiapparello, ancora vagamente in imbarazzo per il piccolo bacio che Chan le aveva dato. Restò in silenzio per qualche secondo, poi aggiunse a mezza voce, scandendo ogni sillaba al ritmo della neve che aveva iniziato, in quel momento, ad ammantare placidamente il candido paesaggio: “Imparerai a volergli bene così come ne vuoi a me, Chan.”
Non era nel Piano, Hongjoong non lo aveva programmato, né si era studiato quella frase per fare colpo. Yoora – quella vera – gli aveva detto davvero quella frase diversi anni prima quando il rosso aveva espresso la sua volontà di continuare a vivere come maschio di fronte alle loro madri e queste lo avevano picchiato per la prima volta: “Impareranno a volerti bene così come te ne voglio io, Hongie.”
Chan rimase a sua volta stupito da quella risposta, ma non fece in tempo a replicare che Yoora lasciò la sua mano per alzarsi in piedi e fargli cenno di seguirlo in casa.
“Entriamo dentro o gelerai se restiamo fuori mentre nevica.”
“Avrei resistito, dopo quasi un mese e mezzo mi sono abituato al freddo”
Chan si infilò comunque velocemente in casa, nonostante quegli eterni minuti di ‘meditazione’ mattutina fossero una tortura doveva ammettere che avevano significativamente contribuito a migliorare la sua resistenza. Si sedette sul materasso, dove già la ninfa aveva preso posto, schiena contro il muro e gambe allungate sotto un paio di coperte.
“Pensi che ci sarà una bufera?”
“Ne sono praticamente convinta, la temperatura fuori si sta abbassando velocemente” la ninfa fece spallucce “Hongjoong lascia sempre qualche provvista e sono certa che stasera sarà al primo livello. Noi potremmo cenare e, se il tempo non si calma, restare qui per la notte.”
Muoversi con la bufera sulle rampe scoscese delle Fucine, per un umano, era da masochisti, farlo sul versante disabitato della montagna era praticamente una dichiarazione di morte, quindi Chan approvò la proposta dell’altra con entusiasmo.
Era estremamente felice di poter finalmente trascorrere una serata con la ninfa che gli piaceva, sebbene, allo stesso tempo, la consapevolezza della propria inesperienza lo mandasse in paranoia.
Aveva capito di essere attratto da Yoora quando aveva imbattuto al dormitorio la ninfa assegnata a Jaehyun e Doyoung. I due amici avevano finalmente colto l’occasione per presentargliela e Chan, incuriosito dal groviglio di sentimenti che si agitava in lui ogni volta che la rossa gli rivolgeva la parola, ne aveva approfittato per analizzare la finissima silhouette della maestra dei suoi compagni. Era desideroso di scoprire se, ammirando una bellezza simile a quella di Yoora, si sarebbe ripresentata quella singolare sensazione alla bocca dello stomaco che gli faceva letteralmente perdere la testa.
La ninfa di Jaehyun e Doyoung – che loro avevano semplicemente soprannominato Tae – possedeva un fisico più slanciato rispetto a quello di Yoora, ma anche più fragile e delicato. I piedi nudi strisciavano sul terreno e creavano lunghi solchi tra la neve, eppure il suo passo non appariva pesante o sgraziato. Tutto, in Tae, parlava di raffinatezza e aristocraticità. Anche gli occhi vitrei, che si abbinavano al candido dei corti capelli sbarazzini – unico tratto che la distingueva da una vera e propria divinità – incastonati tra gli zigomi affilati, esprimevano schiacciante timore e sovrannaturale bellezza. A completare l’opera, sui suoi avambracci erano tatuati due eleganti grovigli di rose rosse, simmetrici tra loro. Se avesse dovuto essere oggettivo, Chan non avrebbe potuto affermare che Yoora era più bella di Tae, eppure quest’ultima – per quanto il cadetto si sforzasse di immaginarla accanto a sé – non era in grado di fargli lo stesso effetto della sorella del proprio maestro. Ci aveva rimuginato a lungo quella notte, finché non si era finalmente reso conto che la soluzione del suo dilemma era più semplice del previsto. Se Yoora era davvero l’unica in grado di farlo fremere, questo era perché a lui piacevano in primis il suo carattere e la sua visione del mondo, e poi, solo in ultimo, il suo corpo.
Ora che aveva l’opportunità di passare una notte con lei, però, non aveva idea di come farsi avanti. Doyoung, che aveva studiato per un paio di anni come Filosofo prima di intraprendere l’addestramento militare, diceva che il primo approccio con un partner seguiva sempre la regola per cui ‘la quantità di imbarazzo che provi è direttamente proporzionale a quanto ci tieni’. Chan, allora, immaginò di tenerci davvero molto alla ninfa dai capelli rossi, visto che poteva chiaramente avvertire l’impaccio mitigare orribilmente il suo entusiasmo.
Si domandava che cosa avrebbe dovuto fare in un frangente del genere, la situazione era certamente propizia ad una dichiarazione in grande stile, ma fin troppi dubbi annebbiavano la testa della recluta per poterli accantonare ed ignorare come faceva di solito.
A Yoora sarebbe andato bene? Che cosa ne sarebbe stato della loro amicizia?
E, più che altro, la ninfa che cosa si aspettava che lui facesse?
Chan la osservava mentre scaldava un pentolino aumentando semplicemente la temperatura del palmo della propria mano. Era un’immagine che lo riscaldava, gli ricordava casa propria, il modo in cui sua madre compieva gli stessi movimenti con una mano per far sciogliere prima il burro mentre, con l’altra, rompeva le uova per gettarle sulla superficie bollente e farle sfrigolare assieme a qualche misera striscia di carne per colazione.
Chan si avvicinò alla ninfa e si sedette accanto a lei, per poi accennarle un sorriso ed indicare la mano aperta che teneva in equilibrio il pentolino: “Beh… è davvero comodo come potere questo.”
Yoora sorrise a sua volta e gli mise un uovo in mano: “Già, ma dovrai rompere tu le uova o, con questo gelo, il padellino si raffredderà subito.”
Il soldato osservò l’uovo perplesso, ma poi annuì prontamente. Non sarebbe stato più difficile di spaccare la testa ad un manichino di legno, no? Si preparò psicologicamente a battere il guscio – tanto duro e tanto fragile – contro il metallo bollente della padella, ma Yoora lo fermò in tempo per ammonirlo: “Se lo spappoli te lo mangi da solo, chiaro? Ne abbiamo solo uno a testa.”
Chan tuttavia – fine nelle maniere tanto quanto lo era con le parole – non fece in tempo a pensare di essere delicato che aveva già frantumato guscio, albume e tuorlo dentro alla padella, suscitando un sospiro affranto da parte della ninfa, che non aveva più intenzione di lasciargli sfiorare anche la propria cena. Il soldato, tuttavia, fu più veloce e raccolse l’uovo rimasto da terra: “Aspetta, fammi provare ancora! Ho capito come si fa adesso!”
Detto fatto, per cena avrebbero consumato tramezzini brutti – speciali – e frittata croccante con aggiunta di coloritissime imprecazioni.
Di fronte all’ira funesta della ninfa, il biondo seppe solamente sfoggiare un sorriso innocente e mormorare con tono implorante: “Beh… è speciale come i tramezzini, no? Ti prego non uccidermi!”
Trascorsero così la maggior parte della cena a levare via frammenti di guscio incastrasti tra i denti, e, di conseguenza, ad insegnare nuove parolacce l’uno all’altro.
“Chan, è la prima e l’ultima volta che ti faccio cucinare con me, sappilo!” brontolava la rossa mentre l’altro sbuffava e lamentava continuamente di sentire ancora un piccolo fastidio tra due molari.
Yoora, allora, continuava a borbottare, ficcandosi un dito in bocca per eliminare gli ultimi corpi estranei rimasti: “Te li faccio sputare io i molari.”
Chan rise divertito: “Ya… Lo sai che queste minacce, dopo un mese che ci conosciamo, non funzionano più. Certo, avresti la forza per farlo, ma mi vuoi troppo bene per riuscirci davvero.”
Yoora gli fece il verso e, per ripicca, gli riempì la bocca con un tramezzino: “Mangia e stai zitto, che questi domani non sono più buoni. Ne hai fatti un casino, meno male che ci siamo fermati per cena!”
“Comunque che facciamo stasera?” azzardò quindi il biondo, una volta ingoiato il boccone.
La ninfa face spallucce e buttò il pentolino in un angolo della piccola caverna, per poi alzarsi in piedi e sgranchirsi le gambe: “Non ne ho idea, ma ho l’impressione che dovresti metterti a letto e dormire visto che domani è lunedì e hai gli allenamenti con mio fratello.”
Si stiracchiò e raccolse da terra alcuni dei fogli che – sotto le spoglie di Hongjoong – usava per disegnare quando si rintanava in quel luogo per guarire dalle ferite inferte dalle madri: “Ma tanto so che non lo farai, quindi… battaglia di aeroplanini di carta?”
Scelse un foglio su cui figurava lo schizzo di un paesaggio che aveva fatto molto tempo prima e fece per piegarlo a metà, ma Chan la fermò: “Yoora, aspetta! Ad Hongjoong non dispiacerà se usiamo i suoi disegni?”
Yoora sorrise sotto i baffi: “Hai paura che aumenti i tuoi minuti di ‘meditazione’ se lo scopre, per caso?”
Lo prendeva in giro, ma Hongjoong un po’ si sentì scaldare dalla premura dell’altro.
Chan si alzò e raggiunse la ninfa, per prenderle i fogli di mano: “Fammi un po’ vedere…”
Hongjoong era restio a mostrargli i fogli, disegnare per lui non era né un mestiere né un hobby, ma un semplice sfogo. Tutto ciò che riproduceva su quei pezzi di carta erano frammenti di recondito malessere che riuscivano a bucare la ruvida scorza dell’armatura che negli anni si era costruito attorno, di certo non potevano essere quindi sbandierati in giro come se niente fosse. Non si aspettava che Chan ne fosse interessato, ogni volta che lo portava al proprio rifugio non li degnava di uno sguardo. Ebbe l’istinto di riprenderseli e di gettarli in mezzo alla bufera, ma sapeva che Yoora non lo avrebbe mai fatto. La sorella non era a conoscenza della sua quasi insana mania di consumare matite fino alle due del mattino, quindi – con una certa tensione – si limitò a lasciargli le tavole e a sedersi di nuovo sul materasso accanto a lui, appoggiando il capo su una delle sue spalle nella speranza di distrarlo. Chan chinò allora il capo per adagiarlo a sua volta su quello della ninfa, per poi iniziare ad osservare uno dopo l’altro i vari disegni. Su alcuni si soffermò di più, su altri di meno, ma fino alla fine non commentò nessuno di essi.
Il soldato non sapeva che cosa aspettarsi da un tipo riservato ed eccentrico come Hongjoong, tanto più che di arte non ne capiva assolutamente nulla. Non comprese i soggetti, paesaggi illuminati dal sole e figure con ali di farfalla dalla bellezza eterea si alternavano a ritmo più o meno costante, ma venne indubbiamente attirato dalle linee con le quali il maestro aveva definito ogni sagoma. Se i protagonisti ritratti sembravano a tutti i costi voler emanare un senso di serenità o di gioia, i tratti calcati della grafite denunciavano indubbiamente una sorta di intrinseco dolore. In alcuni di essi, Chan riconobbe i crudeli segni che lasciava sui manichini ogni volta che si allenava con la spada.
“Non sapevo che Hongjoong sapesse disegnare così bene.”
“È un po’ schivo su queste cose, anche a me ha sempre fatto vedere poco di quello che disegnava” cercò di tagliare corto la ninfa, che desiderava a tutti i costi spostare l’attenzione del biondo su un nuovo argomento di conversazione. Chan tornò ad esaminare i disegni con cura, questa volta tentando davvero di essere delicato per evitare di rovinarli come aveva fatto con le uova. Non era sicuro che Hongjoong, come Yoora, li avrebbe definiti ‘speciali’ dopo aver notato anche la minima sbavatura fuori posto.
“Sai, anche io me la cavo a disegnare, se vuoi ti faccio un ritratto” propose la rossa, con un colpo di genio.
Chan sollevò quindi lo sguardo dai fogli e lo rivolse verso la ninfa, gli occhi enormi di chi non si sarebbe mai aspettato un regalo del genere: “Lo puoi fare davvero?”
Yoora ridacchiò, mentre già recuperava un foglio ed una matita da terra: “Tanto in qualche modo dovremmo pur ammazzare il tempo, no? Dai, mettiti in posa.”
Chan si vide costretto a separarsi da lei per sistemarlesi di fronte. Era indeciso sulla posa da assumere, quindi Yoora finì per poggiargli le mani sulle guance e spostargli il capo di tre quarti: “Voglio disegnarti la faccia, mica tutto il resto. Stai naturale o sembri scemo”
Chan prese un respiro profondo e cercò di restare fermo il più possibile, la ninfa lo vide divenire quasi viola dato che si ostinava a trattenere anche il respiro.
“Chan, rilassati… Hai la faccia di uno che sta per essere portato al patibolo.”
“Ho… una faccia speciale?”
Yoora roteò gli occhi: “Hai la faccia da deficiente”
Il biondo ridacchiò e si mise in una posizione più comoda, appoggiando la schiena alla parete. Scoprì che osservare la ninfa – tutta concentrata sul foglio a vergare linee e poi a modificarle sfumandole con le dita – lo metteva di buon umore. Era tutta accucciata su di sé, ogni tanto sollevava gli occhi cangianti per puntarli nei suoi, poi li riabbassava di scatto, sistemava alcune ciocche di capelli dietro le orecchie e, folgorata dall’ispirazione, tornava a rimaneggiare lo schizzo. Chan si chiese se anche suo fratello assumesse le stesse pose quando consumava con tanta foga le matite. Quasi poteva immaginarselo – schiumante di una rabbia e di una sofferenza che gli erano ignote – mentre lacerava il foglio con la punta affilata e poi scaraventava a terra lo strumento, terminando l’atto catartico all’apice della tragica performance.
“Ho finito, guarda” Yoora interruppe il suo flusso di coscienza per mostrargli timidamente il foglio. Il ragazzo lo squadrò per bene, in fronte notò una cicatrice che non riconosceva. Erano mesi che non si specchiava.
“Cazzo!” esclamò allora, con un enorme sorriso stampato in viso.
La ninfa assunse subito un’espressione preoccupata, temendo di aver deluso le aspettative della recluta, finché non la sentì proseguire: “Sono proprio un gran figo!”
Si guardarono per un solo secondo, poi entrambi scoppiarono in una grassa risata. Yoora si fece avanti per prima per levargli il ritratto di mano e poi dargli un leggero spintone: “Deficiente, pensavo che non ti piacesse!”
“Lo sai che sono egocentrico!” obiettò Chan, cogliendo l’occasione per trattenerla a sé e cominciare una lotta con lei. La ninfa menava calci e pugni a casaccio, il soldava evitava facilmente le sue mosse e, anzi, ne approfittava per farla arrabbiare sempre di più toccandole i fianchi con la punta delle dita e soffiandole sul collo.
“Ya! Che fastidio! Piantala!” continuava a lamentarsi la rossa a gran voce, e alla fine Chan decise di accontentarla lasciandosi cadere a peso morto sopra di lei e schiacciando completamente il suo minuscolo corpicino.
“Non… respiro…” finse la rossa nel tentativo di liberarsi “Che… appiccicoso… porca… pigna…”
Chan mise un piccolo broncio: “Oh no! Stai soffocando per caso? Guarda, non hai più nemmeno la forza di imprecare… Peccato, volevo farti un disegno anche io!”
Yoora stava già rovesciando gli occhi indietro e esibendo drammaticamente la lingua per tentare di impietosirlo, ma quando lo sentì scandire la parola ‘disegno’ e scattò su seduta senza sforzo, facendolo rotolare giù dal materasso: “Ah sì? Che disegno?!”
Chan le rubò la matita e recuperò il foglio del suo ritratto, per poi voltarlo al contrario: “Sorpresa!”
Il livello delle capacità artistiche del soldato eguagliava quello in campo culinario, ma… Perché no? Perché non provare a disegnare due omini traballanti e stilizzati – uno, con i capelli lunghi, che rappresentava la ninfa, l’altro, invece, se stesso – seduti vicini e con le labbra che si sfiorano? Ormai era in ballo, e – nonostante solitamente le sue mosse lasciassero particolarmente a desiderare – gli toccava ballare.
Mostrò il piccolo schizzo a Yoora dopo pochi minuti, con immensa timidezza. Alla fine dichiararsi gli era venuto spontaneo, così come, spontaneamente, aveva compreso di voler stare con lei.
Hongjoong rimase di stucco nel comprendere che cosa quel disegno rappresentasse.
Era giunto il momento quindi, quello in cui Yoora avrebbe portato a compimento il suo piano e avrebbe finalmente frantumato il cuore di Chan. Hongjoong richiamò l’odio che covava da un mese mezzo, gli si attorcigliò lo stomaco in una tenera stretta. Era il gusto della vendetta, o, forse, era qualcosa di estremamente più dolce e soddisfacente. Sollevò le mani prese in prestito alla sorella, le avvolse attorno al collo del biondo e, per un secondo, si chiese se fosse opportuno strangolarlo per fargli rimpiangere di non avergli mai chiesto scusa per il modo in cui si era visto trattare. Quando, però, si fece avanti per premere meglio i palmi contro la sua gola, si ritrovò a cavalcioni su di lui. Le mani di Chan gli accarezzavano i fianchi, o, meglio, percorrevano con lentezza quelli di Yoora. La ninfa allora non si trattenne più e, abbandonandosi all’istinto, si chinò per replicare il brutto disegnino del biondo. Fece combaciare le loro labbra, e non ci andò piano come Chan aveva immaginato. Lasciò che tutto l’odio scorresse via, lo rinchiuse di nuovo in fondo al suo cuore, e lasciò che un altro sentimento giocasse con gli intrecci delle loro bocche e delle loro lingue. Mani nei capelli, mani sui fianchi, sulla schiena, carezze sospirate e forse azzardate, e poi labbra sul collo e baci ricolmi della forma più pura di sincerità.
In fondo, perché no?
Perché, se Hongjoong odiava Bang Chan, Yoora non avrebbe dovuto amarlo? Si era dimostrato il ragazzo migliore che avesse probabilmente mai conosciuto.
Peccato che chi baciò Chan per tutta la sera, fino a quando entrambi non caddero addormentati l’una abbracciato all’altro, non fu Yoora.
A Hongjoong parve di non essersi mai sentito così bene – e così male – come quella notte.

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Capitolo 7
*** 13 - 14 ***


13
 
Il mattino successivo Hongjoong si svegliò per primo, allarmato dall’improvvisa consapevolezza di ciò che aveva fatto la sera precedente. Utilizzare le sembianze di sua sorella per ingannare Chan gli era sembrata un’idea geniale all’inizio, ora invece, con il viso schiacciato contro il caldo petto del cadetto, non poteva che rendersi conto di aver ingigantito enormemente il problema. Con ancora il cuore che accelerava i battiti ogni volta che un dettaglio della nottata gli tornava in mente, la ninfa comprese di ritrovarsi ormai di fronte ad un terribile bivio: avrebbe potuto fare finta di nulla e diventare Yoora per sempre, corrompere così la vera sorella per attuare un repentino scambio di identità e prometterle come compenso denaro ed eterna devozione, oppure avrebbe potuto essere davvero sincero con il biondo ed ammettere che la donna dei suoi sogni altro non era che il frutto della sete di vendetta di un infantile ninfetto. Hongjoong si disse che rivelare la verità dopo aver illuso la recluta non sarebbe stato così male, sarebbe equivalso a rifiutarlo il giorno prima, ma non ebbe cuore di continuare a mentire anche a se stesso.
Il respiro cadenzato del ragazzo lo cullava, lo faceva tornare indietro di qualche ora. Si crogiolò di nuovo tra le sue braccia, le stesse braccia che avrebbero potuto picchiarlo come facevano le sue madri ma che non avrebbero mai alzato un dito su Yoora, e chiuse gli occhi. Finché Chan dormiva, Hongjoong poteva immaginare che Chan provasse affetto per lui; finché la ninfa fingeva di dormire, Chan avrebbe creduto che la ragazza a cui si era dichiarato fosse reale.
Hongjoong avrebbe finto di destarsi dopo di lui, si sarebbe goduto il miglior risveglio della sua vita e poi avrebbe svelato il vero se stesso. Sia lui che Chan meritavano la verità prima che fosse troppo tardi, il rosso ne era convinto. I panni della sorella gli stavano stretti, le forme non erano mai al posto giusto, spesso gli veniva spontaneo appiattirsi il petto ed il girovita. Come poteva pensare di vivere in un guscio simile per sempre, sebbene accanto al ragazzo che gli piaceva? Si sentiva impacciato quanto un bruco a camminare su quelle gambe, ma non era sicuro che Chan fosse maturato abbastanza da comprendere – e amare – anche la farfalla in cui si sarebbe trasformato.
E, come previsto, la metamorfosi non fu semplice.
Chan, cadendo nel suo inganno, svegliò Yoora con un delicato bacio a fior di labbra. La ninfa lo ricambiò quasi subito, ma con la medesima repentinità, alla fine, si separò da lui. Lo guardò negli occhi per un secondo, appoggiò una mano sul suo viso per lasciargli un’ultima carezza, notò lo sguardo dell’altro riempirsi di preoccupazione. Non doveva avere una bella cera, sentiva già le lacrime premergli contro le fragili palpebre.
“Chan, devo dirti una cosa…”
E alla fine non disse nulla, lasciò semplicemente che la pelle della sorella gli si scucisse di dosso e la propria scivolasse a prenderne subito il posto agognato. I capelli si accorciarono, le labbra si fecero più fini, così come anche il taglio degli occhi e le linee degli zigomi. Le spalle ormai non ci stavano più accucciate contro il petto del soldato, così, facendo forza sulle ginocchia, già più spesse e scattanti, si mise finalmente seduto per mostrarsi all’altro.
Chan dovette pensare che la ninfa gli stesse giocando un brutto scherzo, perché per intere – infinite – decine di secondi non fu in grado di replicare nulla di fronte all’orribile spettacolo che gli era apparso di fronte.
“Yoora…” il cadetto si mise seduto a sua volta e si guardò intorno smarrito, quasi a voler cercare la vera Yoora in un angolo della piccola casa “Sei… tu? Yoora sei sempre stato tu?”
Hongjoong avvertì una fitta perforargli il petto nel sentire quanta delusione trapelava nella voce di Chan. Strinse i pugni e, con un coraggio che non sapeva di possedere, annuì e confermò di nuovo la triste realtà.
“Mi dispiace tanto, Chan…”
Si aspettava grida, qualche schiaffo, magari addirittura un paio di pugni, invece tutto ciò che ottenne fu un desolante silenzio. Chan continuava a squadrarlo allibito, con una vena d’odio puro che gli attraversava il viso. Aveva appena trascorso la notte migliore della sua vita e gli era strato crudelmente rivelato che era stata tutta un’illusione della persona che, lì alle Fucine, più di tutte avrebbe dovuto tutelarlo. Non comprendeva le motivazioni di Hongjoong, non che in quel momento gli interessassero comunque. Tutto ciò che voleva era scappare via.
“Beh… Che sorpresa speciale.”
Ebbe solamente la forza di pronunciare queste parole prima di mettersi in piedi e di raggiungere l’uscita come un automa, annichilito dal dolore e dalla confusione. Per un po’ non si sarebbe presentato a lezione.
Hongjoong guardò la sua penosa sfilata e vegliò da lontano su di lui per controllare che durante il ritorno non si facesse male. Avrebbe voluto rincorrerlo, chiedergli scusa, ma non ne aveva la forza, e, soprattutto, non se lo meritava.
Aveva ottenuto ciò che desiderava, ma non aveva tenuto in conto che, assieme al cuore di Chan, si sarebbe frantumato anche il proprio.


 
14
 
Sul taccuino di Chan figuravano spesso note su Yoora, e in ognuna di esse era possibile rintracciare l’enorme affetto che il soldato aveva scoperto nutrire per la ninfa.
 
“17 aprile
Yoora è molto diversa da come la immaginavo. Ci siamo incontrati oggi per l’appuntamento che avevamo fissato qualche giorno fa e mi ha portato fino alla sua vecchia casa sull’altro versante della montagna. Ho eluso la sorveglianza con i trucchi che mi ha insegnato Hongjoong, anche se per poco non mi facevo scoprire. Ho l’impressione che Yoora ami i luoghi proibiti, se voglio continuare ad uscire con lei devo fare attenzione a quello che mi insegna suo fratello.”
 
“24 aprile
Come avevo immaginato, a Yoora piace portarmi in posti in cui non dovrei avventurarmi. Ci siamo visti di sera questa volta e abbiamo giocato a nascondino in mezzo alla neve. Per poco non mi perdevo a cercarla!
Rispetto a suo fratello è decisamente più rilassata e alla mano, voglio conoscerla meglio.”
 
“1 maggio
Oggi io e Yoora abbiamo parlato per tutto il pomeriggio. Siamo scesi leggermente verso valle per fare una passeggiata in mezzo alle foreste, ma alla fine le abbiamo viste solo in lontananza. Alla prima pausa che abbiamo fatto ci siamo completamente persi a chiacchierare e non ci siamo più schiodati. Fosse stato per me, avrei trascorso anche tutta la serata con lei.”
 
Ogni volta che si incontravano due parole sul taccuino ormai erano d’obbligo, Chan spesso si lasciava andare anche a racconti lunghi ed elaborati in cui metteva nero su bianco ogni dubbio o fantasia sull’evoluzione della loro relazione, da conoscenti, ad amici, a fidanzati. Lo faceva perché sapeva che la ninfa era ormai un capitolo importante del suo soggiorno alle Fucine – e forse lo sarebbe stato anche all’interno della sua vita – e non voleva dimenticare alcun particolare di ciò che la riguardava. Nonostante più volte avesse annotato i suoi comportamenti, però, non si era mai reso conto di quanto le maniere di Yoora si facessero – con il lento scorrere dei giorni – sempre più simili a quelle di Hongjoong. Stesso modo di tirare indietro le ciocche di capelli ribelli che ad entrambi pungevano gli occhi, di ridere, di nascondere il viso tra le mani dopo che lui azzardava una battuta leggermente più spinta.
Questa volta, Chan non si dilungò in amorevoli discorsi, semplicemente sputò sul foglio due secche parole e gettò via il quadernino in un angolo della propria celletta.
 
“8 maggio
Era evidente.”
 
Certo, ora che Hongjoong aveva ammesso di averlo illuso per settimane era tutto ovvio. Ingannarlo in quel modo per indurlo a studiare era un piano folle, ci era arrivato in fretta, anche se ancora non comprendeva perché mai la ninfa avesse acconsentito a baciarlo per ore intere la notte prima solo per poi svelare l’imbroglio e, soprattutto, fingere anche che gliene importasse davvero.
Peggio per lui, continuava a ripetersi il biondo. Si sarebbe dato malato, avrebbe finto un infortunio pur di evitare di incontrare ancora il maestro. Anche Doyoung e Jaehyun avrebbero smesso di insistere sullo stringere amicizia con lui, se all’inizio gli servivano scuse per dire di non sopportarlo, ora poteva affermare di odiarlo in pace. Hongjoong non aveva il diritto di illuderlo in quel modo, così come lui – e di questo, tuttavia, ancora non se ne rendeva conto – non avrebbe avuto alcun motivo per prenderlo di mira già al momento della loro conoscenza. Anche se Yoora aveva contribuito a farlo crescere enormemente, Chan rimaneva ancora lo stesso bambino arrogante che faceva i capricci e pretendeva di vedere solo la propria metà dei problemi. Anche in quel momento, non si chiedeva affatto che cosa avesse davvero spinto Hongjoong ad elaborare un piano tanto diabolico, si limitava a rimuginare infinitamente su quanto sfortunato fosse stato a venire assegnato come allievo ad un maestro del genere. Certamente avrebbe fatto rapporto al capitano, non poteva permettere che un altro povero cadetto finisse vittima dei contorti intrighi della ninfa dai capelli rossi.
Iniziò ad annotare tutto ciò che avrebbe raccontato al capitano con tono solenne – paroloni obsoleti di cui spesso non conosceva davvero il significato ricolmi di vile risentimento – e, intanto, si sforzava di non pensare alla domanda che lo tormentava da quando il giorno prima aveva visto il viso di Hongjoong comparire sotto quello della sorella.
Di Yoora apprezzava certamente la bellezza, ma amava il suo carattere esplosivo, ed ora era venuto a conoscenza che questo apparteneva al suo riservato maestro.
Ciò significava quindi che lui, Bang Chan, provava incommensurabile affetto nei confronti di Kim Hongjoong?

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Capitolo 8
*** 15 - 16 - 17 ***


15
 
Dopo mezza giornata trascorsa a rimuginare e a piangersi addosso, Chan comprese che era giunto il momento di sfogarsi con Jaehyun e Doyoung. Quando l’argomento di discussione era Kim Hongjoong, i due amici si trovavano sempre d’accordo sul ripetergli che avrebbe dovuto conoscerlo meglio, ma questa volta il biondo era convinto che non avrebbero potuto dargli torto. Hongjoong aveva ufficialmente mandato a monte quella debole amicizia che avevano costruito tanto faticosamente in un mese, come avrebbe potuto essere colpa sua anche quella volta?
Il cadetto proseguì a passo spedito fino alla stanzetta in cui alloggiavano i due compagni. Non parlava con loro dal giorno precedente, la sera prima aveva rifiutato di incontrarli come erano abituati a fare quasi ogni sera prima di andare a letto, quindi aveva in programma di esibirsi in una drammatica entrata in scena per annunciare che sì, era pronto a sfogarsi e loro erano in dovere – fazzolettini alla mano – di consolarlo e sostenerlo finché l’odio per Hongjoong non avrebbe scavalcato l’amore che ancora provava per Yoora. Già stava programmando nella sua testa ogni singolo movimento, contava ogni passo in maniera da rendere la sua sfilata il più tagica e commovente possibile, quando giunse di fronte alla porticina che lo avrebbe condotto ad una serata di lacrime ed intense lamentele. Non vedeva l’ora.
Poggiò una mano sulla maniglia e aprì lo spesso legno che divideva il corridoio dalla celletta, per poi fiondarsi dentro con un sofferto: “Jaehyun, Doyoung, non potete capire che cosa mi è successo ier-”
La sua comparsa improvvisa non fu particolarmente gradita, Chan nemmeno terminò la frase che vide apparire di fronte a sé un’immagine ancora più tragica, alla quale non avrebbe dovuto assistere.
Tre figure erano aggrovigliate sul letto di uno dei due compagni. Chan scorse chiaramente la testa di Jaehyun emergere da un paio di gambe nude, i boccoli color nocciola sparati in aria incorniciavano alla perfezione l’espressione di orrore che – non appena aveva messo a fuoco la figura del biondo – gli si era dipinta in viso. Doyoung, a sua volta, non appariva meno sconvolto. Accucciato, a petto nudo, con il viso incollato a quello della terza figura – la proprietaria delle gambe da cui era sbucato Jaehyun – fissava il quarto incomodo con occhi di fuoco.
“Jae, cazzo, ti avevo detto di chiudere quella fottutissima porta!”
Doyoung balzò in piedi e si parò di fronte agli altri due, come a proteggerli dallo sguardo – stupito ed indagatore – del più piccolo: “Chan, vuoi uscire o ti devo mandare un fottuto invito scritto?!”
Ancora imbambolato di fronte alla scena, il soldato riuscì a scollare i piedi dal pavimento solamente dopo alcuni imbarazzanti secondi. Una volta ridestatosi, scappò via senza chiedere scusa né guardarsi indietro, l’immagine dei tre ancora vivida nella sua mente. Tornò in camera con la coda tra le gambe, mangiandosi le mani per non aver bussato. Non era sconvolto dall’aver beccato i due in un momento di intimità, capitava spesso in accademia che a notte fonda, nei dormitori, ogni tanto risuonasse qualche gemito un po’ troppo acuto, ma non pensava che l’avrebbero davvero fatto in tre con la loro ninfa. Nonostante la tempestività di Doyoung nel mettersi di fronte ai due amanti, aveva riconosciuto le fattezze di Tae dai tatuaggi sulle braccia. Una cosa, tuttavia, davvero non se l’aspettava: Tae, in quel momento, era indubbiamente un maschio.
 


16
 
Tra l’arrabbiatura con Hongjoong ed il senso di vergogna che sapeva avrebbe provato con Doyoung e Jaehyun, Chan finì per trascorrere un’altra giornata completamente da solo. Non amava essere in compagnia di se stesso – spesso si ritrovava a riflettere fin troppo su di sé e su ciò che stava per diventare una volta ottenuto il diploma dell’accademia – ma in quel frangente la solitudine era decisamente preferibile al sopportare un’intera giornata di intollerabile imbarazzo.
Tuttavia, quel pomeriggio Doyoung venne personalmente a cercarlo. Doveva essere una cosa seria se anche lui era da solo, nell’ultimo periodo l’aveva sempre visto assieme a Jaehyun e a Tae (e aveva ormai capito perché). Il maggiore bussò alla porta della sua camera e chiamò il suo nome.
“… Chan? Ci sei? Sto entrando…”
Doyoung fece cucù dalla porta e trovò Chan sdraiato sul suo materasso intento a sfogliare il suo vecchio quadernino dalla copertina sgualcita.
“Ehi…”
“… Ehi.”
Restarono in silenzio per qualche secondo, poi il maggiore domandò impacciatamente: “Ti va di fare una passeggiata con me?”
Chan sospirò ed annuì: “Il tempo di prendere stivali e mantello e ci sono.”
Scesero fino al terzo livello, fecero un giro tra i piccoli negozi della cittadella delle ninfe, ma non prestarono mai particolare attenzione alla merce esposta. Alla fine, Chan domandò: “Alla fine, dopo che me ne sono andato, Jaehyun l’ha chiusa la porta?”
Doyoung arrossì e strinse i pugni, per poi annuire: “Proprio di questo volevo parlarti. Non… Non hai detto a nessuno ciò che hai visto, vero?”
Chan scosse il capo con decisione: “Non ho visto nessuno, mi sono chiuso in camera e sono uscito solo stamattina tardi per passare a fare colazione in mensa, quando non c’era praticamente più nessuno.”
Doyoung aggrottò le sopracciglia: “Stai di nuovo saltando l’addestramento?”
Il minore fece spallucce: “Non cambiare argomento, stiamo parlando della tua relazione clandestina con Jaehyun e la vostra ninfa, non di me e Hongjoong.”
Il corvino si infilò in un corridoio laterale e si appoggiò quindi alla parete rocciosa: “Quindi l’hai riconosciuto…”
“Ho visto i tatuaggi.” confermò il minore, notando intanto che l’altro aveva utilizzato il maschile per riferirsi alla ninfa.
Doyoung, evidentemente in preda allo sconforto, si passò una mano sul viso e rimase zitto per alcuni secondi, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.
“Senti, Chan…” esordì infine “Mi dispiace che tu ci abbia visti… in quel modo. Soprattutto perché so come la pensi sull’avere relazioni tra uomini, figuriamoci se poi siamo in tre, ma… Ma Tae mi piace. Mi piace davvero tanto, e piace tanto anche a Jae.”
Chan non ebbe dubbi sulla sincerità del ragazzo accanto a sé, avvertiva nelle sue parole lo stesso affetto che lui provava per Yoora. Ciò che lo turbò fu quella premessa – so come la pensi sull’avere relazioni tra uomini – da come aveva pronunciato quella frase ebbe l’impressione che l’amico sarebbe stato pronto anche a fare la pugni pur di difendere il rapporto che aveva instaurato con i suoi ragazzi.
“Ed entrambi piacete tanto anche a Tae, vero?” lo incoraggiò quindi il cadetto, tentando di fargli capire che, per una volta, l’avrebbe ascoltato senza giudicarlo o fare storie.
“Sì… Ma ci è voluto un po’ prima che si fidasse completamente di noi” Doyoung sollevò lo sguardo e lo puntò dritto negli occhi di Chan “Se ti racconto questa storia devi promettere che terrai la bocca chiusa, o giuro che ti butto seriamente giù da un dirupo.”
Chan ridacchiò piano: “Se hai tanta paura che qualcuno scopra il tuo grande segreto allora non raccontarmelo, no? Se ci tieni tanto è perché hai bisogno di sfogarti. Quindi… Ti ascolto.”
L’altro roteò gli occhi in risposta: “Non c'è molto da raccontare in fondo. Sia a me che a Jae Tae è piaciuto subito, ma abbiamo capito immediatamente che qualcosa non andava. Pensavamo di piacere anche a lui e non capivamo perché, invece, lui si ostinasse a tenere comunque le distanze. Alla fine, però, dopo un paio di settimane ha acconsentito a seguirci al dormitorio e gli abbiamo chiesto di dormire con noi. Volevamo provarci. In modo serio intendo. Baciarci, magari finire a letto con lui... E subito sembrava andare tutto bene, ma quando abbiamo iniziato a fare sul serio è scoppiato a piangere e ha confessato che non voleva che vedessimo un corpo che non gli piaceva.”
Chan spalancò gli occhi a quel punto, iniziando a notare un certo pattern. Gli parve quasi di avere un dejà vu.
“Si è sempre fatto chiamare solamente Tae perché odiava il nome da ragazza che gli aveva affibbiato sua madre, fin da quando era piccolo sperava di imparare presto a controllare i suoi poteri per poter modellare le sue forme a suo piacimento. Desiderava un corpo da maschio, una voce da maschio, un nome da maschio. Come Taeyong, ecco. Ma sapeva che, nonostante la metamorfosi sia incredibilmente semplice, nessuno gliel’avrebbe mai permesso. La tradizione di quest’etnia è spaventosamente severa, impone tassativamente alle ninfe nate di sesso maschile di assumere sembianze femminili, consentendo loro di recuperare le fattezze originali solo in vista della riproduzione. Fin da bambini la figura della donna madre e guerriera viene idealizzata, quei pochi che rifiutano di adattarsi al tessuto sociale vengono emarginati. Taeyong, nato già femmina, verrebbe trattato come un vero e proprio reietto se dichiarasse di desiderare un corpo non conforme alla tradizione. L’unica ninfa maschio che risiede qui alle Fucine, per ora, è Hongjoong, e vedere come si comportano con lui lo spaventa. Ma… beh, adesso siete amici, no? Te ne avrà parlato.”
Chan tremò non appena il maggiore scandì le parole ‘reietto’ ed ‘emarginato’, nella sua mente vennero subito a galla i disegni di Hongjoong, i loro tratti grezzi e slanciati che incidevano il foglio come fendenti – ora lo capiva – alla ricerca di gioia e libertà.
“A dire il vero no. Non mi ha mai detto nulla.”
“Beh, te ne avrà parlato sua sorella allora, no?”
“Ecco… A proposito di sua sorella…”
Era giunto il suo momento di sfogo e, incredibilmente, Chan fu schietto come l’amico prima di lui. Non finse di piangere, non emise sospiri drammatici, né si esibì in tragiche pose da reginetta dello spettacolo. Aprì il suo cuore al maggiore, lasciò che Doyoung toccasse con mano tutta la confusione e lo sbigottimento che ancora avvelenavano i suoi sensi e – con calma catartica – espose ciò che gli era accaduto con Yoora, senza tralasciare alcuna parola, alcun sospiro, alcun sentimento. Se c’era qualcuno che poteva aiutarlo a smettere di piangersi addosso, in fondo, quello era proprio il corvino. Con solo due anni in più di esperienza, sembrava che sorreggesse sulle spalle la saggezza del mondo.
“Era lui, capisci? È sempre stato lui. Ogni volta che raccontavo a te e a Jaehyun che ero uscito con Yoora in verità ero con Hongjoong. E… e alla fine ha iniziato a piacermi seriamente. All’inizio uscivamo solamente la domenica, ultimamente invece cercavamo di vederci ogni volta che non avevo gli allenamenti, quindi pensavo di piacere anche a Yoora. E invece…”
“E invece era Hongjoong” concluse il più grande con un sospiro “Accidenti… Deve averti deluso parecchio. Ecco perché oggi hai saltato le lezioni.”
“Non mi va affatto di vederlo” Chan si mise a braccia conserte.
“Perché vederlo significherebbe affrontarlo, no?” Doyoung piegò le labbra in un leggero sorriso “E prima mi sa che hai bisogno di fare ordine qui dentro…” colpì con delicatezza il capo del biondo “… e anche qui dentro.” poggiò la stessa mano sul suo petto, proprio sopra il cuore.
“Beh…” ridacchiò ancora “Non si può dire che non te l’abbia fatta pagare però. Se non ti ha raccontato nulla di quello che deve subire tutti i giorni probabilmente è perché non gli hai mai nemmeno chiesto scusa.”
Chan storse il naso, iniziando già a scaldarsi a causa del tono insinuatore dell’amico: “Guarda che, se mai, è lui che deve chiedere scusa a me. Mi ha preso per il culo e ha giocato con i miei sentimenti.”
“Giusto, ma tu all’inizio ti sei completamente rifiutato di conoscerlo e di provare a fare amicizia solo perché non era una ragazza”
Chan rimase interdetto nel sentirsi sbattere in faccia la realtà. Serrò i pugni e strinse le labbra in una linea sottile, per poi voltare gli occhi altrove, incapace di rispondere a tono e di sostenere lo sguardo inquisitore dell’altro.
“E chissà perché” rincarò il maggiore “hai iniziato ad essere leggermente più carino con lui solo quando sua sorella è apparsa dal nulla. Ti è venuto in mente, in questi giorni di esame di coscienza, che il problema potessi essere tu? Hongjoong non ti ha mai chiesto di essere l’unica ninfa della sua vita, voleva solo che gli dessi la possibilità di conoscervi! E… E, Chan, ti rendi conto che per te ha fatto una scelta orribile? Per avere un briciolo della tua attenzione ha addirittura assecondato la tua richiesta di diventare una ragazza nonostante, probabilmente, quel corpo gli facesse schifo. Esattamente come succede a Tae!”
L’intelligenza e la rigida morale di Doyoung finivano spesso per infastidire il biondo, ma mai Chan si era sentito tanto accusato dalle parole dell’altro. Ancora una volta, in fondo, il corvino aveva trovato un modo per fargli la predica.
“Non ti sto dicendo che abbia fatto bene a scegliere una soluzione tanto drastica, avrebbe semplicemente potuto parlarne con te,” Doyoung, nel notare l’espressione sconfitta e frustrata del minore, addolcì il tono “ma, se avesse chiesto di parlarti, tu lo avresti ascoltato?”
Il corvino sorride di nuovo: “Adesso sì, lo avresti ascoltato, ma solo perché ti ha aiutato a crescere un po’ senza che te ne rendessi conto. Un mese e mezzo fa eri solo un cazzone arrapato, ora intravedo qualche spiraglio di tridimensionalità in te.”
Chan ricevette così il colpo di grazia e, rotto il marcio scudo dell’indomito maschio alfa, lasciò che una fugace lacrima sfuggisse lungo una guancia: “Se quello che dici è vero, allora è merito di Yoora, non di Hongjoong.”
“Già, ma Yoora è Hongjoong, Chan. Yoora è la veste che Hongjoong ha dovuto scegliere per chiederti udienza, o non lo avresti nemmeno considerato” rimbeccò il più grande “Chan, non voglio dargli ragione, ma devi renderti conto che siete entrambi nel torto e che lui, a differenza tua, però, ha solamente reagito ad una tua provocazione.”
“Parla con lui” concluse il più grande, iniziando a camminare di nuovo in direzione del loro dormitorio “e prima, magari, chiediti anche che cosa provi per lui. Non deve essere amore, non devi obbligarti a sperimentare come abbiamo deciso di fare io e Jae, non sarebbe giusto nei tuoi confronti. E dopo non dovete nemmeno essere amici, ma almeno chiudete la questione e chiedetevi scusa a vicenda. Volenti o meno, avete ancora più di un mese da trascorrere insieme, e passerà più in fretta se cercherete di non odiarvi a vicenda.”
Per quanto facesse male, Doyoung non aveva tutti i torti.
Chan aveva completamente scordato il modo in cui aveva trattato la ninfa all’inizio del soggiorno, dopo che Yoora era piombata nella sua vita era stata il suo pensiero fisso e Hongjoong era passato completamente in secondo piano. Come aveva precisato Doyoung, Yoora altro non era che una difesa per il rosso, l’elemento che gli avrebbe permesso di tutelarsi almeno da lui.
Emarginato. Reietto.
Mentre percorreva la strada a ritroso verso la propria celletta, il biondo si chiese quale genere di trattamenti le ninfe potessero riservare ad uno come Hongjoong, o a Taeyong se avessero scoperto la sua reale natura. Per lui che aveva l’abitudine di essere al centro dell’attenzione era difficile comprendere che cosa si provasse ad essere lasciati da parte. Alle partite di pallone nelle ore ricreative dell’accademia veniva scelto sempre per primo; aveva l’impressione che Hongjoong, invece, dalle sue cugine non sarebbe stato scelto affatto. Questo spiegava il bisogno di libertà che trapelava dai suoi schizzi – i leggerissimi uomini-farfalla che li popolavano volavano sempre verso l’alto – ma anche la smania di Yoora di avventurarsi in luoghi in cui era proibito anche solamente pensare di ficcanasare.
Doyoung gli aveva chiesto di ragionare su quali sentimenti provasse nei confronti del rosso e aveva insinuato che ormai lo odiasse in tutto e per tutto, eppure, dopo la loro lunga conversazione, il soldato non era sicuro di avere ancora il diritto di provare odio nei suoi confronti. Avvertiva solamente un senso di disillusione e delusione opprimente. Quello che – per lui – avrebbe dovuto essere un paradiso, si era rivelato un inferno per chi aveva provato a prendersi cura di lui. Sarebbe stato da idioti accusare il coetaneo per un atto di legittima difesa. Se la colpa era davvero di entrambi, allora gli toccava rimangiarsi l’orgoglio e imparare a comportarsi come un adulto.
Eppure, nonostante Doyoung l’avesse convinto a prendersi finalmente le sue responsabilità, agire gli sembrava impossibile. Temeva ancora di incontrare la ninfa e di non saperla affrontare.
La stessa pena che provava ora per Hongjoong, la provava anche per se stesso.
 


17
 
Per un paio di giorni Chan riuscì ad accordarsi alternativamente con Jaehyun e Doyoung affinché gli facessero la carità e portassero un po’ di cibo avanzato dal pranzo e dalla cena, ma quando capì che avrebbe fatto la fame si costrinse ad uscire dalla sua tana per affrontare nuovamente le infide difficoltà del mondo esterno. Avrebbe corso il rischio di imbattersi in Hongjoong, dopotutto – forse – anche la ninfa non era intenzionata a parlargli per un po’. Potevano evitarsi a vicenda e rivedersi quando gli animi di entrambi si sarebbero calmati. Scese al primo livello solo per la cena. Consumò il pasto con Jaehyun, Doyoung e Taeyong (sotto spoglie femminili) e tutto andò inaspettatamente bene. Non vide nemmeno l’ombra di Hongjoong, cosa che lo rassicurò e lo mise di buon umore. Doyoung aveva ragione, nonostante sapesse perfettamente che cosa dovesse essere fatto, la prospettiva di rivedere la ninfa lo agitava a morte. Preferiva darsi malato per un mese intero e vivere di avanzi pur di non trovarsi di fronte alla chioma rosso fuoco del maestro, e tutto ciò perché – per una volta – sapeva che non sarebbe stato in grado di tenere la situazione sotto controllo. Forse avrebbe lasciato che i sentimenti parlassero al posto del cervello, e non era assolutamente ciò che voleva.
Chan, scuse a parte, sentiva il bisogno di tracciare una linea di confine tra lui e Hongjoong. Si sarebbe aperto con lui una sola volta e poi, per un mese, avrebbe fatto il bravo allievo e tentato di non creare altri problemi. Una volta tornato a valle non avrebbe più rivisto alcuna ninfa e – ad essere onesti – gli andava pure bene così. A Doyoung e Jaehyun era andata fin troppo bene, lui aveva avuto la solita sfiga e ora, di ninfe, non voleva più sentirne parlare. Quasi quasi rimpiangeva la giocosa etnia dalla pelle abbronzata ed i capelli color oceano che abitava al suo villaggio a Sud.
Se durante la prima portata il biondo ancora ogni tanto squadrava i quattro angoli del refettorio con sospetto, durante il secondo – complici un paio di bicchieri di vino che Jaehyun gli versò per farlo smettere di comportarsi in maniera tanto esagerata – già appariva decisamente più rilassato. A fine pasto, dopo aver riconsegnato i piatti alla cucina, affermò addirittura con un sorriso: “Voi, se volete, tornate pure al dormitorio, io mi fermo qui ancora un po’. Faccio un giro veloce tra i negozi, magari prendo un regalo per le mie sorelle.”
La recluta imboccò quindi uno dei corridoi principali del piano, nonostante fosse solamente metà settimana era particolarmente affollata. Da poco le ninfe si erano adoperate per rinnovare gli addobbi luminosi sulle pareti; intagliavano ogni mese sculture di ghiaccio sempre differenti che, poste ad una certa distanza dalle torce appese alle pareti, creavano caleidoscopici affetti di luce lungo le scabre pareti di roccia e ghiaccio. Anche Chan, pur non capendo nulla di arte, restava spesso senza parole nell’ammirare una bellezza tale, forse perché un po’ gli ricordavano il modo in cui il sole di mezzogiorno di infrangeva sui vividi mosaici parietali tipici della sua regione.
Cullato dal placido ondeggiare dei frammenti di luce riflessa, il soldato si inebriò del calore delle ninfe e dei cadetti che le accompagnavano e si godevano una tra le tante tranquille serate alle Fucine. Gli era mancato stare in mezzo alla gente, avvertire sentore di festa e di danze, inebriarsi delle grida di gioia dei bambini che correvano nelle strade e facevano inciampare maldestramente gli adulti. Aveva bisogno di staccare la spina, di entrare in quel turbine di superficialità ed anestetizzare i pensieri che ancora mettevano in dubbio il suo atteggiamento da adolescente arrogante.
Avrebbe dovuto scusarsi con Hongjoong, ma perché non farlo il giorno seguente? O quello dopo ancora?
Hongjoong non sarebbe certamente scappato, le Fucine erano casa sua. Lo avrebbe atteso o, ancor meglio, sarebbe venuto lui per primo a domandare perdono.
Le ferite che si erano inferti a vicenda erano di eguale dimensione, quindi non era importante chi avrebbe mosso il primo passo, no? E nemmeno quando lo avrebbe fatto. Avevano ancora un mese abbondante davanti in fondo.
Con la mente intorpidita dall’effimera eccitazione del momento, Chan si spinse sempre più verso l’interno della montagna, nelle zone in cui gli unici negozi erano piccoli alimentari e il resto delle caverne era adibito a semplici abitazioni plurifamiliari. Ci era stato solamente una volta con Hongjoong, quando, appena conosciuti, lo aveva portato in giro per i quattro livelli in modo che iniziasse ad orientarsi all’interno delle Fucine. Abituato alla voglia di esplorare di Yoora, intendeva ora intrufolarsi nel privato di quelle creature tanto eclettiche e difficili da comprendere. Seguì gli intrecci delle sculture di ghiaccio, seguì la bellezza della luce che di tanto in tanto arrivava ad essere talmente forte da abbagliarlo, ma ciò che trovò sotto quel cumulo di narcotica meraviglia non gli piacque per nulla.
Alle grida di gioia dei bambini, qualcuno si era preso la briga di sostituire i gemiti di dolore di un’altra persona, ognuno di essi preceduti da un tonfo sordo o da un agghiacciante rumore di schiaffi. Aveva staccato il cervello, non ci fece subito caso, eppure conosceva il timbro nasale ed acuto a cui quei tremendi sospiri appartenevano: ormai era il protagonista di ogni suo sogno e di ogni suo incubo. E proprio come in un sogno, Chan scivolò lungo le pareti gelate e seguì l’atroce richiamo, ritrovandosi, dopo poche decine di secondi, di fronte ad un piccolo capannello di ninfe che, ondeggiando come streghe, sghignazzavano sotto i baffi mentre molte di loro, a turno, si gettavano contro il piccolo corpo di Hongjoong rannicchiato a terra in posizione fetale. C’era chi si dilettava con i calci, chi addirittura faceva lo sforzo di chinarsi per prenderlo a pugni o tirargli i capelli per sollevargli il capo e dargli uno schiaffo ben assestato in pieno viso. Quelle poche che non osavano alzare un dito su di lui, invece, avevano cura di menare nauseanti stoccate con le loro lingue malevole. Chan sentì chiaramente alcune di loro scandire frasi odiose accanto a lui, ricercando approvazione nelle cugine a fianco.
Guarda che brutto muso che ha messo su ultimamente!
Fosse solo brutto… Le madri dicono che abbia anche un caratteraccio…
Ma poi, che pensa di fare conciato in quel modo?
Avrebbe già dovuto attuare la metamorfosi anni fa.
Non è neanche in grado di fare da maestro ad un solo soldato, non sa farsi rispettare. E pensare che dovevano affidargliene due!
Il suo cadetto avrà già trovato un’altra ninfa a quest’ora.
Chissà dov’è…
Ben gli sta a voler fare di testa sua.
Chan ne ebbe abbastanza nel momento in cui misero in discussione le capacità di insegnamento di Hongjoong. Certo, a volte era barboso e pignolo fino all’inverosimile, ma sicuramente non era un cattivo insegnante, né un cattivo amico o, in generale, una cattiva persona. Anzi, se i problemi che avevano avuto erano degenerati era perché lui si era ostinato a recitare la parte del bimbo capriccioso.
Reietto. Emarginato.
Non pensava che significasse sopportare tutto quello per anni e avere ancora la forza di badare ad un diciannovenne che aveva scelto di comportarsi come se possedesse la testolina in saldo di un mostriciattolo di cinque anni. Finalmente si rese conto di quanto lo avesse fatto soffrire chiedendogli di ‘fare la femmina’, e non biasimò più la sua scelta di fargliela pagare. Se fosse stato al suo posto avrebbe fatto anche di peggio. Si sarebbe volentieri tirato una scultura di ghiaccio in faccia per vedere se gli si sarebbe rimesso a posto il cervello, per esempio.
Quando l’ennesima ninfa – tronfia e sprezzante nelle sue orribili pellicce di volpe – si fece avanti per infierire sul rosso, Chan colmò la distanza tra di loro e, cieco dalla rabbia, la prese per le spalle e la scaraventò a terra senza troppi complimenti – assicurandosi anche di farle male – per poi pararsi di fronte al corpo tremolante del proprio maestro.
“Sono qui!” sillabò con voce ricolma d’ira e di sdegno, i muscoli del collo contratti al massimo e pronti all’attacco “Sono qui, avete capito?! Sono Bang Chan, allievo di Kim Hongjoong!”
Piantò i piedi a terra e balzò in avanti per accanirsi contro un’altra ninfa. La spintonò un paio di volte, sbattendo poi a terra anch’ella, e poi un’altra ancora, e un’altra ancora.
“Cosa cazzo state facendo?! Lasciateci in pace! Andatevene, cazzo, andate via!”
Gridare in un luogo tanto gelido gli lasciava un orribile retrogusto metallico di sangue in gola, era probabile che si stesse raffreddando, eppure smettere non era nei suoi piani. Strillò e sbraitò finché ognuna di quelle ripugnanti megere non scappò via, terrorizzata dall’aspetto bestiale del soldato. Denti in bella vista, capelli ritti in testa per l’agitazione, il viso contratto in un muso di limpido odio e i muscoli che traboccavano di adrenalina… Fece paura anche allo stesso Hongjoong che, ancora immobile a terra, mentre mangiava le sue stesse lacrime, si prese la testa tra le mani per non guardare l’orripilante teatrino.
Chan riprese fiato e, una volta calmatosi, si voltò immediatamente verso il rosso e si inginocchiò verso di lui per controllare che non fosse messo troppo male. Allungò le mani per raccogliere il suo viso emaciato, ma il coetaneo, ancora terrorizzato, si tirò immediatamente indietro, riparandosi di nuovo con le braccia. Chan lo aveva difeso, ma – ancora traumatizzato da ciò che era appena accaduto – come poteva essere sicuro che non volesse solamente vendicarsi senza avere nessun altro tra i piedi? Strinse i denti, prese un respiro profondo e sentì bruciare i polmoni, poi, raccogliendo le ultime energie, si sporse verso il soldato per poggiare le mani sulle sue spalle e farlo rimbalzare indietro. Traballando, si aggrappò alla roccia delle pareti e si tirò in piedi e, con fatica immane, scovò la forza di usare la sua magia per nascondere ogni livido più in profondità, sotto un nuovo strato di pelle che riproduceva perfettamente quello originale. Non era una cura, ma a Chan sarebbe potuto sembrare tale.
“Non… Non mi toccare… Sono a posto…” esalò con una vena di sofferenza, prima di iniziare a trascinarsi via sotto lo sguardo allibito dell’altro. Quando Chan scattò in piedi per fermalo, il rosso non seppe dove trovò la prontezza di iniziare a correre per svoltare in un secco corridoio laterale. Si fuse immediatamente con le pareti, mimetizzandosi con la roccia, eluse lo sguardo di Chan e, quando quest’ultimo passò oltre, si incamminò con passo ciondolante verso il suo rifugio. Avrebbe trascorso un’altra nottata a bendarsi e ricucirsi.

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Capitolo 9
*** 18 - 19 ***


18
 
Chan non pensava che Hongjoong sarebbe scappato via da lui anche dopo averlo difeso. Era stato sincero, voleva sinceramente aiutarlo – e non per pena o pietà – ma perché la ninfa si meritava che qualcuno finalmente prendesse le sue parti. Aveva fatto il gioco delle ninfe, si era adattato al sistema ancora prima che venisse a conoscenza dell’esistenza del sistema stesso e non si era accorto di quanto la sua superficialità avesse intaccato la vita del coetaneo. Se quelle ninfe lo avevano attaccato era anche colpa sua, se si fosse dimostrato un allievo modello magari Hongjoong sarebbe stato, se non ben visto, almeno rispettato.
Doveva chiudere la faccenda quella notte, o non se lo sarebbe mai perdonato. Sapeva che, con i suoi poteri, Hongjoong avrebbe potuto nascondersi ovunque, ma se si fosse dimostrato abbastanza testardo da cercarlo per tutta la notte forse, alla fine, il rosso gli avrebbe rivelato il suo nascondiglio. Non era più ferito, ma non doveva certamente essere al pieno delle forze, non sarebbe potuto andare lontano. Vagò per ogni corridoio ed ogni cunicolo finché non giunse di nuovo nel centro della movida del primo livello.
Era convinto che fossero tornati al dormitorio, eppure si imbatté in Doyoung, Jaehyun e Taeyong che, evidentemente, non vedevano l’ora di potersi liberare di lui per godersi una serata intima tra di loro. Prese il primo per le spalle con foga e, con la medesima veemenza, sbraitò: “Hai visto Hongjoong?! Dimmi che hai visto Hongjoong!”
Non ricevendo risposta, il biondo si scaraventò allora su Jaehyun, che lo squadrava ancora più sconvolto, incapace di decifrare il comportamento dell’amico. Solo Tae sembrò invece comprendere quanta preoccupazione si celasse sotto l’agitazione del minore. Si fece avanti con estrema timidezza e, gentilmente, separò il cadetto più giovane dal fidanzato.
“Come mai cerchi Hongjoong?” domandò quindi con estremo garbo.
La delicatezza nella voce della ninfa fece sciogliere Chan che, più tranquillamente, riuscì finalmente a confessare ciò a cui aveva assistito: “L’ho visto… Ho visto che cosa gli fanno. Volevo aiutarlo, ma lui si è curato da solo e poi è scappato e…”
La delicata curva delle fini sopracciglia di Tae si incrinò pericolosamente: “Noi non possiamo curarci, Chan. Possiamo variare il nostro aspetto affinché le ferite non si notino, ma non è che una copertura temporanea.”
Il biondo sgranò gli occhi nell’apprendere quell’evidente verità.
Era ovvio dove Hongjoong si sarebbe diretto, fino a quel momento aveva solo perso tempo. Yoora gliel’aveva anche detto, che Hongjoong preferiva abitare sul versante opposto della montagna per restare solo quando litigava con le madri. Nella casetta in cui lo aveva portato più volte non era raro trovare vecchie provviste o cibi da buttare, eppure bende e stracci erano sempre perfettamente puliti ed in ordine.
Ringraziò Taeyong, per poi fiondarsi verso le scale che l’avrebbero condotto verso il fianco proibito delle Fucine. Scavalcò, ormai esperto, i cancelli sorvegliati dalle guardie – di notte era ancora più semplice che con la bassa luce del pomeriggio, se si conosceva bene il percorso per aggirare l’ostacolo – e si fiondò verso l’insenatura in cui si trovava l’abitazione dell’altro. Non era sicuro di trovarlo lì, forse Hongjoong aveva previsto che l’avrebbe raggiunto e aveva scelto un altro nascondiglio. Prima o poi, però, sarebbe tornato di certo, e Chan aveva tutta l’intenzione di attenderlo lì anche per giorni interi.
Non fu questo il caso, la porta dell’abitazione era aperta, la chiave ancora piantata nella serratura, e le cerniere metalliche mugolavano a causa dei ruggiti del vento che si insinuava nella fessura rocciosa. Con il cuore in gola, in preda ad un sofferto sollievo e – allo stesso tempo – ad un’agitazione febbrile, il cadetto sbirciò dentro e, strizzando gli occhi, distinse al buio la minuta sagoma di Hongjoong intento a strappare grossolanamente lunghi lembi di stracci per tamponare le ferite che gli avevano inferto, ora di nuovo visibili.
La ninfa parve accorgersi della sua presenza solo dopo qualche decina di secondi, ma non lo riconobbe, tanto che, voltandosi nella sua direzione, chiamò con voce flebile: “Yoora, ma che fai lì sulla porta? Entra, l’ho lasciata aperta apposta…”
Chan si strinse nelle spalle e, tremolando appena, spalancò la porta e si rivelò all’altro.
“Quindi hai davvero una sorella che si chiama Yoora…”
Hongjoong non sembrò contento di vederlo, tentò infantilmente di nascondere le bende dietro la schiena: “Chan, ti ho detto che-”
“Che stai bene?” il soldato lo precedette e si fece strada nella minuscola stanzetta. Serrò la porta dietro di sé, per poi accendere un paio di candele che l’altro utilizzava per disegnare. Tornò poi a voltarsi verso di lui e gli si sedette di fronte, proprio come aveva fatto alcuni giorni prima quando si era messo in posa per il ritratto. Alzò le mani e, con tono calmo, quasi timoroso, affermò: “Non voglio farti nulla, Hongjoong. Lascia solo che ti aiuti con le ferite…”
Premuto in un angolo del materasso, con la schiena contro le fredde pareti gelate, Hongjoong non aveva più la forza per ribellarsi. Implorava Chan con gli occhi di non avvicinarsi, l’unica che avrebbe tollerato di avere al suo fianco era la sorella. Yoora sapeva sempre quando le loro madri lo mettevano nei guai, la aspettava anche quella volta, aveva bisogno di vederla e di sfogarsi con lei, non con Chan. Non era giusto che il cadetto lo vedesse in quello stato, voleva parlargli, ma non in quel momento perché, se avessero trovato un accordo, avrebbe sempre avuto il timore che il coetaneo l’avesse accettato per pietà. La recluta, tuttavia, non sembrava intenzionata ad ascoltarlo e, con lentezza estenuante, gattonò verso di lui per cingere il suo viso con le mani ed esaminarne le ferite alla fievole luce delle candele. Dalla facilità con cui aveva frantumato le due uova appena quattro giorni prima, la ninfa si aspettava di uscirne minimo con uno zigomo ridotto in pappa. Invece Chan fu delicato, sia nel sollevargli il mento con la punta delle dita di entrambe le mani, sia nel tastargli appena appena le guance con i polpastrelli. Immise il medesimo riguardo anche quando avvolse i suoi fianchi per sollevarlo leggermente e trascinarlo verso il centro del materasso, in modo che gli fosse facile girargli attorno per verificare di aver medicato anche la più piccola contusione, e poi quando – non senza avergli chiesto perdono almeno un milione di volte – gli levò la maglia per controllare le condizioni del suo petto e, soprattutto, della schiena stanca. Con la cura e l’attenzione che avrebbe riservato ad un oggetto di porcellana, ne ricoprì la fragile carne con un unguento che trovò accanto alla cassetta in cui Hongjoong stipava i cenci. Finito con i lividi, passò a lavargli le ferite con la neve e a bendarle per bene. Aveva tirato un sospiro di sollievo quando aveva notato che erano meno profonde di quello che aveva creduto. Con occhi attenti percorreva ogni collina ed ogni valle del corpo di Hongjoong, ne ispezionava le gole con assoluta premura e, quando fu sicuro di non aver trascurato nemmeno il graffio più piccolo ed innocuo, si spogliò della propria spessa casacca per infilarla a lui. L’aveva indossata solo quella sera, la ninfa aveva bisogno di mettere qualcosa di pulito o le ferite, anche se superficiali, avrebbero potuto infettarsi. Hongjoong seguiva docile, a testa bassa, ogni movimento. Lasciava che Chan si prendesse cura di lui senza protestare e, sebbene inizialmente fosse vergognosamente teso, non ci vollero che pochi minuti prima che cominciasse a rilassarsi. Comprese che Chan non gli avrebbe fatto del male e, crogiolandosi nel riguardo dei suoi gesti, iniziò a riprendersi dal panico che lo aveva investito. Se il biondo voleva aiutarlo lo avrebbe lasciato fare, le mani di Chan erano ruvide a causa dei calli, ma gli infondevano sicurezza e calore. Ne voleva una per sé, quindi, quando il cadetto terminò l’opera e gli donò il pesante tessuto, sporse le mani in avanti per stringere con esse una delle sue. Ne accarezzò il dorso, tracciò i lineamenti del palmo e gli fece il solletico, e quando lo sentì ridere non gli restò altro da fare che spostare il baricentro in avanti ed infossare il viso nell’incavo del suo collo nella tacita richiesta di ricevere un piccolo abbraccio. Non voleva pretendere troppo, gli sarebbero bastati pochi secondi, invece Chan lo soprese di nuovo e, in silenzio, come se non aspettasse di fare altro, si portò il corpo dell’altro in braccio per poterlo tenere ancora più vicino.
Si cullarono a vicenda per un’eternità, Chan di tanto in tanto si lasciava sfuggire qualche lunga carezza e Hongjoong, in risposta, piantava meglio il viso contro il suo collo e sfregava la punta del naso contro quest’ultimo.
“Grazie…”
La ninfa fu la prima a spezzare il solenne silenzio che li aveva avvolti. Non esalò che un breve sussurro, non era abituato – come il coetaneo, dopotutto – a dire grazie o a chiedere scusa, eppure Chan seppe che era sincero. Ritenne giusto allora essere sincero a sua volta e, con il cuore in mano, separandosi leggermente da lui in modo da poterlo guardare negli occhi, ammise: “Scusami…”
Doveva fare ammenda per veramente un sacco di cose, ci avrebbe perso l’intera nottata, ma intese che all’altro – almeno per ora – sarebbe andato bene così quando anche il rosso, strofinandosi improvvisamente gli occhi per nascondere le lacrime che si agitavano funeste sotto le palpebre, rispose gesticolando: “Scusami tu, per tutto…”
Chan afferrò prontamente le sue mani, notando come l’altro si stesse già di nuovo agitando: “Va tutto bene, Hongjoong.”
Era stato incredibilmente semplice, esattamente come quando si era dichiarato a Yoora. Non erano serviti trucchetti o elaborati giri di parole, né scuse o giustificazioni, o nuove ermetiche mezze accuse. Non era servito alzare la voce perché avevano parlato i loro gesti e l’affetto di cui erano pregni, non era servito nemmeno guardarsi negli occhi perché quelli che si affacciavano l’uno all’altro erano solamente i loro cuori.
Anche Chan, scettico fino a poche ore prima, confessò a se stesso di volersi dare una possibilità. Doyoung e Jaehyun ci avevano provato, ed ora erano entrambi felici con Taeyong, forse per lui sarebbe stato lo stesso. Dopotutto, lo aveva sempre detto che ciò che amava di Yoora era la sua personalità.
Aveva amato anche le sue labbra, ma quando quella sera baciò Hongjoong si rese conto che, davvero, esse appartenevano alla stessa ninfa. Le loro bocche si incastravano seguendo pattern già visti, le astruse trame che le loro lingue intrecciavano altro non erano che il prodotto delle prove generali di qualche giorno prima, le mani percorrevano strade già battute e tracciavano sentieri ormai sicuri.
La ninfa accolse con urgenza il bacio del maggiore, eppure ancora qualcosa la turbava. Voleva assicurarsi che Chan non si sarebbe pentito della sua scelta, lo avrebbe fermato prima che potessero distruggersi del tutto a vicenda. Assunse l’aspetto di Yoora per un’ultima volta e, quando furono obbligati a separarsi l’uno dall’altro per mancanza d’aria, lo scrutò attraverso gli enormi occhi della sorella: “Così dovrei piacerti di più, vero?”
Chan invece scosse il capo freneticamente, quasi spaventato dalla repentina trasformazione dell’altro, e, tornando ad accarezzargli la limpida pelle del viso e del collo, asserì: “Che stai dicendo, Hongjoong? Torna te stesso…”
Il rosso ottenne le risposte che cercava e, in un secondo, si spogliò della veste che gli stava tanto stretta. Nei panni della sorella, Hongjoong era teso come una corda di violino, ora, al sicuro nel proprio corpo, invece, si sentiva finalmente a suo agio. Aveva la libertà di muoversi come più gli piaceva, non secondo gli schemi preimpostati a cui il personaggio che aveva creato richiedeva di attenersi, e di tirare fuori tutta la pena che provava per se stesso. Chan raccoglieva quel dolore e lo estirpava dalla sua anima, rinasceva assieme a lui in quel bacio dal sapore di lacrime e lasciava che il pianto liberatorio in cui il coetaneo era scoppiato nutrisse le radici di ciò che insieme stavano creando. Per la ninfa, quella era la sua metamorfosi. Se avesse dovuto immortalare a matita quel momento, non avrebbe mai osato menare fendenti sul foglio come faceva di solito. Avrebbe utilizzato un tratto morbido e tenero, avrebbe emulato la sottile corsa delle mani dell’amante, ora intente ad accarezzargli le spalle, la schiena, i fianchi e persino le cosce. La sua foga non mentiva, Hongjoong avvertiva lo stesso desiderio fargli prudere la pelle.
“Chan, stanotte resta qui con me…” la ninfa infilò le mani nei capelli di Chan e lasciò che il biondo affondasse con il viso contro il suo petto mentre tratteneva a stento l’istinto di sbottonargli la casacca. Era un invito implicito il suo, l’unico modo per evitare di finire a letto insieme sarebbe stato letteralmente dormire in due luoghi diversi. Chan, tuttavia, scosse il capo: “Sei ferito, voglio farlo quando stai meglio…”
Hongjoong avvertì lo stomacò rivoltarsi di fronte a tanta dolcezza: “Lo so, ma se domani starò male o mi sentirò tutto indolenzito potrò pensare che sia solo per colpa tua, no?”
Il bacio con cui l’altro rispose lo mandò fuori di testa. Allacciò le braccia dietro al suo collo e lo trascinò sdraiato sopra di sé, e fu contento di poter scorgere il sorriso dell’amato brillare di incommensurabile affetto fin quando lo stoppino delle candele terminò e la morsa del buio si chiuse sui loro corpi sfatti per custodire la loro intimità.
 


19
 
“Comunque ieri non mi hai risposto” puntualizzò Chan pochi minuti dopo essersi svegliato “Intendo, hai davvero una sorella che si chiama Yoora?”
Hongjoong sbuffò e sfregò il naso contro i pettorali del biondo, di cui la sera prima si era dichiarato proprietario ufficiale ed esclusivo: “Perché lo chiedi? Vuoi già tradirmi per caso?”
Chan brontolò: “Non stiamo nemmeno insieme, come faccio a tradirti?”
“E va bene!” il rosso roteò gli occhi “Vuoi essere il fidanzato di una ninfa rompipalle?”
“Voglio essere il fidanzato di una ninfa figacciona!”
Hongjoong non poté fare a meno di aprirsi in una piccola risata: “E ninfa figacciona sia… Basta che non ci provi seriamente con Yoora.”
“Beh…” Chan gli solleticò la gola “Prima o poi dovrai farmela conoscere, e a quel punto deciderò se provarci o no.”
“Ah!” Hongjoong sollevò il viso per squadrarlo con un sorriso furbastro “Ma l’hai già conosciuta allora! O, almeno, lei ha conosciute te… Quando vede che non torno a casa sa che è successo qualcosa e si fionda sempre qui sperando che non mi abbiano ucciso, e ieri sera non ha fatto eccezione. Solo che eravamo un po’ attorcigliati e mi sembrava sconveniente avvertirti che era arrivata in un momento del genere…”
Il cadetto avrebbe voluto sotterrarsi, arrossì quasi fino alla punta dei capelli e borbottò un disperato: “… Come, scusa?”
La ninfa scoppiò in una grassa risata e gli pizzicò una guancia: “Carino…”
“Comunque non ti preoccupare” affermò poi ancora con tono affabile “Non sai quante volte l’ho beccata io con i suoi allievi…”
“Anche lei è una maestra?”
“Avrebbe dovuto essere la tua maestra, ma si è rotta un braccio appena prima che tu e i tuoi compagni arrivaste alle Fucine, quindi mi ha chiesto di sostituirla. Io di solito lavoravo in mensa e ogni tanto facevo accompagnamento musicale.”
Chan lo guardò meravigliato: “Quindi sai combattere, inventare trappole, disegnare, cucinare e anche suonare uno strumento?”
Il coetaneo si strinse nelle spalle: “Quattro…”
“Quattro?”
“Ne so suonare quattro. Di strumenti intendo.”
Il biondo quasi non si mise le mani nei capelli, il suo fidanzato era un genio e lui aveva il cervello di una capra che aveva fatto il bagno in una botte di sidro. Che cosa poteva offrirgli? I suoi muscoli? Beh… Hongjoong non sembrava affatto disdegnarli in fondo. La notte prima la ninfa era collassata – stremata – direttamente sopra il suo petto, proclamandolo così suo nuovo materasso personale, e quella mattina si erano risvegliati entrambi nella stessa posizione. Quando Chan aveva schiuso gli occhi e aveva visto la zazzera rossa ancora appoggiata a lui e le gambe dell’altro attorcigliate strette alle proprie pensò di poter scoppiare a piangere di gioia. Notò che Hongjoong fingeva di nuovo di dormire, esattamente come aveva fatto pochi giorni prima sotto le mentite spoglie di Yoora, e, come quella volta, si sporse per regalargli un bacio a fior di labbra.
“Buongiorno…”
“’Giorno…”
Trovava che fosse un’abitudine strana, ma decisamente carina.
Di tacito comune accordo avevano poi deciso che avrebbero trascorso la mattinata semplicemente a coccolarsi un po’ e a chiacchierare.
“Ti piaccio perché ti ho salvato?” domandò Chan ad un certo punto.
“Mi piaci perché te lo meriti per come ti sei comportato con ‘Yoora’,” e qui, la ninfa mimò le virgolette “non sono una donzella in pericolo. E, per essere precisi, sono io che ti ho salvato. Dalla tua arroganza, ovvio.”
Il biondo alzò gli occhi al cielo: “Quella ‘Yoora’ non mi piace più così tanto comunque, ti prendeva sempre in giro.”
“Autoironia” stabilì il rosso con fierezza ed orgoglio “Meno male che ne ho tanta o non sarei sopravvissuto fino ad ora.”
“… E ti capita spesso di essere praticamente pestato a sangue per strada?”
“Ogni volta che le mie madri non sanno scegliere un’attività ricreativa alternativa. Di tanto in tanto chiamano anche le loro amiche, come ieri sera. Pensano che prendermi a sberle mi faccia magicamente venire voglia di farmi crescere un paio di tette.”
“Quindi…”
“Quindi sì, spesso, quando insistevo per restare in biblioteca a studiare, era perché, anche se li coprivo, ero ricoperto di lividi e non ce l’avrei fatta a seguirti a spasso per le montagne.” Hongjoong sorrise tirato “E scommetto che vuoi anche chiedermi perché non mi difendo. È abbastanza scontato a dire il vero. Non voglio abbassarmi al loro livello. Quando mi ridurranno in poltiglia allora si renderanno conto di ciò che hanno fatto.”
Il soldato emise un roco gorgoglio: “Nessuno qui ridurrà in poltiglia nessuno, o io potrei ridurre in poltiglia la montagna.”
“Siamo già arrivati al momento in cui tu interpreti la parte del marito apprensivo?” Hongjoong si aprì in una dolce risata “Perché invece non mi parli un po’ della tua, di famiglia?”
Chan dovette rifletterci su per qualche secondo prima di ammettere con una scrollata di spalle: “Non saprei che dire, penso sia… Normale? Io e le mie sorelle abbiamo praticamente vissuto sempre con nostra madre, da piccoli abbiamo beccato nostro padre ad andare a letto con un altro uomo.”
Hongjoong si sporse per far combaciare di nuovo le loro labbra e per poggiarle anche sulla sua fronte. Volle invertire le posizioni, in modo da poter finalmente cullare Chan come quest’ultimo aveva fatto fino a quel momento con lui. Dopo una confessione di tale portata, qualche coccola non poteva che fargli bene.
“Mi piacerebbe conoscerla, la tua famiglia normale. Dopo che ti sarai diplomato mi porti a casa tua a Sud?”
Chan ne approfittò per schiacciarlo per bene con il proprio peso e ricavarne una frittatina di Hongjoong: “Certo che ti ci porto, Hongie.”



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Fine della prima parte della storia ^^
Mancano una decina di capitoli alla fine, più l'epilogo ed il capitolo speciale :)

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Capitolo 10
*** 20 - 21- 22 ***


20
 
Il diario di Chan?
Forse verrebbe scontato immaginare che il cadetto, data la sua tendenza a registrare passo passo le avventure giornaliere che colmavano il suo soggiorno tra i ghiacci, non perdesse alcuna occasione di imbottirne le pagine con arzigogolati commenti di puro apprezzamento nei confronti del nuovo fidanzato. La verità, tuttavia, era che la sua relazione con Hongjoong riempiva così tanto le sue giornate da impedirgli – e fargli dimenticare – di documentare al ritmo di prima.
Tra allenamenti e scampagnate – e qualche serata trascorsa in compagnia di Doyoung, Jaehyun e Taeyong, che intanto aveva finalmente rivelato il suo vero aspetto anche ad Hongjoong, guadagnandosi un sincero pianto di gioia da parte di quest’ultimo – Chan si era visto trascinare in un’imprevedibile routine dettata dal ritmo della curiosità del rosso. Preferiva di gran lunga imprimere quei ricordi nella memoria. Temeva che, se avesse ridotto quel vortice di emozioni alla bidimensionalità del quadernetto, avrebbe perso parte della sua magia.
Tuttavia, dopo una serie indefinita di pagine bianche, la prima nota che comparve, nero su bianco, su uno dei tanti fogli dell’agenda, non fu una dichiarazione di affetto incondizionato per il suo adorabile maestro, bensì un laconico:
 
“29 maggio
È arrivato il terzo incomodo.”
 
Ebbene sì. Chan aveva finalmente raggiunto il paradiso agognato, ma ancora una volta un ostacolo si interponeva tra lui e la sua ambita felicità.
Buffo era che quell’ostacolo altri non fosse che la stessa persona che gli aveva permesso, in fondo, di godere appieno, ventiquattr’ore su ventiquattro, dell’attenzione del suo attuale ragazzo: Park Seonghwa, il soldato che si era ritirato all’ultimo per vegliare sulla madre malata.
“La madre del soldato Park è deceduta due settimane fa” aveva frettolosamente spiegato il capitano dopo aver convocato sia Chan che Hongjoong al quartier generale del quarto livello “Vista la situazione e la condotta – sempre meritevole – dell’interessato, i comandanti hanno risposto favorevolmente alla richiesta del soldato stesso di concludere l’addestramento alle Fucine e diplomarsi con i compagni della sua annata.”
Detto ciò, estrasse un fine plico di fogli da primo cassetto della sua scrivania e lo sporse alla ninfa: “Questo è il programma dell’allenamento intensivo che ho disposto per lui. Per quanto riguarda le tecniche mimetiche e di sopravvivenza, ovviamente. Per la progettazione del pugnale seguirà gli stessi ritmi del soldato Bang.”
Prese poi a spiegare più dettagliatamente ad Hongjoong il programma che aveva appositamente studiato per il nuovo arrivato, che attendeva pazientemente in piedi accanto a lui. In tutto ciò, Chan non smise mai di fissarlo dritto negli occhi.
Park Seonghwa, in piedi accanto al capitano, era alto, slanciato, forse meno robusto di lui, ma decisamente atletico. Il fisico aitante veniva messo in mostra dal nobile e fine portamento. Pareva quasi delicato per essere un cadetto, se non avesse indossato la sua stessa uniforme Chan lo avrebbe scambiato per un’altra ninfa. I capelli nero pece ricadevano morbidamente sul viso stanco, si abbinavano al colore degli occhi e quello delle borse sotto di essi. Il biondo lo conosceva solo di vista, non era mai stato uno a cui piaceva mettersi in mostra, e non avevano mai avuto occasione di parlare davvero se non per qualche casuale: “Ehi, dopo mi lasci il posto al manichino con cui ti stai allenando?”
In apparenza non era male, eppure il più basso non riusciva a togliersi dalla testa ben due cose: la prima, ovvero che avrebbe dovuto condividere la stanza con lui, la seconda, il modo insistente in cui Seonghwa coglieva ogni momento buono per squadrare per benino la sua ninfa.
 


21
 
Che i soldati andassero a letto con le ninfe non era affatto un mistero, gli stessi capitani e comandanti approfittavano di quel periodo di riposo alle Fucine per assaporare un goccio di effimero piacere. Le relazioni, tuttavia, non erano viste allo stesso modo di buon occhio. Era una regola non scritta, in sostanza il soldato era tenuto a conquistare la sua maestra, ma non a farsi conquistare a sua volta da quest’ultima. Sarebbe stata una sorta di sconfitta a metà, o, almeno così Chan era convinto che fosse fino a quando ovviamente non aveva sperimentato le gioie della relazione con Kim Hongjoong. Coccole? Bacini? Gli costava ammetterlo, ma adorava quel genere di sdolcinatezze. Ogni sera pregava il fidanzato – un tipetto decisamente meno appiccicoso di lui – per ricevere almeno una decina di minuti di delicate effusioni prima della buonanotte.
“Ya… resti qui anche stasera?” borbottò con voce assonnata il rosso mentre sfregava il viso nell’incavo del collo dell’altro.
Chan, che come al solito si era trasferito per la notte nella caverna di Hongjoong, aveva scrollato le spalle in risposta: “Non mi vuoi più per caso?”
Il rosso alzò gli occhi al cielo e precisò: “Beh, pensavo che volessi prenderti almeno una serata per conoscere il tuo nuovo compagno di allenamenti. È il suo primo giorno qui, avresti potuto sforzarti di essere leggermente carino con lui.”
“Carino?” il biondo storse il naso “Preferisco restare qui ed essere carino con te.”
“Passi stasera,” si arrese Hongjoong, schiaffandosi piano una mano in viso “ma se domani non vorrai tenergli tu un po’ di compagnia allora lo farò io.”
La ninfa avvertì il fidanzato sbuffare: “Perché con me non eri così carino all’inizio?”
“Guarda un po’, potrei farti la stessa domanda” sorrise storto in risposta “Tanto ho vinto io alla fine, volevi che diventassi femmina, ma la tua frustrazione ti ha condotto comunque da me.”
Chan sollevò le mani in segno di resa: “Lo ammetto, ero un idiota arrapato! Però adesso mi pare che tu non abbia più molti motivi per lamentarti di me. Sono l’allievo migliore che tu abbia mai avuto!”
“E sei anche l’unico” rise allora il coetaneo “Però sarai di sicuro il fidanzato migliore, anche se sei l’unico anche in questa categoria.”
“Era un complimento?” gli occhi di Chan brillarono mentre le sue labbra si tendevano in un sorriso.
“Può darsi” lo prese in giro Hongjoong con tono leggero, ilare “Però dovrai continuare ad impegnarti, mh?”
“Mi stai parlando da maestro o da fidanzato adesso?” Chan schioccò un leggero bacio sul capo del rosso “Perché non ho intenzione di farmi battere da Park Seonghwa in nessuno dei due casi.”
Hongjoong aggrottò le sopracciglia: “In che senso? Solo perché ti ho detto che voglio aiutarlo ad ambientarsi qui non significa che io-”
Chan scosse subito il capo e gli rubò un secondo bacio per zittirlo: “Lo so, lo so, Hongie. Mi fido di te. Però non mi fido di lui.”
Hongjoong brontolò sottovoce per il soprannome, per poi concludere con un: “Non capisco, Chan, non sappiamo nulla di lui tranne il suo nome e che sua madre è morta due settimane fa, come fai a pensare che voglia davvero provarci con me?”
Chan non sapeva spiegarglielo, non a parole almeno, ma quella mattina aveva notato perfettamente in che modo gli occhi del nuovo cadetto, spenti e stanchi fino all’arrivo della ninfa, avevano giocato a posarsi un paio di volte di troppo sulle secche curve di Hongjoong con un bagliore che non gli era nuovo: lo stesso che illuminava gli sguardi di Doyoung e Jaehyun quando erano con Taeyong, lo stesso che, tutte le mattine, specchiandosi, trovava anche nel proprio.
“… Istinto, non so” concluse il biondo.
Hongjoong lasciò cadere l’argomento, ma quella sera non si addormentò serenamente come riusciva ormai si era abituato a fare.
 


22
 
Chan era sicuramente migliorato da quando, due mesi prima, era giunto alle Fucine. Aveva imparato a dimostrarsi meno petulante di quanto non fosse in precedenza, aveva lavorato sull’arroganza e sul suo atteggiamento prepotente, ma ancora faticava a tenere a bada la gelosia galoppante da cui era affetto. Data la momentanea latitanza di Hongjoong, impegnato con Seonghwa nel programma di allenamento intensivo a cui il capitano del loro gruppo li aveva costretti, Taeyong aveva permesso al biondo di unirsi alle sessioni di studio che teneva con Doyoung e Jaehyun, nonostante questi ultimi non fossero pienamente d’accordo con la scelta della ninfa.
“Scopiamo continuamente!” iniziava Jaehyun.
“Come infimi, insulsi, poveri coniglietti sperduti!” continuava Doyoung, sperando di dissuadere Chan dal trascorrere un altro pomeriggio a fare il quarto incomodo in biblioteca con loro.
Il minore a quel punto sbuffava e replicava con un laconico: “Ma se a stento vi siete scambiati un bacino sulla guancia! Dai, lasciatemi venire con voi!”
E alla fine, con una scusa più o meno improbabile e la benedizione di Taeyong, Chan riusciva sempre a farla franca e ad intrufolarsi nel trio meraviglia. La ninfa in fondo sapeva che il biondo aveva bisogno di aiuto per cominciare la progettazione del pugnale, e ai suoi due fidanzati forse sarebbe tornato utile studiare con qualcuno. Ultimamente i loro allenamenti finivano sempre per cominciare in verticale e terminare in orizzontale. Non che gli dispiacesse, ovviamente.
Chan invece si era dimostrato una fonte di distrazione ancora peggiore. Assillava costantemente i tre amici con le sue paranoie, tanto che non ci volle molto prima che Doyoung e Jaehyun passassero dalle scuse ad un più diretto: “Chan, levati dal cazzo!”
Il più piccolo intanto continuava le sue filippiche a proposito di quanto poco si fidasse di Seonghwa e dei piani malvagi che avrebbe potuto nascondere sotto quel sorrisetto innocente con cui salutava la ninfa dai capelli rossi tutte le mattine, e mentre anche i restanti cadetti cominciavano a borbottare infastiditi, Taeyong cercava di tenere tutti a bada con un esasperato: “Bimbi, suvvia, se finite in fretta di fare i compiti vi porto a fare merenda!”
“Sì, sì, sfotti pure, papino” lo canzonava allora Doyoung con un sorrisetto.
Taeyong ridacchiava, ma la verità era che, in fondo, comprendeva bene il disagio dei tre cadetti. Ideare, progettare e creare quel pugnale significava molto di più che restare al caldo all’interno delle Fucine a consumare matite su larghi fogli da disegno, era il simbolo del sodalizio che si creava tra la recluta e la sua ninfa durante i mesi trascorsi insieme. Che quest’ultima Benedisse l’arma o meno era superfluo. Pochi soldati tornavano alle Fucine dopo il diploma, ma quel coltello avrebbe ricordato loro per sempre quel periodo della loro vita in cui non erano soli e in cui ancora potevano permettersi di presentarsi come ‘Bang Chan’, ‘Kim Doyoung’ e ‘Jeong Jaehyun’ invece che ‘Soldati Bang, Kim e Jeong’. Date le relazioni che avevano intessuto, era palese che i tutti e tre desiderassero concludere quel percorso tranquillamente accanto ai rispettivi partner. Taeyong, inoltre, evitava a prescindere di soffermarsi sul pensiero dell’inevitabile rottura che avrebbe coinvolto lui e i suoi fidanzati alla fine del mese, non immaginava come potessero sentirsi Chan e Hongjoong sapendo di avere i minuti contati a causa dell’arrivo di Seonghwa. Continuava a permettere al biondo di unirsi a loro solamente perché, nonostante le distrazioni costanti, sapeva di contribuire a farlo sentire un pochino meno solo.
Doyoung, un pomeriggio, domandò comunque a Chan: “Ma tu ci hai davvero mai parlato con Seonghwa?”
Il più basso ebbe la tentazione di mentirgli, ma alla fine sospirò e, con una scrollata di spalle, ammise: “No… Beh, l’ho salutato un paio di volte, ma niente di che. Sta sempre in giro con Hongjoong, e alla sera non mi va di dormire in camera con lui.”
L’amico lo fece sentire così tanto in colpa – il corvino aveva evidentemente sbloccato il livello pro di insulti e minacce – che Chan andò addirittura in mensa in anticipo per assicurarsi di farsi trovare in camera in tempo per l’arrivo del nuovo compagno. Si posizionò sul proprio materasso e, coperto da un paio di spesse coltri di lana, attese una decina di minuti che Seonghwa si facesse vivo.
Certamente, il biondo non si aspettava di imbattersi in una personalità particolarmente simile a lui, ma non credeva nemmeno che lo avrebbero messo in coppia con un topo di biblioteca.
Seonghwa calciò la porta e fece il suo ingresso trionfale con in mano un’enorme pila di libri, tomi che anche Chan purtroppo conosceva bene: Hongjoong di solito glieli scaraventava in testa senza pietà sostenendo che fosse l’unico modo per stillare un grammo di conoscenza nella sua zuccona vuota.
“Ehi” lo salutò il biondo.
“Ehi!” rispose il più alto, sorpreso di incontrarlo lì per la prima volta, ad una settimana dal suo arrivo.
Seonghwa appoggiò per terra gli spessi volumi e si trascinò sul proprio letto, si spogliò dell’uniforme, infilò gli abiti da notte e cominciò a fare qualcosa che mise immediatamente il biondo sull’attenti: scelse uno dei libri, ne accarezzò delicatamente le pagine e ne scelse una in maniera fin troppo meticolosa e studiata.
Chan pensò quasi che stesse per piantare la faccia tra le secche pagine per inspirarne l’acre – vomitevole – aroma. Non stava semplicemente leggendo, Seonghwa stava assaporando la lettura.
Il cadetto allungò gli occhi per scorgere il titolo impresso sulla copertina: ‘Indice dei materiali militari e dei loro impieghi’
Al biondo era venuto sonno alla seconda sillaba e mezza.
“Che fai?” aveva promesso a Doyoung che avrebbe cercato di instaurare un qualche tipo di comunicazione, no? Non voleva incorrere di nuovo nella sua ira funesta.
“Studio” replicò mollemente l’altro senza staccare lo sguardo dalle rugose pagine.
“Partiamo bene” sospirò mentalmente Chan, prima di rimbeccare “Hongjoong ti fa studiare anche di sera?!”
Anche Doyoung era un secchione fatto e finito, ma da quando erano giunti alle Fucine non l’aveva più visto sfogliare nemmeno il menù della locanda in cui Taeyong portava lui e Jaehyun alla domenica.
“In verità no, mi ha detto di tornare qui a riposarmi, questi li ho presi io per portarmi avanti” ridacchiò il moro “Non voglio essere di peso né a te, né a Hongjoong, quindi cerco di imparare più in fretta che posso.”
Chan apprezzava che il nuovo arrivato si desse da fare – prima quest’ultimo terminava l’allenamento intensivo e prima lui avrebbe potuto ricominciare a trascorrere più tempo con il fidanzato – ma… studiare di propria spontanea volontà?
Gli bastava quello per capire che lui e Park Seonghwa erano totalmente incompatibili.
Il più alto, severo e aristocratico nella sua stoica dolcezza, sedeva posato mentre cullava con lo sguardo il tomo marcescente, gentilmente posato sulle sue gambe incrociate. Il biondo, a differenza sua, posava sfatto e ricurvo sul proprio giaciglio, con le coperte che gli si attorcigliavano malamente attorno alle caviglie.
“Capito… Com’è Hongjoong?”
Bastò chiedergli di parlare della ninfa dai capelli rossi per fare sì che un sorriso intersecasse le labbra del maggiore: “Hongjoong? Beh…”
Il più basso sperò fino alla fine che l’altro borbottasse qualcosa di simile ad un ‘Me lo aspettavo diverso…’ o ‘Il suo aspetto mi ha colto di sorpresa’, ma dovette rassegnarsi all’evidenza quando, con quell’aura di trascendentale gentilezza, il moro proseguì: “Non so se capisci, ma… ma penso di essere stato davvero fortunato ad incontrare una persona come lui.”
Le sue parole, gli occhi nero pece che rilucevano come la luna sul fondo di un pozzo, il sorriso che adornava l’estatica presenza della nuova recluta… Chan non aveva più dubbi. Non poteva aspettare che Seonghwa terminasse l’addestramento speciale, doveva trovare in fretta un modo per fargli capire che Hongjoong era già felicemente impegnato senza far spargere la voce della loro relazione, e avrebbe iniziato con il fare ciò che sapeva fare meglio: intromettersi.

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Capitolo 11
*** 23 - 24 ***


23
 
Hongjoong, sebbene a malincuore, aveva chiesto a Chan di concedergli un paio di settimane per concentrarsi appieno su Seonghwa. Il fidanzato aveva dapprima acconsentito, per poi rimangiarsi la parola dopo soli sette giorni dalla comparsa del terzo incomodo. In fondo, come poteva il biondo lasciare la ninfa da sola con il moro dopo ciò che gli aveva confessato quest’ultimo la sera prima?
Motivato dal nobile proposito di difendere il rosso dalle viscide avances di Seonghwa, Chan si presentò quindi di prima mattina in mensa per fare colazione assieme al maestro e al compagno. Hongjoong non poté che esserne sorpreso, ma lasciò correre, sebbene il comportamento intraprendente del coetaneo lo insospettisse.
“Va bene, questa mattina staremo in biblioteca allora. Seonghwa andrà avanti con la teoria, Chan mi farà vedere a che punto è con il pugnale. Dobbiamo prenotare la fucina in fretta, o finiremo per fare tutto di corsa.”
Chan si era seduto accanto a lui, mentre Seonghwa stava davanti a entrambi. Tenne saldamente una mano sulla coscia del rosso per tutta la durata del pasto, e sperò che il più alto, silenzioso come al solito, se ne rendesse conto. Avrebbe voluto anche prenderlo per mano durante il tragitto verso la biblioteca, ma Hongjoong si rifiutò categoricamente di accontentarlo; avevano scelto di non divulgare la notizia della loro relazione e non l’avrebbero fatto solamente per far capire a Seonghwa che Chan era geloso di lui (sì, la ninfa non ci aveva messo molto a comprendere che cos’avesse spinto Chan ad unirsi alle lezioni di Seonghwa).
Era anche vero che gli dispiaceva da morire lasciare Chan sotto la guida di Taeyong per un’altra settimana, ma certamente non aveva acconsentito a quell’intrusione solo per tornare ad avere a che fare con la fastidiosa infantilità del coetaneo.
Chan, tanto bravo nell’attaccare quanto poco lo era nell’improvvisarsi stratega, dopo aver grossolanamente analizzato ogni singolo tipo di approccio che avrebbe potuto adottare quella mattinata, scelse l’antica via della ‘rottura di palle’. Facendo valere il bonus ‘fidanzato abbandonato’, il cadetto non perse occasione per interrompere lo studio del maestro e del compagno letteralmente ogni cinque minuti.
“Hongjoong, non sono sicuro che la squama di Drago Scolopendra sia adatta per l’elsa, mi sembra pacchiana!”
“Hongjoong, senti, ma sei sicuro che la lama debba essere così lunga?”
“Hongjoong, ho rifatto i calcoli per bilanciare il peso almeno quindici volte e mi vengono quindici risultati diversi!”
“Hongjoong, però le tue correzioni non mi piacciono!”
“Hongjoong, come mai sei così rosso in faccia? Hai la febbre?”
Hongjoong, in preda alla collera, chiuse con un tonfo il tomo che stava analizzando – o, almeno, che cercava di analizzare – con Seonghwa e lo scaraventò con la grazia di un Rinoceronte Prismatico del Sud sul capo del fidanzato.
Uno a zero per Hongjoong; il piano di Chan era fallito completamente. Aveva intenzione di portare Seonghwa all’esasperazione in modo che lo lasciasse da solo con la ninfa, non il contrario. Il più alto, a differenza di Hongjoong, non sembrava affatto toccato dall’insistenza di Chan, anzi, ogni volta che questo li interrompeva attendeva, pacato e paziente, che il rosso rispondesse alle sue domande. Mugolando, il biondo si accucciò sul proprio sgabello con sguardo da cane bastonato. Mollò malamente la matita e si mise semplicemente a fissare gli altri due.
“Chan” lo richiamò a quel punto Hongjoong con voce infastidita “Se vuoi stare qui solo per disturbarci puoi anche andare a farti un giro”
Il biondo scosse le spalle: “Io non sto facendo nulla”
“Appunto!” esplose la ninfa con i nervi a fior di pelle “O stai qui e lavori come si deve, o te ne vai! È chiaro?!”
Il primo litigio?
Chan se l’era immaginato estremamente diverso. Magari avrebbero bisticciato perché lui avrebbe di nuovo sfracellato il guscio delle uova per la cena all’interno della padella bollente, oppure per la meta delle passeggiate che organizzavano nei fine settimana, ma non per una stupidaggine simile. Sapeva di non essersi comportato bene, e solo un mese prima non gliene sarebbe importato nulla, avrebbe continuato a fare il gradasso fino a quando avrebbe raggiunto il suo obiettivo. Ora, invece, lo sguardo stanco e ferito di Hongjoong non gli permise nemmeno di ribattere. Era orribilmente in torto, tanto più che, in quelle poche ore che avevano trascorso insieme, Seonghwa non aveva tentato di avvicinare la ninfa in alcun modo.
Prese quindi un respiro profondo, abbassò gli occhi e, dopo aver mormorato un flebile ‘Scusa’ a denti stretti, si alzò in piedi e lasciò la stanza, abbandonando sul tavolo di solido abete tutti gli schizzi relativi al pugnale.
Hongjoong sospirò, cercò di richiamarlo invano, per poi crollare sbuffando sulla seggiola su cui era accucciato: “Scusami… Ho perso la pazienza, mi dispiace per la scenata.”
Seonghwa si aprì in un sorriso comprensivo e scosse il capo: “Non ti preoccupare, se non l’avessi fatto tu penso che tra qualche minuto sarei sbroccato io.”
“Tu?” la ninfa ridacchiò “Non ci credo neanche un po’, saresti in grado di essere garbato anche con un ladro che ti sta svaligiando la casa.”
“Ma se fossi davvero così tranquillo non sarei venuto fin qui per fare il soldato, no?”
“Vero anche questo” Hongjoong scrollò le spalle “Fatto sta che ho parlato di te a mia sorella e abbiamo concordato che di cadetti come te ce ne sono veramente pochi in giro”
“Come me?” Seonghwa spalancò gli occhi in un’espressione stupita, il rosso in quel frangente lo trovò particolarmente somigliante ad un cucciolo di drago.
“È un complimento!” la ninfa mise subito le mani avanti “Voglio dire… Con me sei stato gentile da subito, invece con Chan, per esempio, all’inizio ho avuto diversi problemi…”
Seonghwa inclinò leggermente il capo di lato: “Beh… Se posso essere sincero, penso che di problemi ce ne siano ancora adesso. Non per colpa tua ovviamente.”
La ninfa scrollò le spalle: “Va tutto bene, davvero! Io e Chan ci abbiamo messo un po’, ma abbiamo imparato a sopportarci, e anche a volerci davvero bene.”
Rise leggermente, sperando di non essersi esposto troppo, per poi specificare frettolosamente: “Ormai è uno dei miei migliori amici, e penso semplicemente che oggi si sia comportato così con te perché non si è ancora abituato alla tua presenza.”
“Sì, ho notato che abbiamo veramente poco in comune effettivamente…”
“Tu comunque non preoccuparti di Chan, è solo un testone” concluse il rosso “e, purtroppo per lui, ormai so come prenderlo. Stasera lo farò ragionare e domani correrà a chiederti scusa, fidati”
Il più alto a quel punto sorrise: “Vi vedete anche di sera quindi”
Hongjoong non aveva idea di come reagire a quell’osservazione e si chiese se, in fondo, a Seonghwa non dispiacesse almeno un po’ essere tagliato fuori dal rapporto – di amicizia, prima che di amore – che lui e Chan avevano instaurato.
“Sì, ogni tanto ci organizziamo per uscire. Ci sono un paio di locande niente male al primo livello. Uno di questi giorni effettivamente potrei portartici, ti va?”
Chan o non Chan, la ninfa sapeva che perfettamente che, da quando era giunto alle Fucine, la nuova recluta non aveva fatto altro che studiare e lavorare. Era contento che l’allievo avesse preso tanto seriamente l’addestramento – quando il capitano lo aveva convocato al quartier generale per affidargli Seonghwa era convinto che avrebbe avuto a che fare con un’altra testa calda da malmenare a sangue – ma era anche convinto che tale dedizione fosse dovuta al desiderio di non soffermarsi sul pensiero della morte della madre. Seonghwa aveva bisogno di svago, e inoltre gli stava simpatico, quindi perché non concedersi una serata in amicizia con lui? Ne avrebbe parlato con Chan e gli avrebbe spiegato le sue ragioni, e Chan lo avrebbe compreso. Era di coccio quando voleva, ma sapeva quanto ci tenesse a farsi finalmente qualche amico.
“Sì, mi andrebbe un sacco” Seonghwa allargò il sorriso “Se stasera esci già con Chan allora potremmo fare domani. Ci vediamo al primo livello per l’ora di cena?”
Hongjoong non poté che farsi contagiare dal sorriso dell’altro e annuì: “Mi sembra perfetto.”
 


24
 
“No, scusa, non ho capito”
Hongjoong sospirò: “Chan, ma che hai? È la terza volta che te lo ripeto, non è che cambio versione alla quarta! Ti ho detto che domani sera faccio fare un giro a Seonghwa. Andiamo a fare cena e poi lo porto a passeggiare al primo livello, chiaro? O devo farti un disegnino?”
Il biondo si mise a braccia conserte e brontolò: “Ho capito, ho capito… E ho capito anche che tanto lo fai per ripicca perché oggi vi ho interrotti.”
“E se anche fosse?! Te lo meriteresti!”
Sdraiati uno accanto all’altro sul giaciglio di Hongjoong, per la prima volta i due fidanzati finirono per addormentarsi schiena contro schiena, con un macigno ciascuno sulla testa di entrambi.
“Capisco la gelosia e capisco che ci vediamo poco,” si era giustificato Hongjoong “ma, Chan, non è né colpa mia, né colpa di Hwa. Se vuoi davvero lamentarti così tanto fallo con il tuo capitano!”
Il biondo gli aveva semplicemente risposto con una scrollata di spalle e un grugnito: “Tanto sai già che cosa penso.”
Per Hongjoong quella conversazione fu così assurda da impedirgli completamente di prendere sonno. Avrebbe voluto voltarsi verso il ragazzo accanto a lui e, per una volta, domandargli per primo un abbraccio. Anche il mattino seguente pareva assente a lezione, e così anche alla sera. Aveva appuntamento con Seonghwa alle otto e ovviamente era in ritardo, ma il ragazzo fece di tutto per non farglielo pesare. La ninfa era grata all’allievo per la sua gentilezza, il corvino si comportava con lui con lo stesso riguardo con cui la sua etnia rifiniva i delicati dettagli delle sculture di ghiaccio che adornavano i quattro livelli delle Fucine. Nonostante avesse appena subito la perdita di uno dei genitori, si preoccupava di non farlo sentire a disagio e di creare un ambiente di studio piacevole e sereno per entrambi.
Probabilmente, a differenza di Chan, aveva preferito mettere in valigia la sensibilità piuttosto che la voglia di scopare.
Seonghwa era intelligente e sapeva il motivo per cui il maestro che gli era toccato in sorte non fosse ben visto in società, quindi, a fine serata, dopo un paio di birre per prendere coraggio, domandò: “Hongjoong, senti… Io mi sto divertendo molto questa sera, ma non mi sembra che valga lo stesso per te. È successo qualcosa con le altre ninfe? Posso darti una mano in qualche modo?”
Hongjoong, che di birre ne aveva bevute altrettante (ma non era in grado di reggere nemmeno l’esigua percentuale di alcol diluita nel propoli per la gola), non ci mise poi molto a cedere. Le ultime discussioni che aveva avuto con Chan gli erano parse strane, avvertiva chiaramente un risentimento di fondo da parte dell’altro che non aveva captato nemmeno in quell’odioso ‘Non è che, per me, anche tu faresti la femmina?’ che tanto lo aveva fatto soffrire due mesi prima.
“No, con le altre ninfe non è successo nulla. Beh, nulla più del solito almeno” il rosso scrollò le spalle “Il problema è Chan, ma, se devo essere sincero, non ho voglia di annoiarti proprio stasera con questa storia.”
“Ma che cosa dici?” Seonghwa scosse il capo e, con un colpo di reni, spostò lo sgabello più vicino a quello dell’altro e appoggiò un gomito sul tavolino a cui erano seduti “Voglio che entrambi finiamo in bellezza questa serata, non mi va di riaccompagnarti a casa con il muso. E se tua sorella ti vedesse tornare tutto imbronciato? Penserebbe che sia colpa mia, non posso permetterlo!” il moro ridacchiò affabile, sincero “E poi… Non ci conosciamo da molto, ma io ti considero già un amico. Te l’ho detto, se c’è qualche problema sono qui per ascoltarti.”
Alla ninfa venne spontaneo aprirsi in un leggero sorriso, seguito però da un amaro: “Ya… Perché non sei arrivato tu quassù al posto di Chan fin dall’inizio?”
Seonghwa ricambiò nuovamente il sorriso e scosse il capo: “Deve averti fatto disperare parecchio per farti dire una cosa del genere!”
La ninfa rimuginò a lungo sulla risposta, in fondo non voleva ammettere di essere nel bel mezzo della sua prima crisi di coppia: “Diciamo di sì. È solo che vorrei che Chan si fidasse di più di me, capisci? Quando è arrivato qui ci odiavamo a vicenda – e ci siamo fatti parecchio male a vicenda – ma poi ci siamo riappacificati. Siamo diventati amici, pensavo avessimo raggiunto una sorta di equilibrio, invece…”
“Invece ha ripreso ad atteggiarsi da bambino capriccioso?”
Il rosso spalancò gli occhi: “Lo hai appena… preso in giro?”
Seonghwa mise immediatamente le mani avanti: “Te l’avevo detto che non sono sempre il Signor Gentilezza che conosci tu. Posso essere sincero con te visto che, per stasera, stiamo uscendo come amici?”
Il più alto fece una pausa e piantò lo sguardo in quello di Hongjoong: “Forse non l’ho visto al suo meglio, forse non l’ho visto nemmeno al suo peggio, ma Chan non mi piace. E non parlo di come si è comportato ieri mattina, non mi avrebbe dato fastidio studiare insieme a lui, ma del perché ha insistito tanto per interromperci di continuo. È chiaro come il sole che sia geloso e che io non gli vada a genio. E va bene così, in fondo non mi sono mai sentito apprezzato, né da lui né da tutte le altre reclute al campo di addestramento, ma non mi sta bene che se la prenda con te per colpa mia.”
Hongjoong lo fissò con una certa tenerezza, i modi del soldato gli ricordavano tanto quelli di una mamma, e alla fine non poté che replicare con un semplice: “Grazie, Hwa”
Prima che l’altro potesse domandare perché, aggiunse: “Perché ti preoccupi per me anche se so benissimo che per te è un brutto momento, e anche perché mi capisci. Ci possiamo fare un po’ di forza a vicenda in queste ultime settimane, no?”
Il moro annuì e, di slancio, gli batté il cinque: “Oltre a sopravvivere qui e a costruirmi armi potresti anche insegnarmi a sopportare il mio piccolo e incazzoso compagno di allenamenti allora.”
“Park Seonghwa che dice un parola così brutta” il rosso roteò gli occhi e ricambiò il gesto “Non me lo aspettavo.”
“Mi insegnerai sì o no?” insistette l’altro ridendo.
“Per forza, o so già che finirete per scannarvi come abbiamo rischiato di fare io e lui due mesi fa! Sai, a lui non andava bene che fossi un maschio all’inizio”
Hongjoong aveva pronunciato quell’ultima frase con tono abbastanza scherzoso, sperando che Seonghwa non si accorgesse del malessere che quel ricordo ancora gli provocava. Ovviamente, invece, quest’ultimo si rese conto fin troppo bene di quanto ammettere quella verità costasse al maestro.
“Hongjoong, sai perché sono così contento di essere uscito con te stasera? Perché mi piace restare in tua compagnia, certo, ma anche perché so che sei una persona sincera con se stessa. È una cosa che io non so fare. Al campo di addestramento non mi sono mai trovato bene con i miei compagni, per loro sono sempre stato troppo cauto e prudente. Non sono uno che si getta nella mischia, preferisco il mestiere di stratega. Però ci ho provato ad assomigliare loro almeno un po’, pensavo fosse questione di abitudine, di imparare a non farmi scrupoli, ecco. Gli altri mi dicevano che mi sarei dovuto accontentare come avrebbero fatto loro…”
“Ma come io non mi accontenterò di vivere con un paio di tette per non creare scompiglio alle Fucine, tu ora continuerai ad impegnarti per conquistare i piani alti dell’esercito, corretto?” suggerì la ninfa con un sorrisetto.
“Comunque anche a me piace la tua compagnia, Hwa” ammise infine quest’ultimo.
“Ti piace perché ti parlo di argomenti seri e profondi quando sono brillo?”
“Mi piace perché sei maturo, perché non ti importa di come sono, e perché ti fidi di me a tal punto da confidarti anche dopo pochi giorni che ci conosciamo. Quando ti sarai diplomato tornai a trovarmi un paio di volte?”
“Perché non puoi venire tu con me?”
“Ah! Adesso ho capito perché sei così carino con me stasera! Vuoi farmi promettere di Benedire il tuo pugnale, così arriverai ai vertici dell’esercito in tempo record e finalmente il tuo malvagio piano sarà compiuto!”
Seonghwa scoppiò in una grassa risata: “E che divertimento ci sarebbe ad averti in un pugnale? Non mi importa della gloria, ti preferisco in carne ed ossa. Sarebbe strano offrirti da bere se sei dentro un coltello. Che cosa dovrei fare? Bussare sulla lama per chiederti udienza? Toc toc, vostra Taglienterrima Hongjoongosità! Siete in casa in questo momento?”
Hongjoong era certo che, se Chan li avesse visti scherzare in quel modo, probabilmente avrebbe come minimo ribaltato il tavolino, eppure non comprendeva che cosa ci fosse di sbagliato nel godersi una serata in amicizia. Nel comportamento di Seonghwa non c’era nulla che non andasse, sembrava il prototipo di ragazzo perfetto. Forse, a quel punto, era lui stesso il problema. Era sicuro di provare due tipi di affetto completamente differenti per i suoi due allievi, come lo era anche nel ritenere quell’uscita una semplice serata tra amici. Quando Seonghwa lo portò a casa e si sporse verso di lui per regalargli un veloce bacio sulla guancia, invece, si rese conto che per il più alto aveva certamente significato qualcosa di più.
Decise di non parlarne a Chan, non voleva litigare di nuovo con lui. Sgusciò via verso la sua tana sul versante opposto e, trovando il fidanzato addormentato sul loro giaciglio, si accucciò in fretta tra le sue braccia.
“Mh…” mugugnò il cadetto sentendolo arrivare “Su, raccontami com’è andata”
“Niente di che, abbiamo mangiato e poi bevuto due birre insieme” sbadigliò la ninfa, recitando a memoria le battute che, nel tragitto, si era preparato “Mi ha raccontato dell’accademia militare e di ciò che ha fatto in questi mesi, ci siamo conosciuti un po’ meglio. È gentile, mi ricorda proprio qualcuno che conosco…”
“Non sfottere” Chan si tirò il fidanzato al petto e, inconsapevolmente, baciò lo stesso punto che Seonghwa aveva osato sfiorare appena pochi minuti prima “Mi sei mancato”
Hongjoong rabbrividì solamente per quel piccolo contatto, con Seonghwa invece non aveva provato altro che confusione e sorpresa: “Se ti manco così tanto allora perché da lunedì prossimo non ricominci ad allenarti con me. E Seonghwa ovviamente. Lui si sta portando molto avanti con lo studio, dalla prossima settimana avrete programmi di addestramento compatibili. Ti va?”
Hongjoong si chiese che cosa stesse facendo. Fino a poche ore prima era arrabbiato con il biondo, ed ora, solo perché si era reso conto che il fidanzato aveva effettivamente tutte le ragioni per essere geloso, non solo gli stava nascondendo la verità, ma cercava anche di tenerlo a bada accontentando i suoi capricci.
Altro che sincero con se stesso, in quel momento Hongjoong si sentiva il re delle menzogne.

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Capitolo 12
*** 25 - 26 ***


25
 
“Ricapitoliamo. Chan pensa che Seonghwa ci stia provando con te, ma tutti gli dicono che non è vero. Tu sai che invece è vero perché ti ha baciato sulla guancia ieri sera, ma non vuoi dirlo a Chan perché hai paura che faccia un casino, e allo stesso tempo non puoi dire a Seonghwa che tu e Chan siete fidanzati perché, se qualcun altro lo scoprisse, il capitano vi separerebbe seduta stante per il codice militare. L’unica cosa che potevi fare era dire a Seonghwa ieri sera che lui non ti interessa in quel senso, ma tu sei scemo, hai panicato e lo hai lasciato fare. Corretto?”
“Aggiungerei anche ‘Mia sorella Yoora, che dovrebbe aiutarmi ad uscire dal pasticcio in cui sono finito prima che si incasini ancora di più, continua a dirmi che sono scemo’.”
Yoora ridacchiò e allungò una mano per scompigliare i capelli del fratello: “Le questioni d’amore non fanno proprio per te, eh? Ti perdi in un bicchier d’acqua. Basta che tu sia sincero sia con Seonghwa che con Chan senza farti troppi problemi. In fondo sei abbastanza sicuro di quello che provi per entrambi, vero?”
Hongjoong questa volta annuì con convinzione: “Seonghwa mi piace, ma come amico ovviamente. È simpatico, e anche intelligente, ma… ma non ho condiviso con lui le stesse cose che ho condiviso con Chan. Forse, se fosse arrivato qui lui per primo, gli avrei dato corda, ma adesso…”
La reticenza era, per Yoora, abbastanza eloquente: “Continuo a pensare che tu ti stia solo complicando la vita, sai?”
“Non è quello che faccio da quando sono nato?”
Yoora gli rispose tirandogli semplicemente addosso un cuscino.
Hongjoong aveva seriamente bisogno di parlarle dell’accaduto, quindi era andato a trovarla a casa durante la pausa pranzo approfittando dell’assenza delle madri, e lei era stata ben contenta di poter ascoltare le prime lamentele amorose del fratello. Dopodiché, comunque, lo aveva rispedito a lavoro senza troppi preamboli.
Hongjoong era quindi corso da Seonghwa e, dopo un vistoso e rassegnato proemio farcito di drammatici – ma sinceri – ‘perdonami, avrei dovuto dirtelo subito’ e ‘scusami, mi sono fatto prendere dall’ansia’, si era quindi fatto avanti per risolvere in fretta la questione: “Seonghwa, senti… A me è piaciuto veramente molto passare la serata con te ieri. Te l’ho detto, ti trovo veramente simpatico, ci intendiamo bene, ma… Ma vorrei che mi spiegassi il bacio che mi hai dato ieri sera. Pensavo stessimo uscendo come amici, io non vorrei che ci fraintendessimo, ecco.”
Perché aveva avuto tanta paura?
Seonghwa non era come Chan, non sarebbe mai esploso di rabbia con lui, né gli avrebbe fatto una delle scenate a cui era abituato con il biondo.
Il moro, infatti, semplicemente arrossì in preda all’imbarazzo, per poi mettere immediatamente le mani avanti: “No, no, Hongjoong, non devi scusarti! Non so che cosa mi sia preso ieri sera, sarà… Sarà che era tanto tempo che non passavo una serata con un amico, sarà quello che dicono su questo posto, sarà l’atmosfera, ma giuro che non so che cosa mi sia preso! Non volevo metterti a disagio, mi dispiace.”
Il rosso tirò un sospiro di sollievo e scosse il capo, come a suggerirgli che andava tutto bene: “Quindi… è tutto a posto? Amici?”
Seonghwa sorrise, ed ecco di nuovo comparire quell’adorabile somiglianza con un draghetto in fasce: “Amici!”
Hongjoong credette davvero che stesse andando di nuovo tutto per il meglio. Aveva risolto quell’inconveniente senza creare danni ulteriori, e Chan ne era miracolosamente rimasto fuori. Si sentiva così leggero che, sfortunatamente, dimenticò di essere stato baciato dalla Cattiva Sorte da piccolo.
 


26
 
Era noto, nell’ambito delle discipline alchemiche, che nulla in natura potesse essere creato o distrutto. Ogni atomo, deviando, unendosi a simili o respingendoli, decretava vita o morte di ogni individuo, animato o inanimato che fosse. È ribadire comune che anche i malesseri assumano lo stesso comportamento. Il cruccio di un uomo può significare l’insonnia del suo prossimo e la disperazione di un terzo.
Così effettivamente accadde anche alle Fucine.
Chan pareva più tranquillo dopo aver ricevuto nuovamente l’autorizzazione del fidanzato a partecipare agli allenamenti e Hongjoong si era finalmente messo l’anima in pace dopo la conversazione con Seonghwa, dunque l’Ansia che li aveva a lungo attanagliati necessitava di mietere una nuova vittima. Non ci sarebbe stato alcun divertimento nell’avvilire ulteriormente Taeyong, uno dei suoi schiavi prediletti, né sarebbe riuscita a scavalcare facilmente il fermo intelletto di Doyoung. Sdraiato sotto di loro, con un segreto nel cuore, Jaehyun invece rimuginava in silenzio. Accarezzava con gentilezza i capelli dei propri ragazzi, pettinandoli con cura. Sperava che, così facendo, almeno per loro si sarebbe avverato l’augurio che si erano scambiati prima di abbandonarsi al torpore: “Buona notte, sogni d’oro.”
Ogni tanto allungava il collo per raggiungere con le labbra il capo di uno o dell’altro, eppure nemmeno la vicinanza di questi ultimi riusciva a farlo calmare. Ormai da un paio di giorni, in fondo, nella sua mente era stampata a caratteri cubitali un’unica domanda: “Perché Seonghwa ha baciato Hongjoong?”
Jaehyun era un ragazzo semplice. Alto, dal fisico statuario, aveva sempre riscosso un discreto successo tra i ranghi femminili dell’accademia militare. La sua scarsa parlantina era, secondo le reclute più audaci, simbolo di intrigante mistero, il fascino del seduttore oscuro certamente dava loro alla testa. Doyoung certe volte, notando come alcune ragazze squadrassero il più alto durante gli allenamenti, sbuffava e borbottava frecciatine quali: “Lo sai che ti guardano come io guardo un cruciverba da risolvere, vero?”
E la sua risposta era sempre la stessa: “Tanto avrebbero successo solo nelle verticali, alle orizzontali non ci arrivano.”
Doyoung rideva per la battuta, e a Jaehyun pareva sempre di notare una vena di compiacimento in quel suono che aveva sempre trovato stranamente melodioso.
Nel loro gruppo erano sempre stati in tre. Se Chan era il ribelle e Doyoung la mente, a lui toccava interpretare l’unico con un briciolo di buon senso. Si era arruolato proprio per il rispetto immane che riponeva nelle istituzioni e nella difesa della Nazione e per il solido senso di giustizia che fin da piccolo lo aveva animato. La stazza ovviamente lo aveva reso subito uno dei favoriti all’interno del suo plotone, era quindi sempre restio nel lasciarsi coinvolgere nelle bravate degli altri due. Doyoung, comunque, era sempre stato bravo a convincerlo. Jaehyun ci aveva messo un po’ a dare un nome al debole che aveva per lui, ma una certa ninfa e una montagna ghiacciata erano bastati a schiarirgli le idee. Alla fine, il maggiore lo aveva trascinato anche in quell’avventura.
Poteva chiudere un occhio sui diabolici scherzi che Chan e Doyoung architettavano ai danni del famigerato comandante supremo Lee, ne chiudeva due ben volentieri sulla relazione che aveva intessuto con quest’ultimo e con Taeyong, ma era certo, in cuor suo, che non potesse fare finta di nulla dopo aver assistito, due sere prima, al bacio tra Hongjoong e Seonghwa.
In quel momento stava accompagnando a casa Taeyong, che, dopo aver praticamente vissuto in camera con lui e Doyoung per più di una settimana, necessitava di recuperare altri cambi d’abito per poter proseguire la convivenza finché, per i due soldati, non sarebbe venuto il momento di tornare a valle. Il fidanzato probabilmente nella fretta non ci aveva fatto caso – entrambi avevano voglia di tornare al dormitorio per finire in bellezza la serata insieme a Doyoung – e lui invece era rimasto talmente scioccato dalla scena da non essere riuscito a confessare nulla nemmeno a loro due.
Jaehyun sapeva che avrebbe dovuto discuterne almeno con Doyoung, il maggiore dispensava sempre ottimi consigli, ma... questa volta la risposta non era scontata? Più ci ripensava, più Jaehyun si convinceva che i visi dei due fossero fin troppo vicini per continuare a definirsi ‘solo colleghi’. Certo, all’interno dei lunghi budelli scavati nel ghiaccio la luce delle lanterne era sempre piuttosto fioca, ma per lui, nella sua semplicità e fedeltà, in una situazione tale non era possibile fraintendere.
Tenne quel segreto custodito dentro di sé ancora per diversi giorni.
Era deciso a confessare a Chan il misfatto, era il suo migliore amico e non sopportava di saperlo ignaro di ciò che Hongjoong e Seonghwa tramavano alle sue spalle, ma il cadetto non aveva affatto messo in conto quanto gli venisse difficile portare cattive notizie. A ruoli invertiti, Chan si sarebbe fatto avanti subito. Jaehyun meditava invece su quanto bene si stesse ora che l’altro, con il riprendere degli allenamenti e dello studio, sembrava essersi di nuovo calmato.
La partenza del loro gruppo, inoltre, cadeva esattamente due settimane più tardi. Avrebbe potuto lasciar correre solamente per non rovinare all’amico l’illusione che Hongjoong continuava a tessere alle sue spalle. Due settimane e, in fondo, sarebbero stati costretti a separarsi comunque. Chan era forte, era probabile che lo avrebbero inviato ad entrare a far parte delle guardie speciali sotto il diretto comando del sovrano alla Capitale. Solo ai soldati mediocri e sacrificabili era concesso restare a marcire alle Fucine; il clima inumano e gli aguzzi picchi ghiacciati erano abbastanza da scoraggiare qualsiasi eventuale attacco nemico proveniente da Nord. Questo comunque non era il caso di Chan.
Anche un’altra questione lo preoccupava: il biondo necessitava assolutamente di terminare in fretta il proprio pugnale. Aveva già forgiato la lama con l’aiuto di Taeyong, ma per l’elsa – un finissimo progetto di puntigliosa e ardita oreficeria – necessitava del proprio maestro. Purtroppo per lui, conosceva Chan così bene da immaginare che avrebbe potuto addirittura rifiutarsi di completare il lavoro se avesse scoperto troppo presto ciò che aveva da dirgli.
Jaehyun si informò quindi su quando Hongjoong avesse prenotato una delle fucine al terzo livello per terminare i progetti con i suoi allievi e programmò con assoluta meticolosità ogni singolo delicato passaggio del discorso con cui lo avrebbe avvertito che il suo fidanzato lo stava tradendo. Mancavano ancora cinque giorni, non era bravo con le parole come uno dei propri, di fidanzati, ma avrebbe sicuramente trovato un momento per fare pratica. Conosceva i modi da duro di Chan, ma voleva cercare di essere il meno rude possibile; se a lui fosse capitato lo stesso lo avrebbe apprezzato.
Eppure, trascorsi i fatidici cinque giorni, non tutto andò come il cadetto aveva programmato.
Jaehyun attese l’amico fuori dall’ingresso della fucina con il cuore in gola ed un macigno sul petto, l’ansia che, nonostante avesse la stazza di un armadio, lo sballottava come una fogliolina in mezzo ad una bufera. Chan fu il primo ad uscire dall’imbocco della caverna, seguito subito dopo da Hongjoong e Seonghwa che discutevano fitto fitto su qualche ultimo dettaglio da applicare all’arma che quest’ultimo aveva creato. Allungò una mano verso l’amico e la poggiò con timore sulla sua spalla, e l’espressione corrucciata e delusa che Chan gli rivolse non fece che andare ad intaccare maggiormente quel poco coraggio che era riuscito a racimolare.
Era un suo difetto, Jaehyun credeva nella giustizia finché erano gli altri a fare sì che fosse rispettata. Non aveva mai davvero sperimentato che cosa significasse essere giusto – e sincero – con una persona a lui tanto cara.
“Jaehyun?” il biondo salutò il compagno e il fidanzato con un cenno del capo, per poi rivolgersi di nuovo verso il più alto “Che c’è?”
L’aggressività a stento trattenuta che traspariva dal suo tono indicava quanto Chan fosse spazientito. Che fosse successo qualcosa con Hongjoong e Seonghwa? Che sospettasse di nuovo? In quel caso avrebbe fatto meglio a sbrigarsi a vuotare il sacco o l’amico avrebbe finito per scoprire tutto da solo in un batter d’occhio.
“Chan” Jaehyun strinse i denti e annunciò “Devo dirti una cosa.”

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Capitolo 13
*** 27 - 28 ***


27
 
“Devo dirti una cosa.”
Che cosa curiosa, l’ultima volta che Chan si era sentito dire quella frase da qualcuno con un’espressione tanto sbattuta era quando suo padre era stato cacciato via di casa da sua madre dopo il tradimento. Ora Jaehyun, lì di fronte a lui, lo fissava con occhi ricolmi di un sentimento di vergogna misto pena che, a dirla tutta, lo nauseava, lo disturbava.
In fondo l’ultima volta non era andata troppo bene.
“Qual è il colmo per un marito?” gli aveva domandato il padre con le lacrime agli occhi.
Era sempre stato così, Chan aveva ereditato la natura giocherellona del genitore senza nemmeno accorgersene. Se ne stava tutto il giorno a bighellonare con gli amichetti e a spiare i soliti vecchiacci maleducati dal linguaggio particolarmente colorito che avevano ormai preso residenza fissa alla locanda al centro del paese. Ne replicava i modi bizzarri e, spesso, si vantava della nuova astrusa – fin troppo volgare – terminologia che aveva appreso anche con la famiglia. Di fronte all’inorridire della madre e delle due sorelle, suo padre si faceva una grassa risata. Restava al gioco, lo prendeva in giro a sua volta, replicava con una delle sue noiose freddure ‘da papà’ e si compiaceva delle reazioni di incredulità del figlio. Chan adorava la sua voce, e adorava anche la sua risata, quando questa scaturiva prorompente a causa propria con quel caldo vocione che spesso gli cantava la ninna nanna prima di andare a letto.
Poi, però, vi era stata l’ultima battuta, amara, difficile da digerire. Chan non era un vero e proprio fan del black humor.
“Chan, qual è il colmo per un marito?”
“Non lo so, farsi aprire le gambe magari?”
Chan, adulto e incredibilmente posato in quella gelida risposta, aveva detto addio al padre – e a quel compagno che lo attendeva fuori, alla fine del loro vialetto – con una semplice domanda a cui non ricevette mai altra risposta che le lacrime del più grande.
Ormai era lui l’ometto di casa, nonostante avesse appena nove anni.
Iniziò a trascorrere molto più tempo in famiglia, in quanto figlio maggiore si sentiva in dovere di aiutare la madre il più possibile, quindi la sua cerchia di amici finì per restringersi incredibilmente. Ciò che rendeva speciali quei pochi rimasti, però, era che Chan li avesse scelti in base al suono della loro risata. Era un po’ di tempo che non riusciva a ridere come prima, ma avvertire la felicità degli altri esplodere sulle labbra degli altri lo metteva sempre di buon umore. Ora aveva Hongjoong, Taeyong, prima di loro aveva stretto amicizia con Doyoung e Jaehyun, e con altri ancora prima di questi.
Jaehyun, ad ogni sua pessima battuta, rideva con gli occhi, con le fossette, scuoteva il capo e si tirava indietro i capelli con fare sconsolato.
Doyoung possedeva una risata dai toni più nervosi, uno spasmo isterico e melodioso che veniva dal cuore.
Taeyong, più timido, arrossiva e nascondeva le labbra con una mano. Spesso Chan notava come, poco dopo il suo incredibile show, capitasse che la ninfa tornasse a pensare alla battuta e ridesse di gusto per conto suo, liberamente.
Hongjoong rideva sempre di pancia, con le spalle che scattavano su e giù come molle, i capelli rossi che si sparpagliavano sul capo in una fiammata che combatteva contro le perle di ghiaccio cangiante che aveva al posto degli occhi. Lui lo negava, ma avevano lo stesso senso dell’umorismo.
Chan era abituato a raccontare di essere il ragazzo più socievole dell’universo, eppure c’era stato un periodo in cui la solitudine lo attanagliava ogni sera prima di addormentarsi. Come ogni bambino, in quel periodo, avrebbe voluto stringere un morbido peluche prima di affidarsi alle braccia di Sonno, a lui invece era toccato aggrapparsi agli artigli di Rabbia, l’unica amica che non aveva mai riso con lui, ma sempre di lui.
Spesso Rabbia era prepotente, lo induceva a pensare – o a dire, o a fare – cose di cui poi si pentiva e si vergognava, ma era anche l’unica che avesse promesso di non abbandonarlo, e fino a quel momento, a diciannove anni compiuti, aveva coraggiosamente mantenuto la sua arcana promessa.
Quando aveva ultimato la sua iscrizione all’Accademia militare – e Chan aveva addirittura dimostrato di essere portato per quell’ambiente tartassante – aveva addirittura pensato di portare con sé i suoi amati figli: Frustrazione, Arroganza, Superbia, Sprezzo, Vanità…
Solo Hongjoong, anni e anni più tardi, era riuscito ad aiutarlo a liberarsi di loro, e il cadetto si era sentito subito meglio. Aveva un macigno sul cuore, e Hongjoong lo aveva sezionato ed esportato con la pazienza di un bruco che attende la propria metamorfosi per terminare la propria vita in bellezza.
Anche Rabbia era tornata a nascondersi nei meandri del suo cuore, Chan era convinto che fosse finalmente sopita, e invece la vecchia amica attendeva – come ai bei tempi – che il suo inquilino semplicemente la cacciasse fuori nel momento più adatto. Dall’indole propensa alla drammaticità, Rabbia desiderava un’entrata in scena degna di questo nome. Scenate di gelosia? Divertenti, ma non così soddisfacenti a lungo andare. Da come il biondo scrutava – odio puro stillato nelle iridi truci – Seonghwa domandare per l’ennesima volta ad Hongjoong quali passaggi svolgere per fondere e sagomare il Ferro Niveo, non ci sarebbe voluto molto per incorrere in un’occasione particolarmente propizia.
Il cadetto fissava il fidanzato correre da un tavolo all’altro della fucina che aveva prenotato pochi giorni prima per tentare di dare una mano sia a lui che al nuovo arrivato. Quest’ultimo, che nelle ultime due settimane aveva dato prova del suo valore di soldato provetto con lo studio e le esercitazioni all’aperto, si era rivelato un vero incapace quando si trattava di prendere in mano incudine e martello.
“Hongjoong, scusami, puoi farmi rivedere in che modo devo far colare il metallo fuso nello stampo?”
“Hongjoong, scusami davvero, un’ultima cosa! Sei sicuro che vada per forza prima fatta la lama? Perché mi sa che ho fuso troppo Ferro Niveo.”
“Hongjoong, scusa! Giuro che poi smetto di rompere, ma… Ho preso lo stampo al contrario secondo te?”
Chissà perché il moro interveniva sempre quando invece era lui ad avere bisogno del rosso.
Gli ricordava qualcuno.
Conosceva quell’atteggiamento fin troppo bene; a quanto pareva nemmeno Seonghwa era così santarellino come voleva farsi credere. Poteva provare a comprendere il suo desiderio di ripicca, ma non ammetteva che certi scherzi venissero fatti proprio nel momento della forgiatura dell’arma che, assieme al tipico spallaccio, lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Lupo e Coltello, Clan e Segretezza, Gruppo e Personalità. In quel pugnale Chan avrebbe dovuto metterci l’anima, tutto ciò che invece aveva provato nel suo articolato processo di creazione non era altro che immane fastidio. Aveva interrotto una volta le lezioni del compagno e questi ora si stava vendicando con gli interessi. Da quando Hongjoong lo aveva riammesso alle lezioni non vi era stato un solo momento in cui il più alto non avesse richiesto la totale attenzione della ninfa, come se tutte le settimane di studio matto fossero state completamente rimosse all’improvviso. Chan era convinto che, già sapendo che la propria carriera lo avrebbe condotto lontano dalle Fucine, avrebbe potuto tenere lo stiletto come testimonianza e ricordo dei mesi più belli della sua vita. La sua creazione non avrebbe dovuto essere mero atto di distratto artigianato, ma un percorso per sugellare le promesse che ogni sera lui e Hongjoong rinnovavano. Non se l’erano mai detti l’un l’altro ad alta voce, ma si volevano bene, e Chan aveva il bisogno fisiologico di dimostrarglielo anche dedicandogli quella fatale – e romanticamente simbolica – opera d’arte, oltre che con qualche intensa sessione di coccole serali.
Invece Seonghwa aveva rovinato i piani, ed ora era palese che giocasse a separarlo da lui.
Il più alto sorrideva e punzecchiava il maestro mentre quest’ultimo cercava di aiutarlo, si esibiva in orrende battutine, cercava fastidiosamente il contatto con lui e sorrideva come un ebete quando il rosso si trovava costretto a raccogliere le sue mani per mostrargli praticamente come svolgere un passaggio. E poi chiamava la ninfa con certi soprannomi che contribuirono solamente, oltre che a farlo arrabbiare, anche a mandarlo in paranoia.
“Toc toc!” e a questo punto fingeva di battere le nocche sul ferro ancora caldo “Sua Taglienterrima Hongjoongosità, siete in casa?”
Chan si chiese che cos’avrebbe dovuto significare, non era possibile che Hongjoong gli avesse promesso di Benedire il suo pugnale. La ninfa a volte poteva essere infame e astiosa, ma non lo avrebbe tradito in maniera tanto ovvia. In uno dei pochi attimi che riuscirono a trascorrere insieme glielo chiese anche: “Hongie, se lui ti sta dando fastidio…”
Ma il fidanzato scosse il capo e rise tranquillamente: “Sta solo scherzando, non ascoltarlo.”
Ma il tono ilare con cui si era espresso non lo rassicurò affatto, anzi, quando venne il momento di concludere il lavoro e di lasciare la fucina, Chan ebbe l’istinto di chiedere a Seonghwa di poter scambiare un paio di parole in privato, ma Jaehyun, inaspettatamente, lo fermò prima che potesse farlo.
“Chan, devo dirti una cosa.”
“Dimmi…” il tono serio e impacciato del più alto non poté che mettergli ancora più agitazione.
“Chan… Qualche sera fa ho visto Seonghwa e Hongjoong che si baciavano.”
E tutto ciò che il biondo sentì prima di esplodere fu la risata di Rabbia sconquassare il suo cuore.
 


28
 
“16 giugno
 
Park Seonghwa mi piace da morire.
Signore e signori, ammetto l’inghippo. Sentite le trombe che squillano a festa? Che suono atroce. Avvicinatevi, prego, assistete alla tragedia e ridete come se si trattasse della migliore delle commedie perché, lo ammetto, lo confesso, lo dichiaro e lo affermo: il cuore di Chan ormai mi stanca. L’ho corrotto, ci ho giocato, ed ora mi stanca, e rido dell’Invidia che, a causa mia, prova.
Desidero – anzi voglio – anzi pretendo – un cuore nuovo. Voglio il cuore limpido di Park Seonghwa, voglio intaccarlo, modellarlo, divorarlo, farlo a pezzi. All’inizio era forte, non mi attraeva, ora è debole, inerme, schiacciato dal peso delle regole, delle buone maniere, dell’educazione.
Trasgrediamo insieme, Seonghwa?
Vuoi raccontarmi di com’è morta tua madre?
Lo so benissimo, l’hai uccisa tu perché, dopo che è caduta dalle scale inciampando nelle sue lunghe vesti, odiavi vederla immobile a letto con quegli occhi che ti scavavano fin dentro l’anima, odiavi saperla indecisa tra la vita e la morte.
E poi sei scappato. Per un po’ Paura si è presa cura di te, è stata una buona compagna, ti ha condotto qui da me perché sa che saresti stato un valoroso amico. Devo ammetterlo, di solito mi stufo in fretta dei miei giochi, ma tu hai del potenziale, così come Chan molti anni prima di te. Un vero ragazzo prodigio.
Alle trombe ecco che si aggiungono i rulli dei tamburi, ecco che mi aggrappo al cuore del mio beniamino e mi sgranchisco le ginocchia, è molto tempo che non mi consente di fare una passeggiata al di fuori del suo piccolo mondo fatto di mattoni di ignoranza e gelosia.
Ecco, sarete impazienti. Vi prego, fate spazio, lasciatemi passare, la mia marcia deve cominciare.
È il trionfo della sfiducia, ad ogni mio passo un pezzo di Coscienza muore, un pezzo di Amore svanisce.
Ad ogni mio passo torno più forte, mi lecco le labbra, pregusto il sapore della vendetta, il mio corpo si fa d’acciaio e di lava, vibro di gioia mentre attizzo i muscoli del mio vecchio prediletto. Li sento schizzare, le vene pulsano, esplodono mentre corrodo ogni cellula e stillo in esse sete di sangue.
Park Seonghwa, mi piaci un sacco, solo tu sei riuscito a riportarmi in vita.
Sono con Chan di fronte alla porta della camera che non avete mai condiviso. Lui non ha armi con sé, ma gli basto io.
Sei sopravvissuto al demone di tua madre, al rifiuto della ninfa che ti piaceva, se sopravvivrai anche a questo allora prometto che verrò a farti visita e alla fine dei tuoi giorni ne rideremo insieme.
 
Per l’ultima volta, tua
Rabbia”
 
Che cosa c’era di strano nel lasciare che la propria migliore amica scrivesse le pagine del suo diario?
Che cosa c’era di strano nel lasciare che la propria migliore amica scrivesse le vicende della sua vita?
Rispondere sembra scontato.
Riformuliamo.
Per quanto tempo Rabbia ha vissuto nel corpo di Chan?
E per quanto tempo Chan ha vissuto nel corpo di Rabbia?
 
“Ho visto Seonghwa e Hongjoong che si baciavano.”
 
Era bastata quella semplice frase per scatenare la metamorfosi, per Chan non vi era stato nulla di più naturale, come per i bruchi e le farfalle. Quando Jaehyun si era fatto avanti e aveva confessato ciò a cui aveva dovuto assistere era semplicemente venuto spontaneo al biondo lasciare che Rabbia prendesse il suo posto al comando.
E dire che Hongjoong ci aveva messo così tanto a estirpare Lei e le sue propaggini dal trono che tanto facilmente avevano conquistato una decina di anni prima, approfittandosi del cuore sofferente di un bambino con troppe responsabilità. Da farfalla aveva preferito tornare bruco, aveva scelto di strisciare dolorosamente a terra alla ricerca di pace – o di qualche pauroso da cui essere malamente calpestato.
Può darsi che Jaehyun avesse provato a frenarlo, ma il gigante buono non aveva la forza per impedire all’amico ribelle di vendicarsi.
Avrebbe dovuto parlarne con Doyoung.
No, avrebbe dovuto parlarne con Hongjoong prima di lasciare che la rabbia di Chan prendesse il controllo su quest’ultimo. Gli venne il dubbio di aver frainteso, pregò di non aver frainteso perché guardò l’amico ribelle allontanarsi di corsa per arrampicarsi sulle scale gelate che lo avrebbero condotto dall’ignobile rivale e seppe – senza alcun dubbio – che uno dei due quella sera avrebbe vestito il sangue dell’altro.
Chan – Rabbia – si inerpicava esperto tra uno scalino e l’altro, avido di tastare la morbidezza delle ossa del nemico che, alla fine, aveva osato mettere le mani su ciò a cui lui teneva di più.
I muscoli tesi nello sforzo incorniciavano la sagoma possente e nervosa del desiderio di vendetta che prendeva rapidamente forma all’interno del suo cuore, si abbinavano all’irrequieto movimento degli occhi scattosi, alla zazzera nodosa che gli scivolava isterica lungo il capo, al sordo fragore che annebbiava la mente del soldato ferito. Le vene pulsavano sotto la pelle con forza, lo spingevano a correre, l’adrenalina che gli scorreva in corpo necessitava di essere spesa. E quale modo migliore di farne uso, se non irrompere nella stanza in cui avrebbe dovuto alloggiare con Seonghwa e chiudere il collo latteo del cadetto in una ferrea morsa dal sapore fatale?
Mani e piedi fremevano incontrollabilmente. Chan si chiese se sarebbe stato in grado di finire il lavoro, e si rispose di sì quando sentì distintamente la risata di Rabbia e quella di Seonghwa fondersi in un’unica stridente melodia.
“Mi vuoi uccidere adesso? Addirittura?” sibilò il più alto tossendo un paio di volte.
“È per Hongjoong. Lo hai baciato. State insieme?”
Chan sbatté il soldato contro la parete rocciosa.
“Mi piacerebbe, ma ci sei tu di mezzo. Ho provato ad avvicinarmi a lui, ma mi ha rifiutato” Seonghwa afferrò i polsi del più basso e invertì rapidamente le posizioni. Gli bloccò le mani contro la parete con una delle proprie, mentre con l’altra gli strinse il viso per fare in modo che lo guardasse negli occhi.
“Sei geloso da morire e non te ne rendi conto. Ci parli con il tuo fidanzato? Ci provi ad ascoltarlo? Ti fidi di lui o pensi che sia solo l’ennesima ninfetta pronta a sostituirti con ‘il prossimo cadetto’?”
Chan si dimenò, ma Seonghwa lo tenne buono assestandogli un veloce pugno allo stomaco. Il moro allora proseguì: “Perché io l’ho ascoltato, il tuo fidanzato, e mi ha detto che, certo, gli hai chiesto scusa, ma ha la costante paura che un giorno tornerai a chiedere una fidanzata. Sai com’è, dopo tutto quello che gli hai fatto passare all’inizio…”
Chan lo ripagò con la stessa moneta e sferrò una ginocchiata alle gambe dell’altro, ottenendo quel breve momento di vantaggio che gli permise di liberare almeno le mani. Afferrò il colletto della divisa del moro, e questi fece lo stesso con il suo.
“Tu non sai niente di me e Hongjoong” constatò Chan con voce greve.
“Ah… potevo aspettarmi battuta meno tragica dal re del dramma in persona, a questo punto? Non deludi mai. Sei divertente a volte.”
“Stattene zitto, Seonghwa! Non sono venuto qui per chiacchierare!”
“Ah no? Chissà perché pensavo che il tuo stupido ego ti avesse suggerito di venire a lamentarti anche con me” il moro emise una breve risata sardonica “Comunque, di te e Hongjoong penso di sapere abbastanza. Insomma, ti senti parlare? Non hai nemmeno il coraggio di definirvi un ‘noi’!”
Il tono beffardo di Seonghwa non poteva che alimentare la fame di Rabbia. Ormai si era messa in ghingheri, mancava poco al gran finale e non vedeva l’ora di mostrare il proprio abito ricamato d’odio e violenza in vista del suo ritorno in grande stile.
“Non capisco che cosa ci veda Hongjoong in te se devo essere onesto, nemmeno ti rendi conto di quanto tu lo abbia fatto soffrire da quanto sei arrivato qui. Non hai mai provato a comprenderlo, né a stare dalla sua parte. Se non gli avessi messo pressione con questa tua gelosia te lo avrebbe detto che l’ho baciato solo sulla guancia.”
Il moro sorrise con sprezzo: “Io gli sono stato accanto, tu in queste ultime due settimane non hai fatto nulla se non lagnarti. Se alla fine Hongjoong verrà da me non è per colpa mia o sua, Chan, ma solo ed esclusivamente tua.”
Dopo che quelle fatidiche parole furono pronunciate, Rabbia attese un secondo sull’orlo del precipizio assieme a Chan. Gli strinse la mano, lasciò che questi si rendesse conto che Seonghwa aveva semplicemente affermato la pura e crudele verità, e poi lo gettò nel vuoto e lo chiuse in se stesso.
Prese il sopravvento del suo corpo, vestì quelle severe spoglie che gli stavano così comode, pose la sua forza nei muscoli tesi delle braccia, nelle ginocchia, negli scattanti talloni. Si liberò in fretta dalla stretta del più alto e, senza vederci più, riversò ogni stilla della sua mostruosità sul compagno che, inerme, già si ritraeva in un angolo.
Seonghwa doveva chiudere la bocca, ed ecco che allora gli avrebbe dato volentieri una mano, due mani, un pugno, due pugni, e anche un paio di calci. Massacrò il suo viso strafottente e lo lasciò senza fiato a terra a sputare sangue. Ma ovviamente non era abbastanza. Il corpo di Chan poteva sprigionare una forza assassina inimmaginabile, quindi perché non usufruirne finché il suo reale possessore, in preda ai sensi di colpa, non era in grado di incatenarla di nuovo?
Prese a torturargli il ventre, lo stomaco, i fianchi. Se fosse riuscito a spaccargli il petto forse gli avrebbe fatto comprendere quale dolore aveva provato Chan nel sentire la falsa notizia del bacio da parte di Jaehyun. Un cuore spezzato per un cuore spezzato gli sembrava equo, che la metafora sussistesse in entrambe le situazioni non era poi così importante. Se Seonghwa fosse morto sarebbe bastato scappare via e portare la ninfa dai capelli rossi con sé. Sarebbero stati anche più felici che sapendo di doversi separare entro poco più di una settimana.
Seonghwa mugolava a terra, rantolava alla ricerca di aria, chissà quante costole il più basso gli aveva già frantumato. Era vero, aveva avuto un debole per Hongjoong dal primo momento in cui lo aveva conosciuto. Sapeva di essere attratto dai ragazzi, e quando la ninfa gli si era timidamente presentata il giorno del suo arrivo aveva pensato che gli piacesse. Poteva rispettare il fatto che il più basso fosse già impegnato – lo aveva capito solamente facendo attenzione a quanta dolcezza riponesse in ogni gesto rivolto a Chan – ma non sopportava che la sua ‘dolce metà’ assumesse dei comportamenti tanto irrispettosi nei suoi confronti. Aveva detto ciò che pensava a Chan, ed ora ne pagava le amare conseguenze. Soffocò nel proprio sangue, vide le stelle quando sentì la sua schiena spezzarsi sotto i colpi dell’altro – Chan aveva forse preso a colpirlo con uno degli sgabelli che tenevano in camera? – e poi, sconfitto, chiuse gli occhi e non vide più nulla. Sonno lo prese sotto la propria ala, come faceva tutte le notti, ma Seonghwa sapeva che forse quella volta sarebbe stato per sempre.

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Capitolo 14
*** 29 ***


29
 
Chan non aveva mai avuto tanto freddo in vita sua. Nemmeno le mani, che vedeva ancora ricoperte di sangue, riuscivano, sfregandosi tra loro, ad ottenere un calore da permettergli di riscaldarsi per più di un paio di secondi.
Aveva anche più freddo di quando Hongjoong lo obbligava a ‘meditare’ in cima alle montagne del Nord. Avrebbe dato qualsiasi cosa per riavere indietro quel gelo accogliente che, in fondo, aveva cominciato ad apprezzare, così come apprezzava la vita alle Fucine.
Ora, a quattro giorni di distanza dall’aggressione, Chan aveva potuto toccare con mano un freddo diverso.
 
Primo giorno.
 
Il freddo delle manette di Ferro niveo gli bruciava la pelle, segava i polsi come lava bollente. Qualcuno aveva chiamato i soccorsi per fermare l’assalto, ma non erano arrivati in tempo. Seonghwa era già a terra, gonfio, in una pozza di sangue.
 
Secondo giorno.
 
Alle manette sostituirono delle catene, alle catene una cella. Lo avevano fatto evacuare in fretta e furia dalle Fucine in stato di massimo allarme, si trovava di nuovo all’Accademia militare, nel suo vecchio campo di addestramento. Ormai era un criminale a tutti gli effetti.
 
Terzo giorno.
 
Trasferirono Chan alla Capitale in una carrozza blindata per essere processato. Crimine: aggressione.
Furono le maniere di coloro che lo scortarono ad essere fredde. Riconobbe il sogno di se stesso in quelle divise e si chiese se, prima o poi, anche a lui sarebbe toccato piegarsi alla stessa freddezza.
 
Quarto giorno.
 
Non fu la spoglia aula di tribunale militare a spaventarlo, né i modi superbi del giudice che lo condannò a quattro anni di reclusione e lavori forzati. Una pena severa per un cadetto, ma non intollerabile. Se avesse contribuito con una buona condotta ne sarebbe uscito con una fedina penale che gli avrebbe impedito di provare di nuovo ad arruolarsi, ma con abbastanza dignità da chiudersi in un villaggio sperduto tra le steppe dell’Est per riprendere la sua vita in mano e cominciare davvero a fare l’allevatore o il contadino come avrebbe voluto sua madre. Tornare a casa? Il pensiero lo angosciava. Non sarebbe riuscito a guardare in faccia né il genitore né le sorelle, esattamente come durante il processo non era nemmeno riuscito a sollevare lo sguardo verso Hongjoong.
“Ero con Park Seonghwa nel momento in cui Bang Chan lo ha attaccato, ci stavamo accordando sugli ultimi dettagli per il completamento del suo pugnale. Bang Chan non sopportava che io e Park Seonghwa fossimo amici, quindi non appena l’ho visto fare irruzione ho usato i miei poteri per mimetizzarmi nelle pareti della camera. Ho ascoltato una parte della loro conversazione, ma conoscendo Bang sapevo già come sarebbe andata a finire. Non ero sicuro che sarei riuscito a fermalo, quindi sono corso a cercare degli altri soldati. Essendo l’ora di cena sono dovuto volare dal secondo al primo livello, e poi ho rifatto lo stesso percorso al contrario con le guardie che mi hanno seguito, ma quando sono tornato Seonghwa era già a terra.”
Il giudice aveva disposto che anche il rosso deponesse la sua versione dei fatti in tribunale come testimone, la ninfa era quindi stata costretta a lasciare le Fucine per recarsi con una piccola scorta sino alla Capitale.
Chan, comunque, non aveva davvero bisogno di guardarlo in viso per sentir gravare sulle proprie spalle il fardello della delusione celata nelle iridi ghiacciate del fidanzato. La freddezza con cui aveva riportato l’ordine dei fatti lo spiazzava, lo faceva vergognare di se stesso.
Le guardie che aveva chiamato lo avevano steso con un paio di bastonate ben assestate sul capo, e poi era semplicemente stato trascinato via in fretta e furia. Non aveva mai potuto salutare la sua ninfa, spiegare il malinteso, scusarsi con lei, né fare lo stesso con Jaehyun, Doyoung e Taeyong.
 
Il quinto giorno fu quello in cui lo trasferirono nella cella che gli venne riservata nelle segrete del palazzo, un buco di due metri per due in cui stava appena appena sdraiato. Non che gli importasse dopo tutto. Trascorse la prima settimana rannicchiato su stesso in un angolo senza quasi toccare cibo né acqua, che ben volentieri cedeva ai suoi vicini di cella. Gli serviva del tempo per metabolizzare che cos’era effettivamente successo, o, meglio, che cosa lui era stato in grado di far capitare, e aveva presto compreso che cervello e stomaco non andavano molto d’accordo. Con il ventre chiuso dall’ansia, per un po’ gli venne meglio nutrirsi di soli pensieri.
La predizione di Seonghwa si era rivelata corretta, se ora si trovava lontano da tutti – dalla madre, dalle sorelle, dagli amici, dal suo fidanzato – altro non era che per colpa sua. Anche Rabbia che, con un roboante falò o una timida scintilla, lo aveva sempre riscaldato, ora aveva fatto le valigie dopo aver prosciugato il suo cuore. Spesso Chan si sorprese a piangere per lei, gracchiava con disperazione accucciato in un angolo dell’umido quadrato mentre, giorno dopo giorno, faceva la conoscenza di chi, invece, era davvero tornato a trovarlo. Solitudine, imperturbabile nel suo lungo manto di solido ghiaccio e fiera nella sua immensa stazza, incombeva su di lui con lo stesso sorriso con cui, da piccolo, Chan rapiva le mosche e staccava loro le ali, o giocava a sezionare le crisalidi prima che diventassero farfalle.

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Capitolo 15
*** epilogo ***


epilogo
 

[Giorno corrente, quattro anni dopo]

 
“Non ci credo che in un mese ti sono capitate tutte queste cose!”
“E che cosa ne guadagnerei ad inventare tutto, scusa?!” ridacchiò Chan di fronte all’espressione sconvolta di Hongjoong.
 
Dopo qualche impacciato convenevole (Ehi, beh come stai? Non ci si vede da un po’ – Già sono stato tre anni in carcere, sarebbe stato complicato beccarci…), la ninfa aveva optato per arrogarsi il diritto di sistemarsi sotto la stessa tenda del soldato per trascorrere la notte.
“Senti, lo sai meglio di me, girare di notte sul ghiacciaio è pericoloso anche per noi ninfe. Non ti fa niente se mi accampo qui con te, tanto, no?”
E come avrebbe potuto Chan dirgli di no? Era giunto fin lì per incontrare proprio Kim Hongjoong, nonostante non fosse ancora pronto ad affrontarlo. Era convinto che il grande momento sarebbe giunto la mattina seguente, invece eccolo lì condividere una cena frugale con l’intoccata giovinezza del rosso. Non un segno, non una ruga, Hongjoong, nella sua eterea e sbarazzina bellezza, pareva avere ancora diciannove anni. In quattro anni Chan invece aveva guadagnato cicatrici e collezionato indelebili graffi, vantava lividi sparsi su tutto il corpo. Non si guardava da un po’ allo specchio, e gli venne quindi spontaneo domandarsi se fosse ancora carino come gli dicevano ai tempi dell’apprendistato.
Quattro anni erano sembrati quattro secoli al soldato, ma parevano quattro giorni addosso all’aura fresca della ninfa.
Chan si chiese come avesse trascorso quegli ultimi mesi, era curioso di sapere di nuovo tutto di lui, di capire chi fosse diventato, ma, per la prima volta, sperimentò quel sentimento di timidezza che lo indusse a rimanersene zitto per tutta la cena. Gli anni di galera lo avevano incattivito. Non era più il Chan capace di flirtare anche con i sassi, aveva messo su una bella scorza da orso delle montagne di cui gli era difficile liberarsi.
Hongjoong, assorto nell’osservarlo mentre il maggiore estraeva della carne secca e delle gallette dal pesante zaino, fu il primo a rompere il ghiaccio.
“Ma adesso le sai rompere le uova?”
Chan ridacchiò e scosse il capo con una certa vergogna: “Beh, a romperle sono sempre stato capace. Non sono capace di farle cuocere senza che poi mi tocchi levare ogni pezzettino di guscio che cade nella padella, questo no.”
Hongjoong si aprì a sua volta in un sorriso e accettò intanto il cibo offertogli dal biondo: “Meno male. Almeno in questo non sei cambiato, pensavo di non riconoscerti più.”
“Ah… Lo so, ho qualche cicatrice in faccia che dovrò tenermi per tutta la vita” Chan fece spallucce e addentò con voracità un pezzo di carne, indicandosi poi con un dito la fronte per indicare uno degli spessi segni che gli era rimasto in seguito alla spedizione con Changbin e Felix.
“Non è solo questo.”
Hongjoong si rifiutò però di entrare più nello specifico e propose di rimandare le chiacchiere importanti a quando avrebbero finito di cenare: “Piuttosto, raccontami di che hai fatto in questo ultimo periodo. Ti hanno fatto uscire in anticipo, e non mi aspettavo di vederti tornare con l’uniforme addosso.”
“I superiori mi hanno graziato. Hanno visto i miei meriti in Accademia e mi hanno fatto una proposta che non potevo rifiutare: se avessi voluto continuare a militare nell’Arma sarei dovuto partire con un novizio e scortare lui e la Fonte della Felicità fino al Cratere dell’Anima. Mi avrebbero anche fatto uscire con un anno di anticipo. Ho accettato e… beh, sono successe un po’ di cose.”
“Raccontamele, mi sembra una bella storia” gli occhi di Hongjoong brillarono di curiosità, e il biondo non poté fare a meno di assecondare la sua richiesta.
Avrebbe voluto riassumere la vicenda, ma chiacchierare con la ninfa gli era mancato così tanto che iniziò piano piano a dimenticarsi di obliterare ogni apparentemente inutile dettaglio dalla sua narrazione. Hongjoong si sorprese nel vederlo tanto concentrato sul racconto, quasi si commosse quando Chan decise di spontanea volontà di soffermarsi anche sulle emozioni che lo avevano accompagnato per tutto il viaggio. Il vecchio Chan non era mai nemmeno riuscito a dirgli ‘ti voglio bene’ guardandolo dritto negli occhi. Vedere le labbra del coetaneo mimare parole come gelosia, paura, fastidio – e anche amore – per il rosso era una sorta di spettacolo proibito a cui non avrebbe mai pensato di assistere. Chan non riportava eventi, ma lucide sensazioni, vivide memorie di luoghi, odori, persone che lo avevano segnato per sempre. Le orecchie a punta del mezzelfo Hyunjin? Le aveva lì davanti agli occhi, così come il sangue del fratello adottivo Jeongin gli aveva punto gli occhi fino a fargli versare una piccola lacrima. Si sdraiò in mezzo alle coperte che Chan aveva portato con sé e quest’ultimo lo seguì, e poi continuò a raccontare. Hongjoong venne a conoscenza dei sogni del biondo, si fece accogliere per la prima volta nella sua testa, e un po’ si dispiacque di non essere il primo a perlustrare quel groviglio pulsante di dubbi e confusione di cui si era innamorato. Durante i mesi alle Fucine, prima dell’aggressione a Seonghwa, si era sempre preso il merito di aver ‘curato’ il fidanzato dalla chiusura mentale e dal bigottismo, ora si rendeva conto che – sotto quella spessa scorza di rabbia sotto cui non era mai riuscito a penetrare – giaceva un cuore sensibile che, provato dai mesi di privazioni nelle segrete del palazzo reale e dal distacco improvviso da tutti gli affetti, aveva ceduto, ancora una volta, alle tentazioni dell’invidia. Sì, Chan non osò mentire neppure sulla faccenda di Felix. Confessò di averlo amato, Hongjoong lesse nei suoi occhi come, di tanto in tanto, ancora pensasse alla brillante chioma color del grano che aveva sperato di accarezzare come faceva Changbin quando ancora viaggiavano insieme.
‘E a me? A me ci avrà mai pensato?’
Hongjoong non aveva il coraggio di domandarglielo, di scavare ancora in fondo al suo cuore per avere le risposte che cercava ormai da anni. Lasciò che Chan si tacesse, poi, con una piccola risata, scrutando il vasto cielo primaverile sopra di loro, espresse tutta la sua incredulità: “Non ci credo che in un mese ti sono capitate tutte queste cose!”
“E che cosa ne guadagnerei ad inventare tutto, scusa?!”
La ninfa scosse il capo e voltò lo sguardo verso di lui. Volle prendersi un secondo per osservare bene il suo viso: ora Chan portava i capelli leggermente più lunghi di quando si erano incontrati per la prima volta, forse per nascondere meglio quelle rigacce profonde che aveva lasciato che gli scalfissero il viso. Ne aveva proprio tante di cicatrici, magari piccole, magari quasi invisibili, ma non insignificanti. Ognuna di essa componeva un pezzo del grande puzzle che era stata la vita di Chan, e per una volta il rosso aveva davvero voglia di impegnarsi nel ricostruirlo, se il coetaneo gliel’avesse permesso.
“Chan… Lo sai che, ufficialmente, io e te siamo ancora fidanzati?”
Chan parve realizzarlo solo in quel momento: dopo l’accusa, l’arresto, il processo e il suo conseguente imprigionamento non avevano avuto alcun modo di raggiungersi per parlarsi e rompere ufficialmente il loro legame.
“Oh… Hai ragione. Beh, in questo caso, mi sa che ti ho tradito” Chan si mordicchiò con ansia il labbro inferiore, finché il rosso non ammise con un’altra risata: “Anche io.”
“Anche tu mi hai tradito?!”
Hongjoong non ebbe paura della sua reazione, colse all’istante quel velo di ilare tranquillità che traspariva ampiamente dal tono – e dagli occhi sereni – del soldato. Era in pace con se stesso, aveva prosciugato ogni grammo di invidia, ogni granello di rabbia che lo aveva tormentato fino all’anno precedente, e ora si preparava a terminare la sua fortunata convalescenza. Hongjoong comprese che Chan era riuscito a riparare il suo cuore da solo, e fu incredibilmente fiero di lui.
“Già, sono arrivati certi cadetti niente male, sai? E me ne sono capitati alcuni decisamente aperti a nuove esperienze.” replicò la ninfa con lo stesso accento “E poi… Beh, potrei aver provato ad alleviare le pene di un tuo vecchio amico dopo qualche bicchiere di birra di troppo, ma non è stato granché.”
Chan spalancò gli occhi, allarmato: “Doyoung? Jaehyun?! Oppure Taeyong?!”
“Parlo di Seonghwa, ero sarcastico!”
Se Chan aveva avuto la forza di parlargli di Felix allora a lui toccava ammettere che sì, una volta a letto con Seonghwa alla fine ci era andato davvero. Il biondo lo guardò con il fiato sospeso – Hongjoong lo vide intristirsi di colpo – ma poi scosse di nuovo il capo. Cercò una risposta adeguata nel suo vecchio repertorio, ma tra un’imprecazione ed il silenzio tornò a preferire il secondo. Hongjoong corse in suo soccorso, ci teneva a specificare com’erano andate le cose.
“Seonghwa ci ha messo un bel po’ a riprendersi, Chan. È guarito, ma non completamente. All’inizio non camminava, e quando l’ho visto per l’ultima volta, senza un appoggio non riusciva che a fare il giro di un paio di stanze. Gli elfi che lo hanno curato hanno detto che è stato decisamente fortunato a non essere rimasto completamente paralizzato. Gli hanno anche messo un occhio di vetro. Il… il sinistro era inutilizzabile.” il rosso scrollò le spalle “Ma non è questo il punto. Io… mi sentivo in colpa, Chan. Ti ho accusato subito e mi sono preso cura di lui fino a quando non gli hanno tolto anche l’ultima stecca e gli ultimi punti di sutura, ma ho continuato a sentirmi in colpa verso entrambi perché sono stato stupido a non dirti nulla di quel bacio, anche se era solo sulla guancia. Ho contribuito a portarti all’esasperazione, ma con te non potevo scusarmi, quindi ho cercato di rimediare così con lui. Non è andata molto bene, non ero a mio agio e lui lo ha capito. Quando i medici gliel’hanno permesso semplicemente se n’è andato e abbiamo promesso di non rivederci più.”
“Mi dispiace che non sia andata bene” sospirò semplicemente Chan “Avevate molto in comune, non sareste stati una brutta coppia.”
“E a me dispiace che Felix si sia rivelato uno stronzo,” replicò la ninfa con un sorriso timido “è stato qui non molto prima che nascessi e tante ninfe lo ricordano come uno a posto.”
“E Doyoung, Jaehyun e Taeyong?”
“Ogni tanto li rivedo” Hongjoong posò gli occhi sulle mani di Chan e, istintivamente, ne prese una tra le proprie per giocherellare con le sue dita. Ne incrociava un paio con facilità, ma gli spessi calli gli impedivano di sovrapporne ad essi un terzo. Era un’abitudine che pensava di aver perso.
“Jaehyun e Doyoung vengono qui in licenza due o tre settimane all’anno, entrambi sono riusciti a farsi assegnare alla stessa divisione. Lavorano non molto lontano, ad un paio di paesini di distanza da quello che sta a valle delle Fucine. La prossima volta che li vedrò racconterò che stavolta sei venuto tu a trovarmi.”
Chan recuperò il sorriso e stette a guardare con quale riguardo il coetaneo gli accarezzava le dita per tentare, una volta per tutte, di annodarle tra loro come era capace di fare con le proprie. Liberò quindi con gentilezza la mano dalla stretta del rosso e la poggiò sul suo viso. Era più bello di Felix? No, nessuno sarebbe mai stato tanto bello quanto Felix, ma, allo stesso modo, nessuno sarebbe stato tanto reale quanto Hongjoong.
“Hongie, posso chiederti una cosa?”
Hongjoong non fece nemmeno caso all’odioso soprannome, si limitò ad annuire con occhi lucidi di interesse.
“Ma a te, di me, che cos’è piaciuto davvero?”
Lo spettro di Seonghwa lo aveva perseguitato nelle lunghe notti in bianco trascorse in compagnia di se stesso nella sua ripugnante, umida celletta, aveva modellato i suoi pensieri all’infinito, fino a quando un unico dubbio non era giunto a sezionargli la testa con crudeltà: ‘Ma tu, gli sei davvero mai piaciuto?’
Hongjoong non esitò a rispondergli con calma eterea: “Credo un bel niente, sai? Pensavo che mi piacesse il modo in cui battibeccavamo, o il fatto che nessuno dei due sapesse davvero cavarsela in cucina, ma ora… Ora mi rendo conto che forse abbiamo corso un po’.”
Chan annuì, sebbene la piega che stava prendendo quel discorso non gli piacesse davvero così tanto. Avvertì un nodo in gola, dovette sforzarsi di non farsi prendere dal panico. Dopo avergli parlato tanto apertamente di Felix era normale che Hongjoong ammettesse di non voler più a che fare con lui, e dopo tanti anni lontani non era nella posizione di avercela con lui.
“Mi sarebbe piaciuto vederti tanto tempo fa” riprese la ninfa “Ma non so se sarebbe stata la cosa giusta. Penso che, se ci fossimo incontrati prima di adesso, probabilmente non avrei nemmeno voluto parlarti. Odiavo il fatto che fossi tanto possessivo con me, odiavo anche il fatto che fossi possessivo e, nonostante ciò, io continuassi a sentirmi in difetto perché all’inizio speravi in una ninfa femmina. Dicevo a te che eri insicuro ed io ero il primo a sentirmi così. Se non avessi avuto paura di te ti avrei detto subito che Seonghwa ci stava davvero provando con me. Ho voluto strafare come al solito, eh? Alla fine abbiamo fatto casino entrambi, e la cosa che mi dà fastidio è che l’ho capito solo in questo esatto momento.”
Hongjoong si strinse su se stesso ed abbassò lo sguardo: “Ero convinto che lo scemo della coppia fossi tu, che saresti stato sempre un passo dietro di me. Volevo rivederti solo per accusarti di nuovo di essere un bambino, e invece… E invece guardati. Sei cresciuto, Chan, quasi non ti riconoscevo. Sai che cosa mi piace di te? Mi piace che in quattro anni sei cresciuto davvero, hai compreso che cosa ti fa stare bene, o male, che cosa ti piace, che cosa vuoi fare. Sei venuto fin qui a cercarmi perché hai avuto il coraggio che non ho avuto io finora, quello che mi sarebbe servito per lasciare casa mia e venire alla Capitale per te, anche solamente per levarmi lo sfizio di insultarti. Mi piace che, dopo quattro anni, riesco a parlare con te come se ci fossimo salutati l’altro ieri. Mi piace che sei sincero, con me e con te stesso. E mi dispiace che mi ci siano voluti quattro anni per capirlo.”
Chan restò immobile per qualche secondo, stupito dalle parole dell’altro. Non si erano mai detto ‘Ti voglio bene’, nessuno dei due era mai nemmeno stato sfiorato dall’idea di accennare ad un ‘Ti amo’, e, ora come tre anni prima, si chiesero entrambi se ne avessero mai avuto bisogno.
A Chan non piaceva nulla di Hongjoong.
A Hongjoong non piaceva nulla di Chan.
Ad entrambi, in fondo, era sempre e solo piaciuto che cos’erano insieme, anche se, insieme, probabilmente non ci sarebbero tornati in quelle due settimane di licenza concesse al soldato. Serviva tempo per maturare, per riuscire a dar nome e voce a quella forza che li spingeva – ancora una volta – uno verso l’altro; il bozzolo di coperte che avrebbero condiviso quella notte avrebbe tenuto al caldo il loro sentimento.
“Di te mi piace che sei di nuovo con me.”
Era una frasetta sdolcinata da commediola romantica di quart’ordine? Pazienza, Hongjoong sapeva già che Chan possedeva il mitico superpotere di trasformarsi nel re del dramma a suo piacimento. Glielo disse appena prima di cadere addormentato, voleva incidere la mutevolezza del suo carattere nel nuovo pugnale che avrebbero costruito insieme. Voleva fare della sua dolorosa metamorfosi un monito per se stesso, e Hongjoong acconsentì allora ad imprimere sull’elsa uno di quei disegni che teneva chiusi all’interno del suo rifugio sul versante proibito della montagna. Stretti nel pugno di Chan o serrati nel fodero alla sinistra del suo petto, due finissimi uomini con le ali di farfalla avrebbero danzato nell’alba placida che ora finalmente albergava nel cuore del soldato.
 
Quando, la mattina seguente, Chan si svegliò, notò che Hongjoong, accucciato accanto a lui – tutto stretto in una delle sue folte pellicce – tratteneva un delicato sorriso mentre fingeva di nuovo di dormire. Seppe allora che ogni cosa si era trasformata, che nulla era cambiato, e che tutto era migliore.


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Non scappate, tra qualche giorno pubblicherò ancora un capitolo speciale ^^

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Capitolo 16
*** capitolo speciale - libellule: c'era una volta ***


libellule: c'era una volta


[Mese di aprile, Fucine di Ghiaccio, Regione Nord]
 

“Jae…”
“Mh?”
“Ma a te, lei quanto piace?”
Jaehyun virò il capo verso Doyoung con sguardo interrogativo. Il maggiore piegò le labbra con fare furbesco e si sporse verso di lui con la medesima espressione che sua prozia sfoggiava alle cene di famiglia nello stesso momento in cui lui accidentalmente finiva per lasciarsi sfuggire un qualsiasi nome da ragazza. Ogni volta gli veniva posta la medesima domanda: “E la fidanzatina?”. Anche Doyoung spettegolava volentieri, sarebbe andato d’amore e d’accordo con sua prozia. Quando entravano in Modalità Pettegolezzo assumevano entrambi lo stesso tono comicamente insinuante.
“Ya, lo sai che parlo di Tae! Non fare il finto tonto” lo canzonò Doyoung, rifilandogli una gomitata scherzosa “Ti sei pettinato prima di uscire, per non parlare del fatto che hai anche sacrificato i vestiti che tua madre ti aveva lasciato da tenere puliti e intonsi fino al diploma. È pa! Le! Se! Che tu voglia fare colpo!”
Jaehyun rise per la maniera in cui il più grande aveva scandito quell’ultima frase e scosse il capo: “Non volevo fare il finto tonto, semplicemente mi stavo chiedendo in che modo potessi provare a quantificare quanto mi piace.”
Il maggiore allungò le labbra in un tenero broncio: “Ma che carino! Non pensavo che sotto tutti questi muscoli ci fosse un animo tanto coccoloso!”
Jaehyun arrossì immediatamente. Poteva vantare una stazza imponente e, nonostante fosse ancora un cadetto, sbaragliare da solo una decina di uomini senza affaticarsi, ma quando Doyoung gli rivolgeva un complimento di quel genere non era in grado di fare nient’altro che imbarazzarsi come accadeva di fronte ai parenti quando doveva ammettere che era troppo timido per avercela, quella fidanzatina che cercavano sempre accanto a lui.
Doyoung ridacchiò con una certa dolcezza, notando l’imbarazzo che aveva investito le sue guance, e allungò una mano per scompigliargli leggermente i capelli: “Ecco, così comunque stai molto meglio. Ti dà quella verve da homme fatale che farà sicuramente cadere Tae ai tuoi piedi.”
Jaehyun sollevò gli occhi al cielo, ma si concesse un sorriso: “Continuo a non capire nulla del tuo strano dialetto, ma a una cosa, comunque, ci sono arrivato. Anche a te piace Tae.”
Doyoung si illuminò in viso e annuì. Appoggiò un gomito sul tavolo e adagiò il capo sul braccio, guardando Jaehyun attraverso la superficie ruvida del bicchiere vuoto poggiato di fronte a lui. Il vetro, appena appena sgrezzato, restituiva al corvino un’immagine distorta – parecchio buffa – dell’amico dai capelli mossi color caramello. Il primo rise piano e afferrò il bicchiere, per poi portarselo di fronte ad un occhio e fingere di utilizzarlo come una sorta di cannocchiale: “Ah! Così sei proprio più brutto, sai?! Se Tae ti vedesse così penso che avrei finalmente più speranze io di te!”
Jaehyun scosse il capo, improvvisamente più serio: “Avevamo detto che, se fosse piaciuta a tutti e due, sarebbe stata di entrambi o di nessuno…”
“… A patto che lei abbia intenzione di starci, con entrambi, ovviamente.”
“Ovviamente.” puntualizzò il più alto.
Calò il silenzio, ma Doyoung, sebbene con voce più prudente ed un’espressione più cauta dipinta in viso, non ci impiegò molto a romperlo: “Senti Jae… Ma a te sta bene davvero questa cosa? O entrambi o nessuno, intendo. Se… Se Tae ti piace davvero così tanto posso farmi da par-”
“Mi sta bene, te l’ho detto” Jaehyun tornò a sorridergli con la stessa pacatezza che lo contraddistingueva “Non è qualcosa che farei con altre persone, ma con te è okay, dico davvero.”
Anche Doyoung tornò allora a sorridere con entusiasmo e, illuminato di vivida adrenalina, domandò con occhi giganteschi, ricolmi di aspettativa: “Allora… stasera?”
“Stasera, aggiudicato” Jaehyun gli batté il cinque e si lasciò scappare una breve carezza sui capelli di dall’altro, come a compensare a quella che lui aveva ricevuto giusto cinque minuti prima.
“Oh, guarda, Tae sta tornando! Andiamole incontro, così intanto paghiamo.”
Jaehyun e Doyoung erano arrivati alle Fucine da un paio di settimane e, a differenza di Chan, non avevano proprio nulla di cui lamentarsi della loro ninfa. Tae poteva inizialmente apparire distante, gelida – e forse quasi snob o arrogante – se non la si conosceva, il perfetto contrario della furia rossa con cui il loro basso migliore amico aveva instaurato un odioso rapporto di noiosissima ed infantile guerriglia. Tae, comunque, non ci aveva messo molto a lasciare che i suoi due allievi si rendessero conto della dolcezza di cui, in verità, la sua anima era pregna. Anche lei, che esibiva un carattere decisamente introverso, come Jaehyun possedeva una rara timidezza che aveva fatto capitolare entrambi dopo pochi giorni. Il suo animo gentile, nonostante il gelo del ghiacciaio, a cui ancora non erano abituati, li aveva letteralmente fatti sciogliere. Erano tuttavia consapevoli del fatto che non sarebbe potuta durare, proprio per questo motivo stava bene ad entrambi cercare di conquistarla insieme. Non volevano che la loro amicizia finisse per disintegrarsi per una qualche forma di gelosia o di malessere che uno dei due avrebbe potuto iniziare a provare nei confronti dell’altro. Doyoung diceva che era una legge non scritta, ‘gli amici vanno sempre prima delle ragazze’, ma Jaehyun non lo capiva. Tae gli piaceva da matti, Doyoung era la persona a cui voleva più bene in assoluto, se si fossero messi insieme forse ci sarebbe rimasto male per un po’, ma sarebbe stato contento di vederli felici insieme.
Sempre ammettendo che Tae ricambiasse, ovviamente.
Ma come diceva sempre sua prozia: “Sei così un bel matòt che nessuna ragazza può permettersi di bidonarti!”
Sperava davvero di essere ‘un bel matòt’. E sperava anche che Tae si accorgesse della sua – a quanto pareva, evidente, ora che aveva i capelli tutti scarmigliati – verv da om fatal. Doyoung dava sempre ottimi consigli: se sapeva guidarlo attentamente nella scelta di un gusto di gelato piuttosto che di un altro, perché non avrebbe dovuto affidarsi a lui anche per quanto riguardava il suo aspetto?
Quella sera erano usciti tutti e tre insieme, Tae aveva insistito per portarli in una delle poche locande al primo livello che – a detta della ninfa – ‘non puzzavano troppo di soldato’. Voleva ringraziare i suoi allievi per l’impegno che stavano mettendo nello studio e negli allenamenti e aveva deciso di regalare loro una serata in amicizia, lontano dalle bettole in cui solitamente i soldati più anziani si intrufolavano per snocciolare ai compagni le perverse fantasie che cullavano ogni notte i loro sporchi sogni. Doyoung e Jaehyun avevano accettato immediatamente, e alla ninfa aveva fatto piacere notare con quanto entusiasmo si fossero presentati quella sera al luogo del ritrovo, entrambi lavati e rimessi a lucido solamente per lei (di questo, almeno, più che esserne certa, lo sperava).
Dopo un paio di ore trascorse a bere e a scherzare in tranquillità, Tae si era assentata per andare un momento in bagno, e i due cadetti avevano messo bene in chiaro che, sì, entrambi impazzivano per la loro maestra e quella sera le avrebbero chiesto di terminare la nottata nella loro stanza. Jaehyun e Doyoung offrirono un giro a testa, nonostante le lamentele della ninfa che, volendo rivendicare il suo diritto di padrona di casa, sosteneva di voler pagare per entrambi.
“Lasciate almeno che vi riaccompagni al dormitorio! Siete brilli tutti e due, non voglio che scivoliate su per le scale!”
Jaehyun e Doyoung si scambiarono un sorriso d’intesa ed alzarono le mani in segno di resa.
“Va bene, va bene…” iniziò il primo, per essere poi interrotto dal secondo “Ma solo se ti fermi a dormire da noi. Di spazio ne abbiamo, e comunque anche tu sei mezza ubriaca.”
Tae alzò gli occhi al cielo, ma li precedette fuori dal locale. Accennò ad un lieve: “Vediamo…”, ma i due cadetti sapevano già che non avrebbero dovuto insistere poi molto con lei. Certo, c’era la possibilità che Tae non ricambiasse i loro sentimenti, ma non aveva mai dato l’impressione di non essere affatto interessata a loro. L’unica incognita rimaneva: sarebbe stata disposta ad uscire con entrambi nello stesso momento? Beh, lo avrebbero scoperto presto.
Salirono in fretta al secondo livello, traballando appena, e in una decina di minuti giunsero di fronte alla porta della stanzetta in cui le due reclute dimoravano. Jaehyun tirò fuori le chiavi dalla tasca dei pantaloni e le infilò nella serratura, per poi aprire la porta ed accennare ad un lieve inchino mentre, con un sorriso, invitava la ninfa a farsi avanti nell’umile celletta.
“La suite è a vostra disposizione, madame” annunciò Doyoung, che chiuse la fila ed entrò nella stanza subito dietro di lei “Io e Ser Jaehyun saremo felici di avvicinare i nostri materassi per permetterle di alloggiare in maniera più confortevole.”
Jaehyun si chiuse la porta alle spalle e raggiunse l’amico, che intanto aveva iniziato a trascinare una delle due brande sul pavimento, e lo aiutò a sollevarla per farla aderire all’altra. Risistemò le coperte di entrambi in modo che coprissero tutti e due i materassi e diede una scrollata ai cuscini, ancora malmessi dalla levataccia della mattina.
“Prego, la camera è finalmente pronta per accoglierla, mamame” stabilì quindi il ragazzo dai capelli mossi, cercando di imitare l’accento e il dialetto del corvino, che ridacchiò appena, intenerendosi, per il piccolo errore di pronuncia del più alto.
Tae arrossì per la gentilezza dei suoi studenti e mise subito le mani avanti, ammettendo con tono dolce: “Ah… Non c’è il caso di essere così formali con me, non dopo stasera poi!”
Doyoung si avvicinò a lei e, con delicatezza, dopo aver atteso un cenno d’assenso da parte sua, ne avvolse i magri fianchi con un braccio e la accompagnò a sedersi sul letto, proprio in mezzo tra lui e Jaehyun.
“E perché mai non dovremmo?” replicò quindi il maggiore con un sorriso.
“Sei nostra amica, vogliamo prenderci cura di te come hai fatto tu in queste due settimane” rincarò subito il più alto. Quest’ultimo prese coraggio e allungò – appena appena tremolando – una mano verso il suo viso per scostarle un paio di ciocche ribelli dalla fronte. Sospirò di sollievo notando che la ninfa non pareva stupita dal gesto, anzi, ne era quasi rincuorata.
Tae scosse il capo: “Io? Mi fa piacere essere stata assegnata a voi, tra tutti i cadetti a cui ho fatto da maestra per ora siete i miei preferiti.”
Doyoung si aprì incontrollabilmente in un gigantesco sorriso e le diete una spallata amichevole: “Scommetto che lo dici a tutti in queste situazioni.”
“No…” Tae ridacchiò e si voltò verso il corvino. Nonostante l’espressione che Tae aveva dipinta in viso non restituisse che il ritratto di un animo gentile, dietro di essa si intravedeva ora una sottile vena di durezza, forse di amarezza “Non lo dico a tutti, è ovvio. Siete davvero i miei preferiti, se non lo foste stati non vi avrei mai seguito fin qui.”
Tae non mentiva, e in fondo che motivo avrebbe avuto per farlo? Avrebbe potuto continuare a mostrare solamente quel lato tanto distaccato che di solito sfoggiava con tutti gli altri cadetti, sarebbero trascorsi altri tre mesi a fingere di essere una persona completamente differente e non avrebbe corso il rischio che loro la ferissero. Inutile dire che invece, così come aveva colpito Doyoung e Jaehyun, loro avevano colpito la ninfa. Solitamente i due cadetti finivano per farsi la guerra per finire nelle grazie della maestra, alle sue nuove reclute invece parevano non interessare affatto la gelosia e i battibecchi. Era palese che si volessero bene, e improvvisamente anche lei aveva voglia di far parte del loro trio.
Jaehyun distolse Tae dai suoi pensieri per ammettere con la solita impacciata timidezza: “Vale anche per noi, Tae. Non conosciamo molte altre ninfe, ma sia io che Doyoung siamo convinti che non avremmo potuto avere maestra migliore di te. E… E ti vogliamo ringraziare”
La recluta più giovane rimase immobile per un solo secondo a rimuginare, ma quando si chinò finalmente sulla ninfa per regalarle un breve bacio su una guancia si premurò di essere allo stesso tempo cortese e determinato. Desiderava davvero che Tae comprendesse la sincerità dei sentimenti che sapeva di nutrire nei suoi confronti.
A Doyoung venne spontaneo aprirsi nuovamente in un sorriso, con il cuore a mille a causa della tenerezza immensa che quella scena aveva sprigionato. Trascinato dal coraggio di Jaehyun – e dal frastuono che quelle farfalle maledette di cui tanto parlavano nei libriccini provocavano nel suo stomaco – per una volta chiuse la bocca e si avvicinò a sua volta al viso di Tae per imitare il migliore amico. Scoccò un bacio delicato sulla pelle candida della ninfa, si lasciò trasportare e osò sfregare con delicatezza la punta del proprio naso contro la guancia di lei, per poi risalire leggermente e baciarle ancora una tempia. Si separò da lei a malincuore, distolse per un momento lo sguardo per puntarlo sul migliore amico e si rilassò del tutto nello scoprire che Jaehyun, ancora rosso di adolescenziale imbarazzo, gli sorrideva a sua volta.
Entrambi si voltarono quindi verso Tae, che, con timido tono di voce, ammise: “Mi piace… Mi piace questo modo di ringraziarmi.”
La ninfa aveva dato il suo segno d’assenso, i due cadetti non aspettavano altro. Doyoung ci teneva parecchio a ricevere un consenso esplicito da lei, Jaehyun lo sapeva. Il maggiore aveva la verv da genio ribelle, era capitato che desse filo da torcere anche ai superiori con quella sua lingua tagliente che, solitamente, sguinzagliava per mettere a tacere le frequenti lamentele di Chan. Ora, invece, quasi non lo riconosceva nella gentilezza delle carezze che aveva preso a regalare alla maestra. Ora, in fondo, quasi nemmeno riconosceva se stesso, né i propri pensieri. Jaehyun faticava a scindere cuore e cervello, era una fortuna che in quell’istante, quando sentì i corpi di Tae e di Doyoung aderire meglio al proprio in un soffice abbraccio, entrambi gli dicessero una cosa sola: “Qui, proprio qui con te, adesso, ci sono le persone più importanti della tua vita.”
Doyoung fu il primo a sporgersi verso Tae per stringere il suo corpo sottile in un forte abbraccio. Per un attimo dimenticò la dolcezza e si lasciò semplicemente trasportare dalla gioia del momento, si spinse contro la sagoma della ninfa e la portò a sbattere contro il petto dell’altro cadetto, che chiuse entrambi in una stretta morsa con le sue braccia lunghe. Tae scoppiò in una risata, ricambiò gli abbracci, godette dei leggeri baci che le due reclute avevano ricominciato a disseminare sul suo viso e ne ricambiò diversi. Accarezzò a sua volta, si lasciò accarezzare, e per un istante sembrò che fosse tutto incredibilmente perfetto. Aveva fatto bene a fidarsi di loro, avvertiva il fragore di quei sentimenti che da lì a poco tutti e tre avrebbero confessato e se ne voleva inebriare fino ad annegarvi, sebbene sapesse perfettamente che la robusta corazza che si ostinava ad indossare non avrebbe permesso al suo vero io di nutrirsi di quell’agognato affetto fino a sazietà.
Tae aveva la verve della ninfa a strati.
Tae, per la precisione, ne aveva tre, di strati.
In superficie vi era Tae, l’aristocratica ninfa dallo sguardo tagliente.
Appena sotto comparivano la sua premurosità, la semplicità, la timidezza, la graziosità del suo essere.
Sul fondo, nascosto sotto ammassi di bugie, brillava, debole e testardo, Taeyong, l’essenza di Tae, la stupenda ninfa dalle fattezze maschili che da tempo sapeva di essere. Più Tae si ostinava a seguire il suo cuore, più Taeyong, che finalmente vedeva uno spiraglio di luce, spingeva per uscire dalla tana in cui si era visto rinchiudere per più di vent’anni. Ogni piccola effusione che Tae riceveva lo aiutava a scalare il muro che lo separava con violenza dal mondo esterno, ogni tocco, ogni – pur leggero – sfioramento gli suggeriva che era giunta l’ora di rivelarsi.
La ninfa non se ne rese nemmeno conto, finché Doyoung e Jaehyun ci erano andati piano non aveva avuto paura di illuderli, ma quando uno dei due aveva raccolto il suo viso con il palese intento di baciarla anche sulle labbra era scoppiata in lacrime.
Entrambe le reclute erano scattate indietro all’improvviso, temendo di aver commesso un passo falso. Sia Doyoung che Jaehyun erano convinte che Tae fosse d’accordo con le loro intenzioni, avevano forse interpretato male i suoi segnali? Poteva anche darsi che avesse cambiato idea, Doyoung non aveva tenuto in considerazione che avrebbe potuto essere un problema il fatto che né lui né l’amico avessero alcun tipo di esperienza.
“Tae, ci dispiace…” iniziò il corvino mettendo le mani avanti. Si scostò leggermente più a sinistra per lasciare alla ninfa il suo spazio, Jaehyun fece lo stesso in maniera simmetrica. L’amico aveva addosso uno sguardo mortificato.
Tae scosse il capo, mugolò un debolissimo ‘non è colpa vostra’ con voce abbattuta, senza tuttavia riuscire a fermare i singhiozzi. Voleva almeno riuscire a far cessare quel penoso tremolio alla voce che non gli permetteva di esprimersi come avrebbe voluto. Ora che aveva rovinato l’atmosfera sapeva di dovere delle spiegazioni ad entrambi, desiderava far conoscere almeno a loro ciò che davvero sentiva di essere, perché non aveva intenzione di far più sfiorare loro in alcun modo quella debole carcassa femminea che la società lo costringeva a portarsi appresso.
Alla fine, più che con le parole, che vigliaccamente restavano aggrappate in fondo alla gola, confessò il suo grande segreto con i fatti. Si levò di dosso la spessa pelliccia che aveva indossato quella sera, lasciò che si intravedessero le spalle e le braccia nude da ragazza per un’ultima volta. Scoprì i fini tatuaggi, non guardò nient’altro che quei fitti grovigli di rose – simboli nemmeno troppo improbabili dei garbugli annidati nella sua anima – e lasciò che il suo Dono scorresse all’interno delle proprie ossa per liberarsi dell’odioso contenitore. In un solo secondo i capelli color neve si accorciarono, le spalle presero vigore, il petto e i fianchi si appiattirono e le gambe si allungarono per dare spazio, finalmente, all’idea di bellezza che la ninfa aveva sempre avuto in mente per sé.
Era la prima volta che Taeyong si mostrava a qualcun altro, ed era solamente la seconda che si mostrava a se stesso. La prima lo aveva traumatizzato, conscia di non poter godere di quella sensazione di comodità e giustezza per tutta la vita, la ninfa aveva preferito non rivederlo mai più. Negare se stesso aveva portato Tae quasi alla follia, ma la sensazione di calzare a pennello in quel corpo agognato, ora, era così appagante da riuscire anche a farlo smettere di piangere.
Singhiozzò ancora per qualche secondo, si asciugò le guance da solo, ne approfittò per accarezzare gli zigomi che ora erano ancora più pronunciati, ma non riuscì a sollevare lo sguardo verso Doyoung e Jaehyun. Era certo di aver deluso le loro aspettative, erano probabilmente convinti di passare la serata con una meravigliosa ninfa e ora si ritrovavano invece con uno scherzo della natura con problemi di autostima.
“È a me che dispiace” spezzò il silenzio con un secco sospiro “Non volevo più farvi perdere tempo. Io sono così. Non mi va più che vediate un corpo che non mi appartiene.”
Attese una reazione da parte dei suoi allievi, ma non vedendola arrivare si persuase di aver fatto male a fidarsi di loro fino a quel punto. Sopraggiunse la vergogna, e l’ansia assieme ad essa, così, sempre a capo chino, non volendo scoprire quali fantasiose smorfie di disgusto i loro visi avevano adottato, scattò in piedi e cominciò a dirigersi verso l’uscita.
Fu un peccato che non fosse abbastanza temerario da scoprire che, in verità, tutto ciò che le espressioni di Jaehyun e Doyoung tradivano era evidente sorpresa. Tuttavia, allo stesso tempo, fu una fortuna che quest’ultimo di coraggio, invece, ne avesse ancora da vendere.
Doyoung si riscosse in fretta e si allungò per stringere il polso di Tae. Raggiunse la magra silhouette del ragazzo, e non poté non prendersi un secondo per ammirare la bellezza quasi sovrannaturale dell’altro. Era convinto che la versione femminile di Tae rappresentasse un ideale irraggiungibile, ora, di fronte a quella maschile, la prima non appariva che una pallida copia della seconda. Non che, a livello oggettivo, ci fossero davvero così tante differenze tra una e l’altra, viste insieme potevano dare l’impressione di essere fratello e sorella, ma Doyoung – che aveva studiato un paio di anni da novizio in una casa di Filosofi – aveva notato immediatamente quanto l’anima di Tae meglio si adattasse al taglio delle asciutte forme virili: anche nel piangere, ora, la ninfa appariva semplicemente più viva, incredibilmente più vera, e finalmente, come nei sogni che aveva preso a fare di notte, poteva essere vicina, tangibile.
Monsieur, siete così bello.”
Non rinunciò alla formalità che gli aveva promesso, corresse l’appellativo (e un po’ si dispiacque al pensiero che Jaehyun avrebbe dovuto imparare una parola più difficile di madame) e non si fece sfuggire l’occasione di sollevargli il viso con due dita per correre infine a strappargli quel bacio sulla bocca che aspettava da tutta la sera. Non fu nulla di eccessivo, stampò le sue labbra su quelle dell’altro e lasciò che la gioia di averlo lì con lui fluisse attraverso il contatto. Si separò dopo alcuni secondi, appena in tempo per riuscire a raccogliere l’ultimissima lacrima dagli occhioni ricolmi di stupore del ragazzo che gli piaceva. Riusciva a scorgere in essi centinaia di domande, migliaia di ‘se’ e di ‘ma’, eppure non fu necessario nemmeno aprir bocca per sciogliere ogni dubbio. Sorrise alla ninfa, si fece di nuovo avanti per scoccare un bacio sulla sua fronte e, non appena le labbra del bianco accennarono finalmente a piegarsi appena appena appena all’insù, il corvino colse la sua seconda occasione per tornare ad assaporarle, questa volta con più decisione, avvolgendogli i fianchi con entrambe le braccia per chiedere indirettamente un abbraccio. Tae, ancora su di giri per la sorpresa e il fiato corto a causa dell’emozione, non se lo fece ripetere due volte. Ricambiò la stretta con forse troppo entusiasmo, e Doyoung, a corto d’aria, scoppiò in una fragorosa risata: “Piano, piano, mi stritoli, Tae!”
Non appena la ninfa lo liberò dalla morsa, il corvino si aggrappò ad una delle sue braccia: “Caspita, che bicipiti! A me ci sono voluti letteralmente anni per farli venire così! Voglio assolutamente scoprire il tuo segreto! Jae, anche tu-”
Doyoung si voltò nella direzione dell’altro cadetto, convinto che a Jaehyun non avrebbe potuto far altro che piacere essere incluso nella loro conversazione – e nel loro abbraccio – ma non appena incrociò lo sguardo con quello dell’amico trovò solo due occhi ancora spaesati che cercavano rifugio altrove, un’espressione confusa, un atteggiamento dai toni fin troppo scostanti per i suoi gusti. Jaehyun non amava andare contro le regole, Doyoung ormai conosceva il migliore amico fin troppo bene, e – in fondo – Jaehyun stesso glielo aveva detto poco prima: ‘Non è qualcosa che farei con altre persone, ma con te è okay’. Non si riferiva solamente alla relazione a tre che avevano deciso di intessere, il corvino aveva capito fin dal principio che il minore, se avesse dovuto andare a letto con un altro uomo, avrebbe sempre e solo scelto lui. Si conoscevano da anni, il piccolo mondo di Jaehyun non sarebbe rimasto troppo scosso se di punto in bianco, per tre mesi, avessero anche iniziato a condividere serate di sesso, ma Tae… Tae era stata una bella sorpresa anche per lui che, invece, amava le stranezze, gli scherzi, i tranelli, la mostruosità, le curiosità.
“Io…” Jaehyun guardò entrambi con occhi vacui “Io… Forse è meglio che vi lasci un po’ soli, no?”
Il più alto dei tre cercò una via di fuga, ma non riuscì ad evitare l’espressione dispiaciuta che si era dipinta sul viso della ninfa non appena aveva annunciato che se ne sarebbe andato. Non gli era piaciuto vederla piangere, ed ora si sentiva ancora più in colpa nel sapere di averla delusa, ma non sapeva se fosse davvero disposto ad avventurarsi in quel tipo di relazione con ben due ragazzi. Per lui, l’unico era sempre e solo stato Doyoung, chi altri avrebbe mai dovuto prendere in considerazione? Ora invece si trovava di fronte ad una scelta, ma era una scelta talmente ardua che non ebbe la forza di decidere per conto suo che cosa fosse giusto per sé. Tornò a posare gli occhi sul migliore amico, gli chiese silenziosamente un consiglio. Doyoung colse al volo il segnale e raccolse una delle mani di Tae per farne intrecciare le dita con le proprie, si avvicinò quindi a Jaehyun ed implorò: “Resta, Jae… per favore.”
Non c’era il caso di domandare per favore, Jaehyun si fidava ciecamente di Doyoung, e se quest’ultimo desiderava che desse, ancora una volta, una possibilità al loro trio, allora avrebbe cercato di esaudire la sua richiesta. Entrambi o nessuno, era questo il patto. E quegli occhioni che già amava della versione femminile di Tae, gli venne da pensare, ora si incastonavano ancora meglio in quei nuovissimi lineamenti fini e aspri da ragazzo. Si mise in piedi a sua volta e andò loro incontro, annuì a Doyoung, per poi finalmente fissare l’attenzione su Tae. Non voleva essere impetuoso come il corvino, preferiva andarci piano. Lui per primo aveva il bisogno fisiologico di andarci piano. Iniziò con una domanda semplice:
“Come ti chiami?”
Tae non aveva mai voluto rivelare il suo nome da ragazza ai due allievi, non gli piaceva, non gli si addiceva. Strinse forte la mano di Doyoung quando gli fu chiesto il suo vero nome, era emozionato all’idea di pronunciarlo per la prima volta ad alta voce. Nonostante fosse semplice, sperava di non inciampare su qualche lettera, di non mangiarsi una sillaba per sbaglio.
“Mi chiamo Taeyong. Io sono Lee Taeyong.”
Tremolò appena, suonava meglio del previsto. Assaporò ogni accento, un brivido di pura felicità corse lungo tutta la sua spina dorsale, ora non aveva più nulla da nascondere.
“Possiamo continuare a chiamarti Tae?” chiese ancora Jaehyun, con quella timidezza con cui spesso interveniva anche durante le lezioni.
Dovete farlo,” puntualizzò la ninfa, stavolta con un sorriso affabile stampato in viso “Grazie di avermelo chiesto, Jae.”
Fu di nuovo il turno di Taeyong di avere coraggio. Lasciò la mano di Doyoung e si sporse verso Jaehyun per stritolare anche lui per un paio di secondi, per poi allentare la presa e regalargli un abbraccio ricolmo di riconoscenza.
Jaehyun ridacchiò, ricambiando invece la stretta con delicatezza e immane riguardo: “Comunque Doyoung ha ragione, sei veramente forte!”
Taeyong fece spallucce: “Effettivamente un segreto lo avrei… Lo vuoi scoprire?”
Senza attendere alcuna risposta la ninfa fece abbassare la recluta verso di lui, si sporse verso il suo viso come a volersi avvicinare al suo orecchio per non farsi sentire dal più grande, ma poi deviò all’ultimo e scelse una via più soddisfacente: quella che portava direttamente alle labbra del minore. Gli diede un semplice bacio a stampo, sperò che Jaehyun non si offendesse, sentì Doyoung ridere dietro di sé a causa dell’espressione da pesce lesso che il ragazzo dai capelli mossi aveva assunto. Non ebbe però il tempo di godere della medesima buffa istantanea, Jaehyun aveva già afferrato i suoi fianchi per portarlo più vicino e replicare il gesto con più convinzione. Gli era piaciuto, ne era uscito completamente scombussolato, ma non c’era dubbio che gli fosse piaciuto, e doveva dirglielo.
“Tae, mi piaci.”
“Anche tu mi piaci, Jae…” Taeyong si appoggiò con il capo al petto del più alto, per poi invitare anche Doyoung a fare lo stesso “E mi piaci anche tu, Young.”
Doyoung chiuse il cerchio e, mentre spingeva gli altri due di nuovo seduti sul letto e ne approfittava per sedersi sulle gambe di Jaehyun assieme alla ninfa, replicò con dolcezza: “E anche tu mi piaci, Tae, non sai quanto.”
Dopodiché lasciarono conversare i baci, le carezze, le effusioni. Non si spinsero troppo in là, scelsero di dedicare la serata ad inventare nuovi modi di farsi le coccole, stettero insieme abbracciati e discussero anche per la prima volta perché Jaehyun, che era finito sdraiato sotto gli altri due, voleva togliere una coperta mentre Taeyong e Doyoung erano del tutto intenzionati a tenerla in quanto sostenevano di avere freddo alla schiena.
Taeyong, infine, fu il primo ad addormentarsi. Doyoung e Jaehyun trascorsero ancora qualche minuto a scambiarsi placide carezze prima che il secondo affermasse: “Grazie di avermi chiesto di restare…”
Doyoung sfregò il viso contro il suo petto e sorrise furbescamente: “Oh, non c’è di che… mi meriterei quasi una ricompensa, vero?”
Doyoung sollevò il capo e fece avvicinare i loro visi, Jaehyun poteva ben immaginare che cosa desiderasse. Infilò una mano tra i suoi capelli e portò i loro nasi a scontrarsi con dolcezza: “Mi piaci, Kim Doyoung. Mi sei sempre piaciuto un sacco.”
“Lo so” Doyoung gli picchiettò la fronte “ma meglio tardi che mai, no? Anche tu mi piaci tanto, Jae, e non sai quanto sono felice di potertelo dire.”
Il bacio in cui Jaehyun trascinò Doyoung fu diverso da quelli che fino a quel momento aveva dato a Taeyong, era la sintesi della storia della loro amicizia. Fu normale che in esso scorresse più passione, che entrambi finissero anche per sguainare i denti e per tirare in ballo l’agilità delle lingue. Sospiri tra i sospiri, fiato nel fiato, approvarono entrambi quel nuovo modo di guardarsi a vicenda. Finalmente la premura che spesso manifestavano uno nei confronti dell’altro aveva un nome, sebbene tutti e due fossero ancora troppo spaventati per scandirlo, per gridarlo con orgoglio ad alta voce. Ma ci sarebbe stato tempo, Taeyong li avrebbe aiutati anche in quello, era un passo che avrebbero compiuto tutti e tre insieme. La ninfa li aveva conquistati, grazie a Tae erano riusciti a mettere da parte l’asetticità dell’ambiente militare per affidarsi al giudizio dei sentimenti. Tae era la chiave delle loro emozioni, non lo avrebbero mai abbandonato, nemmeno dopo quei due restanti mesi e mezzo di allenamenti.
“Ehi… Che fate? Limonate senza di me?”
Taeyong era di nuovo sveglio, e gli altri due, come espressamente richiesto, ne approfittarono per riempirlo di sincero affetto.
Finirono per trascorrere la notte in bianco, e colsero l’occasione per conoscersi meglio. Jaehyun teneva Taeyong in braccio, Doyoung, semisdraiato accanto a loro, con il capo appoggiato alla spalla del minore, sfoggiò la sua voce da prozia pettegola per narrare improbabili avventure accadute nella sua piccola cittadina quando lui era ancora un bambino: “Una volta ci siamo imbattuti in una libellula grande quasi quanto un drago!”
Taeyong, che non aveva mai messo piede fuori dalle Fucine, lo ascoltava con aria sognante. Jaehyun cullava entrambi e seguiva in silenzio, già conoscendo a menadito ognuna di quelle astrusità. Esaminava con dolcezza ogni particolare di quelli che, ormai, erano a tutti gli effetti i suoi ragazzi e provò ad immaginarli assieme a lui ad una delle sue grandi cene di famiglia. Era certo che, sebbene non avessero nulla di femminile, sua prozia sarebbe stata fiera di avere altri due bei matòt come nipoti.


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Fine ^^

Ringrazio davvero chi è arrivato a leggere fino a qui c:
Spero che la storia vi sia piaciuta, mi farebbe molto piacere sapere la vostra opinione ^^ Avete un personaggio preferito? Qual è il momento che avete preferito?
In ogni caso, ancora una volta, grazie <3

 
-moganoix

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