Help to Get Dressed

di HergePearl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Parte 1 - Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Una luce aranciata carezza le onde calme del mare che circonda Venezia. L’acqua pare essere di seta prestigiata, adagia sotto un’aria color seppia e un cielo che non si lascia intravedere. L’immagine pare essere intrappolata tra una fotografia d’epoca e la realtà di una serata che sta appena per cominciare, lenta, come la nebbia che avvolge il respiro e lo trattiene, come se lo acchiappasse. Il mare è talmente calmo da assordare il rumore delle onde che toccano e fuggono da qualsiasi superficie possano trovare.

“Mi stavi aspettando da molto?”

Una voce melodica risveglia il tutto. In lontananza un cane abbaia e la macchina fotografica di qualche turista scatta meccanicamente. E un accendino cade per terra, sfuggito dalla tasca scucita del capotto.

Pedro si volta lentamente, accenna un sorriso come se per scusarsi, si abbassa e raccoglie la BIC nera. La posa nella mano di Sofia, che la tende, e tocca appena la sua pelle, gelida e bluastra. Il suo viso è illuminato a metà, un’iride luccica e riflette la luce di un lampione sfumato di rosa. L’altra è spenta, come lo sono le sue labbra socchiuse, screpolate e dagli solchi più scuri rispetto al resto dell’incarnato roseo. Sono piegate in un sorriso timido, un angolo della bocca un poco più tirato rispetto all’altro. La sua figura pare quasi essere anonima, la pelle del viso si confonde con le fitte di fumo che lascia uscire energeticamente dalla sua bocca, che cerca disperatamente la sigaretta che stringe ora tra le dita, ora tra le sue labbra. È nervosa, e il suo rossetto è talmente secco da non lasciare nemmeno più un segno sul filtro.

“No, figurati”

Il sorriso di Pedro si distende – lui si volta e s’incammina, lasciando affondare le sue scarpe dentro le foglie umide e ossidate dal passare del tempo, ormai l’autunno è inoltrato. Sofia lo segue, la decisione dei suoi passi sembra smentire la pesantezza del suo corpo di quando si era ritrovata di fronte a lui, di nuovo, dopo tanto tempo. Fa fatica a tenere il passo, allontanandosi da quell’incavo verso il mare, di fronte a una panchina isolata vicina ai Giardini. Mentre cammina sembra cercare di nascondere le guance nel collo del cappotto, le mani strette in un pugno dentro le tasche logore. Sente le unghie graffiare la pelle, e stringe ancora di più. Un pizzico si espande dal polso fino a raggiungere le clavicole, il basso ventre, i polpacci. Il freddo le tagliuzza le guance, e si morde un labbro, chiedendosi se ha fatto bene a incontrare di nuovo Pedro, dopo tanto tempo passato.

In una stanza illuminata da una candela impolverata dentro una bottiglia di vino bianco vuota, il cellulare capovolto, Sofia sospira mentre Pedro passa le sue dita dalle unghie curate sotto i suoi occhi, tirando verso le tue tempie, affondandole dentro le ciocche nere di lei. A malapena li raggiungono voci assordate, grida di euforia, musica house. È come se fossero soltanto ancora loro due, per una volta. Forse l’ultima volta.

Un materasso ingiallito per terra, una pila di libri come portachiavi, un canovaccio inzuppato di puro alcool accanto ai teli cominciati e mai terminati, coperti da una pasta densa di pigmenti, una tavolozza dai colori seccati e dei pennelli sfibrati. Pedro non esordisce con il solito “Non fare caso al caos” che si sente dire da sconosciuti e conoscenti ancora troppo sconosciuti, quando si fa visita a casa loro per la prima volta. Pedro è Pedro, e il suo spazio è il suo diritto, così come il caos che vi regna. E Sofia d’altronde non è una sconosciuta, una conoscente fin troppo sconosciuta – quello sì.

E dopo un “Ti va?” e un “Sì” sospirato, l’aria si fa densa di gemiti strozzati, baci umidi, gambe tremanti e dita intrecciate. La schiena di Sofia si inarca, le labbra di Pedro si muovono simmetricamente lungo la sua spina dorsale, creando mosaici sotto la luce soffusa, le sue dita si aggrappano alla pelle pallida dei fianchi di lei, unendo finalmente i loro bacini. Una mano si sposta, muovendosi abilmente lungo le sue costole laterali, tirandola finalmente su da sotto l’ascella. Lei si lascia andare, appoggiando il capo nell’incavo tra il suo petto e la sua spalla, coperti da soffici peli. Alza gli occhi, lo vuole guardare mentre la prende. Le sue labbra vibrano, il respiro affannoso segue un ritmo tutto suo dilagando dalle narici, perle di sudore scivolano giù dal viso segnato dalla stanchezza e da una barba di tre giorni.

Non ricordava lui essere così magro. Ma forse è passato troppo tempo, e una notte insieme di sicuro non può rimediare. I movimenti di lui si fanno più lenti, più concentrati, e lei sente un groppo in gola. Sarà la posizione, ma non osa muoversi, desidera così ardentemente il contatto fisico, anche se è doloroso. È una necessità, più che un desiderio. Gli occhi si fanno umidi, offuscandole la vista. Stringe le palpebre e sente una lacrima calda scappare dall’angolo dell’occhio, rigandole la guancia. Lui continua, si abbassa, portando il capo a quello di lei, appoggiando il mento sull’attaccatura dei suoi capelli. Le bacia la fronte, non le chiede se le piace, perché sa leggere il suo corpo, sempre così freddo ma che stasera lo accoglie come se fosse davvero casa sua, e soltanto casa sua, nonostante la distanza e il passare del tempo. La mano che prima aggrappava i suoi fianchi ora scivola dal basso ventre verso il monte di Venere, carezzandola come piace di più a lei, seguendo il ritmo dei suoi gemiti, fino a lasciare che lei si abbandoni, sì, fino a che lei si abbandona completamente in quello che pare essere un maremoto che sconvolge tutto il suo corpo.

Pedro si china per raccogliere una scatoletta di metallo che una volta dovrebbe aver contenuto la liquirizia. L’apre e si accende la canna dopo averla appoggiata tra le sue labbra. Si allunga verso il cappotto di Sofia, per terra come un corpo morto, senza forma. Fruga nelle sue tasche, lei lo guarda e lo lascia fare. Lui corruga la sua fronte, i muscoli intorno alla bocca tirati in piccole rughe, mentre osserva la fiamma accendersi sotto la pressione del suo pollice, dando vita alla combustione e al suo, seppur momentaneo, rilassamento. Ormai provocato quasi solo esclusivamente dall’erba.

“Andiamo?”

Fa cenno col capo verso la porta della sua stanza. Un poster dei Joy Division, uno strappo in alto a destra. Le voci dei coinquilini si fanno più alti, le risate più pronunciate e la musica più movimentata.

“Non possiamo essere noi, solo ancora per un attimo?”

Sofia lo guarda, i suoi occhi grandi e la delusione che si distende dal gomitolo di speranza ed illusione nel basso ventre. Una fitta, conoscendo già la risposta di Pedro. Abbassa lo sguardo sulla sua canottiera di seta, stropicciata dalla passione di un momento non durato abbastanza. Lo prende e lentamente si veste. È ironico come si viene aiutati per spogliarsi – ma mai per rivestirsi.


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Capitolo 2
*** Parte 1 - Capitolo 1 ***


Le feste in casa sono sempre piaciute a Sofia. È un momento in cui è socialmente accettato bere, un momento in cui può lasciar andare le redini che dettano la sua immagine, quella che vorrebbe che gli altri abbiano di lei. Pare non esistano regole e ognuno può lasciar andare il proprio malessere - il tutto senza dover essere vestiti tutto tirati come lo richiederebbe un club.

Una ragazza dai capelli corti e neri muove ritmicamente il bacino, ha gli occhi chiusi e lascia che la luce verde psichedelica, nervosa, le illumini il viso, la pelle d'oca che le copre le braccia, la maglietta dal collo alto. Lascia che le sue mani seguano l'onda dell'aria come una bandiera in balia al vento. Forse pensa di essere in un film. Ci sono delle luci abbastanza sofisticate per essere una festa in casa, pensa Sofia.

Un ragazzo incrocia gli occhi di un altro dall'altra parte della stanza, lo approccia, fa un sorriso e lo bacia. Così. Come se fosse un saluto. Sofia lascia scivolare il suo sguardo sugli altri presenti, non è uno sguardo che giudica, piuttosto uno che osserva, curioso. Ha bisogno di tempo per ambientarsi, stringe il collo di una birra chiara grande nel pugno destro. Pedro era rimasto per qualche istante dietro di lei, rollando un'altra canna e poi approcciando un gruppo di ragazzi intenti a discutere animatamente.

"Dai, cerca di divertirti" le aveva detto prima di darle un buffetto alla spalla e di lasciarla, lì.

Sofia prende un sorso dalla birra, sofferma gli occhi su una ragazza seduta in disparte, intenta a prepararsi qualche cocktail improvvisato. Cola, rum, zucchero, cachaça, lime, vodka e un tocco di prosecco. Lo stomaco di Sofia si rivolta mentre osserva la ragazza assaggiare la bomba alcolica che si è appena creata.

Pedro abita insieme a tre altri studenti dell'Accademia di Belle Arti di Venezia. È stato il suo sogno studiare lì e lasciare la casa dei suoi genitori, madre portoghese e padre vicentino, a Mestre. È alquanto paradossale che lui riesce a permettersi una stanza proprio qui, mentre i suoi genitori devono accontentarsi della terraferma. È al terzo anno ma la laurea non è ancora in vista.

"Sofia?"

Una voce familiare la raggiunge. Lei si volta e sorride, si lascia andare a un veloce abbraccio.

"Da quanto tempo, che bello vedere anche tu qui." Un ragazzo dai capelli rossi, sistemati scoordinatamente in uno chignon, alza la sua bottiglia di Ichnusa verso quella di Sofia, toccandola con vigore. Ha già qualche litro nello stomaco, apparentemente. Sfoggia un sorriso caloroso.

"Già." Sofia tira le labbra in un sorriso, abbassa gli occhi e poi li rialza, come se dovesse riprendere fiato per un attimo. "È bello rivedere anche te."

"Come te la passi, in giro per il mondo, eh?"

Marco ha sempre avuto una voce troppo rumorosa. È come se non sapesse misurare il volume dell'altoparlante che è la sua ampia cassa toracica. Difensore della squadra di pallanuoto, o almeno lo era ai tempi del liceo.

"Beh, in giro proprio no. Sono tornata per qualche giorno, Pedro mi ha detto che posso stare da lui."

Sofia sente sempre il bisogno di scusarsi. Di scusarsi se sfiora involontariamente una persona nel tram, di scusarsi se chiede a una compagna di corso di tenerle la giacca mentre va al bagno, di scusarsi se qualcuno le fa una battuta ironica che non riesce mai a cogliere. È come se dovesse giustificare di essere lì, in quel momento - dopo essere scappata via da quell'ambiente, anni prima. Giustificarsi di passare qualche notte a casa della sua fiamma storica.

"Siamo tutti contenti di averti qui, credimi."

Tutti chi? Sofia non riesce a fare a meno di pensarlo, per un attimo. È una frase così fatta, così forzatamente di circostanza. Come se mascherasse un dispiacere, un fastidio. O forse è lei che ci legge troppo, che si sente di troppo. Saranno le interminabili ore di viaggio che ora si fanno pesanti sulla sua mente e spingono il sonno.

"Non sapevo che anche tu studiassi a Venezia."

"Sì, ho cominciato un anno fa. Lingue orientali. Ho conosciuto una tipa giapponese, una figa da paura. Mi ha fatta perdere la testa e ritrovare la passione per i manga. Poi la tipa l'ho persa, è andata dietro a un americano, sai com'è. Ma la passione è rimasta."

Marco ride. Ha definitivamente bevuto eccessivamente. Racconta troppo, anche quando non è stato richiesto. O forse è proprio così che si creano i rapporti, le amicizie, condividendo storie. O forse è solo un modo forzato per creare un'intimità prematura. Come se fosse fino all'altro ieri che erano in classe assieme.

"Ma dai, sono contenta. Venezia è proprio il posto giusto per lingue orientali."

Sofia non sa mai cosa dire. Non sa come fare conversazione. Non sopporta sé stessa in questo momento, prende un altro sorso, cattura con la coda dell'occhio i movimenti energici del bacino di quella ragazza che continua a ballare indisturbatamente, come se fosse nel primo piano di un film, al centro della scena. Vorrebbe dominare quella stessa naturalezza, vorrebbe non essere sé stessa, non ora, non qui.

"È tu dove sei finita? Ho sentito da Pedro che hai cambiato vita."

Pedro che racconta di lei. Pedro, che forse nonostante gli anni passati pensa ancora abbastanza a lei da condividere con altri dettagli sulla sua esistenza. Pedro, che Sofia ha tanto voluto spingere via dalla sua vita, come ha voluto lasciare tutto alle sue spalle, tutto ciò che la potesse ricordare di prima.

"Sì, studio criminologia applicata a Inverness." La fronte di Marco si corruga. "In Scozia, praticamente". La sua fronte si distende.

"E sei tornata oggi?"

"Arrivata oggi, partita due giorni fa." Sofia sorride e alza le spalle. Libera persino una risata, nervosa. Sente la testa farsi più leggera, come se i suoi pensieri e le sue preoccupazioni si fossero liberate di grosse catene che dettano tutto, pesantezza. Finalmente l'alcool sembra aver trovato modo per darle sollievo.

"Sono veramente curioso di sapere che cosa ti ha fatto tornare proprio ade-" la ragazza che fino a poco prima stava ballando s'intrufola tra i due, una bottiglia di plastica senza etichetta in mano: "Chi vuole assaggiare la rakija di mio nonno? Fatta in casa eh." Le guance arrossate, una erre pronunciata. Una voce che traspira sicurezza di sé. Bicchieri che si alzano da tutte le parti – pare essere l'anima della festa. "Guai a te che mi fai fare, la settimana scorsa ho sboccato persino la mia anima in bagno." Una ragazza urla, si alza una risata collettiva. La musica sembra essere diventata più alta, i colori più vivaci. Per un attimo Sofia si sente parte di quel gruppo, e dà il benvenuto a questa sensazione tanto cercata prendendo ancora un sorso dalla birra.

Lingue che s'intrecciano, promiscuità.

Voci che cercano di seguire le parole di canzoni americane, storpiandole.

Maglioni che si tolgono, occhi che desiderano, nudità.

Mani che richiamano, artigli che si scaldano, torciandole.

Sofia intercetta Pedro dirigersi verso il balcone. I suoi denti scoperti dal sorriso di uno che si sente a suo agio. Di uno che è a casa lì, di uno che è il padrone di casa, che organizza queste feste, che le adora. Lo trova seduto intento ad accendersi una canna.

Gli è vicino, non lo guarda. Appoggia la testa stanca sulla sua spalla, cerca di respirare il suo odore, un misto di erba, alcool, sudore. Qualcosa di acido, pungente. Sa che in fondo è lui. La sua pelle. È ciò la conforta.

"Ti va di accompagnarmi domani?"

"Come mai me lo chiedi?" Pedro tira nervosamente dal filtro in cartone della canna. Sembra voler evitare lo sguardo di Sofia. Lei pretende troppo, e lui ora non vuole sentirsi essere chiamato in causa. Vuole rimanere spensierato. Vuole perdersi, perdersi in lei, sì. Ma per perdersi con lei non si sente pronto.

"È la prima volta che torno da quando sono partita, lo sai. Vorrei che almeno tu ci fossi, al mio fianco." Tutto improvvisamente le sembra tanto silenzioso. Pedro che fino a un attimo prima fischiava un ritmo incalzato sotto il suo respiro, ora pare essere muto. Sembra persino che la melodia soffusa delle canzoni che scappano da dentro raggiungendo quel balcone dove troppe persone parlano e fumano e bevono ora si sia arrestata. Sofia sente stringersi lo stomaco. Sente di dover sistemare, di dover rimediare: "Lo so che non ti piace vestirti di nero, ma forse per domani potresti fare un'eccezione." Una battuta troppo ricercata. "E poi mi farebbe bene se mi riaccompagnassi alla fine, a volte fa bene avere qualcuno che si prende cura di te quando tu da sola non ci riesci." Ecco, l'ha fatto. Si è aperta. Ha messo a nudo quel desiderio.

"Come potrei prendermi cura di questo se a malapena riesco a prendermi cura di me stesso? Hai visto la mia stanza, non ti illudere, riflette perfettamente il mio stato d'animo."

Sofia cerca di deglutire, ma non ci riesce. È come se la sua gola si fosse completamente seccata, sente la rakija bruciare nel suo stomaco e un che di acidulo e schiumoso risalire all'incavo della sua bocca. Prende il collo della bottiglia di un liquore qualsiasi dimenticato sul balcone e prende un sorso generoso.

Già, la sua stanza. Il giallo del materasso, quella stessa tonalità che domina la pelle spenta di Pedro. Bottiglie di vino vuote e riutilizzate come portafiori, portacandele, porta qualcosa. Pittura poco lavorata e lasciata lì a seccarsi, come Pedro probabilmente farebbe con qualsiasi cosa che possa portare anche solo un briciolo di affetto e di luce alla sua vita.

"Non ti ho chiesto di prenderti cura di me."

Si scusa, si giustifica, si fa piccola – non badare a me. Ti vorrei vicino ma non lo ammetterò mai.

Pedro alza impercettibilmente gli occhi al cielo. Impercettibilmente, ma lo fa. Sofia tira fuori una sigaretta stropicciata dalla tasca, lui l'accende per lei, un gesto che le pare meccanico, come se si sentisse in dovere di farlo. La fuma lentamente. Le sembra di muovere il capo, le sembra impossibile tenerlo fermo. La nicotina combinata all'etanolo rafforza quel senso di perdita, quel senso di perdita di sé stessa, perdita di pensieri, di ricordi, di paure e di dolore. Sente una nausea pungente salire ma l'ignora. Sente la temperatura autunnale penetrare le sue ossa ma l'ignora.

"Dai, chiacchierona. Andiamo a dormire." Pedro si alza improvvisamente. Butta giù dalla ringhiera quel che è rimasto della sua canna. Rientra facendosi avanti tra la calca di persone. Verso la sua stanza.

Sofia si sente pesante. Lo segue, passando la sigaretta non ancora finita a delle dita qualsiasi. Rientra, cercando di evitare gli sguardi delle altre persone. Sguardi dispersi, le pupille troppo dilatate per mettere a fuoco. Ma lei li sente, pungere contro le sue scapole. Scapole che lui nemmeno cinque minuti dopo massaggia, carezza, bacia, lecca, mordicchia.

Sofia chiude gli occhi appena scorge lo sguardo di Pedro scomparire tra le sue cosce, una massa di capelli castano scuro e ricci che rimane. Sente le gambe tremare, stringere. Sente la stanza girare, capovolgersi. Riapre gli occhi, comincia a sentirsi male, la rakija risalire. Cerca di concentrarsi su un punto indefinito sul muro. Non osa fermarlo, è da tanto che ha desiderato essergli così vicino.

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