Do me good

di federicaMalik
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** pilot chapter ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** pilot chapter ***


Ciao a Tutti, Sono passati esattamente 10 anni da quando ho smesso di scrivere e pubblicare storie su questo sito. Allora ero un’adolescente innamorata degli one direction e con tanta fantasia. Ad oggi sono cresciuta, mi sono laureata, ma non ho mai smesso di leggere silenziosamente le storie presenti qui. Qualche mese fa, un piccolo imprevisto ha fatto riemergere in me quella stessa sensazione e bisogno di tornare a scrivere (ovviamente con una maturità e consapevolezza che 10 anni fa non avevo). Inizialmente avevo deciso di tenere questa storia per me, ma alla fine ho scelto di condividerla con voi. Ps: ho cambiato il nickname, ad oggi ancora FedericaMalik (😅), presto diventerà Fed_
Buona Lettura.


 

*la storia fatta eccezione per il prologo è raccontata dal punto di vista della protagonista due anni prima.

Alla mia generazione,
con gli ansiolitici nel cassetto al posto dei sogni.

 




Prologo





17 settembre 2022

Due anni dopo
 

Il caldo asfissiante di settembre era ancora troppo forte per poter indossare una camicia a maniche lunghe totalmente abbottonata; 

inoltre, se consideriamo le dimensioni estremamente ridotte del suo ufficio e la piccola finestra troppo alta per essere aperta era facile comprendere come in quel luogo mancasse l’aria necessaria anche solo per respirare, figuriamoci se potesse essere possibile concentrarsi un po’ di più su quell’articolo da ottomila caratteri.

Il suo sguardo cadde in basso alla sinistra del piccolo schermo del computer, aveva scritto solo 526 caratteri, eppure gli sembrava che stesse li a digitare lettere da una vita.

Le dita sudate sulla tastiera nera e gli occhi che gli bruciavano, la lancetta dell’orologio grande attaccato al muro che non gli consentiva di concentrarsi, non c’era proprio verso quel giorno di poter sperare in qualcosa di più.

Non era certamente da lui non avere niente da dire, tantomeno nulla da scrivere.

Eppure in quel momento, l’unica cosa a cui riusciva a pensare, che avrebbe voluto scrivere e poter urlare, era che gli mancava l’aria.

Portò le dita della mano destra vicino al colletto della sua camicia, proprio sul primo bottone - dio, quanto avrebbe voluto sbottonarlo- e cercò di allontanare la stoffa dal suo collo, come se quel movimento potesse aiutarlo a riempire i polmoni, come se potesse davvero alleviare la sua sofferenza.

Inconsciamente iniziò a tamburellare le dita dell’altra mano sulla scrivania, tenendo quasi il ritmo delle lancette dell’orologio, il suo sguardo cadde nuovamente sul numero di caratteri battuti: troppo pochi.

Emise un profondo sospiro, lasciandosi andare sulla sedia, passandosi una mano sul viso e percependo qualche goccia di sudore quando sfiorò la sua fronte; non era decisamente una buona giornata.

Tuttavia, non poteva non adempiere ai suoi doveri, perciò prese un gran respiro e strinse i pugni come se quel gesto  potesse dargli la forza di cui necessitava, riportò le mani sulla tastiera ed iniziò a scrivere.

Due ore dopo era nella stessa identica posizione, non si era mosso minimamente, la temperatura era ancora troppo alta così come la finestra ancora chiusa, le dita sulla tastiera decisamente sudate, le lancette dell’orologio ancora troppo fastidiose; tuttavia, sorrise impercettibilmente a se stesso, fiero, aveva un problema in meno.

Diede ancora un piccolo sguardo allo schermo, subito dopo aver messo il punto a quell’ultimo periodo; prese un respiro di sollievo, così profondo che quasi credette di non aver respirato nelle ultime ore, aveva finalmente finito il suo articolo.

Mandò in stampa il risultato di quella interminabile giornata e si avviò verso la porta dell’ufficio, appena l’aprí venne travolto da un aria freddissima che quasi lo fece rabbrividire.

Ovviamente i condizionatori funzionavano tremendamente bene in tutto l’edificio, tranne nel suo buco d’ufficio; si era rotto praticamente in pieno luglio e non era ancora stato riparato, non che prima funzionasse meravigliosamente, ma era comunque meglio di niente.

Scosse la testa impercettibilmente, risvegliandosi dai suoi stessi pensieri e rivolse un sorriso tirato ad Adele che gli aveva rivolto un cenno del capo mentre parlottava al telefono, la vide sollevare gli occhi al cielo e portarsi una mano alla tempia, probabilmente sfinita da quella conversazione con un potenziale cliente.

Si avvicinò alla stampante, recuperando i fogli contenenti il suo articolo e non perdendo tempo a spillarli.

Odiava essere uno stagista, odiava sentirsi l’ultimo arrivato -nonostante lavorasse in quell’ufficio da più di un anno-, odiava dover lavorare più di quanto stabilito, odiava poter scrivere solo articoli su argomenti marginali e di scarso interesse -almeno per lui- ed odiava guadagnare così poco.

Odiava talmente tanto quella situazione, che quasi si ritrovò a dar ragione a suo padre e le sue parole gli tornarono in mente in pochi secondi, sentendo la sua voce a pronunciarle: “che lavoro vorrai mai fare con una stupida laurea in scienze delle comunicazioni”.

Sospirò, per l’ennesima volta in quella giornata, mentre si fermava davanti ad una porta nera, non perse ulteriormente tempo, e sollevò la mano, iniziando a picchiettare sul finto legno.




Non aspettò molto prima che una voce dal suo interno gli diede il consenso di entrare, e fu allora che avvicinò la mano alla maniglia e l’abbassò, mettendo su il suo sorriso migliore.




“Vieni entra e siediti pure Nick, immagino tu abbia concluso l’articolo che ti avevo chiesto..”  disse il suo capo non appena scrutò la sua figura sulla soglia della porta.

Il signor Davis era un tipo giovanile, nonostante avesse superato, non da poco, i 50 anni, aveva troppa barba e pochi capelli di un grigio scuro, indossava degli occhiali troppo piccoli che teneva sulla punta del naso e se avesse smesso di fargli scrivere degli articoli inutili o totalmente imbarazzanti, probabilmente, lo avrebbe trovato un tipo simpatico.

Staccò la spina dai suoi pensieri non appena si sedette di fronte al suo capo, allargando ulteriormente il sorriso non appena poggiò l’articolo sulla scrivania.

“Ecco qui, Signore, spero possa andare bene” mormorò imbarazzato, mentre quello già stringeva tra le mani il suo lavoro.

I cinque minuti seguenti li passò ad osservarlo, mentre corrucciava la fronte in un espressione concentrata e con gli occhi incollati sul testo che stava esaminando.

Ecco, odiava anche quello, quel sentirsi sempre sotto esame e la sua scarsa, se non nulla, sicurezza e fiducia nelle sue capacità non lo aiutava affatto.

Cercò di distrarsi da quello stato ansioso ed iniziò a guardarsi intorno, nella speranza che quel tempo finisse velocemente.

Proprio come se il signor Davis potesse sentire il flusso dei suoi pensieri, dopo pochi istanti si schiarì la voce e cominciò a parlare:

“Beh, considerando che non deve essere stato semplice per te scrivere riguardo alle abitudini delle donne in quel periodo del mese - disse, ridacchiando e lanciandogli un’occhiata divertita -credo che tutto sommato tu abbia fatto un buon lavoro” 

Nick si morse l’interno della guancia, cercando di non far trasparire il suo fastidio, non solo gli lasciava degli articoli alquanto imbarazzanti, ma si prendeva persino gioco di lui; tralasciò quel pensiero e gli mostrò un sorriso falsissimo, ringraziandolo per non si sa esattamente quale motivo.

Si alzò rapidamente dalla sedia, credendo che quel colloquio fosse giunto al termine, ma non fece in tempo a salutarlo e dargli le spalle che il signor Davis lo richiamò.

Girò il viso verso la voce che lo aveva richiamato, a pochi passi dalla porta, con un sopracciglio inarcato, non fece in tempo a dire o a pensare nulla, che il suo capo ricominciò a parlare.

“La prossima settimana verrà inaugurato un nuovo club letterario, mi piacerebbe se tu intervistassi la fondatrice e se potessi scrivere un articolo da pubblicare in concomitanza all’apertura”.

A quel punto annuì sorridente, mormorando un “certo, Signore,” dopo tutto lo trovava un lavoro interessante.

Fu allora che il signor Davis lo salutò e lui lasciò quella stanza, tornando nel suo ufficio.




La mattina successiva si svegliò con un mal di testa lancinante, strinse gli occhi massaggiandosi la fronte e con la mano libera cercò nel buio il suo cellulare sul comodino.

Lo prese e lo avvicinò a pochi centimetri dal suo viso, erano le 5.40 del mattino.

Emise un verso straziato, odiava i postumi della sbornia e odiava ancora di più se stesso per non aver ancora imparato, in tutti quegli anni, a capire quando era arrivato al suo limite.

Sbuffò tra le coperte prima di spingerle via in un gesto secco e lentamente si alzò dal letto, consapevole che non sarebbe più riuscito a dormire.

Appena appoggiò i piedi sul pavimento freddo un brivido lo attraversò per tutto il corpo ed uno sbadiglio fuggì dalle sue labbra.

Con movimenti lenti ed impacciati raggiunse la cucina del suo appartamento e mise in moto la macchinetta del caffè, quando quest’ultimo fu pronto, si avvicinò al piccolo balcone del suo trilocale, respirando l’aria fresca del mattino e beandosi dei colori del panorama.

Sebbene chiunque dopo una sbronza abbia solo voglia di dormire ed abbia capacità motorie molto limitate, Nick poteva considerarsi una vera e propria eccezione. 

Infatti, subito dopo aver terminato il suo caffè non perse tempo ad indossare un paio di pantaloncini, una maglietta e le sue fidate scarpe da corsa, uscendo svelto dall’appartamento con l’obiettivo di raggiungere il parco che si trovava sotto casa, con le cuffie, ovviamente, nelle orecchie e la musica ad accompagnarlo.




Raggiunse il suo ufficio alle nove in punto, la corsa di quella mattina lo aveva aiutato a smaltire tutti i postumi della serata ed aveva contribuito a metterlo di buon umore, inoltre, il sorriso affettuoso e materno che gli rivolse Adele fu sufficiente a farlo convincere che quella sarebbe stata una bella giornata.

Appena entrò in ufficio trovò un post-it attaccato allo schermo del pc ancora spento, doveva averlo lasciato Davis o qualcun altro per lui ed indicava brevemente il luogo e l’ora in cui avrebbe dovuto incontrare la fondatrice del club letterario che avrebbe dovuto intervistare quel giorno stesso.

Pertanto, passò l’intera mattinata a correggere alcuni lavori quasi terminati ed a strutturare alcune domande che avrebbe potuto porgere ai fini dell’ intervista; era così preso dai suoi lavori, che quando si accorse che erano già le 12.30 rimase sconvolto.

Nick imprecò mentalmente alzandosi di tutta fretta, non avrebbe fatto in tempo per l’intervista;

perciò chiuse velocemente in una cartellina le domande che aveva abbozzato e corse fuori dall’ufficio, senza fermarsi a chiedere ulteriori informazioni ad Adele.

Arrivò nel luogo dell’appuntamento con il fiato corto, ma in anticipo di qualche minuto e si fermò di fronte ad un piccolo stabile a vetrate, quello che sarebbe presto diventato un club letterario.

Iniziò a guardarsi intorno e focalizzò il suo sguardo sul l’insegna posta al lato della porta e sorrise osservando la frase scritta proprio sotto quest’ultima “Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa, persino da te stesso” (Daniel Pennac)




Si perse qualche altro secondo a pensare al significato di quella frase e dopo aver ripreso fiato decise di entrare nello stabile.

Abbassò la maniglia ed il tintinnare di un campanello posto sopra la porta annunciò il suo ingresso, si schiarì la voce e fu pronto a presentarsi non appena entrò, tuttavia, la voce gli morì tra le labbra non appena vide chi si trovava di fronte.

La guardò per infiniti secondi con gli occhi sgranati e le sopracciglia sollevate, completamente sconvolto e potè giurare che anche la persona che gli stava di fronte avesse avuto la sua stessa reazione nel rivederlo.

Ad certo punto iniziò a sentirsi le mani sudate e la camicia troppo stretta sulla gola, si sentiva soffocare e ritornò quella fastidiosa sensazione di non riuscire a respirare.

Ma questa volta non era colpa del caldo, non poteva credere di avere proprio Lei davanti a se.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. ***


Capitolo 1


Due anni prima

17 settembre 2020





“Scusi signorina potrebbe mostrarmi il biglietto” 

la voce del controllore mi fece sobbalzare, ma gli sorrisi comunque gentile, mentre sollevai lo sguardo dal mio libro, sistemandomi gli occhiali e portando una ciocca di capelli dietro l’orecchio; con pochi e rapidi gesti recuperai dallo zainetto al mio fianco il biglietto del treno e pochi secondi dopo tornai ad immergermi tra le righe di quel romanzo, senza badare al mormorio di tutte le altre persone presenti su quel vagone.

Chiusi il libro con un gesto leggero e delicato quando sentii il mio cellulare iniziare a vibrare sulle mie gambe, guardai  il nome sullo schermo e non riuscii a trattenere un sorriso.

“Isabel” 

“Tesoro sei ancora sul treno?” Sentii squittire dall’altro lato della cornetta “ io sono già arrivata da 2 ore, sto facendo una spesa veloce, prendo qualcosa anche per te?” continuó la mora, senza neanche darmi il tempo di metabolizzare le sue parole.

“Asia, ci sei?” Sentii la sua voce alzarsi leggermente.

“Si, Izi ci sono, va bene” mormorai, perdendomi a guardare il paesaggio che correva veloce fuori dal finestrino.

“Perfetto tesoro, non vedo l’ora di riabbracciarti” sorrisi al suo tono affettuoso, anche se lei non poteva vedermi, “Anche io” risposi sincera.




Scesi dal treno velocemente, o almeno, veloce tanto quanto mi permetteva l’enorme valigia che mi trascinavo dietro.

Raggiunsi l’uscita della stazione ed osservai le persone disperdersi in mille direzioni.

Iniziai a guardarmi intorno alla ricerca di un viso fin troppo familiare; aguzzai gli occhi e mi alzai sulle punte come se quel gesto potesse aiutarmi a trovarlo.

Niente, lui non c’era.

Eppure Ric me lo aveva promesso,

“Vengo a prenderti appena arrivi, non vedo l’ora di vederti” mi aveva detto proprio il giorno prima.

Sbuffai, ricominciando a camminare, magari mi aspettava nello spiazzale adiacente alla stazione.

Illusa, sapevo benissimo che non sarebbe venuto.




“Asia” mi sentii richiamare appena varcai l’ingresso, spostai gli occhi in direzione di quella voce e sorrisi spontaneamente.

Lascia la presa sulla valigia correndo tra quelle braccia, che non persero tempo a stringermi a se.

“Mi sei mancata tantissimo” urlò ad un centimetro dal mio orecchio la mia coinquilina.

“Anche tu, Izi” le dissi, stringendola più forte.

Ci staccammo da quell’abbraccio dopo un periodo indefinito, troppo felici di rivederci dopo ben due mesi.

Isabel non era solo la mia coinquilina, ma era diventata la mia compagna di avventure con cui condividere tutte le cose belle e meno belle di quegli anni universitari.

Mi aiutò con la valigia, mentre passeggiavamo tranquillamente, raccontandoci del più e del meno e dirigendoci verso il nostro appartamento.




Mi era decisamente mancata.




Eravamo quasi giunte a casa, quando decisi di dar voce a quel pensiero che, volontariamente, avevo deciso di mettere da parte dal momento in cui l’avevo vista fuori dalla stazione e senza troppi giri di parole le chiesi come mai era venuta lei a prendermi e non il mio fidanzato.

Mi spiegò che l’aveva chiamata un’ora prima, avvisandola di un imprevisto lavorativo e lei aveva sostanzialmente lasciato perdere la spesa ed era corsa a prendermi.

Sorrisi ringraziandola, avrei visto Ric più tardi.

Non me la presi, poiché sapevo quanto impegnato fosse con il suo lavoro e mi ero, ormai, abituata ai suoi frequenti imprevisti lavorativi.




Passai il resto della giornata in compagnia di Isabel, mancavano ormai solo due giorni all’inizio delle lezioni e dunque, approfittammo di quel pomeriggio per ripulire l’intero appartamento, rimasto chiuso per tutto il periodo estivo.

Fu un pomeriggio tranquillo, pieno di tutte quelle cose che mi erano incredibilmente mancate:

La risata squillante di Isabel

Ia musica a farci compagnia

I concerti improvvisati con la scopa tra le mani

E quelle quattro mura, in cui davvero riuscivamo ad essere noi stesse.




Finimmo di sistemare casa proprio quando il poco sole di Bristol stava già per tramontare, sistemai velocemente le ultime cose nella mia stanza e mi andai a fare una doccia mentre Izi si accingeva a preparare la cena.

Indossai una felpa enorme di un azzurro chiaro, un leggings nero con un piccolo buco sul ginocchio evidenziato dalla mia pelle chiara ed un paio di calzini imbarazzanti.

Sorrisi guardando i piccoli gattini colorati disegnati sul cotone delle calze, poi tornai a prestare attenzione al mio viso pallido riflesso nello specchio e sistemai velocemente i capelli biondi in una coda disordinata.

Raggiunsi Izi in cucina, dalla quale provenivano dei deliziosi profumi che mi fecero brontolare lo stomaco: avevo fame.

Entrai nella stanza in tutta fretta, decisa a dar voce ai miei pensieri, ma la mia attenzione fu subito rapita da una persona.

Bello come il sole, bello come pochi, Ric se ne stava appoggiato sul bancone della cucina e quando mi accorsi di lui mi stava già sorridendo.

Non prestai minimamente attenzione al mio inusuale abbigliamento, anche perché mi aveva vista persino in condizioni peggiori, ad esempio durante le sessioni di esami, e nonostante tutto non era fuggito.

Gli mostrai un sorriso enorme e corsi ad abbracciarlo, lasciandogli un dolce bacio sul collo.

Lo sentii ridacchiare tra le mie braccia e pensai a come la sua risata fosse uno dei miei suoni preferiti.




I due giorni prima dell’inizio delle lezioni erano praticamente volati; 

Passai quel tempo quasi sempre con Isabel e qualche altro amico che come noi era rientrato da poco in città.

Adoravo la vita a Bristol, era tutto più semplice ed avevo avuto la fortuna di poter conoscere delle persone speciali, con le quali ero in perfetta armonia.

Isabel riusciva a distrarmi da tutti gli inutili pensieri che vagavano incontrollati nella mia mente; io, d’altro canto, le stavo accanto senza farle troppe domande, era il nostro accordo tacito ed era alla base della nostra amicizia.

Riccardo lo avevo visto poco, per lo più la sera, lavorava molto e non mi piaceva essere una fidanzata fastidiosa.

Aveva già i suoi impegni e stare con me doveva essere uno svago, non di certo un ulteriore pensiero.

Lo avevo conosciuto al mio primo anno di università, mentre lui stava già frequentando un master in economia.

Rimasi sin da subito affascinata da lui, non solo per la sua bellezza, per i suoi occhi magnetici o per il suo sorriso mozzafiato.

Di lui mi piaceva, soprattutto, la sua intelligenza, mi affascinava scoprire tutte le cose che poteva insegnarmi e mi trasmetteva la sua passione per quelle discipline, che io non amavo quanto lui, ma che iniziai ad apprezzare grazie a lui.

Il primo anno insieme era sicuramente stato il più bello, aveva già iniziato in concomitanza con il master a svolgere  qualche stage retribuito, ma aveva, comunque, molto più tempo da condividere insieme a me.

Tuttavia, lo scorso anno, subito dopo la fine dei suoi studi, aveva ricevuto un incredibile proposta di lavoro che lo teneva molto tempo impegnato.

Ero comunque molto felice con lui e di lui, si meritava tutto il prestigio che stava ricevendo e la consapevolezza che una grande azienda si era accorta del suo incredibile talento mi riempiva il cuore di gioia.

“A che pensi?” Mi sentii richiamare dai miei pensieri.

Smisi di disegnare cerchi immaginari sul petto del mio ragazzo e sollevai il viso, che avevo appoggiato tra la sua spalla ed il suo collo, in modo da poterlo guardare negli occhi.

“A noi” dissi sinceramente e lui sorrise con delicata dolcezza “e al fatto che domani ricominciano i corsi” continuai con meno entusiasmo.

Ric ridacchiò, spostandosi di lato e cingendomi i fianchi.

“Pensi all’università dopo aver fatto l’amore con me?” Mi prese in giro ed io avvampai, nascondendo il viso sul suo petto, lo sentii ridere più forte.




Passeggiavo lentamente per le strade di Bristol, guardando freneticamente l’orologio; avrei dovuto accelerare il passo altrimenti sarei arrivata tardi alla prima lezione del nuovo anno accademico.

Avrei dovuto, ma non mi andava.

Ero una studentessa modello, avevo praticamente il massimo dei voti in tutti i corsi ed un futuro prestigioso davanti.

Ed ero la gioia di mio padre, la sua più grande soddisfazione, non che c’è ne fossero altre, ero la sua unica figlia.

L’unica erede del suo colosso aziendale, un futuro certo, un futuro già scritto, un futuro che mi facevo andare bene perché non era da me ribellarmi a qualcosa.

Studiavo economia perché non avevo mai considerato alternative, come se queste non esistessero.

Fin da bambina ero cresciuta consapevole del mio ruolo, del mio posto nel mondo, dei miei impegni.

Non potevo certo lamentarmi, non tutte le persone sono abbastanza fortunate da avere la strada già spianata, una vita già piena di possibilità.

Per questo mi sono sempre adattata a tutti i confort che non ho mai chiesto, ma che ho sempre avuto e non ho mai disdegnato.

Non avevo mai avuto passioni al di fuori di quelle suggerite dai miei genitori e spesso mi sentivo vuota per questo, senza stimoli, annullata.

Era forse per questo che mi rifugiavo nei libri, lì potevo vivere tante vite diverse, potevo ricercare la vera Asia e potevo smettere di pensare alle mie responsabilità.

Sbuffai, tornando a guardare l’orologio, si stava facendo tardi, ma continuai a mantenere un passo lento e costante, imponendomi però di smettere di continuare a tirar fuori pensieri indesiderati.

Avrei voluto che quella mattina ci fosse Isabel con me, lei riusciva a spegnere il flusso dei miei pensieri, era l’unica che sapeva come fare o forse le veniva semplicemente naturale.

Purtroppo, i suoi corsi iniziavano un ora prima e, dunque, mi ritrovai a percorrere la strada verso il grande edificio da sola.

Sbuffai di nuovo, dieci minuti di strada da sola e senza un libro per me erano un’eterna tortura.




Mi diressi verso la mensa dell’università, le lezioni di quella mattina si erano da poco concluse e con mia grande gioia potevo andare alla ricerca dei miei amici.

La sala da pranzo del campus universitario era davvero enorme, ospitava tutti i ragazzi che studiavano nelle diverse facoltà ospitate da quella maestosa struttura ed era davvero difficile ricercare dei visi familiari in quel luogo così affollato.

Dopo tutto per me non era affatto un problema, ormai da anni, abituati a quella confusione, io e i miei amici ci incontravamo sempre allo stesso tavolo, sempre alla stessa ora.

Pertanto, dopo aver riempito il mio vassoio  non mi guardai neppure intorno e raggiunsi sbrigativa il nostro tavolo.

Scarlett rideva incessantemente per le solite battute di Lucas, mentre Isabel scuoteva la testa sconvolta.

Alec smanettava con il suo smartphone senza prestare attenzione a nessuno, probabilmente troppo preso da qualche nuovo gioco che aveva installato per non farsi sopraffare dalla noia delle lezioni;

Edo, invece, aveva lo sguardo puntato su di me e il solito sorriso sghembo sulle labbra.

“Alla buon ora” mi accolse quest’ultimo, attirando l’attenzione degli altri su di me.

Mormorai uno scusatemi sedendomi sbrigativa, avevo tardato poiché mi ero fermata a fare delle fotocopie.

La pausa pranzo passò veloce, tra una risata e qualche battuta, un ora dopo mi ritrovai in biblioteca.

La biblioteca era probabilmente il mio posto preferito all’interno dell’università; sembrava di essere in un luogo di culto, vi era un incredibile silenzio, così tanto che se ti concentravi potevi riuscire a sentire il respiro dei pochi presenti.

Presi posto in un tavolo vuoto, il primo giorno di ritorno all’università la biblioteca era ovviamente più vuota del solito e di questo ne ero davvero grata.

Non persi tempo e recuperai dallo zaino un nuovo romanzo, dopo aver messo il silenzioso al mio cellulare, avrei avuto l’intero pomeriggio per dedicarmi alla lettura e forse poi, se mi fosse avanzato tempo, avrei dato una sistemata agli appunti presi quella mattina.




“Ed io che pensavo che tu stessi cercando di capire i diversi metodi di determinazione dell’equity”  ero così presa dallo scorrere delle parole del mio libro che sobbalzai alle parole di Edo, lui se ne accorse e ridacchiò sedendosi difronte a me.

“Non ne ho bisogno, li ho capito benissimo” mentii assumendo un’aria saccente che lo fece sorridere e scuotere la testa con aria divertita; 

Edo era l’unico tra i miei amici a seguire il mio corso di studi e mi conosceva abbastanza bene da sapere che stavo attenta a lezione per ridurre al minimo le mie ore di studio nel tempo libero.

“Che ci fa Edward Bolton dentro una biblioteca?” Chiesi con con tono divertito e sconvolto, inarcando un sopracciglio.

Fortunatamente non c’era praticamente nessuno in biblioteca quel pomeriggio, altrimenti ci avrebbero già buttato fuori, nonostante il nostro tono di voce non fosse molto elevato.

“Ti stavo cercando e visto che non rispondevi sapevo di trovarti qui” rispose convinto il mio amico, mi conosceva troppo bene! 

“Non posso credere che ci sia una giornata pazzesca e tu stai chiusa qui dentro a leggere” mi canzonò. 

Poi senza neppure darmi il tempo di replicare chiuse con un tonfo il mio libro, continuando a parlare “andiamo, devi aiutarmi! Scarlett ha deciso di organizzare una festa nel mio appartamento stasera, non puoi mancare” concluse con tono che non ammetteva repliche.

“Non verrò a Nessuna festa, sai che evito come la peste questo genere di cose” risposi ovvia.

Ed era vero, non andavo a praticamente nessuna festa ed avevo un sacco di buoni motivi a sostegno di questa mia convinzione.

Infatti, Ric non era un amante delle feste, o almeno non più da quando aveva concluso gli studi universitari ed io ero troppo impacciata e pudica per muovermi sensualmente a ritmo di musica tra una folla di gente.

“Ti prego Asia, sai come riducono il mio appartamento dopo queste serate e domani torna mio fratello in città, ho bisogno di qualcuno con la testa sulle spalle che mi aiuti a tenere a bada ventiduenni ubriachi e arr..” 

“Domani torna Nick?” Lo interruppi, non volendo che concludesse davvero quella frase, avevo capito benissimo cosa intendesse dire. 

Lui annuì sospirando e pregandomi con lo sguardo di accettare quella folle proposta.

Nick era il fratello di Edo, aveva un anno in più di lui e studiava a Bristol, ma doveva star via un anno per un Erasmus, ma un anno non era ancora passato.

“Non doveva stare via un anno?” Chiesi, dando voce alla mia curiosità.

“Si, ma a quanto pare torna prima, non ho capito bene il perché, forse il Portogallo non gli piaceva poi così tanto” rispose Edo scrollando le spalle, “quindi mi aiuti?” chiese nuovamente.

Alzai gli occhi al cielo, non conoscevo molto bene Nick, ma essendo il fratello di uno dei miei più cari amici sapevo con certezza che non gli dispiacevano le feste, però sapevo anche che odiava quando il fratello le organizzava a casa loro.

“Va bene” mi arresi sbuffando e rimettendo il libro nella borsa, sarebbe stata una lunga giornata.



buonasera,
da questo momento in poi la storia verrà narrata da Asia, esattamente 2 anni prima dagli avvenimenti del prologo.
🫶


 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2. ***


CAPITOLO 2




Mi passai una mano sul viso esausta, erano quasi le cinque del mattino ed io stavo aiutando Edo a rimettere in sesto casa sua.

Sembrava che lì dentro ci fosse stato uno tsunami, c’erano bicchieri più o meno vuoti praticamente ovunque, tovaglioli sporchi, cicche di sigarette e persino dei preservativi.

Dio, che schifo.

Finii di chiudere l’ennesimo sacchetto di spazzatura, annotandomi mentalmente che non mi sarei più fatta coinvolgere dai miei amici in queste folli serate, mentre Edo stava ripulendo, da non oso immaginare cosa, i bagni dell’appartamento.

Mi gettai sul divano letteralmente sfinita, sospirando alla consapevolezza che alle undici sarei dovuta andare all’università; gli altri nostri amici erano troppo ubriachi per aiutarci a sbarazzare e se l’erano svignata, insieme alla maggior parte dei presenti, intorno alle tre di notte.




Poco dopo Edo mi raggiunse in salotto, mostrandomi un sorriso di scuse e con fare amorevole mi invitò a dormire un pò, dicendomi che avrebbe finito lui di pulire.

Lo ringraziai mentalmente, ero troppo stanca persino per parlare e mi gettai sul divano crollando tra le braccia di Morfeo, subito dopo aver puntato la sveglia alle dieci del mattino.




Aprii gli occhi lentamente e venni investita dalla fastidiosa luce che entrava dalla grande portafinestra del salone in cui mi ero addormentata; la mia sveglia non era ancora suonata eppure venni svegliata da un rumore, sbuffai portandomi una mano sulle tempie e richiudendo gli occhi, avevo un mal di testa lancinante.

“Ti hanno sfrattata Ass” mi sentii chiamare e strabuzzai gli occhi, era già arrivato?

Ma che ora era?

Mi misi a sedere lentamente, portandomi una mano sulla fronte, cercando di contenere le fitte di dolore causate dall’emicrania.

“Da quando in qua ti ubriachi Ass?” 

Sbuffai, cercando di mettere a fuoco il ragazzo che mi stava difronte.

Non era cambiato di una virgola: capelli ricci e castani, occhi verdi, sorriso furbo.

“Bentornato Nick” mormorai, recuperando il cellulare che avevo lasciato a terra accanto al divano.

Erano appena le nove del mattino.

“Non sembri tanto felice di vedermi e dov’è mio fratello?” Mi chiese curioso il ragazzo mentre mi scrutava con attenzione ed un po’ di sospetto.

“Avete fatto una festa qui?” Chiese poi.

D’istinto mi guardai intorno, cercando un piccolo segnale o qualcosa fuori posto che avrebbe potuto indurlo a sgamarci, ma niente, era tutto impeccabilmente a posto.

“Non c’è bisogno che rispondi a quest’ultima domanda, ho visto delle storie su Instagram e posso dire con certezza che so riconoscere casa mia” 

Disse, richiamando la mia attenzione, io in risposta tornai a puntare lo sguardo sul fratello del mio amico; sospirai, avevo passato la notte sveglia inutilmente, dato che sapeva già che c’era stata una festa.

Ma quantomeno aveva trovato tutto in ordine, magari stavolta non se la sarebbe presa.

“Quindi dov’è Edward?” Mi domandò nuovamente.

Cercai di recuperare lei mie capacità linguistiche, continuando a massaggiarmi le tempie, “non lo so,io..”

“Lascia stare” mi interruppe, voltandosi di spalle e lasciandomi lì.

Sbuffai, appoggiando non troppo delicatamente la testa sul divano e richiudendo gli occhi.




Qualche minuto dopo ero ancora sul divano, con gli occhi chiusi ed una mano sul visto, in uno stato di dormiveglia; 

Sentii dei passi farsi sempre più vicini e sperai fosse Edo, non avrei retto un altro interrogatorio di Nick.

“Ecco, bevi questo, dovresti stare meglio” 

Aprii gli occhi lentamente, trovando il ragazzo di poco prima accanto al divano mentre mi porgeva una tazza fumante.

“Ma io non ho bevuto ieri sera” mormorai, cercando di fargli capire che non ero ubriaca ma semplicemente stanca.

Lo sentii ridere e lo vidi scuotere la testa, “non avevo dubbi Ass, la cosa più estrema che bevi è la coca cola” mi prese in giro il riccio e io misi su un broncio non poi tanto finto, incrociando le braccia al petto.

“Bevi lo stesso, è una tisana, aiuta con il mal di testa” continuò avvicinandosi di più con la tazza tra le mani.

Sospirai prendendola e annusando il contenuto, non aveva un cattivo odore; “Vuoi per caso avvelenarmi?” gli chiesi scettica.

Lo sentii ridere nuovamente, mentre iniziavo a sorseggiare quella bevanda, “no, non penso che sia stata tua l’idea di fare una festa proprio qui! Quindi, puoi stare tranquilla.” Mi rispose ed io sorrisi.

Poi, proprio come qualche minuto prima, girò le spalle ed andò via, chiudendosi definitivamente nella sua stanza.




Camminavo distrattamente tra le vie di Bristol, percorrendo il percorso che separava l’università dal mio appartamento; erano appena le quattro del pomeriggio, ed io avevo appena concluso le lezioni di quella giornata.

Il mal di testa si era affievolito nel corso della mattinata ed ero riuscita a seguire i corsi con precaria attenzione, scarabocchiando qualche appunto.

Tuttavia, una stanchezza estenuante mi gravava sulle gambe, costringendomi a passi lenti e pesanti.

Dopo un percorso che mi sembrava più lungo del solito arrivai nei pressi del condominio in cui abitavo e gioii silenziosamente nel ritrovarmi finalmente a casa.

L’appartamento era completamente vuoto, lo condividevo solo con Isabel, che dopo aver saltato le lezioni della mattina, aveva deciso di seguire quantomeno quelle del pomeriggio.

Mi diressi spedita in bagno, decisa a darmi una sciacquata prima di gettarmi nel letto e bearmi di un meritato riposo.

Mi fermai un attimo ad osservare il mio aspetto allo specchio: il mio viso era decisamente più pallido del solito ed aveva assunto un colorito sostanzialmente cadaverico, gli occhi gonfi e rossi contornati dalle occhiaie violacee, i capelli biondi erano legati in uno chignon disordinato, mentre alcune ciocche ribelli mi ricadevano sul viso stanco.

Sospirai aprendo il getto d’acqua del lavandino con la speranza che sciacquarmi la faccia potesse aiutare a recuperare un po’ di colorito.

Nonostante il mio aspetto non fosse decisamente dei migliori ero comunque sopravvissuta a quella giornata di corsi ed era andata decisamente meglio di quanto mi aspettassi.

Finii di asciugare il viso e mi diressi nella mia stanza, cambiandomi velocemente e gettandomi di peso sul letto.

Risposi a Ric che mi aveva chiesto di passare la serata insieme;

Pertanto, puntai una sveglia alle diciannove, in modo da poter avere il tempo necessario per darmi una sistemata, con l’obiettivo di assumere un aspetto almeno decente, e poi chiusi gli occhi lasciandomi andare ad un sonno profondo.




Alzai i capelli in una coda alta che metteva in mostra il collo e gli orecchini che mi avevano regalato i miei genitori per il compleanno, erano decisamente i miei preferiti: non troppo appariscenti, delicati e luminosi.

Osservai un ultima volta la mia figura allo specchio, avevo indossato un semplice vestito blu stretto in vita e che cadeva morbido sui fianchi, il viso leggermente truccato con un generoso strato di mascara e un lucida labbra color pesca; la mia faccia aveva ripreso un colorito accettabile grazie alle due ore di sonno di quel pomeriggio e una lunga doccia calda, ed anche le occhiaie sembravano essere quasi sparite.

Dopotutto non stavo poi così male.

Uscii dalla stanza, dopo aver finito di preparare la mia borsa, Ric sarebbe passato a momenti e dunque decisi di lasciare ad Isabel un post-it sul frigorifero, avvisandola del fatto che non sarei rimasta con lei in casa.

Infatti la ragazza era rientrata probabilmente mentre io stavo riposando e quando mi sono svegliata, avevo notato che dormiva profondamente e non mi sembrava affatto il caso di disturbarla.

Isabel, a differenza della sottoscritta, era molto più propensa alle feste e al divertimento in generale, senza porsi il problema di bere alcolici o fare tardi, pertanto ero abituata a vederla dormire ad orari strani. 

Decidi di scendere ed aspettare Ric in strada, in modo da evitare che quest’ultimo potesse, suonando il campanello, involontariamente svegliare la mia coinquilina.

Mi sedetti al bordo dell’aiuola adiacente al palazzo in cui vivevo e recuperai il telefono dalla borsa, erano le venti e quarantadue.

Sbuffai, Ric era in ritardo, come sempre d’altronde.

Aspettai un tempo che mi sembrò infinito, ed iniziai a sentire freddo mentre ero ferma e per strada, ma proprio quando avevo deciso di risalire su a prendere una giacca, vidi la macchina del mio fidanzato fermarsi proprio di fronte a me.

Mi alzai velocemente dall’aiuola, sorridendo al ragazzo, prima di entrare in auto. Dopotutto erano soltanto le ventuno e trenta.




La serata passò tranquilla, raggiungemmo dei colleghi di Ric in un ristorante non eccessivamente elegante, ma comunque particolarmente sofisticato.

I tavoli tondi erano grandi, ricoperti da morbide tovaglie color nocciola, al centro del tavolo vi era posto una lampada triangolare, che metteva in evidenza il

contrasto tra le diverse forme geometriche. Le mattonelle erano rustiche di un nero pece e creavano un piacevole gioco di colori con le molteplici luci a neon di cui era illuminata la grande sala.

 Passammo l’intera serata in quel luogo a parlare con i colleghi del mio ragazzo del più e del meno; o almeno, Ric parlò con loro per l’intera serata, io mi limitai ad ascoltarli distrattamente, beandomi dell’atmosfera che ci circondava.

Non che mi stessero antipatici o io avessi difficoltà a socializzare, ma semplicemente avevano passato l’intera serata a parlare di lavoro, dunque, non sarei riuscita ad integrarmi neppure se avessi voluto.

Per questo quasi sobbalzai quando uno di loro, credo si chiamasse Harry, si rivolse a me.

“E tu sai già cosa vorresti fare appena finisci gli studi?” Mi chiede “Riccardo mi ha detto che anche tu studi economia” precisò poi, continuando a parlare.

Scrollai le spalle, cercando di assumere un aria tranquilla.

Odiavo quel tipo di domande, non perché non sapessi rispondere, ma semplicemente perché non mi piaceva l’idea di dover confessare di avere già una vita dettagliatamente programmata, senza nessun possibile piano B, senza nessuna eccezione.

Harry dovette interpretare il mio silenzio come incapacità di trovare una risposta precisa a quella domanda ed infatti, poco dopo si affrettò ad aggiungere: “non importa, hai ancora diversi mesi per scegliere cosa fare!” disse con tono gentile e sorridendomi leggermente ed io avrei davvero voluto che fosse così semplice.

“Ma lei sa già cosa farà, si occuperà di gestire l’impresa del padre, le industrie Bucker” disse Ric, con aria fiera, interrompendo quella precaria conversazione e confessando a tutti di chi ero figlia.

Pochi istanti dopo tutti gli occhi dei presenti al tavolo erano posati su di me ed io avvampai per l’imbarazzo.

“Tu sei la figlia di Arthur Bucker?” Mi chiese un tipo di cui non ricordavo il nome con tono quasi sconvolto e gli occhi sgranati.

“Emh.. già” risposi imbarazzata, odiavo quel tipo di situazioni.

“Allora non avrai nessun problema a far carriera” affermò una collega di Riccardo, rivolgendomi un piccolo sorriso.

Passai il resto della serata cercando di evitare ulteriori domande, sperando di poter scomparire su quella sedia.

Ma la fama delle multinazionali di mio padre era troppa e quei ragazzi erano particolarmente interessati ad avere più informazioni possibili.

Parlavano di mio padre come se lo conoscessero da sempre, quasi meglio della sottoscritta, come se fosse un idolo di cui tenevano il poster affisso in cameretta.

Uno di loro mi confessò di aver persino sviluppato la propria tesi di laurea portando come caso studio il colosso della mia famiglia; ed in generale ognuno di loro mi parlava come se fosse quasi invidioso della mia incredibile fortuna.

Trattenni il fiato devastata dalla piega che stava prendendo quella serata, scostai di poco la sedia e mi scusai alzandomi, dirigendomi verso il bagno.

Entrai in quello delle donne e appoggiai entrambe le mani sul bordo del lavandino, respirando profondamente.

Perché non potevo essere semplicemente felice della mia vita?




“Dormi insieme a me?” Domandai a Ric appena arrivammo con l’auto di fronte al palazzo in cui vivevo.

Mi piaceva dormire insieme a lui, sentire le sue braccia cingermi i fianchi e il suo petto riscaldarmi le spalle; era l’unico ragazzo con cui avevo avuto un rapporto così intimo, il primo con cui mi ero spinta oltre, ed era forse questo il motivo per cui mi imbarazzavo ancora a chiedergli di passare la notte insieme a me, nonostante stessimo insieme da più di un anno e mezzo. 

Ric mi accarezzò il viso con una mano, lasciandomi un dolce bacio sulla fronte, “Mi piacerebbe restare insieme a te, ma non posso, domani devo alzarmi presto” mi disse a pochi centimetri dal mio viso.

Mi persi in quegli occhi profondi, rivolgendogli un sorriso.

Ormai ero abituata al fatto che lui non avesse molto tempo per me, si stava affermando professionalmente ed era comprensibile che non riuscisse sempre ad accontentarmi.

Gli lasciai un bacio sulle labbra prima di scendere dalla macchina, avrei davvero voluto dormire insieme a lui, una parte di me avrebbe voluto insistere un altro po’, ma sapevo che era giusto cosi, io avevo i miei impegni universitari e lui i suoi lavorativi, lo avrei aspettato, come sempre.




Aprii la porta di casa sentendo una serie di schiamazzi provenienti dal salone, sorrisi raggiungendo i miei amici.

Ridacchiai appena li raggiunsi, Edo era sul divano e litigava con Isabel per il telecomando, Scarlett seduta malamente su una sedia, sorseggiava una birra, facendo finta di prestare attenzione alle parole di Lucas; quest’ultimo parlava ad alta voce, gesticolando, come se stesse raccontando un avventura avvincente.

Mi appoggiai allo stipite della porta e rimasi ad osservarli, adoravo la loro leggerezza e la loro ilarità, riuscivano a far sentire bene anche me.

“Sei tornata finalmente” fu la rossa la prima ad accorgersi di me, puntando i suoi occhi verdi verso la sottoscritta e poggiando bruscamente la birra sul tavolino.

“Hai fatto cose zozze?” Continuò prendendomi in giro.

Come sempre avvampai, scuotendo decisa la testa “Sono stata a cena fuori, scema” le risposi, raggiungendo gli altri sul divano.

“Tuo fratello non ti ha ucciso?” Chiesi ad Edo, sedendomi accanto a lui.

“Diciamo che ha deciso di passarci sopra, per questa volta” rispose il mio amico ridacchiando.

Restai a chiacchierare con loro per diverso tempo e in fretta mi dimenticai dell’imbarazzo provato durante la cena a seguito degli sguardi e delle domande dei colleghi di Riccardo; mi dimenticai anche della delusione provata poco prima, che avevo cercato comunque di nascondere, ma che c’era: a nessuno piace essere “rifiutati” dal proprio ragazzo.

Anche se sapevo benissimo che non si trattava di un vero e proprio rifiuto, mi sarebbe piaciuto se, per una volta, avesse messo da parte i suoi impegni per me.




Entrai in biblioteca alla ricerca di un posto libero e appartato, non era piena come nei giorni antecedenti alla sessione di esami, ma era comunque molto più affollata del primo giorno di lezione.

Dopotutto era passata una settimana dall’inizio dei corsi e molti ragazzi preferivano organizzarsi e studiare gradualmente, piuttosto che ridursi a dover recuperare interi programmi in poche settimane.

Anche io cercavo di studiare con costanza, ma non era questo il motivo per cui frequentavo così assiduamente la biblioteca.

Presi posto in un tavolo isolato, vicino ad una grande finestra e recuperai dalla borsa un nuovo romanzo.

Spostai una ciocca di capelli dietro l’orecchio e mi sistemai gli occhiali, dopodiché mi immersi tra le righe di quella nuova storia.

Avevo una sorta di dipendenza dalla lettura, leggevo circa due o tre storie diverse a  settimana; amavo immedesimarmi nelle figure descritte nei libri e riuscivo sempre a sentirmi parte integrante di quel racconto o ad instaurare un legame affettivo con i protagonisti.

Preferivo la compagnia di un buon libro e una biblioteca vuota a frenetiche serate in discoteca.

Alzai gli occhi dal libro solo quando mi resi conto che la luce che entrava dalla finestra si era decisamente ridotta, diedi un’occhiata veloce al cellulare, avevo tre chiamate perse, una decina di messaggi e si era fatto davvero tardi; perciò, mi affrettai a recuperare le mie cose sparse sul tavolo e a gettarle con poca grazia all’interno della grande borsa che mi portavo dietro, dopodiché presi a camminare freneticamente lungo i corridoi dell’università.

Avevo promesso ad Isabel che l’avrei aiutata a scegliere un vestito da indossare per una fantomatica festa che si sarebbe svolta in quel week-end e posso affermare con certezza di aver accettato la sua richiesta di aiuto con non poca riluttanza.

Sia perché non essendo un esperta di feste non avrei davvero saputo come aiutarla, in questo caso la collaborazione di Scarlett sarebbe stata decisamente più appropriata, sia perché Izi non aveva affatto bisogno del mio aiuto, il suo gusto nel vestire era impeccabile.

Sbuffai accelerando il passo, mi aspettava in centro ed io ero in ritardo di almeno un quarto d’ora.

Troppo presa dai miei pensieri e dalla mia premura non mi accorsi neppure di aver urtato malamente contro qualcuno, sgranai gli occhi ed avvampai iniziando a scusarmi contro lo sconosciuto che avevo accidentalmente urtato.

“Mi dispiace tantissimo, scusi davvero, andavo di fretta..” dissi tutto d’un fiato, mortificata.

“Oh su, non preoccuparti. Voi giovani siete così spensierati, può succedere!” Mi sorrise l’uomo, sui sessant’anni, contro cui mi ero imbattuta, prima di riprendere a camminare per la sua strada.

Ed era esattamente quello che stavo per ricominciare a fare anche io, prima che una risata cristallina mi raggiunse alle spalle.

“Volevi per caso ucciderlo Ass?” Mi prese in giro, in risposta sbuffai ignorandolo e continuando a camminare.

Avevo le guance rosse per l’imbarazzo.

Il riccio mi affiancò, senza però proferire parola, camminava al mio fianco in assoluto silenzio; pertanto girai il viso leggermente e presi ad osservarlo, teneva il mio passo ma non sembrava affaticato- a differenza della sottoscritta- le mani nelle tasche dei jeans, lo sguardo rivolto in avanti.

Tornai a guardare la strada di fronte a me, perché stava in silenzio? Non era da lui!

“Guarda che ti ho visto” lo sentii mormorare, mi voltai nuovamente verso di lui inarcando un sopracciglio, “mentre mi fissavi” si affrettò a precisare.

Ridacchiai scuotendo la testa e tornando ad osservare la strada, “mi preoccupava il tuo silenzio” risposi sincera, continuando a sorridere.

“Se vuoi posso continuare a prenderti in giro, non pensavo ci tenessi così tanto” mi stuzzicò prendendo una sigaretta dal pacchetto che teneva in tasca e avvicinandola alla bocca.

“Non oggi Nick, vado di fretta” gli risposi divertita, lui ridacchiò fermandosi e guardandomi allontanare.

“Mi raccomando sta attenta a dove metti i piedi, Ass” gli sentii dire da qualche metro di distanza pochi secondi prima di voltare l’angolo ed imboccare la strada in cui sapevo mi stesse aspettando la mia coinquilina.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3. ***


Capitolo 3

Ottobre era sicuramente uno dei mesi che preferivo, l’aria fresca che mi accarezzava il viso, i colori dell’autunno, il profumo delle caldarroste per le vie della città.
Il ritmo delle lezioni si faceva sempre più frenetico e la biblioteca dell’Università era sempre più affollata in quel periodo, soprattutto in vista delle prove parziali che precedevano il periodo natalizio e che costringevano buona parte degli studenti a rinchiudersi dentro il grande edificio intere giornate per studiare.
Per quel motivo quel pomeriggio, piuttosto che passarlo all’università avevo deciso di raggiungere Edward nel suo appartamento; non lo vedevo da due giorni ormai e non sapevo che fine avesse fatto, anche perché ad ogni chiamata o messaggio era stato fin troppo vago.
Non che fosse una novità che il mio amico saltasse qualche lezione di troppo e neppure che lui fosse un tipo particolarmente riservato; tuttavia, l’idea che potesse avere qualche problema, mi spinse a raggiungerlo sino a casa,senza preavviso, con l’obiettivo di potergli dare una mano o, quantomeno, prestargli gli appunti presi in quei due giorni.
Mi fermai in un bar della via ad acquistare due cioccolate calde e qualche pasticcino, portargli qualcosa di dolce mi sembrava un buon modo per iniziare bene il pomeriggio.
Quando giunsi davanti al grande palazzo in cui abitava non mi preoccupai di suonare il campanello ed infatti, recuperai dalla borsa il mazzo di chiavi che Ed mi aveva lasciato.
Da quanto, sei mesi prima, il fratello era partito per l’Erasmus capitava spesso che io frequentassi casa sua, ma soprattutto, capitava ancora più spesso che il mio amico dimenticasse le chiavi di casa, avendo poi non pochi problemi per poter rientrare nel suo appartamento.
Per questo motivo mi aveva lasciato una copia di chiavi per ogni evenienza ed io non mi ero mai fatta problemi ad utilizzarle, proprio come quel pomeriggio.
Uscii dall’ascensore quando raggiunsi il quarto piano e mi diressi alla porta, aprendola subito dopo.
Entrai tranquilla dirigendomi a passi spediti verso la stanza di Edo, chiamandolo con voce alta, in modo tale che potesse sentirmi.
Purtroppo non ricevetti nessuna risposta, bussai un paio di volte alla porta della sua camera e quando non avvertii nessuna voce all’interno, l’aprii trovandola vuota.
Sbuffai, quell’imbecille non era in casa.
Tornai in salotto indecisa se aspettarlo o meno, pertanto presi il telefono dalla borsa e lo chiamai.
Squillò qualche secondo, ma subito dopo si attaccò la segreteria.
Alzai gli occhi al cielo, gettando malamente il telefono nella borsa e dirigendomi in cucina, gli avrei lasciato i pasticcini e gli appunti sul tavolino e magari un messaggio su whatsapp per avvisarlo della mia visita improvvisa.
Presa per com’ero dai miei pensieri quasi urlai quando, dopo aver posato sul tavolo della sala da pranzo la busta della pasticceria e qualche quaderno, mi resi conto del ragazzo seduto a terra, con le spalle poggiate al muro e lo sguardo perso chissà dove.
“Nick, mi hai fatto prendere un colpo!” Dissi con voce sconvolta, portandomi una mano sul petto.
Ma il ragazzo sembrava non sentirmi, stava immobile in quella posizione come se non si fosse accorto della mia presenza.
“Nick?” lo richiamai preoccupata, cosa diavolo aveva?
Mi avvicinai di qualche passo, notando il suo petto alzarsi ed abbassarsi velocemente, le mani strette a pugno a contatto con il pavimento freddo, le nocche bianche per la pressione che stava esercitando.
“Hey Nick guardami” gli dissi con un filo di voce, preoccupata, continuando a scrutarlo attentamente, come se osservarlo potesse aiutarmi a comprendere cosa gli stesse succedendo.
Non riuscivo a capire cosa avesse, ma vederlo in quel modo di destabilizzava e mi spaventava, non sembrava neppure lui.
Nicholas a differenza del fratello,molto più taciturno e riservato, era decisamente un ragazzo solare, sempre sorridente;
All’università aveva tantissimi amici, scherzava con qualsiasi tipo di persona e viveva con una leggerezza disarmante, che quasi gli invidiavo.
Vederlo inerme sul pavimento, privo di ogni espressione e vitalità, era un contrasto troppo forte rispetto al ragazzo che avevo imparato a conoscere.
Lo osservai per qualche altro secondo, con la speranza che scoppiasse a ridere da un momento all’altro prendendomi in giro per aver creduto al suo scherzo, ma a quanto pare non si stava prendendo gioco di me.
Eppure avrei preferito andarmene via infuriata, ma sollevata, piuttosto che continuare a guardarlo in quello stato, senza sapere esattamente cosa fare.
Mi riscossi dai miei pensieri, stringendo le mani come per darmi coraggio e mi avvicinai ancora di più al ragazzo; 
“Nick, parlami” gli dissi, dopo essermi messa in ginocchio davanti a lui e prendendogli il viso tra le mani.
Puntai lo sguardo in quegli occhi verdi smeraldo, che sembravano in quel momento spenti e opachi, persi.
Ripetei il suo nome così tante volte che persi il conto, sollevandogli e accarezzandogli il viso, alla ricerca di una reazione, una piccola interazione.
Ma lui continuava a non darmi retta, assente.
Iniziai a sentire gli occhi pizzicare, un nodo alla gola ed un peso sullo stomaco; proprio nel momento in cui decisi che avrei dovuto chiamare qualcuno, suo fratello, un’ambulanza o i nostri amici, lui sembrò riscuotersi da quello stato di trance.


Sentii le sue mani posarsi bruscamente sulle mie spalle e stringerle con violenza, strattonandomi, sgranai gli occhi spaventata.
“Vai via Asia, vattene via” mi urlo contro spingendomi all’indietro; non mi aspettavo quella reazione insolita e per questo persi l’equilibrio cadendo a terra.
Mi  rialzai, allontanandomi di qualche centimetro, ma senza smettere di guardarlo.
Perché reagiva così adesso? 
“Te ne devi andare!” Mi urlò nuovamente, facendomi sobbalzare, era decisamente fuori di se.
“Non vado da nessuna parte se non mi dici cos’hai” non so esattamente dove presi il coraggio di balbettare quella risposta, ma non mi sembrava giusto andare via e lasciarlo lì in quelle condizioni; 
qualsiasi cosa avesse, avrei voluto aiutarlo.
Mi fissò con rabbia per qualche secondo e sentivo il mio corpo tremare al suo sguardo furioso, fin quando non si lasciò andare contro il muro, stringendo le gambe al petto e nascondendo il viso.
Non ebbi neppure il tempo di fare anche solo un piccolo passo verso di lui, che lo sentì implorarmi di andare via con voce meno rabbiosa di prima, ma piuttosto esausta.
Sospirai, non avrei voluto lasciarlo lì, non in quello stato.
Ma sapevo anche che non potevo insistere, stava soffrendo ed io non potevo immischiarmi nel suo dolore, per questo recuperai la borsa da terra e velocemente lasciai quell’appartamento.


Tornai a casa e mi chiusi nella mia stanza, non riuscivo a togliermi dalla testa il vuoto che avevo visto negli occhi di Nicholas, il solo pensiero di quello sguardo perso mi metteva angoscia e mi faceva tornare un nodo in gola.
Provai a distrarmi dal flusso incessante dei miei pensieri, ma nessun romanzo in quel momento riusciva a farmi svagare, a distogliere la mia attenzione o ad alleviare la mia preoccupazione.
Sbuffai mettendomi seduta sul letto, non avrei dovuto lasciarlo da solo, chissà cosa stava facendo adesso, se si sentisse meglio.
Venni riscossa dai miei pensieri quando sentii il mio telefono vibrare sul comodino, lo presi velocemente, aprendo il messaggio che mi aveva inviato Edo:


“Grazie per gli appunti e per i pasticcini, sei fantastica.
Ci vediamo domani, promesso.”



Sospirai leggendo quel messaggio, Edo era tornato a casa, quantomeno Nick non era più solo, magari il fratello sapeva cosa avesse, magari per questo non veniva all’università da qualche giorno.
Continuai a rimuginare sugli eventi di quel pomeriggio per tutto il resto del tempo, cercando di trovare risposte alle mie molteplici domande, creando ipotesi e supposizioni, fin quando non mi addormentai senza neppure accorgermene.


Quella mattina a Bristol il cielo era cupo e l’aria gelida, probabilmente avrebbe piovuto.
Arrivai all’università in compagnia di Isabel  e mentre lei mi raccontava di tutti gli avvenimenti degli ultimi giorni, io fingevo di ascoltarla continuando a pensare a ciò che era accaduto il pomeriggio precedente.
“Mi stai ascoltando Asia?” Vidi la mia coinquilina scuotermi una mano a pochi centimetri dal viso risvegliandomi dai miei pensieri.
In risposta le sorrisi annuendo, anche se in realtà non stavo davvero prestando attenzione alle sue parole; 
“Si certo, come no” mi rispose, infatti, la mora, abbozzando un sorriso e scoccandomi un bacio sulla guancia
“Ci vediamo a mensa!” Aggiunse poi, prima di sparire tra la folla.
Sospirai, sistemandomi meglio la borsa sulla spalla e entrando nel grande edificio.
Arrivai in aula in anticipo di qualche minuto e fui felicemente sorpresa di trovare Edward già seduto tra le prime file.
“Chi non muore si rivede!” Lo presi in giro, dopo averlo raggiunto ed essermi seduta accanto a lui.
“Credevo ti avessero rapito gli alieni” continuai a punzecchiarlo, buttandomi letteralmente tra le sue braccia.
Lo sentii ridacchiare prima di lasciarmi un leggero bacio tra i capelli; “sono stato impegnato, ma giuro che oggi pomeriggio ti racconto tutto” mi rispose appena mi allontanai da quell’abbraccio ed io annuii sorridendogli.
“Tutto bene a casa?” Osai chiedere, volevo capire se lui sapesse del malessere del pomeriggio precedente del fratello, anche se, dal suo umore non sembrava esserne a conoscenza.
A conferma delle mie ipotesi lo vidi annuire  tranquillo.


“Dunque, fammi capire..” presi fiato, socchiudendo gli occhi e puntando un dito sul petto del mio amico, con fare minaccioso, “non sei venuto a lezione per ben due giorni, perché troppo impegnato a stalkerare un potenziale eterosessuale?” chiesi allibita con tono sarcastico.
Lo sentii ridere di gusto, stringendo tra le braccia un cuscino del divano, “più o meno” rispose dopo un po’, vago.
Sbuffai scuotendo la testa, Edward era irrecuperabile.
Dopo le lezioni di quella mattina, eravamo andati a casa mia ed aveva mantenuto la promessa fatta di “raccontarmi tutto”; sostanzialmente non era sparito, semplicemente aveva passato gli ultimi due giorni alle prove del concerto autunnale che stavano organizzando i ragazzi del conservatorio e tra questi vi era uno di cui Edo si era invaghito ormai da mesi.
Sapevo esattamente quale fosse il ragazzo in questione , anche se non ci avevo mai parlato e neanche lui.
Lo aveva visto per la prima volta al bar vicino l’università, pochi mesi prima, durante la sessione estiva, da allora non gli aveva mai tolto gli occhi di dosso.
Che il mio amico fosse gay io lo avevo scoperto da meno di un anno ed anche in un modo particolarmente brusco, ma non riuscivo a capire perché si ostinasse ancora adesso a tenerlo nascosto a tutti.
Non c’era nulla di male e nessuno avrebbe avuto da ridire; inoltre, se mai avesse iniziato a esprimere con maggiore trasparenza le sue preferenze sessuali, sicuramente avrebbe avuto meno problemi nella ricerca di un partner.
Ma sapevo anche quanto difficile fosse per lui esternare qualsiasi tipo di emozione, pertanto mi limitavo a stargli accanto senza giudicare le sue scelte, anche se spesso buffe o azzardate.
Continuai a prenderlo in giro per il resto del pomeriggio, fin quando non sentimmo la porta di casa aprirsi e Isabel, Scarlett e Lucas raggiungerci in salotto.
“Cosa state facendo voi due?” Chiese la rossa con un sorriso malizioso, buttandosi sul divano; alzai gli occhi al cielo per le sue costanti insinuazioni sessuali, ma non trattenni un sorriso.
“Domani sera c’è una festa a casa di Emily  Robinson” esordì dopo un po’ Lucas, “ci vieni Asia?” Mi chiese.
Storsi le labbra in una smorfia, odiavo le feste.
“Credo proprio di no” gli risposi ovvia.
“Potresti degnarci della tua presenza almeno una volta!” Mi rimproverò Isabel con il consenso di tutti gli altri miei amici.
“È venerdì sera, cos’altro vuoi fare?” Mi chiese insistente Scarlett.
Sospirai scuotendo la testa “Non penso, uscirò con Ric domani sera!” Affermai, liquidando la faccenda.
“Potresti essere tu a dargli buca, per una volta” disse Edo ed alzai gli occhi al cielo, facendo finta di non averlo sentito.
Li sentii brontolare e mormorare insulti, ma li ignorai tranquillamente.


Uscii dalla mia stanza assonnata con indosso un pigiama di pile, nonostante ottobre fosse iniziato da poco le temperature erano davvero basse ed il freddo iniziava a farsi sentire.
Udì a distanza il mormorio dei miei amici e quando giunsi in cucina trovai Isabel e Edo seduti accanto al bancone.
“Cosa ci fai in pigiama?” Mi chiese sconvolta la mia coinquilina, io in risposta scrollai le spalle; “Ric aveva un impegno di lavoro!” Spiegai velocemente, versandomi un bicchiere d’acqua.
“Di venerdì alle dieci di sera?” Chiese la mora corrucciando le sopracciglia.
“Già” mormorai, tornando a riempire il bicchiere, ero davvero assetata.
“Beh, allora vestiti e vieni con noi!” alle parole di Isabel quasi non mi affogai con l’acqua ed infatti iniziai a tossicchiare scuotendo la testa con fare convinto.
“No, non mi convincerete mai a venire a quella festa!” Risposi, quando mi ricomposi, determinata.




Scesi dall’auto e mi strinsi nel cappotto, stavo morendo di freddo e le gambe coperte da un misero strato di collant non mi aiutavano, inoltre, i vertiginosi tacchi che la mia coinquilina mi aveva costretto ad indossare mi impedivano di camminare svelta e casa di Emily mi sembrava lontanissima, nonostante la musica si sentisse già da metri e metri di distanza.
Non so esattamente come, ma, quei due erano, incredibilmente, riusciti a convincermi ad andare a quella festa; in realtà più che convinta, avevo accettato per disperazione: non mi avrebbero lasciata in pace e mi ero arresa al mio destino.
Raggiungemmo casa Robinson in compagnia di Scarlett e Lucas e non appena entrai mi pentii di essermi lasciata trascinare in quel luogo con così tanta facilità.
La casa era piena di gente che ballava a ritmo di una musica fastidiosa e la puzza di fumo e di alcol mi fecero storcere il naso.
Andai a posare il cappotto insieme agli altri e li accompagnai a prendere da bere, aggrottando le sopracciglia quando constatai che nonostante ci fossero innumerevoli tipologie di alcolici, alla mia richiesta di avere una bottiglietta d’acqua il tipo che si era improvvisato barman della serata scoppiò a ridere di gusto.
Quando mi resi conto che non c’era davvero nulla di analcolico che potessi effettivamente bere in quella casa, sbuffai e rinunciai a prendere qualcosa per dissetarmi.
Vidi i miei amici dirigersi verso la pista da ballo e trascinarmi con loro con l’intendo di farmi scatenare; nonostante, io tentai di ribellarmi dal dover persino ballare, riuscirono a spingermi fin dentro la mischia.
Sbuffai scocciata, non vedevo l’ora di poter tornare a casa.


Oltre ogni aspettativa, avevo passato l’ultima ora a ballare al centro della pista con i miei amici e nonostante non sopportassi le innumerevoli persone che mi finivano addosso, la puzza di alcol e fumo ed il caldo asfissiante che c’era in quella stanza, mi ero quasi divertita.
Mi allontanai dagli altri cercando di riprendere fiato, sentivo caldo ed avevo sete.
Alzai i capelli in una coda disordinata e mi diressi nel giardino esterno della casa per bearmi di un po’ d’aria fresca.
Una volta fuori mi sedetti sul bordo di un aiuola e presi ad osservare le poche persone presenti in giardino, perdendomi tra i miei pensieri.
“Tu ad una festa? Mi stupisci Ass!” Sobbalzai quando sentii quella voce, ruotando il viso verso destra e trovandolo appoggiato contro il muro con una sigaretta tra le labbra.
Il viso era rilassato, gli occhi lucidi per l’alcol, le labbra piegate in un sorriso furbo, i ricci ribelli e spettinati.
Non c’era alcuna traccia del ragazzo che avevo visto solo pochi giorni prima, ne dello smarrimento che mi aveva inizialmente mostrato, ne, tantomeno, della rabbia con cui mi aveva cacciato.
“Ti senti bene?” Gli chiesi in un sussurro, puntando i miei occhi nei suoi.
“Non dovrei?” Sviò la mia domanda, inarcando le sopracciglia ed assumendo un aria confusa.
Per un attimo ebbi come l’impressione che non si ricordasse di quanto accaduto nel suo appartamento, non vi era un minimo di esitazione nel suo sguardo e mi sembrava totalmente rilassato.
Eppure come poteva non ricordare? 
Magari voleva solo ignorare quella questione, far finta che non fosse mai successo.
“Come ti hanno convinta a venire a questa festa?” Mi chiese riscuotendomi dai miei pensieri.
“Tuo fratello ed Izi” sospirai alzando gli occhi al cielo “non volevano lasciarmi a casa da sola” conclusi, scrollando le spalle.
“Ed il tuo ragazzo?” Mi domandò, gettando la sigaretta a terra ormai terminata, dopo averla spenta contro il muro.
“Cosa avevi mercoledì pomeriggio?” Ignorai la sua domanda, intenta ad indagare su quanto era successo, continuando a scrutarlo attentamente.
“Non so di cosa tu stia parlando” mi rispose, facendo un piccolo sorriso e prendendo ad osservare da un’altra parte.
Sembrava davvero che ignorasse l’accaduto, eppure, il fatto che avesse totalmente annullato il contatto tra i nostri sguardi mi suggeriva che stesse mentendo, che sapeva esattamente di cosa stavo parlando.
Ma allora per quale motivo si ostinava a fingere che non fosse successo nulla, non riuscivo a capire quel suo atteggiamento.
Rimasi in silenzio per un po’, confusa, perdendomi nei miei pensieri, tornando ad osservare il giardino di fronte a me.
Ero quasi certa che Nick fosse andato via, per questo sobbalzai quando sentii qualcuno poggiarmi una giacca sulle spalle.
“Ti prenderai un raffreddore se non ti copri!” Esclamò giustificandosi, dopo che mi voltai ad osservarlo.
Mi strinsi nel suo giubbotto ringraziandolo, era la seconda volta che si comportava in maniera gentile con me.
Non che sino ad allora mi avesse trattato male, semplicemente non eravamo così tanto amici e ci limitavamo a formali saluti,  qualche presa in giro -più da parte sua, che mia, in realtà-.
Lui, in risposta,scosse la testa, come se volesse sminuire quel gesto; “non voglio darti altri motivi per odiare questo genere di serate” precisò ovvio, prima di voltarsi per rientrare ed io rimasi ad osservarlo mentre andava via, con un sorriso dipinto sulle labbra.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4. ***


Capitolo 4

Arrivai all’università già stanca di quella giornata, nonostante fossero solo le otto del mattino: era lunedì, pioveva incessantemente ed avevo corso sotto la pioggia dopo che, a causa di una raffica di vento, il mio ombrello si era rotto.
Sbuffai, entrando nel grande edificio e dirigendomi a passo svelto verso i bagni, quando giunsi a destinazione mi fermai a riprendere fiato, fissando la mia immagine allo specchio.
Avevo i capelli arruffati a causa dell’umidità e qualche ciocca bagnata sfuggita alla coda appiccicata al viso, il mascara colato, le guance rosse per la corsa fatta.
Sbuffai nuovamente aprendo il getto dell’acqua e tentando di riassumere un aspetto quantomeno presentabile.
Fortunatamente indossavo un lungo trench con il cappuccio che era riuscito ad evitare che mi bagnassi ulteriormente, benedì mentalmente mia madre per avermelo regalato -e pensare che inizialmente neppure mi piaceva.-
Subito dopo essermi ricomposta uscii dal bagno e corsi in aula, ero decisamente in ritardo.


Dopo le lezioni decisi di non andare in biblioteca, approfittandone di quel momento di quiete per tornare a casa.
Passai il pomeriggio rannicchiata sul divano, ricoperta da un plaid, in compagnia di un nuovo romanzo e di una tazza fumante di the.
“Quando pensi di riportare questo giubbotto a Nick?” Mi chiese Isabel entrando nel salotto e facendomi sobbalzare.
Quando era rientrata?
“Buon pomeriggio anche a te” la salutai sarcastica, “lo darò ad Edo quando passerà da qua” le dissi, rispondendo alla sua domanda e scrollando le spalle.
Lei mi osservò con un sopracciglio inarcato, scuotendo la testa e sparendo pochi secondi dopo nel lungo corridoio che separava il salone dalle nostre camere.
Sbuffai, posando il libro sul piccolo tavolino posto di fronte al divano e mi alzai avvicinandomi alla finestra; spostai le tende, rendendomi conto che la pioggia era cessata definitivamente ed un pallido sole illuminava la città.
Effettivamente non era molto carino da parte mia non avergli ancora restituito la giacca, dopo tutto poteva servirgli.
Tuttavia, il fine settimana era trascorso velocemente, avevo passato l’intera giornata del sabato ad oziare in pigiama, guardando qualche film strappalacrime con la mia coinquilina e mi preparai, soltanto, nel tardo pomeriggio per andare a cena con Riccardo.
Dopodiché ero rimasta a dormire nel suo appartamento, beandomi delle sue attenzioni per l’intera domenica.
Amavo i pochi momenti che riuscivo a trascorrere insieme a lui ed avevo imparato a rispettare i suoi tempi ed i suoi spazi, senza avere troppe pretese.


Sbuffai, richiudendo le tende e risvegliandomi dai miei pensieri, recuperai il cellulare dal divano controllando l’orario che segnava le diciassette e trenta, non era poi così tardi per uscire di casa.
Lascia il caldo plaid sul divano e mi vestii velocemente, recuperando il giubbotto di Nick all’ingresso.
“Io esco, ci vediamo tra un po’!” Urlai alla mia coinquilina, prima di richiudermi con un tonfo la porta alle spalle.
Uscii svelta dall’ascensore, dirigendomi a passo spedito verso quel familiare appartamento e poggiando un dito sul campanello.
Avevo le chiavi di casa certo, tuttavia, dopo i recenti avvenimenti non mi sembrava il caso di entrare senza il consenso.
Dopo tutto quelle chiave, me le aveva date Edo quando in fratello era in Portogallo, ma adesso che era tornato magari non avrebbe apprezzato che un’estranea entrasse in casa sua senza preavviso.
Qualche secondo dopo aver suonato, sentii la porta aprirsi e Nick osservarmi sul ciglio della porta.
Aveva i capelli immancabilmente spettinati, un pantaloncino blu ed una maglietta bianca a mezze maniche.
Evidentemente il freddo non era affatto un problema per lui.
“Hey Ass” mi salutò sorridente, “Edward non è in casa!” 
“Emh, io in realtà cercavo te” risposi imbarazzata, senza sapere esattamente per quale motivo.
Lo vidi sollevare un sopracciglio e scrutarmi attento, probabilmente si stava chiedendo per quale ragione stessi cercando proprio lui.
In risposta sollevai la mano destra, in cui tenevo una busta di carta con dentro la sua giacca, “ti ho riportato il giubbotto!”.
Prese la busta dalle mie mani, ringraziandomi; 
“vieni dentro, ti offro qualcosa da bere” aggiunse.
“Io non bevo!” Esclamai ovvia e lo vidi sollevare gli occhi al cielo.
“Ti offro un caffè” aggiunse, trattenendo un piccolo sorriso.
Storsi il labbro in una smorfia, “non bevo neppure il caffè!” Precisai.
Lo sentii sbuffare, “ va bene, ti offro del latte, ma non penso di avere un biberon in casa” rispose, prendendomi in giro.
Lo guardai male, incrociando le braccia al petto, assumendo un espressione che probabilmente dovette sembrargli buffa dato che scoppiò a ridere divertito.
Poco dopo si scostò dalla porta facendomi un cenno con la testa e titubante lo seguii dentro casa.
Mi sedetti sul divano, mentre Nick si dirigeva in cucina.
Nonostante fossi stata in quella casa innumerevoli volte, mi sentivo quasi a disagio a stare lì; probabilmente poiché non c’era Edo, o forse per il semplice fatto che non ero mai rimasta sola insieme a suo fratello.
In realtà non avevamo mai avuto neppure una conversazione che durasse più di cinque minuti scarsi con Nick, forse per questo mi sentivo incredibilmente a disagio.
Non che io fossi avversa a fare nuove amicizie, semplicemente ero timida ed impacciata e mi sentivo spesso sotto pressione, anche quando non ce n’era affatto motivo.
Sollevai lo sguardo dalle mie mani, quando sentii Nick rientrare nel soggiorno, con in mano una tazza fumante, che mi porse subito dopo.
“Mi hai davvero preparato un bicchiere di latte?” Chiesi con tono divertito, lasciandomi fuggire un sorriso.
Lui annuì, sedendosi accanto a me, “guarda che l’ho corretto!” mi disse, rivolgendomi un occhiolino.
Scoppiai a ridere e poi annusai il liquido della tazza, magari non stava scherzando.
Evidentemente il mio gesto gli sembrò buffo, perché gettò la testa all’indietro sul divano lasciandosi andare ad una risata.
“Certo che sei proprio strana Ass!” 
“Senti chi parla” mormorai difendendomi, facendogli subito dopo una linguaccia.
Dopo quel breve battibecco recuperò il telecomando e accese la tv, 
“Guardiamo un film?” mi chiese, voltandosi verso di me.
“Io e te?” chiesi dando, sbadatamente, voce ai miei pensieri.
Lo vidi sorridere e scuotere la testa ed io avvampai per l’imbarazzo.
“Non ti mangio mica!” 
“Vada per il film..” mormorai, mettendomi più comoda sul divano.


“Questo film fa schifo!” Lo sentii lamentarsi per la centesima volta ed io sbuffai in risposta.
Aveva passato un tempo infinito a fare zipping con il telecomando, scartando un numero considerevole di film, alcuni perché li aveva già visto, altri perché non li avrebbe mai visti.
Quando trovò un film che, a quanto pare, sembrava andargli a genio, gli dissi di metterlo, senza neppure prestare attenzione al trailer.
Tuttavia, aveva seguito in silenzio si e no la prima mezz’ora di film, dopodiché aveva iniziato a lamentarsi.
“È un pessimo adattamento cinematografico di un romanzo bellissimo” dissi dopo un po’, senza neppure essermi accorta di aver parlato.
“Aspetta un attimo” disse, voltandosi bruscamente verso di me e mettendo in pausa il film.
Lo guardai con un sopracciglio inarcato, che gli prendeva adesso?
“Vuoi dirmi che tu sai già come finisce?”
“Beh, più o meno.. sempre che non abbiano stravolto il finale..” risposi, scrollando le spalle.
“Perché diavolo lo stiamo guardando allora?” Chiese assumendo un espressione buffa ed io scoppiai a ridere.
“Non lo so, lo hai scelto tu e ti stai lamentando da quando è iniziato!” gli ricordai “e comunque lascialo, ormai mancano venti minuti e finisce”.
Sbuffò e rimise play.


“Che film deprimente” sbottò alzandosi dal divano per andare ad accendere la luce, nel frattempo io mi stiracchiai e recuperai il cellulare dalla tasca, si era fatto decisamente tardi, pertanto, mi alzai dal divano, recuperando il trench dalla sedia.
“Io vado, si è fatto tardi!” Gli dissi, rivolgendogli un sorriso.
Lo sentii ridacchiare, mentre si avvicinava all’appendi abiti vicino alla porta.
“Non essere sciocca, è buio e fa freddo, ti accompagno io!”
Passai diversi minuti a cercare di persuaderlo, non era affatto necessario che mi accompagnasse, mi ero ritrovata a camminare da sola per le vie di Bristol molteplici volte; eppure, nonostante le mie continue rassicurazioni, non riuscii a convincerlo.
Sbuffai salendo in macchina, mentre lui accendeva la radio e metteva in moto.
Pochi minuti dopo arrivammo davanti al palazzo in cui vivevo, accostò con l’auto e io lo salutai e lo ringrazia per il passaggio, prima di scendere.
Stavo per aprire il portone, quando sentii un clacson risuonare nel silenzio della via, mi voltai alzando un sopracciglio.
Lo vidi abbassare il finestrino e rivolgermi un sorriso, “buonanotte Ass!” mi salutò, andando via subito dopo, senza lasciarmi neppure il tempo di ricambiare.


Camminavo svelta per le strade della città, avevo finito da pochi minuti le lezioni, ma anziché fermarmi in mensa come ogni giorno, uscii di corsa dal grande edificio per raggiungere Ric che mi aspettava per pranzare insieme.
Recuperai il cellulare nella tasca per guardare l’orario, sbuffai accelerando il passo, ero in ritardo.
Entrai nel locale in cui ci eravamo dati appuntamento, era una piccola rosticceria non troppo lontana dall’università.
Non era niente di speciale, ne il posto, ne il cibo; eppure, era un luogo in cui andavamo spesso, per il semplice fatto che era lì che avevamo trascorso il nostro primo appuntamento.
Rivolsi un sorriso alla ragazza dietro il banco, guardandomi intorno mentre recuperavo fiato, Ric non era ancora arrivato.
Sospirai, prendendo posto in un tavolo accanto alla grande parete di vetro che consentiva di osservare la strada adiacente al locale.
Ordinai una bottiglietta d’acqua, restando lì ad aspettare che il mio ragazzo arrivasse, perdendomi a guardare il traffico di quel quartiere.
Presi il cellulare tra le mani, guardando l’orario, ero lì da quasi un ora e di Ric nessuna traccia.
Sbuffai, decidendo di chiamarlo, dopotutto il mio stomaco stava brontolando.
Non rispose e decisi di ordinare una porzione di patatine, quantomeno lo avrei aspettato mangiando qualcosa.


Avevo quasi finito di mangiare le patatine, continuando a guardare fuori dal locale, quando il mio telefono iniziò a vibrare.


“Ho avuto un imprevisto, scusami se non ti ho avvisata prima!”


Sospirai, bloccando il cellulare, gli avrei risposto ma, più tardi.
Mi alzai dal tavolo, dirigendomi alla cassa e pagando quanto consumato, uscii dal locale, dirigendomi lentamente verso casa.
“Sono le tre del pomeriggio e sei già fuori dall’università? Ti senti bene, Ass?” 
Non fu necessario voltarmi per sapere chi aveva preso a camminare al mio fianco, iniziando come al solito a prendermi in giro.
Sia perché era l’unica persona che utilizzava quel nomignolo con me, sia perché era l’unica persona che non si scomodava neppure a salutarmi.
Continuai a camminare, rivolgendogli un cenno del capo.
Non che io fossi arrabbiata con Riccardo perché mi avesse dato, per l’ennesima volta, buca.
Ma sarei stata una bugiarda se avessi negato persino a me stessa che c’ero, giustamente, rimasta male.
Avevo lasciato perdere i miei amici, per raggiungerlo a pranzo e stare un po’ con lui e lui non era riuscito ad avvisarmi in tempo che non sarebbe potuto venire.
“Ass, ti senti bene?” Mi sentii richiamare, il tono decisamente meno scherzoso di poco prima; 
mi voltai a guardarlo, senza smettere di camminare, aveva assunto un’espressione quasi preoccupata.
“Tutto bene, davvero!” Gli risposi, rivolgendogli un sorriso.
“Non dire sciocchezze” mi costrinse a fermarmi, afferrandomi un braccio ed io lo guardai sconvolta.
“Che ti succede?” Mi chiese nuovamente.
“Scusami e che dovevo pranzare con Ric, ma non è riuscito a venire, non sono arrabbiata con lui..però..”
“Sei delusa” non era una domanda, mi stava osservando attentamente, era una constatazione e sembrava avesse capito il mio stato d’animo.
Scossi la testa, cercando di recuperare il
mio solito comportamento allegro e pacato.
“Scusami, non sono molto propensa a scherzare oggi!” Gli dissi, rivolgendogli un sorriso.
“Che ci fai da queste parti?” Gli chiesi, cercando di cambiare discorso.
“Sto andando alla partita, è ricominciato il campionato universitario!” mi spiegò ricominciando a camminare al mio fianco
“Vuoi venire? Vado perché devo scrivere un articolo per il giornale dell’università”
Nick studiava scienze delle comunicazioni e sognava di diventare un giornalista, lo sapevo perché essendo amica di suo fratello me lo aveva detto quest’ultimo, ma mi era anche capitato spesso di leggere qualche suo articolo; scriveva davvero bene.
“Meglio di no, mi annoierei a morte!” risposi sincera, ridacchiando.
“Dai Ass, non vorrai andarti a rinchiudere in biblioteca!” mi rimproverò 
“Oggi c’è persino il sole!” disse alzando una mano al cielo, come se quella fosse una motivazione più che sufficiente.
Sospirai, aveva ragione.


Era incredibile il numero considerevole di ragazzi che seguivano la squadra di calcio universitaria.
Non ero mai stata a nessuna partita prima di allora, ovviamente, e rimasi letteralmente stupita dalle molteplici persone presenti.
Seguii Nick tra la folla e lo sentii salutare decine di persone, era incredibile quanta gente conoscesse quel ragazzo.
Ci fermammo appena trovammo due posti liberi, la partita sarebbe iniziata a momenti.
“Asia Bucker ad una partita di calcio“ sentii urlare il mio nome da qualche fila più avanti, Scarlett mi aveva visto arrivare e non aveva perso tempo a prendersi gioco di me, senza preoccuparsi minimamente di aver attirato l’attenzione di almeno una decina di persone che adesso mi guardavano stranite.
Le rivolsi uno sguardo di rimprovero, senza tuttavia riuscire a trattenere un sorriso, dopodiché la salutai con la mano e lei fece lo stesso; Nick al mio fianco osservava la scena ridacchiando.
Seguii la partita con assoluto disinteresse e non esultai a nessun gol, a differenza di tutti gli altri ragazzi seduti sugli spalti; feci solo un gran sorriso e battei le mani soddisfatta solo quando fu Lucas a segnare.
A fine partita il tabellone segnava 4 a 2 per la squadra di casa, tutti i ragazzi iniziarono a festeggiare, sia dentro che fuori dal campo.
“Vieni con me” mi disse Nick, prendendomi per un braccio e facendomi strada tra la folla.
Dopo poco ci ritrovammo a bordo campo, dove vidi Lucas, Alec, Scarlett e qualche altro ragazzo che conoscevo solo di vista.
Feci i complimenti al mio amico, che però quando mi vide iniziò a strabuzzare gli occhi dallo stupore.
“Sei venuta alla partita?” Mi urlò, un misto tra sconvolgimento e felicità, correndo ad abbracciarmi.
Mi scostai velocemente, era letteralmente tutto sudato, non lo avrei mai abbracciato e quel mio gesto spontaneo fece ridere tutti i presenti.


Dopo la partita i ragazzi si erano riuniti per festeggiare la vittoria, ovviamente io avevo deciso di tornare a casa, non avevo nessuna intenzione di prendere parte ad una festa.
Dunque, salutai tutti e mi dileguai con la scusa di dover tornare a casa a studiare.
Stavo per uscire dall’uscita secondaria dell’università, quella più vicina al campo di calcio, quando mi sentii richiamare.
Mi voltai sorridendo a Nick, “non vorrai accompagnarmi anche oggi, lo hai detto anche tu che c’è persino il sole!” lo canzonai, alzando un sopracciglio.
“No, cioè si ti accompagno, perché volevo chiederti una cosa!” Mi disse con il fiato corto, forse aveva corso per raggiungermi, iniziando a camminare al mio fianco.
“Cosa vuoi chiedermi?” Gli chiesi curiosa, ma non ricevetti nessuna risposta.
Camminammo in silenzio per qualche minuto, inizialmente pensavo che stesse zitto poiché volesse riprendere fiato, ma dopo cinque minuti buoni, avevo immaginato che effettivamente non avesse davvero nulla da chiedermi.
Eravamo quasi arrivati vicino al mio appartamento, quando il ragazzo al mio fianco decise di parlare.
“Come hai fatto ad entrare in casa quel pomeriggio?” 
Mi voltai ad osservarlo, rallentando il passo, stava guardando ostinatamente la strada di fronte a se.
“Allora te lo ricordi!” mormorai più a me stessa che a lui, ma evidentemente dovette sentirmi dato che lo vidi annuire.
“Ho le chiavi di casa tua, me le ha date Edo quando eri in Portogallo” confessai, prendendo a guardare le varie tonalità di nero delle mie scarpe.
Silenzio, continuammo a camminare in un assoluto silenzio.
Mi sentivo in colpa per essere entrata in casa loro senza aver chiesto il permesso, nonostante sapessi che ad Edo non dava fastidio, avrei dovuto considerare la probabilità che il fratello non fosse esattamente della stessa idea.
Eravamo quasi giunti di fronte al palazzo in cui vivevo, quando mi presi di coraggio e decisi che mi sarei scusata per quel mio comportamento così invadente.
Ma venni interrotta.
Grazie” mi voltai a guardarlo, mi stava scrutando, gli occhi verdi smeraldo puntati su di me, un sorriso sincero stampato sul viso.
“Per cosa?” Chiesi titubante.
“Per aver cercato di farmi riprendere, quel pomeriggio” scrollò le spalle
“E per non averlo detto a mio fratello” sembrò pensarci su un altro po’, prima di concludere: “e per non aver fatto troppe domande”
“Non devi ringraziarmi” gli dissi sincera e non riuscendo a reggere il suo sguardo, iniziai a cercare le chiavi di casa nella mia borsa.
Mi avvicinai al portone, voltandomi verso di lui prima di aprirlo.
“Non ti farò domande e non lo dirò a nessuno, ma se tu dovessi stare di nuovo male puoi chiamarmi, posso starti vicino in silenzio!” 
Lo vidi sorridere, ma non mi rispose, mi fece un cenno del capo e andò via.
Sospirai entrando in casa.


Buon Pomeriggio,
ci tenevo a ringraziare chi sta seguendo questa storia.
infatti, dovendo domani discutere un master universitario non pensavo che avrei aggiornato, ma vedendo che siete in molti a leggere ho pensato di non farvi aspettare ulteriormente.
lasciate un piccolo parere alla storia se vi va, so che è per certi versi molto lunga, ma ci tenevo a sviluppare bene i caratteri dei due personaggi principali, che in un certo senso nella mia testa hanno preso vita e a cui voglio quasi bene 😅
grazie per la vostra attenzione,
buona lettura! 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5. ***


Capitolo 5


Ho sempre pensato al tempo come una fregatura, qualcosa di cui non ci si può davvero fidare.

Se sei in una stazione, ad aspettare un treno, ed il grande schermo accanto al numero del binario ti informa di un formale ritardo di cinque minuti, quel tempo sembra interminabile.

Se, invece, sei in compagnia di un buon libro, immersa nelle tue più grandi passioni, quel tempo sembra sfuggirti dalle mani.

Ed è per questo che quasi imprecai, quando, chiudendo l’ultima pagina di quel romanzo diedi un occhiata al mio telefono.

Avevo passato in biblioteca più di quattro ore, ma avevo l’impressione di essere appena arrivata.

Avevo, ovviamente, il cellulare silenziato e, dunque, non mi ero affatto accorta delle decine di chiamate e messaggi.

Sbuffai, sistemandomi la borsa sulle spalle , dopo aver gettato al suo interno le mie cose, mentre mi dirigevo fuori dalla biblioteca ormai deserta.

Camminavo lentamente, ancora tra i pensieri le ultime righe di quel racconto così avvincente.

Ottobre stava per finire e l’aria cominciava ad essere sempre più gelida, per questo mi strinsi ancor di più nel mio cappotto, quando un brivido di freddo mi riscosse dai miei pensieri.

Passeggiavo distrattamente guardandomi intorno, il sole stava ormai per scomparire lasciando spazio ad un cielo buio con poche stelle, mentre la gente si muoveva frenetica per le grandi strade della città.

Sembravano sempre tutti troppo presi dal dover fare qualcosa urgentemente, alcuni stanchi, altri terribilmente irritati.

Mi perdevo ad osservare dei perfetti sconosciuti, cercando di percepire le loro sensazioni; avevo questa abitudine ormai da diverso tempo ed era come un gioco,un modo che avevo per non dovermi guardare dentro.

Non che avessi un brutto rapporto con me stessa, tuttavia, nonostante non mi mancasse nulla, spesso, mi sentivo incompleta ed al contempo terribilmente egoista per questo.

Mi riscossi dai miei pensieri, quando passando affianco al grande ponte di Clifton vidi un ragazzo seduto sul grande muretto, rivolto verso il fiume, con indosso soltanto una maglia di cotone a maniche corte.

Sbarrai gli occhi preoccupata riconoscendo la folta chioma di ricci e, senza neppure pensarci, presi a camminare velocemente verso la sua direzione.

“Nick” dissi in un sussurro, poggiandogli una mano sulla spalla cercando di trattenere la preoccupazione ed assumere un atteggiamento pacato: qualsiasi movimento brusco avrebbe potuto farlo cadere sotto.

Lo richiamai diverse volte, stringendo la presa sulla sua spalla congelata ma, come quel giorno nel suo appartamento, era come se lui non riuscisse a sentirmi.

“Ti prego Nick, guardami!” quasi urlai con voce spezzata, per quale ragione quel ragazzo si puniva così?

Cosa aveva che non andava?

Inspirai profondamente, cercando di cacciare via tutti quei pensieri che mi vagavano per la mente e focalizzando la mia attenzione sul ragazzo che avevo difronte.

Avevo sempre avuto una terribile paura per le altezze, mi facevano sentire piccola e in pericolo.

Non mi sporgevo mai da un balcone, da una finestra posta troppo in alto, odiavo le ruote panoramiche, le montagne russe, le scalate e qualsiasi altra cosa potesse in un certo senso minacciare la mia stabilità.

Per questo mi stupì di me stessa quando, dopo essermi arresa al fatto che Nick non si sarebbe girato e non sarebbe sceso da lassù, lasciai cadere la mia borsa sull’asfalto e mi sollevai sulle punte arrampicandomi sul muretto.

Sentivo le mani tremare mentre cercavo di mettermi seduta accanto a lui, deglutendo più volte e impedendomi mentalmente di guardare di fronte a me.

Voltai il viso alla mia sinistra e presi ad osservare il ragazzo al mio fianco: aveva gli occhi fissi sul nulla, le braccia gettate ai lati del busto, le mani strette a pugno a contatto con il muretto ruvido ed respiro pesante come se avesse appena concluso una maratona.

Lo chiamai nuovamente, girandomi totalmente verso sinistra ed incrociando le gambe, averlo visto in quel modo mi aveva totalmente fatto dimenticare delle mie vertigini; cercai di afferrargli entrambe le braccia, in modo che anche lui potesse voltarsi verso di me ed incredibilmente ci riuscii. 

Restai ad osservarlo in silenzio, mantenendo la stretta delle mie mani sulle sue braccia; aveva gli occhi totalmente persi nel vuoto, privi di qualsiasi espressione ed emozione, il petto che si alzava ed abbassava freneticamente.

“Dimmi cosa posso fare per aiutarti” affermai in un sussurro e lo vidi riscuotersi da quel suo stato di trance per rivolgermi un’espressione che non riuscii a decifrare.

Fu in un attimo, esattamente come quel pomeriggio nel suo appartamento, si risvegliò da quell’infinito silenzio solo per urlarmi di andare via.

Scossi la testa, senza mollare la presa sulle sue braccia, non lo avrei fatto di nuovo.

Non lo avrei lasciato da solo a fare i conti con i suoi demoni.

“Va via ti ho detto!” Sputò tra i denti con aria rabbiosa e quasi sobbalzai; tuttavia, non riuscì comunque a persuadermi ed infatti, subito dopo mi avvicinai ancora di più a lui, annullando la distanza tra i nostri corpi e stringendolo in un abbraccio.

Lo sentì muoversi tra le mie braccia, per tentare di fuggire da quel mio gesto inaspettato, ed io in risposta lo strinsi più forte.

“Non me ne andrò, io voglio aiutarti!” Gli dissi decisa, stringendolo ancora di più e inclinando leggermente la testa di lato, per far si che lui incastrasse la sua tra il mio collo e la mia spalla.

Dopo qualche altro istante di incertezza lo sentì cedere a quella mia imposizione e lasciarsi, finalmente, cullare tra le mie braccia.

Non so per quanto tempo restammo in quella posizione, ma sentivo il battito del suo cuore pian piano affievolirsi e la sua pelle ghiacciata iniziare a riscaldarsi.

Presi ad accarezzargli dolcemente i ricci con una mano, infilando le dita tra i suoi capelli e beandomi della loro morbidezza.

Continuai a stringerlo e smisi di pensare al posto in cui eravamo, al pericolo sotto i nostri piedi, a cosa sarebbe potuto succedere se per errore fossimo caduti sotto; smisi anche di pensare a quanto mi sentissi infelice ed incompleta nonostante avessi tutto.

Smisi di pensare a qualsiasi cosa e cercando di calmare lui riuscii a calmare anche me stessa.




“Grazie” lo sentii mormorare sul mio collo, accanto all’orecchio ed io rabbrividii: non eravamo mai stati così vicini, in tutti quegli anni non eravamo mai stati così intimi, non solo mi aveva mostrato il suo dolore, ma ad un certo punto si era persino deciso a condividerlo con me e soltanto poche persone avevano riposto in me così tanta fiducia.

“Non devi ringraziarmi di nulla” risposi sincera, staccandomi da quell’abbraccio per scrutarlo in viso, che  adesso sembrava più rilassato.

Lo vidi rabbrividire probabilmente per il freddo e soltanto in quell’istante ricordai che fosse coperto solo da una maglietta di cotone.

Senza neppure pensarci mi tolsi il cappotto e glielo poggiai sulle spalle; lo vidi sgranare gli occhi e guardarmi stupito per qualche istante.

“Scherzi, ti prenderai un raffreddore!” Affermò serio cercando di togliersi il cappotto dalle spalle, ma gli bloccai una mano scuotendo la testa in modo deciso.

“Senti chi parla, quantomeno io ho un maglione!” Dissi con tono saccente, cercando di persuaderlo, di farlo sorridere ed anche di smorzare quel pò di imbarazzo che avevo iniziato a provare nel momento esatto in cui avevamo cominciato a fissarci, in silenzio, dopo quel lungo abbraccio.

Lo vidi sollevare gli occhi al cielo, mentre tentava di trattenere un piccolo sorriso.

“Allora andiamo oppure mi sentirò terribilmente in colpa per averti fatto prendere l’influenza!” Disse scendendo con un salto dal muretto ed io lo imitai con molta meno grazia ed elasticità.










“Non se ne parla” affermai seria, incrociando le braccia con fare autoritario.

“Asia, quando capirai che questo è il nostro ultimo anno di università? Non puoi startene sempre rinchiusa in casa!”

“Ma io non sto tutt..” 

“A casa o in biblioteca!” 

Non ebbi neppure il tempo di terminare la frase che Scarlett corse in supporto di Edo, detestavo quando complottavano per mettermi alle strette.

Erano i miei più cari amici ed ovviamente sapevano quanto impegnativo fosse convincermi a fare qualcosa fuori dai miei schemi, eppure non demordevano e provavano sempre a persuadermi dalle mie convinzioni.

Emisi un gemito di frustrazione, avevo raggiungo i miei amici nell’appartamento di Edward da poco più di mezz’ora e non avevano fatto altro che insistere su quanto fosse importante che anche io prendessi parte alla festa di Halloween.

Tuttavia, non avevano tenuto conto del fatto che io odiassi sia le feste che Halloween.

Le prime per il semplice fatto che il mio concetto di divertimento si discostava parecchio dallo strusciarsi ubriachi in uno spazio ristretto, la seconda perché avevo terribilmente paura di quei travestimenti.

“La volete smettere di urlare, sto cercando di studiare!” Sentii una voce avvicinarsi dal corridoio, Nick aveva l’aria spazientita di chi non ne poteva più di tutto quel caos.

“Ass è una festa, non ti drogherai, non farai sesso con uno sconosciuto, non rinnegherai la tua famiglia, ne, tanto meno, prenderai parte ad una setta.

Una semplice festa!” Sbottò con aria allibita ed io lo guardai accigliata.

Ci si metteva anche lui adesso?

Udì un “ben detto” di sottofondo da parte di Lucas, mentre sostenevo lo sguardo di Nick, che probabilmente aveva preso parte a quella conversazione solo per poter tornare in camera sua in santa pace.

Sembrava aver superato alla grande la crisi avuta solo due giorni prima e pareva essere tornato il solito Nick di sempre.

“Non è la fine del modo, davvero!” Mi distrasse dai miei pensieri con voce accondiscendente Izi, avvicinandosi alla sottoscritta.

“Proponilo a Riccardo!” Propose Scarlett, come se quello potesse essere l’elemento chiave per farmi cedere e non mi sfuggii la smorfia disgustata della mia coinquilina al sentir il nome del mio ragazzo, non lo aveva ancora perdonato per l’ultima volta in cui mi aveva dato buca.

Sbuffai, mormorando un “non verrebbe mai!” e vidi Nick sollevare gli occhi al cielo.

“Allora risolviamola in perfetto stile Halloween!” Esordì Scarlett, con in viso un espressione che mi fece rabbrividire.

Le sue idee mi avevano sempre messo un certo timore, erano alternative, decisamente folli, talvolta sadiche.

Ebbi la certezza che stesse tramando qualcosa di potenzialmente preoccupante quando la vidi sussurrare qualcosa all’orecchio di Lucas e gli occhi di quest’ultimo illuminarsi.

“Sei un fottuto genio!” Urlò il nostro amico Moro, dedicando a Scar uno sguardo di ammirazione.

“Ti prego non..” non ebbi neppure il tempo di terminare la frase che venni interrotta da Edward, probabilmente incuriosito dall’entusiasmo di Lucas e Scarlett.

“Sentiamo la sua idea!” 

Tutti gli occhi dei presenti si concentrarono sulla rossa, compreso il mio, non poco preoccupato, e quello di Nick, che probabilmente aveva rinunciato a tornare a studiare almeno finché quella questione non fosse stata risolta.

“Hai presente il famoso dolcetto o scherzetto di halloween?” Mi chiese retorica con, fin troppo, entusiasmo.

Sollevai un sopracciglio confusa in risposta, esortandola a proseguire.

“Bene; considera la festa come il “dolcetto” e se non vuoi venire dovrai affrontare una sfida, un vero e proprio “scherzetto”! “ concluse soddisfatta ed io ero più confusa di prima.

“Mi stai ricattando?” Chiesi scettica, sentii mormorare un “più o meno” da Nick, ma il suono della sua voce venne ricoperto dalla risata cristallina di Scarlett.

“A mali estremi, estremi rimedi!” Canzonò soddisfatta, battendo il cinque a Lucas che osservava la scena divertito, così come il resto dei presenti.

“Sentiamo un po’, cosa dovrei fare per non venire a quella festa?” Mi decisi di chiedere.

“Semplice!” Rispose la rossa, schioccando la lingua ed abbozzando un sorriso ed iniziai a percepire un moto di panico invadermi il petto.

“Dovrai sbracciarti per salutarci dal tetto dell’università domani!”

Spalancai gli occhi e la bocca sconvolta e la mia reazione dovette divertire gli altri poiché scoppiarono in una fragorosa risata.

I miei amici sapevano del mio timore per le altezze, non ero mai stata particolarmente brava a celare le mie paure.

Per questo mi sembrava assurdo che mi avesse chiesto una cosa del genere; il tetto dell’università era altissimo ed io non avevo neppure mai avuto il coraggio di salirci, figuriamoci se fossi riuscita a sporgermi per salutare i miei amici mentre mi osservavano dal giardino del grande edificio.

Idea decisamente sadica

Scossi la testa, “sai che soffro di vertigini” le ricordai.

La vidi sorridere soddisfatta, lo ricordava benissimo.

Sbuffai sonoramente, avrei partecipato a quella festa.




“Tu soffri di vertigini?” 

Quasi urlai dalla paura quando sentì qualcuno proferire parola al mio fianco; pertanto, gli rivolsi un occhiataccia che lo fece sorridere.

Ero appena uscita dal grande edificio e stavo camminando verso casa, quel giorno le lezioni erano state più pesanti del solito e la biblioteca era decisamente piena quel pomeriggio per poter leggere in assoluta tranquillità, per questo avevo deciso di rientrare nel mio appartamento in anticipo.

“Quindi?” Chiese nuovamente, riscuotendomi dai miei pensieri.

“Già” mormorai, immaginavo già il perché me lo stesse chiedendo.

Ed infatti, dopo aver passato qualche istante in assoluto silenzio, come se stesse cercando di riorganizzazione il flusso dei suoi pensieri, si voltò verso di me;

“Allora perché sei salita su quel ponte l’altra sera?” Chiese, mentre mi osservava attentamente.

“Era l’unica cosa che potevo fare in quel momento!” Dissi sincera, scrollando le spalle.

“Avresti potuto andar via e lasciarmi li!” Ribatté ovvio, con un sorriso furbo a contornargli le labbra.

“Lo sai che non lo avrei mai fatto!” 

Lo vidi scuotere la testa e subito dopo annuire.

“Grazie Ass!” 

“Smettila di ringraziarmi, non è necessario. Ho fatto quello che ritenevo più giusto e non ho pensato neanche per un secondo alla mia paura delle altezze in quel momento, era più importante capire se tu stessi bene.” Risposi sincera e lo vidi scrutarmi serio, probabilmente stupido delle mie parole.

“Sei una delle persone più altruiste sulla faccia della terra, Ass!” Affermò sbuffando e ridacchiando

“Le paure esistono soltanto nella nostra testa, solo fin quando non decidiamo di affrontarle. Non ho fatto nulla di speciale, ho solo cercato di aiutare un amico!” Gli sorrisi poggiando istintivamente una mano sulla sua spalla, che spostai subito dopo appena mi resi conto di quel mio gesto.

Lo vidi scrutarmi con la coda dell’occhio, mentre continuava a camminare in assoluto silenzio, con le mani in tasca, e perso nei suoi pensieri.

“Pensi di aver capito cosa mi succede?” Mi chiese dopo un po’, con tono tranquillo.

Avevo intuito cosa gli succedeva nonostante non avessi mai sperimentato delle sensazioni simili, tuttavia, non riuscivo a comprendere le cause sottostanti al suo malessere.

Avevo anche compreso quanto difficile fosse per lui ammettere di stare male e doverne parlare, per questo decisi che per quel giorno avrei lasciato perdere la questione, richiudendo da qualche parte nella mia testa tutte le varie domande che avrei voluto porgli.

“Ti va un gelato?”

“Un gelato? Ci saranno cinque gradi qui fuori!” lo vidi strabuzzare gli occhi prima di rispondere con tono sconvolto ed io non riuscii a trattenere un sorriso.

“Magari mi prendo il raffreddore e mi evito la festa di sabato sera!” 

“Non sia mai che tu ti diverta per una volta!” Mi prese in giro

“Dubito che riuscirò davvero a divertirmi” risposi con tono scettico, sbuffando all’idea di dover seriamente prendere parte a quella serata.

Lo sentii ridere di gusto al mio tono imbronciato, subito dopo sembrò essersi illuminato e si fermò di botto, voltandosi verso di me.

“Tu puoi aiutare me a gestire le mie crisi ed io potrei aiutare te!” affermò soddisfatto ed io sollevai un sopracciglio.

“Mi aiuteresti in cosa esattamente?” domandai scettica dando voce ai miei pensieri.

“A lasciarti andare” rispose ovvio, pizzicandomi un braccio e facendomi sobbalzare.

In risposta lo guardai contraria prima di riprendere a camminare, lo sentii ridacchiare mentre riprendeva a passeggiare accanto a me.

“Che ne dici di una cioccolata calda?” Suggerì dopo un po’, indicandomi con la testa una caffetteria ad angolo.

Annuii in risposta, seguendolo verso quel locale.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6. ***


Capitolo 6





Entrammo in una caffettiera non molto distante dall’imponente struttura universitaria.

Non frequentavo molto quel posto, ma lo avevo sempre considerato caldo ed accogliente, inoltre, essendo vicino al campus era prevalentemente frequentato da studenti universitari, che si riunivano lì dopo le lezioni per scambiare due chiacchiere in compagnia.

Per questo non mi stupii quando entrando lo trovammo pieno di ragazzi che come noi avevano deciso di fermarsi lì per gustare qualcosa di caldo.

Tuttavia, rimasi decisamente allibita da alcune occhiatacce che mi beccai accompagnate da qualche mormorio di sottofondo, provenienti per lo più da un tavolo posto vicino all’ingresso in cui sedevano alcune ragazze della nostra età.




Inarcai spontaneamente le sopracciglia, mettendo su un’espressione tra lo stupito ed il perplesso; sentii Nick ridacchiare al mio fianco e poi farmi strada verso un tavolo in fondo alla sala.

Certo, ero indubbiamente a conoscenza del forte seguito che Nick avesse da parte di molte studentesse universitarie e personalmente, in larga parte, le riuscivo a capire.

Il ragazzo infatti, oltre ad essere particolarmente bello, aveva due occhi verdi magnetici e quell’aria sbarazzina ed alla mano che riusciva sempre a metterlo al centro dell’attenzione, anche in una stanza strapiena di persone.

Ciò che meno comprendevo, era il mormorio che averlo, semplicemente, visto entrare in un locale insieme a me aveva generato.

Pensandoci bene, in quei due anni che lo conoscevo non mi era mai capitato di vederlo in compagnia di una ragazza, o quantomeno, da solo insieme ad una ragazza.

A tal proposito, avevo creduto per molto tempo che fosse particolarmente riservato riguardo alle sue relazioni sentimentali, ma questa credenza, con il tempo, venne sostituita dalla convinzione, ampiamente condivisa dal popolo studentesco, che l’unico tipo di rapporto che intrattenesse con una ragazza fosse tra le lenzuola e quest’ultima ipotesi spiegava chiaramente il perché non lo avessi mai visto in compagnia di qualche ragazza.




“Vuoi toglierti quell’espressione dal viso?” Esordì Nick, dopo qualche secondo che c’eravamo accomodati al tavolo, interrompendo il flusso dei miei pensieri.

“Mi stanno ingiustamente trucidando con lo sguardo!” Affermai con tono allibito, gettando uno sguardo al tavolo un po’ più avanti del nostro, in cui il gruppetto di ragazze, che conoscevo solo di vista, continuava a squadrarci in malo modo.

Lo sentii ridere in risposta ed allargai le braccia con fare esasperato, assumendo un espressione che Nick dovette trovare particolarmente buffa, dato che il suo sorriso si allargò ulteriormente.

“Non mi hanno mai visto con nessuna, si saranno fatte strane idee” disse a conferma dei miei pensieri, scrollando le spalle e sminuendo la questione.

“Assurdo” mormorai tra me e me, non riuscendo a trattenere uno sbuffo.

“Tranquilla, Ass” tentò di rassicurarti “ chi ti conosce sa che sei felicemente fidanzata” e non mi sfuggii che alla parola ‘fidanzata’ sollevò leggermente gli occhi al cielo “e chi mi conosce sa che non sei decisamente il mio tipo!” concluse.

Rimasi un po’ scettica a quella affermazione, probabilmente dettata dalla volontà di rassicurarmi ma, che intesa nel suo letterale significato, un po’ mi colpí.

Certo, non avevo mai considerato Nick qualcosa di diverso dal ‘fratello del mio migliore amico’ ma quella sua affermazione aveva leggermente ferito il mio orgoglio femminile.

In ogni caso, che ci rimasi un po’ male per quelle sue parole non lo diedi assolutamente a vedere, cercando di mantenere un’espressione il più possibile neutrale, cercando di trovare una risposta a quella sua affermazione.

Ma, fortunatamente, a conclusione di quel momento imbarazzante venne in mio soccorso una cameriera, che prese gentilmente le nostre ordinazioni.

“Allora, dimmi un po’” disse Nick appena la ragazza si allontanò con il suo fedele block notes, avvicinandosi un po’ di più a me, seduta di fronte a lui, appoggiando gli avambracci sul tavolo.

“ Per quale motivo sei così avversa al divertimento?” mi chiese con un piccolo sorriso sul viso.

“Non sono avversa al divertimento” mi difesi, assumendo un espressione contrariata che lo fece ridacchiare.

“Eviti le feste, qualsiasi tipo di evento mondano, le partite della squadra e qualsiasi altra occasione per socializzare!” continuò a sostenere la sua tesi, inarcando un sopracciglio.

Sbuffai sentendomi messa alle strette, era vero, non frequentavo spesso o con piacere gli eventi organizzati dai miei coetanei, ma questo non significava che non mi piacesse divertirmi, semplicemente ne avevo un concetto totalmente diverso rispetto alla maggior parte dei ragazzi della mia età.

Non ebbi il tempo di tradurre i miei pensieri in parole, che la cameriera si avvicinò al nostro tavolo mettendoci davanti due tazze fumanti.

Rimanemmo in silenzio per un po’ e mentre io mi concentrai sulla mia bevanda, sentivo lo sguardo di Nick bruciarmi addosso e ne ebbi conferma quando, sollevando il mio, incrocia i suoi occhi.

Inarcai spontaneamente le sopracciglia e lo vidi sbuffare.

“Non penso tu sia un’asociale Ass, semplicemente non riesco a capire perché ti ostini sempre a rinchiuderti a casa o in biblioteca” precisò e io trattenni un piccolo sorriso, lo aveva detto con un tono quasi dolce, come se volesse accertarsi di non avermi ferito.

“Lo so, semplicemente non credo che strusciarmi ubriaca ad una festa sia divertente!” precisai e lo vidi scuotere la testa.

“Non devi necessariamente ubriacarti e strusciarti a qualcuno, puoi semplicemente ballare con i tuoi amici” rispose subito dopo, sollevando gli occhi al cielo, come se avesse appena detto qualcosa di tremendamente ovvio.

“Non è solo questo..” dissi quasi spontaneamente senza pensarci e quando mi resi conto di aver parlato rimasi in silenzio per qualche secondo, indecisa sul continuare o meno.

Non mi piaceva dare spiegazioni riguardo alla mia vita o relativamente a ciò che mi veniva imposto dalla mia famiglia, ma lo sguardo curioso e rassicurante di Nick mi esortò a continuare.

“Per poter restare in questa università devo mantenere una media alta, altrimenti mio padre mi spedirebbe senza troppi problemi in un’università privata e fuori dal mondo, in modo che io non abbia nessuna distrazione” sospirai, confessando qualcosa che non dicevo a chiunque.

“Allo stesso tempo, adoro leggere e non voglio rinunciare a farlo.

Quindi, anche se volessi, non ho il tempo per prendere parte a tutti gli eventi che organizzano” conclusi, senza dilungarmi troppo.

Lo vidi schiudere leggermente le labbra, mentre mi scrutava serio, come se in un certo senso stava cercando di capire il mio punto di vista.




“Sai che fine ha fatto stamattina quell’idiota di mio fratello?” mi chiese, cambiando discorso ed io lo ringraziai mentalmente per questo, probabilmente aveva intuito quanto dovesse costarmi confessare che in fondo la mia vita non fosse tutta rose e fiori, come la maggior parte delle persone credeva.

“Lo cercavo a mensa, perché, tanto per cambiare, ha dimenticato le chiavi di casa, ma non c’era” precisò subito dopo.

“Non ne ho idea” dissi sincera scrollando le spalle.

“È tipico di Edward sparire nel nulla per poi riappare magicamente” affermai con un piccolo sorriso sulle labbra, sentii Nick ridacchiare mentre annuiva, sentendo la tensione che si era creata da quando avevamo messo piede in quella caffettiera alleggerirsi definitivamente.










Continuavo ad osservare quel vestito, rigirandolo tra le mani.

Nulla di speciale, nulla di eccessivo, ma la sola idea di doverlo indossare mi faceva venire la nausea.

Lo avevo acquistato il pomeriggio precedente in uno dei svariati negozi presenti al centro commerciale del quartiere, luogo in cui mi avevano trascinato, non poi così gentilmente, le mie amiche dopo aver passato in rassegna il mio armadio ed essere giunte alla conclusione che non avessi davvero nulla di adatto.

Sbuffai, lanciando il vestito sul letto, fosse stato per me sarei potuta benissimo andare in jeans e maglietta a quella dannata festa, o meglio, avrei potuto non andarci affatto.

Presi il cellulare dalla tasca del pantalone guardando l’ora, Erano già le diciannove e trenta ed io non avevo ancora iniziato a prepararmi.

Sapevo che Scarlett sarebbe arrivata tra meno di un ora, accompagnata dai suoi amatissimi trucchi, in modo da  dare il tocco finale al nostro outfit per quella serata.

Pertanto, consapevole che non sarei mai riuscita a persuaderle dal trascinarmi a quella festa, decisi che fosse giunto il momento di smetterla di piagnucolare e di iniziare a darmi una sistemata.




Indossavo dei collant non poi eccessivamente fini di un bianco lucido e perlato, un tubino nero in cotone, semplice, ma a mio avviso forse un po’ troppo scollato e decisamente troppo corto; ma la cosa che probabilmente mi metteva di più in imbarazzo erano gli stivali neri ed opachi che mi arrivavano sin sotto le ginocchia, con un grosso tacco squadrato.

Non so esattamente per quale motivo, ma li avevo sempre trovati estremamente eccessivi ed avevo provato a convincere Izi in tutti i modi possibili a farmi optare per un altro paio di calzature, ma con palese insuccesso.

Sbuffai, mi sentivo terribilmente impacciata ed a disagio.

Non che mi vestissi sempre in maniera troppo accollata certo, ma semplicemente quel tipo di abbigliamento non era da me, mi faceva sentire scoperta, vulnerabile ed incredibilmente volgare.

Non ebbi neppure il tempo di pensare di potermi cambiare che la porta della mia stanza si spalancò con violenza tale che mi fece sobbalzare.

“Oh mio Dio Asia, sei pazzesca!” Urlò Isabel, mentre mi scrutava emozionata.

In risposta, sollevai gli occhi al cielo e storsi le labbra in una smorfia di disapprovazione.

“Posso almeno togliere questi?” Chiesi implorante, indicando con le mani gli stivali.

“Assolutamente no, bambolina!” Mi riprese Scarlett facendo il suo ingresso nella stanza.

Non l’avevo neppure sentita arrivare.







Et Voilà” esclamò la rossa prendendomi il viso tra le mani e scrutandomi attentamente.

Aveva impiegato un tempo infinito a destreggiarsi tra i trucchi, zittendomi in malo modo ogni qual volta la imploravo di non esagerare.

“Hai giusto il tempo di specchiarti e prendere la giacca, i ragazzi sono già sotto che ci aspettano!” Disse la mia coinquilina raggiungendoci nella mia stanza e, dopo aver osservato il mio make up, fece un occhiolino furbo a Scarlett, che ricambiò con un sorriso orgoglioso.

Odiavo quando le mie amiche complottavano al fine di trascinarmi nelle loro folli serate, ma mentre, in assoluto silenzio, aspettavo che Scar finisse di imbrattarmi il viso, giunsi alla conclusione che continuare a lamentarmi non avrebbe reso la serata migliore, pertanto, avevo deciso, quantomeno, di provare a divertirmi, almeno un po’, almeno per una volta.




Mi alzai dalla sedia, avvicinandomi allo specchio a parete della mia stanza, con molta titubanza.

Sorrisi impercettibilmente quando mi resi conto che effettivamente Scar aveva mantenuto la sua promessa di non esagerare con il trucco; infatti, aveva optato per colori leggeri come bianco, rosa cipria e qualche sfumatura di nero; 

Solo qualche piccola goccia, sotto l’occhio destro dipinta di bianco.

Mi portai i lunghi capelli in avanti, dando un ultimo sguardo veloce all’outfit, evitando di soffermarmi sugli stivali che proprio non riuscivo a farmi piacere e neppure, sull’orlo del vestito, a mio avviso davvero troppo corto.

Dopo di che, presi la giacca e insieme alle altre due, raggiunsi Edo e gli altri.




Appena misi il piede fuori dalla porta di casa un brivido di freddo fece vacillare tutte le mie convinzioni e fui davvero tentata dal tornarmene al caldo nel mio appartamento.

“Certo che avete fatto un miracolo!” Sentii mormorare al mio migliore amico? osservandomi dallo specchietto retrovisore mentre salivo il macchina ed in risposta gli lanciai un’occhiataccia.




La villa in cui si teneva la festa era davvero enorme e letteralmente piena di gente, fin troppa per i miei gusti.

Mi persi ad osservare le svariate decorazioni presenti in giro, vi erano degli innocui pipistrelli in cartoncino attaccati al muro, ma anche dei spaventosi scheletri.

Inoltre, le luci ad effetto rendevano il luogo molto più mistico.

Nonostante mi fossi solo poco prima imposta di provare per una volta a divertirmi, l’essere circondata da streghe in minigonna e svariati Joker già ubriachi mi fece presto cambiare idea.

Infatti, eravamo arrivati  da meno di un ora e  già non vedevo l’ora di andar via.

Io avevo davvero tentato di adattarmi per una volta a quel tipo di serate, ma non riuscivo a lasciarmi andare.

Stare in mezzo a troppe persone, mi faceva mancare l’aria.

Non sapevo ballare, tantomeno riuscivo a farlo conciata in quel modo ed i piedi, con quei tacchi, mi facevano malissimo.

Per questo, dopo aver accompagnato i miei amici a prendere da bere e dopo aver ballato con loro per qualche minuto, sgattaiolai via dalla pista da ballo raggiungendo un divanetto vuoto, decisa a passare li il resto della serata.




Tuttavia, dopo un po’, una primaria esigenza di andare in bagno mi costrinse ad alzarmi.

Iniziai a guardarmi intorno, cercando di comprendere dove potessero trovarsi i servizi in quell’enorme casa.

Provai anche a chiedere a qualcuno, ma non ricevetti nessuna risposta utile.

Se non qualche risatina, carezza o scrollata di spalle.

Pertanto, decisi di trovare il bagno da sola ed iniziai a vagare fin quando non mi scontrai con qualcuno.

“Certo che non riesci mai a guardare dove metti i piedi, Ass” 

Sbuffai esasperata, “tu sai per caso dove si trova il bagno?” Gli chiesi, senza neppure provare a nascondere la mia aria decisamente scocciata.

Lo sentii ridere mentre scuoteva la testa, “vuoi chiuderti lì dentro per l’intera serata?” mi domandò divertito.

“Non sarebbe male!” risposi sincera, alzando gli occhi al cielo.

Rise nuovamente e subito dopo mi afferrò un polso iniziando a camminare.

Si fermò alla fine del lungo corridoio, difronte ad una porta bianca chiusa e ci si parò davanti.

“Facciamo così, adesso vai in bagno e poi ci divertiamo, che ne dici?” Mi chiese con lo stesso tono con cui si cerca di convincere un bambino a fare un pisolino.

“Come faccio a divertirmi con questa tortura ai piedi?” Chiedi esasperata, indicando gli stivali.

“Perché ti sei conciata così?” Mi chiese dopo avermi scrutato attentamente.

“Figurati se è stata una mia idea!” risposi ovvia, alzando gli occhi al cielo.

Lo sentii ridere e mormore un “non avevo dubbi” prima che si spostasse dalla porta per farmi entrare.

“Ass”

Stavo per aprire la porta, quando mi sentii richiamare e mi voltai sollevando un sopracciglio.

“Stai molto meglio quando sei te stessa, non ti servono dei tacchi o una scollatura per attirare l’attenzione!” mi disse, facendomi un occhiolino ed io sentii le guance andarmi a fuoco, per questo mi voltai imbarazzata, chiudendomi svelta in bagno.







“Non ho nessuna intenzione di bere quella cosa!” ripetei per l’ennesima volta, guardando scettica il bicchiere con il liquido rossastro che avevo di fronte.

“È solo un drink ed è leggerissimo!” Sbottó  Nick, esasperato.

Era da più di un quarto d’ora che tentava di farmi bere quel coso.

“Perlomeno, assaggialo, prometto che se non ti piace lo berrò io!” tentò di negoziare.

“Non mi piace, lo so già!” risposi convinta, incrociando le braccia al petto.

Lo vidi sorridere, probabilmente poiché con quel gesto avevo assunto un’aria infantile.

“Non puoi saperlo se non lo provi” continuò ad insistere.




Fu forse per esasperazione, per stanchezza o, semplicemente, per sete che dopo altri quindici minuti buoni di battibecchi e non poche occhiatacce da parte del barman, mi decisi ad assaggiare quel drink.

Rimasi piacevolmente stupita, ero certa che tutti gli alcolici avessero un gusto amaro e disgustoso, per questo non avevo mai avuto neppure l’intenzione di assaggiarli.

Che senso aveva bere qualcosa di orribile solo per perdere il controllo di se stessi?

Tuttavia, il cocktail che mi aveva ordinato Nick aveva un gusto dolce e leggero.

Mi voltai verso il riccio che mi osservava con un sorriso furbo e vittorioso, in fondo aveva ragione lui.

“Non è male dai!” Gli concessi e lui scoppiò a ridere di gusto.




Dopo aver finito il drink raggiungemmo gli altri in pista, mi sentivo più leggera, allegra e gli stivali non mi facevano più così tanto male ai piedi.

Ballai per un tempo indefinito, divertendomi di gusto, forse per la prima volta in vita mia, ad una festa.

Mi ero concentrata solo sui miei amici ed ero riuscita a dimenticarmi totalmente di tutti gli altri presenti.

Mi allontanai dalla pista solo dopo un bel po’, sentivo davvero caldo, avevo la fronte totalmente sudata e la gola incredibilmente secca.

Legai i capelli in una coda disordinata e mi avvicinai al bancone dei drink intenta a voler chiedere un’altro cocktail come quello che mi aveva ordinato poco prima Nick.

Tuttavia, non ricordando il nome cercai di descriverglielo al barman che, dopo avermi guardato stranito, si mise all’opera.




Presa dall’euforia e dalla sete, presi il bicchiere in mano, bevendone una buona parte.

Dopo neppure un secondo sentii la gola andarmi letteralmente a fuoco ed una sensazione di calore pervadermi le guance.




“Che diavolo stai bevendo, Ass?” 

Sentii qualcuno parlarmi alle spalle, ma il suono di quella voce ed anche della musica mi arrivava alle orecchie ovattato, come se fosse distante.

Strabuzzai gli occhi, portandomi una mano alle tempie ed improvvisamente le luci divennero troppo fastidiose e la stanza sembrava non volersi fermare.

Ebbi l’impressione di star perdendo l’equilibrio, fin quando non mi appoggiai a qualcosa.. o qualcuno.










Una luce lieve si insinuava tra le persiane della finestra, distraendomi dal mio riposo.

Mi passai una mano sul viso e cercai di aprire gli occhi, ma una fitta lancinante alla testa mi costrinse a richiuderli rapidamente.

Feci un respiro profondo, mentre restavo inerme sul letto e cercai di far mente locale, tentando di ricostruire gli avvenimenti della notte appena trascorsa.




Mi ricordavo dei miei amici, di Nick, del suo complimento e di quel drink.

Mi ricordavo di aver ballato, di essermi sentita leggera, di aver bevuto ancora.

Sbuffai, cercando di aprire gli occhi, probabilmente mi ero ubriacata.

Mi abituai lentamente alla leggera luce nella stanza e dopo essermi massaggiata le tempi con una mano, con l’obiettivo di alleviare almeno un po’ le fitte causate dall’emicrania, mi feci forza sulle braccia per tentare di tirarmi su.

Mi sentivo la testa e le gambe pesanti e già odiavo quella nuova sensazione.

Ma cosa mi era saltato in mente?

Sbuffai ed allungai il braccio alla ricerca del cellulare sul mio comodino, intenta a vedere che ora fosse, ma mi ritrovai  a muovere la mano nel vuoto.

Assottigliai gli occhi, cercando di abituarmi più velocemente alla luce ed iniziai a guardarmi intorno.

Sgranai gli occhi sconvolta quando mi resi conto che quella non era la mia stanza.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7. ***


ATTENZIONE: ci tengo a precisare che il comportamento di Asia nel corso del capitolo NON è affatto corretto.La violenza verbale e psicologica è allo stesso livello di quella fisica e NON va in alcun modo giustificata.

 

Capitolo 7

 
Nell’ esatto momento in cui mi resi conto di non essere nella mia stanza e neppure in nessuna di quelle dei miei amici un moto di angoscia mi strinse il petto, impedendomi quasi di respirare.
Mi osservai velocemente, indossavo ancora i vestiti della sera prima, cercai di calmarmi e di regolare il respiro, iniziando a guardarmi intorno.
Non conoscevo quella stanza e odiavo non ricordare come c’ero arrivata.
Ero presa dai miei pensieri e dalla volontà di ricordare qualcosa, qualsiasi cosa, che sobbalzai quando la porta si aprì.
“Ti senti bene,Ass?” mi sussurrò Nick, appoggiandosi sullo stipite della porta, mentre mi scrutava attentamente con un’aria preoccupata.
“No, mi fa male la testa e non mi sento le gambe. Non ricordo nulla, che ore sono? Ma dove siam..” un fiume incontrollato di parole lasciò rapidamente le mie labbra, senza che io riuscissi a controllarle.
“Hey, hey, calma!” disse interrompendomi, entrando nella stanza ed avvicinandosi al letto.
“Sei a casa mia tranquilla, è la mia stanza!” cercò di tranquillizzarmi ed io sentii quel nodo alla gola pian piano affievolirsi.
Non conoscevo la stanza di Nick, perché non c’ero mai entrata e non avevo minimamente considerato l’ipotesi che quella in cui mi trovavo potesse essere la sua camera.
“Stai tranquilla, non è successo davvero niente, io ho dormito sul divano e tu eri troppo ubriaca anche solo per blaterare qualcosa” continuò a parlare, cercando di farmi calmare.
Evidentemente si era reso conto della mia frustrazione in quel momento; odiavo perdere il controllo di me stessa e non sapere esattamente cosa stesse succedendo.
“Hai dormito qui, perché Edo era più ubriaco di te!” disse ridacchiando, passandosi una mano tra i ricci, probabilmente con la speranza di strapparmi un sorriso.
Tuttavia, non riuscì a suscitare nessuna reazione in me, me ne stavo lì ferma, a tentare di ricostruire il puzzle di quella assurda serata.
“Ass, mi dispiace, non era mia intenzione farti perdere il controllo, perché non hai chiesto a me? Ti avrei preso nuovamente un cocktail leggero.” mi disse con aria dispiaciuta, continuando a scrutarmi.
“Non lo so, avevo sete” mormorai.
Lo sentii sospirare, era visibilmente dispiaciuto.
Ma infondo non poteva essere colpa sua, avevo deciso io di prendere qualcos’altro da bere, ed avrei davvero dovuto chiedere a lui essendo totalmente inesperta in materia di alcolici.
“Sta tranquillo, sono stata sciocca, non è colpa tua” gli dissi sincera, dando voce ai miei pensieri.
“Grazie per avermi portato qui!” Aggiunsi e lo vidi sorridere mentre scuoteva la testa ed ebbi come l’impressione che ci fosse una nota di imbarazzo sul suo viso.
“Vado a prenderti qualcosa per i postumi della sbornia” mi disse poco dopo, uscendo dalla camera.
Sospirai sentendomi leggermente più tranquilla rispetto a prima e presi a guardarmi intorno, senza avere, comunque, la forza di alzarmi dal letto.
La stanza di Nick era accogliente, grande quando quella del fratello, con un letto matrimoniale ed una grande finestra che immaginai la rendesse particolarmente Illuminata. 
Le pareti erano coperte prevalentemente da fotografie, non raffiguravano nessun soggetto in particolare, ma piuttosto luoghi, tantissimi posti, alcuni a me familiari, altri totalmente sconosciuti.
Ciò che mi colpì, oltre alle foto, fu una grande bacheca posta al muro dove erano affissi decine di stralci di articoli di giornale.
Sorrisi al pensiero di Nick che conservava vecchi articoli e mi sarei anche alzata a curiosare da vicino, se solo la stanchezza ed il mal di testa fossero stati più lievi.
 
 
Dopo qualche minuto, Nick rientrò nella stanza, porgendomi un bicchiere con una bustina.
“Vedrai che ti sentirai meglio!” mormorò ed io lo ringrazia speranzosa.
“Poi magari un giorno mi spieghi come fai a collassare con mezzo drink” mi prese in giro dopo qualche minuto di silenzio.
Io sbuffai, sollevando gli occhi al cielo, ma quel gesto mi procurò una fitta alla testa e non riuscii a trattenere un lamento che fece ridere di gusto il ragazzo.
Lo fulminai con lo sguardo, trattenendo l’impulso di insultarlo; tuttavia, lui continuò a ridere incurante del mio fastidio e, dunque, gli lanciai un cuscino, che prontamente scansò.
“Edo come sta?” chiesi dopo un po’, per rompere quell’imbarazzante silenzio che si era creato, mentre ero ancora semi sdraiata sul suo letto e lui in piedi ad osservarmi. 
“Sicuramente meglio di te!” rispose con la solita ilarità e io gli feci una linguaccia.
“Dorme ancora?”
“Certo che no, sono le quattro del pomeriggio, Ass!” Affermò ovvio ridacchiando.
“Cosa?” Chiesi sconvolta, sgranando gli occhi.
“Si lo so, hai dormito un botto, ad un certo punto temevo tu fossi mort..”
“Nono, aspetta!” Lo interruppi alzandomi goffamente dal letto e lo vidi osservarmi stranito.
“Sai per caso dov’è il mio telefono?” domandai allarmata.
“Forse nella borsa?” chiese retorico, indicandomi la mia pochette appoggiata su un puff ai piedi del letto.
Mi diressi verso l’oggetto dei miei interessi ed appena presi lo smartphone tra le mani mi maledii mentalmente.
Avevo una serie infinita di chiamate e messaggi tutti da parte dello stesso mittente.
“Ric mi ucciderà” piagnucolai esasperata e vidi Nick inarcare le sopracciglia e mormorare qualcosa.
Lo ignorai e chiamai il mio fidanzato, avrei dovuto passare quel giorno insieme a lui e non era di certo da me non presentarmi ad un appuntamento o ignorare le sue chiamate, per questo ero sicura fosse terribilmente preoccupato.
Rispose subito dopo il primo squillo e gli spiegai a grandi linee l’accaduto, convinta che capisse la situazione e non si arrabbiasse.
Dopotutto, anche a lui era successo di assentarsi a qualche nostro appuntamento, ovviamente per motivi più validi dei miei, ma in ogni caso io non gliene avevo mai fatto una colpa.
“Che dice? Contento che sei viva e vegeta?” chiese ironico Nick, quando chiusi la chiamata.
“Emh si, sta passando a prendermi!” risposi, abbozzando un sorriso.
“Ti conviene darti una sistemata allora” mi consigliò ridacchiando, quando d’istinto, a seguito della sua affermazione, mi voltai verso lo specchio a parete per osservare il mio aspetto.
“Lì c’è un bagno, puoi usarlo!” Mi indicò una porta all’interno della stanza.
Lo ringrazia e corsi, per quanto le mie precarie condizioni lo permettessero, a prepararmi.
 
“Buongiorno principessa” mi prese in giro Edo appena entrai nel salone, era malamente gettato sul divano ed aveva un viso terribilmente pallido.
“Buongiorno a te, orsetto!” Lo apostrofai dandogli un buffetto sulla guancia.
“Vuoi mangiare qualcosa?” mi chiese Nick, rientrando dalla cucina, con un toast tra le mani.
“No grazie, Ric sta per arrivare!” e difatti, non passarono molti minuti prima che il campanello di casa suonò.
Salutai i ragazzi e mi avviai alla porta, ma appena la aprii mi trovai davanti un Riccardo letteralmente furioso.
“Cosa diavolo ti è saltato in mente?” Iniziò, senza neppure salutarmi.
“Andare ad una festa ed ubriacarti? Quanti anni hai? Quindici?” rimasi scioccata da quelle parole, non aveva mai usato quei toni con me.
“Io..” cercai di parlare, ma non me ne diede il tempo.
“Hai idea di quanto io ti abbia aspettata inutilmente oggi?” Continuò, era decisamente fuori di se.
“Hey calmati!” Sentii dire alle mie spalle e mi voltai vedendo Nick ed Edo avvicinarsi all’ingresso.
“Non vi intromettete!” li liquidò Ric, tornando a concentrarsi su di me, che me ne stavo lì ferma, troppo stupita per avere anche solo una piccola reazione.
“Figurati se le puoi urlare contro dentro casa mia!” Disse Nick, senza farsi intimorire.
“Bene, andiamo via!” Replicò l’altro, prendendomi per un braccio, cercando di spingermi fuori da quell’appartamento.
“Ric, calmati! Mi dispiace!” non so come riuscii ad articolare quella frase ed a risvegliarmi dal mio stato di momentanea passività.
Vidi il mio ragazzo lasciarmi il braccio che stava stringendo con violenza e respirare profondamente, girare le spalle ed andare via dopo aver mormorato un “ne riparliamo un’altra volta.”
Sentii tutta la frustrazione di quella giornata farsi strada in me e gli occhi mi divennero lucidi, mi voltai correndo tra le braccia del mio più caro amico e scoppiai a piangere.
 
 
Passai il resto di quel pomeriggio sul divano dell’appartamento di Edo, accoccolata sulla sua spalla, mentre quest’ultimo mi accarezzava i capelli e mi scrutava in silenzio.
Nick, invece, dopo la sfuriata di Ric si chiuse in camera, senza proferire nessuna parola.
Mi dispiaceva pensare che potesse sentirsi in un certo senso responsabile dell’accaduto, quando in realtà ero stata io, per una volta, a decidere di lasciarmi andare e provare a divertirmi in modo differente.
Allo stesso tempo, mi dispiaceva terribilmente pensare di aver deluso Riccardo e solo ricordare il suo sguardo pieno di disapprovazione mi faceva tornare gli occhi lucidi.
“Ti senti meglio?” mi chiese Edo, interrompendo il flusso incessante dei miei pensieri.
Annuii in risposta, senza proferire alcuna parola, temendo di potermi tradire con il semplice suono della mia voce.
La verità era che mi sentivo incredibilmente frastornata tra il mal di testa ed i malesseri dovuti ai postumi della sbornia e l’angoscia per gli avvenimenti di quella assurda giornata.
“Mi dispiace di aver deluso Ric” mormorai, così piano che temetti, o sperai, che Edward non mi sentisse.
Lo sentii sbuffare pesantemente, “è solo un gran idiota!” 
“Probabilmente il mio silenzio lo avrà allarmato e quando gli ho detto come sono effettivamente andate le cose si sarà innervosito” tentai di comprendere le sue ragioni ed in un certo senso di giustificarlo.
Stavo con lui da abbastanza tempo per essere certa che non fosse un ragazzo aggressivo, non lo avevo mai visto urlare contro nessuno e probabilmente, anche se sbagliate, avrà avuto le sue ragioni per reagire in quel modo.
Sentii Edo spostarsi leggermente per la prima volta da quando Ric era andato via, porgendosi in avanti per potermi guardare in viso.
“Stai forse tentando di giustificare il suo comportamento?” mi chiese.
Dal tono della sua voce capii che  non fosse arrabbiato, semplicemente sconvolto ed allibito.
“Non lo sto giustificando, sto provando a capire” risposi sincera.
“Asia, ti controlla come se tu fossi una bambolina di pezza e per una volta che fai qualcosa di diverso da ciò che vuole lui, reagisce il quel modo!” disse con tono allibito, scuotendo la testa con disapprovazione.
“Io non faccio quello che dice lui!” precisai, mettendomi sulla difensiva.
“Non sto dicendo questo” disse, prima di riprendere fiato, come se volesse organizzare il flusso delle parole
“Ma è innegabile che nella vostra relazione tu non fai altro che stare dietro alle sue esigenze, adattandoti continuamente e facendoti andare bene tutto. “ disse tutto d’un fiato, come se si tenesse dentro quelle parole da tempo.
“Quante volte è successo che sia stato lui a non presentarsi ad un appuntamento?” Chiese con fare retorico, senza volere davvero una risposta precisa.
“E quante volte tu glielo hai fatto pesare?” continuò, prima di sospirare.
“Mi permetto di dirtelo solo perché ti voglio bene Asia, la vostra non è una relazione normale!” concluse.
“Lo sai che non si presenta agli appuntamenti perché è sommerso dal lavoro” cercai di giustificarlo, nuovamente.
Lo vidi alzare gli occhi al cielo, e capii che era il suo modo di dirmi che non approvava il mio punto di vista, ma che voleva darmi tregua e chiudere, almeno per quel giorno, il discorso.
Ed infatti, si voltò verso la finestra, restando in silenzio per un po’.
“Vuoi restare a dormire qui?” mi chiese “si è fatto tardi e fuori è buio, non mi va che torni a casa da sola.” 
“No meglio di no, Izi sarà davvero in pensiero per me” risposi rivolgendogli un sorriso e decidendo di alzarmi da quel divano.
 
 
Avevo passato l’intera domenica chiusa in casa, in pigiama, con la sola compagnia della mia coinquilina alla quale raccontai tutti gli avvenimenti del giorno prima.
Ovviamente Izi mi riproverò anche solo per aver pianto per quell’idiota, -o almeno così lei lo apostrofò- mi promise che prima o poi lo avrebbe ucciso e, per consolarmi, mi aveva preparato dei dorayaki stracolmi di nutella.
Per quanto riguarda Riccardo non lo avevo visto né sentito per l’intera giornata, anche se avevo provato a chiamarlo dopo avergli mandato, con la più assoluta disapprovazione da parte di Isabel, un messaggio di scuse.
Per questo mi stupii quando, il lunedì pomeriggio, uscendo dall’università lo trovai seduto in una delle panchine del grande giardino posto all’ingresso.
“Ric” lo salutai, avvicinandomi.
“Senti, mi dispiac..” cercai di scusarmi nuovamente, ma venni interrotta.
“Asia scusami per il mio comportamento, non avrei dovuto urlarti contro in quel modo” mi disse abbassando lo sguardo, si vedeva che fosse sinceramente dispiaciuto.
Stavo per dirgli di non preoccuparsi, che da un certo punto di vista potevo provare a capirlo , quando continuò a parlare.
“Semplicemente è un periodo che non ti riconosco più, stai sempre a leggere, quando dovresti lavorare di più sul tuo futuro.
Te ne stai qui a non fare nulla, quando potresti già iniziare a lavorare in una delle aziende di tuo padre.
Sei sempre distratta, sulle nuvole e adesso, ti ubriachi pure!” 
Restai interdetta alle parole di Ric, semplicemente non riuscivo a vedere nessun cambiamento in me, avevo sempre cercato di essere una buona fidanzata e di non appesantirgli le giornate, sapevo quanto lavorava e quanto ci tenesse alla sua carriera, ma non mi sentivo ancora pronta ad iniziare la mia.
“Sto solo continuando a studiare, perché dovrei già lavorare?” Chiesi titubante
“E non era mia intenzione ubriacarmi, mi conosci, probabilmente qualcosa è andato storto e mi dispiace davvero tanto di averti fatto preoccupare, non succederà più.” 
Lo vidi sospirare e poi stringermi in un abbraccio, che ricambia immediatamente.
Detestavo discutere con le persone, figuriamoci con quelle che amavo.
 
Dopo quell’abbraccio salutai Ric che doveva tornare a lavoro ed io ripresi a camminare sentendomi decisamente più leggera dopo aver chiarito con lui, nonostante le sue parole di poco prima mi ruotassero ancora nella mente.
“Un giorno mi spiegherai come fai a perdonare sempre tutti con questa incredibile facilità, Ass” 
“Mi pedini per caso?” Chiesi con un sopracciglio inarcato a Nick voltandomi leggermente verso sinistra.
“In effetti dovrei, dato che non ti si può lasciare un attimo sola che ti metti nei guai” rispose ridacchiando e nel frattempo mi raggiunse, iniziando a camminare al mio fianco.
“Non è affatto vero” mi difesi, mettendo un finto broncio offeso.
Lo sentii ridere di gusto, 
“Vogliamo parlare della sera di Halloween? Eri sana e ti ho ritrovato praticamente collassata” disse, senza perdere quel sorriso furbo che lo caratterizzava.
Sollevai gli occhi al cielo, ma non riuscii a trattenere un piccolo sorriso divertito, aveva l’incredibile capacità di mettere tutti di buon umore.
“Avete chiarito?” mi chiese dopo qualche secondo di silenzio.
“Più o meno” risposi, sospirando.
“Non ti merita affatto!” esclamò deciso, calciando una piccola pietra sull’asfalto.
Mi ripetei quella frase nella mente per qualche secondo, intenta a trovare una risposta adatta, ma venni battuta sul tempo da Nick.
“In realtà ti stavo cercando, voglio portarti in un posto” esordì dopo qualche secondo, interrompendo quel precario silenzio
“Dove?” domandai curiosa
“È una sorpresa!” 
 
Chi mi conosceva abbastanza bene sapeva quando io odiassi le sorprese; il che è ovvio per una maniaca del controllo come me, per questo motivo passai l’intero tragitto a pregare Nick di dirmi, quantomeno, dove stavamo andando e lui in risposta sollevò al massimo il volume della radio.
Restai dunque in silenzio per l’intero tragitto, ma quando scendemmo dalla macchina e la musica non poteva più sovrastare la mia curiosità, ricominciai a tempestarlo di domande.
Nick sollevò gli occhi al cielo spazientito prima di mormorare poco gentilmente un “sta zitta, siamo quasi arrivati.”
Sbuffai, imponendomi di restare in silenzio e mettendo su un finto broncio.
E restai in silenzio anche quando ci fermammo difronte ad una grande libreria, in cui vi erano diversi gruppi di persone ferme all’ingresso e molteplici enormi locandine in cui si informava che quel giorno degli autori avrebbero pubblicizzato i loro romanzi.
Non riuscii a trattenere un sorriso enorme all’idea di poter prendere parte alla presentazione di quei libri, essendo un’amante dei romanzi, veneravo letteralmente gli scrittori e la loro immensa capacità di portarci ovunque con le parole.
Mi voltai verso Nick, rivolgendogli un sorriso, con gli occhi pieni di gratitudine.
“Non sapevo ti piacessero i libri!”affermai iniziando ad incamminarmi verso l’ingresso della libreria.
“Mi piacciono invece, non in modo ossessivo come a te, ovviamente!” mi prese in giro.
“Però sono venuto qui per tentare di intervistare qualche scrittore emergente e ho pensato che ti poteva far piacere partecipare a questo genere di eventi” mi spiegò velocemente, dopo aver mostrato due biglietti di ingresso ad un controllore fermo sul ciglio della porta.
“Grazie mille!” gli sorrisi grata, iniziando a guardarmi intorno ed inspirando a  pieni polmoni il particolare profumo dei libri.

Buonasera,
ho deciso di aggiungere anche stasera un nuovo capitolo, nonostante ne abbia postato uno proprio ieri, perché sono davvero piacevolmente stupida dal crescente numero di lettori.
Grazie a tutti, spero che questa storia vi stia piacendo e coinvolgendo.
A presto! 

 
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8. ***


*leggete la nota a fine capitolo*

Capitolo 8

 
Quel mattino mi svegliai con un moto di felicità incontrollata, a cui diedi una precisa definizione nel momento esatto in cui vidi il giorno segnato sullo schermo del cellulare.
Era ormai consuetudine, da oltre un anno e mezzo, che quasi ogni mese facessi visita a dei bambini che vivevano in un orfanotrofio non troppo lontano dal mio appartamento.
Il principale motivo che mi aveva spinto a prendere questa ormai consolidata abitudine si chiama Pablo.
Avevo incontrato quel bambino per caso, un pomeriggio di marzo, mentre frequentavo il mio primo anno di università, durante una passeggiata al parco.
In particolare, quel giorno stavo per rientrare nel mio appartamento, dopo aver trascorso il pomeriggio in biblioteca.
Tuttavia, la voglia di sgranchire le gambe e fare due passi, mi aveva spinto a percorrere il lungo parco verde e fu lì che lo vidi, un bambino di circa otto anni, dai capelli scuri e gli occhi grandi, rannicchiato vicino ad un albero, in lacrime.
Temendo che potesse essere in quello stato per aver sbadatamente perso i genitori mi avvicinai a lui, volendolo aiutare.
Ma, soltanto, dopo avergli fatto qualche domanda e cercando di non mettergli paura, mi confessò che era lì che lo portava la sua mamma a giocare il pomeriggio, prima di volare in paradiso.
A quel punto toccò a me, con grande difficoltà, dover riuscire a trattenere le lacrime.
Non potei non provare un immediato affetto per quel bimbo , per questo motivo dopo averlo preso per la manina lo accompagnai a prendere un gelato, cercando di fargli spuntare un sorriso.
Successivamente, lo riaccompagnai all’orfanotrofio dalla quale, mi aveva confessato, era qualche ora prima, incredibilmente, riuscito a scappare.
Da quel momento in poi, con il consenso della direttrice della struttura, che mi era immensamente grata per averlo riportato a casa, mi capitò spesso di passare il pomeriggio a prendere Pablo per portarlo a giocare in quel parco che gli ricordava tanto la sua mamma.
Fu così, che con il passare del tempo, strinsi un legame con quasi tutti i bambini di quella casa famiglia, passando spesso a trovarli portandogli giocattoli ed organizzando golose merende.
 
In particolare quel giorno, non sarebbe stata una visita qualsiasi e come tutte le altre; infatti, quel pomeriggio avremmo dovuto festeggiare il decimo compleanno di Pablo ed avevo chiesto il permesso alla direttrice di poter organizzare una piccola festa a sorpresa, portando merenda e regali per tutti i bambini.
 
Appena terminai di fare colazione, ripercorrendo con la mente i vari momenti trascorsi insieme a Pablo da quel giorno al parco e senza riuscire a trattenere un sorriso, per il grande regalo che il destino aveva deciso di farmi facendomelo incontrare, raggiunsi il bagno per fare una doccia veloce.
Dopo che finii di prepararmi presi il cellulare dalla scrivania e chiamai Edo, in quanto quest’ultimo aveva promesso di aiutarmi a portare i vari occorrenti per la festa.
Tuttavia, non rispose e dopo l’ennesima chiamata, gettai uno sguardo all’orologio e recuperai la mia borsa sulla sedia, uscendo di casa svelta.
 
Poco dopo mi ritrovai difronte la porta di casa del mio migliore amico a suonare con insistenza il campanello e proprio nel momento in cui decisi che avrei utilizzato le chiavi, che ancora avevo, la porta si spalancò.
“Dimmi che hai una buona ragione per avermi svegliato alle nove di domenica mattina!” lo sentii mormorare, con un’espressione decisamente contrariata ed assonnata.
“Buongiorno anche a te, Nick” esclamai sorridente e lo vidi sollevare gli occhi al cielo.
“Cercavo Edo!” dissi entrando dentro l’appartamento, dopo che si spostò dalla porta.
“Non è rientrato a casa ieri sera” affermò, mentre raggiungeva la cucina e si accingeva a preparare un caffè.
“Come no?” Chiesi allibita, aprendo le braccia con fare sconvolto. “Avevamo un appuntamento!” affermai contrariata.
“Di prima mattina?” mi chiese, voltandosi verso di me, dopo aver inserito la cialda nella macchinetta del caffè.
Annuii, recuperando il cellulare dalla borsa e ricominciando a chiamare con non poca insistenza il mio amico.
Dopo qualche minuto sollevai lo sguardo per incontrare quello di Nick, che mi osservava con un sopracciglio inarcato appoggiato al bancone della cucina, con indosso una semplice maglietta bianca a mezze maniche ed un pantaloncino blu, mentre sorseggiava il suo caffè.
Fu allora che una soluzione alternativa si fece largo nella mia mente.
“Beh, dato che Edo non mi risponde ed ormai tu sei sveglio” iniziai, facendo un piccolo sorriso e vidi il suo sopracciglio inarcarsi ancora di più.
“Magari puoi aiutarmi tu al suo posto?” chiesi mettendo su uno sguardo supplichevole.
“A fare cosa esattamente?” domandò titubante.
“Ho alcuni scatoloni da chiudere” risposi, scrollando le spalle e lo sentii sospirare.
 
Eravamo tornati da poco a casa mia, dopo che Nick aveva impiegato un tempo infinito per darsi una sistemata e svegliarsi totalmente.
Ero convinta che in quel momento mi stesse odiando particolarmente, dato che avevo trascorso più di mezz’ora seduta sul divano di casa sua, tamburellando nervosamente il piede destro sul pavimento e guardando in modo frenetico l’ora sul cellulare.
Mi alzai rapidamente dal divano solo quando, finalmente, mi raggiunse nel salone con indosso una tuta blu scuro, che metteva in risalto i suoi occhi verdi.
Avevo, comunque, interrotto bruscamente le mie silenziose osservazioni riguardo al suo abbigliamento e lo avevo costretto a seguirmi a casa mia, senza riuscire ad ignorare il suo sguardo terribilmente scocciato.
 
“Hai svaligiato un negozio di giocattoli, Ass?” mi chiese con le sopracciglia inarcate, risvegliandomi dai miei pensieri, e sollevando in malo modo una piccola bambola.
Non riuscii a trattenere un sorriso e scossi la testa con fare negativo, prima di recuperare lo scotch sulla scrivania per poter chiudere le varie scatole.
“Mi dici cosa dobbiamo fare con questa roba?” continuò a chiedere, mentre io procedevo ad imballare i contenitori e non riuscii a trattenere uno sbuffo.
“Devo portarli a dei bambini!” dissi cercando di colmare la sua curiosità.
“Ora puoi davvero aiutarmi?” chiesi in modo retorico, mettendogli fra le mani un grosso pacco e lo vidi sollevare gli occhi al cielo.
 
Fortunatamente Nick, ad un certo punto, aveva deciso seriamente di collaborare, smettendola di fare domande e prendendo la sua macchina per caricare le varie cose.
“Devi fermarti qui!” dissi appena intravidi la piccola struttura in cui viveva Pablo e non riuscii a trattenere un sorriso pieno di emozione.
Vidi Nick osservarmi con la coda dell’occhio e scuotere la testa, ma in modo meno scocciato ed annoiato rispetto a prima.
“È questo che fai la domenica mattina?” chiese mentre  parcheggiava accanto all’orfanotrofio. “Sei babbo natale per caso?” continuò ridacchiando ed io in risposta gli feci una linguaccia, scendendo velocemente dall’auto e decidendo di rinviare i battibecchi con lui ad un altro momento.
Mentre Nick si accingeva ad aprire il cofano dell’auto per scaricare i vari scatoloni, io suonai al campanello dell’edificio informando la direttrice del mio arrivo.
Qualche minuto dopo, con in mano un pacco l’uno, io e Nick varcammo il cancello della struttura e qualche secondo più tardi un viso ormai a me tremendamente familiare iniziò a corrermi incontro urlando il mio nome.
“Pablo” urlai in risposta, posando a terra la scatola che tenevo tra le mani e raggiungendolo per poi stringerlo in un caloroso abbraccio.
“Sei venuta a trovarmi!” mi disse, stringendomi a se, dopo aver gettato le sue piccole braccia al mio collo.
Risi al suo tono felice ed annuii energicamente.
“Certo che si!” risposi ovvia e con tono dolce “non mi sarei persa per nessun motivo al mondo il tuo compleanno” gli spiegai, dopo che si staccò da quell’abbraccio e dopo avergli dato un dolce bacio sulla guancia.
Il sorriso che mi riservò, insieme ai suoi occhi grandi e scuri che dalla felicità quasi brillavano, mi riempirono il cuore di gioia e quasi mi dimenticai che a pochi passi da noi ci fosse Nick, che aveva assistito a quella scena con un’espressione che non seppi decifrare.
“Dai su, raggiungiamo gli altri” dissi a Pablo prendendolo per mano, dopo aver recuperato la scatola da terra e cercando di trasportarla sottobraccio.
 
Sistemai, insieme all’aiuto di Nick e della direttrice, le varie decorazioni che avevo portato per la festa.
Decorai con cura il piccolo spiazzale sul retro dello stabile e quando finii guardai il tutto con aria soddisfatta.
Passammo il pomeriggio a giocare insieme ai bambini e a scattare tante foto ricordo che avrei conservato gelosamente.
Non mi sfuggii come anche Nick prese parte a quella festa, giocando insieme a noi e facendo breccia nel cuore di quei bambini.
Dopo aver tagliato la torta ed aver cantato in coro ‘Tanti auguri’ a Pablo ripulimmo tutto ed andammo via.
 
Raggiungemmo l’auto di Nick in assoluto silenzio ma non mi sfuggii il piccolo sorriso disegnato sul suo viso.
“Grazie per avermi aiutato!” esordii subito dopo aver varcato il cancello dell’orfanotrofio.
“Grazie a te!” disse, voltandosi verso di me e rivolgendomi un gran sorriso.
“Per cosa?” chiesi titubante, inarcando un sopracciglio.
“Per rendere il mondo un posto migliore!” disse lasciandomi letteralmente senza parole.
Continuò a fissarmi attento, facendo qualche piccolo passo verso di me e accarezzandomi una guancia con la sua mano.
Rabbrividii al suo tocco, incastrando i miei occhi nei suoi e, non so esattamente per quale motivo, trattenni il respiro.
Non eravamo mai stati così vicini, riuscivo a sentire il suo profumo e il suo respiro sulla pelle.
Una voce nella mia testa mi diceva che avrei dovuto indietreggiare, che quella vicinanza non era consentita tra due amici, ma rimasi bloccata sotto il suo sguardo attento, sentendo il mio cuore battere un po’ più forte del dovuto.
 
Fu un attimo, il suono di un cellulare interruppe quel momento, mi raddrizzai sulla schiena, mentre Nick allontanava la sua mano dal mio viso e recuperava il telefono dalla tasca.
Dopo quella chiamata, salimmo in macchina, Nick iniziò a scherzare come sempre, facendo finta che non fosse successo nulla, rendendo il tragitto verso casa decisamente meno imbarazzante ed io gliene fui immensamente grata.
 
La settimana passò velocemente, tra lezioni e prove intermedie, il tempo a disposizione per leggere era davvero poco, per questo quel giovedì pomeriggio decisi di fermarmi un po’ più del dovuto in biblioteca, attendendo che questa si svuotasse per dedicarmi con maggiore attenzione alla lettura di nuovo romanzo.
Mi persi, come sempre, tra le righe di quel racconto e quando mi riscossi mi accorsi che era davvero tardi.
L’orologio sullo schermo del telefono segnava le diciannove e questo significava che in meno di un’ora sarei dovuta tornare a casa e prepararmi per una cena a cui avrei preso parte, quella sera, insieme a Ric ed alcuni suoi colleghi.
Il rapporto con lui, dopo le discussioni nate a seguito degli ultimi avvenimento, era tornato come sempre.
Non ci vedevamo spesso, a causa dei suoi turni sempre più pesanti e del mio studio sempre più intenso.
Tuttavia, mi chiamava più spesso la sera, non so se perché avesse realmente voglia di sentirmi o, piuttosto, l’esigenza di controllarmi, ma quel suo ritrovato affetto ed interesse non mi dispiaceva affatto.
Ero immersa nei miei pensieri quando, giunta difronte al portone del mio appartamento, sgranai gli occhi con fare sconvolto.
“Nick” quasi urlai avvicinandomi al ragazzo, che se ne stava seduto sul muretto adiacente al portone d’ingresso, ma che con gli occhi sembrava essere distante anni luce da me.
Lo richiamai avvicinandomi a lui e mi abbassai sulle ginocchia in modo da far si che il mio viso fosse all’altezza del suo.
Era la terza volta che lo vedevo in quello stato e sapevo che nonostante non mi rispondesse mi stesse ascoltando, pertanto cercai di tranquillizzarlo.
Mi tolsi velocemente la grande sciarpa che indossavo e gliela misi addosso, dato che anche quella sera, come quel pomeriggio sul ponte, era uscito di casa con una misera maglietta a mezze maniche, incurante del freddo di novembre.
Lo vidi scrollarsi di dosso la sciarpa e stringere i pugni, senza comunque dirmi nulla.
“Non fare l’idiota, ti prenderai un raffreddore!” Lo ripresi, sistemandogli nuovamente l’indumento e guardandolo con preoccupazione.
Non so quanto tempo passammo in quel modo, lui con lo sguardo perso ed io a scrutarlo attento, fu solo dopo un bel po’ che lo vidi riscuotersi da quello stato di trance e rilassare le mani che fin ad allora aveva tenuto strette a pugno.
Subito dopo sollevò una mano, portandola con assoluta delicatezza dietro la mia nuca e spingendo leggermente la mia testa in avanti per stringermi in un abbraccio.
“Grazie” soffiò a pochi centimetri dal mio orecchio ed io sorrisi leggermente, era tornato in se.
“Posso salire?” mi chiese poco dopo sciogliendo quell’abbraccio, io annuii mettendomi in piedi e recuperando le chiavi di casa.
 
 
“Ti senti meglio?” gli domandai, porgendogli una tazza di tè caldo, lui annuii in risposta ringraziandomi.
Fortunatamente Izi non era in casa quel pomeriggio e dunque, anche questa volta, nessuno si era accorto del malessere di Nick.
“Vuoi parlarne?” tentai, scrutandolo con attenzione.
Rimase in silenzio per un tempo che mi parve infinito, ma poi mi rispose.
“Non oggi” ed io annuii, era già un inizio.
Se avesse deciso di parlare con me, o con qualsiasi altro, di questo suo problema, avrebbe anche potuto trovare una soluzione.
Avevo compreso che ci fossero dei momenti in cui lui perdesse totalmente il controllo di se stesso, come se fosse posseduto da qualcos’altro ed avevo anche compreso che in quei momenti provasse un forte dolore ed un immenso senso di angoscia.
Tuttavia, il motivo sottostante a quel malessere rimaneva per me un totale mistero.
Il flusso dei miei pensieri venne interrotto dal suono del campanello ed in automatico sgranai gli occhi, mi ero totalmente dimenticata del mio appuntamento.
“Ric!” Affermai, portandomi una mano sulla fronte, per evidenziare la mia sbadataggine e vidi Nick inarcare un sopracciglio.
“Devo andare a cena con lui.” gli spiegai velocemente.
“Ti dispiace se mentre finisci il tè corro a cambiarmi?” gli chiesi titubante.
“Certo che no, vai pure, sto bene!” mi rassicurò e io gli rivolsi un gran sorriso, prima di correre al citofono ed informare Ric che avrei perso giusto qualche minuto.
Mi cambiai velocemente, legando i lunghi capelli biondi in una coda e passando un generoso strato di mascara.
Indossai un vestito blu morbido sui fianchi e delle calzature color nocciola a punta, non poi così alte.
No mi ero mai preparata così rapidamente, pertanto non mi ero dedicata come al solito a scegliere con cura cosa indossare, ma per quella sera, me lo sarei fatta andar bene.
Esattamente dieci minuti dopo uscii di casa, raggiungendo Ric, insieme a Nick, che mi salutò con una mano prima di incamminarsi verso il suo appartamento, sotto lo sguardo leggermente contrariato del mio fidanzato.
 
 
 
 
 
 
 
Buon pomeriggio,
Ho bisogno del vostro parere.
Mi piacerebbe raccontare in maniera più approfondita l’incontro tra Asia e Pablo ed allo stesso tempo, approfondire le personalità e le dinamiche riguardo anche gli altri personaggi, che nella mia mente hanno delle loro particolari caratteristiche sulla quale mi piacerebbe potermi soffermare.
Come ad esempio le improvvise sparizioni di Edo ed i problemi di Isabel, Scarlett e Lucas. (Di cui avrete maggiori informazioni a partire dal prossimo capitolo)
Mi rendo conto di non poter inserire questi aspetti in questa storia, sia perché non ho lo spazio per farlo, sia perché finirei per allontanarmi dal focus principale di questo racconto (Asia e Nick ed il loro “farsi bene” reciprocamente) e finirei soltanto per confondervi.
Quindi ho pensato di realizzare dei veri e propri Missing Moments  per ciascun personaggio, da leggere separatamente.
Considerando che sviluppare questo tipo di testi sarà non poco impegnativo, vi chiedo se effettivamente a qualcuno potrebbe interessare lanciando una sorta di sondaggio tra voi lettori.
Grazie per l’attenzione,
A presto.
Fede.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9 





Avevo sempre considerato novembre  un mese di passaggio, un po’ più anonimo rispetto agli altri.

Ottobre portava con se l’inizio dell’autunno, i suoi colori ed i suoi profumi, fornendo sensazioni nuove e fresche.

Dicembre, d’altro canto , era il mese del Natale,delle sue luci e decorazioni.

Novembre, invece,stava in mezzo a questi due mesi così ricchi e pieni, procurando per i primi giorni nostalgia per il mese precedente e successivamente, l’attesa per l’arrivo di dicembre e del Natale.

Quel giorno io, in realtà, mi sentii un po’ novembre, una terra di mezzo tra due fuochi e provai tenerezza ed empatia per il penultimo mese dell’anno.

Non capitava spesso, infatti, che i miei genitori venissero a farmi visita a Bristol, in quanto mio padre era troppo impegnato a spostarsi da una delle sue aziende all’altra e mia madre ad arricchire il suo armadio con le ultime collezioni di Versace.

Per questo motivo, già la loro inaspettata visita mi aveva non poco stupito, ma la situazione degenerò letteralmente nel momento in cui mi informarono dei loro nuovi piani per il mio futuro.

“È arrivato il momento che tu inizi a mettere in pratica ciò che hai imparato in questi anni e ti assuma le tue responsabilità” mi aveva spiegato mio padre, durante il pranzo trascorso insieme in un lussuoso ristorante della città.

Avevo annuito ascoltando con interesse per tutto il tempo, continuando a pranzare tranquillamente, ma sentii lo stomaco intrecciarsi ed il cibo risalire nel momento in cui mi informarono che avrei dovuto trascorrere il mio ultimo semestre in un college negli Stati Uniti, lasciando Bristol, i miei amici e la mia università.

Tentai di riprendermi da quello stato di stupore e cercai di spiegargli che non sarebbe stato costruttivo stravolgere tutto per un solo semestre, ma rimasi letteralmente senza parole quando mia madre, in un vago tentativo di rassicurarmi , mi disse “ne abbiamo già discusso e siamo giunti alla conclusione che è la soluzione migliore per te.

Abbiamo anche pensato che potrà venire Riccardo insieme a te, sai che tuo padre può aiutarlo a trovare una buona opportunità lavorativa lì.”

“Certo, non potrai vederlo sempre, dato che seguirai dei corsi avanzati che ti terranno occupata per l’intera giornata” continuò mio padre

“Ma credo che sia la soluzione migliore, è ora che tu cresca e che ti lasci alle spalle inutili distrazioni.” concluse con tono deciso.

Sentii gli occhi inumidirsi ed il petto battere freneticamente e strinsi a pugno le mani che tenevo tra le gambe, lontano dallo sguardo dei miei genitori.

Rimasi in assoluto silenzio, tentando di calmarmi e di recuperare fiato e loro dovettero interpretare quel mio stato di tranche come un tacito consenso.

 

Dopo quel folle pranzo, i miei genitori mi riaccompagnarono nel mio appartamento e mi salutarono, in quanto sarebbero ripartiti quello stesso pomeriggio.

Arrivai in casa in assoluto silenzio, ancora troppo sconvolta e con la mente in subbuglio, sentii Isabel ripetere ad alta voce nella sua stanza, sapevo che avrebbe dovuto sostenere un esame intermedio in quei giorni e non mi sembrò il caso di disturbarla.

Pertanto, mi chiusi nella mia camera, rannicchiandomi su me stessa e cercando di colmare quel vuoto che sentivo dentro.







Ero in un assoluto stato di dormiveglia quando sentii la porta della mia camera aprirsi con violenza.

“Mi spieghi perché non sei in biblioteca alle quattro del pomeriggio?” 

La voce di Nick rimbombò tra le mura bianche della mia camera, svegliandomi definitivamente.

Mi stiracchiai leggermente, passandomi una mano sul viso e voltandomi verso di lui.

“Stai male?” mi chiese, dopo avermi osservata con sospetto.

“No, tutto bene” mormorai e lo vidi inarcare un sopracciglio con fare scettico, probabilmente non ero molto convincente.

“Che ci fai qui?” Gli chiesi.

“Ti cercavo” disse, sollevando gli occhi al cielo.

“Sono passato in biblioteca e non c’eri, ti ho chiamato ma non rispondi, hai il ciclo per caso?” Domandò con fare indagatore.

Risi leggermente, prima di scuotere la testa.

“Come sei entrato?” gli chiesi, con un sopracciglio inarcato.

“Mi ha aperto Isabel” rispose,senza però demordere dal voler scoprire cosa mi avesse tenuta tra le lenzuola quel pomeriggio.

“Mi spieghi perché sei a letto allora?” 




Sollevai gli occhi al cielo, sbuffando;

era assurdo il modo in cui Nick riuscisse sempre a percepire i miei sbalzi d’umore o quando qualcosa non andava bene e pensare che, in fondo, non eravamo mai stati davvero amici.

“Solo un po’ di stanchezza” mormorai

“Perché mi cercavi?” tentai, con la speranza che cambiare discorso potesse smorzare i suoi sospetti.

Lo sentii sbuffare, “balle, dimmi cosa ti è successo!“ affermò serio, prima di togliersi le scarpe e buttarsi pesantemente sul mio letto, sdraiandosi accanto a me.

“Prego, fai pure” lo presi in giro e lo vidi trattenere un sorriso.

“Allora?” continuò ad insistere, voltandosi con il corpo verso sinistra e passando un braccio sotto il cuscino, in modo da potermi osservare.

Il fatto che si sdraiò con nonchalance sul mio letto e che mi guardava insistentemente con il viso a pochi centimetri dal mio, mi mise inevitabilmente in imbarazzo, ma cercai di non darlo a vedere.

“Sono passati a trovarmi i miei genitori” confessai, dopo qualche secondo e lo vidi sollevare un sopracciglio esortandomi a continuare.

“Hanno deciso che frequenterò il secondo semestre in un college negli Stati Uniti” dissi tutto d’un fiato e dirlo ad alta voce lo rese ancora più vero e frustrante.

“E a te non va bene?” mi chiese ed io sorrisi spontaneamente, era la prima volta che qualcuno mi chiedeva se qualcosa mi andasse bene.

Non lo aveva mai fatto nessuno, né i miei genitori ed, a volte, neppure i miei amici.

“Io voglio restare qui” mormorai, con la voce tremante, essendo davvero sul punto di piangere.

“Non voglio andare via, so che dovrò gestire le aziende di famiglia in futuro, ma prima ci sono un sacco di cose che vorrei fare” gli spiegai.

“Del tipo?” mi chiese 

“Non saprei..” risposi sinceramente, dopo qualche secondo di silenzio e lo vidi sorridere, probabilmente sembravo ridicola ed infantile in quel momento.

“Non importa quanto tempo hai a disposizione, ma come lo usi, Ass!” disse dopo un po’ ed, in effetti, aveva ragione.

Avevo passato due anni a Bristol, lontano dalla mia famiglia, ma nonostante avessi trovato molti amici, non avevo mai fatto qualcosa di folle, qualcosa fuori dagli schemi.

“Vorrei semplicemente fare delle cose che non ho mai fatto, un viaggio senza destinazione, ballare scalza o altre cose sciocche, cose che si fanno alla mia età” dissi tutto d’un fiato, con assoluta sincerità.

Nick restò in silenzio ad osservarmi per un po’, scrutandomi attentamente ed io mi sentii in parte in imbarazzo per quella poca distanza, ma, in parte, mi sentivo più leggera e serena, come se mi fossi tolta un grosso peso.

“Possiamo farlo!” mi disse, dopo un po’, mostrandomi un piccolo sorriso.

“Cosa?” chiesi titubante ed il suo sorriso si allargò.

“Un viaggio senza destinazione!” rispose ovvio.

Sorrisi, prima di scuotere la testa.

“Perché mi cercavi?” gli domandai nuovamente.

Lo vidi girarsi e sdraiarsi dritto sul letto, prendendo ad osservare il soffitto, interrompendo il contatto visivo.

“Perché avevo voglia di vederti.” rispose tranquillo ed io sentii il cuore perdere un battito.




Quel pomeriggio il meteo a Bristol ci aveva costretto a rimanere in casa, difatti pioveva incessantemente dall’intera giornata e sembrava che non fosse intenzionato a smettere.

Ero seduta sul divano di casa mia ad ascoltare distrattamente il parlottare dei miei amici fin quando non mi sentii richiamare.

“Asia, potresti almeno fingere di apprezzare la nostra compagnia” mi richiamò Scar, mettendo su un finto broncio.

Sorrisi sollevando lo sguardo e riscuotendomi dai miei pensieri.

“Sai che apprezzo la vostra compagnia” risposi, mostrandogli un sorriso dolce che le fece sollevare gli occhi al cielo.

“Tutto bene?” mi chiese Edo, con aria perplessa.

“In realtà..” iniziai, facendo un sospiro, non gli avevo ancora raccontato degli ultimi avvenimenti e di ciò che i miei genitori avevano in programma per me, ma era giunto il momento di condividere con loro quella assurda novità.

“I miei hanno deciso che frequenterò il secondo semestre in un college negli Stati Uniti”

“Che cosa?” urlò sconvolta Scarlett, mentre Edo ed Izi mi scrutavano con un’espressione piuttosto contrariata.

“Stai scherzando,spero?” continuò la rossa.

Scossi la testa, prendendo un profondo respiro.

“Tu vuoi andarci?” mi chiese dopo un po’ Edo, riscuotendosi dal suo momentaneo silenzio.

“Certo che no” esclamai, allargando le braccia.

“Ma sapete che non sono io a decidere!” conclusi, con tono rassegnato.

“Allora dillo ai tuoi!” esordì Lucas, corrucciando la fronte.

“Non servirebbe a niente” gli spiegai, senza riuscire a trattenere uno sbuffo.

Mi voltai verso la mia coinquilina, l’unica che fino a quel momento non aveva proferito parola ed il suo silenzio mi preoccupò particolarmente.

“Se tu non vuoi andare, non ci vai!” sbottò Scar, con fare ovvio.

“A costo di legarti a questo dannato divano!” concluse e Lucas annuii dandole ragione.

Risi leggermente al loro modo di fare, adoravo l’atteggiamento ribelle di Scarlett e mi inteneriva il modo in cui Lucas fosse incredibilmente sempre d’accordo con lei.

Passammo il resto del pomeriggio a discutere di questa nuova questione, senza però giungere ad una vera soluzione.

Parlando con i miei amici mi resi conto che dovevo, quantomeno, fare un piccolo tentativo e chiamare mio padre per dirgli di non essere esattamente d’accordo con la loro decisione.

Alla fine di quel pomeriggio, nonostante la pioggia non avesse cessato di cadere con violenza dal cielo, Scar, Lucas ed Edo decisero di tornare alle loro case, lasciandomi insieme ad un Isabel più taciturna del solito, che raggiunse la sua stanza senza proferire nessuna parola.




“Izi” 

La chiamai, bussando leggermente alla porta semi aperta della sua stanza ed aprendola lentamente subito dopo, senza aspettare un suo esplicito consenso.

La trovai seduta sul bordo del letto, in un silenzio che mi preoccupò.

Rimasi ad osservarla per qualche minuto, ferma sul ciglio della porta.

“Non puoi andartene davvero.” esordì dopo un po’ e dal tono della sua voce mi resi conto che stava trattenendo le lacrime.

“Isabel” dissi, entrando nella stanza e facendo qualche passo verso di lei.

“Non puoi partire, sul serio.” continuò sollevando lo sguardo e fissando i suoi occhi lucidi nei miei.

“Se tu te ne vai come faccio io?” iniziò, con voce spezzata.

“Se parti chi controllerà che io non salti nessun pasto o che io vada a fare terapia?” mi chiese ed una lacrima le sfuggì rigandole il viso.

Sentii un nodo alla gola restringermi il petto e faticai a trattenere le lacrime.

“Proverò a parlarne con mio padre” dissi sinceramente, cercando di rassicurarla.

“Per quanto difficile possa essere..” aggiunsi qualche secondo dopo, senza riuscire a trattenere un sorriso amareggiato.

“Dovranno almeno ascoltarmi!” conclusi.

La vidi asciugarsi quell’unica lacrima, alzarsi dal letto e stringermi in un abbraccio.

“Per favore, non andare via!” sussurrò sulla mia spalla e dovetti mordermi un labbro per evitare alle mie lacrime di scorrere con violenza.







Ero seduta sul bordo del letto rigirando tra le mani il mio cellulare, alla ricerca di quel coraggio necessario per dire alla mia famiglia di non essere, per la prima volta in vita mia, d’accordo con una loro decisione.

Presi un respiro profondo, non ero ancora pronta a lasciare Isabel, Pablo ed i miei amici.

Fu questa consapevolezza a spingermi ad aprire la rubrica e ricercare il numero di mio padre, facendo partire la chiamata.

“Asia” sentii dopo qualche squillo dall’altro lato della cornetta ed il cuore iniziò a battermi freneticamente nel petto.

“Papà” mormorai, con voce intimorita.

“È successo qualcosa cara?” mi chiese ed io presi un profondo respiro prima di replicare.

“No, va tutto bene!” iniziai

“Volevo solo parlare di quel college a New York”

“Si tesoro, dirò alla mia segretaria di inviarti il depliant via email, vedrai che ti piacerà” mi disse con tono tranquillo.

“No, papà” sospirai

“Io non credo che sia la soluzione migliore per me” dissi con tono titubante

“Anzi, ne sono più che sicura!” esclamai subito dopo con maggiore decisione.

Lo sentii sospirare al telefono e rimanere in silenzio per un po’.

“Ho già parlato con Riccardo ed è la soluzione migliore per te, Asia!” affermò con tono severo e che non ammetteva repliche.

“Adesso devo andare, ho una riunione!” disse subito dopo, concludendo quella chiamata.

Sospirai, gettando in malo modo il cellulare sul letto, ripensando alle parole di mio padre una assurda ipotesi iniziò a farsi largo nella mia mente.




“Ho già parlato con Riccardo”




“È ora che ti lasci alle spalle inutili distrazioni”




“non ti riconosco più, stai sempre a leggere, quando dovresti lavorare di più sul tuo futuro…Sei sempre distratta, sulle nuvole e adesso, ti ubriachi pure!” 




Mi alzai rapidamente dal letto nel momento in cui quella nuova convinzione si fece largo in me.

Non poteva essere vero, ma mettendo insieme i pezzi degli ultimi avvenimenti mi sembrava l’unica alternativa possibile, l’unica spiegazione sensata.

I miei genitori avevano sempre insistito su cosa avessi dovuto studiare e cosa avrei fatto una volta laureata, ma avevano lasciato a me scegliere dove.

E questa era la principale ragione che mi aveva costretto ad impegnarmi ed a prendere seriamente il mio percorso di studi.

Sbuffai, recuperando la borsa dalla sedia, rimanere chiusa in casa a rimuginare non avrebbe fatto altro che confondermi ulteriormente.

Pertanto, dopo aver recuperato il mio cappotto all’ingresso, uscii di casa percorrendo velocemente il tragitto che conduceva allo studio in cui Ric lavorava.




Non mi era mai capitato di fargli visita durante l’orario lavorativo, essendo consapevole di quando ci tenesse a mantenere distaccato il lavoro dalla vita privata.

Tuttavia, che con quella visita potessi irritarlo in quel momento non mi importò.

Aprii la porta del suo ufficio, subito dopo aver bussato ed aver ricevuto dall’interno il consenso di entrare.

Appena mi vide sollevò un sopracciglio, probabilmente stranito da quella mia inaspettata visita.

“Asia, che ci fai qui?” mi chiese subito dopo, rivolgendomi un piccolo sorriso ed alzandosi dalla sedia.

“Tu lo sapevi?” Chiesi, dopo aver richiuso la porta, con tono accusatorio.

“Sei stato tu a convincere mio padre a mandarmi negli Stati Uniti?” continuai.

Lo vidi oltrepassare la scrivania ed avvicinarsi a me.

“Pensaci bene, è la soluzione migliore” disse, poggiando le mani sulle mie braccia.

“Potremmo ricominciare insieme in un posto nuovo, conoscere persone alla tua altezza e concentrarci sul tuo futuro!” mi spiegò con tono tranquillo ed io sentii un senso di rabbia invadermi il petto.

Mi scrollai di dosso le sue mani, allontanandomi il più possibile da lui e respirando a fondo per evitare di iniziare ad urlare.

“Con che diritto pensi di poter decidere al posto mio cosa fare, dove andare o chi frequentare?” chiesi allibita.

“Sono il tuo fidanzato, è mio dovere fare ciò che sia meglio per te.” mi rispose con fare autoritario ed io emisi una smorfia, aprendo le braccia con fare sconvolto.

“Tu pensi solo a te stesso!” gli sputai addosso, puntandogli un indice contro.

“Pensate di poter controllare e modellare la mia vita come meglio credete, dimenticandovi di chiedere se quello che decidete va bene a me!” sbottai, ormai decisamente fuori di me.

“Non penso che tu sia in grado di decidere da sola cosa sia meglio per te, dato le persone che frequenti e quello che fai!” mi accusò con tono duro.

“Già” mormorai, scuotendo la testa.

“Che pessima idea frequentare uno come te!” conclusi amareggiata, prima di voltare le spalle per andare via.

“Dimenticavo” dissi, voltandomi verso di lui, con la mano sulla maglia.

“Informa tu mio padre che tra me e te è finita!” dissi con disprezzo, prima di andare via da quell’ufficio.

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