Affari di cuore

di StarFighter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


   -Prologo-

Come era finita in quella situazione? Era tutta una farsa, un gigantesco equivoco!
Eppure all’altro capo del telefono non c’era altri che il suo detestabile capo, Inuyasha Taisho, spina nel fianco di ogni impiegato del reparto marketing, viziato figlio di papà, sexy stronzo dagli occhi di brace e protagonista indiscusso dei suoi recenti sogni edonistici. E le stava chiedendo di…
“Vuoi sposarmi?”
“Cosa?” il telefono quasi le cadde di mano, lo stupore le aveva bloccato le funzioni motorie.
“Vuoi sposarmi?” un respiro profondo, il suo temperamento mandava scintille anche a distanza. “È la terza volta che lo ripeto. Sei per caso sorda, Sango-san?” Un gentleman, come sempre.
C’erano due grossi problemi con quella frase: di sicuro non avrebbe sposato il suo capo e di certo lei non era Sango.




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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Capitolo I

 

 

“Credo d’aver capito male.” Tutto d’un tratto la cravatta che portava quel giorno sembrò soffocarlo. Prese un respiro profondo e cercò di allentare il nodo, stringendo e strattonando la seta delicata, con l’intento di farla a pezzi. Al diavolo quel dannatissimo cappio al collo che il dress code dell’azienda imponeva ai vertici! A Los Angeles sarebbe andato a lavoro in jeans e camicia, una volta aveva persino messo dei sandali e il giorno dopo metà ufficio li indossava. A L.A. era un trend setter, a Tokyo era vestito per la bara. “Potresti ripetere?”

“Sto parlando di matrimonio, credo sia arrivato il tuo momento.” Suo padre lo fissava attentamente dal’altro lato della scrivania, incorniciato dallo skyline della città. La Tokyo Tower brillava in lontananza come un albero di Natale e Toga Taisho dispensava dall’alto del suo Olimpo gioie e dispiaceri  come una moderna divinità.

“Perdi colpi. Di solito sei bravo a fare scherzi.” Non poteva trattarsi d’altro. Conoscendolo, il vecchio non avrebbe mai potuto chiedergli una cosa del genere. Si sistemò meglio sulla sedia, una lieve irrequietezza si stava impossessando di lui ad ogni secondo che passava.

“Non è affatto uno scherzo, infatti sono molto serio, Inuyasha. E mi aspetto che tu lo sia altrettanto in materia.” Il padre aggrottò le sopracciglia e una ruga gli si formò sulla fronte, corrompendo quel viso altrimenti perfetto.

“Ecco che se ne va la tua ultima goccia di sanità mentale. Ah!” Una risata isterica gli risalì dal fondo della gola, scoppiandogli sulle labbra, rimbombando come uno sparo nell’inutile enormità dell’ufficio del padre.

“L’unico folle qui sei tu se pensi che io possa essere meno che serio riguardo all’argomento.” Dichiarò, tamburellando le dita su una cartellina di pelle.

“Non sai di cosa stai parlando.” Distolse lo sguardo dall’espressione inquisitoria del padre, quegli occhi così simili ai suoi lo avevano sempre intimorito.

“Sono tuo padre, credo di sapere cosa sia meglio per te. Inoltre, hai bisogno di ristabilire la tua reputazione dopo quello che è accaduto a Los Angeles, l’immagine dell’azienda ne ha molto risentito. Per questo convengo che un matrimonio con una delle giovani donne su questa lista gioverebbe sia a te che alle Taisho Industries.” Estrasse un foglio dalla cartellina e lo fece scivolare verso di lui con un’espressione compiaciuta. “Ho stilato personalmente quest’elenco con le possibili candidate. Sono tutte eredi di varie aziende, partner perfette: scuole eccellenti, ottimi risultati in campo accademico, il top che l’alta società di questo paese ha da offrire. Le prime tre sono quelle a cui auspico, ma mi accontenterei anche dell’ultima se facesse al caso tuo.”

“Partner perfette per me o per l’azienda?” La voglia di accartocciare il foglio che aveva davanti agli occhi e lanciarglielo contro era irrefrenabile, dovette conficcarsi le unghia nel palmo della mano per fermarsi: avrebbe dato a suo padre un ulteriore motivo per dubitare della sua maturità. “Se mi conoscessi così bene come dici, sapresti cosa ne penso a riguardo e di conseguenza  saresti già al corrente della mia risposta. In conclusione, quest’incontro sarebbe stato solo un enorme spreco di tempo per entrambi.”

Diede uno sguardo all’orologio e imprecò mentalmente: in dieci minuti avrebbe dovuto tenere una teleconferenza con Totosai Kagustuchi, e se l’idea di dover parlare a lungo con il responsabile della sede di Beijin lo infastidiva, quella conversazione con suo padre lo innervosiva ancora di più.

“Ma questa non è una richiesta, è un ultimatum. Accasati entro la fine dell’anno o scordati di poter aver parte nei futuri progetti dell’azienda.” Gli disse con leggerezza, come se gli stesse consigliando dove andare fuori a pranzo.

“Questo è un ricatto bello e buono!” sbottò alzandosi in piedi. Il vecchio si era svegliato quella mattina e aveva scelto la via della violenza a quanto sembrava. “La mamma disapproverebbe, era un’inguaribile romantica. Costringere il suo unico figlio ad un matrimonio d’interesse con una sconosciuta non l’avrebbe entusiasmata.” Usare la carta della madre morta era come tirare la coda ad un cane rabbioso, raramente la usava ma quale migliore occasione di usarla se non quella. Sapeva per esperienza personale che menzionarla avrebbe portato a due risultati molto diversi: il padre, al ricordo della moglie, avrebbe potuto desistere dai suoi folli piani, oppure, punto nel vivo gli sarebbe saltato alla gola.

Un ringhio sommesso fece vibrare l’aria tra i due: suo padre stava tentando di sottometterlo alla gerarchia del branco, quel suono preannunciava un ordine perentorio a cui non avrebbe potuto sottrarsi. Le orecchie gli si piegarono all’indietro rivelando inavvertitamente la sua naturale subordinazione.

Farai come dico.” Un onda potente di youki lo investì e la sua voce suonò cupa e greve, poi si alleggerì improvvisamente. “Prendi esempio da tuo fratello, presto mi farà diventare nonno.” Una zanna appuntita fece capolino sulle labbra sottili di Toga, increspate in uno stupido sorriso. Da quando Kagura aveva annunciato di aspettare un bambino, l’onnipotente CEO era diventato a tratti molliccio e sentimentale al pensiero di aver presto dei nipoti da viziare.

“Sesshomaru può andare a farsi fottere! Per un pizzico di approvazione leccherebbe tutto il sale dal mare, lascio a lui l’onore di portare avanti il buon nome della famiglia e di sfornare marmocchi.”  Fece per andarsene, deciso a chiudere lì quella conversazione delirante.

“Non credere di poter svicolarti da tutto questo. È un compito come un altro che ti affido.”  Si alzò dalla scrivania e gli andò incontro, porgendogli il foglio con i nomi delle sfortunate che voleva diventassero sua moglie. “E mi aspetto che tu lo porti a termine con successo.”

A meno di dieci passi dall’ufficio di suo padre quel foglio era già andato a canestro nel primo cestino disponibile.

 

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Toga Taisho, incoronato imprenditore dell’anno dal Nippon Financial per tre anni di fila, riteneva di essere un uomo giusto, seppur poco flessibile. Premiava i meritevoli e puniva chi gli si ritorceva contro. Per questo aveva deciso di premiare il suo primogenito dandogli in gestione la succursale di Kyoto e di punire quel buono a nulla del suo secondogenito richiamandolo dalla succursale di Los Angeles per farlo tornare in patria. Non avrebbe mai creduto possibile che una cosa proveniente dai suoi lombi potesse causargli così tanti problemi.

“Non credo che tuo figlio accetterà così facilmente questa cosa, sappiamo quanto odi le imposizioni.” Myoga, il suo fedele segretario e consigliere, gli porse un bicchiere basso e largo con tre dita di whisky. Un buon Macallan in compagnia era l’unico vizio che ancora si concedeva.

“Farà meglio a sottostare alle mie volontà o verrà tagliato fuori dalle Taisho Industries. Dopotutto, non mi sembra di chiedere molto. Sesshomaru non ha battuto ciglio quando gli ho proposto lo stesso e guarda a cosa ha portato, la famiglia si sta allargando.” Ribatté con fierezza. Cosa c’era di così difficile da capire? Voleva solo che la dinastia dei Taisho prosperasse!

“Ma Inuyasha non è Sesshomaru, e solo per un colpo di fortuna all’appuntamento preparato per lui si è presentata la donna che già amava.” Myoga si accomodò sul divano che padroneggiava al centro della stanza e sul quale di solito si addormentava guardando scialbe soap a basso budget mentre lui vagliava investimenti e piani aziendali.

“L’amore è una storiella che si racconta ai ragazzini, qui si tratta di affari.” Toga bevve dal bicchiere e arricciò le labbra al sapore.

“Anche Izayoi-san era un affare?”

E tutto a un tratto il whisky che gli scendeva in gola si trasformò in veleno.

“Attento, Myoga.” Il suo vecchio amico sapeva dove colpire.

Izayoi aveva lasciato dentro di lui un vuoto incolmabile, la sua morte era una ferita sempre aperta che il tempo non avrebbe rimarginato. Un pugno allo stomaco, come mancare uno scalino e assaporare il vuoto per un lungo infinito secondo. La sua assenza era pura agonia ad ogni respiro. Anche lui non aveva potuto nulla contro la morte, nessuna quantità di denaro o potere avevano potuto salvarla. La vita era crudele, recideva i fiori all’apice della loro fioritura, e Izayoi era stata il fiore più bello di tutti.

Sapeva anche quanto Myoga tenesse ad Inuyasha e tirare in ballo l’unica donna che avesse mai amato era un palese mezzuccio per distoglierlo dai suoi intenti. Ma né quella testa dura di Inuyasha né tantomeno quel pavido di Myoga potevano fargli cambiare idea.

 “Gli ultimi due appuntamenti sono andati molto male. La figlia dei Takahashi è scappata via piangendo e si mormora che quella dei Fujiwara sia andata in terapia. Risparmia questa sofferenza a quelle povere donne.”

Toga fu quasi sul punto di chiedergli se il figlio lo avesse corrotto in qualche modo per intercedere in suo favore. “Non è negoziabile.” Asserì sicuro, voltandosi a contemplare le mille luci di Tokyo che si stendevano fino all’orizzonte.

Myoga alle sue spalle sospirò sconfitto. “La prossima sulla lista è la figlia di Motomi Tajiya, del Taijiya Group. Un tipetto non troppo facile da gestire.” Commentò tuttavia divertito.

“Bene, Inuyasha si scontrerà con qualcuno al suo livello.” Avrebbe voluto essere una mosca sul muro per vedere come sarebbe andato quell’incontro. “Organizza un altro appuntamento e inviagli tutti i dettagli. Forse la terza sarà quella giusta.”

 

 

Nda: Grazie mille per la calorosa accoglienza!! Erano eoni che non pubblicavo qui su efp e lavorando a questa ff per un contest su tumblr (Inu-spiration 2022) mi sono chiesta, perché non pubblicarla prima in italiano? Mi sono tra l’altro ripromessa di pubblicare tutto quello che scrivo, perché non devo vincere il premio Strega né il Pulitzer e quindi non tutto deve essere perfetto. Purtroppo devo combattere con il mio ocd e prenderlo a pugni per fare questa cosa, e la maggior parte delle volte perdo e rilego tutto sul fondo della memoria del pc. Ma stavolta, cavoli, NO! si pubblica senza paura e si va avanti come se non ci fosse un domani! Alla prossima :D

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


                                                                                  Capitolo II                                                       

                                                      

 

Il fatto  che lei e Sango fossero sedute all’izakaya a due passi dal tempio non era di per sé strano. Ogni venerdì sera dopo il lavoro, si ritrovavano puntuali a sedere l’una di fronte all’altra con diverse bottiglie di birra tra loro e i migliori takoyaki della zona est di Tokyo, pronte al resoconto della settimana. La cosa strana però era che quello era un mercoledì sera e ad appena metà settimana Sango le aveva proposto di incontrarsi con una certa urgenza.  Cosa ancora più strana, l’amica continuava a versarle sakè e birra con la reverenza con cui li avrebbe versati ad un suo superiore, incoraggiandola a bere e mangiare a volontà perché al conto ci avrebbe pensato lei.

Qualcosa non andava.

“Sputa il rospo.” All’ennesimo tentativo di Sango di versarle altro sakè, poggiò la mano sul bicchiere, impedendoglielo.

“Cosa?” l’amica distolse lo sguardo e con una risatina isterica si versò uno shot e buttò giù tutto d’un fiato. “Non posso offrire una serata alcolica alla mia amica? Da quello che mi hai detto la tua settimana non sta andando nei migliori dei modi, voglio risollevarti il morale!”

“Certo che puoi. Ma sembra che tu stia cercando in tutti i modi di farmi ubriacare! E una sbornia è l’ultima delle cose di cui ho bisogno al momento, se dovessi arrivare tardi al lavoro o dovessi rendere poco, mi giocherei il posto.” Si prese la testa tra le mani e un lamento le salì dalla gola. Sentiva già l’alcol fare effetto, afferrò un takoyaki e lo ingurgitò sperando che assorbisse un po’ di quel mix velenoso che Sango le aveva versato. “Forza, Sango. L’ultima volta che ci hai provato mi hai costretta ad anda-…” la voce le morì in gola quando l’amica giunse le mani e chinò la testa come per pregarla.

“Ah, non posso crederci!” Bingo. Quella serata puzzava come natto lasciato fermentare al sole per settimane. Il suo istinto non sbagliava mai. “Una trappola, ecco cos’è!”

“Ti prego, solo stavolta.” Sango le afferrò le mani, cercando di farla ragionare.

“È la stessa cosa che mi hai detto l’altra volta.” Si liberò dalla presa dell’amica e incrociò le braccia al petto, sperando che quella discussione non sfociasse nel ridicolo.

“Sono andata agli ultimi tre ma se dovessi sopportarne un quarto mi sparerei!” la voce dell’amica esplose a quell’affermazione e i ragazzi dei tavoli accanto si voltarono a guardarla spaventati.

Kagome si scusò imbarazzata con un sorriso tirato sulle labbra, piegando lievemente la testa. “Non essere ridicola, andare ad appuntamenti con uomini facoltosi non mi sembra così male. Meglio di questa digiuno forzato a cui sono sottoposta io.” Si passò una mano tra i capelli e pensò a quanto tempo fosse passato dal suo ultimo appuntamento. Davvero troppo. Ma tra il lavoro che la tormentava anche di notte, il mandare avanti il tempio nei weekend e cercare di far quadrare i conti a fin mese, non le rimaneva molto tempo da dedicare alla vita sociale, figurarsi a quella amorosa. Prese la bottiglia al centro del tavolo e, soppesatone il contenuto, se la portò alle labbra e la scolò fino all’ultima goccia.

“Allora perché non ci vai tu,eh?” Sango batté una mano sul tavolo e le bottiglie tintinnarono allegre.

“Perché quegli uomini vogliono conoscere Sango Taijiya, erede del Taijiya Group, non Kagome Higurashi, dipendente sottopagata, miko part-time al tempio.” Perché dirlo ad alta voce le faceva così male? “Potresti perdere l’occasione di conoscere l’uomo della tua vita!”

“Come no. Quei pomposi palloni gonfiati sono davvero uno spasso quando parlano dei loro studi all’estero o dei loro progetti per me una volta sposati. Mio padre non si arrende al fatto che io non sia interessata al matrimonio o quantomeno non a uno dei matrimoni che vuole organizzarmi lui. Se, ed è un grande se, un immenso se, deciderò di sposarmi sarà perché lo vorrò io e non perché qualcuno mi ci costringe.” Sango avrebbe potuto fare concorrenza ad uno shinkansen, le parole le fluivano dalla bocca come un treno in corsa, avrebbe potuto arringare un’intera folla con il suo fervore, ma Kagome sapeva che quella stessa sicurezza svaniva quando Sango cercava di parlarne col padre.

L’amica si lasciò cadere contro lo schienale della sedia, come se pronunciare tutte quelle parole l’avesse svuotata, e reclinò la testa all’indietro con un sonoro sbuffo. Kagome si congratulò con se stessa, dandosi un’immaginaria pacca sulla spalla perché almeno quella volta aveva vinto lei.  Però Sango sembrava non aver finito, perché si raddrizzò e con un sorriso cospiratorio sparò il suo ultimo colpo.

“Ti pagherò, qual è il vantaggio di avere un’amica ricca se non può aiutarti?”chiese retorica.

“Vantarti del fatto che tu sia schifosamente ricca non ti aiuterà di certo.” Le disse con una nota di veleno.

“Andiamo, Kagome-chan. Un appuntamento al buio è il prezzo per risolvere tutti i tuoi problemi.” Un baluginio pericoloso le brillava negli occhi. “Economici e di cuore. Due al prezzo di uno.” Tirò fuori dalla borsa il libretto degli assegni e una penna.

Sapeva che aiutare Sango era una pazzia e che la cosa non sarebbe andata a finire bene, per entrambe. Ma l’amica continuava a farle penzolare davanti un’esca fatta di birra e biglietti da cento e forse se la sua vita avesse fatto meno schifo in quel momento avrebbe di certo detto no. Ma il tempio era sull’orlo della bancarotta e aprire le bollette alla fine di ogni mese era più spaventoso che buttarsi nel fuoco.

“Facciamo finta per un momento che io accetti, cosa dovrei fare perché un tizio provi avversione verso di me…di te, intendo.” sbuffò frustrata, “Vedi, anche dirlo ad alta voce mi fa sembrare stupida.” Buttò giù l’ultimo sorso di birra e afferrò l’ultimo takoyaki. “È da pazzi, e lo sai.”

Sango alzò una mano e fece un cenno verso la cameriera che le aveva servite all’inizio e ordinò ancora birra e takoyaki. La serata non accennava a voler finire. L’amica non avrebbe mollato la presa finché non l’avesse avuta vinta.

“Puoi sempre fare quella cosa.” Le dita della mano destra le svolazzarono davanti al volto.

“Quale cosa?” Kagome cominciava a spazientirsi e l’alcol non la stava aiutando. Da quel momento in poi la serata avrebbe potuto avere due possibili esiti: lei sbronza che piangeva piegata sulla scale di casa o lei che inveiva contro Sango per averle rubato ore di sonno con le sue idee assurde.

“L’esorcismo, fai buon uso degli ofuda che tuo nonno ti costringe a tenere in borsa.” Propose come se fosse la cosa più normale del mondo.

“Sango,” prese un respiro profondo e cercò di non urlarle in faccia, “non posso andare in giro ad appiccicare ofuda su gente a caso solo perché tu non riesci a schiarirti le idee e dire a tuo padre che sei stanca di questi appuntamenti che ti combina.”

Il silenzio scese tra loro come una cortina di ferro mentre la cameriera poggiava sul tavolo il loro ordine e portava via le bottiglie vuote. Forse aveva esagerato.

Sango fece scivolare la sedia all’indietro, producendo un rumore stridulo, e si alzò. La paura che forse le sue parole l’avessero offesa le strinse lo stomaco. “Sango-chan, io…”

Si zittì quando l’amica si inginocchiò al suo fianco e si portò le mani giunte alla fronte. “Ti prego, Kagome. Aiuta una sorella in difficoltà. Ti giuro che se fai questo per me un’ultima volta parlerò con mio padre e non ti chiederò mai più di farlo.” Prese fiato e con un ultimo affondo disse “Lo giuro sulla memoria di mia madre.”

Colpo bassissimo da parte sua tirare in ballo la madre. Kagome non aveva scampo.

“Cosa fai? Alzati, la gente ci sta fissando e amo troppo questo posto per farmi bandire a vita.” Cercò di staccare le mani unite di Sango, ma l’amica non voleva saperne.

“Di’ che mi aiuterai.”

“Sì… sei una pessima amica, ti approfitti dei miei problemi per…”

“Promettimelo.”

“Te lo prometto.”

“Che uno yourei possa possederti l’anima se ti rimangi la parola.”

Sango.” L’ammonì. La sua pazienza era arrivata al limite.

“Va bene. D’accordo.” L’amica tornò al suo posto e cominciò a scrivere sull’assegno.

“I miei servigi sono costosi, Taijiya-san.” Scherzò, versando da bere ad entrambe. “Chi è il fortunato stavolta? Shibari Inc? Kinomoto Corp?”

“Non ne ho la più pallida idea.” Firmò l’assegno con uno svolazzante movimento della mano e glielo passò.

Quando gli occhi si posarono sulla cifra le si spalancarono per la sorpresa. Con quella cifra avrebbe potuto dormire tranquilla per almeno un paio di mesi. “Forse sono un po’ troppi.”

“Sciocchezze. Consideralo un investimento.” Le sorrise facendo cozzare i loro bicchieri in un sonoro chin-chin. “La mia pace mentale non ha prezzo.” 

“A questo accordo, allora. Che sia proficuo per entrambe.”

Bevvero insieme e si versarono le poche gocce rimaste nel bicchiere dietro le spalle, in un rito quasi propiziatorio.

“Quand’è che si va in scena?” 

 

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“Il segretario di tuo padre ha appena inviato un altro messaggio.” Miroku entrò senza bussare, la testa piegata sul tablet che teneva tra le mani.

“Cosa vuole ancora? Non si è ancora stancato di tormentarmi con assurde richieste?” Inuyasha sollevò lo sguardo sul nuovo entrato, ma le sue mani continuarono a picchiettare sulla tastiera del portatile: i resoconti di fine trimestre non si compilavano da soli.

“No, a quanto pare. Il messaggio dice: Shikon Plaza, domani sera alle 19, Sango Taijiya del Taijiya Group.” Rilesse quelle poche e spicce righe, poi sorrise sornione. “Mmh, potrebbe essere divertente, ho sentito che ha cercato di purificare uno dei suoi pretendenti con degli ofuda, ma ci pensi!”

“Keh.” Disse seccato. “Pensavo che il vecchio ne avesse avuto abbastanza dopo l’ultima.” Staccò le mani dal pc e inclinò la testa prima da un lato e poi dall’altro, sciogliendo la tensione che gli si era accumulata nel collo e nelle spalle. Da quando suo padre lo aveva costretto ad andare a quegli appuntamenti la poca scorta di pazienza che aveva messo da parte durante gli anni si era esaurita, prosciugata fino all’ultima goccia. E in assenza di una buona dose di pazienza ad oliare e tenere saldi i suoi nervi, la sua indole ruvida e scorbutica aveva cominciato a venir fuori sempre più spesso, intimorendo tutti quelli che gli stavano attorno. L’unico che ancora lo sopportava era Miroku, che aveva anni di esperienza alle spalle riguardo al suo temperamento turbolento, ma era sicuro che a quel punto più della metà dei dipendenti del settore marketing lo odiasse. Negli ultimi giorni aveva cercato di mantenere la calma e reprimere l’istinto di urlare al mondo intero di quanto quella lotta impari con suo padre lo stesse sfiancando, ma arginare la sua rabbia si ripercuoteva sul suo corpo, contratto e fiaccato. Era stanco e a suo padre non sembrava importare molto della sua salute mentale.

 “È davvero cocciuto, bisogna dargliene atto.” Miroku gli sorrideva dall’altro lato della scrivania.

L’amico/confidente/segretario/fratello non di sangue che la sorte gli aveva affidato capiva il suo malessere ma non poteva fare a meno di essere divertito da quella situazione. Vederlo annaspare all’attenzione di donne poco interessate a lui quanto al suo patrimonio, guardarlo lottare dal vivo con la voglia di liberarsi da ogni costrizione sociale e di dare libero sfogo alla sua lingua sfacciata e tagliente, era diventato il suo passatempo preferito a quanto pareva. Sapeva che Miroku non poteva salvarlo da quella situazione, c’era ben poco che potesse fare, e quindi non gliene faceva una colpa.

“Crede che io abbia tempo per queste stronzate? Prima mi lascia qui, trascinandomi via da LA, poi mi mette a capo del fottutissimo marketing quando sa benissimo quanto io sia pessimo. E ora, dal nulla, proprio quando sto per chiudere l’accordo con gli Ookami, cosa mi chiede? Di sposarmi?” Ormai era un disco rotto, quella domanda era stata ripetuta un’infinità di volte nelle ultime due settimane ma non c’era mai stata una risposta.

“Tornare a casa ogni sera da una dolce mogliettina non mi sembra così male.” Le sopracciglia dell’amico si mossero su e giù in un inquietante balletto. “Pensa a tutti i benefit che ne deriverebbero.”

“Questa è bella.” Chiuse con uno scatto il portatile e rise divertito. “Sentir parlare di matrimonio un pervertito come te mi fa accapponare la pelle. Qual è il conteggio della settimana? Tre? Quattro?”

“Sei ingiusto. Mi tieni chiuso qui fino a notte, una volta fuori dovrò pur trovare un modo per scaricare la tensione. E poi se dovessi mai trovare quella giusta, potrei cominciare a pensare alla monogamia.”

“Sarà dura. Per come la vedo, è molto difficile che tu trovi qualcuno da sposare che ami davvero, perché la cosa che ami di più è te stesso.”

“No, c’è una cosa che amo molto di più.” Non c’era nessuna ambiguità nel suo tono, nessuno avrebbe potuto fraintendere a cosa si riferisse. Non era un segreto che a Miroku piacessero le donne, e molto. L’unica regola che gli aveva imposto era di non creare casini sul lavoro, tenersi lontano dalle dipendenti per evitare spiacevoli incidenti.

 “Fuori di qui.” Gli lanciò una penna, cercando di reprimere la risata che gli risaliva dal petto. I bilanci e i resoconti dimenticati per qualche minuto.

“Io almeno non mi censuro, non nego i miei bisogni. Da quant’è che non ti diverti un po’?” Miroku si alzò per versarsi da bere al mobile bar nell’angolo: era lui che lo svuotava e lo riforniva quando ce n’era bisogno. Si preparò uno scotch e soda con mani esperte e gli allungò il bicchiere, per offrirglielo.

“Lascio a te questo onore.” Inuyasha scossa il capo, rifiutando. Aveva lo stomaco sottosopra per il nervoso, l’alcol non avrebbe aiutato.

L’amico si riaccomodò all’altro lato della scrivania, si allentò la cravatta e bevve un sorso dal bicchiere. “Sai…le suite dello Shikon sono molto confortevoli.”

“Ascolta, Miroku. Non so con quali donne tu abbia a che fare, ma dubito che una delle donne su quella maledetta lista sarebbe disposta a passare la notte con me al primo appuntamento.”

Miroku aprì la bocca per controbattere ma lo zittì alzando una mano. “Non ti ci mettere anche tu, le pressioni di mio padre bastano e avanzano.” Riaprì scocciato il portatile, lo sguardo che si spostava veloce sullo schermo alla ricerca di qualcosa. “Come se non bastasse sembra che Shippo abbia fatto un disastro a Seul e ora Sesshomaru vuole la mia testa. Davvero credi abbia tempo per tutto questo?”

“È così difficile avere a che fare con te.”

“Mi adori e lo sai. E poi ti pago, profumatamente aggiungerei.”

“Mi dai troppo per scontato, uno di questi giorni potrei abbandonarti!” lo prese in giro con una voce acuta e femminile.

 “Conferma che ci sarò all’appuntamento.” Gli disse serio, tornando a concentrarsi sul lavoro che aveva da fare.

Quello era il segnale che metteva fine alla ricreazione. Miroku sarebbe di sicuro tornato dopo mezz’ora con qualche scusa per tirarlo via da quel dannatissimo computer e lui glielo avrebbe permesso perché l’amico era l’unico che ultimamente riuscisse a tenerlo sano di mente.

“Spero solo sia l’ultimo.” Mormorò tra sé, mentre Miroku usciva e lo lasciava ancora una volta da solo ad annegare nei suoi pensieri.

 

 

 

 

 

Glossario:

Izakaya- tipico locale giapponese in cui si servono bevande accompagnate da cibo (tipo un pub)

Takoyaki-polpette fritte giapponesi di forma sferica, a base di polpo impastellato

Natto- alimento tradizionale giapponese prodotto attraverso la fermentazione dei fagioli di soia, dal sapore/odore molto forte

Shinkansen- “treno proiettile”, treni ad alta velocità

Ofuda-talismani distribuiti dai templi shintoisti, sono realizzati scrivendo il nome di un kami su un pezzo di carta

Yourei-fantasmi della tradizione giapponese

 

Nda: ciao a tutti! Mi scuso per il ritardo ma ho avuto problemi con la connessione. Ho pubblicato di fretta e furia prima che mi abbandonasse di nuovo, quindi potrebbero esserci degli errori. Tornerò a rileggere tutto e correggere nel caso ne trovassi :) Grazie a chi ha recensito e ai lettori silenziosi che hanno aggiunto la storia tra le seguite/preferite. Spero di leggervi al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


                                                                    Capitolo III

 

 

Quando aveva accettato, aveva pensato di avere a disposizione qualche giorno per prepararsi psicologicamente a quell’appuntamento, di avere del tempo per pensare ad una strategia per mandare tutto all’aria. Il piano di Sango era inattuabile, al limite del ridicolo: di certo non sarebbe andata in giro ad appiccicare preghiere sulla fronte di malcapitati eredi di immense fortune. Alla meglio sarebbe passata per una povera pazza, alla peggio l’avrebbero portata al commissariato per aggressione.

Ma ogni suo progetto era stato prontamente smontato da Sango quando l’amica le aveva comunicato la data dell’evento.

“Domani!?” quasi le era venuto un infarto.

“Già.” Le aveva risposto, per nulla preoccupata per la sua salute. “Ormai mi hai dato la tua parola, non puoi tirarti indietro.”

E così l’aveva incastrata.

E ora si ritrovava seduta al lounge bar dello Shikon Plaza, stretta in vestiti che non avrebbe potuto permettersi nemmeno se avesse cominciato a risparmiare dall’alba dei tempi. Sango aveva pensato ad ogni minimo particolare, la sua indole da maniaca del controllo era venuta fuori con prepotenza. L’aveva portata in una delle boutique più esclusive di Ginza dove, tra una prova abito e l’altra, avevano offerto loro champagne, e lei si era sentita come la protagonista di un drama mattutino, di quelli che sua madre guardava mentre faceva le faccende di casa. Le tre commesse del negozio avevano focalizzato la loro intera attenzione sulla missione: trovare dei vestiti che urlassero non adatta al matrimonio, troppo impegnata ad essere strana. Sango l’aveva osservata per tutto il tempo, seduta su una poltroncina di velluto a darle giudizi come un imperatore romano, pronta con il suo pollice all’ingiù. Quando finalmente avevano trovato quello che cercavano, Kagome aveva tirato un sospiro di sollievo, pensando che la tortura fosse finita, ma l’amica l’aveva trascinata in un salone di bellezza dove le sapienti mani delle truccatrici avevano operato miracoli.

 Quando si era guardata aveva scorto una sconosciuta, nulla della figura che si rifletteva nello specchio avrebbe potuto ricondurre a lei, anonima donna giapponese nella media con occhi e capelli scuri. La donna, o meglio, la femme fatale che la fissava dallo specchio era quanto di più lontano da lei potesse esserci. Vestiti succinti, tacchi vertiginosi, trucco impeccabile. Aveva rifiutato, ovviamente, di farsi tingere i capelli (al suo povero nonno sarebbero partire le coronarie) e Sango l’aveva sorpresa ancora una volta perché, senza batter ciglio, aveva tirato fuori una parrucca bionda con uno sfrontato balayage blu. Poi le aveva messo tra le mani una scatolina e l’aveva costretta a fare la cosa più disgustosa e difficile che avesse fatto in vita sua, mettere delle lenti a contatto cercando di non accecarsi nel mentre.

A meno di mezz’ora dall’appuntamento la sua cosiddetta amica l’aveva scaricata allo Shikon, affidandole la sua preziosa carta di credito come anticipo sulla sua ricompensa finale, augurandole buona fortuna. “Questo è il tuo primo appuntamento dopo un periodo di magra, giusto? Divertiti, scarica la tensione.

“Non sedurrò il tuo appuntamento al buio per portarmelo a letto. È tipo l’opposto di quello che stiamo cercando di fare, giusto?”

“Dagli una ripassatina e poi scaricalo. Probabilmente distruggerà il suo ego, ma questo è il nostro scopo. Non deludermi.” L’aveva salutata con un occhiolino e, se non fosse stata la sua migliore amica, gliel’avrebbe chiuso lei l’occhio, infilandoci un dito dentro.

Guardò l’ora sul cellulare e sentì l’ansia che le montava dentro come un’onda anomala. Girò la cannuccia del gin lemon (gentilmente offerto dalla carta di Sango) che aveva ordinato per distendere i nervi e ne bevve un sorso. Chiuse gli occhi per un secondo, cercando di combattere la stanchezza che si portava dietro dalla sera prima: all’idea di quell’appuntamento non aveva chiuso occhio e in ufficio non aveva potuto godere del suo power nap post pranzo perché il nuovo responsabile di sezione, il figlio del grande capo in persona, aveva deciso che quello era il giorno adatto ad un’ispezione per vedere come andavano le cose giù nel reparto marketing. I suoi colleghi, Jakotsu in primis, erano andati in fibrillazione.

“Ho sentito da Yura della contabilità che il nuovo capo è uno schianto.” Le aveva sussurrato estatico in ascensore mentre andavano in mensa. Gli aveva creduto, perché avevano gli stessi gusti e più di una volta quando erano usciti insieme avevano messo gli occhi sullo stesso uomo, e alla fine Jakotsu era stato il fortunato a portarselo a casa. Stava di fatto che il sexy capo non si era fatto vedere, l’uomo in giacca e cravatta (di una particolare sfumatura di viola melanzana) che si era presentato poco dopo la pausa pranzo nel loro ufficio, si era rivelato essere il segretario personale del capo. “Se il segretario sembra uscito dall’ultima copertina di Vogue, non oso immaginare il resto del’entourage.” Le aveva scritto Jakotsu in chat, accompagnando il messaggio con l’emoticon di una melanzana, e di sicuro quell’innocente disegno non si riferiva al colore della cravatta ma a tanto tanto altro. Gli avevano consegnato una dettagliata relazione sull’andamento del trimestre, lui aveva annuito professionale, scrollato qualcosa sul tablet che si portava dietro, ringraziato tutti per l’ottimo lavoro e prima di andare via aveva lanciato un lungo sguardo eloquente a Kaguya. La donna si era impettita e aveva scostato i lunghi capelli scuri dietro le spalle con fare provocante.

“Vipera! Crede non ci siamo accorti che le sue gonne diventano sempre più corte? Il mese prossimo verrà a lavoro in mutande se continua così.” Jakotsu aveva sibilato velenoso, per niente intimorito che la collega lo sentisse. L’incontro era durato poco più di venti minuti, e alla fine non era rimasto spazio per nemmeno un sonnellino di dieci minuti.

Ora cominciava a sentire la stanchezza prendere lentamente possesso del suo corpo e il languore dell’alcol che le scendeva nello stomaco la stava cullando verso un piacevole torpore. Più di una volta si era fermata prima di stropicciarsi gli occhi e rovinare l’opera d’arte che le avevano messo sul viso.

Ora che ci pensava, non sapeva chi stesse aspettando. Sango non aveva saputo dirle assolutamente nulla sulla persona che si sarebbe presentata all’appuntamento. E se fosse stato un vecchio? Un lumacone alla ricerca di una moglie giovane e ricca? Poteva sempre andar via, mollare tutto e tornarsene a casa. Se avesse preso un taxi nei successivi cinque minuti sarebbe arrivata in tempo per cena: era quasi certa che sua madre avesse preparato il curry. Ma se non fosse rimasta forse non ce l’avrebbe più avuta una casa dove tornare. I soldi di Sango le servivano e per guadagnarseli doveva sopportare chiunque si fosse presentato. Anche se fosse stato un vecchio.

 “Taijiya-san?” Una voce maschile la richiamò all’attenzione e raddrizzò la schiena d’istinto.

Il momento era arrivato. Doveva solo far finta di essere qualcun altro, poteva farcela.

“È in ritardo.” Disse con arroganza senza voltarsi. Se quell’uomo pensava di aver davanti una probabile buona mogliettina, obbediente e remissiva, sarebbe rimasto molto deluso. Richiamò l’attenzione del barman alzando due dita e gli porse la carta di credito. “Non è una buona prima impressione. Di solito sono gli altri ad attendere me. Sa, lei non è l’unico con cui…”

E tutto a un tratto, quando si voltò a guardarlo, le sue funzioni cerebrali cessarono. Encefalogramma piatto. Un allarme di qualche tipo le risuonò nel cervello, risvegliando qui e lì qualche neurone superstite, che si affannò a trovare una reazione adeguata a quello che i suoi occhi vedevano. Una parte di lei avrebbe voluto gioire che all’appuntamento si fosse presentato qualcuno così e non un uomo di mezz’età stempiato e sovrappeso, ma l’altra parte del suo inconscio avrebbe voluto prendere a testate un muro perché il destino le dava quell’opportunità solo per poterla mandare all’aria.

Se i suoi poteri di miko fossero stati allenati, l’avrebbe sentito arrivarle alle spalle. Anche con le sue limitate capacità riusciva a percepire uno youki potente e vibrante espandersi dalla sua persona, e se quello non fosse bastato come chiaro segno rivelatore della sua natura, le piccole appendici pelose che gli spuntavano sulla testa avrebbero fatto il resto. Di fronte a lei c’era uno yokai, un essere più dio che uomo, di una bellezza disarmante, con fattezze sovraumane, con occhi e capelli del colore di metalli preziosi …e lei avrebbe dovuto scaricarlo alla grande. Dannatissima Sango! Non la pagava abbastanza.

E chiaramente ora usare gli ofuda era fuori questione.

Si accorse di essere rimasta a fissarlo con la bocca semiaperta troppo a lungo e si riscosse. “Non è l’unico con cui ho un appuntamento.”  Riacquistò l’uso della parola e scendendo dallo sgabello dov’era seduta, si asciugò i palmi delle mani sudati sulla stoffa finissima della gonna facendo finta di lisciare pieghe inesistenti.

“Sono stato trattenuto.” Nessun tentativo di scusarsi, nessun inchino, né onorifico.

“Di solito si tende a scusarsi.” Il suo fascino esteriore non si estendeva alla sua educazione, a quanto pareva.
“Lo farei se fossi sinceramente dispiaciuto di questo ritardo. Nel caso contrario sarebbe da ipocriti e io odio l’ipocrisia.”

Kagome fissò la sua espressione annoiata e capì che non si trattava di una battuta, ed ebbe il fin troppo femminile impulso di lanciargli quel che rimaneva del suo gin lemon in faccia. Sapeva bene che il suo viso  parlava chiaro riguardo alla sua indignazione, non era capace ad indossare una faccia da poker, sua madre gliel’aveva rimproverato  innumerevoli volte. Ma a lui sembrava non importare, la guardava con arroganza, con un sopracciglio inarcuato e le labbra strette. “Se ha smesso di fissarmi, possiamo andare, Taijiya-san. Forse un caffè le farà bene.” Lanciò uno sguardo al bicchiere mezzo vuoto del cocktail che lei aveva rimescolato fino a due minuti prima, poi le voltò le spalle e si diresse a grandi falcate verso la sala da tè dall’altro lato della hall, senza degnarsi di aspettarla.

In meno di cinque minuti le aveva apertamente detto che non voleva essere lì e le aveva dato velatamente dell’ubriacona. Forse scaricarlo non sarebbe stato così difficile dopotutto. Doveva diventare più sfrontata e dire addio alle buone maniere per la durata di quell’appuntamento, se voleva avere la meglio.

Raccattò la borsa e la giacca e gli corse dietro, le punte blu della parrucca le finivano negli occhi ad ogni passo e i cinturini delle Saint Laurent che aveva ai piedi sembrava stessero per tranciarle la caviglia. Perché scarpe che costavano l’equivalente del suo stipendio erano così scomode? Non doveva essere un bello spettacolo.

Si accorse come le donne nel foyer lo seguissero con lo sguardo e gli uomini parlottassero tra loro al suo passaggio. Chi era quell’uomo?

Quando lo raggiunse lui si stava già accomodando e lei, senza perdere un colpo, scostò la sedia e si sedette di fronte a lui. Aprì il menù e dopo avergli dato una veloce lettura, si concentrò su di lui fissandolo di sottecchi.  Nelle orecchie le risuonavano le parole di Sango e il suo cervello, nonostante la sua lampante mancanza di buone maniere, le urlava di scalarlo come un albero. Da dove diavolo venivano fuori quei pensieri? D’accordo, forse l’ultima volta che era stata con un uomo la luna era ancora un luogo inesplorato, ma da lì ad essere apertamente eccitata ce ne voleva. Sforzarsi di non guardare le sue mani, la sua faccia e i suoi zigomi affilati era davvero dura. Ora che lo guardava meglio c’era qualcosa di familiare nei suoi tratti, come se l’avesse già visto da qualche parte, forse su qualche rivista o su qualche articolo online, di certo non dal vivo:  era più che certa frequentassero circoli diversi.

La curiosità la stava uccidendo.

“Allora, Taijiya-san…”

“Non conosco nemmeno il suo nome.” Lo interruppe sprezzante, scostandosi una ciocca di capelli dalla fronte con un gesto stizzito. Notò l’irritazione fare capolino sul suo viso inespressivo, un sopracciglio scattò verso l’alto e le sembrò che stesse faticando a contenersi.  “Per quanto ne so potrebbe essere chiunque, un impostore o un pervertito.” Il suo cervello di brava ragazza, cresciuto a riso e buone maniera, piangeva per la totale mancanza di educazione che stava mostrando.

L’uomo si trattenne a malapena dal roteare gli occhi mentre le diceva: “Pensavo lo sapesse o quanto meno l’avesse intuito.”

Lei fece finta di rovistare nella piccola borsa che le avevano abbinato all’outfit. “Purtroppo devo aver lasciato i poteri da paragnosta nell’altra Vuitton.” L’acidità che trapelava dalla sua voce avrebbe potuto far concorrenza ad uno yoghurt scaduto dimenticato sul fondo del frigo da mesi.

“Anche le buone maniere a quanto vedo.” Lui diede uno sguardo veloce all’orologio, roteando il polso con tale velocità che lei ebbe paura gli si potesse svitare la mano dal braccio. Quello era un chiaro segno di quanto quell’appuntamento lo annoiasse e non vedesse l’ora di andarsene. Ancora un altro po’ e avrebbe portato a termine la sua missione.

“Mi ascolti bene, non starò qui a farmi trattar male da lei, signor…” batté una mano sul tavolo, attirando l’attenzione degli altri clienti nella sala. Ottimo, nessuno amava le scenate.

Lui infilò la mano nella giacca, perplesso, e ne estrasse un biglietto da visita che fece scivolare verso di lei con due dita. Quasi glielo strappò dalle mani e lesse avidamente, rigirandoselo prima da un lato e poi dall’altro.

Top manager settore marketing

Inuyasha Taisho

Taisho Industries

E una raggelante realizzazione si fece spazio tra i suoi pensieri.

Taisho come l’azienda dove lavorava. Taisho come Toga Taisho, capo supremo ed inavvicinabile. Taisho come Inuyasha Taisho, nuovo capo sezione che non si era degnato di presentarsi negli uffici del marketing e le aveva rubato sonno prezioso.

Non pensava che poche e semplice parole potessero farle così paura. Taisho. Taisho. Taisho. Le risuonarono in testa come l’eco stonata di un cattivo presagio. Sudore freddo cominciò a scenderle lungo la schiena quando realizzò chi aveva di fronte. Le sembrò che la pareti le si chiudessero attorno, togliendole aria, la salivazione sembrava azzerata e inghiottì a vuoto un paio volte prima di riuscire a spiccicare parola.

Lui la guardò sorpreso. “Già, sono io. Avete tutte la stessa espressione quando lo scoprite. Sta male o qualcosa del genere? Se la sua faccia diventa ancora più bianca potrei scambiarla per una maschera del Nō.” Sembrava quasi divertito, le orecchie sulla sua testa ruotavano allegre come soffici piccoli radar e se non fosse stata sull’orlo di un attacco di panico si sarebbe sporta sul tavolo e gliele avrebbe toccate senza tante cerimonie.

“I-io…” - doveva scappare a gambe levate da quel posto, ma anche computare un solo pensiero sensato le sembrò all’improvviso molto complicato - “devo usare la toilette. Già, io…torno subito.” Si alzò di colpo, rovesciando la sedia, proprio mentre il cameriere arrivava per prendere i loro ordini. Raccolse la sedia, cercando di non incrociare il suo sguardo e con un veloce inchino scappò verso la toilette, pregando ogni kami che le venisse in mente di non farla inciampare e di aggravare ulteriormente la sua situazione.

Quando arrivò in bagno si accorse di aver cominciato ad iperventilare. Si sorresse al bordo del lavandino e strinse le palpebre, cercando di recuperare il controllo di sé. Una risata isterica le risalì dal petto scuotendole le spalle come se stesse singhiozzando.

Il suo capo.

Era ad un appuntamento al buio col suo nuovo capo.

Era ad un appuntamento col suo nuovo sexy capo e doveva far finta di essere una ricca ereditiera.

Da quando la sua vita aveva cominciato a fare così schifo?

Tirò fuori il cellulare dalla borsa con un gesto furioso e compose il numero di Sango. Gliene avrebbe dette quattro. Le avrebbe come minimo chiesto di raddoppiarle la ricompensa, se non di triplicarla. La linea era libera, il tuu-tuu-tuu del segnale di chiamata suonava come una presa in giro e dopo l’ultimo tuu partì la voce della segreteria telefonica. “Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile, la preghiamo di provare più tardi o di lasciare un messaggio dopo il segnale acu-…” Riagganciò e aprì LINE. Se Sango pensava di poterla evitare dopo la situazione in cui l’aveva messa, si sbagliava di grosso. Avesse anche dovuto inviarle un piccione viaggiatore, la sua furia l’avrebbe raggiunta.

“Sango, rispondi al cellulare brutta st-“ Nel suo stato di shock più totale non aveva controllato di essere da sola e quando una donna uscì da uno dei bagni, rivolgendole uno sguardo di severo rimprovero, il cellulare quasi le volò di mano per lo spavento. La donna, che sembrava uscita da un corso di bon ton, vestita con un tailleur di un pallido rosa cipria, continuò a fissarla con disappunto mentre si lavava le mani e Kagome si piegò in lieve inchino farfugliando un compito “Sumimasen.”

La donna scosse a malapena la testa e se ne andò, lasciandola finalmente sola. Quando lo sguardo le cadde sulla figura che si rifletteva nello specchio sembrò ritornarle un po’ di coraggio: la donna che la fissava negli occhi non era lei, Inuyasha Taisho non avrebbe mai potuto nemmeno lontanamente immaginare che sotto tutto quel trucco ci fosse una sua dipendente. Cosa aveva da perdere? Doveva solo fingere un altro po’ e poi avrebbe archiviato quella faccenda. Si ricompose e decise di riprendere il ruolo della seduttrice mangia uomini, ripassando a mente il copione. A nessun uomo sarebbe venuto in mente di sposare una donna apertamente interessata al sesso, giusto? Arricciò il naso a quell’idea retrograda e maschilista. Si pizzicò le guance per darsi un po’ di colore e con un’ultima occhiata al suo doppio nello specchio, tornò in sala. Quella sarebbe stata la sua più grande interpretazione.

“Credevo fosse scappata. Dalla sua faccia sembrava avesse visto un mostro.” Sorseggiò dalla tazza fumante che aveva davanti e che doveva aver ordinato mentre lei era via. “Mi sono permesso di ordinarle un tè alla camomilla, per distendere i suoi nervi.”- le indicò l’elegante tazza di porcellana bianca posata sul tavolo. Quando lei indugiò con la mano sullo schienale della sedia lui le disse: “Tranquilla, queste saranno anche affilate,” - si batté un artiglio su una zanna, allargando la bocca in un sorriso spavaldo - “ma non mordo.”

Lei rise secca e si riaccomodò. Afferrò la tazza con entrambe le mani e ne annusò il contenuto. “Davvero premuroso, Taisho-san. Ho lo stomaco sottosopra.”
 
“Mi chiedo perché.” Lui non la guardava, sembrava totalmente disinteressato a lei e il suo sguardo vagava, anzi, sul resto della sala.

“Cosa dovrebbe significare?” Capo o non capo, quell’uomo le dava sui nervi e la camomilla che stava sorseggiando non avrebbe di certo aiutato a calmarli. Forse nemmeno lo Xanax sarebbe riuscito ad avere la meglio contro la maleducazione di Inuyasha Taisho.

“Sembra delusa.” Con le dita tamburellava sul lato della sua tazza e per la prima volta da quando era tornata dal bagno si degnò di incrociare il suo sguardo.

“E lo sono. Credevo avrei incontrato un uomo di mezza età con qualche problema di autostima.” Gli sorrise  dal bordo della tazza, prendendo un sorso di tè.

“Ed è delusa perché sono arrivato io.” Non era una domanda, ma una incredula constatazione.

“Devo ancora decidere, forse lei non è un uomo di mezza età ma in compenso ha i modi di fare di un quindicenne viziato. Un uomo più maturo forse sarebbe stato meglio.” Giocherellò con la tazza, tracciandone il contorno con la punta dell’indice.

“Dovrebbe sapere, Taijiya-san, che più un uomo invecchia più i suoi modi di fare peggiorano. Se un uomo è gentile con lei ha solo uno scopo in mente, quello di infilarsi tra le sue gambe. La galanteria è morta e sepolta, ci sono solo branchi di cani rabbiosi che corrono dietro una piccola preda indifesa. Si fidi di me.”

Un brivido le scene lungo la schiena a quell’immagine. Non credeva alle sue parole, aveva decine di prove per confutare quella tesi. “Lei fa parte della categoria?”- lo punzecchiò.

“Sono letteralmente un mezzo-cane.” Si indicò le orecchie e a lei venne quasi da ridere per quella sottile autoironia.

Un hanyou. Cercò di metabolizzare quell’informazione e forse ci impiegò più del dovuto perché lui la rimbeccò: “Cosa? Non si aspettava un hanyou?”

Non si lasciò intimidire dal suo tono brusco e scortese. “In realtà avrei preferito un vecchio da poter manipolare con qualche giochetto sessuale.” Quando quelle parole lasciarono le sue labbra ebbe l’irrefrenabile bisogno di strisciare fino a casa per l’imbarazzo e nascondersi sotto al letto per almeno un paio di settimane.

“E chi dice che io non sia altrettanto manipolabile?”- si sporse verso di lei, poggiando i gomiti sul tavolo con ostentata sicurezza.

“La sua espressione annoiata e il fatto che mi abbia trattata con il minimo riguardo mi fa capire che non è interessato. L’ha detto lei, no? Un uomo è gentile solo se vuole portarsi a letto una donna, e lei non è stato  affatto gentile.”

“Ascolti, Taijiya-san. Nelle ultime due settimane mi sono seduto ad altri tavoli come questo e francamente c’è ben poco che mi interessi tra quello che mi viene offerto.”

 “Perché organizzare questi appuntamenti allora?”

“Perché tutte queste domande? È per caso uno sbirro?” - le chiese spazientito. Doveva aver toccato un tasto dolente perché la barriera della sua essenza youkai si espanse fin quasi a sfiorarla, come per sondare un eventuale pericolo. Messo all’angolo il suo istinto animale entrava in funzione.

“Non più di quanto lei sia un uomo interessato al matrimonio, chiaramente.”

Lui sembrò soppesare le sue parole e ponderare una eventuale replica. Poi, come se avesse deciso che lei era degna di una risposta, la illuminò: “Gli Inu-youkai scelgono un compagno per la vita. Devo cercare a lungo per trovare quella giusta, una che rispecchi tutti gli standard imposti dalla nostra società.”

“E sarebbero?”

“Non si preoccupi, lei non ne ha nessuno.” Le sorrise beffardo e una zanna appuntita spuntò sul suo labbro inferiore.

Liquidò quell’offesa con una scrollata di spalle. “La informo che da un punto di vista prettamente femminile lei manca di ogni fondamentale requisito che dovrebbe avere un uomo ideale. Sarà difficile trovare una donna disposta a convolare a nozze con lei, Taisho-san. E credo che questo incontro non abbia più senso d’essere date le nostre reciproche disposizioni.” Si infilò la giacca che le era caduta dalle spalle quando era saltata su dalla sedia prima, con la chiara intenzione di allontanarsi il più velocemente possibile da quel tavolo. Di allontanarsi il più possibile da quell’uomo che stava mettendo a dura prova il suo autocontrollo…in più di un senso.

 “Ma di contro ho molti soldi. Quelli sono un ottimo incentivo.” Continuò lui, cercando di avere l’ultima parola.

“Ne ho molti anche io.” Mentì spudoratamente, ma da come la guardava capì che lui si stava bevendo quella recita con lo stesso gusto con cui stava sorseggiando il suo caffè. “Ma io ho qualcosa che a lei evidentemente manca.”

“Sarebbe?” Sembrava sinceramente curioso.

“Basilari capacità sociali.” E si alzò dalla sedia, stavolta con studiata lentezza, preparando la sua grande uscita di scena.

 “Potrei dire che è stato un piacere ma credo che entrambi avremmo da ridire.” Lui rimase seduto, le braccia incrociate sul petto e un’espressione quasi vittoriosa in viso. Scortese fino alla fine.

“Almeno su una cosa siamo d’accordo.” Raccolse la sua borsa e tenendola con entrambe le mani davanti a sé si inchinò leggermente in segno di saluto, non abbastanza profondamente per essere ossequiosa né troppo lievemente per essere considerata irrispettosa.

“A mai più allora, Taijiya-san.” Lui non si mosse e lei avrebbe tanto voluto mandarlo al diavolo.

“Bene.”

“Ottimo.”

Perfetto.”

Si voltò, prima che lui potesse aggiungere altro, e a passi misurati ma non troppo svelti perché sembrasse una fuga, si allontanò finalmente da lui senza girarsi indietro. Finto o meno, quello era stato di certo il peggior appuntamento della sua vita. Ma ora era finito e lei era una donna libera.

Quando uscì fuori dallo Shikon l’aria autunnale le pizzicò le guance, restituendole un po’ di quella lucidità che credeva d’aver perduto dentro a quella sala da tè. Inspirò profondamente e un istante dopo un enorme sorriso le spuntò sulle labbra.

Alzò un braccio per chiamare un taxi e si congratulò con se stessa.

Missione compiuta.

 

 

 

 

 

NdA: ciao! Questo capitolo è stato un parto, un travaglio infinito di cui non si vedeva la fine XD Ogni volta che pensavo d’aver finito mi veniva in mente qualcos’altro, una battuta, un gesto, un qualcosa che spiegasse la situazione. Mi è uscita una versione di Kagome un po’ alla Lizzie Bennett e devo dire che non mi dispiace, credo che alla fin fine Kagome sia un po’ così, sotto tutto quel buonismo da favola, arguta, impertinente e a tratti tagliente. Su Inuyasha non mi esprimo, per quanto mi riguarda è un jolly.

Niente, tutto questo per dirvi scusate il ritardo ^o^”

Grazie ancora a chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite o solamente a chi ha letto fin qui :)

Ci si legge al prossimo capitolo!!

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


Ciao a tutte! Vi avevo accennato che questa storia partecipava a un contest su tumblr ed era una collaborazione con un’artista del fandom, beh se siete curiose questa è la fanart che ha ispirato, creata dalla talentuosissima nartista.  Buona lettura!

 

                                                                                         

                                                                                                 CAPITOLO IV

 

Era una piacevole sensazione quella di risvegliarsi da donne libere dalla paura di finire sotto un ponte, sapere di avere ancora di che campare era come liberarsi da un macigno ingombrante che le premeva sullo stomaco. La sera precedente, quando era tornata a casa, ancor prima di togliersi la parrucca e di liberarsi di quelle scarpe infernali, aveva aperto il cassetto della sua scrivania e aveva recuperato l’assegno di Sango. L’aveva guardato quasi con le lacrime agli occhi e ci aveva stampato sopra un bacio. Quel piccolo pezzo di carta insignificante era la sua scialuppa di salvataggio, sarebbe rimasta ancora per un po’ a galla.

Si rotolò tra le lenzuola, stiracchiando le braccia sopra la testa e un grosso gatto balzò sul letto, impastando con le piccole zampine la sua pancia. “Buyo, potrò ancora riempire la tua ciotola, tranquilla.” Farfugliò con voce arrochita dal sonno, accarezzando la testa del felino. Si voltò a guardare la sveglia e piagnucolò, spaventando il gatto: aveva solo mezz’ora di tempo per prepararsi e lasciare casa, altrimenti avrebbe perso la metro per l’ufficio. Grazie a dio era venerdì.

Si lanciò di corsa in corridoio, cercando di non inciampare in Buyo, che le stava dietro nella speranza che le desse da mangiare. Vide suo fratello uscire dalla sua stanza in fondo al corridoio e scattò verso il bagno come una centometrista in vista del traguardo, chiudendosi la porta alle spalle. “Neechan!” lo sentì urlare, ma si stava già disfacendo del pigiama per buttarsi sotto la doccia.

Quando scese giù in cucina per afferrare qualcosa al volo per colazione, suo fratello le lanciò un’occhiataccia. “Ormai sei grande, Sota. Credo tu sia capace di trattenerla per cinque minuti.” E con quella frase si guadagnò un bel dito medio.

“Smettetela voi due. Il sole è appena spuntato e voi già siete qui a beccarvi.” Sua madre non sopportava i battibecchi,  la discordia o i contrasti familiari. Avrebbe voluto che tutti riuscissero  a vedere il mondo come lo vedeva lei, attraverso una lente rosa sfocata, dove c’erano pace e amore fra tutto e tutti. Peccato che fosse un’utopia. “Kagome, mettiti a sedere c’è la zuppa di miso.” Non appena la posò sul tavolo, suo fratello si tuffò con la testa nella scodella, alternando sorsi di zuppa a bocconi di riso e pesce essiccato.

“Mi dispiace mamma, ma devo scappare. Non posso far tardi di nuovo.”  Afferrò una fetta di pane tostato, ci spalmò sopra della marmellata e se la infilò tra i denti. “Mukotsu mi sta con il fiato sul collo.” Riuscì a dire tra un morso e l’altro, mentre nel frattempo si versava del tè. Ingurgitò l’ultimo pezzo di pane, mandandolo giù con un sorso di tè, e quasi si strozzò. La madre le batté una mano sulla schiena e scosse la testa, abituata a quella scena pietosa.  Lasciò la tazza nel lavandino, scompigliò i capelli di Sota, lasciò un leggero bacio sulla guancia della mamma e si diresse verso il genkan. Mentre si infilava le scarpe, il nonno entrò dalla porta tenendo qualcosa tra le mani. “Oh Kagome, cercavo proprio te. Tieni, ecco.” Le depositò un piccolo fagottino di stracci tra le mani e guardò con ansia mentre lei lo srotolava. All’intero c’era quella che sembrava essere la zampa di un qualche anfibio, grigia e un po’ rattrappita e dall’odore penetrante. Guardò suo nonno con un sopracciglio alzato e il vecchio si illuminò. “È una zampa di kappa, è un grande portafortuna. Voglio dartela, per incanalare tutta la buona sorte su di te perché tu abbia un aumento.” Le diede una pacca sulla testa, come quando era bambina, regalandole un enorme sorriso. E se all’inizio aveva pensato di lasciare quel regalo nell’ingresso, sperando che Buyo lo trovasse e lo facesse sparire come uno spuntino, decise che l’avrebbe portato con sé, non voleva dare un dispiacere a suo nonno. Non capiva come la zampa di qualche rospo morto chissà quanto tempo prima potesse portarle fortuna ma riavvolse stretto il piccolo involucro e se lo infilò in borsa. “Spero porti fortuna allora. Grazie, jii-san.”

Valeva la pena portarsi dietro quel coso, se suo nonno le sorrideva così.

Scese a rotta di collo l’enorme scalinata del tempio e frugò nella borsa per recuperare il cellulare che vibrava insistentemente. Rispose mentre correva verso la stazione, facendo lo slalom tra vecchietti e studenti che come lei si affrettavano nella stessa direzione. Non li invidiava, gli anni del liceo per lei erano stati un vero delirio.

“Moshi, moshi.” Rispose col fiatone e il pensiero che forse alla sua età avrebbe dovuto essere più in forma le baluginò per un breve istante in mente.

“Ohayo, Kagome-chan!”- la voce cristallina di Sango le carezzò l’orecchio- “Ti sei divertita ieri sera?”

“Sei fortunata ad essere la mia migliore amica, la gente uccide per molto meno.” Tenne il cellulare tra la spalla e l’orecchio, pescando dalla tasca la tessera della metro e la passò sul lettore ottico. Si infilò nel tornello, incanalandosi nel flusso di persone che si affettavano verso le banchine.

“Era così terribile? Di solito sono almeno belli da guardare.” Sentì Sango sorseggiare qualcosa, di sicuro il caffè più nero che avesse potuto trovare, corretto con non meno di tre bustine di zucchero. La sua colazione tipo dai tempi dell’università. A nulla erano valsi i suoi ammonimenti sugli effetti negativi di quelle quantità di caffeina che ingurgitava: Sango non c’avrebbe mai rinunciato, se la sarebbe fatta iniettare direttamente in vena se ce ne fosse stato il bisogno.

“Era il mio capo.” Le disse cercando di non urlare nel frastuono composto del binario. Era già imbarazzante così, se qualcuno l’avesse sentita sarebbe sprofondata.

 “Eeeh! Toga Taisho?”- esclamò incredula Sango, urlando così forte che dovette allontanare il cellulare dall’orecchio-  “Non pensavo fosse ancora sulla piazza.”

“Non lui, suo figlio. Il nuovo responsabile del marketing,”- si portò una mano alla bocca, sussurrando nel cellulare il nome che  l’aveva perseguitata fino a casa dopo il loro appuntamento e che non l’aveva lasciata riposare nemmeno durante la notte- “Inuyasha Taisho.”

Sango ammutolì e le sembrò che avesse messo giù.  Ops.”

“Già, Sango. Un gran bel ops.” Ops non  era abbastanza per descrivere quella situazione, ma doveva  accontentarsi. Era in metro, stretta tra decine di persone, non si sarebbe lasciata andare a parole più esplicite.

“E?” Poteva sentire la trepidante ansia di Sango anche a distanza, da quell’appuntamento dipendevano troppe cose non solo per lei.

“E cosa?”

“Ti sei divertita?”

“Sango ti ho appena detto che il mio - tuo- appuntamento al buio era il mio nuovo capo e tu mi chiedi se mi sono divertita?” Perché l’amica metteva così a dura prova la sua pazienza di prima mattina? Non aveva già sofferto abbastanza la sera prima?

“Ho sentito dire che è molto attraente.”

“Il-mio-capo.” Sillabò lentamente, cercando di non urlare. Qualcuno dei pendolari le lanciò un’occhiata incuriosita. “Quello che mi paga lo stipendio e che se dovesse venire a sapere che l’ho ingannato in quel modo, spacciandomi per te, mi licenzierebbe senza pensarci su due volte.” Sospirò, svuotata dopo quell’affermazione, e la paura che in qualche modo Inuyasha avesse potuto scoprire la sua vera identità, tornò a serrarle lo stomaco. “È stato orribile.”

“Su, su, Kagome-chan. È uno degli scapoli d’oro del paese, dubito sia così male.”

“Avrei preferito ingoiare carboni ardenti.” Proferì, roteando gli occhi per il fastidio. Era da molto che una persona non le dava così noia, e l’ardore che le incendiava il petto la colse di sorpresa.

“Stai chiaramente esagera-”

“È  scontroso, impudente, manca delle più basilari buone maniere,” -prese un respiro e continuò -“solo perché è attraente crede di poter trattare il prossimo con sufficienza, per non parlare della sua totale mancanza di umiltà! Mi ha praticamente detto che chiunque lo sposerebbe solo per i suoi soldi. Che bastardo!” La sua voce, partita come un sussurro accorato, finì per diventare un’invettiva concitata. Gli altri passeggeri la fissarono attoniti.  L’interfono del vagone annunciò la sua fermata, interrompendo quell’immobilità imbarazzante e stringendo forte le labbra per non urlare, si affrettò verso l’uscita con la speranza di lanciarsi fuori dalla metro il prima possibile. Non appena il vagone si fermò riuscì nel suo intento, Sango continuava a sorseggiare il suo qualsiasi cosa fosse dall’altra parte della linea e lei correva come un’ossessa tra le strade brulicanti, tenendo il cellulare attaccato all’orecchio con una mano e reggendo la sua borsa con l’altra.

“Quindi è andato tutto bene da quello che sento. Hai trovato comunque uno sfogo alla tua frustrazione e l’appuntamento è andato male.  Entrambe ne abbiamo ricavato qualcosa. Chiamerò mio padre nel pomeriggio per dirgli che lo scapolo numero otto non faceva per me e lui, chiamando l’altra parte per avere conferme si sentirà dire che questo matrimonio proprio non è fattibile. Tu incasserai quell’assegno e io continuerò a vivere libera ancora per un po’. Tutto bene quel che finisce bene, giusto?”

“G-giusto.” Farfugliò, avvicinandosi di corsa all’entrata del suo ufficio: la Taisho Tower si stagliava grigia e fredda, come la lama di una katana, contro il cielo plumbeo di Ottobre. Non era del tutto d’accordo con Sango. Sì, l’appuntamento era stato un disastro. Sì, lei avrebbe incassato l’assegno e sì, un po’ della sua frustrazione repressa aveva avuto sfogo, ma a quale prezzo? La sua ansia si era quadruplicata nelle ultime dodici ore e il timore di essere scoperta le faceva attorcigliare le budella. Forse sarebbe andata in analisi. “Ma…” cercò di mettere a parole le sue paure.

“Congratulazioni, Kagome-chan. Cosa te ne farai della tua bella ricompensa? Te la sei meritata.” La sua amica la stoppò sul nascere, portando i suoi pensieri su altri binari. In effetti ci aveva già pensato, la sera precedente prima di addormentarsi, aveva fantasticato su cosa potersi regalare dopo aver pagato le bollette del tempio. “Potremmo andare a fare shopping sabato, che ne pensi?”

“Aiuterò il nonno a riorganizzare il deposito, mi aspetta una favolosa giornata di racconti deliranti su presunte reliquie dell’epoca Sengoku.” Attraversò l’atrio della Taisho Tower- il tap-tap-tap dei suoi passi risuonava sul pavimento di marmo lucido-  affrettandosi verso gli ascensori. “Sarà per la prossima volta.”

“Peccato.” Sentì qualcuno rivolgersi a Sango e l’amica coprì il microfono del cellulare, rispondendo in maniera formale. “Devo andare, Kagome-chan. Ci vediamo al solito posto stasera?”

“A stasera, Sango-chan.” Chiuse la chiamata e pigiò il tasto per chiamare l’ascensore. Stranamente non c’era nessuno in attesa di salire ai piani, e si lasciò sfuggire un pesante sbuffo mentre si passava una mano tra i capelli. Quando sarebbe passata quella sensazione di panico che l’attanagliava? Si sarebbe mai liberata del terrore di incontrare il suo capo in ufficio e di essere scoperta per l’imbrogliona che era? Dopotutto da quando lavorava lì aveva visto Toga Taisho solo una volta, quante possibilità c’erano di incrociare Inuyasha lì negli uffici? Secondo la sua personalissima teoria delle probabilità, una su mille.

 Il ding dell’ascensore la risvegliò dalle sue elucubrazioni e si infilò dentro, schiacciò il tasto del suo piano meccanicamente, senza guardare, mentre scrollava la mail sul cellulare. Era così concentrata dal cancellare lo spam che non si accorse della mano che si infilava tra le porte che si chiudevano. Quando si rese conto che era ancora ferma al piano terra e alzò lo sguardo dallo schermo del cellulare, il cuore le saltò in gola.

La sua teoria delle probabilità faceva acqua da tutte le parti. 

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 La donna nell’ascensore lo guardò come se fosse sul punto di ucciderla: occhi sgranati, cellulare stretto al petto e respiro rotto. Perché faceva quell’effetto? Non aveva la reputazione di essere una persona violenta. Possibile che le voci sulla sua irritabilità avessero varcato i confini del reparto marketing? Cercò di non sembrare spazientito. Ultimamente tutto gli dava sui nervi.

“Ohayoo gozaimasu.” Mormorò, tenendo aperte le porte per Miroku che gli era corso dietro. La donna inchinò rigida il busto e non si rialzò, farfugliando un saluto con un filo di voce, rimanendo in quella scomoda posizione anche quando l’ascensore cominciò a salire. Miroku lo imitò e quando si accorse che la donna rimaneva immobile, gli lanciò un’occhiata interrogativa.

Scrollò le spalle - a quel punto non gli importava più di niente - e inspirò profondamente per controllarsi. Un odore penetrante gli colpì le narici, un fetore di morte stagnante che gli fece arricciare il naso,  misto al profumo di un qualche detergente da discount. Quell’odore proveniva dalla donna.

 “O lei è uno zombie o qualcosa è deceduto nella sua borsa.” La sua bocca fu più veloce del suo autocontrollo e vide la donna sussultare. Un verso strozzato le uscì dalle labbra e si raddrizzò quasi del tutto, solo il volto rimase nascosto dietro una cortina di capelli scuri.

“M-mi scusi?” squittì, come un topolino messo all’angolo, stringendosi ancora di più su sé stessa, come volesse scomparire davanti ai suoi occhi.

Miroku lo fissò a bocca aperta, il suo sguardo si muoveva tra lui e la donna come la pallina in una partita di ping pong.

“C’è un odore terribile che proviene da lei.”

“T-taisho-sama.” Cercò di ammonirlo Miroku.

“Spero non sia il suo bento.” Infilò le mani in tasca e diede uno sguardo al display dell’ascensore, con i piani che scorrevano veloci.

“Le assicuro che non proviene da me, Taisho-sama.” si affrettò a ribattere, tenendo sempre il volto rivolto verso il pavimento. La sua ansia aveva un odore acre, come di caffè bruciato. “Io-”

Poi lei sembrò ripensarci e frugò nella borsa, tirandone fuori degli stracci, che srotolò in fretta e ne cacciò quella che a prima vista sembrava la zampa di un kappa. “Credo provenga da qui il cattivo odore. È solo un portafortuna, mio nonno…”

Non la lasciò finire. “La pregherei di non portare certi oggetti in ufficio, rispetti i suoi colleghi yokai. Il nostro olfatto è molto più sviluppato di quello di voi umani.” Le porte dell’ascensore si aprirono e lui mise un piede fuori, seguito da Miroku. “Buona giornata.”

Non le diede il tempo di rispondere, nemmeno quello di restituirgli il saluto.  Era già in fondo al corridoio, con la mano sulla porta del suo ufficio, pronta ad una nuova giornata infernale.

Miroku lo raggiunse con passo lento stavolta, chiudendosi la porta alle spalle a lanciandogli un’occhiataccia. “E poi ti chiedi perché ti detestino così tanto. Anche per te la scenetta di poco fa è troppo, le hai praticamente detto che puzzava! Non mi meraviglierei se la poverina si licenziasse per la vergogna.”

“Mandale un biglietto di scuse se ci tieni tanto.” Prese posto dietro alla scrivania, sbottonando l’unico bottone della giacca che indossava.  Accese il portatile mentre Miroku gli sciorinava gli impegni della giornata. Gli prestò poca attenzione, quel poco che bastava per individuare tra i vari impegni un eventuale nuovo appuntamento al buio. Quello della sera precedente era deflagrato come un test atomico nel bel mezzo dell’oceano Pacifico. Era stato rapido ed indolore. Sango Taijiya sembrava interessata al matrimonio tanto quanto lui, quindi non aveva dovuto cercare di sembrarle odioso. Era stato semplicemente se stesso.

“Prima di cominciare, dovresti leggere questo.” Miroku gli porse un giornale, uno di quelli pieni di gossip su celebrità e volti noti del jet set, già aperto su una pagina specifica. La sua espressione non prometteva nulla di buono.

Chi vuole sposare Inuyasha Taisho?, urlava a caratteri cubitali il titolo.

“Il secondo in linea di successione dell’impero aziendale dei Taisho è ufficialmente sul mercato e dalle indiscrezioni di una fonte anonima -molto vicina alla famiglia- sembra che lo scapolo d’oro abbia in programma di sposarsi entro la primavera. Chi sarà la fortunata?” Ringhiò l’ultima parola, con la rabbia che gli chiudeva la gola. Richiuse il giornale con un gesto secco e lo lanciò via. “Non posso crederci.”

 Miroku lo raccolse e lo aprì di nuovo sull’articolo incriminato. “Chi sarebbe questa fonte anonima?”

 “È mio padre, chi altri? Il giornale è di Kagura.”Si passò le mani sul volto, come se quel gesto potesse cancellare la stanchezza che vi era impressa.  Era sicuro che suo padre e la moglie di suo fratello stessero ridendo alle sue spalle in quel momento. “Mi sta facendo impazzire! Vecchio bastardo.” Si alzò e cominciò a misurare a passi ampi la pianta del suo ufficio. “È come se mi avesse masso un cartello sulla testa che grida in vendita.” Si accostò al mobile bar e fece per prendere la bottiglia di Macallan che il padre gli aveva regalato qualche tempo prima e che fino ad allora aveva sempre evitato come la peste. Poi ci ripensò. “Ho bisogno di un caffè.”

“Forse dovresti sederti, prima di tagliare la testa a qualcuno con quelle.”

Si fissò le mani e si accorse di come i suoi artigli si fossero allungati. Il suo istinto di autoconservazione stava prendendo il sopravvento, preparandosi a dare battaglia ad un nemico che, a conti fatti, non esisteva. Non poteva macchiarsi di parricidio per così poco. Eppure, il fugace pensiero di fargliela pagare in qualche modo stuzzicò il suo subconscio. Pensare di poter vincere seguendo le regole di suo padre si era rivelato un piano fallace. Acconsentire a quegli appuntamenti non l’aveva rabbonito come aveva sperato, anzi, l’aveva reso ancora più irrequieto. Toga Taisho stava dando il peggio di sé in materia e ora, quell’alleanza con Kagura, non faceva altro che mettergli ancora più pressione sulle spalle. Se non avesse trovato una donna adatta per primavera sarebbe diventato lo zimbello dell’alta società e a quel punto nulla l’avrebbe salvato dall’eremitaggio tra le foreste dello Shirakami-Sanchi. Doveva trovare un modo per toglierselo di dosso.

“Sono sicuro che tra le donne su quella lista ce ne sarà almeno una che può piacerti, disposta a sposarti nonostante le tue…peculiarità.” Miroku era sempre positivo, a volte fin troppo: cercava di trovare uno spiraglio di luce anche nell’oscurità più totale, ma quella situazione non era niente di meno che buio siderale.

“Ne dubito.” Si pizzicò l’apice del naso, tenendo premuto pollice e indice come per scacciare la pressione che gli si stava accumulando tra gli occhi. “Chi sarebbe la prossima?”

“Non c’è ancora un appuntamento ufficiale ma si tratta di Tendo Akane, figlia del ministro delle finanze.”

“Prima è, meglio è.”

“Perfetto, prenoto l’aereo.” Il tap-tap delle dita di Miroku sullo schermo del tablet cominciava ad innervosirlo, “Tuo padre ne sarà estasiat-”

“Come?” Ringhiò e lo fissò come se anche a lui fossero spuntate in testa orecchie da cane.

“La signorina Tendo studia in Svizzera.” Gli spiegò, scrollando il dossier della donna sul tablet. Myoga aveva inoltrato a Miroku tutta la documentazione inerente a quelle donne, di sicuro informazioni liberamente offerte dalle loro famiglie. Erano -lui e quelle donne-  in tutto e per tutto prodotti in mostra su un catalogo.

Un ringhio di  frustrazione gli uscì dalle labbra, mentre lanciava contro il muro la prima cosa che gli era capitata sotto mano. “Dovrà pur esserci un modo per farlo desistere dai suoi folli intenti.”

“Andiamo, sarebbe folle da parte sua aspirare al dominio del mondo, ma qui si parla solo del-”

“Totale dominio sulla mia esistenza!” urlò fuori di sé. Avrebbe voluto lanciarsi fuori dalla finestra, correre all’infinito verso il Monte Fuji e gettarvisi dentro. “Se non avesse progettato di espandere la dinastia a dismisura mi avrebbe proposto di sposare quel bastardo di Koga pur di avere un partner aziendale alla nostra altezza.” Il solo pensiero lo fece rabbrividire. Quel lupo rognoso era l’essere più fastidioso che conoscesse, un vanaglorioso sacco di pulci maleodorante che sfortunatamente continuava ad incrociare sul suo cammino.

“Per quanto possa essere ricco Koga è un imbecille vanesio e chiassoso, Toga-sama non avrebbe mai accettato. Anche lui ha i suoi limiti.” Miroku ridacchiava tra sé, lisciandosi la cravatta color melanzana.

Era più che certo che l’amico fosse in possesso di un quantitativo non ben identificato di cravatte, fazzoletti da taschino e vari capi d’abbigliamento di quella particolare sfumatura. Un colore insolito, che dava nell’occhio, quasi sfacciato nei suoi toni più chiari.

Come gli abiti eccentrici di Taijiya-san, gli suggerì il suo inconscio. Un completo di un viola glicine che sarebbe stato meglio nel videoclip di qualche idol che nella sala da tè dello Shikon.

Aveva visto le teste di molti uomini girarsi al suo passaggio quando era scappata in bagno e sarebbe stato ipocrita da parte sua negare di aver lasciato scivolare lo sguardo su quella striscia di pelle tonica e liscia che il suo completo lasciava intravedere all’altezza dello stomaco, di aver percorso con gli occhi la curva gentile della mascella per soffermarsi su quelle labbra -solo all’apparenza – dolci, capaci di sputare veleno come una vipera. Era indubbiamente attraente, di una bellezza aggressiva e poco conforme alle norme della società.

Un piano cominciò a prendere forma nella sua mente. Dapprima gli sembrò solo un ammasso confuso di idee, poi pian piano cominciò a palesarsi un qualcosa di senso compiuto, il disegno geniale di un piano diabolico. Avrebbe fregato suo padre al suo stesso gioco.

Per quanto Sango Taijiya gli fosse sembrata sopra le righe, era stata l’unica a non essergli stata totalmente indifferente. Non l’aveva annoiato come le altre, né aveva cercato in tutti i modi di attirare la sua attenzione. Al contrario, gli era parso che avesse fatto di tutto pur di allontanarlo da sé, per indurlo a pensare male di lei. Tutto di lei gridava non adatta, dal suo abbigliamento alle sue discutibili buone maniere, per non parlare delle sue non troppo velate allusioni sessuali. Proprio per quello era il soggetto perfetto per mettere in pratica il suo piano.

Il vecchio voleva che si trovasse una moglie? Bene, ne avrebbe trovata una, ma non quella che desiderava lui. 

“Sposerò Taijiya Sango.” Esordì e vide Miroku boccheggiare come un pesce fuor d’acqua, incapace di commentare quell’affermazione così improvvisa. “Per accontentare mio padre, ovviamente.”

“Da quello che mi hai detto non mi sembra il tipo di donna adatto a te, mi sembra un po’… esagerata, capisci cosa intendo? Credo non sia nemmeno il mio di tipo, il che è tutto dire.” 

“Proprio per questo è perfetta.” Fece cenno all’amico di sedersi sul divano e lui gli si accomodò di fronte. “Ascolta, sposerò Taijiya-san così mio padre avrà quello che desidera. Oppure, quando gliela presenterò, non ne sarà felice e disapproverà la mia scelta, lasciandomi finalmente libero.” 

“Sposeresti una donna come quella solo per far dispetto a tuo padre? Ti rendi conto che diventerà tua moglie?”

“Sarò anche un cane ma non sono territoriale, non le piscerò addosso per marcare il territorio o cose simili. Potrà continuare a fare e a farsi chiunque vorrà, così che io possa concentrarmi sul mio lavoro. Tempo un anno e chiederò il divorzio.”

“È folle.”

“È geniale, oltre che essere una situazione vantaggiosa per entrambe le parti. Sono sicuro che quella donna ha il mio stesso tipo di problema.” Perché Miroku non riusciva a vedere la visione d’insieme?

“È un matrimonio, c’è sempre un solo vincitore in queste situazioni.” Cercò di farlo rinsavire il suo amico.

Ma ormai lui era già proiettato verso un futuro di libertà, conquistata con inganni e sotterfugi. “E quel vincitore sarò io.”

“Non ci giurerei. Dopo il matrimonio tuo padre vorrà dei nipoti, prove tangibili e vive di questo matrimonio. Per quanto pensi di poter fingere?”

“Per tutto il tempo necessario.”

Non aveva pensato a quell’evenienza. Ma d’altronde il padre in quel campo non avrebbe potuto interferire: la natura e i suoi ritmi erano qualcosa di incontrollabile. Anche Sesshomaru e Kagura ci avevano messo tre anni prima di moltiplicarsi, perché suo padre avrebbe dovuto mettergli fretta? “Ci penseremo dopo, per il momento trovami il numero di Taijiya-san, ho una proposta da farle.”

Il buon umore, che lo disertava da settimane, sembrò tornargli tutto a un tratto. Non sapeva come sarebbe andata quella telefonata ma almeno aveva trovato un modo per raggirare suo padre. O almeno per guadagnare tempo.

“Com’è che si chiamava quella dipendente di prima?”

“Non l’ha detto.” Miroku gli passò il cellulare con il numero già composto.

“Scoprilo e mandale una scatola di cioccolatini.”

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Era la quarta volta in un’ora che un numero privato provava a contattarla. Non poteva essere un centralino, avrebbero desistito al secondo tentativo vano. La sua ansia stava aumentando esponenzialmente col passare dei minuti: forse era l’ospedale, forse era capitato qualcosa al nonno o a Sota e lei come una sconsiderata non aveva risposto. Ma in entrambi i casi qualcuno l’avrebbe avvisata, giusto? Quando il cellulare vibrò per la quinta volta, rispose d’istinto.

Dall’altra parte le rispose una voce che sperava non avrebbe più sentito, “Taijiya-san?”

Il loro incontro in ascensore era stato un crudele scherzo del destino. Aveva riposto troppa speranza nella logica e nei numeri per prestare attenzione ad una sola ed unica verità: la sua vita era la versione estrema dell’assioma di Murphy. Pensava che non avrebbe mai incontrato il suo capo sul posto di lavoro perché raramente i manager si mischiavano ai dipendenti? BAM! Inuyasha Taisho si materializzava in ascensore accanto a lei in tutto il suo fastidioso splendore. Pensava che il loro finto appuntamento fosse andato così male da liberarsi di lui per sempre? KABOOM! Inuyasha Taisho della malora la chiamava sul suo cellulare personale.

Tutto quello che poteva andare male, l’aveva fatto.

“Chi le ha dato il mio numero?” cercò di controllare il tremolio della voce.

“La sua segretaria.”

“Quale segretaria?”

“Hirashi Haome, credo.” Ci fu una pausa, “Sa credo debba mandarla a casa, continuava a tossire, non è bene sfruttare così i dipendenti, potrebbero ritorcersi contro.”

Evitò di urlargli contro che nelle ultime due settimane lei e i suoi colleghi avessero fatto gli straordinari per preparare un progetto inaffondabile da presentare agli Ookami, e che ogni loro idea era stata bombardata da critiche poco costruttive da parte sua, e che a causa del suo comportamento in ufficio c’era quasi stato un ammutinamento.

“A cosa devo questo piacere?” calcò la voce sull’ultima parola, infondendo in quelle tre sillabe tutto il suo astio.

“Vorrei proporre un matrimonio, Sango-san.”

“N-non capisco.” Jakotsu le lanciò uno sguardo incuriosito, inarcando un perfetto sopracciglio scuro sbirciando dall’alto del suo cubicolo, “Perché tutto d’un tratto mi chiama per nome?”

“Sarebbe strano chiamare la mia futura moglie per cognome, no?”

Il cuore le saltò in gola, se avesse tossito l’avrebbe di sicuro sputato di bocca. “Continuo a non capire.”

“Vuoi sposarmi?”

“Cosa?” urlò nel silenzio generale. Il telefono quasi le cadde di mano, lo stupore le aveva bloccato le funzioni motorie.
“Vuoi sposarmi?” un respiro profondo, il suo temperamento mandava scintille anche a distanza. “È la terza volta che lo ripeto. Sei per caso sorda, Sango-san?” Un gentleman, come sempre.
C’erano due grossi problemi con quella frase: di sicuro non avrebbe sposato il suo capo e di certo lei non era Sango.

Pensava d’aver portato a termine la sua missione con successo, d’aver fatto un enorme casino. Aveva fatto di tutto per risultargli un piatto indigesto, aveva provato ad interpretare una donna sfacciata e vorace, l’esatto opposto di una probabile buona mogliettina. Ci aveva provato con tutta se stessa, ma la sua indole da bisbetica aveva avuto la meglio e la sua parodia di Jessica Rabbit si era trasformata in un tributo a Lizzie Bennett. Poteva spuntare dalla sua personale lista di cose da fare prima di morire sia mettere a posto arroganti ricconi che non accettare le loro stronzate da ricconi. 

Non di meno sapeva che il loro appuntamento avrebbe potuto essere annoverato nella top ten dei peggiori appuntamenti della storia.

Allora perché la stava chiamando per chiederle di sposarlo?

Non poteva negare d’aver fatto un sogno alquanto esplicito su di lui la notte precedente,  in un contesto molto più piacevole rispetto alla sala da tè dello Shikon. Ma pensare di poterlo sposare? Mai! Quell’uomo era un emissario del male, un demone che Jigoku aveva sputato fuori solo per renderle la vita difficile.

“I-io davvero non riesco a capire.” Si allontanò di corsa dalla sua postazione, con la coda dell’occhio vide Jakotsu sghignazzare appollaiato sulla sua sedia ergonomica –per la sua postura, diceva lui, quando tutti sapevano che era per stare più comodo durante i suoi pisolini di bellezza.

Si infilò nel bagno, sbattendosi la porta alle spalle.

“Cosa c’è di così difficile da capire? Mi sembra una domanda molto semplice.”

 “Non capisco perché questa domanda così improvvisa e sinceramente indesiderata.” Controllò che non ci fosse nessuno oltre lei negli altri bagni. Non avrebbe commesso lo stesso errore due volte. “Mi sembrava che il nostro appuntamento non fosse andato molto bene.”

“Ho un ricordo differente.” Le stava chiedendo di sposarlo ma la sua voce era piatta, annoiata, come se quella cosa non lo riguardasse in prima persona.

“Le rinfresco la memoria, se vuole.” Cominciò a camminare come un cane in gabbia nello spazio stretto e lungo del bagno, stringendosi un braccio sotto al seno per contenere il suo cuore impazzito. “Abbiamo scambiato sì e no qualche frase e le buone maniere non erano state invitate al nostro tavolo, da quello che ricordo.”

“Devo aver sbagliato persona allora, perché io ricordo un vivace scambio di opinioni.”

“Gentile eufemismo per descrivere gli insulti che ci siamo scambiati a vicenda.” Fermò la sua marcia, aveva già fatto avanti e indietro troppe volte. “Cos’è, si è innamorato di me a prima vista?” le andava di giocare con lui, essere sfacciata ed odiosa come lo era stato lui con lei in ascensore.

Ci fu un rumore sordo dall’altro lato della linea, come di qualcosa che cadeva e poi un verso strozzato in lontananza. “Compiacersi così è sintomo di un’autostima debole.”

“Lei ne sa qualcosa, Taisho-san, vero?”

Stavolta ne era certa, qualcuno dall’altro lato aveva riso.

“Mmph.” Quel verso di sufficienza la fece quasi ridere, dargli sui nervi era più facile di quanto avesse immaginato. “Quindi la sua risposta è un no.”

“Con assoluta fermezza.”

“Vedremo.”

“Come scusi?”

“Buona giornata, Sango-san.” e mise giù, lasciandola lì ferma nel bel mezzo del bagno delle donne con un’espressione da pesce lesso.

Che diamine era appena successo? Perché la sua vita cominciava a somigliare sempre di più a un telefilm? Perché il suo capo si era messo in testa di sposarla quando chiaramente il loro appuntamento era stato un disastro su tutti i fronti?

Continuò a fissare il cellulare ancora per un minuto, poi si convinse a salvare il numero ed inserirlo tra quelli della sua lista nera. Non avrebbe più risposto, nemmeno sotto tortura.

Quando si decise ad uscire dal bagno, il cellulare squillò di nuovo. “Merda.” Mormorò tra sé quando lesse il nome sul display.

“Moshi mosh-” non riuscì nemmeno a terminare.

“Kagome che diavolo hai combinato? Mio padre mi ha appena chiamata per dirmi che Toga Taisho l’ha contattato per scegliere una data per le nozze! Dovevi farti scaricare, non piacergli così tanto da farti sposare!” Sembrava che Sango fosse nel bel mezzo di una crisi di panico, il suo respiro le arrivava spezzato ed affannato.

“Non so cosa sia successo! Posso assicurarti che l’appuntamento è stato una catastrofe di proporzioni bibliche.” Cercò di giustificarsi, portò una mano davanti alla bocca e sibilò nel cellulare, “Gli ho fatto credere di essere interessata ai vecchi e ai giochetti sessuali utili a farli capitolare ai miei piedi. Dubito siano cose che una perfetta futura moglie direbbe a un primo appuntamento.”

“Tu cosa?” la voce dell’amica salì di un’ottava e sembrò avesse smesso del tutto di respirare.

“Mi hai  detto di usare qualsiasi mezzo, e così ho fatto. Sai che sono una perfezionista.”

“Chiaramente non ha funzionato. O questo Inuyasha è un feticista o ha qualche rotella fuori posto.”

“Né l’uno né l’altro, credo. È solo un gran bastardo.” Sentiva di poterlo affermare con sicurezza, nonostante l’avesse visto solo due volte, non gli era sembrato uno svitato ma solo uno stronzo arrogante, qualcuno che pensava che tutto gli fosse dovuto.

“Be’, quel bastardo vuole portarti all’altare.”

“Sango, devi parlarci! Non posso sposare il mio capo.”

“Ciò implicherebbe doverne parlare a mio padre e sai che non posso! Sai cosa accadrebbe se venisse a sapere del nostro giochetto?” la sua voce era diventata un lamento confuso, come quello di una bambina capricciosa. Quando parlava del padre Sango regrediva ad uno stato larvale, quasi che quell’essere assoggettata alla volontà paterna la spogliasse di tutto quello che era: smetteva di essere una giovane donna in carriera, bella e ricca, per tornare ad essere una bambina spaventata e timorosa del giudizio di quell’uomo che, almeno ad uno sguardo esterno, non sembrava essere poi così cattivo.

“Tirami fuori da questo casino, Sango!” le sue parole suonarono dure anche alle sue orecchie. Ma non si sarebbe lasciata impietosire ancora una volta dall’amica, che l’aveva lanciata senza paracadute in quel guaio. Aveva fin troppo da perdere! Sango forse se la sarebbe cavata con una sgridata e la revoca della carta di credito, lei invece sarebbe stata licenziata di certo.

“Urgh! D’accordo!” le urlò frustrata, “Inventerò qualcosa.”

“Sarà meglio per te.”  Fece per mettere giù, quando si ricordò di una cosa. “Ah e Sango?”

“Sì?”

“Hirashi Haome? Sul serio?”

Ci fu un momento  di silenzio. Beccata. “Non sono brava a improvvisare, quella versata nella recitazione sei tu.”

“Già e vedi a cosa ci ha portate.” Si massaggiò la tempia sinistra con la mano libera, sentiva vicino un attacco di emicrania.

“Se vuoi ho il contatto dell’agente di Aya Asahina, chissà, potresti diventare la musa del prossimo Kurosawa.” Sango era tornata ad essere padrona di sé, riusciva di nuovo a scherzare e quello era un buon segno.

 “Ora metto giù.” Tossì per coprire la risata che stava per sfuggirle, non voleva che Sango pensasse che quella fosse una situazione da poco. “Chiama solo quando avrai buone notizie o scordati di avere un’amica.” E attaccò.

Uscì finalmente dal bagno e rientrando nel suo ufficio sospirò abbattuta alla vista di quel pettegolo di Jakotsu seduto alla sua postazione che giocherellava con la calamita che suo fratello Sota le aveva portato da Kyoto. Il collega non le avrebbe dato via di scampo, avrebbe voluto sapere tutto e lei, in quei dieci passi che li separavano, avrebbe dovuto inventare una storia.

Non sarebbe stato difficile.

D’altronde mentire era diventato il suo nuovo mestiere.

 

 

 

 

Nda: questo capitolo è gentilmente offerto dalla febbre che mi tiene a letto da cinque giorni (sto pagando a caro prezzo la notte di bagordi del Primo), se trovate errori anche quelli sono gentilmente offerti dalla suddetta. Ora che ho pubblicato la storia anche su Ao3 riprenderò a pubblicarla anche qui :) come sempre grazie mille per il vostro supporto e le vostre recensioni, sono praticamente il carburante che mi fa continuare a ticchettare sulla tastiera! Spero che l’attesa sia stata ripagata.

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Capitolo 6
*** Capitolo V ***



                      
Capitolo V

 

 

Quando entrò nel bar scandagliò la sala, lasciando scorrere lo sguardo sugli altri clienti alla ricerca di qualcuno che potesse tenerle compagnia in quella serata per farle dimenticare almeno per qualche ora tutta l’assurda faccenda dell’appuntamento e del matrimonio. Aveva voglia di lasciare tutti i suoi problemi fuori dalla porta, scolarsi qualche drink e divertirsi.

I suoi occhi incrociarono quelli di un uomo al bancone che le rivolse un sorriso accattivante, lui alzò il bicchiere che teneva in una mano in un gesto che lei interpretò come un chiaro invito e non ci pensò molto prima di avvicinarsi e sedersi sullo sgabello alla sua sinistra.

“Beve per dimenticare o per divertirsi?”gli chiese civettuola, accavallando le gambe.

“Il confine tra le due cose è molto labile per quanto mi riguarda.” L’uomo seguì il movimento delle sue gambe e si lisciò la cravatta di un insolito viola melanzana “Se voglio divertirmi devo prima dimenticare.”

“Allora siamo in due.” Indicò con un gesto svogliato l’entrata del bar “Se i problemi potessero rimanere sulla soglia di quella porta per almeno un paio d’ore ne sarei felice.”

“Posso offrirle da bere?”- l’uomo la guardò con intensità- “Forse dimenticheremo cosa ci ha portati qui e riusciremo a divertirci assieme.” Quel perfetto esemplare di peccato ambulante che aveva davanti prese un sorso del liquido ambrato che gli riempiva il bicchiere, ingoiò e si leccò il labbro inferiore con fare sensuale.

Lei sentì un brivido percorrerle la spina dorsale ed ebbe la chiara visione di come sarebbe finita quella serata. Per fortuna abitava a pochi passi da lì e suo fratello era fuori città.

Una congiunzione astrale perfetta.

“Molto volentieri, signor?”

“Hoshikawa Miroku.” Le strinse la mano che lei aveva teso tra di loro con una presa ferma e calda e lei si ritrovò a pensare che la vita reale aveva bisogno di un tasto fast forward perché non poteva aspettare di infilarsi nei suoi pantaloni.

Quando lasciò la sua mano rovistò nella sua borsa alla ricerca del suo biglietto da visita e afferratolo glielo porse fiera. Adorava lo sguardo di velato timore che il suo nome incuteva negli uomini.

Lui lo accettò con entrambe le mani, ma quando i suoi occhi si posarono su quel semplice pezzo di carta il suo viso si adombrò.

“Qualcosa non va?” gli chiese, sinceramente preoccupata da quel cambio repentino d’espressione.

“A quanto pare abbiamo un amico in comune, Taijiya-san.”

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Sango era -per mancanza di una parola più adeguata- fottuta. Già, quella era l’unica parola che avrebbe potuto descrivere la situazione in cui si trovava. Forse affidarsi a Kagome era stato un errore, oppure il karma ce l’aveva con lei.

Doveva aver fatto qualcosa di molto brutto in una sua vita passata e ora ne pagava le conseguenza. 

L’uomo che le stava di fronte sembrava sul punto di urlare in faccia, ancor meno entusiasta di lei di trovarsi lì. Taisho Inuyasha non la intimoriva di per sé – le candide orecchie che si muovevano ad ogni minimo suono sulla sua testa erano troppo carine per suscitare in lei qualunque tipo di paura – ma quello che la terrorizzava era dover raccontare la verità a suo padre, raccontargli di come avesse ingannato il figlio dell’uomo d’affari più influente del Giappone, nonché suo potenziale marito.

“Che fortuita coincidenza incontrarci, non crede Taijia-san?”- continuava a rigirare tra le dita il bigliettino da visita che il suo assistente gli aveva prontamente offerto quando era arrivato –“ Anzi lo definirei proprio…com’è quella parola, Miroku?”

“Karma.”  

“Già, karma.”

Sango riusciva quasi a percepire la rabbia fluire da lui a fiotti, seguì con gli occhi l’irrigidirsi del suo braccio e sgranò gli occhi quando lui accartocciò senza ritegno il bigliettino nella sua mano.

“È di cattivo gusto, lo sa?” gli indicò il pezzo di carta sul tavolo tra loro “Lei crede di poter-”

“Sa cos’altro è di cattivo gusto? Mandare qualcun altro ad un appuntamento, mentire e farmi perdere tempo. Crede che questo sia un gioco?” le urlò contro in un crescendo umiliante. Era sicura che se avesse potuto percepire il suo youki lo avrebbe visto innalzarsi come una colonna di energia e dilagare nella sala del bar dove era avvenuto il loro sfortunato incontro. Anzi, fu quasi certa che il muro di bottiglie alle spalle del barman avesse cominciato a tintinnare.

Sango lanciò un’occhiata al suo affascinate assistente - Miroku- cercando di telegrafargli con gli occhi una richiesta di aiuto. Lui le scoccò solo un sorriso sornione, scrollando le spalle. Maledetto!

Era colpa sua, di quel sorriso e del suo bell’aspetto, se si ritrovava in quella situazione. Sango non aveva intenzione di sposarsi col primo arrivato, ma divertirsi una volta tanto era suo diritto, era una donna nel fior fiore degli anni dopotutto. E quell’uomo, Miroku, era stato il primo su cui avesse messo gli occhi da lungo tempo. Era il suo prototipo di uomo ideale, almeno dal punto di vista estetico: alto, vestito con abiti che accentuavano il suo fisico asciutto, un viso spigoloso che sembrava essere stato scolpito nel marmo, un sorriso accattivante e occhi furbi e brillanti che al primo sguardo sembravano averle promesso una notte di sesso spaziale.

Sembrava che gli dei lo avessero messo lì apposta per lei, appollaiato su uno sgabello del bar sotto casa sua con un bicchiere di whisky stretto tra le dita affusolate, pronto per essere cacciato come la più succulenta delle prede. Ed invece si era rivelato solo uno specchietto per le allodole, una trappola ben piazzata da quegli stessi dei in cui non credeva e che invece continuavano a farsi vivi ad intervalli di tempo nella sua vita.

“Mio padre non ne sarà contento e credo che anche il suo avrà da ridire.”

Taisho continuava a parlare ma alla menzione di suo padre Sango smise di ascoltare, le sue parole diventarono un brusio di sottofondo, la colonna sonora della visione che ebbe di suo padre che le urlava contro il suo incommensurabile disappunto. Ne era certa, questa volta l’avrebbe diseredata. Sarebbe finita a fare la lavapiatti in qualche ristorante di terza categoria, una reietta della società,  sarebbe morta sola e senza un soldo. E tutto per colpa sua e della sua maledetta pretesa di sposarsi per amore.

Al diavolo tutto!

Si morse la guancia con forza, quasi staccando via un pezzo di carne e fu sul punto di mettersi in ginocchio ed implorare perdono. Nonostante tutto era sicura che avrebbe potuto trovare un modo per aggiustare ogni cosa.

“Chi era quella donna?”

Quella domanda frenò il turbinio dei suoi pensieri, riportandola alla dura realtà.

Aveva analizzato ogni elemento di quella sgradevole equazione – suo padre, i Taisho, la sua eredità, il suo futuro- ma aveva dimenticato un pezzo fondamentale.

Kagome. La sua migliore amica.

L’amica che aveva accettato di aiutarla e suo malgrado si era ritrovata in qualcosa più grande di lei.

Non poteva confessare, Kagome avrebbe perso molto più di lei se fosse saltata fuori la sua identità.

“Un’attrice.” Sputò fuori senza pensarci su due volte.

“Un’attrice?” ripetè lui, come se avesse fiutato la bugia che le era appena uscita dalla bocca.

“Già.” Si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e cercò di riacquistare un po’ di contegno. “Un’attrice che ho scovato in un annuncio e ho pagato per interpretare me.”

Taisho sembrò soppesare le sue parole, tamburellò le dita sul bancone “Quindi lei non sa chi sia quella donna.”

“No.”

“Sicura?”

“Assolutamente.” Le sembrò quasi deluso da quell’affermazione.

Lo vide arricciare le labbra in una smorfia e lo sentì imprecare senza tante cerimonie. Miroku roteò gli occhi come se fosse abituato a un tale turpiloquio.

“Mi ascolti, so di aver sbagliato e mi creda quando le dico che non era mia intenzione mettere nei guai nessuno. Sarei la prima a rimetterci se si venisse a sapere di questa storia.” Sperò vivamente di fargli pena, di riuscire a toccare le corde più profonde del suo animo e di poter trovare con lui una soluzione. “Lei sarebbe stato l’ennesimo appuntamento al buio organizzato da mio padre per piazzarmi al miglior offerente. Dubito sappia come ci si senta ad essere trattati come merce di scambio.” la sua voce suonò patetica anche alle sue orecchie. Perfetto, nulla faceva più paura agli uomini di una donna triste e penosa.

“Scherza, vero?” Inuyasha si sporse verso di lei con tale rapidità che Sango traballò sullo sgabello. Miroku tese un braccio per sostenerla e lei gli scostò la mano infastidita. “Sono stato a quattordici appuntamenti solo nell’ultimo mese, ho conversato con donne che so per certo avrebbero preferito essere ovunque pur di non stare in una stanza con me, donne a cui non importava nulla di me se non del prestigio del mio nome. Quindi sì, so meglio di lei come ci si sente ad essere trascinati al guinzaglio come un cane col miglior pedigree ad una mostra canina.”

Sango si morse le labbra per non sorridere a quell’infelice metafora, ma Miroku trattenne a stento una risata che coprì maldestramente con un colpo di tosse. Inuyasha si girò a fulminarlo con lo sguardo e poi tornò a voltarsi verso di lei sospirando pesantemente. “Ha capito cosa intendo!” 

Batté il piede in terra- una, due, tre volte- pizzicandosi il labbro inferiore tra l’indice e il pollice. Poi si passò una mano tra i capelli candidi e fece per chiamare il barman. Poi abbassò la mano e sbuffò. Sembrava incapace di rimanere fermo…come un cane in gabbia.

“Dannazione!” ringhiò alla fine, sbattendo il pugno chiuso sul bancone.

Sango sussultò ancora una volta e prese un sorso del cocktail che le aveva offerto Miroku. Cominciava a sentire un nodo che le stringeva pian piano la gola, sembrava che ad ogni respiro l’aria facesse più fatica ad entrare ed uscire. Le rimaneva una sola cosa da fare, calare l’asso nella manica che di sicuro le avrebbe permesso di vincere, l’ultima arma a sua disposizione.

Supplicare.

 “Non potrebbe dire a suo padre che il nostro secondo appuntamento è andato male e abbiamo deciso di non sposarci, mh? Di sicuro può capire la mia situazione e sono certa che raccontare questa storia non gioverebbe a nessuno di noi due. Io passerei per una pazza sociopatica e lei per un…”

“Idiota. È questa la parola adatta, vero Sango-san?”- sorrise amaro - “In tutta onestà avrei dovuto capirlo, quella donna non era convincente.”

“Non direi.” si lasciò sfuggire lei, compiaciuta. “C’è una proposta di matrimonio che la contraddice. O la mia am-” si stoppò e si schiarì la gola “o la mia attrice è stata più brava di quanto lei dice o lei è più disperato di quanto pensassi.”

“Posso assicurarle che quella donna ha rasentato il ridicolo.” La schernì.

“Allora perché chiedere di sposarla?” sibilò a denti stretti, incapace di capire quell’uomo e i meccanismi della sua mente.

“Ho le mie ragioni.” La folgorò con lo sguardo e quegli occhi di quel colore così innaturale le fecero quasi paura.

Miroku si sporse per sussurrargli qualcosa all’orecchio e sul viso del rampollo di Toga Taisho apparve prima un’espressione infastidita e poi uno strano spiraglio di speranza. Due canini affilati fecero capolino sulle sue labbra e Sango ebbe un brutto presentimento.

Quando Miroku tornò al suo posto, dritto come un fuso e peccaminosamente attraente alle spalle del suo capo, Inuyasha si rivolse a lei con ritrovato buon umore. “Sono disposto a mentire a mio padre e ritirare la proposta di matrimonio.”

A quell’affermazione le venne quasi da piangere. “Saggia scelta, mi creda.”

“Ma prima di farlo deve portarla qui.” Si aggiustò i polsini della camicia con nonchalance e Sango sentì il soffitto crollarle addosso.

 “Chi?”

“La donna che ho quasi sposato.”

 

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Il fatto che Taijia Sango continuasse a stare in silenzio e ad osservarlo con un’espressione atterrita sul volto, non faceva altro che aumentare la sua rabbia. Come aveva potuto fare una cosa del genere? Sperava di farla franca? Pensava che nessuno l’avrebbe mai scoperto?

Per sua sfortuna aveva incontrato lui sulla sua strada, o meglio Miroku.

Il messaggio che gli aveva mandato, con in allegato la geolocalizzazione di un bar poco distante dal suo appartamento, lo aveva trovato intento a buttarsi sotto la doccia. Ma quel abbiamo un problema aveva vinto sulla necessità di disfarsi dello sporco della giornata. Si era rivestito di fretta e furia ed era corso da Miroku, incontro all’ennesimo problema che si poneva sul suo cammino.

Quando era arrivato aveva trovato l’amico seduto al bancone del bar intento a flirtare con una donna e in lui si era instillato il dubbio che quel bastardo di Miroku l’avesse tratto in inganno per farlo uscire di casa e trascinarlo a bere.

Gli si era avvicinato pronto a sferrargli un pugno, incurante della sua ultima conquista: “Miroku se questo era solo un escamotage per farmi fare da spalla ti giuro che…”

“Ah, Taisho-san, ricorda Taijiya Sango?” e senza troppi preamboli gli aveva porto un biglietto da visita. Niente di stravagante, un font classico con caratteri chiari e lineari e una scritta bianca su fondo nero. Taijiya Sango, Taijiya Group.

Conosceva quel pezzo di carta patinato, lo aveva studiato bene per ore prima di decidersi a chiamare il numero di cellulare che c’era sopra. Aveva valutato tutti i pro e i contro prima di invischiarsi con la proprietaria di quel biglietto e di certo quella che aveva davanti non era la Sango che aveva incontrato lui. Questa era quasi anonima nella sua stereotipicità: tailleur scuro, tacchi lucidi neri e trucco appena accennato.

“Chi è lei?”

“Come scusi? C’è scritto sul biglietto, non ci vede?”

“Proprio perché ho due occhi funzionanti glielo sto chiedendo, chi è lei? Perché va in giro con una falsa identità? Sono stato ad un appuntamento con una certa Taijiya Sango del Taijiya Group qualche giorno fa e a meno che lei non sia una maestra dei travestimenti dubito siate la stessa persona.”

“Che cosa? Io sono l’unica e sola Taijiya Sango. Lei invece chi crede…” gli occhi della donna si erano posati sulle sue orecchie e si era ammutolita, “Oh cazzo” l’aveva sentita sussurrare a denti stretti.

Con un gesto veloce aveva recuperato la sua borsa ed era saltata in piedi come una molla, cercando di svignarsela. “Devo andare.”

Gli si era parato davanti, fermando la sua fuga, “Non credo proprio.” Si era congratulato mentalmente con se stesso per la calma apparente che aveva dimostrato.

“La prego, non renda ancora tutto più sgradevole.” Le aveva suggerito Miroku.

 “Prego si sieda Taijiya-san, se questo è il suo vero nome.” L’aveva invitata a riaccomodarsi mentre lui aveva preso il posto dell’amico. A quel punto il volto della donna aveva assunto la tonalità del mochi appena battuto, lattiginoso e appiccicaticcio.

E quello stesso viso pallido e spaurito continuava a fissarlo ancora adesso che le aveva proposto un compromesso.

“Ha detto che è un’attrice, giusto? Non le dispiacerà farmi avere un incontro con lei, averi bisogno anch’io del suo talento.”

La rabbia per essere stato preso in giro lo aveva accecato e il pensiero di non aver più carte da giocare in quella partita infinita con quel sadico di suo padre aveva mandato in crash il suo cervello. Per di più, il fatto di non potersi affidare all’alcol per obnubilare i sensi almeno un po’ l’aveva fatto imbestialire ulteriormente.

Poi Miroku gli aveva sussurrato all’orecchio come un moderno diavolo tentatore adagiato sulla sua spalla. Il suo piano non era fallito, era solo cambiato il mezzo con cui l’avrebbe messo in atto: non più con la collaborazione inconsapevole di una ricca ereditiera, ma con il contributo di una dipendente pagata e informata dei fatti. Non avrebbe nemmeno dovuto inscenare un matrimonio, sarebbe stato necessario qualche incontro con suo padre, un paio di cene con Sesshomaru e signora e la famiglia al completo si sarebbe rivoltata contro la sua scelta in fatto di donne.

 “Non posso.” La donna abbassò lo sguardo con fare pensieroso e si tormentò le mani. Fiutò il suo timore e anche se in un’altra occasione non avrebbe infierito, non poteva permettersi di lasciarsi sfuggire quell’opportunità. Sango aveva mandato all’aria il suo brillante piano e ora doveva almeno aiutarlo a porvi rimedio.

“Andiamo, mi sembra un buon affare. Rinuncio al matrimonio in cambio del numero di quella donna.” La incalzò “Mio padre ne sarà distrutto, ma al contrario il suo non verrà mai a sapere quello che lei ha fatto.”

 Il solo pensiero di dar noia al suo vecchio lo metteva di buon umore.

“È perfetto.” Cercò di farla ragionare Miroku e lei gli lanciò un’occhiata gelida.                 Quella era la faccia di una donna offesa ed umiliata e non avrebbe voluto trovarsi nei panni del suo amico. Forse lui si sarebbe disfatto di Taijiya Sango e non l’avrebbe più rivista, ma dal suo sguardo capì che lei l’avrebbe fatta pagare cara al suo fedele assistente.

“Mi deve almeno questo, Taijiya-san.”  tornò ad usare il suo cognome come segno di rispetto, averla chiamata per nome prima era stato un errore dettato dalla rabbia.

Si alzò, aggiustandosi la giacca e le porse la mano. Lei sembrò pensarci su, poi in un colpo solo finì il drink che aveva davanti. Prese un respiro profondo e lo imitò saltando giù con grazia dallo sgabello.

Fece per stringergli la mano, poi la ritrasse come se avesse deciso che quell’accordo non la convinceva “Deve promettermi che non la tormenterà, lei non ha colpa.”

“Si preoccupa molto per una che ha detto di non conoscere.”

“Me lo prometta.” Insistette con espressione grave.

Sango gli strinse la mano e invece di veder spuntare sul suo viso un sorriso, le sue labbra si piegarono all’ingiù come se avesse appena stretto un patto col diavolo.

E forse non aveva tutti i torti.

“Ha la mia parola.”

 

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Il cellulare vibrò nel silenzio della stanza, illuminando col suo bagliore il buio attorno a lei e il cuore le saltò in gola. Aveva inserito il numero di Taisho nella sua blacklist, ma il solo pensiero di poter ricevere ancora una sua chiamata o un suo messaggio la tenevano sulle spine.

 Lesse con gli occhi socchiusi, accecata dalla luce dello schermo.

Tutto risolto. Non preoccuparti.

Il sonno la reclamò all’istante e tornò a dormire con una sensazione di leggerezza sul petto.

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Tornare a casa da sola le sembrò giusto, una punizione adeguata per quello che aveva appena fatto. Si sfilò le scarpe e le lasciò all’entrata, gettò la borsa in un angolo e si diresse in bagno. Il tradimento aveva insozzato la sua coscienza e le aveva lasciato una sensazione di sporco addosso.

Aveva venduto Kagome al prezzo della sua libertà.

Si guardò nello specchio della toeletta e inorridì nel constatare che sul suo viso non c’era nulla che rimandasse a quell’orrendo crimine, si portava tutto dentro, un peso grosso e maleodorante che l’avrebbe presto schiacciata.  “C’è un posto col tuo nome giù all’inferno, Sango. Hai tradito la tua amica, mi fai schifo.”  Disse al suo riflesso e per la prima volta quella sera uscì verità dalla sua bocca.

 

 

 

 

Nda: grazie per le recensioni, i segui e preferiti che sono arrivati durante tutto questo anno e più di attesa. Se sono tornata su questa storia è anche merito vostro!! Sono più che sicura che ci siano errori e sviste che mi sono sfuggiti nella rilettura ma avevo bisogno di buttare fuori questo capitolo per decongestionare l’accumulo di idee e storie che si affollano nel mio cervello. Spero di poter buttare fuori qualcos’altro alla svelta, sinceramente. Alla prossima! :)


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