Cronaline

di Alexander33
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tra le pieghe del tempo ***
Capitolo 2: *** Kaya ***
Capitolo 3: *** Non tutti i capitani sono vecchi e fumano la pipa ***
Capitolo 4: *** Giù le zampe! ***
Capitolo 5: *** Il fantasma di Mayu ***
Capitolo 6: *** Chi si fa i fatti suoi… ***
Capitolo 7: *** Arrembaggio! ***
Capitolo 8: *** Pedinamenti ***
Capitolo 9: *** Una bella ragazza coi modi di una pescivendola ***
Capitolo 10: *** Uscire o restare? ***
Capitolo 11: *** Il casino che ho dentro… ***
Capitolo 12: *** Dimmelo! ***
Capitolo 13: *** Champagne ***
Capitolo 14: *** Cronaline ***
Capitolo 15: *** Sogni e fantasmi ***
Capitolo 16: *** L’anello ***
Capitolo 17: *** Imprevedibili stupefacenti ***
Capitolo 18: *** Tochiro ***
Capitolo 19: *** Il Gate ***



Capitolo 1
*** Tra le pieghe del tempo ***


Il cuore galoppava, mentre correva lungo il viicolo sul retro del teatro, con alle calcagna almeno 3 agenti.

Quella stronza della commessa doveva aver azionato l’allarme subito dopo che era uscita dal negozio, eppure era certa di non essersi fatta beccare!

 

«Dannazione!»

Le orecchie tese a raccogliere lo scalpiccío degli anfibi sull’asfalto bagnato dalla recente pioggia, lo sguardo piantato avanti a sè.

Scartó a sinistra, in un viicolo ancora più angusto

 

“Ma c’era sempre stata quella stradina?” Un fugace pensiero passato nel retrobottega della mente, concentrata sulla fuga.

 

A poco a poco gli edifici su ambo i lati andavano via via diradandosi, fino a ridursi a rare casupole fatiscenti; ma si fermó solo quando sentì sabbia sotto i piedi e avanti a se, ad occupare tutto il campo visivo.

 

Il silenzio era completo.

Deserto. Era finita nel deserto.

 

«andiamo!!! Non posso aver corso tanto!» ridacchió nervosamente.

 

Il cervello non riusciva a realizzare: che diavolo stava succedendo? Aveva lasciato un mondo ad autunno inoltrato, ora era l’estate più calda che avesse mai sperimentato: la tshirt di cotone che indossava a contatto con la pelle le si era già incollata addosso. Gettó a terra il chiodo di pelle e il corto maglioncino grigio.

 

Giró due volte a 360°, cercando di trovare la via per la quale era arrivata, ma c’era solo il deserto: sabbia e deserto ovunque per chilometri.

Non fece in tempo ad articolare un pensiero coerente che il rombo assordante la colse di sorpresa.

Si portó entrambe le mani a coprire le orecchie, quando lo spostamento d’aria alzó nubi di polvere e sabbia.

Si inginocchió su se stessa, cercando di ripararsi ed evitare di respirare quella coltre soffocante.

 

Il rombo era assordante, il terrore l’aveva paralizzata.

Dopo minuti che sembrarono eterni lo spostamento d’aria si placó e il rombo si era tramutato in un sibilo sommesso profondo.

 

Istintivamente la mano andó alla tasca posteriore dei jeans, il coltello a serramanico era ancora lì: le diede sicurezza.

La lama lunga 20 centimetri le aveva salvato le chiappe in più di un’occasione: un’amica su cui contare nei momenti critici.

 

Quando si azzardó a riaprire gli occhi e tornare in posizione eretta, per poco non rovinó a terra dalla sorpresa.

 

Di fronte a lei c’era una sorta di astronave dalle dimensioni mastodontiche: come quelle che si vedono nei film di fantascienza. Le venne in mente il tizio di guerre stellari, come si chiamava? Ah sì! Darth Fener… anche lui viaggiava in astronavi grandi come città intere…

 

E quando il portellone cominció ad aprirsi non potè fare a meno di scuotere la testa e ridere istericamente 

 

«no, non puó essere! Chi è stato quel coglione che ieri sera mi ha messo l’allucinogeno nel bicchiere?! Sto per conoscere ET?!»

 

La lama del coltello scattó, i sensi all’erta, l’adrenalina sparata come un proiettile nelle vene.

 

Pronta a tutto, il sapore metallico della paura le impregnava la bocca.

 

Delle figurine si stagliarono nel rettangolo nero di quella sorta di hangar. Non sembravano mostri tentacolati, da quella distanza erano persone come lei.

Il panico rientró, lasciando il posto a una vigile allerta.

Non c’era comunque da abbassare la guardia.

 

Una bionda vestita completamente di lycra rossa (o qualcosa di simile), e un panciuto occhialuto le stavano venendo in contro.

 

«Hei! Sei tu ad aver lanciato l’SOS?»

Era il ciccione che stava gridando, mentre camminava verso di lei.

 

A tiro di voce rispose «SOS????»

 

«allora? Sei stata tu? Ci hai fatti lasciare di tutta fretta un inseguimento a quelle dannate mazoniane…»

 

«mazoniane?» riusciva solo a ripetere l’ultima parola delle frasi, perché non capiva assolutamente nulla di quello che le veniva detto.

 

«dì ragazza… non sarai un po’ tarda?» il ciccione si stava spazientendo.

 

«piantala vicecomandante! Non vedi che è sotto shock?!» la biondina aveva dato una gomitata alla voluminosa pancia dell’uomo.

 

Dietro la strampalata coppia li stava raggiungendo un giovane belloccio. Il suo sguardo venne attirato come una calamita: aveva il viso di un attore del cinema e il fisico di un atleta. 

Fischió ammirata.

 

«Tadashi, vedi se riesci a cavare qualcosa di bocca a questa matta…»

 

«Yattaran!!!! Non essere maleducato, non ti sei nemmeno presentato…» la biondina lo riprese.

 

«hei, si crepa di caldo qui fuori: mi si sono appannate le lenti degli occhiali. Vogliamo tornare a bordo? Già mi mancano i mei adorati 22 gradi… sbrighiamoci!»

 

Il ragazzo belloccio sorrideva

«togliamoci di qui, il vicecomandante ha ragione. A bordo ragioneremo meglio.»

 

«Tadashi, ci fidiamo a far salire questa tizia? Potrebbe essere una trappola di quelle maledette piante…»

Parlava come se lei non fosse presente. O forse la credeva talmente idiota da non meritare nessun riguardo.

Senza fare rumore richiuse con un abile movimento del polso la lama del coltello e la ripose nei jeans. Raccattó gli indumenti abbandonati a terra e si decise a seguire il terzetto che si era incamminato.

 

Se fosse rimasta lì sarebbe morta di fame e di caldo, non aveva molta scelta.

 

«coraggio, leviamo il culo da questo deserto infernale…»

 

Il portellone si chiuse alle loro spalle, il rombo dei motori fremeva sotto i loro piedi.

 

«dove stiamo andando, di grazia?»

 

«tra le stelle bambina! E dove sennó?»

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Capitolo 2
*** Kaya ***


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«Cosa stiamo aspettando? La portiamo o no dal capitano?» Il ragazzo carino si rivolse al ciccione, che rispose sbuffando, e ruotando gli occhi al cielo

 

«sei proprio un pivello Tadashi!» con un veloce movimento le prese il polso, girandole il braccio dietro la schiena

 

«hei! Metti giù le zampe! Mi stai facendo male!»

 

Yattaran scuoteva la testa, mentre le torceva il braccio e le sfilava il coltello dai jeans.

 

«ecco cosa nasconde la tua ragazzina! Volevi portarla davanti al capitano senza nemmeno perquisirla?» agitava il coltello davanti al naso di Tadashi, che si acciglió.

 

«E tu, smetti di divincolarti! Questo lo tengo io!» Yattaran intascó il coltello.

 

«E non è finita qui!» La prese per le spalle, tenendola ferma 

«Key, frugala: scommetto che troveremo qualcosa di interessante…»

 

La ragazza bionda inizió a palpeggiarla partendo dalle caviglie. Arrivata sopra la cintura si fermó 

«Hai ragione vicecomandante! Refurtiva!»

 

Lanció il pacchettino al ragazzo, che, svelto svolse il fazzoletto dentro il quale era stato nascosto il piccolo bottino

 

«guarda un po’ cosa c’è qui…»

Aprì la mano e mostró il contenuto del piccolo fagotto: catenine, ciondoli, qualche anello, una manciata di banconote.

 

«Sei una ladra!» disse, con tono stupito guardandola con una punta di delusione.

 

Yattaran ghignó

«sì! Una ladruncola da quattro soldi! Ti tengo d’occhio bambina. Dovrai dare parecchie spiegazioni.» La strattonó in malo modo.

 

Il panciuto occhialuto era scaltro e molto in gamba: non era affatto da sottovalutare.

 

Tadashi non rispose, ma l’aria benevola andó a farsi benedire.

 

Le piaceva quel ragazzo. C’era stato un feeling immediato tra loro due, era come se viaggiassero sulla stessa lunghezza d’onda. L’aveva sorpreso ad osservarla quando credeva di non essere visto: molto probabilmente l’interesse era reciproco.

La bionda non l’aveva ancora inquadrata, ma non ci avrebbe messo molto.

 

«Bene, vuoi iniziare col dirci come ti chiami e chi sei?» Tadashi aveva perso l’aria gioviale, ma le si rivolgeva con educazione.

 

«Kaya. Mi chiamo Kaya e sono quel che vedi: una ragazza di 19 anni che stava… beh, mi stavo facendo i fatti miei, e tutto d’un tratto … PUFF! Dalla city mi sono ritrovata in pieno deserto del Sahara! Altro non so.»

 

Si intromise la bionda, che le aveva fissato le sneakers per un lungo momento

«Che anno era quando sei stata “catapultata” nel deserto?»

 

Kaya alzó il sopracciglio

«come sarebbe a dire “che anno era”?! Il 2019… che domande.»

 

Tadashi la guardava mentre con le dita si tormentava le labbra, cercando di capire a che gioco stesse giocando.

«beh, se stai dicendo la verità, allora abbiamo un bel problema… che ne pensi vicecomandante?»

 

«io penso che questa qui è tutta matta» mentre pronunciava quelle parole, con l’indice si batteva sulla tempia «non vorrete credere a queste sciocchezze! Non mi fido! È una spia delle piante!»

 

«io le credo!» la bionda si intromise.

«chi mai potrebbe inventare una storia tanto strampalata? E poi… non vedi com’è vestita?»

 

Yattaran scuoteva la testa «stronzate! Non esiste un modo per viaggiare nel tempo! Teoria della relatività: nessuno ha studiato qui dentro?»

 

«non nel modo che credi tu…» Tadashi rifletteva «mio padre ci aveva perso degli anni studiando il fenomeno. I whormhole sono porte che attraversano tempo e spazio… si trovano nello spazio profondo e non sono mai stabili. Ma si possono creare singolaritá impreviste… anomalie inspiegabili su scala molto ridotta… potrebbe essere passata attraverso una di queste senza accorgersene…»

 

«si si certo…» Yattaran scuoteva la mano «teorie senza nessuna prova che ne confermi l’esistenza. Stiamo parlando di aria fritta! Non vorrai raccontare queste storielle al capitano?!»

 

“Capitano… chi sarà mai questo capitano?”

 

Gli unici capitani che conosceva erano tutti vecchi barbuti, fumavano la pipa e si nutrivano principalmente di tonno in scatola.

 

“Sarà una versione anziana e pedante del ciccione con gli occhiali? Sicuramente. Un vecchio noioso, brontolone e terribilmente pignolo.”

 

«fermi tutti! Ma in che cavolo di anno saremmo adesso?»

A questo punto era evidente che non si trattava più di uno scherzo, anche se era difficile da accettare.

 

«2990» 

Era stata la bionda a rispondere.

 

Kaya ammutolì e si guardó intorno con una nuova consapevolezza.

All’improvviso divenne tutto nero e perse i sensi.

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Capitolo 3
*** Non tutti i capitani sono vecchi e fumano la pipa ***


«Dev’essere stato lo shock, vero doc?»

 

«molto probabile. Presto si riprenderà…»

Voci lontane, come in un sogno…

 

Aprì finalmente gli occhi, e all’improvviso ricordó… la fuga a piedi, il deserto, la nave arrivata dal cielo e le ultime battute che aveva scambiato con la biondina in tuta rossa... 

 

Un uomo corpulento di mezza età era chino su di lei, indossava un camice bianco: doveva essere un medico. A poca distanza la bionda, il pancione con gli occhiali, quello belloccio e vicino alla porta una spilungona anoressica coi capelli ossigenati dai riflessi acqua e gli occhi più enormi che avesse mai visto. Tutti stavano aspettando che tornasse in se.

 

«ben svegliata figliola! Io sono Zero, il medico di bordo. Come ti senti?»

 

«stavo meglio prima…» così dicendo cercó di alzarsi dal letto ma venne fermata.

 

«non è il caso che tu ti metta in piedi! Hai subìto un forte shock, devo visitarti…»

 

«sciocchezze… sto benone!» si tiró lesta in piedi e si diresse alla porta, decisa a darsi un’occhiata intorno; appena varcata la soglia andó a scontrasi con un tizio che stava entrando

«hei! Guarda dove vai!». Poteva vedere distintamente la stampa sul davanti della maglia

«tsè… ti piace passare inosservato…» disse guardando il teschio in campo nero che spiccava sul petto del nuovo arrivato.

 

Quello non disse una parola, così Kaya sollevó la testa per guardarlo in faccia.

 

Un improvviso giramento di testa, una forte nausea e rigettó sui piedi del nuovo arrivato.

 

«Ti presento il nostro capitano bambina» l’avvisó il corpulento vicecomandante.


Dopo la figuraccia fatta col capitano; che non era assolutamente il vecchio barbuto con la pipa che si era immaginata, ma una versione più matura, più dark (e più affascinante) del giovane Tadashi e orbo di un occhio, le venne assegnata una cabina.

 

«… finché decidiamo il da farsi…» come le aveva spiegato il vicecomandante.

 

Ed era appunto lì a riflettere, mentre giocherellava col coltello. La situazione era drammatica e assurda al tempo stesso. Il cellulare era morto: aveva provato a chiamare Frank, quel viscido del suo “principale”, ma non c’era stato verso, e la batteria era ad un triste 15%, tra poco l’avrebbe abbandonata e dubitava che a bordo di quel transatlantico stellare avessero un cavetto usb. C’era da prenderne atto: era sola in un mondo che non le apparteneva.

Non era spaventata: sapeva cavarsela; quel che la preoccupava era l’incognita di quella realtà totalmente sconosciuta.

 

E poi il capitano la innervosiva.

Il ragazzo figo, Tadashi, era ok: ci aveva scambiato un paio di battute; idem per il vicecomandante, anche se la trattava da ragazzina stupida; e Kei, la ragazza bionda.

Ma il nero capitano era un mistero… così a intuito doveva essere uno dei soliti stronzi con la puzza sotto il naso e l’arroganza di chi comanda a bacchetta. Le sue riflessioni vennero interrotte da una voce che le urlava da dietro la porta.

 

«Hei ragazzina! A rapporto dal capitano!»



 

«Ecco qui la ragazza capitano»

Yattaran aveva condotto Kaya da Harlock trascinandola per un braccio, mancavano solo un paio di manette ai polsi per renderla una perfetta prigioniera. La spinse di malo modo facendole fare due passi avanti a lui, a poca distanza dalla scrivania dietro la quale Harlock si ergeva cupo e minaccioso.

 

«vicecomandante puoi andare».

 

Rimasero da soli.

 

Da quando la piccola Mayu era sparita dalla sua vita, anni prima, il carattere di Harlock si era fatto ancor più duro e schivo, a tratti spietato. Ormai solo Meeme riusciva a stargli accanto.

 

Un sorriso sbilenco, appena tirato

«…una ladra… e adesso dimmi: per quale motivo dovrei tenerti a bordo della mia nave?»

 

Questo tizio le dava i brividi: era freddo come ghiaccio. 

«se non sbaglio, quando si raccoglie un naufrago, va portato sano e salvo al primo porto…» non voleva mostrarsi turbata anche se l’agitava un po’ il ricordo del loro primo incontro: vomitargli sugli stivali non si era rivelato un buon preludio.

 

Altissimo e nero, a braccia incrociate; l’occhio di brace la stava trapassando. Avrebbe giurato di scorgervi dei lampi in quelle sfumature di castano dell’iride.

Continuava a sorriderle beffardo, come se lei fosse un insetto… una misera pulce noiosa.

 

«questa è una nave pirata: non risponde a nessun codice. E sto ancora aspettando…»

 

Improvvisamente caló un pugno sul piano ligneo del tavolo e Kaya suo malgrado sussultó.

 

«dimmi perché non dovrei lasciarti a marcire sul primo pezzo di roccia che incontro sulla mia rotta!»

 

«…perché non so dove altro andare…»

Un bagno d’umiltà forse le avrebbe salvato la vita, e non sbaglió.

 

«mi sembra una ragione sufficiente, ma….» 

Lasciava cadere le parole dall’alto, e Kaya si sentiva esattamente un insetto molesto.

 

«… come faccio a fidarmi di te? Non che tu rappresenti un pericolo… ci sono 60 uomini addestrati all’arte della guerriglia su questa nave, e non turberesti nemmeno Masu San… ma non voglio aprire la mia casa a un serpente, per quanto innocuo.»

 

Kaya cominció a sudare freddo. Aveva capito che quel tipo non ci avrebbe pensato un secondo a sbarazzarsi di lei, ammutolì e abbassó la testa, fissandosi la punta delle scarpe. Era la prima volta in vita sua che si sentiva veramente inferiore.


Lunghi capelli castano scuri e occhi verdi… l’età era pressoché la stessa. Quella ladruncola arrivata da chissà dove le ricordava Mayu, ma solo nell’aspetto perché se apriva bocca era evidente che si trattava di due personalità agli antipodi.

Ma ugualmente posare lo sguardo su di lei apriva ferite mai rimarginate.

 

Il gesto di abbassare gli occhi lo ritenne abbastanza sottomesso da placare la sua rabbia.

 

«torna nel tuo alloggio. Per ora resterai con noi.»

 

Uscita la ladruncola non potè fare a meno di rievocare i ricordi della sua Mayu: quella che prima aveva contribuito a crescere quasi come una figlia, e che era divenuta poi il suo amore più importante. Finché di punto in bianco se ne era andata, senza uno straccio di spiegazione. Chissà dov’era adesso? Chissà se dormiva sola o tra le braccia di un altro… 

Aveva sofferto come un cane per anni cercandola ovunque, ma non era riuscito a sapere nulla. Lei era riuscita a scomparire lasciandolo solo e sgomento. Poi il tempo aveva attutito il dolore bruciante rendendolo sordo e pulsante ed era andato avanti, in qualche maniera; ma era cambiato.

 

E adesso era spuntata questa teppistella arrogante, che nulla aveva a che spartire con la sua Mayu, se non per l’aspetto esteriore: in effetti non l’aveva lasciata al suo destino solo per questo.

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Capitolo 4
*** Giù le zampe! ***


Le era stato restituito il coltello: come le aveva detto Harlock lei non era una minaccia in una nave pirata zeppa di guerrieri; meglio così, anche se lei al posto suo, col cavolo che gli avrebbe consentito di girarsene armato dentro casa propria.

 

Il guercio capitano sembrava averla relegata nel dimenticatoio dopo il loro breve incontro: quell’uomo continuava ad essere un mistero. 


«allora capitano? Hai deciso cosa farne della piccola borseggiatrice?» Yattaran voleva risolvere la questione: continuava a pensare all’anomalia che aveva portato la ragazza a fare quel salto temporale, e riuscire a sbrogliare quel rompicapo era diventato il suo tarlo. Lui e Tadashi nel tempo libero azzardavano ipotesi e stilavano teorie, ma senza qualcosa di concreto su cui lavorare rimaneva tutto campato in aria.

 

«si. Me ne occuperó personalmente a breve.» Fine. Non aggiunse altro.

Ma il taciturno capitano ci stava pensando dal momento stesso in cui la ragazza era salita a bordo, e si era fatto un’idea abbastanza precisa di cosa volesse da lei e la sera stessa glielo comunicó.

 

«domani dopo cena ti aspetto al poligono. Puntuale.»

 

Finalmente avrebbe fatto qualcosa di concreto, oltre a girovagare ciondolando.


Quando Harlock arrivó Kaya era già lì ad aspettarlo, tormentandosi le unghie: nonostante tutto un po’ di soggezione la provava.

 

«Qui entrerai solo se accompagnata»

 

Ribadire il motivo sarebbe stato superfluo: il poligono era anche l’armeria più fornita che avesse mai visto.

 

Harlock scelse una pistola tra le centinaia, si portó alle sue spalle: Kaya sentiva il suo corpo premerle contro la schiena.

Harlock si abbassó affinchè il suo volto non le sfioró la guancia. Sentiva i suoi capelli che la accarezzavano appena. 

“che accidenti s’era messo in testa questo guercio? Era evidente che non sapeva con chi aveva a che fare!”

 

Un secondo dopo la lama del coltello era a pochi millimetri dalla gola di Harlock.

«tieni a posto le tue zampacce schifose. Li conosco quelli come te… e so come sistemarli» disse minacciosa tra i denti.

 

Harlock rise sommessamente 

«cosa ti fa credere che mi possa interessare a una mocciosa della tua risma?»

 

In un secondo la disarmó.

Ora il coltello era puntato sotto le costole di Kaya.

 

La stringeva più forte: la mano destra a serrarle il collo in una morsa d’acciaio, la sinistra reggeva il pugnale che le pungeva dolorosamente il costato.

 

«… una mocciosa coi modi di una pescivendola. Sono altre le donne che attirano la mia attenzione…» le sibiló all’orecchio, e Kaya sentì il calore del suo fiato sulla guancia, mentre la fronte s’era fatta madida di sudore.

 

deglutì a fatica. Poteva respirare a stento

«ok ok… ho capito! Diciamo che c’è stato un malinteso… adesso lasciami, ti prego!» 

 

Non si spaventava facilmente: abituata a frequentare ambienti poco raccomandabili, aveva più volte avuto a che fare con delinquenti; qualcuno anche realmente pericoloso, ma si sapeva difendere senza difficoltà. Questa volta capì di avere a che fare con un’altro genere d’uomo: tutt’altra tempra rispetto ai malavitosi di periferia ai quali era abituata.

 

La stretta si allentó e lui si allontanó di qualche passo, scrutandola con un sorrisetto beffardo.

 

«Sei solo una presuntuosa ladruncola teppista. Adesso mettiamoci al lavoro! Non ho tutta la notte…» Così dicendo le porse il coltello.

 

Kaya capì di aver appena scoperto un sentimento a lei sconosciuto fino a quel momento: era quasi sicura si trattasse di rispetto. Quell’uomo non otteneva obbedienza usando la paura, nella sua estrema durezza non era mai scorretto.

 

Come se non fosse successo nulla, continuó

«non bisogna solo avere una buona mira…» mentre parlava stava controllando attentamente l’arma «bisogna conoscerne i segreti ed averne cura. È un estensione del tuo braccio, devi sentirla parte di te…»

 

«Io so usare bene solo la mia amica…» velocissima estrasse nuovamente il coltello a serramanico.

 

«Notevole. Ma raramente si arriva a un corpo a corpo. Le armi da fuoco sono molto più efficaci durante gli arrembaggi.»

 

Nuovamente si portó alle sue spalle:

«adesso non eccitarti, perché ti sto solo insegnando come puntare un’arma e sparare…» lo disse serio

 

«sì… ti piacerebbe!» doveva sempre avere l’ultima parola «non ci tengo a farmela con uno che potrebbe essere mio padre!»

 

La frecciata arrivó a segno, ma Harlock finse di farsela scivolare addosso

«Non così! Braccia tese!» la colpì forte sotto il gomito, e la pistola le sfuggí di mano, cadendo rumorosamente a terra.

 

«raccoglila!»

Uno schiaffo pesante sulla nuca 

 

«ahi!!!! Non serve menare le mani!»

Un nuovo schiaffo, più forte.

 

«La finisci?! Ho capito sai? Non sono stupida!»

 

«silenzio! Ubbidisci!»

 

Furono ore intense, ogni distrazione la pagava con uno schiaffo, Harlock aveva le mani pesanti. Uscì dal poligono con un terribile mal di testa.

 

«Da ora in avanti ci penserà Tadashi ad addestrarti.»

 

«ah…» ne fu delusa. Erano state ore stremanti, Harlock era un insegnante che esigeva il massimo e non perdonava nulla, ma stare vicino a quell’uomo le metteva addosso un’energia diversa, la contagiava con la sua forza.

 

Harlock percepì la nota delusa nella sua voce, attribuedola ai risultati ottenuti in così poco tempo sotto la sua guida, dovendo farne a meno in futuro.

 

«Bevi alcolici?» 

 

«A volte»

 

«Un bicchiere di vino?»

 

Kaya rise «il vino lo beveva mio nonno. Una birra va benissimo…»

 

Erano tutte così le ragazze del passato? Riflettè.

No, forse no. Forse lo era solo quella in particolare: sboccata e sfacciata come un ragazzo ma bella, di carattere e sicura di se.

 

«Vada per la birra allora…»



 

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Capitolo 5
*** Il fantasma di Mayu ***


Meeme seduta su una poltroncina accanto al panorama stellato suonava un’arpa enorme e li accolse con una melodia densa di malinconia. Era totalmente immersa nel suo mondo e tra le note dello strumento; sembrava non si fosse nemmeno accorta della loro presenza.

Quella musica bene si adattava all’arredamento e all’atmosfera di quelle stanze che sembravano uscite dal set di un film sui corsari.

 

Harlock si mise comodo, togliendosi guanti e mantello e accingendosi a prendere due bottiglie di birra nel frigo bar.

 

«allora? Dimmi, cosa facevi nella tua vecchia vita?»

 

Kaya si andó a sedere su una delle poltroncine attorno alla lunga tavola di legno massiccio

«aaaaah…» sospiró profondamente «sono una ladra, una borseggiatrice. Ogni tanto faccio il baro, quando capitano i giri giusti…»

 

Harlock sorrise «sai badare a te stessa! Famiglia? Amici?»

 

Kaya si rabbuió «non mi va di parlarne… vivo con Frank… il figlio di puttana che mi ha presa da bambina e mi ha insegnato il mestiere… tutto qui…»

 

Harlock aggrottó la fronte

«vivi con tipo simile? Da quanto?»

 

«avevo 12 anni… ma non mi va di parlarne.»

Afferró la bottiglia che gli aveva posato dinnanzi e bevve un lungo sorso.

 

Quella ragazza non doveva aver avuto una vita facile. Chissà cosa aveva passato con un tipo simile… era un miracolo che non battesse i marciapiedi.

 

«d’accordo ma… i tuoi genitori? Sono morti?»

 

«uffa…» rivolse gli occhi al cielo. «no. Almeno non credo: sono scappata di casa a 12 anni. Mio padre non l’ho mai conosciuto: ha messo incinta mia madre e se l’è svignata. Io ho vissuto con mia madre e i suoi genitori. Mio nonno era ambasciatore in sudamerica, è li che mia madre ha conosciuto mio padre. La solita storia: una ragazza di buona famiglia cresciuta sotto una campana di vetro, esce di casa di nascosto spinta dall’amica più “vivace”, incontra un bel giovanotto in licenza. Si frequentano per qualche giorno, lui se la porta a letto e finita la licenza sparisce. Non ha mai saputo di me. Fine della storia.»

 

«capisco…» ad Harlock venne in mente Mayu: seppure orfana era sempre stata accudita e protetta. «come mai sei scappata? Ti maltrattavano?»

 

«non proprio. Mio nonno è molto severo: non avevo il permesso di uscire se non accompagnata, ogni volta che decidevo di uscire fregandomene delle sue stupide regole, mi puniva. L’ultima volta mi minacció di rinchiudermi in un collegio inglese: dall’altra parte del mondo! Senza mia madre per sette lunghi mesi. Sono scappata di nuovo, ma quella volta ho avuto la sfortuna di finire nelle grinfie di Frank…»

 

«vuoi dire che ti ha rapita?» 

 

«funziona così da quelle parti: se finisci nella parte sbagliata della città è quasi certo che finirai male. E le ragazzine come me… quelle con gli occhi chiari intendo… fanno gola… a certa gente…»

 

«ti vendeva?»

 

«no. Non è arrivato a tanto. Oh, ma basta! Possiamo cambiare argomento?»

 

Abbassó il viso, un’ombra di tristezza le caló sul volto.

 

Alla tenue luce delle candele, nell’angolo dove era seduta l’ombra era più fitta. L’oscurità giocava sul suo volto, come chiaroscuro vivo e liquido che mutava i tratti del volto. E gli occhi verdi divennero blu come le profondità dell’oceano, e i capelli castani si cambiarono in lunghi nastri di nera seta: lì davanti a lui c’era la sua bellissima Mayu, ed era seduta proprio lì, su quella poltroncina dove aveva giocato nervosamente col fazzoletto che lui le aveva dato, con le lacrime agli occhi per Tadashi, e per lui…


Harlock rimase sconcertato. Era identica a Mayu, se non avesse saputo chi aveva davanti l’avrebbe scambiata senza dubbio per lei…



 

Una mano si levó per carezzarle dolcemente il viso: gli occhi velati di nostalgia sfocarono di più la visione; rendendo vivida l’illusione.

 

Kaya era incantata: vedere il capitano smettere i panni del freddo comandante e divenire tenero e vulnerabile era stata una piacevole rivelazione. Aveva maturato quasi un’adorazione in pochissimo tempo, per quell’uomo rigido ma leale, spietato ma giusto. Forse perché era il primo uomo che non si era comportato con lei da bastardo pezzo di merda.

 

Poteva essere vero? Poteva provare un sentimento di tenerezza per lei? Per la teppista rozza e ignorante? Avrebbe dovuto porsele quelle domande, perché quando Harlock posó le sue labbra sulla bocca di lei cedette ai sentimenti e il suo cuore diffidente e acerbo si sciolse in caldo desiderio.

 

Le prese il viso tra le mani, tenendola ferma si sazió del suo sapore, del suo caldo respiro e fu come se ci fosse veramente Mayu tra le sue braccia, perché Kaya fu arrendevole e complice.

 

Fu Solo quando la sentì mormorare che l’incanto si spezzó.

 

Kaya aveva un timbro di voce roco e sensuale, mentre la sua Mayu una vocina dolce e musicale.

 

Ritornó in se, allontanandosi bruscamente, come se stesse abbracciando un serpente a sonagli.

 

«non sei lei! Non lo sarai mai…» mormorò amareggiato e disilluso.

 

«ora vattene! Lasciami solo!»

 

Mentre lasciava le stanze del capitano, scombussolata per quello che era successo cercó di riflettere.

Era evidente che nel suo cuore c’era una donna e in qualche maniera lei gliela ricordava… ma chi era? La curiosità diventava sempre più morbosa, i misteri di Harlock e tutto ciò che gli girava intorno l’attiravano come ape sul miele.


•••••••••••••

 

«Yattaran, mi sai dire qualcosa sulla ragazza del capitano? Chi è? Dov’è ora…»

 

Yattaran sghignazzó interrompendola

«ma non mi dire! Eccone qui un’altra: ti sei presa una cotta per il capitano!… hei Kei, senti qui!» gesticolava in direzione del secondo ufficiale «la sbarbatella ha messo gli occhi su Harlock!»

 

Poi si giró verso di lei

«non hai la più pallida idea del guaio in cui ti stai cacciando.» Ridacchiando le passó accanto per tornare al suo posto.

 

Si avvicinó Kei, con lo sguardo tra il tenero e il divertito «dagli retta: il capitano ha una storia molto complicata alle spalle e non credo sia disponibile ad un nuovo flirt… non dimenticherà facilmente lei…»

 

«chi sarebbe questa lei?» Kaya moriva di curiosità.

 

«È meglio che lasci le cose come stanno. Al capitano non piace chi ficca il naso nei suoi affari, e non piace che si parli di lei… va su tutte le furie.» Poi, come ripensandoci, aggiunse

«ci sono donne che darebbero un braccio per essere al tuo posto adesso. Io mi accontenterei di questo.»

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Capitolo 6
*** Chi si fa i fatti suoi… ***


Passó la notte seguente ad immaginare come potesse essere la donna che aveva conquistato il cuore di Harlock. Era una ragazza dolce, di buone maniere e beneducata; oppure vivace, esuberante e ribelle? Aveva studiato o era una sempliciotta come lei? No: avrebbe scommesso che era una “studiata”… con la quale poteva parlare di tutti quegli argomenti complicati che interessavano a queste persone del futuro remoto…

 

Doveva assolutamente saperne di più: chi era il misterioso amore del capitano solitario e taciturno?

 

Appostata a pochi metri dalla porta d’entrata della cabina del capitano fingeva di allacciarsi le scarpe, attendeva di vederlo passare diretto in plancia per poter entrare indisturbata e cercare qualche indizio di quel tragico grande amore. La curiosità la stava divorando.

 

Finalmente sentì distintamente il suono metallico dei passi che si allontanavano in direzione degli ascensori. Un’occhiata furtiva tutt’intorno: non c’era nessuno. 

Silenziosamente sgattaioló all’interno dell’appartamento chiudendosi la porta alle spalle. Poteva agire indisturbata per almeno un paio d’ore.

Inizió dalla scrivania, i cassetti erano chiusi a chiave. Niente paura, sapeva dove le nascondeva: infiló le dita sotto il bordo del tavolo. Una scanalatura fungeva da nascondiglio semplice ed efficace. 

 

Aprì il primo cassetto e subito trovó una foto incorniciata: una ragazza che aveva più o meno la sua età, lunghi e scuri capelli, occhi di un incredibile blu oltremare dal taglio allungato. Una figlia? Una sorella minore? Possibile che quell’uomo alla soglia dei 40 fosse innamorato di una ragazzina? C’era da perderci la testa!

Non c’erano dediche, ma un foglio spiegazzato sotto la foto attiró la sua attenzione.

Cautamente lo dispiegó e lesse le poche righe in una calligrafia quasi infantile: pochi versi di una poesia d’amore. L’aveva scritta la bambina della foto? Non era firmata. Riguardando l’immagine le uscì

 

«Sei proprio un’idiota!» Rivolta alla foto «Che ti ha detto la testa? Una sana di mente non avrebbe mai lasciato un tipo così appetibile!»

 

Lasció foto e biglietto poggiati sulla scrivania e si diresse all’armadio. Spalancó le due grandi ante e cominció a frugare tra i vestiti. Su un ripiano, in un angolo, un pigiama femminile, quasi da bambina.

“Diavolo! Sarà mica pedofilo?”

 

Frugó ovunque, stando attenta a rimettere tutto a posto prima di andarsene.

Tornó alla scrivania per riporre nel cassetto la cornice con la foto quando Harlock irruppe nella stanza: non si era accorta dei suoi passi! Troppo concentrata su ció che stava facendo, il cuore le balzó in gola:

 

«Cosa cazzo ci fai tu qui?!»

 

La foto le cadde dalle mani, il vetro si sbricioló in mille pezzi.

Con un paio di falcate Harlock la raggiunse e raccolse la foto, stringendola al petto controllando poi che non si fosse danneggiata l’immagine.

 

Poi l’aggredì

«ho sbagliato a tenerti a bordo… sei solo una miserabile ladra ficcanaso.»

Dopodichè, spingendola con violenza verso la porta le ruggì

“Esci immediatamente di qui! E ringrazia di non essere un uomo, o ti avrei fatto saltare la testa! FUORI!!!”

 

Era un rischio calcolato: poco probabile ma non impossibile, ed era successo; avrebbe dovuto essere preparata e si stupì di se stessa quando un nodo le strinse la gola perché non ricordava nemmeno più quand’era stata l’ultima volta che aveva pianto.




 

«Kaya, Kaya… te l’avevo detto! Non è per te! vieni qui…»

Yattaran stava passando per il corridoio quando aveva udito sbraitare Harlock. Come tutti nutriva simpatia per quella ragazzina ancora più sola e dispersa di tutti loro, e quando l’aveva vista uscire a testa bassa gli era venuto spontaneo cercare di consolarla. Orgogliosa e strafottente qual’era, era strano vederla mogia e intristita.

 

«Non piangere! È fatto così, urla e s’incazza, a volte, ma ti assicuro che ha un cuore d’oro… a proposito: cos’hai combinato per farlo infuriare?»

 

Quando lei le confessó di essersi intrufolata per carpire informazioni Yattaran sospiró: «lascia passare qualche giorno, vedrai che gli passa. E rilassati! Ho il sospetto che la tua sia diventata un’ossessione.»

 

«non faccio altro che pensarci! Tu la conoscevi, ne sono sicura… raccontami di lei!»

 

«non mettermi nei guai! Mayu non era quella che si puó definire la sua ragazza… lei era molto di più. Nessuna potrebbe mai prendere il suo posto… » non sapeva quanto poteva sbilanciarsi «ti ha preso in simpatia, credo anche perché tu le somigli molto. Ma fidati se ti dico che questa storia è molto più complicata di ció che puó sembrare.»

 

«perchè?! È morta per caso!»

 

«no, non è morta, per quanto ne sappiamo. Semplicemente un bel giorno ha deciso di lasciarlo. Così: di punto in bianco…»

 

Kaya non chiese più nulla. Sentiva che c’era qualcosa di grosso sotto, ed era decisa a scoprire cosa fosse, ora più che mai.

 

Scattó l’allarme che annunciava o un’attacco imminente o un cargo da assaltare e depredare.

 

«Il dovere mi chiama! E tu stai serena…» Yattaran fuggì letteralmente lasciandola sola.


“Miserabile ladra ficcanaso…” non era mai stata turbata da queste parole, adesso, pronunciate da lui, la ferivano e la facevano stare male. Era diventata fragile e stupida: solo poche settimane prima non si sarebbe mai fatta sorprendere durante un furto… o fatta insultare senza nemmeno provare a difendersi. Fosse stato un altro, sarebbe arrivata alle mani: gli avrebbe fatto ingoiare ogni parola, insieme al disprezzo. Ma con lui era diverso, non riusciva a provare rancore nonostante l’avesse cacciata a calci.


 

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Capitolo 7
*** Arrembaggio! ***


«Centro! Non ne sbagli uno!» Tadashi si avvicinó per complimentarsi con lei.

 

«fai mangiare la polvere anche a Kei, e lei è una dei migliori cecchini che abbiamo. Azzarderei che sei seconda solo al capitano! Ce l’hai nel sangue.» così dicendo le piazzó una sonora pacca sulla spalla, che le fece quasi perdere l’equilibrio.

 

«Adesso voglio provare coi bersagli in movimento!» Si sentiva come se avesse avuto l’energia per spaccare in due il mondo intero. Se non fosse stato per l’opinione che il capitano aveva di lei, avrebbe trovato questa nuova vita molto migliore della precedente.

 

Ormai era parecchio che si esercitava a sparare sotto la supervisione di Tadashi, orgogliosa dei suoi progressi, sperava in un futuro non troppo lontano di dimostrare ad Harlock di non essere solo una ladra inaffidabile.

 

L’occasione si presentó pochi giorni dopo.

Un incrociatore mazoniano li aveva scovati e si era messo in mente di poter sconfiggere l’Arcadia. Harlock non vedeva l’ora di distruggere miseramente le pie illusioni del capitano della nave avversaria.

Dopo un cruento fuoco, nel quale l’incrociatore ebbe la peggio, invece di finire il nemico e chiuderla lì, Harlock decise di assaltare la nave e razziare tutto quel che si poteva. Le navi di quelle dimensioni portavano sempre carichi interessanti.

 

«Kei e Tadashi: prendete dieci uomini a testa e preparatevi all’arrembaggio. Vicecomandante tu mi servi qui.»

 

«Posso venire anch’io?» Kaya s’era fatta avanti.

 

La considerava una poco di buono, “teppista” glielo aveva ripetuto mille volte almeno: avrebbe tanto voluto conquistare un minimo del suo rispetto.

 

Harlock la fissó, poi acconsentì «starai in squadra con Kei, che chiuderà la retroguardia.»

 

Si rivolse poi al secondo ufficiale 

«l’affido a te, tienila d’occhio».

 

Quando fecero irruzione nella nave nemica trovarono l’inferno: fuoco e fumo, soldati armati fino ai denti cercavano di sbarrare loro la strada; Harlock era in avanguardia coi suoi dieci veterani, lo seguiva la squadra di Tadashi, Kei e i suoi chiudevano la fila. Si separarono per perlustrare un quadrante più ampio. 

Il primo soldato che Kaya riuscì a centrare la sconvolse: erano donne, quando venivano colpite prendevano fuoco come torce.

Riuscirono ad arrivare alle stive: Kei avvisó Harlock che contattó Yattaran, a breve avrebbe inviato i mezzi per il trasporto delle merci trafugate.

Non era stato troppo difficoltoso arrivare fin lì: il fuoco di copertura era efficiente, i soldati di mazone erano in difficoltà per la scarsa visibilità e il panico.

 

Li raggiunse anche Harlock «Kei, cominciate a rientrare col mio gruppo, io vi copro le spalle.»

 

Quando Harlock si infiló nel corridoio invaso dal fumo per intercettare eventuali truppe nemiche, Kaya lo seguì senza esitare: ignoró il suo ordine e si allontanó da Kei, voleva rendersi utile e non lasciarlo da solo.

 

La visibilità era scarsa, fumo e fiamme rendevano complicato procedere, ma Kaya seguiva il nero mantello. Svoltato un angolo venne afferrata per le spalle e un braccio d’acciaio le serró la gola.

 

«cosa diavolo ci fai qui?! Ti avevo detto di restare con Kei!»

 

«volevo… aiutarti…» rispose, massaggiandosi il collo.

 

«credevo di avere alle calcagna un soldato di Raflesia! Fai più attenzione! E comunque… mi faccio guardare le spalle solo dai miei uomini… solo di loro mi fido.»

 

Il sottinteso era chiaro.

 

«Dobbiamo proseguire in fretta. Andiamo.»

 

Finalmente Harlock disse 

«ci siamo! Il trasmettitore riceve il segnale dell’Arcadia: siamo vicini all’uscita!»

 

Tra il fumo, sbucó un soldato di Mazone: doveva averli seguiti aspettando il momento opportuno per attaccare.

Caricó da sinistra, era il lato scoperto di Harlock: senza pensarci Kaya si mise in mezzo proprio nell’attimo in cui partì un colpo di fucile blaster che la centró in pieno. Il dolore le paralizzó le gambe, cadde a terra e respirare divenne quasi impossibile: il fumo era denso e acre.



 

Harlock le teneva la mano e la fissava serio, col volto tirato, quasi sofferente.

Sotto la maschera dell’ossigeno era pallida come una statua di gesso, le occhiaie scure la facevano paurosamente somigliare ad un cadavere. Il braccio con l’ago della flebo, abbandonato e inerte, sembrava senza vita.

 

“Ti prego, svegliati…”

 

Zero l’aveva rassicurato: lei era giovane e forte, aveva perso molto sangue ma si sarebbe ripresa, eppure si sentiva ugualmente come se l’avesse sparato lui quel colpo.

Inutile fare finta di niente: nella sua testa Kaya era l’alter ego di Mayu. Se Kaya soffriva, soffriva anche Mayu; da pazzi, ma era così che la viveva e non poteva farci niente. Si sentiva responsabile, avrebbe dovuto rimandarla indietro quando l’aveva sorpresa a seguirlo, invece le aveva permesso di accompagnarlo.

Quando era caduta, prima aveva crivellato di colpi la mazoniana, poi aveva raccolto Kaya e chiamato rinforzi. Dopo pochissimi minuti lei era già affidata alle cure di Zero.

 

Le gocce di daptomicina si susseguivano con ipnotica lentezza dalla bottiglia della flebo alla cannula infilata nel suo braccio.

 

«capitano, capisco la tua preoccupazione, ma ti assicuro che la ragazza non è in pericolo di vita. Ci sono io con lei.»

 

«ti ringrazio dottore, ma preferisco restare ancora un po’.»

 

Zero appoggió una mano sulla sua spalla

«ho capito cosa ti passa per la testa: non è colpa tua, e lei non è Mayu. Non assecondare queste tue fantasie, non ti fanno bene».

 

Harlock annuì ma non rispose.

 

Dopotutto non era solo una ladruncola senza scrupoli, era come aver scoperto dei diamanti in una pozza di fango. Si vergognó immediatamente di quel pensiero.

Se lei non gli avesse fatto scudo col proprio corpo, probabilmente i loro posti sarebbero stati invertiti: e in quell’attimo si rese conto della sua miseria. Quella ragazza era sola, immensamente lontana da tutto ciò che conosceva, se fosse morta lì, nella sua epoca, sarebbe semplicemente sparita per tutti… come se non fosse mai esistita. Questa realtà gli riempì il cuore d’angoscia.

 

La mano che stringeva si mosse piano. Si stava svegliando.

 

Quando aprì gli occhi, il contrasto con la pelle diafana li fece risplendere come giada su un tappeto di neve.

 

«sono felice di esserti stata utile» era molto debole e parló quasi sussurrando.

 

«non parlare, conserva le forze. Ti devo ringraziare, anche se non lo avresti dovuto fare» anche lui parlava piano, con un accenno di sorriso.

 

«volevo dimostrarti di…» deglutì a fatica, la lingua impastata.

Harlock le porse un bicchiere d’acqua che bevve avidamente a piccoli sorsi.

 

«volevo dimostrati di essere qualcosa di più di una delinquente»

 

Vista così, inerme, debole… suggeriva che potesse essere tante cose ma non una delinquente, riflettè.

 

«no, non sei una delinquente, ti sei guadagnata il diritto di essere a tutti gli effetti un membro di questo equipaggio.»

 

Era sopraggiunta Meeme, aveva saputo dell’incidente accorso a Kaya e voleva dare il cambio ad Harlock. La sua natura empatica la portava ben volentieri ad accudire chi soffriva nel corpo e nell’anima. Si fermó sulla soglia, silenziosa, ad osservare.

Harlock era chino sulla ragazza assorbito da una conversazione che aveva rapito tutta la sua attenzione. Il suo volto era stanco ma, finalmente, sereno. Non sentiva ciò che i due si dicevano ma il suo atteggiamento le ricordava troppo le premure che fino a qualche tempo fa riservava solo a Mayu.

Quella ragazza era un enigma, la sua somiglianza con Mayu pericolosa, rappresentava una debolezza di Harlock, debolezza che non si poteva permettere. Sospiró: come poteva aiutarlo? Aveva appoggiato il suo sentimento per Mayu, incoraggiandolo, ma si era rivelato un disastro: invece di renderlo felice, quella relazione l’aveva gettato nella disperazione e nel dolore. Se l’avesse lasciato fare era sicura che questa ragazza piano piano, sarebbe stata capace se non a prendere il posto di Mayu, almeno ad essere una dolce consolazione.

Decise che questa volta non si sarebbe intromessa. 

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Capitolo 8
*** Pedinamenti ***


«Domani faremo porto ad Eta Carinae*…» Harlock diede questo annuncio come se stesse commentando la situazione meteorologica, prima di lasciare la plancia e ritirarsi.

 

Si alzarono esclamazioni di giubilo, mentre Kei fece una smorfia infastidita «Ecco, ci risiamo…»

 

«beh?! Che c’è di particolare su questo Eta Carinae?» chiese Kaya.

 

«puoi immaginare il posto più volgare, degradato, vizioso e squallido dell’universo?»

 

«si, certo!»

 

«bene! Puoi scommetterci che Eta Carinae è molto più deprimente di quello!»

 

«mmmm… interessante… e perché il capitano vuole andarci?»

 

«non riesci proprio ad immaginarlo?» 

 

«Più o meno, solo che non me lo vedo Harlock che va a puttane. Il vicecomandante invece sì.»

 

«non è sempre stato così… » sospiró Kei ma non aggiunse altro.




 

Un piano si era insinuato nella sua mente. La sera dopo tutto l’equipaggio era avviato a recarsi nel centro della città. Kei e Tadashi si avvicinarono a Kaya 

«vuoi venire con noi? Andiamo al casinó, è il posto meno peggiore di tutto questo puttanaio…»

 

«no, grazie. È la prima volta che visito un pianeta alieno: mi faró un giretto, voglio osservare il più possibile…»

 

«come vuoi!» la moto con a bordo Kei e Tadashi partì sgommando.

 

“non me ne frega un cazzo del pianeta! Devo sapere dove se ne va il guercio…”


Si fermó appena fuori dall’Arcadia, a pochi passi dall’Hangar dal quale uscivano i mezzi di trasporto. Aprì la borsetta e ne versó il contenuto a terra, poi si accucció fingendo di raccogliere tutto per prendere tempo, mentre tutti i pirati le passavano accanto: chi su moto, chi su automobili, qualcuno a piedi. Il capitano ancora non si vedeva.

 

Appena uscì l’agganció:

«sono rimasta a piedi… me lo dai uno strappo?»

 

E così guadagnó un passaggio a bordo del bolide del capitano. Sfrecciavano tra le vie spoglie, bambini malvestiti e lerci giocavano per strada nonostante la sera fosse calata da un bel pezzo. Prostitute volgari e trasandate appostate ogni pochi metri ad offrire corpi macilenti o troppo generosi. Ma doveva ammettere che farsi vedere aggrappata a quel bel pezzo d’uomo, a bordo del motociclo di grossa cilindrata fece sentire bellissima anche lei.

 

Harlock parcheggió la moto in un piazzale in periferia.

«laggiù c’è una fermata dell’autobus. Ti porterà in centro senza spese”.

 

«non posso venire con te?» provare non costava nulla, ma prevedibilmente:

 

«no, non puoi. Ho degli affari da sbrigare. Fatti riaccompagnare da qualcuno della ciurma…»

 

Detto questo si avvió a passo spedito dalla parte opposta delle luci della città.

Kaya contó mentalmente fino a 10, poi gli si mise alle costole.

Sapeva pedinare senza farsi scorgere: aveva affinato la tecnica quando doveva borseggiare le signore ingioiellate. Le puntava, le seguiva per 2 o 3 isolati e al momento giusto passava all’azione.

 

Harlock camminó a passo spedito per una ventina buona di minuti, dopodichè si fermó dinnanzi ad un piccolo squallido e vecchio condominio, imboccó il portoncino d’entrata.

 

A fare da palo una donna di mezza età truccata in maniera esagerata. Era sicuramente l’entrata di un bordello d’infimo ordine.

 

«che delusione capitano! Mi sembravi più un tipo da escort…»

 

Giró l’angolo e aprì la borsetta che aveva a tracolla: ne estrasse un fagotto e un paio di scarpe dai tacchi vertiginosi. Per fare quel che aveva in mente doveva intonarsi con l’ambiente circostante e vestirsi da puttana era il minimo.

Non aveva ne il tempo ne gli strumenti per un trucco elaborato: un rossetto rosso fuoco sarebbe bastato.

Il fagotto si riveló un tubino in similpelle talmente corto e stretto da coprirle a malapena il sedere.


Entró senza esitare.

La hall del bordello era squallida come l’esterno: moquette vecchia e consunta nocciola stinto, carta da parati di uno squillante rosso mattone con decorazioni che un tempo dovevano essere state color bronzo,  un bancone di finto legno con un abat-jour dalla quale penzolava una frangia di perline multicolori. Poster con ragazze completamente nude in pose molto poco eleganti decoravano le pareti.

 

Fu subito fermata da un tizio che doveva essere il pappa: al collo aveva un’oreficeria e anelli vistosi alle dita.

 

«chi sei tu? Che vuoi? Cerchi lavoro?»

 

«cosa voglio io?! Sono venuta a cercare quel porco di mio marito! Dimmi dov’è! Questa volta lo mando in ospedale!»

 

«abbassa la voce gallinella… non posso sputtanare i miei clienti! Aspettalo fuori tuo marito!»

 

«senti carino…» frugó nella borsetta e ne trasse un rotolo di banconote che aveva rubato dalla scrivania di Harlock poche ore prima. Era sempre molto previdente.

 

«fammi questo favore… devo fotografare quello stronzo mentre si scopa la tua puttana: mi servono le prove o non becco un quattrino dal divorzio!»

 

Mise il rotolo di soldi in mano al tizio.

 

Dalla faccia dell’uomo, non doveva aver mai visto tanti soldi in una volta sola, e tentennó solo un attimo.

 

«d’accordo, dimmi chi è tuo marito, descrivimelo»

 

«alto, slanciato, sfacciatamente bello e… gli manca un occhio.»

 

A quelle parole il tizio ridacchió e la squadró meglio da capo a piedi

«certo! Dovevo immaginarlo…»

 

«che cosa? Cosa immagini? Parla!»

 

«dovevo immaginarlo che fosse lui, basta guardarti! Sei identica a Sarah… vuole sempre e solo lei. Guarda!»

 

Tiró fuori da sotto il bancone la foto di una ragazza e quando la vide non ne restó affatto stupita: poteva essere un suo ritratto perché mostrava una giovanissima mora con gli occhi chiari, tra il grigio e il verde.

“Ma allora è un maniaco! Lo sapevo che aveva qualcosa che non andava…”

 

«… non capisco perché venga a cercarsi la mia puttana, quando a casa ne ha una già bella che pronta all’uso…»

 

«hei! Non sono fatti tuoi! Come ti permetti?!» fare la finta indignata la divertiva sempre molto: aveva la vena dell’attrice consumata.

 

«comunque adesso è nella 305, secondo piano. Se sali subito lo becchi con le dita nella marmellata… se la vogliamo mettere così…»

 

«sai cosa? Ci ho ripensato: è meglio se me lo tengo. Mi porta un sacco di soldi, e poi ho due bocche da sfamare a casa… per adesso va bene così, faró finta di nulla…»

 

«come ti pare, ma i soldi li tengo…»

Kaya fece un gesto con la mano, come per mandarlo a quel paese e si giró per uscire, quando una voce la fece trasalire.

 

«E quella? Dove la tenevi nascosta? Chi è?»

 

Kaya si immobilizzó, con un piede fuori la soglia pronta a scattare. 

“Porca vacca! Ha già fatto? Capitano, sei scarsetto a quanto pare…”

 

Era la voce di Harlock che aveva finito di farsi i fatti suoi e stava uscendo dal bordello.

 

Il tipo sghignazzó divertito

«dovresti conoscerla molto bene, ma lasciatemi fuori dalle vostre beghe familiari…»

 

Harlock lo guardó interrogativo

«la devi conoscere molto bene perché dice di essere tua moglie…»

 

Kaya stava già correndo lungo il marciapiede più veloce che poteva, con Harlock alle calcagna. Si fermó giusto un secondo per togliersi le scarpe col tacco e riprese a correre più veloce di prima.

Non conosceva la città quindi correva a casaccio, infilandosi in vie affollate per far perdere le sue tracce ma Harlock le stava sempre dietro.

 

“Merda! Ne ha di fiato!”

 

Un paio di volte fu li li per agguantarla e stava disperando di poterlo seminare quando si infiló in una via più larga, costeggiata di locali non proprio per signore. Infiló la prima porta e la sorte fu propizia: era una discoteca zeppa di gente. Sgomitando avvicinó la prima donna e le si aggrappó addosso

«Presto!!! Il bagno delle signore!»

La tipa, evidentemente strafatta di qualche sostanza stupefacente, si limitó ad indicare un punto nel buio alla sua destra.

 

Harlock intanto stava fendendo la folla, cercandola.

 

Kaya si abbassó, sperando di nascondersi e sgattaioló nella direzione che le era stata indicata.

 

«sono proprio dei veri cessi!» disse Kaya storcendo il naso, e passando avanti tra la fila di ragazze e donne che si era formata in attesa.

 

«hei! Aspetta il tuo turno!» una donna sulla sessantina, grossa, mal truccata e coi denti guasti la rimproveró.

 

«ma per favore!!!!» cosí dicendo Kaya estrasse il coltello facendolo girare abilmente tra le dita

«coraggio, via via toglietevi di mezzo! C’è un tizio che mi sta dietro… fatemi entrare!»

 

«ti stanno inseguendo?» cinguettó una ragazzina più giovane di lei.

 

«potevi dirlo subito, ti copriamo noi! Entra in bagno!» era stata la signora grossa a parlare. Le fecero largo lasciandola passare.

 

Sia benedetta la solidarietà femminile.

 

Harlock spalancó la porta e fu subissato dagli insulti

 

«hei! Il cesso degli uomini è dall’altra parte!»

 

«vai fuori! Sporcaccione!!!!»

 

«ecco un’altro porco! Cosa vai cercando? Sparisci!»

 

A quel punto Harlock si arrese e tornó sui suoi passi.


Quando fu sicura che Harlock ebbe lasciato il locale si sedette su una sedia, sfinita,  massaggiandosi i piedi a pezzi.

Rimise le scarpe col tacco in borsa e si infiló le sneakers.

 

Tutto quel pandemonio ne era valso la pena: era entrata nell’intimità del capitano. Adorava avere informazioni che gli altri ignoravano.

Adesso conosceva il tallone d’achille di Harlock: era una dritta che avrebbe potuto rivelarsi utile in futuro.





 

«allora capitano? Divertito ieri notte?» Yattaran era euforico: le nottate su Eta Carinae lo ritempravano come nient'altro.

 

«ho fatto una strana scoperta…» Harlock esitó guardando di sott’ecchi Kaya che gli volgeva le spalle «sono venuto a sapere di avere una moglie e due figli…»

 

Kaya trattenne il respiro… possibile l’avesse riconosciuta?

 

«ti avranno scambiato per qualcun’altro…» azzardó Kei.

 

«puó essere… anche se ho passato un bel po’ di tempo ad inseguire una moretta con un gran bel culo, che diceva di essere mia moglie… chissà, forse era un’altra puttana in cerca di clienti…»

 

Kaya sudava freddo tendendo le orecchie come antenne radar, e fingendo di occuparsi di altro.

“Puttana! …attento a te, sfregiato di un guercio…”

 

«beato te capitano!» si lagnó Yattaran «a me non succedono mai queste cose. Se non pago, non batto chiodo!»

 

«questo Perchè a voi uomini interessa unicamente inzuppare il biscotto. Se vi impegnaste a trovare una brava ragazza per mettere in piedi una storia semi seria non avreste di questi problemi» osservó Kei.

 

«avrai anche ragione, ma dove lo trovo il tempo? Siamo nomadi tra le stelle e, a meno che tu non ti offra volontaria, non c’è molta scelta su questa nave…»

 

«non ci provare vicecomandante!» Kei faceva la finta offesa.

 

«e tu? Ti sei divertita ieri sera?»

Anche se era girata di spalle fingendo di non seguire la conversazione, sapeva benissimo che Harlock stava parlando con lei.

 

«dico a te, cronoturista!» 

 

“Fa anche lo spiritoso… e bravo l’orbo!”

 

«eh?! Io???»

 

«sì, tu! Ci siamo separati al parcheggio… che hai fatto dopo?»

 

«niente di che… ho passeggiato, ho visto vetrine, negozi… ma nulla di interessante. Ha ragione Kei: quel posto è squallido, non fa per le ragazze come noi…»

 

Kei le dava ragione.

 

«peró ho comperato questo…» mostró il polso che sfoggiava un bracciale d’oro grosso un dito: sapeva che così facendo avrebbe tolto ad Harlock qualsiasi dubbio, seppur ne avesse avuti, sull’identità della sua presunta “moglie”, perché il bracciale apparteneva al pappone del bordello.

 

«comprato? Sicura?» un guizzo nello sguardo: la comprensione.

 

«comunque tutto sommato non era un granché: una prostituta in cerca di un pollo da spennare…»

 

Kaya non resistette, avvicinandosi ad Harlock, che come di consueto era spalmato sul suo trono, e facendo in modo che nessuno la sentisse oltre lui, lo provocó

«…non sapevo avessi un debole per le minorenni, sulla terra si finisce in gattabuia per vizietti come questo…» Sorrise diabolica, sfilandogli davanti, quando il capitano allungó appena una gamba, facendola incespicare. Finì lunga distesa sul pavimento tra l’ilarità dei presenti.

 

«inciampi sui tuoi piedi?» la schernì, poi le pose una mano per aiutarla a rimettersi in piedi. Kaya lo fulminó con lo sguardo, ma stette in silenzio.

 

«tutto a posto? Nulla di rotto?» poi, piano per non farsi sentire da altri proseguì «questa conversazione si è fatta interessante, ma preferisco continuarla altrove».


Kaya seguiva Harlock, dopo che le aveva fatto intendere che era arrivata la resa dei conti.

 

Camminava avanti a lei con passo spedito ma l’andatura faceva trapelare una sorta di stanchezza, più morale che fisica.

 

Le tenne la porta aperta e la richiuse quando furono entrati.

 

«Avanti. Cosa stai cercando?» lo disse senza preamboli. Ormai era chiaro che Kaya stesse ficcando il naso nella sua vita.

 

Così, a carte scoperte, non era facile parlare. O mentiva o avrebbe dovuto ammettere di avere un debole per lui. Un’ossessione, era più il termine adatto. E a volerla dire tutta, era gelosa. Gelosa marcia del suo doppelgänger, di quella ragazza che pur avendo tutto, aveva gettato quel tutto alle ortiche.

 

«Allora? Ti trovo a frugare nei miei appartamenti, mi pedini fingendoti mia moglie, ficchi il naso nella mia vita privata… cosa stai cercando?»

 

«voglio sapere di lei. Chi è? Perché se ne è andata? Che persona era?» la sfacciataggine non le mancava di certo.

 

Harlock si era seduto e giocherellava con un tagliacarte mentre Kaya parlava. Poi lo gettó sul tavolo e tiró fuori un pacchetto di sigarette.

Prima di risponderle si prese tutto il tempo di accenderne una e decidere se mandarla definitivamente al diavolo o vuotare il sacco. Ma sì, in fondo ne era passata d'acqua sotto i ponti. 

Kaya aspettava, sicura che tra pochissimo avrebbe svelato il mistero che rincorreva ormai da settimane.

 

Espiró una densa nuvola di fumo, stringendo l’occhio per osservarla oltre la nube biancastra.

 

«vuoi sapere di Mayu… perché? Non la conosci nemmeno.»

 

«perché mi somiglia. Perché ho scoperto che vai a scoparti quella puttana su Eta Carinae almeno una volta al mese perché ti ricorda lei. Perché voglio cercare di capire se la mia presenza qui ha a che fare con lei…» E perché sono fottutamente gelosa, questo lo pensò ma se lo tenne per sé.

 

Harlock fece una risata secca, piegando la testa da un lato

«sembra il comportamento di una donna patologicamente gelosa. Vuoi sapere di Mayu? Bene! Sarai accontentata, ma non so se quanto sto per dirti ti piacerà…» fece un tiro e Kaya osservó quanto la magrezza del suo volto, accentuata dall’atto di aspirare, mettesse in evidenza gli zigomi che davano quel tocco maschio al viso, già bello di suo. Le labbra socchiuse mentre la osservava le fecero fremere d’emozione la bocca dello stomaco.

 

Continuó «Mayu è la giovane donna di cui hai rotto il ritratto. Lei è stata l’affetto più grande della mia vita da sempre. Dici che le somigli? Esternamente, puó darsi, ma non sei lei. Nessuna potrà mai prendere il suo posto perché lei era tutto; è stata la mia amante, la mia compagna…. Cosa c’è di strano in questo?» parlava assorto, teneva la sigaretta tra indice e medio, osservandone il minuscolo ardere delle braci.

 

Sospiró prima di continuare «Amante e compagna… ma prima di tutto questo lei era… mia figlia.»

 

Sentirlo pronunciare quelle parole fu come una doccia gelata.

 

Figlia! Rieccheggiava nella sua testa, mentre velocemente metteva insieme i pezzi: l’ossessione per tutte le ragazze che le somigliavano, il non volerne parlare e, forse, il motivo per il quale lei se ne era andata? Harlock, l’unico uomo ad averla trattata con dignità e rispetto era infine della stessa pasta di quel maiale che le aveva rubato la vita?



 

*ho preso a prestito il nome di un sistema binario di stelle. 

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Capitolo 9
*** Una bella ragazza coi modi di una pescivendola ***


Harlock la fissava, cercando di capire che reazione avessero provocato le sue parole.

 

«tu sei da galera. E da psicologo! Ti sei fatto tua figlia?! No, dico… e ai tuoi compagni di brigata va bene così? Prendono ordini da un… non riesco nemmeno a pronunciare la parola… »

 

Harlock in silenzio si godeva la scena, gustandosi la sigaretta come se stesse assistendo a uno spettacolo teatrale.

 

«… e la madre? Sta bene anche a lei? Capisco perché se ne è andata!!!! Avrà la psiche a brandelli! Ti rendi conto di cosa le hai fatto?»

 

Harlock spense la sigaretta «hai finito?»

 

«no! Non ho finito! Anzi: dopo questa, vorrei andarmene immediatamente. E chi ci sta a vivere con un…. Bah! Disgustoso!»

 

«Mayu era la mia figlioccia. Mi fu affidata dai suoi genitori quando aveva poco più di un anno.»

 

Kaya si zittì, subito riprese

 

«l’hanno scelto proprio bene il papà di riserva. I miei complimenti… dovrebbero richiedere un patentino speciale, prima di permettere alla gente di figliare…»

 

«la smetti di dire sciocchezze?»

 

In verità era molto imbarazzata. Finalmente aveva svelato quel segreto e adesso si sentiva totalmente inopportuna. In effetti questa storia non era nulla che non avesse già sentito. Le cronache rosa dei suoi tempi ogni tanto cacciavano fuori qualche padre adottivo che finiva per fidanzarsi con la ex figlia. Nulla di così straordinario. Aveva messo in imbarazzo quell’uomo, costringendolo a rivelare dettagli intimi della sua vita.

 

«va bene mi dispiace. Sono stata un’imperdonabile impicciona.»

 

«…forse adesso la smetterai di ficcare il naso ovunque.»

 

«peró…» non ne sembrava molto convinta «parlami di lei: che tipa era?»

 

«puoi chiederlo a chi vuoi. La conoscevano bene tutti a bordo. È stata fidanzata con Tadashi per un certo periodo…»

 

Kaya sgranó gli occhi: si era data da fare la ragazza! E aveva gusti raffinati, non c’è che dire!

 

«…e non pensare che sia una facile. Ho faticato parecchio per conquistarla…»

 

«doveva essere veramente speciale, per far innamorare due… si, insomma, voi due!» avrebbe dovuto aggiungere “due gran pezzi di manzi come voi” ma fortunatamente all’ultimo decise di non proseguire.

 

«Ci puoi giurare. Era la creatura più dolce e pulita che sia mai entrata nella mia vita. Ed era anche molto intelligente, allegra e vivace. Un vero tornado di gioia e positività. Ed era anche incredibilmente bella.» Harlock parlava e il suo sguardo divenne sognante

«i suoi occhi… ti potevi immergere in quel blu. Per coglierne il colore, dovevi avvicinarti fin quasi a sentirne il respiro, erano blu notte… a volte, quando era turbata, sembravano quasi neri…»

 

“Ecco con chi hai a che fare: la wonder woman delle fidanzate ideali. Bel colpo Kaya…” ascoltare Harlock parlare di Mayu la fece sentire più verme di come già si sentisse. Come si dice? Una bella iniezione di autostima? Già, proprio così.

 

Uscì dalla porta col morale sotto le scarpe: nemmeno farsi ferire era servito ad acquistare punti. Cioè, un po’ sì… almeno ora la considerava come un essere umano. Ma non sarebbe mai potuta arrivare in cima all’Olimpo, dove dimorava la dea che aveva incatenato il cuore del pirata.








 

«Aaaaaah!!!! Dannazione! Così non combineremo mai niente!» Yattaran gettó per aria un mucchio di fogli, sui quali stava facendo complicati calcoli matematici.

 

Tadashi lo guardó con occhi arrossati e stanchi. Oramai erano mesi che si spaccavano la testa. A volte anche per otto ore di fila, ma non si giungeva a nulla di concreto. La frustrazione era condivisa.

 

«Yattaran ti capisco. Ma cosa vogliamo fare? Abbandonarla senza nemmeno tentare?»

 

«no! Certo che no, ha solo noi! Ma lo capisci anche tu che senza dei dati concreti tutto il nostro lavoro è inutile? Stiamo sgobbando su ipotesi! Abbiamo bisogno di fatti!»

 

«gli unici dati li aveva mio padre, ma lui ormai non c’è più.»

 

«non aveva un laboratorio? Dei documenti? Avrà lasciato qualcosa!!!!»

 

«il laboratorio è stato distrutto da quelle maledette piante, lo sai!»

 

«va bene, ma a casa avrà portato pur qualcosa! Io mi portavo sempre il lavoro a domicilio!»

 

«cosa vuoi che ti dica? Sono passati più di dieci anni. Il nostro appartamento è abbandonato da allora e per quel che ne so le mazoniane potrebbero aver fatto piazza pulita anche lì.»

 

«non c’è altro da fare. Dobbiamo tornare per vedere se riusciamo a trovare qualcosa. In caso contrario Kaya resterà bloccata qui per il resto della sua vita.»

 

Messa così era una responsabilità terribile sulle spalle dei due uomini.

 

«ha solo noi…» mormorò Tadashi, sconsolato.




 

Harlock passeggiava avanti e indietro mentre ascoltava il suo primo ufficiale.

 

«… non c’è altra scelta. Dobbiamo andare sulla terra e cercare tra i documenti del dottor Daiba. Senza i suoi studi abbiamo le mani legate.»

 

«Ma non possiamo restare troppo a lungo sulla terra. Lo sai anche tu. Cosa suggerisci?»

 

«semplice: ci lasci li. Quando abbiamo finito ci vieni a riprendere.»

 

«dovrei fare a meno dei miei due ufficiali più preziosi? E per quanto? Settimane? Mesi?»

 

«…anni?» azzardó Tadashi.

 

«Anni!!!» Harlock li guardó come se fossero folli.

 

«baaah! non dargli retta capitano! Se troviamo qualcosa possiamo elaborarla anche qui… ma è l’unica possibilità che abbiamo per riportare a casa la ragazza. Non vorrai lasciarla al suo destino, senza fare nemmeno un tentativo?!»

 

«no. Certo che no!» Harlock era pensieroso «e va bene. Se non c’è altro modo, faremo così. Ma voglio rapporti giornalieri! La vostra incolumità è essenziale.»

 

«hei capitano! E che ti preoccupi per noi? Siamo grandicelli e capaci di difenderci da soli!» come il suo solito Yattaran sdrammatizzava anche la situazione più tragica.

 

«mandatemi la ragazza. È bene che lei sappia.»



 

Kaya era in piedi davanti ad Harlock e aspettava.

 

«per favore siediti. Non sei una scolaretta che deve ripetere la lezione.»

 

Kaya sedette. Non aveva la minima idea del perché fosse stata convocata. Ultimamente si era comportata bene: nessun furto, nessuno scherzo, nessuna rissa.

 

«Yattaran e Tadashi ci lasceranno, per un certo periodo.» 

Kaya lo fissava.

«stanno lavorando al tuo caso da mesi. E…» non aveva idea di come potesse prendere la notizia: la prospettiva di non poter più tornare a casa doveva essere terribile. «…senza dati concreti è impossibile aiutarti. Li lasceremo sulla terra. Se saranno fortunati, grazie al padre di Tadashi, potremmo riportarti a casa. Dipende tutto da questo. Mi dispiace, vorrei poter fare di più.»

 

Kaya non rispose subito. Aveva smesso di pensare a casa da tempo. La vita di adesso era molto più interessante e serena della sua precedente e poi c’era lui. Un po’ padre un po’ amico… un po’ qualcos’altro. L’idea di andarsene, di separarsi da tutti loro, da lui, non era allettante per niente, ma preferì tenere per se i suoi sentimenti.

 

«Capisco» disse semplicemente.

 

Da quando Kaya aveva saputo di Mayu s’era incupita e s’era fatta più taciturna.



 

Tadashi e Yattaran sarebbero sbarcati a breve, prima di lasciarli al loro lavoro si decise per una puntata in un’isola tropicale, salutando degnamente i loro compagni.


Forse era un illusione, ma Kaya sentiva il profumo dell’oceano dalla sua cabina, ma non aveva voglia di uscire. Dall’obló il colore dell’acqua era di un abbagliante azzurro, invitava a bagnarsi nelle sue acque cristalline come quelle di una piscina. 

Poteva scorgere i pirati che allestivano i faló per la serata, Masu San gridava ordini a destra e a manca: 

 

«razza di fannulloni! Se volete riempire le pance stasera, vi conviene darvi da fare! Portate fuori la griglia!»

 

C’era anche chi avrebbe dormito in spiaggia: stavano allestendo un accampamento in piena regola.

“Pensa un po’” si disse Kaya “nel duemilaecredici fanno ancora i campeggi… robe da matti.”





 

Era buio quando decise finalmente di uscire dalla sua tana. L’aria fuori era profumata di mare e di fiori esotici, faceva caldo ma era piacevole. Si sedette su una roccia a guardare gli altri, in disparte, abbastanza lontana da non dare nell’occhio.

 

Le si fece vicino Harlock

«non ti unisci agli altri?»

 

«non mi piacciono le feste… detesto la folla» lo disse col tono imbronciato.

 

«allora abbiamo qualcosa in comune» gli si sedette accanto «mayu invece adorava le feste e avere tanta gente intorno.»

 

Kaya alzó le spalle «figurati… miss perfezione non poteva essere diversa…» le sfuggì in un borbottìo appena accennato.

 

«come dici?»

 

«niente… ma credo che andró a bere qualcosa» prendersi una sbronza era senz’altro meglio che stare lì, ad ascoltare l’uomo delle sue utopiche fantasie intessere le lodi della sua ex.

 

Raggiunse il faló più vicino dove qualcuno aveva iniziato a cantare a squarciagola.

 

Con la birra ci avrebbe messo una vita a sbronzarsi, era meglio ingranare la quarta con del gin.

Si avvicinó Yattaran e le mise un braccio attorno alle spalle.

«coraggio! Beviamo alla salute della nostra turista venuta dal passato!»

 

Si alzarono i bicchieri ben volentieri, e altrettanto volentieri si vuotarono. Poi ci fu il brindisi per Yattaran e Tadashi che presto li avrebbero salutati. Dopodichè uno fu dedicato alla vecchia signora Masu che provvedeva a riempire giornalmente le loro pance. E i brindisi si susseguirono finché molte bottiglie furono svuotate. I cori si moltiplicarono.

 

Kaya aveva sufficientemente annegato nell’alcool le sue pene, e si sedette ai piedi di una palma, lontana dalla luce dei fuochi, con la sabbia fine come borotalco che le si infilava tra le dita dei piedi, morbida e calda.

La testa le girava piacevolmente, si sentiva leggera e senza pensieri. Intanto in lontananza le arrivavano i canti, continuavano i balli e le bevute.

Era più piacevole sentire la risacca del mare che la cullava come una ninna nanna.

Si stava assopendo, ma una voce la riscosse

 

«posso sedermi?»

 

Aprì un occhio per vedere chi fosse, anche se aveva riconosciuto la voce

«no. Preferisco restare da sola.»

 

Il nuovo venuto l’ignoró, sedendosi accanto a lei.

 

«Mi stai evitando?»

 

«sì»

 

Di poche parole ma totalmente sincera: l’effetto dell’alcol.

 

«perché?»

 

«lasciami in pace. Non siamo fuori servizio?»

 

«sì, possiamo considerarci in licenza, o qualcosa di simile.»

 

«bene: allora buonanotte.»

 

«sei gelosa?»

 

Sbuffó «sei un gran rompicoglioni. Te l’hanno mai detto?»

 

«avevo ragione a darti della pescivendola.»

 

«vuoi litigare?»

 

«voglio parlare»

 

Kaya era gelosa di Mayu, ma voleva sentirlo da lei.

 

«non mi piacciono le donne volgari»

 

«e chi se ne fotte?» rispose Kaya mostrandogli il dito medio «vai a dire qualche bella parola a tutta quella gente» indicó il falò più vicino «che ti sta dedicando la vita. La meritano più di me la tua attenzione.»

 

Più si comportava così, più accendeva il suo interesse. Attirato da ogni sfida, quella ragazza stava stuzzicando la sua curiosità. Di una cosa era sicuro: aveva fame d’amore, lo chiedeva senza nemmeno rendersene conto.

 

Kaya si stiracchió, stendendo le gambe e alzando le braccia, sbadigliando.

Era un po’ più in carne di Mayu, aveva curve generose piazzate nei punti giusti.

 

«beh? Che hai da guardare?»

 

«È un vero peccato…» disse Harlock tirandosi in piedi.

 

«che cosa?»

 

«che una ragazza così bella si comporti come uno scaricatore» rispose, mentre era avviato a raggiungere la sua ciurma festante.

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Capitolo 10
*** Uscire o restare? ***


Questo pirata era proprio strano: sotto la dura corazza del militare c’era un uomo dai modi eleganti, quando la collera non lo portava a uscire dalle righe con scatti a tratti violenti.

 

Lo osservó mentre si allontanava, vederlo di spalle così alto e nero (come stradiavolo riusciva a stare vestito di tutto punto con questo caldo, senza sciogliersi in un lago di sudore, era un mistero) nell’aderente abito di pelle, le fece sussultare la bocca dello stomaco in uno spasmo d’emozione e istintivamente si chiese che profumo avrebbe sentito se l’avesse baciato sul collo.

 

Si diede della stupida: l’aveva praticamente cacciato via coi suoi modi scostanti e maleducati; in fondo aveva ragione lui, era una rozza scurrile se paragonata alla sua avversaria sparita chissà dove.


Tadashi e Yattaran sbarcarono il giorno dopo e Kaya era in prima fila a salutarli. D’altra parte se i due uomini si trovavano in quella situazione era unicamente a causa sua, e si augurava di cuore che non succedesse loro nulla di male, non se lo sarebbe mai perdonata.



 

Non fecero difficoltà a raggiungere l’appartamento nel quale Tadashi aveva vissuto col padre, l’incognita era cosa avrebbero trovato: tutto dipendeva da questo.

 

Lo stabile era ancora in piedi e in buone condizioni: un fatto incoraggiante. 

 

«Hanno cambiato il colore alla facciata» osservó Tadashi, non senza una punta di nostalgia.

 

«Cominciamo bene! Ascensore fuori servizio…» disse Yattaran appena ebbe varcato il portone a vetri dell’ingresso.

Sette piani di scale: il robusto vicecomandante arrancava sbuffando piano dopo piano.


«Cosa vuoi con quella mano?» chiese Tadashi, quando finalmente ebbero raggiunto il pianerottolo del settimo piano.

 

«sveglia Tadashi! La chiave!»

 

«non ho la chiave!  Mi sembrava fosse palese! Sono scappato da qui in fretta e furia!»

 

«se non ci fossi io…» Yattaran tiró fuori un astuccio contenente un kit di piccoli attrezzi per ogni evenienza.

 

Svitó la placca di metallo a lato della porta, armeggió coi fili creando un contatto e finalmente la porta automatica si aprì con un leggero sibilo.

 

«prego! A te la precedenza!»

 

Tadashi varcó la soglia «oh no…» gemette.




 

Kaya stava gironzolando per gli appartamenti di Harlock mentre lui era assorto a studiare le mappe olografiche della via lattea. Quanto tempo ci avrebbero messo i suoi due ufficiali a venire a capo nel loro compito? Vagare per il sistema solare vigilando sugli attacchi di mazone e nel contempo attendere notizie da Yattaran sembrava l’unica cosa logica da fare. Per il resto avrebbe risolto i problemi qualora si fossero presentati.

 

Kaya notó che la cornice della foto di Mayu era stata sostituita e faceva bella mostra di sé sulla scrivania del capitano.

Una sottile stilettata di dolore le fece stringere le labbra.

Harlock era troppo assorto per badare a lei.

 

“Ti odio…” mormoró in un sussurro.

Ma l’immagine restó impassibile, ad osservarla coi limpidi occhi innocenti e il sorriso angelico.

 

“Ti odio perché avevi tutto e l’hai disprezzato. E perché sei arrivata prima di me. Vorrei averti qui davanti, per dirti in faccia tutto quello che penso di te! Stupida…”

 

Osservó il capitano che con il gomito appoggiato al piano della scrivania teneva una mano alla fronte, con espressione concentrata e una ruga verticale tra le sopracciglia.

 

“Come hai potuto fargli questo?” Chissà cosa si provava ad essere amata da un uomo simile? Da lui? 

 

«posso portarti qualcosa?» chiese, sperando di non distoglierlo troppo dal suo incarico.

 

«come?» si riscosse, osservandola distrattamente, con la mente ancora intrappolata ai pensieri.

 

«un caffè? Liquore?»

 

«sì, grazie. Un caffè ci vorrebbe…» strinse l’occhio affaticato.

 

Kaya non se lo fece ripetere e in men che non si dica era di ritorno con una tazza fumante.

 

Attese che finisse di sorbirlo senza togliergli gli occhi di dosso, appena Harlock ebbe posato la tazza si affrettó a raccoglierla.

 

«non sei una cameriera! Lascia pure, puó aspettare…»

 

«non mi costa nulla, non puoi lavorare se c’è disordine.»

Non attese una replica e uscì con la tazza in mano.

 

“Cosa mi prende?”

L’osservava come se rimirasse il graal.

Lui aveva appoggiato le sue labbra proprio lì e con la punta della lingua leccó dove lo aveva visto bere, l’ormai familiare sensazione di qualcosa che le frullasse nello stomaco si ripresentó.

 

“Sono proprio una sciocca. Ma questa la terró per me.”

 

Quando tornó da lui era ancora assorto nel suo compito. 

 

«io non voglio andarmene» sussurrò appena Kaya, tanto che Harlock a fatica riuscì a recepire le sue parole.

 

«come dici?»

 

«che non voglio andarmene!» ripetè più decisa «la mia vita è uno schifo. Qui ho trovato un ruolo e una casa: molto più di quel che avevo prima»

 

Harlock sorrise, non gli sarebbe dispiaciuto tenere la ragazza con sè, e non solo perché era un’ottimo cecchino «nessuno vuole mandarti via se non lo vuoi… ma è giusto che tu abbia modo di scegliere se tornare o restare e Yattaran e Tadashi stanno appunto cercando di fare questo: assicurarti una scelta.»

 

Kaya sgranó gli occhi, sorpresa.

«non vuoi mandarmi via?»

 

«non devi sentirti obbligata a fare nulla che tu non voglia» come poteva biasimarla? Con quel che aveva passato era perfettamente comprensibile che non desiderasse tornare indietro.



 

Il cronografo da polso di Harlock trilló: era Yattaran.

 

«capitano? Mi ricevi?»

«forte e chiaro! Allora? Come procede?»

 

«brutte notizie temo… hanno perquisito l’appartamento, è tutto per aria. Ci vorranno settimane per mettere ordine e cercare di raccapezzarsi con gli appunti del professore. Speravamo di trovare una situazione migliore.»

 

«fate quel che dovete, e se trovate qualcosa che ci possa aiutare comunicamelo subito»

 

«d’accordo».

 

Si sentì quasi sollevato, sapere che la piccola ex ladruncola per ora era intrappolata nel suo tempo lo faceva sentire più sereno.

 

Si stava affezionando, e non gli era sfuggito che anche lei nutriva interesse.

 

«a quanto pare, per ora non ti dovrai porre nessun tipo di problema: sentito il vicecomandante?»

 

Il sorriso di Kaya era eloquente.

 

«posso darti un bacio?» la frase le era uscita così, da sola, e si pentì immediatamente della sua sfacciataggine quando vide l’espressione imbarazzata e sorpresa del capitano.

 

«scusami, sono stata troppo impulsiva e sfacciata» il suo viso aveva indossato un’aria addolorata e delusa.

 

Fu allora che Harlock la stupì, sfiorandole appena le labbra con tenerezza.

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Capitolo 11
*** Il casino che ho dentro… ***


«così non vale! Hai barato!» 

 

«come si puó barare a un tiro a segno?»

 

«non lo so! Ma devi avere un qualche maledetto trucco! Non puoi far fare le curve ai colpi!»

 

Harlock rideva divertito.

 

«non prendermi in giro! Santo cielo: in mezzo c’era la mia sagoma! Come hai fatto a lasciare intatta la mia e colpire la tua subito dietro?»

 

«invece di arrabbiarti dovresti esercitarti di più! Mettiti d’accordo con Tadashi quando tornerà…»

 

«non mi fai fessa! E non mi piace essere trattata da stupida!» si era arrabbiata sul serio.

 

«Kaya smettila! Stai diventando un’acida bisbetica»

 

«E tu sei un imbroglione! Adesso ti faccio vedere io!»

 

Accese il puntatore laser e lo mise sulla traiettoria dalla postazione di Harlock alla sua sagoma. Era evidente: per colpire la sua avrebbe dovuto trapassare anche quella di Kaya.

 

«e adesso? Cosa mi dici? Fai fare le curve al fascio di fotoni?»

 

Harlock sospiró. «le nostre armi sono diverse…»

 

«ho capito! Ci devono essere degli specchi nascosti. Altrimenti non si spiega! D’ora in avanti ti chiameró Houdini!»

 

«spero per te che non sia un insulto!» la minacció debolmente

 

«nessun insulto! Solo la verità: sei un imbroglione!»

 

Adesso era Harlock che si era stancato di tutta quella sceneggiata, e reagì come lei mai si sarebbe aspettata

 

«adesso basta! So io come chiudertela, quell’insolente boccaccia!»

 

La prese di sorpresa con un bacio sulla bocca, lasciandola ammutolita per un paio di secondi.

 

«non mi freghi! Lo ripeto: imbroglione!»

 

Harlock la bació ancora.

 

«sei… un… imbroglione!»

 

«E tu stai provocando»

 

Si avventó su di lei dapprima divorandole le labbra e Kaya l’accolse, stringendosi il più possibile.

Lo sapeva bene lei, che le dimostrazioni d’affetto di Harlock nei suoi confronti andavano prese per quel che erano, ma le piaceva farsi coccolare così: era talmente affamata d’amore che accettava di buon grado questo flirtare senza impegni.

Fu solo quando cercó di infilare la mano oltre il bordo dei pantaloni, oltre l’elastico dello slip.

Sotto i polpastrelli sentiva i rilievi della cicatrice che si era fatta per proteggerlo. Quel contatto lo infiammó di più e andó più in profondità, sfiorando la peluria al di sotto di esso e fu allora che lei gridó, spintonandolo violentemente, e piazzandogli una ginocchiata all’inguine.

Harlock non si aspettava una simile reazione: piegó le ginocchia boccheggiando, poi si tiró su, le strinse entrambe le braccia immobilizzandola.

 

«ok, mi rincresce! Ho esagerato, ma non credevo che ti dispiacesse. Bastava dirlo che non volevi andare oltre!»

 

Kaya era visibilmente scossa: aveva perso il controllo e respirava velocemente ansimando, come se avesse fame d’aria.

 

Era una reazione eccessiva, eppure non le aveva dato ad intendere di essere una vergine sprovveduta.

 

«calmati! Adesso ti lascio…»

 

«scusami… non me l’aspettavo.» disse affannata, boccheggiando.

 

«so riconoscere un attacco di panico. Cosa ti è successo? E non venirmi a raccontare che sei una verginella che non ha mai visto un uomo…»

 

Si giró, aggressiva

«non sono nemmeno una puttana!»

 

«non l’ho detto.»

 

«ma l’hai pensato!»

Le tremava il mento, segno che tratteneva a stento il pianto.

Harlock aggrottó la fronte. Si stava innamorando e non voleva accadesse, non voleva farle del male. I baci che si erano scambiati per lui erano dimostrazioni di tenerezza e nulla di più; evidentemente lei provava dell’altro.

 

«ti sbagli, non penso questo di te»

«ah no? E cosa pensi?»

 

«che devo proteggerti…»

 

«non ce n’è bisogno. Mi so difendere benissimo da sola»

 

«no, non lo stai facendo. Proprio adesso, ti stai cacciando in un guaio e nemmeno te ne accorgi»

 

Kaya sgranó gli occhi «a cosa ti riferisci?»

 

«ti stai innamorando pur sapendo che non posso ricambiare. Forse dovremo smetterla con questo gioco. Non è prudente, dovresti rendertene conto.»

 

“Io sono già innamorata!” Lo gridò forte, dentro la sua testa. 


Il problema era che stava invecchiando e il suo istinto di protezione s’era fatto più prepotente, la sua somiglianza con Mayu rendeva tutto più complicato. Non era come pagare una prostituta: con Sarah era diverso, sesso e denaro e finiva quando si chiudeva la porta alle spalle. Con Kaya ci sarebbero state ripercussioni poco piacevoli, soprattutto per lei. 


«perché non sono lei?» gli occhi le si riempirono di lacrime, e Harlock pensó che forse qualcosa di buono lo aveva fatto: aveva raccolto una teppista con pochi scrupoli e ne aveva fatto una giovane donna coraggiosa e altruista. Anche se delle ombre rimanevano.

 

«perché non posso darti ciò che cerchi. E se anche tu le somigli tanto… e spesso devo fare appello a tutto il mio autocontrollo per scindere te da lei; se cedessi a questo, non farei altro che illuderti.»

 

Si sentiva uno straccio. Sapeva che lo stava facendo per il suo bene, anzi! Proprio per questo lo amava ancora di più, per la sua onestà, e perché era chiaro che le volesse bene. Ma non poteva competere con lei: era una formica contro un gigante. Ma Harlock voleva andare a parare altrove.

 

«cosa ti è successo prima?» cambió argomento

 

«e come faccio a dirtelo? È troppo…» glielo disse con gli occhi lucidi e la voce spezzata, sull’orlo di un pianto a dirotto.

 

«provaci. Voglio aiutarti ma per farlo ho bisogno di capire»

 

«mi vergogno… proveresti solo disgusto e pena.»

 

«I traditori mi disgustano, e chi prevarica sui deboli e gli innocenti, non certamente una bambina che è stata costretta a una vita di sfruttamento.»

 

Incoraggiata da queste parole Kaya si fece animo. E poi era parecchio che voleva sputare fuori questo boccone indigesto, forse era venuta l’ora di liberarsene.

 

Fece un profondo respiro e si strinse nelle braccia, come se sentisse improvvisamente freddo.

 

«Ero solo una bambina quando incontrai quel figlio di puttana. L’ultima volta che scappai di casa. Non mi sapevo orizzontare ancora bene e a forza di camminare finii nel suo quartiere: spacciatori, ladri e puttane. E da sciocca ingenua che ero lo fermai io, per chiedergli da che parte fosse la fermata dell’autobus.»

Deglutì, cercando di sciogliere il nodo che sentiva in gola.

Teneva gli occhi bassi, la vergogna le impedì di guardarlo in faccia mentre iniziava a raccontare.


«ma guarda che bella bambina abbiamo qui! Ti sei persa?» quell’uomo dal sorriso gioviale aveva una luce strana negli occhi.

 

«oh! Ma Che splendidi occhi verdi!» si avvicinava con fare amichevole ma il sesto senso di Kaya captava pericolo. Indietreggió finchè non si trovó con le spalle al muro. Era finita in un cortile abbandonato, circondato da case mezze diroccate. Era sola.

 

L’uomo le si avvicinó talmente che poteva sentire il puzzo del suo alito: vino scadente, sigari puzzolenti e cipolla.

Un conato le fece fare una smorfia.

 

«facciamo amicizia? Mi piacerebbe diventare tuo amico! Potresti farmi molto felice…». 

Allungó una mano: dapprima ad accarezzarle il viso, e Kaya ebbe un moto di disgusto; aveva le mani sudicie di sporcizia. Poi le accarezzó le gambe nude: dalle ginocchia saliva piano.

 

«ti prego basta! Lasciami andare!» gli occhi le si erano riempiti di lacrime, ormai il terrore le aveva invaso la mente impedendole di ragionare.

 

«non voglio farti nulla di male! Sei una bambina che si è persa e vorrai un po’ di coccole…»

 

«non voglio niente! Solo tornare a casa… ti prego!»

 

Prese ad armeggiare con la cinta dei pantaloni e Kaya inizió a piangere.

 

«su, su… non fare troppe storie! Non è niente! Ti divertirai anche tu… e poi ti lasceró andare a casa.»

 

Kaya fece per scappare ma l’uomo l’afferró per un braccio e la scaraventó a terra

«non vai da nessuna parte, finché non te lo diró io…»







 

Quando si avvicinó cominció a scalciare e l’uomo le assestó uno schiaffo talmente forte da farle girare il viso dalla parte opposta. Il dolore bruciante e il colpo l’avevano intontita. Non si rese conto che le aveva strappato di dosso i pantaloncini

 

«adesso stai ferma! E non ti succederà niente di male…»

 

Di quel che successe dopo ricordava solo il dolore, la vergogna, la sporcizia che si sentiva incollata addosso su ogni centimetro di pelle, l’umiliazione e il sangue.

 

Quando finalmente ebbe finito, l’uomo, con una nota di rammarico nella voce, le disse

 

«sei tutta sporca e in disordine. Vieni a casa con me. Ti potrai ripulire.»

 

Era iniziata così la sua “nuova vita”: lui era Frank, un uomo che viveva di espedienti; rubava, giocava d’azzardo, a volte spacciava e gestiva un paio di puttane.

Quando l’aveva incontrata il suo primo pensiero era stato quello: farla diventare una prostituta. Con quegli occhi verdi da gatta era sicuro gli avrebbe fatto guadagnare bei soldi, ma poi le cose erano cambiate. La voleva solo per lui: forse era il suo malato e contorto modo di amare. Negli anni l’aveva istruita nel borseggio e nel gioco ed era diventata piuttosto abile.

Abusó di lei per quattro anni, finché un bel giorno, quando si era avvicinato per l’ennesima volta smanioso di farsela, gli aveva piantato il pugnale nella coscia, affondandolo fino alla guardia, e poi aveva ruotato il polso.

L’urlo le aveva trapanato i timpani: sembrava stesse sgozzando un maiale; e in quel momento l’impressione fu proprio quella, stava fermando un animale lurido e schifoso.

 

Da quel giorno il vecchio viscido Frank zoppicó vistosamente. Stranamente non le torse un capello, ne la cacciò via. Semplicemente smise di vuotarsi lo scroto usando lei.

 

Per tutto il tempo non aveva alzato lo sguardo e Harlock non l’aveva interrotta.

 

«adesso sai la verità. Ecco perché ho reagito così. Dopo un po’ ci si fa l’abitudine, ma sopporto a malapena la vista di un uomo nudo, se poi prova a toccarmi… beh, l’hai visto».

 

«mi dispiace solo di non poterlo uccidere con le mie mani.» pensava anche a Mayu: se qualcuno le avesse fatto una cosa simile, avrebbe dato libero sfogo alla follia omicida. Non si sarebbe accontentato di uccidere: l’avrebbe cancellato dall’esistenza.

 

«stai meglio?»

 

Kaya annuì «ora passa» ma ancora tremava vistosamente.

 

Harlock si tolse il mantello e glielo drappeggió sulle spalle facendo eccessiva attenzione, quasi avesse una bambina tra le mani.

 

Kaya dovette raccogliere tutto il suo coraggio per alzare gli occhi e guardarlo in volto: dov’era finita la ragazza strafottente che non aveva vergogna di nulla?

 

«hai ragione, mi sono innamorata. Ma non mi importa se non puoi o non vuoi ricambiare; ti chiedo solo di non impedirmelo. Quello che sento per te è la cosa più bella e dolce che mi sia accaduta fin’ora.» Lo disse a bassa voce, con le guance in fiamme.

 

Kaya era innamorata, ed era un grosso problema. Finché rimaneva un rapporto senza vincoli andava bene, ma ora? Ora che sapeva dei sentimenti di lei, sarebbe riuscito a tenere a bada i suoi? Il fuoco accanto alla paglia genera incendi. Lui amava ancora profondamente Mayu e l’avrebbe amata per sempre, ma Mayu non c’era e forse non sarebbe tornata mai più, invece Kaya era il presente. C’era attrazione tra loro, era innegabile, come sarebbe stato facile lasciarsi andare e fingere di dimenticare.

 

Harlock sospiró: doveva confessarlo? Ammettere che non le era indifferente, che più di una volta si era sentito turbato, che il suo non era amore; non ancora per lo meno, ma che indubbiamente Kaya gli scatenava una ridda di sentimenti che ancora non era in grado di dipanare e mettere a fuoco?

 

“Se solo sapessi il casino che sento dentro” così pensó Harlock, prima di cedere alla tenerezza e posare le labbra sul broncetto trepidante di lei.

 

«grazie» rispose timidamente, dopo che le labbra si furono staccate malvolentieri, ed erano così vicini che Kaya poteva ancora sentire il suo odore: un misto di cuoio, tabacco e Jack Daniels.

 

«te lo permetto… ma ti avverto, se dovessi soffrirne non prendertela con me…»

 

«mai, te lo giuro!» oh andava benissimo per lei! Era la prima volta che veniva baciata, se non per amore, perché qualcuno le voleva bene. Avevano un sapore così buono, dolce e caldo.

Frank l’aveva baciata mille volte, ficcandole quella sudicia lingua in bocca, mentre sfogava le sue sporche fantasie sessuali su di lei; e lo odiava… le faceva più schifo di quando la violentava. Dopo doveva correre in bagno a sciacquarsi la bocca per lavare via quel sapore disgustoso.

Ma era il passato, il suo presente, seppur precario e incerto, le aveva regalato emozioni e sentimenti puliti come acqua di fonte e dolci come miele.

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Capitolo 12
*** Dimmelo! ***


Era finita per andare così: Kaya stava prendendo il posto di Mayu anche se era ormai chiaro nella testa e nel cuore che erano due persone e personalità ben distinte.

Mayu non c’era più, probabilmente non l’avrebbe più rivista: Harlock aveva finito per accettare questa realtà e il passo successivo era stato girare pagina, tutto questo lo doveva a Kaya, ed era per questo che le aveva permesso di stargli accanto come aveva fatto Mayu. Ma questa volta nessun Tadashi era tra loro e ad Harlock questa esclusività piaceva, anche troppo, al punto da aver abolito tutti i paletti che potevano esserci tra loro.

 

Ma il passato ritorna, più e più volte, sotto varie forme e modi.


A Kaya piaceva giocare: adorava passare del tempo ad indossare i suoi vestiti. Tranne le mutande aveva provato ogni capo del suo guardaroba, e quando Harlock tornó nei suoi alloggi, dopo aver passato qualche ora a fare vasche in piscina, trovó Kaya con addosso il suo mantello.

 

«come fai a portare tutto il giorno questo coso? Pesa una tonnellata. Ho male alle spalle e l’ho su da pochi minuti…»

 

Quando Kaya fece scivolare a terra il pesante indumento, Harlock vide che sotto indossava un particolare maglione: l’unico indumento fatto da gentili mani femminili che fosse presente nel suo guardaroba.

 

«toglilo per favore» 

 

Kaya ci rimase male.

 

«scusa… è un suo regalo?» il tono era mortificato.

 

“Suo” ovviamente era riferito a Mayu, che restava un’ombra sospesa tra loro, l’unico vero ostacolo che impediva ancora, di perdersi l’una nell’altro.

 

«no… questa è un’altra storia. Ma ti prego, toglilo…» lo disse in tono estremamente gentile.

 

Era il regalo di Namino: accettato ma mai indossato. Dopo la sua morte aveva automaticamente assunto il ruolo di cimelio: così come i pochi effetti personali che Mayu aveva lasciato lì.

 

“Un’altra storia… accidenti… vuoi vedere che devo misurarmi con un’altra ex? Eh no… è troppo!“

 

Lentamente si sfiló il maglione, ed era talmente sovrappensiero da non rendersi conto della presenza di Harlock che la stava osservando.

 

«puoi cambiarti di là, non c’è bisogno di fare lo strip-tease…”

 

Kaya sbuffó, infastidita, e si diresse nel bagno attiguo per liberarsi dell'indumento.

Lo ripiegó con cura e lo rimise esattamente nello stesso posto da dove lo aveva prelevato: il reparto “cimeli intoccabili” dell’armadio, ove si trovava pure il pigiama rosa di Mayu.

 

«non prendertela, è un regalo…»

 

«figurati! Scusami tu piuttosto. Non dovrei frugare tra le tue cose…» ma il tono era leggermente infastidito, non era riuscita a celare il suo disappunto.

 

Destreggiarsi tra gli sbalzi d’umore femminili non era nelle corde del capitano.

 

«mi rincresce, ma ho un passato. Non posso scusarmi per quel che ho vissuto e le persone che ho amato…» il tono risultó più pungente di quanto avesse voluto.

 

Kaya riveló un lato sorprendente: si sarebbe aspettato un’infuocata scenata di gelosia; invece l’insicurezza la fece chiudere in se stessa, quasi intimidita, smarrita.

Il rimprovero rude riuscì a creare una crepa nella sua spessa corazza… spessa fino a qualche tempo fa.

Improvvisamente si rese conto di essere completamente sola, in un luogo e un tempo sconosciuti. Più nessuno di coloro che avevano fatto parte del suo mondo era in vita: sua madre, i nonni, quel padre che non aveva mai conosciuto… e sì, anche quel viscido col quale viveva.

Non esisteva più il suo tempo, e molto probabilmente non vi avrebbe mai più fatto ritorno. In un secondo tutto questo le piombó addosso, e improvvisamente proruppe in un pianto disperato, dove la solitudine ne era il grido angosciato.

Quando la sentì sussultare in un primo attimo pensó che stesse ridendo, ma subito sentì i singhiozzi convulsi e disperati, e le si accasciò davanti, e pensó che dipendesse dalla sua risposta secca.

 

«perdonami, non dovevo essere così brusco…»

 

In quel mentre il cicalino del cronografo avvertì di una comunicazione in arrivo.

Il giornaliero rapporto da Yattaran e Tadashi: l’ultimo mese non aveva registrato grandi cambiamenti. I due ufficiali passavano la quasi totalità del tempo a riordinare l’archivio buttato all’aria nell’ex appartamento di Tadashi, ma le cose stavano cambiando.

Secondo Yattaran avevano finalmente messo le mani su una ricerca che molto probabilmente li avrebbe portati a risolvere il loro dilemma: si trattava di rimettere insieme i pezzi e finalmente sarebbero potuti rientrare.

 

«d’accordo. Grazie vice, a domani…»

 

Kaya singhiozzava ancora sommessamente e Harlock le si avvicinó.

«non stai piangendo per la mia risposta di poco fa, non è vero?»

 

Fece di no con la testa.

 

«mi sento sola… mi fai sentire sola!» con una mano si asciugó una guancia rabbiosamente.

 

Dove trovasse la pazienza per stare dietro ai malumori di Kaya era un mistero.

 

«e perché ti farei sentire sola? Ti permetto di starmi intorno, cerco di comprendere la tua condizione…»

 

«Non devi avere segreti per me… Non voglio! Mi fai sentire un’estranea!»

 

Come se non avesse abbastanza grattacapi per la testa, ci si doveva mettere di mezzo quel maledetto maglione!

 

«ti riferisci a questo?» lo prese e lo lanció in malo modo a terra «a me sembra solo un pretesto!»

 

La prese per le spalle rudemente 

«capisco la tua situazione! Capisco tu ti senta fuori dal tuo ambiente ma sto facendo di tutto per aiutarti! Raccontarti di Namino cambierà le cose?»

 

A queste parole le si riempirono nuovamente gli occhi di lacrime.

 

Era insicura, spaventata e troppo innamorata: una combinazione emotiva che giustificava quel comportamento.

 

Più dolcemente disse «lei è morta. Ti senti più tranquilla ora?»

 

Più cercava di dimenticare la triste fine di Shizuka e il suo ruolo in quel contesto, più le circostanze lo portavano a ricordare.

 

«non voglio sapere altro…» mormorò Kaya con un filo di voce «dimmi solo che mi vuoi un po’ di bene… per favore!»

 

«certo che te ne voglio! Hai ancora dubbi?»

 

«non me l’aveva mai detto nessuno…» disse sottovoce.

Poi indicó il polso di Harlock 

 

«tra non molto potró decidere se voglio andarmene, non è vero?»

 

«pare di sì. È quasi un miracolo… ma d’altra parte del mio equipaggio fanno parte solo persone eccezionali…»

 

«…se decidessi di farlo, ti importerebbe?»

 

«è una minaccia?» alzó un sopracciglio.

 

«una possibilità, come hai detto tu…»

 

«…se non ti do la risposta esatta ora, deciderai di andartene? È così?»

 

Kaya non rispose.

 

Ad Harlock non piaceva essere messo all’angolo, nemmeno da chi amava e per questioni di cuore; ma questa ragazza aveva un carattere molto forte.

 

Più gentilmente «cosa vuoi da me? Mi hai chiesto di permetterti di amarmi e l’ho fatto. Sai che non mi sei indifferente, ma non ti basta, vero? Quindi, cosa vuoi?»

 

«sono abbastanza importante per te da impedirmi di andarmene?»

 

«non funziona così, dovresti saperlo… » disse Harlock, guardandola fisso negli occhi.

 

«lo so come funziona!» rispose esasperata 

«libertà! La tua irrinunciabile libertà! Ma me ne fotto di tutte queste cazzate idealistiche!»

 

«e allora cosa vuoi? Cosa vuoi, avanti, dillo!»

 

«voglio sapere cosa significherebbe per te, se io me ne andassi! Ti dispiacerebbe abbastanza da desiderare di fermarmi?»

 

«perché ci giri intorno? Dì quello che devi!»

 

Messa alle corde: ci si era cacciata da sola.

 

«…mi ami?» era inutile imbrogliare le carte ormai.

 

«non voglio che tu te ne vada, ma se vorrai farlo non ti fermeró. Ti voglio bene, sei diventata importante, ma non ti impediró di andartene se lo vorrai.»

 

Sapeva le avrebbe risposto così, ma voleva sentirlo con le sue orecchie, voleva sentirselo sbattere in faccia. Un dolore sordo le fece nascere un singhiozzo, e nuove lacrime salirono agli occhi.

 

«te l’avevo detto… ti saresti fatta male. Non devi aspettarti troppo da me.»

 

Kaya si diresse verso la porta.

 

«non devi andartene… puoi rimanere se vuoi».

 

«non avrebbe senso adesso».

 

Kaya uscì silenziosamente, senza dire altro, e quando si fu chiusa la porta alle spalle, Harlock diede un calcio al maglioncino rimasto a terra.

 

«maledizione!»

 

Le aveva chiesto se l’amava, ma ancora non riusciva a dire veramente ciò che provava. Un po’ per carattere un po’ per amore di Mayu. Ammettere i suoi sentimenti aveva il gusto amaro del tradimento verso la sua Mayu, ma non ammetterli stava facendo soffrire Kaya: odiava vederla piangere. Non era un tipo dalla lacrima facile: era evidente soffrisse molto. 

 

«ti prometto che cercherò di non farti del male» mormoró rivolgendo lo sguardo all’infinito che si offriva davanti ai suoi occhi.

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Capitolo 13
*** Champagne ***


I tappi delle bottiglie di champagne saltarono uno dopo l’altro, fiotti di liquido dorato e schiuma soffice bagnarono il pavimento della plancia.

 

«no ragazzi! Non dovevate!!!» Kei era imbarazzata. In occasione del suo compleanno i ragazzi le avevano preparato una piccola sorpresa, anche per mitigare la sua solitudine: Tadashi era via da un bel pezzo e la bionda sentiva particolarmente la sua mancanza.

 

Mancava il pezzo forte: si fece avanti Kaya con una magnum da 5 litri, prima di aprirla agitó energicamente la bottiglia che le venne tolta dalle mani dal navigatore che stava sostituendo Yattaran. Quando fece saltare il tappo il getto di champagne sotto la spinta del gas in pressione finì direttamente addosso a Kaya inzuppandola fino alla vita.

 

«certo che hai una mira penosa…» rise, grondante «speriamo mi porti fortuna questo bagno!»

 

Masu san era apparsa con grandi vassoi di pasticcini

 

«tanti auguri bambina!» le schioccó un bacio sulla guancia.

 

La pausa duró una mezz’oretta prima che si riprendesse il lavoro.

 

«sei tutta zuppa… devi cambiarti…» osservó Harlock guardando Kaya coi vestiti incollati addosso.

 

«si, ora vado…»

 

«la tua cabina è troppo distante. Ho qualcosa che potrebbe andarti.»

 

Gli sembrava un’ottima idea: era ora di mettere da parte una volta per tutte le ombre del passato, e questa era l’occasione giusta. Le avrebbe dimostrato che, dopotutto, poteva aspettarsi anche qualcosa di bello.



 

«mettiti questo» le porse un abitino azzurro

«era di Mayu. Tu sei un po’ più prosperosa, ma dovrebbe andarti…»

 

«stai forse dicendo che sono grassa?» disse con disappunto, afferrando l’abito che gli porgeva.

 

«non ho detto che sei grassa! Non cominciamo…»

 

«girati mentre mi cambio!»

 

Le diede le spalle, ubbidiente.

 

«se vuoi puoi usare il bagno…»

 

«non ce n’è bisogno… ehi! È veramente stretto… e corto! Sembra la divisa delle cheerleader!»

 

Harlock si voltó, curioso di vedere come le stesse, e speranzoso che le evocasse ancora di più la sua Mayu, e rimase a bocca aperta.

 

Kaya stava cercando di tirare più giù la microscopica gonnellina a pieghe. quel vestito era di almeno due taglie più piccolo, le tirava sul seno e ad Harlock parve di scorgere il rilievo dei capezzoli sotto il tessuto, il gonnellino a stento le copriva le mutandine, e lei era arrossita. Quando lo indossava Mayu l’aveva considerato un capo anonimo, ma su Kaya era molto provocante.

 

«credo sia meglio che indossi i miei vestiti bagnati…» disse Kaya imbarazzata

 

«no… ti sta benissimo…» e non stava mentendo.

 

A Kaya non sfuggì come l’aveva guardata… possibile che avesse catturato il suo interesse?

 

Improvvisamente Harlock si sentì terribilmente accaldato e desideró un birra gelata.

“Al diavolo il vino” per una volta gli preferiva dell’altro.

 

«io prendo da bere, vuoi qualcosa?» nel mentre abbassó un po’ la zip della maglia a collo alto.

 

«no grazie, non ho sete…» lo osservó dirigersi verso il frigo bar, prelevare una bottiglia di birra, stapparla e portarsela alle labbra bevendo avidamente a canna lunghi sorsi.

Si morsicó il labbro inferiore dopo che gli ebbe chiesto senza riflettere «me ne dai un po’?»

 

«hai detto che non ne volevi…» la guardó sorpreso

 

«solo un sorso… per assaggiare»

 

Harlock le porse la bottiglia e Kaya la prese, con lentezza se la portó alle labbra, fissandolo negli occhi con impudenza, e lentamente lambì con la punta della  lingua l’imboccatura della bottiglia dove lui aveva posato le labbra, prima di berne un sorso.

 

“Cosa diavolo sto facendo!!!» sentiva il viso di brace ma non riusciva a smettere, e vedere il modo in cui lui la guardava la spronava a continuare.

 

Deglutì la birra fredda che le fece venire i brividi, poi aprì la bocca e inizió a passare pigramente la lingua su e giù sul collo della bottiglia, due volte, e arrivata in cima succhió l’imboccatura prima di porgerla ad Harlock 

«grazie…» disse, inumidendosi le labbra con la lingua, continuando a guardarlo nell’occhio più sfrontata che mai. La vecchia Kaya voleva emergere per prendersi ció che desiderava: le lacrime di pochi giorni prima l’avevano spronata a mettere da parte le sue fragilità per passare a qualcosa di più pratico.

 

Harlock prese la bottiglia che lei gli porgeva e a sua volta la portó alle labbra vuotandola del contenuto.

Quando ebbe finito la lasció cadere a terra e quella rotoló fino a fermarsi a contatto con il tappeto ai piedi del letto.

 

Le mise le mani ai lati del collo, mentre coi pollici le accarezzava le guance; aveva un espressione seria e il suo occhio si era velato

 

«vuoi questo?» le chiese con un tono di voce che non gli aveva mai sentito. Il cuore di Kaya inizió a galoppare mentre lui la bació con ingordigia, sembrava affamato. La sua bocca la accarezzava morbida e golosa, era tanto diverso dal bacio che le aveva dato quando l’aveva confusa con Mayu… era stato tenero allora. 

 

«Sei sicura di essere pronta per fare dell’altro?» le sussurró sfiorandole con le labbra un’orecchio.

 

Non era inopportuno: lei l’aveva provocato in maniera sfacciata, e dentro di sé lo voleva eccome “andare oltre”; avrebbe ripulito lo schifo di anni di abusi. Ma non era sicura di poter controllare le sue reazioni… anche se ormai erano, come si dice, intimi; seppur non fossero mai andati oltre qualche bacio.

 

Era imbarazzata e il cuore aveva deciso di sconquassarle il petto, fissava le sue labbra mentre parlava

«lo vorrei, ma non sono sicura di poter controllare le mie azioni.»

 

Poi, in uno slancio di ardimento tornó a fissare lo sguardo sul suo

«vorrei potessi cancellare quello che ho dentro. La violenza con… l’amore?»

 

«Possiamo provare, se te la senti».

 

Kaya non sapeva se morire di vergogna, paura o felicità.

Alla parola “amore” non si era ritirato nominando Mayu o accampando i vari perché non potesse essere possibile. Vuoi vedere che l’ultima discussione che avevano avuto aveva smosso qualcosa d’importante?

 

Sarebbe bastato dire semplicemente sì, e le avrebbe fatto scoprire cosa significava essere di un uomo perché l’aveva deciso lei e non per costrizione.

Si mosse eccitata e nervosa.

 

«Credo sia ancora troppo presto. Non ci tengo a prendermi un altro calcio nelle palle.»

 

Kaya rise, quanto era incredibile quest’uomo? Aveva intuito il suo stato d’animo e aveva sdrammatizzato senza metterla in imbarazzo.

 

«So di non contare troppo per te…»

 

«È grazie a te se sto facendo pace col mio passato e accettando il mio presente: non dirlo più…»


Quella notte non riuscì proprio a prendere sonno. Pensava e ripensava a ciò che si erano detti la sera prima e l’unica frase che poteva descrivere tutto ciò che era successo era “ogni lasciata è persa”. Odiava i rimpianti. Era il momento giusto? Oppure aveva ragione lui?

 

“Dannazione! Ma chi se ne frega? Potrei pentirmene mille volte domani!”

 

I corridoi erano silenziosi e bui, fatte salve per le deboli luci a terra che segnavano la via nei corridoi e Kaya trovó che fossero molto utili per spostarsi durante la notte artificiale.

 

Harlock era ancora sveglio, seppure fosse molto tardi, Meeme era andata via da poco.

Non indossava pigiami, preferiva dormire in boxer e così lo trovó Kaya, che alla vista dell’uomo seminudo si sentì accartocciare le viscere in un mix incredibile di desiderio e autentica paura, una voce le urló nella testa

«girati e scappa!»

Non le diede retta, si concentrò sui sentimenti che provava mettendoci tutta l’attenzione possibile.

 

«Che ci fai qui? È molto tardi. Come sei conciata?»

 

Un lenzuolo la infagottava dai piedi fin sotto il naso, come un gigantesco bozzolo.

 

«Ho lasciato qualcosa in sospeso. Non riesco a dormire se non la risolvo.»

 

Harlock capì al volo.

 

«E sei assolutamente sicura di volerla risolvere adesso?»

 

Fece di sì con la testa «me ne pentirei mille volte, lo so…deve succedere ora».

 

«Potresti toglierti quel lenzuolo di dosso? Magari riesco a vederti in faccia»

 

Kaya temporeggió, finché Harlock la convinse con un’occhiata impaziente.

 

Lasció cadere il lenzuolo.

 

Era rossa come un pomodoro

«mi sono coperta per nascondermi, in caso avessi incrociato qualcuno per i corridoi…»

 

Indossava un cortissimo abitino di impalpabile stoffa… Meeme doveva averla aiutata a realizzarlo perché era dello stesso tessuto dei suoi foulard.

Trasparente, cortissimo… e sotto non aveva nulla.

 

Era così impacciata e timorosa. Si era spogliata di tutta la sua sfrontatezza e strafottenza: davanti a lui c’era una giovane donna che voleva essere aiutata a guarire da un passato di bassezze e laidume.

 

Si avvicinó per ammirarla meglio: Kaya in quanto a sensualità poteva dare lezioni a Sarah, la sua prostituta preferita, che pure ne aveva fatto un mestiere.

 

Senza parlare le mise le mani tra i capelli, accarezzandole il viso con gentilezza. Doveva rassicurare quell’animaletto spaventato e malfidente.

 

Inizió dalle labbra, Kaya amava baciare, si lasciava andare in quel frangente, nonostante le violenze passate. La bació a lungo, con passione ma con dolcezza, prendendo tutto il tempo che serviva. Quando sentì che era più rilassata, e non c’era rigidità nei suoi movimenti, con gentilezza l’accarezzó piano, partendo dalle spalle.

 

Kaya chiuse gli occhi, tremava e respirava con affanno.

La accarezzó dalle spalle fino alla vita, e poi giù, fino all’orlo del corto abitino. Dopodichè si inginocchiò di fronte a lei.

 

«Tu tieni su il vestito, al resto penso io».

 

Nella sua testa, involontariamente, erano le mani e la bocca di quel vecchio maiale che la toccavano e l’assaggiavano. Dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non fuggire. Voleva, doveva passare oltre, chiudere quel capitolo della sua esistenza e ricominciare a vivere.

Se lo impose con tutta se stessa, si concentró su di lui, sul suo sentimento prepotente e pulito: sul significato di ció che stava accadendo. Non era più un oggetto da usare per lo sporco capriccio di un animale.

 

«aspetta!»

 

Harlock si ritrasse «non te la senti?»

 

«no… solo forse è meglio se… lo conduco io il gioco.»

 

Avere il controllo la rendeva molto più rilassata. Sarebbe stata lei a decidere cosa e come farlo. 

 

Lo prese per mano e lo condusse al letto.

 

«ti prego, sdraiati…»

 

«mi piace questa cosa… e non mi capita spesso” disse con un sorriso mascalzone.

 

Quando si fu sdraiato, lei si sedette a cavalcioni all’altezza delle ginocchia di lui, e si avvicinó all’elastico dei boxer, indecisa. Poi si fermó.

 

Lui le prese gentilmente la mano che si era fermata a mezz’aria.

 

«non sei obbligata… possiamo rimandare…»

 

«no! Devo liberarmi, voglio finirla adesso!»

 

Si lasció condurre dolcemente sotto la stoffa dell’indumento.

 

«…Posso?» chiese Harlock, dopo essersi inumidito le dita con la saliva e le portava sotto il corto abitino.

 

Kaya annuì, con le ginocchia che le tremavano e gli occhi lucidi.

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Capitolo 14
*** Cronaline ***


Le mani di Harlock la sapevano cullare e sciogliere da ogni brutto pensiero, le dita le sfioravano la pelle procurandole brividi deliziosi e sospiri di piacere. Era bastato lasciarsi andare, con fiducia, e la magia si era compiuta.

Le aveva promesso che le avrebbe fatto conoscere la differenza che c’era tra l’amore fisico e la violenza che aveva subìto ed era stato di parola.

 

«…Cronaline…» lo sussurró appena, carezzandole il fianco con le dita, quasi sfiorandolo. Lei rabbrividì.

 

«Che hai detto? Come mi hai chiamata?» Il tono era talmente dolce che suonava come un tenero vezzeggiativo

 

«Cronaline… la mia viaggiatrice nel tempo… la mia piccola Cronaline…» lo bisbiglió al suo orecchio, mentre giocava coi capelli color cioccolato, accarezzando lunghe ciocche, arrotolandole tra le dita.

 

E Kaya scivoló nel sonno senza nemmeno accorgersene.




 

Un prato verde smagliante, sotto i piedi morbida erba, qualche albero sparso. Alla sua sinistra lo scrosciare tumultuoso di un corso d’acqua, celato alla vista da un muro di folta vegetazione, poco più avanti un ponticello di legno attraversava il fiume per raggiungere una pineta di antichi abeti che svettavano rigogliosi.

 

Un sogno lucido: ne era consapevole.

 

Un bianco sentiero da seguire, s’incamminó lentamente, guardandosi attorno, con la nostalgia a pungerle il petto, era sola: non c’era anima viva.

Più avanti, il prato elevava leggermente alla sua destra, una panchina verde con le assi in legno e i supporti metallici, sulla quale era seduta una fanciulla.

 

Sentiva che quel mondo era totalmente disabitato: gli unici esseri viventi erano lei e la misteriosa fanciulla.

 

Avvicinandosi scorgeva i dettagli della sua figura: snella, lunghi capelli neri, occhi nocciola dal taglio allungato, incarnato pallido che contrastava col corvino dei capelli che, incredibilmente lisci e setosi, brillavano sotto la luce grigia del cielo plumbeo. Il viso, dai lineamenti armoniosi e delicati, le ricordava qualcuno.

 

«Sei Mayu?» chiese, timorosa. Anche se Harlock le aveva detto che Mayu aveva gli occhi blu scuro, e poi aveva visto la sua foto…

 

La ragazza la guardó duramente.

«Devi andartene»

 

«andarmene? Da qui?»

 

«devi andartene da lui. Non ti appartiene.»

 

Stava parlando di Harlock. Ma chi era quella bambina dallo sguardo così fiero e coraggioso?

 

Ripetè «sei Mayu?»

 

«Sono il suo sangue e la sua carne. Devi andartene. Solo se tu te ne andrai io potró trovarlo.»

 

Kaya non capiva. Se non era Mayu chi poteva essere? L’aveva confessato Harlock: Mayu era il suo affetto più importante in assoluto, dunque, chi poteva essere così legato a lui da potersi considerare carne e sangue?

 

«Dimmi chi sei!»

 

«Tu lo sai.»

 

«No… non lo so! Dimmelo! Se sei più importante di lei non so proprio chi…» le parole le morirono in gola.

 

Era molto giovane, lunghi capelli scuri… i lineamenti e le espressioni del viso le ricordava qualcuno… le ricordavano vagamente Harlock! E improvvisamente capì.

 

«Tu sei…»

 

La ragazza annuì «sì, io sono Arcadia. Lo cerco dal giorno della mia nascita, ma sei arrivata prima tu. Non so come sia successo, e perché, ma è andata così…»

 

Ecco perché se ne era andata! Istintivamente Kaya comprese: Mayu l’aveva lasciato perché portava in grembo sua figlia!

Ma perché aveva tenuto il segreto? Perché era scomparsa senza dire nulla?

 

Il cielo si stava facendo più scuro: nuvoloni neri si addensavano sopra le loro teste, e si era alzato il vento.

 

«Non abbiamo molto tempo!» Arcadia guardó preoccupata il cielo, poi fissó gli occhi in quelli di Kaya.

 

«Devi andartene, solo così potró incontrarlo, fargli sapere che esisto, che lo amo! Il suo sangue mi chiama ogni giorno di più, ma in questo tempo non ho tempo…» sorrise amaramente, al gioco di parole.

 

«Ascoltami, e capirai.»

 

Il vento si fece più rabbioso, coprendo le parole di Arcadia, il cielo era sempre più scuro, distingueva appena la sagoma della panchina alle spalle della ragazzina, e diventava più buio ogni istante.

Le parole di Arcadia si trasformarono nell’ululato rabbioso del vento, i suoi capelli turbinarono selvaggiamente coprendole il volto.

 

Si sveglió di soprassalto con una strana sensazione: il sogno era stato incredibilmente vivido da sembrare reale.

Harlock dormiva accanto a lei. Lo guardó, pensando alla bambina sognata e un particolare le fece venire la pelle d’oca: la piega delle labbra era identica a quella della ragazzina.  Si coprì col lenzuolo, e improvvisamente fu scossa da intensi brividi di freddo, una sensazione molto vicina alla paura.

Non lo avrebbe svegliato per uno stupido sogno, che certamente era frutto delle sue ansie e insicurezze a causa di Mayu. Si accoccoló vicino a lui, assorbendo il calore che emanava dal suo corpo e lentamente riuscì a riaddormentarsi.




 

Al risveglio aveva completamente rimosso il sogno, cancellato dalla memoria come succede sovente.

 

Sentimenti nuovi e travolgenti le danzavano tra cuore e mente in un caleidoscopio d’emozioni che le facevano girare la testa e scombussolare i sensi. In una parola: era felice. Talmente felice che ne ebbe paura: era la prima volta che saggiava l’esaltazione dell’innamoramento e ne era già dipendente. Cosa avrebbe fatto quando tutto ciò fosse finito?

E non era felice solo per quel che era successo quella notte, ma perché aveva capito che anche lui provava i suoi stessi sentimenti ed era il fatto più grandioso, ancora di più dell’aver sconfitto quel mostro che viveva dentro di lei da troppo tempo.

 

Quella mattina era nata una nuova Kaya.





 

Meeme osservava Harlock da un po’. Già sapeva ciò che era accaduto al suo capitano: i suoi pensieri erano talmente intensi da generare dense volute cremisi nella sua aura.

 

Si chiese quando sarebbe tornato coi piedi per terra: era intenzionata a stuzzicarlo a dovere… da buona confidente si doveva sempre tenere informata su tutto ciò che lo riguardava: una cosa era certa, la giovane Kaya era riuscita ad intrufolarsi tra le pieghe del suo cuore. Se ciò fosse bene o male, era tutto da vedere.

 

La postura rigida che assumeva di solito era stata sostituita da un generale rilassamento delle membra. Gli avambracci posati mollemente sui braccioli del trono, la testa appoggiata al morbido rivestimento e lo sguardo dritto avanti a sé, come a percorrere migliaia di anni luce in avanscoperta nel cosmo che si apriva alla sua vista.

 

Meeme scommise che nemmeno un’esplosione l’avrebbe distolto dai suoi pensieri… o sogni ad occhi aperti.

 

Lo toccó lievemente su una spalla ma non ottenne nessuna reazione.

 

Accostó le labbra al suo orecchio destro, e i lunghi capelli dai riflessi opalescenti ricaddero sulla spalla di Harlock mentre Meeme lo chiamava piano per nome.

 

Finalmente ebbe un guizzo di vita.

 

«Sì?! Dimmi…»

 

Meeme rise sommessamente 

«bentornato! Visto che la tua presenza qui non è fondamentale, per ora, mi regaleresti un po’ di tempo?»



 

«Voglio sapere tutto!» Esordì l’aliena appena furono fuori dalla portata di orecchie indiscrete.

Stavano percorrendo i corridoi diretti alla sala letture, che era quasi sempre deserta.

 

«Proprio tutto, tutto?» 

 

«Non mi interessano i particolari! E so benissimo “cosa” avete fatto! Non fare lo gnorri!»

 

Si fermó e gli puntó l’indice all’altezza del cuore

 

«voglio sapere cos’è successo qui dentro…» spostó il dito sulla fronte del capitano «…e qui! Avanti, parla!»

 

«È successo quello che doveva succedere: ho smesso il lutto per Mayu… Kaya è nel posto giusto al momento giusto.»

 

Meeme sbarró gli occhioni gialli «non la starai usando?!»

 

«lo sai benissimo che non lo sto facendo…»

 

«Allora spiegati meglio… perché l’hai messa giù proprio male…»

 

«stai diventando sempre di più simile a una donna terrestre!» La rimproveró «vuoi farmelo ammettere a tutti i costi, e non mollerai finché non lo faccio…»

 

«Esattamente!» disse Meeme trionfante «ti tortureró, se sarà necessario…»

 

«E va bene… lo ammetto… credo di essermi innamorato. Contenta?»

 

«Non devi fare contenta me, ma te stesso! E quella povera ragazza… se la merita un po’ di serenità!»

 

«Già…».

 

«E adesso… cosa succede?» chiese Meeme, vivacizzata da un brio che non le era mai appartenuto prima di allora.

 

«… Spero niente guai. Ogni volta che mi illudo di aver trovato un po’ di pace, succede sempre qualcosa…»

 

«Sciocchezze!» Meeme agitó la mano affusolata come per scacciare un insetto «il tuo solito pessimismo! Vedrai che se ti comporti bene non ci saranno problemi!» Poi si lasció scivolare su una poltrona ampia, raccogliendo le lunghe gambe al petto

«ah! E spero che non faremo più i week end su Eta Carinae! Kei ne sarà sicuramente contenta!»

 

«Meeme! Non ti lasciar scappare niente di questa storia!»

 

«Non sono una chiacchierona, lo sai! Ma prima o dopo si verrà a sapere…»

 

Puntuale, il cronografo di Harlock annunció la chiamata del suo primo ufficiale.

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Capitolo 15
*** Sogni e fantasmi ***


«Ti ascolto Yattaran. Cos’hai per me oggi?»

 

«Eureka capitano! Ce l’abbiamo fatta! Siamo pronti per rientrare!»


~~~•••~~~


Si stava annuvolando in fretta, e minacciava pioggia.

Quella mattina era scappata all’alba, e ringraziava il cielo che finalmente fossero sbarcati sulla terra per prelevare Tadashi e Yattaran, o, per la prima volta, si sarebbe sentita soffocare chiusa dentro l’Arcadia; aveva bisogno di respirare aria pulita e chiarirsi le idee.

 

Proseguì nella sua corsa, correre la aiutava a pensare e rilassarsi, aveva bisogno di riflettere.

Le prime gocce non tardarono a cadere e ben presto si ritrovó sotto un temporale in piena regola, non si vedeva a un palmo dal naso ed era completamente fradicia. Cercó riparo sotto un albero, ma la situazione non miglioró. Si trovava sopra la scogliera, decine di metri sotto di lei ruggiva il mare in tempesta.

 

Il sogno: quel sogno continuava a perseguitarla, e finché si era trattato di tormentarla oniricamente era un conto, ma quel che aveva trovato sul cuscino quella mattina le aveva gelato il sangue nelle vene: tant’è che non aveva nemmeno avuto il fegato di toccarla. 

 

Sapeva cos’era e sapeva di chi era. Cosa diavolo stava succedendo?

Strinse forte gli occhi, come se quel gesto potesse resettare tutte le immagini sognate che la tormentavano da settimane.

 

«cosa devo fare?» lo disse con angoscia profonda.

Parlarne con lui? L’avrebbe presa per matta. Le avrebbe detto che la sua ossessione per Mayu la stava portando alla follia, e certamente l’avrebbe pensato lei stessa se i ruoli si fossero invertiti.

Ora però aveva una prova: la piccola ocarina che aveva trovato sul cuscino. Sapeva di chi era, perché c’era inciso, in piccolo, un nome: Mayu.

 

Se gliel’avesse mostrata non avrebbe dubitato di lei, ma qualcosa le diceva che doveva tenere per sé tutto ciò che le stava capitando. Perché altrimenti quella ragazzina sarebbe apparsa in sogno ad Harlock, e non a lei. Harlock non doveva sapere nulla, non capiva perché, ma sapeva che era essenziale.



 

Arcadia voleva che Kaya  lo lasciasse per permettere a lei di poterlo incontrare. Questo si erano dette l’ultima notte del loro incontro nel mondo dei sogni.


«Mi chiedi troppo, io lo amo…»

 

«…nel vostro tempo io ho solo pochi anni e non potrei mai raggiungerlo. Nel mio, lui è ai confini dell’universo… impossibile per me incontrarlo! E quando tornerà io potrei essere una donna, madre a mia volta… troppo tempo perso!» la voce e il volto di Arcadia erano una maschera d’angoscia.

«Il tempo! Il tempo è la chiave, ho bisogno di recuperarlo perché voglio quello che mia madre, nella sua incoscienza e presunzione, ci ha rubato!»


«non è una mia responsabilità. Prenditela con lei. Non puoi pretendere che io rinunci al mio amore per rimediare ad un errore di tua madre!»


«È l’unico modo! Aprire il portale per far tornare indietro te, consentirà a me di raggiungerlo. Prenderei il tuo posto nella vostra realtà.»

 

Kaya aveva riso amaramente «quindi Tadashi e Yattaran si sono fatti un culo così, infine, per aiutare te e non me!»

 

«mio nonno, qui, non puó fare più nulla; ma nel tuo tempo, sull’Arcadia ha ancora molto potere! E ho bisogno di te…  sono nelle tue mani».






 

«qualcuno ha visto Cronaline?» chiese Harlock affacciandosi alla porta del bar.

Da quando avevano fatto l’amore la prima volta, le aveva appiccicato quel nomignolo dolce ma estremamente femminile, o, almeno, così lo trovava Kaya.


Tutte le teste espressero diniego.

In palestra non c’era, in piscina nemmeno, e nessuno l’aveva vista rientrare.

Dove poteva essere? Era uscita la mattina presto, possibile non fosse ancora tornata? Ormai l’ora di cena si approssimava e da un po’ imperversava il temporale.




 

«Io esco a cercare Kaya»

 

«ancora non è rientrata, con questo tempaccio?» chiese stupita la bionda secondo ufficiale «esci così, alla cieca? Vuoi che la localizzi? Ci metto un attimo…»


Sul grande schermo olografico apparve un puntino luminoso lampeggiante sulla cartina topografica.

 

«eccola! È sulla scogliera. Non c’è riparo, sarà zuppa d’acqua ormai!»



 

Non ci mise troppo a trovarla, nonostante il terreno sdrucciolevole la moto si era comportata bene.

Kaya era intirizzita, bagnata fradicia e tremante sotto uno dei pochi pini marittimi che crescevano alla sommità della scogliera.

 

Si tolse il casco

«che intenzioni avevi? Passare qui tutta la notte e affogare nella pioggia?» disse a voce alta, per sovrastare lo scrosciare rumoroso dell’acqua, il tono era seccato, oltre che preoccupato

«incosciente… adesso andiamo o ti prenderai una polmonite!» I capelli oramai pregni d’acqua gocciolavano sul viso, sotto l’incessante acquazzone.


Kaya si lasció condurre verso la motocicletta


«Harlock…» Kaya lo guardó, sembrava spaventata.

 

«Dimmi…» Harlock aggrottó la fronte: le era forse accaduto qualcosa?

 

«Tu… hai figli?»

 

La guardó sorpreso.

«Perché questa domanda? Ti sembra il luogo e il momento adatto per intrattenersi in una conversazione simile? Comunque no. Togliamoci di qui! Mi stanno spuntando le branchie…»

 

Kaya si mise a cavalcioni della moto stringendosi a lui e finalmente tornarano all’asciutto. 


«Magari qualche donna del tuo passato?» Riprese Kaya, quando furono al riparo nell’hangar dell’Arcadia.

 

«Non ho avuto poi tutte queste donne. Se una di loro fosse rimasta incinta credo che lo saprei.»

 

Nonostante quella rassicurazione rimase turbata.

 

«Si puó sapere perché adesso tiri fuori questa cosa? Ti ho mai dato motivo di dubitare?»

 

«Non sto dicendo che tu mi abbia nascosto intenzionalmente qualcosa, solo se sei sicuro che non sia mai successo…»

 

«Vuoi affibbiarmi qualche figlio illegittimo?» Rise «sei proprio strana… tutte sospettose così voi ragazze del ventunesimo secolo?»

 

Kaya non rispose, la fronte corrugata e l’espressione seria.

 

«Insomma, si puó sapere cos’hai?»

 

«…Niente…»

 

«Possibile che voi donne diate sempre la stessa risposta quando c’è qualcosa che non va? Ti ho fatto qualcosa?»


«No davvero, tu non c’entri nulla…»

 

«Se non c’entro io, allora chi?» Si stava spazientendo.

 

«Ma niente… solo uno stupido sogno…»


Sentendo parlare di sogni gli venne in mente quella notte nella quale Mayu lo aveva costretto ad uscire per andare a cercare la zingara cartomante.

 

«Ecco, brava! Stupido! Qualsiasi sogno sia, smetti di pensarci.»







 

«Sei preoccupato?» Meeme si sedette sul letto di Harlock, accavallando le lunghe gambe.

 

«Solo pensieroso…»

 

«fammi indovinare: Kaya?»

 

«già… mi ha fatto un discorso strano…»

 

«vuoi parlarmene?» l’istinto le diceva di prestare attenzione.

 

Harlock sorrise «mi ha chiesto se ho figli…»

 

«strana domanda» Meeme era seria «perché te l’ha fatta? Lo sai?»

 

«a causa di un sogno… sono sicuro c’entri la sua insicurezza a causa di Mayu. Le fa vedere cose che non esistono.»

 

«mi sembra una ragazza coi piedi ben piantati a terra. Non le avrai detto qualcosa per farle venire questo dubbio?»

 

«assolutamente no! E perché poi?»

 

Meeme alzó le spalle «non ne ho idea… siete così strani voi umani…Illogici, molto spesso»

 

«ti assicuro che non ho né fatto né detto niente che potesse anche solo lontanamente farle pensare una cosa simile»

 

«non è che sta “tastando il terreno”?»

 

Harlock spalancó l’occhio, in un espressione spaventata che risultó molto buffa agli occhi di Meeme che si mise a ridere 

 

«dovresti vederti! Hai un’espressione troppo comica!»


«non prendermi in giro! Veramente pensi che lei stia pensando a…» non riuscì a concludere la frase.


Meeme cercava di trattenere le risa, si asciugó l’angolo degli occhi «beh, non lo so, ho solo fatto un’ipotesi… magari è stato proprio un sogno a farle venire questo dubbio».


Poi non riuscì più a trattenersi e scoppió in una fragorosa risata

«non ti ci vedo proprio a cambiare pannolini e preparare biberon nel cuore della notte! Scusami… non riesco a trattenermi!»


Non aveva mai visto la sua amica e confidente così divertita prima di allora.

 

«Vuoi dire che non potrei essere un buon padre?»


Meeme scosse la sua bellissima testa, e i capelli chiarissimi dai riflessi opalescenti ondeggiarono con grazia «oh no! Affatto! È che sei troppo “tutto d’un pezzo” per immaginarti a trafficare con un neonato»


«dimentichi che ho cresciuto Mayu…»


«Si, certamente! Ma i pannolini di Mayu li ho sempre cambiati io, se ricordi bene! Per lei sei stato più un fratello maggiore che un vero e proprio padre, ammettilo. Anche se sei riuscito a tirarla su più che bene, bisogna riconoscerlo.»


«Comunque non ci penso nemmeno. L’idea non mi sfiora minimamente. E poi non ho mai sentito il bisogno della paternità. Quindi non c’è nessun pericolo.»


L’eccesso di risa si era spento

«beh, se hai questo dubbio affrontalo con lei. Devo dire che questa uscita incuriosisce anche me!»


Un sogno. Ma cosa aveva scatenato quel sogno? Certamente non lui, ma qualcosa doveva pur essere stato. Inconsciamente forse le aveva fatto venire dei dubbi? Anche se non c’era nulla di più lontano, nei suoi pensieri, di un figlio: tutta quella storia era una sciocchezza, ma non riusciva a liberarsene. Per un’attimo immaginó lui e Kaya con un bambino.


«No! Non fa decisamente per me!»

 

Anche stavolta Meeme ci ha visto giusto: una compagna sì, ma prendersi cura di un bambino… no, era troppo!




 

Il giorno seguente Harlock mandó un mezzo, il più anonimo possibile, a prelevare Yattaran e Tadashi: finalmente il soggiorno forzato era giunto al termine. Il vice comandante non aveva voluto sbilanciarsi, avrebbe raccontato nel dettaglio quando si fossero trovati faccia a faccia.

 

E si presentarono a fare rapporto immediatamente.

 

Yattaran molló un faldone di fogli sulla scrivania di Harlock. 

 

«possiamo iniziare i lavori domani…»

 

«spiegati meglio, di che lavori parli?»

 

«le ricerche del professore erano tutt’altro che appunti… È riuscito a trovare il modo per creare le anomalie spazio temporali… perlomenosulla carta.»

 

«incredibile! Vai avanti…»

 

«già… con tutta questa roba, e le coordinate del punto preciso dove Kaya ha compiuto il salto, saremo, teoricamente, in grado di riportarla dietro. Ma c’è un ma…»

 

«coraggio Yattaran… sputa!»

 

«per farlo serve un bel po’ di energia… e quando dico “un bel po’” intendo un gran bel po’…»

 

Si intromise Tadashi

«per darti un’idea approssimativa: abbiamo bisogno di un quantitativo d’energia pari a quello liberato  dall’esplosione di una supernova…»

 

Harlock rimase a bocca aperta.

 

«È impossibile! Generarla e gestirla è da pazzi… servirebbe il genio di Tochiro per uscire da questo rompicapo…»

 

Yattaran si sentì offeso

«ah pensi questo? Bene, ti sbagli! In tutte queste settimane sono riuscito a progettare un Gate Dimensionale. Nemmeno troppo complicato da realizzare. Il problema è uno solo: stoccare l’energia necessaria…» esitó incerto.

Poi concluse di getto «ci serve l’anima dell’Arcadia…»

 

Harlock si rabbuió «È fuori discussione! Non si puó fare! Solo Tochiro sa dove e cosa sia. E anche se potessi metterci le mani non rischierei mai di danneggiare la nave… e danneggiare la sua anima!»

 

«credo di sapere dov’è… e ti garantisco che non farei mai nulla che possa comprometterne l’integrità…» Yattaran rispose titubante.

 

Tadashi gli venne in aiuto.

«ha ragione… ce ne serve solo una piccola parte… e non danneggerà la nave, ti do la mia parola…»

 

«È fuori discussione! L’Arcadia non si tocca!»

 

«vuoi lasciare Kaya prigioniera qui? Senza possibilità di decidere se tornare al suo tempo? Non farai nemmeno un tentativo…?»

 

Harlock era spazientito

«per ora le cose stanno così! Vi concedo di fabbricare il Gate… avete a disposizione il laboratorio che era di Tochiro. Di più per ora non è possibile… poi vedremo il da farsi.»

 

Yattaran e Tadashi erano delusi: ci avevano messo tutto il loro impegno e conoscenze, fino all’ultima goccia del loro ingegno unito alla scoperta del padre di Tadashi.

Ma se l’erano immaginato. L’Arcadia rappresentava tutto per il capitano, non avrebbe mosso un dito per modificare, o sottrarre qualcosa, da ciò che aveva creato il suo amico, e di ciò che ne era diventato parte. 

 

Alternative non ce n’erano. Se Harlock non dava il permesso di aprire il Computer Centrale dove dimorava l’anima di Tochiro, niente energia. Il Gate sarebbe restato semplicemente un meraviglioso manufatto tecnologico.

 

«d’accordo. Il capitano sei tu…» borbottó Yattaran.

«Ma sappi che non mi arrenderó! Torneró alla carica, una volta terminato il Gate… andiamo Tadashi… abbiamo altro lavoro da fare…»

 

Harlock capiva cosa rappresentava tutto questo per i due ufficiali e comprendeva l’amarezza del suo vice. Ma non poteva permettere che si mettessero le mani all’interno del cuore della sua nave. Avrebbero trovato un’altra soluzione… prima o dopo.

E poi non c’era tutta questa fretta… perché aveva preso, proprio in quel momento, una decisione senza precedenti.

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Capitolo 16
*** L’anello ***


Yattaran e Tadashi si rinchiusero nel laboratorio che fu di Tochiro a partire dal giorno dopo, e ne uscivano solo per il pranzo e la cena. Non di rado ci dormivano, improvvisando due giacigli di fortuna, pur di andare avanti coi lavori.

Spesso chiedevano la consulenza del capo ingegnere, e per qualche giorno sparì anche lui dalla circolazione.

 

Harlock non faceva domande né interrompeva i suoi uomini impegnati in quel progetto straordinario. Sembrava quasi volesse ignorare di proposito tutta quella faccenda che in cuor suo considerava giusta ma, oramai,  inutile.

 

Kaya aveva dato una sbirciata un paio di volte, ma oltre a una gran confusione, imprecazioni e rumori da officina non aveva scorto granchè.

 

E poi c’erano i sogni e quella sciocca ragazzina che diceva di essere la figlia di Harlock… era un parto della sua fantasia? Altamente improbabile, visto che i sogni non lasciano i souvenir sul cuscino. Era propensa a credere che tutta quella faccenda fosse vera e reale quanto lei.

 

Erano più le notti che passava nel letto del capitano che nel suo, ed era proprio in una di queste che aveva trovato, al risveglio, l’ocarina di Mayu.

Era stato uno shock trovare l’oggetto: l’aveva preso e nascosto in un cassetto sotto una pila di magliette, credendo così di dimenticarsene e non pensarci più; ma era come ignorare un elefante perché la faccenda era inquietante e la tormentava notte e giorno.

 

Tornò nella sua cabina, senza quasi pensarci aprì il cassetto e tiró fuori il piccolo oggetto, rigirandoselo tra le mani… sentì che qualcosa di piccolo e leggero si muoveva al suo interno.

Incuriosita cercó di guardare tra i forellini dello strumento, ma ebbe bisogno di una torcia per poter scorgere al suo interno un bigliettino arrotolato.

 

Con l’aiuto di un paio di pinzette riuscì ad estrarlo dall’imboccatura, cercando di rovinarlo il meno possibile.

 

Con mani tremanti svolse il piccolo cilindro che conteneva un messaggio scritto con inchiostro nero

 

“Tienila con te fino al momento del passaggio: è come un radiofaro nella corrente del tempo. Ci permetterà d’incontrarci e fare in modo che avvenga lo scambio.“

 

Il cuore le batteva furioso nel petto: adesso basta! Questa storia doveva finire! Figlia o non figlia, quella mocciosa la doveva  piantare di tormentarla! 

 

Prese l’accendino che aveva sul comodino accanto al letto, e accostó la fiamma al biglietto che teneva tra pollice e indice

“Vaffanculo tu, e tutti i tuoi stupidi problemi! Io non c’entro niente con questa storia!”

 

La mano tremava, ma non riusciva ad accostare la fiamma alla carta.

La fronte le divenne umida di sudore, e un sussurro sembró uscire dalle pareti della cabina

 

«non bruciarlo!»

Per la sorpresa lasciò cadere l’accendino, con la mano che tremava vistosamente.

 

«cosa cazzo sta succedendo?!» quasi lo gridó. Nella solitudine delle 4 mura, il suono della sua voce risultó ancora più sinistro.

 

I sogni stavano cercando di diventare realtà? C’erano i fantasmi sulla nave? Oppure…. Oppure stava impazzendo?

 

Con un’esclamazione di angoscia rimise il foglietto dove l’aveva trovato, facendolo passare per uno dei forellini dello strumento e rimise tutto al suo posto.

 

Le mani continuavano a tremare. Uscì di corsa dalla sua cabina, decisa a ritornarci il più tardi possibile.




 

La decisione l’aveva presa d’impulso, quando Yattaran gli aveva rivelato che la possibilità di un ritorno di Kaya non era più in forse, ma una realtà possibile.

Questa volta non avrebbe permesso alla donna che amava di lasciarlo: lei voleva restare e lui avrebbe cristallizzato questo suo desiderio, questa volta per sempre.

 

Il piccolo anello brillava nel palmo della mano.

Lo aveva comprato solo pochi giorni prima, facendo toccata e fuga su un satellite artificiale usato perlopiù come luogo di rifornimenti d’emergenza: tra carburante, generi alimentari e medicinali si trovava anche qualche negozio di preziosi.

 

Comprato! Un gesto unico per lui, soprattutto per quanto riguardava oggetti superflui e frivoli come quello.

Riflettè sul fatto che nemmeno per Mayu aveva fatto un gesto simile, e non perché valesse di meno; semplicemente perché aveva cambiato il modo di vedere le cose. Ora comprendeva appieno il valore di Kaya dopo aver perso Mayu: voleva che avesse un significato speciale, soprattutto per quel che aveva in mente di fare.

L’avrebbe spiazzata. E già pregustava l’espressione di lei. Sorrise.


Kaya era in compagnia di Kei: le stava mostrando in cosa consistevano le sue mansioni. Lo scopo era renderla edotta al punto da poter essere una valida sostituta. Ne avrebbero avuto per un bel po’: il tempo sufficiente perché tutto fosse pronto al suo ritorno. Candele, fiori e una cena ricercata che Masu-san aveva preparato su sue indicazioni.

 

Kaya arrivó più tardi del previsto, nervosa, stanca e demotivata.

 

«Non ci capiró mai nulla! Sei proprio sicuro di voler fare di me la sostituta del secondo ufficiale? Sono una stupida testona ignorante…» sospiró, sul punto di lasciarsi andare in pianto per la frustrazione.

 

Harlock sembró non dare peso ai suoi problemi.

«Ti devo parlare…»

 

Il tono di Harlock era molto serio, al punto che Kaya si preoccupó.

 

«Vieni, siedi…»

 

«Ci ho pensato molto» si passava la mano sul mento mentre parlava, la barba di due giorni gli dava un’aria meno severa.

«Non voglio accada ciò che è successo con Mayu.»

 

Kaya si rabbuió. Pessima premessa, ma si impose di tenere chiuso il becco e continuare ad ascoltare.

 

«Ti voglio con me.»

 

«Anche io! Non è una novità…» ribatté Kaya ora più rilassata. “Ora mi chiede di trasferirmi qui…” pensó Kaya, già emozionata… aveva notato l’atmosfera più romantica che si respirava nella stanza.

 

«Ti voglio con me per sempre. Voglio impedirti di fuggire…» sorrise «legarti a me senza possibilità di fuga»

 

«ma non ce n’è assolutamente bisogno! Non ho nessuna voglia di andarmene! Che intenzioni hai? Ammanettarmi al timone?» 

 

Divenne serio «qualcosa di simile…» e le prese gentilmente la mano mettendo al suo centro l’anello.

 

Kaya spalancó gli occhi

«e questo? Chiese incuriosita. Che ho fatto per meritarmi un regalo?»

 

«Non lo immagini?» Alzó un sopracciglio, conscio che la giovane Kaya ancora non aveva afferrato il senso di quel gesto.

 

Allora le prese la mano e le infiló l’anello all’anulare sinistro

«Ti sto chiedendo di passare la vita con me, come compagna… come moglie».

 

Kaya rimase a bocca spalancata, incapace di pronunciare sillaba.

 

«sei rimasta senza parole?»

 

«non stai scherzando?! Dici sul serio?! Non mi prendi in giro?»

 

«sono serissimo…»

 

Kaya si mise entrambe le mani sulle labbra e sgranó gli occhioni verdi

«siiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!» le uscì in un gridolino di gioia, mentre saltellava su e giù. Sembrava una bambina al luna park.

 

Si calmó, e più seria chiese 

«perché a me sì e Mayu no?»

 

Harlock se lo aspettava

«perché ho capito che è giunto il momento di cambiare. Perché l’ho persa e non voglio perdere anche te. Con Mayu non avevo capito che per amore bisogna essere disposti a fare compromessi, rinunciare a qualcosa. Ora lo so e non voglio sbagliare di nuovo. Niente più scuse per evitare legami troppo stretti… ne sento il bisogno.»

 

L’emozione che le scatenarono quelle parole fu talmente incontenibile da farla piangere.

Come l’ultima delle cenerentole, rendersi conto che il principe vuole proprio e solo lei. Un sogno impossibile diventato realtà, e Harlock capì che aveva preso la decisione più giusta.

 

Quando si fu calmata le asciugó il viso con una carezza

«scegli tu: dove e quando. Ma cerca di non farmi aspettare troppo»

 

«non ci ho mai pensato… non saprei da che parte iniziare.»

 

«allora lo decideremo insieme».





 

«Non ne hai parlato con me!» Meeme era stupita e anche un po’ delusa. Da sempre era la sua prima confidente, da sempre per ogni importante decisione  si consultava prima con lei.

 

«Non avertene a male amica mia. È la prima volta che sono sicuro della decisione presa. Volevo fosse lei la prima a saperlo.»

 

«Capisco. Allora posso solo augurarvi felicità, ve la meritate.»

 

“Spero che sia proprio così, che vada tutto bene questa volta” il pensiero che le fiorì spontaneo stupì anche lei.


Mentre Kaya si era rinchiusa nella sua cabina, sdraiata sul letto si fissava la mano da ore senza stancarsi.

Non era vero.

Sicuramente era un sogno meraviglioso e la paura che svanisse era troppa.

 

«Sciocca! È qui, al mio dito, è reale! Ha scelto me! Il problema è che non avrei mai immaginato che sarebbe potuto accadere…»

 

Ma quella felicità totale e perfetta era oscurata da una nube.

“Mi dispiace ragazzina: non ho intenzione di rinunciare, non adesso che mi ha scelta… troverai un’altro modo per conoscere tuo padre…”

 

Era proprio ora di finirla, questa storia. Le avrebbe parlato la prossima volta che si fossero incontrate, e se non fosse stata d’accordo, beh, in quel caso ne avrebbe parlato con Harlock. Era stata zitta troppo a lungo.


 

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Capitolo 17
*** Imprevedibili stupefacenti ***


«Hai pensato ad una data?»

Harlock era seduto insieme a lei sul letto e la abbracciava da dietro, con il viso affondato nei suoi capelli.

 

Trattenne il respiro.

 

«Allora? Nessuna idea?»

 

«Non saprei… ma ho sempre amato dicembre. La neve… le feste…»

 

«Originale. Conosco un pianeta perennemente innevato, con splendidi panorami, di sicuro ti piacerebbe… qualche giorno chiusi in uno chalet sarebbe una bella luna di miele.»

 

Kaya chiuse gli occhi e si appoggió al suo petto, sorrise

«sì, sarebbe veramente molto bello! E romantico…» allungó la mano per cercare la sua e intrecciare le dita. 

 

«Sembra un sogno» disse a voce bassa.

 

“Quel’è il sogno? E quale la realtà?” Si chiese, e una profonda inquietudine s’impadronì di lei.

 

«Abbracciami stretta… non farmi andare via.»

 

«Devi solo provarci, ad andare via…» il tono era sereno, non aveva colto l’angoscia che l’aveva catturata.

 

La sensazione d’irrealtà che l’aveva sommersa era travolgente. Si sentì come un fantasma che camminava tra due mondi, la percezione di svanire come fumo fu talmente opprimente da darle le vertigini. Il mondo attorno a lei sembró stingersi; per un attimo il letto, la mobilia, la stanza: persino il cosmo che si estendeva al di fuori, assunsero la consistenza di pallida nebbia.

Strinse più forte gli occhi e si aggrappó a lui, come una zattera nel mare in tempesta, concentrando i sensi sulla sua presenza e fisicità. Sentirlo vicino a lei, stringergli la mano, ascoltare la sua voce, aspirarne il profumo.

 

Pochi attimi e quella orribile sensazione svanì, ma le lasció addosso la paura, e ripensó alla voce udita nella sua cabina… 

 

«Purtroppo devo andare, il dovere mi chiama… mi accompagni?»

 

Ancora stordita Kaya annuì. Ora più che mai aveva bisogno di averlo accanto, per tutto il giorno fu la sua ombra, sostituendo Meeme, per una volta.

 

E quella sera fece una cosa che non aveva mai fatto fino ad allora.

Nonostante un passato vissuto nell’illegalità mai aveva assunto stupefacenti o medicinali che potessero alterare il livello di attenzioe; Frank, per quanto spacciatore schifoso, l’aveva sempre tenuta alla larga e messa in guardia da ogni tipo di droga.


«La vedi questa?» le disse, mentre stava sporzionando la polvere in dosi che poi avrebbe venduto.

«Questa è merda. Veleno. Non prenderla mai, hai capito? Ci fa vivere bene, venderla va bene, ma non usarla mai. Se mi accorgeró che solo ci pensi, ti daró una lezione che ricorderai per sempre.»

Aveva solo dodici anni, ma ancora ricordava le esatte parole.


L’Arcadia era formata da tante persone diverse: qualcuno più vizioso di altri, ma nessun tossico nel vero senso della parola. Ma si poteva comunque trovare “qualcosa” che facesse al caso suo.

 

«Qualcosa per non dormire? Non ti basta un energizzante?»

 

«No! Altrimenti mi facevo un caffè! Devo stare in piedi tutta la notte… non mi basta.»

 

Akira faceva il magazziniere di bordo.

Alzó le spalle e andó a frugare tra le sue scorte.

Era poco più grande di lei: perennemente con la cicca in bocca, le braccia tatuate. Ogni tanto si faceva uno spinello, ma guadagnava bene vendendo medicinali e droghe leggere, che Zero avrebbe sicuramente trovato discutibili. Harlock tollerava questo mercanteggiare, purché rientrasse nel consumo occasionale e non compromettesse l’efficienza e la salute di nessuno e Akira era ben attento a rispettare, e far rispettare, queste regole.

 

«Sei fortunata… mi è rimasto qualcosa.»

 

Le mise in mano una pillola dentro una bustina di pvc trasparente.

 

«una sola?» chiese delusa.

 

«Sì, una sola. E se ne vuoi altre dovrai aspettare altri 7 giorni. Sono le regole. O così o il capitano mi toglie la concessione al commercio, mi dispiace.» Le tese la mano.

Una notte senza sogni valeva ben una moneta d’argento.




 

Inghiottì la capsula subito dopo cena.


«Ti senti poco bene?»

«Un po’ di mal di testa, nient’altro..»

 

Dopodichè chiacchierarono e fecero progetti davanti a una bottiglia di liquore dolce, e quella fu l’ultima cosa che ricordó.

 

Si sveglió con una terribile emicrania e la nausea.

 

«Cos’è successo? Non sarebbe dovuta andare così…»

 

«Sei crollata sul tavolo. Deliravi. Chiamavi l’Arcadia, quasi fosse una persona… Si puó sapere cosa hai preso?» Lo sguardo di Harlock era severo e indagatore.

 

Kaya si morse il labbro, cercó di alzarsi ma le vertigini la portarono a stendersi nuovamente.

 

«Solo una pillola per non dormire…»

 

«Sei una sciocca, non si bevono alcolici se prendi un medicinale. Lo sanno anche i bambini… Perché non vuoi dormire?»

 

Ecco perché si era sentita male! Che stupida… Ora che giustificazione avrebbe dato? Non voleva più mentire, o nascondere quel che stava succedendo.

 

«Volevo liberarmi dei sogni… per una notte almeno.»

 

«Ancora con questi sogni? Di nuovo questa storia?»

 

«Non volevo assillarti con delle sciocchezze. In fondo si tratta solo di… sogni.»

 

«Devono essere spaventosi se sei arrivata al punto di non voler dormire.»

 

«No. Tutt’altro. Solo che… Vogliono che faccia delle cose.»

 

«Spiegati meglio… È inquietante.» Prese una sedia e la mise accanto al letto, sedendosi a cavalcioni con gli avambracci appoggiati allo schienale.

 

«Beh… c’è una ragazza che insiste, dice che devo lasciarti. Andarmene…»

 

Harlock si passó le mani sul viso, sospirando. Non era uno psicologo, ma era sicuro di avere capito tutto.

 

«A questo siamo arrivati? La tua ossessione per Mayu è arrivata a questo punto? Kaya dimmi, hai bisogno di aiuto?»

 

“Ci avrei scommesso le testa. Ovvio mi prenda per pazza… Adesso mette in mezzo lo strizzacervelli. Potrebbero sbattermi in una cella imbottita e dimenticarsi che esisto.”

 

«Va bene… era una scusa! Volevo sballarmi un po’… e mi ero scordata che non si bevono alcolici…»

 

Harlock la osservó, poco convinto. 

«Sicura? Non ti bastava bere qualche bicchiere in più?»

 

«Beh, la colpa è mia… Avevo sentito parlare della merce di Akira e di quanto fosse buona… Pensavo che una notte intera a farci le coccole potesse essere una buona idea…» Dicendo questo mise una mano sulla patta dei pantaloni di Harlock, che fece un sorriso sghembo.

 

«… E invece ho rovinato tutto!» Si tiró su, avvicinando il viso al suo e gli leccó le labbra come un cono gelato.

 

Harlock le prese il viso e portó i suoi occhi a infilarsi nel suo «non mi stai raccontando storie? È la verità?» la scrutava sospettoso; l’istinto gli diceva che qualcosa non andava.

 

Era vero, stava cercando di nascondere ciò che aveva provato a confessare in un primo momento, ma era altrettanto vero che passare una notte intera a farsi sbattere come il sacchetto del pandoro con lo zucchero era il suo sogno erotico preferito… non era certo una bugia. Lo comunicó talmente bene con lo sguardo che Harlock si tolse i pantaloni e la raggiunse sotto le coperte.


Aveva fatto marcia indietro; ancora non capiva bene il perché. Non era stata la paura dell’essere presa per pazza: aveva una prova inconfutabile che testimoniava la sua integrità mentale. Le era preso il panico… qualcosa l’aveva trattenuta: come un paio di braccia che ti impediscono di gettarti dalla finestra.

E forse era meglio così. Sapere di avere una figlia; posto che quella che gli appariva in sogno lo fosse veramente, l’avrebbe certamente mandato più in confusione di quanto lo fosse lei… Sapere che la donna che aveva amato più di se stesso aveva preferito fuggire e nascondersi, pur di non fargli sapere che sarebbe diventato padre, l’avrebbe addolorato troppo.

 

Che quelle grane se le sbrigassero tra di loro… in compenso ci aveva guadagnato la miglior scopata di sempre. 


Yattaran voleva vedere Harlock nel laboratorio dove continuava la fabbricazione del Gate; si stava vestendo per raggiungerlo. Aveva infilato la maglia a collo alto per metà quando si fermó a guardarla.

 

«Non ti sognare di tornare a comprare roba. La prima cosa che faró oggi sarà una lavata di testa ad Akira che non scorderà più, per averti venduto quella mercanzia…»

 

Kaya si lasció cadere sul materasso sbuffando

«mi sembra di essere nella casa del grande fratello…»

 

«Come dici?!»

 

«niente… mi sono capita io!»



 

Ci andava mal volentieri. Detestava quell’aggeggio mostruoso che stavano costruendo; si stava pentendo di aver dato loro il permesso per realizzarlo, in fondo non sarebbe servito a nulla, vista la piega che avevano preso gli avvenimenti. Sarebbe stata una porta sulla vecchia vita di Kaya e si sarebbe sentito molto meglio se questa porta fosse stata invalicabile.

 

Harlock aveva evitato di entrare nel laboratorio e quando vi fece ingresso restò impressionato.

 

«È veramente bellissimo… e terribile.» mormorò.

 

«Yattaran perché questa foggia particolare?»

 

Il corpulento ufficiale alzó le spalle. 

«Farla rettangolare mi sembrava banale. Un sogno mi ha suggerito questa forma. Bello vero?»

 

“Sogni… sempre questi sogni…”

 

Il laboratorio di Tochiro aveva un soffitto molto alto: sfiorava i 6 metri, e il semicerchio di lucido metallo, formato da blocchi a simulare dei mattoni di un arco a tutto sesto, arrivava ai 4 metri abbondanti. Emanava una sensazione inquietante, quasi sinistra.

Non ci avrebbe dormito sonni tranquilli lì dentro, con quel macchinario che destava inquietudine.

 

«Lo considero il mio capolavoro!» Ne andava incredibilmente orgoglioso, a ragione.

 

«Ho contribuito anch'io, ma Yattaran è il vero genio.» Puntualizzó Tadashi.

 

Il pensiero che la sua Cronaline sparisse dentro quel mostro di metallo era inquietante.

 

«Ottimo lavoro… ma resterá inattivo. Non lo potrai collaudare, mi rincresce.» 

 

«Dipende da Kaya… non è vero?»

 

«Certamente, è lei che non vuole tornare. E comunque manca l’energia per farlo funzionare. O mi sbaglio?»

 

«Non ti sbagli: se non dai l’autorizzazione per accedere al computer centrale niente energia.  L’importante è che, se un giorno cambiasse idea, Kaya potrebbe comunque decidere di tornare a casa.»

 

Harlock uscì dal laboratorio con una brutta sensazione. Non gli piaceva avere a bordo quella macchina.

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Capitolo 18
*** Tochiro ***


Il Gate era terminato.

 Questa notizia le fece tremare il cuore. Va bene: nessuno l’avrebbe costretta ad adoperarlo per tornare da dove era venuta; ma le faceva una strana impressione.

Nessuno dei due ne era a conoscenza, ma lei e Harlock avevano avuto il medesimo sentimento di repulsione, al punto che Kaya non volle nemmeno vederlo.

 

Non che si aspettasse baci, abbracci o chissà cosa, ma Yattaran ci rimase male, e Tadashi con lui.

In fondo erano riusciti in un’impresa senza precedenti, una porta sul passato, lì, a portata di mano; ma per il capitano e la diretta interessata era una specie di mostro.


«Non mi piace… non ce la voglio quella macchina infernale qui a bordo…» borbottó mentre sorbiva un bicchiere di rosso in compagnia di Meeme.

 

«Daró ordine che venga smantellata quanto prima. Non ha senso tenerla qui. Tra poco Kaya diventerà mia moglie, e la sua vita passata cesserà di esistere.»

 

Sembrava più riflettere a voce alta che parlare con lei.

 

«Ne hai paura…» osservò Meeme, stupita.

Non conosceva questo sentimento nel suo capitano.

 

«… ha qualcosa che non so spiegare. Non lo conosco e non so controllarlo. Non sembra proprio l’abbia costruito Yattaran, piuttosto uscito direttamente dall’inferno.»

 

Meeme sorrise «Ti spaventa perché sai che potrebbe portarti via Kaya. È solo questo.»

 

«Sì, probabilmente hai ragione tu. Sta di fatto che non ce lo voglio…» Buttó giù una lunga sorsata di vino.

«Domani daró l’ordine, e mi toglieró questo peso.»

 

Sopraggiunse Kaya che era ancora impegnata ad imparare da Kei, erano due notti che non chiudeva occhio e a stento si reggeva in piedi.

 

Meeme si alzò interrompendo ciò che stava suonando.

 

«Vi lascio, Kaya ha urgente bisogno di stendersi».

 

La tavola apparecchiata attendeva solo lei. Si accostò aprendo i vassoi con il cibo tenuto in caldo; stancamente si lasciò cadere a sedere e prese a tormentare con la forchetta quel che aveva nel piatto senza dire una parola.

 

Harlock la osservava con tenerezza: avrebbe voluto che si riposasse, ma lei, testarda, aveva preteso di adempiere ai suoi impegni della giornata ad ogni costo.

 

Le palpebre pesanti facevano sempre più fatica a lasciare aperte le porte sul mondo circostante, chiuse gli occhi solo per un attimo e cadde in un sonno profondo.


 

Arcadia aveva i capelli intrecciati e raccolti sulla nuca in una coda di cavallo che le arrivava alla vita. Gli occhi neri e profondi come l’opale, brillavano in speranzosa attesa.

Le rivolse un sorriso.

 

«Qualcuno ti aspetta, non farlo attendere…»

 

Il luogo era il medesimo, ma ogni volta mutavano le condizioni atmosferiche. Questa volta era una giornata primaverile, col sole tiepido e una brezza frizzante. Il prato era punteggiato di piccole margherite bianche e rosa; qualche nuvola vaporosa correva nel cielo azzurro tenue.

 

«Mi sono stufata dei tuoi messaggi in codice! Se vuoi che ti prenda in considerazione parla chiaro! Diamine! Sei proprio sua figlia…» sbottó Kaya. Ormai questa storia dei sogni era diventata stressante.

 

La ragazza non se l’aspettava e sussultó.

«Non conosco tutto nemmeno io! Ti sto dicendo ciò che apprendo da mio nonno di volta in volta… Lo devi incontrare. Devi trovare il modo di entrare nella sala del computer. Altro non so… ma fallo in fretta!»

 

«Entrare nella sala del computer?! Non conosco il codice! Potrei chiedere ad Harlock di…»

 

«No!!! Lui non deve sapere nulla! Cambieresti il corso degli eventi… Tochiro è stato molto chiaro su questo punto! Harlock potrebbe avere reazioni che non possiamo prevedere. Non è pronto a perderti…»

 

«Hei! Vacci piano ragazzina! Ancora non ho deciso se seguirti in questa follia…» Fece un sorriso sbilenco «le cose sono un tantino cambiate dall’ultima volta…» alzó la mano sinistra muovendo le dita, dove un piccolo bagliore catturó l’attenzione di Arcadia.

 

«Cosa significa?» Il tono era preoccupato.

 

«Proposta di matrimonio… Mi ha chiesto di sposarlo…»

 

La ragazza sbarró gli occhi

«no! Non ci credo!»

 

«Credici tesoro! Adesso non sono più così convinta di darti retta… Non mi era mai successo di essere così felice… Solo una stupida butterebbe nel cesso un’opportunità simile… Una stupida come tua madre!»

 

Arcadia ammutolì e gli occhi le si riempirono di lacrime. 

 

Kaya si sentì in colpa

«su dai… troverai un altro modo per conoscerlo… io potrei parlargli di te. Sono sicura che cercherebbe tua madre in lungo e in largo pur di…»

 

Ma la ragazzina scuoteva il capo, singhiozzando

«No! Non chiedermi come e perché… ma so che tu sei stata mandata nel suo tempo per permettere lo scambio. Se non ci sarà io conosceró mio padre tra moltissimi anni… forse mai!» La disperazione di quella ragazzina era seria e sincera.

 

“È sua figlia… il suo sangue…” e nel cuore di Kaya avvenne qualcosa che nemmeno lei seppe spiegare, una tenerezza, un caldo sentimento che le rapì il cuore. Lì davanti non c’era Mayu ma una bambina, una ragazzina che voleva disperatamente trovare suo padre… e quel padre era l’uomo che Kaya amava. Cosa avrebbe fatto Harlock se avesse saputo di sua figlia?

Kaya lo sapeva: avrebbe buttato all’aria una galassia intera pur di ritrovarla. E i dubbi si sciolsero come neve al sole.

 

L’abbracció come se fosse sua, baciandole i capelli e stringendola forte.

«Sta tranquilla… ci penseró io a te… non piangere.»





 

I rapporti tra lei e Tadashi erano piuttosto superficiali. Dopo un esordio promettente si era tutto risolto in una bolla di sapone, nel momento esatto in cui Tadashi si era reso conto che il capitano l’aveva presa in simpatia; ma adesso aveva bisogno di lui.

Solo tre persone, compreso Harlock, erano a conoscenza della chiave numerica per accedere alla sala computer e tra queste non c’era Kei, per sua sfortuna. Avvicinare lei sarebbe stato molto più semplice.

Ma Kaya era decisa ad aiutare quella ragazzina ad ogni costo: tutto era finito in secondo piano, matrimonio compreso.


Avvicinó il ragazzo in un momento di pausa, era difficile trovarlo solo. Aveva dovuto tenerlo d’occhio per due giorni interi prima di sorprenderlo senza nessuno intorno al distributore automatico lungo il corridoio che conduceva agli ascensori. Gli si avvicinó rovistandosi nelle tasche

«Accidenti! Ho scordato la tessera del caffè… me ne offriresti uno?»

 

Tadashi non si fece pregare. Coinvolgerlo in una conversazione leziosa non fu difficile. Quando si rese conto che il ragazzo era rilassato in sua compagnia sganció la bomba.


«Tadashi… devo entrare nella sala del computer… stanotte.»

 

Tadashi la guardó sgomento, con il sorriso che si riserva ai pivelli inesperti

«non puoi! Nessuno puó entrare li dentro se non in compagnia e su permesso del capitano…»

 

«Sì ma…» Kaya gli cinse il collo con le braccia, allacciando le dita dietro la sua nuca e osservandolo con aria maliziosa «tu conosci il codice per entrare… e se lo volessi…»

 

«Ho detto di no!» con un gesto brusco si sciolse dalle sue braccia «non posso e non voglio disobbedire a un ordine! E poi… che cosa devi fare nella sala del computer? Stai architettando qualcosa?!»

 

Kaya l’osservava, imperturbabile.

 

«Non ci siamo capiti… tu stasera mi porterai li dentro. Devi fidarti di me! E se non lo farai, mi strapperó i vestiti di dosso e mi metteró a urlare come un’aquila, e racconteró ad Harlock che hai tentato di abusare di me…»

 

Tadashi impallidì «tu sei completamente impazzita!»

Si rese conto di essere caduto come uno stupido in una trappola tanto semplice quanto efficace.

 

«Ho detto che devi fidarti di me! Non fare domande e non parlarne con nessuno. Ti do la mia parola che ciò che andró a fare non danneggerà né la nave né nessuno di voi… Tochiro ha qualcosa per me…»

 

Tadashi la guardó e si convinse che quella ragazza era semplicemente folle. Harlock l’amava e lei stava per tradirlo… se fosse andato da lui a raccontare di tutta questa faccenda sicuramente non gli avrebbe creduto. Non restava altro da fare che cedere al ricatto e osservare. Se l’avesse sorpresa a fare un passo falso l’avrebbe uccisa.





 

«Sei così strana in questi giorni…» Harlock stava bevendo un caffè e l’osservava da sopra il bordo della tazza.

 

«Perché? Sono solo più impegnata… Sei tu che vuoi che io impari da Kei…»

 

«Ti alzi dal letto e sparisci per quasi tutto il giorno. Ho l’impressione tu mi stia evitando. Non ti sarai pentita?»

 

Kaya si sentì stringere il cuore, gli gettó le braccia al collo e lo abbracció più stretto che potè, respirando a fondo il suo profumo inconfondibile.

 

«Non lo pensare nemmeno! Non hai idea di quanto io sia felice, ed è solo tuo il merito!» Gli diede un bacio sulla bocca.

 

«Puoi impegnarti un po’ di più, futura sposa…»

 

A queste parole gli occhi di Kaya si riempirono di lacrime, fu come ricevere un pugno nello stomaco. 

 

«Cronaline che ti succede?»

 

E quando la chiamava così traboccava tenerezza, e amore… e protezione… e altre tremila sensazioni talmente intense e dolci che le facevano sempre venire voglia di spogliarsi e saltargli addosso. Stavolta rimase immobile, con le lacrime che le rigavano le guance. 

 

«Niente. È che ti amo troppo…» Deglutì a fatica. Il nodo in gola le fece male, stava scoppiando a piangere ma pensó subito al visetto pallido di Arcadia e trovó la forza di sorridere.

 

«Ti amo davvero troppo…» con una mano gli accarezzó il viso, guardandolo come fosse l’ultima volta.

 

Kaya indossava ancora la corta camiciola che usava per dormire. Aveva i capelli arruffati e gli occhi ancora pieni di pezzetti di sogno. La trovó irresistibile nella sua innocente e pulita normalità.

 

Con calma le sbottonó la lunga fila di bottoncini che tenevano chiuso l’indumento, finché non le scivoló dalle spalle e finì a terra, in un mucchietto ai suoi piedi, lasciandola nuda, fatto salvo per lo slippino.

 

«Fammi vedere quanto».

Kaya s’accostó e lo bació dapprima sul volto e sulle labbra. Poi scese pigramente sul collo e le spalle, e ancora più giù fino a raggiungere i fianchi. Arrivata lí tiró giù quel tanto che bastava il bordo dei boxer e continuó ad assaggiare ciò che si celava sotto.

 

Il capitano chiuse gli occhi e gettó il capo all’indietro.


Harlock si era fatto una doccia, si era vestito ed era uscito dopo averle dato un bacio e una carezza.

Lei era rimasta a letto, con un pensiero opprimente. Quella forse poteva essere l’ultima volta che gli aveva dimostrato il suo amore.

Non voleva essere triste. Lasció che il ricordo e le sensazioni che le aveva lasciato poco prima prendessero il sopravvento e si concentró su ció che l’aspettava quella giornata. 

Uscì dagli alloggi di Harlock per passare dalla sua cabina. Aprì un cassetto e si infiló in tasca l’ocarina.

Tutto era pronto.



 

Si erano dati appuntamento in tarda serata. Tadashi arrivó in ritardo, con incedere nervoso e scocciato. A malapena le rivolse un cenno di saluto.

 

«Stammi lontana, dopo le minacce di ieri non devi avvicinarti a meno di un metro!»

 

Tadashi digitó il codice di 10 cifre sul tastierino accanto alle porte automatiche che immettevano nella sala del computer centrale.

Appena varcata la soglia la ragazza lo chiamó

 

«Hey Tadashi, cosa diavolo è quello?»

 

Il ragazzo si giró e Kaya gli assestó un cazzotto in pieno viso, facendolo crollare a terra tramortito.

 

«Mi dispiace, ma mi devi lasciare il tempo di finire questa cosa…»

 

Non era mai stata lì dentro. Quel macchinario era enorme, imponente; sapere che lì dimorava l’anima di una persona le fece venire i brividi.

 

«Eccomi, sono qui! Cosa vuoi da me?» la sua voce eccheggió cupa tra le alte pareti metalliche.

 

“Sei proprio stupida… pensi forse ti risponda?”

 

Si giró ad osservare Tadashi: era nel mondo dei sogni, ignaro di tutto, e lo invidió.

 

Improvvisamente le lucine e i bip sommessi della macchina sembrarono impazzire, in un caleidoscopio di colori e suoni che le fecero girare la testa vorticosamente. Chiuse un attimo gli occhi e scivoló a terra.

 

“Un altro sogno! Maledizione!”

 

Immersa in un limbo bianco, davanti a lei stava un uomo di bassa statura, dal viso gentile, con spessi occhiali da vista.

 

«Tu sei Kaya! È un vero piacere conoscerti! Il mio amico Harlock ha scelto proprio bene… questa volta sì. È sempre stato un po’ pasticcione nelle questioni di cuore.» Rise affabilmente.

 

«Ma bando alle ciance! Ascoltami, perché non avremo molto tempo. Ora ti consegneró un cristallo… lo userai per alimentare il gate dimensionale. Alla sommità dell’arco c’è un piccolo alloggio: posizionerai lì quel che ti daró. La macchina farà tutto da sola. Quando si formerà la singolarità avrai solo pochissimi minuti per entrarci…» Esitó, e gli occhi gentili la fissarono con commozione.

 

«Ti do la mia parola che tornerai al tuo tempo, alla tua realtà, esattamente nell’istante preciso nel quale sei partita.»

 

«Io… non la voglio la mia realtà! Fa schifo, è una merda…»

 

«lo so, Arcadia mi ha raccontato. E mi ha chiesto se c’è un modo per non farti tornare… e purtroppo ti dico che non c’è. Rimane ancora un mistero tutta questa storia. Forse le preghiere di mia nipote sono state così intense da muovere a compassione anche il tempo… chi lo sa?»

 

La figura che un tempo fu Tochiro Oyama sospiró

 

«giovane Kaya la vita è in mano tua, e puoi cambiarla se vuoi. Non ti mancano né la forza né l'intelligenza. Forse prima ti mancava lo scopo… Harlock ti ha insegnato ad avere fiducia in te, e dimostrato il tuo valore…»

 

«Io lo faccio per loro… perché li amo. Voglio siano felici… del resto non mi importa…»

 

«E lascia ti ringrazi a nome di Arcadia e di Harlock… e sì, anche di quella testona della mia figliola! Kaya il tuo sacrificio non sarà vano…»

 

«Aspetta! Dì ad Arcadia che… le voglio bene. Questa faccenda mi ha dato modo di conoscerla e di amarla… la considero come la figlia che io e lui non avremo mai…»

 

Tochiro annuì

«glielo diró appena mi sarà possibile… ma ora te ne devi andare! Tra non molto Tadashi riprenderà i sensi e la prima cosa che farà…»

 

«… sarà correre da Harlock per avvertirlo del mio tradimento!» finì Kaya.

 

«Ora ti risveglierai. Davanti a te, sul computer si aprirà un piccolo alloggiamento e vi troverai ciò che occorre per far funzionare il Gate. Addio Kaya, e grazie ancora…»

 

Bruscamente il sogno s’interruppe e Kaya si ritrovó a stropicciarsi gli occhi sul pavimento davanti al computer.

 

Si alzó in piedi, e come promesso davanti a lei, nell’enorme macchina si aprì un’apertura dove trovó una pietra.

 

Kaya la raccolse: era una sorta di diamante completamente nero, lucido, grande quanto il palmo della sua mano. Nelle sue profonditá brillavano minuscoli puntini di luce… sembrava un pezzo di cielo stellato tra le sue mani. Spalancó la bocca, meravigliata.

 

Tadashi si mosse… Kaya cominciò a correre in direzione del laboratorio.



 

Si tiró in piedi barcollando… quella puttana l’aveva colpito così forte da fargli perdere i sensi… avrebbe avvisato Harlock del tradimento e poi l’avrebbe uccisa con le sue mani.




 

«Cosa cazzo ti stai inventando Tadashi? Perché avrebbe fatto una cosa simile?» Harlock era furioso e incredulo dopo le accuse mosse da Tadashi alla sua Cronaline. 

 

«Non lo so! Blaterava di qualcosa che le doveva dare Tochiro… sicuramente una scusa…»

 

A quelle parole Harlock sbarró l’occhio

 

«come hai fatto a non capire? Non ha tradito nessuno… lei vuole andarsene!» si alzó di scatto «chiama Yattaran, mandalo al laboratorio: SUBITO!»

 

Mentre correva per i corridoi silenziosi della nave, pensava disperatamente “fa che arrivi in tempo! Ti prego!”



 

Il Gate era davanti a lei. Un semicerchio perfetto di blocchi di lucido metallo scintillante: sembrava un antico architrave ma il metallo gli conferiva un’aria quasi mistica.

 

Aveva poco tempo, con lo sguardo cercó l’alloggiamento per sistemarvi la pietra e lo trovó subito. Era troppo in alto! Si guardó attorno, cercando qualcosa sulla quale salire;  dietro la consolle per attivare il Gate c’erano due casse, che erano rimaste lì dalla costruzione.

Faticosamente ne spinse una sotto l’arco e ci si arrampicó su; dovette alzarsi sulle punte dei piedi per raggiungerlo. Riuscì a incastrare la pietra e non accadde nulla.

Svelta scese dalla cassa e l’allontanó dall’ingresso del Gate.

Forse doveva accenderlo? Accidenti! il pannello dei comandi era così complicato!

 

All’improvviso una luce forte attiró la sua attenzione.

La pietra si era illuminata, e le piccole stelle al suo interno stavano liberando la loro luce che veniva assorbita all’interno del semicerchio metallico, che divenne traslucido.

Al centro dell’apertura stava succedendo qualcosa: era come se lo spazio fisico fosse diventato liquido, come guardare attraverso uno specchio deformante.

Poi si formó un piccolo vortice al suo centro.

 

E in quell’istante irruppe Harlock.

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Capitolo 19
*** Il Gate ***


«cosa stai facendo?» lo sguardo era duro, ma una nota spaventata trapelava dal tono della voce.

 

Kaya sobbalzó. Aveva sperato di finire prima che lui se ne accorgesse. Non era andata così.

 

Guardó il piccolo anello all’anulare e una morsa carica di rimpianto insopportabile la fece vacillare. Solo per un attimo. Gli rivolse un sorriso triste.

 

«Ti amo.»


Il vortice alle sue spalle cresceva rapidamente di dimensione. Adesso era grande quanto un pallone da basket e cresceva a vista d’occhio.

 

Harlock si avvicinó e l’afferró per un braccio, in un gesto disperato

«no! Tu no! Non puoi lasciarmi anche tu…»

 

Il sorriso che Kaya gli rivolse era malinconico

«non ho mai fatto nulla di buono nella mia vita: lascia che lo faccia ora e lo faccia per te. Il mio regalo di nozze… Questo non è il mio posto, non è il mio tempo…»

 

Le parole pronunciate da Kaya non avevano senso. «no!» le strinse il polso con tutta la forza che possedeva, poteva sentire le ossa, piccole e sottili sotto le dita. 

«non andare! Non sai cosa potrebbe accadere! Ancora non sappiamo dove ti porterà…!»

 

Il vortice turbinava alle sue spalle, aveva raggiunto le dimensioni massime consentite: un maelstrom dimensionale, in attesa di divorare qualunque cosa gli si avvicinasse troppo.

 

Kaya cercava di liberarsi dalla sua stretta «devo andare, e tu lo sai. C’è qualcosa di molto più grande di me che ti aspetta. Lasciami… Tochiro mi ha dato la sua parola. Andrà tutto bene…»

 

«Non m’importa… qualsiasi cosa vi siate detti! Non devi andare! TE LO ORDINO! » Un urlo che sembrava un ruggito.

“Le spezzeró il polso se continuo a stringere”.

 

Una lacrima sfuggì, segno tangibile di quella disperazione che non gli permetteva di mollare la presa.

 

L’attrazione della singolarità si faceva sentire, ogni centimetro che Kaya guadagnava verso di essa, i piedi scivolavano con più decisione, attratti dal vortice.

 

«Devi lasciarmi andare! O finirai anche tu lì dentro!»

 

«No!!! Ho perso Maya, ho ucciso Namino e la mia Mayu è scappata lontano da me… non posso perdere anche te! Ti seguiró se necessario! Cronaline non andare! Resta!!!»

 

Lo sguardo di Kaya mutó, improvvisamente strattonó e contemporaneamente si abbassò, avventandosi sulla mano che la tratteneva, affondando i denti su di essa finché sentì il sapore del sangue. Istintivamente Harlock molló la presa e Kaya con un salto entró nel vortice che collassó subito dopo.

 

Apparve Yattaran, trafelato

«capitano! Cosa è successo?»

 

«È tardi… è troppo tardi…» lo sguardo perso oltre l’apertura del Gate che era tornato ad essere un semicerchio metallico silente. Il cristallo al suo apice aveva esaurito la sua energia: un contenitore vuoto.


Harlock fissava l’ingresso del gate come ipnotizzato, ancora incredulo e incapace di accettare ció che era successo in pochi istanti.


«kaya se ne è andata. Ormai è solo un ricordo… non esiste più» il tono era piatto, incolore. 

 

«non lo puoi sapere… ci sono buone possibilità che sia tornata da…»

 

«lei è morta! Se è tornata indietro, in questo tempo lei non esiste più! È solo un ricordo…» la voce del capitano sembrava svuotata di ogni emozione. Vuota come il suo sguardo. 

 

Yattaran comprese «mi dispiace capitano… sul serio».

 

Harlock rimase ad osservare la parete oltre l’ingresso del gate, immobile, per lunghissimi minuti finché sopraggiunse Meeme che dolcemente lo accompagnó nelle sue stanze.




 

Attraversato il gate Kaya si voltó e vide Harlock congelato nell’attimo in cui lei aveva saltato. Il dolore che vedeva sul suo volto  le spezzó il cuore: gridó il suo nome ma capì che ormai non la poteva più sentire.

Intorno a lei una nebbia luminosa le impediva di vedere chiaramente avanti a sé. Una mano afferró la sua, e Kaya gridó.

 

«Ti ho trovata!»

 

In un battito di ciglia Kaya si ritrovó sotto un cielo grigio e piovoso, con i piedi ben piantati sull’asfalto bagnato, nel viicolo dietro il teatro dove aveva avuto inizio tutto.






 

Yattaran e Tadashi si ritrovarono soli.

 

«E chi lo immaginava che sarebbe finita così? Il capitano è proprio sfortunato con le donne… deve avere addosso una maledizione. Domani smonteremo questo aggeggio… andiamo Tadashi…»

 

Il laboratorio rimase deserto e buio.

 

Nel silenzio della stanza un click metallico.

La struttura del macchinario ebbe qualche palpito luminoso e il vortice si riformó, più piccolo, al suo centro.

Dalla singolaritá emerse, come da una parete liquida, una fanciulla che si accasció subito a terra, esausta.



 

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